All I Want for Christmas Is... di Yellow Daffodil (/viewuser.php?uid=107694)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Deck the Halls ***
Capitolo 2: *** Broken Photo, Broken Heart, Broken Nose ***
Capitolo 3: *** Everybody's Fault ***
Capitolo 4: *** The Value of a Life ***
Capitolo 5: *** Fresh Fish and Hot Thoughts ***
Capitolo 6: *** Holy Light ***
Capitolo 7: *** Monsters at the Diderot ***
Capitolo 8: *** Athens and Sparta ***
Capitolo 9: *** Heavens and Bell ***
Capitolo 10: *** A Lot of Things Together ***
Capitolo 11: *** Fatal Encounters ***
Capitolo 12: *** Save You to Save Me ***
Capitolo 13: *** All Kinds of Love ***
Capitolo 14: *** Omnia vincit amor ***
Capitolo 1 *** Deck the Halls ***
All I want - 1
Storia modificata in data 18/12/2016 rispetto alla sua prima versione del 2010. Enjoy :)
ALL
I
WANT
FOR
CHRISTMAS
IS...
********Deck
the Halls********
Jeremy
Parker era un ragazzo di strada. Mediamente alto, capelli biondo
cenere, occhi glaciali e sguardo di sfida. Nessuno sapeva se fossero
di più le lentiggini sul suo viso o i crimini che aveva commesso in
ventidue
anni
di vita, ma questo non oscurava di certo la sua bellezza esteriore.
Peccato che la sua esistenza fosse un vero e proprio delirio: era
pieno di guai fino al collo, non godeva di buona salute e,
soprattutto, aveva un debito enorme con Edoardo Cordano. Il
prezzo per saldarlo sarebbe presto diventato la sua rovina.
Alex
Bell era il classico tutto muscoli
e niente cervello, o perlomeno lo sembrava. Nessuno sapeva che frequentasse ancora Jeremy
dopo essersi iscritto all'università di Bourton. Erano amici
d'infanzia, ma un
bel giorno
i suoi gli avevano proibito di vederlo, spronandolo a cambiare
strada. Così Alex fingeva
di essere diventato un bravo ragazzo fidanzato con una brava ragazza,
ma a dire il vero non era cambiato nulla: Jeremy era sempre stato il suo migliore
amico e non avrebbe mai smesso di seguirlo nelle sue avventure,
qualunque fosse stata la conseguenza.
Taylor Heavens era
una ragazza introversa. Di
piccola statura e dai tratti scuri, indossava
sempre
un velo di sarcasmo che la rendeva piuttosto ostile
verso il prossimo.
Nessuno poteva immaginare che dentro di sé trascinasse il peso della
mancanza di un padre, l'amarezza del sentirsi ignorata, la
consapevolezza di essere preferita ad altri, giorno dopo giorno. Ma
Taylor
aveva una madre e un’amica meravigliose e
nascondeva, dietro quel paio di occhi tristi, un carattere spiritoso
e tanto affetto da dare.
Oltre a quello che aveva bisogno di ricevere.
Tessy Heavens era una virtuosissima ragazza perbene.
Mora, ciglia lunghe e naso a punta. Nessuno aveva da ridire sul fatto
che fosse una promessa della musica: suonava il violino da quand'era
nata e il pianoforte da ancora prima. Era bella, fortunata e adorata.
Tessy
era perfetta. Amava
la famiglia, la danza classica e il suo altrettanto
perfetto ragazzo, aveva un sacco di hobby e un papà fantastico che
la viziava ogni volta che poteva.
Sentiva
che niente
avrebbe potuto rovinare la sua meravigliosa
vita.
Edoardo Cordano era l'apoteosi del genere 'io ti
faccio un favore, tu restituisci con gli interessi'. Di giorno, un
uomo d'affari nella prestigiosa Money House di Bourton, di notte,
mafioso di professione. Bazzicava di cittadina in cittadina alla
ricerca di debiti da riscattare e vendette da attuare. Poteva
sembrare innocuo nel suo smoking da banchiere, ma aveva già cambiato
nome tre volte per fuggire alla polizia. Nemmeno
Oliver, suo amico e capo di una vita, poteva immaginare i segreti di quell'uomo e la spiacevole sorpresa che aveva in serbo per
lui.
Oliver
Heavens era un padre orgoglioso. Viveva dell'abbondante stipendio che
riceveva dalla Money House, una delle sue tante proprietà, e seguiva
con interesse la carriera musicale dell'ultima figlia. Sposato due
volte, aveva dunque due famiglie da mantenere, ma ci riusciva tranquillamente, vivendo tra gli agi nella sua villa di
Bourton e le soddisfazioni del suo lavoro. Da quando aveva perso la testa per la sua seconda moglie e la
bella vita, non si era più guardato indietro e aveva perso di vista
Taylor e la sua grande tristezza.
Allyson Stuart era una
ragazza solare
e innamorata.
Una
pattinatrice provetta; alta,
capelli boccoluti e sorriso affascinante. Viveva tra due fuochi che
portavano lo stesso cognome:
Taylor e Tessy Heavens.
Le due sorelle si odiavano, ma lei voleva bene a entrambe,
incondizionatamente, perché
erano a tutti gli effetti le sue migliori amiche.
Ovviamente
il
fatto che si detestassero la rendeva più una martire che un’amica,
ma non si sarebbe arresa e avrebbe continuato a sperare che, un
giorno, potessero diventare un terzetto. Magari avrebbe potuto far
loro conoscere il
suo nuovo ragazzo, Alex.
Richard Stuart era un
ragazzo imprevedibile. Era scappato di casa all'età di undici anni e
da
qualche tempo aveva
assunto la professione del malavitoso.
Lasciata la famiglia, si era dedicato al guadagno personale contro la
legge ed era diventato la spalla del temuto Edoardo Cordano. L'unica
cosa che lo legava al suo passato da bravo ragazzo, ormai
irrecuperabile, era la sola persona per cui avrebbe dato la vita; sua
sorella Allyson.
Ora,
la nostra storia si svolge in un clima che
conosciamo fin troppo bene:
il Natale. Un
Natale in
piccolo,
sentito e vissuto da un paesino lacustre
a
Sud dell'Inghilterra. Un
Natale che coniuga
il consumismo di questo secolo con le tradizioni di tanto
tempo fa
e tiene uniti gli
abitanti, un
Natale che si
rispecchia sui laghi ghiacciati su cui pattinano i bambini e cade dai
salici piegati dal peso della neve.
Era
la terza domenica d'avvento e
le campane stavano
battendo i dieci rintocchi.
Se
si fossero alzati gli occhi verso il campanile, si sarebbero visti i
giochi di luce che il sole creava riflettendosi sul metallo nel suo
moto pendolare.
Le
strade di Bourton-on-the-water, piccola cittadina nel Gloucestershire Cotswolds,
erano
così deserte
che
il suono rimbombava sugli edifici e sui marciapiedi innevati,
scuotendo appena la neve dalle grondaie.
Le
villette avevano le tende tirate, le
scuole erano chiuse, tutti
i cittadini si trovavano in chiesa per
celebrare l’avvento.
Tutti,
tranne tre.
Jeremy
Parker
stava correndo
a
perdifiato verso
il bosco ai confini del parco. Si teneva stretto nella felpa grigia
e si copriva come
poteva
con la sua vecchia sciarpa. Sperava sinceramente di non scivolare:
l'atterraggio, per quanto attutito dalla neve, sarebbe stato alquanto
freddo e
doloroso.
Arrivato
ai piedi di un albero, si appoggiò alla corteccia e si mise una mano
sul cuore. Una di
queste volte sarebbe
esploso, constatò,
sentendolo galoppare al di sopra delle sue possibilità.
Aveva corso dal piccolo bed
and breakfast
che
ormai considerava la sua casa fino a quel punto, per non essere intercettato
dai
due
che aveva
visto arrivare dalla finestra.
Sapeva benissimo chi fossero; conosceva
molto
bene il
più vecchio e
poteva immaginare senza
troppa fatica
a cosa servisse il
giovane energumeno che si portava appresso.
Spiò
tra le fronte degli alberi gli scorci della città:
non
vedeva nessuno,
non
si muoveva nemmeno una foglia.
Allora
scelse di percorrere il sentiero che portava alla stazione, per poi
ricansare, attraverso stradine nascoste, al bed and breakfast. Nutriva
la speranza che, avendo
mancato l'appuntamento, i
due se
ne fossero andati.
Percorse
timidamente il primo tratto, ma poi il silenzio gli tornò amico e
decise che poteva affrettarsi senza preoccupazioni per ritornare al
caldo e al sicuro nella sua stanza. Stava
giusto velocizzando il passo, quando due robuste mani gli si
agganciarono alle spalle e lo sbatterono contro il muro di una
vecchia casa, gelido contro il suo viso.
"Giochiamo
a nascondino, Parker?"
Jeremy
sentì il calore
del suo sangue
raggiungere
le labbra ghiacciate
e
capì che con buona probabilità
il suo naso aveva incassato un brutto colpo e, come di consueto,
aveva preso a sanguinare.
"Che
cosa
vuoi?" cercò di divincolarsi.
"Fingi
anche di non ricordartelo, Parker? Quanta ipocrisia." l'uomo si
fece aiutare dal sopracitato
energumeno
e gli ordinò di voltare
il ragazzo verso di lui per poterlo vedere
in
viso.
"Bel
muso." ridacchiò quest'ultimo, eseguendo
gli ordini e immobilizzando Jeremy per le braccia, mentre con modi
poco ortodossi lo posizionava esattamente faccia a faccia con
Cordano.
Era
un
ragazzone robusto, con
un fare deciso e un perenne tono di scherno che Jeremy non
sopportava.
Ma
capiva benissimo che senza di lui Cordano non avrebbe mai combinato
nulla; quel ragazzo rappresentava la forza fisica di cui lui non era
dotato. La natura gli aveva dato solo soldi, arroganza e una gran
faccia di culo. Per il resto, era
abituato a ottenere facilmente tutto
ciò
che gli mancasse, dunque
l'armadio rappresentava una di queste estensioni.
"Vedo
che hai chiamato i rinforzi, Ed." lo schernì Jeremy, per niente
soggiogato dalla situazione. "Immagino che inizi a sentire la
vecchiaia."
"Chiudi
quella fogna, piccolo parassita della società."
Cordano gli si avvicinò con
sfrontatezza,
senza riguardo
nell'offendere
quello che era poco più di un ragazzino.
"Ti ricordo che se non fosse per me saresti in prigione da mesi
e ne
avresti ancora un bel po’ da scontare, prima di poter tornare a
scorrazzare come un ratto delle sottovie di Bourton."
"Non
ho chiesto io che pagassi la cauzione." ribatté il ragazzo.
Cordano
ridacchiò, saccente: "Non
sai cos’è la gratitudine, tu, eh? Hai
rubato in casa mia e io ti ho fatto il favore di voler dimenticare
tutto. Ho
anche pagato per farti uscire, dato
che sei solo a questo mondo e nessuno se ne sarebbe altrimenti
preoccupato.
Credo di averti reso un gran bel favore, no?"
"Un
gran bel calcio in culo."
Jeremy
si beccò una ginocchiata in pieno stomaco e si accasciò per quanto
la stretta alle braccia potesse permetterglielo.
"Devi
sempre disprezzare la mia generosità, piccolo topo di fogna."
"Avevi
bisogno di me." mormorò Jeremy, a fatica. "Ti serviva
qualcuno da ricattare liberamente per i tuoi lavori sporchi."
"Può
darsi. Ma il vero punto della questione è: ce
li hai questi soldi, Parker,
oppure
no?"
"Secondo
te?" ribatté
lui, sardonico.
"Richard,
hai sentito?" l'uomo si rivolse al suo aiutante. "Il nostro
amico non ha ancora i soldi del mio debito. Farebbero...quanto,
Richard? Non mi ricordo."
La
specie di orso dai capelli ricci ghignò, felice di essere stato
chiamato in causa: "Duemilacinquecento."
"Erano
duemila!" ribatté Jeremy, il
viso contratto in un’espressione rabbiosa e la felpa macchiata del
sangue che colava dal naso.
"Zitto!"
e di
nuovo gli arrivò un
calcio allo stomaco, più
ossuto, ma più cattivo, che
gli fece immediatamente chiudere la bocca. "Duemilacinquecento
sterline e giusto l'altra volta ti avevo detto che sarebbe stata la
tua ultima
possibilità. Ti
piace giocare con il fuoco o hai solo voglia di prenderle, Parker?"
Jeremy
strizzò gli occhi e inspirò una fitta di dolore, mentre nel suo
addome si disperdevano l’ematoma e la paura.
"Cosa
possiamo fare, Richard, per far capire al nostro amico che siamo
stufi dei suoi giochetti e che vogliamo i soldi?" proseguì
Cordano, passeggiando attorno ai due.
Il
ricciolo mollò un braccio di Jeremy e, molto rapidamente, estrasse
un oggetto dalla sua giacca. Lo
lanciò all’uomo e poi tornò a immobilizzare il suo prigioniero.
"Ottima
idea, Richard, porti
sempre una ventata giovanile alle mie pratiche di giustizia."
approvò Cordano, recitando palesemente
una scenetta già studiata.
Lentamente,
si avvicinò ancora di più al ragazzo e gli puntò la pistola sotto
al mento, alzandogli
il viso fino
a poter incrociare i suoi occhi glaciali.
"Carino
il tuo giocattolo, Ed." mormorò il giovane, sforzandosi di
mascherare la paura.
"Non
ti andrebbe di scherzare, se sapessi cos'ho intenzione di farci."
"Non
sarebbe il tuo primo omicidio, giusto?"
"Chiudi
quella cazzo di bocca!"
Cordano
premette
il grilletto e Jeremy sussultò, serrando
gli
occhi e
sentendo il cuore fremere di terrore.
Ma
dalla pistola non uscirono colpi, né rumori.
Il
malvivente sogghignò
di nuovo: "Paura, Parker?"
Jeremy
non rispose, limitandosi
a guardarlo
con astio
attraverso i
suoi occhi gelidi.
Pensò
che nessuno si sarebbe mai frapposto tra lui e quel proiettile, se
mai
fosse
partito
per davvero,
e quindi doveva stare molto più attento a come parlava. Molto di
più.
L'uomo
riprese: "Sono sei mesi che andiamo avanti così. Sono sicuro
che non
vedrò mai quei soldi, dico bene?
Tuttavia, mi considero un uomo caritatevole e voglio darti un ultima
possibilità." comiciò a caricare la pistola, ottenendo il
silenzio che cercava da parte del suo debitore. "Conosci la
Money House, non è vero? Tuo padre ci lavorava un tempo."
"Non
nominarlo."
Cordano
ghignò, divertito, come
ogni volta che colpiva un punto debole del suo avversario:
"Vedi, il proprietario della
banca,
l'illustre Oliver Heavens, sta
pensando di effettuare dei cambi al personale. Mi giunge voce che non
abbia più bisogno del suo amministratore, nonché amico fidato,
nonché sottoscritto collega, e che voglia dare il posto a giovani
innovativi con una carriera tutta ancora da costruire. Giovani
intelligenti come la sua figlioletta prodigio, per capirci.”
Sputò
a terra e Jeremy rabbrividì per quanto pazzo e deviato stesse
sembrando in quel momento.
"Ora,
caro
Parker, non
vorrai di certo che il tuo amico Cordano perda il lavoro.
Sai
che la tua felicità dipende dalla mia,
quindi
ho pensato: aiutami
a uscire da questa spiacevole situazione. Facciamo
prendere un po' di paura agli
Heavens e nel frattempo facciamogli perdere anche un po' di grana.
Vedrai che
quell’idiota di Oliver cercherà di rivedere le sue priorità."
"E
io che c'entro in tutto questo?"
"Facile:
qual è la cosa più cara a Heavens, oltre i soldi?"
"La
crema per il viso?" lo
prese in giro Jeremy.
"Il
tuo sarcasmo da adolescente svogliato è sempre più pungente,
Parker." considerò
lui, poi tornò serio e riprese il discorso: "La figlia."
Il
ragazzo alzò un sopracciglio: "E
che vuoi fare a sua figlia?"
"Io
nulla." rispose con finta ingenuità,
accarezzando la pistola. "Tu
invece la rapirai e la terrai sotto sequestro finché non riceverai
il riscatto."
"Sei
pazzo."
"Al
contrario, Parker. Funzionerà." rimbeccò lui, sicuro di sé.
"Credimi
se ti dico che quell'Heavens è a dir poco stupido. Vive nel lusso da
anni, potrebbe farsi impaurire persino da un capello nel piatto e se
noi gli portiamo via la figlia, lui sarà come creta nelle nostre
mani, purché non le capiti nulla. Gli faremo venire un coccolone e
mentre sarà disperato io sarò lì a gestire gli affari per lui come
ho sempre fatto. Si renderà conto che ha bisogno di me e quando, da
bravo amico,
lo guiderò nel riscatto della figlia, lui non
potrà far altro che vedermi come un salvatore. Sarà sconvolto,
infinitamente
grato
e impoverito, tanto
che
non
penserà neanche lontanamente a licenziarmi. Anzi, se lo conosco
bene, mi cederà
metà dell'azienda. E
se giocheremo al massimo delle nostre possibilità, l’avrò
addirittura
tutta."
"E
io dovrei
fare il lavoro sporco per te." s’indignò
Jeremy.
"Direi
che è il minimo, dolce
e innocente Parker.
Oliver
non deve e
mai dovrà
sapere che ci sono io di mezzo." rispose con ovvietà. "Se
andrà bene, il tuo debito con me sarà saldato e ti darò parte del
riscatto."
"Se
andrà male, invece, finirò
io
nei guai." concluse
Jeremy, amaramente.
"Sapevo
che non mi avevi tirato fuori di prigione per nulla. Tu
vuoi mandare me a rapire sua figlia, nel caso qualcosa andasse
storto. Ci
avevi pensato sin dall’inizio."
"Ah-ah,
ti correggo, ragazzino, niente
deve andare storto. Non devi sbagliare."
"Non
mi staresti dando questo compito, se non ti fidassi di me."
"Geniale,
Parker. La tua logica mi sorprende." sorrise
malizioso. "Il fatto è che tu e io siamo strettamente collegati
e temo che se commettessi qualche errore, risalirebbero a me con
facilità. Ma
so anche che eseguirai gli ordini in maniera impeccabile, perché, dopo
tutto, ne
andrebbe della tua stessa vita."
l'uomo prese un lembo della sciarpa umida al collo di Jeremy e gli
ripulì il sangue che scendeva dal naso.
"Non
toccarla, Cordano!" si
divincolò temendo di rovinare la sciarpa. "Non
ho detto che ci sto!"
"Oh,
in tal caso, possiamo velocizzare le procedure." come
se nulla fosse, Cordano alzò la pistola, questa
volta carica, e
la
puntò contro il suo petto, esattamente dove stava il cuore.
"NO!"
gridò Jeremy, pieno di paura.
Cordano
rimase immobile, gli occhi scuri che trafiggevano quelli indifesi di
Jeremy e le nocche bianche attorno al freddo metallo.
"Va
bene, lo
faccio." esalò
il ragazzo, con la voce spezzata dalla rabbia e dal terrore. "Mi
fai schifo, Cordano, ma la mia vita vale di sicuro più della tua, e,
costi quel che costi, io
non voglio morire!
Men
che meno prima di aver visto crepare te!"
"Bravo,
soldatino. È
questo lo spirito."
l'uomo ripose la pistola in tasca, soddisfatto.
"Lei si chiama Tessy Heavens, la troverai di sicuro a villa Heavens
dopodomani, il 14 dicembre. I
suoi ricchi e permissivi genitori la lasciano sola mentre darà una grande festa per i suoi diciott'anni,
quindi sarà facile confondersi tra gli invitati. Ti do questa foto e
qualche informazione essenziale."
"Meraviglioso,
hai anche un completo elegante per immedesimarmi nella parte, già che
ci sei?"
"Non
scherzare, da
adesso si fa sul serio."
gli inflò un pacco di soldi nella tasca della felpa. "Questi
dovranno bastarti per fare le cose fatte bene. Un errore, Parker, e
userò il mio giocattolo per decretare la tua eliminazione dal gioco,
tutto chiaro?"
Jeremy
fece una smorfia: "Trasparente."
"E
vedi di tenere a bada la ragazzina, deve ritornare al padre tutta
intera, se vogliamo che il ricatto funzioni."
"È
una ragazzina, Cordano, è l'ultimo dei miei problemi."
"Dio,
doveva nevicare così tanto?!" si lamentò Tessy, uscendo dalla
chiesa
e ravvivandosi i lisci capelli castani.
"Cosa
c'è di male nella neve?" sorrise Allyson, sognando un bel
laghetto ghiacciato su cui pattinare. "Non
c’è Natale senza neve, a Bourton."
"C'è
che la neve è umida e l'umido increspa i capelli." rispose la
mora
storcendo il naso.
"Tessy,
tesoro, tuo padre ci aspetta a teatro per il concerto con
l'orchestra!" una donna vestita di pelliccia agitò
la mano in direzione di Tessy.
Si
trovava vicino
a una macchina scura e
lucidissima, sicuramente molto costosa, e
sembrava avere davvero fretta.
"Arrivo,
mamma!" la
rassicurò la ragazza.
Si
chinò per dare i soliti tre bacetti sulle guance ad Allyson; era un
rituale che usava come firma assieme alla sua ossessione per i
capelli.
"Mi
spiace che tu non possa vedermi oggi. Sarà
uno dei migliori concerti di Natale in città."
disse
all’amica, in una specie di rimprovero.
"Lo
so, Tess, ma ho promesso ad Alex. Non
posso dargli buca."
"Lo
conoscerò quest'Alex, prima o poi?" la mora fece una faccia
maliziosa, sgomitando
e ammiccando con entusiasmo.
Allyson
sorrise timidamente,
arrossendo: "L'ho invitato alla tua festa, martedì."
guardò
un attimo l'amica di sottecchi, pregando di non
averla offesa
e con suo sollievo la vide battere le mani, emozionata.
"Perfetto!
So già dove dirottare la bottiglia quando sarà ora di giochi ambigui!"
"Davvero
simpatica." commentò
lei, imbarazzata.
