C'eral'acca di HappyCloud (/viewuser.php?uid=114634)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. Make a bet. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. 21 Samtury Breakdown. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. Let Me Live. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. Sex And The Bici. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. Ballad Of The Girl In The Red Shoes. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. Complicated. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. Sameteries Of London. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. Drive My Car. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. Bitter/Sweet Harmony. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. What Goes Around Comes Around. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11. Vertigo. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. What's My Age Again? ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13. Light My Fire. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14. Rolling In The Deep. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15. Lies. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16. Blame It On The Boy. ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17. It Takes A Fool To Remain Sane. ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18. Escape. ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19. Cat Man. ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20. If It's Magic. ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21. Misunderstanding. ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22. Pleasure And Pain. ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23. Photograph. ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24. Secret. ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25. If It Makes You Happy. ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26. Time To Say Goodbye -Part I. ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27. Time To Say Good Life -Part II. ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28. Fleetwood Mac-Cord. ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29. You Give Love A Bad Name. ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30. Crazy, Pink Christmas. ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31. You Learn. ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32. Suspicious Minds. ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33. Sweet About Me. ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34. Fire With Fire. ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35. Behind The Mask. ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36. Somewhere Only We Know. ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37. State Of Love And Trust. ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1. Make a bet. ***
1.
Make
a bet.
Ero
esterrefatta.
Non potevo credere alla scena che avevo davanti a me: uomo, 1.95,
bello,
muscoloso, corpo nudo scoperto fino alla vita. E poi sguardo
ammaliatore,
sicurezza di sé percepibile a chilometri di distanza
e… lacrime agli occhi.
Che
cosa?
Il
ragazzo sapeva
decisamente come spegnere il desiderio di una donna. O meglio, sapeva
come
ucciderlo, farlo a pezzi e gettarlo dalla finestra.
Non
sapevo che
dire, mentre mi appoggiavo con la schiena alla testiera del letto del
suo
appartamento a Chelsea, tra i migliori quartieri di Londra, cercando di
recuperare il lenzuolo per coprirmi il seno.
Non
era di certo
la situazione a cui mi aspettavo di assistere dopo una notte di sesso
folle con
Ralph J, uno dei più famosi rapper nello scenario europeo
degli ultimi cinque
anni. Un tipo tutto palestra, tatuaggi, parolacce e dischi di successo.
I testi
delle sue canzoni erano così pieni di rabbia e violenti che
avrebbero fatto
apparire il più spietato dei dittatori come un misero
bulletto ruba merendine.
E
ora stava
piangendo. Lo guardai perplessa e lui sembrò percepire il
mio stupore, misto ad
imbarazzo.
-
Scusa, Sam - mi
disse. - Ma era tanto tempo che non facevo l’amore.
Alt!
Come? Sperai
ardentemente di aver sentito male, perché la sera prima mi
era sembrato di
essere stata piuttosto chiara a riguardo.
L’avevo
intercettato dopo il suo concerto al centro di Londra, in un club
privato dove
avevo avuto accesso al backstage grazie al mio lavoro di giornalista
per Music Magazine, un mensile nato
da una
decina di anni. Adoravo scrivere per quella rivista, anche se
relativamente
nuova, soprattutto dal momento che mi aveva fornito
l’occasione perfetta per
conciliare le mie due più grandi passioni: la musica e la
carta stampata.
Dopo
gli anni del
college, in cui avevo lavorato sodo per conquistarmi la laurea in
giornalismo e
comunicazione, con grande sforzo economico anche dei miei, ero riuscita
a farmi
assumere nella redazione di un importante giornale della mia
città natale,
Glasgow. All’inizio era stato piuttosto difficile riuscire a
farsi assegnare
qualche pezzo da scrivere che non fosse l’ordinazione del
pranzo di uno dei
capi; poi, però, grazie a Dio - e alla nascente amicizia tra
me e Valerie
Dupont, una delle caporedattrici -, avevano cominciato a pubblicare
qualche mio
pezzo, finché mi avevano affidato una rubrica settimanale
tutta mia, di modesto
successo, sui musicisti locali, dal titolo Aprite
le orecchie!. Potevo ritenermi abbastanza soddisfatta, ma
quello stronzo
del signor Larson, l‘editore, mi trattava ancora come fossi
l‘ultima ruota del
carro.
Poi
un giorno
Valerie era uscita dall’ufficio del direttore, sbattendo la
porta e gridando
che mai più avrebbe messo piede “in
una
redazione in cui puoi far carriera solo se hai il pisello”.
Soltanto un
paio di settimane più tardi, quando l’avevo
dichiarata ormai dispersa, mi aveva
contattata scusandosi per non aver mai risposto alle chiamate e
offrendomi un
posto per il magazine di cui era diventata socia, MM
appunto. Era stata in vacanza per dieci giorni in Tibet in
completa solitudine, isolata dal mondo e, a giudicare dal brio della
sua voce,
le aveva fatto proprio bene.
Naturalmente
avevo
accettato: fuggire dai miei capi e dalla mia triste città
era esattamente
quello di cui avevo più bisogno. Glasgow per certi aspetti
era tutto per me:
famiglia, amici e ricordi vi avrebbero vissuto per sempre.
Però non mi bastava.
L’avevo sempre trovata così piccola e fuori posto.
Cioè, pensi alla Scozia e ti
vengono in mente Sean Connery, il kilt, paesaggi mozzafiato…
e Glasgow non ha
nulla di tutto questo, se non un immenso grigiore che pervade tutti gli
edifici
e che finisce, inevitabilmente, col macchiarti anche l‘umore.
Certo,
nemmeno
Londra è esattamente un tripudio di colori, ma tutti quei
turisti, tutti quei
monumenti di epoche lontane, la fanno sembrare sempre viva. E poi i
cieli
dell’Inghilterra, che ritrovavo nelle tele del pittore
Constable, avevano
sempre avuto su di me un certo effetto; sin da piccina quando venivo
nella
capitale con i miei o a trovare i nonni a Manchester, mi bastava
guardare
all’insù, verso le nuvole e le stelle, verso
quello spazio infinito che mi
sovrastava in tutte le tonalità di blu, per sentirmi bene,
libera.
Perciò
non era
stato un gran trauma trasferirmi, lasciandomi alle spalle la mia
infanzia e
quanto ad essa era allegato.
Da
due anni vivevo
in un appartamento ben curato, a Mayfair, con il mio gatto Romeo, un
bel
micione tutto nero. Al diavolo la superstizione! Lui c’era
sempre per me, mi
ascoltava e in cambio chiedeva solo qualche coccola.
Ero
felice della
mia vita e soprattutto del mio lavoro, che costituiva la fonte delle
mie
maggiori soddisfazioni, oltre, chiaramente, alle avventure sessuali - e
non
romantiche - che talvolta mi allietavano nelle serate in cui non ero
impegnata
a scrivere. Poi, però, alle volte capitano situazioni come
quelle con Ralph che
ti costringono a riflettere e inizi a capire che forse non è
stata la scelta
migliore lasciare che un gioco sconvolgesse la tua esistenza. Stupida, stupida Sam! Tutto è
cominciato
esattamente quattro mesi fa, qualche giorno prima del matrimonio di
Valerie con
Jonathan, un affascinante e simpatico cardiochirurgo irlandese. Per
rispettare
la tradizione, le colleghe dell’ufficio e la sottoscritta
avevano organizzato
un addio al nubilato degno di questo nome: giro di bevute in alcuni bar
e pub e
gran finale in uno strip club a Soho, il Pumping
Pumpkin. Dio solo sa cosa non vedemmo quella sera! Credo che
Amanda, la
direttrice delle pubbliche relazioni di MM
non dimenticherà facilmente quel body shot da parte di
José, un cubano da far
girare la testa che avrà avuto quindici anni e due figli in
meno di lei.
Come
dimenticare
poi Ronald con quegli addominali su cui avresti potuto giocare a
biglie, o i
bicipiti forti di Sean, o… Nicholas.
Nick è esattamente la ragione per cui il mio mondo
è cominciato a girare al
contrario.
Ricordo
che quella
sera si era avvicinato a noi con fare sicuro, vestito, per
così dire, da vigile
del fuoco. Più che altro sembrava un pompiere appena
scampato ad un incendio in
cui doveva essersi bruciata la parte superiore della tuta. Rimanevano
soltanto
le bretelle sul petto nudo, i pantaloni leggermente abbassati in vita,
tanto da
mostrare l’elastico dei boxer, e un inutile berretto in
testa.
Era
alto, fisico
scolpito, occhi di un azzurro chiarissimo che mi ricordava il ghiaccio
e
capelli castano chiaro mossi; per farla breve, quello che si definisce
un bel
ragazzo, tutto cosparso di olio, come d’altro canto anche gli
altri, neanche
fossimo ad una gara di body building o su di una spiaggia ai tropici.
Le
prime parole
che ci rivolse potevano essere state tranquillamente prese da un film
porno
della più bassa lega esistente.
-
Devo forse
spegnere un incendio qui? O volete che lo accenda? - aveva detto,
ondeggiando
il bacino verso Val, indicata da tutte come la festeggiata.
Oddio. Squallido
e banale. Ero quasi
disgustata, ma dopo qualche secondo mi resi conto che il mio corpo e la
mia
mente non andavano di pari passo: stavo ridendo come una pazza seguita
a ruota
da Val, Amanda, Jade e Katy. Tutto si spiegava molto semplicemente con
i litri
di alcool che avevamo in circolo: tequila, vodka, rum… non
c’eravamo fatte
mancare nulla. Nick si destreggiava tra noi cinque, dispensando
sorrisi,
ammiccamenti e conducendo le nostre mani vicino al suo corpo, per
sfiorarlo
appena, - cosa di cui Jade fu molto irritata.
Sembravamo
delle
ragazzine al concerto dell’idolo di turno e dovevamo apparire
parecchio
eccitate perché, ben presto, arrivarono rinforzi da bere e
da guardare.
Rimanemmo fino alla chiusura, completamente sbronze e fu solo per
miracolo se
riuscimmo ad infilarci in due taxi per tornare ciascuna alla propria
abitazione.
Il
giorno seguente
mi svegliai a mezzogiorno ancora mezza vestita, mezza truccata, ma con
un
cerchio alla testa completo. Mi alzai barcollante per specchiarmi;
sarebbe
stata una tortura, ma sapevo che era necessario per controllare i
danni.
Oh
cazzo! Era pure
peggio di quello per cui ero preparata: i capelli arruffati, il mascara
colato,
il rossetto sbavato, la camicetta esageratamente aperta con ampia vista
sul
davanzale e la cerniera della gonna davanti invece che dietro.
Guardandomi in
faccia pensai che assomigliavo al Joker
di Heath Ledger. Mi consolai vedendo che le mie Manolo Blahnik erano
sane e
salve accanto al letto. Se avessero riportato dei danni, non avrei
risposto di
me stessa. Tutto ma non le mie scarpe!
Avevo persino un armadio tutto dedicato a loro, per preservarle da
polvere e
sguardi indiscreti.
Mi
svestii con
noncuranza, con l’intenzione di ficcarmi sotto il getto
rilassante della doccia
che mi avrebbe fatto dimenticare la nottata; ma fu mentre mi apprestavo
a
togliermi il reggiseno che notai un piccolo biglietto ripiegato
più volte su se
stesso infilato tra lo spallino e la coppa. Lo aprii velocemente e ne
lessi il
contenuto con attenzione: un numero di cellulare e la frase: Mi raccomando quando sarai lucida chiamami.
C’è una scommessa in ballo e io odio perderle.
P.S: bel seno comunque! N.
Istintivamente
mi
coprii il petto, dal momento che indossavo solo gli slip. Poi,
però, mi
ricordai che ero sola in casa e la vergogna lasciò il posto
alla rabbia. Chi
cavolo si era permesso di nascondere un biglietto tra le mie tette? Chi
era
questo N.? La sera prima, al
momento,
era una nebulosa dai contorni troppo indefiniti per fornirmi qualche
indizio
valido a ricostruire il susseguirsi degli eventi. Mi serviva il
cellulare per
chiamare le altre e raccogliere informazioni. Già, ma dove
cavolo era?
Ricordavo solo di averlo messo nella borsa; il problema era che anche
quella
pareva essersi volatilizzata.
Dopo
dieci minuti
di estenuanti ricerche, mi arresi pensando che l’unica
soluzione fosse quella
di chiamare il mio cellulare dal telefono fisso. Agguantai il cordless,
composi
il numero e mi misi in allerta, pronta a captare qualsiasi rumore
provenisse da
qualche angolo recondito del mio appartamento. Mi stavo già
rilassando al
pensiero di ascoltare Wish you were here
dei Pink Floyd - sì, d’accordo non era molto
adatta come suoneria, ma l’adoravo
e mi faceva sempre pensare che fosse qualcuno di piacevole a cercarmi -
quando,
improvvisamente, realizzai che non solo David Gilmour non stava
cantando per
me, ma non c’era alcun suono nell’aria. Zero. Oh merda! fu l’unica
espressione che la mia mente partorì e la mia
mano, in automatico, si portò sulla fronte, sfregandola
energicamente.
Contattai tutte le ragazze, non riuscendo, però, a cavare un
ragno dal buco.
Non erano di certo messe meglio di me e Katy aveva persino perso una
scarpa da
qualche parte nel tragitto di ritorno. Sconsolata decisi che tanto
valeva
godersi in santa pace la doccia, lasciando i problemi fuori dal bagno
per non
meno di un quarto d’ora. Fu quando mi stavo sciacquando il
balsamo dai capelli
che un dubbio mi assalii: come potevo essere rientrata in casa se le
chiavi
erano nella borsa?! Finii di prepararmi e mi precipitai dal vicino, il
signor
Hansen, un vecchietto vedovo che abitava da solo proprio di fronte a me
che si
era offerto di dar da mangiare a Romeo nelle mie lunghe giornate al
lavoro;
aveva, quindi, un paio di chiavi di riserva.
-
Salve, Samantha!
- mi disse aprendo la porta. - Sei venuta a riportami le chiavi?
Mistero
numero uno
risolto.
-
No, signor
Hansen. Mi servono anche per oggi. Volevo ringraziarla per aver portato
Romeo
in giardino - mentii, arrossendo.
-
D’accordo. Ma
guarda che mi hai molto spaventato stanotte. Mica ti puoi attaccare al
campanello di una persona anziana come me a quelle ore!
Il
suo tono era un
poco severo e mi vergognai terribilmente per la figura barbina che
avevo fatto.
Poi lui proseguì.
- E
per Romeo sai
che non ci sono problemi - si chinò, guardando un punto
dietro di me. - E lo sai
anche tu, vero bel micione? - Mi girai e notai che il mio gatto stava
per
arrivare sul pianerottolo, dove si lasciò accarezzare dal
vecchietto che gli
porse anche qualche crocchetta.
- Mi
scusi,
davvero, E’ stata una serata… particolare,
diciamo, e ho perso la borsa.
La
fronte del
signor Hansen si corrugò, lasciando però presto
il posto ad un ampio sorriso.
- Ti
capisco, Sam.
Sono stato giovane anche io. Solo, non ho mai dimenticato le chiavi!
Bene,
e via con la
figura di merda pure con il vicino. Sorrisi imbarazzata e lui rise,
mentre mi
congedava, chiudendo la porta. Tornai in cucina per chiamare la
società dei
taxi, nella vana speranza che avessero ritrovato la mia borsa. Niente
di
niente. Ma nel frattempo chiesi che mandassero un’auto al mio
indirizzo. Aprii
il finto barattolo dei biscotti in cui tenevo qualche decina di
sterline per le
emergenze e scesi in strada ad aspettare che il taxi arrivasse.
Il Pumping Pumpkin di giorno faceva tutto
un altro effetto: sarebbe sembrato quasi un locale serio, se non fosse
stato
per quella stupida insegna color arancione che non lasciava di certo
dubbi in
merito al tipo di attività svolta all‘interno. Mi
domandai seriamente a chi
fosse venuta l’idea assurda di chiamarlo in quel modo. Misi da parte le mie
perplessità e,
vergognandomi come una ladra, entrai nel locale. Era deserto - e certo che ti aspettavi, è pomeriggio!
- tranne che per un uomo completamente calvo sulla cinquantina, intento
a
leggere delle carte sul bancone.
Ebbi
la sensazione
di essere finita in un’arancia. Tutto era di quel colore:
pareti, soffitto,
tavoli, sedie e persino le cornici degli specchi.
L’arredamento, visto alla
luce del sole che filtrava dalle finestre, era tutt’altro che
spartano: un
lungo palco, ora spento, che la sera si accendeva di mille colori, e corpi, dei lampadari arzigogolati che
pendevano dal soffitto e alle pareti innumerevoli quadri ritraenti
scene del Moulin Rouge.
Che
bello quel film… Sam! Concentrati!
Mi ricomposi e mi schiarii la gola, giusto per segnalare la mia
presenza al
pelato che, nel frattempo, non mi aveva degnato di uno sguardo.
Lui
alzò appena lo
sguardo dalle scartoffie e mi disse.
- Che
c’è? Sei qui per i provini? Perché, in
tal caso, sei in ritardo e quello non è
l’abbigliamento adatto. Scoprii di
essere più indignata per l’offesa al mio vestiario
che per essere stata
scambiata praticamente per una cubista; indossavo una normale
maglietta, una
felpa con la zip aperta, un paio di comodi jeans e uno di Converse.
Dovevo
andare in uno strip-club, non a Buckingham Palace!
-
Veramente, non è
niente di tutto questo. Sono stata qui ieri sera con delle amiche -
abbassai lo
sguardo imbarazzata. - E credo di aver dimenticato la borsa. Le
risulta?
L’uomo
mi guardò
con aria scocciata.
- Ti
sembro
l’addetto al guardaroba? - ghignò.
Ma
vaffanculo! Ero
sul punto di sbranarlo a parole e fisicamente, quando sentii i passi di
qualcuno provenire dal retro del locale.
-
Finalmente sei
arrivata, Samantha Grayson.
Mi voltai di scatto e notai
due occhi color
ghiaccio puntati su di me. Dove li avevo già visti? Uno, due tre… flashback! Dai,
cavolo… uno, due, tre! Sembravo Tobey
Maguire nei panni di Spiderman,
quando tentava disperatamente di capire come funzionassero i suoi
superpoteri.
Ma il lampo di genio non arrivò e lui dovette intuire il mio
smarrimento perché
continuò.
-
Non mi dire che
non ti ricordi di me! - Cielo, faceva pure il finto offeso. - Eppure mi
pareva
che ieri sera lo sapessi bene il mio nome, quando mi infilavi i
bigliettoni da
venti nei boxer.
Perciò
i soldi e,
quindi la borsa, ce li avevo. La goffa risata del pelato mi
riportò alla
realtà. Quella specie di adone che avevo davanti mi aveva
appena umiliato di
fronte ad un altro essere umano. Brutto per giunta… Sam! Cosa c’entra questo? Mi
distolsi dai miei pensieri e feci per
parlare, paonazza in volto, ma il ragazzo mi precedette.
-
Sono Nicholas,
comunque. Nick.
Tese
la sua mano
verso di me, ma io la ignorai.
-
Senti, senza
tante cerimonie, dammi la borsa che ho fretta.
La
voce mi uscì
dalla bocca con una durezza non voluta. Anche il mio interlocutore
sembrò
sorpreso dal mio tono trovando, però, subito una risposta da
darmi.
-
Calma Sammy,
rilassati! La tua borsa è qui.
La
prese da dietro
il bancone e me la porse.
-
Grazie - dissi
con un sorriso più falso di una dentiera, strappandola
letteralmente dalle sue
mani.
Non
controllai
nemmeno che ci fosse tutto all’interno. Volevo solo andarmene
da quel posto e
da quei due cafoni. Feci per indirizzarmi verso la porta ma lui mi
costrinse a
fermarmi.
-
Ehi, ehi. Dove
pensi di andare? Non dimentichi qualcosa? Dobbiamo discutere meglio i
termini
della nostra scommessa.
Mi
voltai di
scatto verso di lui, gli occhi sgranati.
-
Tu? – dissi,
quasi urlando.
Nicholas
annuì,
compiaciuto, con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia.
-
Sai – cominciò.
- Ieri sera sei stata il festival dell’incoerenza. Prima ti
sei guardata lo
spettacolo con la bava alla bocca e poi ti sei prodigata in mille
discorsi
sulla morale. Sul perché se un uomo fa questo lavoro - ed
indicò il palco alle
sue spalle. – È un figo e, invece, se lo fa una
donna è una sgualdrina di poco
conto. Che filosofia spicciola, Sammy. Niente che non sia
già stato sentito e
risentito almeno un trilione di volte. Com’è che
funzioni? L’originalità la usi
solo quando scrivi in quella sottospecie di giornale?.
Lo
guardai
sorpresa; sulla morale di bassa lega non aveva tutti i torti ma,
purtroppo,
quella era stata la miglior cosa che il mio cervello ubriaco fosse
stato in
grado di produrre. Riguardo al resto, però, non potevo
starmene zitta, il mio
orgoglio dalle dimensioni del Canada ne avrebbe risentito troppo.
-
Sarà pure tutto
banale... ciò non toglie che io abbia ragione. E, a
proposito del mio lavoro,
direi che richiede molta più fantasia del tuo. Nel caso in
cui tu non te ne sia
accorto, - e dicendo questo mi sporsi verso di lui, abbassando il tono
della
voce, quasi per non farmi sentire dal pelato. - Tutti siamo in grado di
agitare
un po’ il culo e mostrarci in pubblico in intimo.
Era
esattamente in
situazioni come queste che adoravo la mia acidità,
sfoderabile nei momenti più
adatti. E nella mia mente partì una standing ovation per me
stessa. Nick, per
niente turbato, mi rispose subito. Che
palle! Odiavo gli uomini che sapevo come ribattere alle mie
frecciatine.
- Ci
vuole molta
più originalità di quanto tu possa credere. E
ieri te ne ho data ampia
dimostrazione, quando cercavi di agguantare il mio sedere con quelle
manacce.
Azz,
colpita e affondata.
Il
pelato cominciò
a ridere a crepapelle; gli lanciai un’occhiata fulminante che
lo indusse a
rifugiarsi nel retro, borbottando qualcosa d’incomprensibile.
Dovevo dire
qualcosa.
-
Pensala come
vuoi - fu l’unica cosa che la mia bocca riuscì a
dire. Tutto qua? La frase più
banale del mondo.
- Banale come sempre, Sammy.
Fantastico, sapeva pure
leggere nel pensiero.
Decisi di metterla su un altro piano, stava per cacciarmi
all’angolo.
-
Nessuno mi
chiama più così da quando avevo otto anni e non
vedo perché dovrei permettere a
uno stripper di farlo.
Nick
rise di gusto
e mi si avvicinò piano. Per la prima volta, notai quel bel
sorriso. I denti
perfetti, bianchi, che mi sovrastavano quasi del tutto
dall’alto di quel metro
e ottantacinque che doveva essere in confronto al mio metro e settanta
scarso.
In automatico, indietreggiai.
-
Non ho bisogno
del tuo permesso, Sammy.
Ero
sull’orlo di
una crisi isterica e lui parve accorgersene. Stavo per ribattere, ma
lui non me
lo permise.
- In
ogni caso non
è questo di cui voglio discutere con te.
C’è una somma di 2500 sterline in
gioco e odio perdere soldi in una scommessa.
Deglutii
e
probabilmente le mie pupille si dilatarono. 2500 sterline? Erano
più o meno il
mio stipendio mensile. Già, il mio. Lui quella cifra poteva
guadagnarla in due
o tre serate: solo noi, la sera precedente avevamo speso una somma
vicina alle
500 sterline.
-
Non so di cosa
tu stia parlando -
dissi.
- Eh
no, Sammy.
Pensi di cavartela così? Mi hai dato la tua parola
e…
- La
parola di
un’ubriaca quanto conta per te esattamente? - sbottai,
interrompendolo.
Mi
guardò severo e
proseguì.
- Se mi avessi lasciato
finire - mi apostrofò.
- Ti avrei detto che sono un gentiluomo e che quindi non ti avrei mai
imbrogliato. Per questo sono in possesso anche di un documento con la
tua firma.
Okay,
mi sta prendendo in giro, vero? VERO?
Nick
tirò fuori un
foglietto dalla tasca e mi mostrò il punto esatto in cui
doveva esserci la mia
firma e… cavolo! Eccola lì. Certo, un
po’ tremolante, ma era pur sempre la mia.
Fu
allora che
decisi che era il momento di adottare la tecnica che mia sorella
maggiore Lily
mi aveva insegnato ancora ai tempi dell’asilo: negare anche
di fronte
all’evidenza. Poco etica, senza dubbio, pure un po’
rischiosa, ma successo
garantito al 99%. Cominciai la pantomima con una risata degna di
Ursula, la
cattiva de La Sirenetta.
-
Tesoro, - Sam,
non strafare! - Questa non assomiglia neanche lontanamente alla mia
firma.
E
ora datemi l’Oscar.
Fu
allora che
accadde l’imprevisto: lui sorrise, come se si fosse aspettato
la mia reazione,
sparì per pochi secondi nel retro e tornò con un
oggetto in mano. Si avvicinò a
grandi passi a me e me lo porse. Una macchina fotografica che stava
riproducendo un video.
“Sammy
fai ciao con la mano al tuo Nick”. Riconobbi
immediatamente i suoi occhi di ghiaccio e la mia mano che salutava
l’obbiettivo.
“Nick…
- risate infinite. - Come sei bello… ”. Dio, ma come
mi riduco quando bevo? D’ora in poi
tequila lungi da me.
“Sammy,
cucciola, cosa stai facendo? Dillo al tuo amico Nick. Cosa stai
firmando?”. Subdolo.
Ancora risa. E la mano
di Katy davanti alla bocca prima di correre in bagno a vomitare.
“Sto
firmando la nostra scommessa”.
La mia risposta era
uscita così
spontanea e naturale dalla mia bocca che persino io, nel video,
sembravo
essermene stupita.
Seguiva
un primo
piano di me che firmavo il foglio.
Porca.
Miseria. Ora come mi tiro fuori da questa situazione?
Non
solo ero
ricaduta nell’1% di probabilità
d’insuccesso della teoria di Lily, ma ero stata
battuta per KO tecnico.
-
Vuoi anche lo
zoom per verificare che sia veramente tu quella che scrive? - mi chiese
sghignazzando.
E
quella risata cristallina
mi fece capire che non sarebbe stato così facile liberarsi
di una scommessa
fatta da ubriaca ad un ballerino sconosciuto di uno strip-club.
Let’s
make a bet
We'll
make a bargain and call this truce
Let's
make a bet
I'm
in loss and win or lose with you.
Il
titolo di ogni capitolo fa e farà riferimento ad una canzone
di vari autori, modificata o meno a seconda della necessità.
Anche alla fine
del capitolo c’è una strofa della stessa canzone.
Per
questa prima parte della storia ho scelto una canzone dei
Foo Fighters, dall’omonimo titolo.
S.
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2. 21 Samtury Breakdown. ***
2.
21 Samtury Breakdown.
Da
quando Nick
aveva iniziato a raccontarmi su cosa esattamente vertesse la nostra
scommessa,
ero rimasta senza parole, incapace di credere che la mia
stupidità - oltre alla
mia indiscutibile sbronza - mi avesse portato ad accettarne i termini e
le
condizioni.
- E
quindi in
sostanza vincerà chi tra noi due riuscirà a
portarsi a letto per primo,
portando delle prove, un appartenente per ogni categoria professionale
da noi
stabilita. Ieri eravamo arrivati a quota… -
consultò brevemente il foglio che
teneva in mano e su cui era apposta la mia firma tremolante. -
Dieci”.
Che
cosa?
- Ti
prego dimmi
che è un incubo! - mugolai,
portando le
mani sulla faccia, quasi a nascondermi da quella realtà
assurda.
Il
ragazzo dagli
occhi di ghiaccio rise di gusto e si appoggiò con un gomito
al bancone.
- Io
non sono una
sgualdrina. Non puoi pretendere che, per gioco, vada a letto con dieci
uomini,
per di più solo per il loro mestiere! - mi lamentai.
-
“Sammy non
disperarti; - mi consolò lui avvicinandosi. - Forse ne
troverai qualcuno che ha
un doppio impiego. Due in uno. Metà lavoro.
Ah.
Ah. Ah. Davvero divertente.
- E
poi, scusami
tanto, - aggiunsi. - Che razza di prove vorresti? Un filmino hard?
Nick
parve
pensarci, con mia profonda indignazione. La
prossima volta, Sam, ricordati d’indossare un cartello con
scritto ‘STO
SCHERZANDO!’ quando vuoi fare
dell’ironia
con un uomo. È pur sempre un maschio; certe cose proprio non
le può capire.
-
Non ci avevo
pensato, effettivamente. Ma suppongo di potermi accontentare di un
oggetto,
diciamo, molto personale del soggetto in questione. Qualcosa a contatto
diretto
con la sua intimità… - concluse.
-
Tutto questo
giro di parole per dire…?
Non
ero
assolutamente in vena di indovinelli.
- I
boxer, Sammy,
i boxer! - mi rispose spazientito. - Io, invece, ti porterò
le mutandine. Ed è
chiaro che sarà necessaria anche una foto che testimoni il
momento di
divertimento trascorso insieme.
-
Secondo te io mi
metto a fare una foto in quel momento? E allora tanto vale nascondere
una
telecamera e fare un video!
Lui
mi guardò
incuriosito.
Cavolo,
il cartello!
- Io
non ho alcun
problema a procurarti un filmino per ogni ragazza con cui
starò. Sai, le donne
tendono a voler immortalare i momenti passati con uno come me
– ammiccò.
L’ego
di
quell’uomo era talmente grande che quasi riempiva la stanza.
-
Non ho nessuna
intenzione, e con questo non dico che accetto, di guardare ore e ore di
filmati
in cui tu fai sesso… non dispongo di tutto quel tempo. A
meno che, chiaramente,
non si tratti di qualche minuto in totale. Vai,
Sam! La durata dell’amplesso è sempre un
tasto dolente per i maschietti.
Nick
ignorò la mia
battuta e proseguì.
-
Allora siamo
d’accordo. Vada per i video.
Nononononononononono!
Gli
lanciai
un’occhiataccia che non lasciava nulla
all’interpretazione.
- Tu
sei pazzo se
pensi che io possa accettare di prestarmi a tutto questo.
Nick
non si
scompose neanche per un secondo.
-
Sammy, tu hai già
accettato - mi
rispose, sventolando quel dannato foglio
che riportava la mia dannata firma con un dannato ghigno di scherno
stampato
sul viso.
Maledetta
me e
maledetta Katy che aveva scelto quel posto per l’addio al
nubilato di Valerie!
Tutt’ad
un tratto
mi sentii debole e mi sedetti sul primo sgabello che trovai,
frizionandomi le
tempie con lo sguardo rivolto verso il basso. Non poteva essere vera
tutta
questa situazione. Doveva essere un sogno. No, ma che dico, una candid
camera! Dai, dove sono le telecamere?
La
voce del mio
interlocutore mi riportò con la mente al Pumping
Pumpkin. Aveva persino assunto un’espressione
seria, lontana anni luce da
quell’aria canzonatoria che non aveva, dall'inizio del nostro
incontro, mai
abbandonato.
-
Ascolta, non
posso forzarti a fare qualcosa se non te la senti.
Ma
allora un briciolo di umanità ce l’hai! I miei
occhi scuri si risvegliarono come da un
lungo sonno, un letargo di mesi. Un sorriso si fece posto sul mio volto
e io
iniziai a sentirmi come Hulk:
invincibile.
-
Sì, esatto –
dissi. – Proprio non me la sento.
La
mimica facciale
da bimba orfana, con la casa bruciata e senza lavoro non so proprio da
dove la
presi. L’unica cosa che contava era che sortisse effetto
sulla coscienza di
Nick.
-
È chiaro che se
una puritana del ventunesimo secolo come te trova offensivo tutto il
contesto,
mica la puoi costringere ad andare contro la sua morale, per quanto
scadente
essa possa essere. D’altra parte, non è da tutti
avere le palle per tener fede
alla parola data quando si tratta di uscire un po’ dai soliti
schemi.
Nick,
definisci un
po’.
Ora
non mi
guardava più in viso, ma fingeva di scartabellare i fogli
lasciati su di una
sedia dal signore pelato prima di sparire nel retro. Sentii la bile
risalire
dallo stomaco e una crescente rabbia pervadere tutto il mio corpo, fino
alla
punta delle dita, che si chiusero in un pugno. Il mio orgoglio era
appena stato
abbattuto da un missile terra-aria.
Calma,
Sam, calma. Fatti due calcoli prima di spaccargli quegli zigomi
spigolosi e…
così belli! Come quei capelli spettinati in cui vorresti
tanto infilare le mani
e… ACCIDENTI!, devi distruggerlo, non pensare a quanto
perfettamente si
incastrerebbero i vostri corpi appiccicati l’uno
all’altro… UDG. Urge. Doccia.
Gelata.
Dopo
un attimo di
esitazione, pensai che tanto valeva dimenticare il mio ego, se questo
avesse
significato risparmiare soldi e sbarazzarmi una volta per tutte di quel
bellimbusto presuntuoso. Ingoiai il rospo che avevo in gola e mi decisi
a
rispondergli.
-
Già, la puritana
in questione ha una reputazione a cui tiene e che gradirebbe resistesse
almeno
ancora per qualche decina d’anni. Ma mi rendo conto che
l’onore è un lusso per
pochi.
Avevo
cercato di
contenere la rabbia, ma mica potevo fare miracoli!
Nick
parve
incassare il colpo.
-
D’accordo. Come preferisci.
Scommessa annullata - si limitò a dire, scuotendo le spalle
e agitando la mano
in aria ad indicare che per lui la cosa finiva lì.
Soddisfatta
per
aver risolto la situazione, mi rialzai dallo sgabello con
l’intenzione di
salutarlo velocemente e andarmene a casa.
-
Beh, allora ciao.
-
Ciao Sammy,
stammi bene. L’assegno da 3000 sterline portamelo pure qui
quando vuoi - mi
disse, trattenendo a stento un risolino e tornando velocemente con lo
sguardo
rivolto ai documenti che aveva in mano.
Risolto
la
situazione, un corno.
-
Temo di non aver
capito bene; - cominciai. - La scommessa è annullata.
Perché dovrei darti del
denaro?
Lui
si finse
sorpreso della mia reazione e proseguì tranquillo:
-
Oh, Katy non te
l’ha detto? - Katy?
E ora che c’entrava
la consulente legale di Music Magazine,
nonché co-fondatrice? La mia faccia sorpresa lo
divertì e lo spronò a
continuare. - Sai, temevo che potesse succedere una cosa del genere. E
lei mi
ha consigliato di farti firmare anche questo. Estrasse un foglio dal
plico che
c’era sulla sedia e me lo porse.
Un
attimo: come
poteva essere Katy stata in grado di connettere il cervello quando la
sua
materia grigia stava nuotando nella tequila? All'improvviso, nei
meandri della
mia scatola cranica, si accese una lampadina: il video che mi aveva
mostrato
Nick. Io che firmavo e lei che stava per vomitare. Quella tappa in
bagno doveva
averle restituito un barlume di lucidità. E la stronza
l’aveva usato contro di
me.
Non
capivo il
motivo che l’avesse spinta a farlo. Certo, non
c’era mai stata grande empatia
tra di noi, ma questo non la giustificava affatto. E, comunque, non
poteva
essere di sicuro perché ero uscita con Christian,
l’opinionista più pagato di MM
per cui lei aveva una cotta colossale
da un paio d’anni. No, voglio dire, era già
passata… una settimana. Sette
lunghissimi giorni. Okay, era probabile lo avesse fatto per questo.
D’un
tratto, tutto
fu molto più chiaro: quella volta che mi aveva acciuffato il
collo da dietro,
stringendo sulla carotide, non mi stava esattamente facendo un nuovo
massaggio
thailandese come aveva detto a me e a Val, nel momento in cui era
entrata nel
mio ufficio per consegnarmi delle carte. E immagino che neanche quando
ero
accidentalmente inciampata nel suo piede, finendo con la testa a una
manciata
di centimetri dallo spigolo della sua scrivania, fosse stata tutta una
casualità.
Brutta
vipera finta bionda: me la pagherai.
Ma
al momento
avevo altro a cui pensare; dovevo pensare a Nick e…
perché i suoi occhi mi
stanno fissando come se fossi una pazza? Cacchio! Mi ero persa nei miei
pensieri e probabilmente erano parecchi minuti che attendeva che io
afferrassi
il foglio che mi aveva porto. Glielo strappai dalle mani e cominciai a
leggerlo.
Io,
Samantha Eleanor Grayson, nata a Glasgow il 13/03/86, - il gruppo sanguigno non gliel’hai dato?
- mi impegno a mantenere gli accordi presi
con il signor Nicholas John
MacCord, nato a Londra il 17/10/85, in base al contratto stipulato in
data 13
agosto 2010 presso il Pumping Pumpkin
di Londra. Nel caso in cui, però, dovessero insorgere
circostanze tali per cui
fossi impossibilitata a rispettare i nostri patti, a
quest’ultimo spetterà l’intero
valore della scommessa, ammontante a sterline 1500, più un
bonus di sterline
500 a titolo di risarcimento.
Mancava
un post
scriptum: “Questo Nicholas John
MacCord
ti sta fregando alla grande. E io, Katy, ci godo”.
Lei e la sua stupida
laurea in legge.
E
poi risarcimento
di cosa? Per non essersi portato a letto dieci donne in più?
Il capitolo sesso
non doveva essere un grande problema per mister So-come-agitare-il-culo;
se non lo avesse fatto per la nostra
scommessa, avrebbe sicuramente trovato un altro pretesto, e altre dieci
ragazze, per divertirsi sotto le lenzuola.
-
Non ho intenzione
di darti nemmeno un centesimo! - sbottai.
Lui
tirò un
sospiro.
-
Sammy, Sammy,
Sammy… quei soldi mi spettano perché tu non hai
rispettato gli accordi. Punto.
Non vedo cosa ci sia da discutere.
- Ah
sì? Portami
in tribunale allora.
Appunto
mentale: basta repliche di Ally
MacBeal.
Nick
esplose in
una risata fragorosa.
-
Vedo che sei una
tipa tosta. Ma non quanto me. Vedi, voi donne siete quanto di
più prevedibile in
certe cose. Come le scommesse, ad esempio. Prima, tutte spavalde ed
arroganti e
poi tornate ad implorarci di annullare tutto, con la coda fra le gambe.
Il
tuo tono era
derisorio ed irritante.
-
Non mi importa
granché delle tue considerazioni sull'universo femminile -
gli dissi,
infastidita.
Lui
si avvicinò
con l’intenzione di puntare i suoi occhi direttamente nei
miei.
- Ma
forse
t’importa del tuo lavoro. E si dà il caso che il
sottoscritto sia in possesso
di un video, girato ieri sera, in cui qualcuno parla in termini molto
poco
lusinghieri di un certo signor Larson, augurandogli, tra le altre cose,
- e
strizzò gli occhi, come per ricordare meglio. - Che
“la sua nuova moglie
pseudo-minorenne lo tradisca con quel fallito di
suo figlio e che un fulmine gli colpisca quella specie di vecchio
muscolo
bavoso che ha nelle mutande.” Il deserto del Sahara
doveva essersi
trasferito nel mio cervello. Come avevo potuto sparare a zero sul mio
ex capo
in un video?! Non che non fossero vere, o che non le pensassi, tutte
quelle
cose che avevo detto. Si sa, in tequila
veritas.
Ma
ora le cose mi
mettevano male per me e il mio futuro lavorativo. Optai per il silenzio.
- Ho
fatto una
ricerca su Google – proseguì. - E pare proprio che
questo Larson sia al vertice
dell’élite internazionale degli editori. Sai,
basta che il video finisca nelle
mani sbagliate e la tua promettente carriera di giornalista
è finita. Certo,
potresti sempre trasferirti in Antartide; forse ai pinguini serve una
cronista”.
E
mentre mi
parlava, mi sorrise. Sapeva di avermi in pugno. Tanto valeva giocarsi
l’ultima
cartuccia.
-
D’accordo,
d’accordo. Ti pagherò. Ma non 3000 sterline! Sono
un sacco di soldi. Dove pensi
che li trovi? Semplice, Sam, sul tuo
conto corrente. Però lui non lo sapeva. Almeno questo!
Nick
spostò di
lato la testa, verso la spalla, e inarcò le sopracciglia.
-
Non prendiamoci
in giro, Sammy. So perfettamente che in quei giornaletti come quello
per cui
lavori, si guadagna bene.
Va
bene, okay, non
ero proprio una morta di fame, al contrario di quello che volevo fargli
credere, e non mi potevo certo lamentare del mio stipendio.
Però quelle
sterline mi servivano: cibo, bollette, libri, qualche cenetta fuori con
gli
amici, la nuova pochette di Dolce&Gabbana…
quella blu, bellissima, con il fiocco e il logo in basso, piccolo e
discreto.
Ogni volta che passavo vicino a Piccadilly, potevo sentire forte e
chiaro il
suo richiamo provenire dal negozio in Old Bond Street: comprami!
Con
quale coraggio
mi avrebbe chiesto di rinunciare a comprare, come ogni mese, una borsa?
Uomo
senza cuore. Uomo senza cuore a cui corrispondeva Sam senza pochette.
Inaccettabile!
O
forse voleva che
facessi a meno del cibo o, ancora, farmi finire dietro le sbarre per
evasione
fiscale come Al Capone?
- A
me servono
quei soldi! – gridai. - Sai, vivo sola e mi devo mantenere in
qualche modo.
Cercai
di
ammorbidirlo fingendomi cordiale e sbattendo le ciglia come fossi una
gattamorta.
Mi
ero avvicinata
a lui e gli avevo toccato un braccio, per enfatizzare il finto pathos
che stavo
cercando di creare. Sam Grayson, la novella Piccola Fiammiferaia.
Da
sotto la manica
della felpa col cappuccio che indossava, potevo sentire i muscoli
forti, anche
se non erano in trazione. Nick, per tutta risposta a quel contatto,
guardò
prima curioso la mia mano su di lui e poi dritto nelle mie pupille.
Mi
sentii
lievemente a disagio; i suoi occhi erano così profondi che
per un secondo
rimasi imbambolata a fissarli, come ipnotizzata. Lui finse di non
accorgersene
e distolse lo sguardo, a sua volta imbarazzato. Gli ero grata per il
fatto di
non aver commentato il mio rimbambim…
-
Ehi, Bella
Addormentata! Mi stai immaginando ancora vestito da pompiere?
– disse, ridendo
come un pazzo. Dicevo?
Arrossii
nella
frazione di un secondo, togliendo immediatamente la mia mano dal suo
braccio, arrabbiata
più con me stessa che con lui.
-
Stavo solo
pensando! - mi difesi, cercando di ostentare una sicurezza che non mi
apparteneva.
-
Sì, stavi
pensando a me, nudo.
Non riusciva a trattenere le
risa e il mio
viso si contrasse in una smorfia d’irritazione.
Mmm,
Sam, quanto sconveniente sarebbe per te, per la tua carriera e per la
tua vita
la voce omicidio sulla tua fedina penale?
- La
tua autostima
raggiunge livelli inesplorati - lo schernii. - E poi, se vogliamo
proprio dirla
tutta, Manuel era molto più attraente di te, vestito da
poliziotto.
Bugiarda. Ma, in
qualche modo, dovevo
pure graffiare il suo ego di maschietto pieno di sé.
- De
gustibus non
disputandum est. Pensava forse d’impressionarmi citando una
frase in perfetto
latino? Beh, un po’ c’era riuscito. Un pochino solo.
Non
sapevo cosa
rispondere, così fu lui a riprendere la parola:
-
Anche se,
ripensandoci, è a me, e non a Manuel, che hai fatto vedere
il contenuto del tuo
reggiseno nero con i cuoricini rosa.
Gli
occhi mi
balzarono fuori dalle orbite; i suoi ammiccamenti mi stavano procurando
strane
sensazioni che non ero in grado di decifrare. Più continuava
la nostra
conversazione, più emergevano dettagli poco edificanti che
riguardavano la mia
persona. O, meglio, la mia doppia personalità: Sam la
puritana sobria contro
Sammy l’arrapata ubriaca. Due mondi paralleli destinati a non
incontrarsi mai.
Decisi che era arrivato il momento di stabilire la tecnica
più adatta per
passare al contrattacco.
La
mia mente
elaborò due possibili alternative: la prima era prendere uno
degli sgabelli del
Pumping Pumpkin e scaraventarlo in
testa a Nick. Trauma cranico assicurato e, con un po’ di
fortuna, memoria in
stand-by per almeno un paio di giorni. Tempo, sì, limitato,
ma sufficiente ad
espatriare e dimenticarmi per sempre di quel bel faccino e di questa
scommessa.
La
seconda opzione
era sicuramente meno divertente: dargli ragione, fargli due moine e
poco più e
così convincerlo ad abbandonare l’idea di
continuare il gioco. Stabilii che il
punto di partenza fosse quest’ultima alternativa. Mi
avvicinai a lui, a passi
lenti, e cercai direttamente il contatto fisico con il suo corpo.
-
Senti, Nick -
dissi, giocherellando con i lacci del cappuccio della sua felpa. -
Forse siamo
partiti col piede sbagliato, io e te.
Mi
guardò stupito
e curioso, con un mezzo sorriso sulle labbra socchiuse, dandomi un
tacito
consenso a flirtare con lui. Ebbi un sussulto. Quegli occhi puntati su
di me
erano color ghiaccio eppure mi stavano bruciando. Che
succede? Nessuna risposta. Terra chiama Sam! Sam?
Distolsi
lo guardo
per qualche secondo per riprendere il controllo della situazione, senza
però
rinunciare a stargli così vicino. Mi feci coraggio per
continuare e, con mia
grande sorpresa, lui posò le sue mani sui miei fianchi,
racchiudendomi
completamente nelle sue spalle larghe e tirandomi a sé.
Ce
l’ho fatta!
-
Hai ragione; -
mi anticipò. - Forse potremmo risolvere la questione in un
altro modo”.
E
via con gli
occhi da cerbiatta - grazie Lily, i tuoi
insegnamenti tornano sempre utili!
Lui
piegò la testa
di lato e mi sorrise, riducendo ulteriormente la distanza tra le nostre
labbra
a qualche centimetro. Il mio cuore cominciò a battere
all’impazzata. Doveva
essere l’adrenalina; dopotutto, stavo per usare contro di lui
l’arma più
efficace che le donne hanno a disposizione per creare e distruggere un
uomo: sé
stesse.
- Mi
piacerebbe
molto trovare un compromesso con te, per venirci incontro… -
esclamò
con voce sensuale.
Sentivo
le ginocchia
molli. Oddio, cos’è? Un
calo di zuccheri?
- E
allora
proviamoci.
Lasciai
che il
doppio senso venisse percepito anche da lui. Nick ci impiegò
esattamente mezzo
secondo a coglierlo. E figurati! Quando si tratta di sesso, gli uomini
hanno
sempre le antenne drizzate. Tutte
le
antenne, nel migliore dei casi.
Chiuse
gli occhi e
io feci altrettanto, mentre si avvicinava ancora più alla
mia bocca.
-
Sammy? chiese
suadente.
-
“Sì?” mi uscì
una voce che sembrava il rantolo di un gatto a cui è stata
pestata la coda. Che
figura! Socchiusi le palpebre e lo vidi ancora lì, a
distanza ravvicinatissima
da me.
-
Questo trucco
l’ho inventato io.
Il suo tono era
completamente cambiato: era
normale. Non più sexy, seducente o invitante…
solo normale. E derisorio.
Spalancai
gli
occhi e mi sentii umiliata come mai mi era capitato in vita mia. Potevo
sentire
le rotelle del mio cervello girare vorticosamente e giurai di aver
visto uscire
del fumo dalle mie orecchie. Ero furiosa; e lui,
l’imbecille-idiota-stronzo,
rideva di me.
D’un
tratto,
l’opzione dello sgabello in testa non mi sembrò
più così impraticabile.Non feci
nulla per mantenere la calma:
-
Idiota! - gli
dissi, rifilandogli una serie di sberle sulle braccia che lui cercava
di parare
in tutti i modi.
- Oh
oh,
tranquilla Rocky. Guarda che mi stavi quasi per convincere prima.
Però hai
dimenticato un particolare: è il mio lavoro sedurre le
persone, non il tuo.
Bla
bla bla… ma sentilo!
E di nuovo quello sguardo che avrebbe ammaliato anche un cieco.
-
Sei solo un
pallone gonfiato! - gli urlai in faccia. Nick mi guardò
perplesso, ma era
chiaro che la situazione lo stuzzicava. - Ti diverti ad ingannare la
gente?
Da
che pulpito, Sam.
- Io? Io inganno la gente? - era
sbigottito. - Sbaglio o eri tu quella che tre secondi fa ha cercato di
svendersi, pur di liberarsi di una scommessa?
Svendermi…
che
esagerato. Avevo solo cercato di fargli due moine per addolcirlo un
po’. Non
era svendersi quello, no?
-
Con me il
vittimismo non funziona, mio caro; l’aria da santarellino non
ti si addice per
niente.
- A
te la faccia
da frigida sì, però!
Frigida
a chi?
D’accordo
erano
cinque o sei mesi che non facevo sesso e non ne sentivo molto la
mancanza. Mi
capitava di pensarci quelle due, tre o trenta volte al giorno. Sam, notizie per te: hai bisogno di un uomo.
Christian era stato un vero flop: mi aveva portato fuori a cena in un
ristorante elegante e mi erano bastati un paio di minuti per capire che
non
sarebbe finito in camera da letto, almeno non con me. In effetti,
sembrava
molto più interessato al cameriere. Forse avrei dovuto dirlo
a Katy; mi sarei
risparmiata qualche tentato omicidio ai miei danni e molti altri
potenziali
tentativi di sabotaggio.
-
Non credo
proprio. La mia vita sessuale va a meraviglia.
Come
no? Chiamatemi Sasha Grey d’ora in poi.
Nick
mi squadrò da
capo a piedi con l’espressione di chi non pare convinto di
ciò che sta
ascoltando.
-
Sammy, dì la
verità. Da quant’è che non ti diverti
un po’ in orizzontale?
Sperai
che la
frase che mi era appena stata rivolta fosse frutto della mia fervida
immaginazione. L’ultima volta che l’avevo sentita
era stata probabilmente al
terzo anno di liceo, nel retro della monovolume del playmaker della
squadra di
basket della scuola: Paul Kingsley.
“Giochiamo
un po’ in orizzontale? Rabbrividii al pensiero.
Ero stata tutto il tempo in
attesa che la cosa finisse. Lui
pensò
di essere uno stallone e io glielo lasciai credere.
Gli
uomini credono
a tutto ciò che le donne vogliono far loro credere. Ed io voglio che tu, Nick, pensi esattamente di me
quello che non sono:
una ragazza che passa di letto in letto.
-
Non che siano affari
tuoi, comunque due giorni.
In
fondo non era
proprio una balla gigantesca; era solo l’omissione di due
zeri.
-
Non ci credo -
mi rispose lui, incrociando le braccia sul petto.
- E
perché scusa?
Non ti sembra possibile che un uomo voglia fare sesso con me? - chiesi
senza
riuscire a fermare il tremolio alla gamba, che fremeva per la risposta.
-
Assolutamente
no. Con un paio di tappi nelle orecchie per non sentirti, saresti un
bocconcino
- mi strizzò l’occhio.
- Lo
so che è
difficile per te confrontarsi con una donna dotata di un qualcosa
chiamato cervello. È
situato nel cranio, sai, una
zona ad una ventina di centimetri sopra le tette. Capisci? –
dissi, trattandolo
come un bambino che deve imparare l’alfabeto.
-
Sei acida e
questo può voler dire solo una cosa: calma piatta tra le
lenzuola da almeno,
diciamo… un paio di mesi.
Sì,
ottimista.
- Ti
ho detto due
giorni! - Mi stavo spazientendo.
- E
io ti ho detto
che non ci credo.
-
È un problema
tuo.
Sgrrr.
Il rumore degli specchi su cui mi stavo arrampicando.
-
Cosa c’è? Non sei
in grado di tenerti un uomo?
- Io
sono
perfettamente in grado di tenermi un uomo!
Sicura?
- E
allora perché
non sei fidanzata? - mi incalzò. Esattamente cosa non gli
avevo detto la sera
prima?
-
Perché non
esiste un ragazzo che sia alla mia altezza.
Questa
potevi risparmiartela, Sam; sono le stesse identiche parole che ti
diceva tua
madre quando avevi tredici anni e i brufoli si erano impossessati della
tua
faccia, impedendoti di trovare uno straccio di fidanzato.
Nick
alzò un
sopracciglio.
-
Hai solo paura.
-
Paura? E di
cosa, sentiamo.
Risata
isterica.
- Di
metterti in
gioco, di divertirti un po’. Sei talmente inquadrata nei tuoi
stupidi limiti
che se solo pensi di infrangerli, ti senti in colpa - si
avvicinò a me,
abbassando il tono di voce. - Accetta la scommessa, Sammy”.
Gli
voltai le
spalle e presi la borsa, pronta ad andarmene.
-
Non farmi
perdere tempo - sussurrai. Mi bloccò il braccio.
-
Codarda.
-
Lasciami stare e
mollami il braccio - gli intimai.
-
Vigliacca.
Il suo tono era freddo e
distaccato. Per un
attimo ebbi quasi paura di lui, ma il nervosismo prese il sopravvento.
- Non sono vigliacca. Sono
molto più coraggiosa
di quanto credi.
-
Accetta la
scommessa.
Ormai
stavamo
gridando.
- Ho
detto no!
Sono una persona seria, io.
Non
mi stava
nemmeno ascoltando.
-
Balle. Sei solo
una ragazzina.
La
sua espressione
disgustata mi fece trasalire.
-
Come ti permetti?
Neanche mi conosci e...
-
Provami che non
è così!
Il
pelato si
affacciò dalla porta del retro; le nostre urla dovevano
averlo messo in
allerta. Appurato, poi, che eravamo solo io e Nick che stavamo
discutendo,
ritornò nel retro, disinteressato.
- Io
non… - mi
liberai dalla sua presa, incapace, però, di muovere le gambe
per uscire dal
locale.
-
Tira fuori le
palle, Sammy.
-
Tu… - non
riuscii a terminare la frase.
Codarda.
Vigliacca. Ragazzina.
Le
parole di Nick
mi riecheggiavano continuamente in testa.
Codarda.
-
Sammy, accetta
la scommessa.
Vigliacca.
-
Hai solo paura.
Ragazzina.
-
Dimostrami che
sai metterti in gioco.
Sentii
che non
avrei retto a lungo tutta quella pressione: il cuore correva follemente
e la
mente non riusciva a stargli dietro.
-
Sammy, provami
che mi sono sbagliato su di te - gli uscì dalla bocca quasi
come una supplica.
-
Ma… - continuava
a non lasciarmi parlare e ciò non faceva altro che
accrescere il mio rancore.
-
Accetta.
-
Smettila - cacciai
indietro le lacrime; non volevo mostrarmi fragile ai suoi occhi.
-
Smettila tu di
fare la bambina!
-
Non lo sono!
Stavo
per
esplodere dalla rabbia e lui lo aveva capito dal tono della mia voce.
-
Sammy, dimmi di
sì.
- No!
-
Sì.
- No!
-
Accetta!
-
D’accordo! -
urlai, paonazza in volto.
Nick
mi guardò con
un sorriso malefico cucito sulla faccia: aveva raggiunto il suo scopo.
Cazzo! Ero entrata
al Pumping Pumpkin con
un’intenzione ben
precisa e ora l’avevo appena stravolta; ma avrei fatto di
tutto per levare da
quegli occhi di ghiaccio la convinzione di avere la vittoria in tasca.
Mi
allungò la mano
per sigillare l’accordo e io gliela strinsi più
forte che potei. Naturalmente
lui neanche se ne accorse.
-
Bene Sammy. Ora
che tutto è stato chiarito, direi di non indugiare oltre.
Estrasse
da dietro
il bancone una boccia come quella per i pesci rossi.
All’interno c’erano dei
foglietti piegati su se stessi.
-
Pesca! - mi
disse, ma io non mi mossi d’un millimetro e la mia faccia a
punto interrogativo
lo costrinse a spiegarsi.
-
Qui dentro ci
sono dieci bigliettini, ciascuno con una professione. Scegline uno e
quello
sarà il nostro compito per la settimana.
Che
stronzo! Se li
aveva preparati, significava che sapeva già che, in un modo
o nell’altro, mi
avrebbe convinta.
Infilai
la mano
nel contenitore e presi un bigliettino. Lo tirai fuori e lessi: cantante.
Cantante? Mi
aspettavo macellaio,
cameriere, postino… lavori normali. E ora dove lo trovavo un
cantante?
- Lo
fai vedere
anche a me?
Mi
voltai verso
Nick e gli porsi il foglietto, che lui sbirciò brevemente.
-
Bene, – continuò.
- Ora ti lascio, devo fare qualche chiamata -Mi
voltò le spalle, incamminandosi verso il
retro del locale e aggiunse. - E non provare a rifilarmene uno da piano
bar;
voglio qualcuno di famoso. Tu lavori per Music
Magazine, non ti sarà così difficile.
Comunque mi faccio vivo io. Ciao
Sammy.
Sparì
dietro la
porta, salutandomi con la mano senza nemmeno voltarsi. Non risposi.
Okay,
non è facile come credevi, Sam; ma puoi farcela, devi
farcela per sbattere la
tua vittoria in faccia a Nick.
Era
ora di
raggiungere l’infinito: far incontrare i due mondi paralleli
di Sam la puritana
sobria con Sammy l’arrapata ubriaca.
Stava
per nascere Sam l’arrapata sobria.
21st
Century Breakdown
I
once was lost but never was found
I
think I am losing
What's
left of my mind
To the 21st
century
deadline
Innanzitutto
grazie a chi ha impiegato un po’ del suo tempo a
leggere questa storia!
Quest’oggi
la canzone del titolo è, chiaramente, “21 Century
Breakdown” dei Green Day.
Un
particolare ringraziamento va a:
Rose
in Winter : non so che dire… GRAZIE! Per i complimenti e
per la pubblicità, per tutto! Spero solo di non aver deluso
le tue aspettative!
Inconsciamente, mi avete fatto venire l’ansia da
prestazione!Ahahahah… baci!
Emily
Doyle : anche io adoro l’Inghilterra ed effettivamente
ciò
che ho scritto sulla Scozia e su Glasgow è un pensiero mio!
Sono contenta che
il primo capitolo ti sia piaciuto e spero che questo secondo e i
prossimi non
ti deludano! Un bacio.
SunshinePol
: siamo talmente tanto amiche che, anche se non ti
avevo detto nulla e avevo cambiato account, mi hai sgamato tipo dopo 3
secondi
:D grazie tesoro!
Wingedangel
: grazie anche a te! Fa sempre piacere sapere che il
tempo impiegato a scrivere (rubato giustamente allo studio)
è ricompensato
dalle critiche positive dei lettori. MI auguro ti piaccia anche il
secondo
capito (e il resto, eventualmente)! Baci.
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3. Let Me Live. ***
Capitolo
tre. Let
me live.
[- Buongiorno
Londra! Sono le
6.45 di questo splendido lunedì mattina.
C’è il sole e sono sicuro che avrete
una magnifica giornata! Chiamateci e raccontateci i vostri programmi
per
quest’oggi. Qui che vi parla c‘è Peter
Grells, direttamente dalla vostra radio
preferita, K-100].
Stai zitto, pezzo d’idiota! E’
lunedì mattina, chi diavolo vuoi che ti
chiami a quest’ora?
Allungai la mano per spegnere la radio sveglia e mi rigirai nel letto.
Avevo
sempre avuto problemi ad abbandonare le braccia di Morfeo e a
comunicare
serenamente con il resto del mondo per la prima mezzora.
Romeo dormiva pacificamente in fondo al letto, pur sapendo che non
approvavo
che spargesse i suoi peli sulla trapunta. Gli avevo persino comprato
una cuccia
da interni tutta imbottita che avrebbe fatto invidia a qualunque gatto,
ma non
a lui. Non c’era nulla da fare: se si metteva in testa
qualcosa, non c’era
verso di fargli cambiare idea.
Mi alzai a tentoni e per poco non scivolai su un maglione che doveva
essere
caduto dall’attaccapanni.Cominciamo bene.
Filai diritta in bagno per farmi una doccia bollente e rilassante,
prima di
affrontare la lunga mattinata in ufficio, e mi preparai, da buona
inglese, una
bella tazza di tè.
Il telefono di casa cominciò a squillare; afferrai la
cornetta con rabbia e
risposi sgarbatamente.
- “Pronto?”.
- “Buongiorno tesoro”.
- “Ciao mamma. Lo sai che è illegale chiamare la
gente a quest’ora?”.
- “Smettila di dire stupidaggini, Sam”. La sua voce
sempre così piena di brio
ed entusiasmo era nauseante di prima mattina.
- “Che c’è? E’ morto
qualcuno?”. Wow, umorismo nero
già all’alba. Mia
madre non sembrò gradire e, per mia fortuna, il suo tono si
abbassò di qualche
decibel.
- “Non sei per niente simpatica,sai? - recuperò in
breve la sua allegria -
Comunque ti ho chiamata per informarti che il prossimo fine settimana
io e tuo
padre verremo a Londra”.
Traduzione: prossimo weekend rovinato.
Grace e Philip Grayson, i miei, non erano esattamente
l’ideale universale di
divertimento. Sam, mi pare che tu debba stare zitta:
pensavi di
essertela spassata al Pumping Pumpkin e
sappiamo tutti com’è
andata a finire.
- “E’ fantastico.- dissi senza entusiasmo
- E come mai?”. Dimmi
che non venite per me.
- “Innanzitutto per te tesoro! - Tac -
E poi dobbiamo sbrigare
qualche faccenda con la zia Annie, sai quella vecchia megera che abita
in una
casa di riposo poco distante da te”.
- “Mamma!” la rimproverai. Ma, dopotutto, come
darle torto? Quella donna era
davvero una befana. Era la sorella di mio nonno paterno e, per qualche
strana
ragione, odiava tutte le rappresentanti del gentil sesso della
parentela. In
famiglia, era meglio conosciuta come la zia C-Annie-vora,
perché
quando una di noi osava rivolgerle la parola, - oltretutto per
cortesia, visto
che se ne stava sempre in disparte -, lei rispondeva con una specie di
grugno
animalesco, che somigliava tanto al verso del cinghiale a caccia.
Era stata lei stessa a decidere di andarsene da Glasgow, dove viveva
sola, per
approdare nella caotica capitale in una residenza per anziani, nel
momento in
cui aveva capito che, a seguito di un malore, non sarebbe
più stata
autosufficiente. E, a onor del vero, nessuno dei familiari si era
opposto,
perché nessuno voleva rischiare di trascinarsela in casa e
prendersi cura di
lei ventiquattro ore su ventiquattro.
- “Sam, andiamo, sappiamo tutte due che razza di persona sia
quella donna. Ad
ogni modo, sbrigheremo due o tre cose all’ospizio e poi ci
dedicheremo
completamente a te”. Che fortuna!
- “A venerdì prossimo allora. Vi
preparerò la stanza degli ospiti” le dissi con
la chiara intenzione di chiudere in fretta la conversazione.
- “Grazie tesoro. Stammi bene!”.
Riattaccai, già annoiata al pensiero di come si sarebbe
evoluta la settimana
successiva con l’arrivo dei miei, e cominciai a vestirmi: una
camicia bianca
con i volant sotto un cardigan blu leggero e una gonna sopra al
ginocchio. Era
agosto, ma il tempo dell’Inghilterra non era mai una
certezza; meglio portarsi
qualcosa con cui coprirsi.
Mi lavai i denti e scelsi una borsa blu con scarpe coordinate. Ne
possedevo
talmente tante che non avevo mai problemi ad abbinarle con
ciò che indossavo.
Erano state, praticamente, un investimento.Perché
lasciare i soldi sotto il
materasso quando puoi indossarli ai piedi?
Uscii dal portone e osservai il cielo: sembrava limpido e,
così, abbandonai
l’idea del taxi in favore di una bella camminata di una
decina di minuti fino
all’ufficio. Una volta arrivata, salii con
l’ascensore fino al settimo
piano e mi diressi diretta alla scrivania di Val; era già
all’opera, sommersa
di documenti, e stava impartendo istruzioni alla sua assistente.
- “Allora chiama il manager di quel gruppo irlandese di Cork
e dì loro che Jake
andrà ad intervistarli venerdì nel tardo
pomeriggio al bar del loro hotel.
Spedisci queste carte al signor Johnson per lo spazio pubblicitario che
ha
richiesto e portami un cappuccino decente. Muoviti, dai!”.
Ahia. Val in versione Miranda Priestley de Il
diavolo veste
Prada. Doveva essere parecchio nervosa per via del
matrimonio, visto che
mancavano poco meno di tre giorni. Non aveva, però,
assolutamente voluto
prendersi le ferie almeno fino a mercoledì.
- “Valerie, calmati” le dissi, mentre la sua povera
assistente cercava di
destreggiarsi tra i mille compiti che le erano stati dettati. Lanciai a
quest’ultima un’occhiata comprensiva e le feci
cenno di uscire.
- “Calmarmi? Samantha lavoriamo in una rivista di
incompetenti e tu mi dici di
non agitarmi?”. Era tesa come una corda di violino.
- “Lo sai che non è vero. Sei solo stressata
perché tra qualche giorno ti sposi
e non ti sei presa neanche una giornata di pausa. Dammi retta, vai a
casa!” le
ordinai, con tono pacato.
Lei bevve un sorso della tisana che aveva davanti a sé.
- “Hai ragione, sarà meglio che mi concentri solo
sulle nozze. La verità è che
ho ancora del sonno arretrato dalla sera dell’addio al
nubilato”. Mi lanciò un
sorriso malizioso che mi fece tornare in mente l’obiettivo
primario per cui ero
andata nel suo ufficio: trovare un cantante.
- “Già, a chi lo dici! Comunque, Val…
parlando di lavoro, che concerti dobbiamo
seguire per il numero di settembre?”. Brava
Sam, dritta al punto.
Lei ci pensò su un attimo, impreparata alla mia domanda.
- “Dunque; stasera c’è Rihanna,
venerdì Elton John e domenica prossima Lady
Gaga”.
Cavolo, no! Donna, gay, donna.
- “Non c’è nessun altro?”
chiesi delusa e lei se ne sorprese.
- “Sam, lo sai che facciamo una cernita. Siamo un mensile e
mica possiamo
piazzare in tutte le pagine articoli sulle performance live dei
cantanti!”. Certo
che lo sapevo, ma ora come cavolo potevo fare per la scommessa?
- “Aspetta, però, c’è il
concerto di Ralph J tra due martedì”. Il lumicino
di
speranza che si era appena insinuato in me, morì sul
nascere. Tra due
martedì sarebbe stato troppo tardi, me ne
serviva uno entro quella
domenica!
- “Tutto bene, Sam?” mi chiese, vedendo la mia
faccia dubbiosa.
- “Sì, sì, non ti preoccupare. Chiedevo
solo”. Finsi un sorriso. Scusa
Val, ma raccontarti ora del guaio in mi sono cacciata sarebbe troppo
imbarazzante.
Le chiesi comunque se avesse potuto assegnarmi il pezzo sul rapper e
lei mi
disse che non c’erano problemi e che, anzi, in molti
l’avevano implorata di non
essere i prescelti. La salutai in fretta e furia e andai alla
mia
scrivania; accesi il computer e iniziai a sfogliare il taccuino con la
bozza
dell’articolo su una coppia di artisti locali che avevo
intervistato la
settimana precedente, con l’intenzione di sistemarla un
po’. Dopo un tempo
indefinibile, qualcuno mi scosse una spalla.
- “Ehi, Sam, svegliati! Certo che tu o dormi o hai la testa
fra le nuvole,
eh!”. Amanda rise e io arrossii dall’imbarazzo.
Lavoravo da poco tempo
per MM e già tutti, dai
proprietari alle signore delle pulizie
mi conoscevano come quella strana per
via della mia stupida
abitudine di fissare il vuoto, immersa nei miei stupidi pensieri.
- “Noi andiamo a pranzo. Vuoi venire?”. Pranzo? Guardai
l’orologio e notai che erano le 12.30. Avevo dormito per
quattro ore e il pc
era ormai in stand-by da chissà quanto.
- “Ehm… no grazie. Non ho fame” risposi,
ancora intontita e con la vista
vagamente annebbiata.
- “Capisco. Ci vediamo dopo allora. E guarda che ha detto
Valerie di riferirti
che anche tu dovresti andartene a casa perché hai confuso la
tastiera del
computer con la testiera del letto”. Lei ridacchiò
e io mi sentii ancora più
sciocca.
Tonta di una Sam!
- “Ops!” fu l’unica parola che mi
uscì. Amanda mi salutò sorridente e si
aggregò a Jade per andare a mangiare.
E meno male che non mi aveva trovato Katy, altrimenti a
quell’ora sarei stata
impegnata a trattare con San Pietro su quante cialde dargli per la sua
macchina
del caffè in cambio del mio ritorno sulla Terra. Troppa tv.
Corsi in bagno a darmi una sistemata, anche se l’ufficio era
ormai deserto, e
mi fissai allo specchio: che occhiaie!, ma, per fortuna, il trucco non
era
sbavato, né sugli occhi, né sulle labbra.
Labbra. Un ricordo. Le mie e le sue. Vicine.
- "Sammy,
accetta!".
- "D’accordo!".
Nick… avevo bisogno di lui. Cioè, avevo bisogno
di lui per una proroga
del compito settimanale. Ralph J
era la mia unica occasione di
pareggiare la scommessa; infatti, non avevo dubbi che lui avrebbe
rispettato la
sua parte di accordo.
Dovevo contattarlo. Tornai alla mia scrivania e cercai nella mia borsa
il
foglietto che avevo rinvenuto nel mio reggiseno e sul quale
c’era scritto il
suo numero.
Dannato biglietto, dove ti sei cacciato?
Finalmente lo trovai in una delle mille tasche e lo aprii con frenesia.
Presi
il mio cellulare. Non era il caso di usare il telefono
dell’ufficio per fini
personali; avevo già dormito sulla scrivania tutta la
mattina!
- “Pronto?” la sua inconfondibile voce.
- “Ciao Nick, sono Sam”.
- “Chi?”.
- “Grayson”. Nessuna risposta.
- “Sammy” mi arresi, ticchettando nervosamente la
matita sul bordo del mio tavolo.
- “Ah, sei tu. Che c’è, ti
manco?”. Lo immaginai sorridere.
Ma perché, perché, perché
l’ho chiamato!
- “No. Vorrei parlarti; ti disturbo?”
chiesi.
- “Tu? Disturbare? Sempre”. Diplomatica, dovevo
essere diplomatica.
- “Posso richiamarti più tardi?”.
- “Veramente no”. Sin dall‘asilo, di
preciso da quando avevo tirato una bambola
in testa ad una bambina che mi aveva rubato un pennarello, il mondo
aveva
conosciuto la mia impulsività e, in quel momento, feci
quello che per primo mi
passò nella mente: riagganciai, maledicendolo in tutte le
lingue conosciute sul
globo e lanciandogli, purtroppo solo metaforicamente, pugnali e
sciabole,
invece che bambole.
Brutto imbecille!
Attesi invano tutta la giornata che l’idiota mi richiamasse
per scusarsi o,
almeno, per giustificarsi, ma nulla di tutto ciò accadde.
Tornai a casa verso le 22.30 dopo aver passato la serata con alcuni
colleghi
all‘Irish pub proprio sotto il nostro ufficio, del quale,
ormai, eravamo
assidui frequentatori.
Stavo per girare la chiave nella serratura della porta di casa mia,
quando una
voce alle mie spalle mi sorprese.
- “E’ tuo questo gatto?”. Mi girai di
scatto, un po’ impaurita e notai un bel
ragazzo, occhi e capelli scuri, alto, che teneva in braccio Romeo.
- “Scusa, non volevo spaventarti!” mi disse
cortesemente con un forte accento
americano.
- “No, scusa a te, mi hai colto alla sprovvista. Comunque
sì, questo ficcanaso
è mio. Spero non ti abbia disturbato” gli risposi
sorridendo e prendendo Romeo
tra le mie di braccia.
- “No, no, per niente. Solo che l’ho trovato che
miagolava sullo zerbino di mio
nonno”.
Lo guardai confusa e lui capì di doversi spiegare meglio.
- “Ah, giusto, mio nonno è il signor Hansen. Mi ha
lasciato in custodia il suo
appartamento finché resterà dai miei a Portland,
in Oregon”.
- “A Portland? Non mi aveva detto che sarebbe partito. Lo
avrei salutato
volentieri”. Ero sinceramente dispiaciuta e anche Romeo lo
sarebbe stato.
- “Lo ha deciso in quattro e quattr’otto quando ha
saputo che sarei venuto a
Londra per lavoro per un paio di mesi. Però ha lasciato
questa per te.
Samantha, giusto?”. Mi porse una piccola busta che riportava
il mio nome.
- “Si, scusa. Sam, chiamami pure Sam” gli sorrisi e
presi la lettera che avrei
letto una volta rimasta sola.
- “E io sono Will. Ti stringerei la mano, ma vedo che sono un
po’ occupate”.
Effettivamente, tra Romeo e il biglietto, non avrei saputo come
ricambiare la
stretta. Ci scambiammo un’occhiata complice e, dopo tanto
tempo, sentii la
risata calda di un uomo, e non quella umiliante di Nick che mi prendeva
in
giro.
- “Ti va di entrare a bere qualcosa?” gli chiesi di
getto, sull‘onda
dell’entusiasmo.
- “Perché no? Sei la prima persona che conosco qui
a Londra, a parte il tuo
gatto, s’intende”. Mi si avvicino e
cominciò ad accarezzare Romeo, fissandomi
dritto negli occhi.
Erano talmente scuri che non riuscivo a distinguere i contorni della
pupilla,
che formava un tutt’uno con l’iride. Lo invitai ad
entrare soprattutto per
uscire da quella situazione d’imbarazzo.
- “Fai pure come se fossi a casa tua. Romeo, smettila di
grattare sulla porta!”
ammonii il mio micione che, offeso, se ne andò sul tappeto,
davanti al
caminetto spento.
- “Romeo? Sei un’amante di Shakespeare?”
mi chiese Will curioso.
Arrossii preventivamente per la risposta che avrei dato.
- “Ehm… veramente no. Cioè,
sì, mi piace Shakespeare - Sam, ti stai incartando
da sola -, ma non è per quello che l’ho chiamato
così. E’ per via del bambino
di cui ero innamorata alle elementari”. E
ora mi sotterrerò.
- “Dici sul serio?”. Dì
di no, dì di no.
- “Ebbene sì. E’ stato l’unico
fidanzato che non mi abbia deluso e, quindi,
l’ho voluto onorare in qualche modo”. Patetica.
Ridemmo entrambi.
- “Capisco. Posso avere quel drink che mi hai
promesso?” mi chiese con un
sorriso appena accennato.
Mi alzai velocemente dal divano, dov’ero seduta accanto a
lui, diretta in
cucina.
- “Certo, cosa bevi?”.
- “Del vino magari. Rosso, se ce l’hai”.
Ringraziai mio padre e la sua passione per le enoteche. Ogni volta che
andava
all’estero con mia madre, mi portava delle bottiglie che io,
in realtà, non
bevevo mai e che lasciavo godere agli amici durante le serate di
festa. Preparai
due calici e vi versai del vino francese di cui non sapevo nulla. Stavo
per
portarli in salotto, quando il campanello suonò. Guardai
l’orologio: erano
ormai quasi le ventitré, chi poteva cercarmi a
quell’ora?
Appoggiai uno dei calici sul mobile della sala e passai dietro al
divano su cui
Will era seduto e da dove mi seguì con lo sguardo fino alla
porta. Dallo
spioncino vidi la sua faccia: Nick. Ma come faceva a sapere dove
abitavo?
Doveva aver analizzato bene la mia borsa. Cavolo, no!
Proprio stasera
no! Vattene via! Sam, ignoralo, fingi di
non essere a casa. Certo,
Will penserà che sei un po’ strana, ma
sarà sempre meglio della figura che ti
farà fare quell’altro se lo fai entrare.
Rimasi nell’incertezza su come procedere per alcuni secondi,
che risultarono
essermi fatali.
- “Sammy, aprimi. Vedo la luce da sotto la
porta”.
Non osai voltarmi per vedere la faccia di Will.
- “Sammy, se non mi apri, citofono a tutti i tuoi vicini e
racconto della
nostra scom…”.
Spalancai la porta in mezzo secondo, salvo poi richiuderla quasi del
tutto,
infilandovi dentro soltanto la testa. Non volevo che vedesse che ero
con un
uomo.
- “… messa” terminò.
Sorrise a trentadue denti e io mi resi conto che, con lui, mi bastava
davvero
poco per farmi uscire dai gangheri.
- “Beh? Non mi inviti ad entrare?” chiese sorpreso.
- “Prima di tutto abbassa la voce, secondo non mi sembra il
caso” bisbigliai.
Lui alzò la testa per guardare dietro di me e io cercai in
tutti i modi di
impedirglielo, alzandomi sulle punte dei piedi per disturbargli la
visuale. Sam,
pensi di sopperire ai venti centimetri della differenza di altezza
così? Non
avrei dovuto togliermi le scarpe.
- “Hai compagnia?”. Dio, quant’era noiosa
la sua espressione maliziosa. Per di
più, aveva alzato la voce, in modo da farsi sentire anche da
chi,
eventualmente, fosse stato nel mio salotto. Cogliendomi alla
sprovvista,
spalancò la porta con facilità ed
entrò in casa, togliendomi dalle mani anche
il calice di vino che avevo preparato per me e Will.
- “Nick, non… ” m’interruppi
perché sapevo che tanto non mi stava nemmeno
ascoltando.
Prese dal mobile anche il secondo bicchiere e lo tese al mio ospite.
- “Gra-grazie” disse Will confuso.
Si presentarono e per l’ora successiva non tacquero nemmeno
per un minuto.
Sembravano vecchi amici che non si vedevano da parecchio tempo e che,
pertanto,
avevano un sacco di cose di cui parlare. Ed io, non rientravano in quel
sacco.
Nel frattempo, feci una lavatrice, spolverai camera mia, cambiai la
lettiera di
Romeo, gli diedi da mangiare e preparai la lista della
spesa. Mi
chiamarono solo una volta e fu per chiedermi di portar loro la
bottiglia di
vino che avevo stappato. Dopo di che, continuarono a sghignazzare, e a
ignorarmi, per il resto della serata. Meno male che ero stanca,
perché, altrimenti,
li avrei sbranati.
Maleducaticafonichenonsietealtro!
Ad un certo punto, però, intercettai uno stralcio di
conversazione che mi
interessò parecchio, visto che il punto focale
dell’argomento ero io. Spensi la
luce del corridoio in cui stavo transitando per evitare che mi
vedessero. Era
Nick che parlava.
- “… perciò ci conosciamo da molto
tempo e posso dirti che credo che sia
lesbica. - Eh? Non c’era
nemmeno una parola vera in tutta la
frase! - Sai, per non essere ancora venuta con a letto con me, questa
è l’unica
spiegazione”.
Sentii i due cretini ridere come degli adolescenti, e ringraziai tutti
gli dei
dell’olimpo per non aver sbagliato a darmi organo genitale al
momento della
nascita: la patata batte il pisello su ogni fronte, diceva
sempre
Lily e non c’era legge né dell’uomo
né della natura che potesse provare il
contrario.
- “A me sembra una brava ragazza” disse Will e lo
ringraziai per il tentativo
di difesa.
- “Nah, non mi convince per niente. Fa tanto la gattina
timida, ma, credimi,
quando vuole, tira fuori gli artigli”. Non seppi come
interpretare quella
frase; però, decisi che, tutto sommato, fosse veritiera:
riservata in generale,
aggressiva all’occorrenza.
- “Non mi sembra una cosa negativa”. Will,
vuoi sposarmi?
- “Io le preferisco quando sanno graffiare solo tra le
lenzuola”. Ma
quest’uomo non conosce un altro argomento?
Risero entrambi in modo sguaiato. Che tristezza.
- “Accidenti, è tardissimo. Sarà meglio
che vada a dormire, domani è il mio
primo giorno qui e non vorrei fare subito una brutta impressione. Ti
saluto,
Nick, grazie della serata”.
- “Quando vuoi, Will”. Il bacino
della buona notte non ve lo date?
- “Sam?”. Qualcuno si era ricordato di
me. Assunsi un’aria disinvolta, mi
sistemai un po’ i capelli e tornai nel soggiorno, sorridente
e frizzante.
- “Sì?”.
- “Volevo ringraziarti per l’ospitalità
e scusarmi per essere stato così poco
con te; - si era avvicinato a me, dribblando le gambe di
Nick- mi farò
perdonare, promesso”. Mi strizzò
l’occhio e io lo accompagnai alla porta.
- “Buonanotte” dissi e lui mi stampò un
bacio sulla guancia.
- “Notte, Sam”. Scomparve dietro la porta,
lasciandomi un’espressione da ebete
sul viso. Rientrai in casa mia ed immediatamente la faccia
dell’unico
ospite che restava mi fece venire il voltastomaco. Aveva appoggiato un
braccio
sullo schienale del divano e mi fissava con aria divertita.
- “Cos’è questa storia della
lesbica?” gli chiesi con le braccia conserte sul
petto.
Lui scosse la testa e in un baleno mi fu davanti. Non gli permisi,
comunque, di
parlare.
- “E in che modalità sono ora? Gattina calma e
tranquilla o pantera che
graffia?”.
- “Tu parli troppo, Sammy. E origli ancora di
più”. Si fece ancora più vicino,
facendomi indietreggiare fino ad avere le spalle contro il muro. Il mio
cuore
si fermò per alcuni secondi. Le mie narici erano
inondate dal suo profumo,
così forte da farmi perdere la concentrazione. Recuperai un
briciolo di
lucidità e lo spinsi indietro con chissà quale
forza.
- “Perché sei venuto qui?” gli chiesi.
- “Mi hai cercato tu oggi”. Già,
cavolo, la proroga!
- “E’ per la scommessa. Vedi, ci sareb…
”.
La sua voce sovrastò la mia.
- “Smettila di blaterare, Sammy. Oggi dev’essere il
tuo giorno fortunato. Devo
stare fuori città per un po’ di tempo”.
Non riuscii a trattenere una risata.
- “Cosa c’è? Un corso di aggiornamento
su come migliorare la tecnica di
ancheggiamento?”.
- “Smettila” mi rispose.
- “Di fare cosa?” non riuscivo proprio a capire
dove volesse andare a parare.
- “Di sottovalutarmi, Sammy”.
- “Era solo una battuta, Nick. Non volevo ferire il tuo
orgoglio da macho, sono
sicura che vali molto” dissi sarcastica. Permaloso.
- “Perché non lasci che ti provi il mio
valore… ” mi spinse nuovamente
nell’angolo, stavolta senza possibilità di fuga.
- “Non sono interessata a te da quel punto di
vista”. Non avevo appena ammesso
di essere interessata a lui in un qualunque modo, vero?
Sperai invano che gli fosse sfuggito questo passaggio.
- “E allora da che punto di vista?”. Dannazione,
ora che mi invento??D
- “Beh, non lo so… - la mia indecisione lo
divertiva - come, co-come amico”. Oddio
mio, fa che questo momento finisca con me che piombo nelle
cavità infinite
della Terra per non riaffiorare mai più.
- “Amico?! Non sono abituato ad essere amico delle donne.
Sono sempre tentate a
chiedermi qualcosa di più”.
- “Presuntuoso”.
- “E’ la verità. - si difese - E vedrai
che tra non molto anche tu pretenderai
qualcosa di più da me”.
Sam, parti a raffica con delle domande e vedrai che non
baderai più al fatto
che Nick sia così vicino. Cambiai completamente
argomento all’improvviso e
questo sembrò spiazzarlo.
- “Dove vai?” chiesi.
- “Come sei curiosa… ”. Il suo sguardo
mi stava facendo arrossire.
- “Quando torni?”.
- “Non lo so ancora”.
- “E’ impossibile che tu non lo sappia.”
- “Dipende”. Rispondi!
- “Da cosa?”.
- “Quante domande, Sammy. Cos’è, un
terzo grado?”.
- “Sto solo curando i miei interessi. Per la scommessa,
intendo”. Balle, balle,
balle.
Non so più da quanto stessi trattenendo il respiro,
rinchiusa dal muro alle mie
spalle e dalle sue braccia forti ai lati. Mi era del tutto impossibile
riuscire
a rilassarmi. Mi stampò un bacio sulla guancia,
nello stesso punto in cui
me lo aveva dato Will. Per un attimo sperai che si spostasse sulla mia
bocca,
che non indugiasse oltre, che mettesse fine a quell’attesa
snervante. Ma lui si
allontanò, piano piano, facendomi vergognare del pensiero
molto poco casto che
avevo fatto su di lui.
- “Comincia a vivere davvero in mia assenza. Buona notte
Sammy, so che ti
mancherò”.
Si richiuse la porta dietro le spalle, lasciandomi sola con il mio
profondo
senso d’insoddisfazione e d’imbarazzo. Lo
conoscevo da appena un paio di
giorni ed era già stato in grado di farmi provare un turbine
di emozioni
diverse, in mille sfaccettature. Mi lanciai sul divano e
invitai Romeo ad
accoccolarsi sulle mie gambe, giusto per trovare un po’ di
contatto umano.
Umano-felino più che altro.
E di nuovo il campanello. E’ tornato?
Spostai il gatto sul tappeto ed andai, speranzosa, a vedere chi
c’era dietro
l’uscio di casa.
- “Will?” esclamai sorpresa.
- “Se n’è andato?” mi chiese,
spiando in tutti gli angoli della casa. Annuii. Mi
spinse contro la porta e mi baciò con trasporto, facendomi
barcollare indietro.
All’inizio, credo che i miei occhi fossero sbarrati, ma alla
fine decisi di
partecipare attivamente, giusto quando lui pensò bene che lo
scambio di
effusioni potesse finire.
- “Era tutta sera che volevo farlo. Poi è arrivato
Nick e rovinato tutto. Buona
notte, Sam”. Rientrò nell’appartamento
del signor Hansen senza che io
spiccicassi parola.
E’ una congiura! Era destino che
io rimanessi con l’ormone in
subbuglio sola come un cane. O, meglio, sola con un gatto.
Quanto aveva ragione Shakespeare: Romeo, perché sei tu Romeo!
Non un bel micione nero, ma un uomo, di carne.
Mi feci una doccia per smaltire la tensione, soprattutto sessuale,
accumulata
durante la giornata e nel giro degli ultimi dieci minuti e aprii le
finestre:
l’aria era impregnata di feromoni e di testosterone,
praticamente veleno per
una che non batteva chiodo da un numero indefinito di mesi.
Mi lanciai sul letto e presi il biglietto che il signor Hansen mi aveva
scritto:
Cara
Samantha,
Mi
spiace molto non essere riuscito a salutare né te
né Romeo, ma
ho
deciso
all’improvviso di partire per
Portland per stare un po’ con
mia
figlia
e i miei nipoti, sfruttando il fatto che a Will servisse un punto
di
appoggio
a Londra. Se hai ricevuto questo biglietto, significa che lo
hai
conosciuto.
Spero
si sia comportato bene e che tu possa dargli delle dritte e
delle
istruzioni
per muoversi in città. A presto! F. J. Hansen.
Bene,
pure i vecchietti
vedovi mi evitavano come la peste! Non solo Nick e Will, ma
pure il mio
vicino settantenne scappava dalla sottoscritta. Mi addormentai
solo
mezzora più tardi, quando finalmente le voglie cessarono e
Romeo si appollaiò,
come al solito, sulla trapunta. Non ero nelle migliori condizioni
psicofisiche
per intavolare una discussione, per di più con un gatto.
Perciò lo lasciai fare
senza obiezioni e, anzi, gli feci anche una dose extra di coccole,
visto che mi
sentivo sola e lui c’era sempre.
I giorni e le due settimane successive procedettero veloci, tra il
matrimonio
di Val, dove mi concedetti solo un bicchiere di champagne per il
brindisi, onde
evitare ulteriori grattacapi e la visita dei miei. Ogni volta che
venivano a
Londra mi costringevano a fare loro da cicerone per musei, palazzi e
monumenti
finché non tornavamo a casa mia completamente distrutti
dalla fatica di aver
scorrazzato per tutta la città. British Museum,
National Gallery, il
cambio della guardia a Buckingham Palace, Big Ben e l’Abbazia
di Westminster
erano le tappe obbligatorie che non si volevano mai far mancare. La
gita finiva
poi sempre con mia madre in lacrime per il fatto di dover lasciare la
sua
bambina da sola in una città tanto grande. Era da
molto che non ero più
una bimba e se solo lei avesse saputo di quello che mi ero preposta di
fare con
la scommessa fatta con Nick, le sarebbero diventati i capelli grigi in
un
istante e le sarebbe preso un colpo. Mi avevano cresciuto come la
più
tradizionale delle famiglie e, di certo, non sarebbero stati fieri
della piega
che stavo prendendo.
Nel frattempo la mia vita affettiva aveva subito dei cambiamenti; Will
era
diventato una costante delle mie serate libere, dal momento che
trascorrere del
tempo con lui era estremamente piacevole; alternavamo serate con gli
amici a
tete-à-tete privati, con la convinzione che non sarebbe
stata la Storia della
nostra vita, quella con la S maiuscola,
ma solo un’avventura
di un paio di mesi, destinata a finire in coincidenza col suo ritorno a
Portland. Ci divertivamo. E molto anche.
Nick era sparito, in quel periodo, mi sarei dimenticata del tutto di
lui - no,
non credo proprio, Sam -, se non avessi avuto il
chiodo fisso della
scommessa. La verità era che non avevo idea di quando
sarebbe tornato e, per
quanto ne sapessi, sarebbe potuto comparire davanti alla mia porta in
qualsiasi
istante.
Aspettai con ansia che arrivasse il martedì in cui avrei
conosciuto Ralph J; aveva
fama di essere un latin lover, di passare di fiore in fiore, e
ciò mi sembrava
semplicemente perfetto. Bello da vedere, spregiudicato e, soprattutto,
senza
complicazioni. Una notte e via. Senza pensieri, in perfetto
stile Akuna
Matata.
Will non costituiva un problema; non eravamo esclusivi e ciascuno era
libero di
vivere la propria vita come meglio credeva. Era la prima volta che
avevo una
relazione così aperta con
un uomo e, talvolta, mi capitava di
credere che forse Nick avesse davvero ragione a dirmi che dovevo
smetterla di
prendermi così sul serio. Ero sempre stata troppo
condizionata dal giudizio
della gente ed era arrivato il momento di godermi appieno la vita,
senza
riflettere troppo sulle conseguenze.
La trasformazione in Sam l’arrapata
sobria era già in corso e
io manco me n’ero accorta.
Ad essere sincera, la cosa non è che mi convincesse molto;
sesso libero, niente
legami, relazioni aperte… forse non erano roba per me. Ma
tanto valeva tentare,
almeno con uno, cioè Ralph.
Le parole che Nick mi aveva detto prima di partire mi si erano scolpite
nella
mente: Sammy comincia a vivere davvero.
Perciò, quel martedì mi agghindai come se stessi
andando alla cerimonia
dell’Oscar e mi promisi che avrei dato il cento percento di
me stessa per
superare i confini mentali che mi ero autoimposta.
Okay, forse non proprio tutta me, ma almeno la parte a sud
dell’addome, quella
di sicuro.
Let me live, oh baby
And make a brand new start.
E’
ufficiale:non ve lo dirò mai il significato del titolo!
Scherzo :D è solo che
avevo un’idea iniziale, ma questa settimana, studiando
diritto costituzionale
ho avuto una folgorazione e ho deciso di cambiare il motivo che sta
dietro al
titolo. Perciò non farò più promesse e
vi dico soltanto che a tempo debito
tutto quanto sarà svelato!
Tra poco inizia la sessione d’esami, ma cercherò
in tutti i modi di mantenere
costante l’aggiornamento, cioè almeno una volta a
settimana; sono una lettrice
anche io e so perfettamente quant’è snervante
l’attesa di un capitolo e quant’è
odioso quando non aggiornano! Quindi PROMETTO (e stavolta sul serio)
che ci
sarà sempre un aggiornamento a settimana.
Il titolo è ripreso dalla canzone omonima dei Queen.
Piccola parentesi; in questo capitolo ci sono due riferimenti ad un
telefilm
che a me piace molto e che, quindi ho voluto omaggiare: “Life
Unexpected”. I
riferimenti sono al nome della radio, K-100 e al fatto che Will sia di
Portland.
Come al solito, vi lascio con dei ringraziamenti banali per le
recensioni e le
visite.
A presto!
HappyCloud
Emily Doyle: Povera Sam…anzi, mica tanto povera!Si
divertirà parecchio d’ora in
poi :D
SunshinePol: Ma che babbea? C’ho impiegato un sacco a trovare
il titolo, eh!
Aryanne: Sono contenta che ti sia piaciuto e spero che la cosa si
estenda anche
a questo capitolo! baci
Rose in Winter: Anche questa settimana tempo rubatissimo allo studio!
Ma se non
ho passato l’esame di oggi, sarai TU il mio capro
espiatorio!! Tu mi induci in
tentazione! Ahhahha baci
Wingedangel: Parliamoci chiaro… chi non la darebbe una
botarella a Nick?! Ma
pure a Will, direi… mettiamoci in coda!Aloha!
Visto che questo capitolo non mi soddisfa totalmente, spero di riuscire
a
postarne uno migliore entro la fine del weekend!
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Capitolo 4 *** Capitolo 4. Sex And The Bici. ***
Capitolo
quattro. Sex
And The Bici.
Il club in cui Ralph J si stava per esibire era gremito di
ragazzine urlanti e giovanotti dall’aria poco raccomandabile
che sembravano appena usciti da una rissa. Indossavano pantaloni
larghissimi con il cavallo che arrivava all’altezza delle
ginocchia, delle felpe enormi con il cappuccio e dei cappelli con la
tesa completamente piatta. Le femmine invece avevano delle micro
magliette che lasciavano scoperto l’ombelico e dei
pantaloncini inguinali.
Sam, ma dove cavolo sei
capitata, sul set di 8 mile o di Step Up?
Mi sentivo un pesce fuor d’acqua per il mio abbigliamento,
così diverso da quello di chiunque si trovasse nella sala.
Forse non era stata una grande idea mettere un miniabito blu elettrico
con le paillettes e un paio di tacchi alti per assistere al concerto di
un rapper. Per fortuna avevo il pass da giornalista per il back stage e
quindi mi ci infilai alla velocità della luce, insieme ad
altre due colleghe che non capii per che giornali lavorassero.
Provai e riprovai a convincere la guardia del corpo personale di Ralph
a farmelo incontrare qualche minuto prima dell’esibizione, ma
tutto quello che ottenni fu un Gira
i tacchi, nanetta, da parte di quell’omone di
colore grande e grosso. Fu un fatto del tutto fortuito il calcio che
gli rifilai nello stinco, proprio con quei tacchi su cui mi aveva
ordinato di girare.
- “Nanetta sarà tua sorella!”.
Sentendo le urla del bodyguard che inveiva contro di me,
avevo però attirato l’attenzione di Ralph che
stava giusto uscendo dal suo camerino, pronto a salire sul palco.
- “Ehi, tu, che succede?”. Cercai di ricompormi
alla bell’e meglio per eliminare la faccia da vendicatrice
della notte che avevo assunto e mi presentai.
- “Ciao Ralph. Sam Grayson di Music Magazine”.
Gli tesi la mano e lui me la strinse.
- “Hai qualche problema con Bob?” mi chiese
indicando l’uomo che avevo appena colpito. Guardai
l’uomo disinteressata e mi riconcentrai sul mio cantante.
Sam, di' qualcosa 'da
ghetto'!
- “Veramente no. Solo che non sopporto la gente che mi da
ordini”. Non
male, Sam. Rise e mi diede appuntamento a dopo il
concerto, nel backstage, dove forse avremmo bevuto qualcosa insieme.
Forse? Dobbiamo fare
sesso, mica perderci in questi cavilli, Ralph!
Seguii di malavoglia tutta la performance e iniziai a dubitare delle
capacità uditive dei cittadini europei: se quello era
cantare, lo avrebbe potuto fare pure anche Romeo!
Finalmente, dopo due ore e tre quarti lo straziò
terminò e io iniziai a prepararmi per quanto sarebbe potuto,
anzi dovuto, succedere. Ci incontrammo davanti alla porta del suo
camerino e lui mi invitò ad entrare, offrendomi una
bottiglia costosissima di champagne. Ero indecisa se accettare o no: Sam, se non bevi potresti non
trovare il coraggio di fare quello per cui sei venuta; se bevi,
però, potresti perdere il controllo della situazione.
Ergo, via di mezzo.
Decisi che un solo bicchiere non potesse nuocermi più di
tanto e, perciò, accettai.
- “Quindi, Sam Grayson, facciamo subito
l’intervista in modo tale che possiamo dedicarci a qualcosa
di più piacevole”. Sorrisi imbarazzata ma lo
ringrazia mentalmente; non c’erano dubbi che la sua
sfacciataggine fosse senza eguali, ma questo mi avrebbe permesso di
evitare un sacco di facce sensuali da adescatrice che proprio non mi si
addicevano.
Presi il registratore che tenevo sempre in borsa e lo tenni acceso
finché non ebbi finito di fargli le prime, stupide domande
che mi vennero in mente; in fondo, l’articolo
l’avrei dovuto scrivere e, se non altro, non mi ero sorbita
il concerto per nulla.
- “Ecco, direi che può bastare” gli
dissi, una volta terminata la riserva di richieste
d’informazioni che mi servivano per il pezzo su MM.
- “Bene. Parliamo d’altro, allora. Ti piacerebbe
fare un giro sul mio giocattolo?”. Prego? Sgranai gli
occhi, incapace di produrre una risposta e lui si mise a ridere.
- “Scusa, non pensare male: intendevo la mia auto. Sai
è una Ferrari modello…”. Bla bla bla.
Continuò a parlare mentre io potevo vedere solo le sue
labbra muoversi, visto che non ci avevo mai capito un’acca di
auto.
- “… allora ti va?” concluse.
Cacchio, Sam. Inizia a
pregare che ti porti a casa perché, okay, non hai mai visto
da vicino una macchina del genere, ma a occhio e croce non sembra molto
comoda per fare sesso.
- “D’accordo”. Mi indicò la
strada con un braccio e uscimmo da una porta sul retro, giusto per
evitare quell’orda di paparazzi che stazionava di fronte
all’entrata principale. Una voce ci raggiunse dall'interno
del club.
- “Ehi, Ralph! - ci girammo entrambi verso l’omone
che ci stava seguendo. Di nuovo il bodyguard - dove stai andando? Hanno
organizzato una festa per te nel privé”.
- “Lascia perdere, Bob. Ho trovato di meglio da
fare” rispose lanciandomi un’occhiata sorridente,
seguito a ruota dall’altro che, però, mi
squadrò da capo a piedi.
- “Sei sicuro?” domandò.
Ma guarda te questo!
Sono un gran pezzo di figliola io, eh!
Ralph annuii e si voltò per aprire l’auto. In una
frazione di secondo, mi girai verso la guardia del corpo e gli rifilai
una linguaccia degna di un moccioso dell’asilo che gli fece
peggiorare l‘opinione già scarsa che aveva su di
me. Molto maturo.
Salii sulla Ferrari e, contemporaneamente, mi salii l’ansia.
Sam, siamo giunte al
punto di non ritorno; potrebbe essere pericoloso andare in macchina con
uno sconosciuto. Però, hai lo spray al pepe e al massimo lo
denunci, gli fai fare una figura di merda sui giornali e ti prendi un
risarcimento milionario. Il gioco valeva la candela.
Fu il viaggio più breve della mia vita e, in men che non si
dica, mi ritrovai sul divano bianco ad angolo della sua immensa casa.
Era diversa da come me l’ero prefigurata: colori caldi alle
pareti, quadri d’arte moderna, arredamento curato, tende in
tinta con l’atmosfera di tranquillità che regnava
sovrana su tutto l’appartamento.
Non riuscii a trattenermi.
- “Scusa ma dove sono i graffiti sui muri, il disordine, i
vestiti per terra, le macchie sui tappeti?”. La domanda
sembrava più intelligente quando era soltanto nella mia
testa, ma io mi ero immaginata la roulotte sfasciata della madre di
Eminem e invece mi ero ritrovata a casa de Il Principe di Bel Air.
Arrossii per quanto avevo detto; dovevo essergli parsa piuttosto
limitata a livello cerebrale. E meno male che mi ero risparmiata la
parte delle prostitute in mutande in giro per le stanze! Colpa di Chuck
Bass e delle sue strane abitudini che ora mi facevano pensar male dei
ricconi.
Lui ridacchiò e, porgendomi un bicchiere di vino, si
accomodò di fianco a me.
- “E’ solo una maschera. Sono un tipo normale,
tranne che per il mio charme sopra la media, s’intende.
Faccio il duro solo per mestiere”.
Speriamo che qualcosa di
duro ci sia anche nella tua vita privata, Ralph, altrimenti le cose si
complicano. Oddio, stavo iniziando a parlare come Nick.
- “Capisco. Scusa per il commento idiota”.
- “Non ti preoccupare, è un pensiero di molti,
piccola. - mi rispose, con garbo e un briciolo di presunzione - Magari
un giorno il mondo conoscerà il vero Ralph”.
Finii in un sorso tutto il vino - dovevo farmi coraggio - e gli tolsi
dalle mani il bicchiere, appoggiando entrambi i calici sul tavolino di
fronte al divano.
Ora o mai più.
- “Perché non lo mostri, solo a me e solo per
stasera?”.
Mi avvicinai a lui e baciai un Ralph decisamente sorpreso dalla mia
iniziativa. Non si tirò indietro e, anzi, mi indusse a
mettermi cavalcioni su di lui che era seduto, appoggiato allo schienale.
Speriamo non mi si rompa
il vestito, con tutto quello che l’ho pagato!
Gli tolsi la maglietta, mentre lui, con dei gesti attenti e veloci, mi
tolse il miniabito da sopra, lasciandomi in intimo e ponendo fine alla
mia preoccupazione sulle sorti del mio vestiario: era sano e salvo
sulla poltrona.
Sei mezza nuda in
braccio ad uno sconosciuto e ti preoccupi del vestito? Di sicuro
c’è qualcosa che non va in te.
Forse i miei pensieri avevano tanto spazio perché, in fondo,
questo rapper non è che fosse così coinvolgente,
anche ad un passo dall’amplesso. Non come Nick, o Will, che
con un semplice bacio sulla guancia mi avevano dato
un’emozione più forte di quella che stavo vivendo
con Ralph.
Dio che squallida, Sam!
Stai per farlo con uno e ti metti a fantasticare su un altro. Peggio,
su due. Cavolo, la mia mente è più pervertita del
mio corpo!
Tornai a concentrarmi su quanto stava accadendo nella realtà
del momento. Ralph mi aveva sollevato dal divano, le mie gambe
allacciate dietro la schiena, diretto, presumibilmente, in camera da
letto. Acciuffai la mia borsa con la mano: la macchina fotografica era
lì dentro e mi sarebbe servita come prova per la scommessa.
Mi depositò con foga sul letto, liberandosi velocemente dei
jeans e, in un atto, mi fu sopra. Nonostante tutto, era un bel vedere:
un fascio di muscoli a cui i vestiti larghi e sbrindellati non
rendevano giustizia.
Certo, i suoi baci non erano un granché, ma di sicuro sapeva
cosa piaceva ad una donna. Le sue mani e la sua bocca erano
incontrollabili, spaziavano in ogni mio minimo pezzetto di pelle e
aumentavano la voglia che si era insinuata nel mio corpo di sentirlo
dentro di me.
Mi rendevo conto che si trattava solo di sesso, del nulla
più completo, lontanissimo persino da quel poco che
c’era con Will, con il quale almeno c’era un
affetto di base. E, seppur con tristezza, mi trovai a constatare che,
per ora, mi accontentavo anche di quello. Non ricordavo nemmeno
più da l’ultima volta in cui un uomo mi aveva
fatta sentire al centro dell’attenzione, soprattutto a letto.
Erano tutti troppo occupati a pensare a loro stessi, a raggiungere il
piacere anche da soli, e in fretta, dimenticando di avere una partner.
Anche il mio bel vicino, mio malgrado, aveva un’indole
egoista, mentre Ralph… Ralph era esattamente ed
inspiegabilmente l’opposto di tutto ciò. Era
dedito al mio piacere e sembrava conoscere il mio corpo da sempre e
meglio di me; non mi considerava solo un tramite per giungere
all’orgasmo.
Quella notte lo facemmo tre volte e ogni volta fu diversa, se non per
il fatto che la situazione rimase sempre nelle sue mani, in tutti i
sensi. Dovetti approfittare di un momento di break in cui era andato in
bagno, per trarre dalla borsa la macchina fotografica, togliere il
flash e metterla sotto il cuscino, nella speranza di trovare
l’attimo propizio per scattare quella maledettissima foto.
L’istante perfetto fu quando, tra il secondo e il terzo
round, lui si spostò di lato, e si posizionò
sopra di me, sovrastandomi con il suo corpo. Aspettai che indugiasse
sul mio collo per tirare fuori la macchina fotografica e scattai una
foto di lato, nella speranza che lui non si accorgesse del clic.
- “Cos’è stato?”. Si
staccò da me, confuso ed eccitato per quanto stava per
avvenire. Ancora.
- “Cos’ è stato cosa?”. Fare la gnorri is the way,
mi dissi.
- “Mi è sembrato di sentire qualcosa”.
Capii di dovermi inventare qualcosa, e anche in fretta,
perché altrimenti si sarebbe alzato dal letto alla ricerca
del rumore perduto.
Lo afferrai per la canottiera grigia che aveva indossato per andare
alla toilette qualche minuto prima e lo attirai verso di me.
- “Poche chiacchiere, Ralph. Non sono venuta qua per
parlare”. Accidenti, avevo convinto persino me stessa!
Lui ricominciò ad occuparsi in esclusiva di me e io non
potei non esserne contenta.
- “Mi piacciono le donne decise”.
S’intrufolò tra le mie gambe con le mani e
ricominciò da dove aveva interrotto un lento rituale di
corteggiamento delle mie parti intime.
Tutto il resto fu un turbine di nome Ralph che imperversava con la
lingua nella mia bocca, sul mio seno e sulla mia pelle.
Quando, però, s’insinuò come una furia
dentro di me, ebbi un sussulto. Una proiezione della mia vita nel
futuro: no!, non volevo finire come la mia omonima di Sex and The City
ad avere rapporti instabili con chiunque sul pianeta, per poi
ritrovarsi a cinquant’anni a stare con tutti e con nessuno.
Non era un caso se non mi erano mai piaciuti né il telefilm
né i film. Insomma, quattro quarantenni arrapate in cerca di
un uomo. E che uomini: Big, Harry e Steve non erano esattamente il mio
prototipo di compagno, sexy, della vita. Ma su Smith, un
pensierino…
Sam, sai qual
è l’unica differenza tra te e loro?
Vent’anni in meno, mia cara. Solo questo.
- “Oh Santo Dio!” esclamai con gli occhi sbarrati.
- “Anche a me è piaciuto, Sam” disse con
aria compiaciuta. Lasciai che il suo ego pensasse che il mio commento
fosse riferito alla sua prestazione, anche perché, tranne la
terza volta in cui mi ero persa nei miei ragionamenti e non mi ero
accorta che lui stava continuando con ritmo regolare
l’amplesso, se l’era cavata piuttosto bene.
- “Già. Sono distrutta, ora. Ti scoccia se dormo
qui?” gli chiesi sperando che mi rispondesse di no, visto che
non avrei avuto la forza di alzarmi, svegliarmi e chiamare un taxi per
tornare a casa.
- “Resta pure quanto vuoi. Vado a farmi una doccia; ti unisci
a me?”. Samantha
Jones.
- “No! - risposi impulsiva. Ralph mi guardo sorpreso e io
inventai al volo una scusa da manuale - No, ho bisogno di una tregua.
Sai, vorrei saper camminare domani”.
Lui ridacchiò, orgoglioso del lavoro fatto, e mi
indicò un secondo bagno in cui avrei trovato anche degli
asciugamani puliti. Lasciai che lui se ne andasse per primo, dal
momento che doveva scattare la seconda parte del piano: il ratto dei
boxer. Frugai tra le lenzuola e li trovai cacciati in fondo, sotto la
coperta; li presi con l’indice e il pollice in un angolino -
erano pur sempre mutande usate - e li infilai in un sacchetto di
plastica che avevo messo in borsa. Notai solo l’etichetta: Ralph J. Dio, aveva
persino i boxer personalizzati!
Gettai un occhiata per vedere se aveva intenzione di tornare, ma sentii
il getto d’acqua della doccia cominciare a scorrere da dietro
la porta in cui si era rifugiato. Lo avvertii perfino canticchiare una
canzone nota; stetti ad ascoltare ancora un istante e realizzai che non
era una delle sue melodie spacca timpani, ma era un motivo molto
più dolce e malinconico. Cazzo! Nel momento
stesso in cui realizzai che melodia fosse, non riuscii a trattenere un
risolino idiota che si spiegava in due parole: Celine Dion. Se
solo fossi stata un po’ più opportunista, e un
po’ più stronza, lo avrei registrato e avrei
mandato il video alla prima televisione interessata: praticamente avrei
decretato la sua umiliazione di fronte al mondo intero. Ma Ralph in
fondo mi piaceva e sapevo che la modalità da ragazzaccio di
strada era attiva solo sul palco.
Perciò cercai di ignorare l’impulso di fare
irruzione nel suo bagno per improvvisare un duetto e mi diressi verso
la mia tanto agognata doccia, ballando sulle note della colonna sonora
di Titanic.
La mia performance continuò anche sotto il potente
dell’acqua, che, nella mia mente, rese ancora di
più l’idea del transatlantico che affondava,
speronato da un iceberg, nel mezzo di un gelido Oceano Atlantico che,
nel mio caso, però, assomigliava molto più ai
mari torridi dei Tropici.
Mi asciugai e finalmente mi infilai nel letto, dove c‘era
già Ralph appisolato e diedi una sbirciatina
all’orologio: le 4:05. Merda, la sveglia sarebbe suonata
appena tre ore dopo.
- “Buona notte, Sam”, mi disse sottovoce.
- “Notte”. Lo sentii rotolarsi sul materasso e
abbracciarmi da dietro. Lo lasciai fare, pensando che un po’
di calore umano avrebbe potuto riempire il vuoto che sentivo ogni volta
dopo aver fatto sesso. E, quella sera, ne avevo ben tre di vuoti.
- “Sam, spegni quella maledetta sveglia!”. Avevo la
sensazione di avere appena chiuso le palpebre e già il
mondo, e Val, pretendevano che mi alzassi per andare a lavoro. Per un
attimo pensai di addurre con il mio capo la scusa che, essendo io nello
stesso letto del soggetto del quale avrei dovuto scrivere, sarebbe
stato molto più proficuo farmici rimanere. Ma poi pensai che
sarebbe stato troppo difficoltoso spiegare il perché della
mia presenza sotto le lenzuola di Ralph J e, così, cercai di
raccogliere le energie per smuovere i muscoli delle gambe ed obbligarli
a sorreggermi.
Nada de nada.
Sentii una sorta di singhiozzo provenire dal soggetto vicino a me e,
pensando si trattasse di traveggole mattutine, non gli diedi peso e
tornai a concentrarmi sulla necessità di muovere il culo
fino all’ufficio.
- “Non andartene, ti prego”. Mi girai verso il mio
partner e, solo in quel momento, notai le due zampogne che aveva al
posto degli occhi, arrossati e gonfi. Fu un istante di puro
panico che mi fece destare completamente.
Che cavolo sta facendo?
Rimasi zitta per qualche minuto, ma la situazione non
accennò a migliorare; al contrario, lui sembrò
iniziare a piangere a dirotto, lasciandomi sgomenta e con la
necessità di dire qualcosa di sensato. Era passato dalla
durezza della prima frase circa lo squillo assillante della sveglia,
all’isteria del mio possibile abbandono.
- “Dai Ralph, non fare così”.
Ma perché non
vengo mai colpita da un fulmine in momenti come questi?
Si ricompose un po’ e poi mi disse:
- “A cosa stai pensando, Sam?”. No, un attimo.
C’era qualcosa che non andava: dov’era finita la
botta e via senza pensieri né conseguenze? Qualcuno durante
la notte, nel sonno, aveva sottratto il mio Rocco Siffredi personale e
lo aveva scambiato con una mezza tacca frignante. Oppure dovevano
essersi invertiti i poli magnetici della Terra perché lui si
stava comportando come una verginella illusa e usata ed io facevo
l’uomo menefreghista che se ne vuole andare dopo una bella
scopata.
Brava Sam, ora datti una
bella frullata al pacco e sarai persino credibile nei panni del macho.
- “A niente, Ralph”. Non piangere, ti prego!
Lui mi guardò stupido e un po’ deluso.
- “Come a niente? Stanotte è stato bellissimo, non
puoi essere rimasta indifferente”.
Il problema è
che stanotte eri Casanova, stamattina hai la carica sessuale di
un’ameba. Morta. Schiacciata da un camion e passata al
tritatutto.
- “Sai, Ralph, è che sono molto confusa.
E’ stato magnifico con te, ma non credo che ciò
sia destinato a durare; hai la fama da latin lover - e io ammazzerò chi ha
messo in giro questa voce - ed io non so se
posso sopportarlo. Sento che c’è una forte
connessione tra me e te e non voglio che s’interrompa,
modificando la situazione. Capisci?”. L’insegnante
di recitazione del mio liceo avrebbe dovuto mangiarsi le mani per aver
perso un elemento come me.
Mi guardò pensieroso e scosse la testa in modo deciso quando
gli profilai l’ipotesi che le nostre strade potessero
dividersi.
- “No, non posso permettere che il nostro amore si dissolva
così, per colpa delle male lingue. Con te è
diverso, lo so”. Tra tutte quelle che si portava a letto,
proprio io dovevo fare la differenza? E poi ci conoscevano da trenta
secondi e questo già mi parlava di sentimenti.
Appunto mentale: farlo
conoscere a Katy. Il suo odio unito all’amore di
Ralph si sarebbero compensati a vicenda e avrebbero dato un risultato
sensazionale per tutti: tanta felicità per loro e Sam viene
lasciata in pace!
- “Devo imparare a convivere le dicerie, ma sarà
molto difficile riuscirci”.
Non capii perché, ma il suo viso assunse un‘aria
felice.
- “Potresti venire ad abitare qui con me. Io e Bob ti
terremmo completamente protetta dal mondo. E’
un’idea fantastica!”. No, no, no, no, no!
Volevo già sbolognarlo dopo una notte insieme, figurarsi a
viverci insieme; e poi con quell’idiota antipatico del suo
body-guard, per carità divina, manco morta.
Ero capitata nella peggiore delle telenovele sudamericane.
Scusa, Celine, tu hai
cercato di avvertirmi e io non ti ho ascoltato.
- “No, tesoro, non credo sia una buona idea. - risposi mentre
lui tornava ad assumere un broncio da ragazzino - Per capire se
veramente possiamo stare insieme, dobbiamo stare lontani per un
po’. Solo il tempo ci dirà se siamo fatti
l’uno per l’altra; forse tra uno, due,
vent’anni - facciamo
mai? - ci rincontreremo e capiremo che è il
momento per noi”.
Pensai che avrebbe ripreso a singhiozzare e invece il suo volto si
illuminò.
- “Ho capito, Sam. Siamo come Giulietta e Romeo! When you wanna realise it was
just that the time was wrong, Juliet?”. Non mi
aveva appena cantato, stonato per giunta, un verso della canzone dei
Dire Straits, vero?
Rimasi in silenzio e immobile, mentre lui mi correva incontro e mi
abbracciava, stritolandomi, con un sorriso a trentadue denti.
- “Vai, Sam, vai a vivere la tua vita là fuori. Ci
ritroveremo, vedrai amore”. Mi stampò un bacio a
stampo sulla bocca e mi fece rivestire in fretta e furia per cacciarmi
letteralmente fuori di casa.
- “Vai, dolce tesoro mio. A presto, amore!”. Mi
sbatté la porta in faccia e io rimasi lì, come
una babbea, maledicendomi per la mia uscita infelice sulla cazzata del
rincontrarsi tra un po’.
Vai a quel paese, Sam,
potevi almeno dirla una volta che ti aveva accompagnata a casa!
Scesi in strada, salutando il portiere del palazzo che mi
squadrò neanche fossi una barbona. Feci in tempo a
specchiarmi nella vetrata all’ingresso e notai, con mia
profonda desolazione, che era già tanto se non mi aveva
scambiato per una selvaggia, la sorella di Mowgli magari: i capelli
scompigliati, i vestiti stropicciati, il viso pallido e struccato.
Per giunta non si fermò neanche un taxi - per via del mio
aspetto da amica di Tarzan, immaginai - e quindi fui costretta a
noleggiare una di quelle stupide biciclette che il sindaco Johnson
aveva voluto in tutta la città. Non ce l’avrei mai
fatta ad andare a casa a cambiarmi per poi recarmi in ufficio, ma non
vedevo altre opzioni valide al di fuori del teletrasporto.
Cominciai a pedalare, attirando l’attenzione degli
automobilisti sul mio fondoschiena che il miniabito non copriva
totalmente. Cercai di non pensarci, anche perché erano anni
che non usavo una bici ed ero un pochino arrugginita.
- “Ehi tu, bel sedere”. Mi girai furiosa pensando
che solo un idiota potesse fare un commento del genere, visto il
celeberrimo aplomb degli Inglesi.
- “Imbecille!” dissi, ma notai subito gli occhi
color ghiaccio del maleducato che mi fissavano da un fuoristrada scuro.
Era tornato, bello come sempre in una maglietta a maniche corte.
Vidi Nick ridere, mentre io rimanevo allibita a fissarlo, non
curandomi di guardare la strada davanti a me. Lo vidi anche diventare
serio e provare a dirmi qualcosa a parole e gesti, ma il clacson di
un’auto gli coprì la voce e, a quel punto,
successe l’inevitabile.
La mia bicicletta si schiantò contro un lampione a lato del
marciapiede e io venni disarcionata come un sacco di patate
sull’asfalto. Una signora cicciottella con un passeggino si
fermò ad accertarsi delle mie condizioni; mi toccai la
fronte con la mano e mi accorsi che le dita era sporche di sangue, ma
constatai che non avevo niente di rotto, se non qualche graffio e
ammaccatura qua e là. E il vestito.
No, il vestito no!
Avrei potuto illudermi finché volevo, ma quello strappo
sulla coscia destra c’era eccome e le paillettes sul cemento
ne erano la prova.
- “Sta bene, signorina?” mi chiese la donna.
- “S-sì, grazie, tutto bene” risposi
alzandomi a tentoni, afferrando la borsa che era rimasta incastrata nel
cestino.
- “Non si preoccupi, ci penso io a lei, è una
mia… amica”.
Mi voltai verso Nick e vidi che aveva parcheggiato la macchina a una
decina di metri dal luogo del misfatto. Brava, Sam, fagli fare pure la
parte dell’eroe.
La signora se ne andò sorridendo e io la ringraziai
nuovamente per essersi fermata a controllare.
Nick mi aiutò a mettermi in piedi - almeno le scarpe erano
salve! - e mi condusse alla sua auto, per poi sistemare la bici, che
per fortuna non aveva riportato danni, in uno degli appositi ganci.
Tornò da me.
- “Harry Potter, - prese un fazzoletto di carta e me lo
posizionò sulla fronte, tamponando la ferita - dove andavi
di tutta fretta a quest’ora?”.
- “In ufficio. Sai, la gente normale ha un lavoro
normale” dissi acida. In fondo, era colpa sua se avevo fatto
un capitombolo di fronte all’universo.
- “Mi sa che il nostro mestiere non è tanto
diverso dal tuo, se vai vestita in questo modo”. Come dargli torto, Sam.
- “E’ per quella stupida scommessa. Sono rimasta a
dormire da Ralph J” esclamai con una punta di orgoglio,
mentre lui metteva in moto la macchina e partiva.
- “Ralph J? Bel colpo, Sammy. O, almeno, spero lo sia
stato”. Aprì la bocca in un ghigno malizioso e
tutto ciò non fece altro che pungere il mio ego e
stimolarlo, come al solito, ad averla vinta.
- “Lo è stato. Tutt’e tre le volte. -
Nick non si scompose neanche dinnanzi al mio sorriso beffardo e
continuò a guardare fisso la strada. Tirai fuori dalla mia
borsa il sacchetto di plastica con dentro i boxer e glielo porsi - A
proposito, questa è la prova”.
Lo afferrò un po’ disgustato e lo
ispezionò dall'esterno. Chiedimelo,
chiedimelo.
- “M-mm, interessante. Ma come faccio a sapere che
effettivamente sono i suoi?”. Grazie, Nick.
- “Basterà dare un’occhiata
all’etichetta. Sono personalizzati”, dissi
raggiante e, anticipandolo, presi la macchina fotografica e gli mostrai
la foto, senza nemmeno guardarla.
- “Uh, dev’essere proprio un grande amante, questo
rapper, a giudicare dalla tua faccia da lontra arenata sulla
spiaggia” mi rispose, serio. Osservai l’immagine e,
cavolo!, aveva ragione: sembravo proprio un pesce lesso.
- “Non vuol dire nulla! - mi difesi, arrossendo vistosamente
- E, comunque, io la mia parte l’ho fatta. Ora tocca a te.
Ma, aspetta, forse ti sei sentito esonerato per il fatto che eri fuori
città; se è così, sappi che ti sei
sbagliato di grosso”. Sorrisi trionfante e mi godetti il
panorama fuori dal finestrino.
Non disse nulla, ma accese la radio e alzò il volume,
stringendo le mani al volante.
Ti ho zittito,
finalmente.
Trascorremmo il resto del viaggio fino a casa mia in silenzio, io
crogiolandomi nella mia convinzione di averlo messo al tappeto e lui
senza mai distogliere lo sguardo dalle macchine davanti, guidando in
modo sicuro e sportivo.
Accostò la macchina sotto il portone del mio condominio e mi
rivolse un’occhiata fugace.
- “Beh, grazie del passaggio. Aspetto tuo notizie,
allora”. Stronza fino al midollo.
Richiusi la portiera in fretta, non aspettando nemmeno che rispondesse,
e presi l’ascensore fino al mio piano, il terzo. Davanti alla
porta notai un piccolo pacchetto color avorio, sigillato con della
ceralacca sulla quale era incisa una sola lettera: N.
Lo raccolsi la terra e notai che c’era anche un biglietto
sotto.
Goditi la visione, Sammy.
Ci sono due video perché, sai, ho trovato il tempo di
divertirmi un po’ fuori città. Ah, Jamie e Candy
Rowell ti hanno lasciato anche un autografo, oltre che i loro slip. N.
Jamie e Candy Rowell?
Quelle due sorelle oche che agitavano il culo in tutti i loro video,
trasmessi in tutte le televisioni, in tutte le nazioni del mondo?
Cazzo, quelle erano talmente famose che, in confronto, Ralph J sembrava
un cantante da sagra della salsiccia.
Ennesima figura di merda con lui: mi aveva fatto blaterare a vanvera
per poi rinfacciarmi tutto con quello stupido regalino recapitatomi a
casa.
No, decisamente Samantha Grayson non sarebbe mai diventata Samantha
Jones.
Perché no, Samantha Jones non si sarebbe mai fatta fregare
ancora una volta come un pollo.
Sì,
sono in ritardo! Ma mi giustificherò dicendo che mi sono
portata avanti con i capitoli successivi e che ho in programma una
performance artistica di Sam.
La
canzone del titolo è “Sex And The City”
dei Morgan‘s Project e aggiungerò che non era il
titolo che avevo in mente, ma ho cambiato idea perché era un
po’ TROPPO TROPPO TROPPO spinto.
Spero
che il capitolo vi piaccia e vi ringrazio come sempre per averlo letto!
Alla
prossima!
HappyCloud
SunshinePol:
in attesa della tua storia e del crossover, ti ringrazio per la
consultazione sul verbo prima al telefono! Baci cara!
Emily
Doyle: Sam li incontra fighi sì, ma si è pure
beccata un pacco come Ralph e ti assicuro che a quel punto se
n’è andata tutta la fantasia :D un bacione
Windedangel:
bacchettona fino ad un certo punto! Mi scuso per il ritardo di questa
settimana e spero che non abbia minato ulteriormente la tua
sanità mentale!! Ciao, baci!
Rose
in Winter: buon pomeriggio, Satana. Non ti chiederò
perché ti metti alle 3 di notte a leggere il capitolo, ma ti
ringrazierò ugualmente! Mi auguro che il capitolo ti
soddisfi e…povero Will! Ma vedrai che Nick ci
riserverà un sacco di sorprese! Ciaooo
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Capitolo 5 *** Capitolo 5. Ballad Of The Girl In The Red Shoes. ***
Capitolo cinque. Ballad Of The Girl In Red Shoes.
-
“Hai incrociato Voldemort
stamattina?”. La voce di Valerie mi giunse chiara ed ironica
da davanti la mia
scrivania. Alzai il volto rassegnata dal computer
dell’ufficio e me la trovai
dinnanzi, con la solita chioma bionda fluente e uno splendido sorriso
sul viso
dorato dal sole.
Siete
tutti sul libro paga di
J.K. Rowling o è pubblicità gratuita?
-
“Niente di magico,
purtroppo. Solo uno spiacevole tete-à-tete con
l’asfalto: sono caduta dalla
bici” mi giustificai, notando la sua faccia stupita.
-
“Okay, non ti chiederò cosa
ci facevi tu su di una bicicletta. Comunque, come è andato
il concerto di Ralph
J?”.
Ti prego,
non me lo nominare
nemmeno quell’idiota mammone che è stato eletto
all’unanimità dai miei nervi
come capro espiatorio di tutti i mali.
-
“Una noia mostruosa, dopo
cinque minuti ho iniziato a capire perché nessuno volesse
andarci” risposi
sintetica.
Lei rise e
mi ricordò che
voleva l’articolo entro il primo pomeriggio, dal momento che
il nuovo numero
di Music Magazine sarebbe
uscito, come di consueto, il terzo giorno del mese successivo.
-
“Bene, sposina, ora
raccontami del tuo viaggio di nozze alle Bahamas; possibilmente
qualcosa di più
dell’abbronzatura che mi stai sbattendo in faccia”
le dissi con un briciolo
d’invidia per via del mio colorito bianco cadaverico che
cercavo sempre di
celare col make-up.
-
“E’ stato fantastico! Ma
direi che il tutto è riassumibile in tre parole: mare,
spiaggia e camera da
letto!” esclamò raggiante.
-
“Qualche dettaglio in più?”
chiesi maliziosa.
-
“Saprai tutto stasera, se
accetti la mia proposta. Jonathan è a Manchester per un
convegno medico e io
sono sola soletta qui a Londra. -fece il broncio- Quindi mi stavo
chiedendo se
potessimo uscire noi donne”. Soltanto a sentire quel noi mi
vennero i brividi,
perché sapevo che ciò avrebbe significato che era
inclusa anche Katy, oltre a
Jade ed Amanda.
Una serata
da passare
guardandomi alle spalle, insomma.
Però
mi mancavano le nostre
chiacchierate ed ero davvero curiosa di saperne di più sulla
luna di miele di
fuoco di Val e, perciò, accettai l’intero
pacchetto della serata a scatola
chiusa.
-
“Ora che ho detto sì, mi
dici cos’hai organizzato?” le domandai, un
po’ preoccupata.
-
“Non ci penso nemmeno a
svelarti i miei piani!”. Mi piantò in asso,
divorata dalla curiosità, e si
diresse verso il suo ufficio urlandomi di farmi trovare a casa sua per
le 8.30.
Fui
occupata tutta la mattina
con quel dannato articolo su Ralph; il mio commento, in generale, non
fu molto
positivo. La sua voce non era proprio gradevolissima accostata ad un
microfono,
ma gli concessi, qua e là nel testo,
l’aggettivo dotato che,
nella mia mente, nulla aveva a
che fare con le sue qualità canore. Dopo
averlo letto, riletto, controllato e
ricontrollato per la centesima volta, lo lasciai alla segretaria di
Valerie per
le eventuali correzioni.
Era
già ora di pranzo e, così,
visto che avevo finito prima del previsto,decisi di tornare a casa,
dove avrei
completato l’altro pezzo che mi era stato assegnato: le due
colonne sugli
artisti locali per cui ero stata malamente beccata a dormire in ufficio.
Un grande
vantaggio del
lavorare nella redazione di MM era
che c’era sempre un infinito viavai di persone tra
giornalisti, freelance,
fotografi, assistenti e segretarie varie e questo permetteva a tutti di
sentirsi sempre liberi di sgattaiolare via a qualsiasi orario. Non
c’era
nemmeno bisogno di farlo di nascosto; ai capi poco importava dove uno
scegliesse di stare, l’importante era consegnare un buon
articolo e,
soprattutto, in tempo.
Presi un
taxi - preferivo di
gran lunga quattro sicuri pneumatici alle due ruote instabili di una
bicicletta
- e mi fiondai sulle scale, l’unico allenamento giornaliero
che consentivo al
mio corpo. In cima all’ultima rampa, sentii la voce di Will
che mi chiamava e
che mi indusse a fermarmi sul mio pianerottolo.
-
“Sam, Sam! Finalmente! Ieri
sei sparita” mi disse senza il minimo accenno di fiatone,
nonostante avesse
dovuto macinare qualche decina di gradini di corsa per raggiungermi.
-
“Sì, scusa, sono stata
impegnata” gli risposi evasiva.
-
“Capisco. - fece spallucce -
Ti va di pranzare insieme?”.
Mi scostai
svogliata i capelli
dalla fronte.
-
“Ho del lavoro da fare entro
stasera”.
-
“Dai, Sam, non farti
pregare. - Se
però mi sorridi
così… - Ma
che hai fatto alla
fronte?” mi domandò, avvicinandosi e spostandomi
la frangia. Indietreggiai e
aprii la porta del mio appartamento.
-
“Lunga storia, Will. Entra,
su. E niente battute su Harry Potter, ti prego” lo ammonii.
Non appena
arrivai in cucina,
però, mi maledii.
Sam, prima
di invitare
qualcuno a mangiare a casa tua, dovresti fare in un giro in un certo
posto: il
supermercato, questo sconosciuto.
Aprii il
frigorifero, piano
piano, con lo stesso timore di un terremotato che deve verificare i
danni che
ha riportato la sua abitazione. Trattenni
un urlo di gioia quando vidi che mia
madre aveva lasciato la sua impronta: lasagne, arrosti, verdura, frutta
e dolci.
Brava, mia
vecchia Grace!
Lasciai
che fosse Will a
decidere il menu - meglio tenermi lontana dai fornelli - e mi rifugiai
in
camera mia, girando e rigirando il pacchetto di Nick tra le mani.
Guardarlo o
non guardarlo, questo era il mio problema. No, in realtà, il
mio problema era
che ero una curiosa patologica e morivo dalla voglia di sapere tutto
quanto era
successo nella sera passata con le due oche.
Possibile
che non riuscissi
mai a vincere con lui?! Avevo trascorso una notte - a mia detta - molto
trasgressiva con un uomo attento, premuroso, e fa niente se poi si era
rivelata
una fregatura. Però lui, Nick, era riuscito a portarsi a
letto due cantanti, sì
talmente stupide da far concorrenza ad una capra, ma, purtroppo per me,
conosciute tanto quanto Bill Gates.
Era
davvero un peccato che
certe doti - come la mia intelligenza, la mia arguzia o il mio intuito
-
soccombessero miseramente, tra le lenzuola, di fronte ad un paio - no,
cavolo, due paia -
di tette. Finte per giunta.
Mentre mi
arrovellavo il
cervello sul da farsi, Will fece irruzione.
-
“Sam, dov’è il sale?”.
Cercai di
mettere il dvd, i
due schifosissimi slip e il biglietto sotto il cuscino del letto sul
cui ero
seduta a gambe incrociate - e che avrei poi disinfettato con
l’acido muriatico
- però, lui intercettò i miei movimenti maldestri.
-
“E’ nel primo armadietto a
destra” dissi nel vano tentativo di distrarlo dal mio
spostamento fugace di
oggetti. Will mi guardò curioso e malizioso allo stesso
tempo e mi fece
intendere che per nulla al mondo si sarebbe astenuto dal farmi domande
riguardo
quanto nascondevo dietro la schiena.
-
“M-mm. Che combini?” chiese.
-
“Niente. - dissi, ordinando
a quella goccia di sudore che si era appena formata sulla fronte di non
osare
schiodarsi da lì - Cos’è questo sguardo
insistente?”.
-
“Sam, ho conosciuto due
persone a Londra finora: tu e Nick. E mi sono bastati pochi minuti per
capire
che tra voi due c’è qualcosa di strano. Per questo
sono convinto che lui centri
con quello che tieni sotto il cuscino ora”.
Frate
Indovino doveva essersi
trasferito nell’appartamento del signor Hansen ed aver
assunto le sembianze di
suo nipote.
-
“No, ma che dici? Non c‘è
nulla sotto il cuscino”. Mi
ricordavo un po’ più creativa a inventare le balle.
Scossi i
capelli leggermente,
nella speranza che ne cadessero alcuni sul mio volto per celare il
profondo
imbarazzo che mi stava imporporando le guance.
-
“Va beh, farò finta di
niente. Dai, vieni di là che è pronto”.
Grazie a
chiunque ci sia lassù!
Mi alzai,
contenta di aver
superato in modo indolore la situazione che si era creata.
-
“Prego” mi disse Will,
lasciandomi passare. Non appena attraversai la porta, però,
quel disgraziato la
sbatté alle mie spalle e sentii il suono netto della chiave
che girava nella
toppa.
-
“Will, apri subito!”. Sam,
come hai fatto a cascarci? Lo
sanno tutti che la cavalleria è morta!
-
“Apri!” continuai ad urlare,
colta da un’ondata di ansia.
-
“E questo dvd?”. Lo sentii
leggere rapido il biglietto di Nick e desiderai morire di vergogna.
-
“Cazzo, Will, apri questa
cazzo di porta!”.
-
“E questi slip? Non ti ho
mai visto indosso niente di così sexy” si
lamentò.
Fantastico,
oltre il danno
pure la beffa.
-
“Apro solo se mi spieghi
cosa significano queste cose. Voglio sapere tutta la storia; niente
bugie,
niente omissioni. D’accordo?” mi chiese.
-
“Non mi lasci molta scelta”
esclamai rassegnata.
-
“E’ un sì?” domandò.
-
“Sì”. La porta finalmente si
spalancò, mostrando un Will a braccia conserte e con un
ghigno beffardo.
-
“La lasagna può aspettare”
disse soltanto.
Raccontare
della scommessa a
qualcuno - soprattutto ad un qualcuno che mai mi sarei aspettata - mi
fece
sentire un po’ più leggera, nonostante lo sguardo
di Will fosse più di stupore
che di comprensione.
-
“Ti sei cacciata in un bel
guaio, Sam”. Non
mi dire.
-
“Già” dissi afflitta.
-
“Li hai già guardati i
video?”.
-
“Certo che no!” risposi
indignata.
Indignata
di cosa che stai
impazzendo per vedere che diavolo ha combinato Nick con le due capre?
-
“Vuoi che li guardi insieme
a te?”. La sua richiesta mi fece enormemente piacere;
già il solo fatto di
condividerne la visione con qualcuno, mi diede un senso di sollievo.
Finsi di
credere che Will lo avesse proposto per aiutarmi e non per una naturale
propensione del genere maschile ad interessarsi a tutto quanto abbia a
che fare
con il sesso.
Annuii e
lui avviò il lettore
dvd. La scena che ci si prospettò davanti, che per fortuna
era piuttosto
sfocata, consisteva nelle due sorelle Rowell mezze nude su di un letto
matrimoniale che salutavano con la mano, neanche fossero state alla
giornata
mondiale della gioventù.
-
“Ragazze - che
c’è, Nick, non ti ricordi più i
loro nomi? -
dite ciao a
Sammy!”. Dio,
che schifo.
Le due
galline obbedirono e -
non so bene per quale motivo - mi lanciarono, o meglio lanciarono alla
videocamera,
i loro reggiseni.
-
“Wow” disse Will. Gli diedi
una gomitata tra le costole che lo zittì.
-
“Che c’è? - rispose
corrucciato - Mica capita tutti i giorni di vedere due quinte che ti si
sventolano davanti!”.
Decisi di
lasciar perdere.
Perché vestire i panni di Don Chisciotte e lottare contro i
mulini a vento? Un
uomo è sempre un uomo.
Vidi Nick
comparire
nell'inquadratura; bello come sempre, torso nudo, jeans slacciati. Ecco
qualcosa che non fa così
schifo.
Il resto
fu un groviglio di
corpi che, all’incirca dopo due secondi, mi diede il
voltastomaco. Interruppi
la riproduzione e mi voltai verso Will.
-
“Sto per vomitare, giuro”
dissi.
Lui si
avvicinò a me, tentando
di buttarsi su mio collo a capofitto.
-
“Ma che fai, scemo?” gli
chiesi ridendo insieme a lui.
-
“Mi sono venute certe idee.
- mi rubò un bacio sulla bocca, mentre io tentavo di
sfuggirgli, alzandomi dal
letto- Torna qui, non puoi farmi vedere queste cose e
pretendere che
rimanga indifferente!”.
-
“ Dai, Will. Ti ho
raccontato e ti ho fatto vedere tutto perché mi aiutassi,
non perché ti
approfittassi di me” lo sgridai.
Sbuffò
e mi tirò per un
braccio, finché, dopo aver opposto una certa resistenza, mi
convinse a
ritornare seduta accanto a lui.
-
“Sam, devi vincere, cavolo”
mi disse pensieroso.
-
“Lo so, ma la vedo dura”
aggiunsi, per la prima volta davvero preoccupata per la piega che stava
assumendo la scommessa.
-
“Anche io” rispose,
lanciando un’occhiata allusiva a quanto c’era
dietro la zip dei suoi pantaloni.
-
“Sei senza speranza, Will.
Sei persino peggio di Nick”. Rise come un ragazzino, salvo
poi farsi serio.
-
“Vincerai, Sam. Hai un’arma
in più che lui non ha: sei una donna. L’unica cosa
che devi fare è provarci con
lui. Provocalo e ce l’avrai in pugno. - fece un sorriso
idiota - In tutti i
sensi”.
Cominciammo
finalmente a
mangiare, con Romeo che ci solleticava le gambe con la coda, reclamando
la sua
razione di cibo. Lo accontentai, mentre Will mi raccontava del suo
lavoro, a
Portland e a Londra, delle sue ex e della sua famiglia; la
verità è che non lo
stavo ascoltando, perché non riuscivo a togliermi dalla
testa quella stupida
parola che mi aveva detto: provocalo.
Non
gli prestai la
minima attenzione e riuscii a capire solo che, se ne avesse avuto il
tempo, mi
avrebbe chiamato in serata per raggiungermi ovunque fossi stata.
Se ne
andò verso le tre ed io,
seppur di malavoglia, mi misi al portatile per finire quel dannato
articolo che
avevo continuato a rimandare. Il risultato non fu granché, -
ma nemmeno il duo
musicale che avevo ascoltato lo era - però lo inviai senza
pensarci troppo
all‘indirizzo di posta elettronica di Valerie. Mi rispose
qualche minuto più
tardi con un’altra mail: Articolo ricevuto.
Confermo per stasera: alle
8.30 a casa mia. Cena e poi si esce. Vestiti sexy. Val.
Controllai
l’ora e notai che
erano quasi le cinque. Decisi che potevo cominciare a prepararmi, tanto
sapevo
che avrei comunque trovato un modo per arrivare in ritardo. Mi immersi
nella
vasca per un bagno lungo, caldo e rilassante che mi avvolse totalmente
per
mezz’ora. Asciugai
i capelli con cura e attenzione, pur
sapendo che avrebbero scelto loro la piega da tenere, come al solito.
Entrai
nella cabina armadio e feci passare un abito alla volta,
finché il mio interesse
si rivolse ad un vestito nero senza spallini e con la gonna a
palloncino, con
uno scaldacuore rosso abbinato sopra che non ricordavo nemmeno di
avere. Doveva
essere uno dei - tanti - frutti dei saldi estivi appena passati che
ogni anno
annoveravano me come vittima.
Lo
indossai e vidi che tutto
sommato non mi stava affatto male; mi diressi con decisione verso
l’armadio
dove tenevo le scarpe, puntando direttamente quella scatola che
conteneva
quelle scarpe. Le avevo tenute in serbo per un’occasione
speciale e, nel
momento stesso in cui sollevai il coperchio, mi immaginai un coro di
angeli
intonare un canto di giubilo. Erano ancora più belle di come
le ricordassi:
rosse, di vernice, tacco dodici e un tasso infinito di bellezza ed
eleganza.
Cosa se ne
fa una donna di un
uomo, quando può avere un paio di scarpe?
Mi guardai
allo specchio
trattenendo un urlo dall’emozione; sì,
d’accordo, decisamente infantile e fuori
luogo, ma non riuscivo a resistere al fascino di un paio di calzature.
E poco
importava se mi erano costate uno stipendio!
Optai per
un trucco leggero,
tranne che per le labbra rosso fuoco, così come la borsa, il
braccialetto che
mi aveva regalato Lily e lo smalto sulle unghie.
Diamine! Erano
già le 20.20 ed io dovevo ancora attraversare
metà città per
raggiungere Val e le altre nella sua villetta del tardo ‘800,
ristrutturata da
poco da lei e Jonathan. Presi un taxi al volo, sperando di non beccare
il
solito vecchio autista in vena di chiacchiere sulla regina e su quanto
fosse
cambiata la società rispetto agli anni ‘80. E
tante grazie! Con che coraggio mi
sarei messa le spalline?
Non feci
in tempo ad arrivare
al cancello, che questo si aprì, mostrandomi Valerie in un
tubino giallo che le
stava d’incanto, accentuandole le curve. Era adorabile
e…
-
“Sei in ritardo, Sam! Come
al solito!”.
…
e ora mi odiava. Le
lanciai un’occhiata di scusa da cucciolotta
che la fece sciogliere.
-
“Mi incanti sempre con
quella faccia!”. Mi passò un braccio dietro le
spalle e mi condusse nella sala
da pranzo dove c’erano Amanda, Jade e
Katy-simpatia-portami-via.
-
“Finalmente. Sei sempre
l‘ultima, eh!” disse quest’ultima,
visibilmente scocciata.
-
“Scusate” mi limitai a dire,
per evitare di saltarle addosso e sbranarla.
Cominciammo
a parlare del più
e del meno, aspettando che Val si decidesse a servirci la cena. Lei,
però,
continuava a raccontarci del suo viaggio di nozze e non accennava a
portare in
tavola alcunché.
Il
campanello suonò e lei si
precipitò ad aprire la porta, salvo poi ritornare con
un’infinità di buste di
un ristorante cinese.
-
“E’ pronta la cena” urlò
raggiante.
-
“Dovevo immaginarlo che
l‘avresti comprata. Non sei in grado di preparare nemmeno una
tazza di latte
con i cereali!” la schernii Amanda. Val
rispose con una delle sue solite smorfie
buffe che ci fecero ridere ancora di più, visto il raviolo
al vapore che aveva
in bocca. Consumammo
il pasto in allegria, divorando
qualsiasi cosa la padrona di casa avesse comprato e ascoltando i suoi
racconti
hot sulla luna di miele. Cercammo
in tutti i modi farci dire quale
sarebbe stato il seguito della serata, ma lei era muta come un pesce e
non
volle darci neanche il minimo indizio.
Verso le
dieci prese le chiavi
della macchina e ci portò in un angolo sperduto di Londra,
in un posto
dimenticato da dio, chiamato La taverna del grillo. Ora
eravamo un
po’ tutte scettiche sulla serata; ci eravamo vestite sexy ed
eleganti per
finire nei bassifondi della città?
-
“Val, cara, scusa se te lo
chiedo, ma… dove cazzo ci hai portato?” chiese
Jade, senza mezzi termini.
Il
soggetto in questione si
girò di scatto verso di noi, perfino sorpresa che la baracca
in cui ci aveva
portato non fosse di nostro gradimento.
-
“Andiamo ragazze, non date
peso all’apparenza”.
-
“Come, scusa? Non sei tu
quella che ha licenziato la vecchia segretaria perché diceva
che i suoi occhi
ti mandavano energie negative? - le chiesi ironica, poggiando un
braccio dietro
la sua schiena - Perché, tesoro, ti informo che anche quello
è basarsi sulle
apparenze”.
Lei si
liberò della mia presa,
serissima in volto.
-
“No, Sam, quello era basarsi
sul fatto che quella -
disse con diffidenza - aveva
qualcosa di esoterico”.
Lasciai
cadere l’argomento con
un gesto della mano: su certe cose era proprio fissata.
-
“Forza donne, portate il
vostro culetto dentro” disse, aprendo la porta.
Entrammo
guardandoci intorno e
rabbrividii al solo pensiero che sarei potuta uscire da quel postaccio
con
qualche malattia infettiva. Dio, c’era pure il campanellino
sopra la porta. Sembrava
di
essere in una delle tavole calde americane, solo in una versione
più deserta e
triste. C’erano soltanto due giovani ragazzi che
sorseggiavano due tazze di
caffè in fondo al locale e un vecchio signore con un
cappello in testa che
mangiava qualcosa di vagamente simile ad un’omelette, mentre,
dietro al
bancone, non c‘era anima viva.
-
“Devo aspettarmi di veder
entrare Lorelai
Gilmore in
ogni istante?” domandai a nessuno
in particolare.
-
“Sam, diamo fiducia a Val”
mi rimproverò Amanda, con poca convinzione.
Nel giro
di una decina di
secondi, notammo che davanti alla vetrina si era radunata un sacco di
gente,
per di più uomini in giacca e cravatta e donne con il
tailleur.
Si
fiondarono all'interno
della taverna tutti allegri e sorridenti e per un attimo pensai davvero
che
avessero sbagliato porta d’ingresso.
-
“Ehi, Joanne” urlò uno
spilungone in completo, rivolto al qualcuno nel retro che
comparì
all‘improvviso. Era una signora sulla cinquantina, capelli
rossi ricci ed
arruffati ed un improbabile gilet di jeans.
-
“Ciao Al. Sei pronto?” gli
chiese, mostrando un sorriso a trentadue denti giallo nicotina.
-
“Puoi scommetterci, Jo!” le
rispose.
-
“E allora gente, che
aspettate? Forza, tutti nel seminterrato!” gridò
la barista come una pazza.
L’orda
umana si affollò sulle
scale e Valerie cominciò a spintonare anche noi per seguire
la massa di corpi
in movimento.
-
“Ma dove andiamo?” osò dire
Katy. Oh,
una domanda
intelligente.
-
“Ho la bocca cucita. -
rispose Val - Sappiate solo che è il momento di scaldare le
ugole!” esclamò al
settimo cielo.
Rimasi
pietrificata pensando a
quanto mi sarebbe toccato fare; quella frase poteva dire solo una cosa:
-
“KA-RA-O-KE” urlò la
trentina di persone che si era radunata al piano inferiore della
baracca.
Mi girai
verso Amanda, Jade e
addirittura Katy per trovare comprensione, ma ciò che vidi
fu sola una grande,
gigante, immensa eccitazione all’idea di esibirsi di fronte
ad una massa di
sconosciuti.
-
“Fantastico, Val! Sei un
genio! - sentii dire dalle mie amiche - Hai già scelto la
canzone?”.
-
“Certo! Ho pensato a tutto”.
Sghignazzarono fra di loro mentre io avrei tanto preferito essermene
rimasta a
casa. Non avevo mai cantato di fronte a qualcuno che non fosse lo
spruzzino
della doccia o Romeo mentre facevo le pulizie domestiche e, a giudicare
dal
miagolio che faceva ogni volta, avrei giurato che non gradisse
particolarmente
quello che sentiva.
-
“Canteremo Give it
to me right di
Melanie Fiona.
Adoro quella canzone!” terminò Valerie, traendo
dalla borsa dei fogli con il
testo stampato.
Tutte
presero il loro foglio -
tranne me - e Amanda lanciò un gridolino di approvazione; ci
credo, erano due
anni che era divorziata ed aveva un serio bisogno che qualcuno give
it
to her right.
Vidi due
ragazze impadronirsi
dei microfoni e cominciare ad improvvisare un balletto sexy con tanto
di coreografia
- provata in ufficio? - di Lady Marmalade.
Al si avvicinò a noi,
presentandosi perché era la prima volta che ci vedeva in
quel posto e ci disse
che sarebbe stato il nostro turno un quarto d’ora dopo circa.
-
“Ragazze, siete impazzite?
Io non voglio farlo!” gridai disperata.
-
“Uffa, Sam, sei sempre la
solita guastafeste” mi rimproverò Jade, parlando a
nome di tutte e facendosi
abbindolare da un signore che si era avvicinato a lei per invitarla a
ballare.
-
“Dai, se la bimba se non la
sente, lasciatela in pace” intervenne Katy. Brutta
megera. Presi l’ultimo foglio rimasto sul tavolo e,
per evitare di
sbranarla, decisi che sarebbe stato meglio fare una tappa alla toilette
e fare
un po’ di training autogeno.
-
“Val, se suona il mio
cellulare rispondi. Dovrebbe essere un mio amico; digli dove siamo che
ci
raggiunge” le urlai per farmi sentire sopra il caos generale
che c’era tra la
canzone e la gente che si strusciava l’una contro
l’altra.
-
“E’ una serata per sole
donne” disse corrucciata.
-
“E’ giovane e sexy” le
risposi con aria di sfida. Le due parole magiche di Val.
-
“Perché non è già
qui?”
esclamò elettrizzata. Scossi la testa e andai in bagno,
anche per fare pipì,
onde evitare di peggiorare la situazione sul palco, facendomela addosso.
Sollevata
dalla tavoletta e
con il sedere a mezz’aria - come mi aveva insegnato la mamma
da piccola -
ripassai mentalmente le strofe della canzone che sapevo a memoria,
visto che
Val la canticchiava ogni volta che le era possibile.
Mi guardai
allo specchio e mi
convinsi che in quel locale non mi avrebbe visto nessuno, che ero una
sconosciuta agli occhi di tutti, oltre le mie amiche, e che in fondo
non avrei
fatto nulla di male.
Uscii dal
bagno e notai che le
ragazze si stavano dando parecchio da fare con i maschietti del posto.
Rintracciai Val e le chiesi se Will aveva chiamato.
-
“Chi?” mi disse, senza
smettere di ballare.
-
“Il mio amico” gridai.
-
“Ah, sì, sarà qua tra poco.
Ciao!” rispose, lanciandosi in uno sfrenato ballo con Katy.
Tornai a
sedermi al mio posto
e Al mi raggiunse per dirmi che mancava ormai poco alla nostra
esibizione. Stavo
per mettere
il cellulare nella borsa, prima che in quella topaia mi rubassero
qualcosa e
ormai rassegnata all’infame destino che mi aspettava, notai
che stava vibrando:
Will. Ha
cambiato idea e non viene! Uno in meno che
vedrà lo spettacolino!
-
“Non vieni?” dissi
bruscamente e da perfetta maleducata.
-
“Dove?” mi rispose sorpreso
con il suo solito accento yankee.
-
“Alla Taverna del
grillo, genio! Avevi detto che saresti stato qui - consultai
l’orologio -
ora”.
-
“Non so di cosa tu stia
parlando” replicò.
-
“Quando prima hai chiamato…”.
-
“Alt, Sam, è la prima volta
che ti chiamo stasera! Comunque la conosco e sono in zona, quindi cerco
di
raggiungerti. Ciao”.
Riattaccò
e io scorsi
velocemente il menù del telefonino fino ad arrivare alle
chiamate ricevute. Non
dirmi che hai parlato con lui, non dirmi che sa che sono qui e che
vedrà noi
che ci rendiamo ridicole in questo squallidissimo locale.
-
“Sam, è il nostro turno” mi
disse Jade.
Il suo
nome era lì, subito
dopo quello di Will. Nick.
Non ebbi
il tempo di
riflettere che lo vidi scendere le scale della Taverna
del grillo e accomodarsi al tavolo numero 7, a pochi metri
da palco.
Cazzo!
Riuscii
per un pelo a riporre
il cellulare nella borsa, prima che un braccio mi strattonasse fino ai
microfoni. Vidi il suo sguardo su di me; era curioso ed
impaziente ed io
sentii una morsa d’acciaio allo stomaco. Valerie,
che tu sia maledetta!
La base
musicale partì ed io
iniziai a tremare. Mi avevano affidato la prima parte del ritornello,
in
sostanza il pezzo più compromettente.
I
don’t want it all the time,
But when I
get it,
I better
be satified
So give it
to me right,
Or
don’t give it to me at all.
Forse
è un segno del destino,
Sam: il mondo ti vuole sgualdrina!
Arrivò
anche Will e si andò a
sedere accanto a Nick. Ci mancavano soltanto i miei e il vescovo di
Londra e
potevo dire che ci fossimo davvero tutti.
Val
cominciò a cantare,
stonata come una campana, ma c’era da riconoscerle un certo
impegno che,
infatti, i presenti parvero apprezzare. Fu poi il turno di Katy che si
diresse
direttamente verso il tavolo sette, puntando Will che sembrava ormai
condannato
ad essere stretto tra le sue grinfie. Lui stette al gioco, assecondando
i
movimenti molto poco espliciti di lei. Traditore!
Sei mio amico, non di quella scema. Certo,
dovevo ammettere che non era proprio una carretta e che aveva una
qualche sorta
di fascino nascosto sotto lo strato - molto spesso - di cattiveria:
trent'anni,
capelli scuri, occhi grandi ed azzurri, denti talmente sbiancati che il
suo
dentista doveva essersi fatto parecchie vacanze con tutti i soldi
ricevuti da
lei.
Oddio,
tocca a me… che faccio?
SCAPPA! Lo
sguardo intenso di
Will mi fece restare incollata dov’ero.
Provocalo,
Sam. Sì,
facile a dirsi.
-
“I don’t want it all the
time” dissi timida, guadagnandomi
un’occhiata ilare e divertita di Nick. A
parte lui, - e Will che cercava di dirmi qualcosa che immaginai avesse
a che
fare con il discorso del pomeriggio - il pubblico e le mie amiche erano
tutti
intenti ad incitarmi a sciogliermi e a dimenarsi come ossessi per ogni
angolo
del locale con grida allusive al testo.
-
“But when I want it, I
better be satisfied”. Avevo la stessa convinzione di un ateo
che recita una
preghiera. Per fortuna, Will mi venne incontro nel vero senso della
parola;
salì sul palco, si posizionò dietro di me e
cominciò ad ondeggiare,
permettendomi di acquisire una certa sicurezza ed evitare
così di apparire come
una perfetta idiota. Il volto di Nick sembrò sorpreso nel
vedere che ad un
essere umano potesse venire anche solo in mente di aiutarne un altro,
soprattutto me - sarà poi che il suo passatempo
preferito era quello di
mettermi in difficoltà più che darmi una mano.
Cantammo
il resto del
ritornello tutte insieme, sentendoci delle quindicenni bimbominkiose ma
poco
c’interessava, visto che ognuno in quel locale aveva il
diritto di rinfacciare
a chiunque di aver fatto altrettanto.
Provocalo,
Sam. Non
capivo più se fosse la mia fantasia o se fossero
davvero le parole che Will mi stava bisbigliando all’orecchio.
Concessi a
Val di ballare con
lui, perché ormai ero cosciente di dover fare una cosa:
render pan per focaccia
a Nick. Lo puntai quando ancora era seduto al tavolo numero sette - il
mio numero fortunato. Un segno? - e
presi a cantare a squarciagola la
mia parte, attingendo a tutto il sex appeal che trovai nel repertorio
dei miei
canti da doccia. Mi sentii una spudorata, però, cavolo!,
dovevo pur onorare al
meglio le mie scarpe rosso fuoco. Brucia
all’inferno ora, Nick.
Gli feci
una specie di
giravolta attorno alla sedia, con la mia gonna a palloncino che
svolazzava a
destra e manca. Mi sedetti sulle sue gambe e strusciai la mia schiena
contro il
suo petto.
La mia
coscienza scorse in
lontananza un principio di remore; però, quando i miei occhi
constatarono che,
non solo nessuno mi stava osservando come fossi una ninfomane, ma che,
al
contrario, tutti si stavano dando piuttosto da fare, continuai a
molestare -
verbo più che lecito in questa circostanza - Nick. Lo vidi,
per la prima volta
da quando l’avevo conosciuto, un po’ a disagio, con
le mani alzate che non
sapeva dove mettere. Mi girai verso di lui…
-
“So give it to me right,
or don‘t give it to me at all”.
…
e incontrai le sue iridi
chiare che, per un attimo, mi fecero perdere la lucidità;
sì, perché io non ero
come le sorelle Rowell; per fare certe cose dovevo pure concentrarmi!
Mi voltai
di scatto, con la
sensazione di essere stata scottata: ma non era lui che doveva bruciare
nell’inferno delle mie scarpe?!
Tentò
di scostarmi con
delicatezza, ma io mi aggrappai al suo collo a mo’ di koala e
mi piazzai in
braccio a lui, sfoggiando un casqué inedito che, con molta
probabilità, gli diede
un’ampia visuale sul golfo di Napoli che c’era tra
le mie gambe.
Fui colta
da un impulso della
bacchettona che viveva, seppur relegata, in un angolo recondito della
mia anima
e serrai d’istinto le cosce, quando ancora ero a testa in
giù. Pensai di cadere,
di procurarmi un trauma cranico e, magari, di finire in coma: era la
mia
punizione per aver sfidato il dio dello strip-tease.
E, invece,
avvertii la sua
mano forte afferrarmi la nuca e riportarmi alla posizione originale, i
nostri
visi ad una distanza millimetrica l’uno dall’altro.
Sperai che il gesto fosse
passato come una mossa coreografica.
Mi alzai
velocemente prima di
perdermi di nuovo ad osservare i suoi occhi color ghiaccio, le labbra
carnose,
il naso diritto e i capelli spettinati. Okay, forse mi ero incantata un
attimo.
Andai
dietro di lui, lontano
da quelle pupille indagatrici che mi leggevano dentro come un libro
aperto e
cominciai a sfregare le mani contro il suo torace, su e giù,
senza, però, mai
giungere alla terra di mezzo che sanciva il confine col pube. Lo sentii
irrigidirsi sotto il mio tocco, ma non manifestò apertamente
di volermi
allontanare.
Questa
canzone non finisce
più! Ero
preoccupata sul serio, visto che non sapevo più
che inventarmi per apparire seducente.
Se non
finisce entro qualche
secondo, sarò costretta a sfoggiare Il
ballo del mattone.
Improvvisamente,
fu Nick a
porre fine ai miei dilemmi; balzò in piedi dalla sedia,
turbato in volto, mi
afferrò per il polso e mi trascinò, quasi
correndo nella confusione, fino ad un
atrio stretto e piccolo, dietro ad una porta trasparente, chiusa da un
maniglione antipanico. Mi spiaccicò contro la parete e senza
alcuna possibilità
di fuga.
Ma chi
voleva andarsene?!
Non
c’era nessun altro a parte
noi nello stanzino, dove la musica della sala accanto ci giungeva
ovattata.
Sentivo il
suo respiro sul mio
volto, il sapore di menta del suo alito mi lambiva la bocca.
-
“Che stai facendo?” disse
quasi in un sussurro che mi provocò la pelle d’oca.
-
“Niente” risposi con una
voce flebile, mentre alternavo lo sguardo dalle sue labbra ai suoi
occhi.
Sotto
pressione, proprio non
mi riusciva di dare delle risposte di senso compiuto.
-
“Smettila” bisbigliò
sottovoce, con un tono sexy non voluto.
Sta
giocando con te, Sam.
Provocalo e comincia a ripagarlo con la stessa moneta. Gioca!
-
“Di fare cosa, Nick?” lo
rimbeccai, accennando un sorriso beffardo.
-
“Stai giocando con il fuoco,
Sammy”.
-
“Io non ho paura di
scottarmi. - cercai di divincolarmi, ma lui serrò ancora di
più la presa sui
miei fianchi - E tu, Nick?” lo sfidai, inclinando il viso. Esitò
un istante
che mi sembrò eterno, mi fissò duro negli occhi
e, con foga, mi baciò.
Non fu
romantico, né tanto
meno tenero; fu brusco, veloce, inaspettato, a tratti violento. E
tremendamente
breve. Durò giusto qualche secondo, prima che la canzone
finisse e si portasse
via con sé la magia - quella sì di Harry Potter -
nata in un ambiente triste e
squallido.
Fu casto,
perché non vi fu
neanche il tempo di approfondirlo, di esplorarci, di pensare con
razionalità a
quanto stava succedendo. Si staccò dalle mie labbra con la
stessa fugacità con
cui vi si era incollato, abbassò lo sguardo - sulle mie
scarpe? - allentando la
stretta in cui mi aveva rinchiuso e poi se ne andò da dove
eravamo arrivati,
ma, questa volta, senza di me.
Borbottò
solo un devo
andare e
mi lasciò da sola,
scossa e confusa ad osservare il pavimento sotto ai miei piedi, sotto
alle mie
scarpe.
Io avevo
giocato. Lo avevo
provocato e avevo vinto. Il quesito era se anche lui avesse fatto
altrettanto.
D’un
tratto le odiai, odiai
quelle stupide scarpe rosse che mi fissavano, che avevo scelto di
preservare
per un’occasione speciale e che, invece di farmi sentire
bella e sicura di me,
mi avevano trasformato in una sciocca ragazza dall’aria
smarrita.
Accampai
una scusa qualsiasi e
me tornai a casa insieme a Will, con il quale misi subito in chiaro che
non ero
in vena di chiacchiere.
Lo salutai
frettolosamente e
mi rinchiusi in casa. Mi tolsi le scarpe, le riposi nella loro scatola
come un
automa, promettendo a me stessa che lì sarebbero rimaste per
molto tempo. Mi
misi a letto, con la testa che mi scoppiava per la lotta in atto tra i
miei neuroni
e uno stato confusionale che non mi spiegavo, ma con la mini rivincita
di
averla avuta vinta almeno una volta.
Ma,
a giudicare dall’emicrania
che mi era venuta, non era nemmeno una magra consolazione.
Era proprio anoressica.
The boy in
the red shoes is dancing by my bed
Put them
in a box somehere,
put them in a drawer
Take my red shoes, I can't
wear them anymore.
Bonsoir!
Uffa, ultimamente sono sempre in ritardo, accipigna!
Questa settimana ero persino in anticipo, ma ho ben pensato di lasciare
il
capitolo a Trento (dove studio) prima di tornare a casa. L’ho
presa con
filosofia, interpretandolo come un segno divino che mi invitava a
riscrivere la
storia.
Non so se
fosse già ora di far
avere a Sam e Nick un incontro ravvicinato, ma il momento sembrava
propenso.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Il titolo
del capitolo fa
riferimento a “Ballad of the boy in the red shoes”
di Elton John.
Ora
scappo, lasciandovi come
sempre un GRAZIE grosso quanto un ippopotamo! Baci a tutte!
HappyCloud
SunshinePol:
cacchio, era
Snookie per forza la tizia al concerto di Ralph. Mi scuso con te
perché ti
avevo detto che avrei aggiornato ieri e invece l’ho fatto
solo oggi. Purtroppo
ieri mi sono partiti alcuni capillari dell’occhio e mi stavo
addormentando sul
pc. Aggiorna pure te, zia!
Emily
Doyle: stavolta ci è
andata vicina al saltargli addosso! Però purtroppo
è un po’ troppo razionale…
per capirci, io mi sarei scaraventata su di lui! Tutte lo avremmo
fatto,
ahahhah… un bacione!
Aryanne:
Sì, Nick è proprio
sexy! Purtroppo è talmente perfetto nella mia testa,
l’ho talmente idealizzato
che fatico a trovare l’immagine di un modello/attore/cantante
che sia
soddisfacente ai miei occhi. Accetto suggerimenti! :D Baci
Rose in
Winter: non so come
farei senza le tue recensioni!!Sei sempre molto carina e questo non
può far
altro che farmi estremamente piacere. Sono contenta che ti sia piaciuto
lo
scorso capitolo e quasi mi hai fatto commuovere quando hai scritto che
questa
storia ti ha sollevato il morale. Grazie, cara! *-*
Wingedangel:
ho dei seri
problemi a scrivere il tuo nome ogni volta! Devo rileggerlo due o tre
volte per
memorizzarlo :D è una specie di sfida! Potrei fare copia e
incolla, ma perché
privarmi di questo test ogni volta?! Nick è Nick,
però anche Will...
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6. Complicated. ***
Capitolo
sei. Complicated.
Prendere
sonno dopo la cosa che
c’era stata tra me e Nick si rivelò
un’impresa titanica. Scartai a priori l’ipotesi di
contare le pecore - di solito, a quota tremila cominciavo a stufarmi e
ad irritarmi con quegli stupidi animali così… lanosi - ed
eliminai anche la seconda opzione, che consisteva
nell’assunzione di una dose massiccia di valeriana, alla
quale ormai ero immune.
Feci
cinque minuti di ginnastica facciale antirughe, dieci serie da venti
addominali - sì, proprio io, l’antipalestra per
eccellenza - e provai un paio di volte con successo la posizione della
candela; tutto nel vano tentativo di stancarmi ed insinuare nella mia
mente la volontà di concedersi un meritato riposo.
Accesi
la tivù, ma constatai che d’interessante facevano
solo delle repliche di Nash
Bridges,
del quale mi ero disintossicata tempo addietro; spensi immediatamente,
visto che ci avevo impiegato anni per uscire dal tunnel di 'Naaaaash'
che rispondeva al suo cellulare preistorico dal sedile della sua
decappottabile.
Fissai
un punto indistinto sul soffitto.
Non
ho paura di scottarmi. E tu, Nick?
Mi
rotolai nel letto, annoiata persino dai miei pensieri e controllai
l’ora: le 2.30 ed io presi una decisione.
Il
campanello di casa Hansen suonò senza sosta per una decina
di secondi, finché Will, assonnato ed arrabbiato, si
affacciò alla porta.
-
“Sorpresa” gli dissi poco convinta.
Lui
mi guardò con uno sguardo misto tra lo scocciato e il
confuso.
-
“Che cavolo vuoi, Sam? Non sono neanche le tre del mattino. -
si stropicciò gli occhi con il dorso della mano, ma, ad un
tratto, fermò l’avambraccio a mezz’aria
e si fece serio - Aspetta, vuoi fare sesso?”.
Irrecuperabile.
Lo guardai perplessa, spostando il peso su di una gamba.
“Dio,
Will, sei monotematico. - mi lamentai - No, è che non riesco
a dormire” sbuffai, emulando alla perfezione una bambina di
due anni.
Lui
si fece pensieroso e corrugò la fronte, appoggiandosi allo
stipite della porta e incrociando le braccia sul petto.
-
“Mmm… fammi pensare. Quanto mi può
interessare il fatto che la mia vicina di casa soffra
d’insonnia? - domandò in modo retorico
più a sé stesso che alla sottoscritta - Niente.
Notte, Sam”.
Fece
per chiudere la porta, ma c’infilai la pantofola di Snoopy e
l‘uscio tornò a spalancarsi.
-
“Willy, ti prego” mugolai, sbattendo le ciglia.
-
“Se mi chiami Willy, poi, non ti ascolto neanche”
disse duro. In effetti aveva ragione: sembrava il nome di un cane.
Feci
il broncio e mi spinsi fino a simulare un pianto isterico, che,
evidentemente, lo impietosì. Inclinò il volto e
mi fece segno di entrare con la testa.
-
“Aspetta, deve venire anche Romeo” esclamai,
tornando per qualche secondo nel mio appartamento a recuperare il mio
micione nero. Will ci aspettò sul pianerottolo, gli occhi
alzati al cielo e ci accompagnò fino alla camera
matrimoniale, dove ci distendemmo, mentre il mio gatto si aggirava
indagatore nel soggiorno.
-
“Bello il pigiama con gli orsetti. Mi fa passare ogni
fantasia” esclamò ironico.
-
“Vogliamo parlare del tuo che sembra quello del mio
trisnonno? - risposi acida - E, a proposito di nonni, non so come ti
sia potuto venire in mente di chiedermi di farlo nel letto del signor
Hansen”.
-
“Ah, che palle voi donne e le vostre paranoie. Un letto
è un letto. L‘importante è la compagnia
che ti scegli” mi disse.
Mi
venne in mente, d’un colpo, l’immagine del mio
simpatico vicino con quella odiosa di Katy.
-
“E quella cretina-stronza-frigida della mia collega sarebbe
una buona partner? Ieri si è spalmata su di te e tu
l‘hai lasciata fare!” lo rimproverai, mentre lui
ghignava sotto i baffi.
-
“Uh, ma senti chi parla! Io ti ho vista con la lingua di Nick
ficcata in bocca”. Ne dubitavo fortemente, visto che quel
contatto approfondito non c’era stato.
-
“Non credo, sai. Niente lingua” sospirai.
Cacchio,
Sam, un po’ di contegno! Sembra che quasi ti dispiaccia!
Will
mi fissò, sorpreso da quanto avevo detto.
-
“Io ti ricordo attaccata al muro e lui incollato a te. E -
divenne malizioso - le tue manacce sul suo fondoschiena”.
Io?
Io avevo palpeggiato il culo di Nick? Lo avevo avuto tra le zampe e non
mi ricordavo neanche come fosse! Accidenti!
Sgranai
gli occhi e mi voltai di scatto verso la parte di letto sul quale era
sdraiato. Non mi guardava, ma, al contrario, aveva il viso rivolto
verso il l‘alto.
-
“No, okay, questa me la sono inventata. Volevo solo vedere la
faccia che avresti fatto” rise.
Gli
lanciai un cuscino sull’addome con una forza pari a quella di
un ippopotamo morto: ero stanca, ma il sonno non accennava a farsi
largo nel mio corpo.
Era
uno strano rapporto, quello che c’era tra me e Will; non lo
consideravo un amico - definizione troppo stretta e, per di
più, fare sesso era una prerogativa dei trombamici,
più che dei semplici amici. Però, non lo
consideravo un amante e, nemmeno a dirlo, un fidanzato. Conclusi la mia
analisi con la teoria di Dawson’s
Creek:
eravamo i Jen e Jack della situazione, solo con meno problemi cardiaci
mortali da parte mia, - quand'è
l‘ultima volta che ho fatto un elettrocardiogramma? - e un
po’ più di eterosessualità da parte
sua, garantita e provata.
-
“Mi racconti cos’è successo, almeno?
Sai, giusto per non avere la sensazione di aver passato la notte in
bianco per niente” chiese il mio Jack. Romeo balzò
sul materasso e si accoccolò accanto al braccio di Will;
aveva decisamente una predilezione per lui.
-
“L’ho provocato, come mi hai detto tu”
gli risposi d’un fiato.
-
“E?” domandò curioso.
-
“E mi ha baciata, fine della storia” conclusi,
infastidita per aver dovuto ripercorrere con la mente la scena dello
stanzino. Quelle labbra morbide, carnose, che avevano dominato le mie
per poco.
-
“E?” mi incalzò di nuovo.
-
“E basta! Melanie Fiona ha ben pensato di far durare la
canzone tre minuti e mezzo e, perciò, fine canzone, fine
bacio”.
Si
mise di fianco nella mia direzione e cominciò ad osservarmi
in silenzio.
-
“Ti rode” sentenziò trionfante, con un
tono che nulla aveva di interrogativo.
Strabuzzai
gli occhi e contraccambiai l’occhiata.
-
“No!” sbottai.
-
“Oh cazzo, Sam! - si portò una mano sulla fronte -
Sei pure peggio del previsto”. Tornò supino e
prese ad accarezzare Romeo, ridacchiando.
-
“Ma si può sapere che cavolo dici?!“
tentai di difendermi, puntellandomi sui gomiti.
-
“Santo cielo, ti scoccia un sacco che Nick non sia andato
oltre”. Quell’accusa umiliante mi toccò
nel vivo, mentre lui continuava a prendermi in giro, picchiettandomi il
suo indice sul naso.
-
“Mi rode solo il fatto che se fosse successo qualcosa in
più lo avrei distrutto completamente ed una volta per
tutte” dissi agguerrita e scansai le sue dita dalla mia
faccia.
Sicura? Ma
sì, diamine!,
che ne ero sicura.
-
“Voi donne siete così complicate. Non
riuscirò mai a capirvi” disse Will, quasi fosse
una cantilena. E, difatti, questa storia della difficoltà a
comprendere il gentil sesso era proprio una nenia.
-
“Non è difficile, tesoro. Uomini: - mi preparai a
camuffare la voce e a renderla più roca - faccio
ciò che mi dice il pisello e non ho ancora capito come si
usi quella strana cosa gommosa che ho nella testa. La chiamano
cervello, ma io non l’ho ancora scoperta. E poi è
molle. Invece, io sono duro e ce l’ho sempre duro. Donne: -
ritornai al mio tono normale - ragiono con il cuore e con il cervello.
So cos’è un’emozione e sono in grado di
provare sentimenti. Uso la vagina per far credere ad un uomo di essere
tale. Capito, Willy?” lo sfidai.
-
“Chiamami ancora una volta così e ti sbatto fuori
di casa. - mi avvertì - Comunque, lo sai che io sono
l’eccezione alla regola”.
-
“Spiacente, Will. Non esistono eccezioni” esclamai,
fintamente dispiaciuta.
-
“Vedremo, Sam, vedremo. Nel frattempo cosa pensi di fare con
Nick?” mi chiese, cambiando argomento.
Bella
domanda.
-
“Non so. Penso che mi chiamerà per via della
scommessa settimanale e so già che sarà
imbarazzante da morire per entrambi. Staremo zitti tutto il tempo,
desiderosi di sprofondare nel pavimento sottostante”.
Will
borbottò qualcosa che non riuscii a captare e
ridacchiò.
Non
so di preciso quando mi addormentai, ma ricordo solo il bacio leggero e
delicato che il mio Jack mi depositò sulla guancia, prima di
pronunciare un non così delicato 'finalmente!'.
La
mattina seguente mi svegliai da sola, nel lettone. Non c’era
traccia nemmeno di Romeo che, con tutta probabilità, aveva
seguito Will fino alla porta per poi lasciarsi andare sul divano.
Cominciavo a sospettare che quel gatto provasse qualcosa per il mio
vicino: fusa in continuazione, carezze cercate - e sempre ottenute -,
strusciamenti di coda in abbondanza...
Pure
il gatto gay, ci voleva! E, infatti, non ci fu verso di trascinarlo via
dal soggiorno del signor Hansen.
Erano
le 9.30: tempo di tornare a casa, prepararsi ed andare in tutta
velocità in ufficio per la riunione delle 11. Uscii di
soppiatto dall’appartamento di Will e mi infilai nel mio,
nella speranza che nessuno mi vedesse e si facesse strane idee.
Beh,
in fondo che mai potevano dire di sbagliato? Che
te la fai con il vicino? E’ la verità, tesoro.
La
vocina che avevo sempre in testa era davvero irritante, talvolta.
Mi
feci una doccia veloce e decisi che non era giornata di tacchi, di
abiti, di accessori ricercati. Mi misi un paio di jeans attillati, ma
non troppo, una maglietta bianca con una scritta colorata e le converse
bianche. Indossai anche il trench, dal momento che eravamo alle porte
del mese di settembre e che una pioggerellina insulsa batteva sulle
imposte.
Presi
pure gli occhiali da sole, utili a coprire le occhiaie e del tutto
superflui, visto il tempaccio nuvoloso e uggioso che intravedevo
attraverso i vetri delle finestre.
L’ufficio
era deserto, ma si affollò rapidamente nel giro di qualche
minuto, quando la consueta riunione dei collaboratori di MM stava
per avere inizio. Mi sedetti alla mia solita poltrona girevole in fondo
al tavolo, notando che tutti i colleghi che facevano il loro ingresso
nella stanza, mi regalavano occhiate curiose.
