Queen Victoria's College

di adamantina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Beginning ***
Capitolo 2: *** The Lab ***
Capitolo 3: *** The Net ***
Capitolo 4: *** No Limits ***
Capitolo 5: *** The Cure ***
Capitolo 6: *** Threatened ***
Capitolo 7: *** Addiction ***
Capitolo 8: *** Not Human Beings ***
Capitolo 9: *** Understanding ***
Capitolo 10: *** Help ***
Capitolo 11: *** The Plan ***
Capitolo 12: *** Escape ***
Capitolo 13: *** Consequences ***
Capitolo 14: *** The Truth ***
Capitolo 15: *** Pain ***
Capitolo 16: *** Caught ***
Capitolo 17: *** Prisoners ***
Capitolo 18: *** Betrayal ***
Capitolo 19: *** If today was your last day ***
Capitolo 20: *** Poker Face ***
Capitolo 21: *** Left Alone ***
Capitolo 22: *** Change ***
Capitolo 23: *** Goin' on ***
Capitolo 24: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** The Beginning ***


Salve a tutti!
Alcuni di voi mi conosceranno già per la mia ff “Promise”.
Questa fan fiction si distacca completamente da quella precedente (che era a tema Harry Potter). Stavolta mi cimento con una storia originale.
Spero che ne esca fuori qualcosa di buono, perché probabilmente scoprirò l’andamento della storia insieme a voi, dato che non ho l’abitudine di programmare un granché di quello che scrivo (trama essenziale a parte).
Se volete ascoltare la canzone che dato ispirazione a questa storia, quella di cui riporto dei brani sotto, è “Superman” dei FIve for Fighting. Potete trovarla qui : http://www.youtube.com/watch?v=R3hPSAaYmZs&feature=related
Ok, il mio sproloquio iniziale finisce qui. Vi lascio al prologo e poi alla storia vera e propria.
Inutile dire che ogni qualsivoglia commento, recensione o critica costruttiva sarà ben accetto e riceverà una risposta.
Grazie per l’attenzione.
 
Adamantina
 
~PROLOGO~
 
< I wish that I could cry
Fall upon my knees
Find a way to lie
About a home I’ll never see
It may sound absurd…but don’t be naive
Even heroes have the right to bleed
I may be disturbed…but won’t you concede
Even heroes have the right to dream
And it’s not easy to be me.
[…]
I can’t stand to fly
I’m not that naive
Men weren’t meant to ride
With clouds between their knees
>
 


< Vorrei poter piangere
Cadere sulle ginocchia
Trovare un modo per mentire
Riguardo ad una casa che non vedrò mai
Potrebbe suonare assurdo … ma non essere ingenuo
Anche gli eroi hanno il diritto di sanguinare
Potrei essere pazzo … ma ammetterai
Anche gli eroi hanno il diritto di sognare
E non è facile essere me.
[…]
Non sopporto di volare
Non sono così ingenuo
Gli uomini non sono fatti per vivere
Con le nuvole sotto alle ginocchia >
 
 
 
 
[Vanessa]

Mio Dio, dovrei decisamente farmi le unghie.

Questo è l’altissimo pensiero filosofico che attraversa la mia mente mentre mi dirigo verso la mia classe.
I corridoi del Queen Victoria’s College sono deserti, probabilmente perché sono in ritardo.
Di nuovo.
Affretto il passo e raggiungo la porta dell’aula, la apro e mi fiondo al mio banco.
-Signorina Evans, la prego, faccia con comodo-, commenta l’insegnante, la professoressa Douglas.
-Mi scusi-, sospiro, estraendo un bloc-notes e una biro dalla mia borsa a tracolla.
Alzo lo sguardo mentre la professoressa riprende a spiegare.
La classe è davvero enorme, troppo per sei soli studenti. Normalmente potrebbe contenere una trentina di banchi.
Ma il termine normalmente non si può applicare al Queen Victoria’s College.
Niente è normale, qui.
I banchi sono separati l’uno dall’altro per impedirci di chiacchierare durante le lezioni.
Come se servisse a qualcosa.
Lily Bennett sta facendo silenziosamente ruotare la sua penna tra le dita con una destrezza da majorette, poco davanti a me, i liscissimi capelli rosso scuro ben pettinati che ricadono ordinatamente sulle spalle.
Jonathan Bailey sembra sul punto di crollare addormentato.
Blake Gray sta costruendo una sorta di cerbottana utilizzando una biro e dei pezzi di carta. Ringrazio il cielo di non essere sulla sua traiettoria.
Charlotte Miller, ovviamente, sta prendendo appunti con diligenza.
Come se ne avesse bisogno.
Damien Knight sta ascoltando la lezione, sembra, ma in realtà il suo sguardo è perso nel vuoto. Questo mi fa preoccupare, ma è troppo lontano perché io possa parlargli. Mi affretto a buttare giù due righe e a strappare il mio foglio. Appallottolo il bigliettino, aspetto che miss Douglas si volti e glielo lancio. Atterra sul suo banco e io mi congratulo con me stessa.
Damien si riscuote e prende il biglietto.

Ehi, Sibilla. Che hai visto?


Lo vedo fare una smorfia e rispondere, per poi lanciare il biglietto.


Stasera pizza, Violet.


Stavolta è il mio turno di fare una smorfia.

Gli faccio un gestaccio da lontano e vedo che ridacchia sotto i baffi.
Il motivo per cui ho chiamato Damien Sibilla –cosa che odia- è che lui è un chiaroveggente.
Il che giustifica pienamente il suo essere spesso di malumore.
Per quanto la capacità di vedere nel futuro sembri una cosa fantastica –lo pensavo anch’io quando l’ho saputo- in realtà è abbastanza difficile. Damien non ha quasi nessun controllo sul proprio potere e spesso deve assistere a scene quali omicidi, incidenti e catastrofi naturali.
Non di certo una passeggiata.
Riguardo al soprannome di Violet, Damien si riferisce al personaggio di un cartone animato che ha la capacità di scomparire.*
Ebbene sì, eccomi qua.
Vanessa Evans, fenomeno da baraccone, la donna invisibile!
Uno spasso.
Qualcuno potrebbe anche in questo caso pensare che essere invisibili sia pazzescamente utile. Non lo nego, ma quando la gente sa del tuo dono tende a diventare estremamente sospettosa nei tuoi confronti, pensando che tu spii ogni conversazione privata.
E poi, se non avessi questo “dono” –non mi piace questa denominazione- ora sarei in una scuola normale, a fare una vita normale.
Non fraintendetemi, mi piace il Queen Victoria’s, e i ragazzi sono i migliori amici che io possa desiderare, ma mi manca il poter essere una qualsiasi diciassettenne senza problemi.
-Signorina Evans, cosa ne pensa?-
Ops.
-Ehm, io … sono … d’accordo?-
-Meraviglioso! Riguardo a che cosa?-
Bella domanda.
-A … quello che stava dicendo prima.-
Qualche risatina da parte dei miei cari compagni.
-Signorina, quante volte devo ripeterle che … -
La porta della classe si spalanca e mi salva la vita.
-Degli intrusi-, ansima Joseph, l’anziano bidello. –Dal preside!-
Ci alziamo tutti contemporaneamente.
-Andate!-, esclama miss Douglas.
Ci precipitiamo verso le scale per raggiungere l’ultimo piano, dove si trova l’ufficio del signor Hermann, il preside del college.
La porta è spalancata, due dei nostri professori stanno lottando ferocemente contro cinque uomini in nero.
Il preside è con loro, attualmente intento a togliersi dalla gola le mani di uno degli intrusi.
-Jon, prendi quello a destra. Lily, quello che sta lottando con Smith. Ness, quello che sta frugando nei cassetti. Charlie e Dam, aiutate miss Lopez. Io vado dal preside.- Blake è un leader nato, non c’è niente da discutere. Può essere arrogante, sprezzante, irritante, ma quando c’è del pericolo sa mantenere il sangue freddo.
Obbedisco istintivamente all’ordine.
Mi basta un istante per scomparire nel nulla. Corro verso l’uomo che sta spalancando i cassetti della scrivania. Gli arrivo alle spalle, prendo un grosso fermacarte in mano e, complice il fatto che nessuno possa vedermi, glielo scaravento sulla testa.
L’uomo cade a terra con un gemito strozzato.
Mi volto.
Un grande leopardo sta azzannando uno degli uomini, che urla per il dolore, cercando di recuperare la pistola che gli è caduta. Lo raggiungo e la raccolgo, allontanandola dalla sua portata. Il leopardo ringhia per ringraziarmi, senza staccare i denti affilati dalla gamba dell’uomo.
Il leopardo è Jonathan, in realtà. Il suo potere è quello di trasformarsi in qualsiasi animale desideri. È anche l’unico che riesce a vedermi quando divento invisibile, perché la mia invisibilità non è altro che un cambiamento nel modo di riflettere la luce, una diversa frequenza: una che gli umani, a differenza degli animali, non possono percepire.
Lily ha appena appiccato fuoco a uno degli uomini, e lo sta controllando perché non si diffonda nella stanza.
Lei può controllare i quattro elementi.
Il modo di combattere di Charlotte e Damien è spettacolare.
Lui prevede ogni mossa, lei è un genio e calcola ogni traiettoria, conosce ogni nervo del corpo umano e sa come ferire, paralizzare, uccidere.
Il loro avversario è già a terra, agonizzante.
Blake, che emette potenti lampi di energia, ha mandato un uomo a sbattere contro il muro. Tutti sono concentrati su quello che sta stringendo tra i denti Jonathan, perché sembra l’ultimo ancora cosciente.
Ma io mi volto per un istante, e lo vedo.
L’intruso scagliato da Blake contro il muro allunga una mano e recupera la pistola.
-No!-, grido.
Ma il colpo risuona nell’aria, seguito da un gemito.
Il preside.
L’uomo sogghigna.
-Missione compiuta-, sibila, prima che io, forte della mia invisibilità, gli tolga l’arma di mano e Blake lo stenda definitivamente.
Miss Lopez e il signor Smith, i nostri insegnanti, sono già a fianco del preside ferito.
-Non respira, maledizione!-, urla Smith. –Bailey, vai a chiamare il medico!-
Jonathan, ancora in forma di leopardo, inizia a correre, dieci volte più veloce di quanto lo sarebbe in forma umana.
Due minuti dopo, il medico della scuola è qui.
Troppo tardi.
-È morto-, dichiara ufficialmente, cupo.
Tutti gli insegnanti, anche quelli appena giunti, tacciono. Io mi ricordo di essere ancora invisibile e ricompaio.
Non riesco a crederci.
Il signor Hermann è stato colui che ci ha salvati.
Letteralmente.
Stavamo distruggendo lentamente le nostre vite prima che lui ci chiamasse per studiare qui, due anni fa.
-Ragazzi, andate nella vostra sala e rimaneteci-, dice il signor Smith, deciso.
Noi non protestiamo e, muovendoci quasi in sincronia, torniamo verso il salotto che fa da anticamera ai due dormitori.
Ci sediamo e restiamo in silenzio a lungo.
-Non posso crederci-, mormora Charlotte dopo diversi minuti.
-Avremmo potuto evitarlo-, dice Blake a denti stretti.
-Abbiamo fatto tutto ciò che potevamo, Blake-, lo correggo io.
-Non è vero-, insiste lui. –A cosa diavolo servono i nostri poteri se non abbiamo potuto evitare che l’unica persona che ci ha aiutati finisse ammazzata?-
-Ci abbiamo provato-, sussurra Lily.
-Non abbastanza!-, sbotta Blake. –Avremmo potuto prevederlo!-
E con questo lancia una frecciatina non troppo sottile a Damien.
-Sai che non posso controllarlo, Blake-, replica lui.
Blake scuote la testa e non insiste oltre.
Il silenzio torna a regnare sovrano, ricordandoci incessantemente che forse avremmo potuto evitarlo.
 
 
 
* si riferisce a Violet, personaggio del cartone animato della Disney Gli Incredibili, che può diventare invisibile.

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Capitolo 2
*** The Lab ***


~the lab~

 

[Damien]

 

Siamo tutti seduti nella mensa, nonostante siano le nove di mattina e abbiamo già finito di mangiare colazione.

Tutti i nostri insegnanti sono al loro tavolo, cosa che non accade praticamente mai, il che mi fa supporre che stia per succedere qualcosa.

Un volto. Occhi di ghiaccio, capelli radi, lineamenti duri.

Un flash inutile, come al solito. Questo potrebbe tranquillamente significare che incontrerò quest’uomo oggi, domani o tra vent’anni. Se significasse qualcosa per me forse avrei qualche altro indizio, ma non l’ho mai visto prima.

Queste visioni sono come un incessante mormorio all’interno della mia testa, e io devo essere sempre concentrato per non vedere. Se mi distraggo, anche per un solo secondo, o se la visione è particolarmente forte, i miei pensieri vengono schiacciati e queste immagini ne prendono il posto.

Lo odio.

Sospiro e Vanessa mi lancia un’occhiata indagatrice.

Le faccio un cenno con la testa e lei si volta.

Un uomo basso, paffuto, che si inginocchia per terra in un ristorante di lusso. “Mi vuoi sposare?”, chiede adorante ad una donna magra e stupita. “Sì.” Un bacio.

Stupide, fastidiose, inutili visioni di gente sconosciuta.

Tento di concentrarmi sul signor Smith, che si alza in piedi.

-Ragazzi-, dice, -Stamattina è arrivato a scuola il nostro nuovo preside.-

Ecco, perché non prevedo mai cose utili come questa?

Sono passate tre settimane dalla morte del preside Hermann, avrei dovuto immaginarlo.

-Vorrei che deste un cordiale benvenuto al professor Ivan Vahel.-

La porta della mensa si apre ed entra l’uomo che ho visto un minuto fa. Non quello della proposta di matrimonio, ma quello con gli inquietanti occhi chiarissimi.

È alto, possente, sulla cinquantina, e ci fissa tutti, uno ad uno.

-Buongiorno-, dice, e la sua voce è decisa, potente, una voce di quelle a cui non puoi dire di no … se ci tieni alla tua vita. Un leggero accento, forse russo, si distingue se vi si presta attenzione.

Mormoriamo un saluto sconclusionato.

-Non credo di aver sentito.-

-Buongiorno, signore-, ripetiamo tutti insieme, e sono certo che abbiamo tutti la medesima espressione irritata.

Un bambino perso in un enorme supermercato. Disperato. Dov’è la mamma?

Scaccio la visione dalla mia mente.

-Sono Ivan Vahel, vostro nuovo preside. Sono stato nominato dal presidente degli Stati Uniti in persona.- Una pausa perché l’informazione ci strappi un “oh” di sorpresa … che non arriva mai. –Confido che la nostra collaborazione sia proficua. Ho letto molti fascicoli sul metodo di insegnamento qui e vi anticipo che apporterò molte modifiche. Tenendo conto delle vostre abilità, abbiamo bisogno di una linea più rigida e severa.-

Ma certo.

Trattengo uno sbuffo, a differenza di Blake, che non riesce a controllarsi.

-Ha qualcosa da obiettare?-, gli chiede Vahel.

-No, signore-, replica Blake con innocenza.

-Molto bene. Voglio vedervi tra un’ora al campo di addestramento. Sappiate che non sopporto i ritardatari.-

Guardo Vanessa con un mezzo sogghigno. Non gli andrà a genio, molto probabilmente.

Vahel esce e noi andiamo nei dormitori per prepararci.

-Cosa te ne pare?-, chiede Blake.

-Si smonterà presto, spero-, dico.

-Nn ss css drrt-, bofonchia Jonathan. Si sta lavando i denti.

-Eh?-

-Non so cosa dirti.-

-Non durerà a lungo.-

-Linea dura-, sbuffa Blake. –Voglio proprio vederlo.-

Usciamo dai dormitori, ci riuniamo alle ragazze e usciamo dalla scuola.

Comincia a fare freddo, e immergo le mani nelle tasche.

Una lastra di ghiaccio, dei pattinatori in una cittadina indaffarata. Una caduta, tante ragazze che ridono e si prendono in giro a vicenda.

Inutile, di nuovo.

Dobbiamo allungare la strada, perché da due settimane ci sono dei lavori in corso a scuola. Stanno costruendo qualcosa nei sotterranei.

Un laboratorio scientifico. Vetro, metallo, provette e strani marchingegni.

Bah. Questo potrebbe essere ciò che stanno costruendo, ma non ci giurerei. Un po’ troppo moderno per la mia scuola.

Raggiungiamo l’arena, circondata da spalti, dove siamo soliti eseguire gli allenamenti pratici.

Vahel è in centro che aspetta. Ci mettiamo in riga di fronte a lui.

-Voglio sapere i vostri nomi e il vostro potere-, dice immediatamente.

-Lily Bennett, controllo i quattro elementi.-

-Charlotte Miller, sono un genio.-

-Damien Knight, chiaroveggente-, dico brevemente, senza guardare Vahel negli occhi gelidi.

-Jonathan Bailey, metamorfosi animale.-

-Blake Gray, lancio scariche energetiche.-

-Vanessa Evans, invisibilità.-

Ivan Vahel tace per qualche secondo, riflettendo, quindi annuisce tra sé.

-Un’ampia gamma di poteri-, dice. –Molto bene. Voglio una dimostrazione pratica.-

Facile a dirsi, per gli altri. Lancio un’occhiata a Charlotte. Questo è sempre stato il problema che abbiamo in comune.

Comincia Lily, facendo scaturire dal palmo della mano destra una fiamma, e dalla sinistra una piccola cascata d’acqua.

-Gli altri due elementi-, esige Vahel.

Lei crea un lieve vortice d’aria e una spaccatura nel terreno.

-Fuoco, acqua, aria, terra-, enumera il preside, soddisfatto. –Bene.-

Tocca a Charlotte. La vedo esitare.

-Cosa vuole che le dica?-, domanda.

-La tavola periodica degli elementi-, decide il preside dopo un momento di riflessione.

E Charlotte, senza esitare, comincia a citare nomi, numeri e simboli a memoria, snocciolandoli senza problemi, come se li stesse leggendo.

-Ok-, la interrompe Vahel.

È il mio turno.

-Preveda qualcosa che mi riguarda-, mi ordina.

Facile a dirsi.

-Non è così semplice-, sbuffo. –Non … riesco a controllarlo molto bene.-

-Sei qui per impararlo, giusto?-, taglia corto Vahel. –Avanti.-

Un fremito di irritazione mi attraversa, ma cerco di calmarmi e concentrarmi su di lui. Chiudo gli occhi e visualizzo il suo volto severo.

Un laboratorio, lo stesso di prima. Al suo interno, Vahel, intento a segnare dei dati su una tabella. Un grido che rompe il silenzio. Vahel sembra non sentirlo, o lo ignora completamente.

-L’ho vista in un laboratorio-, gli riferisco. –Stava prendendo degli appunti, e poi qualcuno ha gridato, ma lei non l’ha sentito.-

O non l’ha voluto sentire, mi dico, ma lo tengo per me.

-Sì, capisco.- Vahel sembra soddisfatto.

Jonathan, di fianco a me, si trasforma prima in un gatto, poi in un’aquila e infine in uno scorpione.

Per il preside è sufficiente.

Blake prende la mira e fa saltare in aria un sasso.

-Posso farlo con le persone-, dice.

Infine Vanessa scompare, e Vahel sorride.

-Come ha precocemente scoperto il signor Knight, sto facendo costruire un laboratorio scientifico. La mia intenzione, dato che nessuno dei vostri insegnanti ci ha mai pensato prima, è scoprire le cause del vostro potere e trovare un modo per aiutarvi a potenziarlo o a plasmarlo secondo i vostri desideri. In questi giorni vi convocherò tutti, uno alla volta, e tornerete settimanalmente. Il primo sarà proprio lei, signor Knight. Alle due di pomeriggio si faccia trovare nei sotterranei.-

-Sì, signore-, dico automaticamente.

Io detesto i laboratori. Mi ricordano gli studi di psicologi dove i miei mi mandavano fin da piccolo, quando dicevo di “sentire le voci”. Solo quando ho compiuto quattordici anni ho avuto il buonsenso di smettere di parlarne.

Torniamo verso la scuola e ci sorbiamo tutte le altre lezioni. Non abbiamo molto da dire riguardo a Vahel, per ora: non ha fatto nulla di particolare, se non a parole.

Dopo pranzo mi dirigo verso i sotterranei. Lo ammetto, sono un po’ nervoso.

La luna brilla nel cielo e una donna la guarda malinconica dal davanzale della finestra.

Non adesso, penso, strofinandomi la testa con una mano per spegnere le voci –invano.

Scendo le scale e mi trovo davanti una porta di metallo blindata. Decisamente fuori posto in questo college vecchio stile, tutto in legno e colori pastello.

Per entrare c’è bisogno di un codice numerico.

-Bene, andiamo, signor Knight-, dice Vahel, arrivandomi alle spalle e facendomi sussultare.

Avrei dovuto prevederlo, maledizione!

Digita un codice, troppo rapido perché io possa distinguere i numeri, e la porta si apre senza un cigolio.

Il laboratorio è esattamente quello che ho visto nella mia visione. Ci sono strani strumenti che forse solo Charlotte potrebbe identificare, e superfici di metallo, divisori di vetro, calcolatrici …

-Si sieda.-

Mi indica un’inquietante, alta sedia di metallo che ricorda quelle che utilizzano per eseguire le condanne a morte. Mi siedo con cautela, teso.

-Le presento il signor Collins, tecnico di questo laboratorio.-

Un uomo sbuca fuori da dietro una parete e mi fa un cenno prima di sparire di nuovo.

-Adesso vorrei solo che lei lasciasse fluire le visioni nella sua mente-, dice il preside.

Oh, no. Questo no.

-Io le attaccherò degli elettrodi alla testa e registrerò le sue attività cerebrali.-

Esito, quindi annuisco. Guardo con ansia il signor Collins riemergere dal retro con un tubetto di gel che spalma su quelle che sembrano tre piccole ventose attaccate a lunghi fili. Me ne appoggia una sulla fronte e due sulle tempie.

Accende lo schermo di un computer.

-Possiamo cominciare-, dice.

Cerco di rilassarmi e chiudo gli occhi.

Lentamente, elimino le barriere mentali che mi permettono di estraniarmi dalle visioni e lascio che queste fluiscano liberamente nel mio cervello. Ho paura.

Una spiaggia deserta, due giovani innamorati che guardano il tramonto tenendosi per mano.

Una città affollata, qualcuno di fretta, tremendamente in ritardo, che rischia il posto di lavoro, e-

Tre bambini, corrono –

Giornata di neve –

Voci –

Un grido di esultanza-

Un pomeriggio di studio-

Una macchina, e un’altra che le viene addosso, sempre più veloce. L’impatto, dolore violento, fuoco …

-No!-, grido, e torno alla realtà, scacciando dalla mente quelle immagini cruente e dolorose.

Mi accorgo di star tremando, e devo stringere i pugni con violenza per smettere.

Apro gli occhi, e vedo Vahel di fronte a me.

-Tutto bene?-, mi chiede sbrigativo.

-Sì-, mento.

-Cos’ha visto?-

-Un incidente.-

-Studierò i risultati-, dice Vahel. –Nel frattempo, vorrei che provasse a prendere queste pastiglie.-

Mi porge una confezione di carta bianca, senza nome.

-La aiuteranno a scacciare le visioni indesiderate, soprattutto nel sonno.-

Non ci credo. Sarebbe troppo bello per essere vero. Non credo di aver mai dormito per una notte intera senza svegliarmi a causa di una visione tremenda.

-Ne prenda due al giorno, alle otto del mattino e di sera. La prossima settimana mi dirà cosa ha notato.-

-D’accordo.-

Mi allontano, poco fiducioso, ma, alle otto, prendo effettivamente una pastiglia.

Sto mangiando cena, e per poco non mi strozzo con il cibo.

-Dam? Cosa succede?-, mi chiede Vanessa, in ansia.

-Niente.-

-Va tutto bene?-

-Benissimo-, replico.

Le voci sono svanite.

Sento che ci sono ancora, da qualche parte, e che, se volessi, potrei richiamarle.

Ma adesso, per la prima volta nella mia vita, c’è effettivamente silenzio nella mia mente.

Non mi sono mai sentito meglio.

 

 

Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno letto il mio prologo, e in particolare Kuri che l’ha commentato. Mi ha fatto molto piacere leggere la tua recensione e spero che continuerai a seguirmi!

 

Ho aggiornato presto perché so che probabilmente mi sarà difficile farlo da metà settimana in poi, quindi mi porto avanti con il lavoro ;)

A presto,

 

Adamantina

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Capitolo 3
*** The Net ***


~the net~

 

[Blake]

 

Mi sveglio stamattina senza capire cosa c’è di strano, anche se sento che qualcosa c’è. Mi guardo intorno e capisco: Damien dorme ancora.

Questo è veramente strano, considerata la sua media di tre o quattro ore di sonno per notte. Perciò mi sembra il minimo disturbarlo un po’.

In fondo sono quasi le otto e siamo già in ritardo.

Decido per un metodo semplice: una cuscinata in faccia.

Lui sussulta, si alza di scatto e batte la testa contro il letto a castello.

-Ahi!-

Comincio a ridere di gusto … questo prima che lui tenti di soffocarmi con lo stesso cuscino.

-Smettila!-

-Stavo dormendo!-

Continuo a ridere.

-Avete finito di amoreggiare, voi due?-, chiede Jonathan, sbucando fuori dalle coperte e vedendo lo strano spettacolo di io e Damien, in pigiama, che ci azzuffiamo sul pavimento.

-Che c’è, sei geloso, Bailey?-, chiedo, alzandomi in piedi.

-Non sai quanto.-

Occupo il bagno per primo, mi faccio una doccia e scendo a colazione.

Stamattina avremo due lunghissime, eterne ore di fisica e poi una di allenamento pratico.

Sto mangiando il mio secondo toast al burro d’arachidi quando vedo Damien ingoiare una pastiglia.

-Cos’è?-

-Me l’ha data Vahel per ridurre le visioni.-

Charlotte aggrotta le sopracciglia.

-Sei sicuro che sia una buona idea?-, chiede, dubbiosa. –È il tuo dono.-

-Tutto quello che so è che stanotte ho finalmente dormito … beh, prima che Blake mi svegliasse.-

-È stato un piacere, amico-, commento.

-Io non mi fiderei-, prosegue Charlotte.

-Senti, tu non hai idea di quanto sia piacevole non sentire voci confuse ventiquattr’ore al giorno e godersi un po’ di silenzio, ogni tanto.-

Charlotte coglie la frecciatina e tace.

Le prime due ore passano rapidamente solo grazie al fatto che affino la mira fino a colpire tre volte consecutive Lily con la mia cerbottana.

Al che, lei dà fuoco alle palline di carta sul mio banco, conquistandosi due ore di punizione.

Adoro quella ragazza.

Poi, grazie al cielo, usciamo per la lezione pratica e ci dirigiamo verso lo stadio.

Il nostro insegnante, il signor Smith, non è da solo, però.

Con lui c’è Vahel, e sembra che stiano discutendo.

-Puo’ lasciarmeli senza problemi, Smith, almeno per oggi.-

-Questa è la mia lezione.-

-Oggi serve a me.-

Smith, la persona più imponente e terrorizzante dell’intero corpo docenti, è costretto ad obbedire e si allontana con stizza.

Restiamo soli con Vahel, che porta a tracolla una grande borsa di pelle nera.

-Ragazzi-, esordisce questi, -Da oggi cominciamo a fare sul serio. Voglio che sappiate che non tollererò nessuna critica né diserzione durante le mie lezioni, ed esigo obbedienza assoluta da tutti voi. È chiaro?-

Borbottiamo un assenso, subito ripresi dal preside:

-Non ho sentito!-

-Sì, signore.-

-Bene. Tutti a sedervi negli spalti, tranne il signor Bailey.-

Jonathan rimane nell’arena con Vahel mentre noi usciamo dalla zona sabbiosa e ci sistemiamo sul primo scalino delle gradinate.

-Signor Bailey, ora lei si trasformerà in un qualsiasi animale di piccole dimensioni. Io le lancerò addosso una rete e lei dovrà liberarsene, sfruttando delle trasformazioni o qualunque altra strategia che riterrà necessaria.-

Jonathan non sembra per niente preoccupato. Annuisce tranquillamente e si trasforma istantaneamente in un gatto tigrato.

Vahel apre la borsa, ne estrae un paio di guanti e usa quelli per prendere una rete.

Non è di corda, ma metallica, di un materiale che non ho mai visto prima. La lancia sopra al gatto e poi viene verso di noi, sugli spalti, togliendosi i guanti.

Sento Charlotte trattenere il fiato.

Dapprima non capisco. Sento il miagolio intenso del gatto, che si trasforma in altri piccoli animali, tra cui una volpe e un cane. Poi si rimpicciolisce, e vedo che la rete segue la sua trasformazione in topo, diventando più piccola.

Solo quando Jonathan si trasforma in un grande lupo capisco cosa sta succedendo.

La rete metallica è affilata, ogni filo tagliente come una lama. Il pelo del lupo è striato di sangue, e la cosa si fa ancora più evidente quando Jon si trasforma in un grande felino bianco che non so identificare. La pelle dell’animale è tagliata in profondità ovunque sia entrata in contatto con la rete.

Mi alzo di scatto, sentendo i ringhi e gli uggiolii dell’animale.

-Basta così!, urla Lily.

-Sedetevi-, ordina Vahel.

-Lo liberi subito!-, grida Vanessa.

-State seduti!-

Guardo verso Jonathan e lo vedo lottare con la rete, mentre il sangue scende sempre più copioso.

Senza pensarci due volte attraverso l’arena di corsa e lo raggiungo.

Il gigantesco felino bianco si sta rotolando a terra, dimenando le zampe per liberarsi, ma così facendo ottiene solo di piantarsi più a fondo nella carne le lame.

-Jonathan-, lo chiamo a voce alta, e devo ripeterlo più volte perché lui mi guardi con gli enormi occhi neri spaventati.

-Signor Gray, torni qui immediatamente!-, mi urla Vahel, ma non lo ascolto.

-Adesso ti aiuto.-

Lui si muove e ringhia.

-Stai fermo, Jon-, lo prego.

-Glielo ripeto, Gray: stia lontano!-

Sono terrorizzato da tutto quel sangue e non so esattamente cosa fare. Cerco l’inizio della rete e lo prendo in mano, tagliandomi.

Mi sfugge un’imprecazione. Allora decido di togliermi la felpa. La sfilo velocemente e la uso per proteggermi le mani mentre sollevo la rete, causando ulteriori uggiolii del felino ferito.

La getto a terra e mi chino su Jonathan, ancora in forma animale. Appoggio con cautela una mano sulla pelliccia macchiata di rosso.

-Jon? Riesci a trasformarti?-

Dopo un paio di secondi lui torna umano.

Le sue ferite sono ancora più spaventose viste così. La felpa è stracciata; la schiena, il petto, le gambe, le mani sono coperte di profondi tagli sanguinanti. Jonathan si lamenta sottovoce, ancora cosciente.

Cerco di respingere la nausea e mi volto verso i ragazzi.

Vahel sembra furente. Mi fissa con rabbia enorme.

- Lily è andata a chiamare il medico-, dice Vanessa, terrorizzata.

Infatti, dopo poco più di due minuti, il vecchio dottore ci raggiunge.

-Oh, mio Dio-, mormora.

Estrae dalla valigetta delle boccette, ma prima esita.

-Dobbiamo portarlo almeno sugli spalti. La sabbia che c’è qua è pericolosa, causa infezioni, ma l’infermeria è troppo lontana.-

Lo aiuto a sollevare Jonathan e raggiungiamo gli spalti. Lo adagiamo su uno dei larghi scalini di pietra.

-Mi serve dell’acqua-, dice il signor Hayez, il medico.

Lily prende una delle ciotole e la riempie in un secondo.

Hayez vi immerge un panno bianco e comincia a ripulire le profonde ferite. Jonathan geme per il dolore.

-Dagli questo-, mi ordina, porgendomi una pastiglia e un bicchiere. Lily lo riempie d’acqua e vi faccio sciogliere il medicinale.

-Jon, bevi-, gli dico.

Charlotte gli solleva un po’ la testa e lui, automaticamente, obbedisce. Dopo qualche minuto perde i sensi, per sua fortuna.

Il medico disinfetta tutte le ferite e si fa aiutare a portare Jonathan in infermeria.

-Signor Gray-, mi chiama Vahel.

Mi volto, e il mio primo istinto è quello di lanciargli un lampo di energia e mandarlo a sbattere contro un muro.

-Lei ha disobbedito apertamente ad un mio ordine, dopo che vi avevo diffidato dal farlo. Riceverà una giusta punizione per questo.-

Stringo gli occhi, sentendo che sto per ucciderlo sul serio.

-Venga giù nel mio laboratorio alle due di oggi pomeriggio.-

Non rispondo e seguo gli altri verso l’infermeria.

 

Jonathan sta dormendo grazie al sonnifero.

È disteso su un fianco su un letto dell’infermeria, gli occhi chiusi. Siamo tutti intorno a lui e ci guardiamo, condividendo la stessa rabbia.

Mancano dieci minuti alle due.

-Devo andare-, mormoro.

-Fai attenzione-, mi dice Lily, guardandomi negli occhi.

In condizioni normali mi prenderei gioco di lei, scherzando per la sua preoccupazione, ma adesso non me la sento affatto. Annuisco e mi alzo, dirigendomi verso i sotterranei.

Trovo Vahel ad aspettarmi. Digita rapidamente un codice e mi precede nel grande laboratorio. È proprio come Damien l’ha descritto.

-Non mi piace che si disobbedisca ai miei ordini, Gray-, mi dice severo, guardandomi con quegli inquietanti occhi gelidi.

-Stava facendo male al mio migliore amico-, dico con decisione.

-Tutto quello che faccio è per il vostro bene-, replica Vahel con un tono mellifluo che mi fa rabbrividire.

-Non credo che arrivare quasi ad uccidere Jonathan si possa definire un bene per lui.-

-Se lei non fosse intervenuto e lui fosse riuscito a liberarsi, ne avrebbe ricavato un grande miglioramento.-

Non rispondo, certo che direi qualcosa di cui poi potrei pentirmi.

-Si sieda-, dice deciso, e chiama il tecnico, il signor Collins.

Mi siedo dove mi indica, una sorta di trono metallico piuttosto spaventoso.

Collins preme un pulsante e dai braccioli della sedia escono due anelli che mi intrappolano i polsi. Alle caviglie, lo stesso.

Guardo Vahel con un’espressione di sfida che spero non tradisca la paura che provo.

-Bene, Gray-, dice il preside dolcemente, -Vediamo se dopo questo trattamento sarà ancora così sfrontato e spavaldo.-

Per un secondo sono tentato di chiedergli se sfrontato e spavaldo siano due termini attualmente esistenti nel nostro vocabolario, ma mi trattengo.

Ho paura, lo ammetto.

Non mi piace essere impotente di fronte ad un pericolo, ed essere qua, immobilizzato, davanti a quest’uomo spaventoso rientra pienamente nella mia definizione di “pericolo”.

Sto per dire qualcosa, qualsiasi cosa che non mi faccia sembrare un completo idiota terrorizzato, quando comincia.

Fa male.

 

 

Credo che la trama della storia si cominci a formare veramente proprio a partire da questo capitolo, il personaggio del preside Vahel verrà approfondito molto anche nei prossimi.

Mi prendo qualche riga per rispondere alla recensione di ulisse999.

Innanzitutto, grazie per essere stato così generoso. È veramente importante per me (come credo per qualsiasi autore) leggere un’opinione tanto dettagliata riguardo a ciò che scrivo.

Come avrai intuito, ho intenzione di approfondire in ogni capitolo un particolare personaggio, anche evidenziando in questo modo come affronta il suo potere e che rapporto ha con gli altri.

Ti ringrazio per i complimenti e sarà molto lieta di accogliere tutto ciò che avrai da dire sui prossimi capitoli.

 

Un ultimo avvertimento: il fatto di aver messo un rating arancione non è casuale. A partire da questo capitolo la storia si fa più violenta e probabilmente continuerà ad esserlo nei prossimi. Volevo sottolineare in particolar modo il completo potere che ha Vahel sulle vite dei ragazzi e come sia per questo una sorta di avversario “impossibile da sconfiggere” per loro.

 

Grazie mille per aver letto. Come sempre apprezzo molto una recensione!

A presto,

 

Adamantina

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Capitolo 4
*** No Limits ***


~No limits~

 

[Charlotte]

 

Sono qui seduta accanto a Jonathan quando miss Douglas entra.

I ragazzi cominciano a parlare tutti insieme nel tentativo di spiegarle quello che Vahel ha fatto.

Io resto in silenzio, tanto so che lo spiegheranno tanto bene quanto lo farei io.

Il mio sguardo torna nuovamente su Jonathan.

