Junjou Terrorist

di topolinodelburro
(/viewuser.php?uid=87424)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La Carta ***
Capitolo 3: *** La Maledizione ***
Capitolo 4: *** Lo Squilibrio ***
Capitolo 5: *** La Disarmonia ***
Capitolo 6: *** Le Coincidenze ***
Capitolo 7: *** L'Incontro ***
Capitolo 8: *** La Fine ***



Capitolo 1
*** Prologo ***





"I mari sono selvaggi stanotte... allungandosi aldilà dell'Isola di Sado nubi silenziose di stelle."
Matsuo Bashou



Ecco com'era stato,
nascere,
crescere, baciati dalla fortuna, cullati da una buona stella; come se il futuro si producesse privo di moto,
in apparizioni simultanee logiche e mai distorte,
senza imprevisti,
non limitato dai difetti; mentre tutto scivolava via scorrevolmente sicuro e per nulla indefinito, fluido e sereno; come se fosse già stato selezionato e catalogato, e tutto ciò che rimanesse all'uomo, fosse assimilare,
adattarsi,
raggiungere lo scopo.
Ecco com'era stato,
vivere, subendo la sicurezza inquietante di un'esistenza stagnante e limpida, dove gli errori commessi non erano mai i suoi.
Forse era per questo che credeva così ciecamente al destino.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La Carta ***





Erano in due, uno era venuto a prendere l'altro a scuola e si erano incamminati lungo le strade di Sado, normalmente, come ci si aspetterebbe da degli studenti comuni.
Il personaggio più vistoso era di certo il tipo alto, capelli biondi, parlantina dallo strano accento inglese, aspetto da surfista, un prototipo assolutamente esotico di australiano. L'altro era comune, ma grazioso, oh, davvero lo era; e rimirava tra le mani un pezzetto rettangolare di cartoncino rosso cupo, ripetutamente. Non stava guardando dove metteva i piedi, nè dove quella strada lo stesse conducendo; quella carta nelle sue mani era sovrapposta alla pavimentazione del marciapiede, all'interno del suo campo visivo, e l'unica cosa che vi rientrava oltre ad essa era il ciglio della strada, ed i piedi dei passanti che incrociavano la loro via.
La rigirò tra le mani, aggrottando il naso, mordicchiandosi nervosamente l'angolo destro della bocca, prima di passare il pollice lungo la sua superficie liscia.
-In ogni caso credo che entrare nell'università M non sia poi una così gran furbata da parte tua-
-Tu credi?-
-Tzè, se credo, no dico... ehi Shinobu...-
Il tipo non sollevò lo sguardo dalla carta, figuriamoci, quel colore amaranto che la caratterizzava stonava tremendamente con l'anonimo grigiore del marciapiede. Decisamente.
Non riusciva a chiudere le palpebre, non che non volesse, ma qualcosa, in quella carta, lo intrappolava.
Gli occhi gli erano diventati secchi e freddi.
Gli sembrò quasi come se tutto quel rosso fossero i resti smaciullati di un topo senza vita spiaccicato in mezzo al marciapiede.
Iniziò da nitido, a vedere progressivamente doppio, finché quel colore non catalizzò completamente i suoi recettori e la sua visione, diventava a poco a poco fortemente sfocata, fino ad apparirgli ad intermittenza.
Tuttavia non si lasciò sfuggire lo sguardo, ed i suoi occhi presero a lacrimare per inumidirsi, mentre le palpebre cercarono testardamente di chiudersi.
-Shinobu, here-
Delle dita schioccarono di fronte alle sue pupille e riempirono la sua visuale, distogliendolo dalla contemplazione della carta. I suoi occhi si riebbero in alcuni battiti di ciglia.
-I mean, puoi permetterti qualcos'altro, non te lo dice pure quel tuo professore strano?-
-Nn, il mio tutor-
-Quel ch'è, Shinobu, Dio, pensa in grande, pensa... Harward!-
-Mi è indifferente l'università, quel che mi interessa è Miyagi-san-
Lasciò scivolare lentamente il capo verso il basso, e la carta riacciuffò nuovamente la sua attenzione, veloce, in simultanea, un secondo e la sua vista si era impigliata come su di una ragnatela, il colore colloso lo calamitava al suo interno.
Probabilmente era il fatto d'essere caratterizzata da un colore primario, che la rendeva così spigliata contro la pavimentazione piastrellare del marciapiede, ma stranamente, gli parve di vederla più rossa di prima. Vi passò per l'ennesima volta le dita sopra, accarezzandola piano, e percependo l'aura di attrazione che sembrava scaturirne fuori, mentre accanto a lui Ephraim parlava, e poi parlava ancora.
Il suo chiacchiericcio cullava dolcemente la sua sacra contemplazione. I bisbigli che udiva, le esclamazioni lontane, erano diventate parole di rito che accompagnavano in una nenia la sua adorazione.
Gli occhi ripresero a divenire insensibili, e le palpebre non vollero più abbassarsi. Si sgranarono invece. E riprese di nuovo quel turbinio sfocato e fastidioso quasi, ma inebriante, che prese la sua vista. La macchia rossa si ingrandiva contro il marciapiede, e pareva che il topo prendesse vita nella morte ed il suo sangue ricominciasse a defluire, versandosi a fiotti dalle vene.
Finché il rosso ed il topo, e con loro il marciapiede non scivolarono via e cieco, vide solo nero tutt'attorno, e il suolo gli mancò sotto i suoi piedi.
-Shinobu!-
-Ehi, guarda dove cammini-
-Sei deficiente? Nemmeno mia sorella va in bicicletta sul marciapiede!-
-Perchè tua sorella batte sul marciapiede!-
-Fuck off, go on, shitty Japanese!-
Aprì gli occhi e vide il mondo al contrario, era il paradiso, il cielo sopra vorticava.
-Shinobu!-
Le scarpe di Ephraim erano nere, ma delle linee verdi le decoravano lateralmente. Roteando un po' gli occhi poteva vedere i suoi libri sparsi sull'asfalto. Algebra, storia dell'arte, antologia, giapponese kanji.
-Ragazzi serve aiuto?- la sua agenda, la sua carta.
-No grazie, tutto apposto, ora lo metto in piedi- la sua carta?
La sua carta. Si sollevò su di un gomito mentre Ephraim lo strattonava per una spalla. Voltò il capo, più volte, aspettandosi di vedere il sangue della sua visione che sporcava il terreno sotto il suo corpo.
O almeno il rosso della sua carta, ma non lo vide.
-Ephraim, la mia carta?-
Afferrò una mano dell'amico, aggrappandosi ad essa e rimettendosi in piedi, continuando a spostare lo sguardo in giro.
Ephraim raccattò la sua roba e gliela mise tra le mani -Quale carta?-
-Quella che ho trovato stamattina-
-Quel tarocco? Che ti frega? Come on, Let's go-
-A..aspetta!-
Fece qualche passo indietro, poi altri in avanti, e ruotando spostò repentinamente lo sguardo da destra a sinistra, mentre l'adrenalina nel corpo gli cresceva esponenzialmente, ed immagini su immagini di quel marciapiede gli si sommarono nel cervello. Finché sfocata, non vide una macchia amaranto dormiente sulla corsia destra della carreggiata, a pochi passi da lui.
Non pensò che Ephraim l'avesse ormai lasciato indietro, e nemmeno che avrebbe potuto comprarne a fascicoli di carte simili in tabaccheria.
C'era quella consistenza pregnante che pareva liquefarsi col passare del tempo, e spargere la sua tintura rossa sull'asfalo, fino a colare lungo il tombino. La carta sparì in un turbinio investita da un'autovettura e Shinobu si gettò per afferrarla.
-Jesus! What are you doing?!-
L'aveva toccata, e presa, sua, mentre decine di clacson strombettarono in contemporanea ed il traffico veniva fermato.
-Togliti dalla strada!-
-Che è successo?-
-Qualcuno si è fatto male?-
Ephraim lo afferrò per la manica del pullover trascinandolo fin sul marciapiede, poi prese a correre lontano dall'ingorgo trattenendolo ferreamente per un polso. Shinobu stringeva la carta al petto, guardando costantemente le punte delle sue scarpe porsi una davanti all'altra, mentre il ragazzo australiano lo conduceva dove voleva.
Correndo si lasciarono alle spalle svariati isolati, finchè la confusione che si sentiva da lontano non fu completamente silenziosa. Ephraim si squadrò attorno criticamente, passeggiando ora di qua, ora di là.
Era nervoso, si vedeva.
Shinobu prese fiato profondamente alcune volte, piegato sulle sue ginocchia, mentre la sua mano destra tratteneva così forte il tarocco contro il cuore che gli batteva freneticamente nel petto tanto da potercela conficcare dentro. Si sentì d'un tratto strattonare per i capelli, ed emise un gemito alzando il viso.
Ephraim puntò i suoi occhi azzurri nei due grigi dell'altro, bistrattandolo, e trattendendolo ad una altezza leggermente sotto le sue spalle in modo da poter godere di una posizione dominante. Per picchiarlo meglio, qualcosa gli diceva.
-Tu sei stupido-
Shinobu emise altri gemiti mentre la mano dell'amico si stringeva maggiormente nella sua capigliatura castana -Lasciami, scemo- farfugliò.
-Ti piace tanto quella carta? D'accordo, muoviti- lo lasciò improvvisamente, provocandogli alcuni istanti di squilibrio, e strattonandosi la sacca sulle spalle, riprese a camminare. Shinobu lo seguì.
Erano silenziosi, Ephraim dava qualche occhiataccia alle sue spalle passato ogni isolato per assicurarsi della presenza dell'altro dietro di sè.
Shinobu era consapevole di quanto quella carta fosse stupida, ma non riusciva a non stringerla spasmodicamente tra le mani. Di sicuro una volta giunto a casa se ne sarebbe liberato, o l'avrebbe fatto sua sorella al posto suo. Nel frattempo, rossa, spiegazzata, veniva osservata ogni tanto di nascosto, giusto perchè Ephraim non si accorgesse che la stesse studiando forse un po' troppo rispetto a quanto avrebbe dovuto.
Sulla sua superfice liscia c'era una donna, inginocchiata lungo la riva di un fiume, e dentro vi versava delle anfore colme d'acqua.
Shinobu pensò che fosse un gesto inusuale, oltre che inutile.
