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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Scene 0 : Preludio *** Capitolo 2: *** Scene 1 : Profiles *** Capitolo 3: *** Scene 2 : molto carina... *** Capitolo 4: *** Scene 3 : Il 3% di niente *** Capitolo 5: *** Scene 4: LM sgomberi specializzati *** Capitolo 6: *** Scene 5: L' Uomo dei Sogni *** Capitolo 7: *** Scene 6 : Delirio Tarantiniano *** Capitolo 8: *** Scene 7 : occhi azzurri *** Capitolo 9: *** Scene 8 : Si dice che... *** Capitolo 10: *** Scene 9: Topi sotto anfetamine *** Capitolo 11: *** Scene 10: Kimmy La Rue, nata il 28 febbraio. *** Capitolo 12: *** Scene 11: la Bottega dei Sogni Usati *** Capitolo 13: *** Scene 12: Blu... di seta *** Capitolo 14: *** Scene 13: Fra virgolette... *** Capitolo 15: *** Scene 14 : Sfrigolio di falene. In alto. A sinistra. *** Capitolo 16: *** Scene 15 : L'odore delle donne... *** Capitolo 17: *** Scene 16 : Insano *** Capitolo 18: *** Scene 17 : Mi devi qualcosa... *** Capitolo 19: *** Scene 18 : Jack Tempesta *** Capitolo 20: *** Scene 19 : Il Giorno in cui Dio Morì... *** Capitolo 21: *** Scene 20 : Loro.... *** Capitolo 22: *** Scene 21 : Domino Kent. *** Capitolo 23: *** Scene 22 : Un giro di vite sul fulcro dell'anima *** Capitolo 24: *** Scene 23 : Divinità Malate *** Capitolo 25: *** Scene 24 : Tempesta arriva con la pioggia ***
Bronx osservò le tracce delle gomme del maggiolino e tirò un
accidenti silenzioso alla pioggia torrenziale che stava cancellato le parti finali
delle frenate.
Riparato sotto un malconcio ombrello nero che gli era stato
passato da un agente piuttosto sollecito, stette a guardare
impotente le scie che svanivano e i ragazzi della scientifica che cercavano in
tutti i modi di salvare il salvabile.
Ma cosa volete salvare, non vedete che è tutto
inutile?!
Il fango gli sporcava le suole di para e poteva sentire i
calzini inzuppati dall’acqua che non accennava a smettere di cadere ma aumentava
ad ogni istante.
Fra poco avrebbero dovuto lasciare la zona per non rischiare
di restare impantanati con la macchina in qualche pozzanghera alta mezzo metro
o poco meno.
Bronx non scherzava poi tanto: quel tratto di zona era
soggetto a vere e proprie alluvioni, nei mesi primaverili.
Roba da farti marcire anche l’anima, per l’umidità che vi
stagnava perennemente!
Se avesse saputo che l’aspettava un
probabile pernottamento all’addiaccio, un bagno fuori programma e una dieta
forzata, Bronx ci avrebbe pensato due volte prima di lasciare il letto, quella
mattina.
Se non si fosse trattato di muoversi per salvare la vita
della donna, non si sarebbe spostato di un millimetro e avrebbe continuato a
sognare la bella Mira e la loro passione che non riusciva
proprio ad esplodere, sebbene provassero entrambi sentimenti molto forti.
Il taxi verde sembrava essersi dileguato nel nulla: neanche si
fosse aperto un buco nero in mezzo alla strada e l'avesse risucchiato in un
universo parallelo!
Ficcò una mano gocciolante in tasca e tirò fuori l’identikit
plastificato del tassista.
Lo conoscevano bene: sapevano chi era e cosa poteva fare se
fosse stato costretto dalle circostanze.
Psicolabile!
Era uscito da poco ma non si era fatto sfuggire l’occasione di riprendere i vecchi traffici con il “Nero.”
Sarebbe rimasto abbastanza lucido da lasciarla in vita o
l'avrebbero ritrovata cadavere in qualche burrone?
Harvey cancellò il pensiero
velocemente: sarebbe arrivato prima di lui, che diavolo, lo pagavano apposta
per braccare quei bastardi senza Dio fino alla nausea, sarebbe stato più veloce,
sarebbe stato...
Cristo santo...
Un sudore gelido e fastidioso gli aggredì la colonna
vertebrale e lo fece tremare per un attimo.
Mira...
Ripose il foglio in tasca, dopo averlo piegato in quattro e
guardò la vallata aggredita dalla pioggia.
Non sta succedendo
davvero, non a lei! Mira non può essere con lui!!
***
"Sai gemere come quel sassofono? Sai parlare come la tromba
e battere come il tamburo?"
"No..."
"E allora cosa ci fai così lontano da
casa, bambina?"
"Sto cercando...."
"Cosa stai cercando?"
"Non lo so. Non lo so più...."
***
Con chi sta parlando?
Non lo so. Va avanti così da un pò.
Lasciatela stare, allora.
***
“Non è qui
che troverai ciò che cerchi”
“Ma deve esserci…deve! Se non qui,
dove? Aiutami, ti prego!”
“Io sono
l’Uomo dei Sogni, bambina. Devi stare attenta a ciò che chiedi… potresti essere esaudita”
Professione: Tecnico
del Dipartimento di Polizia di New Orleans, specialista
fotografa
Posa le mani sul lavandino, spingendo il
busto e il viso contro lo specchio appannato dall’acqua calda della doccia.
Immagine sfuocata.
Struscia il braccio coperto
dall’accappatoio rosa contro la superficie, più volte, finchè non è
soddisfatta. L’acqua riga il vetro e miriadi di goccioline
crivellano la sua immagine spaurita, assonnata, invecchiata.
La lampada alogena illumina il viso ancora profumato di
tonico.
Una ruga. Ho 27 anni e
una ruga, pensa tormentandosi la fronte, cercando di spianare il solco
appena accennato con un dito.
Si rimira ancora un po’, sospira e afferra lo spazzolino da
denti con un gesto brusco che fa finire il portaspazzolino in terra.
Uno schianto secco e deciso.
È il terzo in una
settimana.
Raccoglie i frammenti stando attenta a non tagliarsi, gettandoli
in una piccola pattumiera colorata situata sotto il lavandino.
Dovrei comprarne uno
di plastica, pondera sciogliendosi i capelli scuri e muovendoli con le mani,
il dentifricio che le colora il sorriso spento di un azzurro pallido.
Mastica le setole lentamente, un giochino
stupido che faceva sempre da piccola e che le da un sottile solletico misto a piacere
sulle gengive, mentre si acconcia i capelli con le dita.
Non si stupisce neanche un po’ quando dei lunghi fili neri vengono
via con facilità.
Succede ogni mattina.
Fa una smorfia e li getta nel water con poco rammarico. Stress, sono stressata, pensa continuando a lavarsi i denti,
risciacquandosi la bocca con l’acqua gelida. Ma perché in questa città l’acqua è così fredda?!Ho 27 anni e perdo i
capelli, ho una ruga e per di più questa stramaledetta acqua è gelida e lo scaldabagno
non funziona!
Mira afferra la spazzola e si pettina guardando la sua
immagine con occhi vuoti e inespressivi.
Stasera lo vedrà.
Sono trascorsi sette giorni dall’ultima volta che l’ha
incontrato.
Un lampo le passa nelle pupille, il braccio si ferma e un
sorriso timido le alza i lati della bocca di qualche millimetro.
Riprende a spazzolarsi i capelli con più forza…una settimana. Troppo tempo.
Sono le dieci di un mercoledì sera e il suo lavoro sta per
cominciare.
Non è un lavoro piacevole.
****
Marvin
Sesso: maschio
caucasico (?)
Età: ?
Altezza: ?
Capelli: ?
Occhi: ?
Professione: ?
Tric - Tric.
Batte la testa contro il muro, una, due,
tre volte, finchè l’ultimo piccolo urto non gli fa dolere il cranio. Smette e
resta aggrappato a guardare il nulla che si staglia dietro le palpebre
semiaperte.
Tric - Tric.
Un filo di luce entra dalla finestra in alto, sbarrata da quattro
semplici cilindri d’acciaio. La luce disegna sagome sul muro e gli scolpisce le
guance incavate e i corti capelli castani.
Tric – Tric.
Struscia un dito sulla barba e fa una smorfia muovendo gli occhi
verso la luce che trapela esitante.
È quasi l’alba, tra poco lo tireranno giù dal letto ad urla
e schiamazzi.
Stende una gamba muovendosi piano, intorpidito dalla lunga
posizione. Non è mai stato un tipo da branda di sopra ma il suo compagno ha
avuto un “piccolo incidente” nella lavanderia, durante un turno di lavoro.
Cose che capitano,
pensa dando un’altra testata leggera al muro.
Perché sta facendo quel giochetto
stupido, ancora se lo chiede.
Per passare il tempo,
rimugina grattandosi di nuovo un angolo diverso del mento, scendendo sulla gola,
annoiato.
Due anni la dentro.
Due anni che stanno per scadere.
Oggi, per la precisione.
No, decisamente
non è mi è andata molto bene, nella vita.
Questa è la semplice conclusione a cui è arrivato Marvin dopo mesi e mesi di continui rimuginamenti.
Ha avuto tempo per pensare ed è giunto a delle semplici
conclusioni.
Appena fuori di li farà tre cose:
una doccia, un pasto decente e si cercherà una donna per trascorrere qualche
ora di puro sesso.
Non è una scelta casuale. Marv è
un tipo metodico.
Alza una palpebra sola verso lo spicchio di sole che illumina il muro e gira la testa verso di esso.
Ha perso la licenza, dovrà fare un
salto da quel negro di merda per farne una falsa. Gli chiederà un sacco di
soldi….
Massaggia il gomito che ha battuto contro il
muro e resta sorpreso della consistenza dell’osso sotto le dita.
Non si era accorto di essere dimagrito così tanto.
Guarda i pantaloni che giacciono in fondo al letto:
all’inizio gli stavano stretti, ora ci balla dentro ed è stato costretto a fare
un altro buco alla cintura per sorreggerli.
Tutte le sere lo specchio gli rimanda sempre un’immagine
poco piacevole. Non avrebbe trovato neanche un ‘cliente’ se non si fosse rimesso un pò in sesto.
Prendere un paio di
chili. Forse tre. Guardaroba nuovo, più alla moda. Una nuova identità...magari
mi lascerò crescere i capelli.
Un clangore metallico. Urla in fondo al corridoio.
Sono arrivati.
Marvin butta giù i piedi dal letto
a castello e s’infila la tenuta da carcerato prima che glielo urlino in faccia.
È atterrato sui talloni pesantemente e ora gli fanno male i
piedi e le caviglie. Non può neanche chinarsi a massaggiarseli
perchè sono già arrivati di fronte a lui.
“Datti una mossa, sballato! Da oggi sei
fuori!”
“Sissignore” risponde in tono basso, automaticamente, senza
aver quasi compreso che è appena stato rimesso in libertà.
Recupera i suoi oggetti personali, s’infila i vecchi vestiti
che, come previsto, sono due taglie più grandi di lui e segue la guardia in
silenzio.
Quando è fuori, il pesante portone che si
è chiuso alle sue spalle come una condanna a morte appena scampata, sbatte gli
occhi alla luce mattutina che brilla sulla sua testa.
Infila le mani nelle tasche e constata
con enorme sorpresa che i quattro spiccioli che aveva ci sono ancora.
Accende una sigaretta rotta e sfilacciata con un accendino
quasi scarico e respira l’odore del tabacco e della terra che si solleva sotto
i suoi piedi quando cammina.
Morde con forza l’interno della bocca e le lacrime gli
escono d’un tratto inondandogli le guance scavate.
Non fa neanche il gesto di toglierle, le
lascia scendere senza vergogna.
Poi un brillio in fondo agli occhi, una
risata gutturale che esplode stridula e gli fa cadere la sigaretta dalle labbra.
Coglioni…che gran
coglioni! Pensa camminando spedito verso la stazione degli autobus più
vicina.
Che vuoi che siano due miglia a
piedi? Le fa in un attimo!
L’aria è tersa e il buonumore di Marv
s’impenna: l’avevano lasciato uscire, infine, lo Stato si era stancato di
mantenerlo?!
Peggio per voi…peggio
per voi!
****
Harvey Philiph
Bronx
Sesso: maschio
caucasico
Età: 38 anni
Altezza: 1,83 cm
Capelli: brizzolati
Occhi: scuri
Professione:
ispettore capo del Dipartimento di Polizia di New Orleans, appena promosso.
Non è
tutta sta bellezza. Proprio no.
Ad Harvey non piace la calca e la
confusione e in quel momento ce n’è molta.
Soprattutto quando ha sonno, preferisce non essere
disturbato.
“Guardi qua, capo! È una bellezza di cadavere: è pieno d’impronte
e tessuti. Sarà uno scherzetto per voi beccarlo!”
Vorrebbe tanto entusiasmarsi anche lui come il tecnico della
scientifica, ma la verità è che non gliene frega
niente. Si limita ad annuire e a spostarsi un po’ di più dalla sagoma segnata
in terra.
Non sia
mai gli calpesti le prove! Si farebbe venire un infarto!
Non è cambiata poi molto la situazione, dopo la promozione
sofferta. Sempre in strada, sempre con lo stomaco annodato, domandandosi chi
sarà la prossima vittima.
“E’ già arrivata la fotografa?! Ma quanto
accidente ci mette?!”
Chi sarà la prossima
vittima?
Bronx se lo chiede guardandoli a turno.
L’agente Stacey con la sua
fissazione per il golf che ama svisceratamente, il tecnico ID
appena assunto, il paramedico che attende per infilare il morto nel sacco, la fotogr…
Harvey s’interrompe posando gli occhi sulla figura snella
appena uscita dall’ombra, carica di rullini e macchine fotografiche.
Reflex e Canon digitali.
La donna oltrepassa veloce il nastro giallo e comincia
subito a scattare foto su foto, inquadrando il cadavere da tutte le possibili
angolature.
Bronx la vede alzare la testa scura, i capelli raccolti per
non inquinare ulteriormente le prove già abbondantemente cancellate dai primi
soccorsi. Gira sui talloni e si fissa su di lui.
Una vampata di calore gli inaridisce la bocca. E’ un attimo
e un flash puntato nella sua direzione lo abbaglia. Fa un passetto indietro
mentre la donna torna al suo lavoro.
E’ un modo carino per dirgli di stare fuori
dai piedi mentre si guadagna il sudato pane?
Mira KalliopiScandros…con un nome
così era sicuramente greca. Troppo scura
di carnagione, pensa fissandola nuovamente…color del caramello...
Harvey gira sui tacchi e si ritrova a fissare una piccola
folla incuriosita…che razza di gusti.
Cammina fino alla macchina e apre lo sportello, quando ci
ripensa. Solleva la testa, chiude a chiave l’auto e torna dietro la linea
gialla.
Mira scatta le foto con destrezza e precisione, rispondendo
a monosillabi ai commenti dei colleghi poliziotti. Scatta senza seguire uno schema
particolare ma solo il suo istinto. Qualcosa le dice che quella panoramica
renderà al meglio lo squarcio dietro il collo del morto.
Che umorismo mortale, ridacchia dentro di
se pensando al cibo che sta andando a male nel frigorifero e che deve buttare
al più presto.
Almeno prima che
prenda vita e mi strangoli nel sonno!
Devono girare il morto e non tocca
a lei farlo. Raramente tocca un cadavere. Le basta osservarlo dietro il freddo
occhio della digitale.
Lo dice ad un agente che fa un cenno ai paramedici: lo
gettando sulla schiena con poca grazia.
Sicuramente non se ne lamenterà, pensa
riprendendo il suo lavoro, improvvisamente distratta da uno sguardo insistente.
Si volta di scatto e pigia il tasto della
Reflex, abbagliandolo.
L’ispettore Bronx sbatte gli occhi, portandosi una mano alle
palpebre e per qualche istante Mira è libera di osservarlo senza impedimenti.
Fascinoso, disarmante…
e deve essere tenero da morire, decide tornando subito al lavoro. Non vuole
altre distrazioni. Basta quella presenza invadente a monopolizzare la sua
attenzione. Gli lancia un’altra occhiata e lo vede camminare lentamente verso la macchina.
Ecco…appunto.
Sospira e riprende il lavoro, togliendo dal marsupio i
rullini consumati e sostituendone con altri nuovi. Sette giorni d’attesa per
cinque secondi di niente…però adesso aveva una sua foto.
Peccato se ne stia
andando…
“Quanto dovremo aspettare per
averle?”
Mira trattiene a stento un sorriso. È tornato indietro. “Saranno pronte fra due giorni” risponde seria:
non le sembra il tipo che da molta confidenza e sicuramente non è l’anima della
festa. Il suo animo scherzoso e burlone può riposare, per quella sera: preferisce
apparire professionale e responsabile agli occhi dell’ispettore.
Il suo annuncio laconico ha sortito
l’effetto opposto. Bronx pensa d’averla infastidita e si ritrae, facendo marcia
indietro.
La domanda gli muore in gola e preferisce annuire perché non
si fida della propria voce.
“Ha finito?”
“Quasi” risponde con un attimo d’incertezza
“le dispiace spostarsi un po’?”
Bronx annuisce nuovamente e fa qualche passo indietro, le
mani infilate nelle tasche, dondolando un po’ sui talloni.
“Grazie”
Era abbastanza seria e professionale? Doveva calcare di più
la mano o parlare in termine tecnico? E se avesse
commesso qualche errore rischiando di vedere il suo lavoro sfumato? Poteva
saperne più di lei…
Decise di lasciare perdere e serrò le labbra affranta.
Si piega sul cadavere un po’ troppo. Ne può sentire l’odore
di sangue rappreso e liquidi corporei che sono fuori usciti al momento della
morte; sta per scattare quando un guizzo muscolare post mortem
la fa trasalire e urlare per un breve secondo.
Fa un salto all’indietro finendo quasi a terra.
No, la macchina
fotografica, pensa allungando le mani per prenderla, ignara d’averla
assicurata al collo con il nastro di naylon blu. È un gesto talmente automatico
che ormai non lo ricorda più.
Resta disorientata quando sente le dita
che fino ad un secondo prima hanno annaspato nel vuoto, venire
circondate da due mani tiepide a dispetto del freddo che le sta congelando i
piedi e il naso.
“Un semplice scatto muscolare. Non c’è nulla di cui aver
paura”
Mura annuisce, guarda Harvey per
qualche istante e la Reflex sorretta dalle loro mani. “Lo so. Grazie
dell’aiuto. Se si rompe sono dolori.” Annuncia con
voce distorta dallo spavento.
Non è la prima volta che succede una cosa del genere durante
un turno, ma chissà perchè si è messa paura.
Forse perché non era concentrata sul
proprio lavoro. Forse era troppo distratta a cercare di non civettare
con quel tipo affascinante e serioso.
Bronx la vede sbattere gli occhi più volte, come se dovesse
ricacciare qualche lacrima in fondo alle orbite e abbozza un sorriso
incoraggiante. “Non le verrà detratta dallo stipendio
se si rompe in servizio”
Mira lo guarda come se fosse impazzito
“non è per quello!” sbotta strappandogli la macchina fotografica di mano e
controllandola, sebbene non le sia successo nulla “ci sono affezionata…”
borbotta a voce bassa rendendosi conto di aver fatto la parte della bambina
capricciosa.
E gli ho anche risposto male…porca miseria!
Harvey lascia ricadere le mani infilandole dopo un secondo
nel cappotto pesante. Avrebbe dovuto capirlo dal modo che ha di curare le sue
cose…avrebbe dovuto…
“Capo! Qua ce n’è un altro!”
Gira su se stesso sbuffando esausto. Mira lo segue a qualche
passo di distanza, osservando come piega il collo da un lato. Non ce la fa più, è stanco e ha sonno da
vendere a Morfeo, pensa in un moto di tenerezza.
Un’immagine maliziosa le attraversa lo sguardo per un
secondo, in tempo per vederla sparire, strappata dalla brutalità dell’omicidio
che fa arretrare anche Bronx di qualche passo. Istintivamente le sbarra la
strada per proteggerla dalla visione.
Adesso vomito sulla scena del crimine così
la Scientifica mi metterà ai ceppi!
“Mi lasci passare, devo scattare le foto” gli ricorda con
voce malferma la donna dietro di se.
Si sposta riluttante mentre Mira trattiene il fiato e
s’impone di pensare alle ferie che farà ad agosto con le amiche, in qualche
gloriosa e caciarona località marittima circondata da bei ragazzi in costume da
bagno, coccolata e vezzeggiata tutto il giorno.
Si affretta a finire e si allontana di corsa respirando a
bocca aperta l’aria fredda. Come si può?
Dio, ma come si può ridurre una persona in quel modo?!
I capelli che ha legato le tirano inspiegabilmente la pelle
delle tempie, facendola innervosire. Li scioglie lasciandoli ricadere sulle
spalle e lungo la schiena, chiedendosi come mai tengano così caldo.
Miracolo della
cheratina? Si domanda abbozzando un sorriso stupido e sbilenco che si
esaurisce presto. Due figuracce in un
giorno.
Bronx si allontana appena può. Fortuna che
aveva mangiato leggero o a quest’ora starebbero guardando da vicino i resti
della sua cena.
Alza lo sguardo lucido sulla donna in fondo alla strada che
si sta stringendo le braccia contro il petto e resta quasi a bocca aperta.
L’aveva vista solo un giorno, così…
Quel modo che ha di dondolare è sintomo di pianto imminente.
Si sposta i capelli istericamente dal volto e trae un fazzoletto dalla tasca, soffiandosi
il naso e passandolo sotto gli occhi azzurri, evitando che il mascara coli
inesorabile sulle occhiaie coperte dal correttore.
Quando lo vede, Mira si blocca con
un dito sotto l’occhio destro. Perché la guarda in
quel modo?Non hai mai visto una donna piangere?! Si chiede arrabbiata
inaridendo gli occhi con il solo pensiero.
Harvey ripensa ad una frase che aveva
letto tempo fa su una delle tante riviste maschili che giravano fra gli
agenti in servizio notturno. È stato una matricola
anche lui e i tempi non sono cambiati.
Neanche gli uomini.
Incredibile ma vero, le donne sono più disponibili dopo la mezzanotte.
Si sentono più fragili e insicure.
Senza volerlo, quasi costretto da quel pensiero estraneo al
luogo e alla situazione, sbircia l’orologio e constata
che è appena passata la mezzanotte.
Ma quella non è una donna con cui è
appena uscito: è una fotografa che ha appena immortalato un cadavere in tutta
la sua sconvolgente veridicità;
Vorrebbe consolarla ma non sa cosa
dire senza apparire troppo invadente. Neanche la conosce.
Mira gli passa accanto col suo carico di rullini, il
marsupio vuoto e le macchine ancora appese al collo.
“Come stabilito le porterò le foto del primo cadavere fra
due giorni….e le prossime…”
La voce perde di fermezza e per un lungo
istante Harvey pende dalle sue labbra “altri due giorni” sussurra puntando
lo sguardo sul lampione arancione. Perché deve
guardarla in quel modo?
Bronx si sposta di lato per farla passare e Mira respira
nuovamente.
Per un breve secondo.
“Molto carina…” balbetta a bassa voce senza guardarla.
Mira avvampa, arrestandosi bruscamente e girando appena la
testa verso di lui che guarda fisso davanti a se e sembra imbarazzato.
“Grazie” sussurra riprendendo a camminare, il passo più
lungo e veloce. Non era andata così male, poi!
****
Ha voltato la faccia da tutti i lati, stupendosi che non si
sia sgretolata sotto le dita, mentre si lavava il
viso.
Sono invecchiato di
dieci anni, pensa asciugandosi su un telo leggero di spugna bianca e
rendendosi conto che fa ancora più schifo di prima.
Quando era entrato in carcere era
un grasso
figlio di puttana psicopatico con l’alito pesante. Adesso era un magro
figlio di puttana psicopatico con l’alito pesante.
“Adesso sì che saresti da sbattere in galera” bisbiglia con
voce roca alla propria immagine.
Ha le corde vocali in fiamme, tonsillite in arrivo.
Marv è di salute precaria.
Afferra i vestiti dal pavimento, congratulandosi per aver
rispettato un’altra volta la tabella di marcia.
Si era fatto una doccia vera, un paio di cheeseburger
gigante - tre per la precisione - e una femmina che parlava un sacco ma a letto
era una vera bomba.
Sgusciò via piano, per non svegliarla. Il conto l’avrebbero presentato a lei! Ridacchiò pensandoci e scese
le scale antincendio senza fare il minimo rumore.
Gli affari premevano e Marv era in
ritardo di due minuti.
Cammina quasi saltellando, il corpo spinto in avanti, le
mani in tasca per ripararle dal freddo visto che non ha i guanti. Non ha nulla,
solo quei vestiti addosso: troppo leggeri per la stagione perché quando l’avevano
messo in carcere era maggio e c’era un sole non indifferente.
“Sei in ritardo di cinque minuti”
Marvin guarda la donna davanti a se, restando quasi a bocca
aperta. Quella era una femmina di lusso, non la sciattona che aveva rimorchiato
in strada poche ore prima!
“Mi scusi, signora” borbotta guardandosi la punta delle
scarpe e le sue a pochi passi di distanza. Ha imparato a dire ‘sissignore e nossignore’ in carcere.
Ha imparato anche a sopravvivere, che non è cosa da
poco.
La donna lo fissa da tutte le angolazioni.
A tirarlo a lucido qualcosa di decente poteva venire fuori.
Ma lei non era interessata
all’uomo, bensì al guadagno che avrebbe potuto ricavare dal suo
sfruttamento.
Sorride annuendo “sei molto educato. Non me l’aspettavo” ribatte facendogli cenno di seguirla.
È da sola? Una
bellezza del genere in un posto come questo? Si domanda mentre la sua mente
lavora perversamente.
“Questo è il carico. In quel pacco troverai un po’ di
vestiti. Non puoi andare in giro conciato in quel modo.”
Afferma guardandolo con una smorfia mentre Marvin fissa i suoi occhi scuri e la
bocca semi imbronciata “il taxi lo troverai nel
parcheggio dell’aeroporto. È facile da vedere. E’ verde.”
“E come ci arrivo fin laggiù?”
domanda con aria seccata. Verde? Quando mai si è visto un taxi verde?
“Non sono affari miei” ribatte velocemente allungando la
mano stretta attorno ad un foglio dattiloscritto “La tua destinazione, la
cartina stradale. Consegna entro tre giorni, massimo quattro.”
Continua laconica passandogli accanto “noi non ci conosciamo. Se ti arrestano sono problemi tuoi. Se sveli qualche nome o
qualche indirizzo, andiamo a casa tua e ammazziamo i tuoi in qualche maniera
orribile.”
Marv non dice nulla mentre la
donna se ne va a passo tranquillo. La segue finchè non la
vede salire su una macchina parcheggiata poco lontano. Un’anonima Peugeut come ce ne sono tante in città.
Inutile imparare la targa a memoria, sarà sicuramente
rubata.
Quella minaccia d’ammazzare i suoi non gli va molto a genio.
La puttana la pagherà molto presto,
pensa stringendo il foglio fra le dita, tanto
non è lei a capo dell’organizzazione, è solo un
manichino.
D’un tratto un pensiero assurdo si
fa strada far i propositi di vedetta.
Era stata quella carnagione scura e
quei capelli neri lunghi quasi fino alla vita, ad attrarre Bronx come una
falena che vola verso la luce.
Il padre aveva sposato una donna
italiana, una matrona romana dal bel colorito sano che si tingeva ancora più d’estate
e lui doveva aver ereditato la passione per le straniere dai geni paterni. Non c’era altra spiegazione, si disse
con un groppo in gola quando si presentò di fronte a lui con la sua camminata
decisa e la parlantina sciolta, porgendogli la mano fresca e curata.
Si era aspettato una stretta molle
come usano molte donne, ma avrebbe dovuto capirlo
dall’affilatezza delle sue dita e dalle vene che spuntavano sul dorso che non
era la classica femmina svenevole.
Così era stato lui a porgergli
un’orata tiepida al posto della classica stretta spezzaossa
che usava con gli amici e aveva fatto la figura del finocchio.
Lei l’aveva guardato con aria impenetrabile.
Una mano invisibile si era
divertito a giocare con i suoi intestini, annodandoli come i giocolieri da
strada con i palloncini gonfiabili mentre la donna parlava succintamente e lo
studiava come fosse un insetto misterioso.
Doveva avere un’espressione idiota
sul volto, perché Harvey aveva appena sperimentato il colpo di fulmine più ‘fulminante’ della sua vita e aveva risposto a monosillabi
alle sue sintetiche domande.
In effetti
non aveva parlato molto neanche lei, pensò quando la vide uscire dall’ufficio
ancheggiando leggermente.
Non sculettava, quellono. Muoveva i fianchi quel tanto che bastava per avere
un portamento carino ed elegante insieme. Quel tanto che bastava a calamitargli
lo sguardo sul fondoschiena.
Con molta fatica e riluttanza si
alzò dalla sedia e si diresse alla porta, il cuore che batteva furiosamente e
il respiro assente.
Il sistema endocrino era entrato in
sciopero per il troppo lavoro a cui era stato sottoposto in quei pochi minuti e
d’un tratto si sentiva stanco e nervoso.
Aprì la porta guardando la manopola
che era stata appena toccata dalle mani della donna – Mira, bel nome, sembra spagnolo – e si aspettò di trovarla
liquefatta: lui stava letteralmente fondendo!
Si aggrappò allo stipite e la vide
camminare fino in fondo al lungo corridoio, indecisa su quale diramazione
prendere.
Doveva avere uno scarso senso
dell’orientamento, visto
che era appena venuta da
quella parte, pensò appoggiandosi e osservandola chiedere indicazione ad un
agente – dio ce ne scampi e liberi,
adesso lo pesta – e fare un passo indietro sibilando una parolaccia che
fece sorridere il collega accanto.
Skye non
se ne perdeva una. Un giorno lo avrebbe trovato in gattabuia a fare compagnia
ai veri ladruncoli con una denuncia per molestie sessuali sulla testa.
L’occhiataccia inviperita aveva
svelato molto del carattere della donna e Bronx aveva deciso già quale
comportamento non tenere con lei.
Era tornato nell’ufficio chiudendo
la porta alle sue spalle e una volta seduto, aveva
aperto il cassetto sinistro della scrivania.
Aveva guardato il pacchetto di sigarette semivuoto e vecchio di molti mesi e l’accendino
Bic azzurro accanto.
Mai come in quel
momento aveva desiderato fumare per calmarsi i nervi.
Aveva preso molte cose dal padre,
inglese doc deputato della Camera dei Lord che aveva
fatto di tutto per impedirgli di fare carriera nella polizia.
Ereditare un self control
indiscutibile e un sangue freddo che sfiorava la glacialità nei momenti di
bisogno, l’aveva aiutato non poco nel lavoro.
Ora sentiva il temperamento
italiano urlare per essere liberato da quella staticità imbarazzante e il
desiderio di gettarsi in strada per fermarla e parlare con lei ancora una
volta, lo faceva agitare sulla sedia.
Sfilò una sigaretta con aria
drammatica dicendosi che era stupido a ricaderci dopo aver tanto penato per
uscire dal catramoso tunnel della nicotina e vide che gli tremavano le
mani.
Le strinse a pugno, le strusciò
sulle cosce rivestite da un tessuto piuttosto elegante a dispetto dei colleghi
ispettori – se sei ricco puoi permetterti tutto – e le aprì e chiuse più volte,
finchè non agguantò la cicca gettata sul tavolo e la infilò fra le labbra.
Non esitò un secondo ad accenderla
e quando l’alcaloide gli riempì la bocca e i polmoni, si sentì subito meglio.
Come poteva succedere una cosa del
genere? In quel momento, con tutto il lavoro che aveva da fare, il divorzio da
Marie e l’appartamento da cercare al più presto?!
La cenere cadeva in fiocchi grigiastri
sulla scrivania, sfiorandogli la mano destra che teneva abbandonata, la
sinistra a sorreggere la testa, le dita infilate fra i corti capelli
brizzolati.
Ok, non era vecchio. Aveva solo 38
anni.
Niente
andropausa, niente crepuscolo della virilità, decise scartando un’ipotesi.
Cos’era, aveva bisogno di un’altra
donna che gli riempisse la vita di casini
incommensurabili in una sorta di masochistica punizione? Non gli erano bastate
le scenate di Marie, il suo tradimento e la richiesta di divorzio – non avrebbe beccato
una sterlina in quel modo – le chiacchiere sulla sua promozione – fanculo, me la sono sudata! – e il cane che gli era morto da un giorno all’altro?!
Si incupì
sempre di più finchè non decise di essere stanco di quel comportamento
infantile e dannoso ai muscoli facciali che dolevano per la tensione e accettò
la triste verità: quando era ormai sicuro che non sarebbe più accaduto…era
accaduto
***
Mira aveva fatto uno sforzo non
indifferente per sostenere quel colloquio e rimanere lucida e presente a se
stessa.
Il suo capo sembrava essere appena
uscito da un film degli anni 50: gli mancava solo un cappello di feltro in
testa, l’impermeabile a tre ottavi e la sigaretta all’angolo della bocca; una
pupa bionda platino al braccio sinistro in atteggiamento adorante e una pistola
fumante in mano avrebbero completato il quadretto Casablanca post moderno.
E pensare che a
lei neanche piacevano quelli più grandi…soprattutto non così grandi. Al
massimo arrivava ad un paio di anni di differenza, tre
a volere stare larghi.
Mira non li capiva gli uomini: non
capiva i coetanei, figurarsi gli attempati quarantenni!
Quello
è semplicemente perfetto!
Cioè…perfetto
per lei.
Non era bello nel senso stretto del
termine ma emanava fascino e mistero da tutti pori…e doveva essere terribilmente romantico! Quelli così sono sempre
romantici…o stronzi fino al midollo, rettificò
subito annuendo.
Quella piccola considerazione fu
platealmente sospirata dalla donna che camminava spedita nel corridoio.
Era attraente come l’acqua fresca
nel caldo torrido del deserto e quando si erano presentati, le dita erano
andate inspiegabilmente in autocombustione.
Doveva essere sorpreso, non capita
tutti i giorni di conoscere una fotografa di cadaveri. Mira l’aveva capito da
come non
le aveva stretto la mano…il che era stato peggio
perché le aveva scatenato la fantasia spenta dai continui litigi col ragazzo.
Nell’ultimo, Abe aveva preso definitivamente il volo,
portandosi via il suo livore per la carriera di climber
interrotta a causa di un ginocchio fallato e facendola respirare nuovamente.
Se si fosse sbrigato a portare via le sue cose, sarebbe stata molto più
larga! Rimuginò acidamente, distraendosi per un secondo dall’immagine
mentale di Bronx desnudo sopra di lei.
Era una tipa che andava velocemente
al dunque, nei sogni!
Sorrise, stringendo un bicchiere di
carta pieno d’acqua del silos trasparente e temette di vederlo emergere da un
momento all’altro dalla porta chiusa.
Riprese il suo percorso quando lo
vide comparire dietro la porta a vetri smerigliata e confusa per essere quasi
stata beccata a sospirare come una scolaretta, esitò sulla direzione da
prendere.
Aveva appena ricominciato a
respirare l’aria non contaminata da quell’individuo ed eccola in procinto di
morire di ipossia. Anche a quella distanza le sembra
di sentire l’odore che emanavano i suoi vestiti: si costrinse
a trattenere il fiato e a restare in silenzio, costringendo i turbinanti nel
naso a creare un muro inodore.
La stava osservando, sentiva i
capelli caderle a ciocche dalla nuca che stava trapassando con quello sguardo
serio e penetrante che aveva notato subito al colloquio.
Si sentiva stordita come se avesse
appena bevuto un alcolico molto forte. Per un’astemia come lei, anche un tè al
limone era troppo.
Ma che c’era in quell’acqua? Si domandò non arrischiando a girarsi
per scoprire se era ancora li, se era fermo, se le stava andando incontro….
Fermò il primo agente che le passò
accanto e con voce tremula gli chiese dov’era l’uscita.
Il panico le aveva bloccato il cervello.
La risposta non fu di suo
gradimento e Mira lo mandò al diavolo, tanta era l’irrequietezza che provava.
Bella
prova!Aveva reagito in maniera infantile ed esagerata e
molto probabilmente l’avrebbero classificata subito come un’isterica
frigida e altezzosa.
Sospirò afflitta una volta fuori: gli
uomini chiacchierano, anche peggio delle donne…si era bruciata tutte le chance
con il suo bel capo!
Play
“Quanto ti ci vuole per farmele avere?”
“Dipende da quanto puoi pagarmi” ridacchiò il negro
sorridendo e mettendo in mostra tre denti d’oro.
Con tutto quello che
guadagna potrebbe farseli cambiare tutti!
Marvin non è per niente felice: la licenza da tassista, la
patente di guida e la carta d’identità false gli costeranno un patrimonio e lui
ha il conto in banca ancora bloccato dalla polizia.
Deve farle, non può rischiare di
viaggiare senza e di essere fermato dalla pula!
“Lo sai che non ho molto al momento. Ti propongo un accordo”
sibila appoggiandosi al bancone di legno rovinato, sbirciando la vetrinola
antiproiettile piena d’armi sotto le sue braccia smagrite “il tre per cento
della prima consegna e il resto al momento della seconda. Ma
mi servono subito. Oggi stesso.”
Abasi lo fissa a lungo senza
parlare. Il ragionamento non fa una piega ma il tre per cento è troppo poco.
“Il 5”
Marvin annuisce di malavoglia, serrando i denti. Non sei furbo, amico. Avresti dovuto
accontentarti di quello che ti offrivo. Ora mi costringi a farti molto male.
“Ripassa questa sera verso l’orario di chiusura”
Marv deve fare uno sforzo per non
far trapelare la scintilla di soddisfazione che gli brilla negli occhi come un
faro del porto.
Si alza dalla vetrinola su cui era appoggiato e individua
subito l’arma che gli occorre. “Mettici quella nel conto” ridacchia come un
matto indicandola con un dito.
Abasi lo fissa
ancora, non ha mai distolto lo sguardo da lui.
“Per difesa personale. Noi tassisti carichiamo
sempre un sacco di matti, la notte” afferma con voce sorpresa, alzando
le mani. “Sono contro la violenza, lo sai”
L’uomo annuisce e posa le braccia lungo i fianchi, il fucile
a portata di mano sotto il bancone.
Marv lo saluta con un gesto
scanzonato e tira su i jeans che sono scivolati
ulteriormente, rinunciando dopo un secondo a farli stare a posto.
Stasera. Come no.
Molte ore dopo, Abasi
lo vede rientrare con passo baldanzoso e la mano già tesa. “Ho un carico in
partenza, adesso manchi solo tu” sibila con un sorriso
sinistro “le hai preparate?”
L’uomo annuisce e le getta sul
bancone velocemente “voglio un acconto entro domani. Il luogo del deposito è sempre lo stesso” borbotta con voce bassa. “Vattene, devo
chiudere”
Marvin le prende, le gira, osserva la foto e i dati. Perfette, semplicemente
perfette. E bravo negraccio!
Sorrise amichevole mentre Abasi si muove dietro il bancone, il fucile posato accanto
alla gamba pronto all’uso.
Marv
sorride un’altra volta e fa un paio di passi all’indietro. “Solito posto, come
no…”
L’uomo lo segue,
finchè non sparisce dietro il pesante portone e giù in strada. Quando lo
vede partire, sospira di sollievo e toglie la mano dal fucile, appoggiandosi
con la vita al bancone, la schiena rivolta verso la
porta.
È psicopatico, è peggior…
Non fa neanche in tempo a finire il
pensiero che qualcosa di molto pesante si abbatte sulla sua testa, facendolo
svenire. Marvin lo colpisce più volte finchè non è sicuro di averlo ucciso e
solo dopo avergli ridotto il cranio ad una pozza sanguinolenta si dichiara
soddisfatto.
“Non lo vuoi il mio tre per cento?!
Vaffanculo, allora” sibila trattenendosi dallo sputare sul cadavere.
Fa qualche passo indietro, il ramo
dell’albero che ha usato per ucciderlo posato sulla spalla, rischiando di
sporcarsi di sangue.
“Potevi prendertelo quel tre per cento, coglione!”
Capitolo 5 *** Scene 4: LM sgomberi specializzati ***
C’è un palazzo molto alto, in una città di palazzi alti
C’è un palazzo molto alto, in una città di palazzi alti.
In quel palazzo c’è un appartamento sfitto che aspetta
solamente che qualcuno ne rivendichi il costoso possesso.
In realtà l’appartamento appartiene ad una persona che in
questo momento sta valutando il bilancio patrimoniale dell’anno. In terra,
seduto sul pavimento freddo di marmo di Carrara che gli è costato un
patrimonio.
Non ha bisogno di controllare il budget, perché lo fa
spesso, con un ossessione quasi maniacale.
È in attivo, molto
bene. Ma potrebbe andare meglio.
Nell’appartamento c’è solo un telefono in terra, l’uomo è seduto
accanto ad esso e sta sfogliando una cartellina piena
di numeri telefonici.
I suoi dipendenti sanno sempre quale affare proporgli, sanno sempre cosa può stimolare la sua fantasia.
In quel momento c’è un affare che non può lasciarsi
sfuggire.
Il Nero tira sempre parecchio, ne avrebbe bisogno per incrementare le entrate di quel
mese.Si sa, Novembre non è mai un mese
dei migliori per fare incassi, c’è la Festa del Ringraziamento
e Natale vicino…i suoi clienti hanno bisogno di festeggiare alla grande,
non può deluderli.
Solleva la cornetta dopo aver trovato quello che cercava.
L*** M*** sgomberi specializzati
Svuotiamo soffitte, appartamenti
e cantine. Prezzi modici e convenienti.
Disponibilità immediata.
L’uomo stringe gli occhi sull’ultima frase: quella è la
parte che gli piace di più.
Disponibilità immediata.
Compone il numero velocemente, girando la vecchia ghiera dai
numeri impolverati.
Tre squilli.
“Si?”
“Parlo con il signore M***?”
L’uomo sorride al nulla e batte un dito sul dossier. “Avrei uno sgombero urgente da fare, è una cantina piuttosto
semplice da ripulire. Si, non penso le impiegherà più
di una giornata. Massimo due. Il viaggio potrebbe essere
difficoltoso, sono dall’altra parte della città. Potrebbe trovare
traffico”
Sta parlando in codice ma il
signore M*** sa benissimo a cosa sta riferendosi.
Resta in silenzio finchè non ha finito di parlare. Detta le
sue condizioni solo quando è sicuro che la persona
dall’altra parte sia sufficientemente seria e determinata.
Guarda la propria agendina scritta in un linguaggio speciale
che conosce solo lui continuando a prendere appunti sulla dimensione della
‘vecchia bicicletta da portare alla discarica’. Scribacchia
in fretta senza farsi ripetere le cose, posando un’occhiata all’orologio. È
quasi fuori tempo limite.
In quel momento il suo cliente lo saluta facendolo
sorridere.
Ha letto bene il
trafiletto.
Il signor M siede con le gambe incrociate sul letto della
propria abitazione, la cornetta ancora incastrata fra il collo e il braccio
destro. Muove la testa lasciandola cadere sul letto e continua ascrivere finchè
non ha finito.
Semplice, neanche si sarebbe sporcato le mani. Piena libertà
d’azione.
Stacca il cavetto del telefono e guarda fuori della finestra
un po’ impolverata.
Avrebbe passato un Natale niente male anche quell’anno.
***
Mira non riusciva a vederlo spesso per via del lavoro. Erano
passati i famosi due giorni e con animo baldanzoso si era recata al
dipartimento col suo pacchetto giallo ocra sigillato
sottobraccio e un sorriso smagliante.
Bronx non c’era e le foto erano state prese in consegna dal
diretto subordinato. Con poca grazia Mira gliele aveva quasi tirate in mano,
guadagnandosi anche la fama di scontrosa. Non che gliene importasse molto:
sospirava come un mantice su quell’unica foto che gli aveva
scattato all’improvviso, un tre quarti perfetto che l’aveva fatta
illanguidire nella camera oscura e dopo averla ingrandita e lavorata con Photoshop CS, l’immagine di Bronx era diventata il suo
desktop preferito.
Un bel cappello e una sigaretta in bocca. Mira non sbagliava
poi molto definendolo un diretto discendente di HumpreyBogart. Però più bello.
Bellissimo. Irraggiungibile.
La donna scuoteva la testa e si dava della maniaca. Più la
guardava e più se ne innamorava.
La scadenza per il cadavere numero
due era ormai giunta. Mira decise che avrebbe piantonato quell’ufficio finchè non si fosse presentato il suo ispettore preferito in carne
ed ossa. Solo allora avrebbe lasciato andare il prezioso pacchetto.
Afferrò le fotografie e le mise in una busta nuova,
lasciandola aperta.
Nella confusione mentale che la prendeva ogni volta che
guardava quella foto, non si era accorto di aver inserito la replica più
piccola fra quelle dell’omicidio.
*^*^*
Appoggiata alla parte del corridoio incriminato, la busta
stretta fra le braccia, prende un paio di sospiri prima di bussare.
Le avevano detto che era in sede e
la cosa le aveva causato non poco batticuore. Avrebbe dovuto
sostenerci una conversazione, non poteva ridursi a balbettare come una
demente.
Calma e gesso, s’impose mettendo un piede davanti all’altro. Sollevò la mano
destra e picchiò leggermente la porta con l’indice in fuori, la schiena dritta
e lo stomaco annodato sotto il maglione celeste che aveva messo apposta, perché
secondo Abe le metteva in
rialto gli occhi e la carnagione scura. Abe sarà
stato anche un idiota frignone, viziato e caotico ma ci azzeccava
sempre sulle questioni di vestiario.
“Avanti!”
Mira si bloccò con la mano sulla maniglia e inghiottì,
chiudendo un attimo gli occhi prima di aprire la porta. Tirò indietro una
ciocca con la sinistra e rischiò di far cadere la busta a terra.
Ce la puoi fare, si disse
immettendosi nell’ufficio e chiudendosi la porta col vetro smerigliato alle
spalle. Poteva sentire il cuore batterle in gola mentre
l’osservava. Non aveva neanche alzato lo sguardo, concentrato com’era.
In quel momento Bronx le lanciò un’occhiata quasi accusatoria
e tornò subito al suo lavoro, fermandosi dopo un istante. Le fissò la vita,
salì lentamente fino al seno quasi occultato dalla busta ocra e ci mise un bel
po’ ad arrivare agli occhi.
La bocca posata sulla mano destra, stretta attorno ad una
penna stilografica si strinse e Harvey battè le palpebre un
paio di volte per metterla a fuoco.
Raddrizzò la schiena posando il braccio destro sulla
scrivania e la guardò senza parlare.
“Le ho portato le foto del secondo
omicidio” annunciò con la bocca secca, strappandosi la busta da sotto il
braccio.
Mira restò immobile mentre la
rovesciava sulla scrivania invasa dagli incartamenti, creando una sorta di
macabro quadro iperrealista.
Cominciò ad esaminarle in silenzio, fermandosi
quando vide che restava in piedi.
“C’è una sedia di fronte a lei” biascicò con la bocca
impastata dalla saliva.
Mira gli tirò un ‘grazie’ e un
bacio silenzioso e si sedette con gran piacere: cominciavano a tremarle le
gambe e cadere dai tacchi alti degli stivali non sarebbe stato molto professionale.
Si guardò in giro per distrarsi dall’osservazione prolungata
a cui lo aveva sottoposto e a cui Harvey aveva cercato di non far caso nel
timore di uscirsene con qualcosa di poco gentile ed
educato.
Perché svolgeva lui quel compito? A cosa stavano
lavorando? Quegli incartamenti erano vecchi di anni!
Osservò la tazza vuota di caffè, l’alone scuro che si era
creato sul fondo e si disse che quella mattina non aveva fatto colazione.
La sigaretta che fumava lentamente nel portacenere era stata
appena accesa. Mira se seguì il viaggio fin quasi al
soffitto…se avesse aperto quella finestra
alle sue spalle, non avrebbe fatto un soldo di danno!
Si rese conto che l’illuminazione in quel posto era scarsa e
la scrivania e gli altri mobili mal distribuiti. Non attingeva alla luce
naturale e il bagliore del neon alla lunga rischiava di rovinargli la vista.
