Rappelz - The Pikeru's Long Journey

di MelethielMinastauriel
(/viewuser.php?uid=59738)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Preludio ***
Capitolo 2: *** Capitolo II: Horizen ***
Capitolo 3: *** Capitolo III: Laksy ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV: Training ***
Capitolo 5: *** Capitolo V Atto I: Avventura nel Bosco ***
Capitolo 6: *** Capitolo V Atto II: Nel cuore della foresta ***



Capitolo 1
*** Preludio ***


Capitolo I: Preludio
 
Mi chiamo Pikeru, ho capelli Azzurri, occhi verdi e un paio di orecchie a punta: il tratto distintivo dei Deva, una delle 3 razze che popolano questo continente.
Sono nata in una città di nome Sirag, sorta nei pressi di Katan, il villaggio principale degli Asura e fu proprio quella vicinanza a dare una svolta alla mia vita per sempre.
Fin da piccola ho avuto una predisposizione per il combattimento, in particolar modo per le spade, infatti spesso mi imbattevo in azzuffate tra compagni per le strette si Sirag.
Purtroppo tutto arrivò improvvisamente con la violenza di un uragano, strappandomi da quella che era la mia infanzia…..
 
Il cielo cominciava a farsi denso di nubi nere e minacciose.
Pikeru, che era nel bosco vicino Sirag per il suo allenamento quotidiano.
La deva vestiva con un corpetto ben allacciato arrivandole fin sotto il seno e lasciandole scoperto l’addome, dandole così maggiore possibilità di movimento. Indossava, inoltre, dei pantaloncini fin sopra il ginocchio con un pezzo di stoffa che sporgeva in avanti e dei semplici guanti per evitare di ferirsi.
Brandiva la sua spada in cielo e si muoveva con quel passo felino che non le è mai mancato. Con la sua mente vuota, completamente assorta nell’allenamento, Pikeru disegnava degli archi nell’aria saltando, per poi riatterrare al suolo e muovere la spada con destrezza.
Si fermò improvvisamente. Guardò il cielo e fu come se qualcosa la preoccupasse.
”Un temporale in questa stagione?!? Farò meglio a tornare a casa….”
Quindi ripose la sua spada nel fodero, prese la sua sacca e s’incamminò per la via del ritorno.
Stranamente l’angoscia crebbe nella giovane Deva, non accorgendosi nemmeno di aver accelerato il passo fino al punto di correre. Si fermò col fiatone. Era appena uscita dal bosco e ora le attendeva una lunga distesa prima di giungere in città. Ritornò sui suoi passi per poi fermarsi poco dopo.
“Ornitho?!? “
Ve ne erano una decina di quelle creature cavalcabili. Non se ne vedevano molti in giro per Sirag, e spesso quelle creature venivano avvistate in compagnia di viaggiatori o guerrieri che erano in viaggio. Dopo averli esaminati e accarezzati non riuscendo a trattenere lo stupore, stavolta Pikeru decise di arrivare in città il più presto possibile. Non pensò neanche di prendere una di quelle creature. Qualche guerriero doveva essere ancora nei paraggi e non toccare niente si sarebbe rilevata la migliore idea.
Tutt’un tratto gli uccelli smisero di cantare, le nuvole divennero sempre più nere. La natura era in silenzio, una quiete quasi mortale…
Avvicinandosi, Pikeru riuscì a distinguere meglio i suoni e a vedere cosa stava accadendo precisamente. Ormai sotto le mura, la ragazza cominciò a scontrarsi contro le persone che venivano, correndo, dalla parte opposta, ma una volta dentro la città capì meglio lo scenario che aveva di fronte. Un incendio. Sirag stava bruciando.
In men che non si dica tutte le vie e i viottoli della città si colmarono di gente. A tutto ciò s’aggiunsero le grida lamentose delle donne atterrite, i pianti dei bambini che avevano perduti i propri genitori tra la folla, chi cercava di salvarsi e chi, invece, tornava indietro per dare aiuto ai feriti…
Le costruzioni cominciarono a cedere e le torri di guardia cominciarono a venir giù una ad una, il fuoco divampò violento tra le strade.
Pikeru diede subito da farsi anche se era un po’ paralizzata dalla paura.
“Madre! Padre! Dove possono essere?”
Non riusciva a ragionare. Tutto quel chaos rendeva impossibile concentrasi. Allora istintivamente si diresse verso casa. Il sacco sulle spalle e la spada al suo fianco cominciarono a farsi pesanti ma decise di non mollare. Non in quel momento. Anche la sua casa, come le altre, era in fiamme.
“Ma che diavolo… MADRE!! PADRE!! “ E prese a gridare con quanto fiato aveva nei polmoni.
La porta era aperta. Vi si precipitò dentro. I mobili, la sua camera, le armi decorative…. Tutte le cose a cui era affezionata stavano bruciando. Lo sguardo si posò su una figura familiare. Sua madre era accasciata a terra.
“MADRE!!” Lasciò cadere lo zaino dalle spalle e si lanciò sul corpo inerte.
“Madre… Madre… svegliatevi per favore! Dobbiamo andare via di qui! Madre!” E nello scuoterla, sentì qualcosa di bagnato fra le mani. Alzò la mano destra. Sangue. Guardò a terra. Il pavimento era imbevuto di sangue. Non riuscì a pensare a nulla. Le lacrime le scesero silenziose e bollenti tra le guancie. Poi alzò lo sguardo. L’assassino era lì. Era rimasto per assistere alla scena. Tra le mani, aveva ancora il pugnale imbevuto di sangue. Il sangue di SUA madre, dei SUOI genitori.
“P-Perché?!?” furono le uniche parole che riuscì a mormorare.
Ma l’ira divampò improvvisa. Scattò in piedi, estrasse la spada dal fodero e balzò sul nemico nel tentativo di colpirlo con un colpo di fendente. Ma all’assassino bastò evitarlo per poi dare un colpo netto sul polso della ragazza per farle cadere l’arma di mano.
Pikeru strinse la ferita con la mano opposta. Il sangue fluiva copioso. Ma non doveva mollare. Per la sorpresa dell’assassino, la ragazza afferrò un pugnale dietro la cintura e riprese a colpire senza pietà, con più foga di prima. L’ira non si era di certo placata. Il seguito fu un susseguirsi di colpi: alcuni vennero parati o evitati, altri andarono a segno lacerando la carne. Finalmente arrivò il momento giusto per Pikeru.
L’assassino, nel parare un colpo, lasciò che le sue gambe si allontanassero troppo le une dalle altre. Dove agire. Dopo aver parato il colpo e spinto il nemico leggermente indietro, si abbassò per poi sferrare un potente calcio facendogli perdere così l’equilibrio. Il guerriero cadde a terra pesantemente lasciando scivolare la sua arma lontano.
Dopo aver afferrato il pugnale, Pikeru affondò la sua lama con tutta la forza che aveva nel palmo sinistro dell’assassino. Quest’ultimo levò un grido di dolore tanto spaventoso da far trasalire la ragazza che intanto si era alzata in piedi lasciando il pugnare ancora conficcato nella carne. In quell’attimo di distrazione Pikeru non si accorse di essere stata afferrata per la caviglia e in niente venne scaraventata pesantemente contro il muro.
L’assassino estrasse il pugnale dalla mano e, stringendola forte a sé per attenuare la perdita di sangue, batté in ritirata, ma non prima di aver guardato la Deva con uno sguardo di profondo rancore.
Pikeru era esausta. La caduta e il fumo dell’incendio non aveva fatto altro che stordirla maggiormente. Non riusciva più ad alzarsi.
“Ecco, è finita.” Pensò. Le lacrime continuarono a scenderle lungo il viso. Perdeva molto sangue. Il pavimento cominciava a imbrattarsi di rosso e il respiro divenne sempre più irregolare. Guardò la madre. E poi il padre, sdraiato nella stessa posizione poco più in là. Poi perse i sensi. La struttura non resse più le fiamme e crollò. La giornata era finita e con essa anche la grandezza di Sirag.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo II: Horizen ***