Sulla sua testa vorticavano otto stelle, l'incarnato della superficie di sfondo richiamava terribilmente il colore del sangue.
Avrebbe potuto regalarla a Miyagi-san, forse, probabilmente gli avrebbe portato fortuna; dopotutto era lui tra i due, quello che credeva ciecamente nell'astrologia.
Non si accorse di aver smesso di muovere i piedi, finchè non alzò gli occhi da terra per fissarli in quelli incendiati di Ephraim.
-Lì dentro- dichiarò ferreo. Indicava un regozietto di antiquariato riunchiuso in uno spazio decisamente troppo angusto per i suoi gusti. La porta d'ingresso era di un massiccio legno rossastro che non avrebbe saputo riconoscere, ai suoi piedi un tappetino beige recava la scritta "benvenuti". Dava l'idea di qualcosa di imbucato. Decisamente.
-Entra- Prima di poter rispondere con qualsiasi cosa venne spinto dal compagno all'interno del locale, arrestandosi dopo poco a causa del buio. I suoi occhi vi si abituarono presto, e potè vedere che tutto, all'interno di quel piccolo anfratto, era completamente in legno.
Ephraim fece altrettanto il suo ingresso provocando uno squillio dolce di campanelli che precedentemente non aveva notato; la porta era talmente bassa che per evitare lo stipite, il ragazzo australiano aveva dovuto abbassare il capo. Lo raggiunse con due falcate, ed insieme si immersero maggiormente nell'ambiente ingombro, mobili e credenze erano installati ed appoggiati pressocchè ovunque, e su di loro era riposto un numero incredibile di ninnoli ed oggettini curiosi. Un intenso e fastidioso odore di vernice e stermicida per tarme aleggiava nel luogo creando un'aria stagnante. La sensazione di claustrofobia di Shinobu venne accentuata dalla quasi totale assenza di finestre, fatta eccezzione per un'unica porticina rettangolare, nell'angolo destro della parete di sinistra.
Procedento lentamente giunsero ad un bancone, pure in legno, elegantemente inciso e dalla monumentale imponenza. Dietro di esso, una parete in carton gesso separava quello che doveva essere il magazzino dallo spazio destinato ai clienti ed alla vendita, si accedeva al retro tramite un buco rettangolare sulla parete, riparato da delle doppie tende color crema.
Attesero, guardandosi l'un l'altro, che qualcuno apparisse ad accoglierli.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** La Maledizione ***





Quello che infilò la testa tra il tessuto delle tende del varco per dare un'occhiata al negozio era un uomo avanti con l'età e sempre lo stesso, si offrì di servire i ragazzi alla cassa.
-Bene giovani, cosa desiderate?-
-Ci serve sapere qualcosa su questa carta- Ephraim indicò Shinobu, e l'uomo anziano aldilà del bancone parve non capire, arricciò le sopracciglia e si toccò una delle rughe che gli attraversava la fronte.
-Il tarocco. Il futuro. Può spiegarcelo?-
L'antiquario si sistemò degli occhialini argento sul naso, prima di grattarsi la barbetta leggera ed abbandonare i suoi allampanati occhi su Shinobu.
-Hai trovato tu la carta ragazzo?-
Shinobu annuì.
-Era dritta... o rovescia?-
-...Dritta, mi pare-
-No, era storta, la ragazza era capovolta- Ephraim gli diede una spintarella sulla spalla, si guardarono.
-Era rovescia? Davvero?-
-Sì era storta-
-Ok, era capovolta, la carta, era capovolta-
L'anziano voltò leggermente gli occhi alle travi del soffitto.
-Le Stelle...- si toccò il naso -è una carta positiva, ma non nel tuo caso-
Ephraim ridacchiò -Non c'è persona più baciata dalla buonasorte di Shinobu-
L'uomo fece spallucce indifferente, sorridendo ambiguo. -Una maledizione, squilibri, disarmonia, ostacoli... oh, un incontro diciamo... bhè- si interruppe ricacciando nuovamente gli occhialini al loro posto, ridacchiò, probabilmente lo trovava divertente -Hai già terminato la scuola?-
-Fra poco più di un mese, voglio entrare all'università ad aprile-
-Credo sarebbe meglio per te concentrarti sulla tua vita, direi per un anno-
-Un anno? Devo entrare all'università...- sbottò.
Il vecchietto lo scimmiottò emettendo dei versi indistinguibili, sventolando una mano di fronte al suo viso.
-Sciocchezze, ragazzo, sciocchezze, su, non prefissarti obbiettivi che non raggiungerai, ma non preoccuparti, Le Stelle sono sfortunate e... hai detto qualcosa?- negò, e quello riprese -ed i suoi effetti sono prolungati nel tempo, ma non eterni- ci tenne a precisare.
Shinobu sbuffò e riprese repentinamente tra le mani la sua carta rossa.
-Usciamo, grazie per la pagliacciata eh!-
Ephraim rivolse un cenno di scuse all'antiquario prima di essere trascinato fuori dal locale.. Dietro di loro, la porta si chiuse con uno scampanellio soave.
Shinobu si dimostrò scontroso per il resto del cammino.
-Dove stai andando ora?-
-All'università, Miyagi mi passa a prendere uscendo-
-Potevi dirlo prima-
Shinobu flettè le spalle, ma non diede troppo retta a ciò che Ephraim gli stava comunicando. Le parole erano ovattate, non per colpa della carta questa volta. L'aveva nascosta nel fondo della sua tasca, e nonostante al momento questa non fosse all'apice dei suoi pensieri poteva sentirla produrre calore contro il tessuto della tela dei pantaloni, in corrispondenza della sua coscia destra. O almeno ne dava l'impressione.
Giunsero presto ai cancelli dell'università. Ephraim si dileguò velocemente salutandolo di sfuggita, quasi certamente per evitare di incontrare di nuovo Miyagi.
Si sedette distrattamente su una delle panchine presenti all'esterno della facoltà, gettando la sua sacca sul posto libero accanto al suo. Sospirando, abbandonò la testa contro il legno dello schienale, scivolando in avanti lentamente. Attorno sentiva il chiacchiericcio degli studenti e si immerse nei loro discorsi.
C'era a chi il semestre non era andato bene, a qualcuno il voto dell'esame non era bastato ed aveva rifiutato l'esito, altri si davano appuntamento al raduno del campus, due ragazze si scambiavano il numero di cellulare, chi si faceva prestare gli appunti, due che litigavano.
Le Stelle erano ancora calde nella sua tasca, ma avevano smesso di interessargli. Eppure continuava a passare la sua mano sul tessuto dei pantaloni cercando di trasmettere quel calore alle sue dita, quasi involontariamente.
Una mano appoggiata sulla sua spalla lo scosse ed aprì d'impeto gli occhi.
-Dormi?-
-No-
-Ti porto a casa?-
-Ok-
Seguì Miyagi nel parcheggio riservato ai docenti e montò sulla sua auto schioccando la portiera forse un po' più del dovuto. Lo aspettò accendersi una sigaretta, e poi chinarsi verso il posto del guidatore.
-Mi fai giudare?- ci sperò.
-Tuo padre ti ha pagato i corsi?-
Annuì. Miyagi si sporse verso il suo sedile e lo baciò, la sua bocca aveva già il sapore del fumo -La prossima volta- ridacchiò mettendo in moto, mentre Shinobu si infossava seccato nel sedile accanto al conducente.
Solitamente erano silenziosi, lungo i loro tragitti, e nemmeno quella volta furono molto più loquaci. Miyagi di tanto in tanto sbirciava dalla sua parte cercando di trovare un argomento vincente per attaccare bottone. Tossicchiò, sbriciolando la cenere della sigaretta fuori dal finestrino.
-Allora... com'è andata a scuola?-
-Bene-
Di Shinobu amava proprio il fatto che riuscisse a farlo sentire importante, considerato diciamo.
Diede qualche altra veloce occhiata nella sua direzione.
-Che hai in mano?-
Le mani del giovane pulsarono, e la carta che aveva raccolto dalla sua tasca venne premuta rapidamente al petto nel tentativo di nasconderla -Niente- si affrettò a dire, arrossendo.
-Una carta? Posso vedere?-
-Non è niente- ribattè -Sono le Stelle-
-Credi nei tarocchi? E che dicono?-
-Non credo nei tarocchi, l'ho trovata-
-I tarocchi rivelano il destino, non eri tu quello che ci credeva fermamente?- ghignò dicendolo, ed a Shinobu sfuggì una smorfia formulando una risposta -Io credo nel destino, non certo nelle stelle-
Miyagi accostò l'autovettura al cancello di villa Takatsuki, osservando Shinobu scendere velocemente chiudendo la portiera e rivolgendogli appena un saluto sbrigativo prima di sparire oltre le inferriate. Forse l'aveva offeso, chissà. Ripartì, contanto di richiamarlo, nel dopocena.
Nei giorni seguenti, Miyagi non aveva più rivisto quella carta, nè fatto alcun pensiero su di essa.
Il tempo era sempre stato monotono, soprattutto a Sado, ed in quelle settimane non fu da meno.
L'isola sembrava essere intoccabile per certi versi, e così, nell'accidia di alcuni giorni, aveva imparato a non dar peso ad ignoti particolari, soprattutto se questi avevano a che fare con Shinobu. Da terrorista qual'era infondo, era terribilmente caratteristica la sua cocciuta ossessione riguardante le cose inutili. Non lo preoccupavano i suoi piccoli disguidi comportamentali.
Per quanto riguardava il soggetto della questione invece, il tempo gli era sfuggito dalle mani, un mese trascorso, forse alcuni giorni di più. Shinobu era sommerso tra capo e collo dagli impegni e dallo studio per gli esami, ed il tempo con Miyagi si assottigliava a qualche svelta chiacchierata nella sua macchina mentre lo riaccompagnava a casa. Rifletteva appunto, mentre percorreva frettolosamente il vialetto di casa.
Sua sorella sarebbe partita per l'estero il giorno stesso. Diede un'occhiata all'orologio. Errore: sua sorella, era, partita il giorno stesso per l'estero. Poco male, avrebbe condiviso la villa con il padre ed il personale.
Raccattò la chiave dal fondo della sua sacca e la infilò nella toppa del portone principale facendola tintinnare. Fece schioccare la serratura e appoggiò l'oggetto metallico nel centrino sulla mensola di sinistra.
