Ti odio perché mi ami.

di HarryJo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un tatuaggio marchiato a fuoco ***
Capitolo 2: *** Come sempre, come se non fosse impossibile. ***



Capitolo 1
*** Un tatuaggio marchiato a fuoco ***


TI ODIO PERCHE' MI AMI.

 

Dedicato a Valentina, perché il tuo amore con Andrea

lo sento più vero di tutti gli altri, nonostante le peripezie.

Dedicato ad Andrea, perché hai reso felice la mia cara sorella

 nel momento più buio che attraversava.

 

 

 

1. Un tatuaggio marchiato a fuoco.

 

Buongiorno. Buongiorno. Buongiorno.

Vi state chiedendo chi sono? Non mi sorprende, se lo domandano in molti. Ogni persona che mi vede per strada, nell'autobus, nel treno, a scuola. Persino il mio compagno di banco si chiede chi sono. E non si tratta di filosofia, anche se quella non migliora.

Innanzitutto, sono un ragazzo. Diciotto anni e mezzo, capelli scuri, anzi, proprio neri, e occhi azzurri. Passo il tempo per conto mio, o meglio, non lo passo proprio il tempo. Io lo conto, in ogni suo secondo.

Credete sia una cosa strana? No, per me è perfettamente consona alla normalità dei miei giorni, alla monotonia della mia vita.

Certo, non dovrei lamentarmi, insomma, è colpa mia se scandisco i secondi con la lancetta rossa del mio orologio, ma forse anche questo fa parte di un progetto più grande che voi non riuscite a comprendere, a cogliere.

Se vi parlassi di morte? Mi prendereste per un ragazzo complessato pieno di problemi e chiamereste lo psicologo, vero? Insomma, diciamocelo, non è normale per uno della mia età. Però ora vi si illumina la lampadina sopra la testa come nei cartoni animati, vero? A ripensare alla mia mania di contare i secondi, intendo.

E se invece vi parlassi di felicità? Di quella finta, sia chiaro. Nessuno è felice. C'è chi è contento, certo, ma non felice. La felicità l'uomo ancora non l'ha mai sperimentata e non so se mai lo farà. Mettete giù la cornetta del telefono e fate i seri, per favore: tanto nessun manicomio mi vorrà mai ospitare.

In realtà, ho solo una parola per voi, quella parola che accompagna e rafforza il frastuono di ogni misero secondo. Quella parola che nessuno vorrebbe mai sentire propria, per paura, per tristezza, per terrore. Quella parola che invece io sento marchiata in ogni centimentro della mia pelle, a fuoco, nelle mie ossa; la leggo persino nel riflesso dei miei occhi quando mi guardo allo specchio.

Leucemia.

A me fa un po' ridere sinceramente come parola: insomma, quando si pronuncia "cancro" si percepisce quel suono aspro e cruento di una malattia che uccide; per "tumore" mi si sconvolgono le viscere, è una parola cupa, triste, come d'altronde la stessa patologia. Ma "leucemia"... E' quasi dolce.

Un dolce tatuaggio nella pelle che ti condanna per sempre, ma uno dopo un po' si arrende. Io, io mi sono arreso. Mi sono arreso a un'idea di una vita lunga quanto un soffio di vento, per quello conto: per sapere quanto rimane ancora di questo inferno. Inferno? Ma che dico? E' una pacchia! Ti trattano tutti bene, ti portano rispetto, ti aiutano, conoscendo la tua situazione. Chiudono un occhio e dicono solo cose carine. Una favola insomma, con la differenza che nelle favole le persone non sono mai sole, c'è sempre qualcuno accanto al protagonista, c'è sempre qualcuno persino accanto al cattivo, che non lo meriterebbe. C'è sempre qualcuno.

Io, invece, son separato dal resto del mondo con questa barriera quasi trasparente, gli altri hanno paura di guardarci attraverso, di affezionarsi quindi a me per davvero, come se temessero di vedermi sparire da un momento all'altro. Ed io non mi affeziono più a qualcuno dai tempi dell'asilo ormai.

Ma si fa l'abitudine anche a questo, con il tempo. A questa solitudine un po' forzata e un po' voluta. Sì, voluta: d'altronde se io mi fossi affezionato a qualcuno sul serio, non avrei mai accettato l'idea di dover finire.