A/N: Ehilà! Da quanto tempo! Sono tornata su EFP dopo quasi 2 anni. Questo capitolo che state per leggere è stato scritto il 30 Ottobre 2008. Ora che lo rileggo posso notare come il mio stile sia cambiato. Però non mi andava di riscriverlo in quanto oramai è una parte di me.... Mi è difficile esprimere cosa provo per questa storia, in quanto è stata la mia prima fanfiction a episodi. Mi piacerebbe tanto continuarla un giorno. Per il momento pubblicherò tutti i capitoli scritti fin'ora. Buona lettura =)

Capitolo II: Horizen
 
Era oramai mattina inoltrata. Un lieve vociare di persone e lo scalpitare di varie cavalcature si udivano in lontananza. La stanza era buia e la luce entrava sola da un’enorme apertura nulla parte alta della parete.
Una ragazza, seduta accanto ad un tavolo cosparso di boccette e boccettine colme di strane pozioni, ne prendeva una ad una, ne osservava il contenuto controluce e leggeva l’ etichetta come se fosse alla ricerca di qualche intruglio in particolare e una volta trovata quella giusta, ne versava il contenuto in un’ampolla con maggiore capienza.
La ragazza aveva lunghi capelli rossicci e mossi che le arrivavano fin sopra le spalle, occhi di un vivissimo verde smeraldo e qualche lentiggine qua e là sulle sue guancie. Un gaia a tutti gli effetti.
Pikeru cominciò a provare un lieve dolore e successivamente se ne aggiunsero altri. Sentiva più punti del suo corpo dolerle. Ancora non riusciva a riaprire le palpebre ma poteva udire il continuo tintinnare di boccette e ampolle di vetro. Aprì gli occhi a fatica. Osservò il soffitto a lungo, poi decise di alzarsi.
Al frusciare delle coperte la maga sussultò. Non si sarebbe aspettata infatti che la Deva si svegliasse così presto.
“A-Accidenti, sei già sveglia?!? Ah, no, no…. Stai ferma per favore, devi riposare!” disse alzandosi dalla sedia ed andando incontro a Pikeru.
”D-Dove sono…?” riuscì a malapena a mormorare.
“Sei ad Horizen, però sta calma o le ferite si riapriranno e cominceranno a sanguinare.”
“Horizen?!?” Disse Pikeru sbalordita.
“Sì, sei arrivata stamani assieme a tutti gli altri superstiti. Al mattino sono giunti dei vostri messaggeri con richiesta d’aiuto e vi siamo venuti incontro con i nostri maghi. Ho saputo che Sirag è stata completamente rasa al suolo…”
Ciò che era successo, dunque, non era solo un sogno, ma la realtà. Pikeru continuò a fissare il soffitto.
“Ti hanno trovata tra le macerie di una cosa: sei stata fortunata e te la sei cavata solo con delle ustioni e dei tagli…” Continuò la maga.
Pikeru voleva domandarle dei suoi genitori, di sua madre ma…. Lei era morta, l’aveva vista con i suoi occhi.
“Vedendo i profondi tagli posso intuire che ti sia imbattuta in un combattimento. Vero?”
“Si…. Era lì e mia madre giaceva morta ai suoi piedi. Era stato lui, E’ stato lui!” Le tempie presero a pulsarle.
“Capisco. Riesci a ricordare qualcosa che ti possa ricondurti al colpevole?”
“Credo… credo di sì. Durante il combattimento il combattimento sono riuscita a strappargli vari punti del suo cappuccio e…. capelli neri…. Sguardo assassino. Era un’Asura!”
Il volto della druida si fece cupo e serio.
“Ne sai qualcosa?”
“Se ne so qualcosa?!? Da molti anni gli Asura e io Deva trattano per la pace. Da sempre sono stati in guerra. Ma ad alcuni non piace questa idea, infatti non ben vedono la “pace” che potrebbe nascere tra le 2 razze e mettono i bastoni tra le ruote a ogni possibile tentativo.”
“Hanno ucciso i miei genitori….”
“Non hanno ucciso solo i tuoi genitori, è uno sterminio… questo… questo è un genocidio!” esclamò la maga oramai rivolta completamente verso l’altra.
Il silenzio scese sulla stanza improvviso e ciò permise a Pikeru di distinguere meglio i suoni. Il vociare era aumentato come se qualcosa stesse accadendo al di fuori di quella stanza.
“Quanto tempo dovrò rimanere a letto?” chiese da un momenti all’altro.
“Non molto, credo. Stanno arrivando dei maghi direttamente da Laksy”
Pikeru ci rifletté un attimo. Per necessitare dell’aiuto di altri maghi di città così lontane, la situazione non poteva che essere tragica. Scosse la testa. Doveva prendere una boccata d’aria. Fece per scendere dal letto quando la druida le disse:
“Vuoi andare di fuori? Essendo così ferita non credo sia il caso.. oggi a Horizen si tiene il mercato, sarebbe pericoloso, non vorresti mica….”
“Il mercato?!?” chiese emozionata Pikeru
Il mercato di Horizen si teneva una volta al mese, per questo lì si riunivano persone di tante altre città. Le vie erano colme di persone, donne, bambini, bancarelle, mercanti, viandanti che proseguivano con degli Ornitho. Le voci si affollavano, il tintinnio delle spade, lo scalpitare degli zoccoli sul pavimento. Horizen era in festa e Pikeru non voleva mancare. La druida non riuscì a fermarla e non poté fare altro che accompagnarla. Aiutandosi con delle stampelle, la deva si precipitò fuori dall’abitazione per farsi travolgere dall’euforia dell’evento. Camminando per le vie Pikeru cominciò a sentirsi osservata: non era comune, infatti, che i Deva gironzolassero per le altre città con quello che stava accadendo negli ultimi anni. Cominciò a camminare a zig-zag tra la folla e le bancarelle tanto che la druida credeva di perderla a momenti non riuscendo a starle dietro.
“Oh, guarda qui, un orco in vendita.. quant’è caro! E vedi quest’armatura, è bellissima!” Pikeru non riusciva a trattenere lo stupore.
Agli occhi della giovane maga le parve come una bambina nel mondo dei balocchi. Tuttavia, Pikeru non riuscì a trattenere la nostalgia di quello che fu la sua città. Tutta quella confusione, infatti, le ricordava terribilmente le feste in onore a gaia, la dea della creazione. Musica, balli tradizionali e banchetti duravano tutta la notte tenendo sveglia la città intera. La druida afferrò immediatamente Pikeru per il braccio, facendola tornare alla realtà.
“Cosa c’è?”
“Accidenti, non correre così forte, con questa folla è parecchio difficile starti dietro!” rispose la druida col fiatone in bocca.
“Dimmi, ci sono altri accampamenti in cui risiedono gli altri superstiti?” domandò Pikeru cambiando discorso.
“Si” rispose la maga, capendo ben poco con tutto quel trambusto. “Però sono verso la periferia per evitare di essere infastiditi da questo fracasso. In che momento doveva capitare una disgrazia simile…”
Ma Pikeru oramai non ascoltava più. Era troppo presa nel guardare gioielli, stoffe, armi e armature che scintillavano sotto i caldi raggi del sole. Quando ormai era ora di pranzo, le de ragazze decisero di mettere qualcosa sotto i denti e si avviarono verso una locanda. Una volta servite le porzioni a tavola Pikeru non riuscì a trattenere la fame e cominciò a mangiare a sbafo lasciando a bocca aperta la maga.
“Piuttosto…” disse per rompere il ghiaccio “Non ci siamo ancora presentate. Io sono Tish, una druida.”
“Bello, una druida! Riesci a piegare la natura al tuo volere, vero?!?”
“Beh, si… diciamo…”
“Tu sei Pikeru? Quando ho deciso di occuparmi di te gli altri mi hanno detto il tuo nome… gli altri maghi però si stanno occupando di più persone contemporaneamente.”
“Perché?”
“Perché sono ancora una novizia! Non ci crederai ma sono ancora un’apprendista druida.”
“E’ così difficile essere druido?”
“Già, non faccio altro che studiare libri enormi! Alchimia, i vari elementi e perché no, anche l’origine del nostro mondo…”
Tish continuava a parlare ma Pikeru non la seguiva più infatti riprese a mangiare. Verso il pomeriggio la folla era diminuita e questo rendeva più facile camminare per le vie. Quando tornarono a casa, Pikeru preferì sdraiarsi sul letto. I maghi da Laksy arrivarono solo nel tardo pomeriggio quando il sole era ormai prossimo a tramontare. Solo guardandoli, si poteva notare quanto fossero potenti. Erano in cinque ed erano giunti fin lì con dei maestosi Lidyan, possenti leoni dal passo veloce, perfetti per percorrere lunghi tratti in breve tempo. Ve n’erano di vari colori: Chi di un azzurro incantevole e occhi gialli, chi di un rosso intenso e chi di un marrone elegante. Il loro pelo risplendeva con gli ultimi raggi del sole ed assistevano alle discussioni tra i loro padroni e i druidi della città. I maghi proveniente da Laksy vestivano con un’armatura dalle tonalità violacee, che andava ad ingrossarsi al petto e alle spalle; il corpetto era di un lilla incantevole e terminava con un’elegante coda di rondine fin dietro la schiena. I pantaloni, invece, erano semplici e attillati. Ogni mago aveva tra le mani un lungo bastone dorato dotato di 4 anelli aurei che ne abbellivano la parte alta. Alcuni di loro avevano in mano libri che a vederli parevano molto antichi e sicuramente dentro vi erano formule proibite. Una volta giunto il loro turno, Tish aprì le porte a uno di loro, lasciandogli dare un’occhiata alle condizioni della superstite. Il suo volto soddisfatto lasciò intendere alla novizia di aver svolto un ottimo lavoro e che sarebbero bastate poche cure. In men che non si dica le ferite e le ustioni scomparvero dal corpo di Pikeru. Il mago si alzò e fece per andare via.
“Grazie mille.”
“Di niente. Sei davvero fortunata ad essere tela cavata con così poco.”
Pikeru si rattristì.
“Tornerete a Laksy?” i due maghi presero a parlare tra di loro.
“No, dovrò dare una mano agli altri con le cure, credo che potremo partire domani.”
Pikeru non riusciva più a seguire poiché erano usciti fuori. Si alzò dal letto per vedere gli ultimi raggi del sole di quel giorno. Quando i maghi si congedarono, Pikeru andò dritta da Tish.
“Quando potrò vedere gli altri?”
“Non lo so, sono in condizioni ben peggiori di te.”
Pikeru annuì. La maga riprese: “Comunque, io e il mago parlavamo a proposito di una cosa… portarvi tutti a Laksy, capisci? Credo che lì sarete più al sicuro.”
“Ho capito.” In realtà Pikeru era confusa… una volta lì cosa avrebbe fatto? Avrebbe cominciato una nuova vita? Preferiva non pensarci…
“Ora vado a dare una mano agli altri maghi, tu vedi di non combinare guai in giro.”
“Ok.”
“A dopo.”
 