Ringrazio il cielo –o meglio, il sonnifero- che sia incosciente, perché quando si sveglierà probabilmente quelle ferite gli faranno male.

Divido la mia attenzione tra lui e miss Douglas –cosa assolutamente fattibile per il mio cervello super-potenziato.

-Ragazzi, ho capito cosa volete dire, ma non c’è niente che possiamo fare.-

-Come sarebbe a dire?-, reagisce Lily, furiosa. –Ha quasi ucciso Jonathan! E voleva impedirci di aiutarlo! Dovete fare qualcosa!-

-Lily, il presidente degli Stati Uniti in persona ha nominato Ivan Vahel, semplicemente perché ha paura di voi! Teme ciò che potrete diventare un giorno e ha approvato ogni singolo metodo che Vahel userà con voi!-

Lo sapevo già, ed era piuttosto ovvio, ma Lily e gli altri riescono a farsi cogliere di sorpresa e spalancano gli occhi, per poi cominciare con i “ma” e i “se”.

Del tutto inutile.

Torno a dedicare tutta la mia attenzione a Jonathan.

Non vorrei essere fraintesa: non che non mi interessi ribellarmi contro quello che Vahel ha fatto, ma so che parlarne ai professori è stupido. Vahel non avrebbe fatto nulla se non fosse stato assolutamente certo di non ricavarne conseguenze legali.

Ha calcolato tutto.

Miss Douglas esce e rimaniamo nuovamente soli.

-Da quanto tempo è fuori Blake?-, chiede Lily.

-Due ore e undici minuti-, rispondo automaticamente.

Merito del mio computer mentale.

-Non va bene-, sussurra lei. –Dobbiamo fare qualcosa.-

-Andiamo nel laboratorio a vedere cosa sta succedendo-, propone Damien.

-È pericoloso-, commenta Vanessa.

-Non mi importa. Blake ha salvato Jonathan, tocca a noi salvare lui. Io vado.-

-E io vengo con te-, propongo.

Lui mi guarda critico, ma gli lancio un’occhiata penetrante.

-Sapresti manomettere il tastierino numerico all’ingresso?-, gli chiedo.

Damien si arrende subito, scuotendo la testa.

-Hai vinto-, dice, alzandosi. –Ma non facciamoci vedere.-

-Per chi mi hai preso?-, scherzo, mentre lo seguo fuori dall’infermeria.

Siamo appena usciti quando vediamo Vahel che entra in un’aula, seguito da Collins, il tecnico.

E se sono lì, significa che non possono essere nei sotterranei.

Damien sorride, pensando la stessa cosa, e ci affrettiamo a raggiungere il laboratorio.

-Ricordi quante cifre erano?-, chiedo, osservando il tastierino.

-Sei-, dice Damien con certezza. –Ho sentito il suono.-

-Sei-, ripeto tra me. Sollevo leggermente il bordo inferiore della mia felpa grigia oversize per rivelare un piccolo marsupio nascosto. Ne tiro fuori un cacciavite.

-Stai scherzando-, mormora Damien, guardandomi le spalle.

Sbuffo, e in meno di cinquanta secondi la porta è aperta.

-Andiamo-, borbotto.

La prima cosa che sento è un grido.

-Blake-, dice Damien, perdendo tutto il suo senso dell’umorismo e guardandomi con preoccupazione.

Seguiamo la direzione del grido e lo vediamo.

Blake è su una grande sedia metallica, polsi e caviglie bloccati, e la sua espressione mi sconvolge. È rosso in viso, sudato, con i capelli biondi appiccicati al volto, i denti stretti, come a trattenere un altro grido.

-Blake! Cosa succede?-, chiede Damien.

Ma io sono già un passo avanti … come al solito.

Il mio sguardo corre al computer acceso. Le frequenze che rivela mi inquietano, in particolare quella relativa al battito cardiaco, decisamente troppo alto.

Blake non riesce a rispondere, ma ci penso io.

-Quell’apparecchio gli sta trasmettendo energia elettrica allo stato puro e ad altissimo voltaggio-, dico.

-Che cosa? Non dovrebbe essere già morto?-

-Il suo potere consiste nel creare energia e quindi può assorbirne di più rispetto ad un normale essere umano, ma ha un limite, e ci siamo troppo vicini.-

Un altro grido si fa strada tra le mascelle serrate di Blake.

-Non puoi fermarlo?-, sbotta Damien.

-Potrei, ma Vahel se ne accorgerà, quando guarderà questi schemi.-

-Non riesci ad evitarlo?-

-Dammi un minuto.-

-Non ce l’abbiamo!-, esclama Damien, lo sguardo perso nel vuoto. Ha appena visto qualcosa. –Vahel sarà qui tra poco. Dobbiamo uscire.-

-Non possiamo lasciarlo così!-

-Sta venendo per interromperlo, Charlie. Andiamo!-

Troppo tardi. Una serie di sei bip ci annuncia l’imminente ingresso di Ivan Vahel.

-Qui-, dico a Dam, spingendolo dentro ad un armadio e seguendolo subito dopo. Mi chiudo la porta alle spalle.

Appena in tempo.

-Rieccomi qui, Gray-, dice Vahel.

La sua voce arriva soffocata attraverso l’anta di metallo.

Sento premere dei pulsanti e poi un gemito di Blake.

-Ecco fatto. Per oggi può bastare. Spero che tu abbia imparato la lezione.-

Silenzio.

-Avanti, Gray. Non vuoi che ricominci tutto da capo, vero?-

Ancora niente.

-Su, coraggio. Cos’hai imparato oggi?-

Blake non risponde, e Vahel riaccende l’apparecchio per un secondo.

Abbastanza per strappargli un grido.

-Allora?-

-Io … non le … disobbedirò … più … signore.-

Devo trattenere Damien con la forza perché non salti fuori.

-Benissimo. Hai visto? Non era così difficile.-

Un clac annuncia che gli anelli che tenevano fermo Blake si sono riaperti.

-Puoi andare, Gray.-

Da lì in poi, sento solo suoni trascinati, soffocati, tintinnii di cose urtate e tonfi.

Due minuti e ventisette secondi dopo, siamo soli.

Io e Damien usciamo dall’armadio e ci precipitiamo fuori dal laboratorio.

Blake è crollato sul secondo scalino.

Damien gli è subito accanto.

-Blake-, lo chiama sottovoce. –Avanti, amico, rispondi. Blake … -

-Sì-, biascica lui.

-Prendimi la mano, ecco, così … io e Charlotte ti portiamo in infermeria.-

-No-, ringhia Blake.

Sussulto.

-Portatemi nel dormitorio-, insiste.

Damien non lo contraddice. Mettiamo ognuno un braccio attorno alle sue spalle e lo accompagniamo fino ai dormitori.

Entriamo in quelli maschili e adagiamo Blake sul suo letto.

-Come stai?-, chiede Damien, preoccupato, sedendoglisi accanto.

Lui non risponde.

-Damien, vai a dire agli altri che è qui-, lo esorto. –Ci penso io a lui.-

Il veggente mi guarda, non del tutto convinto.

-Avanti, ho una laurea in medicina. È in buone mani.-

Damien annuisce e scompare oltre la porta.

Io prendo il polso di Blake e controllo le pulsazioni. Il cuore va ancora veloce, ma nella norma. Probabilmente l’energia elettrica gli ha fatto contrarre tutti i muscoli, perciò ora si staranno distendendo di nuovo. Non dev’essere piacevole.

-Blake, come va?-, gli chiedo.

-Meglio-, replica lui.

Comincio a massaggiargli i muscoli del collo, con gesti esperti. Non sono passati neanche tre minuti quando Lily entra come una furia.

-Cosa gli ha fatto?-, ruggisce.

Non so perché, ma mi sembra una buona idea allontanarmi da Blake. Non si sa mai.

-Gli ha immesso nel corpo dell’energia elettrica ad alto voltaggio-, rispondo.

Lei batte le palpebre, confusa.

-Vieni qui, continua a massaggiare-, la istruisco. –Non far contrarre i muscoli.-

Lily impara in fretta.

-Quel grande bastardo-, sibila Vanessa. –Quel figlio di … -

Non credo di averla mai sentita usare questi termini, e sì che nessuno ha toccato Damien, il suo pupillo.

-Come sta Jonathan?-, chiedo.

-Non molto bene-, replica Lily, senza interrompere il massaggio. –Le ferite continuano a sanguinare. Il dottore gli rifarà presto le fasciature.-

-Blake non ha voluto andare in infermeria-, dice Damien.

Blake borbotta qualcosa riguardo a “non dargli questa soddisfazione”.

Solite stupidaggini da maschi.

Siamo già fin troppi qua dentro. Mi alzo ed esco.

Mi dirigo quasi inconsciamente verso l’infermeria.

Jonathan è immobile, pallido.

Il mio cuore si stringe in una morsa nel vederlo così. Gli prendo la mano.

-Charlie?-, mi giunge un borbottio.

Spalanco gli occhi. Ero convinta che dormisse. Lascio andare la sua mano, incredibilmente imbarazzata.

-Sì, sono io-, rispondo.

Ma Jonathan non aggiunge altro. Brontola qualcosa di incomprensibile per poi tacere di nuovo.

Deve aver detto il mio nome nel sonno.

La cosa, devo ammetterlo, mi rende un po’ felice.

Ma a chi la vado a raccontare? Mi rende molto felice.

Scosto dal viso pallido di Jonathan un ciuffo di capelli ribelli.

-Andrà tutto bene-, mormoro.

Questa tenerezza che provo dev’essere assolutamente colpa della mia latente sindrome della crocerossina.

Non c’è altra spiegazione logica.

Perché, deve essercene una?

Sospiro.

Vorrei poter fare qualcosa.

È proprio questo che mi terrorizza di più di Ivan Vahel. Il suo potere assoluto su di noi. Può fare quello che vuole delle nostre vite, giocare a fare il dio e trattarci come giocattoli facili di spezzare.

E tutto ciò che noi facciamo per opporci a lui non ha significato, perché non c’è nessuna autorità che può fermarlo.

Nessun limite.

 

 

Come sempre, ringrazio tutti coloro che leggono.

In particolare grazie a Kuri per la recensione.

Nei prossimi capitoli cercherò di infilare qualche descrizione fisica, nel frattempo se ti va ti lascio i link delle foto di come mi immagino i vari personaggi:

Lily: http://i52.tinypic.com/33tl1sn.jpg

Vanessa: http://i55.tinypic.com/ff1gdu.jpg

Damien: http://i53.tinypic.com/140llix.jpg

Blake: http://i55.tinypic.com/25zrtzk.jpg

Jonathan: http://i54.tinypic.com/x3vus.jpg

Charlotte: http://i52.tinypic.com/er05tv.jpg

Vahel: http://i56.tinypic.com/2z8z13s.jpg

I ragazzi non indossano una vera e propria uniforme, ma semplicemente delle felpe/maglie/camicie ecc con il logo della scuola.

A presto!

 

Adamantina

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Capitolo 5
*** The Cure ***


~the cure~

 

[Jonathan]

 

Non appena mi sveglio, vorrei non averlo fatto.

Il dolore è ai limiti del sopportabile. Ogni parte del mio corpo brucia, in particolare la schiena e il petto. Mi sembra di andare a fuoco.

Apro gli occhi e vedo Charlotte seduta accanto a me.

-Charlie-, mormoro, la gola secca.

Lei sussulta.

-Sei sveglio! Come stai?-

La parola “bene” mi esce di bocca automaticamente, anche se non potrei essere meno sincero.

-Te la sei vista brutta-, dice, alzandosi per prendere un bicchiere d’acqua. –Ricordi qualcosa?-

Stringo gli occhi, cercando di mettere ordine nei miei pensieri confusi e distinguere i ricordi dai sogni.

-La rete, naturalmente. E poi Blake … -, rivedo la sua preoccupazione mentre cerca di liberarmi, e Vahel che lo richiama … - E Vahel-, dico a denti stretti, carico d’odio.

Charlotte mi porge il bicchiere d’acqua. Mi sforzo di mettermi seduto, ma il mio corpo protesta vigorosamente, strappandomi un ansito al distendersi improvviso delle ferite non ancora cicatrizzate.

-Stai fermo-, mi impone Charlotte.

Non ho la forza di contraddirla. Mi aiuta con delicatezza a sollevare la testa per bere.

-Sei un angelo-, sospiro con gratitudine.

Charlie arrossisce e questo mi fa sorridere.

-Blake ha avuto dei problemi?-, chiedo.

Charlotte esita, rigirandosi il bicchiere vuoto tra le mani.

-Vahel lo ha chiamato nel suo laboratorio e gli ha scaricato nel corpo dell’energia elettrica ad alto voltaggio per più di due ore-, dice infine, tutto d’un fiato, come se così la notizia dovesse essere più facile da digerire.

Spalanco gli occhi.

-Che cosa?-, grido.

-Sta bene-, si affretta a specificare Charlotte.

-Come può stare bene se veramente ha … -, non riesco neanche a dirlo, sconvolto dal fatto che Blake abbia dovuto sopportare una cosa del genere per aver aiutato me.

Charlotte, con calma, mi spiega la correlazione tra il potere di Blake e l’elettricità, ma la ascolto con un orecchio solo.

-Come mai i professori non fanno nulla?-

-Il presidente ha approvato i metodi di Vahel. Non possono opporsi.-

Non replico, pensandoci su. Il silenzio dura a lungo, quindi Charlotte interviene:

-Dovresti essere davvero molto grato a Blake. Ti ha salvato la vita mettendo a rischio la sua.-

-Lo sono.-

La porta si apre e ne entra il signor Hayez, il medico.

-Oh, è sveglio-, dice. –Come si sente?-

Il fatto che Charlie sia ancora qui mi costringe a rispondere:

-Bene.-

-Certo-, replica il medico, per niente convinto. –Signorina Miller, sarebbe così cortese da rifare lei le fasciature? So che ha tante credenziali quanto me.- Le fa l’occhiolino e Charlie annuisce. –Bene. Gli dia anche un altro antidolorifico. Io vado a visitare il signor Gray.-

-Signor Hayez-, lo ferma Charlotte, -Si ricordi di fare attenzione alla distensione muscolare.-

-Naturalmente, collega.-

Hayez esce ridacchiando.

-Ok-, esordisce Charlotte, un po’ impacciata. –Vediamo … -

Va alla ricerca di nuove bende mentre io chiudo gli occhi per un secondo. Sono esausto e il dolore non fa che peggiorare ad ogni movimento. Non vedo l’ora di ricevere quell’antidolorifico … ma non posso certo dirlo a lei.

Non ho ancora finito di pensarlo che Charlotte mi porge un bicchiere d’acqua con una pastiglia. Le sorrido con gratitudine prima di ingoiarla.

-Adesso devo disfare le fasciature-, dice. –Riesci a sollevarti un po’? Ecco, così. Perfetto.-

Con un po’ di imbarazzo abbassa coperte e lenzuola e comincia a togliere le bende. Fisso il mio sguardo su un punto vuoto nel muro, determinato a non guardare per non deprimermi.

La mia mente si perde ad osservare l’ombra di Charlotte sul pavimento di piastrelle bianche. I lunghissimi capelli formano strane onde intorno ad essa.

La sento prendere un respiro più profondo, ma ancora non oso guardare.

-È tanto brutto?-, voglio sapere.

-No, no-, si affretta a replicare lei. –Voglio dire, migliorerà … col tempo.-

Adesso ho veramente paura di guardare.

Ma mi faccio forza e abbasso gli occhi.

È ancora peggio di quanto avessi pensato. Il mio petto è coperto di lunghe ferite violacee, sottili ma numerose, più o meno dappertutto. Qualcuna sanguina ancora e tutte hanno un aspetto pessimo. Al pensiero che siano anche sulla schiena, sulle gambe, sulle mani, sul viso mi viene la nausea. Torno a guardare il muro.

-Jonathan.-

-Sì.-

-Guardami.-

Mi costringo a portare gli occhi sul suo volto.

-Ascoltami-, insiste Charlotte. –Miglioreranno. Tra una sola settimana sembrerà già molto meno drammatico.-

Annuisco, ma la mia convinzione è pari a zero.

-Jon-, Charlie non desiste e mi prende il viso tra le mani. Mi piace questo contatto. –Ti prometto che andrà tutto bene. Resteranno poche cicatrici.-

-Se lo dici tu, ci credo.-

Ed è la verità.

Charlotte mi guarda negli occhi con tanta convinzione che mi è impossibile non crederle. Non mi ero mai accorto dei riflessi dorati dei suoi occhi.

Scuote la testa.

–Non dovrebbe essere così importante, comunque.-

-Ah, no?-

-È quello che c’è dentro che conta-, mi ricorda con un sorrisetto.

Sbuffo.

-Dicono tutti così.-

Charlotte inizia a tamponare le ferite con del disinfettante. Restiamo in silenzio a lungo, e sono io il primo a spezzarlo, quando ormai lei ha finito il lavoro.

-Grazie-, le dico.

-Per cosa?-

-Per essere qui.-

-È un piacere.- Arrossisce appena. –Non che sia un piacere che tu sia qui. Intendo dire che … -

-Charlie-, la interrompo.

-Sì.-

-Sono convinto che tu sia un genio, non farmi cambiare idea.-

Lei ride, e io faccio una cosa stupida.

Impulsiva e decisamente fuori luogo.

Ma che posso farci? È semplicemente successo.

Le prendo il viso tra le mani e la bacio.

Così, senza preavviso, improvvisamente.

Anche se so che non dovrei.

Ma in questo momento tutto ciò a cui penso è a quanto è bella, e a quanto mi piace la sua risata, e a quanto è stata carina con me oggi.

Lei si irrigidisce ma poi si lascia andare.

Non ci allontaniamo l’uno dall’altra per un tempo che a me sembra molto lungo.

Poi Charlotte si ritrae, il mio cervello riprende a funzionare e mi rendo conto di cosa ho fatto. La guardo con un certo timore della sua reazione.

Charlotte batte le palpebre, fa per dire qualcosa ma si interrompe, mi osserva, quindi si alza e mormora:

-Devo andare.-

Ed esce quasi di corsa.

Rimasto solo, mi do dello stupido.

Non avrei dovuto.

Due anni fa, quando siamo arrivati qua, il vecchio preside ci aveva messi in guardia dall’instaurare rapporti più profondi di un’amicizia.

L’amore porta litigi, i litigi portano all’odio, l’odio porta al tradimento.

Io non ero mai stato particolarmente favorevole a questo, ma devo ammettere che non ci avevo mai pensato sul serio.

Abbiamo sempre rispettato questa regola. Cosa direbbero gli altri se lo sapessero? Capirebbero? Dovrei forse dimenticare quello che è successo?

Certo che sì.

Però … Dio, Charlotte è così bella. E simpatica, e intelligente, e stupenda.

Non voglio dover rinunciare a lei.

Non è giusto.

Sospiro e cerco di mettermi comodo, ma l’antidolorifico non ha ancora fatto effetto se non per provocarmi una certa sonnolenza.

Mi addormento, sulle labbra ancora il sapore di Charlotte.

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Capitolo 6
*** Threatened ***


~Threatened~

 

[Lily]

 

-Dobbiamo fermarlo.-

-E come?-

-Quando i professori sapranno cos’ha fatto … -

-Non possono intervenire!-

-Ma possono parlare con lui!-

-Non servirà a niente.-

-Se non a farlo infuriare.-

Lancio un’occhiata a Blake. Siamo gli unici che finora non hanno aperto bocca in questa discussione. Cosa strana, perché di solito si sentono soprattutto le nostre voci.

Che urlano l’una contro l’altra.

Ma ritengo che tutto questo sia inutile. Parlarne non serve a nulla.

-Possiamo smetterla?-, chiedo a denti stretti.

Vanessa, Damien e Charlotte tacciono, guardandomi interrogativi. Non è da me reagire così.

-Vado a prendere una boccata d’aria-, taglio corto, trattenendomi a fatica dallo sbattere la porta.

-Aspetta, Lily-, mi blocca Charlotte, correndomi dietro.

-Cosa c’è?-

-Devo parlarti.-

-Non è il momento.-

-Ti prego. È importante.-

-Dimmi che non riguarda Vahel.-

-No, assolutamente.-

Esito.

-Va bene, allora-, cedo alla fine, -Ma usciamo.-

-Lily, è successa una cosa strana-, mi confida mentre usciamo in giardino.

-Sarebbe?-

-Io … ecco … Jonathan mi ha baciata.-

Spalanco gli occhi. Ecco, questa è una notizia.

-Wow.-

-Lily, cosa ne pensi? Dovrei dimenticare quello che è successo?-

-E perché mai?-

-Beh … sai, per quello che aveva detto il preside quando … -

-Mio Dio, Charlotte! Dici sul serio?-

La sua faccia assume un’espressione confusa che, grazie al suo cervello geniale, non mi è praticamente mai capitato di vedere.

Me la godo per un momento prima di aggiungere:

-Andiamo, Charlie. Io e Blake siamo stati insieme almeno una decina di volte!-

Ora la vedo spalancare quegli enormi occhi castani e avvicinarsi allo svenimento.

-Cosa … cosa … -, balbetta. –Tu … e Blake? Ma siete … cioè … -

Mi viene da ridere.

-Charlotte, tesoro, non siamo un bel niente. È successo, ecco tutto. Non posso certo ucciderti perché Jonathan ti ha dato un bacio! Anche se trovo difficile capire come qualcuno possa voler baciare Jonathan.-

-Questo mi fa sentire molto meglio. Grazie, Lily.-

-Oh. Di nulla.-

E io che pensavo di averla offesa. Aspetto che si allontani per sedermi su una panchina. Fa freddo, ma di tornare dentro non se ne parla.

Nella mia testa sono impresse immagini tremende di come Blake sia stato torturato per aver cercato di aiutare Jonathan.

Il solo pensiero che quell’uomo viscido abbia osato fare una cosa del genere mi fa infuriare.

Decido di camminare un po’ per calmarmi.

Come se potesse mai funzionare.

 

Per oltre una settimana Vahel ci lascia in pace. Fa qualche comparsa durante le lezioni, ma niente di più.

Nel frattempo Blake e Jonathan tornano a lezione, il secondo con qualche difficoltà.

Il fatto che Blake si sia ripreso mi rincuora tantissimo, anche se lo vedo molto più cupo di prima. Non appena vede Vahel, poi, abbassa lo sguardo.

Non so come mai, ma questo stupido dettaglio mi fa arrabbiare tantissimo. Non so esattamente cosa sia successo: Blake non ha voluto dire nulla, e Charlotte e Damien, che erano lì, nemmeno.

Anche se Damien si comporta in modo esageratamente strano. È sempre più teso, nervoso, scatta per un nonnulla.

È martedì mattina e stiamo subendo una tremenda lezione di storia quando Vahel entra.

L’insegnante interrompe una frase a metà mentre il preside raggiunge la cattedra per poterci vedere tutti.

-Voglio vedervi tutti alle due nell’arena-, dice. –Non tollererò ritardi né defezioni, siete avvisati.-

Detto ciò, esce senza guardarci indietro.

Riesco a percepire sulla pelle la tensione che queste poche parole hanno scatenato nella classe. Hanno paura.

Io no.

È pur sempre un insegnante, maledizione! Non può comportarsi da dittatore crudele con noi.

Non può, mi ripeto con poca convinzione.

Nessuno, nemmeno Charlotte, ascolta una sola parola della lezione, né di quelle successive. A mensa regna il silenzio e anche nell’arena, quando la raggiungiamo, alle due in punto. Anzi, ci arriviamo un po’ prima, ma Damien sta parlando concitatamente con Vahel. Vorrei sapere perché.

Poco dopo ci schieriamo tutti di fronte a lui.

Mi chiedo se vorrà fare come l’ultima volta, mettere alla prova uno di noi. Mi guardo intorno rapidamente.

Blake è immobile, lo sguardo fisso sulla sabbia.

Jonathan ha i pugni chiusi e gli occhi stretti.

-La prova di oggi vi coinvolgerà tutti-, esordisce Vahel, la sua voce gelida che sovrasta il vento che soffia … causa del quale potrebbe essere il mio nervosismo, ma non ne sono certa. –Combatterete gli uni contro gli altri.-

Mi rilasso un po’. Non è la prima volta che lo facciamo, e naturalmente non è mai successo niente di grave.

-Per incentivarvi un po’-, prosegue, -Vi informo che il vincitore dovrà partecipare ad una seduta in laboratorio simile a quella a cui ha preso parte il signor Gray. Se vi rifiuterete di partecipare, dovrete farlo tutti.-

Oh, Dio, no.

La crudeltà implicita di queste parole mi colpisce all’improvviso, come una secchiata di acqua gelida in faccia.

-Vi lascio soli per parlarne. Avete cinque minuti.-

Si allontana.

-Dovete lasciar vincere me-, esordisce Blake, deciso.

-Scordatelo-, taglio corto io. –L’hai già subito una volta.-

-Appunto. E sono sopravvissuto, no?-

-Questo non vuol dire niente-, afferma Charlotte. –Vahel non vuole ucciderci … o perlomeno non può. Non ci sottoporrebbe a niente di mortale.-

-Abbiamo visto cosa è capace di fare-, la contraddice Jonathan.

-Io propongo almeno di escludere le ragazze-, dice Damien.

-Puoi scordartelo-, sbotto.

-Siamo tanto capaci quanto lo siete voi-, prosegue Vanessa. -Non è giusto che voi dobbiate sopportare questo due volte.-

-Ma siete ragazze!-

Vahel rientra, impedendoci di continuare a discutere.

-Combatterete tutti, non è così?-

Silenzio.

-Vi ho fatto una domanda.-

-Sì, signore-, rispondiamo in coro, a bassa voce.

È così evidente quello che vuole fare!

Non avremmo mai combattuto seriamente in altre condizioni. Invece ora ognuno di noi lotterà per vincere pur di risparmiare gli altri.

La perfidia di quell’uomo mi lascia senza parole.

-Comincerete a coppie. Per primi la signorina Evans e il signor Knight.-

Vanessa e Damien raggiungono il centro dell’arena mentre noi ci sistemiamo sugli spalti.

-Potete cominciare.-

Vanessa, naturalmente, scompare. Ma Damien si volta e fissa un punto preciso, come se riuscisse a vederla. Cosa assolutamente impossibile.

-Ha acquisito un controllo straordinario-, mormora Charlie, seduta accanto a me. La guardo interrogativa. –Damien riesce a vedere dove si sposterà Ness prima che lei lo faccia. Prima non sarebbe riuscito a vederlo di proposito.-

-Devono essere quelle pastiglie che gli ha dato Vahel-, replico.

Charlotte annuisce, ma non mi sembra convinta.

Improvvisamente, Damien salta addosso a Vanessa. O almeno credo, perché non posso vederla. Ma vedo che è a terra, e sotto di lui c’è qualcuno di invisibile. A meno che non stia fluttuando nel vuoto.

-Presa-, dice.

Ma Vanessa si libera, sgusciando via, e … non so cosa faccia esattamente –non la vedo, maledizione!- ma Damien sembra confuso e si guarda intorno.

-Non sta prendendo decisioni-, mi spiega Charlotte. –Damien riesce a vedere solo quando Vanessa decide di spostarsi, ma lei sta scegliendo dove andare all’ultimissimo momento. Si sta muovendo casualmente.-

E poi, Damien cade a terra, spinto da una forza invisibile. Vanessa ricompare, esattamente sopra di lui, tenendolo fermo saldamente.

-Vince la signorina Evans-, annuncia Vahel. –Tocca alla signorina Bennett e al signor Bailey.-

Mi alzo e raggiungo il centro dell’arena. Sento la tensione nei muscoli e cerco di liberarmi di ogni pensiero.

-Cominciate.-

Jonathan si trasforma immediatamente in una grande tigre e mi mostra le lunghe zanne, cominciando ad avvicinarsi. Alzo un sopracciglio, critica, e allungo una mano. Immediatamente un fortissimo vento inizia a spirare, spettinandomi i capelli. La tigre diventa un qualche enorme uccello, forse un’aquila, e affronta la corrente con facilità. Allora accendo una sola fiammella, che si diffonde nell’aria come un incendio. Ma Jonathan scompare … o meglio, diventa qualcosa di tanto piccolo da essere difficile da individuare. Una salamandra, realizzo, guardandolo attraversare il fuoco immune e ritrasformarsi in tigre. Mi salta addosso e io non trovo soluzione migliore che tornare al fuoco. La tigre salta indietro e io, sul palmo una fiamma ardente, la raggiungo, facendo per colpirla.

-Vince la signorina Bennett.-

Ovvio.

Faccio cessare il fuoco e il vento e allungo una mano a Jonathan, che si ritrasforma in umano e la afferra per rialzarsi.

È il turno di Charlotte e Blake. Lui, evidentemente deciso a non lasciare che tre ragazze arrivino alla finale, le lancia contro un lampo energetico tanto forte da mandarla a sbattere contro un muro e vince in meno di trenta secondi.

-Vince il signor Gray. Vi voglio qui alla stessa ora domani per la finale. Buona giornata.-

Ci congeda così, rapidamente, e fa per uscire ma Damien lo ferma e riprende a parlare con lui in tono concitato. Noi facciamo per uscire, ma con la coda dell’occhio vedo Vanessa che scompare. Sono certa che stia andando a spiare la loro conversazione … e, dato che la curiosità è donna, vedrò di chiederle cosa ha scoperto, più tardi.

Prima di allora, vista l’espressione decisa di Blake, sembra che dovrò affrontare un’altra discussione difficile.

Che meraviglia … e che novità.

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Capitolo 7
*** Addiction ***


~addiction~

 

[Vanessa]

 

Non posso farne a meno. Devo andare a controllare.

Forse qualcuno lo definirebbe piuttosto origliare una conversazione privata, ma io non amo questa definizione. E poi, lo sanno tutti che al giorno d’oggi la privacy non esiste più. Il Grande Fratello è dappertutto, eccetera eccetera.

Scompaio subito dopo aver varcato la porta e mi avvicino a Damien e Vahel.

Sono piuttosto sicura che Damien potrebbe scoprire dove sono se solo gli interessasse. La sua abilità è migliorata incredibilmente in queste poche settimane. Non ha più avuto incubi e riesce a prevedere solo quello che vuole. È tutto ciò che ha sempre desiderato, e l’ha ottenuto grazie a quel bastardo di Vahel. Per questo devo capire cosa si stanno dicendo. Mi avvicino con cautela assolutamente inutile –a meno che uno dei due non si metta ad osservare le nuove orme che compaiono sulla sabbia, e ne dubito.

-La prego!-, sbotta Damien, facendomi sobbalzare.

Lo sta pregando? Sul serio? Che ne è stato di tutti i discorsi sull’odio che provavamo per lui?

-Non ancora, signor Knight.-

-La supplico! Ne ho bisogno!-

Cosa ne è stato della sua dignità?

-Oh, andiamo. Potrà resistere un altro giorno!-

-Non posso! La prego, professore, la imploro … non posso lasciare che ricominci!-

-Non … -, comincia Vahel, ma Damien lo interrompe con veemenza:

-Non posso!-, grida.

Vahel tace per un secondo, quindi si fruga nella tasca della giacca e ne estrae un barattolo in plastica pieno di pastiglie. Ne prende una manciata e la consegna a Damien.

-Va bene-, dice.

-Grazie-, mormora Damien, ingoiandone subito una. Immediatamente il suo volto teso si rilassa.

Si allontana e io lo seguo. Non appena siamo fuori dalla portata visiva di Vahel, ricompaio.

Damien sussulta.

-Cosa stai facendo?-, chiede.

-Potrei farti la stessa domanda.-

Lo vedo arrossire ed esitare.

-Io … niente.- Mi fissa. –Hai spiato la mia conversazione, Vanessa?-

-Ero preoccupata per te-, replico.

-Pensavo avessi giurato che non l’avresti mai fatto.-

-Cosa stai combinando con quelle pastiglie, Damien?-

-Niente.-

Accelera il passo, ma gli sto dietro senza problemi.

-Ne stai diventando dipendente?-

-No!-, sbotta. -Finalmente posso controllare il mio dono, Ness! Non vedo più gente che muore durante la notte, né incidenti aerei, né terremoti … -

-È una droga, non è vero?-, insisto, afferrandogli un braccio per impedirgli di andare avanti.

-Non … non è così.-

-Sì che lo è!-, urlo, reprimendo a fatica l’istinto di schiaffeggiarlo. –Non riesci proprio a capire? Vahel ti sta rendendo suo schiavo grazie a quelle pillole!-

-Posso smettere quando voglio.-

Dio, no. Non questa frase. Non sarò intelligente come Charlotte, ma sono abbastanza informata per sapere che questo è un bruttissimo segno. Guardo negli occhi il mio migliore amico e noto che le sue pupille hanno una forma strana.

-Damien-, sussurro, -Ti prego, smettila. Ti stai facendo del male.-

-Non posso tornare a com’era prima, Ness-, mormora. –Non dopo aver visto com’è vivere senza essere tormentato dagli incubi. Non reggerei.-

-Troveremo un’altra soluzione.-

Non voglio mollare e stringo la presa sul suo braccio, senza distogliere lo sguardo dal suo.

-Non ce n’è, Nessie … è l’unica possibilità.-

Un nodo mi stringe la gola con tanta forza da rendermi difficile respirare.

Lotto per non piangere e mi allontano quasi di corsa dal mio amico, scomparendo a metà strada.

Invisibile, sono ora libera di crollare. Mi lascio cadere ai piedi di un albero e vi appoggio la schiena, scossa dai singhiozzi.

Com’è potuto succedere così in fretta?

Come ho fatto a non accorgermene?

Sono talmente certa della mia invisibilità che, quando Damien mi mette una mano sulla spalla, sussulto per lo stupore. Non mi vede, ma ha previsto che sarei andata esattamente lì.

-Non piangere, Ness. Ti prego.-

-Non pregarmi!- La mia voce esce più stridula del solito, ma non me ne curo. –Non voglio che tu mi preghi come hai pregato quel mostro di darti ciò che volevi! Tu mi fai schifo! Vattene!-

Damien sobbalza come se lo avessi pugnalato. Guarda il vuoto che mi ospita e annuisce appena, quindi si allontana in silenzio, senza più voltarsi, lasciandomi sola con la mia frustrazione.

 

Mi ci vuole più di un’ora per calmarmi e riprendere a ragionare razionalmente.

Allora faccio la cosa più logica.

Vado a cercare Charlotte. Mi dirigo direttamente verso la Sala, ancora invisibile, decisa a fare una puntata nel bagno per controllare lo stato dei miei occhi, che immagino rossi e gonfi.

Appena sguscio all’interno, uno spettacolo mi si prospetta davanti.

Lily e Blake, uno davanti all’altro, che urlano a squarciagola dei pessimi insulti.

Tutti gli altri sembrano piuttosto imbarazzati.

-Sei un maschilista!-

-E tu sei masochista!-

-Senti chi parla!-

Intuisco l’argomento della discussione e so che dovrei entrarci anch’io, ma non è il momento. Mi avvicino a Charlotte  e le mormoro all’orecchio:

-Esci un attimo?-

Lei sussulta, quindi sospira:

-Vado a prendere un po’ d’aria.-

La seguo fuori e riappaio.

-Cielo, Ness, sei tremenda! Cosa hai fatto a quegli occhi?-

-Niente. Senti, Charlie, è successa una cosa grave.-

-Sarebbe?-

-Hai presente le pastiglie che Vahel dà a Damien?-

-Sì.-

-Credo che siano una specie di droga. Non riesce a starne senza, anche a costo di implorare Vahel per averle, ed è sempre più strano. Dice che non riuscirebbe più a sopportare di avere visioni ad ogni ora del giorno e della notte e io … non so cosa fare.-

Charlotte riflette per un secondo.

-Assuefazione-, mormora. –Questo è un problema.-

-Grazie per la concessione.-

-Quindi tu vuoi che smetta di essere dipendente da queste pastiglie ma che non ricominci ad avere incubi.- Esita. –Dammi un giorno. Ho bisogno di fare qualche ricerca, ma credo di poterti aiutare.-

-Grazie, Charlie-, mormoro, abbracciandola.

Lei sorride.

-Sai che adoro una bella sfida intellettuale.-

-Lieta di averne trovata una.-

-Dovresti parlare con Lily e Blake, sai.-

-Non ci tengo così tanto. Temo di restare gravemente ferita.-

Charlotte scuote la testa.

-Blake insiste a volere che Lily lo lasci vincere, domani. Fa tanto il duro ma in realtà non vuole che lei si faccia male, e la stessa cosa vale per lei.-

-Io farei meglio a restarne fuori.-

-Ma la cosa riguarda anche te, Ness. Vai.-

Annuisco, rassegnata, ricompaio e rientro.

-Ah, eccoti!- Lily mi afferra per un braccio e, con poca delicatezza, mi trascina davanti a Blake. –Diglielo, che deve lasciarmi vincere!-

-No, dì a lei che deve lasciar vincere me!-

-E se combattessimo alla pari?-

Blake e Lily mi guardano stralunati. Probabilmente si aspettavano che anche io reclamassi il mio diritto a subire una tortura insopportabile.

