Teoria e pratica di Akane (/viewuser.php?uid=27)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le parole che non dice ***
Capitolo 2: *** Presa di coscienza ***
Capitolo 3: *** non escludermi ***
Capitolo 4: *** Passato e futuro ***
Capitolo 5: *** Gelosia ***
Capitolo 6: *** La tua vita sulle mie spalle ***
Capitolo 7: *** Sensi di colpa ***
Capitolo 8: *** piacevoli torture ***
Capitolo 9: *** Fantasmi dal passato ***
Capitolo 10: *** Preludio ***
Capitolo 11: *** Diavoli e angeli ***
Capitolo 12: *** Ritorno alla vita ***
Capitolo 1 *** Le parole che non dice ***
TITOLO:
Teoria e pratica
AUTORE:
Akane
SERIE:
Numb3rs
GENERE:
sentimentale, azione in qualche capitolo
TIPO:
slash, What if?, piccolo spoiler
RATING:
per ora faccio un generico giallo (PG13) se poi cambio avverto.
PARTI:
qualche capitolo non molti credo
PERSONAGGI:
DonXCharlie (attenzione, non è come sembra…
leggete le note,
prima…)
MODO:
terza persona al passato
AMBIENTAZIONE:
inizio quinta serie quindi in questo senso c'è qualche
piccolissimo spoiler sulla prima puntata ma solo quella, credo. Qua
Don e Charlie non sono fratelli biologici ma solo legalmente, ovvero
Don è stato adottato dalla famiglia di Charlie che erano
piccoli, quindi ha preso il cognome e sono considerati da tutti
fratelli. La storia non è cambiata di una virgola...
DISCLAMAIRS:
I personaggi non sono miei ma degli autori che ne detengono ogni
diritto…
NOTE: E
se Don e Charlie non fossero fratelli? Oh, quante volte me lo sono
chiesto… ed ora eccomi qua a farlo.
Spiego
meglio: ho sempre pensato che la coppia più slash del
telefilm
fosse proprio DonXCharlie, peccato che fossero fratelli altrimenti
sarebbero perfetti insieme! Vedendo la serie mi sono continuati a
piacere moltissimo sia come personaggi individuali che come coppia
così mi è venuta l’illuminazione: e
fare una what if
in cui non sono fratelli e quindi posso sviluppare il loro rapporto a
piacimento? Ebbene eccomi qua a scriverla!
Ero
indecisa se negli avvertimenti scrivere AU o What if, perché
parlando con mia sorella mi ha detto che un cambiamento importante
che poi finirebbe per cambiare molte cose viene ritenuto AU lieve, io
però lo vedo come solo What if poiché a conti
fatti
cambio solo un particolare della serie, tutto il resto
dell’ambientazione rimane invariato così come gli
eventi che
hanno vissuto e i vari episodi. Quindi metto What if, ma sappiate che
è possibile che qualcuno la veda come un AU. Comunque ormai
avete capito di cosa tratta la fanfic, quindi poche ciance e andiamo
al dunque!
Ah...
qua Charlie non sta più con Amita!
Ovviamente
spero che vi piaccia e vi auguro buona lettura. Baci Akane
DEDICHE:
a Taila che le stuzzicava molto una storia così e a Yukino
che
apprezza molto questa coppia nonostante siano fratelli. E che saranno
contenti della mia piccola innocentissima variazione!
RINGRAZIAMENTI:
a tutti quelli che commenteranno e leggeranno!
TEORIA
E PRATICA
CAPITOLO
1:
LE
PAROLE CHE NON DICE
/Nothing
else matter - Metallica/
Quando
vennero a chiamarlo brutalmente durante una lezione universitaria, il
cuore gli balzò improvviso in gola tagliandogli il respiro
di
netto.
Non
era un tipo istintivo nemmeno in ciò che normalmente
provava,
ma sentì chiaramente una brutta sensazione alla bocca dello
stomaco quando vide Ian, l'agente dell'FBI, il tiratore scelto e
amico di suo fratello piombargli come una furia nell'aula in piena
lezione universitaria.
Sentendo
chiedergli il suo aiuto si rifiutò subito senza dargli modo
di
spiegarsi, cosa che fece immediatamente con poche incisive e dure
parole:
-
Don è nei guai. - Non avrebbe ammesso repliche e onestamente
non ne avrebbe tirata fuori mezza.
Charlie
nell'istante immediato si raggelò, ma poi subito dopo si
trovò
a correre per il corridoio come un matto, dimentico della lezione
mollata a metà, con dei tamburi in testa mentre l'ansia
ingigantiva fin quasi a farlo impazzire.
Se
non fosse stato per la sua mente matematica e razionale che si era
messa a ragionare in fretta su come trovare Don, sarebbe rimasto
fuori dal mondo per molto ancora!
Anche
se, a onor del vero, quella sua mente ragionevole non gli aveva
ricordato che era stato estromesso dall'FBI come consulente!
Fra
questo e Don nei guai non c'erano dubbi su dove pendesse il piatto
della bilancia!
Forse
però costringersi a non pensare a cosa sarebbe potuto
succedere a suo fratello era l'unico modo per aiutarlo, altrimenti il
panico l'avrebbe colto per colpa dei sentimenti che cercavano di
avere la meglio.
Eppure
nonostante i suoi sforzi, una volta fatto quel che poteva per trovare
Don disperso in una zona selvaggia per scalatori piuttosto
pericolosa, con alle calcagna dei criminali che tentavano di
ucciderlo, non gli rimase che lasciarsi divorare da ciò che
provava, pur contro la sua volontà.
Non
gli piaceva quando questo suo lato prendeva il sopravvento e come
tutto cercava di controllare anche quello, ma in quegli anni di
lavoro all'FBI aveva imparato che non si poteva farlo sempre.
Anche
il periodo passato con Amita gli aveva fatto capire che non poteva
fare così con tutto e che certi sentimenti andavano
liberati.
Certo,
poi con lei era finita, ma erano rimasti ugualmente amici.
Così
si trovò lì, nell'ufficio in cui non poteva
stare, in
attesa che con i suoi dati trovassero suo fratello.
Impossibilitato
a far altro si mise a pensare a lui e alla loro infanzia.
Di
alcuni anni di differenza, si erano trovati a vivere insieme da
bambini.
Don
era arrivato da piccolo in casa loro, rimasto orfano di genitori. Era
stato abbastanza grande per ricordare bene gli eventi legati ad essi
e per qualche oscuro motivo i suoi avevano preferito cambiargli
legalmente anche il cognome mettendogli il loro.
Eppes.
Solo
molti anni dopo aveva scoperto che la madre e il padre erano stati
uccisi in circostanze misteriose. Con la paura che scoperta
l'esistenza del figlio gli dessero la caccia per uccidere anche lui,
quelli che l'avevano salvato avevano voluto cambiargli
identità
per poterlo crescere nella serenità e al sicuro.
Così
era stato, nessuno era più venuto a cercarlo e non aveva
avuto
problemi di alcun genere, ma gli assassini non erano mai stati
trovati.
Don
aveva capito tutto quel che era successo e probabilmente fu quello a
ripercuotersi sul suo carattere già difficile, chiuso e duro
di suo.
Charlie
al tempo non sapeva nulla e trovandosi un fratello maggiore adottivo
così scorbutico, si era fatto molte domande a lungo senza
risposte.
Si
era sempre sentito intimidito da quel bambino così serio e
sulle sue, grugniva al posto di parlare e sembrava non conoscere
gentilezze e sorrisi.
Da
subito non avevano instaurato nessun rapporto ed era stato
così
per molti anni.
Sebbene
i suoi genitori gli volessero molto bene e non gli fecero mancare
nulla crescendolo come un vero figlio, Don non dimostrò mai
un
vero e proprio sentimento d'affetto nei loro confronti ed anzi
sembrava non andargli affatto a genio quel fratellino super
intelligente.
Charlie
dal canto suo oltre alla gelosia, si era sentito del tutto rifiutato
così aveva preferito tenersi sempre a debita distanza. Non
era
stato facile essere suo fratello, lui così forte, sveglio,
attivo, brillante nelle attività fisiche e negli sport e
senza
il minimo problema con le ragazze.
Poi
era morta la madre e qualche anno dopo, Charlie era diventato un
famoso matematico con un cervello sopra la norma e Don, entrato
all'FBI, era andato a vivere per conto suo venendo a trovarli ogni
tanto per senso del dovere.
Fra
i due c'era sempre stata una voragine e nel corso degli anni era
aumentata di brutto, erano davvero troppo diversi, uno il giorno e
l'altro la notte.
Ma
poi, sorprendentemente, erano finiti a lavorare insieme.
Charlie
era diventato consulente dell'FBI della squadra di Don.
Da
allora, lentamente, fra loro era tutto cambiato.
Da
un legame assente ad uno sempre più forte e stretto, fino a
che a tutti non erano sembrati davvero fratelli.
A
tutti tranne che a loro due.
Al
contrario avevano pian piano cominciato a sentirsi ben altro, un
'altro' non chiaro.
Definire
il loro attuale rapporto sarebbe stato più complicato di
eseguire un problema matematico senza soluzione.
Solo
una cosa era limpida: non si sentivano solo dei semplici fratelli,
cosa che nella realtà effettivamente non erano specie
considerando che non erano cresciuti come tali.
Ed
ora che era lì ad aspettarlo sperando di rivederlo presto
col
cuore che impazziva sempre più, gli tornavano alla mente
tutte
le volte che era stato a rischio sotto i suoi occhi, che per salvare
qualcuno, specie della sua squadra, si era buttato a capofitto in una
situazione pericolosa che poi era degenerata. Aveva visto rischiare
la sua vita un sacco di volte e sempre si era trovato sospeso nel
nulla a sperare di rivederlo sano e salvo.
Ora
che veniva a trovarlo ogni sera e che lo vedeva di giorno a lavoro.
Ora che si era tutto aggiustato, anni e anni di silenzi e invidie...
ora che gli era così vicino lo vedeva rischiare la vita
così
tanto.
Un
giorno avrebbe potuto vederlo morire proprio lì ad un soffio
dalla sua mano e lui, impotente nonostante la sua matematica sempre
utile, non avrebbe potuto riportarlo indietro.
Quando
ci pensava, credeva sempre che sarebbe stata anche la sua fine e per
non impazzire si aggrappava ai pochi momenti in cui lo vedeva
sorridere.
Il
viso sempre cupo e accigliato si illuminava e chi lo vedeva veniva
preso da un irrefrenabile istinto di sorridere a sua volta pur senza
motivo.
L'immagine
di un Don sorridente ebbe il potere di calmarlo e si lasciò
scaldare dalla figura alta, atletica, forte e affascinante di quello
che in realtà non era suo fratello ma nemmeno solo un
semplice
amico. I capelli arruffati gli erano cresciuti un po' e gli stavano
scomposti sulla testa, scuri e mossi. Gli occhi castani cupi, la
fronte sempre aggrottata, i lineamenti decisi e a volte tenebrosi.
Era un bell'uomo e quando rideva lo era ancor di più. Ogni
volta sperava di riuscire a strappargli un sorriso cosa che a volte
accadeva ed allora si sentiva al settimo cielo.
“Spero
di rivederla, quella sua rara espressione sul viso. Presto.”
Cosa
che da quando aveva cominciato a lavorare con lui non aveva
più
dato per scontato.
Quando
la porta dell'ascensore si aprì facendo entrare Don
accompagnato da Colby e da Ian, la prima cosa che si accertò
Charlie andandogli di corsa incontro, furono le condizioni del
fratello e vedendo che era ancora effettivamente tutto intero,
tirò
un profondo respiro di sollievo, quindi col cuore che tornava a
battere regolare scrutò la sua espressione mentre gli si
avvicinava col solito passo sostenuto e veloce.
Alla
sua domanda su come avessero fatto a trovarlo e alla conseguente
risposta (grazie a Charlie), i suoi occhi castani erano corsi
immediatamente a cercarlo e trovatolo a colpo sicuro davanti a
sé,
proprio come immaginava vide il rimprovero nel suo viso serio.
-
Non dovevi! Lo sai che non hai più l'autorizzazione per
collaborare con l'FBI! - La prima cosa che venne alla mente a Don
furono i doveri e ciò che si poteva e non poteva fare, ma
alla
difesa di Ian sembrò realizzare che aveva avuto ragione.
O
per lo meno così parve al più giovane dai ribelli
ricci
lunghi intorno al viso.
Don
rimase serio per un istante mentre non arrestava la sua avanzata,
seguito ora anche da lui che lo affiancava spiegandogli a macchinetta
perchè era venuto lo stesso e cosa aveva fatto.
-
Si, ma ora va via prima che ti becchino qua! Non puoi starci! - Disse
allora sempre con il suo solito tono duro e sbrigativo. Ancora una
volta a pensare alle regole. Proprio uno come lui.
Sapeva
bene che lo faceva solo per non metterlo ulteriormente nei guai. Dopo
che era stato allontanato dall'FBI per quelle informazioni mandate in
Pakistan, Don non era più venuto a cercarlo per lavoroe a
chiedergli aiuto, al contrario degli altri che gli avevano detto in
continuazione di cercare di riavere le sue autorizzazioni.
Charlie,
dal momento che Don non glielo aveva ancora chiesto, non le aveva
volute riottenere.
Si
fermò per seguire l'ordine perentorio dicendosi che aveva
ragione e che sapeva avrebbe reagito così, eppure deluso.
Consapevole
ma deluso.
Lo
conosceva ormai ma non voleva dire che non poteva rimanerci male
davanti a certi modi e parole non dette.
Non
aveva dimostrato gratitudine o entusiasmo al suo piccolo ritorno solo
per lui.
Niente.
Ci
era rimasto male ma proprio quando si stava girando per smettere di
guardare le sue spalle larghe tagliarlo fuori di nuovo dalla sua
vita, lo vide voltarsi a tre quarti e allungare il pugno verso di lui
con qualcosa che era ben lontano da un sorriso, ma che volendo poteva
ricordarlo.
Un
ghigno, più che altro.
E
un: - Ah, Charlie... grazie! - sempre brusco e serio.
Charlie
si fermò di nuovo e allungando subito il pugno
toccò il
suo in quel saluto che non si erano mai scambiati ma che avrebbe
sempre voluto fare.
Qualcosa
di familiare, amichevole, alla pari...
Sentendosi
immediatamente al settimo cielo, sorrise contento andandosene senza
rimpianti e delusioni.
Lo
conosceva.
Era
così e doveva saperlo ma non era facile abituarsi in
effetti...
Le
parole che non diceva erano molte e quelle poche non comprendevano
quasi mai qualcosa di gentile e affettuoso nei confronti di altri. Le
varie ragazze di turno che aveva avuto lo sapevano bene.
Lui
la parola 'ti amo', forse non l'aveva nemmeno mai detta.
Era
così, Don. E questo era anche il suo fascino.
Nonostante
tutto non l'avrebbe mai voluto diverso.
Per
tutta la giornata alle prese con Larry e Amita al posto di Charlie,
come ultimamente era successo spesso, Don aveva sentito un
irrefrenabile istinto di andare da lui a chiedergli collaborazione.
Non
era per abitudine o perchè quei due fossero effettivamente
meno efficienti di suo fratello, ma averlo accanto per gran parte
della giornata gli faceva ormai affrontare il lavoro diversamente.
Era come una sorta di garanzia che laddove lui non sarebbe arrivato,
ci sarebbe stato Charlie coi suoi metodi opposti e sarebbe stato
determinante permettendogli di farcela.
Ma
finché si era trattato degli altri era stato diverso...
l'aveva capito quel giorno quando aveva rischiato la sua vita se non
fosse stato trovato al momento giusto.
E
il momento giusto era stato grazie a Charlie.
Si
era trattenuto dal chiedergli di tornare per molti motivi, fra cui
rispettare la sua volontà. Se Charlie se la sarebbe sentita
di
tornare, l'avrebbe fatto da solo. Se non cercava di riottenere le sue
autorizzazioni, significava che in realtà stava meglio
così.
Poi
c'era il fatto che comunque lavorando con lui gli aveva fatto
rischiare la vita molte volte, non era al sicuro al suo fianco ed era
un dato di fatto. Ma fino a quel momento era sempre andata bene,
eppure continuare così era come sfidare la sorte.
D'altro
canto se non ci fosse stato, quel giorno probabilmente Don non
sarebbe arrivato a sera vivo.
Anzi.
Di sicuro.
Seduto
al tavolo della cena a casa del padre insieme agli altri, coi soliti
inseparabili amici di sempre, seguiva con mezzo cervello i loro
discorsi mentre col resto si chiedeva cosa sarebbe stato meglio.
Con
la testa piegata di lato, appoggiata alla mano e mezzo stravaccato,
si trovò a ricordare i momenti in cui si era perso per quel
percorso con alle calcagna tre criminali pronti a sparargli. Aveva
rischiato grosso più di una volta e Ian era arrivato in
tempo
ma non grazie alla sorte, bensì grazie a suo fratello.
Solo
grazie a lui.
Ricordava
bene mentre correva coi due che doveva salvare. Come si era sentito,
cosa aveva provato.
Di
volta in volta era sempre diversa eppure questa, forse, era stata
peggiore delle altre e per un semplicissimo, limpido e vero motivo.
Quando
in precedenza si era trovato in pericolo bene o male era sempre stato
sicuro che Charlie l'avrebbe trovato così come trovava una
soluzione a tutto con quel suo cervello mostruoso.
Lì,
correndo con gli inseguitori, sfiorando pallottole senza più
munizioni, si era detto che quella volta non ci sarebbe stato lui a
fare la magia e che era fuori gioco.
Mentre
fosse stato uno dei suoi uomini in pericolo lui avrebbe trovato un
dannatissimo modo per aiutarlo con o senza matematica magica,
lì
si era sentito solo con le sue uniche forze a dovercela fare. Nessun
capo sarebbe arrivato in extremis, nessun fratello coi suoi calcoli,
nessun colpo di fortuna... niente di niente.
Lui
da solo.
E
si era sentito malissimo.
“Non
voglio tornare a stare così. Consapevole della mia fine.
Lo
sono sempre ma questa volta era diverso.
Sono
solo un egoista che sebbene non sembra abbia a cuore la mia vita, in
realtà non voglio morire. Non voglio più essere
certo
della mia morte. Voglio poter pensare fino all'ultimo che lui ce la
farà per me laddove io non arrivo.
Sono
egoista ma voglio che torni. Se la vedrà brutta,
avrà
molte difficoltà e si troverà spesso in pericolo
ma io
voglio che torni e che mi stia di nuovo vicino. Che mi copra ancora
le spalle. Che stia con me. “
Sebbene
questa era solo una parte della verità, non sarebbe riuscito
a
tirare fuori così presto il resto. Quella più
importante e nascosta.
Qualcosa
a cui forse Charlie nonostante la sua razionalità e la sua
logicità, sarebbe arrivato prima.
Così
capendo al volo che stavano cercando di convincere suo fratello a
fare ricorso per tornare all'FBI, agganciandosi ai: - Per me dovresti
farlo. - di tutti i presenti, anche lui finalmente disse la sua,
qualcosa che non aveva mai fatto fino a quel momento preferendo
lasciarlo decidere da solo.
-
Anche per me. - Mormorò appena udibile. Tutti si fermarono
all'istante ed un ulteriore silenzio cadde fra loro. Lo sguardo di
tutti si puntò su Don ma nello specifico quello di Charlie
si
mostrò stupito ed ansioso.
-
Davvero? - Chiese solo pensando di aver capito male, sicuro che non
glielo avrebbe mai detto.
-
Si, davvero. - fece solo l'altro, con un mormorio che fece
rabbrividire il moro davanti a sé.
I
due si guardarono negli occhi a lungo cercando di scrutarsi dentro ma
mentre Don era come al solito impenetrabile, Charlie mostrò
la
sua contentezza e non trattenendo il sorriso stimolò quello
dell'altro che ne accennò uno.
Il
consueto calore colpì il giovane che disse subito:
-
Allora lo farò. - dimostrando a tutti che non aspettava
altro
che il suo permesso.
Tutti
i presenti pensarono che era strano vedere Charlie in attesa del
parere di qualcuno per fare qualcosa. Normalmente se voleva non c'era
Santo che tenesse, lo faceva e basta. Lì sembrò
davvero
come se volesse l'invito di suo fratello.
Mentre
tutti riflettevano sollevati che le cose sarebbero potute tornare
presto come prima, gli altri due che continuarono a guardarsi assorti
ognuno con un proprio pensiero, si lasciarono infine semplicemente
avvolgere da quella piacevole sensazione di serenità e
felicità.
Presto
sarebbero tornati insieme e il resto, le difficoltà ed i
problemi, sarebbero stati un contorno trascurabile!
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Capitolo 2 *** Presa di coscienza ***
*Allora... in questo capitolo ci sono alcuni
spoiler della quinta serie che riguardano i colloqui che Don e Charlie
hanno con il capo di Don per riottenere le autorizzazzioni.
Però la scena in sé che ho descritto,
naturalmente, non c'è nella puntata originale. Sono
contentissima che la fic piaccia nonostante il cambiamento insolito che
ho fatto, su Taila e Yukino già sapevo ma sono felice che
anche altri apprezzino! Ringrazio tutti quelli che hanno commentto e
seguito. Buona lettura. Baci Akane*
CAPITOLO
II:
PRESA
DI COSCIENZA
/Forever
- Papa Roach/
Lo scroscio della doccia copriva
ogni altro suono, così come il vapore dell'acqua bollente
impediva alla vista di vedere bene forme e colori.
Il piacere di quel momento
portato dalle gocce che gli ricadevano addosso spazzando via ogni
pesantezza, era come sempre impareggiabile.
Poteva arrivare a fine giornata
stanco morto senza la forza di reggersi in piedi ma la doccia non se
la toglieva mai, la faceva sempre per poi rinascere e riprendersi
almeno in parte.
Il resto lo faceva il proprio
letto ed un bel sonno completo.
Peccato che per qualche tempo
avrebbe dovuto accontentarsi del letto di qualcun altro,
così
come della doccia.
Casa sua, un piccolo
appartamento utilizzato solo per dormire e per lavarsi, era purtroppo
fuori gioco e probabilmente lo sarebbe stato per un bel po' di tempo
dal momento che si era rotto tutto l'impianto elettrico e che per
rifarlo da cima a fondo non ci sarebbe voluto un attimo!
Quelle sfortune potevano
capitare solo a lui ma era anche vero che quella dove sarebbe stato
per quel mesetto, non era una casa estranea. Ci aveva vissuto da
piccolo fino a che non aveva potuto andarsene per conto suo, stare
lì
era come un ritorno alle origini.
Sarebbe stato strano ma non
troppo, ci passava comunque molto tempo per stare con suo padre e suo
fratello, inoltre se non mangiava lì tendeva ad evitare il
pasto, quindi i suoi familiari preferivano vederlo con loro piuttosto
che saperlo a digiuno!
Don non si curava mai molto di
sé stesso.
Con l'acqua calda che scivolava
sulle curve perfette e muscolose del suo corpo adulto e ben formato,
lavando via la schiuma, si passava le mani addosso soffermandosi in
modo particolare sui capelli scuri più lunghi di quanto non
li
avesse mai avuti.
Si era chiesto se fosse il caso
di tagliarseli ma sentendo un apprezzamento scherzoso di Charlie
riguardo a quel suo look aveva deciso di lasciarli così
com'erano, un poì più lunghi del suo solito e
spettinati come volevano stare.
La sua mente, tuttavia, era
completamente rivolta alle parole del suo superiore.
Il ricordo di poche ore prima,
quando si era trovato nel suo ufficio a concludere quello che poi si
era trasformato in una specie di interrogatorio, era ancora vivo e
l'aveva lasciato spiazzato.
Era iniziato tutto per difendere
Charlie e raccomandarlo al capo in modo che gli ritornasse le sue
autorizzazioni, era poi finita per essere lui quello preso di mira.
Quel bastardo che si era sempre
finto amico di Don, altro non era che probabilmente colui che lo
detestava nel modo più accanito.
Mandare via Charlie era stato
solo un modo per colpire lui e spingerlo ad andarsene.
Il colloquio pro Charlie si era
trasformato in una specie di inchiesta contro Don!
Aveva addirittura chiesto a
tutti i membri della sua squadra cosa pensassero del proprio super
visore e che modi di lavorare avesse. Fortuna che l'avevano tutti
difeso e che di loro, lo sapeva ad occhi chiusi ora, poteva fidarsi.
Sapeva bene che in alcuni
momenti aveva calpestato lui stesso la legge esagerando non poco per
ottenere i suoi risultati che, per quanto buoni fossero, non
giustificavano i mezzi.
Un esempio eclatante era tato il
rapimento di Megan, quando per farsi dire dal complice della
rapitrice dove la tenesse, chiuso nella sala degli interrogatori
senza video e coi vetri oscurati l'aveva picchiato a sangue facendolo
finire in ospedale!
Il caso si era risolto bene e
Don si era addirittura trovato ad uccidere anche la donna che aveva
rapito Megan, non era stato preso un provvedimento serio se non che
poi lui era stato mandato dallo psicologo!
Il fatto che il suo capo ce
l'avesse con lui e cercasse in tutti i modi di mandarlo via
calpestando addirittura Charlie, lo mandava naturalmente in bestia.
Non erano quelli i modi, non era
giusto.
Se ce l'aveva con lui doveva
lasciare in pace suo fratello e ridargli quelle dannate
autorizzazioni. Anche se aveva fatto qualcosa che non doveva, non era
un vero pericolo per l'FBI e per nessun'altro.
Alla fine della giornata, dopo
che aveva visto i propri uomini interrogati uno ad uno su di lui, era
entrato nel suo ufficio e aveva concluso con decisione e
determinazione dicendo che senza Charlie non poteva lavorare e che si
sarebbe dimesso se non fosse stato riammesso come consulente nella
sua squadra.
Non aveva aggiunto altro.
Era stato Carl, il suo capo, a
dirgli che lui e suo fratello erano dannatamente uguali!
Lo stupore che l'aveva colpito
si era dimostrato in un sorriso di sorpresa che gli aveva illuminato
il viso.
Uno di quelli rari che non
sfoderava facilmente.
Aveva risposto contento che
nessuno glielo aveva mai detto e se ne era andato. Non aveva mai
pensato di essere né simile né uguale a lui ma ne
era
estremamente felice.
Sapere di esserlo gli aveva
ribaltato la giornata del tutto dandogli un buon umore che non aveva
avuto per tutto il tempo.
Non se lo era spiegato, si era
sentito così e basta.
Ora sotto la doccia, chiudendo
il rubinetto, si chiedeva cosa avrebbero deciso i piani alti dopo il
rapporto di Carl. Era fortunato che non spettasse a lui l'ultima
scelta ma non era molto confortante, in fondo.
Lo voleva chiaramente fuori e
quella era un ottima opportunità.
Bastava non accettare Charlie e
lui se ne sarebbe andato!
Sospirando con la fronte
aggrottata si obbligò a ripensare al paragone con suo
fratello.
Erano così diversi... in
cosa erano uguali?
Forse anche Charlie l'aveva
difeso nel suo colloquio... non se lo immaginava ma non poteva che
essere così. In fondo era quello ciò che aveva
fatto,
niente di più.
Con ancora molte domande nella
testa, Don uscì dal box della doccia fatto di piastrelle e
vetri smerigliati, quindi prese un asciugamano rosso e se lo avvolse
alla vita sentendo le gocce corrergli e solleticargli il corpo
bagnato e lucido.
Si passò in fretta le
mani fra i capelli per scrollarseli dall'acqua, quindi li
lasciò
spettinati e non più attaccati alla testa ed uscì
dal
bagno.
Lo stomaco gli brontolava non
poco, solo quando era lì gli veniva fame!
Ma ciò di cui aveva più
bisogno in quel momento era un birra fresca. Con quella pensava
meglio!
Lasciando dietro di sé
una scia di pozze mentre scalzo si dirigeva verso la cucina,
ignorando la decenza che gli diceva di doversi asciugare e vestire
prima di prendersi un accidente o di incontrare qualche ospite
consueto girare per casa Eppes, giunse in sala da pranzo dove
trovò
chino sul tavolo suo fratello alle prese con dei fogli pieni di
numeri e calcoli. Non vi si soffermò oltre e salutandolo
entrò
subito in cucina per prendersi la sua birra.
Sapeva che suo padre quella sera
era fuori quindi quando era arrivato trovandosi casa vuota, era
andato subito a mettere giù il borsone coi suoi cambi e a
farsi una doccia. Charlie non era ancora arrivato.
Il giovane matematico lo salutò
distratto e subito dopo alzò la testa di scatto come una
molla
con un espressione interrogativa e corrugata.
“Ma
ho visto bene?”
Si chiese avendo intravisto
appena la figura del fratello mezzo nudo e bagnato passargli dietro.
Si girò accigliato verso
la porta che dondolò una seconda volta rivelando nuovamente
Don proprio come gli era parso un secondo prima.
Mezzo nudo e bagnato!
Dimostrando ulteriore stupore,
sgranando gli occhi e lasciando aperta la bocca, per un attimo la sua
testa piena di nozioni divenne una lavagna nera e vuota. Uno dei suoi
terrori, in effetti, considerando che era un matematico che lavorava
con le lavagne!
Don si appoggiò con una
sola mano al mobile davanti a lui, al di là del tavolo
dietro
cui era seduto, incrociò le gambe e si mise a sorseggiare la
birra che si era appena preso ed aperto.
Con una muta domanda nello
sguardo gli chiese cosa avesse e Charlie con un altrettanta muta
risposta si strinse nelle spalle scuotendo energicamente la testa
senza avere la minima idea di che cosa dire.
- Papà non te lo ha
detto? - Charlie ancora non riuscì a dire nulla, quindi
l'altro riprese: - Ho l'impianto elettrico rotto, ci vorrà
un
mese per rifarlo tutto così starò qua intanto. -
“A
quello ci potevo arrivare da solo, ma la mia domanda era: che fai
mezzo nudo e bagnato?”
Pensò con le corde vocali
atrofizzate e la gola secca. Cominciò a mordicchiarsi le
labbra a disagio e questo fu indicativo per Don.
- Qualcosa non va? - Chiese
quindi rimanendo tranquillo lì facendo sfoggio di
sé e
del proprio bel corpo. Per lui non c'era niente di male, a casa
girava sempre mezzo nudo e gli piaceva stare un po' così
prima
di vestirsi. E poi loro erano come fratelli, che problema ci poteva
essere a ritrovarsi in quelle condizioni?
Certo, sapeva che Charlie era un
po' pudico poiché da piccoli mentre lui gironzolava come
niente fosse senza maglietta per giocare a baseball o a basket,
quello sembrava essere un tutt'uno coi propri vestiti!
Non si era quasi mai spogliato
davanti a lui e forse era perché non l'aveva mai considerato
un vero fratello.
Non si era comunque posto il
problema.
- Charlie, hai problemi se giro
così? Io lo faccio sempre a casa, anche quando vivevo qua lo
facevo quindi... ma se ti dà fastidio mi vesto subito! -
Questo slancio di gentilezza nei suoi confronti lo spiazzò
di
nuovo e come se non fosse abbastanza senza parole, si trovò
ad
imporsi sulla sua testa che non gli dava più ordini di alcun
tipo se non quello di fissarlo come un alieno.