Cominciò a vagare per i viottoli. Grazie alle cure non aveva più bisogno delle stampelle e ciò la faceva sentire meglio. Poi s’incamminò per una via che portava fuori città. Mentre procedeva riusciva a distinguere meglio: Era un’arena! Non poteva essere più eccitata, si mise a correre a perdifiato pur di essere lì. Salì le scale saltellando per poi alzare lo sguardo. Si stava svolgendo un combattimento proprio davanti i suoi occhi. Rimase ad ammirare a bocca aperta. I due guerrieri brandivano le loro armi con velocità e forza. Uno dei due impugnava due asce e questo gli permetteva di attaccare con molta velocità, l’altro invece lottava con una spada molto grande, decorata con motivi floreali sulla lama. A vederla sembrava davvero pesante però riusciva a muoverla senza fatica. A Pikeru piaceva tutto: le scintille provocate dallo scontro violento delle lame, il movimento dei corpi, la fatica che mostravano entrambi i guerrieri. All’improvviso uno dei due venne colpito così violentemente da cadere a terra pesantemente. L’altro gli punta la spada alla gola. Entrambi respirano affannosamente. Pikeru ebbe un lieve tremito. Ha il terrore che riaccada la stessa cosa del giorno precedente. Proprio quando è sul punto di gridare, si accorge che i due scoppiano in una grande risata e la lama gli viene scostata. Solo allora i due sfidanti si accorgono della presenza di uno spettatore.
“Una deva?!?”
“Che ci fai qui?”
“Non dovresti essere in città? Dopo quello che è successo…” Cominciarono a parlare alternatamente.
“… stavo solo facendo una passeggiata…”
“Hai le forze per stare in piedi?”
“Qualche ora fa sono giunti alcuni maghi da Laksy.” rispose prontamente Pikeru.
“Capito. Beh, se vuoi assistere fai con comodo.”
Pikeru non se lo fece ripetere due volte. Si sedette a terra raggomitolata e con la testa sulle ginocchia. Il combattimento riprese. Suoni come quelli di poco prima riecheggiavano nell’arena. Suoni delle lame che tagliavano l’aria, lo scalpitare delle scarpe sul terreno, il rumore delle armature. Quando la sera arrivò, Pikeru era mezza assopita. I due avevano smesso di allenarsi e adesso parlavano tra loro, seduti a terra. Tish arrivò correndo.
“Ma dove ti eri cacciata?!?e’ da molto che ti cerco…”
“Scusami, ero rimasta qui ad assistere e non mi sono accorta…”
Tish la prese per la mano, alzandola bruscamente.
“Dobbiamo andare”
Mentre fecero per andare via, Pikeru si girò e salutò i due uomini che ricambiarono.
Quando entrarono nell’appartamento, Pikeru si sdraiò sul letto. Tish, invece, preferì appoggiarsi sulla sedia.
“Riguardo quel fatto…” Cominciò Tish
“Andremo a Laksy, dunque?”
“Ne abbiamo discusso con i maghi come ti dicevo prima. Per fare una cosa del genere c’è bisogno di alcuni documenti. Abbiamo inviato un messaggio a Laksy attraverso un incantesimo per ricevere l’autorizzazione. La risposta è arrivata solo in serata. Domani partirete per la città. Una volta lì potrai allenarti e perché no, anche avere un maestro! Vedrai, ricomincerai di nuovo, Pikeru…”
Evidentemente Pikeru era felice ma grosse lacrime le scendevano dalle sue guancie.
“Dai, non essere triste.”
“Non lo sono, infatti” disse singhiozzando. “Grazie” disse infine.
 
Per cena mangiò solo del pane, preferì andare subito a letto anche se prendere sonno fu difficile. Passò a rassegna tutto ciò che aveva. I suoi abiti, la sua sacca e il suo pugnale. Tutto ciò che le rimaneva. Cercava di farsi coraggio. Il giorno dopo sarebbe partita per Laksy.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo III: Laksy ***


A/N: Scusate per eventuali errori di battitura. Buona lettura.

Capitolo III: Laksy

 
Pikeru preparò i bagagli di prima mattina, poiché si svegliò molto presto. Era troppo agitata per dormire, ma infondo, anche un po’ malinconica. Aveva trovato un’altra casa, ma ora stava per lasciarla nuovamente. Quando fu l’ora, mise lo zaino sulle spalle, e si avviò verso il ponte: Tish l’avrebbe aspettata lì. Quando fece per uscire, si girò per vedere la stanza l’ultima volta chiedendosi quando sarebbe tornata, poi la chiuse.
I carri erano pronti: i Lidyan li avrebbero trainati per tutto il viaggio. Gli altri deva cominciarono a salire sui carri, con l’aiuto dei maghi. Pikeru si girò verso Tish, un po’ preoccupata.
“tranquilla!” fece lei “vengo con te!”
Pikeru sospirò. Poi guardò avanti: persone con uno sguardo spento, come fossero già morte. Si fece coraggio e salì anche lei. Tish la seguì. Pikeru si volse velocemente indietro in modo da vedere per l’ultima volta la città.
“Tornerò…” promise “un giorno tornerò ad Horizen!”
 