Come se le avesse letto nel pensiero, Mira lo vide frugare
nel cassetto e trarre un paio di occhiali da lettura.
Come fa a permettersi
un modello del genere? Si chiese prima di restare trasognata a guardarlo.
Lei adorava gli uomini con gli occhiali!
Dovette lottare per non sorridere e si morse le guance e la
bocca per non farlo. Non così spudoratamente.
“Sta ridendo di me?” lo sentì borbottare alzando lo sguardo
dalle foto e facendola trasalireinternamente.
“No, no” si affrettò a dire colta in
flagrante “mi scusi. Pensavo ai fatti miei” mentì
volgendo lo sguardo altrove.
Prima figuraccia,
avanti con la seconda! Pensò arrabbiata con se stessa.
Bronx la fissò un’altra volta e tornò a sfogliare le foto
lentamente. Quando si concentrò su una in particolare,
Mira lo guardò.
“Alcune sono un po’ forti” ammise piegandosi in avanti e
riconoscendo in controluce la foto del suo capo che era stata
abbellita con il disegnino di un capello ed una sigaretta che penzolava
indolente.
Ommerda! Oddio oddiooddio!
Pensò con il respiro bloccato in gola e le pupille dilatate. Come c’è finita? Come?!!
Bronx la mise da parte e non commentò. “Perfette, quelli
della scientifica si faranno venire un orgasmo di gruppo” ridacchiò
imbarazzato, pensando che l’ultima frase era
terribilmente fuori luogo visto il suo stato d’animo e l’eccitazione che gli
era corsa lungo la schiena quando aveva alzato lo sguardo e l’aveva colta con
gli occhi sgranati e la bocca appena aperta per la sorpresa.
“E’ uno scherzo. Uno scherzo stupido. Mi scusi” la sentì
balbettare in fretta e piuttosto confusa “scusi…”sussurrò guardando la foto
colpevole che era rimasta sola a spadroneggiare sulla
scrivania.
“So stare agli scherzi, a differenza di quello che dicono le
malelingue” la informò per tranquillizzarla.
Come riuscire ad invitarla a cena o a
prendere un caffè senza apparire troppo sfacciato?
“Non so cosa dicono…io non frequento questo posto e non mi
lascio influenzare dalle chiacchiere di corridoio” affermò
recuperando il sangue freddo, allo stesso tempo attenta a non perdersi
in quello sguardo ancora più penetrante del solito. Quell’aria riposata e
rilassata che aveva la mandava ancora più nel panico. Fatti uscire una frase, una qualsiasi.
“L’illuminazione di quest’ufficio è un disastro, la
disposizione dei mobili tutta sbagliata e quella finestra andrebbe
aperta per far circolare l’aria.” Esordì pensando dopo un secondo che era la
cosa più sbagliata da dire: se gli avesse chiesto di fare sesso sulla
scrivania, forse sarebbe andata meglio!
“Prego?” esclamò senza aver ben capito.
“Certo..” Biascicò alzandosi in piedi “non ho un luxmetro
con me, ma posso dirle senza ombra di dubbio che così
non riceve abbastanza luce naturale.” Ripetè indicando la stanza “d’inverno va
bene. È abbastanza lontano dalla finestra e non si congela la schiena, anche se
quel termosifone dovrebbe stare da tutt’altra parte per non disperdere
inutilmente il calore, ma d’estate è tutto un altro paio di maniche! Ci credo
che è costretto a portare gli occhiali. Quella lampada andrebbe cambiata e…”
Mira tacque d’un tratto perché si
accorse che la guardava dubbioso. Mi ha
preso per la solita artista sciroccata!
“Va bene…allora faccia questi cambiamenti” le disse
indicandole la stanza. “E’ tutta sua”
Mira lo fissò aprendosi in un sorriso “davvero? Non sono un
architetto d’interni e questa è la stazione della polizia.”
“Chi se ne frega, il capo sono io” ribattè con un sorrisetto
malizioso che la fece sorridere di più “vuole una tazza di caffè?”
Magari! “Va bene,
grazie” bisbigliò girando su se stessa e mettendosi una mano fra i capelli.
“Torno subito, recupero due o tre cose dalla camera oscura
su di sopra.”
“Il luxmetro?”
Mira rise apertamente “si, quello.”
Bronx la fissò mentre annuiva e si
avvicinava alla porta con la camminata non più rigida come le altre volte.
Pensò che forse era dovuta all’eccessiva tensione a
cui l’aveva sottoposta con la sua analisi microscopica e si concesse un
sorriso.
Al caffè c’erano arrivati.
Da qui all’invito a pranzo per ringraziarla, il passo era
breve.
*^*^*
“Vede, la maggior parte dei luxmetri commerciali utilizza
come sensore una cella al selenio perchè la sua risposta spettrale assomiglia
molto a quella dell'occhio umano.”
Bronx annuì continuando a
fissare il minuscolo apparecchio nero che Mira teneva in mano.
“Le celle al selenio presentano tuttavia l'inconveniente del
cosiddetto "effetto memoria”: in altre parole, il valore indicato può essere
influenzato da misure precedenti. Questo modello è molto buono, è stato utilizzato
un sensore al silicio immune a questo inconveniente.”
Affermò guardandolo con amore. “Quando spendete i
soldi, lo fate proprio bene” gli disse regalandogli un altro sorriso.
Harvey la fissò con uan domanda che si arrotolava sulla
lingua e che non voleva proprio uscire.
“La sto annoiando. Mi tolgo subito dai
piedi, tanto qua ho finito” borbottò un po’ delusa.
“No!” esclamò in fretta facendole alzare
la testa sorpresa “no, è interessante…”
Mira la guardò
con un mezzo sorriso “sta mentendo. So riconoscere i bugiardi”
“Anche io. Forse meglio di lei” le
disse facendole passare in fuoco gelido nelle membra.
La donna inclinò la testa da una parte dandogli una
panoramica niente male del suo collo. “Comunque, ho
finito davvero”
“La donna della mia vita” lo sentì bisbigliare a bassa voce.
Lo vide infilare le mani in tasca, raddrizzarsi dalla scrivania alla quale era
appoggiato e fissarla serio. “Le perdono la foto se viene a cena con me”
No cena! Pranzo! La cena suona
impegnativa, idiota!
Mira annuì contro tutte le sue previsioni, lasciandolo senza
parole.
“Va bene. Allora prenoto”
L’aria scettica che aveva assunto lo mise in allarme “ma
dove? A che ora? E perché?” balbettò in fretta con eccessiva
enfasi.
Alle otto, al ‘Pagliaccio Allegro’. Per ringraziarla della sua disponibilità” si
affrettò a risponderle.
“Mi risulta difficile cenare con
qualcuno a cui do del lei” mormorò ipnotizzata dalla situazione. Non stava
succedendo veramente.
“Harvey” annunciò allungando la mano e ripresentandosi
nuovamente “Harvey Philiph Bronx. Ha
– hai un bellissimo nome…spagnolo?”
“Di mia nonna” affermò avvicinandosi un po’ a lui e
continuando a stringergli la mano.
“E come fa tua nonna senza,
adesso?” scherzò dandosi dell’imbecille per la battuta scarsa.
Mira lo fissò senza averlo sentito. “Mai conosciuta, è morta
quand’ero piccola”
‘L’altezza ideale di una coppia si
stima attorno agli otto centimetri di differenza’
“Mi dispiace”
“Non importa. Quanto sei alto?”
“1,83 centimetri”
Troppo alto…ma chi se
ne frega! Al diavolo le statistiche! Pensò accorgendosi che ancora si
davano la mano. Lo lasciò con delicatezza e alzò l’altra in cenno di saluto,
piegando la destra per non far uscire il calore che si era insinuato sotto la
pelle. “Ci vediamo stasera”
Quanto elegante?
Si domanda davanti all’armadio aperto. Ha effettuato una ricerca mirata eGoogle le ha sputato fuori la sorprendente
verità: il Pagliaccio Allegro è un
ristorante di lusso e ci vogliono mesi per prenotare un tavolo!
Ma come può permetterselo?
Si domanda infilandosi un vestito lungo e nero. E poi dicono che i poliziotti fanno la fame! Pensa tirando fuori le
scarpe e la borsetta.
Il cervello le è andato in tilt quando ha visto lo sfondo
sul computer e ha ricordato tutto d’un tratto con chi stava uscendo.
Di conseguenza ci ha messo un’ora in più per prepararsi.
S’infila in macchina e gira le chiavi costatando con orrore
che il motore non parte. E no! Non me lo
puoi fare, ti prego!!
“Eddai…” bisbiglia alla quinta volta sibilando un “Si!”
quando la macchina decide di muoversi.
Devo portarla dal
meccanico, altroché! Un giorno mi lascerà a piedi in qualche postaccio e…
Il motore borbotta, singhiozza due - tre volte e si spegne
in mezzo alla strada, provocando quasi un incidente.
“Porca miseria!” sbotta riprovando più volte a riaccenderlo
e dando un pugnetto sul volante. “Tu mi odi, dimmelo che mi odi!”
Non ha neanche il numero di telefono per avvertirlo e non ha
pensato di segnarsi quello del ristorante.
Spinge la macchina fino al marciapiede e la lascia lì,
decisa a prendere un taxi.
“Taxi, taxi!” Urla alzando la mano per farsi notare. Ma
cos’è, invisibile?! Arriverà tardi se la snobbano tutti in quel modo!
Quando scatta il semaforo, Mira vede un taxi verde e vuoto
inchiodare allo stop e si precipita dentro come un fulmine.
“Mi porti alla zona commerciale, al numero 30 di East Road.
Di corsa, per favore!” esclama mentre Marvin la guarda dallo specchietto
retrovisore.
E’ sbarcato un carico
di Venusiane in città? Si domanda girandosi e posando il braccio destro
sullo schienale del sedile accanto “Non sono in servizio, signora”
“Ha la luce accesa! Ribatte indicando il tetto “la prego,
l’uomo dei miei sogni è in un ristorante adaspettarmi da dieci minuti buoni, ormai”
Marv la fissa a lungo, mettendola a disagio “L’uomo dei
sogni…”ridacchia partendo. “Non sa di cosa sta parlando”
“Lo so invece” afferma sospirando per l’ansia “se mi ci
porta in cinque minuti le lascio una buona mancia”
Marvin non commenta e non mette la freccia quando dovrebbe.
L’Uomo dei Sogni…lo chiamavano così una volta.
Una volta…tanto tempo
fa…
“Ma stiamo uscendo dalla città! La zona commerciale si
trova…”
Le parole le muoiono in bocca e Mira impallidisce “dove mi
sta portando?” bisbiglia tremando. Ha beccato un pazzo psicopatico la sera in
cui non ha neanche lo spray al peperoncino con se?!
“Le ho detto che non ero in servizio, ma lei non mi ha
voluto ascoltare” cantilena lanciandole qualche sguardo dallo specchietto “la
porto a conoscere il vero Uomo dei Sogni”
****
Harvey batte un dito sulla tavola rendendosi conto che è
stato appena bidonato. Un’ora e mezzo di ritardo…non
c’è altra spiegazione.
Il cameriere si avvicina quando lo vede alzarsi con sguardo
impetrabile “se ne va, signore?”
Annuisce con la gola stretta e sentendosi un vero idiota.
“Si. Il mio appuntamento deve aver avuto un problema” afferma afferrando il
cappotto e andandosene di corsa. Figura del cazzo nel suo ristorante preferito!
Fortuna che non c’era Paolo a …
“Fermo li. Dove vai senza cenare, giovanotto?!”
Harvey inchioda alzando gli occhi al cielo “non è serata,
sono stato appena bidonato dalla donna della mia vita.”
Il cuoco, appena uscito dalle porte a ventaglio della cucina,
lo guarda con il suo grasso sorriso a luna piena “Annabelle?”
“No, un'altra”
“Allora quella giapponese….Isako?”
“Minako. No. Con lei è finita da un pezzo.”
“Julia”
“Ci uscivo al liceo”
“Mhh….Manuelita?”
“Non sono mai usc…te li stai inventando di sana pianta!”
sbotta mentre il cuoco ridacchia e lo trascina via “me li ricordo tutti i nomi
delle tue conquiste! Non mi hai messo al corrente dell’ultima? Vergognati, fare
una cosa del genere a tuo zio!”
“Oddio, ho 38 anni…” borbotta abbassando la testa.
“E allora? Quando tua madre è morta ho promesso di badare a
te, con quello straccio di padre che ti ritrovi”
“Non lo vedo da cinque anni, mio padre!” ribatte rendendosi
conto che l’ha portato nei suoi ‘appartamenti privati’.
Il bagno.
“Te le lavi le mani, dopo? Sennò non ci vengo più qui e ti
mando i NAS” lo minaccia mentre l’uomo anziano sorride estasiato “non sai che
tortura per la mia prostata stare sempre in piedi!”
Ecco, bell’argomento
di conversazione, pensa rimirandosi allo specchio e sentendo lo sciacquone
partire.
“La tua funziona ancora bene?”
“Sono stato appena bidonato, non ho intenzione di
raccontarti di me e della mia prostata! Voglio solo andare a casa a leccarmi la
sanguinante ferita all’orgoglio!” ribatte con voce dura, alzando appena la
voce.
“Modera il tono, ragazzo! Non è colpa mia se non ci sai fare
con le donne: hai preso proprio da tuo padre” afferma chiudendo l’acqua e
asciugandosi le mani sotto il getto d’aria calda.
Ecco, buttiamo benzina
sul fuoco, dai! “Mio padre si è sposato”gli ricorda indicandosi con
entrambe le mani.
“E ha fatto infelice mia sorella”
“Non mi sembra, visto che sono rimasti insieme per 37 anni”
Paolo scuote la testa, raschiandosi la gola “Giulia aveva un
amante e tuo padre neanche se n’è accorto”
Harvey lo guarda sorpreso, a bocca aperta “cosa? Mia madre
non..”
“Certo! Vuoi saperlo meglio di me?”
Bronx è esterrefatto e chiude la bocca in uno scatto secco
“io..”
“Tu sei figlio di quell’inglese spocchioso. E cominci ad
assomigliargli un po’ troppo” lo rassicura non risparmiandosi di tirare una
stoccata al ‘Lord - di - sto - cazzo’
“Come si chiama? La tipetta nuova, come si chiama?” domanda
spiccio con le mani sui fianchi e l’aria nervosa.
“Mira”
“Ed è scura di pelle, immagino”
“Già” annuisce afflitto. Si sente cingere da un robusto
braccio e immediatamente si piega verso lo zio.
“Andiamo a mangiare. Una bella fetta di dolce e vedrai il
mondo sotto un’altra ottica”
“Quella del suicidio” borbotta andandogli dietro di
malavoglia.
***
Mira sta viaggiando con Marv in preda al terrore. Continua a
scongiurarlo di non farle del male e l’uomo sembra sempre più infastidito.
“Sta zitta o ti sparo” sibila, mostrandole la pistola e
facendola schiacciare contro il sedile del passeggero.
L’ha trascinata davanti a forza e lei non ha opposto
resistenza, inchiodata dalla paura.
Tace mordendosi le labbra esangui e guarda davanti a se.
“Dove mi sta portando?”
“Zitta. In quale cazzo di lingua te lo devo dire?” sibila
scoccandole un’occhiataccia maligna.
Mira registra i particolari in fretta. Occhi scuri, capelli
castani, quasi neri. Magrezza eccessiva. Sarà
malato? Magari è un pazzo terminale che ha svalvolato perché ha l’Aids! Pensa
ritirandosi su se stessa.
“Mi sa che il tuo ‘appuntamento’ se l’è presa” ridacchia
indicandole l’orologio. È quasi mezzanotte.
Mira non si fida a distogliere lo sguardo e sente le
palpebre sempre più pesanti. Come fa ad avere sonno con tutta l’adrenalina che
le scorre in corpo?! “Mi sa di si” ammette con un filo di voce.
“Che lavoro fai?”
Mira è quasi tentata di dirgli la verità, poi preferisce
tacere “la cameriera” sussurra osservando la strada. L’interstatale…dove la stava portando?
“E lui?”
“Lavora con me”
Marv ridacchia mettendole i brividi. Quando lo vede
allungare la mano verso il vestito, sbianca completamente.
“Un vestito del genere non può permetterselo una semplice
cameriera”
“Me l’ha prestato un’amica” mente nuovamente cercando di non
urlare.
Il tessuto sale un po’ e rivela le gambe calamitandogli lo
sguardo sulle calze che le avvolgono.
Mira lo osserva ad occhi sgranati, strillando quando inchioda
e scende dalla macchina in fretta facendo il giro e tirandola fuori per un
braccio.
“No, no! Smettila, non mi toccare!” urla cercando di
allontanarlo.
“Cristo, quanto sei bella…” sibila terrorizzandola
“bellissima”
Mira lo sente avvinghiarsi a lei, sente il vestito spostato
e il freddo attorno alle gambe “no…ti prego..”
Marv la stringe troppo forte, le labbra incollate sul suo
collo, una mano sul seno “da dove sei uscita, da un sogno?” bisbiglia
sentendola immobile “abbracciami o ti spezzo un dito dopo l‘altro”
Mira si affretta ad obbedire con gli occhi lucidi “per
favore…lasciami andare…”
“Dopo. Forse.” Borbotta mordendola e facendole male “che buon
profumo, una cameriera non può permettersi un profumo del genere”.
Le stringe il seno facendole male, l’altra mano che
s’insinua sotto il cappotto.
“La fotografa….faccio la fotografa” ammette terrorizzata “mi
fai male!!” urla cercando di spingerlo via e rimediando solo di essere sbattuta
con violenza contro il fianco dell’automobile
“Non me ne frega un cazzo. Sta buona. Se fai la fotografa,
dov’è la tua apparecchiatura?”
“A casa!” Urla sbigottita “sta a casa, stavo andando a cena
con l’ uomo dei miei sogni, non a lavoro! Grazie a te non vorrà vedermi mai
più!”
“Sono io l’Uomo dei Sogni. Chi è quell’idiota che si spaccia
per me?”
Mira lo guarda fra le lacrime. È pazzo?!
“Avanti, chi è? Un tuo amichetto che pensa di potermi
fregare il territorio mentre sono via?!”
Mira si accorge che l’ha lasciata, che sta straparlando e la
guarda stralunato.
“Non è nessuno. Lui è….uno qualsiasi” bisbiglia con la gola
stretta.
“Puoi bene dirlo, bella mia” ridacchia facendo qualche passo
all’indietro. “Solo io sono l’Uomo dei Sogni: non c’è nessuno oltre a me! Sono
unico, sono indispensabile come l’aria che respiri, sono il Re di tutti gli
sballati cocainomani che bazzicano nel raggio di mille chilometri. Devono tutto
a me! Tutti i loro sogni e i loro incubi…sono io che glieli concedo in cambio
di un piccolo compenso per una felicità che dura molte ore.” Afferma girando su
se stesso, senza mai staccarle gli occhi di dosso.
“E quando non ne hanno più, quando il bisogno di sognare
ancora e ancora è pressante, è a me che si rivolgono…all’Uomo dei Sogni” bisbiglia
inchinandosi e facendo il gesto di togliesi un cappello immaginario dalla
testa.
“Le luci si spengono e il sipario cala. Gli applausi a dopo.
Il Re non concede repliche stasera”
Mira l’ha guardato tutto il tempo a bocca aperta, gli occhi
sgranati, senza pensare minimamente a scappare. È …folle…è fuori di testa!
Marvin si avvicina col viso cupo e la guarda con un ghigno
perverso “il Re ha trovato qualcosa di meglio da fare, questa sera” sussurra
sul suo viso afferrandola per la nuca e stampandole un bacio sulla bocca.
Mira lo lascia fare perché ancora non si è ripresa dallo
spettacolo shockante. Quando la lascia si accorge di stare sorreggendosi con le
mani al cofano tiepido.
“Sali in macchina, abbiamo ancora molta strada davanti a noi!”
le intima guardandola di traverso, gli occhi che si staccano a fatica dal suo
seno.
“Tranquilla, sono una brava persona” la prende in giro
soffocando una risatina stridula.
“Insomma, lei mi fa : ‘l’illuminazione di questo posto è tutta
sbagliata, la lampada da tavolo non fa luce a sufficienza, il t
“Insomma, lei mi fa :
‘l’illuminazione di questo posto è tutta sbagliata, la lampada da tavolo non fa
luce a sufficienza, il termosifone è stato montato su una parete a caso..”
Paolo sbuffa, mezzo sbracato su tavolo come Harvey “una vera
rompipalle”
“Scherzi, mi ha dato modo di farla restare lì più a lungo!”
afferma infilandosi in bocca una cucchiaiata di budino al crème caramel “buonissimo, eccellente”
“Ci credo….e poi?”
Harvey ingoia un’altra cucchiaiata e si raddrizza appena “allora
le chiedo se le va di venire a cena con me per ringraziarla di avermi spostato
quei mobili orrendi e lei dice di si. E poi mi chiede quanto sono alto”
Paolo lo guarda tirando indietro la testa, sorpreso “e
perchè?”
“Che ne so.”
“Strana ragazza” mugugna afferrando un’altra porzione di
crème caramel dal frigo e mettendogliela davanti.
Bronx allunga le mani, rifiutando. “Basta
grazie, sono pieno.” Batte i palmi sulla giacca e aggrotta le
sopracciglia. Ah già…le aveva lasciate a casa.
“Mica ti sarai rimesso a fumare?”
lo fulmina lo zio con aria omicida.
“Chi io? Non so di che parli” ridacchia nervoso mentre Paolo
si addossa allo schienale della sedia. “L’hai chiamata?”
“No, non vedo perché dovrei farlo” ammette con aria nervosa.
“Dio, che nipote stupido che ho!” sibila alzando gli occhi
al cielo “e se li fosse fermata la macchina in mezzo
alla strada?”
Harvey alza le spalle seccato “Non
penso proprio. Zio, non funziona più come hai tuoi tempi! Le donne ormai sono
infide e calcolatrici, tirano colpi bassi quando meno
te l’aspetti, giocano con i tuoi sentimenti neanche fossero ad una partita di
bowling e ogni scusa è buona per…”
“Sono sempre state così, figliolo.”
Ridacchia scuotendo la mano: il nipote che si accalora è una vera novità…e meno male, qualcosa da Giulia l’ha preso,
allora. “ E se l’avessero aggredita?”
“Ma se ci sono poliziotti a tutti gli ang..” S’interrompe pensando che si, i poliziotti ci sono ma i
crimini continuano indisturbati. “Faccio una telefonata” mugugna allontanandosi
un po’. Ha solo il suo numero di casa, scovato facilmente dal curriculum
depositato in archivio.
La segreteria scatta e Harvey riattacca senza dire una
parola. Non c’è.
Guarda lo zio con aria pensosa “è uscita”
****
“CADONO TUTTI I RE DEL MONDO, SALTANO IN UN
GIROTONDO...PERDONO SOLI CONTRO IL MONDO, RIDONO… IL MATTO, IL
VAGABONDO!”
Perché urla così?! Mira è terrorizzata e non accenna a staccargli gli
occhi di dosso. Marv ha deciso che la canzone della
radio gli piace e ha cominciato a cantarla a squarciagola.
Improvvisamente stacca l’audio e la guarda “non sei di
compagnia”
“Mi dispiace” sussurra in fretta cercando di non
innervosirlo “come ti chiami?”
Lui la guarda per qualche secondo e Mira pensa che la
ucciderà seduta stante
“Marvin. OMarv”
“Ok…hai sempre fatto il tassista?”
“Ho fatto un sacco di lavori” afferma con un sorriso. “Ma
questo mi piace un sacco, mi da la possibilità di
conoscere un mucchio di persone. Persone interessanti. Come te” afferma con un ghigno
sinistro.
Distogli l’attenzione
da te, si urla annuendo ferocemente “si, immagino. Quanti
anni hai?”
“Tu quanti ne hai?” continua guidando nel nulla: la notte è
scura senza stelle e Mira è stanca e ha un bisogno urgente di andare in bagno.
“27…Marv, non ti chiederò dove stiamo andando ma devo…devo andare in bagno” sussurra impicciandosi
con le parole.
Immediatamente il taxi inchioda e Mira è costretta a mettere
le mani avanti per non sbattere contro il cruscotto.
Le fa cenno di scendere e la donna si affretta ad obbedire.
“Come sua maestà ordina” ridacchia indicandole il nulla
assoluto. “Sbrigati!”
Mira lo fissa a bocca aperta e si domanda se la controllerà
“va bene. Ma sii cavaliere e girati” ridacchia con
voce stridula sistemandosi dall’alto lato della macchina. Lo sente ridere a
lungo e la paura le blocca la vescica.
Quando ha finito, si rimette a
posto il vestito velocemente, mezza congelata e alza la testa ritrovandoselo di
fronte.
Mi ha guardato?! Quando…non l’ho visto muoversi! Pensa allarmata
spostandosi di qualche passo.
“Hai delle gambe stupende” sussurra avvicinandosi “fammele
vedere”
“Non è carino, siamo solo alla prima uscita” balbetta
impaurita abbozzando un sorriso tirato e scostandogli le mani dalla vita e dai
fianchi “No. No, Marvin. Smettila!” urla d’un tratto
sentendo di nuovo il gelo che le avvolge la pelle.
Un dolore acuto alla mano che le ha afferrato,
la fa strillare “smettila? A me? Al tuo Re?” bisbiglia avvicinandosi al volto,
il succhiotto che le ha fatto sul collo che le
scurisce la pelle. La bacia con forza, facendola divincolare. Le torce un
braccio dietro la schiena finchè non si muove più e il petto sussulta per i
singhiozzi strozzati.
“Ti sto portando con me, ti ho accontentata
quando me l’hai chiesto e tu continui a dirmi di no?”
Mira non si muove, lo sguardo fermamente puntato a terra. I pazzi vanno assecondati.
Alza la testa e sorride con difficoltà “hai ragione Marv, scusa. Posso darti un bacio per farmi perdonare?”
Lui la guarda a lungo avvicinandosi di tanto in tanto “stai
cercando di fottermi?”
“No” replica in fretta accarezzandolo con la mano libera.
“Ho voglia di baciarti..” Pensa ad altro, pensa ad altro! S’impone mentre gli fa
abbassare la testa, pensa che sia Abe…o Harvey…
L’immagine di Bronx non l’aiuta. Per fortuna l’uomo la
stacca da se e la guarda arrabbiato, puntandole un dito in faccia. “Tu sei
matta, hai qualcosa che non va”
Io, eh? Pensa
inviperita sforzandosi di non aprire bocca.
“Sali in macchina. E se tenti di fottermi,
ti fotto io per primo” l’avverte spingendola dentro e facendola respirare di
nuovo.
“Fortuna che siamo quasi arrivati…sempre a me capitano le
sciroccate!”lo sente bisbigliare mentre
mette in moto.
Fanculo! Pensa
arrabbiata dicendosi che in quella direzione c’è solo una cittadina sperduta.
Avrebbe trovato sicuramente aiuto.
Doveva trovarlo!
****
La Chrysler blu vagamente
impolverata li segue da quando hanno lasciato la
città. Il suo occupante ha appena riposto il potente binocolo rubato in
un’armeria militare e ha rimesso in moto, sempre tenendo una distanza di
sicurezza quando li ha visti ripartire.
Gliel’aveva detto che era psicotico ma
non immaginava che avrebbe rapito una donna!
Figlio di puttana senza Dio. Vedi che succede a fidarsi degli avanzi di galera
come Marv? Ancora non l’aveva violentata e la cosa
era molto strana. C’era andato vicino due volte, ma chissà come mai quella
donna era sempre riuscita a scamparla.
Sospirò infastidito mentre spingeva la chiamata rapida nel vivavoce del cellulare. “Sono io. Ha rapito una donna.”
Attese la risposta e non si stupì “Vi serve?”
Guardò il telefono e sorrise ampiamente “me ne occupo io”
Gonfiò le guance e sbuffò un po’ di volte per gioco, aprendo
la valigetta sul sedile del passeggero. Dentro si stagliava l’ultimo modello di
fucile SniperSako TGR, un
gioiello costruito apposta per i tiri di precisione a lunga distanza. Lo
usavano molti enti governativi…e lo usava lui!
Fece schioccare la lingua e lo rimise a posto. Pistole ad
azione singola e un bel coltellino svizzero multiuso che usava per aprirsi la
birra, popolavano il cruscotto ermeticamente chiuso.
Decise che avrebbe seguito gli ordini a metà. Se quello era un gran coglione, perché doveva andarci di
mezzo quella poveretta?
Lo mando a chiedere
l’elemosina all’Inferno se prova a rompermi i coglioni!
***
“Aiutami a scaricare quella roba!”
Mira annuì in fretta e prese un pacco fra le braccia,
domandandosi quanto pesasse. C’era droga dentro.
L’aveva capito quando si era presentato in quel macabro balletto.
“Non hai freddo vestita così? Ho dei
vestiti pesanti in quella sacca” le disse comparendole davanti
all’improvviso.
“No. grazie. Sto bene” mentì con il naso rosso e il pacco
che pesava “dove devo metterlo?”
“In terra. Stanno arrivando. Non una parola e se te lo
chiedono tu sei la mia amorevole fidanzata” la prese
in giro con un ghigno cattivo, accarezzandole il viso. Mira lo lasciò fare
domandandosi che sarebbe successo dopo.
L’avrebbe uccisa? Certamente. Violentata come minimo.
Quando vide la macchina comparire
in lontananza, Mira pregò tutti i santi che conosceva. Ed
erano pochi perché non era mai stata una fervente cattolica e non ci credeva
poi molto.
Si torse le mani a lungo, quando vide scendere tre persone
dalla Cadillac nera e impolverata che aveva visto giorni migliori. Tre uomini, tutti con brutte facce che la scrutavano sorpresi.
“La mia ragazza ha insistito per accompagnarmi” esordì con
un sorriso smagliante “come negli accordi, datemi il denaro”
“Prima controlliamo la merce” affermò quello più grosso,
strizzato in un bomber verde militare. Estrasse un temperino dalla cintura e
tagliò il nastro dei pacchi marroni, stracciando la carta e rivelando tanti
soffici cuscini bianchi.
Mira s’impose di guardare da un’altra parte con aria
annoiata.
Il secondo fece un buco minuscolo e intinse il dito nel
panetto. Esitò e la guardò. “Prima le signore” affermò porgendolo verso Mira
che girò la testa sorpresa.
Marv la fissò con odio e la
trascinò davanti al tipo più smilzo.
“No...grazie. Io non uso quella roba, sono
ancora ferma alle canne” affermò la donna con aria scherzosa.
“Un momento buono come un altro per cominciare, amore” le
sibilò strizzandole il braccio e facendola quasi gemere. I tre uomini si
guardarono e quello di fronte a Mira ritirò il pacchetto. “Che
storia è questa?” domandò con voce alterata. “Chi cazzo è questa troia?!”
“Una puttana che sta facendo un sacco di storie!”
Marvin è fuori di se e non esita a spingerla avanti “avanti,
amore”
Mira li fissa a turno tremando, non vorrà mica che assaggi
quello schifo? Non si è mai fatta neanche una canna in vita sua, figurarsi se
adesso si metteva a sniffare Morte in polvere!
“Piantiamola con questo casino”
La donna gira la testa sul terzo componente
della banda che non aveva ancora mai parlato. “Visto che la roba è tua, l’assaggi tu” borbotta rivolto a Marv
che accenna un sorrisetto,
“Sai che dispiacere” soffia fra i denti prendendo il
pacchetto.
Mira lo osserva senza battere le ciglia. Era pazzo da
lucido, ora che gli sarebbe successo?
Magari diventava normale, pensò
in un lampo di speranza. O magari ci lasciava la pelle, il che era ancora meglio.
Marvin continua a parlare tranquillamente, alternando
sprazzi di risate stridule a discorsi bizzarri che non avevano niente a che
fare con la situazione.
Sembrava una scena tarantiniana e
lei non ne poteva più di starli a sentire cianciare di sport e donne.
Si ritirò sempre più verso il taxi, un centimetro alla
volta, decisa a rubargli la macchina: le chiavi erano appese dentro e non le ci
sarebbe voluto molto a mettere in moto e filarsela.
“Dove stai andando, gattina?”
Accidenti a te!
“Da nessuna parte” rispose seccata e con evidente disprezzo. Marv sembrava normale: la
droga non aveva fatto effetto?
Lo vide salutare i tre che accennarono appena una risposta e
si diresse verso di lei con passo malfermo e il volto scuro. Quando
se lo ritrovò di fronte, Mira ebbe veramente paura.
“Adesso facciamo un’altra tappa, gattina” borbottò
spingendola verso l’interno del taxi, facendola cadere sul sedile del
guidatore. Mira si affrettò a tirarsi su perché la situazione non le piaceva
per niente
“Spostati, dai” ridacchiò osservando il vestito che si era
alzato sulle gambe. Più si muoveva e più si sollevava.
Con un moto di stizza Mira lo tirò giù e lo sfidò con lo
sguardo vedendolo rabbuiarsi sempre di più.
Mentre era a metà, con la schiena sulla leva del cambio, lo
vide infilarsi dentro a sua volta, costringendola ad
aprire le gambe quando ci infilò un ginocchio in mezzo con un sorrisetto scemo
che la mandava in bestia.
“Ops, scusa che maldestro” ridacchiò spingendolo più su e
appoggiandosi al volante con una mano e al sedile con l’altro.
Le aveva imprigionato la parte
inferiore del vestito e ora Mira non poteva più muoversi.
Cristo, cristo, cristo! Imprecò fra i denti senza emettere un fiato e
guardandolo svogliatamente.
“Ci facciamo notte?” domandò con lo stesso tono che avrebbe
usato per domandare il prezzo di un vestito.
“No, pensavo di fermarmi in un bel posto, per questa notte”
le rispose senza smettere di guardarle le gambe “tira su quel vestito”
“Non posso…” ammise sempre più inquieta “Marv togliti, ho la leva del cambio infilata nella colonna
vertebrale!” esplose ad alta voce scuotendolo dal suo torpore.
Lui la guardò e non emise un fiato, dandole la possibilità
di tornare finalmente al suo posto.
Brutto bastardo te la faccio pagare, te la faccio pagare appena possibile! Si ripromise mentre l’uomo scivolava al volante e metteva in
moto.
***
Il signor M abbassò il fucile che aveva tenuto premuto per
tutto il tempo contro la spalla, l’occhio incollato al mirino e l’indice pronto
sul cane.
Non era corso un solo brivido nei muscoli
mentre lo teneva sotto tiro, e ora sentiva mille formiche che gli
rosicchiavano le braccia e il collo neanche fossero ad una festa privata.
Riadagiò il fucile accanto a se e prese il binocolo seguendo la direzione
del taxi.
Era quasi buio.
Si dirigeva in città per una nuova consegna.
Avrebbe pernottato da qualche parte trascinando quella
poveretta con se.
Il Grasso Peri le scoccò
un’occhiata d’ammirazione e lascivia insieme e Mira non emise un solo gemito.
Continua a pensare, a ponderare, a cercare modi per
liberarsi di quel pazzo furioso. Aveva escogitato un giochetto semplice che le
sarebbe equivalsa la libertà o una pallottola in testa: nel momento in cui
avrebbe scaricato la merce, si sarebbe infilata in macchina alla velocità della
luce e sarebbe scappata.
Semplice, funzionale…
e secondo la legge di Murphy:
se qualcosa può andare storto
lo farà, si ricordò con un mezzo sorrisetto sarcastico che Marv non vide, troppo concentrato a trattare col Grasso
Peri che non le levava gli occhi di dosso.
“E per lei quanto vuoi?”
“Non sono in vendita!!” esplose
adirata e indignata “schifoso, grasso maiale, non mi lascerei toccare da te per
tutto l’oro del mondo” sbottò guardandolo fisso e trattenendosi dal fare una
faccia ancor più disgustata.
“Cristo, finiscila!” borbottò Marv
annoiato, come se non l’avesse sentita “ha le sue cose, non farci caso”
Mira era il ritratto dello stupore e quasi scordò il suo
piano. Mentre contrattavano sul prezzo, si infilò nel
taxi e accese il motore sbuffando gas di scarico su di loro che li fece tossire
abbondantemente.
Si chiuse dentro e lanciò un’occhiata allo specchietto
posteriore: Marv si stava avvicinando con aria
minacciosa, visibilmente seccato dalla presa di potere.
Si aggrappò al finestrino semiaperto nel momento in cui Mira
faceva marcia indietro, maledicendo il vicolo stretto e buio in cui si erano
infilati e rischiò d’investire il Grasso Peri, cianotico
in volto per le esalazioni che aveva respirato troppo a lungo.
Mira lo vide con la coda dell’occhio: preparò una gomitata
che andò a piantarsi nel vetro, riducendolo in frammenti e schizzandole in
faccia una pioggia trasparente e pericolosa che la costrinse a chiudere gli
occhi per non essere ferita.
La macchina sbandò e andò a schiantarsi contro il muro. La
bassa velocità la salvò dal rompersi il naso contro il volante, ma non le
impedì di spaccarsi il labbro contro di esso.
“Che cazzo credevi di fare, eh? Che
cazzo credevi?!” Urlò come un pazzo tirandola fuori
dal taxi e facendola crollare a terra.
Miriadi di minuscoli taglietti le costellavano il viso e
Mira temette di essere rimasta sfregiata, per il gran dolore che sentiva sul
mento e la rendeva insensibile e intontita. Il sapore del sangue l’informò che
era riuscita a provocarsi un danno consistente.
Essere strattonata e rimessa in piedi in quel modo non l’aiutò e neanche il gran ceffone che la mandò a sbattere
contro il muro fu utile per riprendersi.
“Adesso sali la dentro e te ne stai buona e zitta! Mi hai
capito?!”sibilò o meglio, sputò sul suo viso centrando
qualche punto imprecisato della confusione che sentiva in testa.
Annuì o pensò di averlo fatto e Marv
la trascinò dentro e le tolse le chiavi con un gesto violento.
“Stavamo dicendo?” borbottò al ciccione che aveva osservato
tutta la scena ed era rimasto a bocca aperta.
***
Il signor M si staccò dal muro che lo celava alla loro vista,
riponendo sotto la giacca la pistola che aveva tenuto
stretta in pugno per tutto il tempo.
L’aveva visto? Quando era passata a
quella velocità, l’aveva registrato, anche solo con la coda dell’occhio?
Si allontanò di molti passi e frugò in tasca tirando fuori
un piccolissimo trasmettitore. La pulce magnetica che aveva lanciato sul taxi
mandava un vago borbottio, all’inizio indistinguibile.
Alzò il volume, attizzò le orecchie e lo guardò come se
dovesse rivelargli qualche immensa verità.
>>Ti ammazzo…ti ammazzo…non so come, ma lo faccio…<<
Il signor M si concesse un vago sorriso, quando sentì che la
donna non piangeva e non si lamentava.
Brava, aveva fegato.
Gliene sarebbe servito molto.
***
Il motel è qualcosa di così squallido
e malfamato che Mira non può fare a meno di sentirsi male.
Avrebbe aspettato che si fosse
addormentato e poi sarebbe scappata, pensò mentre la spingeva verso
l’interno e poi su per le scale luride, di legno scheggiato.
Uno scarafaggio corse velocemente in un anfratto e Mira ridacchiò
pensando che se l’avesse ritrovato nel letto, sarebbe stata
compagnia migliore di Marv; l’uomo non dava cenni di
stanchezza e la strattonava con forza.
La lanciò all’interno della stanza e sbattè la porta con
violenza. “Spiegami la scenetta isterica, signorina”
Mira recuperò l’equilibrio con difficoltà la testa che le
girava ferocemente per il dolore “non mi piace la tua compagnia” mormorò
restandogli bene lontano.
Si guardò fugacemente attorno per riuscire ad individuare un
oggetto contundente, ma a parte qualche mobile scassato non c’era nulla che
potesse servirle.
Sbattè gli occhi guardando il letto e ingoiò il terrore e le
lacrime; lo fissò, mentre scuoteva la testa e le spiegava che ‘non poteva
comportarsi così durante l’orario di lavoro, che non poteva farlo altrimenti
sarebbe stata costretto a farle del male e lei non voleva che le facesse del
male, vero?’
“Ne farei volentieri a meno” mormorò avvicinandosi alla
finestra.
“Mah…secondo me ti piacerebbe. Sei piuttosto strana”
Cadere di sotto e
frantumarsi la testa non fa parte dei miei piani, ma sarebbe
stato sempre meglio che…
Mira captò la frase con un attimo di ritardo. Troppo
ritardo. Si voltò appena, il sangue ghiacciato nelle vene che non scorreva più.
“Cos… lasciami!” urlò d’un tratto
facendo allontanare l’auricolare dall’orecchio del signor M.
Una pulce gliel’aveva piazzata anche nei vestiti e lei
neanche se n’era accorta, pensò arrampicandosi quasi fuori della finestra e
mettendosi comodo a spiarli.
Quello che succedeva non erano affari suoi. Lui doveva
tenere d’occhio il carico ma quella poveretta non
meritava un trattamento simile.
Chiamò il suo committente velocemente, la prima telefonata
da molti giorni a quella parte.
“Sono io. No, non ho ancora sgomberato la cantina” mormorò tenendo d’occhio la lotta che stava svolgendosi
nella stanza di fronte alla sua.
“Il vecchio sacco da boxe sta perdendo sabbia e quell’armadio
m’intralcia il lavoro. Mi sta infastidendo, posso
sbarazzarmene?”
Ascoltò la risposta aggrottando la fronte. Poteva sentire
Mira urlare dall’auricolare che aveva appoggiato accanto a se.
“Va bene, lo trascinerò in fondo
alla stanza. Per ora.” Sottolineò nervoso.
Afferrò la valigetta e uscì dalla stanza.
Cambiò la camera allungando un bel centone al gestore che
restò a bocca aperta e gli consegnò le chiavi di una stanza accanto a quella
dei due ‘lottatori’; salì rapidamente le scale, sostò nel corridoio per ascoltare
i rumori che facevano e s’infilò dentro lanciando la valigetta sul letto, guardando
la parete.
Quel tipo lo infastidiva.
Parecchio.
Aprì la valigetta e tirò fuori il fucile montandolo
lentamente, sempre guardando la parete, stavolta con un ampio sorrisetto
stirato.
Afferrò un fonendoscopio e lo appoggiò al muro studiando
attentamente le onde sonore.
Prese il fucile e poi la pistola, soppesandole entrambi.
Fece una smorfia, sollevò le spalle e lasciò cadere la seconda nella fondina.
Appoggiò la canna nera del fucile alla parete e aspettò.
E sorrise nuovamente.
***
“Marv… ti prego: sta calmo!”
“Sono calmissimo. Sei tu che ti stai agitando” affermò guardandola giacere sul letto, sotto di se.
Metà del suo vestito era andato e una buona parte stava per
prendere il volo…e lei non doveva agitarsi?!
“Marvin non farlo... per favore” lo supplicò in seria
difficoltà.
“Non fare cosa? Ma vuoi toglierti
questo coso di dosso?” esplose cercando di strapparle via il resto
dell’abbigliamento.
“Perché non andiamo a mangiare
qualcosa e poi... magari quando torniamo…” Mira glielo lesse in faccia che non
stava minimamente prendendo in considerazione la cosa.
“No, eh?” balbettò cercando di sgusciare via: era saldamente
bloccata sotto di lui, come faceva a scappare?
“Ma per favore” ridacchiò facendole
volare un altro pezzo e restando a guardarla. “Porca puttana…” sussurrò
ipnotizzato toccandola quasi con riverenza.
Non toccarmi non toccarmi mi fai schifo lasciami immediatamente!!!
“Marv… ho un buco allo stomaco,
non mangio da giorni.” Singhiozzò sentendolo vagare
ovunque. Prese coraggio, gli afferrò la testa fra le mani e lo guardò dritto
negli occhi “per favore, tesoro. Andiamo a mangiare prima, poi…
quando torniamo… lo faremo tutte le volte che vorrai”
La voce si spezzò e incrinò in vari punti, mentre lo
supplicava e lui la guardava, ma non era sicuro che la stesse
ascoltando. Cristo, le faceva schifo averlo così vicino, ma dove a farlo.
Lui annuì più volte, imbambolato e Mira lo lasciò dopo un
po’ sorridendogli e continuando ad ingoiare le lacrime.
“Torno subito…faccio un salto al bagno…a lavarmi la faccia”
sussurrò alzandosi e afferrando il cappotto per coprirsi.
Il signor M abbassò il fucile ed emise un gemito
d’incredulità. Era riuscita a fermarlo anche quella volta. Ma come faceva? E che aveva nel cervello quell’essere?
Si spostò dal muro, tornò all’auricolare e lo infilò. Niente…quando le aveva strappato il vestito,
probabilmente era saltata anche la pulce, pensò sempre
più seccato posando il trasmettitore.
Poi guardò la finestra e si diede dell’idiota per non aver
pensato alla soluzione più semplice.
Si issò fuori dopo essersi tolto
giacca e scarpe e si avvicinò alla finestra della camera strisciando sul
cornicione.
S’inchinò e ascoltò l’acqua scorrere a lungo, sentendola
piangere. Chinò leggermente la schiena e la testa, cercando di non cadere e la
vide rannicchiata su se stessa, le braccia abbandonate sul lavandino, il viso seppellito
nel mezzo.
Il signor M guardò il vestito fatto a pezzi che doveva essere stato un gran bel vestito all’inizio,
elegante, da serata speciale.
Magari se l’era messo per andare a cena con qualcuno, magari
l’aveva messo per il primo appuntamento….
La vide tirarsi su di scatto, ravviarsi i capelli e sciacquarsi
per l’ennesima volta le guance, cercando di non piangere in quel modo
straziante.
Ha gli occhi azzurri,pensò mentre
tornava nella stanza e riponeva il fucile nella valigetta dopo averlo smontato
in fretta.
Ha gli occhi azzurri,pensò mentre
si mascherava velocemente, dopo aver tratto dalla seconda valigetta tutto
l’occorrente ed essersi cambiato i vestiti.
Dopo quella notte, si raccontano strane cose al Drunken Bulldog
Dopo quella notte, si raccontano strane cose al Drunken Bulldog.
Si dice che la serata non era stata male, un po’ più fredda del solito, ma
dopotutto stava entrando l’inverno, che ci si poteva aspettare.
Si dice che Molly, la starlet principale del locale, avesse sbancato le
tasche dei clienti con un’esibizione più hard del solito e che le
cameriere non avessero fatto altro che distribuire birra e superalcolici in
quantità industriali.
E fin qui tutto regolare.
Ma si racconta anche che c’erano degli strani tipi che si aggiravano la dentro,
una donna dall’aria stanca e gli occhi azzurri grandi come laghi invernali,
accompagnato da un uomo in evidente stato d’alterazione.
C’è chi dice che la donna fosse terrorizzata dallo stargli accanto, come riferì
Jenny la cameriera che li servì tutta la sera.
Si, sembrava impaurita, come se da un momento all’altro avesse dato di
matto. Secondo me l’aveva costretto a seguirlo.
Si raccontano cose strane al Drunken Bulldog. Come l'irruzione della
polizia, un'azione del tutto inutile e fuori luogo.
Il locale era a posto con la licenza, il personale adeguatamente pagato e in
regola.
Più o meno.
Si dice che la polizia mostrò a tutti gli avventori - a quelli meno ubriachi,
ad essere precisi - la foto della donna e che tutti annuirono e indicarono un
tavolo improvvisamente vuoto.
Si racconta che gli agenti batterono la zona la intorno tutta la notte,
sguinzagliando i cani antidroga che dovettero subito essere rimessi a cuccia
poichè impazzirono per la presenza eccessiva di marijuana e altre delizie
simili nelle tasche dei clienti e si racconta anche che il Perfido
Bluebarry, come lo chiamava la dolce Angeline - questo perché il bastardo le
aveva spezzato il cuore - dopo ore di inutili ricerche, si eresse in tutto il
suo metro e 78 e grugnì che la donna era ricercata e che chi l'avesse vista
doveva riferirlo immediatamente alla polizia. Disse che era stata rapita dal
tipo magro e che quelli di New Orleans se la stavano prendendo a cuore per la
sparizione della loro collega e 'gli avevano smazzato le palle e che non voleva
avere niente a che fare con quella iena di Bronx, se la sua donna tirava le
cuoia e che avrebbero fatto bene ad andarsene tutti quanti a casa dalle mogli a
riprendersi dalla sbornia, se non avessero voluto alloggiare a spese dello stato nelle
prigioni della contea.'