Dannazione,
di nuovo il dentifricio sui capelli?
Tirai
fuori di nascosto dalla borsa uno specchietto e mi analizzai con cura;
non avevo scorto nulla di strano nel mio aspetto, ma,
dall’alto della mia infinita paranoia nei confronti di terzi,
corsi in bagno a verificare di non essermi sporcata i vestiti.
Nell’uscire
dalla sala, mi imbattei in Valerie che, come gli altri, mi
squadrò da capo a piedi, stupita.
-
“Mi dite che diavolo avete tutti da guardare,
oggi?” chiesi con un tono di voce maggiore al solito, in modo
tale che mi sentisse l’intera redazione. Perfetto, la
mattinata era appena cominciata e già mi giravano.
-
“Sam, non ti scaldare! - mi disse, mettendo le braccia
davanti a sé, come a difendersi - E’ solo che
sei… sei… strana” terminò.
-
“Cosa vuol dire, strana?” domandai, ancora
più confusa di prima.
-
“Beh, sei sportiva diciamo. Non siamo abituati a vederti con
le scarpe da tennis e senza ninnoli”.
Non
sapevo se essere lusingata dal fatto che i dipendenti di MM badassero
così tanto al mio abbigliamento o essere adirata
perché non potevo nemmeno scegliere di indossare una tenuta
più casual senza destare l’attenzione
dell’intera rivista su di me. Mi rivolsi a tutti i colleghi.
-
“E’ questo il problema? - li vidi abbassare lo
sguardo, imbarazzati - Ragazzi, prometto che domani mi
metterò l‘abito da gala,
d‘accordo?” dissi scherzando.
Feci
per tornare al mio posto, ma Val mi trattenne per un braccio.
-
“Dove pensi di andare? Ieri mi aspettavo un tuo amico e ne
sono arrivati due. Molto sexy. - ammiccò - Uno aveva persino
un’aria familiare”.
Per
forza, cara, ti ha ballato davanti agli occhi per un’intera
serata mezzo nudo. Forse non ricorderai la faccia, ma i pettorali,
quelli di sicuro.
Aprii
la bocca per dire qualcosa, ma Katy comparì sulla soglia
della porta, anticipandomi.
-
“Era Nick. Lo spogliarellista del Pumping
Pumpkin.
- abbassò la voce - Quello a cui volevi mordere il sedere,
per intenderci, Val”.
Quest’ultima,
invece di arrossire come una palla di fuoco dall’imbarazzo di
aver anche solo pensato di affondare i denti nelle natiche di qualcuno,
si rivolse verso di me con gli occhi sbarrati.
-
“Stai forse uscendo con Chiappe
d’oro?”
mi domandò e per un attimo temetti davvero che i bulbi
oculari le sarebbero balzati fuori dalle orbite.
-
“Io… no!” urlai, suscitando
l‘interesse dei colleghi.
-
“Hanno una scommessa in ballo. Una scommessa molto
hot”. Katy,
stai zitta!
Valerie
continuava a fissarmi con insistenza.
-
“Non è vero!” gridai, diventando
bordeaux in volto dalla vergogna e dalla rabbia che provavo in quel
momento per quella gallina che non aveva resistito alla tentazione di
aprire il becco.
C’erano
state non poche occasioni, dopo l’addio al nubilato, per
tirar fuori la verità e raccontarla ad Amanda, Jade e,
soprattutto, a Val. Ma la stronza aveva aspettato questo momento per
umiliarmi di fronte all’intera redazione, facendomi passare
per la meretrice di turno.
-
“Lo conosci o no?”. La mia capa si stava facendo
sempre più insistente.
-
“No, - mentii - è capitato lì per caso
ieri sera”. Il mio castello di balle una volta o
l’altra sarebbe caduto.
Il
cellulare cominciò a suonare nella borsa. Lo trassi da una
tasca con l’intenzione di ringraziare di cuore chiunque mi
stesse togliendo dall’impaccio di fornire ulteriori
spiegazioni - false -. Val fu più rapida di me e me lo tolse
dalle mani.
-
“Ma non mi dire. E’ lui. Per fortuna che non lo
conoscevi. Non me la racconti giusta, Sam”.
Vidi
Katy godere gioiosa dello stato pietoso in cui versavo, prima di andare
ad accomodarsi in una delle sedie della sala riunioni, dove sapevo che
avrebbe esplicato a tutti il casino in cui ero finita.
Proprio
ora deve chiamare?!
Cercai
di riagguantare il telefonino, ma Val mi allontanò da lei
con le braccia e rispose.
-
“Pronto, Nick?” disse.
-
“Valerie, ridammelo subito!” mi dimenavo come una
pazza e, in questo caso, una camicia di forza non sarebbe sembrata
eccessiva.
-
“Sì, sono la sposa. Ti ricordi di me? - chiese
lusingata e civettuola - A proposito, sei un gran bel vedere: quei
muscoli, quegli addominali, e che gran bel cul… ”.
-
“Valerie!” urlai in preda a puro panico, totalmente
ignorata.
-
“Figurati! - okay, lo stava riempiendo di lodi, con il suo
solito modo di fare spigliato ed accattivante - D’accordo,
contaci. -le
ha chiesto un appuntamento?-
Certo, glielo dirò. Ciao!”.
Concluse
la telefonata, mentre ancora io tentavo di impedirle di continuare la
conversazione.
-
“Quanta fretta, Sam. Stavamo solo facendo due chiacchiere. -
mi riconsegnò il cellulare e mi puntò
l’indice contro - Piuttosto, ritieniti fortunata che la
riunione stia per cominciare, perché altrimenti ti avrei
sottoposta ad un terzo grado con il quale ti avrei fatta cantare in
meno di due minuti”.
Rientrammo
nell’ufficio ed io non osai nemmeno fiatare.
-
“E ringrazia pure per il fatto che io sia una donna sposata.
E’ solo per quello se hai una chance con lui”
disse, ridendo.
-
“E’ più complicato di quanto tu
creda”. Mi liquidò con la sua solita smorfia buffa
e con la certezza che avrebbe trovato il modo di vendicarsi del fatto
di non averle raccontato dello strano rapporto che mi legava a Nick.
-
“Non c‘è nulla di complicato in un uomo,
Sam. Comunque, ha detto che ti aspetta al bar all’angolo per
le 13.30” mi sussurrò all’orecchio ed
andò a sedersi alla poltrona principale.
Il
monologo di Valerie - sì, perché puntualmente le
riunioni di redazione, più che essere dei sani dibattiti,
sfociavano in filippiche interminabili da parte dei capi -
durò all’incirca due ore.
Come
di consueto, si procedette all’assegnazione dei pezzi, delle
foto da realizzare, degli articoli da acquistare da freelance.
-
“Allora: ho buttato giù un paio di idee per la
spartizione del materiale su cui lavorare. -disse Val, tanto
per cambiare - Neal, tu scriverai la recensione degli album in uscita;
Holly si occuperà dei nuovi progetti discografici delle band
emergenti londinesi e Sam… - finse di controllare il plico
di fogli che aveva in mano - Sam farà l’intervista
ad Avril Lavigne”. Sussultai.
Eccola
la vendetta, puntuale come un orologio svizzero.
La
mia cara amica
sapeva del mio piccolo problema con la cantante canadese in questione;
era l’artista preferita del mio ex ragazzo di qualche anno
addietro, tale Colby. Sì,
lo so, avrei dovuto diffidare di uno il cui nome sembra quello di un
robot per bambini o di un cucciolo di pezza.
Credo
che avesse davvero una cotta per la povera Avril; non si perdeva un
concerto che si svolgesse all’interno dei confini del Regno
Unito e non ascoltava altro: in casa, al lavoro, in macchina, tanto che
aveva regalato anche a me tutti gli album - mai ascoltati. Aveva poster
di ogni dimensione che tappezzavano tutte le pareti e,
perciò, divenne davvero irritante vivere nel suo
appartamento. Uno strazio, in poche parole.
Lo
smacco più grande che gli feci fu spezzare davanti ai suoi
occhi tutti i cd, quando scoprii della sua piccola - come
l'aveva definita lui - infedeltà con un‘altra
esaltata con la sua stessa mania.
Era
rimasto paralizzato per parecchi minuti, adirato e sotto shock per
l’offesa che gli avevo appena fatto. Me l’ero data
gambe, prima che decidesse di farmela pagare per l’onta
subita, ma, fortunatamente, non si fece più rivedere. Da
allora, avevo qualche problema a sentir anche solo pronunciare il nome
di Avril Lavigne e Val lo sapeva bene.
-
“Domande?” chiese in modo retorico, ben sapendo che
nessuno si sarebbe azzardato a sollevare la minima questione.
Non
dissi nulla nemmeno io; in fondo me lo meritavo. Non le avevo mai
nascosto nulla da quando la conoscevo e, forse, era stato un errore non
raccontarle della scommessa con Nick. A mia discolpa, però,
potevo dire che non era certo un argomento facile da affrontare,
persino con una persona a me vicina.
-
“Ciao Val, tutto bene? Mi piacerebbe restare ma devo andare a
letto con dieci uomini. Ciao”. Mmm,no,
quello non era sicuramente il modo più appropriato per
dirglielo.
Con
Will era stato diverso; conosceva Nick, sapeva un po’
com’era fatto - era pur sempre un suo simile - e, pertanto,
era stato abbastanza facile, ma non per questo meno imbarazzante,
raccontargli del guaio in cui mi ero ficcata.
Cominciai
a prepararmi psicologicamente all’incontro con Nick; non
osavo immaginare quanto lo avesse potuto cambiare ciò che
era successo tra di noi. Insomma, ci eravamo provocati a vicenda -
forse io mi ero esposta di più con il ballo da sexy impedita
che avevo improvvisato alla Taverna
del Grillo - e il
risultato era stato un bacio rubato e frettoloso, dopo il quale lui era
scappato nel vero senso del termine, rifilandomi un saluto altrettanto
veloce.
Uffa…
era odioso sapere di dover presentarsi ad un appuntamento in cui il
silenzio e la tensione avrebbero fatto da padroni.
Entrai
nel locale dove ci saremmo dovuti incontrare e lo scovai in un angolo,
intento a leggere un libro. Presi un respiro profondo e mi feci
coraggio per raggiungerlo al tavolo.
-
“Ciao Nick” gli dissi dolce, sperando che lui
percepisse il mio saluto come un invito a non aver timore di mostrarsi
imbarazzato.
Abbassò
il libro mentre io mi accomodavo sulla sedia di fronte alla sua.
-
“Finalmente Sammy. Fossi arrivata tra cinque minuti, mi
avresti trovato tra le ragnatele” rispose scocciato.
Dov’è
l’uomo indifeso e timido che mi aspettavo?
Rimasi
interdetta e tacqui per una manciata di secondi.
-
“Hai perso la lingua, Sammy?”.
-
“Non l’hai trovata neanche tu, ieri
sera”. Chi aveva parlato? Lui non aveva mosso le labbra,
perciò… ERO STATA IO? Oddio
mio, ho perso il filtro cervello-bocca.
Nick
mi guardo con un ghigno, sorpreso da quanto avevo detto, ma non si
scompose e riprese subito la parola.
-
“Sammy, Sammy, Sammy. Era solo un assaggio. Mica volevi che
ti sbattessi contro il muro e che lo facessimo
lì?” domandò sarcastico.
Beh,
insomma, un pensierino… cosa? No, no!
Una
ragazza che avrà avuto qualche anno in più di me,
mi salvò in corner, chiedendoci se fossimo pronti con le
ordinazioni. Stavo morendo di fame, così presi
un’insalata e una bottiglietta di acqua, mentre Nick
ordinò un panino e un bicchiere di Coca-Cola.
-
“Sto aspettando una risposta” ricominciò.
-
“Certo che no. Non ti ho nemmeno chiesto un bacio, se proprio
vogliamo dirla tutta” dissi, cercando di mostrarmi fredda e
scostante.
-
“L’ho fatto per te, cucciola: - mi
sfiorò il mento con le dita, prendendosi gioco di me - ti
eri tanto impegnata nel mostrarti sensuale e disinvolta, che mi
sembrava di fare lo stronzo, lasciandoti a bocca asciutta”.
Scusi,
cameriera, mi porta anche un po’ di simpatia per
quest’uomo?
Ecco
messa in pratica una delle rare capacità che gli uomini
possiedono: girare la frittata a proprio piacimento; non era lui che mi
aveva trascinata in uno stanzino buio e umido, non lui che mi
aveva baciata, non lui che mi
aveva piantata in asso cinque secondi dopo. Ero io che lo
avevo provocato, ioche
l’avevo impietosito al punto che lui si era
concesso per compassione.
Scossi
la testa e cambiai argomento.
-
“Allora, che diavolo vuoi?”. La ragazza
tornò con i cibi e le bibite e regalò un sorriso
dalle proporzioni epiche a Nick, che contraccambiò con uno
sguardo ammaliatore che fece sciogliere persino me che non ne ero la
destinataria.
-
“Giorno di pesca”. Tirò fuori dalla
tasca un sacchetto in plastica con dentro i bigliettini che avevo visto
per la prima volta al Pumping
Pumpkin.
Mi invitò con un cenno del capo a prenderne uno e io eseguii
il comando implicito.
-
“Fotografo”
lessi annoiata la scrittura piccola e nitida.
-
“Sarà più facile per te, che per
me” commentò.
Due
impiegati che avevo visto qualche volta in ufficio entrarono nel bar,
mi notarono con Nick e cominciarono a ridere a crepapelle, senza
neanche preoccuparsi di non farsi scorgere. Vada per la mia paranoia
colossale sul fatto che la gente stia sempre sparlando di me,
però quelli stavano decisamente guardando la sottoscritta.
D’istinto abbassai lo sguardo; quella bocca larga di Katy
aveva senz’altro raccontato qualcosa.
D’ora
in poi sarebbe stato un inferno vivere in redazione, dove tutti mi
avrebbero additata come una facile. Anche perché - e non
avevo dubbi a riguardo - Katy aveva dato una sua personalissima
versione dell’intera faccenda, magari omettendo ad hoc dei
particolari - tipo il fatto che ero stata praticamente ricattata - e
aggiungendone altri, della serie che ero una sesso-dipendente.
Sentii
le lacrime agli occhi, ma le asciugai in modo rapido, nel tentativo di
ignorarli e di far sì che nessuno si accorgesse di nulla.
Allontanai
il piatto d’insalata: mi era passata la fame al solo pensiero
di rimettere piede a MM.
-
“Qualcosa non va?” mi chiese Nick.
Non
ti sfugge niente, eh!
I
due imbecilli si erano seduti ad un tavolo nella parte opposta del bar
rispetto a noi e sorseggiavano caffè, concedendosi, di tanto
in tanto, qualche occhiata nella mia direzione.
-
“Cosa? - risposi timida, cadendo dalle nuvole - Ah,
no… solo non ho più appetito”.
-
“Centrano quei tizi là in fondo?”.
-
“No, no” dissi troppo in fretta per non essere una
bugia.
-
“Sammy, - il suo tono era di rimprovero - dimmi che succede.
Non mi incanti, sai?”.
Era
stato così gentile che le parole mi uscirono a fiume quasi
inconsciamente.
-
“Un po’ di tempo fa sono uscita con un uomo di cui
Katy, la consulente legale che ben conosci, è innamorata.
Lei non me l’ha perdonata e, da allora, mi odia e fa di tutto
per mettermi i bastoni fra le ruote. E, in questo tutto è
compreso anche il racconto della nostra scommessa all‘intera
redazione; tu ne esci da figo che passa di letto in letto, io da
puttana. Semplice”. Il mio tono era amaro e lui ne
sembrò dispiaciuto.
I
cretini uscirono dal bar, schiacciandomi persino un occhiolino e
continuando a ridacchiare in modo odioso. Non ebbi il tempo di
realizzare quanto accadeva che Nick saltò in piedi e li
seguì fino all’esterno. Già
m’immaginavo di assistere ad una scena degna del far west o,
se proprio vogliamo esagerare, un duello medievale con il cavaliere che
corre a difendere l’onore della damigella offesa oppure,
ancora, una location messicana sulla falsa riga di quella di Zorro.
Insomma,
mica vai a pensare ad uno di scambio di chiacchiere amichevole, ad un
cordiale saluto virile e ad una pacca sulla spalla prima di congedarsi.
Era una risata quella?
Osservai
l’incontro tra Nick e i due bambocci attraverso la vetrina
del bar, con un sopracciglio alzato dalla sorpresa. Lui
rientrò nel locale, si accomodò al tavolo e
addentò il panino senza proferire parola, ma con un sorriso
a fior di labbra. Terminò il sandwich in pochi bocconi,
mentre io lo scrutavo curiosa.
-
“Odio la gente che mi guarda mentre mangio” disse
infine.
-
“Cosa gli hai detto?” arrivai dritta al punto.
Nick
bevve un sorso di Coca-Cola e mi guardò.
-
“A chi?”. Andiamo, Nick, sai bene di cosa sto
parlando.
-
“Ai miei colleghi” risposi dura.
-
“Ah, a loro. - il finto disinteressato - Ho chiesto
quanto hanno fatto i Knicks ieri sera”.
-
“Interessante, perché, tesoro, nessuna partita di
basket ieri in NBA”. Se voleva ottenere una risposta a tono,
l’avrebbe ottenuta.
Si
pulì le mani nel tovagliolo attentamente e tornò
a concentrarsi su di me.
-
“D’accordo. - si arrese - Ho detto loro che sei un
uragano a letto e che sarebbero fortunati se la loro professione fosse
una delle nove rimaste”. Lo fissai inorridita, mentre lui non
distoglieva il suo sguardo sexy dai miei occhi: dai, non poteva aver
davvero raccontato quelle cose!
-
“Sei così credulona da essere perfino irritante,
Sammy. Ti basti pensare che non parleranno più di te. - si
alzò e posò delle banconote sul tavolo - Offro
io. Ci sentiamo”.
-
“Grazie - dissi - sia per il pranzo che per l’altra
cosa”.
Chiappe
d’oro se
ne andò, lasciandomi in un limbo di sensazioni diverse; era
chiaro che avesse fatto qualcosa di estremamente carino per me,
salvandomi da una situazione di totale imbarazzo sul lavoro -
c’era comunque da chiarire il metodo con cui li avesse
convinti a lasciarmi in pace e se fosse stato efficace. Poi era,
però, tornato come sempre, distante e con il pallino di
punzecchiarmi.
Gli
uomini. E meno male che siamo noi le complicate!
Passai
in redazione e constatai che i due del bar, si erano rintanati in un
angolino e, non appena si accorsero della mia presenza, vennero di
corsa a scusarsi e a promettermi che mai più si sarebbero
presi gioco di me.
Che
diavolo gli aveva detto? Che ero la figlia di un gangster?
Lasciai
che mi leccassero i piedi, riempiendomi di complimenti e adulandomi
neanche fossi la regina Rania di Giordania.
Al
diavolo, idioti.
Tornata
a casa - di Romeo ancora nessuna traccia -, cominciai a calarmi nella
parte della brava giornalista. Cercai la scatola dove conservavo tutti
i regali ricevuti negli anni a Glasgow e trovai tutti i cd di Avril
Lavigne che Colby mi aveva regalato. Non avevo mai avuto il coraggio di
ascoltarli, ma nemmeno di buttarli. Colpa di mia madre che tendeva a
non gettare via nulla, con la scusa che 'un
giorno potrebbe servirti".
E ancora una volta la mamma aveva avuto ragione.
Scelsi Let
go e
le note di Complicated si
diffusero per tutto l’appartamento.
Why
you have to go and make things so complicated?
I
see the way you're acting like you're somebody else gets me frustrated.
Mi
girai di scatto verso l’hi-fi: era la canzone perfetta per
Nick! Mi aveva baciata e poi aveva fatto finta di niente; mi aveva
aiutate e, ancora una volta, aveva fatto finta di niente.
Neanche
fossero due persone diverse! Ciò che mi preoccupava era che
era chiaro come il sole che ciò avesse degli effetti
collaterali su di me e, soprattutto, sul mio equilibro mentale.
A
quel punto, mi venne in mente solo una cosa: Avril,
dove sei stata tutto questo tempo?
Ave!
Questa settimana un attimino in anticipo, ma è giusto dirvi
che con moltissima probabilità la prossima sarò
invece in ritardo causa esame.
Poi
ho un grosso problema: vorrei mettere un’immagine di questa
storia, ma non esiste un uomo in grado di reggere il confronto con
l’idea che mi sono fatta di Nick. HELPPP!
Però,
penso anche che una persona, quando legge, si crei una propria immagine
dei personaggi e, perciò, da questo punto di vista, la foto
di quelli che io ho in testa risulterebbe superflua. Boh! Rileggendo,
non capisco neanche io quello che ho scritto, purtroppo è un
concetto che non riesco ad esplicare! Uffaaaaaa!
Spero
che il capitolo sia di vostro gradimento, un bacione nella speranza di
ritrovarvi qui anche al prossimo! Buona serata!
HappyCloud
SunshinePol:
io arrivare in ritardo???Puah…sei chiaramente in errore.
Purtroppo è genetica, mia cara! Colpa di mamma Giusi!!!
Comunque Sammy ha troppo ragione per le scarpe; sai quanti rompimenti
in meno se ci fossero meno uomini e più scarpe nel mondo?!
Baci!
Emily
Doyle: oddio, Will e Val? Effettivamente non ci avevo pensato!
Però, povero Johnathan, cornuto dopo poche settimane di
matrimonio. In realtà ho già in mente ben altro
destino per il buon vecchio Will…:D baci!
Aryanne:
Will è un ottimo amico! Almeno per ora…la
prossima sfida è trovare un fotografo, impresa forse facile
per Sam, ma sicuramente non priva di sorprese. Spero che il capitolo ti
sia piaciuto! Baci!
Wingedangel:
innanzitutto, sto ufficialmente imparando a scrivere il tuo nickname!
Bando alle ciance, sono contenta che il bacio non sia risultato una
forzatura e, come hai detto tu, in realtà, non ha sconvolto
molto gli equilibri tra Nick e Sam. Si vedrà! Un bacione!
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 7. Sameteries Of London. ***
Capitolo
sette. Sameteries
of London.
Erano
passati un paio di giorni dall’incontro con Nick, in cui
aveva misteriosamente zittito le dicerie su di me con i due impiegati
di MM.
Era
un lunedì sera tranquillo, delle nubi color cenere
affollavano il cielo di Londra, lasciando presagire che ben presto un
temporale si sarebbe abbattuto sull’intera città.
Mi sedetti sul divano, esausta dopo l’intervista di due ore
con servizio fotografico incluso ad Avril Lavigne, e cominciai a
sgranocchiare dei pop-corn, ancora indecisa sul film da guardare.
Romeo,
ormai da diversi minuti, continuava imperterrito a fare delle avances
alla porta d’ingresso: quella maledetta che lo separava dal
suo amato!
-
“Tesoro, datti una calmata. - gli urlai dal sofà -
Will è fuori a cena con i colleghi della ditta. Non
rientrerà prima di qualche ora”. Il gattaccio non
accennava, però, ad attenuare il ritmo con cui stava
graffiando l’uscio e, quindi, mi decisi a farlo uscire, dove
sapevo con certezza si sarebbe appollaiato sullo zerbino, in attesa del
suo principe azzurro.
Quella
settimana non ero molto preoccupata per la scommessa; la mia rivista
pullulava di fotografi. Il vero problema era che non riuscivo a
ricordarne nessuno che potesse essere considerato anche vagamente
accettabile o carino. O celibe -d’accordo che ero disposta a
tutto pur di vincere la sfida, ma qualche principio morale ce
l’avevo ancora!
Mi
alzai e spulciai la parte di libreria in cui avevo sistemato in ordine
alfabetico tutti i miei dvd -sì, anche quelli di Nick,
nascosti, però, in un’apposita scatola
anti-intrusi.
Era
un rituale che facevo ogni sera che mi trovavo sola in casa in totale
nullafacenza, pur sapendo già su quale film sarebbe caduta
la mia scelta: Sweet
November.
Lo avevo visto un migliaio di volte, di cui una decina al cinema,
rintanata in un angolino della sala perché nessuno mi
vedesse piangere dalla commozione. All’inizio ero sempre
eccitata di vederlo di nuovo -in fondo la storia era bellissima-, ma
finivo inevitabilmente allo stesso modo, cioè imprecando
contro il mio stupido cervello che mi aveva suggerito la malsana idea
di sottopormi alla tortura psicologica di un non-lieto fine.
Spensi
il cellulare e staccai il telefono fisso - nulla di più
odioso di qualcuno che ti disturba mentre tu soffri con gli attori per
quanto sta accadendo - e mi premunii di una scatola di Kleenex che
avevo comprato per l’occasione. Avviai il film, stringendomi
nella coperta che tenevo sulle gambe. Eravamo solo ai titoli di testa e
già mi sentivo un accenno di pianto pizzicarmi gli occhi.
L’intera
pellicola scivolò viva in un baleno e io mi ritrovai
disperata a soffiarmi il naso con l‘ultimo fazzoletto
rimasto, implorando Sara di non abbandonare Nelson, di non lasciarselo
sfuggire perché lui le sarebbe rimasto accanto fino alla
fine.
Sì,
divento piuttosto patetica quando mi lascio coinvolgere dalle
sceneggiature.
Il
campanello suonò, facendomi drizzare in piedi dallo spavento.
-
“Sì?” urlai con una nota stonata nella
voce.
-
“Sono Will. Non riesco a staccarmi di dosso Romeo.
Aiuto!” gridò, ridendo.
Aprii
la porta in pigiama, spettinata, struccata e con dei lacrimoni che
scendevano giù per le guance pallide.
Il
mio vicino mi guardò stupito e preoccupato, dismettendo
immediatamente i panni dell’amico giocherellone, per
indossare quelli del consolatore.
-
“Che è successo, Sam?” disse
abbracciandomi e io lo lasciai fare.
-
“Al-la fi-ne lei lo ha la-scia-to an-da-re” risposi
sillabando le parole per via dei singhiozzi che mi spezzavano il
respiro.
Will
mi guardò confuso.
-
“Lei chi?”. Si staccò da me per
guardarmi in viso.
Come
fa a non capire?
-
“Sara ha fatto andare via Nelson” dissi, cercando
di calmare gli spasmi.
-
“Mi dispiace. - rispose lui, senza nemmeno sapere di cosa
stessi parlando - Un attimo, ma chi cavolo sono Sara e
Nelson?” rifletté. Gli indicai la custodia del dvd
che era appoggiata sul tavolino del salotto.
-
“Sei in questo stato per un film? - domandò
scettico e io annuii - Tesoro, è bello sapere che anche tu
hai un cuore, sotto quegli innumerevoli strati di cinismo, di
acidità, di puntigliosità… ”.
Mi
asciugai le lacrime e mi accomodai sul divano, invitandolo a fare
altrettanto, Romeo permettendo.
-
“Sei in vena di complimenti, vedo, oggi” esclamai
sarcastica. Si stampò un sorriso sulla faccia che sembrava
essere stato appeso da orecchio a orecchio.
-
“Lo sai che ti voglio bene. - mi stritolò
letteralmente - Te ne sto facendo una scorta per quando sarò
via”.
Aguzzai
l’udito, sperando in cuor mio di aver capito male.
-
“Torni già a Portland?” chiesi,
impaurita che la sua risposta potesse essere affermativa. Nonostante
fosse poco tempo che lo conoscessi, mi ero affezionata molto a lui e,
vederlo sparire dalla mia vita così, senza preavviso,
sarebbe stato un grande dispiacere perché instaurare
un’amicizia con lui era stato incredibilmente facile ed era
divertente passare le serate insieme mangiando tra una chiacchiera e
l’altra.
In
più, c’era da pensare come avrebbe potuto reagire
il mio bel micione innamorato!
-
“No, - mi rispose calmo - ma la mia azienda ha organizzato, non
so ancora bene quando, una specie di weekend in campeggio per noi
dipendenti, per - recitò come se fosse a teatro - rafforzare
l’affiatamento tra colleghi affinché si possa
offrire un servizio sempre migliore ai clienti”
terminò con enfasi.
Scoppiai
a ridere e Will si unì a me.
-
“Che americanata! - gli dissi, continuando a sghignazzare -
Farete i boyscout versione senior?”.
-
“Mi fa piacere che il tuo spirito critico non sia annegato
nel pianto di prima da Bambi” disse, prendendomi in giro.
Gli
feci una smorfia e lui mi rispose a tono, dando inizio ad una battaglia
di cuscini che venne stroncata sul nascere dalla netta predominanza
fisica del mio vicino che, in quattro e quattr‘otto mi fece
fare un capitombolo sul tappeto.
-
“Vorrei farti una foto in questa posizione, così
ti ricorderesti cosa significa sfidare il sommo Will” disse
osservandomi dall’alto.
-
“A proposito di foto. - gli porsi la mano perché
lui mi aiutasse ad alzarmi da terra - Sono a caccia di un fotografo:
è la scommessa settimanale”.
Lui
mi afferrò il braccio e io mi misi in piedi.
-
“Datti un’occhiata in ufficio e voilà,
il gioco è fatto!” disse.
-
“Già. Si direbbe facile per me. Il punto
è che mi chiedo come farà Nick. E’ un
po’ troppo misterioso quell’uomo; voglio dire,
è sparito per quasi due settimane e non ha neanche fornito
una spiegazione. Torna e scopro che è stato a letto con
Jamie e Candy Rowell. Non ti chiedi cosa possa esserci
sotto?” chiesi sospettosa.
-
“Veramente, mi chiedo che problemi abbia tu. Tu sei
quella dell’io
voglio scoprire,
e lui, quello dell’io
voglio scopare.
Arcano risolto” mi rispose, poco interessato
all’argomento.
Stupida
io che mi impuntavo a far ragionare un uomo.
-
“Lasciamo perdere. - sospirai - Vai a farti una dormita e
medita su quello che ti ho detto” dissi severa.
Ma
ti senti? Sembri sua madre!
-
“Mi stai buttando fuori di casa?” mi chiese
sorpreso.
-
“Sì. Notte, Will”.
Girai
i tacchi e feci per raggiungere la camera, quando sentii la sua voce
ancora nel salotto.
-
“Stavo per invitarti a cenare con me e Nick domani
sera per la partita dei Blazers. Va beh, notte”. La
mia testa fece di nuovo capolino nel soggiorno, mentre lui di
avvicinava alla porta d’ingresso.
-
“A che ora?” urlai. Era un’occasione
ghiotta per metterli entrambi sotto torchio: non potevo farmela
sfuggire.
Lui
si girò nella mia direzione e mi sorrise.
-
“Alle otto sul pianerottolo. Alle otto Sam, non
mezz’ora dopo!”.
-
“D’accordo. La vuoi sempre una mano per scrollarti
dai piedi Romeo?”. Il mio gatto non si dava per vinto,
avvinghiato come una serpe al polpaccio di Will, che annuì
disperato.
Chiamai
il mio micione un sacco di volte, promettendogli qualsiasi tipo di
prelibatezza avessi nella dispensa; alla fine, quando io e il mio
vicino eravamo esausti e quasi rassegnati, mi venne in mente
l’unica cosa che lo avrebbe dissuaso a mollare la presa
dall’oggetto del suo desiderio: il gomitolo di lana verde.
Non mi era chiara la ragione per cui adorasse tanto quella matassa
ormai logora e disfatta, ma funzionava sempre. Infatti, non appena la
vide, i suoi occhi vispi si spalancarono e, lentamente,
allentò le grinfie dai jeans di Will, catapultandosi sul
nuovo gioco. Il mio vicino si dileguò, prima che
l’attenzione che Romeo aveva riposto sul gomitolo scemasse.
Quella
sera dormii profondamente e sognai persino: c’era Lui,
quello con la L maiuscola,
quello che non mi avrebbe delusa né usata, quello che ci
sarebbe stato per sempre -come sempre decapitato perché, diamine!,
sarebbe stato troppo sapere chi fosse. Colui che puoi trovare solo nel
mondo onirico, in sostanza. O nei film, come il povero Nelson.
-
“Valerie! - urlai mentre lei entrava nel suo ufficio il
martedì mattina. Mi ignorò, costringendomi a
seguirla con in mano il plico di fogli che avevo trovato sulla
scrivania al mio arrivo - La tua segretaria si è di nuovo
sbagliata: ha portato a me le buste paga e al ragioniere il materiale
che mi serve per gli articoli. Sarà che è un
po’ distratta, sarà che è un
po’ strana, sarà che forse non è adatta
a svolgere un lavoro come quello, dove sei sempre sotto pressione,
sarà che… ”.
-
“Bel tentativo, Sam. Ma la tua parlantina ininterrotta non mi
distoglierà dal farti vuotare il sacco
sull’argomento preferito della redazione: la scommessa con Chiappe
d’oro”.
Sapevo
che il mio piano non avrebbe funzionato. No, un attimo: la redazione
parlava di me?
-
“Sono ancora al centro dell’attenzione?”
domandai con un briciolo di ansia.
Si
appoggiò allo schienale della poltroncina girevole.
-
“Non so bene per quale ragione, ma due tizi addetti alla
stampa hanno cominciato a zittire tutte le voci che circolavano su di
te. - I due ceffi del bar, pensai - Purtroppo ci vuole ben altro per
smorzare la mia curiosità”.
Lo
sapevo bene, così decisi che era arrivato il momento di
raccontarle tutto quanto, anche a costo di andare incontro a sguardi
stupefatti e, forse, pure delusi.
-
“Devi andare a letto con dieci uomini, quando la
verità è che è Nick che ti vorresti
fare?”.
No,
avevo sbagliato: era il mio viso ad essere stupito.
-
“Che diavolo stai dicendo? Neanche lo sopporto, figurati se
mi sogno di andarci a letto!” gridai indignata.
-
“Però non mi pare ti sia tirata indietro quando ti
ha baciato alla Taverna
del Grillo”
mi rimproverò in tono bonario.
-
“Non c’è stato nemmeno il tempo di
ritrarsi, è durato pochi secondi. E, comunque, non voglio
parlare di questo; devo trovare un fotografo entro domani sera, prima
della cena con lui e Will. Gli sbatterò in faccia la mia
vittoria stavolta e non ammetterò repliche”.
Val
mi sorrise.
-
“Nel caso in cui tu non ci abbia fatto caso, questo posto
pullula di fotografi”.
Mi
accomodai sulla sedia di fronte alla sua, gesticolando nervosamente.
-
“Dammi qualche nome, ti prego, perché sto passando
in rassegna i cassetti della mia memoria, ma non riesco a scorgerne
nessuno a cui corrisponda una figura gradevole” esclamai
rassegnata.
La
mia amica mi guardò perplessa e trasse da una cartelletta
quello che aveva l’aria di essere un catalogo.
-
“Beh, - esordì, aprendo il libro - ci sarebbero
Frank, Danny o Richie”.
-
“Che ardua scelta: - risposi ironicamente - un ciccione
tarchiato e sposato, uno che ha la stessa età di mio padre o
uno che puzza di sudore? E, poi, dimmi perché tu hai un
quaderno con le schede di tutti i tuoi impiegati?”
Fece
per rispondere, ma la interruppi.
-
“Ah, non voglio saperlo. Da' qua”. Le tolsi dalle
mani il raccoglitore e cominciai a sfogliarlo.
Daniel
“Danny” Pratt.
58
anni, divorziato, tre figli.
Mancava
solo: amante
delle passeggiate a cavallo e dei cani, cerca donna disponibile per
amicizia ed eventuale matrimonio e poi
sarebbe stato il perfetto profilo di un’agenzia matrimoniale.
Scartabellai
quasi tutti i nominativi, non trovandone, però, nemmeno uno
che fosse adatto alla causa. Infine, vidi quel nome e il mio cuore per
poco non si incendiò: Nelson.
Alzai
di scatto la testa e fissai Valerie.
-
“Perché non mi hai detto che c’era un
Nelson che lavora qui?” gridai da tanto ero su di giri.
L’emozione era così forte che, pur avendo ancora
la sua scheda sotto gli occhi, non riuscivo più a
distinguere le lettere che componevano le parole. Sbirciai solo se
fosse sposato, ma vidi un celibeche
mi rese ancora più elettrizzata.
-
“Sono un paio di anni che è stato assunto, e
guarda che tu lo conosci e… ” neanche ascoltavo
quanto stava dicendo.
L’avevo
trovato, il mio Lui era stato nei paraggi per tanto tempo e,
finalmente, ci saremmo ricongiunti per stare insieme per sempre. Al
diavolo Nick, la scommessa. L’amore bussava alla porta ed io
ero più che pronta ad accoglierlo.
-
“Dov’è ora?”. Solo qualche
secondo dopo mi resi conto della domanda idiota che avevo posto a
Valerie; mica poteva sapere tutto dei suoi impiegati - anche se, a
giudicare dal raccoglitore - conosceva parecchie cose dei suoi
collaboratori.
Lei,
inaspettatamente, mi rispose, con una risata a fior di labbra che
trattenne.
Che
hai da ridere?
-
“E’ nell’altra stanza, Sam. Ti
basterà chiamare il suo nome e vedrai che capirai subito di
chi si tratta”.
Partii
a razzo e mi fermai solo quando ebbi raggiunto lo stipite della grande
sala che fiancheggiava la nostra.
C’erano
tre colleghe che stavano scrivendo a computer, Richie il puzzone, il
giovane - e strano - ragazzo che consegnava la posta (era
lui?),
un redattore di cui non ricordavo il nome sulla quarantina e parecchi
del reparto grafica che stavano sorseggiando un caffè
davanti alla macchinetta.
Aprii
la bocca al culmine della gioia e pronunciai il nome guardando negli
occhi il tizio che consegnava le lettere, più nella speranza
che fosse lui che per una certezza reale.
-
“Nelson” urlai, con il cuore che batteva
all’impazzata.
-
“Che vuoi?” sentii rispondere da qualcuno che,
purtroppo, non era il soggetto sperato.
E’
pure un po’ sgarbato, ma dai, Sam, è
l’uomo della tua vita, lascia correre.
Girai
lo sguardo, tesissima, e scorsi finalmente colui che si era
identificato.
-
“Richie? - gridai disgustata - Ho detto Nelson,
non Richie”.
Guarda
te questo idiota.
-
“Sam, - disse un po’ scocciato - io mi chiamo
Nelson Richards, da cui Richie”.
Il
castello di carte - e sogni - che la mia mente aveva elaborato
crollò in un istante. Niente Keanu Reeves, niente uomo
meraviglioso con cui trascorrere la vita, e, cazzo!,
niente profumo.
Due
cuori e un’ascella pezzata.
Accampai
una scusa banale e tornai in ufficio da Valerie: ecco perché
stava ridendo sotto i baffi prima e ora.
-
“Potevi dirmelo subito!” sbottai.
Lei
continuò a sghignazzare, senza riuscire a tornare seria.
-
“Non ce l’ho fatta e poi tu non mi stavi nemmeno a
sentire. Eri troppo convinta di aver trovato l’uomo ideale,
il tuo benedettissimo Nelson. Io ti consiglio di smettere di guardare
quel film. Disintossicati!”.
Mi
sentii una completa idiota e cominciai a ridere anch’io a
crepapelle, perché se quello con Richie fosse stato amore,
c’era da scappare a gambe levate senza voltarsi mai indietro.
Richie
o no, la scommessa non era di certo annullata. La cena con Will e Nick
si avvicinava e, con essa, si allontanava la mia speranza di anticipare
la tempistica usuale della consegna delle prove di domenica. Avevo
escluso categoricamente tutti gli altri fotografi che mi aveva proposto
Val - qualsiasi donna con un briciolo di rispetto per sé
stessa lo avrebbe fatto - e perciò ero di nuovo punto e a
capo.
L’aria
fredda che anticipava l’autunno mi pungeva il volto e mi
spinse a cercare - e trovare - un taxi alla svelta, per trovare al
più presto il calore di casa mia. Non facemmo a tempo a fare
un centinaio di metri che ci trovammo imbottigliati
un’infinita coda di macchine.
-
“C’è stato un incidente,
credo” mi disse gentilmente il tassista.
Mi
limitai ad annuire con un sorriso che non corrispondeva
all’espressione annoiata che avevo stampata in faccia.
Che
palle.
Cominciai
ad osservare il panorama fuori dal finestrino; la solita frenetica
Londra: un viavai interminabile di uomini in completo scuro con la
ventiquattrore, turisti giapponesi intenti a fotografare anche il
più piccolo granello di polvere e le consuete nubi che
minacciavano brutto tempo.
La
mia attenzione, però, si concentrò su un grande
cartellone pubblicitario di una marca di prodotti per la casa: una
ragazza dall’aria ammiccante portava alle mani un paio di
guanti in lattice che erano stati sostituiti con due teste di dinosauro.
Percepii
che la mia mente stava partorendo un’idea che mi avrebbe
risolto per sempre il problema della scommessa settimanale: il magico
ed incantato mondo dei foto-ritocchi.
Come
potevo non averci pensato prima?
-
“Scendo qui. - dissi al conducente con una rinnovata allegria
nella voce - Quanto le devo?”.
-
“Oh, signorina, lasci stare. Sono solo tre
sterline”.
Frugai
nel portafoglio e gli allungai una banconota da dieci perché
adoravo il tassista, adoravo il taxi, adoravo l’intero
universo! Avrei stracciato Nick una volta per tutte con il minimo
sforzo. Il piano andava, però, organizzato in ogni minimo
dettaglio, i boxer e la foto in primis. Mi fermai in un negozio di
intimo e acquistai un paio boxer, abbastanza virili da sembrare
credibili, abbastanza sciatti da capire che erano stati scelti da un
uomo. Tornata a casa, mi misi al computer e studiai da cima a fondo le
tecniche migliori per realizzare un fotomontaggio praticamente
perfetto. Scelsi due modelli poco famosi, avvolti in un lenzuolo e dei
quali mi sarei sostituita alla donna. Mi feci delle foto in una posa
che potesse rendere possibile l’incastro del mio corpo con
quello del fantomatico fotografo e colorai i boxer del giovanotto dello
stesso colore del paio che avevo acquistato io. Il risultato finale fu
più che accettabile e, perciò, mi lasciai
sfuggire una risata malefica che fece spaventare il povero Romeo e, di
riflesso, pure me stessa. L’operazione di art-attack mi
impegnò molto più del previsto: due ore e mezza.
Erano già le 19 ed io ero già terribilmente in
ritardo.
-
“Dannazione, Sam, vuoi deciderti ad uscire? Sono
già le venti e dieci!”. Will continuava a bussare
alla mia porta con una tale forza che pensavo che da un momento
all’altro l’avrebbe sfondata.
-
“Un attimo!” mentii, saltellando su un piede mentre
infilavo i leggins nell’altra gamba, con lo spazzolino in
bocca.
Veramente
me ne servirebbe una tonnellata, di attimi.
-
“Hai detto così anche dieci minuti fa”
mi rispose esasperato.
-
“Stavolta, davvero!” gridai, cercando di non
sputare il dentifricio sul pavimento.
Dovevo
finire di vestirmi, indossare le scarpe, truccarmi, cambiare borsa e
travasarne il contenuto, scegliere gli orecchini, sistemarmi i capelli,
cercare il cellulare disperso nei cuscini del divano. Neanche se avessi
utilizzando la modalità velocità
della luce di
Clark Kent sarei riuscita a fare tutto in un attimo. Will tacque
qualche istante in cui sapevo che si stava pentendo di avermi invitato
e, poco dopo, sentii il rumore di una chiave far scattare la serratura:
il mazzo di riserva del signor Hansen.
Ecco,
Sam, questo dev’essere l’ultimo suono che sentirai
prima di morire. Perché Will ti strozzerà non
appena ti vedrà ancora mezza nuda.
La
porta si aprì e le pupille del mio carnefice diventarono
grosse quanto due palle da biliardo. Gli feci un sorrisetto forzato per
smorzare la tensione, con la consapevolezza di sembrare un ladro
beccato in flagrante.
-
“Inizia a correre, Samantha Grayson, perché se ti
prendo ti ammazzo” mi disse gelido ed io non dubitai nemmeno
un secondo che non stesse facendo sul serio.
-
“Romeo” gridai come una pazza, sperando con tutta
me stessa che il mio micione si facesse vivo e attaccasse
affettuosamente il suo amore impossibile. Ma quel gattaccio nemmeno mi
ascoltò e mi costrinse a fare uno scatto verso la sua cuccia
per afferrare il gomitolo di lana verde e scagliarlo verso Will, che lo
afferrò d’istinto. Passarono pochi secondi e un
indefinito ammasso di pelo gli si lanciò addosso,
consentendomi di scappare in camera, chiudere a chiave e finire di
prepararmi senza reali minacce alla mia vita. Dopo un quarto
d’ora, uscii dalla stanza e ritrovai Will e Romeo sul divano,
uno esausto e sul punto di uccidere me e il gatto e
quest’ultimo felice come una Pasqua di poter godere della
presenza in contemporanea del suo principe e del suo gomitolo.
Riuscii
a stento a togliere il povero vicino dalle sue grinfie,
dopodiché ci precipitammo alla macchina di Will, ormai
rassegnato alla mezzora di ritardo.
-
“Ehi, Will, stavo cominciando a darti per disperso”
disse Nick, sorseggiando la sua birra direttamente dalla bottiglia.
Capii
che non mi aveva visto, dietro la figura imponente di Will. Quando,
però, quest’ultimo si spostò per
sedersi, Nick si stampò un sorriso meraviglioso sulla faccia.
-
“Tutto molto più chiaro. Con Sammy, il ritardo
è assicurato”.
-
“Ah ah ah. - risposi ironica - Ma Will non te
l’aveva detto che sarei venuta anche io?” gli
chiesi.
Se
c’era una cosa che proprio mi infastidiva, era essere la
sorpresa non annunciata agli appuntamenti degli altri.
-
“Perché rovinarmi il divertimento di vedere voi
due che battibeccate persino su questo?” disse il caro vicino
di casa.
Ordinammo
la pizza e io, per precauzione, presi solo una Coca-Cola, mentre gli
altri due si concessero due birre. La partita tra i Blazers e i
Raptors fu avvincente e mi resi conto, mio malgrado, di essere la
più esaltata non solo del gruppo, ma dell’intero
locale.
Nick
e Will non facevano che ridere ogni volta che aprivo bocca per gridare
di tornare in difesa o per esultare dopo una tripla. Avevano
un’intesa incredibile, quella speciale connessione che si
crea tra uomini e che risulta impenetrabile - e
incomprensibile -
per qualsiasi essere non munito di pene. Ero persino gelosa del loro
affiatamento e mi lasciai sfuggire un commento che avrei voluto e
dovuto tenere per me.
-
“Ma Will è mio amico, non tuo”. Quattro
occhi si puntarono su di me, divertiti e curiosi.
-
“Sammy, sei gelosa? Può essere amico di
entrambi,sai?”.
-
“Certo che non sono gelosa - non
hai appena detto il contrario? - Stavo
solo scherzando” mi difesi, ma non convinsi nemmeno me stessa.
-
“Facciamo una sfida, allora: - disse Nick - vediamo chi dei
due lo conosce di più”.
Nick,
Nick, Nick. Ti vuoi proprio rovinare da solo; ci hai parlato due volte,
non puoi sapere più di quanto sappia io.
Annuii
decisa e Will si convinse ad intervenire.
-
“D’accordo. Io farò tre domande, chi sa
la risposta la dica il più velocemente possibile.
Pronti?” ci domandò.
Entrambi
rispondemmo affermativamente e il mio amico cominciò.
-
“Qual è il mio cognome?”.
Oh
cielo, questa non la so. Il signor Hansen è il nonno
materno, quindi è la madre di Will che si chiama come lui
e…
-
“Beckett” rispose sicuro Nick.
-
“Un punto per Nick”. Rimasi sbalordita: lui lo
sapeva ed io no?
-
“Che mestiere faccio?”. Per un istante fui tentata
di dire lavori, ma,
pensandoci, capii che avrei dovuto spremermi di più.
-
“Rappresentante di una multinazionale nel campo
farmaceutico”. Li guardai sbigottita, la bocca spalancata con
ampio accesso per le mosche.
-
“Esatto. - confermò Will - 2-0”.
-
“Ultima domanda: il nome della mia ex?”. Sì,
America; chiedimi pure la spiegazione della teoria della
relatività.
-
“Marie, una francesina tutte curve con due tette da urlo. -
disse Nick, scambiando un saluto virile con Will - Spiacente, Sam, ti
ho annientato”.
-
“Che amica pessima, sono?” dissi, sinceramente
dispiaciuta.
-
“Non dire così, sei solo un po’ troppo
concentrata su te stessa per ascoltare gli altri” mi rispose
il suo amico.
Bella
consolazione.
-
“Sammy, tesoruccio, ho idea che questa mania di perdere
contro di me si ripeterà anche per la scommessa”
mi sfidò Nick, di nuovo.
Era
arrivato il momento di sfoderare il mio asso nella manica.
-
“Mi spiace, tesoruccio,
ma si dà il caso che io abbia già adempiuto alla mia
scommessa settimanale. Eccoti i boxer e la foto” gli dissi,
non vedendo l’ora di cantare vittoria.
Nick
afferrò il tutto e cominciò ad esaminare
attentamente la foto e Will si unì a lui.
-
“Mi stupisci, Sam. Sono molto sorpreso per la tua
preparazione. Non so se il nostro amico concorda con me, ma sono molto
più impressionato dal fatto che il tuo fotografo abbia tre
piedi, di cui uno con lo smalto rosso. Mmm, audace”.
Stava
palesemente bluffando. O
no?
Strappai
dalle sue mani la foto incriminata e vidi
quell’orrendo-stupido-inutile piede della modella che non avevo rimosso.
Cazzo,
ora che mi invento?
Optai
per un silenzio imbarazzato: come potevo vivere in un perenne stato di
goffaggine?!
-
“L’ho fatto per testare i tuoi riflessi”
dissi all'improvviso.
-
“Fingerò di crederci, Sammy. Ma un altro di questi
scherzetti e farò razzia del tuo conto in banca”
mi rispose con quella adorabile faccia da schiaffi.
-
“La lasci impunita?” chiese Will che viene
immediatamente fulminato con lo sguardo dalla sottoscritta.
-
“No, hai ragione. Battuta e umiliata due volte in una sera;
anzi, in cinque minuti. Merita una punizione ed ho già
un’idea”.
I
Blazers quella sera vinsero e Will, preso dall'entusiasmo, ci
offrì la cena.
Quando
uscimmo dalla pizzeria, Nick ci disse di salire sulla sua auto e mi
bendò gli occhi, arrotolando il suo maglioncino blu che mi
cullò col suo profumo finché non fummo arrivati a
destinazione. Non volevo nemmeno pensare al modo in cui avrei dovuto
espiare il mio tentativo da perfetta imbranata di fregarlo.
Mi
aiutarono a scendere, proprio quando un brivido di paura mi
attraversava la schiena.
Li
sentii sghignazzare e ciò non fece altro che aumentare il
brutto presentimento che avvertivo dentro di me.
Nick
mi tolse il maglione dagli occhi e ciò che vidi mi
gelò il sangue: il campo santo di Brompton, uno dei Parchi
Reali di Londra, nonché uno dei sette cimiteri principali
della città.
Lo
guardai perplessa e con un sentimento di timore assoluto che mi aveva
alterato il ritmo regolare del cuore.
-
“Visto che sei sempre così brava a fare la morale
in difesa delle donne, vai a cercare la tomba di Emmeline Pankhurst,
falle una foto e torna qui. Buona ricerca, Sammy, noi ti aspettiamo
qui”.
Cosa? Neanche
se fossi stata Buffy in persona avrei portato il mio prezioso culetto
in un cimitero in piena notte.
-
“Lo farò molto volentieri. Domani
mattina” ribattei. Feci per ritornare in macchina, ma Will mi
bloccò.
-
“Andiamo, Sam, dimostragli che non hai paura. Sono tutti
morti là dentro, non ti possono far nulla”.
Dannazione
a quei due che mi stavano facendo impazzire; da una parte ero
terrorizzata, dall’altra avrei dato una gran bella lezione di
coraggio ai due che mi attendevano fuori.
Presi
un respiro profondo, mi feci consegnare una torcia e la macchina
fotografica da Nick e mi diressi verso l’inferno.
Il
campo santo di Brompton sorgeva a West Brompton, una zona di Kensington
e Chelsea. Era stato aperto nel 1840 e, ad oggi, era usato
più come parco pubblico che cimitero. Aveva un ampio prato
verde, all’interno del quale molti film erano stati girati,
come Sherlock
Holmes. Ecco,
appunto, dov’è Jude Law? Anzi, rettifico:
dov’è chiunque?
Procedevo
piano, guardandomi continuamente alle spalle e leggendo il nome su
tutte le tombe. Pur essendo poco utilizzato, la quantità di
lapidi che vi si trovavano era immensa ed io non avevo la
più pallida idea di dove fosse quella della Pankhurst.
L’adrenalina
che avevo in circolo era l’unica cosa che mi trattenesse con
i piedi ancorati al terreno; la tentazione di scappare era forte, ma la
sensazione di giubilo che fosse derivata dalla mia riuscita
nell’impresa, sarebbe stata decuplicata.
Dopo
una ventina di minuti di ricerca estenuante, finalmente la trovai.
Scattai quella stramaledetta fotografia, pronta a correre verso
l’uscita.
-
“Ehi tu, bellezza”. Mi sentii morire e,
d’istinto, mi girai con la torcia verso colui che aveva
parlato, con uno sguardo terrorizzato.
Era
un clochard, un senzatetto che si era rifugiato - in compagnia di una
bella bottiglia di whisky - sulla tomba alle mie spalle. Aveva tutti i
vestiti sporchi, un berretto consunto in testa e un alito che avrebbe
steso un intero gregge di pecore.
Urlai
con tutto il fiato che avevo nei polmoni e presi a correre, sfruttando
ogni minima energia avessi in corpo.
Persi
la torcia per strada, mentre mi guardavo indietro per vedere che
l’uomo non mi seguisse. Non vidi nessuno, ma andai a sbattere
contro qualcosa che si era frapposto tra me e la mia via di fuga e che
mi fece cadere all’indietro.
Alzai
lo sguardo, smarrita e nel panico più completo: non era
qualcosa, era qualcuno.
Mi alzai nella frazione di un istante e ricominciai ad urlare come un
ossessa.
Quel
qualcuno mi prese tra le braccia, mentre ancora io mi dimenavo e
cercavo di divincolarmi da quella morsa che pensai mi volesse uccidere.
-
“Calmati, Sammy, sono Nick”. Mi calmai per una
decina di secondi, sull’orlo del pianto, ma poi lo scostai
con forza.
-
“Sei un idiota. Lo siete entrambi”. Lo piantai in
asso, senza diritto di replica e presi di nuovo a correre verso
l’uscita, dove cercai disperatamente un taxi e dove ebbi
l’occasione di smaltire la tensione, lasciando che le lacrime
mi rigassero il viso.
Tornai
a casa ancora eccitata ed agitata per il pericolo scampato e mi
accomodai sul divano. Sul tavolino c’era ancora Sweet
November;
solo in quel momento notai che non solo il titolo recava la mia
iniziale e quella di Nick - S
N -
ma che lo stesso valeva anche per Sara e Nelson, i protagonisti.
Piena
di rancore, presi il dvd nelle mani e lo spezzai in due, lasciandolo
cadere sul pavimento. Io non volevo avere più nulla a che
fare con lui e, in quel momento, non riuscivo nemmeno a tollerare il
fatto che le nostre iniziali potessero accarezzarsi a vicenda nello
stupido titolo di un film.
Gunners
in the houses and gunners in my head
And
all the cemeteries in London
I
see god come in my garden but I don’t know what he said
For
my heart it wasn’t open
Not
open.
Tornataaa,
finalmente! Nonostante il mondo abbia cospirato contro di me,
spostandomi l’esame al giorno successivo, nonostante la neve,
nonostante abbia rischiato una spaccata causa ghiaccio con valigia
annessa (e relativa figura di cacca), sono riuscita a finire il
capitolo!!Yeee…
Per
quest’oggi ho scelto una canzone che a me piace moltissimo e
che si intitola “Cemeteries of London” dei Coldplay.
Per
chi non lo sapesse, i Blazers (o meglio i Trailblazers) sono la squadra
di basket NBA di Portland e i Raptors quella di Toronto. Emmeline
Pankhurst è stata una fervida femminista che ha diretto il
movimento per il suffragio alle donne in Inghilterra.
E’
un capitolo un po’ strano, ma spero vi piaccia! Fatemi
sapere! :D
Ringrazio,
come sempre, tutti quelli che seguono la storia e chi ha recensito!Un
bacione e alla prossima.
HappyCloud
Emily
Doyle: il vantaggio di scrivere è quello che puoi
far fare ai personaggi quello che ti pare: così,
magicamente, spesso diventano quello che tu vorrei essere ( vedi
“l’invidiabile charme” di cui parlavi).
Comunque, ti ringrazio per il consiglio che mi hai dato; alla fine mi
sono convinta della non-necessità della foto e
così sia! Amen! Ahahaha, baci!
SunshinePol:
devo lasciar perdere il fatto che hai scritto BEL OMETTO o devo far
finta di nulla?! Ops, ormai l’ho detto! Non avevo dubbi che
avresti sindacato il fatto che io abbia scelto Avril Lavigne;
purtroppo, però, mi è venuto lo sghiribizzo di
usare quella canzone e così è stato! Ciau bella
tutta!
Wingedangel:
ma qui Sam non è la sola arrapata!! Cito testualmente dalla
tua recensione “Dai Will, vieni qui, almeno ti
garantisco qualche soddisfazione sessuale!!”
Ragazze,
diamoci una calmata… ahahah...no no anzi, ci piace
l’ormone in circolo :D baci!
Rodney:
grazie per l’incoraggiamento
all’esame…per fortuna è andato bene!
Innanzitutto, benvenuta! Fa sempre molto piacere sapere che qualcuno
apprezza il lavoro fatto, spesso rubandolo allo studio :D Hai ragione
quando dici che Nick e Will sono ciccinosi, ma è meglio
chiarire subito che è palese che sono frutto della fantasia,
perché due uomini così esistono SOLO nei libri,
sono “di carta”, giusto per citare Mirya. Dico
questo per evitare che si creino aspettative nella vita reale e mi
facciate causa per danni morali in futuro… ahahahah.
Ma,
come ho scritto nella recensione precedente a Sara/Wingedangel,
l’ormone impazzito qui viene sempre apprezzato! Un bacione!
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Capitolo 8 *** Capitolo 8. Drive My Car. ***
Capitolo
otto. Drive
My Car.
Una
volta varcata la soglia di casa non c’era più
traccia di lacrime sul mio viso, ma solo una gran voglia di prendere a
calci i regali fondoschiena di quelli che mi ostinavo a chiamare amici.
Non
ero così ottusa da pensare che fosse soltanto colpa loro -
in fondo, avevo accettato la sfida nel momento in cui avevo preso la
torcia dalle mani di Nick -, però quei due sapevano
perfettamente che non mi sarei tirata indietro per nulla al mondo,
trattandosi di porre in pericolo il mio orgoglio. Avevano giocato
d’astuzia, facendo leva sulla mia incurabile mania di
mettermi sempre in competizione con gli altri ed io c’ero
cascata come una principiante. E, dannazione, io non lo ero, non ero
una debuttante alle prime armi, ero una professionista, la regina dei
professionisti nel campo delle sfide.
Parliamoci
chiaro: senza quel clochard di mezzo, sarei tornata trionfante con la
fotografia della tomba di Emmeline Pankhurst e avrei sbandierato la mia
vittoria a quei due fifoni che mi aspettavano fuori.
Sbattei
la porta con violenza e buttai la borsa sul divano; una crescente
rabbia pervadeva il mio intero corpo, dalle punte dei capelli a quelle
dei piedi e sentivo il sangue ribollire nelle vene. Camminavo in lungo
e in largo nell’appartamento, nervosa ed irritata, mentre
Romeo se ne stava accoccolato nella sua cuccetta, la coda ferma e gli
occhi vivaci quasi socchiusi.
Faticavo
a rilassarmi completamente, sentendo sulla pelle ancora il fetore
alcolico dell’alito del senzatetto con cui mi ero scontrata
al cimitero di West Brompton. Il livello di adrenalina nel mio corpo
sembrava non calare ed io cominciai a credere che forse solo un
po’ di musica e di sport avrebbero potuto aiutarmi a
scaricare la tensione accumulata.
Mi
misi una comoda t-shirt, un paio di pantaloncini e uno di scarpe da
tennis, pronta per cercare nel ripostiglio il vecchio punch-ball -
ancora incartato - che mi aveva regalato mio padre qualche anno prima,
nel vano tentativo di avvicinarmi al mondo dello sport praticato e non
solo visto in televisione. Legai i capelli in una coda di cavallo e mi
infilai le cuffiette dell’i-pod nelle orecchie - accendere lo
stereo a quell’ora tarda sarebbe stato percepito dai vicini
come una dichiarazione di guerra in piena regola. Mi misi anche i
piccoli guantoni che erano allegati al sacco e concessi alla band di
turno di intontirmi la mente per evitare di pensare al ben diverso
epilogo che avrebbe potuto assumere la serata.
I
primi colpi che assestai furono un po’ scoordinati, ma poi
iniziai a prenderci gusto. Certo, non ero comunque Mohammed Ali,
però il pensiero che l’obiettivo da distruggere
fosse la testa di quei cretini di Nick e Will - sì,
perché erano evidentemente monocefali e, quindi,
condividevano il cervello - favoriva il fluire delle energie negative
verso l’esterno, attraverso quei pugni che, probabilmente,
avrebbero provocato ben pochi danni su di un ring di veri pugili.
La
mia tecnica, pressoché inesistente, consisteva
perlopiù nell'abbattimento di quel punch-ball che mi sfidava
in continuazione con i suoi rimbalzi in tutte le direzioni, rispetto
all’asta centrale che lo teneva fissato a terra.
Cambiai
canzone e scelsi l’unica che mi avrebbe fatto
sentire imbattibile, forte, dotata di superpoteri inediti: Eye of the tiger.
Ci mancava solo lo speaker ad annunciare: Sammy Balboa! No, Sammy proprio no. Sam,
piuttosto.
Quell’altro
nome recava con sé una serie di preamboli,
d’implicazioni che rappresentavano tutto ciò che,
in quel momento, volevo sconfiggere con un sonoro calcio nelle palle.
Nessuna pietà.
Con
la coda dell’occhio intravidi Romeo destarsi dallo stato di
dormiveglia in cui versava e dirigersi verso l‘ingresso. Lo
seguii, dapprima solo con lo sguardo - finché mi fu
possibile - e poi anche con le gambe sino alla porta, dove
cominciò ad attorcigliare la coda in alternanza dal
polpaccio di Will a quello di Nick.
Dovrò
farmi ridare quel maledetto mazzo di chiavi di riserva. Almeno fino al
ritorno del signor Hansen.
I
due se ne stavano imbambolati sulla soglia di casa come degli
stoccafissi imbalsamati, rossi in viso dall’imbarazzo. Il
gatto - e non parlo di Romeo - e la volpe.
Ero
arrabbiata con loro, ma, più di tutti, con me stessa
perché non ero in grado di darmi dei limiti quando si
trattava di provare al resto del mondo il mio valore e,
perciò, stabilii che valeva la pena di ascoltarli, prima di
un eventuale lancio di oggetti ai loro danni.
Mi
tolsi gli auricolari, soffiai sul ciuffo di capelli che si era
incastrato tra le ciglia e incrociai le braccia al petto.
-
“Ciao” cominciò Will, incerto.
Tirai
un sospiro, sperando di evitare l’inutile fase dei
convenevoli.
-
“Noi, beh… noi ci… ”.
Nick
si spazientì dell’indecisione del compare e prese
la parola al suo posto.
-
“Volevamo scusarci. Siamo stati degli incoscienti -
allargò un braccio, evitando il contatto visivo con i miei
occhi - e…”.
-
“Questo è fuori questione. Sei decisamente un
imbecille. E, prima che tu possa dire qualcosa, ho detto apposta sei invece
che siete,
perché è evidente che sei tu che hai
traviato Will; lui ci
tiene alla mia vita” dissi, con un insensato istinto di
protezione nei confronti del mio vicino.
La
sua espressione cambiò: un po’ meno dispiacere e
una valanga di irritazione in più.
-
“Non ti ho mica costretto, Sammy”
reagì risentito e concentrandosi per non esplodere dal
rancore; in effetti sembrava proprio che si stesse trattenendo dopo la
mia uscita salva-Will.
Possibile che perfino in un
litigio trovasse il coraggio di usare quello stupido nome?
-
“Te lo dico per l’ultima volta: io mi chiamo
Sam” risposi alterata, minacciandolo con l‘indice.
Avanzò
verso di me di qualche passo, provocandomi un battito extra del cuore
che diagnosticai come la crescente volontà di rompergli quel
bel nasino.
-
“Ed io te lo dico per l’ultima volta: io ti chiamo
come diavolo mi pare, Sammy”
ribadì risentito.
Il
fulcro della lite si era spostato su di un altro piano, decisamente
più futile, ma con Nick qualsiasi argomento era una
potenziale fonte di discussione.
-
“Sei un idiota, Nick” gli bisbigliai in faccia.
-
“Il tuo vocabolario è piuttosto ristretto;
è la seconda volta in una serata che mi definisci nello
stesso modo”. Di nuovo ecco il suo tono glaciale ed ironico.
-
“Io inizierei a pensare che è vero, se
continuassero a ripetermelo. Sei talmente presuntuoso, sicuro di te e
sbruffone che pensi che tutto debba essere come credi tu. Peccato che
non avessi previsto che potevo rimetterci le penne a
Brompton”.
Sì,
lo so, un tantino melodrammatico, ma il senso di colpa era il
sentimento giusto su cui puntare.
-
“Sam, quel vagabondo era così ubriaco che a stento
di reggeva in piedi. Non avrebbe potuto farti del male!”
intervenne Will che venne subito incenerito con lo sguardo da Nick.
Non
capii la ragione di quell’occhiataccia e proseguii.
-
“Quel senzatetto aveva in mano una bottiglia e avrebbe potuto
tranquillamente spaccarmela in te… ”. La bocca si
zittì d’improvviso.
Nick.
Occhiataccia. Will.
Mi
voltai di scatto verso il mio vicino.
-
“Tu che cavolo ne sai del barbone? Sei sparito e, mentre
correvo, mi sono imbattuta solo in Nick. Nemmeno lui l’ha
visto” esclamai sospettosa come non mai, sentendomi una
Poirot in gonnella.
Divenne
paonazzo e non osò più staccare gli occhi da
terra. Le ipotesi erano due: o le mattonelle del mio soggiorno erano
estremamente interessanti oppure, opzione per cui propendevo, il
ragazzo aveva qualcosa da nascondere.
-
“L’ho intravisto da fuori”. Abitavo di
fronte ad un supereroe dalla vista a raggi-x.
Aggrottai
un sopracciglio, sempre più perplessa.
-
“Mi prendi in giro? C’era buio pesto ed ero almeno
a duecento metri da te”. Pretendevo una spiegazione razionale
e di senso compiuto dell’intera faccenda.
-
“Ecco, io, sì... voglio dire…
ehm”.
-
“Ho chiesto a Will di seguirti. - disse infine Nick - Volevo
assicurarmi che tutto filasse liscio”.
-
“Tu hai fatto cosa? - cercai di dire in modo rude, ma non mi
riuscii del tutto: sapevo quanto gli fosse costato ammetterlo - Non ho
bisogno della balia”. Ad essere onesti, ero un po’
stizzita. Stizzita perché non voleva dire che era stato in
pensiero per me. Prima di mollarmi in un cimitero. I controsensi degli uomini...
-
“Dio, Sammy, possibile che non ti vada mai bene niente? -
esclamò esasperato - Se ti lasciamo sola sbagliamo, se ci
preoccupiamo idem. Deciditi”.
Forse
il segreto stava nel punzecchiarlo un po’ e vedere cosa ne
sarebbe venuto fuori.
-
“Nick, quello che mi da fastidio è che tu non
ammetta che ti stavi preoccupando per me” dissi, gongolando
come una ragazzina.
Mi
aspettavo di vederlo impallidire dall’imbarazzo, o arrossire
dalla vergogna, oppure diventare incazzato nero per quanto avevo appena
insinuato, ma la verità è che la colorazione del
suo viso non mutò di una virgola, se non altro per quello
splendido sorriso bianco smagliante.
-
“Ti piacerebbe, Sammy. Semplicemente non volevo averti sulla
coscienza. Lo stesso non si può dire di Will, visto che
stava facendo pipì mentre tu gridavi come un’oca
con la tua solita voce stridula”.
Calma,
Sam, sintetizza la situazione: Nick ha chiesto a Will di seguirti al
cimitero.
Will
si è distratto per espletare i suoi bisogni fisiologici.
Nick
è venuto a riprenderti mentre stavi per schiattare dallo
spavento.
Ora
Nick ti ha insultato dandoti dell‘oca.
Nick
sta per morire.
-
“Io oca? Non mi pare che Jamie e Candy Rowell siano delle
scienziate nucleari” dissi sprezzante.
-
“Che diavolo c’entra questo ora? Non stavamo
parlando della mia imperdonabile negligenza che stava per causare la
tua morte violenta ad opera del celeberrimo barbone
assassino di West Brompton?” esclamò
teatralmente. Fu come gettare una tanica di benzina sul fuoco.
Tranquilla,
Sam, cosa ti ha insegnato mamma Grace? Nulla si risolve con la
violenza; usa le parole che sanno ferire cento volte di più.
Fai la persona civile, matura e perbene.
Contrassi
la faccia in una smorfia di tensione e rabbia allo stato puro e feci
per balzargli addosso, ma Will fu più veloce di me e mi
afferrò da dietro, mentre io scalciavo neanche fossi un
mulo, imprecando come uno scaricatore di porto.
Nick
scoppiò a ridere.
-
“Sammy, in questo modo non fai altro che dimostrarmi che non
hai corso alcun pericolo al cimitero; l’avresti steso quel
pover’uomo!”. E ancora risa, risa rivolte a me.
Aveva
l’innata capacità di urtarmi come solo qualche
politico era in grado di fare; tirava fuori sempre il peggio di me,
dimostrando di essere perennemente nella ragione, persino quando aveva
torto! In sua presenza diventavo una ragazzina maleducata, cafona,
selvaggia ed ingestibile, mentre lui passava per il gentleman che mi
aveva salvato dalla caduta in bici, dalle grinfie del clochard e
addirittura dalla performance al karaoke.
Era
una lotta impari: con lui ero destinata alla figura di merda.
Mi
calmai e Will allentò la presa, lasciando che i miei piedi
toccassero il pavimento; mi ricomposi come potevo e decisi che la
strategia migliore fosse tacere, onde evitare ulteriori peggioramenti
della situazione e aspettare che fosse lui a riprendere a parlare.
Lui
si limitò a scuotere la testa con un ghigno sulle labbra e
trasse dalla tasca le chiavi del fuoristrada, evidentemente
intenzionato a tornarsene a casa insieme a Will, che aprì la
porta.
In
un istante un’idea funesta mi attraversò la mente:
gli sfilai dalle mani il mazzo e mi precipitai più in fretta
che potei giù per le rampe di scale che conducevano alla
hall del condominio in cui vivevo. Avevo qualche istante di vantaggio,
dal momento che gli altri due erano rimasti sorpresi da quanto successo
e si erano fissati a lungo prima di riuscire a realizzare che una pazza
isterica si stava dirigendo verso la preziosa automobile.
Salutai
con un cenno frettoloso i coniugi Gringer del primo piano che stavano
rientrando dopo la consueta serata mensile all’opera e che
involontariamente funsero da ostacolo alla corsa di Nick. Spalancai il
portone e schiacciai il pulsante sulle chiavi per aprire la macchina e,
soprattutto, per sapere dove fosse parcheggiata.
Salii
sulla macchina, serrai in fretta la portiera e aspettai che la chiusura
centralizzata scattasse da sé. Tirai un sospiro di sollievo,
anche se ormai il legittimo proprietario della vettura mi aveva
raggiunta, con un’aria che non lasciava intendere nulla di
buono.
-
“Scendi subito dalla mia auto!”
mi ordinò con gli occhi color ghiaccio sbarrati e provando
invano a premere la maniglia dello sportello per salire.
-
“Purtroppo non capisco quello che dici; sai, sono
un’oca senza cervello. - dissi sarcastica - Hai forse detto: accendi subito la mia auto?!”.
Non
attesi la sua risposta e avviai il motore, controllai che fosse
inserito il cambio manuale: quello automatico era per uomini - e non
donne - pigri ed imbranati. Poggiai le mani sul volante e ingranai la
prima.
Mentre
Will doveva essere rimasto nel mio appartamento - o essere andato nel
suo a dormire, non lasciandosi coinvolgere dalle nostre scaramucce -,
Nick si mise le dita nei capelli dalla rabbia, indeciso se uccidermi e
salvare l’auto o se invertire l’ordine.
Sollevai
il piede dalla frizione e l’auto cominciò a
muoversi, pronta ad immettersi nel rado traffico notturno della
capitale, ma Nick vi si parò davanti, costringendomi ad
inchiodare per evitare di stenderlo sull’asfalto.
-
“Ferma! Cosa pensi di fare?” mi urlò, le
braccia piegate sul cofano.
-
“Levati da lì, la tua auto è
sequestrata” ribattei.
-
“Vieni giù immediatamente, tu la mia macchina non
la guidi neanche se mi paghi!”.
-
“Non mi sembri nella posizione di dettare
condizioni” lo schernii.
Purtroppo
ero fatta così: un po’ infantile, certo, ma
più qualcuno mi diceva di non fare qualcosa, più
la tentazione di provarci diveniva forte.
-
“D’accordo, Sammy, ragiona; se vuoi fare un giro ti
ci porto io, senza alcun problema”. Mi sorrise in modo sexy
ed io distolsi lo sguardo in fretta.
No,
dico, mi prendeva per scema? Era abituato a trattare per lavoro con le
donne, ammaliandole e seducendole al punto che quando era a torso nudo,
sarebbe stato in grado di vendere sabbia ai beduini. Ma io
dovevo resistere!
-
“Me lo faccio da sola un giro, ti ringrazio”
risposi, fingendo tranquillità.
-
“Dai, cavolo, ti porto dove vuoi, basta che fai guidare
me”. Si dimostrava dolce e comprensivo, cose a cui non
credevo minimamente.
-
“Prima chiedimi scusa. E dì che ho sempre
ragione”. Il mio lato naif era sempre pronto ad emergere
all’occorrenza.
-
“Cosa?! Non ci penso nemmeno” gridò.
-
“E allora ho paura che starò qui per molto tempo.
Oppure partirò per un bel viaggetto; sì, potrei
andare a trovare i miei a Glasgow, o ancora… ”.
-
“Okay, okay. Scusa, Sammy, hai sempre ragione”.
Come suonavano dolci quelle parole!
-
“Molto meglio. Ora togliti che vado a fare un giro per
Londra” gli comandai.
-
“Non erano questi i patti” mugolò.
Sbuffai
rumorosamente.
-
“Se ti faccio salire prometti che mi farai
guidare?” domandai.
-
“Guidare? Non so nemmeno se hai la patente!”. Il
ragazzo non aveva capito non chi aveva a che fare.
-
“O sali e mi fai guidare o giuro che ti investo”
dissi, cercando di apparire il più convincente possibile.
Si
arrese e annuì. Aprii la sua portiera e gli feci cenno di
entrare. Imprecò contro di me, ma finalmente si
sistemò sul sedile accanto al mio. Accelerai
d’improvviso e con troppa forza - non avevo ancora preso
confidenza con il mezzo - e sentii il motore ruggire. Uscii dal
parcheggio senza nemmeno guardare, sull’onda
dell’entusiasmo e, infatti, un SUV che stava arrivando alle
nostre spalle si attaccò al clacson per una decina di
secondi, guadagnandosi un appellativo poco carino da parte mia.
Spaventata da quel rumore inatteso, frenai veloce d’istinto,
facendo sbattere la testa di Nick contro il parabrezza. Un risolino mi
uscì spontaneo, mentre lui si portava le mani nel punto in
cui aveva ricevuto la botta, sulla fronte.
-
“Ma cazzo, Sammy. Lo sapevo che non sei capace!”
disse arrabbiato.
Lo
ignorai del tutto e partii, ritrovando il piacere della guida che avevo
perso nel momento stesso in cui avevo messo piede a Londra; ero ormai
abituata a girare a piedi, in metropolitana o in taxi, il metodo
più efficace per evitare lo stress nelle grandi
città. Certo, non ti risparmiava il traffico, ma almeno, sul
sedile posteriore, avevo il tempo di truccarmi, mettermi lo smalto e
sbrigare tutte quelle piccole faccende che non riuscivo a compiere e a
casa se non volevo arrivare in ritardo a lavoro.
Dall’alto
del fuoristrada di Nick mi sentivo un po’ la padrona del
mondo, libera di andare dove volevo… appunto: dove vado ora?
C’erano
tanti fattori da considerare: il mio scarsissimo orientamento, il fatto
che fossi conciata come l’attrice di Flashdance -
perciò di certo non potevo avvicinarmi a club o discoteche -
e il fatto che ogni volta che volevo fermarmi, c’era una
splendida canzone alla radio che non mi potevo astenere dal cantare.
Gli
occhi indagatori del mio co-pilota guardavano vigili sia me che la
strada; Nick era molto teso e sembrava sussultare a qualsiasi manovra
facessi. Non ero niente male come guidatrice, ma la sua attenzione
spasmodica nei miei confronti ed il suo tacere ingiustificato mi
stavano facendo venire l’ansia da prestazione.
Era
proprio un pessimo compagno di viaggio: non commentava
l’itinerario, non partecipava alla conversazione - che al
momento era piuttosto unilaterale - e non reagiva nemmeno ai miei
inviti di duettare nei più grandi classici della storia
della musica.
Si
sfregava in continuazione gli occhi ed io immaginai che fosse la
stanchezza che cominciava a farsi sentire. Io ero troppo elettrizzata
per aver riscoperto l’ebbrezza delle quattro ruote da anche
solo pensare di fare una sosta o, addirittura, cedere il mio posto a
Nick.
Imboccai
a casaccio una serie di strade principali e secondarie, procedendo
verso nord-ovest perché era il percorso che mi piaceva di
più. In
una stradina di campagna presi in pieno una buca che pareva un cratere
a causa della pioggia delle ultime ore e vidi il mio compagno ficcarsi
accidentalmente un dito nell’occhio.
-
“Porca miseria, Sammy. Sei un disastro!”
urlò.
-
“Risvegliato dal coma profondo, vedo. Mi spiace, non
l’ho vista” dissi distrattamente.
-
“Si ma ora ho perso una lente a contatto. - feci per
sorridere, godendo dentro di me - E non ridere”.
Finalmente
un difetto fisico! E questo spiegava anche la tortura a cui aveva
sottoposto i suoi poveri bulbi oculari.
Mi
sfuggii uno sbadiglio e mi dovetti avvicinare al cruscotto per leggere
l’ora sul display: le tre. Ciò significava che
erano già due ore che eravamo in viaggio. Mentre stavo per
riappoggiarmi allo schienale notai una spia accesa: quella che indicava
la riserva della benzina.
-
“Oh-oh” esclamai, impaurita per la strigliata
assicurata che avrei ricevuto dal mio compagno.
-
“Che c’è?” domandò
timoroso.
-
“Credo che siamo quasi a secco”.
-
“Che cosa?! Non hai controllato prima?”.
Decisi
di essere sincera.
-
“E’ che non ci arrivavo a vedere fino
lì” dissi imbronciata e imbarazzata ed apprezzai
molto il buio della notte che celava il mio rossore.
-
“Cazzo! - mascherò un sorriso che però
percepii almeno in parte - Guardiamo quanti chilometri possiamo ancora
fare”.
Non
riuscii a finire la frase che la macchina si fermò da
sé.
-
“Immagino che questo voglia dire zero”.
-
“Fantastico!” esclamò irato.
-
“E ora che facciamo?” domandai preoccupata.
Si
sganciò la cintura di sicurezza e cominciò ad
osservare fuori dal finestrino ed io lo imitai: tutt’intorno
a noi c’erano solo campi, colline illuminate dalla luna sulle
quali spuntavano delle stalle e qualche sporadica casa.
-
“Hai il cellulare?” chiese.
Tastai
il sedile posteriore alla ricerca della borsa, ma subito mi ricordai
che era rimasta a casa mia, dal momento che la mia fuga non era stata
premeditata. Scossi
la testa e lui emise un respiro pesante; trasse dalla tasca il suo
telefonino e, sbuffando, mi comunicò che non c’era
campo.
-
“Dove siamo?” osai domandare.
-
“A me lo chiedi? Sei tu alla guida!”.
-
“Cavolo, non ce l’hai una cartina o un
navigatore?”.
-
“Sono un uomo: non ho bisogno di tutto questo. - Ed
infatti… - In più questa è la macchina
di mio padre, me l’ha prestata perché la mia
è dal meccanico. Comunque proverò ad arrivare a
quella casa laggiù. Tu aspettami qua, chiuditi
dentro”.
-
“Scherzi? Ci impiegherai almeno mezz’ora e non ho
intenzione di stare qui da sola. Vengo con te.” gli proposi.
-
“Se tu fossi vestita in modo decente non avrei alcun
problema, ma così sembri uscita da un telefilm degli anni
‘80 e non vorrei che spaventassi qualcuno”
sghignazzò.
Gli
feci una smorfia a cui lui rispose con un sorriso splendido al quale
non resistetti, unendomi alla sua risata.
-
“In più farà freddo fuori e tu indossi
solo una maglietta a mezze maniche. Farò più in
fretta che posso, ma tu rimani in macchina. Okay?”
-
“No, no che non è okay! Ho paura. Per quanto tu
possa sbrigarti ad andare e tornare, un qualsiasi malintenzionato
potrebbe uccidermi, squartarmi e gettarmi in un fiume in tutta
calma”.
-
“Sì, potrebbe tornare il barbone assassino di West
Brompton. Uuuh” disse, cercando di incutermi timore.
Gli
diedi una manata sul braccio che lui cercò di evitare.
-
“Allora che facciamo? Non mi pare che rimangano molte
alternative. Non sappiamo nemmeno dove siamo. Provo ad uscire e vedere
se spostandomi di qualche decina di metri c’è
segnale” riprese, stavolta con un tono serio.
Aprii
la portiera e una folata di vento fresco notturno mi
investì, facendomi venire la pelle d’oca alle
braccia e alle gambe.
Istintivamente
mi raggomitolai sul sedile anteriore, mentre Nick si muoveva di qua e
di là alla ricerca di una ricezione maggiore. Dopo circa
cinque minuti rientrò nell’auto, la faccia cupa
che mi fece intendere che non aveva belle notizie.
-
“Nulla da fare” disse solo.
Lasciai
andare indietro la testa e tirai i lembi della t-shirt
affinché mi coprisse la maggior parte di pelle possibile.
-
“Hai freddo?” domandò.
-
“No, no!” mi affrettai a rispondere, orgogliosa. Mi
sentivo solo come una giraffa al Polo!
Non
mi ascoltò e si sfilò rapidamente il giubbotto di
pelle marrone, rimanendo con un cardigan sbottonato sopra la camicia, e
me lo porse.
-
“Nel caso in cui ci ripensi, sul morire assiderata”
ghignò.
Mormorai
un grazie a bassa
voce e lo indossai subito. Era intriso del suo profumo e, per una
rivolta, ringraziai il fatto che Nick non mi fosse del tutto
indifferente a livello fisico - per quello mentale, c’era
solo odio reciproco e la nostra collaborazione era solo momentanea -
perché mi garantiva un certo calore in tutto il corpo. Scavalcò
con una certa difficoltà, dovuta alla sua altezza, il sedile
anteriore e giunse a quello posteriore, cominciando a trafficare con
delle leve che si trovavano ai lati.
Lo
schienale scese completamente e il mio compagno di sventura
cercò qualcosa nel baule.
-
“Che stai facendo?” chiesi curiosa.
-
“Sto allestendo l’alcova, tesoro” disse
malizioso.
-
“Dormiamo qui? In macchina?”.
Dì di no!
-
“Hai un’idea migliore? - esclamò
sarcastico. In effetti non aveva tutti i torti, non avevamo molta altra
scelta - Siamo fortunati che ci sia una coperta qui dietro; la usa mio
padre quando va a caccia” mi spiegò.
Stavo
per impelagarmi in una delle mie arringhe a favore della tutela degli
animali e contro la crudeltà dei cacciatori, ma optai per un
silenzio che testimoniava tutta la mia stanchezza. E, in fondo, dovevo
pure ringraziare il signor MacCord - il padre di Nick, come ricordavo
dal testo dell‘accordo stipulato con Katy -, visto che mi
stava preservando dal freddo pungente della campagna inglese.
Quando
vidi che il letto improvvisato era pronto, mi feci aiutare per lasciare
il sedile anteriore e giungere a quello posteriore.
Ci
ficcammo sotto la coperta, lui con entrambe le braccia fuori, mentre io
avrei avuto bisogno di almeno un’altra trapunta e di un
piumino.
-
“Puoi abbracciarmi, se vuoi; - mi disse, spingendomi a
guardarlo con sguardo interrogativo - per il freddo, intendo,
chiaramente” aggiunse con tono suadente.
Questo no! Avrei
preferito morire congelata nuda in un igloo piuttosto che avvicinarmi
anche di un solo centimetro al suo corpo.
-
“Anche no” gli risposi girandomi verso la portiera
e o sentii fare altrettanto dalla sua parte.
-
“Notte Sammy” disse a bassa voce.
-
“Notte” ribattei nella speranza che il sonno mi
cogliesse alla svelta, prima che il mio cervello elaborasse la
situazione e capisse che il tutto era un tantino imbarazzante.
Mi
accorsi che il ritmo del respiro di Nick era rallentato: probabilmente
si era addormentato ed io, di riflesso, mi rilassai.
Sì,
in fin dei conti tornare a guidare era stato emozionante, fantastico,
adrenalinico… ma sapevo che sarebbe passato molto altro
tempo prima di poterlo fare un’altra volta: Nick non me
l’avrebbe concesso mai più e, a dirla tutta, non
sarei più salita su di un’automobile che non
avesse almeno tre quarti di serbatoio pieni di benzina.
Baby
you can drive my car
And
yes I’m gonna be a star.
Baby
you can drive my car
And
maybe I’ll love you.
Ritardino
stavolta dovuta alle feste natalizie e ad un momentaneo blackout
dell‘ispirazione! Spero che le abbiate trascorse nel migliore
dei modi e che abbiate mangiato (come me!) come dei porcellini :D
La
canzone di questo capitolo è straordinaria e direi che
è anche un classico dei Beatles: “Drive my
car”.
Risposte
alle recensioni a breve nella casella di posta!
Au
revoir!
HappyCloud
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Capitolo 9 *** Capitolo 9. Bitter/Sweet Harmony. ***
Capitolo
nove. Bitter/Sweet
Harmony.
Nottetempo,
la distanza, creatasi tra me e Nick nell’istante in cui ci
eravamo arresi al sonno, fu colmata dai movimenti dei nostri corpi; le
gambe si sfiorarono e poi aggrovigliarono le une alle altre in modo
naturale, portandoci ad un contatto fisico inevitabile
all’interno di un ambiente di un paio di metri quadrati.
Ero
alla ricerca disperata di calore, il freddo che si infiltrava
attraverso le fessure delle portiere non dava tregua e provocava sulla
mia pelle dei continui brividi seguiti da piccoli tremolii, sebbene
fossi coperta anche dal chiodo di Nick.
Dovevano
essere trascorse alcune ore da quando c’eravamo addormentati,
lontani e voltati in modo tale da darci le spalle. Ma la situazione era
cambiata: lui girato di fianco verso di me, un braccio piegato sotto la
testa a mo’ di cuscino ed io distesa supina, a pochi
centimetri da lui. D’un tratto, però, mi mossi
bruscamente, facendo sbattere il dorso della mano sulla sua spalla.
Bastò un attimo e ci destammo entrambi.
Trovarsi
gli occhi di Nick, appena aperti, così vicini ai miei quando
ancora non ero nel pieno possesso delle mie facoltà mentali,
fu più traumatico del previsto. Nessuno dei due parlava,
ciascuno intento a scrutare e studiare le mosse dell’altro
prima di effettuare la propria. Ci furono momenti di silenzio totale in
cui il tempo era scandito da delle deboli gocce di pioggia che cadevano
sul tettuccio e dai movimenti veloci delle mie pupille, nervose almeno
quanto lo ero io. Le sue, invece, erano immobili, statiche, concentrate
a scandagliare il mio viso, pacifiche come il cielo immerso
nell’oscurità al di fuori del finestrino.
La
mia mente era in cortocircuito totale; il dubbio era se approfittarne o
se aspettare che i pensieri ricominciassero a sgorgare a ritmo regolare.
In
un secondo presi la mia decisione: mi attaccai alle sue labbra carnose
e socchiuse, mentre la mano sinistra scorreva dal suo collo fino alla
nuca. Temetti che non volesse rispondere all’effusione, ma fu
lui il primo a dare l’input affinché quel bacio
casto si trasformasse in qualcosa di più adulto, maturo.Cercò
la mia lingua con passione ed io lo accontentai senza farlo attendere
oltre, abbandonandomi al desiderio di averlo, di conoscerlo
più intimamente. Sapevamo
entrambi di non essere compatibili insieme, cane e gatto, e che
l’esperienza di una notte non ci avrebbe travolto
l’esistenza. Perciò, fu normale prendere la
situazione con leggerezza. Nick mi
invitò a sedermi con lui prima di sfilarmi con
rapidità il giubbotto di pelle e la t-shirt, costringendoci
ad una sosta. Gli sbottonai la camicia con foga tale da strapparne uno,
l’ultimo, mentre un risolino ci scappava involontario. Mi
lasciai baciare sul collo, sopraffatta dalla più assoluta
incapacità di distinguere i brividi causati dalle
temperature basse da quelli causati dal mio partner. Mi
indusse a sdraiarmi di nuovo sui sedili reclinati, sotto di lui, le cui
mani vagavano sul mio corpo con delicatezza e decisione allo stesso
tempo.
Imposi
al mio cervello, al mio cuore e alla mia coscienza un silenzio stampa
per evitare di pensare non soltanto al casino in cui ci stavamo
inoltrando, ma anche a quello a cui saremmo andati incontro dopo.
Non
potevo non contorcermi dal piacere sotto quelle mani esperte e quei
baci bollenti, intervallati dalla fisiologica necessità di
riprendere fiato, solo per qualche secondo, come se
l’ossigeno puro si trovasse unicamente nel respiro
dell’altro.
Forse
mi ero arresa con troppa facilità all’attrazione
che provavo verso di lui; non ero orgogliosa di quanto stavo facendo,
ma, alle volte, fingere di non sapere che si sta commettendo un errore
ti fa credere di essere nel giusto e nel lecito.
Ero
assoggettata a lui, ai suoi movimenti mirati e precisi che lo rendevano
sempre più sexy. Si mise
a giocare con l’orlo dei miei pantaloncini,
l’indice infilato all’interno per sondare il pube e
si staccò dalla mia bocca con un sorriso malizioso,
traboccante di eccitazione e di compiacimento.
Lo stronzo sa bene
l’effetto che fa.
Fece
scendere gli spallini del reggiseno, baciandomi il petto e attorno
all’ombelico, torturandomi e facendomi irrigidire.
Gli
slacciai la cintura, nella speranza di vederlo nudo il prima possibile
- mamma Grace e papà Philip non sarebbero stati fieri di
questa parte -; volevo abbassargli anche i boxer, ma lui mi
fermò.
-
“Una cosa alla volta, Sammy”, mi
sussurrò all’orecchio con un tono basso e
suadente, prima di mordicchiarmi il lobo.
Come
una cosa alla volta? Mi vuole forse vedere morta?! Dai, andiamo,
togliti tutto e pure alla svelta!
Lo
pensai, ma lo tenni per me. Sbottonò i miei shorts con una
lentezza da bradipo - solo io ero impaziente? -, mentre la lontananza
millimetrica tra di noi veniva in qualche modo colmata dai suoi occhi
glaciali puntati su di me che mi bruciavano la pelle.
Dai,
cavolo, mica voglio la scopata del secolo! La
prima volta con una persona è puro desiderio, autentica
passione. Ci
sarà tutto il tempo per rifarci… no! Ma quale tempo, quale
rifarci? E’ una cosa così, senza senso, da una
volta e arrivederci e saluti.
Comandai
a me stessa di smetterla di fare congetture, progetti, di staccare la
spina e godermi il momento.
Persi
la cognizione dei minuti che scorrevano veloci in quella macchina
isolata dal mondo, nella solitudine della campagna. Mi stava facendo
sentire viva e trattenere i gemiti - da brava puritana li trovavo
imbarazzanti - stava divenendo sempre più difficile. Mi
sforzai per sollevare la schiena e prendere in mano la situazione, in
tutti i sensi possibili; la teoria di quella scapestrata di mia sorella
Lily era che mettere sotto torchio lui, levasse
dall’imbarazzo la malcapitata di turno.
Nick
finalmente mi lasciò fare, togliendosi i boxer, il cui
contenuto, tra l’altro, non era niente male.
Dopo
un po’, mi fece cenno di fermarmi e mi prese i fianchi,
inducendomi a sdraiarmi sotto di lui e rifilandomi un altro dei suoi
magnifici baci alla menta.
Ed
ecco giungere il momento tanto atteso e tanto scomodo: assicurarsi che
avesse le precauzioni adatte. Mi riusciva difficile pensare che in caso
contrario avrei chiuso baracca e burattini, ma potevo almeno dire di
averci provato.
Aprii
gli occhi quando lo sentii allontanarsi da me e presi tutto il coraggio
di cui ero capace per pronunciare quelle maledette parole. Lui
però mi precedette, soffiandomi la risposta sulle labbra e
stringendomi fino ad aderire al suo corpo.
-
“Già fatto, Sammy. Rilassati”.
Già
fatto? Quando? Come?
Dimenticai
la vergogna in un baleno e mi affrettai a guardare colui che si era
insinuato tra noi: sì, il preservativo era già al
suo posto. Scivolò
dentro di me piano, scatenando in me una strana reazione; era
piacevole, ma era… strano. Avevo
l’impressione che qualcosa mi pesasse sull’inguine
e non era lui, perché si reggeva da sé sulle
ginocchia e sulle braccia. Mentre Nick aumentava il ritmo, io non
smettevo di pensare a quanto fosse bello stare con lui, nonostante la
sensazione che provavo e alla quale non trovavo giustificazione.
Forse
è perché non centriamo niente l‘uno con
l‘altra…
Ribaltai
la posizione, sdraiandomi sul suo corpo.
Forse
è perché ci stiamo comportando come dei
ragazzini…
Capii
che non avremmo resistito a lungo in quel modo, non con quella
velocità nel consumare l’amplesso.
Forse
è perché so che è tutto
sbagliato…
Avremmo
potuto rallentare, ma la verità è che non ne
avevamo voglia. Mancava così poco all’apice per
entrambi e…
E…
mi svegliai.
Il
ritorno alla realtà fu paragonabile ad uno secchio di acqua
gelida dritto in faccia quando meno te lo aspetti. Era stato un sogno,
no, un incubo, in cui mi ero lasciata trasportare da qualcosa che al di
là della sfera onirica non esisteva: un legame con lui. Era
indiscutibilmente un bel ragazzo, ma così come lo erano
tanti altri. Non era speciale e, al contrario, mi aveva cacciato in una
scommessa da cui non riuscivo a liberarmi e che, al momento, costituiva
anche il solo punto di contatto tra i nostri mondi così
diversi: io ero l’ordinaria giornalista che veniva dalla
Scozia in cerca del successo e lui lo spocchioso ballerino di lap-dance
senza altre apparenti pretese, nato e cresciuto a Londra.
E
poi parliamone: io e uno stripman? Possibile, sì, ma su Krypton o nel Paese delle meraviglie. Non qui. Non ora.
Non avrei potuto sopportare di vederlo agitarsi mezzo nudo - anzi,
togliamo pure il mezzo - su quel ridicolo palco mentre una mandria di
donne con l’ormone a mille lo toccava e gli infilava denaro
nelle mutande. A pensarci bene, neanche su Krypton sarebbe
stato praticabile.
Mi
girai per guardarlo e vidi che dormiva placido con la pancia
all’insù, ancora a distanza di sicurezza da me. Mi
passai una mano fra i capelli, ascoltando il silenzio
tutt’intorno a me. Avrei
dovuto capirlo subito che si trattava di fantasia: non mi ero fatta
alcuna paranoia sull’alito mattutino, sui miei slip a pois e
poi quando mai un uomo si mette il profilattico senza che non gli venga
esplicitamente chiesto?
Finzione
o meno, qualcosa di reale c’era: quella strana sensazione che
avevo provato durante l’amplesso persisteva e nulla aveva a
che fare con Freud, con la sua Interpretazione dei sogni e la
psicanalisi: mi scappava la pipì.
Scostai
la coperta e l’occhio mi cadde sull’ultimo bottone
della camicia di Nick, emblema della voracità con cui lo
avevo denudato: meglio controllare che fosse ben saldato alla stoffa.
Giusto per esserne certa! Okay, era ancora lì.
-
“E’ un po’ presto per
l’alzabandiera”. La sua voce un po’
impastata mi fece sobbalzare.
-
“Stavo… stavo cercando un fazzoletto”
risposi rapida e seccata.
-
“Nei miei pantaloni?”.
-
“No, veramente lo cercavo nei tuoi boxer. Credo che ci sia
parecchio posto da occupare lì dentro”.
-
“Spiacente, Sammy. Lì, siamo al completo. - mi
sorrise malizioso - Puoi provare nel portaoggetti di fianco al
cruscotto”.
Seguii
il suo consiglio e ne trovai un pacchetto. Aprii lo sportello e
cominciai ad ispezionare i campi intorno a noi nel buio per scovare un
angolino un po’ nascosto. Ci impiegai un secolo, ma, infine,
tornai in macchina soddisfatta, seppur infreddolita.
-
“Hai fatto un viaggio in Polinesia nel frattempo? Sei stata
fuori un’eternità” commentò.
-
“Che c’è? Ti mancavo?” dissi
distrattamente mentre mi riaccomodavo sotto la coperta.
-
“Stai cominciando a parlare come me?” chiese con un
sorriso sulle labbra.
-
“E se anche fosse?” lo sfidai, chiudendo gli occhi,
pronta a riprendere a dormire, immobile.
Ci
pensò su un attimo e poi riprese a parlare.
-
“Non si risponde ad una domanda con un’altra
domanda” m’imbeccò.
-
“Ah, no?”.
Mi
diede un pizzicotto sul fianco ed io mi lasciai scappare una risata che
lo contagiò. Lasciammo che scemasse da sé,
dopodiché Nick biascicò un buonanotte a cui
risposi allo stesso modo.
Ma
non avevo più sonno. Sin da piccola, se mi svegliavo nel
cuore della notte per andare in bagno o a prendere da bere, lo facevo
ad occhi chiusi, perché sapevo che se avessi osato aprirli
non sarei più riuscita ad addormentarmi, una volta tornata a
letto. Chiaramente, però, quella sera avevo dovuto fare uno
strappo alla regola per non rischiare di finire nello sterco
abbandonato di qualche animale o nel fiumiciattolo che costeggiava la
strada. Ed ecco che il sonno se n’era andato, lasciando il
posto ad una noia mortale.
Ero
incerta sullo svegliare Nick; il fatto che io non riuscissi a dormire,
non doveva coinvolgere anche lui.
C’erano
una marea di domande che avrei voluto sottoporgli, ma c’era
ancora un sacco di tempo da trascorrere insieme prima di tornare a
casa, così preferii tacere e girarmi nel letto, alla ricerca
di una posizione che risultasse più confortevole. Lo feci
un’infinità di volte per la mezzora successiva,
senza successo.
-
“Vuoi stare ferma? Mi stai innervosendo”
sbuffò.
-
“Scusa” bofonchiai, dispiaciuta di averlo svegliato.
-
“Che c’è?”.
-
“Non ho più sonno”.
-
“E allora che facciamo? - sorrisi, pensando che era stato
carino ad includersi nel piano alternativo al sonno - Vuoi
parlare?” chiese.
-
“E di cosa scusa?”.
-
“Ti do l’opportunità di farmi tutte
quelle domande che tieni in serbo per me da quando sono andato fuori
città”.
Lo
guardai sorpresa: mi stava concedendo il privilegio di fargli vuotare
il sacco circa la sua vita?
-
“Che ci sei andato a fare lontano da Londra?”
proseguii.
-
“Lavoro, te l’ho già detto
questo” rispose.
-
“Sii più preciso, scendi nei dettagli; sono pur
sempre una giornalista, ho una curiosità innata piuttosto
spiccata” ammiccai.
-
“Dovevo raccogliere del materiale… ”
cominciò.
Scoppiai
a ridere, senza nemmeno tentare di trattenermi.
-
“Vedi come sei fatta? Con te non si riesce neanche ad
intavolare un discorso serio. Il tuo metro di giudizio è
limitato” s’imbronciò.
-
“Non era mia intenzione offenderti, ma converrai con me che
è piuttosto difficile credere che uno che fa la tua
professione abbia bisogno di raccogliere del materiale”.
-
“Se fossi permaloso, potrei prendermela, ma visto che non
sono come te, lascerò correre” rise di gusto ed io
mi aggregai.
Mi
divertii moltissimo a parlare con lui, senza, tra l’altro,
riuscire a scoprire nulla: il ragazzo non si sbottonava, se non nei
miei sogni più sconci.
Quando
mi svegliai verso mezzogiorno - secondo l’orologio sul
cruscotto - il mio compagno di viaggio non era più al suo
posto. Guardai fuori dal finestrino e lo scorsi mentre si godeva un
po’ di sole sul ciglio della strada.
Scesi
dall’auto e lui girò verso di me, sorridendo.
-
“Buongiorno, bella addormentata” mi
canzonò.
-
“’Giorno” risposi, riparandomi gli occhi
dalla luce.
-
“Buone notizie. Dopo una scarpinata mattutina di 10 km, sono
riuscito a trovare segnale per il cellulare. Tra non molto torneremo
alla civiltà: ci vengono a prendere!”.
-
“Ignorerò il fatto che tu abbia appena detto di
avermi lasciato sola in questo posto per tutto quel tempo e mi
concentrerò sulla parte più interessante:
città stiamo arrivando!” urlai.
Infatti,
dopo un quarto d’ora, si scorse all’orizzonte una
macchina sportiva che, in quel momento, valeva quanto una scialuppa di
salvataggio per i naufraghi del Titanic.
Nel
mio inconscio, avevo dato per scontato che l’eroe sarebbe
stato Will e non due metri di gambe femminili con una folta criniera
color platino ed un seno prosperoso. Mi risultò quasi
spontaneo controllare le mie tette e, con tristezza, constatare che
sembravano due mozzarelline rinsecchite rispetto a quelle della tizia
davanti a me.
-
“Harmony! Non so come ringraziarti!” Nick le
scoccò un bacio sulla guancia.
-
“Questa sono le taniche di gasolio che mi hai
chiesto” gli rispose, porgendo i due contenitori.
Mentre
lui li vuotava nel serbatoio del fuoristrada, capii che era arrivato il
momento di presentarsi alla salvatrice.
-
“Sam”.
-
“Piacere Sam, sono Harmony. - le strinsi la mano, abbozzando
un sorriso - Sei di Londra?”
-
“No, di Glasgow” risposi.
-
“Allora takk” disse e fece ondeggiare i vaporosi
capelli biondi lunghi, il viso rilassato e soddisfatto.
Guardai
spaesata sia lei che Nick, il quale rifletteva alla perfezione la mia
espressione.
-
“Non parla la nostra lingua? - chiese la nuova arrivata,
accennando col capo nella mia direzione - Io Harmony. Amica
Nick”.
E’
assodato che questa abbia dei problemi.
-
“Tesoro, - tesoro? -
Glasgow è in Scozia” intervenne lui, divertito
dalla gaffe.
-
“Ah, che sbadata. - io direi pure scema! -Devo
aver fatto confusione con Oslo, in Svezia”.
-
“Norvegia” la corressi prontamente.
Al
momento della distribuzione dell’intelligenza, Harmony doveva
essere impegnata a farsi la manicure o a farsi ossigenare i capelli dal
parrucchiere.
Mi
guardò infastidita, ma continuò a lanciarmi
sorrisetti finti quanto le sue labbra.
-
“Già, Norvegia. Sai takk significa
grazie. - disse, cercando di riacquistare punti ai nostri occhi - Me lo
ricordo da quando sono andata a farci una sfilata come super
modella” concluse e si mise in una posa sexy.
Ed
io che pensavo che i centri della moda fossero Milano, Parigi e New
York!
-
“Sono brava in quello, non in geometria!” rise
sguaiata.
Decisi
di non infierire sul suo ego: avremmo perso almeno un’altra
ora a spiegarle che parlavamo di collocazioni geografiche e non di
figure o numeri. In più, avevo una tremenda voglia di
tornarmene a casa, buttarmi sotto la doccia e stravaccarmi sul divano
con una tazza di tè fumante.
Rievocarono
tra loro i vecchi tempi ed io mi sentii esclusa da
quell’insieme di ricordi che condividevano e rispolveravano
con piacere e gioia. Mi
dondolai sulle gambe e guardai l‘asfalto sotto di me,
annoiata a stanca; Will me l’avrebbe pagata per non essere
venuto lui a prenderci.
Toh,
un sasso. E le colline verdi. Una farfalla…
-
“… Sammy?” domandò qualcuno.
-
“Eh?” risposi un po’ intontita.
-
“Stavo raccontando a Harm della nostra nottata quasi in
bianco”.
Alla
biondona si drizzarono le orecchie in un lampo.
-
“E che avete fatto?” domandò astiosa.
Nick
si preparò a risponderle normalmente, come se quegli occhi
da cerbiatta non mi stessero mentalmente augurando una fine lenta ed
infelice.
-
“Abbiamo parlato. A Sammy piace fare domande. Tante
domande” rise, ammiccando verso di me ed io risposi con uno
dei miei migliori sorrisi.
Tutto
pur di far friggere le meningi ad Harmony. Lo so, non era carino, ma
comunque non stavo producendo nessun grave danno, dal momento che era
un caso clinico di morte cerebrale unico, pur essendo il resto del
corpo in perfetta salute; in secondo luogo, se c’era un modo
per causarle fastidio, non mi sarei di certo tirata indietro, visto la
gentilezza con cui mi rivolgeva occhiate assassine. E poi vogliamo
parlare del nome stupidissimo che aveva?! Sembrava quello di una
bambola.
-
“Allora è proprio cretina. - come prego? - Io in
una notte con te ne avrei fatte di cose. E ne ho fatte in passato,
vero, Nicky?” squittì e l‘interessato
abbassò lo sguardo, imbarazzato.
-
“Ho tutto un altro stile io. - ribattei - A Glasgow, lo
chiamiamo pudore”.
-
“Comunque sempre scema rimani”. Sì, scema rimango
perché persevero nell’utilizzare un linguaggio che
tu non capisci.
Aprii
la bocca per replicare, ma Nick intuì la
pericolosità dell’argomento e mi bloccò.
-
“Alt, ragazze, che ne dite di tornare a casa? Io preferirei
non guidare perché ho perso una lente a contatto e
l’altra l’ho buttata prima di mettermi a dormire.
Quindi voi guiderete e io resterò a guardare, sperando di
tornare a casa tutto intero”.
-
“Ti aspetto in macchina, tesoro”
disse Harmony e si riaccomodò nella sua auto.
Mi
aspettavo di sentirlo ribattere che, invece, preferiva fare il viaggio
di ritorno con me, perché in fondo non ero tanto male come
compagna di avventura e, soprattutto, perché non meritavo di
ricevere un trattamento così sgarbato da una gallina fatta e
finita che mi conosceva sì e no da qualche minuto.
Ma
lui non disse nulla, si limitò ad annuire e a darmi le
chiavi della sua auto in mano.
-
“Hai davvero intenzione di farmi tornare a casa da
sola?” lo accusai con un tono duro, mentre lui si accingeva a
raggiungere l’altra vettura.
-
“Cosa dovrei fare? Si è fatta duecento chilometri
per venire a prenderci, il minimo che possa fare è farle
compagnia”.
-
“Mi ha trattato come una stupida quando è palese
che qui l’unica sottosviluppata è lei e tu non hai
mosso un dito per difendermi”.
-
“Stavate discutendo voi due, io non c'entravo nulla. E
comunque non ne avresti avuto bisogno. Ti sai difendere benissimo da
sola” mi sorrise, ma non avevo alcuna intenzione di
ricambiare.
-
“Questo non vuol dire nulla. Il punto è che non
l’hai fatto!”.
-
“Sammy non è la fine del mondo. Se
l’avessi fatto, a questo punto starei avendo la stessa
identica conversazione con lei”.
-
“Non credo proprio, visto che non capirebbe la
metà delle parole che stiamo usando” dissi acida.
Harmony
suonò il clacson.
-
“Vedi di darci un taglio con quest’aria da saccente
e smettila di giudicare la gente per come la vedi. Non la conosci,
è una brava persona”.
Di
nuovo il clacson.
-
“Non serve conoscerla! Basta guardarla per capire che tipo di
persona è! E’… l’unica parola
che mi viene in mente è vuota.”
Non
ebbi bisogno di girarmi, perché sapevo perfettamente quello
che stava succedendo; lo lessi sul viso di Nick che guardava dietro di
me: Harmony era alle mie spalle ed aveva sentito tutto.
Ero
davvero convinta di quanto avevo detto, ma persino il mio cinico cuore
di pietra avvertì un certo senso di colpa nel vedere le
lacrime ed il viso corrucciato di colei verso cui
l’osservazione era rivolta.
-
“Impara a crescere prima di giudicare e scendi dal
piedistallo su cui ti sei messa da sola” mi disse lapidario
Nick, prima di passarmi accanto con indifferenza e correre ad
abbracciare la sua amica.
Che
non ero io. Perché, per quanto ci fossimo illusi nella
chiacchierata delle ore precedenti, non eravamo amici; io ero il
disastro ambulante che non ne azzeccava una giusta ed infilava un
errore dietro l’altro. E Harmony poteva essere la persona
più insignificante ed insulsa del mondo, ma
l’avevo offesa.
Mi
passai una mano tra i capelli, racimolando le solite inutili parole di
scuse da rivolgerle. Mi
voltai; erano abbracciati ed io potevo scorgere solo le spalle di Nick
ed il viso di lei incastrato tra le sue braccia. Mentre
lui la consolava, sussurrandole chissà quali cattiverie sul
mio conto, lei mi sorrise, in segno di sfida e, una volta tanto, mi
resi conto che sì, avevo sbagliato a giudicarla, ma non nel
modo in cui credevo.
Sciolse
la stretta e gli disse di aspettarla in macchina, dal momento che
voleva scambiare due parole con me. Nick mi lanciò uno
sguardo gelido di rimprovero che mi fece stringere lo stomaco e
sparì sul sedile del passeggero dell’auto di lei.
Harmony
si avvicinò a grandi passi, un ghigno di astuzia cucito
addosso.
-
“Credevo che le tue labbra fossero la cosa più
finta di te. - le ringhiai in faccia, con i pugni chiusi dalla rabbia -
Beh, mi sbagliavo”.
-
“Non sei né la prima né sarai
l’ultima a metterti tra me e lui. Verrai comunque scartata
come tutte le altre, tesoro, non ti preoccupare. Toglierò di
mezzo anche te”.
Una
minaccia?
-
“Nick è un conoscente, nulla di
più” mi difesi.
-
“Non è questa l’impressione che ho avuto
quando vi ho visti”. Un paio di occhiali, no?
-
“Puoi pensare quello che ti pare, non mi importa
granché, in effetti”.
-
“A te forse no. Però ti assicuro che a lui -
indicò Nick in macchina - importa eccome quello che penso
io”.
-
“Ha un’immagine completamente distorta di te. Crede
che tu sia un’amica poco intelligente, ma fidata, quando sei
l’esatto opposto. Sei squallida ad approfittarti di
lui” le dissi schifata.
Lei
allargò ancora di più il suo sorriso meschino.
-
“Hai un unico problema, Sam. Non ti crederà mai;
ti conosce da quanto… un mese? Non puoi competere con la sua
amica d’infanzia. Hai perso in partenza”. Mi
lasciò da sola, accanto al fuoristrada del padre di Nick e
tornò in auto, mise in moto e partì.
La
imitai, sbattendo lo sportello più forte che potevo, a
dimostrazione di tutta la frustrazione della situazione in cui mi ero
finita. Cazzo!
Li
seguivo ad una distanza di qualche metro e li vedevo ridere, scherzare
e cantare, mentre io ero da sola ad ascoltare un cd di Bruce
Springsteen che avevo trovato sul sedile accanto. Fu
un viaggio lungo, ma, come tutti, destinato a finire. Man
mano le strade cominciarono ad essere familiari, e iniziai a
riconoscere vie e palazzi. Sulle note di Born in the USA - che
non potevano non ricordarmi quel disgraziato americano di Will - decisi
di cambiare percorso ed andare filata a casa mia.
Ero
nauseata da quella Serpe che si stava approfittando
dell’affetto sincero di Nick e non riuscivo più a
tollerare nemmeno la sua vista. Svoltai
verso il mio condominio e parcheggiai l’auto davanti, in modo
tale che non intralciasse. Presi
l’ascensore e bussai subito alla porta del mio dirimpettaio,
ma nessuno venne ad aprire; probabilmente, vista l’ora, era a
lavoro.
Grazie
al cielo mi aveva lasciato le chiavi di casa sotto lo zerbino e,
così, entrai, abbandonandomi sulla poltrona, mentre Romeo
ancora dormiva sul tappeto del salotto.
Mi
feci una doccia con calma, tranquillità, cioè con
tutte quelle caratteristiche che non mi appartenevano, soprattutto in
quel momento. Sentii
il campanello suonare e fui costretta ad uscire dal bagno in
accappatoio e con il turbante per asciugare i capelli in testa.
Speriamo
sia Will.
Spalancai
la porta e mi trovai davanti Nick, appoggiato con una mano al muro
esterno.
-
“Ciao” esclamai incerta.
-
“Mi servono le chiavi del fuoristrada” disse
imperturbabile.
Le
presi dal tavolino dove le avevo appoggiate e gliele porsi.
-
“Mi spiace per il casino che ho combinato… per
l’auto dico” sussurrai, incrociando le dita
nervosamente.
A
lui scappò uno sbuffo.
-
“Sei incredibile. Hai detto una cosa orribile ad un persona
importante per me e ti scusi per avermi preso la macchina?!”
urlò paonazzo.
Hai
perso in partenza.
Aveva
ragione Harmony: non avrebbe mai creduto ad una versione della storia
in cui lei avesse avuto una doppia faccia, ma non sarei stata in pace
con me stessa se non avessi almeno tentato di avvisarlo sulla malafede
di lei.
-
“Io ho sbagliato. Però lei non è quella
che credi. Sei il suo chiodo fisso e non vuole che nessuna si avvicini
a te, a costo di farsi passare per un tipo di donna che non corrisponde
alla realtà e… ” provai a giustificarmi.
-
“Smettila, cazzo, smettila! Sei solo una ragazzina
presuntuosa ed io non ho nessuna voglia di ascoltarti”.
-
“Non sto mentendo, Nick” gridai.
-
“Cresci, Samantha. Cambia atteggiamento o sparisci dalla mia
vita, perché non ho alcun interesse ad avere una persona
come te attorno.”
Scese
le scale in un baleno, senza mai più voltarsi indietro a
guardarmi. Non riuscì nemmeno a sentire le mie ultime
parole, sebbene fossero quasi urlate.
-
“Non sto mentendo!”. E, chiudendo la porta con ira,
sperai che anche i problemi rimanessero al di fuori del mio mondo.
Cause
it's a bittersweet symphony, this life
Trying
to make ends meet
Buona
sera :D
Lasciatemi
dire subito che sebbene io vi auguri una buona epifania, in
realtà la odio, perché vuol dire che finisce
tutto il tempo natalizio e devo disfare
l’albero…noooo!
Tornando
a noi, mi sorge un dubbio: non è che sto infarcendo i
capitoli di troppi avvenimenti? In altre parole, non è che
sto facendo succedere troppe cose all’interno di ciascun
capitolo? Mah, fatemi sapere!
La
canzone del titolo è “Bittersweet” dei
Verve.
Un
bacione!
P.S.
risposte alle recensioni in posta dopo che ho fatto la doccia! :D
HappyCloud
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Capitolo 10 *** Capitolo 10. What Goes Around Comes Around. ***
Capitolo
dieci. What
Goes Around Comes Around.
Due
settimane. Questo fu l’esatto periodo di tempo durante il
quale io e Nick interrompemmo qualsiasi tipo di contatto: nessuna
chiamata, nessun messaggio, nessun pacchetto color avorio sigillato da
ceralacca rossa con una N al
centro recapitatomi a casa. Solo un unico, grande, assordante silenzio.
Mi
sentivo a disagio in quella situazione; ero la classica persona a cui
bastava un nonnulla per infervorarsi, ma che altrettanto facilmente
smaltiva la rabbia accumulata, nell’auspicio di una
più sana volontà di confronto. Appariva,
però, cristallino che Nick non fosse della mia stessa
opinione e che fosse un maestro nell’arte
dell’indifferenza.
Pretendeva
le mie scuse - secondo quanto aveva detto a Will -, ma a me non passava
nemmeno per l’anticamera del cervello l’ipotesi di
domandare perdono per aver cercato di aprirgli gli occhi sulla sua cara
amica. Avevo detto la verità e ciò che ne avevo
ricavato era l’essere stata tacciata di
superficialità ed arroganza nei confronti della tenera e
ingenua Harmony.
La
persona che forse più soffriva il contesto era il mio
vicino; eravamo pur sempre i suoi unici amici londinesi ed ora era
costretto a vederci separatamente e, almeno per ciò che
concerneva le serate passate in mia compagnia, la conversazione era
improntata al 90% su quanto Nick fosse cieco, stronzo,
illuso… ma non stentavo a credere che quelle con
l’altro fossero l’opposto.
Will,
dal canto suo, viveva nel perpetuo tentativo di rimanere super partes,
il che mandava su tutte le furie lo stesso Nick che lo accusava di non
riuscire a prendere posizione o, meglio, di non assumere la sua
posizione, contro la perfida Sam. In realtà, sapevo che
l’ago della sua bilancia pendeva dalla mia parte. Anche
perché in caso contrario gliel’avrei spaccata in
testa, la bilancia.
Mentre
viaggiavo in taxi fino a lavoro, quel giovedì mattina,
l’agitazione cominciò a farsi sentire. In ufficio
c’era un gran trambusto a causa di un nuovo socio in arrivo e
ciascun collaboratore di Music
Magazine non
vedeva l’ora di mettersi in mostra dinnanzi a colui che
avrebbe affiancato Valerie e gli altri capi.
Mi
sembrava di essere tornata sui banchi
dell’università, durante le sessioni di esami che
mi facevano trascorrere notti insonni per via dell‘ansia.
La
vibrazione del cellulare mi distolse dal pensiero fisso su MM. Era un
messaggio di Will:
Stasera
cena da me alle 8. W.
Sospirai;
avrei dovuto rimandare l’ormai consueto appuntamento con il
fattorino delle consegne a domicilio. Era una settimana che mi cibavo
quasi esclusivamente di take away: pizza, cinese,
thailandese… tutto pur di non mettermi ai fornelli, dal
momento che il lavoro mi teneva occupata 24 ore su 24 per la
costruzione del numero di ottobre.
Tornai,
così, a pensare all’ufficio. Avevo deciso di
indossare qualcosa di non particolarmente appariscente quella mattina:
un tailleur scuro con una scarpa alta, giusto per togliermi da quello
stato di nanismo di cui mi sentivo affetta ogni volta che ero accanto
alle mie colleghe stangone. Nessun monile, solo un paio di sobrie perle
alle orecchie, uno chignon a fermare i capelli e un trucco leggero.
Presi
l’ascensore e non potei fare a meno di vedere la mia immagine
riflessa nello specchio; mi scappò una smorfia nel
constatare che sembravo la zia C-Annie-vora negli anni della sua
gioventù ai tempi della guerra.
Non
appena poggiai la borsa sulla mia scrivania, Amanda mi venne incontro e
mi disse che il nuovo arrivato mi stava aspettando nel suo studio, che
ricordai essere l’unica stanza vuota dell’intera
redazione.
Bussai
con delicatezza alla porta e l’aprii soltanto quando una voce
profonda mi di farlo. Un uomo alto, bruno, sulla quarantina stava
impartendo ordini alla sua segretaria.
-
“… perciò Carla fammi avere il
preventivo. Vai pure, grazie”. Il suo tono era gentile, per
nulla autoritario ed il sorriso con cui aveva condito il tutto era una
prova ulteriore della sua cordialità.
-
“Prima che lei si presenti, - mi disse, mentre la sua
segretaria usciva dall’ufficio - mi piacerebbe ci dessimo del
tu. Il lei invecchia,
non crede?”. Si appoggiò allo schienale della sua
poltrona girevole.
-
“Sono d’accordo” gli risposi affabile.
Per
fortuna è un tipo simpatico, una vera rarità nel
mondo della stampa.
Si
alzò in piedi, girò attorno al tavolo e venne a
stringermi la mano.
-
“Piacere, Sam” esclamò.
Oh,
che carino, sa già il mio nome!
Mi
limitai a sorridere come un’ebete e lui mi guardò
come se stesse aspettando che anche io spiccicassi parola.
Era
già ora di discorrere del tempo?
Rimanemmo
lì in sospeso e in imbarazzo, finché qualcuno non
bussò alla porta ed entrò: Val.
-
“Sam!” urlò ed io mi ritrovai a
rispondere sì? insieme
all’uomo che avevo dinnanzi. Ci guardammo a vicenda con
sorpresa, per poi scoppiare a ridere tutti e tre.
-
“Tu… Sam?” chiesi in modo un
po’ disconnesso.
-
“S-sì, Samuel Banks” si
presentò.
-
“Samantha Grayson. Immagino che sia sufficiente a spiegare il
mio silenzio di prima” dissi.
-
“Io lo trovo un vantaggio: d’ora in poi
prenderò due piccioni con una fava” rise Valerie.
Non
ero poi così contenta che ci fosse un’altra
persona ad avere il mio stesso nome. Certo, curioso, ma
quest’inflazione di Sam mi avrebbe costretta a girarmi almeno
il 50% di volte in più - magari pure inutilmente - in
risposta alla pronuncia di quel soprannome.
Il
signor Banks parve intuire la mia preoccupazione - e forse anche
condividerla - e, perciò, propose subito una soluzione.
-
“Io Sam1 tu Sam2?”.
Sì, mettiamo subito
in chiaro che tu sei più importante di me nella scala
gerarchica.
Non
ebbi altra scelta che accettare ed aggiunsi che avremmo dovuto
informare anche tutti i collaboratori dei nuovi appellativi. Mi
congedai e li lasciai ai loro discorsi da boss e decisi che fosse
arrivato il momento di rispondere all’sms di Will.
Con piacere, tesoro. A dopo, Sam2.
Sapevo
che nel leggerlo, lui avrebbe pensato al 2 come un
errore di digitazione dovuto all’odioso touchscreen del
cellulare, ma per me significava cominciare ad abituarmi a non essere
più la numero uno nemmeno sul lavoro.
Lavorai
fino a che l’orologio non mi annunciò che erano le
sei. Non ricordavo nemmeno il tempo di aver messo il naso fuori di casa
se non per recarmi al giornale e, perciò mi godetti il
viaggio di ritorno a piedi, osservando finalmente il cielo sulla mia
testa e non un asettico soffitto bianco.
Il
buio era già calato sull’intera città e
l’autunno aveva creato un manto di foglie
sull’asfalto freddo dei marciapiedi. Il traffico - nulla di
nuovo - affollava le strade e le mie narici si riempirono
dell’odore di pioggia di cui era impregnata l’aria.
Appena
arrivata a casa, cominciai a prepararmi per la cena, visto che la mia
intenzione era quella di ripristinare al più presto la mia
vita sociale nel migliore dei modi. Romeo si sentiva trascurato e ne
aveva tutte le ragioni, ma ero certa che anche solo mostrargli Will in
foto, lo avrebbe aiutato a tirarsi su di morale.
Indossai
un vestito verde scuro ed un paio di sandali con plateau e tacco alto;
dopotutto, avrei dovuto fare soltanto qualche metro per giungere a
destinazione. Alle 19.58 suonai alla porta di casa Hansen e
l’inquilino venne ad aprire.
-
“Ehi, chi si vede! - mi disse, sfiorandomi la guancia con un
bacio - Non mi ricordavo di avere una sexy vicina”. Gli
sorrisi maliziosa e gli porsi una bottiglia di spumante italiano che mi
aveva regalato mio padre, mentre il mio gatto si accomodava sul divano.
-
“A cosa brindiamo?” domandò.
-
“A Sam2” bofonchiai.
-
“Sam2? - gli spiegai la faccenda e lui ridacchiò -
Per me rimarrai sempre la Sam numero uno”.
-
“Sei dolce come un cioccolatino! - lo presi in giro - Ti
ringrazio, Willy Wonka”.
Cenammo
con uno squisito soufflé in tranquillità, senza
mai toccare l’argomento scottante, alias Nick; era ormai un
tema trito e ritrito e, sinceramente, avevo bisogno di un po’
di divertimento e non di scocciature e questioni irrisolte.
-
“Giochiamo a qualcosa?” proposi a fine pasto,
pensando a Monopoli, Risiko o Trivial.
-
“Strip-poker?” ribatté Will.
-
“Sai bene che non sono brava a poker”.
-
“Appunto” strizzò l’occhio.
Ridemmo
ed io mi lasciai convincere, con la scusa che quel weekend il mio
vicino sarebbe dovuto andare in campeggio con i colleghi, come aveva
preannunciato da qualche settimana. Mi lasciò le chiavi
della sua macchina, dal momento che non gli sarebbe servita.
Cominciammo
a dividere le carte ed io confidai nella fortuna del principiante che,
infatti, mi sostenne per un paio di mani.
Il
gioco si protrasse per qualche ora e ci venne di nuovo fame; ordinammo
una pizza - mi ero sbagliata sul non vedere il fattorino anche quella
sera - e, nel frattempo, continuammo a puntare le nostre
fiches-biscotti .
Gli
sfilai scarpe, calze, camicia e pantaloni, dopodiché, ad un
passo - o meglio ad un boxer - dalla vittoria, la dea bendata mi
voltò le spalle, lasciandomi letteralmente in mutande e
reggiseno.
Suonò
il campanello; Will si alzò dal divano ed io ne approfittai
per andare in bagno. Quando ne uscii, notai che non era ancora tornato
nel salotto, perciò mi diressi verso la cucina, accanto
all’ingresso.
-
“Ehi, stai tagliando la piz…?”. La voce
mi si strozzò in gola. Nick ed un bellissimo golden
retriever color caramello erano in piedi vicino al frigorifero.
L’ospite
mi squadrò da capo a piedi, stupito, ed io a malincuore
realizzai che non erano i suoi occhi a farmi sentire nuda, ma lo ero
proprio! Mi coprii il possibile, mentre anche il padrone di casa si
metteva le mani nei capelli dall’imbarazzo, dal momento che
anche lui indossava solo il famoso paio di boxer.
-
“Non è come credi, Nick” si
affrettò a dire, però lui non lo
calcolò minimamente e si rivolse a me.
-
“Aspetta, com’è che lo chiamano?
Pudore?” disse sarcastico, parafrasando quanto avevo detto ad
Harmony in campagna.
-
“Non credo di dovermi giustificare con te” gli
risposi.
-
“Hai ragione. Ma non parlarmi più di morale,
perché non ne hai il diritto”. Lanciò
uno sguardo gelido anche nella direzione di Will.
-
“Fossi in te rivolgerei la mia attenzione a qualcuno che
merita di più” grugnì.
-
“Okay, adesso stai esagerando. Capisco che tu sia arrabbiato,
però non dire cose di cui ti potresti pentire. Ti consiglio
di andartene a casa adesso”. L’altro
obbedì senza battere ciglio e il suo splendido cane lo
seguì fino a fuori dalla porta. Mi
appoggiai allo stipite, mentre Will si avvicinava e mi abbracciava
forte a sé.
-
“Non dargli ascolto. Lo sai che non lo pensa
davvero”.
-
“Sì, ma non mi importa ciò che dice. -
mentii - Quello che mi dà sui nervi è che lui si
fidi ciecamente di Harmony a prescindere da tutto, solo
perché sono amici di infanzia”.
-
“Trova il modo di provare il contrario, Sam” disse
e un sorriso gli spuntò sul viso. Lo ricambiai e,
finalmente, quella notte dormii benissimo.
Dormii
benissimo per un paio d’ore. Infatti, verso le tre, il
cellulare squillò facendo sobbalzare nel letto sia me che
Romeo.
Tastai
il comodino alla ricerca del telefonino e, dopo qualche tentativo, lo
scovai. Nick. Che diavolo voleva?
-
“Cosa vuoi?” urlai nervosa.
-
“Scusi, signorina. La chiamo dal St. Mary Hospital.”
Il
mio cuore si fermò.
-
“Che è successo?” soffiai.
-
“Il signor MacCord ha avuto un incidente, ma nulla di grave.
Ho chiamato lei perché è uno dei pochi che abbia
il telefono acceso. Spero di non aver sbagliato”.
-
“No, non si preoccupi. Arrivo” chiusi la
conversazione e mi infilai una felpa, un paio di jeans e le Converse al
volo. Presi la macchina di Will, con un peso dentro di me e mi diressi
all’ospedale.
Chiesi
che mi indicassero la sua stanza, ma i medici non mi vollero far
entrare né tanto meno dirmi qualcosa sulle sue condizioni,
dal momento che non ero una parente. Mentre ancora scongiuravo un
dottore per avere qualche informazione, passai di fronte ad una camera
e lo intravidi sdraiato in un letto. Aspettai che tutte le infermiere
se ne andassero e mi intrufolai all’interno.
-
“Tu che ci fai qui?” si sedette sul materasso con
il braccio sinistro ingessato e un cerotto sul sopracciglio destro.
Vederlo cosciente e non con un piede nella fossa come me
l’ero, invece, prefigurato fece diminuire la mia ansia. In
realtà, già solo sentire la sua voce mi
tranquillizzò, nonostante ce l’avesse messa tutta
per farla apparire dura e disinteressata.
-
“Sono venuta a comprare il pesce. - ironizzai - Mi hanno
chiamato dal centralino. Come ti senti?” domandai.
-
“Come uno che ha appena sentito le ossa del suo avambraccio
fare crac”.
-
“Poco male, l’importante è che tu abbia
ancora quello destro” sorrisi.
In
quel momento avvertii dei passi alle mie spalle ed una maggiorata dai
capelli ossigenati si accomodò sul letto accanto a Nick.
Harmony.
-
“Se tu lo conoscessi, sapresti che è mancino,
tesoro”.
Mi
voltai verso di lei con sguardo sereno; era notte fonda, ero stanca e
decisamente non in vena di litigare.
E’
vero, non lo conosco. Fine della discussione.
-
“Puoi andartene ora. Ci sto io con lui. Notte Sam”.
Mi
girai e feci per uscire dalla stanza, quando l’infermiera si
presentò sulla porta.
-
“Signor MacCord, il suo cane ha rincorso
l‘ambulanza fino all‘entrata del pronto soccorso,
ma purtroppo qui non può rimanere. E non si preoccupi, non
si è fatto un graffio”.
Dribblai
la donna, ma qualcuno mi afferrò per la manica della
maglietta.
-
“Dove pensi di andare? La bestiaccia viene con te, Sam. Anche
solo guardare quel pelo, mi fa venire l’allergia”
starnazzò Harmony.
-
“Soltanto se te la senti, - aggiunse Nick - altrimenti
troviamo un’altra soluzione. Si chiama Mister,
comunque”.
Il
musone del cane comparve sull’uscio ed io mi sciolsi come
cera al sole; l’avrei portato con me pure di corsa fino a
casa, pur di non lasciarlo nelle grinfie di quell’idiota di
Harmony.
-
“Nessun problema. Starà da me” dissi,
uscendo.
Presi
il guinzaglio e mi incamminai per raggiungere la macchina.
-
“Ehi, Sammy. - mi voltai. Eccolo lì in piedi,
dolorante e con la faccia da cucciolo bastonato - Beh,
grazie”.
-
“Lo sto facendo per Mister, non per te. Non mi piace, anzi mi
disgusta la persona che sei quando c’è lei. E se
questo è ciò che sei realmente, allora sono io che non
voglio avere nulla a che fare con te”.
Mi
voltai, uscii dall’ospedale e tornai a casa, cominciando ad
analizzare il prossimo problema: far convivere il cane di Nick con il
mio gatto.
La
prima espressione di Romeo alla vista di Mister, fu puro terrore;
balzò sul tavolo e prese a miagolare come non lo avevo mai
visto fare. Piano piano, però, vedendo che l’altro
non aveva alcuna intenzione di aggredirlo o farlo a fette, si
avvicinò e cominciò a studiarlo.
Nonostante
la diffidenza iniziale, cominciarono ad annusarsi a vicenda, rimanendo
sempre vigili. Si accucciarono sul tappeto del salotto ed io feci
ritorno nel letto, dove mi concessi un meritatissimo riposo.
-
“Oh cazzo!” esclamai al mio risveglio. Il mio
salotto, il mio meraviglioso salotto brulicava di peli di animale da
cima a fondo: il tappeto, il divano, la poltrona, i cuscini, il
pavimento… Dio persino i quadri ne sembravano pieni!
Mister
e Romeo si dovevano essere dati davvero da fare; però erano
così adorabili insieme! Adorabilmente pelosi.
Mi
sdraiai sul divano e loro mi raggiunsero, coccolandomi come due veri
amici. Chiamai Valerie e le dissi che per nessuna ragione mi sarei
mossa da casa e lei, come previsto, replicò che per conto
suo potevo anche andarmene due anni sull’Isola di Pasqua,
purché fossi sempre puntuale sulle date di consegna degli
articoli.
Iniziai
a ripulire tutto quel casino munita di aspirapolvere, strofinacci e
olio di gomito, perché ce ne sarebbe voluto un quintale per
dare alla stanza di nuovo un’impressione di ordine.
Relegai
i due pasticcioni su di una coperta in camera e, dopo due ore, la casa
risplendeva. Avevo riempito due sacchi con tutti i rimasugli
lasciati da Mister e Romeo e, di malavoglia, pensai che dovevo pure
sbarazzarmene.
O
impiegarli in un modo migliore. Trova il modo di provare il
contrario, Sam aveva detto Will. Ma ora lui era
chissà dove a piantare canadesi lungo un torrente nel nulla
più completo.
Sarò
pure stata Sam2 in ufficio, però, quando si trattava di
vendette, nessuno poteva togliermi lo scettro di mano.
-
“Nick? Ciao, sono Sam. Stai bene?”.
La
sua voce dall’altra parte del telefono, mi giunse sorpresa ed
incerta.
-
“Be-bene, grazie. Mister si comporta bene?”
domandò.
-
“Sì, benissimo, è un amore.
Però volevo chiederti di chiarire una volta per tutte con
Harmony. Ho sbagliato ed è giusto che io le chieda
scusa”. Silenzio.
Abbocca, abbocca, abbocca.
-
“Per quanto mi suoni strano detto da te, soprattutto per
quanto mi hai detto l’altro giorno, voglio concederti una
chance. Le dico di venire da te?”.
-
“Sì, dille che l’aspetto”
sorrisi malefica.
-
“Ti scoccia se vengo anche io? Oggi mi dimettono e lei mi
dovrebbe portare a casa”.
No,
cavolo! Sam, pensa, pensa a come sistemare la faccenda.
-
“Senti, ho un’idea. Vengo io a prenderti, sai ho la
macchina di Will e Mister non vede l’ora di vederti. Harmony
ci raggiungerà dopo, d’accordo?”.
-
“Per conto mio, potrebbe venire anche la slitta di Babbo
Natale a prendermi! Non sopporto più di stare qui dentro,
con il cibo che fa schifo e l’andare a dormire alle
nove” rise.
-
“D’accordo, allora. A che ora?”.
-
“Mi dimettono nel primo pomeriggio” disse.
-
“Perfetto. Solo non dire ad Harmony che ci sarai anche tu,
sarà una sorpresa. A dopo” non gli diedi il tempo
di rispondere, perché l’eccitazione era diventata
massima in quel momento e avevo poco tempo per perfezionare il mio
piano sin nel più minuscolo dettaglio.
Scesi
in garage e lo allestii nel migliore dei modi, poi salii in auto e
guidai fino all’ospedale con il cane sui sedili posteriori.
Nick
era affascinante come al solito, nonostante la ferita ricucita al
sopracciglio ed il braccio ingessato. Era seduto su una poltrona della
sala d’aspetto e sfogliava una rivista.
-
“Ahiahiahiahi. Non è Music Magazine…
marca male signor MacCord. Forse dovrebbe fare altri accertamenti
medici perché non mi sembra che i suoi gusti rientrino nei
parametri del buon lettore” lo canzonai.
-
“Te l’ho già detto, Sammy; - il fatto
che avesse ricominciato a chiamarmi in quel modo era un buon segno - il
giornale per cui lavori è robaccia”.
Gli
feci una smorfia e lo invitai ad alzarsi per raggiungere
l’auto e tornarcene a casa. Aveva già firmato
tutti i documenti per essere dimesso e, quindi, lo portai nel mio
appartamento, mentre Mister continuava a fargli le feste.
Dopo
qualche minuto, suonò il campanello: era Harmony.
Che
la vendetta sia servita.
Dissi
a Nick di scendere nel mio garage dopo qualche minuto, dal momento che
avevo bisogno di un po’ di tempo per discutere da sola con
lei. Lui non fece troppe domande ed io scesi con Harmony fino alla
cantina, separata dal box auto.
Spinsi
dentro la simpatica ragazza con la scusa di parlare e feci scendere la
saracinesca. All’ultimo secondo mi lanciai sotto ed uscii,
dalla fessura rimasta, lasciandola interdetta e incapace di muoversi
per la sorpresa.
-
“Samantha fammi uscire” grugnì.
-
“Si dev’essere rotto il telecomando,
perché io schiaccio il pulsante ma non si apre”.
-
“Cosa pensi di fare? Uccidermi?”. Finalmente
cominciò a starnutire.
-
“Tu sei impazzita. Credi che farmi fuori sia
l’unica via per avere Nick? Ti sbagli, tesoro. Lui mi
appartiene”. Starnuto.
-
“Non ho mai detto di volerlo”.
In
quel momento l’interessato arrivò, portando con
sé Romeo e Mister.
Perfetto. Se non
fosse stato per quest’ultimo che, scodinzolando,
abbatté una lattina di vernice, provocando un gran fracasso
che rimbombò per tutta la cantina.
-
“Chi c’è?” urlò
Harmony dall’interno del garage.
-
“Che stai combinando?” chiese Nick.
Stava
andando tutto a rotoli.
-
“C’è qualcuno? Vi prego, aprite questa
dannata porta. Quella è una psicopatica”
gracchiò la Serpe.
-
“Samantha, mi vuoi spiegare?” gridò,
arrabbiato. Avevamo abbandonato - di nuovo - il Sammy e ciò
non lasciava spazio all’immaginazione: eravamo ancora una
volta in guerra.
-
“Dammi fiducia. - lo implorai sottovoce - Voglio provarti chi
è realmente”. Lui mi guardò dubbioso ed
io non seppi come interpretare quell’espressione.
D’un tratto, tentò di sfilarmi il telecomando
dalla mano.
Istintivamente
l‘alzai, salvo poi ricordarmi che lo stavo favorendo in quel
modo. L’abbassai, stringendo il pugno più forte
che potevo per non mollare la presa.
-
“Non fare la bambina, ragioniamo” disse mentre
cercava di farmi il solletico sui fianchi. Iniziai a ridere, ma non
demorsi, nemmeno quando lui tentò di tirarmi indietro dal
palmo un dito alla volta. E meno male che aveva un braccio rotto!
A
quel punto lanciai il telecomando lontano, con in mente di sgattaiolare
più veloce di lui e rimpossessarmene. Non avevo calcolato
che ci fosse Mister nei paraggi; lo annusò, lo
leccò e infine se lo mangiò nel più
totale stupore generale.
-
“Non l’ha fatto sul serio, vero?”
mormorai.
Nick
annuì, gli occhi sbarrati e immobile da tanto era sbalordito
da quanto aveva appena fatto il suo cane.
Nel
frattempo, ci eravamo quasi del tutto dimenticati di Harmony che
continuava ad urlare e a starnutire: beh, dovevo ammettere che nel
riempire il garage di peli di animale e rinchiudere lei che ne era
allergica dentro, avevo fatto un gran lavoro. Ero un po’
preoccupata di aver esagerato; mica volevo che schiattasse!
Doveva
essere parecchio che dava sfogo alle corde vocali, perché ad
un tratto si arrese.
-
“D’accordo, che vuoi per farmi uscire di
qui?”.
Zittii
Nick che stava per ribattere, mettendogli una mano sulla bocca.
-
“Voglio che tu dica la verità a Nick”
risposi.
-
“Cosa dovrei dirgli, che sono innamorata di lui?”.
Lui
mi guardò sorpreso ed io lentamente tolsi le dita dalle sue
labbra.
Ci
manca solo che adesso li faccia mettere insieme!
-
“Tu non sei innamorata. Tu pensi che sia roba tua. Ma lui sta
con me” improvvisai e a quel punto pensai che per Nick fosse
il colpo di grazia.
-
“Cosa?!” sussurrò.
-
“Shhh - bisbigliai - poi capirai”.
-
“Lui sta con te? Tesoro, durerai al massimo qualche mese,
dopodiché troverò un modo di far sparire anche te
dalla sua vita. L’ho fatto mille volte in passato e non
sarà di certo una stupida ragazza scozzese a cambiare i miei
piani. Sono anni che mi fingo un’oca così da farlo
sentire in dovere di proteggermi e lui mi vuole bene, quindi mettiti
pure l’anima in pace”. Starnutì.
-
“D’accordo, credo possa bastare”
annunciai trionfante, mentre Nick sembrava sempre più
sconvolto.
Presi
le chiavi di riserva e aprii la saracinesca del garage con un sorriso
di vittoria che mai fu più dolce.
-
“Non capisco il senso di tutto questo…”
disse Harmony ma subito tacque quando vide il viso duro del suo amico
d’infanzia. Lei aveva gli occhi lucidi per via
dell’allergia, ma scommettevo che, una volta resasi conto del
tranello in cui l’avevo spinta, fossero anche per la vergogna
di essersi fatta fregare da una stupida ragazza scozzese.
-
“Nick… io…”. Mi ero preparata
una risata seguita da degli sfottò, ma li soffocai in gola.
-
“Io non ti conosco - rispose -, perciò non stare
ad inventare scuse che giustifichino venticinque anni di bugie,
perché non mi interessano. Esci di qua e non farti
più vedere”.
Mi
aspettavo urla, grida, implorazioni di perdono seguite da capelli
strappati per la disperazione. Ma lei non disse nulla e se ne
andò, non senza avermi regalato un’occhiata gelida
prima di uscire.
Diamo
il via alle danze? La deliranza, magari. No, c’era ancora una
cosa da fare.
-
“Dovremmo portare Mister da un veterinario. - esclamai
per stemperare la situazione - Non sono sicura che un telecomando sia
esattamente il cibo adatto ad un cane” scherzai. Nick,
però, era ancora scosso da quanto successo ed era
comprensibile, visto che un pezzo della sua vita si era appena
sgretolato come una scritta sulla sabbia coperta dal mare.
Annuì
e tutta l’allegra combriccola - sì, anche Romeo
volle venire con noi - ci recammo dal veterinario di fiducia di Mister
che ci rassicurò sulle sue condizioni, dicendo che
l’ingordo se l’era mangiato tutto in un boccone e
che l’avrebbe smaltito in modo naturale.
Accompagnai
cane e padrone fino davanti casa, una deliziosa villetta a schiera,
tipica della capitale inglese. Lungo le strade che costeggiavano la
città, se ne ammiravano lunghe distese chilometriche,
identiche, ma tutte arredate in modo diverso.
-
“Così abiti qui” dissi per spezzare il
silenzio che si era creato nell’auto.
-
“Già. Ti ringrazio comunque” rispose.
-
“Ma figurati. Mister è un cucciolone troppo tenero
e non me lo sarei perdonato se fosse stato male a causa del mio
telecomando”. Accarezzai il cane, accucciato sul sedile
posteriore e lui si lasciò coccolare.
-
“Non parlavo solo di questo. - abbassò lo sguardo
- Ti devo delle scuse; hai cercato di avvisarmi e io ti ho accusata
di…”.
-
“Lascia stare. - gli posai una mano sulla gamba - Anche io
avrei fatto come te; avrei creduto ad un’amica di vecchia
data piuttosto che ad una semi sconosciuta alla quale sono legato per
una scommessa”.
-
“A proposito: - disse con un briciolo di malizia e io fui
grata che gli fosse tornato il sorriso sulle labbra - ho qualcosa per
te”.
Tirò
fuori il solito sacchetto con i bigliettini dentro dalla tasca del
giubbotto.
-
“E la questione del fotografo?” domandai.
-
“La tua bravata ti poteva costare cara: vittoria a tavolino
per me. - stavo per obiettare, ma lui mi fece cenno di aspettare -
Però, visto e considerato cosa hai fatto per me e per
Mister, ho deciso che stiamo di nuovo 1-1”.
-
“Lo trovo più che equo” esclamai.
-
“E ora pesca, su!”.
Estrassi
uno dei foglietti e lo aprii.
-
“Mi prendi in giro?” urlai una volta letto quanto
c’era scritto.
Nick
me lo strappò dalle mani, lo lesse e scoppiò a
ridere.
-
“Ne vedremo delle belle. In bocca al lupo, nemica”.
Scese dalla macchina e Mister lo seguii, dopo aver rifilato una bella
leccatina alla mia guancia a me e una strusciata a Romeo.
Abbassai
il finestrino per salutarlo e per lanciargli l’ennesima sfida.
-
“Ho la vittoria in tasca, MacCord”.
-
“Vedremo, Sammy” rispose mentre saliva i gradini
per entrare in casa. Ed io andai in brodo di giuggiole dalla
felicità di vederlo tornare a divertirsi con me e chiamarmi
di nuovo Sammy. Continuava a non piacermi, ma quel piccolo momento di
dolcezza mi fece dimenticare persino quanto avevo appena letto sul
biglietto: ladro.
Buondì!
Strano
ma vero, aggiorno in un orario pomeridiano e non a mezzanotte e
dintorni!
Il
capitolo di oggi è dedicato ad una persona che da stamattina
non c’è più. Di lui ho solo qualche
ricordo di quando giocavamo da piccolini e di qualche incontro alla
fermata del bus quando ancora facevamo le superiori, però fa
impressione sapere che un ragazzo di 19 anni che conosci debba morire a
causa della leucemia. Non è giusto. Il mio è un
gesto da poco che lascia il tempo che trova, ma non posso fare molto
altro.
Vi
lascio, ringraziando voi che avete impiegato un po’ di tempo
a leggere questa storia!
La
canzone del titolo è “What goes around comes
around” di Justin Timberlake e direi che sta proprio bene ad
Harmony la vendetta di Sam! Ma io sono di parte :P
Vi
auguro un buon pomeriggio e un buon weekend!
Risposte
alle recensioni in posta, al massimo entro domani!
Baci!
HappyCloud
|
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Capitolo 11 *** Capitolo 11. Vertigo. ***
Capitolo
undici. Vertigo.
Ci sono
giornate in cui il mondo sembra girare per il verso giusto, il
buonumore ti scorre nelle vene e ti viene spontaneo rispondere ai
sorrisi che i passanti più cortesi ed educati ti regalano.
Quel sabato
mattina, invece, avrei preso a calci chiunque avesse osato alzare anche
un solo angolo della bocca. Avrei cavato loro i denti uno per uno e
annodato la lingua per evitare di sorbirmi pure le loro giustificazioni
o lamentele.
Era il tempo
di uno di quegli appuntamenti consueti - e sempre critici - per una
donna: il ciclo. Non so esattamente per quale ragione me ne fossi del
tutto dimenticata quel mese, soprattutto considerato il fatto che non
erano mancati i segnali d’avviso; ad esempio, avrei dovuto
riflettere sullo sguardo di disgusto che avevo rifilato al portiere del
mio condominio, in seguito alla sua orribile barzelletta quotidiana. E
anche il rimprovero al barista che mi aveva portato solo una bustina di
zucchero anziché due per il tè poteva essere
interpretato come un chiaro fattore di stress premestruale. Per non
parlare dell’appellativo che avevo affibbiato a Katy dopo un
commento poco carino nei miei confronti.
Beh, no. In
realtà quello era perfettamente normale.
Avrei dovuto e
potuto capirlo prima di ritrovarmi in ufficio, davanti alla schermata
del computer, con la testa che scoppiava e un gran mal di schiena. Il
tasso di acidità e nervosismo che avevo in circolo avrebbe
steso un elefante e non dubitavo affatto che se qualcuno avesse osato
rivolgermi la parola, avrei ribattuto con una smorfia in cagnesco.
La miglior
medicina in quei casi era qualcosa da mettere sotto i denti; sentivo
l’impellente desiderio di sgranocchiare un pacchetto di
popcorn o di patatine, o delle caramelle…qualsiasi cibo pur
di soffocare l’istinto di mangiare qualcuno. Il che,
comunque, non avrebbe risolto il mio problema. Infatti, ora, non solo
dovevo trovare un ladro per la scommessa, ma il povero Cristo doveva
anche essere in grado di sopportarmi durante i giorni peggiori del mese.
Presi
un’aspirina per placare il dolore e cominciai a buttare
giù qualche idea per un articolo sui look dei rocker del
ventunesimo secolo, ma ogni riga che scrivevo veniva sistematicamente
cancellata. Era a dir poco frustrante lavorare in quel modo,
improduttivo e snervante.
-
“Sam!” gridò qualcuno.
-
“Non avete ancora capito che siamo in due adesso con quel
nome? Non mi sembra così difficile: Sam1 o Sam2”
sbraitai, guadagnandomi un’occhiataccia dall’intera
redazione. Invano, per giunta, dal momento che il proprietario della
voce era Samuel Banks, alias Sam1 e ciò significava che ero
io l’unica possibile destinataria dell’urlo.
-
“Scusa, Sam2” sorrise.
-
“No, scusami tu. Stamattina sono elettrica”.
- “E
intrattabile” aggiunse una collega che passava in
quell’istante davanti alla mia scrivania.
Ma
che cazz…?
-
“Ad ogni modo –proseguì lui- volevo
domandarti se hai visto Valerie”.
Proprio non la
conosceva.
Da quando era
diventata socia della rivista, non si faceva vedere prima delle 10.30,
tranne qualche rara eccezione in caso di riunioni mattutine.
-
“Qualche ora e arriverà” lo liquidai.
-
“Pare che io sia fortunato oggi. Eccola!” la
indicò.
Controllai
l’orario sul computer: 9.10.
Che diavolo è
accaduto per farla alzare così presto?
Indossava un
tailleur con longuette nero, tacchi alti e i capelli biondi erano
raccolti in una coda. Gli occhiali da sole scuri servivano a celare le
poche ore di sonno e il bicchiere della Starbucks in mano
doveva essere colmo di caffeina per tenersi attiva.
Valerie era un
vero mastino come giornalista e redattrice, ma era piena di fissazioni
e manie che esigeva fossero rispettate. Tra queste spiccava quella di
non svegliarsi presto; scomodava persino il karma per giustificarla e
sosteneva di essere la reincarnazione di un ghiro o di un orso in
perenne letargo.
Lasciai
perdere Sam1 e mi precipitai da lei.
-
“Mi sono persa qualcosa?” chiesi sospettosa.
-
“In effetti sì. Penso che chiederò il
divorzio”.
-
“Tesoro, sei sposata da nemmeno due mesi con l’uomo
della tua vita. Niente cazzate” la rimproverai.
-
“Un uomo che ti sveglia alle sette perché
è agitato per la Spider nuova che gli consegnano oggi non
è degno di essere chiamato mio marito dalla
sottoscritta”.
-
“Esagerata. E, comunque, guarda il vantaggio: quel tipo di
auto ha solo due posti, quindi significa che il nostro dolce Jonathan
non vuole marmocchi al momento”.
-
“Se mai avesse avuto qualche idea, gliel’avrei
fatta passare”.
-
“Beh, Val… hai una certa età,
però, dovresti pensarci.”
-
“Io vecchia? Ho trentadue anni e sono fresca di matrimonio!
Pensa per te, Sam!
-
“Io non bisogno di nessuno” replicai.
-
“Sì, certo. Io ti porterò i miei
bambini e loro ti vedranno come la vecchia zia sola e inacidita dal
tempo e dalla mancanza di sesso”.
Cercai di
ridimensionare la questione.
-
“Ho solo 24 anni. Non facciamone una tragedia”.
-
“Oggi ne hai ventiquattro, domani settanto. - la guardai
scettica, ma lei continuò - Non l’hai
più visto Chiappe
d’oro?”.
-
“Mettiti comoda, ho parecchio da raccontarti”. Si
appoggiò ad una scrivania a caso ed io le riassunsi tutto
quanto era successo, dal “furto”
dell’auto di Nick alla sgradevole conoscenza di Harmony e -
la parte più interessante - di come l’avessi
smascherata. Lei accompagnò tutta la mia narrazione con
delle facce da cucciolotta ogni volta che nominavo il povero Nick ed il
suo braccio rotto.
- “E
per la scommessa?” mi domandò.
-
“Giusto, dimenticavo. Dovrò trovarmi un
ladro”. Val rimase qualche attimo pensierosa, salvo poi
proseguire come se niente fosse. Si mosse verso il suo ufficio,
lasciandomi sola al centro della redazione e pronunciando le ultime
frasi prima di chiudere la porta con un tono talmente alto che tutti
poterono ascoltare.
-
“Pensavo di andare a Soho stasera. Con tutti quei locali sexy
e trasgressivi, vuoi che non troviamo qualche furfantello?”.
Qualche decina di occhi si posarono su di me.
Sam, calma.
E in quel momento, forse nemmeno un camion di popcorn sarebbero valsi a
salvare la pelle ai miei colleghi se non mi fossi imposta un
po’ di training autogeno.
Quella sera,
di preciso alle 21.30, qualcuno bussò alla mia porta. Doveva
essere Valerie, pronta e in tuta mimetica per scovare un ladruncolo
qualsiasi.
Aprii la porta
a botta sicura ed, infatti, me la ritrovai davanti, soltanto un
po’ troppo differente da come me l’ero immaginata.
-
“Come ti sei conciata?” le domandai, sgranando gli
occhi.
Lei mi
osservò stupita, fasciata in un vestito senza maniche
marrone con del tulle, sotto il trench e dall’alto di un
tacco dodici.
-
“Che c’è? Troppo serio?”
chiese.
-
“Scherzi, vero? Val non stiamo andando ad un galà.
Forza, cambiati!” le ordinai.
-
“Vorrei una tutina alla Eva Kant. Tu che ti metti?”
esclamò convinta.
-
“Direi che un paio di jeans e questo maglione blu andranno
più che bene. Io mi vestirò uguale. Prendi le
scarpe da tennis nella scarpiera”.
-
“Scarpe da che? Eh no. Ho le mie ballerine nella borsa e
userò quelle. Non uso quelle cose piene di lacci
dall’ultimo anno di liceo e non ho intenzione di tornare a
portarle. Io e ginnastica
non possiamo stare nella stessa frase”.
Lo sapevo bene
e così, optai per rimanere in silenzio.
Meno parlo, meno c’è il rischio di discutere.
Ci vestimmo e prendemmo in prestito la macchina di Will, con la
promessa di fare il pieno prima di tornare a casa.
Parcheggiammo
non molto distante dal Pumping
Pumpkin ed io stupidamente mi domandai se Nick fosse a
lavoro, subito prima di ricordare che con il braccio ingessato a
quell’ora doveva essere sul divano della sua villetta a
schiera, magari pure consolato da qualche sciacquetta con i neuroni
fulminati. Inutile preoccuparsi.
-
“Dove andiamo?” chiesi per pensare ad altro.
-
“Io proverei da quella parte. - ed
indicò un luogo appartato alla fine della via,
così buio da non riuscire nemmeno a scorgere la fine della
strada - Poca luce, molti ladri”.
Alzai la
spalle ed assecondai l’idea folle di Valerie, che, neanche a
dirlo, si rivelò più stramba del previsto.
Non appena
arrivammo nel mezzo dell’oscurità, sentii qualcuno
avvicinarsi di soppiatto, costringendomi a voltarmi di scatto. Era
un’ombra più alta di me di una ventina di
centimetri, ma talmente sottile e gracile che faticavo a credere che si
reggesse in piedi.
Sotto un
cappuccio che nascondeva la faccia, quello che mi pareva un uomo
cominciò a strattonarmi la borsa.
Sei
un povero cretino se pensi che la molli.
Ero pronta a
tirar fuori le unghie pur di tenermela e, a giudicare dalla forza che
il maldestro scippatore imprimeva alle maniglie della mia splendida
Balenciaga, nemmeno lui era troppo convinto di volermela rubare.
Val non perse
tempo e, presa la sua pochette, cominciò a picchiargliela in
testa. Lui tentò di parare i colpi come meglio poteva, ma
non aveva messo in conto che, nel dimenarsi, il cappuccio sarebbe sceso
e gli avrebbe scoperto il viso.
Lo guardai
negli occhi e vidi che era un ragazzino di circa sedici anni,
più impaurito di me e la mia amica messe insieme.
-
“Valerie, fermati! - le ordinai e poi mi rivolsi al baby
ladro - Molla la borsa e farò finta che questa cosa non sia
mai accaduta. Fila”.
Sussurrò
uno scusi signora e scappò veloce nella direzione opposta
alla nostra.
-
“Beh… - esclamò Val, non appena
rimanemmo sole - Complimenti Sam, sei una dura”.
-
“Ho aspettato tre mesi che arrivassero i saldi e due ore in
coda fuori dal negozio per comprarla. Ti avrei venduta a lui piuttosto
che farmela rubare”.
-
“Che tesoro. Ma hai notato che ti ha chiamata signora? - alzai
gli occhi al cielo; ci avrei giurato che avrebbe colto
l’occasione per ricordarmi che era ora di trovarsi un
fidanzato. - Your time
is running out, your time is running out…”
cominciò a canticchiare, storpiando il testo dei Muse.
-
“Forse avrei dovuto barattarti sul serio con la mia
borsa”.
-
“Non potresti mai vivere senza di me…”
tentò di ammansirmi. Era vero in fondo, per quanto alla
volte fosse irritante o originale, rimaneva una delle mie migliori
amiche, una persona con cui avevo condiviso il trasferimento da Glasgow
a Londra ed era bello, nelle giornate malinconiche, rispolverare
insieme i ricordi che ci legavano alla Scozia.
E poi era
l’unica in grado di sopportare i miei sbalzi
d’umore dovuti al ciclo e già solo questo la
rendeva praticamente adorabile.
-
“… o senza Chiappe d’oro”.
E
ti pareva!
-
“Non lo ammetterai mai, ma quel ragazzo ha quel non-so-che
che ti fa girare la testa” mi spiegò.
Mi tappai le
orecchie e cominciai a parlare a vanvera, pur di non ascoltare per la
milionesima volta il discorso su quanto in realtà fossi del
tutto inconsapevole di essere ormai persa per Nick.
Il rumore di
una macchina in arrivo mi salvò dalla situazione, ma non dal
franare a terra a causa di una spinta di Val.
-
“Che fai?” le urlai.
-
“Conosco quell’auto” disse dopo che il
veicolo ci era sfrecciato accanto, senza vederci. La mia amica parlava
sottovoce, come se il guidatore dell’auto potesse davvero
sentire quello che stavamo dicendo.
Non avevo
fatto attenzione a che tipo di modello di vettura fosse e, a dirla
tutta, nemmeno se me lo avessero spiegato l’avrei saputa
riconoscere.
-
“Ma se non l’hai neanche vista!” domandai
scettica.
-
“Ho letto la targa mentre tu ti imponevi di non ascoltare le
mie sagge parole” esclamò, senza un non poi tanto
celato rimprovero.
- “E
di chi sarebbe?”.
-
“Vuoi davvero saperlo?”. Odio le persone che vogliono
mantenere la suspense!
-
“Valerie dimmelo o ti strozzo!” la minacciai.
-
“Samuel Banks” mi rispose.
Stavo per
domandarle come diavolo facesse a saperlo, ma mi ricordai in fretta che
la mia cara redattrice teneva un catalogo di tutti gli impiegati, dal
fattorino al boss dei boss.
-
“Non vuol dire nulla il fatto che sia a Soho, alle 23 e 30 di
sabato sera…” cominciai.
-“…
invece che stare nella sua villa con moglie e due figli”
continuò lei.
Ci muovemmo
verso il punto in cui l’auto era stata parcheggiata, un
centinaio di metri da noi, in un vialetto di una casa a due piani priva
di illuminazione.
L’uomo
che l’aveva guidata non era ancora entrato
nell’abitazione; era in piedi, la portiera aperta che lo
separava da una donna. Sarebbe stato più corretto definirla
ragazza, visto che, sbirciando da dietro il muretto di recinzione della
casa, le avrei dato una ventina d’anni. Fortuna che aveva
acceso una piccola luce esterna.
Si scambiarono
un bacio frettoloso sulla guancia e lei gli fece strada
all’interno della villetta.
-
“Non siamo certe che sia lui” commentai.
-
“C’è solo un modo per scoprirlo:
arrampicarsi su quell’albero”. C’era un
piccolo giardino accanto al posto auto nel quale troneggiava una pianta.
-
“Val tu non sei in grado di salire su di un albero”
le feci notare.
-
“Non ho mai detto che l’avrei fatto io”
ammiccò verso di me.
-
“Tu sei pazza!” urlai.
-
“Oh, guarda; - prese qualcosa dalla sua borsa - ho un
pacchetto di patatine nella borsa. Forse potremmo fare uno scambio: la
mia curiosità per la tua salvezza psichica” disse,
sventolando quel concentrato di antistress che avrei divorato in un
istante.
-
“D’accordo, d’accordo. Ringrazia che i
miei nonni abitassero in campagna e che mi facessero salire sugli ulivi
a cacciare i merli. Strana la vita: - scherzai - un tempo mandavo via
gli uccelli, oggi li cerco!”.
Valerie rise
di gusto e io dovetti ricordarle che era il caso che abbassasse il
volume di quella ciabatta che lei chiamava bocca, se non voleva che
fossimo scoperte.
Ci avvicinammo
alla pianta ed io cominciai a cercare dei punti d’appoggio
per i piedi sui rami. Riuscii a trovare una posizione stabile che mi
permettesse anche di tenere sott’occhio l’interno
della casa, ma il problema era che tutto era circondato dal buio ed io
a malapena percepivo la voce della ragazza, più acuta di
quella di Banks.
-
“Sam, che fai lì impalata? Vai sul
balcone!” mi ordinò ed io fui costretta a darle
retta per non rischiare di perdere quel prezioso sacchetto di patatine.
Scostai a
fatica un ramo di foglie che mi era finito negli occhi e mi aggrappai
alla ringhiera del terrazzo. La scavalcai e spiai attraverso le imposte
semichiuse.
-
“Sam! - Cosa
vuole ora? Che scatti un servizio fotografico a quei due?
- Voglio venire anche io!” brontolò.
Si fece largo
tra il fogliame e, in men che non si dica, me la trovai accanto.
Incredibile
cosa potesse fare quella donna quando si trattava di curiosare qua e
là! Ormai ero giunta alla conclusione che nulla le fosse
davvero precluso: odiava l’esercizio fisico e tutto quanto la
facesse sudare, ma pur di ficcare il naso nelle vite altrui si era
arrampicata su di un albero come se lo facesse tutti i giorni. Era
soltanto drammaticamente pigra; infatti, soleva dire che se qualcuno si
fosse offerto di scarrozzarla di qua e di là, da piccola si
sarebbe persino rifiutata di imparare a camminare.
-
“Sarà sua figlia” improvvisai guardando
Val, mossa dal mio solito istinto di pensare bene della gente.
-
“Girati e dimmi se tu baceresti così tuo figlio.
Se la tua risposta è sì, tesoro, abbiamo un
problema” mi rispose.
Seguì
il suggerimento e vidi Sam1 avvinghiato alla giovane, decisamente non
come un buon padre farebbe con la prole.
E
quelle mani sul sedere…
-
“Che schifo!” dissi quasi isterica e mi concentrai
sull’abbigliamento di lei. Indossava un cappottino leggero,
sotto il quale spuntavano delle autoreggenti scure e, supposi, un
completino sexy per fare non-voglio-sapere-cosa con il nostro caro
collega.
-
“Pensi che sia…?” azzardai.
-
“Sam, è decisamente una prostituta”.
-
“Finirà anche questo nel tuo
raccoglitore?” chiesi, maliziosa.
-
“Puoi scommetterci” sorrise lei.
Come avrei
potuto mettere la mano sul fuoco che Valerie non si sarebbe
accontentata di quel poco che avevamo visto.
-
“Rimaniamo qua finché non succede qualcosa di
compromettente” decretò.
Non tentai
nemmeno di dissuaderla; il suo tono era stato solenne e questo lasciava
ben poco margine per farle cambiare idea.
Concentrata
sulla scena all’interno - strusciamenti e palpate per di
più -, però, non si accorse di urtare un vaso che
franò a terra, spaccandosi in mille pezzi.
-
“Ops!” disse.
I due
all’interno si staccarono l’uno
dall’altra, guardandosi intorno circospetti.
-
“Cazzo, Val, dobbiamo andarcene prima che ci
scoprano!” sussurrai.
Mi
indicò di scendere per prima, visto che avrei dovuto
aiutarla con quel suo piccolo problema delle vertigini che, nel salire,
aveva accantonato per la foga di curiosare. Avevo sempre sospettato che
non fosse poi così reale quel disturbo in lei, dal momento
che si manifestava soltanto quando lei ci badava - o forse, si
ricordava -, ma mai contraddire Valerie Dupont quando sosteneva di
essere affetta da qualche strano incurabile male!
Rischiai di
sbucciarmi un ginocchio, ma atterrai discretamente bene e focalizzai la
mia attenzione sulla mia amica.
Tremavo
all’idea che qualcuno tra Samuel e la ragazza ci cogliesse in
flagrante, ma mi calmai un po’, pensando che, in quel caso,
nemmeno il caro Banks ci avrebbe fatto una gran figura. Una parola di
troppo con la moglie e puff,
vita rovinata. Non che fosse mia intenzione spifferare tutta la tresca
- squallidissima tra l’altro -, ma era meglio avere il culo
parato all’evenienza.
Sentimmo dei
passi avvicinarsi al davanzale e Valerie entrò ancora
più nel panico.
-
“Rilassati, stai calma” le sussurrai.
Abbracciò
l’albero, nascosta da rami e foglie, ed io mi nascosi dietro
l’auto, quando le imposte del balcone si aprirono e Sam1 si
affacciò a controllare che tutto fosse a posto. Se mai
avessimo avuto ancora qualche dubbio sul fatto che fosse realmente il
nuovo redattore di Music
Magazine, in quel momento fummo certe al 100% che avevamo
visto giusto.
Lui
notò il vaso per terra, imprecò contro gli stupidi uccellacci in cerca
di semi che lo cercavano, non sapendo che
l’unico uccellaccio con il seme in quella casa
fosse lui.
Ritornò
all’interno ed io tornai a respirare.
-
“Val ci sei?” chiesi a bassa voce.
-
“Sì, tutto ok”. Si lasciò
scivolare fino a terra ed io rimasi a bocca aperta: doveva essere
affetta da vertigini immaginarie. Era la sua reazione alla paura che,
però, quasi ci aveva fatte scoprire.
Cominciò
a sghignazzare, pensando al pericolo scampato e mi consegnò
le meritatissime patatine che feci fuori in due bocconi. Poi mi
sollecitò a tornare al parcheggio dove avevamo la macchina:
c’erano già state troppe emozioni quella sera,
meglio rimandare ad un’altra nottata la ricerca del ladro.
Ad un passo
dal Pumping
Pumpkin, piegate in due dalle risate per la serata assurda
vissuta tra il tentato borseggio e lo stalking a Samuel, fummo
costrette a fare una sosta. Valerie era distrutta dai
duecento metri percorsi a piedi e, guarda caso, propose di fare una
sosta proprio di fronte al locale in cui avevamo festeggiato
l’addio al nubilato.
-
“Potremmo entrare a vedere se
c’è...” disse, trafficando con il
cellulare.
-
“Fatica sprecata, tesoro. Non credo che Nick abbia ripreso
già a lavorare” risposi, convinta che volesse
tirare fuori per l’ennesima volta lo stesso argomento.
-
“Veramente parlavo di Josè, ma tu hai un chiodo
fisso su un altro…” esclamò raggiante
per essere riuscita ad ingannarmi.
-
“Sammy?”. Il presunto chiodo fisso era
appena sceso da un taxi, fermo proprio davanti allo strip-club.
Indossava un paio di jeans scuri, una felpa grigia ed un giubbotto nero
che lo rendevano incredibilmente sexy, nonostante non avessero nulla di
speciale.
Tutta
colpa del ciclo e degli sbalzi ormonali, non altro. Un orango tango mi
avrebbe fatto lo stesso effetto.
-
“… e Valerie, la sposa” si
presentò, civettuola come al solito.
-
“Certo, mi ricordo. Non dimentico chi mi chiama Chiappe d’oro.
Che ci fate qui?” domandò lui.
-
“Sam ti cercava” sparò la mia amica.
La fulminai
con lo sguardo e non potei fare a meno di diventare bordeaux
dall’imbarazzo, visto e considerato che ricordava anche
quello stupido soprannome inventato dalla festeggiata.
-
“Sai, era preoccupata che tu fossi già tornato a
lavorare con il braccio rotto”. Lui si avvicinò a
me, tesa come una corda di violino, e mi mise la testa contro il suo
petto.
-
“Che tesoro, Sammy. Eri preoccupata per me”. Mi
divincolai veloce da quale stretta che mi creava uno scompiglio
interiore.
-
“Non è vero che siamo qui per questo. E’
un… caso” dissi d’un fiato, conscia che
come scusa faceva proprio pena, anche se era vera.
Lo vidi ridere
sotto i baffi.
-
“In ogni caso, sei senza dubbio un gran bel ragazzo a cui
è difficile resistere. Io non sono più sul
mercato, quindi, dovreste provarci voi due. Certo, Chiappe, non
sarà come stare con me, ma Sam è un ottimo
surrogato”.
Ma
cosa le è successo? Ha preso una botta contro un ramo?
-
“Quindi dovrei accontentarmi” disse lui ed io
diventai verde dalla rabbia.
Forse non lo
aveva fatto apposta, ma quelle parole mi fecero sentire inadeguata. Non
ero abbastanza per lui?
Nick non aveva
nulla da invidiare ad alcuno: era bello ed intelligente, ma neanche se
fosse stato Brad Pitt o Albert Einstein in persona avrebbe avuto il
diritto di farmi sentire inferiore a lui.
Sam,
respira.
-
“Ce ne andiamo?” chiesi a Valerie con un tono duro
e lei capì finalmente che stava esagerando.
-
“Mi ha mandato un messaggio Jonathan. Sta facendo un giro di
collaudo con la nuova Spider e sarà qui a momenti. Ti
dispiace?”. Scossi la testa; in quel momento le conveniva non
salire in auto con me, perché altrimenti le avrei fatto una
miriade di domande su come diamine le fosse venuto in mente di mettermi
in una posizione scomoda come quella di prima.
Suo marito non
tardò ad arrivare e lei sparì nell’auto
con lui, dopo aver salutato me e Nick.
-
“Allora io vado a consegnare delle cose”
affermò quest’ultimò ed
indicò il Pumping
Pumpkin.
Io bofonchiai
un come ti pare e me ne tornai a casa, rimandando il pieno di benzina
al giorno dopo. Il mio rancore accanto a fonti infiammabili
costituivano una combinazione da evitare.
Non ebbi
nemmeno il tempo di togliermi le Converse che il campanello
suonò.
Romeo se ne
stava tranquillo sul divano, perciò pensai che non fosse
Will, altrimenti il mio bel micione si sarebbe già
precipitato a graffiare l’uscio.
Aprii la porta
ed eccolo lì, di nuovo, la causa del ribollire del sangue
nelle mie vene: Nick.
-
“Che vuoi?” chiesi in modo brusco.
-
“Chiederti scusa. Ti sei offesa prima, ma io non avevo alcuna
intenzione di ferirti” mi rispose.
-
“Non mi sono offesa. - mentii - Non sei così
importante per me da avere il privilegio di ferirmi”.
Decise di
cambiare strategia.
-
“Allora diciamo che ti ho portato il calumet della
pace”.
-
“Che peccato, non fumo” esclamai piccata.
Lui sorrise
con quegli occhi color ghiaccio dolci e rassicuranti che sapevano come
ammorbidire una donna.
-
“Possiamo almeno parlare?” domandò.
Declinai
l’invito, fingendo persino di esserne dispiaciuta.
-
“Forse ho qualcosa che potrebbe farti cambiare
idea”.
Agguantò
una borsa di carta che aveva tenuto fuori dal mio raggio visivo fino a
quell’istante e ne trasse un numero indefinito di pacchetti
di caramelle gommose e una busta gigante di popcorn.
Valerie aveva
proprio fatto un’attenta descrizione delle cose che preferivo
al suo caro Chiappe d’oro.
-
“Vuoi comprarmi?” chiesi.
Dovevo
resistere ad ogni modo.
-
“Ti sto chiedendo solo di chiacchierare un
po’”.
Ma
quell’orsetto gommoso mi sta forse salutando con la mano?
Stavo pure
dando i numeri!
Cedetti alla
tentazione e gli spalancai la porta per entrare, evitando accuratamente
di parlare.
Dopo aver
divorato l’intero pacchetto, il mondo cominciò a
sorridermi. Tutto era più bello, più buono,
più simpatico… candy power!
Ci sistemammo
sul divano e iniziammo a discorrere del più e del meno. Ad
un certo punto, però, lui cambiò argomento.
-
“Davvero non ti sei offesa prima?”.
Abbassai lo
sguardo e mi decisi ad essere onesta.
-
“In effetti, sì”
-
“Non volevo…”.
-
“Lo so. - lo interruppi - Colpa di un elevata percentuale di
acidità dovuta alla mancanza di zuccheri”.
-
“Dico davvero. Sei una bella ragazza, sei intelligente, fai
un lavoro che ti soddisfa… sei in gamba” - gli ero
grata per i complimenti, ma ero totalmente incapace di accettarli e
lui, forse, se ne accorse - E poi sei attratta da me, il che
è un punto a tuo favore” concluse.
-
“Qui ti sbagli mio caro. Non provo nulla per te”.
Nulla tranne il batticuore, le
gambe molli e le mani sudate. No, no, era impossibile che
io stessi covando un’attrazione per lui. Impossibile.
-
“Sicura? Perché Valerie…”.
-
“Valerie niente. Sta solo cercando di trovarmi un
fidanzato” mi difesi.
- “E
ha pensato a me”.
- “A
te come a chiunque altro”.
-
“Quindi non ti interesso”.
-
“Mi spiace che il tuo orgoglio debba subire questo
affronto”.
-
“Non è che il tuo di orgoglio che ti impedisce di
ammettere che mi salteresti addosso ora?” insinuò,
malizioso.
-
“Non ti salterei addosso”.
-
“Hai paura di non riuscire a fermarti?”. Mi stava
sfidando.
-
“No, no…”.
-
“Provamelo” mi sfidò.
Lo baciai
sulla labbra per qualche secondo, cogliendolo totalmente impreparato.
Mi staccai un po’ stordita.
