Il sogno migliore

di Little Cookie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Allora… cominciamo. Tutto iniziò in maniera confusa, senza che io riuscissi nemmeno a capire che cosa mi stesse passando per la testa. Mi ricordo solamente che ero ad un concerto con una persona la quale se ne andò in seguito al motore principale del mio sogno così strano: uno svenimento. Ebbene sì, svenni. Il cantante sul palco mi vide e smise di cantare. Scese immediatamente e venne verso di me facendosi largo tra la folla. C’era un gran casino. Da quel momento in poi non capii più niente. Mi ritrovai nello spazio privato del cantante, ma non so come ci sono arrivata fin lì perché non avevo idea di quello che era successo prima. Mamma mia! Era tutto così strano, ma così reale! Fatto sta che mentre ero ancora mezza svenuta sentivo il suo corpo chino sopra di me, il suo dolce respiro sul mio collo e mi sentivo osservata. Ma proprio per quello desideravo rimanere in quel delizioso momento di estasi. Però mi svegliai. Mi voltai e lo vidi. Per un attimo il mio cuore smise di battere per poi riprendere velocemente. Non sapevo dove mi trovavo e continuavo a guardare il suo volto con un’espressione vuota. Scommetto che nemmeno lui era riuscito a comprendere come mi sentivo e che cosa stessi provando per la sua presenza. Notavo però che mi scrutava attentamente e poi disse qualcosa: “Hey, come stai ora? Lo sai che mi hai fatto spaventare?”. Stentavo a crederci. Non poteva essere vero. Dopo aver preso la mia mano ed averla accompagnata sul suo ginocchio, accennai un mezzo sorriso. Mi sentivo terribilmente stordita in quel momento. Il tipo mi aveva lasciato ancora con un mistero: come si chiamava? Il suo volto era qualcosa di particolare, di difficilmente descrivibile, ma mi affascinava proprio per questo. Avevo tentato di parlare, ma l’ulteriore avvicinamento del suo viso al mio me lo impedì. Dopodiché fissai i suoi occhi e da lì ci fu il punto di rottura: sì, provavo qualcosa per lui. Era ufficiale. Presi coraggio e parlai: “Lei chi è? E come ci sono arrivata qui?”. Lui alzò il braccio e lo tese verso i miei capelli per spostarmeli dal viso da essi coperto: “ Io stavo cantando e tu sei svenuta là in mezzo alla folla”. “Dimmi il tuo nome! Dimmelo, dimmelo!” pensavo nella mia mente. Sembrava farlo apposta. Era così misterioso. Tutto il contrario di ciò che era sul palco. Continuava a spostarmi i capelli: “Steven, mi chiamo Steven”. Aveva una voce così soave. Mi faceva sentire calma. Successivamente passò ad accarezzarmi il capo e io continuavo a fissarlo nel frattempo: “Dammi pure del tu” aggiunse. “Mi prenderò io cura di te, Miriam”. Gli afferrai la mano con cui mi accarezzava. Miriam! Miriam! Come diavolo faceva a sapere il mio nome. Avevo un’espressione da persona impaurita e il mio respiro si fece affannoso: “ Co… co… come conosci il mio nome?”. Lui fece una risatina: “Calmati adesso. Me lo ha detto la persona che era con te”. Il mio respiro continuava ad essere duro: “Stai tranquilla. Non ti accadrà nulla. Ti ho portata qui perché volevo vedere come stavi e perché avevi bisogno di tranquillità. Non ti farò del male lo giuro”. Io ero veramente terrorizzata dal fatto che una persona estranea sapesse il mio nome e che mi avesse portato nel suo spazio privato. Dopodiché chiusi per un attimo gli occhi. Pensavo che dopotutto Steven fosse una brava persona. Mi sdraiai di nuovo e Steven continuò ad accarezzarmi. Steven, oh Steven! Quanto adoravo la sensazione che suscitavano le sue carezze. Amavo la grazia e la dolcezza con cui mi si rivolgeva, per non parlare del suo tono di voce. Steven mi affascinava tanto come tipo. Successivamente mi diede un bacio sulla guancia e gli sorrisi: “Starai qui fino a che non ti sentirai meglio” mi disse. Mi penetrò con il suo sguardo profondo e fu qualcosa che mi stregò. Poi mi fece l’occhiolino e si preparò per andare via: “Steven?”. La mia voce lo fermò quindi si voltò verso di me: “Sì cara?”. Io ero piuttosto imbarazzata: “Hmmm… grazie”. Fu tutto quello che riuscii a dire. Fece un ulteriore sorriso e poi si morse le labbra per poi leccarsele: “Non c’è di che”. E se ne andò. Lo osservai mentre usciva. Non riuscivo a definire il suo comportamento in quanto non capivo se Steven si comportasse in senso paterno nei miei confronti oppure se lo faceva per amore, ma amore nel senso più intimo. Era più grande di me.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Dopo che Steven se ne fu andato, mi rimisi a dormire per cercare di riprendere al massimo le mie forze. Anche in questa parte del sogno ci fu un vuoto per poi arrivare subito alla scena successiva. Io non ho mai saputo dov’era andato Steven, ma non me ne preoccupai più di tanto. L’importante era che stesse bene e l’unica cosa che volevo veramente era che tornasse presto da me. L’ho detto prima: provavo qualcosa. Quella notte, evidentemente, Steven tornò. Mi guardò mentre dormivo e poi si tolse la giacca. Dopodiché si tolse la maglia e i pantaloni. Si diede una lavata e si coricò vicino a me. Mi mise il braccio attorno al collo e con l’altra mano mi accarezzò il ventre per poi passare ai capelli. Peccato che stessi dormendo perché non potei provare quel brivido nel mio corpo. Così si addormentò e stette vicino a me per tutta la notte fino al sorgere del sole. La mattina mi svegliai lentamente e quando mi girai trovai Steven a pochi millimetri da me. Il mio cuore sussultò. Stetti ad osservarlo per qualche attimo e poi gli passai dolcemente le dita sulla fronte. Poverino, doveva essere proprio stanco. Ma lui come ha fatto ad addormentarsi proprio lì, nel “mio” letto? Il mistero di questa persona permaneva costantemente. Non riuscivo proprio a capire Steven. Cosa stava cercando di dimostrarmi? In che modo? E perché? Lo avrei capito? Pensai che dovevo alzarmi perché persi completamente il sonno. Ma era mattina presto. Così, mentre Steven dormiva ancora, mi sentii in dovere di andare a preparare la colazione per lui. Un gesto per ricambiare, anche se solo in minima parte, la sua gentilezza. Guardai cosa c’era a disposizione e gli preparai la più semplice colazione che esista: latte caldo e biscotti. Una volta terminato di preparare, attesi che Steven arrivasse. Poco dopo si svegliò grazie al profumo che si sparse per tutta la casa. L’odore del latte caldo e dei biscotti gli pervase le narici e dunque venne nella stanza dove lo aspettavo. Mi guardò un po’ frastornato e poi disse: “Wow, ragazza! Hai preparato tutto questo da sola?”. Non parlai e annuii solo con la testa. Tirai indietro la sedia: “Accomodati, Steven”. Lui mi sorrise e si sedette. Pochi attimi dopo feci la stessa cosa, ma non appena mi sedetti Steven mi prese la mano tra le sue e mi fissò con il suo sguardo ammaliante. Oddio! Ancora quella sensazione di formicolio allo stomaco! Che mi stava capitando? “Grazie” fu tutto quello che pronunciò. E cominciò a mangiare i suoi biscotti inzuppandoli nel latte. Io rimasi a guardarlo attentamente poi lui si fermò e mi lanciò un’occhiata: “E tu? Non mangi?” Scossi la testa. “Perché no, Miriam?”. A quel punto abbassai lo sguardo e Steven notò una lacrima cadermi sui pantaloni: “Oh piccola! Che cos’hai?”. Continuai a gemere e singhiozzare. Quando il mio pianto si fece più forte, Steven abbandonò il pasto e mi abbracciò forte, accarezzandomi intensamente: “Parlami! Sono qui, sono qui”. Mi prese la testa tra le mani e mi baciò sulla fronte. Successivamente passò delicatamente le sue mani sul mio volto per asciugare le lacrime che erano scorse copiose. “Steven, perdonami. Sono solo un peso per te”. Mentre pronunciavo queste parole lui scuoteva velocemente la testa: “No! Non è vero!”. Io annuii per poi controbattere: “Sì, invece! Da quando sono qui ti ho fatto passare solo guai! Lascia che me ne vada via e che ti lasci vivere!”. Decisi di lasciare la stanza, ma Steven fu più veloce e mi afferrò per un braccio: “No!” esclamò. “Lasciami, Steven! E’ finita! Voglio lasciarti in pace!” risposi io. Cercai di scostarmi, ma lui era più forte e mi afferrò. Stavolta però mi sbattè al muro tenendomi inchiodata per i polsi. Sentii che il suo respiro si fece duro e mi guardava con uno sguardo molto intenso. Caspita! Era un lato di Steven che personalmente non avevo mai visto. Mi aveva spaventata ma allo stesso tempo eccitata. Anche il mio respirò si fece duro mentre lo guardavo. Successivamente Steven si avvicinò ancora di più a me così che potessi sentire tutta la pressione del suo corpo sul mio. In quel momento chiusi gli occhi e chinai la testa all’indietro. Steven mi accarezzò lentamente la spalla dopodiché abbassò la spallina del vestito e diede un bacio. Indugiò per un bel po’ di tempo su quel punto e io provai un fremito di piacere perché era come se mi stesse solleticando. Io lo guardai: “Steven” fu tutto quello che riuscii a dire. Lui sollevò la sua testa e mi guardò con i suoi occhioni profondi. Poi si leccò le sue labbra carnose: “Che c’è?”. Io gli risposi: “Ma che cosa stai cercando di dirmi?”. Mi mise l’indice sulla bocca e poi scese giù, sempre più giù fino ad arrivare ai miei seni mentre con l’altra mano mi teneva il fianco: “Shhh. Non parlare, non parlare e basta”. Dopodiché mi diede un bacio sul collo. Io gli accarezzai i suoi morbidi capelli e poi la schiena. Capii che Steven non era un malintenzionato. E non era il classico uomo che ti porta da lui solo per soddisfare i suoi istinti sessuali. Alla fine Steven scorse lungo il mio collo con la sua bocca, poi sul mento e infine la poggiò sulla mia. Vidi che però era timoroso e riluttante allo stesso tempo e non mi baciò. Non ci riuscì. L’aveva solo appoggiata. Sentivo il suo respiro, che si fece più rumoroso quando mi afferrò entrambi i fianchi. Mi tirava dentro le sue braccia ma improvvisamente si ritrasse e si lasciò cadere sul lettino, forse incredulo per quello che era successo. Anche io la ero. Potei osservare le sue spalle alzarsi ed abbassarsi e lo sentii singhiozzare: Steven stava piangendo. Andai più vicino a lui: “Steven?”. Lui non sollevò nemmeno lo sguardo. Insistetti: “Steven?” gli accarezzai i capelli: “Vuoi che me ne vada?”. Lui poi mi tese la mano e io la presi: “No! Non voglio, non farlo. Non mi lasciare” rispose lui con le lacrime agli occhi. Mi commossero quelle parole. Mi sedetti sulle sue gambe e ci coccolammo a vicenda. Che meraviglioso momento magico!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Dopo che Steven si calmò, posò la sua testa sul mio petto e a mia volta appoggiai la mia testa sulla sua. Gliela baciai, dopodiché Steven l’alzò e mi guardò con ancora gli occhi lucidi: “Scusami, non so cosa mi sia capitato. Perdonami, Miriam.” Io annuii e sorrisi: “ Tranquillo, Steven”.