"Ci
vediamo, Ally. Non
mi far pazzie
con quell'Alex mentre
non ti tengo sotto controllo."
la ragazza ridacchiò
e poi si
diresse verso la macchina, attenta a non scivolare sulla neve. Salì
con grazia, chiudendo la portiera, e
la salutò dal finestrino.
Poi la macchina partì e sparì dalla visuale con una sgommata.
"Alex,
eh?"
La
voce alle sue spalle la fece sussultare: "Taylor!" esclamò
voltandosi. "Mannaggia a te e alle tue comparse improvvise! Dove
stavi nascosta?"
"Vicino
alla quercia, non potevo perdermi i fondamentali
tre
bacini sulla guancia. Sono
un’importante manifestazione anti-progressista."
la ragazza, meno curata e agghindata della sorella, si infilò i
guanti. "Devo conoscerlo anch'io questo Alex; è fantastico come
scusa."
"Uno,
non è una scusa, ma il mio ragazzo."
sorrise la bionda."Due,
martedì avrai finalmente l’onore di conoscerlo."
buttò
lì con finta nonchalance, cominciando
la salita che portava al loro quartiere.
"Martedì?
Viene a
trovarti a scuola?"
"No,
alla festa."
Taylor
si bloccò, confusa: "Quale festa?"
"Ecco..."
cominciò Allyson, ma fu bloccata dalla furia della sua amica.
"Non
ci pensare nemmeno! Io non ci vengo a quel raduno di psicopatici
placcati
d’oro, nemmeno se mi ci costringi con la forza!"
"Taylor,
ha
vent’anni, potresti non fare la bambina?"
La
ragazza incrociò le braccia: "Certo,
mamma,
e
tu potresti, per una volta nella vita, piantarla con questa fissa
della riappacificazione?"
"Non
ci sarà nemmeno vostro padre."
"Non
dire vostro.
Il padre è di Tessy, non mio."
"Tay,
vieni
alla festa, supera
questo
muro. Che male potrà mai farti?"
Taylor
sbuffò: "Ti posso elencare almeno
una miriade di motivi per cui non ne valga la pena."
Allyson
scosse la testa: "Arriveresti al
massimo a un paio."
"D'accordo,
allora senti qua: uno, ho
già un importante appuntamento con le cose belle della vita,
due, non ho vestiti da persona altolocata come la Heavens
venuta bene,
tre, non sprecherei nemmeno un penny per comprarle un regalo,
quattro, al mio diciottesimo compleanno lei non si è nemmeno degnata
di farmi gli auguri, cinque, in
realtà non si è degnata di farlo nemmeno per tutti gli altri
compleanni, sei, potrei
rischiare di intravedere solo per sbaglio Oliver
Heavens
e quella pompata di sua moglie, sette-"
"Stop!"
Allyson proruppe
in una risata dispiaciuta.
"Mi
arrendo e ritiro
la storia dei motivi. Ma,
Tay."
assunse l'espressione da cane bastonato sbattendo le ciglia dei sui
grandi occhi nocciola. "Ci sarà Alex ed
è l'unica occasione che ho per presentartelo, perché è
sempre impegnato con
l'università. Ho
organizzato tutto per te."
Taylor
si morse il labbro inferiore, segno che c'era una minima
speranza
che cedesse.
"Poi
avrai l'occasione di ‘conciare per le feste’
la villa di tua sorella, non credi?"
riprese Allyson. Quando
poteva tornare utile, era grata del conflitto tra le due.
Al
pensiero di qualche murales dadaista sulle pareti confettose di
Tessy, un sorriso solcò
il
volto di Taylor:
"Posso attingere dal tuo guardaroba e farmi pettinare da tua
madre?"
Ally
esultò: "Certo che puoi! Grazie grazie grazie!"
"Ehi,
furia, datti una calmata" disse Taylor, aggrottando
le sopracciglia.
"Non ho ancora
detto
che ci sto."
"Oh,
ma ormai io ti ho prenotato una seduta da mia madre." ridacchiò
Allyson abbracciando l'amica e spupazzandola. "Non
sai che comunico telepaticamente con lei? Non
vorrai mica deludere
una povera parrucchiera, la sua frustrazione poi potrebbe ricadere su
di me."
"Ok,
piovra, va bene." Taylor
l'accontentò
con uno sbuffo. "Ora però levati." l’allontanò
goffamente,
facendo una smorfia: "Puzzi ancora
del
suo profumo."
"Di
Alex?"
"No,
di Tessy."
"Di
nuovo, Jeremy? Ti ritroverò senza naso la prossima volta." un
ragazzo dai capelli neri stava aiutando il suo amico a ripulirsi del
sangue sul mento e sui vestiti.
"Smettila
di fare la mammina, Alex. Sto bene."
Il
ragazzo gli diede un'occhiata generale: "Già. Scoppi di
salute."
"E
piantala!" Jeremy si liberò dalle cure di Alex e si sedette ai
bordi del campetto da tennis, sulla neve, massaggiandosi lo stomaco.
Lui
sospirò,
arrendevole, e gli
lanciò un pacchetto
avvolto da della carta: "Prendi."
Erano
i soldi che gli dava settimanalmente;
venti sterline ogni domenica, per aiutarlo con
le spese. Il suo amico attualmente non aveva un lavoro ed essendo
solo, senza nessuno dei suoi parenti che si occupasse di lui,
sopravvivere gli risultava complicato. Così Alex gli dava una mano,
lo faceva da qualche mese, da quando Jeremy era stato licenziato. Non
gli era stato chiesto, ci aveva pensato lui e non gli pesava per
nulla. Gli pesava, piuttosto, vedere il suo
amico in
condizioni sempre peggiori, mentre
il peso che portava dentro da anni minacciava di schiacciarlo assieme
alla sua anemia.
Jeremy
scosse la testa, lanciandogli
indietro il pacchettino:
"Mi spiace, Al, ma questa volta devo chiederti un favore più
grosso."
Il
ragazzo si sedette al suo fianco, un po' confuso: "Te ne servono
di più?"
"No,
non è quello." sospirò. "Hai presente il catorcio che i
tuoi
ti avevano regalato per Natale, un
paio di anni fa?"
"La
vecchia Betsie?" s’illuminò
il moro.
"Certo
che ce l’ho presente! Nessuna
viaggiava come lei; era un ammasso di ferraglia tenuto
insieme da un miracolo, ma teneva
testa a una Ferrari! L'ho cresciuta volendole un bene dell'anima, è
stata il mio primo amore."
Jeremy
sorrise. Il suo amico stravedeva per i motori e lui lo sapeva bene:
"Beh, so che è ancora nel garage del tuo vecchio. Non è che
potresti...?"
"No,
Jerry, mi dispiace. Betsie non si tocca."
"Alex,
mi serve!"
Lui
scosse la testa energicamente: "Non se ne parla. Mettere Betsie
nelle tue mani significherebbe mandarla a morte."
"Andiamo,
Alex, ti prometto che ci starei
attento
come
fosse una parte di me."
"Tipo
il tuo naso?" il
ragazzone si passò una mano tra i corti capelli scuri, sbuffando.
"Non
so, Jerry, significa un casino di cose per me."
Jeremy
gli mise una mano sulla spalla, molto teatralmente, e
lo guardò negli occhi cercando di esprimere pietà:
"Ti capisco, Alex. L'amore per una vecchia fiamma a quattro
ruote è
qualcosa di magico e intoccabile,
però stavolta
si tratta di
una concessione di vitale importanza. Non mi intrometterò nella
vostra relazione, non rovinerò le glorie del passato. Dico sul
serio."
Alex
sembrò riflettere per la prima volta fino a quel momento: "Cosa
devi farci?"
"Beh,
qui arriva il perché del mio naso rotto."
sospirò
Jeremy, prima di prendere coraggio e raccontare tutto al suo amico.
Proponendo
una
trama leggermente semplificata,
spiegò ad Alex quello
che gli era successo quella mattina e quello che avrebbe dovuto fare
per
non essere ucciso da Cordano.
Dirlo
ad alta voce gli fece realizzare ancor di più l’assurdità in cui
l’avevano cacciato e si sentì irrimediabilmente
impotente
di fronte alla sua stessa, incasinatissima, vita.
"E
se non ci riesci?" domandò il
moro,
preoccupato.
Non
era
estraneo
ai
coinvolgimenti di Jeremy in situazioni che uscivano dall’ordinario
e andavano contro la legge, però non
aveva mai raggiunto livelli di tale portata.
Jeremy faceva qualche furtarello, aveva compiuto un paio di
effrazioni e si
associava a gente di mala fama, però non l’aveva mai sentito
parlare di ‘rapimento’. Non avrebbe pensato che sarebbe arrivato
a quel punto per doversi salvare la pelle e ciò smuoveva in lui un
enorme senso di pena e dispiacere. "Jerry, che fai se non ci
riesci?"
Jeremy
temeva quella domanda, non
sapeva
dare una risposta:
"Devo riuscirci, Alex."
Il
moro, spaventato da quelle parole e
da quel tono,
decise di non indagare oltre e gli diede una pacca sulla spalla,
tornando
in piedi come una molla:
"Betsie è tutta tua."
"Grazie,
Alex."
"E
io ti accompagnerò."
"No,
Alex."
Alex
sorrise come se l'amico non gli avesse appena rivolto
un’occhiata omicida:
"Sì, Jerry. Ti faccio da spalla."
"No."
si impose lui con tono fermo. "Non
se ne parla. Questa
è una faccenda in cui tu
non
entri."
"Perché
tu sì e io no? Dopotutto sono stato coinvolto pure io."
"La
tua macchina è stata coinvolta, Bell, non tu. Quindi dimentica
subito quell’idea di merda e vattene a casa. Mi porterai Betsie
davanti al bed&breakfast quando te lo comunicherò."
"Io
sarò in quell’auto, Parker, e non mi tirerai fuori da lì, dovessi
incollare me stesso al sedile."
"E
allora cambierò auto. Betsie non mi serve più."
"E
chi ti aiuterà? Lo Spirito Santo?"
"Chiunque,
ma non tu. È
troppo pericoloso."
"Jerry."
insistette
Alex. "Ormai
so cosa devi fare e dove devi andare. Verrò comunque, con o senza di
te. A costo di seguirti e pedinarti, farò in modo di far parte di
questa missione. Non ti lascio andare al suicidio da solo."
Jeremy
sbuffò, contrariato, alzandosi in piedi e massaggiandosi la fronte.
Aveva
sbagliato a parlare con Alex, avrebbe fatto meglio a starsene zitto.
Doveva prevedere che sarebbe successo questo; d’altra parte Alex
non lo aveva mai lasciato solo quando era in difficoltà. Anzi, non
lo aveva mai lasciato solo e basta.
"Eddai,
Jerry,
tutti i cattivi hanno bisogno di una spalla. Pure quel
surrogato di merda di
Cordano ne
ha una.
Non vorrai mica giocare ad armi impari?"
"Non
si chiama spalla, Alex, si
chiama complice.
E io non voglio che tu diventi il mio complice. Hai già fatto
abbastanza per
me, hai già rischiato in altre occasioni. Stavolta no." ripeté.
"E
poi lo sappiamo che sei un rimbambito, faresti solo dei casini."
tentò di demotivarlo in questo modo, ma Alex non perse quell'aria
tranquilla.
"A
che ora ci si trova e dove?"
"Alex."
"Rischierei
comunque.
Ti
conviene avermi al tuo fianco, perché da solo mi farebbero fuori
molto più facilmente."
Jeremy
sospirò nuovamente, arrendevole e stanco: "Porca
puttana, sei una palla al piede."
Alex
sorrise, perché sapeva che a quel punto aveva la vittoria in pugno.
Non
aveva scherzato nel dire che avrebbe seguito Jeremy comunque. Non si
sarebbe mai dato pace se qualcosa fosse andato storto e lui non fosse
stato assieme
al
suo migliore amico.
"Allora,
quando ti passo a prendere?" civettò
fieramente, incrociando le braccia.
"Martedì
sera alle otto, davanti al mio B&B. Ti spiegherò tutto io la
sera stessa,
tu pensa solo a portare Betsie e...per
l’amor di Dio, Alex,
non fare cazzate."
"Martedì
sera? Martedì 14?" chiese lui,
pensando che quella
data gli suonasse
familiare.
"Esattamente."
Il
moro fermò un attimo i ragionamenti, distratto dallo sguardo limpido
dell'amico. Probabilmente era solo una data qualsiasi, si
disse.
"Non
è che hai qualche impegno?"
ipotizzò
Jeremy, notando l'aria da 'mi sto ricordando qualcosa che non riesco
a ricordare' e sperando che questo
qualcosa potesse impedirgli
di andare con lui.
"No,
niente impegni." gli assicurò l'amico.
Giusto una romantica storia di Natale per celebrare insieme queste feste <3
Fatemi sapere se vi piace!
Io faccio solo un po' di pubblicità, poi vi lascio proseguire al prossimi capitolo:
Se vi va, passate a leggere le altre mie due storie Io
e te è grammaticalmente scorretto ,
e Io e te è grammaticalmente scorretto 2, di cui, per quanto riguarda la prima, uscirà il libro a marzo 2017!
Un estratto da Io
e te è grammaticalmente scorretto:
Pierpaolo
emette un verso disgustato, prima di invitarci tutti
all'interno:-Stasera si inaugura questo bugigattolo.- dice,
lanciandomi un'occhiata:-Ho invitato gente dai vent'anni in giù.-
confessa, eccitato come una mamma al primo compleanno di suo
figlio.
-Un momento...non dicevi di odiare questo sgabuzzino per
alcolisti che non vogliono farsi beccare dalla moglie?- chiedo:-E ti
sto citando.-
-Proprio così. Per questo ho creato un evento su
Facebook, ingaggiato un dj e rimodernizzato l'ambiente.-
-E i
tuoi sono d'accordo?-
-I miei sono i promotori
dell'iniziativa.-
-Ok, non lo sanno.-
-Brava,
Marinella.-
Direi che è un genere completamente diverso da "All I want" XD
Se poi vorrete unirvi al gruppo in cui si sta assieme, si parla di
tutto e si condividono momenti bellissimi, vi basterà
cliccare qui e io approverò la vostra iscrizione: Grammaticalmente
Scorretti
Oppure potete chiedermi l'amicizia su Facebook come Daffy
Efp
:)
Buon Natale,
Daffy
P.S. "All I want" è stata
pubblicata in una sua prima versione nel lontano 2010, ma ad oggi
(18/12/2016) tutti i capitoli sono stati modificati con aggiunta di
parti importanti. Spero di aver fatto un buon lavoro :D
|
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Capitolo 2 *** Broken Photo, Broken Heart, Broken Nose ***
All I want - 2
ALL I WANT FOR CHRISTMAS IS...
********Broken Photo, Broken Heart, Broken Nose********
Jeremy
era appostato in quell'umidissimo posto da ormai venti minuti. Non
sentiva più i piedi, immersi nella neve semi-sciolta del giorno
prima, mentre
l'aria gelida della sera non rendeva di
certo
più facile il suo compito.
A
quell’ora avrebbe
dovuto trovarsi dentro la villa a festeggiare un compleanno a cui non
era stato invitato, ma ci
aveva riflettuto
e aveva concluso che
quel piano era più un suicidio che un tentativo di rapimento.
D’altronde
era il piano di Cordano.
Aveva
deciso che avrebbe aspettato dietro a una vecchia quercia del giardino di villa Heavens,
controllando l'andamento della festa dalla grande vetrata
che
scorgeva tra le fronde.
Una volta terminata la baldoria, tutti se ne sarebbero tornati a casa
ubriachi fradici e sarebbe stato un giochetto intrufolarsi senza che
venisse
notato. Rispetto agli altri, avrebbe
avuto il vantaggio della lucidità, a quell’ora.
Avrebbe atteso
nascosto da
qualche parte, finché
la
casa non si fosse svuotata degli invitati e lui si
fosse
trovato solo con la
ragazza. A
quel punto, l’avrebbe addormentata col cloroformio e rapita.
L'unica problematica di quel nuovo
piano
era che avrebbe avuto poco tempo prima che il padre di lei facesse
ritorno, ma si era attrezzato abbastanza bene per riuscire a
cavarsela in fretta.
In
più, aveva concordato il segnale con Alex: un messaggio vuoto e lui
avrebbe dovuto raggiungerlo con la macchina, uno squillo e avrebbe
dovuto precipitarsi da lui, in caso di bisogno d'aiuto. Il suo amico,
non appena aveva saputo che l'indirizzo a cui si
stavano recando
era casa Heavens, si era sbattuto la mano sulla fronte e aveva
tristemente telefonato alla sua nuova ragazza per disdire il loro
appuntamento. Jeremy
aveva tentato per l’ennesima volta di dissuaderlo, ma Alex era
proprio
di coccio.
Ottimo
inizio di relazione, aveva pensato Jeremy, ma
d’altra parte gli era infinitamente grato
per essere lì ad
aiutarlo.
Specialmente
in quel momento, in cui l’agitazione gli stava facendo tremare le
mani e gli aveva serrato la gola.
Era
la prima volta che faceva qualcosa del genere
e si era informato a fondo
sulle procedure. Grazie a una sua vecchia conoscenza, era riuscito a
procurarsi del cloroformio, un paio di manette e anche una piccola
pistola, utile per
eventuali
minacce. Tuttavia,
nonostante
avesse tutto
l’occorrente,
aveva una paura tremenda di compiere quello che stava per compiere.
Non solo era pericoloso per se stesso, ma anche per la sua vittima,
la famosa Tessy Heavens. Se qualcosa fosse
andato
storto, sarebbe stata lei a risentirne e Jeremy non era abituato a
fare del male agli altri. O,
per lo meno, non ad altri che non se lo meritassero.
Immergendosi
fino al naso nella sciarpa, si concentrò sulla
finestra, nella
speranza di individuare la ragazza che Cordano gli aveva indicato
nella fotografia.
Avrebbe
dovuto avere capelli
lunghi e scuri, un
fisico
asciutto, una
statura
media, arco e violino in mano, sorriso e sguardo orgogliosi. Una
bellissima ragazza, pensò.
Guardò
più attentamente e non notò
segni particolari. O forse sì, in effetti uno
ce
n'era: aveva le orecchie leggermente
a
sventola, esattamente come il signor Oliver Heavens. La
avrebbe riconosciuta per quello, si disse.
"Non
vedo l'utilità di questa pagliacciata, Ally."
"Oh,
smettila. Ormai siamo qui, non puoi più tirarti indietro."
"Lo
sto facendo." Taylor Heavens incrociò le braccia come
una bambina,
avvolta nel suo cappotto bianco e a disagio sui tacchi.
Allyson
guardò la villa
decorata
da
mille luci
e poi puntò gli occhi da cerbiatta su Taylor: "Dovrò stare
completamente sola. Prima mi abbandona Alex e poi tu. Oh,
Tay, sono proprio sfortunata."
"Ecco
la tragedia."
"Sai
che ti dico?
Forse
è destino che io non sia felice."
"Ally,
per favore. Che disagio."
"Forse
è meglio così; almeno avrò più tempo da dedicare a Tessy."
La
ragazza roteò gli occhi: "Tu sai
proprio quali sono i miei punti deboli, eh?"
Allyson
sbatté nuovamente le ciglia e Taylor cedette, lasciandosi trascinare
per un polso lungo il vialetto umidiccio.
Ridendo
per
il pessimo equilibrio di Taylor, arrivarono fino al porticato e
suonarono alla porta della festeggiata.
Tessy
aprì all'ennesimo ospite, favolosa nel suo provocante abito rosso.
Indossava
una giaccia
di pelliccia che
non copriva la vistosa scollatura e
le orecchie, in
pendant
con i polsi,
erano adornate da due grandi cerchi dorati.
"Ally!"
abbracciò l'amica e le diede come di consueto tre baci sulla
guancia, facendo
tintinnare tutti i suoi gioielli. "Ho
saputo di Alex, mi dispiace
davvero ta-"
ma la
sua voce si smorzò
quando vide che
Allyson non
si era presentata sola.
"Taylor."
La
sorellastra, imbarazzata, allungò la borsa contenente il suo regalo:
"Tanti auguri." recitò senza sentimento.
"Grazie."
rispose l'altra, asciutta, lanciando un'occhiataccia
all’amica.
"Entrate pure."
Le
accompagnò nell'immenso salone addobbato per Natale e
le invitò a sistemarsi come meglio preferivano.
Sulla
parete di fondo c'erano
un piccolo palco con un pianoforte lucidato a dovere e un violino
altrettanto scintillante, mentre al centro spiccava una pista da
ballo. Ai lati della stanza, lunghi tavoli erano stati riempiti di
cibi raffinati, tartine,
bevande selezionate, ogni prelibatezza che potesse anche solo
sembrare costosa. Tutto era
sistemato
con un gusto
e un
ordine impeccabili.
C'erano anche dei
palloncini rossi
e, Taylor notò con invidia, centinaia di premi e medaglie con il
nome di sua sorella vicino al numero 1.
"Sono
frutto di molti anni di studio. E
ovviamente di talento." commentò Tessy, notando il suo sguardo.
"Ognuno
ha un suo talento." le rispose Taylor, togliendosi la giacca.
"Peccato
che pochi riescano a farne buon uso." la ragazza si ravvivò
i capelli, tacendo
l’invito ad appenderle il cappotto.
"Bel vestito, comunque." aggiunse.
"L'avrei scelto anch'io, fossi stata in te. Il
nero snellisce."
Ci
mancava davvero poco perché Taylor vomitasse sulle costose scarpe di
qualche invitato; quella
festa era un vero schifo.
Tessy
era al centro dell'attenzione di tutti; non facevano altro che
adorarla e complimentarsi con lei per la
sua grande bellezza, la sua grande casa, il
suo grande talento.
Falsi,
pensava Taylor.
In
quel mondo basato sul valore delle banconote che le persone tenevano
nel portafogli non c'era nulla di vero. Ragazze tirate a lucido e
graziose che sfoggiavano un vocabolario raffinato, ma che non avevano
la minima idea di cosa fosse la realtà. Ragazzi
spacconi e abbronzati, che non avevano mai sentito parlare di
sacrificio, essendo stati viziati fin dall'infanzia.
E
pensare che avrebbe potuto esserci caduta pure lei in quella falsa
realtà. Avrebbe potuto essere cresciuta con la mente annebbiata
dalla vanità, dalla superiorità e dall'esteriorità, risultando la
persona altezzosa che ora odiava così tanto.
Magari
sarebbe stato meglio.
