P.S. I love you

di harinezumi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I've Just Seen a Face ***
Capitolo 2: *** Fixing a Hole ***
Capitolo 3: *** Yesterday ***
Capitolo 4: *** PS: I Love you ***
Capitolo 5: *** With a Little Help From my Friends ***
Capitolo 6: *** I Want You ***
Capitolo 7: *** Happiness is a Warm Gun ***
Capitolo 8: *** Tomorrow Never Knows ***
Capitolo 9: *** Strawberry Fields Forever ***
Capitolo 10: *** You Got to Hide Your Love Away ***
Capitolo 11: *** It Won't be Long ***
Capitolo 12: *** I'm Looking Through You ***
Capitolo 13: *** The Night Before ***
Capitolo 14: *** Because ***
Capitolo 15: *** All Together Now ***
Capitolo 16: *** Here, There and Everywhere ***



Capitolo 1
*** I've Just Seen a Face ***



Cap 1

I’ve Just Seen a Face

[Track 12 – Help!]


 
I’ve just seen a face
I can’t forget the place where we just met

La stanzetta era semibuia, soltanto un debole raggio di luce autunnale riusciva a passare attraverso le persiane abbassate. Era davvero disordinata, c’erano vestiti ovunque sul pavimento, e l’armadio era aperto, come se il suo proprietario fosse sempre di fretta, e non avesse il tempo nemmeno di chiudere l’anta. L’unica cosa in ordine religioso erano le file di manga sugli scaffali di un’ampia libreria. Su un comodino, quello accanto alla figura dormiente tra le coperte di un letto a due piazze, stava una foto incorniciata.

Raffigurava due ragazzi al lunapark: uno, che doveva aver scattato tenendo la macchina fotografica, dai capelli biondi leggermente lunghi e magrolino, con enormi ed allegri occhi azzurri e un sorriso stampato sul volto; l’altro, con un’espressione cupa negli occhi cremisi e una smorfia sul volto, più alto e con i capelli neri e corti, eccetto per dei ciuffetti ribelli sulla fronte.

Accanto alla foto, una sveglia di Hello Kitty di un colore fucsia piuttosto inquietante, che prese a suonare quando scoccarono le sette.

Kurogane alzò la testa dal cuscino lentamente, mentre la sua mano andava a spegnere il malefico ordigno squillante –uno degli amati regali del suo ragazzo-, che li moro fissò con aria svogliata. Un altro giorno di tediose supplenze, che lo stavano facendo seriamente pentire del lavoro part-time che aveva scelto; tuttavia, adorava insegnare educazione fisica, anche solo come assistente, e qualche ragazzino che a scuola gli dava soddisfazioni c’era. In più gli serviva come tirocinio, dato che la sua laurea era prossima.

Si voltò stancamente verso l’altra parte del letto, notando che ovviamente Fay si era già defilato al lavoro. Lavorava troppo. Da quando Sorata e Arashi si erano trasferiti ad Osaka, avevano lasciato a lui la gestione del loro negozio di fumetti; ma il biondo si era anche ostinato a non assumere più nessuno per aiutarlo, come se ci godesse a trovarsi sobbarcato di lavoro ogni giorno. In più, studiava per corrispondenza: non una materia normale, bensì chimica inorganica.

Kurogane si alzò dal letto, prendendo a prepararsi con vari sbuffi, specialmente perché si vide costretto dal proprio senso dell’ordine a raccattare i numerosi indumenti sul pavimento della loro camera. Fay si era davvero scatenato quella notte, la sua maglietta era finita chissà come in corridoio.

«Stupido idiota» mormorò Kurogane, quando raccogliendola notò il bigliettino che era scivolato fuori dalla stoffa. C’era scritto: Nuovo record! Siamo a 5.2 secondi passati a spogliarti. Scrivilo sul tuo registro, Kuro-prof!

Non era finita lì, comunque. In cucina, trovò un’altra serie di bigliettini, nonché il caffè già pronto e ancora caldo sul tavolo e dei biscotti –fortunatamente al cioccolato fondente- su un piattino, disposti a formare una faccia sorridente.

Il primo stava sul frigo, ed era un post-it: Kuro-chan, è finita la panna. Sai cosa significa. Kurogane lo strappò via dal frigo e lo accartocciò con un ringhio, lanciandolo dall’altra parte della stanza, più o meno in direzione del cestino.

Il secondo stava accanto al suo caffè: Kuro-love, ho dato un bacio ad ogni lato del bordo della tazza. Così sono tantissimi baci indiretti per te <3. Già così, la tazza sapeva di dentifricio alla menta lontano un miglio, accidenti a lui.

Il terzo, con un gemito di sopportazione, Kurogane lo trovò sopra alla sua sacca posata accanto alla porta della cucina, che prima non aveva notato: Kuro-sun, non scordare il tuo braccialetto. In allegato, il sottile bracciale rosa che Fay gli aveva regalato quattro anni prima, a San Valentino, quando si erano messi insieme.

Kurogane odiava quel braccialetto. Perciò lo nascose bene sotto i polsi della felpa da ginnastica, prima di uscire.

***

«Ma tu non lavori mai?» domandò Kurogane, o più che altro lo abbaiò, in faccia a Seishiro, il quale ogni tanto lo incrociava per strada mentre entrambi andavano al lavoro o all’università. Pareva che per uno sfortunato caso del destino abitassero poco distanti tra loro, e dovessero fare un tratto di strada insieme quasi ogni mattina.

Seishiro era un ragazzo davvero carino, portava degli occhiali sottili, ed era un tipo dall’aria sempre allegra e sorridente. Peccato che quando apriva bocca si rivelasse essere il serpente più malvagio di tutto l’universo, e che Kurogane non riuscisse a sopportarlo. Fay, invece, non perdeva mai l’occasione di invitarlo costantemente a casa loro.

Lavorava come tirocinante in una clinica veterinaria poco distante, anche lui a pochi mesi dalla sua laurea.

«Certo che si, sono un accanito lavoratore» cinguettò placidamente Seishiro. «Piuttosto dovresti pensare al tuo di lavoro, Suwa, e considerare quanto tu stia aiutando il mondo diventando insegnante di ginnastica».

«Appunto, significa che come utile esercizio posso staccarti la testa con molta facilità, quindi sta zitto», ringhiò Kurogane, per nulla disposto a farsi prendere in giro in merito al proprio lavoro.

«Bravo, così faresti piangere Subaru!» ghignò Seishiro. Non che sembrasse particolarmente triste a quella possibilità, anzi piuttosto si stava divertendo parecchio come al suo solito. «E dopo Subaru si metterebbe a piangere la tua fidanzatina. Sono certo che non vuoi che lei pianga».

«Senti tu, brutto…» sbraitò Kurogane, fermandosi e prendendo a fremere da capo a piedi, con un pugno già stretto e pronto a distruggere il sorrisetto di Seishiro in pochi istanti.

In quel momento, sentirono una vocetta cristallina giungere da dietro di loro chiamandoli, e si voltarono verso il ragazzino che gli stava correndo incontro, con un sorriso stampato sul volto. Subaru indossava la divisa della liceo dove anche Kurogane insegnava, il suo vecchio liceo; era un ragazzo un po’ bassino, ma molto grazioso, con due ingenui occhi verdi che avrebbero fatto sciogliere anche un cuore di pietra.

Questo valeva solo in parte anche per Seishiro, che però non trattenne una risatina quando videro Subaru crollare a terra a pochi metri da loro, pestandosi una stringa delle scarpe. Si avvicinò a lui per aiutarlo ad alzarsi, accogliendo con un sorrisetto tutte le sue scuse.

Subaru, color peperoncino, tornò in piedi e andò ad affiancarsi a Kurogane, mentre Seishiro gli teneva un braccio sulle spalle. «B-buongiorno, Kurogane-san…» balbettò il ragazzino.

«Non ti preoccupare, Subaru-kun, ci penserò io a tenerti in piedi d’ora in poi» gli sussurrò Seishiro all’orecchio, con un chiaro tono da presa in giro, provocando un imbarazzo più acuto nel ragazzino. Dopotutto, stava salutando il suo quasi insegnante di educazione fisica, e si era appena sfracellato sull’asfalto davanti a lui.

Kurogane guardò Seishiro molto male, ma si limitò a rispondere a Subaru con quella che secondo i suoi canoni poteva essere definita gentilezza. «Sumeragi, ti consiglio di stare alla larga da quest’individuo, probabilmente è la principale causa del tuo scarso equilibrio».

«Cosa vorresti insinuare, Suwa?» domandò candidamente Seishiro, scivolando alle spalle di Subaru per abbracciarlo da dietro. Abbassò il capo a livello di quello del ragazzino, strusciando una guancia contro la sua con affetto. «Che ho maledetto il mio Subaru per fargli del male?»

Il soggetto preso in questione non riusciva nemmeno più a respirare per la vergogna, ma Kurogane era abituato a quelle scene tra loro piuttosto frequenti, che anzi di solito vertevano verso effusioni peggiori, così decise di ignorare del tutto Seishiro, dando loro le spalle e riprendendo a camminare con uno sbuffo.

Finché non fu arrivato davanti al cancello della scuola, non riuscì a liberarsi di loro, anche se Subaru chiaramente non desiderava affatto quella vicinanza (il professor Suwa gli faceva a dir poco terrore, nonostante si conoscessero al di fuori della scuola). Poi, poté finalmente andare a rifugiarsi nella sala insegnanti.

Leggendo il cartellone degli orari dei docenti, notò che all’ultima ora di quella mattina aveva lezione teorica nella sua vecchia aula, dove aveva praticamente passato tutto il liceo. E anche conosciuto Fay.

Il motivo della sua decisione di non allenare quella classe in cortile per quel giorno era che erano talmente delle frane in qualsiasi tipo di sport che non gli sembrava il caso di umiliarli ulteriormente con dei voti tremendi; avrebbe insegnato loro un po’ di anatomia per poter risollevare le loro medie con un più apprezzato test scritto.

Ma la sua mente vagò parecchio per la stanza, mentre spiegava con aria svogliata ma sempre professionale, soffermandosi su tutti i ricordi che aveva chiusi tra quelle quattro mura. Dove una volta stava seduto Fay, ora c’era un ragazzino ugualmente biondo ma con un’aria genuinamente sciocca –a dire la verità, anche Fay aveva sempre un’espressione analogamente idiota però. Era uno degli alunni più imbranati che avesse mai conosciuto, Kohaku Tensi*.

Per un attimo si sorprese a pensare alla prima volta che aveva posato gli occhi sul suo biondo. Appena aveva visto il suo viso, aveva provato una sensazione di inquietudine profonda, ma all’inizio aveva provato in tutti i modi a non farci caso.

In fondo hai sempre un po’ paura, quando incontri la persona che ti cambierà la vita per sempre.

Fantastico, ora oltre alla carrellata di pietosi ricordi si faceva strada nella sua mente anche la voce di sua sorella Tomoyo. Da quando era tornata in Giappone dalla Cina, si era andata ad iscrivere proprio nella stessa scuola dove insegnava il fratello; fortunatamente però, lui non era mai stato costretto ad insegnare alla sua classe.

Mentre l’ora di spiegazione volgeva ormai al termine, Kurogane posò distrattamente gli occhi di nuovo su Kohaku, nell’ultima fila, che prendeva appunti –inserendo un numero nauseante di riccioli alle lettere e cuoricini-, e sulla finestra vicino alla quale era accostato il banco del ragazzo.
Il cuore gli si ghiacciò nel petto, quando vide Fay, inosservato dal resto della classe, salutarlo con la mano e un sorriso entusiasta dall’altra parte del vetro. Si bloccò a metà della frase che stava pronunciando, cercando di staccare gli occhi da quell’immagine e di riprendere il filo del discorso.

Venti teste perplesse si alzarono dai loro quaderni, andando a guardarlo, dato che non riusciva a spiccicare più parola.

«Credo che per oggi possa bastare» riuscì ad articolare infine Kurogane, che era riuscito per chissà quale ragione a non guardare più verso la finestra, o nulla l’avrebbe trattenuto dallo scavalcare il balcone per strozzare Fay. Comunque, nessuno mise in dubbio la sua sanità mentale, in quanto mancavano pochi minuti alla fine dell’ora.

Kurogane posò il gesso che aveva usato per scrivere i termini più difficili alla lavagna e prese in fretta le proprie cose, guardando il proprio orologio da polso, incurante del fatto che così aveva messo ben in vista il braccialetto rosa e che ci fosse un gigantesco orologio rotondo appeso al muro dietro di lui. «Bene, arrivederci» salutò i ragazzi frettolosamente, sparendo fuori dall’aula un attimo dopo.

Tralasciò di far caso allo sconcerto che aveva lasciato dietro di sé, perché pochi secondi dopo che era uscito in corridoio la campanella suonò, annunciando la fine delle lezioni. Kurogane uscì in fretta dalla porta più vicina, ritrovandosi in cortile.

Fay era davvero lì, stava seduto sull’erba abbracciandosi le ginocchia sopra una collinetta del parchetto della scuola poco più avanti, e dal sorriso che gli fece stava aspettando proprio lui.

Tuttavia, la furia con cui Kurogane lo raggiunse e gli si parò davanti gli fece intuire che la sua visita inaspettata non era troppo gradita. «Che diavolo ci sei venuto a fare qui? Io ci lavoro, non puoi metterti a bighellonare sotto le mie finestre!» sbottò Kurogane, gettando la propria sacca a terra ai piedi del biondo e tirandogli un pugno in testa senza troppi complimenti. Non usò un ventesimo della sua forza, ma quello era il suo modo di far capire a Fay che avrebbe anche potuto.

«Kuro-buuun! Non farmi male, sono venuto a trovarti!» pigolò Fay con aria lamentosa, portandosi teatralmente le mani alla testa come se fosse stato ferito a morte.

Kurogane si sedette con uno sbuffo di fianco a lui, incrociando le gambe su cui, svelto come un gatto, Fay non perse tempo ad adagiarsi. «Che fai?! Sono a scuola, razza di imbecille!» sbottò, cercando inutilmente di staccarsi le braccia del biondo dal collo.

«Ma non ci vede nessuno. Kuro-pon, mi sei mancato un sacco» miagolò Fay, strusciando una guancia contro la sua, teneramente.

«Mi hai visto stamattina, stupido idiota incosciente. Non voglio che tutta la scuola mi veda mentre tu mi stai attaccato in certi atteggiamenti! Che diavolo di esempio è da dare a dei ragazzini?» sbuffò Kurogane, incapace di cacciarlo via del tutto. La sua vicinanza gli dava una pace assoluta, e in verità nulla lo avrebbe potuto turbare quando Fay era con lui. Ma questo era meglio che il biondo non lo sapesse, o avrebbe giocato a cacciarlo in situazioni imbarazzanti a vita.

«Stamattina tu dormivi! Kuro-chan, noi eravamo ragazzini quando ci siamo incontrati» ribatté Fay con un risolino. «E certi atteggiamenti li abbiamo tenuti in parecchi sgabuzzini proprio in questa scuola. Anche quella volta a casa di tua madre al compleanno di Tomoyo-chan, quando mi hai accompagnato tanto premurosamente in bagno» aggiunse, innocentemente, mentre prendeva a mordicchiargli un orecchio.

«Levati s-u-b-i-t-o» ringhiò Kurogane, tremando di rabbia e sentendo che una vena aveva cominciato a pulsargli pericolosamente sulla fronte.

Fay scoppiò a ridere, nel suo orecchio per la precisione, il che lo fece imbestialire ancora di più, ma il biondo scivolò docilmente giù dal suo grembo, andando a sedersi accanto a lui. «In realtà non sono affatto qui per te» spiegò con un sospiro, prendendo dalla borsa a tracolla sull’erba dei fogli. «Sto cercando qualcuno che mi dia una mano al negozio per qualche pomeriggio e volevo attaccare questi avvisi in un paio di bacheche a scuola».

Era davvero stanco, tanto da possedere metà della sua solita allegria. Ma sosteneva che seguire i suoi studi di chimica all’università per corrispondenza gli piaceva tanto, e non aveva intenzione di lasciare nemmeno il suo amato negozio di fumetti. Eppure le sue occhiaie erano un po’ troppo evidenti per i gusti del moro.

«Lo faccio io. Basta che non ti metti più a gironzolare sotto le mie finestre distraendo le classi» rispose allora Kurogane, allungando una mano.
Fay gli consegnò i fogli, con un sorriso. «Oh, ma  prima l’unico di distratto mi parevi tu, Kuro-amore…» lo prese in giro, senza riuscire a resistere nel dargli un veloce bacio sulla guancia. «Stavi guardando proprio il punto dove una volta c’era il mio banco».

«Te lo sarai sognato» sbottò Kurogane, infastidito e romantico come sempre. Fingeva di essere molto interessato a leggere il testo degli avvisi stampati di Fay.

«Per niente, non dimenticheresti mai il luogo dove mi hai conosciuto» ribatté il biondo, prendendogli un polso senza preavviso, e scostando leggermente la manica della tuta, rivelando il braccialetto rosa che aveva regalato a Kurogane. Le sue guancie si colorarono leggermente, mentre lanciava un’occhiata al volto falsamente indifferente dell’altro. «Oh, Kuro-rin, non sai quanto vorrei intrattenermi in certi atteggiamenti con te, in questo preciso istante».

«Finiscila di dire idiozie!»
 

* Kohaku è il protagonista di “Wish”, e un cognome non ce l’ha.. “tensi” vorrebbe dire angelo quindi anche se fa schifo l’ho chiamato così, dato che è un angelo xD




 

____________________

Kuro-loveee lo mette lo stesso il braccialettooo ♫ *la testa dell’autrice viene staccata di netto da un’asciata di Kurogane*

benvenuti, signori (mah) e signore al seguito di “Do you want to know a secret” :D lo stile di questa storia sarà abbastanza diverso dalla precedente.. che dire, preparatevi perché questo sarà pressoché l’unico capitolo in cui non succederà qualcosa di estremamente deprimente xD l’angst regnerà sovrano.

ora che vi ho fatto venire un sacco di voglia di leggere, vi auguro una felice giornata *____*

harinezumi

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Capitolo 2
*** Fixing a Hole ***




Cap 2

Fixing a Hole

[Track 5 – Sgt. Pepper Lonely Hearts Club Band]

 

I’m taking my time for a number of things
That weren’t important yesterday

«Kuro-puu, finalmente sei a casa!» esclamò Fay, quando lo vide entrare dalla porta del soggiorno. Ma non si alzò, o avrebbe distrutto la catasta di carte e libri che aveva addosso e sparso sul divano dove stava seduto a studiare. Inoltre, aveva un’aria decisamente troppo stanca per correre ad abbracciarlo con tutto il suo entusiasmo.

«Mh, sono già le cinque…» mormorò Kurogane. Uno dei suoi tentativi di scusarsi, un rituale che solo Fay avrebbe potuto capire.

Il biondo sorrise, con una risatina. «Non fa niente, Kuro-tan. Ero così preso a studiare che non ho nemmeno notato l’ora!» mentì, allegramente, come se nelle due ore precedenti non avesse passato il tempo a lanciare occhiate speranzose e preoccupate all’orologio.

«Sei sicuro di voler continuare?» chiese dubbioso il moro, andando a gettare in un angolo della stanza la propria sacca, prima di appoggiarsi alla parete accanto al divano, solo per scrutare perplesso i simboli diabolici della chimica che Fay studiava.

«Certo che continuo! Mi piace la scienza, è emozionante!»

«Se lo dici tu» grugnì Kurogane, che ogni tanto era stato costretto a seguire corsi di chimica ed era inorridito al solo pensiero di studiarla. «Tuo padre non ti aveva offerto dei soldi per i tuoi studi? Non mi sta molto simpatico, ma forse ti conviene cercare di contattarlo».

«Non mi risponde più, ricordi?» chiese Fay, con una risatina che celava la disperazione che per un attimo gli aveva attraversato gli occhi, al ricordo di Ashura, malato e chiuso in una clinica negli Stati Uniti. «Kuyo, la sua assistente, mi ha mandato una mail nove mesi fa. Ma lui non accenna a chiamarmi». Sbuffò, cercando di non dare a vedere quanto quel pensiero riuscisse ancora a turbarlo. Ma voltandosi verso Kurogane, vide che anche lui aveva un’espressione pensierosa. «Che c’è?»

«Niente. Pensavo» mormorò Kurogane, sorprendentemente incerto e insicuro per i suoi standard, «che tuo padre non è il tuo vero padre. È la persona che ti ha cresciuto, e sicuramente tu non lo amerai di meno perché non sei suo figlio. Ma non è tuo padre, e questo è molto… triste».

Fay si sorprese a quelle parole, rimanendo per qualche attimo a guardarlo meravigliato, senza sapere che cosa dire. Ma quando Kurogane scorse nei suoi occhi il velo di tristezza dato proprio dal discorso che aveva cominciato lui stesso, deglutì, affrettandosi immediatamente ad assumere un’espressione colpevole.

«Non intendevo…» cercò di articolare, quando ormai Fay sembrava un cucciolo di gatto in procinto di annegare. «N-non piangere, dannazione! Accidenti, quanto sono stupido!» gridò quasi, dando rabbiosamente un calcio all’aria.

Il biondo rise, beccandosi un’occhiata furiosa; perché Kurogane aveva ragione, aveva anche gli occhi umidi. E Kurogane odiava quando Fay piangeva. «Non importa, io… conoscevo solo Ashura e Yui, in fondo. È l’unica famiglia di cui ho mai avuto bisogno, a parte te ovviamente, Kuro-pon!» aggiunse in tono affettuoso, alzandosi finalmente dal divano e andando ad abbracciarlo con il suo solito trasporto. Le carte su cui studiava svolazzarono in giro indisturbate.

«Scusa, non aprirò più bocca sull’argomento» sbuffò Kurogane, ancora seccato per la propria incapacità di starsene zitto. Ma, come sempre, si dimostrava anche piuttosto scocciato dalle fusa che Fay aveva preso a fargli sul petto, infatti non resistette a lungo. «Adesso però levati, devo andare a studiare».

«No-ooo!» fu tutta la risposta, mentre il biondo gli stringeva la vita ancora più forte. Kurogane non sembrò neanche ascoltarlo, perché prese a dirigersi lo stesso verso lo studio a grandi passi, mentre l’altro cercava di stargli avvinghiato. «I malvagi libri di Kuro-chu mi portano via il mio fidanzatooo!»

«Che idiozie vai dicendo!» sbottò il moro, una volta arrivato sulla soglia dello studio e cercando finalmente di spingersi via il biondo di dosso, puntellando le mani sul suo petto. Tuttavia ci metteva pochissima energia; in parte perché mirava ad insegnare a Fay (come fosse un cane) a levarsi di torno da solo, in parte perché non aveva davvero il cuore di sollevarlo di peso e sbatterlo fuori dalla stanza per l’ennesima volta.

«Kuro-chan, non ho niente da fare!! Abbi un po’ di pietà e fammi compagnia, dai!» continuava Fay, avvinghiato a lui nonostante tutto con una forza sovraumana.

«Certo che hai da fare, devi preparare la cena» rispose Kurogane con la sua solita finezza, afferrandolo per i fianchi, deciso, e staccandolo finalmente da sé.

Per la seconda volta in pochi minuti, però, doveva aver usato le parole sbagliate, perché l’espressione di Fay era furiosa all’inverosimile quando poté riguardarlo in viso. Il biondo fremeva di rabbia, e presto prese ad urlare, preda di uno dei suoi attacchi isterici. «IO non sono la TUA schiava!» gridò, puntandogli l’indice al petto.

Poi, senza nessuna esitazione, lo spinse dentro la stanza, afferrando la maniglia della porta dello studio e sbattendogliela in faccia. 

«D’ora in poi divertiti a pomiciare con i tuoi libri, perché da me non avrai più un bel niente!»

Kurogane sentì un calcio alla porta e i passi furiosi di Fay che si dirigevano in cucina, mentre rimaneva immobile e allibito a fissare il legno davanti a sé. Ma probabilmente non era una buona idea seguire il biondo in quel momento; perciò seguì il suo consiglio, sospirando e aprendo il libro di anatomia.

Prima o poi, pensò rassegnato, si sarebbe abituato agli improvvisi cambiamenti d’umore di Fay. Forse.

 

***

«Ehi».

Nessuna risposta. Fay sembrava sprofondato con tutto il viso su uno dei cuscini del divano, steso a pancia in giù. Non si muoveva, specialmente da quando Kurogane, verso le nove, era passato dalla cucina a prendersi da bere ed era andato a controllarlo.

Dato che il biondo non aveva spiccicato parola, era tornato in cucina, per preparare lui qualcosa di decente per cena. Fay era decisamente più bravo in quel campo, peccato che se la prendesse da morire quando Kurogane osava accennare al fatto che facesse con successo quasi tutti i lavori vagamente femminili in quella casa. Una volta il biondo aveva anche cercato di spiegare perché, ma il tutto era finito in mezze frasi blaterate: a quanto pareva, non voleva essere considerato un la donna della coppia, una presenza scontata, né una preoccupazione.

«Ehi» mormorò di nuovo Kurogane, dalla soglia del soggiorno. Nove e mezza, e quella che poteva sembrare una cena era pronta in tavola. Fay non si mosse, stoico. «Mi arrabbierò da morire se non mi rispondi» lo avvertì allora il moro, con una smorfia di sopportazione. «La cena è pronta».

Fay alzò piano la testa, puntando due occhi celesti decisamente seccati su di lui. «Non ti ho chiesto di farla. Io».

«Lo so bene» rispose Kurogane, attendendolo ancora senza smuoversi di un millimetro.

Il biondo si alzò con un sospiro, dirigendosi finalmente alla porta del salotto, scavalcando tutte le proprie carte ora sul tappeto. Quando giunse accanto a Kurogane e fece per sorpassarlo, sentì la sua stretta stringergli un polso, poi il moro lo attirò a sé con dolcezza, per tenerlo abbracciato da dietro. Fay abbandonò la testa all’indietro, sulla sua spalla, chiudendo leggermente gli occhi.

«Tu non sei la mia schiava» precisò Kurogane allora, arrivando a baciargli una guancia.

«E vedi di non dimenticarlo».

***

«Suwa, sarei contenta se dopo la sua laurea rimanesse qui ad insegnare» esordì la preside, subito dopo averlo convocato nel suo ufficio. Kurogane, osservò anche lei con un ghigno, non riusciva neppure a tenere gli occhi aperti dal sonno; già altre volte Yuko Ichihara si era chiesta che razza di weekend passasse. Sospettava avessero a che fare con il ragazzo biondo che ogni tanto compariva davanti al cancello della scuola e si aggrappava al moro. «Mh, si vuole sedere?»

La preside di quella scuola era una donna veramente bella e giovane (anche se avrebbe in effetti potuto avere qualunque età compresa tra i venti e i trentacinque anni), dai lunghi capelli neri sempre raccolti in maniere fantasiose con matite, fermagli a farfalla e nastrini; i suoi vestiti erano costantemente poco consoni all’ambiente scolastico, e non lasciavano davvero nulla all’immaginazione. In quel momento, portava appena una canottiera che permetteva ad un qualsiasi osservatore di avere una visuale più che ampia del suo seno.

«Eh? Mh, sì» farfugliò Kurogane, riscuotendosi dal mondo dei sogni (a lui l’aspetto fisico della preside non toccava nessuna corda, era interessato piuttosto ad un altro tipo di fisico; quello con cui aveva giocato tutta la notte precedente) e individuando la sedia fortunatamente a mezzo metro da sé, riuscendo per miracolo a centrarla quando si sedette. «È una buona offerta, ma perché me la sta facendo?»

«Abbiamo bisogno di un allenatore di basket. Quello precedente ha avuto un esaurimento nervoso e si prende una pausa di qualche anno» continuò la preside, con aria seccata, come se nessun professore dovesse avere il diritto di impazzire.

Kurogane invece non stentava a credere che in quella scuola cose del genere potessero accadere, specialmente perché a capo c’era lei, un genio del male. «Perché ha parlato di insegnare, allora?»

«Beh, di un supplente c’è sempre bisogno, e i ragazzi la trovano simpatico» minimizzò Yuko, come se quello fosse un motivo valido per assumere qualcuno a tempo pieno. «Sono sicura che tra qualche anno quel vecchio bacucco del professor Reed se ne andrà in pensione, e allora passerà lei di ruolo».

«La ringrazio» mormorò Kurogane, ancora piuttosto sorpreso. Quella era un’arpia, ed era raro che facesse favori gratuiti.

«Di nulla! Ora, per festeggiare, vada a sistemare tutti i registri del vecchio in archivio, su» rispose la preside, dolcemente, invitandolo con un cenno della mano a sloggiare.

Kurogane evitò di sradicare la scrivania di Yuko per dargliela in testa, e con un grugnito di sopportazione e un’occhiata di puro odio alla donna sorridente, uscì dall’ufficio, dirigendosi verso gli archivi. Fei Wong non ordinava mai i suoi registri. Probabilmente alcuni risalivano agli anni ottanta, e questo Yuko doveva saperlo benissimo.

Mentre cercava di decifrare la scrittura di quel tipo odioso, che somigliava di più a quella di un orango rispetto a quella di un comune mortale, il cellulare gli squillò nella tasca nei pantaloni della tuta, facendolo sobbalzare. Fortunatamente non lo avevano chiamato mentre era dalla preside, perché si era dimenticato la suoneria accesa e sfortunatamente Fay l’aveva manomessa: ora suonava “Under the sea” del cartone de “La Sirenetta”.

Con un ringhio, Kurogane realizzò che era proprio il rompiscatole a chiamarlo.

«Che vuoi?» gli domandò, in maniera poco gentile. «Io sto lavorando, dovresti piantarla di…». Ma un singhiozzo dall’altro capo del telefono lo bloccò immediatamente, qualunque cosa stesse per dire.

«Ashura…» riuscì a balbettare Fay.

«Cos’è successo?» chiese Kurogane, cercando di ostentare una calma che non aveva in quel momento; si alzò, uscendo in fretta dalla stanza in cui erano archiviati tutti i registri e lasciando ogni cosa lì dove stava. Si diresse in palestra, per prendere tutte le sue cose.

«Ashura… Kuyo ha detto che i-ieri…» continuava a farfugliare Fay, tra i singhiozzi che probabilmente non si rendeva nemmeno conto di emettere, e sempre più forti. «Ashura… è morto…».

«Ascolta» gli rispose Kurogane, in tono sbrigativo. «Ora io vengo a casa, chiudi il negozio e fai lo stesso. Al resto penserò io, ma tu puoi farmi questo favore?» chiese, come se stesse parlando ad un bambino. Si mise la propria sacca recuperata in spalla, uscendo da una delle porte laterali della palestra. Non stava nemmeno avvertendo che si prendeva la giornata libera.

«N-non… com’è possibile…» mormorò soltanto Fay, senza dare segno di aver capito di che cosa stesse parlando.

«D’accordo, aspettami lì». Kurogane imprecò tra i denti, perché probabilmente il biondo in quel momento era capace di fare qualunque cosa. Era strano, anzi, che fosse riuscito a chiamarlo. «Non ti muovere, mi hai capito?» La sua preoccupazione crebbe quando non sentì nessuna risposta, ma solo un forte singhiozzo, così riattaccò e corse verso il negozio di fumetti.

Non perse nemmeno tempo a prendere la moto parcheggiata nell’area degli insegnanti, arrivò direttamente a piedi davanti al “No gravity”, senza fermarsi a prendere fiato neanche un attimo. Aprì la porta, constatando che grazie a dio non c’era nessun cliente, solo per dirigersi dietro il bancone.

Fay era seduto accanto al computer della cassa, a fissare con sguardo vitreo il pavimento davanti a sé. Non piangeva più, ma il suo viso era umido di lacrime e non dava segno di aver notato la presenza di Kurogane.

«Dove sono le chiavi?» domandò allora questi, con un sospiro, senza perdere tempo a cercare di arginare il fiume di depressione in piena che di certo scorreva liberamente dentro il petto di Fay. In quei momenti, era perfettamente inutile provare a confortarlo in qualche maniera.

«Eh?» domandò semplicemente il biondo, alzando due occhi sgranati su di lui. Probabilmente non aveva capito chi fosse; per fortuna, non era un cliente.

Kurogane sospirò di nuovo, cominciando da solo a cercarsi le chiavi, appese dietro al bancone in un armadietto. Andò a serrare la porta del negozio e a chiudere le saracinesche, sotto lo sguardo inebetito di Fay, che però non disse una parola.

Solo quando il moro si avvicinò nuovamente a lui, osò spiccicare qualche mezza frase. «Kuro-rin, non è necessario… sono in grado di lavorare, adesso» mormorò, con una vocetta flebile che ricordava tanto un uccellino caduto dal nido. «Tu… non dovresti essere a scuola?»

Kurogane intanto aveva preso le cose di Fay, infilandole dentro la borsa a tracolla del biondo e mettendosela al collo, prima di afferrare anche la propria sacca. Solo allora accennò a prestare attenzioni all’altro, allungandogli una mano. «Andiamo a casa».

«Ma dovremmo essere entrambi al lavoro, Kuro-tan…» cercò di sillabare Fay, venendo subito interrotto dall’altro.

«Qual è la cosa che ti ho ripetuto un milione di volte?» sbottò Kurogane, seccato. L’unico modo di avere a che fare con Fay in quei momenti era riscuoterlo con una certa decisione da quel torpore insano che lo prendeva altrimenti.

«Che non devo entrare nella doccia insieme a te?» chiese il biondo, in un filo di voce.

Kurogane divenne color peperoncino, ma per quanto imbarazzato da quell’uscita così ambigua e pronunciata con aria così dannatamente ingenua, riuscì ad articolare qualche parola. «No, maledizione! L’altra cosa!»

«Oh, che Kuro-sama non starà mai e poi mai sotto» rispose Fay con una debole risatina, in un tentativo puerile di prenderlo in giro, ora che si stava riprendendo. Ma all’occhiata di Kurogane abbassò mestamente lo sguardo, mordicchiandosi il labbro. «Che le idiozie che dico ti entrano da un orecchio e ti escono dall’altro…».

«Esatto».

Fay si alzò, prendendogli la mano. Kurogane utilizzò quella presa per avvicinarlo al proprio petto, lasciandogliela e passandogli il braccio che non reggeva la sacca sulle spalle. Lo strinse per qualche momento a sé, prima di accompagnarlo alla porta sul retro, da uscirono in strada.

«Ma non sono idiozie. Tu devi andare al lavoro, non puoi perdere tempo ad occuparti di me! Kuro-sun, in fondo non è mica morto nessun…». Fay s’interruppe, trattenendo di nuovo a stento le lacrime. Era così occupato a mentire bene a Kurogane che si era scordato di fare attenzione alle parole da usare.

«E dopo questa hai il coraggio di dire che non sono idiozie? Idiota» ribatté Kurogane, senza lasciarlo, fermandosi soltanto per chiudere anche la seconda porta del negozio.

«Ma guarda che mi sarebbe bastato pensare a te che torni a casa la sera» sussurrò Fay, una volta che il moro l’ebbe lasciato, quando furono davanti alla soglia di casa. Kurogane era intento ad aprire la porta, ma a quelle parole lo guardò, perplesso. «Mi sarebbe bastato vedere il mio Kuro-chu a cena, e sarei stato subito benissimo».

«Beh, non si è mai troppo sicuri».

«L’importante è che non mi lasci tu, Kuro-bau. Il resto… è stato triste. Ma non può accadere due volte, e intanto ho te».




 

____________________

vi chiedo di pazientare un pochino perché la storia cominci ad essere sensata =-= all’inizio la trama non esisteva, quindi questi primi tre capitoli sono perfettamente inutili (e lo ammette pure!). inoltre, fortemente (a mio parere) OOC.. ma siccome così non vi verrà mai voglia di continuare la storia, assicuro che poi diventa interessante xD

ringrazio i miei lettori <3 devono sapere che li amo tutti e che spero di trovare sempre tempo per aggiornare in fretta. intanto, mi sono giunte anche sei recensioni *W* il mio cuoricino è happyyy!

 
to Emily00: ma salve :D che bello risentirti, e che bello sapere che ancora vuoi seguirmi!! la storia è una specie di pre-Horitsuba, è vero ^^ però ho cambiato quasi tutto a mio piacimento, lo ammetto xD in compenso, credo di aver inserito parecchi personaggi clampici! per quanto abbiano cameo brevi :) e poii.. la KuroFay è angst xD ci piace per questo <3 ti ringrazio un sacco, non abbandonarmi anche se pubblico capitoli schifosi, ok? ç-ç

to Yuri_e_Momoka: collega *___* oddio, ora che mi hai fatto tutti questi complimenti, rileggendo la storia mi rendo conto che non me li merito xD specialmente per stò capitolo del cacchio. spero tantissimissimo che i miei personaggi ti piacciano, perché mi sono resa conto che li ho tolti completamente dal loro ambiente naturale, vivranno situazioni particolari per quanto sempre deprimenti >-< intanto grazie :° *le manda amore*

to Francesca Akira89: ti ringrazio un sacco :D Kurogane è un po’ allucinato da Kohaku mi sa xD mi è parso di capire che non hai letto la storia precedente a questa *-* ottimo, così mi dirai se si capisce qualcosa (l’autrice sospetta di no =-=)! sempre se vorrai, ovviamente :) grazie ancora per questa recensione!!

to Julia_Urahara: kyaaa Fran *-* ammetto che ho smesso di scriverti porno-sms perché avevo finito il bonus del giorno. sono sveglissima xD dopo questa confessione, devo dire che sei impagabile, davvero! anche se hai già letto ogni cosa sei qui a darmi tanta soddisfazione con la tua recensione ç-ç spero che i miei Kurogane e Fay ti piacciano anche la seconda volta <3

to __Di: wow mi sento importante a venire recensita da te °-° ovviamente, mi ha fatto un sacco piacere sapere che hai letto l’altra fic, e non è necessario che la commenti ^^ intanto l’hai letta!! ti ringrazio molto per le tue osservazioni, specialmente perché mi sono impegnata a clampizzare di più questo racconto rispetto al precedente, ci saranno molti personaggi! ora però mi sento un po’ in colpa perché qui Fay appare nevrotico/checchettaisterica ^^’ ma prometto che non lo faccio più ç-ç

to angel92YH: in realtà spero di riuscire a risultare ancora divertente, nonostante è indubbio che la storia non sarà allegra xD m’impegno a farti sorridere almeno una volta a capitolo, ok? ^^ ti ringrazio tantissimo per la recensione, per gli scrittori è sempre bellissimo riceverne di così carine! <3

notte a tutti *____*

harinezumi

prossimo capitolo: “Yesterday”

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Capitolo 3
*** Yesterday ***


Cap 3

Yesterday

[Track 13 – Help!]