Alla fine decidemmo di terminare la colazione assieme, ma Steven non ci riuscì, evidentemente ancora scosso per quanto era accaduto poc’anzi. Si alzò dalla sedia: “Vieni, ora ti devo riportare a casa. I tuoi saranno in pensiero” disse con mia grande sorpresa. Io non mi alzai: “No, Steven”. Lui mi guardò stupito: “Come sarebbe?”. Presi in mano il cucchiaino e ci giocherellai. Scossi la testa: “No, io non torno a casa”. Di nuovo mi guardò: “Avanti, Miriam. Ti staranno aspettando. E’ chiaro che in questo momento saranno preoccupati per te”. “Ti prego, Steven. Non mandarmi via! So che tu sei un uomo impegnato e che ti sarei di intralcio, ma ti prego. Voglio stare qui, con te e prometto che non ti darò fastidio. Lo giuro!”
Lui sorrise e poi parlò: “Ti ho già detto che non mi dai fastidio, perché se no non ti avrei soccorsa. E poi, io vorrei che…” si schiarì la gola: “Ehm, insomma… beh sono impegnato, ma che c’entra? Sentimentalmente la mia vita non è granché. E la mia anima gemella chissà… sarà lontano e la devo conoscere ancora”.
Quella risposta mi fece venire un colpo al cuore, tant’è che mi misi la mano proprio dove batte. In un certo senso provai soddisfazione per quella risposta. Come faceva uno come Steven ad essere libero? Boh…
“Ma come mai vuoi restare qui con me? Insomma, mi conosci appena. Ti fidi?” aggiunse lui. Io mi avvicinai a lui: “Mi è bastato poco per capire come sei, Steven.” E gli accarezzai la guancia. Mi soffermai con lo sguardo sulle sue labbra: erano veramente qualcosa di eccezionalmente unico: “Steven, ora chiamo i miei genitori e li informo”. Lui non disse nulla e annuì. Composi il numero e rispose mio padre: “Miriam! Oddio dove sei?”. Io alzai gli occhi al cielo: “Stammi a sentire io sono grande ormai, non sono più una bambina a cui si deve dire tutto. Io ora sto bene e non ho alcuna intenzione di tornare a casa. So dove stare percui tornerò solo per prendermi i bagagli!” risposi io e senza nemmeno lasciargli il tempo di replicare riattaccai. Steven rimase alquanto sbalordito dalla scena a cui aveva appena potuto assistere: “Accidenti! Sei stata dura!”. Io gli sorrisi scuotendo la testa: “Steven, lo devono capire che sono cresciuta! Non posso stare sempre sotto di loro! Ormai ho 18 anni e posso decidere per conto mio!”. Steven si mise la mano sul mento: “Capisco! Allora adesso che farai?”. Mi misi il cellulare in tasca, dopodiché mi aggiustai i pantaloni: “Ora andrò a prendermi la roba e poi cercherò un posto dove andare. Non mi importa dove, voglio solo uscire da quella vita! Non ne posso più!”. Steven mi guardò preoccupato: “Ok, senti. Ammesso che i tuoi ti facciano uscire f…” Io lo bloccai facendo un cenno con la mano: “Hey, Steven. No, loro devono farlo! Non mi interessa!”. Gli feci poi finire la frase interrotta: “Ok, allora non dire che cercherai un posto. Puoi stare da me se ti va” disse sorridendo. I miei occhi si illuminarono a quel sorriso così sincero e pieno d’amore. Che cosa dovevo pensare di Steven? Era un tipo così misterioso. Mi affascinava da morire! E invece lui cosa pensava di me? Insomma… come diavolo avrà fatto a notare proprio la sottoscritta in mezzo a migliaia di persone? L’aura misteriosa non cessava di esistere.
Fatto sta che dopo che Steven ebbe pronunciato quelle parole, io feci un sorriso a 32 denti. Ero talmente emozionata che ogni parola mi rimase intrappolata in gola. Non riuscivo minimamente a parlare. L’unica cosa che feci fu quella di corregli in contro ed abbracciarlo per la gioia infinita che provavo: “Che bello! Grazie Steven!”. Gli mancò il respiro per quanto lo strinsi forte a me: “Wohooo! Hey ragazza! Non c’è di che!”. Poi mi staccai e lui mi lanciò un altro sguardo. Mi aspettavo che pronunciasse qualcosa, ma invece mi fece una carezza: “Dai, andiamo a prendere la roba” dissi. Lui non rispose e ci avviammo verso la porta.
Mamma mia che figata di macchina che possedeva! I miei occhi si spalancarono alla vista di quella fantastica meraviglia. Stavo per aprire la portiera, ma Steven disse: “Lascia, apro io” e sorrise. Io ricambiai il suo sorriso: “Grazie, molto gentile” ed entrai. Entrò anche lui e dopo aver messo in moto partimmo verso la nostra meta.
Non vedevo l’ora di essere fuori da quella casa, da quella vita, una volta per tutte.
Io e Steven non ci parlammo quasi per tutto il tragitto: ero troppo concentrata sui miei pensieri e a ciò che sarebbe accaduto una volta messo piede in quella casa. 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Il tragitto non fu lungo.
Quando arrivammo, però, sentii come delle pesanti fitte allo stomaco: "Oh!" sospirai. Mi misi le mani sul punto dolente e Steven mi mise una mano sulla coscia: "Hey, ora stai calma. Vai e affronta la faccenda serenamente, ok?". Io annuii ed ero sollevata dal fatto che ancora una volta Steven era riuscito a darmi conforto.
Uscì dalla macchina e venne ad aprirmi la portiera: "Grazie" gli dissi. Lui mi sorrise e fece un cenno con la mano: "Rimango ad aspettarti qui". "Ok, va bene" gli risposi.
Camminai verso la porta di casa e mi preparai ad affrontare la situazione. Non appena giunsi alla soglia, mi girai e guardai verso Steven, dopodiché lui mi fece un cenno come per dirmi di andare avanti e mi rivoltai, premendo il campanello. Feci un bel sospiro e attesi che mi venissero ad aprire. Finalmente, venne qualcuno ed era mio padre: "Miriam!". Io non ero per niente felice di vederlo e nemmeno di essere a casa mia. Non lo salutai ed entrai dentro solo per portare via tutto ciò che mi appartenesse. Basta, basta e basta! Dovevo andare via di lì il più presto possibile!
"Dove credi di andare tu?" mi urlò mio padre. "Non ti impicciare! Mi pareva di avertelo già detto per telefono!" gli risposi io prontamente. Cominciai a fare su i vestiti per poi passare al resto delle cose: trucchi, gioielleria varia, libri, riviste rock e metal, cd e computer. Mio padre continuava a parlarmi, ma io lo stavo a malapena ad ascoltare. Poco dopo giunse nella camera pure mia madre, la quale scoppiò in lacrime: “Ma che cosa fai figlia mia?”. Io ne avevo abbastanza di tutte quelle scenate! “Stammi bene a sentire! Sono stufa dei tuoi piagnistei, ok? Piantala! Non sono una bambina, capito? Questa volta niente e nessuno mi potrà fermare!”. Finita la frase, mia madre si mise una mano sul volto e con l’altra tirò fuori un fazzoletto per soffiarsi il naso.
Pochi istanti dopo arrivò pure mia sorella. Quella faccia suscitava in me grande disprezzo. In quei tempi mi era venuta in odio per il pessimo comportamento che aveva! Caspita, era più grande di me di diversi anni e si comportava ancora come una bambina! “Dove vai?” mi chiese. Io la guardai in cagnesco per poi risponderle bruscamente: “Fatti da parte! Te sei proprio l’ultima che deve parlare! Fatti i fatti tuoi!”.
Dopo aver raccattato tutta la roba, uscii dalla camera. Nessuno doveva osare fermarmi perché se no mi sarei inacidita peggio di quanto lo ero già. Mio padre tentò ancora di fermarmi, ma invano: “Levami quelle mani di dosso! Non provare a toccarmi! In questi anni mi hai sempre trattato come una bambina, ma devi capire una buona volta che sono cresciuta! Lo devi capire, diamine! Lo dovete capire tutti! Tutti voi!”. Dopodiché mia madre tentò di prendermi per un braccio, ma io mi scostai e le lanciai uno sguardo come… di sfida! L’adrenalina nel mio corpo era a mille ormai, nessuno mi avrebbe fermata. Io volevo essere fuori di lì, volevo essere con Steven al più presto!
Presi le chiavi, le infilai nella serratura e le girai per aprire la porta, dopodiché varcai la soglia e la tirai dietro di me. Finalmente fuori! Libertà!
I bagagli non erano tanti. Quindi non avevo un enorme peso da portare.
Una volta fuori dalla casa corsi verso Steven tutta contenta: “Steveeeeeeen!” gridai. Lasciai cadere i borsoni e lui aprì le sue braccia. Io feci lo stesso gesto. Il tutto si concluse con un abbraccio, un abbraccio che mi sciolse e che mi fece palpitare il cuore: “Voglio lasciare tutto questo alle spalle ora, Steven. Non ne voglio più sapere niente!” dissi mentre mi teneva stretta a sé. “Vieni, andiamo via allora” mi rispose lui.
Mi aiutò a sollevare i borsoni e a metterli nel bagagliaio: “Dove si va adesso, Steven?” gli chiesi prima che entrassimo in macchina. Una volta dentro, Steven mi diede la risposta: “Prima a casa mia a mettere a posto la tua roba e poi dopo ti voglio portare a conoscere i miei migliori amici, ti va?”. Io ne fui veramente entusiasta! Chissà com’erano questi tipi. Se tutti come Steven oppure migliori o peggiori: “Certamente! Ne sarei onorata!”. Steven sorrise: “Ok! Grande!”.
Steven era un tipo veramente particolare e misterioso. Forse la pensavo così perché era pochissimo tempo che lo frequentavo. Proprio per questo ero curiosa e impaziente di scoprire di che pasta fossero fatti i suoi amici.
Mi sfuggì una domanda, che forse non avrei dovuto porgli: “Steven, come sono i tuoi amici? Me li descriveresti?”. Dopo questa domanda chiusi gli occhi per un attimo e mi morsi il labbro inferiore, dopodiché mi misi una mano sulla guancia: “Oh scusami! Non avrei dovuto!”. Lui non disse nulla, se non: “Hey, tranquilla. Non c’è problema”.
Il nostro viaggio proseguiva e Steven cominciò con la sua descrizione: “Beh… siamo in cinque: io, Joe Perry, Tom Hamilton, Brad Whitford e Joey Kramer. Siamo rispettivamente cantante, chitarrista solista, bassista, chitarrista ritmico e batterista. Siamo esteticamente e personalmente molto differenti, in quanto tutti quanti abbiamo un nostro carattere e un modo di fare, di apparire e di essere molto diversi. Abbiamo in comune, però, tante cose: dall’amore per la musica al fatto che amiamo trasmettere qualcosa al nostro pubblico, qualcosa che sia passione, energia, divertimento. Amiamo soddisfare ogni singola persona là fuori, capisci? La nostra meta principale, ogni volta che andiamo in scena, è spaccare e dare il massimo. Il segreto è collaborare tra noi e nei momenti di difficoltà bisogna sempre trovare la soluzione che ci tenga uniti, cercare di coprire gli eventuali errori che si commettono. E’ anche questo ciò che ha contribuito a tenerci legati assieme per tutti questi anni, sai?”. Ascoltai ogni sua singola parola, ma volevo saperne ancora di più: “E dimmi… fisicamente come sono gli altri?”. Lui fece una risatina dolcissima: “Hehe, beh vedi… non posso giudicare. Sta a te farlo. Lascio a te questo compito”. “Misterioso come al solito!” pensai tra me e me. Annuii con la testa: “Ok, va bene”. Steven prese il suo cellulare e chiamo evidentemente uno dei suoi amici: “Hey, Joe! Sei in casa?... Ok! Perfetto! Sto venendo lì con una persona. Bene, mi fa piacere che ci siete tutti, così accorciamo i tempi! Ok, ci vediamo lì tra poco. Ciao, Joe!” e riagganciò. “Allora?” chiesi. “Ci sono tutti. Andiamo a casa di Joe. Ti dovrebbe piacere” rispose Steven con uno sguardo leggermente ironico.
Naturalmente questa non ci voleva! In una persona curiosa come lo sono io, tale frase contribuisce ad alimentare ulteriormente la fiamma della curiosità e della voglia di vedere che razza di personaggi erano costoro!
Come avevamo accordato, però, passammo prima a casa di Steven a posare la roba. Fu una cosa molto breve, in quanto ripartimmo per andare da Joe Perry dopo pochi minuti.
  

