Uno strano incontro di Darik (/viewuser.php?uid=262)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1° Capitolo ***
Capitolo 2: *** 2° Capitolo ***
Capitolo 3: *** 3° Capitolo ***
Capitolo 4: *** 4° Capitolo ***
Capitolo 5: *** 5° Capitolo ***
Capitolo 6: *** 6° Capitolo ***
Capitolo 7: *** 7° Capitolo ***
Capitolo 8: *** 8° Capitolo ***
Capitolo 9: *** 9° Capitolo ***
Capitolo 10: *** 10° Capitolo ***
Capitolo 1 *** 1° Capitolo ***
1° CAPITOLO
“Sveglia, dormiglione!”
La luce passò dalla finestra appena aperta, investendo in pieno viso il
ragazzino ancora a letto
che stiracchiandosi e mettendosi seduto, osservò lo scocciatore.
Ci volle qualche secondo perché i suoi occhi si abituassero alla luce.
“Asuna” disse semplicemente.
“Proprio io” rispose una bella ragazza con i capelli rossicci e legati in due
lunghi codini. “Forza Negi, devi andare a scuola”.
“Uffa, ma devo proprio?” sbuffò Negi cercando i suoi occhiali sul comodino.
“Che razza di risposta!” replicò Asuna. “Sono forse le parole di uno che
vuole diventare insegnante?”
“Ok, ok”.
Mezzo assonnato, Negi andò nel bagno, dove trovò già tutto pronto per
cambiarsi.
E mentre lui si lavava, Asuna tirava fuori gli abiti per la giornata.
Poi andò in cucina a preparare la colazione.
Negi uscì dal bagno e cominciò a vestirsi.
Era una vera fortuna che Asuna vegliasse sulle sue mattinate, dato che lui
non capiva niente di vestiario e più di una volta aveva rischiato di presentarsi
a scuola con accostamenti di colori che avrebbero fatto morire d’infarto
chiunque fosse dotato di un po’ di senso estetico.
Lei era anche un’ottima cuoca, e quindi la colazione, il pranzo e la cena
erano sempre squisiti.
Quel giorno non fece eccezione e un’invitante colazione si presentò agli
occhi di Negi.
Asuna invece stava guardando il telegiornale. “Tsk, continua la caccia a
quanto pare” dichiarò commentando un servizio appena conclusosi.
“Stasera dunque non ci sarai?” domandò Negi iniziando il pasto.
“No. Devo accompagnare Konoka a quella festa. Ieri sera, appena tornata a
casa, ho setacciato l’armadio per trovare un abito adatto. E non ne avevo.
Quindi me l’ho devo far prestare da Konoka. Mi cambierò qui e andrò non appena
torna tua madre”.
“Spero che ti divertirai”.
“Figurati. Non sono mai voluta andare a simili feste, le considero una vera
pizza. Stavolta ci vado solo per fare un favore a un’amica”.
“Dovresti cercare di svagarti invece. Come baby sitter e come distributrice
di giornali lavori cosi tanto. Un po’ di relax ti ci vuole”.
“Con un angioletto come te, il lavoro non è mai difficile”. Asuna arruffò con
una mano i capelli di Negi, che arrossi.
“Ah” si ricordò lei “Arrivando stamattina, ho incontrato tua madre. Ti manda
tanti baci”.
“Come al solito” fece lui rassegnato.
Suo padre, una sorta di avventuriero-archeologo alla Indiana Jones, stava
fuori di casa, e con casa s’intendeva il Giappone, quasi tutto l’anno.
Dimostrava di non aver dimenticato la sua famiglia grazie alla valanga di
cartoline e souvenir che spediva dai posti spesso più esotici e strani.
Mentre sua madre era la classica donna in carriera: usciva la mattina presto,
rientrava la sera tardi e si faceva sentire durante la giornata solo tramite
telefono.
Telefonate che non andavano mai oltre lo schema del ‘sono io, tutto a posto?
Bene, ciao’.
Meno male davvero che c’era Asuna.
Era lei che in pratica gli permetteva di fare vita sociale, portandolo fuori,
facendogli svolgere sport, aiutandolo nello studio e difendendolo dai bulli.
Il treno della metropolitana era pieno come al solito.
Tante facce diverse, ma tutte ugualmente rientranti in due ben distinte
categorie: studenti e impiegati.
La diversità in quell’ambiente era garantita dalle varie pubblicità attaccate
sopra i finestrini: persone e oggetti di tutte le risme.
Negi, tenuto per mano da Asuna, si guardò intorno, poi fissò Asuna, che stava
a sua volta osservando qualcosa davanti a se.
“Asuna? Asuna mi senti?” la chiamò lui.
La ragazza si ridestò. “Oh si. Che succede?”
“Senti, ti volevo chiedere se…”
Negi si guardò intorno nuovamente. “Niente”.
Asuna lo guardò perplessa, poi tornò a fissare in un punto davanti a se.
Negi riprese a osservarla, accorgendosi che l’obiettivo di Asuna era davanti
a lei ma un po’ spostato verso l’alto.
“Asuna, cosa stai guardando?”
La ragazza fece un cenno col capo verso un manifesto.
Raffigurava un uomo sui trent’anni, con gli occhiali, vestito elegantemente e
in una posa da galantuomo figaccione.
“Si tratta di quel Takamichi” costatò lui.
“Si, è davvero bellissimo” commentò lei mangiandoselo con gli occhi. “E
sicuramente è anche una brava persona. Ispira cosi tanta fiducia”.
“A me non piace” dichiarò Negi.
“Be, ovvio. Tu sei un maschietto”.
“No, intendevo che non mi piace come persona. Diffido di qualcuno che per
mestiere recita”.
“Non vorrai mica dire che tutti gli attori sono dei criminali?”
“Certo che no. Dico solo che anche se lui appare bello, gentile, intelligente
e galante, non è detto che debba esserlo veramente. E neanche gli servirebbe,
essendo bravo a recitare”.
“Sia quel che sia, io so bene che non lo incontrerò mai. Quindi posso
accontentarmi delle apparenze”.
Arrivò la loro fermata, i due scesero e usando le scale mobili raggiunsero la
superficie.
Entrambi studiavano all’istituto Mahora, una vera e propria città dello
studio, che inglobava, in un’area grande quanto due campi da golf, un asilo, una
scuola elementare e media, licei e un’università tra le più prestigiose del
paese.
Oltrepassarono la cancellata d’ingresso, insieme ad una fiumana di altri
studenti.
“Allora, tu segui il tuo flusso di coetanei, io devo seguire il mio.
Ricordati di non dare confidenze a eventuali sconosciuti. Ci vediamo all’ora di
pranzo” si raccomandò Asuna.
“D’accordo. Senti Asuna…”
“Si?”
Negi distolse lo sguardo. “Ecco… io so che il mese prossimo ti diplomerai… e
quindi…”
Asuna inarcò un sopraciglio, poi capì. “Non preoccuparti. Anche se mi
diplomo, resto sempre in quest’università. Continueremo a vederci”.
“Lo so. Però avrai più da studiare…. Insomma, non avrai troppo tempo libero”.
“Allora temi che non potrò più badare a te? Non pensarci neppure. Tu sei come
un fratello per me. Il mio dolce fratellino” concluse lei baciandolo su una
guancia.
Gli regalò anche uno splendido sorriso e andò verso i suoi amici, che la
salutarono allegramente.
Negi invece era rimasto di sasso.
La mattinata scorreva tranquilla e monotona nella classe di Negi.
Soprattutto nell’intervallo.
I compagni di Negi si abbandonarono alle solite discussioni, riguardanti
film, cartoni, fumetti e strani siti internet.
Negi invece guardava fuori dalla finestra come se volesse scorgere qualcosa.
“Ehilà, Negi!” lo salutò qualcuno con una formidabile pacca sulla spalla.
“Chi… Kotaro!”
“L’unico e il solo” disse un vispo ragazzino con i capelli neri folti
saltando sul banco di Negi e mettendosi seduto con le gambe incrociate.
“Che fai?! Scendi, se ti becca la maestra saranno dolori!” lo rimproverò Negi.
“Figurati se mi spaventa quella vecchiaccia. Piuttosto, parliamo di te,
signorino dal cuore solitario”.
“Che stai dicendo?”
“Come che sto dicendo? Guarda che l’ho capito benissimo che sei cotto di
quella là”.
Negi divenne rosso come un peperone. “Di… di che diavolo parli?!”
“Parlo di Asuna, fessacchiotto. Vi ho visto diverse volte quando arrivate a
scuola. O quando lei viene a prenderti o ad accompagnarti in altre occasioni. In
ogni caso, te la mangi con gli occhi”.
“Non.. non è vero!”
Kotaro lo scrutò divertito. “Ah si? E allora cosa stavi guardando dalla
finestra adesso? Da qui si vede chiaramente l’edificio del liceo”.
“E allora?”
“Ho studiato questa posizione da quando hai chiesto alla prof di spostarti a
questo banco, un mese fa. Da qui si può osservare non solo il liceo, ma anche la
classe di Asuna.” Kotaro tirò fuori un minuscolo binocolo e tramite esso guardò
fuori. “Ed eccola là, la tua dolce baby sitter”.
“Smettila!” gridò Negi strappandogli il binocolo.
E quando lo ebbe in mano, si accorse che era solo un giocattolo.
“Te la stai prendendo davvero troppo” commentò Kotaro.
Come se fosse sfinito, Negi si abbandonò sulla sedia. “Uff, e va bene. Ma
promettimi che non lo dirai a nessuno”.
“Sta tranquillo. E poi in questo modo siamo pari, visto che anche tu conosci
un mio segreto. Tu sei l’unico a sapere del gruppo di cani che allevo al parco.
Mia madre invece odia a morte i cani, e se lo venisse a sapere, mi
rinchiuderebbe in casa”.
“Comunque il segreto è tutto qui: sono innamorato di Asuna. Punto”.
“E hai intenzione di dichiararti?”
“Sarei solo ridicolo. E’ un amore impossibile. Io ho 13 anni, lei 18. Io
senza di lei non saprei fare niente. Lei invece è fantastica, sa fare di tutto,
è orfana ma ha saputo affrontare il mondo, lavora, si paga gli studi da sola. Si
è auto realizzata. Io sono solo un moccioso”.
“Ma ti vuole bene, no?”
“Certo, però in me vede un fratellino. La cosa mi fa piacere, tuttavia non
potrà mai diventare quello che voglio io. Devo rassegnarmi”.
“Su con la vita” gli disse Kotaro rifilandogli un'altra mega pacca sulla
schiena. “Solo alla morte non c’è rimedio”.
La sera, Asuna aveva preparato la cena per se e per Negi, e dopo aver
mangiato, era in attesa di Konoka.
Con lei, Asuna si sarebbe recata alla festa.
Gli orari erano stati stabiliti alla perfezione, e le due ragazze sarebbero
partite non appena la madre di Negi fosse rincasata.
Suonarono il campanello, e Asuna andò ad aprire. “Konoka. Ben arrivata”.
La sua amica, una bella ragazza con lunghi capelli castani, la abbracciò. “Ti
vedo ogni giorno più in forma. E dov’è il piccolo Negi?”
Negi arrivò dal corridoio. “Salve, signorina Konoe”.
Konoka non rispose e corse ad abbracciarlo con forza. “Ma è sempre più
carinissimo questo qui! Asuna, domani facciamo a cambio? Voglio essere la sua
baby sitter per un giorno. E’ troppo carino il piccolo Springfield” esclamò,
mentre Negi tentava invano di resistere a quella presa.
“E’ una persona, non un giocattolo” le ricordò l’amica.
Andarono a cambiarsi nella stanza di Negi, mentre quest’ultimo restò nel
soggiorno davanti alla tv.
Nonostante fosse solo un ragazzino, alla fine cedette alla tentazione: alzò
il volume e silenziosamente si accostò alla porta chiusa della sua camera,
origliando e chiedendo mentalmente perdono.
Origliare era sbagliato, ma almeno riusciva a resistere alla tentazione di
sbirciare.
“Dai, mettiti questa gonna, Asuna, farai un figurone”.
“Io sono a disagio con le gonne”.
“Ti ho già detto che non puoi presentarti alla festa con i pantaloni. Non
sarebbe elegante. Mettiti questa gonna e poi il body”.
“Un body?! Ma stai scherzando?! Cos’è quella roba?! Sembra che sul petto ho
un balcone!”
“Smettila di lamentarti e infilatelo, io te lo attacco dietro”.
“No, ferma. Mi vergogno!”
Dopo qualche animato secondo di lotta vestiaria, scese il silenzio e Negi
tornò subito al suo posto.
Dalla sua stanza uscirono Konoka e Asuna, vestite quasi come due principesse
delle favole.
Tuttavia Asuna era davvero una variante sexy, poiché il suo body le lasciava
scoperte le spalle e aveva un notevole decolleté.
La gonna era piuttosto lunga e ampia, con un lieve spacco.
Infine, sulle braccia portava due guanti bianchi lunghi fino ai gomiti.
“A-Asuna…” mormorò Negi arrossendo.
Istintivamente Asuna si coprì il petto. “Aahh! Hai visto? Pure Negi
s’imbarazza! Io mi devo togliere questa roba!”
“Non dire sciocchezze” replicò Konoka.
“Negi, perdonami se mi faccio vedere cosi da te”.
“Non… non fa niente” la tranquillizzò lui coprendosi gli occhi e cercando con
le dita di ostacolare i suoi occhi desiderosi di guardare.
Proprio in quel momento rientrò la madre di Negi.
E Konoka approfittò di quella porta aperta per spingere fuori la sua amica.
“Buonasera a tutti” salutò allegramente.
La festa era cominciata alle nove e mezzo, e si svolgeva in un ampio salone
scintillante situato al pianterreno di un palazzo, uno dei tanti palazzi, enormi
e costruiti secondo ardite architetture, del nuovissimo quartiere di Tokyo-Sol:
in pratica, avrebbe dovuto essere il primo centro commerciale grande quanto un
quartiere intero.
I partecipanti al ricevimento erano tutte persone famose e ricche, o entrambe
le cose.
Tutti con indosso abiti che una persona normale non potrebbe comprarsi
neppure con una vita di stipendi.