Anzi,
a dirla tutta, se quello fosse stato il prezzo da pagare per avere
una vera famiglia, avrebbe volentieri venduto la sua anima alla
ricchezza.
Certo,
non che non considerasse sua madre la sua famiglia, ma vedendo cosa
avrebbero potuto essere in tre, non poteva fare a meno di torturarsi.
Provava rancore nei confronti di Oliver e rimpianto perché sul volto
di sua madre non c’era lo stesso sorriso che c’era sul volto di
Martha.
Sì,
era spiacevole da dire, ma quella ferita non
voleva smettere di
bruciare. E
lei la sopportava sempre meno. Non era una questione di orgoglio,
ma di pura
delusione
e tradimento nei confronti di quel papà che non aveva mai avuto.
Un
ragazzo nero in un contrastante completo bianco scese in quel momento
dalla scalinata di marmo, sistemandosi la cintura. Taylor ne
approfittò e gli chiese indicazioni per il bagno; aveva bisogno di
allontanarsi un po' da quel girone infernale.
Seguendo
le istruzioni, arrivò sul
pianerottolo del
primo piano e
scorse la porta che il ragazzo le aveva descritto, leggermente
socchiusa. Peccato che aprendola constatò che il bagno era già
occupato da due fuggiaschi. Un ragazzo dai perfetti riccioli biondi e
da un altrettanto perfetto naso a punta stava brutalmente pomiciando
con una perfetta ragazza fulva, dall'obiettivamente perfetto
didietro.
Evitando
di sbattere i tacchi, Taylor sgusciò più in fretta possibile nella
camera accanto, sorridendo all'idea che almeno altre due anime la
pensassero come lei sul fatto che il tema di quella festa fosse
davvero noioso.
Solo
dopo pochi istanti il suo
sorriso
si
affievolì.
Capì
di essere entrata nella stanza di Tessy – era facile, data la
vastità degli espositori di premi e il numero dei poster con sue
foto alle
pareti.
Subito
una sensazione di freddo l'abbracciò. Lei odiava il freddo.
Si
sentiva vuota in quella camera così piena e, sì, tremendamente
invidiosa della fortuna di sua sorella. Ma
ciò che le invidiava più di qualsiasi altra cosa era quella foto
sul
comodino alla destra del letto. Era
chiusa in un rettangolo
di legno e ritraeva
la sua
famiglia
per intero.
Taylor
si
avvicinò lentamente, prendendo in mano la cornice e posando subito
lo sguardo su suo padre. Aveva le sue stesse orecchie a sventola,
cosa che amava trasmettere geneticamente a tutti, e una faccia da
uomo realizzato. Orgoglioso. Felice.
Guardava
sua figlia come in quella foto in cui osservava la piccola Taylor
sbadigliare davanti all'obbiettivo, diversi
anni
prima. Dolce e fiero.
Peccato
che gli uomini andassero sempre verso la via più ammaliante,
dimenticandosi di quella che già stavano percorrendo. Come si
dice, mai lasciare una strada vecchia per una nuova, anche
se Oliver,
che
l'aveva
fatto, evidentemente
non
se n'era pentito.
Aveva
avuto una figlia perfetta, quella carismatica
e talentuosa che
aveva sempre desiderato, e una moglie adatta a lui, bella, ricca e
giovane.
La
madre di Taylor non era
riuscita a soddisfare
le sue aspettative, non era stata all'altezza di competere con la
famosa Martha Gellerd di Chicago, e lui l'aveva lasciata sola. Sola,
a crescere la figlia scarsa
di
cui pagava il sostentamento
una
volta al mese.
Qualche
telefonata di finto interesse, un paio di lettere di riconciliazione
e venti
biglietti di auguri. Poi basta, suo padre si poteva contare in
quell’esiguo elenco di inutilità.
Almeno
aveva la decenza di privarsi dei suoi amati soldi nella
speranza di rimediare alla
sua assenza.
Ci
riusciva solo in sterline, purtroppo.
Taylor
sfilò
la foto dalla cornice e, stringendola
con dita tremanti,
lesse ciò che c'era scritto dietro. Era
datato 14 dicembre, di tre anni prima.
"Alla
mia piccola perla, con amore, mamma
Al
mio scintillante
gioiello, con amore, papà
Buon
compleanno"
Taylor
non riuscì a trattenersi e strappò quella foto in
un impeto di rabbia,
cacciando indietro una lacrima impaziente di scendere.
Sentì
che era tutto tremendamente ingiusto e che sarebbe scoppiata a
piangere da un momento all’altro, per quanto fosse l’ultima cosa
che volesse.
In
ogni caso,
era
meglio non farsi vedere da nessuno. Si
alzò sentendo
le gambe tremare,
nascose i due pezzi nell'elastico dei collant e rimise a posto la
cornice vuota, precipitandosi di sotto.
Zigzagò
veloce tra gli invitati e, afferrato il cappotto, corse in strada
incurante del gelo che le si insinuava nella scollatura e le bruciava
le guance bagnate.
Tessy
era al centro della sala da ballo, appoggiata al tavolino di vetro.
Stava
aprendo i regali, accerchiata dai
suoi invitati
e
dai calici che qualche minuto prima erano pieni di champagne.
Alla sua destra, Allyson le faceva da cestinatrice di cartacce e alla
sua sinistra Becky Sallivan continuava ad adularla, come al solito.
Da
quando l’aveva conosciuta, Becky aspirava
a diventare la sua migliore amica, ma quel posto era da sempre
occupato da Allyson e questo non sarebbe mai cambiato. Solo
che Becky era un po’ tonta e ci sperava davvero.
A
Tessy
restavano
ancora tre pacchi: il primo era proprio quello
di
Ally. Conteneva
un profumo al sandalo
e vaniglia e
un raffinato beauty case che sicuramente la ragazza aveva scelto
appositamente pensando a lei.
"Ally,
il tuo gusto è sempre impeccabile." le sorrise provandosi il
profumo.
"Lo
so." sorrise lei di rimando e fu felice di aver fatto centro
anche quella volta. Ormai conosceva Tessy così bene che
avrebbe potuto essere lei la sua sorellastra.
La
festeggiata aprì il secondo pacchettino, quello
da
parte di Eric, il suo secolare ragazzo. Rimase letteralmente a bocca
aperta davanti a quella semplice catenina d'argento confezionata
a regola d’arte.
Non era da Eric fare regali così di gusto, di sicuro si era fatto
aiutare da Allyson nella scelta.
Euforica,
lo cercò con lo sguardo.
"Dov'è
Eric?" chiese a Becky.
"Non
lo so, Tess." fece lei, mortificata di non aver saputo dare una
risposta al suo idolo.
Tessy
fece di spallucce: "Lo
ringrazierò dopo."
Decise
di rimandare
le smancerie con Eric a più tardi, per potersi dedicare
all'ultimo pacchetto. Sul bigliettino c'era scritto un semplice
'Tanti auguri, da Taylor'.
Si
chiese se l'avesse scritto col cuore e si rispose che no, non l'aveva
fatto. Con tutte le probabilità era stata Allyson a obbligarla
a scriverlo. Come l’aveva obbligata a comprarle un regalo e
a
venire
alla festa, perché aveva la mania di tentare il
riappacificamento
ogni qualvolta potesse.
Ma
Tessy non avrebbe accettato di condividere un'amica con la sua
sorellastra, né tanto meno suo padre. Sapeva che lui aveva
abbandonato la madre di Taylor quando lei aveva solo
due
anni,
ma l'aveva fatto per dei buoni motivi, cioè lei, Tessy, e sua madre.
Taylor non poteva fargliene una colpa e si indignava per la sua
immaturità nel non aver mai saputo accettare questa scelta.
In
ogni caso, quella ragazza non le piaceva
a prescindere,
perché
non si comportava come tutti gli altri e perché la
disprezzava. E lei odiava essere disprezzata.
Scartò
il regalo e scoprì un libro al suo interno: 'Orgoglio e
Pregiudizio'. Non l'aveva mai letto, e mai l'avrebbe fatto, ma aveva
la netta impressione che non fosse un titolo scelto a caso.
Fortunatamente, la sorellastra era sparita, così non avrebbe dovuto
ringraziarla.
"Lo
leggerai, vero, Tess?" le domandò Allyson, supplicante.
"Ally,
mi domando ancora perché tu l'abbia invitata."
La
ragazza le lanciò un'occhiata di rimprovero e finì di sistemare le
cartacce dei regali assieme a Becky.
Mentre
alcuni ragazzi si servivano della torta, Tessy salì al piano
superiore e si chiuse in bagno, di
mal umore.
Si
accorse subito che tutto
il ripiano della specchiera era in disordine, cosa
che la fece infastidire ancora di più.
Probabilmente
qualcuno era salito a pomiciare e aveva lasciato il disastro come al
solito.
Sbuffò.
Sistemò
velocemente
il ripiano e poi si concentrò sulla sua immagine allo specchio.
Ritoccò il rossetto
e si rinvigorì le guance con un colpo di phard.
Era
diciottenne e aveva una vita fantastica, eppure quella sera c'era
qualcosa di strano nell'aria. Forse era la presenza di Taylor, forse
era solo una sua impressione, forse era il suo nuovo
profumo di sandalo e vaniglia.
Non
riusciva a spiegarselo.
Uscì
dal bagno e sbatté addosso a qualcuno.
"Eric!"
"Tessy!"
Il
ragazzo sembrava parecchio imbarazzato e, cosa
ancora
più preoccupante, aveva uno sguardo colpevole.
"Dov'eri,
tesoro?
Volevo ringraziarti per la collana." Tessy gli cinse i fianchi
con le braccia e fece per baciarlo, ma lui si ritrasse.
"Prego."
fece un sorriso tirato. "Tessy, devo parlarti."
Lei
aggrottò la fronte: "D'accordo, andiamo in camera mia."
"No!"
"Perché
no?" chiese, stupita e confusa.
"Perché...perché
è una sorpresa di compleanno." biascicò,
tentando di spingerla verso le scale.
"È
fuori.
Ti
sta aspettando fuori."
"Fuori?"
disse sospettosa. "Fuori c'è freddo, Eric. Che cosa mi
nascondi?"
Il
ricciolino rise nervoso: "Niente, amore. Che
cosa ti
dovrei nascondere?"
"Beh,
vediamo subito." rispose lei, pungente.
Senza
indugiare, sgusciò
dietro Eric e
spalancò la porta della sua camera da
letto.
Scoprì
dietro
di essa
un'imbarazzatissima ragazza dai capelli rossi, completamente
spettinati, che
reggeva goffamente le
spalline del vestito come
se l’avesse indossato nei precedenti due secondi.
Per
lo shock, Tessy
rimase
immobile a fissarla con gli occhi spalancati, poi
mollò
la maniglia, quasi scottasse, e si volse verso Eric.
"Tu
mi
fai schifo!" gridò.
Lui
abbozzò
un timido passo verso di lei:
"Dai, amore, ti posso spiegare…"
"Amore?
Lei è il tuo nuovo amore!"
lo aggredì, facendolo indietreggiare.
"Non mi servono spiegazioni, è stata una bellissima sorpresa,
anzi, sai che ti dico? Il più bel regalo di compleanno che potessi
farmi!"
"Tessy,
aspetta." cercò di difendersi lui. "Non è
come pensi."
"Ma
smettila di dire cretinate; guardala!"
indicò la rossa, furente. "Sembra che le sia passato sopra un
camion!"
"Senti,
mi dispiace, è stato un momento di debolezza." spiattellò
con la voce rotta e la disperazione nello sguardo.
"Ma
ci siamo solo baciati, niente di più."
"Niente
di più?" ripeté Tessy,
con
gli occhi fuori dalle orbite. "Hai deciso di festeggiare
il mio diciottesimo
compleanno limonandoti
Pippi
Calzelunghe del ventunesimo secolo e
ora
hai il
coraggio di venirmi
a dire che
non c’è stato niente
di più.
In
questo caso, tanti complimenti
Eric, sei un emerito stronzo e tu," si volse verso la ragazza
impaurita. "Tornatene a Villa Villacolle e goditelo pure
finché non avrà il suo prossimo momento di debolezza!"
Uscì
dalla stanza prendendo contro Eric di proposito. Scese
le
scale correndo, passò per la cucina senza farsi vedere e uscì dal
retro, al freddo della notte, scoppiando in lacrime come
mai aveva fatto.
Jeremy
sussultò quando vide la ragazza uscire di corsa dalla villa.
Sembrava
tutto così calmo visto
dall’esterno,
ma
evidentemente
si sbagliava.
La
giovane
percorse il
vialetto
per qualche metro, poi si nascose dietro
alla quercia, non
troppo distante dalla postazione di
Jeremy.
Si abbandonò su un’umida
panchina di legno e si coprì il viso con le mani, intensificando
quel disperato singhiozzare.
Sotto
la fioca luce del lampione, Jeremy riusciva a vederla discretamente e
provò dispiacere per lei, anche se non conosceva il motivo
della sua tristezza. Sentire qualcuno piangere gli aveva sempre dato
fastidio, perché odiava chi si mostrasse debole, tuttavia
quel pianto convulso
e infantile era diverso. Era
talmente
forte
che provocava
in lui una
strana reazione. Una specie di immotivato odio
verso
la
causa
di quelle lacrime,
qualsiasi
essa
fosse.
Si
riscosse da quella sensazione, serio, e si impose di concentrarsi.
Osservò
meglio la
ragazza a pochi passi da lui e,
nel
farlo, scorse
un
dettaglio che
accese un campanello d'allarme nella sua testa. Due
pallide orecchie a sventola spuntavano dai ciuffi castani dei
capelli.
Estrasse
la foto che aveva
ficcato in tasca
e poi guardò
la ragazza di fronte a lui. Nell'oscurità non riusciva
a giudicare l’altezza e
la corporatura, mentre
il
viso era nascosto tra le mani, ma senza
ombra di dubbio le
orecchie e i
capelli
erano gli stessi della foto. Ne
era sicuro.
L'occhio
gli cadde allora
su qualcosa di scintillante al collo scoperto della ragazza. Era una
catenina d'argento con una medaglietta a forma di T, che
pendeva assecondando i sussulti del pianto.
Si
trattava
forse di
un aiuto
divino?
Era stato l'Onnipotente a facilitargli quel compito mandando
direttamente Tessy Heavens da lui? Se Maometto non va alla montagna,
la montagna va da Maometto. No, un momento, stava confondendo le
religioni.
Lui
non credeva in nessun dio,
ma credeva nella fortuna e, forse, era stata lei a metterci lo
zampino. Non
poteva spiegarselo in nessun altro modo.
Prese il
fazzoletto che aveva legato
alla cintura e
lo inumidì di cloroformio, poi lo nascose dietro la schiena, intento
ad avvicinarsi alla ragazza. Proprio
in quel
momento, però,
lei si alzò dalla panchina, asciugandosi gli occhi.
Stava
per andarsene, ma
Jeremy
non se la sarebbe di
certo
fatta scappare.
"Tessy
Heavens?"
La
ragazza
sobbalzò
per lo spavento e puntò gli occhi verso la quercia che aveva di
fronte. Scrutò il buio per qualche secondo e poi incrociò un paio
di occhi glaciali che
la fecero raggelare sul posto.
Un
tizio sconosciuto mosse un cauto passo verso di lei
e il cuore le
balzò nel petto
per la paura. Provò
scappare, ma i
suoi muscoli non risposero; si erano
inchiodati in
una morsa di panico.
"Chi
sei?"
Cercò
di costringere le sue gambe a muoversi e indietreggiare,
ma
finì solamente per
sprofondare
nelle sterpaglie e nel nevischio gelido.
"Chi sei?"
ripeté più forte.
Jeremy
non voleva che urlasse, ma lei sembrava proprio in procinto di farlo,
così la afferrò saldamente per la vita, la
immobilizzò
e premette il fazzoletto sulla sua bocca.
Successe
tutto in
una manciata di secondi; i suoi mugolii
si dispersero nell'aria senza che un'anima se ne accorgesse
e
ben presto esaurì
l’energia per riuscire a protestare.
Finché ne ebbe la facoltà, tentò di liberarsi dalla sua stretta,
colpendolo in vari punti, ma poi il cloroformio fece il
suo effetto.
Jeremy sentì il freddo corpo della
ragazza perdere nervo tra le sue braccia; i suoi occhi impauriti
cedettero
all’anestetico
e la sua testa si
abbandonò contro la sua spalla.
Dovette reggerla per non lasciarla cadere sulla neve, così la prese
in braccio e inviò il messaggio ad Alex.
Mentre
si avviava verso la strada, si accorse
che addosso
non aveva che quel misero vestitino,
così
torno
indietro e
raccolse la giacca che aveva perso.
Sospirò
di sollievo per aver rimosso un possibile indizio e
distese
l’indumento
sul corpo della ragazza, per ripararla dal freddo.
Nel
compiere
questo gesto,
un odore familiare
gli
riempì le narici.
Si
bloccò sul posto, stordito.
Non
poteva crederci, quel
profumo era lo stesso che dava odore ai suoi ricordi. Credeva
di averlo dimenticato per sempre.
Non
riuscì a dominare la sua mente e vide
un piccolo Jeremy aggrapparsi al maglione della madre per
salire
fino al collo, perfetto
per ospitare
le dimensioni della sua testa scompigliata.
Le ciocche bionde della donna gli solleticavano il nasino, ma a lui
piaceva, perché avevano un buon profumo.
-Che
buon odore che hai, mamma.-
-E'
il profumo della mia felicità.-
-E
di cosa profuma la tua felicità?-
-Di
te, Jeremy.-
La
vecchia auto si parcheggiò rumorosamente davanti
a lui e stemperò bruscamente l’immagine tra le luci dei fari.
Jeremy strinse la ragazza a sé, trattenendo il fiato per non dover
respirare
ancora quel profumo di nostalgia. Salì
in macchina più veloce di un fulmine, sistemando la
giovane
nel sedile posteriore e
controllando di non essere osservato da nessuno.
Appena
saltò sul sedile del passeggero, Alex
premette
l’acceleratore,
diretto senza
più possibilità di ripensamento
verso i confini di Bourton.
Jeremy
si sentiva stordito. Non era riuscito a reprimere quel ricordo, anche
se
era
abituato a farlo da
anni,
ormai.
Ogni
volta che gli si presentava alla
mente un momento della
sua infanzia, lo
cacciava indietro
stringendo i pugni, intransigente.
Ultimamente
si
era allenato e riusciva a farlo con
facilità,
eppure
quella
volta non ci era riuscito. Com’era
possibile?
Era
bastato un po' di profumo per far abbassare le sue difese, per
renderlo vulnerabile alla memoria e questo lo spaventava più del
fatto di avere una ragazza che lui stesso aveva drogato nel sedile
dietro.
"Jeremy,
non ci posso credere!"
Alex
leggeva il pensiero?
Si
rivolse verso di lui, il viso sconvolto.
"Che
c'è?" indagò, preoccupato.
"Sei
un caso irrecuperabile, è un miracolo che tu ce l'abbia ancora
attaccato alla faccia!"
Cercò
di decodificare il linguaggio dell'amico, ma a volte era impossibile
anche per lui, così
si limitò a fissarlo ancora in uno stato confusionale.
Alex
sbuffò, abbassò lo specchietto davanti a Jeremy e indicò il suo
riflesso. Allora capì; aveva di nuovo il viso insanguinato
per colpa del naso. Quella
Heavens
doveva averlo colpito ed essendo un punto sensibile (e piuttosto
sfortunato, si direbbe) si era trasformato in rubinetto.
"Oh,
dà
qua, ci penso io." si offrì Alex prendendo una
confezione di Kleenex dal portaoggetti.
"No,
tu pensa a guidare. È
meglio del sangue dal naso che finire sotto un tir." Jeremy
estrasse
tutti i fazzoletti dal pacchetto
e si mise a testa in su, tamponandosi le narici.
"Vedi
che sbagli? La testa la devi tenere all'ingiù e devi premere sul
naso."
"Sì,
così facciamo le cascate del Niagara."
"Tanto
la macchina è mia."
"Ok,
dottor
Bell, allora
procedo, poi se
dici chiamo
pure
Noè
a dividere le acque del Mar Rosso."
"Guarda
che è Mosè, non Noè. Si vede che marinavi il catechismo."
Jeremy
ridacchiò con voce nasale: "Tanto
sono utili entrambi,
perché se non è Mar Rosso, è Diluvio Universale."
"Immagino
che quando andavi a confessarti, il parroco ti sottoponeva a degli
esorcismi per le scemenze che dicevi."
"Era
lo stesso parroco che consigliò a tua madre di tenermi
lontano da casa vostra con l’aglio e l’acqua santa. Ti ricordi?
Le diceva che
saresti finito in viaggio verso l'inferno accanto a satana. Un
profeta, era."
Un
mugolio dal retro fece zittire improvvisamente
entrambi.
Jeremy
si voltò per
controllare
e
vide che, fortunatamente, la ragazza era ancora addormentata.
Respirava
profondamente e
di tanto in tanto bofonchiava delle cose; cose
che non avevano senso e appartenevano senza dubbio a una dimensione
onirica.
Aveva
usato pochissimo cloroformio, perché gli
avevano detto che era pericoloso. Aveva
paura che si svegliasse troppo presto per capire ancora dove si
trovassero,
ma
non poteva fare nulla, se non sperare e passare il resto del viaggio
in silenzio.
La
guardò un’ultima volta: aveva
ancora il viso rigato di lacrime, ma un'espressione molto più serena
in
volto.
Sperava che
si sarebbe dimenticata il motivo del suo pianto una volta sveglia,
anche se non lo credeva possibile.
Allora,
vi sta piacendo? Haha XD Non vi preoccupate, se vi sembra ci sia un po'
di confusione trai filoni, vedrete che fra poco diventerà tutto
più chiaro!
La traduzione del titolo è: Foto rotta, cuore rotto, naso rotto. Chissà perché, eh XD #poveroJeremy
PUBBLICITA':
Se vi va, passate a leggere le altre mie due storie Io
e te è grammaticalmente scorretto ,
e Io e te è grammaticalmente scorretto 2, di cui, per quanto riguarda la prima, uscirà il libro a marzo 2017!
Un estratto da Io e te è grammaticalmente scorretto 2:
Mattia sospira, concentrato, cercando di capire come ovviare il problema.
“Intanto è inutile che ti copri le tette.” posa la
mano sul mio avambraccio e mi esorta a rilasciare la mia posizione a
riccio, ma io gli oppongo resistenza.