Per arrivare a Laksy, furono costretti a passare tra decine di boschi e in posti in cui le strade non erano ancora state battute. Attraversarono prima un’estesa foresta di bambù popolata da linci e uccelli con un piumaggio variopinto che accompagnarono con il loro soave canto per tutto il tratto i viaggiatori; successivamente attraversarono una foresta paludosa. Dagli stagni o dietro i tronchi degli alberi non facevano altro che spuntare degli uomini lucertola armati di spade ma che, stranamente, non osarono attaccare.  Pikeru riuscì a scorgere una città dalle grandi mura e statue imponenti, prima di riattraversare l’ennesimo bosco. Venne poi la Pitch-Black-Woods: una foresta completamente nera in cui non si può vedere il cielo poiché i rami degli alberi si intrecciavano sulle loro teste creando degli archi. La luce penetrava a fasce solo nelle parti in cui i rami non avevano foglie. Una luce tiepida veniva prodotta dalle Fatine azzurre o dai Serafini che svolazzavano di qua e di là. Una volta fuori, il paesaggio era piuttosto semplice: un arcipelago si estendeva per tutto il territorio. “L’isola delle Sirene”. Vi erano infatti alcune bambine e ragazze; incuriositi dai viaggiatori, alcune si avvicinarono, altre invece si limitarono a salutare.
Attraversato un ponticello – ce ne sono tanti a Laksy – il terreno divenne daccapo scuro. Erano nella foresta delle Pixie; dappertutto vi erano globi azzurri che svolazzavano freneticamente da una parte e l’altra. Dai rami degli alberi pendevano strani alveari di color turchese, con molta probabilità erano il loro nido.
 
Finalmente giunsero a Laksy Anchor. Prima di andare direttamente in città, decisero di mettere qualcosa sotto i denti poiché durante il viaggio avevano mangiato solo del pane. Solo allora Pikeru si accorse che Tish aveva qualcosa con sé. La abbracciava con entrambe le mani ed era coperto con della stoffa e legata al centro con un nastro che terminava in 2 pon pon. Pikeru era terribilmente curiosa.
Dopo il pranzo la teleporter di Laksy fece segno di entrare in una strana costruzione in piccoli gruppi. Al centro vi era un flusso di energia i cui colori andavano sfumando dall’azzurro, al giallo, poi verde e ancora lilla… A vederla da lontano, sembrava tanto una clessidra. Al che Pikeru, incuriosita, domandò:
“Dove porta quest’aggeggio?”
“Lassù, guarda!” Rispose Tish puntando il dito in alto e col naso all’insù. Pikeru la seguì con lo sguardo, trovandosi anche lei con il naso rivolto al cielo.
Proprio sopra di loro, vi era un’intera città volante: Laksy. La città non era ancora caduta in mano agli Asura poiché è difficile da raggiungere se non con cavalcature alate.
Arrivò poi il turno di Pikeru e Tish, che attraversarono insieme il flusso magico. I maghi aspettavano lì; il loro lavoro era ormai terminato e si stavano assicurando che tutto andasse liscio.
In un attimo, il paesaggio intorno alle due ragazze divenne giallo poi rosa e ancora viola, azzurro… i colori andavano sfumando sempre più. Improvvisamente i colori scomparvero lasciando intravedere il paesaggio circostante. Non erano più al portale, bensì a Laksy! Erano state teletrasportate in poco tempo da un posto all’altro e sembrava essere l’unico modo per raggiungere l’isola.
Pikeru si tolse le mani dalla testa che aveva messo istintivamente come per proteggersi, aprì gli occhi e rimase sbalordita. La città era fantastica. Giardini immensi, alberi e costruzioni meravigliose rigorosamente bianche, il che trasmetteva un senso di purezza, ma soprattutto vi erano tante altre persone appartenenti alla sua razza. Maghi, allevatori seguiti dalle loro creature e guerrieri camminavano da una parte e l’altra della città. Scese immediatamente i gradini per dirigersi nella piazza centrale. Notò soprattutto che Laksy era piena di scale. Lei le detestava. Voleva correre, esplorare subito la nuova città.
“Aspetta Pikeru!” fece Tish
“… io… non credevo fosse così bella!”
“Avrai il tempo di girartela tutta ma adesso vieni con me, ti presento il tuo nuovo maestro.”
“Nuovo… maestro?”
“Coraggio, vieni!”
La città era colma di gente e Pikeru non riusciva a capire a chi si stesse riferendo Tish. C’era però una persona sospetta: si trovava sotto l’arco che collegava la piazza centrale con l’altra parte della città. Era evidente che stesse aspettando qualcuno: era di spalle al muro e uno dei due piedi contro la parete e guardava l’orologio continuamente. Diversamente dagli altri, vestiva in modo diverso. Vestiva con abiti dai colori scuri, un colletto gli arrivava fin sopra il collo. Il vestito si stringeva in vita e andava allargandosi dietro, a mò di mantello. Nell’altra mano aveva un bastone.
“Noktero!” chiamò Tish
Il mago si staccò finalmente dal muro.
“Tish!” Rispose lui.
Una volta vicini, si scambiarono un affettuoso bacio sulla guancia e Tish divenne rossa. A Pikeru parve tanto una coppietta.
“Ce ne hai messo di tempo, eh?”
“Scusami, siamo arrivati con dei carri, hanno preferito non usare magie per il teletrasporto, ne eravamo troppi…”
Pikeru rimase a bocca aperta.
“Pikeru” fece Tish voltandosi verso di lei “ecco il tuo nuovo maestro: Noktero”
Era confusa. Non capiva. Il cuore prese a batterle forte, serrò i pugni fino a far diventare le nocche bianche e le tempie presero a pulsarle. Cominciò a lacrimare per la rabbia.
“Pikeru?” Tish si abbassò per vederla in faccia.
Ma lei prese d’istinto il pugnale puntandolo alla gola di Noktero.
“Per terra, cosa diamine stai facendo?!?” gridò Tish.
“Accidenti, abbiamo iniziato col piede sbagliato, eh?” scherzò Noktero.
“Rimetti nel fodero immediatamente quel pugnale!”
Pikeru fu costretta ad ubbidire. Sempre a testa bassa disse:
“Non capisco… perché proprio un’Asura? Loro..hanno… ” Non riuscì a finire di parlare che grosse lacrime le bagnavano le guancie.
“Adesso basta Pikeru” disse Tish mettendosi in ginocchio e tenendole le spalle con entrambe le mani, come spesso fanno i genitori con i propri figli. “io e Noktero ci conosciamo da una vita, lui è un mio amico. Non è come quella gentaglia che ha ucciso i tuoi e assediato Sirag. Non far dell’erba tutt’un fascio. Non farebbe mai una cosa simile.”
“ma lui è un mago, per di più! Cosa vuoi che ne sappia del combattimento corpo a corpo?” disse ancora singhiozzando.
Noktero le poggiò una mano sulla testa. “Un guerriero che è capace di usare la magia è quasi invincibile..” disse cercando di confortarla, ma senza risultato.
A questo punto, Tish decise di darle finalmente l’oggetto che aveva tenuto stretto tra le sue braccia fin dall’inizio del viaggio.
“Tieni Pikeru, questa è tua.”
Si asciugò le lacrime e la prese, sfilò il nastro rosso e srotolò il tessuto.
Era una spada.
La lama era abbastanza sottile ed era decorata su un lato con un motivo floreale. Il manico, invece, era stato rivestito con del tessuto per una migliore impugnatura. In alcuni punti era decorato come la lama, richiamando la stessa fantasia, simboli e scritte.
Pikeru non poteva essere più felice. Gli occhi le brillavano.
“ok, a questo punto…”
“vai via?!?”
“Si, Pikeru. Il mio compito è finito. A breve dovrei tornare al tempio per continuare gli studi. Ti lascio nelle mani si Noktero, sperando che tu possa diventare, un giorno, una brava guerriera.”
Stava per mettersi a piangere nuovamente, lo sentiva. Ma mandò giù le lacrime amare. Tish entrò nel flusso d’energia e fece segno al teleporter di andare. La sua immagine cominciava a svanire. In quell’ultimo istante, Pikeru le si avvicinò.
“Vienimi a trovare ogni tanto, scrivi una lettera o… insomma, fatti sentire!”
“ma certo! Appena avrò tempo, te ne scriverò una!” disse sorridendo. Detto questo la sua immagine svanì del tutto. Pikeru era triste. Detestava gli addii o, comunque, la lontananza di persone a lei care. Come quella dei suoi genitori, che non avrebbe più raggiunto. O forse non ora.
Noktero le mise una mano sulla spalla.
“Sei pronta?”
Pikeru si tirò su, si asciugò le lacrime .
“Sì” disse convinta.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo IV: Training ***