Dopodiché, soddisfatto per essere riuscito a rovinare la festa a tutti, si mise
comodo, ordinò un cognac che, ovviamente, non pagò e tormentò nuovamente la
povera Angeline che aveva ancora un debole per lui. Due moine e la ragazza finì
la serata nel retrobottega in una sessione rovente che non staremo qui a
descrive perchè non fa parte della nostra narrazione.
Quello che ci interessa veramente è sapere come andarono i fatti, cosa successe
alla povera Mira, se riuscì a scappare e Marv la inseguì, se il signor M attuò
il suo lavoro fino in fondo.
Si dice che la vendetta vada attuata a freddo, per gustarla meglio. Si dice che un uomo possa raggiungere livelli tali di crudeltà da far
rabbrividire al solo pensiero.
Chi non lo vide e non lo sentì, non potè capire quale
tragedia si consumò sulla via del motel, quando Marv trascinò via la sua preda
recalcitrante e in lacrime e il signor M li seguì, silenzioso e letale.
Chi non lo vide, ringrazia ancora di essere stato assente.
Chi lo vide, ha ancora gli incubi.
REW
Mira si sforzò d’ingoiare il cibo, anche se il più delle volte rischiò di
strozzarsi. Marv la fissava come un pazzo e continuava ad occhieggiare la
scollatura che s’intravedeva dal cappotto.
Il signor M stava cenando poco lontano da loro. Se si poteva chiamare cena uno
squallido hamburger freddo in quel postaccio da camionisti dove l’aveva
portata!
Uno strip bar.
Il più lurido e misero strip bar nel raggio di chilometri!
Il signor M lo studiava da lontano, occhieggiando la donna che stava sempre più
l’idea di stare per crollare. Era al punto di rottura.
“Perché siamo venuti qui?” domandò con voce tremula buttando giù un altro
boccone.
“Un cliente. Gestisce sto posto, lo rifornisco da anni” spiegò facendo cenno
alla cameriera di portargli un’altra birra.“Eccolo. Resta buona qui, mi sbrigo
in un attimo” ridacchiò dandole un bacio sulla guancia che la fece sbiancare.
Questo è pazzo, pazzo! Diosanto, non ce la faccio più! Pensò sforzandosi di
sorridere sebbene provasse solo un’enorme tristezza.
“Su con la vita, tesoro. Dopo ci penso io a farti tornare il sorriso” le disse
con voce che voleva essere dolce e rassicurante, prima d’andare incontro ad un
uomo piuttosto mingherlino e dall’aria nervosa. E come no?! Pensò cercando di non ridere istericamente. Si prese il viso
fra le mani e massaggiò la fronte, notando con la cosa dell’occhio un tipo che
l’osservava.
Il signor M restò non sorpreso quando si girò dalla sua parte e lo fissò per
qualche istante, tornando a posare gli occhi sul piatto che fu celermente
agguantato dalla cameriera in cambio di un boccale di birra. Una donna carina in un posto del genere non si stupisce se un uomo la guarda,
pensò bevendo un sorso della bottiglia di Ceres davanti a se.
La osservò di tanto in tanto, vedendola sollevare la testa di scatto e
afferrare un tovagliolo di carta che strinse fra le dita. La vide frugare nella
borsetta e cercare qualcosa che non riusciva a trovare. La vide agitarsi,
guardarsi attorno e chiedere timidamente ad una cameriera una penna e
l’indicazione per il bagno.
Nascose il fazzoletto nella mano e si avviò verso di lui, anche se la toilette
si trovava dall’altra parte del locale. Mira finse di perdere l’orientamento,
perché Marv non le toglieva gli occhi di dosso e spiava tutte le sue mosse.
Il signor M la vide sorpassarlo, guardarsi attorno indecisa e lasciar cadere il
fazzoletto ai suoi piedi, tornando immediatamente indietro e infilandosi dietro
una porta dopo averle lanciato un’occhiata che avrebbe spezzato anche una
roccia.
Con indolenza ci mise il piede sopra e lo prese, infilandolo in una tasca dei
jeans. Pagò la birra e uscì dal locale, leggendolo con un certo divertimento.
Mi aiuti, un uomo mi ha rapito. Guida un taxi
verde e trasporta un carico di droga. La prego, trasmetta la targa alla polizia
di New Orleans. Chieda dell’ispettore Bronx!
Mira
Lo rinfilò in tasca e si avvicinò al telefono componendo il numero. Ma si...
un favore poteva anche farglielo. Povera occhioni blu!
*** Ecco, mi servirebbe proprio una mano a sgomberare l’appartamento.
Bronx getta il giornale sulla scrivania, sbuffando e tornando a guardare la
cartina della città chiedendosi se Mira fosse ancora in città oppure… Niente oppure, non c’è oppure, decise smettendo di fissarla e sbuffando
risentito verso i troppi doveri che non gli permettevano di occuparsi del caso
in prima persona.
Sembrava che fosse stata inghiottita nel nulla nessuno l’aveva vista e nessuno
ne reclamava la scomparsa perché la donna non aveva più parenti in vita. Grande zio, sospirò facendo una smorfia e odiando quell’incarico che non
gli permetteva di allontanarsi dall’ufficio, un caso di persona scomparsa non
meritava la mobilitazione dell’ispettore capo e c’erano già tre persone che si
occupavano della sparizione di Mira.
Mezze seghe, matricole che non sanno domandare, non sanno chi contattare e chi…
“Ispettore!! Telefonata anonima!”
L’agente che entrò quasi urlando nel suo ufficio, spezzando bruscamente il filo
dei suoi pensieri e facendogli quasi fare un balzo dalla sedia gli sbattè in
faccia un foglio con un numero sopra “ha telefonato un tipo voce contraffatta,
senza accento particolare. Ha detto che la fotografa è stata rapita da un
tipo..”
La voce si affievolì mentre leggeva il foglio “ ‘da un pazzo che guida un taxi
verde’. Ecco la targa. Ha detto che trasporta un carico di droga e che proviene
da questa città!” finì aspettando ordini.
“Un taxi verde….” Sussurrò cercando di mettere ordine nel marasma di pensieri
che lo stavano sommergendo.
“Potrebbe essere un mitomane, ma altre gente ha visto quel taxi girare per le
strade della città. Ha chiesto espressamente di lei e il suo nome non è stato
divulgato alla stampa”continuò preciso e attento. Sembrava un soldatino di
fronte al plotone d’esecuzione.
Bronx annuì imbambolato. “Scopri se esiste una compagnia che usa un colore del
genere, ricercate la targa alla Motorizzazione” aggiunse in tutta fretta “e
fate parlare qualche informatore”
L’agente lo guardò con aria finta tonta
“Chiamami Skye” ringhiò cacciandolo fuori e tirandosi su le maniche. Così
tante informazioni e nessun luogo in cui cercare…
“Ispettore, dimenticavo la cosa più importante!”
L’agente tornò sui propri passi visibilmente imbarazzato “la città in cui sono
fermi in questo momento: Houma”
Bronx chiuse la bocca e lo guardò in cagnesco “mettetemi in contatto con il
commissariato di Houma. Subito!” sibilò prima di prenderlo per la collottola e
sbatterlo a dirigere il traffico in pieno mezzogiorno al centro della città.
***
La finestra del bagno era sufficientemente piccola da impedirle di passare e
Mira la guardò come se la stesse tradendo. La sua unica via di salvezza aveva
una superficie pari all’unghia del suo alluce! Devo trovare una via di fuga! Adesso! Non posso aspettare, non posso farmi
riportare la dentro! Uscì dal bagno con aria tranquilla, anche se dentro
ribolliva e scattò verso l’esterno del locale, investendo il signor M che stava
rientrando a controllare la situazione. La prese al volo, fermando la sua corsa
e sussurrò solo due parole, stringendola contro di se, come se stesse
rimettendola in piedi.
“Stai calma”
Lo fissò negli occhi e per un secondo fu tentata di aprire bocca, di chiedergli
se aveva telefonato alla polizia, se aveva parlato con Bronx, se… ma lui le
sorrise, lasciandola passare.
Mira si voltò a guardarlo, ma l’uomo non diede segni d’interessamento e si
chiuse la porticina del locale alle spalle, lasciando che un ubriacone la
spalancasse nuovamente per travolgerla.
“Scusa bella” borbottò con voce inesistente prima di scansarla violentemente da
una parte e vomitare l’alcool in eccesso.
“Dove cazzo sei?!”
Quella voce l’avrebbe riconosciuta ovunque! Mira si tirò su e riprese la sua
corsa prima di fermarsi e rendersi conto che non c’era nessun posto in cui
potesse andare. Un’ondata di sconforto la travolse così violentemente che
barcollò, abbassando le spalle e voltandosi nella sua direzione il momento in
cui Marvin le afferrava un braccio, strattonandola contro di se. “Dove stavi
andando, tesoro?”
La donna abbassò la testa e tutte le lacrime che cercava di trattenere da
giorni presero a scorrere, sconquassata dai singhiozzi.
“Che cosa c’è, adesso?!” sospirò con aria annoiata e stanca: la trattava come
se fosse una ragazzina capricciosa e la cosa la mandava in bestia.
Mira lo spinse via, colpendolo più volte sul petto.
“Lasciami! Non mi toccare, lasciami tornare a casa mia!” Urlò più volte facendo
girare i pochi avventori che si avventuravano fuori nel freddo pungente.
Marv l’afferrò saldamente fra le braccia, sentendola scalciare sempre meno.
Mira si fermò, stanca, esausta, con la vista offuscata dalle lacrime e
dalla disperazione.
“Adesso torniamo al motel, così ti coccolo un po’ e domattina starai meglio”
mormorò nel suo orecchio in quella che voleva essere un intento dolce e che
suonò come una condanna a morte con tortura preventiva.
Mira si arrese e annuì. Non m' importa. Dopo mi lascerà stare, pensò
sempre più disperata e svuotata. Magari dopo…
Alzò la testa verso l’entrata del locale.
Il suo ‘aiuto insperato’ li stava guardando con espressione impenetrabile e
distaccata. Mira lo fissò finchè potè, finchè Marv non la spinse via, verso il
taxi verde.
‘Aiutami’ sillabò ancora una volta nella sua direzione. Il signor M continuò a
guardarla in quel modo truce e non diede segno di averla sentita.
***
Appunti Privati
02,15 a.m.
Credete forse che mi divertissi a vederla soffrire in quel modo? Quel tipo mi
disturbava, mi disturbava enormemente, per quello decisi di ucciderlo la notte
stessa. Me ne fregavo degli ordini ricevuti. Dovevo prendere la droga e
uccidere lui, nient’altro.
Ma.
C’è sempre il fottuto ma in mezzo.
La donna.
Mira.
Quella donna stava passando le pene dell’inferno con quel pazzo. Non che la
picchiasse, le aveva dato solo uno schiaffo, ma la cosa bastava a disturbarmi.
E io non sono mai disturbato.
La polizia l’ho chiamata, le ho fatto quel piacere, ma quando arriveranno non
la troveranno più con lui.
Non troveranno lui, il carico, il taxi.
Puff, svaniti nel nulla.
Evaporati.
Sapete che c’è di bello nel fare il killer, a parte avere un sacco di soldi per
un rischio minimo? La bellezza vera è poter disporre di certe meraviglie
introvabili sul mercato; basta avere i contatti giusti, gli amici e i debitori
giusti.
I debitori sono quelli che mi piacciono di più.
Tutta quella bella attrezzatura che avete visto sparsa in camera mia, è frutto
di un piccolo scambio.
Un’ esistenza contro una rifornitura a vita d’armi militari.
Li sto seguendo in macchina, quel coglione non si è accorto che lo pedino da
giorni, che abito dall’altro lato della sua parete e che sto per toglierli la
vita.
Lo fotterei a sangue se solo lei me lo chiedesse.
Non centra niente la cavalleria, mi stanno sul cazzo gli psicotici. Cani
drogati fino agli occhi, carcasse putride da scansare con l’angolo della scarpa
per timore di sporcarsi la suola con le loro budella.
Sapete qual è il bello di fare il killer?
Non lo sapete, non lo immaginate…
Il bello è poter fare del male a quelli come lui.
Senza rimorsi.
Capitolo 10 *** Scene 9: Topi sotto anfetamine ***
Nuova pagina 1
"Dai, ripetilo un'altra volta. Non ti ho sentito"
"Sono un perdente! Sono un perdente!!"
"Bravo, ripetilo più volte vedrai che ti ci entra in testa."
Qualche stralcio di conversazione che è stata udita risuonare
nella valle mentre pioveva. Qualcuno dice che un uomo urlò a lungo e implorò più
volte pietà, mentre spari ripetuti a cadenza costante laceravano l'aria.
Si dice che ci fu un urlo di donna, una volta sola e che si spense subito, come
se fosse stato soffocato da qualcosa. Forse una mano, ma chi l'ha riferito non
ne era sicuro.
*°*°*°*
Il signor M li aveva raggiunti velocemente, gli aveva tagliato la strada
fangosa, mentre pioveva a dirotto, tanto che i tergicristalli non ce la facevano
ad arginare un tale scoppio d'ira celestiale.
Non si era limitato a mandarli fuori strada: aveva sparato alla
gomma sinistra posteriore, per assicurarsi che la forza motrice del motore
fosse insufficiente a farlo camminare ancora. Quel maggiolino era un modello troppo vecchio,
ci sarebbe voluto un
trattore per tirarlo fuori di lì.
Lo schizzato era bloccato e alla sua mercé.
Il signor M si concesse un larghissimo sorriso interiore mentre apriva la
portiera del taxi e lo scaraventava fuori, sotto il tornado che infuriava
violento e il buio della notte si confondeva con l'ombra scura che celava il suo
volto.
Guardò appena la donna, rimasta paralizzata sul sedile
del passeggero: osservava il suo rapitore rotolare nel fango, macchiato e
fradicio, ferito in più punti per il contatto con le pietre aguzze che
spuntavano traditrici dal terreno aggredito dalla pioggia.
Marv si riprese come una furia dalla sorpresa, balzò in piedi e fu nuovamente
rigettato a terra.
"Chi cazzo sei? Che cazzo vuoi?"
"Sciacquati la bocca quando parli con me, stronzo!" sibilò mollandogli in calcio
nel fianco e facendolo piegare da un lato con un lungo gemito.
Mira li osservava esterrefatta cercando di capire chi fosse quel tipo che si
accaniva su Marvin: un cliente non soddisfatto, qualcuno che lo odiava?
Senza pensarci un minuto di più, si mise al posto di guida, chiuse lo sportello
e cercò di avviare il motore.
L'uomo la guardò e non fece assolutamente nulla, se non
piegarsi su Marv e far scattare un coltellino a serramanico a pochi centimetri
dai suoi occhi. "Il carico, forza"
"Ma chi cazzo sei, non ti do un bel niente!" urlò di rimando sputandogli addosso
e rimediandosi un pugno di rovescio che lo fece gemere e lo mandò un'altra volta
con la faccia nel fango.
Il signor M si sedette quasi su di lui, piazzandogli un ginocchio sotto la gola
e premendo forte "non te lo ripeterò un'altra volta"
Marv rischiò di soffocare e fece cenni con la testa che il killer interpretò
come un si. Figlio di puttana con le donne e vigliacco con chi è più grosso di
lui, pensò disgustato, colpendolo un'altra volta.
L'acqua gocciolava dai capelli corti della parrucca che aveva indossato ma il
trucco resisteva. Gliel'avevano detto che quel cerone era formidabile, pensò
mentre apriva la portiera facendo urlare Mira di spavento, le toglieva le chiavi
dall'accensione e andava ad aprire il portabagagli.
"Sei impantanata, sciocca"
Quando le parlò, la sua voce risuonò calma e bassa a dispetto della furia con la
quale si era accanito su Marv.
"Prendilo" ordinò all'uomo che giaceva ancora in terra con uno sguardo folle che
Mira gli aveva già visto e che la impaurì ancora di più.
Scese dal maggiolino e affondò immediatamente con i tacchi nel fango, rischiando
di cadere; si voltò a guardarlo: il signor M la fissò per un breve secondo
dritto negli occhi e tolse un pò di acqua che cadeva dal collo nel giubbotto
pesante che aveva indosso. "Vattene" mormorò tornando a fissare Marv.
"Non è roba per donne, questa"
Mira annuì e cominciò a correre verso la città
che avevano appena lasciato.
Il killer alzò metaforicamente le spalle: il carico come prima cosa.
Non fece in tempo a finire il pensiero che fu scaraventato a terra da un
furiosissimo Marvin che lo colpì, una granula di colpi lanciati a caso che il
più delle volte andarono a vuoto ed ebbero come risultato quello di infastidire
ancora di più il signor M che non era tanto contento di giacere a terra zuppo e
infangato.
Lui odiava il fango.
In preda a questo pensiero, girò rapidamente su se stesso ed estrasse la pistola
che gli ficcò deciso sotto il mento, senza una parola.
Quello bastò a farlo fermare, il sudore freddo che si mescolava al gelo della
pioggia e lo faceva tremare.
Fu allora che il signor M si prese la sua vendetta.
Fu allora che Mira si fermò, con la pioggia negli occhi che
non le facevano vedere la strada, gelata fin nelle ossa, e guardò più volte dietro di se, spaventata e
indecisa. Aveva corso tutto quel tempo chiedendosi quand'è che sarebbe caduta
come nei migliori film horror che vedeva da ragazzina con il fidanzato di turno,
quand'è che quell'uomo l'avesse raggiunta per ucciderla come aveva fatto con
Marv, perchè l'aveva ucciso - certo, lo aveva fatto - quand'è che un TIR
l'avesse investita, quand'è che ...
Si fermò togliendosi più volte l'acqua dal viso, gli occhi gonfi di lacrime e il
cervello che le gridava di fuggire, di non guardarsi indietro e di scappare il
più lontano possibile. Aveva dimenticato la borsetta con tutto il contenuto al
suo interno! Come avrebbe fatto senza soldi?! Marv le aveva sequestrato il
cellulare, non aveva niente con se, solo quel vestito che cadeva a pezzi. Si
stupì della logica con la quale affrontò il problema pratico e si costrinse a
tornare sui propri passi, dicendosi che non poteva andare tanto peggio
di così.
Poteva solo morire, ormai.
I due uomini erano impegnati in una lotta furiosa e non l'avrebbero degnata di
uno sguardo. Sarebbe sgusciata dall'altro lato cercando di non farsi notare e
....
Mira si immobilizzò alla scena e trattenne il fiato, quando
vide il signor M sparare senza alcuna indecisione al corpo esanime di Marv che
aveva lottato fino all'ultimo ed era stato atterrato da un poderoso colpo d'arti
marziali. I corsi da ragazzo sono serviti a qualcosa, si disse voltandosi verso la
propria auto e registrando un dato estraneo seguito da un urlo soffocato. Che ci faceva di nuovo lì?
Il signor M la guardò con l'aria ancora vagamente incazzata e
Mira si ritrovò a fissare due occhi cattivi che le diedero i brividi.
Fu allora che la droga che Marv le aveva gettato nella bevanda mentre era
distratta cominciò a fare effetto e Mira vede l'ombra di quell'uomo prendere
forma, ingigantirsi e oscurarla, avanzando minacciosa e fredda.
L'ombra arrivò a toccarla e lei sentì il gelo che le ghiacciava il sangue, che
risaliva su su, fino al cervelletto, dandole la nausea e sconvolgendo
l'equilibrio, rendendola instabile sulle caviglie, perchè i tacchi erano partiti
da un bel pò: se li era tolta per correre meglio.
"Non uccidermi..." sussurrò facendo un passò indietro e
sentendosi risucchiata in un gorgo nero: non sentiva più nulla, era diventata
sorda?!
"Non ci sento più" singhiozzò spaventata portandosi le mani alle orecchie e
ricominciando a piangere.
Fu quando il signor M si mosse verso di lei che Mira sentì la
terra spalancarsi e inghiottirla di colpo.
*°*°*
Quando si riprese, la testa le pulsava ferocemente. Si tirò a sedere e massaggiò la
fronte e le tempie con entrambe le mani, tirando indietro i capelli che le si
erano ravvogliati sul viso e la nuca. Che caldo che fa! Si tolse il cappotto e
restò solo col vestito da sera di seta bianca. Non era nero? Lei era sicuro di averne indossato uno nero, prima di uscire.
“Ehm…signora? Signora, le dispiacerebbe togliere il piede dalla mia coda?
Grazie”squittì lo scoiattolo massaggiandosi la coda pelosa e correndo via.
Sto ancora sognando, si disse incominciando a camminare verso l’entrata della
città. Dove erano finiti tutti? E quel matto di Marv?!
S’illuminò pensando che avrebbe potuto chiedere aiuto mentre lui era assente e
allungò il passo. Era a piedi nudi.
“Dove stai andando?!”
Mira inchiodò e si voltò a guardare il suo compagno di viaggio fuso di testa.
“C’è stato un bordello. Un mezzo agguato e quei tre sono morti” spiegò
togliendosi la polvere di dosso “tu stai bene?”
“Si, ma stavo meglio senza di te” ammise aspettandosi una reazione violenta che
non avvenne. Quei tre? E chi sono?
“Sei simpatica, si si. Sai che non so cosa fare adesso?” Le disse con le mani
sui fianchi “mi serve un telefono, vieni con me”
La afferrò per un polso e Mira lo seguì di malavoglia; Nel bar, la
gente li guardò appena. Si fanno gli affari loro in quella città, pensò mentre Marv individuava il
telefono. La portò con se, dandole la schiena mentre bisbigliava nel ricevitore.
Una ragazzina punk la fissa dal fondo della sala. Mira sillaba un silenzioso ‘aiuto’,
sperando che la capisca. La ragazzina aggrotta le sopracciglia, alza le spalle e
ticchetta le unghie corte smaltate di nero sulla scatola posata davanti a se.
Quando torna a guardarla, Mira ha le lacrime agli occhi. ‘Ti prego’
La vede guardarsi attorno e alzarsi, affidando la scatola alla donna seduta al
suo tavolo. Mira non l’aveva vista. La donna, una bella bionda con i capelli
lunghi fin oltre le spalle, la osserva e sembra disorientata. Nei suoi occhi
verdi trapela indecisione.
Marv attacca il telefono con forza, nervoso e angosciato “dobbiamo aspettare. È
un casino, un fottuto casino del cazzo!” sbotta passandole di fronte e
domandando la colazione per due.
La ragazzina punk è sparita, la donna bionda anche. Mira cade affranta sulla
sedia e si rende conto che è vestita troppo elegantemente per le dieci del
mattino. Come mai nessuno la guarda come fosse un fenomeno da baraccone?! La colazione
non arriva e Marvin si spazientisce.
Mira è sicura che la cameriera non l’abbia proprio visto.
“Andiamocene, compreremo qualcosa in un supermarket!” borbotta ad alta voce
rimettendola in piedi.
Si alza nuovamente e quando esce al sole, si rende conto che c’è un bosco alla
sua destra. Non ci avevo fatto caso prima, sarà la stanchezza, pensa camminando nella sua
direzione, lontano dal suo rapitore che la segue a qualche passo di distanza.
Allunga la mano verso un cespuglio di more e ne raccoglie qualcuna che posa nel
palmo. Altro che quelle comprate al supermercato! Ma che fertilizzante gli
danno? Si domanda infilandone qualcuna in bocca e ingoiandole con gusto. Sono
buonissime.
*°*°*°*
Il signor M scese dalla macchina dopo avere frugato
un bel pò
alla ricerca di uno scotch da pacchi. Quel coglione ha forato un sacchetto e
la polvere si è sparsa nel portabagagli. Questo piccolo incidente farà calare il prezzo e il suo superiore non
sarà molto contento.
Quando ha finito di rabberciarlo, lo getta nel bagagliaio e con calma comincia a traslocare il
carico nella propria macchina.
La droga è ovunque e lui non è avvezzo a respirare quella mondezza, per
quello si è infilato una mascherina sterile con i filtri al carbonio, prima di
cominciare il lavoro. Sembra il macabro chirurgo di qualche favola horror, ridacchia pulendosi
per bene le mani e guardando Marv a terra. Andato.
“La concorrenza è concorrenza” sospira chinandosi ad esaminare Mira che giace a
faccia in giù sul terreno gelido. La pelle sporca di fango viene immediatamente
lavata via dalla pioggia “E a te dove ti ha preso? Le domanda guardando
il vestito “da una festa, immagino.”
La rivolta sulla schiena e osserva il taxi verde, alzandosi sulle ginocchia e
infilandosi sul sedile posteriore. La pioggia è calata d'intensità ma è ancora
più fastidiosa di prima.
"Mica ho capito perchè sei tornata. Forse per veder morire quel verme?"le
domanda osservandola per bene.
Un secondo dopo vede cosa ha in mano e sorride. Le donne! Apre la borsetta e la scruta con divertimento.
Vediamo quanta
roba ci tiene in un affare così piccolo. Rossetto, fazzoletti, chiavi di casa e
della macchina.
Prende il portafogli e lo apre: trecento dollari in taglio
piccolo, bancomat, patente, carta d’identità.
La apre, ne legge le generalità e la rimette a posto.
Dopo qualche secondo, molla la borsetta nel portabagagli aperto: non sa come far
entrare di nuovo tutta quella roba in quello spazio minuscolo!
“Va bene, Mira, adesso vieni con me. Se non sei già morta o in overdose” precisa
scrutandola per bene, togliendole l'acqua dal viso con un fazzoletto.
E' svenuta per la paura o c'è dell'altro?
Le ascolta le pulsazioni e sente che sono accelerate. Le solleva una palpebra
emettendo un ‘ehii’ di compiacimento.
“Ancora più belli, visti da vicino”. Ha le
pupille dilatate. Le tasta la pelle ma la sente fresca. Niente ipertermia,
niente convulsioni. E' drogata. Si sta facendo un viaggio nella terra dei Sogni,
pensa
prendendola in braccio.
“Mhhh…”
Volge lo sguardo su di lei. Si ferma mentre Mira si muove lentamente.
“Ben svegliata”
La donna gira gli occhi intorno, le palpebre pesanti, troppo pesanti per
riuscire a mettere a fuoco l’uomo che la tiene in braccio. Cerca di concentrarsi
su quel bottone blu che vede affiorare dal giubbotto ma desiste dopo un secondo e
crolla addormentata con la testa ciondoloni.
Il signor M la guarda facendo una smorfia “mh. Breve ma intenso, occhioni blu”
Il sedile posteriore della Chrysler è occupato dalla valigetta e dalla sacca dei vestiti: li fa
cadere sui tappetini e cerca di sistemarla il più comodamente possibile.
Mira si lamenta e si aggrappa addosso a lui per qualche breve momento.
“Dormi” le dice a bassa voce, togliendosi la mascherina e infilandola in tasca.
Gli stringe il giubbotto con forza, come se non volesse lasciare un appiglio
sicuro. "Ora non farne un dramma" ridacchia sciogliendo le dita piano "abbiamo
tempo per conoscerci."
Lasciami…
^*^*^
“E lasciami in pace, ma che vuoi?!” esplode con i nervi a pezzi diretta contro
Marvin che non se la prende più di tanto. “A che ti servo? Fammi tornare a casa,
ho un lavoro e gente che mi asp…”
“Buongiorno signora!” esclama il piccolo scoiattolo di prima con una buffa
uniforme da fattorino “mi è stato chiesto di lasciarle questo”.
Le allunga una scatolina con scritto sopra
Non Aprire e Mira lo guarda
esterrefatta. “Non posso darti la mancia, non ho spicci con me” balbetta
dicendosi che non è possibile. Uno scoiattolo che parla?
“Non importa signora, buona giornata!” esclama schizzando via.
“Ma che….”
Mira guarda Marvin che lo segue nella sua corsa repentina e scuote la testa
“topo sotto anfetamine! Che ti ha lasciato?”
“Ma quello scoiattolo parla!” grida sconvolta lasciando quasi cadere la scatola.
“Certo, lo fanno tutti. Ma dove abiti tu?” ribatte con aria innocente
prendendole la scatoletta dalle mani e rigirandola.
“Ma tu sei pazzo! A casa mia gli animali non parlano!”
Lo guarda attentamente e vede che non è più vestito come prima. “E quei vestiti
dove li hai presi?” gli domanda improvvisamente calma, rimirando la lunga giacca
del frac stracciata e il cilindro che ha in testa.
“Li ho sempre avuti. Come fai nel lavoro se non noti un cazzo di quello che ti
circonda?” domanda tirandosi sui pantaloni a scacchi rossi e spolverandosi le
ghette bianche sui polpacci.
“Marv..è un gioco? Non mi piace, ti avverto!” borbotta a bassa voce
allontanandosi un po’ da lui.
“E stia attenta! Mi rompe tutto il guscio!”
Mira si volta verso quella vocina indignata e non vede nessuno. Abbassa lo
sguardo e un’anziana lumachina le scocca un’occhiataccia “queste giovani d’oggi!
Pensano di poter essere maleducate quante vogliono!”
“Mi scusi signora, non l’avevo proprio vista” balbetta suo malgrado alla lumaca
che riprende il suo movimento lento.
“Scusi, scusi: prima ti rompono la casa e
poi ti chiedono scusa! Ah, ma la frittata la fanno! La fanno e chi s’è visto s’è
visto!”
No, non è possibile! Sto impazzando, non c’è altra spiegazione! Urla dentro di
se portandosi le mani alla testa.
“Mira?”
“Sta zitto Marv, sta zitto. È tutta colpa tua!”
*^*^*
“Allora ti vuoi svegliare?! Cazzo non abbiamo tutto il giorno!”
Uno schiaffo più forte la fa rinvenire con un grido. Mira balza a sedere e si
guarda attorno: degli uomini mai visti giacciono a terra morti e Marv si tiene un fianco. “Mi hanno fregato! Quei bastardi figli di puttana, hanno
provato a farmi secco, ma ci hanno rimesso la vita.”
“Che è successo?” balbetta toccandosi la faccia e sentendo qualcosa di strano.
Ritrae il palmo bianco e vede la droga sparsa a terra. Allucinazione!
Si spolvera la faccia in fretta e gattona via dal pacchetto lacerato.
“Merda, guarda quanto carico sprecato!” lo sente urlare mentre cerca di
rimediare al danno.
“Sono morti?”
“Certo che sono morti! Che pensavi, che li avrei lasciati in vita? Hanno cercato
di uccidermi e poi avrebbero ammazzato te” E che differenza c’è? Pensa affranta, tanto mi ammazzi ugualmente alla fine di
questa storia.
Con enorme sforzo Mira afferra la pistola che giace a terra. Non importa di chi
è basta che sia carica. Lei non è un agente della polizia vera e propria e non è
tenuta a portarsi appresso la pistola. Preferisce uno sfollagente o un taser
elettrico.
Ma non vuol dire che non sappia usarla.
“Dammi le chiavi della macchina” sussurra sbattendo gli occhi “dammi le chiavi o
ti sparo”
Marv si è fermato e girato con aria piuttosto risentita “non mi piace questa
presa di potere, cuoricino”
“Non me ne frega un cazzo! Dammi quelle chiavi o ti faccio saltare una rotula!”
urla con le lacrime agli occhi “il viaggio di piacere lo concludiamo qui”
Marv la fissa immobile e ridacchia “tanto non sai usarla”
Mira annuisce e struscia una mano sotto il naso, la sensazione che la droga le
sia finita nelle narici più forte di prima. “Forse. O forse no. Sai con chi
stavo uscendo ieri sera? Con l’ispettore della polizia di New Orleans. Faccio la
fotografa e lavoro per la polizia. Ho un sacco di amici la dentro” mente
sull’ultima parte, visto che conoscerà si e no tre persone oltre a Bronx.
Marvin la fissa ed è cinereo in volto: il carcere. No, non un’altra volta!
“Non ci finisco in gattabuia per colpa tua!” urla avventandosi su di lei e
sollevandole il braccio verso l’alto.
La colluttazione è breve. Uno sparo spezza il silenzio della vallata e Mira
lotta per liberarsi dal cadavere che le pesa addosso.
Non pensa neanche di cercare aiuto. S’infila di corsa in macchina e mette in
moto. A casa a casa a casa! Si urla nella testa sgommando sulla strada gelata.
A
casa… poi la polizia. Harvey, lo devo chiamare. Lui sistemerà tutto!
Capitolo 11 *** Scene 10: Kimmy La Rue, nata il 28 febbraio. ***
La macchina si è fermata a metà strada
La macchina si è fermata a metà strada. Ma
perché? Le auto mi odiano proprio, allora! Pensa accasciandosi sul volante e
togliendosi le lacrime dagli occhi con forza.
Con un sussulto si gira verso la borsetta e fruga dentro. Non ha il numero di
Harvey, ma conosce benissimo quello della polizia.
Quando si accorge che non c’è campo, deve fare uno sforzo enorme per non urlare
di rabbia.
“Per forza non c’è campo! Sono persa nel nulla! Qua ci sono metri e metri di
terreno che non sono mai stati calpestati dall’uomo!!” urla fuori dal taxi
prendendolo a calci e facendosi male.
“Brava! Brava cretina! Si urla sempre più arrabbiata.
“Spero che tu abbia una tanica di benzina da qualche parte o torno lì a piedi e
ti ammazzo un’altra volta” grida in direzione dell’ormai cadavere Marvin.
Apre il portabagagli e come previsto non trova nulla.
Una serie di parolacce che si perdono nel nulla e Mira chiude l’anta metallica
di scatto. “E va bene, facciamocela a piedi!” Urla con la gola che le fa male.
Dopo qualche ora è stanca e guarda la sacca che si è portata appresso piena di
abiti pesanti. Almeno a qualcosa è servito, quello stupido. Andare in
giro con le decolleté tacco alto su un terreno ghiacciato non è proprio il
massimo!
Si infila i vestiti con una mezza smorfia di disgusto e si guarda: sembra una
baraccata senza fissa dimora! Chi se ne frega, o cosi o mi congelo!
Scarpe niente, deve continuare con quelle che ha e che le fanno sempre più male.
Quando arriva in prossimità di un centro abitato deve trattenersi dal correre.
La città è piccola e semideserta, ma con quel freddo nessuno va in giro. I
ragazzini sono a scuola…ma strano che non ce ne sia neanche uno a
bighellonare con gli amici.
Signore che fanno la spesa in fretta, gente che passeggia col cane… una ragazza
la urta e non le chiede neanche scusa.
Mira si volta e la guarda a lungo. L’ha già vista quella…
“Beh? Non si chiede scusa?” l’apostrofa con malagrazia, tirandole
un’occhiataccia e alzando un sopracciglio pieno d’anelli.
“Mi hai urtato tu” le risponde un po’ seccata.
“Vuoi vedermi anche le tonsille, vecchia?!” scatta ribellandosi sotto il suo
esame prolungato.
“Per carità, potresti avere un piercing anche li” ribatte incrociando le
braccia. “Io ti ho già vista”
La ragazzina sorride e le mostra la lingua su cui spicca una bella pallina
d’acciaio chirurgico “bello, eh?”
“Ma non fa male?”
“Non più.” Afferma con aria altezzosa, muovendosi negli anfibi slacciati neri.
Ha le calze viola sotto e sopra un altro paio a rete nera, una gonnellina nera e
un giubbotto di pelle in tinta, corto alla vita.
Mira abbozza un sorriso: ha l’aria simpatica. “Sai dove posso trovare la
polizia? Devo fare una telefonata”
“E vai alla polizia a telefonare con tutti i telefoni che ci sono in giro?” la
prende in giro camminando con una grossa sacca patchwork sottobraccio.
“Mi è successa una cosa…devo avvertire un amico” confessa a voce bassa.
“Ti presto il mio cellulare ma mi paghi la telefonata!” l’avverte tirando fuori
un cellulare pieno di ninnoli.
“Ti ricorderò nelle preghiere la sera”
“Sai che m’importa, io sono atea” risponde esplodendo in una risata allegra
“Figurati, mai pregato in vita mia”
La ragazzina la guarda e sorride nuovamente. “Mi piaci, sei tosta. Ma vesti da
far schifo”
“Non è roba mia” sussurra chiedendosi come mai la voce metallica le dice che il
numero è inesistente. Le porge il telefono inquieta... come mai? E dov’è la
stazione di polizia in questo posto?
“Ehi vecchia, i miei soldi?”
Mira la guarda esasperata “era una chiamata alla polizia! Non si pagano le
chiamate al 911!” ribatte con la voce tremula. “Oddio, come faccio…” sussurra
guardandosi attorno, una mano che gratta disperatamente la fronte.
“Che ti succede?”
Mira si accascia su se stessa, le braccia attorno allo stomaco che le fa male.
Ha fame, ha sonno, sta morendo di freddo. “Voglio tornare a casa. Non ce la
faccio più!” singhiozza piangendo e rimediandosi un’occhiata in tralice dalla
ragazzina.
“Come ti chiami?”
La donna sospira, tira su col naso e le chiede se ha un fazzoletto. “No, ce l’ha
una mia amica” Che razza di risposta! “Mira…e tu?”
“Kimmy La Rue, nata il 28 febbraio. Ho 15 anni e il giorno del parto, un nugolo
di streghe e diavoli ha danzato attorno al letto di mia madre! Quando sono nata,
mi hanno annesso alle loro legioni con tutti i dovuti onori!” cantilena in
fretta con un gran sorriso “e tu di chi sei figlia?”
“Di mia madre. Ma hai preso qualche droga allucinogena?”
“No. Perché tu si?” le domanda in tono cospiratore sporgendo il musetto verso di
lei.
Mira la guarda bene e nota il rossetto troppo scuro, il trucco pesante che le
rovina la faccia. È molto carina. Speriamo si stanchi presto della moda punk.
“Mi sa di si”
“Forte! E com’è?”
Mira è stanca e non ha voglia di rispondere alle sue domande.”Senti…ce l’hai la
macchina?”
“Ho 15 anni, non guido” le ricorda a bassa voce “però ce l’ha la mia amica”
“Mi porteresti da lei?”
“Non lo so” sussurra guardando l’orologio da polso, nero e con uno Skeleton
Jack che balla al suo interno. “A quest’ora dorme”
“Ha fatto le ore piccole?” domanda svogliatamente andandole dietro e
accorgendosi che nessuno le degna di un’occhiata
“No, no. Le ore non si rimpiccioliscono così facilmente: ci vuole tecnica e lei
non sa farlo. Harlem sa farlo, ma lui è bravo a fare qualsiasi cosa” ridacchia
frugandosi nella borsa “lei esce al tramonto e va a dormire prima dell’alba.”
“E come mai?” L’ha domandato ma non le interessa più di tanto.
“Perché si!” ribatte ironica conducendola verso una casupola dal tetto
grigiastro. Ardesia? Pensa stupita, l’ardesia è abbastanza usata nelle
case inglesi, non americane.
Kimmy infila le chiavi nella porta e gira la maniglia da destra verso sinistra.
Strano. O l’hanno montata al contrario o la sua amica è mancina.
La ragazzina si mette un dito sulle labbra e abbassa la voce “fa piano, mi
raccomando”
“Ma se devo chiederle della macchina…”
“Shhh, shhh! Malena ha un amico che ce la presterà, devo solo trovare l’oggetto
giusto da portargli.”
Mira la guarda e si domanda come diamine sia finita in quel casino assurdo. “E’
simpatica la tua amica?”
“Lei?” domanda voltandosi stupita “lei è una Fata. Non deve essere per forza
simpatica”
La donna la fissa a bocca aperta e poi si picchia una mano sulla fronte. Ma
tutte a lei, tutte a lei!!
****
Ad Harvey era venuto un groppo allo
stomaco leggendo il rapporto della polizia di Houma.
Era uscita per raggiungerlo, quindi non lo aveva bidonato. E’ quasi sollevato
quando ricorda un fatto piuttosto inquietante: la
macchina abbandonata poco
lontano da casa. L’hanno esaminata e hanno rivelato un guasto al motore.
Bronx gira come un’anima inquieta nell’ufficio riarredato dalla fotografa
scomparsa e guarda per l’ennesima volta la foto di Mira.
È scesa dall’auto, era in ritardo…
Sbuffa e si appoggia al muro libero che una volta ospitava lo schedario. Ha
preso il taxi e quel tipo l'ha rapita.Stronzo!
Esce dall’ufficio di corsa, urlando nelle orecchie agli agenti che si occupano
del caso di chiamare la società dei taxi e chiedere la lista delle chiamate fra
le 19:30 e le 22 di sera.
“Ha preso il primo taxi ce le è passato sotto il naso se aveva la macchina…”
Si vede sventolare un foglio davanti e tace, chiudendo la bocca con uno
schiocco.“La lista…”
“…della società dei taxi. Non ha mai chiamato” cantilena l’agente con un
sorrisetto. Adesso lo strangolo! Matricola del cazzo! “Bravo, mi meraviglio della tua
efficienza. Allora i soldi
che spendono i contribuenti servono a qualcosa”
I due si guardano e fanno un notevole sforzo per non rispondergli per le rime. È
per battutine come quelle, che si è guadagnato la fama di ‘stronzo senza via di fuga’
“Adesso vi buttate giù in strada e interrogate i passanti. Qualcuno l’avrà
visto in faccia”
“Cosa? Ma è un lavoraccio e la fuori è pieno di pazzi mitomani che…”
Bronx lo fulmina con un’occhiata “lo so, l’ho fatto anche io, sto lavoro
merdoso. Molto prima di te. Diramate un avviso, fatela comparire al telegiornale
e stampate la sua faccia sui cartoni del latte! Rivoglio quella donna entro tre
giorni! E Chiamatemi quel coglione di Bluebarry al telefono, voglio sapere cosa
sta facendo invece di cercare Mira!”
Gli agenti lo osservano allontanarsi con aria impenetrabile e quando la porta
dell’ufficio viene sbattuta con violenza inaudita, si guardano allibiti. “Ma è
impazzito? Che cavolo gliene frega a lui?”
Quello più vecchio alza le spalle e guarda il corridoio “l'ha chiamata per nome, se la scoperà?”
“Chi, quell’isterica? Stai scherzando? Sarebbe piuttosto macabro: io non mi
farei mai toccare da una che fotografa cadaveri!” sbotta il più giovane con aria
disgustosa.
“Siete ancora lì, voi?!”
Bronx non ha ancora finito di urlare quando si vede sventolare davanti una lista
di nomi lunga un chilometro. Skye ha un'espressione nera e poco ci manca che gli
venga un colpo. Spinge Harvey oltre la porta e la chiude con un calcio ben
angolato. "Siediti e prenditi un calmante, prima di leggere questa" gli
consiglia tappandogli ogni protesta sul nascere. Bronx lo fissa incuriosito ma
ha una brutta impressione quando legge l'intestazione.
Quella è la lista dei carcerati rilasciati da poco tempo.
"Non girarci troppo attorno" gli consiglia sedendosi con la schiena rigida.
Il vecchio Skye aggrotta al fronte, le sopracciglia cespugliose si avvicinano a
formare una linea quasi unica "te lo ricordi l'Uomo Dei Sogni?"
"Chi?!"
Bronx non ha neanche finito di fare la domanda che sgrana gli occhi e lo fissa a
bocca aperta "Come no... Marvin Joseph. Farmer, 29 anni, arrestato per possesso
di droga, appropriazione illecita, spaccio e associazione a delinquere. Tentata
violenza carnale ai danni di una minorenne e un sacco di altri crimini che non
voglio ricordare perché ho già la nausea e mi sta salendo un'incazzatura da
Guinness" farfuglia in fretta guardandolo negli occhi "è giù uscito?"
Il poliziotto scuote la testa con aria truce "da una settimana, quasi. Penso sia lui il colpevole della sparizione della fotografa.
Quello andava sgozzato da piccolo."
Harvey non parla più. Continua a guardarlo mentre le dita si sono contratte
attorno al foglio "entra ed esce continuamente dalle galere, ha passato più
tempo la dentro lui che tutti i fottuti delinquenti che bazzicano le strade in
questo momento" sibila rosso in volto, tormentando un angolo "è lui. Diramate
l'identikit e l'avviso di cattura!" gli ordina facendo uno sforzo mortale per
non urlare.
"Pensi che sia ancora via?"
Bronx lo fissa truce come se avesse appena
bestemmiato "non t'azzardare a dirlo un'altra volta! Se lei è morta, lo appendo
per lo scroto e lo castro, quant'è vero iddio!"
Leonard R. Skye abbozza un sorriso malandrino, passandosi l'indice sotto il
labbro inferiore "e da quando in qua credi in Dio?"
L'occhiataccia fulminante di Bronx gli fa stringere le labbra, mortificando la
sua risatina "lo so: sto zitto"
****
La casa è immersa nel silenzio. Kimmy cammina letteralmente in punta di piedi e
le fa un cenno di seguirla. Mira sta attenta a non urtare niente perché in quel
posto regna una baraonda incredibile.
Sembrava che una bomba fosse scoppiata nel salotto e si fosse propagato anche
alle altre stanze.
“Non pestarlo!” sibila la ragazzina indicandole un coniglietto bianco che sniffa
l’aria e al loro passaggio fa un balzo verso la gabbietta.
Mira trattiene un grido di stupore e si tappa la bocca con entrambe le mani.
Arrosto ti farei, minaccia la bestiola con uno strano collarino a forma di
farfallino al collo.
“E’ di Malena. Si arrabbia tantissimo se gli succede qualcosa” le spiega
sottovoce cominciando a frugare nei cassetti di un grande armadio che prende
quasi tutta la parete accanto alla finestra rossa. Una finestra rossa? Si domanda stupitissima. Che gusti!
Rinuncia a capire e infila le mani in tasca, toccando qualcosa che non sapeva di
avere. Sembra una scatolina…è piccolina, come una scatoletta da anelli del
gioielliere.
Quando la estrae sembra quasi che s’ingrandisca sotto le sue dita. Cresce quasi
a vista d’occhio strappandole un gridolino.
La lascia cadere a terra e quando si rovescia sul fondo, Mira la riconosce.
Non Aprire
“Non è possibile”, bisbiglia chinandosi a
raccoglierla e rigirandola piano.
“Eccola! Come hai fatto a trovarla?”
Guarda la ragazzina che la fissa tutta contenta con un frullatore in mano.
“Ce l’avevo in tasca” ammette porgendogliela. Quando la vede rifiutare
un’espressione di perplessità le si dipinge sul volto.
“Devi tenerla tu. Ti ha scelto lei. Probabilmente ti è saltata in tasca quando
ti ha vista. Devi esserle piaciuta” Cosa? Piaciuta? Ad una scatola? “Senti, io non ci sto capendo niente..”
Borbotta ad alta voce interrompendosi quando una luce abbagliante scivola da
sotto la porta di una stanza e illumina quasi interamente il pavimento.
“Porca miseria, adesso si è svegliata e chi la regge più?”
Kimmy le lancia un’occhiataccia funesta ma Mira è completamente assorbita da ciò
che vede. E’ una fata davvero, pensa per una frazione di secondo quando
la porta della stanza si spalanca e un violento bagliore illumina la donna
creando un bizzarro contrasto di luce fra le pieghe del suo vestito fluttuante.
“Allora, la vogliamo finire con questo casino o no?!”
Capitolo 12 *** Scene 11: la Bottega dei Sogni Usati ***
Nuova pagina 1
E' una fata, pensa per un breve attimo prima che un
tifone biondo e pallido come un giglio in camicia da notte, la travolga con la
sua furia. La guarda per qualche istante e poi volge l'attenzione sulla
ragazzina che la osserva facendo mille smorfie.
"Quante volte ti ho detto di non portarti le tue amiche barbone a casa?"
"Non sono una barbona!" Sbotta togliendo le parole di bocca a Kimmy
"l'ospitalità lascia molto a desiderare, in questa casa"
"Se, se" canticchia fissando Kimmy che sta facendosi i fatti propri. "Tu,
signorina, ti sei messa nei guai"
"E quanto la fai lunga, Malena!" Sospira allargando le braccia "Mira ha un
grosso problema, volevo aiutarla!"
"Aiutala senza fare tutto questo casino!"strilla come una cornacchia voltando la
schiena e rinchiudendosi in camera dopo aver sbattuto la porta.