E tutti molto a loro agio in quell’ambiente.
Con un’unica eccezione: Asuna Kagurazaka.
La poverina se ne stava dietro uno dei tanti tavoli riccamente abbelliti.
Tentando di sorseggiare un bicchiere di liquore.
“Asuna, cosa fai lì? Vieni” la richiamò Konoka.
Quest’ultima sembrava davvero trovarsi a suo agio alla festa.
D’altronde era di famiglia nobile, addirittura imparentata con quella
imperiale.
Asuna invece era una figlia di nessuno.
E questo contribuiva a farla sentire un pesce fuor d’acqua.
Si fece coraggio e raggiunse la sua amica.
“Lo sapevo che non dovevo venire qui. E si può sapere perché mi hai chiesto
di accompagnarti? Mi sembri decisamente a tuo agio”.
“Perché anche se non è la prima festa di questo tipo cui partecipo, è la
prima volta che vi partecipo senza mio padre. Quindi volevo qualcuno vicino” fu
la risposta.
“Chissà quante persone avrebbero fatto a gare per accompagnarti”.
“Io preferisco avere vicino te. Ci conosciamo da tanti anni. E poi come
potrei dimenticare tutte le volte che mi hai protetta quando eravamo piccole?
Ero la vittima preferite di tutte quelle bullette, e senza di te, la mia
infanzia sarebbe stata davvero un inferno”.
“Figurati, non ho fatto niente di speciale” si schernì Asuna “Però lascia che
ti dica una cosa: potevi almeno procurarmi delle scarpe più comode. Con queste
qui ho difficoltà pure a stare in piedi e …uops!!”
Detto fatto, Asuna mise un piede in fallo e rischiò di cadere all’indietro.
Ma delle forti braccia la presero al volo.
“Faccia attenzione, signorina” le disse una calda voce maschile.
Asuna si girò per ringraziare quella persona e rimase senza fiato.
“Ta…Takhata Takamichi?!”
“L’unico e il solo” rispose l’attore sfoderando un bel sorriso. “E lei,
signorina, è…”
“Asuna… Asuna Kagurazaka!”
La ragazza si perse in quello sguardo e nel sorriso di Takamichi.
Da quel momento, la serata per Asuna cambiò totalmente.
Dopo una prima ora di noia e imbarazzo, la seconda ora di festa fu davvero
coinvolgente.
Si misero a sedere su delle comode poltrone in pelle, parlando e bevendo.
Takamichi si dimostrò un conversatore affascinante e pieno di garbo.
Capace di spaziare su ogni argomento.
E Asuna pendeva dalle sue labbra.
Konoka, intenta a chiacchierare con una sua conoscente, li osservava a
distanza, soddisfatta di vedere quanto l’amica fosse presa dalla presenza di
Takamichi.
Le aveva anche portato da bere, per rendere Asuna un po’ brilla e farla
sciogliere ulteriormente.
Al quarto bicchiere, che Takamichi era andato a prenderle, Asuna avvertì un
lieve capogiro.
Konoka, che non aveva mai perso d’occhio la novella cenerentola, se ne
accorse e la raggiunse subito. “Asuna, che ti succede?” domandò preoccupata.
Takamichi intervenne prontamente. “Forse ha bevuto un po’ troppo. Lei non si
preoccupi signorina, accompagnerò io la sua amica a darsi una rinfrescata”.
L’uomo, reggendo per un braccio Asuna, la accompagnò fuori dalla sala.
Konoka li osservò allontanarsi, poi decise di tornare dalla sua conoscente,
che tuttavia vide dirigersi verso uno dei bagni insieme a un uomo e tenendosi
una mano sulla bocca e l’altra sullo stomaco.
Intanto Takamichi, portando fuori la sua ultima conquista, incrociò un suo
amico.
Che non badò ad Asuna.
“Sono le 11 e 34. Ricordati che tra dieci minuti la festa si trasferirà
all’esterno” rammentò l’altro a Takamichi.
“Non preoccuparti, farò presto” rispose quest’ultimo.
Asuna era sveglia, ma anche in una sorta di torpore, si guardava in giro
senza riconoscere ciò che vedeva.
Per questo non protestò quando fu portata non verso i bagni ma verso gli
ascensori.
E non protestò quando, percorrendo un corridoio vuoto, fu condotta, quasi
trascinata, dentro un lussuoso appartamento.
Takamichi la adagiò su un divano e chiuse la porta a chiave.
“Sei magnifica, semplicemente magnifica” mormorò l’uomo passandosi la lingua
sulle labbra. “Sei proprio il tipo che piace a me, giovane e pura”.
“Uhnn… ma dove… dove sono?” borbottò Asuna mettendosi una mano sulla fronte.
“Si sta già riprendendo? Strano. Oh be, poco importa, mi piace quando lottano
un pò’” disse tra se e se Takamichi cominciando a slacciarsi la cintura.
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Capitolo 2 *** 2° Capitolo ***
2° CAPITOLO
Konoka guardò l’orologio: erano le undici e cinquantotto.
“Dove diavolo sono finiti?”
Asuna e Takamichi erano scomparsi da tanti, troppi minuti e lei cominciava a
preoccuparsi: Asuna si era forse sentita male?
Ma in quel caso perché non chiamarla?
Gli altri invitati si erano trasferiti all’esterno, ormai era rimasta solo
lei a vagabondare per l’enorme e vuoto salone.
“Aspetto altri cinque minuti, se non si fa sentire nessuno, vado a cercarli”.
Il cellulare di Konoka squillò e lei rapidamente lo prese, guardando il
numero: “Asuna! Pronto? Sono io”.
Dall’altra parte arrivarono solo scariche, unite a un rumore ansimante.
“Konoka… vienimi a prendere…” disse una voce insicura.
“Asuna! Cos’hai? Che è successo?”
“Vienimi a prendere…. Sono al quinto piano… vieni….” E chiuse il contatto.
Agitata, Konoka lasciò la sala andando agli ascensori e salì fino al quinto
piano.
Davanti a se c’era solo un lungo corridoio, vuoto.
Cosi com’erano vuoti quasi tutti gli appartamenti dell’edificio.
Tokyo-Sol era un quartiere molto recente, e aveva da poco cominciato a
riempirsi.
La ragazza si avventurò nel corridoio, chiamò debolmente, quasi come se
temesse di disturbare, la sua amica.
Nessuno le rispose, allora riprovò col cellulare.
Sobbalzò quando la suoneria del telefono di Asuna risuonò vicinissimo a lei.
Konoka si guardò intorno smarrita, poi individuò la fonte del rumore:
proveniva da una stanzetta affianco a lei.
Titubante aprì la porta, scoprendo cosi uno sgabuzzino per le scope.
E stesa sul pavimento, c’era Asuna.
Konoka gridò per la sorpresa e s’inginocchiò con slancio sull’amica.
“Asuna! Asuna! Cosa ti è successo?!”
Asuna aprì gli occhi e mormorò il nome dell’amica.
Poi strinse i pugni come per farsi coraggio e tentò di mettersi a sedere,
avendo comunque bisogno dell’aiuto di Konoka.
“Ha cercato… ha cercato…” tentò di dire Asuna, con un’espressione stordita,
da persona appena svegliatasi.
“Cosa?! Cosa?!” domandò con angoscia l’altra.
Che, come se fosse stata colta da un’orribile illuminazione, si portò le mani
sulla bocca. “Non… Takamichi non avrà cercato di farti qualcosa di…?!”
Sentendo quel nome, Asuna sentì il sangue ribollire nelle vene.
E gli occhi riempirsi di lacrime.
Sbatté con forza un pugno sulla parete.
“Quel porco…. Io lo ammazzo! Lo ammazzo! Negi aveva… aveva ragione!”
“Chiamiamo la polizia!” propose Konoka.
“No!” rispose con uno scatto Asuna. “Ora… ora non mi sento bene… mi deve
aver… somministrato qualcosa… ora… non so pensare… portami a casa…”
“Ma sei sicura?”
“S-si… cioè… si! Adesso… non saprei fare niente. Cosa… cosa ho dovuto fare
per riuscire a… chiamarti…”
Senza essere troppo convinta, Konoka la aiutò a rialzarsi.
Solo allora si accorse che il vestito di Asuna aveva la gonna strappata
all’altezza della cintola.
E che il body e il petto erano ricoperti da macchie rosse.
“Quello… quello è sangue?!” disse additando le macchie.
“S-si… quando ho capito cosa volevo fare… gli ho rifilato un calcio in bocca…
e sono scappata… sono andata…. Finita… qui… credo..”
Sconvolta e stupita, Konoka condusse Asuna agli ascensori facendole da
sostegno.
La sua amica barcollava, almeno tre volte rischiò di cadere, e dentro gli
ascensori sembrò sul punto di addormentarsi.
Raggiunto il salone, non ebbero problemi a uscire dal palazzo senza farsi
vedere, poiché tutti gli ospiti erano ancora fuori.
Konoka chiamò un taxi e si fece condurre alla casa di Asuna.
Durante il tragitto, strinse a se l’amica, come a volerla proteggere da
sguardi indiscreti.
In lontananza si udirono delle sirene, forse la polizia.
Giunte a destinazione e pagato il conducente, Konoka aiutò Asuna a salire le
scale del suo appartamento.
Asuna era ancora intorpidita, quindi non appena fu portata nella stanza da
letto, crollò sul materasso.
Konoka telefonò al padre: “Papà, sono io. Senti, questa sera resto a dormire
da Asuna. Se è successo qualcosa? Be, diciamo di si. Comunque ti dirò tutto
domani mattina. No, non preoccuparti, stiamo bene, adesso. Domani saprai tutto.
Fidati. Va bene, ciao”.
Chiuso il contatto, Konoka rimase a vegliare sull’amica.
Negi fu svegliato dal rumore della sveglia.
“Umpf, Asuna non c’è” borbottò alzandosi.
Andò nel bagno e subito dopo dovette tornare in camera a prendere la roba per
cambiarsi.
Indossò gli stessi abiti del giorno prima e andò in cucina, dove percepì un
forte odore di caffè.
E vide sua madre intenta a leggere il giornale, mentre la tv era spenta.
“Ciao, mamma” fece lui.
“Ben svegliato” rispose la madre guardandolo un momento e sorridendogli, per
poi riemergersi nella lettura del giornale.
“Notizie di Asuna?”
La donna fece cenno di no, poi guardò l’orologio: “Vieni, ti accompagno a
scuola”.
“Eh, ma sono solo le sette e mezza”.
“Lo so, ma cosi avrai il tempo di fare colazione lungo il tragitto. Conosco
un bar dove fanno delle brioche buonissime”.
Negi borbottò qualcosa e accese la televisione.
Quasi come se non aspettasse altro, venne trasmessa un’edizione
straordinaria: “Omicidio nel mondo dei vip. Stanotte è stato assassinato
l’attore Takahata Takamichi, 30 anni. Takamichi è diventato famoso per…” e seguì
la descrizione della carriera dell’illustre scomparso.
“Uhm, sarà un duro colpo per Asuna” pensò Negi mentre iniziava a preparasi la
cartella.
Al giornalista del TG giunse una telefonata. “Ci comunicano che c’è già una
persona sospettata per l’omicidio. Una nostra troupe ha seguito le auto della
polizia fino alla casa dell’indiziato, di cui sta avendo ora l’arresto”.
L’immagine cambiò, mostrando un appartamento con davanti tre auto della
polizia e un gruppo di poliziotti che portavano fuori due persone, due ragazze:
una era ammanettata, l’altra invece era solo tenuta sotto braccio da una
poliziotta.
Gli agenti cercavano di allontanare gli obiettivi delle telecamere dai volti
delle due ragazze.
Coprirono quest’ultime anche con delle giacche.
Ma qualche pezzo dei loro visi si intravide comunque.
E Negi si sentì venire meno, perché quella casa e quelle ragazze le conosceva
molto bene.
Specialmente quella ammanettata.
Asuna picchiettava con le dita sul tavolo, tenendo lo sguardo fisso su di se.
Era già un’ora che l’avevano chiusa in quella stanza vuota, con un largo
specchio sulla parete destra.
La ragazza aveva visto abbastanza film polizieschi per sapere che si trattava
di uno di quegli specchi trasparenti solo da un lato.
Chissà quanti occhi celati in quel momento la stavano studiando.
Comunque fino ad allora non erano stati troppo scorbutici: quando l’avevano
prelevata a casa, le avevano dato il tempo di cambiarsi. Sarebbe stato umiliante
andare alla polizia in pigiama.
E adesso le avevano pure tolto le manette.
Avevano anche specificato che poteva girare per la stanza, ma lei non se la
sentiva di alzarsi dalla sedia.
E chissà dove era finita Konoka.
Che diavolo stava succedendo?!
In quel momento entrarono nella stanza tre persone, due uomini e una donna.
Gli uomini si misero ai lati della porta, la donna si sedette davanti ad
Asuna.
“Sono il detective Sanae” si presentò la sconosciuta.
Asuna rispose dicendo il suo nome.
“Lo so già” replicò Sanae. “Bene, signorina Kagurazaka, lei sa perché è in
stato di fermo?”
“No, proprio no”.
“Allora sarò molto rapida: signorina Kagurazaka, lei è sospettata
dell’omicidio di Takahata Takamichi”.
Sentendo quel nome, Asuna strinse i pugni, cercando di mantenere il
controllo.
“Co-cosa sta dicendo?”
“Quello che ho detto. Il signor Takamichi è stato ritrovato cadavere nel suo
appartamento. La morte risale a poco prima della mezzanotte, per l’esattezza tra
le undici e quaranta e le undici e cinquanta. Cinque coltellate, con un coltello
da cucina, al petto. Il corpo era ancora caldo quando la polizia è arrivata,
perché informata da una vicina quasi nel momento stesso in cui avveniva il
delitto”.
“Non sono stata io!” esclamò Asuna sporgendosi in avanti.
“Però lei risulta essere l’ultima persona che l’ha visto vivo”.
“Quel porco ha cercato di violentarmi! Avete sicuramente perquisito la mia
casa. Non avete trovato il vestito strappato? E non avete parlato con la mia
amica Konoka?”