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Mamma mia! La descrizione di Steven mi aveva veramente intrigata! Non desideravo altro che conoscere i suoi amici/colleghi per verificare se la descrizione corrispondesse a quanto aveva detto.
“Allora, Miriam… parlami un po’ di te ora. Così ci conosciamo meglio” disse Steven con lo sguardo fisso davanti a sé mentre guidava. Accidenti! Che bella faccia tosta che aveva! Che personalità strana! Si alternava tra misterioso e tenerone… prima mi salva la vita, poi dopo pochi minuti teme perfino di dirmi come si chiama. Ora sono in macchina con lui e mi ha raccontato dei componenti della band… boh, però di lui manco una parola… niente di niente e adesso mi chiede di parlargli di me. Io mi voltai verso di lui e lui fece lo stesso voltandosi verso di me, per poi rivolgere lo sguardo nuovamente alla strada: “Certo che sei strano, Steven!”. Ora ne avevo abbastanza e dovevo vuotare il sacco: “Sei strano perché non ho ancora capito il tuo comportamento e di conseguenza nemmeno che intenzioni hai. Prima mi salvi la vita e mi porti nel tuo spazio privato per prenderti cura di me e poi, dopo pochi minuti, ci metti tanto a rispondermi se ti chiedo come ti chiami. Adesso siamo in macchina assieme e mi hai raccontato della tua band musicale”. “Aerosmith, noi siamo gli Aerosmith” interruppe lui. Io annuii: “Ok, va bene. Però di te non so praticamente nulla. E mi chiedi di parlarti di me. Io non so come reagire”. Steven fece una sorta di risatina per poi rispondermi: “Io e la mia band siamo un tutt’uno. Sai?”. Ecco! Eccolo di nuovo a fare il duro! Io scossi la testa. Però quanto mi attizzava, cazzo! Cercava a tutti i costi di giocare il ruolo del tipo misterioso. “A dire il vero ci sarebbe un’altra cosa…”. “E che cosa?” chiesi “Pensaci su, Miriam” mi rispose. Storsi leggermente il muso. Tanto ormai sapevo di che pasta era fatto Steven. Era un fottutissimo, cazzutissimo misterioso. E così non gli risposi per evitare di provocare troppo scompiglio in ciò che si era creato: “Posso aprire il finestrino, Steven?”. Lui annuì. “Grazie, perché ho caldo”. Steven, dopo quella discussione, rimase parecchio taciturno e a dir poco tranquillo. Probabilmente aveva notato di aver trovato pane per i suoi denti: cazzuto contro cazzuta! Wow! Troppo eccitante!
Era una giornata parecchio soleggiata e io adoravo il sole: “Hah che bella giornata, vero Steven?”. Lui anche questa volta rispose annuendo. Dopodiché sporsi la testa in avanti per osservare l’espressione dipinta sul suo volto: non era per niente serena: “Hey! Che hai?” gli chiesi toccandolo sulla coscia. Mi prese la mano e se la portò alla bocca: “Scusami. In effetti hai ragione. Mi sto comportando in modo strano”. Scosse la testa. La sua espressione continuava ad essere triste: “Cercherò di farmi capire meglio. Comunque stiamo quasi per arrivare alla tanto agognata destinazione” ed a queste parole il suo volto si distese ed apparve più rilassato. Steven era tornato a sorridere e la sua felicità faceva sorridere anche me. Oh com’era bello quando sorrideva! Già precedentemente avevo detto che la sua bocca era qualcosa di eccezionale e questa volta ho avuto un’ulteriore conferma…
Improvvisamente Steven inchiodò con la macchina: “Oh! Ma porca puttana! Che cazzo fai?!” urlò premendo freneticamente il clacson. Una macchina aveva attraversato senza rispettare il turno con conseguenti ripercussioni sul resto del traffico. Steven uscì dalla macchina per andare a dirne quattro all’artefice di questo quasi-incidente: “Ma ti sembra il modo di guidare questo? Eh?! Ho una ragazza giovane a bordo! E dietro di noi c’era altra gente che aveva intenzione di giungere alla propria meta!”. L’uomo tentava di giustificarsi, ma era evidentemente in torto marcio, tant’è vero che Steven non stette nemmeno ad ascoltarlo e tornò alla sua macchina pronto a riprendere la strada: “Ma che testa! Chi diavolo gli avrà dato la patente?”. Entrò in macchina piuttosto infastidito, ma alla fine riuscimmo a ripartire. Era ora!
Dopo un po’ di tempo che eravamo in viaggio Steven decise di chiamare Joe per avvisarlo del ritardo con cui saremmo arrivati e da quanto avevo capito dalle parole con cui Steven rispondeva, a Joe andava bene lo stesso: “Bene, Joe ci aspetta comunque” mi disse sorridendo: “Tutti gli altri sono già lì” aggiunse. “Ok” risposi io.
Alla fine, in seguito al lungo viaggio compiuto, giungemmo finalmente a destinazione. Evviva! “Eccoci qui, Miriam. Questa è casa di Joe Perry” affermò Steven uscendo dalla macchina. Venne ad aprirmi la portiera ed io non potei fare altro che ringraziarlo. Dopodiché mi tese la mano e mi fece uscire. Io sorrisi e lo ringraziai nuovamente: “Dovere” rispose Steven.
Successivamente ci incamminammo per entrare in casa di Joe. Steven suonò il campanello. Dopo pochi istanti venne ad aprirci la porta un uomo non tanto alto e piuttosto tozzo fisicamente. I suoi capelli erano corti e sparati leggermente all’insù ed erano chiari e poi aveva gli occhi azzurri, molto belli direi: “No, questo non dev’essere Joe” pensai nella mia testa. L’uomo tese la mano a Steven e se la strinsero: “Bella Steven!”. “Hey! Come va?” gli rispose lui. Il tizio mi rivolse lo sguardo e Steven mi presentò: “Questa è Miriam, la mia nuova amica”. Io sorrisi e l’uomo mi tese la mano: “Piacere, Miriam. Io sono Joey Kramer, il batterista degli Aerosmith. Spero che ti divertirai con noi. Forza venite dentro, ci siamo tutti. Gli altri sono nelle varie camere”. Chiuse la porta: “Ragazzi! C’è Steven con la sua amica!”. Dopodiché si presentò un altro tizio con i capelli biondi, lunghi fino alle spalle, questa volta alto e slanciato, con il naso leggermente appuntito: “Salve” mi disse. Io ricambiai il saluto. “Hey, Steve!”. “Ciao Tom!” rispose Steven: “Lei è la mia amica Miriam”. Tom si soffermò a guardarmi, molto attentamente direi. Dopodiché strizzò gli occhi e si morse il labbro: “Hmmm ciao Miriam. Io sono Tom, il bassista degli Aerosmith. Mi fa piacere conoscerti”. “Grazie Tom. Lo stesso vale per me” gli risposi sorridendo. Ma gli altri? Probabilmente erano in stanze più addentrate per poterci sentire arrivare: “Joe e Brad?” chiese Steven. “Stanno provando i loro pezzi di chitarra” rispose Joey. Joey sembrava un tipo simpatico. Ero curiosa di conoscere anche gli altri ora. Alla fine giungemmo in una camera, quella di Joe: “Heeey! Gemello!” esclamò Steven. Il gemello, come lo aveva chiamato lui, gli andò in contro e lo abbracciò. L’altro tipo fece la stessa cosa: “Ciao Steve!”. Dopo i vari saluti, Steven li presentò a me: “Miriam, questo alla mia sinistra è Brad Whitford, il chitarrista ritmico degli Aerosmith”. Io cominciai a scrutarlo. Era un tipo dallo sguardo assente, con quella scintilla nell’occhio che però trasmetteva carica. Non era molto bello. I suoi capelli erano abbastanza corti, più scuri di quelli di Tom e Joey. “Ciao Brad” dissi io. Lui annuì: “Ciao Miriam. E’ un onore!”. Io gli sorrisi. “E questo alla mia destra, invece, è Joe Perry, la nostra chitarra solista”. Oh signore! Oh mio dio! Mi venne un colpo al cuore. Indossava un gilet nero di pelle aperto, completamente aperto, da cui si intravedeva il fisico asciutto, con muscoli dalle linee morbidamente scolpite. I pantaloni facevano pendant con il gilet. Lo squadrai da capo a piedi e da piedi a capo. I suoi capelli erano di colore castano scuro ed erano lunghi, almeno poco oltre le spalle. Indossava un Borsalino nero e aveva gli occhi scuri e un naso leggermente curvato all’ingiù. La sua pelle era di colore olivastro. Porca miseria! Com’era bello! Mi aveva proprio colpita. Il suo sguardo era tenebroso, mi affascinava da morire. Mi piacque da subito e feci fatica a rivolgergli la parola, tant’è vero che Joe si rese conto del mio sguardo praticamente inebetito e parlò lui per primo: “Hey! Ci sei?”. Io scossi la testa per riprendere un attimo coscienza: “Oh! Ah sì, scusami!”. Lui alzò gli occhi al cielo e poi mi tese la mano: “Io sono Joe Perry”. La mia mano era tremolante: “E io… io… io sono Miriam” gli risposi balbettando. Che bello che era! Steven mi guardava e si coprì il volto per nascondere le sue risatine. Aveva capito tutto. E penso anche gli altri: “Hey amici! Andiamo in salotto. Abbiamo tanto da dirci” disse Joe posando la chitarra. Tutti seguirono quanto aveva detto e così si recarono in salotto. Io, invece, rimasi ancora ad osservare Joe mentre sistemava i suoi arnesi.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Ammiravo Joe, proprio in tutti i sensi. Era bello, suonava il mio strumento preferito e mi attirava caratterialmente. Almeno così sembrava da che l’ho visto. Il mio sguardo si era inoltre soffermato sulla grande quantità di chitarre e aggeggi vari posseduti. In più erano presenti amplificatori e spartiti di ogni genere.
Dopo aver sistemato ogni cosa, Joe si tolse il suo Borsalino. I suoi capelli erano veramente belli, tutto l’insieme lo era. Veramente. Si diede una sistemata alla chioma con la mano e poi posò il cappello, dopodiché si voltò dalla mia parte, notando che ero ancora lì: “Heh, ancora qui?” disse sorridendo. Che diavolo dovevo dirgli? Ogni volta che mi parlava parevo una rincoglionita: “Beh… Joe, sai… sono rimasta impressa da quello che c’è qui”… “e da te” pensai quest’ultima frase nella mia mente. Joe prese una penna e scrisse su un foglio, probabilmente stava abbozzando qualcosa: “Hmmm davvero? E perché?”. Mi schiarii la voce: “Perché anche io adoro la chitarra. È il mio strumento preferito da sempre”. A questo punto Joe smise di scrivere e mordicchiò la penna, dopodiché alzò lo sguardo: “E hai mai suonato?”. Io annuii: “Sì, quando ero piccola. Ma poi non ho più continuato”. Joe aggrottò le sopracciglia: “Per quale motivo?” chiese sistemandosi il gilet e guardandomi. La sua faccia mi intimidiva. Non era molto rassicurante in quel momento: “Oh, Joe! Non sai quanto mi sia dispiaciuto! Il fatto è che ho iniziato da piccola. In seguito ad un viaggio che ho compiuto… non ho più proseguito. Qualcosa si era rotto tra me e la chitarra”. Si mise le mani sui fianchi. Da chitarrista non poteva che capirmi e sapeva dove andare a parare: “Ah sì? Spiegati meglio”. Oh cazzo! Ma pure questo ci si metteva ora? “Da piccola ho fatto un viaggio in Inghilterra ed è lì che ho cominciato a suonare. Ero la più brava del mio corso ed è un vero peccato che abbia smesso”. Joe annuiva: “Eh già. Perché eri anche brava, quindi non hai smesso perché eri una schiappa. Peccato sul serio”. Si grattò la testa. Continuai la spiegazione: “Alla fine sono tornata in patria dopo qualche anno e lì non ho più ripreso. Ho riposto la mia chitarra in un angolo, con tutto il fodero che prendeva polvere. Che brutta immagine”. Joe non era molto contento di apprendere tale notizia e lo potevo dedurre dal suo volto sempre più imbronciato. “E dimmi, Miry… ti piacerebbe ricominciare?”. Miry? Mi conosci da 5 minuti e mi dai questa confidenza? Certo che i rocker sono proprio strani, l’ho sempre capito seguendo quel genere, ma conoscerli dal vivo te ne dà proprio la conferma. Ma a me poco importava sinceramente. Fatto sta che gli risposi: “Joe, è complicata la faccenda. Perché se ho smesso è anche per il fatto che ero poco motivata e poi perché mancavo di costanza”. “Tu riflettici bene. La musica è qualcosa che ti coinvolge pienamente e farla senza passione è la cosa peggiore. Sappi che se ti va posso darti una mano, ma deve partire da te l’iniziativa”. In un certo senso, i miei occhi si illuminarono. Il solo pensiero di avere Joe come insegnante mi avrebbe sicuramente stimolata. Però, prima di prendere la fatidica decisione, dovevo pensarci bene, anche per evitare un’eventuale perdita di tempo per Joe: “Ok, ora ci penso e poi ti dico” gli risposi. Joe accettò la mia risposta. Decisi poi di cambiare argomento: “Joe, cos’è sta storia del gemello con Steven?”. Il suo volto si ottenebrò ulteriormente. Avevo sbagliato a chiederglielo? “Ehm… è una lunga storia. Preferirei che tu lo scoprissi fuori da qui, quando non siamo tutti riuniti. Adesso andiamo in salotto a raggiungere gli altri Aerosmith, abbiamo parecchio da raccontarci”. Mi accorsi che Joe era più distaccato come carattere rispetto agli altri e a Steven. Aveva l’aria più da duro. Però caspita! Prima Steven e ora Joe! No! Due così non li avrei retti! “Andiamo” mi disse. Mi fece strada e io lo seguii fino al salotto: “Eccovi qui! Allora? Come procede?” disse Steven prendendo un cioccolatino. Tutti erano seduti sul divano attorno ad un tavolino: “Tutto ok?” chiese Tom. “Alla grande” disse Joe lasciandosi cadere sul divano. Sembrava davvero esausto. Del resto come potevo non capirlo? Anche il musicista ha il suo bel da fare. Sicuramente erano ore che provava prima che Steven e io arrivassimo: “Versatevi pure dello spumante se vi va, ragazzi” disse Joe “Sentitevi come a casa vostra”. Il primo fu Brad, il quale fece anche la gentilezza di versarlo agli altri: “Tu bevi, Miriam?” mi chiese. Io annuii: “Sì, ma solo un pochino, però”. Dopo aver terminato le dosi, Steven decise di fare un discorso: “Facciamo un brindisi! Agli Aerosmith affinché possiamo durare per sempre ed essere ancora energici per donare energia e sogni ai nostri fan!”. Tutti alzammo i nostri flute ed esclamammo all’unisono: “Agli Aerosmith!”. Poi Steven aggiunse ulteriori parole: “E un brindisi anche a questa ragazza formidabile che sta qui con noi, perché se lo merita, se lo merita davvero!”. “A Miriam!” seguirono gli altri. Io mi voltai verso Steven con una lacrima. Ero commossa. Così gli andai in contro e gli stampai un bacio sulla guancia. Lui mi abbracciò con un braccio, mentre con l’altra mano teneva il flute: “Siamo qui per te, cara”. Perché ora parlava al plurale? Perché?
Festeggiammo per un po’. Alla fine sbadigliai e Steven capì che mi ero stancata, così decise di volermi portare a casa: “Andiamo via?” mi sussurrò nell’orecchio. Oh, quel brivido di nuovo. Che voce. Acconsentii ad andarmene, dopo tutto era sera ed era quasi ora di cena. Siamo stati a casa di Joe per tutto il pomeriggio, ma ne era valsa la pena perché ho conosciuto lui, che era incredibile, e poi tutti gli altri Aerosmith, anche loro dei grandi: “State qui anche per cena?” chiese Joe. Steven scosse la testa: “No, mi dispiace Joe. Miriam è stanca e la riporto a casa”. “Grazie lo stesso” risposi io. E anche Steven ripeté la stessa cosa. “Ah, ok. Aspettate un attimo, però prima di andare. Miriam, tornando a quel discorso di oggi…” interruppe il discorso per prendere un fogliettino e una penna. Successivamente tornò da noi e stappò la penna avvalendosi dei denti e alla fine si mise a scrivere tenendo il tappo in bocca. Dopo aver terminato, ritappò la penna e mi consegnò il foglietto: “Così sai cosa fare ora” disse per terminare: “Pensaci su”. Sopra quel foglietto c’erano scritti il suo numero di cellulare e il suo indirizzo e-mail. Lo ringraziai con tutto il cuore per la sua disponibilità e dopo averlo salutato insieme agli altri, io e Steven uscimmo.
Tornammo alla macchina: “Bella giornata, vero?” mi chiese Steven sorridendo. “Già! Grandiosa direi!”. Il mio sorriso era raggiante, mi ero divertita. “E che ne pensi degli altri amici?” aggiunse. E che potevo dirgli se non che erano tutti quanti mitici e che soprattutto Joe lo era… ovviamente quella fu la risposta: “Aaah, ti è proprio rimasto impresso Joe, eh Miriam?” disse Steven con un tono un po’ ironico. Io risi: “Beh, sì Steven. Poi suona la chitarra, che è il mio strumento preferito”. La discussione andò avanti per buona parte del viaggio. Infine Steven mi fece una proposta carinissima: “Ti andrebbe di andare a mangiare qualcosa fuori? Solo io e te…”. Che dolce! Naturalmente non esitai ad accettare: “Perfetto! Allora ti porto in un posto molto speciale per me. Spero ti piaccia” rispose lui.
Steven riusciva sempre a farmi sentire bene anche con cose semplici. Nessuno ne era stato capace nella mia vita. Forse era il suo modo di atteggiarsi e di porsi alle persone che lo rendeva così… così particolare… e speciale.
                             