-Kanto-san, chichi-ue, sono a casa, ho una fame tremenda...- Si fermò a mezz'aria al centro dell'atrio riccamente rivestito dal nuovo marmo spagnolo che il padre aveva ordinato sei mesi prima. Il caliza capri creava immagini spumose e porose sul suo sfondo di natura candida, ma dalla presenza granulare di quei colori come acquerellati, e soffici, che gli regalavano una profondità naturale, come quella della carta reciclata.
Se n'era dimenticato.
Kanto si era licenziato appena qualche giorno prima, apparentemente senza alcun motivo importante. Per quel che ricordava, probabilmente aveva lavorato per la loro famiglia da prima della sua nascita. Il padre non aveva ancora digerito la notizia, ed al momento il posto di maggiordomo alla villa, restava ancora vacante.
-Vediamo che è rimasto-
Abbondonò la sua sacca sul divanetto dell'ingresso, e dopo essersi tolto le scarpe prese a circolare in direzione della cucina. Attraversando gli ambienti si incuriosì dall'assenza di cameriere, e giunto in prossimità del frigorifero si stupì che nessun cuoco lo sgridasse per star rovistando indecorosamente nella dispensa. In realtà non c'era nessuno, nemmeno uno sguattero in quella cucina.
Il suo stomaco brontolante gli ricordò che nemmeno nel frigorifero, era rimasto qualcosa.
-Non è possibile- si accigliò, e cercò di ricordare. Spostò gli occhi al calendario decorato da fiori di pesco appeso alla parete. Era il 21 marzo, e quella sera si sarebbe celebrata la festa per l'Equinozio di primavera. Vai a cercarla, la sfortuna. Il padre aveva concesso il congedo al personale in occasione della celebrazione nazionale. Si spiegava, ma il frigorifero era ancora vuoto, ed il suo stomaco ancora gorgogliante.
Fece retromarcia e si precipitò allo sbocco della lunga scalinata in diaspro rosso prendendo a valicarla saltando gli scalini a due a due; giunto alla fine si mise a correre lungo il corridoio laterale che dava sugli appartamenti privati, e quivi prese di nuovo a correre, salendo la seconda gradinata e dandosi dell'idiota per non aver pensato all'ascensore. Sul pianerottolo prese fiato, poi proseguì nuovamente, deciso, verso lo studio di suo padre.
La casa era vuota. Afferrò la maniglia della porta in mogano dell'ufficio di suo padre e la torse, tirandola verso di lui; i cardini dell'uscio perfettamente oliati fecero scivolare la massiccia anta sul tappetino decorativo, senza emettere un cigolio. Era un bel tappetino, ricamato con delle finiture lineari, ma un'impronta di fango lo macchiava stupidamente.
Un odore ferroso gli arrivò alle narici e seppe già cos'era.
Guardò dentro la stanza, piano scivolò verso terra, trattenendo una presa ferrea sulla maniglia in ottone. Vide suo padre giacere sul parquet senza muoversi. Un liquido amaranto si era rappreso nel legno da... quanto tempo?
Era strano, innaturale, indecente quasi, vedere il proprio padre austero, autoritario, eppure così comprensivo e magnanimo, immobile, iniziare a puzzare nell'aria viziata della casa dove si aveva passato l'infanzia. Vedeva ancora quel rivolo grumoso e compatto di sangue scuro che gli colava dalla bocca, ed il pensiero ritmico che ora basta, non sarebbe stato rimproverato ancora da quell'uomo, gli martellava contro le tempie. Gli venne da vomitare, e lo fece davvero.
Lasciò la maniglia della porta, e crollò a terra, sudava, tremava, ma riuscì a mettersi in piedi, ed a muovere quei pochi passi che bastarono a portarlo davanti all'uomo che l'aveva tenuto sulle ginocchia da bambino; un buco gli squarciava il petto ora, e da quello sbocco il suo corpo morto vomitava liquido scuro, si liquefaceva, e colava sul pavimento in un impiastriccìo di melma che gli rovinò la scamosciata pelle dei mocassini.
Si piegò, e con una lucidità che credeva non possedere estrasse il palmare del padre dalla sua tasca e digitò le cifre numeriche che più gli stavano vorticando in testa in quel momento.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Lo Squilibrio ***





Squillava vuoto. Smise.
-Miyagi Yo, chi parla?-
Shinobu riprese a respirare pesantemente, grazie, gridò, mentre la vista gli faceva brutti scherzi, ma non riuscì a far uscire quel grido dalla sua bocca.
-C'è nessuno? Con chi parlo?- vieni a prendermi, sono qui
Ma davvero non ricordava come si aprisse la bocca, come si emettesse il suono, e mentre cercava di ricordare una delle sue mani si posò a terra in cerca di equilibrio e raccolse sul palmo del fluido pesantemente rosso ed appiccicoso facendogli salire le lacrime agli occhi. Ricorda, accidenti.
-Pronto?!-
-Miyagi- era un sibilo tremulo, quello con cui parlò -vieni a prendermi-
-Sei a casa?-
-Sì-
-Arrivo-
L'uomo dall'altro capo del filo abbassò la cornetta e si infilò il cappotto.
Shinobu posò il palmare a terra, costringendolo al suolo con una mano, mentre l'oggetto si impistricciava immediatamente di sangue. Chiuse gli occhi alcune volte, altrettante li aprì, ma tutta la maledizione di fronte alle sue pupille non sembrò dar segno di voler sparire.
Osservò meglio le sue mani, e tra di esse quella pozzanghera melmosa che aveva smesso di crescere ed iniziava a seccare, producendo un odore che gli fece girare la testa. Serrò di nuovo le palpebre e quando le aprì tutto era sparito, tranne suo padre ed il suo sangue si era trasformato in una carta rossa opaca che non produceva profondità sul pavimento e non sembrava avere spessore.
Sbattè gli occhi ancora e Le Stelle erano svanite. Si vide le mani appiccicose, e pianse.
Quando Miyagi trovò Shinobu era seduto sul suo letto e osservava costantemente una carta che tratteneva appena tra le mani.
A grandi passi attraversò la stanza, e sedutosi dietro di lui lo strinse, chiudendo gli occhi contro la sua spalla. Passò le mani lungo le sue braccia e quando non lo sentì tremare lo volse piano verso di lui.
-Shinobu-chin?- voleva sorridergli, ma il corpo del suo datore di lavoro a terra immobile, alcune porte più in là gli ricordò che non doveva farlo, e in ogni caso non ci sarebbe riuscito.
Shinobu sfuggiva il suo sguardo, lo vide spostarlo continuamente attorno alla camera, senza mai posarlo sui suoi occhi. Di qua, di sù, di giù, sembrava cieco, e dentro lo era, mentre le ciglia gli si aggrottavano e le pupille era spaventosamente dilatate.
-E' tutto a posto, va bene, tra poco arriverà la polizia e sapranno cosa fare-
Allora lo guardò, muto. Miyagi prese le sue mani e le vide sporche, e anche le sue si sporcarono.
-Non sono stato io- lucido, non riuscì a fargli dire più nulla Miyagi, e Shinobu non disse più una parola, ma prese a singhiozzare, per quel tempo che poteva ancora farlo, prima che delle sirene non interrompessero il loro abbraccio e li costrinsero a sciogliersi, guardandosi negli occhi, ed ad uscire dalla stanza.
Passò poco tempo prima che degli agenti di polizia gli venissero incontro. La villa si riempì di casino e burocrati, sirene e personaggi della scientifica. C'erano camici bianchi ovunque, gente che urlava attraverso delle radioline in continuazione; ognuno, nella villa, possedeva una decina di fogli bianchi tra le mani, nei quali trascriveva senza pudore ogni cosa si trovasse all'interno di quelle quattro mura, catalogando ogni oggetto e spiando la vita di tutti prepotentemente, senza riguardo alcuno. Shinobu seppe che la sua inimità era sparita quel giorno. Il corpo di suo padre veniva toccato di continuo e di lui si dicevano cose come di un qualsiasi soprammobile.
Non diceva una parola, mentre stringeva una mano di Miyagi tra le sue. Quel giorno vennero richiamati l'ex maggiordomo, e fu richiesto alla figlia maggiore del signor Takatsuki di rientrare in città, ma questa divenne non rintracciabile dopo qualche ora.
Per quel che sembrò a Shinobu, che subiva il tutto passivamente, e per quel che a tutti può interessare, i fatti seguenti si svolsero lentamente ed in modo opprimente. La situazione non permise a nessuno di dormire per alcuni giorni, le richieste degli agenti erano pressanti, e le loro continue ricerche infruttuose.
La prima sera, quella dell'incidente, Shinobu aveva passato la notte nel riformatorio giudiziario, come unico indiziato, ma l'accusa era precipitata alcuni giorni dopo, per mancanza di prove. Gli esiti del caso vennero rimandati a nuovi aggiornamenti.
Dal canto suo Miyagi non seppe mai come si fosse sentito, solo, quella notte. Sapeva che aveva perso un padre, e che un po' di quell'integrità morale che il giovane possedeva era andata dispersa, dispersa da dubbi di chissà quale natura.
Sapeva invece come s'era sentito nei giorni seguenti, tormentato dall'idea di poter essere giudicato colpevole. Era il danno sommato alla beffa, e Miyagi dovette soffrire per cercare di rassicurarlo e convincerlo della sua innocenza. La pressione giocava con entrambi, e li tormentava con inquietudini e perplessità frequenti, che alimentavano le loro, ma soprattutto quelle di Shinobu, notti insonni. Quando venne giudicato innocente, crollò, com'era prevedibile, ma in quelle ore dormì sonni tranquilli.
La casa divenne in seguito un via vai di individui mai visti prima, parenti lontani che rispuntavano all'improvviso per porgere le condoglianze, cortei commemorativi in onore del decesso di un personaggio tanto illustre; assunse pure il ruolo di punto di ritrovo per le più prestigiose imprese di pompe funebri della città, che cercavano di accalappiarsi un cliente importante come il defunto mister Takatsuki, pressando Shinobu con le continue richieste di celebrazioni funebri. Miyagi poteva vederlo perdere consistenza e colore a poco a poco, tirato come le corde di un'arpa, mentre interrogava il suo dentro e non parlava.