 

Yesterday love was such an easy game to play
Now I need some place to hide away

«Non ti sembra di passare un po’ troppo tempo al lavoro?» domandò Kurogane, con aria seccata, quando Fay si alzò nuovamente la mattina presto, appena il giorno dopo alla notizia della morte di Ashura. Solitamente il moro non si svegliava tanto l’altro era silenzioso, ma in lui si attivava una sorta di sesto senso quando in Fay c’era qualcosa che non andava.

«Passo la stessa quantità di tempo al lavoro di sempre» rispose quello, con una risatina, stiracchiandosi leggermente e andando a raccattare qualche vestito nell’armadio. Era molto carino anche così, con i capelli spettinati e i pantaloncini del pigiama dei Pokémon (un pigiama da bambini, per questo erano pantaloncini, gli stavano corti).

«Non è vero» ribatté Kurogane, senza smuoversi dal letto, la nuca appoggiata alle braccia incrociate sul cuscino. Seguiva costantemente Fay con lo sguardo. «Ti svegli un’ora prima del necessario e non torni mai a casa per pranzo. Che ci fai là da solo per due ore e mezza? E la sera torni sempre dopo le otto, l’altro ieri mi sono sorpreso quasi che ci fossi, anche se era il giorno di chiusura».

«Beh, Kuro-tan, tu a pranzo ci sei solo ogni tanto» si giustificò Fay, con un’alzata di spalle. Uscì dalla stanza, lasciando dietro di sé un silenzio assordante. Quando tornò, dieci minuti dopo, per raccattare dei calzini, il moro era ancora nella medesima posizione e lo fissò.

«Tornerei ogni giorno se ti sapessi a casa» sbottò Kurogane allora, chiudendo gli occhi e girandosi su un fianco, palesemente intenzionato a tornare a dormire.

Questo gli impedì di vedere l’espressione di Fay, che si rattristò a quelle parole. Si avvicinò lentamente al letto, chinandosi su Kurogane per lasciargli un bacio a una guancia, che non venne accolto con il solito grugnito d’arrivederci da parte dell’altro. Anzi, la fronte del moro si corrugò, e Fay preferì sparire prima che potesse vedere quanto la cosa lo aveva ferito.

Mentre usciva di casa, senza lasciare stranamente nessun bigliettino dietro di sé come al solito, rifletté che avrebbe fatto meglio a tornare a casa per pranzo, quel giorno; Kurogane non aveva allenamenti e gli avrebbe fatto una sorpresa.

Però, quando alle una aprì con entusiasmo la porta di casa e varcò la soglia, esclamando allegramente un “eccomi, Kuro-chan!”, nessuno gli rispose.

***

«Ti ripeto che non mi aspettavo tornassi a casa» sbuffò Kurogane, con impazienza, mentre stavano seduti al tavolo della cena. Avevano ordinato cibo cinese, sotto richiesta implorante di Fay quando l’altro gli aveva proposto del sushi. Certo entrambi i piatti richiedevano l’uso delle bacchette, che il biondo faceva molta fatica ad usare.

«Kuro-bau si lamenta all’infinito e poi non c’è nemmeno quando io stacco dal lavoro per accontentarlo» rispose Fay con un sospiro, mentre si alzava a recuperare una forchetta.

«Beh, è stata fin dall’inizio colpa tua. Sei tu che hai deciso di ammazzarti di lavoro».

«Kuro-bun si ostina a giocare a scaricabarile, ma in realtà sa benissimo di essere nel torto» affermò Fay, sedendosi nuovamente incrociando le gambe e gonfiando le guance.

«E la finisci di parlare come se io non fossi di fronte a te? Non rivolgerti al muro!» sbottò Kurogane, aggrottando le sopracciglia e lasciando andare con un sospiro la sua porzione di riso sul tavolo, come se l’ultima cosa di cui avesse bisogno in quel momento fosse la fame.

«Uffa! Kuro-puu per una volta potrebbe anche fingere di essere contento di mangiare con la sua mogliettina» continuò invece Fay, imperterrito. «Kuro-rin sa benissimo che questo è il modo che ha mamma Fay per dirgli che è arrabbiata».

Al che, Kurogane sbuffò molto più sonoramente e si alzò da tavola, gettandovi con svogliatezza il tovagliolo e uscendo dalla cucina, senza dire più una parola. Un attimo dopo, si sentì provenire dal salotto il rumore della televisione accesa.

Fay era rimasto alquanto spiazzato da quel comportamento, tanto che per un attimo rimase a fissare come inebetito la porta dalla quale l’altro era sparito. Poi, appoggiò a sua volta il cibo sopra il tavolo, portandosi le braccia attorno al corpo come se avesse freddo e prendendo a osservare con sguardo vuoto le proprie scarpe.

Forse Kurogane non era più molto innamorato di lui.

Era una cosa a cui pensava da tempo: forse il moro si era stufato di quella convivenza a tratti davvero esasperante per lui. Erano rarissimi i suoi sorrisi, le volte in cui gli aveva detto che lo amava si potevano contare sulle dita di una mano: ed erano passati quattro anni da quando abitavano in quell’appartamento. L’unica cosa che facevano ancora insieme era l’amore, niente più passeggiate la domenica o uscite in centro e al cinema.

Ma a Fay non era mai venuto in mente che Kurogane potesse anche solo in una minima parte smettere di amarlo. Eppure da tutto il giorno teneva un atteggiamento davvero freddo nei suoi confronti, proprio il giorno dopo che aveva perso Ashura; una cosa che non avrebbe mai fatto quando ancora erano all’inizio della loro relazione.

Sparecchiò la tavola velocemente, anche se nessuno dei due aveva veramente finito di cenare, andando poi titubante ad affacciarsi alla porta del salotto. Kurogane stava seduto sul divano a guardare la tv, ma non appena lo vide entrare la spense, rimanendo a fissarlo.

«Io… c’è una cosa che devo chiederti» cominciò Fay, con voce leggermente roca, ma cercando con tutto sé stesso di farsi forza e di non fuggire in camera.

«No, aspetta, prima io» lo interruppe subito Kurogane, con un leggero sbuffo.

Il biondo ne fu sorpreso, ma si zittì immediatamente, contento di avere un pretesto per ritardare quello che voleva dire. Rimase a guardarlo dalla soglia della porta, senza capire però di cosa avesse intenzione di parlargli l’altro.

«Io lascio la scuola all’istante per venire da te, per farti stare meglio… e non solo non ci riesco, ma mi vieni a dire che tu al lavoro vuoi andarci anche stamattina! Non mangiamo mai insieme, non usciamo neanche, quando lo facciamo mi sembra… di non riuscire a raggiungerti… del resto non ti vedo praticamente mai» mormorò Kurogane. «Ho tentato di farti questo discorso stamattina, ma evidentemente non volevi parlarne, se ti sei defilato in quel modo. E adesso a cena dici di volermi accontentare? Una volta tornavi a casa in ogni momento che ti era possibile, non ero io a dovertelo chiedere. E mi trovo costretto a farlo sempre più spesso, anche se sembra costantemente che tu non ne abbia voglia!».

Fay era rimasto di sasso, a bocca aperta, perciò trovò abbastanza difficile articolare un discorso sensato in risposta a quelle parole. Kurogane interpretò quel silenzio e quell’espressione che si faceva via via più mesta come una conferma alle proprie parole, non vedendosi smentito.

«Senti, se non sei più innamorato di me, basta dirmelo» aggiunse allora, con un sospiro. Si passò una mano tra i capelli, facendo una piccola pausa, ma non aspettò nemmeno che Fay dicesse qualcosa, forse perché non l’avrebbe nemmeno voluta sentire. «Possiamo finirla qui se vuoi. Se ti sei accorto che non è questo ciò che desideri, posso traslocare in un altro appartamento, anche in pochi giorni… non occorre che continui a fingere. Io non costringo la gente a fare quello che non vuole».

«Oh…» lo interruppe Fay, con un’esclamazione piuttosto acuta e probabilmente non volontaria. Soltanto allora Kurogane si accorse che era in lacrime. «Ero così occupato… a prendermi le mie libertà… pensavo che il mio tempo libero… non equivalesse al tuo…» balbettò, frasi più che altro sconnesse tra loro. «Non ho considerato… perdonami, Kurogane. Non ho davvero considerato che tu potessi soffrire».

Kurogane era piuttosto allibito, perché tra tutto aveva capito soltanto l’ultima parte del discorso; fortunatamente non gli venne richiesto di spiccicare parola, perché Fay andò ad abbracciargli il collo e si sedette lentamente su di lui, le lacrime che gli scorrevano sulle guance.

«Hai ragione a dire che sono stupido».

«Certo, anche se non ho ben capito…».

Non poté finire la frase, perché Fay gli aveva afferrato il volto tra le mani e lo baciava con trasporto, un bacio che sapeva terribilmente da lacrime salate.

«Però sei uno stupido anche tu» continuò il biondo, separandosi appena da quel contatto e rimanendo a sfiorargli il volto contro il suo. Rideva tra le lacrime. «Come puoi anche solo pensare che non ti ami? Io… se non fosse per te non avrei avuto la forza di ricominciare a vivere. Se posso studiare, se posso dedicarmi al negozio… è solo merito tuo che mi stai vicino».

«Ah. Ora sei tu che fai lo scaricabarile» sbuffò Kurogane, arricciando il naso. Intanto, aveva cinto la vita di Fay con le braccia, poco propenso a lasciarlo andare. «Che cosa mi volevi chiedere?» domandò, ricordandosi come avevano cominciato quel discorso.

«Se mi amavi ancora» rise Fay, scosso ancora dai singhiozzi, ma incapace di smettere di piangere. La paura che lo aveva attanagliato per tutta la giornata stava finalmente scivolando via: quelle non erano certo lacrime di tristezza, perciò le avrebbe lasciate scorrere.

«Certo che sì, stupido imbecille. Non è nemmeno plausibile che io risponda a domande del genere!» esclamò Kurogane, genuinamente indignato, cosa che divertì Fay ancora di più.

«Perché sono domande troppo idiote, e le idiozie che dico ti entrano in un orecchio e ti escono dall’altro» recitò con diligenza, come un bravo scolaretto. Intanto aveva preso a baciargli il collo, dolcemente.

Kurogane non lo lasciò continuare troppo, nonostante non si trovasse particolarmente male in quella situazione; ben presto lo sollevò alzandosi in piedi, passandogli un braccio sotto le ginocchia e con l’altro reggendolo sulla schiena.

Si fermò soltanto una volta, prima di entrare nella loro camera da letto, per baciarlo nuovamente e sussurrargli a fior di labbra un inequivocabile: «Ti amo».

***

Quando la mattina dopo Fay si svegliò, si ritrovò sopra a Kurogane, tra le sue braccia. Scostò di qualche centimetro il volto dal suo petto, per andare ad osservare di sottecchi quel viso addormentato. Nessuno l’avrebbe definito tenero, ma Fay certamente lo pensava.

Scivolò via dal letto con attenzione, riuscendo a non svegliare l’altro e a defilarsi in salotto, dopo aver raccattato una felpa ed averla indossata sopra il suo magnifico “pigiama”.

Non frequentava veramente quella casa da mesi ormai, perciò si trovò un po’ spiazzato a trovarsi tra tutto quel silenzio, la mattina presto ad un’ora in cui era troppo abituato a svegliarsi. Non aveva intenzione di andare al lavoro; non si trattava di pigrizia, ma avrebbe costretto Kurogane a fare lo stesso. Quello che avevano appena passato puzzava terribilmente di crisi di coppia, e l’ultima cosa che Fay voleva era deteriorare il bel rapporto che aveva con il suo Kuro-love.

Certo, lui non avrebbe accennato a svegliarsi prima delle sette. Quindi Fay aveva un’ora buona da occupare con qualcosa.

Dopo dieci minuti passati in cucina a tentare di centrare la propria bocca con i cereali che lanciava in aria, sbuffò e realizzò che il pavimento era cosparso di anellini di frumento e miele. Fu allora che gli giunse un’illuminazione: avrebbe riordinato casa.

Ci aveva provato un altro paio di volte, ma Kurogane lo aveva sempre guardato inorridito quando aveva scoperto la polvere nascosta sotto il tappeto o le posate lasciate nel cassetto degli stracci. Decisamente, mettere in ordine non rientrava nelle cose nelle quali era bravo. Ma stavolta sarebbe stato perfetto.

Accadde mentre cercava di recuperare da sotto il mobiletto del televisore la propria bandana rosa da lavori di casa, scivolatagli tanto per cambiare quando aveva battuto la testa su una delle mensole. Alzando di nuovo il capo dopo aver afferrato trionfante la stoffa, andò di nuovo a picchiare sul ripiano dei dvd, che caddero rovinosamente tutti a terra.

Fay era agghiacciato, e voltò lentamente la testa verso la porta, aspettandosi le urla di Kurogane per averlo svegliato, che però non arrivarono mai. Con un sospiro di sollievo, prese a massaggiarsi la testa mente si chinava a terra, recuperando e impilando tutti i dvd sparsi per il tappeto.
Stava inginocchiato per sistemarne un mucchietto, quando sentì chiaramente il fiato mancagli. Si era completamente dimenticato che quello era il posto, proprio dietro ai dvd, dove aveva nascosto la lettera che Ashura gli aveva mandato appena due mesi prima.

Quando era arrivata, fortunatamente Kurogane non era in casa e l’aveva raccolta lui, nascondendola quasi immediatamente; non aveva avuto l’occasione di leggerla, infatti era ancora chiusa, e poi del resto se n’era totalmente dimenticato. Sfiorò la ruvida carta della busta con mani tremanti e uno sguardo triste, ma non l’aprì.

Anzi, finì di riordinare i dvd, ormai dimentico delle sue intenzioni di pulire il soggiorno, ma completamente assorbito dai suoi pensieri sulla lettera. Aveva dimenticato di leggerla e Ashura era morto.

Se ci fosse stato scritto qualcosa di importante, come un numero di telefono dove poterlo contattare, probabilmente non se lo sarebbe mai perdonato; però, conoscendo Ashura, in quel caso non si sarebbe sprecato a scriverglielo per posta. Dopotutto, lui lo conosceva il suo numero di cellulare; forse semplicemente voleva parlargli di qualcosa senza doverlo fare a voce.

In ogni caso, la sola vista di quella busta abbandonata sul divano faceva venire la nausea a Fay, che rallentò il più possibile nel mettere a posto i dvd sul ripiano. Ma anche i dvd finirono, e si ritrovò presto in cucina, con la busta aperta con un coltello, per non rovinarla, e la lettera tra le mani.

Stava cercando di convincersi che, qualunque cosa gli avesse scritto Ashura, non si trattava di qualcosa di importante, ma il suo cuore gli diceva tutt’altro.

Prese un po’ di coraggio al pensiero di Kurogane, ancora addormentato nell’altra stanza, e un sorrisino gli comparve sul volto; lui gli avrebbe detto che non poteva fare più niente per Ashura, e leggere una lettera con quello spirito l’avrebbe soltanto fatto stare male.

Perciò, con un sospiro, aprì la lettera, immergendosi all’istante nella scrittura elegante di Ashura con un sorriso; fortunatamente, non diceva nulla di troppo importante, eccetto ovviamente che gli stava facendo rimpiangere amaramente il suo tutore, perché ogni parola era intrisa di tutto l’affetto che aveva saputo dargli, nonostante tutto.

Verso la metà della lettera, però, il tono di Ashura era cambiato.

E quando Fay lesse quelle parole, ne rimase terrorizzato. La gola gli si seccò all’istante, e dovette interrompersi più volte per riuscire a tornare a respirare regolarmente, andando ad appoggiarsi al piano della cucina. Il pensiero di Kurogane gli volò via dalla mente in meno di un secondo.
Una volta chiusa la lettera, si sedette lentamente al tavolo, prendendo a fissare con sguardo assente la scatola di cereali ancora sopra ad esso. Accanto, il proprio cellulare, che s’illuminò proprio in quegli attimi.

Fay, svogliatamente, lo attirò a sé, per rispondere mestamente alla chiamata prima che la suoneria svegliasse davvero Kurogane.

«Ciao, Fay» mormorò una dolce voce femminile.

«Ciao, Kuyo» rispose il biondo, con un sorrisino. Anche se lei non poteva vederlo, si sentiva in dovere di essere gentile con la persona che aveva accompagnato Ashura fino alla fine.

«Ascolta… mi dispiace molto chiederti questo favore, ma dovresti venire a Seattle per sabato. Credi di potercela fare? Ashura ha fatto qui testamento e il notaio ha bisogno che tu sia presente per la lettura» spiegò la donna. «Non ti preoccupare per le spese. Ci penserò io».

«Vuol dire che mi ha lasciato qualcosa?». Fay impallidì, sentendosi se possibile più male di un attimo prima. Il peggior figlio del mondo.

«Certo, Fay» rispose Kuyo dolcemente. «Ti ha lasciato ogni cosa. Eri suo figlio».

«M-ma io…».

«Non ti preoccupare. Era ciò che desiderava davvero, è sempre stato molto contento di te. Se verrai potrai portare le sue ceneri in Giappone… lo farei io, ma devo occuparmi di ciò che aveva lasciato in sospeso qui. Ti riguarda in parte, ma ne parleremo quando arrivi».

«Verrò» disse alla fine Fay, dopo una piccola pausa, ma con decisione.

«Allora prenoto due posti sull’aereo di domani pomeriggio».

«No… no, soltanto uno».





____________________

mi vergogno profondamente. il capitolo è terrificante. ma sono in blocco dello scrittore e non ce l’ho fatta a correggerlo ç-ç sono talmente depressa che solo le recensioni mi tirano su <3 vi amo tanto. (anche ai lettori dai ç-ç)

 
to Julia_Urahara: *sniff* abbracciami Fràn ç-ç sono in bloccooo! *smette di lamentarsi* sono tanto felice che mi supporti ancora (specialmente perché sai cosa succede ^^’ ricordami perché non mi odi xD).. grazie tesoro!

to __Di: oh, sono tanto felice di aver inserito Yuko <3 la adoro, purtroppo non comparirà praticamente più ç-ç sono contenta che il capitolo non ti sia dispiaciuto, prometto che ora migliorano.. come ho detto la storia all’inizio non era definita! (per la verità l’unica cosa che avevo programmato era l’angst xD) grazie mille <3 <3

to yua: oooh, mia amata recensitrice ç-ç che commossa sono! grazie per i tuoi complimenti, mi fanno sempre un piacere immenso! spero tantissimo che ti piaceranno tutti i personaggi che ficcherò nella fic, e specialmente la trama super-tremendamente-devastante che ho creato *coff*.. baci :D

to Emily00: mia cara, tu puoi recensire quando ti pare ^^ sei una delle persone per cui ho scritto questa fic (ma specialmente per cui l’ho pubblicata). sto leggendo D. Gray Man, così forse un giorno ti riconoscerò ^-* (lasciamo stare se non farai più il cosplay, ne sono lo stesso convinta =w=).. e ti ringrazio ovviamente per i tuoi commenti u.u ti mando un camion di cuoricini.


harinezumi

prossimo capitolo: P.S. I love you
tenterò di aggiornare la Vigilia :)

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Capitolo 4
*** PS: I Love you ***


Cap 4

PS: I Love You

[Track 9 – Please Please me]

 

As I write this letter, send my love you
Remember that I’ll always be in love with you

Kurogane alzò stancamente gli occhi dal libro, andandoli a posare distrattamente alla finestra. Non si era nemmeno accorto che il sole era calato da un pezzo, mentre studiava, e che la stanza era pressoché buia. In effetti, gli occhi gli bruciavano leggermente per la stanchezza.

Chiuse l’ennesimo, pesante, tomo che doveva studiare per l’università, e allontanò dalla scrivania la sedia a rotelle, reclinando all’indietro la testa e chiudendo gli occhi. Un tempo avrebbe sognato delle labbra sottili che lo sorprendevano da dietro baciandolo, due mani morbide che gli prendevano dolcemente il volto. Per non lasciarsi andare a certi pensieri, riaprì in fretta gli occhi, alzandosi quasi bruscamente dalla sedia, uscendo dallo studio.

Non pensò neppure di fare un salto in cucina a prendere qualcosa da mangiare; era talmente esausto che rigò dritto fino alla camera da letto, stendendosi distrutto tra le coperte disfatte e posando la testa sul cuscino. Un attimo dopo, era felice di non poter più riflettere, quando scivolò in un sonno profondo. Non si curò nemmeno di coprirsi, nonostante fosse quasi inverno.

Accanto a lui, sul comodino, c’era appena il suo cellulare. Nient’altro. La stanza era praticamente vuota: c’erano due librerie piene di manga, ma avevano tutta l’aria di non venire toccate né spolverate da una vita intera. L’armadio era socchiuso, e si poteva chiaramente vedere come fosse per metà completamente vuoto. Anche se ci fossero stati altri oggetti in quella stanza, probabilmente sarebbero stati disposti in ordine maniacale e asettico come era tutta la casa.

Kurogane non aveva più avuto intenzione di traslocare; nonostante le proteste di sua madre, non voleva tornare a villa Suwa né di cercarsi un appartamento suo.

La notte arrivò velocemente, e il suo corpo venne presto coperto da brividi di freddo, mentre il display del cellulare informava che erano le due e mezza del mattino, nonostante non fosse illuminato, portava sempre quell’orologio digitale. Ma non fu per i brividi che Kurogane si svegliò, un attimo dopo che furono scoccate le 2:33, spalancando terrorizzato gli occhi e rizzandosi a sedere all’improvviso. Ansimava e tremava, e si guardava attorno smarrito. Solo dopo qualche istante comprese dove si trovava, e la sua espressione si fece dura, ferita.

Scivolò piano lungo le coperte, posando i piedi scalzi a terra –ma chi aveva paura di svegliare, che agiva così silenzioso?-, e seduto sul bordo del letto si prese la testa tra le mani, poggiando i gomiti sulle ginocchia. Erano sei mesi ormai che si svegliava ogni notte a quell’ora, e faceva sempre lo stesso dannato incubo. E sapeva benissimo da cos’era causato: glielo aveva detto Seishiro, glielo aveva detto Tomoyo.

Ma lui ripeteva imperterrito a quel maniaco di farsi gli affari suoi e alla sorella di non starsi a preoccupare. Non aveva intenzione di buttarla.

Dopo un attimo di titubanza, aprì il cassetto del comodino, al cui interno vi era solo un foglio di carta ripiegato una volta. Lo prese, senza più esitazioni, e lo aprì, fissando immediatamente gli occhi, senza lasciarli fuggire per la stanza, sulle parole che vi erano scritte.

Mentre scrivo questa lettera, Kurogane, ricordati che tu hai tutto il mio amore. Io sono innamorato di te. E tornerò
-
dannatamente tremante, il tratto di quel tornerò-
di nuovo a casa. Perciò, fino a quel momento, ti prego, ricordati che ti amo.

Fay.


Adesso le mani di Kurogane non riuscivano a non tremare, ma la tristezza che traspariva dal suo sguardo mentre leggeva quelle parole si era trasformata in rabbia. Rabbia che per un attimo lo obbligò a pensare di stracciare quella lettera, la causa di tutti i suoi tormenti, ma non lo avrebbe mai fatto. Proprio non poteva buttarla.

Centottantaquattro giorni senza Fay. Sei mesi senza Fay. Sei mesi senza consumare nemmeno mezzo pasto come si deve; sei mesi bevendo sempre una birra di troppo; sei mesi passati a venire quasi licenziato ogni settimana; sei mesi a preparare gli ultimi esami alla laurea che non riusciva a passare; sei mesi che non aveva assolutamente idea di dove fosse la persona che amava.

Fay non gli aveva dato nemmeno mezza informazione, solo quella lettera. Aveva lasciato a casa il cellulare, ma doveva essere lui quello che ogni diciassette giorni lo chiamava da un numero criptato, rimanendo in linea per un paio di minuti; solo che l’unica cosa che sentiva dall’altro capo della cornetta era il suo respiro, nemmeno uno dei soliti singhiozzi ad avvertirlo della sua identità. Tre giorni e quella trafila si sarebbe ripetuta di nuovo –il 19 novembre era cerchiato persino sul calendario, facendo sentire Kurogane alquanto patetico.

All’inizio aveva reagito in tutt’altro modo, prendendo quasi a pugni Sorata, tornato da Osaka per riprendere il controllo del negozio. A quanto pareva, era stato avvertito da Fay, ma non sapeva dove fosse andato a sua volta.

Anche adesso tendeva a reagire male quando qualcuno sfiorava l’argomento o gli rivolgeva la parola in generale. Persino Seishiro aveva compreso che non era il caso di infastidirlo troppo, e in qualche strana maniera che soltanto lui concepiva lo stava persino aiutando; per esempio, quando si presentava dal nulla alla sua porta per trascinarlo a cena, con o senza Subaru.

Kurogane rimise la lettera al suo posto con gesti lenti, rimanendo solo per qualche attimo a fissare il comodino con aria stanca. Poi, si alzò; decise che, per quel giorno, avrebbe provato con tutto sé stesso a non prendersela con i suoi studenti per come stava andando la sua vita. Anche se mancavano quasi sei ore all’inizio della scuola, non aveva nessuna voglia di rimettersi a dormire.

Non quando ogni singola parola della lettera di Fay gli rimbombava in testa, e il ricordo di ciò che aveva provato quando l’aveva trovata gli infestava i pensieri.

***

Quando aprì la porta del suo appartamento, la sera del 19 novembre, sentiva un macigno sullo stomaco, tanto che mentre percorreva il corridoio per andare in camera non notò nemmeno chi era seduto sul divano in salotto.

La sua mente però registrò in fretta quell’immagine, e tornò in fretta sui suoi passi, puntando uno sguardo di fuoco su Seishiro, che gli sorrise allegro e lo salutò con la mano.

«Vattene immediatamente!» sbottò Kurogane, indignato da quella presenza. «Come cavolo hai fatto ad entrare senza le chiavi? Dimmi che non le hai!»

«Ho chiesto all’amministratrice. Nemmeno lei è tanto contenta del fatto che ti sia barricato qui dentro». Seishiro sospirò, ma il suo sorrisetto strafottente non sparì. Era terribilmente strano sentirlo insinuare di essere impensierito per la condizione di Kurogane. «Subaru è particolarmente preoccupato. Credimi, se non mi avesse costretto non sarei qui, e saremmo entrambi più contenti».

«Mi offrirai il tuo caloroso affetto un’altra volta. Ora levati dai piedi!»

Per tutta risposta, Seishiro continuò a guardarlo sorridendo, prima di distogliere lo sguardo e alzare il volume della televisione, che era accesa ed aveva abbassato quando Kurogane era rientrato. Quello ringhiò qualche improperio e tornò in camera, sbattendo la porta dietro di sé.

Quel bastardo doveva presentarsi in casa sua proprio quel giorno, quando era sicuro che Fay l’avrebbe chiamato? Questa volta era certo che sarebbe riuscito a farlo parlare, ma con Seishiro intorno probabilmente non avrebbe neanche potuto rispondere al telefono.

Dopo aver percorso un paio di volte a grandi passi la sua stanza, tornò in salotto, affacciandosi di nuovo alla porta e fissando Seishiro con aria truce.

«Sul serio, vedi di andartene. Non ho bisogno di una balia».

«Non ne avevo dubbi… credo. Mettila così: sto collaudando la tua tv a schermo piatto» rispose Seishiro con noncuranza. «Ti ho lasciato dei biscotti sul tavolo. Della gemella di Subaru. Sai… quella ragazzina esaltata».

«Senti… ti ringrazio» sospirò Kurogane con un certo sforzo, comprendendo che non sarebbe mai riuscito a levarselo di torno con le minacce, che su di lui non avevano mai funzionato. «Ma devi andartene. Stasera… mi chiamerà. Se voglio avere mezza speranza di farlo parlare, preferirei che tu non fossi intorno».

Seishiro parve sorpreso quando si voltò verso di lui, e lo guardò con aria sinceramente perplessa, mentre spegneva la tv. «Come fai ad esserne certo, scusa?»

«Lo fa ogni diciassette giorni da quando se n’è andato» riuscì a sillabare Kurogane, nonostante l’ultima cosa che volesse in quel momento era condividere una cosa del genere con Seishiro.

«E non l’hai mai sentito parlare?» chiese quello, senza nessuna remora nel mostrare la sua curiosità. «Senza offesa, ma quello è completamente matto. Nemmeno ti ha detto perché se n’è andato. Se mi fosse successa una cosa del genere, l’avrei cercato unicamente per ammazzarlo».

«Perché, tu non sei completamente matto? Ora che hai capito perché te ne devi andare, puoi, per favore, farlo?»

Seishiro rimase a fissarlo per qualche istante, con un’aria piuttosto enigmatica, tanto che Kurogane si rassegnò al fatto che non gli avrebbe mai detto di sì. Quando era ormai annegato nello sconforto totale, Seishiro si alzò, afferrando la propria giacca accanto a sé e raggiungendolo sulla soglia del soggiorno. Lo guardò negli occhi, stranamente serio.

«Se fossi in te, non risponderei» mormorò, sorpassandolo.

Kurogane non lo seguì con lo sguardo, sentì unicamente la porta alle sue spalle chiudersi quando Seishiro se ne andò. Rimase per un po’ fermo, in silenzio, prima di tornare in camera e sedersi sul letto. Sul comodino aveva appoggiato il cellulare, che non accennava a squillare, così si stese sulle coperte, cercando di ignorare la stretta allo stomaco.

Forse avrebbe dovuto ascoltare Seishiro e non rispondere. In fondo Fay non gli aveva veramente garantito che sarebbe tornato: quel biglietto non significava nulla e probabilmente non aveva intenzione di mantenere la parola, se non l’aveva fatto per tutto quel tempo. Ma che cosa stava facendo, Fay? E soprattutto, che cosa aveva fatto lui per meritarsi quella separazione forzata?

Si ripromise di prenderlo a pugni se mai l’avesse rivisto. Strinse la coperta sotto di sé fino a farsi venire le nocche delle mani bianche, tanto era arrabbiato.

Non si rese nemmeno conto di star scivolando lentamente nel sonno.

***

Lo squillo del telefono lo destò all’improvviso, e si rizzò a sedere sul letto in fretta, afferrando il cellulare sul comodino e imprecando tra i denti quando vide che erano le 11:59. Di certo Fay aveva fatto apposta ad aspettare l’ultimo secondo, giusto per farlo soffrire. Nemmeno stavolta conosceva il numero, ma rispose subito senza nemmeno dare una seconda occhiata al display illuminato.

«Sei un idiota!» urlò di getto alla cornetta, ricevendo in cambio assoluto silenzio.

Poi, però, una voce parlò.

«È lei Kurogane Suwa?» domandò. Era una donna, e si rivolse a lui con estrema titubanza. Probabilmente era rimasta un po’ sconvolta dal modo in cui aveva risposto al telefono.

Kurogane era piuttosto confuso, ma riuscì a sillabare un “sì”. Ed era anche molto imbarazzato dall’aver trattato così una perfetta sconosciuta.

«Sono Kuyo*, l’assistente personale del signor Ashura» spiegò lei. Dal suo tono di voce si poteva ben capire come Kurogane non fosse il solo a trovarsi in imbarazzo, ma la donna era in grado di dissimularlo in maniera esemplare. «Lei probabilmente non mi conosce, ma… ho notato che Fay chiama spesso a questo numero, quindi ho pensato che fosse il suo».

«Fay? Sa dove si trova?» Kurogane era semplicemente interdetto. Sentiva il cuore battergli a mille, un altro po’ e gli sarebbe uscito dal petto: quello era il primo reale contatto che aveva con Fay da sei interi mesi e tre giorni. «E da quando mi chiamerebbe spesso

«Credevo la chiamasse… si chiude in camera ogni giorno con il telefono». La donna fece una piccola pausa. «Comunque, questo è l’unico numero che ha salvato. Lui abitava qui… con me».

«Perché mi contatta soltanto ora?»

«Fay non mi ha mai detto una parola su di lei, comunque pensavo che vi foste tenuti in contatto. Anche se avrei dovuto immaginare che non era così. Ho deciso di provare a chiamare a questo numero perché è scomparso da una settimana» mormorò Kuyo. «Mi aveva avvertito che se ne sarebbe andato, ma aveva anche promesso che mi avrebbe chiamato. E invece scopro che ha lasciato qui il cellulare… ma a questo punto non credo che lei sappia dov’è».

«Non so un accidenti! Quell’idiota!» sbottò Kurogane, tremante di rabbia. Si trattenne dal dare un calcio al comodino per poco, perché altrimenti l’avrebbe sfondato di nuovo, come il giorno che tornato dal lavoro aveva trovato quella maledetta lettera e l’armadio semivuoto.

«Mi dispiace. Fay non ha voluto dirmi nulla». Kuyo fece una pausa, incerta. «È arrivato qui tre mesi fa, stavamo nella casa che suo padre ha affittato quando si è trasferito a Seattle. Lo avevo chiamato molto prima, ma non si è mai presentato fino ad allora, così sono rimasta in America».

«Dove ha detto che sarebbe andato?» domandò Kurogane, portandosi una mano alla bocca e fermandosi. Stava girando la stanza da quando aveva risposto al telefono, e gli stava venendo la nausea; anche se dubitava che fosse per quello.

«Ha detto che sarebbe tornato in Giappone, da lei».

Kurogane sgranò gli occhi, agghiacciato. Quindi Fay probabilmente era in Giappone da una settimana, ma non l’aveva certo visto varcare la soglia dell’appartamento. Quindi, a meno che non fosse diventato invisibile, poteva anche trovarsi a Londra o alle Fiji, per quanto ne sapeva.

«Ho capito» disse allora. «Se lo rivede… o riesce a contattarlo, la prego di dirgli che non ne voglio più sapere. E che è un idiota, e spero tanto che abbia trovato quello che cerca».

«Io… d’accordo. Mi scuso se l’ho disturbata, non ho nemmeno pensato che lì probabilmente è molto tardi, ma ero preoccupata».

«Non fa niente. Arrivederci».

Kurogane le lasciò appena il tempo di ricambiare il saluto, prima di spegnere il cellulare e gettarlo sul letto. Ora lo avrebbe volentieri dato, quel calcio al comodino. Ma si limitò a stare lì, in piedi, completamente sperso e immobile.
 

* Kuyo era la profetessa innamorata di Ashura in RG Veda
 
 
 
 
 

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*coff* so che dopo aver fatto un aggiornamento del genere augurarvi buon Natale sarebbe leggermente da bastardi u.u’ ma, ehm, buon Natale a tutti!! xD spero che il capitolo vi sia piaciuto! ehm.. su, mettete via i mitra ^^’


to Julia_Urahara: tesoro, Arthur mi ha detto che spera che la cosa valga solo per te e non per Francis u.u’ (intende l’inseguimento in capo al mondo). siccome sei accanto a me trovo inquietante risponderti ^^ ma grazie <3

to __Di:wow il braccio ingessato e riesci a scrivere? °-° i miei complimenti.. sono felice che la storia vada bene! non sono per niente sicura della prima parte, però da ora in poi mi pare di essere migliorata (anche se si fa tutto decisamente deprimente). buon Natale e grazie mille :D

to Emily00: il blocco sta passando per fortuna :° grazie mille <3 anch'io ho pensato al Fay che voleva tornare a Celes da solo per scrivere questa parte.. ho tentato di inventarmi quello che avrebbe fatto completamente da solo xD spero che il risultato sarà accettabile xD buon Natale mia cara, baci ^^


harinezumi

prossimo capitolo: with a little help from my friends

 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** With a Little Help From my Friends ***



Cap 5

With a Little Help From my Friends

[Track 2 – Sgt Pepper Lonely Heart’s Club Band]

 

Would you believe in a love at first sight? 
Yes, I’m certain that it happens all the time

«Potremmo fermarci qui! È uno dei ristoranti italiani migliori della zona!» esclamò Subaru, tutto eccitato, voltandosi in direzione dei tre compagni.

Quell’uscita all’acquario e ora anche cena era stata fortemente voluta da Fay e Seishiro, anche se nessuno dei rispettivi partner aveva particolarmente voglia di assecondarli: Kurogane perché odiava Seishiro, e Subaru perché era inevitabilmente terrorizzato all’idea che Kurogane potesse diventare il suo insegnante.

Ma non appena si avvicinarono al ristorante indicato da Subaru poco più in là, notarono che era chiuso. Fay ovviamente non pensò due volte a scoraggiarsi, e sorrise immediatamente.

«Oh, è un peccato, però ho un’idea migliore!» esclamò, aggrappandosi al braccio di Kurogane che sibilò qualcosa, sentendo lo sguardo divertito di Seishiro su di sé. «Andiamo a casa mia e di Kuro-chan! Posso cucinarvi io qualcosa! Kuro-pon non è molto bravo ai fornelli, ma lui può farvi compagnia intanto».

«Suwa, non mi dire che non sai cucinare» fece Seishiro in tono falso e scandalizzato, ignorando completamente l’inquietante minaccia di morte che Kurogane gli lanciò un attimo dopo.

«Dobbiamo proprio farli cenare a casa nostra?» domandò scoraggiato a Fay, quando Seishiro venne trascinato via da Subaru che voleva fargli vedere dei cuccioli in una vetrina. «Così quello scoprirà dove vivo, te ne rendi conto?»

«Non dovresti nemmeno parlarmi, Kuro-tan» sbuffò inaspettatamente il biondo, continuando però a camminargli a fianco. Kurogane si voltò a guardarlo in viso, perplesso, notando che effettivamente c’era qualcosa del disappunto che aveva sentito anche nell’espressione del biondo.

«Oggi non hai fatto altro che evitarmi! Non ti ho nemmeno potuto prendere la mano!»


Kurogane fremette, ma non disse nulla. Tanto, anche urlandoglielo addosso, il biondo non avrebbe mai capito che quel genere di cose lo imbarazzavano, e davanti a Seishiro la cosa peggiorava.

«Quindi non pensarci nemmeno a scocciarmi anche a cena, Kuro-chan, è anche casa mia e invito chi voglio» precisò Fay, arricciando il naso.

Poi, lo lasciò lì, correndo a fianco a Subaru e cominciando a parlare animatamente con lui.


Kurogane ebbe la sensazione che il biondo avesse preso ad ignorarlo per ripicca, da quel momento in poi: già s’immaginava i suoi motivi, perché era stato insensibile, perché non si era nemmeno accorto di essere stato insensibile, perché Seishiro era un fidanzato molto più gentile di lui, e un sacco di altre inutili parole che probabilmente più tardi Fay gli avrebbe gettato addosso. Farlo stare zitto in quei casi era davvero arduo.

Una volta all’appartamento, si limitò a preparare la tavola, ignorando gli altri tre; il motivo era che stava riflettendo sul modo più semplice e veloce per fare pace con Fay. Fortunatamente Seishiro sembrava non essersene accorto, tanto distratto com’era dalla presenza di Subaru, così non lo disturbò più di tanto.

Mentre erano a tavola, Kurogane riaccese per qualche minuto l’udito per sentire quello di cui stavano parlando al momento, e l’argomento in effetti lo sorprese parecchio, tanto che alzò gli occhi dal piatto.