Ma quando provò a dire
qualcosa il rossore colpì le sue guance dimostrandolo
chiaramente imbarazzato:
- N-no, n-non p-preoccuparti.
F-fa come s-sempre. -
A Don non parve molto convinto
ma del resto se non glielo diceva non poteva costringerlo!
Quando non avrebbe più
voluto vederlo così, semplicemente l'avrebbe avvertito, si
disse dimenticandosi di nuovo che anche se uno su mille gli aveva
suggerito che erano uguali non era vero in ogni campo!
- Sai una cosa? - Iniziò
così senza spostarsi da lì, in modo da essere ben
visibile nella sua interezza. - Carl oggi mi ha detto che siamo
uguali io e te. Che si vede che siamo fratelli. - Con quello
l'attenzione di Charlie si spostò dal corpo quasi nudo che
aveva davanti, un corpo atletico e ben formato, per guardarlo stupito
in viso.
- Davvero? - Don annuì
con un mezzo sorriso appena accennato. Al giovane piacque trovandolo
sensuale al cento per cento! - Ma sa che non lo siamo in
realtà?
- La domanda fu insolita, si sarebbe aspettato una cosa tipo ' ma
dove ci vede simili?', suo malgrado rispose dopo aver bevuto un altro
sorso:
- Nel mio file c'è tutto
su di me ma non credo si sia dato pena per leggerlo. La maggior parte
ci crede davvero fratelli. -
Il giovane rimase assorto a
fissare il suo viso ormai asciutto dove quell'ombra di malizia era
passata. Sforzandosi di non guardare di nuovo il resto del corpo si
concentrò sul discorso, quindi continuò
giocherellando
nervoso con la matita che aveva in mano:
- E in cosa siamo uguali? -
Finalmente chiese.
Qua, il maggiore tornò
nuovamente a fare quel cenno di sorriso divertito da qualcosa che
l'altro non riusciva ad immaginare, quindi lo sentì parlare
ancora stringendosi nelle spalle, facendo fare ai muscoli delle
braccia un guizzo che catturò come una calamita il suo
sguardo
chiaramente teso:
- Non lo so... devi aver detto o
fatto qualcosa che ho fatto anche io... -
“Pensa,
Charlie. Pensa e non fissargli le braccia e le spalle! Pensa e
guardalo negli occhi!”
Si impose il moro dai capelli
ricci tutti intorno al viso. Gli occhi di Don erano castani simili ai
suoi e lo fissavano con la solita intensità con cui faceva
con
chiunque. Penetrava le persone, non le osservava e basta come faceva
lui!
- Io... - Si trovò di
nuovo con la gola secca e le corde vocali dure, tossicchiò,
inghiottì a vuoto e continuò: - Io gli ho solo
detto
che tu eri indispensabile per la squadra e che se si aspettava che ti
calpestassi per poter riavere le autorizzazioni si sbagliava di
grosso, piuttosto ne facevo a meno! -
Questa volta fu Don a stupirsi
delle sue parole e spegnendo quel cenno dalle labbra
dimostrò
l'incredulità nell'espressione di norma tenebrosa:
- Davvero? - Chiese credendo lo
prendesse in giro.
Qua Charlie si drizzò
sulla sedia lasciando perdere la matita, quindi colto sul vivo
rispose più deciso, dimenticandosi finalmente del suo
imbarazzo:
- Certo, Don! Non potevo
consegnarti a quello squalo! Lui ti vuole fuori ed era disposto anche
a metterci l'uno contro l'altro pur di riuscirci! Ma ha sprecato il
suo tempo! Piuttosto rinuncio alle consulenze per l'FBI! -
Questo discorso fatto con aria
sostenuta e lievemente offesa per lo stupore che albergava negli
occhi del fratello che non lo credeva capace di una cosa simile,
colpì molto Don che non gli staccò lo sguardo di
dosso
come se quello mezzo nudo fosse lui, ora!
E Charlie si sentì
effettivamente così... come se lo stesse spogliando!
All'idea divenne paonazzo e si
alzò di scatto dalla sedia passandosi agitato le mani sul
viso
e poi fra i ricci, ingarbugliandoli ulteriormente. Don continuava ad
osservarlo senza parole, quindi lui non avendo idea di che cosa fare
si costrinse a non scappare, conscio che non avrebbe avuto senso e
non avrebbe saputo spiegarlo!
L'altro a quel punto si staccò
dalla propria postazione e cominciando a camminare lentamente e
casualmente, dopo aver quasi finito la bottiglia, gli arrivò
davanti e lì si fermò impedendogli una possibile
fuga,
quindi serio e imperscrutabile disse:
- Anche io ho detto una cosa
simile. - Non specificò cosa e malgrado Charlie morisse
dalla
voglia di saperlo, non gli chiese nulla ritrovandosi per la millesima
volta in poco tempo con la gola arsa. Si limitò a scrutarlo
col fiato evaporato dai polmoni e occhi sgranati ben puntati in
quelli altrettanto castani che aveva a poca distanza da sé.
Cosa pensava?
Si trovò a domandarselo
mentre l'ansia più assurda mai provata saliva alle stelle.
Perché non faceva mai
capire ciò che provava?
Gli altri potevano solo
immaginarlo ma erano sempre certi di non riuscire ad arrivargli
nemmeno lontanamente vicino. C'era poco da fare.
Don per lui era sempre stato un
mistero, tutto quel che poteva fare era continuare a rincorrerlo
cercando di raggiungerlo.
“E
comunque non si accorgerà mai di niente...”
Concluse a sé stesso con
una delusione crescente.
Il cuore però continuò
a battergli all'impazzata nel petto fino a fargli credere fermamente
che anche quello che in realtà non era suo fratello, potesse
sentirlo.
Rimasero a fissarsi così
per un istante, in piedi l'uno davanti all'altro, poi Don
finì
la birra senza staccare gli occhi dai suoi e posò la
bottiglia
vuota sul tavolo a fianco.
Rimanendo nel silenzio più
completo, infine, se ne andò per vestirsi.
Non disse altro sull'argomento.
Rimasto solo, Charlie si sentì
come se gli tagliassero i fili e cadde sfinito sulla sedia dietro di
sé nascondendo il viso fra le mani di nuovo, questa volta
non
si mosse a lungo pensando stralunato alla micidiale sensazione che
aveva provato fra l'averlo lì in quelle condizioni e le cose
che gli aveva detto.
Aveva praticamente ammesso che
non voleva lavorare senza di lui, che voleva continuare a stare con
lui e che l'aveva difeso e protetto col suo capo a scapito della
propria carriera!
O almeno quello gli rimaneva da
immaginare con la sua logica, secondo ciò che gli aveva
solamente accennato l'altro.
“Cosa
sta succedendo? Pensavo si trattasse solo di raggiungere quello che
ho sempre considerato un fratello.
Pensavo
fosse solo la ricerca di... di Don!
E
di questo si tratta ancora, in effetti, ma non per le stesse
motivazioni di quando ho iniziato... ora c'è ben altro.
Ora...
sembra che si sia tutto trasformato.
È
più un raggiungerlo per entrargli dentro, fargli capire che
ci
sono anche io, che gli voglio stare vicino in ogni modo, essere
qualcuno per lui...
E'
più un... un amore non corrisposto... e non un amore
fraterno... “
Realizzando ciò,
ricordandosi chiaramente quando era stato con Amita trasformando
l'amicizia in amore e dimenticando quando poi era finita, si disse
che non era uguale ma molto, molto più forte ora.
E che a differenza di quando
vivevano insieme da bambini e ragazzini, c'era il desiderio.
Desiderio di essere guardato,
considerato un uomo e non un consanguineo o peggio un fastidio.
Desiderio di lui.
Lui nella parte più
intima, profonda e completa.
Quando lo capì grazie
alla sua mente analitica che elaborava alla velocità della
luce ogni cosa, il panico lo avvolse.
- Se sono fortunato mi considera
appena come un fratello... - Mormorò sconvolto.
Chiuso in quella che un tempo
era stata la sua camera da letto e che ora l'avrebbe ospitato di
nuovo per un mese almeno, Do si stava rivestendo con noncuranza
svelto e assente. La testa da tutt'altra parte.
Al discorso appena avuto.
Quando Charlie aveva
puntualizzato che in realtà non erano fratelli aveva sentito
un moto di stizza mescolato a un vago senso di sollievo.
Da una parte gli dava fastidio
sapere che per lui era vitale specificare sempre che non avevano
reali legami di sangue, dall'altra ne era contento perchè
significava che non lo vedeva in quel modo e questo da un lato poteva
essere triste ma dall'altra aveva i suoi vantaggi.
Anche se lì per lì
non li comprese affatto, ecco perchè focalizzò
unicamente il fattore negativo.
Perché specificare che
non erano veri fratelli?
Charlie era sempre troppo
preciso...
Eppure era strano da parte sua.
Aveva passato la sua infanzia a sottolineare in ogni modo il fatto
che lui non era davvero figlio di Alan e Margaret, poi
improvvisamente il fatto che Charlie lo tenesse presente lo feriva,
quasi.
Scrollò le spalle
rifiutandosi di andare oltre con quei pensieri, quindi una volta
vestito con comodi abiti da casa uscì dalla camera tornando
di
sotto con l'unico pensiero di non rovinare quello che avevano
costruito con fatica dopo anni di lontananza e silenzi.
Quello che ora aveva con quel
ragazzo non lo si poteva definire con un semplice affetto fraterno
poiché non l'aveva mai visto così,
però c'era,
finalmente, ed era forte.
Ci teneva.
Ci teneva davvero e non avrebbe
permesso a niente e nessuno di rovinarlo.
Però, si disse anche, non
c'era logicamente bisogno che altri sapessero di questo tesoro che
voleva conservare a tutti i costi.
L'importante era che lo sapesse
lui e lui soltanto, così l'avrebbe protetto meglio!
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Capitolo 3 *** non escludermi ***
*Ecco
il terzo capitolo,
all'interno c'è un altro cenno a ciò che succede
in una
delle puntate della nuova serie, quando Charlie scopre da Larry e suo
padre che Don ha iniziato a frequentare il tempio a sua insaputa e ci
rimane male decidendo di parlargliene. Poi ovviamente il finale l'ho
aggiunto io! Inizialmente avevo pensato di fare che Don frequentava
la chiesa cattolica poiché di quella ebrea non conosco un
fico
secco, ma poi ho deciso di mantenere il tempio... spero di non
trovarmi a scrivere strafalcioni nel caso debba parlarne meglio.
Vabbè, intanto grazia a chi ha commentato e letto gli altri
capitoli. E buona lettura. Baci Akane*
CAPITOLO
3:
NON
ESCLUDERMI
/Twenty
years – Augustana/
Già
sentirlo da
suo padre gli parve strano ma pensò comunque che potesse
anche
essere comprensibile, tutto sommato.
Entrambi
si confidavano
con lui per molte cose, non era poi così anormale,.
Quel
che però lo
sconvolse del tutto fu sentirlo da Larry.
E
quando lo sentì
anche da lui non gli bastò la raccomandazione che
precedentemente gli aveva fatto il padre, ovvero di aspettare che
fosse Don a sentirsi di dirglielo. Quando realizzò che lo
sapeva anche Larry e che invece a lui, suo fratello, non ne aveva
parlato affatto, non riuscì a trattenersi.
Oh,
non era certo da
Charlie fiondarsi in ufficio da Don per pretendere spiegazioni, ma
appena l'avrebbe visto non sarebbe certo stato zitto.
Non
era scemo, capiva
bene che Don era molto riservato e che parlava a stento. Lui
grugniva, non discorreva. Però sperava sempre che certe cose
importanti gliele dicesse almeno ora che si erano avvicinati
così
tanto.
Si
sentì ferito e
deluso dal fatto che questo, così essenziale proprio
perché
estremamente insolito per lui, non era venuto a dirglielo.
Perchè?
Né
Larry né
suo padre seppero spiegarglielo e nel tempo che rimase ad aspettare
di poterglielo chiedere di persone aveva pensato di tutto.
Anche
troppo.
Che
Don andasse al
tempio e sentisse le celebrazioni del rabbino non era normale. Non
era una cosa facilmente assimilabile, non era una notizia che la si
poteva apprendere da chiunque con tranquillità dopo la quale
si poteva andare avanti come niente fosse!
Don
in chiesa a sentir
parlare di Dio?!
Più
era rimasto
solo a pensarci, più si era trovato sconvolto da questo
fatto.
Quando
finalmente suo
fratello era arrivato a casa a metà giornata per una piccola
pausa trovata a metà di un caso, Charlie era scattato in
piedi
seguendolo con un nervoso salito alle stelle.
Ok,
voleva chiederglielo
ma poi cosa?
Che
parole esatte usare
per non farlo chiudere a riccio ed ottenere l'effetto opposto?
Era
così
difficile strappargli qualcosa...
Sospirò
tormentandosi le mani, quindi guardando le sue spalle larghe mentre
si muoveva deciso per la stanza semplicemente lo chiese a bruciapelo,
lasciando perdere il proprio cervello improvvisamente vuoto!
-
Hai iniziato ad andare
al tempio? - A quel punto Don si era girato fermandosi di scatto,
l'aveva guardato stupito con una chiara domanda nello sguardo,
domanda che fece:
-
Te l'ha detto Larry? -
Come se il problema fosse quello...
Il
giovane si strinse
nelle spalle sprecandosi a rispondergli, sperando che poi lo facesse
anche lui:
-
Si ma anche papà...
-
-
Io non l'ho detto a
papà... l'ho detto solo a Larry... - Fece allora Don
sorprendendo sempre più Charlie. Solo Larry? E
perché
mai?
-
A lui l'ha detto
Larry... - In effetti era vero. Don ne aveva parlato solo con il suo
amico e nemmeno col padre.
-
Bè, si... -
Disse allora Don rispondendo alla sua domanda iniziale,
tornò
quindi a girarsi per continuare la sua avanzata verso l'altra stanza,
credendo di aver concluso il discorso. Ma Charlie ovviamente non
mollò e continuando a seguirlo, col cuore che gli martellava
nella gola, chiese ancora con un tono leggermente più
nervoso
di prima:
-
E perché non me
lo hai detto? - Di nuovo il fratello si fermò e si
girò,
questa volta più lentamente mentre si notava cercava di
soppesare meglio le parole. D'istinto gli avrebbe detto che erano
solo affari suoi ma un'occhiata attenta ai suoi occhi ansiosi e
chiaramente delusi, gli fece capire che ne era rimasto ferito,
così
sospirò, si morse il labbro, poi rispose stringendosi nelle
spalle cercando di mitigare la questione:
-
Non volevo iniziare un
interminabile discussione con te sulla questione... - Sapevano bene
entrambi che Charlie avrebbe fatto una specie di tesi sul
perché
Dio non esisteva e a Don quel genere di cose non erano mai piaciute,
era sempre stato insofferente riguardo certe cose. Ma più di
tutti non era sicuro lui stesso di quello che stava facendo e vedendo
gli occhi sempre più lucidi dell'altro, glielo disse
aprendosi
come non aveva messo in conto di fare:
-
La verità è
che non sono sicuro nemmeno io di questa cosa. Cioè,
è
un esperimento. Non so come può andare e non voglio
affrontarla col fiato sul collo da parte di nessuno. - Anche se
l'aveva detto per ammorbidire il colpo, in realtà l'aveva
reso
più affilato!
Charlie
provò un
forte senso di tristezza addosso, cercò con tutto
sé
stesso di nasconderlo per non dare grattacapi al fratello e magari
anche ci riuscì all'apparenza, ma si vedeva che ci era
rimasto
male. Era come se non lo volesse nella sua vita in un momento
così
importante, delicato e particolare.
Certo,
lui non credeva
in nessun Dio e poteva stare ore a confutare la sua presunta
esistenza, ma le parole di Don non erano mai state più
chiare
e letali per lui.
Non
voleva che si
intromettesse in quella parte della sua vita.
Sperò
vivamente
di non dimostrare per nulla la ferita che si era aperta in lui, ma
ovviamente non fu così poiché Don se ne accorse
immediatamente.
Eppure
il fatto che
l'avesse notato non significava che avrebbe fatto qualcosa per
aggiustare il tiro.
Del
resto era la verità.
Cosa poteva dire per farlo stare meglio?
Nulla...
e lui doveva
anche capire che certe cose le voleva ancora affrontare da solo
almeno fino a che non sarebbe stato sicuro di esse. Era il suo
carattere, lo conosceva.
Così
cogliendo al
volo la chiamata al cercapersone dall'FBI ne approfittò per
mettersi addosso ancor più fretta e far finta di non aver
captato la sua delusione.
-
Io devo andare... - Lo
guardò un attimo negli occhi più profondamente,
cercando di fargli capire che non doveva prendersela per quello, ma
quando lui annuì smarrito si girò e se ne
andò
scuotendo impercettibilmente il capo.
Se
l'era presa e anche
troppo!
Certo
che gli dispiaceva
ma non poteva farci nulla.
Charlie
era grande e
doveva capire che certe cose erano solo sue, doveva accettare quando
decideva di vivere una determinata cosa in quel modo specifico anche
se non gli andava bene. Doveva accettare che si ponesse in quei modi
bruschi e poco altruistici. Doveva accettare che non si confidasse
con nessuno.
Doveva
accettare e
superare le proprie delusioni da solo, senza il sostegno di chi lo
feriva.
Doveva
farcela e andare
avanti.
Sarebbe
stato facile per
lui mentire dicendo che non ci aveva pensato poiché non era
stata una cosa tanto importante, Charlie se la sarebbe presa di meno
e avrebbe intavolato una discussione sul perché fosse
inutile
andare al tempio, ma sarebbe stata una bugia e lui non era capace di
dirne. Lui diceva sempre quel che pensava e come lo pensava, ma solo
se era interpellato.
Altrimenti
si teneva
tutto per sé.
Glielo
aveva chiesto e
lui glielo aveva detto. Era stato difficile nella fattispecie
perché
aveva saputo fin dall'inizio che ci sarebbe rimasto male, ma mentire
per indorarglli la pillola non avrebbe avuto senso.
La
verità era
quella che aveva detto.
Stop.
Charlie
era grande, ce
l'avrebbe fatta da solo così come ogni giorno ce la faceva
lui.
Rimasto
solo, il
giovane, guardò a lungo la porta chiusa dalla quale era
sparito Don. Guardò l'uscio con sguardo perso, in piedi con
le
mani lungo i fianchi.
Male?
Si,
ci era rimasto male.
Anzi.
Molto di più.
Questo
aveva un
significato tutto nuovo per lui, dopo che aveva capito di stare
innamorandosi.
Significava
che Don non
lo ricambiava davvero e che non lo voleva nella sua vita nelle cose
davvero importanti.
Certo,
non era sicuro di
ciò che faceva ma per uno come lui andare al tempio a
cercare
Dio era paragonabile alla scoperta di una delle teorie matematiche
più sensazionali di tutti i tempi!
Come
poteva non aver
bisogno di parlarne con qualcuno?
Come
poteva chiuderlo
fuori dalla sua vita ancora?
Forse,
dopo tutto, si
era solo illuso di essersi avvicinato...
E
pensando ciò
appoggiò la fronta sullo stipite di legno lì
accanto,
chiudendo gli occhi scoraggiato, liberando un espressione smarrita e
ferita.
Ecco
perchè
preferiva la matematica ai rapporti umani... quella non lo feriva
mai.
Quando
a sera Don arrivò
a casa, era molto tardi e non si era certo aspettato di trovare
qualcuno ancora sveglio.
Con
sua sorpresa,
invece, seduto al divano coi piedi alzati nel tavolino davanti a
sé
c'era Charlie addormentato della grossa.
Si
fermò nella
penombra senza aprire nessuna luce, aiutandosi solo con quella della
televisione accesa su una partita ormai finita e quella che veniva
dai lampioni esterni.
A
qualche metro da lui,
togliendosi la giacca, scrutò con attenzione il volto del
fratello o per lo meno colui che secondo la legge lo era.
Anche
nel sonno la sua
espressione non mascherava per niente bene il suo reale stato
d'animo.
Tormento,
dolore, ansia,
un malessere profondo portato certamente da lui e dal suo
comportamento.
L'aveva
tagliato fuori
da una cosa importante e si era ridotto così!
Che
senso aveva?
Sospirò
con
pazienza e senza pensarci si sedette leggero e silenzioso accanto a
lui, nel divano. Appoggiando il gomito allo schienale e girandosi a
tre quarti, piegò la testa di lato sulla propria mano e
assorto rimase a guardarlo ripensando a quando si erano parlati quel
giorno.
Ripercorse
tutti i
momenti e poi, semplicemente, strinse le labbra in segno di non saper
proprio che fare.
Era
sicuro che non lo
potesse aiutare o almeno avrebbe potuto ma in quel caso sarebbe
andato contro sé stesso.
Non
voleva tagliarlo
fuori dalla sua vita di nuovo, ma questa sua ricerca di Dio era
così
lontana dalla matematica di Charlie che non c'era nemmeno una sola
possibilità che si sarebbero potuti trovare d'accordo,
questa
volta.
Forse
era stato anche il
timore di allontanarsi di nuovo a farlo agire in quel modo tacendogli
la ricerca della sua fede.
Sapere
che avrebbe
tentato di convincerlo che era solo una perdita di tempo aveva inciso
tanto e non poteva sostenere una discussione del genere.
Inoltre
non voleva, non
voleva assolutamente perderlo di nuovo.
Ennesimo
sospire
scontento.
Non
gli piaceva come si
erano messe le cose.
Alzò
la mano,
cercò il telecomando e spense la televisione. Rimase il
silenzio completo ed il buio quasi totale ad inglobarli. I giochi dei
lampioni che venivano dall'esterno gli permetteva di vedere appena la
sagoma dell'altro accanto, con la testa appoggiata all'indietro, i
capelli scarmigliati tutti ai lati del viso e i lineamenti
preoccupati anche nel sonno.
Fu
lì che si
sentì di nuovo lontanissimo da lui, dopo la sorpresa dei
giorni passati quando gli avevano detto di essere uguali.
Preferiva
sentirsi
simile ma non poteva mentire a sé stesso e nemmeno a lui.
Però
questo non
voleva certo dire che non gli voleva bene.
Forse
questa loro
diversità poteva rafforzare ulteriormente il loro legame
sempre in continua evoluzione.
Poteva
anche essere,
dopo tutto...
Dopo
un interminabile
tempo indefinito passato a fissarlo, Don cominciò a rendersi
conto di essersi impercettibilmente sempre più avvicinato.
Quando
lo notò
era già a pochi centimetri dal suo viso e sentendo su di
sé
i suoi respiri, i battiti del suo cuore accelerarono di brutto mentre
si chiedeva che diavolo stesse facendo.
Cominciò
a dirsi
di tutto, mentalmente, mentre i dilemmi avuti fino a quel momento si
cancellavano.
Poi
però i suoi
occhi si persero di nuovo sul viso di quello che, ora lo vedeva
meglio di prima, non aveva nulla di simile a sé stesso. Non
fisicamente. E questo perché non erano veri fratelli.
Già...
non lo
erano...
E
mai più di
allora se ne sentì sollevato, nonostante di norma gli desse
fastidio ricordarsene!
Fu
lì che si
calmò completamente e controllando tutte le sue improvvise
accelerazioni corporee concluse il cammino verso il suo viso e senza
il minimo senso di colpa sfiorò le labbra con le proprie.
Solo
questo.
Appena
leggero,
impercettibile.
Dopo
di ché la
pace lo colse e con serenità si lasciò cadere
sullo
schienale del divano mentre il sonno lo avvolgeva lì
dov'era.
Quando
il mattino
Charlie si vegliò, a parte i dolori lancinanti alla schiena
per la posizione scomoda assunta tutta la notte, sentì
ancora
prima di aprire gli occhi un peso sulla sua spalla, contro il collo. Un
altro respiro oltre al suo.
Sgranò
gli occhi
di colpo e imponendosi di non pensarlo, girò subito lo
sguardo
in direzione di quel peso.
Nonostante
il sonno e la
nebbia che invadeva ancora la sua mente, fu certo di non stare
sognando.
Quando
mise a fuoco Don
addormentato contro di lui un sorriso radioso si formò
spontaneo sulle sue labbra, mentre la luce e la serenità
tornavano sconfiggendo le tenebre del giorno prima.
Qualunque
cosa avesse
fatto Don non se ne sarebbe più andato.
Era
ancora lì con
lui.
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Capitolo 4 *** Passato e futuro ***
*Gente, la
puntata a cui fa riferimento
è bellissima e la canzone che ho messo come colonna sonora
mi
ha colpito altrettanto visto che anch’essa viene dalla
puntata in
questione, la 11 della quinta stagione. (ho trovato un sito che
inserisce le canzoni di ogni scena… ma che bello!!!)
Vabbè,
particolari a parte, il mio capitolo parte dalla fine della puntata,
Don si trova davvero nel tempio e quel che pensa riguardo la giornata
è ciò che succede davvero
nell’episodio. L’unico
piccolo cambiamento che ho messo è stato quando poi entra
Charlie e parla con lui. In originale, ovviamente, entra la donna di
Don che io ho abolito! ^____^
Ad ogni modo questo
capitolo mi ha
preso particolarmente infatti contro la mia volontà
è
venuto in prima persona dalla parte di Don. Me ne sono accorta solo
quando l’avevo finito di scrivere, quindi rimane
così!
Ringrazio coloro che
seguono e
commentano la fic. Buona lettura. Baci Akane*
CAPITOLO 4:
PASSATO E FUTURO
/Arvo Part –
Cactus in memory of Benjamin Britten/
“Sono stato tutto il giorno
fermo
immobile davanti alla foto di Buck e al video dell'auto con la sua
donna che bruciava dopo che io le avevo sparato.
Ho pensato tutto il giorno
con il
numero di cellulare che Buck mi aveva dato dopo avermi telefonato.
Mentre tutti gli altri
della
squadra, e non, erano preoccupati per me e cercavano di coinvolgermi
nell'indagine per trovarlo dopo che era evaso di prigione con il
chiaro intento di vendicarsi di me, dopo che li ho ignorati di
continuo facendogli fare come volevano, cosa che non avevo mai
permesso, dopo che ho risposto con un silenzio alle frasi di tutti
quelli che cercavano di sapere come stavo e che volevano aiutarmi a
tirare fuori questo mio terribile stato d'animo bloccato e raggelato
dentro di me, dopo tutto questo non sono riuscito a fare nulla prima
dell'arrivo di Charlie e delle sue semplici parole.
Se dovessi ripeterle non
saprei cosa
mi ha detto di preciso, ma me l'ha detto.
E mi ha fatto capire cosa
andava
fatto e cosa voleva davvero Buck.
Tutti hanno pensato che
volesse
vendicarsi perché ho ucciso la sua donna e l’ho
messo in
prigione, solo io ho capito cosa voleva davvero.
Morire per mano mia
poiché io
avevo ucciso sua moglie.
Ecco perché
dopo aver tenuto
nascosto per tutto il giorno che avevo il suo numero, il numero del
criminale che mi dava apertamente la caccia, quando David ha capito
tutto è venuto da me infuriato ed io non l'ho mandato via a
meno che non facesse esattamente quel che dicevo io.
Non gli ho spiegato,
né a lui
né a nessun'altro cosa volessi fare di preciso,
perché
gli avevo dato appuntamento al tempio e perché non avessi
voluto nessuna pistola.
Né ho detto che
non c'era
nessun pericolo poiché Buck non mi avrebbe ucciso in
realtà.
È stato Charlie
a farmi
aprire completamente la mente anche se non ricordo come.
E a lui devo l'esito di
questa
giornata, in fondo, poiché probabilmente me ne sarei rimasto
davanti a quello schermo a guardarmi la sua faccia in foto e pensare
al giorno in cui la sua donna ha rapito Megan per riavere il suo
ragazzo che avevo arrestato.
Quel giorno ho fatto cose
contro la
legge di cui non vado fiero e mai ne andrò, ero impazzito ed
ho sorpassato tutte le linee possibili e immaginabili.
Non intendo più
ripetere una
cosa simile.
Per farlo parlare l'ho
spedito in
ospedale oscurando telecamere e chiudendo le tende della sala
interrogatori.
Ma io so che non mi odia
tanto per
come l'ho ridotto quanto perché l'ho obbligato a tradire
colei
che amava per consegnarmela.
Ma lei aveva Megan ed io
non ho mai
avuto scelta. Forse.
Me lo sono ripetuto in
continuazione
in questi anni ma non sono stato capace di soddisfarmi mai.
Ho dovuto ucciderla.
Gliel'ho poi detto a Buck
quando ci
siamo trovati faccia a faccia qua, al tempio, circondati da una marea
di agenti fra cui tutti i membri della mia squadra.
Aspettavano il mio segnale
per
ucciderlo ed io non lo davo.
Erano convinti mi avrebbe
sparato,
certi che non contava altro che quello per lui.
Invece no.
Invece voleva solo morire
come era
morta la donna che amava, che io gli ho strappato.
È stata una
delle cose più
dure che ho fatto e da una parte volevo solo farla finita in qualche
modo. Bastava un mio cenno e avrebbero sparato, poi fine dei giochi.
Ma non ho voluto darlo.
Volevo parlare con lui,
tirargli
fuori la verità.
Solo quello.
Così poi in
ginocchio davanti
a me, piangendo, me l'ha detto.
Me l'ha detto che era come
dicevo io
e che non poteva sopportare di vivere ancora, ma non gli bastava una
morte qualunque.
Ha gridato e poi si
è buttato
a terra lasciandosi prendere e portare via dagli agenti.
Nessuno è morto
e se fossi
andato là con l'intenzione di uccidere non ci sarebbe stato
altro da fare.
Sarebbe successo.
Semplicemente.
Ma questa volta non l'ho
fatto.
Nessuna furia omicida,
nessuna
pistola. Io, lui e basta.
E altri rimorsi non si
accumuleranno, per questa volta.
Perché anche se
quando uccido
sono costretto e penso a chi permetto di vivere, è sempre
una
vita quella che tolgo e non ne vado mai fiero.
Non ne sono mai contento.
Come non lo sono stato di
aver agito
così oggi nei confronti della mia squadra, tutti preoccupati
per me.
Rimasto qua da solo, in
questo
tempio vuoto che ho preso a frequentare ultimamente per ottenere
qualche risposta e un po' di pace, non mi rendo conto delle ore che
trascorrono e del peso che lento comincia a togliersi ora che sono
riuscito a mettere davvero la parola fine a tutto questo.
Ci saranno sempre molti
altri
fantasmi nella mia vita, ma l'importante è che ora ne ho uno
in meno.