"Mamma mia che caratterino!" sibila la donna raddrizzando la schiena " Mi porti
dal tuo amico così sua maestà imperiale dorme... altrimenti stasera avrà le
occhiaie fin alle ginocchia e sembrerà dieci anni più vecchia?!" Sbotta alzando
la voce e rimediandosi una serie di frettolosi 'shh' 'shh' dalla ragazzina.
Cinque secondi dopo, l'intento di Mira è raggiunto. La donna riapre la porta e
si erge in tutto il suo metro e ottanta. Sembra più alta, pensa mentre si avvicina a lei e la guarda come fosse
un'escrescenza schifosa.
"Ripeti un pò quello che hai detto"
"Le leggi le riviste? Otto ore di sonno e la pelle rimane
fresca e giovane a lungo. Otto ore" ripete sorridendo.
La donna bionda ricambia il sorrisetto di circostanza e si stringe nella
vestaglia che è miracolosamente apparsa indosso.
"Simpatica la tua amica barbona che avrebbe bisogno di una
strigliata come si fa con i cavalli e di un parrucchiere al più presto. Anche di
un estetista, a dirla tutta" sibila acidamente spegnendo il sorrisetto di Mira
che assume un'espressione minacciosa.
"Senti cosa.."
"Buone, buone. Time out, break!"
Kimmy si infila fra le due donne, le mani alzate in segno di pace "Mira non è
una barbona, ha passato una brutta avventura. Ha bisogno di una macchina per
tornare a casa e stavamo andando da Harlem"
"Harlem non gliela darà mai se non ha il dono giusto" sbotta fissando Mira negli
occhi "potrebbe chiederteli, glieli daresti?" le domanda indicandoli.
Mira la fissa come se fosse impazzita "cosa?"
"I tuoi occhi. Harlem è pazzo e ha un mucchio di hobby strani. Potrebbe
chiederti un occhio della testa per la macchina" ridacchia un secondo dopo alla
battuta penosa e appoggia le mani sui fianchi. "Non era male, perchè non ridete?"
"Voi siete fuori, io me ne torno in treno a casa! Anzi, ancora meglio: fatemi
chiamare la polizia"
"I telefoni non funzionano qui, non c'è rete"
La secca battuta la fa quasi crollare a sedere. Guarda Kimmy e indica la miriade
di ciondoletti che penzolano fuori dalla tasca "E perchè tu hai il cellulare?"
"Perchè fa fico!" risponde allegramente facendole portare le mani nei capelli in
un gesto disperato
"Dio, voglio tornare a casa!"
"E quante storie! Ci parlo io con Harlem!"
Mira alza la testa guardando la donna che cammina decisa verso la camera da
letto da cui proviene ancora una luce accecante. "Ma dopo me ne torno a dormire
e non voglio sentire casino!"
Mira e Kimmy annuiscono all'unisono.
La porta sbatte nuovamente e in silenzio le due si guardano "se ci parla lei,
abbiamo speranze."
"Grazie, davvero" sussurra affranta e sconsolata. La finestra rossa s'illumina,
è quasi il tramonto. Ma quanto tempo avevano passato la dentro? Era mezzogiorno,
quando sono entrate!
Un secondo dopo la porta di Malena si riapre e la donna
appare... sbocciata, pensa ammirando la sua figura snella e il sorriso
scanzonato.
"Andiamo?"
****
Il signor M ha preso alloggio in un alberghetto
fin troppo tranquillo dalle parti di Lafayette. Ha guidato a lungo, per
allontanarsi il più possibile da Houma. Ha sorpassato gli archi, il lungo tunnel dove
l’oscurità è interrotta solo dalla scarsa illuminazione giallastra dei fanali
anteriori e si è immerso nell'aria limpida con un senso di pace. La sua ospite
dorme ancora e non è di compagnia.
L’uomo l'ha osservata agitarsi di tanto in tanto, mugolare
frasi impossibili da capire. Ha percepito 'fata', il più delle volte 'polizia' e
un tale che fa fatica a ricordare il nome. Si era spaventata ed era stanca, conclude continuando a guardarla.
Chissà cosa sta sognando.
Ha guidato tutta la notte e buona parte della mattina, finchè nel tardo
pomeriggio ha trovato quella delizia nascosta in periferia della città. L'ha
fatta passare per la propria ragazza stanca del lungo viaggio e nessuno ha fatto
domande. Quel posto gli è piaciuto ancora di più.
La prima cosa che ha fatto, dopo averla adagiata sul letto, è stato telefonare
al suo committente per avvertirlo che 'la cantina era stata sgomberata e quel
topo che dava noia, stava riposando nel paradiso dei Sorci.'
La seconda telefonata è stata ancora più breve.
"Ti ricordi quel favore? E' arrivato il momento di ricambiare"
L'uomo dall'altro capo del filo ha capito e non ha fatto domande, limitandosi ad appuntare le coordinate
dettate dal signor M.
Il taxi sta per svanire nel nulla.
La pioggia aveva ripreso a battere violentemente, quindi le tracce delle gomme
sarebbero state lavate via.
Non poteva capitarmi un tempo migliore di questo,
pensa osservando i nuvoloni blu carichi di pioggia e minacciosi. Sente Mira
agitarsi nuovamente, si stacca dalla finestra e la guarda con aria pensierosa:
avrebbe dovuta ficcarla sotto la doccia e lasciarcela per un mese o due, tanto
era sporca, decide togliendole di dosso il vestito a pezzi. Lo getta da un lato e
si rende conto che non può lasciarla dormire in quel modo.
Anche perchè in quel letto avrebbe dovuto dormirci lui. Sai che urlo quando
si sveglierà? Immagina la scena e istintivamente gli viene da ridere.
Quel suono basso disturba Mira che si raggomitola su se stessa tremando.
"Si, si, lo so che hai freddo. Adesso bagnetto caldo e poi nanna sotto le
coperte" mormora prendendola in braccio. "Resisterti sarà dura,
occhioni blu, ma per tua fortuna sono un bravo ragazzo. Tremendamente sexy ma corretto" Ride
nuovamente mentre lo stomaco gli si contrae, mezzo eccitato. "Se non mi guadagno
il paradiso così, non so che altro fare" Non è poi così leggera come sembra, pondera giocherellando con l'acqua
calda mentre la scarica nella vasca da bagno e la fissa un'altra volta. "E i
capelli?" Alza gli occhi al cielo e fa una smorfia scocciata "sarà un inferno".
Ma come fanno le donne con tutti quei capelli?
**** La via è deserta,sembra che non ci sia nessuno in giro. Mira svolta l'angolo
preceduta da Malena e seguita da Kimmy che continua a tirarsi le maniche sulle
mani e a guardarsi attorno. "Ho il brividi" confessa quando Mira la guarda
incuriosita "ho sempre paura di Harlem"
"E volevi portarmi qui lo stesso?"
Kimmy la fissa con aria colpevole "beh si."
La donna abbozza un sorriso mettendole un braccio sulle spalle e indicando la
borsa ultracapiente "che hai li dentro?" Falla parlare così si
distrae, si
dice intenerita dal suo comportamento.
La vede illuminarsi, le sopracciglia nere che s'inarcano e il sorriso che si
apre in meno di un secondo. "Ah qui! ti faccio vedere!" Urla quasi frugando
nella borsa ed estraendo una scatolina azzurra.
"Ti presento Arya!" Esclama porgendogliela tutta orgogliosa e restando a
guardare "la sto addestrando, è un amore!" Arya? Si domanda incuriosita sollevando il coperchio e lanciando un urlo
non indifferente.
"Ma c'è una tarantola la dentro!" Grida allontanandola da se e notando con al
coda dell'occhio la fata bionda che si è fermata e le fissa seccata con le mani
sui fianchi. "E allora? Kimmy le addestra, sta mettendo su un circo. Certo che
t'impressioni con niente."
"Scusate tanto!" Urla col il batticuore e lanciando un'occhiata alla bestia nera
e pelosa nella scatola "non conosco nessuno che ha passatempi così strani!"
"A proposto di passatempi strani... siamo arrivati"
La voce di Malena si è fatta grave e profonda.
Kimmy si affretta a riporre Arya nella sacca e stringe il giubbotto grande di
Mira con le gambe che le tremano.
°°La Bottega Dei Sogni Usati.°°
Sogni di tutte le grandezze, in ottimo stato: provare per credere!
Si prega i gentili avventori
di non sciuparli in caso di restituzione.
Sogni usati?! Mira fissa la scritta rossa
brillante e la indica con il dito a Kimmy che sta osservando la porta blu
decorata "è uno scherzo?"
"No. Harlem compra i sogni usati e li rivende. Potrebbe averne comprato anche
uno tuo."
"Io non ho sogni usati!"
"I sogni che hai già fatto" le spiega pazientemente, per nulla stupita della sua
sorpresa "Ti capita mai di fare due volte lo stesso sogno?"
"Si. E' successo... qualche volta."
"Questo perchè qualcuno ha comprato il tuo sogno e l'ha utilizzato." Conclude
alzando le mani come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Mira la fissa, indecisa se portarle una mano alla fronte per scoprire la
presenza di un'eventuale febbre in arrivo, quando Malena la strattona verso
l'entrata. "Hai il regalo?"
"La scatola?" domanda frugandosi in tasca e tirandola fuori. "Si, andrà bene?"
"Chi può dirlo, Harlem è così incostante" sospira aprendo la porta. Mira sente
una musica provenire dall'interno, una ninna nanna che aveva già sentito... da
bambina... il carillon che mi aveva regalato mamma, pensa con una stretta
al cuore nostalgica.
S'immerge nell'aria blue e celeste e trae un profondo respiro, percependo un forte
odore di zucchero caramellato. In un angolo, una bambina sta muovendo la testa
al suono della ninna nanna e tiene in mano una pallina trasparente. Mira la
fissa attentamente; c'è qualcosa che si agita al suo interno.
"Sta sognando di mangiare lo zucchero filato." Sussurra una voce maschile alle
sue spalle. Trasale violentemente, la scatola sta per caderle. No, si aprirà!
"Presa. Non c'è nulla di cui preoccuparsi, Kalliopi"
Mira fissa l'ometto davanti a se e per un momento ha un deja-vu "come sa il mio
secondo nome?" sussurra abbassandosi per guardarlo.
Harlem abbozza un sorriso placido e stringe a se la scatola "questo è per me. So cosa vuoi
chiedermi. Ti risponderò nei limiti del possibile"
"No, io ho bisogno di una macchina!" Sbotta allarmata "devo tornare a casa, c' è
gente che mi aspetta"
Il vecchietto, no, non è vecchio... o forse si?
Si chiede osservandolo: potrebbe avere tutte le età. A seconda di come varia la
luce, assume connotati quasi piacevoli.
Ma nel buio il suo sorriso è sinistro e
pericoloso.
"Non c'è nessuno che ti aspetta, Kalliopi. I tuoi sono morti, Abe ti ha lasciato
per un'altra. Harvey è solo il primo di una lunga serie di relazioni destinate a
fallire"
"Abe non mi ha lasciato... ma come.." Mira s'immobilizza osservandolo
attentamente. La pancera verde che indossa non basta a nascondere il grasso
girovita e le scarpe con le ghette bianche sono assurde su quel frac stracciato.
Io l'ho visto... pensa facendo un passo indietro.
Harlem annuisce accarezzando la scatola che vibra. "Il tuo regalo è impaziente
di uscire."
"Come sa queste cose?"
Mentre parla la figura di Harlem cresce a vista d'occhio, i pantaloni scuri che
indossa si sciolgono fino ad assumere un colore rossastro. Fa girare il cilindro
che ha in testa e per un secondo giocherella con il bastone a cui è appoggiato.
Quando lo solleva verso di lei, Mira ha un balzo al cuore.
***
Il signor M lascia quasi cadere il libro che sta leggendo, sorpreso dal suo
urlo. Che le
prende? Allunga una mano per toccarle la fronte e alza un sopracciglio
quando la sente bollente. Ha la febbre. Prende
il telefono e chiama la reception.
"C'è un medico da queste parti?" ***
Sai gemere come quel sassofono? Sai parlare come la tromba e battere come il
tamburo?"
"No..."
"E
allora cosa ci fai così lontano da casa, bambina?"
"Sto cercando...."
"Cosa
stai cercando?"
"Non lo so. Non lo so più...."
***
"Ha un bel febbrone; le dia questa medicina tre volte al giorno e se non
scende mi richiami."
Il signor M annuisce e la guarda farfugliare e agitarsi.
Il medico le ascolta il cuore e controlla la pressione arteriosa e poi lo fissa
"ha preso qualcosa?"
Lui annuisce di nuovo, stavolta con aria melodrammatica. "Mi sa che si è
impasticcata alla festa. Non mi ascolta mai e se le dico qualcosa, mi fa le
scenate." Allarga le braccia le batte
sconsolato sulle gambe rimediandosi un'occhiata divertita dall'uomo. "Le donne
lo fanno. Ma con chi sta parlando?"
"Non lo so. Va avanti così da un pò."
"Lasciatela stare, allora. Sarà il delirio della febbre" E chi dice niente? Pensa mentre accompagna il medico alla porta. Basta
che non mi muoia nel letto!
****
Non è qui che troverai ciò che cerchi”
“Ma
deve esserci…deve! Se non qui, dove?
Aiutami, ti prego!”
“Io sono l’Uomo dei Sogni, bambina. Devi stare attenta a ciò che chiedi…
potresti essere esaudita”
L'Uomo Dei Sogni,
sussurra dentro di se tremando. Marv... no, Marv è morto!
In quel momento Harlem spalanca la scatola e un'ombra nera e cattiva si piega su
di lei, inglobandola nel suo abbraccio soffocante.
No, Marvin non è
morto!
***
Il signor M la sta fissando un pò preoccupato. Sta peggiorando o è una sua
impressione? "Mira... Mira. Mi senti?" Sussurra piegandosi su di lei e togliendo
anche quel minimo bagliore di luce che la illuminava. Le accosta le coperte alle
spalle, ma si agita così tanto che non riesce a coprirla. "Stai buona o ti do
una botta in testa" la minaccia scherzosamente toccandole la mano che spunta
dalla coperta.
"Non è morto non è morto.." singhiozza stringendogli le dita, aggrappandosi
ferocemente. Ha un incubo? Si domanda avvicinandosi un altro pò e
fissandola. E vabbè, pensa abbracciandola per metà. Sacrifichiamoci!
La tira contro di se ma trema così tanto che non riesce a capire.
"Non è morto... no no..."
La perplessità si dipinge sul suo volto. A chi si riferisce, al verme? "Sì che è morto, sta
tranquilla. Più morto di così non muore"
Mira si sveglia di scatto, urlando e balzando all'indietro. Sente qualcosa
soffocarla. Il signor M la guarda allontanarsi, scivolare via dal letto e
rincantucciarsi in un angolo."Non è morto, non è morto!" singhiozza ancora scacciando qualcosa con la mano
"stammi lontano, va via. Via!"
"E' morto." Sbotta tutto insieme scendendo dal
letto e andandole vicino "è morto, Mira"
"No.."
"Sì, invece" ribatte facendole alzare la testa e ammutolendo alla sua
espressione angosciata. "Hai comprato i miei sogni, per quello sai queste cose?! Ridammi i miei
sogni, non ti appartengono!" urla nella sua direzione con quanto fiato ha in
gola.
Non sta guardando me, non parla me, sta delirando. E di brutto, anche.
***
"Rivuoi i tuoi sogni? Ti accontento!"
A quel suono cupo Mira si spaventa ancora di più, alza la testa verso l'ombra
gigantesca che la sta fissando e urla per il terrore mentre miriadi di scene la
investono, lasciandola frastornata. I suoi sogni di adolescente: fare la cantante in
un gruppo rock, il sogno di avere una casa propria, piena di bambini, il sogno
di vivere con Abe. Vanno in frantumi uno dopo l'altro sommergendola di schegge e
deturpandole la pelle nuda.
L'ultimo, il più bello. Harvey le sta dicendo
qualcosa che non sente, ma muove le labbra così piano che riesce a capirlo lo
stesso. Anche io... sussurra allungando la mano e toccando il fragile vetro che esplode,
trafiggendole la carne.
"Come ti permetti di fare questo ai miei sogni?" urla fra le lacrime voltandosi
verso l'Uomo Dei Sogni che sorride e danza, agitando il bastone e inchinandosi
alla sua paura.
"Posso fare di meglio, posso ridarti tutti gli incubi che hai scacciato come
falene morte."
"No!
"Si, invece! L'incubo più reale di tutti: il suo rapimento.
Mira urla di terrore all'improvviso facendo
accapponare la pelle al signor M che la sta osservando. Porca puttana, mi ha
messo una paura del diavolo!
"Mira svegliati, cazzo! Basta dormire!" la sgrida afferrandola e scuotendola
"svegliati" sbotta mollandole un ceffone abbastanza pesante "ti faccio rinvenire
a forza di schiaffi se non la finisci"
Al secondo, la donna crolla contro il muro e smette di urlare. O cazzo, avrò esagerato?
Mira vede l'ombra cupa fissarla intensamente, ma non ha più paura di lei: Marv
sta rosicchiando l'anima che le ha strappato dal cuore e l'ha lasciata
insensibile e immobile sul pavimento nero petrolio. L'ombra assume contorni meno
vaghi, più reali. Allunga le dita nere ed evanescenti e lei fa la stessa
cosa.
Merda, mi sa che l'ho colpita forte. Il signor M la prende in braccio e
Mira ricade come una bambolina addosso a lui e non da cenni di vita. "Scusa,
occhioni belli, ma stavi svegliando tutto l'hotel con quella vocetta acuta"
sussurra rinfilandola nel letto e coprendola bene. Resta a guardarla un pò
titubante: c'è da farsi sgozzare da una così. Speriamo abbia superato la fase
acuta, altrimenti dovrò legarla al letto!
Nella penombra della stanza, Mira apre un occhio per un breve secondo,
seguito subito dall’altro, appiccicoso di mascara nero raggrumato.
Perché sta dormendo a pancia in giù? Lei non ci dorme mai, dopo le fa sempre
male la schiena.
Fa forza sulle braccia che le rispondono a malapena, alza il collo e la testa,
ricadendo subito su una spalla e si gira lentamente sul dorso. Resta sdraiata
con le braccia aperte come se la stessero crocefiggendo e respira sentendosi
pesante, tanto pesante….
Con indolenza struscia il dorso della mano sinistra sotto un occhio, cercando di
arginare il disastro del trucco colato. Avrà sporcato il cuscino con il mascara…sai,
che casino toglierlo, pensa muovendo le spalle e restando a dormicchiare
ancora un po’. Mah, butto tutto in lavatrice…
Sente cinguettare un uccellino. Deve essere il suo amichetto che si ferma a
mangiare le briciole che gli lascia tutte le sere.
Il cinguettio si spegne, oppure è lei che si riaddormenta. Quando riapre gli
occhi si sente meno stanca, l’appiccicoso dormiveglia è quasi svanito del tutto.
“Ciao, occhioni blu”
Mira spalanca gli occhi nella penombra e raggela. Marvin?! Ancora?!
Scatta a sedere sul letto, arretrando velocemente verso la spalliera, sentendo
qualcosa di strano addosso.
China lo sguardo e vede una maglietta non sua, due taglie più grandi. Tocca il
seno e sente che non ha il reggiseno. Oddio…
“L’ho tolto per farti dormire meglio”
La donna gira la testa verso il punto da cui ha sentito provenire la voce.
“Marv?”
Un rumore strano. Mira capisce che ha lasciato andare qualcosa di pesante sul
pavimento, o qualcosa del genere. No, non il pavimento: il rumore sarebbe
stato diverso, più pieno. Un tavolo. “Marv…” no, non è lui. La voce è
diversa, non ha accenni d’isteria, è più calma. Non è lui. Chi è?
“Quel sacco di merda se lo stanno mangiando i corvi mentre parliamo. Anzi a
quest’ora direi che avranno finito di spolparlo.” Ridacchia la voce bassa e
sconosciuta che la fa arretrare ancora di più verso il muro. Nella penombra lo
può scorgere: una sagoma illuminata appena da un minuscolo faretto da lettura
che si applica sui libri.
“Chi…è?”
L’uomo la guarda, toglie i piedi dal tavolo e resta seduto. “E no. Non te lo
posso dire chi sono. Segreto di stato, occhioni belli”
Mira è ammutolita dalla paura. Afferra l’abat- jour sul comodino e gliela punta
contro. “Non si avvicini” balbetta tremando e tenendola con entrambe le mani
“cosa mi ha fatto?!”
Lui la guarda e soffoca una risatina “sei rimasta mezza svenuta per due giorni e
mezzo. Se avessi voluto approfittare di te, l’avrei già fatto”
Mira continua a tremare: due giorni? Tutto quel tempo? E cosa…perché…“La
droga..”
“Ah, non lo so. Forse non volevi svegliarti per non incontrare la faccia di quel
lurido sacco di spazzatura” suggerisce alzandosi in piedi e facendola trasalire.
“Mi stai facendo innervosire, sono una persona rispettabile io!” esclama con
forza facendole balbettare suo malgrado uno ‘scusi’ che suona quanto mai fuori
luogo.
“Ma guarda tu! Uno si prende il disturbo di toglierle dagli impicci e cominciano
subito a farsi venire le idee balorde” lo sente borbottare mentre afferra
qualcosa da una sedia in fondo alla stanza che risuona come un fruscio di seta.
“La luce…perché non accende la luce?” gli domanda abbassando appena le braccia.
“Perché prima devo bendarti”
“Cosa?!” esplode scendendo in fretta dal letto e rischiando di slogarsi una
caviglia “perchè?!” Si appiattisce contro il muro e lo guarda venire verso di
lei. “Stia lontano!”
“Senti ragazza, faccio un certo tipo di lavoro e non posso permettere che la mia
faccia sia mostrata così in pubblico..” Le spiega con pazienza sedendosi sulla
sponda del letto di fronte a lei “Ora. Io ti ho salvato quando potevo ammazzarti
insieme a quel fallito, mi segui?”
“Si..” Sussurra ascoltandolo veramente “lei fa il killer”
“E brava occhioni belli! Capisci che non posso lasciarmi vedere da te.”
Mira annuisce, ma quando lo vede alzarsi, con calma e lentamente non può fare a
meno di spaventarsi.
“Senti, prima che di farti venire un accidente, te lo dico un’altra volta e
spero che sia l’ultima: non voglio violentarti, non ci penso proprio. Ok?”
Mira annuisce, prima lentamente e poi con forza. “Ok..” Sussurra abbassando la
lampada e notando solo in quel momento l'assenza della lampadina “non basta
prometterle che terrò chiusi gli occhi, vero?”
Lo sente esplodere in una risata divertita che le causa un mezzo infarto per la
sorpresa.
“No, non basta! Su, da brava, vieni qui.”
Le gambe non le rispondono e la costringono a rimanere inchiodata contro la
parete. Lui sbuffa e si avvicina, sempre quello strano fruscio di seta.
“Cos’è?” domanda timidamente toccando la stoffa…è sagomata…
“Non sono attrezzato per queste emergenze” spiega lasciandogliela scivolare fra
le dita in modo che la senta. È fresca e odora…di …si, di dopobarba! “Una cravatta?”
“Avevo solo questa a portata di mano”
Mira lo sente dal tono della voce che sta sorridendo mentre gliela gira intorno
alla testa. Piuttosto delicatamente, a dir il vero. Resta immobile con le mani
lungo i fianchi. Se non fosse una situazione così assurda, sarebbe quasi sexy!
Le scappa da ridere e si porta una mano alla bocca per mascherare il sorriso.
“Stai pensando alla stessa cosa che sto pensando io” afferma prendendola per le
spalle e mettendola seduta sul letto.
Mira porta istintivamente la mano agli occhi e tocca il tessuto fresco.
Liscia, leggermente scabrosa a tratti…righe oblique.
“Di che colore è?” domanda a bassa voce mentre sente le tapparelle aprirsi.
Immediatamente la stanza s’illumina e lei si sente strana. Non le piace la
situazione che si è creata. Adesso è esposta del tutto al suo 'salvatore'. E'
un'altra volta in balia di un uomo. No, stavolta non posso sopportarlo.
“E’ blu”
Blu…di seta…e lei se ne sta in una stanza con uno sconosciuto che fa il
killer, mezza nuda e bendata con una cravatta?!
“Non posso crederci, non posso crederci! Tutte a me capitano! Perché, dio!”
esplode saltando in piedi e inciampando sul letto “dovevo andare ad una cena,
una semplice cena! Quella fottuta macchina si rompe e io fermo un taxi, un taxi
verde! Sapevo che c’era qualcosa di sbagliato in un taxi verde! Ma io no,
stupida lo prendo, perché l’uomo dei miei sogni mi ha chiesto di andare a cena
con lui e mi sta aspettando nel più costoso locale della città da ben dieci
minuti! E poi quel pazzo che mi dice ‘ ti porto a conoscere il vero Uomo dei
Sogni ‘ e mi chiude dentro e cerca di violentarmi!!”
“Calma..”
“Calma? Calma un cavolo, come faccio a calmarmi?! Resto sventura tre giorni,
chissà cosa mi è successo in tre giorni, mi sveglio mezza nuda in un posto
sconosciuto con uno che mi dice che ammazza gente per lavoro e io dovrei stare
calma?”
“Abbassa la voce!”
“No, non la abbasso!” urla di nuovo sentendo uno spostamento d’aria e una presa
forte che la fa quasi urlare. Urta la schiena contro il muro, trattenendo il
respiro per la paura.
Una mano cala repentinamente sulla sua bocca e la mette a tacere, mentre una
voce calma la blandisce.
“Capisco lo sconvolgimento, ma urlare la mia professione non ti aiuterà a stare
meglio.” Mormora a pochi centimetri dal suo naso. “Non ti è successo nulla, da
quando sei con me. Ti ho raccolto quando sei svenuta, hai viaggiato sul sedile
posteriore della mia macchina, dormendo tutto il tempo. Ti sei svegliata a
tratti e hai farfugliato il più delle volte. Sei stata male, ho chiamato il
medico che ti ha visitata. Adesso stiamo alloggiando in un hotel piuttosto
tranquillo dalle parti di Lafayette. Non ti è successo NIENTE. Ok?”
Mira annuisce ma lui la sente tremare, a scatti respirare. Sta per mettersi a
piangere e la cosa lo disturba enormemente.
“Vi ho tenuto d’occhio tutto il tempo, lo seguivo per conto di una persona. Se
ti avesse voluto far del male, non ci sarebbe riuscito.”
La donna si irrigidisce e per un attimo resta immobile. Subito ricomincia a
tremare e a mugolare qualcosa che non capisce.
“Mira, per favore. Tolgo la mano ma tu non urlare e non piangere”
Quando si ritrova libera non riesce a trattenere un singhiozzo “ci seguivi…”
sussurra passando al tu senza accorgersene “non potevi…farlo prima?”
“No. Non posso dirti nulla” afferma sentendola tirare su col naso. “Non mantieni
le promesse”
“Non te l’ho promesso” singhiozza come una bambina appoggiando una mano sul
fianco, dimentica di non avere i jeans e di conseguenza il fazzoletto.
“Non piangere”
“Non ci riesco” singhiozza abbassando la testa e sentendo le lacrime inzuppare
la seta “non ci riesco… Non urlo più”
“Brava”
Mira gli crede. Ha la voce tenera e consolatoria. Continua a tirare su e a
piagnucolare finchè un fazzoletto non le circonda il naso. “Dai, soffia forte”
“Posso farlo da sola” borbotta togliendoglielo di mano e sfiorandogli le dita
che torna a studiare attraverso il tatto.
Lui la lascia fare abbozzando un sorriso: la storia della cravatta era da
prendere in considerazione con le future conquiste! La situazione cominciava a
piacergli parecchio.
Mira percepisce le mani un po’ ruvide, leggermente segnate e con i classici
calli da sollevatore di pesi. Continua la sua esplorazione fino sul braccio e la
spalla: fa palestra, ma non è un pompato ipervitaminizzato.
“Se vuoi sentire anche il resto, io non mi oppongo di certo” lo sente
ridacchiare strappandole un sorriso.
“Ah…” mormora arrossendo, un pò divertita “no…magari…in seguito, siamo solo alla
prima uscita.”
Lo sente ridere e ascolta attentamente i suoi movimenti. Si sposta piano, forse
per non spaventarla.
“Hai fame?”
“Sì”
“Posso portarti da mangiare, ma devi restare qui.”
“Va bene”
“E non devi toglierti quell’affare dagli occhi”
Mira si morde un labbro perché ci aveva già pensato.
“Ehh, che pazienza che ci vuole” sospira avvicinandosi “se fai la brava non ti
lego. Se la togli sono costretto ad ucciderti, ok?”
Quella frase tranquilla le mette inspiegabilmente i brividi. “Va bene…però non
legarmi…”
“Non ti lego. Ma se cerchi di vedermi in volto..”
L’ultima frase resta a metà facendola annuire in fretta.
“Brava ragazza.”
Qualche minuto dopo la serratura scatta. Mi ha chiusa dentro? Si domanda
indecisa se togliersi la benda dagli occhi oppure no. Con cautela la alza di un
centimetro fino a rivelare di fronte a se una stanza ben ammobiliata ed
essenziale.
Una valigetta e una sacca piuttosto capiente.
Vestiti da uomo appoggiati su una sedia.
Un libro.
“ ‘Non buttiamoci giù’ “ recita leggendo la copertina gialla e rossa.
“Aggiornato” sorride suo malgrado guardando la cravatta che tiene ancora in
mano.
Occhieggia il suo vestito provvisorio, la maglietta bianca che le ha infilato e
si tocca istintivamente il corpo, domandandosi se davvero non le ha fatto nulla.
Bagno! Bagno! Bagno!
Un impellente bisogno fisiologico la costringe a catapultarsi dietro un’altra
porta, chiudendola con un sospiro. Dieci minuti dopo sta ancora cercando di
togliersi il trucco dagli occhi. Ma non poteva essere una donna? Avrebbe sicuramente avuto tutto il necessario
per struccarsi! Pensa aprendo un’anta dell’armadietto di fronte a lei. Non posso crederci!
Mira afferra un tubetto di latte detergente con aria stupita…e che ci fa lui
con questa roba?
Si pone mille interrogativi, mentre la crema profumata le porta via il trucco.
Sarà gay?! Si domanda d’un tratto guardando la porta chiusa.
Lavarsi non le è mai sembrato più bello. Ha sudato e quell’odore proprio non lo
sopporta. Si guarda attentamente per vedere se ha graffi o qualcosa del genere.
No, solo quello schifoso succhiotto che le ha fatto Marv. Sta scomparendo,
meno male.
Mira sobbalza, quando sente provenire un rumore. Una porta spalancata e poi
richiusa. Resta in silenzio aspettando una sua reazione.
“Mira?”
Sobbalza sentendolo dietro la porta. “Si” sussurra appoggiandocisi contro. “Non
entrare”
“Non entro. Ti ho portato da mangiare”
“Grazie… ora esco” balbetta velocemente infilandosi la maglietta e calandola
bene oltre le mutandine.
“Ricorda il nostro patto”
Non ha fatto neanche in tempo a dirlo che Mira è comparsa davanti a lui
nuovamente bendata. “Mi dai una mano? Ho paura d’inciampare.”
L’uomo la afferra portandola fino al tavolo, facendola sedere. L’odore di cibo,
le ricorda che ha fin troppa fame.
“Allunga la mano, ma sta attenta che scotta” la avverte porgendole un hot dog
che Mira annusa e riconosce. Un sorriso le compare sul viso attraendo la sua
attenzione.
“Ho visto il libro. L’ho letto, è molto..”
“Dimmi come va a finire e ti getto dalla finestra” ribadisce togliendole le
parole di bocca. “Mangia piano o ti strozzerai” ridacchia mettendole in mano una
boccetta d’acqua fresca.
“Di questi quanti ne hai?” borbotta indicando il residuo di hot dog fagocitato
in un lampo.
“Altri due”
Mira allunga la mano e incontra la sua, sfiorandola per tutta la lunghezza “non
ti sto facendo una proposta, ti sto studiando”
L’uomo sorride e la guarda, la bocca sporca di ketchup da un lato. “E cosa hai
capito?” La osserva mentre toglie lo sbaffo con un dito e lo succhia in
silenzio.
“Che sei un ottimo padrone di casa. Che non mi lascerai morire di fame e che
posso stare tranquilla” afferma decisa “però devi togliermi una curiosità.
“E quale sarebbe?”
Mira si ferma e mette giù il panino, guardando nella direzione da cui proviene
la voce. “Sei gay?”
“No!” esplode ridendo “e quest’idea da dove ti viene? Dal fatto che non abbia
cercato di approfittarmi di te?”
“No, dal tubetto di latte detergente in bagno”
“Mi sembrava di riconoscere l’odore..” Sussurra stringendo gli occhi e
studiandola attentamente. “Potrei essere solo molto vanitoso”
“No, no. Io abitavo con uno vanitoso. C’erano più creme e cremine sue nel bagno,
che in confronto il mio beauty case era più desolato del deserto dei Tartari”
spiega velocemente finendo di fagocitare il panino. “Non sei vanitoso, hai solo
quell’affare. Ti serve a qualcosa di preciso”
Ad un certo punto ci arriva da sola e tace, ingoiando a stento. “Tu ti
mascheri…anche adesso potresti …”
“Sei sveglia, volpina mia” ridacchia alzandosi e girovagando per la stanza “il
mio aspetto deve essere alterato quando lavoro, quando mi muovo. Come adesso”
Mira lo ascolta senza più fame. Inspiegabilmente ha paura.
“Tanto per saperlo, l’hai finito tutto?”
“No…”sussurra testando con le mani strette attorno alla bottiglietta, una gamba
piegata sotto l’altra che dondola un po’.
L’uomo la osserva attentamente. Ha percepito un cambiamento che non gli è
piaciuto. “Ti si vedono le mutandine” l’avverte facendola avvampare e tirare giù
la maglietta con forza.
“E tu non guardarle” borbotta rimpicciolendosi sulla sedia. “Vorrei sapere come
ti chiami. O come posso chiamarti”
Mira lo sente ridere e schioccare la lingua nella bocca. “Vediamo…ne va bene uno
qualsiasi, no? Chiamami…vediamo…è difficile, non ho fantasia con i nomi. Adam,
va bene?”
Mira fa una smorfia disgustata suo malgrado, storcendo il collo all’indietro “ti
prego! Tentami con la mela, allora!”
“Quanto la fai lunga! Jack e non se ne parla più”
“Jack?!” esclama disgustata “peggio che andar di notte!” Lo sta ascoltando, lo
sta facendo parlare perché ha un accento straniero. “Tu non sei americano”
sbotta all’improvviso interrompendolo.
L’uomo la guarda con aria seria, mordendosi l’interno della bocca. “E allora?”
Ha toccato un tasto dolente. Mira si ritrae un po’ intimidita “no, niente.
Vada per Jack, va bene.”
“Non sono americano, sono europeo. Contenta?” borbotta accostandosi a lei.
“Si.”
“La situazione è cambiata, adesso che lo sai?”
“No…” sussurra mordendosi le labbra e alzandosi, posando le mani sul tavolo,
perché non sa dove può andare a sbattere e ha paura di farsi male. “Vorrei...
tornare a casa”
Jack sospira e le si pone davanti, facendola ritrarre. “Pazienta un paio di
giorni e fammi compagnia. Sto aspettando una telefonata.”
Mira non fa domande. Tanto non le risponderebbe. “Senti…prometto di non scappare”
“Per me è uguale, sai? Puoi andartene anche adesso”
Il tono calmo con cui l’ha detto l’ha stupita enormemente. “Davvero?”
“Certo”
Si volta verso di lui e se abbassa gli occhi può scorgere un frammento delle sue
scarpe. Impossibile, vederne il viso! “Allora perchè ti sei preso questo fastidio?”
“Perché mi andava” spiega tranquillo con le braccia dietro il collo. “Perché mi
sei sembrata nei guai e non mi andava di lasciarti con quello. La mia ragazza è
come te, un concentrato d’impulsività con la tendenza ad incasinarsi ovunque
ficchi il naso”
“Sei fidanzato, non lo credevo…e lo sa che lavoro fai?”
“Si”
“E non dice niente? Lei accetta che tu…ammazzi gente…” bisbiglia voltando la
faccia verso di lui.
“Si.” Si piega verso di lei e le fa il verso “ma non c’è
bisogno che parli così piano, non ti sente nessuno” bisbiglia facendola ridere.
“Oh” sbotta incredula “però, ha nerbo”
“Oh, cosa? Sono un bel ragazzo, io! Mi dispiace che tu non possa godere di
questa magnifica visione!”
Jack viene interrotto da un’altra risata di cuore che lo stupisce più di prima.
“Oh, che grave perdita!” Ridacchia come una matta per la prima volta da molti
giorni “non ci dormirò la notte!”
Quando lo sente ghignare qualcosa a bassa voce, si muove verso di lui “che hai
detto? Ripeti se ne hai il coraggio!”
“Ho detto che è un peccato per me non poter vedere i tuoi occhi. Sono molto
belli”
Mira arrossisce inaspettatamente per il complimento, abbassando la testa.
“Grazie…sei carino…”
Lui la guarda dicendosi che è una vera disgrazia non poterli ammirare ancora una
volta. “Carino…carino si usa per l’amico brutto”
“Io non lo so come sei”
“E’ vero”conviene prendendole la mano. Se la porta al viso e Mira stringe le
labbra, non capendo cosa stia succedendo. Le fa scivolare le dita lungo la
guancia finchè la donna comprende e non provvede da se a farlo.
“Devi farti la barba… uhh, hai il naso grosso”
“E’ tutto ben proporzionato” ridacchia facendola sorridere.
“Basta con le battute a doppio senso!” gli intima continuando a toccargli la
fronte “fronte alta da pensatore…calvizie incipiente?”
“Tuo padre!” Sbotta divertito mentre Mira lo accarezza facendogli un solletico
leggero. “Che lavoro fai?”
“La fotografa. Qui hai una cicatrice minuscola” borbotta toccando una tempia
“brutto punto, c’è da restarci secchi”
“Na…un graffio da bambino. Quindi sei abituata ad usare molto la vista. Sei una
specie di Grande Occhio che vede tutto e non dorme mai”
“No, fotografo i cadaveri. Lavoro per la polizia. Solo la notte”
“Ah!” esclama facendola fermare “la concorrenza”
“Sto per farti un complimento, devi essere molto carino.”
“Bellissimo, stupendo, abusa pure di questi termini quanto vuoi!” la incita
facendola ridere nuovamente. “Hai finito di farmi il solletico?”
“Si. Grazie”
“Di cosa?
“Di essere così gentile con me. Grazie.”
“Prego.”
L’uomo la guarda rilassarsi. Già da come piega la schiena, da come si muove, si
vede che è più tranquilla. “Quella maglietta non ha mai avuto un aspetto
migliore”
Mira abbozza un sorriso “il mio vestito?”
“Quello che c’è rimasto? Nell’armadio, ma penso sia da buttare via.”
Mira annuisce e pensa che non l’avrebbe mai tenuto: le avrebbe ricordato la
brutta avventura e lei vuole solo dimenticare. “Vorrei farmi…” abbassa la voce
in un mormorio perchè lo sente molto vicino a lei. E’ ancora più a disagio “…una
doccia. Non ho fatto in tempo, prima”
L’uomo la guarda per qualche secondo, poi le prende le mani e la dirige verso la
porta. Quando le posa
sulla maniglia, Mira l’afferra saldamente. “Grazie”
“Basta ringraziare. C’è un asciugamano pulito piuttosto grande e una marea di
quegli affarettini minuscoli di plastica pieni di shampoo e tutto il resto. Ma
se decidi di lavarti i capelli - e dio solo sa come ci riesci - apri
l'armadietto in basso a sinistra, c'è una mezza schifezza che chiamano fon."
“Ok...ma perchè quella frase? Su i miei capelli" domanda con una strana
impressione.
Jack la guarda pregustando la faccia che farà e gli accidenti che gli tirerà.
"Beh, non potevo lasciarti sporca di fango da capo a piedi. Ti ho infilato sotto
la doccia."
Sente provenire un silenzio imbarazzante da lei e sorride "ed è stato un vero
piacere, credimi."
Mira sta inghiottendo le ultime parole a stento. Che... ha... fatto?
"Di questo non riesco a ringraziarti!" sibila entrando dentro il bagno e
chiudendosi la porta alle spalle “non c’è la chiave, quindi non entrare” grida
imbarazzata, strappandosi la benda dagli occhi e gettandola in terra "ma cosa lo
dico a fare, tanto hai visto tutto quel che c'era da vedere!"
“Non tutto. La chiave non c’era da prima, non l’ho tolta io” le risponde ad alta
voce ridendo apertamente. “Sta tranquilla, non entrerò a lavarti la schiena a
meno che tu non lo chieda espressamente!”
Mira gli lancia un accidenti dopo l'altro e borbotta parolacce fra i denti: è
così tesa che non riuscirà a godersi in santa pace il suo bagno!
Dopo dieci minuti non è più molto convinta e si rilassa talmente tanto da
riaddormentarsi.
Mezz’ora dopo, Jack guarda la porta e aggrotta le sopracciglia. È scappata?
C’è affogata dentro?
Si alza posando gentilmente il libro sul tavolo, il segnalibro in mezzo e bussa
alla porta senza ricevere risposta.
Quando si intrufola furtivamente, si accorge che sta dormendo nella vasca colma d’acqua
calda. Il vapore sale in alto, la condensa opacizza la tendina di plastica
azzurra della doccia che ricade fuori la vasca.
Resta a guardarla per un po’, mezzo imbambolato, una parte del suo corpo che
risponde attivamente alla sollecitazione visiva. Si muove verso di lei senza
pensarci, portandosi alle sue spalle.
“Mira…” sussurra nell’orecchio facendola mugolare “se affoghi nella vasca, ti
lascio qua e me ne vado” ridacchia mentre la donna si sveglia di colpo e
sobbalza voltandosi dalla sua parte.
“Che fai qui, vai..”
Si azzittisce all’istante, lo sciacquio dell’acqua che rompe il silenzio.
“Sembra di giocare a mosca cieca”sussurra con la voce incrinata, toccando le
mani che le ha messo sugli occhi “toglile, li ho chiusi”
“Non mi fido”
“ "Jack", tu mi stai guardando e sono nuda! Che dovrei dire io?” esclama
cercando di scuotere la testa.
L’uomo la tira contro di se, la testa contro il suo collo e le bisbiglia
nell’orecchio lentamente. “Smettila di mettere il mio nome fra virgolette. Hai
dormito bene?”
“Si”
Le sta facendo il solletico…con la voce…Mira rabbrividisce, la pelle
d’oca che le tende…si immerge di più per non farsi vedere, imbarazzata per la
propria eccitazione. “Mi dai l’asciugamano?”
“Vediamo…no!”
Mira si agita, il cuore che batte furiosamente, combattendo contro quel piacere
sottile sottile che le corre nel corpo. “E dai”
“Sto scherzando!” ribatte ridacchiando e allontanandosi un poco. Un secondo dopo
un soffice telo le sfiora la mano. Un sorriso divertito gli si stampa in faccia
mentre lei lo prende in fretta e lo tiene appallottolato contro il seno.
“Allora…che facciamo?” mormora cercando di buttarla sul ridere “resti e
m’impedisci di uscire dalla vasca o te ne vai?”
“Pensavo di restare, c’è una gran bella visione da qui” ridacchia allungando
l’occhio sulla sua figura distorta dall’acqua. “Veramente niente male, occhioni
blu”
Mira non muove neanche un muscolo quando toglie le mani. Il primo impulso è
quello di aprire gli occhi, di batterli con forza. Si sforza di non farlo.
“Girati” Cosa?! “Perché?” domanda in un sussurro appena percettibile.
“Va bene, non farlo allora” borbotta piegandole il collo all’indietro, sul bordo
della vasca. Che cosa sta facendo? Non capisco, non riesc…
Trasale quando lo sente baciarla. Un gemito le sfugge involontariamente e subito
il bacio di fa più insistente, mentre lei mugola per la sorpresa. Lascia cadere
l’asciugamano nell’acqua che si gonfia e le ricade sul corpo, ormai
inutilizzabile.
Lo spinge via troppo sorpresa per riuscire a dire qualcosa. La sua spinta,
seppur debole, è stata sufficiente a farlo cadere a terra.
Mira si stringe su se stessa, l’asciugamano contro di se, preda di una bizzarra
sensazione.
“Scusa. Un impulso” ammette con voce bassa, restando seduto a terra. La vede
voltarsi e per un momento suda freddo: ha deciso di rompere il loro patto?
“Stupido imbecille!” sbotta afferrando una manciata di mini - shampoo e
tirandoglieli tutti addosso “Non ti vedo, ma ti becco lo stesso!” continua con
la voce alterata mentre lui fa il semplice gesto di scansarsi da un lato.
L’ultimo lo coglie giusto in fronte, ma si limita a passarci sopra una mano con
una smorfia.
“Lo so che ti ha preso. L’ho sentito, quel rumore attufato”
“Si, mi ha preso” borbotta con un mezzo broncio “chiedimi scusa”
“Non ci penso proprio!” ribatte restando girata dall’altra parte ad osservare le
mattonelle “mi hai fatto prendere un colpo!”
“Sei nuda e a certe cose un uomo reagisce”
“E allora vattene di qui!” esplode imbarazzata “non ti è mai passato per la
testa che una che è stata rapita e terrorizzata da un pazzo per giorni e giorni,
posso sentirsi vagamente, ma dico vagamente nervosa e possa
reagire male?”
“Non hai reagito poi così male. Se avessi reagito male, saresti uscita da lì e
mi avresti preso a schiaffi.”
“Faccio sempre in tempo, sai?” replicò con la voce tremante, mentre l’uomo se la
rideva sotto i baffi.
Jack la vede inclinare la testa, appoggiarla sulle ginocchia che tiene strette
contro di se e sospirare e sbuffare imbronciata.
Si avvicina lentamente, dandole modo di sentirlo.
“Lo vuoi, quello schiaffo?” mormora fra i denti con aria minacciosa.
“No, voglio sapere se è stato spiacevole”
Mira sbatte gli occhi più volte, quando recepisce la frase nella sua interezza.
Ci sta mettendo troppo a rispondere. “Non lo so. Praticamente non ti ho sentito”
“E allora perché fai tanto l’arrabbiata?”
“Mi fanno arrabbiare quelli che pensano di poter fare quel che vogliono. Non
prenderti certe libertà solo perchè sei bravo ad usare la pistola”
“Mica solo quella e a dirla tutta, non l’ho pensato. Ti ho baciato perché pensavo ne avessi bisogno.” E perché
mi andava, conclude dentro di se con un sorrisetto.
“Voi uomini pensate sempre di sapere quello che vogliamo. Io voglio solo farmi
un bagno in santa pace e andarmene a casa mia. Voglio vedere le mie amiche, i
miei colleghi, voglio vedere…”
Mira s’interrompe pensando all’immagine sempre più sfuocata di Bronx
"I tuoi genitori?"
"Sono morti. Incidente d'auto"
“Drammatico. Il tuo ragazzo?”
“No, non ce l’ho. Mi ha lasciata. Per un’altra.”
“E con chi stavi andando a cena?”
“Con un…tipo..” Sussurra sulla difensiva sbirciandolo alle sue spalle.
Jack sorride, portandosi alle sue spalle, le ginocchia a terra, le braccia
incrociate sul bordo della vasca "mh... un tipo..."
Quel tono malizioso la fa sorridere "un gran bel tipo. Allora?"
"A lui non avresti tirato lo shampoo addosso"
L'espressione di Mira è eloquente, ma Jack non può vederla. Però la sente ridere
e la cosa gli fa piacere.
"No. Penso di no. Ma non si può mai dire"
"Una donna non colpisce un uomo che l'attrae" borbotta dando sfoggio di profonda
saggezza da cioccolatino.
Mira abbozza un sorriso ancora più largo "pensi di sapere tutto e invece non sai
nulla delle donne"
"Io so solo che il mio... bacio" mormora agitando una mano nel vuoto "se vuoi
chiamarlo così, non ti ha infastidito. Ti ha solo colto di sorpresa"
"Sei molto sicuro di te" mormora fissando risolutamente un punto inesistente,
imbarazzata dal discorso.
"Abbastanza. E se sbaglio, sbaglio di poco" afferma serio, il sorriso svanito.
"La smettiamo con questo discorso noioso?!"