«Per me non esiste» stava dicendo Seishiro, in effetti piuttosto divertito. «È una favola per bambini».

«Ma come, Seishiro!» esclamò Subaru, arrossendo leggermente. «A me hai sempre detto che… che…» la sua voce s’interruppe, come se si fosse reso conto di quel che stava dicendo, e abbassò lo sguardo. «Ehm, niente… nemmeno io credo che l’amore a prima vista esista».

«Ma tu sei un caso a parte, Subaru-kun» lo rassicurò Seishiro con una risatina, allungandosi sul tavolo per baciare una guancia al ragazzino, che balbettò soltanto qualcosa, mettendosi in fretta in bocca un’altra porzione di sushi.

Solo allora Kurogane realizzò che Fay aveva cucinato sushi.

Allibito, spostò gli occhi sul proprio piatto, senza capire per quale incomprensibile motivo il biondo avesse preparato l’unico piatto che detestava al mondo (ma che a Kurogane piaceva molto). Poi, rialzò la testa a fissare Fay, gli occhi sgranati.

Quello non gli stava prestando attenzione, e ridacchiava. «Ma dai, Subaru, l’importante è che Sei-kun ti ami adesso, no? Non è importante se è stato amore a prima vista o meno».

«Tu ci credi, Fay?» domandò il ragazzino, risollevatosi dall’imbarazzo, probabilmente perché la curiosità di fare quella domanda era molto più grande.

«Mh…» rispose il biondo, picchiettandosi le bacchette sulle labbra, quelle bacchette che non aveva praticamente usato, non toccando quasi cibo. «Non saprei. Potrei dirti di sì, ma qui c’è qualcuno a cui piace tantissimo mettere in discussione ogni cosa che dico».

«Questo non è vero!» si ritrovò a gridare Kurogane, attirando immediatamente tutti gli sguardi su di lui. Se dentro di sé in quel momento provava una voglia folle di nascondersi sotto il tavolo come quasi aveva fatto Subaru un attimo prima, all’esterno riuscì ad esibire un’aria decisa, continuando a fissare Fay. «Io ti ho amato fin dal primo momento che ti ho visto».

Quasi non sentiva Seishiro che rideva, soffocandosi con l’acqua che aveva appena bevuto, perché l’espressione che aveva visto apparire sul volto di Fay e il suo sorriso che si allargava gli dicevano che era stato ampiamente perdonato.

***

Subaru corse incontro a Kurogane, alla fine della scuola, notando che stava uscendo anche lui in quel momento dal cancello. «Kurogane-san!» lo chiamò, stando bene attento a non inciampare prima di fermarsi davanti a lui. «Torniamo insieme!»

«Ah, sei tu» mormorò Kurogane, suo malgrado aspettandolo, e ricominciando a camminare solo quando Subaru fu al suo fianco.

Non gli rivolse più nemmeno la parola, e Subaru da parte sua se ne stava zitto, probabilmente troppo timido per dire qualcos’altro.

«Kurogane-san…» cominciò dopo un po’, consapevole che Kurogane non aveva intenzione di iniziare un discorso di sua spontanea volontà. «Seishiro è preoccupato», continuò, arrossendo per la pietosa bugia. «E anch’io…»

«E per cosa?» sbottò Kurogane. Sapeva benissimo dove voleva arrivare Subaru, ma per quanto gli rimordesse la coscienza trattare così un ragazzino che si sentiva male praticamente per tutti e tutto, era l’unico modo che aveva per essere lasciato in pace.

«Pensavamo che ti sentissi solo nella casa dove stai adesso…» rispose Subaru in un balbettio.

«Sumeragi, potresti spiegarti meglio?» sbuffò Kurogane, rendendosi conto che purtroppo la cosa sarebbe tirata per le lunghe. Quindi preferiva troncare lì il discorso. «Anzi, forse è meglio che tu non lo faccia. In ogni modo non devi stare troppo con quel deviato… altrimenti imparerai a ficcare il naso negli affari degli altri un po’ più del dovuto».

Subaru annuì in fretta, arrossendo ancora di più per l’imbarazzo. «S-scusa, forse non dovevo…» cercò di dire, ma Kurogane lo interruppe.

«Ci vediamo, Sumeragi» lo liquidò, alzando una mano in aria in segno di saluto, e svoltando in una stradina laterale. Lo lasciò nel marciapiedi principale, immobile, mentre lo seguiva con lo sguardo.

Sospirò, rendendosi conto di non aver trattato particolarmente bene Subaru, ma non se ne pentì minimamente. Non ne poteva più di ascoltare discorsi che evitavano il nome di Fay ma che parlavano implicitamente di lui.

Così si diresse a casa, ma quando vide ciò che lo aspettava davanti alla porta dell’appartamento, si pentì di non aver ascoltato quello che aveva tentato di dirgli Subaru. Forse aveva a che fare con il cucciolo di cane chiuso in una gabbietta, che mordeva e sbavava sulle sbarre; quando lo vide, abbaiò in maniera ad dir poco acuta.

Si notava che era un cucciolo dalle zampe troppo grosse rispetto al corpo, ma aveva già le dimensioni di due, tre gatti adulti messi insieme; aveva il pelo lungo di un bel color panna e due occhioni di un azzurro inquietante (in effetti, molto simili a qualcuno di sua conoscenza). Sopra alla gabbietta, c’era un biglietto.

Kurogane lo afferrò, leggendolo inorridito. Subaru gli aveva regalato un cane.

Il cucciolo abbaiò di nuovo, grattando sulle sbarre della gabbia con le unghie e riprendendo a morderle, definendo il suo quoziente intellettivo per sempre agli occhi di Kurogane, che sospirò.

***

«Che cosa gli ha fatto anche solo pensare che io avessi bisogno di un cane?» sibilò Kurogane, seduto sul divano del proprio salotto ad osservare l’animale che annusava in giro, facendo cadere tutti gli oggetti che riusciva a trovare alla sua altezza.

Ma nel momento stesso in cui lo pensava si rese conto che Subaru gli aveva già dato una risposta. Aveva paura che si sentisse solo lì dov’era, e per quel ragazzo era semplicemente impossibile evitare di provare a salvare il mondo a tutti i costi.

«Ehi, smettila» intimò alla bestia, che aveva appena rovesciato il cestino che conteneva le riviste in un angolo del soggiorno, spargendole in giro.

Il cane lo ignorò completamente, e prese a leccare le pagine (evidentemente doveva trovare gustoso il sapore dell’inchiostro) e a strapparle una per una uggiolando, prima che Kurogane avesse anche solo il tempo di incavolarsi.

«Piantala!» esclamò, alzandosi in fretta per togliergli il giornale a brandelli dalle fauci.

Con un sussulto, notò che il cucciolo aveva scelto proprio una delle riviste che stavano ficcate più in fondo: era una di quelle vecchie appartenute a Fay. Rabbrividendo, vide che si trattava di un giornale che parlava interamente di gatti, dalla prima all’ultima pagina; come se non bastasse, era pieno di figure, quindi probabilmente era per quello che il cane l’aveva preso di mira.

«Questa roba… non va toccata, capito?» mormorò, fissando la copertina con aria spenta, al cane seduto accanto ai suoi piedi, che lo guardava perplesso. Probabilmente non aveva capito il perché lo stesse privando del suo gioco.

Fay amava i gatti, ritagliava un sacco di figure per attaccarle sopra alla sua parte del letto; da quando se n’era andato, però, Kurogane le aveva staccate una per una, gettandole via. In genere, aveva buttato tutto ciò che il biondo aveva lasciato nell’appartamento; per una settimana buona la casa era stata un disastro, mentre lui tentava di togliere ogni traccia di Fay dalla sua vita; la rivista però doveva essergli sfuggita.

Come la tazza nella quale il biondo prendeva il caffè la mattina, nascosta per settimane dietro alle altre e quindi impossibile da notare. Un giorno, pulendo il ripiano, gli era bastato anche solo vederla per afferrarla e lanciarla via, spaccandola contro una parete, in preda alla rabbia.

Non si era mai sentito così impotente in vita sua. Eccetto forse una volta, quando dei bulli avevano picchiato Fay al liceo e lui non aveva potuto impedirlo.

Ma la sensazione di smarrimento che aveva provato quando aveva letto quella dannata lettera, che gli aveva portato per sempre via Fay e che pure conservava come se fosse stata la cosa più preziosa che aveva, non aveva eguali.

Abbassò lo sguardo verso il cane, mentre a malapena sentiva che la rivista gli cadeva di nuovo a terra.

«Mangiatela» lo invitò, sorpassandolo un attimo dopo e dirigendosi verso la sua stanza. Forse una corsa per l’isolato gli avrebbe disteso i nervi, perché tanto non si sentiva in vena di studiare; così, andò a mettersi in tuta.

Si ricordò solo arrivato all’ingresso del cane, che ormai aveva fatto a brandelli tutte le riviste; ma in fondo non poteva portarlo con sé, perché era un cucciolo e lui non possedeva nemmeno un guinzaglio. Con una smorfia, tornò indietro a prendere il portafogli, per procurarsi del cibo per quel cavolo di cane che non fosse cartaceo, e il cellulare, ficcandoli nelle tasche della felpa.

«Tu…» si rivolse al cane, di nuovo alla porta, osservandolo mentre annusava tutto interessato il battiscopa del corridoio. «Stattene buono» concluse, senza sapere effettivamente che dire, dato che tanto sarebbe probabilmente stato inutile. Almeno aveva chiuso la porta della camera a chiave.

Correre gli aveva sempre disteso i nervi, e ne aveva particolarmente bisogno, dato che sparito il pensiero di Fay gli rimaneva fisso in testa quello del cane.

Ancora non riusciva a capacitarsi di quanta stupidità doveva albergare nel cervello di Sumeragi, ma non gli attraversò nemmeno la mente di restituire il cane o darlo via. In fondo, Kurogane non era in grado di negare aiuto a nessuno; anche se era lui che aveva più bisogno di essere aiutato in quel momento, e un animale non era certo stata una buona idea.

Come se non bastasse, a metà strada e con tutti quei pensieri in testa, Seishiro lo chiamò sul cellulare.

«Il tuo fidanzato…» cominciò Kurogane con il fiato corto, senza nemmeno darsi pena di salutare l’ “amico” o di dire anche solo “pronto”.

«Non m’importa» rispose serafico Seishiro, interrompendolo immediatamente. «Ho delle notizie molto interessanti per te!» continuò. Aveva effettivamente un tono esageratamente entusiasta anche per lui.

«Già, e mi hai chiamato perché sai benissimo quello che ha fatto Subaru» ringhiò Kurogane, stringendo il pugno libero a mezz’aria, nonostante purtroppo non potesse tirarglielo in faccia in quel momento. «E hai pensato bene di non presentarti di persona… beh, non sperare che me ne dimentichi, bastardo!»

«Sei sempre tanto gentile, Suwa!» cinguettò Seishiro. «Non dimenticare la medaglietta, è un animale piuttosto irruento e non vogliamo che si perda!»

«Anche se sarebbe bello» sbottò Kurogane, rabbrividendo inconsapevolmente. Cosa voleva dire “un animale piuttosto irruento”? Era pronto a scommettere che quell’idiota di Sakurazuka l’aveva fatto apposta, a prendergli un animale tanto stupido.

«Che crudeltà!» sbuffò Seishiro, senza però minimamente accennare a dimostrarsi veramente scandalizzato. «Piuttosto, ascoltami bene. Ieri sono passato per caso davanti al negozio dove lavorava la tua mogliettina…».

«Non nominare…»

«Ehi! Lasciami almeno finire! Dicevo, sono passato davanti al negozio, e c’era un ragazzo che telefonava lì fuori… stava parlando con la tua mogliettina. A quanto pare è a Tokyo e ricomincia il suo vecchio lavoro domattina alle nove».

«Come fai ad esserne sicuro?» fu la prima domanda che sorse sulle labbra di Kurogane, ma presto si rese conto, mordendosele, che non era la più adatta da rivolgere a Seishiro. Mostrava tutta la sua debolezza. «E perché cavolo me lo stai dicendo?»

«Perché tormentarti mi diverte» ammise Seishiro, con un sospiro. «Comunque lo ha chiamato “Fay” diverse volte, direi che anche senza il cognome è una prova abbastanza attendibile».

«Bene, ma comunque non me ne importa niente. La vera cosa preoccupante sei tu! Da quando ti metteresti ad ascoltare le conversazioni altrui in questo modo?! Sei un imbecille».

«Oh, andiamo Suwa! Lo sai benissimo che per il mio amico più caro farei questo ed altro!»

Il tono di Seishiro era così strafottente, così deliberatamente canzonatorio, che quando Kurogane riprese a correre il cellulare era stato scagliato molto, molto lontano.






____________________

 (uccidetela ora prima che sia troppo tardi e trasformi questa fic in un genocidio di massa o.o ndcervello)
sta zitto... BUON 2011 GENTEEEE!!!

ovviamente sono un sacco di ringraziamenti a Emily00 per questo capitolo sono dovuti ^^ la scena della cena è stata una sua idea e devo dire che mi piaceva tantissimo! purtroppo non l’ho resa un granché e non c’entra quasi nulla –ma era per farvi leggere una parte allegra perché poi le cose peggiorano-.. è un flashback, perciò è in corsivo -> commento indispensabile.

 
to yua: sei un vero tesoro, e in quanto tale commenta pure quando vuoi ^^ so che il precedente era un capitolo malvagio, ma.. *non trova una scusa* ehm.. beh, buon anno!! ^^’ io ritengo che Fay abbia fatto come al solito un’idiozia, ma in fondo è un’idiozia a fin di bene (?).. e poi la storia è a lieto fine eh!! ho anche aggiornato tardi ç_ç sigh non ne faccio una giusta ç_ç grazie comunque <3

to __Di: la tua prima recensione era nataliziaaa *O* Fay ha preso una decisione drastica già.. ma probabilmente quando saprai perché lo scuserai ^^ comparirà nel prossimo capitolo, spero che sarà appassionante quel punto perché mi è costata molta fatica scriverlo.. è una storia troppo triste anche per me xD ti venero per esserti accorto della faccenda del fuso orario!! ci ho pensato molto xD grazie mille, buon anno!!

to Julia_Urahara: povero il mio tesoro, spero tu stia bene adesso <3 colpa mia temo se il primo giorno dell’anno sei in coma profondo xD ti ringrazio tanto per la tua dolcezza, mi fa piacere che tu rilegga tutta la storia :° è commovente.

to Emily00: grazie degli auguriii :D e grazie della tua recensione, come sempre <3 eggià, sono passati sei mesi, sei luuunghi tristissimi mesi xD ma quelli ve li ho risparmiati, visto? la vicenda si svolgerà nell’arco di qualche giorno invece ^^ Seishiro è adorabile sul serio per me.. cioè, un po’ lo fa per sfottere, ma pochissimo! xD eeehm, buon anno!!

to Ne_chan: oh, ma salve :D sono felice che tu abbia trovato il tempo per lasciarmi anche solo una recensione ^^ mi fa tantissimo piacere!! e sarò felicissima anche di sapere che continuerai a leggere nonostante la tematica così allegra di questa storia.. ti confesso che non vedo l’ora di dirvi tutto, ma mi trattengo dai xD buon anno!!

harinezumi

prossimo capitolo: i want you

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Capitolo 6
*** I Want You ***


Cap 6

I Want You

[Track 6 – Abbey Road]

 

 

I want you, I want you so bad
It’s driving me mad, it’s driving me mad

«Fay, dovresti rallentare un pochino. Stiamo correndo in giro da stamattina, forse ti siamo d’intralcio! Non sei stanco?»

Fay voltò lo sguardo, sorridente, verso Hideki, e scosse la testa con noncuranza. «Ma no, io mi diverto molto invece! Sono felice di aver conosciuto te e Chii, non sarebbe stato lo stesso altrimenti!»

Chii, una ragazza dai lunghi capelli biondi, con due occhioni enormi e un berretto con orecchie da gatto in testa, sorrise contenta a quell’affermazione, voltando lo sguardo verso il fidanzato, Hideki, un tipo molto alla mano e amichevole, dai capelli neri. «Chii può portare a casa Fay-san?» domandò, entusiasta.

«N-no, Chii… Fay ha una casa sua e ci deve tornare. Sta viaggiando con noi soltanto per adesso, poi noi torneremo a Sapporo, e lui a Tokyo…» spiegò con pazienza Hideki, passando un braccio attorno alle spalle della ragazza, che lo ascoltava con attenzione.

Alle parole di Hideki, però, un’ombra passò sul viso di Fay, che fece attenzione a non darlo a vedere, voltando all’istante lo sguardo verso la Cattedrale di San Basilio* e successivamente sulla guida che teneva tra le mani. Era stato molto felice di incontrare due giapponesi all’aeroporto di Mosca: o non avrebbe avuto il coraggio di sorpassarne la soglia ed andare a visitare quella città che in qualche modo gli scorreva nelle vene. Eppure, non avrebbe potuto sentirsi più giapponese ed estraneo di così, proprio come gli era successo in America. Non apparteneva alla Russia, anche se i suoi tratti dicevano il contrario.

«Chii deve dire addio a Fay-san ora?» mormorò Chii, dispiaciuta quando sembrò comprendere qualche parte del discorso di Hideki.

«No, no» si affrettò a dire il suo ragazzo. «Fay tornerà a casa con il nostro aereo!»

«Esatto, Chii-chan!» esclamò Fay, venendo prontamente in suo aiuto. «Possiamo giocare a carte in aereo, e parlare ancora un sacco! E ti prometto che ti farò una bellissima treccia! Poi ci scambieremo gli indirizzi e ogni volta che vorrai ti verrò a trovare». Sempre se a Tokyo lo aspettava ancora, un indirizzo, pensò con amarezza.

«Chii è contenta! Lei e Hideki hanno lo stesso indirizzo perché abitano insieme» rispose lei, saltellando un paio di volte sul posto, unendo le mani. Poi, improvvisamente, si fece pensierosa. «Chii può chiedere con chi abita Fay-san?»

Hideki sussultò, cercando immediatamente di minimizzare la domanda della ragazza. Fay gli era sembrato fin da subito un tipo molto riservato, e di certo l’ultima cosa che voleva era ficcare il naso, anche se era curioso. «Ah, Fay, sarebbe molto bello fare altri viaggi come questo! Certo, se mi capiterà di ricevere un aumento di stipendio sarò più contento…».

Ma Fay sorrise a Chii, rispondendole prima che Hideki potesse concludere anche solo metà frase. «Abito con un ragazzo molto simpatico! È alto e somiglia ad un grosso cane!» Dolorose fitte al petto mentre pronunciava quelle parole. Ma fece finta di nulla.

«La persona speciale di Fay-san è il grosso cane?» chiese Chii, con la luce negli occhi di chi crede di aver compreso ogni cosa. «Chii abita con Hideki, che è la sua persona speciale! Chii ama Hideki e il suo letto e le cose che ci fanno dentro!»

Hideki arrossì fino alla punta dei capelli, puntando imbarazzato lo sguardo a terra. Questo almeno gli impedì di notare che il sorriso di Fay era decisamente forzato, adesso.

«Io non ho una persona speciale, Chii-chan… sei molto fortunata!» mormorò, posandole una mano sulla testa per accarezzarla dolcemente, mentre lei esibiva un’espressione sorpresa.

«Chii pensava che Fay-san avesse una persona speciale. Perché i suoi occhi sono molto tristi quando ci pensa» affermò, dispiaciuta. Il suo discorso era talmente strano che persino Fay spalancò gli occhi dalla sorpresa, prima che Hideki cambiasse bruscamente argomento, proponendo con entusiasmo di fermarsi in qualche ristorante per assaggiare qualche buon piatto russo.

Fay pensò bene di non disilluderlo dicendogli che lì il cibo aveva proprio un sapore strano, ma li seguì con un sorriso sempre stampato in faccia, approvando la mozione.

***

Probabilmente aveva fatto male a non avvertire Kuyo di dove si trovava. Ma ormai, quello che faceva e che non faceva non avevano più importanza. La sua vita era finita quando aveva deciso di lasciare Kurogane: e, per lui, l’aveva fatto volentieri.

Forse in buona parte lo aveva reso triste anche in questo modo. Però sarebbe stato sempre meglio che rimanere al suo fianco, giorno dopo giorno, e farlo soffrire per qualcosa che non poteva dargli.

Mentre rimuginava sui soliti pensieri che lo tenevano ormai sveglio fino a notte fonda da mesi, sentì bussare alla porta della sua stanza d’albergo. Con un sospiro, si alzò dal letto dove stava seduto, ancora completamente vestito, per andare ad aprire. Era la piccola Chii, osservò con un sorriso, che l’osservava perplessa, come se non ricordasse il motivo esatto per cui era lì.

«Chii voleva sapere se adesso Fay-san sta bene» disse alla fine, cercando chiaramente di mantenersi concentrata su quel punto.

«Non sono mai stato male, Chii. Devi credermi, non ti preoccupare» rispose Fay, con un risolino.

«Hideki dice che da quando domani ha cominciato ad avvicinarsi, Fay-san non sembra molto felice e deve stare molto male» spiegò Chii, abbassando tristemente gli occhi. Senza che Fay se ne accorgesse, gli aveva preso una mano tra le sue, stringendola con dolcezza quasi materna. «Perciò Chii è molto preoccupata. Hideki si chiede se Fay-san abbia davvero un posto in cui tornare».

«Hideki ha detto così?» mormorò Fay, tentando senza successo di sorridere. Quel ragazzo era davvero gentile, per quanto impacciato, e sicuramente non gli avrebbe mai manifestato le sue preoccupazioni apertamente: ma doveva averne parlato con Chii. «Senti…» continuò, posandole delicatamente l’indice sotto il mento e rialzando piano il suo volto, per guardarla negli occhi. Cercò di sembrare allegro, maledicendosi perché la cosa un tempo gli riusciva molto meglio. «Non preoccuparti per me. Ho un posto dove tornare, anche se non è più… quello dove stavo prima».

Chii sembrava piuttosto confusa, ma in qualche modo il sorriso di Fay doveva aver funzionato almeno per il momento, perché lo ricambiò, dopo un attimo di perplessità. «Chii va da Hideki adesso a fare tante cose divertenti! Chii augura a Fay-san buonanotte, e gli dice di non essere più triste».

Fay annuì con decisione e una risatina, lasciando che le mani di Chii si allontanassero dalla sua. «Grazie. Buonanotte, Chii!» la salutò, prima di richiudere la porta della camera alle proprie spalle.

Ci appoggiò la schiena, il suo volto totalmente cambiato, buio, stanco. Sembrava in qualche modo anche tirato, e Fay si portò una mano allo stomaco, distrattamente, palesando quel dolore che aveva finto per sei mesi che non esistesse.

Avrebbe continuato a fingere, però, ora che ne aveva la forza. Tutto quel tempo lontano dal Giappone, lontano da casa propria, gli doveva esser servito a qualcosa: a imparare a fare di tutto, pur di non avvicinare mai più Kurogane a sé stesso.
Anche se lo desiderava… lo desiderava più di qualunque altra cosa.

***

Quando gettò la sacca accanto alla porta della vecchia casa di Ashura, cercò di ignorare il fatto che la suoneria del nuovo cellulare che si era preso in Europa aveva cominciato a squillare: segno che era il 19 novembre, e quel giorno avrebbe dovuto chiamare Kurogane.

Non sapeva nemmeno perché continuasse a farlo, tanto più che l’altro aveva capito benissimo che si trattava di lui: ma sapere che stava bene era per Fay la cosa più importante.

Spegnendo il promemoria, guardò sul display del telefono l’ora: erano le nove e mezza di sera, perciò probabilmente Kurogane era sveglio. Con un sospiro, compose il numero che si ricordava ancora a memoria, impalato all’ingresso della villa vuota, e si portò il cellulare all’orecchio.

Si ritrovò ad avere il cuore in gola per tre minuti buoni, perché nessuno rispose. Kurogane non era stupido, quello era sicuramente il suo modo per dirgli che non ne voleva più sapere; così Fay, la gola secca, riattaccò il telefono alla segreteria, mordendosi il labbro.

Riprese la sacca da terra, chiudendo a chiave la porta dietro di sé e dirigendosi in camera sua, senza degnare di uno sguardo la stanza di Ashura. La sola vista di quel letto gli metteva i brividi, per quanto a stento riuscisse a trattenere le lacrime quando rivedeva una sua foto in giro. D’altra parte, non avrebbe avuto il coraggio nemmeno di togliere un soprammobile da quella casa, che non sentiva affatto come sua: era solo un rifugio temporaneo.

Gettò il bagaglio sul suo letto, guardandosi intorno con aria vuota. L’ultima volta che era stato lì, c’era stato Kurogane con lui. Come un’infinità di altri posti, in effetti, che da quando era a Tokyo era costretto a frequentare.

Ogni tanto si chiedeva ancora se aveva fatto la cosa giusta a tornare.

L’unica cosa che tirò fuori dalla sacca fu la foto che aveva scattato a lui e a Kurogane dopo un’uscita al lunapark, che ricordava terribilmente bene. Era stato lui a costringerlo ad andare su tutte le giostre possibili, anche su quelle per bambini; e gli aveva infilato a forza in bocca una porzione considerevole di zucchero filato rigorosamente rosa (lo facevano blu per i maschietti, ma Fay credeva che il rosa si addicesse di più a Kurogane).

Si rivedeva ancora mentre inciampava non appena uscito dal terzo giro di montagne russe, lussandosi la caviglia. Ovviamente aveva fatto finta di niente con Kurogane, per prolungare il più possibile la giornata insieme.

Ma quello era riuscito come al solito a farlo sentire un perfetto imbecille, comunicandogli con uno sprezzante “quand’è che ti prenderai cura di te stesso?” all’uscita del lunapark che aveva capito ogni cosa da un pezzo. Non appena in strada, lo aveva preso sulle spalle senza dire una parola e lo aveva portato a casa.

Si rese conto di aver macchiato la foto con una lacrima, prendendo a fissarla sorpreso, come se tutto quel dolore non gli appartenesse. Però stava facendo esattamente quello che Kurogane voleva, si prendeva cura di sé stesso; e insieme, lo faceva per lui.

Sapeva che con avrebbe dovuto inserire quel “tornerò” nella lettera che gli aveva scritto, ma qualcosa gli aveva detto che avrebbe dovuto lasciare che Kurogane lo pensasse.

Sorrise, asciugandosi distrattamente gli occhi e poggiando la foto sul comodino; dopotutto, aveva promesso che si sarebbe sempre preso cura di Kurogane, e intendeva farlo. Anche se non era certo di mancargli dopo tutto quel tempo, certamente non avrebbe fatto nessun tentativo per vederlo, quindi non l’avrebbe mai saputo.

***

«Pronto… Sorata?» mormorò Fay, sentendo rispondere l’amico dall’altra parte del telefono.

«Fay!! Sei proprio tu?» esclamò Sorata.

Il biondo sorrise, immaginandosi la sua espressione in quel momento. Non appena aveva finito di sistemare il suo “bagaglio”, era sceso al primo piano, solo per cominciare a girarlo a grandi passi; alla fine, si era deciso a chiamare Sorata. «Sì… come stai? Spero di non averti creato tanti problemi andandomene così…».

«Non ti preoccupare! Sono tornato a Tokyo con Arashi i primi tempi, anche se ora lei è a Osaka… ma tu piuttosto dove sei finito tutto questo tempo?» Il suo tono era concitato e sinceramente preoccupato, tanto che Fay pensò di non meritarsi proprio amici del genere.

«Ero in America» spiegò lentamente, ancora incerto sul dover raccontare ogni cosa. Ormai si era messo in pace l’anima su quello che gli era successo, ma da quello al raccontarlo agli altri era un’altra faccenda. «Ho vissuto per un po’ nel posto dove stava il mio tutore, a Seattle».

«Davvero?» esclamò Sorata, agitandosi ancora di più. «Ma Fay… Kurogane… non ne sapeva nulla, mi ha quasi aggredito il giorno che te ne sei andato!»

Fay ebbe un tuffo al cuore nel sentire quelle parole, ma si sforzò di nascondere il nervosismo nel tono della voce. «Mi dispiace molto, non volevo che se la prendesse con te. Non volevo che se la prendesse con nessuno, ma non potevo dirgli dove andavo, altrimenti mi avrebbe seguito» mormorò, con una risatina forzata.

«Perché l’hai lasciato?» chiese Sorata, di punto in bianco. «Lui…»

«Scusa, ti ho chiamato per chiederti un grandissimo favore» lo interruppe immediatamente Fay, zittendolo. Evidentemente aveva capito che non voleva parlare di Kurogane. «Immagino vorresti tornare ad Osaka da Arashi… che ne dici se riprendo il mio posto di lavoro? »

«Mi piacerebbe tantissimo tornare dalla mia Honey!» cinguettò all’istante Sorata. «Anzi, saresti tu a farmi un grandissimo favore, Fay!»

«Non sparirò questa volta, quindi puoi stare sicuro che sarò sempre lì» si affrettò a rispondere Fay, consapevole che l’amicizia non era un motivo valido per assumerlo dopo un’assenza così prolungata. «Davvero non hai cercato un’altra persona che mi sostituisse?»

«Diciamo che me lo sentivo che saresti tornato!» esclamò Sorata, ridacchiando. «Fay non può stare a lungo lontano da Kurogane».
Fay si morse il labbro. «Ehm… allora ti ringrazio tantissimo. Ti prometto che farò del mio meglio… quando posso cominciare? Sono disponibile anche da subito, ma immagino tu stia per chiudere».

«Sì, sono appena uscito in effetti… puoi venire già da domani! In realtà ho anche molta voglia di vederti, e poi devi raccontarmi di che cosa hai visto in America! Avrai fatto il turista! Ma cos’hai mangiato? Ho sentito che hanno un cibo orribile…».

Il biondo non riuscì a non sorridere quando sentì quelle parole. Sorata era unico perché riusciva a dimostrare il suo affetto in quella maniera così spontanea, e, a differenza di Fay stesso, si capiva subito che era reale. E non lo stava biasimando per essere svanito nel nulla senza dare spiegazioni; ma quello era perché era troppo buono.

«Ti… dovrò spiegare» concluse Fay, rimanendo sul vago. Già stava pensando come comunicargli ogni cosa; le confessioni non erano decisamente il suo forte, ma a Sorata doveva una montagna di spiegazioni. «Scusami, sono un po’ stanco. Però sei un amico… non molti mi avrebbero ripreso dopo quello che ho fatto».

«Non hai mica ucciso qualcuno! Ti aspetto domani, va bene? Tu riposati!» minimizzò Sorata, allegramente.

«Grazie…» mormorò Fay.

Riuscì a dissimularlo alla perfezione, ma le lacrime avevano ripreso a scorrergli lungo il viso quando riattaccò. Non era davvero sicuro di meritare un amico così buono, ma non avrebbe mai avuto la forza di mentirgli.
 

* è una cattedrale di Mosca (mannò)
 

 




____________________

ora fornirò un’informazione assolutamente inutile: la fic ha 15 capitoli più un epilogo piuttosto lungo (e cretino). cavolo è lunghissima ç_ç *se lo dice da sola* comunque ecco, grazie a tutti quelli che la seguono, vi voglio bene <3

 
to __Di: ti giuro che la tua recensione mi stava facendo morire dal ridere xD ho aspettato ancora quasi una settimana per aggiornare ç_ç ma TU non dovresti parlare xD sarei curiosa di sentire la tua teoria su Fay °-° ma alla fine ammetto che non mi sono sbizzarrita stò granché, e forse ora già qualcosa si capisce.. la visione di te nell’angolo buio con il cane m’inquieta x°D ma non posso dire nullaaaa! grazie, a presto!!

to Ne_chan: più che all’angst sono tornata a Fay (cioè all’angst) xD devo dire che anch’io preferisco i gatti, ma Kurogane è il tipo da cane direi v.v sai che ho pensato anch’io a Nowaki per Fay? però in realtà è un’associazione che ho fatto dopo xD comunque la bastardata è simile, senza dubbio. grazie mia cara ^^

to Julia_Urahara: cospiro per farti piangere tutte le tue lacrime *ghigno malefico*, forse perché dentro me c’è un pochino di Arthùr, chissà.. (nooo.. siete solo sadici uguali xD) beh tesoro grazie grazie grazie *-* *bacino*

to yua: cosa? 36 minuti D: ma ma.. non l’ho fatto appostaaaa! (e invece sì ç_ç) spero che questo capitolo sia più allegro anche se, ehm.. non lo è affatto.. cioè, spero di essere perdonata perché ho mostrato che fine ha fatto Fay :D vero che lo sono? il cucciolo di cane è solo una trovata per non farmi linciare, lo ammetto. ma intanto c’è u.u ti ringrazio tantissimo, anche se.. 36 minuti.. *fa cerchietti per terra dall’angolo buio*

to Emily00: ti ringrazio ancora ^^ purtroppo grazie alla mia organizzazione sono riuscita soltanto a progettare così il capitolo precedente, diciamo che si poteva fare meglio xD ma volevo troppo scriverlo! se ci sarà angst nell’incontro tra Fay e Kurogane.. beh.. io vi avevo avvertiti tutti fin dall’inizio xD salverò Subaru però v.v lascia fare a me. a presto!!

to Shatzy: intanto ti ringrazio dal profondo per la recensione all’altra storia *inchino* mi ha fatto tanto piacere ç_ç e che soprattutto che tu abbia recensito anche questa, che è decisamente.. beh, triste –e scritta peggio- xD ho disseminato un po’ di misteri in effetti, spero che sarete soddisfatti delle soluzioni quando le darò!! comunque non ci vorrà poi molto *non si ricorda cosa ha scritto in realtà*. grazie ancora dei complimenti ^^ è sempre bellissimo sapere di avere uno stile decente!!  


harinezumi

prossimo capitolo: happiness is a warm gun

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Capitolo 7
*** Happiness is a Warm Gun ***




Cap 7

Happiness is a Warm Gun


[Track 8 – White Album]

 
 

I need a fix ‘cause I’m going down
Down to the bitch that I left uptown

Kurogane non sapeva bene che sentimenti provare, quando passava ogni tanto davanti al “No gravity”, consapevole che lui era lì dentro, talmente vicino da poterlo toccare. Ma non aveva mai guardato nemmeno la vetrina, ed era sempre passato dall’altra parte della strada, accelerando l’andatura per allontanarsi il più in fretta possibile.

Aveva deciso davvero, come aveva detto a Kuyo, che non avrebbe mai più detto una parola a Fay nella vita.


Ecco perché, quel giorno, mentre passava per l’ennesima volta davanti al “No gravity” –perché diamine abitava ancora così vicino? Avrebbe dovuto traslocare-, l’abitudine non lo fece neppure voltare verso quella direzione, ma i suoi occhi rimasero fissi a terra, a rimuginare su tutt’altri argomenti, quali le gare scolastiche che si sarebbero tenute quella primavera e che avrebbe dovuto organizzare da solo. Si chiedeva ancora come fare, con tutti i corsi da frequentare che ancora gli mancavano all’università.

Perciò, non si rese neppure conto di aver aumentato il passo, così che quando andò a sbattere contro una persona la spinse a terra, e solo allora si risvegliò dal coma.

«Mi scus…» mormorò, alzando in fretta gli occhi e maledicendo la propria disattenzione. Ma l’ultima lettera gli rimase incastrata tra le labbra, e per diversi attimi non riuscì nemmeno a pensare di parlare: non che ne avesse avuto bisogno, considerando che era Fay quello che stava a terra davanti a lui, a fissarlo con occhi sgranati e terrorizzati.

Il biondo aveva addosso una giacca consunta e una sciarpa scomposta, era spettinato e sembrava davvero distrutto; ma anche se Kurogane avesse avuto la forza di mettere insieme tutti quei particolari, l’avrebbe riconosciuto comunque.

Per diversi minuti nessuno dei due riuscì a sentire ciò che accadeva attorno a loro: era come se il tempo si fosse fermato in quel momento, mentre si guardavano spersi l’uno negli occhi dell’altro. Ed entrambi si riscoprivano perdutamente, stupidamente, innamorati di quella vista che ad ognuno era mancata come l’aria.

Ma Kurogane fu quello che riprese a far lavorare il cervello per primo, perché, senza dire una parola, girò sui tacchi e prese ad allontanarsi da Fay, che in quel momento gridò. Il moro non aveva sentito le sue parole, ma gli bastò il suono della sua voce per voltarsi ancora.

«Kurogane… aspetta…» mormorò Fay, una volta riconquistata la sua attenzione, senza sollevarsi nemmeno da terra, dove ancora stava seduto, puntellandosi all’indietro con le mani. Ma una spiegazione, il resto della frase, non arrivarono.

E Kurogane, dopo averli aspettati per un po’, fermo, immobile, se ne andò.

***

Fay richiuse dietro di sé la porta del negozio e vi si appoggiò sopra, tremante e sconvolto. Era servito meno che a niente sparire tutti quei mesi, se gli veniva una crisi soltanto per aver visto Kurogane; d’altra parte, era anche stato spinto bruscamente a terra, perciò si convinse che era soltanto per quello se il suo corpo adesso aveva le convulsioni.

«S-Sorata…» chiamò, terrorizzato, mentre scivolava a terra e le forze gli venivano meno. Il negozio era chiuso, grazie al cielo, o si sarebbe sentito ancora più in colpa nel vedere la faccia preoccupata dell’amico mentre accorreva verso di lui.

«Fay! Non agitarti, d’accordo?» sentì la sua voce, affannata, mentre veniva steso sul pavimento e le sue palpebre si abbassavano, lentamente. «Ti porto subito all’ospedale, ma non ti azzardare a svenire qui, mi hai capito?»

«Va bene…». Fay non si rese nemmeno conto di aver pronunciato quelle parole, ma dal momento che lo fece si sforzò di metterle in pratica, cercando di respirare e di aprire gli occhi. «Kurogane…» mormorò, ricordando che un attimo prima l’aveva visto, e sentì il petto letteralmente divorato dal ricordo dello sguardo di fuoco che l’altro gli aveva lanciato.

Sorata finì di parlare al telefono alla cassa con il pronto soccorso, tornando poi ad inginocchiarsi accanto a Fay e passandogli un braccio attorno all’esile petto, per tirarlo in piedi. «Ti accompagnerò io, hanno avvertito la dottoressa Satsuki… ti è successo qualcosa, Fay? Ti hanno detto e ripetuto di non sforzarti in nessun modo e…»

«Ho visto Kurogane» ansimò Fay, aggrappandosi alla spalla di Sorata, mentre il suo respiro si faceva regolare. Si lasciò accompagnare all’auto dell’amico, aspettando di essere seduto sul sedile anteriore per chiudere di nuovo gli occhi e reclinare la testa all’indietro, sfinito.