“Abbiamo parlato con la signorina Konoe. Ha descritto una situazione davvero
drammatica. Ma questo non la assolve, signorina Kagurazaka”.
“Come non mi assolve? Di cosa sta parlando? Sono io la vittima!”
“E allora come mai sul suo vestito strappato c’erano tracce di sangue?”
“Perché per difendermi, l’ho colpito. Ma gli ho dato un calcio in bocca. Non
l’ho certo accoltellato!”
“Tuttavia, dal colpire con un calcio, come ci ha raccontato anche la sua
amica, all’accoltellare il passo non è molto lungo”.
“Non l’ho accoltellato! Io non saprei mai uccidere!” ripeté Asuna,
sforzandosi di trattenere le lacrime.
La Sanae se ne accorse e cambiò atteggiamento.
Mise una sua mano su quella di Asuna. “Se lei l’ha fatto per difendersi, non
è una colpa sua. La giuria sarà clemente”.
Asuna ritirò la mano con uno scatto e altrettanto rapidamente si alzò in
piedi.
Sanae, con un gesto del braccio, bloccò i due uomini che già stavano per
scattare anche loro.
“Non sono un’assassina!” insisté Asuna “E poi scusate, voi siete risaliti a
me perché io vi ho chiamato stamattina presto, dato che volevo denunciare
Takamichi. Se fossi la sua assassina, non sarei dovuta sparire nel nulla? Mi
sarebbe bastato non chiamarvi!”.
“Questo è vero” ammise Sanae “Tuttavia noi poliziotti sappiamo meglio di
altri quanto possono essere ingannatrici le apparenze. Per ora la finiamo qui.
Più tardi le faremo altre domande. E fino ad allora dovrà restare qui in stato
di fermo. Dove sono i suoi genitori? Può permettersi un avvocato, o ne vuole uno
d’ufficio?”
Asuna, improvvisamente esausta, si rimise a sedere. “Sono orfana. E lavoro
part-time come baby sitter, soprattutto, e anche come distributrice di giornali.
Dice che possono permettermi un avvocato?”
“Credo di no. In tal caso, se occorrerà, gliene verrà assegnato uno
d’ufficio. Arrivederci, signorina Kagurazaka”.
I tre agenti uscirono dalla stanza.
Rimasta sola, Asuna si coprì il volto con le mani.
Non poteva nemmeno permettersi un pianto di sfogo, non voleva dare spettacolo
alle persone dietro lo specchio.
Lei, accusata di omicidio.
Ne sarebbe uscita?
E chi la conosceva avrebbe voluto ancora frequentarla?
Certe accuse ti marchiano a vita.
“Negi… vorrai vedermi ancora?”
“Andiamo, dammi qualche notizia!” imprecò Negi maneggiando una radiolina.
Non riusciva ad avere notizie di Asuna.
Avrebbe voluto andare subito al commissariato, ma la madre si era opposta.
I ragazzini come lui dovevano pensare alla scuola, non alle accuse di
omicidio.
Tuttavia le ore di lezione erano state una tortura continua, preso dalla
smania di sapere cosa stava succedendo ad Asuna, era stato difficile lottare
contro la tentazione di accendere quella radio in classe.
Ora che finalmente c’era l’intervallo, poteva usare la radio ma il segnale
era disturbato.
“Dannazione!” gridò.
“Ehi Negi” disse Kotaro affiancandolo “Che ti prende?”
“Sai che hanno assassinato quel Takamichi?”
“Si, la televisione non parla d’altro da stamattina”.
“E sai che hanno accusato Asuna di ciò?”
Kotaro sbiancò: “Che cosa?! Il TG che ho visto io diceva che avevano
arrestato qualcuno, però niente nomi”.
“Sia quel che sia, l’hanno arrestata! Che assurdità! Asuna è una persona
meravigliosa, che non farebbe del male a nessuno!”
“Se è innocente, vedrai che la assolveranno”.
“Vorrei tanto crederlo! Ma se i poliziotti sono arrivati a ritenere colpevole
una persona insospettabile come lei, allora chissà cos’altro potrebbero
combinare! Konoka è stata rilasciata subito, d’altronde la sua famiglia ha mosso
all’istante un esercito di avvocati, per lei. Ma per Asuna niente! L’ho chiamata
prima, nell’intervallo, per avere notizie. Konoka mi ha detto che ha tentato di
proteggere Asuna, di dire alla polizia come sono andate le cose. Ma non può
trovarle un avvocato. E sai perché? Perché i portavoce e gli avvocati della sua
famiglia hanno stabilito che i Konoe non devono avere niente a che fare con
un’accusata di omicidio! Bastardi!!”
Negi riprese ad armeggiare intorno alla radio, e ancora niente.
“Al diavolo!” sbraitò lanciando per terra la radiolina. “E’ inutile come
tutte le cose di casa mia!”
Quella reazione aveva attirato l’attenzione di alcuni compagni rimasti
nell’aula: chi aveva mai visto il tranquillo e sempre posato Negi Springfield
perdere le staffe?
“Fatevi gli affari vostri!” ordinò Kotaro, mostrando il pugno ai suoi
compagni e facendosi subito obbedire.
Davanti alla vista dell’amico, a capo chino e percorso da fremiti, Kotaro
ebbe un’idea.
“Senti, forse ti sembrerà una stupidaggine, però io credo di conoscere un
modo per discolpare Asuna”.
Negi lo guardò speranzoso. “Ovvero?”
“Ultimamente girano strane voci, che parlano di un sito internet attraverso
il quale si può prendere contatto con una persona, una sorta di genio della
legge che risolve ogni caso”.
Negi rimase allibito. “Mi stai prendendo in giro?”
“Assolutamente no! Lo so che sembra assurdo, tuttavia diverse persone ne
hanno parlato. Dicono che sa risolvere casi di ogni tipo e che predilige i casi
disperati”.
“Ti sembra che una leggenda urbana possa aiutare Asuna?!”
“Non è una leggenda. Ne hanno parlato persone attendibili”.
“Molte leggende urbane sembrano attendibili. E poi, come si chiama questo o
questa detective? E se è tanto capace, come mai i giornali e i TG non ne
parlano? Perché certamente dovrebbero parlare di un simile fenomeno”.
“Be, questo non lo so. Comunque ho l’indirizzo. Www. Wal. Kr”.
“Mi sembra solo un’enorme stupidaggine, comunque grazie del pensiero” rispose
Negi.
Che tanto non avrebbe mai provato.
Figurati se in quella situazione poteva perdere tempo dietro a delle
fantasie.
Era infine arrivata la sera.
Asuna stava ancora attendendo, stavolta in una cella del commissariato.
Le avevano anche portato i pasti, mentre doveva chiamare tramite un
campanello per quando doveva andare al bagno.
Non c’erano specchi magici, ma una piccola telecamera.
“Dio mio, che attesa snervante. Sapessi almeno cosa succede”.
La porta si aprì ed entrarono il detective Sanae e un uomo, giovane ed
elegante, con i capelli neri moderatamente lunghi e gli occhiali.
Lo sconosciuto portava anche una grossa borsa.
Porse la mano ad Asuna. “Piacere di conoscerla, signorina. Io sono Teru
Obata. E sono il suo avvocato d’ufficio”.
La perplessità di Asuna diventò puro sgomento. “Avvocato?! Non vorrete mica
dire che…”
“Esatto” rispose la Sanae. “Asuna Kagurazaka, lei è formalmente accusata
dell’omicidio di Takahata Takamichi”.
“NO!!” gridò Negi davanti alla televisione.
Al TG della sera avevano appena annunciato che erano spuntati ben due
testimoni contro la principale indiziata, ovvero Asuna, che ora era
ufficialmente accusata dell’omicidio e pertanto sarebbe stata trasferita in
carcere in attesa del processo.
Negi fu tentato di correre dalla madre per avvertirla.
Ma già dalla sua stanza la sentiva impegnata nell’ennesima telefonata
d’affari.
Dopo l’arresto di Asuna, aveva deciso di restare col figlio.
Portandosi il lavoro a casa però, quindi era come se non ci fosse.
E sicuramente troppo impegnata per trovare un avvocato che aiutasse Asuna.
Negi cadde a terra in ginocchio, cominciando a piangere.
“Asuna… Asuna… non è possibile! Come farai?!”
Doveva aiutarla, ma come?
Lui era solo un bambino.
Già, solo un bambino.
E allora, tanto valeva fare una cosa cretina, che solo un bambino avrebbe
potuto fare.
Accese il suo computer, andò su internet e digitò l’indirizzo che gli aveva
dato Kotaro.
Gli apparve una schermata bianca.
Al centro, una finestra dove scrivere, come per le chat.
Scuotendo la testa, Negi cominciò a scrivere.
“C’è nessuno?”
Apparve un’altra scritta sotto la sua.
“Buonasera. Di cosa hai bisogno?”
“Uhm, devo ammettere che non mi aspettavo una risposta. Dunque…”
Negi continuò: “Ha sentito dell’omicidio di Takahata Takamichi?”
“Certamente”.
“La persona sospettata è una mia carissima amica. Voglio scagionarla”.
“Il caso va studiato. Comunque potrei accettarlo”.
“Vi avverto che non ho soldi”.
“I soldi non m’interessano”.
“Davvero?”
“Si. Incontriamoci a questo indirizzo”.
Apparve un indirizzo accompagnato dall’orario, le undici.
“Ma questo, è matto!” pensò Negi “Crede davvero che una persona accetterebbe
un simile appuntamento al buio? Se tutto va bene non ci sarà nessuno. O
altrimenti ci sarà qualche maniaco. Vediamo un po’ dove può spingersi”.
“Non c’è un altro orario?”
“Quale preferisci?”
“Le quattro e mezzo” propose Negi.
“Va bene. A domani, alle quattro e mezzo. Da solo”.
“Assurdo, davvero assurdo. Solo un’idiota ci andrebbe, tsk”.
Puntuale, il giorno dopo Negi si avventurò nel quartiere indicato dal sito.
Non era una zona degradata, anche se in periferia.
Una serie di case bianche, tutte uguali tra di loro e tutte a due piani,
collegati da una scalinata esterna.
In mezzo alle varie case, un dedalo di stradine asfaltate, dove in teoria le
macchine potevano pure passare, ma se andavi a piedi o su due ruote era meglio.
Negi, ormai impegnato in quella follia, teneva il cellulare a portata di
mano.
Quella era la sua prima arma.
La seconda era Kotaro: oltre ad averlo coperto nel doposcuola, dicendo ai
genitori di entrambi che sarebbero andati a vedere un film, sarebbe stato lui ad
avvertire chi di dovere nel caso Negi non fosse più tornato.
Il ragazzo guardò il foglio su cui aveva scritto l’indirizzo: la casa era
proprio davanti a lui.
Tante piccole voci gli gridavano che stava compiendo una follia.
Però, dopo aver sentito che il processo ad Asuna sarebbe iniziato a breve, e
dopo che la madre si era nuovamente rifiutata di accompagnarlo dalla sua amica,
aveva messo a tacere tutti i dubbi.
Il piano indicato era quello superiore, Negi salì le scale e ad ogni passo,
si sentiva sempre più spiato.
Anche se l’appartamento aveva le finestre chiuse.
Giunto alla porta, dopo un lasso di tempo che gli parve un’eternità, bussò.
E il suo battere diede forza sufficiente alla porta per aprirsi. Non era
chiusa, solo accostata.
Negi si avventurò dentro l’appartamento, avvolto nel buio.
In fondo al corridoio, davanti a lui, giungevano però delle voci.
Cautamente avanzò, finché non vide anche delle luci biancastre, provenienti
da un’altra stanza.
Era una stanza con una parete piena di televisori, alcuni affiancati, altri
fissati uno sull’altro.
Trasmettevano programmi diversi, soprattutto telegiornali, in varie lingue.
C’era anche una scrivania, con una poltrona e un computer portatile aperto.
L’attenzione di Negi fu però attirata da un’altra cosa: dolci.
Intorno al computer c’erano quattro vassoi, tre pieni di dolci di tutti i
tipi, mentre sul quarto tazze per il the e cubetti di zucchero.
“Che diavolo è tutta questa roba?” mormorò Negi.
“Buongiorno” disse qualcuno alle sue spalle.
Negi sobbalzò e corse a ripararsi dietro la poltrona, osservando il nuovo
arrivato.
Era un ragazzo, sui venticinque anni, con capelli neri lunghi e folti.
Indossava jeans azzurri e una maglia bianca abbastanza larga, era a piedi
nudi e leggermente curvato in avanti.
Quello che colpì molto Negi era comunque il suo volto: impassibile, privo di
emozioni e pallido. Gli occhi erano incorniciati da due profonde occhiaie.
“Chi-chi sei?” balbettò Negi.
Lo sconosciuto, che teneva le mani in tasca, si grattò il polpaccio destro
usando il piede sinistro.
“Io sono L”.
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Capitolo 3 *** 3° Capitolo ***
3° CAPITOLO
La persona che si era presentata come L con calma avanzò verso Negi, che
intimorito si scansò.
Ma L si limitò a saltare agilmente sulla poltrona per sedersi, restandoci poi
con i piedi sopra.
Prese da uno dei vassoi alcuni confetti, cominciando uno dopo l’altro a
mangiarli.
Il tutto ignorando Negi.
Il quale decise di azzardare un tentativo di dialogo. “Ehm, ecco, buongiorno.
E’ lei il detective?”
“Sì” rispose semplicemente l’altro.
“Io sono quello che le ha scritto ieri sera. A proposito dell’omicidio di
Takahata Takamichi”.
“Lo so. Ho studiato il caso. Non c’è molto da dire. E’ colpevole”.
“Che cosa!?”
L parlava tenendo sempre lo sguardo rivolto verso i monitor. “Sono sbucati
due testimoni che l’hanno vista commettere l’omicidio e poi scappare via dal
luogo del delitto. Quindi è colpevole”.
Negi si sentì fremere di rabbia. “Come… come osa dire una cosa del genere?!
Cosa ne sa lei di Asuna Kagurazaka?”
“Il mondo è pieno di ragazzine stupide. Forse era un’amante arrabbiata perché
stava per essere mollata”.
“Non è vero! Asuna non è niente del genere!”