-
“Vedi? Nulla” dissi con la voce tremolante.
Lui non
fiatò e si limitò a sorridere. Decisi di mettere
un film nel lettore dvd, che osannai come salvatore della serata.
Non ricordo
nemmeno il titolo della pellicola che guardammo perché
passai tutto il tempo a provare a ripristinare il mio autocontrollo,
limitando la conversazione con Nick che, impassibile come di consueto,
seguiva la trama con attenzione.
Il bacio che
gli avevo dato era stato una fotocopia di quello della Taverna del Grillo,
quando mi ero umiliata di fronte a tutti esibendomi al karaoke: fin
troppo casto, fin troppo breve.
Alla fine dei
titoli di coda - e delle provviste che aveva portato - mi
informò che era arrivata l’ora di prendere un taxi
e tornarsene a casa. Lo accompagnai alla porta e lo ringraziai della
compagnia.
-
“Notte, Nick”.
Lui si
avvicinò e mi inchiodò al muro, fermandomi la
testa con la mano destra. Si avventò sulle mie labbra sino a
farle schiudere, per avvolgere la mia lingua con la sua. Mi
baciò con una passione tale da farmi rimanere quasi inerme e
mi ritrovai a desiderare che quel contatto non finisse mai. Persi la
cognizione del tempo e dello spazio e mi sentii come in una specie di
limbo, un posto isolato da tutti e tutto e dove c’eravamo
solo io e lui. Non importava che il mondo al di là del muro
continuasse imperturbabile a vivere freneticamente; ero ben contenta di
rimanere indietro con lui.
Quando poi lui
si ritrasse dal bacio, sentii mancarmi la terra sotto i piedi e pensai
di precipitare a terra davvero. Forse anche io, come Valerie, soffrivo
di vertigini immaginarie.
-
“Questa era la prova del nove. - soffiò sulle mie
labbra - Davvero non provi niente per me?”.
Mormorai il no
più falso della mia vita e lui non smise di sorridere.
-
“Notte Sammy” e se ne andò, lasciandomi
in balia di una fiumana di pensieri.
D’accordo,
Nick non era un ladro, ma, forse, un pezzettino del mio cuore se
l’era rubato.
Hello hello
I’m at a
place called Vertigo
It’s
everything I wish I didn’t know
Except you give me
something I can feel, feel
Buona
sera!
Questo
capitolo è nato sotto una cattiva stella, ma spero che il
risultato non abbia seguito la stessa strada :D
La
novella di questa settimana è che mi si è
fulminato l’alimentatore del portatile (scarico e con
metà del capitolo) e che non esiste un rivenditore in zona
in grado di sostituirmelo in tempi utili.
Perciò
in due giorni ho riscritto il tutto e spero non sia uscita una
schifezza.
Chiedo
venia per eventuali errori ma è da oggi pomeriggio che sono
al computer e c’ho sonnooooo!(So che comunque
c’è qualcuno che vigila anche per me?:P)
La
canzone del titolo è “Vertigo” degli U2.
Alle
recensioni mi pare di aver risposto, quindi non mi resta che augurarvi
buona serata!
Baci!
HappyCloud
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Capitolo 12 *** Capitolo 12. What's My Age Again? ***
Capitolo
dodici. What’s My Age Again?
- “E tu?” incalzò Valerie.
- “Aspetta, non dire nulla; l’hai arpionato con le
gambe e l’avete fatto selvaggiamente sul
pianerottolo” ipotizzò Amanda.
- “No, sul tavolo della cucina tra bottiglie di vino e
barattoli” fu la versione di Jade. Era senz’altro
la più timida del gruppo, ma quando si trattava di fantasie
sessuali diveniva impareggiabile.
Solo Katy - grazie a Dio
- si astenne dal fare congetture sul prosieguo del bacio tra me e Nick.
Una persona in meno da deludere.
Al contrario, sembrava disinteressata all’intero argomento Samantha Grayson;
se ne stava rintanata in un angolo del tavolo, mescolando il suo
cocktail con la cannuccia e sperando che le altre cambiassero soggetto
della discussione.
Il pub nel quale ci eravamo rifugiate dopo lavoro era il punto di
ritrovo per molti degli impiegati degli uffici nei dintorni.
L’atmosfera tranquilla, le luci soffuse e un volume di musica
tale da permettere la conversazione senza diventare un ultra allo
stadio erano i fattori alla base del successo del piccolo locale in cui
ci fermavamo spesso per una sosta alcolica.
- “No” dissi soltanto.
- “No a cosa?” chiese Val.
- “A tutto”.
Una risata fragorosa si diffuse rapida tra le mie amiche, isolandomi in
un alone di disappunto.
- “Per un attimo ci ho quasi creduto che tu fossi stata
così scema da lasciartelo scappare”
sghignazzò Amanda.
- “La piccola Sam ha fatto faville, donne! La puritana numero
uno in Inghilterra si è concessa al giovane stripman sexy ed
aitante” urlò Jade.
Ehm… no.
- “Dai, racconta!” mi incitarono.
E ora che mi invento?
- “Ti ha strappato i vestiti con i denti, prima di possederti
sul divano di casa tua?”.
E’ ufficiale:
stanno degenerando.
Mi schiarii la voce.
- “Ragazze, no-non è successo nulla”
osai dire.
- “No, cazzo, ha fatto cilecca?”.
- “L’avresti mai detto di uno stallone come
lui?” parlottarono.
- “Dio, che delusione”.
Loro continuarono a confabulare, convinte della scarsa prestazione di
Nick. Non riuscivo a trovare le parole ed ogni volta che cercavo di
spiegare il nulla che era succeduto al bacio, venivo fraintesa da quel
branco di depravate delle mie colleghe.
Okay, dillo chiaro e
tondo. Sparalo.
- “Non c’ho fatto sesso” osai dire.
Quattro paia di occhi - sì, persino Katy si degnò
di guardarmi - si posarono su di me, sbalordite e improvvisamente
zittite.
- “Tu… non…”
balbettò Valerie.
Che esagerazione!
Neanche avessi bruciato un biglietto vincente della lotteria.
- “E’ pazza, lo sapevo”
constatò Amanda.
- “Lui, Nick, un dio greco ti sbatte contro il muro e tu non
fai nulla? Sei da ricovero, Sam” gridò Jade.
- “Cosa avrei dovuto fare?” cercai di
giustificarmi, rendendomi, però, subito conto della domanda
retorica che avevo posto.
- “Vuoi davvero che ti risponda?” fu il commento
lapidario di una Katy di nuovo in grado di parlare e - mio malgrado -
di esprimere la sua opinione.
No, decisamente non era necessario che qualcuno mi dicesse cosa avrei
potuto fare con un ballerino di nightclub tra le grinfie. Non potevo
negare nemmeno con me stessa il fatto che, almeno per un secondo, mi
fosse passato per l’anticamera del cervello di far
sì che ci fosse dell’altro tra me e Nick quella
sera. Ma il mio animo freddo, razionale, calcolatore aveva prevalso
sull’istinto che, al contrario, mi diceva di fare quello che
mi pareva e non quello che era giusto.
Era stato bello, intenso, diverso; non ricordavo di aver mai provato
qualcosa di simile. Il solo contatto delle nostre labbra era stato pura
elettricità ed era stato difficile ristabilire un ordine
mentale, quando si era allontanato.
Era passato qualche giorno da allora, tempo di far terminare la tortura
mensile chiamata ciclo
mestruale e di regolarizzare il quantitativo di ormoni in
circolo.
Quella pausa da Nick era servita per tentare di mettere insieme le
idee, per capire come meglio comportarsi la volta seguente che lo avrei
incontrato, per trovare le parole giuste per raccontarlo a Will e alle
amiche. In realtà, poi, questi propositi erano un
po’ mutati in corso d’opera, diventando,
più che altro, il pretesto per evitare Nick.
Lui non si era fatto sentire e ciò non faceva altro che
confermare quanto io già sospettavo e, a fatica, cercavo di
digerire: quel bacio non era stato reale, vero.
Ci eravamo provocati ancora una volta, nella nostra ormai consueta
sfida di orgogli in cui nessuno voleva cedere per primo.
Dal canto mio, avrei potuto accantonare il mio ego soltanto per
qualcosa di tangibile, qualcosa per cui valesse la pena
negare una parte fondamentale della mia persona. Ma la
verità era che Nick voleva solo un nome - il mio -, stampato
alla fine della lunga lista di donne cadute ai suoi piedi, ammaliate
dal suo savoirfaire e dal suo fisico atletico. Ed io non ero disposta
ad annullarmi per essere una delle tante. Mi era già
capitato, in passato, di scontrarmi con uomini sbagliati che mi avevano
trattato da schifo in nome di un sentimento che si era rivelato
inconsistente quanto le loro parole. Ma ora avevo imparato a voler bene
a me stessa più che a quella strana specie con un pisello al
posto del cervello.
Raccontai per sommi capi l’intero problema alle mie amiche e
l’unico commento che ne uscì fu un
tutt’altro che profondo: “tu pensi come una
vecchia… troppo! La prossima volta scopatelo!”.
Tornai a casa e mi misi a dormire, esausta dalle innumerevoli domande
che le ragazze mi avevano posto e dai numerosi giri di
alcolici che erano passati sul nostro tavolo.
Lo squillo del cellulare mi svegliò da un coma profondo. Era
di Will.
Ciao vicina preferita!
Torno oggi pomeriggio e non voglio scuse per stasera. Sei con me. A
dopo, W.
Mi alzai controvoglia e andai in ufficio con ancora
un’ombra di sonno che mi seguiva. Valerie mi
placcò non appena mi vide varcare la soglia del piano in cui
c’era la redazione.
- “Vieni nel mio ufficio, alla svelta”
biascicò sottovoce, stando ben attenta a non farsi sentire
dagli altri impiegati.
Mi afferrò per il polso e mi condusse alla sua scrivania.
- “Ho fatto qualche ricerca”.
- “Di che stiamo parlando?” domandai confusa.
Lei sbatté il palmo della mano sulla scrivania, scocciata.
- “Come di che cosa stiamo parlando? Del nostro collega
furbetto” sussurrò ed io, finalmente, vidi il
soggetto della conversazione prendere una figura ed un nome: Samuel Banks, Sam1
in breve.
Val girò verso di me lo schermo del suo computer e
cominciò a farsi un sunto di quanto aveva trovato,
bazzicando qua e là in rete.
- “Abitava in un paesino vicino York, dove ora è
osannato come una specie di eroe nazionale”.
- “Che cavolo ha fatto per guadagnarsi tanta
gloria?” chiesi, sempre più coinvolta
dall’indagine.
- “Beh, se vivi in una comunità fac-simile a
quella degli Amish e ti laurei oltreoceano, a Yale, con il massimo dei
voti, può succederti anche questo”
commentò ironica.
Provai ad effettuare una nuova ricerca e altre informazioni vennero a
galla.
- “Guarda qui, Val! Sono tutti gli articoli disponibili sul
web di e su Sam. Pare fosse un pezzo grosso della stampa di
York” esclamai, continuando a leggere.
- “Proverò a estorcergli qualche notizia in
più”.
- “Brava, Jessica Fletcher. Anche se avresti dovuto farlo
prima di assumerlo” dissi con un accenno di rimprovero nel
tono di voce.
- “E’ stata una decisione presa di comune accordo
tra tutti i soci. Lo sai anche tu che la concorrenza di internet
potrebbe mandarci in bancarotta anche domani; per questo, un
po’ di capitale in più, ci garantisce una maggiore
sicurezza” si difese.
- “C’è qualcosa che non torna,
comunque…”.
- “Forse dovresti provarci con lui; magari si lascia scappare
accidentalmente qualche cosa”.
- “Fallo tu! - strillai, alzandomi in piedi e poggiando le
mani sulla scrivania - Io sono già incasinata con Nick,
lasciamo perdere, ti prego” la supplicai.
- “Non sai quanto mi costi ammetterlo, ma credo che il
viscido preferisca carne più fresca. Almeno è
quello che sembra da come ti fissa il culo”.
Mi rizzai in piedi e controllai se quanto avevo appena sentito dalla
mia amica fosse vero.
Sam1 finse di cascare dalle nuvole e venne nella nostra direzione,
mentre Val, in fretta e furia, chiudeva la finestra del computer con le
nostre indagini.
- “Ehi, ragazze! Non volevo interrompervi, stavo aspettando
che finiste di parlare. - arrossì vistosamente - Sam, volevo
chiederti se potevi fermarti un po’ più in
redazione stasera”.
Ma anche no.
- “Carpe diem” disse sottovoce Valerie,
però lui lo sentì.
- “Come scusa?” domandò.
- “E’ latino. Ha detto scarpe diem, il giorno delle
scarpe. - improvvisai, pensando alla aggressione fisica che mi avrebbe
fatto la professoressa del liceo se avesse sentito la mia traduzione -
Ho da fare oggi, ma Valerie sarà ben lieta di aiutarti. Ora
vi saluto, ciao!”. Lasciai la stanza con un sorriso beffardo
sul viso e la certezza che la mia amica me l’avrebbe fatta
pagare cara.
Sì, avevo ventiquattro anni, ma vivevo di questi piccoli
dispetti. Alla faccia dei pensieri da nonna!
Prima di andare a casa, mi venne voglia di fare un bel giretto a Covent
Garden, tra le bancarelle eclettiche e colorate del mercatino delle
pulci. Adoravo in particolare quella di Joe, un abilissimo creatore di
bracciali, collane, orecchini ed anelli che mi aveva preso in simpatia
e che mi riservava sempre un trattamento speciale.
- “Sam, è un po’ che non ti fai
vedere” mi disse, vedendomi arrivare.
- “Hai ragione. Tutta colpa del lavoro”.
- “Splendida come al solito, però” ed io
divenni bordeaux per il complimento. Parlare con lui era un
po’ come andare dalle nonne, che ogni volta che le vai a
trovare, ti vedono più bella, più magra,
più tutto.
Una signora lo chiamò per sapere il prezzo di un monile ed
io la ringraziai mentalmente per avermi salvato
dall’imbarazzo.
Un braccialetto dall’altra parte del banco attirò
la mia attenzione; era argento con degli inserti verdi, tra cui
troneggiavano dei cuori e una libellula. Mi avvicinai per guardarlo,
ma, proprio in quel momento, un uomo sulla quarantina mi si
parò davanti. Era ben vestito, curato in ogni minimo
dettaglio e il suo completo era per certo un prodotto di alta sartoria.
Abbastanza alto, fisico asciutto e occhi scuri, si guardò
intorno circospetto, urtandomi senza volerlo.
- “Pardon signorina” mi disse e quasi fece un
inchino.
Rimasi sorpresa da tanta gentilezza e lo scusai, volendo a tutti i
costi tornare a concentrarmi sul bracciale. Che non c’era
più.
Guardai verso l’uomo, all’apparenza un nobile
d’altri tempi, e notai un movimento furtivo della sua mano,
nella quale stringeva qualcosa… qualcosa che mi parve
assomigliare molto al mio oggetto del desiderio.
Decisi di seguirlo, nella speranza di aver trovato finalmente uno
straccio - anche se così proprio non si poteva definire - di
ladro. Lo raggiunsi e mi accostai a lui.
- “Qualcuno potrebbe ritenere il suo comportamento un
po’, come dire… illegale” sussurrai
sulla sua spalla.
- “Gente noiosa. - sentenziò, sbuffando, per nulla
sorpreso, e si voltò a guardarmi negli occhi - Questo
è ciò che pensa anche lei?”.
Riflettei un secondo prima di rispondere.
- “Quello che penso io è che un uomo vestito come
lei non ha bisogno di rubare un bracciale da una bancarella”
lo rimproverai velatamente.
Mi sorrise, ormai arreso all’idea di essere stato beccato in
flagrante.
- “L’abito non fa il monaco”
provò a giustificarsi.
- “No, ma quel Rolex lo fa senz’altro”
ribattei.
L’uomo si guardò con noncuranza il grosso orologio
dorato che indossava al polso, senza riuscire a togliersi dal viso quel
ghigno divertito.
- “Già. M’immagino di non poter giocare
la carta del giovane squattrinato che si improvvisa ladruncolo per
necessità” constatò.
- “No, in effetti non è poi così
giovane” scossi il capo e arricciai le labbra.
- “Mi piacciono le donne con il senso
dell’umorismo. Cosa devo fare per ottenere il suo
silenzio?” domandò.
- “Può iniziare offrendomi un
tè” decretai.
Non disse nulla, ma mi lasciò passare e mi indicò
un piccolo café all’inizio della strada. Ci
sedemmo ad un tavolino vicino alla vetrata, dalla quale si vedeva la
folla passeggiare infreddolita a causa del gelo pungente.
- “Sono Henry, comunque. Henry Chambers” si
presentò.
HENRY CHAMBERS? Io stavo
bevendo un tè con Henry Chambers?!
Sgranai gli occhi, ma cercai di mantenere un certo contegno.
- “Quell’Henry
Chambers?” chiesi esterrefatta, ripensando a
quante volte mi capitava di scorgere quel nome per le vie di Londra,
stampato a caratteri cubitali sui cartelloni pubblicitari
dell’omonima catena di gioiellerie.
Lui abbozzò un sorriso, forse abituato a quel tipo di
reazione.
- “Beh, non proprio. Quello era mio nonno, il fondatore. Io
sono solo l’amministratore delegato”.
Solo?
Quella posizione doveva valere per lo meno qualche milioncino e lui me
l’aveva detto come se fosse stato l’ultimo sfigato
nella catena di montaggio. E, come se non bastasse, si riduceva a
rubare alla “concorrenza” bigiotteria da un pugno
di sterline.
- “Non mi dica che fa anche spionaggio industriale al mercato
settimanale” lo schernii.
- “Devo dire che è piacevole essere canzonato da
una bella donna come lei - mi lusingò -, anche se non ho
ancora avuto il privilegio di sapere qual è il suo
nome”.
- “Samantha” risposi, allegando un leggero sorriso.
Normalmente avrei usato l’abbreviativo - Sam -, ma il fatto
di aver davanti a me uno che poteva spolverare casa con una pelliccia
di visone, mi spinse ad utilizzarlo per intero. Come se otto lettere mi dessero
uno spessore maggiore di tre.
La conversazione proseguì e mi interessò
parecchio; Henry era intelligente, elegante, raffinato in ogni minimo
gesto: dallo scansare la sedia per farmi accomodare al porgermi il
braccio affinché io ci posassi il mio per uscire dal bar.
Accettai di buon grado l’invito a cenare con lui in un
ristorante molto lussuoso nel quartiere di Chelsea, il Tom Aikens;
l’avevo sempre ammirato da lontano, pensando che mai e poi
mai avrei speso una cifra da capogiro per una cena. Meglio spendere un
capitale per un bel paio di sfavillanti Jimmy Choo che ti durano almeno
un anno, invece che per uno stupido pasto che diventerà
poltiglia nel tuo stomaco, no?
Ma finché pagava un altro - non intaccando il mio conto in
banca, vitale per lo shopping -, potevo cenare in tutta
tranquillità anche nel luogo più esclusivo del
mondo.
Chiaramente ci accompagnò l’autista a bordo di una
berlina nera con i vetri oscurati come quelli di una star hollywoodiana
da red carpet.
- “La sto annoiando?” mi chiese mentre gustava un
piatto talmente elaborato che io mi domandai sul serio da che parte
avesse cominciato a mangiarlo.
Non avevamo abbandonato il lei
in favore del tu,
un po’ perché, in fondo, nemmeno lo conoscevo e un
po’ perché era pure intrigante mantenere una certa
distanza con il mio interlocutore.
- “Tutt’altro. - risposi, tamponandomi la bocca con
il tovagliolo - Piuttosto, mi sto ancora domandando perché
si sia dimenticato
di pagare quel bracciale”.
- “Vuole la verità? - annuii e lui
proseguì - Ogni tanto faccio delle cose così,
giusto per fare, per sentirmi vivo e dimostrare a me stesso che non sto
incartapecorendo dietro la scrivania”.
Un altro complessato con
l’età!
- “La prossima volta lo faccia con un’altra
bancarella, quella è la mia preferita e il proprietario
è un tesoro, non se lo merita” lo pregai.
- “Lo farò senza alcun dubbio, se me lo chiede con
tanta cortesia”.
Mia madre sarebbe impazzita per un uomo così: oltre alla
ricchezza - che non guasta mai -, aveva stile nel vestire e nei modi,
cortesi ma, al tempo stesso, affabili.
Mi raccontò di essere divorziato da una ex moglie divenuta
pian piano insopportabile e di avere una figlia adolescente in fase di
ribellione acuta. Io, al contrario, non dissi molto di me; a dire il
vero, Henry non seppe mai nemmeno il mio cognome. Il punto era che,
dopo l’esperienza con Ralph J, meno informazioni sulla mia
persona diffondevo, meno c’era pericolo d’incappare
in un amante intenzionato ad approfondire il nostro sentimento sulla
porta di casa.
Decidemmo di fare una passeggiata a piedi, non di certo per digerire le
mini porzioni di cibo discreto che ci avevano servito, ma per stabilire
come concludere la serata. Io un’idea ce l’avevo,
eccome, però non potevo gettarmi ai suoi piedi e implorarlo
di portarmi a letto!
Mentre il suo autista ci portava alla sua villa, appartenente alla sua
famiglia in sostanza dai tempi di Adamo ed Eva, spedii un sms a Will
nel quale gli scrissi dove mi poteva trovare nel caso in cui non fossi
tornata a casa prima di due ore.
Qualcosa mi diceva che non sarebbe stato male; un quarantenne ben
tenuto, brillante, col quale discorrere di argomenti più
sostanziosi dei cambiamenti climatici o del nuovo attaccante del
Tottenham non poteva essere un fallimento tra le lenzuola se ci fosse
stata giustizia su questa Terra.
E giustizia non ci fu.
La prestazione di Henry entrò di diritto nel guinness dei
primati come la peggiore nell’universo. Persino i cavernicoli
- indecisi in qualche buco mettere il loro arnese - avrebbero fatto
meglio.
Tanto era bravo a intrigarti a livello mentale con i suoi aneddoti
curiosi e la parlantina sciolta e accattivante, quanto era un vero
disastro a livello sessuale; impacciato, goffo, mi domandai come
diavolo avesse fatto ad avere una figlia, visto che, a giudicare da
come si muoveva, pareva un teenager alle prime armi. Persi
ogni speranza di raggiungere l’orgasmo ancor prima che lui
cominciasse a trafficare con la mia gonna e mi accarezzò le
gambe nello stesso modo in cui lo avrebbe fatto con sua madre.
Più volte fui sul punto di scoppiare a ridergli in faccia,
ma l’idea di perdere la scommessa settimanale dopo la
figuraccia con il fotomontaggio del fotografo mi costrinse a stringere
i denti e a sottostare a quella che in qualche strana tribù
aborigena qualcuno avrebbe chiamato - e non a torto - una vera tortura.
Se voleva tornare ad essere un ragazzino, ci stava sicuramente
riuscendo.
Mi ritrovai a pensare a Nick, a come i suoi baci fossero
così differenti da quelli del tizio imbranato sopra di me e
a che sensazioni avrei provato se ci fosse stato lui al posto di Henry.
Un movimento brusco di quest’ultimo mi fece ritornare con la
mente - e ahimè con il corpo - nel letto a baldacchino della
dimora dei Chambers.
Ma che fa?
Scattai delle foto col cellulare che avevo tenuto sotto il cuscino,
convinta che non se ne sarebbe mai reso conto, indaffarato
com’era a raccapezzarsi sul funzionamento di
quell’arcano che era il mio organo genitale.
L’amplesso sembrò durare
un’eternità, ma, a quanto diceva
l’orologio, era durato all’incirca una decina di
minuti.
- “Sono un po’ fuori allenamento” ammise,
spostandosi di fianco a me e distendendosi.
Emisi un suono che doveva somigliare a un risolino, ma che
sembrò più che altro un’espressione di
compassione.
- “Però, su… me la cavo ancora
piuttosto bene” si compiacque.
Ah. Convinto tu!
Cambiai argomento, cercando disperatamente un campo in cui lui fosse
più ferrato; in realtà non fu poi così
difficile, visto che qualunque cosa sarebbe andata bene. Non che io
fossi la regina del sesso, intendiamoci, però il dolce e
simpatico Henry non era proprio portato per l’arte del Kamasutra.
Lui non colse nessuno degli spunti per cominciare una discussione che
lo mettesse a suo agio ed io fui costretta a passare al buon vecchio
piano B.
- “Diamine, si è fatto tardissimo”
esclamai, subito smentita dalla radiosveglia sul comodino che indicava
le 21:30.
- “Non è così tardi” rispose
lui.
- “Domani mi devo svegliare molto presto”
improvvisai.
- “Oh… mi spiace. Vuoi usare il bagno?”
domandò in maniera cortese.
- “Sì, ti ringrazio”. Avrei detto
qualsiasi cosa pur di rimanere sola.
Mi indicò la toilette, dove mi sciacquai il viso e mi
sistemai i capelli, dopo essermi rivestita, ancora con una risata
trattenuta per la deludentissima performance del padrone di casa.
Ripristinai un’aria seria e tornai in camera.
- “Se hai fatto, vado io” disse e io gli feci un
cenno di assenso con il capo.
Ripresi il cellulare da sotto il guanciale e chiusi il paio di boxer
che aveva lasciato sul copriletto nella busta di plastica che avevo in
borsa, pronta per ogni evenienza. Notai con disgusto il preservativo
usato sul cassettone, a mo’ di complemento d’arredo
e ingannai il tempo, guardando le foto scattate.
Non potevo ritenerle migliori di quelle scattate con Ralph J, dal
momento che, in questo caso, sembravo o addormentata o
sull’orlo di una crisi di riso.
- “Sono pronto” mi annunciò sorridente
Henry, ricomparendo nella stanza. Era di nuovo impeccabile, in un abito
gessato grigio ed una camicia bianca; era tornato come prima: un serio
dirigente di una grossa azienda che chiunque avesse incontrato, me
compresa, avrebbe pensato un latin lover.
Dio, ce l’aveva scritto in faccia! E invece nulla.
D’altronde cosa pretendevo da un ladro di braccialetti?
Lo convinsi che non era importante che mi accompagnasse a casa, sarebbe
bastato l’autista. Mi sfiorò la guancia con un
bacio, con la promessa di risentirci per qualche serata a teatro.
SOLO per quello, ovvio.
Gli lasciai il numero di casa; in fondo, era un uomo piacevole e mi
sarei sentita una stronza a troncare i rapporti con l’unico
uomo che conoscevo in grado di utilizzare un vocabolario che andasse
oltre a “sport-sesso-auto”.
Appena raggiunto il mio pianerottolo, suonai il campanello di Will. A
giudicare dal messaggio che mi aveva inviato in mattinata, doveva
essere a casa, ma non rispose nessuno.
Composi il suo numero e lo chiamai.
- “Sammy” rispose una voce.
Ma era… era… Nick?
- “Non ho chiamato Will?” gli domandai,
stupidamente.
- “Sì, tesoro. E’ qui a casa mia, ti va
di raggiungerci?”.
No, Sam, non andare. Non
sei pronta ad affrontarlo dopo il bacio; rientra nel tuo appartamento,
fatti una doccia e vai a dormire.
- “Tesoro tua sorella. Mezz’ora e arrivo”.
Sapevo di essere
un’idiota.
Mi lavai e indossai un vestito grigio scuro, corto e scollato. Presi
dall’armadio un paio di scarpe con tacco vertiginoso e mi
spruzzai un litro di profumo, dopo una passata di trucco. Mi fissai
riflessa nello specchio.
- “Non so cosa tu stia facendo, Sam, ma spero che questa
storia non ti porti né in carcere né
all’inferno” mi dissi.
Chiamai un taxi e chiesi che mi portasse a casa di Nick, la graziosa
villetta a schiera ben tenuta dove l’avevo riportato di
ritorno dall’ospedale. Il cancellino era aperto e,
così, andai direttamente alla porta d’ingresso e
bussai.
Will aprì la porta con in mano un bicchiere di vino bianco
che gli rubai dalle mani e scolai tutto d’un sorso.
- “Ciao anche a te, vicina”. Gli sfiorai le labbra
con un bacio e osservai l’ampio salone in cui ero appena
entrato: pareti azzurre scure, divani in pelle bianca, arredamento
moderno e grandi poster di famose città del mondo sui muri.
Nick comparve da una stanza attigua che immaginai fosse la cucina e mi
sorrise. La maglietta rossa che aveva addosso gli valorizzava i muscoli
delle braccia e i pantaloni blu gli stavano d’incanto.
- “Ehi, sei arrivata. Che eleganza!”. Mi
squadrò da capo a piedi e mi porse un calice uguale a quello
di Will, con l’unica differenza che era - non ancora per
molto - pieno.
- “Ti ho portato questo, Nick. - trassi dalla borsa il
sacchetto contenente l’unica parte di Henry che mi servisse,
i boxer , e glieli misi in mano - Per te, tesoro”.
- “Come mi piaci quando fai la dura… - mi disse,
scuotendo la testa - Mi fai venire la pelle d’oca”
mi canzonò.
Gli porsi il cellulare con le foto e lui le guardò con
attenzione, mentre io bevevo il secondo bicchiere.
- “Non sembra che tu ti stia divertendo molto”
commentò.
Mi lasciai cadere sul divano e il mio vicino si sedette accanto a me.
- “E’ stato il peggior sesso della mia
vita” ammisi candidamente, per grande merito del vino.
Gli altri due si guardarono tra di loro e si misero a ridere.
- “Lo sai che in noi troverai sempre una spalla su cui
piangere” mugolò Will, in una scena di finto
melodramma.
- “Sì, e quattro palle per
qualcos’altro” ribatté l’altro.
E io che mi preoccupavo di essere o troppo vecchia o troppo giovane! C'è chi sta peggio di
me: chi non ha un cervello ad esempio. O, meglio, ce l’ha nel
posto sbagliato.
- “Ragazzi, datemi da bere vi prego. Ho bisogno di
dimenticare questa serata” piagnucolai.
Will si alzò per prendere un paio di bottiglie in cucina e
Nick mi si avvicinò.
- “Io e te abbiamo un discorso in sospeso” mi
soffiò sulle labbra.
- “Non mi sembra” risposi, cercando di tenere a
freno il batticuore. La salivazione si era azzerata ed io temetti che,
in quello stato, non sarei più riuscita a spiccicare parola.
- “Ti sei sciolta come ghiaccio al sole, quando ti ho baciata
a casa tua”. Ghiaccio, come i suoi occhi…
Sentimmo il rumore di vetro infrangersi per terra e Will imprecare.
- “Dovremmo andare ad aiutarlo” sussurrai, con la
voce spezzata.
Sfregò le sue labbra sulle mie, aride per
l’emozione e la tensione di trovarselo a pochi centimetri dal
viso.
- “Non finisce qui, Sammy”. Mi sorrise in modo sexy
e mi piantò in asso sul divano, mentre lui spariva in
cucina, come se nulla fosse.
Come se non ci fosse un’adolescente, sciolta in un brodo di
ormoni, da raccogliere col cucchiaio sul divano di casa sua.
Buona
tarda serata! Torno ad aggiornare ad orari quasi improponibili per pura
mancanza di tempo causa esami. Ho fatto una tirata per pubblicare
stasera, perché altrimenti avrei potuto farlo solo
mercoledì/giovedì e mi scocciava tardare
così tanto.
La
canzone del titolo è “What’s my age
again?” dei Blink 182.
Il
“Tom Aikens” è davvero un ristorante
lussuoso di Londra e il braccialetto di Covent Garden descritto
l’ho comprato sul serio lì :P
Spero
che il capitolo non sia uscito una schifezza :D
Risposte
alle recensioni a breve in posta e grazie a tutti quelli che seguono la
storia!
Buona
notte!
Happycloud
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Capitolo 13 *** Capitolo 13. Light My Fire. ***
Capitolo
tredici. Light My
Fire.
Respira, Sam. Inspira ed espira,
lentamente. Stai tranquilla; Nick è di là.
E’ lontano da te.
Lo ripetei a me stessa quasi fosse una formula magica per un migliaio
di volte, finché ogni singola fibra del mio essere non lo
recepì e si distese.
Mi rimisi seduta sul cuscino del divano, dal quale ero scivolata nel
tentativo di sfuggire dalle sue labbra e su cui poi ero rimasta
inchiodata, schiacciata dal suo profumo.
Presi un foglio dal tavolino antistante il sofà e me lo
sventolai davanti alla faccia. Mi sentivo come nel mezzo di un incendio
propagatosi dalle viscere del mio corpo fino alle estremità,
soffocante e impossibile da sfuggire; e, considerando che in sostanza
nulla era avvenuto tra di noi, era facile sentirsi un’idiota
fatta e finita, incapace di analizzare con freddezza la situazione.
Questo mi portò inevitabilmente a pensare a quale sarebbe
stata la mia reazione nel caso in cui qualcosa fosse davvero successo,
come, ad esempio, andarci a letto. Sarei… morta?
Santo cielo, che morte infelice! Nel caso la mia vita fosse dovuta
essere così breve, che almeno mi concedessero di tirare le
cuoia con il sorriso sulle labbra! E, forse, del buon sesso con Nick
MacCord non era poi una cattiva idea.
Ma perché
dovevo proprio morire poi?
Mentre cercavo di tornare ad avere un colorito un po’ meno
acceso del rosso peperone che si era impossessato delle mie guance, mi
sovvenne l’immagine di lui all’addio al nubilato di
Valerie, vestito da pompiere: ecco, quello era il fulcro di tutto, il
problema e la soluzione. Lui accendeva qualcosa in me e si proponeva
pure di spegnerlo!
Un attentato in pieno stile per qualsiasi rappresentante del genere
femminile.
E poi perché proprio il costume da vigile del fuoco! Giuro
che se mai avessi avuto una fantasia, era proprio quella:
un’uniforme - che non vedevo l’ora di sfilare - che
racchiudeva i suoi muscoli definiti, gli occhi algidi, il modo sexy di
spettinarsi i capelli e l’uso sempre preciso e calibrato
delle parole da dire. Un agglomerato di sensualità a cui non
riuscivo mai a dire un netto
no ogni volta che mi si parava davanti.
Nell’attesa che Nick e Will ritornassero dalla cucina,
soffermai lo sguardo sui dettagli dell’ampio salotto in cui
mi trovavo. Ciò che maggiormente mi colpì fu la
grande libreria in legno laccato bianco, colma di grandi e piccoli
volumi incastrati al millimetro. I classici della letteratura - da
Omero a Robert Louis Stevenson, da Jonathan Swift a Charles Dickens -
occupavano gli scaffali più alti, mentre le mensole in basso
pullulavano di autori contemporanei di ogni genere: romanzi gialli,
d’avventura, polizieschi, documentari e quella che mi parve
essere l’intera bibliografia di Agatha Christie. Feci per
estrarre Dieci
piccoli indiani, quando due o tre libri mi franarono
addosso.
- “Ci avrei giurato che non avresti resistito”
commentò Nick, sporgendosi dalla cucina.
- “Dannazione!” urlò Will,
raggiungendolo.
Tirò fuori venti sterline dalla tasca e gliele porse.
- “Grazie” rispose compiaciuto l’altro.
Raccolsi i volumi e cercai, in qualche modo, di risistemarli al loro
posto, seppur con scarsi risultati.
- “E’ un vizio quello di scommettere,
allora” constatai, senza voltarmi per vederli in faccia.
- “Scommetto quando so di vincere, Sammy”.
Strafottente e sicuro di sé.
- “Staremo a vedere. Ad ogni modo, non avevo tenuto in
considerazione il fatto che tu avessi così tanto tempo per
leggere” constatai, giusto per cambiare argomento.
- “Tra una cosa e l’altra, faccio anche
quello”.
Mi rassegnai all’idea che non sarei mai riuscita a sistemare
i libri da sola e, perciò, cominciai ad osservarne la
copertina. Uno era di Hemingway - decisamente non uno dei miei autori
preferiti -, il secondo era di tale Harrison Elliott, la gallina dalle
uova d’oro di una delle più importanti case
editrici di Londra che sfornava opere in continuazione.
L’ultimo scritto era un reportage condotto in prima persona
da uno dei più importanti giornalisti della capitale, Ken
Hagrol, un uomo schivo ma estremamente meticoloso nel condurre le
proprie inchieste, a costo di rimetterci le penne.
- “Vantaggi del lavorare solo di notte, immagino. - dissi, un
po’ sprezzante - Così sei fan del giornalismo, chi
l’avrebbe mai detto, visto e considerato che insulti sempre
il mio lavoro”.
Si avvicinò a me, mi tolse il libro dalle mani e lo rimise
al suo posto.
- “Appunto, il tuo
lavoro. Quello del giornalista vero mi piace”. Che
frecciatina.
- “Ah-ah-ah. Ken Hagrol è un grand’uomo
comunque; la sua scoperta dello spaccio di droga tra le starlette della
tv ha fatto cadere molte teste”.
- “Qualcuno ha fatto i compiti” disse sarcastico.
Ora lo strozzo.
- “Prima che ti spacchi anche l’altro braccio
è meglio se usciamo”. Lo lasciai di fronte alla
libreria e mi mossi verso Will.
- “Prendo la macchina” esclamò
quest’ultimo.
- “Vuoi uscire così?” domandò
stupito Nick, alludendo al mio abbigliamento.
- “Hai qualche problema con il mio vestito?” gli
chiesi, pronta ad intraprendere il sentiero di guerra. Che se la prendesse con me, ma
con il mio guardaroba no!
Alzò le spalle e ricominciò a parlare. Purtroppo.
- “Dico solo che dovresti scegliere tu a chi far vedere il
culo, non permettere a tutti di farlo”.
Stavo per rispondergli a tono, magari contornando il tutto con il
lancio del primo oggetto sottomano, quando Will ci interruppe.
- “Okay, stop! Sam, credo che Nick volesse dire che,
nonostante il tuo abito sia bellissimo, potresti avere freddo
fuori”.
- “Veramente io…” cominciò a
dire l’altro, ma venne incenerito con lo sguardo dal mio
vicino.
- “E in che modo questa cosa lo riguarda?” domandai
con finta aria angelica.
Will capì che era inutile cercare di fare il mediatore tra
due capoccioni come me e Nick ed uscì, anticipandoci e
bofonchiando qualcosa sottovoce.
Il padrone di casa si assentò un momento per andare a
prendere la giacca e poi mi raggiunse sulla porta d’ingresso,
senza rinunciare a regalarmi uno dei suoi sorrisi divertiti.
Pezzo di stronzo. Bello,
ma pur sempre un pezzo di stronzo.
Bastarono pochi attimi sul marciapiede ad aspettare Will, per farmi
venire la pelle d’oca lungo tutte le gambe, sebbene il
cappotto mi arrivasse alle ginocchia. L’aria notturna di
Londra era gelida e una pioggerellina fine mi costrinse ad alzare il
bavero.
- “Freddo?” domandò Nick, pronto a
prendermi in giro.
Negherò fino
alla morte.
- “Per nulla”. Sfoggiai un’espressione
sicura e incrociai i piedi, affondando le mani nelle tasche del
soprabito.
Il nostro autista ci raggiunse ed io mi vidi soffiare da sotto il naso
il posto accanto a quello del guidatore.
- “Che cavaliere” sputai acida, mentre mi
accomodavo sul sedile posteriore.
- “Sono infermo, ho il diritto di decidere dove voglio
sedermi per primo” si giustificò.
Cominciai seriamente a rimpiangere di non essermi trattenuta a casa di
Henry; forse una bella chiacchierata davanti al caminetto - al
caldo - sarebbe risultata più piacevole di una serata in
discoteca con quell’antipatico cronico di Nick.
- “Dove andiamo?” domandò Will, ancora
non molto pratico della città.
- “Chiedi al copilota; è lui l’esperto
di night-club” esclamai. Lui mi ignorò e
cominciò a fornire indicazioni stradali.
Sprofondai sullo schienale imbottito, mentre gli altri due si
prodigavano in discorsi da uomini dai quale preferii estraniarmi. Mi
assopii per qualche istante, finché una scrollata poco
delicata di Nick mi fece svegliare di soprassalto.
Come ho potuto anche
solo pensare di andare a letto con uno così. Per
carità!
- “Svegliati, Biancaneve” sogghignò.
- “Sei la persona più irritante che io
conosca” dissi, destandomi dalla trance in cui ero caduta.
- “Toh, guarda. Su di una cosa siamo d’accordo; lo
penso anche io di te” rispose maligno.
Ci sopportavamo a fatica talvolta e ciò non poteva che
giovare al mio sistema ormonale che moriva dalla voglia di rivederlo in
tenuta da pompiere.
Parcheggiammo l’auto e ci ritrovammo davanti ad un locale
completamente bianco chiamato White Lizard. Ci
ero già stata un paio di volte con Valerie e le altre, ma
non c’era mai stato il pienone come quella sera; almeno
duecento persone erano in fila da chissà quanto tempo per
riuscire ad entrare.
Nick si allontanò da me e Will ed andò a parlare
nell’orecchio di uno dei buttafuori che si mise a ridere e ci
fece saltare la fila chilometrica all’esterno. Mi sarei fatta
qualche problema per quei poveracci che stavano aspettando da molto
più di noi, ma sentivo il freddo che si era insidiato nelle
ossa e così tacqui e seguii gli altri nel locale, mormorando
un mi dispiace
a qualcuno dei ragazzi in coda che mi aveva rifilato
un’occhiata in cagnesco.
Una volta all’interno, lasciammo i cappotti al guardaroba e
ci guardammo attorno. Mi resi conto che non era necessario che mi
muovessi, dal momento che lo facevo già per inerzia; eravamo
pigiati l’uno contro l’altro e ben presto realizzai
che non riuscivo a stare al passo dei miei amici. Tempo una decina di
secondi e mi ritrovai sola, in mezzo ad una massa di sconosciuti che
ballavano e bevevano e per poco una tizia su di giri non mi
rovesciò addosso il suo drink.
E ora?
Mi morsi le labbra, nervosa e spaesata, fino a che una mano calda mi
afferrò per il polso e mi trascinò verso di lei.
Ecco, ora un pazzo
maniaco mi trascinerà nel bagno e mi ucciderà.
Sempre la solita vecchia paranoica Sam.
Mi feci tirare il braccio, più perché ero stata
colta di sorpresa che per una reale volontà di seguire
chiunque mi avesse arpionato.
Scavalcai un paio di persone, tra cui qualcuno che appoggiò,
da perfetto gentiluomo, la sua mano sul mio sedere.
- “Ah sei tu?” commentai quasi delusa che fosse
soltanto Nick il maniaco.
- “Chi pensavi che fosse, un pervertito?” mi
soffiò nell’orecchio, a causa della musica alta
che impediva di conversare con un tono di voce normale.
Per cortesia,
allontanati. Hai superato il tacito limite che ho stabilito con me
stessa per avere il controllo sulle mie azioni.
Ora la pelle d’oca si era estesa a tutto il corpo e temevo
non fosse per il freddo, visto che eravamo stipati nella grande sala,
premuti gli uni contro agli altri come capi di bestiame.
Aprii la bocca, intenzionata a dire qualcosa, ma non ne uscii nulla.
- “Ti senti bene?” mi guardò lui,
preoccupato, con quei due specchi che aveva al posto degli occhi.
- “Ragazzi, vi ho portato qualcosa da bere” ci
venne incontro a fatica Will, facendosi largo tra due more che non
accennavano a distogliere lo sguardo da lui.
Presi uno dei bicchieri che teneva in equilibrio tra le mani e
cominciai a sorseggiarlo, noncurante di cosa fosse quel liquido
trasparente che c’era all’interno.
Un mojito, ecco cos’era. Ma anche se fosse stato olio di
fegato di merluzzo, l’avrei trangugiato allo stesso modo.
A quel cocktail, ne seguirono molti altri per tutti e tre e, insieme,
ci scatenammo in folli danze, accantonando per qualche ora lavoro,
responsabilità, screzi personali e pure un po’ di
buonsenso.
Non sentivo più i muscoli attorno alla bocca, talmente si
erano abituati a tendersi in sorrisi e risate; sarà che
forse, essendo una musona di natura, raramente mi capitava di concedere
agli altri di vedere i miei denti per un lasso di tempo maggiore ai
tre/quattro secondi.
Non riuscivo nemmeno più a fermare le gambe, ma
ciò era più dovuto ad un fattore tecnico;
infatti, ogni volta che mi fermavo per fare una sosta, un terribile mal
di piedi mi assaliva e, perciò, meglio non pensarci e
continuare a ballare fino a che non fossi franata sul pavimento dalla
stanchezza.
Alla fine, purtroppo, dovetti cedere. La folla si stava diradando e si
stava facendo complicato riuscire a reggersi in piedi senza sostegni;
l’alcool mi aveva un po’ annebbiato la vista e, di
colpo, un sonno profondo mi stava invitando ad abbandonarmi su quel bel
letto che c’era vicino al bancone.
C’era anche
prima?
- “Va tutto bene, Sam?” chiese Will, notando la mia
espressione un po’ frastornata.
- “Se il tizio dietro di te ha due teste e tre braccia,
allora sì” dissi, biascicando le parole e vedendo
la sala girare vorticosamente davanti a me.
- “D’accordo, sarà meglio andare a
casa” decretò infine.
Mi aiutò ad uscire dal White Lizard,
evitando, tra le altre cose, che io lasciassi il mio numero di
cellulare a due tizi mai visti prima.
- “Andiamo?” domandai impaziente appena fuori.
- “Un attimo, Sam. Nick è andato a prendere le
giacche al guardaroba”.
- “Ho freddo” dissi, strofinando le mani sulle
braccia. In realtà non sentivo nulla. Mi sedetti su di un
muretto lì vicino.
- “Ma se non ti sei neanche accorta che ti mancava il
cappotto”. Mi uscì spontaneo un risolino sciocco
ed ammisi con un beccata!
che aveva ragione.
Nick non tardò ad arrivare e mi sorresse per i fianchi,
mentre mi infilavo il cappotto, sbagliando asola dei bottoni.
- “Forza, Sam, andiamo alla macchina” mi
sollecitarono, ma i miei piedi non si mossero.
Scossi la testa come una bimba capricciosa e loro furono costretti a
fermarsi.
- “Che c’è ora?” chiese Nick
spazientito.
- “Ho i piedi rotti”.
- “Immagino tu voglia dire che hai mal di piedi”.
- “Mal di piedi, quello che è,
perfettino” gli feci il verso.
Non ebbi il tempo di riflettere - non che ne fossi in grado -, che
qualcuno mi afferrò per le gambe e mi issò come
un sacco di patate sulla sua spalla.
La prima cosa che riuscii a vedere, dopo, fu un sedere: proporzionato e
sodo al tatto. Era senz’altro quello di Will, anche
perché Nick aveva un braccio rotto e non aveva ancora
riacquisito forza nell’arto.
- “Ho freddo al sedere” mi lamentai.
- “Ci credo, hai tutto al vento. E stai dando
spettacolo” mi rimproverò Nick.
Non capii quello che successe e neanche me ne interessai, dal momento
che sentii un certo calduccio sia sulle mie amate natiche che sulle
gambe e, quindi, mi concessi un meritato riposo.
Il giorno dopo, il risveglio fu tutto tranne che soft. Era come se un
mammut si fosse piazzato sulla mia testolina fragile e delicata.
Mi girai dall’altro lato come di consueto e volai per terra,
finendo sul parquet freddo e scomodo, ancora avvolta nelle coperte.
Mi massaggiai il punto in cui avevo sbattuto senza nemmeno aprire gli
occhi - per via del problema che se li avessi aperti, non sarei
più riuscita ad addormentarmi. Mi lasciai cadere a peso
morto, ma il materasso non reagì come avevo supposto ed io
mi ritrovai addosso a… qualcuno?
Spalancai gli occhi - sonno
caro, vai a farti friggere!- e ci ritrovai Nick,
indolenzito per la botta ricevuta.
- “Che diavolo ci fai nel mio letto?” gracchiai,
con una voce alterata che di sensuale aveva ben poco. Lui era ancora
intontito.
- “Punto a:
non urlare. Punto b:
è il mio letto. Punto c:
se tu ti fossi messa un po’ più di stoffa addosso,
ora non saremmo tutti e due febbricitanti. Sei la solita
intelligentona” mi sgridò.
- “Dio che mal di testa che mi fai venire”. Mi
portai una mano sulla fronte - rovente -, come se quel gesto potesse
alleviare il pulsare delle vene nelle tempie.
- “Questo ci conduce direttamente al punto d: è
colpa dell’alcool, non mia” rispose secco.
- “Che palloso che sei. Colpa dell’alcool anche
questo?”.
- “Punto e…”
tentò di replicare.
- “Prova a dire di nuovo la parola punto e ti
ritroverai all’ospedale a chiedere che te ne mettano alcuni
al labbro”.
- “Stronza” mi rimbeccò.
- “Idiota”.
- “Oca giuliva”.
- “Imbecille”.
- “Stupido io che ti do ancora retta” si
rimproverò.
- “Ecco fai un favore alla comunità:
taci”.
- “Stai zitta tu. E’ casa mia, faccio quello che mi
pare”.
- “Io non sto zitta solo perché me lo dici tu.
Anzi, quasi quasi mi metto a gridare” lo provocai.
- “Non osare” mi minacciò.
Non l’avrei mai fatto, se non altro perché non ero
nelle condizioni di utilizzare un tono di voce più alto di
quello bassissimo che stavamo usando.
- “Time out! - urlò Will, apparendo dal nulla e
provocando una fitta di dolore alla testa, sia a me che a Nick -
Bambini vi prego tacete entrambi e mettetevi l’animo in pace;
starete qui tutto il giorno e abituatevi alla presenza
dell’altro perché dovrete convivere. Vi ho
preparato qualcosa di caldo”.
Ci porse una tazza di tè e dei biscotti secchi che snobbammo
entrambi: mangiare era decisamente l’ultimo dei nostri
pensieri.
- “Tutto il giorno con lui? Voglio morire” mi
lamentai, rotolandomi nel letto, dopo aver appoggiato la mia tazzina
sul comodino.
- “Dovevi pensarci prima di farci fare tutta quella fatica. -
commentò Nick - E se proprio ti do così fastidio,
puoi sempre prendere armi e bagagli e tornartene a casa tua”.
Se solo fossi riuscita ad alzarmi…
- “Ma che fatica poi?” chiesi, improvvisamente
curiosa.
- “Nick ti spiegherà tutto. - disse Will - Io
scappo a lavoro, passerò nel tardo pomeriggio a vedere se
state un po’ meglio e, soprattutto, se non vi siete scannati.
Ah, se vi serve qualcosa… non chiamate me perché
sono da alcuni clienti!” concluse, chiudendosi la porta alle
spalle.
Fantastico! Persino il
mio vicino ora si metteva a fare dell’ironia.
Bevvi tutto il tè in pochi sorsi - avevo la bocca
prosciugata -, ustionandomi la lingua.
Nick rise sotto i baffi, ma io me ne accorsi.
- “Ti fa ridere?”. La mattina sono intrattabile.
- “Giuro che se non parli per quindici secondi non mi
offendo” esclamò.
- “Sto zitta se mi fai stare in quella parte del letto. La
preferisco, in realtà” bofonchiai.
- “E allora è un peccato che sia occupata da
me”.
- “Potremmo fare cambio, sono abituata a stare a
destra”.
- “No”, rispose, dichiarando chiusa la discussione.
Si voltò e chiuse gli occhi, intenzionato a dormire, mentre
io sbuffavo in modo rumoroso, come una locomotiva. All'improvviso,
sentimmo una suoneria provenire da qualche stanza più in
là ed io non potei fare a meno di constatare che era la mia.
- “Ma dillo, Dio santo, che sei stata creata per rovinarmi la
vita!” urlò Nick, nascondendo la testa sotto il
cuscino.
Fui costretta ad alzarmi e, in quel momento, mi accorsi che indossavo
ancora il vestito della sera prima.
- “Voi siete pazzi!” urlai, ignorando il cerchio
alla testa.
- “Che c’è ancora?”
gridò esasperato.
- “Non mi avete messo un pigiama, u-una maglietta, qualunque
cosa prima di mettermi a letto?” sbraitai, agitata.
- “E’ già tanto che ti abbia tolto le
scarpe, Sammy” ammise lui.
- “Potreste scrivere un manuale voi due: Come rovinare il vestiario di
una povera ragazza innocente.
Nick si mise a sedere sul letto, rassegnato a non poter più
dormire. Le coperte gli scivolarono fino alla vita e lui rimase a torso
nudo, lasciandomi in balia di pensieri tutt’altro che casti.
Ma stoicamente - o stupidamente, dipende dai punti di vista - continuai
a parlare.
-“Parlare con voi due è come parlare dei Puffi a
Gargamella, di topi ai cavalli…” blaterai.
Sam, fermati!
Lui mi guardò con gli occhi socchiusi, i capelli arruffati
ed il viso stanco.
- “Sei conscia, vero, che quello che stai dicendo non ha
alcun senso?” mi chiese.
Risposi con un secco sì!
e mi voltai nella direzione opposta alla sua, per non fargli vedere che
ero diventata paonazza in volto e raggiunsi il salotto. Trovai la mia
borsa ed il cellulare con due chiamate perse: Valerie.
La chiamai subito e, subito, venni investita da una valanga di domande
intervallate da un tempo così ridotto da impedirmi di
rispondere.
- “Cosa fai? Dove sei? Non vieni in ufficio oggi? Non ti
ricordi che c’è la riunione? E, per la cronaca,
davvero credi che te la lasci passare liscia per avermi piantato in
asso con Banks? Perché non rispondi?”.
- “Perché non so a quale rispondere per
prima” riuscii a dire.
- “Ops, scusa, hai ragione. Inizia col dirmi dove diavolo
sei”.
- “A casa di Nick”. Al silenzio iniziale si
sostituì un risolino eccitato.
- “Beh, allora restaci quanto vuoi, porcellina!”
esclamò, maliziosa.
- “Non è come credi. Non è successo
nulla, ho solo la febbre” mi affrettai a precisare, sedendomi
sul divano.
- “Eh, lo so. E’ l’effetto che fa il
nostro Chiappe; che ci vuoi fare, è un uomo
caliente” affermò convinta.
Ci mancava solo
l’hombre caliente!
- “Ehi, Jade, Amanda, la piccola Sammy si è
finalmente concessa a Nick” la avvertii dire
dall’altro capo del telefono.
- “Val! - la ammonii - Ti ho appena detto che non
c’è stato niente”.
- “Questione di tempo e capitolerai, tesoro. Ora scappo che
devo lavorare, tu rimani pure quanto vuoi; mi inventerò una
scusa per la tua assenza alla riunione di redazione”.
Riattaccò e io mi maledii in tutte le lingue conosciute per
aver dimenticato quella riunione. Sicuramente non era il modo migliore
per impressionare il neo arrivato Sam1; però, ad essere
onesti, nemmeno lui era un uomo modello, soprattutto in quanto a
fedeltà ed etica. Rimasi con un leggero senso di ansia,
pensando che forse, in quel modo, la tanto agognata promozione si
sarebbe allontanata. Ritornai nella camera da letto, tormentata
dall’idea che sarei rimasta per sempre una giornalista
mediocre, intrappolata nella sua voglia di sfondare e soffocata dalla
sua stessa ambizione.
Nick dormiva - o forse fingeva - ed io avrei tanto voluto imitarlo, ma
mi scocciava spiegazzare ulteriormente il vestito. Ed era piuttosto
ovvio che mai mi sarei ridotta a restare in reggiseno e slip con lui
nello stesso letto.
- “Prendi una maglietta dall’armadio” mi
disse, girandosi verso di me e leggendomi nel pensiero.
Aprii due delle quattro ante e il suo profumo, misto a quello di
pulito, mi investì. Le camicie - miliardi - erano tutte
appese e stirate in modo perfetto e i pantaloni erano piegati a dovere.
- “In basso a sinistra” mi suggerì.
Una pila di t-shirt colorate catturò la mia attenzione ed io
ne scelsi una blu scura.
- “E’ la mia preferita. - constatò,
dandomi un’occhiata fugace - Guai a te se me la
sgualcisci” mi avvisò.
Si voltò educatamente dall’altra parte,
affinché io mi potessi togliere il vestito ed infilare la
sua maglietta.
- “E’ lunga quanto il mio vestito”
sorrisi.
Lui si rigirò e mi guardò, annuendo e lasciandomi
in uno stato di puro imbarazzo.
- “A proposito, raccontami di come sono finita nel tuo
letto” dissi, per stemperare la tensione, mentre mi rimettevo
al suo fianco, sotto le coperte.
- “La verità è che eri ubriaca marcia
e, come avevo predetto, usciti dal locale, stavi morendo di freddo. In
più tutti ti stavano ammirando il sedere, così mi
sono sfilato la giacca e ti ho coperta. Poi Will non trovava
più le chiavi della macchina, per cui siamo rimasti
all’aperto fino a che non le ha trovate al guardaroba
del White Lizard.
Nel frattempo io e te ci siamo beccati una bella influenza. - stava
elencando tutti gli avvenimenti come fosse la lista della spesa - Siamo
tornati qui e ti abbiamo messa in quarantena con me in questo letto,
mentre Will ha dormito nell’altra camera”.
- “Oh” fu il massimo che riuscii a dire.
- “Già” commentò lui ironico.
- “Grazie” dissi sottovoce.
- “Cos’hai detto, scusa?” mi
domandò lui per costringermi a ripeterlo più
forte.
- “Grazie!” urlai e Nick si sciolse in una risata
compiaciuta.
In quell’istante arrivò un assonnatissimo Mister
che saltò sul letto e si accovacciò di fianco a
Nick, che, in risposta, gli accarezzò il muso.
- “Ehi, cucciolo” lo salutai, ma lui neanche si
accorse della mia presenza.
- “Non si accorgerà di te fino a mezzogiorno.
Prima di quell’ora è totalmente in coma”.
- “Dov’è stato finora?”
domandai.
- “Nel seminterrato. Poi, quando comincia ad avere freddo,
viene qui a cercare un po’ di caldo” mi
spiegò.
Sorrisi dentro di me e mi avvicinai un po’ a lui, pensando
che Mister non era l’unico che riuscisse a trovare calore
soltanto vicino a Nick.
Buon
pomeriggio!
Questa
settimana sono stata sull’orlo di cancellare la storia
perché ero terribilmente incazzata con il mondo e,
ancor di più, con me stessa. Ma visto che odio lasciare le
cose a metà –e soprattutto perché odio
le autrici complessate- ecco il nuovo capitolo.
La
canzone del titolo è “Light My Fire” dei
The Doors.
Risposte
alle recensioni tra pochissimo!
Non
sono certa di aggiornare settimana prossima causa esami/lezioni,
scusatemi!!
Happycloud
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Capitolo 14 *** Capitolo 14. Rolling In The Deep. ***
Capitolo
quattordici. Rolling In The Deep.
- “Ah!”. L’urlo soffocato di Nick mi
riscosse dal dormiveglia. Dopo l’arrivo di Mister, la
conversazione si era fatta via via sempre più rada, fino ad
estinguersi del tutto, sopraffatta dalla volontà di entrambi
di arrendersi al sonno.
Sbattei le palpebre ripetutamente e mi voltai verso l’altra
metà del letto.
- “Che fai?” domandai d’istinto,
sbadigliando.
- “No, che fai tu!” ribatté.
Un attimo, con ordine
perché qui qualcuno ha le idee confuse.
- “Io cosa?”.
- “Togli immediatamente i tuoi piedi congelati dal mio
polpaccio!”
Solo allora agitai le gambe, come a verificare che le accuse di Nick
fossero fondate; sì, i ghiaccioli erano proprio miei ed
erano proprio appoggiati sulla sua pelle caldissima.
- “Ma ho freddo!” mi difesi.
- “E quindi li metti su di me?”.
- “Altrimenti come faccio a scaldarli?” gridai,
come se fosse la cosa più logica del mondo.
- “Questo è un problema mio
perché…?”.
- “Perché sono tua ospite!”.
- “Non ricordo di averti invitata a restare”. Che antipatico.
- “Bla bla bla. Poco importa. Il fatto è che sono
qui”.
- “E questo ti autorizzerebbe ad usarmi come
stufetta?” chiese scettico.
- “Certo che no!” esclamai.
- “Grazie badrona” scherzò.
- “Questo mi autorizza a chiederti di fornirmi un altro
cuscino, di un’ulteriore coperta e di un paio di calze
antiscivolo. Ti ringrazio” terminai.
- “Nient’altro, Sammy?” chiese, ironico.
- “Per il momento basta così” lo
rassicurai.
- “Allora: un altro cuscino ti farebbe venire dei dolori alla
cervicale, di un’altra coperta non se ne parla
proprio, ci saranno 80°C qui sotto! Ed io non ho calze
antiscivolo: ho passato l’infanzia da un pezzo”.
- “Oh, Nick, non essere così severo con te stesso.
Sono certa che qualcosa del te bambino è rimasto;
quell’embrione di cervello, ad esempio, mentre mi auguro che
il cannoncino che hai nelle mutande, invece, sia cresciuto nel
frattempo”.
Lui sorrise, per nulla turbato o ferito dalle mie parole.
- “Il cannoncino è più che cresciuto,
tranquilla. - si voltò verso di me, il gomito puntato sul
materasso e la testa appoggiata sul palmo della mano - Dì la
verità: un assaggio al mio pasticcino lo daresti”
mi sfidò.
Sbarrai gli occhi, sorpresa di quella insinuazione così
esplicita ed inaspettata. Nascosi il viso sotto il lenzuolo per una
frazione di secondo, raccogliendo le idee e cercando di mettere insieme
una risposta adeguata alla provocazione ricevuta.
- “Mi dispiace, non sono un’amante dei
dolci”.
Questa la chiami
risposta?
- “Credimi, ti piacerebbe, Sammy. Nessuna si è mai
lamentata; una volta provato, divento una droga da cui si è
totalmente dipendenti”.
- “Cielo, hai la febbre, ma la tua autostima non sembra
risentirne”. Meglio tenere la mente occupata su uno dei suoi
difetti, piuttosto che pensare a qualche molto-poco-biblico atto impuro.
Nick si avvicinò e mi passò l’indice
sulle labbra socchiuse.
- “Tu la chiami autostima, io la chiamo realtà,
Sammy” disse a distanza ridotta dal mio viso.
Io drogata di lui? No! Io provare lui? Un uomo sexy e assurdamente
bello, mezzo nudo nel mio stesso letto, con delle spalle in cui forse
m’incastrerei bene, con delle mani che forse mi toccherebbero
come nessun altro mai, con una bocca che di sicuro sa dare emozioni e
degli occhi che di sicuro ti solcano l’anima? Pfff, certo che no. Giusto?
- “Piantala! - lo allontanai, premendo il braccio sul suo
petto, fino a farlo tornare sdraiato dalla sua parte - Ho davvero
bisogno di dormire ora; la testa mi scoppia e sto morendo di caldo, ma
ho i piedi freddi e, se ho i piedi freddi, non riesco a
dormire”.
- “Allora funziono”.
- “Eh?”.
- “Prima volevi la coperta, ora non più. Sono io
che ti faccio questo effetto, è palese. Dio, non mi
smentisco mai”. Piegò e poggiò il suo
braccio sopra la testa, crogiolandosi nel suo ego.
Che presunzione. Che poi avesse ragione era tutto un altro paio di
maniche. Difficile spiegare che cosa avesse di particolare, ma tutto
ciò che faceva risultava naturale e sensuale ed eccitante e
coinvolgente e… okay, penso si sia capito.
- “Vuoi guardare un film?” domandò,
anche se era chiaro che avrebbe preferito continuare a sonnecchiare.
- “Sì! - risposi sognante - Sweet November, ti
prego!”.
- “Per carità, niente piagnistei” disse
schifato.
- “Armageddon?”
proposi.
- “Stai per frignare solo all’idea. Scegli un altro
genere”.
- “A pensarci bene, meglio qualcosa che non abbia un filo
logico da seguire”. Gli rubai dalle mani il telecomando e
cambiai ripetutamente canale, finché non approdai su MTV.
Strano, ma vero, c’era il video dell’ennesimo
singolo di Rihanna, con l’ennesimo look improbabile formato
da cose - non si potevano di certo definire abiti - che nemmeno un
cieco avrebbe abbinato così male. Nick la guardò
interessato ed il mio orgoglio incassò malamente il colpo.
Trucco sfatto, occhiaie a profusione, capelli senza piega: anche io
avrei guardato lei, invece che me! La mia autostima mi
ricordò che con una squadra di make-up artists e
parrucchieri, persino la più cozza delle cozze poteva
diventare una diva, ma nulla poté il mio ego di fronte
all’evidenza che, comunque, lui stava guardando lei e non me.
Ma che me ne importa,
poi?
Grazie al cielo, la canzone - e annesso pseudo balletto -
terminò, lasciando posto ad una più formosa Adele.
There’s a
fire starting in my heart...
Che fosse a conoscenza pure lei delle fiamme che imperversavano il mio
corpo da alcune settimane?
Reaching a fever
pitch, it’s bringing me out of the dark.
La cosa si stava facendo inquietante a quel punto.
- “E’ la nostra canzone” disse Nick,
girandosi verso di me con un mezzo sorriso sul volto.
Nostra?
C’era qualche cosa che si potesse definire nostra?
- “Co-come, scusa?” gli chiesi titubante.
- “L’influenza ti ha resa anche sorda? Ho detto che
è la nostra canzone: di febbre qui ce
n’è in abbondanza”.
Le sue parole infransero i miei pensieri.
- “Ah” esclamai. Lui vedeva una parola - febbre -, mentre
io guardavo oltre: il verso, la strofa, l’intera canzone.
L’insieme.
- “Patatine?” mi chiese, aprendone un pacchetto
che, per conto mio, poteva essere apparso dal nulla. Controllai il suo
comodino e vidi che era pieno zeppo di schifezze. Schifezze buone,
però.
- “Passami la cioccolata” gli risposi, allungai la
mano e Nick me la riempì con alcuni pezzetti.
- “Tutta la tavoletta”. Lui obbedì ed io
mi ritrovai con un piccolo tesoro a portata di bocca; era quella al
latte con il riso soffiato, la mia preferita.
Altro che barretta,
portatemene un container!
La scartai e cominciai a divorarla, dimenticando il bon-ton a cui tanto
mia madre teneva.
- “Non fa venire i brufoli, quella roba?”. Di chi
era quella fastidiosa voce?
Nick non peggiorare la
tua situazione.
- “Pazienza. Ma fai in modo che nessuno sappia che sono una
porcellina”. Solitamente ero priva di malizia,
perciò non pensai che la mia frase potesse scatenare una
scia di doppi sensi.
- “In realtà, non so fino a che punto tu lo
sia”.
- “Nei tuoi sogni, Nick”. Veramente nei miei, ma
non importava.
- “Non ho mai detto di volerla”.
- “Sei un cafone” sputai, stizzita.
Abbandonai la cioccolata sul comò, irritata dalla piega che
stava assumendo la conversazione.
- “Non ho mai detto neanche di non volerla”.
- “E’ il problema di tutti gli uomini; volete una
parte, non l’intero pacchetto. Troppe
responsabilità, sia mai!”
- “Mi mancava la Sammy moralista. E’ tornata senza
neanche far ricorso all’aspirina. Anche questo è
merito mio?”
Proprio non capiva che c’era un tempo per tutto e quello non
era il momento di scherzare.
- “Tu leggi febbre,
io leggo fuoco che ti
porta fuori dall’oscurità. Tu vedi il
culo di Rihanna, io vedo la ragazza, tutta intera. Sei superficiale,
non vai mai ad indagare un po’ più a
fondo” lo accusai.
- “Le ipotesi sono due: o è la febbre che parla o
sei gelosa marcia del fatto che stessi guardando il culo di Rihanna e
non il tuo”.
- “Come al solito non hai capito nulla. Se non fosse che non
mi va di alzarmi, a questo punto farei un’uscita di scena
teatrale da donna indignata per quello che hai appena detto”.
Nick si acquattò vicino a me e mi soffiò
sull’orecchio.
- “Tesoro, non preoccuparti. È che il tuo lo
conosco a memoria, ormai”.
Mi voltai dall’altra parte, indecisa sul come sentirmi. Avrei
dovuto essere offesa per le sue insinuazioni o gongolante per il fatto
che si fosse studiato il mio fondoschiena? Nel dubbio, optai per
bofonchiare qualcosa d’insensato a bassa voce e godermi la
sua risata alle mie spalle, prima di riaddormentarmi con ancora le note
di Rolling in
the deep in sottofondo.
- “Ragazzi, il vostro amico è tornato!”.
La voce fastidiosa di Will ci giunse di qualche ottava superiore al
desiderato e si fece sempre più vicina.
- “Che ci fate ancora nel letto?” disse, entrando
nella camera da letto e cogliendoci ancora assonnati e avvolti dalle
coperte.
- “Siamo malati. Lasciaci in pace”
protestò Nick e, per una volta, non potei che essere
d’accordo con lui.
- “Dai su! - ci scostò la trapunta e
aprì le finestre - Svegliatevi e andate a mangiare qualcosa
di sano. Cosa sono queste schifezze?”. Ci rubò
tutto il corredo di patatine, popcorn, cioccolata e caramelle e lo
gettò direttamente nel cestino. Spense la tv e ci costrinse
ad alzarci e raggiungere la cucina.
- “Vi ho portato qualcosa da mangiare: cibo vero. Minestra di
verdure, petto di pollo e, se mangiate tutto, c’è
anche una sorpresa”.
- “Ma che ore sono?” chiesi in tono un
po’ acido.
- “Sono le otto” mi rispose Will.
- “Le otto?” gridammo quasi all’unisono
io e Nick.
- “Già. È tutto il giorno che dormite,
è tempo di svegliarvi”.
- “Certo che se avessi scelto un menù
più invitante, forse sarebbe più
facile” commentai.
- “Io ho fame. - lo difese Nick - Inghiottirei qualunque cosa
al momento”.
- “Bene. Sam, lasciati coinvolgere dallo spirito di Nick. Io
esco per un’oretta”.
- “Di nuovo?” gli chiesi.
- “Una birra con i colleghi, ma tornerò in tempo
per il piatto forte” promise.
- “Sicuro che la bionda che ti concederai non sia in carne ed
ossa?” domandai.
- “Sicurissimo. Sei tu l’unica donna nella mia vita
al momento, Raviolo” mi abbracciò e mi
baciò la testa.
Che uomo da sposare.
Nick ci guardò perplesso; forse davvero ignorava la natura
del nostro rapporto e, ad essere del tutto onesta, non era facile
capire che eravamo amici, amanti all’occasione - anche se ne
era passato di tempo dall’ultima volta - e ci volevamo un
sacco di bene.
- "Raviolo?” domandai stupita, tornando alla conversazione.
- “Sì, sei tutta ripiena di germi, tesoro. A
dopo”. Salutò Nick con un gesto della mano ed
uscì dalla porta.
Il padrone di casa cominciò a trarre da un cassetto due
tovagliette americane con due tovaglioli coordinati. Un tenue senso di
colpa si fece largo dentro di me e decisi di aiutarlo ad apparecchiare;
spostai delle posate, ma subito Nick mi bloccò il braccio,
costringendomi a mollare la presa.
- “Il coltello va a destra” mi
rimproverò, prima che urtassi la brocca d’acqua
sul tavolo che solo grazie ad un suo riflesso, non rovinò a
terra in mille pezzi. Venni incenerita da due occhi color ghiaccio.
- “Stai ferma che è meglio. Siediti” mi
ordinò.
Obbedii e mi sedetti di fronte a lui. Cominciammo a mangiare in
silenzio; lui, che pareva irritato dalla mia sola, goffa presenza, io
timorosa di combinare qualche altro pasticcio anche solo respirando. Fu
lui a interrompere lo stato di totale imbarazzo con una sonora risata
che mi spiazzò.
- “Hai paura a parlare, ora?”.
Colsi la palla al balzo e passai all’attacco.
- “La verità è che ogni volta che apri
bocca mi fai venire l’orticaria, perciò meno
interagiamo, più diminuisce la probabilità che io
debba consultare un dermatologo”.
- “Chissà com’è, ma con te si
sbaglia sempre. Avrei fatto meglio a non dire
nulla…” cominciò, ma non lo lasciai
continuare; ormai mi aveva autorizzato a buttare su di lui ogni
frustrazione relativa alla febbre, al dover stare chiusa in casa sua
con lui, alla promozione forse mancata, al perché delle
mestruazioni alle donne, alle guerre, alla crisi economica… è bene che
il mondo sappia chi è il responsabile di tutto questo: Nick
MacCord.
- “Ti rendi conto di avere un problema, vero? Non faccio a
tempo a far cadere qualcosa o a stropicciare qualcos’altro
che tu lo raccogli o lo sistemi” gli feci notare.
- “Scusa se amo vivere in una casa senza polvere e con ogni
oggetto al suo posto” si giustificò.
- “La tua mania per l’ordine e la pulizia
è persino irritante”.
- “Sono preciso, Sammy. Immagino sia
l’eredità di una nonna tedesca nata sotto il
nazismo”.
- “Che bravo nipotino” lo schernii.
- “Vedo che stai guarendo! Il sarcasmo è tornato a
livelli normali” constatò, cercando in qualche
modo di raccogliere le verdure con il cucchiaio.
- “Effettivamente sono serena”.
- “Dopo avermi usato come capro espiatorio di tutti i tuoi
problemi, ti sfido a non esserlo”. Si alzò, prese
entrambi i piatti e li posò nel lavandino.
Rimasi zitta. Me la stavo prendendo con lui, giusto per prendermela con
qualcuno e sfogarmi.
- “Aaah… ci rinuncio! - esclamò,
gettando le posate in mezzo alla tavola, in malo modo - Non riesco
nemmeno a mangiare con questo stupido braccio rotto. Sono un imbranato
a tenere la forchetta con la destra!”.
- “Ehi, su. Mica è per sempre! Ancora qualche
settimana e tornerai come nuovo” tentai di rincuorarlo.
- “E’… frustrante stare a casa a far
nulla”.
- “No, aspetta un attimo: esiste una qualche forma di mutua
per gli stripers?”. Ero scioccata.
- “Esiste il buon senso. Il mio capo pensa che io non sia
abbastanza proficuo al momento” ammise controvoglia.
- “Sei solo stato sfortunato. Armati di pazienza”.
- “Dovrebbe consolarmi quello che stai dicendo?”
sembrava davvero abbattuto ed io mi persuasi che forse dargli una mano
senza che lui me lo chiedesse espressamente - anche perché
non l’avrebbe mai fatto - sarebbe servito a risollevargli il
morale. Dopotutto, glielo dovevo, dal momento che gli avevo rovesciato
addosso tutte le mie preoccupazioni.
Presi la forchetta che lui aveva gettato in mezzo alla tavola e mi
spostai sulla sedia accanto alla sua.
- “Che vuoi fare?” mi domandò, vedendomi
avvicinare a lui con quella che doveva aver considerato
un’arma impropria.
- “Siamo amici, no?” lo tranquillizzai.
- “Così pare” disse, senza abbassare la
guardia.
- “E cosa fanno gli amici? Si aiutano a vicenda”.
Oh, sì, Sam!
Vuoi cantare una canzoncina a suggello di questo momento di puro pathos
tra due finti amici?
Tagliai il petto di pollo in pezzi e ne inforcai uno, avvicinandolo
alla bocca di Nick.
- “Stai scherzando, spero”. si allontanò.
- “Ti voglio solo dare una mano!”.
- “Di solito le donne che mi danno una mano lo fanno in un
altro modo” disse malizioso.
- “Per un attimo smetti i panni del macho e apri la bocca. -
la socchiuse per parlare, ma io lo precedetti e ci infilai la carne - E
risparmiami qualsiasi tipo di battuta del tipo 'di solito sono io che dico alle
altre di aprire la bocca'”.
- “Stavo per dirti grazie,
ma mi segnerò la tua battuta per un’altra
occasione”. Arrossii per essermi spinta tanto oltre con una
frecciatina, ma lo vidi rilassato e finsi con me stessa di non aver
pronunciato quelle parole.
Continuai ad imboccarlo, evitando di guardarlo negli occhi per non
incrociare il suo sguardo da playboy che mi avrebbe fatto cadere da
terra, squagliata. Non avevo preventivato che una mia azione, per
così dire, caritatevole potesse trasformarsi in qualcosa di
così intimo da farmi tremare la mano in cui tenevo stretta
la forchetta.
Dio come vorrei essere
quel pollo… chiaramente non per la parte della morte
violenta, della macellazione, della spartizione in mille pezzi, ma per
quella in cui si viene a contatto con la bocca di Nick e la sua lingua.
Era la febbre che parlava, di sicuro! Chi può desiderare di
essere un animale che sta per essere mangiato?
Mi serviva un diversivo, qualcosa che mi distraesse dal fare voli
pindarici con la mente; e avevo già un’idea. Aprii
il frigo e ci trovai quello che Will considerava la sorpresa: un
vassoio di pasticcini colmi di creme e frutta. Il padrone di casa
osservò con curiosità tutti i miei movimenti,
dalla cucina fino, di nuovo, accanto a lui.
- “Non dovremmo aspettare Will prima di mangiarli? Passeremmo
da maleducati” constatò.
- “Non sei tu quello che ama infrangere le regole?”.
- “Cosa intendi, di preciso?” chiese confuso.
- “Non so… vediamo: - presi tra le mani uno dei
dolcetti e lo analizzai da cima a fondo - non credi che abbia una
forma… aerodinamica?” dissi con uno sguardo che
non lasciava presagire nulla di buono.
Nick sbarrò gli occhi, timoroso che io fossi intenzionata a
portare a termine quello che avevo pensato di fare.
- “Non…” iniziò.
Paff. Lo
lasciai cadere sul pavimento e, per completare l’opera
d’arte moderna, ci misi sopra il piede nudo e lo spalmai
sulle piastrelle attorno.
- “Sammy” gridò quasi isterico, ma
pietrificato sulla sua sedia.
Ne presi un altro e glielo spiaccicai sul viso, ridendo a crepapelle
del suo stupore e dell’ammasso di panna che gli copriva
interamente una guancia, il naso e parte della fronte.
- “Non reagisci? - lo provocai - Comincia subito a ripulire,
svelto!”. Lo derisi e lui si alzò, elaborando un
piano per farmela pagare cara. Molto cara.
Afferrò un pasticcino alla frutta e mi rincorse
finché non riuscì a prendermi per un braccio e a
contraccambiare lo sgarbo in piena faccia. In pochi minuti finimmo
l’intero vassoio, sporcando ogni singolo angolo della cucina
e di noi; quasi non riuscivo a vedere, talmente le ciglia erano
impregnate di pasta e crema pasticcera. Per finire in grande stile,
scivolai sullo stesso dolce che io avevo schiacciato per terra,
battezzando il mio sedere con una bella se dolorosa strisciata sulle
mattonelle.
- “Ehi! Sono torna…” la voce di Will gli
si spense in gola e lui non terminò nemmeno la frase.
- “Ciao” dissi timida da dietro lo schienale della
sedia che mi nascondeva quasi del tutto.
- “Ma che è successo? E’ un campo di
battaglia!”. Avanzò verso il tavolo, dal quale
spuntò Nick con i capelli bianchi a causa della panna.
- “Si chiama uso alternativo delle risorse”
azzardò quest’ultimo, improvvisando un sorriso di
circostanza.
- “I miei pasticcini! Siete due animali! - ci
rimproverò - E ora filate a lavarvi
immediatamente”.
Fece due passi e immerse il dito in uno dei rimasugli di dolce che
c’erano su di un piatto, mentre noi rimanemmo immobili. Lo
assaporò e si lasciò scappare un gemito di
piacere.
- “Che spreco… bastardi!” prese il
vassoio vuoto e lo picchiò in testa a Nick che lo
evitò di un soffio.
Scoppiammo tutti e tre a ridere, trascinando anche Will per terra.
- “E’ stata lei!” mi incolpò
il padrone di casa. Il mio vicino mi squadrò con sguardo
indagatore.
- “Quoque tu, Raviolo?”.
- “Non puoi credere a lui, Willy. Lo sai che ti adoro! - mi
avvicinai e feci per abbracciarlo, ma lui si scansò - Vieni
qua, topolino mio” provai ad ammorbidirlo.
- “Forza, è ora di andare a farsi una doccia.
Raviolo, con te dopo facciamo i conti! Ma dov’è
Mister?”.
- “Nel seminterrato. Credo che ci sia la cagnetta del vicino
che gli sta facendo girare la testa. Oggi non ha nemmeno mangiato.
L’amore…”.
- “Vado a recuperarlo. Poi vi aspetto in salotto: giocano i
Lakers stasera e da quando sono a Londra me ne sono perse troppe di
partite. Sbrigatevi, su!” ci sollecitò.
Nick si diresse ciondolante verso il bagno, Will scese in cantina
mentre io, al contrario, mi trattenni qualche minuto in più
in cucina, giusto per sistemare il grosso del casino che avevo
contribuito a creare. Andai verso il secondo bagno, dal momento che
l’altro doveva essere occupato da Nick. Entrai, osservandomi
la maglietta imbrattata di ogni genere di cibo, sconsolata dal fatto
che avrei dovuto trovare il programma giusto per lavarla, data la mia
totale incapacità ad usare la lavatrice.
- “La mamma non ti ha insegnato a bussare?” alzai
lo sguardo dalla t-shirt, terrorizzata da quello che avrei potuto
vedere. C’impiegai qualche istante a rendermi conto di averlo
davanti agli occhi, pronto a levarsi i boxer per entrare in doccia,
munito di una protezione trasparente per il gesso, sul quale svettavano
comunque dei baffi di crema.
Uno. bastò un
secondo per farmi diventare viola dall’imbarazzo e tornare in
fretta da dov’ero arrivata.
Uno. Sarebbe bastato un
secondo in più per beccarlo come mamma l’aveva
fatto.
Uno. Se fosse bastato un
secondo a cancellare la sua immagine quasi totalmente nuda…
- “Scusa! Pensavo fossi nell‘altro
bagno.” gli urlai dall’altra parte della porta.
- “Bella scusa! Usalo tu l’altro; ci troverai
accappatoio e asciugamani puliti” mi rispose.
Cielo, che situazione!
Entrai nella seconda toilette: era lilla, profumava di lavanda ed
ospitava una grossa vasca nella quale mi immersi, dopo averla riempita
di acqua calda colma di schiuma. Appoggiai le braccia sul bordo, come
ad assicurarmi di non annegare e mi godetti quel momento di relax e
calma dopo la tempesta - ormonale -; anche perché poi non
sarei mai più uscita da quel bagno. Piuttosto avrei scavato
con un cucchiaino nel muro, come una carcerata, per riuscire a tornare
a casa senza incrociare Nick.
- “Ma che bel pesciolino!”. Quella voce mi fece
trasalire e slittare sul fondo.
Tutta colpa mia che, da quando vivevo sola, avevo perso
l’abitudine di chiudere le porte a chiave.
- “Esci subito!” mi coprii per il possibile con la
schiuma, mentre lui avanzava verso di me con addosso un paio di
pantaloni ed una canottiera scura.
- “Dovrei? - mi chiese scettico - Perché, sai, ho
pensato di pareggiare i conti”.
- “Okay, l’hai fatto! Ora, vattene!”
gridai, impaziente che varcasse di nuovo la soglia
dell’uscio. Ma lui mi raggiunse, si abbassò e
sfiorò leggero con la punta delle dita della mano destra il
pelo dell’acqua, paralizzandomi e causandomi
un’infinità di brividi lungo la spina dorsale.
- “D’accordo. Penso di aver visto tutto quello che
c’era da vedere” si alzò di scatto e
fece per uscire.
Rimasi zitta per non rovesciargli addosso le peggiori parolacce che mi
stavano intasando i pensieri.
- “Sei proprio un… un…”.
Possibile che non mi venga in mente un insulto, che sia uno?
- “Compra una vocale, Sammy. E poi non dire che non vado nel
profondo delle cose; ti ho osservata per bene” mi disse e
tornò in camera, canticchiando Rolling in the deep.
Come travisare il senso delle parole: aveva messo sul piano fisico un
concetto che di fisico non aveva nulla. Gli uomini.
Lasciai che l’acqua mi coprisse fin sopra la testa e mi lavai
piano, con il chiaro intento di procrastinare il più
possibile l’incontro con Nick. Mi rimisi il vestito e le
scarpe della sera precedente e presi un respiro prima di riaffrontare
la realtà.
- “Piaciuta la sorpresa?” mi chiese sorridente,
quando arrivai in camera, sentendo in sottofondo le grida di Will,
preso dalla visione dell’NBA.
- “No comment. Sei un pervertito. Un pervertito che, per
giunta, non ha capito nulla del mio discorso. Non che sia una
novità che tu non capisca una cosa…”.
- “Volevi profondità e la mia analisi del tuo
corpo lo è stata. Certo, manca ancora la terza dimensione da
sperimentare, ma quella dipende da te”.
- “È la proposta di fare sesso più
strana che abbia mai ricevuto e alla quale, con costernazione, rispondo
no”.
Non vuoi pensarci?
- “Sono una persona originale. Comunque, passiamo alla
scommessa”. Andò alla scrivania e prese il solito
sacchetto trasparente pieno di bigliettini.
Ci misi la mano dentro e ne trassi uno.
- “Tecnico del computer” lessi ad alta voce,
annoiata.
- “Sarà ora che faccia una telefonata a
Lyla”. Sarà
ora che faccia una telefonata a Lyla, gnegnegne.
- “Come vuoi. Per me è ora di tornare a casa.
Grazie dell’ospitalità, sei un padrone di casa
fantastico” scherzai.
- Oh, mi mancherà la tua simpatia” rispose a tono.
Raggiungemmo Will nel soggiorno ed io dovetti letteralmente scollarlo
dal divano e costringerlo a ritornare in macchina.
- “Allora ciao”. Ci salutammo frettolosamente ed io
salii sull’auto del mio vicino. Lui inserì un cd
e, neanche a dirlo, le note della ormai celeberrima canzone di Adele
risuonarono nell’abitacolo.
- “Ha ragione Nick. È davvero bella”.
- “Cosa?” domandai, guardando distrattamente le
macchine attorno a noi.
- “Questa canzone. Mi ha fatto questo cd prima, mentre tu eri
nel bagno”.
Mi scappò un sorriso, indecifrabile persino ai miei occhi;
ero certa che quel brano fosse più un messaggio per me che
per Will. Sì, era proprio per me.
Che stesse diventando davvero la nostra canzone?
Tornata!
Finalmente, dopo un pomeriggio di scrittura, riesco a pubblicare :D Mi
scuso per il ritardo, ma purtroppo ve lo avevo anticipato che non sarei
riuscita a farlo prima! Ringrazio tutte per
l’appoggio/supporto fornito e mi auguro di non aver fatto un
casino con questo capitolo che è stato un vero parto:
l’ho girato e rigirato venti volte prima di trovargli una
sistemazione definitiva.
Spero
di trovarvi qui anche la prossima volta!
Baci
a profusione!
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Capitolo 15 *** Capitolo 15. Lies. ***
Capitolo
quindici. Lies.
- “Prova, prova… questo coso va? Bene! Che
fantastica mattina, redazione! Qui che vi parla
c’è la vostra Valerie Dupont che stamani vuole
assolutamente parlare con una di voi. E’ donna, è
bella e talentuosa: è Sama…”. Arrivai
in tempo a spegnere l’altoparlante, prima che il mio nome
fosse urlato ai quattro venti. L’avevo capito ancora al primo
prova che
la destinataria della buffonata sarei stata io.
- “Non potevi usare l’interfono?” le
chiesi, con un accenno di disappunto.
- “Naaaah, te lo saresti aspettato. E poi ho speso un mucchio
di soldi per questo aggeggio e solo ora realizzo di non averlo mai
usato!” rispose, quasi scioccata per la sua stessa mancanza.
- “Prometto di non dire nulla agli sponsor sulla tua
efficiente gestione dei loro soldi”.
- “Ti ringrazio. Ma passiamo subito all’argomento
Chiappe.” mi sorrise, furba.
- “Non c’è niente da sapere,
perché niente è successo” la smontai.
- “Ma non eri a casa sua?” domandò.
- “Sì”.
- “Non hai dormito con lui?”.
- “Sì, però impedisci al tuo cervello
malato di partorire strane idee”. Lei mi zittì.
- “Quindi non sai neanche se è ben
fornito” commentò delusa, sbuffando sui fogli che
aveva sulla scrivania.
- “Per quanto ho visto mentre eravamo in bagno, parrebbe di
sì” alzai le spalle, ingenua.
- “Sei andata in bagno con lui?” strillò
eccitata.
- “Sì” risposi come se fosse la cosa
più normale del mondo infilarsi nel bagno di un amico e fare
considerazioni sulle sue doti.
- “Cioè, - mi affrettai ad aggiungere - sono
entrata per caso mentre lui stava per fare la doccia. Ma era ancora in
boxer, non ho visto nulla”. Ero agitata, farneticavo, troppo
presa dal tentativo di fornire spiegazioni valide.
- “Per caso?
Si dice così ora?” scherzò.
- “Giuro, Val. È stato imbarazzante, soprattutto
quando lui si è vendicato. E…” mi
bloccai. La vidi aprire frenetica la sua agenda e cominciare a scrivere
qualcosa rapidamente con la sua solita calligrafia illeggibile da
gallinaceo.
- “Ti prego, continua” mi esortò, al
limite dell’implorazione, senza distogliere lo sguardo da
quello che stava scarabocchiando.
- “Che fai?”.
- “Prendo appunti. - rispose, tranquilla. La mia faccia si
trasformò in un unico, grande, gigantesco punto
interrogativo e lei si sentì in dovere di darmi
un’ulteriore spiegazione - Tesoro, sto con Jonathan da anni e
siamo entrati nella routine quotidiana ormai da parecchio. Voglio solo
tenermi aggiornata sui nuovi giochetti erotici”.
- “Giochetti che?” sbottai.
- “Giochetti che non fanno altro che aumentare la tensione
sessuale. Dio, come ho potuto lasciarmi convincere a farmi mettere
questo stupido anello nuziale al dito?”.
- “Io lo detesto!” gridai.
- “Ciambellina, ti conosco come le mie tasche,
perciò è inutile che cerchi di
intortarmi” accusò.
- “Non lo sto facendo, credimi”.
- “Oh, santo cielo! Lo sapevo. Val, diamine hai venticinque
anni - disse a sé stessa, facendosi un forte sconto
sull’età - e non l’hai
capito?!”.
Ero parte di una discussione di cui mi sfuggiva in continuazione
l’oggetto principale.
- “Sei nella fase
forsemaforseno. Lui ti piace, è un misto tra
stronzaggine e tenerezza che ti fa andare in tilt neuroni e ormoni, ma
sei convinta che questa cosa non porti da nessuna parte e,
così, preferisci fingere che la tua amica lì
sotto non ti stia portando dritta da lui”.
- “Veramente mi sembra che la mia amica mi stia portando da
un tecnico del computer, ovvero la mia nuova sfida
settimanale”.
- “Perché non sono nata dieci anni dopo? Avrei
fatto faville con questi giochetti”.
- “La tua teoria fa acqua da tutte le parti,
perché se fossimo attratti l’uno
dall’altra non ci spingeremmo reciprocamente nelle braccia di
altri” le feci notare.
- “Fa tutto parte di un progetto più
grande” esclamò convinta. Balle.
- “Come no. - risposi scettica - Comunque, scoperto qualcosa
su Sam1?” cambiai argomento.
- “Ci sono delle novità. Stasera rimarrai tu con
lui in ufficio” disse, trionfante. Ci avrei scommesso
l’osso del collo che non vedeva l’ora di dirmelo da
quando mi aveva vista uscire dall’ascensore.
Ecco: questa non era di
certo una bugia.
Feci una smorfia di dolore; sì, perché
trascorrere una serata in compagnia del mio capo a scartabellare
fascicoli, mi avrebbe prodotto un fastidio pari al mal di pancia:
qualcosa di fisico.
In quel momento entrò quell’adorabile donnicciola
che rispondeva al nome di Katy.
- “Val, - disse ignorandomi del tutto - ho parlato con Sam1
per la questione degli straordinari di Sam2”.
- “Ehi, ti rendi conto che io sono qua, vero?” le
domandai.
- “Come se m'importasse…”. Ma non si può
strozzare con la sua stessa acidità?
- “Avevi parlato di stasera, se non sbaglio. - disse,
chiedendo una conferma a Val, che annuì - Bene, visto che
c’è un sacco di roba da sistemare, ho deciso di
aggiungerci qualche giorno” ammise tranquilla.
- “Tu cosa?” urlai. Lo scotto da pagare per essere
uscita con Christian si stava facendo un po’ troppo alto,
considerato poi che il ragazzo era pure gay.
- “Sam1 è sommerso di lavoro e ho pensato che
lavorando in due per due settimane, si sarebbe dimezzato”.
Non è un tuo
pensiero, cretina. E’ matematica. E quella, ahimè,
non mente.
Feci per aprire la bocca ed insultarla, ma Valerie mi fermò.
- “Katy, è un tiro mancino. Se avete problemi
personali, vi invito a risolverli al di fuori del giornale”.
La stronza uscì soddisfatta dalla stanza ed io guardai
incredula la mia amica.
- “Mi spiace, tesoro. Sarai retribuita, ovviamente. Potresti
provare a parlare con Sam1, magari…”.
- “Magari niente. Farò questi benedetti
straordinari e utilizzerò quel tempo per sforzarmi di
trovare una vendetta adeguata” sentenziai.
Me ne tornai mesta alla mia scrivania, pensando con amarezza alle
serate che avrei dovuto sprecare tra le quattro pareti grigie della
redazione con quel viscido del capo. Avrei fatto meglio a starmene a
casa, sotto le coperte, come avevo fatto la notte precedente a casa di
Nick, anche perché non ero ancora tornata in forma al 100%
e, soprattutto, nessuno mi aveva imposto di andare in ufficio a
lavorare. Guardai il cellulare; una bustina mi indicò un
messaggio di Nick che doveva essermi arrivato parecchie ore prima e che
io, come al solito, non avevo notato se non in quel momento.
Non ricordavo che il mio
letto fosse tanto grande! Sarà che il tuo sedere ne occupava
i ¾ ieri :D - no, è inutile che tu
mi metta la faccina sorridente, dopo che mi hai dato della culona
- Purtroppo devo stare
fuori città per un paio di settimane. Ci sentiamo, N.
Ci mancava questa! Non solo dovevo marcire al lavoro, ma dovevo farlo
corrosa dalla curiosità di sapere dove diamine fosse
quell’altro e con chi e perché. Se glielo avessi
chiesto, probabilmente sarebbe stato evasivo, vago e mi avrebbe detto
per l’ennesima volta di doversi assentare per raccogliere
materiale.
Forse tornava da sua moglie Annie, dai loro sette figli, dal cane Happy
e dai suoi parrocchiani di Glen Oak. Okay, quella era la storia di Eric
Camden di Settimo Cielo,
ma non stava scritto da nessuna parte che non potesse essere anche la
sua di vita. Dopotutto, non lo conoscevo molto e perciò non
potevo escludere che fosse un killer professionista, un principe, un
clandestino, uno sfruttatore di cinesi o anche solo un comunissimo
padre di famiglia che faceva lo striper per mantenere consorte e prole.
In tal caso sarebbe diventato difficile spiegare la storia della
scommessa…
Troppi se, troppi ma che non trovavano risposta.
Mi misi a lavorare al computer e non ci staccai gli occhi
finché non vidi i primi colleghi tornarsene a casa. Erano le
14.30, avevo saltato il pranzo e avevo un sonno pazzesco. Presi la
borsa ed andai al bar all’angolo, ordinando un panino. Mentre
aspettavo di essere servita, mi accomodai ad un tavolo isolato, in
fondo alla sala, lontano da scocciatori e da gente che guarda mentre
mangi. Il cellulare era lì che mi fissava spavaldo sulla
tovaglia. La tentazione di afferrarlo, comporre il numero e chiamare
Nick era forte, ma non volevo fare la parte dell’ossessiva
molestatrice o della curiosa patologica, qual’ero in
realtà.
Cos’hai da
guardare, stupido telefono?
Una cameriera sulla trentina mi portò il sandwich ed io la
ringraziai per avermi fatto distrarre per un nanosecondo dal pensiero
assillante di sapere, sapere, sapere. Alla fine cedetti; tornai ai
messaggi ricevuti, soffermandomi sull’ultima frase del suo
sms: ci sentiamo.
Due parole sull’ambiguità di
quest’espressione. Cosa
vuol dire? Scrivi ti chiamo o chiamami, non lasciare alla sorte
l’arduo compito di decidere chi accantonerà per
primo l’orgoglio e digiterà il numero
dell’altro!‘Fanculo
buoni propositi.
Però non rispondeva. Mi decisi a provare una terza volta -
l‘ultima, perché altrimenti avrei varcato la
soglia dell‘amica preoccupata e sarei approdata allo status
di stalker incallita - e finalmente lui si degnò di premere
la cornetta verde.
-“Nick?”. La conversazione era parecchio disturbata
e distinguevo a malapena la sua voce dalle interferenze.
- “Sammy, non posso parlare ora. Ti mando una mail in
settimana”. Riattaccò.
Complimenti, Samantha!
Vedo che il tuo impegno ha dato parecchi frutti.
Mangiai il panino e me ne tornai in ufficio, delusa dalla scarsezza,
per non dire inesistenza, delle informazioni ottenute, quando mi ero
persino sforzata di chiamarlo. Nick,
prega per te che non sia una menzogna.
Mi riaccomodai alla scrivania e cominciai a sistemare un po’
di scartoffie che si erano accumulate sul tavolo e che mi avrebbero
tenuto compagnia per un sacco di tempo. Si trattava per lo
più di vecchi e nuovi articoli che non avevano trovato una
collocazione nei numeri già pubblicati di Music Magazine
e dei quali, però, un giorno si sarebbe reso indispensabile
l’uso per tappare qualche buco d’impaginazione. Ora
si doveva solo fare l’inventario; catalogarli sotto diversi
profili: autore, argomento, data… e chiaramente andava
verificato che tutti avessero ricevuto il compenso per il lavoro
effettuato, sebbene ancora inedito. La catasta ammassata accanto al
computer m’impediva quasi di vedere gli altri colleghi;
dovevano essere migliaia di pezzi - e migliaia di sterline - che, al
momento, si rivelavano a dir poco mal spese.
- “Sam2!” mi gridò Banks
dall’altra parte dell’ufficio. Mi girai e lo
guardai, sfoderando un sorriso fintissimo.
- “Sì?”.
- “Allora per stasera è confermato. Mangeremo
qualcosa prima” urlò e se ne andò. Le
facce dei colleghi si concentrarono su di me: bisogna ammettere che non
era stata una grande idea far pensare al resto del mondo che io mi
facessi il capo, sposato, dopo aver mangiato qualcosa.
- “Gente, si parla di straordinari!” comunicai e la
redazione tornò ad occuparsi degli affari propri.
Cinque ore dopo ero ancora appiccicata alla stessa sedia girevole, alla
stessa scrivania con gli stessi occhi annoiati e assonnati a
scartabellare fogli su fogli. La palpebra sembrava sul punto di cadere
da un momento all’altro, ma ero troppo concentrata sul lavoro
da fare per anche solo pensare di andare in bagno o mangiare. Sam1 mi
raggiunse con il cartone di una pizza gigante.
- “Sono arrivati i rinforzi” annunciò e
me ne porse una fetta.
- “Non capisco come hai fatto a farti incastrare con tutta
questa roba. Perché la devi fare tu?” gli chiesi
con un briciolo di polemica, ma era più che giustificato dal
momento che ero diventata un topo di biblioteca.
- “Si chiama gavetta. Sono l’ultimo arrivato e
Valerie mi ha convinto che è mio dovere occuparmi di questo
genere di cose”.
- “Sarebbe in grado di far convertire Dio all’Islam
se questo le comportasse un vantaggio” ridemmo.
Approfittai della pausa-cena e dell’istante di
“intimità” per cercare di strappargli di
bocca qualche informazione utile su di lui e sulle sue strane abitudini.
- “Così, sei sposato…” buttai
lì.
- “Già, felicemente da una decina d’anni
e da due bellissimi figli, Mike e Jim”.
Due maschi, quindi
nessuna possibilità che lui s’inventi che la
giovane prostituta fosse, in realtà, una delle sue figlie.
- “E mi pare di capire che non sei di Londra”
dissi, addentando una fetta di pizza con condimento indefinito.
- “Sono di Moffat, un paesino a nord
dell‘Isola”.
Game over, Banks. Gioco
in casa; non ho passato le vacanze estive della mia infanzia a visitare
ogni minimo villaggio della Scozia invano.
- “Oh, anche io sono della zona. Cosa ne pensi
dell’haggis?” azzardai. L’haggis era
quella cosa tremenda che qualcuno si ostinava a considerare pietanza,
tipica scozzese, a base di interiora di pecora, accompagnata da un
fondo di patate simil-puré.
Lo vidi impallidire.
- “L-l’haggis? - temporeggiò ed io
annuii con il capo - Beh, ho sempre pensato che fosse un bel
posto” tentò.
Bip bip. Il rumore del
lie-detector di Sam che ha individuato una bugia grande quanto il
continente asiatico.
Non sapeva decisamente quello di cui stavamo parlando.
- “Sono d’accordo. - lo assecondai - Direi di
accantonare le chiacchiere e di continuare a lavorare”
proposi e lui accettò, convinto in quel modo di sfuggire a
ulteriori domande di cui non conosceva le risposte.
Lavorammo fino alle 21.30 e Sam1 si comportò bene, nel
complesso. Mi fissava in continuazione le tette o il culo, a seconda di
come ero girata, pensando di non essere beccato, ma non osò
andare oltre. Che fosse viscido era evidente
all’umanità, però al momento era
accusabile solo di essere un marpione, non uno sfruttatore di giovani
donne dai facili costumi.
Lo congedai alla svelta e me ne tornai a casa in taxi, col chiaro
intento di farmi una doccia veloce ed infilarmi sotto le coperte. Mi
trascinai su per le scale fino alla porta del mio appartamento e mi
misi a cercare le chiavi che, naturalmente, erano in fondo alla borsa.
Will mi raggiunse sul pianerottolo, sommergendomi di domande.
- “Dove sei stata, Raviolo? E’ tutto il giorno che
ti aspetto!” disse con un tono quasi preoccupato.
Fermai la mano e lo guardai.
- “Straordinari”.
- “Devo chiederti solo una cosa”.
- “Sii rapido e conciso” lo pregai.
- “Cosa organizziamo per Nick?”.
- “Non sappiamo nemmeno quando torni!” gridai.
- “Intendo per il suo compleanno” mi
ammonì.
- “Compleanno?”. Sentivo che la conversazione
sarebbe andata per le lunghe, così lo zittii e lo invitai a
passare la notte da me. Si armò di pigiama - il suo solito
da trisavolo - e spazzolino e mi raggiunse in bagno.
- “Che fai?” chiese scandalizzato, vedendomi
togliere i jeans, mentre lui si lavava i denti.
- “Mi faccio la doccia?” risposi sarcastica.
- “Davanti a me?” sputò un po’
di dentifricio nel lavandino.
- “Siamo amici e non c’è nulla che tu
non abbia mai visto”.
- “Sì, ma sono pur sempre un uomo”.
Posò lo spazzolino sul lavandino.
- “E allora aspettami nel letto” gli risposi
suadente.
- “Ripensandoci…” ammiccò
lui, malizioso.
- “Hai perso la tua chance, tesoro”. Mi lavai
rapida, desiderosa di sapere cosa fosse questa strana storia del
compleanno di Nick, e mi buttai sul letto, accanto a Will. Stava
sonnecchiando davanti alla tv accesa sulla quale intravidi la sigla di CSI. Bene, la
vittima dell’episodio era appena morta e lui dormiva
già! Gli assestai una gomitata tra le costole che lo
svegliò bruscamente.
- “Forza, racconta. O ti sei inventato questa storia per
infilarti nel mio letto?” scherzai.
- “Stavolta sono serio. Pensavo di organizzare qualcosa per
il 17 di ottobre”. Alzai il busto e mi sostenni con le mani
puntate sul materasso.
- “Manca un sacco di tempo!” brontolai.
- “Lo so, ma meglio sapere in anticipo cosa vogliamo
preparare. Pensavo di fargli una festa a sorpresa noi tre. Ed
è per questo che mi sono procurato una copia delle sue
chiavi di casa. Possiamo preparare una cenetta e poi inventarci
qualcosa per il resto della serata”.
- “Tutto quello che vuoi, Lupin. Ora dormiamo!”
ordinai e lui acconsentì, sistemandosi meglio sotto il
piumone e spegnendo l’abat-jour sul comodino dalla sua parte.
Si addormentò dopo qualche minuto, mentre a me il sonno era
svanito, perché non avevo idea di cosa regalare a Nick.
Sì, mancava molto tempo, ma per le due settimane successive
avrei fatto tardi a lavoro e difficilmente avrei trovato un minuto
libero per andare a caccia di un presente adatto a lui. Poi era fuori
discussione che delegassi l’arduo compito a Will: non osavo
pensare cosa ne sarebbe venuto fuori; roba tipo giochi per la X-Box o
un pacchetto di preservativi extra lusso al gusto di uno strano frutto
esotico. Qualcosa mi sarei inventata.
Non dovetti nemmeno lavorare troppo con la fantasia, campando in aria
scuse improbabili per sfuggire da Sam1, perché proprio lui,
dopo l’ora di pranzo, mi venne in aiuto. Entrata in ufficio,
mi avvicinai alla mia scrivania, scorgendo in lontananza un post-it
giallo appiccicato sul mio computer.
Stasera è il
mio anniversario di matrimonio, quindi non posso fermarmi. A domani,
Sam1.
Balla? Forse l’avevo intimorito la sera prima.
Stavo per improvvisare il balletto della gioia, ma mi trattenni,
nonostante la voglia di saltare sulla sedia e mettermi a cantare mi
stesse percorrendo l’intero corpo.
Ma allora qualcuno
guarda giù ogni tanto!
Decisi che la mia giornata lavorativa sarebbe finita lì e
finsi che il pensiero che Sam1 si stesse divertendo con una minorenne
invece che con la moglie non mi fosse nemmeno passato per la testa.
Uscii immediatamente dal palazzo ed andai per negozi a sperperare
quattrini, che tanto avrei reintegrato con gli straordinari. Per prima
cosa mi comprai due paia di scarpe, cioè la base essenziale
per una seduta di shopping normale; le prime erano delle open toe tacco
dodici di Richmond, color bronzo e con un fiocco sulla punta. Le altre
erano delle ballerine dal colore impossibile che presumibilmente avrei
utilizzato una sola volta nella vita, vista la difficoltà di
trovare qualcosa che ci si potesse abbinare. Ma erano troppo carine e,
in più, di Marc Jacobs e ciò era più
che sufficiente a motivare la spesa; avrei dato fondo a tutti i miei
averi per possedere ogni singola sua collezione e - perché
no - pure lui. Quest’ultimo, però, sarebbe stato
un acquisto assai poco sensato, dal momento che il caro Marc ricadeva
nella categoria che le donne etero chiamano spreco immane di carne
finito sulla sponda sbagliata.
Uscii adorante dal suo negozio in Mount St., fingendo di non vedere
quella splendida e grande borsa nera con due anelli come manici e
quell’inserto lucido che neanche mettendo insieme il mio
conto corrente e il guadagno ricavato dagli straordinari sarei riuscita
a permettermi.
Bene, Sam, ora pensa a
qualcosa per Nick. Spremiti le meningi, su…
L’illuminazione giunse dalla vetrina di Ralph Lauren: un
polo, ecco cosa gli avrei regalato. Niente di particolarmente
originale, è vero, ma è un evergreen che
piace sempre, no? La commessa era sul punto di strozzarmi
quando le feci tirare fuori anche l’ultimo modello,
arancione, che di certo non avrei mai scelto, ma volevo avere un ampio
raggio di azione, prima di prendere la decisione finale. Alla fine
optai per quella che mi aveva strappato un sorriso quando
l’avevo vista: blu, come quella che mi aveva prestato a casa
sua - e che giaceva sulla mia lavatrice in attesa che io trovassi un
momento per farla tornare pulita -, ed il logo rosso, come il numero
tre cucito sulla manica. Avrebbe fatto la sua figura con quella
indosso. Ma anche senza…
Passarono due settimane da quel giorno, in un’assoluta
carenza di informazioni provenienti da colui per il quale io e Will
stavamo organizzando la cena di compleanno. L’unica mail che
si degnò di mandarci riportava un semplice:
Torno presto e mi
farò perdonare dell’assenza. N.
Si è sprecato.
I preparativi nel frattempo procedevano in pompa magna; il mio vicino
ogni sera mi faceva trovare nel frigorifero ricette nuove da testare
per il grande evento, incurante del fatto che ormai il festeggiato
fosse considerato, almeno da parte mia, alla stregua di un
latitante.
Io avevo passato ogni minuto libero a visionare telefilm sulle
confraternite, alla ricerca di qualche gioco alcolico o insensato da
riproporre ed il risultato era stato piuttosto proficuo: birra pong e kiss or tell erano
senz’altro in primo piano. Inoltre, non c’erano da
dimenticare le infinite nottate con Sam1 che ormai aveva ufficialmente
paura di me e delle mie domande e, per questo, limitava al minimo le
conversazioni che non riguardassero il lavoro.
Ero diventata, in sostanza, un’ombra: uscivo di casa la
mattina presto e ci tornavo la sera tardi, sgranocchiando di tanto in
tanto le prelibatezza che Will cucinava.
Alla fine, arrivò il 16 ottobre. La festa avrebbe avuto
luogo quella sera a partire dalla mezzanotte ed io stavo scontando
l’ultima sera di straordinari, che tra un impegno del capo e
qualche bugia da parte mia, si erano protratti fino ad ottobre
inoltrato.
Guardai l’orologio: le dieci passate, tempo di levare le
tende e tornarsene a casa, fare una doccia ricostituente ed agghindarsi
per andare da Nick.
- “Sono a pezzi, Sam. - confessai - Che ne dici di continuare
il lavoro in orari normali?” proposi, augurandomi che il mio
capo fosse d’accordo con me.
- “Sì, hai ragione, per oggi basta
così” acconsentì. Chiudemmo tutti i
documenti sul computer e sulla scrivania, indossammo il cappotto ed
entrammo nell’ascensore, stanchi al punto da non riuscire
nemmeno a fare le scale.
- “Vuoi un passaggio?” mi chiese, ma rifiutai.
- “Non ti offendere, ma potrei vomitare se ti vedo ancora. Ho
un’intossicazione da Sam e devo recuperare la mia
identità: questi 1 e 2 mi stanno rincitrullendo”.
- “Non me la prendo assolutamente! - rispose lui, ridendo -
Sarà meglio che torni a casa dalla mia famiglia. Ci si vede
lunedì!”. Mi lasciò sola sul
marciapiede sotto l’ufficio, con un pizzico di invidia per
lui che aveva qualcuno che aspettava con trepidazione il suo rincasare
dopo il lavoro. Io avevo sempre e solo il mio miciotto Romeo e, nel
migliore dei casi, Will.
Osservai il cielo per qualche istante; era stranamente limpido, per cui
mi convinsi a percorrere a piedi i pochi isolati che mi separavano dal
mio appartamento. M’incamminai verso il mio condominio,
facendomi largo tra un gruppo di turisti giapponesi, portati a spasso
da una guida locale per vedere la famosa Londra by night. La
città era sempre molto affascinante, a prescindere
dall’ora e dal quartiere, e ci trovavo sempre qualcosa di
divertente nello scrutare le facce estasiate degli stranieri alla vista
delle meraviglie che la capitale era in grado di offrire.
Avevo fatto solo poche decine di metri, quando un taxi come tanti altri
si fermò sotto un lampione, di fronte ad un bar decisamente
molto chic dov’ero stata in un paio di occasioni. Doveva
chiamarsi Republic,
ma da quella volta che c’ero stata con la mia amica americana
Violet, lo avevo registrato come One
Republic, in onore ad una band che ascoltavamo in
continuazione all’epoca. Era frequentato da
un’élite di persone, ma solo perché non
era molto conosciuto ai più.
Persa nei ricordi legati a quel locale, misi un piede
nell’unico posto che le donne che indossano spesso i tacchi
sanno di dover evitare: le grate. Ed, infatti, rimasi incastrata in una
di esse, imprecando contro la mia leggendaria sbadataggine. Mi abbassai
e cercai di risolvere l’impiccio alla svelta, prima che tutti
i passanti cominciassero a domandarsi cosa ci facesse una donna sola,
di notte, piegata a novanta gradi su di una griglia, parlando a se
stessa. Dopo qualche tentativo finito a vuoto, riuscii ad estrarre il
tacco dalla ferrea morsa e potei, finalmente, tornare ad osservare il
mondo dall’altezza normale. Alzai lo sguardo e vidi un uomo
accanto alla portiera del taxi, intento a riporre il portafoglio nella
tasca posteriore dei pantaloni. Si girò di lato, verso il
bar, e soltanto allora riconobbi un profilo familiare che era scomparso
dalla mia vita per un po’: sembrava in tutto e per tutto
Nick. La luce artificiale del lampione parve convalidare la mia
ipotesi, ma attesi di sentirlo parlare con il taxista, prima di fare
figure barbine, scambiando qualcun altro per lui.
- “Tenga il resto” gli disse.
Era lui. Era senza ombra di dubbio lui. Ed io ero felice; felice di
rivederlo, felice che fosse tornato e, allo stesso tempo, un
po’ delusa del fatto che non si fosse nemmeno sprecato a
farci una telefonata. Un sorriso si stampò involontario sul
mio volto ed io mi sbrigai ad uscire dallo stato di contemplazione
della sua figura per salutarlo e ridargli il benvenuto a casa.
Feci un passo verso di lui, che distava più o meno dieci
metri, ma subito mi bloccai, quando vidi una ragazza dai capelli lunghi
ed ondulati scendere dalla stessa auto da cui era sceso lui, ridendo e
afferrandogli la mano sinistra. Era lui. Era lui, ma gli avevano tolto
il gesso. Ed io non lo sapevo.
L’espressione gaia che avevo sul viso scomparve
nell’istante in cui Nick ricambiò la stretta
attorno alla mano di lei e la trascinò fin davanti
all’entrata del Republic.
Li osservai da lontano ed impiegai qualche momento per capire il motivo
per cui non avessero già fatto ingresso nel locale. Mi
mischiai tra una mandria di ragazzi già mezzi brilli che
stavano passando in quel momento e vidi che lei stava fumando una
sigaretta.
Presi dalla tasca il cellulare e scorsi la rubrica fino al suo nome.
Squillava. Lo vidi prendere a sua volta il telefonino in mano ed
esitare qualche istante prima di rispondere, guardando la videata che
riportava il mio nome; volevo sapere, non capivo cosa, ma qualcosa
volevo sapere.
- “Ehi” si decise, infine.
Per certi versi, mi sentii sollevata. Anche se era con quella donna,
alla fine aveva scelto di premere la cornetta verde, parlando con la
sua voce normale, calda e rassicurante che mi fece di nuovo aprire le
labbra in una smorfia di contentezza.
- “Ehi… ehm… scusa l’ora. Mi
stavo solo chiedendo come stessi” mentii.
- “Non mi posso lamentare. Ho di nuovo la mobilità
del braccio sinistro, perciò direi che sto bene”
terminò e lo vidi zittire la tizia con lui che stava per
cominciare a parlare.
- “Bene, mi fa piacere. - Sam, fai quella dannata domanda -
E, senti… sei già tornato?” sparai e
d’istinto serrai gli occhi, timorosa della risposta che mi
avrebbe dato.
Titubò. Per uno, due, tre secondi. Che nel linguaggio
femminile, tutte sanno che equivale al tempo necessario ad un uomo per
inventarsi una cazzata da rifilare alla moglie, alla mamma o alla
fidanzata. E la cosa mi ferì più del previsto,
soprattutto perché io, per lui, non ero niente di tutto
questo.
- “No. Sono ancora fuori città. - disse
semplicemente ed io scrollai le spalle. Non si era neanche sforzato di
inventarsi una scusa; si era solo preoccupato di raccontarmi una balla
- Ci sei ancora?” mi chiese, mentre io non riuscivo a
smettere di fissarlo, agitato che si torturava la nuca, accanto a
quella ragazza.
Avrei potuto smascherarlo in un tempo inferiore a quello che a lui era
servito per decidere se mentirmi o meno, però la delusione
era tanta, la stanchezza pure e non ero dell’umore adatto per
vendette o piazzate.
- “Sì” mi sforzai di dire, ma la voce mi
uscì ridotta ad un sibilo.
- “Beh, allora ci sentiamo quando torno”.
Sì, bravo, rincara la dose.
La ragazza si fece impaziente e cominciò a tirargli un lembo
della giacca, come una bambina, invitandolo a riattaccare e ad entrare
nel bar.
- “Certo” soffiai.
- “Ti sento un po’ strana”
continuò lui.
- “Sarà la linea un po’
disturbata” improvvisai, desiderosa di chiudere al
più presto la telefonata, assillata dal milione di domande
scaturite da quell’incontro/non incontro.
Aspettai che fossero entrati nel locale per chiamare con un cenno un
taxi e precipitarmi da Will. Non sapevo bene come comportarmi, cosa
dire, cosa fare. Bussai alla sua porta, ma non rispose nessuno; lo
chiamai al cellulare e squillò a vuoto. Pensai che fosse
già a casa di Nick, a cucinare con lo stereo acceso.
Mi feci la doccia e mi asciugai i capelli. Indossai un paio di jeans,
una maglia grigia con delle perline ed un cardigan. Afferrai
dall’armadio una borsa nera e le ballerine nuove di Marc
Jacobs. Marc aiutami tu!
Niente vestitini succinti, niente fronzoli. Non se li meritava.
Presi il regalo impacchettato in un carta da regalo verde e quando
scesi in strada, il taxi mi stava già aspettando. Feci il
viaggio fino a casa di Nick in uno stato catatonico, con un rancore
nascente all’altezza del petto. La domanda che mi ponevo era perché?
Perché raccontarci una bugia, perché raccontarla a me? A che scopo?
Suonai il campanello e un Will sospettoso si affacciò alla
finestra, salvo poi rilassarsi vedendo che ero io e non il festeggiato
in anticipo. Non appena entrai, notai che il grande orologio del
salotto segnava le 23.50. Tutto era pronto; il mio vicino aveva
preparato stuzzichini e dolcetti a non finire e li aveva sparsi per
tutto il soggiorno. Alcolici e superalcolici erano stati messi in
ordine sul tavolino di fronte alla televisione, la musica era in
sottofondo e mancava solo Nick per completare il quadretto. Abbassai il
volume dello stereo con l’intenzione di raccontargli quanto
era avvenuto poco prima, davanti al Republic.
- “Senti, Will, devo dirti una cosa…”
cominciai, ma lo squillo del suo cellulare ci interruppe.
- “Aspetta. Me lo dirai dopo. La vicina impicciona mi ha
appena fatto uno squillo; significa che ha visto il nostro obiettivo
passare di fronte alla sua villetta di testa”.
Aveva forse sedotto quelle vecchiaccia per avere la sua collaborazione?
Corse a chiudere la porta a chiave, a spegnere lo stereo e le luci
dell’intera casa e mi trascinò con sé
in un angolo, vicino all’interruttore per fare la nostra
comparsa in grande stile. Non appena la serratura scattò e
l’uscio si aprì, Will mi afferrò il
braccio con una mano e con l’altra accese la lampada alogena.
- “Sorpresa!” gridò, spaventando Nick e
la ragazza che era con lui. Gli occhi del festeggiato cercarono
immediatamente i miei, curiosi e preoccupati, mentre la bocca della
tizia si aprì in un sorriso spontaneo, guardando tutti gli
addobbi e il cibo che ornavano la stanza.
- “Allora? Non dici niente?” incalzò il
mio vicino e gli si avvicinò.
Non smetteva di fissarmi.
- “Scusate, è che sono solo…
sorpreso” si giustificò.
- “Pensavi che non ci saremmo ricordati, vero?”.
- “Siete stati molto carini. - aggiunse la ragazza - Sono
Kay, comunque” si presentò, stringendo la mano a
Will e poi anche a me, che ero rimasta impalata nello stesso punto.
- “Sam” le sorrisi e contraccambiai la stretta.
- “Su, Sam, - mi esortò il mio vicino - almeno
oggi che è il suo compleanno, dagli un bacetto sulla
guancia”.
Per non ammazzare il già labile livello di allegria
nell’aria, non dissi nulla e gli sfiorai la guancia con le
labbra, rigida e fredda. Quel gesto mi fece innervosire: mi stavo
comportando nello stesso modo falso a cui volevo ribellarmi.
- “Allora, diamo il via ai festeggiamenti?” propose
Kay.
- “Non mi sento bene, a dire la verità”
mentii.
- “Ma come? Mica vorrai andartene!” disse Will.
- “Perché non dovresti” parlò
finalmente Nick.
- “Sarà un mal di testa da stress. Sto lavorando
molto negli ultimi tempi”.
- “Io non…” iniziò, ma lo
interruppi.
- “Non potevi saperlo; non c‘eri”.
E le mie parole assunsero un valore quasi di accusa. Il gelo cadde
nella stanza. Io guardavo Nick in cagnesco, lui mi guardava con aria
colpevole e gli altri due si fissavano spaesati, non realizzando quale
tempesta si stesse abbattendo in quella casa.
- “Comunque - dissi, ripristinando il sorriso - non voglio
interrompere le celebrazioni. Will, tienimi una fetta di torta, mi
raccomando. E’ stato un piacere conoscerti, Kay”.
Il pendolo nel salotto ci avvertì che la mezzanotte tanto
agognata era arrivata. Presi il regalo che avevo comprato e glielo
porsi. Dopo un attimo di esitazione, lo afferrò, mormorando
un grazie imbarazzato.
- “Buon compleanno, Nick” dissi distaccata.
Premetti la maniglia della porta e me ne andai. Scesi veloce i pochi
gradini che portavano al giardino e mi maledissi. Non sapevo
spiegarmelo; perché, tra tutte le bugie di quei giorni, la
sua fosse quella che faceva più male.
Buon
pomeriggio! Capitolo lungo, ma non me la sentivo di interromperlo a
metà. Il riferimento al “Republic” e al
soprannome di “One Republic “ è
assolutamente vero, tranne per il fatto che non è a Londra,
ma a Brescia :D
La
Violet che cito è quella di “Firework”
ed è una gentile concessione di SunshinePol, che ringrazio.
In effetti è con lei che vado al
“Republic”.
La
canzone del titolo è dei Rolling Stones.
S.
|
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Capitolo 16 *** Capitolo 16. Blame It On The Boy. ***
Capitolo Sedici. Blame
It On The Boy.
La prima cosa che feci quando arrivai a casa fu prendere le Pagine
Gialle ed individuare tutti i negozi di computer nei paraggi. Mi
serviva solo un dannatissimo tecnico informatico. Uno, cazzo, uno, porca miseria! Sfogliai
in modo disordinato tutto il tomo, non riuscendo a leggere nemmeno una
parola. Lo lanciai per terra e mi lasciai cadere sul divano con il
pensiero ricorrente e martellante della bugia che mi era stata rifilata
da Nick. Forse ne stavo facendo una questione di stato, ma proprio mi
sfuggiva il perché si fosse sentito legittimato a tentare di
ingannarmi in quella maniera.
Guardai svogliata un film nel letto e mi addormentai con la tv accesa.
Il giorno dopo mi svegliai tutta intontita con Romeo che mi leccava la
faccia, sebbene sapesse che era una cosa che odiavo. Lo scansai con
poca delicatezza, spensi la televisione e mi preparai per andare in
ufficio. Scesi in strada che erano le 9.30 di una bellissima giornata
soleggiata, con un leggero venticello freddo che mi scompigliava i
capelli. Mentre camminavo, mi fermai a comprare il giornale, giusto per
tenermi al passo con le ultime novità, dal momento che nelle
settimane precedenti avevo potuto aggiornarmi solo ed esclusivamente
sulla vita di Sam1, nonostante lui si fosse dato parecchio da fare per
non lasciarsi sfuggire troppe informazioni sulla sua persona. In
realtà, non avevo ottenuto molto, ma mi aveva dato
l’impressione di nascondere qualcosa ed io ero più
che decisa ad arrivare in fondo alla questione. La primissima cosa da
fare era recarsi a York e cercare di spremere al meglio le fonti che
sapevano qualcosa di Banks; avevo la sensazione che non fosse del tutto
sincero, che la sua vita di marito-padre-redattore capo non fosse altro
che una facciata. Sembrava sempre si contenesse nel parlare e nel
reagire. O, almeno, quella era l’impressione che mi aveva
dato, lavorandoci a stretto contatto.
Mi ricordavo di aver sentito da qualche parte che bastano sette secondi
per farsi un’idea circa una persona. Lo aveva detto Mrs.
Leeds, la maestra delle elementari - ecco chi era stato! -;
non mi era chiaro cosa volesse fare, spiegando psicologia ad un branco
di mocciosi dal naso colante. All’epoca il mio unico pensiero
era tenermi il più lontano possibile da quegli odiosi esseri
con il pisellino che trovavano tanto divertente tirarmi le treccine, ma
registrai quella frase ugualmente sulla base della teoria di mia madre
che non si sa mai... A quell’età già
avevo capito tutto: tieniti
lontana dagli uomini! E, invece, poi passi la vita a
rincorrerli quei marmocchi che nel frattempo sono cresciuti fuori, ma
non dentro e si sentono in diritto di prenderti in giro in modo anche
più meschino dello strappare i capelli. Mentre tu diventi
una ragazza, lui passa dalla categoria junior alla senior, ma un idiota
- grande o piccolo che sia - sempre idiota rimane. Purtroppo quando lo
capisci è troppo tardi ed il tuo cuore appartiene a quel
bamboccio cresciuto che ti prende, ti lascia, ti vuole, ti rifiuta, ti
bacia, ti dice di non essere tornato in città quando, in
realtà, è ad un paio di metri da te…
Accantonai i pensieri e guardai rapida il London Express che
avevo tra le mani: quel che bastava per leggere che era domenica! No, cavolo!
Feci retro-front e me ne tornai subito a casa, fermandomi soltanto per
comprare un cornetto al mio adorato Willy Wonka che, già lo
sapevo, mi avrebbe riempito di domande circa la mia fuga della sera
precedente da casa di Nick. Presi le chiavi del suo appartamento e vi
entrai con cautela; mi avvicinai quatta quatta al suo lettone e, solo
all’ultimo istante, mi gettai come un predatore sul groviglio
di piumone e coperte sotto il quale si era rintanato. Il mio agguato
provocò un urlo che ci fece spaventare tutti. E tre.
Da sotto la trapunta comparve…
- “Kay!” urlai inorridita.
- “Sam!” gridò Will, sudato e sorpreso,
ricomparendo dal lenzuolo.
Kay. Will. Kay e Will.
Non è che c’è anche Nick sotto il letto?
- “Oh, scusate. N-non lo sapevo. Mi dispiace. Dio, che
imbarazzo!” mi volatilizzai in un istante e mi fiondai nel
mio appartamento, chiusi la porta e mi ci appoggiai con la schiena, i
capelli arruffati e la bocca spalancata.
- “Kay e Will?” ripetei a me stessa. Con un colpo
di reni mi spostai dall’uscio e mi sedetti sul pouff.
Ma non stava con Nick?
- “Che stronza!” esclamai ad alta voce ad un Romeo
molto poco interessato alle mie esternazioni, per quanto colorite. Ero
così presa dalla balla di Nick che mi ero pure dimenticata
di questo non-così-trascurabile dettaglio chiamato Kay; lo
aveva preso per mano, ergo non mi restava che pensare che fosse la sua
ragazza. Però, chi accetterebbe una scommessa - quella scommessa
-, sapendo di avere una fidanzata a casa? Domanda stupida: un uomo!
Quando si tratta di scopate, ciascuno di loro sarebbe disposto a
vendere dignità e parenti pur di averne una in
più.
Ma se sta con Nick, come
ha fatto a finire con Will? Che il nostro ballerino di
nightclub fosse una riproposizione giovane di Henry Chambers, tutto
fumo e niente arrosto?
Non ebbi il tempo di indagare oltre perché il mio vicino
fece ingresso nel mio appartamento con addosso una maglietta
stropicciata ed un paio di pantaloni della tuta.
- “Da quando mi fai gli attentati a letto?”
domandò con un ghigno divertito a celare
l’imbarazzo di qualche istante prima.
- “Da quando ti fai la fidanzata di un tuo amico?”.
- “Fidanzata di chi?” controbatté.
- “Di mio nonno! - roteai gli occhi
all’insù - Di Nick!”. Will rise e si
appropinquò verso il divano accanto al quale mi ero seduta.
- “È sua cugina, scema”. Mi
passò un braccio attorno al collo e mi frizionò
la testa con vigore, ben sapendo che i miei capelli erano zona
off-limits per ogni essere umano che non fosse il mio
parrucchiere/checca Darren.
- “Ah” fu il massimo che la mia mente
riuscì a partorire. Sarà che ero una
provincialotta scozzese, ma io mio cugino Herbert - giusto per citare
il più carino, che comunque aveva la faccia sotterrata dai
brufoli e un alito pestilenziale - non lo avrei preso per mano nemmeno
con guanti e pinze!
- “Davvero credevi fossi fidanzata con il mio adorabile
cuginetto?” s’intromise Kay, sbucata da casa di
Will con una carota in mano che stava sgranocchiando e vestita di una
sola t-shirt che riconobbi subito essere del mio vicino. Le gambe erano
completamente scoperte, ma lei sembrava del tutto a suo agio a
gironzolare in quel modo, sebbene non fossimo nemmeno in
confidenza. Era scalza e non si era fatta molti complimenti
ad entrare nel mio salotto senza bussare; di solito mi sarei irritata,
e non poco, per quella che consideravo un’invasione dei miei
spazi - un furto d’ossigeno in piena regola! - , ma quella
ragazza mi stava simpatica a pelle, la vedevo spontanea e senza filtri.
Sì, avevo avuto la possibilità di parlarci per
pochissimo, ma, con la teoria dei sette secondi avevo tutto il diritto
di avere un’impressione su di lei. Ed io, in quel tempo,
avevo letto negli occhi di quella ragazza una spontaneità
che mi aveva colpito, nonostante fossi totalmente rapita da Nick e dal
trattenere tutta la delusione dentro, senza vomitarla addosso a tutti i
presenti. Kay era carina, smaliziata e mi piaceva. Certo, era pur
sempre andata a letto con il mio migliore amico - cosa di cui ero anche
vagamente gelosa - e se si fosse azzardata a fargli del male
l’avrei gambizzata senza problemi, ma la sua faccia pulita
acqua e sapone era rassicurante.
E, inoltre, si è sempre in tempo a cambiare idea sulle
persone.
- “Sai, ho visto che gli prendevi la mano davanti al Republic
e ho fatto due più due” mi giustificai.
- “Ah, per quello? L’ho fatto solo
perché c’erano le grate per terra e non volevo far
figuracce con il tacco incastrato in una di quelle. Ti immagini, Will?
- si rivolse verso di lui che ridacchiò - Piegata in due a
staccare la scarpa come una cretina?”.
Quaquaquaqua.
Mi uscii un risolino isterico e annuii col capo, mentre gli altri due
non facevano nulla per contenere i ghigni divertiti al pensiero di una
sfigata piegata a novanta, impigliata in una griglia.
Eh sì,
proprio da cretine…
- “Le hai già detto della cena?” chiese
Kay, smettendo - grazie al cielo! - di ridere.
Com’è
che anche l’ultima arrivata sa le cose prima di me?
Romeo uscì dalla mia camera da letto e prese a spolverare le
gambe del suo amato Will.
- “Giusto! Sei invitata a casa mia alle 19. E’
chiaro che tu non possa dirmi di no, dopo ieri sera”.
- “Noi… tre?” buttai lì,
pregando che ci fosse qualcun altro: un amico, un vecchio zio, un
animale, un puffo, Batman… chiunque, tranne colui il cui
nome cominciava con la N.
- “Noi quattro; ci sarà anche Nick”.
Batman non era
disponibile? Perché anche Robin va bene, eh!
Non mi lasciarono replicare e se ne tornarono
nell’appartamento di fronte, non senza essersi raccomandati
di arrivare puntuale. Come se dipendesse da me!
L’orologio segnava le 10 ed io non avevo la più
pallida idea di cosa fare per il tutto il giorno. In tv non davano
nulla degno di nota, casa era pulita, il mio micione nero era sparito
dalla circolazione - con tutta probabilità attaccato ai
polpacci del mio vicino -, i negozi erano chiusi, il sonno
andato… che altro rimaneva da fare? Continuare la ricerca
del tecnico del computer, naturalmente.
Da quando mi ero trasferita a Londra, mi era capitato solo una volta di
aver bisogno di assistenza con il pc; Valerie allora mi aveva dato il
nome di un ragazzo sulla trentina, un nerd fatto e finito, che era un
vero mago di informatica e, come sospettai sin dalla prima occhiata,
doveva essere un hacker o poco meno. Però era molto bravo,
costava poco e ormai l’avevo scelto come preda. Cercai nella
rubrica telefonica il suo numero e lo chiamai.
- “Pronto?” rispose subito.
- “Max?” chiesi per conferma.
- “Sì”.
- “Ciao, sono Samantha Grayson. Sono un’amica di
Valerie Dupont e mi servirebbe un aiuto per un problema col
computer”.
- “Ah, Valerie, che tesoro. Se posso dare una mano, lo faccio
volentieri”.
Veramente una mano credo
di dovertela dare io…
- “Il punto è che mi servirebbe con urgenza. Ti
spiacerebbe se passassi subito, sempre se hai tempo, è
chiaro”.
Ci mettemmo d’accordo per incontrarci a casa sua dopo una
mezz’oretta circa. Dovevo solo prepararmi e… cazzo! Avevo
bisogno di un pc rotto! Decisi di immolare per la causa un vecchio
portatile che non usavo da tempo, ma al quale ero affezionata e da cui
non avevo avuto il coraggio di separarmi. Lo capovolsi e gli diedi una
martellata non troppo forte all‘altezza della batteria,
giusto per spostare qualche filo e far saltare qualche collegamento.
- “Scusami Jimmy!” gli dissi, accarezzandolo. Gli
avevo persino dato un nome e ora lo stavo sacrificando per portarmi a
letto un tizio. Che personaccia che stavo diventando. Colpa di Nick
chiaramente.
Arrivai davanti all’appuntamento vestita piuttosto casual; se
non aveva subito grossi cambiamenti dal nostro primo e ultimo incontro,
Max era un ragazzo tranquillo, interessato più al suo mouse
che alle topoline altrui. No, non c’era bisogno di fare la
panterona, intrappolata in tutine di pelle improbabili: pantaloni,
camicia, maglione e ballerine erano più che sufficienti.
Venne ad aprire la porta ed io mi ritrovai davanti un uomo che non si
era accorto di non essere più un ragazzino; indossava una
maglietta consunta dei Led Zeppelin, dei jeans larghi, dei grandi
occhiali da vista da perfetto secchione privo di vita sociale ed era
magro oltre ogni misura.
Sam, non saltargli
addosso perché gli rompi almeno un paio di costole.
Ci salutammo e lui mi invitò a sedermi su di un vecchio
divano, mentre gli porgevo la borsa a tracolla all’interno
del quale si trovava Jimmy - alias il capro espiatorio.
- “Valerie sta bene?” mi domandò, mentre
cominciava a smanettare con un cacciavite per aprire il vano sotto la
tastiera.
- “Molto bene. Ti saluta” inventai. Da quel punto
in poi la conversazione divenne per me totalmente incomprensibile. Max
cominciò a sparare a ripetizione un numero infinito di
termini informatici dei quali io nemmeno conoscevo
l’esistenza ed iniziai a domandarmi se, per caso, stessimo
parlando la stessa lingua. Ogni tanto - ma proprio ogni tanto -
riuscivo a cogliere qualche sillaba conosciuta.
Ha detto hardware?
- “Penso che sia questa la causa”
terminò.
E pensare che io credevo che la causa fosse una martellata ben
assestata…
Ci lavorò più o meno per un’ora, tempo
per fare un’analisi del luogo in ci viveva. Il mobilio
lasciava molto a desiderare, ma gli elettrodomestici erano di ultima
generazione, curati e conservati come preziosi. Abitava da solo e
immaginai che passasse gran parte della sua vita nel suo piccolo
rifugio ovattato, dove la tecnologia la faceva da padrona.
Non era un brutto ragazzo; certo, non era un adone, però era
intelligente e simpatico e, se solo si fosse aperto un po’ di
più con il mondo - e avesse frequentato una palestra -, le
ragazze avrebbero fatto la fila per uscire con lui. Io, ad esempio, ci
sarei uscita più che volentieri con un hacker; ci avevo
sempre trovato qualcosa di intrigante e pericoloso in quei pirati del
web che con una tastiera ed i programmi giusti erano in grado di
rivoltare internet a loro piacimento. Proprio come quando i seguaci di
Julian Assange avevano mandato in tilt per ore il sito della Mastercard
perché quest’ultima aveva osato chiudere il conto
corrente del loro beniamino. Giusta o sbagliata che fosse quella
reazione, alla fine ciò che era risultato era che gli hacker
sono persone con il coltello dalla parte del manico. Sempre.
A proposito di manici, i minuti scorrevano ed io non avevo ancora
risolto un bel niente. Jimmy stava ritornando ad essere vecchio e lento
come di consueto, ma la sua proprietaria non aveva finito di elaborare
un piano d’azione valido abbastanza da finire diretta nel
letto del nerd che aveva di fronte.
Il vantaggio era che non avevo l’ansia da prestazione, dal
momento che presumibilmente l’ultima vagina che aveva visto
era quella di sua madre durante il parto.
Max appoggiò il mio computer sul tavolo e disse che avrebbe
preferito tenerlo per un altro giorno per assicurarsi che funzionasse
nel modo corretto, altrimenti avrebbe dovuto procurarsi un nuovo nonsoche.
Prima di tornare a sedersi accanto a me sul divano, accese un
giradischi e nella stanza si diffuse It’s a
man’s, man’s, man’s world di
James Brown, una di quelle canzoni con cui ti esibisci davanti allo
specchio con la spazzola come microfono e ti lasci trasportare dal
ritmo. Cosa che - ça va sans dire- non avrei fatto di fronte
ad altre persone, tanto meno di fronte a Max.
- “Ti piace?” mi chiese.
- “La adoro” confessai.
Senza parlare, mi prese la mano e mi alzò, stringendomi a
lui e facendomi volteggiare per il suo salotto.
Che succede?
Ero in uno stato di evidente imbarazzo e mi riusciva difficile credere
di essermi così tanto sbagliata su di lui. Era un gentiluomo
ed io volevo soltanto scopare. Per vincere una scommessa. Dio, da
quando ero diventata così cinica? Colpa di Nick, ovvio.
Tornai a casa che mi sentivo una merda. Come quando alla fine di una
partita di calcio non troppo brillante, il commentatore dice:
“Hanno portato
a casa il risultato”. Ed io avevo portato a casa
il risultato, con una prestazione non indimenticabile e gravata da un
immenso peso chiamato senso di colpa. Lui era stato dolce, mi aveva
fatto ballare, mi aveva adagiato con premura sul letto prima
di… sì, insomma, fare quello che doveva. Aveva
slacciato piano i bottoni della mia camicia e quelli dei pantaloni,
prima di sfilarmeli rapido e buttarsi su di me. Lo avevo lasciato fare
- non ci pensavo nemmeno a stare sopra, credo che lo avrei ucciso! - e
tutto sommato non era stato peggio di altre volte e, sicuramente meglio
di Chambers. Ma parecchio al di sotto di Ralph.
Il campanello suonò più volte.
- “Sto uscendo, giuro, Will! Sto arrivando”.
Ripresi la borsa e aprii la porta. Nick.
- “Che gioia vederti. Penso di riuscire ad attraversare il
pianerottolo anche senza scorta. Grazie”.
- “Ciao anche a te, Sammy” si lamentò,
mentre Kay, vestita con un abitino rosso che le esaltava gli
occhi scuri, spalancava la porta e ci faceva accomodare. Le sorrisi e
mi diressi in cucina da Will.
- “Ehi”.
- “Ciao Raviolo” rispose, continuando a preparare
gli antipasti. Preparai la guancia per ricevere un bacio che non
arrivò mai. Ci rimasi male.
- “Scusa, ma adesso cosa sei, fidanzato?” dissi,
non senza un pizzico di cattiveria nel tono di voce.
- “Tesoro, sei gelosa?”. Si voltò e mi
guardò sorridente.
- “Sì. - esclamai - La conosci da trenta secondi e
già la fai stare qui?”.
- “E’ solo una cena, Sam. E’ arrivata con
Nick, comunque, non è stata qui tutto il pomeriggio. E poi
stiamo festeggiando un compleanno, mica le ho chiesto di
convivere”.
Non mi convinci, Yankee
dei miei stivali.
- “Abbiamo fame” si lamentarono
dall’altra stanza.
Gli voltai le spalle, ma lui mi afferrò la vita da dietro e
mi strinse a sé. Mi stampò un bacio sulla guancia
e mi trasportò fino al salotto, mentre le mie gambe
penzolavano a destra e sinistra. Gli altri due ospiti ci guardarono
sorpresi.
- “Ogni tanto devo ricordarle che è la mia
migliore amica e che è insostituibile”. Era la
prima volta che me lo diceva apertamente e mi fece un immenso piacere.
Mi lasciò e ci fece accomodare a tavola. Mi sedetti accanto
a Will, che aveva di fronte a sé Nick, mentre io avevo
davanti Kay.
Cercai di evitare di guardare il quarto incomodo, fingendo di essere
soltanto in tre. Ciò non fu sempre praticabile,
perché gli altri due cercavano sempre di coinvolgere tutti
nella conversazione.
- “Kay, perché non mi racconti un po’ di
Nick quand’era piccolo?” dissi
all’improvviso, sperando che potesse saltar fuori qualche
ricordo poco lusinghiero.
Lei non si fece pregare due volte e cominciò a narrare dei
piccoli aneddoti sulle prime cotte adolescenziali, di quando portava i
fiorellini alla sua fidanzatina o di quando aveva perso entrambi gli
incisivi all’asilo, inseguendo una bimba di cui era
innamorato sullo scivolo.
- “Smettila Kay! Le stai raccontando un mare di
cazzate!” disse Nick, ridendo e cercando di limitare i danni
provocati dai racconti della cugina.
- “Già, perché tu hai
l’esclusiva… no?” m’intromisi
acida.
Avrei potuto evitare, ma mi era stata servita su di un piatto
d’argento e non ero riuscita a trattenermi. La ferita era
freschissima e avrei sfruttato qualunque occasione per ricordargli
quello che mi aveva fatto.
Nick si pulì la bocca con il tovagliolo e tornò a
fissare il piatto che aveva davanti a sé. Appoggiai la
forchetta al piatto e lo guardai con aria di sfida, mentre tutto
intorno a noi la tensione si poteva tagliare con
l’affettatrice.
- “D‘accordo, ragazzi, è evidente che ci
sia un problema tra voi. - la voce di Will ci ricordò della
sua presenza nella stanza, insieme a quella di Kay - Volete risolvere
una volta per tutte? Non ho intenzione di farmi rovinare la domenica
per questa cosa”.
- “Nessun problema” mi affrettai a dire.
- “Sam, per favore. Quest’atteggiamento non giova a
nessuno” mi sgridò il mio vicino.
- “Vuoi sapere la verità?”.
- “Possiamo parlarne in privato?” intervenne Nick.
- “La mia risposta è no.”
- “Andate pure in camera mia” disse Will,
d’accordo con Nick, e gli indicò la direzione da
seguire.
- “Ho detto no. - urlai, con un cenno di rimprovero al mio
vicino - Se dobbiamo chiarire, possiamo farlo tranquillamente davanti a
tutti; io
non ho niente da nascondere”.
Nick ignorò le mie parole, si alzò e mi
trascinò per un braccio fino alla camera di Will, non senza
che io cercassi di liberarmi da quella presa. Lasciò che la
porta si chiudesse con un tonfo sonoro e mi mollò
l’arto.
- “Scusa. - disse infine - Okay? Scusa. Mi dispiace di averti
raccontato una balla”.
- “Sai cosa me ne faccio delle tue scuse?”.
Preferii non continuare, perché ero una donna e parlare di
vari ‘buchi’ del corpo umano dove avrei potuto
mettere le sue scuse non sarebbe stato il massimo della finezza.
- “Cosa vuoi che faccia? Che strisci per implorare
perdono?”.
- “Voglio sapere perché mi hai detto che non eri
tornato”. Si mosse in lungo e in largo nella stanza e
ciò contribuì ad accrescere il mio nervosismo.
Non rispose.
- “Sto aspettando. Perché non ci hai detto che eri
di nuovo a Londra?”.
Attesi ancora qualche minuto, mentre lui continuava a camminare su e
giù, senza proferire parola. Il mio limite di sopportazione
fu raggiunto.
- “Io me ne vado” esclamai.
- “Aspetta” mi pregò.
- “Allora metti insieme due frasi e spiegati! - sbottai - Ti
sto solo chiedendo il motivo che ti ha spinto a mentirci. Porca
miseria, Nick, siamo amici! Perché non l’hai detto
a me o a Will?”.
- “Will lo sapeva” ammise infine, a denti stretti.
A quel punto ci fu solo confusione nella mia testa. Ma ci fu anche un
istante di consapevolezza mista a concentrazione.
Che idiota che sono.
Will aveva cucinato a casa di Nick la sera del suo compleanno.
Perché avrebbe dovuto farlo, se non per la solida
convinzione che il festeggiato avesse già fatto ritorno
nella capitale? Decisamente idiota a non averci pensato prima.
- “Will lo sapeva. - gli feci eco - Allora il trattamento da
stronzo l’hai riservato solo a me. Gentile da parte
tua”.
- “È più complicato di quanto tu
creda”.
- “E allora spiegami, dannazione! Parla!”.
- “Volevo passare il compleanno con mia cugina”.
Freud aiutami tu. Non
è che era innamorato di Kay?
- “È una tradizione; lei ha due anni in
più di me e, compiendo gli anni il giorno dopo di me, ci
facciamo sempre un giro di bevute in qualche bar brindando
all’anno che se ne andato”.
- “Tutto qua il complicato?” dissi delusa.
- “So che ti saresti fatta strane idee, scomodando la
psicanalisi per arrivare all’assurda convinzione che io e lei
avessimo una relazione incestuosa o cazzate simili”.
Io? Ma quando mai?!
- “Beh, non è così assurda
come idea”.
- “Lo è, Sammy. È come una sorella per
me, il solo pensiero di farlo con lei mi fa contorcere le
budella” disse disgustato dal solo pensiero.
- “Se lo dici tu…” risposi poco
convinta, non perché non lo fossi davvero, ma giusto per
fare un po’ la sostenuta.
- “Siamo a posto ora o mi lancerai frecciatine tutto il
giorno?”.
- “Fingerò di credere a questa scusa e per
stavolta te la cavi, MacCord”.
Mi sorrise con i suoi occhi chiari e mi aprì la porta per
tornare in soggiorno, dove noi credevamo di aver lasciato Will e Kay e
dove, invece, ritrovammo due cozze vergognosamente appiccicate
l’una all’altra. Nick si schiarì la gola
e i due si ricomposero, tornando seduti ciascuno sulla propria sedia.
- “Allora, mangiamo il dolce?” propose Will rosso
in volto.
Sparì in cucina per andare a prendere la torta e lo spumante
che aveva portato Kay. Presi i calici da dessert, li posizionai sul
tavolo e Nick li riempì con il vino.
- “Naturalmente a me stesso per i miei venticinque anni e
alla mia cuginetta che oggi ne fa ventisette”.
Ecco cosa mi aveva detto prima Nick! Era il compleanno di Kay ed io non
avevo nemmeno uno stupido presente da darle. I ragazzi le porsero i
loro regali.
- “Mi dispiace… - mugugnai con lo sguardo basso -
Non avevo idea che oggi la festeggiata fossi tu. Non ho comprato
nulla”.
- “Ma figurati! - mi rassicurò - Potresti
regalarmi quelle bellissime ballerine di Marc Jacobs che
indossi”.
Sì, contaci.
- “Non te le darà mai, nemmeno sotto
tortura!” rise Nick e non aveva torto; le avrei venduto un
rene, piuttosto, o le avrei procurato un criceto siberiano a pois con
le zampe da pinguino.
- “Spiacente, - risposi - le mie scarpe non le do
neppure in prestito!”. A parte che non avevo nessuno a cui
prestarle, perché Lily e Valerie avevo un piede chilometrico
e non ero sicura che a Will potessero donare le mie
decolleté.
- “E allora mi regalerai un po’ del tuo tempo per
fare shopping”. Ecco, quello era decisamente più
possibile.
- “Su questo non ho obiezioni”. Will le
regalò un libro - su consiglio di Nick - e il caro cugino un
bellissimo paio di orecchini etnici che s’intonavano alla
perfezione all’aspetto da bohemien della festeggiata.
Ciascuno ebbe la sua fetta di dolce e i brindisi si sprecarono,
finché qualcuno propose di giocare a kiss or tell, dal
momento che non avevamo potuto metterlo in pratica la sera prima. Il
tutto consisteva nel fare una domanda piccante a qualcuno scelto a
rotazione; quest’ultima era libero di scegliere tra
rispondere o baciare colui che gli aveva rivolto lo scomodo quesito. Ci
sedemmo sul tappeto e fu stabilito che fossi io la prima.
- “Domanda per Kay. È mai successo niente con
Nick?” chiesi curiosa.
Lei si sporse velocemente verso di me, senza pensarci due volte e mi
baciò. Nulla di sconvolgente, mi era già capitato
al college di avere sulle labbra quelle di un’altra donna, ma
la cosa aveva fatto sempre più piacere agli uomini intorno a
noi che ci guardavano con la bava colante dall’eccitazione.
Per noi ragazze era uno scherzo per osservare la reazione dei
maschietti che, invece, già si immaginavano in mezzo a noi
tra le lenzuola. E Nick e Will non furono da meno, con uno stupore
evidente stampato in faccia. Io e Kay ridemmo e i ragazzi cercarono di
tornare ad assumere un’espressione normale.
- “Andiamo avanti!” decretai.
Inutile dire che Will e la sua nuova amica non fecero altro che
scambiarsi effusioni, durante il gioco e non. Nick rispose a tutte le
domande che gli furono poste, nonostante alcune - tra cui ovviamente le
mie - fossero maliziose e lo mettessero sempre in discussione.
- “Hai mai pensato di farlo con mio cugino?” mi
chiese Kay all’improvviso e, per poco, non mi strozzai con lo
spumante.
Esitai. Ancora. E ancora.
No, no, la risposta
è no! E allora perché stai facendo melina?
Sei paia di occhi si incollarono divertiti su di me.
Sam, parla, Dio
santissimo!
- “No!” mentii spudoratamente e con troppa foga per
apparire veritiero. Perché sì, ci avevo pensato
almeno un migliaio di volte a lui sulla scrivania del mio ufficio o
sulla porta di casa mia. Ma così come Jensen Ackles, David
Gandy o Noah Mills, giusto?
- “Non ci sarebbe nulla di male, sai? Sono un ragazzo
fantastico, simpatico, sexy…” si
autoelogiò Nick, scherzando.
- “E soprattutto modesto” terminai.
- “Dai, Nick, scendi dal piedistallo e fai la domanda a
Sam” lo incitò Will.
- “D’accordo, d’accordo. Allora,
Sammy… cosa potrei chiederti? Ci sono! Perché hai
così tanta paura che gli altri possano sapere che sei
terribilmente attratta da me?”.
Quella faccia da strafottente impenitente mi irritava come
nient’altro era in grado di fare. Decisi per una risposta che
fosse il più chiara possibile. Appoggiai sul tavolino
davanti al divano il bicchiere di vino - il quarto circa - e mi sporsi
in direzione di Nick; afferrai con una mano la sua camicia azzurra e lo
tirai verso di me.
- “Io non ho paura di niente!” esclamai in pieno
spirito da cowboy di film western.
Lo baciai sulle labbra e gliele feci socchiudere fino a giocare con la
sua lingua per una decina di secondi, dopodiché lo spinsi -
sempre con la mano puntata sul suo petto - al suo posto. Baciare lui
era meglio di fare shopping, mangiare un dolce e ricevere un regalo
gradito messi insieme; era stato coinvolgente e bello anche trovare le
sue labbra impreparate. Baciare lui era come avere mille ballerine di
Marc Jacobs.
Riafferrai il calice in mano e riproposi un brindisi, facendo cadere un
po’ di spumante sul tappeto.
- “A me che ho fatto una cosa di cui tra diecio minuti mi
pentirò”. Gli altri si unirono a me e continuarono
a sghignazzare. Il gioco terminò lì e decidemmo
di congedarci. Mi feci una doccia breve, stando attenta a non bagnarmi
i capelli e mi infilai sotto le coperte. Il cellulare sul comodino era
illuminato. Un messaggio.
E’ strano
andare a letto con il suo sapore sulle labbra… notte Sammy,
N.
Strano? Cosa vuol dire
strano? Era uno strano positivo - tipo mi piacerebbe
bissare - o uno strano negativo - tipo bleah che schifo non riprovarci
mai più? Mah…
Posai il cellulare sul comodino, spensi la luce
dell’abat-jour e guardai il soffitto per la
mezz’ora successiva; il sonno si era perso per strada e,
ancora una volta, la colpa era sempre e solo di Nick.
Buona
domenica a tutti!Che finalmente qualcosa si stia muovendo tra la
piccola Sammy e Nick? Settimana scorsa mi sono dimenticata di
ricordarvi che il compleanno di Nick non era una cosa campata in aria,
visto che c’era già un riferimento nel secondo
capitolo. Lo preciso giusto perché altrimenti sembrava una
cosa buttata lì!
La
canzone del titolo è un riadattamento di “Blame it
on the girls” di Mika.
Grazie!
S.
|
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Capitolo 17 *** Capitolo 17. It Takes A Fool To Remain Sane. ***
Capitolo
diciassette. It
Takes A Fool To Remain Sane.
Dormire. Se mi
avessero dato un penny per ogni minuto che avrei voluto farlo, a
quest'ora starei giocando a poker con Bill Gates sotto una palma in
qualche isola tropicale, sorseggiando un cocktail con gli ombrellini
dentro e cambiando scarpe ad ogni ora del giorno e della notte.
Purtroppo la sveglia non ha mai perdonato nessuno e troppo spesso mi
sono ritrovata davanti allo specchio, armata di correttore per coprire
antiestetiche borse e occhiaie, prima di scappare in ufficio - in
ritardo, ovviamente.
La
mattina dopo il bacio con Nick a casa di Will non fece eccezione. Avevo
passato la notte a fare sogni erotici su un giovane assistente che
avevo incontrato nella mia carriera universitaria a Cambridge, quando,
soprattutto i primi tempi, mi ero concentrata molto più sul
passare in rassegna la fazione maschile del campus che sullo studio.
Non era di certo la prima volta che mi perdevo in fantasie sul
professor Bentley; quella in cima alla top tre era di sicuro quando mi
ero addormentata a lezione, in fondo all'aula, e mi ero immaginata di
farlo con lui in una centrale di polizia, dietro i vetri che ti
consentono di vedere all'interno, ma non all'esterno. Megalomane.
Mi
ero svegliata di scatto con il sedere sul pavimento e l'intero corpo
studentesco che mi fissava. Quel momento era entrato di diritto anche
nella top tre delle cose più imbarazzanti della mia vita.
Però almeno Bentley mi aveva notata...
Durante
il tragitto sul taxi, tirai fuori dalla borsa la copia del London Express del
giorno precedente e lo sfogliai, soffermandomi sull'enorme titolo in
seconda pagina: Ralph J in manette.
Sgranai gli occhi e presi a leggere velocemente il contenuto
dell'articolo.
Il famoso cantante è
stato arrestato la notte scorsa per induzione e sfruttamento della
prostituzione. Numerose le prove fotografiche a supporto della tesi
degli investigatori.
Seguiva un'immagine dei poliziotti che lo spingevano nella volante come
un qualunque furfantello, mentre lui aveva la sua solita faccia naif da
cucciolotto smarrito che non si rende ben conto di quanto sta accadendo.
No, non è possibile. Esortai
il tassista a portarmi a destinazione al più presto. Gli
lasciai la mancia e presi l'ascensore fino al piano della redazione di Music Magazine. I
colleghi stavano già facendo a gara per accaparrarsi il
pezzo sul rapper più chiacchierato del momento e stavano
assediando la scrivania di Valerie, implorando di essere i prescelti.
Mi feci largo tra la folla e arrivai alla capo redattrice che, in barba
alla baraonda che si consumava attorno a lei, si stava diligentemente
limando le unghie, appoggiata alla poltrona imbottita.
-
"Val!" le gridai, cercando di sovrastare gli schiamazzi degli altri.
-
"Sam. Ho bisogno di parlare con te. Ora tutti fuori!" gridò
autoritaria e la massa si dileguò piano piano, non senza
avermi dato della raccomandata o aver sbuffato rumorosamente.
Le
misi davanti agli occhi il giornale che avevo letto e lei
ricambiò con la nuova copia del Times, che forniva ulteriori
informazioni rispetto alle signorine che si sarebbero intrattenute con
Ralph.
-
"Tu lo hai conosciuto, vero?" mi chiese sognante.
-
"Sì, certo, ma..." risposi.
-
"Voglio uno scoop con i controfiocchi, Samantha. Questo è un
vero colpo di fortuna per noi e soprattutto per la tua carriera!".
-
"Non credo che..." tentai di spiegare.
-
"Potrebbe essere il tuo trampolino di lancio. Dovresti ringraziare
quelle escort perché saranno loro che ti porteranno dritta
nell'élite del giornalismo contemporaneo. Già ti
vedo con in mano il Pulitzer! Chi se lo sarebbe mai immaginato che uno
pieno di soldi e con le donne che gli cadono ai piedi si sarebbe
ridotto a pagare per fare sesso? - disse incredula - In ogni caso
dobbiamo trovare il modo per fartelo incontrare in carcere.
Sarà meglio che ti tenga informata, potrebbe uscire su
cauzione da un momento all'altro. Voglio che tu trovi un escamotage per
arrivare dritta a casa sua e farti confessare tutto. Tutto!".
-
"Non credo sia stato lui!" riuscì a dire, non appena la
macchinetta umana riprese fiato. Val mi guardò sconcertata.
-
"Perché mai? Per dieci minuti di intervista?".
O
vuoto il sacco o la conversazione girerà intorno alla
questione per ore.
-
"L'ho conosciuto; per poco, ma l'ho conosciuto".
-
"Perché ho come la sensazione che c'entri qualcosa la
scommessa con Nick?".
Tombola!
-
"Perché è così" ammisi infine. Le
pupille di Valerie si dilatarono in un'espressione di
incredulità mista a rabbia.
-
"Sei stata a letto con un frequentatore di escort?".
-
"No, sono stata a letto con Ralph". Non avevo molte informazioni su di
lui, ma avevo trascorso la notte con quell'uomo, dannazione! E lui
aveva pianto per me, dopo solo qualche ora insieme; era un tenerone, un
ingenuo ed io avevo il dovere di credere alla sua innocenza almeno fino
a prova contraria. Aveva cantato Celine Dion: se non era una prova
della sua innocenza questa...
In
quel momento Amanda irruppe nella stanza, facendoci fare un salto sulla
sedia.
-
"Ciao Sam. Val, è arrivato l'aggiornamento sul sito del Times con
le prime foto!". Prendemmo immediatamente il portatile dell'ufficio e
arrivammo sulla homepage della concorrenza.
-
"E' nuovo questo computer?" chiesi, notando l'inequivocabile grafica
della Apple.
-
"Sì. - mi rispose, continuando a smanettare con la tastiera
- E' il nuovo MacCord Pro". MacCHE?
-
"Cos'hai detto, scusa?" domandai allarmata.
-
"MacBook Pro" ripeté seccata.
Ah,
ho capito male!
Qualche
istante dopo, due immagini si caricarono; una ritraeva Ralph in
compagnia di due ragazze bionde in quello che sembrava il bagno di una
discoteca, nell'altra c'era sempre lui, ma stavolta con una ragazza sui
vent'anni che aveva un'aria familiare in un ambiente altrettanto
familiare.
-
"Lei... - disse Valerie, indicando la stessa giovane oggetto dei miei
pensieri - mi sembra di averla già vista da qualche parte".
In
quel momento capii chi fosse; guardai la caporedattrice e scandii bene
le parole.
-
"Preparati. Si va a York".
Le
lasciai giusto il tempo di prendere la borsa e di dire alla sua
segretaria di posticipare gli appuntamenti e poi la presi per un
braccio e la trascinai alla sua auto.
-
"Chi è la ragazza?" mi chiese mentre la strattonavo fino a
farla sedere al posto del guidatore.
-
"E' la prostituta di Soho". Quella semplice frase servì a
zittirla e, forse, anche a farle credere una volta di più
che Ralph c'era dentro fino al collo. La giovane era la donna che
avevamo visto in compagnia di Sam Banks durante la nostra ricerca di un
ladro, subito dopo aver subito quel tragicomico borseggio da parte del
sedicenne gracilino ed insicuro che voleva la mia Balenciaga.
Cazzocazzocazzo.
Ciò
provava che Il mio caro rapper aveva avuto rapporti con il mondo della
prostituzione. E che rapporti...
Non
ero certa che quel viaggio fino a York potesse aiutarci, ma non avevo
molta scelta; mi ero messa in testa di aiutare Ralph ad uscire dal
pasticcio in cui si era cacciato suo malgrado e Sam1, al momento, era
l'unica traccia che potessimo seguire. Non potevo credere il contrario:
quell'uomo aveva pianto dopo una notte di sesso con una sconosciuta -
io! -, figuriamoci cosa sarebbe diventato se avesse dovuto sprecare
lacrime per tutte le sgualdrinelle che lo accusavano di averle portato
a letto. Probabilmente, avrebbero creato il lago RJ in suo
onore.
Dopo
quattro ore di viaggio e due soste pipì per Valerie,
arrivammo finalmente a York. La città era incantevole come
ricordavo, con l'imponente cattedrale gotica e quelle viuzze strette e
suggestive. Cominciammo a chiedere un po' in giro se qualcuno
conoscesse il nostro Sam1, ma le informazioni scarseggiavano,
finché non ci imbattemmo in un ragazzo sui venticinque anni
che stava facendo jogging e che, con gli occhi che gli brillavano al
solo nominare Banks, ci disse di provare alla biblioteca cittadina,
dove un intero reparto era dedicato all'idolo locale.
Lo
salutammo, dimenticandoci di essere delle straniere in quella
città e che, pertanto, non avevamo la minima idea di dove
fosse la biblioteca. Fu del tutto inutile girarsi per riacciuffare il
giovane sportivo, dal momento che era già lontano almeno una
cinquantina di metri. Dovemmo fermare un altro passante, una coppia
anziana a dire il vero, per chiedere informazioni. Il marito si
guardò attorno confuso, come se non ricordasse nemmeno dove
fosse.
-
"Oh, Arthur, sei proprio un vecchio rimbambito! - esclamò la
moglie - E' da quella parte e, quando arrivate, chiedete del
bibliotecario. Si chiama Mister... Mister... Mister...".
Perché tutto ricordava Nick?
Se
lo dice un'altra volta le faccio saltare la dentiera.
Val
disse alla donna che non era importante e ci congedammo, pronte a
verificare che le indicazioni fossero corrette. Ci impiegammo un quarto
d'ora solo per farci notare dal vecchio impiegato alla scrivania
principale con gli occhialetti a mezza luna posizionati sul naso. Aveva
una targhetta con il proprio nome appuntata sul maglione, ma rimaneva
coperta dal suo stesso braccio, impegnato a battere a computer.
-
"Scusi?" osai disturbarlo.
-
"Che volete?" rispose in modo rude.
E'
parente di Katy, per caso?
-
"Volevamo sapere dov'è il reparto con gli scritti di Samuel
Banks". Il vecchio cominciò a sorridere.
-
"Oh, Sam, quel grand'uomo". E via con uno sproloquio di mezz'ora sulle
mille ed una qualità del nostro caporedattore; qualcosa ci
sfuggiva, era evidente, perché non era possibile che nella
sua città natale fosse una star, mentre a Londra e nel resto
del Regno Unito non ci fosse anima viva che sapesse chi diavolo fosse.
Il
vecchio ci condusse con piacere ai venti scaffali che ospitavano le
opere di Sam1 e libri, riviste, documentari che lo vedevano
protagonista. Dopo un'attenta analisi dell'intero materiale, l'idea che
ci eravamo fatte era una ed inequivocabile: Samuel Banks era il nuovo
Messia; praticamente perfetto sotto ogni profilo - da quello personale
di padre, a quello professionale di giornalista -, si distingueva
dall'intera popolazione del piccolo quartiere in cui era nato per una
spiccata intelligenza che lo aveva portato ad ottenere una borsa di
studio in uno dei college più prestigiosi e
costosi degli Stati Uniti, dove si era laureato a pieni voti.
Era, quindi, tornato a casa ed aveva intrapreso una sfavillante
carriera da cronista, salvo poi sospenderla bruscamente e abbandonare
York per sbarcare a Londra. Sulle motivazioni circa questo repentino ed
inaspettato cambiamento, la stampa locale non sembrava essersi
prodigata in molte ricerche e ciò era parecchio strano.
-
"Ehi, Sam, guarda qui". Valerie mi passò un quadretto che
riportava l'atto di iscrizione all'anagrafe di Samuel Charles Banks
Jr.; era figlio di tale Samuel Sr., un impiegato di umili origini, e di
Lady Loretta Francine Cordelia Clarice St.Clair, una nobile originaria
di Churchtown, un paesino vicino York praticamente di
proprietà della sua famiglia. Quindi, il caro Sam aveva pure
la favola di Cenerentola al contrario in casa.
-
"Val, su quest'altro documento c'è scritto che la madre era
azionaria di un giornale, non specificato però. Questo
potrebbe giustificare l'ascesa rapidissima nella carta stampata, ma non
la fuga a Londra".
-
"Facciamo qualche fotocopia e torniamocene a casa".
Dovemmo
prostrarci ai piedi del bibliotecario per ottenere il consenso di avere
delle copie dei preziosissimi documenti su Banks, però alla
fine gli mostrammo una banconota da cinquanta e qualche sorriso e
riuscimmo ad uscire con tutto il materiale.
Lo
lasciammo in macchina e passeggiammo tra le vie di York, fermandoci in
una deliziosa pasticceria dove una gentilissima ragazza bionda ci
servì dei dolcetti ed un tè caldo. Dopotutto
eravamo inglesi!
-
"E' un sacco di roba quella che abbiamo raccolto. - commentai,
sbuffando - Ci vorrà un secolo per leggerla tutta".
-
"Vuoi aiutare Ralph o no?" rispose Valerie.
-
"Certo. Anche tu ci guadagni in questa storia, bella mia. - Lei si
finse sorpresa - Oppure non avevi pensato al successo che MM potrebbe
avere se facessimo lo scoop del secolo?".
-
"Qualche pensierino l'ho fatto in effetti... - sorrise - Il problema
è che non sappiamo quale sia il collegamento, sempre che ci
sia, con Sam1 e, soprattutto, come possiamo lavorare in
tranquillità se lui fa parte del giornale".
Quella
era una questione da non sottovalutare, in quanto prevedeva prove e
lavoro occultati e un occhio sempre vigile affinché Banks
non ci stesse controllando.
-
"Un passo alla volta, Val. Per ora raccogliamo tutto e poi vedremo come
riuscire a tirare Ralph fuori dal guaio in cui l'hanno cacciato".
-
"A proposito! Come mai questa cieca fiducia nei suoi confronti?". Le
spiegai come in realtà non potessi essere certa della sua
innocenza fino in fondo, ma aggiunsi anche l'intero resoconto della
serata passata a casa di lui, del pianto isterico mattutino e del fatto
che fosse un bamboccione nella vita di tutti i giorni, invece del
rapper bastardo e menefreghista che si vedeva in tv.
-
"Ralph J piange?" chiese incredula. Passai la mezz'ora
successiva a contenere le sue risate.
York
era una cittadina molto carina, viva, storica, interessante... per i
primi sessanta minuti. Dopodiché, era pura noia.
-
"Sam!". La voce di Valerie mi fece riprendere dallo stato di catalessi
nel quale ero crollata dopo la merenda, seduta su di una panchina che
guardava direttamente sul lato sinistro dell'imponente cattedrale. Non
le risposi, limitandomi a voltarmi verso di lei che era in piedi di
fronte ad una bacheca piena di volantini.
-
"Stasera c'è un pic-Nick!".
Mi alzai di scatto come se avessi ricevuto una scossa elettrica.
-
"Cosa?" urlai.
-
"Un pic-nic. - mi guardò stralunata. Dio,
sto impazzendo - E noi
ci andiamo!" gridò esaltata.
-
"Non credo. Noi andiamo a casa. Ora".
-
"Ma non possiamo perdercelo! E' un pic-nic anni '60, quindi ci
vestiremo come delle dive hollywoodiane e poi torniamo a casa. E
comunque guido io, quindi non hai molte chance di spuntarla". Mi arresi
definitivamente quando pronunciò la parola shopping e mi
spinse in una boutique da cui sapevo già saremmo uscite in
mutande, visti i prezzi folli. Comprai un vestito da educanda bianco
con fantasia nera, poco scollato e non troppo lungo, mentre
Valerie uno al ginocchio con stampa floreale. Le mie scarpe erano alte
e stringate e quelle della mia amica rosa confetto, spuntate e con un
fiocchetto. Passammo dal parrucchiere che ci preparò come
due copie - mai belle quanto l'originale, ovvio - di Audrey Hepburn
nella foto più celebre che si ricorda della diva.
Passeggiammo
perfettamente fuori tempo tra le vie di York, attirando gli sguardi
curiosi della gente, fino ad arrivare al punto di ritrovo dove il pic-Nick -
sì, meglio arrendersi all'evidenza che Nick mi aveva invaso
il cervello e rivoluzionato i pensieri - avrebbe avuto luogo. Sentimmo
in lontananza una musica familiare e ci avvicinammo.
-
"E' Gold degli
Spandau Ballet!" urlai, elettrizzata. Cominciai a ballare,
canticchiando la canzone e Valerie mi segui a ruota.
-
"Gold, always believe in
your soul; you've got the power to know. You're indestructable!"
ci scatenammo, fino a che le porte non si aprirono dall'interno,
rivelando un ambiente tutt'altro che chic. C'era una palla
stroboscopica, spalline e frisé a tutto spiano. L'intera
sala ci guardò come se fossimo due pazze aliene venute da un
altro pianeta.
-
"Mi sa che ho sbagliato a leggere" disse timidamente Valerie.
-
"Ma non mi dire! Hai sbagliato di vent'anni. Scusate il disturbo!"
urlai e cominciai a correre dopo aver preso per mano quell'idiota della
mia amica.
Raggiungemmo
di corsa la sua auto e partimmo di corsa, prima che qualcun altro ci
vedesse. Sulla
macchina scoppiammo a ridere, ripensando alla figuraccia; altro che
star del cinema degli anni '60!Eravamo diventate due discotecare degli
squallidi anni '80, il kitsch del kitsch in fatto di gusto.
-
"Avremmo dovuto capirlo da Gold. E meno
male che lavoriamo per una rivista musicale! Siamo pessime, Val!" risi.
-
"Metti su i The Ark, dai". Presi il cd e lo inserii nell'autoradio. Let your body decide.
-
"Parlando di corpi... - disse maliziosa - Come stanno le chiappe
più belle che conosco?".
-
"Nick sta bene. E ieri sera l'ho baciato. Ancora".
Per
poco non inchiodò nel mezzo dell'autostrada.
-
"Me lo dici così? Sto guidando, ti rendi conto?". Risi.
-
"E' stato bello, Val" confessai, quasi senza nemmeno realizzare quello
che stavo dicendo. Sentii le guance avvampare e il cuore battere forte.
-
"Per me dovresti andarci a letto; con il sesso tutto è molto
più chiaro, più limpido, più nitido. E
tanto tanto tanto divertente. Lasciati andare e capirai cosa vuoi". Non
mi permise di replicare e cambiò canzone. It takes a fool to remain sane.
-
"Dovrebbe aiutare?" domandai scettica.
-
"Shhh".
-
"Avrei preferito Good girls go bad".
-
"Shhh" ribadì.
-
"L'importante è che poi Nick non diventi Father of a son".
-
"Taci!" ordinò ed io smisi di blaterare.
Do,
do, do what you wanna do
Don't
think twice, do what you have to do
Do,
do, do, do let your decide
What
you have to do
That's
all there is to find
Mettemmo
il repeat per le restanti ore di viaggio ed io sfruttai quel tempo per
convincermi che sì, dovevo farmi sbattere da Nick,
sì! Mi sentivo come un pugile caricato a dovere prima di
un'importante gara, forse quella decisiva, quella della vita.
Ci
invertimmo i posti perché Valerie stava per addormentarsi
sul volante - era comunque l'una di notte - ed io la portai a casa, da
Jonathan che la stava aspettando sulla porta.
-
"Ciao Sam-my fa
piacere vederti" esclamò lui.
-
"Eh?" chiesi.
-
"Lascia perdere, tesoro. - disse Valerie al marito - La nostra Sammy
è fuori di sé stasera. Vai e colpisci, donna!".
Quel
Sammy/non Sammy mi fece cadere tutta la corazza di coraggio che mi ero
costruita durante il viaggio. Intanto Val continuava a scalciare e a
lanciarmi urla per spronarmi ad andare alla radice - che poi era pure
la soluzione - del mio problema.
Jonathan
la dovette quasi trascinare in casa e mi disse che c'era già
un taxi fuori ad attendermi. Lo ringraziai e mi diressi un po'
tentennante verso l'auto, dove un autista di mezza età mi
salutò con garbo e non fece caso al mio abbigliamento.
Un
sms di mia madre catturò la mia attenzione: Ti
chiamo domattina perché ho bisogno di parlarti. Mamma.
Bene, speriamo che non
venga di nuovo a trovarmi.
Le volevo bene, certo, ma un pizzico di più quando era a 400
km di distanza.
-
"Ecco, signorina. Siamo arrivati. Sono 5£". Alzai lo sguardo
e rimasi pietrificata: che fine aveva fatto il mio palazzo? Al suo
posto c'era una schiera di villette tutte identiche, tra le quale, al
numero sette, il campanello citava MacCord.
Che
cavolo d'indirizzo ho dato al tassista?
Pagai
e scesi: ormai ero lì.Feci un respiro profondo ed arrivai
davanti al suo cancello, aperto, incerta se suonare - beep, risposta errata -
o se scappare a gambe levate - plin, risposta esatta!
Superai
il cancelletto e salii i gradini.
-
"'Fanculo, non mi sono mai piaciuti i quiz televisivi" dissi ad alta
voce. Suonai ancora, ma nulla accadde.
Segno
del destino. Quando mi girai per tornarmene sui miei passi, la porta
alle mie spalle si aprì, spingendomi a tornare a guardare
verso la casa.
Perché non sono
scappata?
Nick indossava i pantaloni scuri del pigiama ed una
canottiera grigia che lasciava in bella mostra i bicipiti che le
habituées del Pumping Pumpkin ben conoscevano. Stentava a
tenere gli occhi - assonnatissimi - aperti e si stava scompigliando i
capelli, già disordinati dal cuscino. Rivederlo mi fece
capire perché mi ero precipitata da lui: era sexy,
mannaggia, anche e soprattutto quando preso alla sprovvista, come in
quel momento o come la sera precedente a casa di Will.
-
"Sammy?! - disse con la voce impastata, con un tono a metà
tra la domanda e l'affermazione - Arrivi direttamente dagli anni '60 o
hai fatto una tappa intermedia?" scherzò, notando il mio
vestito.
-
"Lunga storia. - liquidai - Dormivi?".
Che domande fai?
-
"No, pettinavo il mio t-rex" ironizzò. Era una velata - e
presuntuosa - allusione al suo pene o ero io che volevo parlare del suo
pene?