L'intensità della sua domanda lo fa ammutolire. Si sta agitando, l'ha messa in
difficoltà. Non pensava che sarebbe successo.
Ma ci sperava.
"La smettiamo" conferma continuando a guardarla e vedendola stringersi ancora di
più nell'acqua.
"Non hai freddo?"
“N-no” mormora immergendosi di nuovo e afferrando l’asciugamano “no. Però adesso
usciresti? Per favore” balbetta con la voce malferma.Sta succedendo
qualcosa…in lei, fra di loro…
“Ti ho spaventata prima?” le domanda alzando una mano per accarezzarla e
ripensandoci dopo un secondo.
“Un po’” balbetta arrossendo. Può sentirsi, un liquido più caldo nel calore
dell’acqua. Dio… “Te ne vai? Sto sprofondando dalla vergogna!”
“E perché?” si appoggia al marmo con le braccia, respirandole dietro il collo
“non c’è bisogno”
Mira non risponde, pensando che dice bene lui, che è vestito e può vederla! "Sei
un guardone, lasciatelo dire, caro il mio 'Jack' fra virgolette!"
L'uomo sorride, sinceramente divertito "sono un guardone, lo faccio per lavoro.
Studio le mie prede, le viviseziono e le osservo. L'ho fatto con quel lombrico,
ma ancora di più con te."
"Che fortuna" sussurra agitata "e ti sei eccitato abbastanza, mentre mi
guardavi?"
Capitolo 15 *** Scene 14 : Sfrigolio di falene. In alto. A sinistra. ***
Il silenzio che segue non le piace
"Guardarti è fonte d'ispirazione, cara Mira senza virgolette. Potrei dirti cosa
mi sta passando adesso per la testa, ma non penso reggeresti una tale
confessione. Sei nuda, e quello che sto immaginando non rientra nelle normali
fantasie di un uomo."
Mira raggelò per il terrore e non riuscì a staccare la lingua dal palato. Le sue
mani si chiusero sul tessuto spugnoso che le pesava addosso, ma che non bastava
a garantire una protezione adeguata. Il cuore batteva violento, ondeggiando
sotto lo sterno. Una nausea fortissima l'aggredì alla bocca dello stomaco e le
gambe divennero improvvisamente di piombo.
"La tua fidanzata non sarebbe molto contenta" farfugliò a mezza bocca.
Quando Jack rise, saltò internamente. "Mi sa di no. Colpa di questo lavoro, sono
sempre in giro e la vedo poco" spiegò usando un tono tranquillo e pacato che
stonava violentemente con l'affermazione di poco prima. "Dovrò prenderle un bel
regalo. Consigliami qualcosa tu, guardona. "
Mira staccò le labbra sigillate contro i denti e bisbigliò che 'dei fiori
facevano sempre effetto'. Non le venne in mente nient'altro. Il tremore che la
scuoteva non voleva proprio smettere di farle venire la pelle d'oca. Il cervello
era sotto stress: aveva un attacco di panico in piena regola!
L'acqua della vasca ondeggiava pericolosamente come se fosse in mezzo ad una
tempesta; Mira allungò una mano per afferrare il bordo e lo strinse forte, non
capendo più nulla di quello che diceva il suo perfido aguzzino che la
terrorizzava mentalmente, più di quanto aveva fatto Marv prima di lui.
"Non sono una guardona..."
Cincischiò con le parole come fossero monetine che scivolavano dalle dita,
sebbene di sforzasse di tenerle strette nel palmo della mano.
" Fai la fotografa, devi esserlo per
forza!"
"Io... non sono... io fotografo morti!" sbotta agguantando meglio l'asciugamano.
Basta con questo discorso! "Anche io osservo i morti. Solo che i miei camminano ancora. Per poco, ma
camminano!" sghignazza senza riuscire a trattenersi.
"Jack mi stai facendo paura." Balbetta sinceramente spaventata "finiscila... mi
sto sentendo male, smettila! Mi manca il respiro" singhiozzò con gli occhi che
le bruciavano di lacrime e l'ossigeno che non voleva entrarle nei polmoni.
L'uomo la guardò di traverso e poi si spostò di fronte a lei: che le prendeva?
Teneva gli occhi stretti, le dita sbiancate per la forza di aggrapparsi al bordo
solido e stava sudando copiosamente... e non certo per l'acqua calda!
Restò in silenzio non sapendo cosa dire. Accennò un breve spostamento che la
fece schizzare fuori dalla doccia e lo prese di sorpresa, mentre Mira lo colpiva
sul petto e lo spingeva lontano da lei.
I piedi bagnati scivolarono sulla maioliche e Mira urlò mentre cadeva a terra,
sconvolta dal terrore e dalla paura che stavolta l'avrebbe uccisa o torturata o
le avrebbe fatto qualcosa di peggio. Era così atterrita che lo colpì
violentemente mentre cercava di agguantarla per le braccia e imprigionarla
contro di lui.
"Ma che stai facendo, stupida?!" gridò fra i denti, arrabbiato "smettila, ti
stai facendo male da sola!"
"Lasciami, lasciami" urlò fra le lacrime "non mi toccare, vattene via!"
Il signor M la stringeva impedendole di muoversi e di combinare ulteriori danni
mentre lei piangeva a dirotto per il terrore partorito solo dalla sua mente.
Sentiva un lento bisbiglio incomprensibile che a poco a poco diradò le nebbie
della confusione e la riportò a terra.
Era una terra un pò fredda e un pò calda, perchè l'uomo l'aveva accoccolata
contro di se e la stringeva dondolando lentamente. Mira respirò un odore misto
di sapone, lana e detersivo per i vestiti mentre si calmava.
Respirò l'odore di mille chilometri passati viaggiando su e giù per il paese, di
motel, di letti sconosciuti e respirò la propria pelle che sapeva di
bagnoschiuma a poco prezzo.
I capelli le tiravano sulla fronte mentre qualcuno li scostava e li accarezzava
e taceva, trasmettendole pace. Che pace... pensò stringendo il maglione bagnato sotto le dita e muovendo
la testa di qualche millimetro.
"Stai bene?"
"Si. Penso...." bisbigliò improvvisamente timida. Aveva fatto tutto da sola, si
era creata mostri immaginari e li aveva ingigantiti all'inverosimile.
Mira lo sentì muoversi sotto di lei, sentì il suo corpo che si allungava e un
tessuto caldo avvolgerle le spalle. "Adesso asciugati o ti riscoppierà
l'influenza. Ti ho preso dei vestiti mentre eri ammalata, spero di aver beccato
la giusta taglia." Le disse morbidamente, allentando la presa "posso lasciarti
da sola o cercherai di ammazzarti un'altra volta?"
Mira annuì restando immobile. Il suo aguzzino è
una brava persona, è lei che cerca di demonizzarlo a tutti i costi. Si alzò
avvolgendosi immediatamente nell'asciugamano e abbassò la testa vergognandosi di
quello che aveva fatto. Quando la porta gli si chiuse dietro, Mira evitò per
molto tempo di guardarsi allo specchio.
***
Il signor M la lasciò sola per tutto il giorno, il tempo di farla riprendere. Cosa le
fosse preso era un mistero a cui solo la donna poteva rispondere. Probabilmente
l'aveva terrorizzata in qualche strano modo che non riusciva a comprendere,
sebbene si sforzasse di immaginarlo.
Il carico di Nero 'pesava' nel bagagliaio della Chrysler che controllava
regolarmente. Secondo gli accordi, avrebbe dovuto portarlo lui stesso a New
Orleans e adesso non vedeva l'ora di disfarsene, di tornare a casa, piazzarsi di
fronte al computer a chattare con la sua amica di Washington, bevendo Prosecco
ghiacciato in un bicchiere da champagne.
Ognuno ha le sue piccole manie.
Invece tornò all'hotel dopo una passeggiata da se stesso, chiedendosi se non
aveva fatto male a prendere quella donna con se. I suoi occhi...
Per occhi come quelli avrebbe demolito il mondo. Se solo lei gliel'avesse
chiesto... Stronzate da insonnia, concluse rientrando nella sua 'vecchia' pelle e
camminando verso la porta che immaginava sbarrata. La fissò perplesso,
domandandosi se non faceva bene a lasciarla andare via e poi bussò delicatamente
sentendo un 'avanti' gridato da una bocca impastata.
Quando entrò Mira si girò verso la finestra da cui proveniva la pallida
fotocopia di un sole sbiadito. "Non ho la benda con me" mormorò tenendo gli
occhi risolutamente puntati sulla collinetta che si intravedeva dietro gli
scheletri d'alberi invernali.
Il signor M non diede segno d'averla sentita. Restò i piedi all'entrata e le chiese
come stava. E se aveva mangiato.
"Si e no" rispose a bassa voce "i vestiti mi vanno bene, grazie."
"Non hai fame?"
"Si... un pò. Mi andrebbe un pasto vero."
"Allora esci e vai al ristorante dell'albergo, non è niente male" le disse
con voce incolore, tenue, trasparente.
Mira dovette fare uno sforzo notevole per non girarsi. "Davvero? Posso?"
"Non sei mia prigioniera" ridacchiò con una stonatura incrinata "sei mia
ospite."
Detto questo, riprese il suo libro e canticchiò a bassa voce un motivetto che
Mira aveva sentito più volte per radio. Lo sentì gettarsi di peso sul letto e
poi più nulla, segno che la loro conversazione era finita.
Si alzò lentamente, prese la borsetta adagiata sul tavolo e afferrò il
portafogli infilandolo nella tasca posteriore dei jeans.
"Ok... allora vado"
" 'ao" borbottò a mezza bocca, usando quel tono che hanno solo le persone
fortemente concentrate.
Mira uscì rigida dalla camera e solo nel corridoio ricominciò a respirare
nuovamente.
Il signor M alzò gli occhi dal libro, guardò la porta e
strinse le palpebre impercettibilmente, chiedendosi se aveva fatto bene a farla
uscire. Avrebbe potuto chiamare la polizia...
No, non l'avrebbe mai fatto. Era troppo terrorizzata da lui per azzardarsi ad
alzare il telefono. E' terrorizzata da me, pensò più volte con i muscoli
del volto contratti e un certo sfrigolio di ali di falene nel torace.
In alto.
A sinistra.
***
Mira bussò lievemente e poi con fare deciso. Nell'altra mano stringeva un
pacchetto da pasticceria: un offerta di amicizia che serviva più a lei che a
lui. Doveva convincersi che non era un mostro e che stava imparanoiandosi da
sola.
Entrò nella stanza buia con un certo tremolio alle ginocchia. Perchè non era
scappata, perchè non aveva chiamato la polizia? Perchè tornata là dentro?
Perchè lui l'avrebbe uccisa se l'avesse fatto. Conosceva davvero i suoi dati: la
carta d'identità e la patente erano al posto sbagliato, le carte di credito
infilate tutte insieme in una taschina interna del portafogli. Le mani nel
tremarono e fu costretta a stringere il pacchettom facendo scricchiolare la carta
mentre la porta si chiudeva dietro di lei e Mira rabbrividiva.
"Bentornata" mormorò dietro la sua schiena facendola saltare.
"Ti ho portato una cosa" sussurrò allungando un braccio e mostrandogli il
pacchetto "è un dolce. Non so però..."
"Non mi piacciono ma ti ringrazio"
Mira restò immobile nell'attesa di sentire quel fruscio di seta che conosceva
bene.
Ma non successe nulla.
Il signor M le girò intorno, costringendola a tenere gli occhi fissi a terra e le si
pose davanti con un'aria incupita che non potè vedere. "Perchè sei così
spaventata da me? Non ti ho fatto nulla" mormorò osservando i capelli che
spiovevano sulle spalle e il pacchetto che le tolse di mano e posò sul tavolo.
"E' per la mia professione? Hai paura che potrei ucciderti o violentarti?"
Mira avvampò intensamente e immaginò che la penombra fitta della stanza fosse
rischiarata dalle sue guance. Annuì appena, tormentandosi le labbra e
demonizzando il suo carceriere per la seconda volta.
"Ma per favore!" lo sentì sbuffare con aria annoiata. "Fatti un sonno e non
starci a pensare"
Quelle parole allegre, quasi spensierate, la
lasciarono esterrefatta "se tu evitassi certi discorsi, io non sarei così
agitata!" sbottò d'un tratto facendolo sorridere.
"E quante storie che fai, per un apprezzamento innocente! Lasciami scherzare un
pò."
"Non mi piace scherzare in questo modo." Replicò con voce tagliente "e quale
apprezzamento innocente?"
Era frustrante non poterlo guardare negli occhi
mentre ci litigava. Lui ridacchiava e scuoteva la testa "vatti a fare una
dormita, dai"
"Non ho sonno e smettila di ridere di me" ringhiò osservandolo al buio. La sua
minaccia di morte non la scalfiva minimamente: in quel momento di rabbia si
sentiva piena di energia anche se la paura ricominciava a salire. Jack aveva
smesso di ridere e la fissava "hai deciso di rompere il nostro patto? Cerca di
vedermi in volto e la tua prossima alba la vedrai dalla tomba" ringhiò facendola
arretrare di un passo e continuando a muoversi verso di lei "stabiliamo un
punto, donna. Tu non rompermi le palle con le tue fantasie frustrate e io
eviterò di mandarti a dormire con i fossili"
Mira continuò ad arretrare fino a trovarsi con le spalle alla porta.
"Smettila..."
"Stavolta no, occhioni blu. Sono stato comprensivo ed educato. Ma farmi dare
dallo stupratore non rientra nelle miei complimenti preferiti"
"Scusa..."
"Scusa un cazzo. Capisco tutto. Capisco i nervi, capisco la paura, capisco
quello che stai provando..." Jack s' interruppe abbassando la voce "capisco che
forse dovrei violentarti davvero, così la smetteresti di pensarci."
Mira sussultò e si schiacciò ancora di più contro la porta, il cuore che pulsava
frenetico sotto la pelle e che si accentuò quando le toccò la guancia "a che
temperatura di fusione sei arrivata, tesoro? Stai quasi per evaporare. Fatti una
doccia fredda" la frese in giro battendole la gota scherzosamente "ma mettiti in
fila."
Detto questo fece qualche passo all'indietro e la lasciò a boccheggiare per lo
spavento e qualcos'altro che non capiva e le attanagliava tutti i muscoli del
corpo.
Scivolò a terra, con scatti secchi, forzando le ginocchia a piegarsi contro la
propria volontà. Lo sentiva fischiettare sottovoce mentre si toglieva i vestiti.
Spostò lo sguardo su di lui nel momento in cui la luce del bagno le trafisse a
metà una gamba.
Spostò lo sguardo nel momento in cui entrava nel locale.
Giusto in tempo per vederlo nudo.
Capitolo 16 *** Scene 15 : L'odore delle donne... ***
Sente il suo dito che comincia ad accarezzarle la schiena e la fa
rabbrividire
"Le tracce si fermano qui."
Bronx osservò le tracce delle gomme del maggiolino e tirò un accidenti
silenzioso alla pioggia torrenziale che stava cancellato le parti finali delle
frenate.
Riparato sotto un malconcio ombrello nero che gli era stato passato da un agente
piuttosto sollecito, stette a guardare impotente le scie che svanivano e i
ragazzi della scientifica che cercavano in tutti i modi di salvare il salvabile. Ma cosa volete salvare, non vedete che è tutto inutile?!
Il fango gli sporcava le suole di para e poteva sentire i calzini inzuppati
dall’acqua che non accennava a smettere di cadere ma aumentava ad ogni istante.
Fra poco avrebbero dovuto lasciare la zona per non rischiare di restare
impantanati con la macchina in qualche pozzanghera alta mezzo metro o poco meno.
Bronx non scherzava poi tanto: quel tratto di zona era soggetto a vere e proprie
alluvioni, nei mesi primaverili. Roba da farti marcire anche l’anima, per
l’umidità che vi stagnava perennemente!
Il taxi verde sembrava essersi dileguato nel nulla: neanche si fosse aperto un
buco nero in mezzo alla strada e l'avesse risucchiato in un universo parallelo!
Ficcò una mano gocciolante in tasca e tirò fuori l’identikit plastificato del
tassista. Psicolabile del cazzo!
Ma non gli bastava mai? Entrava e usciva dalle galere, le aveva visitate
quasi tutte entro i 25 anni e ancora insisteva a lavorare con il “Nero.”
Quella droga era una vera e propria congiura contro di lui: gli alcaloidi ti
mandavano fuori di testa, ma la roba con cui la tagliavano a lungo andare ti
rendevano più dipendente del crack. Nero... come i viaggi che ti facevi, neri e cupi, impregnati di violenza
e degradazione. Ci aveva avuto a che fare anche lui, una volta. Era una
matricola, avevano appena sequestrato un carico ad un mercante di morte come Farmer. L'agente più anziano aveva azzardato una proposta seguita subito da
tutti gli altri. Si erano sparati una dose quasi invisibile, ma quello era
bastato per scatenare una reazione inattesa. Harvey aveva affrontato i suoi
peggiori incubi mentre delirava e non si era reso conto di aver aggredito un
compagno e che tutta l'unità stava massacrandosi di botte. Li avevano dovuti
fermare con i bastoni telescopici e le camicie di forza. Bronx si era svegliato
all'ospedale con un braccio rotto, una costola incrinata e venti punti di sutura
dietro la schiena, ma ad altri era andata peggio: la milza di Dickinson l'aveva
lasciato per sempre e Atkins aveva subito una commozione celebrale a causa degli
'urti ripetuti contro una superficie dura'.
Harvey ricordava vagamente di aver visto Phillys aggredirlo, sbattendolo più
volte contro lo spigolo del tavolo degli interrogatori.
Sospensione e punizioni a cascata e radiamento dall'albo per Phillys che aveva
avuto la bella idea.
Arrivare al grado d’ispettore capo era stata una gran botta di culo. Quello era
uno dei tanti motivi per cui si vociferava che fosse stato raccomandato da 'papino'.
Lord Henry Lloyd Bronson non era stato per niente contento di vedere il proprio
figlio giacere ammanettato in un ospedale militare con la sorveglianza stretta
fuori la porta. 'Avrebbe preso i giusti provvedimenti'
Lui era mezzo intontito dagli analgesici e dal dolore ma ricordava benissimo
quelle parole calme, quasi suadenti, dirette alle guardie che lo tenevano
d'occhio.
Bronx si è abbreviato il cognome per cercare di sviare l'attenzione eccessiva e
per lasciarsi il potere paterno alle spalle, ma non era bastato.
C'era voluta una brutta incursione in un deposito di merce di contrabbando
per far risalire la stima del dipartimento in lui. Beccarsi una pallottola per
un collega sembra che faccia sempre molto effetto di fronte alla disciplinare.
Bronx non ci pensava neanche lontanamente a
fare da scudo umano a quel gran coglione di Jeremiah. Semplicemente, ci si era
trovato in mezzo e la nove millimetri l'aveva centrato giusto giusto sotto il
polmone, salvando la vita all'idiota bietolone che tremava come una foglia e
mandando lui in ospedale per un altro mese e mezzo.
Si distrasse dai pensieri con una scrollata di capo. Roba vecchia, passata.
Morta e sepolta. Ora doveva occuparsi di Mira e di quel pazzo. Sarebbe rimasto
abbastanza lucido da lasciarla in vita o l'avrebbero ritrovata cadavere in
qualche burrone? Cancellò la brutta immagine velocemente: sarebbe arrivato prima
di lui, che diavolo, lo pagavano apposta per braccare quei bastardi senza Dio
fino alla nausea, sarebbe stato più veloce, sarebbe stato... Cristo santo! Si piegò sulle ginocchia lasciando andare l'ombrello e la pioggia lo inzuppò
all'istante. Frugò nel fango e tirò fuori uno specchietto che aveva già visto.
Quello specchietto era identico a quello che le aveva visto in mano quando era
rientrato con il caffè e Mira stava sistemandogli l'ufficio: le era andato un
granello di polvere nell'occhio e lei stava osservandolo in uno
specchietto esattamente di quel colore e modello.
"Che fa, ispettore?! E' senza guanti!" gli
urlò un addetto della scientifica saltando come un grillo verso di lui con una
bustina di plastica.
"Guanti?! E pensi che servano in un posto come questo?!" gli urlò conto
visibilmente incazzato e con le voce che tremava. "Cercaci le impronte sopra!"
sbottò lanciandoglielo e girandosi verso la macchina.
Quando fu al riparo della pioggia, trasse la foto stampata di Mira dalla tasca e
la osservò con il viso contratto. Un sudore gelido e fastidioso gli aggredì la
colonna vertebrale e lo fece tremare. Mira...
Ripose il foglio, dopo averlo piegato in quattro e guardò la vallata aggredita
dalla pioggia. Non sta succedendo davvero, non a lei! Mira non può essere con
lui!
****
Mira si svegliò di colpo, sentendo allo stesso tempo il 'click'
della lucina scattare su off.
"Brutto sogno?"
Sudore, tremiti e palpiti. Un piacere che si propagava nel
ventre e nel resto del corpo che fremeva e si muoveva sotto la coperta. Non era
un incubo... pensò scuotendo la testa e stringendosi le braccia contro. Poteva
sentire i capezzoli inturgiditi sotto la maglietta che indossava. Mugolò un flebile 'no.'
No no no no!
Il suo perennemente insonne compagno, la guardava aspettando. "Non
fissarmi" sibilò scoprendo con angoscia di essere quasi andata a finire nella
metà del suo letto e che ci mancava poco per arrivare fino alle sue labbra.
Non voleva toccarlo.
Non voleva baciarlo.
Non voleva averlo così vicino.
Non vol..
Se sei una che fa sempre tutto il contrario di quel che pensa,
ti metti nei guai un sacco di volte. E' quello che rimugina mentre gli
si allaccia addosso e lo costringe a baciarla.
E' tiepido e ha le labbra asciutte che si ammorbidiscono lentamente.
Il signor M resta
immobile per qualche secondo; troppo stupore, troppa sorpresa per poter reagire.
Lascia cadere il libro da una parte, le sue mani si muovono lungo la schiena
salendo fino al collo e ricambiando il bacio.
Sta andando in automatico, non prova alcun piacere in quel che sta facendo.
Si siede a cavalcioni su di lui e continua ad esplorargli la bocca. Un morso lo
costringe a staccarsi per il dolore e Mira resta a guardarlo esterrefatta.
Si scosta velocemente, il cuore non vuole smettere di battere in quel modo. Non
sa come giustificarsi.
Lui la toglie dall'imbarazzo riprendendo il suo libro e facendo finta di niente,
schiarendosi di tanto in tanto la gola e non vedendo un accidenti della pagina
che ha davanti a se, perchè è completamente buio.
Mira striscia fino alla propria sponda e gli da le spalle in silenzio,
chiedendosi se non ha proprio esagerato stavolta.
"Mi piace quando sospiri il mio nome... è l'unica volta in cui non lo metti fra
virgolette" ridacchiò gelandole il sangue nelle vene. "Cavolo, se avessi saputo
che era così divertente passare il tempo con te, l'avrei ammazzato prima, quel
porco!"
La donna inspirò rabbia al posto dell'ossigeno: gli scaraventò
il cuscino in faccia per metterlo a tacere. "Non dire stupid.." Mira si
interruppe al colpo soffice del proprio cuscino rispedito al mittente.
"Infantile!"
"Hai cominciato tu. E mi hai anche morso"
La lotta fra i due fu breve non solo per la differenza di forza fisica: Mira
aveva quasi paura di toccarlo e lui non intendeva affatto
toccarla. Si limitò a farle mordere 'il lenzuolo' da vicino per poi ignorarla.
"Il tuo senso dell'umorismo è pari alla temperatura dell'Antartide. Non è vero,
non mi stavi 'sospirando' ma dalla tua reazione capisco cosa stavi
sognando" borbottò infastidito "se vuoi fare sesso basta chiederlo in carta
bollata e triplice copia. Questo continuo prendertela con me, fa capire molte
cose. Basta che non mi mordi"
"Non voglio fare..." mormorò divincolandosi "lasciami, per
favore."
Il signor M la lasciò all'istante e Mira caracollò via, mettendo il più
possibile spazio fra loro. Avrebbe dormito sul pavimento pur di non tornare in
quel letto che le appariva schifosamente attraente e lussurioso. Devo
andarmene via, adesso! Pensò afferrando i jeans e infilandoseli di corsa.
Gettò uno sguardo alla finestra e vide che il temporale infuriava più di prima.
Dove sarebbe andata senza un mezzo di trasporto? La polizia! Perchè non l'aveva
chiamata?!
Calmati. Basta con le scenate, si ripetè più
e più volte mentre osservava la pioggia, consapevole che lui la guardava e
aspettava. La stava studiando, analizzando. Gliel'aveva detto all'inizio. Stava
scoprendo i suoi punti deboli, la strana attrazione che provava per lui.
La stava facendo impazzire.
Letteralmente.
"Passata la botta di matto?"
"Si."
"Sei strana donna, mi dai un pò di ansia."
A quelle parole, Mira scoppiò a ridere. Una risata di cuore
che la fece sentire meglio "senti chi parla... caro 'Jack' fra virgolette"
sogghignò rallegrata.
"Cameriere, umorismo al tavolo tre... di corsa!"
"Sei matto... sei... sopra le righe"
Mira lo vide guardarsi attorno più volte "a me sembravano a fiorellini, ste
lenzuola"
Di nuovo la risata accorata della donna lo interruppe. La osservò tenersi lo
stomaco dalle risate e barcollare fino al letto dove ricadde seduta, molto
lontano da lui.
"Mi hai fatto venire sonno, il che è un avvenimento. Non fare casino e non
arrovellarti il cervello inutilmente. Tanto non te lo do, sono fidanzato e molto
fedele" le disse sentendo le risatine che crescevano di tono.
°°°
Sociopatia: nella relativa
forma completa, la sociopatia si riferisce ad un disordine antisociale di
personalità (DSM-IV). E' caratterizzato da una tendenza e capacità di ignorare
le leggi e le regole, da difficoltà a relazionarsi all'interno dei rapporti
empatici ed intimi, da bassa interiorizzazione dei campioni morali (cioè, una
coscienza o un superego più debole) e da un' insensibilità ai bisogni e diritti
di altri. La maggior parte della gente in sociopatia ha spesso problemi di
aggressività ed è un disturbo psicologico molto presente fra le popolazioni
criminali.
Riportiamo la seguenti distinzioni:
Comuni: sono il sottotipo più vasto e
hanno una coscienza debole o non elaborata. Non si vergognano delle cose di cui
le persone normali si vergognerebbero. Sono come bambini selvatici cresciuti,
provano piacere e impulsi gratificanti ad ogni opportunità o tentazione. Amano
in particolar modo distorcere o infrangere le regole e ne vanno fieri. Da
adolescenti spesso scappano di casa. Da adulti si spostano frequentemente,
vivono in rifugi o si approfittano dei servizi sociali. Sono esperti nel rubare
nei negozi. Le loro vite sessuali sono abbastanza attive. Hanno di solito
intelligenza nella media ma non vanno bene a scuola e sembrano non uscire mai da
una serie di lavori poco pagati senza prospettive. Nonostante tutto questo,
sembrano sinceramente felici della loro vita, non essendo appesantiti dal
fardello di un senso di scarsa autostima o dal fatto che non sono mai stati
membri funzionali e contribuenti della società.
Alienati: costoro
non hanno mai sviluppato la capacità di amare, empatizzare o unirsi nella vita
reale ad un’altra persona. Dimostreranno più emozioni nei confronti di un
animale domestico o di un manufatto personale piuttosto che verso una persona.
Oppure possono odiare gli animali e vivere la loro vita emozionale guardando la
tv (l’identificazione con i personaggi di una soap opera è un tratto comune).
Corteggiamenti e relazioni matrimoniali sono molto aridi e vuoti. Non vanno
d’accordo con i vicini di casa. Vivono in un guscio. Hanno un atteggiamento
freddo e insensibile nei confronti della sofferenza umana o di qualsiasi
problema sociale nella società in cui vivono. Non gliene importa niente perché
tutto è fuori dalla portata della loro empatia. Molti di loro ritengono che
questi loro atteggiamenti siano giustificati dal fatto di essere stati traditi
in qualche modo dalla società stessa, e alcuni saranno più che felici di far
fuoco e fiamme su questo argomento su chiunque ascolti. Si lamentano in modo
cronico e in fondo tutto quello che vorrebbero è che la società venisse
distrutta.
Aggressivi: queste
persone ottengono una forte anche se non malvagia gratificazione dal danneggiare
gli altri. Amano fare del male, terrorizzare, tiranneggiare, angariare e
manipolare. Lo fanno per un senso di potere e controllo e spesso lanciano delle
sottili indicazioni riguardo alle loro intenzioni. Ingentiliscono le loro
maniere aggressive e dominanti in modo da camuffare ogni senso di intimidazione
che gli altri possono provare. Cercano posizioni di potere, come genitore,
insegnante, burocrate, supervisore o agente di polizia. Il loro stile è quello
di un’aggressione passiva, in quanto sistematicamente tendono a sabotare le idee
degli altri per sostituirle con le loro. Nel tempo libero amano cacciare o
occasionalmente compiono azione sadiche come fare del male a cani randagi. Di
solito riescono bene nell’ottenere ciò che vogliono e sono particolarmente
vendicativi se ostacolati o se trovano resistenza. Non seguono la norma sociale
della reciprocità come gli altri.
Dissociali: Si
identificano e mantengono la fedeltà con una subcultura dissociale, emarginata o
predatoria. Ogni subcultura va bene per loro purché contrasti l’autorità
stabilita. Sono capaci di intensa devozione e anche di un senso di colpa e
vergogna nell’ambito di tali limitati ambienti. Comunque sembrano finire sempre
in situazioni sfortunate e con cattive compagnie. Nonostante si lamentino che
niente di tutto ciò sia colpa loro, dietro a tutto c’è un genere di meccanismo
di ricerca del fallimento nelle scelte sbagliate che compiono. Il signor M non aveva mai capito in quale gruppo rientrasse. Era solo un
sociopatico sull'orlo di una crisi di nervi.
Gli piaceva tanto scherzare su quella cosa, anche se in fondo in fondo se ne
preoccupava.
Non fai il killer, se non hai qualcosa che non va.
Teneva la donna lì con una scusa. Non aspettava niente. Gli piaceva stare con lei e
tra poco avrebbe ceduto, come l'ultima volta, con la bella Miranda.
Ma lei aveva infranto le regole ed era morta ancora prima che il lobo frontale
registrasse l'immagine del suo volto.
Miranda aveva conosciuto solo Jack, non aveva visto L*** M*** dietro la sua
maschera.
Il signor M guizzava sotto la pelle, lo sentiva mentre scherzava e faceva
battutine sceme alla dea dagli occhi azzurri e la carnagione di miele fuso.
Il signor M lasciava che Mira si muovesse liberamente nell'hotel, la lasciava
libera di andarsene in qualsiasi momento.
Jack l'avrebbe legata subdolamente a se, e ne avrebbe
approfittato senza troppi rimorsi. L'avrebbe fatta innamorare e impazzire e
l'avrebbe ammazzata, quando sarebbe stato il momento di togliere le tende.
C'era sempre la torbida inflessione di Jack nei discorsi con la dea: non
riusciva a tenerlo a bada, quel piccolo bastardo che sogghignava e insisteva a
stuzzicarla per demolire le sue difese.
Non che gliene ponesse molte contro.
Sarebbe bastato un piccolo gesto, una frase detta al momento giusto, una parola
che racchiudeva in se tutto quello che lei voleva sentirsi dire.
Jack l'avrebbe detta senza tante paranoie.
Il signor M avrebbe aspettato un suo cenno, uno sguardo, un movimento di
labbra prima di parlare.
Il signor M la rassicurava sul pavimento del bagno quando piangeva in preda ad
una crisi di nervi, mentre Jack la stuzzicava con i suoi discorsi volutamente
erotici.
E mi sa che devo fare qualcosa per questa situazione, pensò dopo essersi
svegliato e aver constatato con piacere di aver dormito ben cinque
ore filate. Un record da festeggiare!
Sapeva di essere un pò squilibrato, ma non pensava di essersi aggravato.
Psicologo neanche a parlarne, Jack l'avrebbe ammazzato alla prima parola
negativa. Permaloso e strafottente, pensò lanciando uno sguardo a Mira che dormiva
placidamente... attaccata a lui. Alzò un sopracciglio, con un sorriso ironico e
la circondò con un braccio vedendola accucciarsi meglio. Le
accarezzò una guancia, tastando una piacevole morbidezza che non aveva avuto più
il piacere di gustare da un pò di tempo.
Forse anche troppo, considerò eccitato da tutto quel calore e profumo
indubbiamente femminile.
L'odore delle donne... fiori, caramelle e mare. Passeggiate nei campi e serate
raffinate. Seta rossa e profumo di biscotti.
Strana associazione di idee, riflettè mentre Mira si
muoveva e sospirava. Sarebbe stato meglio lasciarla. Si sarebbe svegliata e le
sarebbe preso un altro colpo e lui odiava la gente che urlava di prima mattina.
Ma non riusciva a staccarsi da quel prato odoroso di primavera, così
comodo da farlo quasi riappisolare addosso a lei. Non riusciva a muovere un
muscolo mentre Mira respirava regolarmente e le dita infilate sotto al cuscino
si intrecciavano alle sue. '...e poi vi è quella dolcezza che rilassa la mente e scalda il cuore, predisponendoti
al passo successivo. La voglia innocente di toccare, baciare e assaporare fino
ad arrivare all'eccitazione puramente sessuale. Un attimo prima di sprofondare
nel corpo della tua amante che nulla vuole se non tutto te stesso...' Devo smettere di leggere quella roba, si disse rabbuiandosi e osservando
la linea della gota che declinava nella vallata morbida delle sue labbra. 'Riuscire a percepire ogni singolo sussulto e appropriarsene come fosse
un'emozione propria.'
Il signor M, a quello, non c'era mai arrivato. Non aveva mai
amato davvero. Non sentiva nulla. Qualcosa simile alla pietà, ogni tanto,
qualcosa che sembrava affetto ma che si rivelava... nulla. Aveva provato la
stessa cosa per Mira, quando era stata in pericolo.
Jack non aveva mai amato nessuna: aveva fatto del buon sesso, in certi casi
ottimo, ma non aveva mai ceduto.
E anche in quel momento, mentre il signor M emergeva prepotente, al richiamo di
quel fastidioso sfrigolio di falene nel deserto e delle loro ali che bruciavano
al sole improvviso, Jack lo ricacciò nel profondo abbandonando quel piacevole e
irritante giaciglio.
Non c'è. Meno male.
Mira si era svegliata intontita e depressa... e aveva tanto la sensazione che
quel tipo le si fosse attaccato addosso, perchè sentiva un odore sul braccio e
sulla spalla che non era il suo.
Si vestì senza neanche lavarsi il viso, aprì la porta e si lanciò fuori,
frenando immediatamente dopo aver ricordato di prendere la borsetta. Dove
sarebbe andata senza soldi? Sgusciò attorno alla cameriera che puliva il
corridoio, scese le scale quasi a due a due e uscì dall'alberghetto guardandosi
attorno. Dove poteva noleggiare una macchina?
Fermò il primo passante che le indicò un concessionario di
poche pretese 'ma non l'assicurava sulla validità della vettura'. Mira strinse
le labbra: non poteva rischiare di rimanere di nuovo a piedi, in mezzo al nulla,
in balia di qualche pazzo!
Alzò la testa con una strana espressione sul volto.
Poteva sempre rubare quella di 'Jack'. Rubare la macchina di un killer! Che
idea malsana, ridacchiò voltando lentamente sui talloni fino ad individuare
il parcheggio della clientela dell'albergo.
La vide parcheggiata in mezzo alle altre, la fissò attentamente per qualche
secondo e si affrettò a tornare in camera per frugare nei cassetti e cercare le
chiavi.
Le trovò subito, stupendosi di quanto fosse stato facile e, mentre usciva, gettò
un'occhiata alle valigette che giacevano in un angolo, accuratamente poste
contro una parete.
Cosa c'era, là dentro? Armi, i suoi travestimenti... un'arma, decise
prendendone una che pesava eccessivamente e facendo scattare le minuscole
serrature.
E se ci fosse stata una trappola? Si domandò sudando
abbondantemente e spalancandola di scatto, abbassandosi subito sotto il tavolo! Che imbecille, si disse ridacchiando e tornando su. Rimase a guardare i
pezzi della pistola smontata e alzò un sopracciglio. Lei sapeva sparare ma non
sapeva rimetterla a posto. A parte il caricatore, tutto il resto era arabo.
Chiuse la valigetta, prese le chiavi e si avviò al parcheggio. Ci avrebbe
pensato per strada: si sarebbe fermata in qualche negozio specializzato e
avrebbe montato una storiella decente per farla mettere a posto.
La serratura scattò cedevole. Mira guardò l'interno della Chrysler e posò la
mano sul sedile del passeggero. Lei era stata lì dentro? Non lo ricordava.
Chiuse gli occhi concentrandosi, ma non le venne in mente nulla. Mise in moto e
uscì dal parcheggio facilmente.
Nessuno la seguì per quanto le fu dato vedere.
Coprì molte miglia in direzione New Orleans e mai, neppure per un secondo, le
venne in mente di chiamare Bronx per avvisarlo che era viva. Correva come una
pazza, tirando la macchina quasi oltre i limiti di velocità e non pensava.
Guidava e basta, stando attenta che la spia della benzina non scendesse oltre
metà serbatoio e che non si accendessero luci strane nel cruscotto.
Era notte quando giunse nell'ennesimo Motel. Lo guardò come si guarda una
spiaggia dopo tanto nuotare e si decise. Scese dalla macchina,
valigetta appresso e borsetta a tracolla e domandò una stanza per la notte.
Quella specie di trans che lo gestiva, la fissò da capo a piedi e le tirò una
chiave dopo essersi fatto/a pagare anticipatamente.
La fotografa entrò nella misera stanza e la osservò sconsolata: almeno Jack
aveva avuto un pò più di buongusto nello scegliersi la cuccia per la notte. Si
gettò sul letto vestita e si addormentò di colpo.
***
"Hai visto che macchina, là fuori?"
"Si che l'ho vista" gracchiò il gestore con aria lubrica "è della moretta appena
arrivata. Deve avere un sacco di soldi con se e quella valigetta aveva un'aria
costosissima. Bella, mi piacerebbe una così per il mio compleanno."
L'amico lo osservò con un sorriso sarcastico "amore, lo sai che basta chiedere
per ottenere."
L'uomo sguisciò nelle tenebre e si appropinquò alla Chrysler con passo felpato.
Armeggiò con la serratura finchè non riuscì nel suo intento e quando fu dentro
si strusciò le mani l'un l'altra. "Che bellezza... ci farò un sacco di soldi con
te, piccolina"
"Non penso proprio, sai?" sibilò una voce dietro di lui.
L'uomo non fece neanche in tempo a voltarsi. Uno schiocco
rumoroso e terribile permeò il silenzio dell'abitacolo e il corpo del ladro si
afflosciò sul sedile col collo disarticolato, mentre Jack scendeva dal retro e
scrocchiava le dita. Adesso gliela faceva pagare, a quella scimunita che cercava
di fregarlo!
Il gestore si insinuò nella camera di Mira senza fare il
minimo rumore. Era un habitué della truffa, lui. Girò la chiave lentamente,
impiegandoci molti minuti e si intrufolò nella stanzetta adocchiando
immediatamente la valigetta. La prese e uscì subito, ritrovandosi a guardare un
uomo dall'espressione seria.
Restò a fissarlo mentre lo sconosciuto osservava la valigetta e sorrideva.
Sorrideva ancora quando alzò la pistola munita di silenziatore e, dando un colpo
veloce alla borsa, la alzò di fronte ai suoi occhi, parando gli schizzi di
sangue che si sparsero sulla superficie leggermente scabrosa.
L'uomo cadde a terra con un gemito lugubre mentre Jack puliva la ventiquattrore
sui suoi vestiti con un certo disgusto. Entrò nella stanza della fotografa e la
osservò dormire per qualche secondo. Poi lasciò andare di schianto la borsa a
terra, svegliandola di soprassalto.
Mira lanciò un gridolino notando subito la mano del gestore che sporgeva dalla
porta aperta e uno sconosciuto che la osservava a braccia conserte e non
accennava a dire una parola.
"Come mi hai trovato?!" Gridò spaventata cercando un'arma
contundente. Smise come vide la pistola con la coda dell'occhio. Si immobilizzò
sul letto e restò congelata dalla paura.
"Non ti ho seguito: ero nascosto in macchina e neanche mi hai visto" borbottò restando
fermo, la sagoma semi illuminata dalla luce malata che proveniva dal corridoio.
"Questa mossa non mi è piaciuta."
"Hai detto che potevo andarmene quando volevo!"
"Si, ma non ti ho detto di rubarmi la macchina, le armi e il carico, stronza"
ringhiò avvicinandosi e sventolando l'arma.
"Ok, ok! Ho sbagliato, scusa!" gridò sempre più nervosa "e hai ammazzato quel
poveraccio, per questo?"
"Il 'poveraccio' ti stava fregando alla grande. Domattina ti sarebbero rimasti
solo i vestiti addosso, visto che il suo compare ti stava - anzi - mi stava
fottendo la macchina. Dio, quanto sei ingenua!" urlò afferrandola per un braccio
e cercando di portala via.
Dove, non lo sapeva neanche lui.
Mira si ritrasse, opponendo una ferma resistenza che lo irritò ancora di più.
"Lasciami andare, non sono tua prigioniera!"
Il signor M la osservò tentare di liberarsi e allo stesso tempo cercare di non
guardarlo in faccia, benché fosse mascherato. Era arrabbiato con lei, per
qualche motivo che gli sfuggiva: non la accontentò, ma la strinse di più e la
tirò contro di se.
"Sarebbe stato meglio lasciarti nel fango!" Ringhiò mentre la donna si
divincolava e urtava con una gamba contro l'arma che teneva ancora in mano.
La guardò, fissò Mira immobilizzata per la paura e borbottò dentro di se
qualcosa di irripetibile.
Jack alzò la pistola e gliela puntò dritta in fronte "faccio sempre in tempo a
rimediare." La vide spalancare gli occhi e trattenere il fiato mentre lui la
fissava freddo e immobile. Restarono così per un tempo infinito.
Mira non pensava nulla: aspettava solo la detonazione attufata che le avrebbe
tolto la vita.
Il killer non fece nulla. Abbassò il braccio e gettò l'arma sul letto. "Che fai,
tremi?" le domandò sentendo il corpo sussultare contro il suo.
"Tu... che dici?" biascicò con la bocca secca e il volto pallido "mi stavi per
sparare"
"Uhm.." mugugnò piegando il collo da un lato e la lasciò andare "beh, era uno
scherzo."
Mira restò in silenzio per un secondo e un attimo dopo, la sua mano scattò,
stampandogli un ceffone sul viso che lo fece barcollare.
"Che cazzo fai?"
"Ma sei idiota?!" urlò con i nervi scossi e la voce tremula "che razza di
scherzi fai?!"
"Non darmi dell'idiota, stronzetta!"
Si stava arrabbiando nuovamente.. e lui non si alterava mai. Beh, quasi mai..
"Tu sei pazzo!" gridò indicando il gestore fuori la porta e l'arma "sei peggio
di Marv!"
Jack la fissò sfoderando un sorriso che da solo bastava a rinchiuderlo in
manicomio. "Certo che sono pazzo. Anzi... comincia a correre. Ti do trenta
secondi e poi vengo a cercarti. E se ti trovo, ti ammazzo." sibilò allungando
la mano per prendere la pistola.
Mira lo guardò cercando di capire se stesse scherzando oppure no. "Jack.."
"Corri, occhioni blu. E non voltarti indietro."
Quelle parole ebbero il potere di raggelarla e invece di mettersi a correre,
restò ferma sulle gambe, studiandolo mentre controllava il caricatore.
"Beh... ancora qui? Non mi diverto se non scappi" le disse calmo sedendosi sul
letto e controllando l'orologio "sono già partiti dieci secondi."
Mira scattò verso la porta mentre Jack sorrideva soddisfatto. Un pò di movimento
non fa mai male... e poi si era scocciato di averla tra i piedi.
La sua fronte si aggrottò come ebbe finito di concepire quel pensiero. Beh, non
era del tutto vero... gli piaceva stare con lei, ma vuoi mettere il godimento
della caccia finalizzata a se? Sapeva che Mira gli avrebbe dato filo da torcere
se solo provava a mettere in moto il cervello.
Guardò l'orologio e le concesse ancora dieci secondi per farla nascondere nel
motel, vuoto per via della strada poco frequentata e dello squallore del posto.
Non li sa scegliere gli alberghi, pensò alzandosi e stirandosi. Si
grattò il collo con la canna del silenziatore e poi scoppiò a ridere quando
realizzò l'azione appena intrapresa.
Eh si... era matto da legare!
La donna era immobile. Cercava di non respirare anche se la
mente lavorava febbrilmente. Memore della lunga lista di film horror che aveva
visto, aveva evitato di recarsi sul tetto, ma si era nascosta nell'appartamento
squallido del gestore, per la precisione nell'armadio. Non le era venuto in
mente nient'altro. Fuori l'avrebbe vista, rubare la sua macchina era escluso a
priori.
Quello che aveva trovato nell'armadio, era meglio lasciarlo perdere.
Lo sentiva passeggiare tranquillo al piano superiore e poi più nulla, segno che
stava scendendo le scale. Il motel era piccolo, aveva un piano e basta. Lo
sentiva fischiettare e mormorare, ma si disse che era solo l'immaginazione che
le giocava scherzi di gusto discutibile.
Era impossibile che la scoprisse così facilmente!
Si appiattì contro il fondo dell'armadio, non muovendo un muscolo, cercando di
non inghiottire... come se avesse potuto sentirla.
Qualche secondo dopo lo udì uscire e sospirò posando la mano su qualcosa che
sembrava... ma c'è una frusta! Si disse abbozzando un sorriso per la tensione e
lo stupore. Una frusta... e se toccava bene c'era anche... Mira arrossì
e dovette mordersi le labbra per non ridere. Passiamo avanti. Tastò piano
tutto quanto.. le sembrava di aver visto un paio di manette luccicare nel buio
quando si era infilata la dentro. Non si posso credere è una situazione
assurda! Sghignazzò dentro di se mentre le trovava e le prendeva lentamente
per non far cigolare la catenina. Ma quelle erano vere! Pensò con molta
sorpresa. Bene, meglio!
Se le mise nella tasca posteriore dei jeans e continuo a grattare con un unghia
il manico della frusta. Che ci faceva con quello? Ce lo strozzava?
Un pensiero cattivo le corse nella testa: prima lo frustava e poi lo
ammazzava!
Ma ora le serviva un'arma a raggio lungo. Come la storia del fucile di Clint
Eastwood: se hai una pistola e incontri uno col fucile, sei un uomo morto.
Meditò a lungo e quando si convinse che non c'era pericolo, sgusciò fuori,
strappandosi dalla testa i foulard e i vestiti assurdi del 'gestore' e
trattenendo un gesto di raccapriccio alla vista delle pantofoline pelose, rosso
fuoco con un tacco impossibile.
Gli avrebbe messo abbastanza paura se gli si fosse presentata davanti con
quelle? Si domandò ridendo sommessamente e sentendo un cigolio dietro di lei.
La porta che si apriva?
Piegò la testa in avanti e chiuse gli occhi. "Jack... mi da fastidio la pistola
alla nuca!" riuscì a dire in tono abbastanza neutro, tanto da stupirlo.
"Tana, occhioni blu. Ma che stai facendo? Giochi alla signora con i vestiti del
trans?" Le domandò osservando la roba sparsa sul pavimento con aria divertita.
"Pensavo di spaventarti mettendomi queste" mormorò sollevando una scarpetta
rossa dietro la testa e fissando la frusta che aveva posato poco lontano da lei.
Bastava un centimetro più in la e sarebbe stata sua.
"Mh... carina, ma penso che l'azzurro ti si addica di più" commentò lanciandola
lontano e accucciandosi dietro di lei "Allora? Ti ho trovato. Che si fa adesso?"
"Vuoi spararmi?" domandò avanzando col busto.
"Uhm... no, ancora no" borbottò staccandole la pistola dai capelli "possiamo
movimentarla, prima di..."