Capitolo: IV Training
 
Pikeru era nella casa del maestro. Noktero l’aveva fatta sedere a tavola e le aveva messo davanti un piatto con della zuppa, un po’ di pane e del formaggio, ma la ragazza continuava ad avere lo sguardo basso. Non osava assaggiare nulla.
“ancora non ti fidi di me?” chiese lui.
“no… è che…. Io… non ho fame” disse Pikeru abbozzando un sorriso.
Di nuovo, scese il silenzio nella stanza. L’unico rumore era il tintinnio perpetuo del cucchiaio con la quale Noktero stava mangiando il suo pranzo. La deva cominciò a guardarsi attorno. L’abitazione era di modeste dimensioni, ottima per essere abitata da una persona sola. Pochi erano i mobili: il tavolo, delle sedie, una cassapanca, il suo letto e quello di Pikeru, che aveva costruito in pochi minuti con della paglia e lenzuola.
Vedendo quel letto, Pikeru pensava alle notti insonne per il pizzicorio della paglia che filtrava tra il tessuto.
“uff, ho capito” sbottò da un momento all’altro il maestro, facendola sussultare. “che ne dici di mostrarmi cos’hai appreso finora?”
Pikeru, guardandolo stralunato: “ma non ho potuto allenarmi in questi ultimi giorni… e poi sono ferita… cioè, sono ancora convalescente… ”
“poco importa, da oggi riprenderai i tuoi allenamenti. ”
Pikeru non se lo fece ripetere due volte e in pochi minuti era già di fuori correndo per trovare il posto adatto. Che senso aveva trovare delle scuse per non combattere? Quello era il suo maestro. Ed era tutto suo. Solo il pensiero le fece venire i brividi. Chissà quanto sarebbe potuta diventare forte. E poi avrebbe combattuto con la sua nuova spada, e Noktero era rimasto stupito vedendola così fiduciosa. Egli si guardò attorno come se cercasse qualcosa, poi si chinò per raccogliere l’oggetto trovato. Un ramoscello.
“Che cosa?!?” esclamò dunque Pikeru, sentendosi umiliata. “Non avrai mica intenzione di combattere con quello?”
“Non importa, tu pensa ad attaccare, piuttosto.”
Pikeru rimase perplessa. Boh, peggio per lui.
Respirò profondamente e poi si buttò alla carica: l’arma era più leggera di quando credesse. Il maestro cominciava a indietreggiare per evitare i colpi molto veloci; a quel punto decise di parare un altro colpo con il ramoscello che venne troncato di netto.
“ops...” fu tutto quello che riuscì a dire.
Pikeru si concedette una risatina. Le sembrò di avere la vittoria in pugno. Ma il maestro fu più veloce di quando credesse:  egli lasciò cadere il ramoscello e, abbassandosi, concentrò tutto il suo potere nella mano per poi rilasciarla tutta in una volta. La ragazza, che si stava lanciando sul maestro per sferrare un altro colpo, venne investita da un turbine di fuoco che la respinse lontano, insieme alla sua arma. Pikeru sbatté a terra pesantemente, poi si raggomitolò su se stessa e cominciò a rotolare a terra per spegnere alcune fiammelle che si erano accese su di lei.
“ahi! Ahi! Ahia! Brucia!” disse tra le lacrime.
Dopo averle spente, si diede una rapida occhiata alle scottature e ai vestiti rovinati, e si diresse verso Noktero, completamente infuriata.
“NON VALE!” sbottò lei. “non mi avevi detto che avresti usato la magia!!!!”
“Bè? Avresti dovuto aspettartelo. Sono un mago, come ben vedi.”
A Pikeru crebbe il desiderio di prenderlo a calci e pugni.
“va bene, per oggi basta così.” Fece lui.
Pikeru era su tutti i nervi. Aveva perso e non voleva ammetterlo. Le rodeva così tanto perché non le era mai accaduto una cosa del genere. E per di più il maestro non le aveva concesso un’altra possibilità per dimostrargli quanto valeva veramente.
Una volta dentro casa i due si risedettero a tavola. Era quasi sera. Lei era raggomitolata con la testa sulle ginocchia. Noktero la guardò a lungo ma lei, seppur accorgendosene, continuava a tenere lo sguardo basso.
“te la sei presa per la sconfitta di poco fa?”. Il maestro non faceva altro che girare il coltello nella piaga.
Lei sprofondò ancora di più tra le gambe.
“Tranquilla, domattina ci alleneremo ancora. Infondo, questo è il mio compito, ora. ”
Pikeru si sentì rassicurata da quelle parole, e finalmente alzò lo sguardo. Riuscì a vederlo meglio in faccia.
Occhi viola e capelli d’un nero corvino, di quelli che solo gli asura hanno. Tutti particolari a cui non aveva fatto caso perché la sua vista era solamente offuscata dalla rabbia e dal rancore. Fino a qualche secondo fa lo detestava, non le interessava e lo riteneva responsabile, in qualche modo, di quello che era successo a Sirag. Ma tutto cambiò all’improvviso. Fu felice di quella risposta. Il sorriso le ritornò sul volto e Noktero le mise la mano sulla testa.
“Adesso finisci di mangiare”
“ok…” sbuffò lei.
 
Il giorno dopo, Pikeru si svegliò alla buon ora. Era una bella mattina di primavera: gli alberi erano d’un verde intenso, il sole risplendeva alto nel cielo e gli uccelli cinguettavano beatamente.
Dopo aver sbadigliato sonoramente, si accorse che la casa era piuttosto silenziosa. Noktero non c’era, però le aveva fatto trovare una tazza colma di latte e del pane. Si sedette e cominciò a gustare la colazione. Tutto sommato non aveva dormito male: il letto era più comodo di quanto credesse.
Successivamente si lavò la faccia, si cambiò e decise di andare fuori. Aperta la porta, si fermò all’uscio della porta e prese una boccata d’aria, stiracchiandosi. Legò il fodero della spada alla cintura e fu subito fuori.
La casa era costruita vicino un bosco davvero piccolo; Pikeru non dovette camminare a lungo per trovare il maestro.
“Buongiorno” fece lei.
“Oh, buongiorno! Finalmente sveglia?” fece lui, con la solita ironia
Pikeru rimase impassibile.
“cosa stai facendo?” si limitò a chiedere.
“Mi sto allenando un po’.”
Noktero rivolse quindi la sua attenzione nuovamente a quello che aveva di fronte, e la Deva, a braccia conserte, guardava incuriosita.
Il mago congiunse le mani e chiuse gli occhi per concentrarsi, poi le separò e con i palmi rivolti verso gli oggetti. Cominciò a recitare una lenta litania. Tutti i ramoscelli che si trovavano nei pressi del mago presero a fluttuare di qua e di là, per poi accantonarsi tutti in un unico punto, ai suoi piedi.
Quando il vento che scuoteva le foglie smise di soffiare, Noktero si abbassò e li prese con entrambe le braccia. Poi si diresse verso Pikeru e scaricò il tutto tra le sue braccia. Lei, non aspettandosi una cosa del genere, fece cadere goffamente a terra qualche rametto.
“Che cosa?!?”
“Primo esercizio del giorno: portare la legna fino al giardino di casa mia.” Fece Noktero con noncuranza.
Ancora una volta, Pikeru si sentì presa in giro, ma non potendo contestare ubbidì.
“e ora?” domandò retoricamente al maestro che aveva già intuito tutto.
“Ora ha inizio l’allenamento serio.”
 