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Quella sera sarebbe stata significante per me, sotto tutti i punti di vista. Finalmente io e Steven eravamo soli in un posto, se posso dire… romantico. E che posto! “Allora, tesoro… che ne dici?” mi chiese in tono di voce debole. Io rimasi attonita. Quel posto era veramente fantastico! “Steven! Sono senza parole! Mi piace da morire! Che bello!”. Lo abbracciai dalla gioia che provavo in quell’istante. Però, forse mi credete pazza, ma ad ogni contatto, anche fisico, con Steven provavo dei brividi in corpo. Io lo vedevo come qualcuno che era più di un amico e di un padre. Chi era allora lui per me? Oddio… aiuto. Sto pensiero era come una droga!
“Come ti avevo preannunciato, questo luogo ha un valore importante per me e per gli altri Aerosmith. Qui siamo a Lake Sunapee, e Sunapee è dove ci siamo formati. Ho sempre adorato questo posto. Ed è per questo che mi sembrava giusto mostrartelo”. Dopo queste parole, gli sorrisi e mi faceva piacere il fatto che mi rendesse partecipe della sua vita. Io ho sempre cercato di stare il più possibile sulle mie, sono una persona timida, introversa, che talvolta tende ad isolarsi, ma amo le persone come Steven che hanno un ottimo modo di porsi alle persone e di conseguenza sto bene quando ci comunico. Io amo comunicare con le persone che mi trasmettono qualcosa. Per questo anche il mio modo di rapportarmi con gli altri è senz’altro più alla mano.
Era buio… Steven mi mise il braccio attorno alla vita. Cazzo! Ma lo faceva apposta? “Guarda che meraviglia qui, cara. Mi porta con la mente verso tutti i miei ricordi della gioventù. Aaah, semplicemente magnifico”. Tutto era perfetto, complice il panorama mozzafiato. Io e Steven eravamo l’uno vicinissimo all’altra ad ammirare qualcosa di veramente bello: “Hey, non so te, ma io ho una fame da lupi!” esclamò Steven. “Ti va di mangiare un boccone?” aggiunse. Io acconsentii e così ci avviammo verso il più vicino luogo di ristorazione. Dopo un po’ di tempo riuscimmo a trovare un elegante ristorante che offriva varie specialità denominato The Anchorage. Entrambi alla fine decidemmo che cosa ordinare e nonostante il ristorante fosse gremito, ci servirono abbastanza in fretta. La nostra cena cominciò piuttosto bene direi: io e Steven ci stavamo godendo un momento assieme e mi faceva piacere. Stavo bene. E penso anche lui. Tutta la sera non ho schiodato i miei occhi dal suo viso. Lo fissavo perfino mentre mangiava. Io non mangiai molto quella sera, come sempre del resto, ma in quel momento incombeva un pensiero in particolare all’interno della mia mente: gemello… la storia del gemello con Joe, tant’è vero che presi coraggio e feci la fatidica domanda, anche se sapevo che non era il momento adatto e che probabilmente avrei rischiato di rovinare una serata così bella: “Steven, ascoltami un attimo…”. Lui rispose: “Dimmi”. Sospirai e mi grattai una mano, dopodiché mi sistemai il braccialetto: “Mi potresti spiegare la storia del gemello con Joe?”. Il suo sguardo cambio radicalmente e i suoi occhi quasi si spalancarono. Si schiarì la voce per poi dire: “E’ una serata troppo bella. Posso parlartene dopo?”. Io storsi il labbro: “Posso accettare a condizione che mi spieghi ogni cosa sinceramente. La verità Steven, tutta la verità”. Lui annuì, ma avevo notato che era qualcosa che non era bello da raccontare.
Per la tensione, non terminai nemmeno la mia porzione di cibo… infondo c’è un’altra cosa che voi lettori scoprirete più in là… Dopo aver cenato, ci alzammo e Steven pagò il conto per entrambi:” Ma no! Steven! Perché lo hai fatto?”. Lui scosse la testa: “Sei la mia ospite, cara. Ed è giusto così” e sorrise. Io gli diedi un bacio sulla guancia in segno di ringraziamento.
Uscimmo dal ristorante ed andammo a fare un’ulteriore passeggiata. La luna era piena, il posto tranquillo e l’atmosfera… magica. Perché? Perché ora doveva arrivare il momento brutto tanto atteso a rovinare tutto? Quindi per evitare di avere ancora il cuore in gola toccai la spalla a Steven e gli feci cenno di parlare: “Avanti, coraggio”. Steven fece un bel respiro e iniziò la narrazione: “Tanto tempo fa, io e Joe avevamo assunto questo nomignolo perché soffrivamo di un grave problema: la droga. E così cominciarono a soprannominarci toxic twins”. Il mio cuore salì il gola e il mio fiato quasi fu mozzato dopo queste parole. No! Non poteva essere vero! No, no! “Ed è per questo che, dunque, ci è stato affibbiato questo soprannome. Proprio per i nostri problemi di droga. Ma ora è tutto finito. Grazie a Dio!” continuò Steven. Ero incredula e per lo stupore mi sentivo tremare tutta da capo a piedi. Ciò che mi colpì maggiormente fu la sua disinvoltura nel raccontare la faccenda. Ci volle un po’ prima di riprendermi, ma alla fine riuscii a proferire parola: “Steven! E avevi intenzione di nascondermi sta storia ancora a lungo?”. Lui chiuse gli occhi e si mise le mani nei capelli: “Dio, Dio, Dio se sono stato stupido! Avrei dovuto dirtelo! Ma come facevo?”. Iniziai ad alzare la voce: “Dio, Steven! Perché? E’ un episodio troppo serio per poterlo tenere nascosto!”. Mi fece cenno di calmarmi, ma non riuscivo a dargli retta neppure minimamente. Ero troppo agitata. Per fortuna che non c’era nessuno nei paraggi. Alla fine decidemmo di andare verso la macchina e continuammo lì il nostro dibattito: “Non ci posso credere! Steven dovevi dirmelo! Dovevi dirmelo!”. Lui scosse la testa: “Non potevo! Non potevo farlo! E non volevo…”. Lo guardai sconcertata: “E perché mai?”. Steven prese fiato e tirò un sospiro: “Non volevo rovinare ciò che avevamo costruito e avevo paura che mi avresti odiato. Cazzo! Questo era proprio il momento più sbagliato per farlo uscire fuori…”. Si spostò i capelli dal volto. No, non potevo odiarlo… Ancora adesso che aveva vuotato il sacco, sentivo che c’era qualcosa che lo turbava. La sua vita dev’essere stata tutt’altro che idilliaca: “Steven, no. Non ce la farei mai”. Lui si voltò verso di me e poi nuovamente verso la strada: “Non potrei mai odiarti. Ma tu dovevi dirmelo” aggiunsi. Lui annuì: “Hai perfettamente ragione. Mi sono comportato da vero vigliacco. Avrei dovuto essere sincero con te da subito. Sicuramente adesso starai pensando che sono uno stronzo e che non ti puoi fidare più di me”. Scossi la testa. Nonostante tutto continuavo a volergli bene e sapevo che non era uno stronzo. Avevo quindi deciso di offrirgli un’ulteriore possibilità. Steven mi ringraziò ed era davvero sollevato. Poi, mentre teneva il volante con una mano, con l’altra mi fece una carezza.
Dopo un po’ giungemmo a casa. Entrambi eravamo parecchio stanchi e, dopo esserci lavati e sistemati, ci preparammo per andare a dormire.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Dopo essermi seduta sul letto, pronta a rimboccarmi le coperte, guardai dietro di me e notai Steven che mi osservava. Mi sentivo parecchio imbarazzata visto che dovevo spogliarmi: “Ti dispiace?”. Lui scosse la testa e si voltò per non guardarmi, così che potessi liberarmi dei vestiti. Ciò nonostante, mentre mi svestivo, il suo occhio cadde ugualmente su di me e sul mio esilissimo corpo: “Accidenti! Quanto sei magra! Ma azioni la bocca ogni tanto? Avevo già notato quanto lo fossi da vestita, ma guardandoti così ora, solo in reggiseno... Cioè... Sono solo ossa, ossa ovunque e basta!”. Sapevo che sarebbe accaduto, per cui non rimasi nemmeno sorpresa e mi limitai a lanciargli un'occhiata. Mi guardò con i suoi occhioni scuri e profondi. Sapeva che non gli avrei resistito, soprattutto quando si distese sul letto e mi fece cenno di andare vicino a lui: “Ti va di parlarne? Oppure ho toccato un tasto troppo dolente?”. Non riuscivo nemmeno a guardarlo in volto per come mi sentivo in quell'istante. Non era il primo a dirmi la tale cosa. Mi mise due dita sotto il mento per sollevarmi lo sguardo: “Allora?”. Presi le sue dita e le scostai dal mio mento: “Steven, è una lunga storia ormai. Sono stanca e ho voglia di dormire. Poi ti racconterò tutto in un secondo momento, ok?”. Lui mi guardò con espressione insistente. Aveva ragione però, cazzo! Io l'ho costretto a raccontarmi dei Toxic Twins e ora era giusto che gli raccontassi il perché del mio fisico così emaciato.
Steven si mise una mano sul volto e se lo coprì: “No, hai ragione... Ho insistito troppo. Non sono affari miei. Perdonami. Non dovevo essere così invadente, ma vedendoti in queste condizioni, non potevo fare a meno di preoccuparmi”. Io scossi la testa: “Tranquillo, non devi scusarti. Anche io ti ho obbligato a parlarmi dei Toxic Twins, per cui ora tocca a me sputare fuori il rospo e quindi, senza perdite di tempo ti dico: Steven, io detesto il mio corpo da anni ormai. Tu mi vedi magra, scheletrica, ma io no...”. Steven sgranò gli occhi, poi abbassò lo sguardo e si prese i capelli tra le mani: “Porca puttana! Vuoi morire? Andiamo, io sono magro di natura e lo stress del mio lavoro influisce anch'esso sul mio fisico. Ma tu! Tu, cazzo! Sei una bellissima ragazza, con un bel corpo snello di suo. Perché vuoi distruggerlo? Ci sono persone che morirebbero per avere un fisico così ben modellato. Gente che fa interventi e sgobba ore e ore. Tu no! Non farlo ti prego. Dammi retta”.
Le sue parole mi strapparono un sorriso, dopodiché mi accompagnò a sdraiarmi sul letto. Poggiò la sua testa sulla mia spalla e il suo respiro solleticava il mio collo per poi lasciare una scia di brividi su tutto il mio corpo. Infine allungò il suo braccio e mi carezzò prima il ventre e poi iniziò a solleticarmi una gamba.
No! Oh no! Di nuovo! Notai però che stavolta non era per niente timoroso, anzi, insistente. Infatti il suo tocco si fece più intenso, fino a diventare una palpata. Riuscii a malapena a trattenere un gemito e mi morsi il labbro. Steven continuava... Mi sorprese il fatto che non facevo alcuna resistenza. Forse lo desideravo veramente. Però non potevo, almeno in quell'istante, così tutto d'un tratto, se pur malvolentieri, mi staccai da lui e mi girai dall'altra parte: “Buona notte, Steven” dissi io soffocando il mio pianto e cercando di trattenere le lacrime. Steven mi carezzò la testa: “Buona notte, Miriam”.
Mi sentivo combattuta, davvero. Sono sicura che il motivo per cui non mi sono lasciata andare era proprio quello. Steven mi attira molto, ma non comprendendo bene ciò che lui è per me e il suo atteggiamento mi ostacola e mi fa sentire impreparata. Devo lavorarci su... Devo essere più sicura di me stessa.
Scommetto che in un modo o nell'altro anche io sono qualcuno per Steven, perché se no non mi toccherebbe così... Sarà il fatto che non ho mai avuto dei contatti così diretti con un uomo come lui. Ora dovevo mettermi a dormire cercando di dimenticare quanto era accaduto.
Sì, proprio un'impresa ardua... Difficilmente mi sarei schiodata dalla mente una cosa del genere...