“O magari era andata lì per fare un servizietto e poi non è stata pagata a
dovere”.
Negi inizialmente non sembrò capire il riferimento, poi sbiancò e pieno di
rabbia sferrò un pugno contro quello sconosciuto, usando il braccio con
l’orologio.
L lo bloccò senza problemi afferrandolo al volo per il polso.
E solo allora guardò Negi negli occhi.
“Mi dispiace, ma questo non sembra essere un caso per me interessante”.
Fremendo per la rabbia e la disperazione, Negi scappò via.
L riprese a mangiare dolci versandosi una tazza di the.
Asuna era in una stanza del carcere adibita ai colloqui privati con i
detenuti, intenta a parlare col suo avvocato, Teru Obata.
Erano anche in attesa dei risultati degli esami tossicologici che la ragazza,
su consiglio dell’avvocato, aveva svolto subito, la sera precedente.
Questo perché lei affermava di essere stata drogata da Takamichi.
“Si mette male per me, vero?” esordì Asuna.
“Temo di sì, signorina. Purtroppo sono sbucate fuori queste due testimonianze
che sembrano davvero incastrarla” rispose Obata.
“Ma con esattezza, cosa hanno visto questi due?”
Obata tirò fuori dalla sua borsa alcuni fogli, si sistemò meglio gli occhiali
sul naso e si schiarì la voce: “I due testimoni si sono presentati insieme al
commissariato. La prima testimonianza è di Chisame Hasegawa. La ragazza abita
nel palazzo affianco a quello dove è avvenuto l’omicidio”.
****
“Uff, che pizza, non c’è mai niente di buono in tv. Tranne che la
sottoscritta” sbottò Chisame chiudendo la televisione e sdraiandosi su una
poltrona per leggere un po’.
Il tutto in attesa che arrivasse la mezzanotte, così lei avrebbe potuto
andare a letto rispettando la tabella di marcia fissata insieme al suo
dietologo.
Improvvisamente udì delle grida provenire dal palazzo affianco al suo e più
precisamente, dall’appartamento che stava di fronte al suo.
I due palazzi distavano una quarantina di metri, e anche a causa dei vetri
fissi della parete del soggiorno, non riusciva a comprendere le parole. Comunque
capì che si trattava di un uomo e di una donna.
E che erano impegnati in una discussione molto accesa.
Forse pure troppo accesa.
Chisame scrollò le spalle e riprese a leggere.
Quando una delle due persone che aveva sentito litigare, improvvisamente
urlò.
Non era una parola gridata, ma un urlo strozzato.
A quel punto Chisame si preoccupò e si mise a scrutare l’appartamento di
fronte attraverso il vetro.
Si vedeva chiaramente il soggiorno, illuminato ma deserto.
Poi sulla scena arrivarono due persone, un uomo e una ragazza con i capelli
rossicci e vestita di bianco.
Lui teneva per i polsi lei, e sembravano impegnati in una lotta.
D’un tratto, con uno strattone la ragazza in bianco si liberò e colpì più
volte l’uomo al petto, con un coltello.
Infine entrambi caddero a terra, e rotolando scomparvero dalla sua visuale.
Sconvolta, Chisame afferrò il telefono portatile.
****
“Ed è stata proprio lei a chiamare la polizia. Quando poi gli agenti l’hanno
interrogata, l’ha identificata come la persona da lei vista nel momento del
delitto” concluse Obata.
“Che follia” commentò Asuna portandosi una mano sul viso “Non c’è stata
alcuna lotta. Quel bastardo mi aveva drogata. Ne sono sicura. Magari quando mi
ha portato da bere. Di quando mi ha condotto nel suo appartamento, ricordo solo
immagini, come in un sogno. Ma quando mi ha messo sulla poltrona, ho cominciato
a riprendermi. E non appena l’ho visto avvicinarsi a me slacciandosi i
pantaloni, ho capito. Mi sono alzata, mi sentivo le gambe deboli, lui ha cercato
di afferrarmi. Mi sono concentrata, l’ho spinto indietro, e quando lui è tornato
alla carica, chiamandomi ‘lurida puttana’ gli ho rifilato un calcio in bocca.
L’ho imparato guardando i film di arti marziali. Lui è caduto a terra ed io mi
sono diretta alla porta. E poi… poi…”
“Poi cosa?”
Asuna si mise le mani sulla testa. “Non… non lo ricordo. La mia memoria si
blocca nel momento in cui metto la mano sulla maniglia. Poi… il buio”.
“Non ricorda cosa ha fatto?”
La ragazza scosse la testa.
“A questo punto, sembra doversi inserire la seconda testimonianza, quella del
signor Ken Masters, rilasciata subito dopo quella di Hasegawa”.
****
Ken Masters aveva appena finito di fare sollevamento pesi.
Dato il suo lavoro, non aveva perso tempo a trasformare il suo nuovo
appartamento in una sorta di mini-palestra perfettamente accessoriata.
Come ultimo tocco, aveva finito di ascoltare per la decima volta la canzone
‘Eye of tiger’.
Anche gli atleti hanno le loro credenze, e Masters credeva che, dopo
l’allenamento, bisognasse sempre attendere la fine della canzone e non spegnere
lo stereo non appena finiti gli esercizi.
Un gesto scaramantico.
Poi, una bella doccia e infine a nanna.
Gli atleti come lui dovevano rispettare programmi quotidiani precisi.
I corpi allenati, infatti, si acquistano con grande sforzo, ma basta un
niente per perderli.
L’uomo quindi finì di ascoltare la canzone, e si preparò per la doccia.
Fu allora che udì qualcuno litigare, nell’appartamento sopra il suo.
A quanto pare erano un uomo e una donna, impegnati in una discussione molto
accesa.
“Mah, Takahata sta litigando con la sua ultima fiamma?”
Riuscì a capire alcune parole e frasi brevi, del tipo: “Non puoi non
pagarmi”, “Sei solo una puttana”, “Sparisci” o “Fottiti”.
Poi udì un urlo, dopo alcuni tonfi, come di corpi che cadono a terra.
A quel punto si preoccupò abbastanza.
Decise di andare a vedere cosa fosse successo, indossò un capotto e andò alla
porta.
Proprio allora sentì qualcuno correre nel corridoio.
Aprì la porta e intravide una ragazza vestita di bianco e con capelli
rossicci, correre via infilandosi per le scale.
La inseguì, ma raggiunto il piano sottostante, la figura era scomparsa.
****
“A quel punto ha deciso di chiamare la polizia. Ed è stato immediatamente
informato che alcune pattuglie si stavano già dirigendo lì”.
“Io non ricordo quella corsa. Gliel’ho già detto: dopo che ho toccato la
maniglia, tutto diventa buio per me. Mi sono risvegliata in quello sgabuzzino e
concentrandomi ho chiamato la mia amica, Konoka Konoe” spiegò Asuna.
“Però, se lei era davvero sotto l’effetto di qualche droga, non può escludere
a priori di aver davvero fatto quella corsa” replicò Obata.
“Be, penso di no… cioè… oh, al diavolo! Non ho nessun ricordo!”
Bussarono alla porta dell’ufficio, entrò un uomo che porse un fascicolo a
Obata.
L’avvocato lo lesse, accigliandosi leggermente man mano che leggeva.
“Buone nuove?” domandò Asuna.
“No, non credo proprio” dichiarò con rammarico Obata “Questi sono i risultati
degli esami tossicologici. Non hanno trovato delle tracce di sostanze chimiche.
Unito al fatto che la polizia non ha trovato tracce di sostanze stupefacenti o
simili nell’appartamento di Takamichi, le cose si mettono davvero male per noi”.
Asuna s’irrigidì. “Cosa sta dicendo? C’è la testimonianza di Konoka…”
“A cui credo. E anche un giudice e una giuria potrebbero crederle. Il guaio
però è che essere in buona fede, non assicura la veridicità di ciò che si è
visto”.
“Cioè, vuole dire che potrebbero accusarmi di aver fatto la commedia davanti
a Konoka?!”
Serio, Obata annuì. “Purtroppo non ci sono vere prove che lei sia stata
drogata. C’è solo la sua parola. Una cosa del genere, unita alle due
testimonianze, rischia di farla apparire solo come carnefice. Potrebbero
accusarla di aver ucciso Takamichi in preda alla collera, perché era la sua
amante e lui voleva scaricarla. O peggio ancora…”
“Non lo dica!” urlò Asuna. “Io non sono una puttana!”
“E le credo!” rispose prontamente Obata. “Solo che l’accusa ha gli elementi
necessari per farla condannare per omicidio, magari pure premeditato”.
Asuna si alzò e diede le spalle a Obata, stringendosi tra le braccia e
chinando il capo.
L’uomo le andò vicino. “Si faccia coraggio. Studierò una strategia di difesa,
io credo che lei sia innocente. E farà di tutto per farla scagionare. Intanto
sono riuscito ad ottenere di anticipare al prima possibile l’udienza per fissare
la cauzione, sperando grazie alla giovane età e alla fedina penale immacolata in
una cifra ragionevole”.
“La ringrazio di cuore”.
Negi tornato a casa, era steso sul suo letto e piangeva.
L’incontro con quel misterioso L aveva fatto nascere qualche speranza.
Durata solo qualche secondo.
“Maledetto! Come si è permesso di dire quelle cose su Asuna?! Bastardo!
Bastardo!”
Il ragazzo si sentì spiato e si voltò verso la porta, senza vedere nessuno.
Forse era sua madre.
Ma che gli importava ormai?
Tanto era sempre come se non ci fosse.
Solo Asuna c’era sempre stata per lui.
E ora che era nei guai, lui non sapeva come aiutarla.
Cosa poteva fare?
Farla evadere?
Sì, come no, un ragazzino di tredici anni che s’improvvisa maestro delle
evasioni.
Non poteva neppure andare a trovarla da solo, perché al penitenziario
difficilmente avrebbero fatto entrare un bambino neanche accompagnato.
Insomma, era inutile.
Poteva solo aspettare e pregare perché tutto si risolvesse per il meglio.
Il giorno dopo, Negi andò a scuola con l’espressione distrutta.
Aveva dormito poco, avendo passato molto tempo a piangere, e ora barcollava.
“Ehi Negi!” lo salutò da lontano Kotaro, per poi andargli subito incontro.
“Cavolo! Ma che hai fatto? Sembra che non dormi da una settimana”.
“Solo una nottata” precisò l’altro.
“Dimmi, com’è andata all’appuntamento?”
Negi strinse a pugno le mani. “Una stronzata! Tutto falso!” sbraitò.
“Eh? Sei sicuro?”
“Sì! E per favore, non parlarmene più!”
Kotaro alzò le mani. “Ok, ok”.
I due entrarono e cominciarono le lezioni.
Che a Negi non interessavano.
Si limitava a guardare fuori dalla finestra, verso il liceo.
Come faceva prima dell’inizio di quella dannata faccenda.
“Negi Springfield!” lo chiamò qualcuno.
Negi non se ne curò, non gliene importava nulla se l’insegnante lo
riprendeva.
“Negi, c’è un pacco per te” lo avvertì Kotaro.
Davanti alla porta della classe era apparso un corriere, con indosso una tuta
e un berretto rossi.
In mano aveva un pacco abbastanza grosso.
“Scusi” intervenne l’insegnante “Ma io sto facendo lezione”.
“Mi dispiace, signora. Ho ricevuto istruzioni di consegnare questo pacco a
Negi Springfield qui e a quest’ora” spiegò il corriere.
La cosa destò la curiosità di Negi.
Con lieve irritazione, la donna acconsentì e li fece andare nella sala
professori, in quel momento vuota, cosi la consegna del misterioso pacco non
avrebbe disturbato le lezioni.
Rimasti soli, Negi cominciò a scartare il pacco.
“Non dovrei firmare una ricevuta?”
“Non deve. Semmai sono io che devo fare qualcosa per lei, signorino”.
“Eh?”
“Accetto il suo caso”.
Negi si bloccò: non solo per le parole, ma perché la voce del corriere era
cambiata.
Alzò lentamente lo sguardo e scrutò l’uomo.
Il quale si tolse il berretto, cui era attaccata una parrucca di capelli
castani.
Sotto quest’ultima, dei folti capelli neri.
Il falso corriere con la punta del dito si tracciò una linea a scendere,
dall’occhio destro fino alla bocca: aveva la faccia truccata.
Sotto l’occhio s’intravedeva un forte coloro scuro, mentre il resto della
pelle smascherata era molto pallido.
Infine l’uomo si toccò la base della colonna vertebrale, e come se fosse
scattato un meccanismo, la sua posizione passò da perfettamente dritta a
leggermente curvata in avanti.
Davanti a quest’ultima azione, venne a Negi la tentazione di ridere, ma lo
stupore lo trattenne.
“L?!”
“Esattamente. Accetto il tuo caso. Mi dispiace delle parole di ieri, ma
dovevo saggiare le tue intenzioni. E questa Asuna Kagurazaka merita una chance,
poiché per lei hai pianto tutta la notte”.
“Eh? Come fa a saperlo?”
L prese un polso di Negi, lo sollevò e gli indicò un punto dell’orologio,
affianco ad una delle piccole viti del cinturino.
Aguzzando la vista, Negi si accorse di un cerchietto sottile e grande quanto
la punta di una matita.
“E’ un piccolo microfono” spiegò.
Negi rimase sbalordito: davvero facevano microfoni cosi piccoli?
“Ehi, un momento, vuole dire che ha spiato le mie parole a casa mia?!”
“Una cosa sbagliata ma nel mio mestiere necessaria. Dovevo sapere le tue
intenzioni. Se studi una cosa la cambi. Quindi bisogna studiarla quando si
esprime spontaneamente. Allora, accetti il mio aiuto?”
Negi si chiese se valeva la pena fidarsi di questo L.
Certo era un tipo quantomeno strano.
Ma anche intraprendente, forse pure troppo.
E comunque aveva delle capacità.
Pensò infine ad Asuna e il resto gli venne facile.
“Ci sto!”
“Bene, allora finisci di aprire il pacco”.
Negi obbedì: dentro il pacco c’erano due bastoncini, sui quali erano state
infilate due fila di mele caramellate a mo di spiedini.