Sospiro guardando fuori
dalle
vetrate di quest'ampio e alto spazio che mi circonda, è
notte
fonda e forse dovrei proprio andare ma quando sto per alzarmi, gli
occhi mi ricadono sulla Torah che proprio ieri sera leggeva in questo
posto. Mi ricordo che ero rimasto dubbioso su un argomento che
riguardava Mosè e le tavole della legge che gli aveva dato
Dio
con fatica da tramandare al suo popolo. Sceso dal monte aveva trovato
la sua gente che idolatrava e lui infuriato ha rotto le tavole di
pietra dicendo loro di tutto. Mi sono chiesto
perché ha fatto
ciò
che ha fatto per tutti loro, quei sacrifici, se poi loro
l’hanno
ripagato non avendo fiducia in lui, cadendo così facilmente.
Quando seguo gli incontri
qua dentro
assorbo tutto quel che si dice e il resto lo leggo dalla Torah che ho
in mano e che riapro in un'altra pagina senza alcun pensiero
particolare.
Leggendo arrivo su un
passo in cui
Mosè poi torna sul monte e si fa ridare di nuovo le tavole
della legge da Dio, perdonando il suo popolo che aveva peccato, che
l’aveva pugnalato e che non si meritava più nulla.
Così
ho semplicemente capito che le cose stanno così e che
l'amore
di quella persona era così grande da aver perdonato ed
essere
andato avanti per la sua strada sempre e comunque.
Non ho ancora compreso il
motivo,
come fa.
Però oggi forse
ci sono più
vicino a comprenderlo.
Buck e la sua donna erano
dei
criminali, hanno fatto davvero del male a moltissime persone
uccidendo, lei ha rapito Megan e poi si è praticamente fatta
uccidere da me.
Lui ne ha fatte, a tutti e
a me per
primo; cosa posso dire?
Non ho voluto ucciderlo
nonostante
potessi, lui volesse e fosse stato giusto.
Forse è simile
al mistero di
Mosè che ha amato di nuovo.
Poteva odiare e
abbandonare tutti e
da ciò che sto capendo da quando frequento la chiesa, non lo
ha mai fatto, ma ha continuato ad amarli conducendoli alla salvezza.
Io potevo ucciderlo, Buck,
e avrei
davvero dovuto farlo, ma l'ho lasciato vivo.
Quando riuscirò
a capire ciò
che è successo stasera, forse capirò meglio anche
perché Mosè, e Dio tramite lui, hanno amato
ancora.
Con questa conclusione una
voce
sommessa alle mie spalle mi fa saltare sul posto ed io mi giro senza
alzarmi dal bancone in cui sono messo poco compostamente con le gambe
allungate davanti a me.
- Sei qua... - Mormora
Charlie
avanzando a disagio in un posto a lui poco convenzionale.
Rimane in piedi accanto a
me, ci
guardiamo e io gli faccio un cenno che è un misto fra un
'si',
un saluto ed un 'siediti un po' qua'.
Lui riflette attentamente
su questi
miei messaggi da decifrare, quindi poi per nulla convinto e come
fosse un pesce fuor d'acqua, si siede dritto e teso nel posto che gli
ho fatto accanto a me.
- Come mai non sei tornato
a casa?
Ti aspettavamo per cena ma poi abbiamo iniziato. Ora se ne sono
andati tutti. - Dice cose un po' inutili per alleggerire il proprio
nervosismo. Questo posto è così grande, vuoto e
silenzioso che rimbomba tutto.
Sento che mi guarda fisso
per non
osservare nulla della chiesa, luogo che non gli è mai
piaciuto
molto, io invece guardo di nuovo il Pentateuco fra le mie mani.
Mi stringo nelle spalle e
sussurro
appena:
- Mi sentivo bene qua,
volevo starci
ancora un po'. -
Sta zitto un po', poi
seguendo un
suo pensiero lo condivide assorto, dimenticando il luogo in cui si
trova:
- Il passato non si
può
cambiare, è lì e basta. Ma il futuro è
tutto ciò
che possiamo controllare. - Questa non viene da lui, ne sono certo!
O forse è
proprio quello che
mi ha detto oggi in ufficio, che mi ha fatto smuovere…
Però penso che
questa trovata
sia più da Larry o da papà... sorpreso che me
l'abbia
detta così di punto in bianco, mi giro verso di lui che si
è
un po' rilassato, anche se non molto, e ci troviamo a fissarci negli
occhi scambiandoci questi sguardi un po' strani.
- Non è tua
questa... - Lui
allora accenna ad un sorriso che mi contagia strappandomene uno
piccolo anche a me.
- No. Ma più o
meno te l’ho
già detto prima. - Non importa. Mi ci voleva, è
vero.
E ancora una volta ha
capito cosa
dirmi al momento giusto. Ricordandomi di quel che ha fatto per me
oggi, anche se a nessuno dei due è davvero ben chiaro di
cosa
si tratti, sempre continuando a guardarlo da vicino così
come
siamo, accentuando un po' questo mio sorriso che tiro fuori
difficilmente, sussurro:
- Grazie per oggi,
Charlie... - Lui
subito si imbarazza:
- Non ho fatto nulla di
essenziale
per te... - Non è un tipo modesto di solito, è
strano
che ora lo sia. Pensa davvero di non aver fatto nulla.
- Dai Charlie, lo sai
bene... -
- No, davvero... io ti
avevo detto
che avrebbe voluto ucciderti, secondo quel calcolo delle
probabilità
che ho fatto. Tu da solo invece hai capito che in realtà
voleva farsi uccidere da te. È diverso! -
Scuoto la testa, non
cambierà
mai. Sospiro, quindi mi raddrizzo anche io e mi giro di più,
sposto il braccio dall'altra parte del banco e l'appoggio dietro di
lui, quindi assicurandomi che non mi stacchi gli occhi di dosso,
torno serio e lo ripeto basso e deciso:
- Non so cosa è
stato ma dopo
che sei venuto, mi sono deciso a fare la cosa giusta. Non mi hai
detto qualcosa che mi ha fatto capire le reali intenzioni di Buck, ma
io le ho capite lo stesso. Solo dopo che ho parlato con te. Non so
cosa sia stato ma è successo ed io ti voglio ringraziare.
Accetta e basta! - Lui rimane spiazzato e ripetendosi svelto le mie
parole nella mente, fa un cenno con la testa e gli occhi lucidi.
Credo sia emozionato... così decido di aggiungere una parte
che mi esce da dentro. Dopo questa giornata non voglio ci siano
parole che non dico e che mi tengo dentro. Ma so bene che questa mia
intenzione rimarrà attiva solo per questa notte e che domani
sarò il Don di sempre. Quindi colgo l'attimo: - Sei
importante
e prezioso per me, non voglio che lo dimentichi mai. -
Dimostra ulteriormente il
suo
disagio ed il suo imbarazzo, è proverbialmente senza parole
e
ne sono ampiamente contento. Quindi il sorriso torna sul mio viso di
norma cupo e sembra berne ogni singolo centimetro.
Gli piace quando sorrido,
lo so
bene, ma non ci riesco spesso.
- Anche tu per me. - Non
arriva a
dire altro sforzandosi di sorridere a sua volta, non gli riesce bene
poiché si vede solo che è ancora più
emozionato.
Così sposto la
mano che tengo
sul banco dietro di lui e la metto sulla sua spalla stringendo in una
specie di semi abbraccio. Lui dapprima si tende ma poi si rilassa
contro di me. Non azzarda nulla, non muove un muscolo e distoglie gli
occhi dai miei.
Se usciamo da qua questa
magia
svanirà e non ci sentiremo così intimi e vicini,
né
io così bene nonostante quello che è successo qua
dentro, ma è ora di affrontare di nuovo il mondo
là
fuori.
- Andiamo, ho bisogno di
dormire un
po'! - dico quindi alzandomi. Nel movimento lui mi segue ma io gli
tolgo la mano a malincuore.
È davvero bello
rimanere così
vicini, così insieme... ma si deve andare avanti, il tempo
non
si ferma e poi lui l'ha detto bene prima.
Il futuro è
tutto ciò
che possiamo controllare.
- Andiamo a controllare il
futuro
insieme. Ti va? -
Credo di non avergli mai
fatto una
proposta simile così apertamente e semplicemente, lui
rallenta
il passo, guarda la mia nuca, io proseguo e non rallento accennando
ad uno sguardo divertito. La sua espressione sarà di estrema
incredulità.
Poi lo sento riprendere il
passo di
buon grado, contento probabilmente di uscire di qua, mi affianca e
con una certa allegria risponde senza né superarmi
né
starmi dietro.
Perfettamente accanto a me.
Come voglio che camminiamo
da ora in
poi. “
- Certo! -
|
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Capitolo 5 *** Gelosia ***
*Detto
fatto: devo andare avanti con Teoria e pratica!, mi son detta.
Così
ecco qua un nuovo capitolo. Inizialmente non sapevo bene cosa
scrivere, però poi mi è venuto il classico lampo
di
genio, la fine l'ho improvvisata completamente mentre scrivevo. In
questo capitolo non c'è alcun riferimento a nessun episodio,
ma nel prossimo si, ce ne sarà uno anche molto importante!
Ringrazio tutti quelli che leggono e commentano questa fic. Buona
lettura. Baci Akane*
CAPITOLO
V:
GELOSIA
/Wolf
like me – Tv on the radio/
Quando
Charlie rientrò in casa era sera inoltrata e suo padre era a
cena fuori con Milly, ormai succedeva anche troppo spesso di trovarsi
solo. Bè, non era esatto.
Proprio
solo no.
L’auto
parcheggiata fuori nel vialetto indicava che Don era in casa e il
sorriso che illuminò il suo viso appena l’aveva
realizzato
era stato inconfondibile. Si era però subito spento vedendo
la
presenza di un'altra macchina subito dietro. Aveva ospiti?
Non
riconobbe il veicolo come uno di quelli dei ragazzi, quindi si chiese
curioso chi potesse essere.
Appena
messo piede dentro si guardò intorno cercandoli ma
nonostante
la luce accesa che confermava la presenza di qualcuno, il deserto lo
accolse.
Con
una certa delusione addosso cominciò a chiedersi dove
potessero essere.
Mise
giù chiavi e borsa distrattamente, quindi storse le labbra
contrariato e si grattò il capo senza capire:
-
Eppure deve esserci… e non è solo… se
ha un ospite dove
vuoi che sia, se non in soggiorno o in sala da pranzo? –
Cominciò
a parlare da solo ad alta voce, voleva calmare l’ansia che
cominciava ad affacciarsi. Ansia stupida ed incomprensibile.
Analizzandola
non avrebbe certo avuto motivo di esistere… suo fratello era
lì
con qualcuno, non era nei paraggi ma c’era… e
allora?
Andò
dunque in cucina, aprì il frigo sforzandosi di essere
naturale
e fare finta di nulla, ma dopo un istante che fissava il contenuto
senza vederlo davvero, lo richiuse e si precipitò su per le
scale, seguendo la scia di un’altra luce accesa, quella del
corridoio di sopra.
Era
ora di cena e non cenava. Normale per Don. In casi normali avrebbe
pensato di trovarlo a farsi una doccia e ci sarebbe stato
accuratamente alla larga, ma sapendo della presenza di un misterioso
qualcun altro quella che si ostinava a chiamare semplice
curiosità
si ingigantiva sempre più in lui.
Mordicchiandosi
il labbro inferiore andò dritto davanti all’unica
porta
chiusa con una luce aperta all’interno.
La
camera di Don.
Giunto
lì davanti divenne sempre più nervoso e serio. Si
ostinava a darsi dell’imbecille per ciò che
faceva, niente
di male in effetti, ma non si muoveva.
Stava
là e guardava la porta chiusa.
Il
silenzio della casa era quasi completo, però quando sospese
i
suoi respiri leggermente affannati non poté fare a meno di
sentire le voci che provenivano da dentro la stanza.
Era
con un uomo.
Charlie
corrugò subito la fronte, poi si diede dello stupido. Era
positivo che fosse con un uomo, dopo tutto se fosse stato con una
donna, trattandosi di Don, poteva significare solo una cosa che non
gli sarebbe piaciuta. Ma era con un uomo. Sicuramente solo un suo
amico.
Tornò
a trattenere il respiro e ad ascoltare quasi attaccato
all’uscio
chiuso.
“E
poi se volesse fare sesso ormai potrebbe aspettare… a giorni
torna
a casa sua… “
Non
era contento che se ne andasse, dopo un mese di convivenza, anche se
con suo padre intorno, si era abituato a stare con lui, gli era
piaciuto davvero nonostante i momenti di imbarazzo.
Però
sarebbe tornato ogni sera o quasi, l’avrebbe rivisto lo
stesso.
Anche se non mezzo nudo e tutto bagnato.
Assunse
un espressione contrariata a questo pensiero ma fece ancora una
grande attenzione maniacale. E finalmente distinse i loro discorsi.
L’altro
non lo conosceva ma sembravano in rapporti amichevoli.
Don
lo stava ringraziando di essere venuto lo stesso anche se non era a
casa sua o in un posto più adatto. L’altro stava
dicendo che
non aveva importanza e che per lui faceva questo ed altro. Inoltre
quel letto andava bene lo stesso anche se era basso e morbido.
Charlie
impallidì e sgranò gli occhi sperando di
possedere una
vista a raggi X per vedere attraverso il legno.
Cosa
stavano dicendo?
Ma
soprattutto… cosa stavano facendo?
-
Se sei pronto comincio… - Sentì dire lo
sconosciuto. Il
giovane sentì solo un ‘si’ da suo
fratello e subito
l’istinto di entrare lo colse. Avrebbe voluto irrompere e
bloccarli
prima che cominciassero… già, ma a fare cosa?
Quello
che pensava?
Però
a fermarlo furono i gemiti di Don.
No,
non poteva davvero essere quel che sembrava… davvero, no!
Però
la sua voce si fece sempre più alta e sofferente, man mano
che
procedevano diventava più intensa. A tratti sembrava gli
stesse facendo molto male ad altri invece che gli provocasse piacere.
O per lo meno sembrava così.
In
realtà i soli gemiti e a volte quasi urli di Don non erano
sufficienti a farsi un quadro perfetto. Ma anche parziale a lui
andava bene… c’era poco da vedere, con dei versi
simili!
Da
bianco divenne rosso acceso mentre immaginava l’uomo di cui
si
stava innamorando e che desiderava sempre più, fare sesso
con
un altro. Uomo per di più.
Però
il momento delle fantasie durò poco visto che poi si fece
subito strada lo shock più nero.
Altro
che speranze… quello lo sotterrava direttamente a sei metri
nel
terreno!
La
forza di muoversi per un lungo momento non l’ebbe e la sua
mente si
paralizzò proprio come il suo corpo e la sua espressione. La
bocca aperta. Sconvolto. Non sapeva cosa pensare, il suo cervello non
gli rimandava niente. Spento. Scollegato.
Però
gli bastarono alcune frasi ansanti di Don per riaccendersi:
-
Ecco ecco, lì… è proprio lì
che mi… ooohhh….
Sei davvero il migliore… - No, questo era troppo. Quella era
pur
sempre casa sua, dopo tutto, e quello che faceva sesso con un altro
era l’uomo di cui si era innamorato. Un po’ di amor
proprio ce lo
aveva. Non poteva permettere che lo facessero fesso e lo ferissero a
quel modo.
Come
potevano?
Non
ragionò più.
In
quell’istante la mente di Charlie andò per i fatti
propri e
abbandonandolo nel caos e nella rabbia più totale, si
ritrovò
semplicemente ad aprire la porta di scatto.
Quando
fu dentro con la bocca aperta ed espressione furente pronto per dire
di tutto a loro, si bloccò immediatamente come in un ferma
immagine del videoregistratore.
La
scena che si trovò davanti, dopo tutto, non era nemmeno
lontanamente paragonabile a ciò che aveva
immaginato… e ce
ne aveva messa di fantasia!
Don
era steso a pancia in giù sul letto, completamente nudo con
un
asciugamano bianco sul fondoschiena.
L’altro
uomo era quasi di venti anni più grande ed era in piedi
chino
su di lui con le mani sulle sue spalle a massaggiarlo.
L’odore
di creme e olii aromatici lo investì permettendo al suo
cervello di tornare attivo e logico.
La
comprensione gli arrivò immediata, ma troppo tardi.
-
Charlie… - Disse smarrito ed incredulo Don guardandolo con
le
sopracciglia aggrottate senza capire che volesse. Aveva una tale
espressione di shock… - è successo qualcosa?
– Chiese
preoccupato credendo che suo padre si fosse sentito male.
Si
tirò su sui gomiti per alzarsi ma Charlie arrossì
violentemente e si paralizzò cominciando a balbettare, senza
staccargli gli occhi di dosso.
-
N-n-no… s-si… c-cioè…i-io
p-pensavo che t-tu stessi…
m-ma ho c-capito male… m-mi sono s-sbagliato. S-scusate
l’interruzione. C-continuate pure! – Poi non
sapendo nemmeno ciò
che aveva detto si voltò e sparì di corsa per il
corridoio.
Fece
in realtà poca strada perché in un attimo si
sentì
afferrare il polso da una presa ferrea e facilmente riconoscibile.
Possibile
che quell’uomo fosse così veloce e forte?
-
Cosa c’è? – Gli chiese di nuovo da
dietro costringendolo a
voltarsi.
Charlie
obbedì, lo guardò di nuovo e… non
l’avesse mai
fatto!
La
prima cosa su cui i suoi occhi caddero era la sua vita su cui quel
ridicolo asciugamano minuscolo avvolto frettolosamente, ora era
caduto.
Don
parve non accorgersene e non curarsene, ma il rossore divenne un
incendio, nel viso di Charlie, che se ne accorse eccome.
La
sua completa nudità lo colpì come un pugno in
pieno
stomaco.
Gli
tolse il fiato e di nuovo gli scollegò il cervello.
L’altro
l’osservò meglio, quindi si piegò
leggermente per
vederlo negli occhi che cercava di sfuggirgli, per cui disse
stranito:
-
Charlie tu… hai pensato che stessi facendo sesso?!
– La varietà
di colori che a quel punto aveva assunto il più giovane fu
curiosa ed indefinita. Lo prese per un sì, allora aggiunse
incredulo: - Ma non hai sentito che ero con un uomo? – Qua
Charlie
si riaccese parlando confuso, alzando gli occhi sui suoi:
-
E che male c’è con un uomo? E poi tu gemevi
e… - Fu Don a
sgranare gli occhi senza poter credere a quel che sentiva:
-
Gemevo?! Si, di dolore! Oggi ho preso un colpo tremendo alla schiena
e alle spalle, visto che mi faceva male anche la gamba ho chiamato
Kevin che è un mio amico, mi mette a posto quando mi
succedono
queste cose! Ecco cosa mi stava facendo! Mi massacrava… per
rimettermi a posto! E tu hai pensato che facessimo sesso? A casa tua?
– Charlie non sapeva più come sentirsi, un verme,
in
profondo imbarazzo oppure stizzito. Forse tutti e tre insieme.
-
C’è bisogno di essere così espliciti?
– Si riferì
al fatto che continuasse a dire che pensava avessero fatto sesso. Poi
vedendo i suoi occhi fiammeggianti ma non arrabbiati, li
riabbassò
e quando stava per dire qualcos’altro si ritrovò
di nuovo
con le sue parti intime bel belle in mostra, come fosse la cosa
più
naturale! L’imbarazzo vinse: - D-Don, ti prego…
v-vestiti! –
Per non scoprirsi troppo non glielo avrebbe mai detto, ma lì
non poté resistere. Era troppo continuare ad averlo in
quello
stato dopo quel che era successo!
Don
allora si guardò e parve accorgersene solo lì,
peccato
che non lo vide come un problema. Suo malgrado lo lasciò
andare e borbottando uno sbrigativo: - Ne riparliamo dopo. –
Sparì
in camera per vestirsi e scusarsi col suo amico.
Charlie
fu ben contenti di poter sparire a nascondersi!
Quando
Kevin se ne fu andato, Charlie non era ancora nei paraggi. Don
scuotendo la testa aveva deciso di andare a cercarlo senza aspettare
che si facesse vivo. Ovvio che non sapeva attendere!
Andò
dritto in camera del fratello sapendo benissimo che poteva essere
solo lì o al massimo chiuso a chiave in bagno.
Bè,
a dire il vero c'era una forte probabilità che potesse
essere
in garage a lavorare a qualche problema irrisolvibile di
matematica... si calmava in quel modo.
Però
il suo istinto lo condusse lì e come spesso accadeva, aveva
ragione.
Bussò
una volta giusto per prassi, ma non attese la risposta quindi
aprì
la porta ed entrò.
Lo
trovò seduto davanti alla scrivania sommerso fra qualche
libro
della sua materia preferita a tentare di leggerlo. Si vedeva che non
capiva ciò che scorrevano i suoi occhi.
Charlie
alzò di scatto la testa e guardò spaventato Don
che,
con suo sollievo, era vestito. Sollievo e al contempo un po' di
dispiacere. Non era certo un brutto vedere...
-
Charlie, dobbiamo parlare... - Lo disse senza riflettere e spedito
come un carro armato si sedette sulla scrivania davanti a lui,
facendo cadere incurante alcuni libri che precari la sommergevano.
Ora erano vicini l'uno davanti all'altro. Quello seduto più
in
basso, sulla sedia, cercò in tutti i modi di sfuggire allo
sguardo penetrante e diretto dell'altro più in alto che con
le
braccia conserte lo fissava implacabile.
L'imbarazzo
tornò più di prima.
-
Ah si? - Chiese distratto sperando di riuscire a buttarla in qualche
modo sullo scherzo... Per un momento desiderò di essere una
di
quelle persone buffone che scherzavano su qualunque cosa. Sarebbe
stato facile affrontare una cosa simile, ora... sarebbe riuscito a
sviarlo quando voleva!
Invece
sapeva bene che a condurre il discorso scomodo sarebbe stato Don,
come faceva ogni cosa nella sua vita.
A
volte sembrava un agente anche nel privato!
Ma
l'agente in questione non si fece deviare da quel debole tentativo.
Non
ce l'aveva con lui, non era arrabbiato, ma voleva capire
perchè
aveva avuto quella reazione... anche se avesse fatto davvero sesso?
Cosa
gli cambiava a lui?
Era
la sua camera; certo, in casa di Charlie, ma un minimo di
intimità
aveva il diritto di averla. In fondo dopo un mese di convivenza
sarebbe stato normale voler fare un po' di sesso... a lui non era
successo ma non per volontà. Bensì per mancanza
di
materia prima. La voglia ce l'aveva eccome... anzi, anche troppa
ultimamente. Proprio da quando si era momentaneamente trasferito
lì...
Forse
era il pensiero di non poter avere privacy... non sapeva spiegarselo
bene.
Sciolse
le braccia e cercò di fare un espressione meno dura, con
pochi
risultati. Ormai conosceva solo quelle!
-
Anche se avessi fatto davvero sesso, era quello il modo di
interrompere? Sono grande, ho diritto alla mia privacy anche se non
ho ancora casa mia... no? -
Non
lo capiva bene nemmeno lui perchè gli premesse tanto
chiarire
questa cosa. In fondo non era stato nulla di grave, no?
Però
voleva sapere... voleva sapere perchè quella reazione
esagerata. L'aveva visto dapprima arrabbiato, poi sconvolto ed infine
terribilmente imbarazzato.
Charlie
boccheggiò un po' alla ricerca di una risposta sensata e
soddisfacente. Anche lui ebbe scarsi risultati visto che la risposta
c'era, ma era quella vera che non gli avrebbe mai dato!
Ed
ecco il suo problema più grande. Sin da piccolo non era mai
riuscito a mentire. Ce l'aveva sempre messa tutta ma se si trattava
di nascondere era una cosa, poteva anche farcela, seppure con fatica,
ma al momento di mentire... no, non ce l'aveva mai fatta.
Si
morse il labbro mentre di nuovo i colori di prima imporporarono la
sua pelle. Era in visibile difficoltà, a Don dispiacque ma
non
si placò.
E
quella vicinanza dopo averlo visto nudo, non lo aiutava di certo...
non doveva nemmeno sforzarsi per rivederlo in quelle apprezzate
sembianze, la visione di prima tornava comunque davanti ai suoi occhi
impanicati!
-
Io... - Iniziò con la gola secca. Tossicchiò e si
grattò la nuca ingrovigliandosi ulteriormente i ricci neri,
poi riprese non sapendo come giustificarsi: - non so... ho agito
d'impulso... -
A
questo Don sgranò gli occhi castani mostrando tutta la sua
incredulità, si piegò addirittura in avanti e
disse:
-
Cosa? Tu che agisci d'impulso? Ma cosa dici! - Aveva ragione... era
raro che lo facesse... doveva essere ben sconvolto per farlo...
-
Ecco... - Ora doveva cercare una giustificazione anche per quello. Si
strinse nelle spalle e lo smarrimento fu totale. Non sapeva proprio
cosa dire se non la verità.
Lo
sapeva bene il perché e non era né matto
né
scemo. Aveva un senso preciso quel che aveva fatto e creduto. Anzi.
Aveva talmente senso che qualunque altra giustificazione sarebbe
sembrata sicuramente una cavolata!
“Don
è un agente... ed anche molto bravo, è un capo
squadra.
Anche se dice che senza di me spesso sarebbe nei guai coi casi, lui
arriva lo stesso alle cose. Ha un istinto infallibile e pensare di
farla proprio a lui è pura utopia.
Io,
per giunta, che non sono nemmeno un agente come lui. L'unico che
è
riuscito a fregarlo alla grande è stato Colby, ma vuoi
mettere
me con Colby? Lui è stato un marine e poi un agente federale
sotto copertura, si è passato per spia; insomma, non
è
una passeggiata quel che ha fatto. È ovvio che solo lui fra
tutti poteva fregare Don.
Ma
io... cosa spero di riuscire a fare con lui che è sempre
stato
un mistero per me?
Forse
la cosa giusta è la verità, come sempre. Tanto lo
verrebbe a sapere lo stesso, in qualche modo. Lui è Don...
se
qualcosa non lo convince riesce a scoprire cos'è.
È
stato grazie a questa sua caratteristica che poi è riuscito
ad
aiutare e salvare Colby mentre tutti gli altri volevano solo
dimenticare.
Don
è così. Non dimentica e se c'è
qualcosa che non
gli quadra non molla. Assolutamente mai. E alla fine la scopre.
Nel
mio caso se venisse a sapere da solo quel che io ora gli nascondessi,
ci rimarrebbe male.
Penso
che... dopo tutto... ma si... forse è l'occasione giusta.
Perchè no.
Non
era nei miei piani dirglielo, pensavo di poterne fare a meno per
l'eternità, ma visto che ci sono... sempre meglio di come
sto
ora, spero. Boh...”
I
pensieri di Charlie non erano mai stato più confusi,
insicuri
ed indecisi!
-
Io... la verità è che non lo so. - Don fece un
espressione più attenta e continuando a guardarlo diretto
quando invece l'altro aveva abbassato lo sguardo amareggiato sul
libro che aveva ancora in mano, glielo tolse buttandolo in parte
sopra gli altri libri accumulati in un angolo della scrivania su cui
era seduto.
-
Charlie, non sai cosa? - La cosa si stava mettendo in un modo strano.
Però il tono usato era quasi delicato. Quasi.
Il
giovane strinse le labbra contrariato ed in difficoltà,
quindi
sospirò e inghiottendo prese coraggio:
-
Cosa provo per te. - In realtà lo sapeva bene...
Il
più grande continuava a non capire.
-
Spiegati meglio. - Lo esortò deciso. Aveva quel modo di fare
a
cui non si riusciva ad opporsi.
“Dai,
Charlie... fatti forza e diglielo! A questo punto non ti rimane
altro!”
Fu
quando Don gli alzò il viso con un dito appoggiato sul
mento,
per vederlo in viso e farsi guardare, che si decise.
Con
quella scarica elettrica data da quel contatto.
-
Io mi sto innamorando di te, Don. So che per te io sono solo tuo
fratello ma per me non è così. Per me tu sei
molto di
più. E quando me ne sono accorto sono stato contento di non
avere reali legami di sangue con te. - Aveva voluto ricordargli che
non erano veri consanguinei.
Fu
il turno di Don di rimanere spiazzato.
Così
non lo era mai stato.
O
per lo meno era da molto che non ci si sentiva.
Aveva
aperto la bocca per dire qualcosa d'istinto, ma non gli era uscito
assolutamente nulla. Era rimasto in silenzio a fissarlo con la mano a
mezz'aria appena ritirata dal suo mento. Occhi sgranati e bocca
schiusa. Senza fiato e probabilmente con qualche battito mancato.
Non
capì dove si trovasse e per un attimo si
concentrò così
tanto sulle sue parole, che credette di aver capito male.
-
Tu sei... - Ma non riuscì a finire la frase. La voce un
sussurro.
-
Si. - Invece quella di Charlie più sicura e determinata. Ora
che aveva finalmente sputato il rospo si sentiva meglio, ovviamente.
-
... di me? - continuò vago.
-
Si. È stata una cosa che mi ha sorpreso immensamente, ma ne
ho
preso atto e non potevo più far finta di nulla. Prima ero
geloso marcio. - Lo ammise con una tale naturalezza che non sembrava
più lo stesso di prima.
E
nemmeno Don visto che non sapeva più cosa dire e fare.
-
Io non so cosa dire. - infatti lo ammise con la sua onestà
sempre pronta. Non aveva tatto nel dire le cose, le diceva e basta.
Charlie
l'aveva immaginato, quindi si alzò con calma e tirando i
muscoli come se avesse dormito per mesi, si sentì
stranamente
meglio. Leggero.
Senza
quel peso che lo schiacciava da giorni.
-
Non dire niente. Non ti chiedo nulla. È solo che non volevo
mentirti. Non l'ho mai fatto. Nasconderti le cose si, ma mentirti
mai. Mi avevi fatto una domanda, ho dovuto rispondere. Non ti chiedo
nulla, non pretendo mi ricambi. Continua la tua vita esattamente come
hai fatto fin'ora. E se puoi non cambiare nei miei confronti. So che
sarà difficile, ma se ci riesco io penso che possa farcela
anche tu. -
Detto
questo l'accarezzò con lo sguardo raddolcito e maturo senza
osare toccarlo.
Avrebbe
voluto farlo ma si trattenne conscio che forse non avrebbe
più
potuto farlo, conscio che non era sicuro di essere stato considerato
da lui nemmeno un fratello, figurarsi di più.
Però
la verità era questa.
Quindi
vedendolo inebetito e proverbialmente sotto shock uscì dalla
propria camera dandogli il tempo che gli serviva per ritornare al
mondo.
Eppure
lo sapeva.
Da
ora sarebbe stata dura, anche se in modo diverso da prima.
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Capitolo 6 *** La tua vita sulle mie spalle ***
*Ecco
qua il primo aggiornamento del nuovo anno. Spero sia di vostro
gradimento, di mio di certo lo è! Allora... questo capitolo
è ambientato in una puntata della quinta stagione davvero
molto bella. Qua Don rimane gravemente ferito per colpa di un calcolo
sbagliato di Charlie... il povero matematico la vive davvero male ed
alla fine si chiede se possa continuare a lavorare per Don
sottoponendolo ancora a questi rischi. Anche il dialogo finale
è preso dalla puntata e finisce in questo modo incerto...
faccio a tutti gli auguri di buon anno e buona befana. Ringrazio tutti
quelli che leggono e commentano e buona lettura. Baci Akane*
CAPITOLO VI:
LA TUA VITA
SULLE MIE SPALLE
/Teardrop
- Gonzales/
“Quando
mi arriva la notizia mi rendo conto di cosa significhi avere un
mancamento.