Sorpresa sorpresa, non ne sono entusiasta.

-Mi pareva che avessimo deciso così, all’inizio. E poi, sapete che nessuno cederà. È l’unico modo.-

Detto questo, mi libero dalle grinfie di Lily e mi allontano, lasciandoli ancora a discutere.

 

Charlotte mi prende da parte la mattina dopo, poco prima di colazione.

-Credo di aver trovato una soluzione-, annuncia.

-Dimmi.

-Ci sono alcune tecniche che potresti sperimentare … le ho trovate nella biblioteca degli insegnanti.-

-Come ci sei entrata esattamente?-

-Questo non è importante.- Charlie sorride appena prima di proseguire, seria: -Il punto è che sono tecniche sperimentali, tutte basate su cose tipo respirazione, chakra, punti vitali, controllo della mente eccetera.-

-Mi sembra molto irrealistico, miss c’è-una-spiegazione-razionale-per-tutto.-

-Lo so, ma effettivamente potrebbe funzionare. Dopotutto non ho mai trovato una spiegazione razionale per i nostri poteri.-

-Charlotte, potrebbe non basta. Per convincere Damien a smettere di prendere quelle pillole devo offrirgli un’alternativa sicura. Non la accetterà, altrimenti.-

-Non esiste niente di sicuro al cento per cento, Nessie. Ma ho scoperto la sostanza contenuta in quelle pillole, ed è paragonabile ad una droga vera e propria, e anche piuttosto forte. Devi farlo smettere.-

-Gli dirò che l’alternativa è sicura.-

-Ma non lo è.-

-Mentirò. Non mi interessa.-

-Vedrà le tue intenzioni nel futuro, Vanessa. Sii onesta. È la tua arma migliore.-

Annuisco distrattamente, indecisa.

 

-Damien.-

Lui si volta e vedo che non sa se sia prudente fermarsi.

Stupido.

-Per favore, devo parlarti.-

Cede e si avvicina. Dovremmo essere a lezione, ma la professoressa non si arrabbierà se tarderemo di cinque minuti. Credo.

-Cosa vuoi?-

Freddo, sgarbato. Lo guardo negli occhi e vedo le sue pupille dilatate. Devo trattenere un’ondata di nausea.

-Esiste un altro modo per controllare il tuo potere.-

-Non è vero.-

Gli lancio un’occhiataccia.

-Sì, lo è. Ho fatto delle ricerche.- Preferisco non dirgli che ho coinvolto Charlotte. Si infurierebbe. –Ho scoperto che quelle pillole sono una vera e propria droga.-

-E allora?-

Dio, ti prego, trattienimi e impediscimi di ucciderlo qui e ora.

-E allora-, spiego pazientemente, le unghie piantate nei palmi delle mani, La droga è pericolosa. Potresti morire, Damien. Il metodo che ho trovato è complicato, ma assolutamente sano e indolore.-

-Funziona?-

Ecco il momento della verità.

-Certo. Al cento per cento.-

O meglio, ecco il momento della menzogna.

Lo vedo aggrottare le sopracciglia.

-Avanti, Damien-, insisto. –Otterrai lo stesso effetto senza rischiare di morire, senza essere sempre così nervoso, senza odiare tutto e tutti … -

Mi guarda sorpreso. Come se non l’avessi notato.

Stupido al quadrato.

-Devo pensarci-, borbotta. –Siamo in ritardo-, aggiunge, e comincia ad allontanarsi.

-No!-, sbotto.

Lo raggiungo di corsa e lo afferro per un braccio.

-Damien, ne sei diventato dipendente! Lo capisci?-

-No, non è così. Posso smettere.-

-E allora fallo!-

-E se non volessi?-

-Perché? Per le visioni? Ti ho detto che c’è un modo per controllarle. La verità è che tu non vuoi smettere, Dam.-

Mi guarda, sentendosi in trappola.

-Vanessa, io … -

-Ti prego-, lo interrompo. –Vuoi che mi metta in ginocchio? Lo farò, te lo giuro. Farò qualsiasi cosa, ma tu dimmi che ci proverai. Che proverai a smettere.-

Lui esita, si passa una mano tra i capelli castani e infine sospira.

-Posso smettere quando voglio, e te lo dimostrerò-, dice.

-Grazie-, sussurro, e mi allungo per abbracciarlo.

Lui ricambia, rigido.

-Ti voglio bene-, mormoro.

Non risponde.

 

 

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Capitolo 8
*** Not Human Beings ***


~not human beings~

 

[Blake]

 

Quando arriviamo all’arena, intorno alle due, sono teso e furioso.

Non perché tema di essere battuto –figuriamoci, è di Vanessa e Lily che stiamo parlando!- quanto perché nessuna delle due ha voluto darmi la certezza assoluta che mi avrebbero lasciato vincere. Vincerò comunque –lo so- ma se succedesse qualcosa, qualunque cosa, come potrei sopportare che una ragazza subisca quello che ho subito io?

Soprattutto Lily.

Questo è il motivo per cui dovrò assolutamente dare il massimo.

E, quando Vahel ci dà il via, è questo che faccio.

Vanessa scompare, quindi per il momento devo occuparmi di Lily.

Mi dispiace doverla colpire –per quanto sia stata testarda e irragionevole, è pur sempre la mia Lily- ma devo farlo.

Per il suo bene.

Allungo una mano per colpirla, ma mi precede. Un incendio si sprigiona improvvisamente di fronte a me, facendomi balzare indietro. Il fumo mi acceca; colpire senza vedere sarebbe inutile. Poi, un momento prima che io crolli, il fuoco diventa acqua gelida.

Attraverso la pioggia battente vedo Lily che fissa un punto in cui l’acqua non cade –un vuoto: Vanessa. Lily allunga una mano e la terra si apre sotto Vanessa, facendola cadere in una buca.

È il momento giusto: lancio un lampo di energia contro Lily, che viene sbalzata contro il muro. Mi avvicino mentre lei si rialza.

Faccio per sferrare il colpo definitivo, ma qualcosa mi blocca.

Forse è la parte meno razionale di me che mi impedisce di fare qualcosa di così profondamente sbagliato come colpire Lily.

Esito per un secondo di troppo, e un getto di acqua violento, come da un idrante, mi scaraventa a terra.

Sento le parole che mai avrei voluto –dovuto- permettere che fossero pronunciate.

-Vince la signorina Bennett.-

 

-Lily, non puoi farlo.-

-Ti ho battuto.-

-Perché non volevo farti del male!-

-Resta il fatto che ti ho battuto.-

-Non voglio che tu vada.-

-Devo farlo.-

Trafiggo Lily –la mia rovina personale, lo giuro- con un’occhiata omicida.

-Non lascerò che ti torca un capello, Bennett-, sibilo.

Siamo in giardino, soli, e tra poco più di dieci minuti lei dovrà andare da Vahel.

-Non puoi evitarlo, Blake.- Il suo tono si addolcisce. –So che ti preoccupi per me, ma se avessi avuto intenzione di scappare ti avrei lasciato vincere.-

-Ma … -

-Se ti opponessi a Vahel adesso, puoi stare certo che ti punirebbe di nuovo.-

-Non mi interessa!-

-Interessa a me.- Lily mi fissa con occhi fiammeggianti. –Quello che ho fatto, l’ho fatto per risparmiare te. Non renderlo inutile.-

Detto ciò, si allontana.

Mi dirigo verso la biblioteca, un’idea ben chiara in mente.

-Vanessa.-

Lei si gira.

-Dimmi.-

-Ti prego, vai da Lily e stalle vicina. Non ti vedrà, ma almeno non sarà da sola.-

Vanessa accetta immediatamente e io vado nella mia stanza, dove comincio a girare in tondo, nervoso, teso e arrabbiato.

Come ho potuto permettere che succedesse una cosa del genere a Lily?

La mia Lily.

Non che sia innamorato di lei, niente del genere.

Per carità.

Non sono fatto per certe stupidaggini –e poi, voglio dire, ho diciott’anni e tutta la vita davanti.

Lily è la mia migliore amica, nonché –periodicamente- la mia amante.

Ok, è davvero pessimo chiamarla così (mi ucciderebbe se lo sentisse), però … è quello che è.

Non è la mia ragazza, non ufficialmente almeno, ma ogni tanto capita che si comporti come tale.

Mi lascio cadere sul letto, perfettamente consapevole della mia totale impossibilità ad agire. Non c’è niente che io possa fare per impedire a quel pazzo bastardo di Vahel di … non riesco neanche a pensare a quella parola.

Come un cane in gabbia, aspetto con ansia che il mio orologio smetta di muoversi al ralenty.

Dopo milioni di ore, a quanto mi è sembrato, sento una porta sbattere. Il rumore è quasi nullo, ma le mie orecchie aspettano un suono del genere da troppo tempo.

Scatto in piedi e corro giù.

Sono tutti lì: Jonathan, Charlotte, Damien, Vanessa e Lily.

La raggiungo. È pallida come uno straccio.

-Cosa ti ha fatto?-, chiedo, esaminandola preoccupato.

Lei scuote la testa e mi stringe forte.

Mando via tutti gli altri con un cenno e la scorto in camera sua..

-Lily-, ripeto. –Cosa ti ha fatto?-

Lei alza lo sguardo per incontrare il mio.

-Mi ha tolto i poteri-, mormora.

-Che cosa?!-

-Io … Dio, Blake, è stato così … -

-Calmati, Lily-belle-, mormoro. –E raccontami tutto.-

Lei chiude gli occhi per un secondo, e quando li riapre sembra meno spaventata e più sicura.

-Mi ha dato qualcosa. Non so cosa fosse, me l’ha iniettato nel braccio.- Mi mostra un minuscolo segno rosso nell’incavo del gomito. –Non ho sentito nulla, ma poi … i miei poteri sono scomparsi. Non riesco più a fare nulla. Neanche una fiammella, neanche una goccia d’acqua … -, la sua voce si affievolisce.

Mi lascia un senso crescente di orrore.

-Non può averlo fatto-, dico.

Mi alzo in piedi, quasi come un automa, ed esco.

-No, Blake … -

Incontro Charlotte e le chiedo di restare con Lily, quindi raggiungo l’ufficio del preside.

Ivan Vahel sta leggendo alcuni documenti.

-Non può fare una cosa del genere!-, urlo.

Lui solleva lo sguardo.

-Buon pomeriggio anche a lei, signor Gray.-

Dio, adesso lo uccido. Sul serio.

-Lei non può togliere i poteri a Lily! Non ne ha il diritto!-

-Diritto? Chi ha mai parlato di diritti, Gray? Voi non avete diritti. Io ne ho, verso di voi.-

-Noi siamo persone. Cittadini. Abbiamo tutti i diritti che … -

-Oh, ma questo non è vero.-

Il tono di Vahel è tanto mellifluo da farmi venire la nausea.

-Che cosa? Non siamo cittadini?-

-Signor Gray, per il governo degli Stati Uniti non siete persone. Non siete esseri umani.-

-E cosa saremmo, allora?-

-Una minaccia.-

Avrei dovuto saperlo.

Avrei dovuto capirlo.

Avrei dovuto accettarlo quando Charlotte –maledetto quel suo super cervello- lo aveva sostenuto.

E invece riesco a farmi sconvolgere.

-E io-, prosegue Vahel, come se non avesse notato il mio shock (ma sono certo che lo ha notato), -Ho il compito di tenervi a bada con tutti i metodi che riterrò necessari per impedirvi di ledere alla società.-

-Noi non siamo una minaccia. Potremmo aiutare la gente!-

-Potreste, è questo il punto. Perché, Gray, potreste anche uccidere, ferire, rapinare banche. E il presidente non vuole correre questo rischio.-

-Ma questo è il nostro ultimo anno di scuola! Tra qualche mese saremo liberi e … -

Vahel sorride con una freddezza incredibile.

-La vostra ingenuità è estremamente sorprendente-, dice, prima di congedarmi con un gesto.

-No-, mi intestardisco. –Voglio che ridia i poteri a Lily.-

-Torneranno presto, l’effetto di quel farmaco è solo temporaneo. Ora, se non le dispiace, vorrei che se ne andasse, Gray.-

Esito, quindi obbedisco.

Nel momento stesso in cui esco, trovo Damien davanti alla porta. Sguscia dentro lasciandola socchiusa. Non mi saluta, sembra che non mi abbia neanche visto.

Nonostante la preoccupazione, la stanchezza, il desiderio di raggiungere Lily, la mia curiosità prende il sopravvento.

-Di nuovo qui, Knight?-, chiede Vahel, e distinguo chiaramente il sarcasmo nella sua voce.

-Potrebbe … per favore … darmene ancora?-, domanda di rimando Damien, esitante.

-E se ti dicessi di no?-

-La prego!-

Sussulto.

Cosa diavolo sta facendo?

-A quanto sei arrivato, cinque, sei al giorno? È un po’ troppo, non credi?-

-La supplico, professore, ne ho bisogno!-

La supplica mi stordisce, non riesco a capire cosa stia succedendo. Perché Damien è caduto così in basso? Cosa vuole?

-Ho bisogno di qualcosa in cambio.-

-Qualsiasi cosa!-

-Dimmi … come ha reagito la signorina Bennett?-

Sono certo, certo che Damien non risponderà.

-Piangeva, e Blake l’ha consolata, credo.-

Almeno abbi il buon gusto di mentire!

-Mm. Va bene. Ecco a te … per un paio di giorni dovrebbero bastare.-

-Grazie.-

Capisco che Damien sta uscendo e mi allontano di corsa, tornando nel nostro salotto.

Lily è coricata sul divano e sembra essersi addormentata. Charlotte e Vanessa sono sedute poco distante e leggono insieme un libro, Charlie che le spiega qualcosa a bassa voce.

Jonathan è stravaccato su una poltrona e ascolta della musica.

Non ho neanche tempo di sedermi che la porta si riapre e Damien rientra.

La rabbia che ho dovuto trattenere per tutto il giorno esplode all’improvviso, e prima di rendermene conto gli sto urlando contro.

-Cosa credevi di fare?-, lo aggredisco con furia.

-Di cosa stai parlando?-

-Cosa ci facevi da Vahel?-

-Io … niente. E comunque non sono affari tuoi.-

Vanessa, Jonathan e Charlotte hanno alzato la testa, e Lily si è svegliata.

-Non sono affari miei?-, sibilo a denti stretti. –Gli hai detto di Lily! Gli avresti detto qualsiasi cosa se te l’avesse chiesta!-

-Smettila di darmi contro, Blake. Non sai niente.-

Cerca di superarmi per andarsene, ma lo prendo per un braccio e lo fermo.

-Cosa volevi da lui?-

-Lasciami andare!-

-E tu rispondimi!-

-Non ho intenzione di farlo.-

-Ti rendi conto di quello che stai facendo? Vahel è il pazzo che ha torturato Jonathan e me! Ci ha fatti combattere l’uno contro l’altro! Ha tolto i poteri a Lily!-

-Ho dovuto farlo!-

-Perché?!-

-Io … non posso dirtelo.-

-Te lo dico io-, interviene Vanessa, freddamente, alzandosi. –Ha dovuto implorare Vahel di dargli quelle pastiglie che fermano le visioni. Sono una droga e lui ne è diventato completamente dipendente.-

Fisso Vanessa.

-Che cosa?-

-È così. Mi aveva promesso che avrebbe smesso, ma a quanto pare non ci ha neanche provato.-

-Io non voglio smettere, Ness!-

-C’è un altro modo, lo sai.-

-Ma tu mi hai mentito-, ringhia Damien. –Mi hai detto che avrebbe funzionato di sicuro, ma non è così.-

-L’hai visto nel futuro?-

-Ho visto due futuri possibili. Potrebbe essere inutile!-

-Quella droga ti ucciderà, Damien!-

-Io non posso ricominciare ad avere le visioni, lo capisci?-

Mi fa male la testa. Guardo alternativamente Vanessa e Damien, cercando di capirci qualcosa.

-Smettetela-, dico, e tacciono entrambi. –Damien, non puoi continuare così.-

-Perché? A te che te ne frega, Blake?-

Aspetto un attimo a rispondere, incerto su come gli altri reagiranno alla mia idea. Abbasso la voce.

-Oggi Vahel mi ha fatto capire cosa vuole farne di noi, e io voglio progettare la fuga.-

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Capitolo 9
*** Understanding ***


~UNDERSTANDING~

 

[Damien]

 

Le parole mi aggrediscono da ogni parte con tanta violenza che mi sembra di avere di nuovo le visioni.

-Ma ti rendi conto di cosa stai facendo?-

-Come hai potuto permetterlo?-

-Gli hai detto di Lily!-

-Pericoloso … -

-Potresti morire!-

-Non puoi continuare così!-

-Potrebbe funzionare se … -

Basta.

Mi alzo in piedi ed esco, rincorso dalle parole.

 

Ho bisogno di ossigeno.

Ho bisogno di stare solo.

Ho bisogno di silenzio.

 

Vorrei solo che potessero capire.

La verità è che nessuno c’è mai riuscito e nessuno ci riuscirà mai.

Non sanno quanto sia difficile mantenere un briciolo di sanità mentale quando la tua testa è bombardata di immagini sconclusionate ventiquattr’ore al giorno, e non puoi dormire per più di una senza svegliarti con gli incubi.

Non sanno quanto sia impossibile rinunciare alla pace una volta che si è conosciuta.

Non ne hanno idea.

La testa mi martella, comincio a vedere, a livello quasi inconscio, qualche viso, qualche paesaggio, a sentire qualche voce.

Apro il barattolo che tengo in tasca e ingoio una pastiglia. Ormai non ho neanche più bisogno dell’acqua.

E passa.

È straordinario, ancora non riesco a capacitarmi del fatto che posso davvero spegnere le voci nella mia testa. E se l’interruttore è pericoloso, se somiglia ad un filo elettrico scoperto che devo toccare con le mani bagnate, poco male.

-Damien!-

Oh, no. Lasciatemi almeno dieci minuti.

Alzo gli occhi, scocciato dall’interruzione.

-Cosa vuoi, Jonathan?-

Lui mi guarda, un po’ esitante. È sempre stato un amico straordinario, di quelli che non giudicano, che ti accettano, che non si lamentano se li svegli con un urlo alle quattro del mattino. Eppure vedo che adesso ha paura di me.

-Dam … Vahel ha portato Vanessa nel laboratorio.-

No.

-No-, dico anche a voce alta, perché non ci voglio credere. Semplicemente non voglio.

-Ha detto che voleva testare i suoi poteri, o qualcosa del genere.-

-Quando?-

-Meno di due minuti fa.-

Faccio per alzarmi, ma Jonathan mi raggiunge e mi ferma.

-No, Damien … se vai adesso, si infurierà con te e infierirà ancora di più su di lei.-

Mi costringo a ragionare, ma come faccio, se Vanessa è lì con lui?

La mia migliore amica in assoluto.

L’unica che mi ha sempre capito. O … quasi sempre.

-L’unica cosa che puoi fare è aspettare.-

Lo so, e questo è persino peggio delle visioni.

 

Torno su, nella nostra sala, e faccio l’unica cosa che posso fare: cerco di leggere il futuro di Vanessa. Ma sono troppo nervoso, troppo teso, e, nonostante le pastiglie abbiano aumentato incredibilmente il mio controllo, tutto ciò che vedo è qualche immagine confusa e sfocata di Vanessa.

Rientra dopo circa un’ora. Scatto in piedi immediatamente.

È pallida e trema come una foglia. La raggiungo in un secondo.

-Ness? Cos’è successo?-

Lei mi guarda smarrita e tutto quello che riesco a fare è prenderle la mano e farla sedere su un divano.

-Vanessa?-

La guardiamo tutti con ansia, io in particolare, la mia mano ancora stretta nella sua.

-Potete andare via, per favore?-, pigola Vanessa.

Tutti obbediscono istantaneamente, ma io mi rifiuto. Non ho intenzione di lasciarla da sola.

-Cosa ti ha fatto, Ness?-

-Mi ha iniettato qualcosa-, replica lei, -Voleva togliermi i poteri, credo. Ma … non ha funzionato.-

La guardo senza sapere come rispondere.

-Faceva male-, mormora senza guardarmi.

Potrei uccidere Vahel in questo momento.

-E non finiva mai-, prosegue lei, mentre le lacrime cominciano a scenderle sulle guance. –E … lui era così … così … indifferente! Io urlavo e lui mi … ignorava completamente.-

Non riesco a sentire altro. Mi alzo, scuotendo la testa.

-Non possiamo continuare così-, mormoro.

Guardo Vanessa, che sembra minuscola, rannicchiata sul divano, pallida, tremante e in lacrime.

-Vado a chiamare Charlotte, lei saprà cosa fare-, decido.

-Dam-, mi ferma.

-Dimmi.-

-Ti prego, non fare niente di stupido.-

-Te lo prometto.-

Vedo dalla sua espressione che non si fida più delle mie promesse, ma lascio correre e vado a cercare gli altri. Sono tutti radunati nella camera mia, di Blake e Jonathan.

-Blake, cosa dicevi riguardo alla fuga?-

Lui mi guarda stancamente.

-Potremmo organizzarla, ma sapete che ci sono mille e mille protezioni a difenderla.-

-Ma abbiamo Charlotte.-

-Abbiamo anche i poteri, ma questa scuola è stata costruita e protetta appositamente per persone con talenti come i nostri.-

-Dobbiamo farlo, Blake, e presto. Non possiamo lasciare che continui così.-

Lo sguardo di Blake si indurisce.

-Ti rendi conto che, se ce ne andiamo, tu non potrai più avere le tue pastiglie?-

Cala il silenzio.

Dio, non ci avevo pensato.

-E in più-, prosegue impietoso Blake, -Non potremmo permetterci la minima debolezza. Il che significa che, se vuoi smettere di prendere quella roba, dovrai farlo subito, o ci ritroveremmo con te in crisi d’astinenza dopo quanto, un giorno? Due?-

Ha tremendamente ragione. Fino ad un’ora fa avrei assolutamente votato contro questa opzione, ma quello che Vahel ha fatto a Vanessa ha messo tutto in una diversa prospettiva.

Esito, ma poi rispondo con decisione.

-Smetterò e proverò il metodo di Charlotte.-

Blake annuisce.

-Farai meglio a cominciare presto.-

Il suo tono è gentile, e capisco che il litigio di poco fa è definitivamente superato.

 

-Charlotte, posso parlarti?-

È ora di andare a dormire, ma riesco ancora  ad intercettarla.

-Dimmi.-

-Come sta Vanessa?-

-Meglio.-

-Bene.- Faccio una pausa. –Volevo solo chiederti … quanto ne sai della disintossicazione.-

Charlotte respira profondamente.

-Vieni, sediamoci un attimo-, mi invita. –Da quanto tempo prendi quelle pastiglie?-

Mi lascio sprofondare in una delle poltroncine.

-Quattro o cinque settimane.-

-Ho scoperto il principio attivo contenuto, ed è molto forte. Crea subito dipendenza. Ma puoi superarla, se lo vuoi veramente.-

-È così, e devo farlo.-

-Non sarà piacevole-, mi avverte Charlotte, seria. –E neanche facile. Ma se vuoi andare via devi riuscirci.—

-Lo so.- Esito un istante prima di aggiungere: -Quanto tempo ci vorrà, secondo te?-

-Non lo so di sicuro, ma … credo che la fase peggiore durerà due o tre giorni. Poi diventerà più facile.-

-Due o tre-, ripeto, pensando a quello che so sulla disintossicazione.

E mi fa paura.

-E quel metodo di cui mi parlava Vanessa?-

-Potrebbe funzionare davvero. Consiste essenzialmente nell’entrare in contatto con i chakra, e nel riuscire a dominare la mente … sai, olistica e cose del genere.-

-Ma certo-, commento, come se chakra e olistica fossero due termini che conosco alla perfezione.

-In ogni caso, potrai cominciare già durante la disintossicazione … potrebbe renderla più sopportabile.-

Annuisco, poco convinto.

-Ora sono stanco-, taglio corto. –Ne parleremo meglio domani.-

-D’accordo. Buonanotte.-

-‘Notte.-

Torno in camera. Blake e Jonathan dormono già, e il primo russa anche.

Mi metto il pigiama, distrattamente.

Penso a quello che mi aspetta. Una notte piena di incubi.

Mi sveglierò di nuovo nel vedere qualcosa di orribile.

Sentirò le urla … proverò lo stesso dolore delle persone coinvolte.

Morirò anch’io, per la milionesima volta.

Lancio un’occhiata furtiva a Blake e Jonathan, quindi, in silenzio e vergognandomi di me stesso, ingoio una pastiglia.

Da domani, prometto. Non posso affrontarlo adesso …

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Capitolo 10
*** Help ***


~HELP~

 

Questo capitolo è un po’ particolare, diverso, a me personalmente è piaciuto molto scriverlo. Ci terrei ad un commento. Colgo  l'occasione per fare a tutti tanti auguri di buon Natale!

Grazie,

 

Adamantina

 

[Vanessa]

 

Voglio crederci, stavolta.

Crederci veramente.

Nonostante la mia fiducia sia già stata tradita.

Nonostante abbia ammesso di aver ceduto di nuovo, ieri sera –ma come posso biasimarlo? Lo ha sempre detto che la notte è il momento peggiore.

Quando entriamo in questa stanza, dove so che passeremo dei momenti orribili, ci scambiamo uno sguardo che dice tutto.

 

Tu non mi hai mai abbandonata.

Sei stato amico e fratello, e io ora non posso –non voglio- abbandonare te.

Ti sarò accanto e ti proteggerò dal male che ti opprime.

Lo supereremo.

Insieme.

Lo giuro.

 

[Damien]

 

Entriamo insieme e non so se vorrei ringraziarla o ucciderla.

So cosa ha fatto Vahel, so che è dannatamente sbagliato.

Eppure mi ha cambiato la vita.

Mi vergogno anche solo di pensarlo, ma è così. Nel bene e nel male, Vahel mi ha fatto vedere com’è vivere senza essere oppresso dalle visioni.

E, Dio, è infinitamente meglio.

Ma quello che ha fatto a Vanessa, quello non potrò mai accettarlo.

Perché Vahel potrebbe anche avermi salvato la vita, potrebbe essere la persona migliore del mondo, ma non posso accettare che metta un solo dito su di lei.

Perciò, quando Vanessa si chiude la porta alle spalle, metà di me si sente in trappola e vorrebbe scappare, ma l’altra metà si fida ciecamente di lei e si affida completamente nelle sue mani.

Aiutami, perché da solo non ce la posso fare.

 

[Vanessa]

 

Dietro consiglio di Charlotte ho ispezionato la stanza per accertarmi che non ci fossero pastiglie, ho fatto lo stesso col bagno e anche con le tasche di Damien.

Non è questione di fiducia –affatto.

È solo desiderio di salvarlo –di aiutarlo a passare tutto questo senza cedere, perché poi sarebbe peggio.

La porta si chiude a chiave da fuori: né io né lui possiamo uscire adesso.

Siamo qui insieme, con un problema troppo grande da affrontare, ma che fronteggeremo con la forza della disperazione.

 

[Damien]

 

Non so quanto tempo sia passato, ma so di per certo che se avessi una pastiglia la prenderei ora.

Le visioni cominciano ad affacciarsi nella mia mente, come silenziosi, tremendi spettri grigi che altro non vogliono che annientarmi completamente.

Posso resistere?

Lo spero.

 

[Vanessa]

 

Lo vedo impallidire e piantarsi le unghie nei palmi delle mani. Siamo seduti su due poltrone ai lati opposti della stanza, ma il mio sguardo non lo lascia neanche per un secondo.

So che vede di nuovo le cose, e, non essendoci più abituato, dev’essere ancora peggio.

Ma non mi avvicino.

Voglio che ci provi da solo, finché può. E se cederà, io sarò accanto a lui per sorreggerlo –non prima.

 

[Damien]

 

Alle visioni si è sommato il dolore fisico.

Passo dieci minuti in bagno, la nausea che mi scuote da capo a piedi.

Vanessa non si avvicina, ma sento che è dietro di me, e so che mi raggiungerebbe se solo mormorassi il suo nome.

Ma suonerebbe come una richiesta d’aiuto, e io devo almeno provare a farlo da solo.

Vanessa non c’entra, in questo.

La colpa è mia; soltanto, esclusivamente mia.

Un altro conato mi attraversa.

Maledette le pastiglie, maledetto Vahel, maledetto tutto il mondo chiuso fuori da questo buco di stanza.

 

[Vanessa]

 

Come se non bastassero le visioni.

Vorrei solo stargli accanto, abbracciarlo e tranquillizzarlo.

Dirgli di non arrendersi, che passerà.

Ma non posso.

E allora guardo e aspetto.

 

[Damien]

 

Secondi, minuti, ore.

Non so quanto ancora rallenterà il tempo, scandito da quell’orologio sulla parete che ticchetta.

Ogni tic mi rimbomba in testa come un grido nei timpani.

La testa mi scoppierà, e la gola andrà a fuoco se non smetterò di vomitare –perché devo sopportare tutto questo?

 

[Vanessa]

 

Sono le sette di sera. Siamo qui dentro da nove ore ormai.

Ventuno ne sono passate da quando Damien ha assunto l’ultima dose.

Non ha ancora toccato cibo da stamattina, nonostante Lily ci abbia portato pranzo e cena. Provo a tentarlo almeno con un pezzo di pane, ma lo rifiuta seccamente, così come l’acqua.

Non ha ancora ceduto di una virgola: né un gemito, né un sussurro, né una preghiera.

Ma peggiora –lo vedo chiaramente.

Sta tremando adesso, devono essere i dolori muscolari di cui mi ha parlato Charlotte.

Con mani incerte preparo la siringa che lei mi ha dato, qualcosa per combattere la crisi d’astinenza, ma mi ha già anticipato che non è detto che funzioni, dato che il nostro organismo funziona in modo leggermente diverso da quello delle persona normali –ne è testimone il fatto che Damien è diventato dipendente da quella droga in poco più di un mese.

Mi avvicino e gli prendo il braccio, lui resta immobile, anche quando io, maledicendomi da sola perché non riesco a tenere la mano ferma, devo tentare tre volte prima di riuscire a trovare la vena. Gli inietto la sostanza e poi torno ad allontanarmi, guardandolo combattere in silenzio.

Ti prego, ti prego, resisti.

Ti supplico, non cedere.

 

[Damien]

 

Vorrei solo farla finita. Accetterei di tutto: le visioni o anche la morte.

Ma come faccio, come faccio a continuare?

Quella roba che mi ha iniettato Vanessa sembra assolutamente inutile.

Fa male, ogni muscolo si contrae ad un ritmo suo, in modo che io non abbia un secondo di tregua.

È il mio corpo che si ribella contro di me, perché l’ho sfruttato e maltrattato –non ho accettato il mio cosiddetto dono.

Non è un dono, ma una maledizione, e vorrei solo essere normale –ma già so che non succederà mai.

Un’altra ondata di dolore risucchia i miei pensieri in un buco nero.

 

[Vanessa]

 

Non voglio sentire.

Le urla sono soffocate tra i denti stretti ma fanno tanto, troppo male.

Vorrei che finisse, vorrei che non fosse mai cominciata, vorrei che non avesse mai cominciato a prendere quella schifezza, vorrei che ci fosse un altro modo.

Ma in realtà tutto quello che vorrei è risparmiargli questo dolore –il che non è possibile.

Qualcuno lassù, se esiste, per favore abbia pietà.

 

[Damien]

 

Non riesco a pensare le visioni sono ovunque

Macchina che corre troppo veloce-

Caduta dal balcone-

Motorino che sbanda per il ghiaccio-

Colpo di pistola-

Coltello-

Sangue-

Un gemito, una preghiera, un grido, una supplica

-Vanessa … -

 

[Vanessa]

 

Sono qui.

Sono qui e non mi allontanerò, te lo giuro.

Ti stringo forte mormorando parole stupide, inutili, come “coraggio”, “resisti” e “passerà”.

Come se io, al tuo posto, potessi resistere.

Ti ammiro, lo sai? E tu, tu che ti detesti per aver ceduto, per avermi chiesto aiuto –non capisci che in realtà stai facendo tutto da solo, e che in fondo io non sono altro che una parte di te?

Riesci a sentirmi?

In quel delirio, in quel dolore, riesci a percepire che io sono qui e che no, non ho intenzione di andarmene, nemmeno se mi tirassero via a forza?

Riesci a sentire il mio affetto, il mio amore, che vanno oltre tutto?

Riesci a capire che per me questo non è un peso? Che aiutarti è la più dolce e dolorosa delle incombenze?

 

[Damien]

 

Sento tutto

Te che mormori e preghi, Vanessa

e non potrei esserti più grato

e grazie

e scusa

Ma sento anche gli altri

Attraverso le voci nella mia testa ce ne sono altre

fuori

Ma fuori esiste?

Chiedono se te ne vuoi andare

Non farlo, ti prego non lasciarmi

                  

Fallo, non ti meriti di stare qui

 

[Vanessa]

 

Che ne sanno loro?

Che ne sanno tutti di quello che proviamo qui dentro?

Andatevene, sparite, state complicando le cose.

Nessuno può capire, come possono osare di chiedermi se voglio andarmene? Se voglio –Dio, che odio- riposare un po’?

Come se potessi dormire, come se potessi lasciarti solo ora che hai chiesto il mio aiuto.

Nessuno mi porterà via, Damien, te lo giuro.

Sono qui per te e ci resterò fino alla fine.

 

[Damien]

 

E il dolore va e viene, a onde.

A tratti sono consapevole di tutto –del mio respiro accelerato, dei muscoli contratti, della gola infiammata, dei crampi della fame, della voce e delle mani di Vanessa- e a volte perdo coscienza di chi sono e cosa ci faccio qui.

Non devo cedere, e vorrei tanto ricordarmi il perché.

 

[Vanessa]

 

Damien cerca le sue pastiglie. Fruga tra i vestiti, sotto i letti, tra i cuscini, negli armadi.

Ripetergli che non ci sono è inutile.

Mi chiede dove le ho nascoste, perché non voglio aiutarlo.

Grida di rabbia e frustrazione, e io potrei fare lo stesso.

Un’altra stilettata al cuore che devo sopportare stoicamente.

E aspetto che anche questa finisca –dopotutto, finisce sempre tutto.

 

[Damien]

 

Stillicidio continuo i secondi

Esasperati

Fingo di non essere qui in questo schifo di posto

In questo schifo di vita

E tutto ciò che è reale è Vanessa

E la sua voce dolce

E le sue menzogne –dove le tieni?

Dimmelo

 

[Vanessa]

 

Trentacinque ore e ancora siamo qui.

Non so se vada meglio, non voglio illudermi, ma ha smesso di distruggere la stanza per cercare le pastiglie, e anche di urlare.

Ancora non ha mangiato niente, ma sta guardando esitante la pagnotta sul tavolo.

La nausea è incessante nonostante nel suo stomaco non ci sia più nulla, e ancora trema, ma io sono qui accanto a lui e lo stringo e lo abbraccio e ripeto il suo nome mille e mille volte.

Offrendogli un’ancora, un’isola deserta su cui approdare per riposarsi dalla fatica del naufragio e della tempesta.

 

[Damien]

 

I miei pensieri iniziano a tornare.

E capisco razionalmente che Vanessa è ancora qui, non si è allontanata neanche per un secondo da quando l’ho chiamata. Mi tiene stretto e vorrei non andarmene più.

Il mondo là fuori fa così paura.

Il mio dolore l’ho lasciato tutto qua e se uscissi sarei scoperto.

Stai qui con me ancora un po’, Vanessa.

Quel tanto che basta per racimolare ancora un po’ di coraggio.

 

 [Vanessa]

 

Uno alla volta ci facciamo una doccia ed entrambi mangiamo qualcosa. Damien è pallido, stremato, e alla fine si addormenta.

Sono passate quarantotto ore ed è sera.

Credo che presto crollerò anch’io, non dormo da troppo tempo.

So che quando mi sveglierò sarà diverso –se in bene o in male, solo il tempo lo potrà dire.

 

 

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Capitolo 11
*** The Plan ***


~THE PLAN~

 

[Charlotte]

 

Siamo tutti nella nostra sala comune, intenti a non fare nulla in modo da dare l’impressione di star facendo qualcosa –una tecnica piuttosto complicata- quando la porta della camera dei ragazzi si apre.

Naturalmente, anche se stiamo cercando di dare un’impressione diversa, stavamo solo aspettando questo. Ci giriamo tutti insieme per vedere Vanessa e Damien che escono.

Hanno l’aria parecchio esausta, questo è poco ma sicuro.

La dottoressa che c’è in me (non è un modo di dire, ho pur sempre una laurea) prende il sopravvento. Afferro la piccola torcia dal tavolo, dove l’ho previdentemente lasciata, e li raggiungo.