Entrambi si erano disposti in una parte isolata dal bosco, dove vi erano pochi alberi e la capacità di movimento e di usare magie senza fare danni era maggiore. Pikeru estrasse la spada e la impugnò con due man, puntandola contro il maestro; quest’ultimo, invece, impose solo le mani. Avrebbe combattuto senza armi ancora una volta. Una brezza gentile accarezzava le foglie e gli azzurri capelli di Pikeru. Lo scontro ebbe inizio. Noktero, come la volta precedente, decise di attaccare con magie  di fuoco: in pochi secondi evocò due sfere infuocate che scagliò sulla ragazza con il sol gesto delle mani. Pikeru non si fece trovare impreparata, aveva previsto fin dall’inizio che il suo maestro avrebbe riutilizzato la stessa strategia del giorno prima.
Infatti, con agilità evitò entrambe le sfere saltando, ma egli, attraverso movimenti molto rapidi era riuscita a sorprenderla, presentandosi alle sue spalle e gli afferrò entrambe le mani. Pikeru volse lo sguardo all’indietro: erano faccia a faccia. Fu come se il tempo si fosse fermato. In quell’istante Pikeru venne catturata dallo sguardo magnetico di Noktero. Occhi di un viola intenso, che contenevano tutte le sue sfumature. Tuttavia Pikeru notò una tristezza enorme in quegli occhi, come se stesse scappando per dimenticare qualche oscuro passato . Senza accorgersene, la ragazza arrossì violentemente. Tutta quella vicinanza era troppo imbarazzante.
Noktero ne approfittò, e afferrandola dalle braccia, la scaraventò lontana. Lei batté su un tronco d’albero e rimase ferma per alcuni secondi, un po’ intontita. Rialzandosi, si pulì il vestito e afferrando la spada, guardò negli occhi il maestro, poi si lanciò all’attacco nuovamente. Un nuovo gesto con le mani e la foresta divenne bianca improvvisamente e Pikeru, incassando nuovamente il colpo, rotolò a terra. Noktero aveva evocato un fulmine senza il benché minimo sforzo. Ma non bastava di certo questo a mettere ko la Deva…
 
Il combattimento continuò per molto. Alla fine però Pikeru si arrese: non aveva più la forza di alzarsi. I vestiti erano bruciacchiati o pieni di tagli, così come anche vari punti del suo corpo.
Era ormai ora di pranzo, quando decisero di tornare a casa. Con la spada nel fodero poker non faceva altro che parlare con il suo maestro. Ma, con l’avvicinarsi all’abitazione i due sembrarono scorgere una figura che attendeva vicino la porta di casa.
Pikeru smise di parlare e, in silenzio seguita dal maestro, si avvicinarono.
Era incappucciata, ma si potevano scorgere dei boccoli rossicci, piena di lentiggini in viso e un paio di occhi azzurri che brillavano all’ombra del mantello. Era alta quando la Deva. In una delle due mani che scendevano lungo i fianchi stringeva un sacchetto. Li guardava issi. Erano proprio loro le persone che stava cercando.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo V Atto I: Avventura nel Bosco ***


Piccolo Riassunto:
Pikeru è una ragazza di 13 anni, di razza Deva. Improvvisamente è dovuta fuggire dalla sua città natale, Sirag, perché gli Asura hanno deciso di assediarla. La storia è ambientata, infatti, in un periodo di rivalità e combattimenti sempre più frequenti tra Deva ed Asura, che non riescono a trovare un accordo. Essendo una dei pochi sopravvissuti, Pikeru viene soccorsa da Tish, un'apprendista druida di razza Gaia, ed ospitata per qualche giorno ad Horizen. Successivamente, verrà affidata a Noktero, amico di Tish, affinché gli faccia da genitore e da maestro. Comincia così, per Pikeru una nuova vita.
 
 
Capitolo V Atto I: Avventura nel bosco
 
“Tish?” Esclamò Pikeru, sbalordita. Era un po’ diversa dal solito, anche se la somiglianza era parecchia. L’altra ragazza, invece, al sentire quel nome, ebbe un sussulto e cambiò espressione, alternando sguardi tra Noktero e la Deva.
Entrambe le ragazze si trovarono, poi, a guardare il maestro, come se aspettassero una risposta proprio da lui.
“Asraphel…”
 
Una volta dentro, Noktero le fece sedere a tavola. La ragazza sfilò il cappuccio. Era proprio come Pikeru aveva intravisto quando erano ancora di fuori. Asraphel sbatté sonoramente il sacchetto sul tavolo, guardando il maestro con soddisfazione. Questo con l’impatto si aprì e vi uscirono tante monetine d’ora luccicanti. Pikeru le contemplava, quando Noktero le raccolse tra le mani.
“Hai fatto un ottimo lavoro, Asraphel”
“Grazie, maestro.”
Pikeru era rimasta senza parole.
“Ma-Maestro…?”
“E lei chi è?” fece con aria interrogativa Asraphel
“Chi sei tu piuttosto!”
Si guardavano fisse negli occhi e una strana antipatia stava per crescere tra loro… Lo sguardo si diresse sul maestro che si sentì imbarazzato.
“Da dove iniziare…”
“Comincia da dove ti pare, basta che…”
“Ok, ok. Allora..” Noktero si sedette a tavola.
“Pikeru lei è Asraphel, la mia allieva. È un’apprendista druida! È con me da molto tempo, perciò è più esperta. Ma tranquilla, arriverai anche tu a quei livelli con un po’ di impegno.”
Pikeru guardava Asraphel incuriosita, ma quest’ultima non ricambiò lo sguardo.
“Asraphel… lei è Pikeru, una delle poche Deva sopravvissute all’assedio di Sirag.”
La maga si girò di scatto, guardandola fissa negli occhi, con un misto di sorpresa e emozione, ma Pikeru, non sopportando quella insistenza nello sguardo, abbassò gli occhi.
“Vado un po’ di là a sistemare alcune cose. Mi raccomando, fate amicizia!” Disse scherzosamente il maestro.
 
Il silenzio scese pesante nella stanza. Oltre alle occhiate le due ragazze non ebbero il coraggio di rivolgersi la parola. Allora fu Asraphel a rompere il ghiaccio.
“Prima mi hai chiamato… Tish…”
Pikeru lasciò il bicchiere da cui stava bevendo. “Si… cioè, lei è una mia amica, e sai, te le somigli moltissimo! Avete gli stessi capelli, gli stessi occhi e anche le stesse lentiggini negli stessi posti!”
“Lei è mia sorella…”
“Come, scusa?!?”
Pikeru l’analizzò a fondo. Effettivamente era identica a Tish, tranne che per il colore degli occhi e il taglio di capelli, che era più corto rispetto alla sorella.
“Lei è un apprendista druida a Horizen. A quanto pare la conosci.”
“Già, è stata lei ad aiutarmi subito dopo l’assedio di Sirag.”
Ancora una volta silenzio. Pikeru non seppe che dire, il suo umore cambiò subito dopo aver pronunciato quel nome e, a sua volta, Asraphel preferì tacere per non ferire i suoi sentimenti.
Proprio in quel momento arrivò il maestro e Pikeru ringraziò il cielo.
“bene, bene. Avete scambiato due chiacchiere?” Le due ragazze rimasero in silenzio. “Ho una missione per voi” disse Noktero cambiando discorso. Pikeru si fece più attenta, Asraphel rimase impassibile. “Ho bisogno di alcune cose… legna per il fuoco e alcune erbe. Si avvicina l’inverno e ci servirebbe per il fuoco, ma devo anche preparare alcune pozioni ed antidoti da vendere. Che ne dite di andare? Pikeru, tu raccoglierai la legna mentre Asraphel raccoglierà le erbe essendo più esperta.” Detto questo, le due ragazze andarono a prepararsi. Pikeru raccolse la sua borsa e si legò alla cintura la sua spada nuova. Asraphel, invece, si levò il mantello per essere più libera nei movimenti, afferrò lo zaino e lo riempì con una boraccia, un po’ di pane fresco per entrambe e il foglio su cui c’erano scritti i nomi e i tipi di erbe che Noktero cercava.
“Sei pronta?” gridò a Pikeru
“Si!”
Entrambe si fermarono sull’uscio della porta. “A dopo” e furono fuori.
 