«Accidenti a lui!» esclamò Sorata, mettendosi al volante e scuotendo la testa, con uno sbuffo. «Dovresti dirglielo, o finirà per accadere di nuovo! Io tornerò ad Osaka il mese prossimo, non puoi certo rimanere qui da solo!»

«No…» mormorò Fay, aprendo appena le palpebre. Il suo tono era quasi supplichevole. «Non voglio. Tanto non ci vedremo di nuovo».

Sorata si morse il labbro, aggrottando la fronte, ma non disse una parola. Aveva provato in tutti i modi a rallegrare Fay e a spronarlo in qualche modo ad avere di nuovo a che fare con Kurogane. Ma il biondo, ora ansimante e tremante al suo fianco, non voleva sentire ragioni; sosteneva che non era così debole da non poter sopportare quel peso da solo.

E le volte che non si sentiva eccessivamente male, era sempre a lavorare in negozio, con un sorriso stampato sulla faccia… no, decisamente Fay non era una persona debole. Però non significava che fosse forte.

***

«Io non c’entro nulla con il cane» informò immediatamente Seishiro, con un sorrisetto, davanti al cancello del condominio di Kurogane. Lo stava aspettando, come quasi ogni mattina, per andare insieme fino all’università; ma in effetti era sparito per un po’, in modo che il moro non lo uccidesse con le sue mani appena ricevuto il regalo di Subaru.

«Non ti preoccupare, l’ho immaginato» sospirò Kurogane, con una punta di stizza. «Tu non sei certo in grado di concepire un regalo apprezzabile. Anzi, ti prego caldamente di non farmene mai nemmeno mezzo, neanche per sbaglio».

«Tu mi regaleresti al massimo il cadavere di qualche animale che hai trovato per strada» affermò Kurogane, per nulla ingannato da quell’affermazione.

«Sei particolarmente allegro quest’oggi, Suwa» constatò Seishiro, mentre cominciava a camminare al suo fianco dopo che aveva richiuso il cancello dietro di sé. Sembrava contrariato da tutta quell’allegria che manifestava il compagno, infatti dal suo tono traspariva un’irritazione non indifferente.

«Nonostante i tuoi tentativi di sabotare la mia giornata con la tua presenza, sì, sono piuttosto allegro. Problemi?» domandò Kurogane, con una smorfia. Per felicità nel suo caso non s’intendeva certo nel senso dei comuni mortali, ma era visibile dal fatto che non aveva ancora minacciato Seishiro di morte e aveva risposto senza insultarlo troppo.

«Ah, per niente. Mi chiedevo il motivo per cui finalmente ti sei svegliato con la luna al posto giusto per la prima volta da quando F…»

«Io vado, sono arrivato» lo interruppe bruscamente Kurogane, svoltando dentro la sua facoltà e lasciando Seishiro indietro, imbambolato a mezza frase. Così, non lo vide sbuffare e scuotere la testa, prima di avviarsi fischiettando a lezione, come se le vicende dell’amico non lo toccassero minimamente (cosa che in effetti era vera, ma Subaru gli aveva fatto una testa così per sei mesi, impedendogli di fregarsene come avrebbe voluto).

Kurogane si diresse a sua volta in aula, gettando la sacca con i libri accanto a sé sugli scomodi sedili di legno e cominciando a tirarne fuori il blocco degli appunti, meccanicamente. Stava riflettendo sul perché, in effetti, quel giorno si sentisse particolarmente sereno; non poteva certo dipendere dal fatto che appena ventiquattr’ore prima aveva steso a terra il suo ex fidanzato. Oppure sì.

In effetti, poteva veramente trattarsi di Fay. Vederlo mentre lo guardava con quegli occhi terrorizzati, con quel tremolio che lo pervadeva, lo faceva sentire straordinariamente bene; perché per tutti quei mesi aveva sempre pensato di essere stato l’unico a soffrire, mentre ora capiva che probabilmente Fay ci era stato molto, molto peggio.

Ben gli stava. A fare gesti incomprensibili e a pentirsene soltanto poi.

Però, mentre il professore cominciava a spiegare e Kurogane si sforzava di stare attento a seguire il filo del discorso, si rese conto di provare una fitta di dolore, a quei pensieri. Perciò, non era possibile che fosse quello il motivo della sua felicità.

Mentre era a metà di una frase sul blocco degli appunti, fermò la mano che scriveva di colpo, rendendosi conto del perché tutta quella sensazione di tranquillità gli pervadeva il petto da quella mattina, quando si era alzato e stranamente aveva sorriso al pensiero di andare all’università. E allora si diede dell’idiota, che non avrebbe mai imparato.

Perché Fay era davvero il motivo per cui si sentiva tanto bene: averlo visto, aver capito che al biondo ancora importava di lui. Quella che stava provando non era felicità: era speranza.

***

Quando tornò a casa, che pure distava pochi metri dalla sede della sua università, deviò per più di un chilometro, dirigendosi inevitabilmente verso il negozio di fumetti.

Forse sperava di trovare Fay, di scontrarsi ancora con lui, all’infinito: quello gli sarebbe bastato, per essere felice. Ma per la maggior parte non sapeva nemmeno lui cosa stava facendo, ad aspettare appoggiato al muretto sul ciglio della strada, fissando il “No gravity” dall’altra parte di essa con aria vuota. Gli pareva che le saracinesche fossero state leggermente abbassate, e con un tuffo al cuore pensò che forse Fay era fuggito di nuovo da lui, se il negozio era chiuso.

Ma non era possibile, probabilmente stava soltanto farneticando. Quello di cui aveva davvero bisogno non era Fay, ma un po’ di stabilità nella sua vita, per continuare perlomeno a lavorare.

La preside era stata paziente con lui, aveva capito immediatamente che nella sua vita c’era qualcosa che non andava; ma era stata una fortuna che Kurogane fosse stato assunto con un contratto e che di mezzo  a quei sei mesi ci fossero state le vacanze estive. Perché gli era davvero impossibile tornare ad insegnare come un tempo.

Si sentiva orribilmente in colpa quando ci pensava, quando rifletteva su tutte le volte che si era accanito un po’ troppo con tutti i suoi studenti. Non avrebbe dovuto permettere che Fay gli rovinasse la vita così, che offuscasse la sua capacità di giudizio con le sue folli azioni incomprensibili.

Erano ormai le sette di sera quando si convinse che dal negozio non sarebbe uscito nessun biondo, e si staccò con un sospiro dal muretto, infilandosi le mani quasi congelate in tasca, protette a malapena dal freddo dai guanti.

Proprio in quel momento, qualcuno lo chiamò, e Kurogane si voltò agghiacciato verso Sorata, che stranamente non veniva dalla direzione del negozio, ma dalla strada.

«Kurogane! Sono felice di vederti» esclamò il ragazzo, correndogli vicino prima che la sua mente potesse elaborare un piano di fuga.

In fin dei conti, era stato sorpreso ad aspettare davanti al luogo dove Fay lavorava; e poi, l’ultima volta che aveva visto Sorata aveva tentato di ucciderlo. «Ciao» lo salutò, incerto, ma sforzandosi in tutti i modi di mantenere un’aria indifferente. «Non sei ancora tornato ad Osaka».

«No, tornerò tra pochi giorni» rispose quello, con un sorriso gentile. Probabilmente aveva capito benissimo il perché Kurogane fosse lì. «Sono un po’ di fretta adesso, prima non ho avuto il tempo di chiudere il negozio come si deve…» continuò, lanciando un’occhiata veloce all’ora al polso e mordicchiandosi il labbro. «Ma sono contento di averti trovato, perché c’è una cosa che devo chiederti».

«Va bene, ti ascolto» mormorò Kurogane, senza accennare minimamente a ricambiare il sorriso, ma nascondendosi di più dentro alla sciarpa. Si sentiva sempre più un idiota, perché presumibilmente Sorata gli avrebbe detto di evitare di rimanere sempre a fissare il suo negozio come un maniaco.

«Prenditi cura di Fay, ti prego» sussurrò Sorata, cercando nuovamente di sorridere. «Nessuno sa più di me quanto tu sia arrabbiato» continuò, con una risatina, indicandosi l’occhio destro.

Kurogane arrossì violentemente, ricordando che era proprio lì che l’aveva colpito.

«Però vorrei che tu gli stessi vicino e lo aiutassi. Devi stargli sempre vicino» concluse Sorata. Non lasciò nemmeno che Kurogane, esterrefatto, aprisse bocca, ma lanciò una nuova occhiata all’orologio, con una risatina. «Ops, devo andare a chiamare la mia Honey! A presto, Kurogane!»

E lo lasciò lì, salutandolo con la mano, correndo verso il negozio e sparendo un attimo dopo dentro di esso.

Kurogane era allibito. Il discorso che gli era stato appena fatto non aveva né capo né coda, ed era piuttosto improbabile che, vista la situazione, ascoltasse le parole di Sorata. Lui doveva saperlo benissimo, ma allora perché gli aveva detto quelle cose?

Maledicendo tutti gli idioti che c’erano al mondo, Kurogane si avviò verso casa, sommergendosi di più nella sua sciarpa e decidendo che non avrebbe dato nessun peso a Sorata e alle sue stupidaggini. Era stato lasciato da Fay e non si sarebbe mai preso cura di colui che gli aveva fatto un torto così grande.

Era una persona orgogliosa, e il biondo con quel gesto gli aveva tolto ogni cosa, prima fra tutti la sua dignità e la sua forza.

Imprecando, si rese conto che non aveva nemmeno comprato la cena a quel suo stupido cane – che sicuramente aveva già provveduto a rifocillarsi con le sue scarpe e i suoi calzini, imprudentemente lasciati accanto all’ingresso.






____________________

giuro che mi tremavano le mani a scrivere del loro incontro ç-ç mi sono chiesta dov’è finita l’allegria.. VISTO, ANCH’IO HO UN CUORE!!! *scappa via singhiozzando – però prima risponde alle recensioni <3 <3*

 
to __Di: in realtà non ho fatto fatica a scrivere come parla Chii xD forse perché sono una scrittrice molto brava! (o forse perché sei scema come lei! ndcervello) ho voluto inserire anche i personaggi di Chobits per pura completezza direi ^^ se ti può consolare, non compariranno più xD dato che Chii su TRC è associata a Fay, l’ho fatto anch’io.. Chobits non è proprio entusiasmante xD tu però promettimi che se ho scritto stupidaggini mi correggerai °-° ti ringrazio tanto! *inchino* (ah per l’errore che hai trovato, grazie e.. beh, sono di natura pigra ma dopo lo correggo u.u)

to li_l: già, ammetto che la storia è un grosso casino °-° colpa del fatto che l’ho scritta inizialmente senza sapere come sarebbe finita. quindi non è per niente omogenea, ma ormai stava immobile nella mia cartella da due mesi e non ho avuto il cuore di cestinarla.. comunque ti ringrazio per la recensione ^^ e per quanto riguarda il clima di pressione, recensisci se e quando vuoi u.u io accolgo tutto con piacere e inchini commossi. uhm, Fay è malato, ma non incintO *O* peccato, eh.

to Julia_Urahara: sììì, Fay ricompare a casaccio xD ti spiego perché per me la fic è lunga e infinita anche se ha solo 15 capitoli u.u io non ho mai concluso una storia in vita mia. fine della spiegazione. ehm.. meglio che la smetta di dire idiozie ^^’ ciao ciao tesoro, grazie <3 (Arthur ringrazia con una testata) *le manda cuori di consolazione*

to yua: che super-recensione *O* ammettilo, tu e Di fate a gara xD ah, e insomma, lui non mi ha dato nessuna idea, anche se ci ha preso in pieno u.u ehm, ho come la sensazione che i capitoli peggiorino, non è che ci passerò la vita nell’angolino buio e umido? mi sembra che Chii non riscuota successo xD però ora l’ho spiegato un po’ com’è la situazione! devi togliermi dei minuti ç_ç basta ora anche Fay mi si rivolta contro *sniff* vado nel mio angolino. grazie ç_ç -> sono lacrime di commozione eh, non solo disperazione xD

to Shatzy: avrei voluto bandire Fay per molto più tempo, ma non ce l’ho fatta ç_ç il giretto in Russia è stato una delle sue tante follie penso.. insomma, immagino volesse dare un’occhiata alla sua patria d’origine già che c’era. anche se ha fatto il giro del mondo in questo modo *coff* ehm. la fic presenta evidenti problemi di coerenza u.u comunque si sono incontrati lui e Kuropon! contenta? *-* almeno qualcosa di buono e bello lo faccio (più o meno) :D ciao ciao, grazie mille!!
 

harinezumi

prossimo capitolo: tomorrow never knows

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Capitolo 8
*** Tomorrow Never Knows ***



Cap 8

Tomorrow Never Knows

[Track 14 – Revolver]

 
 

Turn off your mind, relax and float down steam
It is not dying, it is not dying

Fay si svegliò in una stanza d’ospedale, con la fastidiosa sensazione del gusto di metallo in bocca e le palpebre rese pensanti da chissà quanta morfina. Con una smorfia, allungò una mano all’incavo del braccio, sentendovi il tubicino della flebo infilato e rabbrividendo.

Odiava gli aghi sottopelle. Voltò a malapena la testa, notando che la sua era una stanza singola, ma alla finestra scorse la figura di Karen, l’unica compagna del liceo con cui si era mantenuto in contatto, con il volto appoggiato tra le braccia incrociate sul davanzale. Probabilmente stava dormendo, ma la sua presenza non fece che sentire Fay estremamente in colpa. L’aveva sicuramente fatta preoccupare.

Deciso a non svegliarla, cercò di ricordare quello che gli era successo il giorno prima, trovando tristemente la risposta nel volto di Kurogane fermo tra i suoi pensieri, che quasi l’aveva guardato come se non lo conoscesse quando si erano scontrati.

Era sempre stato una persona all’apparenza insensibile, ma mai così crudele come in quel momento, quando l’aveva lasciato lì così nonostante avesse bisogno d’aiuto… ma in effetti, Kurogane non poteva sapere che aveva dovuto chiedere soccorso ad un passante, per riuscire a rialzarsi. Che le gambe non lo reggevano quasi più, quando era entrato nel negozio e aveva chiamato Sorata.

Non poteva sapere nulla perché non gliel’aveva mai detto. E non aveva intenzione di farlo.

Se mai avesse incontrato di nuovo Kurogane, avrebbe dovuto impegnarsi a fondo per ignorarlo, e non mettersi a chiamarlo stupidamente a sé. Però quelle parole gli erano uscite di bocca prima che riuscisse a rendersi conto di averle pronunciate.

«Fay! Sei sveglio» sentì la voce di Karen, all’improvviso. Si voltò verso di lei, ora alzatasi, e sorrise.

«Ciao, Karen! Non che io non apprezzi, ma… non dovevi venire qui… ormai sto bene, domani mi potranno già dimettere, no?» le disse, cercando di manifestare un’allegria che non provava. Scivolò faticosamente a sedersi, notando che il dolore ai fianchi e al petto era accentuato, e non il solito fastidio che ormai sentiva ogni giorno. Perplesso, guardò l’amica, che si era avvicinata con un sorrisino mesto. «Cos’è successo?»

«Hanno dovuto farti la dialisi. E… dicono che dovrai tornare la settimana prossima» mormorò lei, talmente piano che Fay riuscì a malapena a sentirla.

«Ah» rispose, in un sussurro. Non percepì quasi la stretta delle mani dell’amica sulla sua. «Beh, non fa niente… prima o poi avrei dovuto cominciare» minimizzò, ignorando le lacrime che gli stavano salendo agli occhi e ricacciandole indietro.

Riusciva a pensare soltanto a Kurogane: ma non doveva piangere, doveva farlo per lui. Non si sarebbe davvero mai perdonato se la persona che amava avesse sofferto ancora a causa sua, anche se avrebbe tanto voluto che a stringergli la mano ci fosse lui, e non Karen, per quanto le fosse grato.

«Fay… sei sicuro di voler continuare a vivere in quella casa tutto solo? Mi dispiace così tanto non poterti aiutare…» continuò Karen, dolcemente, cercando di sorridergli ancora.

«Non ti preoccupare! Non sto affatto così male, adesso. Anzi, non capisco perché mi hanno dato tutti questi farmaci, ora mi sento così intontito, e invece non sarei per nulla stanco…» rispose Fay, esibendo a sua volta uno di quei suoi sorrisi inequivocabilmente falsi, anche se era un particolare davvero ben celato.

«Capisco» mormorò tristemente Karen. Non era per nulla soddisfatta, ma se Fay si comportava così di solito era perché voleva essere lasciato in pace.

«Piuttosto dovrei ringraziarti… e telefonare anche a Sorata… senza di voi non so come farei!» esclamò il biondo, cercando con gli occhi il suo cellulare, ma non notandolo sul comodino; c’era soltanto quello dell’ospedale. «Beh, non credo di poter usare il mio telefono, in effetti».

«Ci penso io! Vado subito a chiedere se puoi usare quello» rispose Karen, in tono rassicurante, sparendo all’istante fuori dalla stanza. Se c’era qualcosa in cui Fay gli permetteva di aiutarlo, intendeva fare di tutto per accontentarlo.

Tornò poco dopo, informandolo che le infermiere avevano dato il permesso per una chiamata. Quando Fay stava per cominciare a comporre il numero di Sorata, però, lo interruppe.

«Ah sai, ho visto Seishiro in sala d’aspetto, prima! Era venuto ad accompagnare dal medico un ragazzino molto simpatico, di nome Subaru… a quanto pare si era preso il raffreddore» disse, con una risatina al solo pensiero di quella che le era sembrata una certa intesa tra i due, quando li aveva beccati a baciarsi su una delle sedie in sala d’aspetto. Il ragazzino era quasi morto dall’imbarazzo. «Mi è sembrato molto sorpreso di saperti qui. E Subaru ti augura di stare presto meglio».

Fay era rimasto agghiacciato, con il telefono in grembo e la cornetta alzata all’altezza dell’orecchio, con il segnale che suonava a vuoto. Rimase a guardare Karen con gli occhi quasi spalancati dall’orrore, fino a quando lei non s’interruppe, accortasene.

«Qualcosa non va? Devo chiamare un’infermiera?» chiese, preoccupata.

«Io… hai detto a Seishiro perché sono qui?» domandò Fay, in un balbettio sconnesso. Così non andava. Tutti i suoi piani sarebbero andati in fumo se Seishiro sapeva ogni cosa.

«Non dovevo?» mormorò Karen, portandosi le mani alla bocca, agitata e dispiaciuta. «Oh, Fay, scusami tanto! Non ho nemmeno immaginato… avrei dovuto capire che probabilmente non ti va che lo vengano a sapere! Scusami, davvero…».

«Non fa niente». Fay non sapeva nemmeno perché stava sorridendo, quando tutto ciò che sentiva dentro era vuoto assoluto. Ma Karen non aveva colpa. Era lui che non sarebbe mai dovuto tornare a Tokyo con tanta leggerezza. «Karen, tranquilla! È solo che non me lo aspettavo, tutto qui! Ti sono immensamente grato di essere al mio fianco, invece».

Ma lei continuò a scusarsi, e Fay fu incapace di persuaderla che era tutto a posto.

Seishiro sapeva. Seishiro non era capace di stare zitto nemmeno a pagarlo… Seishiro non era nemmeno il tipo di persona che li manteneva, certi segreti. Perciò Fay si trovò a pregare che Subaru gli passasse il raffreddore, e che Seishiro non potesse uscire di casa per molto, molto tempo…

***

«Ti annoi?» domandò una vocina gentile, facendo sussultare Fay, che si voltò immediatamente verso la porta della sua stanza. Karen era tornata a casa e l’aveva lasciata aperta, ma non avrebbe mai immaginato che qualcuno si accorgesse della sua aria malinconica, mentre fissava le finestre semichiuse.

Ad aver parlato era un ragazzino che aveva al massimo quindici anni, ma ne dimostrava molti di meno; era piuttosto basso per la sua età, e lo fissava con due occhioni ambrati che avrebbero fatto invidia ad un neonato. Era mingherlino, e i tratti sottili del suo viso lo facevano somigliare ad una ragazza; in più, portava i capelli biondi lunghi da una parte.

Prima che Fay potesse riprendersi dallo stupore e rispondergli, però, un altro ragazzino comparve dietro al primo, passandogli un braccio intorno al collo. Questo aveva i capelli neri e gli occhi rossi, e un visetto rabbioso, più che gentile.

«Stupido Kohaku! Non importunare la gente, dobbiamo cercare Hisui!» esclamò, cercando di tirare indietro il compagno che si dimenava.

«Lasciami, Koryu!» si lamentò il biondino, riuscendo a liberarsi, solo per tornare con lo sguardo a Fay. «Mi dispiace tanto, signore! Non volevo disturbare, ma ho pensato che ti stessi annoiando perché avevi un’aria triste…».

«Ehm, non fa niente» rispose Fay, cercando di non considerare l’assurdità della situazione in cui si trovava. Era così preso a rimuginare su cosa sarebbe successo quando Seishiro avesse detto tutto a Kurogane che non riusciva nemmeno a capire quello che stava succedendo; prima che se ne rendesse conto, Kohaku era entrato nella stanza.

«Vuoi che io e Koryu ti facciamo compagnia?» esclamò allora il biondino, entusiasta.

«Ehi! Non abbiamo tempo per questo, non dire idiozie» sbottò Koryu, un po’ meno contento al pensiero di rimanere lì.

«Beh, ma qui non c’è nulla di interessante da fare, vi annoiereste anche voi. Però ti ringrazio molto per la tua offerta!» rispose Fay, con una risatina. Sorrise ai due ragazzi, gli ricordavano stranamente qualcuno. «Io mi chiamo Fay… voi due chi siete?»

«Mi chiamo Kohaku!» rispose il biondino, allegramente. «Lui è Koryu. È cattivo» presentò anche il suo compagno, indicandolo alle sue spalle.

«E ne vado fiero. Hai dimenticato di dirgli che sei un babbeo imbranato che rompe alla gente che sta male» sbuffò Koryu, tirandogli un pugno in testa e suscitando ancora una volta la sua indignazione. Ma Fay non mancò di notare che tutti i suoi tentativi di farlo arrabbiare erano semplicemente il modo che aveva per dimostrargli il suo affetto; dovevano essere molto uniti, nonostante tutto.

«Piacere di conoscervi! Posso chiedervi che ci fate in ospedale?» domandò Fay, a suo malgrado incuriosito. I due erano entrati nella stanza, e stavano ai piedi del suo letto, ma solo Kohaku sembrava attento, perché Koryu era occupato a guardare il compagno in cagnesco.

Tuttavia, fu lui a rispondere alla sua domanda, perché Kohaku era stramente arrossito. «Siamo qui perché lui deve mobilitare mezza casa per venire a prendere il suo fidanzato al lavoro…».

«Non è vero! Non dire cattiverie, Hisui è felice di accompagnarmi! Tu piuttosto, puoi anche tornartene a casa» esclamò Kohaku, arrossendo ancora di più.

«È un medico?» domandò Fay, del tutto dimentico della sua noia e soprattutto dei suoi pensieri poco allegri su Kurogane e godendosi lo spettacolino con un sorrisetto divertito.

«Sì!»  rispose Kohaku con aria sognante. «Uno dei più bravi chirurghi dell’ospedale! Ed è anche una persona gentile e buona, permette a tutti noi di rimanere a casa sua e non si lamenta mai, nemmeno di Koryu!»

«E perché dovrebbe lamentarsi di me?! Ti sei visto allo specchio?» borbottò quello, punto sul vivo.

Ma stavolta Kohaku lo ignorò. «Tu perché sei in ospedale, Fay?»

«Ehi, non sono domande da fare! L’hai appena conosciuto!» sbottò Koryu, alzando un sopracciglio con aria di disappunto.

«Non fa niente» rispose Fay, sorridendo. «»«Sono qui perché non sto molto bene… ma già domani potrò tornare a casa, non è nulla di grave». Mentire gli era sempre riuscito bene, eppure mentre parlava vide una strana espressione comparire sul volto di Kohaku e Koryu, nel primo sorpresa, nell’altro seccata.

«Ti dà fastidio essere malato?» domandò Kohaku, inclinando la testa da una parte. Era chiaro che non si era bevuto l’affermazione di Fay.

«Ehm… non è proprio così» mormorò quello, confuso. Non sapeva nemmeno perché aveva raccontato una bugia, ma di certo non gli piaceva ammettere alla gente quello che gli stava succedendo. Di certo non si aspettava che un ragazzino del genere potesse capirlo con tanta facilità; non sembrava nemmeno troppo intelligente.

«Non vuoi che gli altri si preoccupino?» chiese Kohaku, con un piccolo sorriso. «Lo immagino perché anche per me è la stessa cosa con Shuichiro. Non vorrei mai che lui si preoccupasse per me, anche se purtroppo succede quasi sempre… una volta mi ha spiegato che in ospedale c’è un sacco di gente che nasconde le sue condizioni ai suoi cari. Però ha detto che non si può mai sapere cosa può accadere, ed è meglio essere sinceri e stare il più possibile con le persone che si amano» disse con totale semplicità. «Loro sono più contente se gli si dice la verità».

Fay era rimasto totalmente spiazzato, e fissava quel visino sorridente che gli spiegava le cose con tutta l’ingenuità di questo mondo. Gli sarebbe piaciuto davvero poter ascoltare quel ragazzino così strano e dolce, ma una soluzione del genere, dopo quello che aveva fatto a Kurogane, gli sembrava lontana anni luce e non la prese nemmeno in considerazione.

«Perché cavolo ti metti a parlare così ad un perfetto estraneo? Sono affari suoi, stupido Kohaku» stava borbottando Koryu, che aveva afferrato le guance di Kohaku e gliele stava tirando, tra i suoi strilli indispettiti.

«Ah! Ho visto passare Hisui!» esclamò all’improvviso il biondino, voltandosi allora verso Fay. «Noi dobbiamo andare, ma tu rimettiti presto! Sono stato molto felice di conoscerti!» Aveva tutta l’aria di essere entusiasta, in effetti, e persino Koryu borbottò un arrivederci.

«Anch’io Kohaku. A presto!» li salutò Fay con un sorriso, mentre uscivano, senza sapere bene che dire, perché più passava il tempo più quei due riuscivano a meravigliarlo con quello strano comportamento.

Lo spiazzò ancora di più l’ultimo commento che fece Kohaku, sbucando con la testa dalla porta un’ultima volta. «Ah, Fay! Ricordati che devi dire la verità a chi ami!» aveva esclamato con un sorrisone, prima di sparire tra quelli che sembrano gli strilli di Koryu.

«Come… sarebbe a dire…» mormorò Fay, anche se era completamente solo.

La bontà e la purezza del sorriso di Kohaku l’aveva lasciato a dir poco sconvolto. Era completamente diverso da ciò che esprimeva il suo, di sorriso: quello del ragazzino era dolce, sincero, e sembrava davvero aver preso a cuore quelle parole che gli aveva rivolto.

Fay appoggiò la schiena sul cuscino reclinato, prendendo a fissare il soffitto con un’aria decisamente distrutta.

Le sue bugie erano l’unica cosa che lo proteggeva, erano l’unica cosa che aveva impedito a Kurogane di stargli accanto, l’unica cosa che gli aveva permesso di ottenere quella separazione. In nessun’altro modo che conosceva sarebbe riuscito a renderlo felice, a renderlo privo di quella sua ormai scomoda presenza.

E i pensieri che lo avevano attanagliato fino ad un attimo prima tornarono prepotentemente a farsi strada nella sua mente; Seishiro sapeva tutto, probabilmente era già a casa di Kurogane a spifferargli ogni cosa, vanificando tutti i suoi tentativi di cancellarlo dalla sua vita, ma soprattutto il contrario.

Voltò lo sguardo verso la sveglia sul comodino, notando che erano appena le nove di sera. Quasi gli pareva di sentire il campanello dell’appartamento suonare, e l’immagine di Kurogane che apriva la porta gli era fissa in testa.

Aveva paura da non reggere a quel solo pensiero, sentiva persino gli occhi umidi; certamente, non sarebbe stato molto facile addormentarsi, per quella sera. Qualunque cosa avesse potuto dirgli un ragazzino dolce come Kohaku, lui non avrebbe mai capito cosa voleva dire avere a che fare con la furia di Kurogane Suwa.





 

____________________

salve a tutti! sono reduce da una magnifica settimana in cui non ho studiato nulla ma solo fangirlato e letto libri macabri u.u chiedo perdono per l’aggiornamento in ritardo. e vi ordino di esultare per la mia borsa di studio (ma anche no)! anche se non ho capito perché l’ho presa o.o ci sono forze oscure che cospirano. ehm *tossicchia* grazie a tutti.  
 

to __Di: il tuo commento è chilometrico *O* forse il mio capitolo è più corto di quello che mi hai scritto.. ah, ma c’è un motivo: ho sistemato questi capitoli in modo da far avvenire l’incontro tra Fay e Kurogane il più presto possibile. quindi sono corti ma la cosa va a vostro favore xD sono d’accordo sul fatto che Kurogane troverebbe il modo di picchiare Fay anche dopo morto u.u come hai letto ci siamo vicini perché tra un po’ saprà tutto *risata maligna* Seishiro è il mio personaggio preferito, come l’hai capito? *O* sei un genio! ehm hai detto un sacco di cose più o meno stupende, ma la mia capacità di scrivere una risposta sensata si ferma qui u.u alla prossima, grazie!!

to Julia_Urahara: a questo punto la mia missione in terra diventa quella di farti piangere.. sono sicura che verso la fine accadrà perché piango anche io, ma ci voglio riuscire prima *assottiglia lo sguardo* attendi.. *risata maligna* ehm, baci tesoro ^^’ grazie mille del supporto, come sempre :°

to yua: sono d’accordo sul fatto che le vostre recensioni sono impareggiabili u.u Sorata sai è tanto buono xD sotto sotto poi sta tramando per far sì che Kurogane torni ad interessarsi a Fay per me xD il cane dopo compare u.u ha un ruolo centrale nella storia, cosa credi! (non è vero xD però compare) a parte gli scherzi, quello che hai detto alla fine del punto sei mi ha SERIAMENTE commossa. ç_ç è una frase tanto bella e dolce (beh lo è per me!), mi ha reso davvero felice e credo sia una delle cose più meravigliose che mi abbiano mai detto su quello che scrivo. grazie! <3

to Shatzy: sono felicissima che la scena del loro incontro sia piaciuta! è uno dei passaggi che piace persino a me u.u per la malattia di Fay, non dirò nulla, se non che lui è bravissimo a mentire, lo sanno tutti. questa parte della storia non regge un granché però, lo ammetto anche io.. ma.. *fa finta di niente e passa oltre* ah, Kurogane non abbandonerebbe mai Fay, si sa.. certo non è che si ributterà tra le sue braccia adesso.. (che immagine raccapricciante tra l’altro). uhm, bene, non ti ho risposto nulla di intelligente ç_ç però grazie mille della recensione <3
 


harinezumi

prossimo capitolo: strawberry fields forever

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Capitolo 9
*** Strawberry Fields Forever ***


Cap 9

Strawberry Fields Forever

[Singolo – Strawberry Fields Forever]

 

Strawberry fields, nothing is real
And there’s nothing you can count about

Quando Kurogane aprì la porta dell’appartamento e si trovò davanti l’irritante sorriso di Seishiro, non poté fare a meno di darsi dell’idiota. Non doveva rispondere al campanello, quando era praticamente certo che fosse lo scocciatore a disturbarlo, alle nove di sera, e in più con Subaru al suo seguito (ché l’aveva visto benissimo, anche se si era nascosto dietro al suo ragazzo).

Kurogane richiuse la porta in faccia ad entrambi, ma proprio quando stava per tornare a sedersi in soggiorno, lontano da scocciatori vari, il campanello suonò ancora, e si vide costretto a tornare alla porta. Erano capaci di rimanere lì per ore.

«Vedo che come sempre apprezzi il mio aiuto!» cominciò Seishiro, non appena la porta si riaprì, ma Subaru lo interruppe quasi immediatamente.

«Kurogane-san! È successa una cosa terribile!» esclamò, rosso in viso dall’agitazione e con una voce decisamente nasale, probabilmente a causa di un raffreddore. «Ci dispiace tanto disturbare, ma oggi abbiamo scoperto cos’è successo a Fay!»

«Subaru-kun, così ci fai sembrare degli stalker…» sospirò Seishiro, ricevendo all’istante un’occhiataccia da Kurogane.

«È quello che sei» sbottò il moro. Stette in silenzio per qualche istante, prima di farsi da parte e lasciarli entrare. Non che avesse capito molto di quello che Subaru gli aveva appena detto, ma se sentivano il bisogno di continuare a rompere su quella faccenda non poteva che lasciarli fare e sperare che un giorno si stancassero.

«Oggi eravamo in ospedale e…»

«… lo stavo visitando» lo interruppe Seishiro, abbracciandolo all’improvviso da dietro e spingendoselo contro al petto con un sorriso. Subaru arrossì fino alla punta dei capelli, cominciando a balbettare qualcosa, mentre Kurogane si limitava a guardare male Seishiro, un sopracciglio alzato.

«Gli farai venire un infarto un giorno o l’altro» osservò, quando Subaru fu riuscito a liberarsi e a sedersi sul divano a riprendere fiato, fissandosi le scarpe con aria afflitta e imbarazzata insieme.

«Come se gli dispiacesse» rispose Seishiro, con un’alzata di spalle e un nuovo sorriso. Ma non si sedette accanto a Subaru, prevedendo la probabile scenata che gli avrebbe fatto quella notte, se ci provava ancora. Rimase appoggiato con la schiena al muro, a braccia incrociate, stranamente in silenzio.

«Beh? Sumeragi, entro mezzanotte mi spiegheresti…» sbuffò Kurogane alla fine, lasciando la frase in sospeso, notando in effetti che nessuno dei due stava parlando.

«S-sì, scusa» balbettò il ragazzino, evitando accuratamente di guardarlo negli occhi. «Si tratta di Fay-san… eravamo in ospedale e Seishiro ha incontrato questa ragazza, che era in classe con voi… si chiama Karen».

«Emozionante. Cosa c’entra con l’idiota?» sbottò Kurogane, sedendosi a sua volta sul divano, dal momento che la conversazione sembrava andare avanti per le lunghe, dato che Seishiro non aveva chiaramente intenzione di aprire bocca.

Ma quando parlò, il ragazzino aveva un tono di voce totalmente diverso da prima, e improvvisamente Kurogane cominciò ad immaginare del perché si stesse facendo tanti scrupoli. «Fay-san ha una malattia chiamata IRC… insufficienza renale cronica. Per questo ieri è stato ricoverato in ospedale» spiegò Subaru, tristemente. Si mordicchiava il labbro, come se gli facesse male il solo continuare a parlare. «Tu non ne sapevi niente, non è vero?»

Kurogane era rimasto di sasso. Aveva la sensazione che anche il suo cuore avesse smesso di battergli nel petto; e poi, solo un pensiero riusciva a rimbombargli in testa, le parole di Subaru non lo raggiungevano più. Fay se n’era andato e in più gli aveva mentito: si era ammalato, proprio come suo fratello prima di lui.

«Aveva detto…» mormorò, a voce molto bassa, tanto che gli altri due probabilmente non riuscirono a sentirlo, «… che non si sarebbe mai ammalato. Che non mi avrebbe lasciato… che non andava da nessuna parte senza di me».

I pugni stretti sulle sue ginocchia gli facevano quasi male. Si sentiva tremare, sentiva che forse aveva persino cominciato a piangere. Ma non prestava attenzione a quelle cose, né a tutto il resto intorno a sé: tutto ciò che poteva sentire era il dolore e il senso di tradimento nel petto, ancora una volta.

Si sentì improvvisamente solo, bloccato in una stanza vuota piena di angoscia.

***

Non aveva nemmeno sentito Seishiro e Subaru andarsene via da casa sua; e ripeté a sé stesso più volte che non avrebbe mai dovuto lasciarli entrare, almeno poi non si sarebbe sentito così male da non riuscire a dormire.

Si era trascinato a letto, stendendosi tra le coperte a fissare il soffitto. Aveva la brutta sensazione che ci fosse qualcosa di liquido e salato che continuava a scendergli lungo le guance, ma ripeteva a sé stesso che non potevano essere certamente lacrime.

Almeno fu quello di cui si convinse finché il cane non salì sul letto con lui, prendendo a leccargli la faccia. Quando Kurogane si voltò verso il cucciolo, quello in tutta risposta gli leccò una guancia. Come se avesse capito ogni cosa, e il solo scopo che adesso avesse al mondo fosse quello di consolarlo; lo guardò con i suoi occhi azzurri, così dannatamente simili a quelli del biondo, prima di appoggiare il muso sul suo petto e accoccolarsi accanto a lui.

Kurogane non poté fare a meno di sentirsi un idiota. Consolato da un cane. Da un cane stupido come quello poi, che da una settimana che stava lì gli aveva già fatto fuori tutti i calzini.

«Non ti ho ancora dato un nome» mormorò, posandogli una mano sulla testa.

Il cane si limitò a scodinzolare, starnutendogli poi addosso con la sua solita grazia. Ma Kurogane cercò di ignorarlo, per quanto gli era possibile, chiudendo soltanto gli occhi con aria di sopportazione.

«Ti chiamerò Ryu*. È un nome breve e ti sta bene perché sei una furia» sospirò Kurogane, grattandogli appena dietro un orecchio e tornando poi a posare la mano sulla sua testa.

Quel cane così tonto si era già addormentato, proprio nel momento in cui aveva deciso di dargli un nome. Probabilmente aveva percepito che il suo padrone avesse dei problemi, perché in fondo, Kurogane lo aveva già capito, era un bravo cane e si era subito affezionato a lui. Forse era persino anche il contrario.

Ma difficilmente questo avrebbe potuto confortare Kurogane da quello che stava succedendo. Ovunque si trovasse Fay, stava morendo, proprio come suo padre prima di lui e suo fratello Yui; dopo che gli aveva promesso che non si sarebbe ammalato, era successo, e non gliel’aveva nemmeno detto. Probabilmente credeva di aver fatto la cosa giusta.

Era combattuto tra la voglia di rompergli la testa per quello che gli aveva fatto e il desiderio folle che guarisse, così forte che si rese conto di non aver mai sperato che una cosa accadesse con una tale intensità. Avrebbe dovuto affrontarlo, avrebbe dovuto dirigersi all’ospedale in quel preciso istante. Forse l’avrebbe fatto.

Quei particolari che non gli erano saltati all’occhio il momento che aveva visto Fay il giorno prima –si rese conto che poco dopo era stato ricoverato, e pregò che tra le due cose non ci fosse un collegamento- gli tornavano in mente. Fay gli era sembrato stanco, malato. Persino i suoi abiti erano consumati, cosa che si poteva spiegare soltanto considerando il suo assurdo viaggio intorno al mondo quando se n’era andato da casa loro, prima di stabilirsi in America con Kuyo.