“Ti vuoi rilassare un secondo?” domanda, spazientito.
“Ehi,
mister addominali.” dico, riferendomi alla sua totale
tranquillità nel rivelarsi al mondo a torso nudo. “Qui ci
sono delle aree private da mantenere tali, ok?”
“Non
ho mai detto di voler violare la tua privacy.” mi tranquillizza.
“E poi, sto solo cercando di farti stare meglio più in
fretta. Ti ricordi quando ti sei gentilmente presa cura della mia
allergia con metodi nazifascisti? Ecco, sono sicuro che preferiresti
che non lo facessi anch'io.”
Direi che è un genere completamente diverso da "All I want" XD
Se
poi vorrete unirvi al gruppo in cui si sta assieme, si parla di tutto e
si condividono momenti bellissimi, vi basterà cliccare qui e io
approverò la vostra iscrizione: Grammaticalmente
Scorretti
Oppure potete chiedermi l'amicizia su Facebook come Daffy
Efp :)
Buon Natale,
Daffy
P.S.
"All I want" è stata pubblicata in una sua prima versione nel lontano
2010, ma ad oggi (18/12/2016) tutti i capitoli sono stati modificati
con aggiunta di parti importanti. Spero di aver fatto un buon lavoro :D
|
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Capitolo 3 *** Everybody's Fault ***
All I want - 3
ALL I WANT FOR CHRISTMAS IS...
********Everybody's Fault********
L'effetto
dell'alba sulla neve era
sempre spettacolare nel Cotswolds, ma
quella mattina era addirittura
mozzafiato.
Jeremy
guidava osservando
la campagna imbiancata, mentre Alex, seduto di fianco a lui, dormiva
beatamente con
una mano dietro alla testa. Il silenzio che avvolgeva il loro viaggio
era quasi celestiale, perfetto
in abbinamento all’atmosfera color pastello e al profumo di freddo
che
entrava dai finestrini.
Peccato
solo
per la
vecchia Betsie, che,
con ben sei ore di strada sulle ruote,
si faceva sentire sferragliando
di
tanto in tanto.
Sebbene
tutto sembrasse incantato e ipnotizzante lungo quella solitaria
strada, Jeremy non riusciva a godersi il paesaggio, perché la sua
mente non
la smetteva di produrre pensieri.
Era
la mattina del 15 dicembre, dunque
mancavano solo dieci giorni a Natale. Questo
significava che
non
gli
rimanevano che
dieci giorni per concludere il
ricatto. Doveva riuscirci per
forza,
perché
era la sua unica possibilità di sanare il
debito con
Cordano
e, ovviamente, di rimanere vivo.
Come
si era ridotto, pensava tra sé. Aveva
già infranto la legge prima,
ma questa volta
era
decisamente
più
pericoloso del
solito e,
sì, aveva paura. Paura di non farcela, paura di sbagliare, paura di
avere
a che fare con qualcosa di più
grande di lui,
paura di morire.
Accese
la radio per distogliersi da quei pensieri e subito la voce di
Michael Bublé riempì l'abitacolo. Si domandava perché quel
cantante dovesse continuare a incidere brani natalizi quando ce
n'erano già migliaia in circolazione e cambiò stazione,
annoiato.
Buongiorno,
Cotswolds, vi auguriamo un caldo risveglio in questa gelida mattinata
di lavoro. Mancano solo dieci giorni alla nascita del Messia e-
Spense
definitivamente la radio e sospirò tastandosi il naso, ormai
insensibile alle sue dita. Se era pallido come un cencio, era solo
colpa della bella addormentata sul sedile dietro che, con il
suo dimenarsi spastico,
gli aveva quasi
rotto il setto. Aveva perso
un bel po’ di sangue
e ora sembrava uno spettro con
le occhiaie e il naso viola.
Forse c'entrava anche il fatto che fosse anemico e che avesse saltato
la cura di quel mese per racimolare i soldi di Cordano, ma dettagli.
Preferiva dare la colpa a quella mocciosa. Gli stava già
antipatica.
Cordano,
in ogni caso,
era
una vera
catastrofe. Una
maledizione, una piaga, un'oscura
presenza che lo assillava ogni
giorno della sua vita, psicologicamente
e fisicamente.
Una
mattina,
circa sei mesi prima, aveva violato la sua proprietà di Bourton per
rubare
qualche
soldo. La sua anemia aveva bisogno di essere controllata con apposite
medicine, cure costose e necessarie come l'acqua,
così
si
era visto costretto ad attuare quella soluzione.
Dei
soldi e un lavoro, purtroppo,
non li aveva. Certo,
nei mesi prima aveva
lavorato per
un
po' da un suo amico meccanico, ma la sua cattiva fama e il suo stato
cagionevole non l'avevano aiutato a mantenere la sua posizione. In
più, lo stipendio non bastava comunque.
Dopo
che fu licenziato,
era ritornato a vivere di debiti e favori, per le strade e nel B&B
della città. Di
furto, nelle grandi ville della Bourton bene, si
serviva
solo quando le cose si mettevano male.
Quel
giorno
di giugno aveva scelto la casa di Cordano, sapendo che il residente
lavorava come
amministratore alla
Money House. Date
le premesse,
doveva per forza essere uno di quei personaggi abbienti che
circolavano per Bourton con la Jaguar e
dunque era proprio quel che faceva al caso suo.
Gli
avrebbe rubato giusto un gruzzolo e lui non se ne sarebbe nemmeno
accorto, dato che le
persone ricche tendevano a perdere il conto di ciò che possedevano.
Non
sapeva di sbagliare,
non sapeva di aver scelto la casa di un mafioso e di aver così
firmato la sua condanna. Era entrato e aveva preso solo poche
sterline, ma era stato scoperto dall'amante dell'uomo, che
aveva avvertito le autorità con il disappunto del losco Cordano.
La polizia lo aveva arrestato, ma il
proprietario di casa
aveva troppa strizza di essere scoperto, così aveva preferito pagare
personalmente
la cauzione di
Jeremy e
far dimenticare la faccenda, senza processi o procedure analoghe.
Jeremy
sospettava di essersela cavata troppo bene e non si sbagliava.
Cordano gli si era messo alle costole, minacciandolo per riavere
tutti i soldi rubati più quelli della cauzione. Quando,
tuttavia,
aveva
realizzato
che con lui
le sole
minacce non bastavano,
aveva sguinzagliato
la sua arma segreta: il famoso
Richard, di cui Jeremy
ignorava
ogni cosa eccetto il nome. Lo
scimmione gli aveva fatto visita spesse volte per dargli una
ripassata, ma anche quel metodo era risultato inefficace. Cordy e la
sua arguzia, allora, avevano ben pensato di unire l’utile al
dilettevole e avevano forgiato la vendetta più disumana della
storia. Violenza, ricatto e rapimento, il tutto tenuto insieme da una
pistola ben carica, puntata dritta al suo cuore.
A
quel punto era arrivato al capolinea, non poteva più trovare strade
alternative: ci era dentro fino al collo e, volente
o nolente,
ci sarebbe uscito. Vivo o morto, quello era tutto da vedere.
Dei
colpi di tosse dal retro lo riscossero bruscamente dai pensieri. Si
girò e vide il suo ostaggio muovere impercettibilmente
le palpebre.
Preso
da una leggera agitazione, tentò di svegliare Alex, ma il suo amico
dormiva di sasso, beato come un angelo. Così decise di prendere dei
respiri profondi e affrontare la situazione con fermezza. Dopotutto,
lui era un rapitore.
La
ragazza si
mosse ancora un po’, poi
schiuse faticosamente
gli
occhi,
mugolando qualcosa di incomprensibile. La luce, anche se debole, le
diede
subito
fastidio e si
rese conto che la
testa le faceva male come se avesse bevuto troppo la sera prima.
Dopo
aver verificato di essere tutta intera e di avere ancora mobilità
negli arti, si
liberò del cappotto che le faceva da coperta e cercò goffamente di
mettersi a sedere. Si
guardò intorno, una vaga sensazione di nausea e di vertigini che
rendeva tutto molto sfocato e difficile.
"Dove
sono?" chiese, stordita.
Non
sapeva nemmeno a chi si rivolgesse, ma in quel momento realizzava a
stento chi fosse se stessa, quindi non era un gran problema.
"In
una macchina." rispose Jeremy.
"Chi
sei?"
"Un
ragazzo."
Lei
sembrava confusa, si portò una mano alla testa e la massaggiò: "Non
capisco."
"Ti
garantisco che non è così difficile da capire. Un po' di anatomia
ed è fatta." la prese in giro il biondo, giovando del suo stato
di intorpidimento.
Lei
lo guardò meglio, non riuscendo a identificare quel volto pallido e
lentigginoso, poi guardò la strada dal finestrino: "Si può
sapere dove stiamo andando?"
"Gita
fuori porta. Sei mai stata nelle campagne del Cotswolds?"
"Chi
sei tu? Chi è lui?" indicò il moro sul
sedile del passeggero, senza dargli retta.
"Dov'è Allyson? Chi mi ha portata qui? Mia mamma lo sa?"
"Vuoi
sapere anche la targa dell'auto, già che ci sei?"
"Jeremy,
si è svegliata!" esclamò Alex in quel momento, rizzandosi
sull'attenti e
pulendosi la saliva che gli era scesa sul mento durante la dormita.
Entrambi
gli puntarono lo sguardo addosso.
"Davvero?
Grazie per avermi avvisato." commentò il biondo.
"Ma
chi diavolo siete voi due?" la
ragazza perse
la pazienza, cominciando a sentire
una sensazione di panico alla
bocca dello stomaco.
Adesso era leggermente più lucida e ricordò a
tratti quello
che era successo la sera prima. "Dove mi state portando? Cosa
volete da me?"
"Non
ti vogliamo fare del male, Tessy." spiegò Jeremy, immaginando
con
un vago senso di colpa
come
potesse sentirsi.
"Però
sappi che se proverai a scappare te ne faremo molto." aggiunse
Alex, imitando un'espressione minacciosa.
Jeremy
lo guardò alzando un sopracciglio, domandandosi se quelle uscite
fossero davvero pensate.
"Lo
dicono sempre nei film." si difese l'amico a bassa voce.
"Tessy?"
domandò la ragazza, sempre più confusa. "Io non sono Tessy."
Jeremy
e Alex si voltarono di scatto, il primo quasi perdendo il controllo
dell'auto, il secondo sinceramente sconcertato.
Dai loro volti
non si intuiva nulla di buono.
"Cosa
significa 'non sei Tessy'?" chiese il biondo con
voce strozzata.
"Significa
che non sono Tessy."
ripeté
spazientita, iniziando a intuire qualcosa di quell’assurda
situazione. "Ti garantisco che non è così difficile da
capire."
"Ma
ieri notte tu...io…"
"Ieri
notte?" un flash apparve alla mente della ragazza, e allora
ricordò finalmente quel volto. La scorsa notte, la festa, la
fotografia, le lacrime e poi lui.
Si
ricordò che nel buio attorno a quella panchina lui l’aveva
chiamata ‘Tessy’ e lei non aveva detto nulla, perché era
sconvolta e sopraffatta dalla paura. Avrebbe
dovuto rispondere ‘Non sono io’ e correre via, ma capì
di aver fatto un errore. Anzi, capì che un errore ancora più grande
l’aveva commesso quel ragazzo con gli occhi di ghiaccio.
"Oh,
merda." mormorò lei.
"Sì,
infatti." concordò Jeremy. "Tu chi cazzo sei?"
"Io
sono Taylor
e tu, caro
idiota,
hai rapito la persona sbagliata." rispose lei, inquadrando al
volo come
fossero andate le cose.
"Merda!"
esclamò
Jeremy,
colpendo
il volande.
"Sei
sicura di chiamarti Taylor?" le domandò
Alex in
un impeto di speranza.
"Direi
di sì."
"Tessy
soprannome?"
"No."
"Tessy
nickname sui social network?"
"No."
"Tessy
per gli amici?"
"E
piantala, idiota!" esclamò Jeremy, furioso.
Inchiodò
bruscamente a lato della strada, facendo stridere la povera Betsie e
provocando un sussulto
generale.
Tirò
il freno a mano, estrasse la foto dalla sua tasca e la confrontò dal
vivo con
ragazza seduta sul sedile dietro. Per la prima volta poteva
scrutarla
alla luce del
sole e
dovette ammettere che di somiglianze con quell'immagine ne rilevava
fin troppo poche.
C'erano
le orecchie a sventola, quelle che l'avevano depistato
in primo luogo,
i lunghi capelli castani e
il naso leggermente a punta,
ma...nient'altro.
Niente che avrebbe potuto notare la
scorsa notte,
perché
era buio e lei
aveva
avuto il viso coperto
per tutto il tempo. In
più,
la
fretta
non gli aveva
di certo fatto un favore.
"Sono
un imbecille." mormorò, fortunatamente senza accorgersi che
Alex stava annuendo.
Taylor
riuscì a sbirciare la foto e le sue ipotesi furono confermate: era
tutta colpa della sua sorellastra. Di nuovo. Sempre, come una
maledizione.
Un
moto di frustrazione e rabbia scosse tutto il suo corpo e non riuscì
a trattenere la lingua. Spiegò a quel ragazzo come stavano le cose,
in un tono sprezzante che non si addiceva al suo viso bambinesco,
mentre Jeremy capiva di aver avuto tutt'altro che fortuna, la sera
precente.
"Non
mi avevano detto di te." commentò quasi a se stesso, quando lei
ebbe finito di parlare.
"Non
me ne meraviglio."
"Cosa
facciamo, Jerry?" chiese Alex a quel punto.
Il
biondo
ci pensò su
per qualche istante,
massaggiandosi
la guancia con il palmo della mano e fissando Taylor con sguardo
perso:
"Tu
e Tessy Heavens siete sorelle."
ricapitolò.
"Sorellastre."
"Quindi
Oliver Heavens è anche tuo padre."
Lei
annuì mestamente.
"Perfetto."
dichiarò. "Allora
non
cambia nulla, si segue il piano come stabilito."
"Quale
piano?" domandarono Taylor e Alex all'unisono.
"Tu
non te ne devi preoccupare per ora." Jeremy si rivolse a Taylor
e poi ad Alex. "E tu sei veramente scimunito."
"Ma,
mia
madre? Cosa avete intenzione di farmi?" la ragazza prese a
tremare, avvolta improvvisamente dal panico e dalla
preoccupazione per la
povera Amanda Vallet. Il
suo cuore si sarebbe spezzato, se non avesse avuto sue notizie al più
presto.
"Ti
ho detto che non ti faremo male, se eviterai di scappare. Vogliamo-
voglio solo qualche soldo, tutto qua. Ma devi stare ai miei ordini,
capito?"
Quel
tono la spaventava,
come anche quella situazione,
così
prese
d’istinto
il suo cappotto e infilò la mano nelle tasche, sperando di trovare
il cellulare.
"Ferma."
Jeremy allungò un braccio e le bloccò il polso. "Inizi male,
Lor. Non troverai niente in quelle tasche, ho pensato personalmente a
svuotarle."
Lei
incrociò quegli occhi così freddi e così...azzurri. Pensò che
fossero i più gelidi e severi che avesse mai visto, provò a tenervi
testa esplorando quei crepacci nel ghiaccio attorno alla pupilla, ma
poi non riuscì più a sostenere il contatto e abbassò i suoi.
"Bene."
disse lui, mollando la presa. "Sono Jeremy e lui è-"
"Il
tuo peggiore incubo." concluse Alex con sguardo minaccioso.
Jeremy
si sbatté una mano sulla fronte e poi partì con destinazione
Cirencester.
Taylor
avvertì un senso di nausea a qualche
chilometro
dall'arrivo. Troppe sensazioni insieme: l'agitazione, la paura, il
mal di testa.
Dallo
specchietto retrovisore, Jeremy notò che la ragazza aveva uno strano
colorito, probabilmente si sentiva male e pensò che essendo in
macchina da più di cinque ore, avrebbe ben presto vomitato sulla
tappezzeria di Betsie. E quell'auto era già abbastanza sporca di
suo.
"Ci
fermiamo." annunciò, appena vide una stazione di servizio.
Parcheggiò
in un'area piuttosto spoglia e le intimò, per l'ennesima volta, di
non provare a scappare. La tenne sotto stretto controllo visivo
mentre scese, chiedendosi se fosse saggio ammanettarla, e la seguì,
finché non la vide appoggiarsi al muro del piccolo bar,
evidentemente stanca. Alex era andato a pagare
il benzinaio e la strada era completamente deserta.
"Come
stai?" chiese Jeremy, notando l'espressione nauseata di Taylor.
Lei
si strinse nel cappotto: "Ti interessa davvero?"
"No,
ma non vorrei che sporcarsi la tappezzeria o che mi toccasse tenerti
la fronte mentre vomiti."
Taylor
sbuffò: "Mi sento come appena scesa da una montagna russa."
"Era
solo una macchina." minimizzò Jeremy. "E non ho mai fatto
più dei novanta."
Lei
non rise, ma si massaggiò la testa facendo
una smorfia di dolore.
"È
l'effetto
del cloroformio." le
spiegò lui, allora.
"Entro
stasera sarà passato."
La
ragazza sgranò gli occhi: "Cloroformio? Tu mi hai dato del
cloroformio?"
"Come
pensi che abbia fatto a calmarti?" le
fece notare con una mezza risata.
"Cantandoti
una dolce
ninna
nanna? Scaldandoti una camomilla?"
"Mi
hai drogata!" esclamò lei, indignata e preoccupata allo stesso
tempo.
"Perspicace."
"Tu
sei pazzo!" sbottò, incredula, portandosi le mani alla testa.
"Mi hai drogata! Finiresti in prigione per questo!"
"E
non solo. Ti ho derubata, sequestrata, rinchiusa in un luogo
circoscritto e minacciata. Se in Inghilterra esistesse la pena di
morte, dovrei iniziare a cercarmi un cimitero carino. Non ho soldi
per l'avvocato."
Taylor
trattenne un gemito di orrore. Con
chi diavolo era
capitata? Cosa
diavolo
le sarebbe capitato?
Osservò
il profilo del ragazzo al suo fianco, in controluce, cercando di
capire qualcosa sul suo conto.
Aveva
un naso dritto e proporzionato, bello, si sarebbe detto, se non fosse
stato leggermente viola. Qualcuno doveva averlo picchiato, pensò,
ma questo non la sorprese, perché aveva già comprovato di aver a
che fare con un pericoloso
malvivente
dai
metodi violenti.
Aveva
i lineamenti simmetrici; la bocca, le sopracciglia e
le orecchie, tutto era perfettamente spartito sul suo viso serio e
squadrato. Uno così avrebbe potuto fare il ragazzo immagine o essere
un figlio di nobili, forse anche membro della famiglia reale. Invece
sapeva di strada, di aperto, di pioggia.
Gli
occhi, poi, erano davvero incredibili. Così limpidi come due tondini
di cielo, senza nuvole, né imperfezioni. Quelle erano tutte sulle
guance. La
miriade di puntini che costellava il suo viso lo rendevano
effettivamente più giovane, simile a un bambino, a dire la verità.
Chissà quanti anni aveva, si chiese Taylor. Non poteva averne meno
di diciotto, ma neanche più di venticinque. Ma
non
osava chiederglielo, né
tanto
meno conversare con lui. E che cavolo, l'aveva rapita e
drogata!
Se
l'avesse visto camminare per Bourton, in condizioni diverse, avrebbe
sicuramente sognato di poterlo fare, perché era bello e intrigante. Ma, date le circostanze, il suo aspetto non
l'avrebbe mai potuto salvare; ormai si era guadagnato un posto di
tutto rispetto nella sua
lista
nera, giusto un gradino più in su di Oliver e Tessy Heavens.
Anche
se forse
fino a quel momento non era stato quel che si diceva un cattivone,
restava il fatto che l'avesse rapita. E drogata.
"Non
ti lamenti più? Ti arrendi di già al destino?" la
voce del ragazzo interruppe definitivamente i pensieri di Taylor. "Mi
stavo quasi
abituando
alla tua disperazione da donzella mancata di rispetto."
Tirò
fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette e ne accese una: "Vuoi?"
Taylor
scosse la testa, domandandosi a che gioco stesse giocando. Perché la
trattava abbastanza normalmente, se la stava rapendo?
"Ah,
ho capito. Non fumi perché sei contraria alle emissioni di gas
nocivi nell'atmosfera, vero?"
"Non
fumo perché sono contraria alle emissioni di gas nocivi nei miei
polmoni."
"Oh,
non sai quanti ne ha emessi Alex di gas nocivi mentre dormivi."
Taylor
aggrottò le sopracciglia: "Chi è Alex?"
Jeremy
assunse un'espressione misteriosa e strafottente allo stesso momento:
"Potrebbe essere chiunque."
La
giovane capì di non essere stata molto logica. Alex non poteva che
essere l'altro ragazzo, quello che si era presentato come 'il suo
peggiore incubo'. Purtroppo per lei, tutta la situazione e il
cloroformio che aveva in corpo la rendevano meno lucida e
reattiva.
Sarebbe già stata a casa sua altrimenti, tra le
braccia di sua madre, riuscendo a fare fessi quei due dementi.
"Non
c'è bisogno di prendermi in giro." si lamentò. "Mi sento
già abbastanza mortificata."
"E
perché mai?" ghignò Jeremy sbuffando una nuvoletta di fumo.
"Beh,
forse perché non so dove mi trovo, con chi e perché. E,
soprattutto, non so quando ritornerò a casa."
"Se ritornerai
a casa."
Taylor
ammutolì, quel tono le era sembrato fin troppo serio.
Jeremy
la guardò negli occhi, assumendo all'improvviso una finta aria
affabile: "Stai meglio, adesso?"
"Una
meraviglia."
Tessy
si soffiò il naso rosso e gonfio per la milionesima volta e poi, con
lo stesso fazzolettino, si asciugò il viso bagnato.
Guardò
in basso, sconsolata. Aveva già finito una vaschetta di gelato alla
vaniglia e non era che alla metà del film. Avrebbe voluto
andare in frigo e
procurarsene un'altra, ma pensò che poi avrebbe dovuto considerare
la palestra di Bourton come sua seconda casa.
"Tessy,
amore, non dovresti guardare Titanic in queste condizioni."