Scusate per la brevità di questo capitolo, ma volevo lasciare un po' di suspence per quello che accadrà più avanti ;)

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


La mattina seguente mi svegliai nuovamente prima del solito. Mi soffermai su Steven per qualche secondo mentre stava dormendo: che spettacolo incantevole. Aveva un'espressione così serena. Non me la sentivo di alzarmi poiché volevo rimanergli accanto, ma siccome avevo perso ogni traccia di sonno, scesi giù dal letto, seppur malvolentieri.

Andai nel bagno a lavarmi, dopodiché tornai nella stanza da letto per indossare dei vestiti nuovi. Dopo essermi messa i pantaloni presi il mio cellulare ed andai in cucina in maniera tale che Steven non fosse disturbato e feci un atto per me molto coraggioso: chiamai Joe. Attesi qualche secondo, ma lui non mi rispose, così ritentai un'altra volta, ma l'esito fu analogo. Rimasi parecchio delusa da ciò, così mi misi in testa di riprovare più tardi. Non mi sarei mai arresa di fronte ad un'opportunità del genere. Nel frattempo andai nella stanza attigua, che era una sorta di studio e accesi il computer: cacchio Steven ne aveva scelto uno che era davvero uno sballo! Chissà quanto gli è costato... il mio proposito era quello di controllare la mail e non appena ebbi compiuto l'accesso, notai con grande piacere che mi aveva scritto la mia amica Aurora. I miei occhi si illuminarono a quella vista e decisi di rispondere subito al suo messaggio che così recitava:

“Ciao, Miriam! Come stai?

È da tanto che non ci si vede e non ci si sente! Che fine hai fatto?

Sai, in questi giorni ho trovato un nuovo lavoro presso la sede di un'importante agenzia musicale.

Beh, spero che leggerai questo messaggio e che risponderai. Fammi sapere.

A presto! Stay rock!”.

Già, la mia amica Aurora... compagna di rock e di concerti, nonché persona fantastica.

Dopo aver letto, scrissi la mia risposta:

“Ciao, carissima Aurora! Io sto alla grande e tu?

Hai ragione, è tanto che non ci si sente.