Mi
cade quel che tengo in mano e non capisco più niente.
Ho
un vuoto.
Nero.
Il
nulla per alcuni istanti, quanti?
Non
sto male, non sto bene… ma poi le orecchie mi fischiano
fortissime ed ogni sensazione è amplificata. Ricomincio a
sentire tutto a partire dal sangue che mi scorre nelle vene
più intenso e furioso che mai, la testa sembra esplodermi,
gli occhi mi bruciano, il nodo alla gola è gigantesco e sale
minaccioso, tutto il corpo è di piombo.
Il
cuore sembra si sia proprio fermato ma poi per come galoppa forse
uscirà dal mio petto.
È
terribile.
Non
credo di essermi mai sentito peggio, lo giuro.
Solo
ora che mi sento così me ne rendo conto.
Don
è stato accoltellato ed è in ospedale.
Una
pallottola in piena fronte non poteva essere peggiore.
Cerco
di respirare ma nulla sembra più funzionare in me come
dovrebbe. Non so, non so davvero, sono proprio nel panico
più totale.
Penso,
ma a cosa?
Mi
muovo, sto seguendo qualcuno, mi stanno portando… dove? Da
lui?
No,
non ci sono veramente e vorrei ragionare, riflettere, dire qualcosa ma
non mi viene o forse lo sto facendo ma non me ne rendo conto.
Vorrei
dirmi almeno che non sta davvero male, vorrei cercare di crederlo, di
sperarlo… ma non ci riesco.
Non
so… aver cercato di evitarlo con tutte le mie forze dopo che
mi sono dichiarato ed averlo visto così poco facendo finta
di nulla, ora mi sembra proprio la cosa più stupida che
potessi fare. Anche se lui stesso non me ne ha più parlato,
anche se… miseria, quanto sto male!
Sento
vagamente David e Nikki spiegare l’accaduto, sempre vagamente
capisco che è spuntato un quinto uomo
dall’agguato, uno non previsto, che lo ha accoltellato.
È
sulle parole di colpevolezza di Nikki che mi pare… si, mi
pare proprio di dirlo… e lo dico mentre io stesso lo
realizzo con il panico che impazzisce in me.
Non
capisco niente, solo questo…
Non
era colpa di nessuno, solo mia… ero stato io a fargli il
calcolo di quest’agguato. Avevo detto che sarebbero stati in
quattro ed invece quel quinto uomo… se solo… se
solo avessi fatto bene il mio dovere… se solo non avessi
avuto fretta di scappare da lui… se…
È
colpa mia se Don ora sta per morire, dovevo considerare meglio i dati e
fare un calcolo più preciso.
È
questo, è solo questo che mi ripeto.
David
mi chiede di aiutarlo col caso perché
c’è una cosa che ho fatto altre volte che li
porterebbe significativamente avanti con le indagini, io dico che
potrei farlo ma…
-
Il mio posto è qua… - non intendo andarmene. A
tratti capisco cosa succede intorno a me, ogni tanto qualche frase mi
arriva ed allora rispondo senza rifletterci davvero. Vago in trance. Il
panico è ancora dentro di me, non so cosa sto facendo e cosa
dico ma non voglio andarmene da Don. Non lo lascio. No.
Però
è papà a prendere in mano la situazione e a dire
che invece devo andare perché Don lo vorrebbe. Prima che
possa elaborare questa cosa mi ritrovo trascinato via.
Non
voglio.
Devo
stare con Don, io… è colpa mia se lui…
Però
di nuovo tutto si confonde e non capisco più niente.
Il
resto della giornata la passo nello stesso limbo, non mi riposo, cerco
di concentrarmi sul caso, da un lato capisco che devo proprio aiutarli
e farlo per Don ma dall’altro il suo pensiero non mi si
stacca di dosso un attimo.
Specie
quando ha un arresto davanti a me.
Lui
era là e stava per morire. Il suo cuore stava cessando di
battere a pochi metri da me.
È
stato di nuovo il momento peggiore della mia vita.
La
capacità di pensare e capire completamente interrotta, come
se non fossi nulla, come se morissi io stesso.
Avere
tutto il male possibile e al tempo stesso non sentirlo veramente.
L’hanno
salvato ma non hanno assicurato che non possa succedere ancora di
peggio.
Ed
è così che io poi sono andato avanti.
Così.
Nel
corpo di un altro, col cervello di qualcuno che si attivava
disperatamente rimanendo sempre sospeso nel caos, facendo azioni e
dicendo cose di cui non ero consapevole.
Agivo
per forza d’inerzia, per Don, perché era giusto,
perché almeno questo glielo dovevo… prendere il
bastardo che l’aveva accoltellato.
Ma
io… io ho davvero fatto tutto quello o è stato
solo un sogno?
Ho
viaggiato in questo stato fino a che la notizia del suo risveglio non
mi è giunta, sono riuscito ad attivarmi meglio, a ragionare
in modo più utile. Quando ho chiesto a David di farmi fare
l’esca per prendere il colpevole, lentamente ho capito di
essere tornato in vita.
Non
mi importava di ciò che sarebbe potuto succedermi, non mi
importava che tutto potesse andare peggio di quel che avessi calcolato,
come era successo per Don, non mi importava proprio… volevo
solo guardare in faccia quello che aveva accoltellato mio fratello.
Ed
anche se non è davvero mio fratello è come se lo
fosse nonostante io lo ami.
Quello
che provo per lui è talmente complicato da non poter essere
definito con un semplice termine, ma lo amo e questo non cambia in
nessun caso.
Solo
quel pensiero mi ha portato avanti fino alla fine.
Per
lui, mi ripetevo.
Per
Don.
Perché
lo amo e glielo dovevo, dopo l’errore tremendo che ho fatto.
Glielo
dovevo, dannazione, e lo volevo fare.
Poi
così come questa storia terribile è iniziata,
è finita con la conclusione del caso, il colpevole preso e
arrestato col mio prezioso aiuto; un aiuto che però
all’inizio si era rivelato sbagliato e che era costato la
vita della persona che per me contava sopra ogni cosa.
Dai
miei calcoli dipendono le vite di molte persone ma sopra ogni cosa dei
ragazzi che lavorano ai casi. Di mio fratello. E lui non è
uno qualunque.
Dai
dati che io fornisco loro può morire o vivere qualcuno.
Non
sono giochi.
Fino
ad ora non l’avevo mai vissuta così, non
l’avevo mai vista in questo modo.
Non
è una sciocchezza quella che faccio. Devo decidere se
è il caso di continuare. Se reggo a tutto questo.
Anche
dalle decisioni di Don dipendono ogni giorno le vite di moltissime
persone, ma lui ha scelto di fare questa vita, lui la sa fare, lui ce
la fa, lui regge… ed io… io non voglio che lui
muoia per colpa mia…
Non
voglio…
Quando
mi ritrovo da solo con lui, in camera, dopo che mio padre si
è portato via tutti quelli che c’erano per
lasciarci soli, sono come terrorizzato.
Ho
questo nodo che ancora non è uscito. Sono stato
sull’orlo di piangere per tutta la durata del caso, una
tortura tremenda. Pensavo di scoppiare da un momento
all’altro eppure solo l’incoscienza di me stesso me
lo ha impedito,, però ora questo nodo è tutto
ciò che mi è rimasto dopo la tensione che
è svanita. Il caso è risolto, il colpevole
è stato preso, ho ricompensato almeno un po’
l’errore che avevo fatto… non
c’è più niente che mi tenga su.
Don
è qua, steso nel letto d’ospedale, appoggiato con
la schiena al cuscino che mi guarda in quel modo strano ed
indecifrabile. Ha un vago sorriso che aleggia ma non lo tira fuori,
sembra aspetti, sembra mi studi, sembra… non so…
-
Quindi hai fatto l’esca, eh? - parla con voce roca e bassa,
ogni respiro è molto lento e faticoso per lui eppure non
evita il mio sguardo, né il dialogo. Mi guarda diretto ed
anzi cerca il mio sguardo. Io sfuggo, non ce la faccio.
-
Non dico che voglio farla ancora. - Anche per me ogni parola
è una fatica immensa ma non per il suo stesso motivo, mi
sembra di avere un blocco, è questo dannato nodo…
Sento
gli occhi lucidi ed evito con tutto me stesso di guardarlo altrimenti
mi renderei conto di ciò che gli ho fatto. Cosa dirgli? Non
so proprio cosa sia giusto tirare fuori a questo punto, così
con ancora la mente che non funziona parlo senza riflettere, dicendo la
prima cosa che mi viene:
-
Quando eravamo bambini mi stavi sempre dietro. Mi proteggevi. - Ed
è vero… lo ricordo bene. Nonostante fosse cupo e
chiuso, nonostante fosse venuto da noi che era già un
ragazzino, nonostante non fossimo mai uniti davvero lui mi proteggeva
comunque a modo suo. Non mi ha mai permesso di farmi del male.
Chissà perché mi viene in testa adesso.
Lo
guardo di sottecchi e rimango incantato dall’espressione
stranissima che ha, più di prima. Quel sorriso che premeva
per uscire ora lo illumina del tutto, è… mi sento
quasi male nel vederlo. È dolce…
tenero… non l’ha mai fatto, a nessuno, ne sono
sicuro. Mi accarezza con quel suo sguardo gentile e pieno
d’amore ma non vorrei solo illudermi di vedere qualcosa che
spero ci sia ma magari in realtà non
c‘è. Forse non è come sembra.
-
Charlie non volevo questo tipo di vita per te. - Dice poi sospirando.
Anche se ha quell’aria dolce, non capisco ancora a cosa
pensi. Non riuscirò mai ad arrivare a lui, vero?
-
Siamo in due. - Dico spontaneamente. No che non lo volevo…
non volevo avere il peso della tua vita sulle mie spalle. Non volevo
essere io a contribuire alla tua fine o alla tua salvezza, questo
è troppo per me. Tu ci riesci ogni giorno, ma io non posso.
Come glielo dico? E poi non so nemmeno cosa voglio fare ora di preciso.
- Ok, riposati un po’. Mangerai quella carne? -
Indico poi quella che gli ha lasciato papà di nascosto,
è convinto che qua dentro non mangerà. Lui
divertito me la porge:
-
No, prendila tu. - L’afferro e faccio per uscire incerto: -
Ci vediamo in ufficio, amico. - Aggiunge poi. Ora questo nodo
è appena dietro i miei occhi. Respiro a fondo, mi faccio
forza e mi giro a guardarlo e nel farlo di nuovo la verità
di cui ormai sono consapevole da un po’, si apre
più crudele che mai.
-
Già… vorresti… - Dico mio malgrado
dimostrando i miei dubbi su ciò che voglio fare. Posso
continuare a prendermi un carico del genere? Ce la farò? Per
quanto tempo?
Mi
volto, muovo qualche passo nel corridoio, poi mi fermo e mi giro
ancora. Ha la testa appoggiata sul cuscino, è stanco,
pensieroso e sciupato. Guarda da un’altra parte. Cosa pensa?
Perché non me lo dice?
Forse
non lo saprò mai.
Però
la verità è che io lo amo e non posso lasciarlo
solo. Non posso e nemmeno voglio. Voglio stargli vicino il
più possibile, sempre, ogni istante della mia vita.
Però
vederlo morire no, questo mai.
Cosa
devo fare?
La
confusione non mi ha mai schiacciato e divorato più di ora.
Guardo
avanti e me ne vado vedendo solo il buio mentre le lacrime finalmente
scendono liberatorie, angoscianti e silenziose sulle mie
guance.“
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Capitolo 7 *** Sensi di colpa ***
TEORIA E PRATICA
*Eccovi
un altro capitolo, anche se con un po’ d’attesa. Mi
serviva il giusto stato d’animo ed in questi giorni devo dire
che mi son trovata proprio ispirata. Per chi segue anche le mie fic su
NCIS questa scena gli farà venire in mente una
all’interno di Mai senza te, ma è comunque diversa
alla fin fine. Però non posso farci nulla… la
tentazione di scrivere certe cose non mi molla mai! Qua non
c’è riferimento a nessun episodio specifico se non
che per davvero, dopo l’ospedale, Don sta a casa di suo padre
e Charlie e quest’ultimo sentendosi in colpa si butta anima e
corpo nel lavoro per l’FBI. Spero vi piaccia. Grazie a tutti
quelli che leggono e commentano. Buona lettura. Baci Akane*
CAPITOLO VII:
SENSO DI
COLPA
/New day
–Griffin House /
Che potesse
tornare tutto come prima era stato un breve tentativo di illusione di
Don, non ci aveva mai creduto, aveva saputo da subito che Charlie non
sarebbe mai potuto essere quello di sempre.
Steso
immobile in quel letto d’ospedale, l’uomo
normalmente attivo si era trovato a poter solo pensare davanti a tutto
quel tempo libero che tentava di ucciderlo meglio della pugnalata!
A lui non
piaceva pensare molto, preferiva agire, attivarsi in qualche modo senza
riflettere troppo. Era come se i pensieri andassero troppo veloci per
lui, preferiva il fare al riflettere. Però lì si
ritrovò in una situazione decisamente difficile da
affrontare se non in un unico modo.
Ponderò
molto in quei giorni di convalescenza, immobile nel letto.
Su Charlie.
Sapeva che si
era sentito in colpa per la sua quasi morte, sapeva che sarebbe stata
dura, per lui, da ora in poi con quell’idea fissa che dai
suoi aiuti dipendevano delle vite umane. Sapeva che si sarebbe
addossato l’intera colpa della sua situazione e che sarebbe
scappato evitando del tutto le consulenze per l’FBI come in
passato aveva già fatto, ficcandosi in uno di quei problemi
irrisolvibili, oppure si sarebbe tuffato in un caso complicatissimo
visto probabilmente solo da lui, col tentativo di espiare le sue colpe.
Rovistò
mentalmente in lungo e in largo immaginando e prevedendo le sue mosse.
Si era
spaventato e glielo aveva letto in faccia quando era venuto a salutarlo
la sera in cui si era svegliato.
Non solo aveva
voluto fare lui l’esca per prendere il suo aggressore, ma gli
aveva fatto chiaramente capire che non sapeva come fare sotto tutta
quella pressione. Avere a che fare con le vite degli altri, con la sua
specialmente, l’aveva scosso dal profondo ed impaurito. Un
tempo era stato certo che coi suoi consulti aiutava a fare del bene, ma
lì aveva cominciato a chiedersi se invece non peggiorasse,
talvolta, delle situazioni delicate e precarie.
Don era
abituato a prendere le decisioni importanti per tutti, da quelle
dipendevano le vite di molte persone oltre che dei suoi uomini che si
erano affidati a lui.
Però
Charlie si era chiesto come ce la faceva ad andare avanti a quel modo.
Don non avrebbe
mai voluto quel tipo di vita per lui, era sempre stato consapevole che
non era adatta, non era una cosa facile. Però, nonostante
gli aveva fatto promettere mille volte che se si fosse sentito male ad
aiutarlo con quel genere di cose, che se ne avesse avuto paura o che si
fosse sentito appesantito, avrebbe dovuto dirglielo e smettere subito,
ora invece voleva che tornasse in ufficio a lavorare con lui.
Glielo aveva
detto. Si sarebbero rivisti in ufficio, no?
La sua risposta
vaga, però, l’aveva lasciato inquieto ed ansioso
come poche volte ricordava di essere stato.
Aveva passato i
giorni successivi a pensarci. Cosa avrebbe deciso di fare, Charlie?
Avrebbe
continuato ad aiutarlo oppure no?
Non capiva
assolutamente come questa seconda possibilità lo gettasse
così nell’ansia. Cosa importava se non collaborava
più con lui a lavoro? Erano fratelli, si vedevano
ugualmente.
E poi non era
sempre stata peggio l’idea di mettere in pericolo la sua
vita?
Non era sempre
stato terribile sapere che per colpa sua Charlie non spiccava il volo
con la genialità di cui era padrone?
Se si fosse
spaventato al punto da non voler più lavorare con lui,
magari Don stesso avrebbe dormito sonni più tranquilli.
Sarebbe stato più al sicuro, no?
Eppure
nonostante si ripetesse in continuazione, con la sua aria malata, cupa
ed assorta, queste cose, non riusciva a convincersene davvero. Non gli
bastava.
Erano
importanti, certo, ma non necessarie. Non al primo posto.
Prima saperlo
al sicuro era la cosa che contava di più, ora invece lo era
stare con lui il più possibile.
Stare con lui e
basta.
E gli
tornò prepotente in mente la sua dichiarazione e prima di
quella ancora quello sfioramento di labbra che aveva fatto lui stesso
quando l’aveva trovato addormentato sul divano.
Non
l’aveva mai saputo, Charlie, di quel suo strano gesto
notturno e segreto. Era bravo a nascondere tutto ciò che lo
riguardava, il migliore. E come lui era bravo in quello, Charlie lo era
nell’esatto opposto. A dire sempre la verità di
ciò che pensava e provava, qual ora se ne rendesse conto,
cosa non sempre facile per lui.
Era innamorato
di lui. Bè, ma in fondo che male c’era? Come gli
aveva gentilmente fatto notare, non erano mica fratelli di sangue.
Anche se erano cresciuti come tali non contava, ora il sentimento di
uno era diventato amore e non certo fraterno. Ma l’altro?
Non gli aveva
mai risposto, non ne aveva mai parlato, aveva fatto finta di nulla,
come sempre. E poi era arrivata la sua ferita, la sua quasi morte,
tutta quella convalescenza e l’evidente senso di colpa di
Charlie.
Era arrivato il
momento di fare qualcosa, una buona volta.
Stare
così fermo e sospeso nel nulla non era decisamente per lui.
Si sentiva quasi male in quei panni passivi.
Era lui a dover
agire, ora, a spingerlo a non scappare, a rimanere con lui,
a…
“Lo
voglio solo per me.”
Questa sua
affermazione diretta fu in suo perfetto stile.
In qualunque
modo capisse le cose, poi non ci girava per molto intorno. Il punto,
però, era capire quale fosse quella giusta da fare.
Era davvero
giusto per quello che aveva sempre chiamato fratello, seguire i loro
capricci o desideri che dir si volessero?
Non era una
passeggiata quella che si apprestavano a fare e lui lo sapeva bene.
Ma Don, un
uomo d’azione completamente istintivo, si era stufato di
pensare.
Non era di
molto gradimento l’idea di dipendere totalmente da qualcuno.
A Don questo non era mai andato giù, era diventato
indipendente il più presto possibile e ne era stato
contento, ma ora gli sembrava di essere tornato drasticamente indietro
nel tempo.
Un vero dramma
essere convalescente da una ferita così grave.
Gli ordini dei
dottori erano stati di non stare da solo, di non fare scale e sforzi di
alcun tipo. Riposo assoluto in tutte le sue forme.
Del resto se
l’era vista molto brutta, aveva rischiato tanto e non era da
prendere sotto gamba nemmeno il tempo di guarigione.
Così
seppur contrariato si era trovato costretto a non poter far altro che
andare a stare da suo padre e Charlie.
Ora,
però, non aveva nemmeno diritto alla sua vecchia camera dal
momento che le scale gli erano state proibite!
Nemmeno la
doccia completa per un paio di giorni, fino a che non avrebbero tolto i
punti e quelli non si sarebbero richiusi tutti.
Era anche
importante che rimanesse assolutamente fermo per impedire a quelli
interni di riaprirsi, finché anch’essi non si
sarebbero rimarginati non poteva fare praticamente niente.
L’idea
di non potersi concedere nemmeno una doccia come si doveva, o di dover
farsi aiutare per tutto, era traumatico!
Quando
però realizzò che avrebbe dovuto farsi lavare a
pezzi da qualcuno, andò quasi in crisi.
Sulla
bilancia soppesò le due possibilità…
rimanere sporco fino al via libero dei medici oppure tornare bambino?
Fu seriamente
combattuto ma sapeva che non poteva non mettere mano alla spugna
così a lungo.
Era stato un
bello squarcio, aveva lesionato addirittura il polmone che per miracolo
non era collassato del tutto. Per non parlare dell’arresto
cardiaco che aveva avuto e di tutte le altre complicanze.
Non
c’era verso di fare da solo.
La
verità era che non riusciva nemmeno ad abbassarsi di un
millimetro. Ogni volta che si alzava e sedeva era una profonda
sofferenza e per ogni stupidissimo gesto sentiva il fiato spezzarsi e i
punti tirare, specie quelli interni, il che era peggio di quanto
avrebbe mai immaginato.
Certo ne aveva
avuti molti, col lavoro che faceva. Non era mica la prima ferita, ma
così grave sì e non si sarebbe mai immaginato
tanto snervante la guarigione.
Alla fine ci
aveva impiegato molto a rassegnarsi, ma aveva dovuto cedere anche se
non convinto del tutto.
Non poteva che
accettare l’aiuto di suo padre e suo fratello.
Anche se, a
dire il vero, era più il primo che il secondo ad occuparsi
di lui.
Con un misto
fra sollievo e dispiacere.
Non capiva bene
se esserne contento o meno, da un lato evitavano molti imbarazzi,
dall’altro gli sfuggivano molte occasioni preziose.
Da quando Don
si era momentaneamente stabilito di nuovo lì, Charlie non
aveva fatto altro che stare all’FBI per lavorare. Fra quello
e l’università era già tanto se lo
incrociava per caso.
Saltava spesso
i pasti per farli fuori, rientrava ad orari impensati e se era dentro
si rifugiava in garage per continuare, tanto per cambiare, i suoi
calcoli!
Alla fine si
era ritrovato a farsi accudire solamente da suo padre e nessuna scena
pesante e strana si era verificata, anche se, tutto sommato, a
malincuore.
Sapeva che lo
evitava perché si sentiva in colpa, ma non era tutto
lì. Cercava anche di espiare le sue presunte colpe cercando
uno schema matematico per un caso che, al momento, vedeva solo lui!
Non faceva che
lavorarci su e praticamente non erano più riusciti a
parlarsi.
“Almeno
non è scappato dall’FBI come pensavo
facesse… avevo paura che non tornasse più a
collaborare… spero che continuerà anche quando
tornerò attivo!”
Si limitava a
pensare questo durante le molte ore di malattia steso nel divano a
guardarsi la televisione e a dormicchiare.
Non era mai
stato tanto tempo senza fare nulla ed anche la sua mente, ormai, si
rifiutava di pensare ancora, convinta che l’avesse
già fatto abbastanza.
“Però
non potrà mica evitarmi per sempre…”
Ed ora che
era lui da quella parte, ovvero quello evitato, capiva come doveva
essersi sentito Charlie dopo che si era dichiarato. Però era
anche vero che erano diametralmente diversi… a stesse
situazioni ponevano reazioni molto diverse,
“Devo
bloccarlo e costringerlo a reagire umanamente. Ha paura di guardarmi,
paura di un mio rifiuto, paura che io stesso lo accusi di avermi
indirettamente ferito, paura che io possa tornare a star male per colpa
sua. Ha paura di guardare quel che, secondo lui, mi ha fatto.
E
penso che sia da troppo che non dorme, quel ragazzo.”
Fu questa
infine una delle sue ultime conclusioni.
Era davvero ora
di smetterla.
Si era imposto
di lasciargli i suoi tempi che, conoscendolo, gli servivano per
immagazzinare le cose ed accettarle, ma adesso ne aveva avuti troppi.
Di norma non
era uno che sapeva aspettare e visto che la sua pazienza era pari a
zero, ora aveva finito ogni minima riserva.
Quindi deciso a
metterlo con le spalle al muro, cosa che gli riusciva bene se voleva,
attese il momento propizio.
Non fu
facile mandare via suo padre, ma del resto non potendo muoversi ne
aveva avute molte di commissioni da fargli fare al suo posto…
La porta
d’ingresso si aprì lentamente mostrando poco dopo
un titubante ed esitante Charlie i cui capelli erano particolarmente
stravolti, evidenti anche le occhiaie sotto gli occhi. L’aria
stralunata ce l’aveva tutta.
-
Ehi… - Lo salutò debolmente trovandolo subito
seduto sul divano.
Ormai la
stagione andava via via inoltrandosi verso quella estiva ed il caldo
permetteva a Don di stare con una camicia a maniche corte aperta e dei
pantaloni di lino bianchi leggeri.
Non che fosse
un abbigliamento da lui, ma considerando che doveva stare comodo e
leggero aveva ripiegato su quegli abiti che non si poteva certo dire
non gli donassero. Specie considerando il torace scoperto fasciato
dalla benda.
Stava sempre
così ed ogni volta che rientrava, sia pure per un solo
secondo, non poteva fare a meno di calamitare i suoi occhi castani su
quella sua parte del corpo e di avvampare come un ragazzino. Scappare
era l’unica cosa che gli riusciva in quei momenti, ma quella
volta non potè farlo ed imponendosi di rimanere fermo e
controllato, sentì la sua voce bassa e roca salutarlo con un
mezzo sorriso enigmatico dei suoi. Ne faceva spesso e sebbene fossero
normali per lui, a Charlie parevano estremamente sensuali e misteriosi.
Questo da quando aveva cominciato a perdere la testa per lui.
-
Papà mi ha ordinato di stare a casa per assicurarmi che tu
facessi il bravo… - Cercò di ironizzare per
alleggerire la situazione che, forse, solo a lui sembrava pesantissima
ed imbarazzante!
Don, che se lo
aspettava, lo assecondò cercando di metterlo a suo agio
senza la minima consapevolezza di sé e di ciò che
provocava la sua tenuta da casa.
- Lo
immaginavo… ha paura che mi metta a fare ginnastica!
– Era ovvio che non era certo quello il pericolo,
però Charlie gradì la battuta e rise
più di quanto non sarebbe servito.
“E’
molto imbarazzato…” Realizzò Don
passando i suoi penetranti occhi scuri su di lui da capo a piedi,
studiandolo in maniera evidente.
- L’hai spedito
a fare commissioni per te? – Chiese rigirandosi nervosamente
fra le mani una cartellina, guardandolo con disagio ed imponendosi di
non distogliere lo sguardo.
-
Sì… sai com’è…
non si sentiva abbastanza utile, credo… -
- E’
proprio da lui… -
- Si preoccupa
un po’ troppo. Preferisco te, almeno non mi assilli
chiedendomi se ho bisogno di qualcosa ogni secondo! –
Lanciò di proposito la frecciatina scrutandolo con cura. Nel
momento in cui disse quella frase, non gli sfuggì un lampo
di dispiacere nello sguardo del fratello. Sapeva di aver colpito sul
vivo e l’aveva fatto di proposito.
Voleva che si
sentisse in colpa per averlo lasciato così tanto solo.
Se doveva
averne una, era solo quella e nessun’altra.
-
Bè… allora io vado in garage a lavorare su una
cosa che… bè, mi occupa molto in questi giorni
e… sì, insomma, così nessuno ti
assilla per un po’. Sono di là, ok? Chiamami se ti
serve qualcosa. – La frase fu quanto di più
difficile da dire e risultò perfettamente imbarazzato e
nervoso.
Penetrandolo
un’ultima volta, Don chiuse la televisione distratto, quindi
prima di farlo andare dall’altra parte della stanza lo
richiamò con un guizzo impercettibile nello sguardo.
- Allora ne
approfitto subito. Avrei bisogno di lavarmi, è venuto fuori
un gran caldo ed ho bisogno di rinfrescarmi almeno un
po’… dovresti aiutarmi, non posso farmi la doccia
completa, lo sai, ma non arrivo a farmi bene da solo. –
Lasciò un attimo di silenzio. Charlie assimilò e
concluse come niente fosse: - Sai, con papà è un
po’ imbarazzante… -
“Se
lo è con lui cosa sarà con me?”
Ma non si mise
a riflettere sul fatto che lo facesse apposta. Don sapeva dei suoi
sentimenti, come poteva chiedergli una cosa simile proprio a lui? No,
non se lo disse. La sua mente acuta in quel momento si era fermata alla
richiesta di aiutarlo a lavarsi.
Ora capiva
davvero in quale situazione complicata si fosse messo!
Il giovane
impallidì, si voltò e con grandi occhi sgranati e
davvero liberamente terrorizzati, lo guardò sperando di
svegliarsi immediatamente.
Così
non fu e dopo un po’ di silenzio pesante,
inghiottì e si fece forza rispondendo con un flebile: - Ma
certo… - che sembrava il ‘così
sia’ di un condannato a morte!
Mise
giù la cartellina dispiaciuto di non poter lavorare al
sicuro lontano da quello che lì per lì gli pareva
un lupo pericolosissimo, dopo di ché come stesse cercando di
ingoiare un enorme candela di dinamite accesa senza farla esplodere, si
avvicinò al divano dove Don si era drizzato a sedere per
alzarsi.
Una delle
regole della sua convalescenza era di non farlo alzare da solo. I suoi
muscoli addominali non dovevano compiere nemmeno il minimo sforzo,
anche il più sciocco.
Su questo
non discusse, non voleva assolutamente che stesse ancora male quindi si
chinò e allacciando le loro braccia lo tirò su
con delicatezza. Don naturalmente collaborava più di quanto
non avesse dovuto ma di questo gliene fu grato. Non era uno scherzo
sollevare di peso suo fratello!
Una volta in
piedi si sciolse in fretta e lo precedette in bagno lasciandosi
sfuggire un profondo e sconsolato sospiro.
Doveva farsi
forza, la tortura non era nemmeno cominciata, in fondo, non poteva
soffrire di già.
Cosa gli
passava per la testa? Aprendo l’acqua calda della vasca,
seduto sul bordo, se lo chiese.
Don era
incomprensibile di suo ma ora lo era più di sempre,
assolutamente.
Sapeva che era
innamorato di lui, perché chiedergli di lavarlo?
Dopo quella
scenata di gelosia non si era sentito più molto appagato,
forse?
Il suo ego
aveva bisogno di più?
Mentre questa
serie di considerazioni vorticavano velocissime nella sua mente nel
panico, lo sentì entrare. Per percorrere la casa ci metteva
una vita e l’avrebbe preso in giro se non fosse stato
così nervoso.
- Non posso
immergermi tutto, ancora, ma ormai non manca molto. Mi hanno tolto
quasi tutti i punti, sono pochi quelli che non si sono chiusi.
– Cominciò a parlare Don per primo interrompendo
quel pesante silenzio. Non era da lui ma sapeva quanto faticoso fosse
per Charlie.
- Non
preoccuparti, fai tanto per tutti… per una volta che sei tu
ad aver bisogno… - non finì la frase rendendosi
conto di aver tabula rasa. Se avesse improvvisato qualcosa
probabilmente sarebbe uscita ancora una volta la verità ed
era già abbastanza difficile così!
A quello Don
stesso si trovò in imbarazzo e aprendo bocca per continuare
un qualunque discorso, la richiuse non trovando più nulla da
dire. Non gli piaceva essere adulato in alcun modo, così in
silenzio si sfilò la camicia aperta appendendola dietro alla
porta dove c’erano accappatoi.
t-family:
Tahoma">Solo allora davanti a lui Charlie si rese conto di una
cosa.