In realtà qualcosa un po' mi prude. Cioè, c'è un immagine che ho impressa dentro di me, e non vorrei lasciarla. E' quella situazione che si presenta sempre puntualmente ogni qualvolta salgo in autobus alla mattina.

Categoricamente in piedi, appoggiata al secondo palo a sinistra, con una sola cuffia all'orecchio destro, che ascolta i lunghi racconti di quella che credo sia la sua migliore amica, c'è Lei. Con i capelli rossi, lisci, gli occhi castano chiari, lineamenti dolcissimi. Il suo nome non lo so, non so a che scuola vada, da dove venga, quanti anni abbia, quale sia la sua voce. Non conosco niente di lei, eppure ricordo il suo viso come se l'avessi dipinto in un quadro che porto sempre con me, cosa che non ho fatto ma a cui avevo fatto un pensierino seriamente.

Ecco, lei è l'unica persona che mi fa ancora provare qualcosa, un po' di nostalgia forse, una leggera brezza di tristezza all'idea di lasciare il mondo.

Si guarda sempre in torno, osserva le persone, e ogni tanto ha con sé una macchina fotografica con cui immortala dei ragazzi che a me appaiono sinceramente normali, al limite della normalità. Ma lei li osserva, quasi come se ne fosse innamorata, e lo vedo che ama quella sua macchina fotografica, che custodisce gelosamente.

Non mi ha mai osservato. Non mi ha mai fotografato.

E questo non so se considerarlo un bene o un male. Probabilmente non mi trova abbastanza interessante per la sua collezione di persone, non trova gusto nel mangiarmi con gli occhi. Ed ecco che scatta quell'impeto di invidia dentro di me, perché anch'io voglio provare ad essere qualcuno, anch'io la voglio ammaliare, anch'io voglio esser immortalato. Io la voglio.

Poi mi maledico, perché non posso essere così egoista da voler una persona, nella mia condizione. Ricordalo, ricordalo Alessandro: leucemia.

E così ricominciano i battiti lenti del mio cuore a contrastare quelli dei secondi, abbasso lo sguardo e non c'è più, è scesa alla fermata e si guarda attorno con la macchinetta fotografica in mano, pronta a cogliere al volo l'istante meraviglioso che non riesco a percepire.

Per un solo istante, come ogni giorno, ho come l'impressione che mi stia guardando con la coda dell'occhio, ma rimango sempre deluso quando vedo che invece sta semplicemente salutando la sua cara migliore amica che invece è ancora nell'autobus e scende tre fermate dopo.

Una volta, spinto dalla curiosità, mi ero avvicinato e avevo sbriciato la canzone che stava ascoltando sull'ipod. Ad averla solo a qualche centimetro da me era scattato qualcosa dentro, una specie di scarica elettrica da brividi, una specie di connessione. Avevo come la sensazione che si sarebbe girata, ma non l'ha fatto. Ed io ero rimasto a guardare il titolo della canzone sullo schermo, fino a stamparmelo bene nella mente.

Non la conoscevo, così appena arrivato a casa l'avevo scaricata subito e mi ero messo ad ascoltarla; non era proprio il mio genere, ma mi piaceva.

Persino adesso, che lei se n'è andata, prendo il mio vecchissimo mp3 e l'ascolto.

When I look at you, s'intitola.

E non ho mai trovato testo più veritiero, di questo ne sono convinto.

Di nuovo scuoto la testa, e guardo fuori dal finestrino: un'altra fermata e posso scendere finalmente, e dirigermi a quel liceo odioso che frequento da quattro anni e mezzo. Oggi è il 20 dicembre, e finalmente ci saranno le vacanze di Natale tra qualche giorno. Non ne potevo più di questa scuola continua, non mi piace, non m'interessa, non la voglio. Ho un tempo di due mesi circa e persino studiare ciò che mi piace di meno, devo. Ma che bello.

Entro in classe, appoggio la cartella sul banco, mi tolgo il giubbotto che puntualmente appendo alla sedia, e già da questo si nota un bel distacco: tutte le altre giacche sono sugli attaccapanni in fondo all'aula, invece la mia no.