Martha Gellerd entrò nel salone vestita di tutto punto, la
mani impegnate nella chiusura di un orecchino.
"Sono
maggiorenne, mamma. Posso fare quello che voglio."
La
donna scosse la testa, finendo
di sistemarsi mentre afferrava la pelliccia dall’appendi abiti. Si
fermò
davanti
al grande specchio per
darsi
un’occhiata e decise che era meglio
ritoccare il rossetto.
Mentre
affrontava la difficile operazione con esperienza, lanciò
un’occhiata al riflesso di sua figlia. Solo a vederla di spalle,
dava un’impressione di tristezza e decadenza che le fece provare
un’enorme pena:
"Ho sempre pensato che non valesse abbastanza per una come te."
"Se
ti riferisci a Eric, sappi che per me valeva, invece." ribatté
la
ragazza,
con voce tremante. "Era figo e venivamo
divinamente nelle foto."
Martha
roteò
gli occhi: "Come se contasse qualcosa."
"Conta
eccome." piagnucolò, affondando ancora di più nel divano.
Sua
madre la raggiunse, allungando la mano verso il suo fortino di
coperte e scoprendole il viso: "Oh, perlina." le disse,
compassionevole. "Non puoi stare così."
"Non
capisci, mamma."
tentò
di bardarsi ancora di più mentre la vaschetta vuota cadeva a terra
assieme alla miriade di fazzolettini.
"Certo
che ti capisco." le appoggiò
una mano sulla spalla: "Non
si tratta solo di venire bene in foto. Tu
a quel ragazzo volevi davvero bene."
"Lo
amavo."
precisò
la
ragazza. "A
modo mio, ma lo amavo."
"Vedrai
che ti passerà, perla mia. E poi ti renderai conto che è stato un
bene che vi siate lasciati."
"Non
ci siamo lasciati! Lui mi ha tradita e io l'ho lasciato! Così è
molto più drammatico, mamma."
La
donna le
rivolse uno sguardo di commiserazione, senza però farci troppo caso.
Sua figlia aveva sempre avuto la mania di teatralizzare qualsiasi
cosa, soprattutto le situazioni che la riguardavano in prima persona.
Sapeva che era stato un duro colpo per lei; d'altra parte quell'Eric
era il suo ragazzo secolare, ma non credeva
che sarebbe stata la fine del mondo.
Forse,
invece, avrebbe dovuto parlare di più con sua figlia. Probabilmente
si sarebbe accorta di quanto quella rottura stava significando, di
quanto stesse veramente male.
Tornò
allo specchio per prendere in mano le chiavi e darsi un’ultima
controllata, prima di uscire. Per
lei quella
rottura era
stata
un bene, in quanto non intratteneva
buoni
rapporti con la famiglia di
Eric. Anzi,
a dirla tutta, trovava sua madre abbastanza rozza e suo padre troppo
impudente. Tolse
una sbavatura di
rossetto e si riavviò i capelli, piccolo vizio che aveva trasmesso
alla figlia.
"Dove
stai andando?" le chiese quest'ultima, notando solo in quel
momento l'aspetto della madre.
"Mi
hanno chiesto di aiutare gli Hopkins con l'organizzazione della festa
di Natale."
"Oh,
alla
festa degli Hopkins io
ed Eric aprivamo sempre il waltzer
di mezzanotte." disse lei stringendo il cuscino contro il petto
e avvertendo la freddezza
della medaglietta che proprio lui le aveva regalato il giorno prima.
Sul
pendente era incisa la parola Teric,
il
nomignolo
che
i loro amici avevano dato alla coppia e con
cui erano soliti identificarli. Avrebbe
dovuto strapparsela dal collo e gettarla via, ma non ci riusciva.
"Basta
pensare a lui!" proruppe Martha, concitata.
"Spegni quel film, se non vuoi affondare pure tu nelle tue
lacrime. Esci un po', chiama Allyson."
"Allyson
sa già tutto, ma ora è impegnata e
non
può stare con me. E poi, scusa, ma preferisco autocommiserarmi come
una zitella davanti a Leonardo Di Caprio."
"Come
vuoi, Tessy, ma
cerca di sforzarti per non farti abbattere da quello stupido."
le
suggerì con fare materno.
"Ci vediamo questa sera. Papà tornerà tardi e tu intanto
studia quell'assolo per la vigilia!" uscì di casa sbattendo i
tacchi con naturalezza e lasciò Tessy aggrappata al cuscino.
Sì,
sua madre era una donna mondana e suo padre un uomo impegnato. E
lei aveva un assoluto bisogno di un'amica.
Allyson
era fuori città perché aveva ricevuto una chiamata da suo
fratello
Richard nella tarda serata del giorno prima. Non lo vedeva da due mesi
e così era partita senza che i suoi lo sapessero per
incontrarlo e passare una mattinata con lui. Aveva sempre pensato che
lei si prodigasse troppo per quel ragazzo; in fin dei conti, era
stato lui ad abbandonare la famiglia senza alcun valido motivo ed
Allyson aveva comunque il coraggio di considerarlo il suo eroe.
Inaudito.
Becky
invece si era ubriacata la sera precedente e ora era a casa a
vomitare senza sosta. Le
aveva telefonato, mortificata e malaticcia, scusandosi per essersi
ridotta così e dicendole che le dispiaceva immensamente per quello
che era successo con Eric. Lo sapevano già tutti, ormai.
Dopo
Becky,
non
aveva nessun altro, nessuno che considerasse abbastanza amico da
consolarla come si deve,
nessuno che si sarebbe dato la pena di farlo.
Eppure,
da
un po’, il
suo subconscio continuava a suggerirle il nome di una persona. Una
persona
che, in realtà, avrebbe potuto capirla molto meglio di chiunque
altro.
Dopotutto,
etrambe
erano state abbandonate, entrambe
da un uomo a cui tenevano molto ed
entrambe
per un'altra donna.
Tessy
pensò, per un solo istante, che era così che doveva essersi sentita
Taylor dopo che suo padre l'aveva lasciata per lei e sua madre.
Una
strana
sensazione si appropriò
di lei e accelerò
il battito del suo cuore. Tentò
di scacciarla e scacciare il volto di Taylor dalla mente, ma non ci
riuscì. Si trattava di una
sensazione molto insolita, raramente conosciuta da
lei
in
precedenza.
Senso di colpa, lo chiamavano?
Un
nuovo moto di rabbia e solitudine la invase e
strinse la medaglietta di Eric, lottando contro altre lacrime.
Si
immedesimò in Taylor, nel suo sentirsi tradita da qualcuno che amava
e nell'odio verso chi gliel'aveva portato via. Era brutto da provare,
ma era forte e impetuoso, come un torrente in piena.
Si
sorprese di sperimentare quello che la sorellastra doveva provare nei
suoi confronti.
Era così che si sentiva, allora. Come lei verso
quella sorta di Pippi Calzelunghe dei poveri. Arrabbiata. Delusa.
Triste.
Tessy
si sentì improvvisamente
a disagio con se stessa.
Non
sapeva più che pensare; era doppiamente disperata, perché
assieme alla delusione d’amore, ora c'era
una nuova sofferenza che provava per
la prima volta sulla
sua pelle, nel suo cuore. Oltre al danno, anche
la
beffa!, pensò,
amaramente.
Non poteva sentirsi semplicemente tradita, ora si sentiva anche in
colpa. E sola. Tremendamente sola.
Avrebbe
dovuto parlare con Taylor, forse? Avrebbe dovuto chiederle scusa?
Avrebbe dovuto confidarsi con lei riguardo Eric?
Non
sapeva se avrebbe dovuto, ma sicuramente avrebbe potuto.
Poteva
andare da
lei,
chiederle se era davvero così che ci si sentiva, se potesse
veramente fare così male o se, semplicemente, era solo il suo cuore
che si stava spezzando.
Era
l’unica cosa, ammise a se stessa, che avrebbe potuto farla sentire
meglio.
Afferrò
il telecomando e spense il televisore proprio nel momento in cui Jack
faceva la fatidica domanda a Rose. Ti
fidi di me?
Si
immaginò di essere al posto della rossa, con i boccoli al vento e un
vestito favoloso, retta da un ragazzo del calibro di Jack Dawson,
sospesa sull'Atlantico.
"No,
Jack. Non mi posso fidare di te."
"Perché
no?"
"Perché
sei un uomo e gli uomini sono bastardi."
Cancellò
dalla sua mente questa stupida fantasia, pensando che con ogni
probabilità avrebbe risposto "sì" comunque. Insomma, Di
Caprio era Di Caprio.
Si
pulì le righe di mascara sulle guance, si coprì con il suo cappotto
pesante e uscì chiudendo a chiave la porta. Camminando per il
vialetto le ritornò in mente la sera precedente. Era rimasta quasi
un'ora fuori a piangere, poi Allyson l'aveva trovata e l'aveva
convinta a ritornare dentro. Eric se n'era già andato da un pezzo,
cacciato proprio dalla sua amica, e gli altri invitati già
rumoreggiavano su di loro e sulla loro possibile separazione.
Com'era
umiliante essere al centro dell'attenzione, a volte. Avrebbe
preferito rimanere fuori al freddo e
al buio. Aveva sentito dei rumori dagli alberi vicino alla villa, ma
non si era spaventata, anzi, aveva desiderato che fosse qualche
malvivente pronto a rapirla per portarla lontano da quel dolore.
Magari
avrebbe potuto chiuderla per
sempre da
qualche parte, cosicché tutti si sarebbero dimenticati di lei e
della sua umiliante festa di diciottesimo compleanno.
Arrivò
al piccolo condominio di Taylor prima di quanto sperasse e rimase a
fissare il campanello
'Vallet
- Heavens'
con fare indeciso. Si era già pentita della sua iniziativa, ma ormai
si trovava lì e aveva una questione da risolvere.
Più
che altro, sentiva che lì avrebbe trovato un po' di umanità che in
quel momento le mancava e la faceva sentire colpevole.
Suonò
tre volte il campanello e attese una risposta, che non tardò molto
ad arrivare.
"Chi
è?"
"C'è
Taylor? Taylor Heavens?"
"Chi
la desidera?"
Tessy
esitò un istante, mordendosi un labbro: "...Tessy. Tessy
Heavens."
Anche
dall'altra parte ci fu una pausa di silenzio. Tessy pensò che le
avrebbero sbattuto il citofono in faccia da un momento all'altro, ma
invece ci fu un suono metallico e la porta di vetro si aprì.
Salì
le scale guardandosi intorno: non era un posto immenso, ma aveva
un'aria piuttosto accogliente. Arrivò al primo piano e notò una
porta aperta. Con il cuore in gola per la tensione, si fece strada
all'interno dell'abitazione e vide una signora pallida, con due
spessi occhiali, seduta al tavolo della cucina. Era Amanda, la prima
moglie di suo padre.
"Buongiorno."
disse timidamente. Non aveva mai parlato con lei, la vedeva spesso a
messa e alcune volte alle feste di paese, ma fino a quel giorno, pur
sapendo chi fosse, non ci aveva mai scambiato nemmeno un saluto.
"Ciao,
Tessy, siediti." la signora dall'aria gentile indicò una sedia
accanto a lei, dandole
immediatamente confidenza.
Tessy
si accomodò, sperando con tutto il suo cuore che Amanda non avesse
del rancore represso e un coltello a portata di mano. Poi la guardò
meglio e capì che non avrebbe potuto fare del male nemmeno a una
mosca. Aveva un viso pieno e un'espressione dolce, anche se
leggermente ansiosa.
"Taylor
non c'è, adesso." esordì incrociando le mani, agitata. "A
dire il vero, non so dove si trovi e sono molto preoccupata, perché
non risponde al telefono. Ieri sera è venuta alla festa da voi,
assieme ad Allyson, e poi non ho più avuto sue notizie. Vuoi
del tè?"
"Ehm...sì,
grazie."
Amanda
si alzò e prese un paio di tazze dalla credenza, poi le riempì con
la teiera che ancora scottava. Tessy la seguiva con difficoltà:
parlava molto velocemente e sospirando nelle pause, ma comunque aveva
capito il filo del discorso.
"Ho
chiamato tuo padre, ma non sa nulla."
proseguì la donna.
"Ho
chiamato gli Stuart, ma neanche loro sanno dove sia la figlia,
dicevano che aveva un impegno con il pattinaggio e che non poteva
rispondere al cellulare. Non è rimasta a dormire casa tua, per
caso?"
Avrebbe
dovuto capirlo nel
momento in cui le aveva chiesto di Taylor al citofono, ma Tessy
le
sorrise
comunque
per rassicurarla: "No, non è rimasta da me. Molto probabilmente
è partita con Allyson, ora provo a sentire."
Prese
il cellulare dalla tasca e cercò in rubrica, poi premette la
cornetta verde. Era
quasi sicura che Allyson l’avesse coinvolta nel suo viaggio per
farle conoscere il fratello, ma non poteva di certo far saltare la
copertura della sua amica. Sapeva comunque che a lei avrebbe risposto
e avrebbe rassicurato tutti in quanto all’assenza di Taylor.
"Ecco
qui, sua
altezza."
Jeremy fece entrare Taylor nella stanza dell'hotel che aveva
prenotato. "Cinque stelle, una per residente."
Aveva
scelto un misero e semivuoto albergo nei borghi di Cirencester e si
era fatto dare una camera da quattro, dove avrebbero alloggiato per
qualche giorno. Sarebbero
ripartiti
di nuovo entro
breve e poi ancora, avanti di luogo in luogo,
fino
a che non avessero raggiunto
l'accordo con Oliver Heavens.
"Perché
dovresti portarmi in un albergo?" chiese Taylor confusa. "Non
è una soluzione che passa molto inosservata, sai?"
"Preferisci
un sotterraneo con attrezzi per la tortura e ratti
che corrono sul pavimento?"
Alex
ridacchiò, chiudendosi la porta alle spalle.
"Semplicemente
non capisco quali siano le tue intenzioni. Vuoi rapirmi o no? E se
sì, perché?"
"Lor,
Lor,
Lor."
Jeremy le si avvicinò appoggiandole una mano sulla spalla. "Non
puoi avere accesso alle informazioni più interessanti, altrimenti
che divertimento c’è? E poi, credi
che qualcuno manderà la polizia a cercarti?" lei fece per
rispondere. "È
una
domanda retorica."
"Questo
trattamento è ingiusto."
sbottò
lei, irritata per l’ultima frase che si era sentita dire, fin
troppo realistica per i suoi gusti.
"Io non ti ho nascosto la mia identità. Avrei potuto farlo e il
tuo stupido piano sarebbe andato a monte."
"Ma
non l’hai fatto perché non sei abbastanza sveglia."
"Non
ero
abbastanza sveglia." lo corresse. "Ti
ricordo che sono
stata drogata. Anche se ora mi sto riprendendo piuttosto bene e
pretendo delle spiegazioni."
Jeremy
la scrutò per qualche istante, soppesando
tutta quell’audacia con un sorrisetto, poi
cercò lo
sguardo di
Alex in cerca di una tacita approvazione.
"Il
piano a grandi linee è questo." esordì,
dopo aver ricevuto il nulla osta. "Voglio
dei soldi. E li chiederò in cambio della tua...preziosa vita,
diciamo così. Se qualcuno di indesiderato interferirà tra me e la
persona con cui contratterò,
minaccerò di farti fuori. In questo modo nessuno saprà niente,
tranne tu,
Alex, io e il nostro misterioso finanziere."
"Ti
fidi così tanto di
questo
finanziere? Ti fidi così tanto di me?"
si indispettì Taylor, profondamente irritata dal modo di fare di
Jeremy.
Prendeva
tutto come se fosse l'operazione più facile del mondo, dava per
scontato che nessuno avrebbe intralciato i suoi piani e, soprattutto,
si aspettava che lei si comportasse come lui desiderava.
"Sempre
che la persona con cui contratterai non sia più sveglia di te,
potrei raccontare tutto io al ritorno." osservò,
incrociando le braccia.
"Chi
ha mai parlato di ritorno?" chiese Jeremy
con
aria innocente, ma profondamente irritante.
La
ragazza strinse i pugni per
la
rabbia: "La
vuoi smettere di minacciarmi?" s’innervosì,
alzando la voce. "Chi è il finanziere? A chi credi di domandare
tutti quei soldi? A mia madre? Lei non ha niente, stai facendo un
buco nell’acqua. E poi sono sicura che tutto questo ha a che vedere
con Oliver, non
è vero?"
"Basta
domande, ti ho già detto quello che hai bisogno di sapere."
"Non
è vero! Ridammi il mio telefono! Fammi chiamare mia madre!"
"Chiudi
quella bocca, Lor."
sbuffò lui. "O te la dovrò
chiudere io e non ho voglia di imbarcarmi in una tale impresa epica."
"Si
può sapere chi
ti credi di essere? Non mi fai paura con quell'aria strafottente!"
"Non
alzare la voce."
"Sì,
invece!" gridò lei, di proposito. "Che diritto hai di
trattarmi come un oggetto? Chi ti autorizza a darmi un valore e
soprattutto a giocare con la mia mia vita?"
"Lor,
non alzare la voce."
"Io
faccio quello che mi pare!" lo spinse con entrambe le mani,
facendolo
barcollare all’indietro.
"Non mi puoi togliere la libertà, non ne hai il diritto!"
"Abbassa
quella
voce, porca
puttana, o
ci sentiranno tutti!"
"NON
DARMI ORDINI!"
Jeremy
alzò la mano di scatto e le diede uno schiaffo sulla guancia, tanto
potente che risuonò nella stanza e la fece zittire
all'istante.
"Jeremy..."
mormorò Alex, rompendo l'assordante silenzio.
Lui
non si scompose, continuò a fissare Taylor, arrabbiato, e poi, a
bassa voce, disse: "Chi ti credi di essere tu, Heavens? Dovresti
cominciare a stare al tuo posto, sei poco più che una bambina e,
soprattutto, sei in una situazione diversa da come la stai facendo
sembrare." si
distanziò da lei di un passo, ritraendo la mano.
"Io
ti ho rapita, Taylor. Cerca di comportarti bene, perché forse non ti
è chiaro che non sto giocando." tirò fuori la pistola dallo
zaino e la appoggiò sul tavolo, al centro della stanza. "Ti
conviene davvero fare la brava. E non osare mai più disobbedire a
quello che ti dico io."
La
ragazza si morse il labbro inferiore, trattenendosi
a
stento dallo
scoppiare in lacrime. Non voleva piangere, anche se tutto la induceva
a farlo. Non voleva dare la soddisfazione a quel ragazzo stronzo e
prepotente, privo della minima umanità e vuoto dentro, come solo un
delinquente poteva essere.
Era
troppo orgogliosa e infuriata per arrendersi e dargliela vinta, così
gli voltò le spalle e sgusciò
dentro il
bagno, sbattendo la porta e
girando la chiave.
Dopo
essersi chiusa all’interno della stanza,
si appoggiò alla parete e si lasciò scivolare fino a terra, con la
testa fra le mani. La guancia le faceva male e il bruciore era
alleviato solo dalle lacrime che, ora sì, potevano scendere
copiosamente.
Perché
proprio lei? Perché non Tessy?
In
fondo, la sua sorellastra se lo meritava di più. Anzi, quel ragazzo
avrebbe potuto metterla in riga e farle passare la mania di
protagonismo che la distingueva. Ma lei? Cosa aveva fatto di male lei
per
meritarsi di essere rapita?
Pensò
a sua madre, a quello che avrebbe fatto
nella preoccupazione di poterla perdere. Amanda non aveva soldi
sufficienti per pagare un riscatto ed era sicura che Jeremy non
avrebbe fatto sconti per nessuno.
Nella
sua vita ne aveva passate tante, aveva sofferto più di quanto
volesse dimostrare, ma aveva fatto buon viso a cattivo gioco solo per
sua figlia, solo per non farle pesare l'assenza di un padre. Non si
meritava anche questo, ora. Non l'avrebbe retto e sarebbe crollata,
sola, senza nessuno che la aiutasse.
Odiava
Jeremy, lo odiava con tutto il suo cuore e sperava che ricevesse la
giusta punizione per quello che le stava facendo. Se c'era qualcosa
che detestava più della sberla che aveva appena ricevuto, era la
possibilità che lui avrebbe fatto soffrire Amanda. Che le avrebbe
dato il male peggiore al mondo e che lei non avrebbe potuto starle
vicino.
Era
tutta colpa di quel verme, quel rifiuto di mondo che se l'era presa
con lei e che respirava ancora, impunito, nella stanza adiacente.
Fuori
dal bagno, Jeremy diede un calcio allo zaino e si mise a sedere sul
letto.
Alex
si posizionò accanto a lui, la mano che si grattava la fronte e
l'aria nervosa: "Jerry, ci sei andato troppo pesante."
"Lo
so." rispose. "Mi ha fatto perdere il controllo."
"È
furba, Jerry, e sa come infastidirti. Ma le hai fatto male."
"Lo
so." ripeté con uno sguardo dispiaciuto. "Dannazione."
Alex
sospirò e si abbandonò con la schiena distesa sul materasso, stanco
e provato dagli eventi. Il viaggio era sembrato interminabile e
l'hotel non gli piaceva. Per giunta, Taylor non era una vittima
accondiscendente e Jeremy non sembrava molto padrone della
situazione. Lui, meno di tutti, poteva migliorare le cose.
"È
petulante."
Jeremy si alzò e prese a camminare intorno alla stanza, irrequieto.
"È
molto intelligente e questo non va bene. Ed è molto irritante e
questo va ancora peggio."
Alex
rimase in silenzio: non sapeva se concordare con l'amico o dargli
torto, ricordandogli che doveva mantenere il controllo.
Fortunatamente il suono del suo cellulare gli risparmiò l'ardua
decisione e fu costretto a rispondere: "Pronto?"
"Alex."
"Allyson,
amore!"
Jeremy
lo guardò di
scatto,
stupito. Pensava
di non averlo mai sentito pronunciare la parola 'amore'. Non così
colpevolmente, comunque.
La
ragazza all'altro capo del telefono sembrava tranquilla: "Come
sta tua nonna?"
"Bene,
grazie."
"Oh,
si è gia svegliata?"
"Beh,
sono le undici, credo di sì."
"Ma,
scusa, non era in coma?"
Alex
si sbatté una mano sulla fronte, reprimendo un'imprecazione poco
gradevole: "Ah, sì! Sì, hai ragione, amore, ma si è
svegliata." cercò di riparare.