Gli occhi non
riuscirono più ad evitare la benda sulla parte sinistra
dell’addome di norma scolpito e piacevole da guardare,
così come le sue spalle, le braccia e…
bè, ogni altra parte del suo fisico asciutto ed atletico.
Inghiottì
a vuoto ma quella dinamite si era ingrandita parecchio.
“Ed
ora devo fare i conti con la sua ferita. La mia colpa.”
Evitarlo era
stato davvero un modo per non guardare in faccia quello che era
convinto fosse un suo crimine, cercare di espiare tutto risolvendo un
caso che reputava tale solo lui, per il momento, era stato tutto
ciò che era stato capace di fare ma ora doveva fare i conti
con ciò da cui fuggiva. La realtà. I fatti.
Anche se tutti
gli dicevano che non era stata colpa sua nessuno gli avrebbe mai tolto
dalla testa che invece era così.
Quando si fece
cadere ai piedi i comodi pantaloni di lino, Charlie li raccolse
appendendoli insieme alla camicia, quindi ritrovatosi più
vicino, il problema ‘colpe’ passò di
nuovo in secondo piano.
Ora al primo
posto c’era ben altro… un problema grande come una
delle compiante Twins Towers.
Il
‘problema ormoni’!
- Toglimi il
resto, per favore. Non riesco da solo. – Solo in un secondo
istante il moro dai capelli ricci si rese conto in cosa consisteva il
famoso ‘resto’.
I boxer!
Troppo stretti
per farli scivolare giù da soli.
Si
mordicchiò il labbro e mandò a quel paese il
proprio colorito acceso. Quello ormai era il meno.
Balbettò
un vago ‘sì’ e facendo ancora un passo
verso di lui infilò i pollici sotto l’elastico
della biancheria intima, tirando verso il basso. Gli occhi schizzavano
da tutte le parti come palline di un flipper, evitando con cura la
parte centrale che stava a pochi centimetri dal suo naso.
Una
tortura fisica con tanto di calci e pugni sarebbe stata più
apprezzata!
Don?
Don se la
godeva come un maledetto!
Era giusto che
soffrisse così dopo che l’aveva abbandonato solo
per degli stupidi sensi di colpa!
Tolti anche
quelli Don li calciò distratto all’indietro,
quindi Charlie si girò subito verso la vasca dove sopra era
stato sistemato un’asse che fungeva da sedile per Don, in
modo da stare il più comodo possibile anche per lavarsi.
Senza dire
più una parola il più grande si
avvicinò al più piccolo e appoggiandosi alla sua
spalla con una mano entrò coi piedi nella vasca, quindi si
sedette nella sua postazione e, completamente nudo ma assolutamente a
suo agio, attese che Charlie iniziasse il piacevole trattamento.
“E’
un’immagine un po’ troppo ricorrente, il suo corpo
nudo… non è che vada bene, eh?”
Pensò
il giovane sempre più nel panico che non sapeva dove
guardare.
La ferita
coperta lo faceva star male per un motivo, i suoi occhi per un altro,
il suo inguine per un altro ancora!
Immergendo la
spugna sotto l’acqua corrente regolata ad una temperatura
migliore, decise che quella sarebbe stato tutto ciò che
avrebbe visto.
- Passamela
addosso facendo attenzione a non bagnare la garza, altrimenti dovrai
cambiarmela. – Lo esortò vedendolo incerto sul da
fare. In cuor suo era ovvio che sperasse la bagnasse. C’era
un’idea che gli stava arrivando in testa e conoscendosi prima
della fine l’avrebbe attuata, ma tutto dipendeva da Charlie.
Anche se lui
non lo guardava nemmeno per sbaglio, Don al contrario lo fissava come
se avesse fra le mani un sospettato di omicidio.
Lo scrutava, lo
studiava, lo penetrava, lo snudava nonostante fosse lui, ora, quello
nudo.
Ma poi
sentì la spugna calda carezzargli e bagnargli la pelle,
l’acqua corrergli pian piano addosso donandogli una
sensazione di freschezza meravigliosa ed ogni cosa cominciò
a sfumarsi nella sua mente.
Iniziò
dalla parte meno faticosa, le spalle e le braccia. In realtà
qualcosa avrebbe potuto farlo da solo, era vero, ma perché
privarsi di un piacere simile?
Farsi accudire
così dall’unica persona che ora voleva vicino a
sé era la cura migliore di tutte.
Pensando che
potesse essere la sua mano al posto della spugna, cominciò a
rabbrividire e non vi badò. Qualunque cosa gli facesse gli
occhi castani penetranti non lo perdevano di vista un istante sperando
che anche lui li incrociasse coi suoi.
- Metti la
testa indietro. – Mormorò con voce roca che quasi
non gli usciva dalla gola. Don obbedì mansueto e
sentì l’acqua scorrergli dolcemente sulla testa
appesantendogli i capelli corti per proseguire sulla schiena e
abbandonarsi sul sedile improvvisato.
Non aveva
calcolato quanto bello avrebbe potuto essere quel momento di
intimità, quanto delicato potesse essere una persona
innamorata e sofferente.
Mano a mano che
proseguiva Don si trovò a sperare solo in una cosa. Che non
terminasse mai.
Quando
toccò alle gambe fu meno traumatico di quanto il giovane non
si fosse aspettato. Bè, erano solo gambe. Non stesso
discorso per l’inguine.
Quello non
era ‘solo un inguine’!
Era il SUO!
Fece diventare
le proprie labbra un filo sottile bianco e trattenendo il fiato, come
faceva anche Don, si dimenticò che quello avrebbe potuto
farlo da solo. Dimenticò che per strofinarsi la propria
parte intima non avrebbe fatto molti sforzi, non certo quanto ne stava
facendo lui. E dimenticò anche di imbarazzarsi.
Lo
dimenticò mentre comprese che fra la sua mano ed il suo
membro c’era solo una spugna imbevuta di acqua e che poi
avrebbe dovuto ripassare tutto con il bagnoschiuma e poi di nuovo con
l’acqua per sciacquarlo.
Per un momento
si vide esageratamente audace mentre lasciava cadere
l’oggetto per sostituirlo davvero con le sue dita. Dita che
avrebbero potuto carezzare direttamente la sua pelle umida dove ogni
tanto c’era qualche vecchia cicatrice. Dita assetate di quel
corpo che aveva visto molte volte, in quegli ultimi mesi, ma non aveva
mai potuto toccare. Aveva solo potuto sognarlo.
Il rossore
svanì così come quell’imbarazzo
paralizzante di prima, mentre si rese conto che comunque non avrebbe
mai avuto tutto quel coraggio anche se gli sarebbe piaciuto. Appagare
sessualmente Don sarebbe stato qualcosa di impareggiabile di certo ma
era convinto di non esserne capace.
Prima che
potesse avere qualche altra fantasia la sua mano si staccò
con ancora la spugna in mano che ricoprì di bagnoschiuma al
pino selvatico. Aveva sempre adorato quel profumo, era quello di Don e
nonostante avesse potuto usarlo anche lui, aveva preferito limitarsi ad
associarlo solo al fratello. Come un qualcosa di unicamente suo che
riusciva a ricordargli la persona che tanto gli piaceva.
Sin da piccolo
era stato il suo profumo e non aveva mai osato usarlo, non si era mai
spiegato questa cosa. Forse non si reputava un tipo da profumo
così maschile, a sua detta.
Riprese la
tortura tornando a respirare lentamente, notando che anche Don aveva
subito la stessa interruzione d’ossigeno.
Procedendo
continuò a dimenticare l’imbarazzo di prima e
tutti i problemi che si era visto davanti. Continuò solo a
fare qualcosa di estremamente bello che improvvisamente non voleva
più finire.
Solo il rumore
dell’acqua interrompeva il silenzio. Nient’altro.
Don che aveva
voluto quel momento con tutto sé stesso, non aveva
considerato dopo tutto come avrebbe potuto farlo sentire Charlie e la
sua ingenua ed inconsapevole delicatezza mista ad una strana ed
insolita sensualità.
Sensualità
nei suoi gesti lievi e lenti che compiva assorto sul suo corpo nudo.
Quando gran
parte di lui fu coperto di schiuma e si fu staccato a malincuore dal
suo inguine che non aveva osato pulire troppo minuziosamente,
l’osservò piegando la testa di lato. Lucido,
inschiumato e scivoloso. Sarebbe stato perfetto per quella fantasia di
prima… fantasia che prepotente e subdola arrivò
ancora a bloccarlo boccheggiante.
Le sue mani che
scivolavano meglio sui suoi muscoli rilassati, sulle sue cosce e poi
là in mezzo ad occuparsi della sua eccitazione…
Ma di nuovo
senza che nessuno lo richiamasse tornò alla
realtà chiedendosi se anche Don non avesse le sue stesse
fantasie.
“Dovrei
farlo.. davvero… “
Pensò
poi con fatica ma una nuova ondata di imbarazzo lo colse per un
momento, il necessario per riprendere il lavaggio più svelto
di prima, interrompendo quel piccolo incantesimo.
Tanto non ce
l’avrebbe mai fatta. Don al suo posto sì, ma lui
no.
E poi senza che
nemmeno se ne rendesse conto, di nuovo preso da mille e più
pensieri, fra fantasie erotiche che si scontravano con la dura
realtà di quel pesante e strano silenzio, il momento magico
si concluse del tutto.
Era finito, no?
Ora sarebbe
uscito dalla vasca, si sarebbe rivestito e tutto sarebbe svanito
semplicemente nel nulla.
Tutto
lì.
Però
quello sarebbe rimasto un gran bel ricordo, ne era certo.
Un ricordo che
forse sarebbe stato unico.
Inghiottì
a vuoto quando si alzarono entrambi in piedi e Don, appoggiandosi di
nuovo alla sua spalla, uscì lentamente dalla vasca.
Una volta fuori
Charlie si affrettò ad avvolgerlo con
l’asciugamano e senza pensarci gli passò il torace
e tutta la parte intorno alla benda, spaventato all’idea che
si bagnasse con le goccioline che correvano sensuali sulla sua pelle
lucida e profumata.
Era una tortura
quella combinazione e di nuovo la lotta iniziò. Senso di
colpa per la ferita o abbandono ai propri desideri?
Come questa
battaglia iniziò in lui, si fermò subito
rendendosi conto che Don lo fissava stupito ed immobile proprio per
quello suo strofinargli l’asciugamano addosso.
E si rese conto
che ora poteva sentire i suoi muscoli più di prima, cosa che
lo gettò definitivamente nel caos e lo fece ritirare
più rosso che mai.
“Ed
ora?”
Si chiese Don
scrutandolo dritto negli occhi castani simili ai suoi, solo molto
più confusi.
Charlie
notò la sua muta domanda ma distolse subito lo sguardo
sentendosi davvero sotto tortura.
Doveva
vestirlo. Doveva vestirlo, no? Asciugarlo del tutto, anche sotto, e
vestirlo. Poi sarebbe potuto scappare!
Si
aggrappò a quei pensieri che si sforzava di avere come delle
litanie ma non gli pareva funzionassero bene. Era troppo, ormai, da
sopportare.
-
Charlie… - Lo chiamò delicato Don. Lui si
affrettò a spiegarsi come giustificasse un suo improbabile
plateale errore in un problema di matematica.
- Avevo paura
si bagnasse la benda… - Non avrebbe mai potuto togliergliela
per cambiarla. Guardare la sua ferita sarebbe stato troppo, quindi
aveva solo cercato di non impedire che si bagnasse. Voleva solo
scappare, rifugiarsi al sicuro, lontano da lui, la causa di tutta
quella tempesta interiore.
Eppure
lì accadde.
Quello fu
proprio l’inizio, l’imput per Don di agire, come di
norma, senza pensare. Quando si aprì l’accappatoio
Charlie si sentì mancare; sgranò gli occhi
indietreggiando di un passo, incontrollato nel panico che riprese ad
ingigantirsi.
- Non
è colpa tua. – Disse con forza e fermezza. Stava
seguendo un qualcosa di incalcolato e non programmato. Come al solito
il suo istinto aveva preso il sopravvento.
Glielo avevano
detto tutti ma non lui. Lui ancora no.
Charlie
impallidì e si morse il labbro balbettando un agitato: -
V-va bene m-ma tu c-c-chiudi ora! – Non poteva davvero fare
quello che pensava…
Eppure
contro tutte le sue preghiere Don fu implacabile. Si
avvicinò colmano la distanza e lui continuò ad
indietreggiare, arrivato alla porta si fermò.
L’altro davanti si levò anche la benda attaccata
all’addome e quando l’orrenda e deforme cicatrice
spropositatamente grande fu ben visibile con la metà dei
punti ancora da togliere poiché non del tutto asciutti,
Charlie si mise le mani sulla bocca, poi fra i capelli e come un anima
in pena andò nella confusione più di quanto non
gli fosse già successo. Sembrava dovesse scoppiare a
piangere disperato da un momento all’altro.
-
D-Don… ti prego… - Mugolò precario
senza saper cosa dire di preciso. Don però non smise, non si
coprì e al contrario l’obbligò a
guardare.
- No,
Charlie… guarda… questo è quello che
rimarrà… ma devi capire. Devi capire che non
è colpa tua, hai capito? È stato
quell’uomo a ferirmi, non tu. Tu mi stai curando. Non mi stai
facendo del male. –
- E
come… come ti sto curando? Ti ho fatto male, io…
è colpa mia se tu ora… - Charlie tremava e la
voce gli si spezzò, gli occhi ora lucidi minacciavano di
liberare delle lacrime represse per troppo.
Non riusciva
nemmeno a ragionare, a comporre una frase completa. In quello stato Don
non l’aveva mai visto ma sapeva che era giusto, che doveva
proseguire, non poteva fermarsi nonostante gli dispiacesse vederlo in
così.
- Standomi
vicino. Mi fai stare bene. – Charlie non registrò
subito quel che disse e partì subito con un tentativo di
risposta logica:
- Ma se in
questi giorni ti ho evitato… - Ma poi si fermò
capendo il significato della sua frase.
- E tu non
starmi più lontano. Perché mi piace stare con te.
– Serio, deciso. Don annullò la distanza, gli
prese il viso a piene mani e da vicino, fermo più che mai,
ammirò le bellissimea
nonostante gli dispiacesse vederlo in quello stato lacrime
che scendevano dagli occhi rigandogli le guance, esprimendo tutto il
suo essere, le sue paure ed i suoi sentimenti. – Tu mi fai
stare bene. – Le carezzò coi pollici.
Avvicinò il viso ancora al suo. L’altro che
tratteneva il fiato. Lui sicuro e dolce come non lo era mai.
– Ed io voglio stare solo con chi mi fa stare bene.
– Infine posò le labbra sulle sue dandogli un
piccolo e delicato bacio. Su di esse concluse: - Voglio stare con te.
– Quello era stato il risultato del suo molto ed insolito
pensare. Un gran bel risultato, tutto sommato.
Dopo di quello
Charlie davvero non capì più niente. Solo che fra
il sapore salato delle proprie lacrime, Don lo stava baciando. E non
era una sua fantasia.
|
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Capitolo 8 *** piacevoli torture ***
*Ve
la metto come me l’ero appuntata io per non scordarmi cosa
dovevo scrivere in questo capitolo: Don screa il
‘fratellino’!!!! Niente altro da aggiungere! Grazie
a chi legge e commenta! Buona lettura. Baci Akane*
CAPITOLO VIII:
PIACEVOLI
TORTURE
/Sweet
harmony - Beloved/
Quel
profumo.
Profumo di pino
selvatico, così maschile e intenso che aveva sempre
associato a suo fratello ma che non aveva mai osato utilizzare, ora
poteva averlo addosso e non perché ci era riuscito,
bensì perché Don lo stava abbracciando.
Era ancora
bagnato appena fresco della doccia che gli aveva fatto lui stesso,
l’accappatoio aperto a scoprire tutta la parte davanti, le
goccioline si passavano su di lui bagnandolo, il profumo che lo
eccitava solo il sentirlo, ora gli penetrava le narici provocandogli un
pericoloso inizio di distacco dalla realtà.
Charlie
detestava non essere coi piedi per terra ma al tempo stesso la sua
matematica lo portava spesso su un altro pianeta, questo
però non toglieva nulla alla sua razionalità.
Lì
si rese conto che le sue tipiche caratteristiche erano completamente
sovvertite e capì di non essere più il Charlie di
sempre. Non aveva idea di chi era, sapeva solo che se non sarebbe stato
attento si sarebbe trovato a fare cose che mai aveva nemmeno
immaginato.
Però
fu ubriacante lasciarsi cingere completamente dalle sue braccia forti
avvolte solo da un accappatoio, abbandonarsi contro di lui, annusare
quel profumo deleterio che ora gli si impregnava addosso, avere la
testa appoggiata contro il suo petto scoperto, forte, rilassato ma
perfettamente delineato da dei muscoli che aveva sempre solo guardato
da lontano, sentire con l’orecchio i suoi battiti calmi e
regolari che allacciavano inevitabilmente i propri, sentire le sue mani
sulla nuca, le dita fra i ricci selvaggi che gli premevano la testa
contro il suo torace, avvolgerlo lui stesso per la vita, sotto
l’accappatoio, aggrappandosi alla sua schiena liscia e umida.
Rimase col viso
nascosto nel suo petto che si alzava e abbassava ad ogni respiro
controllato, mentre le sue stesse lacrime decidevano finalmente di
smettere di inondargli il viso. Lenta la sofferenza per il proprio
senso di colpa scemò lasciandolo in pace e altrettanto
lentamente, come per lui non era normale, il suo cervello rielaborava
le parole di quello che aveva considerato fratello per lunghi anni.
Aveva sempre saputo che non c’era alcun legame di sangue ma
erano stati amorevolmente cresciuti come se l’avessero,
l’aveva sempre visto come un vero fratello a parte quando
aveva cominciato ad innamorarsi di lui.
Dopo era
semplicemente stato l’uomo che desiderava.
Ricordava
appena il bacio leggero che c’era stato solo un istante
prima.
Era immerso in
una nebbia fitta che rendeva ogni cosa confusa… era vero che
Don lo aveva baciato, quel sapore che aveva in bocca, la sensazione
della lingua contro la sua, quella morbidezza… era stato
solo un sogno oppure era stato tutto reale?
Non aveva il
coraggio di indagare, voleva solo abbandonarsi a
quell’abbraccio così forte, dolce e protettivo,
tutto ciò che aveva sognata da settimane.
Senza domande,
per una santa volta.
Si
sentì come uno scricciolo fra le sue braccia e
così bene, nonostante il pianto ed il panico precedenti, non
era stato mai.
Al sicuro,
voluto, in pace.
Dopo dei minuti
interminabili rimasti così, Don cominciò a
spostarsi leggermente in avanti quindi senza che Charlie se ne rendesse
conto, in breve, si trovò fra la porta e il suo corpo la cui
parte nuda era proprio quella contro a sé stesso.
Inevitabilmente
cominciò a boccheggiare con un nuovo ma diverso senso di
panico misto a piacere. I suoi desideri e le sue fantasie stavano per
trovare sfogo nella realtà.
Sentiva
nettamente la sua virilità contro la propria, separati solo
dagli indumenti del più giovane che, a occhi sgranati, aveva
cominciato ad alzare la testa piano, spaventato all’idea di
interrompere in qualche modo quell’incantesimo.
Le mani di Don
cominciarono a scendere languide e nel percorso lasciò ogni
brivido possibile, quando giunsero alla vita, presero i lembi della
maglietta e l’alzò separandosi quel tanto per
potergliela sfilare via.
Con entrambi i
toraci nudi a contatto, le mani timide di Charlie che cercava di non
farsi prendere da degli stupidi tremiti, si spostarono
anch’esse e rimanendo sotto l’accappatoio, lo fece
scivolare lungo le braccia. Con un fruscio, cadde ai loro piedi scalzi
lasciando Don completamente nudo.
La sola idea
che ora Charlie lo poteva vedere di nuovo e questa volta anche toccarlo
e accarezzarlo, lo fece arrossire facendo sorridere l’altro
che lo guardava con la sua consueta intensità
così sensuale.
Si
sentì nudo anche lui, davanti a quegli occhi penetranti che
lo mettevano sempre in subbuglio.
Rimase a
contemplarlo per un attimo, assorbendo con dolcezza insolita ogni
traccia di timidezza e desiderio insieme, sapeva che lo voleva ma che
non osava, forse non sapeva nemmeno da dove cominciare dal momento che
non era di sicuro mai stato con altri uomini.
Nemmeno lui, se
era per quello, ma la loro diversità stava anche
nell’affrontare le situazioni più nuove e
complicate. Del resto Don si limitava ad affidarsi al suo istinto, era
un uomo pratico, non teorico e razionale come suo
‘fratello’.
Con le dita
scese a carezzargli le braccia, poi i fianchi e il ventre. Ci mise poco
a raggiungere la cintola dei jeans. Quando iniziò a
slacciarglieli, posò la bocca sulla sua ed in un secondo gli
annullò di nuovo la coscienza.
Charlie non
aveva la minima idea di che cosa gli stava facendo Don, sapeva solo che
era terribilmente bello e che non voleva che smettesse.
Di nuovo
surclassò il suo cervello e stranamente non si
sentì spaesato, tutt’altro.
Don lo
gestì in ogni dettaglio, dal bacio alle sue parti intime.
Ad occhi chiusi
e respiri affannati, il giovane sentiva solo il suo profumo inebriante,
le lingue allacciarsi e divorarlo con prepotenza e le mani occuparsi
del suo inguine con decisione e sicurezza.
Nessuna
esitazione, nessuna timidezza, nessun tremore.
Scavava in lui
con crescente desiderio, eccitandolo fino all’inverosimile.
Solo questo
avrebbero fatto, con una piccolissima parte della sua mente lo sapeva
visto che Don non era ancora in condizioni di fare certe fatiche
fisiche, però già così pensava fosse
abbastanza.
Non aveva mai
osato immaginare così tanto, mentre tutto quello che lui
stesso riusciva a fare era tenersi a lui e alle sue braccia forti, per
paura di cadere lungo disteso con tutti quei tremori e quelle ginocchia
molli, come se fosse lui quello convalescente da
un‘accoltellata.
Da una parte
avrebbe voluto avere la forza e il coraggio di fare qualcosa anche lui,
dall’altro sapeva perfettamente che non era in grado di
muovere un solo muscolo.
Ma quel che gli
fece Don gli bastò e avanzò.
Per lui avere
Charlie così timido, in confusione e arrendevole fra le
mani, fu il più bel regalo che avrebbero mai potuto fargli.
La miccia da
non accendere mai in uno come lui.
Rimase in ogni
istante lucido e tutto quel che fece fu estremamente voluto e sentito,
sapeva perfettamente tutto quel che le sue dita combinavano dal momento
che rispondevano come sempre solo ai suoi comandi. Era uno istintivo ma
la lucidità la manteneva sempre, o quasi.
Lì
intendeva godersi fino in fondo tutto quel che poteva prendersi,
conscio di non potersi spingere oltre un certo limite per una serie di
motivi.
Quando
l’aveva stretto a sé piangente,
un’ondata di calore l’aveva invaso prepotente e il
desiderio si era acceso subito.
Quell’abbraccio
pieno, quasi disperato ma perfettamente consapevole, il suo viso
premuto sul torace, i respiri irregolari sulla pelle bagnata, le mani
sulla schiena, sotto l’accappatoio aperto… era
rimasto fermo per un paio di minuti e considerando che era Don, era
stato anche bravo.
Lentamente
aveva poi preso la situazione letteralmente nelle sue mani, mani che
avevano cominciato ad esplorarlo e farlo suo cospargendolo di brividi.
Quando Charlie
era arrossito sentendo la virilità nuda contro la sua, era
stato impagabile. Un enorme senso di tenerezza si era fatto strada in
lui. Si erano guardati e non era stato capace di far altro che
contemplarlo.
Gli piaceva
perché era così timido, spaesato, confuso,
inesperto, imbarazzato ma pieno di desiderio e di sentimenti
così evidenti… gli parve uno scricciolo e non era
riuscito a trattenere un dolce sorriso carico di inconsapevole
sensualità, proprio come lo sguardo intenso con cui se lo
stava mangiando.
Con furbizia,
poi, aveva cercato e trovato i suoi jeans e nell’aprirli ed
infilarsi sotto, si era impossessato anche della sua bocca
divorandosela, prendendo il comando del gioco e facendo propria pure la
lingua che non riusciva a opporsi. Sapeva che da lì Charlie
non avrebbe più capito nulla, ne era certo. Lo vide
assecondarlo nel caos più totale mentre il respiro veniva
trattenuto e i battiti galoppavano fino a farsi sentire distinti.
Pulsavano i
loro corpi accaldandosi ulteriormente solo per quei pochi gesti, per
quel contatto audace, per quel bacio erotico.
Sentiva
chiaramente che avrebbe potuto fargli tutto quello che avrebbe voluto,
in quell’istante, ma sapeva anche fin dove spingersi per
quella prima volta, considerando poi le sue stesse condizioni fisiche.
Le scariche di
adrenalina gli permisero di proseguire ed ignorare le piccole fitte
alla ferita, così come il bisogno di sedersi, quindi prese
possesso anche del suo inguine, della sua intimità inviolata
da qualsiasi altro uomo.
L’aveva
fatto con altre donne, era certo, ma aveva mai provato qualcosa di
simile?
Creta nelle sue
mani.
Era lui che gli
si aggrappava per non cadere, e non l’incontrario.
Fu allora che
il suo ego cominciò ad appagarsi.
Non
l’aveva mai toccato ma ora lo faceva con disinvoltura, come
se non avesse fatto altro nella sua vita, seguendo i propri capricci,
sapendo quanto gli piaceva sentire le dita correre sul suo sesso che si
eccitava troppo in fretta, sentiva tutte le sue energie abbandonarlo
mentre dalla gola uscivano dei gemiti soffocati contro la bocca.
Non si poteva
descrivere quel che provava lui che si limitava ad assaggiarlo appena
senza ricevere nessun trattamento in cambio, ma era tremendamente
appagante e senza che se ne accorgesse, mentre gli si strofinava
addosso spostato leggermente di lato per permettere alla sua mano di
muoversi sempre più svelta, si eccitò lui stesso.
Lo
sentì smettere di ricambiare il bacio quindi
staccò appena le labbra dalle sue lasciandole lì
sopra a sfiorargliele, entrambe aperte come se si stessero ancora
possedendo. Scambiandosi i respiri affannati, pieni dei loro sapori e
di quel profumo che ora era addosso ad entrambi.
I respiri di
Charlie erano più corti e gli occhi ancora chiusi, mentre
Don invece lo guardava con intensità ma offuscato dal
piacere che provava.
Nell’aria
si liberarono anche i gemiti del più giovane che non
riusciva proprio a controllarsi, mentre le forze lo abbandonavano
sempre più.
Il solo
pensiero che fosse Don a fargli tutto quello era un ulteriore stimolo.
Quando gli
morse il labbro inferiore, semplicemente raggiunsero l’apice
insieme, così, in piedi, l’uno contro
l’altro, inaspettatamente e violentemente.
Completamente
stordito, Charlie, smarrito e più rosso che mai, nascose di
riflesso il viso nell’incavo del suo collo e lì
rimase ad ascoltare la giugulare battere concitata dopo il tremendo
piacere che aveva scosso entrambi.
Gli era parsa
una tortura sotto tutti i punti di vista, ma tortura migliore, si disse
il giovane dai capelli ricci ora più spettinati di prima,
non poteva esserci proprio.
Don lo cinse di
nuovo più solidamente, tenendolo su mentre lo sentiva
più mollo che mai. Con ancora tutto il corpo accaldato e
pulsante, non sentiva il dolore ai punti nonostante avrebbe dovuto.
Quello, del resto, era di gran lunga meglio.
In silenzio,
senza dire assolutamente niente, lo abbracciò protettivo
baciandogli la testa al sicuro fra le sue mani.
Quello era solo
l’inizio ed entrambi lo sapevano perfettamente.
Quando
più tardi arrivò Alan, lì
trovò vestiti e più rilassati che mai in
soggiorno in procinto di mangiare qualcosa insieme chiacchierando come
hai vecchi tempi, davvero sereni.
Ne fu contento,
significava che avevano avuto modo di chiarirsi e che tutto era a
posto, ma quando si sedette accanto a Charlie non poté non
sentire l’intenso odore di pino selvatico che di solito aveva
solo Don.
Trovandolo
strano, Alan scherzò bonariamente senza farci troppo caso:
- Ehy, avete
fatto la doccia insieme, per caso? Anche Charlie ha lo stesso
profumo… - Se non avesse specificato subito il motivo della
sua uscita, il ragazzo si sarebbe strozzato completamente con la pasta,
invece che limitarsi a tossire come un dannato.
Don
ridacchiò e come niente fosse rispose con faccia tosta:
- Tutti cedono
al mio fascino irresistibile…. -
- Per il
bagnoschiuma al pino selvatico? È quello il tuo segreto?
Dovrei provarne un po’ anche io allora… - Rispose
divertito il padre convinto che fosse una semplice battuta.
I due figli
furono contenti di averlo facilmente sviato, ma erano perfettamente
consapevoli che avrebbero dovuto fare molta più attenzione,
d’ora in avanti, o si sarebbero trovati in spiacevoli
situazioni.
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Capitolo 9 *** Fantasmi dal passato ***
*Ecco
qua un altro capitolo di questa fic che da ora si scosta dalla serie
originale… in essa si arrivava ad un bellissimo ed esplosivo
ultimo episodio che, per quanto etero fosse a causa di Amita che viene
rapita, c’era parecchio spazio anche per lo slash fra i due
fratellini (chi consola Charlie tutto preoccupato? Ma Don
chiaramente!). Io però non posso farlo visto che Amita e
Charlie non stanno insieme, così ho progettato un ultimo
episodio a modo mio, scoppiettante pure quello. Ci vorranno un paio di
capitoli, indicativamente 2 o 3 penso… poi giungeremo alla
fine di questa fic! Ringrazio tutti quelli che la seguono e commentano.
Buona lettura. Baci Akane*
CAPITOLO IX:
FANTASMI DAL
PASSATO
/Set
the controls for the Hearst of the sun - Pink Floyd/
E poi, dopo un
paio di settimane passate le quali Don si era ripreso ed era tornato a
lavorare al suo solito pieno ritmo, mentre la sua relazione con Charlie
proseguiva più che bene, un fulmine percorse il cielo
preceduto da un lampo e seguito da una tempesta orrenda.
Il lampo altri
non era stato che quella cartellina fra le sue mani, consegnata da un
agente di laboratorio che stava esaminando alcune prove inerenti al
nuovo caso.
Don scorse
velocemente i riscontri sperando in qualcosa che lo portasse sulla
giusta pista e quando lesse con quale altro caso era collegato, il
tempo gli parve si bloccasse.
A raggiungerlo
fu Colby interessato anche lui al risultato. Pensando di aver trovato
qualcosa, sbirciò chiedendogli distratto cosa ci fosse,
l’altro non rispose.