La punto direttamente negli occhi di Damien, che fa una smorfia infastidita. Osservo il movimento delle pupille e gli faccio qualche domanda di routine.

-Come stai?-

-Una meraviglia.-

Fingo di non accorgermi del suo tono sarcastico e proseguo imperterrita:

-La nausea è passata?-

-Abbastanza.-

-I muscoli fanno ancora male?-

-Un po’. Hai finito con l’interrogatorio o vuoi ancora sapere se mi ricordo come mi chiamo, dove abito, il mio codice fiscale … ?-

-Ho finito-, dico, alzando le mani in segno di resa.

Cala un silenzio molto imbarazzante.

Per quanto continuiamo a fingere il contrario, abbiamo tutti sentito le urla di Damien, a un certo punto, e anche il rumore degli oggetti che scagliava contro le pareti per cercare le sue pillole. E, ovviamente, lui ne è pienamente consapevole.

-Beh? Avete finito di fissarmi come se fossi appena arrivato da Marte?-, sibila infastidito.

Tutti tornano alle loro non-occupazioni e qualcuno si allontana. Non posso non notare che Vanessa non si allontana da Damien, gli staziona intorno, come una guardia del corpo. Non posso biasimarla: ho una certa idea di cosa è successo in quella stanza, e non dev’essere stato facile vedere il suo migliore amico soffrire in quel modo.

-Charlie? Vieni un momento.-

Raggiungo Blake, che ha appena srotolato sul tavolo la planimetria della scuola che gli ho procurato ieri.

-Aiutami. Non so dove mettere le mani.-

Afferro un pennarello rosso e controllo che non ci sia nessuno di indesiderato intorno. Jonathan, Damien, Lily e Vanessa ci raggiungono.

-Allora-, comincio, -I sistemi di allarme che proteggono la scuola sono essenzialmente tre. Uno consiste nella rete laser che segue le cancellate, l’altro nel sistema di telecamere sparse più o meno ovunque, e il terzo nei sensori sistemati sotto il terreno.-

-Stai dicendo che è impossibile?-

-Lasciami parlare, Blake.-

-Scusa.-

-Non sarà facile-, riprendo, -Ma ci sono delle cose che possiamo fare. Innanzitutto, posso intromettermi nel sistema di telecamere e fare in modo che trasmettano un video registrato per qualche minuto. Riguardo a laser e sensori, c’è un solo modo per spegnerli ed è un pulsante che si trova accanto al cancello sul retro della scuola. Dal momento in cui viene premuto abbiamo sessanta secondi per attraversare il giardino e uscire, o partirà l’allarme. L’unica persona che può raggiungere il pulsante è Jonathan, perché puoi volare e non premerai i sensori sul terreno. Ciò non toglie che avrai bisogno di una vista a raggi infrarossi per vedere i laser, e devo ancora attrezzarmi per quello.-

-Non c’è bisogno che tu ti metta a costruire nulla, Charlie. Ci sono diversi animali che vedono gli infrarossi, in particolare rettili e pesci.-

Devo ammettere che, in quanto ad animali, Jonathan ne sa quanto me … o forse di più. Non penso esista una specie in cui non abbia provato a trasformarsi.

-Però dovrai volare per non toccare i sensori.-

-Anche i rapaci notturni vedono gli infrarossi, quindi qualcosa come un gufo andrà benissimo.-

Annuisco, soddisfatta, e tolgo il tappo al pennarello rosso.

-Noi ci dovremo trovare tutti qui-, faccio un cerchio nel punto esatto, -Tranne me, perché io sarò nel laboratorio di informatica per manomettere le telecamere. Quando sarò sul punto di raggiungervi, Jon partirà in forma di gufo, eviterà i laser e i sensori e arriverà al cancello. Lì premerà il pulsante per spegnerli e noi avremo un minuto per raggiungerlo e uscire prima che scatti l’allarme. Tutto chiaro?-

-E da lì?-, chiede Blake, critico. –Dove andremo?-

-Ho pensato anche a questo. Ricordate la vecchia macchina gialla parcheggiata ai limiti del bosco? Se riuscissimo a raggiungerla prima di scappare potremmo rimetterla in sesto e rifornirla di benzina.-

-Per poi andare dove?-

-Il preside Herman aveva un piccolo rifugio in città. Una catapecchia disabitata, ormai, ma c’è ancora lo stretto necessario, credo. Dovremo portarci comunque qualcosa … cibo, materiale di primo soccorso, qualche ricambio.-

-Io non sono d’accordo.-

Ci voltiamo tutti verso Lily, che ha parlato per la prima volta.

-Non pensate che questa sia una soluzione … troppo definitiva? Voglio dire, qui abbiamo un tetto sulla testa, cibo, comodità … non appena usciremo da qui saremo dei ricercati. Vahel e il presidente ci considerano una minaccia per il Paese. Sguinzaglieranno l’FBI, la CIA pur di trovarci. Siamo in grado di affrontare una cosa del genere?-

Silenzio assoluto.

Ci riflettono tutti sopra –dico riflettono perché io ci ho già pensato. E quindi sono la prima a rispondere.

-Quello che dobbiamo chiederci è se ne vale la pena. Potremmo stare qua, serviti e riveriti, come tanti schiavi di Vahel: vale la pena di ribellarsi a lui prima che il presidente decida che siamo una minaccia troppo grande e ci faccia misteriosamente scomparire?-

-Lily-, prosegue Jonathan, -Vahel è un pazzo furioso. Tu sai cosa ha fatto. Ti ha tolto i poteri, anche se solo per qualche ora, per dimostrarti che lui era il più forte. Hai visto cosa ha fatto a me, a Blake, a Vanessa, a Damien. Non possiamo permettere che faccia ciò che vuole delle nostre vite.-

Lei esita, quindi annuisce.

Sembra che il nostro piano andrà in porto, dopotutto.

 

La vita continua normalmente, ma adesso siamo tutti –o quasi- più sollevati al pensiero che questi potrebbero essere i nostri ultimi giorni qui.

Il Queen Victoria’s College è stato la mia casa per tanto tempo, ma ormai non c’è più nulla che mi leghi a questo posto. Vahel mi spaventa e tutto ciò che voglio è andarmene.

Questo stesso pomeriggio mi trovo insieme a Vanessa e Damien per provare a fermare le sue visioni.

Non sta andando molto bene, per ora.

-Ti ho detto di liberare la mente.-

-Vuoi spiegarmi come faccio, se nella mia mente ci sono le visioni?!-

-Prova a non pensarci.-

-Non ci sto pensando, Charlotte! Sono semplicemente lì!-

-Ok. Ok, calmiamoci. Chiudi gli occhi.-

Damien obbedisce, non prima di avermi lanciato un’ultima occhiata irritata.

-Tieni la schiena dritta. Occhi chiusi, mi raccomando … e inspira. Lentamente. Ora espira … ecco, così. Ancora. Continua così … lascia fluire i pensieri e le visioni. Non pensarci, lascia che scorrano e non darci peso.-

Faccio il possibile per mantenere la mia voce delicata e monotona.

-Adesso prova a visualizzare nella tua mente una porta. Immaginala in ogni più piccolo dettaglio, in modo da saperla riconoscere ovunque. Continua a respirare piano … bene. Ora immagina di aprire quella porta. Entri in una stanza vuota. Immaginala nei minimi particolari, dal pavimento alle pareti, dalle finestre alla porta … E continua a respirare … inspira … espira … lentamente … inspira … espira … inspira … espira … bene. E ora rilassati e fai fluire tutte le tua visioni. Non provare a fermarle, non pensare a loro, lascia che scorrano nella tua testa liberamente. Falle uscire tutte, lascia che fuggano da te … e continua a respirare … non prestarvi attenzione, lascia solo che fluiscano. Quando saranno uscite, svuota la mente ed esci dalla porta chiudendola a chiave. Tutte le visioni sono rinchiuse nella stanza, non possono assolutamente uscire a meno che tu non glielo ordini esplicitamente. Continua a respirare … inspira … espira. Ora, lentamente, quando ti senti pronto, prova a riaprire gli occhi.-

Un paio di secondi e Damien li apre, esitando.

-Allora?-, chiede Vanessa, tesa.

-Non lo so-, mormora lui. –Non sono svanite del tutto … e se solo penso alla porta, ricompaiono.-

-Devi ripeterlo molte volte, Damien. Quando riuscirai ad averne una padronanza completa, potrai escluderle o richiamarle quando vorrai. Non sarà facile, ma con un esercizio costante ci riuscirai, ne sono convinta.-

Bussano alla porta, è Lily.

-Charlie … Vahel vuole vederti nel suo laboratorio.-

Un’improvvisa paura mi attanaglia le viscere. Tocca anche a me, dunque.

Annuisco automaticamente e mi alzo. Non faccio in tempo a percorrere metà del corridoio che Jonathan mi raggiunge di corsa.

-Dove stai andando?-

-Da Vahel. Mi ha mandata a chiamare.-

Lo vedo sbiancare.

-Charlotte … -

-Sai che devo andare, Jon.-

Lui annuisce a denti stretti.

-Andrà bene-, mormora.

-Certo. Ci vediamo dopo.-

Mi stringe in un abbraccio veloce prima di lasciarmi allontanare. Sento il suo sguardo sulla schiena e mi sforzo di non voltarmi.

Raggiungo il laboratorio e trovo già Vahel ad aspettarmi. Digita il suo codice e mi precede all’interno.

-Signorina Miller, vorrei solo farle qualche domanda.-

Stringo gli occhi e incrocio le braccia, in chiaro atteggiamento difensivo.

-Mi state nascondendo qualcosa?-, chiede.

-Se lo stessimo facendo, certamente non verrei a dirlo a lei-, replico con uno sbuffo leggero, cercando di capire dove vuole andare a parare.

-Signorina Miller, ha mai sentito parlare di lobotomia?-

Le mie mani si stringono automaticamente a pugno.

-Certo.-

-Vuole ricordarmi di cosa si tratta precisamente?-

-Consiste nella recisione delle connessioni della corteccia prefrontale, o anche nella loro asportazione o distruzione. Era usata nel 1900 per curare malattie mentali, ma il suo risultato era quello di ridurre le funzioni cerebrali del paziente, talvolta riducendolo ad uno stato vegetativo.-

Parlo rapidamente, le unghie che si conficcano lentamente nel palmo.

Lo sa.

Sa che è la cosa che più mi terrorizza –glielo leggo in quegli occhi di ghiaccio che mi squadrano divertiti: la perdita del mio dono, l’abbassamento del mio quoziente intellettivo di oltre 255 punti, la mancanza di contatto con la realtà.

Pazzia.

Cosa può esserci di peggio di questo per un genio?

Assolutamente nulla: di questo sono più che convinta.

-Vorrei solo che lei ricordasse che sarebbe questo il suo destino, se scoprissi che state architettando qualcosa.-

Testa alta, Charlotte.

Ignoralo, sii fiera e combattiva.

-Allora, fortuna che non stiamo architettando nulla.-

-Già, che fortuna. Può andare, signorina Miller.-

-È stato un piacere-, rispondo.

Mi volto ed esco, lottando per mantenere un’apparenza di calma ed impassibilità.

Incontro Jonathan a metà strada per la mia stanza.

-Cos’è successo?-, domanda affannato. –Charlie? Cosa ti ha fatto?-

-Niente. Solo minacce a vuoto. Solo … -

Tremo e non riesco ad aggiungere altro. Jonathan si avvicina, preoccupato, e io mi rifugio nelle sue braccia.

E se ci scoprisse davvero?

E se qualcosa andasse storto?

E se io preferissi non fuggire dal Queen Victoria's College?

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Capitolo 12
*** Escape ***


~escape~

 

[Jonathan]

 

Il grande giorno arriva anche troppo in fretta.

Credo che potrei uccidere Damien se non la smette di mormorare tra sé e sé. Ripete cose assurde del tipo “porta” e “visioni” da quasi due ore e mi sta facendo andare fuori di testa.

Provo seriamente a concentrarmi sulla mappa che mi ha dato Charlotte, ma sarebbe più facile risolvere un’equazione differenziale. In altre parole, è completamente inutile anche solo provarci.

Continuo a pensare ad altro, come alla possibilità che io o qualcun altro restiamo uccisi –insomma, dettagli del genere.

Non sono molto convinto del piano di Charlotte, come si sarà capito –non perché non mi fidi di lei, ma perché credo che stiamo sottovalutando Vahel.

Finisco di preparare il mio zaino, infilandoci dentro l’ultima felpa e il mio lettore mp3.

Abbiamo acqua e viveri in abbondanza, medicine, vestiti, cellulari.

La parte che avrò io in tutto questo è all’incirca la più importante, perciò riesco già a sentire un filo di tensione.

Esco per lasciare lo zaino a Blake –sarebbe un po’ difficile per un gufo portarselo dietro- e vedo Charlotte su una poltroncina, lo sguardo perso nel vuoto.

-Ehi.-

Sobbalza e si volta verso di me.

-Oh, ciao.-

-Tutto bene?-

-Non proprio-, risponde con un sospiro. –Ho paura, Jon.-

-Andrà tutto bene.-

-E se così non fosse? Vahel sospetta già qualcosa. Se dovessimo fallire … non oso immaginare cosa ci farebbe.-

-Io non oso immaginare cosa ci farà se resteremo qui. L’hai detto tu stessa: ci farà sparire misteriosamente non appena inizierà a considerarci una vera minaccia.-

Charlotte annuisce e non aggiunge altro.

Vorrei dire qualcosa, prenderle una mano, farle capire che io credo nel suo piano –ma entra Blake, seguito da tutti gli altri, e mi interrompe.

-Charlie, è ora.-

Lei si strofina gli occhi e annuisce.

-Ok. Andiamo.-

Si alza in piedi e la vedo trasformarsi magicamente davanti ai miei occhi: da insicura e spaventata diventa tranquilla e sicura nell’impartire ordini.

-Io ora andrò nell’aula informatica-, comincia, decisa. –Manderò in onda il filmato preregistrato e vi avviserò. Da quel momento Jon avrà tre minuti per arrivare alla cancellata e premere il bottone. Quando l’avrà fatto avremo un minuto esatto per uscire prima che l’allarme parta. Ci sono domande?-

-Una sola. Quante sono le probabilità di riuscita, una su un milione?-, chiede ironica Lily, ma tace ad un’occhiataccia che le lancio.

-Sono alte, se ti atterrai al piano stabilito, Lily-, replica gelida Charlotte.

Esce per andare nell’aula computer e noi ci avviamo verso il retro.

 

Andiamo in là separati per non dare troppo nell’occhio. In ogni caso, non incontriamo Vahel, ma solo un paio di professori che non fanno troppo caso a noi.

Aspettiamo sotto al porticato, tesi come corde di violino, senza neanche il coraggio di guardarci negli occhi.

E poi, un cellulare squilla brevemente. Ho tre minuti a partire da ora.

Mi trasformo in un gufo e senza esitare spicco il volo.

Sono le nove di sera e la mia vista, da pessima che era, diventa pressoché perfetta. Vedo ogni dettaglio come se fosse mezzogiorno, e in più riesco a percepire le linee traslucide dei raggi infrarossi.

Batto le ali con delicatezza, a ritmo regolare, per evitare di sfiorarle anche solo di striscio.

L’aria fredda mi sferza il muso, ma non vi do peso. Mi avvicino alla cancellata, cercando di trovare il pulsante che mi ha indicato Charlie. Eccolo, in cima ad una colonna di mattoni che fa parte dello steccato.

Ahi.

È protetto da una decina di raggi rossi intrecciati tra loro. L’unico modo per arrivarci è rimpicciolirmi, ma così facendo non riuscirei più a vedere i raggi: gli insetti non ne hanno la capacità.

Mi avvicino fino al limite, quindi divento una formica. I raggi spariscono e il mio campo visivo si riduce notevolmente, ma, se i miei calcoli sono corretti, sono troppo piccolo per poter essere toccato dagli infrarossi.

Raggiungo il pulsante e ci salgo sopra, e così mi si presenta un problema a cui non avevo pensato: sono troppo leggero per poterlo premere.

Ma se mi ritrasformassi, toccherei gli infrarossi.

Esiste un animale piccolissimo e pesante?

A che altezza si trovano gli infrarossi sopra di me?

Che cosa succederebbe se li toccassi nello stesso momento in cui premo il bottone?

Quanto tempo mi rimane ancora?

Tutte queste domande affollano il mio piccolo cervello da formica e prendo una decisione.

Divento un gatto, e in questo modo taglio i raggi infrarossi. Ma sto premendo il pulsante, quindi l’allarme suona per un solo istante prima di spegnersi.

L’avranno sentito? Non ne ho idea.

Torno un gufo per accertarmi che gli infrarossi siano spariti: è così. Ora gli altri hanno un minuto per raggiungermi.

Aspetto dieci, venti, trenta, quaranta secondi e comincio a preoccuparmi, finché non vedo Lily che corre verso di me.

-Jon, Charlie non è ancora tornata-, dice a denti stretti, senza fiato.

Sussulto.

Blake, Vanessa e Damien arrivano a loro volta e mi guardano.

In questo esatto momento, davanti ai miei occhi da gufo riappaiono gli infrarossi e scatta l’allarme.

 

Maledizione, maledizione, maledizione!

Ci guardiamo, senza saper cosa fare.

Blake, come sempre nei momenti di pericolo, prende il comando. Di solito lo trovo insopportabile,ma stavolta vorrei solo ringraziarlo.

-Ness, Lily, Dam, andate. raggiungete la macchina e poi tornate verso la scuola. Io e Jon recuperiamo Charlie e saliamo.-

Loro non obiettano e corrono verso l’uscita, con Lily che fonde la serratura per aprire il cancello.

Torno umano per un solo secondo per dire a Blake, attraverso il suono assordante dell’allarme:

-Vai con loro! Io volerò e farò più in fretta.-

-Non se ne parla-, taglia corto Blake, e io mi arrendo.

Non faccio in tempo a fare un passo che dal porticato esce qualcuno.

È Vahel, preceduto dal signor Collins, il tecnico, che tiene stretta Charlotte. Vahel ha una pistola in mano e la punta verso di lei.

Mi trasformo in un lupo, istintivamente, e scopro le zanne in un minaccioso avvertimento.

-Bene, bene, bene-, comincia Vahel, in tono serafico. –Ma guarda cos’abbiamo qui. Un tentativo di evasione. Devo farvi i complimenti, è proprio ben congeniato. Immagino di dovermi rivolgere a lei, signorina Miller, non è così?-

Charlie tenta di divincolarsi dalla presa ferrea di Collins senza successo.

-E mi pare di averla avvertita. Uno scherzetto del genere e sarei stato lieto di praticare la mia prima lobotomia.-

La vedo impallidire. La conosco, so che ne è terrorizzata.

Un ringhio mi esce dalla gola, una minaccia aperta rivolta a Vahel. Lui avrà pure una pistola, ma i miei denti sono più affilati dei suoi.

Vahel si volta verso me e Blake.

-E lei, signor Gray-, gli dice, -Non pensavo che fosse così impaziente di provare l’elettroshock per la terza volta.-

Terza? Io ero a conoscenza di una volta soltanto.

-Per non parlare di lei, Bailey. Credevo che un’esperienza con la mia rete le fosse stata sufficiente per … mantenere il controllo.-

Ringhio di nuovo e faccio un passo avanti, ma sento la mano di Blake che mi ferma. Vahel ha pur sempre una pistola puntata contro Charlotte.

-Ora, se non volete che la vostra amica si ritrovi con un proiettile in testa, vi conviene tornare dentro con me e richiamare anche i vostri compagni. Sono certo che … -

Ad interromperlo è il rombo di un motore, per la precisione di quello di una macchina non molto grande, vecchiotta e gialla che inchioda accanto a noi.

Non ce lo facciamo ripetere.

Blake lancia un lampo di energia contro Collins, che lascia andare Charlotte. Lei corre verso la macchina, mentre Vahel, furioso, inizia ad urlare improperi e a sparare colpi all’aria. Sempre in forma di lupo, seguo Blake e Charlotte verso la macchina, che si sta allontanando poco alla volta per timore, credo, che un proiettile le fori le gomme.

Vedo Blake che si sta per arrampicare nell’auto, ma si volta di scatto. Faccio lo stesso e vedo che Charlie è caduta.

È a terra che tenta di rialzarsi, tremando, mentre Vahel le si avvicina, sparando colpi casuali.

Sono molto più veloce io di Blake, per cui corro verso di lei. Ringhio verso Vahel e aiuto Charlie a rialzarsi.

Vorrei urlarle “vai!”, ma sono ancora un lupo, perciò mi limito a spingerla verso l’automobile con il muso. Lei asseconda la mia spinta, inizia a correre e finalmente sale in macchina.

-Vieni, Jon!-, mi  urla Blake, a metà strada.

Io comincio a correre per raggiungerlo, ma qualcosa mi ferma.

Lo sento immediatamente.

Un dolore bruciante mi colpisce un fianco. Cado a terra e tutto diventa buio.

L’ultima cosa che sento è il sogghigno di Vahel dietro di me.

Poi, un’altra fitta di dolore … e il nulla.

 

 

Capitolo un po’ corto, lo so, ma non potevo aggiungere altro ^^

Vi auguro un buon Capodanno e un bellissimo 2011, io parto domani per Barcellona e quindi ci risentiremo dopo il 10 gennaio …

Un bacio,

 

Adamantina

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Capitolo 13
*** Consequences ***


~consequences~

 

[Lily]

 

Le mie mani sono strette sul volante, tanto che potrei quasi scommettere di averci lasciato dei solchi profondi.

So che non mi devo distrarre, devo mantenere una velocità costante e scegliere le strade meno frequentate. Nonostante abbia già compiuto diciotto anni, ancora niente patente. Ma d’altra parte gli unici due ad averla presa a sedici anni, sfruttando le brevi vacanze estive che ci sono concesse per studiare invece che per svagarsi, sono Blake e Jonathan. Charlotte sa guidare e io anche, ma avevo programmato di dare l’esame di teoria l’estate prossima. In ogni caso, Blake ha guidato per oltre quattro ore e abbiamo deciso –ok, ho deciso- di fargli fare una pausa. E Jonathan non è certo in condizione di guidare.

Gli lancio un’occhiata attraverso lo specchietto retrovisore. Credo che sia privo di sensi, non si muove. È ancora in forma di lupo perché non è abbastanza forte da trasformarsi, sdraiato con la testa sulle gambe di Charlotte e le zampe su quelle di Damien. Vanessa è qui accanto a me insieme a Blake, perché Charlotte non era di nessun aiuto qui –continuava a voltarsi indietro e a dare consigli.

A quanto pare Jonathan è stato colpito da due proiettili, uno dei quali l’ha ferito di striscio ad un fianco, mentre il secondo è penetrato nel suo corpo. Charlotte ha detto di non poter far nulla senza un po’ di spazio e qualche strumento adeguato, per non parlare degli scossoni della strada sterrata che stiamo percorrendo. Ma di fermarsi non se ne parla: di sicuro Vahel ci sta seguendo e ha allertato tutti suoi contatti nelle vicinanze.

Ma non è questo il motivo per cui sto rischiando di mandare in frantumi il volante –è solo perché tutti stanno dicendo cose tipo “non avremmo dovuto farlo”, “cosa faremo adesso”, “e se ci prendono”, argomenti che io avevo sostenuto fin dal principio e che erano stati completamente ignorati.

Vorrei urlare un fortissimo “io ve lo avevo detto”, ma recupero tutta la mia forza di volontà e sto zitta, limitandomi a guidare in silenzio.

-Quanto manca, Charlie?-, chiede Vanessa.

Charlotte distoglie per un solo secondo l’attenzione da Jonathan.

-In teoria il viaggio sarebbe dovuto durare quattro ore, ma dato che stiamo deviando ne impiegheremo almeno altre due.-

Vanessa sospira e tace.

-Credete che ci stiano ancora seguendo?-, domanda Damien.

-Non ho dubbi-, replica decisa Charlotte. –Ma forse … servirebbe un po’ di nebbia. Lily?-

-Non sono una stazione meteo, Charlie. Non posso controllare il tempo-, sibilo, più acida di quanto vorrei.

-La nebbia non è altro che acqua sospesa nell’aria.-

Non distolgo lo sguardo dalla strada nel rispondere:

-Potrei farlo, probabilmente, ma non farei altro che intralciare noi. Non posso estendere la nebbia molto lontano.-

Charlotte –finalmente- tace.

Il silenzio torna a regnare sovrano, angosciante.

Mi concentro solo per mantenere l’auto in strada nonostante gli scossoni violenti causati dallo sterrato. Prego il cielo che non buchiamo una gomma, perché sarebbe un disastro di proporzioni epiche.

-Potresti far piovere-, dice Charlotte, e mi giro per un solo secondo per fulminarla con lo sguardo.

-Perché?-

-Per nascondere le tracce degli pneumatici sulla terra.-

Devo ammettere che stavolta l’idea è buona.

Fermo la macchina sul ciglio della strada.

-Chi guida?-, chiedo. –Non posso fare entrambe le cose.-

-Lascia fare a me-, dice Damien.

Prendo il suo posto accanto a Jonathan e, mentre l’auto riparte, mi concentro.

L’acqua comincia a scendere senza impedimenti, ma il problema adesso è estenderla a sufficienza. Chiudo gli occhi. Lo scopo non è creare un temporale violento, ma una pioggerellina abbastanza diffusa da cancellare le nostre tracce per svariati chilometri.

All’improvviso, ad un ennesimo scossone dell’auto, sento un uggiolio, di certo non umano.

-Jonathan?-, chiede Charlotte con ansia. –Sei sveglio?-

Nessuna replica, ma giro la testa e vedo che il lupo ha aperto gli occhi.

-Riesci a trasformarti?-, insiste lei.

Distolgo l’attenzione dalla pioggia per un momento per guardarlo muoversi appena, ma non succede niente. Un altro salto provoca un nuovo uggiolio.

Vedo il sangue che macchia la mano di Charlotte che prova a tastare le ferite causate dai proiettili, provocandomi un’ondata di nausea.

-Lily, la pioggia-, mi ricorda Blake, e solo allora mi rendo conto di averla fatta cessare. Cerco di nuovo la concentrazione e l’acqua ricomincia a scendere dal cielo.

Ammetto di essermi spaventata quando Vahel mi ha iniettato quella sostanza. Ho creduto davvero di aver perso i miei poteri per sempre. È stato orribile, e non c’è sensazione più bella di vedere i quattro elementi rispondere ai miei comandi silenziosi come hanno sempre fatto. Su Vanessa quella roba non ha funzionato, e Charlotte ha, ovviamente, sviluppato una teoria a riguardo. Il dono di Vanessa dipende dalla sua pelle, che può cambiare tonalità fino a raggiungere colori di uno spettro invisibile all’occhio umano. Il mio, invece, risiede (sempre secondo lei) da qualche parte nel cervello. Non sa i dettagli, nonostante abbia studiato per anni su questo dilemma. Perché abbiamo questi poteri? Per il momento non ne abbiamo idea. In ogni caso, se funziona davvero come sostiene Charlotte, ad essere immuni a quella sostanza sarebbero Vanessa, Blake (il cui corpo riesce ad immagazzinare l’energia elettrica presente nell’ambiente) e Jonathan (perché la trasformazione dipende da ossa, organi eccetera e non dal cervello). Io, lei e Damien invece dobbiamo ringraziare (termine ambiguo, su cui si potrebbe discutere) i nostri cervelli per le nostre capacità.

-Cosa succede, Charlie?-, chiede Damien, distraendomi dalle mie divagazioni mentali.

-Non sono un veterinario-, replica lei, la voce tremante. –Se solo riuscisse a trasformarsi … -

In risposta, Jonathan si agita e per un istante la sua figura vibra, ma poi non riesce a cambiare forma e resta un lupo. Per lo sforzo emette un gemito straziante.

Charlotte scuote la testa, poi mette una mano sulla testa del lupo.

-Non posso fare niente, per ora-, mormora. –Quando ci fermeremo, proverò a … -

La sua voce viene sovrastata all’improvviso da un suono inconfondibile.

Proiettili contro i vetri dell’auto.

-Giù!-, urla Blake, e non posso fare altro che obbedire, ma nel frattempo faccio aumentare la pioggia. Non so se ci sia più d’intralcio che d’aiuto, ma non posso certo chiedere a Blake.

I proiettili fischiano, l’auto accelera decisamente troppo per una vecchia carretta (ma Charlotte deve averci fatto qualche modifica), ma l’acqua la fa slittare. Alzo la testa per un secondo, proprio mentre l’auto inchioda. Batto la testa contro il cruscotto, violentemente, e tutto diventa nero.

 

-Lily … Lily, mi senti?-

Batto le palpebre più volte e un volto entra nella mia visuale. Blake.

Sorrido quasi istintivamente, senza pensarci.

Poi, quando Charlotte prende il posto di Blake e mi spara un led accecante negli occhi, seguendo il movimento delle mie pupille, torno sulla terra. Mi alzo di scatto, bruscamente, ma un giramento di testa mi riporta giù.

-Cos’è successo?-, chiedo. –Dove siamo?-

-Sta bene-, decreta Charlie. -Ti ricordi come ti chiami?-

-So come ti chiami tu, Charlotte Miller, e ti giuro che se non spegni quella luce ti farò pentire del giorno in cui ti sei presentata a me.-

-Sta benissimo-, conferma lei con un mezzo sorriso.

-Qualcuno mi risponde? Dove siamo?-, insisto, mettendomi finalmente a sedere. Ho un po’ male alla testa, ma è sopportabile.

-A destinazione, sani e salvi-, risponde Blake, sedendosi accanto a me.

Mi guardo intorno.

Ci troviamo in una sottospecie di casetta di legno, ma forse definirla casetta è un complimento. Baracca, bicocca, catapecchia … ecco, questi rendono meglio l’idea. È piccola, soffocante, desolante e vuota. Tutto quello che c’è deve risalere al Medioevo o giù di lì.

Va bene, ho esagerato –ma non è che scherzi, eh. Un cucinino a gas, il vecchio divano semidistrutto sul quale sono seduta, qualche sedia spaiata e un paio di porte chiuse adornano il luogo … e questo è tutto.

-Quando hai detto catapecchia ho pensato che esagerassi-, dico a Charlie.

Poi mi rendo conto di qualcosa di strano.

Blake è qui accanto a me, Charlie davanti, Vanessa accanto a lei e c’è qualcuno che non conosco alle loro spalle.

Un ragazzo e una ragazza, forse sui venti, venticinque anni.

Lui ha corti capelli scuri e occhi cupi, è molto alto e, onestamente, mi inquieta. Nonostante, ammettiamolo pure, sia piuttosto bello.

Lei è magra, formosa, curve al posto giusto, capelli biondi e sguardo altezzoso. Bella pure lei, accidenti.

-Chi sono?-, chiedo, sospettosa.

-Io sono Guinevere-, risponde la ragazza. –Puoi chiamarmi Gwen. Lui è Matt.-

-Chi sono?-, ripeto, voltandomi verso Blake.

-Loro … occupavano la casa di Hermann. Sono ex allievi del Queen Victoria’s. Ci hanno raggiunti e ci hanno portati qua, salvandoci all’ultimo secondo dagli scagnozzi di Vahel.-

-Dov’è Jonathan?-

-È di là con Damien.-

-Come sta?-

-Non molto bene-, interviene Charlotte, cupamente. –Tutto quello che sono riuscita a fare è stato ripulire le due ferite … ma c’è ancora un proiettile dentro il suo corpo, e non ho gli strumenti necessari per agire. Senza contare che è ancora un lupo, e non so come intervenire.-

Dalla sua espressione vedo che è stanca, preoccupata e sconvolta. Non capita spesso che Charlie non sappia cosa fare, e questo di solito la manda in paranoia.

Mi alzo in piedi, incerta, ma scopro di poterlo fare senza problemi. Ho un bernoccolo sulla testa, ma questo è tutto quello che mi rimane dell’incidente, per fortuna.

-Vado in bagno-, annuncio. –Charlie, mi accompagni?-

Lei annuisce, un po’ stranita.

Non appena siamo al sicuro da orecchie indiscrete, domando:

-Chi sono quei due?-

-Non ne ho idea. Ci hanno aiutati, e dicono di essere stati allievi da noi … ma non ci hanno detto altro.-

-Possiamo fidarci di loro?-

-Vorrei che fosse così, ma non ne sono affatto sicura.-

Sospiro e usciamo dal bagno.

Charlotte apre un’altra porta e io la seguo. Ci sono una mezza dozzina di letti a castello, ma il lupo è sul pavimento –troppo grande per il letto, suppongo. Damien è accanto a lui.

-Novità?-, chiede Charlie, inginocchiandosi sul pavimento.

-Credo che si stia svegliando-, risponde Damien, ed esce per lasciarci posto e raggiungere Vanessa di là.

Charlotte posa una mano tra le orecchie del lupo.

-Jon? Mi senti?-

Il lupo emette un mezzo sbuffo che immagino sia un segno affermativo.

-Jon, non riesco a curare quelle ferite se non torni umano-, mormora Charlotte.

Silenzio. Come già prima, in macchina, vedo la figura vibrare e poi tornare come prima.

-Jon? Per favore … -

Vedo gli occhi di Charlotte riempirsi di lacrime.

-Ehi-, sussurro. –Charlie, andrà tutto bene.-

-Non è vero-, mugola lei. –È tutta colpa mia!-

-Non dire così.-

-Avrei dovuto pensarci! Ho pensato a tutto tranne che alla … alla cosa più importante! Ho fatto troppo in fretta … e ho avuto troppa … troppa fiducia … in me stessa. E adesso non riesco … a fare nulla! Sono inutile … ed è solo … -

A quel punto le sue parole confuse vengono soffocate dai singhiozzi.

-Non piangere-, la prego, abbassandomi e abbracciandola. –Charlie, non è colpa tua. Non potevi prevederlo … è stata solo sfortuna. Non sarebbe cambiato niente se ci avessimo pensato per un altro mese.-

Lei scuote la testa.

-Sono stata io, e adesso Jon potrebbe morire!-, reagisce con rabbia, le lacrime che le solcano il viso.

La stringo più forte, non sapendo che altro fare per consolarla e rassicurarla.

E poi succede qualcosa.

Il lupo trema e all’improvviso la sua figura si sfoca, lasciando il posto a quella di Jonathan.

Umano.

È messo male, ora si capisce ancora di più. La felpa è intrisa di sangue in corrispondenza del fianco sinistro e dell’addome, il volto è pallidissimo e sudato, i pugni stretti.

-Oh, Dio, Jon-, ansima Charlotte, e mi allontana per chinarsi su di lui.

Mi alzo ed esco, lasciandoli soli.

Spero solo che questo sia un buon segno.

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Capitolo 14
*** The Truth ***


~THE TRUTH~

 

[Charlotte]

 

Quando ho preso la mia laurea in medicina, ho sentito parlare della difficoltà di un dottore o di un chirurgo a curare i propri parenti. Ho sempre creduto che fosse una sciocchezza. Pensavo che, se mia madre fosse stata male, mi sarei fidata di me stessa più che di altri per curarla. Il ragionamento tornava, allora. Ma viverlo sulla propria pelle è diverso dal pensarci in modo astratto.

Solo adesso capisco davvero cosa intendevano –vorrei che ci fosse qualcun altro, chiunque altro, che potesse fare questo al posto mio. Ho un’atroce paura di sbagliare, e sapere che la vita di una delle persone che amo di più al mondo dipende da cosa faccio io è un pensiero sconvolgente.

Sono qui inginocchiata accanto a Jonathan e tutto quello che ho sono le poche medicine, bende e garze che erano nella valigetta del pronto soccorso. So cosa farei se fossi in una sala operatoria –sterile, attrezzata e pulita- ma adesso non so dove mettere le mani.

Con cautela, aiutata da Vanessa, taglio la felpa per scoprire le due ferite. Non oso spostarlo per sfilargliela. Blake e Damien l’hanno messo sul letto a castello e poi si sono allontanati.

Prendo fiato. Non ho mai avuto paura del sangue, ma questo è troppo anche per me. Se solo non fosse Jonathan.

Ma non c’è niente che io possa fare se non provare ad aiutarlo.

Uso un panno bagnato per ripulire le due ferite. Sento Jon, semicosciente, lamentarsi debolmente, ma ho solo un paio di antidolorifici e una singola dose di morfina, e mi serviranno più tardi.

Lavo le mani e le disinfetto prima di cominciare ad indagare sulla profondità delle ferite.

Devo solo dimenticare chi è che sto operando.

 

Dal mio esame risulta che la prima ferita è solo superficiale, è stato colpito di striscio. Ho allargato leggermente il taglio e applicato dei punti di sutura.

La seconda è un altro paio di maniche. Il proiettile è penetrato nel corpo e si è fermato nel fegato. C’era una leggera emorragia interna, ma sono riuscita a fermarla e ad estrarre il proiettile. I danni tutto sommato potevano essere peggiori, ma temo che la ferita si infetti.