Laksy era una città sviluppata su un’isola fluttuante, per questo dovettero riusare quello strano aggeggio che permetteva di teletrasportarsi di qua e di là.
“Non sei mai stata a Laksy?” Domandò Asraphel
“emh.. no..”
“Perciò non sai dov’è il bosco in questione, vero?”
“già”
“Poco importa. Ti ci poterò io”
Le due ragazze si diressero a nord e, dopo aver attraversato un ponticello in marmo ben scolpito, potettero ammirare il cambiamento del paesaggio che in poco tempo era diventato di un bel verde vivo per la stagione. Pikeru, guardando a destra e a manca, non potette non notare due vessilli che sventolavano al leggero venticello, in cima ad una collina. Di fianco ai vessilli vi erano rispettivamente due imponenti statue, che raffiguravano degli angeli con delle spade.  Asraphel notò l’interesse della Deva e disse: “In cima alla collina c’è un’arena!”
Ed infatti era vero. Se si rimaneva in silenzio per pochi secondi, sarebbero bastati per poter sentire lo stridio comune delle lame. Allora Pikeru cominciò a correre verso la collina quando Asraphel la strattonò.
“Ricordi la nostra missione?”
Fece di sì con la testa a malincuore.
 
Era facile distinguere il bosco per il suo colore caratteristico. Infatti, nel bel mezzo della primavera, la foresta diventava di un bel giallo dorato, a differenza di tutti gli altri alberi che diventavano verdi. Ve ne erano molti e anche l’erba era alta e dorata. Albicocchi, Ciliegi, Betulle, Bossi, Cedri, Catalpe, castagni… vi erano tantissimi tipi di alberi. A Pikeru sembrò tutto così strano.
“Come faranno tutti questi alberi, così diversi tra loro, a vivere tutti nello stesso habitat?”
“Vedi Pikeru,” rispose Asraphel, “Questa foresta è, come dire, “artificiale”. Circa 40 anni fa, durante la caccia Alla Strega, questo bosco venne completamente raso al suolo perché temevano che si potesse nascondere qui. Anche molti altri moschi hanno fatto la stessa fine in quel periodo. Dopo la Grande Guerra, si è cercato di rimediare, in qualche modo. Purtroppo, con le magie usate per incenerire gli alberi, il terreno divenne infertile, così vennero chiamati a raccolta tutti i maghi più abili tra i Deva, gli Asura e i Gaia. Ogni mago portò un seme di pianta diverso e, attraverso un potente incantesimo, ridiedero la vita a questo posto un tempo desolato. Altri maghi ebbero, poi, l’idea di imporre un sigillo: gli alberi, con il passare delle stagioni, sarebbero rimasti color oro, come se fosse sempre autunno, proprio per ricordare l’evento anche a distanza di anni.”
Pikeru non poté che rimanere stupita. La guerra che 40 anni prima scoppiò nel Continente, fu più devastante di quello che credesse. Ma non era solo questo a stupirla. Credere che in qualche modo sia Gaia, che Deva, e Asura potessero vivere in pace alleandosi fra di loro senza provocare più stragi e eventi tragici. Infondo, lei ci credeva ancora.
“La foresta ora è abitata da tutte le creature che cercarono un rifugio e, purtroppo, anche i Demoni ne sono attratti per l’influsso magico degli incantesimi e dei sigilli. Dobbiamo fare attenzione.”
Ed entrambe si avventurarono.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo V Atto II: Nel cuore della foresta ***


Capitolo V Atto II
 
L’erba cominciava ad essere sempre più alta man mano che le due ragazze si addentravano. Pikeru tamburellava le dita sulla spada, Asraphel leggeva attentamente gli ingredienti richiesti da Noktero.
Quando arrivarono in un luogo abbastanza grande, si fermarono e iniziarono la loro ricerca. Asraphel trovò subito le erbe esatte e le raccoglieva poco alla volta in un sacchetto di pelle piccino. Pikeru, invece, si guardò attorno per un po’ prima di trovare qualche ramoscello, e iniziò a contarli man mano che li trovava, come per gioco. Poi, non appena ne ebbe raccolto un altro, intravide qualcosa ai piedi di un enorme sasso.
“E quello?” Era uno scudo. Pikeru lo prese tra le mani allontanandosi da Asraphel e analizzandolo accuratamente. E mentre nella Deva cresceva la voglia di indossarlo e mostrarlo al maestro come un trofeo, un’ombra oscurò il suo viso. Successivamente un urlo riecheggiò nel bosco tanto da far volare via i Louminous che si trovavano nei dintorni.
“Pikeru!”gridò Asraphel spaventata, temendo che le fosse successo qualcosa. La ragazza dai capelli blu riemerse poco dopo con le lacrime agli occhi, ma con lo scudo ancora tra le mani.
“AsraapheeeEEEELLL! Aiutami, c’è qualcosa!!!!”
“ma.. cosa…?”
“Non lo so… sembra.. sembra un umano!”
“Okay, ora stai calma e…”
L’orco emerse fuori dall’erba alta improvvisamente.
“Sta indietro, Pikeru…”
Detto questo portò l’indice e il medio sulle labbra, pronunciò un’antica formula e poi indicò l’avversario, scagliando sull’avversario una sfera infuocata. L’orco emise un grugnito e si preparò a combattere facendo roteare la sua mazza chiodata. Pikeru non riusciva a stare in piedi per il grande spavento e si teneva stretta alle gambe della Maga. Sapendo di non poter fare affidamento su Pikeru, decide di lanciare un altro incantesimo, uno dei più semplici, prima di scappare dalla foresta. Concentrandosi, prese a lievitare a pochi centimetri da terra e pronunciò: “’Irvirth, Kahrtia est!” ed enormi radici sbucarono dal terreno avvinghiandosi all’orco prima che le potesse colpire; Asraphel strattonò Pikeru affinché si alzasse ed entrambe cominciarono a correre.
“Corri Pikeru!”
“Sicura che sia la strada che abbiamo fatto prima?”
Ma in quel momento non c’era tempo per ragionare con calma, bisognava solo seguire il proprio istinto.
“Io… non lo so…” rispose ansimando Asraphel  “L’importante è che abbia con me le erbe che il maestro mi aveva chiesto!”
A quel punto Pikeru rallentò
“Che hai?”
“Devo tornare indietro!”
“Sei pazza!”
Ma fu troppo tardi. Pikeru stava già correndo nel senso opposto.
 
Tornata di nuovo nel punto in cui avevano iniziato la loro ricerca, Pikeru cominciò a raccogliere velocemente i legnetti che aveva fatto cadere. Alzò istintivamente la testa. La foresta era silenziosa; neanche gli uccelli cantavano, qualcosa nel cuore del bosco stava accadendo ed erano state loro a risvegliarlo.
“Pikeru!”Asraphel l’aveva raggiunta “Andiamo via di qui! Che vuoi che siano degli stupidi legnetti?”
“Il maestro mi ha affidato una missione e non intendo fallire!”
Pikeru non voleva subire un’ennesima sconfitta, in cuor suo. Voleva dimostrare a tutti quanto valesse e non poteva fare fallire innanzi al maestro. Asraphel l’afferrò bruscamente dai polsi.
“Ascoltami! Il maestro mi ha affidato a TE! Quindi verrai con me!!!”
“Basta!” disse Pikeru gridando, con gli occhi pieni di lacrime e liberandosi dalla presa dell’amica. “Smettetela di dirmi cosa devo fare!!!” le due ragazze ora litigavano furiosamente. Ma mentre Asraphel le rivolgeva un’altra predica, Pikeru sfoderò rapidamente la spada, buttando a terra la maga e decapitando con un raglio netto la testa dell’orco che stava sopraggiungendo alle spalle di Asraphel.
Dopo tale gesto, ebbe un po’ di disgusto nel vedere la lama impregnata di sangue e dal terriccio bagnato dallo stesso liquido, che sgorgava copioso dal corpo ormai inerme. Scosse la testa e afferrò Asraphel per la mano invitandola a seguirla. Aveva ragione lei, sarebbe stato meglio tornare a casa il più presto possibile.
 