Doveva
smetterla di usare sua nonna come scusa ai mancati appuntamenti,
ormai era entrata in coma una decina di volte e otto di di queste non
si era ancora svegliata.
"Che
bella notizia, come sono contenta! Volevo proprio chiederti se ti
andasse di
venire a Bristol con me. Sai,
mi trovo già qui e alle tre ho un appuntamento con mio fratello,
così pensavo di fartelo conoscere."
"A-a
Bristol? Ehm, beh...in realtà non posso." rispose, sentendosi
terribilmente in colpa.
"Oh."
il tono della ragazza era dispiaciuto. "Non
puoi proprio? È
un'occasione rara per lui, sai, non capita molto spesso da queste
parti."
"È
che si tratta ancora di mia nonna." mentì, deglutendo a fatica.
Non sopportava di dover raccontare frottole ad Allyson, perché era
una ragazza davvero buona, soprattutto con lui. Fin troppo, forse.
"Che
cos'ha?"
chiese, curiosa.
"Ehm...è
caduta."
"Come
ha fatto? Non si era appena svegliata dal coma?"
"Appunto.
Lei ha...ha voluto scendere dal letto mentre i medici erano distratti
ed è scivolata. Ora siamo all'ospedale di Cirencester e credo
dovremmo rimanerci fino a..." lanciò un'occhiata a Jeremy che
gli mimò 'Natale' con le labbra. "...Aprile."
"Aprile?"
"Sì,
Aprile." Jeremy scosse la testa e agitò le mani per catturare
la sua attenzione. "No, non Aprile."
Il
biondo ripeté 'Natale', trattenendo a stento una risata, e per
fortuna questa volta Alex capì correttamente.
"Mi
dispiace davvero tanto, Alex."
la sua voce tradiva un po' di delusione, ma poi proseguì decisa. "So
che vuoi un bene dell'anima a tua nonna perciò le auguro di guarire
presto e...spero che ritornerai un po' prima per stare con me."
Quel
tono lo fece sentire davvero un verme: "Te lo prometto, Ally.
Grazie, sei fantastica."
Anche
se lui non poteva vederla, lei sorrise: "Grazie
a te, Alex. Scusa, ho un'altra chiamata, adesso. Ci vediamo presto.
Ti amo."
"Anch'io."
Alex
premette la cornetta rossa, sospirando. Odiava essere in mezzo a due
sentimenti così forti come l'amore e l'amicizia, lo faceva
impazzire. Aveva scelto il secondo, solo perché con Allyson era
insieme da poco, eppure ogni volta che pensava a lei rimpiangeva
quella decisione e si chiedeva se per caso non avesse commesso un
errore.
"Ehi,
tutto bene?" gli chiese Jeremy, notando la sua espressione
incupita.
"Forse
lei è quella giusta, Jeremy." rispose lui, quasi parlando a se
stesso, lo sguardo perso a contemplare l'immagine di Allyson nella
sua mente. "Non lo so, è così diversa da Kate, Monica, Jilly,
Nadine,…"
"...e
le altre mille con cui sei andato a letto." concluse per lui.
Alex
lo fulminò con lo sguardo: "Sono un ragazzo serio. Così non mi
ci fai apparire."
Jeremy
sorrise: "Scusami, ragazzo serio. Come si chiama questa ragazza?
Edison?"
"Allyson."
"Mmm."
finse di pensarci su. "Avete la stessa iniziale. Sicuramente
è quella giusta."
Jeremy
non era mai stato un asso con i consigli d'amore, anzi
tutt’altro, si sarebbe detto. Tuttavia, si era sempre comportato
da amico e non gli aveva mai voltato le spalle; nemmeno quando Alex
aveva deciso di uscire con la figlia del poliziotto che gli dava
perennemente la caccia.
Jeremy
e Alex: quello era davvero un duo indissolubile. Non c'erano donne,
né nonne
che potessero frapporsi.
"Comunque."
tossì
il biondo. "Dovresti davvero smetterla con la scusa della nonna
in coma. Va a finire che ci andrà sul serio."
Allyson
interruppe la chiamata con Alex, massaggiandosi le tempie.
Si
domandava se fosse davvero quello giusto per lei, se valesse la pena
stare con qualcuno che non poteva dedicarle il suo tempo. Certo,
c'era la storia della nonna, ma con Alex c'era sempre qualche storia.
Non
stava con lui da molto, eppure sentiva
come se fosse sfuggevole, come se le nascondesse qualcosa. Era
innamorata, però, e non poteva fare a meno di trattenere un sorriso
ogni volta che ascoltava
la sua voce. Non poteva fare a meno di amare quel ragazzone tanto
goffo quanto bello e generoso, una delle qualità che l’aveva
conquistata sin dal principio.
Ally
sospirò, pensierosa e insicura, ma decise di non soffermarcisi
troppo. Aveva un'altra chiamata in attesa e un fratello da
incontrare. Digitò il tasto per passare alla telefonata successiva e
lesse il nome del mittente: "Pronto, Tessy?"
I titoli dei capitoli sono una delle cose che ho cambiato nella nuova versione di questa storia.
Quello di questo capitolo significa
"La colpa di ognuno", dato che quasi tutti in questo capitolo
commettono un errore, che passa da una bugia detta ai propri cari, a
una svista determinante, da un tradimento amoroso a uno schiaffo
inopportuno.
Ogni titolo è in inglese, dato che tutta la storia si svolge in
Inghilterra. Mi sembrava pertinente come scelta. Ditemi che è
così, ho bisogno di conferme.
PUBBLICITA':
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e te è grammaticalmente scorretto ,
e Io e te è grammaticalmente scorretto 2, di cui, per quanto riguarda la prima, uscirà il libro a marzo 2017!
Direi che è un genere completamente diverso da "All I want" XD
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poi vorrete unirvi al gruppo in cui si sta assieme, si parla di tutto e
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Scorretti
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Capitolo 4 *** The Value of a Life ***
All I want - 4
ALL I WANT FOR CHRISTMAS IS...
********The Value of a Life********
Tessy
ed Allyson aspettavano nervosamente fuori dall'ufficio.
Era
tardo pomeriggio e il corridoio pullulava di segretarie indaffarate.
Allyson osservava la più giovane di queste, una donna sulla
trentina, piena
di energie e con il sorriso stampato in viso.
Si
chiedeva a cosa stesse pensando; probabilmente al suo lavoro che
andava bene o alla persona che amava e che l’avrebbe aspettata a
casa al suo ritorno.
Tessy,
invece, era
intenta a
ripassare
mentalmente le note del suo assolo. Purtroppo,
però, era piuttosto inutile, perché arrivava
fino a metà e poi non riusciva più a continuare. C'era un senso di
colpa che occupava non solo il suo cuore, ma anche la sua mente,
deconcentrandola da qualsiasi altro pensiero.
"Tessy,
non devi sentirti in colpa." disse Allyson, rompendo il
silenzio. La conosceva talmente bene che sapeva come potesse sentirsi
o
lo poteva immaginare senza difficoltà.
Tessy
ricambiò lo sguardo, leggendo a sua volta negli occhi dell'amica:
"Nemmeno tu."
La
ragazza si passò una mano sul viso, sospirando: "Avrei dovuto
chiamarla. Avrei
dovuto
accorgermi della sua scomparsa, come
ho potuto essere così disattenta?"
"Ma
non è dipeso da te."
"Oh
sì, invece. Sono stata io a insistere per trascinarla
alla festa. Sono stata un’enorme
egoista."
"No,
Ally, è
colpa mia se è scappata." snocciolò Tessy, come
se si liberasse da un macigno.
"È
colpa mia. L'ho trattata male e non le ho detto grandi cose."
Allyson
corrugò la fronte: "Come sarebbe a dire?"
"Sono
stata un po' sgarbata, forse?"
"Tessy."
La
mora sbuffò e si ravvivò i capelli: "L'ho presa in giro, ecco.
Non ho pensato che potesse ferirla così tanto da farla scappare."
"Non
è possibile." fece Allyson, secca e arrabbiata. "Non
chiedevo che diventaste migliori amiche, ma, Tessy, lo sai, dovevi
solo cercare di comportarti in modo civile con lei. Era così
difficile? Non ti ho mai domandato grandi favori, se non questo."
"Lo
so, Ally. Mi dispiace." la ragazza sembrava davvero sincera, e
tesa, quasi in apprensione. Si
torturava le talentuose mani, mentre il suo sguardo colpevole
saettava da un angolo all’altro della stanza. "So
di aver sbagliato, ma l'ho capito solo ora. E, lo so, è un po'
troppo-"
"Tardi."
completò Ally, dura.
Il
fatto che la sua amica non avesse rispettato la sua unica richiesta
le dava un tremendo fastidio. Più di quanto desse a vedere, a dire
il vero. Innanzitutto, aveva tradito la sua fiducia e poi era stata
la miccia di una grave esplosione, le cui conseguenze erano ancora
tutte da vedere.
Ally
conosceva bene Taylor; non c'era niente che potesse toccarla più
della questione famiglia e aveva paura che avesse potuto combinare
qualche stupidaggine. Certo, se lei non l’avesse costretta ad
andare alla festa non sarebbe successo nulla, ma complice anche il
comportamento di Tessy, ora la possibilità che Taylor fosse scappata
era del tutto realistica.
Sospirò,
preoccupata.
Appena
Tessy le aveva riferito
dell’incontro con
Amanda, non aveva esitato a tornare a Bourton di corsa. Aveva
rimandato l'appuntamento con suo fratello per poter arrivare in tempo
alla Money House e parlare con Oliver assieme a Tessy. Le dispiaceva
da
morire per Richard,
ma al momento l'agitazione per la sua amica era più grave.
La
segretaria si avvicinò alle due ragazze: "Il signor Heavens può
ricevervi in questo momento."
Senza
scambiarsi una parola, si alzarono e la seguirono fino all'enorme
ufficio tutto vista e mobili coordinati, che dava sul parco della
città. Il signor Heavens stava comodamente seduto sulla sua poltrona
girevole, minimamente turbato e con un espressione serena sul volto.
Sarebbe
durata ancora per poco.
"Ciao,
gioiello di papà!" accolse la figlia con un sorriso a trentadue
denti: "Ciao, amica del gioiello
di papà!"
Era
sempre così che Oliver salutava Allyson, facendole di solito
scappare un sorriso, ma questa volta non successe.
"Allora,
cosa vi porta qui? Avete una faccia." indicò le due poltroncine
di fronte alla sua scrivania. "Volete che vi faccia portare una
cioccolata? Oppure non avete fame perché l'altra sera ci avete dato
dentro con i pasticcini?" scherzò.
Oliver
Heavens era una persona estremamente positiva e ottimista. Adorava i
colmi e le freddure e, grazie alle sue allegre battutine, era sempre
stato un ottimo intrattenitore. Peccato che la sua parte razionale
faticasse a uscire, dando di lui l'immagine del personaggio un po'
vuoto e superficiale.
Aveva
corti capelli sul grigio e due grandi orecchie a sventola che gli
conferivano un'aria ancor meno seria. Era solito rasarsi e vestire
elegante; rappresentava, insomma, l'immagine dell'uomo ricco e
soddisfatto dalla vita. Gli
riusciva particolarmente bene, dato che lo era davvero.
I
suoi occhi erano identici a quelli di Tessy, solo segnati da qualche
ruga in più. Il sorriso, invece, era quello di Taylor.
"Papà,
ti dobbiamo parlare." Tessy dissolse quell'atmosfera di serenità
e si sedette facendo tintinnare i suoi costosi bracciali.
"Cosa
c'è, gioiello?"
La
ragazza non riusciva a trovare le parole, si sentiva nervosa e
agitata.
Non parlava mai della prima famiglia di suo padre con suo padre. E
non ne sentiva mai parlare. Aveva paura che lui non avesse gradito
affrontare
argomenti
legati alla
sua prima moglie, men che meno riguardo alla sua prima figlia. Non
sapeva come iniziare il discorso; l'imbarazzo e il senso di colpa le
avevano annodato la lingua.
Stava
giusto prendendo fiato per iniziare una frase, quando lui la bloccò:
"Non mi dirai che tu ed Eric, insomma...che avete...gioiello
mio, sei incinta?"
Allyson
si lasciò scappare un sorriso; quell'Oliver era troppo ingenuo e
protettivo per non pensare subito a una confessione del genere. Tessy
invece trattenne un sussulto. A causa di tutto quel trambusto, aveva
quasi dimenticato quello che era successo con Eric.
Sentirlo
nominare le scosse il cuore per un secondo e dovette sforzarsi per
deglutire via tutti quei brutti pensieri.
"No,
papà, Eric non è più un problema ora. Si tratta di Taylor."
sfiatò, a disagio. "Taylor, insomma, mia…"
"Sorella."
finì Allyson per lei.
A
queste parole, Oliver assunse un'espressione stupita che palesò
quanto non si aspettasse di sentire quel nome: "Che cos'è
successo?"
Allyson
spiegò tutta la vicenda, tralasciando volutamente la parte in cui
Tessy aveva preso in giro la sorellastra. Gli raccontò della festa,
dell'avvenimento che aveva fatto sì che la perdessero
di vista, della sua misteriosa scomparsa. Poi disse della visita di
Tessy ad Amanda e della profonda inquietudine della donna.
"Oh,
ma è terribile." commentò Oliver, la perenne mania di reagire
come nei film. "Non risponde nemmeno ad Amanda?"
"No,
ha il telefono spento." confermò Tessy,
spaventata.
"Beh,
è possibile che si sia allontanata. Non vi preoccupate, la farò
rintracciare usando la
scheda
del suo cellulare."
"E
se l'avesse perso?" chiese Allyson, assalita dal dubbio e dal
rimorso.
Oliver
guardò fuori dalla vetrata, pensieroso.
L'avrebbe fatto
rintracciare comunque e poi avrebbe avvertito la polizia.
Sì,
avrebbe fatto così.
E poi magari avrebbe parlato con quel suo
amico alla centrale. E avrebbe coinvolto l'unità cinofila, se fosse
stato necessario.
Ma
era meglio non affrettare le cose e affrontare il problema con calma.
Magari si era solo allontanata e sarebbe tornata entro sera. Sì,
sicuramente era andata così.
Chissà
come si stava sentendo Amanda, però.
Il
suo pensiero
andò subito alla donna occhialuta e apprensiva da cui aveva
divorziato parecchi anni indietro. La conosceva abbastanza bene da
poter immaginare quanto fosse preoccupata in quel momento e pensò
che era meglio andare a trovarla, appena
finito il turno di lavoro.
Avrebbero
aspettato Taylor assieme, le avrebbe fatto piacere avere lui accanto.
E
poi, anche lui era
in pensiero per sua figlia Taylor, anche se non le parlava da molto
tempo. Sperava
che si trattasse di qualche ripicca e che ben presto sarebbe tornata
sui suoi passi. Si sentiva positivo a riguardo; probabilmente sarebbe
successo proprio così.
"Ma
non ti stanchi mai di blaterare?"
Jeremy
non ce la faceva più. Aveva
passato una notte insonne a causa delle continue preghiere di Taylor.
Preghiere autentiche, di quelle con genuflessione e palmi uniti, di
quelle che, se solo non si fosse sentito in colpa per lo schiaffo,
avrebbe zittito molto volentieri.
Pregava
a bassa voce, a volte in lingue a lui incomprensibili e continuava a
rivolgersi a Dio come se fosse stato la polizia ("Ti prego,
trova delle tracce, segui il mio odore con i cani, arresta Jeremy e
Alex,..."). Lei non aveva dormito e lui neanche. Solo Alex ci
era riuscito, allietando le orecchie già disturbate di Jeremy con il
suo beato russare. Una notte davvero piacevole.
Al
mattino Taylor aveva passato mezz'ora in bagno e lui aveva dovuto
minacciarla di alzare il prezzo del riscatto per farla uscire. Ora
stava camminando con lei, mano nella mano – e
non nel senso romantico del termine –
per un vicolo di Cirencester, con Alex alle sue spalle e la voce
tartassante della ragazza costantemente nelle orecchie.
"La
colazione è il pasto più importante della giornata, non lo posso
saltare, oppure sarò nervosa e irritabile per tutto il resto della
giornata."
"Oh,
peggio di così non puoi di certo diventare."
"Mi
stai sfidando? Quando sono nervosa parlo davvero moltissimo. Molto
più di adesso, dico anche cose senza senso. Tipo, potrei affermare
di essere una cantante pop molto famosa o un'icona del cinema. Una
volta, a pensarci, mi è anche successo. Succede a molte persone,
penso sia una sindrome o qualche patologia simile. Una volta un tizio
che non mangiava da due giorni era convinto di essere Madonna e
ha cominciato a cantare le
sue canzoni a squarciagola per tutta la città. Forse lo hanno
arrestato ed è finito sulla gazzetta di Bourton, ma poi-"
"Taylor!"
esclamò Jeremy esasperato. "Basta, ti prego."
Lei
sorrise compiaciuta. Non gli avrebbe lasciato pace finché non
l'avesse liberata, era parte del suo piano malefico: "Te l'ho
detto, è una condizione
involontaria. Non
ci posso fare nulla, è
più forte di me. Pensa che ogni tanto ho pure dei cali di zucchero e
lì sì che sono guai! Vado avanti a dire qualsiasi
cosa mi passi per la mente. Ad esempio-"
"Dimmi,
lo fai apposta?" la prese per le spalle e la fece fermare di
fronte a lui. La guardò con
una
serietà tale che i
suoi occhi sembrarono
farsi
più
scuri, di
un azzurro elettrico che minacciava potenti scosse al
solo
avvicinarsi.
"Può
darsi." rispose lei, altezzosa. "Non so cosa dico, perché
non ho fatto colazione e ho un calo di zuccheri."
Era
difficile non cedere a quelle iridi cristalline, constatò. In più,
lei non era mai stata capace di mentire.
Sperò
che Jeremy non avesse intenzione di ripetere la performance del
giorno prima, altrimenti
gli
avrebbe staccato le palle a morsi. Aveva deciso che non si sarebbe
più fatta prendere alla sprovvista; non
da lui,
per lo meno.
"Non
mi fai fesso facilmente, mocciosa."
Taylor
sbuffò: quel
ragazzo
era tanto perspicace quanto indisponente. Lo odiava ogni secondo di
più.
"Posso
almeno sapere dove mi stai portando?" tentò, maledicendo il
marciapiedi discontinuo che la faceva inciampare ogni due metri.
"Qui."
rispose lui aprendo una cabina telefonica e spingendola malamente
all'interno.
Fece
segno ad Alex di rimanere fuori di guardia e poi entrò a sua volta,
assicurandosi che la porta forse ben chiusa. Le mise una manetta al
polso, mentre agganciò l'altra al suo, in modo che lei non potesse
scappare.
"Non
ci credo, hai pure queste!" esclamò lei, stringendosi
nell'angolo. "Non oso pensare che cosa
conservi
nel baule. Fruste e catene,
forse. O un cadavere."
"No,
il cadavere no, ma posso rimediare facilmente." le lanciò
un’occhiata significativa.
"Haha."
disse,
non troppo rilassata, cercando di evitare il contatto fisico con il
ragazzo. Ma servì a poco, perché lo spazio era davvero piccolo.
"Ahia,
Heavens, mi hai pestato un piede con quei maledetti tacchi!"
"Scusa,
non ti avevo visto." commentò lei, sarcastica.
"Davvero
simpatica. Credo che userò quegli arnesi per cucirti quella bocca
durante le prossime notti."
"Allora
sappi che pregherò
col pensiero fino a entrare nel tuo subconscio."
"Io
non ho subconsci." ribatté lui. "Ho solo un'anima al
servizio del diavolo. Gliel'ho venduta per comprarmi le sigarette."
"Lo
vedo da tutti quei punti demoniaci che hai sulla faccia, sono la
firma del male."
Jeremy
non l'ascoltò; infilò qualche gettone nell'apposita fessura e
cominciò a digitare il numero.
"Chi
stai chiamando, demone?"
"Ordino
una pizza." la schernì lui, poi si fermò un secondo prima di
premere l'ultimo tasto e prese un respiro.
"Lor,
ascoltami bene." incatenò i suoi occhi a quelli della ragazza e
si fece improvvisamente serio. "Adesso parlerai solo quando te
lo dirò io e non farai scherzi, altrimenti saranno guai seri per
te."
"Perché?
Che stai facendo?"
"Non
fare domande." la redarguì. "Fai la stupida e aumenterò
ogni volta il prezzo di mille sterline."
"Non
capisco."
"Sto
per chiamare tuo padre." spiegò lui, in tono d'ovvietà.
Taylor
per poco non scoppiò a ridere: "Mio padre?" era
esilarata e
stupita allo
stesso tempo.
"Senti, Jeremy, faresti prima a tornare a Bourton e rapire
Tessy, perché io un padre non ce l'ho."
Il
ragazzo la guardò confuso: "Non eri la sorella di Tessy
Heavens? Oliver deve essere
tuo padre."
Lei
scosse la testa, abbassando lo sguardo. Ecco, ora aveva nominato lui
e
tutto era precipitato nel baratro dell'imbarazzo, dell'inadeguatezza,
della commiserazione.
"Oliver
non sa nemmeno quanti anni ho." spiegò
con voce sommessa.
"L'unica cosa che sa di me è che sono nata per colpa sua e il
nome che porto l'ha deciso lui, come del resto il cognome."
Non
lo vedeva, ma si sentiva il suo sguardo puntato addosso. Sentiva che
doveva temere anche lui, come aveva temuto tutti da quando aveva
'perso' suo padre e aveva dovuto spiegarlo alla gente. Temeva di
essere compatita, non lo sopportava, perché andava solamente a
infierire sul male che Oliver
le aveva già fatto.
L'unico
sollievo che provava in
quel momento
era sapere che Amanda non c'entrava. Tutto lo spettacolino di Alex e
Jeremy serviva per spillare qualche soldo a suo padre. Da una parte
ne
era
felice, dall'altra non poteva esserlo del tutto, perché se le fosse
successo qualcosa, sua
madre
avrebbe comunque sofferto. Ma almeno ora aveva capito il senso del
loro piano, sapeva quale sarebbe stato il suo destino, e anche quello
dei suoi rapitori.
"Mi
spiace, Jeremy." disse alzando di nuovo gli occhi sui suoi e
trovandoli inopportunamente curiosi. "Se erano soldi quelli che
volevi, dovevi usare qualcun altro per averli. Lui non si preoccuperà
mai per me."