Nonostante la morfina, Jonathan deve aver sofferto parecchio, ma non è mai stato abbastanza lucido da lamentarsi.

Ho bendato la ferita, e adesso non resta altro da fare se non sperare in bene.

Raggiungo gli altri di là, gli occhi arrossati. Ho bisogno di riposare.

-Charlie, come sta?-

-Non lo so-, rispondo stancamente. –Ho fatto tutto quello che potevo. Adesso possiamo solo aspettare.-

-Volevo che ci fossi anche tu, quindi finora non ho detto nulla-, interviene Blake, serio. –Ma voi due ci direte chi siete e cosa ci fate qui?-

Matt e Gwen si guardano, ed è lei la prima a prendere la parola.

-Frequentavamo il Queen Victoria’s College sette anni fa. Eravamo in quattro. Il preside, il signor Hermann, è sempre stato gentile con noi e gliene eravamo grati. Ma poi abbiamo scoperto delle cose. Abbiamo iniziato ad avere sospetti quando Matt ha chiesto il permesso di tornare a casa per il funerale di un suo parente e gli è stato negato. Non ci hanno mai concesso di andare in città, neanche quando abbiamo compiuto diciotto anni e siamo stati legalmente maggiorenni. Sembrava che volessero tenerci rinchiusi.

-Poi, un giorno, abbiamo trovato questo gruppo di lettere … le aveva mandate il presidente degli Stati Uniti al preside. In sostanza, il presidente diceva che alcuni scienziati dell’Area 51 erano interessati ad un nostro compagno, Lawrence, che era telepatico. Hermann gli ha risposto chiedendogli di aspettare ancora qualche tempo, e gli ha scritto che temeva che noi progettassimo la fuga a causa delle proteste per essere stati chiusi nella scuola. Al che, il presidente ha risposto che, se i suoi sospetti fossero stati fondati, sarebbe stato un disastro. Gli ha chiesto di ucciderci.-

Sgrano gli occhi, incredula.

-Non è possibile-, dichiara Vanessa. –Il preside Hermann non avrebbe mai potuto … -

-Ha accettato-, dice bruscamente Matt. –Per questo abbiamo deciso di organizzare la fuga. Siamo scappati, ma i nostri compagni, Lawrence e Jennifer, sono rimasti uccisi.-

-Oh, cielo-, mormora qualcuno. Credo sia Lily.

-Ci siamo rifugiati qui, l’unico posto in cui Hermann non ci ha cercati. Come poteva immaginare che fossimo scappati in casa sua? Ma d’altra parte non viene qui da anni.-

-Abbiamo aspettato a lungo-, prosegue Gwen. –Abbiamo cercato appoggi, ma era difficile. Il presidente ci voleva morti, pensava che fossimo un pericolo per la società. Alla fine abbiamo trovato un alleato, un pazzo antirepubblicano che abbiamo assoldato. Sapevamo già che il Queen Victoria’s aveva riaperto, dopo un anno di pausa, e immaginavamo quale sarebbe stata la sorte degli studenti. Volevamo liberarvi. Gli uomini che abbiamo mandato hanno ucciso Hermann, ma voi siete stati così stupidi da farli fuori! Loro vi avrebbero spiegato la situazione e vi avrebbero portati via da lì. Ma così il presidente è stato costretto a mandare qualcuno di ancora peggiore.-

Il mio cervello sta elaborando a velocità supersonica tutte le informazioni, e mi fa dedurre una cosa che mi lascia senza fiato.

-E chi meglio-, mormoro, incredula, -di Ivan Vahel, l’uomo che avevate assoldato per far uccidere Hermann? In questo modo il presidente avrebbe fatto fuori un pericoloso nemico, dandogli una posizione di potere e portandolo dalla propria parte.-

-Esatto-, conferma Matt, cupo.

-Aspetta-, interviene Damien, le mani nei capelli. –Vahel ha fatto uccidere Hermann e poi ha preso il suo posto?-

-Proprio così.-

-C’è una cosa che non capisco, però-, dico, cercando di riempire la lacuna vistosa nel mio nuovo schema mentale. –Perché volevate liberarci? Avreste potuto fuggire. Dopo sette anni la sorveglianza si sarà allentata … potevate andarvene in Europa, che so, e dimenticarvi di tutto. Perché liberare noi?-

-Perché vogliamo destituire il presidente degli Stati Uniti-, replica tranquillamente Matt.

Come se fosse la cosa più normale del mondo.

O sei dalla sua parte, o non lo sei. E come puoi esserlo, se considera tutta la tua specie una minaccia per la sopravvivenza del suo Paese?

Capisco tutto talmente bene che rimango senza parole per qualche minuto.

-Andiamo a vedere come sta Jonathan-, dico all’improvviso, e faccio un cenno agli altri.

Matt e Gwen capiscono che vogliamo parlare da soli e non si oppongono.

Ci chiudiamo nella camera da letto.

-Non ci posso credere-, sussurra Damien. –Una congiura per destituire il presidente? Ma sono completamente fuori di testa?-

-La cosa spaventosa-, replico, tetra, -è che potremmo benissimo riuscirci.-

Tutti spalancano gli occhi.

-Stai scherzando, vero, Charlotte?-, chiede Blake.

-Affatto. Blake, possiamo diventare invisibili, predire il futuro, trasformarci in animali, controllare tutti gli elementi, far saltare in aria le cose e decifrare ogni codice nonché scassinare ogni serratura. E ancora non sappiamo cosa siano in grado di fare Matt e Gwen. Se volessimo tentare un colpo di Stato avremmo il novanta per cento di probabilità di riuscirci senza grossi problemi.-

-Ma tu non vuoi farlo, giusto?-, insiste Blake.

-Ovviamente no, non sono un’anarchica, ma non è questo il punto! Non capisci quanto è ovvio che il presidente abbia paura di noi? Che tutta la società ne avrebbe, se sapesse cosa siamo?-

-Sì, ma ciò non toglie che noi non vogliamo detronizzare il presidente.-

-No, certo. Ma credi che quei due ci lasceranno altra scelta?-

-Siamo il triplo di loro, possiamo andarcene senza … -

-Non con Jonathan in queste condizioni. Per almeno una settimana non potrà neanche andare più lontano che al bagno, e anche dopo non possiamo pensare di fare una fuga come quella al Queen Victoria’s.-

-Non possono costringerci, Charlie!-

Scrollo le spalle.

-Non voglio insistere, Blake, sono esausta. Vedremo come reagiranno quando gli diremo che per noi non se ne fa nulla.-

Lui scuote la testa.

-Abbiamo tutti bisogno di riposare e riflettere. Non decideremo nulla fino a domani, d’accordo?-

Acconsentiamo tutti.

Io mi lascio cadere su un letto e non riesco affatto a riflettere. Dopo meno di un minuto sono già addormentata.

 

Quando riapro gli occhi mi sento molto meglio. Sono decisamente più riposata, e infatti il mio orologio mi segnala che ho dormito quasi undici ore. Mi alzo e vedo che gli altri sono già in piedi. Dopo essermi lavata e cambiata, mi ricordo improvvisamente di Jonathan e lo raggiungo.

Credo sia sveglio, ma non risponde quando lo chiamo. Gli metto una mano sulla fronte: è caldo, deve avere la febbre.

Disfo la fasciatura sull’addome per scoprire la ferita e quello che vedo non mi piace affatto. È gonfia, rossa e bagnata di un liquido biancastro.

Non riesco a trattenere un’imprecazione a mezza voce. Blake, l’unico nella stanza oltre a me, mi sente e mi raggiunge.

-Cosa … ah. Non ha un bell’aspetto.-

-No, infatti. Si è infettata.-

-Ed è … una cosa negativa?-

Mi viene voglia di chiudere la bocca a Blake con un tappo, ma non ne ho a disposizione, purtroppo.

-Sì, Blake, è una cosa molto negativa.-

-Puoi fare qualcosa?-

-No, non senza gli strumenti adeguati.-

-Cosa rischia?-

Mi siedo sul letto accanto.

-Rischia di morire-, mormoro.

Blake respira profondamente.

-Charlotte, devi fare qualcosa. Sei la sua unica possibilità.-

I miei occhi si riempiono di lacrime di rabbia senza alcun preavviso, e mi trovo in piedi, furiosa.

-Non so cosa fare!-, urlo. –Forse dovresti prendere in considerazione il fatto che io non sia perfetta e non abbia sempre una soluzione per tutto! So che mi date già la colpa di tutto quello che è successo finora, compreso questo, ma forse, Blake, non sono l’unica su cui scaricare tutte le responsabilità! Non posso sempre pensare a tutto io!-

Detto questo, mi allontano, scansandolo con poca delicatezza, e mi chiudo in bagno, non prima di aver visto altre tre facce che mi fissano sconvolte.

Cerco di calmarmi.

So che Blake non ha colpa. Sono io quella con la laurea in medicina, qua, ed è naturale che gli altri si aspettino che sia io ad aiutare Jonathan. Ma le responsabilità sono enormi, e il prezzo da pagare se dovessi sbagliare è troppo, troppo alto perché io lo possa accettare.

-Charlie?-

Alzo gli occhi per vedere Lily e Vanessa.

-Andate via-, dico, con un tono tanto infantile che mi faccio venire da sola la nausea.

-Charlie, ci dispiace-, dice Vanessa. –Non avremmo dovuto metterti così tanto sotto pressione. Sappiamo che non dipende da te se Jonathan sta male e non si può fare nulla. E soprattutto sappiamo che non è colpa tua. Nessuno di noi pensa che lo sia, tesoro.-

-Nessuno tranne me-, mugolo.

-Damien guidava l’auto-, dice Lily con voce ferma. –E mi ha detto che vorrebbe aver fatto più in fretta a raggiungervi. Blake dice che avrebbe dovuto lasciare che salisse Jon in macchina prima di lui. Io avrei potuto fare un buco nella terra, o dare fuoco a Vahel, ma non l’ho fatto. Vanessa avrebbe potuto colpirlo da invisibile. Tutti noi ci sentiamo in colpa, Charlie, e nessuno pensa che sia stata tu. Ma abbiamo bisogno di te, Jonathan ha bisogno di te. Blake ha detto che sei la sua unica possibilità perché nessuno di noi sarebbe riuscito a fare la metà di tutto quello che hai fatto per Jon ieri, cucire le ferite, togliere il proiettile eccetera. E qualsiasi cosa succeda, noi sapremo che hai fatto tutto quello che potevi per salvarlo.-

-Questo se uscirai dal bagno e tornerai di là-, puntualizza Vanessa.

Prendo fiato e annuisco.

-Avete ragione, naturalmente-, ammetto. Mi sciacquo la faccia e ritrovo la calma.

Torniamo di là insieme.

-Blake … scusa se ti ho urlato contro.-

-Scusa se ti ho messa sotto pressione, replica lui, e sorride.

Annuisco e torno a guardare Jonathan.

-Allora-, dico con calma, -Non posso guarire questa infezione se non con strumenti adatti e in condizioni sterili, e qui non ho nessuno dei due. Ho bisogno di pensare.-

Nessuno obietta.

Resto in silenzio a lungo, rispolverando le mie conoscenze di medicina. So esattamente come mi comporterei con una ferita così profonda e infetta in un ospedale, ma adesso le condizioni sono tremende.

Questo potrebbe essere paragonato ad un intervento che eseguivano i medici nel Medioevo europeo, in pessime condizioni igieniche, con nient’altro, come ausilio, che erbe, cataplasmi e –

-Oh.-

La soluzione mi si presenta davanti con tanta evidenza che mi stupisco di non averci pensato prima.

Ma, altrettanto in fretta, il mio entusiasmo precipita.

Non posso fare una cosa del genere.

-Charlotte?-

-Ho un’idea-, mormoro. –Ma non mi piace per nulla.-

-Di cosa si tratta?-, chiede Vanessa.

Mi passo una mano sul viso, scuotendo la testa.

-Hai mai sentito parlare di cauterizzazione?-

Vanessa, Lily e Blake scuotono la testa. Matt e Gwen, al fondo della stanza, restano indifferenti.

Damien, invece, sussulta.

-Oh, cielo-, mormora.

-Sai cos’è?-, gli chiedo.

Lui si morde un labbro.

-Ho appena avuto una visione. Non … non sembrava affatto una bella cosa.-

-Non lo è.-

-Potreste spiegare?-, interviene Lily.

La voce fa fatica ad uscirmi di bocca, quasi mi stessero tirando fuori a forza parole che non voglio pronunciare.

-Era un rimedio molto usato nel Medioevo, in Europa. Consiste nell’applicare-, deglutisco, -una lama incandescente su una ferita per fermare l’emorragia e richiuderla.-

Il silenzio è totale e viene rotto solo dopo diversi secondi.

-Non c’è nessun altro modo?-

La voce di Lily è appena udibile.

Scuoto la testa, nauseata.

-È la sua unica speranza. Se non facciamo niente, non sopravvivrà altri due giorni. Però … è doloroso, e non ho nient’altro che uno stupido antidolorifico e un po’ di antibiotico.-

-Dobbiamo farlo-, decide Blake.

Annuisco, e la mia testa gira.

-D’accordo-, mormoro.

Ed è la decisione più difficile della mia vita.

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Capitolo 15
*** Pain ***


~PAIN~

 

[Jonathan]

 

È tutto così confuso.

Quando provo ad aprire gli occhi vedo delle facce, perlopiù quella di Charlotte, e poi torno nel buio dell’incoscienza.

Il che è una benedizione, perché, nei pochi momenti in cui sono cosciente, il dolore è lancinante.

Ma poi l’effetto della morfina svanisce, e nessuno ha più pastiglie da darmi, nemmeno sonniferi, e allora sono costretto a sentire tutto.

Sento delle parole confuse, forse dirette a me, e mi sforzo al massimo per concentrarmi sui volti e sulle voci.

-Jonathan … ? Jon, riesci a sentirmi?-

Non posso rispondere, ma biascico un assenso.

-Sei sicura di volerlo fare, Charlie?-, chiede qualcuno, non saprei dire chi.

-Devo. Ho bisogno di una fiamma, Lily, e bella calda.-

Il mio sguardo si sta schiarendo leggermente, anche se continuo a vedere sfocato. Mi sento bruciare, credo di avere la febbre.

Vedo una figura bionda –Charlotte, credo- che si china su di me.

-Ascoltami, Jon-, mi dice dolcemente, -Adesso devo fare una cosa che … non sarà molto piacevole. Ma è l’unico modo. –

Stringo gli occhi e la scruto, cercando di capire cosa vuole dire con tutte quelle parole confuse messe in fila …

Ma ci arrivo solo quando vedo che Damien sta tenendo qualcosa –sembra un coltello, o un pugnale, ma non è possibile, giusto?- sulla fiamma che Lily ha sul palmo della mano.

Il mio sguardo si illumina in un lampo di comprensione, subito seguito da uno di terrore.

-No-, riesco ad ansimare in qualche modo, senza nemmeno essere certo di averlo detto veramente ad alta voce.

-Dovrò riaprire la ferita per farla spurgare e poi cauterizzarla, e … Dio, Jon, mi dispiace, ma non ho più nemmeno un antidolorifico.-

La mia mente si rifiuta di accettare quello che Charlotte mi sta dicendo.

Non può volerlo fare veramente … è roba da Medioevo!

-No-, ripeto, ringraziando che sia una sillaba sola perché non potrei reggere di più, e il mio tono è quasi implorante.

-Dobbiamo farlo-, dice per l’ennesima volta Charlie, disperata.

Sii uomo, Jonathan. Mostra il tuo coraggio, se ne hai.

Mi sembra di sentire la voce di mio padre, ma questo è impossibile, quindi non mi ci concentro troppo.

O questo, o la morte.

Più convincente di così.

Mi arrendo e chiudo gli occhi, facendo un minimo cenno di assenso.

Meglio che faccia in fretta, prima che io me ne penta.

Charlotte sembra pensare la stessa cosa, perché sento la lama gelida di un coltellino sulla ferita gonfia e dolorante. Stringo i denti mentre la sento riaprirsi.

Vorrei urlare ma mi conficco i denti nel labbro inferiore e taccio.

Non dura molto, questo, per fortuna, e dopo mi sento quasi meglio. La ferita si è sgonfiata, anche se ora sanguina di nuovo.

-Tienilo fermo, adesso, Blake.-

Sento le mani forti di Blake che mi afferrano e il mio stomaco si contrae per il nervosismo. Vorrei che non fosse tutto così strano e confuso per potermi opporre. Non dovrei accettare una cosa del genere … non dovrei davvero …

Charlie mi avvicina un asciugamano alla bocca.

-Stringilo coi denti-, mi suggerisce.

Obbedisco d’istinto.

-Ok, credo che sia pronto-, mormora Charlotte. La sua voce mi rivela che è almeno tanto spaventata quanto lo sono io.

Sento una mano che prende la mia, dev’essere Vanessa perché Charlie sta lavorando e Lily tenendo acceso il fuoco.

Vedo ancora la lama incandescente che si avvicina e poi chiudo gli occhi.

Il dolore mi colpisce come … non so descriverlo.

Si propaga in tutto il corpo in una frazione di secondo.

Inarco la schiena, tenuto fermo dalla presa solida di Blake, e mi esce un grido soffocato dall’asciugamano. I miei occhi si riempiono di lacrime e li serro per impedire loro di uscire.

Mi sembra che mille, diecimila proiettili mi abbiano colpito contemporaneamente. Le vertigini mi soffocano e un’ondata di nausea mi scuote.

Il dolore all’addome è insopportabile. Spalanco gli occhi e riesco a vedere Charlotte togliere il coltello dalla ferita, e le lacrime sul suo viso –e poi, il buio mi soccorre, pietoso.

 

-Jonathan, mi senti? Svegliati. Jon?-

Apro gli occhi, riprendendo lentamente coscienza di esistere. Il dolore è ancora abbastanza forte da costringermi a piantarmi le unghie nei palmi delle mani per non gemere.

Charlotte mi sta guardando, preoccupata.

-Devi bere qualcosa, o ti disidraterai-, dice. Non mi chiede come sto e questo mi fa piacere: non voglio mentire né tantomeno dire la verità.

Mi aiuta a sollevare la testa e bevo quello che mi dà. Credo sia vino, o qualcosa del genere, e il gusto forte mi fa venire la nausea, ma mi sforzo di buttarlo giù tutto.

-Hai voglia di mangiare qualcosa?-

Scuoto appena la testa. Ho la sensazione che vomiterei tutto subito. Charlie non insiste e si china per togliere le bende e scoprire la ferita.

-Bene-, dice, sollevata.

Provo ad alzarmi un po’ per guardare, ma una fitta di dolore mi fa cambiare idea in fretta.

-Non sanguina, non è infetta ed ha un aspetto migliore-, annuncia. –Presto il dolore inizierà a diminuire.-

Annuisco semplicemente, stanco.

-Jon … -, mormora dopo qualche secondo di silenzio. –Mi dispiace. So che dev’essere stato terribile … non avrei mai pensato di dover arrivare a farti una cosa del genere. Ma era l’unico modo, capisci? Volevo sapere di aver fatto il possibile per salvarti.-

-Lo so-, rispondo, la voce più fioca di quello che vorrei. –Grazie, Charlie.-

-Come fai a ringraziarmi? Non riesco neanche ad immaginare quanto … -

-Mi hai … salvato la vita-, la interrompo. –Non potrò mai … ringraziarti abbastanza.-

Charlotte sorride appena e si abbassa per baciarmi.

-Forse-, dico dopo qualche secondo, -Dovrei farmi sparare più spesso.-

-Stupido-, mi rimbrotta lei. –Riposati, adesso.-

Si allontana e io mi concedo un sorriso stanco prima di addormentarmi.

 

Tutto è più chiaro quando apro gli occhi di nuovo.

Sento dei rumori piuttosto violenti –tonfi e vetri rotti- ma cerco di concentrarmi innanzitutto su di me.

Sto meglio. Certo, l’addome mi manda ancora delle fitte lancinanti, ma il dolore è ristretto alla ferita e il mio cervello riesce ad elaborare pensieri lucidi.

La porta si spalanca mentre i rumori strani cessano, e Lily entra dentro come una furia.

-Cosa diavolo ti è saltato in mente?-, ruggisce con un tono che mi fa accapponare la pelle. Sono lieto di non essere io l’oggetto del suo disappunto.

-Ma non hai capito?-, replica Blake, altrettanto arrabbiato. –Quei due bastardi non ci hanno lasciato alternativa!-

-Questo non significa che tu debba saltargli addosso!-

Blake fa due passi dentro la stanza.

-Che succede?-, domando a mezza voce.

Blake e Lily si girano di scatto. Probabilmente si erano dimenticati della mia esistenza.

-Hanno messo del Propofol nell’acqua-, sibila Charlotte. –Quei due … -, e aggiunge una parola che si addice poco ad una ragazza.

-Che sarebbe … ?-

-Un anestetico. Lo stesso che Vahel ha somministrato a Lily.-

-Quello che toglie i poteri?!-

-Esatto.-

-Ma … tu avevi detto che … -

Charlotte fa un gesto con la mano e taccio.

-Adesso nessuno di noi può usare i poteri-, dice a voce alta.

Quando Vanessa e Damien entrano dietro di lei e chiudono la porta, Charlie abbassa la voce.

-Loro non sanno che alcuni di noi sono immuni al Propofol. I loro poteri sicuramente risiedono nel cervello, e magari anche quelli dei loro vecchi compagni … probabilmente non hanno idea che Blake, Jon e Vanessa non hanno perso i poteri.-

-Questo può giocare a nostro favore-, dice Blake, pensieroso.

-Ma cosa vogliono?-, chiedo, stanco di non capire cosa stia succedendo.

-Attaccare il presidente.-

Il mio sguardo confuso dev’essere piuttosto evidente, perché Charlie si affretta a riassumermi tutto quello che mi sono perso.

Alla fine ho gli occhi spalancati.

-Insomma, tra due giorni il presidente sarà qui per commemorare una strage di civili durante la Seconda Guerra Mondiale. Vogliono ucciderlo.-

-E vogliono che noi li aiutiamo.-

-Ma è assurdo-, protesto debolmente.

-Dobbiamo andarcene-, aggiunge Blake.

-Te l’ho già detto, Blake: Jon non può muoversi.-

-Potrebbe trasformarsi-, propone Damien. –In qualcosa di piccolo che possiamo portare con noi.-

-Sì, ma ciò non toglie che sarà difficile.-

-Però possiamo provarci.-

-Dam, praticamente soltanto Blake e Vanessa possono usare i loro poteri. E, diciamocelo, sarà inutile … Non possiamo … -

Ma Charlotte, gli occhi vuoti per un istante, interrompe il discorso di Lily.

-Lo faranno lo stesso-, dice.

-Che cosa?-

-Ci proveranno lo stesso-, mormora Charlie. –Non avranno più un’occasione come questa, per cui tenteranno comunque.-

-Non ci riusciranno, da soli. O lo avrebbero già fatto prima.-

-Noi avremmo reso tutto più facile, ma hanno avuto fortuna … è stata solo una coincidenza il fatto che questa occasione si sia presentata quando c’eravamo noi.-

-Credi che abbiano una possibilità di riuscirci, da soli?-

Charlotte esita.

-Ho paura di sì.-

-E questo cosa vorrebbe dire?-

-Che dobbiamo impedirglielo-, replica Blake.

Cala il silenzio.

-Ma in questo modo-, interviene Lily dopo lunghi secondi, -Il nostro piano di fuga … -

-Forse questa è la nostra occasione. Forse possiamo dimostrare che non siamo dei mostri-, dice Blake.

-Non credo che sia una buona idea-, sospira Lily.

-Abbiamo la possibilità di salvare il presidente. Se non lo facessimo,non pensi che avrebbe ragione lui nel dire che, dopotutto, i nostri poteri non sono utili ma … -

Lily risponde a tono e quei due ricominciano ad urlarsi contro.

Io chiudo gli occhi. Il dolore torna al centro della mia mente, e mi lascio scivolare nuovamente nel sonno.

Voci, opinioni e pensieri spariscono, lasciandomi beatamente vuoto.

 

A svegliarmi è ancora Charlotte.

La stanza è buia, devono essere passate diverse ore.

-Jon, ti va di mangiare qualcosa?-, mi chiede.

Non appena ci penso, sento i morsi della fame attanagliarmi lo stomaco.

Annuisco e, dopo avermi aiutato a mettermi seduto, Charlie mi dà un piatto di qualcosa –ho talmente fame che non tento neanche di capire che tipo di cosa sia.

-Allora, avete deciso qualcosa?-, chiedo.

-Più o meno. Abbiamo deciso che resteremo qui e impediremo a Matt e Gwen di portare a termine il loro piano. Ma Lily non è d’accordo.-

-Siamo senza poteri?-

-Io, Lily e Damien sì. Matt e Gwen sono preoccupati. Dicono che i nostri poteri potrebbero non tornare in tempo per la cerimonia, e li ho sentiti litigare a questo proposito. Lei diceva che non avrebbero mai dovuto darci il Propofol, e lui che altrimenti saremo già fuggiti.- Alzò le spalle. –In ogni caso, stiamo cercando di organizzare un piano. Ma … quella roba mi ha abbassato il QI di almeno cento punti, credo. Non riesco a concentrarmi, mi sembra tutto così dannatamente confuso … -

-Non devi pensare che sia tutta una tua responsabilità, Charlie.-

-Lo so, ma in ogni caso dobbiamo tirare fuori un’idea, in qualche modo.-

-Non sarà sufficiente rifiutarci di fare ciò che ci viene chiesto, magari … all’ultimo minuto?-

-Non sarà affatto così facile. Credo che prenderanno delle precauzioni per assicurarsi che eseguiamo gli ordini, ma … non riesco a pensare alle possibilità. È così frustrante!-

-Andrà tutto bene. Ce la caveremo.-

Charlie annuisce, ma è triste e combattuta, e lo vedo.

Vorrei poter fare qualcosa.

Mi muovo per abbracciarla, confortarla, qualsiasi cosa –ma una fitta di dolore violento e inaspettato mi colpisce l’addome.

Con un gemito ricado sui cuscini.

Dannazione.

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Capitolo 16
*** Caught ***


~caught~

 

[Blake]

 

Il tempo corre sempre quando si vorrebbe che rallentasse, e questa non è un’eccezione.

Il giorno che Gwen e Matt stavano aspettando da anni è arrivato, e, guarda caso, è lo stesso giorno che noi avremmo desiderato non arrivasse mai.

I nostri poteri sono tornati.

Da ore sentiamo i rombi dei motori di decine di automobili con chissà quanti agenti che controllano che il luogo sia sicuro.

E, alla fine, è arrivato anche lui.

Il Presidente.

Matt e Gwen ci hanno spinti fuori, fino alla piazza gremita di gente, e ci hanno fatti arrivare in prima fila, subito dietro le transenne, esattamente di fronte al palco sul quale il Presidente sta per tenere il suo discorso.

Mi guardo intorno.

Vanessa è nervosa, le dita strette sulla transenna, l’ansia che traspare da ogni poro.

Damien sembra avere la testa altrove, forse sta guardando qualcosa, o cercando di non farlo.

Lily ha un’espressione seria e decisa, combattiva.

Charlotte pare concentrata al massimo: quel medicinale ha abbassato il suo QI temporaneamente e lei sta cercando di combatterlo per capire ogni aspetto della situazione.

Jonathan è estremamente pallido, appoggiato alla transenna, e ogni tanto porta le mani alla ferita tentando di non darlo a vedere.

Gwen e Matt si tengono per mano, gli occhi esaltati fissi sul Presidente.

Ci hanno spiegato esattamente cosa fare, quando farlo e, soprattutto, cosa succederebbe se non lo facessimo.

D’altra parte, dopo la discussione dell’altro giorno abbiamo preso la nostra decisione definitiva al riguardo.

Perciò lancio un’occhiata a Vanessa, che annuisce impercettibilmente. Nel momento stesso in cui il presidente sale sul palco, e tutti gli occhi sono puntati su di lui, lei scompare.

Questo rientra nel piano di Matt e Gwen, che si guardano soddisfatti.

Ieri abbiamo avuto anche il piacere di scoprire i loro poteri.

Gwen riesce a creare scudi difensivi, mentre Matt materializza per breve tempo degli oggetti.

-Signori e signore-, esordisce il presidente, -È un onore e un onere essere qui oggi. Un onere perché ciò che ricordiamo è un avvenimento tragico, che condusse molti cittadini americani ad una morte orribile. Ma è anche un onore perché tutti noi sappiamo che è stato grazie a queste vittime, questi eroi, che la nostra patria è diventata ciò che è oggi. Un Paese forte, libero e giusto.-

Applausi.

All’improvviso, vedo la transenna spostarsi leggermente. Da sola, all’apparenza.

Questo fa sì che io riceva un colpo sulla spalla da Matt, il segnale che devo agire.

So che sto per fare una cosa che mi procurerà dei guai. Ne sono perfettamente consapevole,ma spero che quello che verrà dopo annullerà questa azione.

-È grazie a queste migliaia di uomini se noi siamo qui oggi, consapevoli di essere una vera nazione. Questi eroi erano figli, fratelli, padri di famiglia, e il loro sacrificio non è stato dimenticato. Il rosso della nostra bandiera è tinto del sangue che hanno versato per la patria.-

Stringo i denti e faccio mezzo passo in avanti. Allungo le braccia e punto i palmi delle mani contro due guardie, una per lato.

E le colpisco.

La gente impiega un paio di secondi per capire –abbastanza perché io getti a terra altri due agenti.

Poi, il disastro comincia.

La gente urla e indietreggia. Gwen si affianca a me ed erige uno scudo per proteggermi dai proiettili che iniziano a venire sparati. Abbatto gli agenti uno ad uno, finché non rimangono che le guardie del corpo del presidente.

Con la coda dell’occhio vedo Matt che materializza una pistola e si avvicina a loro.

Gwen mi toglie lo scudo e segue Matt. Le urla della gente mi arrivano ovattate alle orecchie.

Lily, seguendo il loro piano, erige un muro di fuoco per tenere i civili lontani.

Matt raggiunge le quattro guardie rimaste, che iniziano a sparargli contro –ma i loro proiettili rimbalzano sullo scudo invisibile. Giunge indisturbato fino alle due di fronte al presidente.

Mi fa un cenno e io mi costringo a colpirle entrambe. Le due rimanenti le seguono a breve.

-Molto bene. Siamo rimasti solo noi, eh?-, dice con arroganza Matt al presidente.

Questi, pur spaventato, mantiene la testa alta e non replica.

Allora Matt solleva la pistola e gliela punta alla fronte.

Gwen è concentrata sul suo scudo.

Non posso colpire nessuno dei due, dato che sono protetti, ma Charlotte mi aveva preparato a questa evenienza.

Faccio un cenno a Jonathan.

Abbiamo discusso a lungo se fosse il caso di farlo intervenire, ma non abbiamo trovato altre soluzioni.

Si trasforma in qualcosa di molto piccolo: non riesco più a vederlo.

E succede tutto in un attimo.

Matt preme il grilletto.

Gwen abbassa lo scudo per permettere al proiettile di uscire.

Vanessa, invisibile, afferra il presidente e lo butta a terra.

Jonathan si trasforma in una tigre e azzanna la caviglia di Gwen, che finisce a terra con un grido di dolore.

Io approfitto della sua distrazione per colpire Matt, che però evita il mio colpo e comincia a sparare.

Non trovo soluzione migliore che ripararmi al lato del palco, abbassandomi. Sento i proiettili conficcarsi nel legno.

Avvertendo una pausa –probabilmente Matt sta ricaricando l’arma, o materializzandone una nuova- mi sporgo appena per lanciare un raggio di energia.

Inutilmente: è sparito.

Mi guardo intorno.

Lily sta spegnendo il muro di fuoco: ormai la gente è fuggita, e i poliziotti non sono ancora arrivati.

-Attento a destra, Blake!-, mi urla all’improvviso Damien.

Mi volto di scatto, ma non vedo nessuno. Per un paio di secondi.

Poi Matt sbuca fuori da una colonna e punta la pistola.

Siamo uno di fronte all’altro: non c’è modo per ripararmi. Indietreggio e vedo la sua risata maligna.

-È inutile!-, urla, premendo il grilletto.

Nello stesso momento, sento qualcosa che mi fa perdere l’equilibrio e mi getta a terra.

È Jonathan.

Matt riprende a sparare, furioso, ma lui diventa di nuovo minuscolo e Matt lo perde di vista.

Nel frattempo, aggiro il palco e mi rifugio dall’altra parte, il cuore che batte a mille. Lily è accanto al presidente, decisa a difenderlo da Matt, e Vanessa e Charlotte stanno tenendo a bada Gwen.

Un urlo di dolore attraversa la piazza, e spero con tutto il cuore che sia Matt. Mi allungo appena per vedere la scena, cauto.

Jonathan, nuovamente come tigre, sovrasta Matt, a terra supino.

Mi sento incredibilmente sollevato, ma non dura a lungo.

-Dì al tuo amico di allontanarsi, Blake.-

Un brivido gelido mi attraversa mentre sento il clic della sicura di una pistola che viene tolta, e la canna che si appoggia sulla mia nuca. Ma non è questo a togliermi il fiato, bensì la voce.

Una voce fredda, decisa, che riconosco immediatamente.

Ivan Vahel.

Mi alzo con cautela, senza voltarmi.

-Jon-, chiamo a voce alta.

La tigre si gira verso di me e si irrigidisce nel vedere la scena. Un ringhio basso esce dalle lunghe zanne scoperte.

Una decina di agenti armati entrano nella piazza.

-Mani in alto, tutti quanti-, intima Vahel, nella voce un tono soddisfatto.

Siamo tutti sotto tiro.

Lily, Charlotte, Vanessa e Damien alzano le mani lentamente, e Jonathan, dopo essere tornato umano, fa lo stesso.

Mi costringo ad imitarli.

Un agente prende il posto di Vahel dietro di me, la pistola puntata, e lui raggiunge il presidente accanto a Lily.

Con una mano lo aiuta ad alzarsi.

-Signore, li abbiamo finalmente catturati. Sono desolato che lei abbia dovuto rischiare così tanto.-

-Erano sotto il suo controllo, Vahel. Pensavo che li teneste sotto controllo.-

-La situazione ci è sfuggita di mano.-

-Fate sì che non ricapiti.-

-Non succederà.-

-Ora che ci penso, ormai sono qui. Sarebbe un peccato rinchiuderli di nuovo, non crede?-

Vahel non replica.

-Li porteremo all’Area 51-, decide il presidente.

Sussulto istintivamente.

Maledizione.

Ecco che si avvera quello che avevamo sempre temuto.

Verremo studiati come interessanti esperimenti scientifici, esaminati e messi alla prova per testare le nostre capacità e magari scoprire l’origine dei nostri poteri. E alla fine, se verrà ritenuto opportuno, saremo discretamente eliminati in quanto “potenziale minaccia”. Nemmeno più tanto “potenziale”, a dire il vero, dopo ciò che è successo oggi.

Certo, potremmo raccontare che Matt e Gwen ci hanno costretti ad attaccare e noi abbiamo sventato il loro piano. Ma chi ci crederebbe? Il presidente, alla cui vita abbiamo attentato? O Vahel, sotto il naso del quale siamo scappati? O magari quegli scienziati interessati solamente ai nostri geni e a non farci scappare dalle loro avide grinfie?

Come no.

-Per nostra fortuna-, sta dicendo Vahel quando ricomincio ad ascoltare, -Ho trovato una sostanza che è più efficace del Propofol per arginare temporaneamente i poteri.-

Con un cenno, fa portare da un agente una valigetta. La apre e ne estrae una fiala colma di un liquido biancastro.

-Pentothal-, dice. –Contrariamente all’opinione comune, non è un siero della verità, ma un anestetico utilizzato qualche anno fa, prima della diffusione del Propofol. Certo, è più pesante, e ha maggior effetti collaterali, ma il risultato è migliore. Agisce su tutti i poteri.-

Prende una siringa, la riempie di liquido e mi si avvicina. Rapidamente, mi inietta in vena tutta la siringa. Per qualche minuto, mentre Vahel si dirige verso gli altri, non sento nient’altro che il leggero fastidio dovuto all’iniezione. Ma ben presto gli effetti collaterali iniziano a farsi sentire. Una nausea violenta mi assale, unita ad un forte senso di stordimento che fa sì che non mi opponga minimamente quando vengo trascinato verso un furgoncino blindato. Faccio appena caso alle parole di Vahel.

-Quei due ci hanno dato fin troppi problemi. Non ne valgono la pena, mi creda, signor presidente. Sono stati loro ad organizzare il tutto.-

Quindi lo sa.

Il suono distinto di colpi di pistola si sovrappone alle urla di Matt e Gwen.

Questo, unito all’effetto del Pentothal, mi costringe a chinarmi e a vomitare. E non sono l’unico.