Era preoccupato per il suo equilibrio, il ragazzo veniva sballottato da un'aula di tribunale all'altra, da quella per lo svoglimento del caso d'omicidio del padre, ancora in corso, all'altra per la questione dell'affido della sua custodia in quanto ancora minorenne, causa questa che gli stava molto a cuore. Esclusi i lontani parenti di cui Shinobu non conosceva nemmeno i nomi, non c'era nessuno in vita, che avrebbe potuto prendere la sua custodia, tranne la sua ex-moglie, la quale era attualmente irrintracciabile, per questioni che Miyagi aveva paura di scoprire.
L'assenza di un posto il quale poter definire "casa" costava molto all'adolescente.
Era distratto, scostante, intrattabile. E se già sorrideva di rado, ora le sue fossette sulle guance si erano livellate e la sua bocca si apriva solo sporadicamente. Si era accorto che quando lo baciava, se gli permetteva di farlo, non rispondeva mai. Di rapporti sessuali era meglio non parlarne, o avrebbe potuto non rispondere completamente delle sue azioni.
Shinobu sembrava subire, subire, completamente, dalla morte di suo padre, senza mostrare l'intenzione di voler reagire e riprendere in mano le redini della propria vita nemmeno una volta. Ma che aveva in testa quel ragazzo? Si domandava di continuo, mentre lo vedeva passeggiare avanti e indietro per la moquete della sua stanza, alla villa. Sapeva che aveva smesso di studiare, marzo era finito ed aprile procedeva in modo spedito, senza aspettare che Shinobu consegnasse la sua richiesta di ammissione all'università M. Di quel passo non avrebbe frequentato di certo il corso quell'anno e non sarebbe sicuramente stato ammesso alla sua classe di antica letteratura giapponese. Aveva desiderato così tanto entrare all'università M.
Shinobu non era così sereno come fingeva di apparire, nelle sue finte espressioni sorridenti, e Miyagi lo sapeva.
-Coraggio- gli ripeteva, e lui abbassava sempre il viso.
-Ehi- cercava di scuoterlo, e ghignava contra la sua bocca, mentre avvicinava i loro visi, ma il loro si stava trasformando in un rapporto a senso unico.
-Lei sarebbe?-
-Il cognato- e sì, stava nonostante tutto cercando disperatamente di ottenere la sua custodia.
Quell'avvocato, quello puntiglioso dalla camicia ben stirata, con una moglie perfezionista anni 40, talmente ligio alla burocrazia da sembrare insipido nel linguaggio, era decisamente quello più difficile da convincere della sua rettitudine morale, in modo da acconsentirgli d'ottenere il suo affido.
Aveva degli occhi piccoli e dal taglio fin troppo allungato persino per un nipponico, e squadrava Miyagi da una visuale di sottinsù.
-Il marito della sorella del signor Takatsuki?- aveva strascicato la voce.
-Bhè, sì, l'ex-marito-
L'avvocato strinse le labbra -Questo non fa di lei un parente-
Deglutì -Sono ciò di più vicino che ha ad un parente, in questo momento- voleva Shinobu.
Le sue mani sotto il tavolo stringevano tra di esse un volantino pubblicitario spiegazzato che tormentava nell'attesa.
-Mn- lo vide strofinarsi una mano sulla guancia incavata.
-Solitamente sarei reticente- sentenziò -ma il ragazzo è minorenne e non possiede ancora un tutore legale, sebbene sia già passato un mese dal decesso del padre naturale-
Miyagi lo vide tergiversare, e il volantino tra le sue mani si lasciò sfuggire uno screpitio dalla stretta delle sue mani. Si sistemò meglio sulla sedia di fronte alla scrivania dell'uomo tossichiando leggermente.
-Lei deve essere sottoposto ad alcuni quesiti per valutare la sua idoneità in ruolo di affidatario- trafficò per qualche secondo in un cassetto posto accanto alla sua postazione prima di sbattergli dinnanzi una manciata di scartoffie burocratiche, cui al solo pensiero di doverle leggerle già poteva sentire la nausea salirgli lungo il naso.
-Dovrà essere giudicato da un tribunale per minorenni, dove un giudice potrà disporle l'affidamento del ragazzo finchè non verrà rintracciata la sorella, intesi?-
Miyagi annuì energicamente.
-Questi moduli, devono essere compilati correttamente; dovrà dimostrare di poter provvedere materialmente e affettivamente ai bisogni del minore, al mantenimento, all'istruzione, ed all'educazione, seguendo le indicazione che saranno contenute nel provvedimento di affidamento, nel caso ovviamente esso venga approvato-
-Inoltre la informo, che in caso l'affido venga effettuato, il servizio sociale locale svolgerà naturalmente un'attività di sostegno educativo e psicologico, in modo da agevolare i suoi rapporti tra il minore, ed eventuale nuovo nucleo familiare, lei ha moglie, figli, convive?-
L'aveva decisamente stordito, tanto che non seppe che dire, ed annaspò come un pesce.
-Lei è omosessuale? La sua richiesta subisce degli sfavori in questo caso, non credo che il tribunale sarà in grado...-
-No, no, non ce n'è bisogno- non ebbe cuore di complicarsi ulteriormente le cose.
L'avvocato strinse gli occhi, e si alzò dalla sua postazione.
-La mia segretaria le comunicherà un giorno in cui potremo compilare correttamente i documenti da presentare al tribunale, nel frattempo attenda, io parlerò al giudice il prima possibile, in modo da sistemare la questione prima di giugno-
Miyagi sghignazzò -Fantastico- ma non era altro che ironico.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** La Disarmonia ***





Nel frattempo, il giorno del trasloco era arrivato.
Miyagi stava caricando nella sua autovettura gli ultimi bagagli aspettando che Shinobu lasciasse la sua stanza, cosa di cui da qualche ora non sembrava intenzionato a fare. Sbirciò appena verso la sua finestra, prima di tornare a ciò che stava facendo.
Shinobu si lasciò il balcone alle spalle e si sedette nuovamente sul suo letto. Miyagi lo stava aspettando, l'aveva visto impaziente, aggirarsi per il cortile di ghiaino, affaccendandosi intorno alla sua macchina. Abbassò gli occhi.
Le Stelle, le teneva tra le mani, le aveva guardate per molto tempo quella mattina. Non erano altro che un piccolo intoppo nel suo destino, e di certo non ne facevano parte.
Stupido oggetto, inutile cianfrusaglia, sventurata superstizione. Vorticavano nella sua testa infiniti pensieri strani ed infelici mentre la sua vista si offuscava per l'ennesima volta e la realtà tutt'attorno perdeva consistenza e tangibilità, trasformandosi in un'accozzaglia di forme spaventose e tortuose, di cui nessun colore era distinguibile, tranne uno.
Quello che più gli altri scurivano e fondevano tra loro più risaltava e s'ingrandiva di attimo in attimo, catalizzando la sua totale attenzione.
Chiuse gli occhi immediatamente e contro le sue palpebre nere rimbalzò ad intermittenza una luce rossa e vivida, come il sangue di un'arteria.
Le sue mani tremarono e si torsero in un'azione involontaria, qualcosa crepitò e l'oggetto tra le sue mani non gli sembrò più distingibile. Sbattè le ciglia, il tarocco rosso era spezzato e le sue stelle, quel fiume, non formavano più un'unica entità. Qualcosa lo ferì, dentro.
Capolinea, si disse. E come non in possesso del suo corpo fece la prima cosa che gli attraversò saettando la mente, costringendolo in un impeto a mettersi in piedi ed a correre lungo la scalinata e raggiungere la cucina, attraversando il bell'ingresso marmorizzato; entrare infuriato per una ragione, ma non conoscerne la causa, accendere incurante a piena potenza ogni fonte di calore disponibile su quel ripiano d'alta ristorazione e gettare i due soli resti che Le Stelle avevano lasciato in questo mondo.
Si fermò a guardare mentre il colore bruciava, da rosso si faceva prima grigio, poi nero, il topo screpitava al ritorno alla vita. La testa gli cominciva a girare.
-Tutti i Kami, Shinobu sei impazzito?!-
Miyagi s'affrettò contro i fornelli, interrompendo la fuga di gas.
-Tenno heika, non ho parole- imprecò, poi si volse verso il più giovane.
-Stai cercando di ucciderti?! Ma che hai in testa, stupido moccioso, sbrigati, che facciamo tardi!-
Shinobu si riebbe -Ehi, non chiamarmi baka, vecchio!- gli trotterellò dietro fintamente offeso e nel profondo pensava, che fosse tutto finito.
Dopo di ciò, di lì a qualche giorno, fece dell'appartamento di Miyagi la sua nuova casa.
L'uomo delle volte si lamentava per la mancanza di tranquillità, o di un luogo sereno dove poter leggere l'intera sera un saggio di letteratura in tutta pace. Shinobu non era mai stato un tipo disordinato o rumoroso, solo voleva coinvolgere Miyagi in tutto quello che faceva.
Perché sapeva che sarebbe stato tutto fantastico, e che ogni cosa sarebbe andata per il verso giusto. Doveva dimostrare com'era la realtà, senza quella carta sfortunata, perché sapeva, Shinobu. A cosa tutto era dovuto, in verità.
Perciò eccolo, cercava di riempirsi le giornate dividendole tra il tempo passato con Miyagi e quello dedicato allo studio in modo da cercare d'entrare a semestre iniziato all'università M come raccomandato. Ogni singolo istante doveva essere riempito, in modo da non poter pensare, vietato fermarsi, obbligo proseguire, mai voltarsi indietro. Mai, ricordare.
Destino, destino, sempre dritto, quello era il cammino.
-Ehi Miyagi, che facciamo stasera, usciamo?- Miyagi fece appena in tempo a chiudere la porta di casa che, già doveva riaprirla? Pensò, no, Shinobu-chin stava di sicuro scherzando.
Ma osservando meglio il suo viso aperto e fiducioso si disse, no, non stava scherzando. Beata gioventù.
-Shinobu sono stanco, perchè non usciamo domani?- domandò.
Il più giovane si fermò in mezzo al salotto e, come offeso, si sedette a terra, ai piedi del comodo divano su cui Miyagi ambiva sdraiarsi serenamente.
-Oggi, è domani- ci tenne a dire, e sì, dal suo punto di vista era un'affermazzione effettivamente corretta. Miyagi ricordò che ieri, aveva promesso sarebbero usciti oggi.
-Ehi baby, lo so, ma capiscimi, tra le conferenze e tutto il resto...- lasciò sorvolare la frase.