"E movimentiamola!" gridò agguantando la frusta e girandosi giusto in tempo per
dargli un calcio sulla spalla e farlo cadere sulla mano che stringeva la
pistola.
Jack sentì l'aria vibrare vicino al viso e restò immobile a guardarla brandire
quell'affare che non sembrava tanto un giocattolo. "E quella?"
"Dall'armadio delle meraviglie" sibilò calciandogli via la pistola, ma non
spostandosi in tempo: Jack l'avverrò per una caviglia e la tirò violentemente,
facendola quasi cadere. Mira si aggrappò alla toletta rovesciando gran parte dei
trucchi e dei cosmetici: afferrò la cipria che gli scagliò sul viso,
accecandolo.
"Merda! Porca puttana, ma brucia!" urlò lasciandola e barcollando a terra.
"Meglio!" Gridò estraendo le manette dalla tasca e dandogli un calcio nei reni
che lo fece guaire terribilmente. "Sta fermo!"
"Ma che cazzo..."
Jack mosse i polsi dietro la schiena con gli occhi che gli lacrimavano "pure le
fottute manette?!" urlò agitandosi come una bestia in gabbia.
Mira si accasciò in terra annuendo, stanca morta e spaventata "e sta attento che
la dentro c'è anche un vibratore! Se mi fai incazzare lo uso su di te!" lo
minacciò strusciandosi il naso e soffiando via la cipria che ancora permeava
l'aria.
"Non ci pensare neanche!" gridò allontanandosi da lei "io una cosa del genere
non te l'avrei mai fatta."
"Tu mi avresti ammazzato!" urlò con le lacrime agli occhi "tu sei schizzato e
hai bisogno di un dottore. Adesso chiamo la polizia."
"Guarda che c'è una bella differenza fra il minacciare una donna con la pistola
e un uomo con un vibratore! Cazzo, c'è una grandissima differenza!" affermò con
aria drammatica "...e poi era scarica.." mugugnò starnutendo.
Mira la afferrò e, con pochissima convinzione, estrasse il caricatore. Era vuoto
davvero.
"Ah.." biascicò incrociando le gambe e osservandolo "cretino."
"Per poco non mi sfregi, con quella roba sadomaso."
Mira abbozzò un sorriso: aveva tutto il tempo che voleva per studiarlo. Si
avvicinò un pò e inclinò la testa "sai che non ho le chiavi di quelle manette?
Ci metterò un bel pò a cercarle."
Il signor M la fissò fra le lacrime e non proferì parola mentre Mira si
avvicinava e lo guardava per bene "tu non sei così. Sei mascherato, vero?
Lui annuì con poca convinzione.
"Bene, vediamo cosa c'è sotto" decretò allungando la mano. Lo vide scansarsi e
divincolarsi e allontanarsi da lei in tutti i modi. "Mira, no"
"Ricorda il vibratore" sghignazzò tastandogli una guancia e prendendosi quasi un
calcio nello stomaco. "Ehi!"
"Mira, cazzo, ti sventro se ci provi!" la minacciò spostando la faccia da tutti
i lati, finchè non lo inchiodò contro il muro. "Mi stai facendo male" biascicò
con la guancia deformata dalla pressione.
"Tu stai fermo. Voglio sfogliarti come una cipolla: questo zigomo è finto, si
sente sotto le dita" sussurrò con voce eccitata dalla scoperta "forte.."
La pelle veniva via con difficoltà. Sotto, apparve una protesi di plastica che
la lasciò senza parole "però!"
"Mi stai facendo male" ripetè facendo guizzare un muscolo sulla guancia "e togli
quel ginocchio dal mio inguine."
"Scusa" borbottò spostandolo e sedendogli a cavalcioni addosso, cosa che gli fece
girare la faccia verso di lei. Mira gliela rispostò da un lato, rimediandosi un
'mhhh' d insoddisfazione e nervosismo.
"Ma che roba strana... ma è pelle finta come quella che usano nel cinema?"
"Si"
Continuò, staccandone un altro pezzo e tastandolo con un dito. "Questa è
vera?"
"Si. Ma la smetti? Non sono un pupazzetto!"
"Fa silenzio o ti picchio con quell'aggeggio!" ridacchiò togliendo un fazzoletto
dalla tasca e spolverandogli il naso dalla cipria "Brucia?"
"Si... dovrei togliere le lenti a contatto" mormorò attirando subito la sua
attenzione "non pensarci neanche e non toccarmi. E scendi da me!"
Quell'urlaccio le fece tirare indietro la testa. Gli pizzicò con forza lo
stomaco rimediandosi un 'ahio' in cambio.
"Mi ucciderai se ti libero?"
"No"
"Vale qualcosa la parola di un killer?" lo stuzzicò sentendolo fremere. Le
piantò in faccia due comete fiammeggianti di rabbia che l'ammutolirono "io VIVO
sulla parola!"
Mira annuì impercettibilmente "mh. Vedremo. Intanto la pistola la tengo io"
***
"L'hai trovata sta benedetta chiave?"
"Non ancora.." mormorò buttando all'aria i cassetti.
"Se tu cercassi con metodo e rigore, non ci sarebbe questo casino in giro e
forse l'avresti trovata." La rintuzzò rimediandosi una linguaccia.
"Che schifo, io là dentro le mani non ce le metto!!" gridò d'un tratto con aria
orripilata tirandosi indietro.
"Perchè, che c'è?"
"Guarda da te. Bleagh!"
"Ma che rumori fai?" Ridacchiò mettendosi in piedi e gettando un'occhiata nel
cassetto incriminato. "Non farmi vedere sta roba, mi vengono i capelli bianchi!
"Io sono liberale in fatto di giochini erotici, ma a tutto c'è un limite"
balbettò arrossendo "se sta lì, scordati di venir liberato da me."
"Rovescialo sul letto e cercala, forza." Mugugnò mezzo arrabbiato "e sbrigati
che devo andare al bagno."
Mira lo fissò sconsolata "ti stai divertendo mentre io soffro a sguazzare in
questo a questa specie di negozio hard per coppie gay"
"Non mi diverto per niente, invece: sono un uomo e vedere certe cose mi fa
accapponare la pelle!" Ripetè scansandosi alla vista di una parrucca.
"Anche tu ti travesti!" Replicò con le mani sui fianchi "quindi non
fare tanto il puritano."
"Questo è lavoro! Quando non lavoro, sono sano."
Mira lo fissò incredula" che vuol dire...."
Il signor M ammutolì e guardò altrove, evitando di rispondere.
"Ehi... rispondimi" borbottò avvicinandosi "che vuol dire che quando non lavori
sei sano?"
"Niente. Cerca la chiave."
La donna lo fissò irrequieta "Jack.."
"Non mi chiamo Jack. Jack... è il mio nome..." la voce si spense in un sussurro
" Mira. Cerca la chiave"
"Che nome? Dimmelo" miagolò accucciandosi di fronte a lui, con le braccia
appoggiate sulle sue gambe. "Dai, spiegami e poi cerco la chiave."
"Trova la chiave e poi te lo dico"
"Ho la tua parola, killer?" sorrise dolce attirando la sua piena attenzione.
Il signor M annuì e la fissò un pò troppo a lungo. "Però... non insistere con la
storia della maschera"
"Hai la faccia buffa così" replicò cominciando a rovistare in un altro cassetto.
L'uomo la studiò a lungo, studiò le gambe che non stavano mai ferme, i capelli
che le svolazzavano sulla schiena e le sue mani che frugavano guardinghe.
Aveva un corpo niente male... Cominciò a fissare il soffitto per distrarsi e
alzò le sopracciglia "Non ci posso credere!"
"A che?" domandò la fotografa voltandosi con un sorriso allegro.
Il signor M sorrise sinistramente e le indicò il muro col mento "c'è anche la
telecamera per i filmini!"
"Forte!"
***
"Adesso me lo dici"
"Non ci penso neanche"
"No e che cavolo! Non puoi rimangiarti la parola, così" urlò diretta al signor M
che la fissava e scuoteva la testa con aria divertita "sono un bugiardo, che
vuoi farci?" sghignazzò toccandosi i polsi "addio, bella."
Mira lo vide sparire nel bagno e lo sentì esplodere in una
risata prolungata. Chissà che ci ha trovato, là dentro! Sospirò sedendosi sul
ciglio del letto e giocando con un boa di struzzo. Ma che ci faceva ancora lì
con quello? Ma scappa, stupida! Pensò alzandosi e cercando la pistola negli
ammassi di tessuti impalpabili che ricoprivano le superficie calpestabili.
Inciampò nell'arma e finì a terra dolorante.
"Che rumoraccio!"
Il signor M uscì dal bagno borbottando quelle parole e tenendo
in mano una paperella: la strizzava sorridendo al 'peee' che ne usciva. "Che fai
in terra? Toh, giocaci." Rise lanciandogliela.
Mira la guardò pensando che era regredito all'infanzia e scosse la testa
"cercavo la pistola."
La fissò per un secondo, il volto inespressivo che la mise in allarme. Si lanciò
contro l'arma che vide spuntare all'improvviso e finì a terra, braccata dal
killer che cercava di arrivarci prima di lei.
La colluttazione fu rapida, stavolta. La fotografa venne schiacciata a terra con
poca grazia "smettila, che fai?!"
"Non devi toccare quell'arma!" le urlò elle orecchie strappandogliela quasi
dalle mani "non toccarla."
"Va bene!" singhiozzò dolorante e nuovamente impaurita. La teneva a terra
ficcandole un ginocchio nella spina dorsale e Mira sentiva tutte le
articolazioni fremere "Jack, lasciami. Fai male, smettila!"
La rovesciò su se stessa troneggiando su di lei e la fissò con un'espressione
terribile mentre Mira si divincolava "devi fare qualcosa per questi sbalzi di
umore!" gridava piagnucolando "deciditi: o fai il pazzo e mi uccidi o ti
comporti come una persona normale... e lasciami!" urlò visto che la teneva
saldamente contro il pavimento e non la lasciava andare.
La guardava e la stringeva sempre di più. Mira penso che volesse vendicarsi
dello smacco e il panico crebbe rendendola violenta. Tirò indietro un ginocchio
e lo colpì più volte, smuovendolo dalla sua catalessi.
"Smettila!"
Si portò una mano alla guancia quando gli ficcò le dita dentro, strappandogli
un'altro pezzo della maschera. Mira guardò la pelle che si era infilata sotto le
unghie con stupore.
"Ma sei scema? Mi hai graffiato!" Urlò fermandole le braccia "sei peggio di una
gatta rabbiosa!"
"Jack o come cavolo ti chiami, tu non stai bene!" mormorò impaurita "passi da un
eccesso all'altro e mi stai stritolando i..." Restò a bocca aperta osservando il
suo viso cambiare.
Come se sapesse da solo, che aveva qualcosa che non andava. La lasciò andare ma
non si spostò. Restò a fissarla con aria dispiaciuta e quando allungò una mano
per sfiorarle il viso, Mira trattenne il respiro. "Lo so, occhioni blu. Lo so da
me." mormorò continuando ad accarezzarle la guancia e sfiorandole la gola.
"Scusa, non volevo farti del male."
"Ti... toglieresti... per favore?" Sussurrò ancora spaventata. Lui non la
ascoltò o forse non la udì e basta. Continuava ad accarezzarle il viso
costringendola a non muoversi.
Sentiva che se si fosse mossa, sarebbe successo qualcosa di inenarrabile. Invece
di alzarsi, la tirò su, abbracciandola.
Mira pensò che era impazzito e che andava assecondato. Così lo abbracciò a sua
volta, sentendolo cedere contro il suo corpo. Che gli stava succedendo?!
"Mi dispiace" piagnucolò stringendola "è colpa mia..."
"No, non è vero." S'inventò sentendo una stretta al cuore a quella voce depressa
e triste. "Non pensarci..." bofonchiò con un sorriso tenero nella voce.
Era piacevole stringerlo in quel modo anche se era un pazzo omicida. Adesso
sembrava più un bambino che chiedeva scusa alla mamma. Gli accarezzò i capelli
con dolcezza e non riuscì a trattenere un bacio che regalò alla guancia libera
dalla maschera. Sembrava un Visitors in quel modo, pensò dandogliene un altro e
dondolando su e giù. Strusciava il viso contro la sua spalla e a stringeva...
non la stringeva più come prima! Adesso era più...
Tu - tum
Lascialo! Si disse allentando la presa. "Va meglio, no? Dai, adesso
andiamocene..."
Mira rabbrividì sentendo le sue mani che s'infilavano sotto il maglione e
le accarezzavano la pelle nuda "Jack... non... no. Non
cominciamo a..."
Si zittì quando appoggiò la fronte alla sua e annuì, accarezzandole la guancia
"ok. No. Come vuoi tu." Mormorò dandole un bacio a fior di labbra e
poi un altro, più pieno e sensuale.
Tu - tum
"Ok.." sussurrò baciandolo a sua volta in un
angolino della bocca "smettiamo.."
"Si."
Lui spostò la testa e Mira lo maledì.
Capitolo 18 *** Scene 17 : Mi devi qualcosa... ***
La fotografa barcollò fino al bagno cacciando il viso sotto l'acqua fredda, osservandosi
con occhio critico allo specchio. Ma perchè quella sera non me ne sono
rimasta a casa? Si chiese sconsolata, posando la fronte sulle mani. Ci
mancava anche lui, adesso! Era scombinato, a tratti psicotico e la cosa
peggiore era che la attraeva, con la sua vena folle e quel sottile masochismo
che compariva a tratti.
Mira si studiò: studiò le sue iridi chiare e le occhiaie che le segnavano la
pelle. Perchè non sono ancora scappata? Che cosa mi trattiene qui? Potevo
andarmene dopo averlo immobilizzato. Stavolta non me lo sarei portata appresso. Guardò un'altra volta la porta un pò timorosa:
erano usciti da quell'alcova del peccato transessuale e se n'erano andati ognuno
per fatti propri. Poteva andarsene, adesso: prendere l'automobile del gestore o
del suo amichetto gay e filarsela tranquilla fino a casa. Lui non l'avrebbe
fermata... oppure si? Le palpebre si contrassero per qualche
istante e si perse in un pensiero che la lasciò inebetita per qualche secondo.
No, perchè avrebbe dovuto? Che aveva di tanto interessante da attrarlo?
Mira era piena di cipria fino ai capelli. Li spazzolò via lentamente, con la
mano, rimuginando sulla faccenda e su quel bacio che non riusciva a capire.
Anche i killer avranno bisogno di affetto, di tanto in tanto, pensò
scrollando la chioma. Si fissò nuovamente e scosse ancora una volta la testa. Si sentiva sporca,
dopo essere stata in quella camera assurda: s'infilò nella doccia con tutta
l'intenzione di fare una cosetta veloce.
Chissà dov'è finito. Alzò le spalle e si immerse nell'acqua bollente con
un un'espressione che non prometteva nulla di buono.
E mentre era distesa con gli occhi chiusi,
cercando di rilassarsi, il signor M entrò di soppiatto e le si piazzò alle
spalle, non senza averle dato un'occhiata lunga.
"Bu!"
Mira urlò per la sorpresa e si raggomitolò come un gattino sotto la pioggia
"come sei entrato?!"
"Dalla porta" ridacchiò osservando come si stringeva su se stessa "ormai ho
visto tutto, è inutile che ti copri"
"Chi se ne importa! Vattene via, maniaco!"
"Antipatica. Dai, fammi posto" esclamò togliendosi il maglione e gettandolo da
una parte. Mira seguì il volo con stupore crescente, l'allarmismo le si leggeva
negli occhi. "Mica vorrai..."
"E brava occhioni belli! Su, che muori dalla voglia di vedermi nudo" sghignazzò
facendosi un sacco di risate alle sue spalle mentre lei si agitava "cristo, è
sempre più divertente prenderti in giro."
Mira s'incupì per la rabbia "era uno scherzo?"
"Si. Divertentissimo. Dovremmo rifarlo"
"Jack... mentre chiamo l'ambulanza, togli il sangue dal pavimento" sbottò
appallottolando l'asciugamano che aveva lasciato vicino al bordo.
"Il sangue di chi?"
"Il tuo!" Gridò girandosi e tirandoglielo in faccia. "Sarai anche un killer
onorato, ma io sono una donna che è stata disturbata due volte mentre fa
il bagno. Sono stata rapita e terrorizzata e sto andando fuori di testa!"
"E quindi?" borbottò con la voce attufata dal tessuto.
"La prossima volta che ripiomberai alle spalle in quel modo, la
squilibrata qui presente ti affogherà nell'acqua del cesso!"
"Ganzo!" esclamò strappandole un sorriso suo malgrado. "Cazzutissima! Lo vedi
che quando ti applichi un pò di umorismo lo tiri fuori? Ma ti è costato molto?
C'hai pensato tutta la notte per prepararti queste due frasi?" la stuzzicò con
un tono idiota che la faceva quasi ridere.
Avrebbe riso se non fosse stata così
preoccupata.
"Impertinente! Adesso vattene via e non farmi più di queste sorprese. Mi saranno
venuti altri tre capelli bianchi" esplose girandosi nuovamente.
"I capelli bianchi ti vengono a gruppi di tre? Sei da studiare!"
"Cretino! Puoi
toglierti quel coso dalla testa, non ti guardo... anzi no! Tienilo, così smetti
di sbirciarmi le tette."
Il signor M continuava a ridacchiare incessante "e lei crede che io le guardi
solo le tette..."
"Demente!"
Mira lo sbirciò per un secondo da capo a piedi mentre strappava dalla faccia
l'asciugano e lo posava da una parte. Poi ci ripensò e la guardò ironico "adesso
me lo porto via."
"Molla l'asciugamano e fila via" borbottò nuovamente allarmata
quando sentì il suo dito che cominciava ad accarezzarle la schiena. Rabbrividì,
si scostò velocemente e lo scacciò."Fermo lì, Jack!"
La mano interruppe il suo tragitto lungo il braccio e dopo qualche istante, Mira
sentì le sue labbra che le sfioravano l'orecchio "Hai tolto le virgolette, quale
onore."
"Toglieresti la tua ingombrante presenza dal bagno?" balbettò cercando di non
girarsi dalla sua parte, anche se la voglia era forte.
"Stai tartagliando per un motivo particolare? Ti sto innervosendo?" le domandò
con un ghigno che non riuscì a trattenere.
"Sei un tormento, Jack!" sbottò arrossendo violentemente
"vattene!"
Si allontana da lui e dal respiro caldo che le accarezza il collo, angosciata,
eccitata. Non posso crederci... devo avere qualcosa che non va. Ho battuto la
testa... sarà stata la droga, pensa velocemente accorgendosi che non si è
mosso di un millimetro.
"Mi chiamano anche così" afferma restando a guardarla "brava occhioni bella, sei
sveglia." Che sta dicendo? "Cosa... ma di che parli?"
"Niente, niente" ridacchia mordendosi un dito, la pelle d'oca sulle braccia al
solo osservarla. “Me ne vado?”
Lo avverte dalla voce che sta pensando a qualcosa d’indecente. Lo sta facendo
anche lei.
Le dita che le sfiorano il collo su e giù, la fanno rabbrividire.
“Sì.”
Lui si sta già alzando, il fantasma del bacio che le ha dato aleggia pressante
sulle labbra.
“No..” Sussurra fermandolo e girandosi un po’. “Aspetta... dobbiamo parlare di
una cosa. Devi promettermi che mi lascerai andare e non mi cercherai più.
Prenderò la macchina di quel tipo e me ne tornerò a casa. Non sentirai più
parlare di me... ed io non dirò mai nulla di te. Non ci siamo mai conosciuti.”
Soffiò tutto d'un fiato mentre il signor M attendeva dietro di lei. Si
riaccucciò nella posizione originaria, in silenzio, ponderando la sua offerta.
"Si potrebbe anche fare" ammise alzando una mano. "Vuoi andare via ora, vero?"
"Sì. Jack, ti prego.. non ce la faccio più."
La voce si incrinò pericolosamente e nella stanza si udì solo il suo respiro
affannoso e il rumore dell'acqua agitata dal suo dito.
"Va bene. Ma stavolta lascia in pace la mia auto."
Mira annuì più volte, mormorando un flebile 'grazie' che lo fece arrabbiare.
"Grazie un cazzo! Sono in ritardo sulla tabella di marcia a causa tua e delle
tue fughe! Non ti avessi mai raccolto, sant'iddio!" gridò mettendole paura. "Lo
sapevo che era una cattiva idea, lo sapevo."
Jack girava come una bestia in gabbia, ringhiando fra i denti e costringendola
all'immobilità. "Tu mi devi qualcosa, occhioni blu" esclamò fermandosi al suo
fianco.
Mira fissò i jeans con la coda dell'occhio e si accostò ancora di più le braccia
sul seno "cosa vuoi? Sii ragionevole e non..." tacque ingoiando e non ebbe il
coraggio di continuare.
"Non voglio niente!" Sbottò andando avanti e indietro. Sedette sul wc con aria
imbronciata e soffiò come un ragazzino sgridato dalla mamma, posando i piedi
sulla tavoletta abbassata e restandosene lì a borbottare come un orso
innervosito.
Passano istanti lunghissimo,
istanti in cui Mira non ha il coraggio di pensare, figuriamoci di parlare.
"Jack... usciresti?" Pigola timidamente, sempre più imbarazzata. "Così... poi me
ne vado... "
Le risponde un grugnito poco umano e immediatamente la donna lo sente dietro di
lei, silenzioso e insinuante... ha paura che possa ucciderla e si lascia
scappare un gemito quando le sfiora i capelli.
"Shhh.." sussurra piano, facendole rovesciare la testa all'indietro "ho trovato
cosa mi devi. Un bacio, occhioni blu. Puoi farlo? Un bacio solo e siamo pari." No! No che non posso! Urla dentro di se costringendosi ad annuire.
Pari su cosa?!
Jack la tira contro di se. Si avvicina lentamente,
sfiorandole la fronte con il dorso delle dita. Il suo respiro la accarezza,
sempre più vicino, fino ad annullare le distanze e a chiuderle le labbra con un
bacio piuttosto esitante.
Sta facendo un esperimento: applicazione su campo di una teoria che si è formata
in quei giorni di vicinanza alla fotografa.
La lascia un po’ alla volta, tornando in ginocchio con lo sguardo perso
nel vuoto, imbambolato e con la gola chiusa.
Tu- Tum
Questo l'ha sentito.
E pure forte.
Continua a guardare i capelli neri che spiovono oltre il
bordo, le ciglia che fremono per essere aperte e le mani che si muovono verso di
lui.
La sente arrampicarsi lungo il collo, facendolo inghiottire a forza,
costringendolo a decidere.
Tornare da lei che ha la pelle d’oca, mentre le accarezza il braccio fino al
seno teso che si intravede sotto l’asciugamano… Tornare da lei che sta tremando come una foglia nell’acqua bollente…
Oppure andarsene, con le gambe che rabbrividiscono e le ginocchia intorpidite,
non dalla lunga posizione, ma per il godimento che si ferma lì e
ristagna, una pozza calda di piacere che risale fino allo stomaco, mandandolo
sotto vuoto spinto…
Andarsene in preda ad un chiodo che batte su di ‘lui’ e lo fa piegare a metà…
Prende un respiro profondo afferrandole la mano e facendola gemere, tirandola e
costringendola a riemergere un poco, prima di calare di nuovo sulle sue labbra,
aprendole immediatamente in un bacio lungo e profondo.
Mira lo sente girare dietro di lei, un braccio che s’immerge
nell’acqua e le circonda la schiena. La tira contro di se, bagnandosi mentre
continuano a baciarsi con trasporto sempre maggiore. Sente le sue dita vagare
sul fianco e sulla schiena, sfregando, solleticando e accarezzando, eccitandola
a più riprese in un corollario di piccoli sospiri quando le accarezza il seno
morbidamente, senza farle male. Gli afferra la mano obbligandolo a scendere, a
scendere sempre di più, fino ad incontrare un liquido vischioso, più bollente
dell’acqua che non oppone resistenza al suo ingresso.
L'uomo si ferma sentendo una tale disponibilità; lo lascia stordito ma non gli
impedisce di continuare quello che sta facendo.
Un gemito troppo forte le fa contrarre la schiena quando la esplora,
strappandole gemiti su gemiti che la fanno tendere contro di lui. Insiste,
cibandosi avidamente dei suoi mugolii.
“Non smettere, non smettere, non smettere…” lo supplica in fretta, ansimando e
aggrappandosi al suo collo. Baciami toccami baciami non andartene continua mi stai facendo morire non ti fermare continua.
Lo costringe a tirarla fuori della vasca in fretta, gocciolante e nuda,
avvinghiandola a se, le gambe attorno alla sua vita.
Le sembra di cadere a terra e lo stringe con più forza, strappandosi dalle sue
labbra e aggrappandosi alle spalle. Può sentire il suo corpo interamente, può
studiarne i muscoli e la conformazione.
Torna a baciarla, stupito della sua reazione verso quella donna che sembra
rimpicciolirsi nel suo abbraccio.
L’ha aggredito lei, l’ha provocato lei! Lui ha fatto solo la stronzata di
eccitarla con quella storia della cravatta e tutto il resto. Poteva mascherarsi come al solito e
non l’avrebbe mai riconosciuto. Ha fatto la stronzata di baciarla e ora non
riesce a smettere perchè quelle labbra sono morbide e si lasciano conquistare
troppo facilmente. Doveva per forza fare tutti quei gemiti? Piantala, cazzo,
non sono di ferro!
Devo vederlo devo assolutamente vederlo devo
vederti. Si ripete freneticamente, soffocata dal suo bacio profondo.
“Devo vederti..”
Lui si ferma per un breve momento, esitante, indeciso. Le schiaccia la testa
contro di se e le bisbiglia un ‘no’ a malapena udibile.
Odore di mille chilometri passati a cercare, a cacciare.
Buono, le piace.
Nella sua posizione comincia baciarlo
lungo il collo, scostando la maglietta, mordendolo e leccandolo. Vuole sentire
il suo sapore, vuole cercare di capire com’è fatto veramente.
Jack pensa due cose velocemente. Uno, che ha scoperto il suo punto più debole
neanche a farlo apposta.
La seconda… Portala a letto! Lo costringe a muoversi per portarla via di lì, mentre insiste a baciarla, a
non farle respirare altro che il suo respiro.
Mira si lascia guidare senza aprire mai gli occhi, continuando a
mangiarlo avidamente, smettendo solo quando si sdraiano, quando la spinge
lontano da se per berla con lo sguardo. La stanza è in penombra, può capirlo
facilmente dal buio in cui sprofondano le palpebre.
“Non è giusto, tu puoi vedermi” sussurra sentendolo immobile.
“Mi piace molto quel che vedo…” ammette chinandosi un po’ “non è più eccitante
così?”
Mira non ha neanche bisogno di pensarci su.
“Sì”
Sta per farle una domanda e non sa che effetto provocherà in lei. Il solo
pensarla gli ha causato un’erezione marmorea. “Posso bendarti?”
Mira sente un gorgo nero che le risucchia il corpo e la mente e li risputa
completamente aggrovigliati su se stessi: è una cosa così eccitante che non può
neanche…
“No…” mugola allontanandosi di qualche centimetro ”no... dai…”
Lui la guarda un po’ sorpreso, avvicinandosi “no, non aver paura. Perchè...”
Con una voce così… e lei non dovrebbe aver paura?
“Non sono spaventata” mente con la voce alterata “però non farlo!” Ha paura. Anche io. “Non lo farò. Sta tranquilla”
Mira guarda in direzione della voce, sempre più intimorita “tu non capisci… come
mi sento… adesso”
E come cazzo pensi mi senta, io? Pensa con il respiro corto e gli occhi
che corrono lungo le gambe e il resto del corpo.
Un silenzio grave abbraccia la stanza, infilandosi dentro di lei con violenza
inaudita. Allunga la mano e lo tocca. Perché non parla più?
Jack le afferra le dita, le bacia una dopo l’altra facendole il solletico,
leccandole con la punta della lingua il polso che ritrae con un brivido. “Come
ti senti, dimmelo”
Mira ingoia più volte: la sua voce è gentile, ma c’è sempre quel tono roco che
tiene la sua eccitazione in bilico su un filo.
Presto sarebbe caduta e non c’era la rete di salvataggio, sotto di lei.
“Spaventata.” Paura ho paura ho paura di farmi male ho paura non voglio che mi uccidi non
voglio che mi tocchi così mi piace troppo oddio non so neanche come sei fatto
non so che faccia hai!
Si sente circondare da un braccio; si ritrova contro di lui e gli si appoggia
addosso di peso, dopo istanti di indecisione. “Confusa” continua a bassa
voce, come se stesse confessandosi “non capisco che sta succedendo. Questa cosa
mi terrorizza. Mi fai più paura tu di Marv…lui almeno era pazzo.”
Lui era un pazzo arrapato e io solo un arrapato sul punto di impazzire. Non
sei capitata molto meglio. “Questa ‘cosa’” ripete accarezzandole il viso e
sentendolo caldo “questa cosa non era prevista. C’è perché noi lo vogliamo. Io
non volevo che accadesse, non... ” mormora un
pò imbarazzato. Da dove gli escono frasi del genere? “Può finire in qualsiasi
momento. Vuoi che finisca?”
Mira sente il suo cuore che batte velocemente, tranquillizzandosi un poco:
allora anche lui... non è così calmo come pensava.
Lo sente respirare morbidamente, mentre le parla a bassa voce, rassicurante,
garbato, inconsapevole dello sforzo mortale che sta facendo. Può finire quando voglio…
“Vuoi che smetta di baciarti... di toccarti?”
“No” mormora strusciando il viso contro di lui. “Non voglio” Diosanto…“Non va neanche a me” ammette stringendola un altro po’. Non mi lasciare, no, pensa tornando a tendersi quando scende ad
accarezzarle il seno con le dita, leggero leggero. Leggero e poi… più
insistente, più sensuale…
Lo lascia continuare, con gli occhi chiusi e i muscoli del viso contratti, per
non gridare, finchè non le chiede nuovamente cosa prova.
Ci prova.
Prova veramente a rispondergli ma le esce solo un mugolio frastornato che lo fa
sorridere. O almeno cerca di farlo.
Lo avvinghia con le gambe e lui le accarezza leggero i polpacci e le caviglie,
risalendo e strappandole un sospiro.
“Ho freddo…” Sussurra per farlo stendere interamente su di se, per stringerlo
ancora una volta. Il desiderio preme feroce nel ventre e fluisce attraverso il
corpo, fino alla parte più sensibile. Lo so che hai freddo, sei bagnata… sei nuda… lo so che hai freddo… adesso… ci
penso io. Si, adesso...
Sente qualcosa di morbido che le sfiora il corpo e un calore forte che la
aggredisce. Muove la mano e tasta la coperta che li ricopre entrambi.
“Dimmi come sei fatto.” Come sono fatto? Come sono…
Non le risponde, ma le carezze si accentrano fino a raggiungere quel posto vuoto
che la fa contorcere e muovere scompostamente, le gambe aperte attorno a lui.
“Dimmelo tu. Toccami”
Per un istante, Mira lo odia. Poi pensa che fa tutto parte di quel gioco erotico
e crudele che stanno facendo e comincia a percorrerlo lentamente.
“Alto…più alto di me.”
Scivola sulla schiena e il torace, lungo le braccia sentendo il suo respiro che
cambia e si fa più intenso. “Normale…fai palestra per tenerti in forma. Ti
serve. Per il lavoro”
Sta gemendo mentre lo dice, fa fatica a concentrarsi perché continua a toccarla
e a baciarla. “Corri… hai le gambe muscolose”
“Brava” sussurra con un sorriso forzato. “Continua”
Le sue mani avanzano, risalendo dal viso fino ai capelli che tira leggermente
per farlo staccare dal suo seno, perché se avesse continuato a suggerla in quel
modo non avrebbe più parlato “i capelli…scuri”
“Sicura?”
“Sì. Sono morbidi, ma sono grossi. Se fossi stato biondo, non sarebbero stati
così. Non si asciugano mai, è per quello li porti corti” afferma con certezza
passandoci le dita in mezzo e facendolo rabbrividire interamente. Sorride,
quando sente lo scatto muscolare che lo trapassa.
“Forse. E i miei occhi?”
“Scuri….si, sono scuri”
L’uomo si ferma per un attimo e Mira capisce di aver centrato il bersaglio.
“E chi te lo dice?” ridacchia abbassandole il viso per baciarla.
“Perchè prendi sempre in giro i miei…” mugola con la voce tenue, prima di
ricambiarlo.
Esiste solo la sua bocca, solo il suo corpo nell’oscurità. Si sdraia su di lui
lasciandosi stringere e muovendosi sensualmente. Ti voglio ti voglio perché sei ancora vestito mi piace di più mi piaci da
morire ma che hai per farmi quest’effetto continua a parlare la tua voce mi fa
impazzire scopami dio scopami!
“Come ti senti adesso?”
“Io...”
“Spaventata?”
“No…eccitata.”
Il potenziale erotico che ti da una voce o il contatto fisico, non è minimamente
paragonabile alla semplice visione di un corpo nudo. Parole sussurrate,
sfioramenti…lei così abituata a guardare tutto attraverso l’occhio freddo della
macchina fotografica…
Sta per morire.
E per una frazione di secondo pensa a Marv. Provava la stessa cosa, quando la
voleva?
L’uomo la stringe, sfiorandole il viso e baciandola, osservandola mentre cerca
di respirare senza gemere in quel modo stuzzicante.
Lasciati andare…
La vede ingoiare, chiudere le labbra per un secondo, tornare a riaprirle,
portarsi una mano fra i capelli umidi dell’acqua della doccia, tirandoli
indietro, scoprendo la gola e il seno.
Vorrebbe giocare ancora con lei, ma non riesce a parlare, l’eccitazione gli ha
appiccicato la lingua al palato. Non ha mai sentito qualcuno così.
“Spogliati” singhiozza afferrando la sua maglietta e cercando di farla passare
sopra la testa.
Non se lo ripetere un’altra volta. Dopo un secondo, Mira lo sente nudo contro la
sua pelle e trattiene un gemito, quando finisce di svestirsi. È bollente, sembra
di abbracciare un termosifone.
E’ nudo e le sta addosso e le sue membra sembrano intorpidite, non riesce ad
alzare neanche un dito, non riesce a parlare, non riesce a respirare…
Ora non poteva più tornare indietro.
Non voleva tornare indietro.
“Però dopo… non voglio sentire scuse… che non eri in te…” Mormora con voce quasi
inesistente accarezzandola fra le gambe e facendola tendere con uno spasimo. E
poi un altro. E un altro ancora.
“Per favore..” Singhiozza cercando di raggomitolarsi su se stessa, in preda al
piacere che non diminuisce mai e non la lascia andare. Cerca di allontanarlo da
se ma lui le afferra le mani, baciandole e portandole dietro il suo collo mentre
si muove e la prende all'improvviso.
Uno squittio acuto, la sorpresa nella voce, un grido che sale di tono mentre
affonda due - tre volte, fermandosi, infine.
Mira respira appena, cercando di stringerlo con le braccia indebolite e le cosce
che stanno tremando violentemente.
Gli piace guardarla, ma quello che più gli piace è sentirla farfugliare fra le
labbra abbandonate, mugolii che non capisce ma che lo stimolano e lo portano a
spingersi lento e sistematico dentro di lei.
Il mondo gira regolare, non c'è nulla di dissonante o sbagliato in quello che
stanno facendo, il momento era giusto, lei era pronta.
Perché ha quest'impressione... d'aver sbagliato qualcosa... un lampo gli
attraversa la testa mentre si muove e lei respira penosamente.
“Apri gli occhi, aprili... guardami”
Jack Tempesta è il cattivo ragazzo da non presentare mai alla
mamma.
Jack Tempesta è il brutto tipo con cui non vorresti mai avere a che fare.
Jack Tempesta ti entra dentro, scava e
graffia fino alle ossa e non puoi fare a meno di dire 'ancora'
Incontrarlo vuol dire vivere in un
istante di tempo andato a male.
Jack Tempesta è gravemente insonne.
Sente la sua voce risuonare come un eco lontano. Non
riesco... aspetta.."Sì" sussurra aprendoli piano, concentrata solamente sul
corpo del suo compagno che si è fermato.
C’è solo la minuscola lucetta in fondo alla stanza che proviene dal faretto da
lettura, l’indispensabile per darle un’idea dei contorni del suo amante
occasionale. Il signor M si solleva da lei, facendo scivolare la coperta dalla schiena
e rivelandosi un po’.
Mira lo osserva con la vista offuscata, semi sdraiato sopra di lei, immobile e
silenzioso, nell’attesa di qualcosa.
Avrà la sua età, forse qualcosa in più.
Quella visione inattesa scatena un lato di se che non conosceva, una parte che
non le piace, cattiva e perversa che la mette a disagio, che la stuzzica ad approfondire, a cercare
di capire fino a dove può spingersi con lui.
Allunga una mano un pò esitante, posandola sul viso e accarezzandolo, facendogli
alzare il collo e spingendolo verso la luce.
“No, Mira!” sbotta girando la testa verso la penombra “no”
Lei lo guarda attentamente. Qualcosa riesce a vedere, ma quel corpo che si muove
sopra il suo le rende difficile il compito. Ma poi…chi se ne importa…pensa illanguidita dalla posizione, dalla situazione.
Da lui.
La guarda con un sorriso evanescente che può solo intravedere e gira la testa di
scatto, baciandola. “Ho sempre una posizione di vantaggio su di te” sussurra con
la voce roca, muovendosi di nuovo e facendola crollare.
Gli piace come muove la schiena, gli piacciono le sue gambe attorno alla vita.
“Perché?”
“Ti vedo benissimo... sei... spettacolare” sussurra tornando a baciarla sulle
labbra e affondando di colpo, facendola urlare.
Mira si aggrappa alle sue braccia e getta indietro la testa, non riuscendo a
smettere di muoversi incontro al suo amante che ci sa fare, dio se lo sa fare,
ma forse è lei, è lei, si... no..
SI! Il mondo gira come cristo comanda, va esattamente come deve andare. La sente
sussurrare fra un gemito e l'altro, apprezzamenti su di lui che non lo
scalfiscono. Che sta dicendo? Non è vero, non si crede mai a quello che
le donne ti raccontano nel letto. Credete che dicano la verità, mentre stanno
godendo e capiscono solo quello che hanno dentro? Sta zitta, non è vero,
smettila!
Si china a baciarla, un bacio che Mira ricambia con passione.
La sente.
La sente con troppa violenza.
L'ha intrappolato.
Si lascia sfuggire un gemito roco mentre la sua compagna riempie la stanza di
gridolini.
Per una frazione di secondo, il signor M pensa che potrebbe anche farlo, se glielo
chiedesse, potrebbe lasciarsi vedere da lei.
Poi Mira grida di nuovo, si dibatte, lo stringe e cerca di spingerlo via, allo
stesso tempo e s'immobilizza, lo risucchia dentro di se e lo svuota di tutto il
suo essere. Le lascia il polso che ha stretto tutto il tempo; le avrà fatto
male, ma ora è tutto ordinato, perfetto. Si lascia scivolare addosso a lei con
un lungo sospiro che fugge e si confonde con il respiro corto della sua donna.
Si lascia scivolare sul suo seno e per un secondo solo, pensa che dopo lo farà
di nuovo, si.. dopo.
***
Il signor M …ci piacerebbe dirvi il vero nome, ma non lo sappiamo neppure noi.
Nell'ambiente è conosciuto come Jack Tempesta, ma ha fin troppi nickname per
poterli elencare tutti. Lo abbiamo seguito mentre saliva sulla Chrysler blu
notte con la sua valigetta marrone bruciato e il suo bel vestito elegante.
Lo abbiamo seguito mentre tornava nella sua casa temporanea e preparava la
valigia. Lo abbiamo visto pedinare Marv, facendogli compagnia mentre viaggiava
solo sull’interstatale B7.
Noi possiamo dirvelo, com’è realmente.
L’aspetto fisico? Accontentatevi delle descrizioni di Mira che sta prendendo
una mezza cotta per lui.
Non intenzionalmente, però: sulla base umana, qualsiasi situazione rischiosa
comporta immediata attrazione verso il sesso opposto. È naturale, un meccanismo
riproduttivo piuttosto bieco, a dir la verità.
Dopo questo breve excursus naturalistico - comportamentale, riprendiamo la
nostra storia.
Il signor M è un bravo ragazzo, laureato con buoni voti e uno stipendiuccio non
indifferente. Lavora poco e guadagna molto. Inoltre, non pagando le tasse -
perché l’attività ‘L***M*** sgomberi specializzati’ non rilascia fattura - è più
ricco di noi e voi messi insieme.
Aveva una ragazza completamente all’oscuro del suo lavoro che l’ha lasciato
senza un motivo speciale.
Non ci sei mai.
Non hai un progetto di vita.
Non vogliamo le stesse cose.
Sarebbe meglio non vederci più.
Noi quel giorno c’eravamo e abbiamo assistito alla scena con un certo
dispiacere. Ma fregatene, è una stronza. Si chiude una porta e si apre un
portone… si dice così, no?
Il signor M ha mentito a fin di bene, dicendole che era fidanzato.
E’ stato carino da parte sua: l’aveva vista così agitata che si era intenerito
un bel po’… e quando gli ricapitava di salvare la fanciulla in pericolo?
Questa non l’aveva previsto.
Non aveva previsto un po’ di cose, ma era stato in gamba e se l’era cavata. Ora che la guarda, stesa accanto a lui, non sa come uscirne.
Non aveva previsto che ci sarebbe stata,
era una donna che aveva subito uno shock dopo l'altro.
Per ultimo lui.
Una pericolosissima ciliegina che si sta arruffando i capelli e rimescolando il
viso con una mano. Lei dorme placida e beata e lui non ha un briciolo di sonno.
E' troppo sconvolto per riuscire a pensare lucidamente.
Aveva pianificato tutto per bene, e poi....
Si sente... esaurito. Come se gli avesse succhiato via tutte le energie.
Svuotato, frastornato. Un fastidioso 'Tu - tum' nelle orecchie
E adesso? Che si fa? Quello che faccio sempre. Si alzò e aprì la valigetta piena di
armi. Quando non hai sonno, non c'è niente di meglio di un lavoretto di
precisione.
Prese le armi che aveva usato e che doveva ancora pulire e cominciò a smontarle
con attenzione, toccandole come se fosse stato il corpo di Mira. Mi manca solo di darle un nome, a questa sciccheria, ridacchiò
internamente raddrizzando la schiena e orientando meglio la luce.
"Che fai?"
Il signor M sobbalza e spenge la luce all'improvviso, lasciando cadere un proiettile
che cade a terra e rotola fino ai piedi di Mira, assonnata e con la sua
maglietta stretta addosso.
"Niente" borbotta incupito "ma non stavi dormendo?"
"No. Sonnecchiavo. Ho dormito anche troppo, non pensi?" domanda piegandosi e
abbracciandogli le spalle, cosa che lo mise in agitazione. Che voleva dire
quell'abbraccio?
Mira segue il suo sguardo fino al tavolo dove giacciono le armi smontate e per
un secondo si ritrae un pò spaventata.
"Le pulivo" commenta laconico respirando il suo profumo mentre lei posa il
proiettile in piedi sul tavolo.
"Posso restare qui?"
Quel tono dolce lo fa quasi voltare verso di lei "se ti va. Vestiti, però, non
prendere freddo."
"Ok. Sta tranquillo, non ti guardo. Puoi accenderla, quella luce."
Lascia che si allontani e riprende il suo lavoro. E' nervoso, non è abituato ad
avere una donna che gli gira alle spalle.
"....I pezzi maggiori di una pistola automatica
sono la canna e il carrello. La canna termina da un lato con la
bocca - la volata - e dall’altro con la culatta. All’interno la canna è
completamente rigata dalla volata alla camera di cartuccia, che si trova dal
lato della culatta. In una sezione detta castello si trovano il percussore e
la sua molla antagonista. La canna è alloggiata nel carrello, la cui funzione
primaria di sicurezza è quella di chiudere la culatta e sigillare la cartuccia
nella camera. Sempre nel carrello trova posto un altro meccanismo di sicurezza:
la leva di sicura. Il fusto, detto anche impugnatura..."
"Aspetta aspetta!" Mira ridacchia per un secondo,
posandogli le mani sulle spalle " non ci sto capendo niente, vai più piano"
"E sia. Dicevamo....l'impugnatura contiene il cane, il serbatoio delle
cartucce con la sua molla e la catena di scatto. Quest’ultima inizia
con il grilletto, con il suo ponticello di protezione e attraverso una
serie di leveraggi alla pressione di questo si ha lo sgancio del cane che
era stato precedentemente armato o da un precedente arretramento del carrello
(manuale o per colpo sparato) oppure dal pollice del tiratore - questo lo fanno
nei film con la Colt 45 " precisa facendola sorridere "Nella parte superiore di
una pistola ci sono gli organi di mira: tacca e mirino, poi un bottone
di svincolo per lo smontaggio, la molla antagonista di recupero e i
meccanismi di blocco/sblocco, che consentono parziali movimenti
indipendenti dell’insieme canna-carrello. "
"Sparare e via deve essere più semplice "commenta lasciando che i capelli gli
scivolino su un braccio "scusa" sussurra togliendoli velocemente.
"Non mi davano fastidio" riprende con voce pacata " Ora... come avviene un ciclo
di sparo? Partendo dall’arma scarica ma con il serbatoio riempito e inserito, si
arretra manualmente il carrello e lo si rilascia. Questo fa sì che il cane si
sposti all’indietro, venga sfilata la prima cartuccia dal serbatoio, messa in
camera e bloccata da dietro con l’otturatore. A questo punto una pressione sul
grilletto sbloccherà il percussore mentre il cane, la cui molla non è più in
pressione, ritornerà alla sua posizione “naturale” sbattendo sulla coda del
percussore. Quest’ultimo, spinto violentemente in avanti, andrà a urtare contro
l’innesco della cartuccia provocando l’accensione della carica di lancio e
l’espulsione violenta della palla. La pressione del gas agirà anche
sull’otturatore spingendolo all’indietro, attraverso il fondello del bossolo che
verrà espulso per cominciare un nuovo ciclo di sparo" conclude alzando le mani
"e adesso ti interrogo."
Mira storce la bocca scoppiando a ridere "non ho capito nulla" afferma
giocherellando con la sua cravatta. La guarda maliziosa e gliela fa scivolare
vicino ad un orecchio prima di bendarlo all'improvviso "adesso facciamo un
gioco."
"Non penso proprio" ribatte duro spostando la
testa "Mira, smettila"
"Neanche per sogno. Ti ho fatto giocare con la tua arma per tutto questo tempo,
adesso tocca a me" esclama stringendo il nodo con decisione.
"Ahi!"
"Ahi niente, non dirmi che ti ho tirato un capello che è impossibile" mugugna
con voce minacciosa "adesso che sei in mio potere non so cosa fare."
"Non ti ho ancora spiegato la balistica interna del proiettile."
La donna lo guarda con un sorrisetto "pensi davvero di avermi insegnato
qualcosa? Ho il porto d'armi. So tutto quello che c'è da sapere" ridacchia
sedendoglisi in braccio e spegnendo la luce ."Ecco, così non avrai problemi di
timidezza."
La voce del suo compagno non è più pacata: sta cominciando ad arrabbiarsi. "Mi
stai prendendo in giro?"
"Assolutamente" ridacchia baciandolo sulle labbra e andando a vuoto "ehi!"
"Guarda che io ci vedo anche al buio e bendato" l'avvisa sentendo il suo bacino
muoversi contro la propria volontà. E che cazzo! Si solleva in piedi
portandola con se e mettendola a sedere sul tavolo, scostandosi dal suo
abbraccio caldo "mi sa che ti stai prendendo un pò troppe confidenze"
"Stupido" ringhia allacciando con le gambe e tirandolo verso di se,
costringendolo a baciarla. "Dovrei fartela pagare per avermi lasciata da
sola in quel letto" mormora senza lasciarlo scappare "non è carino nei miei
confronti."
"Non voglio essere carino, tu non mi piaci."
Mente liberandosi da lei e allontanandosi di qualche passo."Lasciami stare, non
cercare di fare amicizia con me."
Mira lo osserva e si sente inspiegabilmente delusa. "Va bene." Scende dal
tavolo, un un certo pizzicore al naso la fa grattare. Che fai, ti metti a
piangere perchè ti ha risposto male? Si chiese scivolandogli accanto e
lanciandogli un'occhiataccia mentre si toglie la benda dagli occhi e la guarda
ciondolare lontano da lui. Brutto stronzo, borbotta dentro di se grattandosi il naso con forza.