Il
ragazzo sentì di nuovo quella strana e invadente rabbia addosso. Era
dalla sera in cui aveva rapito Taylor che non tornava a fargli visita
e lui quasi se n'era dimenticato. Era qualcosa che si attorcigliava
al suo petto, che non poteva controllare e nemmeno fermare. E più
guardava Taylor, più stringeva.
Non
riusciva a spiegarsi perché, ma in
qualche modo maltollerava quelle parole, quello sguardo triste,
quella sofferenza nella voce della ragazza che gli stava di fronte.
Come
aveva fatto quell’Heavens
a indurre sua figlia ad
odiarlo?
Com'era
possibile che lei
avesse una tale opinione di lui?
Lui l'aveva visto Oliver di
tanto in tanto, per
le strade di Bourton.
Non gli pareva un tale stronzo. Certo non sarà stato il padre
perfetto, ma non riusciva nemmeno a immaginare che uno così potesse
essere cattivo. I
padri cattivi erano tutto un altro genere.
Avrebbe
voluto parlarne
con lei, capire di più, ma non avrebbe avuto senso. Non in quel
contesto, almeno, non con quella razza.
Taylor era solo
una
spina nel fianco e probabilmente stava inscenando tutto per
impietosirlo e farla franca con classe.
Nuovamente
provò rabbia, ma stavolta era nei confronti di quella mocciosa.
"Non
è detto che tu abbia sempre ragione, Lor." disse premendo
finalmente l'ultimo tasto.
--
Oliver
camminava verso l'appartamento che non visitava da anni. Il vialetto
con gli abeti, le cancellate arrugginite,
le eliche che coprivano il terreno. Sembrava che per di lì il tempo
non fosse passato.
Poi
vide l'edificio lattiginoso, reso ancora più bianco dal freddo. Era
strano pensare che in realtà l'avesse comprato lui. Era familiare,
ma molto distante.
Stava
giusto riflettendo su come entrare
e introdursi
ad Amanda, quando il suo
cellulare
vibrò nella tasca.
"Pronto?"
rispose, felice di dover scacciare quell'arduo pensiero.
"Parlo
con il signor Heavens?" disse l’eco
di una voce sconosciuta dall'altro capo del telefono.
"Ma
certo!" rispose lui, allegro.
Probabilmente
si
trattava
dell'ennesima
offerta da
parte dei
suoi affiliati per rinnovare il logo della banca. Si dimenticava
costantemente
di inviare
loro un’email,
ma l'avrebbe fatto, perché a fine anno regalavano sempre un ottimo
salmone norvegese.
"Non
sarei così felice, Heavens, se avessi una figlia in pericolo di
vita."
A
sentire
quella
frase, l'immagine del salmone nella sua testa si dissolse
bruscamente, lasciando posto a quella della piccola Taylor, come lui
la ricordava, dispersa chissà dove. Il suo cuore batté più
velocemente e si schiacciò il telefono all'orecchio per assicurarsi
di aver capito bene.
"Taylor?
Lei sa dov'è Taylor Heavens?" chiese, preoccupato.
Dall'altra
parte sentì dei rumori di voci soffocate, ma poi ritornò a
prevalere
quella
principale
e
gli diede una risposta per nulla piacevole:
"Lo so e so anche dove finirà, se lei non mi darà quello che
chiedo."
Deglutì
a fatica. Nei suoi film quella non era mai una frase che portava
felici avvenimenti.
"Ok...ok."
inspirò a fondo, cercando di mantenere la calma: "Tutto quello
che vuole, ma non le faccia niente."
"Non
le hanno insegnato a dire 'per favore'?"
"Per
favore." obbedì lui, come un cane agli ordini del padrone.
--
Jeremy
roteò gli occhi: Oliver
era
proprio ingenuo come gli avevano detto.
Lentamente,
guardandola negli occhi, levò la mano dalla bocca di Taylor e le
fece cenno di parlare.
Taylor
fu presa in contropiede.
Era
spaventata, più da quella cornetta che da Jeremy. Non sapeva cosa
dire.
Era
strano e incredibile sentire la voce di suo padre dopo tanto tempo.
Ma, soprattutto, la preoccupazione che
lui mostrava nei
suoi confronti era
indecifrabile,
non sapeva se fosse vera o se recitasse. Non sapeva chi ci fosse
dall'altra parte del telefono.
Jeremy
si
spazientì e le
intimò di parlare, mettendo una mano sul
rigonfiamento della tasca, dove stava la pistola.
--
Quel
silenzio era da cardiopalma per lui, povero banchiere non
abituato a situazioni fuori dall'ordinario. Pensava che avrebbe
avuto un infarto e che non si sarebbe mai aggiudicato quel salmone.
Pensava che non sarebbe mai riuscito a salvare Taylor.
A
un tratto, però, la voce di sua figlia gli fece tirare un sospiro di
sollievo.
"Oliver."
"Taylor!
Oh Gesù Bambino, stai bene?"
"Di'
alla mamma che sto bene! Diglielo!" disse lei, prima che
qualcuno la zittisse di nuovo.
"Ottimo."
riprese la voce profonda e maschile che aveva guidato la telefonata
fino a
quel momento.
"Per ora la mocciosa è tutta intera. Tuttavia…"
Oliver
sentì un suono metallico che gli fece venire la pelle d'oca e poi il
mugolio sommesso di Taylor. Il suo cuore si fermò per un istante e
credette davvero di morire.
--
Taylor
incenerì Jeremy con lo sguardo.
Le
aveva appena pestato un piede e continuava a muovere il polso per far
tintinnare le loro
manette vicino
al ricevitore.
Era
davvero furbo, anche se, a suo parere, avrebbe fatto prima a puntarle
la pistola addosso. Non ci sarebbe stato bisogno di fingere che lei
prendesse paura, perché era puramente terrorizzata da quell'arnese
alla sola vista.
--
"Tutto
ciò che deve fare." continuò allora la voce. "È
trovare due milioni di sterline entro la vigilia di Natale."
Per
poco Oliver non cadde lungo disteso sull'asfalto: "Du-due
milioni??"
"E
un penny." aggiunse lui.
"Ma
io...io non ce li ho...no-non so dove...come…"
"Mi
hanno detto che lei è un uomo ricco."
"Non
così tanto, mio Dio!"
"Beh,
le conviene rimboccarsi le maniche, allora, e soprattutto tenere le
cose per sé." la voce si fece più minacciosa. "Mi ascolti
bene, signor Heavens, non ne parli con nessuno, nemmeno con il suo
gatto, nemmeno con il suo riflesso allo specchio di mattina. Nessuno
deve sapere la verità, nessuno,
altrimenti Taylor-"
Tu...
tu... tu... tu...
--
Jeremy
riattaccò e tolse la mano dalla bocca di Taylor.
"Sei
un pezzo di merda!" gli urlò addosso la ragazza, finalmente a
conoscenza del grande piano, cercando
di sfilarsi la manetta dal polso e contemporaneamente di picchiarlo.
"Calmati
un secondo, nana, ferma!" immobilizzò le mani della ragazza
contro il vetro della cabina e si guardò attorno per controllare
l'attività nella strada. "Dovresti solo ringraziarmi."
sfiatò contro di lei, una volta accertatosi che fosse ancora
deserta. "Ti sto facendo un favore."
"Davvero?
Scusa, ma non riesco a capire quale tra l'avermi rapita e l'avermi
rapita!"
"L'averti
rapita ti farà riavvicinare a tuo padre."
"Lo
fa perché ha paura, Cristo santo!" ruggì lei. "Ha paura
che questa storia venga fuori, ha paura di fare una figuraccia con il
mondo, con i suoi colleghi, con la figlia fortunata, che lo idolatra
come un dio! Se tu mi uccidessi adesso, tirerebbe un sospiro di
sollievo e ti pagherebbe un migliaio di sterline per nascondere il
mio corpo in modo che tutta la faccenda venga dimenticata per sempre!
Ma non può farlo! Non può perché ha una reputazione e un'immagine
da difendere e aspetta che io ritorni da lui per raccontare alla
stampa le sue gesta eroiche nell'avermi trovata!"
"Quante
cazzate." commentò lui, seccato da quel comportamento
infantile.
Aprì
la cabina con un calcio, tirandosi dietro la ragazza, rossa di rabbia
e con gli occhi lucidi: "Se tu sapessi cosa significa essere
abbandonati da un padre,
non diresti che sono cazzate! Non mi conosci, non hai la minima idea
di quello che ho passato e non ti permetto di criticarmi!"
"Senti,
Taylor." ribatté lui, strattonando
il polso per costringerla a calmarsi.
"Nemmeno tu conosci me, ok?
Quindi
smettila di fare la vittima. L'unica cosa che mi interessa sono quei
soldi, tutto
il resto può benissimo andare a farsi fottere. Vuoi odiare a morte
tuo padre? Fallo. Vuoi odiare a morte me? Liberissima. Ma smettila
di-" avrebbe voluto dire molte cose, ma scelse la più diretta.
"Scocciarmi."
Alex
si avvicinò ai ragazzi: "Non vi si può lasciare soli un
momento, voi due." scherzò, bonario.
Questa
volta lo sguardo omicida arrivò da due paia di occhi, così troncò
subito la voglia di scherzare e si schiarì la voce rivolgendosi al
suo amico: "Fatto?"
"Sì,
torniamo all'hotel. La principessa
ha
fame."
Oliver
si sedette sul bordo della strada, sulle eliche, prendendosi la testa
tra le mani.
Due
milioni di sterline? Non li avrebbe mai trovati. Mai.
Cercò
di fare qualche conto, comprendendo i suoi fondi e i suoi guadagni,
ma la quota era comunque troppo bassa. E la vita di Taylor dipendeva
solo da lui.
Perché
proprio lui? L'uomo che affidava tutte le sue responsabilità
a Katriona, la sua segretaria, e
i suoi conti a Edoardo, il suo amministratore.
L'uomo che come più grande aspirazione, solo pochi minuti prima,
aveva
di ricevere un
salmone norvegese in
omaggio.
Ora
non sapeva cosa fare, cosa pensare. Non aveva nemmeno più il
coraggio di presentarsi ad Amanda, pensando che avrebbe dovuto
fingere di non sapere nulla.
Che
cosa
le
avrebbe raccontato? Era bravo a copiare le battute, ma non era un
attore.
Non
poteva
nemmeno
tornare
da
Tessy ed
Allyson, così fragili e preoccupate, sapendo
di dover mentire. Avrebbe distrutto quattro cuori; cinque, se si
comprendeva anche il suo.
"Oliver?"
una voce femminile, bassa e stanca, gli fece alzare lo sguardo.
"Amanda!"
esclamò trovandosi
davanti l’ex-moglie e dipingendosi
istantaneamente
di
bianco.
Ecco
come si sarebbe introdotto a
lei.
Così,
come
un padre che nasconde qualcosa su
sua figlia,
pallido in volto e con il culo dello smoking coperto di eliche.
"Stai
male?" chiese
la donna,
notando subito
la
sua tensione
e il colorito poco promettenti.
"Ehm,
no. Non proprio. Stavo riflettendo."
"Riflettevi
proprio qui?" alzò
le sopracciglia.
"Immagino che tu sia venuto perché Tessy
ha
parlato
con te."
disse,
la voce colma di speranza e aspettativa.
"Sì,
mi
ha detto tutto."
asserì.
Il
problema più grande di tutta quella situazione era che Oliver non
era
mai stato capace di mentire. E su questo, Taylor aveva preso da lui.
"Oh,
Oliver, farai qualcosa vero? Manderai la polizia a cercarla?"
"No!"
gridò lui,
quasi involontariamente.
"Come
no? Pensavo che fossi preoccupato anche tu, che volessi aiutarmi."
"No,
Amanda, intendevo dire che..." tentò
di rimediare. "...che
userò le mie risorse per trovarla."
"Le
tue risorse?"
"Beh,
sì,
le
mie-le mie conoscenze. Vedrai
che...presto o tardi..." farfugliò sperando che la sua
ex-moglie non volesse questionare oltre. Aveva già abbastanza a cui
pensare, senza
che lei diventasse un’ulteriore fonte di preoccupazione.
"Presto
o tardi? Oliver, che
cosa succede?"
L'uomo
pensò che quella donna fosse fin troppo sveglia e che lo conoscesse
fin troppo bene. Lui non era mai stato alla sua altezza e aveva
sempre puntato ai sentimenti, perché non poteva battere la sua
arguzia.
"Sono
solo preoccupato."
Amanda
lo guardò con dolcezza, come se fosse ancora il suo vecchio Oliver,
che quando non sapeva cosa dire, faceva uno dei suoi larghi sorrisi e
le sussurrava 'Ti amo', tenendole le mani. Sapeva che era veramente
in pensiero, e questo le diede speranza.
"Anch'io
lo sono." disse, prendendo coraggio. "È
per questo che io ho bisogno di te. E Taylor ha bisogno di noi. Per
una volta, Oliver, dopo tanto tempo."
"Già."
lui
si allentò il colletto del cappotto, la
testa che iniziava a vorticare.
"Mi
aiuterai a trovarla?"
"Ma
certo, Amanda."
"Farai
tutto ciò che è in tuo potere per aiutare
nostra
figlia?"
Lui
deglutì a fatica. Con questo stava firmando la sua rovina, lo
sapeva,
ma dopotutto non
aveva altra scelta.
Lo
avrebbe
fatto per
Taylor e non l'avrebbe lasciata questa volta. Non avrebbe potuto; per
lei, per se stesso, per Amanda, per Tessy e per Allyson. Avrebbe
trovato quei soldi, in un modo o nell'altro, a qualsiasi costo.
"Lo
farò, Amanda."
A
Jeremy non piaceva per nulla quella situazione.
Si
sentiva tremendamente in colpa nei
confronti del signor Heavens,
ma allo stesso tempo non vedeva l'ora di prendere
i suoi soldi e
concludere l'affare. Voleva
tornarsene a casa, voleva chiudere con quella storia.
Taylor
gli stava
dando troppi problemi ed
era dannatamente insopportabile;
ogni
passo
di quel piano
rappresentava un’impresa per lui, sentiva
che tutto andava giorno per giorno nel verso le sbagliato.
E
se doveva essere sincero, il
futuro non si prospettava molto più promettente.
Odiava
tutto di Taylor:
il suo modo di fare, il suo essere così sfrontata
e orgogliosa, la sua perspicacia, la sua furbizia. Gli dava fastidio
in tutto il suo essere e ciò non andava per niente bene.
Lui
era abituato a un rapporto distaccato con le persone, eppure
con
Taylor non riusciva a essere distaccato. Si
faceva condizionare dal suo maledetto comportamento infantile e da
quello sguardo di sfida. Rischiava
sempre
di
perdere
il
controllo e
rovinare tutto,
come
l’altro giorno, in cui per poco non
si faceva sentire da mezzo vicinato nei
pressi della
cabina telefonica.
Lo
mandava su tutte le furie, lo deconcentrava
e lo raggirava con i suoi giochetti. Gli stava facendo sprecare
troppe energie, sabotando indirettamente tutto il gran lavoro che lui
doveva fare per mantenersi in vita.
E
si sentiva stanco, tremendamente stanco. Di tutta la situazione, di
Taylor, di se stesso. Voleva
solo chiudere con quella storia, o chiudere gli occhi e dormire.
Si
distese sul letto, accantonando la scatola vuota della pizza e fissò
il soffitto, assopendosi piano piano.
--
Taylor
si fermò ai piedi del letto. Era appena uscita dalla doccia, i
capelli bagnati raccolti in uno chignon e
addosso
l’accappatoio che le avevano dato i ragazzi.
Non
sapeva
a chi dei due appartenesse, ma voleva ben sperare che fosse di Alex.
Guardò
Jeremy disteso
supino sul letto,
l'espressione serena e le labbra socchiuse dal sonno.
Avrebbe
potuto rimanere a fissarlo per ore, perché in quella posizione
sembrava tutt'altro che l'odioso ragazzo che l'aveva rapita. Sembrava
quasi un angelo, pallido e provato. Stanco di volare a
fare
miracoli.
Sorrise
tra sé per l'amenità che aveva pensato; Jeremy un angelo, tzè!
Un demone, piuttosto. Un demone stronzo e lentigginoso.
Era
sicura che nascondesse qualcosa di misterioso, qualcosa
di cui non parlava, ma che lo preoccupava a morte. Cos'era
che spaventava Jeremy? Il guaio in cui si era cacciato? La
possibilità che Oliver dicesse qualcosa? La
polizia? Non lo sapeva e probabilmente non lo avrebbe saputo mai. Non
era uno che si lasciava leggere facilmente.
Una
cosa era certa, però: non lo sopportava. I suoi modi erano incivili,
il suo atteggiamento inumano, il suo menefreghismo raggiungeva
livelli inauditi.
Non riusciva a trovare nulla di buono in lui, nulla di giusto.
Sospettava
che ormai fosse addormentato, perché il suo respiro si faceva sempre
più lento e profondo, così
buttò l'occhio sulla porta della camera. A
pensarci, quella
era davvero
un'occasione d'oro. Ma
gli
lanciò un'altra occhiata indecisa
e rimase immobile.
Perché
si sentiva così combattuta tra lo scappare e il rimanere sua
prigioniera in quello
stupido
hotel? Non avrebbe dovuto aver alcun dubbio, prendere la porta e
scappare a gambe levate, eppure…
Temeva
di fargli un torto, forse? Temeva la sua reazione?
Taylor
si scrollò e pensò
a sua madre. Alla sua adorata
mamma
e a quanto le voleva bene. Non poteva lasciare che si preoccupasse,
non poteva permettere che Jeremy le facesse passare questo. Non
poteva arrendersi.
Così
si avvicinò alla porta molto
cautamente e afferrò la maniglia, rabbrividendo
per quel freddo contatto. Con
la mano tremante, la
abbassò cercando di non fare rumore e quando la serratura scattò,
chiuse gli occhi e trattenne il fiato.
Non
successe nulla. Controllò dietro di sé e fortunatamente il ragazzo
non si era mosso di una virgola, continuava a dormire
beatamente.
Spinse
la porta lentamente, il fiato sospeso, fino ad aprirla del tutto.
"Dove
pensi di andare, bambolina?"
Taylor
sussultò e fissò la persona che aveva davanti a sé; questo
non ci voleva. Il bel moro la guardava dall'alto con la solita
espressione stupida, in
attesa di una risposta.
"Al
bagno." rispose lei,
deglutendo
sonoramente e
sperando di suonare convincente.
"Ok."
ribatté lui con un'alzata di spalle e la lasciò passare.
Non
riuscendo a trattenere un piccolo sorriso, lei passò oltre e senza
destare sospetto, voltò l'angolo del corridoio.
--
Alex
seguì la
ragazza con
lo sguardo ed entrò in camera, lasciando a terra lo zaino che aveva
appena rifornito per la partenza del pomeriggio.
Era
strano che Taylor
volesse
andare al bagno quando era evidente che ne fosse appena uscita. Anzi,
era strano che avesse avuto bisogno di uscire quando ne aveva uno
proprio in camera.
"Oh,
cacchio." mormorò ricevendo
l’illuminazione.
Lanciò
uno sguardo a Jeremy assopito sul letto mordendosi il labbro, poi
uscì
precipitosamente
dalla porta: "Taylor!"
Corse
lungo il corridoio, guardandosi
a destra e sinistra per controllare che non si fosse nascosta. Non
la vide e allora
scese i gradini due a due arrivando
fino
al primo piano. Fortunatamente faceva molta palestra e il fiato non
gli dava problemi. E, fortunatamente, i corridoi erano più vuoti di
un deserto.
La
vide mentre stava correndo verso la rampa di scale e riuscì a
raggiungerla prima che lei
le
imboccasse.
Le
si parò davanti e in
un
rapido
gesto,
le immobilizzò le braccia.
"Lasciami
andare!"
"Eh,
no, bambolina. C'hai provato a fregarmi, ma io non sono così...poco
furbo."
Lei
si dimenò pestandogli i piedi e prese
a
urlare più forte: "Aiuto! Aiutatemi, AIUTO!"
Sperava
che qualcuno aprisse la porta della sua camera per vedere cosa stesse
succedendo, ma apparentemente in quell'hotel non c'era davvero
un'anima.
"Ehi,
dacci
un taglio!" le intimò Alex, mettendole
un braccio attorno alla vita e
una mano sulla bocca.
Per
tutta risposta, Taylor gli sferrò un calcio alle parti intime, gesto
che gli
fece istantaneamente mollare la presa sulle sue labbra.
"Mi
hanno rapito e mi stanno facendo del male!" gridò lei. "Aiutatemi!
Qualcuno mi aiuti!"
Alex
si accovacciò sputando maledizioni a raffica sulla mira delle donne;
con una mano cercava di tenere Taylor più stretta possibile a sé e
con l'altra, beh...quando fa male, fa male.
"Che
diavolo dici, Taylor?" mormorò quasi in una supplica, mentre
lei non voleva sentire ragioni.
"Vi
prego, qualcuno mi aiuti!"
Cercava
di liberarsi da quello scimmione reggendo l'accappatoio che
lentamente lasciava scoperte le spalle. Se c'era una cosa che proprio
la faceva imbestialire, era essere anche solo sfiorata da quel tipo
tutto fumo e niente arrosto: non aveva il minimo tatto, non aveva il
minimo rispetto, non aveva la minima consapevolezza che lei fosse una
ragazza e che non stessero facendo lotta libera.
"Che
cazzo
succede?"
Quella
voce la
fece letteralmente raggelare e guardò in su con il cuore che pulsava
nella gola, per niente felice di incontrare la figura del suo
rapitore
numero uno sulle
scale.
Alex
gemette di dolore e si rivolse a Jeremy senza mollare la presa:
"Ciao, Bella Addormentata. Ho
appena subito una castrazione naturale."
Il
biondo fissò di nuovo la scena nel complesso e aggrottò le
sopracciglia: "Che cosa stavate
facendo? Alex?"
"Stavamo
giocando a carte, non vedi?"
esclamò Taylor, facendo
leva sul braccio del ragazzo attorno alla sua vita.
"Lasciami
andare, stronzo!"
"Hai
provato a scappare, non è vero?" sibilò in direzione di
Taylor. "E tu lasciala andare." disse ad Alex,
riservandogli uno sguardo sprezzante. "Direi che non è proprio
il luogo più adatto per certe cose."