Con un fremito di rabbia, si alzò a sedere, togliendosi il cane di dosso, anche se quello continuò a dormire imperterrito sopra alle coperte, incurante del fatto che non avesse per nulla il permesso di starsene lì. Si mise le scarpe alla porta, afferrando la giacca e indossandola in fretta, fermandosi soltanto per darsi un’occhiata allo specchio in entrata.

In realtà, non era un tipo vanesio, ma non aveva potuto non notare che aveva la faccia bagnata di bava di cane –quello stupido cane- e gli occhi rossi. Imprecando, tornò indietro per lavarsi il viso, uscendo poi in tutta fretta.

Erano le una di notte, perciò difficilmente avrebbe trovato un mezzo di trasporto fino all’ospedale, così scese nei sotterranei del condominio e prese la propria moto, guidando con quella fino all’ospedale più vicino. Anche se non aveva idea dell’ospedale dove Fay poteva essere ricoverato.

Quando arrivò nella sala d’aspetto del pronto soccorso, fortunatamente aperto anche a quell’ora, si diresse velocemente verso il bancone delle infermiere, dove una ragazza dai capelli castani di una lunghezza inquietante subito alzò gli occhi sui suoi, perplessa. «Non mi sembra ferito» osservò ad alta voce, con aria poco intelligente, inclinando leggermente la testa, confusa. Il nome sulla sua targhetta da infermiera era “Kobato Hanato”, ma qualcuno aveva cancellato la “K” con un pennarello nero, sostituendola con una “D”.

Kurogane riusciva a capire benissimo il perché, dopo quel commento. «Sto cercando una persona. Si chiama Fay Flourite… so che non è l’orario di visita, ma è importante…» cercò di spiegare, evitando di sembrare troppo agitato qual’era in realtà.

«Oh?» chiese lei, perplessa. «Ma l’orario di visita… l’ha mancato di sette ore» continuò dispiaciuta, afferrando una delle numerose carte che teneva nella scrivania davanti a sé, sotto il bancone, tutte accatastate a caso. «Ah! Se lei è un parente posso chiedere di farla entrare lo stesso però!» esclamò, dopo averlo letto con attenzione, ed averci messo di conseguenza cinque minuti buoni.

Kurogane aveva già deciso di essere gentile con la ragazza, anche perché era l’unico modo che aveva di vedere Fay, ma era realmente esasperato da tutta quella titubanza. Forse era nuova, e l’avevano piazzata al turno di notte perché non facesse danni. «Non sono un parente, ma… viviamo insieme» mormorò allora, con urgenza. «Ho bisogno di vederlo… la prego».

«Io… non lo so» mormorò Kobato, ancora più confusa. Controllò qualcosa sul monitor del computer accanto a lei, mordicchiandosi il labbro. Poi, il suo sguardo sembrò illuminarsi, e la ragazza si alzò sulla sedia dov’era seduta, facendola cadere persino a terra con un tonfo. «Ho un’idea! Mi aspetti qui, vado a vedere se il signor Flourite è sveglio! La sua è una stanza singola, e non disturberà gli altri pazienti se vi parlerete per qualche minuto, giusto? Qual è il suo nome?»

«Sorata Arisugawa» rispose Kurogane, senza esitazione, nonostante gli fosse sceso un brivido freddo lungo la schiena a spacciarsi per quell’idiota. Ma se Fay avesse capito che era lui, forse non gli avrebbe permesso di entrare.

«Capito! Farò del mio meglio!» esclamò Kobato, allegramente.

Senza aspettare che Kurogane le rispondesse, afferrò uno strano peluche blu a forma di cane che teneva sopra la scrivania, sparendo lungo il corridoio che portava agli ascensori. Il moro rimase interdetto quando inciampò a pochi metri da una delle porte, da cui uscì un medico che le intimò di piantarla di correre per i corridoi.

«Ma non stavo affatto correndo, Fujimoto!» sentì esclamare la ragazza.

Fortunatamente, non rimase a battibeccare a lungo con il medico, perché Kurogane si sentiva già abbastanza male senza che tergiversasse troppo. Tornò poco dopo, uscendo dall’ascensore con aria raggiante e parandosi davanti a lui, sorridente. «Il signor Flourite era sveglio e la sta aspettando! Però devo accompagnarla e aspettarla fuori dalla stanza, perché questo è contro il regolamento».

«Mi basta parlargli» mormorò Kurogane, prendendo a seguirla.

«Il signor Flourite è davvero simpatico! Doveva essere dimesso stasera ma forse non si sentiva molto bene…» continuò Kobato, nonostante si sforzasse di mantenere un tono di voce basso, anche se era comunque concitato.

Quando arrivarono al reparto “Terapia intensiva” Kurogane fu quasi felice di trovarsi davanti alla porta della stanza di Fay, perché l’infermiera si zittì, e gli disse soltanto che avrebbe aspettato per tutto il tempo necessario.

Kurogane aprì lentamente la porta, e immediatamente gli balzò il cuore in gola nel vedere l’espressione del biondo, sul letto davanti a sé. Fay probabilmente si stava chiedendo perché lui non somigliasse affatto a Sorata, ed era visibilmente terrorizzato come l’ultima volta che si erano visti. «Ciao» mormorò Kurogane con voce roca, prima che la facoltà di parlare se ne andasse del tutto.

Richiuse la porta alle sue spalle, senza nemmeno avvicinarsi al letto. Fay non gli era parso tanto malato il giorno prima. Forse era la luce soffusa della stanza, dato che solo la lampada al neon sopra al letto era accesa, ma non gli era mai sembrato così fragile come in quel momento.

«Che cosa ci fai qui…? Hai detto all’infermiera…» si agitò immediatamente il biondo.

Kurogane desiderò presto di non essere mai venuto: Fay stava provando in tutti i modi ad alzarsi, incurante di avere la flebo attaccata al braccio, e si divincolò da tutti quei fili, cercando di arrivare a posare i piedi nudi a terra, scosso e sconvolto. «Vattene… vattene via! O io…».

«O tu cosa, idiota?» ringhiò finalmente Kurogane, riprendendo il controllo di sé. Riuscì ad avvicinarsi al letto, cercando di non storcere il naso a tutto l’odore di medicinali che quel posto emanava, afferrando immediatamente Fay per le spalle, senza cattiveria ma con fermezza. «Rimettiti immediatamente a letto» gli intimò, spingendolo contro il cuscino.

Il biondo, con gli occhi stranamente velati, obbedì, ma una volta steso di nuovo afferrò immediatamente la coperta, gettandosela anche sul volto e lasciando appena spuntare un ciuffo di capelli. Kurogane, sorpreso, rimase come imbambolato ad osservare le mani tremanti che stavano aggrappate spasmodicamente al bordo del lenzuolo.

«Che stai facendo adesso?»

«Non devi vedermi! Anzi, tutto questo è semplicemente un incubo» singhiozzò Fay, il suo pianto appena attutito dalla coperta. «Quando riaprirò gli occhi tu non sarai qui…».

«Che tu lo voglia o meno, io qui ci sono e non ho intenzione di andarmene» sbottò Kurogane, incrociando le braccia al petto. «Come cavolo hai potuto fare una cosa del genere? Come ti sei anche solo permesso?»

«M-mi dispiace… vattene via, Kurogane… ti prego…» balbettò Fay, rannicchiandosi ancora di più sul letto.

«Avrei dovuto immaginarlo, che uno come te era in grado di rompere in una sola volta tutte le promesse che mi aveva fatto! Mi chiedo ancora perché mi sono fidato» continuò però l’altro. Si zittì dopo quell’ultima frase, sentendo i singhiozzi di Fay farsi più forti. Non era venuto lì per farlo piangere, anche se c’erano molte cose che avrebbe preteso di sapere. «Ehi» lo chiamò allora, con uno sbuffo. «Non ti dirò più niente, ma non piangere».

«Devi andartene lo stesso!» singhiozzò Fay, senza dare segno di averlo ascoltato.

Kurogane allora allungò lentamente un braccio, andando a posare la mano su una di quelle di Fay, ancora tremanti, e stringendola un attimo dopo. «Non me ne vado. Anzi, ora vado a chiedere all’infermiera se posso dormire qui».

«No!» A quel punto, Fay aveva scoperto il viso rigato dalle lacrime, e lo stava a fissare con terrore. «Kurogane, non ti voglio intorno, mi hai capito?» riuscì a dire, anche se gli costò una fatica immensa modulare il tono di voce in modo che sembrasse risoluto. Purtroppo però Kurogane sembrò accorgersene, nonostante l’attimo iniziale di sgomento che gli aveva letto negli occhi.

«Non mi prendere in giro. Lo hai già fatto abbastanza» sbottò, lasciandogli la mano. «Comunque, non ti preoccupare. Non ho nessuna intenzione di tornare ad amarti». Pronunciare quelle parole gli fece molto male. Ma era un attore migliore di Fay, oppure semplicemente il biondo era meno sicuro di sé, perché capì che gli aveva creduto nel medesimo istante in cui finì di parlare.

Che brutto idiota. Come se non lo stesse amando anche in quel momento, come se il suo più grande desiderio non fosse di stringerlo, salvarlo. Ma non era quello che Fay voleva, e Kurogane si sentiva ferito, perciò feriva.

«Non voglio che tu…» cominciò Fay, ma si zittì immediatamente. Anche se sembrava essere rimasto interdetto, almeno aveva smesso di piangere.

«Non ti muovere. E perché accidenti sei sveglio a quest’ora di notte? Mettiti subito a dormire» sbottò Kurogane, voltandogli le spalle e per tornare in corridoio. «Vado a parlare all’infermiera» lo informò, richiudendo la porta dietro di sé e lasciandolo solo nella stanza.

Fay aveva la brutta sensazione di avere il cuore in frantumi. E tutte le sue certezze, che Kurogane fosse felice dopo tanto tempo, che Kurogane –paradossalmente- lo avrebbe sempre amato, avevano fatto la stessa fine del mucchietto di cocci affilati che gli premeva sul torace.

 

* Ryu vuol dire “drago”, ma ovviamente è anche il nome di Ryuo di RG Veda.. beh insomma, qui è un cane u.u’ (io comunque ce lo vedo molto in questi panni xD)



 

____________________

il capitolo non l’ho spezzato (avrei rimandato il loro incontro), perché mi sembrava troppo sadico. ringraziatemi :D (te ti meriti solo di essere sepolta viva ^^ ndcervello) l’ho chiamato “Strawberry Fields Forever” perché le fragole hanno il colore del sangue e mi sembrava tragico ^^
inoltre, volevo chiedervi che ne pensate di Kurogane che piange °-° non mi ha mai convinta. e soprattutto, dichiaro di amare quell'idiota di Dobato u.u

ook scusate per il ritardo ad aggiornare ma non ho scuse, grazie grazie arrivederci. (????)

 

to Yuma:29: beh credo che le tue preoccupazioni siano piuttosto fondate xD ma tendo a portare tutte le storie verso lieto fini, quindi non ti devi preoccupare in realtà u.u almeno credo.. grazie mille comunque ^^ a presto!!

to __Di: salve *O* dunque ti ho già blaterato la faccenda di come non fossi sicura della malattia di Fay, quindi non ti ripeterò nulla u.u a questo punto ti chiedo solo di correggermi se dico idiozie (comunque non ho approfondito la faccenda, mi sembra giusto dato che ne so proprio poco!).. ammetto che non ricordo molto dello pseudo-delirio-molto-apprezzato che mi hai scritto (è un po' tardi per addentrarmi in tutte le osservazioni che mi hai fatto, sono tipo le una xD), ma sappi che lo amo e spero tanto che continuerai a lasciarmi commenti mooolto interessanti da leggere, perchè mi diverto un sacco °-° a presto! <3


to Shatzy: in realtà non l'avevo affatto programmata come una bugia di Fay! lui credeva di dire la verità a Kurogane sulla sua malattia, insomma, chi mai va a pensare di ammalarsi quando ha fatto tanti esami di accertamento? (anche se nel caso di Fay io un po' me lo immaginerei che la sfiga è sempre in agguato..) se trovi errori gravi nel testo comunque dimmelo pure, non mi offendo anzi (sempre che abbia voglia di correggerli xD) ^^ e grazie mille, alla prossima!

to Julia_Urahara: ci sono riuscita adesso? eh? eh? eh? hai pianto? *O* (ma che cattiveria unica xD) Kurogane come programmato è andato alla carica xD uhm, ma ti ricordi pure che succede dopo? xD io NO! grazie tesoro *-*

to yua: mi scuso per il ritardo ç_ç tantissimo, sono imperdonabile a volte, ma non ero tanto sicura di alcune cose.. e ti correggo, Fay si uccide da solo di pare mentali, io non c'entro nulla!! comunque in questo capitolo IL CANE E' COMPARSO ed è stato battezzato, non merito forse una riduzione dei minuti di vergogna? inoltre è comparso anche Kurogane, anzi Kurogane insieme a Fay :D anche se gli ha detto che non lo ama più io lo trovo un notevolissimo passo avanti u.ù (insomma...) beh ti ringrazio lo stesso anche se ormai mi sa che ci dovrò passare un giorno o due nella torre.. ç_ç

to Herit: pubblicità *w*? wow me la merito? ti ringrazio molto per aver recensito, non è mica detto che ogni lettore lo faccia in fondo u.u (anzi non è detto affatto xD) sono molto felice che la storia ti piaccia :D è quasi un esperimento perchè l'atmosfera forse è un po' più adulta della precedente, o una cosa del genere xD ti ringrazio anche per i complimenti e spero davvero di non metterci più tanto ad aggiornare u.u a presto spero!

harinezumi

 

 

 

prossimo capitolo: you got to hide your love away

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Capitolo 10
*** You Got to Hide Your Love Away ***




Cap 10

You Got to Hide Your Love Away

[Track 3 – Help!]

 

Gather round all you clowns, let me hear you say
Hey you’ve got to hide your love away

«Kurogane, ti ho detto di andare a casa…» sbuffò infine Fay.

Dopo la notte passata insieme all’ospedale, la sua paura si era leggermente acquietata, ma non abbastanza da permettergli di parlare a Kurogane riguardo a quello che aveva fatto tutti quei mesi, come l’altro del resto pretendeva. Fay però aveva deciso che si sarebbe difeso con le unghie e con i denti, tacendo ogni cosa, e anzi dimostrandosi arrabbiato con l’altro, tanto per nascondere il proprio senso di colpa.

In pratica, avevano passato tutta la mattina a battibeccare, Kurogane che gli chiedeva fastidiosamente ogni cinque minuti se avesse bisogno di qualcosa e Fay che si rifiutava anche solo di rivolgergli la parola. Dopo tre crisi isteriche e una in cui aveva cercato di lanciargli la sua colazione addosso pur di cacciarlo, venne fortunatamente il momento in cui poté essere dimesso, circa all’ora di pranzo.

«Non capisco perché hai richiesto una sedia a rotelle» sbuffò Fay, cercando di non alzarsi dalla stessa e fuggire dall’ospedale, da Kurogane. Tanto, probabilmente, lo avrebbe ripreso in pochi secondi e costretto a subire la sua presenza ancora a lungo. Non riusciva davvero più a sentirselo accanto senza poterlo nemmeno sfiorare. «Riesco a camminare perfettamente».

«Se l’infermiera l’ha consigliata un motivo ci sarà. Si vede che hanno capito quanto idiota sei quando inciampi nei tuoi stessi piedi» ribatté Kurogane, per nulla colpito dalle sue parole. Spinse la sedia fino all’ascensore, richiudendo la porta e premendo il bottone del piano terra. «Ti accompagno a casa».

«No» rispose Fay, nervosamente, stando bene attento a non guardarlo negli occhi. Aveva cercato di non affrontare quell’argomento fino ad allora, ma era ormai evidente che Kurogane non l’avrebbe lasciato solo con tanta facilità. «Vorrei che mi lasciassi in pace. Sto benissimo».

«Idiota» sbottò Kurogane, proprio nel momento in cui la porta dell’ascensore si aprì, e loro poterono uscire nel corridoio.

«Dico sul serio, fatti gli affari tuoi» tentò ancora Fay, ma probabilmente non sembrava molto minaccioso, specialmente seduto su una sedia a rotelle. E non l’avrebbe mai ammesso, ma avrebbe fatto una gran fatica ad alzarsi, una volta fuori, perché in certi momenti la testa gli girava, a causa della forte anemia data dall’IRC.

«E chi altro ti porterebbe a casa, altrimenti? Sono proprio curioso di saperlo» chiese allora Kurogane, sbuffando. Non dava segno di essere stato ferito dalle sue parole, come sempre: eppure ci voleva davvero tutto il suo impegno per fargli credere di non essere ancora innamorato di lui.

«Prenderei un taxi. E poi tu non ce l’hai più, un lavoro?»

«Ho chiesto un giorno di permesso. Tu che prendi un taxi da solo in queste condizioni? Non farmi ridere!»

L’infermiera di nome Kobato li vide passare davanti al suo bancone, e li guardò perplessa, prima di urlargli ad alta voce un saluto. Quando si allontanarono uscendo dall’ospedale, la ragazza si rivolse al peluche blu a forma di cane, sempre sulla scrivania: «Signor Ioryogi, sembravano proprio marito e moglie, eh?»

***

«Non entrare» mormorò Fay, non appena la moto di Kurogane parcheggiò davanti alla villa di Ashura e lui ebbe spento il motore. Scivolò via dalle sue spalle, alle quali non aveva nemmeno osato aggrapparsi, per scendere a terra, togliendosi il suo vecchio casco, quello che evidentemente l’altro aveva tenuto nonostante a lui non servisse più.

Kurogane stavolta non rispose per le rime, ma si limitò a guardarlo, sollevando la visiera. «Sei sicuro?» disse infine, con l’unica vera punta di titubanza che aveva dimostrato da quando si erano rivisti.

«Non voglio che tu ti prenda cura di me» spiegò Fay, con un sorrisetto. «Spero di essere riuscito a fartelo capire».

«Spiegami almeno perché te ne sei andato» sbottò Kurogane, alterandosi immediatamente a quelle parole e facendo sparire ogni traccia di gentilezza dalle proprie. «Potevi anche smetterla di mentire, e dire che ti eri stufato di me. Perché anche quella sera mi hai detto una bugia?»

«Come?» chiese il biondo, confuso.

«La sera prima che mi mollassi, idiota. Io ti ho chiesto se eri ancora innamorato di me e tu… non hai dato una risposta chiara perché la tua mente bacata non ne è capace, ma era simile ad un sì» sospirò l’altro, evidentemente poco contento di dovergli spiegare ogni cosa e quindi ricordare certi eventi. «Perché mi hai mentito se avevi già deciso di andartene?»

«Ma… non è per questo…» mormorò Fay, ma con un tono di voce talmente basso che Kurogane dovette capire poco o niente, perché lo guardò perplesso. Il biondo si corresse velocemente, con un debole sorrisetto. «Niente, Kuro-tan» continuò. «Beh… l’hai sempre detto che non mi capisci e sono un idiota. Perciò penso sia inutile risponderti».

Kurogane lo scrutò per qualche attimo, in cui Fay riuscì a stento a trattenere sul proprio viso quella maschera di normalità, quando dentro di sé sentiva il suo cuore urlare che non era quello che voleva. Non voleva che Kurogane credesse che lo aveva lasciato perché non lo amava più. Ma forse era meglio che lui lo pensasse; e poi, se i sentimenti dell’altro ormai non erano più quelli di una volta, era meglio così.

«Ci vediamo» lo salutò alla fine Kurogane, distogliendo gli occhi dai suoi bruscamente e abbassandosi la visiera.

Fay fece un passo indietro, soffermandosi per qualche istante a guardare la moto partire, cercando di mantenere un sorriso in volto. Non sentì nemmeno le sue labbra aprirsi per ricambiare il saluto di Kurogane: sentiva poco o niente, in quel momento. Il rombo della moto che si allontanava era un semplice ronzio nelle sue orecchie.

Il suo cuore, invece, stava facendo un rumore assordante, mentre gli batteva nel petto; ma non poté fare a meno che cercare di riprendersi e entrare in casa, cercando senza successo di tornare a respirare con regolarità. Ora poi aveva una ragione in più per non farsi venire nessuna crisi; o Kurogane sarebbe accorso subito in ospedale, facendolo sentire doppiamente la persona più stronza del pianeta.

Però, come gli diceva sempre Ashura con un sorriso, il cuore ha ragioni che la ragione non conosce*.

Quindi, per quanto ci provasse, calmarsi dopo aver passato appena dodici ore con Kurogane in sei mesi interi, gli era semplicemente impossibile. Dal momento che aveva rivisto i suoi occhi cremisi, i suoi capelli spettinati, le sue labbra incurvate in quella smorfia che gli piaceva tanto, aveva capito con una fitta al petto che non sarebbe riuscito a separarsi di nuovo da lui, se non si fosse impegnato con tutto sé stesso.

Quando sentì il cellulare squillare, sussultò dalla sorpresa, perché era almeno un quarto d’ora che stava appoggiato con la schiena alla porta chiusa della villa, e solo in quel momento si risvegliò bruscamente. «Ciao, Sorata» mormorò con sollievo, quando vide il numero sul display e rispose.

«Fay! Stai bene, vero? Mi dispiace averti lasciato da solo, fortuna che c’era Karen!» esclamò l’amico dall’altro capo.

«Già, ma non dovete preoccuparvi tanto per me!» rispose in fretta Fay, pur sapendo che era una richiesta inutile. «Avrei voluto chiamarti, ma poi non ne ho avuto il tempo… e Kurogane si è presentato in ospedale!» Una risatina forzata –un po’ troppo, accidenti a lui, Sorata non era così stupido-. «Non sai che fatica ho fatto a mandarlo via…».

«Kurogane?» Sorata stette in silenzio per un po’, per poi riprendere a parlare, lentamente. «Tu stai bene?»

«Sì, certamente! Stai tranquillo!»

«Bene, perché devo dirti che purtroppo dovrò tornare ad Osaka prima del previsto, tra soli tre giorni. Comunque ho già pensato ad assumere qualcuno che ti dia una mano al negozio, d’accordo?»

«Oh… mi spiace, devi già andare a casa? Comunque nessun problema!»

La conversazione continuò su quei toni, ma, quando riattaccò, Fay aveva la spiacevole sensazione che nonostante tutti i suoi “non ti preoccupare”, Sorata si stesse preoccupando eccome. In ogni caso, era stato arduo per lui dover chiedere aiuto ai propri amici, quindi non aveva comunque intenzione di scocciarli più con i suoi problemi.

In fondo era meglio così, che tutti se ne andassero. Che lo lasciassero solo.

***

Quel pomeriggio Fay tornò al lavoro, nonostante avesse ancora tutta la giornata presa per malattia; comunque, ignorò le proteste di Sorata, e disse che l’aveva fatto unicamente per conoscere il suo nuovo collega. Non poteva certo ammettere che rimanere troppo tempo solo nella villa di Ashura lo stava facendo impazzire.

Non aveva mai raccontato a nessuno del tipo di rapporto che l’aveva legato al suo tutore; forse perché in parte ne era geloso e lo considerava un ricordo segreto, nonostante non avesse mai provato per Ashura quello che Ashura provava per lui. Eppure ricordava bene come ad un tratto, nella sua adolescenza, non c’era più stato soltanto suo padre al suo fianco, ma qualcuno che era più di questo, qualcuno che aveva preteso di considerarsi tale.

Forse, pensò arrossendo mentre stava appoggiato al bancone nel negozio con lo sguardo perso nel vuoto, Ashura poteva considerarsi il suo primo amante. Ma il suo primo amore era stato certamente qualcun altro; e lui non aveva mai assecondato Ashura di sua spontanea volontà, né tutte le cose che gli faceva, probabilmente non le più adatte da provare sul proprio figlio.

«Ehm, mi scusi» lo chiamò una voce incerta all’improvviso.

Fay alzò in fretta lo sguardo, arrossendo ancora di più per essere stato colto nel bel mezzo di un viaggio mentale sul posto di lavoro, posando gli occhi sul ragazzo davanti a lui, che lo guardava perplesso. Indossava la divisa nera di un qualche liceo, aveva i capelli scuri e portava degli occhiali rotondi; ma la cosa più sorprendente erano i suoi occhi, di colore diverso, uno ambrato e uno azzurro.

«Cosa posso fare per te?» domandò subito Fay, affrettandosi a sorridere.

«È lei il signor Sorata?» chiese l’altro, ricambiando il sorriso educatamente, mentre una scintilla rassicurata gli compariva negli occhi. Probabilmente Fay doveva averlo spaventato, mentre era perso a fissare il vuoto senza notarlo.

«No, non sono io!» esclamò allegramente Fay, facendo un giro intero sullo sgabello ruotabile su cui stava seduto. Sorata gli aveva intimato di occuparsi delle faccende che richiedevano meno sforzo possibile, finché non arrivava il nuovo aiuto. «Però puoi parlare pure con me, credo che lui sia meglio non disturbarlo. È uscita la ristampa di un manga di cui non vedeva l’ora di leggere la fine, perciò sarà in magazzino a leggere gli ultimi numeri!»

«Capisco… ehm, mi chiamo Kimihiro Watanuki. Avevo chiamato il signor Sorata per un lavoro qui, mi aveva detto che potevo cominciare da oggi…».

«Ah, sì!» rispose Fay, interrompendolo. Gli porse una mano, allargando il proprio sorriso. «Sono Fay Flourite. Da oggi saremo colleghi di lavoro!»

Watanuki parve per un attimo perplesso da tutta quella spontaneità al primo incontro, ma per quanto non proprio a suo agio sembrò apprezzare la simpatia di Fay, perché gli prese la mano per stringerla. «Piacere di conoscerla».

«Dammi pure del tu! Io l’ho fatto, no?»

Watanuki annuì, ma Fay non sembrò particolarmente attento a quel suo gesto, considerandolo scontato, per tirarlo dalla stessa mano che si erano stretti via dal bancone, scendendo dallo sgabello. «Vieni, ti faccio vedere il negozio!» esclamò, tutto contento, trascinandoselo dietro.

Probabilmente doveva averlo spaventato parecchio dopo venti minuti che andava avanti a dire idiozie, quindi se non era ancora scappato doveva essere proprio il ragazzo adatto a lavorare lì. Fay era così contento di aver trovato un passatempo dalla sua malinconia che ad un certo punto urlò verso il magazzino, incurante che ci fossero dei clienti poco distanti da loro: «Ehi, Sora-chan! Ottima scelta!»

Ricevette in risposta una specie di pianto ininterrotto –colpa del manga, probabilmente-.

«Ehm, forse è meglio che vada a vedere come sta» osservò Fay allora, voltandosi verso un terrorizzato Watanuki. Portò di nuovo il ragazzo alla cassa, mostrandogli come utilizzarla, per poi sparire sul retro, in magazzino.

«Ehi, Sorata!» chiamò, avvicinandosi esitante alla scrivania alla quale l’amico stava seduto, con la faccia spalmata sul tavolo e stringendo ancora tra le mani un manga. «È finito male, sì?»

Sorata alzò lo sguardo, gli occhi pieni di lacrime. «Io… non avrò più fiducia nell’umanità…» disse soltanto, suscitando le risa di Fay, che gli prese il volume dalla mano, per portarlo il più lontano possibile dalla sua vista.

«Ma dai, lo sai come sono fatte le autrici» minimizzò, nascondendo il manga dietro la schiena. «Di là c’è il ragazzo nuovo! È molto simpatico, ma credo di averlo un po’ spaventato…» ridacchiò, pensando alla faccia di Watanuki mentre gli illustrava il criterio con cui disponevano i manga. Probabilmente uno “stanno messi nell’ordine in cui sono piaciuti a Sorata” non era ciò che il ragazzo si aspettava.

«Sei sicuro di potertela cavare solo con lui?» chiese l’amico, improvvisamente fattosi serio.

«Cosa? Ma certo! Che domande sono» rispose Fay, con una risatina.

«Senti, potrai anche riuscire a fregarmi per telefono, ma io lo capisco quando in te c’è qualcosa che non va» liquidò il suo sorriso Sorata, con uno sbuffo. «Non voglio che tu sia triste. Ma forse dovresti lasciare che Kurogane ti aiuti, dato che mi sembra sia quello che vuole».

«Ma non posso permettere proprio a Kurogane di aiutarmi» mormorò Fay. «Non voglio essergli di peso ulteriormente. Ho già fatto abbastanza, e sono contento che almeno lui sia riuscito ad andare avanti».

Sorata lo guardò, alzando un sopracciglio. «Da quello che ho sentito, non è proprio così. Ha passato dei mesi d’inferno, è stato quasi licenziato».

Fay abbassò lo sguardo a quelle parole, tristemente. «Vedi, è meglio che non gli stia intorno. Lui è una bella persona, e merita di essere felice… con me non potrebbe mai esserlo. E poi, mi ha detto che non mi ama più».

«Te lo ha detto?» esclamò Sorata, sorpreso. Si era persino alzato dalla sedia, da vero migliore amico, a volte era davvero impagabile nel suo modo di scandalizzarsi quando qualcuno trattava male Fay.

«No, beh… me l’ha fatto capire. Ha detto che non ha intenzione di tornare ad amarmi». Fay non immaginava che quelle parole potessero fargli di nuovo tanto male, anche se non era Kurogane a pronunciarle. «Io devo farmi da parte e rispettarlo… è quello che avevo intenzione di fare fin dal primo momento che ho capito di essermi ammalato. Perché lo amo».

 

* è una citazione di Pascal


 

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ci sono un paio di frasi che non mi convincono per nulla >.< ma pazienza. il manga che Sorata sta leggendo è ovviamente X.. ho pensato in maniera ottimista a come avrebbe potuto reagire alla fine :D

 

to Julia_Urahara: questo capitolo è divertente, dai.. (? forse) c'è Watanuki, sei contenta? forse avrei dovuto inserire anche Domeki, non saprei u.u alla fine è impossibile ficcare tutti i personaggi delle CLAMP in una sola fic xD comunque grazie moglie u.u spero di averti resa un po' felice aggiornando <3

to Evriz: io vi avevo avvertiti! vi avevo avvertiti tutti D: (stile vecchina che ha predetto l'Apocalisse) comunque sono consapevole che la storia è tristissima, e ti ringrazio di averla recensita proprio per questo u.u sono stata un po' bastarda con quei due questa volta. grazie anche per tutte le cose carine che hai detto *-* luccico di gioia.

to __Di: indugia su quello che vuoi, amo le tue mega-recensioni! solo mi dispiace di non poter commentare tutto quello che mi scrivi xD Seishiro e Subaru servono solamente per rendere tutto più allegro (il che è tutto dire).. ma la cosa veramente inquietante (in senso positivo) è che ti sei andato a cercare i punti in cui avevo scritto le affermazioni di Fay! o.o non credo di averlo fatto nemmeno io all'epoca xD del resto l'hai notato che sono disattenta e, convintissima di aver corretto tutti gli errori del capitolo, l'ho pubblicato SENZA il nome intero di Sorata xD la parte dell'ospedale non mi convinceva molto. però ho avuto mio padre in ospedale per tanto tempo, quindi ho supposto che fosse quantomeno plausibile. Kurogane non lascerà mai Fay u.u ne sono profondamente convinta quindi questa è la piega che prende la storia. Fay... Fay è un povero idiota ç_ç infatti è un po' isterico, si noterà anche negli altri capitoli. fondamentalmente, l'idea di questa storia è nata dal voler descrivere un Fay con il carattere che assume diventando vampiro dopo Acid Tokyo... specie nei confronti di Kurogane. stavolta però ti correggo, ho fregato yua prima che mi recensisse, così non mi becco nessun minuto nell'angolo buio! ma tu vieni lo stesso che ne ho ancora tanti da scontare ç_ç grazie mille, davvero!

to Herit: quello di Kurogane è solo un pianto implicito, non l'ho proprio scritto! quindi probabilmente se mai avesse pianto (a parte da piccolo) sarebbe stato così u.u (mi sto vantando da sola) comunque vedo che il cane riscuote successo! evvai, l'unica cosa bella della storia poverino xD ora Kurogane e Fay interagiranno molto di più, perciò anche se sei angosciata spero che la cosa ti renda felice! (anche se ne dubito) grazie milleee ^^

to Shatzy: ho corretto uno degli errori che mi hai detto ^^ l'altro non l'ho visto xD dovrei proprio rileggere tutto con attenzione. il problema principale è che ho scritto la storia a settembre e l'ho riletta così tante volte -proprio per correggerla in realtà- che gli errori mi sfuggono! comunque grazie di avermi detto i pezzi che ti sono piaciuti di più :D anch'io lo faccio quando recensisco, mi fa piacere ^^ per il resto, ti dirò solo che il cane è uno spirito libero u.u probabilmente credeva di fare la cosa giusta addormentandosi come niente in un momento tanto tragico xD grazie mille, alla prossima!

 

harinezumi

prossimo capitolo: it won't be long

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Capitolo 11
*** It Won't be Long ***



Cap 11

It Won’t be Long

[Track 1 – With The Beatles]

 

Now you’re coming, you’re coming at home
I’ve been good like no one should

«Preferirei che non venissi qui ogni giorno» affermò Fay, alzandosi in piedi dopo aver finito di sistemare dei manga in degli scaffali in basso. Quando rialzò lo sguardo sul bancone del negozio, vide che purtroppo Kurogane era sempre lì appoggiato e non sembrava intenzionato a sloggiare.

«Preferirei che tu rimanessi in vita. Che pensi che accadrebbe se tu fossi qui da solo, quando il ragazzino* è a scuola, e avessi bisogno di aiuto?» sbottò Kurogane, aggrottando la fronte. Gli pesava molto presentarsi ogni giorno al negozio, anche se Sorata non era ancora partito, perché si sentiva un idiota a palesare in modo così aperto il suo amore per Fay, anche se in effetti il biondo non sembrava accorgersene.

«Non sono affari tuoi» ribatté Fay, serafico, fronteggiando la sua occhiata malevola senza battere ciglio. «E ancora non riesco a capacitarmi com’è che al lavoro ti lascino uscire quando ti pare».

«Ho degli orari flessibili» rispose Kurogane con noncuranza. Certo, non poteva mica dirgli che correva lì ogni volta che ne aveva la possibilità, anche se si trattava soltanto di un’ora buca. Non aveva fatto nemmeno in tempo a cambiarsi, infatti era in tuta e aveva ancora la sacca da ginnastica.

«In ogni caso me la so cavare da solo, non occorre che mi segui come un cane» sospirò Fay, sedendosi svogliatamente alla cassa. La mattina non c’erano molti clienti, e Sorata era chissà dove, anche se lo sapeva benissimo che a quell’ora Kurogane sarebbe stato lì; forse aveva fatto apposta a lasciarli così brutalmente soli. Fay doveva ricordarsi di ringraziarlo.

Ma Kurogane in effetti pareva essere rimasto colpito dalle sue ultime parole, perché prima s’incantò a fissare davanti a sé con orrore, poi imprecò a bassa voce. «Il cane! Scusami, devo andare… tornerò domani».

«Non serve, grazie» sbuffò Fay, sebbene la faccenda del cane lo incuriosisse parecchio. «Hai un cane, Kuro-bau?» si ritrovò a chiedergli. Quella sua stessa domanda lo fece precipitare all’istante nella sua malinconia cronica: aveva evidenziato in una sola frase come ormai non sapesse più nulla di Kurogane e in più come ancora inconsapevolmente lo definisse con i vecchi nomignoli.

Forse però l’altro non se ne accorse, perché rispose distrattamente, raccattando la sacca da terra. «Quello non è un cane, è il demonio… ci vediamo, vedi di non morire» lo salutò, senza nessuna cortesia.

«Cercherò d’impegnarmi» sbottò Fay, cercando di sembrare infastidito da tutte quelle libertà che l'altro si prendeva. In parte, era realmente frustrato: non riusciva a cacciare Kurogane in nessun modo, e non era una buona idea considerando che non avrebbe più voluto avvicinarsi a lui.

Il moro si avvicinò alla porta, ma si fermò improvvisamente non appena ebbe appoggiato la mano sulla maniglia. Si voltò, guardando Fay. «Tu dov'è che mangeresti?»

«Qui. Non ho il tempo di tornare a casa» rispose il biondo, rassegnandosi al fatto che Kurogane era capace di fargli confessare qualunque cosa con una sola occhiata.

«Tra dieci minuti chiudi, no? Vieni con me» lo invitò l’altro, senza pensarci due volte. Non avrebbe voluto sembrare così entusiasta all’idea (a parte che l’entusiasmo di Kurogane era manifestato appena da una lieve distensione della sua ruga in mezzo agli occhi), ma le parole gli erano uscite di bocca prima che potesse pensarci troppo.

«Ora sai cucinare? E lo faresti per me?» Fay proruppe in un risolino malinconico. «Sono cambiate davvero tante cose, eh, Kuro-chan?»

Kurogane non gli rispose nemmeno, ma rimase a guardarlo fisso per tutto il tempo che Fay ci mise a rispondergli. Il biondo non seppe in quale maniera, né perché, ma alla fine di quel silenzioso interrogatorio disse di sì.

***

«Stai giù, dannazione! Ryu!» gridò Kurogane, afferrando il cane per il collare, cercando di tirarlo via da Fay, steso a terra sulla soglia della porta.

Ryu era ancora un cucciolo, e non conosceva certo il biondo, ma chissà per quale ragione gli era saltato addosso con una forza sovraumana non appena lo aveva visto, quando Kurogane aveva già varcato l’ingresso. Gli aveva leccato tutta la faccia, e Fay non era stato capace nemmeno di respirare dalle risate, finché Kurogane non glielo aveva levato di dosso.

«Stai bene?» domandò il moro, porgendogli una mano, mentre con l’altra teneva il cane uggiolante.

«Sì…» mormorò Fay, alzandosi in piedi da solo, senza volontariamente afferrarla. Mentre Kurogane la ritraeva, con un’espressione mesta, il biondo si concentrò sul proprio respiro, ma fortunatamente era appena corto e non sembrava che fosse in arrivo una crisi di qualche genere. «Ryu è adorabile!» esclamò, cominciando a coccolare il cane, finalmente libero e scodinzolante. Ma non stava in effetti nemmeno parlando con Kurogane, quando lo disse. «Ma come sei simpatico! Mi vuoi già bene?»

Ryu si limitò a scodinzolare più forte, e Kurogane cercò di levarsi dal cervello l’idea che i cani provano spesso gli stessi sentimenti dei padroni verso le altre persone.

«Vado a preparare qualcosa» informò il biondo, che però era totalmente immerso nel fare le coccole al cane, come se lui non esistesse. Ryu del resto sembrava essersi totalmente innamorato di Fay, si era persino steso a pancia in su sul tappeto del salotto.