Brutta bestiaccia malcresciuta...
"Ehi..."
L'uomo la guarda ignaro del perchè stia piagnucolando.
Allunga una mano e le tocca la schiena, rimediandosi un miagolante 'via'
come risposta.
Dai, chiediglielo. Chiedile se è colpa tua.
Le labbra sillabano le parole ma la voce non esce. Rinuncia a parlare e la
guarda passarsi una mano sotto gli occhi più volte. E' stranito e confuso. "E' colpa mia?" sbotta tutto d'un tratto facendola
trasalire.
"No"
"Mi sa di si, invece" insiste voltandola dalla sua parte. "Che c'è?"
"Niente."
"Dimmelo."
Lei lo fissa per un attimo e volta la testa costringendolo ad abbassarsi "ti
prendo a schiaffi se provi a dire che mi sono approfittato di te, prima."
Mira lo fissa sorpresa. Non lo vede bene, ma può sentirlo dalla voce che è
stanco e che vorrebbe solo sdraiarsi e dormire.
La ruga che le corrugava la fronte scompare all'improvviso, gli occhi si
asciugano lasciandolo perplesso.
Lo sente sospirare, e quando parla le fa di nuovo quell'effetto.
"Allora?"
Ha la voce calda e bassa... quanto le piace ascoltarlo, si è quasi innamorata
della sua voce.
"Sai le donne come sono" sussurra cercando di liberarsi di lui e
finendo solo contro la spalliera del letto.
"Non lo so come solo. L'hai detto tu."
Mira lo guarda cercando di vederne il viso: è sicura che ha i tratti alterati.
Istintivamente allunga una mano e lo sfiora, tirandolo contro di se e
baciandolo, facendogli schiudere le labbra per insinuarsi leggera leggera.
Il signor M pensa che sa di sale delle lacrime e del sudore; sa di lui e sta cercando
di fregarlo.
Si stacca dalla sua bocca e la guarda, mezzo nervoso, mezzo eccitato. Le prende
il polso che aveva stretto per tutto il tempo e la vede fare una smorfietta:
allora le ha fatto male davvero. Lo bacia e lo massaggia con le dita, stupendola
per la seconda volta.
"Ce l'hai con me perchè ti ho risposto male." Mormora pensando di sbattere la testa al muro per vedere cosa
c'è dentro. Un bel niente!
"Si"
La tira contro di se velocemente, facendola gemere di sorpresa e la stringe,
crollando disteso, senza emettere un fiato. Dopo qualche secondo la sente
rilassarsi, respirare e ammorbidirsi ed è solo allora che glielo chiede di
nuovo.
"Davvero piangevi per quello?"
Mira annuisce allungandosi fra le sue braccia. E' così comodo..."Era da tanto che non stavo così bene...
e poi hai fatto lo stronzo!"
"Pensa se, in più, non ti fosse piaciuto" sospira sentendola tremare. Sta ridendo
sommessamente. E' molto gradevole.
"Ho passato una settimana infernale. Mi ci voleva un pò di calore umano." Calore umano?! Sta per risponderle quando resta a metà del pensiero. Mira
si è girata verso di lui, morbida gattina che si struscia fra le braccia del
padrone e ha ricominciato a baciarlo.
"Grazie"
L'uomo non l'ascolta, approfondendo il bacio e sdraiandola sotto di se, un
groviglio di eccitazione. "Aspetta a ringraziarmi.."
Capitolo 20 *** Scene 19 : Il Giorno in cui Dio Morì... ***
Nuova pagina 1
Merda! Dio, merda merda merda!
Jack si trattiene dal battere un pugno contro il materasso e continua a strusciarsi le mani sulla nuca, dandosi dell'idiota. Ha sbagliato, non doveva ricominciare un'altra volta, non doveva proprio
toccarla la prima volta, doveva lasciarla stare!
E invece no, gli piaceva la situazione, gli piaceva che fosse in suo potere, che dovesse dipendere da lui in tutto. Non aveva mai provato niente di simile e aveva forzato le circostanze.
Mira dorme ignara della tragedia che si sta verificando nel suo amante. Jack la fissa aggrottando la fronte e odiandola: adesso che cazzo faceva? Dopo aver assaggiato la mela così tante volte, come faceva a rinunciarvi?
E pure lei, ma come fa ad accettare una situazione del genere? Era arrivato il momento di andarsene ognuno per i fatti propri! 32 anni di vita sbagliati dall'inizio alla fine. Ti conosci no? O almeno pensi di conoscerti, lo sai come reagisci a certe cose, lo sai come reagisce quel bastardo ingrato sotto l'ombelico! E no, che cazzo, non lo accetto proprio stavolta! Con un gesto furioso si getta fuori del letto, afferra i boxer e i jeans continuando a digrignare i denti. Si chiude nel bagno ficcando la testa sotto l'acqua, il profumo di Mira ovunque. Si arrabbia ancora di più e iperventila per cercare di calmarsi.
Adesso la sbatti sul treno, macchina, aereo, quello che cazzo è, e te la togli di torno, ok? Si guarda fisso nello specchio che gli rimanda un'espressione poco gradevole e annuisce, tornando ad afflosciarsi un secondo dopo. Echeccazzo! Ti ha fregato con quella storia delle lacrime e tu, cretino, ci hai creduto! Non si crede mai ad un cane che zoppica e ad una donna che piange, coglione! Pensavi di svegliati tutte le mattine con le mani sul pacco e una donna pronta a soddisfarti? Esce dal bagno ancora più arrabbiato e la vede sollevarsi su un gomito e poi a sedere, scostandosi i capelli dalle spalle e guardando nella sua direzione. L'ira svanisce di colpo ma resta a fissarla sulla difensiva.
Tu - tum
Mira sta pensando alla sua avventura occasionale che l’ha stravolta. Sta pensando a quanto è strano fare l’amore con una persona che non è Abe. Sta pensando che non ne ha avuto ancora abbastanza.
"Ancora nervosa?" domanda con un fremito nella voce.
La donna abbozza un sorriso, le guance le vanno a fuoco "no... non più"
“Bene. Vuoi tornare a casa?”
Quella frase, violenta e stonata, la lascia intontita. Come, già la sbatte fuori? Incredibile, da che mondo e mondo che tu sia un idraulico, un commercialista o un killer, il comportamento maschile è universale. “Sì”
La voce le è tremata un po’. Se ne sarà accorto? No, gli uomini non ci capiscono un cavolo.
Il signor M sospira internamente, prendendo un attimo, prima di aprire bocca “posso affittarti una macchina ma poi toccherà a te rispedirla indietro”
A quelle parole Mira smette completamente di pensare. Lui la vede muoversi perplessa, il lenzuolo stretto attorno al seno. “Davvero lo faresti? Perché?”
“Così…” borbotta guardandola in controluce. Perché si coprono tutte in quel modo, dopo? È assurdo, è un controsenso.
“Grazie” mormora muovendosi fino a lui e abbracciandolo.
La stretta tenera lo lascia disorientato e non sa che la donna è nella sua stessa situazione. Le ore trascorse insieme non se le sa spiegare.
“Non mi hanno mai ringraziato così tante volte.” Borbotta accarezzandole la testa suo malgrado “Anzi, di solito non mi ringraziano proprio”
“E la cosa ti sconvolge?”
“’snomma..” No, mi ha sconvolto l’intera situazione. Tutto questo non era stato ne immaginato ne cercato, pensa con una smorfia.
“Jack ..”
“Lucas” borbotta a bassa voce, voltando la testa verso di lei. “Quello vero è Lucas.”
"E' bello. Mi piace molto di più.”
“Devo uscire, ora” replica in fretta, scostandola da se con un po’ di forza che
Mira non capisce. “Vado a cercarti la macchina” afferma chinandosi ad afferrare
il resto dei vestiti e infilandoli velocemente. Sente il bisogno urgente di
scappare da quella stanza che è pervasa dall’odore della loro pelle.
“Lucas…”
Inchioda, girandosi appena e quando la sente circondarlo con le braccia e
baciargli il collo, sospira internamente. Le accarezza le dita che lo avvolgono,
il solletico piacevole dei capelli che ricadono da un lato. Si rimette a sedere,
lasciando che lo abbracci meglio.
La donna è indecisa, si morde le labbra prima di parlare “Mi è piaciuto molto...
davvero”
Lucas alza un sopracciglio e sorride, la voce un po’ maliziosa “bene”
“Ora accenderesti la luce?”
“No!”
“Per favore” lo supplica con voce carina, stringendolo un altro po’, sentendo il
suo corpo rigido e tutto d’un tratto distante “Sto impazzendo chiedendomi come
sei.”
“Ho detto di no”
Mira lo sente dalla voce che sta cedendo. “Senti: ho appena fatto l’amore con
te. Ho il diritto di vederti in faccia!”
Sesso! Perché voi donne…interrompe il pensiero con un brontolio interno.
Oh, fanculo! Allunga la mano verso l’abat - jour e l’accende. “Mira, conosco
i tuoi dati anagrafici, so dove abiti. Posso venire a casa tua per ‘una visita’,
se lo ritengo necessario” le spiega con voce sempre più grave.
Lei osserva i capelli corti e neri, la linea della schiena.
“Voltati e non dire stupidaggini.” Le trema la voce e neanche se n’è accorta.
“Mi hai salvato la vita... perchè dovrei denunciarti
alla polizia?” Continua trattenendo il fiato.
Lo osserva mentre si siede più comodamente e la guarda dritto negli occhi.
Naso dritto un pò aquilino, guance scavate ma non troppo. Fronte spaziosa, da
pensatore... È un
tipo normale, non ti gireresti a guardarlo, in strada.
Per i suoi standard è…
“Avevo ragione…” afferma sedendosi sui talloni “sei mascherato, adesso?”
“Te ne saresti accorta, occhioni blu”
Alza una mano per sfiorarle il viso, tirandola un po’ verso di se “quanto volevo
rivedere i tuoi occhi…”
Lo sta fissando così
intensamente che non riesce a smettere.
Per i suoi standard…
“Sei davvero così?”
“Sì”
Resta un po’ altro po’ a godere di quella sensazione piacevole e quando si
allontana, un freddo inconsueto lo avvolge. “Vado. Preferenze di modelli e
colore?”
Mira non da cenni d’aver capito.
Lucas pensa che non le piace, che è rimasta male. Questo non fa per niente
bene al mio amor proprio.
“Basta che cammini” sussurra distogliendo lo sguardo da lui e posandolo
sul proprio piede.
“Lucas..”
Lo vede fermarsi, voltandosi appena dalla sua parte. Mira lo osserva, mordendosi
il labbro inferiore.
Lascia cadere le coperte e scende dal letto, nuda, mandandogli il sangue al
cervello e costringendolo a girare nuovamente la chiave nella serratura.
Lo raggiunge, gli toglie di mano la giacca e la butta in terra fissandolo
intensamente. “Non sei come immaginavo. Io pensavo che tu fossi...” sussurra posando le mani sulla cintura e
tirandolo verso di se, con la testa bassa. Lucas la guarda in silenzio
domandandosi che altro vuole da lui.
Ha scombinato una qualsiasi parte razionale, che cosa c'è ? Cosa? Che…Merda, merda, merda!
Mira resta a fissargli la maglietta per un tempo lunghissimo, finchè non lo
lascia andare con un sospiro. “Scusa…vai. Vai pure”
Si affretta a tornare presso il letto, per infilarsi nelle coperte perché ha un
freddo terribile e sta quasi battendo i denti.
Ha appena chiuso gli occhi, masticando frustrazione e indecisione fra i denti,
che si sente afferrare per la vita e stringere in un abbraccio caldo e
avvolgente che la fa barcollare all’indietro.
“Non ho fretta di uscire”
“No…” sussurra stringendosi contro di lui.
“No. Sei rimasta qui tre giorni. Puoi rimanere un altro po’?”
“Sì”
“Vestiti, però” bisbiglia nel suo orecchio spostando i capelli e baciandola
lentamente. “Fa freddo, sei stata male”
“Davvero?”
Un lento cenno della testa "deliravi per colpa della droga."
Mira stavolta rabbrividisce per la paura. "Mi ricordo qualcosa. Qualcosa di
orrendo e contorto..."
"Lascia stare, non giocare a Freud con i tuoi sogni. Certe cose è meglio che
restino sepolte" mormora continuando a sbaciucchiarla.
Mira è quasi stupita per tutto quell'affetto, ma per una volta non vuole farsi
domande. Un bacio tira l'altro finchè la vestizione appare del tutto inutile per
quello che hanno in mente.
Lo
trova sempre a scrutare il soffitto, dopo. Si volta verso di lei e allunga una mano per
accarezzarle il viso. Mira lo lascia fare, le piace molto; socchiude gli occhi e muove la guancia conto il
palmo caldo, baciandolo un paio di volte. "Ma tu non dormi mai? Sonnecchi, non
dormi mai veramente."
"Soffro d'insonnia, occhioni blu" mormora con un buco allo stomaco non
indifferente. "Non esci da questa stanza da quattro giorni, non vuoi fare un
giro fuori?"
"Verrai con me?" Mira lo fissa intensamente, avvicinandosi un altro pò. "Stai
per dirmi di no."
"Sei sveglia, come hai fatto a capirlo?"
La donna sbuffa e si scosta dalla sua presa morbida "mi basta guardarti. Sei
asociale e scontroso. Vuoi che me ne vada per farti rifiatare. Non sei abituato
a stare troppo in compagnia di una donna. E sei sessualmente frustrato."
Conclude scendendo dal letto dopo essersi avvolta con il lenzuolo che gli ha
strappato di dosso.
Lucas la sente borbottare fra i denti e alza gli occhi al cielo. Si mette a
sedere guardandola tirare su la maglietta bianca con due dita. "Ha parlato
quella frustrata, arrapata e indisponente."
Mormora ironicamente. "Dovresti ringraziarmi, da quanto tempo non lo
facevi?" conclude
tornando a sdraiarsi e a chiudere gli occhi.
Mira lo osserva incredula, la lingua che
spinge sui denti per mandarlo a quel paese. "Stronzo" sibila solamente
afferrando la busta e frugandoci dentro finchè non si ferma con gli occhi
inumiditi "spiegami questo comportamento. Se non ti è di troppo disturbo, ovvio."
"Mi disturba" afferma annoiato. "Vatti a fare un giro, prendi una boccata d'aria
e non metterti a pensare cose strane."
"Che cose?"
Lucas abbozza un sorriso prima di parlare "abbiamo solo scopato, occhi belli,
non metterti strane idee in testa."
Un silenzio astioso proviene dalla donna che non si aspettava un simile
comportamento. Stringe i vestiti in una mano e lo fissa per alcuni secondi,
ammutolita dal dispiacere. "Ma che avete, voi uomini?!" sbotta tutto d'un tratto
aprendo di scatto la porta del bagno e infilandosi dentro.
"Quello che non avete voi, occhioni blu" sussurra fra se e se, girandosi su un
fianco "il buonsenso."
Mira ha girato a vuoto per un pò, osservando la città in cui si sono fermati.
Non ha pensato neanche per un minuto a telefonare a Bronx per avvertirlo che sta
bene.
Ha cenato in una tavola calda da sola, in un angolo appartato, aprendo bocca
solo per infilarci il cibo dentro. Ha passeggiato per un pò finchè la sera non è
diventata troppo fredda per restare fuori.
Ha guardato a terra per la maggior parte del tempo e lo sta facendo tutt'ora.
Solo che adesso ha gli occhi pieni di lacrime.
"Sei troppo nervosa, occhioni blu. Hai la lacrima facile."
Mira alza gli occhi a quelle parole
irriverenti e indurisce lo sguardo. "Ah, sei tu. Che vuoi?"
Lucas solleva le spalle con fare scanzonato, andandole vicino "lo scontroso
acido e sessualmente frustrato si annoiava tutto solo e ha deciso di uscire"
"Bene" sibila scostandosi e sorpassandolo "buona passeggiata. Stronzo!"
Luca la osserva allontanarsi in fretta. Il sorrisetto scolpito scompare e resta
solo una smorfia dura.
***
“Questo perchè?”
E’ la prima frase che dice da quando è tornata all’hotel.
La macchina la sta aspettando di sotto. Mira sta fissando il denaro che le ha
messo in mano con aria quasi offesa.
“Per qualsiasi evenienza” spiega con voce tranquilla.
Mira lo osserva sempre più truce e si costringe a distogliere lo sguardo da lui.
“Ho le mie carte di credito, forse lo hai dimenticato."
E’ vero. L’ha scordato. “Certo che no”
Mira lo sta odiando, sembra quasi che l’abbia pagata per la ‘prestazione’. Con
un gesto rabbioso li lancia sul tavolo e s’infila il cappotto senza degnarlo di
un'occhiata.
"Fermati!"
La donna si arresta voltandosi appena. Lui la costringe a farlo con poca grazia.
"Jack. Ricordatelo. La prossima volta che sentirai questo nome o vedrai la mia
faccia.. questa" specifica indicandosi "vorrà dire che non sono venuto per una
visita di piacere."
Mira lo fissa con gli occhi inumiditi trattenendo il respiro.
"Hai capito?"
La donna annuisce una volta sola, piano come se le costasse una gran fatica. "
'Lucas..'"
"Di nuovo fra virgolette, eh?"
"Vaffanculo! E senza le virgolette!" sbotta con le lacrime agli occhi. Sta
piangendo per qualcosa che non capisce e che fa parecchio male.
La guarda allontanarsi con le labbra serrate e un buco in mezzo al corpo. È
andata a toccare un pezzo di lui che non credeva esistesse più. Merda!
Fanculo a lei e ai suoi occhioni azzurri! Mi ha fregato, cazzo!
***
Nel bell'appartamento al centro della città, l'uomo ha appena concluso una
telefonata a dir poco gradevole. Il signor Martène quando lavora ha sempre
quella marcia in più, ha sempre trovate a dir poco geniali. Il bilancio si è
impennato positivamente e la concorrenza sta rodendosi le mani per la perdita
del carico.
Chiude l'agenda concedendosi un grosso sorriso.
Al signor Martène piace giocare al gatto col topo, molto probabilmente se la
stava spassando con quella donna. E' giusto, ognuno si diverte come vuole,
pensò afferrando il telefono accanto al suo piede e componendo un numero. Il
signor Martène si divertirebbe di più se la faccenda si movimentasse un pò.
"Salve. Ho qualcosa da dirle... riguarda il carico di Nero che avete appena
perso. Chi sono?"
L'uomo sorride al nulla e poi scuote la testa "un amico."
°°°°
Si dice che il giorno in cui Dio morì, scoppiò una tempesta nella piccola città.
Si dice che il giorno in cui Dio morì, Lucas era solo un
bambino che leggeva i fumetti chiuso nella sua stanza, con la musica a tutto
volume per non sentire le urla dei genitori che trapassavano le pareti.
Si dice che il giorno in cui Dio morì, Lucas avesse appena finito di risistemare
nel garage, gli attrezzi che aveva usato per manomettere i freni della macchina
del padre.
Si dice che il giorno in cui Deus Martène morì, aveva picchiato la moglie per
l'ennesima volta.
Si sussurra che sia stato il piccolo Lucas a uccidere il padre.
Si dice che sua madre, Virginia Françoise Martène, andò dal parrucchiere il
giorno dopo con la faccia gonfia di lividi, sistemò i capelli color del petrolio
in una bella acconciatura moderna e passò dall'estetista per il trucco. Entrò
nel negozio più costoso del paese e comprò un abito un pò aderente e un paio di
scarpe nere dal tacco alto.
Fece una piroetta davanti allo specchio, sorrise, stendendosi il rossetto scuro
che aveva comprato per cercare di coprire il labbro gonfio e si avviò verso
casa, con un sorriso allegro che mal si conveniva ad una vedova.
Virginia arrivò a casa, fece una carezza al piccolo Lucas che giocava alla
playstation e salì nella sua camera, ticchettando armoniosamente.
Si rimirò ancora una volta allo specchio, gettò la fede matrimoniale nel water e
tirò l'acqua che gorgogliò ma non portò via il minuscolo anellino d'oro giallo.
Spense la luce del bagno, si avvicinò alla finestra e si ammazzò, andandosene
silenziosamente come aveva vissuto.
Il piccolo Lucas trovò il corpo tre ore dopo e stette a guardarlo per le
successive due ore sotto la pioggia che scrosciava. Poi si alzò da terra, prese
il telefono e chiamò la sua amichetta per chiederle se poteva andare a giocare
da lei e che la mamma gli aveva dato il permesso.
Lucas aveva 9 anni quando i suoi morirono a distanza di due giorni l'uno
dall'altro. Al funerale della donna, teneva stretta nella manina la fede d'oro.
A Lucas non piaceva Mira. Gli piaceva fisicamente, certo, non era niente male.
Non era niente male finchè non ha cominciato a parlare, finchè non ha cominciato
a toccarlo con quelle manine abbronzate e morbide e finchè non ha iniziato a
volere qualcosa da lui. Mira non l'ha detto ma Lucas l'ha capito la terza volta
che hanno fatto l'amore. Sesso! Cazzo, era solo sesso!
Certo... sesso, come dice lui. Dicevamo... la terza volta che hanno avuto un
rapporto - va bene, messa così?- Mira gli si è addormentata fra le braccia e lui
ha passato metà del tempo a guardarla e l'altra metà a sonnecchiare sul suo
seno. E quando si era svegliato, perchè alla fine di tutta quell'attività
l'insonnia l'aveva sconfitta, non si era mai sentito meglio.
E si era spaventato.
Quella donna era una mina vagante, con i suoi occhioni azzurri e il tono dolce e
ironico che usava per infilare il suo nome fra le virgolette. Cristo, mi faceva venire il nervoso, pensò rigirando attorno al pollice
la fede della madre.
Virginia aveva gli occhi azzurri e i capelli scuri. Un pò come Mira, ma lei non
era pallida come un fiocco di neve.
Doveva comprendere ancora lo strano fenomeno cui andava soggetta la chioma della donna.
Da dove erano saltati fuori quei ricci? Quando glieli aveva asciugati, avevano
cominciato ad arrotolarsi fra le sue dita lasciandolo stupito.
Virginia lo lasciava sempre giocare con le sue onde morbide, poi lo faceva
scendere dalle ginocchia e gli insegnava il corretto uso della spazzola e del
fon, neanche fosse stata una femmina.
Lucas sospira annoiato gettando uno sguardo alla stanza vuota. Il suo odore era
rimasto sul cuscino. Lo guardò con il viso indurito e si alzò bruscamente dalla
sponda del letto, facendo cigolare le molle.
Afferrò i bagagli ma fu costretto a posarli per rispondere al cellulare che
cominciò a ronzare discretamente nella tasca.
"Si?"
Era sorpreso di ricevere quella chiamata ma non lasciò trapelare incertezza
dalla voce. Battè le palpebre un paio di volte, abbozzando un sorriso. "E' una
specie di regalo?" ridacchiò mettendosi comodo e annuendo. "E la mia parte a
quanto ammonterebbe?"
Ascoltò la risposta e si bloccò perchè una tale offerta di denaro andava al di
la della sua immaginazione. "La faccenda è rischiosa, immagino. Certo che sono
d'accordo, ma deve lasciarmi un pò di tempo per prepararmi"
Aggrottò la fronte quando l'uomo lo avvertì che ne aveva poco ma non ebbe dubbi
sul risultato dell'operazione.
Infilò il cellulare nella tasca interna del giubbotto e uscì con un sorriso
soddisfatto. Tutto quel movimento sarebbe stato un buon diversivo alla noia che
lo coglieva subito dopo aver concluso un lavoro. Avrebbe dimenticato l'insonnia
che aveva ricominciato a perseguitarlo, il buon nome di Jack Tempesta sarebbe
schizzato in alto nella graduatoria e l'ombra di quella donna piagnucolosa
sarebbe scomparsa del tutto.
Lucas uscì all'aperto, prese la macchina e non si guardò mai indietro. Il
segnalatore cominciò a suonare, segno che una sua pulce era là vicino.
Lo guardò, lo spense e dopo qualche attimo di silenzio battè una mano sul
volante. Merda, merda, merda!
Con il prossimo si entra nell'azione... meno male, non ne potevo più di sti due! (se non avessi pubblicato già i capitoli, avrei stravolto tutto)
Marv muove la testa su un cuscino che non conosce. Apre gli occhi e balza a
sedere di scatto, gettando un grido al dolore acuto che lo aggredisce. L'uomo di fronte a lui abbozza un sorriso cortese
e
lo studia come fosse un malato terminale. "Certo che bazzichi brutta gente. Ti
ho trovato in aperta campagna ridotto piuttosto male"
Marvin si tasta il petto e le braccia piuttosto sorpreso." Chi... sei?"
"Un veterinario, ma le ferite le so guarire ugualmente. Ti ha detto bene che
quella pallottola non ti abbia bucato il cuore."
Marv lo fissa sulla difensiva, ancora sconvolto per la novità. E lui che pensava
di essere morto! Si guarda attorno studiando l'ambiente in cui si trova. Il suo
veterinario deve essere piuttosto povero. E' una topaia schifosa, pensa
scrutando ogni centimetro del suo corpo.
Il telefono che squilla lo fa balzare lontano dal comodino. Il
vecchio prende il cellulare e lo guarda stranito. "Squilla da giorni e ogni
volta che rispondo mi attaccano in faccia. Sono amici tuoi?"
Marv assentisce e lo prende con due dita. "Si. Anche parecchio incazzati"
mormora con la voce roca di paura.
Sarà anche matto... ma questa è gente che non ci mette nulla ad ammazzarti chi
hai di più caro al mondo nel più sanguinario dei modi.
Il tono nervoso che proviene dal microfono, azzera ogni
dubbio. Non che ne avesse.
Quando la comunicazione viene tolta bruscamente, impreca
fra i denti. Ha perso il carico, il taxi e la donna ma stranamente i suoi
superiori non se la sono presa più di tanto. Sanno tutto, sanno chi è stato e
stanno mandando una squadra di risolutori. Chi cazzo sono i risolutori, poi... si chiede posando il telefono e
tornando a sdraiarsi.
"Vuoi qualcosa da mangiare? Ti vedo magrolino, non avrai qualche malattia
strana, vero?"
Marv gira lentamente la testa verso il veterinario dal volto
bonario e innocuo. Un lampo sinistro
negli occhi che il vecchio non nota. "No, niente malattia. Però ho molta fame."
***
Sospira, sospira…continua a sospirare, vedrai che ti passa.
Mira autoironizza da quando ha lasciato l’hotel.
Ironizza, altrimenti si metterebbe a piangere.
La prima cosa che ha fatto quando ha lasciato il parcheggio in lacrime, è stato
telefonare alla stazione della polizia che l'aveva dirottata in tutta fretta sul
cellulare di Bronx. L'uomo le aveva risposto piuttosto trafelato.
“Sei viva?!”
“Certo che sono viva!” aveva esclamato con aria incredula. “Sto tornando a casa.”
Bronx si era incupito al suono di quella voce buia e debole. "Stai bene?" No. Mira assentì e poi si ricordò che non poteva vederla "sto
annuendo."
Bronx era rimasto in silenzio ascoltando quella strana risposta. “Conosciamo l’identità del tuo
assalitore.”
“Non me ne importa nulla. L’ho ucciso, Harvey…”aveva sussurrato dandogli
nuovamente del tu. “L’ho ucciso io.” Mentì scacciando il pensiero di Lucas come
una mosca fastidiosa.
“La vedo difficile” l’aveva raggelata piegandosi sulla cornetta “non abbiamo trovato il corpo”
Le era quasi caduto il telefono di mano quando aveva pronunciato l’ultima sillaba.“E' ancora vivo….”
“Come hai fatto a scappare da lui?” Lucas… “Si è distratto. Gli ho preso la pistola e gli ho sparato, ma pensavo di averlo
colpito!”
“Non abbiamo trovato niente, la pioggia ha lavato via tutto. Ma ho trovato il
tuo specchietto. ”
“Buttalo, per favore" sussurrò di nuovo tesa e nervosa. “Marv stava trasportando
un carico di droga ma non so dove sia finito.” Mentì mordendosi un labbro: non
poteva dire che ce l’aveva Lucas!
“Allora deve esserselo ripreso. Il taxi verde è scomparso e sembra che nessuno
l’abbia visto.”
“Cristo, è verde! Verde!!” esplose facendo girare tre avventori del bar “come
fanno a non vederlo? Senti, devo lasciarti, mi sto rimettendo in viaggio. Mi
dispiace per la cena.”
“Non dirlo neanche per scherzo!”
Mira gli era stata grata di quella voce confortante e rilassante, ma non le era
bastato. Aveva bisogno di qualcosa di più che non voleva nominare. Non ci voleva
nemmeno pensare.
“Pensa a tornare… poi pensiamo a tutto il resto” Quale resto? Che resto? Non c'è niente che tu possa fare per me. Stava per
dirglielo quando un vecchietto
dietro di lei le picchiò la spalla con un dito, visibilmente seccato.
“Signorina è un telefono pubblico”
“Si, mi scusi. Ciao ispettore, ci vediamo presto”
Bronx non aveva fatto neanche in tempo a dire ‘a’ che Mira aveva già riattaccato
con aria pensosa.
“E finalmente!”
L’occhiataccia di stizza che aveva lanciato al vecchio, non era minimamente descrivibile.
Si era fermata a fare un breve pranzo e aveva mangiato svogliatamente anche se
non aveva affatto fame.
E continuava a venirle da piangere.
Il vecchio si era seduto accanto a lei pesantemente, gettandole un’occhiata
veloce “è passato tanto tempo dall’ultima volta che sono riuscito a far piangere
una bella ragazza” aveva soffiato dal naso grande, da contadino, incrociando le
mani di fronte a se. Macchie epatiche sul dorso, unghie rotte. Fa lavori manuali.
“Non è per lei” aveva sussurrato mandando giù un boccone svogliatamente “cose
mie.”
Lui l’aveva guardata attraverso gli occhi acquosi spenti e scoloriti dall’età.
Doveva cinquant’anni, forse sessanta. Portati malissimo, pensò posando il
bicchiere e girando la testa “se deve fissarmi a lungo, l' avverto che non è
giornata”
Il vecchio aveva sollevato le spalle robuste ma cadenti e si era voltato verso
la cameriera facendole un cenno. “Da queste parti non è mai una buona giornata.
Questa è una città di transito; siamo talmente piccoli che non compariamo sulle
mappe stradali. Vedi quelli laggiù?” borbottò attirando la sua attenzione su due
fidanzatini che tubavano e facevano le fusa “quei due sono appena scappati di
casa e non hanno molta voglia di essere disturbati” le spiegò facendola sbuffare
di noia: lei voleva solo essere lasciata in pace!
Bevve un sorso della bibita e annuì,
fingendo comprensione e interesse.
“Quello la è il classico pistolero a tempo perso che spera di beccare una rissa
per estrarre il fucile da caccia che ha appena comprato per far vedere quanto è
virile” continuò indicandole un tipo piuttosto massiccio dallo sguardo nervoso
“E quella vecchietta laggiù… beh, scommetto che avvelenato il figlio perchè non
la andava mai a trovare, l’unica volta che si è presentato a casa sua” ridacchiò
battendole una mano grande sulle sue e facendola scattare all’indietro.
“Giù le mani!”
L’uomo assunse un’aria mortificata che la fece subito sentire in colpa. Si ritirò in se stesso, come una tartaruga vecchia e stanca.
“Non volevo... ho avuto una settimana un po’ pesante” ammise posandogli una
mano sulla spalla “Brutta gente, brutti incontri. Sto tornando a casa” spiegò
con voce più gentile e un po’ rotta. Il vecchio sorrise appena “ti auguro ogni
fortuna, ragazza-”
“Grazie.”
Mira pagò il conto ed uscì. È il primo pomeriggio, non pensava che avrebbe perso
tutto quel tempo nel ristorantino.
“Signorina!”
Si voltò: il vecchio era dietro di lei con una grande borsa a tracolla. “Potrei…”
Era timoroso e titubante e Mira lo fissò aspettando: stava per chiederle un
passaggio?
“Potrei chiederle…lei dove va?”
“A New Orleans”
“Io un po’ più giù. Faccio l’autostop ma sono fermo qui da giorni. Mi darebbe un
passaggio fino lì? Dopo mi arrangio da solo”
La donna lo soppesò: non sembrava pericoloso, ma non si poteva mai sapere.”Va
bene, ma al primo passo falso, la scarico in corsa dalla macchina!” lo minacciò
con un dito puntato e pochissima voglia di scherzare.
Il vecchio annuì, dopo averla guardata piuttosto sorpreso. “Se vuole, eh…non
per forza”
E’ esausta, le farà bene un po’ di compagnia. Gli anziani sanno sempre un sacco
di aneddoti. E poi parlare l’aiuterà a dimenticare.
“Metta dietro la borsa”
****
Mira sta ridendo da una buona mezz’ora, non si aspettava che il suo compagno di
viaggio fosse così simpatico. Ha guidato a lungo, è stanca. Il vecchio Charlie
non si è neanche offerto di prenderne il posto, sapeva che non avrebbe mai
acconsentito.
“Penso che non lascerò mai più che un uomo prenda il mio posto alla guida”
aveva spiegato con aria esausta.
Lui non aveva commentato limitandosi a guardarla. Quando si era fermata in una
radura e aveva spento la macchina, fu costretto a celare la sua sorpresa.
“Un attimo solo, ho voglia di guardare un po’ le stelle”
Il cielo era crivellato di puntini luminosi che la rendevano ancora più
malinconica.
Sarebbe tornata a casa. Sarebbe uscita con Harvey. Stavolta l’avrebbe invitato a
casa sua, non si sarebbe neanche arrischiata a mettere un piede fuori.
Sospirò a lungo, il freddo che le congelava il naso e i piedi.
“Si prenderà il raffreddore” l’avvertì dopo un bel po’ che se ne stava la fuori
sola. Scese dalla macchina, sbattendo la porta e facendola sussultare.
“Non m’importa molto a dir la verità…”ammise intristita. “Le è mai capitato di…”
Mira lo guardò indecisa e tacque.
“Su…continui”
“Niente, niente” sbottò risalendo in macchina “forza, cerchiamo un motel per la
notte”
Harvey le aveva dato il suo numero personale. Mira lo rigirava fra le dita: un
numero scribacchiato in fretta su un foglietto strappato dalle pagine gialle del
telefono pubblico. Aveva voglia di chiamarlo, ma poteva essere impegnato in
qualche lavoro notturno e non voleva disturbarlo.
Gira fuori, al freddo. Potrebbe accaderle di tutto un’altra volta, potrebbero
aggredirla, rapinarla o sgozzarla.
A Mira non importa. Siede sul cofano della propria auto e guarda le stelle con la gola strozzata. Quando decide che ne ha abbastanza, che ormai
si è congelata e compatita a sufficienza, si volta, in tempo per notare la
tendina della finestra della camera del vecchio che viene rimessa a posto. Un altro che non si fa gli affari suoi.
***
Brutto scherzo, tesoro. Brutto scherzo. Non me lo dovevi fare, piccina.
“Mira… Miraaaa! Ti vengo a prendere, lurida troia che non sei altro!”
Marv si trascina per la casa del veterinario con un tramezzino in mano e l'aria
cupa, la mazza da baseball stretta nell'altra. Quel tipo strambo ci ha messo parecchio
tempo per
togliergli il proiettile dal fianco, gliel'ha detto prima di morire. Non è la
prima volta che viene colpito e non è impressionato dalla vistosa cicatrice. Una
volta aveva dovuto scavare una ferita con le chiavi della macchina, figurati se si
spaventava per un taglietto.
L'ordine è di aspettare la nuova squadra di recupero senza fare troppe domande.
A Marv non piace ricevere ordini, ma in galera ha imparato a dire 'sissignore' e
ad abbassare la testa.
Il frigorifero del vecchio è pieno di cibo, deve essere uno che non ama
uscire molto di casa, pondera guardandosi in giro e cercando eventuali
tracce di parentele del veterinario. Neanche una foto. Meglio, non avrebbe
dovuto aspettarsi sorprese inattese. Marv piomba sul divano liso e mezzo
sfondato e agguanta il telefono con un sorriso. La sua cara vecchietta... chissà
come stava!
***
"C'è un cambio di programma. Arriverò con un giorno di ritardo"
"Ne siete certo?"
"Fate la seconda telefonata. Il resto è compito mio"
***
Si dice che il giorno in cui LORO arrivarono, la pioggia smise di cadere e
improvvisamente uscì un sole soffocante, che rese il terreno umido ancora più
odoroso di erba.
Si dice che il giorno in cui arrivarono, Marv stesse lucidando il fucile da
caccia del vecchio e che alla loro vista lasciò partire un colpo che trapassò
quasi il
soffitto e fece un bel buco nell'intonaco.
Si dice che l'uomo a capo del comando di risolutori aprì bocca per pronunciare
una parola sola.
"Andiamo"
Chiacchiere di paese sussurrano che
l'organizzazione per cui lavorava Marvin, l' Associated Lyrics, avesse ricevuto
una telefonata piuttosto gradevole da 'un amico' che li invitava a recarsi a New
Orleans il più presto possibile. Sembra che quest' 'amico' fosse a conoscenza
del fatto che un tale Jack Tempesta recava con se il carico di Nero che era
stato illegalmente sottratto all'incaricato e che stesse portandolo al committente del
lavoro, tale Kenneth Astingson, conosciuto nell'ambiente come Domino Kent, un
noto truffatore di Casinò e affini che si dilettava da tempo nella nobile arte
del raggiro e della frode ai danni di grandi compagnie come la Associated Lyrics,
una società per azioni che investiva parte dei propri guadagni nel brillante
mondo delle droghe pesanti.
Quello che proprio non era andato giù a Marlene Vallone, la socia di maggioranza
dell'Associated, era stata la brillante trovata di usare un poveraccio come Marv
per trasportare quel grosso carico di merce ai suoi 'amici' di Baton Rouge.
Non solo il carico non era mai arrivato, ma l'idiota se l'era fatto fregare da
sotto il naso da un concorrente!
La signorina Vallone non accettava un tale sgarbo, per lo più sotto Natale.
Sollevò il telefono e in breve, quattro uomini fecero la loro comparsa,
silenziosi, letali e devoti ad oltranza.
Marlene li guardò tutti uno per uno, incrociando
le mani dietro la schiena. "Voglio veder rotolare tante teste." Sibilò fra le
labbra sottili "voglio il carico, voglio Domino morto!,
e voglio Tempesta a brandelli. Pezzi piccoli, molto piccoli. Deve entrare in una
scatola da scarpe." Precisò fissandoli negli occhi. "L'idiota uccidetelo, ma
dopo. E' l'unico che può riconoscerlo"
"Jack Tempesta?"
Marlene lo guardò di traverso "non so chi sia, ma so che presto morirà"
I quattro si occhieggiarono a vicenda
"Tempesta non è facile da prendere. Si traveste, è praticamente irriconoscibile"
mormorò un uomo senza mai perdere la calma.
"Sono problemi vostri. Guardatevi le spalle, anche fra di voi!" sbottò
congedandoli con un gesto della mano. Marlene Vallone strinse un'altra volta le
labbra e si voltò verso la finestra del superattico che dominava la parte
Est della città. Prima Tempesta , poi l'idiota e infine il bel Domino che non la smetteva mai
di impicciarsi degli affari degli altri!
***
Mira bussò a lungo alla porta di Charlie, sicura che fosse ancora addormentato.
Sollevò le spalle quasi tentata di lasciarlo lì e andarsene e si recò nel
settore ristorazione dell'alberghetto con passo cadenzato e lento.
Lo trovò seduto a ingozzarsi di cibo e si sedette al suo stesso tavolo,
ordinando un caffè nero e con poco zucchero "pensavo stesse dormendo"
"Noi vecchi dormiamo poco" rumoreggiò fra le briciole di pane tostato che
metteva in bocca due alla volta.
"Le andrà di traverso" mormorò in tempo per vederlo tossire e inghiottire il
boccone voluminoso con una lunga sorsata di caffelatte. Il vecchio autostoppista
ruttò discretamente alzò una mano per scusarsi mentre Mira sollevava un
sopracciglio. "Come si dice: meglio fuori che dentro" ridacchiò un pò
imbarazzata del comportamento di quell'uomo che non si limitava in niente,
sebbene fosse in presenza di una donna.
"Sacrosanta verità!" sghignazzò pulendosi la bocca con il dorso della mano
mentre Mira restava a metà aria con un tovagliolino di carta nel palmo. Un optional, pensò riposandolo sul tavolo come nulla fosse.
"Beh, mia cara ragazza. Le nostre strade si dividono qui" affermò mettendo la
mano in tasca e tirando fuori una banconota da dieci tutta stropicciata."Ho
trovato un camionista che va dritto a destinazione"
Mira annuì sorseggiando il caffè "se le va bene così..." a me non dispiace,
pensò sollevata.
"Ma mi faccia un favore, prima: si compri un'arma" le disse all'improvviso
facendola strozzare
"E perchè?"
Il vecchio scosse le spalle con un sorriso bonario "difesa personale, se va in
giro da sola non sa mai cosa le può accadere"
Mira convenne che aveva pienamente ragione. Gli
promise di farlo e quando se ne andò, restò seduta al tavolo da sola, guardando
fuori del finestrone poco pulito del bar. Una pistola. Si, ne aveva
bisogno assolutamente!
***
Lucas guidava violentando la strada sotto di se con rabbia crescente. Il
segnalatore mandava impulsi sempre più forti, segno che Mira era vicina. Stavano
andando tutti e due nella stessa direzione.
Mira tornava a casa, lui aveva da svolgere un compito che gli sarebbe valso una
pensione d'oro e non intendeva rinunciarci. Inchiodò sul ciglio della strada,
aspettò che il segnalatore smettesse di lampeggiare in quel modo accecante e poi
riprese il cammino mentre, molto lontano da lui, un gruppo d'uomini ben
equipaggiati e silenziosi procedevano nella stessa direzione. Marv taceva
ostinatamente, guardando altrove. L'ostilità era palpabile in quella BMW nera
che viaggiava senza intoppi sulla statale, divorando chilometri come fosse una
belva feroce e tenuta digiuna da troppo tempo.
Marvin non apprezzava la compagnia più di quanto
facessero loro. Essere costretto a seguirli non gli era andata giù, ma la 45
special puntata alla tempia, era stata un ottimo deterrente alle sue proteste.
Certe volte le donne hanno bisogno di una spalla su cui
appoggiarsi, senza piangere. Semplicemente un caldo contatto umano che le
rassicuri su cosa stanno facendo, sulla direzione che sta prendendo la loro
vita.
Certe notti hanno bisogno di dormire e certe altre di fare l'amore per sentirsi
vive.
Certe notti Mira si sente sola e ha solo voglia di alzare il bavero della giacca
e uscire fuori, affrontare la notte con tutte le sue paure, ticchettando un
morbido tango di irrequietezza sul cemento della propria città.
Certe volte Mira si sente di nuovo bambina e osserva le cose che la circondano
con l'occhio ingenuo e veritiero che hanno solo i piccoli.
When you try your best but you don't succeed, when you get
what you want but not what you need, when you feel so tired but you can't sleep...
Adesso vorrebbe solo volare via, perchè è già sprofondata.
Troppo in basso per cadere ancora.
E' appena arrivata nella sua città, e per la prima volta le è parso di respirare
di nuovo. Ha trattenuto il fiato per tutti quei giorni, si è immersa in oceani
che non le appartenevano e ne è uscita fuori boccheggiante, pesta e indolenzita.
Si guarda attorno disorientata, cercando cambiamenti che non ci sono stati, se
non dentro di lei. Guarda quella coppia come si stringe, non sono carini?
Guarda quella tipa, sta male, ha bevuto troppo.
Mira osserva perchè il suo lavoro.
'Sei una guardona'
E tu sei uno stronzo! Alza la testa verso il cielo, sta cadendo una pioggerellina
sottile che le inumidisce appena il viso. Le lacrime le scaldano gli occhi,
annegandoli in una pozza celeste.
Guida piano fino alla stazione di polizia. Deve farsi vedere. Devono sapere che
è ancora viva.
When the tears come streaming down your face, when you lose something you can't
replace
When you love someone but it goes to waste, could it be worse?
Attraversa la stazione e nessuno la ferma, nessuno la guarda.
E' come se fosse invisibile. Arriva davanti all'ufficio di Bronx e sta per
bussare quando se lo ritrova di fronte in procinto di uscire per tornare a casa.
Mira lo osserva aspettando di nuovo quel colpo allo stomaco
che le veniva ogni volta che lo incontrava... ma non sente nulla.
E' anestetizzata.
"Ciao ispettore" mormora mentre lui alza la testa e le spara in faccia due occhi
penetranti e sorpresi.
L'impatto visivo la fa vacillare: si, c'è qualcosa... un lieve dolore allo
stomaco che le fa salire le lacrime sempre di più fino ad annacquare la figura
imponente di fronte a lei.
"Mira! Ma quando sei arrivata?!" sbotta studiandola da capo a piedi "perchè
nessuno mi ha avvisato?! "urla nel corridoio facendo affacciare parecchi
poliziotti. Mira fissa l'ufficio aperto davanti a se e lo trova esattamente come
l'ha lasciato.
"Andava meglio così, vero?" sussurra indicando la stanza senza alzare gli occhi
su di lui.
"Si, molto meglio. Ma gli occhiali li porto ancora" mormora facendola accomodare
dentro e chiudendo la porta.
"La lasceresti aperta?"
Il tono era affrettato, Bronx la guarda senza capire ma l'accontenta. Mira si
muove a disagio: un altro posto che non le appartiene."Beh... sono viva. Sto
bene" sussurra torcendosi le mani "vado a casa, adesso"
Si muove barcollando verso l'uscita quando la voce calma di Harvey la blocca
"posso accompagnarti? Fa finta che sia la tua scorta personale"
Mira annuisce accennando un sorriso e un attimo dopo sente la mano sfiorata.
"Mi fa piacere che tu stia bene. Ero molto preoccupato per te" borbotta
abbassando la voce per non farsi sentire dagli agenti che transitano
casualmente.
Mira lo guarda con l'occhio pesto: è sempre più difficile tenere a bada le
lacrime mentre le accarezza la mano e la stringe nella sua, con
quell'espressione impenetrabile che va ammorbidendosi, quando la vede 'gocciolare'
all'improvviso.
Tears streaming down your face when you lose something you cannot replace
Harvey la stringe delicatamente ma quando Mira gli affonda fra le braccia,
disperata. L'avvolge in un abbraccio protettivo che la consola solo in parte.
Chiude la porta e li isola dal mondo esterno, continuando ad abbracciarla. Non
sa confortare la gente, lui. Ma va bene lo stesso se non parla, vero?
"Mira... ti porto a casa io. Va bene?"
Sente la sua testa muoversi e non ha capito se un assenso o sta solo
utilizzandolo per asciugarsi le lacrime.
E' disturbata da qualcosa che non riesce a capire, ma in quel momento non si
pone domande. Si lascia trascinare fuori restandogli aggrappata e abbassando la
testa per non farsi vedere in quelle condizioni. Sente il suo cuore che batte
violento sotto l'orecchio e lo stringe con forza, staccandosi solo quando
arrivano al parcheggio.
Si guarda attorno mordendosi le labbra e stringendo le braccia attorno al corpo.
Ha un freddo tremendo. "Harvey, vado da sola, non disturbarti" sussurra
bloccandolo. La guarda incredulo mentre la donna alza una mano e lo saluta
correndo via, verso la macchina parcheggiata poco distante.
***
Una donna che ha subito un grosso shock non ha molta voglia di
parlare e di socializzare. Non ha voglia di dare spiegazioni e non ha voglia di
sentirsi chiedere continuamente 'come stai'.
Per la prima volta in vita sua, ringraziò per essere sola al
mondo. Si rintanò nel piccolo appartamento che non le era mai parso più
confortevole e pianse così tanto da arrossarsi gli occhi e irritarsi le guance.
Fece una doccia, infilò il pigiama più stupido e adolescenziale che aveva e si
raggomitolò sotto le coperte, tirandole fin sulla testa.
E pensò a Lucas.
Fu svegliata da un trillare insistente, allungò la mano verso il telefono e
maledì la persona dall'altra parte del microfono.