Sono contenta per il tuo nuovo lavoro!

Spero si riveli gratificante e grazie di cuore per avermi informata!

Comunque non crederai mai a ciò che sto per dirti, preparati e non svenire, ti prego: ho conosciuto di persona gli Aerosmith! E io adesso abito da Steven Tyler!

So che può sembrare una favola o un sogno, ma è la realtà baby! Accidenti, sono dei fighi assurdi!

E poi sono così... così... cosi ROCK! Waaaa non ho parole!

Ora ti devo lasciare, devo occuparmi di tante cose.

A presto tesoro. Ti voglio bene. Stay rock!”.

Chissà se mi avrebbe risposto... sono davvero curiosa... Dopo aver spedito la mail, spensi il pc e tornai in cucina. Tentai nuovamente di richiamare Joe... nulla di che, dava il messaggio che il cellulare era spento o irraggiungibile.

Dopo aver riattaccato, mi diedi il palmo della mano sulla fronte: sono una vera cretina! Potevo scrivere anche a lui! Ma no, ora che ci penso gli mando un sms, almeno lo riceve dopo:

“Ciao Joe! Sono Miriam. Come va?

Grazie ancora per la tua enorme disponibilità.

Ti volevo appunto chiedere quando fossi disponibile per la prima lezione di chitarra...

Resto in attesa di una tua risposta. Ciao, ciao! :)”.

Ovviamente, io ci speravo sul serio! Non solo per ricominciare a suonare il mio strumento preferito, ma anche per... beh sì, insomma... anche per rivedere Joe!

Pochi istanti dopo, sentii dei rumori provenire dalla camera da letto. Steven si stava svegliando e andai a dargli il buongiorno: “Buongiorno rockstar dormigliona!” dissi io in tono sarcastico. Lui era ancora intontito per mettere bene a fuoco quanto stava succedento attorno a sé. Si grattò la testa: “Hey! Buongiorno a te, cara. Già in piedi?”. Io lo ammiravo sorridendo: “Sì e da parecchio pure. Dai, che vado a prepararti la colazione. Ho deciso che... hmm no niente. Aspetta e vedrai” e gli feci l'occhiolino.

Gli preparai cappuccino caldo con croissant e gli servii tutto a letto: “Ecco qui! Tutto per te, Steven!”. Lui mi guardò spalancando gli occhi: “Wohooo! Ma tu mi vizi! Grazie, baby! Sei davvero fantastica!”. Io risi: “Non c'è di che, Steven!”. Mentre mangiava mi fissava con i suoi occhi: “Hey, piccola. Ti prego fammi compagnia. Dai. Abbandona per un attimo le tue circostanze avverse e stai con me. Su, coraggio. Non farmi mangiare da solo”. Era stato così carino e il modo in cui lo disse fu così convincente. Però poi abbassai lo sguardo e scossi la testa: “No, non mi va. Ti ringrazio, Steven”.

Ma perché? Perché mi comportavo così? Gli volevo un gran bene e nonostante questo continuavo a ferirlo. E a ferire il mio corpo... Mi venne vicino e avvicinò il suo volto al mio, dopodiché mi guardò dritto negli occhi: “Perché no? Ascolta, il tuo è un grosso problema e va affrontato. So che insistere sarebbe la cosa peggiore perché si rischierebbe di aggravare la situazione, ma sappi che se avrai bisogno, ci sono qui io vicino a te ed eventualmente potrai chiedere aiuto pure agli altri Aerosmith, ok bella?”. Le sue parole furono molto toccanti e arrivarono al mio cuore come una freccia arriva al suo bersaglio. Non potei fare a meno di abbracciarlo e lui a sua volta mi strinse a sé: “Grazie, Steven” gli dissi in tono debole. Lui mi accarezzò la schiena: “Ma di cosa baby? Lo sai che sono qui”.

Così, alla fine, feci questo sforzo che per me pareva un ostacolo insormontabile. Volevo accontentare Steven perché era davvero una persona favolosa. Lui mi porse il croissant sorridendomi e alzò il sopracciglio e io, senza esitare, ne presi un pezzo. Non appena lo misi in bocca, provai l'ebbrezza di un gusto piacevole che avevo perso da tempo. Aveva un sapore così buono e delizioso. Una dolcezza sublime e la preziosità di un valore di cui mi ero privata da troppo. Chiusi gli occhi, in segno di piacere. Era come se avessi riscoperto il paradiso, nonostante avessi solo mangiato un piccolo boccone di croissant.

“Lo senti quanto è buono? Vedrai che questo anche se è poco ti farà stare meglio”. In effetti aveva proprio ragione: avvertivo già una sensazione di netto miglioramento. Steven ne morsicò un altro pezzo e lo masticò con gusto: “Mmm, lo adoro”. Mi stava letteralmente tentando e quindi decisi di prenderne un altro po'. Lui me lo offrì e alla fine concludemmo assieme quella colazione così particolare.




Voilà, questa è una foto di Steven mentre dorme :P Che tenero vero?
Spero che vi piaccia questo capitolo e mi raccomando... Seguite anche i prossimi!!
Ci saranno tantissime sorprese!! ;)

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Dopo aver terminato la colazione, mi alzai dal letto e decisi di sistemare tutto. Presi il vassoio di Steven e lo andai a posare in cucina, dopodiché lavai la tazza che conteneva il cappuccino, il sottopiatto e il piattino su cui era appoggiato il croissant.

Steven si lavò velocemente e mi raggiunse. Io mi voltai e gli feci un sorriso e lui mi ricambiò. Dopodiché mi voltai nuovamente e iniziai ad asciugare la roba e all'improvviso sentii le sue mani che si appoggiarono sui miei fianchi. Io sussultai, mentre lui ne approfittò per tirarmi dentro di sé. Potevo avvertire il suo respiro sul mio collo: che sensazione formidabile! Non mi sarebbe dispiaciuto per niente rimanere in quel momento di estasi a lungo! Ora eravamo solo io e lui! Desideravo bearmi di quella magia che solo il suo corpo sapeva regalarmi.

Tutto questo portò ad arrendermi e portai la testa all'indietro, fino ad appoggiarla sulla sua spalla. Lui mi accarezzò il mento con una mano, mentre con l'altra mi teneva il fianco: “Miriam” sussurrò Steven nel mio orecchio. “Dimmi, Steven” risposi io. Lui mi fece girare e poi mi stregò con il suo sguardo intenso da farmi letteralmente sciogliere. Oh! Quella bocca così bella! Quegli occhioni scuri da cerbiatto! Io istintivamente gli sfiorai la bocca con le dita, lui invece, mi accarezzò i capelli, per poi portarmeli davando sulla spalla e giocarci: “Sei bellissima” mi disse a bassa voce. Il mio cuore palpitava: “Oh, Steven”. In quell'istante avrei voluto baciarlo, così finalmente mi lasciai andare. Protesi le mie labbra verso le sue, ma lui mi pose due dita sopra di esse: “Questo non è il luogo adatto” e poi fece segno con la testa verso la camera da letto.

Evviva! Ero riuscita a vincere la mia timidezza e forse questo era ciò che Steven si aspettava da me per riuscire, a sua volta, ad approfondire il suo contatto con me.

Mi prese per mano e mi condusse fino alla stanza da letto: “Ecco, ora sì che si comincia a ragionare”.

Cazzo! Che aveva in mente? Un altro dei suoi giochetti misteriosi? “Chiudi gli occhi” mi disse. Io eseguii quanto richiesto e ben presto, Steven iniziò a sbottonarmi la camicietta. Mi passai la lingua sulle labbra, lasciandomi sfuggire un gemito: “Steven, ti voglio vedere! Voglio vederti, cazzo!” esclamai. Non appena Steven stava per compiere il passo successivo, squillò il mio cellulare. Porca miseria! Proprio adesso?! Feci un cenno con la mano a Steven come per chiedergli scusa e tirai fuori il cellulare dalla tasca: “Pronto?” risposi. “Hey, Miriam!”. Oh signore! Quella voce! Non poteva essere che: “Joe! Hey! Ciao!”. A quel suono i miei occhi si erano illuminati e il mio atteggiamento era totalmente cambiato: “Disturbo?” mi chiese ignaro di ciò che stava succedendo: “Beh... No, tranquillo. Dimmi pure!”. Lui esitò un attimo, per poi riprendere il discorso: “Ehm, scusa se prima non ti ho risposto, ma avevo il cellulare su silenzioso, poi ho visto le chiamate, il messaggio ed eccomi qua. Ascolta, oggi sono disponibile per la prima lezione. Ti va di venire?”. Non me lo feci ripetere due volte: “Certo che sì!”. “Perfetto!” rispose lui “Passo a prenderti sotto casa di Steven verso le cinque oggi pomeriggio, allora. Portati solo la chitarra che al resto ci penso io. Ok?”. “Va bene!” gli risposi.

Nel frattempo Steven mi guardava con espressione interrogativa e mi fece il classico gesto come per dire: “Cosa c'è?”. Io scossi la testa e mi girai di spalle. “A dopo, allora. Io nel frattempo accordo la mia chitarra e sistemo tutti gli altri attrezzi. Ciao!” mi disse Joe. “Ciao Joe!”. Mi misi a fare versi per la contentezza e a saltellare.

Steven si mise le mani, anzi i pugni, sui fianchi e mi osservò con sguardo serioso alzando il sopracciglio. A quel punto dovetti fermarmi, quasi intimorita: “Si può sapere che diavolo sta succedendo e che hai da saltare così?” mi chiese. Io gli andai vicino e gli scrollai le spalle: “Era Joe!” e ripresi a saltellare come un'imbecille. “Sì, grazie al cazzo! Lo avevo capito questo!” ribatté lui acidamente. Lo incenerii con lo sguardo, tant'è vero che lui indietreggiò: “E allora? Voleva parlarmi e dirmi una cosa! Tranquillo, Steven!”.

Lui uscì dalla stanza mezzo furioso, ma in quel momento, ad essere sincera, mi importava ben poco. Avevo in testa solo quello che sarebbe successo poche ore dopo.

Però mi dispiaceva che Steven stesse così. Non è che sia geloso? Decisi di andare da lui e lo trovai in sala seduto sul sofa a sorseggiare un bicchiere di Jack: “Hey, Steven. Dai, non fare così! Perché sei arrabbiato?”. Lui scattò immediatamente con frenesia: “Perché sono arrabbiato? Perché sono arrabbiato? Lo sai benissimo il perché! E adesso lasciami in pace!” sbraitò gettando per terrà il bicchiere, che si frantumò in mille pezzi. Il mio cuore iniziò a battere molto forte. La sua reazione mi aveva spaventata davvero, non lo avevo mai visto così: “Steven!” urlai correndogli incontro: “Steven! Adesso calmati!”. Lui rimase immobile per qualche istante, ma per fortuna rinsavì dopo poco.

Accidenti, che macello! Dovevo risolvere tutto ad ogni costo prima del pomeriggio. Non volevo lasciarlo con il pensiero che tra noi c'era stata una lite così pesante.