L prese uno dei bastoncini e cominciò a mangiare con calma.
Negi fece altrettanto.
E trovò tutto davvero buono.
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Capitolo 4 *** 4° Capitolo ***
4° CAPITOLO
Una volta finita la scuola, Negi volle subito cominciare le indagini con L.
Si trovavano in un vicolo poco distante dal Mahora.
“Sei certo di voler venire con me?” gli chiese il detective.
“Si! Non posso restarmene con le mani in mano mentre Asuna è nei guai!”
“Come vuoi. Ma le regole le fisso io, sia ben chiaro”.
“Chiarissimo”.
“Allora cominciamo stabilendo che tu verrai con me solo quando io te lo
permetterò. Quindi continuerai ad andare a scuola la mattina. Tue assenze troppo
prolungate potrebbero dare nell’occhio e guastare l’anonimato che mi è
essenziale. E ogni pomeriggio, dovrai assicurarti di avere qualcuno che ti
copra”.
“Ho un amico che sarà ben lieto di farlo”.
“E allora ci incontriamo oggi pomeriggio alle cinque. E mi raccomando, metti
dei jeans azzurri”.
“Eh? Perché?”
Ma L era già sparito.
Negi, tornato a casa, chiamò subito Kotaro per informarlo degli ultimi
sviluppi e creare insieme un piano di copertura.
Dopodiché attese trepidante il momento in cui avrebbero iniziato le indagini.
Accese la tv per sapere se c’erano state novità e non ne trovò.
La polizia era stata piuttosto abile nel nascondere le notizie alla stampa.
Intanto il nome di Asuna non era trapelato.
Si sapeva solo che la persona sospettata era una ragazza, un elemento sul
quale i media si erano subito scatenati con illazioni tra le più varie, che
andavano dall’amante fino alla sorella nascosta o alla figlia segreta.
Non si conosceva neppure il volto della ragazza.
Quella era un’altra buona cosa.
Cosi, quando Asuna sarebbe stata per forza scagionata, non avrebbe passato il
resto della vita additata come una possibile assassina.
Ora bisognava passare al contrattacco e per farlo era prima necessario
coprirsi.
Perciò, arrivata l’ora X, prese il telefono. “Kotaro, sono io. Allora è tutto
pronto?”
“Affermativo. Vieni a casa mia, poi da lì andremo al cinema. Uscirai di
nascosto usando una porta d’emergenza. Ufficialmente, per tre ore e mezza, tu
starai con me al cinema. Verso le otto e mezza, rientrerai dalla stessa porta.
Ricordati di farmi il segnale. Uao, è supereccitante! Mi sembra di essere in un
film!”
“Cerca di non montarti la testa. Ora vengo” disse Negi chiudendo il telefono.
Uscendo di casa, vide la madre seduta nel soggiorno e impegnata nell’ennesima
telefonata d’affari.
“Mamma, io vado al cinema con Kotaro”.
La donna gli fece un gesto con la mano, come a dire ‘ok’, dopodiché si
rituffò nella telefonata.
Negi sospirò rassegnato e se ne andò.
Il piano andò come prestabilito. Kotaro rimase nel cinema a vedersi due film
di Godzilla in successione, mentre Negi alla chetichella uscì da una porta
antincendio e raggiunse la casa di L.
Il suo ‘capo’ lo attendeva davanti all’ingresso, con uno zaino sulle spalle.
E stava sgranocchiando dei biscotti.
“Sono qui” annunciò Negi.
“Bene. Per prima cosa ci recheremo sul luogo del delitto” dichiarò L.
Sotto la scalinata c’erano due biciclette con la quale si diressero verso il
palazzo di Tokyo-Sol.
“Andiamo a cercare prove?” domandò Negi.
“Foffio fefificafe feffe fofe” rispose L con un leccalecca in bocca.
“Come prego?”
L si tolse il dolce dalla bocca. “Voglio verificare delle cose”.
L riprese a sgranocchiare i suoi biscotti. “Allora, il primo soggetto è
Chisame Hasegawa. Il nome non ti dirà niente, perché forse la conosci come Chiu”.
“La idol e presentatrice di quei programmi per bambini?”
“Esatto. E’ lei che afferma di avere visto Asuna colpire a morte Takamichi”.
Dicendo questo, L iniziò ad andare avanti e indietro.
Negi seguiva col capo i movimenti di L. “Ha intenzione di parlarle?”
“Non necessariamente. E poi sarebbe difficile. Hasegawa è una persona molto
gelosa della sua privacy. In studio è sempre solare e allegra, ma nella vita di
tutti i giorni è una persona seria e posata. Persino il gossip non ha quasi
niente su di lei. Quel tipo di giornalisti sono molto bravi a inventare di tutto
basandosi su qualche dettaglio. Ma la cura di Hasegawa nei confronti della
propria immagine è maniacale, la serietà con cui affronta la carriera è totale,
e loro restano quasi sempre a bocca asciutta. Le poche foto sulle riviste la
mostrano mentre passeggia o mangia qualcosa al bar. Niente che possa dare addito
a pettegolezzi”.
Negi annuì. “Capisco. Però vorrei che mi spiegasse una cosa”.
“Ovvero?”
“Perché per dirmi queste cose sta camminando sulla ringhiera a ottanta metri
dal suolo?!”
I due infatti si trovavano sul tetto del palazzo dove era stato compiuto
l’omicidio.
Il tetto era anche una terrazza, circondata da un’alta ringhiera dalla quale
si godeva una visione panoramica di Tokyo.
Ed L stava camminando avanti e indietro proprio su quella ringhiera.
Con assoluta calma, sgranocchiando biscotti e col vento che gli arruffava i
capelli.
Negi era inebetito: voleva dirgli di scendere.
Ma se quella mossa fosse stata collegata alle indagini?
E se cercava di afferrarlo per farlo scendere, non avrebbe invece corso il
rischio di farlo cadere?
“Insomma, L, sono già quindici minuti che sta passeggiando su quella
ringhiera! Cosa vuole fare?”
“Zuccheri e aria fresca. Un mix vincente” rispose lui con semplicità.
Negi cautamente si avvicinò alla ringhiera.
Più il tempo passava, più si innervosiva.
“Fai attenzione che non ti cada nulla di sotto” lo avvertì L.
Negi guardò giù e vide un piccolo gruppo di persone alla base del palazzo.
Concentrando vista e udito, intravedeva i gesti e udiva un mormorio
indistinto.
Tuttavia già immaginava cosa stessero dicendo.
Poi vide una persona, una ragazza, appoggiarsi alla parete-finestra di un
appartamento del palazzo che affiancava il loro.
L’appartamento si trovava più in basso rispetto ai due, subito sotto il tetto
adiacente.
La ragazza li osservò, e scosse la testa.
A quel punto L sembrò cadere di lato.
Verso il vuoto.
Dalla piccola folla sottostante giunse, lievemente, un grido.
Negi si protese per afferrare quello sconsiderato di L.
Che però, dandosi la spinta con la gamba nel vuoto e usando come perno la
gamba ancora appoggiata sulla ringhiera, fece una rotazione su se stesso,
modificò la traiettoria di caduta e cadde in piedi sul terrazzo.
Tutto era avvenuto cosi rapidamente che Negi stava ancora con le braccia
protese verso un punto ora vuoto.
L tirò fuori dallo zaino una maglia bianca uguale alla sua.
“Il colore dei jeans va bene. Metti la maglia”.
Quando Negi ebbe finito L, continuando a mangiare biscotti, disse “Scendiamo
di sotto”.
Allibito, Negi lo seguì.
Una volta scesi dal palazzo, L disse a Negi di andare avanti, attraversando
la strada che separava i due palazzi.
E alcune persone, di quelle che si erano raggruppate per assistere allo
strano spettacolo, prima sembrarono riconoscerlo, poi scossero la testa, dicendo
che era troppo piccolo.
Dopo anche L attraversò la strada, e lui fu riconosciuto, attirandosi mormori
di disapprovazione.
L non se ne curò, intento com’era a mangiare biscotti.
E Negi non volle chiedergli niente quando arrivò, perché non sapeva cosa
dire.
Entrati nel secondo palazzo, salirono con l’ascensore fino all’ultimo piano.
“Bene, Negi. Ora è il tuo turno” dichiarò L.
“Ovvero?”
Da una tasca, L trasse un piccolo taccuino con penna annessa.
“Vai a quella porta e bussa” ordinò consegnando il tutto a Negi.
Che perplesso obbedì, mentre L andò a nascondersi nelle scale affianco
all’ascensore.
Il ragazzino bussò e poco dopo la porta venne aperta da una bella ragazza,
vestita in modo casual e con lunghi capelli castani raccolti in una coda di
cavallo.
“E tu chi saresti?” domandò la ragazza squadrando il ragazzino da capo a
piedi.
“Io… ehm… ecco… io..” balbettò Negi.
La giovane puntò gli occhi sul taccuino.
“Oh, immagino che tu sia un mio piccolo fan, eh?” disse grattandosi il naso.
Prese il taccuino, scrisse qualcosa e lo riconsegnò a Negi facendo un lieve
sorriso.
“Ora torna a casa, piccolo” concluse la ragazza chiudendo la porta.
L fece cenno a Negi di raggiungerlo.
Negi guardò il taccuino. C’era scritto: “Con affetto, Chiu!”
“Quindi quella era Hasegawa!” esclamò Negi. “Cavolo, io conosco Chiu, ma al
naturale è cosi diversa rispetto a come appare in TV”.
“Esatto. Ora tocca a me. Tu nasconditi” dichiarò L tirando fuori dallo zaino
una cartelletta e un paio di occhiali.
Li indossò coprendo del tutto le sue occhiaie.
Poi premette un punto alla base della sua schiena, che magicamente diventò
dritta.
“Urca!” esclamò Negi.
Gli venne il sospetto che L avesse una colonna vertebrale meccanica.
E l’idea lo fece sorridere.
Con calma L andò alla porta di Hasegawa e bussò.
La ragazza tornò ad aprire.
“E lei chi è?” domandò guardinga.
“Salve, sto facendo una raccolta di fondi per i bambini orfani. Mi potrebbe
dare un’offerta?” domandò L.
“Ma che sta dicendo?” pensò Negi stupito.
Intanto Chisame, inarcando un sopraciglio, squadrò L da capo a piedi, poi si
guardò intorno e dalla tasca trasse una mazzetta di banconote.
“Tenga. Donazione anonima” precisò Hasegawa richiudendo la porta.
L tornò da Negi.
“E allora?” domandò incuriosito quest’ultimo.
“Andiamo a fare merenda” rispose L “Ha offerto lei”.
E superò Negi andando verso l’ascensore.
Il primo film di Godzilla non stava entusiasmando molto Kotaro.
La parte iniziale era stata piuttosto lenta, anche se gli insettoni
preistorici non erano male.
Sperò comunque che arrivato il momento dello scontro tra i medesimi insettoni
e il mitico Big G, le cose sarebbero migliorate.
Guardò l’orologio.
Erano le sette e mezza e a Negi restava solo un’ora per tornare al cinema.
Dopo di che, appena giunto dietro la porta da cui era uscito, l’amico gli
avrebbe fatto un segnale e Kotaro sarebbe andato ad aprirgli.
Ma era una cosa che andava fatta finché durava il film.
I movimenti si notano poco nel buio della sala.
Che comunque avevano scelto ad un orario in cui era poco affollata.
Kotaro si chiese se non la stessero facendo troppo pesante.
Ma Negi era stato categorico: la misteriosa persona che aveva contattato per
aiutare Asuna, voleva restare nell’anonimato più assoluto, quindi niente azioni
che avrebbero potuto in qualche modo collegarli.
Poteva solo aspettare quindi, sperando che l’amico non si ficcasse in guai
grossi.
D’altronde era anche una sua responsabilità, visto che lui aveva indirizzato
Negi verso quel misterioso sito.
Intanto arrivò il momento dello scontro tra Godzilla e lo sciame di insettoni.
“Vai Big G! Bruciali tutti!” esclamò il ragazzino.
Negi fissò sbalordito L: sembrava una macchina divoratrice di zuccheri!
Nella mezz’ora in cui erano stati in quel bar, L, seduto con i piedi sulla
poltrona, aveva già mangiato quattro ciambelle, cinque cornetti, due coni
gelato, tre leccalecca e adesso stava gustando una grossa fetta di torta alla
panna.
Particolare poi il modo in cui teneva il cucchiaino per la torta: lo reggeva
per un’estremità usando solo la punta di due dita.
La sua voracità era tale che Negi, accontentatosi di una sola fetta di torta,
non gli aveva chiesto niente su di lui e sulle strane azioni compiute poco
prima.
Né, d’altronde, L sembrava intenzionato a parlare, essendo solo concentrato
sul cibo.
Un’altra cosa che colpiva era che L mangiava mantenendo sempre un espressione
impassibile.
Niente versi o smorfie da ghiottone.
Bensì uno sguardo serio e controllato, come un chirurgo che effettua
un’operazione.
Lo strano detective chiese poi un caffè e il conto.
E quando il cameriere gli portò un vassoio con la tazza e il porta zucchero,
L prese il caffè e lo verso in quest’ultimo, mescolò col cucchiaio tenuto sempre
per l’estremità, bevve tutto di un fiato facendo attenzione a non dimenticare
neppure un granello di zucchero, lesse il conto e pagò in contanti il perplesso
cameriere.
Infine uscì, seguito a ruota da Negi.
“Ehm” azzardò quest’ultimo “Non pensa che tutto questo zucchero possa farle
male?”
“Lo zucchero è indispensabile per il cervello. E per la mia salute non mi
preoccupo. Fino ai trent’anni circa, il metabolismo regge perfettamente tale
ritmo” fu la risposta.
“Sarà. Comunque…”
“Eccolo” indicò L.
Mentre la giornata cominciava a volgere al termine, una grossa auto sportiva
entrò nel parcheggio sotterraneo del palazzo dove era avvenuto l’omicidio.
L e Negi vi rientrarono, presero l’ascensore e salirono fino al penultimo
piano.
Poi si nascosero nella tromba delle scale.
Poco dopo, da un altro ascensore, arrivò un uomo alto e molto robusto, con
indosso un completo sportivo e capelli biondissimi.