-
"Ah. Comunque sono passata solo per questi". Trassi dalla borsa il
sacchetto di plastica che conteneva i boxer imbarazzanti di Max che
avevo scarrozzato per tutto il giorno. Nick non li prese; al contrario,
mi guardò perplesso. Fermò la sua mano che stava
torturando la barba corta e mi fissò di traverso, con un
occhio semichiuso.
-
"Ti sei fatta venti minuti di taxi alle due di notte per darmi un paio
di boxer di Star Trek?"
commentò, notando i disegni attraverso la busta trasparente.
-
"Sì" dissi con un fil di voce.
-
"Sì?" chiese di conferma.
-
"No" ritrattai.
-
"No?".
-
"Mi stai facendo troppe domande" conclusi.
-
"Troppe domande eh... certo che sei strana forte, Sammy". Ancora con
questo strano?
-
"Vuoi entrare?". Non me l'aspettavo.
-
"Non so" risposi sincera. Perché ero lì,
dannazione?
-
"Allora facciamo che ti costringo così almeno superiamo
questo impasse". Mi accomodai sul divano, composta come una dama
dell'800, in un clima di totale disagio da parte mia.
-
"Vuoi bere qualcosa? Un tè, un caffè, un
cappuccino... " propose.
-
"Non disturbarti".
-
"Con il bollitore ci vorrà meno di un minuto".
-
"Allora un tè, grazie".
Brava, così
ti agiti ancora di più e stanotte non dormi.
Mentre
Nick andava in cucina, Mister riaffiorò dal seminterrato con
un'andatura ciondolante e, dopo avermi attaccato qualche migliaio di
peli sull'abito, cercò la sua ciotola dell'acqua, vuota. Mi
guardò con due occhi languidi che imploravano aiuto; capii
l'antifona e raggiunsi il suo padrone che, però,
uscì proprio in quel momento con due tazze fumanti.
Rotearono più volte in aria, prima di rovesciarsi sui nostri
vestiti e frantumarsi a terra.
-
"Ahhhhh!" urlai, constatando che il liquido bollente mi era finito
metà sull'abito, metà sul seno destro in parte
scoperto.
Tetta al fuoco!
Cominciai a farmi aria con la mano, pizzicando la stoffa
per scostare il tessuto bagnato dalla pelle.
-
"Brucia!" gridai.
-
"Perché ti sei alzata?" mi rimproverò Nick e si
analizzò la maglietta macchiata.
-
"Il tuo cane ha sete". Gli mostrai la ciotola vuota.
-
"Vai in bagno ad asciugarti e a mettere un po' d’acqua su
quella tetta arrossata. - Mi avviai verso il bagno, ma lui mi
fermò sorridente - Aspetta! Tienila così: sembra
più grande di quanto non sia!".
-
"Cretino" commentai, ridendo.
Lo
lasciai nel salotto e mi diressi verso la toilette per rinfrescarmi.
Come
cavolo ho fatto ad allacciarmelo prima? Giusto, c'era Val.
Mi
fissai nello specchio, rassegnata dopo l'ennesimo tentativo andato a
vuoto di togliermi il vestito.
-
"Si può sapere che cavolo ci fai qui? Idiota!" mi
rimproverai da sola, sbattendomi un palmo sulla fronte.
-
"Hai detto qualcosa?". Nick entrò nella stanza e si tolse la
maglietta bagnata con nonchalance per poi buttarla nel cesto della
biancheria sporca. Lo aveva chiesto senza nemmeno prestarmi molta
attenzione, concentrato com'era nel compiere i suoi gesti. Non riuscivo
a togliergli gli occhi di dosso; lo guardavo muoversi aggraziato,
cercando nei cassetti una t-shirt pulita. I muscoli si tendevano e
rilassavano armonicamente ed erano perfetti. Lui era
perfetto.
-
"Vuoi una mano per togliere il vestito?" chiese senza malizia alcuna e
si avvicinò, mettendosi alla mie spalle. Non riuscii a
rispondere e lui lo dovette interpretare come un assenso. Trattenni il
respiro quando iniziò ad abbassare lento la zip; il cuore
correva senza sosta ed io avevo una paura folle che lui capisse come mi
faceva sentire la sua presenza così vicina. Lesse la mia
inquietudine e la sfruttò. I suoi occhi glaciali
incontrarono i miei nel grande specchio con la cornice bianca del bagno
color lavanda. Sentivo il suo fiato sulla pelle e le punte delle sue
dita scorrere leggere dalla nuca fino al bordo degli slip. Inarcai
lievemente la schiena e le palpebre cominciarono piano a scendere
quando lui iniziò a poggiare le sue labbra umide sul collo.
Spostò la manica più giù, lungo il
braccio e proseguì ad accarezzarmi le spalle, mentre io
appoggiavo la testa sul suo petto e il vestito mi scivolava via dal
corpo per atterrare sul tappeto. Ero rimasta in reggiseno e brasiliano
blu semi-trasparente, completamente addosso a lui e con una voglia
incredibile di lui.
Levò
con un gesto rapido il fermaglio che avevo nei capelli e, tenendo
questi ultimi stretti nella mano, mi voltò verso di lui. Mi
sciolsi sotto il suo sguardo colmo di desiderio ed
eccitazione, così intenso da farmi sentire le ginocchia
cedere. Nick sembrò capirlo e mi fece sedere sul lavello,
dopo essersi levato la maglietta prendendola dal colletto. Lo afferrai
per la nuca e lo baciai di slancio, senza pensare troppo alle
conseguenze, a quello che sarebbe stato una volta usciti dal turbine
della passione. D'istinto lo attirai a me con le gambe e le incrociai
dietro la sua schiena, per stare il più vicino possibile a
lui. Le sue mani mi cinsero i fianchi e mi spostarono fino a che non mi
fecero sbattere sonoramente e senza alcuna delicatezza contro la porta
del bagno; Nick mi sollevò una coscia e fece scendere lento
gli slip, stando attento a farmi sospirare ad ogni minimo contatto con
la sua pelle.
La
situazione mi stava scappando dalle mani, perciò lo
allontanai di poco e gli abbassai i pantaloni della tuta, di cui si
liberò velocemente. Il fatto che non solo io fossi
impaziente di andare oltre era evidente dal rigonfiamento dei suoi
boxer che mi premeva sul basso addome e che non mi permetteva di
pensare ad altro; lui era eccitato ed era per causa - o merito? - mio e
ciò mi riempiva d'orgoglio.
Mi sganciò esperto il reggiseno e lo lanciò da
qualche parte. Riprese a baciarmi il collo, muovendo le mani lungo
tutto il mio corpo, mozzandomi il respiro; sembrava conoscesse
già ogni centimetro della mia pelle e sapeva quali erano le
zone che meglio facevano piacere ad una donna. Dopotutto era pur sempre
uno striper...
Mi
irrigidii un pochino, tornando alla realtà, e cercai di
discostarlo per recuperare lucidità e focalizzare la
situazione.
-
"N-non possiamo" dissi incerta. Puntò di nuovo i suoi occhi
nei miei; non capii mai se davvero si rendesse conto del potere che era
in grado di esercitare semplicemente utilizzando il suo sguardo.
Fai
quello che vuoi.
Insinuò
le dita tra le mie cosce ed io mi lasciai sfuggito un gemito, mentre mi
spalmavo sulla porta, trastullandomi nel suo tocco deciso e preciso.
Percorse con il labbro inferiore la mia pancia, dall'ombelico fino al
seno, dove si soffermò qualche istante, per poi risalire
fino all'orecchio.
-
"Allora dimmi di smettere" mi soffiò piano nell'orecchio.
Questa
è circonvenzione d'incapace!
Mi
leccò il lobo e mi cercò la lingua per
intrecciarla con la sua e giocarci fino allo sfinimento e staccarsi da
me per riprendere fiato. Ci scostammo dall'uscio e raggiungemmo la
camera a tentoni, perché in tutto quello io avevo ancora le
scarpe ai piedi. Me ne sbarazzai rapida e ci lasciammo cadere sul
letto, avvinghiati l'uno all'altra. Gli sfilai di lato e afferrai
l'orlo dei boxer, mentre lui si faceva sempre più impaziente
di essere liberato da quell'inutile restrizione; lo accarezzai su e
giù attraverso la stoffa, con il chiaro intento di
continuare a provocarlo e prolungare la dolce tortura finché
non mi avesse implorato di procedere. Guidò la mia mano al
di sotto del tessuto ed io mi beai dei suoi sospiri, mentre mi muovevo
su e giù, vedendolo contorcersi tra le lenzuola.
-
"Sammy... " disse soltanto ed io capii. Nick ribaltò le
posizioni ed io mi trovai spalle al materasso con lui sopra di me.
Prolungò l'attesa, baciandomi nell'interno coscia,
pungendomi la pelle con la barba corta di qualche giorno. Lo vidi
infilarsi il preservativo con abilità, senza permettermi di
distrarmi dal suo corpo scolpito e dai suoi occhi che mi facevano
venire brividi lungo la spina dorsale, invadendomi la bocca con il suo
sapore di menta. Quando scivolò con foga dentro di me e
cominciò a muoversi ritmicamente, uno strano sentimento si
fece largo: stavo... bene? Beh, logico. Quando
fai sesso stai bene, no? A meno che tu non incontri Henry Chambers
& co, chiaro.
Sam,
agisci, fai qualcosa.
Forse
quella era l'unica opportunità di farlo con lui, quindi
perché non sfruttare l'occasione e trarre il meglio da
quest'esperienza decisamente piacevole? Lo fermai e lo spinsi con forza
lontano, per poi spingerlo sul lenzuolo.
Non
ero la dea del sesso ed era probabile che l'intero mondo mi credesse
una pazza a prendere le redini della cosa, quando sotto di me c'era uno
che sapeva agitare il culo moooolto bene e che non era da escludere che
al Pumping
Pumpkin avesse
fatto qualche lavoretto extra come gigolò.
"It's
your right to laugh at me
and
in turn that's my oppurtunity
to feel brave" cantavano
i The Ark ed io mi fidai.
Lo
feci spostare fino a sedersi contro la testiera del letto ed io mi misi
cavalcioni su di lui, decidendo il ritmo e facendo in modo che il mio
corpo fosse appiccicato al suo, così da strusciarmi sul suo
petto e sui suoi addominali ogni qual volta mi muovessi su e
giù. Mi aggrappai alla sua schiena e ci infilai le unghie
cortissime per aiutarmi a mantenere la posizione e Nick parve gradire.
Lo sentii stringersi più forte a me e assecondarmi in ogni
gesto. Alla fine, quando sentì che per entrambi l'apice
stava per giungere, nascose la faccia nell'incavo dei miei seni, senza
mai lasciarsi andare completamente a sospiri di piacere, mentre
io ero ancora attaccata a lui, al suo collo, come a voler
godere di lui fino all'ultimo istante. Poi, come presa da un senso di
pudore - del tutto inutile, a quel punto - mi scostai dal suo corpo
sudato che sapeva di noi e mi arrotolai nel lenzuolo.
-
"Sammy... " iniziò a dire, sottovoce, avvicinandosi dopo
aver ripreso fiato.
-
"Lo so. - lo anticipai - Domani faremo finta che non sia mai successo".
E lui ritornò nella sua metà.
-
"Rimani a dormire, se ti va".
Niente
di più sbagliato da dire: cosa stavo diventando? Una
sciaquetta a cui veniva concesso di passare la notte nel letto, dopo
aver consumato?
Mi
voltai verso il comodino e ci trovai due pacchetti avorio con la
ceralacca rossa e la grande N al
centro. Su di una c'era scritto tecnico pc, l'altro
risaliva ancora alla ladra. Una fitta si propagò in tutto il
mio stomaco, conducendomi a pensare che forse anche io e la mia
prestazione saremmo finite in uno di quei squallidi dvd.
Provai
a chiudere gli occhi, ma era come se ci fosse una calamita che mi
costringeva a tenerli aperti. Non ce la feci ad attendere domani. Con un
groppo in gola aspettai che lui si addormentasse, mi rivestii in
silenzio e scappai come una ladra nel buio della notte londinese.
Sono
in ritardo, lo so, ma questo capitolo - infinito - è stato
un parto. Poi, tanto per cambiare, l’università mi
occupa un sacco di tempo e, in più, c’è
un'idea per una nuova storia che mi martella il cervello. Ma non la
comincerò finché non avrò finito
questa, don't worry :D A tal proposito, metto le mani avanti dicendo
che non voglio fare progetti sul numero dei capitoli che ho intenzione
di fare. Quando sarà il momento di finirla, la
finirò. Non saranno di certo 100, però!
Le
canzoni citate in questo capitolo sono 5: It takes a fool to remain
sane, Father of a son e Let your body decide che sono dei The Ark, Good
girls go bad dei Cobra Starship e Gold degli Spandau Ballet.
La
città di Churchtown è inventatissima e vi avviso
che potrebbero esserci errori di battitura. Prometto che li
controllerò nei prossimi giorni.
Ringrazio
tutti coloro che seguono e recensiscono la storia. Grazie davvero! :)
Ma...non
credete che Sam avrebbe fatto meglio ad ascoltare quello che Nick
voleva dirle? Alla prossima! Baci!
|
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Capitolo 18 *** Capitolo 18. Escape. ***
Capitolo
diciotto. Escape.
- "Ho fatto una cazzata" ammisi.
Non aspettai nemmeno che la porta dell'appartamento di Will
fosse completamente aperta per vomitare la mia confessione. I miei
capelli si mossero a causa dello spostamento d'aria e lui mi
guardò indispettito.
- "Raviolo, non possiamo parlarne domani?" chiese lui, stropicciandosi
gli occhi dal sonno. Avevo passato i minuti precedenti a dare pugni
alla sua porta, finché non aveva risposto alle implorazioni
di farmi entrare. Lo superai agilmente e andai dritta sul divano.
- "Immagino che sia un no" bofonchiò lui.
- "No, no, certo che no! Ho fatto la cazzata delle cazzate. La regina
madre delle cazzate".
La fiumana di parole
è sempre dietro l'angolo quando sono nervosa.
- "Vieni al punto" si lamentò.
- "Ho fatto sesso con Nick" urlai tutto d'un fiato.
Mi sedetti sul divano in attesa che mi arrivasse il rimprovero del
secolo, la ramanzina dell'amico che mi sgridava di essere stata troppo
lasciva e di aver ragionato con l'organo sbagliato.
- "Era inevitabile. - fu invece il suo commento - Solo non mi aspettavo
che accadesse così presto".
No, un attimo.
Non solo non mi aspettava un cazziatone, ma ero pure andata oltre le
sue aspettative, anticipando la tabella di marcia. Will era impazzito.
- "Che vuol dire presto?".
- "Significa che pensavo che ci impiegaste di più a mettere
da parte l'orgoglio e capire che c'è qualcosa tra di voi".
Ah, no. Will
è solo scemo.
- "Smettila di pensare. Perché pensi solo cazzate" dissi
acida.
- "Comunque... - mosse la mano in aria, in un gesto che doveva indicare
che non era così importante ciò che dicevo -
Com'è andata?"
- "Bene. - Bene? -
Un disastro".
- "Sam, ti prego. Sono un uomo, non le capisco le stronzate di voi
donne".
- "E' stato sesso spicciolo, senza sentimento. Dio, è stato
peggio che farlo con Chambers".
- "Chi è Chambers?" domandò curioso.
- "Lascia perdere. E' stato macchinoso... una scopata! Per quanto sia
stato bello, la sensazione che ho provato dopo ha cancellato qualsiasi
ricordo positivo". In che casino mi ero cacciata?
- "E' stato sesso" affermò lui, tranquillo.
- "Sì, non so cosa mi aspettassi. Perché ho dato
retta a Valerie? - Gli spiegai come mi fossi lasciata convincere a
presentarmi da Nick perché con il sesso tutto è
molto più chiaro, più limpido, più
nitido. E tanto tanto tanto divertente. Lasciati andare e capirai cosa
vuoi - Forse ho dato troppa importanza ad una cosa che
non ne ha mai avuta. Almeno ho capito che la mia stupida attrazione nei
suoi confronti non ha futuro".
- "Non essere così drastica" mi ammonì.
- "Will, non voglio più sentirmi in quel modo. E la cosa
buffa è che do la colpa di tutto a me. Lui ha fatto quel che
doveva fare; e pure bene... - mi lasciai sfuggire - Ah, ma che cavolo
mi ha detto il cervello? Ho solo incasinato le cose".
- "Non credo. Se le cose stanno così, non ci saranno grandi
sconvolgimenti. Da quanto mi ha detto Kay, lui non è uno da
farsi tanti problemi; sono anni che non ha una storia seria. Solo tanto
sano sesso".
Mi sentii in parte sollevata, in parte di nuovo gravata di un peso
all'altezza del petto: sapere che Nick se la faceva con qualsiasi
essere animato femminile, mi faceva sentire quasi ordinaria - era come
le mestruazioni: una cosa che accomunava tutte le donne -,
però provavo fastidio a saperlo nelle braccia e nelle gambe
altrui. Per le malattie che potevo essermi presa, sia chiaro, non per
altro. Feci un'espressione non molto convinta, mormorando uno speriamo e Will si
mise a ridere rumorosamente, attirandomi a sé con fare
fraterno e strizzandomi tra le sue braccia.
- "Raviolo, è la prima volta che sento che una ragazza
sperare di essere stata solo una scopata tra le altre e non quella che
fa la differenza. Stai tranquilla, dai, è va' a dormire".
Lo salutai e ringraziai, prima di strappargli una coccola veloce di
consolazione che terminò sulla porta di casa sua.
- "Se è riuscito a farti prendere le colpe di qualcosa,
quell'uomo è il mio nuovo dio!". Solidarietà
maschile indesiderata.
Chiusi a chiave la serratura e mi tolsi con cura le scarpe nuove che
cominciavano a farmi male. Erano già le 3.30, Romeo non si
trovava - probabilmente era da Will - ed i documenti su Sam1 che avevo
tenuto io erano ancora nella borsa in attesa di essere letti. Mi
sedetti alla scrivania in camera e cominciai ad analizzarne alcuni. Ma
la testa si era fatta pesante sul palmo della mano, con il gomito
puntato sul legno. Mi addormentai per qualche minuto, cullata da una
strana fragranza intrisa nel vestito e sulla pelle.
Feci un movimento brusco che mi destò; era il profumo di
Nick quello che sentivo e ciò era abbastanza per privarmi
della lucidità necessaria per studiare gli scritti di York.
Mi alzai barcollante e mi buttai sotto lo scroscio incessante della
doccia che avrebbe lavato via le tracce di Nick e dei momenti passati
con lui.
Alle 4.15 finalmente riuscii a dormire, un sonno sereno e, per fortuna,
privo di sogni.
La telefonata promessa di mia madre non tardò ad arrivare,
nell'arco di tempo che io consideravo ancora come l'alba: le 10.30.
- " 'Onto?" ruggii.
- "Tesoro, sonno la mamma".
- "Sii rapida" gracchiai.
- "Okay: domani devi andare in clinica dalla zia Annie. Ciao".
Riattaccò.
Un attimo: cosa dovrei
fare? Come guastarsi una giornata. Mi alzai, trascinando
i piedi fino alla cucina dove mi sarei concessa un'ingente dose di
teina. Per via endovenosa.
Presi un post it, scrissi chiamare mamma e ucciderla e lo appiccicai
sul microonde.
- "Romeo?" gridai, ma quel disgraziato non uscì dal suo
nascondiglio. Che sapesse che era arrivato il giorno della gita al
negozio di animali dove gli avrebbero fatto la toelettatura?
Sì, roba da cani, lo so. Ma il mio micione era speciale,
meritava un giorno alla spa per gatti, ricco di coccole che spesso non
avevo il tempo di dedicargli e di trattamenti antiparassitari per
evitare che mi infestasse casa.
- "Guarda che se non vieni oggi, ti ci porto domani". Nulla. Will era
già a lavoro ed io non avevo voglia di entrare nel suo
appartamento per fare la caccia al gatto. Lo mandai al diavolo e mi
preparai per andare in ufficio, da Valerie, per cominciare a lavorare
sul materiale raccolto e per gli eventuali aggiornamenti
su Ralph.
Riuscii ad entrare nell'ufficio, nonostante le occhiate assassine dei
miei colleghi che dovevano aver saputo che il caso dell'anno era finito
dritto dritto nelle mie mani.
- "Sam!" strillò Val non appena mi vide.
Mi trascinò per un braccio e chiuse la porta alle mie spalle.
- "Buongiorno" le dissi.
- "Sam1 non c'è per tutta la settimana. Quindi possiamo
lavorare tranquillamente senza paura di essere scoperte".
- "Dov'è andato? A York?" domandai.
- "No, ha parlato di Bra-sile, ma potrebbe essere una balla".
- "Perché Bra-sile?".
- "Era un modo elegante per passare da un argomento all'altro,
cioè dallo Stato al WonderBra che qualcuno dovrebbe averti
sfilato abilmente ieri sera".
- "Non fiatare. - dissi, scandendo bene le parole - Giuro che non
seguirò mai più un tuo consiglio". Le spiegai
l'andamento, molto sexy, della serata precedente a casa di Nick e delle
conseguenze nefaste che sarebbero derivate dalla mia imprudenza.
Valerie passò da uno stato - e in questo caso non c'entrava
la geografia - di eccitazione, ad uno di confusione e viceversa per
qualche decina di volte.
- "Perlomeno ora sai come si muove il ragazzo". Incorreggibile, quella
donna era proprio incorreggibile. Di positivo, c'era che era anche una
portatrice di buone novelle e se in vista non ce n'erano per il povero
Ralph - ancora in carcere, visto che gli avevano negato l'uscita su
cauzione - ce n'erano per noi. Sam1 era fuori dalle scatole per un po'
ed io avevo tutto il tempo di tornarmene a casa ad analizzare le carte
che lo riguardavano.
- "Scusami, Will. sono venuta a riprendere il mio gattaccio. Forza
Romeo - urlai, alzandomi sulle punte per parlare sopra la spalla del
mio vicino -,porta il tuo sedere peloso di là".
- "Ma non è qui" mi rispose lui.
- "Scherzi, vero? Non lo vedo da ieri sera e ho passato l'ultima ora a
ribaltare casa per vedere dove fosse finito. Non è nemmeno
nella lavatrice". Ogni tanto capitava di trovarlo dentro al cestello,
visto che era perfettamente cosciente che la sottoscritta lo usava una
volta a settimana, nella migliore delle ipotesi.
- "Ti assicuro che non c'è". Spinsi indietro Will e mi feci
largo nel suo appartamento, dove lui mi seguì come un
cagnolino, cercando di sistemare ogni cosa che scombussolavo. Romeo non
c'era ed io fui presa dal panico.
- "Forse è andato al piano di sopra o è sceso di
sotto" tentò di darmi fiducia. Lo guardai scettica e
preoccupata.
- "Will, sai meglio di me che Romeo è così pigro
che il massimo movimento che fa è andare avanti e indietro
dal pianerottolo. E poi non è mai stato al di fuori di
questo condominio. Non può essere scappato... " lasciai la
frase in sospeso, cercando di trovare una risposta negli occhi del mio
amico che, però, si limitò a guardarmi.
Per quanto talvolta lo ignorassi o preferissi non averlo tra i piedi,
quel batuffolone di pelo corvino era l'unica compagnia che avessi
rientrando a casa tutte le sere. Ascoltava i miei monologhi/sproloqui,
coccolandomi e amandomi senza condizioni.
- "Santo cielo! Se è scappato potrebbe essere finito sotto
una macchina, spiaccicato, abbandonato sul ciglio della strada, caduto
in qualche buco lasciato incustodito da un sottopagato operaio
bengalese, spappolato dalla metropolitana... ".
Nei momenti di
sconforto, tendo al melodramma.
- "Okay, Sam, calma. - mi posò le braccia sulle spalle - Lo
troveremo. Vivo". Mi prese per mano e mi trascinò
giù per le scale. Arrivammo sul marciapiede e chiedemmo a
dei passanti che ci guardarono spaesati per la buffa richiesta e poi
dissero che no, non avevano visto alcun gatto nero aggirarsi per la
strada. Percorremmo la strada in lungo e in largo, domandando ai
commercianti la stessa cosa, ma non ottenemmo alcuna informazione.
Un'ora più tardi ci raggiunse anche Kay, che
suggerì di provare a cercare ad Hyde Park. In
realtà, l'idea era già venuta in mente anche a me
e Will, ma l'avevamo accantonata sperando di trovarlo prima. Il motivo
era che trecentocinquanta acri da perlustrare non erano certo cosa
facile, soprattutto considerato che i Kensington Gardens erano attigui
e che se Romeo vi ci fosse addentrato, a quel punto la superficie da
controllare aumentava di duecentosettantacinque acri.
Il cellulare nella mia tasca vibrò; guardai il display e per
poco non mi venne un colpo. Nick.
Senza pensarci due volte, risposi.
- "Nick, non è proprio il momento... ". Ero disposta ad
accantonare l'imbarazzo per la sera precedente, pur di rimanere
concentrata sulla ricerca in corso.
- "Sono alla statua di Achille" affermò lui sicuro ed io mi
zittii per un attimo.
- "La statua di Achille ad Hyde Park Corner?" chiesi stupita.
- "No, quella in Malesia" esclamò ironico.
- "Stai cercando Romeo?". Della
serie: ho sempre una scorta di domande idiote per ogni evenienza.
- "No, mi sono precipitato qua direttamente da lavoro per ammirare la
foglia che gli nasconde il pisello".
Ma chi cavolo l'aveva chiamato? La faccia tutt'altro che innocente di
Kay mi fornì una risposta non verbale che poteva essere
interpretata con un ci
serviva una mano.
- "Pronto?".
- "Sì, scusa; - mi affrettai a dire - stiamo arrivando".
Terminai la chiamata e feci due passi, convinta che il resto della
comitiva mi seguisse. Invece, Will e Kay si fermarono e mi dissero che
loro sarebbero partiti da Bayswater Road - a nord ovest dei Kensington
Gardens - mentre io mi sarei aggregata a Nick - che carini! - a
sud est di Hyde Park. Ci saremmo poi trovati tutti e quattro al ponte
sul Serpentine, il corso d'acqua che divideva i due parchi.
Loro presero un taxi ed io proseguii a piedi, finché non
vidi da lontano la figura del mio compagno di team che si guardava
attorno senza prestare davvero attenzione. Lo raggiunsi veloce e lo
afferrai per il braccio per fargli notare la mia presenza.
- "Oh, era ora. Gli altri due?" Gli spiegai la divisione del territorio
e gli illustrai l'itinerario.
- "Potremmo cominciare da Serpentine Road e poi passare a The Ring...".
- "Ci sono già passato venendo qui. Proviamo ad andare nella
parte nord, verso Speakers' Corner". Mi arresi con facilità
alla sua idea, anche perché c'era da perdersi in
quell'immenso polmone verde ed affidarsi ad un londinese doc sembrava
la cosa migliore da fare. Imboccammo una stradina in silenzio,
osservando tutt'intorno a noi se ci fosse una palla nera che rispondeva
al nome di Romeo.
Qualcosa non tornava, era chiaro; non era mai scappato in vita sua,
faceva venti metri al massimo al giorno, figuriamoci se si poteva
essere spinto fino alla fine di Mayfair, da solo, zampettando in un
mondo che non conosceva. Era un pigro gatto d'appartamento, non di
certo un felino in grado di sopravvivere in una città
caotica come la capitale. D'altro canto, non riuscivo a raccapezzarmi
su come qualcuno lo avesse potuto prendere da casa mia e, soprattutto,
perché; non era un gatto di razza da poter rivendere e poi
era già adulto: difficile trovargli un nuovo padrone.
Che fosse per la storia di Sam1 e di Ralph? Anche in quell'ipotesi,
però, non ero ancora giunta a nessun punto che potesse
mettere a repentaglio la posizione del mio caporedattore o migliorare
quella del rapper.
Persa nei ragionamenti, mi scappò l'occhio sul nome del
sentiero che stavamo percorrendo: Lovers'
Walk - La passeggiata degli Amanti. Pure il destino ci si
metteva?
- "Romeo!" chiamai, giusto per distogliere l'attenzione dal pensiero
del fato avverso. Si girarono un paio di persone curiose, ma poi
proseguirono per la loro strada, tranquille.
Arrivati alla Boat House dopo ore di estenuanti ricerche, il mio
micione non si era ancora trovato e le speranze cominciavano ad
affievolirsi. Erano le 16.30 e poco dopo avrebbe fatto buio; dare la
caccia ad un animale nero ad Hyde Park di notte equivaleva a cercare un
ago in un pagliaio. Mi sedetti su una panchina e mi arresi.
- "Forse l'ha mangiato un cigno". Nick si sedette accanto a me e mi
passò la bottiglietta d'acqua che avevamo acquistato qualche
minuto prima al ristorante lungo il Serpentine.
- "Un cigno?" chiese scettico, appoggiandosi allo schienale.
- "Li hai mai visti quelli che ci sono qui? Sono enormi" dissi
sconsolata.
- "Il tuo gatto è un ciccione, non ci passerebbe mai lungo
il loro collo". In effetti...
- "L'avranno fatto a brandelli". Bevvi e mi passai il dorso della mano
sulla bocca per asciugare le gocce che erano sfuggite dalla bottiglia.
- "Sì, con i loro denti aguzzi" esclamò lui con
una voce da idiota che mi fece ridere.
Abbandonai la testa all'indietro e aprii le braccia: tanta fatica e il
risultato era stato nullo.
Nick mi prese per mano e mi alzò dalla panchina.
- "Dai, andiamo al ponte. Magari Will e Kay avranno qualche
informazione". Ne dubitavo fortemente, ma mi lasciai comunque
trascinare verso il punto di ritrovo. Non mi accorsi di avere la mano
ancora intrecciata con la sua finché una coppia di turisti
non gli tese una cartina, chiedendo informazioni. Lui si
staccò e sembrò realizzare a sua volta in quel
momento di essere legato a me. Sciogliemmo l'incastro subito,
improvvisamente super impegnati a prodigarci nella spiegazione su come
raggiungere Buckingham Palace; più che altro c'ero io che
tentavo di spiegarmi con il mio pessimo senso dell'orientamento e Nick
che mediava il tutto, dicendo di non ascoltarmi perché li
stavo mandando in Francia e non alla residenza della Regina. I due
turisti ci ringraziarono e noi proseguimmo nel costeggiare il fiume
fino al punto in cui fu possibile attraversarlo. Avevamo percorso quasi
tutto il ponte, quando il cellulare di Nick suonò e lui si
distrasse, appoggiandosi sulle grandi arcate del Serpentine Bridge, a
fissare l'acqua sottostante, arricchita dei riflessi del tramonto.
Mentre lui conversava con quello che capii fosse Will, io notai una
piccola folla radunata vicino al ristorante che stava dal lato opposto
rispetto a quello da cui noi provenivamo. Mi ci avvicinai e vidi che
ero tutti attorno all'ultimo piloncino bianco del ponte, attorno al
quale era stato stretto un guinzaglio. Sgomitai tra la gente e riuscii
ad arrivare davanti a tutti: Romeo se ne stava pacifico seduto e
scodinzolante, perfettamente a suo agio; davanti alle sue zampe alcuni
bambini avevano posato dei pezzetti di cibo che lui stava mangiando con
avidità. Lo slegai e lo presi in braccio, rassicurando tutti
che quel gatto era mio; mi guardarono storto e mi rimproverarono di
averlo lasciato lì un'intera giornata, ma io spiegai come in
realtà mi fosse stato sottratto. Inutile dire che non molti
ci credettero, visto che era stato sapientemente attaccato ad un
guinzaglio e fermato al piloncino.
Lanciai un'occhiata a Nick e vidi che si stava avvicinando, quindi, per
evitare domande insidiose a cui non avrei saputo rispondere, mi
affrettai a passare tra la folla che si stava diradando.
- "Trovato" annunciai trionfante.
Un sorriso bellissimo si stampò sopra il suo viso e, in quel
preciso istante, giustificai quanto era successo la sera
prima; la carne
è debole. E la mia era proprio liquefatta in
sua presenza.
Will tornò da solo. Kay era dovuta correre a comprare delle
cose prima che i negozi chiudessero, ma era stata carina
nell'informarsi che il mio micione peloso fosse sano e salvo a casa.
Nick si offrì di portarci a casa, viste le energie residue
scarse e la comodità di avere il suo fuoristrada a poca
distanza da Hyde Park.
Lungo il tragitto continuai a coccolare Romeo e a torturarmi nel
pensiero che qualcuno fosse riuscito ad entrare in casa mia agilmente,
prenderlo e portarlo al parco. Avrebbero potuto anche ucciderlo. O
uccidere me. C'era qualcuno che aveva così paura di quello
che avrei potuto scoprire da agire di prevenzione, cercando di
incutermi timore in modo tale da convincermi a mollare l'indagine
intrapresa. Ma non volevo parlarne con nessuno - forse neanche con
Valerie - perché ero certa che lei, o Will, o Nick si
sarebbero preoccupati e mi avrebbero forzata a mettere da parte i miei
istinti da detective.
Il motore dell'auto si spense.
- "Grazie dell'aiuto". Mi voltai verso il guidatore e lo dissi a bassa
voce ed in fretta, evitando accuratamente d'incrociare il suo sguardo.
Mi voltai e feci per scendere, come aveva già fatto Will.
- "Non credi dovremmo parlare?" mi chiese Nick, incollandomi al sedile.
Il mio vicino mi aprì la portiera e mi sfilò il
mio gatto dalle braccia.
Salvatore!
Richiuse lo sportello senza grazia né attenzione,
regalandomi un sorriso malefico.Come non detto. Altro che salvatore, Lucifero!
- "Parlare di cosa? - domandai nervosa, guadagnandomi un'occhiataccia
dal mio interlocutore - Della fame del mondo? Delle fasi lunari?
Dell'etimologia della parola
supercalifragilistichespiralidoso? Del perché
Cristiano Ronaldo si ostina a voler andare a prostitute,
quando io sarei più che disposta a fargli di tutto
a gratis?".
Non l'ho appena detto
questo, vero?
- "Sammy..." provò a fermami, ma non mi lasciai intimorire.
- "... o del perché proprio mentre comincio ad indagare su
di Ralph J, guarda caso, mi sparisce il gatto?". Ripresi fiato, nella
speranza che lui non si decidesse di nuovo a fermarmi.
Buoni propositi di
tenere la bocca chiusa, addio!
- "Tu cosa?" urlò, stavolta con un tono determinato che mi
fece sobbalzare dallo spavento.
- "Non credo sia colpevole" riuscii a dire.
- "E tu staresti indagando?".
- "Non vedo cosa ci sia di strano; sono una giornalista, in fin dei
conti" gli ricordai.
- "Ma sei abituata a sentirti un disco o un live e a scriverne un
articolo, non sei una giornalista d'assalto!" puntualizzò,
aumentando la mia tensione. Poteva anche avere ragione, però
nulla al mondo mi avrebbe fermato dall'andare fino in fondo alla
questione di Sam1 e Ralph.
- "Era di questo che mi volevi parlare?" cambiai argomento, mentre Nick
cominciava a guardarmi spazientito.
- "È inutile che t'incazzi quando uno ti critica".
Io mi incazzo? Io mi
incazzo? IO MI INCAZZO?
- "Vai a quel paese, Nick!" esclamai sprezzante e aprii la portiera, ma
lui mi passò un braccio davanti e la richiuse con violenza.
- "La smetti di scappare?".
- "Io non scappo!". Volevo solo far circolare un po' d'aria. Gelida. Di
ottobre.
- "No, invece, tu scappi. Lo fai ogni volta che ti si dice una cosa che
tu non vorresti ti fosse fatta notare o quando succede qualcosa che non
hai previsto".
- "Non è vero" replicai stizzita.
- "Ah no? E cosa hai fatto ieri sera?".
Cazzo.
- "... o al cimitero di West Brompton?".
Oh cazzo.
- "... o quando avevamo la febbre a casa mia? L'hai ammesso tu stessa
che avresti fatto 'un'uscita
teatrale' - mi citò -, se avessi avuto la forza
e la voglia di alzarti?".
Doppio-oh cazzo. Ho
forse trovato l'unico uomo che mi ascolta quando parlo? Che sfiga,
cavolo.
Come potevo uscire da quella situazione?
- "Ho una spiegazione per tutto" mentii. Ecco, di sicuro non
così.
- "Ti ascolto" si sistemò meglio sul sedile ed
incrociò le braccia al petto, con un sorriso malizioso sulla
faccia.
- "Per quanto riguarda l'episodio della febbre, me ne volevo andare
perché sei insopportabile, irritante, odioso, detestabile.
Comprendi? Al cimitero mi avete davvero fatto spaventare ed ero
così arrabbiata che ho preferito tornarmene a casa per non
ridurre i vostri genitali a segatura. L'ho fatto per voi".
- "Grazie Sammy" disse in modo finto.
- "Quando vuoi, Nick. - risposi a tono - Bene, cosa rimane?". Come se
non lo sapessi.
- "Ieri sera" esclamò prontamente.
- "Ieri sera cosa? Neanche mi ricordo cos'è successo ieri
sera. Perché, è successo qualcosa ieri
sera? No, perché se anche fosse successo, io l'ho
già rimosso. Adieu, goodbye, ciao ciao. Ieri sera
è cancellato, non è mai esistito ieri sera".
- "Scusa non ho capito cos'hai detto: ieri sera forse?"
mi schernì. Cielo, ma come faceva a rimanere impassibile,
freddo e razionale, mentre io continuavo a farneticare come una pazza
isterica?
- "Si può sapere cosa vuoi da me?". Meglio mettersi sulla
difensiva.
- "Ehi, rilassati. Voglio solo discutere di ciò che
c'è stato".
- "Discutere di che? - Evidentemente il mio discorso di prima non aveva
sortito l'effetto previsto: se lo ricordava, e pure bene!,
quello che era successo la notte precedente - Siamo adulti, Nick, ed
entrambi siamo in grado di capire che è stata una scopata e
che questo non condizionerà le nostre vite. Ci siamo
divertiti, una serata e stop. Voltiamo pagina ed andiamo avanti".
- "Ma sei la donna della mia vita!".
Boom. Stecchita.
Cos'aveva detto: sei la nonna della mia gita? Oppure sei la gonna della
mia Cita?
Un po' ci avevo sperato che lui mi contraddicesse, però
quell'affermazione era un po' troppo. Era... forzata.
- "Cosa?" mi limitai a dire tranquilla, nonostante lo squittio che mi
era uscito tradisse una certa apprensione.
- "Una che non si fa illusioni dopo il sesso è...
è una figata".
Io avrei detto sfigata,
ma era questione di punti di vista, evidentemente.
- "Eviterò di commentare la tua espressione da liceale
segaiolo per dirti che sono quasi offesa del fatto che tu potessi
pensare che io avessi dato peso a quanto è successo la notte
scorsa".
- "Volevo solo che fosse tutto chiaro e che non ci fosse imbarazzo. - Imbarazzo? Per aver fatto sesso
con te? Pffff, naaaaah - Quindi allora ti ricordi
ciò che c'è stato?" rise.
- "No, ho rimosso in blocco le ultime ventiquattro ore. Non ricordo
dove fossi, perché, quando. Non so nemmeno chi sia tu!" lo
presi in giro.
- "No? Perché ieri mi sembrava che te lo ricordassi bene,
quando lo gridavi perché io ti avevo..".
Divenni gialla - mescolanza tra il rosso della rabbia e il verde dalla
vergogna - e gli coprii la bocca con la mia mano prima che ne
fuoriuscisse qualcosa che non ero pronta a far riaffiorare dal presunto
oblio.
- "Ho-ho capito" esclamai. Lui rise di nuovo da dietro le mie dita che
non avevo ancora staccato dalle sue labbra. Mugugnò qualcosa
che mi costrinse a levarle per comprendere cosa stesse dicendo.
- "Devo andare, ora. Stasera si lavora".
- "Forza, vai a farti sfilare i boxer da qualcun'altra stasera" dissi
di getto.
Okay che abbiamo
chiarito, okay che ho finto di aver dimenticato l'episodio, ma non
è un po' tropo presto per scherzarci su? Che qualcuno
m'incenerisca all'istante, grazie.
Nick sorrise giusto per non far scemare - curioso verbo,
particolarmente indicato alla sottoscritta al momento - del tutto la
conversazione.
- "Ho una sorpresa per te" mi disse e trasse dalla giacca l'ormai
famigerato sacchetto di plastica contenente i bigliettini. Immersi la
mano, ne pescai uno e lessi ad alta voce:
- "Dottore".
- "Ho sempre amato quel gioco!" scherzò ed io gli tirai una
gomitata. Smettemmo di ridere e lui si fece serio.
- "Sono in ritardo. Ci vediamo, Sammy".
Risposi con un frettolosissimo ciao e mi rintanai nel mio appartamento
con quella peste di Romeo che aveva rovesciato la ciotola con le
crocchette e Will che aveva preparato i pancakes con la crema di
cioccolato.
- "Allora, com'è andata?" mi chiese, sedendosi sullo
sgabello accanto al mio e appoggiando i piatti sulla penisola della
cucina. Mi venne spontaneo sorridere e abbassare lo sguardo.
- "Stavolta è scappato lui" risi, conscia che nessun'altro
in tutta Londra avrebbe interpretato nel giusto modo quella frase.
Tutti, tranne Lui.
But I'll still take
all the blame,
'Cause you and me
are both one and the same
And it's driving me
mad.
Buon
pomeriggio/quasi sera!
Ultimo
aggiornamento da 20enne! Questa settimana invecchierò
miseramente di un altro anno:)
Cosa
dite del capitolo? Meno male il povero Romeo è tornato sano
e salvo dalla sua padroncina! Non so se avete notato ma ho linkato la
mappa di Hyde Park perché almeno così
è più chiaro a tutti. Immagino che può
essere che io non sia stato abbastanza precisa da descrivere il posto,
quindi potrei aver generato confusione. Con la mappa, magari
sarà un po' più chiaro.
La
canzone di questo capitolo è "Escape" dei Muse.
un
grazie enorme come sempre a chi segue e recensisce!
Baci!
Sandra
|
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Capitolo 19 *** Capitolo 19. Cat Man. ***
Capitolo
diciannove. Cat Man.
Dopo l'avventura ad Hyde Park con annesso
presunto rapimento felino, riuscii a convincere Will a restare a
dormire da me. Ero un fascio di nervi pronto a scattare al minimo
allarme e la sola idea che qualcuno potesse di nuovo intrufolarsi nel
mio appartamento mi faceva venire la pelle d'oca. Dormimmo
discretamente, almeno finché la sua sveglia non
suonò, interrompendo il sogno in cui stavo per pomiciare con
Ryan Reynolds con ai piedi un paio di Louboutin.
Un sogno, appunto.
Infilai la testa sotto il cuscino e sonnecchiai ancora un paio d'ore,
mentre in lontananza sentivo il mio vicino armeggiare in cucina, dopo
essere andato avanti e indietro da casa sua per un paio di volte.
Pensai che fosse dovuto al vuoto cosmico presente nel frigo e nella
dispensa, perciò non ci feci molto caso. Quando mi alzai,
però, lui se n'era andato, lasciando un piatto colmo di
muffins dall'aria e dal profumo invitanti.
Sul microonde c'era ancora il post-it che mi ricordava di chiamare mia
madre. Avevo rimandato quel compito troppo a lungo ed ora era arrivato
il momento di fare quella benedetta telefonata.
- "Mamma, dimmi esattamente perché dovrei andare io dalla
zia Annie".
- "Devi firmare delle carte, niente di che. Un paio di notti fa
è stata poco bene e ci hanno chiamati preoccupati. E' per
quello che ti ho mandato un sms così tardi".
La mia mente volò a qualche sera prima; York, il taxi, il
messaggio e... il misfatto da Nick.
- "Sì, ma perché non ci vai tu?" brontolai.
- "Tesoro, dovrei arrivare fino a Londra per una sciocchezza?". Sbuffai
sonoramente, ma non potei che concordare con lei.
- "Che palle, però" mi lamentai come una bambina.
- "Sam, sei sempre la solita pigrona. Muoviti! E vedrai che non te ne
pentirai!" canticchiò, neanche fosse una canzoncina di un
cartone Disney.
Tagliai corto e la salutai in fretta per prepararmi e sbrigare la
faccenda nel modo più indolore e rapido possibile. Indossai
un paio di pantaloni marroni, gli stivali rasoterra alti fino al
ginocchio, una camicia bianca semplice ed un maglioncino aperto sul
davanti; meglio ricordarsi che stavo andando in una casa di riposo,
dove la cosa più sexy da rimorchiare era un respiratore.
Forza Samantha, tolto il
dente, tolto il dolore.
Presi i dolcetti di Will e li sistemai uno accanto all'altro su di un
vassoio di cartone, racchiuso in una carta colorata ed un fiocco
dorato. Chiamai un taxi e mi feci portare all'ospizio dove era
alloggiata zia Annie, non molto distante dal mio appartamento di
Mayfair.
Una signorina gentile mi accolse all'ingresso e mi indirizzò
verso la camera della vecchia megera. Voltai lo sguardo verso il
corridoio indicatomi e mi ricordai il motivo per cui non ero mai andata
a trovarla, oltre al fatto che fosse del tutto insopportabile
e che ogni poro della sua pelle rugosa trasudasse antipatia. Gli occhi
tristi di una ventina di vecchietti mi fissavano imploranti di essere
lì per loro. Fu difficile lasciarli, con un blando sorriso
che certamente non sfamò il loro bisogno di affetto e di
sapere che qualcuno si ricordava di loro.
Arrivai alla stanza numero quattordici, bussai e una voce roca mi
invitò ad entrare. Zia Annie era sdraiata sul letto, sotto
le coperte fino al petto.
- "Ciao zia" le dissi piano, attendendo in risposta il solito ringhio
incazzoso.
- "Samantha? - chiese, invece, sorpresa ed io annuii - Come sei
diventata grande, tesoro. E bella. Vieni, entra". La sua voce era dolce
e calda, molto diversa da quanto ricordavo.
Siamo sicuri che sia
C-Annie-vora?
- "Ti ho portato dei muffins. - appoggiai il vassoio sul comodino e
tornai a concentrarmi su di lei - Ho saputo che non sei stata bene. Ti
senti meglio ora?" le chiesi, sedendomi sul fianco del materasso.
Stavolta il ruggito previsto non si fece attendere ed io sussultai,
incerta se fosse il caso di scappare o di chiamare un esorcista per
risolvere la questione una volta per tutte.
- "E' un tic nervoso, non si preoccupi" disse una voce maschile alle
mie spalle. Mi alzai e trovai sulla porta un uomo con il camice, una
cartelletta tra le mani ed un cartellino attaccato al taschino, in
parte oscurato da un'imponente penna agganciata anch'essa alla stoffa.
Riuscii a leggere solo il cognome, Fletcher,
mentre l'iniziale rimaneva sapientemente nascosta dietro il tappo della
stilografica.
Che cognome banale; ci
sono un sacco di Fletcher: dalla mitica Jessica a Darren, calciatore
scozzese del Manchester United.
Aveva una fossetta sul mento ed un fisico mingherlino da
intellettualoide che mi ricordava qualcuno di Glasgow che non riuscivo,
però, ad inquadrare.
- "Buongiorno dottore" disse la zia, tornando ad usare un tono di voce
umano.
- "Scusate l'intromissione. Sono solo passato a controllare che la
signora stesse bene; non immaginavo avesse visite".
- "Sono Samantha, sua nipote" mi affrettai a tendergli la mano e lui la
strinse con vigore.
- "Dottor Fletcher, piacere. - riportò lo sguardo sulla
megera - Allora se lei sta bene, io procedo nel mio giro. Posso
offrirle un caffè, Samantha?". Declinai l'invito, ma la zia
gli propose di assaggiare uno dei dolcetti che le avevo regalato,
spacciandoli spudoratamente per fatti in casa da me con le mie abili
manine. Ne mangiammo uno ciascuno; gli altri due li divorarono
entusiasti e mi ricoprirono d'immeritatissimi complimenti destinati a
Will, che si era dato tanto da fare per impastarli. Quando finii il mio
muffin, cominciai a grattarmi gli avambracci, lasciandomi sulla pelle
delle lunghe righe rosse causate dalle unghie; mi prudeva tutto: la
pancia, le gambe, mi sentivo la faccia andare a fuoco dal rossore e
delle piccole lacrime cominciarono ad inumidirmi gli occhi.
Dovetti appoggiarmi al letto perché sentivo che il respiro
sarebbe diventato pesante: era una reazione allergica.
- "E' uno shock anafilattico" annunciò il medico della zia,
che corse a prendere una siringa di adrenalina che avrebbe coadiuvato
la reazione naturale dell'organismo alla presenza dell'allergene. Le
mie mani erano gelide e sudavo freddo, ma mi imposi di non spaventarmi
per non aggravare la situazione.
- "E' allergica alle noci" fece mente locale zia Annie e mi domandai
come cappero facesse a ricordarlo.
Dopo l'iniezione sapevo che l'emergenza sarebbe rientrata e che mi
sarei sentita meglio e, infatti, così fu, grazie anche
all'aiuto di un cortisonico.
La befana e il suo dottore mi fecero stendere su di un letto in
un'altra stanza; in quel momento realizzai che nemmeno sotto tortura
avrei finito i miei giorni in un ospizio, da sola, a giocare a briscola
e farmi imboccare: meglio campare dieci anni di meno e starmene a casa
mia.
- "Bentornata. - mi disse Fletcher non appena riaprii gli occhi in
seguito ad un bel pisolino - Qualcosa mi dice che non li avessi fatti
tu i dolci; oppure mi hai visto e li hai mangiati apposta per farti
salvare la vita? Non ho ancora deciso quale preferisco".
Un'infermiera lo chiamò, entrando nella camera, e gli diede
un foglio da firmare. Lui tolse la penna dal taschino e
cominciò a scarabocchiare la propria firma. Finalmente
riuscii a leggere l'iniziale sul cartellino e mi scappò un
sorriso, capendo chi avessi davanti e il perché mia madre
avesse tanto insistito a mandare proprio me in quel luogo angusto,
nonostante non ci fosse una vera ragione, visto che di carte
da compilare nessuno mi aveva detto nulla. Il dottore
seguì la direzione del mio sguardo e sorrise.
- "Ho dovuto scoprirlo da tua zia che sei Samantha Grayson, quella Samantha
Grayson" esclamò.
- "Avevi un aspetto famigliare, ma è passato tanto di quel
tempo! Non sei esattamente la prima persona che mi aspettassi di vedere
qui". Lui convenne con me e mi spiegò come vivesse a Londra
ormai da dieci anni, dell'università di medicina e
dell'impiego molto
temporaneo nella casa di riposo.
- "Pensi di poterti alzare o preferisci stare qui ancora un po'?" mi
chiese con dolcezza. Controllai l'orologio al mio polso e stabilii che
fosse arrivato il momento di andare a lavoro, vista anche la figuraccia
dei finti dolci fatti in casa.
- "L'ufficio mi attende. Grazie del salvataggio".
- "Non c'è di che, promettimi solo che...". Lo interruppi.
- "Non mangerò altre noci per tutta la mia vita, giuro".
Poco, ma sicuro.
- "Veramente stavo per chiederti di uscire con me una sera. - Arrossii
- Ma è chiaro che dovresti essere viva per farlo: quindi,
niente noci". Accettai elettrizzata come una dodicenne alla prima cotta
e gli lasciai il mio numero di telefono.
- "Ti chiamo, allora. Arrivederci, Grayson" mi aiutò ad
alzarmi e mi scortò fino alla porta d'uscita.
- "Arrivederci, Romeo
Fletcher".
- "Romeo? Quel Romeo?"
chiese sconvolta Valerie.
- "Non puoi uscire con uno che ha lo stesso nome del tuo gatto!"
intervenne Amanda.
- "Lui è il motivo per cui il mio gatto si chiama
così. È il mio fidanzatino delle elementari, non
può essere un caso: è destino" sentenziai.
- "Romeo Fletcher?" Val non si capacitava della reunion inaspettata.
Inaspettata mica tanto, visto lo zampino di mamma Grace.
Un pranzo con le amiche
a base di gossip, una bottiglia di vino, vita salva... cosa volere di
più?
- "Chi l'avrebbe mai detto che ti saresti trovata un uomo senza rubarlo
ad una di noi?" sputò Katy.
Errata corrige: cosa
volere di meno? Lei.
Il cellulare squillò e fui costretta ad interrompere per
qualche istante la conversazione.
- "Buongiorno Sammy!" la voce di Nick invase il mio orecchio.
- "Che vuoi? Ho poco tempo" dissi scocciata.
- "Ti volevo solo chiedere una cosa".
- "La mia risposta è no".
Riattaccai senza ascoltare la domanda; ero troppo impegnata per stare a
sentire anche lui.
- "Katy, rilassati: Christian è gay. - Val la
rassicurò - E comunque Sam, smettila di parlare di destino e
cazzate del genere; o preferisci che ti ricordi la tua avventura con
Nelson il fotografo che doveva essere sicuramente il tuo
compagno per l'eternità?".
Beh, a pensarci bene,
meglio aspettare un po' prima di avventurarmi di nuovo nel mondo del
fato e delle coincidenze.
Cavolo, però era Romeo Fletcher, porca paletta!
Ricevetti la telefonata del mio
dottore - Cielo,
è emozionante già solo dirlo! - nel
pomeriggio, che mi confermò l'appuntamento per quella stessa
sera. Chiamai con urgenza la mia estetista, prenotando una ceretta per
qualche ora più tardi, passai in un negozio a prendere un
vestito di Prada che avevo adocchiato da un po' e che mi fece sentire
come su una nuvola: il potere dei soldi ben spesi!
Mi feci una doccia accurata e meritata dopo le torture della
depilazione e scelsi con cura l'intimo da indossare, anche se non avevo
alcuna intenzione di arrivare in quarta base la prima sera; sarebbe
stato un appuntamento serio, nulla a che fare con la scommessa di Nick.
Accesi la televisione per guardare il tg, mentre con un piede
appoggiato sulla sedia mi stavo passando la crema idratante sulle gambe.
[- "Finalmente la
nuova richiesta di scarcerazione su cauzione avanzata dai legali di
Ralph J è stata accettata. La quota richiesta è
di due milioni di sterline ed il rapper potrebbe essere già
fuori domani mattina.]
Almeno una buona notizia, tranne che per il commercialista di Ralph.
Presi il cellulare e composi il suo numero, conscia che il mio
messaggio sarebbe finito in mezzo allo spam, come tutto il resto della
stampa. Gli mandai un sms, dicendo di farsi coraggio che avrei trovato
il modo di tirarlo fuori dai guai, perché credevo in lui e
nella sua innocenza.
La porta del mio appartamento si aprì all'improvviso;
guardai sotto le mie gambe e vidi quelle di un uomo.
- "Will, salvatore della patria! Mi serviva giusto un'opinione
maschile".
- "Ciao ragazze! - Mi voltai di scatto - Ah, però quella
buccia d'arancia non me la ricordavo". Nick mi fissò
sorridente, dopo aver salutato le mie natiche.
- "Cosa ci fai qui?".
- "Mi hai detto tu di venire" si lamentò.
- "Io? - ricordai la breve chiamata, senza però capire
quando gli avessi fatto una tale concessione - Ma se ti ho detto che la
mia risposta alla tua domanda, qualunque essa fosse, sarebbe stata no!"
- "La mia domanda era 'lasceresti
mai il tuo amico Nick per strada senza offrirgli ospitalità?'
e tu hai detto no".
- "Non è vero! La tua domanda sarebbe stata 'posso venire da te?'
ed io ho detto no!".
- "Sì, ma ho pensato di modificarla a mio favore" ammise
candido.
- "Non si può fare!" protestai.
- "Tu non mi hai ascoltato, perciò non puoi sapere quello
che c'era nella mia testa". Feci per mettergli le mani al collo e
strozzarlo, ma mi distrassi sentendo dei rumori alla porta. Nick
l'aprì e vidi Mister entrare con un mazzo di tulipani
bianchi tra i denti. Arrivò fino a me e non
lasciò la presa finché non fu sicuro che io ce li
avessi saldamente in mano.
- "Sono i miei preferiti. Che tesoro che sei, cucciolone! - gli
accarezzai quel muso da tontolone - L'animale qui è qualcun
altro". Mi girai verso di Nick, cui l'allusione era rivolta.
- "Ehi, chi pensi li abbia scelti?" esclamò offeso.
- "Sarà meglio chiarire due questioni: perché sei
qui e per quanto hai intenzione di fermarti".
- "Mi stanno tinteggiando casa e rifacendo i pavimenti; ti
disturberò solo qualche giorno."
- "E non potevi andare da Will?".
- "Volentieri, se non fosse che sentire strani rumori provenienti dalla
sua camera da letto sarebbe alquanto inquietante, soprattutto visto che
hanno come protagonista mia cugina". Come dargli torto.
- "E i tuoi?".
- "Tu abiti più vicino al lavoro. - bofonchiò con
tono lamentoso - Dai, sembra quasi che io ti dia fastidio".
- "Come puoi anche solo pensarlo!" dissi, sarcastica.
- "Non ti accorgerai nemmeno della mia presenza. Dormo sul divano?".
Meglio cacciarlo in un angolo recondito della casa, piuttosto che farlo
piazzare in soggiorno.
- "Alla fine del corridoio c'è la camera degli ospiti."
- "Perfetto. Che prepari per cena?" domandò serio.
- "Io non preparo nulla! Devo uscire stasera: ho un appuntamento con
Romeo stasera".
- "Non credo che tecnicamente
sia un appuntamento se esci con il tuo gatto".
- "Non è il mio gatto! E' un uomo".
Fornire tutte queste spiegazioni stava diventando irritante.
- "Cioè esci con uno che si chiama come il tuo gatto?". Ci risiamo.
- "Non capisco perché questa cosa ti destabilizzi".
Lui alzò le mani in segno di resa.
- "Contenta tu. Me lo presenti, Catman?"
rise.
- "No! E non chiamarlo Catman".
Lasciai perdere e mi diressi in camera per scegliere il vestito da
indossare. Ne scelsi uno verde scuro stile impero con le maniche a
sbuffo ed una giacca scura come le decolletés in vernice.
Tornai in salotto ma dell'ospite indesiderato nessuna traccia, se non
il suo cane stravaccato sul tappeto, accanto a Romeo, il gatto; lo
trovai nella stanza che gli avevo indicato, con in mano un paio di
asciugamani e delle lenzuola reperite nel grande armadio bianco contro
la parete. Lo osservai di nascosto attraverso la porta semichiusa,
mentre armeggiava con una coperta da appoggiare sul letto, dopo aver
calcolato alla perfezione i centimetri di stoffa da far cadere da ambo
i lati. A quel punto bussai ed entrai.
- "Te lo avrei sistemato io" mentii, ma mi sentii in dovere di dirlo in
qualità di padrona di casa.
- "Bugiarda" mi beccò lui.
- "Non puoi sapere cosa ci fosse nella testa" mi difesi, facendogli eco.
- "In fondo ti sto facendo un favore a stare qui. - lo guardai scettica
e lui continuò - Sostieni che qualcuno ti abbia rubato il
gatto, quindi la mia permanenza qui potrà scacciare
qualsiasi malintenzionato. Nessuno vorrebbe avere a che fare con loro"
disse vanitosamente, indicandosi i bicipiti.
Mi strappò una risata a cui seguì una rotazione a
360 gradi della pupilla;
tutto ciò di cui ha bisogno un uomo per sopravvivere
è il suo ego.
- "Non ho bisogno di essere protetta, men che meno da te" chiarii.
- "Io sono qui per Romeo. Il gatto, s'intende" scherzò.
- "Come sto? - Lui alzò le spalle annoiato e io scossi la
testa - Ore e soldi spesi in shopping, quando poi nessuno apprezza.
Sapevo di dover nascere lesbica". Presi le chiavi di casa e le infilai
nella borsa, raggiungendo l'ingresso. Mi controllai in fretta nello
specchio ed aprii la porta.
- "Chiamami se lo diventi, mi raccomando".
- "Neanche morta, Nick. - mi fermai sull'uscio e gli diedi il
regolamento della casa - Ah, dimenticavo. Nessuna donna deve varcare
questa soglia; non voglio svegliarmi con le tue amichette che
gironzolano mezze nude per casa. E non provare a fregarmi facendole
andare via prima che ritorni: riconosco il profumo femminile a
chilometri di distanza. Uomo avvisato, mezzo salvato".
- "Sarò un angioletto". Era quello che mi preoccupava;
quell'uomo era un disastro ambulante e un rompipalle a livelli
stratosferici e ci mancava solo che mi facesse cacciare dai vicini per
il rumore.
Quando raggiunsi il piano terra, vidi che Romeo mi stava già
aspettando appoggiato alla macchina con in mano un bouquet di rose
rosse - primo sbaglio; le odiavo: troppo impegnative e pure un po'
scontate. Le accettai ugualmente, ringraziandolo con un bacio leggero
sulla guancia.
Indossava un completo grigio firmato sopra ad una camicia
bianca ed aveva un'aria molto più affabile e meno
professionale rispetto alla mattina. Mi aprì lo sportello
della sua auto da perfetto gentiluomo e mi portò in un
ristorante poco conosciuto a gestione famigliare.
- "Non pensavo che ti avrei rivista, soprattutto a Londra. Ti ricordo
ancora come la ragazzina dispettosa dalle treccine che mi dava
pizzicotti in continuazione per farmi sgridare dalla maestra".
- "Ero già una fidanzatina modello, allora. - risposi al suo
sorriso - E, ad essere onesti, il nostro incontro è stato
tutto tranne che casuale: mia madre deve aver saputo che lavori
lì e mi ha costretto a venire con l'inganno a trovare mia
zia. Ha sempre avuto una predilezione per te, sin dai tempi dell'asilo".
Romeo rise di gusto, mentre un cameriere ci portava le nostre
ordinazioni.
- "E' vero. Come dimenticare i fantastici biscotti che mi diceva di
portare a casa quando facevi la festa di compleanno! Voleva corrompermi
a portarti all'altare già a otto anni". Non ero mai stata a
conoscenza di questi episodi, però dovevo ammettere che
potevo credere alla loro veridicità senza tanti problemi,
perché la brava Grace somigliava già durante
l'infanzia alla signora Bennett di Orgoglio
e Pregiudizio, nel tentativo di accasare le proprie figlie
il più presto possibile. Con mia sorella Lily non aveva
dovuto faticare molto, dal momento che aveva trovato Byron al primo
anno di liceo e da allora non si erano mai separati, coronando il loro
sogno d'amore con un matrimonio in grande stile e mettendo al mondo
quella peste di Alex.
Io, al contrario, mi ero puntualmente ribellata a queste imposizioni ed
ormai vivevo nella convinzione che anche mia madre avesse smesso di
pianificarmi la vita, da quando mi ero trasferita da Glasgow ed era
nato un bellissimo nipotino a cui dedicare tutte le sue energie. Ma i
vizi sono duri a morire e per quanto l'adorata genitrice si fosse
chetata per un po' di tempo, la sua indole era riemersa con
prepotenza e lei era tornata alle vecchie manie.
Mangiammo delle specialità della cucina francese - secondo
sbaglio: odiavo paté, fois gras e altre
specialità elaborate all'ombra della Tour Eiffel - e dovetti
adottare la solita tecnica del gonfiare le guance e trattenere
il respiro per non sentire il sapore del cibo.
Nonostante i passi falsi di Romeo, la serata fu piacevole e trascorse
fin troppo in fretta, tra racconti dei tempi delle elementari, ricordi
del nostro breve ma intenso fidanzamento da bambini e aneddoti
divertenti alla scuola di medicina. All'una di notte mi
riaccompagnò a casa e mi baciò teneramente sulle
labbra, senza andare oltre - terzo sbaglio: ormai eravamo adulti, non
più marmocchi!
E poi sono una donna: prendimi e sbattimi contro la vetrata della
portineria, su!
Lo invitai a bere qualcosa a casa mia, dimenticandomi
dell'inconveniente Nick. Aprii la porta, accesi le luci spente del
soggiorno e gli sfilai il cappotto dalle mani per metterlo
sull'attaccapanni all'ingresso. Posai il mazzo di rose rosse sul tavolo
e mi misi alla ricerca di un vaso, sperduto in qualche armadietto della
cucina. Mi sentii chiamare e mi girai verso Romeo che fissava un punto
in fondo alla stanza, la bocca semiaperta e l'indice puntato verso il
nulla. Seguii il suo dito e deglutii rumorosamente alla vista di Nick
in pantaloncini, apparso da non so dove, con lo sguardo a terra e la
consueta abitudine di spettinarsi i capelli.
Oh merda.
Notò la lampada accesa del salotto e si decise ad alzare gli
occhi verso di noi; a quel punto l'imbarazzo fu palpabile. E non solo
quello, perché una mano sul culo del mio coinquilino...
- "Lui chi sarebbe?" chiese adirato, facendomi tornare a pensieri
più consoni ad una brava bambina.
Nick mi guardò e accennò ad un sorriso beffardo,
come a dire cazzi
tuoi ora.
- "È-è... mio... fratello!". Sì, credibile, Sam:
lui gigante, tu due mele e poco più; lui biondo e occhi
chiari, tu castana e occhi scuri. In più Romeo
avrebbe potuto benissimo ricordarsi che avevo solo una sorella.
Mio fratello mi diede una mano - manata a dire il vero -, sul sedere.
- "La mia sorellina!" sussultai per la botta e mi appuntai mentalmente
di uccidere quell'idiota, non appena fossimo rimasti soli.
- "Romeo? - esclamò Nick. L'ospite si girò verso
di lui, sorpreso di essere chiamato per nome - Micio-micio, dove sei?".
Avrei dovuto immaginarlo che avrebbe attuato una messa in scena del
genere.
Mi coprii gli occhi con la mano dalla vergogna, per non incrociare lo
sguardo di nessuno.
- "Beh, il gatto Romeo non si trova. - continuò imperterrito
- Che cafone che sono; non mi sono nemmeno presentato. Sono Nick" gli
tese la mano e il mio accompagnatore la strinse, ancora confuso.
- "Sono Romeo".
- "Oh, bel nome! - sospirò Nick - Buona notte, ragazzi". Lo
guardai in tralice mentre si allontanava verso la camera degli ospiti.
- "Scusalo, ma cerca sempre di fare il simpaticone. - cercai di
giustificarlo - Non ce l'abbiamo nemmeno un gatto!".
Okay, forse sto un po'
esagerando con le balle.
Dopo pochi istanti dalla camera del mio coinquilino arrivò
un canzone che per poco non mi fece rizzare tutti i capelli in testa
dalla rabbia: Cat Man
di Gene Vincent.
Cat Man's a-coming,
you better look out.
Cat Man's a-comin',
running about.
Cat Man's a-comin',
lookin' for a girl.
Better hide your
sister, man!
Cercai di coprire il suono, alzando il tono della voce, ma
l'udito di Romeo non perdeva un colpo e così la figura di
merda fu servita su di un piatto d'argento.
- "Posso parlare un attimo con tuo fratello?" mi chiese, calmissimo.
Cat Man a-lookin'
for a woman all day long.
Ah-better watch out
'cause he is in you midst.
Ah-better watch out
'cause or you're gonna be kissed.
Better watch out
'cause he is in you midst.
Cat Man, CAT MAN!
Better watch out
'cause I'm the Cat Man.
CAT MAN!
L'idiota ora cantava pure!
- "No, non mi sembra il caso. E' un cretino, lascialo perdere".
- "Mi permetto di insistere. Solo due parole, promesso". Si metteva
male.
Neanche a farlo apposta, Nick ricomparve di nuovo in cucina, sempre
mezzo nudo, con in mano un bicchiere vuoto.
- "Prendo solo un po' di acqua e poi non vi disturbo più".
Romeo si alzò in piedi e lo seguì fino alla
penisola della cucina; io mi alzai a ruota e li raggiunsi.
- "Ti stai divertendo?" chiese a mio fratello. Lui lo guardò
tranquillo, sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi sarcastici.
- "Veramente sì. C'è qualche problema?" rispose
innocente.
- "Mi è sembrato che tu mi stessi sfottendo con quella
canzone".
- "Se ti sei sentito offeso è un problema tuo. È
solo una canzone, Romeo" scandì bene il suo nome e gli si
avvicinò. M'interposi a loro e cercai di farli ragionare,
perché il livello di testosterone in casa si stava alzando
pericolosamente e la situazione sarebbe potuta sfuggire di mano a tutti
e tre.
- "Ragazzi, vi prego. Nick chiedi scusa per la tua poca delicatezza...
" lo fulminai.
- "Io la chiamerei sottile ironia" mi corresse.
- "Sottile? - intervenne Romeo - Io dico che sei un buffone".
- "Io un buffone? Abbassa la cresta, sfigato". Nick gli si
avvicinò ancora di più.
Il livello si stava abbassando e di molto.
- "Non ti spacco la faccia solo perché sei il fratello di
Sam, ma sappi che mi stai già sul cazzo".
- "Stop! - li interruppi - Romeo, ti prego, va' a casa".
- "Sì, bravo. Vattene!" urlò Nick.
- "Nick, per carità: - lo supplicai - stai zitto!".
- "Io dovrei star zitto quando questo coglione mi dà del
buffone?".
- "Basta!" lo ripresi di nuovo e lui finalmente mi guardò.
Ma Romeo approfittò di quell'istante di distrazione e gli
sferrò un pugno dritto sull'occhio destro.
- "Sei pazzo? - strillai, cercando di trattenere la furia di Nick che
non vedeva l'ora di ricambiare il favore - Quella è la
porta, vattene per cortesia!".
- "Prega di non incontrarmi per strada, Romeo! - lo ammonì,
mentre l'altro stava per uscire da casa mia - E non provare mai
più ad avvicinarti a lei! A mia sorella!" aggiunse, come a
doversi giustificare di quello scatto d'ira.
Fletcher gli fece il dito medio e lui dovette fare di tutto per
mantenere un briciolo di autocontrollo per non rincorrerlo e dargliene
di santa ragione. La porta si richiuse ed io guardai Nick severa.
- "Era proprio necessario?" dissi dura. Lui prese il mazzo di rose dal
tavolo, aprì la finestra e lo lasciò cadere per
tre piani, fino alla strada.
- "Queste tienitele; le odia le rose rosse, imbecille! -
tornò a rivolgersi a me - Sì, era necessario".
Rimasi senza parole in salotto, da sola, mentre lui sbatteva la porta
della camera degli ospiti dietro di sé, palesemente alterato.
Non ricordavo di aver mai detto di amare i tulipani bianchi o di odiare
le rose rosse, eppure Nick lo sapeva. Certo, non potevo garantire per
tutte le volte che ci eravamo visti - dal momento che talvolta ero
molto più che brilla -, però di sicuro non erano
delle cose che si dicevano tutti i giorni. Mi sfuggii un sorriso,
sapendo che Nick era stato attento ai dettagli che riguardavano me.
Aprii il freezer e ne trassi una confezione di piselli surgelati,
l'unica cosa sopravvissuta alla carestia regnante in casa mia. Bussai
alla porta, ma lui non rispose; entrai ugualmente nella camera e lo
trovai seduto sul lato sinistro del letto, i gomiti poggiati sulle
cosce, fremente d'ira e con un tremolio nervoso alla gambe.
Mister dormiva sul tappeto e dovetti scavalcarlo per raggiungere il suo
padrone e sedermi accanto a lui. Nick mi guardò solo per un
istante con la coda dell'occhio. Gonfio e con parecchi capillari rotti.
- "Dovresti toglierti le lenti" gli dissi. Lui obbedì e le
gettò nel cestino vicino al bagno.
Mi avvicinai e gli posai il pacchetto freddo sul viso.
- "Piselli, eh?" disse, ridendo.
- "Purtroppo le patatine erano finite. - gli sorrisi - Certo che ti ha
dato un bel cazzotto".
- "Non ricordarmelo ti prego, altrimenti finisce sul serio che lo
rincorro e gli spezzo quelle braccia da rachitico".
Orgoglio maschile.
- "Non voglio sapere dove tu abbia trovato quella canzone".
- "Ammetti però che era divertente". Scoppiai a ridere,
ricordando la faccia sorpresa di Romeo quando l'aveva sentita cantare.
- "C'è rimasto malissimo! Avrà pensato che mio
fratello è un tipo molto protettivo" buttai lì.
- "E' solo che aveva la faccia da stronzo e mi andava di prenderlo in
giro". Per il momento mi accontentai di quella risposta e gli
schiacciai più forte la confezione di piselli sull'occhio
malconcio, mentre lui si lamentava per il dolore.
Rimanemmo così a scherzare per qualche minuto o forse per
tutta la notte. Romeo non era parte del mio destino, ma, in fondo, era
un po' anche merito suo se in quell'istante ero nell'unico luogo in cui
mi sentissi di appartenere.
Buonasera!
Questa
settimana non ho ancora provveduto a rispondere alle recensioni, ma
rimedierò immediatamente :)
La
canzone che ho scelto è vecchissima, ma forse qualcuno di
voi l'avrà sentita per caso su qualche vinile; comunque,
come ho già detto, è "Cat Man" di Gene Vincent.
Finalmente
abbiamo conosciuto, anche se poco poco, la zia C-Annie-vora che forse
non è così terribile come si pensava. Romeo
Fletcher, invece, è stata un po' una delusione, no? Ma
sì... tanto a noi interessa Nick! :D
Un
po' gelosetto in questo capitolo :)
Spero
vi sia piaciuto! Vi mando un bacione e vi ringrazio come sempre
perché seguite/preferite/ricordate/recensite questa storia.
Baci!
Firework
di SunshinePol
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=609555&i=1
HappyCloud
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Capitolo 20 *** Capitolo 20. If It's Magic. ***
Capitolo
venti. If it's magic.
Nick MacCord nuoce gravemente alla salute. Soprattutto la mattina,
quando esci mezza intontita dalla tua camera e la prima cosa su cui ti
cade l'occhio è il suo sedere marmoreo davanti ai fornelli,
racchiuso in quei pantaloncini che lo fasciano alla perfezione e ti
consentono di immaginarne il contenuto anche da metri e metri di
distanza.
Stava preparando la colazione: mescolava un composto in una terrina,
controllava la fiamma della padella sul fuoco, rubava una briciola
delle frittelle appena impiattate, si girava verso di me per puro
caso... Devo ammettere che mi accorsi di quest'ultima cosa solo
perché al posto del suo bel didietro, ci ritrovai
qualcos'altro.
- "'Giorno" bofonchiai, portando lo sguardo più in alto,
verso quell'occhio nero malcelato dietro un paio di occhiali da vista
grandi e con la montatura nera.
- "Buongiorno" mi rispose con un sorriso e mi indicò la
parte di penisola della cucina apparecchiata e stracolma di biscotti,
brioches, succo d'arancia, tè, marmellata e nutella. E
piselli.
- "Devo trovare l'intruso?" scherzai.
- "Ieri li abbiamo scongelati e oggi ho dovuto cucinarli per forza. Ma
guarda che sono per pranzo".
- "Qualcosa mi dice che sei andato a fare la spesa" suggerii,
affondando un cucchiaio nel barattolo della confettura di mele. Nick mi
fermò e aggiunse una spolverata di cannella.
- "Assaggia e mi dirai. Sono dovuto andare a fare la spesa: nel tuo
frigo c'era l'eco". Assaporai la nuova combinazione e ne rimasi
sorpresa.
- "E-è perfetta!" esclamai.
- "Lo so; chiamala pure Macmellata".
Eh, la modestia.
Nick aveva comprato anche il giornale e così cominciai a
sfogliarlo interessata, alla ricerca di qualche informazione su Ralph J
e la sua scarcerazione. A quanto si evinceva dall'articolo di tale
Phillis, non ero l'unica intenzionata ad andare a fondo alla questione:
anche Ken Hagrol - il famoso e pluripremiato giornalista autore di
numerosissime inchieste - aveva fiutato lo scoop e si era subito messo
sulle tracce dei gestori del giro di prostituzione della zona
incriminata. Guardai con aria di sfida la foto sul London Express del
mio avversario, ritratto come sempre di sfuggita, restio com'era a
incontrare la stampa e a rilasciare interviste. Era un uomo sui
quarant'anni, corporatura robusta e altezza modesta, con un carisma da
fare invidia ad un presentatore di televendite.
Avrei dovuto lavorare il triplo per ottenere qualcosa prima di lui;
sapevo che non avrebbe mai accettato di collaborare con me e con nessun
altro: era un professionista che amava contare solo sulle proprie
forze. Gli altri -
amava ripetere - non
saranno mai affidabili quanto te stesso.
Richiusi il giornale e tagliai con il lato della forchetta un pezzo di
frittella cosparso di macmellata. Sarebbe stata una lunghissima
giornata.
Il telefono di casa squillò, ma ricordavo di aver inserito
la segreteria, perciò non tentai nemmeno di alzarmi. Bip.
- "Ciao Sam, sono Romeo. - io e Nick ci guardammo contemporaneamente di
sottecchi e lo vidi stringere più forte il tovagliolo con il
quale si stava pulendo la bocca - Volevo chiederti scusa per il mio
comportamento di ieri sera perché so che tuo fratello stava
solo scherzando ed io me la sono presa. Vorrei rivederti, anche solo
per chiederti scusa. Chiamami". Bip.
- "Quindi?" mi chiese Nick.
- "Quindi cosa?" ribattei.
- "Cosa pensi di fare?".
- "A che proposito?" chiesi, riprendendo in mano il giornale. Cavolo, ma quanto è
interessante leggere che hanno scoperto un nuovo tipo di ragno?
- "Sammy, - mi rimproverò - parlo di Cat Man".
- "Ah, non so. Forse gli darò una seconda chance". Nick non
lasciò trasparire nulla dalla sua faccia da poker. Il
boccone di cereali che stavo deglutendo mi rimase incastrato in gola.
Non m'importava granché di Romeo, delle sue scuse, della sua
maleducazione... avevo detto il contrario solo per vedere la reazione
del mio coinquilino.
- "Forse hai ragione. - asserì lui, lasciandomi senza parole
- Ieri ho fatto l'idiota, volevo solo divertirmi un po', ma ho
esagerato. Scusati da parte mia". Sorrise e mi parve del tutto sincero;
poi prese il suo piatto, lo mise nel lavello, e si andò a
vestire in camera sua.
Passai la mattina tra le scartoffie trovate a York in compagnia di
Valerie, in ufficio. Quando avevo preso in mano per la prima volta le
carte riguardanti Banks, non avevo idea di quello che rappresentassero;
Val li aveva definiti documenti scottanti, ma la verità era
che nessuna delle due aveva previsto che il problema si sarebbe
ingigantito a tal punto da far tremare parecchie persone. Stavo
diventando sospettosa riguardo tutto quanto ci fosse al di
là della porta del mio appartamento, soprattutto dopo
l'avventura assai poco gradita ad Hyde Park; mi voltavo centinaia di
volte lungo la strada per accertarmi di non essere seguita, limitavo il
contatto con gli estranei al minimo indispensabile e perciò
confesso che l'idea che ci fosse qualcuno a casa mia oltre Romeo - il
gatto - in parte mi tranquillizzava.
Nel frattempo eravamo riuscite a delineare una sorta di scansione
temporale della vita di Sam Banks, ma qualcosa mancava. Era come se
qualcuno avesse cancellato con la bacchetta magica delle piccole parti
della sua biografia; si sapeva dove avesse vissuto, però non
c'era menzione di amici o conoscenti. Era sposato, ma la moglie da che
parte saltava fuori? Aveva lavorato per anni nella sua città
natale per poi trasferirsi a Londra improvvisamente, senza un apparente
motivo sufficiente a farlo traslocare a sud dell'Inghilterra. Era
arrivata l'ora di rimboccarsi le maniche e cominciare a fare sul serio;
stavo sfidando Ken Hagrol e la cosa sarebbe tutta fuorché
facile. Sarebbe stato necessario anche fare le valigie ed andare a
visitare i luoghi interessati.
Per il momento però mi accontentavo di arrivare in centro e
comprarmi qualcosa che mi avrebbe reso fantastica quando sarei stata
sbattuta in copertina dopo la mia brillante indagine.
Suonai al citofono, sperando che Nick fosse già a casa e che
mi aprisse la porta. Così fu ed io mi infilai nell'ascensore
perché dopo ore di shopping le gambe cominciavano a cedere.
- "Sono scarpe nuove quelle?" fu la prima cosa che mi chiese. La borsa
di cartone che tenevo tra le mani mi aveva tradito, svelando la mia
sveltina tra negozi.
- "Non è come sembra: me le ha regalate la Fata Turchina..."
dissi vaga.
- "Sammy non ne hai bisogno!". Ma perché, perché,
perché tutti mi facevano sempre la stessa ramanzina? Io ne
avevo un disperato bisogno: dove vai nella vita senza un paio di comode
calzature giallo limone ai tuoi piedi?!
- "Sì, invece. Cosa metterei altrimenti con un vestito
giallo acido?".
- "Ce l'hai almeno un vestito di quel colore assurdo?"
sollevò un sopracciglio.
- "No. Vedi? Lo devo comprare!". E'
logica questa.
- "E' un circolo vizioso. Dimmi almeno quanto hai speso".
- "Chi sei, mio padre? - il suo sguardò penetrante mi
convinse a vuotare il sacco - Ottanta sterline". Okay, diciamo un terzo del sacco.
Nick mi guardò incredulo: non se l'era bevuta. Ero certa che
avesse letto la scritta Moschino
sulla busta del negozio, però, suvvia, era un uomo; gli
unici numeri nella vita che avrebbero dovuto interessarlo erano i
risultati delle partite di calcio e la lunghezza del suo pene, non il
prezzo del mio ultimo acquisto.
Mi tolse la borsa dalle mani e si girò dandomi la schiena,
proteggendosi dai miei colpi che non riuscivo comunque ad angolare in
modo tale da poterlo seriamente impensierire. Trasse vittorioso lo
scontrino e mi guardò con un'aria di rimprovero.
- "Ti sei forse dimenticata il per
tre? Duecentoquaranta sterline non credi siano tantine?".
- "Tanti? Tu li guadagni in tre ore di lavoro. E poi sono stressata,
Nick, ho bisogno di sfogarmi" mi difesi.
- "Perché non provi a sfogarti al supermercato? Almeno non
rischieresti in continuazione di morire di fame".
- "Non ho bisogno di cibarmi, quando ho questo". Lo scavalcai con aria
di sufficienza ed arrivai fino all'armadio in cui custodivo gelosamente
i miei piccoli tesori. Lo aprii soddisfatta, già pregustando
l'appagamento visivo che sarebbe derivato da quelle piccole creature
scintillanti. Per poco non mi venne un attacco cardiaco multiplo.
- "Chi cazzo ha messo in ordine cromatico le mie scarpe?" urlai come
una pazza isterica.
Non ci siamo, non ci
siamo, NON CI SIAMO!
- "Mi annoiavo oggi pomeriggio" ammise.
Mi sedetti sul pavimento perché lo shock avrebbe potuto
stroncarmi da un momento all'altro e osservai sconsolata quel
fottutissimo ordine logico che aveva assunto il mio adorato armadio.
- "M-ma tu n-non...". Nick si avvicinò a me, ora del tutto
sdraiata sul pavimento con braccia e gambe aperte come l'Uomo
Vitruviano di Leonardo. Mi guardò dall'alto, mentre frignavo
per l'immenso casino ormai defunto.
- "Le ho tolte dai ripiani, pulite una ad una, passate con un panno
apposito e tu ora ti lamenti perché ho fatto un ottimo
lavoro?".
Protesi le braccia verso di lui col chiaro intento di strozzarlo da
lontano, schiudendo un occhio per la troppa luce proveniente dal
lampadario di cristallo della mia camera. Afferrò le mie
mani e cominciò a trascinarmi sul parquet fino alla cucina,
incurante delle mie lamentele pietose sul fatto che il suo
stramaledetto ordine stesse invadendo l'unica oasi di pace che mi fossi
ritagliata a Londra: il mio santissimo appartamento.
- "Smettila di mugugnare, sta per arrivare Will con la cena". Caddi a
peso morto sul pavimento ed attesi che arrivasse il mio vicino per
sollevarmi e a farmi sedere sulla sedia accanto alla sua.
- "Amico, sei impazzito? - chiese a Nick, non appena gli venne riferito
il macello che aveva combinato nel mio intoccabile armadio - Mai
mettere le mani nelle cose di una donna".
Stavo per inghiottire l'ultimo boccone della mousse al
cioccolato preparata da Will, soddisfatta per averlo dalla mia parte,
quando intercettai uno sguardo d'intesa tra i due uomini: mi stava
prendendo per il culo.
- "Mi date un bacio?" suggerii con voce ingenua. Si guardarono a
vicenda, confusi.
Ero seduta a capotavola con loro ai due lati. Presi le loro teste e le
avvicinai alla mia, protesa in avanti per far sì che
stampassero i due buffetti ciascuno su una guancia. Aspettai che
entrambi si rilassassero, interpretando la mia richiesta come quella di
una ragazzina capricciosa che pretende un contentino dopo aver
assistito alla violazione dell'intimità del proprio
vestiario.
Mi tolsi all'ultimo secondo, spingendo i loro crani l'uno contro
l'altro fino a cozzare in un rumore sordo.
- "Ahia! Sei scema?" urlò Nick e Will gli fece eco,
massaggiandosi la fronte.
- "Così imparate a mettervi d'accordo, stronzi". Provarono
ad intortarmi in ogni modo, ma i miei occhi avevano visto bene e non
c'era verso di farmi cambiare idea e credere alla loro versione.
- "Per farvi perdonare, stasera sparecchiate, lavate i piatti e il film
lo decido io". Li fulminai preventivamente con lo sguardo
affinché non tentassero nemmeno di protestare
perché ero stata categorica e, in quei casi, ero come la
Bibbia per i fedeli: parola di Dio, cioè me.
Lasciai gli sguatteri al loro lavoro, mentre mi facevo la doccia e mi
concedevo l'unico momento da sola in tutta la giornata.
Asciugai i capelli con cura e mi misi un pigiama comodo con dei
porcellini stampati e le pantofole di Snoopy, pronta a divanare.
Nick e Will erano già stravaccati sul sofà e,
insieme a loro, c'era anche Kay, avvinghiata al braccio del mio vicino
come una naufraga alla sua unica ancora di salvezza. Era un po' troppo
cozza-attaccata-allo-scoglio per i miei gusti, ma Will era
più felice nell'ultimo periodo e se anche solo una piccola
parte di questa ritrovata gioia era merito suo, tanto valeva chiudere
un occhio sulla sua morbosità ed andare oltre.
La salutai e mi accomodai accanto tra i due ragazzi che stavano
guardando i riassunti della giornata calcistica. Presi il telecomando,
ignorando le - inutili - lamentele e premetti play sul lettore dvd.
Un coro maschile di ancora?
si propagò in tutta la stanza quando apparvero i titoli di
testa del film, ma nessuno mi avrebbe dissuaso a cambiare.
- "Ottima scelta, Sam. Adoro Sweet
November!" esclamò Kay ed io le strizzai
l'occhio come segno di approvazione. Avevo spezzato il disco dopo la
lite con Nick, ma non avevo resistito a lungo ed ero corsa al negozio
per comprarne una copia nuova di zecca. Dopo dieci minuti, Kay
allungò i tentacoli su Will e lo imprigionò tra
le sue labbra fino alla fine del millennio.
D'accordo chiudere un
occhio, però questi stanno per farlo sul mio divano, accanto
a me!
Mollai un calcio sulla coscia del mio adorato vicino e finalmente lui
capì che poteva tornarsene a casa e fare zozzerie senza che
due nolenti spettatori dovessero godersi - mai verbo fu più
azzeccato - lo spettacolo. Accamparono una scusa terribile e se
andarono.
Mi sdraiai supina con i piedi verso l'unico ospite rimasto e mi
apprestai a ripetere mentalmente a memoria i dialoghi, una volta per
tutte in santa pace.
- "Sammy?" disse Nick, interrompendo il religioso silenzio che con
fatica avevo creato per non perdere più nessuna battuta.
- "Eh" grugnii.
- "C'hai mai fatto caso che i protagonisti hanno le nostre stesse
iniziali?" chiese tranquillo, rigirandosi tra le mani il dvd.
Sì, cavolo,
sì che l'ho notato.
- "Sara e Nelson. - ribadì - E' curioso, no?".
Iniziavo seriamente ad odiare la sua scelta degli aggettivi da usare:
eravamo passati da strano
a curioso,
era un passo, ma ancora le sue personalissime definizioni di tali
parole rimanevano un mistero tutto da scoprire.
- "Se è per quello, anche le iniziali del titolo
coincidono" mi decisi a dire, fingendo indifferenza e insofferenza per
il prolungarsi della conversazione che sovrastava le voci degli attori.
- "Vero. Uff... - sbuffò - Non posso guardare quanto sta
facendo il Chelsea?".
Santa Maria madre di
Dio, ma perché questo continua a parlare?!
- "Se poi taci e mi lasci vedere il film". Prese l'altro telecomando e
schiacciò mille tasti per riuscire a vedere il risultato
della sua squadra preferita. Nel frattempo afferrai le parole crociate
cominciate a metà che c'erano nel portariviste accanto alla
poltrona ed una penna abbandonata sul tavolino al centro del salotto.
Completai alcune definizioni con facilità, però
mi mancava una parola per poter riuscire a terminare lo schema.
La parte anatomica
colpita dalla Sindrome di Asherman. Ma che cavolo ne so? Tutto
ciò che sapevo era che la parola era di cinque lettere:
nulla di più generico.
Giocherellai con la penna, mordendone la parte superiore con i denti;
amavo sentire lo scricchiolio della plastica tra i molari, che trovavo
quasi rilassante. Ripetei ad alta voce la definizione, in modo da
ottenere l'aiuto del pubblico, senza chiederlo esplicitamente.
- "Fammi vedere" rispose lui con un gesto della mano ed io fui
costretta a tirarmi su e sedermi con un gamba piegata verso l'interno
coscia ed un piede per terra. Prese il giornaletto tra le mani, ma i
suoi occhi erano ancora rivolti verso il match in tv che era ormai
arrivato agli ultimi dieci minuti di gioco.
La voce concitata del giornalista annunciò che
Lampard aveva appena effettuato un lungo lancio in direzione di Drogba,
annullando di fatto l'ultima chance che avevo di essere ascoltata da
Nick. Quest'ultimo infatti divenne inquieto e lasciò cadere
la penna incastrata tra i fogli della rivista da qualche parte sul
sofà. Non se ne accorse e quindi mi misi io alla ricerca
dell'oggetto perduto.
Tiro parato per la cronaca, ma il Chelsea insisteva. Tanto valeva
concentrarsi sulla partita e rinunciare a qualsiasi pretesa di finire
le parole crociate e il film.
- "Dai Anelka, crossa!" urlò Nick. Tastai il divano per
trovare la biro persa nei cuscini, lo sguardo incollato allo schermo
per la grande occasione che una delle squadre più famose di
Londra stava avendo contro il Blackburn. Ivanovic colpì di
testa e il goal fu persino troppo facile da realizzare. Ci alzammo
quasi in contemporanea e ci abbracciammo, saltando come due idioti e
urlando frasi sconnesse. Fui la prima a rendersi conto della situazione
imbarazzante e a cercare di liberarmi dalla sue presa stritolante e dal
suo profumo intriso nei suoi vestiti. Però non ricordavo
quanto fosse bello stare tra le sue braccia, lasciarsi coccolare con la
testa appoggiata al tuo torace. Dopotutto, non so se me la sentivo di
staccarmi da lui.
- "Sapevo che avresti approfittato di qualsiasi occasione pur di
toccacciarmi" rise. Mi staccai di colpo, paonazza in volto e decisa a
difendermi con le unghie pur di non passare per l'accattona in cerca di
affetto.
- "Ma se sei stato tu ad abbracciarmi!" esclamai, tornando a sedermi
sul divano. Lui fece altrettanto e ci trovammo di nuovo uno accanto
all'altro, con il giornale di enigmistica necessario per ripristinare
la condizione di tranquillità iniziale.
- "Rilassati Sammy. - mi ammonì - Vuoi un massaggino?" si
avvicinò pericolosamente alla mia bocca, un mezzo sorriso
sulle labbra carnose, da baciare, mangiare, mordere, succhiare... solo
guardare!
Lo allontanai e ripresi a cercare quella cavolo di penna che non aveva
alcuna intenzione di uscire allo scoperto; tenevo gli occhi fissi sullo
schema incompleto, indagando nella mia memoria se potesse esserci la
risposta alla definizione mancante. Sentivo il suo sguardo su di me,
fastidioso ed incredibilmente eccitante; mancava poco a che le gocce di
sudore sulla mia fronte scivolassero sul foglio scandendo i secondi.
Calma, Sam. Tranquilla. Non
sapevo neanche più cosa stavo facendo, troppo concentrata ad
assicurarmi di non incrociare quelle maledette iridi chiare.
- "Che cerchi?" mi domandò curioso.
Mi uscì un gridolino isterico.
- "La penna!".
- "Tesoro, non per disturbarti o distoglierti da quanto stai facendo,
intendiamoci. Però quello che hai trovato assomiglia
più ad un portapenne".
In tutto questo, l'unica cosa che pensai fu: eh? Seguii la linea
del mio braccio - prima - e della mia mano - dopo -, come se non
appartenessero al mio corpo; fissai inorridita le mie dita che si erano
fermate in corrispondenza della sua lampo e stavano perlustrando il terreno,
nella più profonda convinzione che fosse il tessuto della
seduta del divano. La tolsi subito e mi alzai: non mi ero mai
vergognata tanto in vita mia.
- "Santissimi numi! Scusa, non volevo... cioè figurati se ti
tocco il.. .no! Cercavo la pene... penna, intendevo la penna!". Nick si
stava sbellicando dalle risate ed io ero seriamente in
difficoltà. Vidi la coda pelosa di Mister uscire dalla
camera degli ospiti e mi offrii di portarlo giù a fare la
pipì. Gli aprii la porta e afferrai il cellulare, prima di
sparire con la sola compagnia canina al mio fianco.
In testa mi rieccheggiavano le risate di Nick che ascoltava le mie
patetiche scuse e sentivo... freddo. Cazzo, il cappotto. E le scarpe. E
una tenuta più dignitosa di un pigiama da bambina delle
elementari.
Chiamai Valerie e le spiegai le molestie di cui ero stata protagonista.
Attiva.
- "Fammi capire: gli hai palpeggiato il pacco?".
- "Non ho fatto apposta! E-è capitato". Andavo avanti e
indietro sul marciapiede, in attesa che Mister finisse ciò
per cui eravamo scesi.
- "Come può capitare che tocchi il pisello a qualcuno? -
Sbuffai; in realtà neanch'io sapevo come fosse potuto
accadere - E lui che ha fatto?".
- "Lui ha gradito molto. Certo, sarebbe stato meglio se poi avesse
avuto un seguito la cosa, ma lui
si è accontentato. Per ora". Non ero stata io a parlare, ma
Nick che mi aveva raggiunto con una giacca tra le mani e mi aveva
sfilato il cellulare. L'ultima frase l'aveva pronunciata guardandomi
con il suo solito ghigno malizioso che, inutile dirlo, mi aveva fatto
avvampare. La giacca ora non era più necessaria.
- "Senz'altro, Valerie. Glielo dirò, buonanotte. -
Riattaccò e si rivolse di nuovo a me - Ti saluta e dice che
dovresti mordermi le chiappe al posto suo".
- "Consideralo come fatto".
- "Dai, smettila" mi disse. D'istinto guardai dove avessi appoggiato le
mani; sia mai che avessi perso del tutto il controllo sui miei arti
superiori, adesso liberi e calamitati dal patrimonio di famiglia dei
MacCord.
- "No, tranquilla, i gioielli sono al sicuro. Intendevo: smettila di
essere imbarazzata per quello che è successo prima,
perché è stato un incidente. Non è
accaduto niente - Santo
cielo: non è successo niente ed io mi sento andare a fuoco
- E comunque la risposta è utero".
Utero era la risposta del cruciverba o la zona del mio corpo in fiamme?
Il cellulare che Nick teneva ancora in mano squillò ed io
riuscii a leggere sul display il nome di Romeo. Lui mi porse il
telefono ed io mi appartai in un angolo per rispondere. La
conversazione fu breve: accettai di vederlo quella sera stessa, subito;
avrei chiarito la situazione una volta per tutte e mi sarei tolta da
quella scomodissima con Nick al medesimo tempo.
Le sue mani lungo la mia schiena.
Le sue labbra dischiuse sul mio seno.
L'inesorabile lentezza dei suoi movimenti che avevano l'unico scopo di
portarmi all'estremo, ad implorarlo di entrare dentro di me. Quelle
iridi chiarissime puntate nei miei occhi.
Le mie dita in quei capelli che amava tormentare.
Non era solo questione di pelle o di chimica.
Era magia.
Dicono che il primo passo per risolvere un problema sia quello di
ammetterlo. Ecco, io forse non ero ancora arrivata a quel livello.
- "Ho bisogno di te".
- "Accomodati. Che c'è?" mi chiese Will.
Esitai qualche istante, però poi cominciai a raccontare.
- "Stasera verso le 22 mi ha chiamata di nuovo Romeo Fletcher e ho
deciso di uscirci. - ignorai la sua espressione di disapprovazione e
prosegui i- Abbiamo parlato, si è scusato per il suo
comportamento, mi ha offerto un cocktail e tra una cosa e l'altra mi
sono trovata in un angolo del pub a baciarlo".
- "Non era mica il primo bacio, no?" scherzò, non afferrando
il punto della questione.
- "No, ma era la prima volta che mi capitava di... pensare ad un altro
mentre lo facevo".
- "Che hai fatto dopo?". Il mio interlocutore divenne presto
interessato alla conversazione.
- "Credevo che se fossimo andati oltre forse avrei spento il cervello e
sarei riuscita ad andare oltre il blocco emotivo che avevo. Ma non
è stato così e perciò...".
- "Te ne sei tornata a casa" finì per me Will.
- "Veramente ci siamo scolati due bottiglie di champagne, ho aspettato
che svenisse stordito dall'alcool, gli ho fatto una foto, gli ho rubato
i boxer, gli ho appiccicato un post-it sulla fronte con scritto di non
cercarmi mai più e poi me ne sono tornata a casa".
Non trattenete gli
applausi, grazie.
- "Come fai ad essere sobria?".
- "Non ho guardato Le
ragazze del Coyote Ugly una decina di volte per niente:
bevi da una bottiglia, sputi nell'altra". Perle di saggezza
direttamente dal mondo del cinema.
- "Astuta! E l'altro è la persona che penso?".
- "Non saprei con certezza assoluta; sai, ha un viso comune, fisico
comune, capelli comuni, modo di parlare comune, abbigliamento comune,
vocabolario comune...".
Sì, sto vaneggiando.
- "Sam".
- "Senza dubbio, Will. Era Nick" gridai disperata.
- "Squilli di tromba, prego! Samantha Grayson ha appena ammesso quello
che il mondo si aspettava da mesi ormai: le piace Nick MacCord".
- "No, alt! Mi piace un corno! Deve avermi fatto qualcosa quando
l'abbiamo fatto, qualcosa di strano".
- "Un filtro d'amore probabilmente" mi canzonò.
- "Pensavo a qualcosa di più simile al malocchio" affermai
convinta. Kay sbucò dal nulla e s'inserì nella
conversazione, nonostante la sua opinione non fosse richiesta; quella
donna era come il prezzemolo: spuntava fuori dal nulla e molto spesso
era indesiderata.
- "Trovi che sia così assurdo essere attratta da lui?
È un bel ragazzo, è intelligente, sexy,
spiritoso... - Will si chiarì la gola - Anche se non
raggiunge i livelli di Will. E poi gli piaci anche tu, vedrai che non
avrà neanche cominciato a cercare una dottoressa per la
vostra scommessa".
Pronto? E questa che
cavolo ne sa della nostra scommessa? Squadrai il mio
vicino con una nuova follia omicida.
- "Will posso parlarti un istante? Da soli. - gli afferrai una manica
della camicia e lo trascinai vicino a camera sua - Il fatto che lei te
la dia non ti autorizza a raccontarle gli affari miei!" sbraitai.
- "Hai ragione, ma mi è scappato". Ah, povero, gli è
scappato.
- "Bene. Allora d'ora in poi farò in modo che non mi
'scappi' più nulla della mia vita privata in tua presenza"
dissi arrabbiata.
- "Dai, non esagerare, non è così importante".
- "Se non ti spiace decido io cosa è importante e cosa non
lo è".
- "Perché ti scaldi tanto?".
- "Mi scaldo perché da quando c'è lei non tieni
mai quella ciabatta chiusa. Finora ho taciuto, però ora
credo sia arrivato il momento di farti capire che lei non è
la donna giusta per te".
- "Cosa c'entra Kay! Sei tu quella che sta perdendo il lume della
ragione per una cazzata. Il problema è che tu non consideri
quella scommessa un gioco; per te rappresenta l'unico punto in comune
con Nick, l'unica cosa che ti lega a lui. Sei talmente vigliacca da non
riuscire ad ammettere nemmeno con te stessa che lui ti piace e non hai
le palle sufficienti ad affrontare di petto l'intera situazione e
quindi riversi tutte le tue ansie, frustrazioni e preoccupazioni su di
me e Kay" mi spiegò tutto d'un fiato.
- "Se ti pesa così tanto essermi amico perché
continui ad esserlo?" mi difesi.
- "Francamente non lo so, visto che sin dall'inizio è stato
chiaro che questa amicizia è a senso unico; io ci sono
sempre per te e tu non ti degni neanche di chiedermi come sto. Ho
passato notti in bianco ad ascoltarti parlare e l'ho fatto volentieri,
perché ti voglio bene e perché volevo esserci per
te. Ma sono solo io
quello che ascolta, quello che consiglia, quello che è
sempre disponibile quando hai bisogno. E adesso c'è Kay che
mi capisce, che si ricorda di me non solo quando le servo e tu vorresti
che io buttassi via tutto? Comincia a crescere, Sam; nulla ti
è dovuto e se vuoi continuare a ricevere, devi abbattere
quel muro di egoismo che hai creato e iniziare a dare. - Non l'avevo
mai sentito parlare in maniera così schietta e dura, a
tratti. Avevo ascoltato il monologo di Will senza fiatare, realizzando
solo in quel momento il malessere del mio amico - Parla con Nick,
è la cosa giusta da fare, lo sai".
- "Non credo che lo farò, invece; non ho niente da dirgli".
- "Hai baciato un altro e hai immaginato fosse lui. Io credo che tu
abbia molto da dirgli" sentenziò.
- "E io credo che tu debba tornare di là. Vedrò
di non disturbarti più con le mie paranoie".
- "Fai quel cavolo che ti pare, non mi riguarda. Continua su questa
linea che non ti porterà a nulla". Mi guardò
quasi con disprezzo e mi lasciò nel piccolo corridoio da
sola. Era tornato da Kay ed il mio stato d'animo era un misto tra
delusione, rabbia, voglia di spaccargli un piatto in testa e di
piangere da sola con una vaschetta di gelato al pistacchio. Passai di
fronte alle loro figure felici appoggiate al divano, dal quale presi la
giacca e la borsa che avevo appoggiato al mio arrivo. Uscii sbattendo
la porta, con la consapevolezza che non avrei rimesso piede in
quell'appartamento per un po'.
Che si diverta pure con
quella rompipalle ficcanaso.
Entrai in casa mia: era vuota, silenziosa e le luci erano spente, segno
che Nick stava lavorando al Pumping
Pumpkin, ancheggiando davanti a qualche cinquantenne
insoddisfatta dalla noiosa vita sessuale di coppia o a qualche ventenne
arrapata. Al solo pensiero mi veniva la nausea; stava ballando mezzo
nudo su uno stupido palco come carne da esposizione. Sia chiaro che mi
stavo battendo contro la mercificazione del corpo maschile, nulla di
più. L'avevo presa proprio sul serio questa storia del
salvaguardare l'uomo dall'abuso della sua immagine: avrei salvato Nick
dallo spaventoso ed ignobile sfruttamento del suo fisico.
Ingannai la noia provando a mettere per iscritto qualche pensiero sul
rapporto con lui: origini, ragioni, storia... più che una
riflessione su due persone, sembrava una ricerca di geografia. Non lo
sentii rientrare e quando alle sette mi alzai a fare
pipì, mi accorsi che lui era già - o ancora -
sveglio. Lo raggiunsi in cucina, dove si stava muovendo piano, facendo
attenzione a non sbattere contro i mobili e a non far cadere nulla.
- "Nick?" chiesi, accendendo la luce.
- "In carne e muscoli" rispose presuntuoso.
- "Ho deciso che ti aiuterò a trovare un nuovo lavoro" gli
annunciai soddisfatta.
- "Io ce l'ho già un lavoro" commentò ancora un
po' stordito dal sonno.
- "Quelli vendono il tuo corpo a delle donne disadattate socialmente"
mi prodigai in una spiegazione quasi antropologica del fenomeno.
- "Non mi pare che tu ti sia lamentata quando sei venuta". Quella frase
- con ampio doppio senso allegato - mi spiazzò; avevo
rimosso quella serata in cui anche io avevo visto e apprezzato lo
spettacolino offerto da culi e addominali di rappresentanti di varie
etnie presenti sulla Terra.
- "È passato un secolo" mi giustificai.
- "Non è un reato, Sammy: non va in prescrizione ed
è come se non fosse mai avvenuto. Di' un po', non
è che sei gelosa di tutte quelle donnacce che mi mettono le
mani addosso".
Le mani addosso? Se ben
ricordo c'era la regola del guardare ma non toccare.
- "Sono offesa da queste tue accuse! Io cerco di aiutarti".
- "Hai aiutato anche Fletcher ieri sera?".
- "Sì, cioè no. - M'indicò il
sacchetto dei boxer che avevo appoggiato sul tavolo - È una
sfida, dopotutto" aggiunsi. Stavolta fui io ad avvicinarmi a lui.
- "Certo. Solo che non pensavo che avresti compromesso la tua
integrità morale per una sfida".
- "Mi prendi in giro? Ho compromesso la mia integrità morale
nell'attimo stesso in cui ho valicato la soglia del Pumping Pumpkin e
ubriaca marcia ho firmato la scommessa".
- "Ma quello è un idiota!" urlò.
- "Non l'avevi detto tu che avrei dovuto parlarci ancora? Comunque non
lo rivedrò mai più, mi auguro" spiegai.
- "Sono contento. Per te, intendo" tenne a precisare.
- "Sei geloso?" insinuai con un sorriso malizioso.
- "Geloso io? E di chi, di Cat Man? Non credo proprio".
- "Siamo amici io e te?". Quella domanda mi era uscita così,
a bruciapelo e non avevo fatto nulla per trattenerla tra le labbra.
Certe questioni vanno prese di petto, come diceva Will.
- "Non so se siamo amici". Lo interruppi prima di perdere lo slancio.
- "Ti devo dare una cosa".
- "Anche io" aggiunse lui.
Presi dalla tasca la lettera in cui gli spiegavo le strane sensazioni
curiose che ultimamente la sua presenza mi provocava, dallo stato di
assoluta intolleranza, al fatto di immaginare lui mentre baciavo un
altro. Era una scelta molto e poco coraggiosa allo stesso tempo: lo era
poco perché non avevo racimolato abbastanza coraggio per
parlargliene faccia a faccia, affidando i miei pensieri ad uno scritto;
ma lo era anche tanto perché avevo deciso su due piedi di
tirar fuori tutto quello che avevo represso per settimane, punta
nell'orgoglio da quanto mi aveva urlato Will.
Impiegai un attimo di più a togliere il foglio dalla giacca,
incastrato in un angolo della stoffa. Cercai di piegarlo in modo da
rendere la fuoriuscita più agevole, ma non servì
a nulla se non a farmi apparire ancora più agitata e
impaziente. E cretina.
C'era anche una banconota accartocciata che non ricordavo di aver
infilato in quel cappotto. Tanto meglio: avrebbe contribuito al
finanziamento per una futura giornata di shopping.
Nel frattempo Nick si era girato verso il borsone che aveva preparato
prima di tornare alla sua villetta, fresca di tinteggiatura e di
pavimenti lucenti. Quando si voltò verso di me mi porse un
pacchetto che smorzò tutto l'entusiasmo che avevo
faticosamente messo insieme.
- "C-cos'è?". Tentennai di fronte a quel regalo racchiuso
con cura in una carta color avorio sigillata da ceralacca rossa.
- "La ragione per cui ci frequentiamo. - Un pugno allo stomaco a
confronto mi avrebbe fatto il solletico. Era andato a letto con
un'altra. Ancora. - E tu cosa devi darmi?". Mollai quasi
inconsapevolmente la presa sulla lettera.
- "Queste, - risposi con un fil di voce, tendendogli quelle che scoprii
essere cinquanta sterline - per la spesa". Mi fissò stranito
e poi ripose il denaro di nuovo nella mia tasca; tremai al pensiero che
potesse scorgere il pezzo di carta, ma lui si concentrò
subito su Mister che si stava scambiando degli affettuosi dispetti con
Romeo.
- "Considerali come l'affitto. Ti informo che per stavolta ho estratto
io il compito settimanale, visto che entrambi abbiamo già
assolto ai nostri doveri. Trovati un camionista, non un pirata della
strada che basti tu". Tanto ce l'avevo già qualcuno che mi
ha investito e ucciso il morale.
Annuii senza convinzione nella speranza che lui non si accorgesse.
- "È ora di andare. Grazie dell'ospitalità,
Sammy". Inaspettatamente, mi abbracciò ed io mi ritrovai un
po' a disagio a contraccambiare, rigida ma sul punto di sciogliermi da
un momento all'altro.
Lo guardai da lontano uscire dal mio appartamento con il suo cane e
tirai un sospiro di sollievo ripensando al caos che avrei creato tra
noi se mi fossi persuasa a dargli quel foglio. No, era stato tutto
sbagliato: una dichiarazione - anzi, una sorta di richiesta di mettere
le carte in tavole e parlarsi a cuore aperto - necessitava di una
maggiore elaborazione, non poteva essere una decisione istantanea,
presa in un attimo di follia per provare a me stessa e a Will che non
ero affatto una vigliacca. Infatti, più che altro ero una
deficiente.
Quel maledetto pezzo di carta andava bruciato. O forse era meglio
conservarlo in qualche angolo nascosto della casa, come monito nel caso
in cui mi fosse passato di nuovo per la mente la malsana idea di
espormi al mondo esterno. Ad ogni modo quel foglio doveva sparire.
Misi la mano nella tasca e constatai che la lettera non c'era
più. Stavolta, però, ero certa che la magia non
c'entrasse.
So...
If it's magic...
Why can't we make
it everlasting,
Like the lifetime
of the sun.
Buonasera!
Lo
scorso capitolo mi sono dimenticata di farvi gli auguri di Pasqua,
super pessima :( Perciò ve li faccio ora, in ritardo!
Teneteli buoni per l'anno prossimo.
Risponderò
a breve alle recensioni :D
La
canzone di oggi è "If it's magic" di Stevie Wonder e il film
che ho citato è "Le ragazze del Coyote Ugly", come
già detto. La partita di calcio Blackburn-Chelsea
è assolutamente vera.
Chiedo
scusa per eventuali errori!
Comunque,
Sammy fa progressi, però cacchio con Nick che rema contro
questa santissima (?) donna mica può far miracoli :)
Alla
prossima spero e grazie a tutti Un bacio!
S.
|
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Capitolo 21 *** Capitolo 21. Misunderstanding. ***
Capitolo
ventuno. Misunderstanding.
Devo recuperare quella
lettera. Non importa come, ma quello stramaledetto foglio deve
ritornare nelle mie mani, o, perlomeno, allontanarsi di qualche
chilometro da quelle di Nick. ,
Indossai il primo cappotto che trovai sull'attaccapanni e scesi veloce
le scale fino al piano terra, guardandomi attorno per vedere dove fosse
arrivato il mio ex coinquilino. Giunsi fino al marciapiede, ma non
potei proseguire oltre dal momento che l'asfalto era bagnato di una
leggera pioggerellina mattutina ed io calzavo un paio di pantofole di
pezza. In ogni caso, non c'era traccia di Nick che doveva aver chiamato
un taxi alla velocità della luce ed esserci salito al volo.
Chiesi al portiere che era già in servizio se avesse visto
un ragazzo con un cane uscire dal palazzo, però lui mi
rispose che era passata una ragazza mora a prenderlo in macchina.
Una ragazza. Mora. Una
ragazza. E chi cavolo era questa ora?
Tornai nel mio appartamento e aprii l'armadio in cerca di qualcosa da
mettermi; scelsi un paio di pantaloni beige, una camicia chiara ed un
cardigan blu. Saltellai fino alla porta mentre mi infilavo gli stivali
e la giacca ed arrivai sul pianerottolo; proprio in quel momento stava
uscendo anche Will dal suo appartamento, ma non si sprecò
nemmeno a guardarmi ed entrò diretto nell'ascensore,
evitando di passarmi davanti per raggiungere le scale. Io non mi ero
mossa di un centimetro, gli occhi fissi su di lui che mi aveva ignorata
completamente prima di sparire dietro le porte scorrevoli.
Scesi ciascun gradino con calma, l'intento di fare in modo che la scena
appena vissuta non si ripetesse anche nell'atrio del nostro palazzo,
magari davanti al portiere o a qualche condomino di passaggio che di
sicuro non si sarebbe fatto scappare l'occasione per domandarci
perché non ci stessimo calcolando minimamente, quando
eravamo soliti trascorrere moltissimo tempo insieme.
Con un taxi arrivai fino al quartiere di Nick, il cuore che si era
fermato all'attimo in cui si era smaterializzato in casa mia con quella
lettera che conteneva un segreto che per me assumeva la stessa
importanza di quella del Sacro Graal. Non appena lui aprì il
cancello mi precipitai sotto il suo piccolo portico.
- "Hai letto la lettera?" gli chiesi come prima cosa.
- "Buongiorno Sammy. Sì, ma non preoccuparti
perché ho capito. - Ah, aveva capito. Cosa esattamente non
lo sapevo, però aveva capito. Beato lui! Io non avevo la
minima idea di quello che stava succedendo - È per Will"
concluse con una scrollata di spalle disinteressata.
Okay, a quel punto avevo perso del tutto il filo del discorso; era
impossibile - e francamente insperabile - scambiare quelle parole circa
il nostro incontro, la scommessa, il Pumping Pumpkin e
quant'altro per una specie di dichiarazione destinata a Will, invece
che a lui.
- "Will?" ripetei incerta, a metà tra una domanda ed
un'affermazione.
- "Ho parlato con Kay - la ragazza mora che era passato a prenderlo - e
mi ha detto che stai preparando una sorpresa per lui. Una cosa su noi
quattro, sull'amicizia e cazzate varie".
- "Cazzate varie?" mi uscì spontaneo chiedere. In
realtà fu un'ottima mossa per guadagnare tempo in previsione
della ricerca di una scusa plausibile e soprattutto coerente con quella
adottata da Kay.
- "Tutte quelle robe da femmine che credo si collochino tra la ceretta
di gruppo e i pigiama parties. A noi basta una birra e una partita di
calcio per farci apprezzare la compagnia maschile, mentre voi donnucole
avete bisogno di scrivere poemi su quanto vi vogliate bene, per dirvi
quando siete importanti le une per le altre".
- "Non commenterò la tua stupidità. Comunque la
mamma non ti ha insegnato che non si rubano le cose dalle tasche delle
signorine?".
- "Pensavo che ci fosse il mio nome attorniato da cuoricini e un 10+
per la prestazione durante quella famosa notte a casa mia".
- "Intendi quel 5 scarso allora..." lo punsi nell'orgoglio, incrociando
le braccia al petto.
Lui scosse la testa e rise mentre mi fissava dritto negli occhi, del
tutto indifferente alla battuta che gli avevo appena fatto.
- "Quello del 5 dev'essere Romeo. Io mi sarei dato un 7.5. Avrei potuto
fare molto di più se solo tu non fossi stata così
frettolosa di concludere e di saltarmi addosso; ti darei la sufficienza
comunque".
- "Se tu sei Speedy Gonzales a letto non è colpa mia. E
poi... la sufficienza? Io sono un'eccellente amante, razza di
maleducato che non sei altro!"
- "Ora non esageriamo..." scherzò lui , descrivendo dei
cerchi in aria che significavano che stavo pompando un po' troppo la
cosa.
- "Stiamo davvero dando dei voti alle nostre performances sessuali?
Perché, cavolo, fa molto teenagers che passano il tempo a
coccolarsi il pisello" commentai.
- "Il termine corretto è masturbarsi. Lo
puoi dire, non è una parolaccia e ti assicuro che non
finirai all'inferno, bella bambina. E non diventerai nemmeno cieca." mi
canzonò, avvicinandosi e cercando di lasciarmi un buffetto
sulla guancia, ma glielo impedii.
- "So come si dice - dissi imbarazzata -, ti stavo solo dando la
versione edulcorata. Ora possiamo cambiare argomento?".
- "Perché ti senti così a disagio a parlare di
sesso?".
Mmm...
- "Non sono a disagio! - Nick mi guardò perplesso: non ci
credeva nemmeno lui che io potessi discorrere di cosacce senza
sentire le guance avvampare - D'accordo sono a disagio a parlare con te di sesso,
soprattutto se riguarda quello fatto insieme" ammisi, infine.
- "Non devi preoccupartene, è già finito nel
dimenticatoio".
Beh, ora mi sentivo
molto meglio.
Io erano giorni e giorni che rimuginavo sui nostri baci, su quella
volta nel suo letto dopo essere stata a York e lui aveva già
voltato pagina secoli prima, quando si era sbattuto quella dottoressa
che mi ero imposta di immaginare come la donna più brutta
del mondo. Mi sentii un'autentica idiota, ma non riuscii a frenare la
lingua.
- "Grazie. È esattamente quanto una donna desideri sentirsi
dire".
- "E allora cosa vorrebbe sentirsi dire? Che lui è stato
bene, che è innamorato e non vede l'ora di rifarlo con lei
per ore, giorni, mesi, anni?". Più
o meno ci siamo. Certo, con qualche pausa qua e
là per assicurarsi di poter camminare ancora, ma il concetto
di base era quello - Perché io non sono così.
Sono un tipo da una volta e addio, avanti la prossima!"
- "Lo so come sei. - mi affrettai a dire, ma la voce mi uscì
più malinconica del dovuto - Si è fatto tardi,
devo andare a lavoro ora". Presi la lettera e la riposi nella borsa, il
che costituì il perfetto alibi per poter distogliere lo
sguardo da Nick e concentrarmi per qualche secondo su di un altro
soggetto. Gli sorrisi appena mentre recuperavo le mie cose appoggiate
sul mobile all'entrata e imboccavo la porta della sua villetta a
schiera.
Dovevo assolutamente ricordarmi di chiamare Kay e
ringraziarla per avermi parato il fondoschiena con suo cugino,
nonostante non arrivassi a comprendere il motivo per cui lo avesse
fatto, dal momento che era manifesta l'opinione negativa che io avevo
di lei.
Che palle, mi sarebbe toccato pure dirle grazie.
- "Samantha Grayson?". Ero riuscita a prendere la chiamata in extremis,
più o meno al decimo squillo. Mittente anonimo.
- "Sono io. Con chi parlo?".
- "Ralph. Ho ricevuto il tuo messaggio. "
Ralph?
- "Ralph? Quel
Ralph? Dio, non ci posso credere. Come stai?" mi affrettai a
chiedergli, anche se mi resi subito conto che non era esattamente la
domanda più intelligente da fare a uno sospettato di
favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione.
- "Sono stato meglio; per esempio quando eri tra le mie braccia,
accoccolata contro il mio petto nudo, nel mio letto che ora
è vuoto senza di te...". Oddio, ecco che era partita la
cantilena diabetica che lo rendeva assolutamente insopportabile ai miei
occhi.
- "Sì, sì... - tagliai corto - Ma raccontami di
come diavolo hai fatto a cacciarti in un guaio del genere".
- "Non lo so, mi hanno incastrato. Ti prego Sam aiutami, non voglio
marcire in una prigione federale, in isolamento o, peggio ancora, in
mezzo a tutti gli altri detenuti che mirano a possedere il mio sedere".
- "Calmati. Innanzitutto, non siamo in America, perciò
nessuna prigione federale. Riguardo il sedere... - beh, riguardo a
quello non potevo garantire, quindi meglio tacere - Dicevo,
sei agli arresti domiciliari, giusto?".
- "Sì, ma presto scadranno i termini e dubito che per quel
momento sarà tutto risolto. Devo andare, ho dovuto
supplicare per fare questa chiamata. Aiutami!" riattaccò.
Ero più che certa che quella conversazione fosse stata
intercettata e ascoltata da almeno una ventina di persone, tra
investigatori e detective vari e la cosa non mi faceva sentire
tranquilla. Se l'avesse sentita qualcuno di pericoloso, questa poteva
essere la volta che avrebbero fatto di Romeo uno spezzatino di gatto.
Non appena arrivata in ufficio raccontai a Valerie della telefonata a
sorpresa di Ralph e dei miei - più che fondati - timori
sulle sorti mie e del mio micione. Lei convenne con me e mi fece
promettere che avrei prestato attenzione in ogni singolo gesto da
compiere, perché non eravamo a conoscenza delle
capacità del nostro nemico e, di conseguenza, avremmo potuto
trovarci appese come due salami nella cantina di qualche strano
individuo, punite per il nostro incauto ficcanasare.
La lasciai un po' abbattuta per gli zero risultati fino ad allora
ottenuti e mi sedetti alla mia scrivania tra gli sguardi dei miei
colleghi, che ancora non avevano metabolizzato il fatto che il caso
dell'anno fosse stato affidato a me; mi voltai di scatto per far
intendere loro che non ero dell'umore di discutere e che li avrei
azzannati al primo battibecco. Tornarono come se nulla fosse al loro
lavoro a computer ed io pensai che avrebbero dovuto farmi una statua
perché l'affaire Ralph stava risparmiando all'intera
redazione un sacco di stress, che, al contrario, era convogliato in
toto nella mia persona.
Abbassai gli occhi sulla tastiera del pc e notai una busta appoggiata
sotto, consegnata dal ragazzo della posta di MM, Jeff. Jefff
era un baldo giovincello sulla ventina, con folti riccioli che
più che incorniciargli il viso, ne coprivano gran parte;
aveva l'abitudine di scuoterli in un tremolio del capo che - era
capitato parecchie volte, soprattutto quando era appena
stato assunto - veniva interpretato dai miei colleghi come un
principio di convulsioni da cui bisognava salvarlo. Ma io ero sempre
stata dell'opinione che in realtà stesse dando una scrollata
ai due neuroni rimastigli dopo tutti gli spinelli che si fumava.
Perennemente con la testa altrove e le cuffiette dell'mp3 nelle
orecchie, capitava di frequente di avere la splendida
opportunità di vedere i suoi boxer, visto che indossava dei
calzoni col cavallo così basso da sfiorare il suolo. Di
positivo, c'era che gli piaceva il suo lavoro e che salutava ogni
mattina con un sorriso sincero a fior di labbra.
Presi la busta e il pensiero andò immediatamente a Will;
forse aveva intenzione di scusarsi per le parole dure della sera
precedente, per il modo in cui mi aveva trattata, per come aveva difeso
a spada tratta quell'impicciona di Kay, accusando me di essere una
codarda, di nascondermi dietro ad una barricata di egoismo. Mi scoprii
delusa quando, nel girare l'involucro bianco, lessi che c'era scritto: Per Scarlett Bilson,
la mia collega. Qualcosa di negativo ce l'aveva anche quel maldestro di
Jeff: si contavano sulle dita di una mano le volte in cui la
corrispondenza da consegnare aveva raggiunto il corretto destinatario;
così toccava spesso a noi giornalisti rimedire ai danni. Non
capivo proprio come avesse potuto equivocare il mio nome con quello di
Scarlett, ma con Jeff meglio non farsi domande: probabilmente aveva
visto una S
ed aveva dedotto che fossi io.
Mi alzai dalla mia sedia girevole per portare la posta a Scar e passai
davanti alla stanza vuota di Banks, che doveva essere ancora con la
sabbia tra le dita dei piedi nello splendido e asciutto Brasile, mentre
noi inglesi eravamo condannati a vivere in un autunno piovoso. Sbirciai
all'intero grazie alla grande vetrata e feci quasi una piroetta su me
stessa quando, all'ultimo, vidi con la coda dell'occhio una grande
busta gialla. Entrai, la aprii e ci trovai le foto di due ragazzi e di
una signora sorridenti in riva ad un mare azzurrissimo, attorniati da
un panorama mozzafiato. Rigirai la fotografia e vi trovai una dedica: a te, tesoro, che sei sempre
troppo preso dal lavoro per staccare prima, ma che ci pensi sempre.
Questa vacanza è stata un sogno, grazie del regalo.
Valerie mi raggiunse alle spalle, senza che me ne accorgessi e mi
strappò la busta dalle mani, sfogliando una ad uno le
immagini.
- "È la sua famiglia!". Lei annuii ed un'espressione
beffarda si posò sul suo viso. La seguii in silenzio fino al
suo ufficio, dove aprì il faldone che ormai avevo imparato a
conoscere: era quello in cui teneva annotati vita, morte e miracoli dei
propri dipendenti. Lo sfogliò rapida e rallentò
solo all'ultimo, quando trovo un quadretto famigliare degno di quelle
noiose e utopiche pubblicità in cui tutto è
perfetto. Presi il raccoglitore e lo girai dalla mia parte: Jill, Jim, Mike e Sam Banks.
Altro che Brasile: per il vecchio Sam1 temporali in vista. E non solo
perché era rimasto a Londra.
Dopo aver passato l'intera mattina a scrivere un pezzo circa un
discutibile gruppo gospel finlandese, mi decisi a passare a trovare zia
Annie alla casa di riposo, nella speranza di non incrociare la mia
strada con quella di Romeo Fletcher. La trovai stranamente di buon
umore, vestita di tutto punto, i capelli cotonati a dovere ed in
compagnia di un signore sui settanta vestito elegante con cui stava
bevendo un tè nella saletta accanto alla sua camera. Mano
sul braccio di lui, sorrisi a non finire, ciglia sbattute con frequenza
da record: la mia cara vecchietta stava seguendo il manuale della
perfetta civetta.
- "Disturbo?" mi intromisi.
- "Oh, Samantha. Certo che no, ma non mi avevi detto che saresti
passata".
- "Volevo farti una sorpresa" le dissi.
- "Me l'hai fatta, tesoro. Posso presentarti il signor Kerry?".
Ci presentò, l'uomo mi baciò
galantemente la mano e mi cedette il suo posto sulla sedia di fronte
alla zia. Provai a rifiutare, ma lui disse che se ne stava andando.
Rivolse un'ultima occhiata ad Annie e poi se ne andò,
promettendo di ritornare il giorno seguente.
- "Allora... - iniziai - Da quant'è che flirti con
quest'uomo?" le chiesi maliziosa e per sbaglio diedi un calcetto a
qualcosa sotto il tavolo: un pacchetto regalo scartato.
- "Io non flirto! - si difese e si accorse che avevo notato il dono -
È solo un piccolo presente che mi ha fatto oggi per aver
tenuto compagnia a sua madre in questi mesi, prima che morisse nei
giorni scorsi alla veneranda età di centodue anni". Mi porse
la busta che avevo urtato ed io dovetti trattenermi dall'urlare quando
ne vidi il contenuto.
- "Que-questo è il piccolo presente? - chiesi incredula, gli
occhi spalancati. Spostai le tazze dal tavolo e ci appoggiai
l'esemplare di borsa più bello ed esageratamente costoso che
conoscessi - Zia è una Birkin di Hermès, costa
almeno cinquemila sterline!". La osservai sbarrare le palpebre a sua
volta e insieme la analizzammo da vicino: di pelle bianca, con i manici
e quel laccetto fermato da due placchette; era perfetta.
- "Cinquemila sterline? Oddio, portala a casa tu!". Cosa? Per quanto
ambissi entrare in possesso di quel piccolo gioiellino, se l'avessi
tenuta anche solo per qualche ora, poi, una volta che mi fosse stato
chiesto di restituirla, avrei preferito scappare alla Bahamas con lei
piuttosto che affidarla a mani altrui.
- "Scherzi?" esclamai.
- "No, no. Il tuo appartamento è molto più sicuro
di questo posto".
Okay, io ho provato a
rifiutare, ma l'anziana e fragile zia insiste così
tanto...non me la sento di dirle di no. Anche se non avrei proprio
definito casa mia un posto sicuro.
- "Va bene, la custodirò per te" dissi poetica.
Chiacchierammo per circa due ore e scoprii una Annie sconosciuta in
sostanza a tutta la parentela; era una donna intelligente, acuta,
spiritosa che aveva solo bisogno che qualcuno si fermasse a parlare con
lei per più di quei tre secondi in cui le usciva quel
grugnito nervoso. Mi sentii un po' in colpa per non essere mai restata
qualche istante ad ascoltarla, per capire che dietro quella facciata di
zitella insopportabile, in realtà ci fosse una donna
profondamente sola. Mi disse di provare la Birkin subito e di lasciare
la mia vecchia - e aggiungerei dozzinale - borsa nell'armadio in camera
sua.
La salutai elettrizzata al pensiero di mostrare al mondo la mia nuova
Hermès. Uscendo, presi un taxi per tornare a casa, felice
come una bambina; lungo il tragitto, notai un gruppo di camionisti
fermo ad una piazzola, intenti a scambiarsi due parole prima di
ripartire. Sull'onda dell'entusiasmo, chiesi al tassista di fermarsi e
di lasciarmi lì. All'inizio cercò di convincermi
che non era una buona idea, ma io non mi lasciai persuadere e mi
presentai in mezzo a quel branco di omoni.
- "Salve!" mi intrufolai sorridente.
Bene, Sam, e ora che si
fa?
Loro mi guardarono curiosi, poi mi si avvicinarono con un'aria tutto
tranne che rassicurante. Indietreggiai il possibile e maledissi la mia
cocciutaggine.
- "Bella moretta, ti sei persa? Vuoi che usi il mio bastone per
indicarti la strada di casa?". Un tizio grosso con una maglia bianca ed
un gilet di jeans cercò di sfiorarmi il viso con le mani
sporche.
Cazzo, ma in che cavolo
di pasticcio mi sono cacciata?
- "Irving, lasciala in pace" bofonchiò con voce profonda un
altro, con dei baffetti stranissimi ed un fisico molto meno possente.
Gli altri cominciarono a brontolare, ma alla fine si arresero e se ne
andarono coi loro camion, lasciandomi sola con l'unico uomo che mi
aveva difeso.
- "Grazie" accennai ad un sorriso. Di tutta risposta, lui mi
lasciò di stucco togliendosi i baffi, evidentemente finti,
ed iniziò a parlare con un tono molto meno impostato
rispetto a prima.
- "Zuccherino, fossi in te non mi aggirerei da queste parti con tutti
quei capi firmati e quel pezzo da museo tra le mani; ringrazia il cielo
che quei trogloditi non sappiano riconoscere la cacca dal cioccolato
perché altrimenti a quest'ora saresti già rimasta
in lingerie".
GrAYson radar attivato.
Un uomo aveva riconosciuto una borsa: incredibile.
- "Ma tu sei un uomo..." commentai confusa.
- "Diciamo che ho il corpo di un uomo, ma il pensiero è
tutto femminile, bella gioia! - disse, ridendo sguaiatamente - Per il
lavoro che faccio meglio che non sappiano che sono una checca isterica,
però, per il resto non m'importa che il mondo sappia che
sono l'omosessuale più gay che ci sia! Sono Warren"
esclamò, porgendomi la sua mano.
- "Samantha... Sam".
- "Bene; ora che le presentazioni sono ufficiali, fammi vedere
immediatamente quella Birkin. - me la strappò dalle mani e
cominciò ad accarezzarla come fosse un cucciolo di cane -
Dio, ucciderei per averne una uguale. Senti la morbidezza della pelle!
Tesoro, riprendila perché altrimenti potrei avere un orgasmo
qui!". Certo, era un po' strano, ma Warren mi ispirava simpatia e
così gli proposi di bere qualcosa insieme.
Dieci minuti dopo, gli avevo raccontato inconsapevolmente tutta la mia
vita, scommessa inclusa, di fronte ad un cappuccino. Mi fermai per
riprendere fiato e mi resi conto che quell'uomo sapeva ormai tutto.
Come diavolo era riuscito a farmi dire tutto?
- "E quindi Nick ha due chiappe di granito che ti fanno girare la
testa. - commentò interessato - Voglio conoscerlo!".
- "Auguri!" dissi sarcastica.
- "Comunque non ti devi preoccupare: ci teniamo in contatto e mi
farò passare per il tuo focoso camionista super etero. Mi
piaceresti un sacco, se solo avessi un grosso e lungo pene, Samantha!".
Scoppiammo a ridere entrambi.
- "Mi sto chiedendo perché io ti abbia detto tutto quanto"
ammisi.
- "Stellina, non stupirti, tutto merito mio. È una specie di
dono: Barbra sa cantare, io so ascoltare e far vuotare il sacco alla
gente" disse, senza dissimulare un briciolo di vanità.
Mi scappò un occhio sull'orologio da polso che indossavo e
notai che erano già le otto! Erano due ore che stavamo
chiacchierando amabilmente all'interno del pub.
- "Diamine, è tardissimo! Devo andare! Non fraintendermi,
è stato divertente e devi venire a fare shopping con me un
giorno".
- "Dobbiamo anche fare sesso, non dimenticartene". Una signora ci
passò accanto e ci guardò schifata, avendo colto
l'ultima frase; noi alzammo le spalle, sogghignando come due idioti ed
io aiutai Warren a rimettersi i baffetti finti per tornare in
modalità camionista-on.
Ripresi di nuovo un taxi e tornai finalmente da Romeo, che mi aspettava
in cucina, pronto per ricevere la sua razione di pappa. Lo accontentai
e mi tolsi le scarpe ed il cappotto dopo aver staccato il telefono di
casa: ero troppo stanca e non avevo voglia di rompiballe. Ordinai una
pizza e, in attesa che arrivasse il mio amato pasto, mi sedetti sul
divano e poggiai i piedi sul pouff, concentrandomi sulla puntata di CSI
che stava andando in onda.
Quando arrivò il fattorino, aprii la borsa e gli allungai
dieci sterline. Richiusi la porta e presi in mano il cellulare per
mandare un messaggio a Kay. Dieci chiamate senza risposta: Nick.
Gli telefonai subito, perché se aveva insistito
così tanto, significava che era davvero importante.
- "Finalmente. Si può sapere dove cazzo sei?" disse, senza
neanche salutare.
- "Ciao eh! Sono a casa, non mi sembra che avessimo un appuntamento. O
sbaglio?" chiesi dubbiosa.
- "Mi prendi in giro? Sono in aeroporto, a Gatwick".
- "Stai partendo?". Ormai ero sempre più confusa.
- "Sammy, ma ti senti bene? Will
sta partendo".
- "Will?". Lo stomaco mi si chiuse d'un colpo.
- "Sì, non era per la sua partenza che hai preparato quella
lettera?"
- "Ah, certo. - affermai senza convinzione - Tra quanto parte il volo?
- "Un'ora".
Riattaccai senza aggiungere nulla e mi rivestii in fretta, alla ricerca
di un taxi che probabilmente non ce l'avrebbe mai fatta a portarmi in
tempo. Ci sarebbero voluti almeno sessanta minuti per arrivare
all'aeroporto, ammesso e non concesso di non trovare incidenti o
contrattempi lungo il percorso.
Chiamai Kay per avere qualche informazione in più.
- "Perché io non lo sapevo?" la accusai, non appena rispose.
- "Credevo te lo avesse detto lui, prima di litigare" si
giustificò.
- "Quanto starà via? Dove va?" chiesi isterica.
- "Non lo sa ancora; gliel'hanno comunicato ieri sera dall'azienda che
avrebbe dovuto imbarcarsi stasera. L'unica cosa certa è che
torna a Portland".
Portland? Il mio migliore amico stava per tornare dall'altra parte
dell'oceano, lontano non so quante migliaia di chilometri e non si era
neanche degnato di salutarmi o di avvisarmi che stava per cambiare
continente. Deficiente!
Implorai il tassista di andare più forte che poteva, ma man
mano che le lancette dell'orologio giravano sul quadrante, l'ansia
cresceva esponenzialmente, lasciando posto alla rabbia e alla
frustrazione.
Fanculo...
L'aereo sarebbe partito alle 21.20 ed io avevo dovuto promettere decine
di sterline in più all'autista per vedere il suo piede
ossuto schiacciare la tavoletta dell'acceleratore.
Corsi all'interno di Gatwick come una pazza, congratulandomi con me
stessa per aver indossato le Converse, al posto dello scomodissimo paio
di stivali con il tacco alto che avevo usato durante la giornata.
Richiamai Nick per sapere dove si trovassero e, seguendo le sue
istruzioni, li raggiunsi.
Will non c'era, come avevo previsto. Era già su quel
fottutissimo volo per quei fottutissimi Stati Uniti in cui viveva prima
del suo soggiorno in Inghilterra.
- "Cazzo!" urlai e attirai l'attenzione di qualche viaggiatore nei
dintorni. Sbattei un piede per terra con violenza, facendo sobbalzare
Kay che aveva il viso rigato dalle lacrime.
- "Potevi arrivare prima" esclamò Nick.
- "No, non potevo arrivare prima. - accantonai un attimo l'orgoglio e
mi decisi a fare l'unica domanda di cui mi importasse conoscere la
risposta - Non ha chiesto di me?".
- "Era triste di dover lasciare Londra, ma allo stesso tempo anche
eccitato all'idea di tornare dalla sua famiglia, dai suoi amici..."
cominciò Kay, ma la interruppi.
- "Non è quello che ti ho chiesto. - Si scambiò
un'occhiata con Nick, non sapendo bene come indorare la pillola: Will
non si era preoccupato del fatto che non ci fossi- Me ne
torno a casa ora. Ciao ragazzi" dissi e mi voltai veloce verso
l'uscita, strizzando gli occhi per allontanare il pizzicore che
sentivo. Stavo praticamente correndo, in mezzo a una folla di
sconosciuti, il dorso della mano destra davanti alla faccia per non
mostrare a tutti che stavo piangendo perché Will mi aveva
cancellato dalla sua vita. Ero delusa, arrabbiata, ferita. No, ero
furiosa: mi aveva dato dalla codarda, quando lui stava tornando in
patria senza nemmeno dire arrivederci, non dico da amica, ma da persona
civile con cui aveva condiviso gran parte del suo tempo da quando era
arrivato in città. Almeno prima che arrivasse quell'arpia di
Kay a scalzarmi dalla mia posizione privilegiata di unica donna della
sua vita; era colpa sua se non ci vedevamo più
così spesso, se mentre eravamo in compagnia, loro
preferivano starsene da soli a tubare come due tortore in calore, se i
nostri rapporti si erano incrinati fino a sfociare in un litigio. Era
colpa sua se Will se ne era andato.
Mi fermai fuori dall'aeroporto e decisi di aspettare che lei e Nick
uscissero a loro volta. Arrivo prima lui, dicendo che Kay si era
fermata in bagno qualche minuto per sistemare il trucco, colato per le
lacrime.
- "Pensavo te ne fossi andata" mi disse lui.
- "Devo dirle una cosa prima di tornarmene a casa".
- "Senti, non so cosa sia successo tra voi due e Will, ma non credo sia
il momento di litigare" cercò di farmi ragionare.
- "Non ho detto che voglio litigare con lei; voglio solo farle sapere
cosa penso di lei".
- "Capisco che tu sia arrabbiata..." iniziò.
- "No, tu non capisci! Da quando è arrivata lei è
cambiato tutto".
- "Sammy, non è colpa sua se lui se n'è andato
senza salutare. So che ti farebbe comodo pensare che fosse
così, ma non è la verità. State male
entrambe per questa situazione e non è giusto accusarvi a
vicenda per qualcosa che non è stato causato da nessuna
delle due: è stata la sua azienda a dirgli di tornare negli
Stati Uniti. Lo sapevamo tutti che, passati i tre mesi, sarebbe dovuto
andare a Portland".
Per quanto potesse costarmi ammetterlo, ero perfettamente conscia che
lui avesse ragione, ma era nella mia natura trovare un capro espiatorio
che mi aiutasse a lavarmi la coscienza.
- "È assurdo! - esclamai, mentre le prime lacrime
cominciavano a scendere piano sulle mie guance - Non posso crederci che
se ne sia andato".
In quel momento uscì Kay e mi venne spontaneo raggiungerla e
abbracciarla: per quanto potessi sopportarla a fatica e per quanto non
saremmo mai diventate amiche, il momento era triste per entrambe e
condividere un po' di pianto non poteva che farci bene.
- "Andiamo a casa, forza". Seguimmo Nick senza fiatare fino alla sua
macchina, sedendoci entrambe sui sedili posteriori con la
consapevolezza di dover chiarire ancora molte cose.
Aspettò che il guidatore accendesse la radio e si mise a
parlare sottovoce.
- "Non voglio intromettermi tra te e Will o tra te e mio cugino;
- sarebbe la
prima volta, no?- ma ho capito che non eri pronta ad
affrontare quel discorso con Nick, perciò la mattina dopo il
litigio, quando gli ho dato un passaggio, mi sono inventata che l'avevi
scritta per la partenza di Will. E, credimi, ero convinta che lui te lo
avesse detto".
Sembrava sincera e non avevo motivi per non crederle.
- "Lo so. Grazie comunque per il salvataggio. Ti devo un
favore e no, non ti presterò le balerine di Marc Jacobs" la
anticipai, scherzando per stemperare la tensione.
Alla fine ci ritrovammo tutti e tre a casa di Nick, affamati come dei
lupi e decisi a passare una serata tranquilla, dopo lo sconvolgimento
emotivo della giornata, con la partenza di Will ed equivoci vari.
Mister balzò in piedi non appena ci vide e ci venne
incontro, praticamente spingendomi a sedere sul divano; gli concessi
un'ampia dose di coccole, finché il mio braccialetto non
rimase impigliato in qualche cosa attaccato al collare: una placchetta
con una scritta.
- "Perché c'è scritto Mr. Hail sulla sua
targhetta?" chiesi, dopo averla letta.
- "Perché è il suo nome. - mi rispose Nick - Lo
hanno trovato i miei genitori quando erano a casa dei miei nonni in
campagna, durante una grandinata(*), mentre si aggirava solo e tutto
bagnato; aveva solo qualche mese, poveretto. Così l'hanno
preso, asciugato, coccolato e l'hanno chiamato Mr. Hail".
- "È ancora un cucciolotto" esclamai, strapazzandogli il
pelo folto.
- "Un cucciolotto di 50 kg però!".
- "È tenero" intervenne Kay, che evidentemente sentiva di
aver taciuto troppo a lungo e quindi aveva un bisogno fisiologico di
dire la sua. Posò il cartone della pizza e qualche bottiglia
di birra sul tavolino, mentre Nick si alzava per cercare qualche dvd
nella sua libreria.
- "Avevo pensato di lasciar decidere a voi il film, ma poi ho scoperto
di avere questo e ogni idea di galanteria se n'è andata".
Misunderstood
del 1984 con Gene Hackman.
- "Guardate ed imparate, donne. Basta equivoci, si deve parlare chiaro
d'ora in poi". Si posizionò in mezzo a noi e ci
circondò ciascuna con un braccio. Kay era distesa di profilo
sulla sinistra, mentre io mi ero raggomitolata accanto a lui dall'altro
lato. La mano di Nick scese a peso morto sul mio fianco fino a cadere
sul mio sedere.
- "Nick togli la mano dal mio culo, per cortesia". Mi scambiai
un'occhiata d'intesa con Kay.
- "Ops, è finita lì da sola. E' un malintes...".
Non riuscì a finire la frase perché due cuscinate
lo colpirono in pieno volto, tra un mare di risate.
(*)hail=grandine
Buon
pomeriggio! Chiedo umilmente perdono per il ritardo madornale, ma
è un periodo d'inferno e tra studio, lavoro, sessione
d'esame incombente e un weekend passato ai seggi non sono riuscita a
postare prima :( Ora aggiorno sperando che non sia tanto male quanto ho
scritto. Di positivo c'è che ho avuto tempo per organizzare
i prossimi capitoli in modo tale da rendere la storia più
fluida e reale.
Ho
già risposto alle recensioni e vi ringrazio come sempre
perché seguite/preferite/ricordate/recensite CLH. Ringrazio
chiaramente chi mi ha inserito tra gli autori preferiti: mi fa un
piacere immenso.
Colgo
l'occasione per dirvi che ho aperto insieme a SunshinePol una fanpage
su fb che al momento è molto work in progress, ma che presto
ospiterà spoiler e curiosità di C'eral'acca e
credo proprio anche di Firework. Inoltre vi annuncio che finalmente
molti dei personaggi di questa storia hanno trovato un volto che
però metterò solo su fb, perché voglio
che su efp ciascuno sia libero di immaginare Sam, Nick e compagnia
bella come meglio crede, senza imposizioni.
La
canzone di questo capitolo è "Misunderstanding" dei Genesis.
Bene,
mi sembra tutto per ora!
Grazie
a tutti e alla prossima!
Sandra
|
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Capitolo 22 *** Capitolo 22. Pleasure And Pain. ***
Capitolo
ventidue. Pleasure And Pain.
Alla fine del film, nessuno era stato in grado di muovere un muscolo e
tutti insieme avevamo optato per dormire ammassati sul divano,
piuttosto che spostare anche solo un dito. Eravamo intenti a fare
colazione, quando il mio cellulare suonò.
- "Pronto?" chiesi senza particolare garbo.
- "'Giorno, Zuccherino. Dormito bene?".
- "Warren?" domandai stupita.
Il sopracciglio destro di Nick si sollevò per qualche
istante, salvo poi riabbassarsi. L'avevo sempre detto che era un tipo
strano; cioè, voglio dire... come cavolo fa ad alzare il
sopracciglio destro? Mi ritrovai più o meno consapevolmente
a provare a mia volta a riuscire nell'impresa di muovere la maledetta
arcata, ma non si spostò di un millimetro o, meglio, lo fece
in modo sgraziato e innaturale che comunque non si poteva considerare
"alzare".
- "Sì, anonima eterosessuale delle sperdute lande scozzesi,
sono io".
Boh, forse è
perché è mancino e quindi lui riesce a sollevare
il sopracciglio destro, ma non quello sinistro...
- "Ci dobbiamo vedere per forza stamattina. - continuò
Warren, ignaro del mio dilemma interiore - Ho bisogno di un consulto
per una camicia nuova; ho pensato che la vorrei con delle rouches, ma
non ne sono convinto. E poi non so la tonalità! Ho questo
colorito bianco-pallido-come-un-cencio-inglese che mi fa sembrare un
incrocio tra un foglio di carta e un albino. Credi che il blu
sbatterebbe su di me? Beh, d'altronde l'arancione è da
escludersi a priori, così come il magenta, il giallo,
l'avorio, il verde, il marrone...".
O forse è
perché gli uomini sanno farlo ed io non l'ho mai saputo...
- "... il rosso, il lilla, l'onice, il bianco. Certo che basterebbe che
andassi a farmi una lampada al centro estetico ed estirperei il
problema alla radice. Senza contare che sono straordinariamente bello e
faccio la mia porca figura anche con un sacco di iuta al posto dei
pantaloni e dei copricapezzoli con delle nappine attaccate".
O forse si è
allenato per anni e alla fine è riuscito ad ottenere una
mobilità completa dell'arcata sopraccigliare...
- "Cielo, vestito in quel modo mi arraperei da solo. Sarà
che sono un pezzo di figliolo non indifferente e che ho uno charme
naturale che fa voltare tutti quando passo per la strada - persino
quelli sposati! -, ma se la mia bellezza dovesse continuare a crescere
esponenzialmente come in questi anni, ho paura che presto mi
ritroverò ad essere il toy boy più ricercato
dell'intera Gran Bretagna. Pensi che sarà difficile reggere
tutte quelle aspettative? Non che io non mi ritenga all'altezza, questo
no di sicuro. Basta che mi guardi! - sospirò e riprese fiato
- Ti adoro Samantha, sappilo: nessuno ha mai sopportato le mie paturnie
mattutine senza cercare di intervenire per bloccare lo spontaneo fluire
delle mie parole. Vedo che tu hai già capito: io sono da
ascoltare, come Barbra, Nostra Signora."
Nel frattempo avevo continuato la mia ginnastica facciale, cercando di
specchiarmi nel bicchiere, ormai vuoto, dove prima c'era il succo
d'arancia, senza però conseguire alcun risultato degno di
nota, se non attirare l'attenzione di Nick.
- "Che stai facendo?" chiese divertito, mentre Kay gustava la sua
ennesima fetta biscottata consolatrice, cosparsa di burro e tre strati
di macmellata, ignorando tutto quando non fosse commestibile. Tipo noi.
- "Fatti i cazzi tuoi!" urlai in modo fin troppo concitato, arrossendo.
- "Non fare l'egoista, prima fammelo vedere questo Nick; poi
potrò decidere se lasciartelo o se cercare in tutti i modi
di farmelo io questo caz...".
- "Warren! - gridai, interrompendolo - Tesoro, perché non ne
parliamo un'altra volta? Magari davanti ad una bottiglia di vino, io e
te, soli..." dissi dolcemente, per fargli capire che non ero libera di
parlare.
- "Oh, capisco, l'uomo dalle chiappe di granito è nei
paraggi".
Warren aveva ragione quando diceva di essere un maschio con l'animo
femminile: se avessi dovuto far capire una situazione del genere a Nick
o allo stronzo-che- non deve-essere-nominato, alias il mio ex vicino,
avrei dovuto usare schemi, plastici e Barbie o manichini. Ma con il mio
nuovo amico bastava una magica cosa chiamata parola. Anche
perché altrimenti Warren sarebbe scappato con Ken...
- "Esatto. Ci vediamo più tardi?".
- "Sei a casa sua?" mi chiese.
Feci una risatina ebete, sotto lo sguardo indagatore di Kay che
sembrava dire 'mi sono
persa qualche passaggio?'.
- "Proprio così".
- "Mandami un sms con il suo indirizzo e tieniti pronta, Zuccherino".
Iniziai a preoccuparmi perché non avevo idea di cosa avesse
in mente, ma gli scrissi ugualmente il messaggio.
- "Posso aiutarla?" chiese Nick a quello strano individuo vestito di
tutto punto e con degli strambi baffi, che si tolse con un gesto secco
e teatrale i Ray Ban a specchio che indossava.
- "Sono Warren, sto cercando Samantha" disse con la voce rauca da
camionista. Non lasciò il tempo al padrone di casa di
formulare altri quesiti ed entrò in casa, lasciando Nick
appoggiato con un braccio allo stipite e la bocca aperta.
- "Ha una casa deliziosa, se lo lasci dire. Il parquet chiaro
è una chicca. Come lo è la mia passerotta, vero,
Zuccherino?". Si avvicinò piano a me e schioccò
un bacio leggero sulla guancia, prima di continuare la perlustrazione
della villetta.
Nel frattempo Nick si era ripreso dalla paresi e si era avvicinato,
ufficializzando le presentazioni anche con Kay e pregando Warren di
darsi del tu.
- "E quindi da quanto vi conoscete?".
- "Il tempo è roba per i filosofi. - rispose sicuro il nuovo
arrivato - Ciò che conta è che Sam è
una donna unica, bella, intelligente, forte e mi vanto della sua
amicizia come di un oggetto prezioso. Soprattutto quando si concede"
terminò a voce bassa e diede una lieve gomitata al Nick,
alla ricerca di una complicità che trovò solo in
parte. Lui lo guardò un po' scettico, rispondendo
con un sorriso appena accennato.
- "Io me ne vado gente: il lavoro mi chiama" ci annunciò Kay
e tutti la salutammo e personalmente godetti nel vederla uscire dalla
mia vita per un po'.
- "Posso usare il bagno, Nick?" chiese all'improvviso Warren.
- "Sì, certo. Vai pure in quello in camera mia, l'altro
è un completo disastro". Conoscendo Nick e la sua
organizzazione, il completo
disastro doveva consistere in un angolo del tappeto
sollevato o di una ditata sullo specchio - Sammy, gli mostri tu
dov'è?". Presi l'ospite sottobraccio e lo condussi verso la
stanza da letto principale. Warren mi fermò poco dopo aver
varcato al porta.
- "Ricordi quando prima parlavamo di 'farsi i cazzi propri'?
- annuii - Ecco, non aspettarti che io non invada la tua
proprietà quando c'è in giro un culo del genere!
Voglio dire, l'hai viste quelle due creature incantate dotate di vita
propria? Non sono chiappe, sono due demoni che urlano di essere
sculacciate! Una meraviglia del genere è totalmente sprecata
in un rapporto etero: è per il bene dell'umanità
e la salvaguardia del patrimonio mondiale che accetto di prendermene
cura con il cuore, l'anima e ogni parte del mio corpo che le aggradi"
concluse in fretta, col fiatone da tanto aveva gesticolato e saltellato
per la stanza.
Non sei il solo che
vorrebbe prendersene cura. Sempre per la scienza, eh!
- "Torno di là. Tanto ormai hai capito qual è la
porta giusta".
- "Ferma, ferma, ferma! - m'inchiodò lì dov'ero -
Non credi che questo ambiente sia perfetto?" mi chiese, guardandosi
attorno.
- "Se hai intenzione di fare una disquisizione di nuovo sul suo culo
paragonandolo alla sua camera, dimmelo subito che..." mi
zittì con una mano sulla bocca.
- "Perfetta per farci l'amore, sciocchina. E parlo di te e me" rise
diabolico.
Certo sarebbe stato uno smacco di dimensioni epiche "farlo" proprio sul
suo letto, tra le sue lenzuola, in casa sua; però, ad essere
onesti... ad essere onesti non c'erano però:
era un'idea semplicemente geniale.
Warren strappò un foglio dal block notes che c'era sul
comodino e scrisse alcune frasi; quel giorno feci una cosa che mai
avrei creduto possibile capitasse a me: fingere di far sesso con un
copione in mano.
- "Hai mai visto Killing
me softly? - domandò serio, mentre la sua mente
rigurgitava in continuazione progetti da regista. Risposi di
sì e lui proseguì con la descrizione dell'idea
folgorante che gli era venuta - Voglio riprodurre la scena di fronte al
caminetto: lei con attorno al collo uno chiffon di seta legato ad un
ancoraggio sulla trave del focolare e lui con le altre
estremità della stoffa che tira per comandare l'amplesso e
la partner. Questo è ciò che dovrai raccontare di
aver fatto con il sottoscritto".
- "Il missionario non va bene?" provai ad obiettare.
- "Zuccherino, non mi capita molto spesso di fingere di farlo con una
donna, perciò perdonami se voglio fare le cose in grande
stile e illudere la gente che questa sia stata la scopata del secolo. -
si giustificò, prima di cominciare, urlando e togliendosi
scarpe e calze - Oddio, Sam in questo modo mi farai impazzire! Mmm,
continua, brava!".
Trattendendomi a stento dal ridere, mi misi davanti allo specchio e mi
spettinai i capelli, sbottonai la camicetta e sbavai il rossetto.
- "A questo punto dovresti gridare anche tu" mi ammonì
sottovoce Warren. Abbandonai il copione e decisi che avrei improvvisato.
Gli sfilai la cintura dai pantaloni e gli diedi una scudisciata sul
sedere; divenne paonazzo e si mise ad urlare dal dolore: l'importante
era che nel salotto Nick pensasse che ci stessimo dando dentro alla
grande. Presi a saltare sul letto per far rumore, ma venni afferrata
per le caviglie e sbattuta sul tappeto.
- "Ahia, così mi fai male! - urlai in modo teatrale e lui si
avvicinò per massaggiarmi il piede sul quale ero caduta male
- Oh sì, Warren, ti prego, non fermarti!". Ci sdraiammo sul
letto ed io stropicciai le lenzuola, mentre lui picchiava una mano
contro la spalliera per dare l'idea di un certo ritmo.
Presi la macchina fotografica di Warren e, in men che non si dica, mi
ritrovai con un sacco di immagini di noi in pose compromettenti. Poi
lui me la tolse dalle mani e si mise ai piedi del letto, osservandomi.
- "Sam, dimmi come ti piace essere presa. - disse con voce sensuale. Mi
voltai verso di lui con il mio profilo migliore, il sinistro -
Così?".
- "Sì, bravo, proprio così" gli risposi a tono,
mettendomi in posa.
- "Se continui in questo modo presto avrai una ricompensa"
scherzò e mi sventolò davanti il sacchetto di
plastica con destro un paio di boxer puliti.
Toc toc.
Io e Warren ci guardammo un po' sorpresi, ma non perdemmo né
la calma, né la concentrazione: lui s'infilò
sotto le coperte a petto nudo ed io controllai di essere in disordine e
sbottonata.
- "Sì?" chiesi tranquilla.
- "Posso parlarti Sammy?".
La voce di Nick era leggermente alterata. Aprii la porta e lo trovai a
braccia conserte, gli occhi severi che mi squadrarono da capo a piedi,
prima di ritornare a fissarmi in viso. Mi trascinò con
sè in cucina, ma fummo raggiunti poco dopo da Warren,
vestito, che disse che era doveva andarsene.
- "Ciao passerotta. Sei stata fantastica; questa tienila di ricordo.".
Mi baciò a stampo e mi strizzò l'occhio,
lasciandomi tra le mani la lunga striscia di chiffon.
- "Sì, sì, ciao. - Nick lo spinse verso la porta
e gliela richiuse alle spalle, per poi concentrarsi su di me - Ora mi
spieghi qual è il tuo problema e augurati che sia davvero
grave perché altrimenti non riuscirò mai a capire
cosa cazzo ti sia venuto in mente di scoparti uno nel mio letto".
- "Quando l'amore chiama non conta il posto" dichiarai angelica.
- "Conta se è il mio cazzo di letto".
I suoi occhi erano più glaciali e imperscrutabili del solito.
- "È un letto, Nick. Cambi le lenzuola ed è come
nuovo" sbuffai.
- "Io non mi sono permesso di portare qualcuno a casa tua e tu lo fai
con uno che è più strano della neve in estate in
camera mia!"
- "L'ho fatto per la scommessa, Warren è un camionista.
Perciò considerala come una punizione del karma: il male che
produci, ti viene reso. E in questo caso, direi proprio che
è venuto" arrossii immediatamente per la battuta di grado
infimo che mi era appena scivolata dalle labbra.
- "Dopo stamattina, fossi in te mi guarderei le spalle. - mi disse,
avvicinandosi alla mia faccia, tanto che potevo sentire il sapore di
menta del suo alito - E pure la spalliera del tuo letto
perché non si mai che esista anche il karma del karma". Le
ultime parole le aveva praticamente soffiate sulla mia bocca,
causandomi un collasso psicologico che mi aveva impedito di sentire le
parole dopo spalle.
Mi riscossi in tempo per vederlo abbandonare la stanza ed andare in
bagno. Mi diressi in camera per rivestirmi e per raccogliere le mie
cose prima di tornare nel mio appartamento. Arrivò anche lui
con una grossa cesta in cui mise le lenzuola nelle quali io e Warren ci
eravamo rotolati; fu uno spasso osservare la sua espressione scocciata
e schifata che cambiò radicalmente quando rifece il letto
con fodere pulite. Era meticoloso, persino maniacale: non ci dovevano
essere grinze o pieghe e temevo che la mattina ci impiegasse secoli per
sistemare il tutto. Non resistetti: non appena finì il
laborioso mestiere di rassettare le coperte, approfittai di un attimo
di distrazione per buttarmi supina sul piumone, sbandierando con la
mano destra il sacchetto con i boxer di Warren. Nick mi
guardò con aria truce, poi rassegnata. Mi strappò
dalle mani la borsina di plastica e bofonchiò:
- "Vai fuori dalle palle Sammy, ti prego".
- "Con piacere. Ciao Nick, ciao letto: alla prossima!".
Giunta nel mio appartamento, mi lavai, mi cambiai e partii alla volta
dell'ufficio. Ero talmente di buon umore che decisi di andarci a piedi,
per respirare un po' della sana aria colma di smog della capitale. Il
tempo era incerto, ma finché reggeva, tanto valeva fare due
passi.
Valerie mi mandò un messaggio: Sei ufficialmente invitata a casa
mia stasera a cena alle 8. Ho detto 8, non 9.30 come l'ultima volta!
Le confermai la mia presenza, aggiungendo che per quanto riguardava il
fattore ritardo, non potevo molto contro la genetica. Se mamma Grace
era una ritardataria cronica, io, in qualità di figlia che
ci tiene alle tradizioni familiari, non potevo essere da meno.
Ero quasi arrivata in ufficio, quando delle piccole goccioline di
pioggia cominciarono a scendere con una frequenza sempre maggiore, fino
quasi a trasformarsi in un vero e proprio temporale.
- "Chiedo scusa signorina!" una dolce vecchietta dai capelli arruffati
e senza ombrello mi fermò per la strada, trattenendomi per
il braccio. Ben messa, con un bastone per sorreggerla ed aiutarla a
camminare, non si poteva dire di certo che fosse invecchiata bene con
quella corporatura mascolina e i duri tratti somatici che cozzavano con
la voce stridula, ma simpatica.
- "Potrebbe aiutarmi con la busta della spesa? Abito là,
dietro l'angolo, ma sono così malmessa che non posso fare
nemmeno venti metri senza rischiare di franare a terra". Non
riuscì a mascherare una punta di malinconia e
puntò lo sguardo nel vuoto, molto probabilmente tornando con
il pensiero ai giorni della gioventù e dell'indipendenza
motoria.
- "Certo, signora, si figuri" le sorrisi e raccolsi la borsa, che
supposi contenesse un cadavere, visto il peso.
Sì, non
è proprio comodo camminare per queste viuzze dimenticate da
Dio con questi trampoli, ma Sam è la tua buona azione
quotidiana: non pensare al dolore infernale ai piedi e pensa alla
tenera nonnina che stai rendendo felice. Certo che poteva farsi
accompagnare da un figlio, un nipote, un genero, un bisnipote, un
pronipote... da usare come animale da soma.
Percorremmo all'incirca duecento metri - che mi parvero sei chilometri
-, poi la vidi trarre le chiavi dalla borsa e finalmente poggiai la
busta a terra. Senza quasi rendermene conto, venni colpita all'altezza
della nuca da un colpo che scoprii essermi stato sferrato dall'indifesa
vecchietta con il suo bastone da passeggio. Mi ritrovai carponi sulla
strada, con una mano a terra e una posata nel punto stesso in cui avevo
preso la botta.
- "Ma che...?" stavo per dire, ma lei mi parlò sopra.
- "Oh, immagino di non essere così da buttare tutto sommato,
non credi Samantha Grayson?".
Sentire pronunciare il mio nome con cattiveria da una voce maschile mi
fece accapponare la pelle, già bagnata dalla pioggia
insistente che ormai scendeva fitta. L'innocente, tenera, dolce e
instabile nonna era in realtà un omone ricurvo su se stesso
che pesava almeno centotrenta chili, munito di un valido travestimento.
Mi sollevò da terra direttamente dal collo, premendo con la
sua mano ruvida e grassoccia contro la mia giugulare.
- "Che vuoi?" bofonchiai con il respiro strozzato, mentre cercavo di
dimenare i piedi per liberarmi da quella presa asfissiante.
- "Mi hanno detto che ti stai immischiando in affari che non ti
riguardano. Pensavo di essere stato chiaro quando ti ho fatto sparire
il gatto - ecco chi
aveva rapito Romeo! -, però è
evidente che non hai colto bene il messaggio. Secondo avvertimento".
- "Chi ti manda?" dissi con affanno, il collo dolorante per le dita
dell'uomo a fondo nella carne e un senso di debolezza diffuso a tutto
il corpo. Avevo paura, ma non al punto tale dall'astenermi dal fare
domande; aveva detto che era solo un avvertimento, perciò,
in via del tutto teoria - che speravo fosse anche del tutto pratica -,
l'omone non era venuto per farmi fuori.
E' solo un avvertimento.
Calma.
- "Non è importante. Ti basti sapere che hai ricattato la
persona sbagliata".
Ricattato? L'avevo fatto solo una volta nella vita, ma nutrivo qualche
dubbio che la commessa del negozio di Gucci avesse assoldato quel
gigante che avevo davanti per vendicare la minaccia di raccontare a suo
marito che la sua cara mogliettina se la faceva col capo nel magazzino,
in cambio di uno sconto del 50 % su un vestito. Tra l'altro credo che
l'avessero poi licenziata, dal momento che tutta la clientela sapeva
della sua relazione clandestina e adottava questi metodi poco
ortodossi, seppur molto efficaci, per assicurarsi il
classico sconticino.
In quell'istante gli suonò il cellulare e lui, di riflesso,
allentò la presa sul mio collo. Riuscii quasi a respirare
regolarmente, ma lui se ne accorse e prese a schiacciare sulla
carotide, procurandomi le lacrime agli occhi.
- "Sì, capo. L'ho trovata e le ho già fatto il
discorsetto che si meritava. Ah. - aggiunse, confuso - D'accordo".
Riattaccò e con un gesto brusco mi lasciò cadere
a terra, sull'asfalto bagnato. Tossii e mi venne voglia di vomitare,
mentre il mio petto si alzava e abbassava in continuazione, per cercare
di recuperare il debito d'ossigeno.
- "Pare sia il tuo giorno fortunato, Grayson. Ci siamo sbagliati".
Girò sui tacchi e se ne andò, accendendosi una
sigaretta.
Ci siamo sbagliati?
Questo prima mi strozza
e poi mi dice che ha commesso un errore? Ma ti strozzo io, idiota!
Rimasi seduta per terra per qualche minuto, accanto alla busta della
spesa abbandonata, poi mi decisi ad alzarmi, a prendere un taxi e a
tornarmene di nuovo a casa. Mi tolsi cappotto e vestiti, mi asciugai e
mi sedetti rannicchiata sul divano. L'esperienza di quasi soffocamento
ad opera dell'energumeno di faceva venir voglia di respirare tutta
l'aria che avevo intorno, così da non dovermi ritrovare mai
più con la sgradevole sensazione di esserne rimasta senza.
Mi addormentai e dormii per qualche ora, ma il sonno fu inquieto, un
continuo rivivere quei momenti nel vicolo, però quando mi
alzai ero senza paura: se quello aveva detto che si era sbagliato,
forse - e ripeto forse - ora sarebbe diventato più facile
indagare, senza il continuo spettro di rapimenti felini e soffocamenti
umani. Dopotutto, era un'altra persona che cercavano.
Tenni la mente occupata tutto il giorno con schifezze in cucina,
telefilm alla tv e social network. Alle sei cominciai a prepararmi per
andare da Valerie dove, salvo nuovi inconvenienti, sarei stata puntuale
per la prima volta nella vita. Mi specchiai poco dopo la doccia e notai
che la visita delle mani dell'omone sul mio collo aveva lasciato il
segno. O meglio dei grossi lividi violacei che ora erano ben evidenti e
che dovetti coprire con cura con una sciarpa prima di uscire: nessuno
doveva sapere quanto era successo.
Bussai alla porta con il gomito, dal momento che le mani erano occupate
dal vassoio con i biscotti al cioccolato - rigorosamente comprati, onde
evitare intossicazioni alimentari derivanti dalla mia inesperta cucina
- e aspettai che qualcuno venisse ad aprire. Nel momento stesso in cui
l'uscio si schiudette, nell'intero quartiere ci fu un blackout
elettrico che però non mi impedì di intravedere
la figura slanciata di Jonathan, il marito di
Valerie.
- "Che succede?" chiesi allarmata, osservando nei dintorni se la
corrente potesse essere ripristinata.
- "Quel maledetto temporale di stamattina deve aver danneggiato qualche
cavo e così oggi abbiamo dieci minuti di luce e venti di
buio. Questo in compenso ci ha permesso di avere un'autentica cena a
lume di candela. Entra, Sam, su!". Ci scambiammo un bacio veloce sulla
guancia e lui cortesemente afferrò il pacchetto della
pasticceria dalle mie mani e lo trasportò fino alla cucina.
Casa di Valerie aveva sempre avuto una piacevolissima atmosfera, ma
dovevo ammettere che quella sera, con le candele profumate sistemate un
po' dappertutto e il centro tavola floreale, l'antica villa era ancor
più suggestiva del solito. L'occhio mi scappò
subito sulle posate, sui bicchieri e i sei piatti che erano state
sapientemente disposte sul colorato set americano. Erano per certo
opera di quell'esteta di Jonathan, che non perdeva occasione per tirar
fuori dalla credenza i suoi preziosi servizi di porcellana e il suo
decanter di cristallo abbinato con i calici.
Val comparve nella sala da pranzo e mi venne incontro sorridente.
- "Non ci posso credere: sei arrivata prima di tutti gli altri ospiti.
Sapevo che sotto l'acquazzone mattutino ci dovevi essere tu. - le feci
una smorfia - Prometti che d'ora in poi arriverai sempre puntuale?".
- "Solo se tu mi prometti che amplierai la tua gamma di battute per
quando arriverò in ritardo" ribattei.
- "Amo i tuoi paradossi, Grayson".
- "Mi ci impegno parecchio, in effetti" mi pavoneggiai.
- "Hai freddo?" chiese brusca, cambiando repentina l'argomento della
conversazione.
- "No, sto bene. E poi c'è il fuoco acceso".
- "Allora quella sciarpa è solo di bellezza?". Il peso di
quanto era successo nel pomeriggio ripiombò tutto d'un
tratto come un macigno sulle spalle.
- "Sì, sì" mi affrettai a dire e strinsi
più forte la pashmina attorno al collo.
Qualcuno mi salvò dall'impiccio, suonando alla porta: Amanda
e Katy con una splendida orchidea per la padrona di casa;
già mi dispiaceva per quella povera pianta che sapevo non
sarebbe durata più di due giorni tra le mani di Valerie.
L'unico pollice verde che aveva avuto in vita sua era stato quando
aveva tentato di verniciare la ringhiera - lavoro chiaramente
abbandonato dopo due estenuanti minuti sotto il sole.
- "Non dovevate, ragazze!" disse Jonathan e mai commento fu
più sincero. Non dovevano regalarle qualcosa di vivo da
accudire.
- "Si può sapere cosa si mangia?" domandò
l'incarnazione della simpatia - meglio conosciuta come Katy -
direttamente all'uomo di casa, essendo a conoscenza che era lui che si
dedicava ai fornelli. Lui la prese sottobraccio e la condusse in
cucina, decantando con improbabili nomi francesi il menu della serata.
Amanda era stranamente silenziosa e continuava a trafficare con il
cellulare, la faccia rilassata in un sorriso da ebete quindicenne alle
prese con le prime cotte.
- "Tutto okay?" le dissi.
Le ci vollerro all'incirca venti secondi per capire che fossi io
l'interlocutore e non il telefonino che stava torturando con le mani
che schiacciavano i tasti ad una velocità degna di
un'adolescente che non ha mai fatto altro nella vita.
- "Oh, sì... certo. Scusate, è che...
è che ho litigato con il mio ex marito e stiamo discutendo
via messaggio".
Come no. In realtà, a giudicare dallo stato di eccitazione
stampato in faccia, pareva fossero già approdati alla fase
post-litigio, quando si fa del bollente sesso telefonico per lasciarsi
alle spalle tutto quanto successo. Non avemmo il tempo di approfondire
l'argomento, perché il campanello suonò per la
terza volta, preannunciando l'arrivo dell'ultima ospite, ovvero Jade.
Feci un salto al bagno per lavarmi le mani e specchiarmi, in modo tale
che la sciarpa fosse ben salda e non scivolasse, rivelando i lividi
bluastri che il tizio mi aveva lasciato come monito. Tornai a tavola e
mi sedetti al mio solito posto meccanicamente, senza prestare molta
attenzione agli altri commensali già accomodati sulle
proprie sedie.
- "Ciao Sammy" mi disse qualcuno.
- "Ciaaaaahhh" mi uscì. Stavo rispondendo d'istinto al
saluto, ma nel momento stesso in cui avevo realizzato a chi
appartenesse quella voce, il mio ciao
si era trasformato in una sorta di urlo, che mi aveva spinto a voltarmi
verso la mia destra, dove quell'onnipresente di Nick era seduto. Risero
tutti. Tranne me, chiaro.
- "Che-che?" balbettai.
- "Che ci faccio qui? Beh, Valerie mi ha invitato e non ho trovato una
ragione valida per declinare la gentile offerta. È stata
l'occasione perfetta per rivederla, per rivedere voi tutte"
ammiccò verso le tre beote che lo guardavano estasiate.
- "Fingerò di non aver sentito il tuo lessico da venditore
di pentole-ammalia casalinghe, così come fingerò
che tu non sia qui stasera. A proposito: Valerie, sei stata un amore a
metterlo accanto a me".
- "Non capirò mai perché riversi tutta la sua
acidità su di me. - proclamò agli altri - Eppure
ora ha quella specie di fidanzato, Warren, che dovrebbe aiutarmi a
smaltirla o, perlomeno, potremmo spartircela".
Tutti gli occhi dei presenti si posarono su di me, ad eccezione di
quelli di Nick che ora stavano sorridendo alla zuppa di verdure nel
piatto davanti a sé. La padrona di casa mi dedicò
uno sguardo paragonabile probabilmente solo a quello che Cesare doveva
aver dedicato a Bruto dopo aver scoperto che proprio il figlio era a
capo della congiura che lo stava conducendo alla morte. Non mi sarei
stupita se si fosse alzata in piedi e avesse gridato 'tradimento!"
puntandomi una minacciosa forchetta contro.
- "Samantha cambia fidanzati con la stessa frequenza con cui la gente
normale si cambia le mutande. Il che è strano, dal momento
che non mi risulta abbia delle grandi doti" commentò acida
Katy.
- "Chi diavolo è Warren?" la ignorò Valerie,
fissandomi con insistenza.
Deglutii a fatica, conscia di non poterle raccontare la vera versione
dei fatti davanti a tutti. E soprattutto davanti a Nick.
- "È un uomo meraviglioso che ho conosciuto un po' di tempo
fa" cominciai a dire, sperando di riuscire ad apparire credibile.
- "Un uomo che le tocca delle corde, di chiffon, che nessuno finora
aveva nemmeno sfiorato. - proseguì Nick. Persino Amanda ora
era interessata, resuscitata dallo stato catatonico in cui era finita,
che comprendeva anche la testa nella borsa per non far vedere a nessuno
gli sms proibiti - Non essere timida, Sammy; racconta alle tue amiche
della performance di stamattina di cui ho malauguratamente sentito gran
parte".
- "Trovo giusto che una donna sviluppi e approfondisca la propria
sessualità ad ogni età. - affermò
Amanda, in un'arringa che sembrava più dovesse giustificare
lei che me. Tant'è che dopo questa uscita, si
ritirò timida di nuovo nel suo carapace a tracolla firmato
Prada.
- "Hai detto corda?"
s'intromise curioso Jonathan, riapparendo dalla cucina con delle
baguette tagliate a rondelle.
- "Non viene Jade?" cercai di cambiare argomento, spostando
l'attenzione del gruppo su qualcuno che non fossi io o la mia finta
vita sessuale con Warren, ma nessuno mi calcolò.
- "Sì, - Katy anticipò Nick nella risposta al
marito di Val - ha detto corda.
Ed è facile intuire che non fosse solo una
metafora".
Seduta di fronte a me, si alzò di poco con il sedere ed in
un gesto rapido mi tolse la sciarpa, lasciando in bella mostra gli
ematomi provocati dalle mani del tizio sul mio collo. Scrollai i
capelli perché coprissero i lividi, ma in quel paio di
secondi che avevo impiegato a realizzare quanto era accaduto e a
reagire, chiunque fosse seduto a quella tavola aveva avuto la
possibilità di vederli.
Val e Jonathan mi guardavano increduli, Katy se la rideva sotto i baffi
e Amanda era...
- "Mi insegni?" disse di getto, senza riuscire a controllare le parole.
...pazza, forse l'aggettivo corretto era pazza.