Per qualche momento, Kurogane rimase a guardare di sottecchi dalla porta della cucina il soggiorno, e si maledisse per il sorriso che continuava a spuntargli sulle labbra. Vedere Ryu così felice lo faceva stare bene: si era affezionato a quel cane idiota. Ma vedere Fay in generale lo stava facendo letteralmente impazzire: il biondo era tornato in quella casa, e gli sarebbe bastato poco o niente per aprire bocca e dirgli che lo amava.

Ma non era quello che Fay voleva. Fay lo aveva lasciato, era andato a crogiolarsi nel ricordo di Ashura negli Stati Uniti, aveva preferito che fosse qualcun altro a prendersi cura di lui: anche in quel momento, non capiva perché aveva accettato il suo invito. Probabilmente, era incuriosito di vedere Ryu. In nessun modo l’aveva fatto per Kurogane; perché Fay non lo amava più, e doveva aver speso quei mesi facendo quello che realmente desiderava, che non era stare con lui.

E non c’era nulla di più importante per Kurogane della felicità di Fay. Se stargli lontano era quello che voleva, l’avrebbe accontentato: ma non era ancora fisicamente pronto a lasciarlo andare. Finché Fay non l’avesse cacciato (cosa che in effetti aveva cercato di fare più di una volta), l’avrebbe aiutato e sarebbe stato al suo fianco.

«Ti ricordi l’ultima volta che abbiamo mangiato qui?» domandò inaspettatamente il biondo, interrompendo i suoi pensieri e facendolo voltare dai fornelli verso la soglia della cucina. Fay era lì appoggiato, e fissava il tavolo con aria malinconica.

«No» rispose Kurogane, con uno sbuffo. Mentiva spudoratamente, ma Fay non si meritava una risposta proprio a quella domanda. «È pronto».

«Oh! Hai fatto gli okonomiyaki!» esclamò il biondo, avvicinandosi con interesse ai fornelli, ignorando il fatto che l’altro avesse storto il naso. Cercò di non far notare quanto lo avesse rattristato la risposta di Kurogane. «Sei veramente capace di cucinare!»

Kurogane lo guardò malissimo, tanto che Fay indietreggiò, andando a sedersi a tavola con un sorrisetto di scuse. «Io avrò anche imparato a cucinare, tu però non hai imparato a tenere la bocca chiusa» sbottò quasi lanciandogli davanti il piatto con il suo okonomiyaki.

«Ehm, Kurogane, il tovagliolo» lo informò Fay, notando il modo alquanto approssimativo con cui l’altro aveva preparato la tavola.

«Prenditelo» fu tutta la risposta, in un tono a dir poco seccato.

Fay non riuscì ad arrabbiarsi, ma scoppiò in una risatina, alzandosi in piedi (costantemente tallonato dal cane che lo aveva seguito dal soggiorno, nonostante avesse il pranzo nella ciotola) e andando a raccattare due tovaglioli dove li avevano sempre tenuti. In effetti, se qualcuno li avesse visti in quel momento, avrebbe detto che non era cambiato un granché tra di loro.

Il biondo tornò a sedersi, piegando e mettendo accuratamente il tovagliolo anche al posto di Kurogane. Lo aspettò con diligenza, prima di cominciare a mangiare, in silenzio, insieme a lui.

«Stavo pensando…» cominciò improvvisamente Kurogane. Fay non aveva accennato a spiccicare mezza parola, ma alzò gli occhi dal piatto quando lui aprì bocca. «Forse potresti tornare a stare qui».

Fay non si rese per un attimo conto che gli era caduta rumorosamente la forchetta sul piatto. Sì, perché l’altro gli aveva dato una forchetta, lo sapeva benissimo che era totalmente imbranato con le bacchette. Rimase a fissarlo a bocca aperta, senza rispondere, mentre Kurogane gli sembrava –possibile?- imbarazzato, anche se non evitava il suo sguardo.

«Non è che la prospettiva mi faccia impazzire» precisò allora. «Ma in fondo non stiamo più insieme. Se venissi a stare qui potrei aiutarti».

«Non se ne parla!» esclamò allora Fay, alzandosi bruscamente in piedi. «Nemmeno dovevo venire adesso».

«Perché, hai tanta fretta di morire da solo come il tuo prezioso Ashura?» sbottò Kurogane, irritato da quella risposta. In fondo stava solo cercando di essere gentile.

Nemmeno sentì lo schiaffo che Fay gli tirò su una guancia un attimo dopo, ma l’espressione ferita che vide sul suo volto quando alzò gli occhi sui suoi glielo fece risuonare nelle orecchie per cinque minuti buoni, assieme al forte dolore che gli invase il petto.

Il biondo incespicò sulla sedia, ma se ne liberò, uscendo dalla cucina con passo deciso, pieno di rabbia, e gli occhi pieni di lacrime. Però, quando posò la mano sulla maniglia della porta d’ingresso, sentì benissimo che Kurogane lo aveva seguito e gli aveva afferrato un polso.

Come in un sogno, capì che lo stava tirando di nuovo indietro, verso di sé, contro il proprio petto, e lo stava abbracciando talmente forte che l’unica cosa che gli impedì di prolungare quel contatto fu il bisogno di respirare.

«Lasciami» ansimò, ringraziando il cielo che lui non lo potesse vedere negli occhi, dato che lo stava stringendo da dietro.

«Ti prego, vieni a stare qui… non voglio che tu muoia per la tua stupidità» gli rispose Kurogane. Aveva una voce straordinariamente tranquilla, calda, rassicurante, quasi quanto il suo abbraccio, soltanto lievemente allentato.

Fay non riusciva a fare altro che farsi salire sempre di più le lacrime agli occhi, non poteva certo rispondergli in quella situazione. Ryu li guardava scodinzolando, dopo averli seguiti fino al corridoio, il che lo fece stupidamente ridere. «Il cane…» mormorò, allungando appena una mano perché l’animale la leccasse, contento. «Credo che al cane piacerebbe che io restassi».

«È un sì?» chiese Kurogane, appena titubante, sciogliendo ancora di più quell’abbraccio.

Quel breve momento di intimità tra loro si stava spegnendo in fretta; e ne erano consapevoli entrambi, perché si lasciarono con decisione, anche se con un’espressione decisamente mesta in viso.

«Può essere» mormorò Fay, stando bene attento a non guardare Kurogane negli occhi, una volta voltatosi lentamente verso di lui, ma spostando lo sguardo sul cane a cui stava grattando un orecchio. «Sorata sarebbe contento. E anche Kuyo. Io… non ti disturberò».

«Ti ho chiesto di stare qui, non mi disturberesti in ogni caso. Io posso dormire sul divano finché non prenderò un letto da mettere nello studio».

«No» esclamò Fay, alzando bruscamente lo sguardo e mordicchiandosi il labbro. «Non voglio che tu dorma sul divano! Cercherò io un letto, io… non sono neanche sicuro che sia una buona idea stare qui». Non sono sicuro perché diventerà difficile non dirti che ti amo. Ma questo non lo disse.

«Credimi, è la cosa migliore».

***

«Ho visto che c’è qualcuno con te, oggi» mormorò la dottoressa Satsuki, alzando gli occhi dalla cartella clinica di Fay, appoggiato alla sua scrivania con un gomito.

«Mh? Sì, è il mio coinquilino» affermò Fay, con un sorrisetto, pensando a Kurogane fuori dallo studio ad aspettarlo.

«Sono contenta che hai deciso di abitare con un’altra persona. Non ti sentirai molto bene i primi tempi della dialisi». La dottoressa era molto gentile, ma piuttosto diretta. Portava i capelli corti e gli occhiali, ed era stata con Fay anche in America, in quanto era una delle collaboratrici di Ashura; era stata lei a scoprire la sua malattia ancor prima che lo facesse lui.

«È stato molto buono ad offrirmi questa possibilità» sussurrò appena Fay.

La dottoressa non sembrò notare la malinconia nel tono delle sue parole, ma gli passò una ricetta medica con un sorriso quasi accennato, il che era il massimo che riusciva a fare di solito. «Devi prendere queste una volta ogni due giorni, va bene? Ci dobbiamo anche vedere venerdì».

«Grazie» rispose Fay con un sorriso, tornando a dimostrare la sua solita allegria, anche se negli ultimi tempi gli riusciva in maniera piuttosto fiacca. Prese la ricetta, uscendo dallo studio della dottoressa dopo vari saluti.

Sorata era partito quella mattina, e Kurogane aveva preteso di accompagnarlo fino all’ospedale per l’appuntamento che aveva. Era inspiegabile per Fay come il moro improvvisamente non avesse più in lavoro e non studiasse più, da quando era rientrato nella sua vita; ma finché Kurogane giurava che andava tutto bene, non poteva aprire bocca.

«Andiamo?» gli chiese, quando si accostò alle sedie d’aspetto del corridoio dell’ospedale. «Però dovrei passare in farmacia, forse è meglio che tu vada a casa».

«No, faccio io» fece con noncuranza Kurogane, allungando una mano perché gli passasse la ricetta. Si era alzato in piedi e gli si era accostato, con tutta la naturalezza del mondo, come se tra loro non fosse mai successo nulla di spiacevole. «Tanto la farmacia è qui fuori, no? Tu aspettami al parcheggio».

«Ma perché, non sono mica un bambino…» sbuffò Fay, infastidito. Certo, potevano essere tornati minimamente in intimità, ma non avevano ancora smesso di battibeccare per ogni inezia.

«Fallo e basta» sospirò Kurogane. «Tieni le chiavi della moto».

A Fay toccò fare esattamente quello che gli era stato detto, e una volta arrivato alla moto vi si appoggiò, arricciando il naso nel notare la figura di Kurogane poco più in là, mentre entrava nella farmacia.

«Chi si crede di essere…» sbottò tra sé e sé, anche se i suoi pensieri vennero presto interrotti da uno squillo di cellulare che lo fece sobbalzare.

Chissà perché Kurogane aveva tenuto per sei mesi interi la stupida suoneria che lui gli aveva affibbiato, quella de “La Sirenetta”. Con le mani tremanti a causa di questa domanda che gli martellava in testa, Fay raccattò il cellulare dal vano dentro il sedile della moto, dove Kurogane lo aveva dimenticato, e leggendo il display notò che era la scuola dove lavorava.

«Pronto?» rispose, non vedendo Kurogane arrivare.

«Pronto? Professor Suwa?» domandò una voce femminile, perplessa.

«No… mi scusi, il professore non può rispondere adesso. Sono il suo coinquilino, se è importante posso riferirgli un messaggio» si affrettò a spiegare Fay, rendendosi improvvisamente conto di non avere più nessun diritto a rispondere alle chiamate di Kurogane. Le parole “fidanzato” e “coinquilino” avevano due significati molto diversi.

«Capisco» disse la donna, dopo una piccola pausa. Fay ebbe la strana sensazione che lei avesse capito molte cose dall’unica frase che le aveva detto. «Sono la preside della scuola del professore. Beh, può dirgli che se ha intenzione di organizzare le gare di primavera e mantenere il suo lavoro, è meglio che si presenti alle riunioni, domani. Ha saltato sei ore in quattro giorni, è inammissibile!»

Fay sentì il cuore salirgli in gola, ma cercò di non balbettare, quando rispose. «S-sì, certo, lo scusi. Ha avuto dei problemi». Già, ha avuto me a cui pensare. «Glielo dirò, non si preoccupi. Non mancherà più».

Il biondo riuscì a mantenere quasi la calma quando vide Kurogane uscire dalla farmacia, anche se avrebbe tanto voluto corrergli incontro per picchiarlo. «Buona giornata a lei» rispose distrattamente alle parole che la preside gli aveva rivolto, riattaccando.

Incrociò le braccia, quando Kurogane, senza nemmeno guardarlo, si accostò a lui, gettando il sacchetto con le medicine nel vano aperto e prendendovi il casco. «Beh, togliti se vuoi andare» sbottò senza gentilezza, notando che Fay rimaneva appoggiato al manubrio a fissarlo con aria buia. «Hai dimenticato di chiedere qualcosa alla dottoressa?»

«No» sibilò Fay, gettandogli letteralmente il telefono addosso. Con la coordinazione e i riflessi che lo contraddistinguevano, Kurogane riuscì ad afferrarlo, guardandolo con aria allibita. «Mi hai mentito! Il tuo lavoro non va bene e ti ostini a starmi costantemente intorno, nonostante io ti abbia detto chiaramente che non voglio!! Ti ha telefonato la preside, e non sembrava contenta…»

«Ehi» lo interruppe Kurogane, chiaramente arrabbiato. «Io faccio quello che voglio con il mio lavoro, da quando ti ho detto che puoi rispondere al mio telefono?»

«Quello che volevi l’hai ottenuto no?» gridò Fay, tirando un calcio alla moto, anche se fece fatica a non urlare dal dolore poi, dato che il veicolo non si spostò di un millimetro. «Ora sto da te, quindi fammi un favore, occupati di te stesso! Mi hai sentito? O è un concetto troppo difficile da capire?»

Furente, afferrò il sacchetto dei medicinali, ignorando Kurogane che lo fissava a metà tra il furioso e l’allibito, e lo lasciò lì dov’era, correndo via. Anche se sapeva benissimo che era stato lui a commettere un errore, stabilendosi da Kurogane: ma stando così le cose, almeno sarebbe riuscito a costringerlo ad andare a lavoro.

Non poteva in nessun modo lasciare che lui si rovinasse la vita a causa sua. La vita di troppe persone era già stata rovinata a causa sua.



*si riferisce a Watanuki u.u magari non era chiaro xD (a me rileggendo, no)




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oh ma guarda, ci ho messo duemila anni ad aggiornare! ma non se n’è accorto nessuno scommetto ^^ muahahah! *fugge via sperando che se la bevano (?)*
ps: da qui in poi non sono responsabile del casino di dolore e tristezza che ho scritto.
pss: non lo ero neanche prima ç_ç
psss: fate finta che nella dieta di Fay anche se è malato gli okonomiyaki ci stiano benissimo u.u
 
ringrazio tantissimo Julia_Urahara, yua, Shatzy, Herit e quell’amabile ragazzo che è __Di, ma non credo di avere abbastanza neuroni per fornirvi risposte alle recensioni al momento, lo farò comunque la prossima volta ç_ç accontentatevi del fatto che ho aggiornato.. e ok, ora mi uccidete. meglio che me ne vada ^^’ e, ehm, grazie anche a chi legge semplicemente <3


harinezumi

prossimo capitolo: i’m looking through you

 

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Capitolo 12
*** I'm Looking Through You ***


Cap 12

I’m Looking Through You

[Track 10 – Rubber Soul]

 

Love has a nasty habit
Of disappearing overnight

«Quanto sei idiota».

«Vattene, so fare da solo!»

Nemmeno mezz’ora dopo che Fay era fuggito da Kurogane, si ritrovavano di nuovo in ospedale. A duecento metri dal parcheggio il biondo, che non si reggeva sulle gambe, era inciampato sul muretto di un marciapiede ferendosi poco sotto il ginocchio destro.

Non era un taglio molto grande, ma profondo, così gli avevano dato un paio di punti dopo che Kurogane era riuscito a convincerlo a tornare al pronto soccorso.

In realtà, anche se alla fine era riuscito a farla sembrare una decisione sua, le guance di Fay bruciavano comunque per la vergogna. Aveva fatto veramente di tutto pur di non essere un peso per Kurogane, aveva anche cominciato già a pensare di andarsene dal loro vecchio appartamento, ma l’altro glielo aveva proibito in una maniera a dir poco imbarazzante. Lo stava portando in braccio stavolta, fuori dall’ospedale verso la moto.

E gli aveva detto (o più che altro urlato) che se se ne fosse andato non gli avrebbe più rivolto la parola, ad alta voce, di fronte ai ben tre infermieri che li avevano aiutati.

Così, era piuttosto difficile per Fay non sentirsi trattato come un bambino, e in più anche molto in colpa per tutto lo stress che visibilmente stava accumulando Kurogane ad occuparsi di lui.

«D’accordo» fece il moro all’improvviso, facendo mancare la presa del suo braccio sotto le ginocchia di Fay, che si ritrovò con una smorfia di dolore a dover appoggiare i piedi a terra. Poi, Kurogane gli lasciò anche le spalle, sorpassandolo per avviarsi verso la moto. «Ora muoviti, non abbiamo tutto il giorno».

Fay si maledì moltissimo quando, tre secondi dopo, appoggiò il suo peso sulla gamba ferita, crollando a terra all’istante. Ma lo fece ancor più arrabbiare l’espressione e il sorriso vittoriosi di Kurogane, che si era fermato a guardarlo, a braccia incrociate.

«Non ti avvicinare» gli intimò immediatamente Fay, quando lo vide sospirare e tornare verso di lui. «Ce la faccio benissimo da solo! Non toccarmi!»

Servì a poco o niente lamentarsi, perché Kurogane lo riprese in braccio e lo portò alla moto senza fiatare, sistemandolo sopra di essa con estrema cura, mentre Fay aveva le lacrime agli occhi per la rabbia. Non poteva farci un granché, dato che l’altro era considerevolmente più grosso e sano di lui; ma sopportare che si stesse sacrificando in quel modo per occuparsi della sua persona era semplicemente oltraggioso.

Anche se Kurogane non avrebbe mai capito il motivo di tutta quella rabbia, infuriarsi era davvero il minimo che Fay potesse fare.

***

«Kurogane, vai-al-lavoro» sbottò Fay, spingendolo via senza gentilezza dopo che il moro si era avvicinato passando per l’ennesima volta dal soggiorno per offrirgli un’altra coperta.

Quello si dimostrò offeso, maledicendolo con qualche colorita parola e sparendo di nuovo in camera, probabilmente per finire di preparare la sacca. Avrebbe voluto rimanere a casa, dato che Fay era costretto a girare con le stampelle per un paio di giorni e l’idea di lascialo da solo non lo allettava particolarmente.

Quando si riaffacciò al soggiorno, Fay aveva acceso la tv e stava guardando i cartoni mattutini, ma la sua espressione da bambino svanì all’istante quando lo vide, e il biondo aggrottò la fronte. Non gli aveva per niente perdonato il fatto di curarsi così poco del suo lavoro, mentre un tempo l’aveva tanto amato. «Quando torni ci mettiamo d’accordo sulla mia parte d’affitto, va bene?» gli chiese, sbrigativo.

«Sì» rispose Kurogane, con un sospiro. Si era velocemente arreso al fatto che Fay non avrebbe mai considerato l’idea di far tornare il loro rapporto come prima. «Ti porto a casa il pranzo».

«Per niente, hai una riunione dei docenti alle due» ribatté Fay con decisione, aggrottando la fronte e distogliendo prontamente lo sguardo da quello di Kurogane. Perché sì, gli aveva rubato la tabella degli orari e li aveva letti memorizzandoli, tanto per assicurarsi che venissero seguiti. E non gli dispiaceva affatto avere l’altro intorno il meno possibile.

Kurogane, in maniera piuttosto prevedibile, si arrabbiò. «Non toccare più i miei registri, mi hai capito? Esiste una cosa chiamata privacy degli studenti!»

«Mi sorprende che te ne ricordi, visto che sei tanto ansioso di venire licenziato e non fare più l’insegnante» sbuffò Fay, ignorando totalmente la sua rabbia e arrossendo leggermente. «Per fortuna non stiamo insieme, Kurogane, veramente! Sono davvero deluso». Pronunciare quelle parole gli costò una fatica immensa, ma almeno ottennero l’effetto desiderato.

«Deluso perché mi preoccupo?» ringhiò infatti Kurogane, voltando immediatamente le spalle al soggiorno e dirigendosi all’uscita. «Sai una cosa, quello che avrebbe più ragione di essere deluso qui dentro non sei certo tu!» gli gridò, prima di sbattere la porta di casa.

Fay cercò di non tremare troppo, quando successe, ma chiuse gli occhi ed evitò di pensare al familiare bruciore che li pervadeva, che di solito precedeva le lacrime. Sentì che Ryu aveva preso a leccargli una mano, così riaprì gli occhi e posò lo sguardo sul cane, con un sorriso.

«Andiamo a cercarti un gioco! Scommetto che il tuo padrone non te ne ha comprato nemmeno uno, povero piccolo» gli sussurrò con gentilezza, grattandogli dietro le orecchie e suscitando evidente felicità nell’animale, che scodinzolò allegro.

Si alzò con una certa fatica, perché il cane non era proprio un cucciolo nelle dimensioni e aveva la brutta abitudine di stare tra i piedi; afferrò una delle due stampelle che gli avevano dato all’ospedale e zoppicò fino in camera, deglutendo e cercando di ignorare il fatto che fosse spoglia di tutte le sue cose.

Soltanto i manga erano rimasti, ma lo strato di polvere sulla libreria era così alto che Fay si chiedeva perché Kurogane non li avesse buttati come il resto. Probabilmente il motivo era che la cosa richiedeva un certo tempo, data la loro quantità.

S’inginocchiò accanto all’armadio, aprendone quella che una volta era stata la propria anta e guardando all’interno; pregò con tutte le sue forze che ci fosse ancora la scatola che teneva stipata lì in basso, e infatti non era stata spostata. Probabilmente, perché conteneva le poche foto che lui e suo fratello Yui avevano fatto insieme.

Dentro, però, non c’era solo quello; Fay ci aveva tenuto anche vari cimeli, tra cui un minipony fucsia che custodiva gelosamente dalle elementari, e uno strano giocattolo a forma di squalo, che però se premuto squittiva. Ryu lo guardava perplesso mentre tirava fuori quei curiosi oggetti, solo per rimettere a posto la scatola.

«Non sei contento, ora hai dei giochi!» esclamò Fay soddisfatto, lanciando verso il cane lo squalo di gomma. Ma l’animale non si mosse.
Guardò Fay perplesso, come se volesse spiegargli che le uniche cose con cui amava giocare erano gli oggetti che appartenevano al suo padrone Kurogane, specialmente se si trattava di indumenti e in particolar modo calzini.

Il biondo sospirò, recuperando lo squalo e rialzandosi in piedi; portò sia il gioco sia il minipony con sé in soggiorno, nel caso Ryu avesse cambiato idea sui suoi nuovi passatempi.

***

«Ehi, tutto bene?» chiese Kurogane all’improvviso, facendo sussultare Fay. Erano seduti entrambi sul divano, allestito con coperte e cuscini per essere il letto del biondo la notte; ma la sera vi si riunirono più che altro per guardare la tv, anche se senza nemmeno scambiarsi una parola.

Fay sembrava un po’ più pallido del solito, ma l’energia sicuramente non gli mancava, perché ne aveva abbastanza per scocciarsi a quella domanda e lanciare un’occhiata poco felice a Kurogane. «Mai stato meglio».

Kurogane ringhiò qualcosa tra i denti, prendendo di nuovo a fissare lo schermo. Non si era mai sentito così distante da Fay, nonostante per forza di cose e mancanza di spazio fossero seduti ad appena un metro di distanza. «Vuoi guardare un film? Non trasmettono nulla di interessante. Anche se dovresti dormire».

«No, va bene» rispose in fretta il biondo, sollevato che la conversazione si fosse normalizzata. «Sceglilo tu!»

Kurogane si alzò, dirigendosi verso il ripiano dei dvd e cominciando a leggere i titoli con aria annoiata. Certo l’aveva proposto lui a Fay, ma in realtà l’aveva fatto per codardia: avrebbe voluto parlare con lui, e stava rinviando quel momento.

Si voltò con l’intenzione di aprire bocca, decisosi, perché voleva una spiegazione esauriente, voleva capire se avevano ancora una possibilità insieme, ma vide che Fay aveva una strana espressione, e si reggeva lo stomaco, il volto pallido. «Cosa ti succede?» domandò, allarmandosi immediatamente, ma il biondo gli sorrise, come se nulla fosse.

«Nulla. Tu scegli il film, per favore, io vado a bere un bicchier d’acqua…» mormorò, alzandosi in piedi con lentezza, senza nemmeno prendere le stampelle, e zoppicando fuori dal soggiorno, senza incrociare neppure una volta lo sguardo di Kurogane.

Il moro rimase a fissare per un po’ di tempo la porta, la fronte aggrottata e un brutto sospetto nel cuore. Ma fece finta di niente, andando a ricontrollare i dvd e scegliendone alla fine uno. Infilò il cd nel lettore, tornando a sedersi sul divano.

Fay ci mise un bel po’ di tempo a tornare, ma quando lo fece, osservò Kurogane con un moto di rabbia, sembrava pronto a recitare la parte di chi sta benissimo. Si sedette accanto a lui, e il moro gli mise la custodia del dvd che aveva scelto tra le mani; se non avesse obbiettato nulla, allora era segno che stava veramente male.

«Ti va bene?» domandò allora, con noncuranza.

«Sì, benissimo!» esclamò il biondo con un sorriso forzato, appoggiando la schiena sul divano per nascondere il tremore che l’aveva preso. Probabilmente, dato il pallore del suo viso, non aveva nemmeno prestato attenzione al titolo del film.

Kurogane non aveva nessuna intenzione di ignorare il fatto che stesse evidentemente male, ma avrebbe preferito che il biondo lo ammettesse, per una volta; così, per pura vendetta, fece iniziare il film.

Dopo mezz’ora appena, s’azzardò a ridare un’occhiata al volto di Fay, che aveva assunto un colorito verdastro. Il biondo non cercava nemmeno più di nascondere il fatto che lo stomaco gli stesse probabilmente bruciando, perché si stringeva le braccia attorno ai fianchi e tremava leggermente.

Kurogane sbuffò e mise il film in pausa, voltandosi verso il biondo e alzando un sopracciglio. «Sei un povero imbecille».

«E-eh?» balbettò Fay, cercando immediatamente di assumere un’aria più sana, ma senza riuscirci nemmeno un po’.

«Se sei consapevole che in questo film scorrono fiumi di sangue, perché mi hai detto che ti andava bene? Hai la nausea, ti piace forse farti del male?» domandò Kurogane, realmente interessato alla risposta. Un giorno avrebbe dovuto sperimentare fino a che punto Fay era disposto a mentire pur di non mostrargli la palese verità.

«Sta zitto, perché l'hai fermato?» gemette il biondo, alzandosi però poi in piedi. «Io… vado un attimo in bagno».

«Sì, è meglio, se rimani qui un altro po’ sarei capace di ammazzarti» rispose Kurogane con un sospiro. Però si affiancò a lui, afferrandolo per un braccio e accompagnandolo per il corridoio senza fiatare. Anche Fay doveva aver capito che era meglio non parlare, perché si lasciò condurre docilmente.

Kurogane era ancora lì ad aspettarlo, quando riaprì la porta del bagno, pallido più di prima. «Non sei tornato a guardare il film?» fu l’unica cosa che fu capace di mormorare, quando vide l’espressione dell’altro e i suoi occhi di fuoco puntati addosso.

«Noi due dobbiamo fare una lunga chiacchierata su questa tua malattia» sbottò invece Kurogane, porgendogli nuovamente la mano perché si appoggiasse a lui e per poter accompagnarlo in soggiorno. «Il film è cambiato. Ora è “Bambi”».

«Ma come, non ti piaceva guardare la gente che si ammazza?» domandò Fay, in un soffio, lasciando che Kurogane lo facesse risedere sul divano e incrociando le gambe sopra le coperte.

«Non è questo il punto!» rispose Kurogane, con stizza, rimanendo in piedi davanti a lui. «Se ti ho chiesto di venire qui c’è un motivo, e il motivo è che voglio prendermi cura di te, aiutarti. So che a te non piace che la gente si intrometta, che invada i tuoi spazi, forse non ti piace nemmeno che io debba toccarti… ma se non vuoi morire ti pregherei di essere sincero, per quanto ti è possibile».

«Ho capito, però…» mormorò Fay, lentamente. Quel discorso lo aveva colto alla sprovvista, e in quel momento avrebbe fatto fatica a raccontare un’altra bugia.

«In sostanza, se non vuoi finire in ospedale di nuovo, lasciami fare!» sillabò Kurogane, sperando che in quel modo il messaggio penetrasse. Si sedette accanto a lui sul divano con uno sbuffo. «Allora, vuoi vedere i tuoi cavolo di animali parlanti o no?»

***

La notte, Fay rimase a fissare il soffitto del salotto per un bel po’ di tempo, prima di sollevarsi a sedere sul divano, con un sospiro. Ryu dormiva sul tappeto accanto a lui; un po’ gli dispiaceva, che il cane lo preferisse a Kurogane, perché in fondo non era lui il suo padrone. Ma non era colpa sua se il moro aveva una dolcezza particolare, che forse due persone in tutto il mondo potevano capire.

Fay si alzò lentamente, rimanendo a piedi scalzi, e si affacciò alla porta del soggiorno, dando un’occhiata al corridoio e notando che Kurogane non aveva chiuso quella della sua stanza. Probabilmente era perché aveva paura che Fay si sentisse male la notte.

In punta di piedi, il biondo si affacciò alla porta, sbirciando al suo interno; Kurogane giaceva sul letto ad occhi chiusi, quindi forse lui era riuscito ad addormentarsi. Così, Fay rimase a guardarlo con un sorrisetto.

Era felice di poterlo finalmente osservare con quell’espressione. Perché era consapevole che ora i suoi occhi scintillavano, e le sue guance si erano imporporate; nulla eccetto la sua testardaggine gli avrebbe impedito di amare Kurogane con tutto sé stesso, e quello era il primo momento da quando era tornato in cui aveva l’occasione di palesarlo.

Probabilmente, se avesse sospettato quello che sarebbe accaduto di lì a poco, non si sarebbe mai soffermato a fissarlo così.


 
 



____________________

per i traumi pressoché indelebili che porterò ad ognuno di voi con il proseguire della storia, vi consiglio di utilizzare qualche servizio tipo Telefono Azzurro. comunque, in mia difesa dico che avrei voluto rendere la fic un po’ più adulta e realistica.. solo che non mi è riuscito, ecco.
il capitolo mi fa davvero schifo, tanto perchè lo sappiate xD grazie mille a chi ancora legge, au revoir~!

 
to Julia_Urahara: no cara, Jack non è un cane u.u hai sbagliato dal principio. non può proprio avere la stazza di Ryu, in quanto ibrido tra un pipistrello e una drag queen. comunque, sono contenta che tu abbia pianto! in realtà questo è uno di quei piani stile posso-capirli-solo-io per farti innamorare follemente di me *^* (ovviamente se lo fosse mi sarei impegnata di più xD) grazie mille mia adorata <3

to __Di: ma come fai a scrivere certe cose? xD cioè.. ti droghi? ok, era un commento poco carino, scusami (però.. sul serio..), ma non sapevo come farti capire quanto io apprezzi le tue recensioni fuori dal comune u.u mi piace l’appellativo che hai dato a Fay, in quell’ordine. calza proprio a pennello, secondo me Kurogane è anche d’accordo.. a parte che mi sembra che la stupidità si sia estesa ad entrambi i personaggi (ma il portatore del virus rimane Fay). adoro il cane. per me è il vero protagonista (?). comunque, spero come al solito di non aver detto troppe fesserie in ambito medico (mi va bene mantenere un certo margine di improbabilità/fesserie xD); poi, sì, Kurogane in realtà mangia solo okonomiyaki. non sa cucinare altro (leggi: io so fare solo quel piatto e ne vado fiera, proprio come Kurogane). e sì, lui e Zoro mi sa che fanno a cambio di katane quando ne hanno bisogno u.u grazie della recensione *w* sono felice che in qualche modo la storia funzioni ancora xD a presto!!

to Herit: mi è piaciuta la tua immedesimazione in Kurogane xD penso che sia piuttosto azzeccata.. in realtà i finali di alcuni capitoli fanno un po’ schifo u.u’ perché una volta erano strutturati in maniera diversa.. cioè, in pratica non so dividere una storia per capitoli e me ne sto rendendo conto xD ma non fa niente, se aggiorno presto la cosa si nota meno, no? ^^ (SE aggiorno presto..) a parte questo mi fa davvero piacere che tu abbia recensito nonostante l’ora *w* spero di non metterci più così tanto comunque, è inammissibile!! in quanto lettrice me ne rendo conto xD grazie in ogni caso! :D

to yua: *esulta in segreto perché non ha ricevuto minuti di vergogna, poi torna cercando di darsi un contegno professionale per rispondere* oh sì, Kurogane e Fay si ASCOLTANO tra loro e questo è un male u.u ma di brutto.. comunque è strano scrivere di loro in questo modo, mentre cercano (senza riuscirci) di allontanarsi! comunque è vero che mi diverto a cacciarli in certe situazioni :D e Fay.. diciamo che fraintende i comportamenti di Kurogane xD non è che non si è accorto che sono esagerati per uno che dichiara di non amarlo, ma forse in quel caso penserebbe di avere troppa fortuna u.u’ e Fay è sfigato. e Kurogane non verrà licenziato xD dai, almeno quello! comunque, grazie della recensione nonostante l’aggiornamento abbia tardato! ora cerco di metterci meno.. alla prossima! :D
 

harinezumi

prossimo capitolo: the night before

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Capitolo 13
*** The Night Before ***




Cap 13

The Night Before

[Track 2 – Help!]

 

Were you telling lies?
Was I so unwise

«Che ci fai lì?» domandò all’improvviso la voce profonda di Kurogane, facendolo sobbalzare.

Fay arrossì, risvegliandosi improvvisamente, ma non riuscì comunque a capire come Kurogane avesse notato la sua presenza nella penombra, dato che aveva ancora gli occhi chiusi; li riaprì in quel momento, voltandosi verso di lui. Fortunatamente, era troppo buio perché leggesse l’espressione del biondo.

«Ah, ehm… io… stavo andando in bagno»  balbettò, ritraendosi velocemente dalla porta della camera dal letto e maledicendosi a bassa voce.

«Vieni» gli intimò però Kurogane con uno sbuffo, scivolando da una parte del letto e alzando un braccio, invitandolo con uno stanco gesto a mezz’aria ad avvicinarsi. «L’ho capito che stai scomodo sul divano, ti sento rigirarti da qui. Vorrei dormire, però, domani dobbiamo lavorare».

«Come? Vuoi che dormiamo insieme?» chiese Fay, con una risatina nervosa.

«Se non è un problema per te. Le regole le conosci» sospirò Kurogane, richiudendo gli occhi con aria stanca. Sembrò essersi reso conto che quella era una di quelle cose che diceva quando stavano insieme, perché aggiunse in fretta: «Non mi toccare perché sei freddo, e ovviamente evita di avere i tuoi episodi di sonnambulismo».

Fay si era seduto sul bordo del letto, il volto in fiamme. Ma era ben intenzionato a fare finta di nulla. «Va bene. Buonanotte, Kurogane».

«Ti sveglio io domani, ora però dormi» mormorò quello, piano.

Stettero stesi l’uno a fianco all’altro, ma anche se Fay ora era immobile continuava a tenere gli occhi aperti, e fissava Kurogane accanto a lui. Il moro sembrava essersi veramente addormentato, stavolta, così anche Fay si decise a dormire, e serrò le palpebre, cercando di non pensare al fatto che si trovava dentro il loro letto, quello su cui tante volte avevano fatto l’amore.

Ovviamente, non riuscì minimamente ad addormentarsi.

«Ehi, la smetti di pensare?» gli mormorò all’improvviso la voce di Kurogane all’orecchio. Il corpo del moro si era spostato silenziosamente a fianco al suo, e Fay con un brivido sentì il respiro dell’altro su una guancia.

Kurogane gliela baciò con dolcezza, cingendolo con le braccia e portandoselo più vicino; il biondo, del resto, non fece nemmeno mezza mossa per impedirglielo.

«Vedi di dormire adesso».

Fay però fissava ancora il soffitto, aveva spalancato gli occhi dopo quel gesto. Si riempirono presto di lacrime, sentiva il cuore scoppiargli. «Non mi va di dormire».

L’altro non gli rispose immediatamente, ma lo sentì sospirare di rassegnazione. «Dovresti farlo, perché stai male. E sei così stupido che domani vuoi andare lo stesso al negozio».

«Se non ci sono io la mattina resta chiuso» spiegò Fay in un mormorio. Ma non era quello che voleva dire. Non era quello di cui voleva parlare; non voleva parlare affatto. «Kurogane… ti prego, vorresti…».

«No» lo interruppe il moro, bruscamente. «Voglio dormire».

«Non mi hai nemmeno lasciato finire la frase».

«So benissimo quello che volevi chiedermi» ribatté Kurogane. «E la risposta è no. Con te ci posso anche dormire, ma nient’altro, e sai benissimo perché».

«Se ti senti così ferito potrai farmi tutto quello che vuoi» rispose Fay, ricacciando indietro le lacrime. Del resto cosa si era aspettato, in quel patetico tentativo di convincere l’altro a fare sesso con lui? La risposta gli avrebbe dovuto essere ovvia fin dall’inizio.

«Mi credi il tipo di persona che ti farebbe del male fisico per vendetta?» domandò però Kurogane, facendogli intendere di aver peggiorato le cose. La sua presa comunque non si era allentata, né aveva accennato ad allontanarsi; probabilmente, nemmeno aveva aperto gli occhi.

«N-no… volevo solo…» balbettò Fay, zittendosi quasi subito. Avrebbe voluto sotterrarsi per la vergogna, ma tutti i suoi buoni propositi svanivano in una situazione del genere.

«È meglio che tu dorma» lo invitò nuovamente Kurogane, in tutta tranquillità. Non aveva intenzione di agitarlo di nuovo, non era il caso se voleva sperare di dormire davvero. Fay, ovviamente, non gli obbedì.

«Kurogane… sei sicuro?»

***

«Sveglia» sbottò Kurogane, dandogli uno scossone alle spalle e allontanandosi, chiudendo la porta del bagno dietro di sé. Il suo tono era senza dubbio seccato, perché probabilmente era già in ritardo per il lavoro.

Fay aprì lentamente gli occhi. Si sentiva distrutto, i fianchi gli dolevano come non mai; ma gli ci volle molto tempo per rendersi conto del perché. Quando capì, sentì all’istante che il volto aveva preso a bruciargli, e lo nascose in fretta dentro il cuscino, trattenendo così le urla che gli erano rimaste bloccate in gola.

«Non ti sei ancora alzato? Guarda che sono quasi le otto».

Fay sbirciò Kurogane mentre rientrava nella camera, osservandolo infilarsi la felpa della tuta e afferrare la sacca già pronta e buttata a terra. «Non torno per pranzo, ho lezione dopo le prime ore di scuola. Ma lo saprai sicuramente, visto che conosci i miei orari meglio di me». Sembrava ancora seccato, mentre lo diceva, nonostante quello che era successo la notte precedente.

«Kurogane, cosa… facciamo?» domandò Fay, in un mormorio.

Il moro non lo guardò neanche, ma si passò la tracolla sulle spalle, prima di rispondergli. Il suo tono era di nuovo gelido. «Se sentivi il bisogno di farlo, non vedo perché non accontentarti. Voglio che tu stia bene» disse infine, lasciando la stanza. Le ultime parole che Fay sentì fu quelle che il moro rivolse a Ryu, poi la porta d’ingresso si richiuse alle sue spalle.