A fuoco era
impresso nella sua mente il numero dell’indagine che aveva
dato riscontro con la comparazione della pallottola rinvenuta nella
loro vittima.
- La pistola
che ha sparato è già stata usata! -
Esclamò Colby con un pizzico di gioia. Guardò Don
ancora ammutolito che non dava già ordini a destra e a manca
e capì immediatamente che quel caso doveva ricordargli
qualcosa di importante. - Che indagine era? -
Come
dimenticare quei numeri?
Solo semplici
numeri che catalogarono qualcosa che l’aveva segnato
profondamente.
Lapidarie le
sue parole arrivarono ed ebbero l’effetto di un fulmine
prorompente che elettrizzava chiunque nelle vicinanze:
- Quella della
morte dei miei veri genitori. -
Colby a quel
punto impallidì di rimando, ricordandosi immediatamente di
quello che era girato quando era arrivato
nell’unità… ovvero che Don era stato
adottato da Alan Eppes che aveva fornito al figliastro una nuova
identità a causa della terribile morte dei suoi veri
genitori. Assassinati.
- Il caso non
è archiviato… - Lesse non avendo idee
più precise su come si fosse risolta la situazione
all’epoca. Naturalmente non aveva mai osato chiedere anche se
avrebbe voluto saperne di più, sembrava come che le
informazioni personali su di lui fossero proibite a chiunque,
l’unico modo di saperle era chiedere al diretto interessato,
rischio che nessuno osava correre!
- Non
è mai stato risolto. - Disse allora senza esserne conscio,
sentiva solo con una piccola parte della sua testa quel che gli diceva,
con la maggior parte lottava per non ricadere nel solito vortice di
ricordi che dopo tutti quegli anni di vita felice, era anche riuscito a
scordare!
- Non hanno mai
trovato il colpevole? - Domanda retorica che dimostrò lo
stupore e l’impazienza di Colby. Non ci stava molto a dire
quel che pensava!
Don allora
rispose con un mugugno incomprensibile, quindi chiudendo la cartellina,
se ne andò diretto alla propria scrivania con la scusa di
spolverare i dati vecchi.
Non si sarebbe
scucito di più e proprio come di consueto, per lui, avrebbe
trattenuto tutto dentro da bravo fino a che non sarebbe
scoppiato… o magari non avrebbe trovato delle risposte
soddisfacenti in grado di risolvere il caso!
Spesso accadeva
la seconda ma non era detto che invece non perdesse semplicemente la
testa al culmine della situazione.
Colby
sospirò scrutandolo, quindi con un’espressione
preoccupata e poco convinta andò a cercare David per parlare
del da farsi.
Non era certo
l’ideale che Don continuasse a dirigere l’indagine!
Fu come
catapultarsi indietro nel tempo, quando era solo un bambino troppo
piccolo per ricordare tutti i dettagli ma troppo grande per dimenticare
la tragedia.
Perché
era stato risparmiato?
Non
l’aveva mai capito.
Ogni giorno se
lo era chiesto fino a che non aveva cominciato a stare bene con la sua
nuova famiglia. Era stato una specie di miracolo ed ora doveva
riaffacciarsi a quell’inferno.
Nessun
sospetto.
Nessuna pista.
Solo quella
pallottola di una pistola a nome di nessuno usata unicamente per
uccidere i suoi genitori.
Perché?
Anche quella
domanda era stata la sua litania infinita e per quanto da grande avesse
esaminato in segreto mille volte il caso e le prove ottenute, non aveva
mai scoperto nulla.
La sua mente
era una tabula rasa, non riusciva a ricordare un viso o un particolare
utile.
Solo
quell’odore di sangue, l’odore della morte che si
sarebbe riflessa nei suoi occhi a lungo.
La sua stessa
oscurità era stato di forte disagio per tutti quelli con cui
aveva avuto a che fare, Charlie stesso non era riuscito ad arrivare a
lui per molti anni, fino a che, lavorando insieme, non si erano
letteralmente scoperti ed innamorati.
Sembrava una
favola… eppure lo sarebbe potuto essere se per lo meno
avessero trovato gli assassini.
Sì,
perché almeno quello lo ricordava, oltre
all’odore.
Le voci.
Erano due.
Uomini non
molto vecchi, di poche parole. Non avevano dato nemmeno una
spiegazione.
Si era
nascosto, certo, non l’avevano visto, ma poi le notizie
avevano riportato su tutte le televisioni che c’era stato
questo bambino sopravvissuto al massacro.
Perché
non l’avevano ritenuto pericoloso?
Magari avevano
creduto fosse troppo piccolo per aver capito qualcosa, o forse i
programmi avevano detto che al momento della strage, il piccolo Don non
era in casa.
Qualunque fosse
il motivo, non vennero a cercarlo o forse chi lo proteggeva fu talmente
bravo da riuscire a tenerlo lontano da loro fino a che non riuscirono a
far perdere a chiunque le sue tracce.
Una volta
adottato avevano fatto in modo che la sua vera identità
venisse cancellata, era diventato un Eppes ed aveva cominciato una
nuova vita.
Semplice.
Ma
quell’odore, quelle voci e quella visione…
I suoi genitori
morti, il sangue che li ricopriva, lui stesso che toccandoli se ne
macchiava.
Per anni aveva
sognato quel momento e si era rivisto le sue mani rosse del loro
sangue, nel cuore della notte, senza gridare o chiamare nessuno, e
semplicemente si alzava e andava a lavarsele convinto che bastasse
questo.
Si era
esercitato bene a tenere tutto per sé per non far
preoccupare nessuno, comunque non sarebbe stato capace di spiegarsi,
non sapeva come dire quel che lo divorava e cosa aveva visto e provato
di preciso. Aveva paura di riviverlo di nuovo, parlandone.
Poi la dolcezza
di sua madre e la forza di suo padre, anche se non erano quelli veri,
l’avevano aiutato e non sapeva nemmeno lui come, ma quei
sogni erano diminuiti e poi, semplicemente, aveva cominciato a
dimenticare ciò che gli faceva visita la notte.
Si svegliava
convinto di non aver nemmeno sognato e tutto proseguiva regolare.
Ora avevano
tornato a colpire, magari era solo la stessa pistola, magari era un
caso che la vittima fosse finita nella sua indagine, magari, invece,
l’avevano trovato e stavano solo attuando il piano per
togliere anche lui di mezzo.
Finché
era piccolo che pericolo poteva essere?
Ma ora era un
agente dell’FBI che finiva spesso nei giornali per i casi che
seguiva e risolveva.
Le cose erano
cambiate eccome.
Non seppe
quanto rimase lì davanti al monitor a guardare e riguardare
tutte le prove che lo riguardavano e a pensare a ruota libera a quel
passato remoto, ma fu interrotto dall’unica voce che
inconsciamente aveva sperato di sentire.
Charlie.
- Colby mi ha
detto… - Disse precipitandosi trafelato da lui, Don
alzò lo sguardo accigliato e lo vide in ansia e pallido.
Charlie sapeva
poco della morte dei suoi genitori, solo che, per l’appunto,
erano stati uccisi e che non erano mai stati trovati i responsabili.
Non servirono
parole ulteriori, i loro sguardi si capirono al volo e Don vide quanto
male già stava l’altro per lui, sapeva tutto
quello che la sua mente velocissima stava elaborando per impensierirlo
ulteriormente.
Si
alzò di scatto e prendendolo per le spalle con decisione, lo
precedette dicendo con fermezza, mascherando tutta la sua tempesta
interiore:
- Charlie, va
tutto bene, non è ancora successo nulla! E’ solo
il riscontro delle pallottole, non è detto che siano proprio
loro o che cerchino me nello specifico. Non hanno fatto nessuna mossa
che ci faccia capire il collegamento fra… - Ma non
riuscì a finire e non ce la fece perché quegli
occhi castani erano terrorizzati all’idea che invece potesse
esserci eccome, il collegamento.
E quelle
dannate teorie non lo lasciavano in pace… matematica
inoppugnabile che aveva sempre ragione!
- Non ci sono
mai stati sospettati ed anche ora non ce ne sono, è troppo
presto per giungere a qualunque conclusione! - Si affrettò a
concludere Don, domando a stento l’istinto fortissimo di
abbracciarlo e rassicurarlo come avrebbe voluto.
Sembrava
davvero spacciato, a guardare la sua reazione ansiosa.
Charlie
esagerava, doveva pensarlo o non sarebbe più andato avanti,
si trattenne ma non si staccò da lui fino a che non lo vide
sforzarsi di tranquillizzarsi, per lo meno doveva provarci e Don aveva
ragione.
Non
c’era ancora nulla di certo che collegasse i due casi, a
parte quella dannatissima pallottola!
E non era
abbastanza?, si disse mordendosi il labbro esprimendo ancor meglio la
sua titubanza.
Il compagno
sospirò capendo che non l’avrebbe mai convinto,
quindi decise che per lo meno doveva cercare di destare la sua voglia
di fare calcoli… di solito funzionava!
- Ascolta, ho
bisogno che mi aiuti col caso. Probabilmente a momenti me lo
toglieranno, ma fino ad allora voglio indagare e scoprire
più cose che posso. Questo è quello che abbiamo
raccolto dalla scena… - Disse consegnandogli una cartellina
con diverse carte e fotografie dentro, Charlie la prese e
l’aprì senza vederla davvero, con ancora quel
solco che attraversava la sua fronte: - puoi fare qualcosa? - Era
più un ‘puoi fare qualcosa per me?’,
Charlie lo percepì in quel modo e sospirando un paio di
volte per cercare la calma, capì che
quell’agitazione non l’avrebbe aiutato e che valeva
la pena dargli retta ed essere utile, almeno fino a che le cose non
sarebbero precipitate.
- Va bene. -
Rispose con un filo di voce, rendendosi conto del suo pessimismo
cosmico.
Don
tentò un debole sorriso poco convinto, quella nube che
oscurava il suo volto la riconosceva molto bene, Charlie.
Era la stessa
che aveva avuto da quando l’aveva conosciuto per un bel
po’ di tempo.
Come
dimenticarlo?
Rabbrividendo
si trovò stupidamente a sperare una sola cosa: che nessuno
glielo avrebbe mai riportato via.
Sperare non era
da lui e si sentì a disagio, ma non fu in grado di fare
altro mentre lo vedeva allontanarsi per lavorare imperterrito.
Rabbrividì
con una terribile sensazione addosso.
Non gli piaceva
quella situazione, per niente.
Quando
entrò in casa sua con la propria copia delle chiavi,
trovò Don seduto sul divano, coi gomiti sulle ginocchia e il
mento poggiato sulle mani incrociate a fissare nel vuoto davanti a
sé. La sua aria vacua, la fronte aggrottata. Immobile.
Per un attimo
ebbe un tuffo al cuore credendo assurdamente che fosse stato
pietrificato in qualche modo scientifico assurdo, ma poi
notò gli impercettibili movimenti della schiena che
indicavano i suoi respiri lenti e regolari.
Era
semplicemente con la testa da un’altra parte ed il fatto che
si fosse isolato senza dire nulla, gliene dava conferma.
Non poteva fare
nulla per il caso sul quale non avevano sviluppi, non aveva nemmeno il
diritto di convincersi di essere in pericolo o dannarsi per prendere i
colpevoli. Però non riusciva a fare a meno di pensarci in
maniera ossessiva.
Come quando era
piccolo, appena arrivato da loro, e lui lo spiava di nascosto senza
capire a cosa pensasse così tanto ed in quel modo cupo.
Non aveva mai
osato chiederglielo e non l’aveva mai capito, ma ora era
diverso. Ora ci riusciva. Non gli serviva indagare, sapeva
già a cosa pensava.
Si sedette
rendendosi conto di essere teso in ogni fibra e che continuando
così, probabilmente, non sarebbe stato di molto aiuto.
Voleva dire
qualcosa ma la sua mente, al momento, era piena di nozioni matematiche
una più catastrofiche dell’altra. Il punto era che
non ne sapeva abbastanza della tragedia dei suoi veri genitori, per
questo non poteva azzardare teorie e soluzioni probabili, ma solo
imprecise e questo lo mandava fuori di testa visto che era di Don che
si parlava e non di uno qualsiasi.
Voleva solo
essergli d’aiuto a trovare gli assassini dei suoi genitori,
cosa c’era di male?
Possibile che
non c’era un modo per farcela?
Nonostante ci
avesse lavorato ininterrottamente tutto il giorno, non aveva trovato
nessun risultato degno di nota e si era trovato ad essere
più allucinato che mai.
-
Novità? - Chiese allora Don rendendosi conto della sua
presenza, non distolse ancora lo sguardo dal vuoto ed il suo tono
rispecchiava i suoi occhi castano scuro.
-
No… nulla di rilevante per… - Non sapeva nemmeno
come chiamarlo, era solo visibilmente preoccupato e questo era quanto.
Trapelava da ogni parte di sé, a partire dalla sua voce.
- Non
c’è mai stato nulla di rilevante. - Disse allora
Don senza stizza, solo con ferma e tetra riflessione. Sembrava
più pensasse ad alta voce ma il fatto che condividesse con
Charlie, lo fece sentire importante: - Né allora,
né tutte le volte che le strade sembravano incrociarsi con
loro, né adesso. Hanno sempre potuto finirmi quando
volevano, sono professionisti, hanno in pugno la situazione. Se nonlo
fanno è solo perché pensano che non valga la
pena… o che hanno un momento migliore per finire il lavoro!
- Si fermò, ancora gli occhi vuoti persi, ancora la sua voce
sussurrata e penetrante, lapidaria: - Ma lo faranno. L’ho
sempre saputo. - Charlie sospese il fiato e probabilmente anche i suoi
battiti, lo guardò accigliato e angosciato, capendo quanto
ragione avesse. Si chiese anche come avesse fatto a vivere con questi
pensieri tremendi tutti quegli anni, poi Don gli rispose
indirettamente: - Sono preparato. Ho vissuto per il momento in cui mi
avrebbero trovato per finirmi. Li aspetto da anni. Quando verranno li
accoglierò come meritano. - Quando concluse, i suoi occhi
cambiarono espressione, diventando taglienti, tenebrosi e feroci. Una
minaccia che fu una certezza. Ci sarebbe riuscito eccome!
Charlie se ne
spaventò e seppure avrebbe solo voluto toccarlo e
abbracciarlo, non osò farlo, fu Don a prendere
l’iniziativa e come se si destasse da un lungo sonno
tormentato, finalmente si girò a guardarlo.
I suoi occhi
scuri erano ancora pieni di quella cupezza che ferì il
giovane trovatosi a trattenere il fiato spaesato.
Si rese
immediatamente conto del suo stato d’animo e non ci volle che
un istante per capire che il colpevole di tanto spavento e ansia era
proprio lui. Strinse le labbra dispiaciuto, quello sarebbe stato il
massimo delle sue scuse e Charlie lo capì, quindi si
sforzò di accennare ad un debole sorriso. Don
notò l’intenzione e gli bastò, quindi
lo circondò con un braccio e attirandolo a sé con
decisione, gli posò le labbra sulle sue approfondendo subito
un bacio che seppe immediatamente di bisogno e disperazione.
Un ancora sulla
realtà per Don mentre Charlie lo percepiva come una specie
di addio.
Non fu un bacio
spinto, audace o passionale. Nemmeno dolce o protettivo.
Gli mise
addosso una tale tristezza e nostalgia che gli fece bruciare gli occhi
stretti.
Si
aggrappò istintivamente alla sua maglia e si premette
addosso.
Sentì
il suo sapore nella bocca e gli ricordò l’amaro.
Fu il bacio
più terribile della sua vita.
“Non
sarà il nostro ultimo ricordo, vero?”
Se fosse stato
uno che credeva in Dio, l’avrebbe pregato affinché
non lo diventasse, ma lì poté solo sconvolgersi
di quella sensazione tremenda che gli attanagliò uno strano
posticino dentro di sé.
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Capitolo 10 *** Preludio ***
*Inizialmente
volevo fare la parte clou qua ma non sapevo bene come, era tutto
confuso, quindi ho scritto senza un idea precisa ed è uscito questo che
è il preludio al momento decisivo. Spero non mi odierete troppo per
averlo fatto finire così, ma il peggio deve ancora venire: si capisce?
Bè ringrazio tutti quelli che leggono e commentano. Buona lettura. Baci
Akane*
CAPITOLO X:
PRELUDIO
/Run
like hell - Pink Floyd/
La vita non la
controlli.
Puoi solo
cercare con tutte le tue forze di starci dietro.
Cercare di non
perderti nulla di ciò che è davvero importante.
Per il resto
puoi solo sperare di esserci quando servirà. Perché sai che servirà.
Quella mattina
Don non aveva certo idea della piega che avrebbero preso le cose, anche
se in cuor suo qualcosa l’aveva percepito dalla sera precedente, quando
aveva cercato in Charlie un po’ di pace per calmarsi.
Giunto in
ufficio, la sua aria non era molto più distesa della sera precedente,
quando li aveva lasciati senza dire una sola parola. Emanava una specie
di aura più nera di sempre che non si era schiarita per nulla, nella
notte, e quando Colby gli lanciò un giornale con aria seria, dicendo: -
Non è una grande trovata in questo momento, no? - il tutto peggiorò
decisamente.
Con la fronte
corrucciata, guardò l’immagine in copertina che ritraeva una delle rare
fotografie rubate di lui con Charlie, sotto, il titolo in bella mostra
diceva: ‘L’ispirazione di Charlie Eppes? Suo fratello Don!’.
La foto non li
ritraeva in momenti particolarmente imbarazzanti, non rivelava proprio
niente della loro relazione, semplicemente camminavano insieme parlando
fitto con arie concentrate.
Scollegandosi
momentaneamente dalla realtà, Don aprì svelto le pagine cercando il
servizio all’interno. Non aveva idea di che giornale fosse né perché ci
fossero loro, però per un momento un mattone si piantò fra il cuore e
la testa mandando in accelerazione ogni funzione corporea.
Che avessero
scoperto la loro relazione e li accusassero di essere incestuosi?
Non lo erano
nella realtà, ma pochi lo sapevano, quindi tutto poteva essere.
Non capì perché
in quel momento il peggio che potesse succedere, gli parve quello.
Essere scoperti e additati da tutti come due fratelli osceni…
probabilmente, quello avrebbe significato la fine della loro serenità!
Quando scorse
l’articolo, capì che parlava principalmente di Charlie in quanto famoso
autore del best seller del momento che parlava dell’analisi dei
rapporti con la matematica. Era diventato presto l’uomo del momento e
spesso aveva sostenuto interviste e servizi, gli avevano anche chiesto
di scrivere il seguito, cosa che per ora non aveva ancora cominciato.
Non era raro
trovare un servizio su di lui, lo era vedere la propria faccia inserita
accanto alla sua e leggere le dichiarazioni di quello che tutti
ritenevano il fratello!
In parole
povere diceva quanto erano legati e quanto importante Don fosse stato
per lui nella realizzazione di certe teorie espresse nel libro. Sia
grazie alla collaborazione con l’FBI che alla profonda diversità che li
caratterizzava. Per elaborare molti di quei modelli, si era rifatto a
lui e al suo modo sicuro e complesso di fare. Rapportarsi con uno come
lui non era per niente facile ed un po’ aveva analizzato, nel libro, il
suo modo di essere spiegando come anche con uno così difficile, era
possibile relazionarsi con successo.
Nell’articolo,
naturalmente, erano inseriti anche alcuni dati che lo riguardavano,
anche se nulla di eclatante.
Al termine
della lettura, la sua espressione era ancora più terribile di prima, se
necessario, tanto che molti maledirono Colby per averglielo fatto
leggere.
Il giovane non
perse sicurezza ed anzi gli andò davanti con le mani ai fianchi
continuando a parlare senza peli sulla lingua, come era nel suo stile:
- Se quella
gente è tornata per finire il lavoro di anni fa e sei nel loro mirino,
è naturale che ti tengano d’occhio. Questo non può che essere dannoso!
- non serviva specificare null’altro. Era ovvio il motivo per cui lo
fosse.
Quelle persone
erano spuntate di nuovo di proposito, per far sapere a Don di essere
ancora braccato dopo tutti quegli anni e se ora venivano a sapere che
aveva un fratello, invece di pensare alla cosa più ovvia, ovvero che
era solo adottivo, potevano anche decidere di completare l’opera e
farlo fuori.
La possibilità
non era poi così pittoresca e remota!
Era vero che
ormai a Los Angeles in pochi non sapevano che i due fratelli Eppes
erano uno un agente dell’FBI e l’altro un famoso matematico di fama
mondiale, però chi poteva dire se quelli negli anni fossero rimasti lì
oppure no? Magari se ne erano andati… in fondo non avevano più trovato
nulla su di loro ed una tale assenza di prove la si poteva ottenere
solo se i criminali se ne andavano proprio dalla città facendo perdere
le tracce.
Don scorreva
mentalmente tutte queste considerazioni alla velocità della luce,
sapeva che non era da prendere alla leggera, quella cosa; non certo da
sottovalutare l’idea che comunque Charlie potesse essere preso di mira
per colpa sua.
In un attimo
tutto gli fu chiaro e la nube che l’aveva annebbiato per tutto quel
tempo facendolo stare male, ora si dipanava dandogli ogni risposta.
Era quello che
non gli tornava, che lo preoccupava tanto, che lo spingeva
istintivamente ad allontanare il suo ragazzo.
L’idea che
avrebbero potuto fraintendere o peggio scoprire chiaramente che stavano
insieme… in quel caso a gente come quella non sarebbe importato nulla
che Charlie non fosse sangue del suo sangue.
Erano malati,
non aveva altra spiegazione alle loro azioni per lui inspiegabili.
Non aveva mai
saputo perché ce l’avessero avuta coi suoi genitori e quindi poi anche
con lui. Era sicuramente stata una questione personale, ma perché
comportarsi così con lui?
I primi anni
della sua vita era stato certo che non avessero mai saputo della sua
esistenza, poi però crescendo, quando erano spuntati di nuovo, aveva
capito che invece sapevano che lui era Don Eppes e che se anche aveva
cambiato cognome ed era stato adottato da qualcun altro, potevano
arrivare a lui quando volevano.
Non erano mai
andati a fondo e non certo per paura, considerando il grande vantaggio
che avevano su tutti, lui per primo.
Perché quello
strano comportamento? Cosa volevano ottenere? Terrorizzarlo?
Perdere la
propria vita non era il peggio che potesse accadergli, era sempre stato
così. Rimetterci la vita non l’aveva mai spaventato davvero, né fermato.
Però perdere
quella di chi gli stava a cuore sì e il punto, ora lo capiva con una
chiarezza allucinante, era quello.
Pochi
riuscivano ad entrare nel suo cuore, quella famiglia adottiva stessa
non era mai sembrata prenderlo molto, il fratellastro, poi…
Però da quando
si erano messi a lavorare insieme era lentamente tutto cambiato… e di
recente si erano addirittura messi insieme.
Cosa poteva
esserci ancora da capire, a parte le reali motivazioni che spingevano
quelle persone?
Ora, e
quell’articolo avrebbe dato la conferma, i due Eppes erano molto legati
ed era lampante. Se prima Charlie era stato al sicuro, ora non lo era
più e per un semplice fatto.
Prima Don non
aveva mai amato, ecco perché non avevano colpito ma l’avevano solo
tenuto sporadicamente d’occhio.
Ora amava, ora
era vulnerabile, ora potevano terrorizzarlo, se volevano.
Averlo in pugno.
Dunque che
puntassero a quello?
Don, senza dire
mezza parola, si precipitò fuori dall’ufficio col telefono alla mano
cercando di contattare Charlie.
Il cuore
pulsava impazzito in gola, la sensazione di esplodere, la testa
martellava maledettamente, non riusciva più a sentire chiaramente i
suoi pensieri, non come prima.
Ora che aveva
capito tutto, o quasi, era peggio di quando era stato all’oscuro.
Non ottenendo
risposta dal cellulare di Charlie, il sangue cominciò a pulsargli più
in fretta, come un forsennato si fiondò alla macchina correndo e
precedendo gli altri di parecchio che, capendo alla lontana ciò che
stava pensando, cercarono di stargli dietro.
Il diavolo
dietro, o forse ad inseguirlo addirittura.
Incurante
dell’idea di essere atteso proprio da lui e di correre il pericolo più
grande della sua vita.
La resa dei
conti era quella?
Un giocarsi la
vita di quello che ormai non era più solo un fratello, ma il suo amore?
Non poteva
reggere quel pensiero e superando ogni semaforo rosso ed ogni incrocio,
sfiorando una marea di incidenti brutali, seminò i suoi come se
scappasse da loro.
Non poteva
pensare in quel momento, se lo faceva la paura l’attanagliava
selvaggia… paura di perdere l’unica persona che era riuscita ad
entrargli dentro e a farsi amare in quel modo.
L’unica che ora
come ora contava.
Non poteva
pensare di perderlo proprio ora che si erano trovati davvero da poco,
aveva assaporato solo per un istante il suo angolo di paradiso, non
poteva già finire tutto.
Se gli avessero
torto anche un solo capello, Don li avrebbe fatti a pezzi e non nel
senso figurato del termine.
Li avrebbe
fatti davvero a pezzi.
Cieco di
rabbia, angoscia, frustrazione e qualunque altro sentimento terribile
ora ingigantisse in lui, arrivò frenando brutalmente all’università
dove sapeva doveva essere.
Ci sperò più
che altro.
Charlie non
rispondeva al cellulare per diversi motivi… per le lezioni, per
un’illuminazione matematica, per fare sesso con lui… perché magari era
stato rapito da qualche psicopatico maledetto…
Lasciò un segno
vistoso di gomme sull’asfalto, quindi scese al volo dall’auto e si
precipitò dentro l’edificio, correndo come se già avesse avuto la
notizia del suo rapimento!
Ciò che provò
percorrendo velocissimo quei metri di corridoio, spingendo
inavvertitamente studenti ed insegnanti, non lo avrebbe mai
dimenticato.
La paura più
concreta e viva di entrare nell’ufficio e trovare la persona che amava,
in un lago di sangue.
Arrivare in
tempo, esserci, farcela… era questo ciò che contava sempre, poiché il
controllo non lo si poteva mai avere.
E se si falliva?
Se era troppo
tardi per arrivare in tempo, per esserci, per farcela?
Il rimpianto
sarebbe stata la conseguenza minore…
Varcata la
soglia della stanza, spalancando la porta che fece un botto non
indifferente, le ginocchia quasi gli si piegarono vedendolo davanti
alla lavagna a scrivere qualche calcolo importante che lo prendeva
molto.
Da solo.
Vivo.
Sano e salvo.
La tensione si
sciolse di botto nel vederlo intero e tranquillo, dovette addirittura
appoggiarsi al muro per evitare di andare lungo disteso a terra. Come
se gli fossero stati tagliati i fili.
Non poteva
descrivere il suo stato d’animo, sapeva solo che non lo augurava a
nessuno.
- Don! -
Esclamò spaventato Charlie precipitandosi da lui preoccupato, convinto
che fosse successo qualcosa di terribile.
- Perché
diavolo non rispondi al cellulare? - Chiese subito aggressivo Don
riprendendosi all’istante e cominciando a gesticolare agitato.
Charlie lo
guardò spaesato, quindi fece la prima cosa che la sua mente gli
concesse… rispose alla domanda!
- Devo aver
dimenticato di rimettere la suoneria… - Solo dopo averlo visto alzare
seccato ed impaziente gli occhi al cielo, chiese spaventato: - è
successo qualcosa? -
Don ebbe
l’insano istinto di picchiarlo, ma si domò poiché comunque si trattava
di Charlie… l’avrebbe demolito con un pugno!
- No, non
ancora! - Disse severo lanciandogli un occhiata micidiale mentre
prendeva il cellulare e fermava i suoi, dicendo che non serviva
venissero e che era tutto a posto.
- Che
significa? Dovrebbe succedere qualcosa? - Lo rimbeccò ansioso
il giovane dai capelli ricci e sconvolti come lui stesso.
- Certo che
dovrebbe succedere! - Esplose Don andandogli davanti con aria furente,
la paura di averlo perso era ancora troppo viva in lui e non poteva
essere placata tanto facilmente… - Sono nella loro mira, non è un
segreto di stato! Chi pensi che possano uccidere giusto per il gusto di
ferirmi? Specie dopo quell’articolo? -
Charlie sgranò
i suoi occhi castani con aria colpevole, quindi rimase in silenzio a
guardare il fratello come un cane bastonato capendo ogni cosa.
- Non pensavo
uscisse oggi… l‘ho fatto la settimana scorsa, prima di… tutto questo… -
E non aggiunse che voleva fosse una sorpresa per lui, vista la
situazione tesa. Sapeva che era arrabbiato perché era preoccupato, da
un lato gli piaceva questa specie di dimostrazione d’affetto, erano
rare quelle di Don, però sapeva bene anche che aveva passato dei brutti
momenti immaginando che gli avessero fatto chissà cosa e vederlo così
iroso lo spaventava più dei criminali che gli stavano dietro!
- Non ci avevo
pensato, però stavo giusto elaborando uno schema che mi stava proprio
portando a quella soluzione. - Disse poi con un filo di voce,
mortificato, come se si fosse messo in pericolo da solo. Bè, in realtà
non era molto lontano dalla realtà!
Don allora si
smontò e sospirando smise di gesticolare, quindi si passò le mani sul
viso e fra i capelli corti, trovò un po’ di calma e tornando a
guardarlo gli posò la mano sulla spalla dicendo brusco ma non più
infuriato:
- Sì bè… ci
lavorerai all’FBI e non ti muoverai più da solo! Almeno finché tutta
questa storia non finirà. - E non osò esprimere il suo pensiero di
quell’istante, un flash…
“Sempre
che non la manderanno avanti finché non riusciranno ad uccidere
Charlie, per poi sparire ancora.”
La sua evidente
paura era naturalmente che ancora una volta fossero loro a condurre il
gioco, come era sempre stato, e che a lui non restasse che assistere
inerme come sempre.
La possibilità
peggiore.
- Scusa, non
volevo… - Non finì la frase flebile che tentò di intavolare, Don lo
interruppe circondandogli le spalle con tutto il braccio, quindi
stringendolo brevemente a sé gli trasmise il suo immenso sollievo di
averlo ancora vivo sotto le sue mani.
- Andiamo, dai…
- Disse quindi il più grande tranquillizzandolo con quel suo semplice
gesto.
Forse per
quella volta ci aveva visto male. Forse aveva sbagliato i tempi o
magari li aveva sopravvalutati interpretando male le loro azioni.
Chi poteva
dirlo… magari era semplicemente arrivato in tempo.
Esserci…
È questo tutto
ciò che puoi fare per la tua vita.
Eppure anche se
riesci ad arrivare nel posto giusto al momento giusto, sei sicuro di
essere all’altezza della situazione?
E se nel
momento decisivo, tutto quello che puoi fare è proprio assistere coi
tuoi occhi, in prima persona, alla disfatta?