L'attenzione si spostò per qualche istante sulla domanda
della mia collega in calore ed io colsi l'occasione per evaporare
all'istante e tornare in bagno. Avevo evitato accuratamente gli occhi
di Nick; non sapevo cosa aspettarmi: poteva essere disgustato,
arrabbiato, preoccupato, oppure poteva averlo trovato divertente.
D'altronde, aveva visto lo chiffon anche quella mattina: non poteva di
certo aver pensato che lo avessi usato per legarmi i capelli!
Chiusi la porta del bagno e abbassai il coperchio del water; mi ci
sedetti sopra e cominciai ad elaborare un modo per uscire da quella
infelice situazione. Non avevo la minima intenzione di rivelare quello
che era successo nel vicolo, perché poi mi sarebbero piovute
addosso un sacco di raccomandazioni sullo stare attenta a chi pestavo i
piedi o, peggio ancora, mi sarebbe stato vietato di proseguire nelle
indagini su Sam Banks. Meglio far credere loro che fossi una specie di
ninfomane aperta a qualsiasi tipo di esperienza sessuale - con attrezzi
della ginnastica ritmica inclusi -, piuttosto che farmi perdere
l'opportunità di continuare con la mia inchiesta.
Sentii bussare e dopo qualche istante il viso di Valerie fece capolino
nella stanza.
- "Tutto bene?" chiese poggiandomi una mano sulla testa.
- "Katy non sa proprio farsi gli affari suoi" ringhiai.
- "Non m'importa nulla di questo. Voglio solo sapere se stai bene e se
quei segni sul collo sono solo opera di Warren il focoso".
Non era facile per me tenerle nascosto qualcosa; era la mia migliore
amica ed era complicato lasciarla all'oscuro di un fatto
così serio. Ma ero anche certa che lo spiacevole accaduto
nel vicolo fosse un mezzo errore: stavo sì mettendo il naso
nella vita e negli affari altrui, ma non ero io la ricattatrice di cui
lui pareva tanto disturbato. Non mi restava che sperare che lui
scoprisse presto la verità.
- "No, in realtà è che ho cercato di impiccarmi,
però devi sapere che la seta non è il materiale
più adatto per morire sul colpo; è troppo morbida
e delicata" scherzai.
Me lo chiese un altro milione di volte ed io fui abbastanza ferma e
decisa da farle pensare che andasse tutto bene.
- "La vuoi lo stesso un'amica depravata?" domandai con la faccia da
cucciolotta a cui non resisteva. Lei mi abbracciò e mi
aiutò a rimettermi la sciarpa.
- "La voglio ancor più di prima: è difficile
trovarsi un marito, ma è ancora più difficile
tenerselo".
Tornai a tavola e ritrovai la combriccola intenta a mangiare il
secondo: arrosto e patate al forno. Amanda tentò
più volte - con scarso successo - di farmi fare un tutorial
dell'uso della corda tra le lenzuola e Jonathan ideò
addirittura il titolo di un film a luci rosse che mi vedeva
protagonista: Piacere,
Sammy.
Eravamo scoppiati a ridere tutti quanti, tranne Nick che sembrava molto
a disagio e che si limitò ad accennare un sorriso, gli occhi
fissi sul contorno che non aveva finito. Mangiammo il dolce e lui
proferì solo qualche parola di circostanza, prima di
decidere che era arrivata l'ora di andarsene.
- "Vi ringrazio molto della cena, ma purtroppo devo scappare al lavoro.
Jonathan complimenti per il cibo e i vini e tu, Valerie, sei
un'eccellente padrona di casa".
Le scoccò un bacio sulla guancia, dopodiché lei
si ritirò per un attimo in cucina per dargli una decina di
biscotti che altrimenti le 'sarebbero
finiti sul culo e lì si sarebbero stanziati per qualche anno'.
Mi trascinò con lei nell'altra stanza e mi ordinò
di andarmene.
- "Scusa?" le chiesi un po' stordita.
- "Ho detto vattene! Torna a casa con lui, così almeno
parlate di questa storia perché mi sembra che Chiappe sia
rimasto un po' scioccato dalla tua intraprendenza sessuale. Vai,
fila!". Dovetti quasi rincorrerlo fuori dalla porta, dopo aver
ringraziato e salutato tutti.
Stava salendo sul suo fuoristrada scuro quando finalmente si
girò, all'ennesimo urlo in sua direzione.
- "Che c'è?" chiese serafico.
- "Mi daresti un passaggio?".
M'indicò il lato passeggero e, senza aggiungere nient'altro,
salì in macchina, accendendo la radio a volume alto. La
abbassai e guardai Nick guidare sicuro tra le vie di Londra,
apparentemente rilassato, ma molto poco incline al dialogo. Passarono
quasi dieci minuti e lui non disse una parola. Alla fine spensi la
radio e lui fu costretto a guardarmi.
- "Se vuoi che io ti porti a casa, devi sottostare alle mie regole tra
cui c'è avere della musica di sottofondo quando viaggio in
auto".
- "E se la musica di sottofondo fosse una conversazione tra di noi?"
azzardai.
- "Non mi va di parlare" mi liquidò, però io non
mi arresi.
- "Non ti va di parlare o non ti va di parlare con me?".
- "Fa differenza? Il risultato è uguale".
- "Ti ha sconvolto tanto questa cosa della corda?" chiesi a bruciapelo.
- "Faccio lo striper, credi davvero che una cosa così
stupida possa sconvolgermi?" rispose lui seccato, riprendendo a
guardare la strada.
- "Forse è perché non te l'aspettavi da una con
me" feci spallucce.
- "Non riesco a capire quale sia il nocciolo della questione: sei
libera di fare ciò che vuoi, con chi vuoi, dove e quando
vuoi, senza dover rendere conto ad altri e soprattutto a me".
Sterzò e parcheggiò proprio sotto il mio
condominio.
- "Grazie del passaggio. Buon lavoro".
Mormorò un grazie
frettoloso e ripartì veloce, facendo ondeggiare il mio
vestito e i miei capelli nell'aria.
Io sapevo quale fosse il nocciolo della questione: io non volevo essere
libera. Io volevo rendere conto a lui.
Ritorno
a pubblicare a orari notturni! Per la cronaca sono l'1.35 e ho
sonnissimo :), ma almeno ho aggiornato e mi metto il cuore in pace. So
che ultimamente sono sempre in ritardo negli aggiornamenti ma la
sessione sta per iniziare e devo studiare.
Mi
scuso perché non ho ancora risposto alle recensioni, ma lo
farò domani mattina.
La
canzone del titolo è "Pleasure and pain" di Ben Harper e il
film citato è appunto "Killing me softly" con Joseph Fiennes
e Heather Graham.
Vi
ringrazio tutti di cuore e rimando l'appuntamento al prossimo capitolo.
Notte!
Sandra
|
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Capitolo 23 *** Capitolo 23. Photograph. ***
Capitolo
ventitré. Photograph.
Il cursore lampeggiò per l'ennesima volta in cima alla
pagina bianca del portatile, aperto sulla posta elettronica.
L'unica cosa certa era il destinatario: Will Beckett, mentre, per il
resto, nemmeno l'oggetto era chiaro: un messaggio di scuse o uno di
insulti per essersi volatilizzato senza nemmeno salutare?
Caro Will, -
no, non andava bene: lo faceva sembrare serio, formale e pure un po'
morto. Meglio provare con un altro incipit.
Will, ... - ma com'è che Kate
Middleton chiama il pisello del suo fidanzato, nonché futuro
erede al trono d'Inghilterra, nonché omonimo del mio ex
vicino di casa? Roba da cercare su Google. Dal momento che
ormai erano novantasei ore, più o meno consecutive, che
vivevo in simbiosi con il mio computer, ero entrata in quella
particolare fase in cui ogni minima curiosità o ogni minimo
gesto quotidiano diventava un interessantissimo soggetto da immettere
nel motore di ricerca. Ad esempio, secondo la cronologia, risaliva alle
5.40 del giorno precedente la spiegazione del perché si
dica cheese
quando si fa una fotografia - tutta questione di cibo: in Spagna dicono
'patata', in Svezia 'omelette', in Corea 'cavolo' - e alle 19.32 quella
del perché gli omosessuali vengano chiamati 'finocchi' -
sempre per rimanere in tema di verdure.
Big Willy,
ecco come Waity-Katy chiamava il membro della famiglia reale. Sarebbe
stato perfetto cominciare con questo appellativo la mail: un bel
messaggio subliminale che la sua mente avrebbe recepito inconsciamente
e che, sempre inconsciamente, lo avrebbe fatto rilassare, spingendolo
ad accettare le mie scuse. O a ricevere i miei insulti, ovvio.
Quindi: Big Willy.
E poi? L'ispirazione latitava.
Mi tolsi il pc dalle gambe distese sul divano e lo appoggiai sul
tavolino. Ormai erano giorni che non faceva praticamente nulla dalla
mattina alla sera: le ricerche su Sam1 si erano arenate, Warren era in
giro per l'Inghilterra con il suo camion a fare consegne, Kay meglio
lasciarla ovunque fosse e Nick era sparito dalla circolazione. Dalla
cena a casa di Valerie, sembrava non gradisse più molto la
mia presenza e nemmeno la mia voce, dal momento che si era rifiutato di
rispondere a tutte le mie chiamate. Ritentai un'ultima volta.
"Ciao,
sono Nick. Al momento non sono in casa...".
Se sento ancora una
volta questa registrazione, giuro che prendo la segreteria e gliela
metto nel... Bip.
- "Non credo siano necessarie presentazioni perché sono la
stessa persona che ti ha lasciato i sette messaggi precedenti che tu
hai deciso di ignorare, da cafone quale sei. Ti informo che se non
rispondi, ho intenzione di chiamare quelli di Senza Traccia e
sarà meglio che tu sia riverso a terra in un vicolo, morto o
al massimo morente perché è l'unica scusante che
ti potrebbe salvare dalla furia omicida della sottoscritta. In ogni
caso, fai una brutta fine!". Bip,
messaggio registrato.
Mi rimisi al computer, ma quasi subito, da brava amante dei
polizieschi, una preoccupazione mi assalì: e se Nick davvero
fosse stato fatto fuori? La mia dichiarazione telefonica di certo
avrebbe interessato gli inquirenti come il miele a Yoghi: una pazza
psicotica per assassina era un classico, un cliché. Ma era
anche tremendamente possibile.
Ricomposi veloce il suo numero e mi sforzai di avere un tono dolce e
mansueto, dopo essermi sorbita per l'ennesima volta la voce registrata
di Nick.
- "Sono sempre io! - risata falsa - Prima scherzavo, lo sai vero?
Cioè, è vero che penso che tu sia un maleducato
per non avermi risposto e sono sinceramente offesa per il fatto che tu
non mi stia calcolando, nonostante io non abbia fatto nulla per
meritarmelo. Sarà che sei un po' scorbutico, un po' musone
e, diciamocelo, pure un po' stronzo e forse ti senti autorizzato a
trattare così le donne, ma io non sono come le altre e sappi
che te la farò pagare per il tuo comportamento. Idiota".
Riattaccai con un senso di sollievo per avergli detto quanto pensavo,
senza freni.
Dannazione, Samantha.
Ora neanche Perry Mason potrebbe salvare il tuo bel culetto. Adesso
l'unico 'cavolo' che puoi dire è quello sulla foto
segnaletica, in Corea.
Terza chiamata, terzo messaggio.
- "Ti voglio bene, Nick. Non ti ucciderei mai!". Perfetto, ora potevo
essere declassata a semplice sospettata.
Nel corso del pomeriggio, o almeno quello che io avevo intuito essere
tale, a giudicare dai tiepidi raggi solari che filtravano dalla
finestra - lo so, la
piovosa Gran Bretagna non è il posto più adatto
per contare le ore in base al sole -, Valerie
arrivò a turbare la mia quiete.
- "Ti dirò solo una parola: televisione!" strillò
eccitata, agitando in aria le mani come una bambina di fronte ad un
regalo molto gradito. La guardai scettica e vidi la sua faccia piano
piano storpiarsi in una smorfia di disgusto che mi percorse tutto il
corpo, dalle punte dei capelli crespi e spenti, ai piedi infilati nelle
solite pantofole di pezza con il disegno di Snoopy. Abbassai la testa e
mi guardai: il pigiama con una chiazza di yogurt sul petto, lo smalto
smangiucchiato sulle unghie, i calzettoni di lana sopra i pantaloni
fino al ginocchio e una vecchia liseuse per il freddo. Abbastanza
orribile.
- "Cosa diavolo ti è successo?". La sua faccia schifata non
faceva sconti.
- "Niente. Sono solo un po' sciupata" decisi di ridimensionare il
problema.
- "Sciupata? Tesoro sei distrutta!". No, nulla, non comprendeva il
concetto di 'menti per
salvare l'autostima di un'amica'.
- "Grazie, Val" commentai sarcastica.
- "È successo qualcosa? Che hai fatto in questi giorni?".
- "La risposta è ancora niente" dissi.
- "Non hai messo il naso fuori di casa?".
- "Con chi sarei dovuta uscire? Will è a Portland, Warren da
qualche parte, Kay spero sulla luna...".
- "E Nick?". Ecco la domanda tanto temuta.
- "È sparito" gridai.
- "È impossibile. Sarà mica morto?!".
- "Non sono stata io! - mi affrettai a dire e Valerie mi
guardò di sbieco. Cambiai bruscamente argomento - Dicevi?
Cos'è questa storia della televisione?".
La mia amica recuperò la sua allegria. Mi spostò
con un gesto secco della mano e irruppe nel mio salotto.
Spostò noncurante i cartoni della pizza sparsi sul tavolo
davanti alla televisione e si sedette, decisa a fare in modo che
nemmeno l'aspetto trasandato del mio appartamento potesse intaccare il
suo buonumore.
- "Stamattina qualcuno mi ha chiamata a casa per dirmi una cosa".
- "Potresti essere un po' più specifica?" la pregai.
- "Mi ha chiamato l'agente di Ralph J - a quel punto drizzai le
orecchie - e mi ha detto che il suo cliente è disponibile a
fare un'intervista".
- "È un bene perché almeno avrà la
possibilità di dare la sua versione dei fatti".
- "Ha posto solo due condizioni: che si faccia in tivù e che
ci sia tu".
- "A tenergli la mano? Dio, sapevo che esprimere solidarietà
a quella mezza tacca frignante mi avrebbe portato a fargli da balia"
dissi irritata, sistemando i cuscini sul divano.
- "Come intervistatrice".
- "Cosa? Non sono mai stata in televisione prima d'ora! Beh, ad
eccezione di quella volta che a tre anni ho accompagnato mia nonna a
quello strano quiz televisivo in cui vincevi caschi di banane". Nonna Gelsa è sempre
stata stramba.
Ma Valerie non mi stava ascoltando.
- "Sono stata contattata dalla CBR e hanno detto che mettono a
disposizione i loro studi televisivi per domani. Chiaramente vorranno
una percentuale". Domani?
Provai a farla ragionare, dicendole che ero troppo inesperta - o,
meglio, incapace - per affrontare una cosa così, da un
giorno all'altro, ma lei mi rimbambì di chiacchiere su
quanto fossi brava a capire le persone e cazzate del genere che mi
gonfiarono l'ego, e che, ripensandoci ora, mi fanno gonfiare solo
qualcos'altro.
Le domande erano già state stabilite, senza
possibilità alcuna di stravolgerle, cambiarle o aggiungerne
di nuove e personali. Avrei dovuto soltanto leggere quelle concordate e
attendere come una mummia in silenzio le risposte. Le avrei sapute solo
una volta arrivata alla studio televisivo, per limitare la
possibilità di intraprendere un'iniziativa personale.
- "Domani alle dieci ti voglio in ufficio perché dobbiamo
assolutamente andare alla CBR per provare e fare la registrazione nel
pomeriggio. Ah, stasera esci e vai a cercare Nick: è un
ordine. Magari prima datti una sistemata; sei sempre a un passo dal
sembrare Samara di The
Ring".
Lavata, profumata e fresca di phon mi decisi ad andare alla ricerca
dell'a-cervellico uomo che rispondeva al nome di Nicholas MacCord. Ero
stata costretta a chiamare Kay per ottenere l'informazione essenziale
per cominciare a cercarlo: lavorava o no? Risposta affermativa.
Aspettai comodamente sul divano che arrivasse l'orario di chiusura, poi
presi un taxi ed arrivai davanti al noto locale notturno di strip-tease
di Soho in cui prestava le sue doti.
L'obiettivo uscì dal
Pumping Pumpkin con un borsone caricato su una spalla,
chiacchierando assieme a quel bel giovanotto cubano che doveva
chiamarsi Josè. Quando quest'ultimo liberò la
porta, potei distinguere una figura femminile, prima coperta dalla
stazza dei due ragazzi. Strabuzzai gli occhi e annotai mentalmente di
prendere un appuntamento con un oculista perché quella non
poteva essere... Samantha
risparmia pure i tuoi soldi perché il fatto che si sia
nascosta nel momento stesso in cui ti ha vista, significa che i tuoi
dieci decimi ci sono ancora tutti.
José e Nick osservarono perplessi il comportamento strano
dell'unica donna rimasta dopo la chiusura e si voltarono per vedere
dove fosse finita.
Mi feci avanti e loro, finalmente, capirono il motivo di quel
nascondino improvvisato.
- "Sammy, che ci fai qui?".
- "Sammy? - ripetè José, rivolgendosi al collega
- Lei è quella
Sammy? Nick non fa altro che parlare di te". L'interessato
prese a torturarsi i capelli nervosamente.
Se stavano provando a distrarmi per farmi dimenticare la persona che
avevano alle spalle, allora stavano sbagliando di grosso. Ma davvero
Nick parlava sempre di me? Perché era una cosa dolce, da
innamorati insomma...
Concentrazione, Sam, concentrazione: i due furbetti sono dei truffatori
di professione; dicono a delle racchie che sono belle, a delle arpie
che sono simpatiche, blablabla e le malcapitate non capiscono mai che
sono tutte cazzate che quei pagliacci rifilano per avere un centone in
più.
- "Sono José, non so se ricordi".
- "Diciamo che mi ricordo svariate parti del tuo corpo, che non
includono la faccia. Però, sì, so chi sei" ammisi
sincera.
- "Complimenti, sei ancora più bella di quanto ricordassi"
mi lusingò. Ecco, non sempre dicevano cazzate: qualche volta
si concedono il lusso di dire anche delle verità assolute.
- "Ti ringrazio, ma ciò non mi impedirà di fare
il terzo grado alla donna che si nasconde dietro di voi" lo avvertii.
- "Chi?" intervenne Nick.
- "N-non c'è nessuno di noi. Cos'è, una battuta?
Sei simpatica, Sammy". Anche quella era una verità assoluta,
ovviamente.
José stava persino tremando, a differenza del compare che
aveva la faccia di bronzo e che aveva fatto del raccontar balle una
filosofia di vita.
- "E tu sei un pessimo bugiardo. Avanti, vieni fuori!" dissi alla
figura misteriosa e lei obbedì. Uscì mesta dal
suo nascondiglio e mi guardò con degli occhioni languidi e
l'aria di chi sa di essere stato colto in flagrante.
I tre davanti a me si zittirono tutt'ad un tratto.
- "Amanda, posso sapere che cavolo ci fai qui?" gracchiai.
- "Potrebbe farti la stessa domanda" osservò Nick, ma un
pestone armato di tacco a spillo si posò senza delicatezza
sul suo piede, facendolo gemere di dolore.
- "Se avessi voluto chiederlo a te, lo avrei fatto".
- "Questo è un Stato libero e democratico, perciò
posso dire tutto ciò che mi pare, in ogni momento o luogo.
Grazie a Dio non viviamo a Sammylandia,
il Paese pù egocentrico, viziato, disordinato, casinista,
rompipalle, permaloso, scortese, antipatico, strafottente, presuntuoso
e testardo del mondo".
- "Perché tu come credi di essere? Ci sono un sacco di
lavori che non potresti mai fare: il serial killer ad esempio; vuoi
mettere tutto quel sangue sul tappeto persiano di casa tua? Oddio,
troppo disordine. E cosa dire del pasticciere? Sei impazzito? E se
venissero due bigné di forma diversa? Non sia mai! Parliamo
dell'astronauta: troppo coperto, dannazione! Chi lo vedrebbe quel
fisico che fa cadere tuoi piedi ogni cliente del Pumping Pumpkin?!
Oppure il medico: tutto quel tempo con il tuo sorriso coperto da
un'anonima mascherina che impedisce al mondo di vedere le tue stupide
file di denti perfetti!" sbraitai.
- "Dovrebbe essere un'offesa?" domandò perplesso.
- "Sì!" strillai.
- "Allora cerca di offendermi, non di farmi i complimenti!".
- "Scusa ora dovrei pure farmi insegnare come insultare?". Il ragazzo
sapeva essere parecchio strano quando s'impegnava.
- "Non sei capace..." mi accusò.
- "Ma se ti ho appena detto che sei troppo ordinato,
troppo...troppo..." mi inalberai.
- "Hai detto che sono ordinato, che ho un gran bel fisico e che ho dei
bei denti. Come se non lo sapessi, poi...".
- "Ecco, sei pieno di te." sentenziai.
- "Continua" mi stuzzicò.
- "Sei arrogante" proseguii.
- "Ci siamo quasi".
- "S-sei" cominciai a fissarlo da capo a piedi per trovargli qualche
dettaglio, qualche difettuccio da rinfacciargli.
- "Sammy, andiamo. Smettila di cercare qualcosa di brutto in me
perché sono perfetto".
- "Hai mai conosciuto la modestia?" lo guardai con aria di sfida.
- "Vedi che se ti provoco poi qualcosa partorisci?".
- "Sei una talpa, sei cieco e se vivessimo nel paleolitico o nel
Medioevo non avresti nè lenti nè occhiali.
Sfigato" dissi, per rincarare la dose.
- "Veramente di qualcosa simile agli occhiali ne parla già
Seneca e le lenti a contatto pare le abbia inventate Leonardo da Vinci.
Però, certo accetto questa specie di offesa".
Lo guardai scocciata.
- "Sto davvero perdendo tempo con te? Perché stavo parlando
con Amanda. - Mi voltai, ma sia lei che José se ne erano
andati mentre io e quel cretino-idiota-sottosviluppato stavamo
litigando - Mi hai fregato, eh? Mi hai fatto parlare a ruota libera e
loro hanno avuto tutto il tempo di sgattaiolare via".
Prese il cellulare dalla tasca e mi scattò una fotografia,
dove ero certa di essere uscita con una smorfia stupida e gli occhi
socchiusi.
- "Scusa, non ho resistito: avevi un'espressione troppo buffa. E
comunque sì, ti ho fregato. Fosse la prima volta...". Si
ricaricò il borsone sulla spalla e se ne andò. Lo
seguii a piccoli passettini rumorosi, per quanto il vestito
consentisse, e gli afferrai il braccio.
- "Te ne vai così?" gli urlai contro.
- "Perdonami, che maleducato. Stavo per dimenticarmi. - mi
afferrò la testa e mi stampò un bacio sulla
fronte - Notte, Sammy" biascicò e stavolta si
allontanò a grandi falcate verso il parcheggio di fronte al
locale dove si poteva intravedere il suo fuoristrada.
Rimasi imbambolata sul marciapiede con la sensazione di avere le sue
labbra ancora addosso.
Il giorno dopo in ufficio ero un fascio di nervi: in redazione si era
diffusa la voce della mia prossima avventura televisiva e da
ciò era scaturito un nuovo motivo per odiarmi; non ero
più solo una raccomandata del cazzo, ma ora ero anche una
sgualdrina raccomandata del cazzo perché mi ero fatta
chiunque dell'entourage di Ralph J per riuscire ad intervistarlo.
- "Saaaam! - mi chiamò da lontano Valerie, sventolando due
buste e correndo verso di me - Indovina chi stasera è stato
invitato per assistere alla visione della tua intervista negli studi di
CBR e al party che si svolgerà dopo? Noi! E ci hanno anche
dato un +1 ciascuna".
- "Bene. Allora è un peccato che io non abbia nessuno da
portare".
- "Ci sarebbe sempre Nick".
Fammi pensare un po'...
no.
- "Non credo proprio. Ieri sera mi ha trattato male e non ho alcuna
intenzione di andare a cercarlo io di nuovo. Ho una dignità;
talvolta sono la prima che la calpesta, ma stavolta niente, nada".
- "E Jonathan con chi parla tutta sera? Sei la solita egoista. Povero
Johnny, proprio lui che ti vuole tanto bene, che ti considera come una
sorellina, che si preoccupa per la sua Sammuccia. Lo chiami tu per
dirgli che lo aspetta una serata solo soletto?".
Dio, questi ricatti morali erano devastanti per il mio - minimo - lato
sensibile alle lamentele di Val.
- "Aaaaah, dammi quel maledetto telefono". Mi passò
soddisfatta la cornetta ed io mi stupii di ricordare il numero di
cellulare di Nick a memoria. Tre squilli e rispose.
- "Pronto?".
- "Sono Sam. - sbuffai - Ho bisogno di chiederti un favore".
- "Ti ascolto".
Dai, Sam, coraggio.
- "Beh, volevo chiederti se, per caso, ti andrebbe di... - cavolo,
stavo sudando freddo - Se non hai nulla da fare stasera...".
Per la miseria,
dì quelle maledette cinque parole!
- "Sammy, non ho tutto il giorno. Pensi di poter velocizzare la tua
richiesta?" domandò ironico.
- "Scusa. Dicevo, ti andrebbe di...". Che poi '+1' dev'essere
considerato una parola sola? Perché tecnicamente sono due.
- "Di?" m'incalzò.
Mi stavo torturando le dita una con l'altra, a vicenda e con il filo
del telefono, sotto l'occhio vigile e indagatore di Valerie.
- "Di essere il mio +1 alla festa nella sede della CBR, sai devo
intervistare Ralph J e hanno organizzato qualcosa per il
post-trasmissione".
- "Ho un altro impegno stasera" si limitò a dirmi come
risposta.
- "Oh - mormorai delusa, ma cercai di mantenere il sorriso -, certo. Ho
chiesto già ad altri, però nemmeno loro potevano.
Pazienza, immagino che troverò il modo di divertirmi lo
stesso".
- "Te lo auguro. Ci sentiamo". Riattaccai.
Certo che mi aveva fatto blaterare per cinque minuti buoni su un
possibile programma della serata, quando sapeva già di dover
fare altro, solo per il gusto di vedermi in difficoltà nel
chiedergli una sorta di appuntamento - e non lo era, sia
chiaro - e sbattermi in faccia il suo rifiuto. Era stato umiliante, ma
se si aspettava che mi mettessi ad implorarlo, non aveva
capito con chi aveva a che fare. Avrei dovuto dargli dello stronzo o
rispondergli con una frase del tipo: forse era il caso che
cominciassi dall'inizio della mia lista di possibili +1 e non dalla fine.
Ma, si sa, le idee migliori hanno bisogno di tempo per maturare. Ed
è per questo che arrivano sempre troppo tardi.
- "Allora, cosa ha detto?" mi chiese Valerie eccitata.
- "Ha detto che non può" sintetizzai.
- "Come non può? Deve lavorare?".
- "Non credo, perché altrimenti lo avrebbe specificato.
Invece ha detto che aveva un altro impegno - lo citai e dichiarai
chiuso l'argomento Nick - Potrei invitare qualcun altro, ma non saprei
chi. Ma sì, al diavolo! Vado da sola e vedrai che qualche
bell'omaccione lo raccatto alla festa".
- "Ci penso io a trovare il tuo +1, lascia fare a me"
proclamò Val.
E quell'ultima frase apparì minacciosa come una tromba
d'aria di nome Katrina sulle coste statunitensi della Louisiana.
Qualche ora più tardi ero di fronte a Patrick Fitz,
produttore esecutivo del talk-show in cui mi sarei dovuta inserire.
Erano venti minuti che mi spiegava ciò che avrei dovuto
fare, ma io ero talmente nervosa che avrei preferito scappare a gambe
levate, piuttosto che inchiodarmi su di una sedia e trascorrere del
tempo con quella femminuccia di Ralph.
Mi truccarono, mi pettinarono, mi rigirarono come un'acciuga sottosale
e senza nemmeno rendermene conto mi ritrovai seduta sulla poltroncina
dello studio, un copione in mano e il maledetto rapper con la coda tra
le gambe. Dopo un paio di prove andate male, finalmente la
registrazione cominciò a prender forma.
Darleen, l'esperta conduttrice che mi avrebbe poi passato la linea,
stava ora parlando con fare sicuro dell'intervista che stava per
iniziare con 'la
giornalista Samantha Grayson di Music Magazine - faceva un
certo effetto sentir parlare di me in tivù -, esplicitamente richiesta dal
rapper di fama internazionale Ralph J, al momento indagato per
favoreggiamento della prostituzione'. La scena si
concentrò su di me, che tremavo come una foglia ed avevo
un'espressione che rasentava il terrore puro.
Sentivo le guance in fiamme dall'imbarazzo e temevo che avrei finito
col fare una figuraccia terribile di fronte a tutto lo studio.
- "Buonasera. - dissi incerta - Ringrazio il nostro ospite per essere
stato così gentile da concederci quest'intervista".
- "Grazie a te, Sam". Non mi aveva appena chiamata Sam di fronte al
mondo intero, vero? Doveva rimanere una cosa professionale, non uno
scambio di battute tra amici. Per di più con quell'aria da
farfallone che avrebbe fatto intendere al pubblico che io gliela avessi
data per finire su un canale nazionale; il che non era esattamente
sbagliato, ma salvare le apparenze era la parola d'ordine.
- "Allora, Ralph. Qual è la tua versione dei fatti, riguardo
il caso che ti ha visto iscritto nel registro degli indagati per un
giro di prostituzione minorile?" ricordai a memoria.
- "Sono stato incastrato, è evidente. Vorrei rassicurare i
miei fans - continuò, fissando la telecamera -,
perché sono del tutto innocente e non mi darò
pace finchè non proverò la mia innocenza".
Perfino un idiota si sarebbe accorto che stava recitando un copione.
Non era difficile pensare - e credere - che le risposte fossero tutte
state scritte prime da qualcun altro e che Ralph si stesse ora
limitando a ripetere a pappagallo quanto gli era stato ordinato di dire.
- "Da circa una settimana sei uscito su cauzione, con l'obbligo di non
uscire di casa. Come intendi impiegare il tempo passato tra le mura del
tuo appartamento?".
- "Impegnandomi nel sociale. - Se
non fossi davanti agli occhi di mezza Inghilterra mi metterei a
rotolare sul tappeto dalle risate - Voglio aiutare chi si
è trovato in una situazione come la mia, chi è
stato accusato ingiustamente e si è trovato nella scomoda e
complicata condizione di dover scoprire la verità per
dimostrare al mondo che è una persona perbene".
- "Come pensi che questa brutta storia possa influenzare la tua
carriera?" domandai.
- "Sono certo che i miei fans non credano alle assurde accuse che mi
sono state rivolte e imputate. Ho intenzione di pubblicare un album a
breve, dove parlerò della mia esperienza in carcere
perché voglio comunicare quanto terribile sia stata e ho
bisogno di far uscire tutta la rabbia dal mio corpo. Sono convinto che
piacerà" affermò sicuro.
Lessi dalla cartelletta che avevo appoggiata sulle ginocchia e chiusi
per un attimo gli occhi, prima di fare quella domanda idiota che c'era
scritta, una domanda che probabilmente avrebbe posto un ammiratore di
Ralph, non un giornalista alla caccia di scoop.
- "Hai già un'idea di come chiamare questo album in uscita?"
chiesi.
- "Io e il mio manager Dustin Paxton - un po' di pubblicità
gratuita non ha mai fatto male a nessuno, no? - pensavamo a qualcosa
tipo Ralph J-
The Resurrection. Ti piace, Sam?".
Oh Santi Numi, ti prego,
prendetemi con voi e toglietemi da questa situazione del cavolo!
- "C-certo. Molto... ehm... religioso. L'ultima domanda per te: - mi
affrettai a dire - cosa ti sta insegnando quest'esperienza?".
- "Sto imparando che nulla è scontato nella vita. Ieri ero
un un rapper di successo, con molte soddisfazioni e pochi problemi;
oggi sono un semplice ragazzo che si è trovato al centro di
un ciclone e che sta cercando di trovare la luce in fondo al tunnel".
- "Posso chiederti in che modo?" azzardai, sperando che il caro Paxton
non mi azzannasse per la domanda extra.
- "Con la fede. Mi sta dando tanta forza" disse poetico, mentre io
cercavo di tenere le mani ben salde sulla poltrona su cui ero seduta
per evitare di cadere, dopo lo shock per la risposta che mi aveva dato.
- "Bene, ci auguriamo tutti che tu riesca ad uscire a testa alta da
questa situazione. Grazie, Ralph".
- "Grazie a voi. E a te, Sam per aver raccolto questa mia richiesta. Ti
ho portato un regalo".
Oh cielo.
Il suo buttafuori di colore e dall'aria antipatica si
avvicinò e mi diede un pacco alto più o meno due
metri, ma sottile. Mi alzai e, incitata dall'intero studio lo scartai.
Era una sua gigantografia a grandezza naturale, autografata, in cui un
grosso sorriso falsissimo capeggiava in centro al volto.
- "Grazie" gracchiai imbarazzata.
- "Ho pensato che una foto fosse troppo poco per una donna
straordinaria come te". Mi abbracciò teneramente ed io
rimasi un po' stupita, davanti al cameraman che se si fosse avvicinato
ancora qualche passo per riprenderci meglio, temevo potesse mettermi
incinta.
Non esisteva lo zoom una
volta?
- "Bene. E' tutto, restituisco la linea a Darleen. Buona continuazione".
Valerie mi parlò ininterrottamente per la mezzora successiva
e mi invitò a cominciare a prepararmi per la serata, non
appena avessi piede nel mio appartamento.
Tornata alla base, lasciai che Romeo si strusciasse un po' sulle mie
gambe e lo costrinsi a guardarmi mentre mi provavo l'intero guardaroba.
Miao
corrispondeva a tesoro
lascia perdere, il silenzio equivaleva ad un può andare.
La mia amica e quel sant'uomo di Jonathan mi passarono a prendere alle
otto precise e chiaramente dovettero aspettarmi almeno dieci minuti
prima di vedermi uscire dal condominio in un vestito celeste che mi ero
ricordata qualche ora prima di adorare, una volta fatto riemergere da
quella specie di catacomba che era il mio armadio - Romeo aveva
taciuto. Era un po' come un sito archeologico: trovavi sempre qualcosa
di bello; bastava scavare.
La parte tragica fu trovare un paio di scarpe per l'occasione. Patrick,
il produttore esecutivo del talk-show, mi aveva già
preannunciato che ci sarebbero stati dei fotografi al party, i cui
scatti sarebbero finiti su varie riviste scandalistiche e non. Quindi
era bene essere in tiro per l'occasione e chi meglio di Manolo poteva
venirmi incontro in una situazione del genere?
Dopo l'ennesima ramanzina da parte di Valerie, arrivammo agli studi
televisivi, dove un grande viavai di persone stava affollando
l'entrata. C'erano star e starlette, registi e autori, il proprietario
dell'emittente, Patrick e i suoi colleghi. Ci accolsero con gioia e ci
indicarono i posti a sedere che avevano organizzato per assistere alla
messa in onda della trasmissione. Erano certi di fare grandi ascolti ed
era per questa ragione che si erano sentiti di preparare i
festeggiamenti in anticipo, convinti di sbancare l'auditel con
percentuali di share da record.
Una ventina di persone mi domandarono chi fosse il mio famoso +1 e
Valerie ogni volta mi cedette gentilmente suo marito, dicendo che era
lei quella sprovvista di accompagnatore per la serata.
Ci accomodammo su delle poltroncine comode e attendemmo che la
registrazione cominciasse. Faceva un po' impressione sentire la mia
voce - sembrava così innaturale! - e vedermi in televisione,
un po' impacciata e parecchio a disagio. Per fortuna il tutto
durò poco e ben presto mi ritrovai a festeggiare con quella
testa pelata di Patrick che mi porse un bicchiere di champagne.
- "Brava, Samantha! Complimenti! Cin-cin!". Si aggiunsero anche Val e
Jonathan.
Sentii il cellulare suonare da dentro la pochette. Warren.
- "Pronto?" dissi, disconstandomi dalla folla di persone che stava
celebrando il successo, garantito dallo share.
- "Brutta sgualdrina che non sei altro! Vai in televisione e non lo me
lo dici?" trillò, offeso.
- "Tesoro, ti dico di più: saresti stato il mio +1 alla
festa agli studi della CBR".
- "Festa? Che rabbia! Io sono a Leeds a trasportare stupidi bancali di
dentifricio e tu sei lì, ad una mega party. Appena torno mi
aggiorni, Zuccherino! Vedi di ficcare la tua lingua in bocca a qualche
produttore, così almeno ti inviteranno di nuovo ed io
finalmente potrò essere il tanto agognato +1".
Warren sapeva essere un tornado anche a chilometri di distanza.
- "Ci proverò. Ti chiamo dopo". Riposi il cellulare nella
borsa e ritornai al centro della sala, accanto a Val che stava facendo
la civetta -come al solito- con il povero marito a tenere a debita
distanza i vecchi bavosi che potevano importunare la sua dama. Mi
chiese di tenere compagnia a Jonathan mentre lei andava in bagno ed io
non ebbi esitazione nell'acconsentire.
Tornò appena qualche decina di secondi dopo a braccetto
con... Nick?
Mi diedi qualche colpo sul petto per ingoiare la pizzetta che si era
fermata in gola per la sorpresa di trovarmi lui davanti agli occhi, in
un elegante completo nero con una camicia chiara.
Jonathan mi passò provvidenzialmente un bicchiere d'acqua ed
io lo bevvi tutto d'un fiato.
- "Avevi detto di avere un impegno" accusai Nick.
- "Ed è vero. Dovevo venire qui".
- "Ma mi avevi detto di non poter essere il mio +1". Non stavo capendo
nulla.
- "Ed anche questo è vero. Sono il +1 di Valerie". Guardai
la mia amica scioccata e lei ammise con candore che non mentiva quando
andava in giro dicendo che Jonathan era con me, perché il
suo accompagnatore era Nick.
- "Gliel'hai chiesto ancora prima che lo facessi io?".
Annuì. Okay, ero decisamente disorientata.
Si allontanò velocemente con il malcapitato uomo che le
aveva messo una fede al dito e ci lasciò soli: fantastico!
- "Che c'è da guardare?" chiesi scortese.
- "Mi piace il tuo vestito. - rispose, sorseggiando un po' di champagne
ed io arrossii come una quindicenne - E poi mi stavo chiedendo
perché tu sia venuta a Soho a cercarmi".
- "Per curiosità: ascolti mai la segreteria?" chiesi acida.
- "Non quando ci sono i tuoi deliri" commentò tranquillo.
- "Non mi hai mai richiamata". Era solo una mia impressione o stavo
facendo la parte della fidanzata gelosa?
Fece spallucce e non rispose, preferendo spostare la sua attenzione su
un pasticcino ripieno di crema che se ne stavo solitario in mezzo al
vassoio vuoto. Dello zucchero a velo gli rimase sul labbro inferiore e
fu una vera tortura vedere la sua lingua inumidire appena la bocca e
spazzare via quella delicata polvere bianca.
Santo cielo, quanto avrei voluto essere quello zucchero a velo! Proprio
io che non lo sopportavo, che lo soffiavo via senza pietà da
torte e dolci che ne avessero anche una minima quantità.
- "Qualche volta è un bene lasciare le cose in sospeso, no?
Con un alone di mistero, d'insoluto, di sorpresa".
Stavo per ribattere, ma un fotografo ci interruppe e ci chiese se
volevamo fare un foto. Nick mi strinse il fianco e mi
appoggiò delicatamente a lui. Avevo sempre detestato la
tecnologia e quella sera la odiai ancora di più:
perché per uno scatto non ci volevano almeno quindici
minuti, invece che una manciata di secondi? No, forse meglio
così perché altrimenti sarei morta dall'imbarazzo
così vicina a lui.
Durante tutto il resto della serata non ci fu occasione di scambiare
altre parole con Nick; giravo come una trottola da un responsabile
dell'emittente ad un altro, da una foto per una rivista al rispondere
alle domande sulla natura - che giurai, da brava Pinocchia, essere solo
professionale - tra me e Ralph.
Riuscii a rintracciare con non poche difficoltà il fotografo
che mi aveva ritratto con Nick perché volevo assolutamente
avere il reperto che attestava di quella serata, insieme. Mi piaceva,
era inutile negarlo; con lui c'era il gusto e la voglia di scoprire
qualcosa di nuovo, di affascinante, di seducente, magnetico. E non era
solo uno sfizio fisico da togliersi, uno di quelli che ti annoia una
volta avuto tra le lenzuola. Perché lui c'era già
stato tra le mie lenzuola, ma di Nick non mi ero ancora ancora
annoiata. Anzi, ne ero ancora più curiosa.
La foto non c'era. L'aveva già presa un bel giovanotto con gli occhi
chiari e l'aria impertinente, aveva detto il fotografo. Mi
scappò un sorriso e mi venne un'idea. Lasciai la festa e me
ne tornai a casa con un taxi. Mi cambiai, indossai qualcosa di
più comodo e mi sedetti sul tappeto. Presi una vecchia
polaroid in una mano, Romeo sulle gambe e mi sforzai di fare una faccia
imbronciata. Scattai la foto, aspettai che dalla chiazza nera iniziale
affiorassero il mio viso e il musetto del mio micione e ci scrissi una
frase sotto. La scannerizzai e la allegai alla mail, pronta da giorni,
indirizzata a Will.
Inviai il messaggio e mi sentii immediatamente più leggera.
Meglio puntare su un effetto sorpresa, invece che una barbosa
sbrodolata di parole diabetiche: due facce amiche, una foto e una
scritta: Ci manchi.
Scusa.
L'1.15
anche questa settimana! Nonostante sia rimasta priva di internet per
metà della giornata -grazie Alice!- riesco ad aggiornare. Ho
stravolto il titolo perché, nonostante ami alla follia la
canzone che avevo scelto prima, questa ci stava decisamente meglio. E'
"Photograph" dei Nickelback, in ogni caso.
Forse
questo capitolo è meno divertente degli altri ma era
necessario per introdurre degli elementi.
Nel
capitolo si fa menzione dei FIDANZATI Will e Kate, non
perché io sia rimasta miracolosamente immune all'abbuffata
mediatica sul matrimonio del secolo, ma perché la storia
è ambientata a novembre 2010 e perciò all'epoca
non erano ancora sposati. Una delle domande che Sam si pone
è sul perché gli omosessuali vengano definiti
'finocchi'; ecco la spiegazione presa pari pari da yahoo answer:
Il
termine "finocchio", utilizzato per denotare spregiativamente un uomo
con atteggiamenti femminili o tendenze omosessuali, risale secondo
alcuni al Medioevo, quando la Santa Inquisizione metteva al rogo anche
i presunti colpevoli di omosessualità. Alle fiamme
s’aggiungeva una fascina di finocchio selvatico, che si
riteneva avesse il potere di purificare le carni impure. Di qui,
l’antico detto popolare: "oggi si brucia il finocchio", per
annunciare l’accensione di un rogo.
In
realta` secondo altri si tratterebbe di una leggenda priva di qualunque
fondamento. Il termine finocchio usato come sinonimo di omosessuale
maschile avrebbe invece la stessa origine del verbo "infinocchiare" :
il termine, originariamente usato per indicare qualcosa di scarso
valore, avrebbe poi assunto il significato di "persona di poco valore,
spregevole ".
Scusate
per eventuali errori!
Ecco,
domani mattina rispondo alle vostre gentilissime recensioni e vi auguro
buonanotte! Un ringraziamento a tutti come sempre!
Sandra
|
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Capitolo 24 *** Capitolo 24. Secret. ***
Capitolo
ventiquattro. Secret.
Ogni appostamento che si rispetti segue la legge delle quattro P:
posizione, pazienza, perseveranza e prontezza di riflessi. E, quella
mattina, mi ero svegliata venti minuti prima del solito - evento
più che eccezionale - per arrivare in anticipo in ufficio e
nascondermi nel ripostiglio accanto all'ascensore, determinata ad
acciuffare Amanda non appena avesse messo piede in redazione. La sera
precedente era riuscita a farla franca, sgattaiolando via con
José di fronte al Pumping
Pumpkin mentre io ero invischiata in una discussione
dall'elevato spessore culturale con Nick, ma ora ero concentrata per
riuscire nell'impresa.
Sentii il ting che indicava l'arrivo dell'ascensore al settimo piano e
socchiusi la porta. Tesi le orecchie e guardai verso la porta
scorrevole sulla quale svettava a caratteri cubitali la scritta nera e
ordinata Music Magazine.
Una folta chioma ambrata si stava agitando a destra e sinistra; Amanda
stava di sicuro controllando che non fossi ancora arrivata e
probabilmente stava augurandosi che non mi presentassi al lavoro.
Lasciai lo stanzino maleodorante in cui ero nascosta e feci un'entrata
trionfale, con tanto di salto furtivo alle spalle della rossa che mi
ripromisi di non far mai più nella vita, se non avessi
voluto giocarmi il menisco per via dei tacchi alti.
- "Tu, donna dai facili costumi!" urlai con un indice accusatore
puntato verso la sua schiena.
Lei si girò nella mia direzione con due occhi azzurri
spaventati. Due occhi azzurri spaventati che non appartenevano ad
Amanda.
- "Come scusi?" mi chiese una ragazza sui venticinque, che teneva tra
le mani delle indicazioni su come muoversi nel palazzo.
- "Ah... dicevo, tu donna dai facili carburi, come gli idrocarburi. - idrocarburi? La
tizia mi osservò perplessa - Perché sai, conosco
te e quel tuo SUV e so quanto consumi quel bestione che usi per venire
qua" inventai su due piedi.
- "Uso la metropolitana, in realtà".
Stavo dimenticando gli insegnamenti di mia sorella Lily: quando devi
trovare una scusa per toglierti da un impiccio, resta sempre sul vago,
non scendere nei dettagli. Ed io avevo proprio detto SUV, nemmeno
macchina, ciclomotore o, meglio, mezzo.
Avrei dovuto dire mezzo,
merda!
- "Anche la metropolitana consuma. - tentennai - Pensa a tutti i viaggi
che fai ogni giorno per venire qui. Inquinatrice!" risi, mettendomi una
mano sul fianco e sperando che quella impicciona di Valerie per una
volta in più si comportasse come tale e arrivasse in mio
soccorso.
- "È il mio primo giorno di lavoro".
E allora dillo, stronza,
che vuoi per forza farmi fare una figura del cavolo!
- "Beh... allora in bocca al lupo! E rispetta l'ambiente, sorella! - Mi
defilai e camminai velocemente verso la mia scrivania - Sorella? Dio,
ma cosa c'è che non va in me?" dissi ad alta voce, anche se
stavo parlando con me stessa.
Incrociai Jade che stava bevendo un caffè preso alle
macchinette e le chiesi subito dove si fosse nascosta Amanda, quella
vera.
- "Ha preso ferie. Ha detto che uno dei suoi figli non stava bene e ha
chiesto e ottenuto di starsene a casa".
Piccola truffatrice: mi
sarai sfuggita oggi, ma tu e il grande segreto che condividi con Nick e
José verrà scoperto prima o poi.
Sapevo che Warren sarebbe tornato in giornata; aspettavo soltanto che
mi mandasse un messaggio di conferma sull'orario in cui avrebbe
lasciato il camion in azienda e sarebbe stato libero di uscire. L'sms
arrivò qualche minuto dopo.
- Sono ufficialmente a
casa! Ho appena finito di vedere il video della festa della CBR sul
sito di Celebrities. Interessante la parte di te e Nick -
mi scrisse.
- E...? -
ero davvero curiosa di sapere cosa pensasse.
- E la prossima volta che
ci vediamo dovresti venire fornita di un secchio, una sputacchiera o
simili perché ti assicuro che non è un bello
spettacolo vederti sbavare sul culo di Nick, nonostante tu abbia tutta
la mia comprensione - Non era vero!
- Sono tutte
illazioni! Sei un gelosone! - risposi.
- Zuccherino, mi fai
quasi tenerezza quando cerchi di negare l'evidenza. Ci vediamo per
pranzo? .
- Okay, ma
c'è anche una mia collega. Ci sentiamo dopo per i dettagli,
checca. - Nonostante le sue follie, Warren sapeva sempre
farmi ridere.
- Va bene sgualdrina. Mi
raccomando, il secchio!
Valerie si piazzò davanti alla mia scrivania proprio in quel
momento. Ci accordammo per trovarci durante la pausa delle 13 e le
dissi che Warren sarebbe stato con noi.
- Sei una merda.
- risposi velocemente al messaggio precedente, senza prestare molta
attenzione; Sam1 era appena entrato in redazione ed era meglio prestare
attenzione ad ogni suo spostamento.
- "A proposito, Sam. - mi disse Val, notando chi stavo osservando -
Stamattina ho avuto una discussione furibonda con mister Mi-piacciono-le-minorenni:
voleva a tutti i costi affiancarti nell'inchiesta su Ralph. Ho cercato
di mantenere tutta la calma di cui sono capace - cioè zero
-, ma alla fine c'è mancato poco che gli sputassi in faccia.
L'ho convinto che ti stavo già aiutando io, però
meglio controllare che non si immischi nella faccenda".
- "Gli faremo il culo, vedrai". Valerie mi guardò stranita;
non poteva ancora sapere che la vicinanza di Warren stesse traviando il
mio lessico.
Alle tredici in punto ci avviammo verso il bar all'angolo, dove il mio
amico ci stava già aspettando. Feci le presentazioni e, con
grande sollievo, constatai che i due si erano stati subito simpatici.
Valerie mi chiese se fosse proprio quel
Warren, quello del nastro attorno al collo ed io dovetti
annuire, arrossendo. Le dissi che avevo fatto sesso con lui, prima di
rendermi conto che in realtà ero troppo donna per piacere a
quelli come lui; a lei non potevo raccontare che fosse stato un
energumeno a lasciarmi quei lividi, che fortunatamente se n'era andato,
e a lui non potevo dire di averlo utilizzato per coprire un'aggressione.
Avevo ancora una domanda che mi frullava in testa dalla sera precedente
e decisi di togliermi quel sassolino dalla scarpa.
- "Val, sto ancora cercando di capire il motivo per cui tu abbia
invitato Nick alla festa. Illuminami, ti prego". Lei fece ondeggiare i
capelli boccolosi con aria di superiorità e
cominciò a spiegare.
- "Era per inculcarti nella testa un fattore da non sottovalutare: lui
non sarà sempre disponibile. Come l'ho fatto io,
qualcun'altra avrebbe potuto chiedergli di uscire."
- "Buon per lui". Val e Warren si scambiarono un'occhiata rassegnata.
- "Sei senza speranza" commentarono.
Una delle cameriere ci portò i menu. Aprii il mio,
mordendomi la lingua: avrei dovuto immaginare che una domanda del
genere avrebbe causato una serie di complicazioni per me stessa.
- "Io? Non è la sottoscritta che ha ceduto suo marito ad
un'amica per una serata. Tu
sei senza speranza" le feci notare.
- "È stata un'idea di Jonathan, in effetti. Vi ha osservati
a lungo, ha notato che in sua presenza sbatti le sopracciglia come una
cerbiatta in calore e ha pensato che servisse qualcosa per smuoverti".
Ho sempre sospettato che
chi si somiglia si piglia. Due pazzoidi non potevano non trovarsi.
- "E a giudicare dal rigonfiamento anteriore dei suoi pantaloni il
ragazzo ha parecchio materiale con cui smuoverti" commentò
Warren.
- "Come se non fosse già salita sulla giostra una volta... "
mi provocò Valerie, ma il risultato fu il quasi soffocamento
dell'unico uomo presente con la propria saliva.
- "Gli hai già fatto intingere il biscotto?" mi chiese in
tono accusatorio, dopo aver bevuto ripristinato un viso dal colorito
normale.
- "È successo una sera un po' di tempo fa" cercai di far
decadere l'argomento.
- "Allora ritiro tutto quanto ho detto: non devi assolutamente
provarci" si affrettò a dire Warren.
Era il momento di tacere per far sì che un nuovo oggetto di
conversazione prendesse il sopravvento.
- "Perché?" invece, mi scivolò dalle labbra.
- "Sai che ho una morale ed un'etica in cui credo" proseguì.
D'accordo, c'era un limite alle cazzate.
- "La tua unica etica è gingillarti un pisello dalla sera
alla mattina. Non so nemmeno se si possa definire 'etica'" sputai
acida, ma assolutamente sincera.
- "Non è etica quella! Quella è la mia religione.
Comunque sono per il condividere, io; hai già provato la sua
cialda e ora tocca a me assaggiarla".
- "Lo vedi, Sam? C'è sempre la fila per quel ragazzo. Agisci
ora o perderai per sempre il treno" intervenne Valerie.
- "Ci penserò io a fare in modo che Nick non perda il
trenino dell'amore. E' sempre stata una mia fantasia. Ciuf, ciuf!".
Ridemmo tutti e tre osservando scandalizzati il movimento pelvico che
Warren aveva improvvisato per rendere meglio l'idea di ciò
che aveva in mente di fare a Nick.
Sentimmo il tintinnio del campanellino montato sopra la porta del
locale. Ci girammo quasi di riflesso e subito realizzammo che la
situazione avrebbe preso una piega diversa. Nick entrò nel
bar dove sapeva che io abitualmente passavo la pausa pranzo, da sola o
in compagnia dei colleghi. Val non resistette e gli si
avvicinò non appena lo vide chiudere la porta, lasciandomi
sola con Warren, in balia dei suoi pensieri. Sconci.
- "Io ho già deciso cosa mangerò allora. Uovo alla cock.(*)"
disse malizioso Warren.
- "Warren, ti prego. Ricordati che per lui sei il superetero camionista
con cui ho fatto sesso in camera sua. Cerca di essere più
serio, più discreto, meno... gay, per il momento" lo
implorai.
- "Sì, baby" mi rispose.
- "E non chiamarmi baby
che fa tanto Dirty
dancing".
- "Nessuno mette Baby in
un angolo. - disse, citando il film - Però poi
la ragazza se l'è fatto mettere... ".
- "Warren!" lo bloccai, prima che la sua ormai consueta sboccataggine
s'imponesse.
- "D'altronde se fosse stato Patrick Swayze anche io avrei fatto lo
stesso". Beh, cavolo, come dargli torto. Nel frattempo gli altri due ci
avevano raggiunto al tavolo e si stavano accomodando di fronte a noi.
- "Ciao Sammy. Warren" salutò.
- "Ciao Nick. Stavamo giusto parlando di dove se l'è fatto
mettere...".
Ma chiude mai il becco
quest'uomo?
- "L'orto. Dove Warren si è fatto mettere l'orto" lo
interruppi, sollevando lo sguardo dal menu dove appena letto insalata dell'ortolano.
- "Sono un amante delle carote in effetti. E dei fagiolini. Invece le
patate le trovo un po' insipide. Tu cosa ne pensi Nick?" chiese serio.
La conversazione più assurda che io avessi mai fatto.
- "Le adoro, in realtà. - E ti pareva! - Al
forno, fritte, nei sacchetti, ma anche frullate a purè o
nelle quiches. Il mio piatto preferito sono gli scones di patate scozzesi".
Aveva indugiato così a lungo su quell'ultima parola che le
mie guance erano diventate improvvisamente rosse e una vampata di caldo
aveva investito il mio corpo. Lo intravidi sorridere sotto i baffi,
mentre gli occhi di Valerie e di Warren si posarono su di me, sorpresi.
Ci pensò la checca del gruppo a spezzare la tensione.
- "E dimmi, Nick. Cosa pensi dei finocchi? Non credi siano
incredibilmente gustosi?" azzardò Warren con tutto il
sex-appeal e la malizia di cui era capace.
- "Ho una specie d'intolleranza: se li mangio, mi escono delle bolle
rosse lungo le braccia, perciò meglio non rischiare". Warren
fece una smorfia delusa e si concentrò di nuovo sulla lista
dei cibi che aveva di fronte a sé.
- "Allora accontentati di questa patatina scozzese e dei due ravanelli
che ha al posto delle tette" bofonchiò a bassa voce, in modo
tale che solo io potessi sentirlo. Lo guardai indignata e gli diedi un
pestone con la scarpa tacco otto che indossavo quella mattina. Lo
sentii gemere di dolore come un cagnolino, sotto la faccia perplessa
degli altri due che erano con noi.
- "Quindi state insieme ora?" ci chiese Nick, sfogliando il menu per
dissimulare l'interesse che aveva di conoscere la risposta.
- "Chi, loro due? - rise Val - Ma se lui è ga... ". SOS: inventare qualcosa alla
svelta!
- "Gallese! - mi affrettai a dire - È un pezzo di manzo
gallese, focoso e caliente".
Caliente? Ho detto
caliente? Santi numi, peggio di così non può
andare.
- "E il fatto che sia gallese implica che non possiate stare insieme?"
non abboccò Nick.
- "Certo che no, ma la sua famiglia è molto conservatrice e
avrebbe preferito che lui stesse con un'autoctona, non con una della
lontana Glasgow. Sai, culture diverse, abitudini differenti e problemi
del genere. Un po' come in Indovina
chi viene a cena, conosci il film no?". Quando iniziavo ad
accampare scuse, lo facevo sempre in grande stile.
Warren si mise le mani nei capelli per la cazzata che avevo appena
detto.
- "Certo che lo conosco. Ma nel film lui è nero e lei
bianca. Ed erano gli anni '60, non credo che sia esattamente la stessa
cosa".
- "Quante storie, Nick. Non vogliamo mica fare un processo alla
famiglia di Warren! Sono dei tradizionalisti, punto e basta".
La cameriera giunse inconsapevolmente ad aiutarci, domandandoci se
fossimo pronti ad ordinare.
- "Io sono ad un altro tavolo. Aspetto un'altra persona" le rispose
cortese Nick.
Sta aspettando qualcuno?
- "Nick, non dire sciocchezze. Mangiate qui con noi" decretò
infine Valerie.
Il suo ospite era una l'ultima persona che pensavo - e speravo - di
trovarmi di fronte: donna sui venticinque, gambe chilometriche, seno
abbondante, capelli biondi così vaporosi da impensierire i
meteorologi.
- "Buongiorno!" strillò Harmony, prendendo posto accanto a
me. Si presentò a Warren e a Valerie e sorrise persino a me,
prima di dedicare tutta la sua attenzione alla cameriera che era
tornata per ricevere le comande.
Ero così scioccata che presi la prima cosa che mi
capitò sott'occhio e mi accorsi solo quando mi
arrivò il piatto che avevo ordinato un'insalata piena di
mais, che detestavo. Nick mi lanciò diversi sguardi per
tentare di decifrare la mia espressione, per capire come mi stessi
sentendo in quel momento. La verità è che nemmeno
io sapevo capirmi in quel preciso istante. Ero arrabbiata, delusa,
rassegnata e senza vie di fuga. Da una parte c'era lei ad impedirmi di
scappare - proprio come quando l'avevo intrappolata io nel mio garage. Non si scampa al karma -,
dall'altra c'era Warren seduto sulla panca e avrei dovuto far alzare
anche Valerie che gli stava accanto di fronte a noi e persino Nick per
raggiungere il bagno.
- "Stai bene, Sam?" mi chiese Harmony come un'amica di lunga data. Come
se non avessimo un trascorso tutt'altro che roseo.
- "Sì, grazie. Tu?" risposi solo per educazione.
- "Splendidamente. Non hai fame? Il tuo piatto è intatto".
Abbassai lo sguardo verso la mia insalata e la vidi ancora con la
decorazione che aveva fatto il cuoco, segno che non avevo spostato
nemmeno di un millimetro le foglie di misticanza.
- "Non mi piace il mais" dissi con tono piatto, senza accorgermi di
aver detto una cosa così stupida.
- "E allora perché l'hai ordinata?". I suoi modi si stavano
facendo sempre meno cortesi: erano derisori. Sentii la mano di Warren
premere forte la mia sotto il tavolo.
- "Perché sa che io l'adoro" esclamò, immergendo
la forchetta nel mio piatto e prese alcuni di quegli schifosissimi
chicchi gialli.
Mi veniva la nausea a vedere gli sguardi languidi e maliziosi che
Harmony mandava in continuazione nei confronti di Nick. E quell'idiota
taceva. Mi sforzai di mangiare un po' di insalata, mentre gli altri
scambiavano qualche chiacchiera di circostanza circa la propria
occupazione.
- "Ho un appuntamento tra dieci minuti" annunciai quando notai che
tutti avevano terminato il loro pasto. Lasciai una banconota da dieci e
una da cinque sul tavolo e salutai con un bacio veloce sulle labbra di
Warren.
- "Ci vediamo dopo, Val". Costrinsi Harmony ad alzarsi per farmi
sgattaiolare fuori e fui a mia volta obbligata a ricevere l'abbraccio
falso e stritolatore dell'ultima arrivata.
Salutai Nick con un cenno del capo che se ci fosse stato meno gente
sarebbe stata una testata in pieno viso ed uscii all'aria aperta, con
il freddo pungente di novembre che era comunque meglio della situazione
all'interno del bar. Arrivai al semaforo e attesi che diventasse verde;
non avevo alcun appuntamento chiaramente e la vetrina dall'altro lato
della strada sarebbe stato un modo divertente di impiegare il tempo
restante della pausa pranzo. Feci appena qualche passo sulle strisce
pedonali e qualcuno mi trattenne per il polso. Mi voltai e ci
ritrovammo entrambi in mezzo alla strada.
- "Non avrei dovuto accettare di rimanere a pranzo con voi. Mi
dispiace" ammise Nick, senza lasciare la presa.
- "Non capisco perché tu ti stia scusando: è
tutto okay". Guardai la sua mano appoggiata su di me e fissai lui in
viso, finché non mi mollò.
- "Sammy, non mentire. Avrei dovuto sapere che non era una buona idea.
Ho fatto un errore" disse abbacchiato.
- "Hai fatto un errore nel restare con noi a mangiare o nel perdonarla
e tornare ad essere suo amico?" azzardai e lo vidi irrigidirsi a questa
domanda.
- "Il fatto che abbia deciso di perdonarla non ti riguarda:
è una cosa tra noi". Il semaforo divenne rosso e fummo
costretti a spostarci sul marciapiede.
- "Ma hai preso una botta in testa o sei sempre stato così
idiota? Quella ti ha mentito per venticinque anni e tu gliela fai
passare così?" sbottai, sconvolta dalla sua
ingenuità.
- "Ti ho appena detto che non sono affari tuoi. Con lei faccio quello
che mi pare". Era cambiato: non sembrava più molto propenso
e disponibile al dialogo.
- "Certo. Fai come ti pare: vacci al cinema, giocaci a carte, escici e
scopatela!" stavo gridando ormai.
- "Mi stai facendo una scenata di gelosia?" chiese stupito e
compiaciuto lui, guardandosi attorno per vedere che non ci fossero
troppi spettatori ad assistere al nostro spettacolino.
- "Dai, bella, fagli vedere chi porta i pantaloni nella coppia!"
gridò una signora di colore cicciottella e coi capelli
sparati in aria, mimando una sculacciata.
- "Non siamo una coppia!" urlammo quasi all'unisono.
- "E allora perché ti scoccia così tanto che lui
sia tornato a parlare con quell'altra?" commentò un vecchio
signore, appollaiato su di una panchina lì vicino.
- "Perché è una bugiarda patentata" risposi come
se fosse la cosa più ovvia del mondo.
- "È cambiata. - annunciò Nick - E il tuo
atteggiamento è ingiustificabile".
- "Il mio?" urlai furibonda.
- "Ragazzo, non vedi che questa è gelosa marcia?"
s'intromise un'anziana, ma arzilla signora in tenuta da jogging che
correva sul posto con degli improbabili occhiali da sole viola e una
fascia multicolore in testa.
- "Lo penso anche io, signora" esclamò Nick.
- "Anche io! - urlò una ragazzina con uno zaino sulle spalle
- Questa storia è anche meglio dei reality che danno su MTV".
- "Io non sono affatto gelosa. Perché dovrei esserlo?"
replicai isterica.
- "Perché ti piaccio, da sempre. Confessalo, su!". Nick
diventò insistente e canzonatorio.
- "Dai, dillo apertamente! Non è un segreto per nessuno qua"
rimbeccò un tizio in motorino.
- "No!" dissi indignata.
Eravamo diventati l'attrazione di tutti quelli del quartiere che
stavano arrivando per aspettare pazientemente alla fermata dell'autobus.
- "No non vuoi confessarlo o no non ti piace?" irruppe la fornaia,
appena uscita dal suo negozio lì accanto.
- "No non mi piace!" ribadii.
- "Sei cieca? È' bellissimo!" tornò a parlare la
ragazzina, con due occhi a forma di cuoricino.
Nick si beò della considerazione che gli astanti di genere
femminile gli stavano riservando. Una donna si spinse persino a
toccargli il bicipite che lui tese apposta per lei.
- "Se non lo prendi tu, lo prendo io" gridò eccitata,
facendo svolazzare la sua pelliccia.
- "Allora se lo prenda!" le gridai. Un mormorio scontento si
elevò dalla ormai nutrita folla che si era radunata attorno
a noi.
- "La ragazza è proprio cocciuta!".
- "È troppo orgogliosa per ammetterlo!".
- "Sei bellissimo". Ancora la ragazzina con l'ormone impazzito.
- "Sammy, dillo. Sono tre parole: Nick mi piaci!" si disse da solo.
- "Ma anche se lo dicessi - e badate bene che non lo sto facendo - cosa
cambierebbe? Il tuo ego si gonfierebbe a dismisura, peggio di quanto lo
è normalmente, ti stamperesti un sorriso vittorioso in
faccia e poi?". Tutti gli occhi si concentrarono su Nick, la cui
espressione gioconda piano piano svanì, lasciando posto ad
una smorfia dubbiosa.
- "Di' qualcosa, occhi belli! - gridò la signora di colore -
Veloce, sta arrivando l'autobus!".
- "Sei bellissimo" disse per l'ennesima volta la marmocchia, con le
mani giunte neanche dovesse pregare Dio.
- "Coraggio, parla!" urlò la gente.
Ma lui tacque. Se ne stette lì imbambolato, gli occhi
puntati su di me che non mi stavano guardando davvero. Attesi qualche
istante, perché quei minuti passati a battibeccare mi
avevano fatto capire molto più di tutti i mesi precedenti,
trascorsi a lambiccarmi il cervello sul motivo per cui mi stesse tanto
a cuore uno stronzo come lui.
- "Appunto, niente" commentai con profondo rammarico. La folla
cominciò a diradarsi con aria delusa e molti degli
eccentrici personaggi che avevano preso parola salirono sull'autobus
che era appena arrivato e sparirono dietro le porte chiuse dal
conducente.
Voltai le spalle a Nick e cominciai a camminare in direzione opposta.
Avevo sperato davvero che aprisse quella maledetta bocca e che trovasse
anche una minima scusa - la più stupida, la più
banale - per fermarmi e chiedermi di restare.
Alla fine mi fermò.
- "Sammy aspetta. Ho dimenticato di darti il video della scorsa sfida.
Tieni" mi allungò il dvd ed io lo presi obbligando ogni
muscolo del mio corpo a mantenere la calma e frenare le lacrime -
Questo è il biglietto che ho estratto". Raccolsi anche
quello e lo infilai nelle tasche del cappotto senza guardarlo.
Biascicai un ciao forzato
e cominciai a camminare verso l'ufficio. Non appena trovai un cestino,
presi il dvd e lo spezzai in quante più parte riuscii e lo
gettai.
Non me la sentii di tornare in redazione, perciò chiamai un
taxi ed andai dall'unica persona estranea a tutta la faccenda scommessa.
Zia Annie era in bagno, intenta a truccarsi di fronte al piccolo
specchio ovale attaccato alla parete, sopra il lavandino. Sembrava
ringiovanita di almeno un decennio da quando quel tale signor Kerry
aveva cominciato a corteggiarla. Era un amore platonico, ingenuo e
puro, fatto di fiori, di complimenti sinceri, di attenzioni e sorrisi;
non c'erano di mezzo scommesse, camionisti gay, amiche impiccione o
locali di strip-tease. Un sentimento autentico, maturo, di due persone
colme di esperienza di vita vissuta, invecchiate, ma non per questo
meno predisposte a provare emozioni.
Quel giorno, vestita con un elegante tailleur blu bordato di bianco, la
zia mi chiese di portarla nel piccolo parco che circondava la casa di
riposo. Dopo aver ottenuto il consenso dell'infermiera di turno, la
feci accomodare su di una sedia a rotelle che spinsi fino all'esterno
della struttura. La giornata continuava ad essere un po' grigia, ma lei
sorrideva e ammirava incantata gli alberi spogliati dall'autunno le cui
foglie erano sparse più o meno equamente su tutto il folto
manto erboso.
Facemmo un giro completo dello spazio verde e poi mi sedetti sull'unica
panchina che giaceva desolata nel centro del parco.
- "Ti ho vista sul giornale, sai? - mi disse, traendo da sotto la
coperta che teneva sulle gambe una rivista scandalistica. La presi tra
le mani e cominciai a sfogliarla, fino alla pagina in cui spiccava un
fotogramma dell'intervista a Ralph - Ho detto a tutti che sei mia
nipote, sai? Così la signora Kettlewell mi ha regalato il
giornale, prima di schiattare dall'invidia".
Oddio, una vecchia aveva
tirato le cuoia per colpa mia?
- "In senso figurato, ovviamente. Non preoccuparti, Samantha. - le
sorrisi e lei fece altrettanto - Sembri felice" constatò,
accennando con il capo alla rivista che avevo tra le mani.
- "Mi hai visto bene, zia? - ribattei scettica e girai il giornale in
modo tale che anche lei potesse vedere - Ho la bocca aperta per
parlare, un trucco troppo pesante e sono imbranata. L'hanno capito
tutti che la televisione non è il mio ambito. Non capisco
come tu possa aver letto felicità".
Cambiò pagina e m'indicò la foto che vi era
stampata.
- "Intendevo questa". La guardai e sentii una morsa allo stomaco: c'ero
io e c'era Nick, abbracciati, sorridenti al party della CBR. Il suo
braccio mi circondava il fianco sinistro, mentre la mia mano - sempre
la sinistra - era poggiata sul suo petto. Era una posa intima, che
poteva lasciar intendere qualcosa che non corrispondeva alla
realtà, perché lui non mi voleva. Nick non mi
voleva. O, meglio, mi voleva finché si trattava di giocare,
di competere a chi si sarebbe portato a letto per primo dieci persone.
Vedere quella foto e assistere alla scena di quel pomeriggio mi aveva
permesso di guardare la situazione dall'esterno e la mia faccia ebete
di fronte a lui mi aveva fatto comprendere quello che avevo sempre
tenuto segreto persino a me stessa: ci ero dentro fino al collo.
- "Ero
felice" puntualizzai.
- "È già finita con quel bel giovanotto?" mi
chiese lei, preoccupata.
- "Non è mai iniziata, zia" dissi amareggiata e mi sentii
pizzicare gli occhi.
- "Ti piace così tanto, bambina mia?".
Mi prese la testa tra le mani e la avvicinò alla sua. Sapeva
di calore materno e di coccole, di buono. Annuii e le lacrime
cominciarono a inumidirmi le guance. La zia ridacchiò
soddisfatta della confessione ottenuta e mi baciò la fronte.
- "Non deve saperlo nessuno, però" piagnucolai.
- "Sarà il nostro segreto, tesoro".
Non sapevo come, non sapevo quando, né perché...
però, in qualche modo, mi ero innamorata di Nick.
I know I don't know
you
But I want you so
bad
Everyone has a
secret
But can they keep
it
Oh no they can't
(*):
c'è un gioco di parole tra cock (organo genitale maschile in
gergo inglese) e coque (corretta denominazione del piatto)
Eccomi!
Come promesso ho aggiornato stasera. Vi ringrazio della pazienza e non
finirò mai di ringraziarvi anche perché seguite
questa storia. Ora provvederò immediatamente a rispondere
alle recensioni.
Il
titolo della canzone del titolo è, come annunciato, "Secret"
dei Maroon 5.
Gli
scones di patate scozzesi esistono davvero :) ed è una
ricetta che si trova su internet. Ritorno gradito di Warren e sgradito
di Harmony che speriamo levi le tende alla svelta.
Un
bacione a tutte!
Sandra
|
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Capitolo 25 *** Capitolo 25. If It Makes You Happy. ***
Capitolo
venticinque. If It Makes You Happy.
Il settimo uomo con cui sarei dovuta andare a letto era un
poliziotto. Lo avevo scoperto qualche giorno dopo lo sgradevole ritorno
di Harmony, rinvenendo quasi per puro caso il bigliettino stropicciato
che avevo infilato nella tasca del cappotto.
Warren aveva deciso di prendere in mano la situazione e mi aveva
assicurato che avrebbe trovato una 'soluzione
omosessuale' - così l'aveva definita - al mio
problema.
- "Ti senti bene, Zuccherino?" mi chiese preoccupato, fissando il
bicchiere mezzo pieno appoggiato sul bancone, davanti a me. Mi aveva
costretta a strizzarmi in un abitino bianco firmato con un paio di
collant antifreddo, sotto ad un pesante soprabito per andare a bere un
drink in un piccolo locale semideserto del centro. Avrei tanto
preferito strafogarmi di biscotti e cioccolata calda comodamente
stravaccata sul mio divano, ma quella piccola checca isterica mi aveva
proibito di starmene a casa, in tranquillità, ad ascoltare
un rilassante disco di musica jazz, sotterrata dalle coperte.
- "Certo" risposi distratta.
- "Stai bevendo troppo; credo dovresti smettere di trangugiare
margarita". Ma come, prima mi invitava fuori a bere e poi voleva che
stessi lontana dall'alcool?
- "Mi sto solo divertendo, Warren. Ho ventiquattro anni, sono single...
"dissi con amarezza.
- "Ffff... - mi interruppe; lo squadrai sorpresa, ma lui fece come se
nulla fosse - Continua".
- "Dicevo: ho ventiquattro anni, sono single". Era una vera e propria
tortura continuare a ripeterlo ad alta voce.
- "Ffff... " sbuffò ancora.
Lo guardai spazientita.
- "Hai problemi con la dentiera?" esclamai sarcastica.
- "Non ho detto nulla! Vai avanti!" mi sollecitò.
Ricominciai per l'ennesima volta la triste descrizione della mia vita.
- "Ho ventiquattro anni, sono si..." temporeggiai.
- "Ffff". Ancora?
- "... ndaco. Fregato! Che hai contro la mia zitellaggine?" sbottai.
- "È questo il problema? Che non hai un ragazzo?
Perché, tesoro, tu non ce l'hai perché non lo
vuoi". Ecco la perla di saggezza.
- "Io lo voglio" brontolai con il broncio.
- "Anche io lo voglio, ma la mia tradizionalissima famiglia gallese
vorrebbe che il mio partner fosse uno delle nostre parti, di buona
famiglia e che fosse... donna" scherzò, ricordando la
pantomima surreale che avevo realizzato per giustificare il fatto che
io e lui non stessimo insieme.
- "Scusa per quella storia: è stata la prima cosa che mi
è passata per la testa" dissi sincera.
- "Oh, non fa niente. Credo solo che Nick non se la sia bevuta".
- "E dove sta il problema? Lui non se l'è bevuta, ma io
sì!". Mi scolai il cocktail che avevo in mano per poi
asciugarmi la bocca in modo sgraziato con il dorso della mano.
- "Quindi, è questo il tuo cruccio personale"
commentò, dondolando tra le dita un bicchiere vuoto.
- "Di che parli?".
- "A me va bene qualsiasi ometto, ma a te a quanto pare no. - lo
guardai spaesata mentre lui assumeva un'espressione maliziosa -
Zuccherino, poggia il bicchiere che ce ne andiamo. Stasera ti porto in
un gay club che ti farà girare la testa".
- "Come pensi io possa svagarmi vedendo un branco di uomini che non
potrò mai avere, visto il loro disinteresse totale verso le
mie curve?".
- "Per trovarle attraenti dovrebbero esistere, queste curve. Ascolta:
se tu sei depressa, io devo farti divertire. Però, se voglio
riuscire nell'impresa, è necessario che prima io sia
rilassato. E non c'è nulla di meglio di un bel paio di corpi
maschili sudati per rendermi felice e ben disposto ad aiutare un'amica
in difficoltà". Alzai le spalle e concordai con lui: una
serata con Warren in un locale in cui nessuno uomo mi avrebbe
importunato era quanto mi serviva per distrarmi e dimenticare Nick
almeno per qualche ora.
Warren mi tolse le mani davanti agli occhi con un tadan. Impiegai
qualche secondo per mettere a fuoco il grosso edificio che avevo
dinnanzi, ma non dovetti riflettere molto per vedere quell'arancione
inconfondibile delle mura esterne e della grande insegna del Pumping Pumpkin.
- "Mi prendi in giro? - gracchiai, voltandomi verso di lui - Non
è un gay club, te lo assicuro, e non è di certo
il posto giusto dove farmi svagare".
- "Zucchero - e prima che me lo domandi, sì ho tolto l'ino
perché ti osservavo prima e i tuoi fianchi mi sembrano un
po' più rotondi -, è il miglior locale di Londra
e non devi preoccuparti perché Nick non c'è
stasera".
- "Due domande: chi ti ha detto che il problema sia Nick e come diavolo
fai a sapere che non lavora oggi?"
- "Primo: la tua bava parla per te; secondo: diciamo che ho vari
agganci all'interno". Salutò con fare civettuolo il
buttafuori vestito di nero che c'era accanto all'uscita laterale e
quello gli rispose con un sorriso che doveva aver pensato essere sexy,
prima di ritornare ad indossare la maschera da stronzo con dei
ragazzini che erano troppo giovani per convincerlo di avere ventun anni.
- "È patetico venire qui" sbuffai sconsolata.
- "Lo sarebbe se lui fosse qua stasera e se... tu fossi innamorata di
lui" osò.
- "Beh, allora non corriamo nessun pericolo" ribattei pronta.
- "Perfetto" disse saccente.
- "Perfetto" ripetei più per convincere me stessa che per
risultare credibile agli occhi di Warren.
- "Entriamo?". Annuii poco convinta.
- "No, aspetta, Zucchero! - mi bloccò il polso e trasse
dalla tasca il cellulare. Lo fissò con gli occhi sorridenti
e lo vidi poi girare il volto aldilà della strada - Un mio
informatore mi ha detto che c'è una festa poco distante da
qui". Il vento tirava nella nostra direzione e, tendendo le orecchie,
sentimmo rieccheggiare nell'aria della musica provenire da qualche
isolato più in là.
- "Quindi?" suggerii.
- "Quindi ci andiamo, è ovvio. Ci sarà anche una
persona per te: si chiama Dougie e fa il poliziotto".
- "Non ho voglia di andare a letto con nessuno, Warren" biascicai, con
fare lamentoso.
- "Di questo non devi preoccuparti: sono un vero amico e mi
farò carico io di questo onere".
Questa sì che
è generosità senza interessi.
Prendemmo un taxi per raggiungere il luogo della festa, non realizzando
che distasse solo qualche centinaio di metri dal Pumping Pumpkin.
- "Un altro gay? La mia vita sta diventando quanto di più
lontanamente etero ci possa essere sulla Terra" commentai.
- "Abituatici perché questo è il futuro del
mondo; un universo omo sarebbe il top. Se fossi Dio - e credimi che per
364 giorni su 365 ho la convinzione di esserlo - ordinerei agli uomini
di andare in giro nudi, con il cannocchiale a vista e interamente
cosparsi di olio, mentre le donne... - parve pensarci qualche istante -
no beh, nel WarrenWorld
non c'è spazio per il doppio cromosoma X".
- "E come pensi che la specie umana possa riprodursi?" gli chiesi, in
attesa di una risposta seria.
- "Zucchero, nel momento in cui muoio io, non ci sarà motivo
per cui il genere umano debba proseguire: no Warren, no party".
L'egocentrismo
è una brutta cosa.
Annuii per evitare di fornire linfa vitale all'autostima,
già sconfinata, del mio amico.
- "Quindi chi sarebbe questo poliziotto che mi hai procurato?"
domandai, sebbene non fossi molto interessata al soggetto.
- "Si chiama Dougie. L'ho conosciuto qualche anno fa in vacanza a
Mikonos e non mi ha mai tolto gli occhi di dosso. D'altronde, se non
fosse che ci vivo in questo corpo, farei lo stesso. Comunque
è stato il mio primo successo" disse con orgoglio,
guardandosi teatralmente le unghie curatissime.
- "Cioè?" fui indotta a chiedere.
- "Diciamo solo che è arrivato con la fidanzata ed
è tornato a casa con la guida turistica dell'isola".
- "Gli hai fatto rompere con la sua ragazza per un'altra?".
- "Credimi, Sam, Georgeos piaceva a tutti, soprattutto quando parlava
di colonne. Aveva un non-so-che di erotico quando pronunciava la parola
dorico. Ogni volta lo immaginavo su di me con il suo... ".
Oh, mie povere orecchie!
Passammo al di sotto dell'arcata con il festone floreale che accoglieva
i partecipanti alla festa e ci precipitammo sui salatini.
- "Sarai pure una donna mancata, ma la tua ossessione per il sesso
è del tutto maschile" osservai.
- "Ha parlato la santa di Mayfair, quella che si deve sbattere dieci
uomini perché è troppo orgogliosa per anche solo
contemplare l'idea di perdere una scommessa".
- "Touché" ammisi senza difficoltà.
- "A proposito di touchés... - stampò una manata
sul sedere di una ragazza seminuda che finse uno sguardo indignato
dietro un palese compiacimento. Un'espressione di puro stupore si
dipinse sul mio volto, mentre Warren proseguiva con andatura sinuosa la
sua scalata verso il bouffet - Ogni tanto ho bisogno di ricordarmi
perché non mi piacciano le donne; sai, per controllare che
la mia gayaggine
sia intatta".
- "Perciò, qual è il risultato del check-up?"
risi.
- "Naaah, mi piacciono ancora i maschi. Però, quella ragazza
si sarà illusa d avere uno straccio di
possibilità con l'adone qui presente meglio conosciuto come
me. Agisco per il bene della comunità: sono magnanimo".
C'era un mucchio di gente ben vestita, pronta a sfidare la pioggia che
sembrava aver graziato la serata. Un grande fontana era stata
posizionata al centro dello spiazzo, addobbata con composizioni
floreali lungo tutti i tre piani circolari che la componevano.
Prendemmo due bicchieri di champagne al volo da un cameriere di
passaggio e ci buttammo sulle tartine.
Riconobbi tra la folla José ed alcuni altri ballerini del Pumping Pumpkin e
li osservai conversare tra loro, spiluccando qua e là dal
rinfresco. Faceva un certo effetto vederli al di fuori del lavoro,
così diversi e spontanei nelle loro risate, le facce
rilassate invece che contrite in assurde, seppur efficaci, smorfie sexy.
- "Li conosci?" mi chiese Warren con l'acquolina in bocca.
- "Cosa? - chiesi, cadendo dalle nuvole - Ah, solo di vista" risposi
vaga.
- "E anche lui conosci solo di vista?".
No, cavolo: Nick.
Mi mantenni alla larga tutta la sera, senza però smettere di
pensare ai mille modi di vendicarmi del perdono concesso ad Harmony
troppo facilmente. Era più forte di me: poteva essere
gelosia o pura e semplice logica scientifica - ti mente per venticinque anni,
la cancelli dalla faccia della Terra, no? -, pur non
completamente disinteressata, però non sopportavo il fatto
che fossero tornati amici.
Warren, nel frattempo, flirtava con un barista che per la centesima
volta gli rispose di essere etero, ma il mio amico era ormai partito in
quarta e si era già prefissato di convertirlo all'omosessualesimo,
così come già una volta era riuscito con Dougie.
Il vocalist della serata annunciò che, per precauzione
dovuta all'instabilità meteorologica, la festa si sarebbe
trasferita in un capannone lì vicino. La folla
cominciò a defluire dal parcheggio verso il luogo indicato,
mentre io m'impegnavo nella ricerca di Warren, sparito dalla
circolazione. Lo chiamai sul cellulare e lui mi disse che stava facendo
ubriacare il barman per confondere i suoi gusti sessuali, di non
aspettarlo e di confidare nell'arrivo di Dougie.
Ad un certo punto, quando ormai la quasi totalità della
gente aveva cambiato location, fu inevitabile scontarsi.
José si defilò rapidamente. prima che potessi
dire A,
mentre Nick si fece avanti sorridendo sornione.
- "Sammy cara".
- "Non sono né Sammy, né cara" risposi acida.
- "Non fare la scorbutica. - mi rimproverò - Che ci fai
qui?" domandò.
- "Mi ci ha trascinato Warren" confessai sincera, fingendo di guardare
un po' da tutte le parti.
- "La sua tradizionale e moralista famiglia gallese glielo ha
permesso?" scherzò.
- "Non sei divertente". Ero indisponente, lo riconosco.
- "Non sei divertente" mi fece il verso, scimmiottando la mia voce.
Alzai lo sguardo per fulminarlo istantaneamente e mi cadde l'occhio
sulla fontana alla sue spalle, ad una distanza di qualche metro circa.
E l'idea arrivò: lo avrei fatto cadere in quell'acqua
torbida - dovevano averla raccolta dal Tamigi o da qualche cloaca a
giudicare dall'odore - davanti a tutti. Che poi erano tre persone,
visto che le ultime persone se ne stavano andando proprio in quel
momento.
Lo feci indietreggiare, spingendo con forza e con rabbia l'indice della
mano destra sul suo petto. Lui sembrava a tratti divertito, a tratti
preoccupato per la strana reazione che stavo avendo; ero alterata con
lui perché nessuno l'aveva autorizzato ad essere
così attraente con i suoi occhi subdolamente limpidi ed
arroganti. Come diavolo si era permesso di farmi innamorare di lui?
- "Che c'è?" rise.
- "Non imitarmi!".
Aveva camminato all'indietro, senza badare al fatto che ci fosse quella
vasca ad attenderlo; non se la ricordava probabilmente, dal momento che
era stata trasportata ed allestita in quel punto solo per quella festa.
Quando il retro delle sue ginocchia toccarono il basamento della
fontana, lo spinsi con maggior forza, facendogli perdere l'equilibrio.
Stavo già per ridere, quando l'idiota mi afferrò
per la parte superiore del vestito, trascinandomi con sé
nella melma.
Maledettissima
gravità.
L'acqua era gelida e putrida e... ovunque su di me. Ma almeno Nick non
era da meno.
- "Sei completamente idiota! E-e... bagnato!".
Cervello mio, perché mi hai abbandonato?
- "Che acutezza, Sammy!" commentò irritato, facendo un gesto
secco con la mano per levarsi dalle dita un qualcosa di dubbia
provenienza, sul quale comunque meglio non indagare.
Dio, nonostante fossi sporca e fradicia e lui pure peggio, me lo sarei
mangiato di baci in quel momento. Non riuscivo a smettere di guardare
quella gocciolina che se ne stava sulla punta del ciuffo ribelle
attaccato alla fronte, in bilico tra una caduta rovinosa nell'acqua
torbida della fontana e la dannazione eterna tra quei capelli sempre
perfettamente incasinati. Alla fine, Nick ci passò una mano
sopra, riportandomi alla realtà. Realtà che
consisteva nella sottoscritta, con le gambe per aria, in una vasca
piena di liquido semistagnante in un parcheggio di Soho.
Era il momento di dire qualcosa.
- "G-guarda cos'hai combinato!" strillai, osservando il mio vestito un
tempo bianco ed asciutto e fingendo di ignorare il freddo gelido che mi
perforava la pelle da ogni fessura del tessuto.
- "Io? Sei tu quella che mi ha spinto nella fontana" urlò.
- "Doveva essere solo uno stupido scherzo per farti fare una
figuraccia. Ma tu mi hai trascinato giù con te" brontolai.
- "Mi sono aggrappato a te per non cadere, ma la tua muscolatura da
criceto non ha retto".
- "Scusa tanto se non ho il fisico da lottatrice di wrestling e se non
ho nemmeno le tette di Harmony che ti avrebbero tenuto a galla!".
No, Sam, non imboccare
questa via senza ritorno.
- "Non ti rispondo neanche; mi dai sui nervi quando fai la bambina".
Un movimento molesto nelle mutande mi fece sussultare. Pregai in
aramaico antico che fosse solo una suggestione e non qualche strano
animaletto paludoso e curioso che aveva trovato un nuovo passatempo:
avventurarsi sotto le gonne altrui. Nick, nel frattempo, si era alzato
e si stava strizzando la maglietta zuppa, così come il
giubbotto imbottito. Si girò verso di me che, con gli occhi
sbarrati, mi agitavo convulsamente per quella cosa che si stava
aggirando nella mia biancheria intima, con mio sommo ribrezzo.
- "Hai intenzione di uscire o vuoi intrattenere una conversazione con i
rospi? - ironizzò. Rospi?
ROSPI? - Se non ti sbrighi ci prenderemo una bronchite".
Cominciai ad urlare, annaspando nell'acqua per trovare un punto
d'appoggio - visto il fondale sconnesso - ed andarmene da quella
schifosissima fontana.
- "Aiuto, aiuto!" gridai.
- "Ehi voi due, che succede?". Io e Nick ci voltammo entrambi verso le
due ombre nere che si stavano avvicinando. Per un attimo, temetti che
fosse di nuovo quell'energumeno del vicolo che mi aveva lasciato un
vistoso ricordino sul collo, ma ogni preoccupazione si sciolse nel
notare la divisa che i due uomini indossavano: erano due poliziotti.
- "Ci sono problemi, signorina?" domandò l'altro.
Mi appoggiai al bordo esterno della vasca e ne uscii, completamente
fradicia e trattenendomi dal battere i denti.
- "No, nessuno. Siamo solo scivolati... nella, ehm... fontana".
- "Scivolati, eh? - mi
sa che non ci ha creduto - Ad ogni modo sono costretto a
farvi una multa: è proibito introdursi nelle fontane".
- "È proibito anche scivolarci?" tentai con un sorrisino
sforzato.
- "Niente giochetti, signorina. Nome e cognome, prego". Trasse un
blocchetto di carta da una tasca e stappò con i denti una
penna. Decisi che era arrivato il momento di giocare l'ultimo asso
nella manica. Trassi un respiro profondo ed ignorai gli strani
movimenti che animavano le mie mutande.
- "Non è che, per caso, uno di voi si chiama Dougie?" chiesi
incerta.
Quello che era rimasto più in disparte, controllando che il
collega ci facesse la contravvenzione, fece qualche passo avanti e
fermò la mano dell'altro poliziotto che stava scrivendo
febbrilmente.
- "Io. Ci conosciamo?".
- "Sono un'amica di Warren". Il ghigno contratto dell'uomo si risolse
in un sorriso.
- "Warren? Oh, mio Dio, come sta? Pensavo di vederlo stasera, ma il
giro si è prolungato più del solito e non sono
riuscito ad incontrarlo. - esclamò dispiaciuto - Ma mi aveva
accennato che doveva presentarmi qualcuno; una certa Sally, forse?"
tentò di ricordare.
- "Sammy" lo corresse divertito Nick, apparentemente riabilitato
all'uso della parola.
- "Sam, solo Sam. - lo guardai in cagnesco - Però lei non
scriva nulla, eh!" dissi al poliziotto che teneva ancora saldo in mano
il blocchetto. Dougie glielo strappò dalle mani e gli
intimò di continuare il giro da solo e che a noi avrebbe
pensato lui. Soprattutto a Nick, aggiunsi io...
- "Allora, Dougie, - esclamò Nick - per stavolta possiamo
andare? Anche perché moriremo assiderati tra poco".
- "Va bene, ragazzi; per stavolta Warren vi ha salvato le chiappe".
Warren ci avrebbe fatto di tutto con due chiappe, non di sicuro
salvarle!
Il poliziotto se ne andò dopo averci salutato con un gesto
della mano e con la raccomandazione di tornarcene subito a casa e
toglierci di dosso quei vestiti bagnati.
- "Mi devi un favore. - esclamai, cercando con una rotazione del bacino
di spostare gli slip e capire l'entità del danno presente
nella zona pubica - Ti ho tolto da un bel guaio".
- "Dove mi avevi messo tu. Forza, andiamocene".
- "Nick! - lo bloccai - Ho qualcosa nelle mutande".
- "Anche io" rispose sarcastico.
- "Un animale! E' entrato quando eravamo in quella vasca piena di germi
e batteri".
- "È suggestione, Sammy. Andiamo al Pumping Pumpkin, ci
mettiamo addosso qualcosa di asciutto e l'anaconda che hai negli slip
vedrai che uscirà" mi prese in giro.
- "No no no no. Io non mi muovo di qui se ho ancora quel coso nella
mia... intimità" dissi imbarazzata.
- "Allora prova a saltare, magari così se ne va". Ero
talmente disperata che seguii il suo consiglio - senza sortire effetto
alcuno, ovviamente - pur non accorgendomi delle grasse risate che si
stava facendo Nick. Continuai imperterrita; non avevo calcolato che,
dal momento che ero bagnata fradicia, il mio peso complessivo sarebbe
stato maggiore e il mio equilibrio sui tacchi più precario.
Fu quando sentii uno strano rumore provenire dalla zona sottostante le
caviglie che capii che la serata non aveva ancora raggiunto il suo
punto più basso. E nemmeno io.
La cosa più brutta che potesse capitarmi - peggio della
peste bubbonica, della siccità, del passare un mese intero
con Harmony - si era appena verificata: il tacco della mia scarpa
destra aveva appena raggiunto il Regno dei Cieli.
- "Porca vacca del Venezuela!" strillai, arrabbiata e inorridita dalla
mia sfiga colossale.
- "Che c'è ora" bofonchiò Nick, stravolgendosi i
capelli.
- "Il mio tacco, cavolo, il mio tacco!".
- "Dai, poche storie, raccoglilo ed andiamocene".
Non aggiunse altro ed io dovetti mordermi la lingua per evitare di
prenderlo a male parole o infilargli la reliquia che avevo in mano in
qualche indefinito sfintere del suo corpo. Possibile che non capisca il mio
dolore?
Lo seguii in silenzio, zoppicando come un'ubriaca, sotto il suo sguardo
derisorio. Se non altro questo nuovo inconveniente mi aveva
momentaneamente fatto accantonare il pensiero che ci fosse un ospite
nella mia biancheria intima. Diamine, ma quanto mancava a quello
stramaledetto Pumping
Pumpkin? Il palazzo rosso cangiante che intravidi sulla
destra sembrava dirmi: continua
a camminare, bella. Mi fermai per fare una piccola sosta
perché con quell'andatura claudicante mista all'effetto
montagne russe mi stava venendo la nausea e mi stancavo il doppio.
- "Ti vuoi muovere? Di questo passo arriveremo domani"
constatò stizzito Nick, senza rinunciare ad una punta di
ironia.
- "Vuoi fare cambio scarpe?" risposi acida. Avanzò di
qualche passo e si accucciò.
- "Non volevi che mi sbrigassi? E ora che fai?".
- "Parlo con una formica, Sammy. - esclamò canzonatorio.
Detestavo il suo sarcasmo: troppo simile al mio - Sali in groppa,
altrimenti va a finire che andiamo in ospedale con la polmonite per la
tua velocità da bradipo". Mandai giù il rospo -
un altro, non quello che stava facendo un party nelle mie parti basse -
ed accettai il 'passaggio'. Tirai su l'orlo della gonna di una decina
di centimetri, posai le gambe ai lati della schiena di Nick e incrociai
le braccia alla base del suo collo. Lui si sollevò da terra
con agilità e ricominciò a camminare,
agganciandomi le ginocchia con le sue braccia.
- "Guarda cosa mi tocca fare... " si lamentò a bassa voce.
Le vie si Soho erano quasi deserte, nonostante non fosse tardissimo, ed
io mi lasciai cullare dal passo cadenzato di Nick. Poggiai stancamente
la testa sulla sua spalla e mi ritrovai come una scema ad annusargli la
giacca e la pelle della nuca che sapeva ancora del suo profumo, sebbene
avessimo fatto un tuffo nel frattempo. Respirai in mezzo ai suoi
capelli e da ogni centimetro della sua cute lasciato scoperto dai
vestiti, noncurante della fastidiosa sensazione provocata dagli abiti
bagnati incollati all'epidermide.
Era stato troppo facile innamorarsi di lui, perdersi in quegli occhi
glaciali e strafottenti, lasciarsi intrappolare fisicamente e
mentalmente da quel suo caratteraccio freddo e scostante che, invece di
farmi scappare a gambe levate, mi aveva chiuso a doppia mandata nel suo
mondo. Avrei dovuto mantenere le distanze, permettere a tutti i litigi
di spezzare l'intesa che mi legava a lui.
- "Che fai, mi annusi?" mi chiese ad un tratto, facendomi sussultare.
Che figura.
Sgranai gli occhi ed arrossii, però cercai di mantenere il
controllo sulle mie azioni. Innanzitutto
Sam, allenta la presa sulla sua gola, altrimenti lo strozzi.
- "Sì, perché in effetti l'odore di melma che hai
addosso è davvero invitante. Appetitoso, direi" mentii.
La cosa migliore da fare era trovare un argomento di discussione.
- "Allora, con Harmony?". Le sue spalle si irrigidirono e lui
sbuffò.
- "Vogliamo davvero intraprendere questa discussione, di nuovo?"
ribatté, continuando a camminare.
- "Vorrei solo capire... " provai a spiegare.
- "Non devi capire tu".
Si bloccò e mi fece scendere. Lasciai scivolare le gambe
lungo le sue e lo seguii all'interno del Pumping Pumpkin,
dove solo qualche recidivo coetaneo della zia Annie stava seguendo i
pochi ballerini rimasti ad esibirsi, senza nemmeno badare ai due
sfigati bagnati fino al midollo che gli passarono a pochi passi.
Salimmo una scala glitterata color bronzo che affiancava il palco e che
conduceva direttamente ai camerini. Mi tolsi le scarpe e la percorsi
con i piedi nudi e gelati sino agli spogliatoi, uno maschile e uno
femminile.
Domanda di vitale importanza: andare in quello degli uomini, risultando
un po' troppo presuntuosa e un po' maniaca, oppure optare per quello
delle donne, decisione pudica, ma senza sapere cosa fare? Rimasi
immobile, in attesa dell'illuminazione divina che mi avrebbe portato a
fare la scelta giusta. Il segno celeste arrivò senza troppe
preghiere, sottoforma di un ragazzone dai capelli scuri e due occhi
verde chiaro.
- "Ti sei persa, micetta bagnata?" mi colse alle spalle, quasi
poggiando la testa sulla mia spalla destra. Lo guardai sorpresa e mi
ritrassi da una parte, per vedere in viso colui che era appena
arrivato. Micetta? Chiunque
avesse osato chiamarmi in quel modo non era degno di vivere.
Indossava un paio di pantaloni scuri ed una camicia a
quadrettoni colorata.
- "Micetta sarà tua sorella" risposi indignata.
- "Micetta bagnata e micetta con artigli".
- "Senti, sfigato della prateria, tornatene da dove sei venuto" lo
derisi.
- "Ehi, ehi, quanto sei aggressiva!" ribatté.
- "Sean, la micetta
è con me. - intervenne Nick, con la testa che sbucava dalla
porta del camerino - Muoviti Sammy, ho parlato per cinque minuti da
solo prima di realizzare che non mi avevi seguito. Avrei dovuto capirlo
dal silenzio che c'era".
- "Stai attento, Nick: questa micetta morde" riprese Sean.
- "Bisogna saper trattare con lei. È da addomesticare".
- "E siete fradici perché la stavi punendo?"
scherzò.
- "Veramente sono bagnata per causa sua".
I due cervelli maschili che avevo davanti cominciarono a sghignazzare
come due cretini, confermandomi una volta di più che gli
uomini sono in grado di cogliere solo i doppi sensi.
- "L'ho sempre detto Nick che ci sai fare con le donne" lo
adulò.
- "Tutto molto avvincente, ma se non ti dispiace ora evapora che
dovremmo cambiarci" tentai di liquidarlo.
- "Se mi metto in un angolo in silenzio mi permetti di guardarti?".
- "Se non ti volatilizzi entro tre secondi farò in modo che
tu possa partecipare attivamente alle riunione degli Evirati Anonimi".
Chissà come mai, Sean si convinse ad andarsene.
Io e Nick fummo costretti a chiedere dei vestiti in prestito per me ad
una delle ultime ballerine rimaste al locale; Tanya fu gentilissima e
mi offrì una gonna al ginocchio ed un maglioncino scozzese.
Decisamente non il mio genere, ma erano pur sempre degli abiti asciutti
e tanto bastava. Aveva persino un paio nuovo di mutande, un'intera
scorta in realtà, dal momento in cui un giorno, dopo le
prove, nel toglierle un complicato vestito di scena, le avevano fatto
un buco negli slip.
E, a proposito di slip, era arrivato il momento di eliminare l'ospite
indesiderato che vi si era intrufolato. Nel cambiarsi i pantaloni, Nick
aveva trovato una piccola sanguisuga sulla caviglia, perciò
non mi restava che sperare che ci fosse sono una piccola vampira nella
biancheria e non un viscidissimo rospo.
- "Sto aspettando" mi ricordò Nick.
- "Non posso dire una cosa del genere" strillai.
- "Scegli: o la dici ed io ti aiuto, oppure rimani con un essere
succhiasangue nelle mutandine".
Maledizione,
ho sempre odiato anche Edward Cullen, figurati se mi alletta l'idea di
tenermi un affiliato dei vampiri vicino al fiore della mia
virtù. Che poi era un bel pezzo che non ero
più virtuosa, però per papà Philip lo
sarei stata fino al matrimonio.
- "È una cosa stupida ed infantile" gli feci presente.
- "Lo so, ma amo sentirmi onnipotente. E comunque non hai molta
scelta". Bastardo.
- "Okay. Nick...". Non avrei mai toccato quel coso con le mie manine,
per l'amor del cielo!
- "Sì?" rispose innocente.
- "Potresti..." cominciai riluttante.
- "Coraggio, non è così difficile" mi
incitò sorridente.
- "Potresti mettermi una mano negli slip?" dissi d'un fiato, con le
guance che stavano per esplodere dall'imbarazzo del chiedere una cosa
così idiota. Lui scoppiò a ridere, sedendosi
sulla panca sotto gli attaccapanni.
- "Sarà un piacere per me, Sammy" esclamò,
asciugandosi le lacrime provocate dalle risa. Mi ordinò di
sdraiarmi a pancia in giù su un tavolo di legno marrone
scuro, in modo tale da rendergli più facili le operazioni di
recupero dell'animaletto.
- "No aspetta, forse riesco a farlo fluire più in basso,
verso la coscia" strillai tutto d'un colpo, saltando giù dal
tavolo.
Ricominciai a balzellare sul posto per cercare di farlo scivolare verso
zone meno erogene e in quel momento realizzai che avevo un grande,
grossissimo problema; sentivo sì la presenza
dell'esploratore del mio corpo, ma in due posti diversi: sull'inguine e
sul sedere. Quindi o era straordinariamente dotato del dono
dell'ubiquità, oppure aveva già cominciato a
proliferare. O, ancora, forse, i due prima si erano dati da fare ed era
per quella ragione che ne avevo percepito solo uno. Erano uno
sull'altro. Che schifo, quella sera mi sarei fatta la doccia nella soda
caustica.
- "Allora?". Mi sdraiai sul tavolo, sollevai riluttante la gonna per
mostrargli per niente trionfante il mio fondoschiena.
- "Se osi raccontarlo a qualcuno, giuro che ti uccido!" lo minacciai.
Lui accettò di mantenere il segreto e mi toccò il
bordo degli slip. Strizzai gli occhi, mentre sentivo il livello di
vergogna crescere a dismisura e fui costretta ad appoggiarmi le mani
sul viso per evitare di avere ricordi anche solo visivi di quella
serata.
- "Non indugiare, però!" lo pregai, stringendo le natiche e
sbattendo i piedi per fare in modo che si velocizzasse.
- "Non indugio! - Sentii una specie di leggera ventosa staccarsi dalla
mia pelle e tirai un sospiro di sollievo - Ecco, vedi?". Mi coprii alla
svelta e mi sedetti composta.
- "Vuoi baciarmi come ringraziamento?" mi propose.
- "No, idiota. Temo che ce ne sia un'altra" dissi preoccupata.
- "Cos'è, una colonia? Ti avviso subito che ti
tolgo questa e poi me ne vado a casa perché ho sonno. Se ne
dovessero saltare fuori di nuove io mi chiamo fuori".
- "È l'ultima. Spero. Sulla coscia sinistra" gli indicai.
S'intrufolò con la mano sotto la gonna, senza preavviso. Il
suo tocco era leggero e delicato. Troppo!
- "N-non dovrei tirare su l'orlo?" chiesi, abbassando la testa.
- "Lo troverò lo stesso" rispose lui concentrato, con un
tono di voce che mi mandò su di giri.
Ringraziai il cielo e tutti i santi per avermi fatto donna,
perché altrimenti, sotto quei movimenti circolari sul mio
interno coscia, avrei avuto un'imbarazzantissima e verticalissima
erezione. Avrei avuto l'intero skyline di Manhattan tra le gambe.
Si avvicinò con il viso al mio, continuando il suo
estenuante massaggio.
Alzò lo sguardo verso la mia faccia e io dovetti far leva
sul mio self-control per non saltargli addosso e fargli promettere di
farmi qualsiasi cosa volesse. Era a pochi centimetri dalla
mia bocca, ma avevo visto troppi film in cui lei pensava che lui la
stesse per baciare e in realtà la stava prendendo in giro,
quindi tenni gli occhi ben aperti sul suo sorriso sghembo. Si
avvicinò ulteriormente, lambendomi la bocca con le sue
labbra carnose. Il suo profumo di menta stava per ammazzare una volta
per tutte i miei amici ormoni.
La sua presa sulla mia coscia si fece per un secondo più
stretta ed io trasalii.
- "Fatto" mi disse allontanandosi come se nulla fosse dal tavolo, in
mano la piccola sanguisuga che aveva appena staccato dalla mia pelle
arrossata. Feci per dire qualcosa e mi accorsi che ero in debito di
ossigeno: mi ero dimenticata di respirare.
- "G-grazie" risposi e cercai di ripristinare un contegno perlomeno
decoroso; lisciai sotto le mani la stoffa della gonna e mi preparai a
scendere dal tavolo. Nick mi cinse la schiena con il braccio destro e
mi appiccicò al suo corpo per aiutarmi a tornare a terra; lo
odiai in quell'istante, perché non mi ero ancora ripresa dai
bollenti istinti causati dal suo tocco e quel gesto non fece altro che
accendermi ulteriormente, soprattutto perché era del tutto
inutile, dal momento che il tavolo non era poi così alto e
avrei potuto scendervi senza difficoltà.
Scivolai lascivamente sul suo corpo e aspettai di seguire in assoluta
lentezza il tacco delle mie scarpe in paradiso. O all'inferno, a quel
punto era indifferente.
Mi accarezzò i capelli umidi ed informi e li
sistemò dietro la testa.
- "Hai freddo? - sussurrò. Freddo? No, proprio no. Scossi la
testa frastornata - Bugiarda. Hai i brividi". Eh, diciamo che non erano
proprio per la temperatura.
- "Devo andare a casa" sbottai.
Cosa? No, non voglio
andare a casa, voglio fare le cosacce con te. Cioè, le
coccole!
- "Ti accompagno, allora. Andiamo". Mi prese per una mano ed io mi
lasciai condurre lungo le scale e fuori dal Pumping Pumpkin. E
la vidi: stavolta non mi sarebbe scappata per nessuna ragione al mondo.
- "Amanda!" urlai alla donna che mi precedeva di qualche metro. Si
voltò e mi guardò con aria colpevole,
svincolandosi velocemente dall'abbraccio di José - Mi sono
persa qualcosa, Mandy?". Usai quel soprannome che sapevo l'avrebbe
irritata.
- "Non è come credi!" si affrettò a dire.
- "Ah, davvero?" le chiesi sorridente. Mi afferrò per un
lembo della giacca e mi trascinò a qualche metro di distanza
dai ragazzi.
- "Sam, non so cosa dirti, sono imbarazzata" arrossì.
- "Dovresti essere dispiaciuta, in realtà" la rimproverai.
- "Lo so, avrà quindici anni meno di me. Se fossi come Juno,
quella del film, potrei essere sua madre! E poi cosa diranno i miei
figli? Oddio, pensa se lo dovessero scoprire i loro compagni di classe!
Mi chiamerebbero Mandy
la MILF e verrei sbattuta fuori a calci nel sedere dal
comitato dei genitori. Sono un'incosciente, una depravata!"
starnazzò.
- "Ehi, calma. Intendevo dispiaciuta per non avermi raccontato nulla;
sono sinceramente offesa. E poi, l'hai visto José? Farebbe
girare la testa anche a tua figlia". Amanda sgranò gli
occhi, sull'orlo dell'isteria. Forse non avevo scelto le parole adatte.
- "Oh, cielo! Mia figlia potrebbe innamorarsi del mio fidanzato... ma
chi sono io, la Brooke Logan dei poveri? Questa situazione fa schifo".
- "Tesoro, ti rende felice essere ora, in questo momento, con lui? - le
chiesi, prendendola per le spalle. Lei annuì, ancora poco
convinta - Allora non può essere così male".
Inavvertitamente, l'occhio mi scappò oltre la figura di
Amanda: Nick. Stava parlando con José, ridevano di qualche
signora su di età che si era gettata al collo di un loro
collega e per poco non gli aveva strappato i pantaloni, lasciandolo
come mamma l'aveva fatto di fronte a tutti. Era bello, intelligente,
sexy, più di quanto avessi mai potuto sperare di trovare in
un uomo.
Poi arrivò un taxi che si fermò davanti ai
ragazzi e le due gambe da fenicottero che fecero capolino dalla
portiera mi fecero capire in anticipo a chi appartenevano: Harmony.
- "E tu, Sam, con lui sei felice?". La risposta corretta sarebbe stata sì.
Allora perché in quel momento avrei tanto voluto spaccare in
testa un piatto a quella gallina? Perché Nick era bello,
intelligente, sexy e maledettamente irraggiungibile.
E a quel punto non seppi rispondere.
If it makes you
happy,
It can't be that
bad.
If it makes you
happy,
So why the hell are
you so sad?
Stavolta
ho superato me stessa: sono le 6.05 del mattino e non sono ancora
andata a dormire :S Ringraziate la mia insonnia ormai sempre
più frequente :)
Mi
scuso per il capitolo megalitico, ma non ho saputo fare diversamente.
La canzone del titolo è "If it makes you happy" di Sheryl
Crow.
Brooke
Logan è chiaramente un personaggio di "Beautiful" e Milf,
nel caso in cui ci fosse ancora qualcuno che non lo sa, significa
"Mother I'd Like to Fuck".
Edward
Cullen devo davvero dire da dove venga? :)
Mi
scuso per eventuali errori dovuti all'ora, prometto che
ricontrollerò il capitolo.
Baci
e grazie a tutte!
|
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Capitolo 26 *** Capitolo 26. Time To Say Goodbye -Part I. ***
Capitolo
ventisei. Time To Say Goodbye - Part I
Ken Hagrol era sparito dalla circolazione: nessuna - già di
solito sporadica - apparizione televisiva, nessun articolo sul London Express da
un paio di settimane, nessuna dichiarazione lasciata a qualche collega,
nemmeno l'ombra della sua firma su un misero ed insignificante
necrologio.
Appoggiai l'ultima copia del giornale sulla pila in cui avevo sistemato
i numeri precedenti e respirai profondamente, conscia di cosa
significasse questo inaspettato quanto sospettoso silenzio. Il fatto
che non avesse pubblicato alcun pezzo sulla testata per cui lavorava
poteva significare una cosa sola e cioè che stesse
utilizzando ogni minima energia e stilla di sudore sull'inchiesta di
Ralph J. Merda.
Io, l'unica notizia che avevo scoperto era che a Sam1 piacevano le
omelettes con prosciutto cotto, cheddar e uova strapazzate; gusti molto
discutibili, ma molto poco rilevanti ai fini dell'indagine.
Avevo ormai preso l'abitudine di restare in ufficio fino a che se ne
fossero andati tutti e, soprattutto, fino a che non se ne fosse andato
Banks. Stavo vagliando ogni minima pista, il che comprendeva anche
frugare come una barbona nel suo bidoncino della spazzatura, dove al
momento avevo potuto solo contare innumerevoli rimasugli di Big Bubble - non so se sia meglio pensare
che sono delle sue baby amiche squillo o che sia un vizio che si
trascina dall'infanzia - e appunti vari della sua
segretaria. In realtà non ho idea di cosa pensassi di
scovare nei suoi scarti, ma immagino che 'dare un'occhiata' tra la sua
roba potesse considerarsi almeno un tentativo di cavare il ragno dal
buco, cosa che al momento mi riusciva piuttosto male. Mi ero un po'
addormentata sugli allori negli ultimi tempi, troppo intenta a
decifrare i comportamenti di Nick e ad innamorarmi di lui per ricordare
che quella sottospecie di uomo con la U minuscola di
Ralph stesse marcendo in una sempre più complicata
situazione processuale. Almeno stava marcendo in una lussuosissima casa
di Chelsea, invece che in una prigione fatiscente e sovraffollata.
Trassi dalla borsa il cellulare e cercai in rubrica il nome del rapper
che mi ero ripromessa di tirare fuori dai guai. Aspettai qualche
istante e una voce maschile profonda mi rispose.
- "Samantha Grayson, buongiorno" disse con una voce avvolgente. Rimasi
interdetta per qualche istante, ma mi ripresi in fretta pensando che lo
sconosciuto poteva semplicemente aver letto il nome registrato sulla
sim card del cellulare di Ralph, sopra la scritta incoming call.
- "Sì, con chi parlo?".
- "Sono l'agente di Ralph. A cosa devo questo onore?" disse viscido.
- "Posso parlarne con lui?" mi affrettai a chiedere, senza perdermi in
ulteriori preamboli.
- "No, il suo avvocato ha disposto che Ralph non interagisca con i
giornalisti" rispose piccato.
- "Ma sono sicura che per me farebbe un'eccezione". Venni messa in
attesa per un minuto circa.
- "Okay, d'accordo. Le è stato accordato il permesso di
avere un colloquio. Di persona, però: all'appartamento di
Ralph, tra un'ora".
- "Ci sarò".
Mi infilai la prima cosa che trovai - un paio di pantaloni scuri, una
camicia azzurra ed un cardigan pesante - e, con un taxi, raggiunsi
l'abitazione in cui avevo trascorso una notte piuttosto piacevole,
prima di essere messa alla porta con la promessa, da intendersi come
minaccia, di ritrovarsi per trascorrere il resto della vita insieme.
- "Sam, gioia della mia vita. - Oh.
Mio. Dio - Accomodati, raggio di sole". Fu lo stesso
padrone di casa ad accogliermi sulla porta.
- "È proprio necessario che quell'energumeno ascolti la
nostra conversazione?" chiesi, alludendo all'omone pelato di colore che
se ne stava a braccia conserte appoggiato alla porta a fissarci.
- "Quello è Bob, la mia guardia del corpo. Non ci
darà alcun fastidio".
- "Il problema è che non mi sento libera di esprimermi con
uno che mi osserva e mi squadra ad ogni mossa". Gli rivolsi
un'occhiataccia, ma quello non se preoccupò minimamente.
- "Faccio il mio lavoro, signora".
Signora, signora a chi?
Ralph mi fece cenno di avvicinarmi con il dito e sussurrò a
bassa voce.
- "Credo che non abbia ancora digerito il pestone che gli hai rifilato
nel backstage del mio concerto".
Questi uomini pieni di
risentimento. Io mica vado in giro col pensiero fisso su quella stronza
che mi ha scippato dalle mani la sciarpa di Burberry che volevo
all'ultima svendita! Certo, le auguro di bruciare all'inferno ogni
giorno, ma non ogni minuto!
- "Me le aveva fatte girare quella sera. - ricordai - Ma, passando ad
altro, come stai?".
Sbuffò rassegnato disegnandosi sul viso un sorriso amaro.
- "Come uno che sa che tra qualche giorno deve rientrare in carcere
perché è scaduto il termine dell'uscita su
cauzione e nulla è cambiato".
- "Mi dispiace. Cercherò di fare qualsiasi cosa per
aiutarti; io so che non puoi essere tu il responsabile di tutto questo".
- "Hai scoperto qualcosa sinora?" chiese speranzoso, ma io lo bloccai
subito.
- "Nulla purtroppo, però ho qualche idea. In un modo o
nell'altro ce la faremo". Portai d'istinto la mia mano sulla sua,
commettendo un grosso errore: Ralph tirò il mio braccio
verso di sé e cominciò a riempire ogni minimo
centimetro di pelle con i suoi baci.
- "Sei così morbida e adorabile, Sam".
- "Sì, okay, basta, mollami, mollami Ralph!".
Riuscì a strappare il mio arto sinistro dalle grinfie di
quel disgraziato dispensatore di buffetti amorosi assai poco graditi e
aprii bocca per continuare la conversazione, ma il suo agente ci
interruppe.
- "D'accordo, bambolina, tempo scaduto".
- "Ci avrò parlato a malapena due minuti" mi lamentai.
- "È più di quanto tu potessi sperare. Forza,
fuori di qui!".
Mi aspettavo una qualche reazione da parte di Ralph, che, invece,
restò calmissimo, sprofondato nel suo costosissimo divano,
nel suo sfarzosissimo salotto della sua carissima casa a Chelsea. Per
la seconda volta su due - en plein! - venni sbattuta fuori dal suo
appartamento in malo modo e senza aver saputo nulla, se non la
microscopica informazione che presto il mio rapper sarebbe
tornato dritto dritto in carcere, tra centinaia di delinquenti che
perlomeno se la meritavano quella permanenza spesata, all inclusive, in
una camera tre metri per due.
- "Amanda e José? - Val strabuzzò gli occhi e
lasciò rumorosamente cadere la tazzina da caffè
vuota sul piattino, facendo stridere il cucchiaino - Che vuol dire che
stanno insieme? No, non ci credo, ti sarai sbagliata, avrai frainteso"
sentenziò e si appoggiò con stanchezza allo
schienale della poltroncina del bar accanto a quella di Warren, che ci
fissava attento e stranamente in silenzio.
- "Se vogliamo essere proprio pignoli, lei ha usato il termine fidanzato" aggiunsi
convinta.
- "Hai capito la nostra Mandy? Zitta zitta si è accalappiata
un bel venticinquenne abbronzato e bollente". A quelle parole, Warren
drizzò le orecchie e parve rianimarsi dal profondo coma in
cui era finito a causa dell'ora; erano le cinque del pomeriggio, ma per
un camionista come lui era tempo del riposino pomeridiano.
- "Hai detto venticinquenne abbronzato e bollente?" scrutò
Valerie, ad un tratto fremente di curiosità.
- "Tu ci ascolti solo quando c'è qualcosa che t'interessa"
lo rimproverai.
- "Non posso negarlo; il più delle volte leggo
distrattamente il labiale della gente e interagisco soltanto nel
momento in cui si parla di qualcosa di fondamentale importanza, tipo
me".
- "Il tuo egocentrismo assorbe il mio ossigeno" dissi acida.
- "Forse perché cozza con il tuo orgoglio? O forse
perché dovresti avere un petto più grande? Madre
natura non è stata molto generosa con te in quanto a... - lo
guardai con aria assassina e lui sorrise diabolico - polmoni". Salvato
in corner.
- "A proposito di polmoni, come sta Nick?" tornò a parlare
Valerie.
- "Cosa c'entra Nick con i polmoni?" intervenni, non riuscendo a
cogliere il collegamento.
- "Li ha, no?" rispose lei con la bocca ben aperta per mostrarci ogni
singolo pezzetto di brioches che i suoi denti stavano triturando. Che
classe.
- "Credo proprio di sì, ma tutti ce li hanno" ribattei
sempre più confusa.
- "Quindi riconosci che la tua obiezione è senza fondamento".
- "Scusa, giudice Amy,
ma sei tu che hai iniziato la frase dicendo 'a proposito'" cercai di
farla ragionare, senza riscuotere, però, molto successo.
- "Non abbiamo appurato che anche lui ha i polmoni?" esclamò
Warren. Oh, miseria: si erano coalizzati.
- "Sì, ma non conta!" esclamai.
- "Vai a dirlo a quelli che hanno un tumore ai polmoni per il fumo, se
non conta" continuò il camionista, ormai sempre
più lanciato nella difesa delle locuzioni sbagliate di Val.
- "Per la milionesima volta, che diavolo c'entra? Quando uno dice a
proposito, indica che c'è una certa continuità
con il discorso precedente, un nesso logico". - "E non ti pare logico
che Nick abbia i polmoni?". No, così non andava.
- "Proprio non ti sopporto quando fai la saccente" blaterò
Warren.
Mi arrendo.
- "Hai ragione, quando fa la Hermione
Granger della situazione la strozzerei". Valerie
terminò il cornetto e ordinò un secondo
caffè.
- "Oh, Hermione! Ma ti pare possibile che finisca con uno come Ron?" si
lamentò l'unico uomo presente.
- "Warren, mi trovi d'accordo con te: Weasley non si può
vedere". Stavo assistendo impassibile alla morte della concentrazione:
era impossibile fare un discorso con quei due, senza rischiare di
lasciarlo a metà e incominciarne un altro, semplicemente
pronunciando un nome.
- "Ragazzi, non stavamo parlando di Nick?" provai a ripristinare la
conversazione iniziale, accantonando l'impasse linguistico in cui
eravamo incappati.
- "Vedi che allora sei proprio fissata!" strillò maliziosa
Valerie. Che pessima idea invitarli a fare uno spuntino insieme.
- "Veramente stavamo parlando di Arnalda
e Mosé.
- intervenne Warren - E poi non dite che non ascolto!".
- "Non sono sicura che questo stile possa fare al caso mio". Il tubino
nero cortissimo che Warren mi aveva costretto a provare quasi mi
mozzava il respiro, comprimendomi le tette al punto tale da farle
sembrare una terza abbondante.
- "Zucchero, ma cosa vuoi saperne tu di quello che desiderano gli
uomini?" disse altezzoso.
- "Ha parlato l'esperto! - lo sbeffeggiai - I ragazzi che frequenti tu
vogliono una cosa che non possiedo".
- "Guarda che mica conosco solo gay. E poi smettila di brontolare, che
io sto cercando di aiutarti a far morire di gelosia Nick. Allora, tira
su un po' la balconata, poggiolino direi, e sciogliti i capelli".
Obbedii senza fiatare, lasciando cadere i boccoli morbidi sulle spalle
e attendendo altre indicazioni.
- "Qualcos'altro?" sussurrai scocciata.
- "Sei una panterona, Sam. - mormorò soddisfatto - Questo
abito è raffinato, elegante, sexy ed aggressivo... avrai gli
uomini ai tuoi piedi e ti pregheranno per averti stasera".
- "Posso toglierlo ora?" mormorai, confidando in una risposta positiva
che mi avrebbe permesso di riacquisire un corretto funzionamento dei
organi interni, compressi all'inverosimile. Warren mi fece cenno di
sì con un movimento seccato della mano ed io finalmente mi
tolsi quel vestito infernale. Rimasi in slip, senza reggiseno - non ci
saremmo stati entrambi nel tubino/seconda pelle - ed il mio amico
abbassò lo sguardo sulla zip dei suoi pantaloni.
- "Che fai?" domandai curiosa, rivestendomi.
- "No, niente, sono proprio gay. Lady
Oscar non si è svegliato neanche vedendoti
mezza nuda". Si lanciò sul letto e prese a sfogliare una
rivista di moda abbandonata sul letto.
- "Lady Oscar?" ridacchiai.
- "Sì, l'ho trovato appropriato per il mio pene; sai, quando
esce allo scoperto, c'è grande festa alla corte di Francia"
si pavoneggiò, citando la sigla del cartone animato.
- "E il tuo André chi sarebbe?" lo provocai, indossando una
maglietta comoda.
- "Sarà Nick, se non ti sbrighi a darti una mossa con lui".
- "Credo ci sia qualcosa tra lui e quella sua amica, quella del bar"
ammisi con un groppo in gola. Mi sdraiai sul letto e lui mi si
avvicinò.
- "Zucchero, tu una così te la mangi a colazione. Ma ti sei
vista? Sei bella, intelligente...".
- "Continua!" mugolai con muso lungo.
- "Ora sono un po' a corto di idee, però credimi che sei
molto meglio di quelle due gambe da giraffa e quelle tettone sode da
pornostar. Gli uomini non cercano questo".
Ma dove cavolo vive?
- "Gli uomini gay
non cercano questo, Warren" gli feci notare.
- "Stasera ti metti quel vestito, ti trovi un ometto e te la spassi".
Le sue idee di divertimento, chissà perché,
prevedevano sempre un uomo ed un amplesso.
- "Non so ancora cosa ci sarà dopo il poliziotto e mi pare
che Dougie l'abbia già sistemato tu" allusi al paio di boxer
che troneggiavano sulla mia scrivania.
- "Non parlavo della scommessa, Sam: hai bisogno di una giornata detox
da Nick perché quel ragazzo ti ha intasato come un water. - Grazie Warren, mi sento
già meglio all'idea di essere un cesso - So
già cosa ci vuole per te, mia cara: un grande, lungo e
possente sturalavandini" ammiccò, allegando tutti i doppi
sensi possibili.
Strizzata come un salame nel tubino nero scelto nel pomeriggio, non
potevo credere di essere riuscita a camminare fino al taxi per uscire.
Avevo cercato di tornare indietro un paio di volte per cambiarmi e
mettermi qualcosa che almeno mi coprisse un decimo del corpo, ma Warren
si era sempre opposto, asserendo che dovevo mostrare la mercanzia se
volevo avere qualche chance in più di accalappiare un bel
giovanotto. Grazie al cielo il cappotto mi copriva fino alle ginocchia.
Warren insisteva col volermi presentare un suo amico, stranamente
etero, che, stando ai ricordi delle docce negli spogliatoi del liceo,
doveva essere fornito di un buon sturalavandini.
Non che ne avessi particolarmente voglia, ma forse un po' di
distrazione avrebbe giovato.
Appena entrati nel locale, dispersi il mio amico, troppo intento a
scodinzolare come un cagnolino dietro ad un paio di ragazzi
sconosciuti. Riuscì solo ad indicarmi quel suo amico dei
tempi delle superiori, un ragazzo piuttosto banale, ad essere del tutto
onesta, ma sufficiente per raggiungere l'obiettivo. Warren mi aveva
anche detto il nome: Drew, Dave... o Danny? Mah, non era
così rilevante.
Mi avvicinai e attaccai bottone con una scusa stupida che si perse nel
volume troppo alto della musica; parlammo per qualche minuto o almeno
tentammo di farlo, dopodiché mi disse qualcosa di cui
riuscii a captare soltanto qualche parola: sei una bella ragazza... con me?
Lo trascinai in bagno con la stessa furia con cui un pescatore tira a
bordo le reti e mi avventai sulle sue labbra in meno di tre secondi.
Lui posò subito la mano sul mio seno, stringendolo con forza
e strizzandolo. Oddio, mi stava mungendo. Mi staccai dalla sua bocca
per fargli comprendere che non gradivo molto quel trattamento da vacca
da latte, ma una borsetta lo colpì in pieno volto.
- "Brutto figlio di buona donna! - gli gridò contro la
ragazza, una rossa minutina, ma che sapeva darle forti - Mi chiedi di
sposarti e dopo due minuti ti trovo in bagno con un'altra?".
- "Amore, ho provato a dirglielo che c'era la mia ragazza qua con me,
però mi è saltata addosso lo stesso!". Mai fare
conoscenza in discoteca, dove non è possibile fare
conversazione.
- "Ehi, carina, Donnie è roba mia" mi minacciò.
Donnie? Non era Danny?
- "No, scusa, c'è stato un errore" provai a farle
comprendere l'accaduto. Cavolo, avevo sbagliato persona!
- "Senti, non c'è stato alcun errore nel fatto che tu sia
una facile". Io una facile? Brutta
nana da giardino.
- "Se non sei capace di tenerti il fidanzato, non è un
problema mio" sbottai furiosa. Avevo trovato il capro espiatorio della
serata.
Fece per avventarsi su di me, ma la prontezza di riflessi di Donnie le
impedì anche solo di sfiorarmi. Pazienza, era
così ubriaca che il giorno dopo neanche se ne sarebbe
ricordata. E che se lo tenesse lei, il mungitore!
Passai il resto del tempo dandomi della stupida per essermi ridotta a
rimorchiare gentaglia mezza sposata nel bagno di una discoteca e a
cercare di rintracciare Warren tra le centinaia di facce che avevo
attorno e che, alle luci iridescenti del locale, sembravano tutte
uguali. Alla fine lo ritrovai appoggiato ad una colonna intento a
flirtare con un biondino dalla pelle diafana.
- "Sono due ore che ti cerco!" urlai arrabbiata nel suo orecchio.
- "Anche io! Comunque lui è Danny" gridò di
rimando, indicandomi il ragazzo che aveva di fronte, il quale stava
sorseggiando un drink e non si era nemmeno accorto di essere l'oggetto
della conversazione.
- "No, grazie. Voglio andare a casa".
- "Maialina, lo vuoi già portare a casa?" mi diede una
gomitata che per poco non mi fece franare a terra.
- "No, ho detto che me ne voglio andare a letto!".
- "Beh, immaginavo che non ci avresti giocato a scacchi". Oh,
Gesù! Presi dalla pochette il cellulare e digitai il
messaggio che stavo cercando di fargli capire: Me ne vado! Poi ti
spiegherò meglio. Buon lavoro per domani!
Glielo feci leggere e lui annuì.
Recuperai velocemente il cappotto dal guardaroba e me lo infilai
svelta, prima di attirare troppo l'attenzione. Era incredibile come
tutti i tentativi di dimenticare Nick andassero storti, soprattutto se
organizzati da Warren: la volta precedente mi ero ritrovata in una
fontana, a -5° C con un coso tra le gambe - e non c'era nulla
di erotico in non una, ma ben due sanguisughe tra le cosce - e quella
sera, invece, ero finita tra le mani di un omuncolo banale e pure
fidanzato che aveva trattato le mie tette come due mammelle.
Dio, che patetica. Questa storia doveva finire: dovevo imbustarla,
darle un calcio nel sedere e a mai più rivederci, vita da
single sfigata, inconcludente sul lavoro.
Arrivai a casa con un taxi, accesi il portatile e mi misi alla ricerca
di un hotel a York, comprai un biglietto del treno pomeridiano del
giorno successivo e cominciai a fare i bagagli per la mia nuova
avventura.
L'ultimo ostacolo prima di dare il la alla svolta, era ottenere il
consenso di Valerie. La mattina seguente mi svegliai presto, coccolai
un po' Romeo e andai in ufficio, in modo tale che ci fosse poca gente a
cui dare eventuali spiegazioni. Sapevo di trovarla già al
lavoro, presa com'era in uno speciale per il trentesimo anniversario
della morte di John Lennon, perciò, non appena entrai, fu
facile individuare la sua chioma dorata tra le scartoffie della sua
scrivania.
Le portai un caffè forte perché si svegliasse,
essendo a conoscenza della piccola difficoltà a carburare
che ci contraddistingueva.
- "Si può?" domandai, picchiettando le nocche sullo stipite
della porta aperta.
- "Prima dammi quel bicchiere di carta che hai in mano, poi ripassa tra
dieci minuti". Glielo porsi, ma, al contrario di quanto mi aveva detto,
mi sedetti sulla poltroncina di fronte alla sua.
- "Sarò breve: ho bisogno di una pausa" dichiarai convinta.
- "A chi lo dici."
- "Ieri sera ho toccato il fondo, Valerie; ho bisogno di un break, di
tuffarmi nel lavoro e concentrarmi su questa storia di Ralph
perché al momento è l'unica cosa che potrebbe
darmi soddisfazioni. Se sei d'accordo vorrei andare due settimane a
York, forse scoprirò qualcosa o forse no, ma almeno
potrò dire di averci provato" le spiegai.
- "Certo che sono d'accordo" disse lei, togliendosi gli occhiali da
lettura.
- "Anche perché avevo già prenotato,
perciò ci sarei andata comunque" ridacchiai.
- "Piccola donna astuta! Però... non è che
c'entra Nick in tutto questo?" chiese sospettosa.
- "C'entra lui, la scommessa, Harmony, Will che non mi risponde, Ralph
che torna in carcere, Sam1 e le sue bugie... " elencai, contando sulle
dita della mano.
- "Non sarebbe meglio andarsene in vacanza da qualche parte oppure
tornare a Glasgow dai tuoi?".
- "Come potrei rilassarmi con mia madre che detta legge o Lily che mi
rende partecipe delle sue idee folli? L'idea del frigo-aspirapolvere
non l'ha ancora abbandonata del tutto. Meglio York, dove non mi conosce
nessuno: starò in santa pace, concentrata sull'inchiesta,
senza inutili distrazioni".
- "Sai che verrei volentieri con te, ma purtroppo devo andare in
Irlanda dopodomani: mia suocera mi aspetta! - strillò
fintamente esaltata - Sarà una settimana molto lunga".
Sapevo che la convivenza con mamma Agnes sarebbe stata difficile, dal
momento che la signora in questione non faceva mistero di una certa
insofferenza per la vivace nuora.
- "Divertiti, allora. E salutami Jonathan. - le stampai un bacio sulla
guancia e uscii dal suo ufficio - Ah, Val... divertiti!". Fece una
smorfia e tornò a concentrarsi sulla montagna di documenti
che affollavano la sua scrivania.
- "Allora, che facciamo? - interrogai Romeo con le mani poggiate sui
fianchi, mentre lui miagolava beato sul divano, facendo ondeggiare la
coda a ritmo cadenzato - Vieni o non vieni a York con la tua mammina?".
Se c'era qualcosa che il mio micione proprio non sopportava era stare
tanto tempo rinchiuso nel trasportino; ma, purtroppo, sul treno diretto
a nord sarebbe stato necessario starci per almeno tre/quattro ore.
L'alternativa al viaggio, però, non c'era: al massimo avrei
potuto chiedere a Kay di tenerlo per qualche giorno, ma non ero certa
che accettasse. E poi chi diavolo aveva voglia di sentire la sua voce?
- "No, tu vieni con me. - sentenziai prendendolo tra le braccia - Io
non ti lascio nelle mani di Crudelia. So che preferiresti Will, ma
purtroppo pare essersi autoeliminato dalle nostre vite,
perciò dovrai accontentarti della gabbietta, cucciolotto".
Avevo prenotato un alberghetto tranquillo nel centro di York per due
settimane, avevo lasciato morire le poche piante che avevo in casa -
okay, era possibile che non fosse stato poi così voluto il
decesso delle orchidee -, avevo preparato i bagagli e dovevo solo
chiamare un taxi per raggiungere la stazione. E chiaramente convincere
Romeo ed antrare nel trasportino. In realtà dovevo anche
pensare a come trasportare le tre valigie strapiene, ma l'importante
era avere il vestiario adatto ad ogni situazione.
Sentii dei passi lungo le scale e qualcuno fermarsi sul mio
pianerottolo, poi un tintinnio di chiavi e una serratura scattare. Dal
momento che al terzo piano c'erano solo due appartamenti, il mio e
quello del signor Hansen, fu spontaneo per me associare i rumori
avvertiti ad un solo nome: Will. Era... tornato?
Lasciai cadere per terra la borsa e mi precipitai alla porta, senza
preoccuparmi d'inciampare nelle scatole sparpagliate sul pavimento.
Tirai con frenesia il gancio che chiudeva l'uscio e premetti la
maniglia, finché con riuscii a scorgere una figura alta e
slanciata entrare nella casa di fronte.
- "Will? - sussurrai. E lui si girò, facendomi sospirare -
Tu? Che diavolo ci fai qui?". Nick sorrise ed accese la luce dell'atrio.
- "Will mi ha chiesto di dare un'occhiata". L'aveva domandato a lui,
pur sapendo che io abitavo a tre metri dal suo appartamento. Stavo per
gettare la spugna con lui; forse mi ero comportata male in passato, ma
avevo chiesto scusa... eppure sembrava non essere bastato.
- "Ah. Quindi l'hai sentito" mi limitai a dire.
- "Già, ero da Kay prima e l'ha chiamata, così
c'ho fatto due chiacchiere". Intratteneva rapporti con tutti, tranne
che con me.
- "S-sta bene?".
Nick scrollò le spalle e capì di essere
incespicato in un discorso delicato.
- "Gli manca Londra" disse diplomatico.
- "Bene" annuii. Vide la mia espressione delusa e cercò di
porvi rimedio.
- "Può anche non dirlo, ma so che gli manchi anche tu. Ha
fatto un giro di parole lunghissimo, coinvolgendo tutti, Romeo
compreso, per sapere come stavi".
- "Sarà, però non mi ha mai cercato" sussurrai.
- "Ti va di parlarne? Ci sediamo sul divano, beviamo qualcosa e ti
lascio blaterare per ore senza interruzioni".
No, Nick, se mi siedo
sul divano con te sta pur certo che non voglio parlare.
- "Mi piacerebbe - Dio solo sapeva quanto mi sarebbe piaciuto. No, Sam, ricordati che
è uno stronzo, doppiogiochista, 'fisicato', sexy... no, ferma!
-, ma devo partire".
- "Parti? Che fai, vai fuori città per qualche giorno?"
chiese, appoggiandosi alla ringhiera del ballatoio.
- "Qualche... settimana, in effetti. Ho bisogno di riordinare le idee e
cose del genere".
- "Capisco. Ti serve un passaggio?".
- "N-no prenderò un taxi, ti ringrazio" provai a
divincolarmi da quella richiesta.
- "Dai, andiamo, Sammy. Non ti mangio mica". Semmai, il rischio è che io
ti mangi. Il pericolo più concreto in
realtà, era che spuntasse fuori la sua simpaticissima amica
d'infanzia, che doveva avere un radar per sapere sempre quando eravamo
insieme.
In macchina, caricati i bagagli e con un Romeo arrabbiato e miagolante
incastrato nella gabbietta, Nick avviò il motore e s'immise
nel traffico caotico della capitale, diretto a London Bridge.
Mi stavo torturando le mani, lo sguardo rivolto al di fuori
del finestrino per non finire col trovare imbarazzante una situazione
normale come quella.
- "Non mi hai ancora detto dove vai". Socchiuse gli occhi riducendoli a
due fessure per contrastare il sole che ci illuminava il viso.
- "Vado a York. Ho del lavoro da sbrigare" tagliai corto. Lui
annuì.
- "Viene anche Warren?" chiese, concentrandosi su una manovra di
sorpasso.
- "No, è in giro con il camion. E comunque volevo chiarire
che non stiamo insieme". Basta bugie, basta mezze verità:
per una volta, meglio provare ad essere del tutto sinceri uno con
l'altro.
Nick, fece rientrare la freccia e sorrise.
- "Questo lo sapevo già".
- "Ti è sembrato improbabile che un uomo fosse interessato a
me?" buttai lì scherzosa.
- "No, mi è sembrato improbabile che lui fosse interessato
ad una donna". Quindi lo sapeva che Warren era del team Pisello.
- "Quando l'hai capito che era dell'altra sponda?" domandai.
- "Quando invece che fissare il tuo di culo, fissava il mio".
- "E Harmony?". Dovevo giocarmela fino in fondo. Nick
abbozzò un sorriso e mi lanciò un'occhiata
sfuggente, prima di tornare a guardare la strada.
- "Harmony cosa?" ribatté.
- "Dico... state insieme o qualcosa del genere?". Forse mi stavo
esponendo troppo, ma tanto stavo andando lontano per due settimane e
per un po' non avrei dovuto affrontarlo. Di persona, almeno.
- "Stiamo insieme. - fu come se una mano sbucata dal nulla mi avesse
strappato il cuore dal petto, lo avesse buttato a terra ed infine
calpestato - Come te e Warren".
Non potevi dirlo subito,
idiota?
- "Intendi dire che è lesbica?". Ero un po' confusa.
- "No, - ridacchiò - intendo dire che non siamo interessati
all'altro". Ingenuo.
- "Non sei interessato, perché lei lo è parecchio
e solo tu non l'hai capito".
- "È una cazzata" esclamò.
- "È la verità, Nick. Sono una donna, certe cose
le capisco prima di te" gli spiegai come una maestrina.
- "Lo so".
- "E allora fidati se ti dico che la stangona rifatta - mi morsi la
lingua per essermi lasciata trasportare in quel modo dalla foga di
insultarla gratuitamente - ti punta da venticinque anni".
- "Intendevo dire che so bene che sei una donna, Sammy". Sbaglio o
aveva utilizzato il tono roco delle grandi occasioni? Non era legale
fare una cosa del genere con una che gli sbavava letteralmente dietro.
Okay, Samantha, non
scioglierti, non scioglierti, non scioglierti.
Mi scappò una risata isterica che mi fece apparire, ne sono
certa, come una deficiente.
- "Guarda che siamo arrivati" mi fece notare.
- "Oh, sì, ovvio, siamo arrivati. Ora scendo, poi prendo il
treno e vado a York!". Santo
Cielo, qualcuno mi fermi.
Aprii lo sportello e sperai di limitare le ciarle infinite che la mia
bocca stava producendo. Romeo continuava a rivolgermi il suo sedere,
furioso per il fatto di essere intrappolato di nuovo in quella prigione
infernale, ignaro di doverci rimanere almeno per qualche altra ora.
Nick si fece carico di quasi tutto il bagaglio e, seguendo le
indicazioni contenute sul biglietto elettronico che avevo acquistato in
internet, arrivammo al binario e ci mettemmo in attesa. Una voce
meccanica ci avvisò che il treno diretto a York sarebbe
arrivato due minuti dopo.
- "Sempre per il rotto della cuffia, eh" scherzò Nick a
ragione, visto che come al solito ero arrivata all'ultimo secondo.
- "I vizi sono duri a morire" mi giustificai, con un'ampia scrollata di
spalle.
- "È un arrivederci?" domandò sconvolgendosi i
capelli. Era nervoso, allora.
- "È un arrivederci. - confermai - Non ti libererai
così facilmente di me".
- "Lo so. Buon viaggio, allora".
- "Grazie" replicai. Mi augurai che non si avvicinasse, che non
cercasse un contatto anche solo visivo con me perché
altrimenti non avrei trovato il coraggio di prendere quel maledetto
treno. Stavo scappando: dai problemi con Will, con Banks, con lui, ma
se ripensavo alla faccia da cretina - non esistono parole gentili per
descriverla - di Harmony, potevo sentire il sangue affluire alle tempie
e pulsare nelle vene. Fortunatamente Nick mantenne le distanze ed io
potei respirare con regolarità.
Intravidi la motrice arrivare nella stazione e mi preparai ad
abbandonare Londra per rilassarmi, concentrarmi sulle indagini e
riconquistare la fiducia del mio micione, ormai sul piede di guerra con
quegli artigli affilati pronti all'uso.
Stavo per caricare il primo bagaglio, quando il cellulare che avevo
riposto nella tasca del cappotto squillò.
Non riconobbi il numero, ma risposi ugualmente, un po' scocciata
perché come rischiavo di far partire il treno e dover
rimandare la partenza.
- "Pronto?".
- "La signorina Grayson?" domandò cortesemente una voce
femminile, professionale.
- "Sono io". Ascoltai con attenzione e una crescente tristezza quanto
la donna al telefono mi doveva dire e poi rimasi imbambolata una volta
terminata la chiamata.
- "Ti senti bene, Sammy?" chiese Nick, prendendomi per un braccio.
Le pupille corsero impazzite a destra a sinistra, senza veramente
soffermarsi a guardare nulla. Mi sedetti a tentoni su una panchina
lì accanto, mentre un Nick sempre più preoccupato
si affrettava a farmi un po' d'aria e a cercare di estorcermi qualche
informazione in più.
- "N-non posso più partire" soffiai.
- "Cosa è successo, Sammy?" mi accarezzò i
capelli, ma lo scostai con un colpo irruente del capo. Odiavo che me li
toccassero, soprattutto in un momento come quello.
- "Ho bisogno che mi accompagni in un posto" biascicai, senza riuscire
ad articolare bene le parole.
- "Dove vuoi". Non mi chiese ulteriori spiegazioni, eseguì
solo i comandi che gli fornivo con la precisione e la
rapidità che lo caratterizzavano. Tornammo quasi correndo
alla macchina, caricammo velocemente i bagagli e, dopo aver ingranato
la prima, Nick partì sgommando a tutta velocità
per le vie che costeggiavano la stazione di London Bridge.
On the first day
that i met you
I should have known
to walk away
I should have told
you you were crazy
And disappeared
without a trace
But instead i stood
there waiting
Hoping you would
come around
But you always
found your way to let me down.
Siete
autorizzate ad uccidermi: so di aver detto che avrei pubblicato ieri ma
a) sono una ritardataria cronica, b) in realtà il capitolo
era pronto, ma non mi convinceva, quindi ho aspettato stamattina per
aggiustarlo.
Non
amo molto i capitoli divisi in due parti, ma stavolta è
stato necessario perché altrimenti sarebbe venuta fuori una
sbrodolata di venti pagine e non mi sembrava il caso. Però
la seconda parte è più interessante di questa :)
La
canzone del titolo è dei Simple Plan e la citazione del
Giudice Amy fa riferimento all'omonimo telefilm.
Direi
che riguardo alla chiamata si possono fare molte ipotesi e credo che
qualcuna di voi possa facilmente intuire quello che è
accaduto.
Rispondo
alle recensioni ora e grazie, come sempre!
Baci
e buone vacanze!
Sandra
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Capitolo 27 *** Capitolo 27. Time To Say Good Life -Part II. ***
Capitolo
ventisette. Time To Say Good Life - Part II
Nella vita di ognuno di noi ci sono diverse fasi: c'è il
tempo dell'infanzia, quando si può giocare in
libertà, senza preoccupazioni che vadano oltre la scelta del
colore di un disegno; c'è l'adolescenza, con le prime cotte
e l'incoscienza che ci fa credere di essere invincibili di fronte a
tutti e tutto ed infine c'è la maggiore età, in
cui si deve diventare adulti, bisogna crescere. È il tempo
delle responsabilità, delle decisioni, il momento in cui
cominci a capire tante cose che prima hai sempre sottovalutato.
Improvvisamente ti rendi conto che quel Babbo Natale che ti faceva
visita ogni anno il ventiquattro di dicembre era un po' troppo simile a
tuo zio, che il tuo cagnolino sparito da un giorno all'altro non
è tornato dalla madre perché gli mancava, ma
piuttosto alla casa del Padre. Inizi a collegare i pezzi del puzzle che
compone la tua vita e capisci di dover accantonare non solo bambole e
trenini, ma anche atteggiamenti naif che non ti sono più
concessi. Non puoi soltanto diventare grande, devi anche comportarti da
grande. E ora toccava a me.
- "Ci dispiace molto, signorina Grayson, sua zia era una signora
dolcissima e chiunque abbia avuto a che fare con lei la ricorda come
una piacevole compagnia".
Una delle due infermiere che mi avevano accolto all'ingresso
poggiò una mano consolatrice sul mio braccio, con un mezzo
sorriso di circostanza che lasciava trasparire un'autentica tristezza.
- "Non capisco: - sussurrai confusa - L'ho vista qualche giorno fa e
stava bene".
- "Purtroppo ha avuto un attacco di cuore e non c'è stato
nulla da fare. La signora Annie poi aveva firmato un modulo per non
essere rianimata".
Mentre venivo lasciata sola, osservai in silenzio la stanza dove spesso
- non abbastanza - le avevo fatto visita, trovandola sorridente e
lusingata dalle attenzioni del signor Kerry, nonostante i dolori della
vecchiaia. Mi avviai verso l'armadio che conteneva i suoi vestiti e fui
colta dall'improvvisa consapevolezza di dovermi occupare di un sacco di
cose: sgombrare la camera dell'ospizio, organizzare il trasporto della
salma ed il funerale a Glasgow, trovare una lapide, una frase da
incidervi e qualcuno in grado di farlo, un posto libero ed adatto per
la sepoltura nel cimitero, lontano da strane cripte per evitare curiosi
incontri sulla falsariga di Buffy e compagnia bella... ero presa dal
panico. Non ero brava a pianificare, a progettare; vivevo alla giornata
e costituiva un grande successo personale già il solo fatto
di riuscire a fare la spesa per tutta la settimana, senza dimenticare
nulla e soprattutto arrivando alla domenica con ancora qualcosa da
mettere sotto i denti.
Dovevo crescere. Non avevo voluto essere accompagnata all'interno della
casa di riposo, avevo resistito alle insistenze di Nick di farmi
compagnia ed ero stata categorica nel professarmi certa di voler
affrontare quella situazione da sola. Si era persino offerto di
aspettare in macchina per tutto il tempo necessario, ma ancora una
volta mi ero imposta, dicendo che sapevo badare a me stessa e che
sarebbe stato sufficiente che lui si prendesse cura di Romeo per
qualche ora.
Non appena scesa dall'auto, però, le mie certezze si erano
sgretolate piano piano ed avevo cominciato a traballare, fisicamente ed
emotivamente. Fatto un lungo respiro, mi ero diretta col consueto passo
svelto all'interno del grosso edificio che si affacciava sul piccolo
parco con la panchina solitaria che custodiva ancora il segreto della
mia confessione più intima, fatta alla zia dopo non essere
più riuscita a comprimerla dentro di me.
"La signora Annie si
è sentita male. Abbiamo fatto il possibile..."
mi avevano detto al telefono. Quella frase lasciata incompleta era
valsa più di cento parole inutili, forse schiette e dirette,
forse edulcorate, forse concitate e frettolose. Non importava come le
infermiere si fossero espresse; non esiste un bel modo per comunicare a
qualcuno che un parente, un amico, una persona cara non c'è
più.
- "Lasci stare. - sussultai dallo spavento, sentendo una mano sul mio
braccio. Era il signor Kerry - Ci penseranno le infermiere a sistemare
tutte le sue cose; ne faranno uno scatolone e lei dovrà solo
venire a ritirarlo. Condoglianze, a proposito".
- "Grazie. - sorrisi appena. Sfiorò appena con i
polpastrelli un foulard lilla a stampa floreale che penzolava da una
gruccia: era il suo preferito, ricordavo di averglielo visto legato
attorno al collo in qualche festa di famiglia alla quale, naturalmente,
c’eravamo evitate - Può tenerlo, se vuole". Si
voltò a guardarmi, gli occhi lucidi e indifesi, al contrario
del corpo, il quale voleva ostentare una sicurezza e una padronanza di
sé e delle proprie emozioni.
- "Non posso accettarlo. - scosse la testa, ma lo interruppi subito,
sostenendo che nessuno avrebbe saputo custodirlo meglio di lui - Non mi
è possibile nemmeno venire al funerale, io... ".
- "Non ha importanza, le è stato vicino negli ultimi mesi e
l’ha fatta ridere. È più che
sufficiente".
Gli misi quell'ultimo ricordo in una scatola che trovai sul comodino
della stanza e l’appoggiai sulla sua mano. Lui fece per
andarsene, ma improvvisamente si ricordò di dovermi
consegnare una lettera ed un libro con due maialini in copertina da
parte della zia.
- "Me li ha affidati solo perché li facessi avere a lei nel
momento in cui ci avrebbe lasciato. Addio, Samantha".
Non lo sentii nemmeno uscire, troppo concentrata sui due oggetti che
stringevo ancora tra le mani.
Trascorsi tutto il resto della giornata al telefono: avvisare i miei e
i parenti più stretti, prenotare il volo per Glasgow,
disdire il soggiorno a York e organizzare il funerale a quattrocento
miglia di distanza fu tutt'altro che semplice, ma dovevo farlo. In
più tutto quell'esercizio mentale m’impediva di
realizzare cosa fosse successo e, di riflesso, mi faceva stare meno
male.
Accantonai la lettera e il libricino e mi ripromisi di leggerli durante
il volo, ovvero l'unica ora libera che avrei avuto il giorno seguente.
Dopo una doccia bollente e la preparazione dei bagagli, alle ventidue
mi misi nel letto e mi sforzai di dormire qualche ora. Mi svegliai di
soprassalto, a mezzanotte, sentendo il cellulare vibrare rumorosamente
sul comodino accanto al letto.
- "Pronto?" biascicai abbastanza lucida: dovevo essermi addormentata da
meno di mezz'ora.
- "Ti ringrazio per avermi fatto sapere qualcosa! - strillò
la voce alterata di Nick - È da oggi pomeriggio che aspetto
tue notizie. Ero preoccupato" terminò la frase abbassando i
toni e cercando di recuperare un po' di autocontrollo.
- "Sì, hai ragione, ho avuto un milione di cose da fare. -
mi sollevai ed appoggiai la schiena contro la testata imbottita del
letto - È morta mia zia; ci ero affezionata e da quando me
l'hanno detto ho dimenticato tutto il resto. Scusa".
- "No, scusami tu, non ne avevo idea. Mi dispiace" esclamò
sincero.
- "Anche a me" dissi laconica.
- "Immagino tu debba tornare a Glasgow... posso tenerti Romeo senza
problemi".
Cavolo, Romeo. Mi ero scordata di avere un gatto.
- "In realtà mi faresti un grosso favore; non voglio
sballottarlo a destra e manca, ma non vorrei nemmeno disturbarti".
Aveva già un cane che se ne andava a zonzo per casa, non
volevo che si trovasse ad accudire anche una dispettosissima palla di
pelo.
- "Nessun problema, Sammy. Se ti serve qualcosa, chiama. Buona notte".
- "Grazie, 'notte". Riattaccò.
Le alzatacce mattutine decisamente non facevano per me; ma quel giorno
fu quasi un sollievo togliersi di dosso quelle coperte pesanti dentro
le quali ormai da ore mi stavo rotolando. Erano le cinque ed io avevo
un aereo da prendere. Sistemai le ultime cose, chiusi casa avvertendo
uno strano rumore, ma non avevo tempo di verificare cosa fosse caduto.
Presi una combinazione di metropolitana ed autobus per arrivare a
Heathrow. Fortunatamente il volo era in orario e non c'erano molti
rompiscatole in giro; ognuno si faceva i fatti suoi e, una volta
accomodata al mio posto, trassi dalla borsa la lettera che mi aveva
dato il signor Kerry e cominciai a leggerla con le lacrime agli occhi.
Il libro, invece, doveva essere disperso da qualche parte nel bagaglio
da stiva.
Londra,
31 ottobre 2010.
Cara
Samantha,
Ti
scrivo ora perché sono ancora in grado di farlo da me, senza
l'ausilio di alcuno cui delegare l'infausto compito di dirti addio.
Dicono che ci si renda conto di quando è arrivato il
momento, quel
momento, ed io
sento di non essere lontana dal capolinea. Non sono triste,
però: ho vissuto una vita intensa, nel bene e nel male, ho
pianto, ho amato e ho avuto la possibilità di incontrare
persone meravigliose come te che mi hanno reso le giornate migliori.
Ci
siamo scoperte da poco, dopo anni in cui per via del mio comportamento
ho tenuto lontane persone a cui voglio bene, a cominciare da mio
fratello Graham, tuo nonno, passando ai nipoti e persino alle amiche.
Mi rintanavo in quella stupida soffitta, circondata dai miei quadri,
convinta di potermi nutrire del mio solo talento. È quando
ho capito che non sarei arrivata da nessuna parte con quelle tele che
ho realizzato di avere una fantastica famiglia che mi amava e che io
stavo perdendo. Avrei potuto dipingere quanto volevo, ma non era quello
lo scopo primario della mia esistenza. Ho cercato in tutti i modi di
riallacciare i rapporti con tutti voi, cosciente che non sarebbe
bastato dire un semplice 'allora come state?', per
cancellare anni d’indifferenza da parte mia.
Sei
stata l'ultima bellissima sorpresa che la vita mi ha riservato; ho
molti rimorsi, Samantha, e il non aver voluto conoscerti prima
è uno dei più grandi; ho perso ventiquattro anni,
i tuoi. Forse non lo sai, ma tu ed io portiamo lo stesso secondo nome,
Eleanor, quello di mia madre ed io mi riconosco in tante sfaccettature
del tuo carattere, anche se la vecchiaia ne ha smussato i tratti
più spigolosi; la mia più grande speranza
è che tu riesca ad essere una persona migliore di me. Ti
auguro di ottenere tutto quello che vuoi, compreso quel giovanotto di
cui ti sei innamorata. Non sprecare tempo Samantha, perché,
credimi, non ne avrai mai a sufficienza. L'importante è
provarci, cogliere il momento... non sempre c'è un secondo
treno. E se quel ragazzo non capisce che persona splendida tu sia, al
diavolo!, è un idiota e passerà gran parte della
vita a rimpiangere di non averti avuta per sé.
Non
piangere per la mia morte: ora sto bene dove mi trovo. Non sono certa
sia il paradiso, ma sono freddolosa, perciò anche il resto
può andare.
Ti
chiedo solo di cogliere l'occasione del mio funerale per
ritrovare la tua famiglia; sappi amare ogni singolo membro come e
meglio di quanto io abbia saputo fare. Sfrutta ciascun istante
trascorso con loro, spremilo fino al midollo perché saranno
quelli i ricordi migliori che ti porterai sempre nel cuore e saranno
quelli che il tempo faticherà più a sbiadire.
Voglio
che tenga tu quella borsa che mi ha regalato il signor Kerry; non
m'importa molto il valore che ha, ma mi piacerebbe che per te
rappresentasse un semplice ricordo di me, la mia eredità: un
contenitore, dove poter raccogliere le tue esperienze e le tue speranze.
Sii
la custode dei tuoi sogni, Samantha.
Con
tutto l'amore che posso,
Zia
Annie
Quasi corsi fino al bagno dell'aereo, per sciacquarmi il viso e gli
occhi arrossati. Ci rimasi finché una ragazza venne a
bussare, sostenendo che fossero almeno dieci minuti che stava
aspettando. Mi ricomposi, chiesi scusa e ritornai al mio posto.
Ritrovai il grigiore di Glasgow che in quella giornata mi
sembrò ancora più tetro, nonostante ci fosse un
insolito sole splendente ad accogliermi. Nessuno in famiglia, tranne
nonno Graham, sembrava particolarmente scosso dalla scomparsa della
zia. Mia madre era presa dalla cena post funerale, Lily e suo marito
Byron discutevano dell'eventualità di comprare dei nuovi
divani e mio padre stava scegliendo un libro da leggere dalla pila che
stazionava sul tavolo del suo studio all'incirca dal mesozoico.
Il funerale sarebbe stato nel pomeriggio; zia Annie aveva
già previsto tutto: fiori, tipo di bara, lapide, le letture
della funzione. Dunque non mi era rimasto molto da fare, se non
provvedere al trasporto della salma e cercare di esaudire le sue ultime
volontà: godermi ogni istante con i miei parenti.
Avrei cominciato dal pranzo; con la mia famiglia era come andare in
bicicletta: questione di pratica. Abituata com'ero a mangiare da sola,
senza una genitrice che ti caccia in bocca qualsiasi cosa sia
commestibile perché sembri un po' deperita, fu traumatico
ritornare nell'ottica dei grandi eventi in casa Grayson; non ricordavo
quanto chiassosa fosse la cucina, soprattutto quando c'era in giro
quella peste di Alex - il figlio di Lily -, che con l'energia dei suoi
quattro anni non avrebbe potuto conquistare il mondo, ma far venire i
capelli bianchi a nonna Grace di sicuro; non ricordavo come fosse
sedersi a tavola e sentirsi chiedere 'com'è andata la
giornata?'; non ricordavo quanto bello fosse stare con
tutti loro.
Purtroppo nel pomeriggio, l'allegria traslocò altrove. Mi
sistemai nella mia vecchia camera e frugai nella valigia
finché non trovai il vestito nero per il funerale.
Quando mio padre mi venne a chiamare per recarci al cimitero, scesi
mestamente i gradini fino al piano terra e salii in macchina con lui,
in silenzio. Ingannai l'attesa del breve viaggio rispondendo ai
messaggi di Valerie, delle altre colleghe, di Kay e di Warren. Ce n'era
persino uno di Will, il più freddo e conciso che recitava: Ho saputo di tua zia.
Condoglianze, Will.
Riposi il cellulare nella borsa e scesi dalla macchina; il cielo era
nuvoloso e non vi era alcuna traccia del sole tiepido del giorno
precedente. Raggiungemmo la piccola folla radunata attorno al prete ed
io salutai alcuni parenti di cui non ricordavo nemmeno l'esistenza.
La zia aveva scelto una bellissima foto per la tomba: era sorridente,
rilassata, i capelli cotonati e un tailleur giallo sovrastato da una
collana d'oro bianco e una gemma blu scura al centro.
Fui la prima a posare una rosa bianca sulla tomba già calata
per metà all'interno del loculo, seguita a ruota dagli altri
fratelli di nonno Graham che aveva tutta l'aria di svenire da un
momento all'altro. Lily e Byron lo reggevano ciascuno da un lato,
timorosi che potesse effettivamente cadere o sentirsi male. Mio nipote
al contrario, da bravo bambino quale non era, stava
giocando con la terra, non rendendosi conto della solennità
del momento. Non contento, faceva pure degli strani versi che dovevano
assomigliare ad una guerra tra supereroi o qualcosa del genere. Sua
madre gli mandava occhiatacce assassine, ma lui non faceva una piega.
Le feci cenno che mi sarei occupata io del piccolo. Mentre la cerimonia
finiva in quell'istante, mi sganciai dal braccio di mia madre ed andai
a recuperare il bimbo. Non appena vide che lo stavo raggiungendo
alterata, cominciò a correre tra le tombe, facendomi calare
in un profondo imbarazzo.
Fermati, dannazione Alex!
Mi fece girare in tondo tra le lapidi ridendo come un pazzo per qualche
minuto, i tacchi che ad ogni passo affondavano nel terreno zuppo della
pioggia della mattina. Arrancai per raggiungerlo, ma potei finalmente
fermarmi e riprendere fiato quando lo vidi tornare divertito tra le
braccia - libere dal nonno, seduto su una panchina a riprendersi - di
Byron. La piccola folla di parenti ed amici si era ormai diradata ed
erano rimasti solo i miei genitori, i nonni e Lily e famiglia a
conversare con il prete. Mio nipote mi aveva condotta quasi al sentiero
asfaltato del cimitero che conduceva direttamente all'esterno,
perciò decisi che avrei raggiunto la macchina, senza dover
camminare di nuovo sulla terra bagnata e ripetere l'inutile trafila di
saluti a perfetti sconosciuti.
Mi voltai e... lo vidi. Nick era ad una ventina di metri da me, in un
completo scuro ed una camicia bianca su cui svettava severa una sottile
cravatta nera. Sentii il cuore fermarsi e il cervello andare in tilt;
le mie gambe cominciarono a correre da sole, verso di lui, nella
speranza di non incespicare in qualche sasso malandrino che mi avrebbe
fatto rovinare sull'erba. Gli gettai le braccia al collo con foga,
costringendolo a fare un passo indietro per evitare di cadere. In quel
momento capii di potermi finalmente lasciare andare, stretta tra le sue
braccia. Non riuscimmo nemmeno a parlare che quel furfante del figlio
di Lily venne a tirarmi l'orlo del vestito, seguito a vista dalla madre.
- "È il tuo fidanzato, zia Sammy?". Le solite domande
sbagliate al momento sbagliato con la persona sbagliata nel luogo
sbagliato.
Che cavolo, Alex, fuori
dai piedi!
Ci staccammo veloci ed io mi sistemai nervosamente la borsa sulla
spalla.
- "No, curiosone" gli risposi con un rimprovero velato.
- "È il tuo amante?" tornò alla carica.
- "Che ne sai tu di amanti? E comunque no".
- "Anche voi vi chiudete in camera come mamma e papà per
chiamare gli angeli?". Okay, la conversazione stava diventando un po'
criptica.
- "Chiamare gli angeli?" chiesi non afferrando il concetto.
Lui mi guardò come se fosse la cosa più ovvia del
mondo.
- "Per fare arrivare un fratellino o un cagnolino, dipende da cosa
decidono loro" sbuffò scocciato dal dover spiegare una cosa
così semplice ad un adulto.
- "No, tesoro, non... chiamiamo
gli angeli". Lanciai di soppiatto un'occhiata a Nick che
rideva confuso.
- "Perché?" continuò.
- "Beh, tecnicamente una volta li abbiamo chiamati" si
lasciò sfuggire dalle labbra Nick, senza pensare che stesse
parlando con un bamboccio di quattro anni. Lo fulminai con lo sguardo,
odiando la sua innata mania di puntualizzare su tutto.
- "Cane o bambino?" s'illuminò mio nipote, gli occhioni
color nocciola ora brillanti di curiosità.
- "Senza dubbio cane, Alex. - mi affrettai a precisare - E, infatti,
è arrivato un bel Golden retriver". Meglio fargli credere
che fosse Mister il risultato di quell’unico strano contatto
tra noi e chi sta lassù e non qualche strano cugino di cui
non sapeva nulla.
- "Ora non li chiamate più?" chiese con una punta di
delusione.
Per poco non scoppiai a ridergli in faccia. Fosse per me, caro
nipotino...
- "No, sai zia Sammy non è molto brava a chiamarli" mi
punzecchiò Nick, abbassandosi per parlargli alla sua stessa
altezza.
- "Mi piace zia Sammy...
posso chiamarti così, zia Sammy?".
No, un altro che usa
quello stupido nomignolo no!
- "No! E comunque io sono bravissima a chiamare gli angeli.
È Nick che non è molto capace" risposi a tono,
con una punta di acidità che non guastava mai.
- "Chi è Nick?".
- "Oh, scusa Alex. Lui - glielo indicai con il dito - è
Nick". Il mio nipotino gli tese la mano, che scomparve in quella
dell'altro, molto più grande.
- "Piacere, Alexander Paul Philip Graham Stratford II. - si
presentò, fiero di poter sfoggiare i settantadue nomi che
Lily aveva insistito per dargli, neanche fosse il principe di Galles -
Mi sembri un tipo sveglio, perciò ti permetto di chiamarmi
Alex".
- "Allora grazie" Nick si finse lusingato da questa concessione
imperiale.
Mia sorella si avvicinò con passo svelto al figlio, facendo
svolazzare la sciarpa che aveva tutt'intorno al collo e che le ricadeva
abbondantemente su una spalla.
- "Scusate per l'interruzione, Alex è un ficcanaso"
ridacchiò.
- "Ma se me l'hai detto tu di venir... " la provvidenziale mano della
madre si posò sulla boccaccia troppo sincera di Alex.
- "Che cosa dici, amore? - lo rimproverò - Vuoi che la zia
venga a casa della nonna?".
- "Io veramente... " brontolò il piccolo, divincolandosi
dalla presa.
- "Oh, basta parlare, cucciolo. Ora andiamocene. Sam, ci raggiungi con
il tuo amico?"
disse, marcando quell'ultima parola al punto tale che pensavo saremmo
finiti tutti nelle viscere della Terra. Ecco dove voleva arrivare.
- "Lily, lui è Nick. Nick, mia sorella Lily". Si strinsero
la mano cordialmente con un sorriso.
- "Sam, non ci presenti quel bel giovanotto?" mia madre
arrivò quasi saltellando con un'espressione giuliva stampata
in faccia, a braccetto con mio padre.
Ragazzi, siamo ad un
funerale; qualcuno se ne ricorda?
- "Mamma, papà, questo è Nick" sbuffai per
l'invadenza della mia famiglia.
- "Io sono Grace e lui è mio marito Philip. È un
piacere conoscerti, Nick".
- "Anche per me, signora Grayson. Condoglianze, in ogni caso" disse
serio.
- "Grazie, caro. Sei stato molto gentile a venire. Abbiamo organizzato
una cena, ti va di unirti a noi?". Mia madre e la sua dannata abitudine
di ospitare tutti a casa, al punto da renderla più un porto
di mare che un'abitazione tradizionale. Lui cercò di opporsi
all'offerta - solo perché non conosceva la leggendaria
irremovibilità della padrona di casa -, ma dovette
soccombere miseramente di fronte al dettagliatissimo elenco dei cibi
preparati che lei gli fornì. Proprio quando stavamo per
assistere allo snocciolamento della ricetta dello zabaione, Nick si
arrese, più o meno tra le uova ed il marsala.
Tornati a casa, mi assicurai che il nuovo ospite fosse concentrato in
una conversazione con Byron sulla Premier League, lontano dalle grinfie
di Lily - sport, il miglior deterrente per mia sorella - e sgattaiolai
al piano di sopra. Salii in camera, sostituii il vestito tetro del
funerale con uno più vivace e rilessi la lettera che la zia
Annie mi aveva lasciato. Non riuscivo a non pensare a tutto il tempo
sprecato, a tutti gli anni passati ad ignorarci per pura pigrizia, per
la mancanza di volontà di conoscersi ed instaurare un
qualche tipo di rapporto. Era stato necessario trasferirsi a Londra,
aspettare che lei stesse male per riuscire a scoprirsi e trovarsi. In
fondo non me ne rendevo ancora conto; era come se lei fosse uno di quei
giorni in cui non avevo tempo sufficiente per passare a trovarla
all'ospizio. Ho sempre avuto problemi con la fase dell'accettazione
della morte, sin da quando a tre anni avevo pianto come una disperata
perché avevo trovato il mio pesce rosso Gino dritto come una
tavola da surf sul pelo dell'acqua della boccia. Tempo qualche ora e
già mi ero dimenticata, risollevata nello spirito
dall'arrivo di Gino 2.0, un altro pesciolino regalatomi da Lily. Era
bastato sostituirlo. Purtroppo con le persone non è
possibile e non è nemmeno giusto. Ma nella mia mente sarebbe
rimasta la convinzione che la zia fosse semplicemente in vacanza e,
ancora oggi, mi aspetto di vederla entrare da un momento all'altro
dalla porta con un sorriso smagliante, magari a braccetto con il signor
Kerry. È un modo stupido e infantile per non darla vinta
alla morte.
Portai una mano sulla fronte e cominciai a piangere; era troppo, troppo
da vivere in una giornata sola: dirle addio, vedere Nick a quattrocento
miglia lontano da casa sua, nella mia città. Le lacrime che
scesero lungo le mie guance furono di tristezza, ma anche di
consapevolezza - non solo speranza - di contare qualcosa nella vita
della persona di cui ero innamorata.
Mi accovacciai sul letto di fianco e cercai di calmarmi, mentre dalle
ante socchiuse della finestra s’intravedevano le prime luci
della sera che conferivano alla stanza un aspetto da film dell'orrore.
Stavo tentando in tutti i modi di prolungare quei momenti di
solitudine, conscia in realtà di dover abbandonare ben
presto il Paese dei Balocchi, in favore di un po' di sano ed autentico
disordine scozzese, gentilmente offerto dalla mia famiglia.
Ad un certo punto mi sentii accarezzare i capelli con dei movimenti
leggeri e delicati che mi fecero svegliare.
Cavolo, mi sono
addormentata.
- "Lily?" chiesi, intravedendo nell'oscurità la figura di
mia sorella, rischiarata dalla luce del corridoio.
- "Ben svegliata! - sussurrò con un briciolo
d’ironia - Pensi di scendere almeno per il dolce?
Già è stato difficile convincere mamma a
lasciarti riposare per le portate precedenti, rinunciando
così al suo arrosto e ai tre primi che aveva cucinato".
Ridacchiai e mi allungai come un gatto lungo il letto, prima di andare
in bagno per darmi un'occhiata. Tralasciando i due occhi gonfi dal
sonno e il segno del copriletto sulla faccia, potevo ritenermi
abbastanza decente da presentarmi a tavola con i miei e Nick.
A proposito... oh,
cacchio.
- "E Nick?" urlai a Lily dal bagno, sperando che cogliesse tutte le
domande sottintese ed incorporate in quella elementare che le stavo
ponendo.
- "Ho cercato di salvarlo dal ciclone Grace e l'ho confinato in fondo
al tavolo tra Byron e Alex: si sarà sorbito la storia dei Power Rangers
dalla nascita ad oggi, ma sempre meglio dei silenzi imbarazzanti di
papà e i 'ti
piacciono le lasagne? Non mangi gli antipasti? Non dirmi che hai
già finito di mangiare, eccotene un'altra badilata da mezzo
quintale!' della mamma".
- "Grazie, allora. Dammi un minuto e scendo".
- "D'accordo. Dopo ti dovrei parlare, ricordati e ricordamelo". Annuii.
Lei si avviò verso la scala e cominciò a
scendere; io finii di sistemarmi i capelli e la seguii fino alla sala
da pranzo. C'erano due posti vuoti con dei piatti sporchi - segno che i
nonni erano già tornati a casa - e il mio posto consueto che
mi attendeva. Nick stava conversando con Alex su qualche videogioco non
bene identificato e la brava vecchia Grace stava rimpinzando il povero
genero di formaggio per 'pulirsi la bocca' prima del dolce, come
sosteneva da innumerevoli anni.
- "Eccola. - m'indicò Byron per tentare di scrollarsi di
dosso l'attenzione della padrona di casa - Fame, Sam?" chiese con occhi
supplicanti, ma io non ebbi pietà.
- "Assaggerò solo la torta. C'è il famoso
cheesecake di Lily?".
Mia sorella non se lo fece ripetere due volte e lo prese subito dal
frigorifero, cominciando ad affettarlo e distribuendolo in meno di un
paio di minuti a tutti i commensali. Si schiarì la voce e
rimase in piedi, pronta apparentemente a fare un annuncio.
- "Io e Byron dovremmo dirvi una cosa: aspettiamo un altro bimbo".
Mia madre scattò in piedi con una velocità pari a
quella di una gazzella in corsa e si portò una mano sul
cuore, fiera di sua figlia, ovviamente quella che generava
vite, non quella traditrice scappata a Londra. Mio padre
abbozzò un sorriso, il massimo che si poteva chiedere ad un
burbero come lui e Nick si congratulò con mio cognato.
Probabilmente per l'abilità dei suoi spermatozoi.
Solo il piccolo di casa mise il broncio e cominciò a
sbuffare, il muso lungo che toccava la tovaglia. Posò la
forchetta in malo modo sulla tavola e incrociò le braccia.
Lo guardai un po' preoccupata e cercai di farlo ridere.
- "Non sei contento, puzzolino?" gli chiesi amorevole.
- "No! Non hanno chiamato bene gli angeli. Io avevo chiesto un
cagnolino".
- "Forse sarà per la prossima volta" cercò
d'incoraggiarlo Nick.
- "Mi dici come avete fatto tu e la zia Sammy a chiamarli per fare
uscire il cane? - oh
beato cielo! - Forse se lo insegnate anche alla mamma e
al papà anche loro poi sono capaci di farmi arrivare un
cucciolo".
Momento imbarazzante all'ennesima potenza: i miei che si guardavano
sconvolti dalla poca purezza della figlia, Lily che rideva sotto i
baffi e Byron che si complimentava con Nick. Anche lui per gli
spermatozoi?
- "Non stavamo parlando della gravidanza di Lily?" squittii isterica.
- "No! - s'impuntò Alex - Mamma, chiedi alla zia Sammy di
dirti come hanno chiamato gli angeli lei e Nick!".
- "Lex, te lo spiegheranno un altro giorno. Oggi parliamo del tuo
fratellino o sorellina" intervenne mio padre, trovando d'un tratto
interessante la decorazione del dolce e leggendo l'etichetta dello
spumante.
- "È troppo presto per saperlo. Sono solo di sette
settimane".
Mi avvicinai ad Alex e gli sussurrai nell'orecchio che sarebbe sempre
rimasto il mio preferito; chiunque fosse uscito dalla pancia di sua
madre non avrebbe mai potuto competere con il primo nipotino. E, dal
momento che era in una fase di adorazione mia e di Nick per la
performance con gli angeli che aveva fruttato un Golden retriever,
sorrise compiaciuto e ricominciò a leccarsi le dita sporche
di marmellata della torta. Lily gli spettinò i capelli e gli
diede un bacio sulla guancia con fare materno; sapeva di avere un
bambino intelligente che non avrebbe avuto problemi con l'accettare
l'arrivo di un membro più in famiglia, anche se
ciò avesse comportato qualche attenzione in meno.