Impietosi, gli agenti ci strattonano fino al cellulare e lo chiudono.

Partiamo subito.

Sento che la mia vita precedente, e la mia libertà, la mia felicità, sono rimaste chiuse fuori da quelle porte, e potrebbero non trovare più il modo di rientrare.

 

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Capitolo 17
*** Prisoners ***


~prisoners~

 

*premetto che questo è un capitolo puramente di passaggio, perciò non succede nulla di particolarmente essenziale, ma era necessario per introdurre i prossimi.*

 

[Damien]

 

Faccio fatica a tenere gli occhi aperti.

Siamo nel blindato da poco più di venti minuti e già mi manca l’aria.

Non che gli altri siano messi meglio.

Sembra che questa sostanza che ci hanno iniettato non annulli i nostri poteri, ma li renda incontrollabili.

Le visioni mi bombardano la mente ininterrottamente, in un modo che non ho mai sperimentato prima se non durante la disintossicazione.

Vanessa, accanto a me, mi stringe la mano. Continua a sparire e ricomparire, pallida e nervosa.

Le mani di Blake sembrano andate in corto circuito: emettono sfrigolii e lampi.

Non parliamo poi di Lily, che ha scatenato senza volerlo un vento forte che ci ha quasi fatti finire fuori strada, e i cui capelli adesso prendono fuoco ogni due o tre minuti.

Jonathan cambia forma rapidamente, passando da umano a topo, a tigre, a cane e di nuovo a umano, completamente passivo.

Charlie ha le mani premute sulla testa, gli occhi stretti, dilaniata da attacchi improvvisi di emicrania acuta.

Io continuo a vedere immagini sconclusionate, ma riguardano un solo soggetto.

L’Area 51.

Flash di volti, macchine, fili, computer mi sfrecciano nella mente, incontrollabili.

Il mio cervello sembra essere andato in sovraccarico. Non appena posso, mi lascio cogliere da un sonno teso e altalenante, ma che almeno mi concede temporaneo sollievo.

 

Mi risveglio quando ci fermiamo. Mi muovo lentamente, cauto, ma gli effetti del farmaco sembrano svaniti. Provo ad indagare nella mia mente, ma non c’è quasi traccia delle visioni, se non qualcuna, fugace e sfuggente.

Gli effetti collaterali sono finiti, quindi, ma l’azione del Pentothal è appena cominciata.

Ci fanno scendere in un garage scuro che sembra più che altro un hangar, e da lì ci guidano attraverso lunghi corridoi sotterranei fino ad una porta metallica identica alle altre.

Ci fanno entrare tutti.

-Resterete qui fino a che i vostri poteri non torneranno-, veniamo informati.

La porta si chiude con uno scatto e restiamo soli.

Le pareti della stanza sono di metallo chiaro. Non ci sono finestre e la porta è perfettamente mimetizzata con la parete. L’unica luce proviene da un neon sul soffitto.

Quattro telecamere ci osservano dai quattro angoli del soffitto.

Il silenzio è assordante: non solo intorno a me, ma anche nella mia testa. Era da un po’ che non lo provavo, o almeno non così totale e completo: il metodo olistico di Charlotte isolava le visioni, certo, ma rimanevano sempre alla mia portata, e bastava pensarci per farle tornare. In quanto al Propofol, più che eliminarle mi impediva di afferrarle: c’erano sempre, ma erano sfocate, non dettagliate, incomprensibili. Solo le pastiglie di Vahel avevano ricreato questa situazione di calma assoluta … tranne che per il fatto che adesso sono del tutto irraggiungibili. Vorrei poter dire che è spiacevole, ma è l’esatto contrario.

-Allora-, esordisce Blake, sfregandosi le mani sulla fronte aggrottata.

Lo guardiamo senza proferire una parola, e mi accorgo di come continuiamo inconsciamente a considerarlo il nostro leader. È sempre stato così.

-Siamo finiti in una situazione disastrosa-, riepiloga Blake, come se ce ne fosse bisogno.

Silenzio.

-È tutto qui quello che sai dire, Blake?-, interviene Lily, acida. –“Siamo finiti in una situazione disastrosa”?-

-Cosa vorresti che dicessi?-

-Non lo so, ad esempio “avevi ragione, scappare era un’idea stupida”, oppure “vorrei che ti avessimo dato retta, Lily”!-

-E cambierebbe qualcosa?-, sbuffa Blake in tono gelido.

-No, ma mi darebbe soddisfazione.-

Il silenzio cade di nuovo, pesante. Alla fine Blake sospira.

-Charlotte?-, chiede, quasi implorante.

Lei, seduta sul pavimento di metallo, scuote la testa.

-Se solo riuscissi a pensare-, mormora. –Ma ho la mente completamente vuota.-

-D’accordo. L’importante è restare calmi. Dobbiamo capire cosa vogliono da noi.-

-Non è così difficile-, intervengo. –Vogliono studiarci, capire l’origine dei nostri poteri, come estenderli, come arginarli, come toglierceli … o come sfruttarli a loro vantaggio.-

-E possono farlo senza il nostro consenso?-

Ci voltiamo verso Charlie, che sembra faticare molto solo per rispondere con un semplice:

-Probabilmente.-

-Beh, in questo caso … dovremmo organizzare un piano.-

La risata tetra di Lily riecheggia nella stanza.

-Sarebbe già il terzo. Vuoi ricordarmi quanti hanno funzionato?-

-Hai un’idea migliore, Lily? Perché se è così, giuro che potrai continuare a criticare questa finché vorrai.-

Ma Lily si limita ad alzare le spalle.

-D’accordo. Charlotte, hai qualche idea?-

Lei stringe gli occhi.

-L’hai preso anche tu, il Pentothal, o mi sbaglio? Il mio potere funziona tanto quanto il tuo, Blake, quindi smettila di fare riferimento a me!-

-Non è il caso di prendersela, Charlie.-

-Invece me la prendo finché voglio, maledizione! Non posso sempre essere io a tirarvi fuori dai guai!-

Il commento, acido, mi sfugge di bocca prima che io possa pensarci razionalmente:

-Veramente il più delle volte hai solo peggiorato la situazione.-

-Vaffanculo, Damien-, ringhia Charlotte.

La piccola, delicata, dolce Charlotte.

Credo che questa sia la prima imprecazione che sento uscire dalla sua bocca, ed è dedicata a me. Dovrei sentirmi onorato, ma riesco solo a reagire male.

-Dopo di te, stronza.-

-Damien!-, sbotta Vanessa, mollandomi una gomitata nelle costole.

-E tu fatti gli affari tuoi, Ness. Nessuno ti ha chiesto di intervenire.-

-Forse è il caso che tu ti dia una calmata, Dam-, dice Jonathan, serio.

Mi scaglio a parole contro Jon, e un grande casino si diffonde rapidamente nella stanza.

-Adesso basta!-, urla Blake, talmente feroce da farci tacere tutti. –Avete finito? Bene, perché ci stiamo comportando da ragazzini.-

-Tira fuori tu un’idea, allora, Blake!-

-Abbiamo tutti le stesse responsabilità, Lily, e anche lo stesso obiettivo. Litigare non ci aiuterà in alcun modo. Voglio che ognuno pensi a cosa fare per conto suo, e dopo, quando ci saremo calmati, ne discuteremo insieme come persone civili. Se già credono che siamo dei mostri, questo spettacolo non farà certo cambiare loro idea. Ci sono obiezioni?- Nessuna risposta. –Bene. Adesso pensate. In silenzio.-

Lily gli fa il verso (“in silenzio!”), ma solo muovendo le labbra: nemmeno lei osa obiettare.

Perché sappiamo che ha ragione.

E allora chiudo la bocca e metto in moto il cervello.

 

Prima che riusciamo a confrontarci, però, la porta si apre e veniamo fatti uscire. Un uomo alto e magro, con corti capelli scuri, ci guida in un ennesimo corridoio. Indossa un camice bianco con un tesserino di riconoscimento, e questo mi permette di scoprire che il suo nome è David Ritch.

-Io sono il professor Ritch, direttore della sezione Mutanti dell’Area 51-, si presenta, la voce fredda e dura.

Mutanti? Cos’è, siamo finiti in un film di X-Men? Mi sfugge un mezzo sbuffo e mi guadagno un’occhiataccia da parte del professore.

-Il nostro scopo è individuare le origini e le potenzialità dei vostri poteri. Non abbiamo dunque intenzione di farvi alcun male, se collaborerete.-

L’ultima specificazione non mi stupisce ma mi inquieta. Ritch mi ricorda Vahel in molti sensi.

-L’azione del Pentothal durerà probabilmente ancora qualche ora. Non lo sappiamo di certo perché non abbiamo mai avuto la possibilità di testarlo su mutanti, ovviamente, ma … -

-Mutanti?-, dico, esprimendo a voce alta il pensiero di tutti.

-Esatto, mutanti. Questa è il nome che usiamo per definirvi. Ne avete di migliori, forse?-

Restiamo zitti, anche se “supereroi” non guasterebbe e vorrei farglielo notare. Insomma, d’altra parte sembra già di trovarsi in un pessimo fumetto, cosa potrebbe mai cambiare?

-Durante il periodo in cui resterete qui, verrete ospitati in sei camere separate. Sono state costruite appositamente, adattate al vostro potere. Quella della signorina Evans, ad esempio, è dotata di un sensore di calore e di movimento che rileva la sua posizione anche se è invisibile.

Quella del signor Grey è fatta interamente di plastica, un materiale isolante, immune alle scariche elettriche.

Quella del signor Bailey non è dotata di alcun tipo di apertura che permetta a qualunque animale, anche il più piccolo, di uscire: l’aria è immessa attraverso fori minuscoli che si aprono solo ad intervalli irregolari e per pochi millesimi di secondo. In più, è antisfondamento, in acciaio –nemmeno un elefante potrebbe uscire.

Quella della signorina Bennett è in un materiale isolante termico, immune al caldo e al freddo, e situata su uno strato di acciaio che rende impossibile l’uscita tramite scavi nella terra.

Quella della signorina Miller non ha serratura, né codici di accesso, ma si apre solo tramite scansione della retina di una guardia –ogni giorno una diversa, ovviamente, con ritmo casuale.

E quella del signor Knight viene aperta solo ad intervalli casuali e decisi all’ultimissimo secondo, per impedire ogni previsione.-

Restiamo in silenzio per qualche secondo, assimilando le informazioni. Riesco a vedere il volto teso di Charlotte, che tenta di immagazzinare tutto e di elaborare un piano, una teoria, qualunque cosa, senza riuscire a superare le barriere che il Pentothal le ha posto nel cervello.

-Perché invece di dire stanze non dice celle?-, commenta sarcastico Blake, ma il professor Ritch non dà peso alla sua domanda.

Fa cenno alle guardie di scortarci nelle varie celle. La mia è quasi banale, se penso a quanto devono essere sofisticate quelle degli altri. Una semplice camera, d’acciaio come tutto il resto in questo posto, con una porta che si apre semplicemente con una chiave. Hanno pensato a tutto –se si fosse aperta a combinazione avrei potuto in qualche modo prevederla, forse. Comunque, l’arredamento consiste in un normalissimo letto, una piccola cassettiera e una porta che immagino conduca al bagno.

Delizioso.

Mi siedo sul letto e mi premo le mani sulla testa. Sento che le visioni ricominciano ad affiorare, e non è per niente piacevole.

Respiro profondamente più volte.

Visualizza la tua porta … la porta … chiudila ermeticamente … non possono uscire, ora … non possono ferirti …

Le parole di Charlotte mi rimbalzano nella mente, ma ben presto mi irrito e scatto in piedi, nervoso.

Ho bisogno di … non so neanche io che cosa. Di un abbraccio, forse. Dopo la disintossicazione –sembrano passati anni- Vanessa è distante. O magari sono io ad essermi allontanato. Ho avuto paura di aver rivelato troppo, in quelle ore allucinanti: tutta la mia debolezza, la mia fragilità, la mia netta inferiorità nella guerra eterna che si combatte da sempre nella mia mente. Avevo bisogno di tornare presente a me stesso, di ricostruire la mia identità, di imparare a gestire la mia maledizione.

Ma adesso mi rendo conto di quanto sia stato inutile.

Vanessa è una parte essenziale di me: per riacquistare la consapevolezza di chi sono ho bisogno di lei.

Che adesso è così lontana.

Come tutte le persone a cui tengo.

Mia madre, mio padre, mia sorella, Arthur, Vanessa, i miei compagni.

Irraggiungibili.

Buffo. Arthur, da quanto non ci penso!

E non ha senso farlo ora.

Sospiro e mi corico, tentando di rilassarmi.

Visualizza la porta.

Ignora le visioni.

Non possono toccarti, ti scorrono solo accanto.

Chiudile nella stanza.

Impedisci loro di uscire.

Dimenticale, e loro dimenticheranno te.

La meditazione diventa sonno senza che io me ne accorga, e finalmente dormo.

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Capitolo 18
*** Betrayal ***


~betrayal~

 

[Vanessa]

 

Sono seduta di fronte al professor Ritch in un laboratorio freddo, asettico, che mi ricorda in modo inquietante quello di Vahel al Queen Victoria’s. Il desiderio di sparire per sfuggire al suo sguardo penetrante è forte, ma so che sarebbe infantile e, soprattutto, inutile. Ci sono sensori di calore che percepirebbero la presenza.

Il professore tamburella le dita sulla scrivania d’acciaio.

-Allora, Vanessa-, esordisce.

Tento di produrre un’espressione decisa, ma temo che il risultato non sia affatto convincente.

-Ci sono un paio di cose che vorrei sapere.-

Socchiudo gli occhi. Non mi fido e ho paura.

-Da dove vengono i tuoi poteri?-

-Non lo so. –

-Quando sei diventata invisibile per la prima volta?-

-Non ricordo. Da bambina.-

-Come funziona il meccanismo dell’invisibilità?-

-Non lo so.-

-Cosa fai quando vuoi scomparire?-

-Niente. Ci penso e succede, tutto qui.-

La sfilza di domande martellanti mi confonde e mi mette ancor più sulla difensiva, soprattutto considerato il fatto che il professor Ritch non sembra credermi.

-Cos’è successo tre anni fa?-

L’ultima domanda mi coglie alla sprovvista. Spalanco gli occhi e li punto sul professore.

-Di cosa sta parlando?-

-Del vostro ex compagno di scuola, Arthur Mackenzie.-

Oh.

Il sangue mi si gela nelle vene. Da tanto tempo non sentivo pronunciare quel nome, e adesso mi provoca un brivido.

-Io non … cosa vuole sapere?-

-È scappato, giusto?-

Stringo le mani tra di loro con forza.

-Non mi pare sia un segreto.-

-Non lo è. Ma dov’è andato?-

-Non ne ho idea-, rispondo.

Troppo velocemente, lo so.

E infatti vedo una luce diversa, famelica, brillare nello sguardo dell’uomo.

-Dove si trova, Vanessa?-

Il mio cuore accelera.

Perché questo? Perché ora?

 

[Blake]

 

Il professore mi guarda in silenzio, e io ricambio lo sguardo. I miei poteri sono tornati da poco, riesco a sentire l’energia elettrica presente nella stanza e so che potrei sfruttarla per farlo saltare in aria. Ma sono certo che abbia mille protezioni.

Inizia a farmi domande tranquille, alla maggior parte delle quali non so rispondere, riguardo all’origine dei miei poteri e cose del genere. No, non sono stato morso da un ragno radioattivo, professore: la cosa la turba?

La mia soglia dell’attenzione però riceve una brusca scrollata nell’udire un nome.

-Cos’è successo ad Arthur Mackenzie?-

Mi irrigidisco, e nella mia mente lampeggia un segnale di allarme.

Territorio proibito.

-È scappato-, dico soltanto.

Tanto già lo sa, o non lo nominerebbe.

-Qual era il suo potere, Blake?-

Sono sicuro che sappia anche questo, per la stessa ragione di prima.

-Lui … ne aveva più di uno.- Ritch aspetta in silenzio, squadrandomi. –Poteva teletrasportarsi, e passare attraverso i muri … ed era invulnerabile.-

Ritch sorride senza alcuna traccia di stupore.

-E come mai è scappato?-

Alzo le spalle.

-Come ha fatto?-

Silenzio.

-Dov’è andato?-

Non rispondo. Non devo parlare, ho fatto un giuramento.

Sono passati tanti anni, ma questo non cambia nulla.

Ritch si alza in piedi e attraversa il laboratorio, per poi farmi cenno di seguirlo. Obbedisco, esitante.

-Guarda questa, Blake. La riconosci?-

Mi mordo il labbro con forza. Davanti a me c’è una sedia metallica simile a quella del laboratorio di Vahel a scuola.

-Direi di sì, la riconosci benissimo. Ho delle domande, Blake, ed esigo delle risposte … in un modo o nell’altro.-

 

[Lily]

 

Le domande sono inutili, stupide, e rispondo “non so” a tutte quelle a cui questa risposta può essere applicata.

Sono stanca, preoccupata, nervosa, arrabbiata.

Continuo a giocherellare in automatico con una fiammella, passandola da una mano all’altra senza sosta.

Basta.

Mi sento soffocare qui dentro, l’aria sembra rarefatta. Ma ho timore a provocare un soffio di vento, con tutte le precauzioni che ha preso Ritch.

-Cosa mi sai dire di Arthur Mackenzie, Lily?-

No.

Sussulto.

-Cosa?-, dico, istupidita.

-Arthur Mackenzie, il vostro ex compagno che è scappato tre anni fa dalla scuola.-

-Niente-, ringhio, e mi alzo in piedi.

-Ehi, ferma. Dove stai andando?-

-Via da qui.-

-Avanti, Lily, sai bene che le guardie ti riporterebbero qui in un secondo. Risparmiamoci questa scenetta spiacevole, per favore. Voglio solo sapere cos’è successo.-

-L’ha detto lei, è scappato. Questo è tutto.-

-Perché?-

-Non lo so. La scuola, i professori, i compagni, non ne ho idea.-

-Dov’è andato?-

La mia mente è completamente sottosopra. Avevo inconsciamente rimosso il ricordo di Arthur dalla mia mente per rendere tutto più facile.

-Non lo so.-

-Stai mentendo.-

-Non è vero.-

-Avanti, Lily. È solo un’informazione. Cosa ti costa?-

-Non lo so. Non ho altro da dire.-

-Io non la penso così.-

Mi sento fremere dall’irritazione. Spengo la fiammella che ho in mano per evitare di provocare un incendio per sbaglio –non gioverebbe a nessuno, tantomeno a me.

Non posso parlare. Lo vorrei? Forse. Ma ho giurato che sarei stata zitta, e i giuramenti vanno rispettati.

-Pensi quello che vuole, non so nulla.-

-Coraggio … -

Per quanto ancora andrà avanti così?

 

[Damien]

 

Le visioni sono tornate, e sto cercando di concentrarmi al massimo per arginarle dietro alla porta, ma non è facile perché sto combattendo contemporaneamente su due fronti.

Da una parte loro, dall’altra le domande tartassanti del professor Ritch.

Su un argomento estremamente scottante, per di più.

-Non so nulla-, ribadisco, guardandolo storto.

È una combinazione inquietante che io abbia pensato ad Arthur solo ieri dopo anni di forzata dimenticanza.

La sua fuga non era stata uno shock per tutti. Noi sapevamo del suo piano, naturalmente, e delle sue motivazioni. Arthur, più di noi, era uno spirito libero. Non sopportava essere messo in gabbia: aveva odiato la scuola sin da quando vi era entrato, controvoglia, per volere dei suoi. Il preside Hermann sapeva benissimo che lui era il più dotato tra di noi, e per questo lo controllava maggiormente, sperando di impedirgli di fare cose stupide. Ma ha ottenuto l’effetto opposto.

Dopo una serie di stupide circostanze è scappato, eludendo semplicemente ogni cancello e ogni allarme. Il fatto che Ritch chieda come abbia fatto a scappare è stupido, per il semplice fatto che lui poteva teletrasportarsi. L’avrebbe certamente fatto prima, se a trattenerlo non fosse stato qualcosa.

Era il mio migliore amico.

Voglio bene a Blake, e Jonathan è fantastico, ma Arthur era uno spirito affine –desideroso di libertà, e costretto a sottostare a limiti che non voleva. Era l’unico che capiva il mio senso di soffocamento dovuto alle visioni che mi bombardavano ininterrottamente il cervello.

Sono tre anni che non lo vedo.

-Dov’è andato, Damien?-

Come se non lo sapessi. Mi aveva descritto il suo piano di viaggio nei minimi particolari, incluso il nome fittizio dietro il quale si sarebbe nascosto.

-Non lo so.-

-Menti.-

Non posso parlare, anche se il dolore causato dal suo abbandono torna forte e violento come allora solo a pensarci.

Non posso parlare, anche se lo odio per avermi lasciato prigioniero per cercare la sua strada.

 

[Charlotte]

 

-Te lo ricordi, Charlotte?-

Certo che me lo ricordo, dannazione.

Ora le mie facoltà intellettive sono tornate, ma il desiderio di imprecare non è ancora svanito. Potrebbe essere un effetto collaterale del Pentothal, o solo rabbia repressa.

Perché quel nome mi dice tanto.

Arthur Mackenzie, lo studente più dotato che il Queen Victoria’s abbia mai avuto.

Al diavolo.

Lo ricordo fin troppo bene, con quegli occhi dolci da bravo ragazzo.

Io l’ho sempre mal sopportato, per non dire detestato a morte.

Era il migliore amico di Damien, e poi c’è stata tutta quella storia di Lily e Vanessa … ma comunque odiavo la sua arroganza, presunzione, superbia.

E la sua totale indifferenza nei miei confronti.

Poi, quel piano così stupido che però è naturalmente riuscito. Cioè, non si può nemmeno chiamare piano teletrasportarsi lontano.

Ma lui, il nostro golden boy, non poteva non riuscirci.

Sono quasi tentata di parlare.

-Non lo so.-

Invece non lo faccio. Potrà essere odioso, ma so cosa succederebbe se lo prendessero.

-Charlotte, cara … -, il tono di Ritch è mellifluo, e ritengo opportuno frenarlo immediatamente.

-Primo: non mi chiami cara. Secondo: se vuole rivolgersi a me, pretendo rispetto. Sono pronta a scommettere che ho più lauree di lei. Terzo: se le dico che non lo so, è questo che intendo.-

Mi fissa, forse cercando di capire se sto scherzando. Poi si alza e mi si avvicina. Mi alzo d’istinto, facendo un passo indietro, ma lui è più rapido. Mi afferra un braccio e me lo torce dietro la schiena.

Ansimo per il dolore.

-Ragazzina-, dice, gelido, -Forse non hai ancora capito con chi hai a che fare.-

 

[Jonathan]

 

Mentre il professore mi assilla con domande su Arthur, cerco di respirare profondamente. Il dolore all’addome non ha ancora smesso di torturarmi: ogni volta che mi piego la ferita mi lancia delle fitte terribili. Non si è più riaperta né infettata, per fortuna: non credo che avrei retto due volte l’operazione che ha fatto Charlie. Ci appoggio una mano e premo leggermente, tentando di contrastare il male.

Poi alzo lo sguardo e incontro quello di Ritch.

-Non so nulla-, sibilo a denti stretti.

-Sono pronto a scommettere di sì, invece.-

Non mi interessa. Arthur mi è sempre stato piuttosto indifferente. Era amico soprattutto di Damien, Lily e Vanessa: con me i rapporti sono sempre stati abbastanza freddi –anche se non al livello di quelli con Charlotte, che detestava proprio.

Però ho giurato. Beh, ci sono stato più o meno costretto, diciamo –ci ha rivelato cosa avrebbe fatto, ci ha chiesto di coprirlo per il maggior tempo possibile e ci ha fatto giurare che non avremmo mai detto a nessuno la sua destinazione finale. Tra l’altro, potrebbe essersene andato da tempo: in tre anni possono succedere molte cose.

-Le ripeto che non lo so.-

Sospiro mentre Ritch continua, pressante.

Potrei parlare soltanto per fargli chiudere la bocca.

 

[Blake]

 

Ritch ci somministra di nuovo il Pentothal, poi, dopo i primi minuti di dolorosi effetti collaterali, ci riunisce tutti nella stessa stanza.

-Bene, ragazzi-, esordisce con un mezzo sorriso. –Sarete lieti di sapere che ho finalmente scoperto dove è fuggito Arthur Mackenzie. E questo-, prosegue osservandoci ad uno ad uno, -Grazie ad uno di voi.-

Gli occhi spalancati, mi giro verso gli altri.

Vedo solo espressioni stupefatte come la mia.

Qualcuno ha tradito il giuramento.

 

 

 

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Capitolo 19
*** If today was your last day ***


~IF TODAY WAS YOUR LAST DAY~

 

[Vanessa]

 

Chiusa nella mia cella ad alta tecnologia, tutto ciò che riesco a fare è camminare in tondo.

Qualcuno ha parlato, e vorrei dannatamente scoprire chi.

Jonathan? Non ne avrebbe avuto il minimo interesse.

Charlotte? Lei odiava Arthur, ma non la credo capace di una cosa simile.

Lily? Certo, avrebbe avuto le sue ragioni, ma non penso che arriverebbe a questo punto.

Blake? Con il suo senso dell’onore … no, non avrebbe potuto.

Damien? Beh, le ragioni ce le avrebbe, questo è poco ma sicuro. Però … diamine, è il mio migliore amico, non voglio crederlo capace di tradire Arthur.

Maledizione.

Perché questa storia sta tornando a galla proprio ora? In questo momento così critico?

Arthur.

Solo pensare al suo nome mi fa ribollire di rabbia.

Mi tornano in mente la sua arroganza, l’egocentrismo, il sarcasmo, la sicurezza di sé che lo rendevano insopportabile agli occhi di Charlotte … e tremendamente affascinante ai miei.

È stato un bastardo.

Non posso dire altrimenti.

Lui stava con Lily.

Era una storia piuttosto seria, che andava avanti da diversi mesi, ma lui continuava a fare il cascamorto con … beh, con me. Stavo per dire con tutte, ma in realtà non si filava Charlie, e io rimanevo l’ultima opzione disponibile.

E quella sera maledetta ho fatto un errore: ho bevuto un bicchiere di troppo ed è successo quello che non sarebbe dovuto succedere.

Lily non ha visto nulla, ma Blake, che teneva troppo a lei, è andato a spifferarle tutto.

Arthur non si è fatto problemi. Ha lasciato Lily ed è venuto da me.

E io, stupida, innamorata cotta, ci sono caduta in pieno.

Damien mi aveva avvertito. Lui e Arthur erano migliori amici, ma proprio per questo aveva sentito il bisogno di proteggermi. Mi aveva spiegato che Art non era fatto per i legami profondi, che mi avrebbe ferita.

Io l’ho ignorato, e ho preferito mandare in pezzi la mia amicizia con lui, ma anche con Lily (per ovvie ragioni), con Blake (che era dalla parte di Lily) e con Charlotte (che odiava Art). Jonathan è stato l’unico a continuare a rivolgermi la parola, in quel periodo e in quello immediatamente successivo.

Perché la tanto premeditata fuga di Art si è svolta un paio di mesi dopo questo episodio.

Una sera è entrato nella sala comune e ci ha avvisati che se ne sarebbe andato di lì a poco. Ci ha raccontato i suoi piani e ci ha obbligati a giurare che non lo avremmo tradito.

Tutti abbiamo cercato di dissuaderlo (tranne Charlotte, che si è sottoposta ben volentieri al giuramento pur di vederlo sparire), ma è stato irremovibile.

Niente è riuscito a trattenerlo: né l’amicizia con Damien, né il neonato rapporto con me, né quello ormai distrutto con Lily.

E così, da un giorno all’altro, mi sono trovata sola. Ho impiegato mesi per ricucire la mia relazione con gli altri, e anni per quella con Lily.

Tutto quello che mi è rimasto di quei due mesi sono stati rimpianti, freddezza, menzogne e senso di abbandono.

Eppure non ho parlato.

Chi può averlo fatto? Chi?

La domanda mi rimbomba insistentemente nel cervello, impedendomi di pensare a qualunque altra cosa.

 

I giorni corrono veloci, scanditi da sessioni in laboratorio, esami del sangue e del DNA, interrogatori serrati ma soprattutto lunghe, eterne ore di attesa in cella.

È snervante.

Non c’è niente da fare in questi casi, se non pensare … e io vorrei solo non doverlo fare.

Poi, finalmente (per così dire) ci vengono a prendere.

Ci somministrano nuovamente il Pentothal, come fanno quando devono riunirci tutti insieme, e veniamo fatti accomodare in una stanza diversa dal solito –una sorta di salottino. Dubito fortemente che ci offriranno il tè, però.

Il professor Ritch ci ordina di sederci sulle sedie rivestite di velluto rosso (perché tutta questa eleganza proprio ora?) e poi prende la parola.

-Grazie a voi abbiamo finalmente individuato Arthur Mackenzie. Sappiamo dove si trova, conosciamo il suo pseudonimo, ma perderlo di vista è troppo facile. Se dovesse solo sospettare di noi si teletrasporterebbe e perderemmo le sue tracce per sempre.- Fa una pausa studiata, osservandoci. –Voglio che decidiate uno tra di voi che verrà scortato fino alla residenza di Mackenzie e gli somministrerà il Pentothal di nascosto. Badate, non sarà facile: è estremamente diffidente. Per questo ho bisogno della persona di cui si fida maggiormente. Gli altri resteranno qui, e se, disgraziatamente, Mackenzie riuscisse a fuggire, li uccideremo tutti. Abbiamo raccolto tutte le informazioni necessarie, ormai, e non ci servite più. Adesso avete qualche minuto per decidere.-

Si allontana, lasciandoci soli.

Guardo gli altri. Non li vedo da giorni, e il solo pensiero che uno di loro ci abbia traditi mi ha venire la nausea.

-Allora-, esordisce Blake, teso. –La persona di cui Arthur si fida di più.-

-È Damien-, dice senza esitare Charlotte.

-È vero-, conferma Jonathan.

-Ma io … -, comincia debolmente Damien.

-Damien, ascolta, nessuno ti costringe-, dice con decisione Blake, -Ma … -

-Ma le vostre vite dipendono da me-, completa lui con amarezza.

-Se preferisci può andarci uno di noi, ma sai benissimo che sei l’unico con cui Arthur sarebbe disposto a parlare.-

Damien si vede costretto ad assentire. È la verità. Arthur si volatilizzerebbe nel vedere chiunque altro.

-Però, Blake … ti rendi conto che sto andando la per farlo prigioniero, vero?-

-Certo che me ne rendo conto, ma è l’unico modo per salvarci la vita. E poi non gli sarà fatto alcun male, lo sai. Noi non siamo stati toccati, dopotutto.-

Damien deve dirsi d’accordo.

Ora che la decisione è presa, sento un nodo stringermi la gola.

Damien, il mio Damien, partirà tra poco e potrei anche non rivederlo più.

-Non farlo-, mugolo, quasi involontariamente.

Lui si volta verso di me.

-Devo.-

-No-, ansimo. –Ti prego.-

Blake fa un cenno deciso agli altri e si allontanano, tornando da Ritch nella sala attigua, lasciando soli me e Damien.

Lo guardo, il cuore che batte all’impazzata.

-Vanessa-, mi dice con dolcezza, -Devi capirlo … neanche io ci vorrei andare, questo lo sai, vero?-

Annuisco semplicemente.

-Ma potrei non vederti mai più. Se Arthur scappasse … se succedesse qualsiasi cosa … loro ci ucciderebbero. Non saremmo mai più insieme.-

-Ma l’unico modo per salvarci è fare questa cosa, Ness. Fidati di me. Farò quello che devo, e andrà tutto bene.-

-Lui è scappato-, dico con asprezza. –Ti ha mollato al Queen Victoria’s senza preavviso. Non è affatto scontato che accetti di farsi una chiacchierata con te, come ai vecchi tempi.-

-Ma ho più possibilità io di chiunque altro.-

-Sì, però … non voglio che mi lasci sola, Dam.-

Lui mi abbraccia forte.

Il contatto con la sua pelle mi fa tremare. Il solo pensiero che questa potrebbe essere l’ultima volta … c’è ancora così tanto da dire, così tanto da fare.

Tanti sentimenti inespressi.

Lo guardo negli occhi, azzurri come il mare, e vorrei solo potermici immergere e farmi tenere stretta, sentirmi ripetere che andrà tutto bene.

Ma non posso.

Questa potrebbe essere la mia ultima possibilità.

«If today was your last day, and tomorrow was too late, could you say goodbye to yesterday? Would you live each moment like your last, leave old pictures in the past? Would you find that one you're dreamin' of? Swear up and down to God above that you finally fall in love … » (*)

Questi versi mi tornano prepotenti alla mente, profetici, e, gli occhi ancora allacciati a quelli di Damien, prendo la decisione più difficile della mia vita.

Mi sollevo appena sulle punte dei piedi e poso le labbra sulle sue in un bacio dolce e delicato.

Vorrei che durasse per sempre, ma non è così. Ben presto Damien fa un passo indietro, gli occhi sgranati.

-Cosa … Vanessa, cos’hai fatto?-

Stringo gli occhi, offesa.

-Ti ho baciato-, rispondo con tranquillità.

In realtà non sono affatto calma. Ho il terrore di essere respinta. Ti prego, ti prego, non farlo.

-Ma … tu sei la mia migliore amica!-

Quanto sei stupido, penso con angoscia.

-Sei un idiota, Damien-, sussurro, stringendo le mani a pugno. –Come hai fatto a non accorgertene mai? Io sono … -

-Non dirlo-, mi interrompe febbrilmente lui, ma continuo imperterrita. Ora che ho cominciato, niente mi può più fermare.

-Io sono innamorata di te. Lo sono da anni, ma tu non sei mai, mai riuscito a capire nulla!-

Damien apre la bocca, come per rispondere, ma poi si blocca.

-Io … -, riesce solo a balbettare.

Aspetto. Ormai mi sono buttata, anche se sapevo che questa reazione scioccata avrebbe potuto esserci –ma speravo più in un romantico “Ti amo anch’io, Vanessa”.

-Vanessa … Ness. Tesoro-, dice, riacquistata una parvenza di calma.

Tesoro?

Capisco tutto ancor prima che parli, soltanto per quella parola stupida. Tesoro? Ma quando mai.

-Io tengo moltissimo a te, e darei la vita per la tua, ma … ti voglio bene come ad un’amica, capisci? Una sorella. Io sono … sono innamorato di un’altra persona.-

Ah.

Stilettata al cuore, violenta e dannatamente inaspettata. Tutto, ma “l’altra persona” no.

Il mio cuore si spezza con un crack secco e fatico a respirare. I miei occhi si velano di lacrime. Damien fa per avvicinarsi e abbracciarmi, ma indietreggio bruscamente, tenendolo lontano.

-Chi?-, riesco a mugolare, prima che le lacrime mi impediscano di parlare ancora.

Forse dovrei essere più matura. Sorridere e allontanarmi con dignità, accettando con nonchalance il rifiuto e non impicciarmi. Ma come faccio? Ho appena trovato il coraggio di rivelare al mio migliore amico di amarlo e lui mi ha detto di amare qualcun altro. Come posso non chiedermi chi è? Non desiderare di ucciderla?

Scommetto che è Charlotte. Ma lei sta con Jonathan … certo, questo non impedirebbe a Damien di essere innamorato di lei. Con i suoi capelli biondissimi e il suo super-cervello …

O forse è Lily. Lily è bella, spigliata, allegra, decisa, forte –tutto ciò che io non sarò mai.

Damien è immobile, pallido e zitto.

-Avanti-, dico in tono appena più gentile, asciugandomi il viso con la manica della felpa. –Almeno questo me lo devi. Chi è? Lily? Charlotte? Qualcun’altra?-

Lo vedo respirare profondamente.

-Ness, mi devi giurare che non uscirà da questa stanza.-

Hai già preso il mio cuore, come puoi prentendere altro da me?

-Certo.-

Lo vedo torcersi le mani con ansia.

-Sei sicura?-

-Te lo giuro, Damien.-

Avanti. Cosa potrà mai essere di così tremendo? Lei è già fidanzata? Non giustificherebbe tutta questa angoscia che vedo riflessa nei suoi occhi.

-È … difficile da spiegare.-

-Coraggio. Dimmi il suo nome, non lo rivelerò ad anima viva.-

Chiude gli occhi e mormora qualcosa a mezza voce, tanto che non sono sicura di aver capito bene.

-Che cosa?-

Lui alza lo sguardo e lo ripete a voce appena più alta.