«E tu credi che questo sia il modo migliore per farmi stare bene?» prese a singhiozzare, una volta che Kurogane ebbe lasciato l’appartamento, nascondendo il volto di nuovo nel cuscino. Quand’è che Kurogane era diventato così, cinico, insensibile? Probabilmente era tutta colpa sua, ma non aveva il coraggio di ammetterlo a sé stesso.

Aveva rovinato la bella persona che Kurogane era. O forse il moro si comportava così soltanto perché era arrabbiato con lui.

Fay lo sperava vivamente, perché non avrebbe mai sopportato il nuovo Kurogane; non gli piaceva, quello che faceva sesso con lui e lo trattava così il mattino dopo; non gli piaceva, quello a cui aveva spezzato il cuore. E non importava più quanto follemente lo desiderasse ancora, perché quel Kurogane non sarebbe mai stato suo.

***

Kurogane si stava maledicendo interiormente. Non capiva perché avesse trattato in quel modo Fay quella mattina, sentiva soltanto di essere ancora furioso con lui, anche se non per gli stessi motivi di prima; se il biondo lo voleva ancora tanto da fare sesso con lui e in quel modo, perché si era dato pena a lasciarlo? Non c’era stato nulla di normale nel loro gesto: la notte prima non si erano quasi tolti i vestiti né guardati in faccia, le loro labbra nemmeno si erano toccate. Avevano avuto il bisogno fisico ma soprattutto psicologico di farlo, punto e basta.

Il biondo era proprio bravo a prenderlo in giro, a rigirarselo come voleva, a fare casino con le sue stesse mani e a ritrovarsi completamente sperso senza guida. Ma Kurogane ormai aveva deciso che non avrebbe più accontentato le sue assurde richieste finché l’idiota non avesse avuto le idee chiare su quello che voleva.

Stargli vicino perché guarisse era tutto ciò che aveva intenzione di fare da quel momento in poi; certo che era stato un po’ stupido anche lui, ad abbracciarlo così nel loro letto. Avrebbe dovuto prevedere che poi non sarebbe più riuscito a controllarsi.

Si era appena seduto a uno dei banchi dell’università, in anticipo di ben dieci minuti, che il suo cellulare squillò. Imprecando, si sollevò almeno al fatto che così si sarebbe ricordato di spegnere la suoneria; da quando Fay se n’era andato aveva perso l’abitudine, perché nessuno lo chiamava durante la giornata. Infatti, era proprio il biondo che gli aveva telefonato.

«Cosa c’è, stai bene?» fece Kurogane, rispondendo in fretta. Era assai improbabile, ma forse Fay l’aveva chiamato perché aveva bisogno che lo aiutasse.

«Sto bene… ma la dottoressa Satsuki mi ha chiesto di passare all’ospedale per prendere dei medicinali» rispose Fay, con un tono stanco. «Io sono a casa, ma dovrei fare l’inventario e sono un po’ nei guai… hai un momento per accompagnarmi più tardi, nel pomeriggio? Scusami, forse volevi studiare…».

«Strano che tu me l’abbia chiesto, da quando sei da me ti ostini a fare tutto da solo» osservò Kurogane, sospirando. «Sì, posso accompagnarti».

«Te l’ho chiesto perché altrimenti ti saresti lamentato all’infinito» sbottò Fay, con uno sbuffo.

«Se hai tanto da fare è meglio che vada io, comunque» disse Kurogane, ignorandolo totalmente. «Tanto la dottoressa ora mi conosce, e ci metterei meno di te, che zoppichi ancora».

«Fai come ti pare. Io te l’ho detto». Fay voleva riattaccare, perché ancora si sentiva in subbuglio per quella mattina, ma Kurogane parlò prima che potesse staccare la cornetta dall’orecchio.

«Mi dispiace per stamattina. Ma quello che ho detto è vero, voglio che tu stia bene…» mormorò infatti, interrompendosi. Probabilmente trovava difficile continuare quel discorso, ma aveva capito di dover rimediare in qualche modo alla sua precedente freddezza. «Farei qualsiasi cosa per te».

«Io… come? Non capisco…» balbettò Fay.

«Non fa niente. Ci vediamo stasera, vedi di non lavorare troppo» eluse Kurogane la domanda. «Stanno cominciando la lezione».

«Va bene. A dopo, Kuro-chi!» rispose Fay, con una risatina. Non era certo di aver capito le parole dell’altro, ma era comunque divertente vedere come cercava di rimangiarsele. Forse il loro destino era quello di essere buoni amici, era certo che un giorno gli avrebbe ricambiato tutti i favori che l’altro gli stava facendo; e andava bene così.

***

Kurogane camminò fino all’ospedale, avendo lasciato a casa la moto, cercando di non maledirsi troppo per le parole che aveva detto a Fay. Avevano soltanto fatto sesso dopotutto, non c’era ragione di sbilanciarsi tanto sulla loro relazione. Soltanto quello e il biondo l’aveva guardato con quella sua espressione, l’aveva chiamato con quel nome… probabilmente era solo un fastidio passeggero quello che Kurogane sentiva al petto.

Non aveva intenzione di tornare con Fay, non ce l’avrebbe mai fatta ad essere lasciato nuovamente da lui; eppure aveva la strana sensazione che fosse il biondo quello che lo stava accontentando in tutto. Anche se non ne era consapevole, conquistarsi il suo perdono era tutto ciò che lo aveva spinto a tornare a stare da lui.

A questo pensava, mentre si dirigeva verso lo studio della dottoressa, al quale bussò distrattamente. O meno, alzò la mano e non aveva ancora posato le nocche sul legno che la porta si aprì da sola.

Abbassò sorpreso lo sguardo sulla dottoressa, che lo guardò con stupore, prima di fare un piccolo sorriso. Sembrava agitata.

«Stavo andando proprio a chiamare Fay, ho buone notizie per lui» disse infine, rientrando nello studio e facendo cenno a Kurogane di seguirla. Quando entrarono, richiuse la porta. «Se è venuto lei, significa che in quanto a delegato posso riferirle quanto mi hanno appena detto, immagino».

«Sì» rispose Kurogane, guardandola perplesso mentre si risiedeva alla sua scrivania.

«Ho appena sentito un collega con cui ero in contatto. Lavora nel campo dei donatori di organi, e mi ha informato di aver trovato un rene per Fay» spiegò con tranquillità Satsuki, aggiustandosi gli occhiali sul naso. «Prego, si sieda. Avevo inserito Fay in una lista non appena ho saputo della sua malattia… speravo ci fosse un donatore compatibile. Ashura lo sperava» mormorò.

«Esattamente, cosa mi sta dicendo? Che tornerà a stare bene?» chiese Kurogane, lentamente, dopo essersi seduto ed aver preso fiato.

«Non si guarisce così facilmente da una malattia come la sua. Ma con un nuovo rene avrebbe la possibilità di vivere una vita normale, se non vi sono reazioni di rigetto al trapianto» spiegò con gentilezza la dottoressa. «L’organo proviene da una famiglia che ha deciso di praticare l’eutanasia sul padre, in coma irreversibile da tre anni. Potremmo fare l’intervento tra due settimane».

Kurogane era agghiacciato, e il debole sorriso della dottoressa non riusciva a tranquillizzarlo un granché dopo quella notizia.

«Sono contenti di aiutarvi» continuò Satsuki, che pur essendo una persona fredda era in lieve difficoltà all’idea di parlare con un Kurogane in quelle condizioni. «Le consiglio di informare Fay il prima possibile. Queste sono le ricette che è venuto a prendere» aggiunse, prendendo alcuni fogli da un cassetto e passandoglieli.

«D’accordo. La ringrazio» mormorò Kurogane, sentendo la gola terribilmente secca e il cuore martellargli nel petto. La possibilità di passare la vita con Fay era diventata così reale che tutta la paura che aveva provato in quei giorni all’idea di perderlo presto si era dissipata.

Non capì nemmeno di aver preso le ricette dalle mani della dottoressa, di essersi alzato, di essere corso fuori dall’ospedale con tutta la velocità di cui era capace; non sentì nemmeno il grido dell’infermiera di nome Kobato, che gli aveva detto di non correre per i corridoi.

Rallentò, cercando di respirare in maniera regolare, di prestare attenzione a dove metteva i piedi, ma era del tutto inutile cercare di controllare la voglia di precipitarsi da Fay. Non sarebbe stato costretto a lasciarlo mai più, ora sarebbe guarito.

Se lo voleva davvero, potevano stare insieme, e si sarebbe impegnato come non mai per restare al suo fianco; sperava soltanto che Fay lo capisse, che si rendesse conto che quell’incubo era finito. Mentre allungava il passo ed iniziava a tremare, non accorse nemmeno conto che aveva cominciato a nevicare leggermente, ma il tempo era decisamente l’ultima cosa che gli interessava in quel momento.

Passati pochi secondi ancora, Kurogane cominciò a correre di nuovo. Nessun tipo di sentimento che avesse mai provato era forte quanto quello che sentiva in quel momento.
 
 
 
 
 
 
 

 
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già, ci ho messo una vita ad aggiornare. preferisco non contare i giorni esatti, perché altrimenti andrei a sotterrarmi.. a parte le mie numerose preoccupazioni in questo periodo non ho molte scuse =_= soltanto che la storia non mi convince più, specie in questi ultimi capitoli. penso di essere andata pure OOC xD però ho deciso di aggiornare, se non altro per senso di completezza. comunque, mancano due capitoli (che dovrò rivedere) alla fine perciò ce la posso fare x°D

grazie a tutti ^^ per chi ancora legge e per chi ha recensito, siete adorabili <3 <3 vi mando un abbraccio pieno di coccolosità *^*
 

to Julia_Urahara: in effetti la parte dei giochi non ha nessun senso xD avevo un’idea molto più divertente che non era adatta ai toni della storia e quindi l’ho scartata, ficcando comunque la cosa nella fic u.u’ sono una persona seria io. comunque, grazie mille mon amour <3 <3

to ___Di: hai sproloquiato un sacco x°) in senso buono, è ovvio!! la tua recensione però l’ho letta ere fa quindi se c’erano domande dovrai rifarmele perché al momento fatico anche a pensare xD purtroppo qui la storia comincia a vacillare, me ne sono accorta subito dopo aver parlato con te sulle possibili malattie di Fay =_= ma ormai è passato così tanto tempo da quando l’ho scritta che non riesco a cambiare troppi particolari senza cambiare magari lo stile ecc ç_ç quindi vi beccate questa schifezza senza senso. comunque sei stato carinissimo a supportarmi finora e a scrivermi una recensione così bella (lo sai che io mi diverto moltissimo a leggere quello che mi scrivi) <3 spero che ti vada tutto bene :3 io e i miei esami universitari arranchiamo ma non ce la caviamo male xD graaaaaazie!!! (ah un giorno leggerò gli ultimi capitoli che hai pubblicato TU, o essere malefico u.u)

to yua: come ho detto al maleficoDì lì sopra ho letto le recensioni troppo tempo fa purtroppo xD però non sono sicura che tu ti sia allontanata dal mondo delle fanfic schifosamente orripilanti, perché ho perso tutta la fiducia di riuscire a scrivere una storia decente con questo finale xD posso solo dire che almeno il cane è perfettamente IC fino alla fine ed avrà pure un ruolo preponderante (?) nei prossimi due capitoli u.u apprezzo un sacco la tua recensione ç^ç potresti scrivere anche due pagine in cirillico dicendo che la storia fa schifo, apprezzo lo stesso xD quindi grazie mille ^^

to Pentacosiomedimni: grazie mille della recensione :D sono contentissima che la storia ti sia piaciuta e mi scuso per l’attesa, ma ho avuto proprio problemi a rassegnarmi a pubblicare gli ultimi capitoli, che non mi sono piaciuti per nulla ^^’’ comunque spero che la leggerai tutta lo stesso perlomeno!! :D
 


harinezumi

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Capitolo 14
*** Because ***



Cap 14

Because

[Track 8 – Abbey Road]


 

Love is old, love is new
Love is all, love is you

Quando suonarono il campanello, Fay corse subito a nascondere in profondità dentro l’armadio il minipony rosa e lo squalo nero con cui stava giocando assieme a Ryu, pensando che si trattasse di Kurogane alla porta. Aveva addosso appena i pantaloncini del suo pigiama dei Pokémon, così s’infilò in fretta una delle camicie nere di Kurogane, afferrandola dall’armadio.

Ma quando l’aprì, si ritrovò davanti Chitose, e sorrise, sorpreso, perché era davvero molto tempo che non vedeva l’amministratrice del condominio. «Salve!» esclamò, allegramente, cercando di tenere Ryu dietro di sé nel corridoio per impedire che uscisse.

«Avevo sentito che eri tornato a stare qui» rispose Chitose, ricambiando il suo sorriso con un altro di molto gentile. Era sempre stata una ragazza molto dolce e tenera. «Mi fa davvero piacere, Fay! va tutto bene?»

«Ehm… sì insomma…» mormorò Fay, senza sapere esattamente cosa rispondere.

Ma Chitose non era il genere di persona che ficcava il naso negli affari degli altri, anzi seguitò a sorridergli, lanciando un’occhiata divertita a Ryu, che guaiva alle spalle di Fay, dato che il biondo gli impediva di farle le feste. «Sono molto contenta che tu sia tornato. Kurogane era veramente perso senza il suo Fay».

Fay rimase semplicemente interdetto, e le sue labbra si aprirono all’istante, per dire, che no, lui e Kurogane non stavano insieme. Ma guardando il viso sorridente di Chitose non poté fare nulla del genere, e cercò di non sembrare troppo nervoso quando parlò. «Io… davvero?»

«Ma certo!» esclamò Chitose, con una risatina. «Nei primi tempi da solo il signor Kurogane nemmeno usciva di casa. Mi sono molto preoccupata! Ma ora è tutto a posto».

«Sì» mormorò Fay. «Tutto a posto».

«Ora meglio che vada a prendere il bucato, penso che stia per nevicare… Ci vediamo, Fay» lo salutò lei, senza apparentemente notare il suo disagio. «Mi ha fatto molto piacere vederti» aggiunse.

«Anche a me!»

Quando Chitose se ne andò, Fay non riuscì a richiudere la porta. La guardò allontanarsi per le scale, sentiva appena Ryu guaire dietro di sé.

«Ehi, Ryu-chan» mormorò al cane, abbassando lo sguardo verso di lui. «A Kuro-koi sono mancato, non è vero?»

Da un po’ di tempo, cominciava a capire che era possibile che avesse sbagliato a calcolare ogni cosa. In quale maniera aveva vissuto Kurogane senza di lui? Aveva sempre creduto di saperlo, se lo immaginava felice, con il lavoro che aveva tanto amato finalmente suo, ma allora perché aveva la sensazione che non fosse affatto così? Che Kurogane non si comportasse in maniera tanto strana solo per aiutarlo?

L’animale, seduto ai suoi piedi, lo guardò con aria confusa, inclinando la testa, come se le sue stesse domande lo stessero assillando a sua volta.

Una manciata di attimi dopo, Ryu si alzò in piedi e corse fuori dalla porta, approfittando del suo momento di distrazione, e Fay si ritrovò ad esclamargli di tornare indietro, mentre correvano giù per le scale.

***

Kurogane si fermò, ansimante, al cancello del condominio, appoggiandosi per un secondo prima di afferrare le chiavi con mani tremanti. Si era dimenticato di mettere i guanti, quindi aveva le dita congelate, perciò centrare la serratura fu più difficile del previsto; imprecò una o due volte, specialmente quando le chiavi gli caddero a terra, poco propense a collaborare.

Quando finalmente aprì il cancello, si bloccò sulla soglia, perché vide che Fay era lì, in giardino. E gli mancò il fiato, perché in quel momento nulla gli sarebbe sembrato più bello (anche se il suo era un comportamento degno del più scemo tra gli idioti).

Il biondo indossava una delle sue camicie appena, sopra quegli stupidi pantaloncini del pigiama dei Pokémon; il cane doveva essere uscito dall’appartamento, perché Fay lo stava inseguendo a piedi scalzi sul sottile strato di neve che andava formandosi sul vialetto e sul piccolo giardino davanti al condominio.

Aveva i capelli ormai bagnati dalla neve, segno che doveva essere lì da un po’; chissà come, anche se il suo corpo e le sue labbra stavano assumendo toni bluastri, l’idiota non era ancora caduto in ibernazione. Quella vista un po’ più accurata del primo impatto, in effetti, fece incazzare parecchio Kurogane.

«Ryu, torna qui! Non voglio giocare con te adesso!» gridava Fay, scivolando appena ogni tanto. Il cane sembrava non calcolarlo nemmeno, e scodinzolava, abbaiando senza fermarsi, intento a mordere i fiocchi di neve che aveva cominciato a cadere più fitta.

Kurogane capì in quel momento che non ce l’avrebbe mai fatta a vivere senza quel povero idiota che correva mezzo nudo nella neve. Non quando Fay si voltò verso di lui vedendolo e gli rivolse un sorriso, uno dei più bei sorrisi che avesse mai visto; perché era spensierato, gentile, sincero; non aveva nulla a che vedere con quelli che nascondevano il guscio che aveva rotto tanto tempo prima. Ed era anche terribilmente fragile.

«Kuro-pon, che fai lì fermo? Così Ryu andrà in strada!» esclamò il biondo, correndo verso Kurogane e parandosi davanti a lui, mentre quello lo guardava imbambolato. Fay lo sorpassò, chiudendo il cancello che aveva lasciato aperto. «Scusami! Il cane è uscito, non ho fatto apposta… avevo aperto la porta perché Chitose mi voleva chiedere come stavo, e prima di poterla richiudere…».

Kurogane lo interruppe, afferrandolo per le spalle. Non notò nemmeno l’espressione spaventata e sorpresa di Fay a quel gesto, ma alla vista di quegli occhi azzurri sgranati fu solo capace di stringerlo a sé con tutte le forze che aveva; voleva renderlo suo, per sempre. In quel momento, non gli importava nemmeno che Fay stesse tremando dal freddo, non riusciva nemmeno a capire il perché, quando lui riusciva soltanto a sentire il suo corpo emanare un intenso calore.

«Kurogane, che cosa è succes…» gli lasciò appena mormorare. Trattenersi ancora gli era diventato impossibile.

Quando lo baciò, a Fay sembrò di essere stato investito da un treno in corsa. La testa gli girò per un attimo, prima di sentire che il proprio corpo si era abbandonato a quello di Kurogane, e che anche le proprie mani lo stavano stringendo, aggrappate alla sua giacca, bianche e tremanti.

Non sentivano il cane abbaiargli contro, né il freddo che velocemente si stava impossessando di loro immobili l’uno nell’altro. Fay baciava Kurogane disperatamente, totalmente, come se il suo intero corpo si trovasse in quel momento nelle sue labbra e nella sua lingua, come se il suo amore potesse raggiungerlo soltanto mettendo l’anima e il cuore in quel loro divorarsi a vicenda, come se quello fosse stato l’unico cibo di cui avessero mai avuto bisogno.

Era impossibile capire chi per primo avesse interrotto quel bacio; forse Kurogane si svegliò all’improvviso, percependo i tremiti del corpo di Fay –non certo dovuti all’emozione-.

«Brutto idiota, vuoi congelare? Che cosa pensavi di fare?» sbottò Kurogane, cercando di non lasciar trasparire la sua agitazione facendo in modo di non far tremare troppo il tono della voce.

Quando però abbassò gli occhi riaprendoli in quelli celesti di Fay, vide che erano pieni di lacrime.

«Kurogane… io ti amo». Fay era consapevole che in quel momento stava piangendo come un bambino, ma percepì che alle sue parole anche il corpo dell’altro era stato scosso da un fremito. «Mi hai sentito? Ti amo» gridò più forte, sentendo la stretta attorno alle proprie spalle farsi più forte.

«Anch’io» mormorò Kurogane, lentamente. Lui non aveva la voce rotta dall’emozione, non piangeva, ma la sincerità di quell’affermazione era tale che Fay non poté non pensare di non meritarsi nulla di quel momento.

«Non solo adesso, non solo quando eravamo insieme… io ti amo da sempre» singhiozzò. «Quindi ti prego… anche se sono stato stupido, non mi lasciare! Tu non meriti assolutamente me, io sono un disastro, io… potrei anche morire… ma ti prego, non mi lasciare!»

«Non ti lascerei mai». Com’era tranquilla, ferma, la sua voce. Fay non avrebbe mai dubitato di lui, perché non c’era nulla in grado di rassicurarlo come quel suo tono.

In quel momento, ogni pezzo del loro universo era tornato al suo posto; c’era solo pace, pace assoluta, e il silenzio della neve che cadeva.

(Anche se il cane, quindici secondi dopo, li fece cadere a terra saltandogli addosso).

***

Ryu si ritrovò improvvisamente rinchiuso in cucina, e si stese sotto il tavolo, appoggiando il muso per terra, con aria imbronciata. Kurogane era riuscito a prenderlo in braccio nonostante i suoi trenta chili e più, e l’aveva portato di forza lì, chiudendolo a chiave. Poi, Ryu aveva sentito degli strani rumori provenire dal corridoio, e la porta della camera dal letto sbattere.

Il cane sospirò, un sospiro che sembrava piuttosto uno sbuffo umano di disappunto.

Kurogane stringeva Fay tra sé e il muro, tenendolo sollevato da terra, anche perché il biondo si era arrampicato su di lui, passandogli le braccia al collo e le gambe attorno alla vita. La camicia gli stava troppo grande, quindi più di qualche bottone si era slacciato mentre era intento ad inseguire Ryu in giardino.

Il suo corpo era gelido, come gli comunicò Kurogane con uno sbuffo spazientito, quando cominciò a succhiargli la pelle attorno all’ombelico. Fay arrossì, aprendo gli occhi che fino a quel momento aveva tenuto chiusi, preso com’era dalla foga del momento, risvegliandosi bruscamente e tornando alla realtà.

«Sei un deficiente» disse Kurogane, sollevando la testa e andando a baciargli il collo. Allentò la presa sui suoi fianchi, spostando le braccia più in basso, così da tenere sollevato Fay da terra proprio come un bambino. «Ti prenderai la polmonite. Sei già abbastanza malato».

«S-scusami…» balbettò Fay, arrossendo ancora di più quando sentì la lingua di Kurogane passare sulla pelle gelata del collo. La situazione gli sembrava talmente irreale che non era capace di non provare imbarazzo. «Io… posso fare un bagno caldo, e poi se vuoi parliamo…».

«Credi veramente che dopo sei mesi quello che io voglia fare di più sia parlare? Credevo di essere stato chiaro ieri notte» ringhiò Kurogane, alzando gli occhi su i suoi e facendolo deglutire. Sembravano di fuoco.

«No! Ma a te non piace quando sono gelato, lo dicevi sempre…» mormorò, sciogliendo dolcemente la presa delle proprie braccia attorno al collo di Kurogane. Dato che l’altro lo stava tenendo in braccio, però, non riuscì a farsi posare a terra in quel modo. «Vorrei fare un bagno, ti prego…». Abbassò lo sguardo, fissandolo con le guance di fiamma sul colletto della giacca di Kurogane.

«Di cosa hai paura?» sbottò Kurogane dopo un po’, lasciando finalmente che i suoi piedi toccassero terra, facendo scivolare le proprie mani sui suoi fianchi.

«Che tu non sia reale» rispose Fay, a voce molto bassa, ma udibile per uno che era abituato a lui come Kurogane.

«Questo dovrei dirlo io a te. Non sono stato io a lasciarti» sospirò, con il tono di voce di un padre che tenta di spiegare pazientemente qualcosa a suo figlio. «Però hai ragione, devi riscaldarti o ti ammalerai sul serio. Vai a farti quel bagno…».

Fay rialzò lo sguardo, con un mezzo sorriso. Non sembrava ancora particolarmente convinto dalle parole di Kurogane, ma senza dubbio si sentiva felice di venire ancora ricambiato in quel modo da lui. «Poi voglio continuare da dove abbiamo interrotto» lo stuzzicò, prendendogli le mani nelle sue e baciandolo sul naso.

«Ah» mormorò però Kurogane, senza arrabbiarsi a quel gesto come il biondo aveva previsto. Lo guardò perplesso, mentre il moro pareva stranamente a disagio. «Sono un idiota…» continuò, facendo sgranare gli occhi al biondo per la sorpresa. «Ero venuto qui per dirti un’altra cosa… ho parlato con la dottoressa Satsuki, sono andato all’ospedale finita l’università. Ha trovato un donatore per te».

Fay s’irrigidì, fissandolo ora completamente sconvolto, le labbra leggermente schiuse per la sorpresa. «Com’è possibile…?»

«Poco prima che Ashura morisse avevano parlato e ti avevano inserito in una lista… ma non ha importanza, capisci? Adesso tu rimarrai qui per sempre, con me» rispose Kurogane, con voce decisa. Sciolse la sua presa dalle proprie mani, andando a posarle sulle guance dell’altro, che presto vennero rigate dalle lacrime. «Tu non morirai, e nemmeno mi lascerai. Altrimenti, Fay, stavolta potrei essere io ad ammazzarti, mi hai capito?»

Fay aveva la sensazione di non riuscire più nemmeno a respirare. Kurogane non l’aveva mai chiamato per nome. Per quanto folle potesse sembrare dato che si conoscevano da ben quattro anni, non aveva mai usato quelle tre semplici lettere ad alta voce, neppure una volta.

«Scusami» mormorò allora, rendendosi improvvisamente conto di tutto ciò che aveva fatto. Aveva gli occhi ancora umidi, ma non singhiozzava, per una volta. «Ti ho lasciato da solo… ma non potevo permettere che la tua vita venisse rovinata da uno come me».

«La smetti di scusarti? Io amo te, e sarei felice soltanto con te. Quale parte di questa frase non capisci?»

«Ma vedi… me ne sono andato per questo» sussurrò Fay. «Ci ho davvero provato con tutte le mie forze, a trovare una cura decente, prima di arrendermi ed andare a Seattle. E pensare che la soluzione era qui… così vicina al solo luogo al mondo dove sono felice».

***

Fay immerse metà del volto nell’acqua calda, facendo scivolare il proprio corpo più in basso nella vasca. Fissava le goccioline di vapore e condensa nell’aria con sguardo vuoto, senza riuscire a capacitarsi di tutto ciò che gli era successo.

Se non avesse ancora la sensazione delle labbra di Kurogane sul corpo non avrebbe mai immaginato che lui era proprio di là fuori ad aspettarlo, a preparargli la cena. Poteva sentire la sua voce mentre rimproverava (cioè urlava dietro a) Ryu, che doveva avergli rubato qualcosa prima di nascondersi sotto il mobile del televisore.

Solo per sentirla, anzi, non aveva nemmeno chiuso la porta. L’aveva lasciata accostata, come faceva sempre quando stavano insieme e sperava che il suo Kuro-amore lo seguisse mentre faceva il bagno.

Si strinse il corpo magro tra le braccia, cercando di non mettersi di nuovo a piangere. Sarebbe guarito, e avrebbe passato la vita con Kurogane. Anche se tutto era cambiato, anche se le sue colpe non si sarebbero mai potute nemmeno contare, lui lo desiderava ancora con un’intensità tale da lasciarlo stordito.

Non si accorse nemmeno che Kurogane lo stava fissando dalla porta del bagno. Quando alzò gli occhi su di lui, riemergendo leggermente, vide che aveva socchiuso la porta ed era entrato; si era appoggiato lì e lo guardava, quasi curioso, come se volesse penetrare la sua tristezza e trovarvi una cura, anche se non aveva nemmeno parlato.

«Cosa c’è?» domandò, cercando di non far tremare troppo il tono della voce.

«Stai bene?» gli chiese Kurogane in risposta, sollevando un sopracciglio. Come se volesse avvertirlo: qualsiasi risposta gli avesse dato, avrebbe sempre sospettato di lui.

Fay rise, nel farsi venire in mente un ragionamento del genere, poi sorrise, vedendo l’espressione imbronciata di Kurogane. «Starei bene se tu fossi qui con me».

«Ci sono già, idiota» sbottò lui, probabilmente offeso a morte per quella risata a sue spese.

«No, intendevo proprio qui» spiegò Fay, allargando il proprio sorrisetto con aria maliziosa. «Vieni dentro la vasca e fai il bagno con me, Kuro-amore!» esclamò, godendosi l’espressione prima allibita di Kurogane e poi le sue guance fattesi rosse in gran parte per la rabbia.
Stringendo i pugni, il moro gli lanciò un’occhiataccia. «Sei proprio un imbecille!» gridò, afferrando la maniglia della porta e spalancandola.

Ma Fay era destinato ad avere la meglio dal principio, perché gran parte del suo cervello trovava anche troppo seducente la visione del biondo tra tutto quel vapore. Quando poi gridò un “fermati Kuro-bau!”, alzandosi letteralmente in piedi nella vasca, Kurogane pensò seriamente che solo un miracolo gli avrebbe restituito la capacità di muoversi o pensare.

Il corpo di Fay era nudo, bagnato, a tre metri da lui, dopo sei mesi che non lo vedeva (non che la notte prima contasse: non aveva visto un bel niente).

«Non dobbiamo fare niente se non vuoi, voglio che vieni qui e mi abbracci! Ti prego, Kuro-pii!» Senza un minimo di imbarazzo, il biondo lo stava scongiurando.

Come se ce ne fosse stato fottutamente bisogno.








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salve a tutti u.u non era mia intenzione farvi aspettare stavolta, ho cercato di aggiornare entro tempi brevi (cercherò di farlo anche per l’altro capitolo, che è l’ultimo :3). questo pezzo di storia, per quanto leggermente surreale, è il mio preferito perché è quello che ho curato di più, anche se probabilmente non si noterà xD è stato scritto ancora prima dei capitoli centrali u.u

spero che vi piaccia! intanto grazie di continuare a leggere, mi fa molto piacere vedere che ci sono tante visualizzazioni ^^ un grazie e un grossissimo abbraccio anche a chi recensisce ç_ç siete praticamente l’unico motivo per cui continuo ad aggiornare!!

 
to Julia_Urahara: la KuroFay non svanirà mai dai nostri cuori :3 nonostante la nostra OTP sia un’altra x°D comunque grazie mia cara, sono contenta che ti sia piaciuto ^^ spero che ti ricordi di questo pezzo xD ero proprio innamorata di quello che avevo scritto ai tempo (inspiegabilmente tra l’altro), perciò conto sul fatto che non faccia così schifo! baci tesoro! <3 <3

to Corvar: x°D la storia purtroppo l’ho scritta in inverno quindi sì, per loro nevica.. e qui si muore di caldo.. scusate ç_ç sono felicissima che ti sia piaciuto il capitolo, spero che anche questo non sia tanto male ^^’ come ho detto ho cercato di impegnarmi per la scena iniziale, rendendola più realistica (cioè più adatta ai personaggi) eppure romantica possibile (mi sono fatta una LISTA delle cose che giudicavo più romantiche e le ho messe sulla scena x°D).. sono felice anche che per te siano IC i personaggi ^^ dopo tanto tempo che ho letto TRC mi vengono sempre dei dubbi! grazie mille!! a presto ^^

to ___Di: grazie per gli incoraggiamenti ç_ç anche se in quel momento ti mancava il cervello (?), credimi, sei riuscito a farmi piacere e divertire come al solito con la tua recensione xD specie sulle osservazioni che fai di Fay, secondo me le CLAMP dovrebbero leggerle, così imparerebbero a farsi quattro risate xD dici che Fay sta riprendendo intelligenza? secondo me no u.u più che altro dato che è confuso si lascia direttamente trasportare dagli eventi probabilmente.. però penso che in fondo sia la stessa cosa per Kurogane. forse la scena l’ho impostata in maniera troppo semplice e tranquilla, avrei dovuto spiegare meglio quali erano i sentimenti dei personaggi.. però io penso che entrambi volessero fortemente la vicinanza l’uno dell’altro tanto da non riuscire a controllarsi in una situazione del genere (e poi Kurogane era mezzo addormentato v-v -> cerca di giustificare quello che ha scritto). comunque, la scelta che ho fatto di farli finire a letto insieme non mi ha mai convinta del tutto in effetti, nemmeno era prevista xD non era mia intenzione confondere anche i lettori però ç_ç spero di non averlo fatto insomma. per quanto riguarda la faccenda del trapianto, anch’io avevo pensato che Fay potesse non accettarlo x°D in realtà poi ho anche pensato che Kurogane l’avrebbe fatto a fette, oppure gli avrebbe tirato una mazza in testa per portarlo di persona in sala operatoria. sai, è l’amore. in ogni caso grazie mille mio caro, mi fai sempre un sacco di piacere e poi quello che hai scritto mi aiuterà a sistemare l’ultimo capitolo ^^ baci, alla prossima!! (ps: non stai aggiornando ç_ç il mio cuoricino soffre, le tue sono le uniche KuroFay che leggo D: oh spero che ti vada tutto bene, sì sì ^^)
 

harinezumi

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Capitolo 15
*** All Together Now ***



Cap 15

All Together Now

[Track 3 – Yellow Submarine]




Black white green red, can I take my friend to bed?
Pink brown white, orange and blue, I love you

«Kuro-chii… il campanello…» mugugnò Fay, nascondendo il volto nel cuscino e rannicchiandosi di più sotto le coperte, contro al petto del suo compagno. La luce del mattino gli aveva ferito immediatamente gli occhi, quando si era svegliato all’improvviso grazie al campanello alla porta.

«È domenica… perché dovrei andare a rispondere?» sbuffò Kurogane nel dormiveglia, accogliendolo senza nemmeno aprire gli occhi, semplicemente stringendolo di più con il braccio che teneva sulla sua vita.

«Perché è casa tua…» rispose Fay con un borbottio assonnato, riemergendo dal cuscino e andando a rannicchiarsi con la testa sull’incavo della spalla di Kurogane.

«Allora lasciami» rispose quello, senza accennare minimamente a muoversi.

«No…» mormorò Fay con voce lagnosa, aggrappandosi al suo collo con entrambe le braccia.

Sarebbero rimasti lì a lungo, ma il campanello suonò ancora, e Kurogane con uno sbuffo fu costretto ad alzarsi tra i lamenti di Fay. Mentre il biondo con vari borbottii sconnessi sosteneva che stava morendo di freddo ed era tutta colpa sua, si vestì raccattando qualche abito in giro per la stanza, prima di andare alla porta con aria stanca.

Era quasi presentabile quando l’aprì, trovandosi davanti sua sorella. Immediatamente, il colorito del suo viso attraversò varie tonalità dal viola al fucsia accesso, mentre gli occhi di Tomoyo vagavano sulla sua felpa infilata di fretta e sui suoi boxer –in quel momento fu felice di non averli quasi confusi con quelli di Fay-.

«Ero… venuta a trovarti» cominciò sua sorella con la sua vocetta cristallina, mentre tornava a guardare il fratello in viso, con un sorriso divertito sulle labbra. Era diventata proprio una bella ragazza, ora che frequentava il liceo; teneva ancora i capelli neri lunghi raccolti con una coda alta, e i suoi vispi occhi viola denotavano la sua straordinaria intelligenza. Non vedeva molto spesso Kurogane, dato che dormiva nei dormitori della scuola, ma quel giorno era domenica. «Forse però ho sbagliato, ti ho colto in un brutto momento».

«No, è che io… ti devo dire…» cercò di rispondere Kurogane, ma una voce dalla camera da letto gli ghiacciò la lingua.

«Kuro-chaaan! Ryu è saltato sul letto!» si stava lamentando Fay, supportato poi dal cane, che abbaiò. Doveva essersi messo a leccare la faccia al biondo, perché Kurogane lo sentì scoppiare a ridere un attimo dopo.

Per qualche secondo sognò un mondo in cui lui non si fosse dimenticato in tronco di menzionare il fatto che Fay fosse tornato a Tomoyo; lei ora  guardava suo fratello sorpresa, come quasi mai Kurogane l’aveva vista.

«È la voce di Fay?» domandò la ragazza, spalancando gli occhi e cercando di sbirciare alle spalle del fratello, ma lui le teneva ben coperta la vista del corridoio.

«Sì» mormorò soltanto Kurogane, sperando che la scintilla che era comparsa negli occhi di Tomoyo fosse di felicità o eventualmente un miraggio.

«E va tutto bene?» riprese lei, sollevando di nuovo gli occhi nei suoi.

«Sì…» rispose lui, cercando persino di sforzarsi di produrre un mezzo sorriso. Capiva benissimo quanto Tomoyo fosse preoccupata; dopotutto, aveva mostrato a lei più di tutti la sua sofferenza in quei mesi lontano da Fay, così era naturale che avesse qualche sospetto su quell’improvviso cambiamento. «Credimi, sto facendo la cosa giusta» aggiunse allora, con decisione, notando che il silenzio tra di loro si stava facendo pesante.

«Forse» mormorò Tomoyo, con un sorrisetto mesto. «Se si tratta di lui per te è sempre la cosa giusta. Scusami, non mi va di entrare» lo interruppe, vedendo che aveva già le labbra mezze aperte. «Ti auguro ogni felicità. Goditi questa bella giornata con lui».

«Aspetta, Tomoyo…» sbuffò Kurogane, prendendole la mano prima che potesse allontanarsi. «Lo sto aiutando, perché sta molto male. Non… soffrirò, davvero».

Tomoyo rimase a guardarlo con attenzione, prima di sorridere di nuovo, un po’ più tranquillizzata. «A dire la verità, ero venuta per dirti che la sorellona in vacanza dov’è ha deciso di sposarsi con Soma… è veramente un po’ matta, eh?»

«Sposarsi?» chiese Kurogane, perplesso.

«Già, le ha comprato un anello di fidanzamento…» ridacchiò Tomoyo. «Aveva preparato tutto ancora prima di partire! Povera Soma, deve assecondarla in ogni più piccola cosa».

«Un anello?» Kurogane sembrava davvero un pesce fuor d’acqua, completamente allibito da quelle notizie.

«Però in fondo è un’ottima idea, eh?» fece con noncuranza Tomoyo, posandosi l’indice sulle labbra in maniera falsamente pensierosa. Poi, sciolse lentamente la mano da quella di Kurogane. «Dai, ora vado… sei anche impegnato!»

Kurogane allora si ricordò improvvisamente di essere in mutande davanti a sua sorella minore con Fay nell’appartamento, il che lo fece risvegliare dallo stupore. Quanto alla prima allusione che Tomoyo gli aveva fatto, l’aveva registrata anche troppo bene: perciò nulla gli impedì di arrossire molto più di quanto avrebbe dovuto davanti alla sua “innocente” sorellina.

«Ehi!» la chiamò con stizza, quando ormai era accanto alle scale. Lei si voltò, con un sorrisetto. «Stai sempre ad impicciarti degli affari degli altri, ma almeno ti vedi con qualcuno?»

Tomoyo rise. «Mh… questo lo lascio alla tua immaginazione, va bene Kurogane?» risposte, con un’altra risatina. Ma a suo fratello non sfuggì l’anello che portava all’anulare della mano sinistra.