Voilà... Questo è Joe nel suo studio che si prepara per la nostra lezione!! :)
Mi raccomando: non dimenticate di seguire i prossimi capitoli perché ne vedrete delle belle!!
Alla prossima!! <3

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Dopo quella sfuriata, Steven era rimasto piuttosto imbronciato per la maggior parte del tempo, tanto da non permettermi nemmeno di parlargli. Grazie a Dio, però, si era calmato. Nonostante tutto gli rimasi accanto e tentai di farlo riflettere. Il mio cuore batteva all’impazzata e le parole mi rimanevano bloccate in gola: “Ste-Steven?”. Era lì fermo con la testa abbassata tra le mani. Al suono della mia voce la sollevò leggermente, guardandomi con la coda dell’occhio. Rimase immobile, senza proferire parola, così ritentai: “Hey, Steven” gli dissi poggiandogli una mano sulla spalla.
Improvvisamente mi afferrò la mano e mi guardò con espressione furente. Ero seriamente preoccupata e intimorita che mi mettesse le mani addosso o che comunque avrebbe combinato qualcosa di losco. Per mia fortuna non fece niente, ma quell’istante che sembrava non finire mai mi aveva terrorizzata.
Successivamente si alzò e andò a versarsi un altro bicchiere di Jack. Sentivo che qualcosa stava cambiando in Steven, era un presagio che non mi avrebbe abbandonata. Decisi di non creargli angoscia ed evitai di fargli pressione, così lo lasciai solo e uscii dalla stanza. Una volta varcata la soglia mi voltai per guardare verso di lui e lo notai mentre buttava giù il bicchiere tutto d’un fiato.
Che diavolo gli stava succedendo?
Il pomeriggio all’insegna dell’incontro con Joe si stava avvicinando ed io attendevo impaziente. Ero elettrizzata al massimo! Nel frattempo decisi di dare un’occhiata alla mail, ma poi pensai di lasciar perdere e di farlo più tardi dopo essere tornata dalla lezione con Joe.
Il tempo passò e le cinque si fecero vicine, così mi apprestai a prepararmi e a rendermi più presentabile possibile agli occhi di Joe. Proprio non riuscivo a fare a meno di schiodarmi la sua figura dalla mente. Era semplicemente perfetto e finalmente stavo per realizzare il mio sogno, ovvero riprendere a suonare il mio strumento preferito fin dall’infanzia con un grande maestro del Rock. Ne avrei senza dubbio tratto beneficio.
Alla fine optai per la scelta di dare una lettura ad una delle mie numerose riviste di musica e con mia grande felicità ce ne era una che parlava proprio di chitarre e chitarristi Rock e Metal. Tra questi venne menzionato proprio lui: Joe Perry e non potei fare a meno di leggere cosa c’era scritto. Mi soffermai con puntigliosa attenzione e una volta terminata la lettura presi una forbice e ritagliai quella parte dedicata a lui. Io ho sempre conservato tutte le riviste, ma per gli articoli che mi avevano interessata maggiormente avevo creato delle cartelle apposite affinché potessi tornare a leggerli e trovarli più facilmente.
Finalmente arrivarono le cinque! Era tutto il giorno che attendevo e adesso stavo per prendere la mia prima lezione con Joe! Mi diedi l’ultima sistemata e il suono del campanello mi fece sussultare: “Vado io!” risposi. Mi affrettai ad andare verso il citofono: “Sì?”. Ci fu un attimo di silenzio, che poi lasciò spazio alla voce allegra di Joe: “Hey, Miriam! Sono Joe! Che fai? Scendi?”. Presi un bel respiro e poi mi misi una mano sul petto prima di replicare, ma con mia grande sorpresa fui bloccata da Steven, che mi prese per il polso: “È Joe, vero?”. Io annuii e lui prese in mano la cornetta del citofono: “Joe! Vieni su, dai. Ti offro qualcosa”. “Beh, Steven. Vado abbastanza di fretta. Ho premura e devo portare a termine una cosa” ribatté lui. “Insisto, Joe. Fai un salto su” incalzò Steven. Joe esitò al principio, ma poi acconsentì: “Hmmm, d’accordo salgo. Però facciamo presto”.
Detto questo salì le scale e non appena giunse alla soglia della porta salutò: “Heeey! My friend!”. Si avvicinò a Steven e si scambiarono un caloroso abbraccio, poi volse lo sguardo verso di me e rimase a fissarmi per un po’: “Ciao, bella. Allora, sei pronta?”. Naturalmente non sto a descrivere l’espressione sul mio volto e come mi sentivo in quell’istante. Vi lascio immaginare… Ma perché tutte le volte che vedevo Joe la sua presenza mi intimidiva così? Mi bloccavo totalmente. Poi si vestiva sempre da Dio, infatti, non a caso veniva soprannominato Mr. Style. Sti cazzi se lo era! Lo era proprio! Era una statua: bello, ben fisicato, longilineo, armonioso, elegante. Per sintetizzare l’elenco azzarderei un solo vocabolo: perfetto. Anche la sua voce era molto calma e rilassante.
Una volta terminati i saluti, Steven ci accompagnò tutti a prendere qualcosa da bere. Inizialmente guardò me, ma era giusto che servisse Joe prima, così: “Joe, che cosa prendi?”. Si portò la mano al mento: “Hmmm, hey ce l’hai un po’ di birra? Ho voglia di qualcosa di fresco”. Steven annuì e tirò fuori una Guinness: “Tieni, eccola qui”. Gliela versò nel bicchiere, poi si rivolse a me. Oh cazzo!: “E tu cosa vuoi?”. Nel frattempo Joe sorseggiava dal bicchiere e ci guardava. “I-io bevo dell’acqua, grazie”. Alzò gli occhi al cielo, espressione che poteva avere una lunga serie di interpretazioni. Prese un bicchiere e ci versò dentro l’acqua, dopodiché me lo porse fissandomi negli occhi: “Grazie” risposi quasi mormorando. Steven chinò il capo poi intervenne di nuovo Joe: “Tu, Steven che bevi?”. Si grattò la testa e replicò: “Oh, già… Io mi faccio un buon bicchiere di vino. Sai, per richiamare le mie vecchie origini hehehe” ridacchiò. Joe sorrise e mandò giù l’ultimo sorso di birra rimanente. Poi si leccò le labbra e infine disse: “Ok, dai. Andiamo, Miriam. Ti aiuto a prendere tutto l’occorrente così lo carichiamo in macchina”. Steven ci guardò perplesso: “Come scusa? Di che occorrente stai parlando, Joe?”. Joe rimase leggermente sbigottito: “Come? Miriam non te l’ha detto? Viene da me per le lezioni di chitarra e questa è la prima”. Abbassai lo sguardo e potevo sentire il mio cuore che palpitava. Riuscii a scorgere lo sguardo inceneritore di Steven, che dopo aver strizzato gli occhi si morse morbosamente il labbro. Joe lo osservò preoccupato: “Tutto a posto, Steven? C’è qualcosa che non va?”. Scosse la testa: “No, no! Tutto ok, grazie. Andate pure, allora se no fate tardi”. Tese la mano all’amico, il quale fece altrettanto, poi si salutarono, mentre quando fu il mio momento andai verso di lui. Mi regalò un sorriso forzato e mi accorsi che si sentiva a disagio: “Ciao” mi disse freddamente. “Ciao, Steven” gli risposi di rimando. Presi quello che mi serviva e Steven ci accompagnò alla porta accomiatandoci ulteriormente per l’ultima volta e quando non fummo più visibili ai suoi occhi chiuse la porta.
Una volta usciti Joe mi mise il braccio attorno al collo e mi fece un sorriso raggiante. Dio, quanto era bello! “Sei pronta?” mi domandò. “Sì, certo!” risposi senza esitare. Anche se risultava tremendamente complesso stavo imparando a sciogliermi e ad essere particolarmente disinvolta con lui.
Joe mi aiutò a caricare la roba e una volta fatto montammo in macchina. Eravamo diretti verso il suo studio e giungemmo a destinazione dopo un po’ di tempo.
Dopo essere scesi ed aver sistemato e preparato tutto quello che ci serviva, ci rimaneva solo da cominciare la lezione: “Bene, a noi due adesso” mi disse Joe chiudendosi la porta dietro le spalle e sfregandosi le mani mentre mi si approssimava.





Ecco qui! Questo è Joe pronto ad iniziare il suo ciclo di lezioni.
Scusate si vi ho fatto attendere così tanto prima di aggiornare la storia, ma purtroppo ho avuto una serie di impegni che mi hanno impedito di farlo. Spero di essere più costante nel tempo. Ringrazio tutti coloro che mi seguono :)
Non dimenticate di continuare a farlo perché la storia si infittisce di mistero e di tanti colpi di scena!
Alla prossima!

Little Cookie

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Joe proseguiva nell’avvicinarsi a me. Quella vicinanza mi terrorizzava… Era quasi pericolosa! Mi si piazzò dietro le spalle, dopodiché mi prese una sedia e mi ci fece sedere accompagnandomi con le sue mani affusolate: “Siediti. Ti insegnerò, o meglio, ti ri-insegnerò daccapo come si suona la chitarra”. Mi sentii rabbrividire e mi limitai esclusivamente ad annuire.

Joe andò a prendere posto, di fronte a me, su uno sgabello. Si mise la chitarra a tracolla e iniziò così ad impartirmi la prima lezione. Era molto rigoroso, preciso, tecnico e talvolta anche diretto e sgradevole perché ci teneva assolutamente che facessi come mi stava insegnando. Desiderava che imparassi al meglio ed era molto esigente.

Mi piaceva il suo metodo! In fondo è così che un insegnante dev’essere se bisogna imparare qualcosa come si deve!

Quel giorno mi insegnò alcuni accordi base e ad ogni errore che commettevo era pronto a correggermi non solo con le parole, ma venendomi vicino e usando le sue mani per mostrarmi la posizione da adottare e la tecnica da utilizzare: “No! Non così. Guarda…” mi disse prendendomi la mano e posizionandomi le dita sulla tastiera, per poi fissarmi negli occhi: “Allora, ci sei adesso? Hai capito?”. Nel frattempo che tentavo di formulare la risposta mi perdevo letteralmente nei suoi occhi: “Sì, Joe. Ci sono” e così provai ad eseguire quanto richiesto.
 