Fischiettando lo sconosciuto entrò in uno degli appartamenti.
“Quello è il secondo testimone, Ken Masters” spiegò L prevenendo Negi. “E’
appena rientrato dagli studi televisivi, dove tiene un programma sugli sport e
sul culturismo. E’ un uomo che tiene molto al suo fisico e alla sua immagine di
grande sportivo. L’anno scorso ha vinto il premio come sportivo giapponese
dell’anno. Questo perché si è ripreso splendidamente da un brutto incidente
automobilistico, tornando come prima. E anche lui tiene molto alla sua privacy”.
“Capisco”.
“Andiamo al piano di sopra” ordinò L.
Giunsero davanti all’appartamento dove era avvenuto l’omicidio, ancora
sigillato dai nastri della polizia.
Vedendo quel luogo, Negi sentì aumentare l’angoscia per Asuna.
“Aspetta qui” disse L tornando al piano di sotto.
Negi cominciava a non capirci più niente.
Che senso aveva tutto quello che stavano facendo in quella giornata?
Tanto più che il film di Godzilla sarebbe finito tra venticinque minuti,
rischiando cosi di far saltare la copertura.
Poi udì dei tonfi lontani, quindi la voce di L: “Corri qui!”
Pur non capendo, Negi eseguì l’ordine e correndo scese al piano sottostante,
vide L che gli faceva cenno di andare verso le scale, e una volta raggiunte L lo
mise dietro di se e scesero di un piano.
Dopo un po’, udirono una porta aprirsi, dei passi, un ‘Mah!’ e la porta che
si chiudeva.
Ritornarono al piano superiore.
“Bene” commentò L “Ora voglio che correndo fai il percorso inverso. E quando
passi davanti alla porta di Masters, bussa forte e grida aiuto. Poi scappa fino
all’appartamento di Takamichi”.
Negi era sempre confuso, ma obbedì ancora.
Scattò in avanti, si fermò alla porta di Masters, batté forte gridando:
“Aiuto! Mi aggrediscono! Aiuto!” e poi corse fino al piano superiore, fermandosi
col fiatone davanti alla porta di Takamichi.
Poco dopo, sentì leggermente la porta di Masters aprirsi, poi
un’imprecazione, probabilmente, e infine la porta che si chiudeva bruscamente.
L raggiunse Negi, con in bocca un nuovo leccalecca. “Afufa è fuafi
fifufafenfe fiffofenfe”.
“Eh?!”
L si tolse il leccalecca. “Scusa. Il gusto ciliegia mi aiuta molto. Dicevo
che quasi sicuramente Asuna è innocente”.
“Quasi?! Davvero?”
“Be, esiste un 1% di possibilità contrarie, comunque penso proprio che lo
sia”.
“E su cosa si è basato?” domandò Negi.
Sprizzava una confusa euforia da tutti i pori.
“I testimoni non sono attendibili” riprese L “Partiamo dal primo e più
importante testimone: Chisame Hasegawa.
Orbene, Chisame Hasegawa è miope. Non è in grado di distinguere bene le
figure oltre una certa distanza. Infatti non è riuscita a riconoscere noi due
nonostante prima, sul tetto, fossimo a solo quaranta metri di distanza da lei.
Mentre le persone in basso sono riuscite a riconoscerci nonostante fossero a ben
ottanta metri di distanza. Quando poi ha aperto la porta davanti a me ho
riconosciuto sul suo naso i segni, leggeri, degli occhiali.
Non ha riferito alla polizia questo particolare a causa della sua carriera:
Chisame Hasegawa tiene molto alla sua bellezza, al suo apparire, ritiene che gli
occhiali stonino troppo. Per questo cerca di tenerli nascosti. Sul lavoro e
fuori casa usa delle lenti a contatto. Indossa occhiali solo quando è in casa e
anche in quel frangente fa sempre attenzione a non farsi beccare mentre li ha
indosso. Neppure se deve affacciarsi alla finestra. O se ha di fronte un bambino
che desidera solo un autografo. Per lo stesso motivo è impossibile che qualcuno
possa sapere di questo suo difetto.
Sono sicuro che lei ha visto effettivamente qualcosa quella sera, ma si
trattava di una sfocata figura bianca che colpiva un’altra figura sfocata.
E’ stato il litigio che afferma di aver udito prima del delitto a rafforzare
la sua sicurezza di poter testimoniare tenendo nascosto il suo problema.
Lo stesso riguarda Ken Masters, perché ha la stessa mentalità, lo stesso
desiderio di apparire perfetto per non perdere pubblico.
E grazie anche al riserbo con cui ha circondato la sua vita privata, nessuno
immagina che l’incidente di un anno fa ha lasciato invece il segno, sulla sua
gamba destra.
Ho esaminato la sua cartella clinica e scoperto che se prova a camminare
normalmente, in teoria ci riesce, ma a prezzo di dolori lancinanti. Per questo
fa incetta di antidolorifici quando deve apparire in tv, lo sportivo dell’anno
non può permettersi di farsi vedere zoppicare.
Quando è in casa, la faccenda è diversa, si rilassa e non usa gli
antidolorifici.
In tal caso però, è obbligato a zoppicare, quindi la sua velocità diminuisce.
Una persona che corre dall’appartamento di Takamichi fino alle scale di
questo piano, ci impiega dai ventotto ai trenta secondi.
Masters per arrivare alla porta ci ha messo la prima volta quarantasette
secondi, scesi a quaranta quando sembrava che ci fosse un’emergenza. Quindi mi
risulta difficile credere che la notte dell’omicidio sia riuscito a intravedere
la figura dell’assassino o assassina. Al massimo può aver sentito qualcuno
scendere lungo le scale.
Anche lui ha creduto di poter testimoniare venendo convinto dal litigio udito
prima.
E inoltre, conosceva i dettagli perché glieli ha rivelati Hasegawa. Stando al
rapporto della polizia, i due si sono presentati insieme al commissariato.
Probabilmente lei ha detto a lui cosa ha visto, permettendo quindi a Masters di
avere dei particolari da riferire. E lui ha riferito le stesse cose di Hasegawa,
usando le stesse parole.
La loro testimonianza, unita alla visione dei filmati della festa, ha fatto
fare uno sbagliato due più due alla polizia”.
“Incredibile” mormorò Negi “Ma se quei due non erano testimoni attendibili,
perché diavolo hanno testimoniato?”
“Dovere di bravi cittadini. Una buona cosa, che purtroppo in loro è stata
contaminata dal divismo” spiegò L.
“Se le cose stanno cosi, allora possiamo far scagionare Asuna!”
“Meglio di no, per ora”.
Negi rimase di sasso. “E perché?”
“E’ tutto troppo studiato. Non trovi strano che due personalità famose,
entrambe con degli handicap e molto attente alla loro fama, pronte anche a
mentire ‘innocentemente’ pur di non danneggiare quest’ultima, si siano trovate
nello stesso momento ad essere testimoni dello stesso delitto? Qualcuno una
volta disse che due coincidenze fanno un indizio. L’indizio è che Asuna è stata
incastrata”.
“Incastrata? Non può essere. Chi può avere interesse a farla finire in
prigione?”
“Lo scopriremo. Comunque, dato che qualcuno trama nell’ombra contro Asuna,
allora è meglio se resta in prigione, dove sarà al sicuro. Farla tornare in
strada potrebbe renderla un bersaglio. Non dimentichiamo che comunque c’è un
assassino in questa storia”.
“Mi sa che ha ragione” ammise Negi chinando il capo. Gli occhi caddero
sull’orologio. “Cavolo! Il secondo film sta per finire! Devo tornare al cinema”.
“Ci vediamo domani, stesso luogo e stessa ora. Indagheremo su come Asuna è
finita a quella festa” disse L tirando fuori un altro leccalecca.
Negi annuì e corse via.
Sullo schermo avevano cominciato a scorrere i titoli di coda.
E Kotaro aveva iniziato ad innervosirsi: dove era finito Negi?
Probabilmente se la stava prendendo troppo, in fondo erano solo due ragazzini
in un cinema.
Però quella era una faccenda di omicidio, quindi non voleva correre alcun
rischio.
Finalmente dal suo cellulare arrivò uno squillo con il numero di Negi.
Sollevato, Kotaro si alzò alla chetichella e si diresse verso la porta
d’emergenza, l’aprì ed entrò trafelato Negi.
Ritornarono ai loro posti e le luci in sala si riaccesero nell’istante in cui
si sedettero.
Kotaro fece un sospiro di sollievo. “Uff, per un pelo. Come è andata?”
“Bene. Molto bene” rispose raggiante Negi.
Nota dell'autore: l'idea dei due testimoni invalidi e
ingannati dal litigio l'ho presa dal bel film 'La parola ai giurati' con Jack Lemmon.
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Capitolo 5 *** 5° Capitolo ***
5° CAPITOLO
“Sono già quattro giorni” commentò Negi mentre preparava la cartella.
Quattro giorni senza poter vedere la sua Asuna.
E chissà cosa stava pensando lei in quel momento.
Si sarà sentita abbandonata?
No, mai! Lui non l’avrebbe mai abbandonata.
Però doveva dimostrarglielo.
E sua madre non voleva accompagnarlo, era ormai evidente.
Sempre impegnata nei suoi affari, e ad ogni tentativo, come pure quella
stessa mattinata, rispondeva che in quel momento non aveva tempo.
Non aveva mai tempo.
Basta, Negi non l’avrebbe più aspettata.
E proprio in quel momento si ricordò che c’era una persona capace di
accompagnarlo da Asuna.
Ovvero Konoka.
Quando la scuola era da poco finita, e mancavano almeno quattro ore
all’appuntamento con L, prima di tornare a casa Negi aveva chiesto a Kotaro di
accompagnarlo dall’amica di Asuna.
Tuttavia, a causa di un contrattempo, l’amico poté accompagnarlo quando non
mancava molto all’appuntamento col detective.
“Ho comunque il tempo di chiederle questo favore” pensò Negi.
Kotaro si era inizialmente eccitato, perdendo subito entusiasmo quando gli fu
spiegato che L non c’entrava nulla.
Negi salì le scale per l’appartamento di Konoka: la ragazza abitava in un
attico molto lussuoso, all’ultimo piano di un palazzo di proprietà della
famiglia Konoe.
Cosi Eishun Konoe si era assicurato che la figlia non avesse problemi col
vicinato.
Il ragazzo si annunciò al citofono e Konoka andò subito ad aprire.
“Negi, che piacere vederti!” esclamò lei abbracciando con forza l’ospite.
“Off, piacere mio. Come stai?”
Konoka lo fece accomodare. “Di salute, bene”.
“Capisco”.
L’appartamento era molto sobrio e raffinato, uno spazio luminoso dove il
colore dominante era il bianco. Al centro c’era un grande divano a pois, con
cinque cuscini dello stesso colore a coprire lo schienale. Il pavimento era
coperto da una morbida moquette bianca. Sul camino c’era una serie di foto che
ritraevano Konoka con varie persone amiche.
Negi, sedendosi vicino al divano, diede un’occhiata: lui si aspettava che la maggior parte delle foto
riguardassero Asuna. Ma anche se c’era, quasi tutte le foto mostravano la Konoe
insieme ad una bella donna, più grande di lei e dall’aria molto professionale.
“Vuoi che ti prepari the e pasticcini?” domandò la padrona di casa.
“No, grazie” rispose Negi, notando come la ragazza avesse gli occhi un po’
arrossati.
“Se vede che è preoccupata per Asuna. Del resto, è stata lei a chiederle di
accompagnarla a quella festa, quindi si sente responsabile. E’ davvero una
persona sensibile” pensò lui.
Tale pensiero lo incoraggiò. “Senti Konoka, vorrei chiederti un favore”.
“Quale?”
“Mi accompagneresti a trovare Asuna? Ho il forte sospetto che a mia madre non
interessi”.
A quelle parole, Konoka impallidì. “Perché… lo chiedi a me?”
“Se andassi da solo, non mi lascerebbero entrare. Ho bisogno di una persona
maggiorenne. E poi, tu tieni ad Asuna quanto me, siete amiche, quindi la tua
vista la rincuorerebbe di sicuro”.
“Be, questo può essere… tuttavia, io non posso”.
“Eh? E perché?”
“Perché… perché ho da fare. Anzi, proprio adesso mi sono ricordata che ho un
appuntamento urgente”.
Konoka tirò fuori una borsetta e sembrò controllare un block notes.
“Ho tanto da fare, torna un’altra volta! Adesso non ho tempo” disse a Negi
quasi supplicandolo.
Negi inizialmente rimase assai sorpreso, ma durò poco.
Perché sentendo quelle frasi, già troppe volte sentite a casa sua, qualcosa
scattò dentro di lui.
“Adesso basta!” tuonò Negi balzando in piedi.
Konoka sussultò a quella reazione.
“Ma si può sapere cosa vi ha fatto la povera Asuna?! Prima mia madre, adesso
tu! Perché, perché volete abbandonarla al suo destino?! Siete talmente
disinteressate a lei che non vi preoccupate neppure di trovare una scusa
decente!
Mi fate schifo! E mi fai schifo soprattutto tu! Quante volte Asuna ti ha
aiutato? Non siete amiche sin da quando eravate piccole? Tutte le volte che ti
ha protetta, non contano niente per te? Sembra di no, visto che non vuoi andarla
a trovare! E un avvocato, per Asuna non hai voluto trovarlo, vero?!
Te ne freghi di Asuna, proprio tu che tra l’altro sei responsabile di averla
accompagnata a quella dannata festa!
Sei un essere spregevole, sei…”
Il rumore di uno schiaffo interruppe lo sfogo di Negi.
Konoka fremeva e piangeva a dirotto. “Come osi?! Dannato moccioso, come osi
dirmi questo?! Cosa ne sai della mia vita, di quello che ho passato? Asuna mi ha
oppresso, ma comunque le voglio bene. Io non volevo che finisse cosi! E ora
fuori! Fuori da casa mia!!” urlò indicando la porta.
Negi, ammutolito e toccandosi la guancia colpita, uscì.
Ritornò da Kotaro.
“Che hai fatto alla guancia?” chiese lui.