Shinobu posò i suoi occhi su di lui. Voleva evitarlo, stava forse cercando di farlo? Esitò quei pochi secondi che bastarono a fargli riaffacciare alla mente il ricordo d'una carta rossa untuosa, color disgrazia, ma lo cacciò con il pensiero fisso che aveva già commesso l'errore di ignorarla e per questo aveva già pagato, salato. E si rasserenò pensando di essersene liberato, credendo che la sua minaccia ora non inconbesse più sebbene la sua presenza continuasse ad aleggiare nella sua testa, Le Stelle non facevano più parte del suo destino e non ne avevano mai fatto parte, in verità.
Quindi non c'era motivo perchè Miyagi lo evitasse, ed in qualunque caso non glielo avrebbe permesso perché era destino che loro stessero insieme, checché Le Stelle agissero contro di lui.
I suoi occhi parlarono, e Miyagi strofinò i suoi mocassini lucidi uno contro l'altro abbassando il capo e passandosi una mano sul viso.
-Lasciami almeno fare una doccia, ok? Ci metterò poco-
Si rilassò contro il tronco del divano mentre seguiva con lo sguardo Miyagi che spariva lungo il corridoio, e non riuscì a non ripetersi per l'ennesima volta che quella preoccupazione che sentiva per quel tarocco fosse solo mera fantasia.
Infine anche giugno, volò, ed ormai luglio si inoltrava. Shinobu aveva effettuato da almeno due settimane i test per poter essere ammesso all'università e contava che i suoi risultati positivi giungessero al più presto. Insieme all'eredità del padre ovviamente, sebbene il pensiero lo facesse sentire vagamente meschino.
Aveva ricominciato a frequentare Ephraim, più per passatempo che per altro, ed insieme erano diventati come una sorta di comari che si raccontavano delle loro esistenze a vicenda. Shinobu sentiva il più delle volte il bisogno di esternare i suoi successi ottenuti con Miyagi.
Stavano seduti ad un bar, nel centro storico di Sado, davanti a loro un tavolino in legno dallo stile leggero e gentile, una tovaglietta in lino color caramello, una birra ed un succo di frutta.
-E quindi?- Ephraim tentennava abbastanza portandosi alle labbra la bocca della birra, e guardandolo come a convincerlo che non aveva vere intenzioni d'offenderlo.
-E quindi che?-
-Tutto a posto con la faccenda di tuo padre?- o la va o la spacca, insomma.
-Ah- si rabbuiò -bhè, sono passati quasi cinque mesi- rimase in silenzio, non sapendo che dire, rigirando nel bicchiere la cannuccia del suo succo all'albicocca.
-Mn, e il tuo tutor invece?-
Ecco, Ephraim aveva potuto vedere il suo viso trasformarsi irradiato di luce, e si sentì un idiota al posto suo, immaginando che, se non era amore quello che poteva superare la sofferenza per la perdita di un padre; allora non sapeva davvero cosa potesse esserlo.
-Con Miyagi va alla grande, usciamo, dormiamo insieme, facciamo l'amore regolarmente, come una coppia insomma- riflettè -oh, una vera coppia- ci tenne a precisare.
-Fantastico-
-Già, fantastico, davvero lo è-
Ci fu una pausa imbarazzante per tutti e due. Ephraim vide Shinobu lottare per trattenere un commento all'interno della sua bocca, ma poi questa si aprì, e annaspando alcune volte riuscì infine a pronunciarsi.
-Sai cosa forse?- si fermò, si mordicchiò un labbro.
-Noi non parliamo molto, forse...- lasciò cadere il discorso.
Rimasero in silensio alcuni minuti, prima che la voce risoluta di Shinobu risuonasse ancora.
-Ti ricordi quella carta?- chiese, i suoi occhi si erano fatti più cupi.
-Quale carta?-
-Quella che poi abbiamo fatto vedere a quell'antiquario, quello un po' svitato, Le Stelle, ricordi?-
Ricordò -Il tarocco, sì, che c'entra?-
Shinobu assottigliò gli occhi -Nulla, assolutamente nulla Ephraim, è destino ch'io e Miyagi dobbiamo stare insieme, Le Stelle non possono c'entrare nulla tra noi-
-O..ok, ma...-
-No niente ma, lo proverò, non metterò Miyagi in condizione di potermi odiare, la vedremo chi l'avrà vinta-
Ephraim deglutì a vuoto -Shinobu, stiamo parlando di un pezzo di carta, la cellulosa di un albero, un prodotto su scala, dipinto a macchina... non-
-No- secco -Era, un pezzo di carta, non esistono Le Stelle, non esistono-
Ephraim decise di tacere, Shinobu lo preoccupava, ma scelse di non dare peso a quelle sue piccole maligne convinzioni, tracannando velocemente un altro sorso dalla sua birra.
Di certo non ad aumentare la sua affinità con Ephraim, ma a Shinobu in un certo senso quella conversazione era servita. Voleva parlare con Miyagi.
Lo attese fino a tardi, sempre su quel divano in pelle cioccolato mordido al tatto.
Diede una sbirciata all'orologio, fantastico, era tardi, decisamente tardi, da alcuni giorni gli straordinari di Miyagi si erano allungati e Shinobu sapeva di esserne la causa.
Non smise di viaggiare nelle sue congetture mentali finchè non sentì la serratura scattare e la porta aprirsi stancamente.
La figura pallida del professore di letteratura vi fece capolino innaturalmente, come un fantasma. Miyagi aveva un'espressione trasognata mentre lo fissava sbigottito, battendo di tanto in tanto le ciglia. Poi si liberò in una risata. Kami, quanto odiava Shinobu quando lui rideva per niente.
-Mi hai fatto paura- guardò l'ora attraverso l'orologio stile Andy Warhol appeso al muro -Caspita, è davvero tardi, credevo fossi a letto-
-Io credevo tu tornassi per cena-
Miyagi si immobilizzò. Involontariamente si mise in allerta, sollevò il capo, si eresse in altezza, e posò la sua valigetta da lavoro sul tappetino ispido dell'ingresso, accanto ai suoi piedi.
-E' stato un caso, i primi esami si avvicinano per la maggior parte delle matricole e molti mi chiedono qualche consiglio su come svolgere la tesina, tutto qui-
-E' un caso che si ripete da molti giorni, non ti pare?- ribattè.
Miyagi gli si avvicinò, cercando disperatamente d'incutere timore con la sua altezza a quel minuto terrorista che stava seduto come un padrone di casa sul suo sofà. Sul tavolino, appoggiata ad un sottobicchiere stava una tazza di caffè forte che emanava un odore aromatico e un'ombra di tenerezza gli sfuggì dagli occhi nel ricordare quanto in realtà Shinobu odiasse il caffè.
E forse, fu proprio quel momento d'esitazione da parte di Miyagi che permise al ragazzo di non vacillare, ma di mantenere le iridi contro le sue cupe e sfogare tutto il suo animo che sembrava urlare, forza Miyagi, parlami.
Gli diede voce.
-Parliamo- e Miyagi sbuffò iniziando a slacciarsi la cravatta, mentre già s'era inoltrato nel corridoio.
-Oggi no Shinobu ti prego, è tardi, non è per cattiveria- gli urlò dalla camera da letto -Ho bisogno di dormire, credo che il provveditorato abbia intenzione di assegnarmi il ruolo di decano di letteratura- Shinobu lo sentì fermarsi e trafficare con le ante degli armadi; strinse con vigore le dita sulla sua tazza bevendone un sorso, e poi la voce lontana di Miyagi riprese a riecheggiare per la casa -O in ogni caso dovrebbe farlo dato che da alcune settimane l'università mi ha assegnato da svolgere anche le scartoffie di tuo padre-
Tornò in soggiorno, si era cambiato, aveva dei pantaloni della tuta sul petto nudo; si lasciò cadere pesantemente accanto a lui, portandosi un braccio a coprirsi gli occhi. Con il ginocchio andò a sfiorare una delle gambe del ragazzo e Shinobu le serrò maggiormente tra loro.
-Ehi- l'uomo tolse la mano dai suoi occhi ma li mantenne chiusi, la fece vagare a vuoto, finché non trovò la sua spalla e ridiscese lungo il suo corpo giungendo alla coscia, iniziando a passargli il palmo gentilmente in movimenti caldi.
Poi si alzò a sedere e si sporse verso di lui, baciandolo a schiocco la prima volta, come un amante la seconda.
-Forza- sussurrò contro le sue labbra -Andiamo a letto- si alzò.
Shinobu lo raggiunse poco dopo, ma quando si infilò sotto le coperte, Miyagi stava già dormendo.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Le Coincidenze ***





Ed effettivamente fu così, Miyagi divenne decano e come scherzo del destino prese il posto dell'ex-suocero nell'università che lui stesso aveva fondato. Shinobu sebbene cercasse di essere felice per lui, per via dell'opportunità che gli era stata posta, non riusciva a non pensare, Kami, che c'è che non va ancora?
Era inevitabile, che con la promozione di Miyagi, il tempo disponibile che avrebbero potuto passare in compagnia l'uno dell'altro si dimezzasse radicalmente.
Si interrogava ossessivamente, e le sue notti avevano incominciato ad essere di nuovo insonni. Era la rabbia, quella che non lo faceva dormire, perché accidenti, sebbene quella carta fosse andata bruciata i suoi effetti sembravano essere più presenti e pressanti di prima. Pensa Shinobu, pensa, Le Stelle, quelle insignificanti sbavature sulla linearità del suo destino, si stavano facendo problematiche. Cosa poteva fare? E come controbattere?
Non poteva permettersi di tergiversare.
Stava dando forma all'ennesimo pensiero quando la voce di Miyagi interruppe le sue congetture.
-Shinobu-chin, esci, faremo tardi-
Si scrollò una sensazione di intorpidimento di dosso e sbadigliò coprendosi la bocca con una mano. Mosse piano del dita dei piedi e l'acqua crepitò dolcemente formando degli anelli sulla sua superficie coperta in parte dalla schiuma.
L'acqua lo rilassava, il calore della condensa, sebbene fosse agosto inoltrato, lo ricopriva allontanando da lui quella patina di ansietà che si era fatta più pressante ultimamente. Non era sereno.
Miyagi entrò nel bagno sbattendo la porta.
-Ti dispiacerebbe molto uscire di lì prima di diventare un pesce?- tuonò.