Circa due ore dopo…
“Ok! Per oggi basta così. Dunque, è chiaro che sei alla prima lezione, ma vedrai che se ti impegnerai costantemente e con passione diventerai sempre più brava. Hai un ottimo potenziale e delle ottime premesse” mi disse sorridendomi. Io gli sorrisi di rimando. Ci levammo le chitarre dalle spalle e mettemmo a posto lo studio. Nell’arco di breve tempo fu tutto sistemato. Joe si passò una mano nei capelli: “Senti, ti aiuto a caricare la roba e poi ti accompagno a casa, va bene? In questi giorni voglio che ti eserciti su questo…” mi disse porgendomi dei fogli con sopra i rispettivi esercizi musicali. “Ok, perfetto” risposi annuendo. “Mi raccomando. Ci rivedremo fra tre giorni. Come avrai ben notato sono molto esigente, ma lo faccio per il tuo bene” aggiunse ridendo e scompigliandomi la chioma. Io risi con lui: “Certo, Joe”. Mi fece cenno con la testa che era pronto ad uscire: “Dai, andiamo”.
Una volta caricato tutto, montammo in macchina pronti a percorrere la strada del ritorno. Joe mi osservava attentamente: “Sei stata brava, sai? Molto! I miei complimenti!”. Io ero davvero contenta e fiera di me stessa. “Ah e poi c’è un’altra cosa che vorrei domandarti” commentò lui. “Sì, dimmi” risposi. “Ho notato che Steven aveva un comportamento un po’ particolare… Ma vabbè è tipico di lui! Però le sue reazioni mi hanno lasciato perplesso. Qualcosa non va per caso?”. Io mi grattai il capo: “Hmmm guarda, non saprei che dirti, Joe. A volte capita. Probabilmente in questi giorni si sente un pochino nervoso”. In realtà sapevo che Joe aveva fatto centro e aveva capito perfettamente tutto, o almeno… Così credevo. “Ah! Alla faccia del pochino!” sghignazzò. Mi strappò una risata. “Spero tanto che gli passi. Non sopporto di vederlo così” dissi sconsolata pensando a Steven. Joe annuì: “Idem, ma è forte e ce la farà”.
Poco tempo dopo arrivammo a casa e Joe mi aiutò come al solito con la procedura di scarico aiutandomi a portarla fin di sopra: “Bene. Io adesso scappo, Miriam. Per qualunque cosa io ci sono. Ricordati di esercitarti, eh”. Gli feci un sorriso: “Grazie infinite, Joe. Lo farò senz’altro. Vuoi entrare un attimo?”. Scosse la testa: “No, purtroppo ho da fare e devo andare via subito. Salutami Steven, però. Ciao, allora”. Io agitai la mano e Joe si avviò verso l’uscita.
Suonai il campanello e Steven venne ad aprire. Non mi salutò e si limitò solo ad un cenno con il capo per dirmi di entrare. Prima di varcare la soglia della porta, notai qualcosa di strano sul suo volto: gli occhi erano infossati e il naso… rosso. Preferii non fiatare per evitare di buttare ulteriore benzina sul fuoco. Anzi, fu lui a rompere il ghiaccio: “Ti ho lasciato qualcosa da mangiare nella pentola. Se ti va scaldatelo, altrimenti fai ciò che ti pare. Io mi sento stanco ora e me ne vado a letto”.  “Steven!” lo chiamai. Si voltò: “Volevo dirti che ti saluta Joe…”. Lui annuì. Lo vidi allontanarsi barcollante. Oddio! Ma che aveva? Mi stavo seriamente preoccupando per quanto stava accadendo.
Andai a curiosare nella pentola e vi trovai delle ottime verdure miste come piacciono a me. Ero proprio felice! Così le scaldai, mi presi un piatto e infine mi feci la mia porzione. Erano davvero squisite. Mi ricordavano quelle di mia nonna, altro che quelle schifezze del supermercato! Questa era la cucina dei vecchi antichi! Tutta un’altra musica! Le gustai lentamente e nel frattempo guardavo la TV. Mi ero sintonizzata sul telegiornale. Mi piace tenermi sempre al corrente di quello che succede nel mondo. Allo stesso tempo, però, pensavo a Steven: per essere a letto così presto doveva essere proprio stanco. Mi dispiaceva vederlo così. Non ne potevo più di quella situazione tra noi.
In poco tempo, riuscii a terminare la mia porzione. Per me fu una grande sfida, noto il mio serio problema, ma mi sentivo soddisfatta, stavo bene ed era questo l’importante! Una volta sbaraccato tutto, lavai i piatti e le posate, dopodiché mi preparai per la sera. Poco prima di andare a coricarmi diedi un’occhiata alla mail per controllare se la mia amica Aurora avesse risposto. Ebbene sì, lo aveva fatto! Ne ero veramente felice! Iniziai a leggerla:

“Ciao Miry!! Wow! Gli Aerosmith??!!
Nooooo!! Non ci posso credereeeee!!
A casa di Steven Tyler!! O.o
Waaaaa!! Che culooooo!! Sei davvero fortunata, cazzooooo!! Oddiooooo!!
Non vedo l’ora che mi aggiorni con nuovi dettagli, cara mia!!
Resto in attesa!! Fammi sapere!!
Scusa l’esaltazione e a presto!! :D
Aury <3 xoxox T.V.B.”

 

Mi aveva fatto piacere il fatto che mi avesse risposto. Era davvero un’ottima amica e mi mancava moltissimo. Naturalmente non esitai a risponderle aggiornandola anche sugli incontri con Joe Perry e le lezioni di chitarra, nonché sulla crisi con Steven, il punto più dolente. Al termine del messaggio le porsi un invito per un’uscita assieme quando entrambe fossimo state disponibili. Volevo proprio parlare faccia a faccia con una persona come Aurora. Quando conclusi la mail premetti il tasto invio, effettuai il logout e infine spensi il pc, dopodiché me ne andai a letto. Finalmente!

I giorni seguenti furono scanditi dalle note della mia chitarra. Avevo una scadenza pre-stabilita ed entro quella data dovevo essere pronta per Joe, ma soprattutto per me. Gli esercizi giovavano alla sottoscritta ed erano niente po’ po’ di meno che uno splendido modo per tenermi impegnata con la mente. Soprattutto per una testina come me erano un toccasana. Suonare mi faceva sentire in pace con il mio ego ed era bello tornare a fare qualcosa che mi è mancato per così tanto tempo. Inoltre, in quei giorni, potei notare quanto stessi davvero migliorando. Credo che Joe sarebbe stato soddisfatto di un avvio così. Non potevo volere di più…

Ma guardiamo pure l’altro lato della medaglia: se da un lato io ero felice perché mi stavo impegnando con la chitarra, dall’altro mi sentivo triste per la situazione con Steven. In quei giorni la nostra comunicazione era ridotta a nulla. Io avevo il mio da fare, ma non gli avrei certamente negato un dialogo o una qualsiasi forma di compagnia. Steven, invece, era sempre assorto nei suoi pensieri, lo vedevo sfiorire ogni giorno di più, raramente si presentava a tavola nonostante quelle parole di incoraggiamento che mi disse in precedenza e poi notai che scriveva sempre. Non so di cosa si trattasse, ma lui scriveva… Boh, chissà se mi stesse nascondendo qualcosa d’altro…

I giorni passarono e giunse quello della lezione di Joe. Ero elettrizzata al massimo, ma allo stesso tempo terrorizzata. Dovevo essere perfetta! Dignitosa non sarebbe bastato!

Poco prima di arrivare mi mandò un messaggio dicendomi che sarebbe venuto a prendermi sotto casa di Steven e che sarebbe nuovamente salito per aiutarmi con l’attrezzatura. Lo aspettai e quando suonò il campanello andai ad aprire. Joe salì e mi aiutò a portare giù tutto, però mi porse una domanda: “Hey, ma Steven?”. Scossi la testa. “Steven!” chiamò lui, ma non ricevette risposta. “Steven!” ritentò, ma niente… Non udì nulla. “Oh, volevo salutarlo. Vabbè… Io scendo, ci vediamo giù”. Annuii e prima di uscire andai a cercare Steven in tutte le stanze. Lo trovai nella sua stanza che scriveva… Tirai un sospiro: “Steven, io sto andando”. Era voltato di spalle e non si girò nemmeno a guardarmi in faccia, ma si limitò ad un freddo cenno di mano. Dio, come stavo male. Infine, scesi di sotto e finalmente io e Joe partimmo per andare in studio.

Durante il tragitto, io e Joe chiacchierammo molto amichevolmente. Finalmente stavo imparando ad abbattere quel muro di timidezza che mi costruivo ogni volta che me lo trovavo davanti. Era una persona estremamente piacevole ed ero fermamente sicura che tra noi si sarebbe creato un legame.
Quando giungemmo a destinazione e finimmo di effettuare lo scarico delle attrezzature necessarie, fummo entrambi pronti ad iniziare: “Eccoci qua!” esclamò Joe “Sei pronta?” mi chiese sfregandosi le mani. “Certo!” risposti io tutta raggiante “Non vedo l’ora!”. Ed era proprio così. Non aspettavo altro che mostrargli ciò che sapevo fare.
Effettivamente quando attaccammo a suonare, perché Joe faceva da accompagnamento agli esercizi che mi aveva assegnato, rimase sorpreso di vedere che li eseguivo perfettamente senza sbagliare di una virgola, né con i suoni né tantomeno con l’esecuzione.
Nel corso di quella lezione mi mostrò altri esercizi, che poi mi consegnò sui fogli e sarebbero stati quelli nuovi della successiva settimana. Una volta messo a posto le chitarre e compagnia bella, Joe si congratulò con me: “Wow! Sei stata fenomenale, Miriam! Sono davvero fiero di te! Continua su questa strada e andrai lontano!”. Mi sorrise e mi accarezzò i capelli. “Grazie, Joe! Ti sono grata per tutto quello che stai facendo per me! Grazie per aver fatto rifiorire la mia passione per la chitarra!”. Sorrise ancora e infine mi fece una proposta: “Hey, ti va di venire di là a prendere qualcosa con me? Sai, qui non ho solo lo studio, ma è anche adibito ad abitazione nel caso in cui qualcuno volesse fermarsi. Oh, io te l’ho chiesto prima perché non so come sei messa con Steven, se hai impegni con lui o quant’altro…”. Scossi la testa: “No, Joe. Non ho nessun impegno con Steven. A giudicare dall’andamento degli ultimi giorni direi che non ne avrò per un bel po’ di tempo”. “Non ti abbattere” replicò lui “Magari cambia tutto già da domani. So che è difficile, ma tutto è possibile. Conosco Steven da anni ormai. Tutti noi abbiamo i nostri momenti no. Vedrai che si sistemerà tutto”. Gli sorrisi e lo ringraziai per le sue parole di conforto. “Allora che fai? Rimani da me? Sempre se ti va, ovviamente. Non sentirti forzata. Anzi, ti do un consiglio che ti sarà utile per tutta la tua vita: decidi sempre con la tua testa e non farti mai condizionare”. Accettai volentieri la sua offerta: “Sì, rimango da te”. Ricambiò con un sorriso, dopodiché si voltò per avviarsi nell’altra stanza. Lo chiamai: “Joe…”. Si girò: “Sì, dimmi”. Esitai leggermente in quell’istante, ma poi camminai verso di lui e lo abbracciai. Lui fece lo stesso stringendomi a sé, senza aspettarsi quella mia reazione: “Ti voglio bene, grazie” gli dissi. Mi accarezzò la testa: “Prego, piccola. Anche io te ne voglio…”.
Infine andammo di là nella saletta con cucina attigua e bevemmo qualcosa assieme: “Ti fermi a cena?” mi domandò sorseggiando dal suo bicchiere. Annuii. “Ok, perfetto”.
Mentre bevevo insieme a Joe notai in lontananza la foto di una ragazza, una bellissima ragazza dagli occhi grandi e capelli castani. Istintivamente camminai verso di essa: “Hey! Joe, ma chi è questa ragazza?”. Joe si voltò: “Oh, lei!”. Rimase ammutolito per qualche secondo. “Joe?” insistetti. Lui deglutì: “Miry, lei è Rossella, la mia ragazza…”.



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Ok, chiedo scusa se ho fatto attendere così tanto!! Purtroppo circostanze varie e mancanza di ispirazione mi hanno tenuta lontana dalla scrittura, ma spero, da ora in poi, di essere più costante nell'aggiornare la storia!! Ce ne saranno delle belle!! :D
Ricordo che sono aperta a qualunque tipo di critica.
A presto!! :-*

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