- "Zia - insisté quello che entro poco sarebbe finito con
l'essere il mio nipotino morto strozzato -, forse tu e Nick potete
chiudervi in camera tua e chiamarli un'altra volta. Per me, per avere
un cane. Siete più bravi della mamma e del papà,
voi".
Rieccolo all'attacco.
Non ha un pulsante per spegnerlo?
Mia madre s’irrigidì sulla sedia e mi
lanciò un'occhiata in tralice.
- "Tesoro, vieni con la nonna in cucina" disse ad Alex, sperando di
farlo tacere con un po' di budino e, finalmente!, riuscendo a distrarlo
dalla conversazione più imbarazzante della storia. Lily
diede un calcio all'altezza dello stinco a Byron, che
sussultò spaventato, e gli indicò con dei
movimenti secchi della testa mio padre.
- "Ehm... uomini! - irruppe allora mio cognato - Che ne dite di un
goccio di autentico whisky scozzese in salotto? Così diamo
la possibilità a un cittadino come Nick di apprezzare un
liquore vero" propose in modo molto spontaneo. Nessuno ebbe qualcosa da
obiettare e i tre si mossero rapidamente verso il lungo corridoio che
conduceva alla stanza più isolata della casa.
Mia sorella mi arrivò subito alle spalle, occupando la sedia
che era stata del figlio.
- "Non sapevo che lavorassi al call-center di Dio... certo che con uno
così, anch'io una bella chiamata la farei"
esclamò sincera.
- "Ti scongiuro, non rivanghiamo gli attimi disastrosi che Alex mi ha
fatto vivere durante la cena" la implorai; al solo pensiero
dell'espressione di mio padre di qualche attimo prima rabbrividii.
- "Mica è colpa del mio cucciolo se sua zia si fa ripassare
dal belloccio di turno!" lo difese mamma chioccia.
- "Lily!" la rimproverai scandalizzata da tanta audacia verbale.
- "Non guardarmi così! Sono gli ormoni della gravidanza che
parlano. E comunque ribadisco che il ragazzo è notevole"
disse serafica.
- "Peccato che il suo cervello non sia altrettanto" soffiai.
- "Però è l'unico dei tuoi amici ad essere venuto
fin qui. Nessun altro si è fatto metà Paese per
un funerale e questo significa che ci tiene. Ah, se non fossi sposata,
con un figlio a carico e uno in grembo e con un cane da far arrivare in
qualche modo anch’io mi godrei la vita".
- "Mi duole deluderti, ma direi che la tua giovinezza è
ormai sfiorita e non puoi più permetterti di fare certe
cose". Stavo ovviamente scherzando, giacché Lily aveva solo
ventinove anni e sapevo che nel giro di pochi secondi mi avrebbe
rinfacciato che lei alla mia età era già sposata
e incinta.
- "Sarò clemente oggi e non risponderò a tono.
-disse, invece - So che è stata una giornata
pesante, perciò ti lascio andare a nanna, ammesso che tu
abbia ancora sonno".
- "Temo che prima di andare a dormire dovrò accompagnare
Nick in hotel".
- "Hotel? No, la mamma gli ha detto di restare. - Restare dove? Sotto il mio
stesso tetto, le mie tegole, i miei spazi vitali? -
Questo ovviamente prima di sapere che il ragazzo ha colto la tua
virtù, che, in realtà, si era persa per strada
secoli fa, ma lei mica lo sapeva".
- "Fantastico" esclamai ironica.
- "Dai, ora racimolo i miei uomini e torno a casa. Sono contenta di
averti visto, sorellina! - mi stritolò in un abbraccio -
Parti domani?".
- "Domani sera - annuii -, sarò a Londra per l'ora di cena.
Congratulazioni per il nuovo bimbo in arrivo".
- "Grazie. Tu vedi di farmi diventare zia prima che Alex mi renda
nonna!". Sembravo davvero così messa male?
Scoprii che Nick ed io avevamo prenotato lo stesso volo della British
Airways in partenza dall'aeroporto internazionale di Glasgow-Prestwick
alle 18.45. I miei si offrirono di dargli uno strappo, ma lui si
rifiutò asserendo di voler fare un giro in città
in solitaria prima di tornarsene a Londra.
Salutai tutti con la promessa di far loro visita presto,
ascoltai per la tremillesima volta le raccomandazioni di mia madre sul
mangiare e sul fare attenzione ai malintenzionati di cui apparentemente
solo la capitale era piena, feci il check-in e mi diressi al gate. Nick
era già seduto su una della lunga serie di poltroncine e
stava leggendo un giornale sportivo. Lo raggiunsi e mi sistemai accanto
a lui, costringendolo a notare il mio arrivo.
- "Non ti ho ancora ringraziato per essere venuto al funerale di zia
Annie. Davvero, lo apprezzo e... - abbassai lo sguardo imbarazzata -
Non sono molto brava in queste cose, però sono contenta che
ci sia stato tu
qui".
Ripiegò il giornale su se stesso, annuì
corrucciando le labbra e, a sua volta, distolse lo sguardo puntandolo
verso la famiglia che sedeva dietro di noi. Il suo silenzio non era
esattamente la reazione che mi aspettavo. Come al solito, un passo
avanti, dieci indietro; cosa carina seguita da comportamento freddo e
distaccato: da manuale.
La speaker dell'aeroporto lo tolse da ogni impiccio, annunciandoci che
stavamo per essere imbarcati. Ci confondemmo tra gli altri passeggeri
mentre ci trasportavano verso il velivolo, lo persi di vista e non lo
individuai nemmeno mentre mi sistemavo al posto indicatomi da una delle
hostess. Che avesse acquistato un biglietto di prima classe?
Affondai nel sedile e sfogliai una di quelle insulse riviste che si
trovano sempre sugli aerei e conversai con una signora e la figlia
tredicenne con dei capelli troppo brutti per essere veri. Perlomeno
servì a far passare il tempo; volevo tornare a casa, quella
vera, a Londra, sola; anzi con Romeo. Oh-oh. Ma se Nick era a Glasgow,
il mio gattone dove diavolo era? No, no, no. Non da Kay, un po' di
pietà!
Scesi dall'aereo ed andai a recuperare il bagaglio, intenta a frugare
nella borsa per trovare il cellulare. Presi al volo il piccolo trolley
che avevo portato con me e chiamai Kay.
- "Sam, ho saputo di tua zia, mi dispiace tanto. Sarei tanto voluta
venire al funerale, ma non potevo muovervi da Londra. Condoglianze,
cara" parlò a raffica, indisponendomi già al solo
sentire la sua voce. Poco da fare: non la tolleravo.
- "Grazie. Senti, ma Romeo è con te?" venni subito al sodo.
- "Sì, sì. Nick me l'ha portato prima di partire,
vuoi che te lo porti?". Qualcuno mi strappò dalle mani il
telefono e cominciò a parlare al posto mio.
- "Ciao, cugina. Passiamo noi, tranquilla. A dopo". Nick
riattaccò e mi restituì il cellulare.
Allora sa parlare!
Miracolo!
Aveva un piccolo borsone dall'aria pesante su una spalla e sembrava
stanco. Dopotutto, non aveva potuto dormire quasi tutta la sera
precedente come la sottoscritta.
- "Non ho mai voluto un passaggio veramente" gli feci notare.
- "In effetti, non te l'ho mai offerto" fece spallucce.
- "Ma hai detto passiamo... ".
- "Non te l'ho offerto, perché ho dato per scontato che
tornassi con me". Presuntuoso del cavolo.
- "Non ho voglia di vederla" mormorai nel fuoristrada parcheggiato
davanti a casa di Kay da ormai una decina di minuti. Era stata una
giornata pessima e bellissima allo stesso tempo, si era bilanciata da
sola, ma ero certa che se avessi incontrato la pseudo fidanzata di Will
tutto quell'equilibrio si sarebbe perso, propendendo a favore della
parte schifosa.
- "Ti ha tenuto Romeo per questi giorni, potresti sforzarti un minimo"
cercò di farmi ragionare Nick.
- "Non ho voglia di vedere nessuno" sentenziai imbronciata.
- "Neanche me?".
- "Tu sei... tu. E sei... qui". Era così ovvio!
- "E quindi?" m'incalzò.
- "Non posso scegliere di vederti" dissi infine, con un tono scocciato.
- "Non fa una piega, Sammy" mi prese in giro.
- "Non mi va di fare niente". Abbandonai il collo sul poggiatesta e
sperai che arrivassero quelle magiche parole.
- "Vado dentro io. - arrivate! - Un paio di minuti ed esco".
Mantenne la parola, arrivando poco dopo con Romeo arrabbiato e
miagolante nel trasportino. Lo sistemò sul sedile posteriore
e mi riaccompagnò a casa. Fermò l'auto appena
sotto il mio condominio e si girò a guardarmi,
un'espressione mista di stupore e preoccupazione.
- "Stai per piangere? - Scossi la testa energicamente, quando le prime
lacrime già cominciavano a scendere lungo le guance - Non
c'è niente di male, Sammy". Spostò una ciocca dei
miei capelli dietro l'orecchio destro.
- "Vuoi un gelato?" chiese all'improvviso.
- "Nick, non sono Alex! Non basta un gelato per farmi passare tutto"
gli feci notare, non senza riuscire a sorridere per l'offerta
stupidissima che mi aveva fatto.
- "Un Martini?" domandò furbo. Scossi la testa, fingendo
indecisione.
- "Già cominciamo a ragionare, ma credo che
passerò per stasera".
- "Uno strip-tease?". D'accordo, ora aveva per certo un tono sexy.
- "Nessuno ti ha mai detto che fai proprio pena come consolatore di
giovani donne?". Lui m’ignorò e sospirò
rumorosamente con finta aria scocciata.
- "Un abbraccio? Ti avverto, è la mia ultima offerta".
Mi allungai sul sedile del passeggero senza esitazioni e gli misi le
braccia attorno al collo, con il solo risultato di piangere ancora
più forte di prima, mentre le sue mani mi cingevano il busto
fino a stringere la stoffa del mio cappotto. Mi sentii accarezzare i
capelli con delicatezza e questa volta, a differenza di quanto avvenuto
alla stazione di London Bridge, lo lasciai fare, perché
avevo un disperato bisogno dei suoi goffi tentativi di farmi sentire
meglio. E tra le sue braccia, l'intera situazione era migliore,
già per il solo fatto di essere con lui. Dopo dieci minuti
di pianto ininterrotto, cercai di recuperare un po' di contegno e di
normalizzare i movimenti scoordinati del diaframma, respirando con
regolarità. Mi staccai da lui e lo vidi sorridere.
- "Meno male, frignona. Stavo per avere una paresi agli arti superiori"
ridacchiò e si stiracchiò.
- "Mi mancherà" sospirai mesta.
- "Lo so, Sammy, lo so" disse in un microsecondo di serietà.
- "Posso avere un altro abbraccio?" chiesi, facendo la faccia da
cucciolotta che tanto sarebbe piaciuta a Valerie.
- "Cosa? Non te ne starai un po' approfittando?". Era più
forte di lui; pur di togliersi dall'imbarazzo del momento era disposto
a comportarsi da imbecille insensibile.
- "Colpa tua che mi fai ascoltare queste canzoni tristi!" brontolai.
- "Tristi? È George Michael, più gaio di
così!".
- "E tu stai approfittando della mia condizione per rifilarmi battute
d’infima categoria". Scendemmo dall'auto e lui
scaricò la mia valigia dal portabagagli posteriore.
- "Non stai così male se usi parole come infima. Fai parte
del Comitato
per il Recupero dei Termini Caduti in Disuso'"
scherzò richiudendo il baule.
- "Sono troppo intelligente, che ci vuoi fare? - mi pavoneggiai,
ringraziando il mascara waterproof che speravo stesse resistendo -
Allora, questo abbraccio?" insistei, piagnucolando.
- "Uffa! Ma non andare in giro a dire che sono un uomo dal cuore d'oro
poi".
Aprì le braccia con fare annoiato ed inclinò la
testa in attesa che io mi facessi avanti e lo stritolassi come un
orsacchiotto. Ed io non me lo feci ripetere due volte.
- "Non c'è pericolo, Nick" lo rassicurai.
- "Credo che sia l'unica volta in cui abbiamo trascorso del tempo
insieme senza scannarci. Wow, stiamo crescendo" osservò
stupito.
- "Tu stai
crescendo. Io sono già cresciuta" misi subito in chiaro.
- "Sto per mollare la presa" minacciò.
- "No no!" mi opposi, stringendo di più le braccia attorno a
lui. Appoggiai la testa nell'incavo del suo collo, inclinandola verso
l'interno. Non so se sia stata una follia momentanea, l'incredibile
vicinanza con Nick, lo scombussolamento emotivo provocato dal funerale
o ancora le parole della zia, ma il risultato fu una Samantha Grayson
particolarmente lasciva che tracciava una lunga scia di baci umidi sul
collo del ragazzo che la stringeva.
Vidi il suo pomo d'Adamo alzarsi e abbassarsi rapido e in un estremo
slancio di pazzia, indietreggiai di una decina di centimetri, giusto
per leggere una palese insicurezza nei suoi occhi glaciali. Mi
avvicinai di nuovo, baciandogli a sorpresa il labbro superiore e
passando poi leggera la lingua su quello inferiore, piano. Alzai lo
sguardo e notai il grosso punto di domanda che aveva stampato in faccia.
Non sprecare tempo... non sempre c'è un secondo treno.
Aspettai tre secondi -ennesima teoria di Lily: se ti vuole rifiutare,
lo farà in quel mini lasso di tempo- e notai che non si era
mosso di un millimetro, gli occhi puntati nei miei, in attesa di un mio
primo passo. Ed io lo feci: mi alzai sulle punte delle ballerine, gli
misi una mano alla base del collo e lo baciai; mi posai con delicatezza
e senza fretta sulle sue labbra e giocai con esse finché non
lo sentii rispondere con passione e stringere più forte tra
le dita la stoffa del mio cappotto, sulla schiena. Mi
avvicinò ancora di più a lui con prepotenza,
sovrastandomi al punto che dovetti reggermi completamente alle sue
braccia per non cadere all'indietro. La mia lingua era intrecciata alla
sua ed io sentivo così tante farfalle svolazzare nello
stomaco che temevo di scoppiare o di causare un uragano negli Stati
Uniti.
Cominciate a farli
evacuare perché non garantisco nulla!
Mi teneva così stretta che sarei potuta soffocare, ma non me
ne importava. Ci fermammo soltanto quando cominciammo ad avvertire un
certo debito di ossigeno. Mollammo d'istinto la presa che ciascuno dei
due aveva sull'altro e ci allontanammo di qualche passo, mentre
realizzavo che non sarei riuscita a nascondere un sorriso compiaciuto a
lungo.
- "Grazie... del passaggio" dissi, quasi ansimando, riprendendo a
respirare. Rimase senza parole e annuì, grattandosi la
testa, confuso.
Dovetti usare tutto il self-control in mio possesso per non rituffarmi
su quelle labbra carnose che ora stava sensualmente umettando e per non
saltellare come una bambina dalla felicità fino
all'ascensore - Romeo non avrebbe gradito il terremoto.
Lo lasciai sul marciapiede in preda ai suoi pensieri: ne avevo a
sufficienza dei miei, sconci.
Mentre salivo fino al mio piano, non potei non notare il sorriso a
trentadue denti che s'intravedeva sulla pulsantiera. Entrai in casa con
il cuore a mille e lasciai scivolare la schiena sulla porta di casa,
fino al pavimento. Scovai nella penombra un oggetto poggiato su una
mattonella: accesi la luce e vidi che era il libro di zia Annie -
consegnatomi dal signor Kerry - che doveva essermi caduto prima di
partire. Il famoso rumore. Lo aprii alla pagina in cui era infilato il
segnalibro e lessi le poche righe sottolineate a matita.
Non
sprecare il presente a preoccuparti del futuro.
Arriverà
presto, te lo prometto.
Nel
frattempo, su la testa, infilati le scarpe e segui il tuo cuore fino in
capo al mondo.
E
mentre cammini, ricorda sempre che ogni giorno
è
un dono prezioso: se riesci a godertelo per quello che è
e
a coglierne il meglio, che tu ci creda o no
ti
aspetta un altro straordinario regalo: Domani.
Quella sera mi addormentai con il sorriso sulle labbra. Sì,
proprio quelle su cui poco prima c'erano state le sue.
No,
non è un miraggio e no, non siete vittime di un colpo di
sole: ho davvero aggiornato! Come qualcuna di voi avrà
letto, sono stati giorni d’inferno gli ultimi, tra
disavventure sentimentali di amiche da soccorrere, vari incidenti con
il computer, con l'editor Nvu, con sedie che si rompono e con questo
maledetto capitolo che non voleva saperne di essere pubblicato. L'ho
cambiato, l'ho rigirato e modificato un'infinità di volte e
questo è il massimo che sono riuscita a fare. E’
sicuramente più serio di altri, ma d’altronde
parlando di morti e funerali non poteva che essere così. Mi
spiace aver sacrificato la zia Annie, ma serviva all'obiettivo :(
Il
titolo è diventato una fusione tra due canzoni; quella dello
scorso -"Time to say goodbye" dei Simple Plan- e "Good life" che sto
ascoltando in continuazione da giorni dei One Republic.
Nel
capitolo, più lungo del solito, ci sono dei riferimenti a
due autori: l'ultima frase è presa dal libro "Coccoliamoci"
di Bradley Trevor Greive, mentre "sii la custode dei tuoi sogni"
è contenuta ne "La musica del silenzio" di Sergio
Bambarén.
Il
riferimento, invece, alle farfalle nello stomaco che producono uragani
riguarda la teoria del Butterfly Effect ("Si dice che il minimo battito
d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano
dall’altra parte del mondo").
Vi
ringrazio come sempre di tutto -e soprattutto della pazienza :) Ora
rispondo alle vostre gentilissime recensioni!
Ci
saranno di sicuro errori, cercherò di correggerli tutti.
Un
bacio
Sandra
|
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Capitolo 28 *** Capitolo 28. Fleetwood Mac-Cord. ***
Capitolo ventotto. Fleetwood Mac-Cord.
Al tre cominci, Samantha. Uno, due, tre... tre. Tre. Tre. No, non appoggiare la testa sul tavolo e non chiudere gli occhi. Stiracchiati per bene e comincia. La vita ti ha appena dimostrato che c'è peggio di questo. E dell'odore di sudore sulla metropolitana. Anche d'inverno.
Seduta al tavolo della cucina, di prima mattina, in un castissimo pigiama di flanella a quadrettoni da fare invidia ai protagonisti de La casa nella prateria, i capelli raccolti in uno chignon stentato, c'ero io, provata emotivamente dagli ultimi eventi, e fisicamente dal più recente episodio di sbavamento sullo stripper.
Allungai la mano verso la grossa agenda traboccante di biglietti e scontrini che sembrava fissarmi beffarda dall'altra estremità della tavola; avevo rimandato e procrastinato all'infinito quel momento, ma ora era proprio inevitabile: dovevo fare i conti del mese, sommando bollette, spese varie - si possono definire 'varie' anche se il 90% finisce tutto sotto la voce scarpe? - e qualche uscita. Presi le buste e cominciai a scartarle, buttando distrattamente un occhio sulle cifre e riportandole sopra una delle pagine del diario. Mentre per luce e gas i conti variavano da stagione a stagione, se c'era qualcosa che si potesse definire puntuale e preciso nel groviglio scoordinato che era la mia vita, quello era senz'altro l'importo da pagare per l'uso del telefono, internet e del cellulare; mi ero auto-imposta un pacchetto tutto compreso per evitare di trovarmi a dover saldare conti milionari per chiamate, messaggi ed e-mails. Sessantacinque precisissime sterline ogni mese che costituivano uno dei rari punti fermi della mia esistenza, insieme alla visioneMarcJacobscentrica del mondo.
Perciò fu più di una sorpresa - un vero e proprio trauma con annesse conseguenze nefaste - scoprire che la bolletta di novembre prevedeva un enorme, gigante aumento di dieci sterline. Settantacinque. Fissai scioccata il foglio di carta della compagnia telefonica con quell'imprevisto e imprevedibile sette che sembrava aver puntato su di sé un enorme faro televisivo.
Scorsi rapida il dettaglio delle chiamate, finché non ne trovai una intercontinentale, esattamente negli Stati Uniti. Stati Uniti? Per quanto mi sforzassi di ricordare, proprio non rammentavo di aver mai telefonato a Will, soprattutto dopo la discussione che avevamo avuto prima della sua partenza per Portland. Perciò era improbabile se non addirittura impossibile che avessi avuto un contatto con l'America. Guardai le cifre disponibili del numero del destinatario e le digitai sul cellulare, confidando nel riconoscimento automatico del telefonino e la mia mascella cadde a terra dallo stupore nel vedere scritto sul display il nome della rubrica a cui corrispondevano quei primi numeri: Nick.
Nick. Stati Uniti. Qualcuno doveva essersi dimenticato di dirmi qualcosa.
In quell'istante un visitatore si attaccò al campanello di casa, producendo un martellante suono continuo che mi costrinse a tapparmi le orecchie e ad andare ad vedere chi fosse, ciondolante come un'ubriaca. La voce squillante di Warren mi anticipò, ancora prima di aprire la porta, che qualcuno era in modalità nonvedol'oradiraccontartituttalamiavitae, non appena spalancai l'uscio, lui entrò investendomi completamente con la sua parlantina.
- "Zucchero, tesoro, mi spiace tanto per la zia! - mi posò un bacio veloce sulla guancia, non senza aver notato con orrore la condizione pessima del mio attuale vestiario – Non sono proprio potuto venire a Glasgow né tanto meno tornare a Londra, visto che il mio capo mi aveva fatto andare a Plymouth. Sono state giornate d'inferno, senza nessuno che mi stesse a sentire, che mi ascoltasse durante i miei deliri mattutini. La gente del posto sa davvero essere superficiale: non mi ha degnato di uno sguardo! Intendiamoci, ero vestito da camionista, ma sono un bocconcino esplosivo anche con un kilt ed un imbuto in testa. Non so che avessero nella zucca quei campagnoli incivili. E dire che mi sono anche fermato a dare un consiglio ad una ragazza: le ho detto con garbo che sembrava una balena spiaggiata con quella minigonna aderente leopardata; e lei sai che mi ha detto? Che erano affari suoi e io le ho giustamente risposto che il fatto che lei mi imponesse di vedere quello scempio faceva dell'intera faccenda un caso di Stato... i miei occhi stanno ancora bruciando per quella insolente dai capelli crespi. Dio, Sam, erano peggio dei tuoi... ci credi? - per fortuna non lo stavo ascoltando, intenta ancora a pensare come si potesse dire 'con garbo' a qualcuno che sembrava un cetaceo arenato - Spero che ti possa consolare almeno il fatto di sapere che ero con un bel maschione di 80 kg di carne fresca e scelta con delle chiappucce da frustare". In che modo esattamente questa notizia avrebbe dovuto alleviare il mio dolore non era dato sapersi.
- "Mi sento molto meglio ora, Warren. Ti ringrazio" esclamai, incredula di essere riuscita a dire due parole nella fiumana incontenibile di Warren.
- "Ho dovuto fingere di essere etero per tutto il tempo: uno strazio. Se avessi visto il povero Lady Oscar; è stato sempre vigile di fronte ad André".
- "Il tizio si chiamava André?" chiesi curiosa.
- "No, il suo culo si chiama André. - si accasciò sul divano con aria sognante - Sono sicuro che avremmo fatto una grande festa alla Corte di Francia insieme".
Prese dalla tasca del cappotto un sacchetto di carta accartocciata ad un'estremità e lo lanciò sul tavolo. Ne seguii la traiettoria come un leone che ha individuato la sua preda e lo acciuffai non appena atterrò in malo modo sulla mia agenda, scatenando una pioggia di scontrini.
- "Sto morendo di fame. - urlai felice, pronta già a gustarmi un bel croissant caldo di forno. Lo aprii con l'acquolina in bocca a mille, quando vidi con immenso dispiacere che c'era solo un paio di manette pelose da sexy shop. Nulla di commestibile, o meglio: avrei potuto mangiare il pelo, ma a mio rischio e pericolo - Neanche un paio di mutande fatte di caramelle?" lagnai.
- "L'ho fatto per tirarti su di morale!" si giustificò offeso di tanta ingratitudine.
- "Quindi vuoi che ti leghi al letto e cominci a picchiarti finché non mi sento meglio?" suggerii.
- "Certo che no" sbuffò scocciato, levando le pupille verso l'alto.
- "Vuoi che mi leghi al letto finché non sei tornato con una brioche in mano per sfamarmi e quindi sentirmi meglio?" ritentai.
- "No, Zucchero. Voglio che ci leghi Nick al letto, così ti sentirai meglio".
- "Voglio anche il frustino allora! " scherzai.
- "C'era anche quello nel kit, ma ho pensato che lo dovessi testare io prima; sai, è un po' pericoloso. Ma non temere: poi te lo faccio provare e potrai usarlo benissimo e farci tutte quelle cose alla 'frustami e dimmi che sono porca' - improvvisò un balletto ridicolo che avrebbe fatto vergognare ogni singolo essere umano sulla Terra - che ami tanto".
Quest'immagine che si era fatto di me proprio non capivo da dove derivasse: a parte il sesso-bufala in camera di Nick, non ricordavo di avergli dato alcuna ragione di supporre che io fossi una ninfomane pornostar pronta a tutto pur di fare un giro sulla giostra: quella non ero io, era lui!
Mi limitai ad annuire e lui si alzò per scartabellare i vari foglietti e scontrini che erano sparsi sul tavolo e sul pavimento.
- "Stai controllando quanto ti costa il gigolò ogni mese?" gracchiò.
- "No, sto controllando quanto tempo risparmierei se evitassi di ascoltarti" risposi piccata.
- "Uh, percepisco una certa acidità nell'aria. Zucchero, è proprio ora di contattarlo quel gigolò! Che ne dici di, non so... uno stripper, ad esempio? Capelli castano chiaro, occhi di ghiaccio, chiappe d'acciaio? - Un sorriso ebete mi comparve sul viso, memore di quanto successo la sera precedente sotto il mio condominio - Cos'è quella faccia da pesce lesso?" m'interrogò Warren.
- "E' successa una cosina ieri". Il mio amico mi guardò in trepidante attesa.
- "E cioé?" chiese malizioso.
- "L'ho baciato. Ed è stato meraviglioso, stupendo, eccitante". Mosse le mani in aria neanche fosse un pennuto e continuò a guardarmi con interesse e attenzione.
- "E...?" m'incitò.
- "E favoloso. Non so quanto ancora resisterò prima di dirgli che sono innamorata di lui; se fosse qui lo farei in questo stesso istante".
- "Tesoro, dicevo e dopo cosa è successo?" arrivò direttamente al sodo, spazientito dalle mie divagazioni.
- "Niente, poi ognuno per la sua strada" feci spallucce.
- "Ma tu mi dici meraviglioso, stupendo, eccitante, favoloso ed alla fine scopro che gli hai dato un misero bacetto? Zucchero, a dodici anni puoi dire che un bacio è eccitante. A ventiquattro, per usare quell'aggettivo deve averti fatto almeno un po' di lavoro di mano".
- "Non era un bacetto... ci siamo baciati con la lingua!" mi sentii una perfetta idiota dopo aver detto una frase così stupida per dimostrare che non avevo dodici anni.
- "Uuuh! - mi prese in giro, aspirando aria rumorosamente - Trasgressiva!".
Riuscii a convincerlo a scendere al bar vicino per comprarmi una brioche prima che mi schiantassi al suolo, colta da un mortale calo di zuccheri causato dalla penuria di cibi in casa. Il cordless di casa suonò ed io risposi a botta sicura, praticamente certa che quella checca si fosse dimenticata per la quarantesima volta che volevo un croissant alla crema.
- "Crema, Warren. Stramaledettissima crema!" urlai nel telefono.
- "Buono a sapersi, Sammy" rispose la voce di Nick dall'altra parte.
- "Ah, sei tu. Perché non mi chiami al cellulare?" diventai bordeaux.
- "Perché è spento, genio. - Ops! - Senti... ti va se ci vediamo per pranzo? Magari al bar vicino alla tua redazione, diciamo per l'una?". Mi ha invitata a pranzo? Mi ha invitata a pranzo? MI HA INVITATA A PRANZO? Improvvisai un balletto della gioia che venne interrotto qualche secondo dopo perché avevo già il fiatone.
- "Per-perfetto" risposi, ringraziandolo mentalmente perché mi stava offrendo la possibilità di fargli il terzo grado su quel dilemma della chiamata intercontinentale.
- "A dopo" riattaccò.
Accesi lo stereo con le gambe che ballavano impazzite sul pavimento e feci cadere metà dei cd che avevo diligentemente impilato nell'apposito contenitore, nel tentativo di trovare quell'album. Scelsi la canzone, afferrai il telecomando dell'hi-fi a mo' di microfono e cominciai a cantare.
If you wake up and don't want to smile,
If it takes just a little while,
Open your eyes and look at the day,
You'll see things in a different way.
Don't stop, thinking about tomorrow,
Don't stop, it'll soon be here,
It'll be, better than before,
Yesterday's gone, yesterday's gone.
Dont' Stop...
Stava per iniziare la seconda strofa, quando, nella mia disorganizzata performance, mi voltai in direzione della porta, scorgendovi un Warren piuttosto incredulo. Mi fermai e per un attimo capii cosa avesse provato Michael Bublé nel video di Haven't Met You Yet: lui tutto contento che canta in un supermercato con cassieri e clienti intenti a ballarci insieme e, al momento topico, dopo il suo bell'acuto finale, si accorge che è stato un sogno ad occhi aperti e che l'unico sfigato che sta cantando è lui, mentre tutto il resto del mondo lo fissa come un povero scemo. Ecco, stavo facendo la figura della povera scema.
- "Che. Diavolo. Stai. Facendo? - mi fissò con gli occhi fuori dalle orbite, incredibilmente serio. Abbassai subito la musica, uno sguardo sommesso che non ricordavo di aver avuto nemmeno da piccola, quando mia madre mi sgridava. Riprese fiato e cercò di controllarsi, ma poi esplose - Il secondo yesterday's gone è mio!".
Cinque minuti in anticipo. Ero cinque minuti in anticipo, colpa della colonia di farfalle che si erano stanziate apparentemente per sempre nel mio stomaco. Attesi impaziente che la lancetta dei minuti si posasse sul dodici, segnando l'ora piena. Non appena anche quella dei secondi arrivò su quello stesso numero, Nick MacCord fece il suo ingresso nel bar, più puntuale di uno orologio svizzero. Fece una faccia perplessa non appena mi vide da lontano, ma si avvicinò ugualmente a passo svelto e si accomodò di fronte a me.
- "Il sole di oggi deve avermi tirato un brutto scherzo: credo che tu sia un miraggio perché è impossibile che tu sia arrivata prima di me" ridacchiò.
- "Ero già in zona. - mentii. Ero ancora a casa, struccata, svestita e con un Justin Timberlake dei poveri che cercava di imitare lo mosse degli N'Sync nel salotto che non voleva saperne di ritornare sul suo camion - Sono contenta che tu mi abbia chiamato" ammisi, nervosa come una ragazzina al primo appuntamento. Una dodicenne forse?
- "Era la cosa giusta da fare, prima o poi ne avremmo comunque dovuto parlare, non credi?" rispose, leggendo il menu con interesse.
- "Non mi avevi detto di essere stato in America" sparai, sorprendendo lui e me stessa.
- "In America?" sollevò un sopracciglio con una espressione di stupore disegnata su tutto il viso.
- "Già. Mi è arrivata la bolletta telefonica e pare proprio che abbia fatto una chiamata intercontinentale. A te" aggiunsi con aria seria e sospettosa.
- "Avrei dovuto dirtelo?". Non mi aspettavo quel repentino cambio di versione e per qualche istante tacqui, non sapendo cosa diavolo controbattere ad una domanda del genere.
- "Sarebbe stato carino". Nick abbassò il menu e mi guardò negli occhi.
- "Carino non significa che sarebbe stato necessario. O utile".
- "Giuro che non so come prenderti" mi arresi.
- "Io, invece, l'ho saputo fare con te quella famosa sera,no?". Disgustoso e fuori luogo.
My heart is hanging on every word you say
Right now all logic's stripped away
It doesn't analyze your sincerity
It only listens and believes
Be careful what you're saying
You're talkin' to my heart
Talking to my heart
Mi alzai indignata dal tavolo, seccata a morte da quell'atteggiamento spavaldo e arrogante che conoscevo ormai a memoria, che però, mai prima di allora era sfociato in tanta volgarità. Probabilmente si era rifugiato in quell'affermazione tutt'altro che delicata per togliersi dall'impiccio di rispondermi con un qualcosa di più consistente di una squallida battuta.
Si allungò sul tavolo e mi afferrò per il braccio, trattenendolo, per costringermi a farmi sedere di nuovo.
- "Scusa, ho esagerato" si giustificò.
Lo assecondai e mi riaccomodai sulla sedia, con un umore ora tutt'altro che rilassato e girando la faccia in direzione della finestra accanto a noi. Una cameriera venne a prendere le ordinazioni, ma nessuno dei due aveva idea di che mangiare, perciò le chiedemmo di tornare dopo qualche minuto. Se ne andò sorridente, lasciandoci di nuovo soli, di nuovo in un imbarazzante silenzio.
- "Ero in America... contenta?" esclamò lui, scocciato.
- "Perché?" fu l'unica domanda che uscì dalle mie labbra. Nick sbuffò e si risistemò sulla poltroncina, in evidente disagio.
- "Mi ripeti spesso che siamo amici e, non so come, sto finendo col crederci. Perciò... fidati" mi fissò con quell'aria angelica che avrei tanto voluto prendere a schiaffi. Ovviamente prima di saltargli addosso.
Rimuginai e meditai su quell'ultima parola qualche istante, confusa e senza nulla di intelligente da dire; mi stava chiedendo di dargli fiducia, di credere in lui e mettere da parte la mia innata curiosità, ben sapendo quanto mi costasse farlo. E allora seppi cosa avrei dovuto fare.
- "No" esclamai con voce ferma. Lo vidi tentennare, come se non avesse nemmeno contemplato l'idea che avessi potuto rispondere in quel modo. Qualche secondo di smarrimento e l'imperturbabilità ritornò ad albergare sul suo viso.
- "No cosa?" chiese serio.
- "Perché eri in America?" ignorai la sua domanda e andai dritta al punto, cosciente del fatto che più avessi cercato di impormi, più lui mi sarebbe sfuggito.
- "Non mi piace il tono che sta assumendo questa conversazione" disse infatti duro.
- "Non riesco a fidarmi. - ammisi. Si appoggiò con tutta la lentezza del mondo allo schienale della sedia, lasciando le lunghe braccia muscolose mollemente abbandonate sul tavolo - Sei stato ambiguo con me in molte occasioni e mentirei se dicessi che ti credo al 100%. Voglio che tu sia..." venni interrotta a metà della frase.
- "Se lo sono stato un motivo ci sarà ma non sono sicuro che siano affari tuoi. E comunque non mi pare che finora tu ti sia lamentata della mia ambiguità" osservò acido.
- "Lo sto facendo ora" gli risposi con tutta la tranquillità di cui disponevo.
- "Ho sempre l'impressione che tu voglia affrontare i discorsi solo quando ti fa comodo o quando si tratta di fatti che non ti riguardano". Si stava innervosendo e non riusciva a nasconderlo.
- "Il tuo atteggiamento non ci porterà lontano in questa discussione" gli feci notare, un po' intimorita dalla piega - direi disastrosa - che stava assumendo la chiacchierata.
- "Bene, allora mi preoccuperò di mantenerlo perché non ho alcuna intenzione di continuarla". Credevo si sarebbe alzato e che, furioso com'era, avrebbe raccolto cappotto e sciarpa per uscire dal bar senza aggiungere nulla. Invece, rimase seduto e si limitò a puntare lo sguardo sulla televisione appesa alla parete, sulla sua destra.
La cameriera ritornò provvidenziale a prendere le ordinazioni ed io optai per un panino vegetariano con maionese e un'acqua frizzante per digerire un sandwich che non volevo e le parole - ancor più pesanti da mandare giù - di Nick. Tipo una peperonata. Da tre tonnellate.
Lui, nel frattempo, non scrollava gli occhi di dosso alla tv, seguendo con interesse crescente le notizie del telegiornale. Cominciai a dondolare una gamba contro la sedia, con il solo risultato di essere ancora più nervosa di prima; mi faceva impazzire già la sola idea di trovarlo perfettamente rilassato e a suo agio dopo il nostro diverbio, mentre io mi stavo rodendo il fegato. Mi passai una mano nei capelli e ticchettai con le dita sulla superficie liscia della tavola che ci separava. Sbuffai, sospirai, mi voltai in qualsiasi direzione - tranne che nella sua - alla ricerca disperata di un appiglio a cui aggrapparmi per non dover riprendere la conversazione o, peggio ancora, incontrare i suoi gelidi occhi severi. Sperai invano che uscisse da qualche tombino in mezzo alla strada, dal bagno del bar o da una mongolfiera in cielo qualche faccia conosciuta: una collega -dannazione, la redazione era in fondo alla strada! -, un conoscente, qualche amico di amici di amici di amici con cui attaccare bottone. Chiunque, porca miseria!
Intravidi la salvezza quando notai con la coda dell'occhio l'adesivo che indicava il bagno su una porta laterale.
- "Scusami un attimo". Mi gettò un'occhiata distratta e poi riprese a guardare il servizio sull'NBA in tv.
Arrivai di fronte alla toilette solo per notare quanto fosse gremita: c'era un rave lì dentro? Per un attimo maledii la tendenza tutta femminile di portarsi appresso tutte le amiche persino per fare pipì. Girai i tacchi e tornai rassegnata al tavolo, un piglio deciso che traspariva dalla voce.
- "Possiamo parlare?" dissi sicura.
- "Non sono sicuro sia una buona idea dopo quello che è successo". Ecco l'imbarazzante momento di affrontare le conseguenze di quanto accaduto di ritorno da Glasgow.
- "Okay ti ho baciato, quante storie. Come se fosse la prima volta, poi. Una volta io, una volta tu... non mi sembra una tragedia. Capisco che possa averti sorpreso, ma era un momento particolare e tu sei stato così carino con me che in un attimo di debolezza mi sono sentita di farlo. E comunque non mi pare tu ti sia tirato indietro: se è piaciuto a me lo stesso vale per te".
- "Parlavo della discussione di poco fa" sogghignò davanti alla mia figuraccia.
- "Ah, giusto, certo. D'accordo, parliamo della discussione di poco fa; sei stato un po' aggressivo, non credi? Io volevo solo...".
- "Ti è piaciuto baciarmi?" sorrise compiaciuto addentando il panino superfarcito che la cameriera gli aveva appena consegnato.
- "Non ricordo" tagliai corto. Possiamo riprovare? Solo per rinfrescarmi la memoria, ovviamente.
Strappai con le mani un pezzo di panino e lo infilai veloce in bocca, giusto per tenerla occupata, senza correre il pericolo di farne uscire qualcosa di sconveniente. Ancora.
- "Bugiarda. Io sì: - poggiò i gomiti sul tavolo, si sporse verso di me e abbassò la voce di qualche tonalità - ricordo perfettamente quando hai passato la lingua umida sul mio collo e poi sulla mia bocca. Mi hai persino dato un piccolo morso, forse senza nemmeno rendertene conto; adoro i morsi sulle labbra, sono qualcosa di estremamente eccitante, da capogiro. - Perfetto, sto andando a fuoco solo a sentirlo parlare - Non ti facevo così intraprendente, Sammy, sei un piccolo diavolo tentatore". Toccò con l'indice della mano sinistra la punta del mio naso e si fermò solo quando incontrò il solco formatosi tra le mie labbra socchiuse. Vi strisciò il dito con delicatezza e se lo portò alla bocca, leccandone la sommità lentamente. Mai desiderato essere un dito in vita mia. Tranne qualche volta il medio, soprattutto in direzione di Harmony.
All I know is the way that I feel
Whenever you're around
You've got a way of liftin' me up
Instead of bringing me down
You look at me and I just melt
I'm scared of feeling that way
Love in store
- "Adoro la maionese" si giustificò. Cercai di trattenere l'impulso di aprire il panino a metà e spalmarmi la salsa sulla faccia e sul resto del corpo perché fosse lui a pulirmi - con la lingua, chiaramente -, salvo poi arrossire dubito dopo al pensiero tanto ardito da farmi scattare sulla sedia. Nick si gustò l'espressione beota che avevo stampata in faccia e, bevendo un sorso della sua Coca-Cola, si voltò ancora verso la televisione accesa.
Avvertii la suoneria del mio cellulare e mi affrettai a prendere la borsa per cercarlo, ma nel momento in cui stavo per rispondere, quello smise di squillare. Pochi secondi e mi arrivò un messaggio da parte di Warren: Stasera. 23.30 al Poison. Inutile dirti che devi vestirti da poco di buono. W.
Digitai veloce una risposta affermativa e tornai a concentrarmi sull'affascinante uomo che di fronte a me che stava affascinantemente guardando la tv. Diedi qualche morso al panino e quasi balzai in piedi quando Nick fece stridere forte sul pavimento le gambe della sedia, alzandosi, pallido in volto e deciso a rivestirsi e pagare in meno di tre secondi.
- "Che succede?" gridai allarmata, deglutendo a fatica il pezzo di pane che mi si era incastrato in gola.
- "Devo andare, scusa. N-ne parliamo un'altra volta". Aprì frenetico il portafoglio e lasciò qualche banconota sul tavolo, accanto al sandwich mangiucchiato per metà. Mentre Nick quasi travolgeva una cameriera che gli inveì contro, io mi girai meccanicamente verso lo schermo attaccato alla parete che stava trasmettendo un servizio sull'omicidio di tale Clive Burton, un signore di mezza età trovato morto in casa, probabilmente a causa di una rapina finita male. Niente foto, però, nessun dettaglio in più. Una storia come un'altra, di quelle che purtroppo vedi ogni sera in televisione e che il giorno dopo passano già nel dimenticatoio.
Nick lo conosceva? Un'ulteriore domanda da appuntarsi e da sottoporre all'attenzione del signor MacCord, non appena ne avesse avuto il tempo ovviamente. Più il mistero attorno a lui s'infittiva, più lui diventava ai miei occhi fin troppo intrigante.
Yes there's something inside of me
And it just wont' go away
Yes there's something inside of me
And it just won't go away
Something inside me
Warren, come suo solito, mi aveva abbandonato al mio destino non appena entrati al Poison. Mi ero seduta stancamente sullo sgabello davanti al bancone degli alcolici, conversando di tanto in tanto con il barman che mi stava coccolando con dei margaritas. Era un tipo simpatico, non decisamente il mio tipo con quella maglietta smanicata un po' retrò e l'ombretto nero a sottolineare la linea sotto l'occhio. La bombetta in testa poi lo rendeva una copia malriuscita di Cam Gigandet nei panni del barista Jack- appunto! - diBurlesque. Di buono c'era che aveva passato gran parte della serata a sorbirsi le mie lamentele e i miei piagnistei su un tale - un certo Nick - di cui non sapeva nulla tranne il nome. Ero partita in quarta per la serata, con un miniabito da urlo rinvenuto dal mio armadio: nero, senza spallini, con un corpetto stretto e una cerniera che partiva dal seno e arrivava fino alla fine del vestito. Tutta la gioia di uscire era sparita guardando una coppia di ventenni innamorati arrivando con il taxi al locale.
Maybe we were together in another life
Maybe we are together in a parallel universe
Maybe our paths are not supposed to cross twice
Maybe your arms are not supposed to go around me
Destiny Rules
La stavo cantando a squarciagola, stonata come solo qualche latrato di cane poteva essere, cercando inutilmente di sovrastare i decibel della musica che tuonava dalle casse a pochi metri da me.
- "Mi dici perché non mi vuole, eh Travis?" piagnucolai, entrambe le mani aggrappate al bicchiere da cocktail davanti a me.
- "Troy".
- "Ti sembra che non sia abbastanza bella, o simpatica, o intelligente, Trevor?" rincarai la dose, sperando che lui negasse di fronte all'evidentissima realtà che io fossi migliore di quella pagliaccia di Harmony. Se solo avesse saputo chi era.
- "Troy".
- "Solo perché non ho una quinta di reggiseno, una testa bionda ossigenata o due gambe magre e lunghissime, non significa che sia da buttare via, non credi Tray?" mi lamentai. La fase è il momento di crescere era rimasta a Glasgow probabilmente.
- "Troy" urlò sfinito.
Mossi la mano nell'aria, come ad indicare che non faceva alcuna stupidissima differenza il suo nome. Mi guardai attorno annoiata; moltissimi giovani si stavano scatenando in pista, regalandomi una nuova autentica emozione: potenzialmente, non ero solo brutta, antipatica o ignorante, ma pure vecchia!
- "Vieni con me" decisi all'improvviso, prendendolo per il l'avambraccio scoperto dall'altra parte del bancone. Lui, colto di sorpresa, si lasciò trascinare per qualche passo, scavalcando alcuni colleghi e bottiglie varie, salvo poi cominciare ad opporre resistenza.
- "Devo lavorare!" si lamentò, ma io lo rassicurai.
- "Ci vorrà solo qualche istante. Perché c'è pur sempre poco da vedere" aggiunsi a bassa voce, già col pensiero a quello che gli avrei mostrato. Mi feci largo tra la folla con Troy che finalmente si fece condurre fino al bagno docile come un cagnolino al guinzaglio e m'infilai diretta nel bagno degli uomini. In un locale per gay, mica avrebbero fatto caso a me che non andavo in quello delle donne! Scacciai i tre ragazzoni con più ombretto di me che stavano chiacchierando davanti agli orinatoi e sbattei la porta alle loro spalle. Afferrai con decisione la chiusura della lampo del vestito all'altezza del seno, la feci scorrere fino alla fine, poco sopra le ginocchia e aprii teatralmente i due lembi del miniabito, sulla falsariga di qualche filmetto per adulti in cui sotto l'impermeabile... niente.
- "Fa così schifo quello che vedi?" lo implorai, chiedendomi perché stessi chiedendo ad un gay cosa pensava di un corpo femminile. Ah, giusto, avrei ottenuto un giudizio sincero, se tutti gli omosessuali fossero stati come Warren.
Troy strabuzzò gli occhi, evidentemente stupito dal trovarsi una ragazza in intimo nel giro di tre secondi e senza nemmeno averlo chiesto! La porta si spalancò e una ragazzotta ci guardò entrambi sbalordita.
- "Non stavi lavorando? - gracchiò con voce baritonale - Mi giro un secondo e ti infili nel bagno con una sconosciuta?". Ero completamente rapita dalla figura femminile che avevo davanti: non avevo mai visto una trans da vicino ed ero curiosa di vedere come potesse cambiare il corpo di una persona da un sesso all'altro. Forse un po' morbosa come osservazione, ma non riuscii a starmene in disparte e a non avvicinarmi a lei.
- "Dio, ma che splendido lavoro che ha fatto il chirurgo con te! - dissi elettrizzata - Certo, le protesi al seno sono un po' flosce e gli zigomi ti danno ancora un aspetto abbastanza mascolino, però devo ammettere che sei quasi credibile come donna. Posso solo immaginare che duro e impetuoso sia stato il percorso per il cambio di sesso, ma mi auguro che tu ti senta meglio in questo nuovo corpo; non c'è nulla di cui vergognarsi... lo ha fatto persino la figlia di Cher, forse dovrei dire figlio ora" affermai convinta, caricando il mio sguardo di autentica comprensione.
- "Troy, questa deficiente mi ha appena dato della trans?". Che suscettibile.
- "No, cara, sei una donna ora. - la rassicurai e poi mi rivolsi al fidanzato- E sappi che apprezzo molto la scelta che hai fatto di stare con lei; non tutti reggerebbero il peso di stare con una ragazza dal passato così tormentato e difficile da accettare".
- "Samantha, Sheila è..." cominciò lui, ma Warren entrò come una furia nel bagno, facendo sbattere la porta contro il braccio della ragazza - Sheila a quanto pare era il suo nome - che si massaggiò arrabbiata il punto in cui aveva ricevuto il colpo.
- "Zuccherino dove diavolo ti eri cacciata? E soprattutto che ci fai mezza nuda davanti a Troy e fidanzata?".
- "Non sono adorabili? Ma, Warry, una domanda sorge spontanea: se Sheila oggi è donna, è corretto sostenere che questi due piccioncini siano una coppia gay?" chiesi con curiosità scientifica alla Bear Grylls.
- "Tesoro, non credo che siano una coppia gay" mi spiegò.
- "Dici che sono diventati ufficialmente una coppia etero?". Mi toccai il mento pensosa.
- "Non diventati, lo sono sempre stati. - Continuai imperterrita a osservare le gambe di Sheila: cosce e polpacci da calciatore, senza dubbio; non sarebbero riusciti a farmi credere che lei fosse nata donna. Warrem mi prese sotto braccio e mi allontanò di qualche passo - Sam, non insistere, ti prego. E' solo incredibilmente brutta e androgina, te lo assicuro, dal momento che la conosco da anni. E Troy non è gay; ci siamo fatti un giro quando eravamo adolescenti, ma era troppo imbranato per essere omosessuale. Se non sono riuscito io a fargli cambiare sponda, non ci riuscirà nessuno".
Ero ancora più confusa di prima.
- "M-ma lui ha una maglietta smanicata! Chi, nel 2010 usa quelle cose senza essere gay?! E' quanto di più antierotico ci sia. E poi ti credo che scambio la sua ragazza per una transgender!" mi difesi.
- "Insisti?" mi fulminò l'interessata a cui risposi con una scrollata di spalle.
- "Zucchero, ha solo un pessimo gusto nel vestire. E un po' di palestra non ti farebbe male, stellina! - disse Warren serio, tastando con le mani il bicipite troppo esile per rientrare nei suoi raffinati gusti.
- "Troy, ce ne andiamo? Questi due idioti mi stanno dando sui nervi" sbuffò Sheila, prima di afferrare il polso del fidanzato e uscire dal bagno.
- "Rivestiti, Troyetta. - scherzò Warren, aiutandomi con la zip del vestito e beccandosi un'occhiataccia- Mi congratulo con te, passerotta. Se questa era la prova generale, con Nick andrà tutto meglio. A meno che non ci sia in giro Harmony".
- "Peccato non sia una trans" commentai quasi delusa dalla mancanza della cara Harm. Ma Warry fu molto più deciso.
- "In quel caso le faccio cambiare sesso io a furia di calci nel sedere".
Avrei parlato con Nick. Punto.
I stopped many times to question you
Well I told you that it was the right thing to do
Well it's better to have loved and lost
Then to never have loved at all
Affaires of the heart
Warren si era gentilmente offerto di farmi da trainer per insegnarmi le migliori tecniche per accalappiare un uomo - sembrava comunque molto più di esperto di me.
- "Potresti cominciare con una frase del tipo... aspetta che elaboro qualcosa di originale:tu dici l'amore è un tempio, l'amore è la più nobile delle leggi; mi hai chiesto di avvicinarmi, ma poi mi hai fatto strisciare ed io non posso continuare a sopportare il modo in cui ti comporti se l'unico modo che conosci è ferire."
- "Non mi ero mai accorta che tu fossi Paul David Hewson" commentai ironica, senza distogliere lo sguardo dal cartellone pubblicitario fuori dalla finestra del suo appartamento. Mi ero fermata per la notte dopo la irripetibile serata precedente ed ora attendevo solo un intervento divino che mi concedesse le forze necessarie per passare da casa prima di andare in redazione.
- "Chi?" starnazzò con voce stridula.
- "Bono Vox, il vero autore dei versi che stavi spudoratamente spacciando per tuoi" gli spiegai.
Warren mi fulminò con lo sguardo.
- "Noiosa. Comunque pensavo ad un finale più incisivo, ad effetto, che gli faccia capire cos'è che vuoi. Una citazione colta, ecco quel che ci vuole. - respirò a fondo e cercò di trovare una concentrazione da attore teatrale prima di andare in scena - Stop caring and fuck me man! Jersey Shore, terza stagione: Snooki è innamorata di Vinny, ma lui non vuole farlo con lei perché ci tiene troppo per una botta e via".
- "Una storia interessantissima, insomma. Sono sicura che Nick rimarrebbe sorpreso da tanta cultura".
- "Zucchero, la sorpresa gliela fai tu quando gli infili la mano nei pantaloni e gli afferri con l'aria da assatanata quale sei il suo...".
- "Warren!". Lui si bloccò di colpo e iniziò a guardarmi di sbieco, gli occhi ridotti a due fessure e la bocca corrucciata in una specie di mezzo bacio. Tacque per qualche istante - un autentico miracolo! - e mi fissò malizioso.
- "Devi essere una delle peggiori a letto: - decretò dopo l'attimo di riflessione - santarellina pudica all'apparenza, tigre siberiana tra le lenzuola. - abbassò gli occhi verso la cerniera dei suoi pantaloni - E' un bene per te, Lady Oscar, che tu preferisca la baguette al tarallo, perché altrimenti non avresti tregua con la cara Sam! Non ci farebbe mai uscire di casa".
Alzai gli occhi al cielo, sbuffando perché sarà pure stato una forma un po' effeminata di uomo, ma sempre uomo era. E come tale il sesso era sempre in cima alle priorità e ai pensieri, anche quando si trattava di amplessi altrui.
La giornata in redazione apparì più lunga del previsto; con Valerie fuori dai giochi per qualche giorno ancora, circondata dall'apprensiva suocera irlandese, le attenzioni di Banks era incontrollatamente concentrate su di me.
- "Grayson, che combini?" mi comparve alle spalle, leggendo senza ritegno gli appunti segnati sul block notes aperto sulla mia scrivania.
- "Lavoro" gli risposi laconica, chiudendo rapida il taccuino.
- "Qualche novità sul fronte Ralph J? - Dritto al punto. Mi alzai e gli girai attorno, virando verso la macchinetta del caffè e liquidandolo con un semplice no. Lui non demorse e si avvicinò, la mano distesa lungo i fianchi che per qualche secondo si chiuse in un pugno rabbioso. - Non merito una risposta più esauriente?" cercò di suonare gentile, ma non me la bevvi.
- "E' tornato in carcere, è tutto ciò che so" lo sfidai guardando diritto negli occhi.
- "E allora sforzati di trovare qualcosa che io non sappia già dai giornali!" sbatté con violenza sulla scrivania più vicina - quella di Jade, che sobbalzò spaventata - una copia del London Express che aveva arrotolato su se stessa.
Nervosetto, eh? Lo aggirai nuovamente e ritornai ai miei appunti senza togliermi dalla faccia quel sorrisetto che lo aveva tanto irritato.
- "Lo conoscevi? - Appoggiata con le mani sulla sedia di vimini del portico di Nick, gli domandai subito quanto più mi premeva. Cavolo, avrei avuto tutto il tempo di dirgli che ero innamorata di lui, no? - Il tizio del telegiornale, quello che è stato ucciso" aggiunsi come spiegazione.
Era stanco; lo si intuiva facilmente dalle profonde occhiaie che gli solcavano il viso, di solito rilassato e riposato. Erano solo le quattro del pomeriggio e lui sembrava non aver dormito nemmeno per cinque minuti nelle ultime ventiquattro ore.
- "Più o meno. Ti anticipo che non ho voglia di sentire una ramanzina per ieri a pranzo, né tanto meno discutere con te. So di non essere stato il massimo della galanteria a fuggire, ma avevo urgente bisogno di parlare con una persona... non è stata una buona giornata". Doveva parlare con una persona. Sempre criptico. Quanto ancora avrei resistito in quel mare di dubbi, di se, di ma, di cose omesse o dette solo in parte? Gli guardai il viso e gli lessi una preoccupazione che non avevo mai visto prima.
- "M-mi dispiace. - biascicai - Non riguarda quello, in ogni caso". Mi guardai nervosamente la punta delle scarpe, indecisa se dirglielo oppure no. Fare la codarda o sfidare la sorte.
Two kinds of people in this world:
Winners, losers
Two kinds of trouble in this world:
Living, dying
Go insane
Poco. Avrei resistito poco in quell'oceano di incertezza.
- "Ho poco tempo, Sammy. Mi dispiace essere scortese, ma ti pregherei di essere il più concisa possibile o di rimandare ad un altro momento perché...".
- "Lo so - lo anticipai -, non è stata una buona giornata" ripetei a pappagallo e lui annuì di riflesso. Nell'irrazionalità più totale, desiderai piangere, invece che affrontare la realtà: tutto troppo veloce, tutto troppo sbagliato. Per quanto potessi convincermi che l'uomo davanti a me fosse la persona di cui ero innamorata, al tempo stesso ero certa che amarlo non fosse la cosa giusta. Avrei dovuto innamorarmi di un ragazzo normale, una vita trasparente, un lavoro normale, niente silenzi, niente lati oscuri, niente corsi di aggiornamento misteriosi. Forse un po' palloso, ma normale.
No, amarlo non era la cosa giusta.
Loving you isn't the right thing to do
How can I ever change things that I feel
Il problema era levarselo dalla testa.
Forse avrei dovuto comunque provare, provare a farmi volere da lui, perché mi sarebbe bastato un sì da parte sua e gli avrei dato tutta me stessa. Se solo lui avesse voluto...
If I could maybe I'd give you my world
How can I when you won't take it from me
Go your own way
Glielo avrei detto, sfidando ogni regola di buon senso e di ragionevolezza che mi stava bussando all'orecchio in quell'istante.
- "Che devi dirmi, Sammy? - m'incalzò Nick con sguardo insistente - Riguarda la scommessa?". Non mi lasciò il tempo di rispondere e si sporse all'interno di casa e agguantò con un gesto secco il cappotto che pendeva dall'attaccapanni. Ne trasse un biglietto chiuso e me lo consegnò ancora chiuso. Idraulico. In quel momento mi sembrò ironico: era un messaggio per dirmi che la mia determinazione faceva acqua da tutte le parti?
- "Barman" dissi invece. Almeno avrei fatto alcool da tutte le parti. E forse Troy mi sarebbe tornato utile.
- "Bene. Qualcos'altro? Sì, certo scusa. - Di nuovo non avevo fatto tempo a pronunciare una sola sillaba che lui aveva riagguantato il cappotto e ne aveva tratto un pacchetto color avorio sigillato con della ceralacca rossa al cui centro svettava una grossa N. Lo presi tra le mani tremanti e lo infilai senza pensarci nella borsa - D'accordo, penso di averti dato e detto tutto; ora se...".
- "Zitto" m'imposi.
- "Come scusa?" chiese sorpreso dalla fermezza che avevo dimostrato.
- "Stai. Zitto. - esclamai con veemenza, scandendo bene le parole per fargli intendere che non avevo alcuna voglia di essere interrotta - Ora parlo io". Bene, cosa dico? Cercai le parole adatte, ma al momento non mi veniva in mente nient'altro che l'immagine di Warren che cantava nel mio salotto. Raggelante.
Nick mi guardò perplesso, si scompigliò stancamente con una mano i capelli già spettinati e si appoggiò allo stipite della porta, incrociando le braccia al petto.
- "Sono tutt'orecchi" disse con un tono quasi canzonatorio. Socchiusi gli occhi, li incollai al pavimento e cominciai.
- "Io credo di provare qualcosa per te". No, non avrei osato guardarlo in faccia mai più.
Oh, tell me who wrote the book of love
Was it somebody from above
Surely he must know all the rules
Knowledge not meant for mortal fools
Book of love
Allora... innanzitutto grazie mille perché continuate a leggere questa storia e a recensirla. Sono molto contenta che lo scorso capitolo vi sia piaciuto: era uno snodo importante e non è stato facile conciliare un lato più serio dovuto chiaramente alla morte dell'adorata zia Annie con un lato più ironico e leggero a cui non ho voluto rinunciare, perché questa storia vuole essere tale. Temevo che lo trovaste troppo leggero, appunto, ma ho comunque preferito dare quell'impostazione al capitolo, perché quando mi è capitato di essere nei panni di Sam, ho cercato tutto il tempo qualcuno che mi facesse ridere. Ed è esattamente quello che tenta di fare Sam: sdrammatizzare. Potrà sembra superficiale e forse anche un po' priva di tatto come cosa, ma penso che ognuno abbia le proprie reazioni di fronte alla morte.
Dopo questo sproloquio che ci tenevo comunque a fare, passiamo a questo capitolo che ha visto la luce prima della fine di agosto grazie alle sollecitazioni delle care nes-sie (che ha anche gentilmente betato, perciò ringraziamola ed invochiamola come nuova dea) e vero bigia :)
E' dedicato ai Fleetwood Mac, citati - con qualche modifica - anche nel titolo. Le canzoni citate sono:
Don't stop, Talking to my heart, Love in store, Something inside me, Destiny Rules,Affaires of the heart, Go insane, Go your own way e Book of love.
L'André citato è ovviamente l'interesse amoroso di Lady Oscar.
La canzone citata degli U2 è One.
La telefonata è avvenuta nel capitolo 15: Lies. Comprendo perfettamente chi non se ne ricordava: ho dovuto cercare per mezz'ora anche io perché non la ritrovavo più -> pessima autrice!
Il film Burlesque citato è quello uscito l'anno scorso con Christina Aguilera e Cam Gigandet.
Come ho già scritto in un'altra sede, ho deciso di apportare una modifica alla trama; nulla di rilevante. Si tratta di ridurre il numero di uomini/donne coinvolti nella scommessa da 15 a dieci. Chiaramente provvederò a modificare i capitoli precedenti. Vi chiedo scusa di questo cambiamento, ma sono un'inesperta e se ho deciso di farlo è perché la sostanza della scommessa non cambia ed io eviterò di fare dei capitoli-sbrodolamenti inutili che avrebbero l'unico scopo di prolungare la storia, senza alcun senso. Mi spiace per l'inconveniente, ma questa storia non è nata con l'impianto che ha ora e molti fattori sono stati aggiunti dopo e si vede. Mi auguro che nessuno se la prenda per questo: io tengo alla qualità della storia, non miro a mandarla avanti solo per aggiungere capitoli.
Penso sia tutto! Un bacione a tutti!
Sandra |
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Capitolo 29 *** Capitolo 29. You Give Love A Bad Name. ***
Capitolo ventinove. You
Give Love A Bad Name.
Il
vento mi scompigliava i capelli, mentre procedevo lentamente lungo la
via
sterrata con un passo lento e cadenzato. L'autunno aveva ormai privato
gli
alberi delle foglie, che giacevano ora sul terreno, formando un
colorato
pavimento che sprigionava un intenso odore di umidità.
Le
mie labbra s'incresparono in un sorriso alla visione della sola
compagnia che
avevo: occhi scuri, sguardo vispo, portamento un po' goffo - ma
comunque
adorabile -, ascoltava il mio sproloquio con studiato disinteresse,
precedendomi di qualche metro.
-
"Non è esattamente così che mi aspettavo che
andasse. Non è esattamente la
reazione che mi aspettavo dopo aver confessato come mi sento. E non
è
esattamente qui che mi aspettavo di essere... con te poi! - ridacchiai
- Non so
se esserne contenta oppure odiarti per quello che hai fatto". Lui si
fermò
di colpo e mi guardò offeso, quasi triste per la prospettiva
di sentirsi
detestato dalla sottoscritta. Mi sedetti su una panchina e lo fissai
intenerita.
-
"Scherzo, lo sai. - lo rassicurai con una carezza - Come si fa ad
odiarti?
Certo, l'ultima volta te ne sei andato da casa mia senza nemmeno
salutare, ma
ti perdono perché in fondo mi sei mancato... e non solo a
me". Ci
rialzammo entrambi e ricominciammo a passeggiare in
tranquillità e in religioso
silenzio fino a casa sua.
Mister
risalì con agilità i pochi gradini della villetta
di Nick ed io lo accompagnai
sin dentro, passando attraverso il piccolo portico in cui tutto era
avvenuto
una ventina di minuti prima.
Non
ero nemmeno riuscita a finire di dire “Credo
di provare qualcosa per te”, che il bellissimo
Golden Retriever aveva già
spinto con una testata la porta ed era salito quasi sulla schiena del
suo
padrone, coprendo con i suoi latrati le mie parole. Quando si dice un
tempismo
perfetto.
Nick
aveva resistito all'incursione canina, aveva consultato l'orologio e
tutto era
apparso più chiaro. Almeno a lui.
-
"Cucciolo mi spiace, ma oggi niente parco: ho troppo sonno.
Accontentati
del giardino" gli disse tenero, carezzandogli il folto pelo color
caramello. Mister si avviò mogio mogio verso l'interno della
casa ed io non
potei che sentirmi ancora più in imbarazzo per il disagio di
dover riprendere
un discorso già difficile senza interventi animali.
-
"Dicevi, Sammy?" m'incitò Nick.
-
"Ah, sì... dicevo che io... ehm, ecco...". Di nuovo quel -
maledetto,
oserei dire - cane ci raggiunse, stavolta con il guinzaglio stretto tra
i
denti, ben determinato ad ottenere il suo dannatissimo giro al parco.
-
"Non insistere, Mister. Oggi non se ne parla. - sentenziò
Nick, stavolta
con tono perentorio, e poi si rivolse a me - Scusa le interruzioni.
Dimmi". Si passò pollice e indice di una mano sugli occhi
stanchi e cercò
di recuperare la concentrazione per ascoltarmi.
Da
una parte il mio cuore e il mio cervello quasi scoppiavano per la
necessità di
ripetere quelle benedette parole, dall'altra il musetto di Mister mi
invitava a
dire tutt'altro.
-
"Volevo dirti che... - temporeggiai - lo porto io al parco" mi decisi
infine. Nick mi guardò sorpreso, molto probabilmente
chiedendosi come diavolo
potessi sapere che il suo cane aveva bisogno di sgranchirsi le zampe
proprio a
quell'ora. Ma era anche esausto dalla giornata infernale e non fece
domande,
grato che qualcuno gli togliesse l'impiccio di portare l'amato sacco di
pulci a
fare una pisciatina neanche troppo veloce. Mi ringraziò e
agganciò il
guinzaglio al collare di Mister, porgendomelo già pronto per
farmi trascinare
per tutto il prato dietro la villetta.
Ed
ora eravamo tornati dopo un giro piuttosto tranquillo e una
pipì chilometrica
dilazionata in più riprese. Rientrammo piano e il cane,
liberatosi dalla
costrizione attorno al collo, si accoccolò sul tappeto
davanti al caminetto
acceso. Nick stava dormendo sul divano, un braccio ripiegato sotto la
testa a
mo' di cuscino e l'altro appoggiato sul torace. Non resistetti e mi
accovacciai
accanto a lui per vederlo meglio. Con la punta delle dita percorsi il
profilo
del naso, delle guance, delle palpebre chiuse, della bocca... per un
attimo fui
tentata di sostituire le dita con le labbra, ma ricacciai l'idea: se
per uno
sfortunatissimo caso si fosse svegliato avrei fatto la figura della
pazza.
Perciò mi concessi solo il lusso di agognare un suo bacio e
immaginarlo
svestito, sopra di me... alt. Stop.
Basta!
Non
appena varcai la porta di casa mia, Romeo mi accolse strusciandosi sui
polpacci
con la lunga coda pelosa, avvertendo l'odore di Mister. Dovetti
trascinarmi
fino al telefono per sfuggire alla sua morsa ed ascoltare la voce
squillante di
mia sorella registrata in segreteria che mi pregava di richiamarla. Lo
feci
subito: via il dente, via il dolore.
-
"Alleluia! - urlò Lily dall'altra parte della cornetta - Non
ti avevo
detto di ricordarmi di raccontarti una cosa prima di ripartire?".
-
"Sì, ma credevo fosse il fatto che sei incinta. Che altro mi
devi dire,
dopo aver urlato al mondo che tu e tuo marito ci date dentro nelle
lenzuola?" le chiesi ironica.
-
"Alex è dislessico" sparò preoccupata, ma sapevo
bene che le reazioni
di mia sorella - e soprattutto le sue diagnosi - erano da prendere con
le
pinze.
-
"E da cosa l'avresti intuito?" domandai sinceramente curiosa.
-
"Ha scritto male il suo nome, ha invertito le lettere. Un disastro!"
gracchiò.
-
"Lily, ha quattro anni! È già tanto che scriva.
Non stargli addosso e
vedrai che appena comincerà ad andare a scuola ti
farà dei poemi epici
ortograficamente perfetti. Per ora lascialo giocare in pace" la pregai.
-
"Sei per caso una psicologa infantile?" tuonò acida.
-
"No, nemmeno tu però! Sono solo dotata di buon senso. - bella questa! - Alex è un
bambino
sveglio; conoscendolo, al momento non avrà voglia di
sottostare alle stupide
idee di quella pazza di sua madre".
-
"Guarda che non l'ho forzato!" ci tenne a precisare per convincermi.
Sì, come no.
-
"Lily...". Era stupefacente pensare che mia sorella credesse ancora
di potermela dare a bere: poteva funzionare fino ai cinque anni -
sì, facciamo
fino ai quindici -, ma ora era francamente un po' troppo ottimistico.
-
"Okay, d'accordo, potrei averlo pressato un tantino a scrivere il suo
nome". Come volevasi dimostrare.
-
"Solo Alex mi auguro... vero, Lily?" dissi con un tono minaccioso
nella voce.
-
"Una mamma sogna in grande! Siamo partiti da Alexander Paul Philip
Graham
Stratford II e poi mi sono accontentata di Alex, ma non è
andata come
speravo" si lagnò. Alzai gli occhi al cielo, plaudendo
all'aplomb del mio
nipotino - che neanche sapeva cosa fosse - per non essersi scagliato
contro sua
madre e averle detto di andarsene a quel paese.
-
"Tuo figlio è un genio, altro che dislessico. Ha capito che
sua madre è
una psicotica e si è giustamente ribellato".
-
"Simpatica. Allora dici di stare tranquilla?". La preferivo quando
tentava di ultimare i suoi progetti di frigopolvere, o aspirafrigo,
piuttosto
che in versione mamma ossessionata dai successi del figlio. Spero che Alex abbia rimosso l'esperienza di
ricamo al tombolo di qualche mese fa...
-
"Tranquillissima" la rassicurai.
-
"E se gli parlassi tu e gli chiedessi di farlo per me? Sai, magari
capirebbe che per me è importante". Com'è che
tutti devono parlare con
qualcuno?
Sbuffai
rumorosamente, maledicendo le paranoie e la testa dura di Lily.
-
"Anche se gli parlassi, non credo servirebbe. Non sempre parlare
è la
soluzione: forse è meglio tacere, lasciare le cose come
stanno, senza forzarle,
perché c'è un certo equilibrio ora come ora e, se
se ne discute, si rischia di
rovinarlo per sempre. - qualcosa mi disse che non stavo più
parlando di Alex -
E di allontanarlo, magari addirittura gettandolo nelle braccia di
un'altra...".
-
"Un'altra mamma?". Mia sorella soffocò un urlo di terrore.
-
"... e solo Dio sa che cosa farebbe con questa! Di sicuro si
divertirebbero molto." dissi sprezzante, con una smorfia eloquente
stampata in faccia.
-
"Oddio, Disneyland no! Il mio bambino è mio, mio, mio!"
strillò.
-
"E sai qual è la cosa peggiore? Che alla fine
sarà sempre e comunque colpa
tua, perché hai provato a renderlo migliore, a rendervi
migliori,
insieme".
-
"Va bene, Sam, basta!, mi hai convinta: Alex rimarrà
analfabeta almeno
fino ai trent'anni. Mannaggia a te e al tuo modo contorto di fare
terrorismo
psicologico. Vado al lavoro, ciao" brontolò, riattaccando.
-
"Che c'entra Alex?" gridai a linea ormai interrotta.
Tempo
di svegliarmi, il giorno dopo, ed ero già tornata all'idea
di partenza:
gliel'avrei detto. O la va o la spacca.
I
ballerini del Pumping Pumpkin erano
soliti riunirsi per provare le proprie performances ogni sera prima
dell'apertura.
Alle ore otto precise, giovani e aitanti ragazzi e ragazze svestivano i
panni
di tutti i giorni per indossare quelli di specialisti del divertimento
della
notte.
Io
mi sarei fatta trovare lì per liberarmi di un peso. Forse
era troppo presto, forse
troppo tardi... ma ad un certo punto bisogna rischiare, anche e
soprattutto se
non si ha la minima idea di quello che succederà. L'unica
cosa certa è che la
tua felicità dipende da un'altra persona: è
questa la più grande ingiustizia o
la più grande vittoria.
Stretta
in un cappotto scuro e con un basco bianco in testa, mi appoggiai ad
una
transenna davanti al locale e guardai la sfilata dei ballerini che
entravano,
regalandomi occhiate curiose. Arrivò anche José,
che si guardò bene dal
trattenersi a parlare con me, nel timore che potessi fargli domande
scomode
sulla relazione con Amanda; mi salutò e poi
scappò nei camerini.
Notai
Nick arrivare con il suo fuoristrada e parcheggiare nello spiazzo
antistante al
grosso edificio arancione. Seguii i suoi movimenti con attenzione:
scese
dall'auto, aprì lo sportello posteriore, ne trasse un
borsone sportivo e lo
richiuse, infine si sbrigò a raggiungere i colleghi
già entrati. Rallentò il
passo solo quando mi scorse in lontananza.
Mi
sembrava che il cuore dovesse balzare fuori dal petto da tanto correva
veloce,
la saliva se ne andò in vacanza ed io mi ritrovai
irrazionalmente pronta a
confessare tutto.
-
"Sammy, che ci fai qui? Sei venuta a chiedermi se tu e le tue amiche
potete fare un giro nel backstage? - scherzò. Vidi le sue
labbra muoversi, ma
ero incapace di seguire le parole che stava pronunciando; poi sorrise e
pensai
che l'unica mossa intelligente da realizzare fosse fare altrettanto -
Okay, sei
strana. Vuoi dare una sbirciatina mentre mi cambio?"
rilanciò, facendosi
più vicino e umettandosi le labbra. Indietreggiai in
automatico e sentii le
guance arrossire violentemente. Approfittai dell'occasione per
cominciare la
mia filippica.
-
"Sono stufa di giocare, stufa delle tue stupide provocazioni, delle
cose
che non dici e dei tuoi segreti. Non siamo più adolescenti,
dannazione. Non
credi sia arrivato l'ora di pensare al futuro e smetterla con questo
atteggiamento assurdo da playboy incallito?" gridai, fumando rabbia da
ogni poro.
-
"Non so che diavolo ti sia preso, ma stai delirando. Si può
sapere che
hai?" cercò di imporsi, ma io ero determinata a seguire il
filo del mio
discorso.
-
"Voglio che tu sia onesto con me, voglio che tu mi dica quello che ti
succede, voglio che tu sia coerente, perché dici una cosa e
poi agisci
all'opposto. Voglio che tu la smetta di cambiare ragazza ogni sera,
voglio..." mi fermai di colpo, appena in tempo per bloccare le parole
che
stavano per uscirmi dalla bocca. Vorrei che tu scegliessi me.
-
"Di cosa stiamo parlando esattamente, Sammy? Perché non mi
capacito del
perché tu sia qui a farmi questo discorso oggi, su un
marciapiede.
Spiegami". Lo guardai in viso e capii che non era pronto; non era
pronto
ad ascoltare la mia confessione, non era pronto a cambiare. Non voleva cambiare.
-
"Lascia stare. Buonanotte Nick" dissi stancamente e gli diedi le
spalle, muovendo qualche passo verso il cuore di Soho, alla ricerca di
un taxi
che mi portasse a casa. La stretta forte di una mano sul mio braccio,
però, mi
costrinse a bloccarmi dopo un paio di metri e a girarmi verso due iridi
chiare
arrabbiate.
-
"No, tu ora parli! - l'espressione alterata della sua faccia non
ammetteva
repliche - Pretendo una spiegazione e non te ne andrai di qui
finché non ne
avrò ottenuta una esauriente" ringhiò Nick. Con
uno strattone mi liberai
delle dita che mi stringevano l'avambraccio da sopra il cappotto e gli
restituii un'occhiata furente.
-
"Cosa c'è da capire?". Perfino un sordomuto cieco zoppo e
orfano si
sarebbe reso conto di quello che provavo per lui. Ma lui, il diretto
interessato, no.
-
"Tutto! Vieni qui, ti comporti da pazza isterica, mi urli contro e poi,
come al solito, - ebbe premura di sottolineare - scappi".
-
"Almeno io ho il coraggio di espormi!" lo accusai.
-
"Avere coraggio di esporsi non significa gridare la propria opinione in
faccia agli altri; significa restare ad ascoltare anche la risposta".
-
"E allora qual è la tua risposta?" lo incalzai.
-
"Finché non capirò di che cavolo stiamo parlando,
dubito di poterne
formulare una" sbraitò.
-
"Ti comporti come se davvero non sapessi cosa provo" sussurrai a
denti stretti.
-
"Mi comporto così perché non lo so!"
sbraitò.
-
"Cosa devo dire? Cosa vuoi sentirti dire? Che ti detesto, che non ti
sopporto...". Cominciai una lunga sfilza di comportamenti di lui che mi
irritavano, ma lui non ci stette e rilanciò sovrastandomi
con la sua voce.
-
"Dio, ma che cavolo ti passa per la testa? - mi ignorò
completamente - Ci
dev'essere una strana congiunzione astrale pendente sulla mia testa che
finirà
con l'uccidermi. Mi sta facendo impazzire!".
-
"... che sono innamorata di te?" dissi, senza riuscire a trattenere
le parole, ma riuscendo perfettamente nell'impresa di zittirlo.
You're a loaded gun,
There's nowhere to run.
No one can save me...
The
damage is done.
Non
ci furono brusche e cinematografiche interruzioni in cui il principe
azzurro di
turno bacia appassionatamente la protagonista che gli ha appena
consegnato il
suo cuore in mano. Ci fu solo un grande, imbarazzante silenzio.
Nick
mi fissava stordito, la bocca socchiusa dalla sorpresa, le braccia,
occupate
fino a quel momento in un frenetico gesticolare, ora scendevano a
rallentatore
per ridistendersi lungo i fianchi. Ci guardammo negli occhi, in una
strana
lotta tra l'azzurro spaventato e confuso dei suoi e il nocciola
arrabbiato e
altrettanto spaventato dei miei.
Dopo
quelli che mi parvero innumerevoli minuti di studio reciproco, con il
cuore che
mi batteva martellante nel petto alla ricerca di una reazione sua che
tardava
ad arrivare, interruppi quell'estenuante attesa.
-
"Di’ qualcosa. - lo implorai, un tono di voce più
duro di quanto volessi -
Non sto scappando, sono qui ad aspettare la tua risposta" lo sfidai,
mentre cercavo di trattenere lacrime di nervosismo.
Puntò
lo sguardo verso l'asfalto grigio sotto ai nostri piedi e si
sforzò di parlare.
-
"Non sono la persona giusta per te" disse secco.
Non
sono la persona
giusta per te
mi ripetei, infuriandomi ancora di più.
-
"È davvero tutto quello che hai da dire?" domandai,
incredula che
l'uomo che amavo fosse così codardo da non riuscire a
mettere insieme due frasi
decenti.
-
"Ti farei soffrire" sussurrò con un'aria da cane bastonato,
come se
fosse stato lui quello rifiutato in malo modo con un'indegna serie di
banalità
per giustificarsi. Ecco cosa si otteneva a mettere da parte l'orgoglio
e a
ragionare con il cuore: uno schiaffo in pieno volto, di quelli in grado
di
lasciarti il segno per molto tempo.
Scossi
la testa, quasi sorridendo istericamente a quelle parole. Come potevo
aspettarmi qualcosa di diverso? Raccolsi i cocci della mia
dignità e girai i
tacchi, intenzionata a togliermi dalla vista la sua stupida smorfia che
trasudava compassione e gridava scuse.
-
"Mi dispiace" lo sentii aggiungere e quella fu la goccia che fece
traboccare il vaso. Mi voltai verso di lui al culmine della rabbia con
un
incontenibile desiderio di vomitargli addosso la frustrazione e la
delusione
che provavo in quel momento. Macinai veloce i pochi metri che ci
separavano e
gli arrivai quasi sotto, l'indice della mano destra a sbattergli
ripetutamente
sul petto.
Shot through the heart
and you're to blame
You give love a bad name
-
"Ti dispiace? Sono io ad essere dispiaciuta per me stessa,
perché tra
tutti gli uomini che ci sono là fuori, mi sono innamorata di
un idiota come te.
Non ho bisogno della tua compassione, né delle tue stupide
scuse. Sopravvivrò
anche senza". Nick aveva incassato passivamente i colpi del mio dito
sul
suo torace, indietreggiando man mano che mi facevo sotto, senza nemmeno
cercare
di fermarmi o di ribellarsi. Ad un certo punto, però, si
bloccò ed io per poco
non gli franai addosso.
-
"Non posso stare con te" biascicò. Smisi di dargli contro e
me ne
andai, fermando un taxi che transitava proprio in quell'istante. Ero
spossata
da quella discussione. M'imposi di non guardarlo perché
sarebbe stato
paradossale se fossi giunta a provare pietà per lui.
Trattenni la curiosità e
l'istinto di sbirciarlo con la coda dell'occhio anche quando un rumore
metallico spiccò nel mezzo della via.
Afferrai
il cellulare nella borsa e chiamai Warren: avevo il disperato bisogno
di
sfogarmi con qualcuno e lui era l'unica persona con cui poterlo fare.
-
"Zucchero, meno male che qualcuno ancora si ricorda di me! Questo
viaggio
di ritorno da Oxford è una noia mortale e stavo iniziando a
pensare di mettere
un annuncio sul giornale con il mio numero di cellulare e fondare una
hotline:
almeno mi terrei occupato e - cosa da non sottovalutare - regalerei
piacere a
uomini e donne che non possono godere della mia presenza e prestanza
fisica. Credo
che un giorno creeranno un premio apposito per me: WarreNobel,
ti piace come nome? Sarebbe consegnato ogni anno a
coloro che hanno cercato di conseguire la pace nel mondo gay. Sam,
tu...?".
-
"Gliel'ho detto" lo interruppi brusca.
-
"Hai detto a Valerie che detesto il suo vestito floreale? Oddio, quella
donna mi ammazzerà" biascicò preoccupato.
-
"No, Warren, - mi spazientii - ho detto a Nick che mi sono presa una
cotta
per lui". Mi veniva l'orticaria al solo pronunciare il suo nome. Era
nauseante.
-
"Ah. Ti ha detto che è gay?". Sbaglio o c'era un lumicino di
speranza
nella sua voce?
-
"Non è andata bene. - deglutii il groppo che avevo in gola -
Ed è per
questo che ti chiamo".
-
"Vuoi che lo sculacci per l'affronto che ti ha fatto?". Ignorai la
sua domanda e proseguii con determinazione.
-
"Voglio l'indirizzo di Troy" scandii.
-
"Che cavolo c'entra Troy? Non dirmi che vuoi provare il chiodo scaccia
chiodo; non credo serva, Zucchero".
-
"Dammi quel fottutissimo indirizzo" tagliai corto. Warren si arrese
facilmente - la sua versione bigotta e seria non poteva durare a lungo
- e
diedi le indicazioni fornitemi al taxista, che mi portò
proprio davanti alla
piccola casetta, distante appena qualche isolato da Soho.
Indossava
un maglione grigio scuro senza camicia, un paio di jeans blu ed era a
piedi
nudi sul parquet chiaro. Alle sue spalle c'era un grande stanzone che
sembrava
di derivazione industriale, con grandi soffitti e una preponderanza del
colore
bianco. Che era più o meno la stessa tonalità
della faccia di Troy di fronte al
mio arrivo.
-
"Tu sei quella dell'altra sera" realizzò mettendo a fuoco la
mia
figura.
-
"C'è la tua fidanzata?" arrivai dritta al punto.
-
"No, abbiamo litigato e credo che non si farà viva per un
po'".
Perfetto:
per una volta
mi gira bene. Non pensare, Sam. Fallo e basta.
Gli
afferrai con entrambe le mani il maglione e lo attirai verso di me,
cercandogli
le labbra in un impetuoso bacio, rigorosamente privo di connessioni
emotive.
Ti
farei soffrire.
Troy
si scostò stupito dalla mia bocca e mi chiese spiegazioni.
-
"C-che significa?" biascicò.
-
"Significa che voglio te, stanotte" dissi seria.
-
"Non sono sicuro di capire". Se possibile, era ancora più
confuso di
quando aveva aperto la porta e si era trovato davanti la sottoscritta.
Mi
dispiace.
-
"Non c'è nulla da capire nel sesso. Si fa e basta" urlai,
per
sovrastare i cattivi pensieri.
-
"Tra mezzora devo essere al locale...".
-
"E allora muoviti". Questo giocare alla femme fatale era
semplicemente ridicolo, ma con l'orgoglio ridotto a brandelli e il
cuore in
terapia intensiva, qualunque sbaglio appariva più
sopportabile di quello
commesso con Nick.
Non
impiegai molto a convincere Troy ad accontentarmi, dal momento che un
uomo con
una donna disponibile davanti e un'ingombrante eccitazione nelle
mutande, nel
99% percento dei casi non si fa pregare due volte. Il restante 1%
è amico di
Warren.
Gli
tolsi la maglia dall'alto, mentre lui armeggiava con i miei jeans per
sganciare
il bottone e aprire la lampo. Mi fece sdraiare sul divano e mi
sfilò i
pantaloni, passando poi a privarsene a sua volta. Slacciai la camicia e
la
gettai a terra insieme al cardigan che indossavo sopra. Mi
baciò il seno con
minuzia prima di far sparire il reggiseno e si spostò sulle
labbra, ma lo scostai
con veemenza: non volevo coccole, né attenzioni speciali.
Non ero lì per
quello.
Perché
sono qui?
Quando
intrufolò una mano nei miei slip sussultai, chiedendomi
ancora se fosse la cosa
giusta da fare. Smisi di torturarmi qualche secondo dopo
perché la risposta a
quella domanda la conoscevo ancor prima di presentarmi alla porta di
Troy. Ma
non era la risposta che volevo.
Chains
of love got a
hold on me
When passion's a prison, you can't break free.
Lo
lasciai fare, godendo di quel tocco rude, lontano anni luce dalla
delicatezza e
dalla leggerezza con cui Nick aveva vagato sul mio corpo. Nick,
dannazione. Era
un circolo vizioso: dita di Troy dentro e su di me, paragone con quelle
di
Nick; odio e delusione verso quest'ultimo, maggiore passione e reazione
agli
stimoli del barman e poi di nuovo via con i confronti. Paradossalmente
stavo
facendo sesso con Troy per fare un dispetto a Nick, pur cosciente del
fatto che
a lui non interessava chi mi portavo a letto. Quel pensiero mi fece
stringere
la presa sulle spalle di Troy ed affondai le unghie più a
fondo nella sua
schiena. Lunghe tracce rossastre si disegnarono sotto le sue scapole,
strappandogli un gemito di dolore e di piacere. Lasciai che si
allontanasse di
poco solo per ricambiare il favore - perché di favore si
trattava: in quel
neanche troppo strano do ut des toccava a me spogliarlo dell'ultimo
indumento
che ancora indossava e stuzzicarlo. Gli abbassai i boxer e posai la
mano sulla
sua erezione, cominciando a muovermi su e giù
finché non fu lui a dirmi di
smettere perché voleva passare ad altro. Recuperò
i suoi jeans sparsi sul
pavimento e ne trasse una piccola confezione argentata:
l'aprì con i denti e
srotolò il preservativo per infilarselo in poche abili
mosse. Mi sforzai di
seguire ogni suo movimento per non pensare ad altro e quando lui ebbe
terminato
l'operazione fui io a cercare la sua bocca. Nemmeno le sue labbra erano
morbide
e calde come quelle di Nick, non erano in grado di accendere i sensi
come
quelle peccaminose e sensuali di quel dannato MacCord.
Scivolò
senza molti preamboli tra le mie cosce, dapprima piano
affinché mi abituassi
all'intrusione, poi sempre più veloce, facendomi soffocare
un gridolino. Mi
prese i polsi e li portò sopra la mia testa; sollevai il
bacino per andargli
incontro e permettergli di raggiungere una profondità
maggiore.
Non
posso stare con te.
Ogni
affondo di Troy recava con sé un doloroso ricordo che
sortiva l'effetto di
rendermi ancora più nervosamente disponibile nei confronti
del barman. Gli
chiesi una tregua per allungarmi a prendere la macchina fotografica e
stavolta
non mi sarei accontentata di una semplice foto; gli avrei reso pan per
focaccia
con un video. Promisi che non l'avrei mai mostrato a Sheila, anche se
lui -
parlo di Troy, non della sua ragazza trans - al momento disse di
considerarsi
libero.
Fu
appagante e totalmente privo di qualunque emozione che non fosse
fisica. Era un
bravo esecutore, di quelli che ti fanno uscire dal letto soddisfatta.
Se fossi stata
in un periodo diverso della vita, mi sarei accontenta di quello; il
problema è
che quando assaggi il gusto raro della passione generata da un
sentimento,
difficilmente poi puoi farti bastare una scopata: quando il tuo cuore
batte per
Lui, non ti accontenti di sesso
qualunque.
Mi
rivestii in fretta, gli chiesi di poter usare il bagno e lui me lo
indicò: mi
guardai allo specchio, scorgendo una figura che sperai non mi
appartenesse:
avevo fatto una cavolata, avevo dimenticato la regola base ‘rifletti prima di agire’ e la
cosa
migliore che potessi fare ora era tornare a casa e chiudermici fino
alla fine
dei miei giorni.
Magari
prima passo da
Nick e gli sbatto in faccia i boxer di Troy e gli urlo che lui non
è niente,
che sono già andata oltre come può ben notare...
o magari no. Ragiona, Sam,
ragiona.
I
boxer li rubai davvero, però, e poi lo salutai imbarazzata.
Fu un sollievo
sentire sulla pelle l'aria fredda di fine novembre pungere come
minuscoli
spilli pronti a colpirmi il viso. Avvolsi più stretta la
sciarpa attorno al
collo e mi avviai a piedi verso il mio condominio. Erano appena le
dieci di
sera, e le vie della capitale erano ancora piene di turisti dalla birra
facile
e londinesi in cerca di un po' di divertimento. Mi scontrai con
praticamente
tutti quelli che mi passarono accanto; un francese alticcio mi
offrì una
sigaretta ed io la accettai, proprio io che avevo sempre odiato fumare.
Dopo
qualche tiro - che mi rese ancor più nervosa ed elettrica -
la schiacciai e la
gettai. Ci impiegai una vita ad arrivare al mio appartamento, ma almeno
il
freddo anestetizzò il corpo e, il caos dei taxi e della
folla, il cervello.
Salii
fino al terzo piano e ringraziai tutti i santi di essere arrivata a
casa. Mi
tolsi rapidamente le scarpe, senza prestare molta attenzione a dove
finissero,
accesi lo stereo e mi preparai a pulire casa; infilai un paio di
leggins, una
felpa lunga e delle calze antiscivolo. Raccolsi i capelli in una coda
di
cavallo e mi armai di spazzettone, stracci e scopa elettrica. Warren
sarebbe
stato fiero del mio look da casalinga disperata, scaricata, rifiutata,
ma
comunque dignitosamente sciatta.
Cambiai
la disposizione di mobili e divani, spostai quadri, spolverai e
sistemai le
riviste nell'apposito contenitore. Alla fine mi sdraiai sfinita sulla
poltrona
con Romeo addosso che si era improvvisato massaggiatore shiatsu,
zampettando
fra le mie costole.
Il
campanello suonò, ma non avevo nemmeno la forza di alzarmi.
Il mio micione,
però, saltò giù dalla mia pancia e si
diresse alla porta e cominciò a graffiarla.
-
"È aperto!" urlai. Se fosse stato uno di quegli strani
religiosi che
cercano di indottrinarti porta a porta mi sarei sorbita l'ennesima
previsione
di apocalisse, piuttosto che sollevarmi sulle gambe e sbatterlo fuori
di casa a
calci nel posteriore.
Romeo
miagolava in continuazione e fui costretta a sporgermi verso l'ingresso
per
vedere chi fosse il visitatore. Scattai in piedi non appena vidi una
figura
conosciuta che mi sorrideva.
-
"Non mi saluti neanche, Raviolo?" ridacchiò.
Sam,
decidi come
comportarti: fare la sostenuta, offesa dal suo comportamento, oppure
gettargli
le braccia al collo e dopo chiarire tutto?
Gli
corsi incontro e mi aggrappai a lui e gli saltai addosso, contenta di
avere un
amico - etero e mentalmente stabile - con cui parlare.
-
"Will, che ci fai qui?" gridai.
-
"Sono tornato ieri per sistemare delle faccende e ho pensato di
passare.
Mi mancava la mia vicina rompipalle" esclamò con un tono che
rasentava il
dolce.
-
"Non sei stato così affettuoso ultimamente" gli feci notare,
sospettosa di tanta confidenza.
-
"Sam, non mi scuserò per quello che ti ho detto prima di
partire per
Portland; ma ho apprezzato la tua mail, davvero". Sollevò
Romeo e lo
accolse tra le braccia.
-
"Non hai risposto, però" lo sgridai.
-
"Stavo per farlo, credimi. Poi mi hai mandato quel messaggio e mi ha
fatto
infuriare di nuovo, perché era la dimostrazione che non eri
cambiata: la solita
irritabile ragazzina che pensa di essere al centro dell'universo".
-
"Quale messaggio?" chiesi confusa. Prese dalla tasca il suo cellulare
e trafficò con i tasti, finché non
trovò quello che stava cercando e me lo
porse.
Sei
una merda.
Lessi
la data e mi resi conto del grande malinteso e sorrisi, spiazzandolo.
-
"Lo trovi divertente?" sbottò con un briciolo d'irritazione.
-
"Non scaldarti, Willy... rilassati, non era per te. Era indirizzato a
Warren. - gli spiegai - Devo aver fatto confusione con i nomi della
rubrica".
-
"E chi è Warren?" gracchiò.
-
"Warren è l'uomo più affascinante della Terra:
charme infinito, portamento
regale, classe sconfinata, gusto nel vestire impeccabile e una bellezza
da dio
greco. Metti insieme Brad Pitt, George Clooney, Richard Gere e Colin
Farrell e
otterrai quella meraviglia d'uomo chiamato Warren. Che poi sono io. -
ridacchiò
il nuovo arrivato, apparso dalla porta giusto in tempo per fornire una
realistica descrizione di se stesso - Come se ci fosse bisogno di
precisarlo" aggiunse, guardando Will come un leone guarda la propria
preda
in difficoltà.
Feci
le presentazioni e li lasciai chiacchierare, mentre il mio vicino - di
nuovo
vicino - sbirciava di soppiatto la curiosa macchietta che faceva di
tutto per
mettersi in mostra, con improbabili mosse sensuali per prendere la
tazza di tè
sul tavolino del salotto o per allungarsi sul divano e agguantare il
telecomando.
Li
osservai dalla cucina, trattenendo a stento le risate dovute al
serratissimo
corteggiamento che stava avvenendo nel mio salone, sotto lo sguardo
preoccupato
di Romeo. Povero Will, conteso tra un gatto ed una checca.
Dopo
qualche minuto mi resi di compassione e li raggiunsi, immersi com'erano
in una
conversazione sul basket.
-
"Preferisco il baseball, in effetti. È uno sport completo"
esclamò
convinto Warren. Da quando si intendeva di attività fisica?
Le uniche cose
brucia-calorie che conosceva erano l'arte amatoria e quella dello
shopping, ma
in entrambi i casi lo smaltimento degli zuccheri era solo un effetto
secondario.
-
"Beh, non hai tutti i torti: - convenne Will - bisogna essere agili nel
correre e afferrare la palla col guantone, precisi nella mira e forti
nel saper
colpire in modo da fare dei fuoricampo. Ci vuol sicuramente molto
allenamento".
-
"In realtà sono interessato solo alla parte della mazza e
delle
palle" ammiccò in direzione di Will che
impallidì, in evidente imbarazzo,
strappandomi un sorriso.
-
"V-vado a prendere un bicchiere d'acqua" si affrettò a dire
per
scappare dalle pressanti attenzioni di Warren. Mentre si alzava per
raggiungere
la cucina, gli sussurrai in un orecchio che non aveva nulla da temere,
che il
caro camionista era uno di tante chiacchiere e pochi fatti, ma venni
prontamente smentita dallo stesso Warren che urlò.
-
"Guardati le spalle, yankee". E quando lo dice un gay, c'è
sempre da
stare attenti alle proprie retrovie...
-
"Credo si berrà litri e litri di acqua prima di tornare;
almeno così dovrà
andare un sacco di volte in bagno e potrà fuggire da te"
ridacchiai.
-
"Digli pure di rilassarsi: me ne vado a casa. Domani mattina devo
svegliarmi presto. - mi baciò veloce una guancia e si
sollevò dal divano,
facendomi l'occhiolino - Sei una donna in gamba, Samantha Grayson; non
disperarti per un uomo, piuttosto disperati perché Dio non
ti ha dotato di due
tette più grandi. Questo è il vero dramma,
Zucchero!". Salutò Will con un
inedito miao miao William
che sortì il solo effetto di
mettere sull'attenti Romeo per quel plagio bello e buono. Una volta
chiusa la
porta, il mio vicino ricomparve con espressione circospetta.
-
"Siamo soli?" chiese preoccupato, guardandosi attorno.
-
"Solissimi" lo rassicurai.
-
"Non ci posso credere che abbiamo smesso di parlare e sentirci per uno
stupido disguido. Mi dispiace, Raviolo". Alzai le spalle e mi lasciai
cadere al suo fianco nel letto, in camera mia.
-
"Ti va di dormire qui?" gli chiesi, cercando di trovare una posizione
comoda senza bloccargli la circolazione nel braccio.
-
"Temevo non me lo chiedessi più" rise.
-
"Posso stringerti come un orsacchiotto?" domandai, mimandolo su me
stessa e dondolandomi a destra e a sinistra.
-
"Puoi stritolarmi quanto voi" mi accontentò.
Will
era sempre il solito: un cavaliere dall'armatura scintillante pronto ad
accorrere in caso di necessità e a farsi in quattro pur di
aiutare un amico.
-
"Avrei dovuto innamorarmi di te... saremmo stati una coppia
orribilmente
bella" decretai. Lo osservai meglio e notai che non era cambiato di una
virgola; stesso fisico curato, stessa luce negli occhi, stesso sorriso
sincero... persino i capelli erano lunghi come l'ultima volta che ci
eravamo
visti! Kay era una ragazza fortunata. Troppo, per un'arpia come lei.
-
"Lo penso anche io, Sam".
Anche
lui pensa che sia
un'arpia? Ah no, diceva di noi come coppia. Sarebbe stato troppo
bello...
Decisi
di chiedergli l'unica cosa che mi stesse bazzicando in testa da quando
era
entrato.
-
"Mi stavo domandando se te l'abbia detto lui quel che successo o se tu
abbia una strana antenna transatlantica che registra i miei problemi di
cuore". Will esitò per qualche istante, non aspettandosi che
fossi già
arrivata a quella conclusione.
-
"Vedo che la mia Sam ha cominciato a parlare chiaro, invece che
perdersi
in discutibili giri di parole. Comunque sì, l'ho saputo da
Nick. Posso ancora
dire il suo nome oppure devo dire ‘la
parola con la N’? Sai, perché di solito
voi donne fate queste cose"
cercò di stemperare la tensione, ma io mi irrigidii
ugualmente e inclinai la
testa verso il cuscino.
-
"Si è voluto lavare la coscienza?" ironizzai.
-
"Era preoccupato; ha detto che sei andata via come una furia e che non
aveva idea di quello che avresti potuto fare" tentò di
giustificarlo.
-
"Tipo andare a letto con uno?" sparai sarcastica; forse nemmeno la
fantasia di Nick sarebbe arrivata a pensare a tanto. Will mi
scrutò per qualche
istante alla ricerca di qualche emozione sul mio viso che rivelasse che
stavo
solo scherzando, ma poi capì che era la pura
verità.
-
"Non ti dirò brava, però ti capisco. -
scrollò le spalle - La vendetta è
donna".
-
"Non sono fiera di quello che ho fatto, ma a volte mi parte qualcosa in
testa e lo devo assecondare, anche se poi finisco col pentirmene poco
dopo.
Dio, questa storia finirà col farmi uscire di senno".
-
"E invece io sono fiero di te perché hai fatto la cosa
giusta. E Nick non
sa che si perde". Ed io, invece? Cosa mi stavo perdendo senza Nick?
-
"Ho pensato alla lettera che mi ha lasciato mia zia Annie, sul fatto di
saper cogliere l'occasione al volo e mi son detta che forse il mio
treno era
arrivato, e ci ho provato. È andata male, però
almeno ho tentato".
-
"A tal proposito ti ho portato questo". Inarcò la schiena
per frugare
nella tasca dei pantaloni e trarre un tubetto di Attack. Scoppiai a
ridere,
immaginando diversi scenari dai risvolti interessanti.
-
"Cosa ci dovrei fare, incollargli le dita tra loro, oppure
appiccicargli
le sopracciglia o i peli pubici?". Will scosse con vigore il capo e mi
consegnò nelle mani il regalino.
-
"No, non è per lui! È per te" sussurrò.
-
"Vuoi che mi chiuda la bocca così da non parlare
più?" ipotizzai
ancora.
-
"Ancora no, anche se a conti fatti non sarebbe una cattiva idea. -
finse
di pensarci, ma subito tornò in sé con una bella
manata sulla spalla da parte
mia - È per mettere insieme i pezzi del tuo cuoricino". Mi
stampò un bacio
sulla fronte ed io mi accoccolai ancora di più contro di
lui. Mi sentii pizzicare
gli occhi e due lacrime mi scesero lungo le guance, in un pianto
più di
liberazione che di consapevolezza.
-
"Non voglio piangere per lui!" battei un pugno sul materasso con
rabbia, asciugandomi la faccia con la manica della felpa.
-
"Raviolo, se vuoi fingiamo che tu sia commossa dal mio ritorno"
scherzò Will.
-
"So che preferiresti essere da Kay in questo momento a fare ben altro
esercizio fisico nel suo letto, perciò vai! Prometto che non
mi offenderò: sono
grande ora" esclamai, sperando di essere convincente.
-
"L'ho già vista prima e abbiamo già fatto
attività... - Okay, questa parte
non la volevo sapere
- Sto con te stasera: sei la mia migliore amica, hai bisogno di me e
voglio
stare qui".
-
"Sto creando un conflitto diplomatico tra Graysonlandia e Kaylandia?"
risi, godendoci internamente di quella piccola vittoria in una giornata
in cui
tutto ciò che poteva andare storto era andato anche peggio.
-
"Diciamo che non era felicissima di questa cosa, ma ha capito la
situazione" provò a mediare Will.
-
"Quindi non mi odia?" avanzai, fingendo interesse.
-
"Adesso non esagerare: ti odia un po' di meno". Meglio così:
d'ora in
poi ci sarebbe stato posto solo per l'odio tra me e la sua famiglia. Il
pensiero corse a un'altra casa, a un altro letto, a un'altra persona.
-
"È la nostra
canzone" disse Nick, girandosi verso di me con un mezzo sorriso sul
volto.
Nostro?
C'era qualcosa
che si potesse definire nostra?
Mi
alzai dal letto mentre Will sonnecchiava e andai in bagno per fare la
doccia.
Sotto il potente getto di acqua calda mi coprii la faccia con le mani e
provai
a scacciare via i ricordi di quella sera.
-
"Tu leggi
febbre, io leggo fuoco che ti porta fuori dall'oscurità. Sei
superficiale, non
vai mai ad indagare un po' più a fondo". Rolling in the deep.
Ci
aveva visto lungo Nick quella volta; nulla a che fare con la febbre,
però. La
previsione di quanto accaduto era sempre stata lì, sotto i
miei occhi ciechi.
Con il senno di poi mi sarei potuta risparmiare un cuore spezzato e un
orgoglio
ferito.
Mi
sentivo un Icaro moderno: ad un passo dal sogno di volare, ma anche ad
un passo
dal finire con la faccia nella polvere. In quegli attimi di esitazione
di Nick
mi ero illusa di riuscire a raggiungere il sole, salvo però
poi cadere
miseramente al suolo. Spinta
da lui.
You had my heart and soul in your hand
And you played it to the beat.
Allora,
allora, allora. Finalmente avete capito che il buono di turno
è Will e il
'cattivo' è Nick. Avete maltrattato il povero Willy
all'inverosimile, quindi
ora scusatevi! :D
In
generale dico che non è un capitolo facile: alcune di voi
potrebbero giudicare
male il comportamento di Sam per quanto accaduto con Troy, ma io ho
provato ad
immedesimarmi nella situazione e mi sono chiesta cosa avrei fatto al
suo posto.
Ed avrei fatto così; questo non mi fa onore, però
sono sincera.
Volevo
una reazione vera, realistica; non amo i personaggi fragili, che si
piangono
addosso, che si mettono in ginocchio ed implorano amore. Non volevo che
Sam
rimuginasse giorni e giorni su quello che è accaduto; volevo
che lei dicesse
'okay, non mi vuoi? Me ne trovo altri cento'. Potrà sembrare
infantile,
irrazionale, impulsivo e immaturo come atteggiamento, ma Sam
com'è? E'
infantile, irrazionale, impulsiva e
immatura. Non sto dicendo che abbia fatto la cosa giusta, ma
è una persona
orgogliosa e sta solo simulando di non esserci rimasta poi
così male. Non è una
santa, ma non ha nemmeno la pretesa di esserlo: volevo solo fosse umana.
Detto
questo, siete liberissime di giudicarla come volete :)
La
canzone del titolo -
"You give love
a bad name" - è di Bon Jovi e c'è anche un
riferimento a "Rolling in
the deep" di Adele. La scena del letto che ricorda Sam è
quella del
14esimo capitolo, mentre il messaggio di cui parla Will è
presente nel 24esimo.
Ringrazio
nes_sie sia per il betaggio - perché lo devo a lei se questo
capitolo non ha
errori e orrori vari, tipo strane trasformazioni di Romeo in cane e
altri
obbrobri - sia per la costante pressione che mi mette per aggiornare :)
E a lei
ovviamente si aggiunge la donna dei manici di scopa, alias vero bigia.
Grazie
a
tutti come sempre e ora volo a rispondere alle vostre recensioni.
Un
bacione,
S.
|
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Capitolo 30 *** Capitolo 30. Crazy, Pink Christmas. ***
Capitolo
trenta.
Crazy
Pink Christmas.
Pioveva.
Lungo le vie affollate della capitale, il vento gelido di dicembre
s'infiltrava
nei lembi di pelle lasciati scoperti dagli incauti passanti, troppo
intenti a
ripararsi dalle insidiose gocce d'acqua per riuscire a sottrarsi alla
fredda
corrente d'aria.
Una
miriade di lucine colorate, festoni ed addobbi decoravano da qualche
giorno le
vetrine dei negozi, preannunciando l'inizio del periodo dell'anno che
preferivo:
Natale.
Intere
schiere di turisti passeggiavano tra le strade di Londra, resa ancor
più
suggestiva dall'atmosfera festiva, alla ricerca di regali e souvenir
anzitempo,
per evitare d'incorrere nel pienone che si sarebbe creato da
lì a poco con la
furiosa e disperata caccia dei doni dell'ultimo minuto.
Mi
sistemai meglio il berretto sulla testa e richiusi la portiera del taxi
alle
mie spalle, proseguendo a piedi verso il bar dell'angolo, vicino alla
redazione
di Music Magazine. Avevo
l'impellente
bisogno di un tè caldo e di biscottini al burro per poter
cominciare al meglio
la giornata, con Sam1 tra i piedi e Valerie che finalmente era tornata
dopo la
vacanza irlandese dalla suocera.
Era
passata più o meno una settimana dalla mia tristemente
famosa confessione
davanti il Pumping Pumpkin, ed era
chiaro che non ci fossero stati contatti tra me e...
colui-il-cui-nome-comincia-per-enne. Warren e Will si erano uniti -
purtroppo,
non nel senso che Warren avrebbe voluto - per garantirmi serate di
divertimento
no-stop, in modo da non farmi pensare a quanto successo con... Lui. Tuttavia non era così
semplice
dimenticarlo. Mentre era sin troppo facile imbattersi nel ricordo dei
suoi
occhi o delle sue labbra incurvate in un sorriso. O di altre parti non
meglio
identificate del suo corpo.
I
giorni avevano fatto sbollire il nervosismo, ma nulla avevano potuto di
fronte
al mio morale in caduta libera verso un baratro profondo. Mi ero sempre
reputata una persona forte, di quelle che non si abbattono se la vita
ti sbatte
la porta in faccia; però, rimanevo comunque una ragazza col
cuore in frantumi e
l'incoerente e insensata voglia di rivalsa. Purtroppo, di fronte al
rifiuto di
Nick, il mio primo pensiero era stato la consapevolezza che non avrei
accettato
un no come risposta. Le sue parole avevano avuto su di me lo stesso
potere di
una bocciatura ingiusta ad un esame universitario: la
prossima volta ritorno, mi preparo il doppio, e tu sarai costretto a
darmi il massimo dei voti. Il problema era che non potevo
'prepararmi il
doppio' per conquistarlo e, al momento, non ne avevo la minima
intenzione. Nick
era una partita persa a tavolino, a prescindere da tutto l'impegno che
ci avrei
potuto mettere.
Stavo
per entrare nel bar, quando una chioma castano chiaro, corta ed
arruffata, mi
fece sobbalzare.
Perché,
perché?
Mi
appiattii con la schiena contro il muro esterno e provai ad affrontare
razionalmente la situazione: Nick nel
bar. Io fuori. Cuore a mille. No, questo non c'entra. Io me ne vado.
Fingo che
tutto ciò non sia mai successo.
Niente
biscotti al burro, niente tè, ma subito a lavoro. Tanto lo
stomaco, ormai, si
era chiuso.
Strizzai
gli occhi perché sapevo che non sarei riuscita ad andarmene
senza dare un'altra
occhiata a quel maledetto che se ne stava seduto ad un tavolo,
regalando ai
passanti una bellissima panoramica del suo profilo sinistro. Mi voltai,
poggiai
una mano sul muro e mi sporsi a destra di questo, sbirciando attraverso
il
vetro della porta.
Era
concentrato nella lettura di un libro, una matita tra le dita della
mano
sinistra che, di tanto in tanto, probabilmente utilizzava per
sottolineare
qualche frase. Sul tavolo davanti a lui, c'era una tazza fumante ed un
piatto
vuoto con solo qualche briciola a sporcarlo. Imposi al mio cervello di
staccare
gli occhi dalla sua figura e di muovere le gambe verso l'ufficio, ma
non mi
schiodai di un solo millimetro da quella posizione. Scrutai la curva
del
profilo di Nick con avidità e notai a malincuore - parola
più che azzeccata -
quanto mi fosse mancato anche solo vedere quella sua faccia da
schiaffi.
Merda,
Sam, ci stai
ricascando.
Il
bastardo, poi, per l'occasione si era anche preoccupato di avere quello
stile
finto trasandato, tra i capelli arruffati e il filo di barba lasciata
crescere
sulle guance e sul mento, che mi mandava inevitabilmente su di giri. E
di certo
il libro che teneva tra le mani con fare intellettualoide non
migliorava la
situazione: era così da nerd che non poteva non attrarmi.
Sapevo di non dover
guardare The Big Bang Theory: quei
piccoli cervelloni mi avevano conquistata.
-
"È tua abitudine spiare la gente che fa colazione?". Una
voce alle
mie spalle mi fece trasalire. Mi girai in automatico verso la donna
dalla quale
era provenuta e, con sommo dispiacere, dovetti constatare che quello
non
sarebbe stato un buon giorno.
-
"Ciao Katy. Vorrei poter dire che è bello vederti, ma
qualcosa mi dice che
non sarei del tutto sincera. - replicai piccata - Per tua informazione
non
stavo spiando nessuno, stavo solo guardando se c'è troppa
gente all'interno del
bar: odio i posti affollati, c'è aria viziata dopo qualche
istante"
terminai, pregando che l'allusione venisse recepita dall'odiosa
consulente
legale di MM.
-
"Vedo che le buone maniere non ti sono ancora entrate in testa. -
commentò, le labbra contratte in una smorfia disgustata -
Allora che fai, entri
o stai qui fuori? Giusto perché tu lo sappia, spero che tu
scelga di andartene
per non farmi andare di traverso la colazione: non vorrei vomitare
sulla tua
bella camicetta firmata".
Provaci
e poi vedrai di cosa sono capace se osi affrontare la potenza creativa
di Marc
Jacobs.
-
"Oh, non ti preoccupare, questa camicetta ne ha già viste di
cotte e di
crude. - mi avvicinai e abbassai la voce - Prova a chiedere a
Christian".
Sapevo che il caro Chris era ancora un tasto dolente per lei, e quale
occasione
migliore per rinfacciarle il fatto di averglielo soffiato da sotto il
naso?
Come
previsto, l'espressione giuliva che aveva in faccia sfumò
rapidamente in un
principio di rabbia e le narici che si dilatavano e restringevano a
ritmo
serrato ne erano un chiaro sintomo. Il sorriso che si
disegnò spontaneo sul mio
viso era il primo, autentico e non forzato degli ultimi giorni; ottimo
risultato, considerato che la causa del mio malumore era pochi passi
dietro di
me.
Un
signore grassoccio sui quaranta con un gilet di jeans ed i capelli
lunghi e
unti uscì dal locale, facendo suonare il campanellino posto
sopra la porta.
Passò tra me e la megera, costringendoci ad interrompere la
discussione. Lo
ringraziai mentalmente, perché l'arpia che avevo di fronte
avrebbe potuto
benissimo arpionare i miei capelli e farmi roteare per aria
finché non le
avessi chiesto scusa... non a caso aveva già cercato di
farmi fuori in passato.
Continuammo
a fissarci in cagnesco, in quel tacito accordo che prevedeva che non ci
saremmo
ringhiate contro a vicenda, almeno finché la porta del
locale non si fosse
richiusa. Cosa che non accadde: un piede s'inserì tra
l'uscio e il cardine e
riuscì a fermarla.
-
"Ehi, Katy! Ti aspettavo". Nick uscì dal bar e si rivolse
alla mia
collega, sotto il mio sguardo - e le mie orecchie - allibiti. Ero
così sorpresa
che i due si conoscessero e che, a quanto pareva, avessero un
appuntamento, che
il fatto di trovarsi a mezzo metro da lui passò in secondo
piano.
Se
aveva intenzione di vendicarsi di quella stupida uscita con Christian
aveva
colto nel segno. Aveva trovato l'unica persona con cui sarebbe riuscita
a
ferirmi.
Tutti,
ma non lui...
That
kinda lovin'
Turns a man to a slave
Essendosi
sporto dall'interno con la sola testa, Nick non poteva avermi visto e,
perciò,
continuava a fissare Katy che, al contrario, mi guardava con
un'espressione di
sfida, mista ad imbarazzo. Lui intercettò l'occhiata e
sbiancò, la mascella
contratta: non sapeva che pesci pigliare. Io avvampai e tentai di
formulare una
scusa plausibile nel caso in cui ce ne fosse stato bisogno.
-
"Ciao..." disse infine, gli occhi chiari sofferenti: sembrava gli
procurasse dolore anche solo guardarmi e la cosa mi faceva infuriare;
mi
mandava fuori di testa l'idea di dispiacermi per il suo disagio e non
sapevo
bene se rispondere al saluto per dare un'apparenza di
normalità, - almeno con
Katy -, oppure semplicemente comportarmi come una donna rifiutata
avrebbe
dovuto fare. Prima ancora che riuscissi a raggiungere un compromesso
nella mia
testa, però, le mie labbra si mossero.
-
"Ciao". Conciso e indolore.
-
"Come stai?" si spinse a chiedere.
-
"De-devo andare" tentennai con voce malferma. Infilai veloce le mani
nelle tasche del cappotto e le strinsi a pugno, le unghie conficcate
nel palmo.
Avevo bisogno di calmarmi, di proseguire tranquilla fino all'ufficio,
senza
rivedere la sua faccia davanti agli occhi. Negli sguardi di entrambi
c'erano
gli stessi sentimenti: agitazione, imbarazzo, vergogna.
That kinda lovin'
Sends a man right to his grave...
Il
cd che conteneva la performance con Troy era ormai stabilmente
arroccato sul
cassettone in salotto, un po' a monito di come fossi in grado di
oltrepassare i
limiti della decenza se punta nell'orgoglio, e un po' per non
consentirmi di
dimenticare quel che era successo. In realtà, era piuttosto
facile ricordarsi
quali fossero state le sue parole esatte.
Non
sono la persona
giusta per te.
Ti
farei soffrire.
Mi
dispiace.
Non
posso stare con te.
Bastava
noleggiare uno di quei mediocri film romantici di cui il mondo del
cinema è
pieno, per ritrovare quelle quattro frasi - forse in ordine sparso,
forse
persino nello stesso patetico ordine -, e quanto cercavo di dimenticare
tornava
alla memoria, lasciando un'identica scia di delusione, tristezza e
rabbia.
L'unica
notizia bella della settimana era arrivata da Will: aveva fatto domanda
per un
trasferimento definitivo a Londra. Suo nonno, il signor Hansen, si era
inaspettatamente affezionato alla residenza americana dei Beckett e
aveva
deciso di prolungare il suo soggiorno fino a data da destinarsi,
lasciando
l'appartamento inglese nelle mani e nella disponibilità
completa del nipote.
Kay
era al settimo cielo dalla contentezza e aveva avvinghiato stretto
stretto -
come solo un koala come lei sapeva fare - il povero Will, che tanto
povero non
era sembrato, strizzato tra le braccia della sua fidanzata. Per un
attimo - per
un attimo solo! - l'avevo invidiata: un minuto prima era la ragazza di
un
americano che viveva a millemila
chilometri di distanza e il minuto dopo aveva la possibilità
di vivere la sua
storia d'amore con un uomo fantastico a qualche isolato di distanza.
Era una
donna dannatamente fortunata ad avere lui.
Era
sufficiente guardarli negli occhi per comprendere quanto sentimento ci
fosse
dietro. E, a proposito di dietro, anche Warren aveva deciso di
organizzare
qualcosa di molto particolare in vista del Natale: una festa. Non un
normalissimo party, con gente che si scambia regali, auguri e baci
sotto il
vischio, ma un PinkChristmas, con
tanto di vestiti ed accessori in rosa. In due parole “Un Incubo”, per una come me che
odiava quello schifosissimo colore.
Warren,
però, aveva insistito affinché partecipassi -
insieme a Will e Kay - e, per
evitare che mi presentassi con un abito inadeguato e soprattutto di una
tinta
differente da quella indicata, mi aveva regalato un tubino rosa
shocking che
era sicuramente un adattamento a dimensioni umane di una cianfrusaglia
da
Barbie - quel fiocco enorme sul decolleté ne era la prova.
Mi
stavo preparando per la serata più orrendamente rosa della
mia vita.
Quando
sentii il telefono di casa suonare, credetti di aver trovato un attimo
di pace;
tra il vestito, le scarpe, il trucco, i capelli, dar da mangiare a
Romeo non
avevo avuto cinque minuti liberi. Mi illudevo.
-
"Sam, sono Lily. Volevo dirti che ho ripensato alle tue parole e ho
finalmente capito. Mi sono comportata male con Alex, sono subito
arrivata a
trarre le mie conclusioni senza essere adeguatamente preparata. Sono
una madre
degenere, perché non mi sono documentata prima di fare delle
affermazioni così
gravi, però ora lo posso dire con sicurezza: mio figlio non
è dislessico".
Alla
lunga, sapevo che ci sarebbe arrivata. Con calma.
-
"Mi fa molto piacere che tu abbia capito..." cominciai, ma lei
continuò imperterrita a parlare, ignorando di essere in una
conversazione a
due.
-
"È disgrafico" sentenziò con voce lagnosa.
-
"È cosa?" domandai esasperata.
Dio,
ti prego, dimmi
che non si è messa a inventare malattie, oltre che stupidi
elettrodomestici.
-
"Disgrafico! Coloro che hanno difficoltà nella riproduzione
di segni
alfabetici e numerici sono affetti da disgrafia. Potrebbe essere
persino
disprassico! Sono preoccupata, cosa devo fare?".
-
"Dispra- che? E che cavolo vuol dire?" chiesi, confusa dalla miriade
di termini tecnici che fuoriuscivano dalla bocca di mia sorella.
-
"Questo non l'ho ancora capito. - ammise - Ma sono sicura che Alex
abbia
anche la disprassia!".
Ci
risiamo.
-
"Dove l'hai letta questa cosa?" cercai di fare chiarezza.
-
"Su Wikipedia".
Un'enciclopedia medica, insomma.
Raggiunsi
il portatile in salotto e digitai veloce sulla tastiera del portatile
il sito
indicatomi. Lessi brevemente e tirai un sospiro, di nervosismo per la
cocciutaggine di mia sorella e di sollievo, perché - come al
solito - non aveva
capito niente.
-
"Se avessi letto bene, - le dissi con un tono di rimprovero nella voce
-
sapresti che si parla di questa benedetta disgrafia solo a partire
dalla terza
elementare, quando i bambini hanno già affinità
con la scrittura e hanno le
capacità necessarie per poter riprodurre le lettere in modo
corretto. E in ogni
caso dovrebbe essere l'insegnante a segnalare questa
difficoltà. Ora, mi risulta
che Alex sia ancora all'asilo e che nessuna maestra si sia mai
lamentata".
-
"Mio figlio è molto intelligente".
-
"Sì, vorrei poter dire lo stesso di sua madre" sussurrai.
-
"Forse è perché sono incinta" provò a
giustificare il suo
comportamento isterico.
Aspettavo
questo momento: la gravidanza ti esonera da qualsiasi
responsabilità.
-
"O forse perché ti dovresti trovare un hobby, invece di
torturare tuo
figlio costantemente con cose che non può fare" polemizzai.
-
"Quindi, anche se ha scritto Axel,
io sto tranquilla".
-
"Lily, pensavo che avessimo già affrontato questo
argomento". Stavo
decisamente perdendo la pazienza.
-
"Okay, d'accordo. - disse risentita - Senti, ma come va con quel
Nick?". L'incredibile talento di mia sorella di passare da un argomento
idiota ad uno ancora peggiore era innegabile.
-
"Va bene. Dicevamo di Alex? Pensi sia disgrafico?" tergiversai.
-
"Tu te lo mangiavi con gli occhi quando sei stata qui a Glasgow. - Brava, gira il coltello nella piaga -
Però devo dire che secondo me anche tu non gli eri
indifferente".
-
"Diciamo che soffre di una strana forma di dislessia: fatica a
esprimere
dei concetti di senso compiuto quando messo alle strette".
-
"Eh, pazienza: ha già un bel culo, non si può
pretendere che sappia anche
parlare". Parole sante.
Lily
in certe cose è sempre stata la migliore, senza alcun
dubbio: come sessuologa
sarebbe stata perfetta.
L'appartamento
di Warren era stato trasformato nella casa di Barbie, quella
smontabile, a più
piani, dove anche i gambi dei fiori delle vasiere erano rosa.
Disgustosamente
deliziosa.
I
due tavoli della cucina e del salotto erano stati uniti e ricoperti
fino a
terra con una tovaglia color confetto e riempiti di stuzzichini con
wurstel,
salmone, prosciutto e qualsiasi altro ingrediente contenesse la
più leggera
sfumatura di rosa.
Tra
la folla di sconosciuti che stavano chiacchierando, intravidi Will e
Piattola
alle calcagna.
-
"Buonasera! Ciao, Sam". Kay mi diede un bacio sulla guancia e per un
attimo mi sembrò che il mondo si fosse fermato: che cavolo
era successo perché
si avvicinasse così tanto a me? Quando avevo abbassato le
mie difese in quel
modo?
Appunto
mentale:
verificare che il bacio della vipera non sia velenoso.
-
"Oh, sei arrivata finalmente!". Warren guardò con
disapprovazione il
golf blu scuro che avevo indossato sopra quell'ignobile pezzo di stoffa
che mi
aveva regalato.
-
"Sam, - Kay reclamò la mia attenzione - Will mi ha
raccontato di te e
Nick. Non puoi capire come sia dispiaciuta! Quel testone di mio cugino
deve
avere qualche rotella fuori posto, ma ti assicuro che quando l'ho visto
l'altra
sera era piuttosto scosso. Comunque sono dalla tua parte". Wow,
compassione per cena!
-
"Grazie" sorrisi falsa.
-
"Ricordati che sei una bella ragazza e che un giorno lui si
pentirà e
tornerà strisciando".
A
quanto pare i
serpenti sono cosa di famiglia.
-
"Oh, Kay, - s'intromise Warren con il tono canzonatorio di chi ritiene
ingenua un'osservazione e vuole indottrinare l'interlocutore -
perdonami, ma
non credo che Sam abbia bisogno di sciocchi complimenti in questo
momento. Ora
è vulnerabile, non si è ancora ripresa,
com'è giusto che sia, deve solo
rimettersi in sesto e imparare a non lasciarsi coinvolgere troppo
presto dalle
persone. Ha bisogno solo di una cosa al momento; tre parole: Due.
Tette.
Nuove".
-
"Per un attimo avevo quasi temuto che tu stessi per pronunciare un
discorso serio: ti prego, non farlo mai più. Per quanto mi
riguarda, dovrei
solo imparare a stare lontano dagli uomini, e il mio livello di
soddisfazione
della vita aumenterebbe esponenzialmente. Forse dovremmo fare un voto a
qualche
Santo o una promessa: sì, prometto di tenermi lontana da
qualsiasi pisello
almeno per un mese. Warren?".
-
"Brava" si complimentò, senza prestarmi la minima
attenzione, tutta
catalizzata sulla metà maschile di una coppia di coniugi sui
trenta.
-
"No, dovresti aiutarmi e fare la stessa promessa". lo rimbrottai,
prendendogli con una mano l'orecchio destro e costringendolo a
guardarmi.
-
"Ah, questo è il momento in cui dovrei dire ‘anche io prometto di stare lontano dagli uomini'?
D'accordo: io mi
impegno solennemente a stare lon... - s'interruppe all'improvviso, la
lingua
tutto d'un tratto annodata su se stessa, impossibilitata a formulare
una
sillaba di senso compiuto - Riprovo: io mi impegno solennemente a star
lontano
da tut... - stavolta si portò anche le mani alla base del
collo, simulando un
soffocamento per qualche secondo per poi tornare serio e composto -
Spiacente,
Zucchero, non ce la faccio, non avverrà mai. Il popolo ha
bisogno del suo re.
Ed io ho bisogno di avere tra le mani un lungo e possente...".
-
"Warren, autocensurati per favore" lo anticipai.
-
"...scettro, stavo per dire scettro, maliziosa. E vorrei anche una
tiara,
molto discreta, stile Lady D al suo matrimonio". Impiegai qualche
istante
a ricordare l'oggetto in questione, ma di una cosa fui certa fin dal
primo
istante in cui pronunciò 'tiara' e 'matrimonio Lady D':
erano i favolosi anni
'80, era improbabile che ci fosse qualcosa che si potesse definire
sobria.
-
"I re indossano solo la corona" gli feci notare.
Sbuffò
di fronte alla mia ottusità e si preparò a
controbattere.
-
"Allora faccio la regina. Dopotutto quando lo faccio con un uomo, a me
piace...".
-
"Non siamo amici fino a questo punto, Warren" lo fermai, prima di
venire a conoscenza di dettagli intimi di cui avrei fatto volentieri a
meno.
-
"Bigotta! - mi rimproverò lui, facendosi pensoso - Che fa
rima con
mignotta".
-
"Harmony" mi venne d'istinto.
-
"Cosa c'entra?" mi chiese, incapace di realizzare il perché
avessi
citato proprio la simpaticissima amica d'infanzia di Nick.
-
"Pensavo stessimo giocando a fare le associazioni mentali. Ed
è appena
entrata dalla porta di casa tua". Pronunciai quest'ultima frase, senza
in
realtà rendermene conto.
-
"Sorpresa!" sghignazzò, facendomi sgranare gli occhi dallo
stupore.
-
"Hai invitato Harmony alla tua festa? - non fece in tempo a rispondere,
perché lo spostai in modo irruente con un braccio, facendomi
largo per vedere
meglio - E dimmi che Harmignotta
non
indossa il mio stesso vestito!". Lo guardai e lui stava ancora
sorridendo
falsamente come qualche secondo prima.
-
"Sorpresa!" ripeté imperterrito, facendo vibrare le mani
aperte
accanto al viso. Lo presi per un braccio e lo trascinai vicino al
bagno, pronta
a fare una piazzata di dimensioni bibliche.
-
"In uno dei tuoi giochetti erotici ti hanno sbattuto un pisello in
testa?" urlai.
-
"Veramente...".
Santi
numi, quest'uomo
è un pervertito!
-
"Era una domanda retorica: non devi rispondere! Dimmi almeno che tu non
c'entri nulla nella scelta dell'abito". Il silenzio colpevole che
seguì fu
una conferma dei miei sospetti. Qualcuno sarebbe finito a fette sulla
tavola
entro la fine della serata.
-
"Zucchero, l'ho fatto per te! Vi ho regalato lo stesso vestito
perché
tutti vedessero la differenza tra lei e te: tu sei splendida, sei
elegante...
lei è due gambone e una massa informe di ricci. Tu sei una
diva del cinema anni
'40 e lei è Barbie Porno Diva.
Certo,
tesoro, non avevo calcolato che le sue tette sarebbero risaltate in
quel modo!
Hai visto che quel ciondolo di zirconi quasi sparisce? Cielo, sembrano
due
zucche... anche le tue, però! Facciamo dei semi di zucca? -
stava andando così
bene! - Ma sai cosa succede alle zucche? Se ci pensi, la gente le
compra solo
ad Halloween e il resto dell'anno non se le fila nessuno"
tentò di
rabbonirmi.
-
"E invece i semi si vendono come il pane, vero? - dissi ironica - Per
di
più i semi sono all'interno. Quindi, tecnicamente, seguendo
il tuo
ragionamento, io sarei all'interno di Harmony. Harmony è
incinta di me. Oddio,
è una metafora per dirmi che Harmony è incinta?".
Non solo quella merda di
Nick era uscito per un appuntamento con Katy, ma ora mi toccava pure
scoprire
che la gallina ossigenata stava aspettando un pulcino. Qualcuno doveva
pregare
che il pulcino in questione non avesse gli occhi color ghiaccio.
-
"Harmony è incinta? Di chi?" chiese incuriosito Will, che ci
stava
raggiungendo in quel momento con delle noccioline tra le mani.
-
"È arrivato Nick" annunciò Kay al suo fianco.
Ritornata dai miei
pensieri, sentii solo l'ultima parola della frase.
-
"Nick?" sgranai gli occhi.
Qualche
altro ospite
indesiderato da attendere o potevo già ritenermi fortunata
così? Manca Sam
Banks e siamo al completo.
-
"Beata Vergine, Harmony è incinta di Nick?"
strillò Warren, invitato
da tutti a tenere un tono di voce più basso per non rovinare
lo spirito del PinkChristmas.
-
"Vergine un bel paio di palle!" sputai, più scurrile del
previsto.
-
"Ehi, ragazzi". Nick si fece largo tra due giovanotti che si
scambiavano effusioni vicino al camino e afferrò una
pizzetta al volo dal
tavolo alle nostre spalle. La giacca grigia chiara gli faceva risaltare
gli
occhi e il grazioso fazzoletto ripiegato nel taschino rispettava a
pieno le
regole della festa: il suo color rosa antico era forse poco
appariscente per
l'ideatore del party, ma era sufficiente.
Mi
ritagliai un posticino tra le spalle di Will e quelle di Kay e decisi
che ci
sarei stata almeno finché Nick non si fosse allontanato da
noi.
-
"Nick, - lo interpellò il mio vicino - hai per caso...
ingravidato
qualcuno di recente?". Arrivò dritto al sodo, fingendo
disinteresse mentre
sgranocchiava alcuni salatini al sesamo.
-
"Cosa?!" chiese stupito il nuovo arrivato.
Stavo
impazzendo dalla curiosità.
I'm
losin' my mind, girl
'Cause
I'm goin' crazy
-
"Ingravidato, inseminato, impollinato" spiegò la cugina, con
dei
gesti concentrici della mano ad accompagnare lo snocciolamento dei
sinonimi.
-
"Kay, ti prego, lascia fare a me: - s'impose Warren, ricacciandola in
secondo piano e ponendosi davanti a tutti - hai fatto pascolare il tuo
vitello
in prati particolarmente prosperi in questi giorni?".
Non
esistono pulcini
con gli occhi azzurri, vero? Vero?
-
"Ma di che diavolo state parlando?". Nick appariva sempre
più confuso
e le metafore agresti di Warren sicuramente non erano state d'aiuto.
-
"Di pagnotte nel forno" spiegò quest'ultimo.
-
"Da Harmignotta a Harpagnotta"
commentai acida.
Pink
come il fiocco che ci sarebbe stato fuori dalla porta al momento della
nascita
della loro bambina. Rosa.
-
"Harmony?" domandò allarmato Nick.
-
"È incinta" chiarì Will, che proprio non voleva
saperne di
allontanarsi dai pistacchi.
-
"Sul serio? - ora era persino rilassato - E chi sarebbe il padre?".
-
"Tu" disse serenamente Kay.
-
"Non credo proprio! A meno che non abbia degli spermatozoi volanti".
Immagine interessante.
Warren
ritornò a farsi sentire dalla cucina.
-
"Pfff, te l'avevo detto che era la nuova Vergine Maria. È il
miracolo del PinkChristmas!
Dev'essere così... ogni
Natale che si rispetti ha la sua Vergine Maria! Ragazze, senza offesa,
ma con
voi avevo già perso le speranze; ora, Harmony torna a farmi
sperare".
-
"Ma come l'avete saputo?". Nick ignorò bellamente gli
sproloqui del
padrone di casa e si concentrò sull'argomento caldo del
momento.
-
"L'ha detto Sam" disse Will, facendo spallucce.
-
"No, l'ha detto Warren!" mi difesi.
-
"Ciao a tutti! - Harmony abbatté due ragazze con la tetta
sinistra per
farsi spazio e arrivò di fronte a Kay - Oh, Nick, sei
arrivato, finalmente.
Dammi un bacio, pulcino!".
Oddio,
i pulcini con
gli occhi azzurri esistono.
-
"Ossignore, almeno risparmiatemi questa scena pietosa!" sbottai, non
riuscendo a trattenermi.
-
"Samantha, stai bene? Bellissimo vestito" la presunta gravida mi fece
l'occhiolino, stringendosi nelle spalle, con l'ovvia conseguenza di far
cozzare
uno seno contro l'altro. A quel punto per il ciondolo che le pendeva
dal collo
non c'era più nulla da fare: morte per asfissia.
-
"Sei incinta?". Kay non andò molto per il sottile.
-
"Certo che no! - strillò indignata - La gravidanza
è nausee mattutine,
aumento di peso, smagliature, voglie improvvise, piedi gonfi ed ormoni
in
quantità industriale. Quindi, è ovvio che non sia
il mio caso: il giorno in cui
mi verrà una smagliatura probabilmente non mi vedrete
più in giro". Per un
attimo fui tentata - molto seriamente - di dirle che ne aveva una
proprio sulla
coscia, ma il senso di bontà scaturito dal PinkChristmas
mi fece desistere.
-
"Zucchero, allora perché ti sei inventata questa fesseria?".
Sì,
certo, ora era pure colpa mia!
-
"Io? Sei stato tu con tutta quella storia delle zucche e dei semi!".
Non
voglio i pulcini
con gli occhi azzurri, non li voglio.
-
"Io volevo solo dire che tu dai la vita, e che lei muore nel giro di un
giorno. Sventrata" si giustificò Warren.
-
"Quindi è Sam quella incinta!" concluse rapida Kay.
Il
padrone di casa si lasciò sfuggire un gridolino isterico a
metà tra
l'inorridito e lo stupito.
-
"Oddio, è Troy il padre?" domandò impaziente.
-
"Chi è Troy?" chiese gelido Nick.
Pink
come le mie guance di fronte agli occhi sospettosi di Will, Kay,
Warren,
Harmony e ovviamente Nick.
-
"Non sono incinta!". D'accordo, questa era un po' come rispondere
verde alla domanda ‘quanti anni hai?’,
ma la situazione era già abbastanza imbarazzante senza che
io aggiungessi
dettagli hot della mia vita sessuale.
-
"Torta? - propose il padrone di casa all'improvviso, prendendo un
bicchiere di spumante dal tavolo e attirando l'attenzione di tutti gli
ospiti
che vagavano nel suo salotto - William, per cortesia, potresti tagliare
la pinktorta? Buon PinkNatale
a tutti".
Kay
si offrì di aiutare il suo fidanzato nel taglio e nella
distribuzione di dolce,
mentre Warren lasciava la stanza insieme ad Harmony, con la promessa di
mostrarle il suo ultimo acquisto. Feci un passo per raggiungere il
bagno, ma il
metro e ottantacinque di Nick mi si parò davanti,
sbarrandomi la strada.
-
"Chi è Troy?" ripeté, il tono di voce
forzatamente piatto.
-
"Nessuno che tu debba conoscere" risposi fredda, mentre sistemavo
alcuni tovaglioli caduti dalla pila centrale.
-
"Ci vai a letto?". Quelle parole mi fecero rabbrividire la spina
dorsale. Alzai lo sguardo e mi girai verso di Nick.
Non
guardargli la
bocca, Sam.
Pink on the lips of your lover, 'cause
Pink is the love you discover
-
"Cosa?!" esclamai confusa.
-
"Nemmeno una settimana fa hai detto di essere innamorata di me e adesso
scopro che ti scopi un altro?". Stava per piegare in due il piatto di
plastica che teneva in mano; se ne accorse e si affrettò a
poggiarlo sul tavolo
alle mie spalle.
-
"Qual è il tuo problema, Nick? Mi hai fatto intendere
chiaramente di non
volermi e io ho tutto il diritto di andare avanti. Ti aspettavi che
stessi a
piangere per te per il resto dei miei giorni?" cercai di controllare la
mia reazione.
-
"Mi aspettavo che fosse vero quello che mi hai detto". Mi aveva
attirato in un tranello dal quale non sarei uscita indenne: avrei
potuto dire
che mi ero sbagliata, che forse i miei sentimenti non erano
così profondi come
credevo e a quel punto gli avrei confermato di avere torto; oppure
avrei potuto
dire che sì, ero certa di amarlo, contraddicendomi
coll'ammissione di essere
finita tra le braccia di un altro.
Era
il momento di rispondere alla prima domanda, quella da cui tutto era
nato.
-
"Troy è un barman. Ci sono andata a letto per la scommessa.
Contento? - lo
sfidai con gli occhi - Ho fatto quello che mi sentivo di fare, ma
questo non ti
autorizza ad accusarmi di averti mentito. Non mi sono umiliata di
fronte a te
per un capriccio o per una stupida cotta. Non è andata come
speravo e me ne
sono fatta una ragione. Spiegami perché sei qua ad esigere
chiarimenti su cose
che non ti riguardano. Se non capisci cosa vuoi Nick, non dare la colpa
a
nessuno, men che meno a me".
I want to be your lover
I wanna wrap you in rubber
As pink as the sheets that we lay on
-
"Io non sto pretendendo nulla" provò a dire lui, ma ormai
non lo
stavo nemmeno a sentire.
-
"Rivolgi le tue pretese a Katy, non a me" sbottai.
-
"Katy non c'entra nulla. Si tratta di me e te".
Di me e di te?
-
"Non c'è un 'me e te'. -
scandii
bene le parole, perché non avrei avuto il coraggio di
ripeterle un'altra volta
- Esisti tu e la tua vita piena di segreti, ed esisto io che cerco di
dimenticarti."
-
"È questione di coerenza" tentò.
-
"Tu sei completamente fuori di testa! Una persona normale, che non
ricambia i sentimenti di un'altra, non fa scenate se questa si trova
qualcun
altro. E-È sollevata, è felice per lei. Tu,
invece, sei qui a reclamare la
povera deficiente che ti corre dietro. Sei un egoista, un megalomane,
un
egocentrico che ha bisogno di conferme. Ma non ti darò la
soddisfazione di
ripetere quanto ho già detto. Buona serata, Nick. Goditi la
festa".
Lo
piantai in asso, senza attendere risposta, e strappai dalle mani di un
invitato
un bicchiere di vino bianco, trangugiandolo tutto d'un sorso.
Cercai
di divertirmi per il resto della serata, ballando con Warren e il suo
improbabile smoking color rosa porcellino e i camerieri vestiti da
Babbo Natale
versione drag queen.
Chissà
quanto extra
avrà pagato per convincerli a conciarsi in quel modo...
Will
si tolse ben presto la cravatta e la agitò in aria come un
lazzo da cowboy,
catturando chiunque fosse nei paraggi. Che - casualmente - coincise
sempre con
la persona della sua fidanzata, dispensatrice di sguardi assassini e
strategiche gomitate alle giovani fanciulle che osassero entrare, nel
raggio di
un metro e mezzo, nello spazio del mio vicino.
Ma
la costanza e la perseveranza di Warren erano ammirevoli; nonostante
fosse
palese che Will non parteggiasse per il suo stesso Team - e la presenza
della
cozza al suo fianco ne era una testimonianza -, provò a
corteggiarlo tutta
sera. Gli si avvicinò con passo felino e si sedette sul
divano accanto a lui,
rubando il posto di Kay che si stava accomodando esattamente
lì.
-
"Ciao William" gli disse sensuale.
-
"Ti prego, Will; solo mia madre mi chiama William e solo quando
è
arrabbiata. Mi fa sentire sotto processo" si lamentò l'altro.
-
"Tutto questo per dirmi che vuoi giocare al poliziotto buono e quello
cattivo? Io faccio quello cattivo: non sono bravo a fare quello buono"
sussurrò lascivo, provocando un sussulto al mio povero
vicino che sbarrò gli
occhi. Si allentò con una mano il nodo della cravatta e
bevve del vino che
avevano appena servito.
-
"Warren, - intervenni - lascialo respirare. Mi stupisce il fatto che
nessuno ti abbia ancora denunciato per molestie".
-
"Oh, solo un piccolo ordine restrittivo di parecchio tempo fa, nulla di
che. Ero un ventinovenne giovane e inesperto all'epoca"
ridacchiò.
Feci
un breve calcolo e lo guardai con aria interrogativa.
-
"Allora era l'anno scorso, Warren".
-
"Zucchero, è un piacere sapere che sai fare i conti, ma,
indovina un po'?,
a nessuno interessa parlare di te. Dicevamo, Will?" indugiò
su
quell'ultima lettera del nome, aprendo completamente la bocca e
pronunciandola in
modo tale che si vedesse bene la sua lingua.
-
"È ora di andare. - decise Kay per tutti - Sam, ti diamo un
passaggio". Non era una domanda, era un'imposizione, nel perfetto stile
della famiglia MacCord-cognomediKaychenonconosco.
Nick
era sparito da un pezzo, ma decisi di fregarmene.
Accettai
di buon grado lo strappo fino a casa, con i piedi martoriati dai tacchi
e la
testa pesante per via dell'ora tarda.
Warren
aveva insistito per darmi un piccolo regalo prima di lasciare casa sua;
conoscendo la mia passione per le commedie romantiche, mi aveva
regalato un dvd
di La verità è che non
gli piaci
abbastanza e aveva aggiunto che avrei trovato da sola la
citazione che più
mi si addiceva.
C'era
anche un biglietto firmato da lui: So di
non essere un grande ascoltatore, perché chiaramente ho
mille altre doti. Ma io
ci sono per te. Sempre. Warren.
Mi
sdraiai sul letto soddisfatta: anche senza Nick - o, forse, addirittura
grazie
alla mancanza di Nick - avevo una vita fantastica. Almeno avrei vissuto
in
quest'illusione fino alla mattina seguente.
"Non
consumare le tue belle scarpe nuove - e nemmeno quelle vecchie - per
correre
dietro ad un uomo che non ti vuole. Usale, piuttosto, per prenderlo a
calci nel
culo. Impara l'arte dell'essere donna. Impara l'arte di ottenere dagli
uomini
quello che desideri, non sbattendo i piedini, ma facendogli credere che
siano
stati loro a decidere.
Impara
a scegliere invece che essere scelta".
Pink gets me high as a kite
And I think everything is going to be all right
No matter what we do tonight.
Ecco,
anche il 30esimo capitolo è andato e la fine si avvicina! Ho
calcolato un
massimo di 7 capitoli ancora, dopodiché la storia
potrà considerarsi conclusa.
Direi
che
l'aspetto più importante è che Warren ha scoperto
di avere un cuore! Miracolo!
Povero, era ora di mostrarlo!
Il
titolo
è composto da due canzoni degli Aerosmith, "Crazy" e "Pink"
e sono citati il telefilm "The big bang theory" e il film "La
verità è che non gli piaci abbastanza", che
consiglio :)
Come
al
solito vi ringrazio tutti perché leggete e recensite; un
ringraziamento va alla
triade di rompiscatole Ven, Vero e Ale che mi spronano ad aggiornare.
Un grazie
speciale a Nes che si è prestata a betare il capitolo a
pezzi e poi tutto
insieme, visto il casino che ho fatto nello scrivere.
Ora
rispondo con calma alle recensioni!
Un
bacione,
S.
|
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Capitolo 31 *** Capitolo 31. You Learn. ***
Capitolo
trentuno. You
Learn.
Oscar
Wilde diceva: 'Solo gli ottusi sono
brillanti la mattina a colazione'.
Doveva
essere per questo che l'unica a gracchiare davanti alla macchina del
caffè
dell'ufficio alle 8.30 di mattina era Katy, bardata in un pellicciotto
vero di
ermellino e degli orrendi stivali scamosciati, con una freccia di
strass ad
evidenziare i polpacci, nel caso qualcuno non avesse notato la loro
imponenza.
Valerie
era in trance, trincerata dietro dei grandi occhiali da sole per
proteggersi
dalle luci della redazione, mentre Amanda girava stancamente la paletta
nel suo
mocaccino, lottando per non far serrare del tutto le palpebre. Io e
Jade
eravamo appoggiate alla sua scrivania, troppo stanche persino per
reggerci
sulle nostre stesse gambe.
-
"...e mi ha portato a ballare, capite? Erano anni che non uscivo con un
uomo che fosse degno di essere chiamato tale. Mi sembra di conoscerlo
da
sempre, sa cosa mi piace..." disse entusiasta Katy, incurante che
nessuno
la stesse ascoltando. Io, poi, non ero certo dell'umore adatto per
parlare di
quanto fosse fantastico per lei uscire con Nick.
-
"Tesoro, hai superato il limite delle mille parole al minuto. Dacci
tregua!" la pregò Val, salutando tutte con un gesto
indefinito della mano,
prima di sparire dietro la porta del suo ufficio.
-
"Io torno a lavorare" annunciò Jade. Diede un secco colpo di
reni e
si spostò dal tavolo sul quale era poggiata, accanto a me.
-
"Mando un messaggio a José". Amanda trascinò il
suo bel corpicino
innamorato lontano dalla zona depressa, dove ormai ero rimasta sola con
Katy.
Ad essere onesti, l'unica depressa ero io, dal momento che l'arpia di
fronte a
me era tutta sorrisi e occhi dolci, parlando di qualcosa che avrebbe
dovuto
appartenere a me: lui. Non riuscivo
a
non ricordare con rabbia la visione di loro due insieme di fronte al
bar e, a
giudicare dalla felicità di lei, era ipotizzabile che
avessero già fatto
qualche passo di danza in orizzontale.
Tutti,
ma non lui...
Tutto
ciò andava ben oltre ogni ragionevole concezione di vendetta
da parte della
consulente legale di Katy: Christian non valeva tanto impegno e, come
se non
bastasse, lei sembrava davvero felice: non stava fingendo.
Lo
squillo del cellulare che tenevo nella tasca mi distolse -
fortunatamente - dal
proposito di augurare alla neo coppia felicità e
serenità.
-
"Pronto?" biascicai.
-
"Ti aspetto nel mio ufficio". Valerie era così scansafatiche
da non
riuscire nemmeno ad alzare il suo bel sedere e arrivare fino alla porta
per
chiamarmi.
Mi
trascinai fino alla sedia di fronte alla sua scrivania e la guardai con
aria
interrogativa.
-
"È il momento di agire, Sam: Hagrol non si è
fatto più vedere in giro, ha
rifiutato interviste e non vuole lasciare dichiarazioni. Se le mie
fonti hanno
ragione, pare che non abbia in mano un bel niente" rise malefica, ma io
ero piuttosto perplessa.
-
"Non è mai stato un tipo particolarmente loquace e
socievole... forse sta
solo cercando di finire al più presto l'inchiesta e non
vuole distrazioni
esterne". Non volevo smorzare il suo entusiasmo, solo cercare di
rimanere
il più realista possibile, mentre la fantasia di Valerie
volava libera. La mia
amica non mollò l'osso e continuò a sostenere la
sua tesi.
-
"C'è qualcosa che non mi convince. So che è
sempre stato schivo, ma ora mi
sembra un po' troppo. Il London Express
si è addossato tutta la responsabilità per la
scarsa vita mondana di Ken:
dicono che sia questione di politica del giornale, però non
ne sarei così
certa".
-
"Dovrei indagare anche su questo?" cercai di capire.
-
"Se vogliamo arrivare prima di Hagrol, dobbiamo scoprire
perché si è
barricato in casa e se ha delle informazioni che noi non possediamo".
-
"E se ce le avesse?" provai.
-
"Beh, non sarebbe la prima volta che vai a letto con un uomo. - la
guardai
stralunata - Scherzavo, scema! Manderei Warren".
Okay,
non stava scherzando.
-
"Zia, zia! - Alex stava urlando nel mio povero orecchio, dall'altro
capo
del telefono - Quando vieni per Natale posso farti vedere il mio
disegno? L'ho
fatto per te! Ci sei tu e quel gattaccio che abita con te!".
-
"Ehi, piano con le parole: Romeo non è un gattaccio, ma un
bel micione.
Devi stare attento a come parli, perché altrimenti Babbo
Natale potrebbe
sentirti e decidere di non regalarti quel trenino rosso che tanto ti
piace" lo minacciai.
-
"Come fai a sapere del trenino? - chiese curioso. Oh-oh.
Di certo non potevo dirgli che me l'aveva raccontato Lily,
leggendo la letterina con la lista dei giochi che lui aveva lasciato
perché le
renne venissero a prenderla! - La mamma dice che lo sai
perché sei un'aiutante
di Babbo Natale. Dice anche che è perché sei
bassa".
-
"Ah, sì? Tua madre è sempre stata una donna
simpatica... ho detto donna?
Intendevo signora di mezza età. Rugosa e patetica. Una
donnuncola senza molte
pretese" scherzai, ma in fondo neanche troppo.
-
"Mamma, la zia Sammy dice che sei una signora in tenda. Una nonna di
mezza
metà. Ramosa e patatina. Una foruncola senza molte morose".
Non
era esattamente
quello che avevo detto, ma va bene lo stesso.
-
"Sorellina, stai bene?". Era comprensibile che Lily avesse un po' di
confusione in testa dopo la traduzione simultanea di Alex.
-
"Sì, tuo figlio ha cambiato alcune parole, ma ammetto di
essere contenta
del risultato" ridacchiai.
-
"Sei un tesoro. - scherzò, - Ti salutiamo io e Axel".
A
quanto pareva, la storia della dislessia non era ancora stata
dimenticata del
tutto.
-
"Lascialo vivere" la implorai.
-
"Sembra che ti abbia fatto dei baffi nel disegno..." mi disse.
Quel
piccolo insolente!
-
"D'accordo, uccidilo".
Will
era di nuovo in partenza; doveva sistemare le ultime cose a Portland ed
organizzare
il trasporto di tutta la sua roba dagli Stati uniti fino a Londra.
Avevo
insistito per accompagnarlo in aeroporto insieme a Kay, ignara che ci
avrebbe
fatto compagnia anche la nonna della Piattola,
la perfida nonna tedesca che io sospettavo essere pure un po'
dittatrice, a
giudicare dal modo imperioso con cui mi aveva disintegrato la mano
durante le
presentazioni e dal tono duro con cui parlava.
I
due piccioncini si stavano scambiano nauseanti tenerezze da perfetti
conigli in
amore, suscitando interesse tra la folla.
-
"Mi mancherai, caramellina".
-
"No, cucciolotto, tu mi mancherai di più. Prometti che
sarò sempre la tua
pastafrollina e che non permetterai che nessuna americanaccia ti metta
le zampe
addosso?".
Nonna
Inge, alle loro spalle, si irrigidì: una tedesca dal cuore
di pietra non poteva
tollerare che la nipote si struggesse in quel modo per un volo
intercontinentale, per di più di fronte ad una massa di
sconosciuti. E a noi.
Repressi
un conato di vomito provocato da eccesso di smancerie; ero quasi certa
che Will
non stesse partendo per combattere una guerra, che non sarebbe stato
via a
lungo e che non avesse una malattia mortale, perciò c'era
davvero bisogno di
tutto quello zucchero filato e di tre metri e mezzo di lingua per dirsi
'a presto'?
Ci
schiarimmo la gola quasi contemporaneamente e i due lumaconi limonatori
si
staccarono uno dalle labbra dell'altro.
-
"Buon viaggio, William". Inge gli strinse la mano con vigore e
abbozzò un sorriso.
-
"Grazie, signora Lancaster. Arrivederci".
Il
mio amico si avvicinò a me e mi abbracciò,
baciandomi una guancia e allegando
sottovoce una serie di raccomandazioni che andavano dal non mandare a
fuoco la
cucina di casa mia, al cercare di controllare Warren.
Kay
si attaccò di nuovo come una cozza al suo fidanzato e lo
trascinò fino a che le
fu possibile; nonna Inge mi prese sottobraccio - il che fu abbastanza
inquietante - e mi condusse fino alla macchina, mentre la nipote
tentava di
raggiungerci correndo con la coordinazione di un dinosauro morto.
-
"Mi dica, signorina Grayson, ha impegni per stasera? Sa, Kay ha
promesso
di restare a dormire da noi, ma penso che un po' di compagnia per cena
potrebbe
aiutarla a distrarsi dalla partenza di William, non crede?" mi chiese
gentile.
Io?
Dalla nonna di
Nick? A consolare Kay? Anche no.
-
"La ringrazio, signora, dell'invito e mi piacerebbe trascorrere del
tempo
con sua nipote - non in questa vita,
però
non escludo che dopo la morte io possa diventare buona e disponibile a
sopportarla -, ma è già tardi e
preferirei tornare al mio
appartamento".
Inge
entrò in macchina senza aggiungere nulla e, solo a quel
punto, Kay mi si
avvicinò e parlò sottovoce.
-
"Sam, non te lo stava chiedendo: ha già deciso che sarai da
noi a
cena".
Che
famiglia adorabile.
-
"Tua nonna abita molto vicino a tuo cugino?" m'informai, giusto per
precauzione.
-
"Al piano di sotto". Sapevo che la dea bendata non avrebbe cominciato
di punto in bianco a sostenermi.
La
casa dei MacCord e della signora Lancaster era immersa nella campagna,
ad una
mezz'oretta di distanza in direzione sud-ovest da Londra. Era un casale
rustico
ben ristrutturato, arredato in stile provenzale, con graziosi mobili
dipinti di
bianco e tele d'antiquariato alle pareti. Sulla tovaglia apparecchiata
con
gusto, spiccava un centrotavola realizzato con della lavanda
profumatissima e
dei cestini di vimini.
Kay
mi aveva intrattenuta durante la preparazione della cena, facendomi
vedere il
giardino immenso illuminato da delle lucine lungo tutto il vialetto e,
ovviamente,
non era riuscita a tacere le sue emozioni; non aveva fatto altro che
parlare,
parlare e parlare del suo rapporto con Will, di quanto si amassero, di
quanto
gli sarebbe mancato. Non si poteva di certo dire che la ragazza avesse
del
tatto: io ero sola come un cane, rifiutata dal sangue del suo sangue e
lei mi
raccontava di quanto fosse serena e tutta a cuoricini la sua vita.
Simpatica,
davvero.
Quando
rientrammo all'interno della sala da pranzo, oltre la nonna, c'era
anche una
donna che la stava aiutando ai fornelli, e un uomo, seduto in poltrona
con
occhiali da vista a metà del naso, immerso nella lettura del
giornale.
Quest'ultimo sollevò lo sguardo verso di noi e ci sorrise.
-
"Buonasera. Kay, quella con te è la nostra ospite di
stasera?" chiese
cortesemente.
-
"Esatto, zio. - ha detto zio? Quindi
lui è... - Sam, ti presento John, il padre di
Nick. E la bellissima donna
là in fondo è Lydia, la madre. Zii, questa
è Samantha".
Entrambi
si fecero avanti e mi strinsero la mano. Lui era un uomo affascinante,
sulla
cinquantina, i capelli castani con qualche filo d'argento qua e
là e delle
piccole rughe attorno agli occhi a creare dei solchi profondi che non
avevano
altro scopo che valorizzare due iridi chiarissime, identiche a quelle
del
figlio. La moglie, invece, aveva una chioma ordinata di un biondo
deciso e
degli orecchini a lobo dall'aria costosa, abbinati al prezioso
girocollo.
-
"È un piacere conoscerti, Samantha" disse la signora
MacCord,
facendomi sedere a tavola, proprio di fronte a lei. Bastò
qualche istante per
notare che c'erano sei posti apparecchiati: a meno che non ci fosse un
signor
Lancaster da qualche parte, o un cane, un gatto, una tartaruga o una
lince
selvatica che si volesse aggregare, quel piatto extra era destinato a
Nick.
-
"Anche per me" risposi a denti stretti.
-
"Chiedo scusa: - intervenne John - vado a chiamare Nick".
-
"Povero caro! - esclamò Lydia - È tutto il giorno
che lavora su
quell'abbaino. Si è ostinato a voler realizzare il
lucernario tutto da solo e
ora sarà tutto sudato e con i calzoni sporchi".
A
quel punto della descrizione delle condizioni del figlio, io avevo
già il
cervello fritto e lo scenario che si era profilato nella mia mente
comprendeva
sì la tavola, ma con noi due sdraiatici sopra. Gli astanti
potevano anche
rimanere, non era così rilevante la questione.
-
"Vuoi?".
-
"Sì, lo voglio decisamente..." risposi, l'aria assorta.
Quando
mi ritrovai il bicchiere colmo di vino rosso, però, capii di
non aver ordinato
con precisione quello che volevo. Niente uomo nudo, a meno che quello
non fosse
il suo sangue.
Forse
a Katy piaceva farlo violento, con graffi e lividi e annessi.
Che rabbia!
You bleed, you learn.
"Posso
andare un attimo al bagno?". Avevo bisogno di un minuto da sola prima
di
affrontare l'allegra famiglia MacCord e compagnia bella.
M'indicarono
una stanza attigua a quella in cui ci trovavamo e dalla quale si aveva
una
visuale perfetta della tavola. Mi lavai le mani e mi misi in attesa.
Il
signor John arrivò nella sala da pranzo con il figlio,
vestito con una
maglietta bianca, un maglione pesante e un paio di jeans. Aveva anche
il
borsone che usava per andare a lavoro.
-
"Nicholas, - lo chiamò la nonna, accentuando la povera c del suo nome, che mutò
tragicamente in
una tripla kappa - mangi con noi". Non era una domanda, ma un severo
comando. Inge aveva un tono di voce sempre così rigido ed
impostato che anche
se mi avesse detto 'bel vestito,
Samantha, bel colore' probabilmente sarei scoppiata a
piangere e mi sarei
prostrata ai suoi piedi, chiedendo scusa per aver osato infastidire le
sue
cornee con quello sgargiante madreperla.
-
"Ciao nonna. Vado di fretta... prenderò un panino al volo"
provò a
defilarsi lui, la mano libera dal borsone già pronta ad
abbassare la maniglia
del portone bianco.
-
"Non dire sciocchezze; ora siediti e mangia come si conviene ad un
cristiano. Abbiamo anche ospiti stasera. Ti prego di accomodarti vicino
a
Kayla". Il vero nome di Kay è
Kayla?
Allora la giustizia divina esiste: un brutto nome per una brutta
persona.
Nick
non tentò nemmeno di opporsi e si sistemò dove
gli era stato indicato,
trattenendo una smorfia di disappunto, mentre la cara Inge cominciava a
servire
la prima portata, attentamente sistemata in un piatto di porcellana
dall'aria
antica e preziosa.
-
"Allora, chi hai invitato a cena stasera?" chiese Nick, intenzionato
a riempire in qualsiasi modo possibile il silenzio che si era creato.
-
"Samantha" rispose sua madre, afferrando il bicchiere colmo di vino
rosso e portandoselo alla bocca. Gli occhi del figlio corsero veloci
verso
quelli della cugina per ricevere una conferma dei sospetti, e questi
ultimi
annuirono.
Strinsi
più forte le dita alla porta e mi imposi di attendere ancora
qualche secondo
prima di uscire dal bagno.
-
"Era in aeroporto con noi a salutare Will e la nonna le ha offerto di
cenare di noi. Sai che non le si può dire di no"
spiegò Kay. Anzi, Kayla.
-
"Sembra una ragazza a posto..." commentò il signor MacCord,
subito
rimproverato dalla moglie.
-
"John, potrebbe tornare da un momento all'altro. Risparmia le tue
considerazioni per quando saremo soli".
Mi
diedi un'ultima occhiata nello specchio, aprii la porta e mi diressi a
passi
veloci verso la sala da pranzo. Regalai a tutti un grande sorriso e mi
sedetti
al mio posto.
-
"Scusate per l'attesa" sussurrai. Nick ricambiò un sorriso
imbarazzato e si concentrò su alcuni grissini sparsi sul
tavolo.
-
"Si figuri, signorina Grayson. - mi rassicurò Inge, con il
suo solito tono
che interpretai come un 'se avessi
aspettato ancora un po' ad uscire da quel bagno, ti avrei servito
direttamente
la colazione' - Questi sono i miei famosi spätzle"
mi illustrò in un
rigidissimo accento tedesco. Il piatto era gremito di piccoli gnocchi
dalla
forma irregolare, gratinati in forno e con della panna fresca a mo' di
condimento e decorazione.
-
"Sembrano deliziosi" cercai di essere carina, consapevole che quel
primo mi sarebbe costato almeno due mesi di palestra che non avevo
voglia né tempo
di fare.
-
"Nicholas, conosci già la signorina Grayson?" chiese la
nonna.
Una
notte insieme,
svariati baci in altrettante svariate occasioni, molte liti, un bagno
in una
fontana, una gita fuori porta in un luogo sperduto nel suo fuoristrada,
una
visita al cimitero... no, non ci conosciamo.
-
"Sì" rispose secco.
-
"Davvero? - domandò interessata - E dove vi siete
incontrati?".
-
"Ci siamo incontrati sul suo posto di lavoro" lo anticipai.
Più o
meno tra la sua entrata in scena svestito da pompiere e il mio
tentativo di
afferrargli una natica.
-
"Allora colgo l'occasione per chiedere come se la cava il mio Nicholas
nel
suo mestiere. Lui non ama parlarne, ma ho ricevuto molti complimenti da
parte
di alcune amiche inserite nell'ambito". Nick guardò
spiazzato Kay, che
trattenne il fiato per alcuni istanti, in attesa di sapere cosa avrei
detto.
Nonna
Inge amica di clienti del Pumping Pumpkin
non me lo sarei mai aspettata; rabbrividii all'idea di qualche mano
rugosa
intenta nel palpeggiamento di sederi di uomini che avrebbero potuto
essere i
loro nipoti e non ci impiegai molto a capire che il suo Nicholas non le
aveva
detto la verità sul suo lavoro.
-
"È molto bravo. - ammisi, cercando di provocarlo con lo
sguardo e tenerlo
col fiato sospeso per alcuni istanti - A detta di tutti ci sa fare e,
mi creda,
l'ho visto all'opera e se la cava davvero bene. Ha uno stile molto
personale e
non ha mai deluso le aspettative. Le clienti fanno la fila per vederlo
in
azione e sgomitano per toccare con mano il suo... talento".
L'anziana
signora sorrise compiaciuta dell'elogio così accorato e
positivo che avevo
tessuto. Raccolse i piatti sporchi e chiese alla figlia di recarsi in
cucina
con lei per controllare la cottura del secondo.
Fissai
a lungo Nick, prima di tornare al piatto dal nome strano che avevo
già
scordato.
-
"Ed è da molto che vi conoscete?" proseguì il
signor MacCord.
-
"Da agosto. - risposi svelta - Ho avuto anche l'onore di incontrare
Harmony, una cara amica di Nick".
-
"Oh, Harmony, certo. Una ragazza piuttosto svampita a dire il vero, ma
accettabile
tutto sommato. Gli è sempre stata alle calcagna. -
ridacchiò - Da piccoli
voleva sempre giocare ai fidanzatini e lo riempiva di baci neanche
fosse un
orsacchiotto. Però lui era troppo tonto per accorgersi che
lei non stava
giocando".
-
"Eravamo bambini" provò a difendersi e a difenderla.
-
"Ma lei adora ancora giocare" sorrisi lapidaria.
-
"E non è l'unica" sussurrò prontamente Nick,
attirando su di sé
l'attenzione del padre e della cugina, che rimasero in silenzio.
Lydia
tornò insieme alla madre con degli schnitzel che per me,
umile comune mortale
inglese, erano delle normalissime cotolette.
-
"Guten appetit! - esclamò trionfale la nonna - Dicevamo,
signorina
Grayson? Visto che lei frequenta mio nipote molto più di
quanto a me sia
concesso fare, posso sapere se è al corrente di una sua
relazione?". A
quel punto i due cugini, Cip e Ciop,
per poco non si strozzarono, uno con la carne, l'altra con l'acqua.
-
"Veramente sì. Spero che Nick non se ne dispiaccia, ma credo
che sia mio
dovere informarvi che sta uscendo con una mia collega, Katy. Li ho
visti io di
persona proprio qualche ieri: adorabili".
-
"Quella Katy? - gracchiò Lydia - Tesoro non ci avevi
informati di aver
ripreso a frequentarla. Credevo aveste chiuso i rapporti anni fa dopo
quel
litigio assurdo con Dan"- A quel punto la mia mascella toccò
prima il
tavolo, poi la sedia e poi si spappolò al suolo. Ripreso a
frequentarla? E chi
era Dan?
-
"Sarò lieto di spiegarti tutto, mamma. Dopo".
-
"È una notizia splendida e noi abbiamo dovuto scoprirla solo
dalla nostra
ospite. Grazie Samantha!" mi toccò la mano poggiata sul
tavolo e
ricominciò a mangiare soddisfatta quella dannatissima
cotoletta.
Prego.
Avevo
cominciato quel discorso pensando di incastrare Nick e di fargli
passare un
brutto quarto d'ora. E, invece, l'unica che era rimasta fregata da quel
gioco
ero io. E la cena stava durando da più di mezz'ora.
Avrei
tanto voluto sbattere i piedi a terra e frignare, ma mi trattenni.
You
cry, you learn.
Nonna
Inge aggirò velocemente il tavolo e distribuì il
dolce a tutti.
-
"Stollen!" gridò ed io mi guardai attorno perplessa.
Hai
fatto qualcosa,
Sam? Pestato un piede, mangiato con la bocca aperta o leccato un
coltello?
Lydia
mi si avvicinò e mi sussurrò piano, vicino al
viso, con una voce eccitata.
-
"È il dolce. - sollievo immediato - Lo ha cotto dieci giorni
fa. Oggi
dovrebbe essere perfetto". Perfetto
per rompermi un dente?
La
cuoca mi spiegò con cura tutta la cronistoria della
preparazione, dal primo
milligrammo di farina, all'ultima spolverata di zucchero a velo,
passando per i
canditi e l'uvetta sultanina. Nick non faceva che spiarmi di soppiatto,
mentre
io fingevo interesse nell'ascoltare la nonna. Kay sembrava stesse
seguendo una
partita di tennis: spostava in continuazione lo sguardo da me al cugino
e
viceversa, nell'apparente attesa che uno dei due facesse un passo
falso. Ma era
stata stabilita un'implicita tregua, almeno fino alla fine della cena:
io mi
stavo ancora leccando le ferite dopo aver saputo che Nick e Katy si
erano già
frequentati in passato, e lui respirava all'idea di mangiare il dessert
in
santa pace, senza che io rischiassi di mettere Inge a conoscenza di
particolari
che non avrebbe dovuto sapere.
Il
mio unico pensiero da un'ora a questa parte era sempre lo stesso: voglio andare a casa. Avevo trascorso
l'intera serata sotto pressione, con la continua preoccupazione di
cedere da un
momento all'altro e mandare al diavolo tutti, dalla nonna nazista al
nipote
farfallone, dalla troppo sorridente Lydia a quella odiosa di Kay che mi
aveva
cacciato in quella situazione. E a Will, ovviamente, che non c'era mai
quando
ne avrei avuto più bisogno.
-
"È stato un piacere averla avuta con noi stasera, signorina
Grayson. -
disse con dolcezza Inge - Mi auguro che possa riaverla come ospite
anche in
altre occasioni".
Ci
conti... che non
verrò mai più.
-
"Sono io che ringrazio lei; cucina davvero molto bene ed è
stata gentile
ad invitarmi. Ora, se mi scusate, chiamo un taxi".
La
nonna sorrise e, come se non avessi nemmeno aperto bocca, si rivolse al
nipote.
-
"Nicholas, saresti così gentile da accompagnare la signorina
Grayson a
casa?".
La
comunicazione non era il pezzo forte in casa MacCord.
-
"Nonna, non ti preoccupare, - intervenne Kay in mio aiuto - ci penso
io".
-
"Kayla, non essere sciocca. Nicholas sta già per uscire e
sono certa che
sarà lieto di dare un passaggio alla nostra ospite. Non
è così, tesoro? -
chiese, voltandosi verso il nipote, ma senza attendere una sua risposta
- E poi
avevi promesso che saresti rimasta qua a dormire, ora che William
è tornato a
Portland. Mi sembra poco intelligente farvi uscire entrambi con la
macchina per
recarvi tutti e due a Londra: l'ambiente non ne sarebbe affatto
contento"
li rimproverò.
L'ambiente
no, ma la
signorina Grayson sì.
-
"Posso prendere un taxi..." riproposi, prontamente fulminata con lo
sguardo da Inge.
-
"Ma ci mancherebbe! Sarebbe proprio uno spreco di soldi, visto che
Nicholas è di strada".
E
non era uno spreco d'ossigeno tutto quel chiacchiericcio a sproposito
da parte
della nonnina?
Di’
di no, no, no!
Nick
mi guardò con l'espressione rassegnata e disse soltanto:
-
"Sei pronta, Sam?".
No.
-
"Ci vorranno quaranta minuti per arrivare a casa tua. - mi
annunciò Nick.
Seduta sul lato del passeggero, mi limitai ad annuire e a sorridere
imbarazzata. In quel fuoristrada, l'aria sembrava essersi fatta sempre
più
spessa e temevo di soffocare, sopraffatta dal profumo di Nick - Spero
la cena
ti sia piaciuta".
Swallow it down,
It feel so good.
Wait until the dust settles...
Ero
incredibilmente nervosa e a disagio in quell'abitacolo opprimente.
-
"Tengo a precisare che non ero lì per cercarti. Ero
all'aeroporto a
salutare Will e tua nonna mi ha invitato da voi". Nick si
voltò verso di
me confuso.
-
"Non ho mai pensato che mi stessi cercando. - disse tranquillo - Non mi
hai ancora detto se la cena ti è piaciuta".
-
"Non dobbiamo fare conversazione a tutti i costi" esclamai con un
tono acido che non intendevo avere.
Scrollò
le spalle e mi guardò sorridente.
-
"Lo so, volevo solo essere gentile".
-
"Non lo sei mai stato, perché cominciare ora?". La mia voce
era
particolarmente aggressiva e non feci nulla per mascherarlo. Dovevo
continuare
a ripetermi che era fidanzato con Katy e che si era comportato da
stronzo per
ricordarmi che era obbligatorio che io lo odiassi.
-
"Okay".
Paradossalmente,
più taceva, più si faceva insopportabile.
-
"Smettila di fare l'offeso: sei patetico" lo accusai, gesticolando
frenetica come una pazza.
-
"Non faccio l'offeso!" si difese lui, mentre tornava a guardare la
strada buia davanti a noi, illuminata solo dai fari del fuoristrada.
I recommend sticking your foot in your mouth at
any time.
Feel
free!
La
situazione si stava facendo pesante.
Di’
qualcosa
d'intelligente, Sam.
-
"Fammi scendere!". In mezzo alla campagna, a più di mezz'ora
di
macchina lontano da Londra, non era stato molto furbo uscirsene con
quell'esclamazione.
-
"Perché? Non fare la bambina... dove pensi di arrivare a
piedi?"
cercò di farmi ragionare.
-
"A casa?" dissi laconica, senza rinunciare ad una punta di sarcasmo.
-
"Sì, tra due giorni" ironizzò lui di risposta.
-
"Ti odio. - strinsi gli occhi fino a ridurli a due fessure sottili
colme
di rabbia e lo guardai - E non osare dire che non sono coerente con
quello che
ti ho detto una settimana fa...".
-
"Non ho detto niente!" si giustificò lui con tono aspro.
-
"...perché quello l'ho sempre pensato. Il fatto che ti
detesto, intendo.
Perché non parli?" domandai acida.
-
"Fraintendi tutto quel che dico, perciò sto zitto,
consapevole che sei in
grado di travisare anche i miei silenzi" mi spiegò.
-
"Quindi è colpa mia?" urlai scandalizzata da una tale accusa.
-
"Dio, sapevo di non aprir bocca!".
-
"No, parliamone, invece; ci siamo trattenuti durante la cena, ora
è arrivato
il momento di sfogarsi. Comincio io, ti va? Partiamo subito dal
ringraziamento
che mi devi fare per non aver spiattellato alla nonnina che ti spogli
ogni sera
in un nightclub. Dubito che le sue amiche ti abbiano visto a fare
altro, dunque
la domanda sorge spontanea: che tipo di pagamento hanno richiesto per
fingere
di apprezzare quello che non fai? Ti usano come gigolò in
cambio del loro
silenzio?".
-
"Certo che no!" gridò, schifato all'idea di soddisfare
arzille
anziane tra le lenzuola.
-
"Giusto, Katy sarebbe gelosa. E, a tal proposito, posso dire di essere
rimasta davvero sorpresa di sapere che la frequentavi anche in passato.
Ah,
dimenticavo, chi è Dan?".
-
"Mio fratello" rispose tranquillo.
Era
davvero troppo.
-
"Hai un fratello? Neanche questo sapevo. A quanto pare, sono sempre
l'ultima a cui arrivano le notizie".
Nick
prese un respiro profondo e mi guardò in cagnesco,
stringendo forte le mani
attorno al volante.
-
"Era così rilevante sapere se ho un fratello?" chiese
alterato.
-
"Tutto per me è rilevante se riguarda te... - mi accorsi
della gaffe e
cercai di rimediare subito, sperando che non si accorgesse del rossore
sulle
mie guance - ...tenermi aggiornata. Sono una giornalista, è
mio compito tenermi
al corrente delle novità" spiegai saccente.
-
"Allora ti farò avere il mio albero genealogico, visto che
ci tieni così
tanto".
Idiota
maleducato!
-
"Non prendermi in giro! - sbuffò - E non sbuffare!" lo
rimbrottai.
-
"Credi che mi lasci comandare a bacchetta da te?" mi provocò.
-
"No di certo. L'unica bacchetta con cui ragioni è quella che
hai in mezzo
alle gambe" lo schernii.
-
"... e ci risiamo! Credo tu me l'abbia già fatta questa
battuta. Sei
monotematica: hai passato la cena a stuzzicarmi, a pungolarmi su
questioni
spinose che sapevi mi avrebbero fatto rimanere col fiato sospeso
finché non
avessi messo piede fuori da quella stramaledetta casa. Ci sei riuscita,
sei
contenta o hai bisogno di rompermi le scatole anche ora che siamo
soli?".