Se ne andò, ma lasciò la porta aperta ed il ragazzo potè udirlo borbottare perchè non riusciva a trovare una camicia pulita.
Si alzò ed uscì velocemente dalla vasca, lo stacco con l'acqua calda gli provocò la pelle d'oca e si allacciò un asciugamano sul girovita. Con dell'altro tessuto si frizionò i capelli, ed entrò nella loro stanza.
Miyagi possedeva una camera degli ospiti, ma non l'aveva mai utilizzata, preferiva quella grande del professore, su toni beige e terra di Siena, il cui proprietario amava tenere nella penombra e che lui invece cercava in ogni modo di soleggiare spalancando le vetrate ogni mattina.
-Shinobu hai visto la mia camicia italiana?-
Miyagi aveva buon gusto nel vestire, doveva darne atto, ed aveva visitato molti luoghi a causa del suo lavoro e delle conferenze anche oltreoceano che questo comportava. Erano alcuni aspetti della sua vita che aveva scoperto silenziosamente, poco per volta, ma gli erano piaciuti.
-Nel cassetto-
-Quale?- -Quel cassetto- lo indicò.
Ragionandoci, lui e Miyagi erano sempre stati un po' freddi reciprocamente, forse anche a causa del suo irrigidimento conseguente alla morte di suo padre. Erano una coppia da appena qualche mese, quando aveva trovato quella carta, dopotutto.
Il professore era di certo una persona se non solare, per lo meno allegra, che amava prendere la vita così come questa gli si presentava. Mentre lui invece si dibatteva incessantemente per cercare di sembrare molto più adulto di quanto in realtà non fosse. Credeva nel destino e si articolava per far sì che esso avvenisse in maniera testarda, senza poter rendersi conto di essere probabilmente un ostacolo, più che un aiuto, al normale svolgersi delle cose.
Ecco, Miyagi trovò la sua camicia, e stette alcuni istanti a guardare il ragazzo intanto che il profumo del bucato pulito e stirato gli arrivava alle narici.
Non riusciva più a sentirlo Shinobu, sentirlo come prima.
Sentirlo sotto pelle; prima della morte del padre poteva persino ascoltarlo palpitare da lontano e sapeva che era vivo, gli diceva che l'amava, glielo diceva di continuo.
-Shinobu-chin?- chiamò sedondoglisi accanto sul letto matrimoniale.
Il ragazzo alzò lo sguardo su di lui.
Miyagi sapeva che aveva i capelli morbidi, una volta asciutti si schiarivano e prendevano la consistenza tiepida e dolce del miele di tiglio.
-Mi ami ancora?-
Miyagi lo uccise, e poi lo obbligò a rivivere.
Troppi interrogativi e paure mostruose gli vorticarono dentro perchè avesse il tempo di rispondere.
Gli aveva chiesto se lo amava, perchè era lui in realtà a non amarlo, con quei bugiardi ed impenetrabili occhi scuri, e Shinobu sapeva, Kami se lo sapeva, che c'era un altro ragazzo tra loro, poteva quasi immaginarselo. Gli aveva chiesto se lo amava perchè aveva intenzione di lasciarlo senza sensi di colpa forse, o non era più sicuro di loro, o era stato trascurato troppo e se n 'era risentito. Miyagi gli chiedeva se lo amava perchè lo voleva? Erano settimane che non si concedeva, e l'uomo poteva non essere disposto a sopportare oltre; aveva sicuramente creduto che Shinobu non lo trovasse più attraente, che gli desse fastidio quasi, il fatto d'essere toccato da lui, e avrebbe voluto gridargli, no Miyagi, non è di te che ho paura. O forse era lui, a non riuscire più a piacergli, ed a fargli provare eccitazione; magari si era trascurato, e il suo aspetto si era inasprito e non era più così carino come ricordava di essere.
Miyagi vide ogni possibile emozione vorticare sul suo viso, insieme ai suoi occhi vaganti per la stanza, e rimase ad osservare il susseguirsi delle prime e l'agitarsi degli ultimi, con una sensazione di risentimento per la sua domanda, forse troppo inconsueta.
E d'improvviso, senza accorgersene relamente, Shinobu era contro di lui e premeva sul suo corpo e sulla sua bocca, lo spingeva a stendersi, muoveva le sue mani velocemente lungo il suo torace, lo sentì trafficare con la fibbia della sua cintura mentre percepiva la sua lingua cercarlo ed i suoi occhi erano ferreamente chiusi.
Lo allontanò piano, ma fu deciso, non era naturale in quel momento.
Quando Shinobu si sentì rifiutato avvertì il cuore scricchiolare silenziosamente.
-Shinobu-chin è davvero tardi, sarebbe meglio andare, mi risponderai meglio stasera- il giovane lo vide ammiccare, ma potè giurare che il suo umorismo fosse stato falso.
Miyagi non attese risposta, recuperò la sua giacca infilandola, ed attese che lui si alzasse dal loro letto prima di uscire sorridendogli.
Il ritardo di cui parlava, riguardava l'appuntamento col notaio per la questione del testamento del signor Takatsuki e della conseguente eredità di Shinobu. Erano passati molti mesi, senza che si sapesse qualcosa riguardo le ultime volontà del defunto, e non a caso.
Nell'ufficio del notaio vennero accolti con molte attenzioni, i loro cappotti estivi furono riposti dal segretario sull'appendiabiti, le mani strette calorosamente, i sorrisi elargiti in gran numero. A Shinobu venne offerta una tazza di thè freddo, mentre Miyagi preferì del caffè forte ben zuccherato.
Furono accomodati su poltrone di tessuto, soffici e spumose, ed infine vezzeggiati con parole gentili ed amichevoli.
Shinobu bevve d'un sorso il suo thè ghiacciandosi la lingua e la gola, sentendo che c'era ancora qualcosa nell'aria, che lo soffocava. Il malditesta dovuto all'istantanea ingestione di un alimento gelato lo investì subito.
Il notaio si posizionò dietro la scrivania che li separava, e sorrise ad entrambi, profondamente. -Vi chiederete, Shinobu-san, perchè abbia atteso fin'ora per scoprire le volontà di vostro padre-
Shinobu non rispose, nè mutò espressione, generando nell'uomo di fronte a lui un moto di disagio malcontenuto. Questi si schiarì la voce.
-Sono realmente spiacente di informarla che il testamento che mi era stato redatto da vostro padre purtroppo non si trova più in mio possesso-
-Che significa?-
Il notaio si sfregò le mani l'una contro l'altra nell'attesa di trovare le parole per ciò che voleva comunicare.
-In realtà, questo è dovuto ad un errore del mio sistema di archiviazione in quanto- trasse un lungo respiro -il testamento di suo padre per ragioni a me sconosciute, non si trova all'interno di esso-
Miyagi s'alzò dal costoso oggetto d'arredamento su cui prima sedeva serenamente -L'ha perso?- tuonò, e il suo tono costrinse il notaio a fare altrettanto, ed elevarsi, gesticolando freneticamente nel tentativo di discolparsi.
-Non la metterei su questi piani, Yo-dono, si è trattato di un errore a cui ho tentato di porre rimedio in questi mesi, ma come vede, non è stato possibile-
-E pensa di risolvere con queste parole... quello che ha in mano Shinobu senza quel testamento, è meno di niente-
Sentirono la porta schioccare, ed entrambi si accorsero che il giovane non si trovava più nella stessa stanza. Miyagi si rivolse un'ultima volta con degli occhi furenti all'uomo dinanzi a lui.
-Veda di sbrigliare fuori questa situazione al più presto-
-Non mancherò- si congedarono.
Shinobu aveva pianto dopo, dietro quella porta, prima di coprirsi repentinamente gli occhi intravedendo la figura di Miyagi uscire seccata.
Erano tornati a casa e si era rifugiato nella penombra della loro camera da letto, senza trovare la voglia per spalancare le finestre e soleggiare l'ambiente.
Le Stelle non erano svanite, e questo bastava a farlo precipitare.
Quella notte aveva rimpianto la sua fortuna, quella che sapeva aver posseduto dal momento in cui la sua buona stella aveva deciso la sua nascita ed assegnato alla terra il suo destino. Non aveva mai pensato alla sua fortuna prima, e perchè avrebbe dovuto oltrettutto... semplici e facili come si erano susseguite le cose nella sua vita, non ne aveva mai avuto il bisogno.
Ed ora cadeva, ma non riusciva a toccare il fondo, guardava le stelle, ma erano rosse e cattive. Saettavano come meteore nel buio e si infrangevano in frammenti lungo la strada che stava percorrendo, rendendogli tortuoso ed impreciso il cammino.
Gli era stato detto che dalle stelle nascevano le anime, che nel profondo raccoglievano sogni e dei più meritevoli ne realizzavano quelli più desiderati. Che bruciavano nel vuoto di luce propria poteva vederlo la notte con i suoi occhi, ma nessuno gli aveva detto che potevano cambiare il destino.
Era ottobre, non aveva dimenticato Le Stelle. Da qualche settimana aveva sostituito la sua vecchia e continua contemplazione per la carta bruciata con l'ammirazione per la serale volta celeste. Di tanto in tanto non dormiva, e stava fermo nel poggiolo a guardarle, mentre il suo sangue si raffreddava e gli occhi gli diventavano secchi sino a lacrimare.
Quella sera era rientrato in casa dopo aver passato il pomeriggio all'osservatorio cittadino. Posò ciò che aveva tra le mani e si diresse silenziosamente verso la cucina, mirando al frigorifero. Miyagi sarebbe tornato tardi, così era solito fare, odiava il non vederlo tutto il giorno, ma non si sarebbe permesso di porre lamentele, in quanto conosceva la complessità del suo lavoro, ed era consapevole di essergli probabilmente di peso obbligandolo al suo mantenimento perché ancora minorenne.
Stava cercando dei cavoli nella dispensa per la loro cena, quando vide una lettera dell'università M sulla credenza, ed era della commissione d'ammissione all'università.
Respirò e la aprì lentamente, cercando di non strapparla per non rovinarne il contenuto. Si chiedeva ancora perché aveva dovuto aspettare così tanto per avere quei risultati.
Guardò gli esiti più volte, ma in nessuna di queste vide un risultato diverso da quello che ora gli campeggiava negli occhi.
Non ammesso.