Entrano i miei compagni e accennano appena ad un saluto, mentre io ormai sono talmente abituato a starmene per conto mio che so benissimo come rimediare: apro la cartella e tiro fuori "Windgirls", il libro che sto leggendo. Parla di anoressia, parla di una storia triste, e a me piacciono, le storie tristi, mi fanno sentire a casa.

Ora, non pensate che io sia l'antipatico o l'escluso della classe, non è così. Mi vogliono tutti bene, solo che non abbiamo un rapporto stretto come sarebbe giusto fosse. Non abbiamo voluto averlo, c'è stato questo tacito accordo dopo i miei primi rifiuti di uscite e quant'altro per colpa delle chemioterapie e degli interventi vari. In classe si scherza, si ride, fuori mi lasciano stare a contare i secondi.

Loro lo sanno.

Lo vedono, lo percepiscono, che me ne sto andando. E lo sento anche nel tono in cui mi rivolgono la parola, quasi avessero paura di ferirmi, di dirmi qualcosa che mi faccia star male. Non capiscono che così peggiorano, che in questo modo mi sento un animale da zoo. Come se potessero sul serio pensare che mi piaccia tutto questo.

Questa solitudine un po' forzata e un po' voluta.

Così passano le ore, tra le interrogazioni, tra le domande del mio compagno di banco Francesco che non capisce nulla di matematica, tra le risate con il professore di latino.

E come ogni giorno, quando suona la campanella, Francesco si gira verso di me e mi chiede: "Chi sei?", come se fosse davvero convinto che io gli risponda.

Non ho mai risposto, perciò se vi chiedete ancora chi sono, sappiate che lo state facendo inutilmente, non ho intenzione di spiegarvi qualcosa che non so nemmeno io.

Chi sono? Vi basti sapere che sono Alessandro, che ho un'ossessione per quella ragazza dai capelli rossi e gli occhi castani e che ho un tatuaggio marchiato a fuoco nella pelle che porta il dolce nome di leucemia.

 

 

 

 

{ Spazio Harry_Jo.

La scrivo per lei, Valentina, mia sorella più grande, e Andrea, un amico (o qualcosa di più?) che ha una grave malattia.

Nonostante questo, la storia è puramente inventata.

Fatemi sapere che cosa ne pensate, vi prego, davvero è importante. E’ importantissima. Vi chiedo un minuto della vostra vita per recensire, perché voglio che sia una cosa speciale, che venga bene: sarà un regalo per entrambi, se viene abbastanza bene, sperando che lui non svanisca troppo presto.

Vostra

Harry_Jo

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Capitolo 2
*** Come sempre, come se non fosse impossibile. ***


TI ODIO PERCHE' MI AMI.

Ad Andrea, che anche se peggiora giorno per giorno,
trova la forza per sorridere e stare accanto a Valentina.
A Valentina, che nel suo diciottesimo compleanno ha voluto
festeggiare solo con Andrea, chiedendogli di sposarla.

 



2. Come sempre, se non fosse impossibile.



Ricordalo, ricordalo Alessandro: leucemia.

Sono le parole che mi son ripetuto con maggiore frequenza negli ultimi giorni, guardandola.

Con quei capelli rossi al vento, o meglio, rossi e statici. A meno che un giorno qualcuno non porti un ventilatore nell'autobus, non li vedrò mai mentre librano nell'aria, purtroppo, ma sono pronto a scommetterci che sarebbero bellissimi.

Ogni tanto durante la notte mi concedo di sognarla. Non che sia tanto diverso dalla realtà: siamo sempre nello stesso autobus mattutino, sempre lei, in ogni suo dettaglio, compreso il palo, l'ipod e la macchina fotografica. Ed io che la osservo di lontano con una voce in testa che continua a scandire quelle stra maledette parole: "Ricordalo, ricordalo Alessandro: leucemia". Poi mi sveglio e ricomincia un'altra giornata, una in meno da segnare sul calendario.

Sono qui, seduto sotto ad un albero, in questa fredda giornata del 21 dicembre, che guardo in giro e affluisco nei miei soliti pensieri quotidiani, quando: "Alessandro" dice una voce cristallina. Mi costringo ad alzare gli occhi verso Eleonora e le sorrido.