Quando richiuse la porta, non poté fare a meno di pensare a come sarebbe stato darne uno a Fay ed essere sposato con lui. Allora, rabbrividì, sentendo svariate urla provenire dalla camera, e andò a salvare il biondo dal cane.

***

Alcuni mesi più tardi.


Era la prima volta che Fay apriva gli occhi dopo l’operazione. Rimase a guardare per qualche istante Kurogane, profondamente addormentato su una sedia accanto al suo letto, con il viso appoggiato tra le braccia incrociate sulle coperte.

Le sue labbra si schiusero in un sorriso, nonostante non riuscisse quasi a muoversi per l’anestesia e fosse ancora intubato. Gli era impossibile dire qualsiasi cosa in quel modo, ma riusciva a muovere la mano più vicina a Kurogane, così allungò appena le dita per sfiorargli il volto in una debole carezza, che bastò per fargli spalancare gli occhi all’istante.

«Sei sveglio!» esclamò, alzandosi immediatamente a sedere.

Se avesse potuto, Fay gli avrebbe ordinato di darsi una calmata, in quel modo Kurogane si stava visibilmente agitando da solo. Aveva due profonde occhiaie, nonostante fossero appena tre giorni che erano ricoverati in ospedale (sì, anche Kurogane, perché aveva deciso di fare tutto insieme); anche i suoi vestiti dovevano essere gli stessi di quando Fay era stato portato lì d’emergenza dopo uno svenimento improvviso, proprio in procinto della sua operazione.

Erano riusciti in poco tempo a trapiantargli il rene nuovo, ma quella era la prima volta che si svegliava davvero in tre giorni; per quanto Fay avesse potuto dire in quel momento, era naturale che Kurogane fosse agitato. Il biondo perciò cercò di fargli capire che voleva essere estubato.

Kurogane annuì, sparendo per qualche minuto nel corridoio, ma quando tornò aveva un’aria ancora più scossa. «L’infermiera dice che è meglio aspettare la dottoressa» gli spiegò, sedendosi di nuovo. Fay si toccò di nuovo il tubo alla bocca, al che Kurogane si alzò di scatto. «Ma no, è stupido… vado…».

Il biondo però riuscì ad afferrargli la mano prima che andasse di nuovo a chiamare un’infermiera, attirando la sua attenzione quel che bastava per farsi “ascoltare”.

Mise un palmo a mezz’aria, mimando il gesto di scrivervi qualcosa con l’altra mano; al che, Kurogane capì al volo, e si chinò di fretta ai piedi del letto, raccattando dal suo zaino un blocco e una penna.

Fay li prese, anche se non riusciva a vedere un granché di quello che cominciò a scrivere. Invece di cercare di tenere gli occhi sul foglio, fissava Kurogane, incapace di sentirsi infelice (anche se molto in colpa) nel vederlo così agitato soltanto per lui.

Quando finì di scrivere, allungò all’altro il blocco con mano malferma, posando la penna sulle lenzuola.

«Perché ho la sensazione di aver già sentito questa solfa?» sbuffò Kurogane, letto velocemente e alzato lo sguardo su Fay, con un sopracciglio alzato.

Il biondo ebbe un tuffo al cuore. Pensava di renderlo felice, un tempo in fondo gli faceva spesso dediche idiote, ma come al solito aveva sottolineato la sua infedeltà a Kurogane. Dirgli in continuazione che lo amava non sarebbe certo bastato, dopo tutto quello che gli aveva fatto, perciò si convinse nel giro di pochi secondi di avere avuto una pessima idea a scrivergli quelle frasi.

Ma Kurogane non aveva finito di parlare.

«Ah… sì» continuò, tornando a guardare il foglio. «Sono le parole di una canzone. Come dimenticare che l’appartamento è invaso da cd dei Beatles da quando sei tornato?» sospirò, poggiando il blocco tra le coperte. «Forse è meglio che ti rimetti a dormire».

Se avesse potuto, Fay avrebbe riso. Kurogane era davvero fedele come un cane, anche se non se ne rendeva affatto conto. Perciò, riprese il blocco, scrivendo sotto le ultime frasi “anche tu”, e passandoglielo nuovamente.

Kurogane sbuffò, incrociando di nuovo le braccia sul lenzuolo e poggiandovi la testa.

Non disse più una parola, ma chiuse soltanto gli occhi, aspettandosi probabilmente che Fay facesse lo stesso. Il biondo non avrebbe mai rinunciato volentieri a quella vista così tenera del suo Kuro-orso che dormiva accanto a lui, ma il sonno ebbe velocemente la meglio.

Sul blocco, con una scrittura elegante ma sconnessa a tratti da tremori, stavano scritte queste parole:

“You’ve been good to me, you made me glad when I was blue, and eternally I'll always be
in love with you.”
*

***

«Kuro-pooon!»

Qualcosa di molto pesante gli si gettò addosso mentre ancora aveva gli occhi chiusi, e qualcos’altro con altrettanta grazia lo seguì subito dopo; non serviva essere un genio a Kurogane per capire che erano l’idiota e il cane dell’idiota (ribattezzato “cane dell’idiota” per distinguerlo da “idiota” soltanto; in quanto Ryu era molto più affine al comportamento di Fay che a quello di Kurogane).

«Adesso basta!» gridò, alzandosi improvvisamente a sedere dal letto dov’era steso e suscitando all’istante terrore nel cane e in Fay, rotolati via, per quanto in quest’ultimo fosse falsissimo. Fermò il volto ad un centimetro da quello del biondo, furente. «Fuori dalle scatole, mi hai capito?! IO non ho dormito per tre settimane di fila, IO sono stato sveglio per due notti intere solo questa settimana a camminare in giro per tutto l’ospedale, ed è mercoledì! Quindi a meno che non vuoi che ti uccida, lasciami dormire!»

«Kuro-amore…» mormorò soltanto Fay, abbracciandogli all’istante il collo e fissandolo adorante. Sapeva che i suoi occhi dolci sapevano scioglierlo, ed era una cosa che soltanto lui era in grado fare. «Grazie di esserti preoccupato… sei tanto dolce, Kuro-tan!»

Quando, dopo aver parlato così, lo baciò sulle labbra, sentì vittorioso che le sue si stavano aprendo per accogliere la sua lingua, e seppe all’istante che la rabbia di Kurogane sarebbe sparita in meno di cinque secondi. Ma era possibile che continuasse la recita, perciò si guardò bene dal cambiare espressione, quando si staccò da lui.

Il moro però lo guardava con aria strana, fisso negli occhi. I giorni dell’operazione di trapianto erano stati molto difficili soprattutto per lui, perché Fay più che altro era stato sotto anestesia; gli ultimi tre giorni di ospedale in particolare il biondo li aveva passati sotto dosi leggere di morfina costanti, perché tendeva a dimostrarsi troppo esuberante anche con i dottori.

Fay era tornato a casa solo quella mattina, e sembrava ancora inquieto, nonostante gli avessero vietato di muoversi troppo.

«Tu sai, vero, che non possiamo farlo?» gli domandò Kurogane, lentamente, sperando che la domanda venisse percepita dalla testa bacata che stava osservando con aria dubbiosa.

«Fare cosa, Kuro-puu?» chiese Fay innocentemente, andando a baciargli il collo con una risatina.

Kurogane, cercando di ignorare la vena che aveva preso a pulsargli in fronte, lo afferrò dolcemente per i capelli, staccandoselo però con decisione di dosso. «Non possiamo farlo. Tu sei convalescente, ti ho messo il tuo dannato cuscino preferito sul divano, hai il tuo latte, la tua coperta, quell’idiota del tuo cane, i tuoi manga, ti ho comprato la serie completa dei classici Disney. Vuol dire che sono entrato nel negozio e li ho acquistati, capisci? IO. Si può sapere quindi cosa vuoi da me?»

Fay era praticamente in lacrime –davvero, anche se per la maggior parte si stava solo lamentando-, e lo fissava mordendosi il labbro inferiore mentre finiva il suo discorso. «Scusami, Kuro-bau» rispose alla fine. «Ma di là tu non ci sei».

«Questo è perché sto cercando di dormire» sbottò Kurogane. «Non ti sarei di grande compagnia».

«Capito. Buonanotte, Kuro-chu» mormorò Fay, con una risatina, tornando per un istante a strusciare una guancia sulla sua, stringendo la presa che aveva attorno al collo. Poi, scese dal letto seguito dal cane, tornando in salotto.

Kurogane si stese con un sospiro, ma con sua sorpresa non riuscì nemmeno a pensare di chiudere gli occhi. Tutto ciò che poté fare fu imprecare e calciare via le coperte da sopra di sé.

Andò in soggiorno, prendendo in braccio uno sbalordito Fay che si era già steso sul divano e aveva acceso la televisione. Senza ascoltare una parola di quello che gli stava dicendo, si rimise al letto, poggiando anche l’altro sotto le coperte e tornando a stringerlo quando fu accanto a lui. Poi, chiuse gli occhi, notando che così sì, era molto meglio.

Solo allora si dette il pensiero di ascoltare le proteste di Fay.

«… tu e la tua mania di fare l’uomo, stavo guardando i cartoni! Ma stai già dormendo? Kuro-bun, liberarmi dai!» mugolava, stretto contro il suo petto. «Si può sapere cosa ti prende?»

«Ho bisogno di dormire. Questo è l’unico modo» rispose Kurogane, in tono di ovvietà.

Poi, anche se le proteste di Fay andarono avanti per un bel po’, non disse più nulla. Certo, non poteva fare a meno di sorridere ogni tanto, ma quello, dopotutto, era davvero l’unico modo al mondo in cui potesse dormire sereno.
 


* è il testo di Thank you girl :D (Kurogane: m-ma io sono un maschio!!!) prenditela con l’idiota u.ù









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yeee! la mia fic così si è conclusa, siete contenti del finale, sì? *si nasconde dal lancio di eventuale verdura*
ci tengo a precisare prima che leggiate l’epilogo che mi è venuto in mente dopo aver letto Kizuna x°D nonostante senta da qui il coro di “chi se ne frega”, vi assicuro che c’è un collegamento u.u

non mi va di fare i ringraziamenti finali adesso u.u ringrazio ovviamente i miei lettori e tutti quelli che ricordano/seguono/prefereggiano(..) la storia ^^ l’epilogo, esami permettendo, ho la ferma intenzione di postarlo il 27 di agosto, inizio di Do you want to know a secret. fa figo.
(ps: le recensioni non mi uccidono. sono arcifelice di quelle che ho e di sicuro non le butto via, ma sapere quello che pensano anche lettori nuovi è importante per me, ricordatelo ^^)
baciiii :D


to Julia_Urahara: tu sei troppo di parte e-e ma troppo troppo! comunque i tuoi complimenti mi fanno piacere (anche se sono di parte). quel pezzo l’ho riscritto sentordici volte quindi lo ammazzavo se non mi riusciva bene.. l’ho scritto con la colonna sonora di Love Actually, roba da far venire la pelle d’oca. fuck yeah. la smetto di tirarmela u.u adieu mon amour  <3 <3 ggrazie <3

to yua: prima di tutto: non è un dramma se rimani indietro con le recensioni xD io sento la tua aura da lettrice-che-mi-vuole-male anche se leggi soltanto e la cosa mi fa comunque piacere ^^ ovviamente sei un tesoro a recensirmi e non ti sto affatto dicendo di smettere v.v mi dispiace solo di aver dato un eventuale disturbo ai tuoi neuroni, ma che si facciano coraggio perché è tutto (quasi) finito :D forse è stato un po’ banale il fatto che sia stata Chitose a spiegare a Fay la verità, ma.. come dire, in realtà Fay era già sul punto di cedere. se non fosse tornato con Kurogane per questo motivo, l’avrebbe fatto per un altro :) ormai, nemmeno la sua stupidità poteva fermare i suoi sentimenti (si sente poetica). ok, non vuol dire mica che sia savio e intelligente, è chiaro. ma innamorato sì xD ormai però ho capito che mi ci trasferirò a vita nella torre non buia e non umida ma in compenso alta -.- comunque, credo di meritarmelo visto che sei stata pazientemente a recensire la mia storia, e io ti ringrazio tantissimo :°

to Di___: sono troppo contenta per la tua recensione!! non è affatto vero che non sai più recensire xD comunque sono contenta perché la scena mi è riuscita!! *fa un balletto* insomma, io ho scritto quella scena apposta per uccidervi tutti di pucciosità! :D ci ho messo un bel po’ a concepirla ed è l’unica parte della storia che mi soddisfa oltre ai primi due capitoli, la rileggerei anche randomicamente –wow- u.u dicevo poi a yua che Chitose è servita relativamente, perché ormai Fay aveva già dubbi sulla sua relazione con Kurogane (cioè aveva una mezza idea di tornare con lui, sempre che il suo cervello partorisca idee e non cazz—cioè, ehm.. *coff*) u.u però non l’ho reso bene negli altri capitoli perché la storia l’ho scritta a pezzi uniti insieme. non lo farò mai più perché alcune cose belle/importanti non si sono capite. per la verità ho scritto qualcosa su Kurogane e Fay oltre a questa porcheria storia v.v anche cose alquanto p0rn (per quanto sia difficile con questi due).. sicuramente non abbandonerò la coppia perché la amo da una vita ;) long fic del genere però non so se mi riusciranno più! comunque la tua storia non ha nulla in meno della mia, semmai in più x°D sai essere fantasioso, alla fine io ho scritto una storia come tante, tu l’hai inventata ecco v.v mh è riduttivo dire così, ma è il sunto di quello che voglio comunicarti x°D in ogni caso GRAZIE, sei stato davvero gentile e mi hai fatto davvero sorridere con le tue recensioni, spesso le faccio leggere anche ad altri perché le trovo geniali ^^ alla prossima!!


harinezumi
 

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Capitolo 16
*** Here, There and Everywhere ***



EPILOGO

Here, There And Everywhere

[Track 5 – Revolver]



 

Everywhere, knowing that love is to share
Each one believing that love never dies

«No, non hai capito, non voglio affatto il tuo aiuto!»

«D’accordo, lascia fare a me!» esclamò allegramente quella specie di ritardato del cuoco, afferrando la scatoletta dalle mani di Kurogane senza nemmeno aspettare una risposta.

Il moro si trattenne dal salire sul bancone per strozzarlo; per uno sfortunato caso quel Fuma era il proprietario del ristorante in cui aveva deciso di portare Fay (sotto consiglio di Subaru, dato che ci lavorava il suo secondo gemello; e il fratello di Seishiro, una specie di calamità naturale come lui). Ma mentre cercava di spiegargli che voleva un tavolo distaccato rispetto agli altri, quello aveva individuato la scatoletta con l’anello che aveva intenzione di dare al biondo, perciò si era messo in testa di infilarglielo nel dessert.

«Alle ragazze piacciono questo genere di cose melense! Anche alla mia!» spiegò Fuma con un sorriso, all’espressione da omicidio che gli stava facendo Kurogane.

Proprio in quel momento, però, dietro il bancone comparve dalle cucine uno dei camerieri, che chissà come doveva aver origliato tutta la conversazione. Aveva una padella in mano e le sue intenzioni sembravano buone quanto quelle di Kurogane; somigliava in maniera impressionante a Subaru, anche in altezza, ma aveva i capelli spettinati e gli occhi di un viola acceso.

«Prova un po’ a ripetere chi è la ragazza» ringhiò il piccoletto, afferrando Fuma per la collottola e abbassando il suo volto fino al proprio, la padella alzata.

«Rivorrei il mio anello» sibilò Kurogane, al quale poco importava che il gemello di Subaru avesse le sue cose in quel momento.

«Ma se te lo ridò toglierai tutto il romanticismo alla serata! Per una proposta del genere va messo nel dessert, credimi! Io l’ho fatto con Kamui» si lamentò Fuma, prestando poca o nessuna attenzione al ragazzino, se non per cingergli la vita e stringerlo a sé, come se non fosse affatto minacciato da lui.

Kurogane intuì in quel momento che doveva essere per forza il gemello di Subaru: il rossore che gli salì alle guance era tale che per qualche attimo si chiese se Subaru in realtà non se la facesse con entrambi i Sakurazuka. La cosa non gli importava comunque un granché, dato che il suo anello era ancora nelle mani di quel pazzoide del fratello di Seishiro.

«Lasciami subito!» ringhiò Kamui, tirandogli la padella in testa tanto per essere sicuro che il messaggio arrivasse. Venne accontentato, ma Fuma in realtà allentò soltanto un po’ la presa. «E comunque non stare qui ad importunare i clienti! Lo sai benissimo che io mi sono quasi strozzato con quella maledetta cosa che mi hai fatto mangiare, bastardo!»

«Ma lo porti lo stesso» ribatté Fuma, afferrandogli la padella dalle mani e gettandola via senza difficoltà, solo per poter arrivare alla sua mano sinistra. Effettivamente, Kamui portava un anellino d’argento all’anulare, ma ritrasse immediatamente la mano.

«Se non mi lasci subito…»

«Sei stato tu a venire!»

«Rivorrei il mio anello».

«Se non mi lasci subito, Fuma, giuro che non lo faremo per un anno» concluse Kamui, le guance leggermente arrossate per l’imbarazzo di una cosa che stava dicendo lui stesso, ma deciso.

Questo sembrò fare un certo effetto sul suo ragazzo, che lo lasciò con uno sbuffo; al che, quello si dileguò in cucina con la stessa velocità con cui era arrivato. Però Fuma non si trattenne dall’urlargli dietro “tanto non resisteresti più di me”.

«Ti sei appena giocato un mese!» si sentì dalla cucina in risposta.

«Suwa, non mi compatisci?» si lamentò Fuma, voltandosi di nuovo verso Kurogane, praticamente in lacrime, ma non trovò affatto comprensione da lui.

«Ridammi il mio anello o ti posso assicurare che ci sarà un secondo motivo per cui sarai costretto ad andare in bianco» ringhiò quello, aggrappato al bancone con le unghie, probabilmente nel tentativo di sradicarlo e darlo in testa a Fuma.

«No, mi spiace, niente da fare!» esclamò Fuma, ritrovando improvvisamente il sorriso. «È stasera che hai prenotato, giusto? Avrai il tuo tavolo appartato e il tuo dessert!» concluse allegramente, sparendo dentro le cucine.

Il bancone del ristorante scricchiolò terribilmente sotto i suoi pugni, mentre Kurogane meditava se non fosse il caso di procurarsi uno spadone e impalare Fuma.

***

«Non ci posso ancora credere che mi hai portato qui, Kuro-bau» cinguettò Fay, seduto al tavolino rotondo, separato dal resto della sala del ristorante da un separé di legno appositamente preparato. Si allungò per baciare Kurogane sul naso, come il suo solito; probabilmente il moro l’aveva previsto, ecco il perché aveva scelto proprio quel posto, lontano dagli occhi di tutti gli altri.

«Sì, va bene… però adesso mangia» sbuffò Kurogane con aria di sopportazione. Certo, non poteva mica dire che era per l’anello tra le grinfie del cuoco che era preoccupato dall’inizio della serata.

«Kuro-pii… mi vergogno» mormorò allora Fay, la quinta volta che gli caddero le bacchette sul piatto. «Non le so usare, non ridere! Dopo che hai fatto tutto questo per me, ho paura che non ti sembrerò per nulla attraente».

«E perché?» domandò Kurogane, genuinamente perplesso, sedate sul nascere tutte le battute che avrebbe voluto fare su Fay e la sua imbranataggine con il cibo giapponese.

Senza che se lo sapesse spiegare, il biondo lo guardava con un sorriso estasiato. «Oh, che dolce Kuro-chu! Fai finta di niente per me!»

«Finta… di niente?» mormorò Kurogane. Ma, per quel poco che sapeva sulle donne e che aveva imparato dalle sue sorelle (e che funzionava anche per Fay), s’immaginò che in quel caso era molto meglio stare zitto e lasciare che l’equivoco non venisse precisato. Però era vero che non capiva come Fay non si considerasse attraente.

Quando prendeva a fissarlo, nulla gli impediva di trovarlo semplicemente perfetto; quel suo sorriso tenero e i suoi occhi azzurri erano in grado di sconnettergli le sinapsi per un lasso di tempo interminabile. Era anche per questo che evitava accuratamente di guardarlo a volte, specialmente quando usciva dalla doccia o si svegliava la mattina. Altrimenti non avrebbe risposto delle sue azioni, e Fay avrebbe avuto tutte le ragioni per dargli del maniaco.

«Perché mi hai chiesto di venire qui stasera?» domandò Fay, poco prima che arrivasse il dessert, quando il nervosismo di Kurogane era ormai alle stelle.

Dubitava che il piano di Fuma potesse funzionare, e meditava di cercare il numero del pronto soccorso non appena Fay si fosse strozzato con l’anello. «Per nessun motivo. Mi andava, e mia sorella rompeva».

«Oh» mormorò Fay, nascondendo a malapena la sua delusione, ma stranamente senza arrabbiarsi. «Quindi te l’ha detto Tomoyo di portarmi qui… beh non fa niente anche se non è stata una tua idea» continuò, alzando le spalle. «Almeno l’hai ascoltata».

«Non è quello… è che non sapevo come darti…» cominciò Kurogane, zittendosi improvvisamente e dandosi dell’idiota. Ma Fay non si era accorto di nulla, perché era arrivato Kamui con il dessert, una torta al cioccolato fondente, e la loro attenzione venne attratta da lui.

Era curioso, perché Kamui stava in piedi davanti al loro tavolo, completamente rosso in viso e con questi due piatti con il dolce in mano; a Kurogane parve che avesse saltato un bottone della camicia e che il colletto fosse ancora aperto.

«Io… scusate» balbettò, cercando nervosamente di sorridere. Posò i piatti di fronte a loro e si defilò immediatamente in cucina, afferrando la prima padella che vide.

Non appena scorse la figura di Fuma intenta a lavorare ai fornelli, gliela tirò in testa con una forza considerevole.

«Che ho fatto?!» esclamò quello, portandosi immediatamente una mano alla testa e voltandosi verso di lui, dolorante.

«Idiota! Per colpa tua mi sono agitato e… credo di aver scambiato le fette del loro dessert! Sei veramente un povero imbecille, hai fatto un casino!» gli gridò contro Kamui. Fortunatamente, gli altri cuochi erano abituati a loro, quindi tutti seguitarono a lavorare come se nulla fosse.

«Ma Kamui, io pensavo di farti un favore, hai i nervi così tesi… se non ti piace farlo nella dispensa possiamo andare nell’uffic…».
Le ultime parole però furono coperte da uno strillo di Kamui e da un forte colpo di padella, che probabilmente vennero sentiti anche in sala.

***

Kurogane avrebbe ammazzato lo stupido cuoco. Aveva quasi ingoiato l’anello di oro bianco finissimo che aveva comprato per Fay spendendo un occhio della testa, ma la cosa peggiore era che il biondo non gli staccava gli occhi di dosso, così anche se l’aveva notato nella propria fetta di torta non sarebbe mai riuscito a prenderlo.

Poi, con le mani che gli tremavano per la rabbia, non era sicuro di riuscire a metterselo in bocca, e per fare cosa poi? Per biascicare al posto che parlare normalmente per il resto della serata?

Aveva bisogno di riflettere con calma, persino la voce tranquilla e spensierata di Fay non riusciva a calmarlo; e poi il biondo avrebbe presto notato che non stava veramente mangiando la torta. Perciò, prese il suo calice con lo champagne e, senza indugiare neanche un attimo –e dimostrando che come attore faceva proprio schifo- se lo versò addosso.

«Kurogane!» esclamò Fay, afferrando all’istante il proprio tovagliolo e allungandosi verso la macchia di vino che si allargava sulla sua giacca. «Ma dai, ci ho messo una vita a ripulirti questo completo dopo che Ryu ti è saltato addosso…».

«Beh non è stata colpa mia» sbottò Kurogane, seccato, lasciando però che le mani di Fay passassero per un po’ sulla giacca, nel tentativo di pulirla. Questo lo tranquillizzava.

«Ma adesso sì!» ribatté Fay, ritraendosi con stizza e sbuffando teatralmente.

«Va bene, vado un attimo in bagno e lavo la macchia. Non ti muovere». Prima che il biondo potesse dire qualcosa, Kurogane si alzò, dirigendosi alla toilette.

Riusciva a malapena a respirare; la serata faceva già schifo così, con quell’idea geniale di Fuma di fregargli l’anello. Poi doveva mettersi anche il panico totale a mettergli fretta: e ci voleva davvero una catastrofe per spaventare uno come Kurogane. Maledì Tomoyo e le sue idee del cavolo un paio di volte, mentre tentava di pulirsi la giacca al lavandino, che lui stesso aveva rovinato probabilmente in maniera irrimediabile.

Quando tornò al tavolo da Fay, aveva preso una decisione. Si sedette, quasi meccanicamente, sostenendo l’occhiata di disappunto che il biondo lanciò alla macchia ancora evidente.

«Voglio che assaggi la mia torta» proclamò, senza nemmeno scusarsi per essere stato un quarto d’ora in bagno.

«È uguale alla mia…» mormorò Fay, spaesato.

«Ma tu l’hai finita» ribatté Kurogane, prendendo un pezzo dalla sua fetta con la propria forchetta, ben lontano dall’anello, e cercando di non immaginarsi mentre faceva quello che stava facendo. Allungò la forchetta fino alle labbra di Fay, che lo fissava quasi terrorizzato; almeno, non sembrò innaturale come poco prima, quando gli fece cadere la torta addosso.

A dire la verità, la sua mano aveva tremato davvero; nemmeno fare il bagno con Fay lo aveva imbarazzato tanto come quel gesto.

«Dannazione, Kurogane! Vedi di svegliarti» sbottò Fay, raccogliendosi la torta dalla camicia macchiata di cioccolato. Stava ripetendo le parole che tanto spesso era stato proprio Kurogane a dirgli. «Sono contento che tu mi abbia portato qui, ma che cavolo! Almeno sii presente con la testa, quando mi fai un regalo!»

«Scusa» rispose Kurogane, trattenendosi dallo sbattere la testa sul tavolo con tutte le forze che aveva.

«Vado a pulirmi…» sbuffò Fay, alzandosi in piedi. Ma, a differenza di Kurogane, la sua agitazione era dovuta solo allo strano comportamento del compagno; così, tanto per consolarlo un po’, prima di andare si avvicinò a lui, posandogli le mani sulle guance e baciandolo sulle labbra. «Non fare casino, o dovrò cominciare a chiamarti Ryu» gli raccomandò, con un sospiro.

Quando Kurogane lo vide scomparire si sentì improvvisamente sollevato, e raccattò l’anello dalla torta, osservando con uno sbuffo di disappunto che era tutto sporco di cioccolato. Non poteva certo darlo a Fay in quelle condizioni; non avrebbe saputo spiegare il perché l’aveva infilato e poi sfilato dalla propria fetta di torta. Stupido Fuma.

Una volta che Fay si fu risieduto davanti a lui, almeno aveva nascosto l’anello e il biondo sembrava ancora disposto a dimostrargli allegria, anche se era evidente che si sentiva sempre più a disagio.

«Kuro-chi, forse è meglio andare a casa adesso» mormorò infatti ad un certo punto, con un sorrisetto gentile. «Sono le dieci e un quarto e Ryu sentirà la nostra mancanza… spero non si sia messo ad abbaiare di nuovo».

«Non è mica nostro figlio» sbottò Kurogane, la testa appoggiata elegantemente a una mano, il gomito puntellato sul tavolo. La disperazione che si era fatta strada dentro di lui non aveva eguali.

«E invece lo è! È il nostro bambino, prima lo capirai meglio è» lo prese in giro Fay, con una risatina.

«Scusa» lo interruppe improvvisamente Kurogane, alzandosi in piedi. «Aspettami qui, quando torno andiamo a casa. Mi dispiace per la serata».

Si diresse nuovamente in bagno, dove la voglia di prendere a testate il muro non lo abbandonò nemmeno per un istante. Vi si appoggiò, con un sospiro, prendendo l’anello nella tasca della giacca dove lo aveva nascosto dentro un fazzoletto; almeno ora poteva ripulirlo, anche se era inutile darlo a Fay dopo una cena così tremenda.

Prese a lavarlo al lavandino, asciugandolo con cura, ma prima che potesse rimetterlo via la porta del bagno si aprì dietro di lui e si voltò in fretta, nascondendolo d’istinto dietro la schiena.

«Ora mi spieghi cosa ti succede» sbuffò Fay, avvicinandosi a lui con le braccia incrociate al petto. «È tutta la sera che ti comporti in maniera strana. Se devi darmi una qualche brutta notizia, guarda che so digerirle anche senza tante cerimonie!»

«Non è questo…» mormorò Kurogane.

«C’è qualche problema con la tua famiglia? Vuoi dare via Ryu? Perché se si tratta di questo, te lo puoi scordare!» esclamò Fay, tassativo. «Non si tratta di me, vero? Ho fatto attenzione questa settimana, non ti ho seccato nemmeno un po’ con la faccenda del nostro anniversario…». Ma quando parlò, si pentì quasi subito di quello che aveva detto, mordendosi le labbra. «Tanto non è importante, non è nemmeno quello vero dato che poi ci siamo lasciati».

«Non dire fesserie, è come se fossimo sempre stati insieme» sospirò Kurogane, rassegnandosi. Se Fay fosse diventato triste in quel momento, poteva scordarsi che la serata si risollevasse. «Dai, chiudi gli occhi. Ma poi non prendertela con me se mi hai costretto a farlo in un bagno».

«Che cosa, Kuro-chan?» chiese Fay, con una risatina, ma all’occhiataccia del compagno chiuse immediatamente le palpebre.

Kurogane gli prese la mano sinistra con delicatezza, sfiorandone il palmo così morbido, e per un attimo sorrise nel vedere l’espressione sorpresa del biondo, anche se continuava a tenere gli occhi chiusi. Gli infilò l’anello all’anulare, prendendo fiato per parlare, che però non arrivò.

O meglio, arrivò troppo tardi.

«Mi vuoi s…» aveva appena fatto in tempo a pronunciare, quando qualcuno spalancò la porta del bagno con una risata allegra, e Fay spalancò gli occhi, allibito, arrossendo all’istante alla vista di Kurogane davanti a sé.

Perché era idiota, ma non così idiota da ignorare quello che stava per accadere, che era stato interrotto da uno strano tipo dai capelli spettinati e con un sorrisone in volto.

«Ah, salve ragazzi! Buoni i gamberetti, eh?» esclamò, entusiasta, salutandoli con la mano e andando a chiudersi dietro uno dei gabinetti.
Fay fissò all’istante lo sguardo a terra, di un colore che verteva al bordeaux. Kurogane era veramente furioso, e si stava trattenendo a stento dal prelevare quel tipo e ammazzarlo.

«Che palle!» sbottò all’improvviso, afferrando il braccio di Fay e uscendo dal bagno con decisione, seguito senza fiatare da un biondo stranamente silenzioso, perso nel mondo dell’imbarazzo più totale. «Andiamo via… se vai a prendere i soprabiti io pago io conto e prendo la moto» sbuffò il moro, completamente spazientito, lasciandolo quando furono vicini all’ingresso.

«Va bene, Kuro-amore…» mormorò Fay, cercando di sorridere, ma ancora non lo guardava in faccia. I suoi occhi puntavano più che altro alla propria mano, su cui ora spiccava quell’anellino.

***

Kurogane parcheggiò la moto davanti all’entrata del ristorante, togliendosi il casco. Gli serviva aria, molta aria, per digerire quello che gli era successo in una sola giornata.

Tremava di rabbia, fissando il manubrio della moto come se lo volesse incenerire, e pensava alla figura da idiota che aveva appena fatto con Fay. Non era stato in grado di fargli una proposta decente nemmeno dopo che si era tanto impegnato; anche se più che altro era stata Tomoyo a suggerirgli ogni cosa, lui si era impegnato come non mai, dato che odiava quel genere di cose sdolcinate.

Eppure non sopportava che qualcosa, anche del genere, non gli fosse riuscita: Fay si meritava quello che voleva, e il disastro che aveva fatto era appunto un disastro.

Mentre sentiva la rabbia montare dietro di sé, non si accorse che una coppietta era appena uscita dal ristorante assieme a Fay, che si era fermato a guardarlo, sorridente, accanto alla porta pochi metri più in là.

«Ma porca di quella puttana!» urlò Kurogane, tirando un calcio al cavalletto della moto, che per poco non si spezzò in due, ma riuscì miracolosamente a reggere.

Solo allora si voltò verso l’uscita del ristorante, quando sentì una leggera tosse divertita, notando Fay e arrossendo suo malgrado. Già, l’aveva gridato ad alta voce… e l’avevano sentito anche i due usciti da poco, che lo guardavano scandalizzati.

«Ehm… sapete… il conto lo sconvolge sempre» affermò Fay con gentilezza, cercando di tranquillizzare la coppia, che si dileguò guardandoli inorridita.

Solo allora il biondo si avvicinò a Kurogane, appoggiandogli il suo soprabito sulle spalle con un sorrisetto.

«Dai, infila le maniche e andiamo» gli disse, prendendogli una mano.

«Non sono un bambino» sbottò Kurogane, evitando il suo sguardo e scacciandolo, per finire di mettersi da solo il soprabito. «Mettiti il casco».

«Ah, nemmeno io sono un bambino» ribatté Fay con una risatina. Il suo volto era stranamente vicino a quello di Kurogane, tanto da sfiorargli una guancia con il naso; e si era appoggiato alla moto, tra le sue gambe, prima di cingergli il collo con le braccia. «Prima finisci quello che mi stavi dicendo».

«Non so a che ti riferisci. Se è per l’anello è un regalo di mia madre».

Fay rise di cuore, montando la rabbia in Kurogane che finalmente lo fissò, corrugando la fronte. «E poi non saresti un bambino!» esclamò, baciandogli una guancia e avvicinando lentamente le labbra al suo orecchio. «Kurogane, mi vuoi sposare?»

«No» sbottò Kurogane immediatamente, nonostante fosse scosso da quella proposta che non si sarebbe mai aspettato dal biondo. «Sei troppo stupido, mi fai veramente incazzare».

«Kuro-bau!» lo rimproverò Fay, mordicchiandogli poi il lobo dell’orecchio. «Voglio che mi sposi».

Kurogane stette in silenzio. Non c’era nulla di giusto in quella proposta, era stato lui a volerla fare per primo e non era corretto da parte di Fay; ma probabilmente ormai non c’era modo di cambiare l’intera faccenda.

«Sì, d’accordo» acconsentì, con tono di stizza. Prese la nuca di Fay, con fermezza come il suo solito, per portare le labbra del biondo sulle sue e accarezzargli la lingua con la sua, assaporando la sua saliva abbastanza a lungo da togliere il fiato ad entrambi. «Ma il cane non sarà mai nostro figlio».







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direi che ci starebbe l’avvertimento di OOC :) ma non so se è valido scriverlo in fondo xD

ora vi starete chiedendo dov’è il collegamento con Kizuna :D anche se sicuramente non ve lo state chiedendo, v’informo che ad un certo punto (SPOILEEER per chi non l’ha letto u.u) Kei chiede a Ranmaru di sposarlo (FINE SPOILEEER) e quindi ho pensato che non fosse una cosa troppo cretina.
forse lo era. perlomeno ho finito in bellezza (?)..

ci tengo a precisare che i personaggi di Kamui e Fuma (scritto con una u perché non so quante ce ne vadano xD) che ho “usato” in questo capitolo hanno più che altro la caratterizzazione di Tsubasa e non hanno nulla a che vedere con il manga di X. in realtà li ho anche parecchio ridicolizzati, ma in ogni caso questo epilogo è stato scritto soltanto per farsi due risate (infatti c’entra solo vagamente con la storia). anche il personaggio che li interrompe in bagno è delle CLAMP nella mia testa.. un certo Kujaku da RG Veda.

che dire, l’attaccamento con questa storia è davvero grande perché è cominciata addirittura l’anno scorso con Do you want to know a secret. non posso dire che non mi sta a cuore e che non sono triste di averla conclusa, anche se questo seguito in alcuni punti mi ha delusa per come l’ho reso..
ringrazio tutte le persone che l’hanno letta dal profondo del cuore, perché sono sempre state tantissime e penso che ci voglia costanza anche per leggere una storia, non solo per leggerla e recensirla.

ringrazio chi l’ha messa nelle preferite, nelle seguite e nelle ricordate ^^ ben 23 persone e so di non meritarmele tutte xD
un ringraziamento in particolare a chi l’ha recensita perché, non scherzo, voi siete stati la mia forza per continuare ad aggiornare. per uno scrittore è importante la fiducia in sé stesso, e voi me l’avete data quando non ne avevo per niente.. non mi metto ad elencare tutti i nomi, però anche se avete recensito anche una sola volta, anche se l’avete fatto per cortesia o perché avevate cinque minuti liberi, sappiate che per me è contato tantissimo e mi ha reso la personcina più felice del mondo :)
 

to Julia_Urahara: non ti trovo troppo di parte dai xD però un pochino lo sei, ammettilo! ti voglio comunque bene, hai sopportato questa storia per DUE volte <3 evidentemente mi ami un sacco u.u credo che Kurogane sia un sacco OOC in questo epilogo, me ne sono accorta solo adesso rileggendo.. però pazienza, almeno so che a te piacerà x°D grazie mille tesoro ^^ sei adorabile <3

to yua: non ti preoccupare, ho sempre trovato molto costruttivi i tuoi commenti :D cioè, il fatto che siano anche divertenti è solo positivo, ma non morirò affatto se cambieranno v.v mi sono resa conto che tu mi recensisci da più di un anno l’altro giorno e sono rimasta sconvolta dalla cosa.. cioè, non troverò mai le parole per ringraziarti abbastanza çAç questa purtroppo sarà una risposta banalissima perché devo andare a studiare però sappi che mi ha fatto tanto piacere che il capitolo ti sia piaciuto, e che sei una persona gentilissima çAç ciao ciao, alla prossima spero!

to __Di: credo di aver capito che il finale ti è piaciuto xD sono contentissima di aver avuto una tua recensione <3 visto che sei pure in vacanza! scriverò qualcos’altro su di loro appena mi passerà l’ennesimo blocco dello scrittore, purtroppo per te xD di un po’ più serio rispetto a questa storia, che anche se ha in un certo senso la sua tragicità io trovo parecchio allegra (forse un po’ troppo). vorrei cimentarmi in cose tristi u.u tanto per vendicarmi di quelle che mi fai leggere tu çAç in ogni caso grazie, sei stato un recensore fantastico e sei superappassionato alle CLAMP, per me è stato un piacere leggere tutto quello che mi hai scritto! purtroppo io invece sto scrivendo risposte del cavolo perché devo andare a studiare <_< in ogni caso GRAZIE e spero di sentirti presto! buone vacanze <3
 


harinezumi

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