Uscì di casa, pensò a Miyagi, ma non poteva procuragli dei fastidi, interrompere il suo lavoro, presentarsi all'università, non in quello stato, e non piangendo; pensò a suo padre, ma era morto, e sua sorella che non c'era, e per le strade prese a correre, attraversando tutta Sado, mentre imbruniva, il cielo si oscurava, e nascevano le stelle quando infine arrivò all'appartamento dove Ephraim alloggiava.
Suonò più volte, una qualsiasi persona Kami, che mi stringa fino a farmi morire, o per lo meno soffocare, implorava, mentre una voce che non era quella di Ephraim gli rispondeva.
-Sì?-
-Ephraim- balbettò.
-Mi dispiace, ma ha terminato di pagare l'affitto la settimana scorsa dicendo che tornava in Australia, le doveva qualcosa?-
Kami.
-Scusi?-
Kami.
-E' ancora lì?-
Kami, chi gli stava facendo questo?

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** L'Incontro ***





Dicembre, aveva nevicato, e fuori gelava.
Non c'era anima che potesse volere dei fiori con quello schifo di tempo, ed in negozio non si faceva vivo nessuno da almeno due ore.
Quando scoccò la terza, l'anziana donna per la quale lavorava gli si rivolse con sguardo materno e gli disse che avrebbe potuto andare a casa senza preoccuparsi.
Accennò un ringraziamento con il capo e togliendosi il grembiule si preparò per uscire, raccogliendo il suo cappotto e le sue cose.
Si intromise nel traffico cittadino con le mani in tasca, pensieroso, il cielo di Sado era plumbeo e quella notte sarebbe stata nera senza stelle. Aveva continuato a guardarle, e precipitare, ma aveva scoperto che il fondo dell'essere umano era più lontano di quanto potessero insegnare.
Quel piccolo negozio lo gratificava alcune volte, e la fioraia che possedeva il locale gli si rivolgeva affettuosamente, colpita dalla sua giovane età e dalle sue guance così arrossate a causa del freddo pungente.
In casa l'inverno attraversava le porte e si infiltrava tra gli spifferi delle finestre, sino a gelare l'atmosfera tra lui e Miyagi. Si vedevano raramente, l'uomo mangiava fuori e lui era stanco di cavoli, saltare i pasti non gli importava veramente.
Dormivano in camere separate ora, ed i loro discorsi vergevano dal tempo atmosferico alle ultime notizie del giornale nazionale, eppure Shinobu amava profondamente Miyagi.
Ma ogni volta che gli si avvicinava, si sentiva inadeguato e doveva scappare, per non tremare, non sapeva nemmeno lui per cosa.
Giunse a casa, era nel pianerottolo condoviso del loro appartamento, guardando la porta di fronte a sè si sentì un estraneo, stropicciò i piedi sul tappetino. Nel portaombrelli c'era un ombrello nuovo.
Raccattò la chiave dalla tasca del suo cappotto e la infilò nella toppa dell'entrata facendola tintinnare. Fece schioccare la serratura e agganciò l'oggetto metallico su di un chiodo alla sua destra.
-Sono a casa- Si fermò a mezz'aria al centro dell'atrio seriamente rivestito dal parquet. Il legno scuro africano creava linee parallele ed evidenti, la posa era stata effettuata accuratamente e con gusto cromatico; le tavole più chiare balzavano agli occhi e si affogavano in quelle più scure creando un gioco simile ai riflessi del mare.
Abbondonò il suo cappotto sul divano del salotto adiacente, e dopo essersi tolto le scarpe prese a circolare in direzione della cucina, al primo piano non c'era nessuno.
Si ricordò di qualcosa.
Fece retromarcia e si precipitò allo sbocco della scalinata in beola verde prendendo a valicarla saltando gli scalini a due a due; giunto alla fine si mise a correre lungo il corridoio che dava sull'area giorno e quivi prese di nuovo a correre, finchè non si fermò. Prese fiato, poi proseguì nuovamente, deciso, verso lo studio di Miyagi.
La casa era vuota. Afferrò la maniglia della porta in palissandro dell'ufficio dell'uomo e la torse, tirandola verso di lui; i cardini dell'uscio perfettamente oliati fecero scivolare l'anta sul tappetino decorativo, senza emettere un cigolio. Era un bel tappetino, ricamato in continui e confusi centri concentrici, ma un'impronta bagnata di neve e terriccio lo macchiava stupidamente.
Un odore dolce gli arrivò alle narici e seppe già cos'era.
Guardò dentro la stanza, piano scivolò verso terra, trattenendo una presa ferrea sulla maniglia in ottone. Vide suo padre giacere sul parquet senza muoversi. Un liquido amaranto si era rappreso nel legno da... Vedeva ancora quel rivolo grumoso e compatto di sangue scuro che gli colava dalla bocca; un buco gli squarciava il petto ora, e da quello sbocco il suo corpo morto vomitava liquido scuro, si liquefaceva, e colava sul pavimento in un impiastriccìo di melma. Serrò le palpebre, e quando le riaprì tutto era sparito, tranne suo padre ed il suo sangue si era trasformato in una carta rossa opaca che non produceva profondità sul pavimento e non sembrava avere spessore.
Sbattè gli occhi ancora, e Le Stelle erano svanite. Suo padre era svanito, Shinobu stava in piedi e stringeva la maniglia della porta.
Miyagi era seduto alla sua scrivania, accanto a lui un ragazzo che poteva avere i suoi anni con un profumo dolce.
L'adulto l'aveva visto, alzava lo sguardo, lo alzavano entrambi.
L'uomo gli sorrideva sghembo, il ragazzino non era intimorito, era grazioso e spavaldo, come lui. Miyagi gli prendeva una mano tra le sue e se la portava alla bocca, la baciava, lo baciava sulle labbra, e Shinobu si tratteneva in piedi con una forza che non credeva di avere pur di non essere umiliato.
Poi il professore si alzava, Kami, era alto, non se lo ricordava così bello, mentre si muoveva lentamente ed inesorabilemente verso di lui con quel sorriso intrigante ancora formato sui suoi lineamenti. Gli si avvicinava, Shinobu iniziava ad avere caldo, ed il cuore aveva preso a sanguinargli tra le costole; lo amava così tanto, mentre Miyagi...
Miyagi gli era di fronte. Non sorrideva.
-Shinobu-
Dalla tasca della giacca estraeva una rivoltella, la puntava, lo guardava.
Gli sparava.
-Shinobu?-
E lui moriva.
Dovette riprendersi, e scuotere il viso, fu costretto a farlo.
Miyagi ed il ragazzo sedutogli accanto lo osservavano straniti, il più maturo possedeva anche un'ombra di preoccupazione nelle sue iridi scure. Erano entrambi seduti alla scrivania, molti fogli erano sparsi accanto a loro, libri di testo, penne, ed enciclopedie, alcune tazze vuote erano abbandonate poco più in là, sopra un comodino.
Stavano studiando probabilmente, o lo avevano fatto, era ora di cena ormai. Il giovane parve accorgersene e si alzò frettolosamente, raccattando i suoi libri e dirigendosi verso l'uscita dello studio.
-Grazie infinite Yo-sama, davvero, non avrei saputo a chi rivolgermi-
-Oh, figurati, aiutare gli studenti è il compito di ogni professore-
Si scambiarono dei cenni, poi il ragazzo si dileguò, sotto lo sguardo inquisitorio di Shinobu. Lo vide attraversare baldanzosamente il corridoio, e pensò che la sua camminata fosse sensuale.
Doveva avere la sua stessa età, lo studente, ed erano della stessa altezza. Anche i loro capelli, erano molto simili.
Se ne andò e chiuse la porta dello studio del suo compagno senza aspettare nessuna spiegazione.
Accidenti, ripeteva a quelle stelle, su quel poggiolo, accidenti, Miyagi è mio.
La situazione con l'inizio della stagione fredda pareva aver preso una piega più tranquilla, apparentemente. In seguito al rifiuto da parte dell'università della sua iscrizione e all'improvvisa scomparsa di Ephraim, il destino gli si era svelato più benevolo, almeno in parte.
Aveva trovato lavoro, e nella monotonia, contianuava la sua vita. Miyagi era l'ultima sua grande perdita, lo sentiva. Ma non l'avrebbe permesso, perché poteva giurarci, era destino che loro stessero insieme.
Quindi, accidenti stelle; non si rivolgeva più alla carta distrutta, aveva sperato fosse solo quell'oggetto la causa delle sue maledizioni, ma esse continuavano a manifestarsi anche in sua assenza e Shinobu si arrovellava di supposizioni nella confusione dei suoi pensieri.
Sprecava giorni che gli sfuggivano dalle mani come acqua corrente; Capodanno sembrava lontano, poi si avvicinava, passava, e l'anno nuovo era come quello vecchio, lui era uguale a prima, e Miyagi era sempre troppo lontano, molto lontano, e gli mancava.
Lo studente continuava a frequentare la loro casa, aveva scoperto che si chiamava Takumi, ed era uno dei prossimi astri nascenti della letteratura, nonchè un candidato eccezionale al premio nobel, almeno a detta del professore. Sembrava essere molto orgoglioso di lui, delle volte lo invitava perfino a fermarsi per cena, ma da parte sua non gli aveva mai dato molta confidenza.
Shinobu si rivedeva in lui, e vi ritrovava quello che era, così simili, e Miyagi sembrava così felice quando si trovava a discutere con il suo studente; Takumi era il suo fantasma, ed aveva capito che il professore era ancora innamorato del suo spettro di un tempo, quello che aveva più volte definito terrorista, il ragazzino egoista e viziato che credeva ciecamente nel destino.
E forse Takumi era più simile al suo sè stesso di un tempo di quanto non potesse esserlo lui in quel momento, dopo ciò che Le Stelle avevano dettato dispettosamente di scrivere sul suo destino, ad una mano incauta ed indifferente.
Ecco, ciò che allontanava Miyagi, piano, proggressivamente, lo perdeva.
Fu in seguito ad una delle loro cene a tre, dopo che Takumi se ne fu andato che lui prese parola sull'argomento, stringendosi la gola perchè non sanguinasse per il dolore del bruciore che le imminenti lacrime gli provocavano.
Cos'era che gli stava urlando che Miyagi avesse smesso d'amarlo?
Non lo guardava, si affaccendava intorno alla tavola abbandonata della cucina, raggruppando le stoviglie sporche, mentre Shinobu rimaneva in piedi aggrappato allo schienale della sua sedia, e lui sì, che non gli toglieva gli occhi di dosso.