“Non puoi usare qualche incantesimo per metterti in contatto con la natura o cose così?”
“Credo di si, ma è una magia che ancora non sono capace di governare bene. Finirei per combinare un macello. Piuttosto, mi preoccupa un’altra cosa…”
“Cioè?”
“Quell’orco… ero sicura di averlo seminato, eppure è arrivato molto in fretta.”
“Quindi… vuol dire che ce ne sono altri.”
“Questo posto è più pericoloso di quanto pensassi, andiamocene di qua in fretta.”
Detto questo, si misero in marcia a passo svelto; Pikeru preferì tenere la spada sguainata per eventuali attacchi, Asraphel si guardava attorno.
Il tempo passava e alle due ragazze parve di girare a vuoto nella foresta.
“Ci siamo perse…” disse con sconforto Pikeru
“Non è vero! Vedrai, usciremo da qui!” Ribatté l’altra. “Se solo avessi portato una bussola…” pensò immediatamente dopo. Pikeru si avvicinò ad un albero e incise la corteccia con la lama della spada.
“Se tra non molto troviamo un albero con la stessa incisione, vuol dire che ci siamo perse davvero.”
Ad Asraphel pareva una buona idea e si rimisero in viaggio. “Rinfodera quella spada, non mi sembra giusto uccidere gli abitanti di questa foresta. Infondo, siamo noi i veri intrusi, qui.” Aggiunse poi.
Nella quiete della foresta risuonò un ruggito.
“Sono gli orchi…” disse Asraphel tremando “sono venuti a prenderci…”
La terra cominciò a tremare lievemente e in lontananza si potevano udire rumori confusi. Il rumore metallico delle armi che urtavano le une con le altre e i passi pesanti.
 
Pikeru credeva di impazzire a momenti: Non riusciva più a concentrarsi, a pensare a qualcosa pur di fuggire, le mani presero a sudarle, le tempie a pulsarle e il respiro si faceva man mano più pesante e affannoso. Si sentiva braccata, cominciando a pensare che quelli sarebbero stati i suoi ultimi istanti. Il rumore cupo si avvicinava con rapidità.
“saranno una decina…” disse sottovoce Asraphel assottigliando gli occhi per mettere a fuoco le figure che si avvicinavano in lontananza.
“Dobbiamo andare via di qua, o finiremo male! Diamine, sto per impazzire!!!!” gridò Pikeru, che cominciò a correre. Asraphel non poteva fare altrimenti, ma intanto pensava a un modo per non essere individuata. Forse usare lo stesso incantesimo con cui aveva ricoperto l’orco di radici, magari usarlo in modo diverso, ad esempio per innalzare un muro… purtroppo l’idea le passò subito di mente. Così non avrebbe fatto altro che seminare tracce. La stanchezza cominciava a farsi sentire. Non avevano fatto altro che addentrarsi ancora di più nel bosco.
 
Decisero di riposarsi un po’. I rumori erano sempre più lontani e l’aria era meno tesa. Qualche uccellino cantava. Pikeru, seduta su una roccia e con la testa fra le mani, cercava di rielaborare il percorso fatto, ma senza risultato. Le venne voglia di piangere per cacciare via tutta quell’agitazione, ma non poteva. Non le era mai capitata di trovarsi in una situazione simile. Non parlava più, preferiva rimanere in silenzio ad ascoltare quel brusio in lontananza.
Asraphel invece aveva approfittato della pausa per mettere qualcosa sotto i denti e sedeva a terra sull’erba soffice. Quanto tempo era passato? Ben presto persero anche la cognizione del tempo.
“Che cosa stai facendo?” chiese bruscamente la Deva “Sei impazzita o cosa? Metti via quel pane o gli orchi ci troveranno subito grazie all’odore!”
Asraphel si spaventò a sentirla parlare così. La conosceva da poco ma notò qualcosa di diverso in lei. Sembrava cambiata, non era più se stessa. L’assecondò, quindi, rimettendo il pane nella borsa.
“Rimettiamoci in marcia, ho come l’impressione che si stiano avvicinando.”
Non ci fecero caso ma i rumori svanirono improvvisamente, forse cedettero di averli seminati. Poco importava:  fino a quando gli orchi erano lontani, il loro unico scopo era trovare la via d’uscita.
Ma, camminando a testa bassa, non si accorsero dell’orco che sbucò lentamente dal retro dell’albero. Il nemico ruggì con forza per avvisare agli altri che finalmente aveva trovato gli intrusi e in men che non si dica, cominciarono a sbucare ovunque, fino ad accerchiare le due malcapitate che si ritrovarono spalle a spalle.
Senza farsi prendere troppo dallo sconforto decisero di combattere. Dovevano provare il tutto per tutto. Asraphel impose le mani come per lanciare un incantesimo, Pikeru estrasse la spada. Lo scontro iniziò quando uno dei tanti orchi decise di attaccare per primo. La druida iniziò con il chiedere l’aiuto della natura affinché i rami e le radici degli alberi le dessero una mano, l’altra invece usò tutta la sua abilità per buttare giù un orco, ma questo sembrava parare tutti i colpi.
 
Accadde tutto velocemente. Pikeru cominciava a sentire dentro di se un forza che la guidava nel combattimento. Dapprima non ci fece caso, pensando che fosse qualcosa di naturale, ma durante il combattimento, sentiva questa forza crescere dentro di lei sempre di più. Fino a quando non perse il controllo di se stessa. Con un fendente rapidissimo buttò giù l’orco che le era di fronte e non fece in tempo neanche a guardare negli occhi il suo prossimo avversario, che gli era già saltato addosso sgozzandolo barbaramente. Il getto di sangue che ne uscì investì in pieno i vestiti e il viso di Pikeru che le permise di eccitarla ancora di più. Nel giallo dorato della natura, gli schizzi di sangue risaltavano ovunque: tra le foglia, sui tronchi, nell’erba, le sue mani, la sua lama. Asraphel cercava di uscire sana e salva da quel combattimento senza arrecare danni alla natura o alle creature con cui combattevano, ma dopo aver sentito rantolare uno degli orchi, non poté fare altro che voltarsi. La scena fu indescrivibile. Pikeru era coperta di sangue. Le sue ciocche azzurre erano bagnate di rosso, i suoi occhi color smeraldo erano ora di un rosso vivo, sulle sue labbra vi erano alcune gocce che pensò di pulire assaggiandole con la lingua. Il suo sorriso era malefico, come se fosse impazzita. Non era più se stessa. E mentre sogghignava, si preparava a far fuori la prossima vittima.
“P-Pikeru, che cosa…” furono le uniche parole che le uscirono di bocca.
 
Con una risata sguaiata, Pikeru tranciò di netto il braccio con cui l’orco impugnava la sua arma, alimentando ancora di più la sua voglia di sangue perversa. Poi gli trapassò il torace con la lama e la estrasse colpendo il corpo con un calcio violento. Lo guardò con un riso soddisfatto, ma un colpo la riportò ben presto alla realtà. Uno degli orchi, infatti, aveva approfittato del momento colpendole la spalla sinistra con la sua mazza chiodata, provocandole, probabilmente, una frattura. Pikeru cadde goffamente a terra e si toccò la spalla con l’altra mano. Asraphel sperava che quel colpo la riportasse alla realtà, svegliandola da quello strano stato di trance. Ma quando Pikeru aprì gli occhi nuovamente e notò che questi erano ancora rossi, capì che l’incubo non era affatto finito. E non poté fare altro che coprire i suoi occhi con le mani e piangere in silenzio.
 
[Fine Cap V Atto II]

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=292692