"E' ora" mi dice, indicando l'orologio che ormai segna le 7.02. Non so neanche da quanto sono sotto qui, mi sono svegliato presto e ho passato il tempo nei meandri della mia mente.

Ormai le ore passano lentamente, a forza di attenderle. "Destino, sono qui!" mi verrebbe da urlare, ma non mi ascolta: lui è stato chiaro, due mesi devo aspettare prima che venga a farmi visita. Non ho paura di morire, no. Ormai la vita stessa si è trasformata solo in un'ansia che precede quell'attimo infernale.

Rimango cinque ore a fissare una lavagna con numeri e parole, e poi esco per primo, come sempre.

Sempre la stessa storia, giorno per giorno. Solo che oggi sento qualcosa di diverso nell'aria, come se qualcosa fosse incredibilmente cambiato, ma sarà probabilmente solo l'idea che si avvicinano le vacanze a farmi sentire così.

Prendo l'autobus, mi siedo sul terzo posto a destra, come sempre.

Però, per la primissima volta da quel che io ricordi, trovo lei anche al ritorno. E me ne sorprendo, il mio petto fa le fusa dentro di me e i miei occhi la osservano con la sua solita macchina fotografica, all’erta.

E non mi guarda, come sempre. Questa cosa comincia a essere davvero frustrante per me, ma non m'importa. Intanto l'ammiro, come sempre. La voglio, come sempre. Non cambia mai nulla nella mia solita monotona vita di solitudine che mi sono creato, per fortuna che finirà presto.

Solo che oggi ho voglia di camminare, ho voglia di guardare, osservare, questo mondo che piano piano lascerò alle spalle. Ho voglia di perdermi in assurdi pensieri filosofici e camminare, fino a creder di poter volare.

Perciò prendo e scendo una fermata prima della stazione, per fare un po' di tragitto a piedi. E con mia sorpresa, lei scende dietro di me, con un libro in mano, che sembra intenta a mangiarsi.

Cammino molto lentamente, la voglio lasciar passare perché la voglio continuare a osservare finché posso; quando mi passa accanto per superarmi sento una leggera brezza e annuso l'aria quasi volendomi intossicare. Intossicare di lei.

Ad un certo punto starnuto, sono di salute molto cagionevole, com'è tipico nei soggetti della mia malattia. Chiudo gli occhi d'istinto e prendo un fazzoletto, senza più guardarla, senza accorgermi che si è fermata davanti a me per fotografare chissà che cosa di così meraviglioso che le toglie il fiato. Non me ne accorgo, e le finisco addosso, facendole cadere il libro che aveva messo in mezzo alle gambe. E si ferma il tempo, e non conto più i secondi.

"Scusa" mormoro imbarazzato.

"Fa nulla" risponde lei senza guardarmi negli occhi, ancora intenta con la macchina fotografica a cogliere quell'attimo e quasi imperturbabile al fatto che le sono appena andato addosso.

Così, per scusarmi, mi abbasso io a raccogliere il libro e ne riconosco subito la copertina. "L'Ultima Canzone? E' di Nicholas Sparks, giusto?" le dico, incapace di trattenermi.

Lei si gira verso di me e guarda il libro, senza degnarmi del minimo sguardo, il che mi tormenta sul serio; non pensavo di essere così inguardabile.

"E beh grazie, l'hai letto sulla copertina!" mi dice, ridendo.

"Non è vero! Lo conosco, l'ho letto!" ribatto, quasi offeso.

Finalmente, come ho tanto agognato nei miei sogni, mi guarda dritto negli occhi, ed è uno sguardo fiero. Io mi sento impotente a confronto, ma allo stesso tempo è come se nulla avesse più senso: lei mi ha guardato negli occhi, lei mi ha parlato, lei mi ha sorriso. Lei è davanti a me, e nemmeno la leucemia può cambiare questo.

"Piacere, Andrea" si presenta tendendomi la mano e mandando gentilmente e senza troppi complimenti il mio cervello in tilt.

"Alessandro" dico a mia volta, stringendogliela. E' così calda la sua, è così fredda la mia. Mi costa un'enorme fatica lasciargliela andare, mi costa molto più di quanto son disposto a sopportare oggi, domani, per i prossimi due mesi. A confronto le chemioterapie sono una passeggiata.