-Da dove viene?-
Il profesore si fermò -Perchè ti interessa?-
-Così-
Miyagi alzò il viso, riusciva a trattenere gli occhi del ragazzo sui suoi, mentre questi, grigi, prendevano la consistenza dell'argento colato e sembravano liquefarsi, annacquati dalla rabbia che poteva scorgergli sul viso, alla sua freddezza.
Volle vergognarsi, e sprofondare, era stato Shinobu a spingerlo a fare questo, lui, con quei pensieri impenetrabili e quei silenzi, che lo avevano allontanato. Lo odiava, ma pregava perchè la sofferenza sul suo volto scomparisse all'istante, e gli lasciasse solo il barlume di un sorriso, almeno quello. Non poteva realmente odiarlo, ma era rimasto deluso dalla sua debolezza.
No, merda, Shinobu aveva lottato fino allo stremo, Miyagi lo sapeva e l'aveva visto farlo, ed ora, ora era ai limiti, ma quella cosa che lo tormentava, quel veleno che gli circolava sulla pelle non voleva ancora lasciarlo respirare.
Eppure, poteva percepire ch'era qualcosa che Shinobu aveva creato con le sue stesse mani, con quelle malvage favole mentali in cui era solito viaggiare.
-Ti piace?- domandò, parlando di Takumi.
-No, a te piace?- -Se anche fosse?-
Lo vide rabbuirsi e non rispondere. Fu colto da un moto d'energia repressa nei confronti di quel ragazzo che non trattenne, ma gli riversò addosso, sporcandolo.
-Lo vedi come sei?-
Gli si avvicinava, poi lo spingeva, si era ritrovato a volerlo d'improvviso, sino a fargli male, stava male, Miyagi.
-Non vedi come mi fai stare?-
Lo toccava, e Shinobu restava zitto, tremava, e quando quei tocchi si fecero più irruenti prese a tremare di più, e pianse.
Era quello che aveva ottenuto, quello che rimaneva, era non amore che si sommava tra di loro.
Troppa paura di perderlo per dimostrargli affetto sincero. Troppa poca voglia di vivere per sorridergli e dirgli che era ok. Troppe congetture per avere il tempo di dirgli ti amo.
Troppe stelle, troppe paranoie, egoismo fin sopra al collo, e quello che aveva ottenuto ce l'aveva davanti.
Non amore. Non vita.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** La Fine ***





Probabilmente non erano state Le Stelle, ma non poteva dirlo con certezza.
Forse erano state solo sue supposizioni, e si era lasciato trasportare rovinandosi pezzetto per pezzetto, senza che nessuno potesse fermarlo.
In teoria, nemmeno gli astri della notte avrebbero potuto intervenire, perchè era vero, ciò che gli avevano insegnato, dalle stelle nascono le anime, ma in esse non si compiono di certo.
Stava rendendosi conto di aver ostacolato stupidamente il naturale svolgersi dell'avvenire.
Miyagi era stato sordo quella notte, a qualsiasi cosa.
Shinobu aveva pensato che fosse il destino che si prendesse una rivincita contro di lui.
Non c'erano Le Stelle, nè stelle, nè sfortuna.
Erano soli in due, immersi in bolle di disperazione, mentre si consumavano l'un l'altro senza mai toccarsi o riuscire a raggiungersi.
Erano così lontani, ma così vicini come in quei mesi non lo erano mai stati.
Miyagi lo prendeva rudemente, senza cura, non amore li invadeva, il sentimento s'era nascosto per paura. Shinobu lo accoglieva dentro, a fondo, e non avrebbe voluto.
Non sapeva se questo facesse di quella una violenza.
Non era riuscito a dormire. Il professore accanto a lui, si era già abbandonato al sonno.
Continuavano a ripassargli nella mente quei mesi, li riviveva, li sezionava e rielaborava.
Spostando stancamente lo sguardo al calendario nella penombra, poteva vedere che questo segnava l'inizio di Febbraio.
Ricordò che all'incirca un anno prima, in quello stesso periodo, aveva trovato quella carta, ed il pensiero delle Stelle lo avevano condizionato sino a deviare e rendere contorta e sbagliata ogni sua azione, lasciandolo illudere che ciò avvenisse per colpa di una sfortuna trascendente, mentre invece ne era lui l'unica causa.
Ed ora non distingueva più ciò che era dovuto, con ciò che era accidentale, non poteva crederci, davvero, non poteva credere di essere stato d'intralcio al suo destino, cercando inutilemente di sfuggire ad una carta.
Bhè, se il destino esisteva, dopo averlo ostacolato e dimenticato, di certo l'aveva pure perduto.
Fu grazie a questa consapevolezza che riuscì a mettere insieme le sue forze e flettere la colonna vertebrale fino ad arrivare in posizione seduta. Le sue mani passavano lente sul lenzuolo, accarezzandolo e lasciandovi dei piccoli segni.
Mosse le ginocchia, andando a sfiorare con un piede la gamba di Miyagi.
Decise che avrebbe dovuto alzarsi, almeno per la sua dignità, o per quella che ancora gli rimaneva, e per il suo orgoglio, che quello non gli mancava mai, tale da non permettergli di svegliare il professore per non umiliarsi. Aveva disgusto della su pietà.
In piedi, attraversò silenzioso la casa, erano passate le due del pomeriggio, il giorno s'era svegliato da prima di lui.
Quelle stanze gli sembravano estranee, non riconosceva nulla di quel luogo, nessun oggetto possedeva più un significato, in realtà qualcosa gli impediva di ricordare la sofferenza e la passione che aveva vissuto tra quelle mura.
Era stato un lungo anno, quello passato.
Accese i fornelli e riempì la caffettiera, ponendola sul fuoco. Preparava il caffè per Miyagi, ma non era una sua abitudine, voleva essere un grido, ed una frase, dolci scuse, e rivendicazioni. Voleva essere un insulto con quell'odore forte che sprigionava la bevanda, e che gli entrava nella testa, Shinobu in realtà voleva dirgli che l'amava, con tutto quello zucchero.
Spense la manopola del gas, versò il contenuto della moka nella tazza grande, e lo lasciò raffreddare in tavola, mentre si vestiva e raccoglieva in una borsa ciò che poteva servire.
Uscì di casa, si incamminò, l'aereoporto era vicino, avrebbe potuto farcela, a scappare.
Il caffè era già freddo, quando Miyagi si svegliò non trovando nessuno al suo fianco.
Shinobu era lontano, immerso tra la gente, l'andi-rivieni del terminal gli metteva il voltastomaco, si era scordato la sensazione di mobilità che gli davano quei luoghi.
Il tempo era tutto scandito da un fastidiozo ed incalzante ticchettare proggrammato, voci altoparlanti riempivano ogni silenzio lasciato vuoto dalle esclamazioni della massa. Non si era mai sentito così leggero prima d'allora, talmente tanto leggero da non possedere consistenza e materia. Gli sfuggiva il suo corpo, veniva spinto avanti, di lato, dagli altri, lui non aveva potere, e la confusione lo albergava, mentre si chiedeva cosa stesse facendo.
Già, stava cercando il suo destino.
Il cuore sobbalzò nel realizzare che lì, tra tutti i posti in cui avrebbe potuto cercare, di certo non l'avrebbe trovato. Stava vorticando tutto, gente che s'affaccendava, rumori ripetuti, il pavimento troppo liscio gli scappava dai piedi, ma che faceva? Si ritrovò al check-in ed in un baleno varcava il gate. Ed il tempo?
Prese a correre, ma non capì perchè. Qualcuno lo richiamò per questo.
E poi.
Poi era su quell'aereo. Guardava Sado dall'alto, era piccola.
Nubi di stelle la ricoprivano. Non ebbe paura nel guardarle.
Era finito, era tutto finito, questo lo capì, prima di addormentarsi.
Quando si svegliò, aveva solcato l'oceano, era il padrone del mondo.
L'Australia lo stava salutando dal suo oblò attraverso il quale guardava di sotto, gli era mancata.
Ora viveva nella stessa cittadina che aveva abbandonato al suo ritorno in Giappone, Ephraim era stato entusiasta di rivederlo. Gli aveva spiegato che aveva dovuto lasciare Sado a causa di una malattia che aveva colpito un membro della sua famiglia, si era scusato, erano tornati apposto.
Scoprì che il lavoro di fioraio gli piaceva, gli interessava tutto il regno vegetale in generale, passione questa che scoprì talmente forte da spingerlo ad iscriversi alla facoltà di botanica, nell'università di Sidney. Sembrava girare, la sua vita.
Aveva avuto notizie dalla sorella, alcune buone, altre meno.
L'omicida del padre era stato trovato, ed il caso era stato chiuso ed archiviato, definitivamente. La notizia che ad assassinare il signor Takatsuki era stato il maggiordomo lo lasciò prima interdetto, poi lo fece quasi ridere.
Anche il testamento, era ritornato negli archivi del notaio, il quale lo invitava a rientrare in Giappone il prima possibile, per riscuotere il suo dovuto. Rise, forse non l'avrebbe fatto, avrebbe abbandonato quattro monete in una tasca del cappotto e sarebbe vissuto di vita, assaporando la giornata, e lasciando che fosse il destino a girare per lui.
Ah, giusto, il destino; lo venne a trovare un giorno.
Era un mercoledì sera, si trovava a Sidney da mesi ormai, per via dell'università preferiva non spostarsi troppo. Ottobre lasciava le serate ancora calde, ed a Shinobu piaceva restare seduto nella veranda del suo appartamento in affitto.
Non lo diceva, ma guardava le stelle, sarebbe stata una cosa che si sarebbe portato dietro per tutta la vita.
Non si aspettava quello che vide.
Era un'automobile nota, nera, dai finestrini oscurati. Si morse le labbra quando lesse la targa, che la identificava originaria del Giappone.
Si alzò dalla seggiola a dondolo, aveva preso a sorridere come un'idiota. I piedi gli si mossero da soli, mentre anche Miyagi gli veniva incontro.
-Ehi baka- lo salutò -Avevi lasciato a casa questi-
Non seppe cosa, e che glie ne fregava poi? L'aveva baciato, e questo bastava.
Ok, ora era davvero apposto, e si era pure risparmiato una fatica immane.
Avete visto stelle, urlava dentro.
Era stato il destino che aveva trovato lui.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=595881