-
"Sono profondamente dispiaciuta se ti ho infastidito, Nick" scherzai.
-
"Mi era mancato il suo sarcasmo, Sammy". Il suo tono si era fatto
dolce, comprensivo, non era - come al solito - derisorio ed ironico.
Per un
secondo vacillai, desiderando solo prendergli il viso tra le mani e
baciarlo.
Katy, Katy, Katy.
You grieve, you learn.
Mandai
giù il groppo che si era formato all'altezza della gola e
ripresi ad accusarlo.
-
"Non mi chiamo Sammy! Ne ho abbastanza di te, di tua cugina 'l'appiccicatutto', di tua nonna e dei
suoi cibi di cui non so nemmeno pronunciare il nome" gracchiai.
-
"Vogliamo davvero discutere della pronuncia delle portate della
cena?"- Indubbiamente infantile, ma era l'unico argomento con cui
potessi,
al momento, dargli contro.
-
"Sì. Mi sono sorbita tutti quei termini in tedesco e sai
cosa? Non me ne
importa un fico secco degli schnauzer
o quel cavolo che sono!".
Nick
scoppiò a ridere, faticando a reprimere i singhiozzi.
-
"Cosa c'è di tanto divertente?" domandai cattiva.
-
"Mia nonna fiene ti Cermania, non dalla Cina: - rispose, imitando
l'assurdo accento tedesco della nonna- a casa MacCord preferiamo non
mangiare
cani. Schnitzel, non schnauzer".
-
"Saputello". Feci una smorfia, ma non riuscii a trattenere una risata
di fronte alla gaffe che avevo appena fatto.
-
"Allora ti ricordi ancora come si fa a ridere?" scherzò,
sfoggiando
uno dei suoi sorrisi più belli.
You
laugh, you learn.
A
quella frase cominciai a tremare e non riuscii a smettere,
finché non mi ebbe
lasciato sul marciapiede di fronte a casa mia.
Lily
mi aveva mandato via e-mail il disegno - molto astratto - che Alex
aveva fatto
di me e di Romeo; sembravamo due palle di Natale, più che
una persona ed un
gatto, ma lasciai correre pensando che, se non altro, il mio nipotino
artista
aveva centrato il periodo. Effettivamente mi aveva fatto due curiosi
tratti
neri sulla faccia... pensava davvero che avessi i baffi? Non
m'importava
granché; in realtà m'importava eccome,
però c'è sempre qualcosa di affascinante
e segreto nel modo in cui i bambini guardano il mondo esterno. Ed io mi
sentivo
ancora un po' Peter Pan.
Presi
un giornale a caso dal portariviste e lo misi sul tavolo; era una
vecchia copia
del London Express. Scelsi una
pagina
in cui c'era la pubblicità di una donna e cominciai a
disegnarle delle orecchie
alla Star Trek e ad annerirle
qualche
dente. Le feci un fondoschiena esagerato e le sexy calze a rete che
indossava
diventarono due gambone sproporzionate.
-
"Ben ti sta, brutta modella! Che questo sia di lezione ai tuoi genitori
che ti hanno fatto così bella" le gridai.
Molto
maturo, Samantha.
Passai
poi alla foto di un uomo, ma stavolta mi limitai a qualche decorazione
qua e là
non troppo invasiva. Ad un certo punto però, dopo avergli
aggiunto qualche
rasta, mi bloccai: ricordava qualcuno, senza quei buffi capelli
ovviamente.
Lessi il nome sotto la didascalia e trasalii.
Ci
doveva essere un collegamento. Riguardai il disegno di Alex alla
ricerca di
qualche indizio che evidentemente non mi poteva fornire. Nell'angolo
all'estrema destra del foglio virtuale, spuntava la sua piccola firma
tremolante; con un colore rosso e in maiuscolo, trionfavano le lettere
che
componevano la parola Alex, solo in uno strano ordine: Axel.
Inconsapevolmente, aveva fatto un anagramma.
In
quel momento di confusione, l'unica cosa che mi venne in mente di fare
fu
cercare il numero dell'esperto di computer amico di Valerie con cui ero
stata a
letto: Max. Rovesciai il contenuto della borsa sul divano per trovare
il
cellulare. Le mani mi tremavano tanta era l'eccitazione di aver trovato
un
potenziale indizio per l'inchiesta su Ralph.
Rispondi,
ti prego, rispondi!
-
"Max? - urlai - Sono Samantha Grayson, quella...".
-
"Quella che mi ha parcheggiato qui il suo computer e non è
più venuta a
riprenderselo" finì lui al mio posto.
Oddio,
Jimmy il
portatile!
Mi
sentii offesa: non si ricordava di me per i fantastici - ed unici -
momenti che
gli avevo fatto passare, ma per lo stupidissimo computer che avevo
preso a
martellate!
-
"Cavolo, hai ragione, me n'ero completamente dimenticata. Prometto che
passerò in settimana". Tanto comunque me ne sarei
dimenticata nel giro di
qualche istante, se avessi avuto la risposta che volevo da quella
chiamata.
-
"Non ti preoccupare: ormai è parte integrante
dell'arredamento"
scherzò.
-
"Avrei bisogno di un favore" misi subito in chiaro.
-
"Di che genere?".
-
"Tecnologico. Esiste un programma per gli anagrammi?". Pregai con
tutto il cuore che mi dicesse di sì: forse era tutto uno
sbaglio, forse stavo
prendendo il più grande granchio della storia del
giornalismo... o forse ero
sulla strada giusta.
You pray, you learn.
- "Certamente". D'istinto
feci un salto verso l'alto; in un eccesso di confidenza ero convinta di
essere
diventata Kobe Bryant e di poter toccare il soffitto con la mano.
Purtroppo il
mio metro e settanta scarso mi permise di sfiorare solo il lampadario,
spezzando quel sogno.
-
"E tu ce l'hai?" chiesi frenetica.
-
"Per chi mi hai preso, Samantha Grayson?".
-
"Perfetto. Come funziona? Tu inserisci una parola e quello ti da tutti
gli
anagrammi possibili?".
-
"Esatto. Il meccanismo è molto semplice e in pochi secondi
hai tutti i
risultati che vuoi".
-
"Posso darti anche nome e cognome di una persona?".
-
"Sì, perché questo programma li
tratterà come semplici agglomerati di
lettere e ne darà diverse combinazioni". Annuii tra me e gli
diedi quel
maledetto nome, fremendo dall'attesa. Non riuscivo a smettere di
camminare
nervosamente dalla cucina al salotto e viceversa.
-
"Ehi, ma non è...?".
-
"Sì. - tagliai corto: non avevo alcuna intenzione di
fornirgli spiegazioni
- Allora, questi anagrammi?" lo esortai impaziente.
-
"Ci sono duecento-otto risultati solo in inglese. Dubito che tu voglia
che
io te li legga uno ad uno al telefono". Erano molti di più
di quanto
pensassi.
-
"Mandameli tramite posta elettronica. E voglio anche qualche altra
lingua.
Pensi sia possibile?" chiesi. Era necessario tenere in considerazione
tutto il ventaglio delle ipotesi.
-
"Già fatto. Tra qualche istante arriverà tutto,
compresa la
traduzione".
Corsi
fino al portatile e saltellai sul posto finché non sentii il
rumore di un
messaggio in arrivo. Aprii veloce l'e-mail con le mani tremanti e
stampai tutti
gli allegati.
-
"Ci sei ancora?". Max era ancora dall'altro capo del filo ed io mi
ero dimenticata di lui.
-
"Sì, scusa, stavo dando un'occhiata alla lista, ma non mi
sembra di
scorgere nulla di famigliare. Forse mi sono sbagliata e la mia idea
è
completamente fuori bersaglio...". La frase mi morì sulle
labbra, perché
in quel momento trovai una parola che mi fece scattare.
Tre
passaggi logici e la verità era servita, meglio, sbattuta
davanti ai miei occhi
con violenza. Ero troppo sorpresa per pensare, per metabolizzare quanto
avevo
appena scoperto. Salutai e ringraziai Max in modo frettoloso e scivolai
a
rallentatore sul divano, la testa improvvisamente leggera e un senso di
vuoto
anche nello stomaco. Credevo che scovare un nesso tra due cose in quel
groviglio che era diventata l'inchiesta su Ralph mi avrebbe fatto
sentire
forte, mi avrebbe spronato a continuare a lavorare senza sosta per
anticipare
la concorrenza, realizzare uno scoop eccezionale e dare una spinta alla
mia
carriera giornalistica. Eppure, ora, nel momento in cui due pezzi del
puzzle si
erano incastrati alla perfezione, stavo esitando, i fogli ancora
saldamente
stretti tra le mani.
-
"Non può essere una coincidenza" cercai di convincermi e di
riordinare le idee, ma troppe informazioni si erano e si stavano
accatastando
nella mia mente, sovrapponendosi tra loro.
E
la sensazione di non aver capito nulla fino a quel momento mi
investì come una
nevicata in piena estate.
You lose, you learn.
Buona sera.
Sarò
sincera: questo è il capitolo che mi convince meno di tutti,
ma almeno da la
possibilità a voi di sbizzarrirvi con le teorie e sono
convinta che qualcuna di
voi avrà già capito quale sia la scoperta che ha
fatto Sam.
La
canzone del titolo è "You learn" di Alanis Morissette.
Per
tutti
i riferimenti ai piatti tedeschi della nonna Inge, basta cliccare sui
loro
nomi, così come per lo schnauzer.
Ho
già
cominciato a rispondere alle vostre recensioni e come sempre vi
ringrazio
tantissimo.
Io
sono
pessima a promuovere la storia, non amo propormi, perciò se
ci sono nuovi
lettori è merito vostro che magari la consigliate ad amici.
Perciò grazie!
Ringrazio
come al solito la mia cara Nessie che ha betato e le altre.
Baci!
S.
|
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Capitolo 32 *** Capitolo 32. Suspicious Minds. ***
Capitolo
trentadue.
Suspicious
Minds.
La
didascalia sotto l'immagine del giornale che avevo malamente disegnato
riportava soltanto due parole: Clive
Burton. Quel nome continuava a rimbalzare nella mia mente.
Come un
incessante martellare, puntuale ed assordante, scacciava ogni pensiero
che non
riguardasse quegli ultimi cinque minuti di ordinaria follia in cui Max
mi aveva
consegnato la lista degli anagrammi.
Clive
Burton, l'uomo assassinato nella sua casa per una presunta rapina
terminata in
tragedia appena qualche settimana prima, mi fissava da sotto quei buffi
baffi
che avevo tracciato con la penna sulla pagina del London
Express, in una fotografia sorridente che derivava con tutta
probabilità dalla sua carta d'identità.
Ancora
non mi capacitavo di come uno stupido gioco ispirato a degli
scarabocchi di
Alex, - un normalissimo bambino di quattro dannati anni -, potesse
avermi
condotto a quel punto di svolta: con un po' di trucco e il giusto
abbigliamento, Burton era diventato un'altra persona e ne aveva vestito
i panni
almeno finché qualcuno non aveva deciso di porre fine alla
sua vita, in
circostanze che, ora come non mai, parevano sospette. Con il senno di
poi,
erano molte le somiglianze e sarei potuta arrivare a quella conclusione
anche
senza l'intervento innocente del mio nipotino, che grazie ai suoi
pennarelli e
alla sua fantasia, aveva fatto alla sua zietta un gran bel regalo.
Mi
gettai sotto la doccia per congelare le mille congetture che si erano
create
nella mia mente, ma me ne scoprii incapace quando mi accorsi di aver
invertito
il bagnoschiuma con lo shampoo e di aver applicato due volte il
balsamo. Uscii
dal bagno contrariata e coi nervi a fior di pelle, decisa a rilassarmi
e a
rimandare ogni ricerca e conseguente mal di testa al giorno dopo.
Tentai
di prendere sonno ingurgitando tazze su tazze di camomilla e una dose
di
abbondante di valeriana, ma l'unico risultato ottenuto fu una leggera
sonnolenza e continui pellegrinaggi in bagno per fare pipì.
Con la testa in
subbuglio dai troppi pensieri, decine di idee da riordinare ed emozioni
da
gestire, dormire non era più una priorità.
Riaccesi
la lampada sul comodino, mi sedetti contro la testiera del letto e
poggiai il
portatile sulle gambe distese. Non sapevo bene da dove cominciare e,
dopo una
mezzora passata a guardare il soffitto in attesa di un'illuminazione
divina,
decisi che sarei rimasta immobile nel letto finché Morfeo
non mi avesse
costretta a portarmi con sé, cullandomi tra le sue braccia
con l'unica certezza
che avevo in quel momento: Clive Burton era Ken Hagrol.
Ciò
di cui maggiormente avevo bisogno era ottenere informazioni riguardo
Burton:
lavoro, famiglia, passatempo... qualsiasi informazione riguardo la sua
vita - e
pure la sua morte - sarebbe potuta tornarmi utile nell'indagine su
Ralph. Il
metodo più veloce era chiamare una talpa nella polizia e
farsi consegnare un
rapporto dettagliato sul soggetto questione. L'unico problema era che
io non
avevo nessuna talpa nella polizia - mi occupavo di musica fino a cinque
minuti
fa, e che diamine! - e che dovevo assolutamente smettere di guardare
film
polizieschi.
Di
nuovo punto e a capo.
D'un
colpo, però, la lampadina si accese: Dougie, il poliziotto
gay, sarebbe stato
la mia scialuppa di salvataggio.
-
"Warrenuccio? - gridai nel telefono - Sono la tua Sam preferita!".
Dall'altro
capo del filo si udì solo uno sbuffo.
-
"Che vuoi, Zucchero? Sto dormendo, ho sonno" brontolò,
biascicando le
parole con la voce impastata.
-
"È un'emergenza!" lo implorai e Warren interpretò
- come sempre - le
mie parole a modo suo.
-
"Oddio, non mi dire che quei bastardi hanno anticipato ad oggi la
svendita
di Burberry?! Perché in tal caso sono pronto ad uscire in
pigiama!"
strillò, con un'indignazione che mai gli avevo sentito prima.
-
"No, i tuoi stivali antipioggia sono al sicuro, nel negozio. - lo
rassicurai - Ricordi Dougie, il poliziotto che ti sei portato a letto
per
aiutarmi? Ecco, mi servirebbe un favore da lui".
-
"Di che genere?" s'insospettì.
-
"Investigativo. Ho bisogno di sapere quanto più possibile ci
sia in circolazione
su un tale chiamato Clive Burton".
-
"Per quando ti servono queste informazioni?" chiese disinteressato.
Se avessi potuto vederlo, immagino che lo avrei trovato intento a
limarsi le
unghie con la cornetta appoggiata alla spalla.
-
"Beh, facendo qualche rapido calcolo, direi... - finsi di pensarci -
ora".
-
"Farò il possibile". Riattaccò, ma nemmeno un
minuto dopo, il mio
cellulare cominciò a vibrare, lo schermo illuminato che
indicava una chiamata
in arrivo, proveniente da Warren stesso.
-
"Trovi tutto nella tua casella di posta elettronica" disse lapidario.
Probabilmente ora si stava mettendo lo smalto. Rosso corallo. No, rosa
pesca.
Però era pur sempre un uomo: al massimo trasparente. Oppure
con tanti
brillantini... - So essere molto persuasivo quando è
necessario. Ricorda che le
vie di Warren sono infinite".
Concentrazione,
Sam.
-
"Spero di non averti disturbato troppo".
-
"Tesoro, è bastato nominargli la sua ex fidanzata e si era
già precipitato
a fare la ricerca sul computer. Nulla di meglio del far leva sul senso
di
colpa. La poverina è diventata una furia dopo essere stata
abbandonata a
Mykonos per un uomo, e c'è d'aver paura quando le si ricorda
quest'esperienza.
Credo sia in depressione da allora e che reagisca molto male al solo
nominarle
Dougie" mi spiegò.
-
"Grazie, Warren".
-
"Non c'è di che, Zucchero. Anzi, in effetti c'è
di che: questo ti costerà
venti sterline, che andranno a finanziare i miei stivali antipioggia.
Buona
notte".
Quando
si dice che l'amicizia non ha prezzo...
Burton
non aveva nulla a che fare col mondo del giornalismo. Stando a quanto
dicevano
le carte, lavorava come falegname nella sua piccola azienda. Niente
moglie,
niente figli, nessun parente stretto: solo come un cane, era il
soggetto
perfetto per diventare un fantasma. Restavano solo da scoprire le sue
abitudini: hobby, sport, amicizie e per venire a conoscenza di questi
aspetti
era necessario parlare con qualcuno che lo conoscesse. E chi meglio dei
vicini
di casa avrebbe potuto aiutarmi?
Appena
mezzora più tardi, ero di fronte alla modesta abitazione di
Burton, ovviamente
impacchettata col nastro adesivo giallo acceso della polizia che
impediva
l'accesso a chiunque non fosse autorizzato. L'interesse mediatico sulla
storia
era scemato già da qualche tempo e l'ingresso della casa era
ormai sgombro da
telecamere e troupe televisive. Del loro passaggio e di quello dei
curiosi non
restavano che cartacce, mozziconi di sigaretta spiaccicati a terra e
un'aria
degna dei peggiori film dell'orrore.
Le
palazzine più vicine si trovavano ad una trentina di metri
sulla destra della
strada. Mi allontanai con un senso di angoscia dal cancello di casa
Burton e mi
avvicinai ad una costruzione fatiscente, continuando però a
tenere lo sguardo
fisso sull'austero luogo del delitto. Proseguii, finché non
incappai contro
qualcosa all'altezza della schiena. Mi voltai spaventata e mi trovai
davanti la
versione da ghetto di Kim Basinger: capelli biondi scoloriti dal tempo,
jeans
consunti e giacca a vento maschile rosso scuro. Quello che imbracciava
molto
poco amichevolmente era un fucile, ed era puntato verso di me.
-
"Che vuoi?" mi domandò con sguardo cattivo e voce decisa.
Perché
capitano tutte a
me? Perché, porca miseria!
-
"Signora? Che ne dice di abbassare il fucile, eh?" provai a farla
ragionare,
ma la Xena dei bassifondi non
sembrava molto propensa al dialogo.
-
"Chi diavolo sei? Una puttana in cerca di clienti? Una
tossicodipendente
che vuole dei soldi?".
Ti
sembro una di
quelle? E, soprattutto, esistono le prostitute porta a porta?
-
"No, per carità! - mi affrettai a risponderle. Certo era che
l'ospitalità
non è mai stato la caratteristica principale degli
inglesi... - Sono una
giornalista. Volevo solo chiederle delle informazioni sul suo vicino,
il signor
Burton".
-
"E io che ne so se stai dicendo la verità?"
ringhiò.
-
"Posso farle vedere il mio tesserino?" proposi con un fil di voce e
con un mezzo sorriso che speravo le sembrasse simpatico. Lo
afferrò tenendomi
sempre sotto tiro, poi lo guardò e fece un ghigno che non
riuscii ad interpretare.
-
"Oh, tesoro, vieni qui... - disse con modi affabili e premurosi - vuoi
una
tazza di tè? Magari con un po' di zucchero di canna? Anche
se è ad aria
compressa, fa paura a tutti". Indicò il fucile e lo
accarezzò, neanche
fosse il suo bimbo. Da morir dal ridere.
Pamela
tutto sommato era una donna buona, di quelle che, però,
sanno tirar fuori gli
artigli quando c'è da proteggere il proprio territorio.
Certo, i suoi
atteggiamenti erano un po' rozzi e non mi sarei sorpresa se l'avessi
scoperta
alzare la gamba e fare pipì come i cani per marcare il
territorio, ma mi
rifornì di informazioni utili e, aspetto da non
sottovalutare, non si era
limitata a dirmi che Burton “era una
persona normale. Salutava sempre”, come quegli
strani vicini di casa che si
vedono in TV e che in realtà non sapevano di abitare di
fianco ad assassini
efferati.
Ciò
che mi aveva riferito era che Clive era un uomo solitario, burbero,
amante
della musica classica e della letteratura, senza molti contatti col
mondo
esterno e con un'attività sull'orlo del fallimento.
Praticamente era il
candidato perfetto per diventare Nessuno: non aveva nulla da perdere e
aveva un
sacco di soldi da guadagnare. Ma era un personaggio che non poteva
improvvisarsi investigatore e che se aveva fatto da prestanome a
qualcuno, lo
aveva fatto senz'altro per i soldi, non di certo per cavarci fama e
scoop
giornalistici.
Queste
novità non mi facevano, però, stare tranquilla;
il fatto che il vero volto di
Ken Hagrol fosse del tutto estraneo al mondo della carta stampata, mi
riportava
inevitabilmente a quei maledetti anagrammi che avevo voluto sotterrare
in un
angolo del tavolo. Se non era lui l'autore in incognito delle
inchieste,
significava che qualcun altro lo aveva fatto per lui. Afferrai il
foglio che mi
aveva spedito Max e notai subito la striscia colorata
dall'evidenziatore in
corrispondenza di uno specifico risultato.
Anagrammi
per Ken Hagrol: Hagelkorn (Termine
tedesco per 'chicco di grandine').
Potevo forse considerare un caso che la nonna di qualcuno
fosse tedesca e che il suo cane si chiamasse Mr. Hail,
quindi Mr. Grandine?
Forse
no.
Il
telefono di casa squillava ininterrottamente da almeno dieci minuti.
Cercai in
tutti i modi di ignorarlo e proseguire con l'analisi delle carte e dei
documenti accatastati sul tavolo della cucina, ma il suono si stava
facendo
sempre più fastidioso per le mie povere orecchie,
deconcentrandomi. Allungai
controvoglia una mano sul piano della cucina, afferrai il cordless e
risposi,
senza staccare gli occhi dal pacco di fogli che avevo davanti a me.
-
"Grayson" esclamai annoiata. Tempo una frazione di secondo e mi
maledissi, chiedendomi perché non fossi stata tanto furba da
inserire la
segreteria.
-
"Ehi, sono Nick. - Le idee migliori
arrivano sempre tardi - Ti ho mandato una decina di messaggi
sul cellulare,
ma a quanto pare ti reca troppo disturbo rispondermi"
brontolò.
-
"Scusa, sono molto impegnata. Ci sentiamo, eh" tagliai corto. Se
volevo accaparrarmi lo scoop, non potevo permettermi di perdere
ulteriori
momenti preziosi, soprattutto dopo aver saputo che la concorrenza era
così
tanto vicina a me. A dire il vero, avevo fatto sesso con la
concorrenza. Cacchio.
-"Aspetta!
- mi bloccò lui - Ti sono cadute delle cose dalla borsa
quando ti ho
accompagnato a casa ieri e volevo sapere se dovevo portartele".
-
"No! - dissi subito - Assolutamente no, non devi disturbarti"
aggiunsi più docile. Nick non poteva avvicinarsi a casa mia,
non ancora almeno.
Io lo avevo accolto nel mio appartamento e non era da escludersi la
possibilità
che lui ne avesse approfittato per dare un'occhiata allo stato in cui
si
trovavano le mie ricerche. Che stronzo. D'altra parte, non ero sicura
che fosse
una buona idea confessargli che sapevo tutto, perché a quel
punto non si
sarebbe più fidato. Decisi che avrei mantenuto un profilo
basso, continuando
con la mia solita vita, con la sola eccezione che gli avrei restituito
il
favore: avrei ficcato il naso in ogni centimetro quadrato della sua
villetta a
schiera.
-
"E se ti servissero?" squittì.
-
"S-Sai, non credo che mi serviranno" affermai sicura.
-
"Non sai nemmeno cosa sono!" si spazientì, alzando la voce.
-
"Se non ne ho notato la mancanza, significa che non mi servono". Mi
alzai rapida e svuotai il contenuto della borsa sul tavolo: cellulare,
portafoglio, chiavi, agenda... tutto quanto era importante si trovava
lì.
-
"Come vuoi. Allora, ciao". Finalmente riuscii a tirare un sospiro di
sollievo.
La
quiete non durò molto. Mentre ancora stavo lavorando per
cominciare l'articolo
che mi avrebbe portato ai vertici del giornalismo nazionale, europeo,
mondiale,
universale e galattico, qualcuno cominciò a bussare alla
porta, costringendomi
ad alzarmi.
-"Sam?
Sono Nick. - spalancai gli occhi di fronte alla porta chiusa e
cominciai ad
agitare la testa in ogni direzione, cercando una motivazione, anche la
più
semplice, per non fargli varcare la soglia del mio appartamento - Sam?
Alla
fine ero da queste parti e ho pensato di passare a portarti le tue
cianfrusaglie. Posso entrare?" ribadì, dopo aver atteso
qualche istante
ancora.
-
"No! - mi affrettai a rispondere. Pensa,
Sam, pensa. - Sto... sto facendo la ceretta". Se non lo
avesse
allontanato l'immagine più antierotica che conoscessi -
donna di Neanderthal
intenta a privarsi del piumaggio corporeo -, non avrei saputo che fare.
-
"Prometto di non guardare le tue gambe". Appunto.
Proprio
in quel momento di crisi in Graysonland, il mio simpaticissimo gatto
pensò bene
di afferrare tra le grinfie una delle nappine delle tende, cominciando
a
dondolare a destra e sinistra, stile Tarzan sulla liana.
-
"No... merda, Romeo!" gridai non appena realizzai del casino che
avrebbe creato, ma Nick fraintese la mia imprecazione.
-
"Stai facendo la ceretta a Romeo?" gridò scandalizzato.
Depilare
il gatto? Era un'idea semplicemente folle e... avrebbe potuto tirarmi
fuori dai
guai.
-
"Sì, sì, sì, sì.
È una tecnica orientale per fargli crescere il pelo
più
folto. Perché, sai, è questo che hanno i gatti:
il pelo!" esclamai
entusiasta.
Ci
fu qualche secondo di attesa nel quale probabilmente Nick era indeciso
se farmi
ricoverare nel reparto psichiatrico dell'ospedale più vicino
oppure se
allertare il WWF.
-
"Ne sei sicura, Sammy?" disse dubbioso.
-
"Certo che sono sicura che i gatti abbiano il pelo".
-
"Intendevo della ceretta..." mi fece osservare, un tono di voce
palesemente scocciato.
-
"Oh, naturalmente! Me l'ha insegnato la cinesina del centro estetico...
-
quanto poteva essere difficile trovare un nome cinese in meno di cinque
secondi?
- Bei Jing(*)".
-
"Allora, mi fai entrare?" insisté. Non aveva nemmeno notato
la mia
potenza creativa nel riciclare la scrittura in mandarino della
città di Pechino
in un graziosissimo - e realissimo - nome di donna dagli occhi a
mandorla.
-
"Non posso: ci sono peli ovunque e la casa è un vero
disastro". Lo
dissi sull'orlo della disperazione, perché ero a corto di
idee e MacCord
sembrava non volersi arrendere.
-
"Non ricordo di essere mai entrato nel tuo appartamento e di averlo
trovato in ordine, perciò non sarebbe davvero la prima
volta" ridacchiò.
-
"Se stai cercando di convincermi ad aprire la porta, ti avviso che lo
stai
facendo nel modo sbagliato" replicai seccata. Il fatto che lui non
comprendesse il mio disordine organizzato non lo autorizzava ad
offenderlo.
-
"Dai, Sammy, non ho tempo da perdere: apri questa maledetta porta, ti
consegno le tue cose e me ne vado". Una minuscola parte del mio cuore e
anche qualcosa all'altezza del basso ventre avrebbero tanto voluto
obbedire al
comando e vederlo, ma mi ero ripromessa di essere irremovibile e
finché non
avessi scoperto qualcosa in più su Burton e Hagrol mi sarei
attenuta a tale
strategia.
-
"Ehm... lasciale sullo zerbino. Uscirò a prenderle non
appena avrò finito
con la ceretta al gatto". Ero stata ferma e decisa e le mie parole
erano
suonate come definitive.
-
"Va bene. Ciao".
I
passi di qualcuno che imboccava le scale e scendeva verso il piano
inferiore si
udirono distintamente anche da dietro la porta dl mio appartamento.
Attesi
ancora qualche istante e, dopo aver sentito nient'altro che silenzio,
feci
scattare la serratura, sporgendo la testa verso l'ascensore. Mi
ritrovai
spaventata e sorpresa contro il cardine della porta, sotto gli occhi
divertiti
di Nick.
-
"Mi hai fatto prendere un colpo!" urlai, una mano posata sul cuore.
-
"Ciao... Marge".
Evidentemente la mia impalcatura, seconda solo alle acconciature della
madre di
Rossana dei cartoni non avevano
riscosso successo. Sapevo di dovermi procurare un criceto e una ruota...
-
"Ah ah ah. Pensavo te ne fossi andato" mi giustificai e le dita
corsero involontarie a sistemare i ciuffi ribelli.
-
"Era il tuo vicino che scendeva le scale. - scrollò le
spalle - Posso
vedere Romeo?".
Afferrai
veloce la maniglia e richiusi la porta alle mie spalle.
-
"No, non puoi; al momento è molto suscettibile, meglio non
rischiare".
-
"Sammy, credo sia contro la legge fare la ceretta ai gatti" mi
spiegò, così come avrebbe fatto un conduttore di
un qualche strano documentario
della National Geographic.
-
"È una tradizione millenaria cinese, mica me la sono
inventata dieci
minuti fa!".
-
"Per conto mio potrebbe essere anche un'usanza della Regina, ma non si
fa". Il suo prodigarsi continuo per i diritti degli animali in quel
contesto, si stava facendo piuttosto irritante e non faceva altro che
sconvolgere i miei piani.
-
"Non eri venuto per ridarmi le mie cose? - dissi acida e lui dischiuse
la
mano che conteneva gli oggetti - Tutto qua? Sei arrivato fin qui per
ridarmi
due caramelle, un foglio strappato e un... assorbente interno?"
terminai
sorridente, intravedendo tra le dita di Nick un sacchetto oblungo
giallo
cangiante.
-
"Oddio, q-quella non era una bustina di zucchero?". Si fissava
incredulo la mano che recava quel terribile arnese di uso femminile e
mai cosa
doveva essergli sembrata così
schifosamente schifosa.
-
"Questo è ciò che ti racconta la mamma, ometto?"
lo presi in giro,
ridendo dello stato d'imbarazzo totale in cui si trovava.
-
"Sono andato in giro tutto il giorno con quel... coso
nella giacca!" gridò scandalizzato ed incredulo.
-
"Mica è usato, idiota! È nuovo ed è
ancora impacchettato. Non fare il
ragazzino, per cortesia".
-
"Stamattina stavo per tirarlo fuori di fronte al mio capo
perché il suo
caffè era troppo amaro. Ti rendi conto della figuraccia che
avrei fatto per via
del tuo... coso?". Scoppiai a ridere di fronte alla sua faccia
sconvolta:
neanche se avesse avuto una bomba innescata tra le mani avrebbe avuto
tanta
paura.
-
"Mica ti ho costretto io a portarti a spasso il mio assorbente
interno!" mi difesi, gioendo internamente del suo disagio; sapere che
sarebbe bastato così poco per metterlo in
difficoltà...
-
"Potresti smetterla di chiamarlo con il suo nome?" chiese sul baratro
dell'isteria, tenendo il piccolo pacchetto a penzoloni tra l'indice e
il
pollice e mantenendolo ad una distanza di sicurezza di almeno trenta
centimetri
dal proprio corpo.
-
"Quanti anni hai: dodici? Preferisci Tampax?"
lo schernii.
-
"Preferisco non chiamarlo. Te lo vuoi riprendere?" me lo porse
malamente, ma io mi tirai indietro.
-
"No, te lo regalo Nick. Non si sa mai che per caso tu cresca e ne abbia
bisogno, cucciola". Gli strizzai una guancia e lo lasciai sul
pianerottolo, sparendo dietro la porta di casa mia.
-
"Zucchero, mi stai perseguitando?". Warren rispose tranquillo al suo
cellulare, mentre ancora io mi arrovellavo le meningi perché
il meccanismo del
mio piano fosse perfetto.
-
"No, in effetti volevo renderti un favore. Che ne dici di organizzare
una
festa per stasera?". Era l'unica possibilità per me di
entrare a casa di
Nick e dare un'occhiata alle sue carte, senza dare nell'occhio.
-
"Mi prendi in giro? - nonostante il poco preavviso, l'entusiasmo del
mio
amico era palpabile e non avevo dubbi che il risultato sarebbe stato
sensazionale. Per lo standard di Warren, ovviamente - Vedo
già zucchero filato
color vinaccia e camerieri vestiti solo di grembiuli leopardati in giro
per
casa tua" strillò esaltato.
-
"Oh, no. Non nel mio appartamento; da Nick" dissi diabolica.
-
"Da Nick?".
-
"Già, sai qualche tempo fa ha rifatto i pavimenti e ha fatto
dare una mano
di colore alle pareti e mi sono resa conto che non li abbiamo mai
inaugurati" spiegai.
Giochi
con me, caro il mio MacCord stripper e giornalista del cavolo? Ti rendo
il
favore.
-
"D'accordo, lo chiamerò allora".
-
"In realtà lui non ne sa niente: dev'essere una sorpresa.
Tra poco ti mando
via sms il numero di cellulare di Kay e sono certa che saprai
convincerla che
l'idea di festeggiare il suo adorabile cuginetto è
fantastica". In quattro
e quattr'otto avevo delegato a Warren sia la grandissima rottura di
organizzare
la festa, sia l'infausto compito di chiedere aiuto alla fidanzata di
Will.
-
"Molto carino da parte tua, Sam. Cosa non faresti per farti portare a
letto..." ridacchiò.
-
"Non lo faccio per questo. È un regalo per un amico" spiegai
sincera,
con la minuscola eccezione della ragione per cui avevo deciso di
celebrare. Che
praticamente costituiva l'intero pensiero. Okay, era una balla.
-
"Sì, certo, ne sono sicuro. Beh, se è per Nick,
immagino che i camerieri
coi grembiuli leopardati non siano adatti" pensò Warren ad
alta voce.
-
"Credo anche io" concordai.
-
"E vada per lo zebrato".
La
deliziosa villetta a schiera di Nick era stata trasformata in una di
quelle
conchiglie di Polly Pocket, di un
imbarazzante verde fosforescente e quelli del servizio catering
agghindati come
dei poveri cristi sopravvissuti ad un safari, con quei gonnellini
zebrati
sfrangiati. La casa era piena di gente raccattata grazie a qualche
telefonata e
ad un po' di passaparola tra gli amici di Nick indicati da Kay e
qualche
parente, rigorosamente under quaranta.
Nick
arrivò poco dopo le sette, sfoggiando un sorriso di
circostanza e degli occhi
sbarrati dovuti alla discutibile scelta dei colori che si erano
rovesciati nel
suo salotto.
-
"Warren, devi tenere sotto controllo Nick finché non torno"
sussurrai
al mio amico, intenzionata ad entrare nella camera del padrone di casa
per cercare
qualche documento o ricerca che mi confermasse che ero sulla pista
giusta,
indagando su Hagrol e Burton, prima ancora che su Banks e il povero
Ralph.
-
"Non ti occupi tu di lui?" mi chiese malizioso.
-
"Te lo affido".
-
"Tesoro, è in mani sicure. Solo non garantisco che quelle
chiappette ti
giungeranno prive di morsi" scherzò, ma non troppo, andando
incontro ad un
gruppo di ragazzi.
Sgattaiolai
fino alla zona notte con quanta velocità e grazia mi
permettessero un tacco
dodici ed un vestito stretto. Kay era intenta a intrattenere un bel
giovanotto
- che non avrei mancato di menzionare a Will - e mi aveva lasciato
campo libero
fino alla camera da letto. Entrai in punta di piedi - con
un tacco dodici, come altro pensavi di fare? - e osservai la
stanza maniacalmente ordinata, con una pila di libri posizionata sul
comodino e
le lenzuola ben tese sotto il piumone invernale. Aprii qualche
cassetto, ma non
trovai altro che vecchie cartoline e fotografie varie, biglietti di
concerti
passati e dei block notes nuovi.
Un
faldone posizionato sullo scaffale più alto delle mensole
sopra la scrivania
catturò la mia attenzione: era molto voluminoso, non recava
alcuna etichetta ed
era anche tanto in alto. Una volta salita sulla sedia e quindi sulla
scrivania,
lo afferrai e ne sbirciai il contenuto: c'erano riviste di arredamento
e di
modernariato. Lo richiusi alla bell'e meglio e scesi lentamente fino a
ritornare con i piedi ben saldi al terreno.
Quella
camera sembrava dannatamente grande e non avevo idea da dove cominciare
a
cercare. Un rumore proveniente da poco fuori mi spaventò e
quando dei passi si
fecero più vicini, fu necessario trovarsi un nascondiglio.
Giusto
il tempo d'infilarmi sotto il letto e il padrone di casa irruppe nella
camera,
parlando al telefono con voce concitata.
We're caught in a trap.
-
“No, non sospetta nulla. Sì che sono certo. Lo so,
so che finiresti nei guai,
ma ti ho già detto che puoi fidarti di me e mi pare di
avertelo dimostrato.
Cosa? Stai andando fuori di senno? Non accetterebbe mai di aiutarci in
questa
cosa. Ti capisco, ma coinvolgerla sarebbe una mossa stupida. Sam... -
il suo
tono mi fece vacillare e trattenni il respiro per qualche istante. Come
aveva
fatto a scoprirmi? Sospirai amareggiata e rotolai quasi fino al tappeto
accanto
al letto, quando sentii che Nick non si era affatto accorto di me e che
stava
continuando a parlare al telefono, preoccupato. Tornai veloce nascosta
sotto le
doghe, ancora più inquieta - Sono dalla tua parte, me ne
occuperò io, non
temere. Lei non è un problema". Lei chi?
I
can't walk out...
-
"C'è qualche problema?". Una donna stava parlando
dall'anticamera.
-
"Tutto normale" rispose l'altro, sedendosi sul letto e legandosi
più
salda una stringa della scarpa.
Ascoltavo
distrattamente la conversazione tra Nick ed una voce femminile troppo
biascicata e bassa per essere riconosciuta. In realtà, ero
molto più
concentrata a sperare che quella o quel Sam nominato nella chiamata non
fosse
l'unica persona che pensavo: Banks. No, come avrebbe potuto conoscerlo?
Ovviamente non eravamo gli unici sul pianeta a portare quel nome e il
mio cuore
non voleva nemmeno sfiorare l'idea che Nick stesse proteggendo quello
sporco
sfruttatore di prostitute minorenni che casualmente era il mio
caporedattore.
Casualmente? Niente era stato dettato dal puro fato in quella
situazione ed io
avevo bisogno di sapere, di capire.
...because I love you too much baby.
-
"Pensi che abbia scoperto qualcosa?" .
-
"Non credo" ribatté Nick.
Sembrava
ancora più nervoso di qualche minuto prima.
-
"Non credo non è abbastanza. - ribatté piccata la
donna - Sei sicuro di
voler continuare? È un gioco pericoloso e qualcuno potrebbe
farsi male".
-
"Nessuno lo sa meglio di me, ma a questo punto rischio molto di
più a
tirarmi indietro". Ora la conversazione si stava facendo sempre
più
intensa e tesa.
-
"Ci sono altri che rischiano con te..." gli fece notare la ragazza,
la voce ridotta quasi ad un sospiro agitato.
-
"Pensi forse che non lo sappia? Ho accettato le condizioni di Banks, lo
asseconderò e spero che tutto vada per il meglio".
Mi
morsi un labbro, più o meno volontariamente, e lo strinsi
così forte che dopo
qualche secondo sentii il sapore sgradevole del sangue sulla lingua.
Banks. Che
diavolo voleva dire che aveva accettato le sue condizioni? Sam lo stava
ricattando?
-
"Pregherò per te, anche perché sperare
è francamente troppo poco e non ti
salverà la vita" lo rimbrottò la donna.
-
"Sto con Banks: questo dovrebbe salvarmela".
Gli
aveva promesso dei soldi per non pubblicare la storia?
Nick era Ken Hagrol. Ken
Hagrol era Nick. Con
Clive Burton seppellito sotto tre
metri di terra forse si era illuso di poter dimenticare la sua seconda
personalità, quella onesta. Nick era un dannatissimo venduto.
La
discussione in camera da letto si concluse più o meno con
quella dichiarazione
di fedeltà a Sam Banks da parte di Nick. Rimasi nascosta
sotto il letto ancora
qualche istante, nonostante la stanza fosse rimasta vuota praticamente
subito
dopo. Strisciai sul parquet con il vestito e mi ravvivai i capelli,
prima di
evitare la folla ed uscire all'esterno.
Sul
piccolo portico di casa MacCord la temperatura era bassissima, giusto
quel che
serviva per graffiare la pelle e anestetizzare i pensieri. Una
nebbiolina densa
appannava la visuale sulla via disseminata di lampioni, deserta a
quell'ora
della notte, lasciando all'immaginazione il compito di dare ai suoni
della
città una provenienza. Abbandonata in una sedia di vimini,
mi stavo crogiolando
nella più completa desolazione da ormai una decina di
minuti, senza pensare a
niente che non fosse il paesaggio grigio e spento che avevo davanti
agli occhi;
era come se non lo vedessi, gli occhi fissi su di un punto e il
rimbombo della
musica che proveniva da dentro nelle orecchie.
Il
cigolio della porta d'ingresso mi fece voltare verso la persona che si
stava
avvicinando a me con passo lento e rilassato. Rigirai la testa verso la
strada,
chiudendo gli occhi e lasciando cadere la testa oltre il bordo dello
schienale.
Nick
mi posò una coperta sulle gambe e si appoggiò con
il sedere alla ringhiera, le
mani strette alle piccole barrette di ferro battuto. Il cappotto aperto
gli
sfiorava le ginocchia e la sciarpa attorno al collo era stata messa
malamente e
di corsa.
-
"Sei sparita tutta sera; - disse con voce pacata - è stata
Kay a dirmi che
te ne stavi sola in meditazione qui fuori. Cominciavo a credere che ti
avrei
trovata chiusa nel mio armadio con qualche invitato a giocare ai sette minuti in paradiso"
scherzò,
torturandosi i capelli con le dita.
-
"Ho aiutato a sistemare" risposi calma. Solo in quel momento
realizzai quando facesse freddo ed infilai le mani sotto il plaid che
mi era
stato portato. Poi, il pensiero che avesse potuto comprarlo con i soldi
sporchi
di Banks mi impose di gettarlo sull'altra sedia di vimini che stava
accanto
alla mia. Meglio morire assiderata che venduta.
-
"Confesso: credevo che questa festa sarebbe stata un fallimento, ma mi
ero
sbagliato. Se non considero qualche decina di persone di cui non ho la
più
pallida idea di chi possano essere, ho ritrovato parecchi visi
famigliari. -
Non avevo voglia di parlare, né tanto meno di rispondere a
lui, quindi rimasi
in silenzio - Ti senti bene?" chiese, notando che non davo segni di
vita.
-
"Solo un po' stanca. E delusa". Lo fissai per scoprire fino a che
punto fosse in grado di mentirmi guardandomi negli occhi.
-
"Delusa? Come ho già detto, la serata è stata un
successo! Certo, avrei
preferito passare diversamente il mio unico giorno libero dopo
settimane, ma
non mi è dispiaciuto vedere Warren infastidire tutti gli
uomini presenti".
Tra tutte le persone di cui mi sarei potuta innamorare, avevo scelto la
peggiore, una che aveva avuto il coraggio di scambiare il proprio
lavoro e la propria
integrità morale per soldi.
-
"Io ormai ci ho fatto il callo; con lui è sempre la solita
storia. Però,
in fondo, è bello sapere esattamente come si
comporterà una persona. È...
rassicurante". Per quanto cercassi di mantenere la calma, mi era
impossibile fingere di essere totalmente indifferente.
Perché, dannazione, non
lo ero per niente; Nick non mi sarebbe mai stato indifferente: lo
amavo,
odiavo, ne ero ripugnata ed attratta allo stesso tempo. Era la prima ed
ultima
persona che avrei voluto avere accanto, la prima e l'ultima da cui
avrei voluto
essere toccata.
-
"O noioso. Ci vuole un briciolo di imprevedibilità a volte".
Quelle
parole gli scivolavano dalla bocca senza malizia, ma tutto
ciò che io riuscivo
a leggere erano frasi allusive che mi stuzzicavano e schifavano.
-
"L'imprevedibilità è pericolosa".
-
"Ma è eccitante".
-
"Non sempre il gioco vale la candela. Talvolta bisogna stare attenti a
non
esagerare, a non sconfinare nel punto di non ritorno" dissi fredda e
distaccata, come lo era il vento di quella sera.
-
"Il massimo a cui Warren può andare incontro è
prenderselo in quel posto.
E comunque gli andrebbe bene. Scusa la scurrilità, devono
essere i Martini a
parlare" si scusò, dopo quella battuta un po' spinta.
-
"Potresti scusarti per altro" mi sfuggì.
-
"Ad esempio?" m'incalzò.
Warren,
dall'altra parte della sala, cominciò a farmi strani segni,
distraendomi.
-
"Pe-per la scommessa. Non mi hai ancora detto qual è la
prossima
professione e sono settimane che io ho già terminato con
quella precedente.
Mancano solo due biglietti, no? Sono pronta per il penultimo".
Warren
si faceva sempre più insistente, toccandosi l'orecchio e
cercando di
comunicarmi qualcosa.
Cos'è?
Alfabeto muto?
-
"Oh, certo, li ho nell'altra giacca. Mi aspetti qui?" chiese Nick, a
mo' di domanda retorica.
Se
uno si afferra il
lobo che lettera è? Mi sentivo sotto pressione da ambo le
parti. G? L? F?
Warren
s'indicò disperato sempre quel dannato orecchio. Voleva
dirmi che era gay? Non
che ci fosse poi tutta questa necessità di specificarlo.
-
"Sammy? - ribadì Nick - Guarda che hai perso un orecchino".
Controllai
ed effettivamente constatai che mancava. Porcaccia la miseriaccia, dove
diavolo
l'avevo perso? Il rischio che fosse sotto il letto, sul parquet
immacolato era
parecchio alto e data la mania da sociopatico di pulire di Nick, non
avrebbe
impiegato molto a trovarlo.
-
"Vengo con te" affermai sicura.
-
"Ti aiuto?". Nick stava per avvicinarsi all'attaccapanni della sua
camera ed io stavo sudando freddo per individuare sul pavimento quel
maledetto
affare che avevo avuto la brillante idea di portare alle orecchie.
-
"Ti ringrazio, Sammy, ma credo di essere ancora in grado di riuscire a
prendere una giacca appesa all'attaccapanni" ridacchiò.
-
"È che si trova parecchio in alto, magari ti serviva una
mano". Di
bene in meglio, con le scuse.
Nick
intercettò il mio sguardo palesemente a disagio e non
poté impedirsi di
sghignazzare.
-
"Oh, non ti preoccupare. Ho già chiesto ai sette nani" mi
schernì.
Dovetti
fingere di grattarmi un piede per riuscire a guardare anche sotto il
letto,
mentre lui armeggiava con le tasche del giubbotto. Lo individuai sotto
le doghe
ed allungai il braccio, ma Nick si girò di colpo.
-
"Attento! - urlai con foga tale che sembrava fossi il capitano del
Titanic
di fronte all'iceberg, indicando l'attaccapanni, e lui si
voltò di nuovo
dall'altra parte, notando che in realtà non stava accadendo
proprio niente.
Afferrai l'orecchino e lo tenni stretto nella mano - Stava per caderti
tutto!" mi giustificai di fronte alla sua faccia attonita.
-
"Ma se non ho ancora toccato nulla!".
-
"Errore di prospettiva, immagino. Sai, ero per terra, a grattarmi il
piede
e... basta. E basta." sorrisi imbarazzata.
Alla
fine venne estratto il penultimo bigliettino: farmacista.
Strinsi il foglietto nella mano e uscii dalla camera,
con entrambi i miei trofei appallottolati tra le dita.
Le
due ore seguenti vennero trascorse a molestare la libreria del salotto.
Aprivo
tutti i libri con disinvoltura alla ricerca di fogli sparsi che
potessero dirmi
qualcosa, ma trovai solo una collezione di segnalibri e fiori lasciati
ad essiccare.
L'unico momento di svago fu la tappa al bagno, che si rivelò
essere l'idea più
malsana che potessi avere.
Nick
mi agguantò per un braccio mentre stavo per varcarne la
soglia e mi spinse
dolcemente contro il muro. Rimasi senza parole, incerta sulle ragioni
per cui
mi avesse schiacciato, al buio, contro la parete. Il suo alito e una
risatina
stupida parlarono per lui: era brillo.
-
"Sei ubriaco. Vai a letto, Nick" gli dissi sorridendo.
-
"Sono qui e mi sto per comportare in un modo poco rassicurante"
articolò con una certa difficoltà, tenendosi ben
saldo alle mie braccia,
piegate su se stesse in modo che i palmi delle mani fossero contro il
suo
torace.
-
"Allora fai marcia indietro e torna in salotto" gli suggerii.
I
suoi occhi chiari risaltavano anche con la poca luce che filtrava dal
salotto.
-
"Ma io voglio stare qui. Con te". Strusciò il naso sulla mia
guancia
ed io mi voltai da un lato, di modo che la mia bocca fosse il
più lontano
possibile dalla sua.
Why can't you see
What you're doing to me
When you don't
believe a word
I say?
-
"Hai un buon profumo, Sammy" sussurrò, girandomi il volto
con
facilità verso il proprio.
È
uno stronzo, un
viscido, uno che si vende per soldi.
È
l'uomo che ami,
quello per cui manderesti al diavolo tutto e tutti.
Aveva
appena sfiorato le mie labbra con le sue, scaldandole e accendendole
col
proprio respiro, quando mi ritrassi bruscamente.
-
"No, io... io non posso". Alla fine, nella dura lotta tra il cervello
e il cuore, tra la ragione ed il sentimento, aveva prevalso la certezza
dei
fatti: Nick non era la persona che credevo.
-
"Nickuccio? Ah, scusa Zucchero, disturbo?" Warren arrivò in
tempo per
uccidere anche l'ultimo ormone rimasto in circolo.
-
"In effetti sì. Io e Sammy eravamo nel bel mezzo di..."
cominciò a
dire l'altro, ma la mia voce prevalse.
-
"Di niente. Non disturbi affatto, Warren. Anzi, è ora di
andare".
-
"Possiamo parlarne?" ribadì Nick.
-
"Hai bevuto e tutto ciò di cui possiamo discutere
è di quante aspirine
prenderai domani mattina contro il mal di testa da sbornia. Buona
notte"
dissi decisa e trascinai Warren nella stanza attigua.
We can't go on together
With suspicious minds.
And we can't build our dreams
On
suspicious minds.
-
"Se lui è ubriaco, tu ti sei bevuta il cervello! Ti si stava
offrendo come
un pasticcino alla crema - e su questa crema potremmo dilungarci
all'infinito -
e tu l'hai rifiutato! Tesoro vai a tagliarti i capelli,
perché quella massa
informe di paglia che hai in testa sta opprimendo i tuoi poveri
neuroni"
mi urlò in faccia, con autentica rabbia.
Distolsi
lo sguardo per qualche istante, incerta se raccontargli l'unica
plausibile - e
vera - ragione per cui mi ero sottratta dal bacio, e da
chissà che altro, di
Nick. Aprii la bocca, ma subito la richiusi: no, non avrei detto nulla.
Non
avrebbe capito.
Optai
per una scusa più banale, ma più facile da
digerire.
-
"Aveva più alcool che sangue in corpo: non avrebbe avuto
senso
approfittarsi di lui".
Warren
mi strattonò per un gomito e mi allontanò
ulteriormente dalla stanza da cui
eravamo appena usciti.
-
"Sam, una volta che vi state rotolando nel suo letto, non te ne frega
un
cavolo di chi si stia approfittando di chi!". Era commovente sentire il
romanticismo sbocciare da ogni poro della sua pelle.
-
"Non mi andava, okay?" mi spazientii.
-
"No, non è okay per niente! Ora tu torni là
dentro, gli salti al collo con
fare da maniaca e te lo scopi finché non trovi di meglio da
fare".
Il
mio già cattivo umore stava sfociando in una vera e propria
incazzatura
cronica.
-
"Ho sonno" scandii furiosamente, pur sapendo che il mio livore non
l'avrebbe scalfito. Warren era una di quelle persone che è
impossibile far
arrabbiare: nel bel mezzo dei peggiori momenti, con
l'irritabilità a mille e
sputandogli in faccia parole crudeli, il suo sguardo sembrava comunque
raccogliere le cattiverie come una paranoia dell'interlocutore stesso,
perché,
dal suo punto di vista, era impossibile che qualcuno lo trovasse
sgradevole in
qualche modo: ai suoi occhi era perfetto e se gli avessi urlato che era
un
finocchio, un rompipalle, un egocentrico, sarebbe stato in grado di
farti il
lavaggio del cervello, conducendoti a pensare che eri solo geloso della
sua
onnipotenza. Warren era un manipolatore di cervelli, nient'altro, ed
ero
onestamente sorpresa che non fosse diventato un guru di qualche strana
religione orientale.
-
"Sonno? Sonno? Adesso andiamo da lui, tu gli strizzi una chiappa e,
nella
migliore delle ipotesi, rinsavisci. Così forse ti renderai
conto
dell'opportunità che ti stai lasciando scappare".
-
"È impegnato con un'altra persona". Al di là di
tutta la faccenda di
Burton e Hagrol, non potevo dimenticare che Nick fosse ormai impegnato
con
Katy.
-
"E questo è un tuo problema perché...?"
m'incalzò.
-
"Perché la conosco". Con la consulente legale di MM c'erano già stati troppi
problemi e, per quanto mi rodesse
internamente aver perso Nick a causa sua, in fondo le ero anche grata,
perché
mi aveva permesso di cominciare a detestarlo in anticipo. Non
è mai troppo
presto per convincersi ad odiare una persona che si ama.
-
"Continuo a non capire, Zucchero" ammise Warren, sul punto della
disperazione.
-
"Non faccio la sgualdrina". Mi resi conto che queste parole,
pronunciate da una che si era lasciata abbindolare in una scommessa a
sfondo
sessuale per non sentirsi in debito col proprio orgoglio, non potessero
poi
valer molto, ma ciò che il mio amico non sapeva era che non
potevo più
permettermi di lasciarmi coinvolgere da Nick.
-
"Zucchero, le alternative sono due: o fai la sgualdrina e ti fai un
giro
con l'uomo più sexy della festa - l'uomo etero
più sexy della festa -, oppure fai l'idiota e ti perdi
l'occasione di giocare
al dottore. Scegli. Ma ti avverto che l'opzione idiota
è già stata prenotata dalla ragazza di Nick, che
ha lasciato
libero il fidanzato di gironzolare con il suo bel culo tutto solo
soletto. Non
rimane molto da scegliere, eh?".
-
"Scelgo la mia dignità" dissi in modo teatrale, avvolgendomi
la
sciarpa attorno al collo, al quale avrebbe tanto voluto aggrapparsi
Warren,
strangolandomi con le sue mani.
-
"La dignità non ha mai aiutato nessuno a farsi un uomo" mi
spiegò
dolcemente, come se le sue perle di saggezza fossero tali davvero.
-
"Beh, allora immagino che non mi farò nessuno, stasera".
Presi il
cappotto e me lo infilai, liberando i capelli rimasti impigliati sotto.
Warren
mi guardò perplesso e poi s'indicò il volto con
l'indice della mano destra.
-
"La vedi questa? È la mia faccia di disapprovazione. Non
posso nasconderlo:
sono molto deluso, Sam. Dov'è finito il tuo coraggio?
Affronta la realtà, non
scappare di fronte alle difficoltà: i tuoi non sarebbero
fieri di sapere che
sei fuggita di fronte ad una scopata".
Ah
sì, mio padre
sarebbe così fiero di vedere la sua bambina nel letto di un
ragazzo impegnato!
-
"Raccogli le tue cose, Warren: ce ne stiamo andando". E l'argomento
fu dichiarato chiuso, anche senza l'approvazione dei miei genitori.
Il
pentolone di fagioli che mi bolliva accanto da dieci minuti, meglio
conosciuto
come Warren, continuava a borbottare sottovoce, commentando, tra un
saluto ed
un altro, quanto fossi stupida. Io mi limitavo a sorridere a qualche
viso
conosciuto, mentre lui aveva deciso di dedicare un arrivederci ad ogni
singolo
partecipante alla festa, senza distinzione alcuna.
Nick
girava come una trottola tra i suoi ospiti, sorpresi almeno quanto me
dalla
loquacità che lo aveva colpito sin dal momento in cui si era
concesso qualche
cocktail alcolico in più. Elargiva splendidi sorrisi a
chiunque, persino
all'attaccapanni, ed era disinibito come sul palco del Pumping
Pumpkin. Sembrava... libero, senza freno a mano, senza la
pretesa e la pressione di essere controllato in ogni minimo gesto.
Finalmente
riuscii a bloccare Warren e a costringerlo ad andarcene, ma lui
insisté per
salutare anche il padrone di casa.
-
"NickNick! - lo chiamò, facendo vibrare in aria le dita di
entrambe le
mani - Grazie della splendida serata. Oddio, è pur vero che
devo ringraziare me
stesso per aver organizzato tutto e per essere così
fantastico. Beh, allora
grazie a me!" si batté le mani.
Nick
lo fissava un po' stralunato, facendo oscillare la testa dalla spalla
sinistra
a quella destra, gli occhi lucidi e confusi.
-
"Mi sa che hai bisogno di dormire, bello!" gli diede qualche pacca
sulla spalla e si diresse verso la porta.
Feci
un passo avanti per salutarlo a mia volta e me lo trovai spalmato
addosso in un
abbraccio al limite del soffocante. Il mio viso era affondato
nell'incavo del
suo collo e le sua braccia mi stavano stritolando il bacino.
-
"Sammy, la mia Sammy" esclamò, dondolandoci.
-
"Nick? Ehm... Nick? Puoi mollarmi, per favore?" riuscii a dire.
Lasciò
la presa bruscamente, ma mi tenne in piedi grazie alle sue mani salde
sulle mie
spalle.
-
"La vedi quella dietro di me? - cercò di sussurrare. In
realtà stava
praticamente urlando - Ecco, quella è una grandissima
rompicoglioni. Lo
sapevi?". La ragazza in questione spalancò la bocca
scandalizzata e fissò
quasi in lacrime la sua amica, che stava disperatamente trattenendo una
risata.
-
"No, ma credo che ora lo sappia anche lei".
-
"Davvero?" annuii, mentre Nick si scolava l'ennesimo Martini.
Rinunciai
all'idea di scambiare altre parole con lui e raggiunsi Warren
all'ingresso.
-
"È andato il ragazzo..." commentò quest'ultimo,
infilando il suo
numero scritto su di un biglietto nella tasca posteriore dei jeans di
un baldo giovine
che se ne stava andando.
-
"Già, era in versione 'dico tutto
quello che mi passa per la testa''"
-
"No, parlavo del gnoccolone che è uscito ora dalla porta.
No, dico, hai
visto le occhiate che mi lanciava? Quasi quasi lo raggiungo.
Perché, sai com'è,
io so cogliere l'attimo. Per quanto riguarda Nick, beh, sai come si
dice... in
vino veritas".
Lo
presi sottobraccio e ci incamminammo lungo il vialetto, verso il
cancello,
quando ad un certo punto mi bloccai all'improvviso.
Diamine:
in vino
veritas!
-
"Torno subito, Warren. Aspettami!". Ripercorsi velocemente i pochi
metri che mi separavano dalla porta di casa MacCord e mi precipitai
all'interno. Una breve e febbrile ricerca nel salone e finalmente lo
individuai: se ne stava stravaccato sul divano, solo, gli occhi
semichiusi e
un'espressione un po' allucinata.
-
"Nick... ehi? - i suoi occhi s'illuminarono in un sorriso - Sono
Sammy" gli dissi nel tono più dolce che potessi, nonostante
il mio cuore
battesse furioso.
-
"Sammy..." allungò una mano verso i miei capelli e
cominciò a giocare
con una ciocca, cercando invano di arrotarla sul proprio dito.
-
"Lo vuoi dire un segreto a Sammy? - Mi ignorò: tirarmi i
capelli era molto
più divertente che ascoltarmi. Fantastico. Lo scossi
leggermente e feci in modo
che mi prestasse attenzione - Me lo dici, Nick?". Lui mosse la testa e
non
riuscii a capire se stesse annuendo o semplicemente... muovendo la
testa.
-
"Nick, sei tu Ken Hagrol?". Sarei rimasta col cuore in gola
finché
non mi avesse risposto. Finché
non mi avesse risposto no.
Let's don't let a good thing die
When honey, you know I've never lied to you.
Dopo
che
molte di voi mi hanno fatto sentire in colpa per il ritardo - non
c'è bisogno
di fare nomi, sapete perfettamente chi siete, voi perfide :) - finalmente aggiorno.
Questo capitolo lo
odio, perché ha rivelato molte cose e sapete quanto io odi
darvi troppe
informazioni e poi
perché mi ci è voluto
un sacco per scriverlo, ma forse questo punto si ricollega direttamente
al
punto precedente.
La
canzone del titolo è "Suspicious minds" di Elvis.
La mamma
di Rossana è
dell'omonimo cartone e sono
certa che chiunque conosce le sue acconciature con ruota di criceto e
criceto
annessi.
Nel caso
non fosse chiaro, Beijing è come viene scritto 'Pechino'
nella lingua
mandarina.
'Sette
minuti in paradiso' è un gioco per adolescenti per cui
vengono scelte due
persone che vengono chiuse in un armadio/sgabuzzino e possono fare
qualunque
cosa per sette minuti; ovviamente, il modo più usato per far
passare il tempo è
pomiciare allegramente.
Stasera
non ho tempo per rispondere alle recensioni. Vi chiedo scusa e prometto
che
rimedierò domani.
Ah,
dimenticavo: il programma che ho usato io per verificare l'anagramma
è questo.
Ringrazio
Nessie per il betaggio e le altre galline che non citerò
perché altrimenti si
montano la testa ;)
Se
qualcosa non fosse chiaro, sono disponibilissima a spiegare!
Contattatemi o su
fb oppure semplicemente sulla pagina autore. Mi pare tutto! Un bacio a
tutti e
grazie come sempre!
S.
|
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Capitolo 33 *** Capitolo 33. Sweet About Me. ***
Capitolo trentatré. Sweet
About Me.
-
"Chi è Ben Narcol?".
Nick
spalancò gli occhi all'inverosimile e mi guardò
stralunato, la testa malferma
spostata sulla spalla sinistra, al punto da sbilanciarlo da quel lato.
Stava
seduto sull'angolo del divano, con le braccia mollemente poggiate sui
cuscini
imbottiti e le pupille che scrutavano lente ed appesantite gli invitati
alla
festa, come a cercare di capire che diamine stesse accadendo nel suo
soggiorno.
-
"Ken Hagrol" ripetei secca, prendendogli con una mano la mascella,
pollice ed indice affondati nelle sue guance per riportare la sua
attenzione su
di me. Era da almeno un minuto che lo fissavo, fremente d'ansia per la
risposta
che mi avrebbe dato e lui sembrava vedere tutti tranne me.
-
"Non mi sento molto bene...", incespicò tra le sue stesse
parole e
cercò di alzarsi in piedi, poggiandosi al mio braccio e alla
lampada da terra
che arredava il salotto e che tremò per una decina di
secondi, sebbene fosse
stretta tra le sue dita.
Stavo
per spingerlo di nuovo sul divano, ma il pensiero che potesse vomitare
sulle
mie Sergio Rossi di vernice nera mi fece desistere.
-
"Sì o no?", lo incalzai, sorreggendolo mentre raggiungevamo
verso il
bagno. Sembravo una eroinomane alla disperata ricerca di una dose, e
più o meno
la mia condizione era quella, con la differenza che non volevo droga,
ma una
benedettissima risposta.
-
"Mchdrucgempf" biascicò. Era un sì o un no?
Perché sembra più un no,
giusto?
-
"Come?", domandai confusa.
-
"Lasciami in pace". Sorpassò con passo pesante la porta del
bagno e
raggiunse a tentoni quella di camera sua, mentre io lo seguivo nella
stanza.
Eravamo talmente appiccicati che era impossibile stabilire chi stesse
sostenendo chi. Mi avvolse la mano gelida con la sua, grande e calda,
ed esitò
qualche istante, stupito dalla freddezza dei miei palmi e delle mie
dita. Mi
guardò con uno sguardo incerto e si lasciò cadere
a peso morto sul letto,
cogliendomi di sorpresa quando scoprii che, insieme a lui, ero stata
trascinata
anche io. Per un attimo, la mia mente vagliò la
possibilità reale di restare
così, sdraiata su di lui, con il rimbombo del battito del
suo cuore
nell'orecchio e nel cervello. Sarebbe stato così facile
dormire su di lui e
chiudere i problemi fuori da quella camera. Sì, sarebbe
stato facile, ma anche
da codardi. E se mai ci fosse stato qualcosa di cui mi ritenevo fiera,
almeno
negli ultimi tempi, era quello di affrontare la realtà a
costo di essere presa
a badilate in faccia.
Mi
cullai in quella posizione, finché fu il torpore alle dita
delle mani,
schiacciate tra il materasso e il suo corpo, più che
l'effettiva voglia di
staccarsi da lui, a farmi rialzare in piedi e stendergli una coperta
addosso,
prima di uscire dalla stanza. Richiusi la porta e cercai Kay, per dirle
che il
cugino era ormai svenuto nel letto e che non si sarebbe alzato prima
della
mattina seguente, nemmeno se ci fossero stati dei bombardamenti alieni.
La festa,
o quel che ne rimaneva, era ora nelle sue mani.
Warren
mi stava aspettando fuori da casa di Nick, scambiando qualche timida
chiacchiera con due ragazzi e tre calici di vino. Per la prima volta da
quando
lo conoscevo, sembrava non essere del tutto a suo agio ed era
stranamente poco
incline a monopolizzare l'attenzione degli astanti. Era dimesso,
defilato, più
concentrato ad ascoltare che a parlare, ed evitava accuratamente il
contatto
visivo con uno dei due giovani che aveva davanti, un biondino che
sorrideva di
continuo in direzione del proprio amico accanto.
Quando
lo raggiunsi, tirò un sospiro di sollievo e si
congedò rapido dai due,
adducendo una debole scusa. Lanciò un'ultima occhiata al
ragazzo sorridente e
s'incamminò con veemenza verso il cancello.
-
"Qualcosa non va?". Non mi stava ascoltando - comportamento piuttosto
diffuso in quella serata -, e mi rispose solo dopo la gomitata nelle
costole
che gli rifilai di nascosto.
-
"Ahi! Che c'è?", disse scontroso, massaggiandosi la parte in
cui
aveva ricevuto il colpo.
-
"Come sono i miei capelli stasera?". Era la domanda cruciale, e se
non si fosse deciso a rispondere, avrebbe significato che era malato o
davvero
molto preoccupato. Lo guardai mentre esitava, sempre più
perplessa per il suo
comportamento, insolitamente taciturno e pacato. Alzò le
spalle svogliato e
quello fu il chiaro segnale che qualcosa non andava, ma se non era
pronto per
parlarne, non l'avrei forzato.
Okay,
erano passati dieci minuti di taxi e ancora non mi aveva raccontato un
bel
niente; avevo aspettato anche troppo!
Mi
schiarii la gola, picchiettai con le dita sul suo ginocchio e cercai di
avere
un tono vago.
-
"Allora, chi era il giovanotto ridente?".
Vago?
Warren
tornò con la mente all'interno dell'auto che ci stava
portando a casa, e mi
guardò stupito e quasi impaurito.
-
"Chi? Ah, erano una coppia di amici", tentò di liquidare
l'argomento
in quel modo, ma non avevo intenzione di mollare l'osso. Era
un'occasione più
unica che rara vederlo in difficoltà.
-
"Tu non hai amici. Hai trombamici",
gli feci notare.
-
"Solo amici", sospirò in imbarazzo. Allungò una
banconota al taxista
e scese, costringendomi ad accelerare il passo per raggiungerlo. Gli
camminai
di fianco fino all'ascensore del mio palazzo, sorpassando un grosso
pacco in
portineria, e aspettai che le porte si chiudessero prima di urlare
esaltata.
-
"Quindi è questo il problema: non è qualcosa di
più!".
-
"Quando dici è invece di
sono, è perché
alludi all'intera
coppia?". Stava spudoratamente e platealmente fingendo di non capire il
significato delle mie parole, ma la sottoscritta non avrebbe ceduto.
-
"No, è perché intendo solo il biondino
sorridente", risposi saputa.
-
"Cosa dici? Sebastian...". Quel nome gli uscì dalle labbra
quasi
sospirato ed io non riuscii a trattenermi dal prenderlo in giro.
-
"Sebastian!". Mi portai le mani al cuore da attrice consumata e
guardai Warren con aria sognante, mentre lui arrossiva in maniera
vistosa e si
fiondava sul pianerottolo del terzo piano. Lo agguantai per un lembo
della
giacca e sgranai gli occhi sconcertata.
-
"Oh mio Dio, - gridai eccitata - che qualcuno stampi un'edizione
straordinaria del London Express e
che a me pigli un colpo: sei stracotto di lui!".
-
"Apri la porta! - cercò di sviare - E non sono stracotto di
nessuno; io
amo solo me stesso, ricordi?". La farsa sulla checca isterica ed
egocentrica - che comunque tanto farsa non era - prima o poi sarebbe
dovuta
finire, e quel prima tanto agognato era arrivato.
-
"Sono così orgogliosa di te, Warry! - lo abbracciai forte,
mentre lui
frugava nella mia borsa alla ricerca delle chiavi del mio appartamento
- Era
ora di mettere il tuo pisello nella fondina per un po' e cominciare a
ragionare
con il cuoricino".
-
"Ma che stai dicendo?". Sgusciò facilmente dalle mie braccia
e mi
strappò dalle mani il mazzo di chiavi, trafficando per
azzeccare quella giusta.
Tell You Something That I’ve Found,
That The Worlds A Better Place When
It’s Upside Down Boy
-
"Mi dispiace solo che tu ti sia innamorato di lui proprio mentre io sto
smettendo di esserlo di Nick... avremmo potuto fare i patetici
zuccherosi
insieme!", dissi sinceramente amareggiata. Purtroppo ormai ero in cura
per
la Maccordite e, una volta trovato
il
vaccino, non c'erano dubbi che mi sarei dimenticata di quell'idiota.
Warren
mi sorrise, poco convinto dalle mie parole e si tolse il cappotto e i
preziosi
mocassini blu scamosciati. Ci sedemmo uno accanto all'altra sul divano,
lui con
le gambe distese sul tavolino ed io con i piedi sotto il sedere, dal
momento
che erano due ghiaccioli.
-
"Punto uno: - mi spiegò - se pensi di poter decidere tu
quando smettere di
amare Nick, stai prendendo una gigantesca cantonata, Zucchero. Punto
due:
merda! Se ti sei accorta tu che mi piace, significa che è
proprio evidente.
D'altronde, hai visto che occhi?".
Occhi?
Che fine avevano fatto gli apprezzamenti su sedere, pettorali, bicipiti
e
equipaggiamento andrologico? Ma c'era una questione che più
mi premeva.
-
"Che significa ‘se ti sei accorta
tu’?",
chiesi offesa.
-
"Ecco, appunto. Per stasera ti sei già giocata il bonus di
perspicacia".
Se
il cuore fosse un muscolo ubbidiente ai comandi della ragione, il mondo
sarebbe
un posto infinitamente più facile da gestire. Basti pensare
a Romeo e
Giulietta, Tristano ed Isotta, Jim Morrison e Pamela Courson... sono
solo
alcuni esempi che non fanno altro che avallare questa tesi.
Mancano
solo due nomi all'appello: Sam e Nick. E la guerra che stavo per
dichiarargli,
dopo aver scoperto il suo gioco sporco con Burton e Banks, non avrebbe
ammesso
sconti...
-
"Zucchero?". Erano le tre di notte e un rumore fastidioso mi aveva
appena ronzato nell'orecchio, destandomi.
-
"Warren, ero nel bel mezzo di un filmino mentale. Grazie per aver
interrotto la voce super sexy di quel presentatore che stava per
introdurre
alla serata degli Oscar il film sulla mia vita", mi lagnai, stringendo
la
mano a Woody Allen e ringraziando per il premio.
-
"Scusa se ho rovinato il tuo unico momento di gloria, ma volevo
chiederti
una cosa".
Chiedermi
una cosa in piena notte? Cielo. Se Sebastian gli provocava
già l'insonnia, la
situazione era grave, molto grave, ma il mio spirito di mamma chioccia
nei
confronti di Warren non poteva che rendermi felice per lui e per il suo
-
apparentemente non deceduto - cuore.
-
"Che vuoi? - biascicai, la voce impastata - Ho sonno, fra qualche ora
mi
devo alzare e andare al lavoro, e non posso aprire gli occhi
perché altrimenti
non ci sarà più alcuna possibilità di
addormentarmi".
Una
risatina mi solleticò il collo e venni cinta in un abbraccio
stritolatore.
Provai a divincolarmi ma smisi ben presto, crogiolandomi nel tepore
sprigionato
dalle braccia rachitiche del mio amico e dal piumone.
-
"A giudicare dalla parlantina, sembri piuttosto sveglia, Zucchero",
sghignazzò.
-
"Warren!", gracchiai con il solo fine di porre fine a quella
conversazione indesiderata e riaffondare la testa nel cuscino.
-
"Posso dormire qui?", chiese senza troppa convinzione ed allora mi
arresi del tutto, spalancando gli occhi e girandomi verso di lui.
-
"Mi prendi per il culo?". Ormai aveva praticamente trascorso la notte
a casa mia e ora si faceva degli scrupoli?
Gli
uomini, per quanto possano amare altri uomini, rimarranno sempre un
enigma.
-
"No. È che non avevo chiesto e non volevo che pensassi che
fossi un
maleducato e...", si giustificò.
-
"Va' a quel paese". Lo interruppi brusca e gli ordinai di dormire.
Qualche attimo di silenzio e poi partì di nuovo alla carica;
stavo per zittirlo
decisamente spazientita, però ci ripensai, optando per
ignorarlo.
-
"Ma... quell'uomo è sempre stato lì?". Uomo?
-
"Che uomo?". Balzai in piedi con il cuore in gola e vidi una sagoma
accanto alla finestra che non avevamo notato in precedenza, dal momento
che
eravamo entrati nella camera senza accendere la luce. Cercai con la
mano
l'interruttore della lampada, lo premetti e mentre la stanza veniva
illuminata,
dall'oscurità comparve il bel fisico di Ralph. Con sollievo
constatai che era
la gigantografia regalatami durante l'intervista, che adesso splendeva
in tutta
la sua inutilità all'interno del mio appartamento; non ero
certa di come ci
fosse finita, ma avevo troppo sonno per badare a tali sottigliezze. Tre
secondi
dopo il rapper venne abbattuto da un missile terra-aria a forma di
ciabatta con
la faccia di Snoopy.
Warren
si lasciò andare in una risata liberatoria e
spiegò:
-
"Ho visto il pacco in portineria e mentre eri in bagno sono sceso e
l'ho
portato su".
-
"Ho cambiato idea: - sbuffai - non puoi dormire qui". Un sorriso si
fece largo sul mio viso, quando rimasi sola nel letto, con un amico a
mo' di
scendiletto, colpito da un calcio rotante che nemmeno Chuck Norris si
sognerebbe mai.
In
ufficio, l'aria era frenetica e pesante; con il numero nuovo da
preparare e le
incombenti vacanze di Natale a spezzare il normale ritmo lavorativo, i
soli
suoni che intasavano l'aria erano il clic
delle tastiere dei computer e il rumore della fotocopiatrice.
Entrai
trotterellando, sebbene l'umore - e le occhiaie - non fossero dei
migliori. Ero
in ritardo di cinque minuti, praticamente in super orario per i miei
standard,
e l'idea di vendicarmi di Nick e della sua banda di magnaccia
costituiva
l'unica gioia che la mia giornata prevedeva.
Amanda
mi sfrecciò accanto senza vedermi e si sedette alla sua
scrivania, gli occhi
incollati alla cartella che aveva tra le mani; Jade era sotto il suo
tavolo,
intenta ad improvvisarsi tecnico del computer e Valerie stava urlando
al
telefono con qualche inviato. Tolti cappotto e guanti, mi sedetti al
mio posto
e notai una grande busta gialla che non recava alcun indirizzo.
Girandola, vidi
che c'era solo una scritta sfocata, come se l'involucro fosse stato
esposto
alla pioggia e lasciato poi ad asciugare. Tutto ciò che era
leggibile era un Sam[...] e un Mr[...] H [...] s, ma non era chiaro chi
fosse il mittente e chi il
destinatario. Cercai con lo sguardo Jeff, il ragazzo della posta, e lo
avvistai
in fondo alla grande sala, con i soliti jeans consunti dal cavallo
basso, la
massa di riccioli ribelli e i neuroni polverizzati dagli spinelli.
Perlomeno
era felice, lui...
Dopo
averlo chiamato come una forsennata per trenta secondi buoni e con
scarsi
risultati, mi avviai verso di lui e lo voltai verso di me.
-
"Jeff, sei certo sia per me questa busta?", gli domandai,
mostrandogliela. Lui mi guardò con occhi colpevoli e
vagamente intontiti.
-
"Sì", disse con un fil di voce.
-
"Come mai non si legge bene quello che c'è scritto sopra?".
Trasse
dal suo piccolo carrellino colmo di corrispondenza una bottiglia di
acqua,
piena fino a metà. Lo osservai dubbiosa, incerta se fargli
una scenata per
l'ennesimo atto di irresponsabilità da parte sua o se fargli
godere degli
effetti delle sue sigarette magiche e continuare ad invidiarlo.
-
"Mi dispiace", sussurrò.
-
"Lascia perdere, non fa nulla. Cerca solo di stare più
attento, d'accordo?".
Annuì, prima di procedere con il suo giro, ciondolando con
la sua solita
flemma.
Tornata
alla mia scrivania, aprii la busta e ne afferrai il contenuto.
Un'occhiata
veloce e nel mio cervello si erano affollate così tante
parole da non riuscire
a pronunciarne nemmeno una. Con le mani tremanti, sfogliai velocemente
il plico
di immagini formato A4 che avevo tolto dalla busta. Foto al parco, a
casa, in
ufficio, al bar, in discoteca, con amici o in solitaria... in quegli
scatti
c'era una panoramica completa, a 360 gradi della mia vita. L'ultima
risaliva
alla sera precedente: dal bianco e nero opaco emergevano due figure -
io e Nick
- che chiacchieravano sul portico di casa sua.
Oh Watching Me,
Hanging By A String This Time...
Rimisi
veloce le fotografie nella busta e la incastrai malamente nella mia
borsa,
letteralmente scioccata dall'idea che qualcuno mi stesse seguendo. Sam,
Mr Hs.
Poteva essere Nick? Ma perché mandarmi quelle immagini? A
che scopo? E se non
fossi stata io la Sam in questione?
-
"Sei arrivata in ritardo, oggi". L'oggetto dei miei pensieri si
materializzò alle mie spalle: Banks e il suo ghigno malefico
mi fecero
trasalire sulla sedia girevole.
-
"M-mi dispiace", borbottai, ancora troppo scioccata per formulare una
frase più elaborata.
-
"Ti dispiace? - scherzò lui, avanzando verso di me - Anche a
me,
soprattutto visto che capita molto spesso. Grayson sei fuori, libera la
scrivania".
Come,
come, come?
-
"Mi stai licenziando?" urlai sconcertata, finalmente ritornata alla
realtà, dopo la sparata di Sam1. Mi sembrò che
l'intera redazione si fosse
paralizzata, troppo concentrata e stupita nell'osservare la scena,
perfino per
fingere di continuare a lavorare.
-
"Puoi scommetterci. - ribatté lui sicuro - Ti voglio fuori
di qui tra
un'ora", rispose rabbioso. Mi morsi la lingua per non gridare a tutto
l'edificio che razza di pervertito schifoso avessimo - anzi, avessero - per capo, ma sarebbe servito
solo ad attirare la sua attenzione su di me. Ancora. Alzai lo sguardo
verso
l'ufficio di Valerie e la trovai ad osservare la scena con Katy,
entrambe
sorridenti. Si avvicinarono entrambe a Sam1 e lo fissarono altezzose e
divertite.
-
"Possiamo scambiare quattro parole, Banks? Subito, nel mio ufficio".
Bene,
il mio destino era nelle mani di Katy: praticamente spacciata.
Le
urla di Katy si sentivano anche attraverso la porta chiusa. Io ero
rimasta in
piedi, le dita di una mano poggiate sulla scrivania e un caos totale
nella
testa, in attesa che il mio ennesimo fallimento venisse messo per
iscritto.
Ingannata,
pedinata e licenziata in meno di ventiquattro ore. Complimenti,
Sam, credo sia un record. Ora tornerai a Glasgow a fare la
cameriera in una tavola calda per vecchi molestatori, vivrai in una
baracca
piena di scarafaggi e a trent'anni avrai una dentatura brutta come
quella di
Lil' Wayne, con l'unica differenza che la tua non sarà
tempestata di diamanti
del valore di centocinquantamila dollari, ma di carie. Gratuite.
-
"Ho detto che la Grayson non si muove da qui. - disse la consulente
legale
di Music Magazine, sorprendendomi.
Forse c'era ancora speranza per me! - Io detengo il 15% delle azioni,
Valerie
il 20% e Justin il 17%. Se sai fare i conti arriviamo al 52%, che
guarda caso è
la maggioranza più due. Il tuo misero 10% mi pare non ci
possa impensierire, soprattutto
alla luce del fatto che sei il solo ad appoggiare la mozione. Come ho
già
detto, Sam continua a far parte della squadra e la discussione finisce
qui. Ti
pregherei in futuro di non prendere più iniziative del
genere, se non dopo aver
chiesto ed ottenuto l'approvazione di tutti noi. Puoi andare, grazie
dell'attenzione".
Banks
era semplicemente furioso, e in ufficio tutti sembrano aspettare solo
il
momento in cui avrebbe aperto bocca e lanciato fiamme come in un film
di
fantascienza.
Katy
mi aveva appena salvato il fondoschiena. Che mi sarei dovuta aspettare
ora: i
leoni prendere il tè con le gazzelle?
Warren
aveva la giornata libera e si era sentito nella posizione di invadere
casa mia
con i suoi ormoni impazziti a causa di Sebastian. Non si era sforzato
neanche
di negare: gli piaceva, nonostante quest'ultimo fosse molto occupato
con
quell'altro ragazzo della festa. Ma, invece di non curarsi di quel
piccolo
dettaglio come avrebbe fatto normalmente, si sentiva un passero in
gabbia - e
la similitudine non era casuale.
Quando
tornai a casa, dopo essere stata obbligata a ringraziare Katy - che il
cielo mi
fulmini! -, lo trovai ancora in mutande - dei ridicolissimi boxer con
l'immagine di Cher stampata sopra - e l'aria da cane bastonato molto
annoiato.
Andai spedita verso l'armadio in camera mia, con le intenzioni
più bellicose
che ricordassi di aver mai avuto. L'illuminazione era avvenuta dopo il
mio
quasi licenziamento, mentre la busta gialla mi guardava in tono di
sfida da
dentro la mia borsa. Era semplice: cancellare Nick MacCord dalla mia
vita,
prima di farlo fuori dal punto di vista lavorativo. E umano. E
personale. E...
dalla faccia della Terra, insomma.
-
"Zucchero, che fai?". Warren spuntò dal corridoio e mi
fissò
incuriosito; delle lunghe striscioline nere mi sporcavano gli
avambracci e le
spazzole che avevo in mano avrebbero dovuto fargli capire che cosa
avevo in
mente.
-
"Lavo via le tracce del passaggio di Nick da casa mia", gli risposi
comunque, perché le mie intenzioni fossero cristalline al
mondo.
-
"Lucidando le tue scarpe?", ribatté scettico.
-
"Me le aveva ordinate e pulite lui", spiegai rapida e ripresi a
strofinare
un paio di decolté blu. Certo, non avevo calcolato che
sarebbe stato così
stancante e così noioso!
-
"Vuoi una mano?", chiese all'improvviso Warren ed io finalmente
intravidi un'ancora di salvezza: se avessimo fatto il lavoro in due,
sicuramente ci avremmo impiegato meno tempo e mi sarei sporcata meno.
-
"Davvero?", domandai piena di speranza.
-
"No! - replicò lui, oltraggiato dal fatto che avessi anche
solo pensato
che mi volesse aiutare - La manovalanza potrebbe rovinarmi la manicure.
Però
posso supervisionare quel... quella... qualunque cosa tu stia facendo".
-
"Morirai di generosità acuta,
sai?", lo schernii ironica.
-
"Lo sospettavo. - sbuffò serissimo - A che punto sei?".
-
"Ho appena cominciato. Pausa?", proposi, mentre Warren lentamente
usciva dallo stato catatonico in cui era sprofondato per tutta la
mattinata.
-
"Certo. - rispose entusiasta - Tè e tre biscotti, grazie".
Lo fissai
in cagnesco, avviandomi verso la cucina e riempiendo il bollitore di
acqua.
Credevo che almeno si sarebbe degnato di preparare lui la merenda, ma
disse di
essere talmente stanco da non poter nemmeno aprire la scatola dei
canestrelli.
Servito
e riverito come in un hotel, il ragazzo si stava approfittando di me;
mi
costrinse persino a spremere il limone nella sua tazza,
perché l'acido citrico
avrebbe potuto danneggiare le cellule dell'epidermide. Fossero state
quelle il
problema...
Continuammo
a parlare di Nick e della convinzione che stavo dimostrando nel volerlo
dimenticare, anche se in realtà il mio unico ascoltatore era
Romeo, visto che
Warren trovava molto più divertente guardare una partita di
pallanuoto maschile
in tv.
-
"Mi sento pronta a sconfiggerlo, e sta' pur certo che non gli
darò scampo.
- esclamai, carica di adrenalina. Presi il limone e lo riposi nel
frigorifero -
Sono motivata e concentrata". Rimisi i biscotti avanzati nel loro
contenitore e una macchia gialla attirò la mia attenzione.
Ma... che ci faceva
il limone ancora sul piano della cucina?
-
"Donna concentrata, vai a prendere il telecomando nel frigo".
Rimandai
i miei grandi piani di eliminazione delle tracce lasciate da Nick nel
mio
appartamento a data da destinarsi. Rimanemmo tutta la sera a guardare
un film
alla televisione, vagamente annoiati dalla trama e dall'attore poco
prestante
che contribuì a rendere ancora più piatta
l'atmosfera nel mio appartamento.
Sdraiata sul divano accanto a Warren, cominciai all'improvviso a
raccontargli
quello che era successo negli ultimi mesi: l'uomo del vicolo e
l'aggressione,
il rapimento di Romeo, l'anagramma, le foto... Volevo condividere il
peso di
quelle informazioni con qualcuno e, con Will lontano, non mi restavano
molte
persone su cui contare. Lui rimase ad ascoltare in silenzio,
spezzandolo di
tanto in tanto con delle smorfie di stupore e di preoccupazione. Solo
quando
ebbi terminato, si decise a parlare.
-
"Un uomo ti ha aggredito e tu non hai detto niente?". Prima o poi
sapevo che qualcuno mi avrebbe sottoposto questa domanda e se Warren
intendeva
cominciare ad analizzare la situazione da quell'episodio, sarei stata
pronta ad
affrontarlo.
-
"Non è successo nulla...", minimizzai, portandomi
istintivamente le
mani al collo, quando riemerse il ricordo di altre dita attorno ad esso
che mi
avevano stretta così forte da lasciarne i segni. Mi era
capitato spesso di
interrogarmi se avessi fatto la scelta giusta tacendo sul fattaccio ed
ogni
volta mi ero risposta che non avrebbe avuto senso raccontarlo, dal
momento che
l'energumeno aveva detto di essersi sbagliato. Ma non si era sbagliato
sul mio
nome, sul fatto che stessi ficcanasando in affari altrui e di certo non
aveva
scherzato con il mio povero Romeo, abbandonato a Hyde Park e scampato
miracolosamente alla morte per denutrizione.
-
"Com'erano le sue mani?", mi chiese all'improvviso Warren.
-
"Che cavolo di domanda è?", risposi scettica.
-
"Morbide, ruvide, lisce, screpolate... com'erano?".
-
"Pensi che possa scoprire chi fosse, partendo dalle mani?".
Lo
dicevo io che non
poteva essere solo un egocentrico del cavolo: è preoccupato
per me.
-
"Oh, non c'avevo pensato. Beh, forse, chissà, chissene
frega! Te lo dicevo
perché devo cambiare crema: quella che uso non le idrata a
sufficienza. Magari
si sono rovinate guardandoti lavorare".
Lo
guardai allibita, mentre lui stendeva le braccia e si rimirava i palmi
e le
dita, scandagliando ogni centimetro di pelle.
-
"Warren, è una questione seria", lo ammonii.
-
"Lo so. - urlò disperato - Pensi dovrei cambiare proprio
estetista?".
-
"Possibile che tu sia in grado di reggere una conversazione se non sei
tu
il soggetto principale?", lo rimbrottai. Scrollò le spalle e
si sedette
sul divano, serio.
-
"Non ho ancora trovato un altro argomento altrettanto interessante...
non
puoi farmene una colpa". Migliaia di anni di storia, di cultura, di
arte,
di scoperte, di scienza, di uomini e donne e nessuno era riuscito a
intrigare
Warren Bietty più di quanto potesse farlo uno specchio.
Nemmeno il suo quasi
omonimo, quel Beatty per cui il padre aveva avuto un'adorazione sin dai
tempi
di Dirk Tracy e a cui doveva il nome, era fonte di curiosità
per lui. Prima
c'era lui, il Bietty tarocco e poi quel attorucolo hollywoodiano
vincitore di
due Oscar con cui - casualmente - condivideva una certa
affinità fonetica.
-
"Sei un egoista", lo accusai. Venni fulminata da uno sguardo
inceneritore.
-
"Ora sei ingiusta. Non ti ho forse dedicato cinque minuti del mio
tempo?
Non ti ho forse guardato riordinare l'armadio? Non ti sto forse ancora
ascoltando mentre pretendi di cancellare Nick dalla tua vita con un po'
di
lucido per le scarpe?".
The Climax Of A Perfect Lie.
-
"Non so da che parte iniziare", ammisi.
-
"Usciamo, Sam. Che senso ha stare qui? Potremmo uscire e trovarci un
farmacista per uno; Ian, ad esempio". L'immagine tutt'altro che erotica
del farmacista sovrappeso vicino casa mi fece rabbrividire.
-
"Ian? Sul serio? Quell'uomo ha più tette di me. -
piagnucolai - Non voglio
uscire, non voglio trovare un altro camionista, un altro dottore, un
altro
tecnico del computer, non voglio trovare un altro...".
-
"Ricordi quando mi hai detto che avrei dovuto sopprimerti, se fossi
caduta
nel patetico?" mi bloccò Warren.
-
"Ho mai detto una cosa del genere?". Non che lo escludessi a priori:
quando la tequila è in circolo è difficile
frenare la lingua.
-
"Non lo so, mica ti ascolto! - replicò, muovendo stizzito
una mano in aria
- Però ti fermerò lo stesso. Basta! Ci vuole
tempo; vedrai che troverai un
altro ragazzo e, se sarai particolarmente fortunata, non
avrà doppie identità o
alter ego. Ricorda, però, che ciò che non puoi
tollerale è che...".
-
"Mi menta spudoratamente e ripetutamente, rifilandomi un due di picche
gigantesco che mai mi scorderò nella vita?", completai per
lui.
Un
urlo strozzato interruppe l'apparente calma del mio appartamento.
-
"Zucchero, - sbottò il mio amico - l'importante è
che sappia utilizzare
l'attrezzatura subequatoriale. Potrà non essere bello,
simpatico, o altro, ma
deve funzionare".
-
"La storia?", tentai.
-
"Il suo arnese, Sam. La tua ingenuità mi sconvolge e mi
commuove, ma tu
non sei Reese Witherspoon e questa non è La
rivincita delle bionde".
-
"Sono un po' confusa: come faccio a sapere se un pene è
simpatico?".
Cominciavo a chiedermi se fosse più idiota lui ad inventarsi
di sana pianta
queste cavolate o io a chiedere delucidazioni in merito.
-
"Tua madre non ti ha insegnato nulla? - Beh,
diciamo che non è mai stato il nostro argomento preferito...
-
È questione di empatia epidermica: quando ti trovi davanti
ad un pene che verte
leggermente verso sinistra o destra, significa che non ti trova molto
simpatica
e che, pertanto, sta cercando di respingerti", spiegò con
accuratezza,
nonostante la sua idea fosse del tutto assurda ed infondata.
-
"Quindi coloro che hanno il cannoncino deviato non troveranno questa
empatia epidermica praticamente con nessuna", ragionai, seguendo la sua
insensata logica. Sorrise e proseguì nell'esposizione - che
era maledettamente
chiara, stupida io a non conoscerla!
-
"Questo è perché sono gay e non lo sanno". Quasi
ventiquattro ore
insieme e non si era ancora menzionata la superiorità
numerica, fisica ed
intellettuale del mondo omossessuale: era ovvio che avrebbe rimediato.
-
"Se avessi saputo questa teoria, che sono certa abbia riscontri
scientifici, qualche anno fa, mi sarei risparmiata un sacco di
scocciature". Annuimmo entrambi alla conclusione a cui ero arrivata,
sotto
la guida spirituale di Warren.
-
"Sam, sai quanto io sia un uomo che tiene alla precisione e,
perciò, prima
di scartare Nick, temo dovrò controllargli la marmitta",
disse, fingendo
disinteresse.
-
"Bel tentativo, Warren", ridacchiai.
-
"Era per non lasciare nulla d'intentato". Mica ci stava provando per
l'ennesima volta con lui!
Gli
toccai una ciocca di capelli, pur sapendo che avrebbe tentato di
tagliarmi una
mano per aver osato toccare la sua chioma regale.
-
"Quel che è deciso è deciso", affermai sicura.
-
"E quand'è che l'avresti deciso che Nick è fuori
dai giochi?",
ribatté.
-
"Alle 13.32 di oggi".
Cinque
minuti. Cinque maledetti minuti prima di entrare in pausa pranzo, dopo
che Sam
mi aveva quasi sbattuto fuori a calci per essere arrivata in ritardo.
Meglio
non abusare della sua pazienza, anche se era stato esilarante vederlo
umiliato
da due donne. Se n'era andato dall'ufficio con la coda tra le gambe, ma
da
quando avevo aperto quella busta, la spiacevole sensazione di essere
seguita in
ogni passo, mi aveva fatto maturare la convinzione che starsene in
redazione,
sempre affollata di gente, fosse la cosa migliore.
Eravamo
talmente abituati al rumore delle porte scorrevoli dell'ingresso, che
ormai
nessuno vi prestava attenzione. Quella malaugurata mattina, i miei
occhi
annoiati ed impazienti di un piatto di fish and chips corsero curiosi a
vedere
le pareti trasparenti che si aprivano. Nick camminò sicuro
tra le scrivanie
sparse per la stanza e si diresse verso l'ufficio di Katy, la sua cara non-so-come-definirla, che lui era
apparso piuttosto propenso a tradire con me la notte precedente -
meglio non
menzionare questo piccolo incidente, dopo che mi aveva appena
riassunto.
Valerie uscì in quel momento dalla porta dell'ufficio e per
poco non si
scontrarono l'uno contro l'altro. Si scambiarono i convenevoli e
qualche
battuta, mentre Katy li raggiungeva sulla soglia e lo trapassava con
un'occhiata furente. Problemi in paradiso?
Lo
afferrò letteralmente per il cappotto e richiuse l'uscio in
faccia a Val, senza
sprecarsi in ulteriori spiegazioni. Le tendine che proteggevano la
riservatezza
della stanza si chiusero in un gesto secco come le mie fauci, al
momento. Che
diavolo avevano intenzione di fare in quell'ufficio? Non potevano fare
sesso lì
dentro, sul tavolo, sul divanetto o contro la libreria... quelle erano
mie
fantasie e Katy non poteva fregarmi pure quelle!
Fissai
la porta serrata per un quarto d'ora - o per un secolo - e quando
finalmente
Nick ne uscì, da solo, una minuscola parte di me fu contenta
di vedere che i
suoi capelli erano ancora perfettamente scompigliati e la sua camicia
ben
stirata. Ma quindi che avevano fatto? Parlato, magari.
Nick
s'inumidì le labbra - merda, sesso
orale,
forse! -, si accorse dei miei occhi puntati su di lui e li
interpretò come
un invito a presentarsi di fronte alla sottoscritta.
-
"Ehi. Tutto bene?", chiese.
Probabilmente
Katy era una di quelle che amano farlo vestite e che si mummificano
durante il
coito: rimangono ferme e aspettano che tutto sia finito. Frigide.
-
"Dovrei domandartelo io, dopo ieri sera". Raccolsi la borsa da terra
e racimolai cellulare ed agenda.
-
"Ho fatto qualcosa di sconveniente?", s'informò,
terrorizzato
all'idea di aver perso il controllo per una sera.
-
"Quando mai, Nick? Quando mai?", gli risposi accondiscendente,
infilandomi il cappotto.
-
"Mi pare di cogliere del sarcasmo nelle tue parole".
Pomiciata
di quindici
minuti? Sì, Sam, magari si sono pure tenuti la manina e
sussurrati parole
d'amore.
-
"Cogli quello che ti pare", esclamai piccata. Passai dietro la
scrivania per raggiungere il corridoio centrale ed uscire, ma lui mi si
parò
davanti, un sorriso sghembo disegnato in viso. Onde evitare di perdere
le
staffe, misi la mano nella borsa ed afferrai qualcosa, compiaciuta di
quello
che avrei fatto di lì a poco.
-
"Più t'impegni ad essere arrabbiata con me, più
mi sembri terribilmente
dolce", sussurrò. Come poteva flirtare con me, quando la sua
pseudo
fidanzata era a pochi metri da noi?
Mi
scappò un sorriso sornione che prolungai in modo sfacciato
per quanto mi fu
possibile.
My Smiles Worth A Hundred Lies.
-
"Non c'è niente di dolce in me, Nick. Aspetta e vedrai". Gli
inchiodai sul petto la custodia di un cd e poi me ne andai in tutta
tranquillità verso gli ascensori.
Mi
ero esposta di nuovo, ma stavolta non avrei commesso l'errore di farmi
condizionare dai miei sentimenti. L'avrei calpestato con uno affilato
tacco
dodici e seppellito con il dvd di me e Troy tra le mani.
Amen.
Finalmente ho aggiornato! Nonostante i vari impegni, sono ancora viva,
anche se
la scrittura è un po' - UN PO'?! - rallentata.
La
canzone del titolo è "Sweet About Me" di Gabriella Cilmi,
mentre il
film citato è di Warren Beatty ed è appunto "Dirk
Tracy".
Mentre
i
nomi degli altri protagonisti di questa storia sono stati a lungo
meditati - ho
una fissazione per queste cose e mi è capitato di non
leggere storie perché
odiavo i nomi dei personaggi - , Warren è nato per caso e
non ricordo nemmeno
come! Però mi piaceva l'idea di usare le strane idee di
qualche genitore di
omaggiare i proprio figli con nomi di gente famosa
(che non sempre vanno in porto: vedi Michael
Douglas che è diventato Maicon Douglas, il giocatore
dell'Inter per
intenderci); quindi, ecco Warren Bietty.
Ringrazio
la magnanima Nessie per il betaggio, le vedove allegre di facebook e
faccio gli
auguri di buon compleanno a Valentina DinDonDan, nel rispetto della sua
privacy.
Ricordo
a
chi fosse sfuggito che ho postato un'extra di questa storia, una
one-shot
idiota, che da un piccolo indizio in più nella soluzione del
caso. La trovate
qui.
Questo,
invece, è il mio account fb.
Vi
ringrazio perché leggete/seguite/preferite/ricordate e
recensite. Corro a
rispondere ai commenti dello scorso capitolo.
Un
bacione,
S.
|
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Capitolo 34 *** Capitolo 34. Fire With Fire. ***
Capitolo
trentaquattro.
Fire
With Fire.
Sicuramente,
quando Mario Puzo e Francis Ford Coppola scrissero la sceneggiatura de Il Padrino - parte II, non potevano
immaginare che, quasi quarant'anni più tardi, una
giornalista a caccia di scoop
e verità nascoste si sarebbe ispirata ad una battuta del
loro Michael Corleone
- alias Al Pacino - per decidere come cominciare la propria
controffensiva.
Tieni
i tuoi amici
vicini e i nemici ancora più vicini.
Solo
qualche settimana prima, avrei trovato eccitante e sessualmente
interessante
l'essere vicino a Nick - e sopra, sotto, a destra, a sinistra e in ogni
posizione immaginabile... Al momento, il solo pensiero di trovarmi nei
pressi
della sua persona mi provocava ancora qualche smottamento interno, ma
ciò era
dovuto più che altro alla smania di sentire le mie piccole
dita stringersi
attorno al suo collo. E premere, schiacciare, stritolare
finché anche l'ultimo
briciolo di forza lo avesse abbandonato. Quella sarebbe stata una bella
sensazione, alla facciaccia sua e del branco di omuncoli che
condividevano
l'hobby di Banks.
Purtroppo,
nel corso dei secoli qualche strano soggetto aveva trovato
politicamente
scorretto - addirittura un delitto! - esercitare questa pratica su
altri esseri
umani; forse qualche nemico di Caino o di Dexter Morgan,
chissà. La cosa buffa
è che nessuno ritiene che essere presa in giro da uno
stripper-e-non-so-che-altro sia altrettanto grave. Come se davvero il
mio ego
in quel momento non fosse stato fatto a pezzi e così i miei
sentimenti e la mia
già poca razionalità; come se davvero fossimo
solo noi donne a fare tutto, a
illuderci che ci sia qualcosa, a creare e fantasticare su un'invenzione
e,
colpo finale, a costringerci a sbatterci il muso prima di capire che
sì, il
ragazzino - non di certo l'Uomo - ci ha fottuto un'altra volta. E non
nel senso
che a noi piacerebbe. Possibile che non sia reato infrangere un cuore?
Perché
la sensazione è proprio uguale al buco che ti lascia un
proiettile che, quando
passa, spazza via tutto ciò che trova nel suo percorso. Se
ti hanno sparato,
almeno puoi sperare di trovare un bravo chirurgo che ti
salverà, magari
cancellando ogni traccia dell'accaduto e attenuando il dolore.
Però non c'è anestetico
che tenga, se il vuoto che hai dentro è di natura emotiva, e
la ferita non
lascia cicatrici visibili ad occhio nudo; in quei casi, l'unico
chirurgo che ti
può salvare è il dottor Cupido, che ti
aiuterà a rimetterti in piedi e ti
guarirà le ferite invisibili. Lui o un buon analista. A
pagamento. E non puoi
tornare ad essere felice come prima, se il tuo portafoglio è
molto più leggero.
Ti rimane l'amaro in bocca e a quel punto conviene spendere il resto
del tuo
patrimonio a cercare questo dottor Cupido e a farlo fuori. A quel punto
sì che
sarai felice e contento!
Il
foglio planò leggero nell'aria per un paio di secondi, poi
raggiunse gli altri
sul pavimento, formando un'ampia chiazza bianca sporcata d'inchiostro
nero. Era
l'ultima, l'ultima pagina del faldone che conteneva le poche
informazioni di
cui fossi in possesso sull'inchiesta in corso su Ralph. Il povero
disgraziato
continuava a scrivermi dalla prigione, implorandomi di aiutarlo ad
uscire da
quell'incubo il prima possibile e giurandomi amore eterno; progettava
un futuro
insieme e una foltissima schiera di marmocchi, un cane e un pony da
addestrare
nel nostro immenso ranch texano. Era evidente che la galera gli aveva
dato alla
testa, e non dubitavo nemmeno per un attimo che si sarebbe rimangiato
tutto - e
per fortuna! - nello stesso istante in cui avesse messo piede fuori
dalla
cella. Al primo sentore di libertà - perché era
così che doveva finire - si
sarebbe scordato il mio nome e avrebbe lanciato il nuovo album; il suo
destino
era già stato scritto dal Fato e dalla casa discografica.
Romeo
scodinzolò per tutto il salotto con un'andatura sinuosa, mi
rivolse un miagolio
vibrante e si sdraiò comodamente sulla distesa di carta,
graffiando qualche
foglio per avere maggior aderenza a terra. Ecco, quella era la fine che
meritava di fare il mio lavoro degli ultimi mesi: morire spiaccicato
sotto un
gatto ciccione e nero-porta-iella. Non serviva nemmeno che mi
affrettassi a
salvare il materiale esanime sotto le zampe del mio micione: sapevo
perfettamente di averne una copia sul computer e i cardini delle
indagini erano
ben impressi nella mia memoria.
Ralph.
Banks. Nick. Burton.
Ciò
che davvero non avevo mai capito era la relazione più
importante: quella tra il
mio capo marpione e l'agnello sacrificale Ralph. Cosa davvero li univa,
oltre
all'innegabile attrazione per le ragazze ed un palese interesse morboso
-
seppur opposto: uno mi avrebbe condotta all'altare, l'altro alla tomba
- nei
miei confronti?
Is it just me or is everyone, hiding out
between the lies?
Where will we be when we come undone?
Just a simple meeting of the minds.
Ora
basta giocare
pulito. Basta stare a guardare senza agire attivamente. Basta aspettare
che
siano sempre gli altri a decretare le regole. E magari basta budino al
cioccolato, altrimenti non potrai fare nessuna delle cose suddette
perché non
ci passi dalla porta.
Il
vasetto delle meraviglie finì con una del tutto fortuita
carambola all'intero
del cestino, ma solo dopo che anche la più piccola goccia di
dessert venne
leccata avidamente dal cucchiaino. Feci una doccia veloce e scelsi con
cura il
vestiario: jeans, stivali rasoterra, maglione e piumino scuri -
ovviamente con
il cappuccio per passare il più inosservata possibile -,
occhiali da sole,
sciarpa e berretto in testa. Presi al volo una borsa a tracolla
dall'attaccapanni e uscii di casa carica di adrenalina e aspettative.
Nel breve
tragitto in ascensore, trassi dalla tasca l'I-pod e m'infilai le
cuffiette
nelle orecchie. Eye of the tiger.
Abbozzai un balletto che dovette interrompersi prematuramente,
perché quella
vecchiaccia dell'inquilina del primo piano aveva deciso di non poter
proprio
fare una rampa di scale a piedi.
Qualche
volta mi
fermerò a spiegarle che il dolore alla prostata non
scuserà in eterno la sua
pigrizia. Soprattutto perché non ce l'ha, la prostata!
Ma
nemmeno la nonnina del primo piano avrebbe fermato Samantha Grayson,
l'indistruttibile macchina da guerra, l'infallibile bomba ad
orologeria, la
temeraria guerriera...
-
"Merda!".
...
senza mezzi di locomozione.
Spostarmi
in taxi sarebbe stato incredibilmente costoso e scomodo, l'auto di Will
era in
mano alla Piattola Kay - e di
questa
sfiducia il mio amato vicino avrebbe pagato un conto molto salato -, e
coinvolgere altre persone era fuori discussione: troppo pericoloso,
c'era il
rischio di dare nell'occhio... però sarebbe stato anche
molto pratico.
Chiamai
un taxi e chiesi di accompagnarmi dall'unico soggetto che potesse
aiutarmi. Una
volta arrivata davanti alla porta del suo appartamento, presi il
cellulare e composi
il suo numero.
-
"Warren, che fai oggi? - dissi con tono malizioso, sperando che avesse
la
giornata libera e che potesse assecondarmi ed accompagnarmi
nell'operazione AcchiappaChiappe,
così come l'avevo
appena nominata.
-
"Sto giocando" rispose incolore.
-
"Playstation?" domandai, stupita che fosse interessato ad un genere
di divertimento così insulsamente maschile.
-
"Playgirl, piuttosto. - replicò, mentre un rumore di pagine
sfogliate
riempiva la linea telefonica. Certe cose
è sempre meglio non saperle: viva l'ignoranza consapevole!
La prossima volta
meglio chiamarlo quando sono ancora a casa mia. - E' un
vecchio numero,
sai? C'è uno che ha un...".
-
"Okay, lasciamo cadere questo discorso e cominciamone uno differente.
Ad
esempio, che ne diresti di monitorare Nick per un'intera giornata?".
Non
c'era alcun bisogno che lui si sprecasse in complimenti e applausi nei
miei
confronti, perché sapevo da me che la mia idea era
semplicemente fantastica. Se
avessi controllato - e con ciò intendevo, pedinamenti,
appostamenti e quanto di
più meschino ci fosse - MacCord, era scientificamente
impossibile che non avrei
cavato fuori un ragno dal buco. Qualcosa avrei pure scoperto!
-
"Zucchero, - esclamò, invece - chiariscimi una cosa: so che
stai facendo
tutto questo per un motivo. Solo che non ho idea di quale sia. Potrei
sapere di
cosa si tratta? Perché sei una donna, non fai nulla per
caso. Perciò, ti prego,
illuminami. Sarà mica che temi che stia uscendo un'altra?
Un'altra oltre Katy,
intendo".
Il
mio viso si corrugò in un'espressione perplessa e sbattei le
palpebre più volte
prima di rispondere: era talmente ovvio che mi sembrava superfluo
perder tempo
in spiegazioni.
-
"Non sono più innamorata di lui, ricordi?". Cosa diavolo
poteva
fargli credere che stessi ancora soffrendo per quel cretino mononeurone?
Warren
esitò e poi proseguì con i suoi sproloqui.
-
"Oh, vero! Chissà perché questa cosa non mi entra
in testa. - disse, la
voce traboccante sarcasmo. - Continuo a ripetermi che è
palese che tu lo abbia
dimenticato e poi tu confermi il tutto con questi atteggiamenti
disinteressati.
Sarà che sono gay e certe cose non le capisco"
ironizzò.
Riattaccai
e suonai il campanello. Venne ad aprirmi con indosso una vestaglia
bianca a
pois rosa, stretta in vita da una cintura ai cui estremi erano cucite
due
piccole palle pelose color confetto.
-
"Questa cosa - dissi, indicando con il dito l'abito da cima a fondo -
è
semplicemente ridicola". Lui mi guardò storto e mi
squadrò con aria
disgustata e saccente.
-
"Non volevo ti sentissi sola nella tua sciattaggine" sorrise.
-
"Sbrigati. - sussurrai tra i denti - La missione AcchiappaChiappe
deve cominciare al più presto" lo esortai e
lui s'immobilizzò di fronte a me con faccia inespressiva.
-
"Non ho mai detto che verrò con te". Mi schiarii la gola e
ripetei a
memoria la frase che mi ero preparata sul taxi
nell'eventualità che lui avesse
opposto resistenza a partecipare alla mia missione.
-
"Vieni con me oppure preferisci che rintracci un certo Sebastian e gli
spiattelli che te lo sogni ogni notte e che è il tuo
amoruccio?". Mandai
una serie di baci nella sua direzione e aspettai che lui rispondesse.
-
"Sei una baldracca, ne sei cosciente, vero? - annuii vigorosamente e
lui
si girò in modo teatrale, facendo svolazzare i lembi della
vestaglia - Muovi
quel culo floscio, che siamo già in ritardo".
La
vita di Nicholas
MacCord è una noia mortale.
Credo che persino il soggiorno
della zia Annie alla casa di riposo fosse più movimentato
dell'esistenza
scialba e deprimente di Nick. Casa, colazione al bar, palestra,
capatina a
casa, libreria - per tre ore esatte! -, e di nuovo casa. Nel mentre, io
e
Warren ci eravamo addormentati entrambi un paio di volte, mangiato una
sottospecie di hamburger, limati e smaltati a vicenda le unghie,
sfogliato sei
riviste scandalistiche, e il passo successivo sarebbe stata la ceretta
a
freddo, se non fossimo stati troppo stanchi e pigri per metterci a
depilarci.
-
"Che palle! - sbuffò stancamente Warren, facendo scattare
indietro la
levetta del sedile e stendendo le gambe per quanto gli fosse consentito
dalle
dimensioni della sua piccola utilitaria verde bottiglia - Quest'uomo ha
la vita
sociale di mia nonna. E mia nonna è morta".
-
"Già. Non mi aspettavo di certo che mi fornisse la risposta
ad ogni mia
domanda su un piatto d'argento, ma non credevo nemmeno che pedinarlo
sarebbe
stato un tale mortorio! Andiamo a prenderci una cioccolata? Sto morendo
di
freddo e mi scappa anche la pipì" brontolai. Feci per aprire
la portiera
dell'auto, ma Warren mi strattonò per un braccio, facendo
cozzare debolmente lo
sportello con la sua chiusura.
-
"Zucchero, rimanda i tuoi bisognini perché la faraona
è appena uscita dal
forno" sussurrò.
-
"Eh?". Stava forse parlando di cibo? Perché dopo il panino
disgustoso
a metà mattinata, la nausea mi stava attanagliando lo
stomaco.
-
"Il pesce è uscito dalla rete. - scandì bene, ma
io continuavo a non
capire - Nick è uscito, e che cazzo! Spia, un corno! Sei
più svampita di
Harmony!" disse Warren scontroso, abbassandosi sul sedile e
trascinandomi
giù con lui per non essere visti.
Il
paragone con Harmony era decisamente offensivo, soprattutto dal momento
che ero
quasi certa che non fosse per le gambone chilometriche o per la coppia
di
angurie sul davanzale.
Nick
salì a bordo del suo fuoristrada, incurante di essere
osservato, e partì
spedito. Warren accese provvidenziale il motore e ci avviammo sulla
carreggiata, ad una distanza di sicurezza di una cinquantina di metri.
La
giornata era limpida e l'auto di Nick era ben visibile anche in
lontananza. Il
macinino verde su cui eravamo non ci permetteva di fare grandi
velocità e di
sicuro non era stato creato per fare appostamenti; con quel colore e
quei pochi
cavalli - cavalli? Criceti, al massimo - era impossibile passare
inosservati e,
nel disperato caso in cui ci fosse stato bisogno di fare un
inseguimento, uno
dei due sarebbe dovuto scendere a spingere per abbattere la barriera
dei
settanta chilometri orari.
Dopo
un viaggio di quasi un'ora tra le vie di Londra, passando attraverso il
Pumping Pumpkin - dove stranamente
Nick
era rimasto in macchina dieci minuti, salvo poi ripartire - il
fuoristrada
s'inoltrò in una zona periferica della città e
accostò accanto ad un grosso e
fatiscente edificio grigio, con gran parte delle finestre rotte e un
pezzo di
tetto pericolante. Di fronte ad esso, un ampio spiazzo era circondato
dalla
rete arancione bucherellata tipica dei cantieri, dietro la quale Warren
parcheggiò. Gli ordinai di rimanere in macchina, mentre io
mi avvicinavo
lentamente all'angolo da cui avrei visto Nick. Richiuse piano lo
sportello del
fuoristrada e si guardò intorno circospetto. Mi ritrassi
veloce nel mio
nascondiglio, osservando Warren imbronciato che mi osservava perplesso
da dietro
il parabrezza. Quando mi rigirai, Nick era sparito, e la porta del
retro del
palazzone dismesso stava per serrarsi. Correndo ed imprecando per lo
sforzo, la
raggiunsi, la riaprii e procedetti con cautela. Un grosso lucchetto
giaceva
rotto per terra, sul pavimento consumato, malamente buttato in un
angolo
oscuro. L'ambiente all'interno dell'edificio era tipicamente
industriale: un
sistema formato gigante di scaffalature occupava le pareti, sporcate
dalla
vernice di presunti artisti di strada e dal tempo. Era una fabbrica
abbandonata.
Rumori
di voci concitate provenivano da una stanza vicino, a cui
però non era
possibile accedere da dove mi trovavo io. Salii una rampa di scale con
il cuore
in gola, badando a dove mettevo i piedi e a non perdere il
chiacchiericcio di
sottofondo. Il piano superiore constava di una grande balconata lungo
tutto la
pianta rettangolare, e una decina di porte poste ad intervalli regolari
davano
accesso ad altrettante stanze. Lo spazio sottostante era immenso,
freddo, e in
quel momento era popolato da una serie di individui poco
raccomandabili.
Dall'occhiata rapida che ero riuscita a dare prima di rifugiarmi nella
camera
più vicina, Nick non era tra quelli; c'erano delle guardie
del corpo, un uomo
di colore, Banks e altri soggetti non meglio identificati.
Indietreggiando come
un gambero, alzai le dita dalla maniglia e richiusi la porta. Quando mi
voltai
per capire dove fossi, una mano mi inchiodò sull'uscio,
mentre l'altra mi
tappava la bocca con veemenza. Dopo qualche istante di puro terrore e
sorpresa,
la mia vista si abituò al buio dell'ambiente e fu facile
individuare due iridi
chiare che mi fissavano, dapprima cattive, poi sempre più
stupite. L'urlo che
le sue dita mi avevano fatto soffocare in gola, si sciolse nel momento
in cui lui
mi lasciò andare.
-
"Mi hai fatto prendere un colpo! Ma... c-che cavolo ci fai tu qui?".
Nick si sforzò di tenere la voce bassa, nonostante fosse
incredulo ed alterato.
Mi guardò con i suoi occhi glaciali e in quel momento sentii
ancor più freddo
di quanto ne stessi sentendo prima, nell'ingresso impolverato in cui
erano
state accatastate centinaia di bancali di materiale ormai completamente
inutilizzabile.
-
"Potrei farti la stessa domanda, se non fosse che conosco
già la
risposta!". Non ero brava quanto lui a mantenere il controllo sulle mie
reazioni, ma neppure Nick sembrava del tutto padrone di sé
in quella
circostanza.
-
"Vattene da qui. Ora!" mi ordinò, in un tono che non
ammetteva
repliche. Sfortunatamente per lui, ero davvero brava in quello.
-
"Scordatelo! - ribattei seccata - Pensi che non sappia quello che state
tramando tu e quel pervertito maniaco del mio capo? - Nick mi
fissò spaesato e
rimase a bocca aperta per qualche istante - Non Valerie, eh... Banks"
precisai.
-
"Sam, ho detto di andartene". Afferrò con forza le mie
braccia, mi
girò in direzione della porta e mi spinse verso di essa.
Quale parte di ‘Scordatelo!’
non aveva capito? Non
esisteva al mondo alcun motivo per cui avrei lasciato la fabbrica per
andare a
fare altro. C'erano in ballo troppe cose.
Inferocita
come un toro da corrida, mi gonfiai il petto fieramente e ripresi a
camminare
in senso opposto, decisa a tornare sui miei passi e chiarire, ma lui
bloccò
ogni mia mossa.
-
"Puoi continuare ad inveirmi contro finché vuoi... non mi
farò fregare. E di certo non da te" lo avvertii.
You said fight fire with fire, fire with fire,
fire with fire...
-
"Non è uno scherzo. Questa gente non va per il sottile"
replicò.
-
"Qui nessuno sta giocando. - lo sfidai, guardandolo negli occhi e
sostenendo convinta la sua smorfia torva. Si strofinò gli
occhi stanchi e
infastiditi dalla polvere e cercò di farmi ragionare,
spostandomi verso una
piccola porta laterale che fino ad allora non avevo notato.
-
"Per favore, vai via di qua. Corri giù per le scale ed esci
dalla porta
sul retro". Sembrò quasi implorarmi, con quegli occhioni
preoccupati e
l'espressione corrucciata da cane bastonato. Pensai
all'eventualità di
assecondarlo, ma me lo impedii fermamente; una volta tanto era meglio
curarsi
dell'amor proprio piuttosto che mostrarsi accondiscendente con quello
che lui
voleva.
Scossi
decisa il capo in segno di diniego e, nel tentativo di difendere con
maggior
vigore la mia posizione, feci un passo indietro. Così
facendo, però, urtai
contro una delle grandi mensole di acciaio addossate alle pareti e il
suono
pieno e sgradevole dell'impatto si produsse per tutto l'ambiente.
Trattenemmo
entrambi il fiato, in attesa di sapere se quel fracasso fosse stato
udito anche
nella sala al pian terreno. Potevamo sentire solo un terribile
silenzio, che ci
lasciò presagire il peggio.
-
"Nascondiamoci" bisbigliò Nick.
C'era
un piccolo antro buio nell'angolo alla sinistra della porta, stretto,
ma
sufficiente per ospitare entrambi, in piedi, di profilo. Ci
schiacciammo lì
dentro, notando un angusto cunicolo che passava dietro la scansia ed
arrivava
alla porta secondaria. Registrai quel passaggio come una delle
possibili ed
eventuali vie d'uscita d'emergenza.
Udimmo
dei rumori di passi sempre più vicini, fino al punto in cui
cessarono del
tutto: erano fuori dalla nostra stanza.
-
"Ora ho bisogno che tu faccia una cosa per me. La farai?" disse Nick.
Mi prese le mani tra le sue e puntò i suoi occhi indagatori
nei miei.
Amor
proprio, Sam, amor
proprio. Amor proprio, amor proprio...
Ma
la mia testa prese ad annuire senza che me ne accorgessi, e neppure le
mie
labbra furono particolarmente collaborative.
-
"Sì" mormorai in un sibilo grave che mi parve ingigantito
dall'eco
della stanza.
La
parola d'ordine era coerenza, ed io era stata coerente nella mia
incoerenza.
Amor
proprio. Proprio
un corno.
Through desire, desi- sire, desi-, through your
desire...
-
"Passa dietro le mensole, esci dall'altro lato con il cappuccio della
giaccia in testa e se pensi che ti possano beccare, lancia qualcosa per
terra
per cercare di distrarli" sintetizzò.
Oh,
quanto romanticismo! Un presunto principe azzurro che mi chiedeva
d'immolarmi
per salvare il suo regale fondoschiena. Che potevano essere degli omoni
di
cento chili per gamba, contro un metro e settanta di pugni smaltati
rosso fuoco
e stivali scamosciati?
-
"Sei impazzito? Non voglio morire!" borbottai nel suo orecchio.
-
"Fidati di me!". Forse sperava di convincermi con quell'estrema
preghiera, non conscio di essere sulla strada giusta per condurmi a
fare
l'esatto opposto: non sarebbe più stato possibile infilare
nella stessa frase
la parola fiducia associata al
nome Nick.
-
"Ho come un déjà-vu, solo che non sono nata
duemila anni fa e tu non mi
hai baciato prima di mandarmi a morire!" starnazzai, combattendo con il
desiderio di urlare e strozzarlo insieme. Lui sorrise e mi diede un
minuscolo
ed inconsistente bacio a stampo, prima di indirizzarmi verso il
passaggio
nascosto.
Peggio
di Giuda.
Passai
a fatica nello spazio ristretto e giunsi dall'altra parte della stanza,
rimanendo nascosta.
La
porta si spalancò all'improvviso, facendomi sussultare. Da
una fessura tra gli
scaffali, potevo vedere che si trattava di due uomini - armadi, in
realtà - che
fortunatamente non avevano armi con sé, se non quei bicipiti
da culturisti che
s'intravedevano anche attraverso i giubbotti.
Uno
dei due si aggirò per la stanza, mentre l'altro rimase
vicino all'entrata,
entrambi attenti ad ogni minimo spostamento d'aria proveniente anche
dalle
finestre coi vetri rotti. Quello più alto dei due mi
arrivò ad un metro di
distanza; il cuore mi batteva a mille e, dalla posizione accucciata in
cui mi trovavo,
allungai una mano sul pavimento per trovare qualche oggetto da
lanciargli
addosso. Che fosse un mattone o un topo morto non aveva importanza.
Avrei
gettato qualsiasi cosa mi fosse capitata tra le dita.
Quando
ero ormai convinta che mi avesse scoperto, il tizio girò sui
suoi tacchi e,
scuotendo la testa in direzione dell'altro, si avviò verso
l'uscita.
Un
tonfo improvviso ci fece voltare tutti e tre verso la porta laterale,
quella
accanto a cui mi trovavo io. Dal battente, spuntò la testa
curiosa di Warren
che si guardò attorno prima di posarsi - più
pallida che mai - sulle due
guardie del corpo di Banks.
-
"Chi cazzo sei?" gli urlò uno dei due. Lui si fece piccolo
piccolo e
non serviva un genio per capire che fosse spaventatissimo.
-
"I-Io..." bofonchiò.
-
"È un barbone, Lewis!" rispose l'altro, cercando di
rabbonirlo, ma
questo Lewis fissò Warren ancora più in cagnesco,
farfugliando qualcosa
d'ingiurioso contro i clochard.
Colpì
Warren al viso con uno schiaffo da manuale e la guancia del mio amico
si
arrossò all'istante, con il marchio delle cinque dita ancora
impresso sulla
carne. Gliene diede almeno cinque. A quel punto afferrai qualcosa di
simile ad
un sasso e lo lanciai in mezzo alla stanza. I due bodyguard furono
colti alla
sprovvista e Nick ebbe tutto il tempo di colpirne uno alla testa con un
mattone; all'altro ci pensò lo stesso Warren, assestandogli
un portentoso
calcio in mezzo alle gambe.
-
"Barbone a tua sorella, questo è Armani" gli urlò
indignato, mentre
uno si contorceva dal dolore e ignorava bellamente le parole fashion e
l'altro
giaceva a terra svenuto.
-
"Andiamo!" gridò Nick e ci spinse giù dalle scale
e fuori dalla
fabbrica. Con un'occhiata severa ci raccomandò di andarcene
al più presto e
sparì sul suo fuoristrada scuro.
Ovviamente
disobbedimmo e attendemmo finché tutti non furono usciti
dall'edificio. Accanto
a un Banks infuriato e ai due uomini della security doloranti, c'era un
uomo di
colore, accompagnato da sconosciuti. Il suo viso mi era famigliare, ma
al
momento - con Warren che invocava l'estrema unzione per le sberle
ricevute -
non c'era tempo di ragionare.
Però,
quella sera, nel letto, guardando la gigantografia di Ralph, capii chi
era: la sua
guardia del corpo.
Il
giorno dopo, Valerie si presentò in ufficio con un tailleur
rosso aderente e un
sorriso smagliante. I capelli biondi le ricadevano voluminosi sulle
spalle,
mentre ancheggiava disinvolta fra le scrivanie perfettamente disposte
nella
grande sale che ospitava la redazione. Si fermò di fronte a
me e m'indicò con
un cenno del capo la macchinetta del caffè. Mi alzai e la
raggiunsi.
-
"Hai intenzione di andare a Glasgow per Natale?" mi domandò.
-
"Credo proprio di sì. Anzi, sicuramente, altrimenti mia
madre potrebbe
uccidermi, barra diseredarmi. Perché me lo chiedi? Stai
cercando asilo per
sfuggire dalla suocera?".
-
"Non sarebbe una cattiva idea; - rifletté lei. - Quegli
irlandesi sono
ancora più strani sotto le feste... hai presente quando la
Rowling descrive le
rimpatriate dei Weasley alla Tana? Ecco, Natale dai genitori di
Jonathan è
uguale: tante teste rosse e un gran baccano. Posso contare solo sulle
mie amate
aspirine e sul mio autocontrollo. Cosa che di certo non ha dimostrato
zio Felix
quando ha lanciato un piatto contro la moglie perché la
femmina non gli aveva
ancora portato da mangiare. Comunque, tesoro, non è per il
mio triste destino
che ti sto chiedendo dei tuoi progetti per le vacanze"
cambiò argomento.
-
"Banks ha di nuovo dato di matto e mi vuole licenziare... di nuovo?".
Volevo sapere subito se era il caso di preoccuparsi oppure se c'era la
speranza
di passare il Natale in serenità.
-
"Soggetto esatto, supposizione sbagliata. - mi corresse Val. - Il
nostro
caro collega ha lavorato un paio di mesi a Glasgow qualche anno fa, ma
circolano poche informazioni a riguardo. Ho pensato che magari
là avresti più
possibilità di scoprire qualcosa, sempre ammesso che ci sia
qualcosa".
-
"Darò un'occhiata in giro" esclamai seriosa.
-
"Scusa, forse sono stata un po' indelicata. - scossi la testa, confusa
sul
perché ritenesse di aver mancato di tatto. - Insomma,
l'ultima volta che ci sei
stata era per il funerale di tua zia, poi c'è stata la
questione Nick... Warren
mi ha accennato qualcosa".
Accennato?
Warren non conosceva quel verbo; la sua concezione di ‘accennare’ era parlare mezzora
a sproposito, facendo risultare
l'intero discorso un'autentica sbrodolata di parole e concetti.
Inoltre,
dubitavo fortemente che avesse tenuto per sé un argomento
così succulento come
il due di picche del secolo che mi ero fatta rifilare.
Stavo
per risponderle, quando dalla mia labile memoria riaffiorano solo
alcuni
ricordi delle frasi appena pronunciate da Valerie.
Banks.
Glasgow. Nick.
Funerale.
I
tasselli si rimisero da soli al loro posto e, meno di trenta secondi
dopo, ero
già sull'ascensore fuori dalla redazione di Music
Magazine, pronta a prendere MacCord a calci nel sedere.
Avrei
dovuto sapere che non era lì per me: era un semplice viaggio
di lavoro.
Il
taxista non aveva ancora fermato completamente la propria auto, che io
ero già
scesa. Con passo militare mi avviai verso la villetta a schiera di
Nick, che
stava giocando con Mister nel giardino. Indossava un piumino blu e dei
jeans
scuri e in una mano stringeva una pallina che il Labrador cercava in
ogni modi
di sfilargli con i denti.
-
"Finirai mai di deludermi? - esordii, lasciandolo di stucco - Ti ho
presentato alla mia famiglia, hai cenato con noi, hai dormito a casa
mia... che
razza di stronzo opportunista sei?" urlai, senza paura di infastidire i
vicini.
-
"Calmati! Che stai dicendo?". Nick mollò la presa sulla
pallina che
rimbalzò sordamente sull'erba umida, per la
felicità del cane.
-
"Sto dicendo che sei un verme. Che sei la persona più
schifosa che io
abbia mai avuto la sfortuna di incontrare" gli spiegai.
-
"In vena di complimenti, vedo. Posso almeno sapere perché?".
La sua
calma apparente era ancora più snervante del comportamento
odioso che aveva
avuto a Glasgow. Sfruttare la mia famiglia e me come base d'appoggio
per fare
le proprie ricerche su Banks era troppo meschino anche per lui.
-
"Mi hai fatto credere che fossi lì per me, che t'importasse
qualcosa di
quello che mi stava succedendo. Hai calpestato me e la memoria di mia
zia per
raggiungere il tuo scopo. Sei una merda e quello che stai facendo con
Banks è
anche peggio". Nick s'irrigidì all'istante.
-
"Non mi devo giustificare con te riguardo a quello" disse fermo.
-
"Preferisci giustificarti con la polizia? - domandai ironica. - Sono
certa
che ci siano un sacco di agenti che ascolterebbero volentieri
ciò che so".
-
"No! - irruppe. - Senti, so che sei arrabbiata ora, ma...".
-
"Arrabbiata? - lo fissai incredula e strinsi le mani a pugno per
resistere
alla tentazione di prenderlo a schiaffi. - Ti strapperei i bulbi
oculari a mani
nude se non fosse che non voglio rovinarmi lo smalto. Io sono furiosa!".
-
"Non l'ho mai fatto" sussurrò tra i denti.
-
"Mai fatto cosa?".
Abbassò
lo sguardo, come se quello che stava per dire lo imbarazzasse.
-
"Non ho mai detto di essere lì per te. O per il funerale".
Lo aveva
borbottato a bassa voce, ma era stato diretto e quella schiettezza mi
colpì in
faccia come se me lo avesse urlato contro.
Mi
aveva sconfitto, ancora. Mi ero
illusa, ancora. Era colpa mia, ancora. Era vero, lui non aveva detto
nulla; io avevo desunto che lui fosse venuto a Glasgow
perché teneva a me, io
mi ero fatta dei castelli in aria che - come al solito - al primo alito di vento di
burrasca erano
stati spazzati via.
-
"Hai ragione. - concordai a malincuore. - Ora mi sento meglio,
perché
ovviamente è stato un mio errore di valutazione credere che
dal momento che ti
eri fatto trovare al cimitero, tu fossi venuto per consolarmi. Avvisami
se devo
anche ringraziarti per la tua disinteressata visita a Glasgow".
-
"Sam, ascolta: forse non era il funerale di tua zia il mio progetto
principale
per venire in Scozia, però c'ero. Non conta niente?".
Purtroppo,
era contato il giorno del funerale e continuava a contare anche in quel
momento. Lui c'era.
-
"Voglio sapere che stai combinando con Banks". Messa alle strette,
tergiversai su una materia che mettesse in difficoltà lui e
non me. Nick espirò
sonoramente e parlò in tono lagnoso.
-
"Stanne fuori, ti prego. Tra un po' ti spiegherò tutto,
promesso". Lo
guardai di sbieco, con gli occhi fuori dalle orbite.
-
"Le tue promesse posso usarle al posto della carta igienica" risposi
caustica.
-
"Possiamo entrare a parlarne?". Effettivamente i toni si erano
parecchio alzati e, nonostante non fosse tardissimo, era sempre meglio
conversare all'interno di casa sua.
Underneath your stars
There’s a million lies burning
brightly just like fireflies.
Non
gli risposi e mi avviai direttamente verso l'ingresso di casa sua,
pestando
ogni passo come se i miei piedi fossero stati di cemento. Lui mi
raggiunse in
un baleno e chiuse la porta alle nostre spalle. Gli feci un cenno per
incitarlo
a parlare e lui trasse un profondo respiro, le dita di entrambe le mani
infilate tra i capelli spettinati.
-
"Vuoi accomodarti?" chiese diplomatico, ma la mia mente aveva
stabilito che nel momento stesso in cui lui avrebbe cominciato a
parlare,
l'avrei aggredito. Lo spintonai all'indietro e Nick accusò
il colpo senza
neanche cercare di difendersi.
-
"Ti accomodo io i gioielli di famiglia, se non cominci a parlare".
Il
suono del cellulare - il suo - non lo tolse dall'imbarazzo; anzi,
semmai fosse
stato possibile, la situazione lo fece sentire ancora di più
a disagio,
soprattutto quando mi lanciò un'occhiata da cucciolo
bastonato a mo' di scusa.
-
"Devo rispondere. È importante" bofonchiò. Alzai
le spalle e finsi
disinteresse mentre lui prendeva la chiamata e si spostava in cucina a
parlare,
chiudendo la porta. Camminai repentina fino all'uscio serrato e vi
poggiai
l'orecchio ben teso. Presi il cellulare ed avviai una registrazione,
nel caso
in cui fosse stato qualcuno della banda di Banks o Sam1 in persona a
chiamare.
-
"Ora non posso parlare. - sentii dall'esterno - D'accordo, d'accordo...
so
che sta facendo delle indagini e non voglio che rovini i nostri piani.
No, non
ce n'è bisogno, me ne occupo io. Non ti sto fregando, Sam!
Non è la mia
fidanzata: se passo del tempo con lei è solo per
controllarla. È una
giornalista, meglio tenere gli occhi aperti. Sì, ciao".
Dunque,
vuole
controllarmi.
Fight
fire with fire.
Non
mi sprecai neanche a fingere di non essere stata per tutto il tempo
attaccata
alla porta ad ascoltare la conversazione. Quando Nick la
spalancò e mi trovò lì
impalata con il cellulare che stava ancora registrando
sbiancò, consapevole di
essere al giro di vite finale. Era il momento di parlare chiaro, di
smettere di
fare doppi giochi o di mentire.
-
"Penso che mi accomoderò sul divano. - esclamai tranquilla -
E portami una
coperta, perché ho intenzione di stare qua finché
non mi avrai raccontato per
filo e per segno tutto ciò che sai su Banks, Ralph e quale
sia il tuo ruolo in
tutta questa faccenda".
-
"Non è una buona idea, Sam".
-
"O io o la polizia, scegli. Mi basta premere invio.
E, nel caso mi succedesse qualcosa, Warren sa tutto ed è
molto amico di un agente. La scelta è tua". Dalla
registrazione probabilmente
non si sarebbe sentito niente, ma un po' di sano bluff non aveva mai
fatto male
a nessuno. Abbassò sconfitto lo sguardo e si
lasciò cadere in poltrona, stanco.
Dopo
qualche istante di riflessione, Nick cominciò a raccontare.
È
più
forte di me: io non sono in grado di essere puntuale. Se vi dico che
pubblicherò un giorno, calcolatene almeno un paio in
più perché io penso sempre
di potercela fare e non ce la faccio mai. Tanto più, se mi
metto a scrivere di
qualche capitolo più avanti - l'ultimo! Aggiungeteci il mio
moroso che mi rompe
gli occhiali, le segretarie dell'università che mi fanno
sclerare e ogni tanto
dovrei pure studiare...
Comunque,
bando alle ciance, ho calcolato ancora massimo 3 capitoli;
già il prossimo sarà
decisivo per risolvere la questione Ralph, dopodiché il
restante o i restanti
saranno dedicati ad... altro :)
Citazioni
varie: il titolo riprende una canzone dei Scissors Sisters,
“Fire with fire”,
appunto.
Dexter
Morgan è il serial killer protagonista del telefilm
“Dexter”.
La
Rowling
è la Rowling. Punto.
Ringrazio
voi che leggete, voi che recensite e Nessie che ha betato, oltre che il circolo delle
Vedove Allegre che mi
allieta le giornate.
Corro
a
rispondere alle recensioni!
Un
bacione,
S.
|
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Capitolo 35 *** Capitolo 35. Behind The Mask. ***
Capitolo trentacinque. Behind
The Mask.
-
"Non dovrei dirti nulla. Non è una decisione saggia...".
Il
piede di Nick ticchettava nervosamente sul pavimento freddo del salotto
della
sua villetta. La reticenza a raccontare ciò che aveva
nascosto per mesi traspariva
da ogni minimo movimento, espressione o gesto, e l'inquietudine di
aprirsi una
volta per tutte appariva terribile ad entrambi, seppure in modi
diversi. Se lui
aveva dalla sua la consapevolezza della portata del suo segreto - ed
era
evidente che ciò lo turbava -, io mi crogiolavo
nell'incoscienza dell'ignoranza
che non era, però, sufficiente a farmi sentire tranquilla e
rilassata.
Con
un ultimo, disperato tentativo aveva provato a farmi cambiare idea, a
tenere
per sé ciò che per mesi aveva nascosto a tutti,
ma non mi ero lasciata
convincere; nemmeno dieci paia di scarpe nuove mi avrebbero fatto
rinunciare
alla verità.
Forse
undici...
Gli
concessi solo di allontanarsi dal salotto per andare in cucina a
preparare
qualcosa di caldo per entrambi, ma fui categorica nello specificare che
sarebbe
stata l'unica eccezione della serata; poi, non ci saremmo mossi da quel
divano
fino a che non fossi stata informata anche del più piccolo
ed insignificante
dettaglio sul caso di Banks. Quando ritornò con due tazze
colme e bollenti,
lasciai che le depositasse sul tavolino che ci divideva, uno di fronte
all'altra, e attesi che cominciasse a parlare.
-
"Circa un anno fa, mi trovavo a York a raccogliere materiale per la
relazione finale del Master che avevo in corso. Era una ricerca sulla
pantomima
annuale dello York Theatre Royal ed avevo assoluto bisogno di sapere il
più
possibile su Berwick Kaler, l'attore che da oltre trent'anni recita la
parte
della dama. Di tutte le interviste trovate, più di tre
quarti erano state realizzate
da un tale chiamato Samuel Banks; il lavoro era mediocre e quando ho
cominciato
a chiedere in giro chi fosse, le sole risposte che mi sentissi dire
erano ‘È un genio, un
grand'uomo’ e altri
elogi che, francamente, non corrispondevano all'idea che mi ero fatto
leggendo
i suoi articoli. Non erano nulla di eccezionale, eppure sembrava che
nessuno in
quella città fosse disposto ad ammetterlo. Hai presente il
clima vigente nei
regimi comunisti asiatici? Tutti a servizio del potere, tutti
perfettamente d'accordo
con qualsiasi azione del proprio leader, nessuna opposizione... ".
Srotolai
la coperta che era ripiegata in fondo al divano ed allungai le gambe
sui
cuscini. Il racconto si prospettava lungo e intricato e le due tazze di
tè e di
caffè appena fatte sarebbero state un buon carburante per
tenere le palpebre
ben aperte.
Nick
si perse nei suoi pensieri, ma io, senza mezzi termini, lo invitai a
proseguire.
-
"Nel mese e mezzo trascorso a York, passai la maggior parte del tempo a
indagare su Banks, piuttosto che sull'argomento della mia tesi. Tutto
ciò che
scoprii è che aveva studiato in America e che la madre era
un vero e proprio
pozzo senza fondo di soldi. Probabilmente è grazie a lei che
si è fatto un nome
nel campo del giornalismo; quella donna ha finanziato gran parte delle
attività
culturali di York e dintorni, e immagino abbia chiesto qualcosa in
cambio di
tanta... generosità".
-
"Non sarebbe di certo il primo a ricevere un aiutino di questo genere.
Il
mondo è pieno di raccomandati" constatai, prendendomi la
libertà di
togliermi le scarpe ed incrociando le gambe sul divano, sotto il plaid.
Gli
occhi di Nick mi seguirono con curiosità, finché
non incrociarono i miei, che
lo esortavano ancora una volta a continuare.
-
"Non si tratta di raccomandazioni; si tratta di avere le mani in pasta
in
ogni settore e avere la possibilità di chiedere favori a
gran parte della
cittadinanza. Una sorta di ricatto, direi".
-
"Se un soggetto è ricattabile, è
perché ha qualcosa da nascondere".
La mia allusione a quanto accaduto in quella stessa stanza qualche
minuto prima
ai suoi danni ovviamente non era casuale.
-
"Comunque, - sviò la frecciatina - una sera, in un bar,
incontrai un
vecchio signore che aveva alzato parecchio il gomito e che mi disse
ciò che da
settimane aspettavo di sentire: Banks non era uno stinco di santo.
Aveva un
vizio difficilmente estirpabile e soprattutto molto compromettente: gli
piacevano i locali di lap-dance, di cui era un assiduo frequentatore, e
le
ragazzine".
Lo
interruppi brusca, perché volevo arrivasse al nocciolo della
questione.
-
"Raccontami qualcosa che non so" tagliai corto.
-
"Con calma, Sammy, con calma. - mi ammansì, lanciando un
biscotto in
direzione di Mister, che lo prese al volo - Cominciai a seguirlo la
sera e vidi
che andava sempre in un night club, il FeelinGood,
e se ne stava lì fino alle tre del mattino, spendendo almeno
cinquecento
sterline. Per quanto ne sapevo, era solo un vecchio porco, uguale a
tanti
altri; la cosa strana era che ad una certa ora, all'incirca verso
l'una, spariva
nel privé, dove ovviamente non c'era modo per me di entrare.
Quando ne usciva,
c'erano delle ragazze con lui, sempre diverse e sempre giovanissime".
-
"Un giro di prostituzione nel locale? - ipotizzai e Nick
annuì - Forse
erano le ballerine che si prestavano... ".
-
"No, ho controllato. Erano otto in totale e lavoravano a turni di
quattro
ogni giorno. Non avevano nulla a che fare con il retro; erano tutte
visibili
sul palco e avevano almeno ventidue anni. Le altre erano più
piccole".
-
"Che schifo. - commentai pensierosa - Ma Banks come c'è
finito qui a
Londra? Pura casualità?"
-
"Sammy, se vuoi realizzare un'indagine, devi fare in modo che il caso
lavori per te".
-
"Non fare il saccente, per cortesia... " brontolai.
Si
fece all'improvviso serio e si schiarì la voce, cercando di
racimolare la
tranquillità necessaria per affrontare la parte
più sostanziosa e impervia
dell'intera storia. Io mi strinsi nella coperta e nascosi i piedi nel
piccolo
divario tra un cuscino e l'altro del divano, mentre lui assumeva
un'espressione
strana.
-
"Non è una coincidenza, se Sam lavora a Music
Magazine, - lo guardai sorpresa, mentre mi sorgevano altre
mille quesiti in testa - Ho chiesto un favore ad una persona" ammise. E
le
cose cominciarono ad avere un senso.
-
"Katy. - dissi semplicemente e Nick annuì. Non riuscii a
reprimere un
impeto di rabbia e le parole uscirono dalla mia bocca incontrollabili -
Quindi
è così che funziona: te la scopi in cambio di
qualche cortesia al momento
giusto?".
Quasi
sorrise della mia stizza, poi si riscosse e impostò una
smorfia scocciata.
-
"Non me la scopo" rispose pacato.
-
"Giocare sui tempi verbali è scorretto anche per te. - lo
rimbrottai -
Riformulo la domanda: te la sei scopata,
in passato, perché lei gli offrisse un lavoro ad MM?".
All along I had to talk about it
Like a two edged sword...
Nick
si umettò rapidamente le labbra con la lingua e si
poggiò allo schienale della
poltrona. Allargò le gambe e si portò la caviglia
destra sul ginocchio
sinistro, emettendo frasi sconnesse e sbuffi sonori.
-
"Se vogliamo collaborare, dobbiamo iniziare ad essere un po'
più
disponibili al dialogo. Non vado a letto con Katy. Mai fatto e stai pur
certa
che non accadrà in futuro. E sai perché?
Perché è la sorella di Kay, e questo
fa di lei mia cugina". Avevo un disperato bisogno di fare mente locale,
di
digerire le ultime parole sentite e contenere l'inspiegabile voglia di
improvvisare una conga sul posto. La parola chiave era contegno.
-
"Ah. - bofonchiai - Kay e Katy. Kayla e Kathleen. Che fantasia... chi
sono
i tuoi zii, i Kardashian? - Cercai di buttarla sul ridere per
risollevare la
serata, così tragicamente a mio sfavore. - Ad ogni modo, le
hai chiesto di
offrirgli un posto da noi. Bene... questa storia è noiosa,
molto noiosa".
-
"Qualche mese prima, mi sono fatto assumere al Pumping
Pumpkin. È il night club più famoso di
Londra e sapevo che
Banks sarebbe capitato lì, prima o poi. E anche voi, per
l'addio al nubilato di
Valerie" disse lentamente, fissandomi di soppiatto e fregandosi i palmi
delle
mani l'uno contro l'altro, in attesa della mia reazione.
Oh,
qualcosa
d'interessante.
-
"Sapevi che saremmo venute lì? Come? Perché?"
domandai, senza
fermarmi a riflettere.
Katy.
-
"Perché ho fatto in modo che ci veniste, - ammise - Katy
lavora nel vostro
settore legale, non sempre è a conoscenza di ciò
che pubblicate. Siete
giornalisti e, come me ne sono accorto io del passatempo di Banks, lo
avrebbe
potuto fare chiunque. Non ho lavorato un anno per farmi rubare
l'inchiesta da
sotto il naso" terminò minaccioso, ma non potevo farmi
intimorire dalla
sua voce, non in quel momento in cui dovevo tenere a bada i fitti
pensieri che
albergavano nella mia mente.
-
"E quindi?".
Nick
si prese qualche attimo per riflettere.
-
"Non vado fiero di ciò che ti racconterò ora, ma
è stato necessario. -
premise, con un tono che non pretendeva di essere rassicurante - Quella
sera
eravate tutte ubriache ed io avevo bisogno di agganciare una di voi. -
Agganciare? - Mi serviva qualcuno che fosse all'interno di MM e che io potessi... controllare".
Trasalii. In quel preciso
istante avrei voluto afferrare la tazza di caffè bollente,
versargliela nei
boxer e godermi lo spettacolo, ma rimasi stranamente calma e attesi di
ascoltare qualche stralcio in più, prima di evirarlo con la
prima lama
disponibile.
La
scommessa.
-
"Perché io?" scandii, sforzandomi di non infuriarmi. Con il
calore
rabbioso sprigionato dalle mie orecchie avrei potuto garantire
riscaldamento
gratuito alla Siberia per un anno intero.
-
"Per esclusione. Amanda non ha mai tolto gli occhi di dosso a
José,
Valerie era la sposa, Katy è mia cugina e quell'altra, di
cui non ricordo
nemmeno la faccia, era troppo timida persino per ballare con me,
figuriamoci a
fare altro...".
Ero
rossa di vergogna e d'ira; mi sentivo umiliata per l'ennesima volta
dalla sua
superficialità e dal suo egoismo. Avrebbe venduto persino
Inge e le sue amiche
pur di ottenere ciò che voleva.
-
"Perciò hai pensato che l'unica disperata e libertina della
situazione
fossi io, - constatai amara - Avresti potuto scegliere una scommessa
meno
pregiudizievole per entrambi... ". Tentai la strada della diplomazia,
sebbene ciò che avrei voluto fargli in quel momento fosse
tutto fuorché
diplomatico.
Appenderlo
per i pollici a testa in giù, ad esempio. O per i suoi amati
testicoli.
Was I invited to your masquerade?
Well, the party's over so
Now take off the face.
Nick
si sporse in avanti di scatto, fermando le mie parole con un gesto
della mano.
-
"Quello non l'ho deciso io. L'hai deciso tu!" si difese.
Il
mio sopracciglio sinistro si levò quasi da solo e se in quel
momento non
arrossii, fu soltanto perché ero già color
peperone. Stava di sicuro mentendo,
perché un'anima pura come la mia mai avrebbe potuto
concepire una tale
idiotissima sfida; togliendo la mia indiscutibile
competitività, il fatto che
avessi avuto qualche litro di tequila in circolo e che fossi stata in
un locale
notturno di dubbia moralità, non ero cambiata molto da
quando la domenica
mattina andavo a messa con mamma e papà... la
competitività è sempre la stessa, perlomeno!
-
"Sei un tale bugiardo!" lo accusai, tronfia.
-
"Te lo assicuro. Non ti avrei mai coinvolto in qualcosa di
così...
com'era? Ah sì, pregiudizievole,
se
non lo avessi proposto tu".
-
"Avresti potuto sempre tirarti indietro!" piagnucolai.
-
"Ormai ero curioso di sapere se avresti rispettato i patti. Ho unito
l'utile al dilettevole" ridacchiò.
Mi
coprii le mani con la faccia, sull'orlo di una crisi isterica.
Probabilmente
ero un caso di demenza giovanile cronica, perché ricordavo
bene di essere stata
io, insieme a Katy, ad insistere per andare al Pumping
Pumpkin, quella maledetta sera di agosto. Ero la stupida
pecorella che va dritta dritta nella tana del lupo e ne esce con il
culetto
smangiucchiato, viva solo perché serve al suddetto lupo.
Voglio
il
dottor Stranamore a curarmi.
-
"Mi dispiace, Sammy. Mi rendo conto di non essermi comportato in modo
corretto, - sussurrò, dispiaciuto. - A mia discolpa posso
dire che non credevo
resistessi tanto".
-
"Credo che tu sia l'unico essere vivente che sia in grado di
giustificarsi
e chiedere scusa, offendendo ulteriormente. Era ovvio che ti avrei
tenuto testa
fino alla fine. E vincerò. - esclamai, superba - Ora puoi
proseguire".
Nick
obbedì al comando e si riadagiò comodo sulla
poltrona.
-
"Come previsto, quando è approdato a Londra, Banks ha
cominciato a
frequentare il PP e a chiedere
insistentemente di parlare con il proprietario, un certo signor
Walters. Io non
l'ho mai visto, ma secondo il mio contatto alla polizia è
incensurato e fa il
magazziniere in una ditta di trasporti. Ha quattro figli e la moglie
è una
casalinga".
-
"Come fa a permettersi di aprire un locale?" intervenni, intuendo la
risposta di Nick che non si fece attendere.
-
"È un prestanome: gli danno dei soldi perché lui
dichiari che il posto è
suo, quando, invece, è di qualcun altro" mi
spiegò, infatti. Avevo una
domanda che mi premeva sottoporre alla sua attenzione e pensai che
quello fosse
il momento giusto per farlo; avevo fatto una promessa a Ralph e dovevo
rispettarla
ad ogni costo.
-
"Conosci l'identità dell'uomo di colore che c'era nella
fabbrica
abbandonata con Sam?".
Nick
scosse debolmente la testa, meditabondo.
-
"Ho solo delle ipotesi. Lo chiamano sempre B
e ho fatto passare metà elenco telefonico di Londra, ma
rimane
ancora uno sconosciuto".
Sorrisi
soddisfatta di avere un'informazione di cui lui non disponeva e bevvi
un sorso
di tè per lasciare un po' di suspense, prima di comunicargli
che sapevo
perfettamente chi fosse B.
You're sittin' in our room
The truth in you I have
Long to trace
So take off the mask so
I can see your face.
-
"Devi rivedere le tue tecniche di ricerca, perché in quel
modo non
l'avresti mai trovato. È Big Bob, la guardia del corpo di
Ralph J".
Gli
occhi di Nick s'illuminarono di curiosità e, per la prima
volta da quando lo
conoscevo, ebbi la sensazione che provasse autentica gratitudine nei
miei
confronti.
-
"I miei complimenti per lo spirito di osservazione, Sammy.
Ciò che non ho
ancora capito è: che ci guadagni tu ad aiutarmi?". Prese la
tazza colma di
caffè, se la portò alla bocca e soffiò
leggero, creando delle piccole
increspature sulla superficie nera fumante.
-
"Mettiamola così: invece di dover cercare qualcuno che
pubblichi la tua
storia, mi offro io di scriverla ed editarla su MM"
risposi, un'innaturale ingenuità dipinta sul volto.
Distolsi lo sguardo e lo spostai sulle punte dei miei piedi, non
riuscendo a trattenere
un sorriso malizioso.
Forza,
ribatti. Sto
aspettando solo che tu mi contraddica.
-
"Cosa ti fa credere che io non abbia già trovato qualcuno
disposto a
pubblicare la mia storia?" disse sospettoso. Bevvi un sorso di
tè e passai
una mano sul testone color caramello di Mister, prendendo tempo.
-
"Hai già chiesto in giro?" dribblai la domanda. Stavo
facendo di
tutto per concentrarmi sulle coccole al cane ed apparire ignara di
tutto, ma
non riuscivo a fingere di non sapere chi fosse; non potevo dimenticare
chi
fosse stato Clive Burton.
-
"Non solo, - alzò le spalle Nick - ho già trovato qualcuno". Voleva davvero fare
questo gioco con me?
Mister
balzò sul divano e si sdraiò sulla sua copertina,
con buona pace del padrone,
preoccupato delle sorti del tessuto candido del sofà. Nick
si distrasse qualche
istante, concentrandosi sugli artigli pericolosamente infilzati nel
plaid.
-
"E si può conoscere l'identità di questo
qualcuno?" cinguettai
innocente.
Nick
sorrise a trentadue denti e scosse la testa, le dita già
infilate nei capelli
per spettinarli e lasciarli ancora più scompigliati di
prima.
Imbarazzo,
nervosismo,
disagio.
-
"Da quanto lo sai?". Abbassò il capo, ma i suoi occhi
rimasero
irriverentemente incollati ai miei.
-
"Che sei un idiota? Dalla prima volta che ti ho visto. - risposi
disinvolta - Per quello non sono state necessarie indagini".
-
"Bugiarda. Ricordo benissimo quanto mi trovassi intelligente vestito da
pompiere... ". Arrossii all'istante fino alle punte dei capelli,
relegando
lo scomodo ricordo in un angolo nascosto con un gesto della mano.
-
"Ti guardavo negli occhi!" provai a difendermi. Nick alzò un
sopracciglio e sghignazzò sommesso.
-
"Gli occhi? Sammy, eri ubriaca, non puoi ricordare!".
La
verità era che non potevo dimenticare.
Quella sera al Pumping Pumpkin era
stata straordinaria sotto molti punti di vista - letterali e no -, e
dovevo
ammettere che era valsa la pena dare un briciolo di ragione a Katy,
scegliendo
di passare la serata in un locale notturno, piuttosto che passeggiare
tutta la
notte per Londra, conciate come Jessica Rabbit.
-
"Io mi ricordo benissimo!" sbottai, colma d'ingiustificata
indignazione.
Nick
sbuffò davanti alla mia cocciutaggine e lasciò
galantemente - e fintamente -
cadere l'argomento, prima di farmi notare che, per quanto i buchi della
memoria
circa quella sera potessero essere estesi, era impossibile che avessi
scordato
quanto fossero sodi i suoi occhi.
-
"Comunque, chiedevo da quanto tempo sai che sono Ken Hagrol".
Di
fronte ad una domanda così diretta non potevo fuggire
né tanto meno
tergiversare.
-
"Da un po', - replicai evasiva - Forse mi avevi sottovalutato come
concorrente". Il mio tono era risentito, ma a ragione; avrei accettato
di
essere ritenuta non alla sua altezza come donna - me lo aveva
dimostrato in
svariate occasioni e, nonostante fosse difficile da digerire, ogni
volta faceva
meno male -, ma mi rifiutavo di mandar giù il boccone
amarissimo, se si
trattava di lavoro. Era tutto ciò che mi rimaneva.
Lui
mi guardò obliquo e si sporse in avanti, poggiando i gomiti
sulle ginocchia.
-
"Non ti avevo sottovalutato. - esclamò infine ed io tirai un
fierissimo
sospiro di sollievo - Non ti avevo proprio considerato! - Ho cantato vittoria troppo presto - E
prima che tu ti prodighi in
discorsoni sul mio maschilismo e t'infervori sulla mia mancanza di
tatto nei
confronti tuoi e della donna in generale, sappi che semplicemente non
avevo
pensato che ci saremmo trovati ad indagare sulla stessa inchiesta. Non
ti avevo
considerata da quel punto".
Perché,
da che punto mi
avevi considerata?
Mi
morsi l'interno della guancia per non dire ad alta voce ciò
che stavo pensando;
la risposta che avrei tanto voluto sentirmi dire non era di certo
quella che mi
avrebbe fornito lui, pertanto meglio mettersi il cuore in pace e
fingere di non
avere una irrefrenabile voglia di tempestarlo di domande.
-
"Quindi lavori per il London Express..."
dissi, invece.
-
"Da tre anni. Uso sempre uno pseudonimo; non amo che la gente sappia
gli
affari miei. Con un nome falso posso essere chiunque e posso essere
nessuno.
Naturalmente, al Pumping Pumpkin ho
dovuto dare il mio vero nome, perché altrimenti Banks e gli
altri non avrebbero
mai potuto fidarsi di me".
-
"Cosa c'è sotto?".
-
"Un traffico di prostitute minorenni. L'ho convinto a farmi
partecipare,
ma per poco tu non mandavi tutto all'aria. - Finì il
caffè e sbatté la tazza
sul tavolino, facendomi sussultare. Che c'entro io? - È
stato lui a far rapire
Romeo. - lo guardai senza capire - Pensava fossi tu a ricattarlo".
Ricattarlo?
-
"Non ho mai fatto nulla del genere. Però, è
chiaro, avrebbe un senso... -
farfugliai. - Questo spiegherebbe perché l'uomo in quel
vicolo mi abbia prima
aggredito e poi improvvisamente lasciato in pace". Collegavo i tasselli
ad
alta voce, fissando il pavimento, come se le risposte fossero state
scritte lì
sopra.
-
"Cosa? - sbraitò Nick. Alzai lo sguardo perplessa e cercai,
allo stesso
tempo, di capire il motivo di quell'uscita così rabbiosa -
Qualcuno ti ha
aggredito? Perché non me l'hai detto?". I suoi occhi chiari
mi scrutavano
con severità e con un pizzico di apprensione.
-
"È successo mesi fa, - minimizzai - E non l'ho detto a
nessuno, perché mi
hanno fatto solo qualche livido e non c'era motivo di farvi preoccupare
per
così poco" spiegai, convinta delle mie ragioni.
Nick
si alzò in piedi e scostò con irruenza il muso di
Mister che era poggiato sulle
sue gambe. Fece qualche passo lungo la stanza, tormentandosi i capelli
e
respirando affannosamente. Stetti in silenzio per tutti i minuti in cui
nemmeno
lui fiatò, mentre sembrava intenzionato a percorrere i
quarantadue chilometri
della maratona di New York nel soggiorno di casa sua.
-
"Io non capisco se sei solo un'incosciente o se sei davvero stupida, -
disse fra i denti ed io restai di sasso - Non sai che pericolo hai
corso con
quello. Avresti potuto essere morta ora, te ne rendi conto? Questo
succede
quando ti metti ad indagare su cose che non puoi e non sei in grado di
gestire.
Dio, sono un cretino: non avrei mai dovuto raccontarti niente".
-
"Sono perfettamente capace di proteggermi da sola" ringhiai in
risposta alle sue accuse. Odiavo essere trattata come una bambina o,
peggio,
come una fanciulla indifesa che necessita di un cavaliere dall'armatura
scintillante e senza macchia che la aiuti e la ponga sotto la sua ala.
-
"Beh, si vede. Complimenti! Per poco non ti facevi ammazzare. -
sputò
acido. Lanciai per aria la coperta e m'infilai veloce le scarpe,
bofonchiando
tra me e me insulti e improperi che di certo non erano degni di una
principessa
che necessita di una guardia del corpo - Fammi indovinare: te ne stai
andando.
Come sempre, quando la discussione non va come dici tu, prendi e
scappi"
ghignò beffardo, mentre mi stavo infilando la giacca.
-
"Non è così" gli urlai in risposta.
-
"Fai come credi, non ho tempo da perdere con una ragazzina" mi
schernì.
Mi
girai di scatto prima di aprire la porta e lo fulminai con lo sguardo.
-
"Ragazzina lo dici a tua sorella, o alle tue cugine, visto che siete
così
intimi. - risposi caustica - E tu puoi andartene comodamente al
diavolo, va
bene?".
Il
musone di Mister s'inclinò verso di me confuso e mi
osservò con cipiglio
smarrito. Finsi di non vederlo, perché altrimenti sarei
corsa da lui e lo avrei
stritolato di coccole, ma non era il momento adatto.
-
"Va bene, ragazzina" mi
sbeffeggiò, mantenendo un'espressione dura.
-
"Va bene lo dico io, idiota. Va bene?" ribattei, mettendo un piedi al
di là dell'uscio.
-
"Va bene!" gridò Nick, ma il suo urlo mi giunse strozzato
dalla porta
sbattuta che si chiuse con un tonfo sordo dietro le mie spalle.
You sit behind the mask
And you control your world.
Tornai
al mio condominio a piedi. Per quanto la strada fosse lunga e la
giornata
fredda, avevo bisogno di respirare un po' di gelo natalizio e lasciarmi
contagiare dall'atmosfera prefestiva. Avrei addobbato l'albero non
appena
rincasata. Certo, avrei dovuto trafficare non poco per estrarre quella
sottospecie di abete spelacchiato e fintissimo dal ripostiglio, e di
sicuro mi
sarei intrappolata da sola nell'insidiosa fila di lucine - come ogni
anno -, ma
il senso di soddisfazione che sarebbe derivato dal vedere il salone
decorato a
dovere avrebbe ripagato ogni sforzo.
Un
po' di relax era più che meritato, dopo le stilettate
rifilatemi da Nick. Ero
insolitamente tranquilla e i residui di rabbia che ancora provavo in
quel
momento erano dovuti solo all'ultimo spezzone della discussione, quando
mi
aveva deliberatamente dato della stupida. Per quanto l'intera questione
della
scommessa fosse disonorevole e degradante, mi ero, a sorpresa, scoperta
disposta ad accantonarla; nell'istante stesso in cui avevo recepito
quelle
informazioni, una parte di me aveva classificato le parole e le azioni
di Nick
come del tutto razionali e giustificabili. Lui aveva ragionato da
giornalista,
da uomo freddo e cinico, da uno che sa esattamente dove vuole arrivare;
e,
nonostante potessi condannarlo per avermi coinvolto, non potevo
impedirmi di
pensare che, al suo posto, avrei fatto la stessa cosa.
Non
guardate in faccia a nessuno.
- soleva dire il mio
professore di Giornalismo a Cambridge - Se
volete arrivare in alto, fingete di
non vedere coloro di cui abuserete. Essi saranno solo degli effetti
collaterali.
Non
hai mai guardato in
faccia a nessuno, Sam, eppure questa è la fine che hai
fatto: sei diventata un
trascurabile effetto collaterale.
Quel
Nick era proprio maledettamente bravo.
La
preparazione dell'albero risultò più complessa
del previsto. Will mi tenne su
Skype per quasi due ore, sentendosi in debito con me di qualche
centinaio di
ore di conversazione e mi comunicò il suo imminente ritorno
a Londra; ancora un
paio di giorni e l'Inghilterra sarebbe stata ufficialmente la sua nuova
casa.
Parlò anche di qualcosa inerente la sua simpaticissima
fidanzata Kay, ma il mio
sistema immunitario mi impediva di ascoltare informazioni indesiderate
riguardo
persone altrettanto indesiderate. Una particolare e sofisticata forma
di
difesa.
L'ostacolo
più imponente alla realizzazione di un albero decente fu,
però, l'arrivo di un
trafelatissimo Warren, nascosto sotto tre giri di sciarpa attorno al
collo e un
pellicciotto sintetico color orso polare.
-
"Zucchero, non puoi capire quello che mi è successo! -
mormorò teatrale,
frignando come una bambina - Era lì, davanti a me, in quella
camicia glicine
orrenda e un attimo dopo, puff!,
sparito! Lady Oscar non ha fatto nemmeno in tempo a gioire; altro che
glicine,
è diventato un crisantemo! L'avresti mai detto? E sai una
cosa? Mi sono girato
ed era tornato. Da me, capisci? È un chiarissimo segno del
destino! Santa
Barbra, mi ha persino chiesto come stavo. Cioè, se questo
non è un enorme
tentativo di abbordarmi, io sono Geronimo Stilton. Oh, Cielo, ecco come
chiameremo il nostro bimbo: Geronimo! Ti piace, Sam? Oh, tesoro, ho
così tante
cose da raccontarti! C'era anche Tu-Sai-Chi al pub, te l'ha raccontato?
In una
polo aderente e un paio di jeans da stupro! Insomma, mi rispondi? - Ecco dov'erano finite le palline dorate!
Dannazione, una è graffiata. Romeo. Però, che
caruccio il mio abete... -
No? Vuoi sentirne un'altra? Un tizio si avvicina a me e mi fa:
‘Ehi bimbo, vuoi vedere come il mio
amico nei
pantaloni ti rimbalza addosso e comincia a martellarti?’ Ovviamente,
gli ho
risposto a tono: ‘Se rimbalza, non
martella, mio caro’. Ci credi che esiste gente
così strana in giro? Ehi, mi
ascolti?".
La
pausa di tre secondi di assoluto silenzio mi fece intuire che era
arrivato il
momento di dargli una risposta. Peccato solo che avessi sentito un
decimo del
monologo di Warren.
-
"Certo. - Sperai di risultare credibile, ma il suo sopracciglio alzato
mi
fece intuire di aver fallito - Hai detto che Tu-sai-chi rimbalzava con
un
vestito color glicine su Geronimo". Stavo sudando freddo, sotto il suo
sguardo indagatore.
O
la va o la spacca.
-
"Chi è Tu-Sai-Chi?" chiese freddo.
Secondo
un rapido calcolo probabilistico su grande scala, la
possibilità che Warren
avesse incontrato Voldemort, mezzora prima al pub, sembrava vagamente
bassa.
Chi altro poteva essere? Tentai con l'unico nome che mi venne in mente.
-
"Nick?" provai, con un fil di voce.
Il
largo sorriso che si formò sul viso del mio amico mi fece
ben sperare: ci avevo
azzeccato.
-
"Chissà come mai su certe cose sei più attenta
che su altre... - rise
compiaciuto - Comunque, erano lui e i suoi pettorali, nascosti da una
stupida
polo blu con il numero tre cucito sulla manica di cui io e il resto del
locale
avremmo fatto francamente a meno. Era attorniato da uno stuolo di
donne...".
E
smisi di badare alle sue parole. Riconoscevo la descrizione della
maglietta:
era la polo della discordia, quella che gli avevo regalato al
compleanno e che
mai gli avevo visto indosso. Guarda caso aveva deciso di sfoggiarla
davanti al
mondo intero proprio dopo la nostra lite.
Ri-maledettissimo
Nick.
Aveva
davvero passato il segno. Quella polo era una dichiarazione di guerra
in grande
stile - in grande stile solo perché io l'avevo scelta,
naturalmente...; nemmeno
Gavrilo Princip aveva saputo essere altrettanto catastrofico con lo
stupido
attentatuccio ai danni di Francesco Ferdinando e consorte.
Le
mie nocche sbiancarono mentre battevano ininterrottamente sulla porta
d'ingresso della villetta a schiera di Nick, e non ebbero pace
finché il
padrone di casa venne ad aprire, sorpreso e contrariato. La maglietta
blu
aderiva bene al suo petto e il numero tre rosso cucito sulla manica era
reso
ancor più evidente dal bicipite allenato.
Ottima
scelta, Sam. Il
blu gli sta benissimo...
non era quello il problema.
Nessuno aveva mai messo in dubbio il mio buon gusto!
-
"Queste provocazioni non fanno bene alla nostra collaborazione, ne sei
cosciente?" gli urlai contro, dimenticando il self-control che mi ero
imposta di avere nel tragitto in taxi. Entrai veloce in casa ed
incrociai le
braccia, ormai furiosa.
-
"La tua abitudine di accusarmi senza che io sappia di che diavolo parli
sta cominciando ad irritarmi" ammise, senza però rinunciare
ad un
sorrisetto che avrei tanto voluto cancellargli dalla faccia a suon di
schiaffi.
-
"La polo che indossi, - gliela indicai - levatela!" gli ordinai.
Nick
si fissò il torso, come se non appartenesse neppure al suo
corpo. Alzò le
spalle, si girò e si diresse verso la cucina. Fui costretta
quasi a correre per
raggiungerlo.
-
"Perché?" chiese ingenuo, prendendo un grissino dal
pacchetto aperto
sul tavolo.
-
"È per quello che rappresenta; tu mi stai prendendo in giro"
gli
spiegai chiaro e tondo.
-
"Tu sei fuori di testa. - iniziò a sgranocchiare - Se sei
arrabbiata per
quanto ti ho detto stamattina, capisco e ne possiamo discutere, ma
ridursi a
questi mezzucci pur di litigare mi pare un po' stupido". Non era forse
la
seconda volta in una giornata che giudicava me o un mio comportamento
stupido?
-
"Te l'ho regalata io..." gli dissi a denti stretti, sperando che
arrivasse a capire il perché del mio nervosismo.
-
"Lo so, ed ora è mia. E, in quanto proprietario, posso
permettermi
d'indossarla quando mi pare, giusto?".
Giusto?
Il ragazzo era fuori di melone se non comprendeva la gravità
della situazione.
-
"Non è tua! Te l'ho regalata io!" chiarii.
Ralph
Lauren, come hai
potuto creare qualcosa che gli calzi così bene? Solo Fred
Perry, d'ora in poi.
-
"Quindi?" suggerì.
-
"Quindi voglio che tu me la restituisca, o la bruci, o la dia ai
poveri" risposi lapidaria.
Nick
afferrò una bottiglietta d'acqua dallo sportello del frigo e
l'aprì senza
sforzo. Aggirò veloce il tavolo che ci separava e si
parò davanti a me.
-
"Hai battuto la testa di recente?" domandò, fintamente
preoccupato.
-
"Non voglio che tu abbia indosso nulla di mio" confessai.
Una
debolezza gigante, un passo falso da adolescente, un imperdonabile
sbaglio che
mi fece sbarrare gli occhi. Nick quasi si strozzò dal ridere
con l'acqua che
stava bevendo. Pur di evitare lo sguardo soddisfatto e sornione che
sapevo
avrebbe avuto una volta deglutito, afferrai l'orlo della maglietta -
sì, quello
pericolosamente vicino ai pantaloni - e tirai verso l'alto, urlando ‘To-gli-te-la!’.
Il
resto del contenuto della bottiglietta gli si rovesciò in
testa, inzuppandogli
parte della polo e i capelli. Mi fissò con sguardo
incredulo, mentre tra le
lunghe ciglia e sulle guance delle goccioline scendevano indisturbate.
Rimasi
immobile, le mani incriminate ancora in aria e la bocca spalancata
dallo
stupore. La maglietta gli si era incastrata sotto le ascelle,
lasciandogli
scoperto il petto e la pancia.
Prometti
di non
sbirciare. Prometti. Prometti? Ti prego, prometti!
-
"Devo andare" lo liquidai. Procedetti spedita verso la porta con
l'intento di evaporare il più presto possibile, ma lui non
era dello stesso
parere. Nel momento in cui abbassai la maniglia, ritrovai la sua mano
sopra la
mia.
-
"Non così in fretta. Me la paghi questa" mi
strattonò. Riuscii ad
aprire uno spiraglio nell'uscio e mi infilai tra quello ed il cardine;
insomma,
ero divisa a metà, con una tetta da una parte - esatto, tette,
le ho anche
io! Pratiche e tascabili - e una dall'altra. Non potevo
respirare bene e,
con gli spintoni di Nick, mi sentivo nel bel mezzo di un tiro alla
fune.
Fortunatamente lui perse tempo a sistemarsi la maglia e io sgusciai via
come
un'anguilla all'esterno della casa.
Quasi
tutta. Il povero dito medio della mano sinistra rimase tragicamente
incastrato
nella porta. Avrei voluto urlare dal dolore e imprecare in creolo, ma
non
potevo fare capire all'intera East London che ero un'imbecille
patentata; mi
limitai ad infilzare forte i denti nel labbro inferiore e sperare che
lo scemo
all'interno della casa non se ne accorgesse. Ma l'uscio si
riaprì e piano piano
si spalancò; nascosi il dito pulsante dietro la schiena e
sorrisi in modo
ebete.
Nick
- finalmente rivestitosi - mi concesse qualche istante di tregua, ma
vedendo
che non avevo intenzione di dire nulla, cominciò a parlare.
-
"Lo so che ti sei schiacciata il dito, testona, e che ti fa male"
osservò benevolo.
Mi
fa male è un eufemismo.
-
"No!" risposi poco convinta e molto orgogliosa.
-
"Sì, invece. Dovremmo metterci del ghiaccio o si
gonfierà". Mosse un
passo verso di me e io mi ritrassi.
-
"Dovrei metterci del ghiaccio, -
precisai, ormai conscia di essere stata beccata - Ma credo di poterne
fare a
meno. Nessuno è mai morto per un dito schiacciato".
-
"Vuoi essere la prima?". Il mio lato melodrammatico non poteva
reggere a lungo dopo una frase del genere e, infatti, cedette ben
presto. Gli
mostrai il dito medio incidentato come se lo volessi insultare, ma
avevo
davvero bisogno di un po' di ghiaccio. Una smorfia di sofferenza mi si
stampò
in volto e lo seguii sconfitta di nuovo fino alla cucina, dove avvolse
una
confezione di ghiaccio sintetico attorno ad un panno. Il freddo
attutì il
dolore fisico, ma non quello morale.
Mannaggia,
è possibile
che io debba sempre avere la balia?
Aumentai
la pressione dei denti sul labbro, fino a sentire il sapore ferroso del
sangue
sulla punta della lingua. Appoggiai due dita sul taglio e a quel punto
la mia
mente già intravedeva scenari raccapriccianti: ancora
qualche minuto e avrei
avuto bisogno di una trasfusione. E non ricordavo neanche il mio gruppo
sanguigno!
La
mamma, devo chiamare
la mamma!
Ero
in piedi, con un dito sotto un asciugamano e il cervello altrove,
occupato in
elucubrazioni macabre. Nick era di fronte a me, una coscia posata sul
tavolo,
la gamba dondolante nell'aria, poggiato sui polsi. Mi sorprese quando
si
avvicinò, abbassato alla mia altezza e con una mano dietro
la mia nuca per
tenermi saldamente contro di lui, mi baciò. Fu il bruciore
della piccola ferita
al labbro a farmi rinsavire; era stato delicato e leggero e si era
limitato a
suggere con dolcezza proprio lì dove il fastidio era
maggiore. Ora stava
palesemente cercando di dare adito a qualche cosa in più e
lo bloccai subito.