“Niente” rispose Negi.
All’orario fissato, e sempre con la copertura ‘cinematografica’ di Kotaro,
Negi si recò da L.
Trovò lo strano investigatore seduto, con i piedi nudi sopra la sedia,
davanti ad alcuni monitor.
Le gambe erano piegate fino al petto, le mani posate sulle ginocchia, il
volto protesto verso gli schermi.
Circondato da vassoi di dolci, L in quel momento stava rimuginando
intensamente.
“L, sono…”
L lo bloccò alzando un braccio, poi gli fece cenno di avvicinarsi.
Facendolo, Negi si accorse di cosa L stesse guardando: erano filmati a colori
di una festa, con tanto di sonoro, anche se giungeva solo come brusio
indistinto.
In un salone che a Negi sembrò familiare.
In un angolo dello schermo, c’era la data.
“Ehi, ma quella… non sarà mica la festa dove è avvenuto l’omicidio?”
“Si” rispose L senza distogliere lo sguardo.
“Dove ha trovato questi filmati?”
Con quella domanda, Negi si rese conto di altri strani dettagli cui in
precedenza non aveva dato peso: come faceva L a sapere cosa avevano testimoniato
Hasegawa e Masters? E come aveva ottenuto la cartella clinica dell’uomo?
La polizia aveva messo una barriera alle informazioni, per impedire il caos
mediatico.
Nessuno conosceva i dettagli.
L prese alcuni confetti, iniziando a mangiarli uno alla volta. “Ho le mie
fonti. Successo niente, oggi?”
“Perché me lo chiede?”
“Hai la guancia rossa”.
“E come fa a saperlo? Non si è mai voltato verso di me”.
L indicò uno dei pochi monitor spenti.
Sulla sua superficie era riflessa l’immagine di Negi.
Tuttavia era una superficie piuttosto scura, quindi non era proprio come
guardare in uno specchio.
Eppure…
“Incredibile!” pensò Negi toccandosi quella guancia.
“E’ stata tua madre?”
La domanda di L sorprese Negi. “No, non è stata lei. E poi, come fa a sapere
che sto con mia madre?”
“Questo non lo sapevo” ammise L “Tuttavia il rossore dimostra che si tratta
di uno schiaffo recente. Difficilmente possono avertelo dato a scuola, sei un
ragazzino troppo beneducato, più probabile che sia successo dopo la scuola. E la
quantità di rossore indica che si è trattato di una mano femminile. Un maschio
avrebbe lasciato un segno maggiore”.
“Niente male. Comunque non è stata mia madre. Non ne avrebbe nemmeno
l’occasione”.
“Problemi con lei?”
“Anche se fosse, non sono affari suoi”.
“Si, hai problemi. Dimmi solo una cosa: tu sei nato dopo nove mesi dal
matrimonio?”
“Be, si”
“Quindi non sei nato né troppo presto né troppo tardi?”
“Si, ma cosa c’entra?”
A quel punto accadde una cosa strana: L sorrise.
Un sorriso rassicurante.
E cosa ancora più incredibile, gli mise una mano sulla testa e delicatamente
ci picchiettò sopra col palmo.
Un gesto che di solito si fa con i cani, ma viste le stranezze di L, era
ovvio che non intendeva offendere.
Quello era un gesto di affetto.
“Tranquillo, tutto si sistemerà. Dai tempo al tempo”.
Prima che Negi potesse dire qualcosa, L ritornò serio e dai confetti passò ad
altri dolcetti. “Hai parlato con una persona che poi ti ha colpito?”
“Si”.
“E come mai? Riguarda Asuna?”
“Infatti. E’ la persona che Asuna ha accompagnato alla festa”.
“Ovvero Konoka Konoe”.
“Come lo sa? No, non lo dica… ha le sue fonti”.
“Esatto. Avete litigato?”
Mentre Negi raccontava, L poggiò la punta del pollice sul labbro inferiore.
“Fino a ieri” continuò Negi “ non avrei mai sospettato di Konoka. Voglio
dire, mi è sempre sembrata una persona onesta e sensibile, nonché grande amica
di Asuna, che sin da quando erano piccole l’ha sempre protetta e aiutata. E
invece… “
“Interessante” commentò L versandosi del the in una tazza, in cui infilò
alcuni cubetti di zucchero. Poi mescolò il tutto usando un leccalecca a gusto
the. “Soprattutto la reazione di Konoka: rabbia e lacrime. E le ultime due
frasi: ‘Asuna mi ha oppresso, ma comunque le voglio bene’ e ‘Io non volevo che
finisse cosi!’. Come se, secondo le sue intenzioni, sarebbe dovuto succedere
altro”.
“Sta insinuando che Konoka ha voluto incastrare Asuna per omicidio e poi si è
pentita?”
“La prima cosa, no. La seconda, si. Hai notato altri particolari?”
“Be, che forse Asuna non è neppure la sua migliore amica. A casa sua, Konoka
tiene tante foto, e la maggior parte la ritraggono con una donna che non
conosco, più grande di lei ”.
L si voltò di scatto verso Negi. Lo guardò con occhi penetranti. “Sapresti
riconoscere quella donna?
“Ecco” Negi arrossì per l’imbarazzo “Penso di si”.
Premendo i tasti del computer con solo la punta degli indici, L attivò dei
programmi di ricerca, e i filmati della festa iniziarono a scorrere avanti.
Inoltre ci fu uno zoom che permetteva di scorgere i volti.
Ma anche cosi per Negi erano solo una massa di volti anonimi che si muovevano
a velocità innaturale.
“Eccola!” esclamò L.
Zoomando ulteriormente, inquadrò Konoka che stava parlando con una persona,
una donna.
“E’ lei?” chiese L.
“Si. Ehi, quella è Asuna!” esclamò Negi.
Vedendola in quelle immagini, ancora felice, sentì una stretta al cuore.
E accarezzò lo schermo.
I due videro Konoka ricevere un bicchiere dalla sua conoscente e portarlo ad
Asuna.
Poi si vide Takamichi accompagnare Asuna fuori dal salone, Konoka si
riavvicinò alla donna con cui si era intrattenuta prima. La conoscente però era
andata al bagno insieme ad un uomo.
Visto ciò, Konoka cominciò a gironzolare per la sala.
L’ora del video indicava che erano le undici e trentaquattro.
Dieci minuti dopo, gli invitati si spostavano all’esterno, ma Konoka rimase
dentro, passeggiando senza una meta.
Alle undici e cinquantotto le suonò il cellulare, la ragazza lasciò la sala.
E non apparve più.
L fece tornare l’immagine su quella donna, mise in pausa e la scrutò,
mettendosi di nuovo il pollice sul labbro.
“Quella è una famosa giornalista, e lavora per Sakura Tv” spiegò il detective
“Si chiama Kiyomi Takada. La sua presenza lì è dovuta al fatto che Sakura Tv era
tra gli sponsor della festa. Questo perché è tra i finanziatori di Tokyo-Sol.
Parecchie personalità di quella rete erano a quella festa. E…”
Il volto di L si illuminò: muovendo le dita con incredibile agilità richiamò
alcuni dati: il curriculum di Masters e Hasegawa.
“Entrambi sono diventati famosi lavorando a Sakura Tv. Come pure Takamichi.
Poi hanno cambiato rete, ma questo non impedisce che siano rimasti vecchie
amicizie. Il cambio di rete è avvenuto sette mesi fa e loro si sono trasferiti
in quegli appartamenti, secondo i dati, proprio sette mesi fa. Takamichi solo
due mesi fa”.
“Sta dicendo che quella Takada può c’entrare con l’omicidio?”
“Vedremo. Intanto vediamo cosa ha fatto durante la festa”.
Le immagini tornarono indietro, lo zoom si concentrò su Takada e il suo
accompagnatore.
La donna, che aveva una grossa borsetta, entrò in uno dei bagni, mentre
l’uomo, piuttosto corpulento, con occhiali e baffi, rimase fuori ad aspettarla.
Aspettando, fermò uno di passaggio e gli chiese qualcosa.
“Non si sente niente” obbiettò Negi.
L premette altri pulsanti: sull’immagine si aprì una finestra, attraversata
da una linea rossa deformata da picchi.
Apparve poi un’altra linea, collegata da una freccia al punto del filmato che
interessava loro.
La seconda linea fece sparire la prima.
“Ho isolato, dai rumori della festa, quelli che ci interessano” spiegò L.
“Dove li prendi tutti questi congegni?”
L guardò Negi e sfoderò uno strano sorriso, da bambino furbetto.
Poi tornò a concentrarsi sul filmato.
****
L’uomo sembrava fare la guardia al bagno dove si trovava Takada.
Fermò una persona che passava di lì.
“Scusi, ha una sigaretta?”
“Certo” rispose l’altro porgendogliene una da un pacchetto.
“Scusi un momento, chiedo anche al mio capo”.
Aprì lievemente la porta, infilando di poco la testa nella spazio creatosi e
mise una mano sul bordo della porta, con le dita piegate verso l’interno del
bagno, per tenerla ben ferma.
“Miss Takada, vuole una sigaretta?”
“No, grazie, è meglio se non fumo” rispose una voce di donna proveniente
dall’interno del bagno.
“E’ sicura che non vuole aiuto?”
“Tranquillo, Demegawa. Sono sicura che tra poco mi passerà”.
Demegawa congedò l’uomo delle sigarette. “Sarà per la prossima volta”.
Rimasto solo, continuò ad aspettare.
Un gruppetto di signore si avvicinò al bagno. “Oh, scusate, signore. Ma devo
chiedervi di aspettare o di usare un altro bagno” intervenne lui.
“E perché, scusi?” domandò una delle invitate.
“Il bagno è occupato da una persona molto gelosa della sua privacy”.
“Ovvero?”
“Kyomi Takada”.
A quel nome, le signore si guardarono e si allontanarono.
Finalmente Takada uscì dal bagno.
“Mi potresti dare un bicchiere d’acqua?”
“Subito”.
Demegawa fermò uno dei camerieri che stava per raggiungere gli ospiti da poco
usciti.
Prontamente il cameriere andò a prendere una bottiglia d’acqua e un bicchiere
e li porse a Demegawa, che a sua volta li portò alla Takada, in attesa davanti
alla porta del bagno.
Dopo aver bevuto, i due raggiunsero gli altri ospiti.
****
“In quel momento erano le undici e cinquantanove” annotò L.
“Sembra che possiamo escludere anche lei” disse Negi.
“Andiamo” disse L.
“E dove?”
“Al palazzo della festa. D’altronde il bar di ieri sera era davvero ottimo”.
“La situazione sta diventando troppo pesante! Basta!” esclamò Konoka al
telefono.
“Cara, ti ho già detto di avere pazienza. Le cose andranno bene, vedrai”
rispose la voce dall’altra parte.
“Ma come bene?! Asuna è stata arrestata e incriminata! Se avessi saputo che
le cose finivano cosi, non ti avrei mai detto di si!”
“Io ho solo cercato di venirti incontro. L’approvazione e l’ispirazione sono
venute da te. Comunque non posso negare una mia parte di responsabilità, lo
ammetto”.
“Che tu lo ammetta è il minimo! Sei tu che hai sbagliato i calcoli!” strillò
Konoka mettendo giù bruscamente la cornetta.
“Asuna! Asuna! Mi dispiace tanto!” esclamò la ragazza tra le lacrime.
Asuna guardava il cielo dalla finestra della sua cella.
La cella era piccola, con solo una brandina, un tavolino e uno sgabello.
Doveva già ritenersi fortunata che l’avessero portata in cella d’isolamento,
lontana dai veri criminali.
Una buona cosa, che tuttavia compensava poco il fatto che il giudice non
avesse concesso la cauzione.
Ma quello che l’angosciava veramente era ben altro: nessuno era venuta a
trovarla dal giorno dell’arresto.
Aveva tanti amici e amiche.
Perché nessuno veniva?
Soprattutto, perché non venivano Negi e Konoka?
Possibile che l’avessero abbandonata?
Impossibile, loro la conoscevano e sapevano che non poteva essere un
assassina.
Però le cose stavano davvero cosi?
Nella sua memoria di quella sera c’erano cosi tanti buchi, che sotto sotto
cominciava a chiedersi se davvero non fosse lei la colpevole.
Aveva ucciso Takamichi, magari per difendersi e in preda ad un delirio dovuto
alla droga?
E poi aveva dimenticato tutto, come succede agli ubriachi?
Scosse la testa e si portò le mani al viso.
“Dio mio, perché mi succede questo?”
Si ridestò e guardò l’orologio. Mancavano quindici minuti all’incontro con il
suo avvocato, per la strategia difensiva.
Obata si considerava abbastanza ottimista.
Lei invece, temeva di non saper più cosa pensare.
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Capitolo 6 *** 6° Capitolo ***
6° CAPITOLO
Il salone delle feste era diventato ormai tanto, troppo familiare, per Negi.
Lì la sua Asuna aveva vissuto i suoi ultimi momenti felici prima di
precipitare nell’incubo.
L invece scrutava quella sala, muovendosi con la sua andatura curvata in
avanti e con le mani in tasca.
Qualche inserviente gli gettava delle occhiate incuriosite.
O forse irritate, per la presenza di un tipo strano come L in un luogo
pensato per gente altolocata.
“Negi, andiamo in quel bagno” ordinò poi L tirando fuori l’ennesimo
leccalecca.
Il detective si fermò davanti alla porta.
La fissò intensamente, quasi volesse penetrarla con gli occhi.
“Fu afeffami fui”.
Negi porse l’orecchio. “Prego?”
L si tolse il leccalecca dalla bocca. “Aspettami qui” disse, ed entrò.
“L, quello è un bagno per signore…” obbiettò Negi, inutilmente.
Fortuna che gli impiegati del palazzo non se n’accorsero.
Almeno questo pensava Negi.
Invece quello strano tizio non era stato dimenticato da uno degli
inservienti.
Che si avvicinò con fare un po’ minaccioso.
“Ehi tu, ragazzino. Dov’è quel tipo strano che stava con te prima?”
“Ehm, è andato via…” provò a giustificarsi Negi.
“Non l’ho visto uscire. Temo invece che sia andato nel bagno delle donne!”