-È Arthur.-

 

 



(*) Versi della canzone “If today was your last day” dei Nickelback. Ecco la traduzione:

«Se oggi fosse il tuo ultimo giorno, e domani fosse troppo tardi, potresti dire addio a ieri? Vivresti ogni momento come se fosse l’ultimo, lasceresti le vecchie fotografie nel passato? Troveresti la persona dei tuoi sogni? Giura e spergiura a Dio lassù che finalmente ti innamoreresti … »

 

E mini angolino dell’autrice (ma proprio mini, eh):

muhahahahah! colpo di scena XD

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Capitolo 20
*** Poker Face ***


~POKER FACE~

 

[Damien]

 

Il blindato sembra molto più spazioso adesso. Sono seduto da solo e mi torco le mani, in preda all’ansia. Non mi hanno dato il Pentothal, ma d’altra parte a che sarebbe servito? Sono del tutto impotente, tanto più con cinque vite che dipendono da me.

L’ansia mi fa battere il cuore a mille.

In meno di ventiquattr’ore ho fatto due cose che non avrei mai pensato di fare: primo, accettare di andare a trovare Arthur; secondo, rivelare a Vanessa … beh, la verità.

Non mi ha fatto domande, per fortuna: non avrei potuto reggere. Fatico ancora ad ammetterlo a me stesso, dirlo ad alta voce è stato tremendamente strano.

Ho paura a pensarci, ho paura a pensare a qualunque cosa, prima tra tutte quella che sto per fare.

Quando ci fermiamo, dopo un numero imprecisato di ore di viaggio, Ritch, seduto accanto all’autista, si gira verso di me.

-Tra meno di un’ora saremo a destinazione-, annuncia. –Il tuo amichetto, come ovviamente sai, è a Las Vegas.-

Certo che lo so.

Mentre Ritch mi consegna degli abiti più o meno puliti e adeguati da mettere, non riesco ad impedirmi di pensare, anche se lo vorrei.

Il piano di Arthur è tutto nella mia mente: breve, semplice, conciso. A Las Vegas si sarebbe costruito una vita. Le sue abilità di teletrasporto erano incredibili –tali che, volendo, avrebbe potuto raggiungere l’altro capo del mondo (o di un tavolo da gioco, magari) e ricomparire senza che nessuno di accorgesse di nulla. Il preside Hermann non ha mai neanche scoperto tutte le abilità di Arthur. Sembrava in grado di leggere nel pensiero, ma solo di rado. Qualche volta aveva delle visioni del futuro –niente a che vedere con le mie: dettagliate, utili e precise.

Talvolta mi sono chiesto se ci fosse qualcosa che Arthur non sapesse fare. Ancora non ho trovato una risposta.

Las Vegas, stavo dicendo: leggere nel pensiero dell’avversario o teletrasportarsi in un milionesimo di secondo alle sue spalle per vedergli le carte erano indubbiamente ottimi metodi per sbancare il botteghino. In quanto alla sua allora minore età, disse che avrebbe trovato il modo di aggirare l’ostacolo, e non l’ho mai messo in dubbio. Aveva –ha- infinite risorse.

E io non riesco a fare altro che lodarlo come un ammiratore adorante.

Mi disgusto da solo.

 

Vengo scaricato da Ritch di fronte ad un casinò. Sono le undici di sera, ormai, e sono esausto –ma basta il pensiero di cosa mi aspetta per svegliarmi.

-Hai quarantotto ore, Knight. Non sprecarle.-

Gli ordini sono di usare il cellulare che mi è stato fornito per contattarli quando –se- avrò portato a termine la missione.

Arthur ti ha abbandonato, mi ricordo, tanto per mantenere viva la mia determinazione. Eppure non riesco a far sparire il pensiero che sto per tradirlo.

All’ingresso del Red Carpet Casinò devo mostrare la mia carta di identità per certificare la mia maggiore età. Quindi, con un respiro profondo, entro.

L’atmosfera è confusa. Una musica indistinta riecheggia nella sala, e il rosso che campeggia ovunque mi fa male agli occhi.

I tavoli da gioco sono affollati. La gente parla a voce alta per contrastare la musica e ride sguaiatamente bevendo alcolici.

Mi sento a disagio ma sono più che mai consapevole dell’importanza della credibilità della finzione da questo momento in poi. Perciò faccio un respiro profondo, afferro un calice di un qualche drink superalcolico che una ragazza altissima e poco vestita serve da un vassoio d’argento, ne bevo un sorso e proseguo. Compro delle fiches con i soldi elargiti da Ritch, teso.

Non lo individuo subito. Giro a vuoto tra i tavoli per qualche minuto, osservando i giocatori. E poi lo vedo.

È come un fulmine. Il mio cuore smette di battere per un istante e poi accelera improvvisamente.

È cambiato. È più alto, muscoloso, con i capelli più lunghi.

La partita di poker è appena finita e colgo l’occasione: prendo il posto di uno dei giocatori che si è appena alzato. Sono esattamente di fronte a lui.

Alza lo sguardo. Vedo i suoi occhi aprirsi e fissarsi su di me, squadrarmi e poi distendersi in un sorriso. Quelli non sono affatto cambiati. Scuri, profondi, decisi, con quella sfumatura di arroganza e superiorità che l’hanno sempre contraddistinto.

-Damien-, dice, -Quanto tempo.-

La sua voce mi stringe lo stomaco. Faccio il possibile per suonare quasi indifferente.

-È bello rivederti, Arthur.-

Prima che possa dire qualsiasi altra cosa, un uomo e una donna si siedono ai restanti lati del tavolo e la partita comincia.

Sento lo sguardo di Arthur indugiare su di me ancora per un istante prima che lo distolga e rivolga la sua attenzione alle carte che un mazziere sta distribuendo.

Nonostante il mio cuore sia del tutto perso, e miei occhi non facciano altro che guizzare verso di lui, la mia mente razionale mi ricorda ciò che devo fare.

L’unico modo per attirare la sua attenzione è vincere.

Questa è l’unica certezza che ho: per conquistare il suo tempo e la sua fiducia devo prima di tutto dimostrargli di poterlo battere.

Non è facile.

Non ho una grande esperienza in fatto di poker. Non l’ho mai amato particolarmente. Cominciamo a giocare, ma è una partita persa in partenza. Osservo ogni sua singola mossa –gli sguardi impassibili, la mano che si allunga per afferrare il drink, il ciuffo di capelli ribelle che deve scostare dal viso – ma non riesco nemmeno a percepire il suo movimento. Eppure lo fa, ne sono assolutamente certo: so che si teletrasporta alle mie spalle e a quelle degli altri per vedere le carte e poi torna a sedersi in un intervallo di tempo infinitesimale. E, per di più, per quel che ne so, potrebbe aver affinato la tecnica di telepatia.

Il suo atteggiamento è sempre lo stesso. Arrogante, irriverente, con poche, fredde, concise battute che sanciscono ogni singola vittoria.

Cerco di trovare una strategia. Mi impegno al massimo per prevedere le sue mosse, ma questo non mi è di grande aiuto. Lui conserva comunque un vantaggio che non posso recuperare.

E poi, l’illuminazione.

Lui vede le carte, certo, se le vedo io.

E se io non le vedessi?

Guardando Arthur negli occhi, mi butto. Giocata kamikaze, per così dire. Punto tutto quello che ho senza guardare le mie stesse carte. Lui mi osserva attentamente, studiandomi, quindi decide di stare al gioco. È la partita decisiva. Gli altri due giocatori si ritirano, restiamo io e lui.

Arthur studia le proprie carte; io lascio le mie sul tavolo, tenendoci sopra una mano.

Ho il cuore in gola nel momento in cui dobbiamo scoprirle. Giochiamo al Texas Hold’em, con cinque carte: comincia Arthur ha scoprire una delle sue. Donna di Quadri.

Io sollevo una delle mie, ovviamente senza avere idea di cosa si tratti. Tre di picche.

Arthur sorride mostrandomi le seguenti, con la stessa, monotona eppure angosciante sequenza –una io, una lui, senza che io sappia cosa sto facendo.

Alla fine, risulta che Arthur abbia una Donna di Quadri, una di Picche, una di Fiori e un cinque di Cuori.

Io ho un due, un cinque, un tre e un quattro di Picche.

Con una carta in mano a testa, ci studiamo.

È Art il primo a mostrarmela, con un ghigno di soddisfazione.

Donna di Cuori.

-Poker-, dice tranquillamente, osservandomi con un’espressione compiaciuta che nessuna faccia da poker potrebbe mai mascherare.

So già di aver perso, ma giro lo stesso la mia carta.

Asso di picche.

Non ci credo.

Se Arthur avesse visto le mie carte, avrebbe lasciato subito: invece la sua arroganza l’ha portato ad un passo falso.

C’era una possibilità su mille che succedesse, ma ecco qua.

-Scala Colore-, ribatto, con una nonchalance che stupisce persino me. –Credo di aver vinto.-

E mi approprio di tutte le fiches sul piatto. Come se mi interessassero.

Dopo un istante di sbigottimento, Arthur sorride e si alza in piedi.

-Posso offrirti un drink?-, mi propone.

-Con piacere-, rispondo, il cuore in gola, tentando di apparire rilassato.

-Non qua-, dice con decisione. –Vieni a casa mia.-

Non posso fare altro che annuire e seguirlo mentre esce dal casinò e chiama un taxi. Restiamo in silenzio per tutta la durata del viaggio, poi il taxi accosta davanti ad una cancellata.

La casa di Arthur non è enorme, né vergognosamente lussuosa. È una normale villetta in periferia, anche se, considerato che siamo a Las Vegas, deve averla pagata un occhio della testa. Percorriamo il breve vialetto d’ingresso, quindi entriamo.

Anche l’interno è sobrio. Un piccolo ingresso, un salotto e una cucina sono le stanze che vedo per il momento. Mi fa sedere al tavolo rotondo e mi raggiunge poco dopo con due Martini, accomodandosi di fronte a me.

-Bene, bene, bene-, esordisce. –Cosa diamine ci fai qui, Damien Knight? Non dovresti essere a scuola?-

Faccio un mezzo sorriso, sorseggiando sapientemente il Martini.

-Dovrei-, concedo. –Ma ho seguito il tuo esempio. Me ne sono andato.-

Arthur non mostra la minima sorpresa.

-Sapevo che l’avresti fatto, prima o poi-, dice con una certa soddisfazione nella voce. –Certo, ci hai messo un po’ … quanto tempo è passato?-

-Tre anni-, ammetto. –Ma le cose sono andate piuttosto bene fino a qualche mese fa.-

-Perché? Cos’è successo?-

Non so quanto Arthur effettivamente sappia degli avvenimenti al Queen Victoria’s College, ma preferisco non rischiare e dire la verità. La maggior parte, almeno.

-Il preside Hermann è stato assassinato-, spiego, e non sono stupito nel vederlo del tutto a suo agio. Probabilmente lo sapeva già, in qualche modo. –È stato sostituito da Ivan Vahel. È un pazzo, un antirepubblicano che il presidente ha dovuto tenere a bada, a costo di regalargli la gestione del Queen Victoria’s. Ha torturato Blake, Jonathan e Vanessa, minacciato Charlotte e tolto temporaneamente i poteri a Lily.-

-E a te?-

Già, e a me?

Lo guardo di soppiatto, quasi timoroso del suo giudizio, mentre rispondo con sincerità:

-Mi ha fatto prendere delle pastiglie che rendevano le visioni completamente controllabili. Era una bella sensazione, finché non mi sono reso conto che ne ero diventato dipendente. Era una droga piuttosto potente, e ho dovuto disintossicarmene prima di poter scappare.-

-E poi ve ne siete andati?-

-No. Solo io l’ho fatto.-

-Ah.-

Inclina lievemente la testa e annuisce.

-Com’è la vita qua fuori? La libertà?-

Mentre parla, svuoto il bicchiere, bevendo tutto il drink in un sorso. La testa mi gira: non sono abituato all’alcool. Ma adesso mi serve. Il bicchiere di Arthur è ancora pieno.

-È splendido-, ammetto. –Avrei dovuto seguirti allora, Art.-

Ma tu non me l’avresti permesso. Non mi avresti voluto.

Lui sorride e si alza per andare a prendere ancora del liquore.

-Sì, avresti dovuto. Ma ormai è troppo tardi per quello, e in ogni caso ce l’hai fatta, no? Come ci sei riuscito, senza teletrasporto?-

Devo cogliere l’occasione.

Svelto, più in fretta e in silenzio che posso, estraggo dalla tasca della giacca una delle fialette di Pentothal che mi ha dato Ritch. La stappo e ne verso l’intero contenuto nel bicchiere ancora colmo di Arthur, raccontandogli intanto una storia più o meno credibile senza prestarvi molta attenzione.

Non vorrei farlo. Vorrei parlare con lui e ricucire un rapporto che ormai so essere perso da tempo. Eppure sono costretto a tradirlo.

Il mio migliore amico.

La persona che amo.

Ripongo la fialetta nella tasca e mi risistemo appena in tempo perché Arthur torni e mi riempia nuovamente il bicchiere di Martini.

Sorride alla conclusione del mio racconto.

-Propongo un brindisi-, dice, e non potrei essere più sollevato.

-A cosa brindiamo?-, domando, alzando il calice.

-Alla libertà-, replica fermamente Arthur, sollevando il bicchiere.

-Alla libertà-, ripeto, facendolo tintinnare contro il suo.

Lo guardo di sottecchi e lo vedo portarsi il bicchiere alle labbra.

-Quanto stupido credi che io sia, Damien?-, mi domanda, e improvvisamente è dietro di me, premendomi un coltello da cucina contro la gola, prima ancora che il bicchiere, che ha lasciato andare, cada a terra e si infranga in mille pezzi.

Sento il sangue defluirmi dal viso.

-Non so di cosa stai parlando-, mento, come ultima, inutile difesa.

-Ah, no?-

Sento la sua mano libera allungarsi per frugare nella tasca della mia giacca. Ne estrae una delle restanti provette di Pentothal.

La lama gelida sul mio collo è in qualche modo meno inquietante del suo tono di voce, assolutamente calmo, mentre solleva la fiala e se la porta davanti agli occhi.

-Area 51-, legge. –Ma che bella sorpresa.-

Poi qualcosa di duro mi colpisce alla testa, e tutto diventa buio.

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Capitolo 21
*** Left Alone ***


~left alone~

 

[Lily]

 

Probabilmente dovrei dire che sto aspettando con ansia il momento in cui Damien tornerà e saremo tutti salvi, potremo tornarcene a casa e vivere felici e contenti per l’eternità, eccetera.

Ma le verità sono essenzialmente due: primo, sono convinta che Damien non riuscirà ad ingannare Arthur; secondo, io a casa non ci voglio tornare.

Insomma, sono tutti tremendamente in angoscia, dicendo che Damien è la nostra unica speranza, e disquisendo delle sue (peraltro esigue) probabilità di riuscita. Certo, anche io vorrei che tornasse, ma per il semplice fatto che non voglio morire, dannazione. Sono troppo giovane.

Se ci costringessero a restare qua per un altro po’ … devo ammettere che non mi opporrei.

Se esprimessi questa opinione a voce alta, probabilmente mi prenderebbero tutti per matta. L’Area 51 è sempre stato il nostro più grande spauracchio, il terrore di diventare esperimenti scientifici la nostra peggiore paura: ma io mi chiedo se sia poi così male.

Io credo nella teoria evoluzionistica e ho sempre sostenuto la superiorità della scienza sulla religione: come posso scagliarmi contro la ricerca scientifica? Se questi scienziati trovassero il modo di isolare le cellule che determinano il nostro potere, che ci sarebbe di male? Si potrebbero creare agenti di polizia ben addestrati con poteri come i nostri.

Magari potremmo pure avere la possibilità di decidere di farci togliere i poteri (non che io lo farei).

Finché non viene fatto alcun male a noi direttamente, non vedo come questo potrebbe danneggiarci.

E poi, ripeto, a casa io non voglio tornare.

Perché dovrei?

Ho nascosto, ignorato il mio potere per anni, sentendomi diversa, umiliata, esiliata. I miei genitori mi hanno chiamata “mostro”, i miei amici si sono dileguati non appena tentavo di essere sincera con loro riguardo alle mie capacità. Perché dovrei tornare in Virginia? Come potrei farlo, dopo aver sperimentato la bellezza di poter essere se stessi ventiquattr’ore al giorno senza mai essere giudicati?

Eppure, dentro di me so benissimo che non mi capiterà mai più nella vita un’esperienza come quella del Queen Victoria’s College. Ovunque io decida di andare, dovrò tenere segreto il mio potere.

Ed è questo che odio.

Ma non per questo potrei mai rinunciare ad esso.

Sono io, e sono speciale, diversa. Non potrei mai tornare a confondermi con la massa, non realmente. E questo spiega la mia reazione esagerata quando pensavo di aver perso il mio potere per sempre.

Seduta sul letto nella mia cella, rovescio la testa all’indietro, esausta.

Ed è allora che sento le voci.

-Gli ordini sono questi, professore.-

-Può scordarselo. Non abbiamo ancora finito con loro.-

Sono voci distanti e fatico a riconoscerne una; l’altra è quella di Davies, l’assistente di Ritch e secondo in comando all’Area 51.

-Avete avuto tempo a sufficienza.-

-Non ci è bastato! Ci sono ancora numerosi test che dobbiamo eseguire.-

-Beh, avete ventiquattr’ore di tempo.-

-Non sono tutti qui.-

Dopo una breve pausa, l’altra voce si abbassa, tanto che mi risulta difficile sentire.

-Cosa intende dire?-

Paradossalmente, è proprio ora che non sento bene che riesco a riconoscere la voce. È il tono gelido che la pervade a illuminarmi.

Ivan Vahel.

-Il signor Knight non è nella struttura.-

-Dove si trova?-

-Questo, signore, è considerabile segreto di Stato a tutti gli effetti.-

-Mi ascolti, razza di idiota-, ringhia Vahel, alzando la voce ma mantenendola spaventosamente calma, -Il presidente degli Stati Uniti in persona mi ha mandato qui. Lei conosce benissimo la mia vicinanza con lui, no? O preferisce farsi confermare questo ordine dal presidente il persona?-

Sento un fruscio e poi un leggero suono metallico, seguito da alcuni bip lievi. Vahel ha tirato fuori un telefono cellulare e sta digitando un numero.

-Cecilia, è Vahel che parla. Il presidente è libero per una brevissima telefonata?-

-No, no, no, fermo!-, sbotta Davies. –D’accordo, le credo. Non c’è bisogno di scomodare il presidente.-

La voce di Vahel assume un tono ironico nel chiudere la telefonata:

-Oh, grazie, Cecilia, ma non mi serve più. Non era così urgente, dopotutto.- Quindi si rivolge nuovamente a Davies. –Ora voglio sapere dove si trova il signor Knight.-

-È … a Las Vegas.-

-Las Vegas?!-

-In missione-, si sente in dovere di ribadire Davies. Buffo: l’ho sempre trovato autorevole, ma davanti a Vahel sembra un agnellino impaurito. Come chiunque, del resto.

-D’accordo-, taglia corto Vahel, -Comunque sia, voglio che domani a quest’ora questi cinque siano pronti per partire.-

-E Knight?-

-Ci penserò io.-

-D’accordo.-

Davies cede e il mio cuore fa lo stesso. Ma è pazzo? Come può lasciarci di nuovo nelle mani di Vahel?

Cosa vuole fare Vahel con noi?

Dove ci vuole portare?

Torneremo al Queen Victoria’s College?

Oppure si limiterà a farci fuori tutti?

Quest’ultima ipotesi si fa strada nella mia mente come uno stillicidio continuo ed esasperante. Non riesco a smettere di pensarci. E se il presidente, ora che sanno dove si trova Arthur, avesse dato l’ordine di ucciderci? È plausibile.

Probabilmente Ritch e Davies volevano continuare con i loro esperimenti, ma il presidente non voleva che continuassero a rimandare.

Così ha chiamato Vahel.

Funziona alla perfezione, in effetti.

E, maledizione, non riesco a pensare ad altro per tutta la notte.

 

Veniamo di nuovo portati in un furgone blindato. Blake, Jonathan, Charlotte e Vanessa sembrano sconvolti nel vedere Vahel, e, non appena il rombo del motore si fa rumoroso, racconto loro sottovoce tutto ciò che ho sentito e la mia ipotesi al riguardo.

Non appena ho finito di parlare, mi volto verso Charlie.

Siamo di nuovo sotto l’effetto del Pentothal, perciò non oso farle domande. Non vorrei che reagisse come l’ultima volta: per quel che ne so, lei e Damien non si sono ancora rivolti la parola da allora. Beh, è anche vero che non ne hanno avuto l’occasione.

-È possibile-, si limita a commentare. –Direi addirittura probabile.-

-Possiamo fare qualcosa?-, indaga Blake.

Silenzio.

La verità è che senza i nostri poteri non siamo altro che diciottenni spaventati e impotenti, del tutto incapaci di uscire da un furgone blindato o di evitare un assassinio.

Poi, all’improvviso, Charlie mi dà una gomitata. Sobbalzo e la guardo con espressione interrogativa.

Lei, senza aprire bocca, coperta dalle chiacchiere di Jonathan e Blake, mi allunga una pastiglia bianca. La prendo in mano e aggrotto le sopracciglia, senza capire.

Allora lei, spazientita, abbassa la voce e mi sussurra all’orecchio:

-L’ho rubata nel laboratorio di Ritch. Annulla gli effetti del Pentothal, ma impiega qualche ora ad agire. Prendila ora.-

Spalanco gli occhi, stupefatta, e obbedisco d’istinto, ingoiando a fatica il medicinale.

Osservo Charlotte fare lo stesso e porgere una pastiglia ciascuno anche agli altri.

Quella ragazza è un genio, e non è un semplice dato di fatto.

Le ore trascorrono, e sento il potere tornare gradualmente.

Poi, nel pomeriggio, il furgone accosta al lato della strada. Vahel si gira verso di noi.

-Beh, è bello rivedervi.-

Nessuno di noi risponde: siamo troppo impegnati a prepararci a difenderci.

-Capisco i motivi del vostro astio. Ma, se ci pensate bene, siete stati voi stessi la causa di tutto questo. Se non foste fuggiti … -

-Siamo scappati per colpa sua! Per quello che ci faceva lei!-, sbotta Blake.

-D’accordo, ve lo concedo. Ma voi e io vogliamo la stessa cosa.-

-E sarebbe?-

-La libertà.-

Il silenzio dura solo pochi secondi, poi Vahel riprende:

-Immagino che Guinevere e Matthew vi abbiano raccontato la mia storia. Io non sono mai stato un uomo del presidente, né mai lo sarò.-

-E questo cosa dovrebbe significare?-, domanda Charlotte, acida.

-Il presidente mi ha ordinato di uccidervi, sapete? E io non lo voglio più di quanto lo vogliate voi.-

-Perché?-, sibila Charlotte.

-Perché siete la mia unica arma per arrivare a lui e ucciderlo.-

Ho già visto brillare nei suoi occhi questa stessa luce fanatica: è successo quando mi ha tolto i poteri, ma anche quando ha costretto me e Blake a combattere e ha torturato Jonathan. Nonché in diverse altre occasioni.

Vahel non è cambiato. Ricordo che Gwen, o forse Matt, l’avevano definito “un pazzo antirepubblicano”. Non avevano torto.

-Cosa vuole da noi?-, chiedo, come se non fosse abbastanza chiaro.

-Che mi aiutiate a farlo.-

-Non lo faremo-, dice con decisione Blake, parlando a nome di tutti.

-Perché mai? Lui vi vuole morti.-

-Noi non siamo come lui. Non siamo una minaccia per la società. Se uccidessimo il presidente, sarebbe questo che la gente vedrebbe in noi-, spiega lentamente Charlotte.

-E cambierebbe molto?-, la provoca Vahel. –Vi hanno chiamati mostri. Siete stati rifiutati da tutti tranne che da me. Io vi ho protetti.-

-Lei ci ha torturati!-, sbotta Blake.

-Vi ho protetti dalla società! Vi ho insegnato il controllo, la disciplina … e voi ve ne siete andati!-

-Lei è pazzo-, ansima Blake.

-No, voi lo siete! Perché non riuscite a capire, a vedere che l’unico modo per non essere sopraffatti dalla gente è ucciderla!-

Ancora seduta, mi sento tesa e pronta allo scontro.

-E ora-, prosegue Vahel, gli occhi che continuano a splendere di ardore omicida, -Tutto ciò che mi manca è Arthur Mackenzie.-

-Quindi non era il presidente a volerlo-, mormora Charlotte.

-E nemmeno Ritch-, aggiunge Vanessa.

-Naturalmente no. Ho detto a Ritch che era un ordine del presidente, e lui, quel coniglio, quel vigliacco, non ha certo avuto il fegato di cercare una conferma! Ha eseguito i miei ordini. E voi me lo avete consegnato su un piatto d’argento.-

-Damien non riuscirà a … -

-Ma io non ho mai avuto bisogno di Damien-, taglia corto Vahel. –Mi basta sapere che si trova nella sua lussuosa, splendida residenza nel Downtown di Las Vegas. Fidatevi, ho le mie armi. Spero solo che il vostro amico non lo faccia scappare prima che arrivi io.-

-Perché fa tutto questo?-, chiede Charlotte. –Perché ce l’ha tanto col presidente?-

-Perché? Perché io ero come voi! E quel bastardo mi ha tolto tutto! Ero telepatico e telecinetico, sapete? Ma quando il presidente l’ha scoperto, mi ha rinchiuso nell’Area 51 per sei mesi e lì ha lasciato li scienziati a giocare con me finché il mio potere non è scomparso a forza di elettroshock, droghe pesanti e manipolazioni genetiche!-

Un orrore profondo mi stringe lo stomaco.

-Se non avete ricevuto lo stesso trattamento, è solo perché io ho interceduto per voi, dicendo di aver bisogno di Arthur! Ho dovuto fingere per anni di essere lieto di quello che mi avevano fatto … libero da un peso … soltanto per poter arrivare a voi e addestrarvi adeguatamente in vista della vostra missione: ammazzare l’uomo che mi ha reso uguale a tutti gli altri!-

Vorrei solo scappare, correre il più lontano possibile da questa verità scomoda e dolorosa. Perché, sebbene la mia mente si opponga razionalmente a queste idee malsane, il mio cuore riesce a capirlo alla perfezione. E invece rimango immobile, incollata al sedile del furgone, proprio come tutti gli altri.

-Allora?-, conclude bruscamente Vahel. –Mi aiuterete? O lascerete che il presidente faccia a voi quello che ha già fatto a me?-

Dopo, succede tutto molto in fretta. Blake, colpito nel suo senso morale, alza una mano che Vahel crede innocua e lo colpisce con un lampo di energia. È breve e quasi banale il modo in cui si accascia sul volante privo di sensi.

Blake apre con una scarica elettrica violenta le porte blindate del furgone e ci lascia uscire.

-Andiamo-, dice piano. Finge che il racconto di Vahel non l’abbia sconvolto, non abbia intaccato le sue convinzioni, ma so che non è così. –Dobbiamo trovare Arthur e Damien.-

Annuisco meccanicamente.

-Da dove cominciamo?-, chiedo.

Tutto quello che voglio è gettarmi a capofitto nell’azione per non poter pensare.

Blake mi guarda con un’espressione strana.

-Tu no, Lily-, dice.

-Perché mai?-

-Perché sei stata tu a rivelare a Ritch dove si trovava Arthur, non è vero?-

Il mio silenzio è una risposta sufficiente.

Io lo odio. Mi ha tradita con Vanessa. Mi ha abbandonata, trattata come uno straccio. Mi ha mentito.

Perché avrei dovuto tener fede ad un giuramento?

Io lo volevo vedere prigioniero.

Lui, uno spirito libero e ribelle, rinchiuso nei sotterranei dell’Area 51, costretto a sopportare interrogatori, esami e test.

Perché noi sì e lui no?

-Sì-, confermo dopo qualche istante di silenzio. Mi guardano tutti con espressioni cupe e accusatorie. –Non me ne pento. Ho fatto quello che ritenevo giusto.-

-L’hai tradito.-

-Come lui ha tradito me. So che la pensiamo diversamente, ma avremo tempo per discuterne. Non mi interessa di Arthur, ma voglio trovare Damien. Ritch sarà ancora sulle sue tracce.-

-Lily, tu non vieni con noi-, dice chiaramente Blake.

So che gli costa fatica dirlo. Lo vedo dal suo sguardo.

Pensavo che ci tenesse a me.

Sembrava che fosse così. Era dolce, protettivo, spiritoso. Non il mio fidanzato, ma quasi. Per un istante, un brevissimo istante, rimpiango quel momento. Ma poi non mi lascio distrarre.

-Voi siete d’accordo?-, chiedo, guardando tutti gli altri negli occhi. –Jonathan? Vanessa? Charlotte?-

Loro, uno alla volta, annuiscono in silenzio.

-Bene-, mormoro, indietreggiando istintivamente. –Bene. Non avete nemmeno provato a cercare di capire le mie ragioni, vero? No, ovviamente. Tradire è sbagliato, la vendetta è sbagliata, uccidere il presidente sarebbe sbagliato. Forse … forse avete bisogno di imparare a mettervi in discussione. Di capire che non tutto è o bianco o nero, di non erigervi a giudici. E di scoprire il vero significato della parola amicizia.-

Detto questo, mi volto e mi allontano.

Prima camminando con dignità, poi accelerando e infine correndo, mentre le nuvole si addensano e la pioggia che faccio iniziare a scendere nasconde le mie lacrime.

Se mi voltassi, so che li vedrei tutti lì.

Blake, Jonathan, Vanessa e Charlotte, in piedi sul ciglio della strada, bagnati, che mi guardano andare via senza rimpianti.

Me la pagherete per avermi lasciata sola.

Ed è l’unica certezza che mi rimane.

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Capitolo 22
*** Change ***


~CHANGE~

 

[Damien]

 

A svegliarmi è un dolore fastidioso alle spalle.

Apro gli occhi, confuso, cercando di capire dove mi trovo. Il luogo non mi è famigliare. Sembrerebbe una cantina buia e umida.

Ben presto capisco a cosa è dovuto il dolore alle spalle: le mie braccia sono tirate verso l’alto, con i polsi chiusi, dietro la mia schiena, in un anello di ferro saldato al muro. Essendo inginocchiato a terra, le braccia mi fanno tremendamente male, perciò cerco di alzarmi sulle gambe malferme.

Appena il tempo di prendere fiato, e Arthur mi compare davanti.

-Bene, sei sveglio-, dice freddamente.

-Cosa vuoi da me?-, chiedo.

-Sapere cosa ci fai qui.-

Lo osservo con gli occhi stretti. Per quanto in questo momento lo odi, è sempre maledettamente bello.

-Non posso dirtelo.-

Arthur scompare per un istante e poi torna, in mano una siringa con un liquido che riconosco. L’ha preso a me.

-Sono curioso di sapere che cos’è questo.-

-È Pentothal-, rispondo. Almeno questo non è un segreto di Stato. –Annulla temporaneamente i poteri.-

-Ma davvero?-

Arthur si avvicina pericolosamente e io indietreggio di mezzo passo prima che il male alle braccia mi impedisca di proseguire. Probabilmente crede che sia qualcos’altro, magari un veleno con cui progettavo di ucciderlo. Mi crede davvero capace di una cosa del genere?

Mi afferra il braccio e lo punge con la siringa.

Gli ormai noti effetti collaterali del Pentothal si fanno sentire subito. La nausea mi stringe lo stomaco, e mi piego in due, scosso dai conati. Riesco miracolosamente a mantenere un minimo di dignità e non vomitare.

Arthur mi osserva in silenzio finché non mi raddrizzo, tremante.

-Allora, dimmi cosa ci facevi all’Area 51-, mi ordina.

Non rispondo, il battito accelerato.

-Coraggio, Damien. Devo veramente passare alle maniere forti?-

Alzo lo sguardo per incontrare il suo. So che lo farebbe.

-Non posso dirti nulla.-

Arthur scompare e ricompare di nuovo, stavolta impugnando un coltello.

-Non esiterò a mettere in atto le mie minacce, Damien.-

Scuoto ancora la testa, determinato a non parlare. Le vite di tutti dipendono dal successo di questa missione. Certo, ormai ho rinunciato ad una soluzione pacifica, ma posso ancora escogitare qualcosa. Devo farlo.

Arthur fa un altro passo verso di me e passa lentamente il piatto della lama sul mio collo. Rabbrividisco per il contatto gelido, ma non apro bocca.

Il coltello si sposta fino ai muscoli tesi delle mie braccia, e improvvisamente affonda nella carne.

Soffoco un grido di sorpresa e dolore.

-Sei ancora sicuro di non volermi dire nulla?-

Non parlo. Qualunque dubbio potessi avere riguardo alle intenzioni di Arthur, ora è sicuramente svanito. Non avrà remore a torturarmi per ottenere quello che vuole.

Porta il coltello poco sotto la mia gola e di nuovo mi incide la pelle in profondità.

-Perché sei venuto, Damien?-, insiste.

In breve perdo il senso del tempo.

Il dolore esplode acuto sempre più frequentemente, e la nausea mi coglie ogniqualvolta guardo il sangue colare dalle ferite aperte.

Poi, ad un certo punto, si interrompe.

Impiego qualche minuto a capirlo, e allora alzo gli occhi.

Arthur mi sta guardando con gli occhi stretti.

-Hai finito?-, chiedo acido, e la voce mi esce più roca e debole di quello che vorrei.

-Sai perché non me ne sono mai andato da qui, pur sapendo che voi conoscevate la mia destinazione?-, chiede inaspettatamente.

Me lo sono chiesto, in effetti. Ma perché tirarlo in ballo ora?

Scuoto la testa.

-Perché volevo che mi trovaste-, dice tranquillamente. In risposta al mio sguardo interrogativo, continua: -Quando me ne sono andato, avrei voluto che veniste con me, ma sapevo che tutti insieme non saremmo mai riusciti a scappare. Il rischio di essere trovati era troppo grande, e io volevo la libertà più di ogni altra cosa al mondo. E poi, non sareste stati d’accordo.- Si passa una mano tra i capelli, sospirando. –Ma ero certo che nel giro di qualche anno sareste riusciti a capire che vi tenevano prigionieri e avreste inventato qualcosa. Per quanto odiassi Charlotte, sapevo che avrebbe tirato fuori un’idea. E per allora, io sarei stato qui ad aspettarvi, e avremmo potuto realmente sfruttare i nostri poteri. Salvare le persone, aiutarle, e non più limitarci a nasconderci come conigli spauriti.-

Batto le palpebre, cercando di dare un senso a queste parole che avrei tanto voluto sentirmi dire tre anni fa.

-Ho dovuto aspettare a lungo, sempre sul filo del rasoio, temendo che uno di voi rivelasse a Hermann dov’ero andato. Ma non sono mai scappato, Damien. Volevo che, quando ve ne foste andati, sapeste di potermi trovare qui a Las Vegas. E invece, quando finalmente ti vedo ricomparire, scopro che stai tentando di portarmi all’Area 51. Di farmi prigioniero. Perché, mi chiedo?-

-Pensavamo che … ci avessi abbandonati.-

-Beh, avreste dovuto verificarlo-, sibila.

-Quando siamo scappati, Jonathan era ferito. Vahel gli aveva sparato. Avevamo bisogno di un riparo vicino.-

-Ma poi ne siete usciti!-

-Certo. In un furgone blindato, prigionieri, diretti all’Area 51.-

Sto rivelando troppo, lo so, ma mi preme far capire ad Arthur che siamo noi le vittime della situazione, non certo lui.

-E allora perché ti hanno mandato qua?-, insiste.

-Non posso rispondere.-

Gli occhi accesi di rabbia, Arthur traccia una lunga linea col coltello che attraversa il mio petto. Mi mordo le labbra per non urlare e sento in bocca il sapore metallico del sangue.

-Dimmelo!-

-Non … non posso.-

-Pensavo che fossi mio amico.-

Una risatina cupa mi esce involontariamente di bocca.

-Pensavo che … gli amici non si torturassero tra di loro, sai.-

Fatico a parlare. Il dolore aumenta se solo mi ci concentro troppo.

Arthur sorride.

-Non c’è un che di eccitante in questa situazione?-, domanda provocante, e non riesco a capire quanto sia serio.

Il mio cervello ha naturalmente già risposto sì alla sua domanda, ma non lascio trasparire alcuna emozione.

-C’è un che di macabro, per quanto mi riguarda-, replico aspramente.

-Beh, questo è certo. Avanti, Dam, dimmelo. Perché stai dalla loro parte? Non vogliono altro che studiarti come un fenomeno da baraccone e poi sbarazzarsi di te. Tu vali molto di più.-

La sua voce si abbassa e lui si avvicina pericolosamente.

La mia mente è vicina a chiudere definitivamente i battenti e rivelargli tutto quello che vuole sentire.

Mi guarda negli occhi.

Quegli occhi … quante volte li ho sognati.

Chiudo i miei.

-Non posso!-, ripeto, angosciato.

-Perché no?-

-Perché gli altri morirebbero!-, sbotto.