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Capitolo 11 *** Diavoli e angeli ***
*Allora,
dopo molto tempo rieccomi qua con un altro capitolo, è uno degli
ultimi. Chedo perdono per quanto ho fatto aspettare ma ho avuto una
serie di valide motivazioni (le mie ferie, specie mentali, un concorso
in scadenza, un nuovo secondo lavoro che mi ha distrutto
fisicamente...), per cui ora eccomi qua. Sono stata a lungo incerta su
titolo e canzone. Alla fine il titolo è lo stesso originale dell'ultima
puntata della quinta stagione (che bella non era?), quella che io ho
sostituito con queste vicende. La canzone avrebbe dovuto essere
ugualmente quella della puntata (Rifles dei Black Rebel Motorcycle
Club), ma alla fine ho scoperto l'ultima dei Linkin Park e non ho
potuto fare a meno di capire quanto perfetta fosse, secondo me.
Insomma, a me mi ha ispirato. I versi all'inizio sono tratti da quella.
Ad ogni modo, questi sono dettagli. La fine si avvicina e so che un
paio di voi mi odierà per aver lasciato tutto così in sospeso.
Pazienza. Ringrazio tutti quelli che leggono e commentano questa fic,
sono felice che piaccia e che coinvolga così tanto. Buona lettura. Baci
Akane*
CAPITOLO XI:
DIAVOLI
E ANGELI
“Dio
ci benedica tutti
Siamo
un popolo distrutto che vive sotto una pistola carica
E
non può essere sconfitto
Non
può essere battuto
Non
può essere sopraffatto
Non
può essere superato
No
Come
ricordi in un freddo decadimento
Trasmissioni
che riecheggiano lontano
Lontano
dal mondo di te e me
Dove
gli oceani sanguinano nel cielo”
/The
catalyst - Linkin Park/
Davanti
ai tuoi occhi.
È
lì.
Devi
solo allungare una mano e prenderlo.
E
salvarlo.
Ma
non ci arrivi.
Lo
sfiori e basta e quando capisci che non riuscirai a prenderlo, ti rendi
conto che è la fine.
E
inizia l’inferno.
Don
lo precedeva di qualche passo, fremeva per arrivare all’FBI e metterlo
in salvo, quando lo sentì dire urgente:
-
Ho dimenticato una cosa importante, devo tornare indietro… -
Si
fermò ordinando un ‘no’ secco che non fu ascoltato, Charlie si era già
avviato per rientrare nell’edificio dell’università davanti alla quale
ora si trovavano, poco prima di giungere alla macchina.
Cosa
diavolo poteva essere di così importante da farlo tornare indietro in
un momento simile?
Il
fatto di essere ignorato e di vederlo correre dentro da solo, gli creò
un moto di rabbia che lo fece gridare con uno scatto di nervi:
-
CHARLIE, NON DEVI MUOVERTI SENZA DI ME! - Molti degli studenti che
erano lì intorno si voltarono per vedere di cosa si trattava, anche
Charlie si fermò a qualche metro da lui. Si girò e lo guardò pensando
per assurdo, per uno stupidissimo momento, che quella poteva essere
intesa come una dichiarazione ufficiale detta da uno come Don che aveva
un linguaggio tutto suo.
Gli
ordini li dava chiari e tondi ed anche gli insulti, se si trattava di
complimenti e ringraziamenti, però, quello era tutto un altro paio di
maniche.
Trovò
appropriato, Charlie, fermarsi e guardarlo per rassicurarlo, per dirgli
che andava tutto bene, che non doveva preoccuparsi e che sarebbe
tornato subito.
Ma
non fece in tempo a dirlo, riuscì solo a regalargli uno sguardo sicuro
e felice di essere con lui e di avergli sentito urlare una frase
simile.
Fu
in effetti una frazione di secondo.
E
poi quella dannata macchina nera dai finestrini oscurati passò dalla
strada che faceva angolo con quella in cui erano loro, a poca distanza
, o forse troppa, o forse semplicemente la necessaria.
Passò
andando piano.
Passò
abbassando quei finestrini neri.
Passò
scaricando l’inferno.
Don
non aveva percepito nulla se non ciò che sentiva da quando aveva
appreso che Charlie poteva essere un bersaglio per colpa sua, però
dentro di sé non aveva mai smesso di essere all’erta.
Sperare
di esserci e di essere all’altezza, improvvisamente, era diventata la
cosa più stupida, assolutamente insufficiente.
Eppure
era tutto, ora.
Il
primo sparo arrivò ed andò subito a segno trovando il varco necessario
fra tutti gli studenti che c’erano.
All’inizio
andò tutto al rallentatore.
Vide
il torace di Charlie bucarsi con un qualcosa di un diametro molto
piccolo.
Lo
vide piegarsi in avanti con dei riflessi incondizionati, prima ancora
che il ragazzo potesse effettivamente sentire qualcosa, provare dolore,
capire cosa succedesse.
Vide
il suo sguardo confuso e improvvisamente spaventato.
Vide
i suoi occhi cercarlo, il braccio allungarsi davanti a sé, la mano
tendersi verso di lui.
Vide
poi sé stesso fare altrettanto, agghiacciato, ancora in piedi,
impossibilitato a muoversi.
Vide
mentre cercava di prendere la sua mano per tirarlo via dal tiro.
E
vide mentre non riusciva ad arrivarci per il secondo sparo che lo colpì
alla spalla facendolo definitivamente accasciare a terra troppo lontano
da sé.
Dannazione,
solo pochi metri, solo un paio di falcate, solo un ordine gridato un
secondo prima e sarebbe arrivato a lui.
Quando
si rese conto che non ci sarebbe riuscito, l’ondata gelida lo scollegò
istantaneamente col mondo e provò la paura più pura, paura che non
aveva mai provato nemmeno nei momenti peggiori che aveva affrontato. Ed
erano stati molti.
Prima
che si ordinasse di reagire e riprendersi, il suo corpo aveva
cominciato a fare tutto da solo registrato il meccanismo in casi
simili.
Si
era buttato a sua volta a terra dietro al primo riparo disponibile, un
fottutissimo albero che stava fra lui e quella macchina dannata ferma
là a sparare.
Sparare
ancora.
Su
chi, cazzo?
Charlie
era a terra in mezzo all‘inferno, era ferito… ma si muoveva, gridava.
Gridava!
Era
ancora vivo.
Lo
volevano finire?
Erano
lì solo per suo fratello, proprio come aveva immaginato?
Oppure
volevano concludere i conti una volta per tutte e far fuori anche lui?
Realizzando
che avevano davvero scelto la persona per lui più importante, il gelo e
la paura vennero spazzate via in un attimo lasciando il posto ad un
devastante fuoco, un furore che lo invase bruciando ogni connessione,
lanciandolo come un diavolo a sparare sulle macchine mentre sperava che
qualcuno chiamasse i soccorsi, che i suoi fossero ancora vicini tanto
da sentire gli spari, che nessun altro si mettesse in mezzo venendo
inutilmente ferito.
Che
Charlie rimanesse ancora vivo.
Charlie.
La
sua voce la sentiva ancora, cosa diavolo stava dicendo?
Il
mondo andava alla velocità della luce, ora, e i rumori di spari erano
serrati e continui, ma per quanto poteva andare avanti?
Fra
un pensiero pratico e l’altro infuriato, cercava di sentire il suo
ragazzo che stava gridando con una tale disperazione, dolore e paura da
fargli accapponare la pelle.
Gridava.
Gridava
il suo nome.
Lo
chiamava col terrore addosso implorandolo di raggiungerlo e stare con
lui come gli aveva promesso, di aiutarlo, di salvarlo, di non lasciarlo
solo, di risolvere anche quel casino.
Lo
chiamava e basta, come fosse una formula magica, come fosse Dio, come
se potesse fare un miracolo.
Di
rimando non gli rimase che rispondere alla sua chiamata allo stesso
modo, cercando di metterci tutta la sicurezza che aveva in corpo, per
non lasciarlo terrorizzato, per rassicurarlo, per fargli capire che era
lì e che anche se non poteva ancora raggiungerlo, non l’aveva
abbandonato.
Stava
combattendo per lui.
Per
il suo angelo.
Stava
combattendo come un diavolo con le fiamme ad incendiargli l’animo, il
cuore e la mente.
Urgenza
di finirla in fretta, di farcela.
Mentre
tutt’intorno studenti e persone si erano abbassate e gridavano creando
un baccano dell’accidente, mentre a gran voce Charlie chiamava Don e
Don chiamava Charlie, mentre soffrivano entrambi per motivi diversi,
mentre il più grande dei due sparava ancora, si riparava e tornava a
sparare di nuovo ricevendo altrettante pallottole che si conficcavano
nel tronco, sfiorando il corpo atterrato del più piccolo, mentre
l’inferno li circondava, tutto ciò che potevano fare era pensare l’uno
all’altro.
Un
attimo per guardarlo non c’era, un attimo per correre da lui non c’era.
Li
aveva lì, erano i bastardi che avevano ucciso i suoi veri genitori e
che l’avevano braccato per tutti quegli anni.
Erano
i bastardi che stavano facendo del male a Charlie steso a terra in
mezzo all’inferno, con le pallottole che volevano sopra di lui.
E
non ci arrivava, dannazione.
Non
poteva farcela. Erano in macchina, potevano andarsene quando volevano.
Non
poteva farcela.
Era
solo e lui voleva arrivare a suo fratello, alla sua vita, al suo amore.
E
non ci arrivava.
Non
poteva.
La
follia allo stato puro, dopo la paura più nera.
-
DON! DON AIUTAMI! DON TI PREGO! - E poi solo e semplicemente: - DON! -
Senza riuscire a chiedere nulla.
Volerlo
solo semplicemente lì con lui.
Con
la paura che attanaglia, che divora, che paralizza, che fa impazzire.
Il
dolore che mangia.
Il
furore che esplode.
E
finire le munizioni, e tirare giù il cielo, e mandare tutto al diavolo,
e correre lo stesso fuori dal suo rifugio di fortuna, e correre
incontro alla sua morte, forse, pur di arrivare a lui.
E
correre più veloce che mai in mezzo agli spari fregandosene di
dargliela vinta e finire ucciso.
E
correre e venire strisciato dalle pallottole e rischiare tutto pur di
raggiungere lui, anche senza riuscire a combinare qualcosa di utile,
anche senza cavarsela. Solo per riuscire a toccargliela, quella
maledetta mano, a cui prima per una frazione di secondo non era
riuscito ad arrivare.
E
arrivarci, coprirlo col suo corpo ancora miracolosamente intero.
Coprirlo
e proteggerlo con l’ultima cosa che era rimasta, chiudendo gli occhi,
sentendolo vivo, tremante, piangente, sanguinante sotto di sé che
ancora lo chiamava, ma questa volta più flebile, meno impaurito, meno
disperato.
Per
un attimo il tempo osò fermarsi, Don si rese conto di non sentire
niente, di aver escluso tutto il mondo fuori, di non avere concezione
di spazio, di suono e di corpo. L’avevano ucciso?
Aprì
gli occhi e come se fosse una situazione normale, come se non fosse
successo niente, come se fosse l’occasione giusta, come se non ci fosse
l’inferno fuori -anche se non sapeva più cosa succedeva- lo guardò.
Charlie
era ancora terrorizzato, pallido, si teneva il petto e la spalla
sanguinanti, tremava ma lo guardava. Non gridava più, non lo chiamava
più.
E
poi, come se fosse il momento ideale e nessun altro migliore di quello,
Don gli sorrise dolcemente come non aveva mai sorriso a nessuno,
nemmeno a lui.
Per
Charlie fu come trovarsi davanti ad un angelo, un angelo sceso
all’inferno solo per lui, per salvarlo.
In
quel sorriso ed in quello sguardo seppe con certezza che ce l’avrebbe
fatta.
Fu
il rumore fragoroso delle gomme che fece riscuotere Don, quando si tirò
su vide che l’auto se ne stava andando e lì, esattamente in
quell’istante, con Charlie finalmente calmo ma seriamente ferito,
sapendo perfettamente che se se ne sarebbero andati ancora non li
avrebbe più rivisti chissà per quanto e l’avrebbero fatta franca senza
pagare per il loro scempio, sentendo qualcuno avvicinarsi dicendo che
aveva chiamato i soccorsi e chiedendo notizie sul ferito, esattamente
lì Don decise.
Decise
sentendo la voce flebile ma decisa del suo ragazzo dire:
-
Vai e finiscili una volta per tutte. -
Decise
che aveva ragione e che uno che feriva il suo amore dopo aver ucciso i
suoi genitori e rubatagli la vita, non poteva anche riuscire a
scappare.
-
Torno subito. - Lo disse serio, risoluto e spaventoso, come se fosse
vero.
Come
se fosse realtà pura.
E
con uno scatto che nessuno gli aveva mai visto fare, e di scatti ne
faceva molti ed anche buoni, si alzò precipitandosi nella sua macchina
a poca distanza da loro.
Lontanamente
si sentì un verme verso il suo ragazzo, ma non poteva farla passare
liscia a quella feccia, non poteva.
Anche
se era solo e non sapeva nemmeno se la pistola di riserva era ancora
nel cruscotto della sua macchina, anche se Charlie era ferito.
Non
poteva lasciarli andare.
Avrebbero
pagato ad ogni costo.
Dovevano.
Avevano
ammazzato i suoi genitori, porca puttana. L’avevano quasi fatto con la
persona che amava di più adesso.
Sempre
sotto i suoi occhi.
Sempre
immancabilmente a mostrargli le loro porcherie.
E
quando fu in macchina a correre a rotta di collo, si sentì di nuovo
quel fuoco dannato dentro a divorarlo, a montarlo, a farlo impazzire
dalla rabbia.
A
trasformarlo di nuovo in quel diavolo che era stato prima. Il diavolo
che li avrebbe fermati.
Spinse
sull’acceleratore e stette dietro per un po’ alla macchina, mandò oltre
ogni limite il mezzo seguendo quello davanti a sé e solo quando capì
che strada stava cercando di prendere, non ci pensò su un attimo e
svoltando in un’altra prima di quella, volò per la scorciatoia che
nella sua mente sapeva esattamente dove sarebbe spuntata.
Un
azzardo necessario.
Ragionava
ma fino ad un certo punto.
Era
più che altro istinto, mentre l’immagine dei suoi genitori morenti
tornava vivida insieme a quella di Charlie e alle sue urla mentre lo
chiamava.
Non
si sarebbero salvati.
Quando
spuntò nell’altra via, vide da lontano solo l’ombra scura di un mezzo
che attraversava veloce.
Poteva
aver scommesso male, aver fatto male i calcoli, aver sbagliato veicolo.
Don
non rallentò.
“Non
sopravvivrete, bastardi figli di puttana!”
Aumentò
la velocità e portando la sua macchina al massimo andò dritto dritto a
schiantarsi di proposito contro quell’unico mezzo che si era frapposto
sul suo cammino, convinto fossero loro.
Non
ebbe un solo dubbio.
Il
botto che scaturì dallo scontro fu clamoroso, entrambi i mezzi si
fermarono incastrati l’uno contro l’altro, il fumo si levò offuscando
la visuale, gli airbag bloccarono i movimenti.
Stordimento.
Sapeva
che avrebbe potuto ammazzarsi ma non gliene era importato se per quello
si sarebbe portato dietro anche quei figli di puttana.
Quando
nel caos totale che era la sua mente che non gli rimandava nemmeno
delle sensazioni precise del proprio corpo, aprì gli occhi capendo di
essere a malapena vivo, li cercò oltre il cofano.
Vide
che con lo scontro violento li aveva schiacciati contro il muro dietro
bloccandoli e impedendo ogni uscita.
Non
sarebbero scappati.
Almeno
loro non sarebbero scappati.
Piegandosi
con forza d’inerzia, sforzandosi di pensare costantemente a Charlie e
rimanere cosciente anche se la testa voleva già esplodergli e dargli
sollievo facendolo svenire, si piegò nel cruscotto accanto e tirò fuori
la pistola di riserva che per fortuna teneva ancora lì in caso di
necessità, la prese e con mille smorfie, trattenendo delle urla per i
dolori lancinanti che provava non sapeva nemmeno bene dove, si trascinò
fuori puntando la pistola contro gli individui che erano nell’auto
davanti, completamente distrutta, più della sua.
Non
riuscì a parlare ma quando vide che solo il passeggero davanti era vivo
anche se agonizzante, mentre gli altri erano svenuti schiacciati e
malmessi, e forse qualcuno anche morto, capì che la sua guerra
personale, finalmente, l’aveva vinta lui. Era riuscito a cogliere
l’unico attimo in cui erano venuti allo scoperto, troppo sicuri di loro
stessi per immaginare che Don avrebbe inseguito loro invece che
soccorrere suo fratello.
A
quel punto, nel silenzio innaturale dopo il caos apocalittico e
l’inferno a cui aveva assistito, di cui era stato protagonista, guardò
in alto.
Solo
quello.
Sicuro
che i suoi genitori finalmente fossero fieri di lui.
L’uomo
ferito svenne e lui, dopo essere riuscito a chiamare appena Colby per
indicargli dove venire, fece altrettanto accasciandosi in strada senza
più forze, solo un fortissimo dolore a… bè, non riusciva proprio a
capirlo.
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Capitolo 12 *** Ritorno alla vita ***
*Ragazzi,
ecco qua il nuovo capitolo che, guarda caso, è anche l’ultimo. Ok,
certe cose le devo dire piano ma non ho molto tatto. Mi spiace di aver
fatto aspettare tanto per farlo ma ero presa dallo scrivere un’altra
fic, una RPF sul calcio, quindi ora posso riprendere in mano tutte
quelle che avevo lasciato in sospeso. Yukino mi ha fatto gentilmente
notare che in un paio che scrivo sono ormai alla fine e che era il caso
di muovermi, così eccomi qua a concludere Teoria e pratica. Devo dire
che mi dispiace ma sono anche soddisfatta di come questa fic è venuta,
non mi aspettavo molto, l’avevo iniziata quasi per gioco e poi… bè,
giudicate voi!
Ringrazio
vivamente tutti quelli che hanno seguito e commentato questa fic, li
nominerei uno ad uno ma sono un po’ tanti quindi faccio un grazie
cumulativo per tutti.
L’ultima
canzone ha scelto me, è una uscita da poco che mi è entrata in testa
proprio quando scrivevo questo capitolo, ha delle parole ed una musica
molto dolci, secondo me. È stranamente italiana!!!
Ok, non penso
mi manchi nulla da dire.
Spero di
ritrovarvi in altre mie fic.
Alla prossima,
gente, e grazie ancora per avermi seguito.
Buona lettura.
Baci Akane*
CAPITOLO XII:
RITORNO ALLA
VITA
“Vedi
si rimane in piedi anche se tu non ci credi
Dimmi
cosa vuoi sapere, cosa vuoi di questo amore
Anche
se non respiro e non mi vedo più
In
un giorno qualunque dove non ci sei tu
Anche
se aspetto il giorno, quello che dico io, dove ogni tuo passo si
confonde col mio
Forse
serve un po’ di tempo
Credo,
spero, penso, sento
Voglio
essere importante per te
e
non per la gente
Anche
se non respiro e non mi vedo più
In
un giorno qualunque dove non sei tu
Anche
se aspetto il giorno, quello che dico io, dove ogni tuo passo si
confonde col mio
Niente
da dire, niente da fare
forse
c’è un tempo per riprovare
Perché
tu sarai sempre il mio solo destino
Posso
soltanto amarti, senza mai nessun freno
Anche
se non respiro e non mi vedo più
In
un giorno qualunque dove non ci sei tu “
/In
un giorno qualunque - Marco Mengoni/
Nell’ovattato
morbido circostante, immersi in una nebbiolina dolciastra e tiepida,
con una melodica nenia a cullarli, sensazioni vaghe benefiche
d’inconsistenza, sensi confusi e mischiati, memoria cancellata, momento
di pace onnipresente, passato e futuro cancellati.
Le tue braccia
che tengono strette a te la cosa più importante in assoluto.
Non sai cos’è,
non la vedi subito, sai solo che è il tuo tesoro più grande.
Non sai dove
sei, come ci sei arrivato lì, perché, cosa hai fatto prima, dove
andrai, cosa farai, come sei, come ti senti. Sai solo che stai bene,
non senti nulla, tutto è confuso, ovattato, nebbioso, pacifico,
piacevole. E che stringi ciò che conta più di tutti per te, ciò per cui
hai lottato dando la vita.
E l’hai data,
la vita?
Non lo sai, non
sai cosa sei. Anima o corpo?
Non importa,
l’unica sensazione che hai è quella che conta.
Che fra le tue
braccia c’è quello per cui hai lottato.
E‘ caldo.
Allora ce l’hai
fatta, non sai a far cosa ma sai che ce l’hai fatta.
Così ti culli
con lui.
Quando
lentamente cerchi di vedere cosa sia e usi la vista per vedere in mezzo
a quella nebbia affascinante cosa stringi, alla fine lo metti a fuoco e
nell’esatto istante in cui lo vedi e realizzi chi è, il tuo cuore che
forse fino a quel momento era rimasto sospeso nel nulla e nemmeno
batteva… bè, eccolo che riprende dolcemente a battere.
Batte, senti
solo il suo rumore ritmato e costante.
E nei suoi
occhi castani gentili, sapienti e consapevoli, miti ma sicuri, tu torni
a vivere.
Nell’ovattato
morbido circostante, immersi in una nebbiolina dolciastra e tiepida,
con una melodica nenia a cullarli, sensazioni vaghe benefiche
d’inconsistenza, sensi confusi e mischiati, memoria cancellata, momento
di pace onnipresente, passato e futuro cancellati.
Due braccia ti
stringono. Non vedi chi è, non sai cosa ti è successo prima, dove sei,
cosa farai, cosa sei tu stesso.
Non sai in che
luogo preciso ti trovi, la memoria ti gioca brutti scherzi ed anche se
sai che normalmente questo ti creerebbe problemi, ora non te ne importa
e ti sembra strano ma non ti interessa. È ancora più strano sapere cose
di te che non hai idea di come sai…
La sensazione
di aver sempre saputo tutto di ciò che c’è da sapere in assoluto è
lampante, ma ora una cosa ti sfugge.
Chi è che ti
stringe cullandoti così dolcemente, facendoti sentire al sicuro?
Nell’incognita
rimanevi terrorizzato, una volta, ne hai la consapevolezza, eppure ora
nell’incognita stai bene.
Non importa
vedere chi è, sai che è la persona che ha lottato per te più di tutti,
quella per cui tu stesso, anche se sei un codardo, avresti dato la
vita.
Forse,
dopotutto, non è proprio un incognita.
Quella
sensazione precisa di sicurezza e tranquillità te la può dare solo una
persona.
Ed è quella che
ti sta stringendo a sé.
Pensavi di
essere solo, fino a quanto l’hai pensato? Non sapresti dirlo.
Ti sembrava di
essere calato in un giorno qualunque nel quale eri solo, ne hai passati
molti. Però c’era qualcosa di diverso.
Attendevi che
lui ti raggiungesse e sapevi che sarebbe venuto a prenderti.
Però ricordare
uno di quei giorni qualunque in cui eri solo e non avevi nessuno da
aspettare, ti ha fatto chiedere cosa avresti fatto se ora non fosse
arrivato.
Avresti
sperato, creduto, pensato e sentito, saresti andato avanti ma con un
vuoto dentro.
E forse non c’è
più niente di te che ti faccia pensare di essere vivo. Forse sei anche
morto.
Forse non
respiri e non vedi e non senti, forse il tuo cuore ancora non batte, ma
le braccia ti stringono e sei certo che sia lui.
Ma questo, e te
ne rendi conto quando ti accorgi che non stai respirando e che il tuo
petto è vuoto, significherebbe che anche lui è senza vita, come te.
Un’ombra
increspa il tuo viso, tu vuoi solo essere quello più importante per lui
ma non a scapito della sua vita.
È veramente lui?
E dove siete in
questo momento?
È ora di
saperlo.
Col tuo
cervello che si rimette in moto per la volontà di ottenere risposte
importanti, riattivi la tua vista, fra la nebbia piacevole che vi
circonda e quella nenia che culla, ti giri ed alzi gli occhi e dopo il
bianco finalmente metti a fuoco la prima sagoma.
Quando il suo
viso dai lineamenti decisi, la sua espressione sicura, solida, ferma
prende forma, lo vedi sorridere dolcemente in quel modo che sai riserva
solo a te in rari momenti.
Ed ecco che in
un tuffo interiore l’ingranaggio riprende a muoversi.
I battiti si
odono regolari e sai che da lì in poi non si fermeranno più.
Il tuo cuore ha
ripreso a battere.
Ora puoi
svegliarti e vivere ancora.
Quando
riaprirono gli occhi nello stesso momento, entrambi fecero la medesima
fatica a mettere a fuoco il mondo circostante grazie ai sensi
atrofizzati, quando ci riuscirono li mossero sulla stanza d’ospedale
riconoscendola dai macchinari che davano il ritmo dei loro cuori
praticamente in simbiosi fra loro.
Si cercarono
fino a trovarsi e quando i loro sguardi si allacciarono, nella
confusione generale che ancora provavano, sorrisero con fatica, un
cenno lieve sui loro visi pallidi e stanchi.
Dei due Charlie
aveva anche l’ossigeno che usciva dal fastidioso tubo nella gola,
mentre Don non così grave respirava da solo, si mosse meglio girandosi
verso l‘altro, l’osservò con più attenzione e una vena di dispiacere e
di preoccupazione oscurò il suo viso sereno fino a quell’istante.
Realizzando che
era davvero quasi morto per colpa sua, il senso di colpa lo invase
togliendogli per un istante di nuovo il respiro.
Con le labbra
secche ed impastate mimò la parola ‘mi dispiace’ che Charlie capì
raddolcendo i suoi occhi che invece si erano mantenuti vivi e luminosi.
Don era lì
steso accanto a lui e stava ormai bene, non c’era verso di preoccuparsi
e impensierirsi.
Scosse lieve il
capo per dire che non doveva, quindi una voce rude e familiare li
interruppe. Riconobbero la stanchezza e la pesantezza in essa e prima
ancora di vederlo sapevano di chi si trattava.
- Era ora… -
Disse loro padre addormentato nella stanza fino ad un momento prima.
I due figli lo
fissarono scambiandosi con lui degli sguardi altrettanto sfiniti ma
felici. Felici di essere comunque ancora una volta tutti e tre lì a
guardarsi.
Felici di avere
la certezza che il peggio era passato.
- Ho insistito
io per mettervi nella stessa stanza anche se volevano separarvi…
sapete… Charlie era davvero grave… due pallottole, una delle due è
arrivata vicino al cuore… - Il viso di Alan apparve ancora più vecchio
e segnato nel dire quelle cose, proseguì con forza: - Don ha preso un
brutto colpo in quel terribile incidente. Quando Colby è arrivato ha
detto che vedendo com’erano conciate le auto ha creduto davvero il
peggio per un momento… e si è stupito di vedere che eri anche riuscito
a scendere e a prendere quei… - Avrebbe voluto chiamarli col loro nome
‘figli di puttana’, ma non sarebbe stato da lui e ricordare quegli
eventi era comunque doloroso.
Don sospirò
faticosamente, chiuse gli occhi e si visualizzò i crimini dei suoi veri
genitori, il proprio dolore, tutte le volte che si era incrociato con
quella gente negli anni, la sparatoria con Charlie, l’inseguimento ed
infine l’impatto. In quell’attimo rivisse accelerato tutto quello che
li aveva riguardati, che gli aveva fatto tanto male.
Quanti anni
erano stati i suoi fantasmi, quelle persone?
Ora era finita.
Lo disse il
padre per entrambi loro tre, sapendo che anche Charlie dagli occhi
lucidi puntati nel fratello accanto, pensava la stessa cosa cercando
invano di dirlo.
- E’ tutto
finito, ora. Ora ogni cosa andrà a posto. - E nel sentirglielo dire,
cioè sentirlo dire proprio da lui, il loro padre che sempre aveva
rappresentato la loro roccia, lo rese vero e reale.
E scacciò via
tutte le loro paure ed il dolore provato. Via, lontano, spazzato
completamente senza possibilità di ritorno.
Ora si potevano
dire di nuovo vivi.
Il sole si era
alzato da appena poche ore creando quella sensazione di vittoria sulle
tenebre della notte.
I primi rumori
del mattino penetravano ovattati dalla finestra chiusa, dove le tende
erano scostate e gli scuri alzati a permettere alla luce di passare e
bagnarli.
In lontananza
arrivava una canzone dolce di un artista straniero, la sua voce era
dolce ed a tratti disperata. Non si capivano le parole, ma di certo
parlava di qualcosa di bello.
Le lenzuola che
li coprivano erano tiepide grazie ai loro corpi allacciati e docilmente
addormentati.
Le braccia
dell’uomo più grande circondavano nel sonno la schiena di quello più
giovane che accomodato sul suo petto aveva una di quelle espressioni
serene che da tempo, probabilmente, non aveva avuto.
La sensazione
del dormiveglia che entrambi provarono fu terribilmente simile a quella
del momento precedente al risveglio dal coma.
Dopo che erano
venuti a visitarli e a diagnosticarli il fuori pericolo, gli avevano
spiegato che fino a che li avevano tenuti separati ognuno nel giusto
reparto era successo in entrambi un netto peggioramento mentre quando
poi erano stati messi nella stessa stanza su insistenza del padre,
lentamente si erano stabilizzati ed avevano cominciato pian piano a
migliorare.
La cosa più
incredibile ed inspiegabile, però, era stato che Don, secondo i danni
ricevuti, si sarebbe dovuto riprendere prima di Charlie che invece ne
aveva riportati di più gravi. Quando si erano svegliati insieme non
solo era stato anomalo che Don avesse tardato tanto, ma era stato
impossibile che Charlie si riprendesse così presto.
Alan
gliel’aveva spiegata dicendo che anche se erano diametralmente diversi
e avevano fatto tutto separatamente ed in tempi opposti, da quando
avevano iniziato a lavorare insieme e si erano ritrovati, avevano poi
sempre cominciato a fare tutto insieme.
Alan in effetti
non si era stupito di quel fatto strano, erano fratelli ed anche se non
di sangue erano stati cresciuti così ed essere in simbiosi, dopo tutto,
non significava avere lo stesso carattere, lo stesso sangue e le stesse
capacità. Significava essere un tutt’uno con l’animo e loro, anno dopo
anno, lo erano finalmente diventati.
La mano di Don
cominciò a muoversi per prima sulla schiena del compagno sopra di sé.
Lo sentiva
respirare regolarmente e se si concentrava poteva anche percepire i
suoi battiti tenui.
Il corpo caldo,
la pelle morbida solcata dalle cicatrici che lui conosceva bene, ma
l’aria serena.
L’aria di chi
si sentiva al sicuro.
Lo era davvero,
fra le sue braccia?
Dal giorno
della sparatoria aveva cominciato a dubitarne, ma quando la sera
precedente gli aveva espresso il proprio dubbio, Charlie si era
arrabbiato come non aveva mai fatto in vita sua, era certo di non
averlo visto così fuori di sé.
Come evocato
dai suoi pensieri assonnati, la mente di Don gli riportò i flash della
sera precedente.
/E
come poteva toccarlo dopo che le sue stesse mani avevano provocato
indirettamente tanto dolore in lui?