"Alessandro" ripete lei. "Leggi Nicholas Sparks?" mi chiede, mentre iniziamo a camminare fianco a fianco questa volta.

"Leggo tutto" rispondo, sincero. "Mi piace leggere sempre nuove storie, Nicholas Sparks ha uno stile particolare che mi appassiona. Ti piace quel libro?" chiedo a mia volta, ancora sorpreso di parlarle.

"Per adesso sì, però so già come finisce" mi dice.

"E come mai?" le chiedo, sorpreso.

"Mi piace sapere in anticipo le cose, mi rende più sicura. Se per qualche strano motivo non riuscissi a finire di leggere il libro, dovrei rimanere con il dubbio di come finirà tra Will e Ronnie? O dei misteri riguardanti suo papà? O quel che riguarda l’incendio alla chiesa? No, almeno posso star tranquilla" spiega, come se non ci fosse ragionamento più logico.

"Questo potrebbe essere un ragionamento che mi calza a pennello" commento, serio. Non avevo mai pensato ad una cosa del genere sinceramente, ma adesso capisco che ha ragione. Insomma, se adesso iniziassi a leggere un libro e ci mettessi più tempo del previsto spegnendomi prima di aver letto il finale? Certo, da morto non è che potrò tanto dirmi "Non so com’è finito il libro!", ma in effetti, a me che mangio le storie scritte sulla carta, dispiacerebbe non conoscere il finale di un racconto entusiasmante.

"Come mai?" chiede, sempre in quel sorriso antipatico di cui ho un ossessione da mesi.

"Lascia stare, magari te lo spiego un'altra volta" borbotto, mentre il tatuaggio torna a farsi vivo dentro di me. Non pensarci, non desiderarla. Leucemia, leucemia, leucemia, Alessandro.

"Ma se non ci fosse una prossima volta?" mi chiede.

"Allora significherebbe che il tuo ragionamento è più che valido. Lasciamo che questa sia una prova" le dico, perché non voglio, non voglio vederla diventare triste dicendole della mia patologia. Non deve starci male, non deve nemmeno saperlo che i miei secondi sono contati. Tic, tic, tic... L'orologio continua a scandirli inesorabilmente, ma per la prima volta in vita mia, lo ignoro.

Perché, anche io ora sono contento, dopo non so quanto tempo. La felicità non esiste, lo ribadisco, ma esser contento mi è più che lecito, anche se spero solo di non sentire mai la nostalgia di questo momento. E comincio ad odiarla, così.

Insomma, finché ero ossessionato dal suo pensiero mi andava bene, sapevo che avrei dovuto aspettare le 7.09 e l'avrei rivista. Ma ora quando mai avrei più risentito quella voce? Quando mai avrei potuto parlarle insieme ancora? Ecco, questo non ci voleva: non dovevo fare nulla che mi portasse a sentirne la mancanza.

Ma mi obbligo a non pensarci adesso, non ora che ce l'ho qui che parla e mi racconta di cosa le piace di quel libro, non adesso che finalmente riesco ad amarla molto più che in superficie. Non adesso, leucemia, non colpirmi ora.

"Ora devo andare" mi dice arrivata in stazione. "Ciao, ci si vede, Alessandro" saluta, e scappa via, diretta verso una stradina lì vicino.

Il primo impeto è quello di volerla seguire, ma mi fermo e mi calmo. Non devo, non posso, non è quello il mio destino. Io mi posso cibare di lei da lontano, ma non posso vivere di lei.

E con questo pensiero mi costringo a girarmi verso la stazione dei treni con uno sforzo disumano, mai provato, mai dovuto fare. Prendo e mi dirigo al solito binario numero otto, mi siedo sulla panchina e aspetto, mentre attorno a me una miriade di ragazzi parla tra loro, ride, scherza, discute.

Un mondo che non ho mai conosciuto è il loro, un mondo che non conoscerò mai; quello della spensieratezza, quello dei ragazzi adolescenti sani. Io vivo in questa solitudine, un po' voluta e un po' forzata. E mi va quasi bene, ci si abitua. Come sempre.