E poi mi rendo conto di aver reso vani tutti i miei sforzi precedenti. Non so se a darmi il colpo di grazia siano stati il dolore, la stanchezza, la paura o la sua vicinanza. In ogni caso, non si torna indietro.

-Ah.-

Arthur indietreggia appena.

-Hanno minacciato di morte i ragazzi se tu non mi avessi portato da loro?-

Annuisco. Ormai che senso avrebbe negare?

-Capisco-, mormora.

Spalanco gli occhi.

-Sul serio?-, indago.

-Certo.-

-E verrai con me?-

Lui esita. Si morde il labbro e io mi incanto per un istante a guardarlo, prima di ricordarmi cosa sta succedendo.

-Ti racconterò tutto-, prometto. –Ogni singola cosa che ci è successa in questi anni. Ti dirò di Hermann, di Vahel, di Matt e Gwen, dell’Area 51. Non ci hanno toccati lì, Art, te lo giuro. Ci hanno interrogati, e hanno fatto qualche test, esami del sangue e così via. Ma non è mai stato doloroso, né invasivo. E … sai, credo che ci avrebbero rilasciati dopo poco tempo, se non avessero avuto bisogno anche di te. Ma volevano che ti trovassimo.-

-Perché?-

-Non lo so. Immagino che abbiano voluto estendere a te le loro ricerche.-

È una menzogna bella e buona, lo so. Ci hanno interrogati per ore, costringendoci a rivelare la sua ubicazione, e non può essere stato per un motivo così futile. Ma questo Arthur non deve saperlo.

-Non lo so, Damien. Consegnarmi a loro non è esattamente al primo posto nella mia lista delle cose da fare.-

-Mi hanno giurato che uccideranno Jonathan, Vanessa, Blake e Lily se non tornerò da loro entro quarantott’ore, Art. So che lo farebbero senza problemi. Ormai le loro indagini sono terminate.-

Lo vedo incerto.

-Io … -, comincia, per poi interrompersi.

-Art-, proseguo allora, consapevole dell’importanza vitale di questo momento, -Non ti faranno del male. Ti lasceranno andare entro breve e poi sarai libero. Nessuno che ti segue, nessun timore … e potremo essere di nuovo insieme. Noi e gli altri. Seguire il tuo progetto. Aiutare la gente, e non nasconderci più. Ma se scapperai … questo non succederà mai, e loro resteranno sulle tue tracce.- Faccio una pausa ad effetto. –La decisione spetta a te.-

Arthur rimane a lungo in silenzio, quindi mi si avvicina fino a che il suo volto si trova a pochi centimetri dal mio. Il mio cuore accelera.

-Mi giuri che stai dicendo la verità, Damien?-, mi chiede, gli occhi inchiodati nei miei.

Come posso mentirgli? Ma se gli rivelassi le mie ipotesi su cosa l’Area 51 vuole da lui perderei il suo appoggio.

-Te lo giuro, Arthur-, dico, la voce ferma, ricambiando il suo sguardo senza esitazioni.

-Bene, allora-, mormora, senza muoversi, guardandomi. –Puoi anche prendermi prigioniero, se vuoi.-

Sentire queste parole, e guardarlo negli occhi dopo tanto tempo, insieme a tutte le inspiegabili, violente emozioni che provo: ecco le cause logiche di quello che faccio dopo.

Ancora legato per le braccia, mi allungo verso di lui e poso le mie labbra sulle sue.

Lo sento irrigidirsi e capisco che sta per allontanarsi. Il mio cuore si ferma per un istante … ma poi Arthur cede e ricambia il bacio.

Non c’è modo di descriverlo. Potrei usare mille parole, ma non sarebbero ancora sufficienti per esprimere la gioia, lo sconcerto, l’emozione, la paura, il desiderio.

Dura pochi secondi. Poi Arthur fa un passo indietro, guardandomi con un’espressione sconcertata che in un’altra occasione forse troverei esilarante. Apre la bocca e fa per dire qualcosa, ma in quell’esatto istante la porta della cantina si spalanca, sbattendo contro il muro. Arthur si volta di scatto e, meno di un secondo dopo, cade a terra privo di sensi.

Stupefatto, alzo gli occhi e incontro quelli determinati di Blake, che tiene in mano una pistola.

-Cosa … -, ansimo. –Cos’hai fatto?-

-Non l’ho ucciso-, taglia corto Blake. –Il proiettile era un ago intriso di Pentothal con una goccia di sonnifero. Quello che voleva usare Vahel con lui.-

-Vahel?-, chiedo, confuso, domandandomi cosa c’entri adesso.

-Oh, mio Dio, Damien-, geme Vanessa, sorpassando Blake e raggiungendomi. –Cosa ti ha fatto?-

Sto già per rispondere “niente” quando seguo il suo sguardo e vedo i numerosi tagli che Arthur mi ha inflitto. Faccio una smorfia.

-Sto bene-, rispondo. Poi noto un’assente. –Dov’è Lily?-

Vanessa esita, poi finge di non aver sentito la domanda.

-Blake, vieni a darmi una mano-, lo chiama, e lui usa una scarica di energia per spezzare l’anello di metallo che blocca le mie braccia.

Non appena sono libero, mi massaggio i polsi doloranti.

Charlotte mi raggiunge ed esamina le ferite con sguardo critico.

-Queste potrebbero infettarsi-, dice. –Devi disinfettarle.-

-Dove andiamo?-, chiede Jonathan.

-Non lo so. Dov’è Ritch, Damien?-

Mi strofino la fronte, faticando ancora a connettere i miei pensieri.

-Mi ha detto di chiamarlo con questo cellulare-, rispondo dopo qualche secondo, estraendolo dalla tasca dei jeans.

-Dobbiamo impedirgli di trovarci.-

-Cosa facciamo?-

-Ce ne andiamo via.-

-Dove?-

-Non lo so. Qualcuno di voi ha dei soldi?-

-Neanche un centesimo.-

-Un modo per andarsene?-

-Ce l’ho io-, dice una voce sicura.

Abbasso gli occhi su Arthur, che si sta lentamente mettendo a sedere.

Blake solleva nuovamente la pistola, puntandogliela contro.

-Non muoverti, Mackenzie-, dice con decisione.

-Mi stai minacciando, Blake?-

Vedo Arthur rimanere immobile per un momento e quindi corrugare la fronte, confuso.

-Era Pentothal, Arthur. Non puoi andare da nessuna parte. Non trovi che sia una pessima sensazione?-

L’allusione maligna di Blake mi fa storcere il naso.

-Lascia perdere, Blake-, dico. –Non devi preoccuparti. È … -

Mentre mi chino accanto ad Arthur, la mia testa inizia a girare vorticosamente. Devo aver perso più sangue di quanto pensassi.

Cerco di aggrapparmi alla mia mente, ma tutto svanisce nuovamente nel buio.

 

Mi risveglio in una stanza sconosciuta. Il soffitto e le pareti sono bianchi e un flebile ma continuo bip fa da sfondo sonoro.

Giro la testa. Seduto accanto al letto c’è Arthur, che mi osserva pensieroso.

-Oh-, mormora. –Sei sveglio. Come stai?-

Ci penso per un momento.

-Bene, credo-, rispondo. –Gli altri?-

-Sono in giro.-

-Dove siamo?-

-All’ospedale di Jacksonville.-

Socchiudo gli occhi, confuso. Per quel che ne so, Jacksonville si trova dalla parte opposta degli Stati Uniti rispetto a Las Vegas.

-Jacksonville? Come ci siamo arrivati?-

-Teletrasporto.-

-Non pensavo potessi portare altri con te.-

Lui si stringe nelle spalle.

Quando cade di nuovo il silenzio, mi ricordo improvvisamente del bacio. Arrossisco d’istinto.

-Senti, Art-, comincio, imbarazzato. –Riguardo a … a quello che è successo … -

-Sì?-

Cerco di incontrare il suo sguardo, ma è sfuggente, e io non so cosa aggiungere.

-Mi dispiace-, mi limito a bofonchiare alla fine.

Finalmente riesco a catturare la sua attenzione. Mi guarda storto.

-Non devi dispiacerti-, sbuffa. –Insomma, ti ho provocato, è evidente.-

Vorrei dire che non è andata esattamente così, ma preferisco lasciarglielo credere.

-Quindi … vuoi fingere che non sia successo nulla?-

Arthur esita.

-Non lo so. E tu?-

-Non lo so.-

Silenzio.

Passano diversi secondi, poi è lui a parlare di nuovo.

-Non ci ho mai pensato, sai. Mi hai … colto di sorpresa. E non so … non so come fare a capire se … -

Mi fa tenerezza vederlo così in difficoltà.

-Non ho intenzione di forzarti in nessun modo, Art. Prenditi il tempo che ti serve.-

-Non è di tempo che ho bisogno-, replica, guardandomi di sottecchi.

-E di cosa, allora?-

-Di coraggio.-

Mi sforzo di mettermi a sedere.

-Se può servirti-, dico, -Sappi che io desideravo farlo da molto, molto tempo.-

Alza gli occhi.

-Davvero?-

-Certo. Perché credi che ci sia rimasto così male quando te ne sei andato senza di me?-

Arthur si passa le mani tra i capelli.

-È così dannatamente complicato. Pensavo … pensavo di essere … insomma, che mi piacessero … -

-Ho capito.-

-E poi, arrivi tu, con quel maledetto sorriso e quelle belle parole, e mi baci, e fai crollare tutte le mie certezze!-

Sorrido appena.

-Colpevole-, mormoro.

-Forse-, sospira, -Dovrei andarmene per un po’. Lontano da te.-

-Se pensi che sia la cosa giusta da fare … -, dico, dubbioso.

-Lo è-, replica con sicurezza.

Mi incupisco immediatamente, ma Arthur sorride.

-Io però non ho mai detto di voler fare la cosa giusta-, mi ricorda, e mi bacia.

È in questo momento che capisco che è davvero lui tutto ciò che desidero e che desidererò da oggi in poi.

E, anche se so che dire “per sempre” è inutile e infantile, lo penso e segretamente me lo incido nel cuore, proprio accanto al suo nome.

 

***

 

Bene, questo capitolo è venuto un po’ più lungo del previsto, ma non avevo calcolato la seconda parte, che però doveva per forza essere dal punto di vista di Damien.

Volevo solo dire (a titolo di cronaca) che doveva andare in modo completamente diverso! Fino a ieri ero convinta che Arthur non avrebbe accettato la relazione con Damien, ma i miei personaggi si muovono letteralmente per conto proprio, e così ho cambiato idea.

In ogni caso, ho scritto la prima parte del capitolo ispirata dalla canzone “La libertà di volare” dei Nomadi.

Al prossimo capitolo (uno degli ultimi), e grazie a chi continua a recensire.

 

 

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Capitolo 23
*** Goin' on ***


~GOIN’ ON~

 

[Blake]

 

Alla fine mi chiudo in bagno. Sembrerà assurdo, ma è l’unico posto dove posso stare solo per un po’. Prima, mi ronzavano tutti intorno, temendo una mia reazione improvvisa ed esplosiva.

Ma non ho intenzione di fare nulla di avventato.

D’accordo, Lily se n’è andata. O meglio, l’abbiamo mandata via noi. E allora?

Non vuol dire nulla. Se lo meritava, e questo è tutto.

Certo, come no.

Vorrei disperatamente che fosse così. Vorrei che quelli che lei ha chiamato “principi morali” fossero veramente saldi e immutabili, tanto da non farmi neanche passare per l’anticamera del cervello che potrei aver sbagliato. Che forse lei aveva ragione.

Ma non posso concentrarmi su questo.

È un momento cruciale per noi.

Siamo finalmente liberi, ma ci sono così tante cose a cui pensare: Vahel e Ritch in giro a cercarci, Arthur che sembra essere passato dalla parte dei buoni … sempre che una “parte dei buoni” esista davvero, e non ne sono più sicuro.

Se mi fermassi a riflettere su Lily, non avrei la forza di lottare per andare avanti.

La domanda più grande che mi aleggia nella mente –ok, la seconda più grande- è: cosa faremo adesso?

Dove andremo?

Sospiro ed esco dal bagno, stizzito. Non posso decidere nulla da solo. Ho bisogno di parole, di rumore, di chiacchiere inutili. Di Charlotte che pensi al posto mio.

Trovo Jonathan, Charlotte e Vanessa in corridoio. Charlie è accoccolata contro Jonathan, stretta a lui, in silenzio. Vanessa è seduta poco lontano, lo sguardo perso nel vuoto. Credo sia successo qualcosa tra lei e Damien, ma non sono ancora riuscito a capire cosa.

Mi avvicino, ma non appena sono accanto a loro mi passa la voglia di parlare. Sto diventando lunatico come una ragazza.

-Vado a trovare Damien-, dico.

Percorro il corridoio e apro la porta senza bussare, automaticamente.

La scena che mi si presenta davanti è sconcertante.

Arthur è seduto sul letto accanto a Damien, è chino su di lui e lo sta baciando.

Spalanco gli occhi, incredulo, mentre Arthur si allontana appena. Damien mi guarda, rosso in viso, imbarazzato. Probabilmente meno di quanto lo sono io, però.

-Ehm … Blake! Cosa … ?-, balbetta.

-Io … niente. Scusate.-

Maledicendomi per la mia goffaggine, chiudo la porta e torno dagli altri.

-Credo di aver appena visto Arthur e Damien che si baciavano-, mormoro, ancora sotto shock.

Le loro reazioni non sono quelle che mi sarei aspettata. Vanessa non dice nulla, Jonathan mi guarda interrogativo e Charlotte si stringe nelle spalle, borbottando qualcosa come “l’ho sempre sospettato”.

Sentendomi un idiota, mi siedo e taccio, pensando a Lily.

 

Un paio d’ore dopo siamo tutti riuniti nella camera di Damien.

-Bene-, dice Charlotte, guardandomi. –Che cosa facciamo?-

-Questa è davvero un’ottima domanda-, replico, scuotendo la testa per schiarirmi i pensieri.

-Io voglio tornare a casa-, dice Jonathan senza preavviso. –Non vedo la mia famiglia da una vita. Mi mancano. Mia sorella e mio fratello … i miei genitori, i miei amici. Vorrei tornare da loro.-

-Immagino che si potrebbe fare-, rispondo. –Se ci organizziamo bene, forse … -

Mi interrompo quando Jon mi guarda con aria dispiaciuta.

-Ecco … Blake, intendevo io. Da solo.-

Sento Charlotte fare un respiro profondo.

-Io sono stata accettata ad Harvard, a Yale, a Stanford e alla Columbia-, dice, la voce non proprio ferma. –Ci sono ancora tante materie in cui vorrei una laurea. Credo che mi concentrerò su quello.-

-Io voglio vivere da qualche parte con calma … trovarmi un lavoro, magari, o andare al college, non lo so-, dice Damien.

-Io non ho progetti-, replica con naturalezza Arthur, lanciandogli un’occhiata. –Credo che ti seguirò, se non ti dispiace.-

-Naturalmente no.-

Cala il silenzio. Non era questo che progettavo quando mi chiedevo cosa avremmo fatto. Qualunque cosa avessimo deciso, ero sicuro che saremmo rimasti tutti insieme. Come sempre.

Non avevo pensato che ognuno sarebbe andato via per conto proprio. Non rientrava affatto nei miei piani. Per questo non ho pensato a nulla. E l’idea improvvisa di essere solo, con tutto il mondo davanti e infinite possibilità, mi fa girare la testa. Non necessariamente in senso positivo.

La riunione finisce in fretta.

Sembra che, adesso che ci vogliamo dividere, non abbiamo più argomenti comuni di cui parlare. Non siamo più una squadra.

Esco sul balcone dell’ospedale, guardando la strada poco trafficata al di sotto.

Ho terribilmente paura.

Paura di scegliere, paura di sbagliare.

Paura di restare solo.

La porta-finestra si apre e Vanessa mi raggiunge.

-Non hai detto nulla-, mi fa notare, e sento nella sua voce un tono malinconico che non conoscevo.

-Neanche tu.-

-Perché non so cosa fare. Di tornare a casa non se ne parla: mi ci hanno cacciata via a forza. In quanto allo studio, non c’è niente di particolare che mi interessi. E lavorare … che possibilità ho, senza nemmeno la licenza superiore? Dovrei andare a farmela dare da Vahel?- Sorride senza traccia di ilarità. –Non ci ho mai pensato, Blake. O meglio … tutte le volte che ci ho pensato, dividevo il mio futuro con Damien.-

Ah, ecco il problema. Damien.

-Pensavo foste solo amici.-

Mi guarda storto, probabilmente chiedendosi come fanno i maschi ad essere così tardi.

-Per lui è così-, taglia corto.

-Beh, potresti sempre andare a rapinare banche, signorina invisibile.-

-Ottimo piano. Se vuoi venire anche tu, mi farai risparmiare sui candelotti di dinamite.-

Ci guardiamo con serietà per un momento prima di scoppiare a ridere. La battuta non è poi così divertente, ma è passato troppo tempo dall’ultima volta che abbiamo potuto ridere davvero, di cuore, e così arriviamo alle lacrime, per una volta non di tristezza ma di gioia.

Poi torniamo seri, a fatica.

-E tu?-, mi chiede con un sorriso. –Quali sono i tuoi progetti?-

-Non ne ho idea. A casa non posso tornare. Ho sempre odiato studiare, e in quanto al lavoro … non lo so, non ho mai pensato a cosa mi piacerebbe. Forse mi basterà rifletterci su per un po’ … l’idea di trovarmi solo, senza tutti voi, mi ha lasciato spiazzato. Tutto qui.-

È un “tutto qui” piuttosto rilevante, ma Vanessa ci passa sopra.

-Credo che andrò in California, sai?-, dice all’improvviso, gli occhi luminosi che osservano il panorama desolato come se vedessero l’intero universo a loro disposizione. –Dopotutto non ho bisogno di un ragazzo per andare avanti. E ho sempre desiderato visitare San Francisco. Potrei prendermi del tempo per me. Spiare di nascosto i surfisti, cose così.-

Sorrido.

-Abbiamo diciotto anni e tutta la vita davanti-, dico, malinconico, invidiando la sua determinazione, che però credo sia solo di facciata, -Ma ho la sensazione che la mia si sia appena conclusa.-

-È stata una parte importante della nostra vita, Blake-, mi corregge Vanessa, ammirando il tramonto, -Ma dobbiamo voltare pagina. Ci sono così tante cose da fare, posti da vedere. Riusciremo anche noi a trovare la nostra strada, vedrai.-

-Lo spero proprio.-

Ci sono tante cose che avrei voluto fare ma non ne ho mai avuto la possibilità. Vedere le piramidi, fare bungee-jumping, camminare sulla Muraglia Cinese, lavorare su una spiaggia assolata, fare un safari in Africa. Non ho molti soldi al momento, se non qualche centinaio di dollari nel mio conto in banca, ma potrei sempre cominciare.

Il sole sparisce dietro l’orizzonte e un crepuscolo ancora chiaro preannuncia una nuova notte.

-Grazie per la chiacchierata, Ness-, dico.

Lei sorride sinceramente.

Per un istante immagino cosa succederebbe se mi avvicinassi, le carezzassi il volto con dolcezza e la baciassi.

Ma poi scaccio via il pensiero.

Questo non è il momento di legarsi al passato.

Questo è il momento di guardare in avanti.

Senza rimpianti.

Senza la squadra.

Senza Lily.

Esco dall’ospedale e raggiungo la più vicina cabina telefonica. Inserisco i pochi spiccioli che ho in tasca nella fessura e consulto l’elenco telefonico.

-Salve. Vorrei prenotare un volo per Il Cairo. Sì, domani sarebbe perfetto. Il mio numero di carta di credito è … sì, esatto. La ringrazio.-

Da qualche parte bisogna pur cominciare.

E le piramidi sono un ottimo punto di inizio. Non so ancora cosa farò quando sarò lì. Forse cercherò un lavoro, o magari farò l’autostop fino in Sudafrica e andrò ad aiutare qualcuno a costruire scuole, oppure cambierò idea e deciderò di tornare in America.

Magari tra qualche tempo andrò a cercare Lily e le dirò che ho sbagliato.

Ma questo è il momento dei cambiamenti, e ho appena fatto il primo passo.

Tutti quelli che verranno dopo saranno in qualche modo più facili: dicono che la vita funziona così. Se è vero, ho ancora tanto tempo per capirlo.

 

 

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Capitolo 24
*** Epilogue ***


~EPILOGUE~

 

Dedicato a Priscilla, perché ha continuato a leggere nonostante l’abbia scioccata con la mia coppia Arthur/Damien fino a farla dubitare della mia sanità mentale (XD).

Dedicato a dreaminOn_felix, perché è stato il mio recensore più fedele e più critico, dandomi la possibilità di migliorare sempre di più ad ogni capitolo e la voglia di continuare a scrivere.

Dedicato a Yellow Daffodil, perché le sue recensioni serene e positive mi hanno sempre fatto sorridere.

Dedicato a Kuri, la prima a recensire Queen Victoria’s College.

Dedicato a giorgina_cullen97, perché si è appassionata alla storia anche quando io stessa ne stavo perdendo il filo.

Ma soprattutto, dedicato a Charlotte, Blake, Lily, Damien, Vanessa, Jonathan e Arthur, perché si sono mossi di vita propria e mi hanno permesso di trascrivere fedelmente quello che facevano, e anche per avermi regalato tante emozioni e aver rinnovato la mia passione per la scrittura.

 

Grazie.

 

adamantina

 

[Blake]

 

Seduto all’ombra delle piramidi, sorrido ad una bambina che le indica con stupore.

Sono qui da pochi giorni e già mi sono innamorato di questo posto.

Il mio sguardo si perde continuamente lungo l’immensa distesa di sabbia e le piramidi maestose e mi sento incredibilmente piccolo di fronte ad uno spettacolo così straordinario.

Ancora con il sorriso sulle labbra, mi volto e sussulto.

Di fronte a me c’è una figura conosciuta, con capelli rosso fuoco e occhi che mi squadrano intensamente.

Scatto in piedi d’istinto.

-Lily-, ansimo, incredulo. –Come … cosa ci fai qui?-

Lei sorride.

-È bello rivederti, Blake.-

-Sì, anche … anche per me, certo.-

-Non ne sembri così convinto-, dice con un sorriso che non ha nulla di allegro.

E ha perfettamente ragione, perché a mettermi a disagio è una scintilla indefinibile nel suo sguardo, qualcosa di sconosciuto e inquietante.

-Ero preoccupato per te-, replico, cauto.

-Non mi pareva. Sembra che tu te la stia proprio godendo, qui in Egitto.-

-Avanti, Lily. Non avrei saputo dove cercarti!-

-Beh, sono andata nell’unico posto che mi è venuto in mente.-

-Ovvero?-

-Sono tornata da Vahel.-

Raggelo.

-Che cosa?-

-Gli ho offerto il mio aiuto per completare la sua cosiddetta … missione.-

-Sei impazzita? Vuoi aiutarlo ad uccidere il presidente degli Stati Uniti?-

-Perché no? Dopotutto, lui ha provato ad uccidere noi.-

-Lily, io non capisco … -

-Sai, Blake, in realtà ho fatto un ottimo affare-, dice con un sorriso tranquillo. –Ti sei chiesto a cosa servissero tutti i test che ci hanno fatto all’Area 51? Ecco, hanno isolato con successo i geni portatori del nostro superpotere.-

-Continuo a non capire.-

-Non mi stupisce. Dopotutto, non sei tu che hai ricevuto l’intelligenza di Charlotte.-

Il suo tono pacato ed esaltato al tempo stesso mi chiude la gola.

-Che cosa?-, ripeto.

-E non hai ricevuto neanche la capacità di prevedere il futuro, quella di trasformarti in animale, di diventare invisibile e … beh, immagino che tu conosca l’ultima, no?-

E, improvvisamente, mi lancia contro una scarica di energia ad altissimo voltaggio che mi fa sollevare in aria e ricadere nella sabbia parecchi metri più lontano. Mi rialzo a fatica, sputando sabbia.

-Lily, che cos’hai fatto?-

-Ho trovato il modo migliore per avere la mia vendetta-, dice lei con una risata gelida. –Mi avete abbandonata dopo che ho cercato di salvarvi dalle torture di Ritch all’Area 51, al modesto prezzo della libertà di chi aveva tradito me! Ma voi l’avete interpretato come alto tradimento, no?-

Mi raggiunge, gli occhi che brillano di rabbia.

-Aiuterò Vahel a liberarsi del presidente-, annuncia. –Così tutti sapranno quanto siamo potenti noi … “mutanti”, ci hanno chiamati così, giusto? E non abbiamo più bisogno di voi, ovviamente, perché tutti i vostri poteri sono stati perfettamente duplicati.- Ride. –Ora manca soltanto quello di Arthur e saremo al completo.-

-Anche Vahel?-, ansimo.

-No, i poteri non hanno attecchito in lui. Il presidente ha giocato troppo a lungo con il suo DNA, privandolo per sempre della possibilità di riavere i poteri. E l’avrebbe fatto anche con noi, Blake, non riesci a capirlo?-

Scuoto la testa.

-Lily … -, mormoro. –Non devi farlo per forza.-

Lei non sorride più.

-Sì che devo, Blake-, ringhia. –Ormai ho deciso da che parte stare. E puoi esserne certo: non è la tua.-

Detto questo, diventa invisibile, o meglio un animale minuscolo, visto che non vedo impronte comparire sulla sabbia.

Sono troppo scioccato per fare qualunque cosa, finché un’idea mi balza in mente.

Devo avvertire Arthur.

 

[Damien]

 

Sono sul divano del mio nuovo appartamento, la televisione accesa su un vecchio film western di cui non potrebbe importarmi di meno.

Tutta la mia attenzione è rivolta al ragazzo che sta entrando in sala con due bicchieri in mano. Mi si siede accanto e me ne porge uno.

-Propongo un brindisi-, sorride.

-A cosa brindiamo?-

-Alla nostra nuova vita?-

-Alla nostra nuova vita-, concordo, e facciamo tintinnare i bicchieri l’uno contro l’altro. Siamo arrivati ieri e io non mi sono ancora deciso ad accendere il telefono. Non voglio che niente e nessuno rovini questo nuovo inizio.

Dopo aver finito i cocktail iniziamo a fingere di guardare quel film assurdo, ma non dura a lungo. Ben presto Arthur si china su di me per baciarmi.

Di certo non mi lamento, anzi.

Almeno non finché la porta di casa si spalanca con un tonfo.

Ci giriamo entrambi in tempo per vedere Lily che entra in casa nostra.

-Siete deliziosi-, dice. –Avrei dovuto aspettarmelo. Vanessa deve proprio essere stata una delusione per te, Arthur.-

Arthur si alza, guardandola interrogativo.

-Cosa ci fai qui, Lily?-

-Per farla breve, ho bisogno di te.-

-Per cosa?-

-Insomma, più che di te, ho bisogno di un campione del sangue, per essere precisi.-

-Come hai fatto a trovarci?-, mi intrometto.

-New York-, replica. –Banale e scontato persino per voi. Ho controllato i nuovi affitti, ragazzi. O dovrei dire ragazze? Ditemi cosa preferite, perché … -

Arthur scompare e ricompare un istante dopo addosso a Lily, tenendola saldamente per un braccio.

-Cosa vuoi?-

-Te l’ho già detto-, replica lei. –Un po’ del tuo sangue, femminuccia.-

Ed estrae una pistola che mi ricorda quella di Vahel, caricata con Pentothal.

Arthur scompare immediatamente per poi raggiungermi, mi afferra per un braccio e ci teletrasporta entrambi lontano.

 

[Lily]

 

Vahel mi ucciderà.

Beh, non letteralmente –sono di gran lunga troppo potente perché un po’ di Pentothal mi metta al tappeto, e sono anche la sua unica speranza di uccidere il presidente- ma si arrabbierà un sacco.

Non ho seguito nessuno dei suoi consigli … o meglio ordini.

Mi aveva detto di limitarmi a trovare Arthur, così che nessun altro scoprisse cosa mi era successo, ma non ho resistito alla tentazione di farmi vedere da Blake in questa nuova forma, più potente e vendicativa che mai.

E poi mi aveva ordinato di sparare immediatamente ad Arthur con i proiettili intrisi di Pentothal, cosa che non ho fatto. Ma la mia motivazione è valida: non appena l’ho visto baciare Damien (baciare Damien, per l’amor di Dio!) mi sono venute in mente un migliaio di battutine sui gay che avrei voluto sfoggiare.

Ora capisco che le sue indicazioni avevano un senso: adesso Arthur è fuggito con Damien e ritrovarlo sarà un’impresa impossibile, e per di più ben presto tutti gli altri sapranno dei miei poteri e l’effetto sorpresa verrà meno.

Immagino che Vahel dovrà rassegnarsi a fare a meno dei poteri di Arthur, anche se il teletrasporto, l’invulnerabilità e la lettura del pensiero avrebbero potuto farci comodo. E dovrà sbrigarsi a pianificare l’assassinio del presidente, perché, se conosco Blake, organizzerà una difesa in quattro e quattr’otto, e tutti gli altri lo seguiranno ciecamente. Nonostante l’uomo in questione ci volesse morti.

Maledizione.

 

[Charlotte]

 

Stringo la mia borsa con un filo d’ansia mentre entro nel campus.

Harvard.

Sogno di studiare qui dal giorno in cui ho compiuto due anni. Certo, ciò non toglie che il mio quoziente intellettivo sia probabilmente superiore a quello degli insegnanti, ma non importa. Ci sono ancora tante cose da imparare, e migliaia di possibilità per il futuro.

Comincerò da qui: giurisprudenza.

Poi, forse, passerò a Yale per legge, e a Stanford per economia, e alla Columbia per giornalismo. Ma c’è ancora tempo. Ho una vita intera davanti.

Ho preso una stanza qui nel campus, e tra breve conoscerò le mie compagne. Vivrò come una ragazza normale, finalmente, con tanto di amiche, serate in discoteca, confraternite universitarie, sbronze, ragazzi.

Ragazzi … forse quelli no.

Mi manca Jonathan, non posso negarlo.

Certo, mi manca tutta la mia vecchia vita al Queen Victoria’s, ma Jonathan ne era la parte più importante. È vero quello che dicono: che capisci ciò che hai solo quando lo perdi. Avrei potuto continuare a stare con lui, se lo avessi voluto, rinunciando all’università; o lui avrebbe potuto rinunciare a tornare alle origini, dalla sua famiglia.

Ma in realtà non è mai stata nemmeno un’opzione.

Mi manca come l’ossigeno, ma ho tanti anni di adolescenza da recuperare.

Forse un giorno ci ritroveremo, più maturi e pronti per questa cosa che è più grande di noi, senza ulteriori impedimenti.

Ma non oggi: oggi è il momento di Harvard, del divertimento spensierato e dei pomeriggi di studio.

E io sono pronta ad immergermici completamente.

Il mio telefono squilla nel momento stesso in cui entro nel campus.

-Sono Charlotte-, dico in automatico.

-Charlie, sono Blake. Ascolta, è successa una cosa … -

E prima ancora che cominci a spiegare, ho già capito che il mio momento di pace non comincerà mai. Mi mordo un labbro.

-Blake, ho capito-, sospiro, interrompendo la marea di parole insensate su Lily e Vahel. –Ma, onestamente, non capisco cosa tu voglia da me. Il presidente ci ucciderebbe se ci avvicinassimo per dirgli che Vahel lo vuole morto. A chi pensi che crederebbe, a noi o a lui? Insomma, crede che abbiamo già cercato di ucciderlo una volta.-

Blake riprende a parlare rapidamente, ma non glielo lascio fare a lungo.

-Lascia perdere, Blake. Non voglio più averci nulla a che fare.-

E, chiusa la telefonata, spengo il cellulare ed entro ad Harvard.

 

 

[Jonathan]

 

Mi avvicino con cautela al vialetto d’ingresso, timoroso.

In un attimo d’ansia, decido di trasformarmi e divento un’ape. Silenzioso, lasciandomi dietro solo un sordo ronzio, raggiungo la finestra della sala da pranzo, librandomi di fronte ad essa.

Vedo per prima mia madre. Sta entrando in sala con una grande pentola tra le mani, coperte dai soliti, vecchi guanti da cucina, e urla qualcosa –probabilmente sta chiamando tutti a tavola.

Mio padre arriva subito. Le sorride, mettendo sul tavolo il sottopentola di plastica, e si siede a capotavola.

Meredith entra trotterellando, un grande sorriso sulle labbra, i capelli racchiusi in due codini. La guardo con un groppo in gola: me la ricordavo a malapena capace di camminare.

E per ultimo, ecco Jack. Spalanco i miei piccoli occhi da ape, incredulo. L’ultima volta che l’ho visto, mesi fa, frequentava il secondo anno di liceo ed era pressoché uguale a sempre. Adesso si è fatto crescere i capelli e ha un ciuffo che gli ricade sugli occhi; indossa pantaloni strappati e una maglietta nera; al collo tiene un paio di cuffie per la musica. Da quando si è trasformato in un adolescente?

Li vedo sedersi tutti, chiacchierando, lasciando il mio posto, alla destra di papà, vuoto. Si prendono per mano e recitano la preghiera di ringraziamento come sempre, quindi cominciano a mangiare.

Vederli ridere, parlare e bisticciare mi fa sentire di troppo. Sono stato lontano per così tanto tempo che mi sembra di non appartenere più a questo posto. Penso a Charlotte per un momento: con lei non mi sentirei a disagio. Però scaccio subito il pensiero: non è questo il momento per i ripensamenti.

Mi allontano dalla finestra e torno umano nello stesso momento in cui mi arriva un messaggio sul cellulare. Lo leggo e sospiro.

Blake.

Rispondo in fretta, poche parole decise.

“Lascia perdere. Non possiamo farci nulla. Goditi l’Egitto.”

Un respiro profondo, un sorriso convinto e suono il campanello.

Questa è la mia famiglia, ed è questo il mio posto.

 

[Vanessa]

 

Sono sulla spiaggia a prendere il sole quando mi arriva la telefonata di Blake.

-Non è passata ancora una settimana, Blake-, dico irritata nel rispondere. –Pensavo volessimo staccare un po’.-

Lui comincia a blaterare di Lily, Vahel, superpoteri e chissà che altro. Socchiudo gli occhi, ammirando un delizioso surfista biondo che mi fa un cenno dal bagnasciuga. Sorrido e chiudo brevemente la telefonata:

-Senti, Blake, onestamente non mi interessa. Non riusciranno a toccare il presidente. Sono su una spiaggia della California, ho trovato un lavoro come cameriera e sto benissimo. Mi sto godendo la mia vita, finalmente, e non c’è niente che tu possa dire per farmi andare via da qui.-

Chiudo il cellulare e lo spengo, gettandolo nella mia borsa. Quindi mi tolgo gli occhiali da sole e raggiungo il mare cristallino, tuffandomi nell’acqua fresca e dimenticando tutto il resto.

 

[Blake]

 

Non voglio crederci.

Damien mi ha appena detto che lui ed Arthur si sono trasferiti, ma non mi dirà dove, e sono certi che lì Lily non li troverà. E se anche lo facesse e si prendesse i poteri di Arthur, beh, che problema potrebbe mai essere? Non farebbe molta differenza.

Charlotte, Vanessa e Jonathan hanno reagito allo stesso modo.

Non è un problema mio.

La mia parte razionale li capisce alla perfezione: dopotutto, non è neanche un mio problema. Eppure … mi chiedo come possano convivere con l’idea che una persona potrebbe morire perché loro si sono rifiutati di intervenire, troppo occupati a prendere il sole, studiare, divertirsi o chissà quali altre occupazioni importanti.

Io non posso.

Sento che è colpa mia se Lily ha preso questa decisione assurda. È di me che si vuole vendicare, soprattutto. Ero io che avrei dovuto capirla, difenderla, proteggerla.

Chiudo gli occhi per un istante, quindi mi decido.

A loro potrà non importare nulla, ma a me sì.

Fermerò Lily anche da solo, costi quel che costi.

 

 

***

 

Ecco qui … mi sento un po’ triste nel pubblicare questo epilogo, perché Queen Victoria’s College ha richiesto tanto impegno, tanta fantasia e tanta determinazione, ma mi ha dato in cambio tantissime emozioni.

Volevo ringraziare tutti coloro che hanno letto questa storia, i 5 che l’hanno inserita tra le preferite e i 7 tra le seguite, nonché tutti gli autori delle 39 recensioni.

Credo che per il momento mi prenderò una pausa, ma più in là potrei decidere di scrivere qualche one-shot legata ai personaggi, o anche un vero e proprio seguito. Ho lasciato il finale aperto proprio per questo, anche perché mi conosco e so che, quando rileggerò la storia dall’inizio alla fine, mi verrà una voglia matta di continuarla XD

Quindi, ancora grazie se siete arrivati a leggere fin qui, e buona Pasqua a tutti!

 

adamantina

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