Lo allontanai con foga e lui si spostò docile, senza
lamentarsi. Nell'imbarazzo
del momento, la cosa più intelligente da fare sembrava
colpirlo; gli schioccai
uno schiaffo in piena guancia che non poté evitare,
assecondando il movimento
della mia mano.
-
"Co-cosa fai?" gracchiai.
Nick
si sistemò i capelli, come se nulla fosse successo.
-
"Ti disinfetto il labbro. - Ovvio,
no? - Sai, con la saliva" rispose petulante.
-
"E la lingua?" lo accusai.
-
"Quella la offre la casa. - sorrise infingardo - Sto facendo quello che
ho
detto a Sam al telefono: ti sto vicino" gesticolò, come se
gli sfuggisse
il senso del mio rifiuto.
-
"Così non è vicino;
è
addosso" gli feci notare.
Risistemai
la borsa sulla spalla e afferrai con una mano entrambi gli alamari del
montgomery.
-
"Dobbiamo sembrare credibili" tentò di rabbonirmi.
-
"Ma gli hai detto di non essere il mio fidanzato" gli ricordai.
-
"Sammy, - mi guardò saputo - non so se hai notato, ma non ci
comportiamo
esattamente come una coppia"
-
"Quindi hai pensato che sarebbe stato più facile farci
passare
per..." lasciai in sospeso la frase, in attesa che lui la terminasse.
-
"Due che si vedono, si frequentano e passano del tempo insieme per
divertirsi".
-
"Esiste una parola per questa cosa: trombamici.
E no, non mi sta bene".
-
"È finzione, su! - fu il suo modo carino per mandarmi a quel
paese -
Mentre tu ti lagni, io ho già trovato il nome per la mia
inchiesta: Il sacrificio delle vergini nella
Babilonia
moderna".
Nick
aveva un modo tutto suo per testare la mia preparazione culturale; per
sua
sfortuna, sapevo quanto bastava sul primo scoop importante a memoria
d'uomo.
-
"Intendi la nostra inchiesta,
naturalmente. Accidenti! Dovrò avvisare William Thomas Stead
di cambiare titolo
al suo articolo perché questo l'hai già prenotato
tu. Ah no, scusa: il suo è
datato 1885. Che tenerezza... all'epoca c'erano ancora le vergini!".
-
"Già... oggi ci sono solo ragazzette arrapate che cercano di
adescare
giovanotti puri e gentili per attrarli in losche scommesse a sfondo
sessuale.
Che brutta gente" commentò cogitabondo.
Questo
ragazzo è uno
spasso.
-
"Esilarante. Piuttosto, siamo seri: perché hai mandato delle
foto mie a
Banks?". Non riuscivo ad afferrare il senso di quel gesto e, con quella
domanda, pensai di poter chiarire almeno quel dubbio.
Nick
aggrottò la fronte.
-
"Quali foto?".
-
"Quelle che ho intercettato per puro caso in ufficio. Il nome del
mittente
non era ben chiaro ma si leggeva qualcosa di simile a Mr.
H".
L'occhiataccia
che mi toccò fu il segnale chiaro ed inequivocabile che Nick
non sapeva nulla
di quelle foto.
-
"Peccato che Sam non sappia che sono Hagrol, perciò
è improbabile che sia
stato io a mandargliele, tanto più sotto pseudonimo. E poi
perché mai avrei
dovuto?".
Giusto.
-
"Nick, se sapessi interpretare nel modo corretto tutto ciò
che fai,
sicuramente il mio fegato ora non sarebbe roso come in
realtà è".
-
"Simpatica. Chi credi le abbia mandate?".
-
"Potrebbe essere stato colui che lo ricatta. - ipotizzai - Hai idea di
chi
sia?".
-
"So che è una donna, ma non mi ha mai fatto nome e
cognome...".
Un
buco nell'acqua.
-
"Non capisco perché abbia pensato che fossi stata io".
Nick
scrollò le spalle.
-
"Ha detto solo che era qualcuno dei suoi collaboratori".
-
"Qualcuno dell'ufficio?" chiesi, convinta del contrario, ma Nick mi
smentì.
-
"Penso. Hai qualche collega che abbia il cognome che comincia per H?".
Mi
venne in mente solo un nome, ma no, era impossibile che c'entrasse
qualcosa.
Era impossibile che non me ne fossi mai accorta. - "Ho una mezza idea.
-
dissi sconsolata - E anche un'altra mezza".
-
"È un punto di partenza, ma non abbiamo molto tempo: Banks
ha previsto
l'arrivo di dieci prostitute dalla Moldavia domani e lo dobbiamo
beccare in
flagrante per fare uno scoop come si deve e far intervenire la polizia.
Verifichiamo subito se le tue mezze idee sono valide. Prendo le chiavi
della
macchina e andiamo".
-
"Magari mettiti la giacca, prima di farmi morire come prima... - Questo
non avrei dovuto dirlo - Di freddo. Farti
morire... di freddo. Non dovevi sbrigarti?" farfugliai.
-
"Dove andiamo?" chiese impaziente, ignorandomi.
Esitai
un attimo, ma poi mi convinsi: la verità prima di tutto.
-
"Da Amanda".
Ormai
lo
so che siete affezionati ai miei ritardi e non sono così
insensibile da
privarvi di un tale piacere... okay, sono pessima, ma almeno
l'aggiornamento è
arrivato. Alle 2.05 del 31 dicembre, ma è arrivato!
Carte
quasi del tutto scoperte, ma spero di riservarvi ancora qualche
sorpresuccia.
La
canzone del titolo è "Behind the mask" di Michael Jackson; i
Kardashian sono una famiglia di ricconi americani la cui occupazione
è il tutto
e il nulla (stile Paris Hilton); la punizione di 'essere appesi a testa
in giù
per i pollici' mi è stata gentilmente prestata dal signor
Gazza di Harry Potter
("Harry Potter e la pietra filosofale"); il dottor Stranamore
è quel
tesoro di Derek Shepherd di "Grey's Anatomy"; Gavrilo Princip
è
l'autore dell'attentato a Francesco Ferdinando d'Austria e alla moglie,
episodio conosciuto storicamente come l'evento che ha dato inizio alla
prima
guerra mondiale.
Per
il
resto, avrete notato nel testo che vi ho linkato alcune pagine di
spiegazione;
l'ho fatto nel caso in cui alcuni di voi fossero interessati per
curiosità
personale, perché vi dico sin da subito che NON SONO
rilevanti ai fini della
storia.
Grazie
mille come al solito del supporto, soprattutto a Nessie e alle mie
Vedove
Allegre.
Vista
l'ora, mi permetto di posticipare a tra un paio d'ore le risposte alle
recensioni, che comunque apprezzo moltissimo.
Auguri
per un meraviglioso 2012. Speriamo cominci subito nel migliore dei modi.
Un
bacione,
S.
|
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Capitolo 36 *** Capitolo 36. Somewhere Only We Know. ***
Capitolo trentasei. Somewhere
Only We Know.
Amanda
Denise Jenkins non era la persona che stavamo cercando. Quella J maiuscola all'inizio del suo cognome
era sufficiente a togliermi anche il più insistente dei
dubbi. Ciò che invece
mi tormentava sapere era come avesse approfondito la conoscenza di
José, dopo
il primo incontro a cui avevamo partecipato tutte. Se la loro relazione
aveva
raggiunto un livello tale da fare di lui il suo fidanzato, significava
necessariamente che i due si erano visti molte più volte,
oltre la sera
dell'addio al nubilato di Valerie. Ed era lecito pensare che la dolce
Mandy non
fosse tornata al Pumping Pumpkin da
sola...
-
"Siamo arrivati. - mi avvertì Nick, posteggiando l'auto di
fronte alla
piccola casetta bianca. - Cosa ci aspettiamo da questa visita?".
-
"Non so cosa ti aspetti tu, ma io ho le idee chiare", replicai.
Scesi
dall'auto, mentre Nick arrancava per slacciarsi la cintura di sicurezza
e
raggiungermi fuori dall'abitacolo, sul vialetto di ghiaia attorniato
dall'erba.
-
"È un lavoro di squadra, - mi fece notare. Lo ignorai e
suonai il
campanello. - Ehi, mi ascolti?".
-
"Portami gli altri nove ragazzotti in pantaloncini e poi ne
riparleremo", liquidai la questione.
Non
fece a tempo a ruotare gli occhi che Lacey, la figlia diciassettenne di
Amanda,
venne ad aprire la porta.
-
"Sam?", chiese sorpresa, sbirciando dietro le mie spalle ad un Nick
sorridente, placido nella sua posizione da vecchietto a passeggio con
le mani
incrociate dietro la schiena.
-
"Già. Cerco tua madre, è in casa? ". L'attenzione
di Lacey era già
perduta, carpita in modo molto scorretto dal bel visino del ragazzo che
mi
seguiva.
-
"Non mi presenti il tuo amico, prima?", ribatté sfacciata.
D'un
colpo, il pudico scollo della maglia che indossava si
abbassò tragicamente,
lasciando in mostra le ben poche grazie in via di sviluppo.
Maledette
adolescenti
che hanno ancora la speranza di riempire in futuro una terza coppa b.
-
"Lui è Warren, mio migliore amico e checca al 200%".
Nick
non commentò, ma l'espressione di Lacey si fece seria e,
come per miracolo,
l'orlo della t-shirt ritornò a coprire l'abbozzo di seno.
-
"Ah, - commentò delusa, una smorfia di disappunto in faccia.
Si scostò per
farci entrare nel modesto soggiorno e chiamò svogliata la
madre. - Beh, se
cambi idea..." disse provocante, salendo le scale che portavano al
piano
di sopra, alla zona notte.
-
"Sì, sì..." commentai disinteressata e le feci
segno di proseguire
pure per la sua strada in salita, in senso metaforico e reale.
Amanda
comparve dallo studiolo in fondo al corridoio, un grembiule legato in
vita e
l'aria sciupata da mamma alle prese con una teenager incazzata col
mondo.
-
"Samantha? - mi guardò stupita. - E Nick? Che ci fate qui?".
-
"Allora non si chiama Warren!". La voce di Lacey ci arrivò
dalla cima
della rampa e, sporgendomi, notai anche un dito accusatore puntato
verso di me
con aria scandalizzata.
-
"È il mio fidanzato, okay?" le risposi scocciata, sperando
di zittire
quella boccaccia grondante ormoni.
-
"Oh, vi siete messi insieme? - squittì Amanda elettrizzata.
- Sono così
contenta per voi!" corse ad abbracciarmi e mi stritolò nella
sua morsa
materna.
Mossa
sbagliata,
immagino.
-
"Potresti avere molto di più... " commentò
l'arpia, poggiata al
corrimano, mangiandosi con gli occhi Nick. La fulminai con lo sguardo:
non
aveva proprio idea con chi avesse a che fare: chi sarebbe stato quel
tanto
millantato molto di più? Una brufolosa ragazzina dalle
mutande in subbuglio e
l'ombretto marcato da tossica scampata ad una retata?
Sua
madre intervenne e, con parole più morbide di quelle
orgogliose nella mia
mente, la rispedì in camera sua.
-
"Allora, colombelle, - tornò a rivolgersi a noi - finalmente
fidanzati,
eh? Non c'era bisogno di fare tutta questa strada per annunciarmelo.
Non vedo
l'ora di fare un'uscita a quattro!".
-
"No. - dissi secca. - Siamo qua per un'altra ragione".
-
"Già. - intervenne sardonico Nick, facendosi spazio tra noi
due e
sedendosi pomposo sul divano. - Non siamo venuti per quello,
perché vogliamo
mantenere un profilo basso". Amanda guardò il cretino
comprensiva.
-
"Piuttosto, - lo interruppi - ti ricordi la sera in cui sei tornata al Pumping Pumpkin?".
-
"Certo. Era una piovosa sera di... " cominciò a raccontare,
prendendola molto alla larga.
-
"La versione breve. - la pregò Nick e lei se ne
risentì, perciò lui tentò
di ammansirla. - Sai, io e la mia lucertolina vorremmo avere
più tempo per
noi".
Lucertolina?
-
"Sono andata con Jade. Sarebbe stato troppo umiliante chiedere a te o a
Valerie. Strano, almeno. Siamo entrate insieme, ma poi diciamo che l'ho
persa
di vista. Ero... impegnata. Però, mi ha aspettata per
tornare a casa, quindi
credo che sia rimasta lì tutto il tempo. Perché
lo volete sapere?".
Lasciai
a Nick il compito di inventare una scusa abbastanza convincente da
soddisfarla
e mi concessi un sorriso quando capii che i miei sospetti erano
confermati; non
ero contenta di aver scoperto di essere stata pugnalata alle spalle da
un'amica, oltre che da una collega, ma perlomeno avevamo aggiunto un
tassello
al puzzle: Jade Harlings era l'unica sospettata.
Tornati
in macchina, cominciammo a fare congetture; non avevamo molto tempo per
approfondire l'argomento, dal momento che il giorno dopo sarebbero
arrivate le
ragazze dalla Moldavia al porto di Brighton, ottanta miglia ed un'ora e
mezza
di distanza da Londra.
-
"Jade accompagna Amanda al Pumping
Pumpkin, vede Banks con una ragazza e decide di ricattarlo.
È verosimile"
ipotizzai.
-
"Scopre che lui ha un affare losco in atto e ha due opzioni:
denunciarlo e
prendersi la gloria, o ricattarlo e guadagnarci un sacco di soldi.
Sceglie la
seconda e Sam scopre che colui che lo sta minacciando è uno
dell'ufficio"
proseguì Nick.
-
"Visti i trascorsi, pensa che sia io. Quindi rapisce Romeo nel
tentativo
di mettermi fuori gioco e assume quel simpatico gorilla per appendermi
al muro.
Salvata in extremis da una telefonata e da un mi sono sbagliato''.
-
"Tutto coinciderebbe, ma... niente prove; quelle foto non dimostrano
che
sia stata lei a scattarle e hai detto che il mittente sulla busta non
è
chiaro" sbuffò, contrariato.
Aveva
ragione: quell'imbranato cannaiolo del ragazzo della posta aveva
annullato ogni
traccia d'inchiostro del nome - oltre ad un misero Mr
[...] H -, grazie ad una bella dose di acqua.
-
"Senza prove non possiamo accusarla. Il fatto che il suo cognome
cominci
per H non fa di lei una
ricattatrice
o una complice di Banks, nonostante sia l'unica che avrebbe avuto sia
l'occasione
che il movente. - riflettei ad alta voce. - Ah, lasciamo perdere,
magari lei
non c'entra nulla".
Ci
stavamo entrambi demoralizzando: un passo avanti e tre indietro. Il
vero
problema era che non avevamo altro tempo per indagare, dal momento che
l'incontro
tra Sam1 e le ragazze moldave sarebbe avvenuto il giorno dopo a
Brighton, una
città sul mare nell'Inghilterra meridionale.
All'improvviso,
però, gli occhi di Nick brillarono di rinnovata speranza:
aveva avuto un'idea,
un ricordo più precisamente. Il giorno dell'aggressione ai
miei danni nel
vicolo, eravamo stati invitati entrambi a casa di Valerie, a cena.
C'eravamo
noi due, i padroni di casa, Katy ed Amanda; molto strano che Jade non
si fosse
fatta vedere. Quanto meno curioso, visto che non mancava mai alle
uscite tra
amiche.
Una
straordinaria coincidenza, soprattutto alla luce del fatto che
l'energumeno
aveva asserito di aver sbagliato persona. Forse era uscita allo
scoperto mentre
mi stavano appendendo al muro come un quadro?
-
"Speriamo di non aver preso un abbaglio. - sbuffai. - E cosa ne
sappiamo
del rapporto tra Banks e la guardia del corpo di Ralph?".
Nick
strizzò gli occhi, concentrandosi, come per cercare di
riportare alla memoria
delle informazioni.
-
"Ehm... Robert Theodore Zehir III, americano, 4 settembre 1975, lavora
per
Ralph da cinque anni e vive sostanzialmente con lui ventiquattro ore al
giorno".
-
"Aspetta un attimo: hai detto americano?
- Nick annuì confuso. - Sam ha fatto l'università
negli Stati Uniti".
-
"La Columbia, a New York" confermò.
-
"Potrebbero essersi conosciuti lì" azzardai.
-
"Big Bob non mi sembra molto il tipo da college".
-
"Magari si è iscritto, ma poi ha abbandonato gli studi...
chiamiamo Will,
ha un compito per noi".
Tornammo
veloci a casa mia e ci scapicollammo al computer. A Portland era
pomeriggio
inoltrato, perciò non fu difficile riuscire a contattare il
mio vicino di casa
tramite Skype.
-
"Ho bisogno che tu faccia qualcosa per me" saltai i convenevoli e
passai direttamente al punto.
Will
sorrise e scosse la testa dal disappunto, bofonchiando qualcosa sulle
vecchie
abitudini, dure a morire.
-
"Ciao Sam, - gracchiò irritato. - Domani sarò a
Londra e potrai chiedermi
qualunque cosa, Raviolo".
Domani?
Troppo tardi.
-
"Mi servirebbe ora, - replicai dura. - Il tuo volo prevede degli scali,
vero?". La mia era una speranza, più che una certezza.
-
"Sì, a San Francisco".
Nessun
problema.
-
"Cambialo" affermai sicura, stupita di come Will non ci avesse
pensato prima.
Ah,
giusto. Non ha la
minima idea di cosa gli sto per chiedere.
Gli
occhi gli balzarono fuori dalle orbite come un cucù
dall'orologio.
-
"Scherzi? - starnazzò con un urletto stridulo e
scandalizzato - Il mio
biglietto non è rimborsabile e trovarne uno per un altro
volo all'ultimo minuto
mi costerà un patrimonio!".
Purtroppo
non aveva torto, ma avevamo un estremo bisogno di un qualsiasi
documento che
certificasse l'eventuale iscrizione di Big Bob alla Columbia una decina
di anni
prima. Quindi proseguii dritta per la mia strada, con l'unica soluzione
che mi
paresse accettabile.
Sam,
quante paia di
scarpe ti potrebbe costare un viaggio aereo da Portland (Oregon, Stati
Uniti,
America) a Londra (Gran Bretagna, Europa) comprato last minute? Un
oceano. Un
Atlantico di scarpe.
-
"Offre Nick. - proposi, dopo un rapido calcolo delle mie finanze,
guadagnandomi un'occhiataccia da parte dello stesso Nick. - Ho bisogno
che tu
abbia un paio di ore almeno per andare a New York, alla Columbia di
preciso,
perché ci servono dei certificati d'iscrizione".
-
"Beh, fateveli spedire per posta elettronica" scrollò le
spalle.
-
"Non è possibile, sono carte private. Il che ci conduce al
secondo favore:
lavorati le segretarie, prometti cene e prosciutti, sesso favoloso e
fai
complimenti. È un vero peccato che non ci sia Nick al tuo
posto, è un esperto
di queste frivolezze" gracchiai acida.
-
"Deduco che tu intenda soprattutto per il sesso favoloso" si
pavoneggiò, provocando una risata idiota da parte di Will.
Quest'ultimo si
grattò il mento cogitando prima di rispondere.
-
"Si può sapere che state combinando?".
-
"Lunga storia. - tagliò corto Nick - Segnati questi due
nomi: Samuel
Francis Banks e Robert Theodore Zehir III. Ci serve tutto per domani. -
Will si
appuntò tutto su un piccolo block notes poggiato sulla
scrivania e promise di
fare il possibile. - E niente business class!".
Quella
notte non chiusi occhio. Rimasi vigile a fissare il soffitto e la
gigantografia
del povero Ralph in quella strana posizione da macho. Guardai
l'orologio ogni
mezzora, sperando di leggervi un orario decente per alzarsi e
cominciare a
preparare le poche cose per il viaggio verso Sud. Mi vestii comoda,
infilai le
scarpe da tennis e aspettai il suono del clacson dell'auto di Nick
sotto casa
mia. Durante il tragitto, nessuno dei due era particolarmente in vena
di
chiacchierare; ognuno ne se stava sulle sue, più interessato
ai propri pensieri
per concedersi il lusso di distrarsi da essi.
Eravamo
agitati, eccitati dal pericolo, ma anche preoccupati: avevamo paura.
Trascorremmo
la giornata ad un tavolo appartato di un piccolo locale sul lungomare
ad
organizzare le mosse della serata e ad aspettare una chiamata di Will.
Dai
tombini del porto turistico di Brighton saliva un fumo bianco e denso,
dall'odore acre di petrolio bruciato. Il molo era deserto, e solo il
rumore
delle barche mosse dalle onde e gli schiamazzi lontani dei locali sul
lungomare
spezzavano la quiete del luogo. Era perfetto per lo scopo di Sam1:
buio, non
commerciale - perciò poco ricambio di gente - e l'unica
telecamera adibita a
controllare la zona era stata debitamente rotta.
Un
posto che conoscevamo solo noi.
I walked across an empty land
I knew the pathway like the back of my hand
I felt the earth beneath my feet
Sat by the river and it made me complete
Io
e Nick eravamo ormai da ore nascosti dietro una catasta di casse in
legno,
esposti alle correnti d'aria da e verso l'acqua. Finalmente sentimmo
dei passi
provenire dalla strada; ci addossammo al muro e vedemmo un gruppetto di
quattro
uomini e una donna. Parte di me fu enormemente delusa di riconoscere il
volto
di Jade, ma fui anche sollevata di sapere che i nostri sospetti non
erano
sbagliati.
-
"È tutto sistemato, Banks?" sbraitò uno,
afferrando per un gomito un
malfermo Sam.
-
"S-sì, - rispose l'altro, la voce che ostentava sicurezza,
nonostante
fosse un po' tremula. - verranno con me".
-
"Dove?" chiese timida Jade.
-
"In quel container laggiù. - indicò un punto poco
dietro di noi. - C'è una
piccola finestrella, se la faranno bastare fino a York".
Nick
digrignò i denti con rabbia, strisciando il ginocchio sul
terreno polveroso per
sporgersi ancora un poco verso i nuovi arrivati.
-
"Quando arriva la polizia?" domandai inquieta.
La
temperatura era stabilmente di qualche grado sotto lo zero e, in quella
posizione accovacciata, avevo le gambe anchilosate. In più,
il fatto che le
povere ragazzine moldave sarebbero finite nella scatola di latta dove
eravamo
noi al momento, non era era proprio motivo di tranquillità.
-
"Spero presto. L'ho chiamata più di mezzora fa, ma credo che
non
interverrà prima di essere certa della flagranza del reato".
Nemmeno la
sua risposta fu molto confortante.
Santo
Marc Jacobs,
aiutaci tu, facci arrivare a casa con tutte le ossa integre e al loro
posto. E
già che ci sei, che ne diresti di eliminare i paraorecchie
dalla faccia della
Terra?
Un
rumore di motore preannunciò l'arrivo di una modesta
imbarcazione
sovraffollata, con a bordo una decina di ragazze e due uomini; uno era
posto a
comando del motoscafo, l'altro teneva una pistola spianata verso il
prezioso -
e terrorizzato - cargo umano. Banks e soci si approssimarono alla riva
ed io e
Nick avanzammo cautamente per raggiungerli, sostando dietro alcune
cabine
bianche, a circa venti metri di distanza dalla banchina.
-
"Sto morendo di paura..." biascicai e mi strinsi le braccia attorno
al corpo, per placare il freddo e infondermi un po' di coraggio.
-
"Merda! - sussurrò Nick - Stanno venendo qui".
Mi
voltai di scatto e ciò che vidi mi fece ricadere addosso
ancora più angoscia:
le donne, seguite dal nutrito gruppetto di gentiluomini,
stavano procedendo a passo spedito nella nostra direzione. Non avevamo
vie
d'uscita; scappare a sinistra o a destra avrebbe significato
consegnarsi
direttamente al nemico ma, d'altro canto, la piccola rientranza scura
tra le
cabine non era sufficiente ad ospitare entrambi. In ogni caso, almeno
uno dei
due sarebbe stato scoperto a spiarli e, si sa, gente di quel genere non
ama
essere osservata.
Soprattutto
mentre fa entrare
clandestinamente nel Paese dieci giovanotte da iniziare alla nobile
arte della
prostituzione.
-
"Che facciamo?" sussurrai, presa dalla concitazione del momento.
-
"Nasconditi! - lo guardai senza capire e lui mi spinse con veemenza
nell'angolino buio tra i ripostigli bianchi - Io mi farò
trovare".
Atterrai
malamente sul sedere, le gambe in aria e la schiena distesa sul terreno.
Io
mi farò trovare.
-
"No!". Tentai di rialzarmi, ma Nick mi tenne ferma, bisbigliando che
sarebbe stato più facile giustificare la sua presenza,
piuttosto che la mia.
Guardai attraverso una fessura e notai Banks arrivare con l'allegra
combriccola. Nick li anticipò alzandosi in piedi,
un'espressione furba stampata
in viso. Sam1 si fermò di colpo e lo fissò
incredulo.
-
"Che-che diavolo ci fai qui? Ti avevo detto di non farti vedere"
urlò
isterico. Uno dei suoi puntò la pistola contro MacCord, ma
Banks lo intercettò
e gliela fece abbassare.
-
"E io ti avevo detto che non avrei accettato un no come risposta"
replicò con fare sicuro.
Stavo
trattenendo il fiato ed avevo un timore folle che Nick avesse fatto il
più
grosso errore della sua vita, decidendo di farsi vedere.
Ma
dove diamine è la
polizia?
Sam
sembrò piacevolmente colpito da tanta sfacciataggine, ma i
suoi compagni di
merende non parevano altrettanto impressionati.
-
"Chi cazzo è questo, Banks?".
-
"Un amico" rispose lui sorridente.
Le
ragazze, accerchiate, se possibile diventarono ancora più
inquiete e si
strinsero le une con le altre.
-
"Ed è normale che il tuo amico abbia una tracolla con le
paillettes?".
Mi
misi una mano davanti alla bocca per non urlare. Accanto ai piedi di
Nick, il
riflesso della luna e dei pochi lampioni presenti non faceva che
enfatizzare i
piccoli dischetti luccicanti applicati sulla mia borsa.
Sto
per morire per
colpa di Yves Saint Laurent.
Calò
il silenzio; tutti sembravano troppo intenti a cercare sul terreno
tracce della
paillettes per notare subito il modo in cui Nick mi afferrò
alla cieca per la
giacca e mi attirò a sé con quanta più
forza avesse nelle braccia. Mi ritrovai
barcollante sui miei piedi e assolutamente impreparata alla corsa
disperata che
lui aveva in mente. Mi prese per mano e mi trascinò verso di
lui, mentre alle
nostre spalle anche gli altri cominciavano a realizzare che la nostra
fosse una
vera e propria fuga.
-
"Corri, Sammy, corri!" urlò Nick, senza mai fermarsi. Mi
stava
schiacciando le dita con le sue e i passi concitati dietro di noi non
facevano
che aumentare il ritmo della corsa. Ad ogni colpo di pistola che ci
sfiorava o
s'infrangeva su materiali e muri accanto a noi, strizzavo gli occhi e
speravo
che il successivo non ci colpisse.
-
"Non ce la faccio più" provai a dire, il respiro corto ed un
fiatone
degno di un'asmatica.
Nick
mi strattonò ulteriormente, girandosi rapido a controllare
che i nostri
inseguitori fossero a debita distanza ed accelerò il passo,
di nuovo.
-
"Ce la fai, invece. - mi spronò - Immagina di essere ad una
svendita. - il
ragazzo sapeva bene come incentivarmi. - Corri, ti stanno rubando le
scarpe!".
Brutte
galline, sono
mie!
Il
mio cervello assecondava Nick, desiderava farlo, ma le gambe si stavano
facendo
sempre più molli. L'unico fattore che mi recasse sollievo
era che nessun'altra
pallottola era stata esplosa. Per il momento, almeno.
-
"Sto per avere un infarto!" dissi, sprecando stupidamente fiato ed
energie. Però, in quegli attimi, persino morire sembrava una
prospettiva più
allettante del correre senza sosta.
Un'auto
sbucò all'improvviso da dietro l'angolo e io e Nick non
riuscimmo a frenare in
tempo la corsa; ci schiantammo contro la fiancata destra e cademmo a
terra come
birilli da bowling. Dopo un istante di terrore, la grande scacchiera
gialla e
blu disegnata sulle portiere e la scritta Police
mi permisero di sdraiarmi completamente e respirare di nuovo.
Arrivarono
altre tre volanti e ne scesero una decina di agenti che cominciarono a
rincorrere Banks e i suoi. Un poliziotto rimase di proposito indietro,
mentre
gli altri ci scavalcavano, per assicurarsi che stessimo bene e, solo
dopo che
si fu accertato di ciò, raggiunse gli altri.
Nick
si sedette con la schiena contro lo sportello e iniziò a
ridere a crepapelle
per smaltire lo stress nervoso accumulato.
-
"Ce l'abbiamo fatta!" sorrise trionfante.
Gli
scompigliai i capelli con una mano e gli diedi un piccolo scappellotto
sulla
testa, che ricadde pesante tra le sue ginocchia allargate. Mi alzai in
piedi e
scossi via dai vestiti un po' della polvere e sabbia che c'era per
terra.
Un
po' di relax, ora.
Ma
un braccio maschile mi afferrò da dietro e mi
bloccò il collo. La presa non era
particolarmente stretta e il tremore dell'arto e della voce mi
confermò
l'identità dell'uomo alle mie spalle: Banks.
-
"Non ridete più?".
Nick
s'improvvisò mediatore e si sollevò sulle proprie
gambe. Non ero davvero
impensierita dalla pistola che Sam brandiva in mano; ero convinta che
fosse una
delle precedenti, scariche di munizioni dopo la fuga. E poi era pure
quella
mezza calzetta del mio caporedattore e c'era più
probabilità che si sparasse
accidentalmente ad una gamba, piuttosto che ferisse me. Ero lucida e la
situazione andava affrontata con razionalità.
-
"Lasciala andare. - gli intimò Nick - È una cosa
tra me e te, lei non
c'entra".
No,
di nuovo la storia
dell'eroe, no!
-
È stata una spina nel fianco sin dal primo giorno. - rispose
l'altro. Io una spina nel fianco? Ma sentilo!
- E
tu mi hai fregato, perciò scusa se non sono propenso a
seguire i tuoi
suggerimenti".
La
situazione si stava facendo noiosa e il continuo gesticolare di Banks
con la
pistola in mano mi stava dando sui nervi.
Tienila
salda e
minacciami, dai!
Gli
concessi ancora qualche battuta con Nick, - giusto per non ferire
l'orgoglio di
nessuno - e poi mi decisi ad agire; infilai la mia preziosa arcata
dentale
superiore nel lembo di carne del braccio lasciato scoperto dalla giacca
e
premetti con forza.
Che
razza di
smidollato: almeno stringi un po': così mi fai il solletico.
Sam
mollò subito il mio collo e urlò a squarciagola
dal dolore, attirando
l'attenzione dei poliziotti che stavano tornando alle auto con quasi
tutta la
banda in manette, Jade compresa. Immobilizzarono anche Banks, che
cominciò a
frignare finché non venne portato via.
-
"Ottima mossa, Grayson" mi abbracciò Nick.
-
"Mi ero scocciata delle vostre chiacchiere. Stavo per morire. Di
vecchiaia" lo scansai.
Rimase
una sola volante con due poliziotti, uno dei quali ci bloccò
e ci costrinse a
seguirli in centrale per rendere una dichiarazione completa su quanto
accaduto
prima del loro arrivo. Impiegammo ore a descrivere con dovizia di
particolari
le informazioni che cui eravamo in possesso. Chiamammo Will, rimanendo
in
sospeso finché non ci confermò che effettivamente i due erano iscritti alla
Columbia, sebbene
Big Bob avesse frequentato solo un semestre. Purtroppo non era riuscito
ad
ottenere i certificati d'iscrizione, ma alla polizia sarebbe bastata
una
chiamata per ottenerli.
-
"Mi dovete un sacco di favori. E due chili di salame italiano"
aggiunse.
Prima
di tornarcene a Londra, sporchi e stanchi, chiedemmo anche notizie
delle
giovani moldave arrivate clandestinamente e ci venne detto che in
attesa di
essere rimpatriate nel loro Paese, sarebbero state ospitate in un
centro
specifico.
-
"Volevi adottarne una, Nick?" gli domandai.
-
"Ne ho adocchiata già una, in effetti".
E
non sono ancora sicura che fosse una battuta.
Stilammo
la storia dell'inchiesta insieme, ma distanti, ciascuno la propria
parte. Non
fu necessario - né possibile - vedersi per discutere,
perché il London Express
e Music Magazine decisero tutto al
posto nostro: entrambi conoscevamo
abbastanza a fondo lo scoop da poterne scrivere senza l'ausilio
dell'altro. I
redattori di entrambi i giornali avevano decretato che fosse
sufficiente una
telefonata per risolvere ogni eventuale dubbio mio o di Nick. Stavano
tentando
di proteggere i propri interessi ed era comprensibile, soprattutto da
parte dei
colleghi di Nick, che non avevano accolto con grande entusiasmo il
fatto che
fosse spuntata un'altra giornalista a condividere l'indagine. Venne
decretato
che mi sarei occupata in particolare del rapporto tra Banks, Big Bob e
Ralph -
lasciare al London Express il
compito
di distruggere uno dei dirigenti del nostro magazine non era parsa una
buona
idea a valerie -, mentre MacCord avrebbe scavato nel profondo del Pumping Pumpkin, analizzando con
maggiore attenzione la questione delle ragazzine moldave.
Le
vendite andarono molto bene, soprattutto ed inaspettatamente - o forse
no -
nella zona di York e cittadine limitrofe. Decine di persone si
affrettarono a
rilasciare dichiarazioni alle tv e alla carta stampata locale,
spiegando con
quale stupore avessero appreso la notizia dell'amato Sam criminale e
frequentatore di prostitute. Ma nelle loro parole, io non lessi solo
stupore;
c'era anche sollievo, come se aver scoperto il lato torbido di Banks
avesse in
qualche modo alleggerito la coscienza comune. Sapevano che non era un
santo,
però era molto più facile trincerarsi dietro la
facciata del farsi gli affari propri,
piuttosto che
ammettere che l'eroe senza macchia, in realtà avesse un gran
brutto vizio.
Nelle
due settimane dopo Brighton, io e Nick praticamente non ci parlammo, se
non per
questioni inerenti al lavoro. Ci incontrammo un paio di volte, ma
giusto per
perfezionare le ultime minuzie e per rilasciare qualche intervista a
canali
televisivi o a giornali. Ci stavano addosso come iene su una carcassa,
come
sugo sui maccheroni, come Kay su quella buon'anima di Will.
E
proprio quest'ultimo, ormai stabilitosi definitivamente in Inghilterra,
mi
aveva dato notizie di Nick, irrompendo in casa mia armato di rondella
per pizza
e sporco di farina sulla maglietta. Dopo avermi insultato per non aver
risposto
né al cellulare né al telefono fisso - non volevo
incorrere nella centesima
richiesta di partecipare ad un talk show -, mi aveva annunciato di
avere
notizie circa la mia serata: Nick lo aveva infatti chiamato per
domandargli di
intercedere per lui; voleva che uscissi con lui, in un posto
tranquillo,
vestita rigorosamente casual a chiacchierare e scambiarci opinioni
sugli ultimi
avvenimenti.
Ero
agitatissima: che cavolo vuol dire
vestita rigorosamente casual?
-
"Avevo capito che fosse un'uscita informale, da maglia sformata, coda
di
cavallo e scarpe da tennis... che ci fai in quell'abito da sera,
ipertruccata,
con i capelli raccolti e i tacchi?" chiese Will perplesso, mentre
stendeva
la pasta della pizza sul tavolo di casa mia.
Avevo
deciso d'interpretare a modo mio la parola casual, soprattutto dopo
averne
parlato con Warren.
-
"Zucchero, è una trappola! Stasera c'è un party
nella sua redazione!"
aveva affermato sicuro.
Offesa
a morte dal mancato invito, non mi ero affatto scoraggiata:
parrucchiera,
estetista e un bel calcio - al momento solo morale, purtroppo, - a Nick.
Guardai
Will e la sua ingenuità quasi mi fece ridere: era chiaro
come il sole che le
parole di Nick fossero un'imboscata. Pensava davvero che non sapessi
della
festa in suo onore organizzata dal London
Express? In realtà, se il Gossip
Boy
di Londra non mi avesse aperto gli occhi, sarei rimasta nella
più completa
ignoranza, ma tutto ciò non era molto rilevante.
Mi
avrebbe portata lì, lui tirato a lucido come un bambino alla
prima comunione e
io conciata da atleta dilettante post palestra, con gli scaldamuscoli e
la
fascia in testa, solo per avere l'occasione di dimostrare a tutti
quanto fossi
inadeguata ed incapace di reggere la pressione scaturita da un successo
lavorativo. Aveva la palese intenzione di farmi sfigurare con la mia
stessa
inesperienza; non avevo mai trattato con altri giornalisti - di certo
non a
quei livelli, dove spuntano come funghi sotto casa tua e non ti mollano
nemmeno
se minacciati - e quella serata gli sarebbe servita per diventare il
solo e
unico titolare dell'inchiesta. Nessuno si sarebbe azzardato a chiamare
me, una
casalinga disperata in lotta con l'armadio ed il buon gusto, in
trasmissioni
televisive e i fotografi mi avrebbero preferito di gran lunga il bel
ragazzo
dal fisico curato e dallo sguardo magnetico. Grazie al cielo, il mio
infallibile intuito femminile mi aveva fatto sentire la puzza di
bruciato da
lontano un miglio e mi erano serviti pochi istanti per smascherare la
farsa
imbastita da Nick. Ovviamente, non lo avevo reso partecipe
dell'indignazione
che provavo a causa della sua meschinità: lo avrebbe
scoperto da sé quella sera
stessa, abbagliato dai flash che i paparazzi avrebbero dedicato ad
entrambi e non
solo a lui. Il gongolamento sarebbe stato doppio, a quel punto,
perciò tanto
valeva pazientare.
-
"È giusto una cosuccia" minimizzai, riducendo l'imponenza di
quel
vestito blu notte, lungo fino ai piedi, con un taglio a stile impero ed
uno
spacco fino a metà coscia che lasciava la stoffa leggera
libera di fluttuare
nell'aria ad ogni passo. Quando l'avevo comprato, qualche mese prima,
ancora
non sapevo che quel piccolo gioiellino mi avrebbe permesso un giorno di
umiliare una persona con le sue stesse carte.
Will
alzò le spalle in segno di resa: era già
abbastanza difficoltoso sopportare ed
interpretare le lune della propria fidanzata, cercare di entrare nella
psicologia perversa anche della migliore amica sarebbe stato oltremodo
sconveniente, oltre che un tantino suicida. Trovò potesse
essere utile andare a
rispondere al citofono per togliersi da quella situazione indefinita,
sotto il
mio sguardo indecifrabile.
-
"Sali, Nick" gli sentii dire, mentre apriva la porta ed attendeva che
il rumore dei passi sulle scale si facesse più vicino. Non
appena il ragazzo
ebbe raggiunto il pianerottolo, il mio vicino improvvisò un
saluto militare e
si smaterializzò dall'appartamento.
Nick
non indossava esattamente quanto avevo previsto: lo smoking nero
corvino e la
camicia bianca immacolata avevano lasciato posto ad un paio di
pantaloni neri
ed un cardigan grigio, sopra ad una maglietta su cui era stampata la
scritta New York. Dopo un attimo di
vacillamento, le mie certezze tornarono solide come una roccia: stava
certamente - e maldestramente - cercando di depistarmi. Il suo bel
completo era
di sicuro già nella sala affittata per la festa, pronto ad
ospitare al momento
opportuno il suo sedere sodo e bugiardo. Un vero peccato che la
sottoscritta
fosse così perspicace!
-
"Ehm... - biascicò Nick non appena ebbe finito di squadrarmi
da capo a
piedi - Non prenderla per il verso sbagliato, ma come ti sei vestita?".
Arricciai la bocca fingendomi stupita ed avanzai verso di lui.
-
"Ho messo la prima cosa che ho trovato nell'armadio" replicai
tranquilla. Afferrai la pochette argentata poggiata sul tavolino del
salotto ed
il cappotto sull'attaccapanni, ma Nick mi fermò la mano.
-
"Inizierei a dubitare della mia memoria se non fossi assolutamente
certo
di averti detto di indossare roba casual stasera. - spiegò
saputo - E sebbene
qualcosa mi dica che tu abbia sentito bene e abbia deliberatamente
scelto di
ignorare le mie parole, oggi mi sento magnanimo e, prima che usciamo,
ti rinnovo
la raccomandazione di metterti una tuta e coprirti bene. Ti aspetto"
concluse.
Lo
fissai frastornata sciorinare tutto il discorso, ma non mi mossi da
dietro il
divano: non mi sarei fatta infinocchiare - di nuovo! - dalla sua
parlantina: il
mio povero cuore non avrebbe potuto reggere una prima pagina con
scritto Samantha Grayson: lo stile, questo
sconosciuto, dopo tutti i misfatti subiti.
-
"Sto comoda così" provai a convincerlo, nonostante sembrasse
assurdo
persino alle mie orecchie il pensiero che il massimo del comfort per
una donna
fossero un paio di tacchi a spillo e un vestito svolazzante. Ideale per
correre
in caso di incendio, di tentativo di scippo o di stupro.
-
"Morirai di freddo" mi ammonì.
-
"Penso di sopravvivere" ribattei, un crescente ribollio di sangue
nelle vene. Stavo cominciando ad irritarmi; se mai nella mia mente ci
fosse
stata in precedenza la minuscola speranza che lui volesse trascinarmi a
quel
party per espormi come trofeo, come prova che nulla e nessuno avrebbe
mai
potuto resistergli, - e se mi ero ridotta a desiderare di essere la sua
donna
oggetto, non ero di certo messa bene -, ora quel lumicino verde era
scomparso
sotto il peso della realtà: voleva umiliarmi, o, meglio,
continuare a farlo
come aveva fatto nei mesi prima.
Gli
uomini non cambiano,
avrebbe detto qualcuno e, d'altronde, come dargli torto: i vizi sono
duri a
morire, soprattutto quando hanno la forma di due chiappe decisamente
dure.
-
"Come vuoi. - lasciò perdere - Possiamo bere qualcosa prima
di
partire?". A quel punto le ipotesi erano due: o non c'era l'open bar
alla
festa e Nick stava cercando di puntare al risparmio, o il miserabile
bastardo
voleva farmi ubriacare, prima di mostrarmi alla stampa.
-
"Acqua?" tentai di spiazzarlo, ma lui sorrise sornione ed
annuì.
Quell'assenso mi stupì e mascherai la mia indecisione e
sorpresa allungando il
passo verso la cucina, seguita da lui. Presi due bicchieri
dall'armadietto
accanto al frigo e mentre cominciavo a riempirli, squillò il
telefono di casa.
Poggiando la bottiglia sul tavolo, arrivai fino al salotto per prendere
il
cordless.
-
"Pronto?". Il caratteristico suono continuo che indicava linea libera
raggiunse il mio orecchio, provocandomi all'istante un'ondata di
disappunto.
Senza
mai rivolgerci la parola, bevemmo in silenzio e, imbacuccati nei nostri
paltò,
salimmo a bordo della macchina di Nick. Non avevo ancora deciso quale
fosse
l'atteggiamento più intelligente da mantenere: meglio fare
la sostenuta oppure
sciogliersi in complimenti e sorrisi alla vista degli altri invitati?
Avrei
improvvisato al momento, la mia specialità.
A
mano a mano che Nick guidava sicuro e spigliato tra le vie ben note,
una
crescente stanchezza mi pesava sulle palpebre, causata probabilmente
dalle
poche ore di sonno che avevano caratterizzato gli ultimi tempi. Da
quando il London Express e Music Magazine si erano spartiti lo scoop
su Banks e Ralph J, il
tempo per dormire e occuparsi di sé era drasticamente
diminuito, lasciando
ampio posto a interviste e altre inutili facezie che presto sarebbero
finite
nel dimenticatoio.
Potrei
chiudere gli
occhi finché non arriviamo alla fest...
Piuttosto
buia come sala per party. Piuttosto tetra, fredda, nebulosa.
Piuttosto... non
era una sala per party. Era un cielo stellato, erano colline
rischiarate dalla
luna, era una colata ormai dissestata di asfalto grigio, era il frinito
dei
grilli nascosti tra i fili d'erba dei prati. Attraverso un parabrezza.
Dove
cavolo sono?
Un'istintiva
paura mi fece destare del tutto, mentre dei rumori che nulla avevano a
che fare
con la campagna provenivano dal retro dell'auto in cui ero
imprigionata. Provai
immediatamente ad aprire lo sportello della macchina, che era sempre
quella su
cui mi ero seduta qualche tempo prima, indefinibile, con Nick. La
portiera si
aprì subito ed io mi scapicollai fuori dall'abitacolo, un
cattivo presagio che
mi stava facendo temere il peggio. Che mi avessero rapita?
Così
impari a farti
sempre gli affari degli altri, stupida ficcanaso.
-
"Sei sveglia, allora". La voce di Nick fece capolino dal portabagagli,
spaventandomi tanto quanto la grossa chiave inglese che teneva in mano.
Mi
voleva forse uccidere? D'un tratto, l'ipotesi della donna oggetto non
appariva
tanto malvagia. La femminista che era in me quella sera sarebbe stata
agilmente
messa a tacere, di fronte all'eventualità di rimetterci le
penne; dopotutto chi
ero io per sovvertire l'ordine precostituito in duemila anni di storia?
-
"Do-dove siamo?" biascicai, maledicendomi per aver scelto un paio di
scarpe così inadatto alla corsa. A mia discolpa,
dirò che non avevo idea che il
pazzo maniaco che mi aveva rovinato gli ultimi mesi di esistenza avesse
intenzione di rapirmi, farmi a pezzettini e lasciarmi in aperta
campagna.
Nick
sorrise e poggiò la chiave inglese in una borsone lasciato
sulla strada. Si
strofinò le mani in uno straccio che fece la stessa fine
dell'arnese e mosse
qualche passo verso di me. Si fermò all'altezza della
portiera posteriore e
l'aprì, mentre con un balzo rapido qualcosaatterrava sul
cemento. La coda
scodinzolante di Mister strusciò contro la carrozzeria
dell'auto in modo
confuso e frenetico, finché l'intero corpo si
allontanò di qualche metro sulla
strada per sgranchirsi le zampe.
Ero
ufficialmente confusa: che ci facevamo nel bel mezzo del nulla con un
cane, una
chiave inglese ed un borsone? C'era da riconoscergli una certa vena
creativa,
se davvero voleva ridurmi in brandelli e abbandonare il mio cadavere
nel
fiumiciattolo che costeggiava la carreggiata.
Con
le mani poggiate sul cofano, aggirai la parte anteriore della macchina,
raggiungendo con un po' di difficoltà il terreno sterrato.
La notte stava
scendendo fredda e silenziosa, insieme alla paura di non uscire indenne
da
quella situazione. Gli occhi di Nick mi seguirono sempre più
seri. Stritolai la
stoffa del vestito che avevo rinchiuso tra i pugni e indietreggiai,
guardandomi
intorno per riuscire a vedere qualche via di fuga.
-
"Ehi, Sammy! - mi chiamò - Che c'è che non va?".
Lo
fissai stralunata, incredula della domanda.
-
"Che c'è che non va? - ripetei con voce stridula. Se mi
avesse fatto fuori
quella sera, perlomeno sarei morta in pace con i miei pensieri. - Mi
chiedi di
uscire con te, mi fai credere di andare ad una festa e mi sveglio dopo
non so
quanto tempo in aperta campagna, soli io e te e il tuo cane, con quella
chiave
inglese formato Godzilla e un borsone sospetto! Sono io a chiederti che
cosa
c'è che non va in te!"
urlai.
Nick
richiuse lo sportello e mi raggiunse in un paio di falcate veloci. Era
preoccupato e mi fissava con occhi smarriti, come se fosse stato lui
quello ad
essere ad un passo dalla dipartita finale! Mise entrambe le mani sulle
mie
braccia, mentre io cercavo di allontanarmi il più possibile
da lui,
incassandomi tra le spalle. Non poteva finire così, non
potevo morire.
-
"Ti prego, lasciami andare. - sussurrai sull'orlo del pianto
– Ho solo
ventiquattro anni, un Pulitzer da vincere e le Armadillo shoes da
comprare; non
che davvero intenda indossarle, devo
averle perché Alexander McQueen era un genio e
perciò credo che in un certo
senso siamo affini... - Nick fece per aprire la bocca, ma lo bloccai. Ricevuto, non è il tempo per la
presunzione.
- E poi devo ancora imparare a cucinare, a stirare, a fare decentemente
la
lavatrice senza colorare di rosa la biancheria. Sono un disastro nel
tenere in
ordine la casa, lo so, però posso migliorare e sono certa di
potercela fare. E
non è vietato dalla legge uccidere qualcuno? La tua
religione non te lo
impedisce? Perché, sai, sono piuttosto convinta che il
Cristianesimo non
ammetta l'omicidio e nemmeno tutti quegli strani credo esotici...
Induismo,
Buddhismo e roba simile. Sull'Islam non sono molto ferrata, lo confesso
e a
questo punto credo che non conti. E comunque ci sono dei testimoni che
sanno
che sarei uscita con te stasera... Will, Will ad esempio! Porca
miseria, Nick,
è quasi Natale, e io amo il Natale; vuoi passare le feste e
il resto della tua
vita con il rimorso di avere ammazzato un essere umano? Vuoi essere una
sottospecie di Grinch assassino?
Per
cosa, poi? Uno scoop del cavolo su un giornale? Almeno promettimi che
non
ucciderai Romeo..." piagnucolai, il respiro corto dopo la sfuriata.
-
"Ad una condizione" disse serio.
Ecco.
Non aveva detto ‘di che diavolo
parli?’ oppure
‘non ho intenzione di martoriare il
tuo
corpo e gettarti nel fiume!’ o ancora ‘sei
impazzita?’. Aveva accettato di trattare, di
barattare la mia vita con
chissà che cosa. Così sarebbe finita la triste e
incompleta esistenza di una
ragazza scozzese troppo ambiziosa.
Almeno
avevo il vestito buono...
-
"Cioè?" mi azzardai a domandare, la voce ridotta ad un
fragile filo
sottile. Con un gesto secco ed impetuoso di un braccio mi avvolse la
vita e mi
trascinò fino a cozzare contro il suo bacino.
-
"Baciami" sussurrò e, senza nemmeno darmi il tempo di
rispondere,
sigillò la mia bocca con la sua. Rimasi con le labbra
serrate e gli occhi ben
spalancati, in quella che non dubitavo essere una perfetta faccia da
pesce
lesso. Anche l'altro braccio mi circondò e la mano
finì col posarsi sulla mia
nuca, spingendomi ancor più verso di lui. Non gli permisi
d'intrufolarsi nella
mia bocca, di giocare con la mia lingua e confondermi le idee; aspettai
che
fosse lui a stancarsi di lottare contro le mie labbra e i miei denti,
eretti
limiti invalicabili di un accesso fisico e mentale che non ero pronta a
concedere. Nick grugnì indispettito e si scostò
da me, contrariato dalla mia
mossa difensiva inaspettata. Ci fissammo in silenzio l'uno di fronte
all'altra,
le braccia di entrambi distese lungo i fianchi per non avere contatti
inappropriati.
-
"In questo modo mi obblighi ad ucciderti..." disse, rovinando
l'imbarazzante quiete della campagna notturna.
-
"L'hai fatto così tante volte moralmente che credo che non
sarà più
doloroso delle precedenti" scrollai le spalle e mi strinsi nel
cappotto,
insufficiente per contrastare il freddo gelido proveniente dai campi
tutt'intorno.
-
"Facciamola finita" esclamò serio. Mi prese per mano e,
nonostante la
mia diffidenza, mi lasciai condurre davanti al portabagagli dell'auto.
Non
avrebbe avuto senso cercare di divincolarsi, scappare, gridare. L'unica
ancora
di salvezza poteva essere un rospo che, baciato a dovere, si fosse
trasformato
in principe e mi avesse condotta al suo castello fatato.
L'ironia
del destino voleva che quel pensiero infantile e fiabesco io lo avessi
fatto
più volte su Nick; ma di certo non si era mai sentito di un
baldo e azzurro
giovane passato al lato oscuro, nemmeno per merito di fantomatici
biscottini.
Immagino
ci sia sempre
una prima volta.
Aprì
il baule e in quel momento riuscii a notare che i sedili posteriori
erano stati
abbattuti e, nello spazio solitamente occupato da essi, troneggiava un
materassino gonfiabile, di quelli da campeggio. Al di sopra, numerose
coperte
ed un piumone erano stati stesi sull'alcova improvvisato, illuminato da
una
piccola lanterna collocata tra due cuscini.
Guardai
Nick sconvolta e senza parole, non capendo il senso di
quell'allestimento
campestre. Mi sorrise debolmente, invitandomi con un gesto della mano
ad
accomodarmi sulle trapunte.
Almeno
morirò comoda.
Sollevai
il vestito e mi sistemai sopra uno dei plaid e lui fece altrettanto
sull'altro
lato. Come diavolo aveva intenzione di farmi schiattare? Scartai
l'ipotesi del
gelo assassino nel momento in cui, con una certa fatica, chiuse
dall'interno il
portellone del bagagliaio.
Le
mie scarpe non
dovranno essere regalate a nessuno. Dovranno essere consegnate a mia
sorella
Lily, che porta il quaranta e non ha modo di calzare il mio trentotto.
-
"Immagino ti stia chiedendo perché siamo qui..."
cominciò Nick
nervoso, sfregandosi una mano sul quadricipite e l'altra in mezzo ai
capelli.
No,
veramente sto
facendo un testamento virtuale: dunque, lascio la mia adorata Birkin
a... -
breve ricognizione di amici e parenti - nessuno! Seppellitela con me.
-
"Credo di doverti una spiegazione e, per essere il più
chiaro possibile,
temo di dover cominciare dall'inizio. - si schiarì la voce e
si grattò la nuca
nervosamente. - La prima volta che ti ho visto, ho capito che eri la
persona
perfetta per lasciarsi coinvolgere in una scommessa, di qualunque
natura essa
fosse stata. Eri spigliata con noi ragazzi, ma si capiva che molta
della tua
sicurezza derivava da una buona dose di alcool. Non ho pensato nemmeno
per un
attimo alle altre: ho voluto te sin dal primo momento... per la
scommessa. - si
affrettò a precisare. - Non immaginavo saresti stata
così orgogliosa ed
ostinata, persino nello scegliere l'oggetto del gioco. Forse tu non lo
ricordi,
ma mi hai lasciato a bocca aperta, proponendo di andare a letto con
dieci
uomini".
Questa
era la parte che avrei volentieri saltato a piè pari.
And if you have a minute, why don't we go
Talk about it somewhere only we know?
-
"Credevi che avrei mollato?" chiesi, un po' intimorita dalla piega
che stava assumendo la serata. Mi sentivo come in un prete in un
confessionale,
pronto ad accogliere le ammissioni di un peccatore. Un gran bel
peccatore, in
ogni caso.
Affido
Romeo alle cure di Will Beckett,
che dovrà rompere con Kay. Sono disposizioni testamentarie,
rispettate le
volontà della futura-e-probabile defunta!
-
"Ero certo che avresti mollato. E invece sei andata da Ralph J,
probabilmente l'ultimo uomo a cui pensavo ti saresti rivolta. Insomma,
è davvero
un cretino. - Allora avete qualcosa in
comune, pensai, mentre lui ridacchiava tra sé
– Poi sono venuto alla Tana del
Grillo. Sono entrato con l'idea
di farmi due risate, lo ammetto, ma sono uscito stravolto. Non avrei
mai
creduto che uno scricciolo maldestro come te sarebbe riuscito a farmi
eccitare,
soltanto cantando una canzone. Quella è stata la prima volta
in cui mi sono
accorto di volerti... fisicamente, almeno. Vorrei poter dire di essere
tornato
a casa con la coda tra le gambe, ma la verità è
che c'era qualcos'altro al
posto della coda. Ho passato l'intera notte ad immaginarti nuda sul
tavolo
della mia cucina".
Arrossii
all'istante, nonostante fossi lusingata dai pensieri sconci che Nick
aveva
avuto su di me. Lui guardava fuori dal finestrino, forse maledicendosi
per
essersi lasciato scappare troppe rivelazioni, forse cercando di
sfuggire
all'imbarazzo palpabile tra noi. Non mi sentii di dire nulla; sapevo
che
qualsiasi cosa fosse uscita dalla mia bocca, avrebbe finito col
rendermi ancora
più nervosa o, peggio, ridicola. Abbassai lo sguardo e
aspettai che fosse lui a
continuare a parlare.
-
"Le cose, poi, non sono certo migliorate; mi hai trascinato con te in
quella specie di fuga con la macchina e mi hai costretto a dormire con
te. Non
avevo mai dormito accanto ad una donna senza averci combinato qualcosa.
Mi hai
svegliato nel cuore della notte ed ero convinto che mi stessi
chiamando, ma in
realtà dormivi. Hai mugugnato un paio di volte il mio nome e
ti contorcevi, ti
sei spalmata addosso a me per qualche minuto, prima di rigirarti. In
quel
momento ho realizzato che non mi bastava... volevo sentire il mio nome
scivolare dalle tue labbra in quel modo un altro milione di volte".
Lascio
il mio Pulitzer
postumo - perché so che arriverà - al mio
nipotino Alex, perché si ricordi
sempre che zia assolutamente fantastica avesse.
...un
attimo: cosa aveva appena detto? Mi ripetei mentalmente quell'ultima
frase e
diventai più rossa di un peperone vestito da pomodoro, con
capelli di papavero
e piedi di ciliegie. Non ero abituata a delle affermazioni
così plateali e
fuori dai denti, soprattutto se pronunciate con la stessa
tranquillità con cui
un essere umano normale discorrerebbe del tempo. Inoltre, ricordavo
perfettamente il sogno che avevo fatto quella sera, più o
meno nello stesso
punto in cui mi trovavo ora, addormentata nel fuoristrada del signor
MacCord.
-
"Poi siamo andati al White Lizard
con Will ed indossavi quel vestitino ridicolmente corto... piuttosto di
vederti
spogliata con gli occhi, mi sono preso l'influenza. Quello non era
proprio il
modo in cui ti avrei voluto nel mio letto, ma per il momento me lo
sarei fatto
bastare. Il problema è che non mi bastava".
E,
infine, lascio il
mio meraviglioso corpo alla scienza, perché nessuno si
ritrovi più a soffrire
ciò che ho patito io. Niente più tette piccole,
amiche!
-
"La notte in cui ti ho trovato davanti alla mia porta, ho creduto che
fosse la sera perfetta. Sono entrato in bagno e stavi cercando di
toglierti il
vestito zuppo d'acqua bollente e... non ci ho capito più
niente. Mi sono detto
che una volta non mi avrebbe cambiato la vita, che, anzi, farlo con te
mi
avrebbe tolto lo sfizio o il desiderio di averti. Ho tentato in tutti i
modi di
trattenermi, di ripetermi che non potevo lasciarmi trasportare troppo,
perché
non mi potevo permettere nient'altro che una scopata, al momento.
L'inchiesta
su Banks aveva la priorità ed era pericoloso trascinare
qualcun altro in questa
storia; ma se non mi avessi fermato tu, ti avrei raccontato tutto, ne
sono
certo".
-
"Avevi paura?" lo aiutai.
Nick
mi guardò negli occhi e aggirò abilmente la
domanda, una evidente minaccia per
la sua virilità.
-
"Ti hanno quasi strozzato perché pensavano che stessi
ricattando Sam e mi
hanno coinvolto in un incidente stradale per assicurarsi che non fossi
uno
smidollato... ho ritenuto fosse meglio non tirare la corda con gente di
quel
tipo".
Collegai
immediatamente l'episodio citato che lo riguardava: lo squillo del
cellulare
nel bel mezzo della notte, la corsa in ospedale e il braccio rotto.
Quello che
non sapevo - e che mai prima d'ora avevo sospettato - era che dietro a
quell'avvenimento ci fosse ancora una volta Sam1.
-
"Ora arriva la parte difficile. - annunciò Nick esitante,
fissando
alternativamente il mio viso ed un punto indefinito nel buio oltre le
mie
spalle. - Mi sono sentito una merda, quando sono venuto a casa tua a
Glasgow; né
tu né tua zia e tanto meno la tua famiglia meritavate un
comportamento simile.
Non ne vado fiero, ma purtroppo è successo e non posso
cancellare quello che è
stato. Non proverò nemmeno a giustificarmi, però
avrei potuto andare in Scozia
in qualsiasi periodo dell'anno, eppure ho scelto quei giorni,
perché sapevo che
avevi bisogno di un amico, con Will dall'altra parte del mondo.
Perciò, mi
dispiace. - disse incerto - Ma credo dovresti scusarti anche tu".
Alzai
un sopracciglio, presa in contropiede. Per quale ragione avrei dovuto
chiedere
perdono? Soprattutto a lui!
-
"Io?".
-
"Sì, per avermi detto di essere innamorata di me urlandomi
in faccia, su
quel marciapiede di fronte al Pumpinkg
Pumpkin. Ero sotto shock. Sei talmente orgogliosa che non mi
aspettavo trovassi
il coraggio di ammetterlo, così presto poi... hai messo a
dura prova il mio
autocontrollo, avrei tanto voluto dirti qualcos'altro ma, di nuovo, non
potevo.
Ho dato un calcio ad una lattina e sono tornato a casa incazzato".
Qualcos'altro?
-
"Te ne stavi lì davanti a me a gridare la tua delusione ed
io non potevo
farci nulla, nonostante l'ultima cosa che desiderassi fare fosse
rifiutarti. -
si mordicchiò un labbro e fece una pausa -Se non vuoi
restare, se non vuoi più
ascoltarmi, se non vuoi... me, - tentennò - basta che tu lo
dica ed io ti
riporterò subito a casa. Non ne parlerò
più e ti lascerò in pace. Ma ho voluto
provarci, ho dovuto provarci, qui, perché è in
questo fuoristrada e in questo
posto sperduto che ho capito che mi avevi fregato. Con tutte le
scarpe".
Avrei
tanto voluto negare, classificare quell'episodio davanti al Pumping Pumpkin come il frutto di uno
smarrimento temporaneo, ma quel sentimento c'era ancora, non sopito
come avevo
voluto ingannarmi che fosse, ma in ogni centimetro di pelle, invadente
e
inarrestabile come un fiume in piena.
Se
si fosse avvicinato di più, avrei creduto alle sue parole.
Avrei ceduto alle sue parole.
Respirai a fondo
e fui sincera.
-
"Se fossi più forte, te la farei pagare. Se avessi
più determinazione, non
sarei nemmeno qui. Se volessi più bene a me stessa, non
avrei perso mesi dietro
a te. La cosa più razionale da fare sarebbe chiederti di
riportarmi a casa,
subito, infilarmi il pigiama, andare a dormire ed alzarmi domani come
se fosse
di nuovo agosto ed io non avessi mai messo piede in quello strip-club.
Ma il
nevischio fuori dal finestrino mi ricorda che siamo a dicembre e che
non posso
negare ciò che è stato. E non riesco a fingere di
non morire dalla voglia di
baciarti. - Nick abbozzò un sorriso compiaciuto. - Spezzami
di nuovo il cuore
ed io ti spezzo una gamba, intesi?".
-
"Non succederà" si affrettò a dire.
-
"Sono dannatamente seria. - ribadii, minacciandolo con un indice
puntato
sul suo naso. - Un altro giochetto dei tuoi e mi divertirò
ad estrarti un dente
alla volta con una pinzetta".
-
"Non sono perfetto, Sam. - Come se ci fosse bisogno di precisarlo... -
Sono terribilmente ordinato, morbosamente attaccato al lavoro e
vagamente
ossessionato dallo sport in tv, ma la verità è
che non vedo l'ora di trovare
Romeo spaparanzato sul letto, d'inciampare nelle tue scarpe sparse sul
pavimento e dividere un'altra inchiesta con te".
D'accordo,
quest'ultima era una balla gigantesca.
-
"Bugiardo" lo accusai e lui ridacchiò, colto in flagrante.
-
"Okay, forse quello meglio di no. Non dovrei prometterti qualcosa che
so
già di non poter mantenere, perciò ecco una cosa
che non farò: sbaciucchiamenti
ed esternazioni affettuose in pubblico; non m'importa di dimostrare al
mondo
che siamo innamorati persi... conta solo ciò che pensiamo
noi. Però, ti
coccolerei e accetterei qualsiasi nomignolo imbarazzante tu volessi
affibbiarmi. Guarderei infinite volte Sweet
November con te e ti comprerei scorte industriali di
caramelle e patatine
per quel periodo del mese".
-
"Sei sicuro?" lo sfidai, aspettando nient'altro che ritrovarmelo
addosso.
-
"Mi ruberai le coperte, mi trascinerai a comprare scarpe giorno
sì e
giorno no e ti dimenticherai di fare la spesa o i conti a fine mese?".
-
"Sempre. La mia missione sarà renderti la vita un inferno"
affermai
sicura, anche di certezze, al momento, ne avevo ben poche.
Mi
sdraiai completamente accanto a lui, in una posizione speculare alla
sua:
puntellati sul gomito a reggere la testa, ci guardavamo negli occhi, io
in
attesa di una risposta e lui nella perfida intenzione di farmela
agognare il
più possibile.
-
"Allora sì" disse serio.
Non
mi diede il tempo di ribattere, gettandosi con foga sulla mia bocca,
schiusa
dalla sorpresa. Stavolta non opposi resistenza e mi lasciai torturare
le labbra
dalle sue, carnose e morbide. Ebbi un moto di stizza, realizzando che
non mi
ricordavo come fosse baciarlo. Il suo sapore di menta nella mia bocca
fece
sparire angosce, liti e incomprensioni degli ultimi mesi;
giocò con la mia
lingua e non riuscii ad impedirmi di ridere sul suo viso, quando capii
che non
sarei più riuscita a fare a meno di quelle carezze e di quei
dispetti.
Gli
slacciai i cappotto e lui fece altrettanto con il mio, mentre aprivo la
piccola
cerniera delle scarpe per poggiarle sul sedile anteriore, al sicuro.
Sciolsi i
capelli dall'acconciatura che mi stava tirando i capelli e lasciai che
ricadessero in disordine sul cuscino, mentre mi sdraiavo sopra le
coperte. Mi
abbassò gli spallini del vestito e mi costrinse ad alzarmi
per sfilarlo, asserendo
che lo stesse facendo solo per non sciuparlo. Rimase stupito nel
constatare che
non indossavo il reggiseno, ma la cosa sembrò infastidirlo,
perché non c'è cosa
più eccitante e provocante dello spogliarsi piano, scoprirsi
mano a mano.
Mi
baciò il seno e i capezzoli reagirono immediatamente, sotto
il suo tocco
delicato, ma deciso. M'irrigidii d'istinto, quando le sue mani si
spostarono
più in basso, verso l'inguine. Pensai di morire per la terza
volta in poche
settimane, sebbene in modo molto diverso dalle precedenti,
perché Nick era in
grado di farmi promettere e dire qualsiasi cosa, con le sue dita sulla
mia
pelle.
Prese
uno dei cuscini quadrati parsi sulle trapunte e mi sollevò i
fianchi, per
posizionarlo sotto di me, all'altezza della zona lombare, in un gesto
che
avrebbe dovuto semplicemente agevolargli le manovre, ma che non fece
altro che
accendermi all'idea di poter sbirciare quello che aveva intenzione di
fare.
Spostò di lato le mie mutandine e si chinò tra le
mie gambe, passando leggero
l'indice e il medio sulla fessura tra le mie cosce. La schiuse e fece
scivolare
le dita all'interno; le mosse con delicatezza avanti e indietro e
aggiunse
l'anulare, quando si accorse che mi stavo rilassando. Le
sfilò e si passò le
dita in bocca; quel gesto mi fece arrossire fino ai capelli,
perché era
qualcosa di così eroticamente intimo che mi
risultò impossibile rimanere
indifferente. Nick rise del mio imbarazzo e s'intrufolò
nuovamente tra le mie
gambe, ma questa volta non concesse tregue o pause; baciò
l'interno coscia, dal
ginocchio in giù, e le dita lasciarono il posto alla sua
bocca e alla lingua
nello stuzzicarmi lì dove la carne è
più morbida e sensibile.
Inarcai
la schiena e strinsi tra le dita il lenzuolo, così come
prima avevo fatto con il
vestito, nel tentativo di scappare. Ma ora non avevo alcuna intenzione
di
muovermi da quel punto.
Al
contrario, ero impaziente di affrettare le cose, di arrivare al dunque,
perché
per quanto potesse essere gratificante - e lo era parecchio - avere la
sua
testa tra le gambe, quando hai desiderato tanto a lungo una persona,
non vedi
l'ora di sentirlo addosso, sulla pelle, dentro di te. Si dovrebbe
essere più
parsimoniosi, più controllati, vivere e godere di ogni
istante, senza bruciare
momenti preziosi. Ma il problema è che ci illudiamo di avere
tempo, di poterlo
fare il giorno dopo, la volta dopo, quando ce ne ricorderemo. Era Nick
il
ragazzo sopra di me, l'incarnazione di pensieri proibiti e sogni sconci
da sei
mesi e non avevo davvero né la voglia né il
tempo di fermarmi, di fermarlo. E forse non sarebbero state
nemmeno
necessarie altre occasioni per fissare nella memoria cosa volesse dire
fare
l'amore con lui: ero terribilmente brava a ricordare le cose piacevoli.
Percorse
il mio corpo con le mani lungo la pancia, il seno ed infine il collo,
dove fece
leva per sollevarmi e farmi sedere. Cercò la mia bocca,
mentre io trafficavo
per sganciargli la cintura dei pantaloni ed aiutarlo a toglierseli il
più
rapidamente possibile. Si levò in un gesto solo calzoni e
boxer, rimanendo nudo
ed eccitato davanti a me. Strappò con i denti la carta
argentata di quello che
riconobbi essere un preservativo, ma non riuscì a fare
nient'altro, dal momento
che lo rubai dalle sue mani, offrendomi di metterglielo soltanto per
poterlo
toccare. Nick mi guardò incuriosito srotolare il
profilattico sul suo membro,
attratto dai miei movimenti su di lui e dalla mia neonata
intraprendenza.
-
"Non voglio sapere perché sei tanto esperta e rapida..."
ridacchiò.
Cercò di apparire divertito, però era evidente
che la sua osservazione, in
realtà, fosse da leggere ed interpretare con un non di meno.
La verità era che
quella era la prima volta in cui lo facevo: era un mestiere da uomini -
non ci vuole mica una laurea! Non a caso ho
detto da uomini... -, ma con Nick era tutto diverso. Io ero
diversa: non
era solo un piacere reciproco toccarsi, ma una necessità ed
ero pronta ad
afferrare al volo qualsiasi occasione per farlo.
Non
risposi deliberatamente alla provocazione e cercai di abbindolarlo,
strofinando
la guancia sulla sua barba di qualche giorno che minuti prima aveva
solleticato
l'interno coscia. Si sdraiò su di me, puntellandosi con le
ginocchia esterne
alle mie gambe e le braccia ai lati della mia testa. Mi costrinsi a
guardarlo
dritto negli occhi e trattenni il fiato finché non lo sentii
scivolare piano
dentro di me e cominciare a muoversi a ritmo, poggiandosi ora sui
gomiti, una
mano stretta nei miei capelli.
Is this the place we used to love?
Is this the place that I've been dreaming of?
Il
suo bacino schiacciato sul mio, la sua bocca a raccogliere improperi,
speranze,
paure, banali farneticazioni mentali e reali. Succhiò,
leccò e fece suo tutto
ciò che trovò sulle mie labbra, beandosi dei miei
sproloqui e delle parole
senza senso.
Raggiungemmo
l'apice insieme, seduti sulle coperte, petto contro petto,
dolorosamente
incastrati per via della posizione scomoda. Solo dopo qualche minuto di
silenzio, rotto solo da qualche morso scherzoso o da risolini ebeti,
cominciai
ad aver freddo. Molto freddo. E non era a causa di quei pericolosi
vuoti che
sentivo sempre nel post sesso - perché, quella era una delle
rare volte in cui
mi sentivo soddisfatta e basta, senza ripensamenti o dubbi -, ma era
comunque
dicembre e noi eravamo nudi in un fuoristrada dai vetri appannati nel
mezzo del
nulla. Era il posto più disagevole in cui avessi mai fatto
l'amore; era tetro,
gelido e inospitale... perfetto.
Una
stanza d'hotel a cinque stelle full optional ai Caraibi non sarebbe
stata
altrettanto bella. Quella carreggiata desolata, circondata da prati
sterminati
e qualche sporadica casa era e sarebbe stata solo nostra.
Beh,
nostra e della
società che gestisce le strade.
-
"Sarà meglio rivestirsi, Sammy. - Allungò la mano
al borsone sul sedile
del guidatore e ne trasse due pesanti felpe - Sapevo che non ti saresti
mai
portata una tuta".
Mi
aiutò ad indossare quella più piccola e poi
s'infilò l'altra.
-
"Eri così sicuro di riuscire a portarmi a letto e di farmi
dormire con
te?" lo guardai, sinceramente incuriosita dalla risposta alla mia
domanda.
-
"Ci speravo" ammise sorridente, allungandosi nuovamente all'indietro
per afferrare una confezione di salviettine umidificate dal
portaoggetti. Ci
pulimmo come potemmo e, dopo aver indossato un paio di pantaloni
felpati e uno
di calze antiscivolo - se n'era ricordato! - m'infilai sotto i numerosi
strati
di coperte.
Nick
si allontanò solo per aprire la portiera anteriore e far
salire Mister, il cui
ruolo in tutta la faccenda ancora mi sfuggiva. Il cane si
accucciò sul sedile e
il suo padrone fece scattare la chiusura centralizzata dell'auto. Poi,
si
sdraiò accanto a me e mi abbracciò da dietro. Mi
girai sul fianco per dormire,
ma il braccio di Nick ricadde pesantemente sul mio fianco e il suo
corpo a
ridosso del mio, il respiro sulla nuca.
-
"Che fai? - mi lamentai - Non riesco a dormire, se ti ho
così vicino.
M'infastidisci".
-
"Mi hai avuto dentro di te finora... e comunque ti sto proteggendo da
eventuali aggressori esterni". D'un tratto capii: la funzione del suo
cane
era quella di controllare la zona. Credeva davvero che potesse passare
qualcuno
- oltre a noi - in quella stradina?
-
"Pensavo che quel compito spettasse a Mister".
Nick
mi guardò sospettoso.
-
"Non c'è da fidarsi molto di quello".
-
"Senti chi parla...".
Aprii
gli occhi quando la luce del sole del mattino mi colpì il
viso. Avevo un mal di
schiena terribile ed ero più o meno nella stessa posizione
in cui mi ero
addormentata. Mi voltai verso Nick e lo trovai intento a stropicciarsi
le
palpebre con il dorso della mano.
-
"Non dirmi che mi stavi guardando mentre dormivo" dissi, la voce un
po' impastata.
-
"Veramente mi hai appena dato una gomitata e mi hai svegliato" si
giustificò, tirandosi le coperte fino al mento.
-
"Vuoi essere il mio regalo di Natale?" gli domandai a bruciapelo.
Lui
girò la testa verso di me, bellissimo persino mentre
imprecava per il collo
bloccato.
-
"Così mi offendi".
Sorrisi
e gli lasciai un bacio sul naso.
-
"Meno male. Prova sdolcinatezza superata".
-
"Sono il regalo di Natale e compleanno, almeno".
Avrei
dovuto sapere che mi avrebbe fregata, ancora una volta. Mi
attirò a sé e decise
di essere troppo stanco per mettersi subito in marcia verso Londra. Gli
proposi
di guidare io, ma per qualche strana ragione, rifiutò la mia
offerta.
Dormimmo
ancora un paio d'ore, dandoci fastidio e calci a vicenda per il solo
gusto di
provocarci e trovare un modo creativo per chiederci scusa. Il viaggio
di
ritorno fu quanto di più lento ci potesse essere: ci furono
delle tappe
intermedie per mangiare e bere - Nick si era portato mezza credenza in
quell'auto -, pipì, e testare i sedili anteriori reclinati.
Quando arrivammo
sotto casa mia, avrei tanto voluto trascinarlo fino al mio
appartamento, ma
purtroppo doveva andare via, dalla cara nonna Inge che mai come allora
mi
sembrò una nazista fatta e finita.
Scesi
dall'auto e mi avvicinai al finestrino abbassato per un ultimo saluto.
-
"Prima che tu vada, devo darti una cosa. - mi disse, sorridendo.
Sollevò
il sedere dal sedile e frugò nella tasca dei pantaloni. Non
appena vidi un
pezzettino di carta, uguale agli altri nove precedenti, mi feci seria -
È
giusto che finiamo quel che abbiamo cominciato".
Mi
diede un bacio veloce sulla bocca e se ne andò, senza
attendere risposta.
Non
era cambiato. Una notte di sesso non lo aveva trasformato in un ragazzo
serio,
in un fidanzato serio; mi stava
spingendo nelle braccia di un altro, in teoria per l'ultima volta, in
pratica... chissà.
Dove
non può l'amore, può orgoglio.
Rimasi
con il fogliettino in mano sul bordo della strada, il vestito da sera
che
accarezzava l'asfalto e il mio umore a fargli compagnia, sotto un paio
di
sottili tacchi a spillo.
This could be the end of everything
So why don't we go
Somewhere only we know?
Ci
siamo.
Innanzitutto, ricordatevi che mi volete bene, perciò nessun
istinto omicida nei
miei confronti. Secondo: manca un capitolo, perciò calma.
Terzo: sono in
ritardo, ma purtroppo capita che mi ricordi di avere degli esami da
fare e
quindi il tempo per scrivere scarseggia.
Stasera,
anzi stanotte, visto che il capitolo è un papiro,
sarò breve.
La
canzone del titolo è "Somewhere only we know" dei Keane.
C'era
qualcuno che si era focalizzato sul famoso rumore metallico del post
dichiarazione di Sam: come ho detto, non era rilevante, ma il mistero
della
lattina è svelato.
Ringrazio
di essere arrivati fin qui, ringrazio quella santa donna di Nessie che
ha
betato, nonostante i casini e le vedove.
Grazie
come sempre delle recensioni, provvedo a rispondere!
Siamo
al
30 di gennaio e io vi auguro buon 2012.
Baci,
S.
|
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Capitolo 37 *** Capitolo 37. State Of Love And Trust. ***
Cap. 37
Capitolo trentasette. State
Of Love And Trust.
Smisi
di contare le volte in cui avevo sperato che Nick mi chiamasse
quando sfiorai quota cento in un giorno.
Quel
maledetto biglietto aveva rovinato tutto; no, Nick l'aveva fatto. Lui e
quel mezzo neurone eremita che si ostinava a popolare quella taiga del
suo cervello. I pensieri e le idee sensate si rifiutavano di stare
lì, c'era troppa eco.
Nick,
purtroppo o per fortuna, in quei sei mesi era riuscito a farmi
desiderare un sacco di cose: di morire - soprattutto di vergogna - e di
farlo morire; di coccolarlo e di strozzarlo; di innamorarmi e di
disinnamorarmi... di tornare a casa.
Glasgow
non mi era mai mancata tanto; i momenti imbarazzanti con Alex,
l'ingrasso forzato a cui mi sottoponeva mia madre, i silenzi logorroici
di mio padre, le urla di Lily che rimbrottava Byron e,
soprattutto, zia Annie. Suonava strano dire e pensare che quell'anno
non avrebbe passato il Natale a vegetare in poltrona, attorniata dagli
sbuffi dei parenti, me compresa. Non avevo mai badato troppo alla sua
presenza e proprio ora che avrebbe fatto la differenza - ora che avrei sentito la
differenza - lei non ci sarebbe stata. Ero rimasta con un pugno di
mosche e qualche labile ricordo di attimi trascorsi insieme. E la
lettera, che non faceva altro che riportare alla memoria due occhi
chiari e una boccaccia che non perdeva occasione per prendere aria.
Il
problema di Nick era che parlava sempre troppo o troppo poco, ed
io non ero capace di interpretarlo; credo di aver fallito ogni singola
volta che ho provato.
Meno
male che c'era Warren e la sua ossessione per Sebastian. Quei due
avevano in atto una vera e propria telenovela che faceva un baffo a Beautiful. Mi
aveva fuso un orecchio quella mattina al telefono, raccontandomi per
filo e per segno l'intreccio complicato di intrighi e di tradimenti che
lui e quell'altro avevano messo in piedi. Ovviamente aveva
ascoltato i miei problemi per cinque secondi, per poi decidere che i
suoi erano molto più interessanti. Chissà
perchè
me lo aspettavo...
Nonostante
Will si fosse mostrato recalcitrante a partecipare alla conversazione,
Warren aveva cercato in tutti i modi di coinvolgerlo nelle sue sporche
faccende, per avere opinione maschile.
-
"E chi sarebbe questo Sebastian?".
Dopo mezzora di monologo
sebastiancentrico, a Warren era venuto un colpo; non
si era
mai capacitato del fatto che la gente potesse essere poco interessata
alla sua vita e Will venne istantaneamente declassato da gnocco con
cervello a deve star
zitto, ma è comunque gnocco.
M'intromisi con molto piacere in quel battibecco e risposi alla domanda
che era rimasta in sospeso tra la perplessità del mio vicino
e il cruccio dell'altro.
-
"Presente la dignità? Ecco, Sebastian è colui per
il
quale Warren perderebbe la propria. Ovviamente se ne avesse ancora una".
Mi sedetti sulla valigia e tentai, con un ultimo disperato
salto, di riuscire a far scattare la chiusura. Avrei dovuto fare
rapporto a qualche compagnia aerea. A tutte, anzi, perché
è scorretto chiedere ad una donna di portare solo quindici
chili
di bagaglio. E se fosse piovuto? - e visto che si trattava
dell'Inghilterra, era praticamente una certezza -, o nevicato? Oppure
sole splendente per tutti e quattro i giorni? Bisogna essere
preparate e una donna non può essere preparata con quindici
miseri chili di bagaglio!
Con una certa riluttanza, avevo affidato Romeo a Will e a Kay,
raccomandandomi che non trascorresse troppo tempo con quest'ultima; la
cosa più buffa è che lei pensava che stessi
scherzando. I
due piccioncini Beckett stavano per passare un felice e sereno Natale
in casa di nonna Inge, con i MacCord, Katy e il resto del parentado;
un'occasione più unica che rara per Babbo Natale:
in un
solo colpo, avrebbe potuto distribuire simpatia per tutti.
- "Romeo verrà con noi, tranquilla" aveva detto Kay.
E, a quel punto, ero stata io a pensare che scherzasse. Avevo sbarrato
gli occhi e, mentre mi appropinquavo a rinfilare il mio gatto
sottobraccio, la mano di Will mi aveva fermata e si era riappropriata
della palla di pelo nera che già gli stava facendo le fusa.
- "Andrà tutto bene, Sam" mi riassicurò.
Certo,
sto
lasciando l'unico essere che si curi della mia esistenza nelle mani di
una tizia che odio cordialmente e porterà il mio pargolo in
una
gabbia di nazisti che probabilmente lo cucinerà. Oh,
diamine, ne
faranno sapone da regalare agli amici! È così
grasso che
ne uscirà un quintale.
- "Ripensandoci, penso che lo porterò con me.
Sai, non
vorrei che disturbasse..." tentai, ma la Piattola mi bloccò
con
un abbraccio. Perché mi stava abbracciando? Ci doveva essere
un
qualche strano veleno esotico che agisce a contatto con la pelle.
- "Nessun disturbo. - le mie braccia ritte lungo i fianchi e la mia
espressione tra lo sbalordito e lo schifato non sembravano
infastidirla. Stavamo ufficialmente entrando nel Guinness World Record
per l'abbraccio più lungo e indesiderato del mondo - Buon
viaggio e buon Natale. Ah, quasi dimenticavo: vedrai che c'è
una
spiegazione per il biglietto di Nick ".
D'accordo, il bacio sulla guancia avrebbe potuto risparmiars... cosa? Guardai
Will con il palese intento di trafiggere il suo costato con
una
scarica di schegge immaginarie e vederlo sanguinare fino alla morte.
L'ho
sempre detto che il Natale mi rende più buona.
- "Me lo ha estorto con la forza" si difese lui.
Fece un sorriso per scusarsi di aver vuotato il sacco -
ancora
una volta! - con Kay circa le mie vicissitudini sentimentali ed io
ritrassi gli artigli, preferendo non immaginare quale forza avesse
utilizzato lei per farsi raccontare i fatti miei e del cugino.
- "Come no... grazie Kay, ricambio gli auguri".
Feci per uscire, ma lei mi bloccò.
- "Anche alla famiglia? - la guardai con aria confusa, non capendo del
tutto la sua domanda - Sì, intendo, sono auguri estesi anche
alla mia famiglia?".
- "Ehm... c-certo" balbettai, sempre più convinta della
stranezza della domanda e della ragazza di fronte a me.
- "Quindi anche per Nick?".
Se
l'avessi abbracciata prima, magari sarei riuscita a strozzarla... che
stupida.
- "Come ti pare".
- "È un no? Un sì? Un vedi tu al
momento?".
- "Hai carta bianca" tagliai corto.
- "Mi lasci davvero molta scelta... è una bella
responsabilità. Pensi di riuscire ad essere più
precisa?
Non vorrei trovarmi a dire 'Ehi buon
Natale a tutti da parte di Samantha Grayson, tranne che a te, Nick'.
Sarebbe un po' antipatico, no?".
Stavo per urlarle in faccia quale diavolo fosse il suo problema, quando
mi ricordai che l'astio e il nervosismo che provavo per il
cugino
erano sufficienti per l'intera famiglia e almeno per le prossime cinque
generazioni. Mi calmai e le risposi in tono pacato.
- "Puoi farli a tutti".
- "Oh, che sollievo! Perché nonna farà di sicuro
dei
biglietti di ringraziamento e dobbiamo firmarli tutti, ma se Nick non
è incluso negli auguri, non credo dovrebbe farlo".
Siamo
inglesi, e che diamine! Diciamo più volte grazie, per
favore e mi scusi in
un giorno di quanto lo faccia il resto del mondo in un anno. Non credo
lo ucciderebbe ringraziare per un augurio che non ha ricevuto.
- "Sono per tutti" chiarii, prima che cominciasse una nuova discussione
sull'aria fritta.
Kay espirò a fondo, rannicchiandosi soddisfatta sotto
l'ascella
di Will, che ancora reggeva un lietissimo Romeo. Salutai per un'ultima
volta con un sorriso di circostanza il trio, soprattutto la Piattola
che mi seguì sino all'ascensore e mi salutò con
la mano
finché non si chiusero le porte.
Avevo appena trovato un tardivo regalo di Natale da farle: una bella
seduta dallo psichiatra. Per l'intera famiglia.
Casa dolce
casa.
In
quel momento davvero mi sfuggiva cosa mai ci potesse essere di dolce ad
essere al centro di un pandemonio.
I
miei erano venuti a prendermi in aeroporto e mia madre non aveva fatto
altro che
parlarmi dell'imminente matrimonio di una mia ex compagna di liceo, un
modo molto velato e altrettanto delicato per ricordarmi che l'orologio
biologico scorreva anche per me e che era ora di accasarsi. Mio padre
nemmeno si degnava di ascoltarla, limitandosi a bofonchiare e a
commentare con qualche raro sbuffo di disapprovazione.
Non
appena entrata in casa, vidi Lily correre in bagno a vomitare per via
delle nausee mattutine della gravidanza e rimasi sola con Alex, mio
nipote, mentre i miei bisticciavano tra loro per il menu della serata.
Mamma si mise ai fornelli e papà scese in cantina a
scegliere i
vini da abbinare.
-
"Ciao zia! - Alex mi corse incontro e, quando mi abbassai per
raggiungere la sua altezza, mi depositò un bacio umidiccio
sulla
guancia - Dov'è il tuo fidanzato?".
Non
è meraviglioso essere tornati a casa? Che accoglienza.
-
"E' qui con me, non lo vedi? - fece una giravolta su se
stesso,
ma proprio non gli parve di notare alcuno - E' invisibile... se non lo
vedi è perchè sei stato un bimbo cattivo e Babbo
Natale
non ti porterà niente".
-
"Sam!".
Ops,
Lily mi aveva sentito.
Pensai
che fosse meglio non aggravare la mia situazione, facendole notare
quanto poco fosse attraente in quel momento, con quel cardigan sformato
che la invecchiava di almeno dieci anni e quei capelli legati attorno
al viso cadaverico.
-
"Scusa tanto se stavo cercando di risparmiare una delusione al mio
nipotino preferito" mi difesi, invece.
-
"Zia, sono l'unico che hai." intervenne Alex.
-
"E quindi? Sei il preferito tra tutti i miei non-nipotini che non ho,
contento?". Non ero certa nemmeno io di quel che avevo detto, ma
ormai...
Mi
costrinse a giocare con lui per l'intero pomeriggio, utilizzando la
scusa del non sei mai
qui.
Costruimmo castelli e torri con le lego, finimmo di adobbare l'albero
di Natale ed io scoprii a malincuore che ero troppo vecchia per giocare
a nascondino: lo spazio sotto la scrivania dello studio di mio padre
era davvero piccolo!
Mi domando
come abbia fatto Monica Lewinsky...
Verso
le cinque, mia madre spedì a casa Lily e Alex
perché si
preparassero per la serata. Io presi il cappotto e la sciarpa
dall'attaccapanni e mi avviai a piedi verso il cimitero in cui era
stata seppellita la zia Annie. Avevo bisogno di qualche momento di
tranquillità, in previsione del caos festoso e festivo che
avrebbe animato casa Grayson per i successivi giorni.
La
città era stranamente allegra. Intere famiglie si erano
riversate per strade e negozi, racimolando gli ingredienti per
il
cenone o gli ultimi regali, nonostante il freddo di quella vigilia.
Camminai per quindici minuti, prima d'intravedere da lontano il
cancello spalancato del cimitero. Affrettai d'istinto il passo, come se
ad un tratto avessi un'urgenza fisica di trovarmi di fronte a quel che
mi rimaneva della zia Annie. La sua lettera era accuratamente piegata
all'interno del libro che mi aveva consegnato il signor Kerry, l'amico
della zia, il giorno in cui era morta. Lo trassi dalla borsa e lo aprii
soltanto nel momento in cui mi ritrovai davanti alla lapide; c'era un
mazzo di rose bianche, la brina intrappolata tra i petali, che pareva
essere nato per vivere per sempre, congelato dall'inverno scozzese.
Il
segnalibro era ancora nello stesso punto in cui la zia lo aveva
lasciato.
Non
sprecare il presente a preoccuparti del futuro...
...su
la testa, infilati le scarpe e segui il tuo cuore fino in capo al
mondo.
Non
serviva farlo. Non dovevo seguirlo in capo al mondo, non quando tutto
era così
difficile da interpretare - mi sta
prendendo in giro? -,
eppure così facile
da ammettere - sono
innamorata di lui.
-
"Cosa dovrei fare?" dissi al vento.
Sii la
custode dei tuoi sogni, aveva
scritto la zia nella lettera. Ma come avrei potuto proteggere i miei
sogni, quando nemmeno sapevo quali fossero? Nella mia testa era tutto
così confuso che mi era impossibile pensare con chiarezza a
quello che volevo.
Non
sprecare tempo Samantha, perché, credimi, non ne avrai mai a
sufficienza. Annie
si era raccomandata di fare una cosa
ed io stavo facendo l'opposto: stavo perdendo tempo. Stavo utilizzando
il Natale come scusa per fuggire dai miei problemi, lontano da Londra e
da Nick. Tornare a Glasgow per le feste mi aveva fornito un pretesto
per fare ciò che mi riusciva meglio, quando il gioco si
faceva
duro: scappare. Avrei dovuto sfruttare quei momenti per passarli in
famiglia e rilassarmi, invece che impuntarmi su quanto stava succedendo
nella capitale, a casa o nella testa dei MacCord.
È
Natale, Sam, non Nickale. O ChristSam. O NaviSam. O Nickël.
D'accordo, basta.
Magari,
prima di mettere una ics defintiva sull'argomento, avrei dovuto leggere
il biglietto che mi aveva dato, dopo che mi aveva riportata a casa.
Sì, era ora di prendere la situazione di petto, anche se il
mio
non era proprio voluminoso.
Frugai
nelle tasche del cappotto alla ricerca del foglietto. Le rivoltai,
cercando disperatamente quel pezzo di carta che non avevo ancora avuto
il fegato di guardare. Non c'era. Però ero certa di averlo
messo
lì, perché ero sicura che un giorno mi sarebbe
venuta
perlomeno la curiosità di leggerne il contenuto, se non
proprio
il coraggio. E adesso che ero pronta, che mi sentivo preparata ad
affrontare le conseguenze - in positivo o in negativo - delle parole di
Nick, il biglietto era scomparso.
Ed
ecco che tornavano le paranoie: è
un segno del destino se non lo trovo,
fu il primo pensiero. Significava che semplicemente non dovevo
trovarlo. Ma perché? Perché ciò che vi
è
scritto mi avrebbe fatto troppo male? Oppure perché non era
il
momento giusto? E se invece il fato avesse voluto che io
pensassi
che non era destino, quando in realtà lo era, ma era solo
rimandato e quindi era comunque destino?
Strabuzzai
gli occhi: mi ero incasinata ancora di più le idee.
Chissà per quale motivo mi ero illusa di trovare la risposta
ai
miei problemi in un cimitero. Non ero abbastanza meritevole per
un'apparizione dall'oltretomba, avrei dovuto immaginarlo.
Nemmeno
Casper per un piccolo consiglio?
Sin
still plays and preaches, but to have an empty court,
And
the signs are passin', grip the wheel, can't read it.
Salutai
la zia con un sorriso e una promessa: un giorno avrei imparato a
seguire i suoi consigli.
Per
la cena della vigilia, venni messa al confino accanto a mio nipote.
Quella era la tacita punizione che mamma Grace impartiva a coloro che
dovevano scontare una pena. Non avevo ben capito quale di preciso fosse
la mia - le quotazioni oscillavano tra te ne sei
andata via da Glasgow e dovresti
trovarti un marito -,
ma quella sera accettai di buon grado la scomoda posizione in fondo al
tavolo, lontano dai grandi. Al centro, c'erano Byron e mio padre che
discutevano animatamente di politica e sport, mentre Lily e mia madre,
di fianco a loro, commentavano la riuscita del risotto.
Alex
non mi concesse nemmeno un minuto di tregua; mi sommerse di domande, di
qualunque genere. Se non conosceva il significato di una parola,
chiedeva che glielo spiegassi, e, dopo che mi ero prodigata per interi
minuti a cercare di farglielo capire, o faceva spallucce,
disinteressato, oppure domandava il perché un tal cosa
avesse
proprio quel nome.
C'era
un motivo per cui nessuno voleva mai sedersi accanto a lui.
-
"Cos'è una delusione, zia Sammy?".
Rieccolo
all'attacco, dopo aver colto casualmente un brandello della
conversazione tra suo padre e il mio, circa la stagione calcistica dei
Glagow Rangers.
-
"Hai presente quando hai chiesto un cane e ti è arrivata una
sorellina? Non ne eri molto felice, giusto? - Alex
scosse energicamente la testa - Ecco, quella è una delusione.
-
"E Nick ti ha delusionizzata,
zia?".
Non
mi preoccupai di correggerlo e risposi il più sinceramente
possibile.
-
"Già".
-
"Quindi vuoi metterti con Brody? - chi? Questo Brody mi
mancava all'appello - È
un mio amico. Vive in camera tua, dorme nel tuo letto. Che regalo mi
hai fatto per Natale? Me l'hai già fatto?" cambiò
d'improvviso argomento ed io lo ringraziai in silenzio: i discorsi
sugli uomini in compagnia dei miei mi rendevano parecchio nervosa,
visti i precedenti.
-
"Già pronto ed incartato".
-
"Peccato. Altrimenti potevi andare in camera con Brody e chiamare gli
angeli con lui".
La
forchetta di Lily con un boccone di carne grondante salsa rimase
a mezz'aria, mentre si lasciava sfuggire un risolino. Mia madre,
invece, non lo trovò per niente divertente.
-
"Tua zia ha già chiamato a sufficienza gli angeli, per non
avere ancora la fede al dito".
Arrossii
in un battibaleno: mio padre non aveva mai fatto allusioni
così
palesi; tutta colpa dell'aperitivo alcolico di Lily. Meglio scriverlo
sull'agenda a natale 2011: niente aperitivo.
-
"Stasera vai a letto con Brody?" incalzò Alex, che ancora
non aveva ottenuto risposta.
Il
tracollo era vicino: mamma Grace era sull'orlo del collasso. Byron
tentò di far tacere il proprio figlio e sua moglie si
alzò e mi versò nuovamente del vino rosso; stava
facendo
bere a me tutto quello che a lei non era permesso a causa della
gravidanza.
-
"Perchè devo stare zitto, papà? Brody dorme
sempre nel letto di zia Sam. Lei non c'è mai!".
La
situazione stava sfuggendo al controllo delle rigide regole dei
Grayson: io mi sentivo in colpa per non esserci mai - perchè
mi sono trasferita? -,
il mio posto era stato occupato da un fantasma - è
questa la considerazione che hanno di me? - e il
mio nipotino pensava che io fossi una zitella procace che chiamava gli angeli
con tutti.
-
"E poi, mamma, dov'è Nick? Mi avevi detto che c'era anche
lui".
Guardai
Lily con istinti omicidi.
-
"Non è vero!" si difese blandamente, confermandomi la sua
colpevolezza.
-
"Sì, invece!" ribadì Alex con convinzione.
-
"No-o".
-
"Sì-ì".
Mia
sorella era rimasta senza molte parole da dire, perciò
esitò qualche istante, prima di addentrarsi in una ridicola
lite
verbale con il proprio figlio.
-
"Pettegolo" lo accusò.
-
"Tu, penfegolo!".
-
"Si dice pettegolo!"
lo redarguì Lily con fare da saputella.
Alex
scoppiò in lacrime; non aveva la minima idea di che volesse
dire
quella strana parola usata da sua madre, ma, a giudicare dal tono di
voce utilizzato, doveva essere brutta. Scagliò il piccolo
pugno
sulla tavola imbandita, facendoci sussultare, scese celere dalla sedia
e corse veloce dalla nonna, a rifugiarsi nel suo grembo. Ed ecco che,
sull'onda emotiva causata dal pianto del figlioletto, anche mia sorella
cominciò a frignare.
-
"Sono una madre pessima!" piagnucolò, gettandosi sulla
spalla di Byron.
Stava
annacquando il meraviglioso pollo arrosto di mia madre, ma forse era il
caso di tacere. Anzi no! Lo mangiavo due volte l'anno... che almeno non
me lo rovinasse, lessandolo!
-
"Lily, se devi piangere, fallo sul pudding, per favore!". Utilizzai il
tono più cortese e meno polemico che mi appartenesse.
I
coniugi Grayson non parvero apprezzare il mio humor.
-
"Sam, sono gli ormoni della gravidanza!" mi rimbrottò mia
madre,
dando immancabilmente ragione alla sua bambina sforna-figli prediletta.
Scommetto
che quando l'ha messa incinta, Byron non pensava di averle firmato un
coupon valido otto mesi come giustificazione per qualsiasi cosa.
Lily
e mamma Grace si diedero il cambio per riempire la bocca di Alex fino
alla fine della cena, affinché non vi uscisse nient'altro
sufficientemente compromettente da far vacillare il già
labile
equilibrio in cui si trovava la morale della famiglia, ovviamente a
causa mia.
Ci
fu concesso di alzarci da tavola solo dopo aver implorato la padrona di
casa di smettere di portare altri dolci dalla cucina. Distribuii i
regali che mi ero portata da Londra. Lily mi aveva fornito una
lista completa di cose che avrebbe voluto per sé e per gli
altri, perciò me l'ero sbrigata in poco tempo. Quel che
davvero
era irrinunciabile era vedere l'espressione di mia madre di fronte al
proprio dono; aveva un'aria diffidente, come se tutto quello che veniva
da Londra fosse contaminato radioattivamente o stregato.
Scartò
il pacchetto e ripropose per l'ennesima volta il suo scetticismo, che
malcelava la contentezza di ricevere il suo profumo preferito: Chanel N. 5.
Alex
interruppe il momento solenne, tirandomi la manica della giacca con
veemenza. Mi costrinse ad alzarmi e a seguirlo in camera mia per darmi
il suo regalo.
-
"Ti regalo Amy" annunciò, non senza una punta di orgoglio.
-
"Chi è Amy?".
Se
mi dice un'altra amica immaginaria, siamo nei guai, perchè o
mi
propone una cosa a tre con Brody, oppure pensa che collezioni fantasmi,
come le vecchie fanno con i gatti...
-
"Mia sorella. - Io
e una bambina? Forse era meglio una cosa a tre - Te la regalo. La
vuoi?".
Sam, pondera
le parole, ogni cosa potrà essere usata contro di te in
futuro.
- "È
di tua madre e tuo padre" tentai di spiegargli. Tralasciai la parte
dell'illegalità e conseguente prigione.
Mio
nipote non parve molto ben disposto ad accettare la mia come una
risposta soddisfacente, ma la cosa non era abbastanza
interessante, perciò cambiò domanda.
-
"E io quando divento zio?".
-
"Tra un bel po', speriamo, perché con le ragazze facilotte
che ci sono in giro...".
-
"Cosa vuol dire facilotte?".
Ecco
come si fa a fregarsi con le proprie mani. Stavo per ribattere di
getto, quando mi resi conto di quanto le mie parole sarebbero state
inappropriate con un bambino di quattro anni.
-
"Facili da trom... - sei a casa di
mamma e papà con il tuo nipotino, non con Warren in un bar
gay -
trovare" mi corressi rapida.
-
"E mia sorella è una facilotta?".
-
"No!" sbottai, spaventandolo.
Alex
riflettè per qualche momento: qualcosa non gli tornava, era
evidente dal suo musetto confuso.
-
"Ma io l'ho già trovata: è nella pancia della
mamma".
E
ora che mi sarei inventata?
-
"Ehm... facile da trovare per il suo principe azzurro".
-
"Ah" commentò deluso. Cioè, delusionizzato.
-
"E quando tu hai un bambino, io cosa divento?".
-
"Tesoro, ma ti sei tenuto tutte queste domande per Natale? I miei
bambini - a pensarci, mi veniva l'orticaria - saranno i tuoi cugini".
-
"E quando lo fai, un cugino?".
-
"Quando gli asini voleranno, cucciolino".
Quella
conversazione mi aveva provato fisicamente. Non osavo neanche
immaginare che diavolo significasse vivere con un bimbo di
quell'età tutti i santi giorni. Semmai ne avessi avuto uno,
la
prima cosa da fare sarebbe stato allontanare elementi come Warren dal
pargolo. E anche Kay. Però, a quel punto lei e Will si
sarebbero
già lasciati. Lo speravo, almeno.
Va
beh, era Natale: quale periodo migliore per credere in un miracolo?
Grazie
al cielo, il giorno dopo Lily e famiglia erano stati invitati
dai
genitori di Byron per il pranzo. Casa mia si affollò di
parenti
più o meno noti, tra cui i nonni, qualche prozio e cugini
vari.
Cercai di mimetizzarmi nella folla per passare inosservata, ma molti
riuscirono a braccarmi e, c'era da scommetterci, s'informarono sulla
mia vita sentimentale, ancor prima di farmi gli auguri o complimentarsi
per il lavoro svolto sull'inchiesta. Provai a rispondere in modo
educato, nonostante i toni acidi e indagatori di alcune zie mettessero
a dura prova i miei nervi.
Gli
ultimi invitati se ne andarono solo verso l'una e mezza del ventisei,
quando mia madre stava già cominciando a cucinare per la
giornata successiva. Io caddi a pezzi nel letto, perché
tutte
quelle inutili chiacchiere mi avevano distrutto il fisico e lo spirito.
Io
alla tua età ero già sposata. Sono rimasta
incinta del
terzo figlio a ventitré anni. Ho diciassette nipoti.
Che
diamine volevano da me? Un applauso?
Io
ero sposata con cinquantaquattro paia di scarpe, per figlio avevo un
gatto e avevo un nipote e mezzo. Non era sufficiente?
Quando
venne il momento di ripartire, mia mamma divenne, come sempre, lo
spettro del dolore. Quella messinscena si ripeteva ogni santissima
volta dovessi tornare a Londra.
-
"Te l'ho detto che siamo orgogliosi di te, vero?".
-
"Grace, per cortesia, - brontolò mio padre - è la
quindicesima volta che glielo ripeti oggi. Lasciala andare a casa!".
- "Questa è
casa sua, non là!"
rispose arrabbiata.
E
quel là,
quella misera sillaba, raccoglieva in sé tutto il male
possibile. Perché la capitale era la città del
peccato,
luogo di oscenità e traviamento, di loschi individui. Ma
anche
dell'inespugnabile Regina Elisabetta II. Solo lei teneva alto l'onore
di Londra.
Diedi
un bacio a tutti e salii sul taxi.
-
"Ciao zia! - mi urlò Alex, mentre abbassavo il finestrino -
E, non ti preoccupare, diventerai anche tu una facilotta!".
Tutti
si voltarono bruschi verso di me, poi tornarono ad osservare mio
nipote, in pantofole a forma di squalo, sorridente in braccio a Byron.
Lily, accanto al marito, lo stava rimbrottando con i suoi soliti metodi
spicci; non potevo sentire ciò che si dicevano, ma potevo
vedere
chiaramente mio nipote additarmi, un broncio sul viso per via dei
rimproveri subiti.
Piccolo Giuda.
Prima
che qualcuno venisse a sgridare anche me, urlai 'Parti!' al
taxista, che avviò il motore, lanciando in aria per lo
spavento le pagine di un quotidiano.
I
viaggi di ritorno mi hanno sempre messo malinconia. Vacanze finite
significano valigie da disfare, solita routine da
riprendere, relax che se ne va e stress cittadino che ti
aspetta
sulla porta di casa.
Presi
l'ascensore, accennando un sorriso al portiere del mio condominio e
cominciai a trafficare nella borsa, alla ricerca delle chiavi
dell'appartamento. Avevo il cappotto zuppo di pioggia e i capelli
legati in un frettoloso chignon improvvisato, così instabile
da
farmi temere di vederlo crollare ad ogni passo. Non mi era mancata
l'umidità di Londra.
Evitai
accuratamente di incontrare il mio riflesso nella pulsantiera,
perché mi sentivo così brutta e in disordine che
sarei
stata colta da una crisi isterica di pianto e riso, se mi fossi
specchiata. Ero stanca e infreddolita e avrei voluto mollare il trolley
sullo zerbino di casa e attendere il comitato di accoglienza a cura di
Romeo, Will e quell'altra,
solo dopo essere passata sotto il getto della doccia ed essermi data
una sistemata.
Purtroppo
lo zerbino era già occupato. Nick era appoggiato con la
schiena
alla porta del mio appartamento, le braccia conserte sul petto e lo
sguardo imperscrutabile. Rimanemmo immobili entrambi
per alcuni
secondi, fissandoci a vicenda, in attesa della mossa dell'altro.
Indossava
un giubbotto blu scuro e dei pantaloni grigi di una tuta. Le scarpe da
tennis, i capelli bagnati e le cuffiette dell'mp3 che pendevano dalla
tasca dei calzoni mi fecero capire immediatamente che era uscito per
fare un corsa. Ottima idea, con quell'acquazzone ad allagare strade e
parchi.
-
"Ti sei perso?" dissi, mentre uscivo dall'ascensore, trascinando la
valigia lungo i pochi metri che ci separavano.
Mi
seguì con lo sguardo, ma non si spostò nemmeno
per farmi
inserire le chiavi nella serratura. La sua vicinanza mi stava facendo
agitare e dovetti impormi di non sudare freddo o irrigidirmi troppo
perché una mano tremolante era esattamente ciò di
cui non
avevo bisogno in quel momento.
-
"Passavo da queste parti..." rispose, dopo attimi di silenzio.
-
"Qualche altra informazione da raccogliere?" chiesi scontrosa, dando
una botta alla porta per farla spalancare. Nick mi lasciò
passare e poi entrò a sua volta.
La
temperatura nel salotto sfiorava i diciassette gradi e non riuscii ad
impedirmi di rabbrividire, pensando di dovermi spogliare davanti a lui.
Solo il montgomery fradicio, ovviamente. Lo feci controvoglia
e
misi tutto sull'attaccappanni. Le finestre erano ancora chiuse e solo
la debole luce esterna riusciva a oltrepassare le sottili fessure delle
imposte. Le aprii dalla prima all'ultima, nel vano tentativo di
procrastinare la conversazione e ritrovare un po' di
tranquillità.
Non
ha chiamato. È venuto solo a predere un altro po' di te. Poi
sparirà di nuovo. E tornerà, per rubare un nuovo
pezzo di
te. Non rimarrà nulla. Ti consumerai per lui.
And I
listen for the voice inside my head
Nothin',
I'll do this one one myself.
-
"In effetti, sì. Ero curioso di sapere se fossi ancora viva.
Sei sparita".
C'era
da ammettere che
aveva proprio una bella faccia tosta.
-
"Respiro, come vedi". Nick avanzò verso di me e mi
aprì
la mano, il palmo voltato verso l'alto, e ci poggiò qualcosa
di
piccolo, freddo; scostò le proprie dita, affinché
io
riuscissi a vedere di cosa si trattava: un paio di monete, due sterline
per la precisione.
-
"Nel caso tu non ti possa permettere una chiamata al sottoscritto".
La
sua voce non era accusatoria, era piatta e talmente controllata da
farti impazzire. La calma è la virtù dei forti ed
è proprio
quella che manda al manicomio gli avversari.
-
"Avresti potuto chiamarmi tu!" lo accusai, rimettendogli a forza gli
spiccioli nella mano. Lui mi fissò inerme, quindi
infilò
tutto nella tasca con noncuranza.
-
"Toccava a te. Io ho fatto un passo gigante verso di te, era il tuo
turno di dimostrare qualcosa".
Ero
indecisa se afferrare il manico del trolley ed utilizzarlo come mazza
da baseball per colpirlo o se guardare l'effetto che facevano
le
mie unghie affondate nel suo collo. L'unica cosa che mi trattenne dal
farlo fu la consolazione di vedere finalmente che si stava sbilanciando.
-
"Cos'altro avrei dovuto dirti?" abbassai rapida la voce; Will sarebbe
potuto essere in agguato e in quel salotto c'era già un
odore
nauseabondo di tradimento. Era chiaro come il sole che il mio vicino
gli avesse detto che sarei tornata da Glasgow proprio quel giorno.
-
"Onestamente? - dal suo tono ormai traspariva tutto il risentimento nei
miei confronti - Mi aspettavo un commento al biglietto".
-
"Vuoi il mio commento? - urlai frustrata - Dimmi dove preferisci: lo
vuoi sull'inguine o sul sedere?".
Nick
mi fissò stralunato e qualcosa mi disse che la mia non era
la
reazione che si aspettava. Aprì la bocca, ma dovetti
attendere
qualche secondo prima che effettivamente emettesse un suono.
-
"N-non capisco. Come hai trovato ciò che ti ho
scritto nel biglietto? - Attenta, Sam,
questa domanda è insidiosa... soprattutto perché
non l'hai nemmeno aperto, quel foglietto. Nick
carpì la mia indecisione e cambiò tono. -
Perché l'hai letto, vero?".
La
risposta era no; ero
troppo occupata a fare l'indignata per pensare di aprirlo. L'avevo
appallottolato e cacciato da qualche parte; nella borsa, tra i cuscini
del divano, tra gli abiti nell'armadio, o forse in bagno. Oppure
l'avevo
gettato mentre ero a fare quattro passi nel marsupio di un
canguro. Quel che contava era che il biglietto fosse andato,
scomparso, desaparecido.
-
"Certo che sì!" ribattei. Ovviamente.
-
"Sicura?".
-
"Sì". Dovevo avere l'aspetto fiero di una leonessa, ma
dentro mi
sentivo un coniglio, di quelli pasquali di cioccolata, che si
decapitano con un colpo nemmeno troppo forte. E la ghigliottina era
vicina, molto vicina.
-
"Quindi, come giudichi il contenuto?".
Lo
giudicavo sparito,
al momento.
-
"Era... ehm - gli
occhi di Nick sembravano aver capito tutto - ... inenarrabile".
-
"Definisci inenarrabile".
Tutt'ad
un tratto sembrava incuriosito dal mio vocabolario.
- "Inenarrabile significa
che non può essere raccontato" spiegai pedante.
Nick
sbuffò e roteò gli occhi, scocciato dal mio fare
da
maestrina. D'altronde, era la mia unica occasione per spostare
l'attenzione dall'argomento principale, su cui ero assolutamente
impreparata. Da maestrina a scolara in pochi secondi.
-
"Grazie, genio. Ho una laurea in letteratura inglese ed un master in
teatro; so cosa significa inenarrabile".
-
"Stai attento alle tue piume, - risposi acida - non vorrei che si
rovinassero troppo mentre fai la ruota".
Per
una volta tanto, la sua vanità e lo suo sconfinato orgoglio
mi stavano tornando utili.
-
"Non mi sto pavoneggiando, sto solo esponendoti come stanno le cose.
Torniamo al biglietto".
-
"Mi pare che parli da sé...".
Cambiai
strategia: forse fare la vaga sarebbe servito a mantenere la
conversazione abbastanza astratta e generale da consentirmi di uscirne
in modo onorevole, o quanto meno non con troppe ossa rotte.
-
"Su questo siamo d'accordo".
Mi
sembrava di scorgere la luce fuori dal tunnel: c'era speranza di
rimanere indenne in quello scontro verbale.
-
"Ecco, quindi non c'è proprio nulla da aggiungere".
Nick
si grattò nervosamente la testa, passandosi una mano tra i
capelli umidi di pioggia.
-
"Devo essermi sbagliato" ammise mogio.
-
"Credo anch'io". Ero soddisfatta che alla lunga abbia capito che non
sono più quel genere di persona.
- "E
la tua risposta?".
-
"No".
Avevo
preso una decisione: non avrei continuato con la scommessa, neppure se
mancava solo un uomo, nemmeno per avere la soddisfazione di averla
finita.
Dovrò
pagare? Pagherò, l'importante è chiudere questo
capitolo ed andare avanti.
Nick
sembrò a corto di parole e nemmeno io ero troppo a mio agio
in quel limbo di frasi a metà e segreti.
-
"Okay. Ehm... - si scrocchiò le dita fra loro e si
passò nervoso la mano nei capelli - Ci si vede Sam".
Qualcosa
si era rotto. Lo sentivo, l'avevo capito chiaramente da come era uscito
da casa mia, quando aveva aperto la porta e mi aveva salutato.
Ci si vede
Sam.
Sam.
Potevo
contare sulle dita di una mano le volte in cui aveva usato il mio
diminutivo e non quel ridicolo e derisorio nomignolo che detestavo, Sammy. Per
una volta avrei voluto sentirmi chiamare così.
Mi
stavo convincendo che la chiave di tutto fosse ritrovare il biglietto.
Se solo avessi avuto la minima idea di dove l'avevo ficcato...
maledetta memoria a breve termine!
Richiamai
a rapporto Warren, Valerie e Will per aiutarmi nella caccia al
tesoro; a ciascuno abbinai una stanza della casa, tranne che a Warren,
offertosi volontario per battere -
parole sue - i corridoi del condominio. Il perché si fosse
portato appresso Sebastian rimaneva un mistero, ma mi faceva pensare
che il suo obiettivo primario non fosse trovare il foglietto.
-
"Ho bisogno di trovarlo. Potrebbe essere dovunque, anche nella pancia
di Romeo, per quanto ne so. Perciò, cercate, cercate,
cercate!".
Warren
mi guardò con aria interrogativa e percepii che stava per
dire
qualcosa in merito al mio piano. Infatti, eccolo agitare la mano in
aria.
-
"Ho una cosa da chiedere. - non vedevo, purtroppo, come avrei potuto
impedirglielo - In questo contratto è prevista una pausa
spuntino?".
Lo
fissai annoiata, mentre lui continuava imperituro a scambiarsi occhiate
con Sebastian e a cercare di farsi notare da Will.
-
"Nessuno ha mai parlato di contratto, Warren. - chiarii - Mi state
facendo un favore".
Al
solo sentire la parola favore,
la sua postura si modificò: petto in fuori e gambe ritte
come
due spiedini corredavano gli occhi sbarrati e la bocca spalancata.
-
"Un favore? Per quale assurdo motivo dovrei aiutarti, sottostando alle
tue regole da mercato nero? - si voltò verso il resto della
gang
di lavoratori sottopagati, parlando a bassa voce - Avete visto come ha
cercato di eludere la mia domanda? Si crede furba".
-
"Perché sei una miserabile sgualdrina che se la fa con un
uomo
impegnato e se io volessi potrei spifferare tutto al fidanzato di
Sebastian, che sono certa non esiterebbe un attimo a grigliarti il
fondoschiena per aver adescato quel povero cerbiatto innocente e tonto
del
suo ragazzo. Nulla di personale, Seb" sorrisi, senza rinunciare ad un
aspetto autoritario.
-
"Maledetta! - replicò Warren - Ti adoro quando fai la
gattona.
Nick è un uomo fortunato. E fantastico, meraviglioso,
bellissimo".
Tutti
smisero di fingere di lavorare e si voltarono verso di me, allarmati.
Chiusi gli occhi e respirai a fondo, immaginando gli sguardi minatori
rivolti a Warren e al suo celeberrimo misto di sbadataggine e
superficialità. Quando li riaprii, quest'ultimo aveva le
braccia
piegate, le mani sui fianchi e l'aria da santarellino.
-
"Che vi prende, gente? Avete capito che stavo scherzando, vero? Nick
non è nulla di tutto questo... è brutto,
antipatico e,
per Barbra!, ha un fisico orrendo" mentì, sforzandosi di
essere
credibile.
-
"Non c'è bisogno che tu finga" lo bloccai.
Lui
sì portò una mano sul cuore e espirò
sollevato.
-
"Grazie, Zucchero! Pensavo sarei finito soffocato da tutte quelle
bugie! Non sono abituato, io".
-
"Disse quello che stava con il ragazzo fidanzato..." intervenne Valerie.
-
"Disse quella che indossava una pelliccia di puzzola con la cirrosi"
ribatté Warren seccato, alludendo al poncho di Val, la quale
restituì uno sguardo in tralice.
Dopo
ore di battibecchi e ricerche più o meno approfondite - chi
in
cucina, chi in salotto, chi nella gola del proprio amante -, ci
buttammo sconfitti ed avviliti sul divano. Romeo fece uno scatto da
camera mia ai piedi di Will, pur di accaparrarsi il posto tra le sue
gambe, perdendo almeno qualche mese di vita: non lo avevo mai visto
correre, se non per andare a mangiare nella ciotola.
Il
mio vicino accettò le coccole e gli strusciamenti e tutto
ciò il non fece altro che aumentare i miei sospetti: Kay
doveva
essere una frana in quelle cose, se il suo fidanzato si riduceva a
elemosinarne al mio gatto. Per questo Will doveva lasciarla.
Babbo Natale,
non mi sono dimenticata di quello che ti ho chiesto.
Valerie
fu la prima ad andarsene, seguita da Sebastian - che per una volta
tanto si era ricordato di avere un compagno. Warren si
rifugiò
in cucina a sgranocchiare qualcosa, mentre io e Will rimanemmo in
salotto.
-
"Getta la spugna" mi consigliò.
-
"Sai meglio di me che non posso. - risposi mesta - Voglio sapere cosa
c'è scritto, devo".
-
"Ne sei sicura? Raviolo, semmai decidessi di dargli un'altra chance,
dovrai decidere di fidarti, perché non starete insieme
ventiquattr'ore al giorno...".
Senti chi
parla.
-
"Ah no? Mi sembra che tu e Kay lo facciate sempre..." replicai, ben
consapevole che mi sarei beccata un rimprovero per quanto detto.
-
"Non essere pedante. - disse, infatti - Sono appena tornato dagli Stati
Uniti, siamo stati distanti per settimane. Ci siamo fidati".
-
"Ma per voi è diverso. Tu sei
diverso. Nick ha cercato di fregarmi dalla prima volta che ci siamo
visti, non puoi pretendere che io dimentichi di essere la ragazza
paranoica che sono e mi butti a capofitto in una storia con una persona
che non ha fatto nulla per guadagnarsi la mia fiducia".
-
"Non ti sto dicendo di farlo! Voglio solo che ci pensi bene, prima di
prendere una decisione affrettata. So che la tentazione di scappare da
questa situazione è grande e soffocante; sarebbe
più
facile chiudere defintivamente l'intera vicenda, ma è
davvero
questo ciò che vuoi? Chiuderti a riccio e non lasciare mai
entrare nessuno?".
Odiavo
il vecchio e saggio Will: finiva sempre con il dire qualcosa di molto
intelligente, ed era davvero seccante dover prendere in considerazione
l'idea di guardare le cose dal suo punto di vista.
-
"Ora sei ingiusto: ho lasciato entrare te".
- "A
me pare che ultimamente abbia lasciato entrare molta gente nel suo guscio. Troy
vi ricorda qualcosa?".
Warren
era ritornato in sala, giusto in tempo per rovinare l'atmosfera di sano
dialogo tra me e Will. Quest'ultimo, infatti, lo fulminò con
lo
sguardo, ma lui, come al solito, interpretò a suo modo
l'occhiataccia e ne restituì una sensuale e rovente. Poi
tornò con la tazza di tè in cucina, dopo aver
imprecato
per essersi bruciato la lingua.
Quando si dice punizione
divina.
-
"Sam, andiamo, sai bene che non è la stessa cosa. Noi siamo
amici e quello che c'è stato tra noi non aveva alcun
significato
per entrambi. Nonostante le mie grandi doti da amatore, -
scherzò - è sempre
stato lui quello che volevi".
Appoggiai
la testa sul divano, fissando il soffitto.
-
"Ho paura, Will".
-
"Lo so" disse, avvicinandosi a me e cingendomi con un braccio.
- "E se si rivelasse l'idiota che penso che sia?". Mi mordicchiai un
labbro e mi strinsi più forte a lui.
- "E se fosse un velociraptor che ti stacca la testa al primo
appuntamento con le unghie laccate di rosa?" provò a
sdrammatizzare.
- "Stai sempre cercando di convincermi, giusto? - ridacchiai. - E mi
pare che tu ti sia già schierato" aggiunsi, più
polemica: stava palesemente supportando Nick.
- "Dalla tua, Raviolo. Sempre. Ma forse anche un pochino dalla sua...
facciamo quaranta-sessanta?".
Da
quando l'inchiesta sul giro di prostituzione era emersa, ero stata
invitata ad almeno una ventina di feste. Non ce la facevo
più:
presentazioni, sorrisi falsi, calici di vino e mal di piedi erano la
ricetta base per ognuna di esse e stavo cominciando ad innervosirmi.
Era il ventinove di dicembre, avrei voluto stare sdraiata sul divano di
casa, con la coda di Romeo a solleticarmi i piedi e non nel mezzo
dell'immensa sala riunioni del London
Express, sgombra di tavolo e sedie.
All'inizio,
avevo pensato di disertare, ma Aldwin Feether, uno dei proprietari del
giornale, mi aveva praticamente costretto, stuzzicandomi con la
promessa che ci sarebbe stata una sorpresa per me. Più che
quella tentazione, però, era stata l'idea di avere una
giustificazione per comprarmi un nuovo paio di scarpe, a spingermi ad
accettare di partecipare alla festa.
Nonostante
il quarto d'ora trascorso davanti allo specchio per prepararmi
all'incontro con Nick, – perché era matematico che
ci
sarebbe stato – l'agitazione non era svanita; al contrario,
se
possibile era ancora maggiore. Avevo provato qualche saluto, ma o
sembravo una completa cretina, oppure troppo fredda, o troppo
accaldata, o... troppo innamorata.
E
poi lo vidi entrare nella stanza e intrattenersi con alcuni colleghi.
Sorrideva, stringeva mani, ora prendeva un bicchiere di champagne dal
vassoio di un cameriere di passaggio, ora brindava al successo
dell'inchiesta.
Non
mi vergognai di fissarlo per cinque minuti buoni, in compenso lo feci
quando lui si voltò per caso nella mia direzione, verso il
buffet, e mi scoprì. Si fece improvvisamente serio ed io
distolsi lo sguardo, mentre sentivo le guance prendere fuoco.
Sono
Samantha, ho ventiquattro anni e sono una stalker: ti
seguirò finché non t'innamori di me, direbbe Lady
Gaga.
Tutta colpa del papillon nero che aveva messo sulla
camicia bianca: urlava Strappami! e
non mi capacitavo di come gli invitati non potessero sentire.
- "Anche tu ti sei fatta incantare dai suoi begli
occhioni angelici?".
Alla mia destra, due iridi verdognole mi scrutavano
sorridenti.
-
"Come?" chiesi con gentilezza, sorpresa dall'uomo distinto che avevo
davanti, ma non dalla domanda. Indossava un completo grigio scuro,
senza la cravatta, maldestramente infilata nel taschino della giacca.
-
"Non serve che tu risponda. Ho già quel che volevo"
esclamò affabile, portandosi alla bocca il calice che
reggeva in
mano e gustando un lungo sorso di vino bianco.
- "Davvero? E che cosa sapresti?" lo incalzai,
mentre mi avvicinavo a lui con un'espressione maliziosa.
-
"Conosco il fascino dei MacCord" rispose sicuro di sé. Con
uno
stuzzicadenti infilzò un'oliva, facendola roteare su se
stessa
per un paio di volte, prima di decidersi a mangiarla.
-
"Anche io, ed ho imparato ad esserne immune. – mentii,
invano. Se
mi aveva beccato a fissare a Nick, sapeva che ero malata di maccordite senza
possibilità di guarigione. – Sai, è
come le
sigarette: una volta provate è difficile smettere,
continueresti
a fumare, ma poi scopri che fa male e inizi a chiederti se è
valsa veramente la pena rovinarsi la salute per un piacere effimero e
passeggero".
Lo sconosciuto tacque per un istante, mentre
scandagliava mentalmente quanto avevo detto.
- "E ne è valsa la pena?" chiese, infine.
- "I miei polmoni stanno benissimo".
- "Ne deduco che sia un sì".
- "No, – sorrisi beffarda. – La
verità è che non mi è mai piaciuto
fumare".
Rise debolmente e nascose la propria bocca
divertita dietro un tovagliolo.
- "Sei proprio come mi avevano detto".
Più
lo guardavo – l'aria altera, i modi di fari sicuri e spavaldi
–, più mi rendevo conto che mi stavo perdendo
qualcosa.
Chi era quell'uomo?
- "Non sapevo saresti venuto".
La
voce di Nick ci colse entrambi impreparati. Poggiai sul tavolo la
pizzetta che stavo per mangiare, prima di soffocarmi. Il tizio
accanto a me abbassò lo sguardo sulle proprie scarpe, senza
smettere di sghignazzare, e gli rispose con una voce impostata.
-
"Non potevo mancare alla celebrazione di un tuo successo
così
importante, ti pare? E poi mi sono appena imbattuto in questa ragazza
deliziosa di cui avevo tanto sentire parlare; mi sembra già
di
conoscerla".
- "Se mi conoscessi, sapresti che il successo
così importante è
di entrambi e non solo di Nick" intervenni risentita. La gente, per
qualche strana ragione, continuava a dimenticare questo particolare.
Ehi,
ho rischiato anch'io di morire al porto di Brighton!
- "Di certo non le manca la grinta. Hai ragione,
Sammy. Posso chiamarti Sammy, non è vero?".
-
"No che non puoi, – lo interruppe bruscamente Nick,
lanciandogli
un'occhiata di sbieco. – Odia essere chiamata in quel modo".
Lo
sconosciuto alzò stupito un sopracciglio e si
lasciò
sfuggire un mezzo ghigno, mentre concentrava la propria attenzione sul
tavolo pieno di vivande alle nostre spalle.
-
"Strano. Mi sembrava di ricordare che tu usassi quel nomignolo..."
disse, fingendo di trovare interessante una quiche al prosciutto.
Nick gli si avvicinò di un passo,
arrivando ad una spanna dal suo naso.
- "Hai detto bene:
io".
M'intromisi
di nuovo, trattenendo a stento un gridolino di contentezza per la frase
rabbiosa che aveva pronunciato un insolito Nick nei panni dell'uomo
geloso.
- "Non c'è alcun problema. Mi sto
abituando ad essere Sammy"
squittii, con l'aria più civettuola e da gattamorta di cui
fossi
capace. – "Visto, Nick? – lo sfidò.
– Posso
offrirti un bicchiere di vino, Sammy?".
Declinai
l'invito, adducendo come scusante il fatto che nemmeno conoscevo la sua
identità. L'uomo si rivolse nuovamente a MacCord che dovette
ancora far prevalere l'educazione sulla volontà di tirargli
un
cazzotto.
- "Sam, Dan. Mio fratello" pronunciò
controvoglia.
- "Oh, finalmente! – esclamai
meravigliata. – È un piacere, Danny. Ora sono pronta ad accettare quel bicchiere di
vino".
Dan non era esattamente un MacCord puro. Niente occhioni
angelici del
padre e del fratello, ma lineamenti molto simili a quelli di sua madre
e della nonna Inge. Aveva un fisico asciutto e non mancava certo di
fascino – soprattutto dopo il siparietto con Nick
–,
però sembrava puntare più sul proprio intelletto
che sul
corpo.
Ci spostammo di qualche metro e lui prese un calice
per entrambi, porgendomi il mio.
-
"Per quanto tu possa essere una compagnia affascinante, il mio ego non
dimenticherà facilmente questo sgarbo, –
commentò,
mentre osservavamo il fratello parlare con alcuni signori. –
Non
mi era mai capitato nella vita di offrire da bere ad una donna
così poco interessata a me... ".
- "Avevo voglia di vino" lo interruppi.
-
"Non mi hai lasciato finire: così poco interessata a me e
così attratta da mio fratello. Allora, che ha fatto di male
per
meritare di rodersi il fegato dalla gelosia, guardandoci a distanza?".
Quante
ore aveva a disposizione per ascoltarmi? Perché qualche
minuto
non era di sicuro sufficiente per riassumergli i miei ultimi sei mesi.
- "Lo sto solo testando. Me ne ha fatte passare di
cotte e crude e adesso voglio tenerlo un po' sulle spine".
Optai per una risposta abbastanza diplomatica da
permettermi di non dire troppo né troppo poco.
- "Flirtando con me?" chiese curioso.
- "Flirtando con te" lo accontentai.
-
"Bastava dirlo. Quindi ora mi avvicinerò a te, tu fingerai
di
ridere ad una mia battuta e mi toccherai il braccio. Esatto, in quel
modo, – mi rassicurò, tenendo un occhio vigile sul
comportamento di Nick. – Adesso ti sussurrerò
qualche cosa
all'orecchio e a quel punto vedrai che lui imploderà. Non
farti
vedere che lo stai guardando".
Era
incredibile constatare quanto mi risultasse facile applicarmi per farlo
ingelosire: sapevo che era una cosa buona e giusta. Sbirciai da dietro
la spalla di Dan e mi accorsi che non era più accanto ai
signori
con cui stava parlando in precedenza: stava uscendo sulla terrazza.
-
"Mi vergogno di averlo come fratello; avrebbe dovuto resistere di
più. Che aspetti? Vai fuori a fumare!" sussurrò,
dandomi
una spinta verso la porta finestra.
- "Ma io non fumo!" tentai di replicare. Dan mi
sorrise sornione.
- "Comincerai".
Il
quartetto d'archi stava suonando. La musica ci giungeva ovattata dal
vetro delle finestre e dal freddo di quella serata di Dicembre. Il
balcone era piuttosto stretto e si estendeva per parecchi metri lungo
tutto il lato del palazzo. Alcuni
signori stavano prendendo una boccata d'aria per togliersi dalle
orecchie la confusione della festa, altri fumavano. Nick era isolato da
tutti e osservava in silenzio il caos sottostante della capitale.
- "Si gela qui fuori" dissi, coprendomi con le mani
le spalle.
- "Torna dentro, allora" esclamò
scostante.
Mi avvicinai di un passo a lui e, anche se non si
era degnato di voltarsi, notai che aveva in mano una sigaretta.
- "Non sapevo fumassi".
- "Una ogni tanto".
- "Posso fare un tiro?".
Mi porse la sigaretta ed io la intrappolai tra
l'indice e il medio della mano destra.
Gli
soffiai sul viso il fumo e la sua immagine offuscata riemerse poco a
poco da quella nebbiolina leggera. Il sapore di tabacco in bocca mi
aveva sempre infastidito e, a dire il vero, non sapevo nemmeno
perché gli avessi chiesto di farlo.
-
"Simpatico tuo fratello. Siete molto diversi; lui è
affabile,
gentile, garbato... ". Tolse brusco quel che rimaneva della sigaretta
dalle mie dita e riprese a fumare. Espirò frenetico e
gettò il mozzicone per terra con stizza, calpestandolo con
la
scarpa.
-
"Torna dentro, ti ripeto, – disse freddo e si
appoggiò con
i gomiti alla ringhiera. – Dan sarà ancora al
buffet, se sei
fortunata".
- "Sei geloso?" lo stuzzicai.
- "Geloso di cosa? Di voi due che bevete insieme?
Ma per favore".
Si volse di nuovo verso la vetrata dell'ufficio, le
braccia tese sul parapetto.
- "Mi ha chiesto di uscire e penso proprio che
accetterò" mentii.
- "Buon divertimento".
Fece per entrare, ma lo bloccai. Lo condussi in un
angolo isolato del terrazzo, dove nessuno ci avrebbe visti o disturbati.
- "Non ci sono problemi se esco con tuo fratello,
vero?".
Lo
inchiodai al muro con una mano sul suo petto e lo interrogai,
aspettandomi delle risposte brevi e concise. Lui mi guardò
con
un'espressione confusa, piena di sospetto e d'indignazione.
- "Assolutamente" grugnì a denti
stretti, sforzandosi di sorridere.
- "Perché posso fare quello che
voglio... ".
- "Assolutamente" ripeté.
- " ... e tu non mi ostacolerai".
- "Assolutamente".
Scossi
piano la testa e spostai la mia mano dal suo torace. Saremmo potuti
rimanere lì tutta la notte e lui non avrebbe smesso di
negare
fino alla morte di essere infastidito. Come potevo essermi innamorata
di uno che era testardo almeno quanto me?
-
"Sarai anche un giornalista di successo, ma sei veramente un idiota,
Nicholas MacCord" esclamai piano, perché capisse appieno il
significato di ogni singola parola.
- "Assolut... come?".
- "Sei un idiota. I-d-i-o-t-a" ripetei.
A quel punto, Nick si scostò dal muro e
si sporse verso di me.
-
"Perché? Che cosa vuoi da me? Vuoi ignorarmi per tutta la
sera?
Perfetto. Vuoi uscire con mio fratello? D'accordo. Vuoi fingere che
l'altra sera non ci sia stato niente tra noi? Va bene. Non vuoi
più vedermi? Come ti pare. – Stava gesticolando
come un
pazzo. Più che una lite sembrava un numero di magia.
Abracadabra: amami. –
No, in realtà non mi sta bene nulla di tutto questo, ma se
è quello che vuoi, allora fingerò anche io".
Lo fissai con astio, spintonandolo all'indietro.
-"Tu non sai quello che voglio".
- "No, ma so quello che io voglio. Entrambi lo sappiamo. Ed è
indelicato da parte tua farmi sapere che andrai ad un appuntamento con
Dan".
Benvenuti
nel cervello di Nick MacCord, regno dei paradossi.
- "Non trovi sia indelicato usarmi
per fare uno scoop? Non è stato indelicato fingere
di essere qualcun altro, sapendo che mi avresti ferito? È indelicato essere venuto a Glasgow per fare ricerche su Banks
e stare a casa mia, non credi? E non è forse stato
indelicato farmi credere che stessi con Katy?".
- "Quella era una tua supposizione!" si
giustificò. Certo, quindi la matta visionaria ero io!
- "Ripeto, sei un idiota. Sarà bene che
te lo ficchi bene in quella testaccia che ti ritrovi".
-
"Ora non fare la maestrina, per cortesia, – irruppe lui, in
difesa del suo sacro orgoglio maschile. – Non sei di sicuro Miss
Immacolata nemmeno
tu!".
-
"Io? Almeno non sono stata a letto con dieci donne solo per una
scommessa. E dico dieci perché mi ricordo perfettamente
delle
cretine Candy e Jamie".
-
"Vogliamo parlare di te, allora? Escludendo Warren e il fotografo,
direi che ti sei data piuttosto da fare anche tu. Non ricordi un certo
Troy?".
Troy
era finito nel dimenticatoio alla velocità della luce. Era
stata
colpa di Nick se c'ero finita a letto e non solo per la scommessa. Ero
delusa, ferita, sconvolta e arrabbiata. Volevo solo vendicarmi, in un
modo assolutamente stupido e inutile, perché se davvero non
gli
fosse importato nulla di me, di certo non gli sarebbe interessato di
sapermi tra le braccia di un altro. E ora quell'errore madornale,
quell'errore di una sera, stava diventando la più solida
prova
di fiducia che Nick mi potesse fornire. Il fatto che gli bruciasse e la
consapevolezza di avermi spinto a casa di Troy erano tutto
ciò
che avevo e volevo.
In
quel momento, capii che andando su quel terrazzo, con lui, a tentare di
farlo ragionare, a spiegarci, significava avere già compiuto
una
scelta: mi stavo fidando.
Gli
arrivai vicino al mento e lo fissai con malizia. Calibrai bene le
parole da dire e le pronunciai, conscia di non poter tornare indietro.
- "Con Troy è stato fantastico"
sussurrai quasi in estasi, prima di baciarlo.
Oppose
resistenza, serrando deciso la bocca come avevo fatto io sul suo
fuoristrada, ma non mi diedi per vinta e continuai a mordergli le
labbra, a succhiarle e a passare con pazienza la lingua nella
strettissima fessura tra le labbra. Mi allontanò di una
decina
di centimetri da sé, serio, fissandomi con insistenza negli
occhi.
- "Non così facilmente. A che gioco stai
giocando?".
- "Non sto giocando".
- "Stamattina mi hai respinto e stasera fai la
carina con me..." mi spiegò, perplesso.
- "Non ti ho mai rifiutato!".
Nick
mi osservò di traverso, scettico. Si prese un attimo per
pensare, mentre cercava di mettere a fatica insieme pezzi di
conversazioni e avvenimenti.
- "Sammy, hai letto il biglietto che ti ho dato
qualche settimana fa?" domandò, d'un tratto.
Mi presi il viso tra le mani, maledicendo la sua
cocciutaggine e la sua razionalità: non potevamo solo
baciarci?
-
"Perché vuoi rivangare il passato? Ho deciso di dimenticare
la
scommessa, di fidarmi di te, nonostante quello stupido pezzo di carta"
mi lagnai.
- "L'hai letto sì o no?"
insisté.
- "Che importanza ha?". Pessima scelta di parole,
semmai lo avessi voluto convincere.
- "Ti ho fatto delle promesse quella sera nel mio
fuoristrada ed ho intenzione di mantenerle. Avevo, perlomeno – che
brutto tempo l'imperfetto. Possiamo continuare ad usare il presente,
Nick? - L'hai letto?".
Promises
are whispered
The
age of darkness
Want
to be enlightened
Like
I want to be told the end...
- "E va bene: no" mi arresi.
- "Perché?" urlò.
Strinse
i pugni e cominciò ad andare avanti e indietro lungo i pochi
metri di balcone che rimanevano all'oscuro dalle luci.
-
"Perché ho pensato al peggio, che non fossi cambiato e che
avessi intenzione di continuare la scommessa. Cosa di cui non sono
certa nemmeno ora" aggiunsi, esitante.
- "E allora che senso ha tutto questo? Tu non ti
fiderai mai" gridò, confuso e irato.
-
"Non è vero, perché ora sono qui, nell'ennesimo
patetico
tentativo di starti vicino e spogliarti il più presto
possibile
– Perché
finisco sempre col dire proprio tutto quello che penso? – E
ho deciso di fidarmi, nonostante non abbia la minima idea di quello che
c'è scritto sul biglietto. Mi sto sforzando di lasciar
perdere i
miei numerosi patemi d'animo e di prendere l'intero pacchetto a scatola
chiusa".
- "È il tuo modo contorto per dimostrare
che mi credi?".
- "Non ne ho di migliori" ammisi mestamente.
- "Forse uno sì...".
Finalmente,
quella sera capii l'utilità del corrimano dell'ascensore.
Nick
fece scorrere verso l'alto la gonna del mio tailleur, toccandomi le
cosce
con le sue mani forti. Avevamo cinquantadue piani di tempo: niente
preliminari. Gli strinsi le mani sulle guance e lo baciai con passione,
saggiando la sua lingua con ingordigia. Nick sbottonò la mia
camicia, mentre io gli slacciavo la cintura e la zip dei pantaloni.
- "Sei impaziente..." mi soffiò sulle
labbra, con voce rauca.
Indirizzai gli occhi verso la pulsantiera e lessi.
- "Quarantuno piani" gli risposi e quelle uniche
due parole gli fornirono una giustificazione più che
sufficiente.
Mi
tolsi rapida gli slip e li lasciai impigliati nella scarpa per non
farli toccare terra. Nick mi strappò un gemito, quando,
senza
gentilezza, intrufolò due dita tra le mie cosce.
Trentaquattro
piani.
Lo
baciai sul collo, lasciandogli tracce di rossetto porpora sul colletto
della camicia. Poggiò una mano sul mio seno, mentre mi
aiutava
a sistemarmi meglio – per quanto fosse possibile –
sul
corrimano. Quando si accorse che ero già pronta ad
accoglierlo,
sorrise diabolico ed entrò con foga dentro di me, muovendosi
ritmicamente, facendomi sospirare ad ogni affondo.
-
"Dio, come sei bella" sussurrò nel mio orecchio, con un tono
caldo e sensuale che mi provocò il solletico lungo tutta la
spina dorsale. Mi appoggiai sul suo petto e gettai la testa
all'indietro, totalmente assoggettata alle sue mani e alla sua bocca,
sul collo e sul seno.
Diciotto
piani.
-
"Dovrò aumentare il ritmo. Ti dispiace?" ghignò,
fermandosi qualche istante per rinsaldare la presa sui miei fianchi e
riprendere fiato.
- "Niente affatto" gli soffiai sulle labbra.
Quindici
piani.
Come
promesso, riprese a muoversi più veloce; affondai le unghie
nella sua camicia per avvicinarlo il più possibile a me e
ansimai i suoi movimenti che si facevano via via più
profondi.
- "Nick!" biascicai, con l'ultimo briciolo di
lucidità rimasta, prima di raggiungere l'apice insieme a lui.
Sette
piani.
Mi baciò sulle labbra a lungo, senza
abbandonare la sua posizione tra le mie gambe.
Due
piani.
Il
trillo dell'ascensore ci ricordò che stavamo per arrivare al
piano terra e che eravamo ancora mezzi spogliati. Cominciamo a
rivestirci in fretta, per evitare di mostrarci mezzi nudi una volta che
le porte si fossero aperte. Mi sistemai alla bell'e meglio, senza
riuscire a staccargli gli occhi di dosso; era bello, sexy, eccitato ed
eccitante.
Tempo
scaduto; le porte si spalancarono e una coppia sui settanta ci
guardò cordiale, nonostante Nick avesse le labbra contornate
da
un alone rossastro di rossetto sbavato e il papillon sfatto ed io fossi
terribilmente a
disagio, con i bottoni slacciati. Se solo avessi avuto un minuto per
ricompormi
in modo decoroso... mancavano almeno trenta secondi buoni per
sistemarmi e rendermi presentabile.
Cavolo. Mancavano
le mutandine.
Abbassai
il volto verso il pavimento, alla ricerca degli slip perduti, mentre i
due anziani trovavano spazio proprio davanti a noi. Il mio povero
brasiliano di pizzo era finito nell'angolino di sinistra, accanto al
signore baffuto che accompagnava verosimilmente la moglie. Nick parve
capire al volo ciò che stava frullando nella mia testa e si
allungò finché vi ci poté poggiare la
scarpa.
L'ascensore si bloccò.
- "Non è il vostro piano, ragazzi?'"
domandò la signora.
- "No, - risposi per entrambi - ho dimenticato una
cosa al piano di sopra" mentii.
Il marito premette il pulsante, mentre la voce
serafica di Nick mi sussurrava nell'orecchio.
- "Le mutandine, forse?".
Abbassai lo sguardo, imbarazzata, sentendomi andare
a fuoco il ventre al solo sentire il suo respiro sulla nuca.
La
coppia anziana scese al terzo piano, permettendomi di tirare un sospiro
di sollievo e di tornare presto tra le braccia di Nick.
- "Salvataggio in extremis, eh, Sammy?" disse,
alludendo a quanto nascosto sotto la sua scarpa verniciata di nero.
Di nuovo al piano terra, stavolta riuscimmo a
lasciare l'ascensore prima ed il palazzo poi.
Gettammo gli slip, ormai imbrattati, in un cestino
ed io fui costretta ad andare in giro senza.
Nick passò un braccio dietro la mia
schiena, attirandomi a sé.
- "Non si era detto 'niente
effusioni in pubblico'?"domandai curiosa.
-
"Non avevo considerato il fatto che avresti potuto vagabondare per
Londra senza mutandine. E, a proposito, la cosa mi eccita da morire"
sospirò tra i miei capelli.
- "Buono a sapersi..." lo stuzzicai.
- "Verrà mai il giorno in cui
riuscirò a capirti? Sei dannatamente complicata, Samantha
Grayson".
- "Semmai staremo ancora insieme... – stare
insieme? –
cioè, voglio dire... sai, sono una persona imprevedibile...
non è per questo che mi am...?".
Oh,
cavolo. Che mi venga un colpo.
Mi
zittii in un istante, il viso colorato di rosso vergogna di fronte alla
maschera di puro divertimento che era la faccia di Nick.
- "Am... cosa?" ridacchiò.
Un
verbo con la A, un verbo con la A, un verbo con la A...
- "Adombri" sputai veloce, come se fosse veleno.
Adombrare?
Sul serio? Ammirare era
troppo difficile? Adorare? Abbracciare?
- "Adombri?" ripeté lui,
palesemente rallegrato dalla sfilza di mie pessime figure.
- "Sì, ehm... ho dimenticato la borsa, devo tornare su. Ci
sentiamo domani, okay?".
Scappare sembrava l'unica soluzione per sfuggire a quella catastrofica
sequela di gaffe che io stessa avevo provocato. Nick cercava di
contenersi, ma non gli riusciva molto bene. Bloccò la mia
fuga,
prendendomi per un polso e facendomi voltare verso di lui.
- "Non te ne vai da nessuna parte, Sammy". Mi catturò tra le
sue
braccia, poco prima che la voce di Dan ci costringesse a spostare lo
sguardo all'ingresso del palazzo della redazione.
- "Nick, non stai forse dimenticando qualcuno? Sono venuto in taxi ed
ho intenzione di tornare a casa con te" brontolò suo
fratello.
- "Trovati un passaggio".
- "Non fare lo scorbutico, – lo
rimbrottai. – Vi
vedete così poco...".
- "Dormi a casa mia" provò di nuovo Nick.
- "Domani mattina dobbiamo fare colazione con la nonna alle sette e
trenta. Meglio dormire direttamente a casa di
papà e mamma".
Nick cominciò a fare un paio di calcoli, pur sapendo che non
c'era modo di trascorrere ciò che restava della notte
insieme.
- "Porto lui dai miei, torno, dormo con te un'ora e poi riparto. Ah, la
vedo dura. Sammy, lo so che sei ancora nella fase in cui mi vedi come Superman, perfetto, ma purtroppo te lo devo dire: non lo sono".
- "Non c'è mai stata quella fase" lo informai seria.
- "Ci sarà sempre, invece! Chiamami quando torni a casa.
Verso
le dieci, prometto di venire a portarti la colazione a letto. Facciamo
che ti porto la colazione e che ti porto a letto" disse, abbassando la
voce.
Mi avvicinò a lui e mi baciò sulle labbra.
Decisi
che avrei chiesto un passaggio a Valerie, non appena fossi riuscita a
braccarla nella confusione della festa. Purtroppo, quando ritornai
nella sala riunioni, Aldwin Feether m'informò che l'aveva
appena
vista dal balcone lasciare il palazzo a bordo di una Spider, quella di
suo marito Jonathan.
- "Ma non ti preoccupare, sono sicuro che qualcuno
ti porterà a casa, cara".
Aldwin
era un vivace signorotto sui settanta, coi capelli impomatati e
un'acqua di colonia talmente forte da battere in intensità
un
intero campo di lavanda in piena fioritura. Si era levato la giacca
già da parecchie ore, lasciando in vista la pancia strizzata
in
una camicia turchese e le bretelle scure. Mi prese sottobraccio e
cominciò a passeggiare lungo la stanza, trascinandomi con
sé. Al terzo giro di sala in cui discutevamo del prezzo del
petrolio in Kazakistan, lo fronteggiai, gli misi una mano sul petto e
lo fermai.
- "Che c'è, Aldwin?" domandai sospettosa.
I
suoi folti baffi neri si arcuarono per la sorpresa. Non riuscii ad
interrogarlo, perché mi sfuggì da sotto il naso,
correndo
goffamente verso il centro della stanza. Soltanto in quel momento mi
resi conto che tutta la gente era fluita verso una parte della sala e
che eravamo rimasti solo io e il quartetto vicino al buffet. Gli
invitati mi fissavano con insistenza, le bocche sorridenti e lo sguardo
sereno, come di chi sapeva esattamente ciò che stava per
accadere.
Perché
mi guardano tutti? Oddio, ho un pezzo di prezzemolo tra i denti? Troppo
piccolo perché lo possano vedere tutti. Una foglia di
lattuga sui capelli? Carta igienica attaccata alle scarpe? Oh,
Gesù, dimmi che non sanno tutti che sono senza mutande!
Un
blackout intervenne a salvarmi da quell'imbarazzante situazione; ci
ritrovammo al buio, la stanza rischiarata dal debole riflesso delle
luci artificiali delle vie di Londra sotto di noi e dal segnale verde
che indicava le uscite di emergenza. La cosa non parve affliggere la
festa: non ci fu nessun chiacchiericcio preoccupato, nessuna
rassicurazione da parte dei padroni di casa, solo qualche risolino
diffuso, presto soffocato.
Prima
che potessi rendermi conto di ciò che stava succedendo, un
grosso faro pendente dal soffitto si accese ronzando, e
illuminò
me e il quartetto. Mi guardai attorno a disagio, mentre mi riparavo gli
occhi da quella luce penetrante che mi scaldava la pelle.
- "Che sta succedendo?" gridai stridula.
I
violini cominciarono a suonare una melodia conosciuta, mi ci vollero
pochi secondi per riconoscere la canzone che le note stavano componendo: My
heart will go on. Celine Dion.
Molto
efficace, anche se un po' struggente e catastrofica, sconsigliabile in
caso di viaggi in nave, soprattutto se traversate transatlantiche.
Altro
che nonna Inge... Nick stava per presentarci come coppia ufficiale
davanti a colleghi e amici; come al solito aveva previsto tutto.
Certo,
tutto quell'impianto non era proprio nel mio stile – un
tantino
pomposo e megalomane e sdolcinato – e di sicuro l'indomani
avrei
dovuto fissare un appuntamento dal dentista per controllare le carie.
Ero
terribilmente a disagio: musica in sottofondo, centinaia di occhi che
immaginavo puntati su di me e faro effetto abbronzante schiaffato su di
me significavano tonnellate d'imbarazzo. Avrei preferito - e di molto!
– un divano, lo stereo, luci soffuse e un ben più
riservato tête-à-tête.
La
porta in fondo alla sala si spalancò, aprendo un fascio di
luce
che si allungava man mano che l'uscio si allontanava dal battente. Il
raggio mi lambì i piedi, un attimo prima che una figura
maschile
si delineasse sulla soglia della stanza, riempiendo d'ombra la luce.
La
silhouette slanciata e ben costruita era illuminata posteriormente;
avanzava verso il piccolo corridoio creato per la serata con un
andamento che trasudava sicurezza. Ad ogni suo passo corrispondevano
almeno tre battiti del mio cuore. Stavo tremando come una foglia e
avrei voluto andarmene a gambe levate. Veloce, in bagno, scambiarmi con
un Warren – magicamente apparso proprio nella toilette
–
che avrebbe gradito di certo tali esagerate attenzioni.
L'uomo
avanzò verso di me e abbassò un braccio per
allungarlo
lungo il fianco, rivelando di avere in mano un oggetto di forma
pressoché conica: un mazzo di fiori.
La
tensione e l'attesa mi stavano logorando; il tavolo del buffet era
troppo lontano per prendere in considerazione l'idea di cercare
un'arachide e sperare in un provvidenziale shock anafilattico che mi
togliesse da quell'agonia.
Era tutto troppo sbagliato, così lontano
dal mio modo di fare e di intendere una dichiarazione d'amore.
Sam,
vuoi davvero stare con uno che ti organizza tutto questo?
E
rieccola che tornava, la voce della coscienza, pronta a mettere in
dubbio ogni mia (non) certezza. No, che non ci volevo stare. Chiusi gli
occhi, mentre la figura che sapevo appartenere Nick macinava gli ultimi
metri che ci distanziavano.
- "Apri gli occhi, passerotta".
Quel soprannome me li fece spalancare in un baleno.
Ma
che diavolo...?
- "Ralph?" gracchiai sorpresa.
La
mia voce venne sovrastata dall'inopportuno acuto di Celine Dion.
Incravattato e imbellito come al proprio matrimonio, il rapper
più discusso degli ultimi mesi ridacchiò giulivo
del mio
stupore e mi porse un mazzo di rose rosse. Che originalità!
- "È finalmente arrivato il momento,
amore mio".
Il
momento di farti internare?
Le
luci si riacceso e scoprirono i volti complici di tutti gli invitati; i
mariti osservavano la scena vagamente annoiato, al contrario delle
donne, l'aria sognante per il traboccante – e presunto
–
romanticismo del gesto. Ralph d'improvviso s'inginocchiò e
sfoderò dalla tasca interna della giacca una scatolina da
gioielleria. Lo guardai terrorizzata ed inorridita aprirla, svelando un
grosso diamante, montato su un'ingombrante base di oro giallo.
- "Lady Samantha Ellen Grayson di Glasgow, vuoi
diventare la signora Ralph J?".
Nella
mia vita passata dovevo essere stata qualcuno di molto cattivo: un
dittatore sanguinario, un omicida seriale, un boia, un bambino
mangiacaccole o l'inventore della bomba atomica, perché non
era
possibile che mi cacciassi costantemente in situazioni al limite del
surreale.
Più
guardavo quell'anello, più realizzavo che la situazione mi
era
del tutto sfuggita di mano. Ralph J mi stava chiedendo in moglie. Io e
lui. Disastro garantito.
E
poi quella presentazione da proposta di matrimonio del Settecento!
Nemmeno il signor Darcy si era rivolto a quella maniera a Elizabeth
Bennet.
- "Sam? – mi richiamò.
– Allora? Hai un sì da
pronunciare, fragolina". Sorrise e si voltò verso gli altri
invitati, in cerca di approvazione e complicità.
Vediamo...
come dire ad un uomo che hai già rifiutato una volta, con
cui
sei andata a letto per una scommessa, a cui hai promesso che un giorno
sareste stati insieme, che hai aiutato ad uscire dal carcere dopo
un'accusa di favoreggiamento della prostituzione, che ha
l'età
cerebrale di tuo nipote di quattro anni, che ha organizzato una
dichiarazione del genere davanti ad una folla adorante di un centinaio
di persone... bene, come dirgli che l'ultima cosa che vorresti fare
nella vita è sposarlo?
-
"Possiamo parlare in privato?" provai a prendere del tempo per trovare
il modo di edulcorare almeno un pochino la realtà.
- "Sentito, ragazzi? La mia crostatina deve parlare
con me. Tutti fuori!".
- "Fermi! Ralph, usciamo noi, d'accordo?".
Ralph
si avvicinò e mi bisbigliò sul viso, mentre il
resto
degli astanti tentava disperatamente di tendere le orecchie e carpire
almeno qualche stralcio di conversazione.
- "Pesciolina, ma quando dici che vuoi 'parlare',
intendi che vuoi fare del sesso? – s'informò,
confuso.
– Perché altrimenti posso fare qualche flessione e
gli
addominali risulteranno più tonici".
Lo guardai inorridita e lo trascinai nell'ufficio
più vicino.
-
"Senti, io ti voglio bene, davvero, e sono contenta di vederti fuori di
prigione. Però, non ci conosciamo: non sai che odio le rose
rosse, non sai che il mio secondo nome è Eleanor e non
Ellen,
non sai che non indosso mai l'oro giallo perché... beh,
perché è giallo e non mi pare s'intoni molto bene
con il
mio colorito. Sono piuttosto pallida e purtroppo devo andare
controtendenza: niente colori fluo per me, sembrerei un cadavere
rifrangente. Un tragedia, no? Ad ogni modo, capisci cosa ti sto
dicendo?".
Ralph annuì vigorosamente, come un
soldato avrebbe fatto con un comandante, gli occhi sbarrati e
l'espressione vacua.
-
"Al nostro matrimonio il tuo vestito non sarà di un colore
fluo?
– No, non era proprio ciò che intendevo.
–
Coniglietta, non capisco. Dopo la favolosa notte d'amore che abbiamo
trascorso insieme mesi fa, mi hai detto che non era ancora tempo per
noi. Ho aspettato un segno che ci facesse ricongiungere e tu mi hai
fatto uscire di galera. Topolina, più chiaro di
così!
Dobbiamo rimanere uniti per sempre".
E
se gli dicessi che sono lesbica? Meglio essere chiari.
-
"C'è qualcun altro nella mia vita al momento" dissi, nel
tentativo di essere il più delicata possibile. Ralph sorrise
comprensivo.
- "So che hai un gatto, frittatina. Non
c'è alcun problema" mi spiegò.
- "Non in quel senso. C'è una persona".
- "Vivi con tua madre. Ho indovinato?"
La mia pazienza si stava drammaticamente esaurendo.
- "No, è un uomo" provai.
- "Oh, allora è tuo padre?".
- "No, Ralph, volevo dire che ho una specie di
ragazzo".
- "Tuo figlio? Scimmietta, sarò un
patrigno perfetto!".
No,
niente, non ci arriva.
- "Intendevo una specie di fidanzato".
- "Un fidanzato fidanzato?". Stavo per prostrarmi a
terra ad urlare dalla gioia: ce l'avevamo fatta!
- "Sì, cavolo, sì" urlai
dalla contentezza che avesse finalmente compreso e dalla liberazione.
La
porta si spalancò e sbatté contro il muro, mentre
due signore sui settanta si facevano avanti per abbracciarmi ed una
terza urlava nella sala riunioni attigua.
- "Ha detto sì, ragazzi!".
Oh.
Merda.
La
limousine di Ralph accostò proprio sotto il mio condominio.
Era
scoppiato il finimondo, subito dopo che quelle tre vecchiacce avevano
rivelato all'intera festa il nostro presunto fidanzamento. Decine di
persone erano venute a congratularsi con noi, senza nemmeno darci il
tempo di spiegare il malinteso perché di sicuro, no, insieme
non
avremmo avuto figli maschi e no, non avremmo invitato loro, gente
perlopiù sconosciuta, che prometteva frullatori o vasi come
regali di nozze.
Ralph e io eravamo riusciti a sgattaiolare via, grazie all'aiuto della
sua nuova guardia del corpo – incredibilmente dalla fedina
penale
intonsa – e del signor Feether.
- "Dovrò scrivere almeno un paio di canzoni su di te, lo
sai,
vero? – annuii, sorridendo. – E dovrò
chiamarti stronza o sgualdrina, o entrambe le
cose. Forse anche vacca o
quella brutta parola con la t..."
-
"Sì, d'accordo, ho capito, –
tagliai corto: il concetto era limpido e cristallino. –
Grazie del passaggio, Ralph".
Mi sporsi verso di lui e gli depositai un bacio sulla guancia. Mi
stritolò in un abbraccio e cominciò a
singhiozzare.
- "Non ti dimenticherò mai, Sam!".
- "Mica sto morendo! Possiamo sempre sentirci e uscire a bere qualcosa.
– I suoi occhi lucidi tornarono a sorridere. –
L'importante
è che ti tieni fuori dai guai" mi raccomandai.
Scesi dall'auto e sentii il finestrino scendere.
- "Ciao, farfallina. Un giorno staremo insieme, vedrai".
Feci di sì col capo e lo salutai mentre l'autista avviava il
motore e partiva.
Un
giorno, certo: ho libero il 21 dicembre 2012, che te ne pare?
Il campanello. Qualcuno ci si doveva essere addormentato sopra,
perché altrimenti non si spiegava quel rumore odioso e
continuo
che mi stava stordendo le orecchie da almeno cinque minuti. Neanche
mettere la testa sotto il cuscino e il piumone era servito.
Mi alzai con un diavolo per capello ed andai ad aprire alla porta,
domandandomi se un omicidio fosse il modo giusto per cominciare la
giornata. Mah... tutto quel sangue sul pigiama. Visto la mia scarsa
compatibilità con la lavatrice, meglio di no. Rompere l'osso
del
collo sarebbe stato meglio.
- "Will ti odio" dichiarai aprendo, con un occhio semichiuso.
- "Pensavo di morirci, sul pianerottolo, – Nick. Mi
leggi nel pensiero. – Stamattina
mi è successa una cosa strana: mi sono svegliato presto, ho
fatto una doccia, mi sono seduto sul divano per gustarmi la colazione
con i miei in santa pace davanti al telegiornale delle 7.30. E sai cosa
ho scoperto? Pare che la mia ragazza si sia fidanzata con un altro. In
diretta nazionale" affermò calmo, mentre io lo precedevo nel
salotto, dove ci sedemmo uno di fronte all'altro.
- "Davvero? – Non so per quale motivo, ma d'improvviso mi ero
del
tutto svegliata. – Non sono la tua ragazza" ribattei.
La Samantha tredicenne che c'era in me non aspettava altro che lui la
smentisse, per cominciare a disegnare S e N attorniati
da cuoricini su fogli trovati per casa, durante qualche telefonata. Che
le mie figuracce del giorno precedente stessero dando i loro frutti?
Nick mi fissò senza scomporsi, alzando un sopracciglio
sorpreso.
- "Infatti parlavo di Harmony" disse tranquillo.
Presi
un cuscino dal divano e glielo scaraventai in piena faccia, premendo;
gli stavo facendo un favore, in realtà. Era una metafora:
vuoi
stare con lei? Bene, sarebbe soffocante quanto un sacchetto di plastica
in testa. Io? Fresca e leggera come una boccata d'aria fresca di
montagna in una giornata estiva, con il cielo pieno di uccellini, le
farfalle che volano felici, il sole che ti scalda il viso, gli alberi
che si muovono nel vento, il rumore di un ruscello in lontananza... devo
continuare?
- "Scherzavo, dai, – si difese lui, bloccandomi le braccia.
– Non sulla questione del fidanzamento, però".
- "È una lunga storia. Ti basti sapere che ho declinato la
proposta" dissi vaga e mi alzai per andare in cucina.
- "Per qualche ragione in particolare?" s'informò lui.
In un attimo si era alzato e mi aveva seguito, sedendosi al tavolo da
pranzo.
- "Ho la testa altrove, diciamo. Tornando ad Harmony, hai qualcosa da
dichiarare?".
Sorrise furbo, come se non attendesse altro che sentirsi fare quella
domanda. Sapeva che prima o poi l'avrei posta.
- "Ho dovuto coinvolgerla perché mi serviva una ballerina di
cui fidarmi al Pumping
Pumpkin".
Presi
una mentina dalla cucina per rinfrescarmi l'alito mattutino e capii
perché aveva chiamato la gallina biondo platino: gli unici
talenti che servissero in un night-club erano i due respingenti
davanti, e con Harmony era andato sul sicuro. I miei –
piccoli,
preziosi e rari – si sarebbero consumati troppo a stare in
quell'ambiente.
- "Avresti
potuto chiedere a me..." azzardai.
Mi raggiunse dall'altro lato del tavolo e aprì un
armadietto, in
cerca di un bicchiere che riempì con del succo d'arancia
trovato
nel frigo.
- "Oppure no. Diciamo che non mi faceva impazzire l'idea di
coinvolgerti ulteriormente".
- "Sarebbe stato pericoloso?".
Se attaccava di nuovo con la storia della principessa da difendere...
- "Saresti stata mezza nuda di fronte ad altri uomini. – La
sua spiegazione era molto meglio
della mia. – Poi cosa avrebbero detto i tuoi colleghi della
redazione? Già ho dovuto zittirli quella volta al bar,
quando
avevano scoperto della scommessa. Il problema è che parli
troppo. Motivo per cui ho dovuto mettere della valeriana nel tuo
bicchiere d'acqua, prima di portarti in aperta campagna" si risedette e
mi osservò di sottecchi.
- "Qu-quando? – gridai sconvolta. Ragionai su quella sera e
mi
accorsi di qualche stranezza. – Non è un caso che
sia
squillato il telefono e che non ci fosse nessuno dall'altro capo del
telefono, vero?".
- "Sono astuto, che ci vuoi fare, – si compiacque.
– Tu, piuttosto, ti presenti così a Will?".
Notai com'ero vestita: una maglia con degli orsetti e un paio di
pantaloncini ridicolmente corti, abbinati ad un elegantissimo paio di
calze antiscivolo.
- "Non c'è nulla che lui non abbia visto" commentai, conscia
di punzecchiarlo.
- "Capisco, – tentò di fare l'indifferente, poi si
mostrò curioso di conoscere altri dettagli. –
L'avevi
fatto con lui quella sera che mi sono presentato da te, dopo la lite
per Harmony?".
- "No. – Nick parve sollevato dalla mia risposta. –
Quella volta avevamo giocato a strip-poker".
Il succo che stava bevendo gli andò di traverso, facendolo
tossire. Mi voltai verso la credenza e presi la scatola dei biscotti,
giusto per non mostrargli quanto largo fosse il sorriso sulla mia
faccia.
- "È una cosa che fai abitualmente con i tuoi amici uomini?".
- "Sono una donna libera e indipendente" alzai le spalle.
Rubò il biscotto smangiucchiato che avevo nella mano, lo
mandò giù in un solo boccone e
appoggiò il gomito
sulla tavola.
- "Facciamo che ora sei una donna indipendente."
- "Se lo dici tu...".
Sorrise e mi fece cenno di seguirlo sul divano, senza biscotti o
merendine, naturalmente. Briciole sui cuscini? Per carità!
Ci accomodammo uno accanto all'altro, il suo braccio ad avvolgermi le
spalle e il mio corpo rannicchiato contro il suo. Mi sollevò
il
mento con un dito e mi baciò piano.
- "Buongiorno, – gli risposi socchiudendo gli occhi e
riposizionando la testa sul suo petto. – Di mattina, sei
sempre
così fredda come un ghiacciolo?".
- "Mi sto solo godendo un po' di pace, – brontolai.
– Ma
sarà meglio chiarire un paio di cose: innanzitutto, se io ho
perso il mio status di persona libera, è ovvio che l'abbia
perso
anche tu".
- "Mi sembra giusto, – concordò. – E ti
farà
piacere sapere non sono andato a letto con tutte quelle donne. Alcune
erano solo delle colleghe che hanno finto di fare altri mestieri per
aiutarmi. Tanto sapevo che non avresti mai avuto il coraggio di
guardare i video".
In realtà, uno l'avevo visto: il primo, in compagnia di
Will. Un
filmato amatoriale che mi aveva fatto accapponare la pelle e che non
ero riuscita a vedere fino alla fine, ma le cui immagini si erano ormai
stampate indelebilmente nel mio cervello.
- "Anche le sorelle Rowell?" chiesi, sebbene conoscessi la risposta.
- "Ero giovane e ingenuo all'epoca..." sospirò,
guadagnandosi una gomitata nel costato.
- "Già, avevi sei mesi di meno, – risposi
sarcastica.
– E comunque nemmeno io sono stata poi così
sincera: solo
con il cantante, il ladro, il tecnico dei computer e con Troy".
- "Sono comunque due in più di me, –
constatò contrariato. – Quindi, chi vince la
scommessa?".
Sbuffai e mi allontanai di qualche decina di centimetri dal corpo caldo
di Nick; non mi sentivo ancora a mio agio a discuterne apertamente, ma
lui mi riacciuffò le spalle e se le riportò di
nuovo
addosso.
- "Non m'interessa, Nick. Sai come la penso su questo argomento" cercai
di divincolarmi e lui, questa volta, mi lasciò fare.
- "E come?".
- "Basta con i giochi" sentenziai, alzandomi dal divano.
- "Andiamo, Sammy, manca solo una cosa e potremo chiudere
definitivamente la questione".
- "Cioè?".
- "L'ultimo bigliettino".
M'irrigidii d'istinto. Ne avevo le tasche piene di questa storia, non
vedevo l'ora di lasciarcela alle spalle, senza contare che non
ero in possesso di questo stramaledetto pezzo di carta.
- "E allora non lo sapremo mai. L'ho perso" ammisi.
- "Ah, davvero? – ridacchiò Nick. – E,
quindi, questo che ho in mano che cos'è?".
Tra le sue dita era comparso magicamente un foglietto di carta. O,
meglio, il foglietto di
carta.
- "Dove l'hai preso?" urlai, avvicinandomi con delicatezza, neanche
avesse in mano una ciglia – preziosissima! – di
Marc Jacobs.
- "Un uccellino me l'ha ridato".
Un
uccellino? Un angelo!
- "Chi?" – domandai subito, ma mi vidi negata la risposta.
- "Ho promesso di non dirlo. – Guardai Nick in cagnesco e lui
cambiò subito opinione. – Ma, visto che vogliamo
inaugurare subito la nuova politica del niente
più segreti, te lo dico:
è stato Warren".
- "Warren?".
La
mia superficiale checca isterica che non pensa a nessun altro oltre che
a se stesso medesimo e alle sue regioni subequatoriali? Ho sempre
creduto che in fondo, molto molto molto in fondo, ci fosse un frammento
di cuore umano in lui.
- "L'ha trovato mentre era qui a casa tua e me l'ha restituito,
perché ha pensato che se avessi voluto fidarti, avresti
dovuto
farlo anche senza conoscerne il contenuto".
Esitai per qualche istante, poi lo presi e lo accartocciai nella mano.
Andai in cucina e lo gettai nella pattumiera: non avevo bisogno di uno
stupido foglio di carta per fidarmi di Nick.
- "Non mi serve più, – commentai, tornando nel
salone. Lui
stava ridendo sotto i baffi, ben sapendo che, qualche secondo dopo, la
curiosità mi avrebbe divorata viva. –
Però magari
una sbirciatina, giusto per stare sicuri" esclamai.
Per
fortuna, il cestino era vuoto; c'era solo quel biglietto
solitarioe c'impiegai meno di tre secondi a recuperarlo ed
aprirlo.
Fidati di me.
P.S. Ti adombro anch'io.
Rilessi quel bigliettino almeno una decina di volte, senza riuscire a
togliermi il sorriso dal viso. Quella seconda frase, aggiunta da poco
con un inchiostro nero, era quanto aspettavo di sentire da tempo
immemore. E quello era un modo assurdo e decisamente originale per
dirlo, ma ero certa che non ce ne fossero di migliori.
- "Quindi?" domandò.
- "Quindi cosa?".
Richiusi il foglietto e lo misi sul tavolo con noncuranza, fingendo che
ciò che avevo appena letto non mi avesse messo sottosopra
cervello e stomaco.
- "Non dici nulla?".
Avevo così tante cose da dire, da urlare a tutto il
condominio
ed erano tutte ammassate e pronte ad esplodere! E non avevo idea con
che cosa avrei cominciato, perché ciascuna sembrava essere
quella giusta per il momento.
- "Ho fame, – esclamai infine: avevo bisogno di digerire
quelle
quattro paroline che mi si erano bloccate in gola. Forse sotterrandole
con del cibo, sarei riuscita a riprendere a respirare con
regolarità. – Vuoi un pancake? Sai, qualcuno mi ha
detto
che mi avrebbe portato la colazione...".
- "È mezzogiorno e un quarto, pensavo fossi già
sveglia da ore".
- "È l'alba, Nick".
Cominciai a togliere dall'armadietto e dal frigorifero gli ingredienti
necessari a cucinare. Presi uova, zucchero, sale, farina, zucchero a
velo, vanillina, lievito... non avevo idea di come si facessero i
pancakes nella vita di tutti i giorni, figuriamoci in quegli istanti,
con il cervello fritto e lo stomaco chiuso.
Ruppi un paio di uova e le frullai con una forchetta, sale, pepe.
Forse
queste sono le omelettes?
Nick
mi fissava incuriosito dalla mia incapacità e inorridito
dalla
poltiglia giallognola che avevo creato. Si tolse il maglione e rimase
con la sola maglietta a mezze maniche. Anche lui d'un tratto si era
accorto del caldo che regnava nel mio appartamento?
- "Ma i
pancakes non si fanno così! – mi
sgridò. – Hai diviso i tuorli dagli albumi? Dammi
qua!".
Il risultato della sua vicinanza fu che la mia mano strinse ancora
più forte la forchetta, mentre lui si sistemava dietro di
me,
avendo cura di far aderire il suo corpo al mio. C'erano dei problemi
logistici, però: lui, essendo mancino, non era in grado di
utilizzare la posata con la destra, mentre io avevo l'handicap
contrario. Alla fine, si limitò a cingermi la vita e a
baciarmi
il collo per distrarmi.
- "Lasciami lavorare, per cortesia. Credi che non sia in grado di fare
uno stupido pancake! Sono dieci volte più brava di te".
- "Scommettiamo?".
Prese altre uova dal frigo e un'altra ciotola dalla credenza per fare
la sua – che non dubitavo fosse l'autentica –
versione dei
pancakes.
- "Certo".
Interruppe la ricetta solo per dettare le condizioni.
- "Se vinci tu, ti offro il pranzo giù al bar,
perché
è ovvio che non mangerò quella sbobba che stai
preparando
e tu di certo mangerai la mia. Se vinco io... – Fece una
pausa
strategica, puntando i suoi occhi sul mio pigiama striminzito.
–
Mi offro di pranzare con lo sciroppo d'acero su di te".
Guardai il mio intruglio nella terrina, era evidente che non ne sarebbe
uscito nulla di buono. Perciò, catturata l'attenzione di
Nick,
lo costrinsi ad osservarmi, mentre ne vuotavo il contenuto nel
lavandino.
Lo sciroppo d'acero era già sul tavolo. Lo acchiappai con la
mano destra e con la sinistra afferrai il braccio di Nick,
trascinandolo in camera da letto.
Perché per una volta, no, non mi sarebbe dispiaciuto perdere
una scommessa.
State of love.
Non
mi sembra vero di essere riuscita a finire questa storia e, nonostante
mi dispiaccia un pochino, sono contenta di aver portato a termine
qualcosa.
Voglio
semplicemente ringraziarvi per essere arrivati fin qui, per aver
recensito o anche solo semplicemente letto.
Un
ringraziamento particolare va a nes_sie, (che oltre a betare
è anche
una grandissima rompipalle e mi ha costretto a finire il capitolo, e
soprattutto perché ricorda molte più cose di
questa storia, di quante
ne ricordi io), a SunshinePol che ha gentilmente trascritto a computer
parte dei miei confusi appunti scarabocchiati a mano e in generale a
tutte quelle che mi hanno spronato - un termine elegante per indicare
qualcosa che non lo è stato - a scrivere questo maledetto
capitolo 37.
La
canzone del titolo è dei Pearl Jam e se qualcuna di voi
avesse notato
che sono un pochinoinoino in ritardo nella pubblicazione... beh, sappia
che è la sola a pensarla così ;)
Se
vi andasse, ho cominciato una nuova storia, una mini totalmente diversa
da C'eral'acca. La trovate qui: In
Her Shoes.
Grazie
ancora.
S.
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