Ma non so se ci credo sul serio. Forse me lo dico per convincermi che deve essere per forza così, che deve andare per forza così. E poi come si fa ad essere contenti di essere soli? Insomma, l'uomo ha bisogno di qualcuno accanto, per principio, per definizione, è risaputo. Ed io invece sono rimasto in quest'ottica di mondo esterno a me, estraneo a me.

Persino con la mia famiglia non riesco a trovarmi. Mi trattano bene, come se avessi solo bisogno di cure, come se potessi svanire a un loro rimprovero. Come se non fossi umano.

E loro non se ne accorgono. Non li biasimo: probabilmente soffrono anche molto più di me per tutto questo. Loro perderanno un figlio e un fratello, io perderò me stesso, e di sicuro non avrò occasione di sentire la mia stessa mancanza.

Lo vedo negli occhi della piccola Eleonora, che seppur nei suoi dieci anni, soffre tantissimo nel sapere e nel vedere che suo fratello diventa sempre più pallido e più stanco. Lei mi adora, ed io le voglio bene come a nessun altro: forse è l'unica persona che è davvero me stessa con me; la sua tenera età le impedisce di fingere.

Mamma e papà d'altro canto mi trattano come se fossi un angelo, e a me da fastidio. Vorrei essere come gli altri, vorrei... Vivere, e non sopravvivere sotto le loro cure. Ho provato a dir loro all'inizio quanto poco bene facesse quel loro atteggiamento, ma non sono riuscito a migliorare granché la situazione. Ed ora è tale quale a prima.

Monto sul treno e dico addio per un altro giorno a quella città, dico addio per un altro giorno per dirigermi al mio piccolo paese di periferia, dove la vita rimane comunque la stessa, giorno per giorno, come sempre.

Solo lei, solo lei riesce a darmi un sorriso in questo giorno particolare, perché oggi ha cambiato qualcosa dentro di me, ha rivoluzionato un mio modo di pensare; ha reso tutta quella mia ossessione come se non fosse impossibile, anche se lo sappiamo tutti che invece lo è. Non riesco a pensare ad un altro volto, ad un altro respiro, ad un'altra risata, perché lei ormai ha preso e ha reso suo quel che rimane di me. Dopo mesi di pura tortura e masochismo, l'ho conosciuta, e questo non so se sia un bene, anzi, lo ritengo quasi per certo un male. E sapete perché?

Perché ora la rivoglio accanto, voglio sentire ancora il suo profumo vicino al mio.

La voglio. Ma non più come sempre.

Leucemia, Alessandro, leucemia.

 

 

{ Spazio Harry_Jo

Ragazzi, io spero solo che non sia così brutta questa storia.

Non so neanche perché la scrivo, ma non sopporto più di vedere mia sorella triste, e nel giorno del suo diciottesimo compleanno mi ha chiesto di rendere onore ad Andrea trasformandolo in un mio personaggio. Dicono che son brava, con le parole, anche se in realtà ho tanta paura di deluderli.

Lasciando stare questo sproloquio, ringrazio chi legge, mi fa sentire almeno un po' seguita, anche se in realtà non lo sono per niente.

Grazie se comunque avete letto.

Se avete riso.


Giulla: Oh cara sei troppo gentile! Mi segui anche qui? Te ne sarei grata.. non immagini quanto!

Tu parli di "dono", io spero tanto che sia così, anche se in realtà trovo sempre più belle le parole degli altri. Ci sono persone che ricevono ottomiliardi di recensioni e che sono seguite da settecentofantastiliardi di accaniti lettori, io no.. Non è che mi lamenti, ma ho paura di non piacere! Non so se mi capisci.. E tu comunque sei brava davvero. :)

Sono proprio contenta che tu sia qui,e spero continuerai ad esserci.

Alla prossima recensione o al prossimo capitolo in caso!Erica alias Harry_Jo

Emily Doyle: Ehilà, sono contenta che ti sia piaciuto il primo capitolo, e mi dispiace se sono riuscita quasi a farti arrivare alle lacrime (perché scrivo sempre cose strazianti??T-T), anche se al contempo mi rende felice, significa che magari qualcosina ti ho trasmesso ;) Spero che mi farai sapere cosa ne pensi anche di questo capitolo e dei prossimi..Erica alias Harry_Jo


Ora vi lascio, e.. Alla prossima!

Vostra, triste

Erica.

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