Bronx restò muto per qualche istante e poi si qualificò, facendole aprire gli
occhi del tutto.
"Ti ho svegliata?"
Mira guardò la parete sulla quale spiccava un quadro marino e non
rispose.
"Stai ...bene?"
"Certo" mentì meccanicamente. "Stavo dormendo"
Harvey guardò la pendola nel salotto con aria incupita. Erano le undici di
giovedì sera. "Hai mangiato?"
"No" biascicò tirandosi a sedere.
Quelle risposte telegrafiche lo misero in allarme "ti va..."
"No" sbottò in fretta "non penso uscirò di qui per la prossima settimana"
Harvey storse la bocca a quel tono fiacco e depresso "volevo dire... ti va di
mangiare qualcosa con me? Sono un bravo cuoco"
"No, grazie."
Restò a guardare la cornetta che mandava il segnale di libero e con molta
cautela l'appoggiò sulla forcella. Non è molto incoraggiante....
***
"Kenny, accidenti a te! Tira giù quei piedi dal divano!!"
"Che palle!"
"Guarda che ti ho sentito!"
"E lo ripeto anche: che palle!"
Un violento ceffone arrivò sulla testa dell' uomo facendolo
imprecare "la finisci, strega? E 'casa mia e metto i piedi dove mi pare"
"Non quando ci sono io, moccioso"
Kenneth scrutò la figuretta snella e magra di fronte a se e le
fece un gestaccio col medio teso "ma non poteva capitarmi una sorellina ammodo
come tutti gli altri?"
La ragazza sorrise malignamente e gli diede un altro scappellotto, stavolta
leggero. "Non poteva capitarmi un fratello con qualche bell'amico da
presentarmi? Ti rendi conto che in 25 anni di vita, non mi hai mai presentato un
bel ragazzo? Ma dove li scegli gli amici, dal settore maschi usati e atrocemente
fallati?"
Victoria gli tirò scherzosamente la guancia, dimentica dell'atroce mal di denti
che lo affliggeva da giorni "oddio, scusa!" sghignazzò ridendo fra i denti
quando lo sentì grugnire e lo vide portarsi una mano alla bocca "vuoi uccidermi?
Dillo se vuoi la mia morte!" urlò muovendo troppo a mascella e acuendo il
dolore.
"Ma è cariato! Devi andare dal dentista a fartelo togliere" strillò nelle
orecchie del ragazzo che fece un balzo dalla poltrona sulla quale era
comodamente stravaccato con il portatile sulle ginocchia.
"Non ci penso proprio! Non mi faccio strappare via i denti! Oddio... non farmi
parlare, oddio quando fa male.." piagnucolò con aria comica.
"Piuttosto, hai trovato un lavoro come si deve?"
Kenneth strinse gli occhi per un momento e abbozzò un sorrisetto isterico "sto
cercando.."
La ragazza sbattè le mani sui fianchi e poi le sollevò la cielo "quella povera
donna di nostra madre starà rivoltandosi nella tomba! Ma non potevi drogarti
come tutti?"
"Costa! E noi non abbiamo un soldo da parte."
Victoria lo fulminò con lo sguardo mentre scavalcava il bracciolo e gli toglieva
il portatile dalle gambe prima di travolgerlo con la sua furia "Hai 29 anni, hai
gettato la laurea nel cesso e non hai uno straccio di lavoro! Io ho 25 anni e
mando avanti la baracca anche per te! Il minimo che potresti fare è fare la
spesa di tanto in tanto e presentarmi un amico carino."
Domino sogghignò con dolore "sei troppo cessa per piacere ai miei amici"
La ragazza sospirò forte e ringhiò fra i denti, rimediandosi uno sguardo
d'intesa. "Se non alzi quelle chiappe secche e non esci a cercarti un lavoro, ti
tolgo le chiavi di casa e ti mando a dormire alla stazione" ruggì facendolo
balzare in piedi in fretta, inciampare sul cavo dell'alimentazione del computer
e franare rovinosamente a terra.
"E stai attento che non hai più l'età per certe cose!" Lo rimproverò con il naso
per aria e le labbra strette 'a culo di gallina' come affermava il
fratello.
Domino mugugnò fra i denti e restò seduto in terra a guardare lo schermo del pc
che recava il suo suo ultimo record. Uscì dal gioco, dopo averlo preventivamente
salvato, e facendosi strada fra la marea di icone che ne affollavano il desktop,
aprì una cartella gialla.
Dopodomani ci sarebbe stata un grossa grossa partita giù nei
bassifondi. Poteva farci un salto, imbrogliare un pò e portarsi a casa qualche
sostanziosa vincita.
A Blackjack non lo batteva nessuno.
***
Chissà perchè quella volta che era tornato a casa, i cani erano scappati. Molto
probabilmente era stato il padre a sbarazzarsi di loro. Lucas ci rimuginava
ancora su mentre preparava le sue maschere migliori.
L'annuncio era scomparso dal giornale, segno che la 'sgomberi specializzati' era
al lavoro e momentaneamente non riceveva altri incarichi.
Si muoveva con destrezza e rapidità, soppesando le armi e le pallottole con le
mani, valutando il peso e l'ingombro che potevano dare sotto il giubbotto
pesante. Adorava l'inverno solo per quello.
Il segnalatore non pulsava più, ma lui conosceva a memoria la via di Mira. Era
un bel quartiere, tranquillo e senza troppe pretese.
Sarebbe stato tranquillo ancora per poco.
Lucas caricò l'ultima arma e la ficcò dietro la cintura dei pantaloni,
coprendolo con il giubbotto.
Jack Tempesta uscì dall'appartamento con passo veloce e allo stesso tempo
nervoso. C'era sempre quella strana frenesia che lo coglieva ogni volta che si
accingeva a compiere un lavoro.
Un certo formicolio nelle gambe e nelle mani che stringevano e rilasciavano il
volante dell'auto mentre guidava nervosamente per le viette e s'inoltrava in
vialoni larghi e trafficati.
Era la serata giusta per uccidere.
Prima si liberava di lei e prima sarebbe riuscito a sbarazzarsi di quella
fastidiosa irrequietezza che aggravava la sua insonnia. Mi dispiace, occhioni blu, la salute prima di tutto!
Capitolo 23 *** Scene 22 : Un giro di vite sul fulcro dell'anima ***
'Hai mai provato
ad arrenderti ad un giorno di pioggia?'
Mira lesse la frase più volte gettando uno sguardo alla
pioggia che batteva sui vetri della camera da letto attrezzato a studio
personale. Una cornice di legno lavorato con la foto di lei e Abe che si abbracciavano,
un tulipano finto che spiccava da un microvasetto di ceramica bianca e azzurra, le
casse del computer che mandavano una canzoncina adatta allo stato d'animo.
Tolse la foto dal vetro e la gettò in fondo ad un cassetto, sospirando più e più
volte. Prese il suo specchietto da tavolo e si osservò attentamente, facendo una
smorfia alle occhiaie e al pallore che le imbiancava la pelle
"Respira quell'attimo di tempo necessario a lanciarti nel
vuoto. Il tempo di un giro di vite sul fulcro dell'anima e tutto sembrerà labile
e decadente, come una vecchia poesia lasciata giacere su una panchina battuta
dalle intemperie" sussurrò alzando un sopracciglio e seguendolo con il dito, fino
alla fine dell'arco nero.
"Cazzate" mormorò a voce più alta.
Liquidò la faccenda con un'alzata di spalle e gettò lo specchio nel cassetto in
tempo per sentire suonare discretamente alla porta. Chi diamine la disturbava
mentre si compativa?!
Mira sospirò esasperata, si alzò con lentezza infinita e passeggiò stanca fino
alla porta che aprì senza domandare l'identità dell' ospite inatteso.
Aprì la porta in tempo per vedere una pistola sollevarsi verso il proprio viso e
l'occhio scuro della canna guardarla minaccioso.
Mira lo fissò per un breve secondo e poi spostò lo sguardo sul possessore
dell'arma al viso indurito. I suoi occhi scuri correvano dalle labbra semirigide
dallo spavento agli occhi sgranati e velati di paura.
Oh merda! Merda merda! Pensò spingendole la pistola contro e facendole
fare un passo indietro.
"No.." sussurrò la donna arretrando fino a trovarsi nel bel mezzo del corridoio
"no... Lucas..."
"No un cazzo" sibilò con sguardo truce fissandola negli occhi
azzurri che si erano già riempiti abbondantemente
di lacrime.
Jack Tempesta la fissò valutando la distanza e l'inclinazione dell'angolo che
avrebbe preso la pallottola una volta fuoruscita da lei.
Lucas la guardò e rivide gli occhi di sua madre.
Vide la donna che aveva stretto.
Vide la donna che lo aveva fatto...
Sono infinito, sono eterno, sono immortale ora: sono un
minuscolo punto colorato nel tuo iride perfetto, in cui finalmente mi ritrovo,
mi ricompongo e rinasco.
Attraverso esso mi rivedo, sdraiato sull’erba, mentre il fluire della coscienza
rivifica un corpo che avevo ormai dimenticato.
La mano gli tremò giusto per un secondo.
No, non posso morire. Non ora. Non oggi. Non mai.
E poi Jack Tempesta sparò.
***
Si dice che Tempesta arriva sempre con la pioggia. Si scherza col suo nome
finchè non si è cadaveri da un momento all'altro.
Si dice che Tempesta non abbia mai amato nessuno.
Lucas camminò fino alla fine della strada, incurante della pioggia che lo
sferzava, le mani abbandonate lungo i fianchi,
l'indice destro che tormentava l'anello d'oro al pollice.
NNon vivo di sogni, ma di concreta
realtà
... di sensazioni tangibili
non voglio altro che "sentire"
annusare
assaporare
vedere
toccare
ascoltare
e la sento, è concreta
mi scoppia dentro, esplode, tracima
mi brucia nelle mani, negli occhi, nel naso, nelle orecchie, sulla lingua
non voglio essere sicuro, non voglio convincermi
non voglio credere, non voglio bisogni
ma voglio ferirmi
e mi sono ferito tante volte e ho tante cicatrici che mi danno ricordi
piacevoli e spiacevoli ... non ha importanza ... ci sono
e voglio continuare a ferirmi, a sanguinare sensazioni
Si fermò in mezzo alla via, la tempesta infuriava più forte di prima e lo
costringeva a chiudere gli occhi. Cadde in ginocchio, un cedimento improvviso che non seppe spiegarsi.
Mi sono ferito tante volte e ho tante cicatrici che mi
danno ricordi
Chinò
la testa lasciando che la pioggia gocciolasse dai corti capelli sul viso
scavato. Sentiva gli occhi stranamente caldi e gonfi... era una sensazione
strana che non provava più da tanto tempo.
Voglio continuare a ferirmi, a sanguinare sensazioni.
Lucas Martène aveva smesso di piangere all'età di nove anni.
Jack Tempesta... il killer migliore di tutti non aveva sbagliato neppure questa
volta.
Aveva ucciso sua madre.
Di nuovo.
Aveva ucciso....
***
"Ha fatto la sua telefonata?"
"Ha fatto quel che doveva?"
"Sì. Posso dedicarmi completamente a lei"
"Ci sarà un incontro, dopodomani sera. Le darò tutte le coordinate." Scosse la
testa ridacchiando "il giorno in cui Domino Kent scomparirà dalla faccia della
terra, io sarò l'uomo più felice del mondo."
"A cosa le serve..." Jack Tempesta calcò bene le parole prima di parlare
"a cosa le serve liberarsi di quell'omuncolo insignificante?"
"Ha mai sentito parlare di Marlene Vallone?"
"No."
"Quella donna detiene una grossa fetta di mercato azionario. Il resto della
torta è tutta di Domino" spiegò giocherellando con la penna su un grafico a
torta fatto a mano. "Potere, ragazzo mio. Potere! Scagliarli l'uno contro
l'altro, scatenare la guerra e approfittarne quando le parti saranno entrambe
indebolite" ridacchiò con gusto. "Ho fatto credere a Vallone che è stato un
tirapiedi di Domino a combinarle lo scherzetto. I suoi uomini stanno venendo a
New Orleans. Si scanneranno fra loro e noi ne trarremo profitti." Concluse con
un ampio sorriso. "La sua parte è semplice: deve assicurarsi che quell'omuncolo
insignificante muoia una volta per tutte!" ribattè duro con voce astiosa.
Jack Tempesta si appoggiò al vetro della sua stanza storcendo la bocca alla
pioggia che non accennava a smettere. "Farò del mio meglio" mormorò con sguardo
vacuo "e la prossima volta..."
"Si?"
"Mi dia del lei"
***
La fotografa è arrivata?"
Harvey sibilò la domanda con aria incupita e depressa: se non la incontrava a
lavoro era praticamente impossibile trovarla!
"No, ispettore, l'abbiamo chiamata ma non si è fatta sentire"
Annuì una sola svolta all'agente di servizio e tornò a fissare il marciapiede
seguendo le scolature di sangue annacquate con gli occhi.
Bene. Era ora di andarla a prendere a casa, decise girando sui tacchi e
sorpassando la striscia gialla che attirava i curiosi.
Quando giunse all'appartamento sostò sul pianerottolo inquieto. C'era
qualcosa... una pennellata sbagliata in quel quadretto campestre che non gli
piaceva per niente. Sollevò il naso e annusò più volte l'aria. Cordite!
Il pugno di Bronx si abbatté più volte sulla porta finchè non decise di
ricorrere a vecchi metodi: cercare di sfondarla con una serie di spallate che
gli indebolirono il lato sinistro del corpo e non ottennero nessun effetto.
"Ma di che cazzo è fatta?" sibilò sotto voce posando la mano sul pomello che
cedette docile e lo catapultò nella stanza.
L'ombrello gli scivolò di mano quando vide il corpo di Mira steso a terra e il
sangue che le macchiava il maglioncino. Atterrito e sconvolto non si mosse per
un bel pezzo finchè le gambe non gli cedettero in prossimità della donna che
toccò con mano tremante.
Le tastò il collo cercando tracce di un eventuale battito. Era calda, l'odore di
cordite era penetrante: era appena successo.
Sotto i polpastrelli la vena pulsava debolmente: quella scoperta gli strappò un
gemito. Frugò nella tasca freneticamente, alla ricerca del cellulare che cadde
più volte e lo costrinse ad arrampicarsi fino al telefono fisso. Se l'avessero
visto in quel momento, così poco padrone di se, forse la sua reputazione sarebbe
migliorata un pò.
***
"Come sta?"
"Si è stabilizzata, ci vorrà un pò di tempo prima che si riprenda"
Bronx fissò il medico con sguardo inquisitore. "Come ha fatto a non morire? Le
ha sparato a bruciapelo al cuore!"
L'uomo gli fece cenno di seguirlo. S'immersero in una sala dalle luce bassi e
tirò fuori una bustina di plastica sigillata "una 22 a carica ridotta. Se fosse
stata piena, a quest'ora sarebbe morta. Non volevano ucciderla davvero. Forse
intimidirla."
"Chi cazzo farebbe una cosa del genere?!"
Bronx afferrò il bossolo guardandolo con odio "quello psicopatico.." sibilò fra
i denti restituendola al medico che lo guardò interrogativo. Uscì dalla sala a
passo di carica, lanciando un'altra volta un'occhiata alla fotografa in sala di
rianimazione.
Quel pazzo l'avrebbe ammazzata senza troppe storie. Chi era stato a fare una
cosa del genere? Un ladruncolo? Non poteva essere, non mancava niente! Chi
poteva essere stato? Si chiese per l'ennesima volta maledicendo la pioggia
che non accennava a smettere.
L'uomo di Vallone indicò il fondo del vicolo con uno sguardo
d'intesa al compagno.
"Sarà un gatto" sbuffò tenendo d'occhi Marv che smaniava per andarsene da quel
posto. Che centrava lui? Lo avevano tirato in mezzo ad un affare che non lo
riguardava. In più era disarmato e i punti lungo il fianco gli tiravano
dolorosamente.
"Potrebbe essere Tempesta" sibilò fra i denti agitato.
Il compagno lo fissò per un attimo e tornò a guardare la porta. "Vai a vedere,
se hai tanta paura."
L'uomo girò le spalle con disprezzo "testa di cazzo!"
Marv lo vide allontanarsi con passo rigido e fece una smorfia restando
accucciato sotto la tettoia. Cominciava ad odiare quella pioggia maledetta che
gli si infilava anche nelle mutande e lo costringeva a starnutire. Si era
beccato un raffreddore se non un'influenza vera e propria. Magro com'era, non ci
avrebbe messo molto a incubare il virus.
"Che centro in questa storia?"domandò per l' ennesima volta, rimediandosi
un'occhiataccia al fiele dal terzo uomo che piantonava l'entrata della bisca
clandestina mascherata da cantina vinicola di alto livello.
Un passo felpato dietro di lui gli strappò quasi un grido.
Il quarto uomo era tornato e dalla sua espressione sembrava tutto a posto "un
gatto che non teme la pioggia" spiegò al compagno che neanche lo guardò: Domino
Kent aveva appena fatto la sua apparizione, un ragazzotto come tanti che si
incontrano per strada. Niente di particolare, solo un cervellone che andava
steso a marcire sotto l'acqua che aveva ripreso a battere con violenza. "Qual è
il piano?"
L'uomo a capo dei risolutori lo guardò come se avesse appena bestemmiato "li
ammazziamo tutti! Che cazzo di domanda.."
"Mi piace" ammise con un sorrisetto sbarazzino "e dell'idiota che ne facciamo?
Ce lo portiamo dentro e lo usiamo come scudo umano?"
I compagni cominciarono a sghignazzare fra i denti muovendosi solo al segnale
del capo "mica male come idea. Tienilo d'occhio e buttalo nella mischia se
succede qualcosa a uno di noi"
Marv sgranò gli occhi a quella risposta e impuntò i piedi a
terra finchè una spinta del quarto uomo non lo fece muovere per forza.
Sarebbe stata una strage e lui non voleva entrarci, proprio no!
°°°°
Gli uomini di Vallone irruppero nella cantina e portarono la
morte nella fredda e piovosa notte di Dicembre.
Le Divinità Malate, li chiamavano. Perché niente di quello che facevano insieme
era pienamente umano.
Domino Kent non li vide neanche entrare, concentrato com’era sulla partita che
aveva già in mano.
Udì solo il rumore della pistola che scattò dietro la nuca e poi più il nulla.
Quello che successo la dentro, non ebbe testimoni.
°°°°
"Me lo vuoi dire chi è stato?"
"Non lo so!"
Bronx dovette trattenersi con molto sforzo: quel muso da impunita non riusciva
proprio a capirlo! Si piegò sul letto appoggiando le mani sul materasso e
fissandola come faceva con i malviventi, le sputò in faccia tutta al sua rabbia
"di, un pò: che ti passa nel cervello, ragazzina? Quello ti spara e tu non vuoi
dirmi il suo nome?"
"Esatto. E non darmi della ragazzina, vecchio barbogio!" esplose portandosi
subito una mano al seno "e non farmi arrabbiare che mi fa male tutto!" sibilò
fra i denti rimettendosi buona "tanto ora crede che sia morta... e non lo
conosco, il suo nome!"
"Si che lo sai. Fattelo uscire o te lo faccio sputare a forza di ceffoni!"
esplose perdendo tutto il suo self control e facendo affacciare un'infermiera
che sollevò le sopracciglia e si affrettò ad andarsene prima di rimediarsi un
urlaccio anche lei.
"Ti basti sapere che non è stato Marv" riprese con voce un pò meno dura "non so
il suo nome."
"Sapresti riconoscerlo?"
Mira ebbe un violento flashback che la fece arrossire "si.."
"Bene!" Esplose tirando fuori un raccoglitore da ufficio "sfoglia e indica col
ditino" le ordinò mettendosi seduto sul comodino e rischiando di far cadere
tutto quello che c'era sopra.
Mira lo sfogliò malvolentieri, commentando le singole facce e irritandolo oltre
misura. Bronx dondolava istericamente una gamba, digrignando i denti per non
darle uno scappellotto che, secondo lui, le avrebbe rimesso a posto il cervello.
Quando arrivò alla fine, lo gettò ai piedi del letto con aria assorta "non c'è
fra quelli."
Harvey iperventilò prima di alzarsi dallo scomodo mobiletto e sedersi accanto a
lei, spingendola in la con il sedere e facendola sorridere. "Ragioniamo"
dichiarò con un mezzo sorrisetto scemo che sarebbe presto mutato in una smorfia
d'ira. "Non sai il suo nome. Posso anche crederci. Sapresti descriverlo?"
"Penso di si" sussurrò guardando altrove con un'aria così strana che lo fece
piegare verso di lei.
"Ehi, bimba, occhi a me" sbottò facendola girare sorpresa "ma da dove esci, da
un romanzo degli anni 50?" ridacchiò alzandosi un pò sul letto. "Ehi bimba,
occhi a me!" sorrise facendo il vocione mentre Bronx la fissava incupito.
"Ci sei andata a letto con quello che ti sparato?"
Mira rischiò di strozzarsi: impallidì, avvampò e non disse nulla, incrociando le
braccia sul petto e lanciando un acuto di dolore.
"Cazzo, scegliteli disarmati!" le urlò contro rimediandosi uno 'shhh' da
un'infermiera che transitava nel corridoio.
"Ma che stai dicendo? Io.."
"Tu hai la stessa faccia che aveva Marie quando il tipo della DHL è venuto per
la cinquantesima volta a portarci un pacco vuoto" le spiegò innervosito "a sto
punto, immagino che tu sappia il suo nome."
"Non calcare in quel modo!" gridò indignata "si, lo so come si chiama... oddio,
sembra di dare spiegazioni a mio padre!"
Bronx la guardò sentendosi vecchio. Troppo vecchio per una ragazza di quell'età.
"Fai come ti pare: se ti spara di nuovo, sei nel posto giusto" borbottò
afferrando il raccoglitore e mettendolo sotto braccio.
"Harvey, aspetta..." sussurrò con aria impaurita "non volevo dire... non
intendevo darti.."
"Si, si" mugugnò abbruttito "fatti dare una controllata ai neuroni e cerca di
tirare fuori quel nome alla svelta."
Mira lo guardò allontanarsi con aria colpevole. L'uomo dei suoi sogni non era
proprio quello che credeva. L'aveva ferito dicendogli quella cosa e l'aveva
ferito quando aveva scoperto di Lucas. Lucas...
Mira si concentrò, cercando di ricordare tutta la scena: lui che entrava
nell'appartamento, la pistola che le aveva gelato il sangue nelle membra, lui
che le diceva... le aveva detto qualcosa.
Si sforzò il più possibile andando a rimestare fra le pieghe del cervello... che
le aveva detto? Qualcosa a bassa voce, ma era troppo spaventata per sentirlo. Le
aveva mentito, le aveva detto che l'avrebbe ucciso solo se avesse rivelato il
suo nome e il suo volto.
Perchè... allora?
Cominciò a singhiozzare per il dolore, la tristezza e la vergogna di aver fatto
qualcosa che non doveva, per aver ferito Bronx che era stato tanto carino con
lei, per Abe che l'aveva tradita con un' altra, per quel fottuto pazzo di Marv,
per...
"Mi sono dimenticato.."
Bronx restò impalato sulla porta a guardala, mezzo fuori e mezzo dentro, il
raccoglitore ancora sotto il braccio, mentre Mira cercava di asciugarsi il viso
più in fretta possibile.
"Merda!"
La donna si sentì circondare da un abbraccio caldo e consolatorio e gli franò
addosso piagnucolando scuse su scuse che le impastavano la bocca.
"Scusa, sono abituato a fare la voce grossa" lo udì ciancicare fra i suoi
capelli con un mezzo tono tenero "non c'è bisogno di piangere così, dai"
Mira gli si strinse contro combattendo contro il dolore che non la faceva
respirare "io non volevo... è andato tutto storto! Io volevo uscire con te...
poi è successo..."
Harvey guardò fisso davanti a se prima di stringerla un pò di più, e quando
parlò, non udì le proprie parole "anche io volevo uscire con te. Una volta fuori
di qui... possiamo.."
La sua voce si spense mentre Mira alzava la testa, inghiottendo le lacrime.
Bronx la guardò quasi spaventato e cominciò ad accarezzarle il viso e i capelli
meccanicamente. "Possiamo anche uscire, no?" Propose con voce inesistente
vedendola strusciarsi contro la sua mano.
Le andò incontro imbambolato, sfiorandole le labbra in un bacio delicato. La
donna si staccò immediatamente. "Eh... no" mormorò imbarazzata, tenendo lo sguardo fisso verso il fondo della stanza. "Non sono abituata
a comportarmi così. Così... debole. Non sono mai stata così piagnucolosa. Devo
avere qualcosa che non va" borbottò a bassa voce, imbronciata e imbarazzata
facendolo riprendere.
"Non importa, capita" convenne bestemmiando tutti i santi dentro di se.
"Cosa volevi dirmi?"
"Non lo ricordo più. Probabilmente qualche minaccia per farti parlare" ammise
demoralizzato. "Ci vediamo"
penultimo capitolo. Il prossimo sarà quello conclusivo (e assai più lungo, scusate li ho divisi male)
Capitolo 25 *** Scene 24 : Tempesta arriva con la pioggia ***
Gli uomini di Vallone irruppero nella cantina e portarono la morte nella
fredda e piovosa notte di Dicembre
“Lavoro da professionisti, capo. Guardi che precisione: uno alla testa e uno al
cuore. Non uno di più o di meno”
Harvey osservò con occhio lugubre il massacro, stando bene attento a non
scivolare sul sangue che imbrattava il pavimento.
Il primo agente che aveva fatto irruzione era ancora in stato di shock e
l’avevano dovuto sedare per farlo calmare poichè continuava a farfugliare ‘dio…
il sangue… tutto quel sangue’ come un ebete che ha perso la ragione.
Ci avevano messo un po’ a scoprire il posto.
La puzza era arrivata fino in strada.
Un odore di putrefazione che viaggiava basso e persistente.
I topi avevano scorpacciato un bel po’ con le salme.
“E fatemi passare!”
Bronx si girò di scatto al suono di quella vocetta indignata. Mira spostò di
peso un poliziotto e gli sbattè in faccia il badge di fotografa.
“Che ci fai qui?” gridò sorpreso della sua apparizione. Ma non doveva essere in
ospedale?
“Mi hanno dimesso stamattina. Spostati, devo fare le foto” sibilò nervosa per i
fatti suoi. Restò impietrita alla scena e fece un passo indietro prima di
cominciare a scattare le foto con le mani che le tremavano. Si fermò,
sfregandole sui jeans tanto erano gelate e ricominciò pensando al fatto che era
ora di andare a fare shopping.
Bronx la fissò non riuscendo a credere nel suo self control.
“Fatto. Mi ci vorrà un po’. Facciamo tre-quattro giorni” affermò con voce tenue
e strozzata. Se la schiarì più volte, mentre Bronx la osservava: se non se ne
andava via di lì in fretta, sarebbe caduta a terra in mezzo a quello schifo.
“Vieni con me!”le ordinò tirandola per un braccio e facendola protestare.
“Che cavolo vuoi? La foto ricordo?” esplose facendo sogghignare i poliziotti lì
intorno.
“Di un po’, vuoi una scarica di ceffoni? Porta rispetto, stronzetta!” sbottò
facendola tacere e rimediandosi una smorfia dalla donna.
“Non so che ti è preso, e non lo voglio sapere. Voglio sapere come stai”
continuò un po’ più calmo mettendosi le mani in tasca per resistere alla voglia
di prenderle la testa e strizzarla per fare uscire tutta la sua acredine.
“Bene” rispose come da copione “sto bene. In piedi, infreddolita e con il
raffreddore.” Concluse un po’ più accondiscendente “vuoi sapere anche cosa ho
mangiato per cena? Aspirine. Anzi, devo andare a comprarle, prima che chiuda la
farmacia!”
Mira lo scansò da un lato e Bronx la lasciò passare con un ringhio
d’avvertimento. ”Sta attenta a quello che fai”
La vide alzare le spalle e camminare spedita fino alla macchina nuova,
masticando scoramento e depressione: che cosa era successo fra loro due?
***
“Di un po’, psicotico…stai per creparci qui?”
Marv non apprezzava quelle battutine più di quanto l’uomo apprezzava i suoi
deliri continui.
“Che cazzo te ne frega…il vostro piano fa acqua da tutte le parti, non troverete
mai Tempesta!” sibilò starnutendo e stringendosi nel giaccone “cosa ti fa
pensare che si farà vedere da queste parti?”
La Divinità lo guardò di traverso “non sai che Tempesta arriva sempre con la
pioggia?” ridacchiò dandosi di gomito con il secondo che sghignazzò all’interno
della macchina.
Indicò l’abitazione davanti a se e sorrise “quella è casa sua. Al suo interno
c’è una bella bambina che sta aspettando il ritorno del fratello. Potremmo
andare ad infastidirla un pò per farci sputare fuori i nomi dei soci in affari
di Kent”
A quelle parole Marv sorrise “una sorellina triste e disperata per la dipartita
del coglione? La consolo io”
Il terzo lo guardò di traverso e non risposte mentre il quarto sghignazzò come
lui.
“Signori, è ora della benedizione natalizia” decretò scendendo dall’auto e
aprendo l’ombrello scuro.
Quella fu l’ultima volta che le Divinità Malate lavorarono insieme.
Quella fu la sera in cui Jack Tempesta li massacrò tutti dal primo all’ultimo.
Mira rallentò in prossimità dell’incrocio, vedendo quella combriccola di preti
che attraversavano la strada senza aspettare che scattasse il verde.
Arrabbiata per qualche strano motivo, inchiodò, suonò violentemente il clacson e
uscì fuori con tutto l’intenzione di litigarci.
“Guardate che il vostro buon Dio non protegge dai pirati della strada!” gridò
facendoli voltare tutti e cinque.
Mira lo fissò con odio e restò impietrita quando il quinto uomo si voltò verso
di lei.
“La troia!”
Marv la fissò sorpreso e quasi indispettito, quando un sorriso si aprì sul visto
magro. “Tesoro che fine avevi fatto?”
Il mondo cominciò a girare mentre le gambe si abbassavano e la riportavano al
sicuro della macchina. Mira si barricò dentro e alzò il finestrino in tutta
fretta, cercando di ripartire, quando due spari le fecero saltare i pneumatici.
Le Divinità Malate non lasciavano mai testimoni.
Si sdraiò sui sedili mentre una salva a raffica incrociata si abbatteva sullo
sportello della macchina nuova e il fumo del motore saliva sempre di più. Oh
cristo! Ma le macchine esplodono davvero come nei film? Quel pensiero la fece quasi ridere, mentre sgusciava sull'altro sedile e le
detonazioni svanivano. Hanno finito le munizioni?
Senza pensarci un momento di più, aprì lo sportello illeso e si gettò fuori
dall'auto, sotto la pioggia scrosciante che le appiccicò i capelli alla faccia e
le lavò via le lacrime già seccate.
"Dove vai, dove vai..."
Marv cantilenava mentre Mira osservava i suoi piedi e il lungo
vestito da prete che avevano indossato. Per passare indisturbati, ovvio: le
strade erano piene di sacerdoti in visita per la benedizione natalizia.
La tirò su con una mano, puntandole il gomito sotto il collo e costringendola a
tirare indietro la schiena. Il dolore al torace eruppe violento e Mira urlò.
"Non giocarci, cazzo. Abbiamo da fare!"
La Divinità lo osservava sbuffando, la mitraglietta poggiata sulla spalle e un
sorrisetto di circostanza alle persone che li osservavano pensando ad una recita
fuori programma o alla scena di un film "Non vuole convertirsi!" gridò ridendo
"Certa gente è proprio peccatrice."
"Perchè non sei morto?! Ti ha ucciso, ti ho visto!" urlò la donna mentre Marv la
strattonava e la spingeva verso il gruppo di uomini di Vallone
"Non sono morto, contenta? Non potevo morire senza passare qualche momento
piacevole con te... e poi.." Un violento schiaffo le fece girare la testa
all'improvviso "dove cazzo ha messo il mio carico? Eh, puttana? Sono stato
gentile con te e tu mi hai fottuto il carico!"
"Non ce l'ho!!" gridò tastandosi il viso che le faceva male "ce l'ha Jack,
contento? Vallo a cercare, psicopatico!"
"Jack... chi?"
"Non lo so, so solo che si chiama Jack!" ripeté sforzandosi di non urlare. Mira
giaceva a terra circondata dalle Divinità Malate che la guardavano fra un misto
di noia e irritazione.
"Beh, ammazzala e torniamo a fare quello che stavamo facendo" sbuffò uno,
visibilmente scocciato. Mira li guardò a turno, e sgranò gli occhi : valeva meno
di niente. La sua vita non era assolutamente importate, soprattutto per quello
che la guardava con la sacra voglia di ucciderla.
"Jack... Tempesta?" le domandò sollecitandole la spalla con la mitraglietta.
"Non lo so. Forse." Borbottò "non mi ha detto il suo nome"
L'uomo la fissò arrabbiato "sai, occhioni blu. Si dice che
Tempesta arriva sempre con la pioggia... ed è una grande rottura di palle
lavorare così!"
Mira lo fissò a bocca aperta, per un istante solo. Il momento
dopo, giaceva sull'asfalto proteggendosi la testa e coprendosi le orecchie per
il rumore degli spari.
"Dovevo farmi un'altra reputazione! Ho quindici raffreddori l'anno" le gridò ad
alta voce mentre sparava una raffica secca al gruppo.
"Vuoi mettere la comodità di lavorare alla luce del giorno, sotto il sole?
L'inverno mi piace solo per sciare."
Marv strillò quando lo gambizzò senza battere ciglio. Lasciò che si
trascinasse per un pò sotto la pioggia scrosciante, mentre le sirene della
polizia si facevano sempre più vicine. Ci giocò finchè non decise di esser stufo di vedere tutto quel
sangue scorrere e macchiargli le scarpe. Lo afferrò per i capelli, sorridendo
simpaticamente e ficcandogli la pistola contro il naso "è quest'insonnia che mi
ammazza, occhioni blu. Mi trema la mano, sbaglio...." sussurrò sparandogli e girando il volto
per non prendersi in pieno lo spruzzo di sangue che lo imbrattò lo stesso"...e poi
qualcuno muore" concluse con voce rabbiosa e cupa, non risparmiandosi di
dare un calcio al cadavere.
Lasciò cadere a terra il corpo senza vita e attizzò le orecchie, girando appena
la faccia lorda di sangue verso i lampeggianti.
"Sii..." ridacchiò togliendosi il sangue dalla faccia e rigando il muro in una
lunga strisciata "stanno arrivando i tuoi amici."
Mira lo fissò mentre sorrideva e toglieva i caricatori dalle
tasche, sempre tenendo d'occhio una Divinità che si muoveva ancora e cercava di
raggiungere la propria arma. Lo lasciò fare, non aveva fretta.
Si voltò a guardarla, imbestialito, il volto contratto per l’ira che saliva
ad ogni momento di più.
Mira se ne stava rannicchiata dietro la macchina nell’attesa che finisse. Quando
udì solo un silenzio pesante, si arrischiò a mettere la testa fuori.
Osservò Lucas fermo in mezzo alla strada, la faccia finta che indossava che la
squadrava con odio. Raccolse la pistola di terra con mano tremante e scattosa e
gliela puntò contro.
”Abbassa quell’arma!” Sibilò andandole incontro a lunghe falcate che la
terrorizzarono ancora di più.
”Lucas…stavolta… “ Mira premette il grilletto e il tamburo scattò a vuoto.
No! Erano finite!
La gettò a terra, incespicando sui propri piedi e cercò di correre via. Non
riusciva a respirare per il dolore al seno, si fermò e quando lo vide dietro di
lei, lanciò un urlo.
“Brutta stronza!” sbottò tirandola su con una mano e scrollandola “tu dovresti essere
morta!” urlò puntandole la pistola alla gola e spingendola dolorosamente sotto
la mandibola.
Mira rabbrividì di paura ad uno sbocco di tale violenza e riuscì solo a mugolare
qualcosa d’incomprensibile che si perse in faccia a Tempesta che continuava a
guardarla con odio.
”Perché cazzo non sei morta? Dove ho sbagliato? Ti ho sparato al cuore!”
Mira balbettò, completamente atterrita “la pallottola…era quasi scarica…”
singhiozzò fissandolo negli occhi. L’avrebbe ammazzata, stavolta l’avrebbe
fatto!
Il killer la fissò combattuto fra l’odio, la repulsione e un altro
sentimento che non centrava niente con quella cascata di violenza.
Stava per parlare quando lo vide con la coda dell’occhio. Si appiattì
velocemente contro il primo muro a disposizione, tirando a se Mira che non capì
e gli si aggrappò addosso quando sentì lo sparo.
”Lo sapevo che quel coglione non era morto, stavo aspettando il momento giusto” sibilò al nulla, con gli occhi al
cielo. “Maledetta insonnia, mi fa tremare la mano.”
Mira lo guardò stupida. Il tono cattivo che aveva sentito fino quel momento,
aveva lasciato il posto ad una voce quasi dolce
“Lucas...” Sussurrò attirando lo sguardo dell’uomo su di lei.
La guardò come se la vedesse per la prima volta e la stretta su di lei si
allentò leggermente per riprendere più forte di prima.
Mira sentì un gamba cederle, l’altra tremare per lo sforzo di tenerla su. L'avevano colpita senza che se ne accorgesse? Si aggrappò ancora di più al
killer che la studiava ancora.
O meglio, studiava i suoi occhi.
Abbassò la destra che teneva la pistola e le accarezzò la vita “l'ho fregato io,
stavolta. Ho preso la
pistola sbagliata di proposito” mormorò allontanando la testa dal muro e sentendo uno nuovo
sparo che frantumava l’intonaco. Si abbassò sulle gambe fino a sedersi a terra e
ad appoggiarla contro la parete.
“Devi capire che se fai il killer tanto giusto non ci sei, occhioni belli. Non sono Lucas. Non quando lavoro” le spiegò con tono furibondo caricando
l’arma e facendo cadere tutti i proiettili.
"E quando stavi con me?"
I proiettili gli caddero di nuovo. "Faccio fatica a sparare se mi distrai a
pensare!" Si fermò e sospirò chiudendo un attimo gli
occhi "Cristo, mi viene sonno adesso”
ridacchiò sbattendo le palpebre e sorridendo “Dovremmo scopare di nuovo, una di
queste sere. Dopo, dormivo come un pupetto!” esclamò giusto in tempo per
prendersi uno schiaffo violento che gli fece girare la testa e cadere la pistola
di mano.
Tempesta la fissò, incredulo che avesse osato tanto, e assistette alla sua
trasformazione con stupore crescente.
Mira strinse le labbra e poi gliene diede un altro, sempre dalla stessa parte,
cosa che lo fece imbestialire. Afferrò il maglione con odio tirandola verso il
proprio viso.
”Come ti permetti..”
Le parole gli morirono in bocca quando vide la sua rabbia scomparire d’un tratto
e gli occhi riempirsi di lacrime.
La guancia gli guizzò un secondo.
Mira si liberò della sua presa con un gesto
brusco e lo spinse via, la bocca contratta per non mandarlo al diavolo. “Crepa,
‘Jack’” sibilò facendo forza sulla gamba ancora sana e gemendo. Era talmente
arrabbiata che non si accorse dell’indebolimento dovuto alla perdita di sangue.
"Crepa e lasciami Lucas. Lui era umano! E mi piaceva, mi piaceva un sacco!"
”Dio, quanto le odio le virgolette” lo sentì sbuffare un secondo prima che si
scaraventasse in mezzo alla strada, rotolasse su se stesso a terra e sparasse,
centrando l'ultima Divinità al petto.
L’uomo lanciò un urlo che Mira ascoltò con gli occhi chiusi e il viso inumidito
dalla pioggia e le lacrime, così caldo in confronto al freddo che l’opprimeva.
Una tristezza profonda l’avvolse, mentre zoppicava via, sentendo dei passi
pesanti dietro di se.
“Ehi, occhioni blu!”
Mira si voltò per l'ultima volta, sicura che stavolta le avrebbe sparato.
La figura del killer era illuminata in pieno da un lampione, il viso in ombra. Tempesta ridacchiò e alzò il braccio armato "è stato un vero piacere conoscerti,
tesoro."
Aspettò la detonazione.
Aspettò.
E quando sentì sparare, fu sicura di morire.
***
24 dicembre, Vigilia di Natale.
"No, ti ringrazio. Non voglio disturbare. No Harvey, davvero"
Mira sussurrò scuse su scuse al telefono. Era tanto carino con lei, ma Bronx non
era più l'uomo dei suoi sogni. Era quello che aveva ammazzato Tempesta.
Quando la pistola aveva sparato, Mira aveva creduto che sarebbe morta. Invece,
aveva visto Jack crollare in ginocchio, sorriderle per un istante di tempo
andato a male e poi cadere contro l'asfalto, la pistola
ancora stretta fra le dita.
Il caricatore era scarico.
Mira si strinse un'altra volta su se stessa. L'albero di Natale non le dava
alcuno conforto con le sue lucine lampeggianti annacquate dalle lacrime che le
erano salite un'altra volta agli occhi. Pioveva ancora, pioveva tutti i giorni.
Ma Jack Tempesta non sarebbe più tornato.
Non aveva voglia di stare in compagnia, non aveva voglia di cenare. Restava a
guardare le lucine rosse e arancioni alternarsi e la musichetta di sottofondo
accarezzarle le orecchie con un motivetto allegro.
Il campanello squillò discretamente. Mira impiegò un pò ad alzarsi e ad andare
ad aprire. Erano le otto di sera, chi poteva essere? Qualche poveraccio senza
famiglia che cercava un piatto di minestra calda?
L'ombrello che si chiuse quando la donna aprì la porta, fu messo a sgocciolare
vicino al tappetino di benvenuto. Il visitatore la guardò con un sorriso tenue,
disteso.
"Ciao, occhioni blu"
Mira lo fissò senza parole, senza spostarsi di un centimetro. Il mondo era
immobile.
"Mi fai entrare?"
Scosse la testa per schiarirsela: Lucas le sorrideva gentilmente e teneva in
mano un pacchetto regalo. "Buon Natale"
Lo prese meccanicamente e fece un passo indietro "sei venuto..."
"Per passare il Natale con te, se vuoi" dichiarò chiudendo la porta e
togliendosi il giaccone pesante di dosso.
"Non sei.."
"Morto? No, li ho fregati tutti: avevo un giubbotto antiproiettile con
sacchette di sangue incorporate. Se lo
sognano, nella polizia. Ho un pò di amici che mi fanno tanti favori."
"La smetti di finirmi le frasi? Come hai fatto... "
"A farglielo credere? Hai visto James Bond? Sono come lui. Solo più fico.
Ho aspettato il momento giusto, mi sono tolto la maschera e me ne sono andato
con le mie gambe e la mia faccia"
affermò girovagando nel salottino "Beh? E le decorazioni? C'è solo l'albero di
Natale. Lo festeggi così?" le domandò come fosse la cosa più naturale del mondo
presentarsi dopo averle fatto credere di essere morto.
"Vuoi.." Mira si interruppe aspettando che le finisse la frase. Strinse il regalo
fra le braccia e lo guardò con gli occhi lucidi.
"Voglio?"
"Uccidermi?"
Lucas scoppiò a ridere tornando da lei e togliendole il regalo "figuriamoci, non
ci penso neanche. Tempesta è morto. Adesso ci sono solo io."
Mira restò a guardarlo non credendoci davvero. Allungò la mano, poi l'altra, lo
toccò e gli si strinse addosso con una certa frenesia.
Ricambiò la stretta con un discreto piacere. Non pensava che avrebbe provato
tutta quella nostalgia senza di lei. Le cercò le labbra mentre la donna gli
andava incontro e lo stringeva farfugliando che era un idiota.
Le sue mani scendevano sul corpo, accarezzandolo e strappandole gemiti soffusi e
bassi che si confondevano con il respiro improvvisamente pesante.
“Smettila!” singhiozzò staccandosi dalle labbra calde “non puoi fare l’amore con
me, spararmi e poi... tornare all'improvviso e provarci nuovamente!” sbraitò
intristita, interrompendo la sua carezza lenta.
La guardò mezzo annebbiato ed eccitato, osservando il movimento delle labbra e
gli occhi che lo fissavano pieni di lacrime.
“Mi sa… che mi sono innamorato di te”
“Tu sei matto!” esplose con il volto rosso, congestionato dall’imbarazzo e dalla
rabbia “ma che stai dicendo? Neanche mi conosci!”
“Neppure tu, eppure a letto con me ci sei venuta!” la gelò togliendole ogni
protesta di bocca.
Mira lo fissò per qualche istante, arrossendo intensamente. Voltò la testa da un
lato, cincischiò qualcosa e tornò a guardarlo “Davvero?”
Lucas annuì un po’ di volte, inarcando le sopracciglia velocemente “eh…si..”
Mugugnò fra i denti muovendo un ginocchio e rivelando tutto il suo nervosismo.
“Sennò non ti avrei sparato.”
Mira cade quasi a terra. “Cosa? Ma sei pazzo? E si, devi esserlo!”
”Sono un po’ complicato.”
Lo studia, lo soppesa con stupore e malcelata irritazione e poi sbuffa.
”Lucas, non dire stronzate. Non sei innamorato di me” bisbiglia mettendosi a
sedere sul divanetto.
Lo sente avvicinarsi e non muove un muscolo, mentre si sistema accanto a lei, osservandole le mani che tiene poggiate sulle gambe “hai
ragione”sbotta stirandosi. “Non è vero. Era solo una scusa
per portarti a letto.”
Sente il petto e il cuore svuotarsi dolorosamente mentre afferma di non amarla.
Allora era così importante che fosse vero?
“Vedi…pensandoci su” balbetta intristita ”hai capito che non era vero.”
Lucas la guarda, piegandosi sulle ginocchia e costringendola a guardarlo “non è
vero. Ti ho detto una bugia”
“Dopo avermi sparato…menti pure” ridacchia asciugandosi il naso che cola un po’.
“Io mento sempre, ho mentito anche adesso. Ti amo... e questo... sentimento... mi fa sentire strano” mormora visibilmente imbarazzato. "Io
penso che sia amore... non l'ho mai provato prima"
Mira lo lascia parlare e sorride perchè tutto pensava tranne che fosse capace di
arrossire "ti batte il cuore?"
"E si"
"Stomaco da montagne russe?"
"Si.."
La donna si protende verso di lui e lo abbraccia "come se fossi un drogato in
astinenza?"
"Mh mh" mugugna tornando a fissarla e ad accarezzarla "I tuoi
occhi, quanto mi mancavano.."
Si struscia contro la sua mano, balzandogli al collo e baciandolo con foga.
Dieci minuti dopo, lo lascia andare solo perchè sta chiedendo pietà.
"Che cosa mi hai regalato?" domanda accigliata, ancora seduta su di lui "se non
mi piace, corri a cambiarlo"
Mentre lo scarta, Lucas ridacchia e la accarezza, distraendola.
"E io che dovrei farci con questa?!"
Il tono di stupore nella voce lo fa ridere ancora di più. Mira
lascia penzolare la cravatta davanti ai suoi occhi e lo guarda con un cipiglio
duro e assolutamente falso.
"Pensavo di rinverdire i vecchi tempi" sghignazza con aria innocente, beccandosi
uno schiaffettino finto e una frustata in piena regola.
"Come no? Vieni qui che te la faccio scontare tutta! Ti faccio passare quello
che ho passato io!"
"Ganzo! Vedi che quando ti ci metti, hai delle trovate geniali?"
°°°°
"Signor Tempesta?"
"Si?"
"Ho un lavoro
urgente..."
"Si."
Jack guardò l'albero di Natale con cipiglio
ironico... e bravo Lucas... hai imparato a mentire bene.
Finalmente.
Sta cosa non la faccio mai... ma ora devo: (*)
Un forte abbraccio al sensualissimo Key che mi ha prestato la sua insonnia e un
bel pò della sua follia alcolica.
Un sorriso inondato di sole a Donny che dall'alto della sua trentennale
esperienza, capisce gli uomini e le donne meglio di me, turbando le mie dita
quel tanto che basta per farmi scrivere esattamente quello che voglio.
Se non ci fossero stati loro, il signor M non si sarebbe evoluto.
Forse, sarebbe stato meno pazzo.