L’aveva
quasi ucciso e solo perché gli era stato vicino, perché era diventato
la persona più importante della sua vita.
Quella
stupida frase da film che da grandi poteri derivano grandi
responsabilità era forse una cavolata per il contesto in cui era stata
usata, ma era comunque vera.
Lui
aveva delle responsabilità a cui far fronte, non poteva prendersi
semplicemente quello che voleva punto e basta. Sapeva di essere una
persona tendenzialmente egoista che si limitava a comandare gli altri
secondo le proprie idee e che faceva sempre di tutto per ottenere
quello che voleva, in un modo o nell’altro, però ora era diverso.
La
vita l’aveva messo davanti ad una verità innegabile.
Spesso
ciò che lui voleva era male per l’altro.
Se
standogli vicino Charlie rischiava così tanto allora non poteva
ignorare questo fatto.
In
passato era già successo che si mettesse in dubbio per lo stesso
motivo, ma Charlie non aveva mai rischiato di morire come ora.
Si
era rimesso, era tornato dall’ospedale e sembrava che tutto andasse per
il meglio, come prima dell’inferno, il mondo aveva a ripreso a scorrere
ed i giorni si erano susseguiti come fossero ‘uno fra i tanti’.
Però
Don non aveva più toccato Charlie, non davvero.
Qualche
bacio, qualche carezza interrotta troppo presto…
Il
non coraggio di fare l’amore con lui non l’aveva mai nascosto e la
scusa era stata che doveva rimettersi per bene prima di strapazzarsi a
letto.
Charlie
ci aveva creduto o per lo meno si era sforzato di crederci non
sentendosi lui stesso in forma ma la propria mente che lavorava veloce
gli aveva anche detto che forse Don non voleva per paura di essere la
causa del suo dolore.
Quando
si era rimesso e aveva continuato a mantenere una certa distanza gli
aveva dato poco tempo per elaborare una scusa che reggesse.
L’aveva
affrontato subito e come di solito avrebbe fatto Don.
Charlie
era uno che arrivava per strade alternative alla meta, era Don quello
che prendeva la palla e correva di sfondamento dritto come un carro
armato.
Questa
volta sembravano essersi invertiti i ruoli e raggiuntolo a casa sua
glielo aveva chiesto senza cercare prima di metterlo per l’ennesima
volta alla prova. Non era capace di sedurre, non sapeva farlo e si
sentiva impacciato, preferiva che gli altri lo seducessero.
Però
sapeva essere chiaro.
-
Cosa c’è che non va? - Gli chiese a tu per tu sul piede di guerra. Don
aveva smesso di spogliarsi e rimasto con i jeans l’aveva
guardato credendo di avere un alieno davanti.
-
Niente, perché? - Era sempre stato bravo a mentire, faceva un lavoro
per cui se non sapeva tenersi cose per sé era impossibile trovare le
risposte giuste. Inoltre aveva passato tutta una vita a tenersi chiuso
a doppia mandata, nessuno aveva mai capito molto di lui.
Ora
però davanti a Charlie, un Charlie così determinato, sembrava aver
dimenticato come si facesse.
-
Raccontalo a qualcun altro! Dimmi cosa c’è che non va! - Volente o
nolente avrebbe parlato. Non sapeva bene come obbligare Don a fare
qualcosa che non voleva, ma l’avrebbe fatto.
-
Charlie, a cosa ti riferisci? - Prendere tempo era tutto ciò che
riusciva a fare. Nella mente paralizzata non trovava più scuse adeguate
e sapeva che era giunto il momento di dirglielo e basta.
-
Mi sono perfettamente ripreso, perché continui a tenermi a distanza?
Hai paura di toccarmi, di stare con me… di stare con me davvero… - Un
velo di rossore colorò il suo viso dando chiarezza su cosa intendesse.
Don strinse le labbra in segno di disappunto, non voleva parlarne ed
era evidente, ma era messo alle strette.
Rise
fra sé e sé. Lui, il grande, forte e testardo agente dell’FBI messo con
le spalle al muro da un professore di matematica allergico alle armi!
Ridicolo!
Cominciò
a camminare distrattamente per il proprio appartamento, quindi cercando
di essere convincente iniziò senza sapere cosa dire davvero:
-
Bè, che vuoi… non sono ancora pronto… - In fondo era vero ma non del
tutto. Lui in realtà aveva già deciso che per proteggerlo doveva
allontanarlo. O smettere di fare quel lavoro. Ma essendo che quello era
tutto ciò che sapeva fare, era difficile smettere con quello!
-
Certo, come no! Ed io sono Archimede! - Continuò come un mastino
Charlie avvicinandosi a lui. Naturalmente tornò a sgusciare via, questa
volta più veloce, come cercasse di scavare un fosso nel suo pavimento.
-
Ma è così… cioè, non so se è ancora il momento giusto… - La voce di Don
si stava innervosendo e Charlie continuò a seguirlo mentre l’altro a
scappare sempre più frenetico, come punto da una tarantola.
-
Il momento giusto per cosa? Andiamo, stiamo bene entrambi, ormai! Cosa
c’è che non ti va? -
Don
era davvero in difficoltà e la cosa sarebbe stata sconvolgente di per
sé se peggio non fosse stato il fatto che stesse fuggendo dal fratello
minore apparentemente innocuo, come se fosse un essere estremamente
pericoloso!
-
Non mi va che per colpa mia sei quasi morto! - Alla fine lo sputò fuori
fermandosi un istante per fissarlo dritto negli occhi ma lo sguardo che
vi lesse, quella luce di stupore e di dolore gli fece a sua volta male,
per cui riprese la sua marcia in giro per casa. Charlie però rimase
fermo in mezzo alla stanza inebetito, capendo finalmente di cosa si
trattasse.
-
Ma… ma non sei stato tu a spararmi, non era colpa tua… - Sussurrò
debolmente più incredulo che altro. Non poteva crederci che fosse per
quello. Avevano affrontato il discorso mille altre volte, in passato,
quando si era ritrovato in pericolo e Don si era chiesto se non dovesse
proteggerlo allontanandolo dall’FBI. Ma lì era diverso.
Ora
Don si stava chiedendo se per proteggerlo non dovesse allontanarlo da
sé stesso.
Questo
aveva la potenza di una bomba atomica per il più giovane che cominciava
a non percepire più le stimolazioni nervose al cervello e quindi a non
ragionare. Cosa grave per lui.
Don
smise ancora la sua avanzata ma rimase a debita distanza con le mani
piantate ai fianchi e l’aria cupa e tenebrosa che da anni non aveva.
-
E’ stata per colpa mia e lo sappiamo bene entrambi. Siamo abbastanza
grandi da non mentirci come dei bambini! -
Ok,
si disse Charlie mordendosi l’interno delle guance nervoso, era vero
quello che diceva ma non era un buon motivo per allontanarlo. Per lui
non ce n’erano proprio, né di buoni né di pessimi.
-
Non ha importanza, può succedere ma ora quelle persone non ti
perseguiteranno più, non c’è più quel pericolo, non devi più pensarci!
- Cercava di motivarlo alla meglio, non era facile con la mente
nell’allarme più completo. Cominciava a sentirsi proprio male, lo
stomaco stretto in una morsa nauseante, la gola con un nodo gigantesco,
quella fastidiosa ondata che minacciava di uscirgli dagli occhi sotto
forma di lacrime. Non voleva piangere, non davanti a lui. Voleva essere
forte, fermo, deciso.
Don
abbassò il tono diventando più dolce, pronto a continuare a scappare se
si sarebbe riavvicinato.
-
Finché faccio questo lavoro, finché prendo i criminali della peggiore
specie che possono uscire da un momento all’altro o che magari hanno
amici vendicativi, la situazione non cambierà mai. Io sarò sempre un
bersaglio per quelle persone. E con me chi io amo. - Serrò la mascella
e tese i muscoli fino allo spasmo, con la voglia matta di distogliere
lo sguardo dal suo ferito non si mosse e concluse: - La cosa migliore è
allentare il rapporto. Non sopporterei che ti sparassero di nuovo per
colpa mia. Solo perché ti amo. -
Un
doppio shock lo invase devastandolo e mandandolo storicamente in tilt.
Gli
diceva che dovevano lasciarsi e allontanarsi e poi che lo amava.
E
non poteva dirgli che lo amava dopo che dovevano lasciarsi.
Anzi,
non poteva dirgli quella oscenità proprio per niente.
Nel
sentirglielo, dopo lo shock iniziale qualcosa in lui si ribellò. Tutto
il suo essere, ogni particella che lo componeva a partire da tutti i
neuroni che trasmettevano mille e più stimolazioni e pensieri.
In
sé improvvisamente non ci fu nemmeno una cellula calma e ragionevole,
pronta a comprendere e a non reagire.
Tutto
urlò, in Charlie.
Tutto.
Come
non gli era mai capitato in vita sua.
-
Tu… - Iniziò con voce bassa e tremante guardando in basso coi pugni
stretti lungo i fianchi e le spalle alzate: - tu mi stai lasciando
perché mi ami? - Era una di quelle cazzate immense che si assistevano
nei film e che quando accadevano ci si rideva su. Ma rendersi conto che
nella realtà c’era davvero gente che faceva così e trovarsi
protagonista di tale pietoso scandalo, era davvero troppo.
Il
silenzio di Don fu fin troppo eloquente, ma quando poi disse un teso e
penetrante: - E’ meglio così. - la bomba in Charlie esplose e rapido
come poche volte in vita sua era stato, fu davanti a Don che non ebbe
nemmeno il tempo di allontanarsi. Rimase fermo immobile a sentire le
sue mani artigliarsi sulle spalle nude, affondare nella carne e
scuoterlo con violenza facendolo tremare.
-
MA MEGLIO PER CHI?! MI HAI CHIESTO COSA VOGLIO IO, INVECE? PERCHE’
DECIDI SEMPRE TU PER TUTTI? SEMPRE DA SOLO! SEMPRE CONVINTO DI SAPERE
TUTTO QUANDO INVECE NON SAI UN CAZZO! COME PUOI PENSARE CHE IO VIVA
MEGLIO SENZA DI TE ORA CHE TI HO APPENA RITROVATO? HAI SEMPRE
VOLUTO LIBERARTI DI ME, HAI SEMPRE CERCATO DI ALLONTANARMI PER PAURA
CHE MI SUCCEDESSE CHISSA’ COSA, MA LA VERITA’ FORSE E’ CHE TI SONO DI
PESO! ALTRO CHE AMORE E AMORE! DI’ LE COSE COME STANNO INVECE CHE
SPARARE PALLE COLOSSALI! -
Non
solo usare quei termini non era da lui, ma nemmeno urlarli a quel modo.
Don rimase allibito a subire la sua sfuriata, non l’aveva mai visto
così fuori di sé e addirittura arrivare a dire che aveva sempre voluto
liberarsi di lui… come poteva dirlo?
Charlie
non era mai irragionevole, quelle erano cavolate…
Con
una smorfia incredula sul viso cupo, con la rabbia che si
affacciava anche a lui sentendosi messo in dubbio a quel modo, lui ed
il suo dolore nel fare la cosa giusta, la fatica nell’ammettere i
sentimenti più intimi, reagì a sua volta e non molto bene. Del resto da
Don ci si aspettava una cosa simile.
Prendendo
Charlie per i polsi glieli strinse e avanzò spingendolo contro la
parete lì accanto, gridando anche lui fuori di sé:
-
COME PUOI DIRE CHE HO SEMPRE CERCATO DI LIBERARMI DI TE? NON SAI COSA
STO PASSANDO! NON SAI QUANTO MI COSTA FARE COSI’! NON SAI CHE TORNANDO
INDIETRO MI METTEREI IO SULLA TRAIETTORIA DI QUELLE DANNATE
PALLOTTOLE?! COME PUOI ANCHE SOLO PENSARE CHE STO CERCANDO DI TOGLIERTI
DI MEZZO PERCHE’ SEI UN PESO?! COME?! -
Vomitarlo
furibondo a quel modo aggressivo, premendolo contro il muro, rendeva il
fatto ancora più grave a sé stesso. Farlo uscire dalla bocca gli dava
consistenza e pesava ancora di più.
Charlie
però ormai si era scollegato e non sentiva ragioni nonostante di solito
fossero le uniche cose ad ancorarlo al mondo.
Per
nulla spaventato da quel modo che normalmente l’avrebbe bloccato
all’istante, continuò a spingere invano finendo per venir schiacciato
più di prima col suo corpo possente. Impossibilitato a muoversi
continuò comunque a gridare furioso, cercando disperatamente di mettere
fine a quell’incubo:
-
ED IO NON POSSO SAPERE COSA PENSI SE NON ME NE PARLI MAI! DICI DI
AMARMI MA HAI CONTINUATO COME SEMPRE AD ESCLUDERMI DALLE COSE
IMPORTANTI. DALLE DECISIONI CHE TI DIVORANO. FINCHE’ NON MI RENDERAI
PARTECIPE CHIEDENDOMI COSA VOGLIO E COSA PENSO, SARO’ SEMPRE CONVINTO
CHE PER TE SONO UN PESO. CHE NON TE NE IMPORTA NIENTE! -
Una
pugnalata dietro l’altra le sue parole che per Don erano semplicemente
terribili, visto l’inferno in cui era finito per decidere quello che
aveva deciso.
Non
poteva davvero dire quelle cose. Non poteva davvero ucciderlo così.
Entrargli
dentro nella pelle e nell’anima e farlo a pezzi in quel modo.
Ma
era una cosa vicendevole, il medesimo inferno che passava anche
l’altro.
-
NON PUOI DUBITARLO! NON PUOI DUBITARE CHE IO TI AMO! NON PUOI! -
-
E ALLORA DIMOSTRALO IN MODO NORMALE! -
-
QUESTO E’ IL MIO MODO! SE NON TI STA BENE MI SPIACE MA E’ QUESTO CIO’
CHE SONO! -
-
NO, NO CHE NON MI STA BENE! NON MI STA BENE CHE PER AMARMI MI LASCI!
NON LO CAPISCO ANCHE SE SONO INTELLIGENTE! LA LOGICA IN QUESTO MI
SFUGGE! -
Don
ebbe improvvisamente un insano istinto di prenderlo a pugni ma ogni
muscolo teso di sé indicava lo sforzo immane nel trattenersi. Spingerlo
con forza contro il muro bloccandolo, stringergli i polsi
immobilizzandolo era un limitarsi per lui e per il modo in cui si
sentiva.
-
LA LOGICA E’ CHE NON VOGLIO CHE PER COLPA MIA TORNINO A SPARARTI! -
Ma
Charlie non era mai stato tanto convinto di una cosa come in quel
momento. Sarebbe morto pur di dimostrare che aveva ragione, non avrebbe
mai ceduto. Mai. E giunto al limite massimo di sopportazione, non
sapendo come farglielo capire, lo sparò disperato nell’ira più rossa:
-
PER ME STARTI LONTANO EQUIVALE A MORIRE, COME PUOI NON CAPIRLO? -
Fu
esattamente in questo istante che Don esitò trovandosi
sconvolgentemente spiazzato, senza parole davanti a tale grido di
disperazione pura. Gli occhi gli divennero improvvisamente lucidi, si
morse con forza il labbro e il blocco totale lo colse mandandolo in
blackout, nemmeno respirava. Charlie allora proseguì incalzante
spingendosi ancora contro di lui, irremovibile come una roccia.
Spaventato come un bambino. - CHIEDIMI COSA VOGLIO IO, DON! CHIEDIMELO!
CHIEDIMI COSA PROVO PER TE! RENDIMI PARTECIPE! FAMMI SCEGLIERE! -
E
sapeva bene che se non era Don convinto a farlo scegliere, era inutile
che prendesse posizioni poiché sarebbe stato inutile. Però fino a poco
tempo prima avrebbe creduto impossibile convincerlo a fare qualcosa che
si ostinava a rifiutare.
Eppure
era lì ad implorarlo, a gridargli di cambiare idea, di farlo
partecipare. Sperando come non mai che lo capisse, che per una
dannatissima volta in vita sua si piegasse.
Don
ancora era come se non ci fosse, lo fissava negli occhi impalato
davanti a lui, premuto ancora addosso, le mani a bloccare i suoi polsi
ma la mente assente. Spaventata.
Più
un automa che altro.
-
Cosa… - Disse senza rendersene conto, senza avere idea di volerlo
sapere veramente: - cosa vuoi? -
E
senza avere più la minima idea di come dirlo anche se l’aveva
fortemente pensato fino ad un istante prima, fino ad impazzire, con la
mente terribilmente vuota, pur immobilizzato da lui, Charlie si allungò
il possibile e con il viso arrivò a quello dell’altro.
E
lo raggiunse lì, rigido, arroccato.
Posò
le labbra sulle sue con dolcezza chiudendo gli occhi da cui si era
accorto solo ora uscivano lacrime traditrici che bruciavano le sue
guance.
Gli
arrivava, così, il suo sentimento?
Lo
sentiva?
Le
sue labbra rimanevano serrate e dure ma le proprie con morbidezza e
leggerezza continuarono ad accarezzargliele senza cedere, insistenti e
sicure. Cominciò allora a inumidirgliele e quando sentì le mani sui
propri polsi allentarsi, si liberò immediatamente sgusciando dalla sua
presa ferrea per circondare il suo collo come fosse un ancora di
salvezza. Lo strinse a sé continuando a riempire di piccoli baci la sua
bocca ed il resto del viso ancora inamovibile, fermo in quel nulla dove
probabilmente si stava sconvolgendo perché messo in discussione.
Ritornare
sulle sue decisioni, rendersi conto che aveva sbagliato, che doveva
cambiare idea era qualcosa che non aveva mai fatto e granitico com’era
già solo il pensiero di farlo era faticoso. Riuscirci era tragico.
Ma
il corpo di Charlie fu finalmente altrettanto libero di premersi di sua
volontà contro quello resistente del fratello, morbidamente,
gentilmente, dolcemente fino a fargli sentire tutto quello che provava
lui, quell’amore che non era ancora riuscito ad esprimere a parole ma
che doveva trasmettergli a tutti i costi.
Doveva
sapere che non poteva rinunciare a quello. Che non c’era modo di
spegnerlo ormai che glielo aveva acceso.
Doveva
prendersi le sue responsabilità dopo tutto.
Nell’insistere,
nel non mollare, nel stringersi a Don con fermezza e pazienza, nel
rimanere ancorato a lui, finalmente lo sentì muovere impercettibilmente
le mani rimaste a mezz’aria. Le sentì poggiarsi lievi sulla schiena.
Fu
allora che semplicemente abbracciandolo, riuscì anche a dirglielo sul
suo orecchio:
-
Io ti amo Don… Non mi importa di essere in pericolo, so che mi
proteggerai sempre, ma stando con me. Ti prego, non lasciarmi. - E
quella piccola preghiera sincera, l’uomo più grande la sentì in
profondità come una cura che levava tutto il dolore sentito.
In
un attimo tutto fu spazzato via e capì che anche se cambiare idea non
era facile, per Charlie poteva farlo.
Fu
allora che lo strinse a sua volta con forza senza
l’intenzione di mollarlo mai più.
Charlie
si accorse di aver trattenuto il respiro fino a quel momento, in cui
tornò a prendere ossigeno tornando un po’ alla vita anche lui.
La
seconda risposta di Don fu il bacio che cercò e trovò un istante dopo,
quando le loro labbra si riallacciarono di nuovo con una calma che
sanciva quella specie di promessa, quella tregua sofferta. Quella pace
meritata.
Allacciarono
le loro lingue con dolcezza assaporando un bacio di cui avevano avuto
davvero bisogno. Un bacio che poi si allungò mutando l’intensità che
via via crebbe per la ricerca di maggiore contatto, maggiore pace,
maggiore bisogno di fondersi l’un l’altro.
Desiderio
che si concretizzò nelle mani di Don che dopo essersi infilate sotto la
camicia sgualcita e aver accarezzato la sua pelle che rabbrividì al suo
tocco, andò sul davanti a finire di slacciargliela.
Smisero
di baciarsi prendendo respiro appoggiandosi fronte contro fronte, le
dita di Don continuarono a scorrere sui bottoni fino a che non furono
tutti aperti e le mani non si infilarono sotto raggiungendo le spalle e
scendendo sulle braccia, facendogli cadere l’indumento che andò con un
fruscio ai loro piedi.
Contemplò
seccato la canottiera che aveva sotto ma decidendo di occuparsene dopo,
riprese a baciarlo conducendolo febbrilmente al letto.
Che
fosse tornato in poco tempo il solito Don deciso con le idee chiare che
amava condurre, era fin troppo chiaro e di questo Charlie gliene fu
grato, visto che si trovava meglio nei panni di quello che seguiva il
condottiero piuttosto che in quello che lottava per fargli cambiare
idea.
Si
ritrovò sul suo letto col cuore che galoppava impazzito, rendendosi
conto di cosa stavano per fare e che sarebbe stata anche la loro prima
volta.
Ma
se da un lato lo spaventava, dall’altro lo desiderava da matti, era
arrivato ad un punto tale da lottare con unghie e denti per poter avere
del tutto Don, quello era il completamento della sua volontà.
Sentendolo
teso ed imbarazzato, Don decise di metterlo prima a suo agio e senza
pensarci dalle labbra scese sul suo collo assaggiandolo, lo vide
offrirsi istintivamente e un’ondata di piacere lo attraversò mentre
cominciava a muoversi su di lui.
Gli
alzò la canottiera e con l’accesso libero, scese lentamente continuando
a succhiare piccole porzioni di pelle, con delicatezza le cicatrici
della sparatoria maggiormente sensibili e piacevoli da leccare, fino a
giungere sui suoi capezzoli che divennero in poco tempo duri. Senza
fermarsi, continuò la sua discesa raggiungendo i suoi pantaloni e
slacciati in poco tempo glieli sfilò dimenticandosi il suo bel
proposito di mettere a suo agio il fratellino teso.
Non
si rese nemmeno conto che mentre lo denudava completamente con una tale
disinvoltura, quell’altro non respirava nemmeno.
Per
non parlare di quando gli toccò dapprima con le mani e poi con le
labbra il suo membro che in un paio di occasioni aveva già potuto
deliziare.
Si
accorse che era in difficoltà quando lo vide prendersi al lenzuolo
sotto di sé.
Don
in quello alzò un sopracciglio con ironia chiedendosi quanto ci avrebbe
messo a toccarlo a sua volta, mettendolo alla prova continuò a leccare
il suo sesso come non avesse fatto altro in vita sua, sapendo bene come
lasciarlo al limite prima di farlo sfogare a pieno. Con una sorta di
crudeltà non gli permise di raggiungere così presto il culmine, ma
quando sul più bello fece per ritirarsi, finalmente le mani del ragazzo
sotto di sé lasciarono il lenzuolo per andare sulla sua nuca e
premergli la testa contro il proprio inguine eccitato.
Appena
lo fece Don mugolò sorpreso e piacevolmente colpito, questo riportò
alla realtà il professore che gemette in una sorta di scuse che non
avevano senso e senza sapere che cosa fare, si ritirò di nuovo. Don
sorrise languido e divertito, quindi risalì giungendo di nuovo al viso,
lo contemplò con fare indecifrabile, assorbì la sua deliziosa timidezza
e il suo mortificarsi per un gesto tanto audace, quindi lo
tranquillizzò baciandolo.
E
se con un bacio del genere avrebbe dovuto tranquillizzarlo, allora era
da sperare che non volesse mai agitare qualcuno!
Iniziando
con lentezza esasperante, andò in un crescendo erotico fino a
succhiargli la lingua fuori dalle loro bocche, passando al labbro e poi
al mento, concludendo sul suo orecchio mentre col bacino gli si
strofinava contro, seppur separati dai jeans, e con la mano continuava
a lavorare sul suo inguine già portato al limite poco prima.
-
Finisci di spogliarmi… - Gli disse poi con voce roca e carica di
desiderio. Charlie rabbrividì sia per quella che per ciò che gli disse,
ma sgranando gli occhi in un attimo di confusione si rese conto che era
anche una delle cose che sognava di fare da un po’.
Quando
Don si tirò su, Charlie rimase un attimo steso a guardarlo inebetito e
rosso, osservando la sua espressione che lo invitava a farsi avanti non
resistette e con un certo imbarazzo si alzò a sedere slacciandogli
impacciato la cintura che ancora indossava. Alzò gli occhi e lo vide
carico di una malizia che ebbe il potere di devastarlo e scaldarlo
brutalmente.
Di
nuovo il caos lo invase insieme alla voglia di dargli piacere e di
rivederlo nudo sopra di sé.
Non
sapendo come fare, si affidò al proprio istinto e semplicemente
continuò l’operazione, seppure sempre rigorosamente pieno di vergogna,
sentendosi troppo audace e sfacciato.
Quando
finalmente ci riuscì aiutato alla fine dal fratello che ebbe pietà di
lui, se lo risentì addosso come una calda coperta sicura, lo avvolse
istintivamente con le sue braccia mentre l’altro si reggeva per non
pesargli completamente addosso.
Sentì
di nuovo il suo sesso addosso strofinarsi contro, sentì la voglia di
essere toccato, sentì la sua bocca che continuava a dargli sempre nuovi
piaceri, la lingua che andava in zone che nemmeno sapeva potessero
dargli così tanto piacere.
Cominciando
a gemere, capì di essere lontano da sé stesso anni luce e senza
ritrovarsi ma lieto di essere talmente vicino alla persona che amava,
anche se lui non glielo chiedeva si fece forza e si decise a ricambiare
il piacere che gli stava dando, quindi scivolò svelto in basso prima di
cambiare idea e giunto davanti al suo membro eccitato prima lo toccò
con timidezza acuta, esitante, leggero, poi quando la mano di Don andò
sopra la sua indicandogli il modo giusto di farlo, con più decisione,
stringendo senza paura, muovendosi con ardore, aggiunse la sua bocca
finendo di nuovo nel caos più completo.
Ancora
esitante, ancora senza sapere come fare, semplicemente lo fece incitato
dalle mani del compagno che ancora una volta andarono fra i suoi
capelli ingarbugliati premendolo contro il proprio inguine,
indicandogli di non avere paura, di farlo con più decisione, che gli
piaceva, che andava bene, che lo voleva e lo voleva di più.
Spinto
dalle sue mute indicazioni che gli trasmettevano sicurezza, l’andatura
di Charlie crebbe d’intensità, invogliato dall’aumentare anche per
l’eccitazione che saliva nella sua bocca, sentendolo sempre più
evidente pulsante.
Quando
la voce roca e penetrante di Don riempì la stanza di gemiti di piacere,
lui stesso sentì delle violente scariche elettriche e poco prima che
raggiungesse il culmine, Don se lo staccò di dosso bruscamente
facendolo rimanere decisamente male.
Vide
come il suo viso era sotto sforzo e voglioso, quindi capì che si stava
avvicinando il momento. Lo capì da come aveva ripreso a gestirlo come
fosse una bambola nelle sue mani.
Era
bello esserlo, farsi muovere da lui, fidarsi al punto da lasciargli
fare qualunque cosa.
Don
senza esitazione, col desiderio alle stelle, se lo riposizionò sotto di
sé e scivolando fra le sue gambe che alzò per ottenere un miglior
accesso, cominciò a stimolare la sua apertura con delicatezza e
sicurezza allo stesso tempo.
Era
un uomo rude, di solito, incapace di certe attenzioni, ma lì seppe
essere giusto, anche se controllato a fatica visto che fosse stato per
lui sarebbe semplicemente entrato.
Occupandosi
di tanto in tanto ancora del suo membro sempre più eccitato, sentendolo
contorcersi davanti a sé, sotto le sue mani, decise che era ora e senza
aspettare più si sistemò meglio sopra di lui, appoggiandosi le gambe di
Charlie sulle sue spalle e spingendosi con esse contro di lui di nuovo
aggrappato al lenzuolo, pronto all’atto successivo.
Don
prima di scivolare in lui gli sfiorò le labbra con dolcezza, quindi gli
sorrise dolcemente, come raramente faceva, e dandogli quella calma
interiore necessaria, entrò piano fermandosi subito per dargli il tempo
di abituarsi.
Charlie
provò un dolore lancinante e mordendosi il labbro tirò il lenzuolo,
quando però Don cominciò lentamente a muoversi, uscendo e rientrando
per farsi miglior strada in lui, dalla stoffa passò alle sue braccia
possenti e ad ogni spinta più profonda, le sue unghie affondavano
involontariamente di più attirandolo a sé.
Questi
piccoli gesti passionali provocarono in Don un ulteriore piacere che
lentamente gli fece perdere il controllo, fino a che le spinte non
divennero più vigorose nonostante il dolore che gli procurava,
aumentando il ritmo e l’intensità creò un miscuglio fra quello ed il
piacere che lo confusero portandolo in un altro pianeta, dopo non
capiva se stesse urlando per il male che sentiva oppure per il
godimento.
Non
ritrovandosi più completamente, con il cervello in fiamme, il corpo
pulsante e la sensazione di essere finalmente un tutt’uno con Don, lo
sentì gemere più forte che mai mentre lo vedeva sull’orlo della follia
per lui, perché gli piaceva possederlo, essere in lui, e realizzando
lontanamente che stavano facendo finalmente l’amore e che Don era in
estasi per lui, cominciò ad andargli incontro nelle spinte, creando
delle onde simbiotiche che colpirono il compagno sopra come dei
cavalloni violenti.
Il
piacere che provò lui fu tale da non avere paragoni precedenti e
sconvolgendosi di spinta in spinta, si lasciò semplicemente andare alla
follia che provava, senza capire perché mai prima aveva cercato di
privarsi di tale benessere.
Anche
lui si trovò sbalzato fuori di sé, ben lontano da lì, ma trovandosi col
ragazzo che amava non se ne curò e continuò aumentando di più, sempre
più, fondendosi totalmente con l’altro, cercandolo, trovandolo e
inglobandolo in sé.
Fino
a raggiungere il culmine in un tuffo che fece perdere entrambi per un
lungo momento.
Un
momento introvabile afrodisiaco che non avrebbero mai dimenticato e mai
definito.
Rimasero
immobili ansimanti coi copri umidi e pulsanti, tremanti, tesi, poi
sfiniti si sciolsero ricadendo stesi sul letto, Don sulla schiena che
si tirò addosso uno sconvolto Charlie che non riusciva ancora a
ritrovarsi ma che si aggrappava a quello che per lui sarebbe sempre
stato la sua ancora.
Ora,
entrambi lo sapevano, non avrebbero mai potuto separarsi./
Quando gli
occhi castani velati di sonno di Charlie si aprirono, trovarono quasi
subito quelli più svegli carichi di sicurezza di Don che lo guardava da
un po’.
Sorrise in un
buongiorno che non disse e con un lontano ricordo della sera
precedente, quando aveva perso le staffe come non mai, realizzò che
quello era solo un brutto ricordo a cui però si aggiungeva quello più
bello in assoluto.
Quando unendosi
si erano promessi di non separarsi più, accettando il bene ed il male
che sarebbe arrivato.
Da quel momento
poteva davvero partire una nuovo capitolo.
FINE
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