Prima che Negi potesse fermarlo, l’altro era già entrato.
Negi si sentì paralizzato dalla tensione: cosa sarebbe successo?
E lui cosa doveva fare?
Scappare?
Non ci teneva a fare la figura del vigliacco.
Qualche minuto dopo l’uomo uscì, con un’espressione alquanto contrariata.
Negi si preparò al peggio.
“A quanto pare avevi ragione, ragazzino. Nel bagno non c’è nessuno. Comunque
la prossima volta che rivedi quel tizio, digli che è meglio se non gironzola qui
dentro”. Detto questo, l’inserviente se n’andò.
La cosa lasciò esterrefatto Negi: che significava che nel bagno non c’era
nessuno?
Passarono altri minuti, quanto bastava perché Negi cominciasse a pensare
davvero che L se n’era andato.
Ad un tratto da dentro il bagno, o meglio, dietro la porta, si udirono dei
lievi colpi.
A quel punto Negi decise di dare un’occhiata dentro e non appena fece per
aprire la porta, andò a sbattere contro qualcuno.
“Negi, non si sbircia dentro il bagno delle donne” esclamò L.
“Ehi, ma da dove sbuchi?!”
“Andiamo nel bar. Mi serve qualcosa di dolce”.
Un bip inascoltato arrivò dalla tasca di Negi. Il suo cellulare si era scaricato.
Kotaro stava seguendo l’ennesimo film al cinema, ufficialmente in compagnia
di Negi.
Gli squillò il cellulare, lesse il numero.
“Cavolo, è la casa di Negi. Ma lui ora dovrebbe essere dall’investigatore”.
Kotaro rispose. “Pronto?”
“Ciao Kotaro, sono la mamma di Negi”.
Il ragazzo rimase senza parole: era la prima volta che la madre di Negi gli
rivolgeva la parola.
In passato non solo l’aveva vista pochissimo, ma non gli aveva mai neppure
parlato, solo rapidi cenni di saluto, prima di perdersi in qualche telefonata
d’affari o nella lettura di montagne di scartoffie.
Cosa poteva mai volere?
“Salve, signora. Che posso fare per lei?”
“Mi passi Negi? Al suo cellulare non risponde”.
Kotaro si guardò intorno freneticamente. Doveva improvvisare.
“Ehm, Negi adesso non può venire a parlare. E’ al bagno”.
“Capisco. Forse puoi aiutarmi anche tu. Sapresti dirmi se c’è qualcosa che
non va? In questi ultimi giorni, mi sembra strano”.
“Be, signora, si tratta della faccenda di Asuna”.
“Ah si?”
“Si, signora. E’ ovvio che Negi sia molto preoccupato per lei”.
“Davvero?”
“Certo. Le vuole molto bene, la considera come una sorella”.
Anzi, molto di più, però questo ritenne di non doverlo dire.
“Capisco. Grazie, Kotaro”.
Cosi terminò la telefonata.
Kotaro alzò le spalle e riprese a godersi il film.
L e Negi erano tornati nello stesso bar dell’altra volta.
Il detective era sempre seduto con i piedi sulla poltrona, mangiava caramelle una alla volta e giocava con i cubetti di zucchero.
“Si può sapere dove eri finito in quel bagno?” domandò Negi con una coca cola
in mano.
“Ora compirò una piccola magia”.
L iniziò a mettere uno sull’altro i cubetti di zucchero.
“Facciamo conto che c’è una donna, che chiameremo X.
Questa donna è alla festa la sera dell’omicidio.
Quando vede Takamichi e Asuna andare via, alle undici e trentaquattro, si fa
accompagnare nel bagno da un suo aiutante.
Una volta nel bagno, deve raggiungere l’appartamento di Takamichi.
E deve farlo uscendo dal bagno senza farsi vedere.
Il metodo esiste. Infatti i bagni di quel palazzo possiedono una rete di
condotti per la ventilazione, abbastanza grossi perché ci passi una persona e
ramificati in modo da raggiungere qualunque punto del palazzo in pochi minuti.
Io, procedendo con calma, ci ho messo ventidue minuti. X, che conosce bene lo
schema dei condotti e si muove più velocemente, ci ha messo sicuramente molto
meno tempo. Per una questione di manutenzione, dentro ogni condotto ci sono
degli appigli appositi a mo di scaletta, per permettere l’arrampicata.
Inoltre nei bagni, gli ingressi dei condotti d’aerazione sono camuffati,
nascosti, per questioni estetiche.
Li puoi individuare cercando le correnti d’aria.
Aprirli è molto facile, se si ha un minitrapano di quelli silenziosi.
Altrimenti li devi sfondare, ma in tal caso è meglio non farsi vedere più lì.
X sa dei condotti perché essendo un pezzo grosso di una delle aziende
finanziatrici del palazzo, non ha certo avuto problemi a procurarsi i progetti
di costruzione.
Perciò una volta nel bagno tira fuori dalla borsetta, un modello piuttosto
grande, un abito bianco, probabilmente una tuta, una parrucca di capelli
rossicci, entra nel condotto e sale indisturbata fino al luogo designato.
Il condotto sbuca nella cucina di Takamichi.
I dettagli di ciò che avviene dentro sono ancora da definire, ma sbirciando
dalle fessure della grata, ho ricostruito la scena nella sua sostanza: probabilmente X inscena una finta lotta col cadavere di Takamichi. O magari è solo stordito. Comunque finge
una colluttazione davanti alla parete-finestra del soggiorno e comincia tale lotta non
appena Hasegawa si affaccia richiamata dal rumore del litigio. Litigio che quasi
sicuramente era già stato inciso su un registratore.
Date le condizioni dell’ambiente, non era necessario che le parole e le voci
fossero giuste. Sarebbe bastato far capire che si trattava di un uomo e di una
donna che litigavano accanitamente.
X colpisce più volte mortalmente Takamichi, poi fa uscire di scena entrambi.
X sa che Hasegawa è miope, il suo mestiere l’ha portata a conoscere tanti
piccoli segreti, che per un motivo o per un altro non si dicono. Capita, in
quegli ambienti.
Quindi Hasegawa non è in grado di capire che in quel litigio c’era qualcosa
di sbagliato.
A quel punto, resta da creare il secondo testimone.
X non può correre il rischio di farsi vedere da Masters.
Infatti, pur sapendo dell’handicap di quest’ultimo, non sa da che punto del
litigio egli ha deciso di andare a vedere.
Per questo non parte dalla porta, ma passa attraverso un altro condotto, il
quale, tagliando tra i muri, le fa guadagnare almeno venti secondi, facendola
uscire sulla scalinata a sinistra dell’appartamento di Masters.
Perciò, non appena sente la porta aprirsi, le basta limitarsi a scendere
lungo le scale correndo, l’unica cosa che Masters ha chiaramente sentito.
Quando lo sportivo rientra in casa, X rifà lo stesso percorso al contrario,
chiudendo tutte le grate dietro di sé, e torna nel bagno del salone, dove si
cambia.
E’ inoltre molto astuta, perché sa che la polizia può scoprire i condotti e
far crollare il suo alibi.
Ed è qui che entra in gioco il suo complice.
Il quale ferma alcune persone per far capire e vedere loro che X si trova nel
bagno.
Per rendere il tutto più realistico, X ha nascosto un registratore
dietro la porta del bagno attaccandolo con del nastro adesivo.
Il registratore contiene una serie di risposte precise, una dopo l’altra, a
precise domande, come l’offerta di una sigaretta.
Una volta tornata, X deve solo cambiarsi, recuperare il registratore, chiedere un bicchiere d'acqua per creare un nuovo testimone e infine riunirsi alla
festa, alle undici e cinquantanove.
Cosi facendo ha creato un alibi perfetto per sé e anche per il suo complice,
alibi testimoniato da persone e da telecamere.
Quello però che non immaginava era che dietro la porta sarebbero rimaste
alcune tracce del collante usato per il nastro adesivo, nel punto dove stava il
registratore, ovvero il punto dove il suo complice metteva la mano quando si
affacciava dentro il bagno.
L’ho scoperto attaccandovi l’incarto di un leccalecca, che invece non
riusciva a restare attaccato altrove.
“Incredibile” disse Negi.
Oltre che dalla ricostruzione, era rimasto colpito anche dalla scultura
verticale a forma di X che L aveva creato con i cubetti di zucchero.
Come diavolo riusciva a fargli stare uno sull’altro se erano inclinati?
“Magia!” commentò L tirando di nuovo fuori quel sorrisetto da bambino
birbante.
Negi si strinse nelle spalle. “Comunque immagino che questa X sia Takada, vero?”
“Le probabilità sono basse, ma è stata quasi sicuramente lei”.
“Eh? Ma se le probabilità sono basse… mah, ci rinuncio. Ritieni che possiamo
denunciarla?”
“No” rispose L cominciando a mangiare uno dopo l’altro i cubetti di zucchero.
“La mia ricostruzione, pur corretta nella sostanza, è indiziaria. Prove vere non
ce ne sono. Un bravo avvocato, di quelli che Takada può permettersi, la farebbe
uscire nello stesso giorno dell’arresto. E poi ci sono altri aspetti da
chiarire. Ma il seguito alla prossima puntata”.
Negi guardò l’orologio. “Cavolo, è vero. Tra poco il film finisce e deve
tornare a casa. Ci vediamo domani, L. Sei fantastico!”
Uscendo dal bar, Negi si rese conto solo allora che aveva cominciato a dare del tu ad L.
Quando Negi ritornò a casa, una cosa lo colpì subito: il silenzio.
Come mai non sentiva sua madre?
Le altre sere era impegnata in una delle sue telefonate o letture di lavoro.
Guardò dappertutto e non c’era.
Che avesse ricominciato a fare la latitante?
No, lo avrebbe avvertito.
E poi verso quel ora ritornava sempre a casa.
Che le fosse successo qualcosa?
Forse si era sentita male e l’avevano ricoverata.
Ma avrebbero dovuto avvertito col cellulare, no?
Solo allora lo prese e si accorse che era scarico.
Una certa angoscia s’impadronì di lui.
“Mamma!” esclamò apprestandosi ad uscire.
Non appena aprì la porta, se la ritrovò davanti.
“M-mamma!?”
“Negi, stavi uscendo?”
“Stavo andando a cercarti”.
“Sono uscita a fare una passeggiata”.
“Oh be, allora… cosa c’è per cena?”
“Niente cibi precotti” disse la donna.
“Come mai? I tuoi affari non ti hanno permesso di preparare uno dei soliti
pranzi precotti?”
Non c’era ironia o critica nella voce di Negi.
Era una semplice constatazione.
Eppure la madre ne rimase colpita.
“E che non avevo voglia di prepararlo. Volevo uscire e schiarirmi le idee”.
“Problemi con qualcuno dei tuoi affari?”
“Ritieni impossibile che io possa parlare di cose umane, vero?”
Anche in questo caso, nessun sarcasmo, solo una constatazione.
Negi la guardò incuriosito. “Cosa c’è che non va?”
“Tutto. Come donna, sono assorbita da continue questioni finanziarie. Come
moglie, in pratica sono ancora nubile. E come madre…. Sono un disastro. Tre su
tre. Un disastro!”
“Mamma…”
La donna andò a sedersi. “Negi, tu vuoi molto bene ad Asuna, vero?”
“Si”.
“E adesso capisco il perché. E’ la figura di riferimento di cui tutti i
bambini hanno bisogno. Vorrei tanto averlo capito prima. Mi dispiace, Negi, mi
dispiace tanto”.
Lacrime cominciarono a scenderle lungo il viso.
“Forse… continuò lei “forse avrai pensato che io e tuo padre non ti
volessimo. Non mi stupirebbe, visto quello che facciamo, anzi, non facciamo per
te. Ma ti giuro che non è cosi. Quando ci siamo sposati, volevamo un figlio, lo
volevamo a tutti i costi. Però dopo… non lo so. Forse ci siamo sentiti inadatti,
forse ci siamo preoccupati troppo della carriera, per il bene della famiglia.
Cosi facendo, abbiamo finito per rendere il mezzo uno scopo. E ci siamo
dimenticati di te. Io, davanti alla tua sofferenza per Asuna, non sono riuscita
a capire. Per questo non ti ci ho mai accompagnato. Tu avrai forse pensato a
delle scuse. Non lo erano. Semplicemente, e orribilmente, non ne capivo il
perché. Che razza di madre sono stata?! Che razza di madre permette al proprio
figlio di considerare una cosa normale, abitudinaria, il non prendersi cura di
lui?”
Negi non credeva ai suoi occhi.
Non aveva mai visto la madre esprimere cosi i suoi sentimenti.
Con lui, tra l’altro.
“Mi dispiace tanto!!” esclamò infine la madre coprendosi il volto con le mani
e piangendo a dirotto.
Negi corse ad abbracciarla.
“Mamma, non piangere” le disse cominciando a piangere anche lui.
“Devi… devi odiarmi, vero?”
“No, non potrei mai odiarti, mamma! Mai!”
“Piccolo mio! Vuoi davvero una madre orribile come me?”
La risposta fu un abbraccio ancora più forte.
Per diverso tempo rimasero abbracciati.
Poi il cellulare della donna squillò.
Quel suono li fece separare.
La madre si sistemò i lunghi capelli biondi, riacquistò sicurezza e rispose:
“Pronto?. Oh, è lei Mr. Fiji. La questione delle nostre quotazioni in borsa? Be,
sa cosa le dico? Che possono aspettare. La richiamerò io quando ne avrò voglia.
Non mi aspetti alzato!”
La donna chiuse il cellulare buttandolo in un angolo.
“Ora, che ne dici se ti preparo la cena? Forse mi ricordo come si fa”.
“Sono sicuro che lo ricordi perfettamente. Hai una memoria di ferro” rispose
Negi asciugandosi le lacrime.
“Tuttavia” continuò lui “avresti potuto avvertirmi che uscivi”.
“L’ho fatto” replicò lei. “Ti ho lasciato un biglietto e… ops”.
Si era messa istintivamente la mano in una tasca del cappotto. E ci aveva
trovato il biglietto.
“Scusa, senza volerlo me lo sono portato dietro”.
Si guardarono.
E iniziarono a ridere.
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