Esaurì
la distanza tra di loro in poche falcate, afferrò il polso della
ragazza e Alex si accasciò finalmente a terra, dolorante.
"La
prossima volta se il letto è troppo occupato da me, svegliatemi,
ok?" lanciò un altro
sguardo di disgusto al suo amico e salì
di nuovo le scale, trascinando
Taylor dietro
di sé.
"Senti,
Tarzan della giungla, con Kerchak non è successo nulla, puoi stare
tranquillo." gli
disse
mentre cercava di divincolarsi dalla sua stretta. "Magari invece
di preoccuparti dei suoi impulsi sessuali, preoccupati della sua
scarsa elasticità mentale. Ti sei scelto un braccio destro un po'
monco, se devo essere sincera, per poco non mi accompagnava alla
porta e mi chiamava un taxi."
"Heavens,
puoi
chiudere quella cazzo di bocca per un solo
secondo?"
Jeremy la inchiodò di
colpo
allo stipite della porta, facendola
sussultare e
fissandola
con un odio che faceva quasi male. "Devi smetterla con questi
giochetti, è
chiaro?"
il suo respiro
congelò le gocce che aveva ancora sul collo e sui capelli. "Se
provi ancora una volta a fare cazzate, giuro su Dio che ti ammanetto
al termosifone e ti lascio morire di fame e di sete. Tu non hai idea
di quello che stiamo rischiando qui, quindi adesso ti chiudi in
questa stanza e stai zitta fino alla vigilia di Natale, mi sono
spiegato? Non voglio più sentire la tua stupida voce e se ti azzardi
a muovere un solo muscolo d'ora in poi, non esiterò a piantarti una
pallottola nelle gambe."
Sopportando
a fatica il suo sguardo terrorizzato, la spinse in camera e chiuse la
porta a chiave. Poi, scese di nuovo al primo piano, il respiro
affannato e il battito veloce, e rimase impalato a osservare Alex
mentre cercava di ricomporsi.
"Questo
è troppo." disse, il tono gelido.
"Lo
so, Jerry, mi dispiace. Ma
non c’era nessuno, non
ci hanno visti, né sentiti. Avevi
ragione; quest’albergo
è proprio
vuoto."
"Mi
dispiace,
Alex?"
sbottò lui. "Mi
dispiace lo dici alla tua fidanzata."
Il
moro lo guardò perplesso: "Che cosa c'entra, adesso?"
Jeremy
gli si avvicinò, furente: "Come hai potuto provarci con Taylor
in una situazione del genere? E, soprattutto, che cosa le hai fatto?"
"Ehi,
calmati amico, io non le ho fatto proprio niente!"
"Ah
sì? Beh, sembrava davvero che
te ne stessi approfittando per metterle le mani addosso,
mentre era mezza
nuda nell’accappatoio.
Sarebbe
anche molto da te, tra le altre cose."
"Jeremy,
io la stavo solo trattenendo!" si difese. "Te
lo posso giurare su Betsie, Jerry, stava provando a scappare e dovevo
fermarla. Ma quella è davvero indomabile, Cristo santo, e
non è colpa mia se le hai dato un accappatoio che non le sta nemmeno
addosso!
Se
vuoi saperlo, e tra parentesi grazie per l’interessamento, è lei
che ha fatto qualcosa a me, con quel calcio nelle
palle che
manco Chuck
Norris."
"Forse
non dovevi lasciarla scappare in primo luogo."
ribatté lui, freddo. "O
forse bastava che mi allertassi."
"Oh,
ehi, scusami se non mi è avanzato il tempo di dirti che il nostro
ostaggio stava tagliando la corda. Ma si
può sapere che cazzo
ti prende?!"
"Mi
prende che Taylor è la mia vita, ok?" gridò lui, la voce
tremante di rabbia. "E quando dico 'la mia vita' intendo in
senso letterale. Forse la situazione non ti è ancora chiara, Alex,
ma io
qui
rischio di morire ogni
secondo che passa.
Io
dipendo da lei e se dovesse capitarle qualcosa, qualsiasi
cosa,
avrebbe dirette conseguenze su di me!"
"Oh,
molto
egoista, davvero, dopo che mi sono quasi ucciso in questa merda di
scale per
fermarla!"
"Non
dovevi lasciarla scappare!" lo
aggredì
lui, su
tutte le furie.
"E non dovevi nemmeno toccarla! Non
deve succederle niente, niente,
se
non vuoi che succeda qualcosa a me!"
"Ah
sì, Jeremy? Allora ricordami chi
di noi due le ha dato uno schiaffo in piena faccia, dato che ci tieni
così
tanto alla tua vita!"
Il
ragazzo gli voltò le spalle e scese
le
scale furioso,
senza proferire altro.
Jeremy
rimase lì
impalato, guardandolo
andare via, senza riuscire a muovere un muscolo. Aveva
l'espressione di chi si è
appena reso
conto di aver esagerato alla
grande e
una confusione indicibile nella testa.
Che
cosa aveva fatto?
"Porca
puttana!" sibilò a mezza voce, contro se stesso, mentre dava un
calcio alla moquette.
Ecco
cos’era successo: aveva
perso di nuovo le staffe. E di nuovo per colpa di Taylor.
Quando
aveva visto i due così aggrappati, lei quasi nuda, quella famosa
morsa gli aveva attanagliato lo stomaco ancora una volta. Era stato
più forte di lui. Non avrebbe dovuto arrabbiarsi, in fondo Alex era
libero di provarci con chiunque, persino con Taylor, se voleva. E,
comunque, aveva capito che non c'entrava il provarci, ma che l'aveva
salvato da un eventualità ben più grave.
Era
come se fosse stato accecato per qualche minuto. Non ci aveva visto
più, non aveva capito più niente, e aveva reagito in modo
completamente sbagliato.
Era
vero che quando
c'era Taylor
di mezzo, c'era inevitabilmente pure lui, ed era tutto molto
controproducente. Da
una parte, il pensiero che fosse così legato a lei lo spaventava a
morte, ma dall’altra, quella ragazza lo mandava fuori di testa e
scatenava in lui le reazioni peggiori. Che fosse del tutto colpa di
Taylor? No.
Il
suo amico aveva ragione: la
colpa era solo di Jeremy. Lui
era stato il primo a darle uno schiaffo, lui e solo lui metteva
costantemente
a
rischio la propria vita e ora se l'era presa ingiustamente. Era
colpa sua e sua soltanto se era arrivato a quel punto. Non di Alex,
non di Taylor, ma solo sua.
E
allora
perché?
Perché lei lo mandava così fuori circuito?
In
macchina nessuno parlava.
Si
stavano allontanando da Cirencester per arrivare in un altro paesino
nel Cotswolds. Alex era alla guida, Jeremy fissava fuori dal
finestrino, assorto, mentre Taylor scarabocchiava qualcosa sul retro
della cartina dell'Inghilterra.
Erano
circondati dalla sera e qualche fiocco di neve cadeva pigramente
sulla strada. La ragazza cominciava ad avere freddo, indossava lo
stesso vestito che
aveva alla
festa di Tessy e la sua giacca bianca, ma i collant non offrivano
tutto questo tepore.
Continuava
a chiedersi che
diavolo fosse successo tra quei due. Non si erano ancora rivolti la
parola e, sebbene ipotizzasse che il recente avvenimento avesse fatto
infuriare Jeremy, non capiva perché entrambi fossero così
silenziosi e rigidi.
Non
avevano mai litigato fino a quel momento, quindi non era abituata a
considerarli come due individui in conflitto. Le faceva strano, le
dava una bizzarra sensazione spiacevole. Forse era anche
a causa della
minaccia che
gravava su di lei. Non aveva mai visto Jeremy così arrabbiato,
nemmeno il giorno in cui le aveva dato uno schiaffo. Pensava che
d’ora in poi non le avrebbe reso la vita facile e si sentiva allo
stesso tempo furiosa e mortificata.
Per
questo nemmeno lei interagiva con loro, né osava blaterare come il
suo solito per dare fastidio. Si
limitava a disegnare e immaginare cosa stesse succedendo a Bourton,
ad
Allyson, a sua madre, a Oliver.
La
suoneria di un cellulare la distrasse dal suo tentativo di ritrarre
il paesaggio e si mise sull’attenti,
osservando in silenzio ciò che succedeva davanti.
Jeremy
scambiò uno sguardo preoccupato con Alex, dimenticandosi per
un momento di tutte le tensioni:
il suo cellulare suonava molto raramente e sempre per questioni
negative.
Premette
la cornetta verde, intimando alla ragazza sul sedile dietro di
rimanere in silenzio.
"Che
cosa vuoi?" fu il suo 'Pronto?'.
"Mio
caro Parker, come mi diletta il suono della tua voce."
"Taglia
corto, Cordano."
L'uomo
dall'altra parte
schioccò
la lingua:
"Hai fatto ciò che dovevi fare? Hai la ragazza?"
"Sì,
è qui con me." lanciò un'occhiata a Taylor.
"E
così dovrei
crederti, Parker?" l’uomo
rise, falso come un dado truccato.
"Non sono stupido; Tessy Heavens è ancora a casa con suo padre,
bella e tranquilla davanti al caminetto strepitante."
"Lo
so. Infatti
c'è
sua
sorella qui
con me, Taylor
Heavens."
spiegò,
serrando la mascella. Pensò
che tutto
ciò non fosse
altro che
il frutto di un suo banale errore. Un errore da pivello che non aveva
fatto altro che complicare ogni singolo dettaglio di
quel già impossibile piano.
"Oh."
fu la risposta dell'uomo. Un 'oh' che poteva preannunciare una
catastrofe, oppure un 'oh' di sorpresa. "Intendi la prima figlia
di Heavens? Da dove l'hai tirata fuori, Parker? Dal capello magico?"
"Ti
va bene oppure no, Cordano?"
"Mmm."
l'uomo parve indeciso, ma interessato. "Dovrò accertarmi del
fatto che tu stia dicendo la verità e
che non abbia assoldato un’attrice qualsiasi per recitare la
parte."
"È
vero quello che dico, Edoardo. È
sua sorella." Taylor strizzò il naso a quelle parole. "Il
padre
ha già acconsentito a pagare il riscatto e
ti
basterà fare qualche ricerca in loco per accertartene."
"Non
ti preoccupare,
Parker, ti
credo."
asserì lui, ridacchiando
sprezzante.
"Naturalmente ho occhi ovunque ed ero già al corrente di tutto,
ma
volevo
comunque sapere da
te come
stanno andando le cose."
"Oh,
una meraviglia, puoi
fidarti sulla
parola."
"Sei
partito con il piede sbagliato, Parker,
non credi? Hai rapito
una persona diversa da quella che ti avevo indicato e
hai deciso di fare di testa tua.
Devo confessarti che questo mi mette dei dubbi circa la tua
motivazione e mi spinge a chiedermi: ce la farai a portare a termine
la missione?"
"Sì."
"Senza
più passi falsi?"
"Ovviamente."
"Ottimo,
dunque non
ti dispiacerà se manderò Richard un giorno di questi a
farti visita. Voglio
che si accerti personalmente che hai intenzione di rigare dritto,
senza più fare cazzate."
"Beh,
se potessi mandare un orsetto gommoso gigante, mi metteresti un po'
più in soggezione, comunque il caprone andrà bene lo stesso.
Non
ho nulla da nascondere, men che meno a quel figlio di puttana."
Taylor
si corrucciò nel sentire quel tono così volgare e aggressivo.
Poteva giurare che ci fosse dentro anche della paura malcelata e che
Jeremy non stesse parlando con delle persone di cui si fidava.
"Caprone,
eh?" fece
Cordano dall’altro capo del telefono.
"Allora comunicherai la tua postazione con un messaggio al
mio numero di cellulare e io ti dirò dove e
quando
tu e il caprone vi incontrerete. E vedi che ci sia anche
questa
ragazzina,
Richard
è
davvero ansioso
di fare la sua conoscenza."
"Signor
sì, signore."
rispose Jeremy, nauseato.
"Mi
farò sentire tra qualche giorno e nel frattempo puoi dire al tuo
ritardato da passeggio che può cordialmente andarsene a fanculo."
Chiuse
la telefonata, mentre
Cordano ancora ridacchiava dilettato dal suo fastidio,
e ritornò a guardare fuori, in meditabondo
silenzio.
"Chi
era?" domandò timidamente Taylor,
dopo qualche minuto.
"Non
sono affari tuoi." rispose lui, secco.
La
ragazza si morse un labbro, infastidita ed estremamente curiosa. Non
era giusto; voleva sapere, voleva capire.
"Senti,
finché
mi tenete in questo cesso di macchina contro la mia volontà, tutto
quello che vi riguarda riguarda anche me." protestò, incapace
di trattenersi. "Non
sono così stupida, ho capito che dovremo incontrare qualcuno."
"Finché
rimani in questo cesso di macchina tutto quello che devi fare è
tacere, Heavens."
ringhiò
Jeremy, senza nemmeno voltarsi.
"Mi sembrava di essere stato chiaro."
"Il
tuo essere prepotente ha smesso di impressionarmi." Taylor
incrociò le braccia in senso di sfida.
"E
il
tuo essere logorroica ha smesso di provocarmi."
rilanciò
lui. "Non mi faccio scrupoli a mantenere le promesse."
Taylor
gemette per
la frustrazione, incrociò le braccia e sbatté la schiena contro il
sedile, esattamente come avrebbe fatto una bambina.
Jeremy la osservò
dallo specchietto e si fece spuntare un sorrisetto soddisfatto sulle
labbra.
Alex,
allora,
non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere, di
un riso un po’ isterico, ma liberatorio. Non seppe perché, ma
aveva bisogno di sfogarsi e di allentare quell’orribile
tensione che gli chiudeva lo stomaco e lo faceva sentire male.
Dapprima
Jeremy lo guardò con perplessità, ma poi anche lui lasciò che il
sorriso prendesse piede e si abbandonò all’immotivata ilarità,
unendosi alla risata
dal suo amico. Si guardarono negli occhi e per un momento tutto fu
accantonato. Ci sarebbe stato tempo più tardi per le discussioni e
anche
per le scuse.
Come
sempre, lo sapevano, avrebbero fatto pace. Anzi, l’avevano appena
fatta.
Alex
aveva capito che Jeremy non voleva essere cattivo. Si era accorto
dell’influenza che tutta la situazione stava avendo su di lui e
l’aveva perdonato. Jeremy, dall’altra parte, gli aveva chiesto
scusa con quello sguardo smarrito e celatamente fragile. Tutto si era
risolto in una risata e Taylor, immobile sul sedile dietro, non ci
aveva capito assolutamente nulla.
Alex
accennò con lo sguardo al cellulare di Jeremy, ma lui scosse la
testa; gli
avrebbe raccontato tutto più tardi. Non
voleva far
sapere nulla a Taylor, che,
imbronciata come una bambina, si
mise a continuare
il suo disegno in religioso silenzio.
Il
titolo, "Il valore di una vita", è da intendere sia in senso
materiale, dato che scopriamo il valore di Taylor in sterline, sia in
senso astratto, il valore della vita di Jeremy che corrisponde alla
vita di Taylor. #ansia
PUBBLICITA':
Se vi va, passate a leggere le altre mie due storie Io
e te è grammaticalmente scorretto ,
e Io e te è grammaticalmente scorretto 2, di cui, per quanto riguarda la prima, uscirà il libro a marzo 2017!
Direi che è un genere completamente diverso da "All I want" XD
Se
poi vorrete unirvi al gruppo in cui si sta assieme, si parla di tutto e
si condividono momenti bellissimi, vi basterà cliccare qui e io
approverò la vostra iscrizione: Grammaticalmente
Scorretti
Oppure potete chiedermi l'amicizia su Facebook come Daffy
Efp :)
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Capitolo 5 *** Fresh Fish and Hot Thoughts ***
All I want - 5.2
ALL
I
WANT
FOR
CHRISTMAS
IS...
********Fresh Fish and Hot Thoughts********
"Lor." Jeremy scosse delicatamente la ragazza addormentata nel retro della macchina.
Si
erano fermati a Stroud, una piccola cittadina portuale sulla costa a
Ovest dell'Inghilterra. Stranamente il cielo aveva regalato loro una
giornata di sole, con i raggi caldi che filtravano dai finestrini della
vecchia Betsie per distendersi sulla pelle di Taylor.
Mentre
Alex era andato a procurare la colazione per tutti, Jeremy stava
tentando di svegliarla, con scarso successo. Gli sembrava quasi un
crimine non lasciarla riposare, ora che se ne stava zitta e buona. E
poi, gli piaceva osservarla così serena.
Rimase
a guardarla per un po', la portiera aperta che faceva entrare il freddo
e i suoi ciuffi disordinati che si muovevano con l'aria, lasciando
spuntare, di tanto in tanto, le due buffe orecchie. Non pareva sentire
né il sole sulle palpebre, né la corrente sul viso,
né, tanto meno, il respiro di Jeremy sulle sue guance. Eppure
era così vicino; sospeso su di lei con un ginocchio appoggiato
al sedile e la mano a far leva sul piantone dell'auto.
Una
folata portò in alto il profumo di Taylor, di talco e di
lavanda, e il ragazzo fu improvvisamente preso da un capogiro. Dovette
aggrapparsi alla povera Betsie per non cadere sulla ragazza e prima che
si riprendesse passò qualche secondo buono.
Sicuramente si trattava della sua anemia.
Sentiva
che si stava aggravando; non assumeva del ferro da un po' di tempo e le
pillole che aveva erano poche, doveva conservarle. Non poteva di certo
usare i soldi di Cordano, ne avrebbe spesi troppi in un modo che
avrebbe destato sospetti.
Le
sue cure erano dispendiose e nella sua cartella clinica di quando era
bambino era ben noto di che patologie soffrisse. D'altro canto, non
osava chiedere nulla ad Alex, perché non voleva esporlo troppo e
non voleva pesare ulteriormente, dopo tutto ciò che il suo amico
stava già sopportando per lui.
Avrebbe stretto di denti, come aveva sempre fatto, sperando che non fosse accaduto nulla e che fossero venuti tempi migliori.
Si
avvicinò ulteriormente e Taylor e le posò una mano sulla
spalla per scuoterla. Ahimè, dovette fermarsi di nuovo mentre la
testa vorticava e lui non poteva fare a meno di contemplare la dolcezza
che esprimevano i lineamenti assopiti della ragazza.
Ma che gli stava prendendo?
Non
stava propriamente benissimo, constatò. Non era lucido e faceva
pensieri troppo strani. Si schiarì la gola, cercando di
riprendersi. Forse era lui quello ad aver bisogno che qualcuno gli
desse una bella scossa: "Lor, svegliati."
"PESCEEE!
PESCE FRESCO ALLA GRIGLIAAAA!" un pescatore a pochi metri dalla loro
macchina gridò così forte che Taylor si svegliò di
soprassalto, sbattendo inevitabilmente contro la testa di Jeremy, fin
troppo vicina alla sua.
"Ahia!" dissero all'unisono. Lei si massaggiò la fronte, lui si coprì il naso.
"Oh,
scusa, scusami." mormorò la ragazza, ricomponendosi e mettendosi
dritta sul sedile. Era decisamente sveglia, ora, ma disorientata; si
era svegliata troppo brutalmente e per giunta in un paesaggio che non
conosceva. Senza contare che vedere i magnetici occhi di Jeremy come
prima cosa al risveglio era parecchio destabilizzante.
"Porca troia, Heavens."
Taylor
fissò lo sguardo sul volto del ragazzo, allarmata: "Oddio,
Jeremy." si ritrasse, inorridita. "Quello è sangue!"
"No,
è ketchup. Sai, ne tengo sempre un po' di riserva nelle narici,
non si sa mai che capiti un hamburger scondito." sbeffeggiò lui,
cercando un fazzoletto o qualsiasi altra cosa potesse tappargli il naso.
In
quella stupida macchina c'era solo ferraglia, nulla per pulirsi al di
fuori della sua sciarpa. E non avrebbe di sicuro usato quella.
Taylor
mugolò qualcosa e chiuse gli occhi, strizzandoli, come se Jeremy
emanasse un'insopportabile luce naturale e lei non riuscisse a
guardarlo.
"Non mi sembra il momento di giocare a mosca cieca, non pensi?" sbottò lui, infastidito.
"Ti
prego esci da qui, non posso vedere il sangue! Non lo sopporto!" si
lamentò, tenendo una mano alzata per occultare la visione di
fronte a lei.
"Grazie mille, Lor. No, dico sul serio, mi sei davvero d'aiuto. Non so come farei senza di te."
"Hai fatto?"
"No, porca miseria, sto colando come una candela accesa! Dammi una mano!"
"Non ce la faccio, è troppo. C'è sangue dappertutto, Jeremy!"
"È una cazzo di emorragia dal naso, non sto morendo dissanguato!"
"Non ce la faccio!" pigolò, quasi sull'orlo delle lacrime.
"Appena
mi libero da questo inconveniente, giuro che ti squarto. Si chiama
terapia d'urto; risolve la tua fobia del sangue e la mia seccatura
nell'averti appresso."
Taylor
socchiuse un occhio, riluttante, e con sua grande gioia scorse
attraversare la strada un ragazzo con un sacchetto di pasticceria in
mano.
"Alex!" esclamò, presa dalla visione celestiale.
L'espressione
sorniona del giovane si spense non appena realizzò la
situazione. Si affrettò a raggiungere il marciapiedi,
appoggiò il sacchetto sul cofano e aprì completamente lo
sportello dell'auto: "Jeremy!"
"Dammi una mano." ordinò lui con una voce ridicola, risultato delle sue vie respiratorie ostruite.
L'amico
gli offrì uno straccio che teneva nel portaoggetti e che usava
solitamente per lucidare Betsie. Non era il massimo, lo sapeva, ma per
lo meno avrebbe contenuto lo straripamento.
Ormai abituato a questo genere di operazione, Jeremy uscì sul marciapiedi e si mise a testa bassa, premendo sul naso.
"Si
può sapere cos'hai fatto stavolta?" chiese Alex, aiutandolo come
di consueto e reggendo lo straccio per lui. "Dovresti andare in giro
con un naso gommoso, quello da pagliaccio. O forse a te sarebbe
più utile un naso di stagno."
Taylor scese finalmente dall'auto e si avvicinò, leggermente preoccupata: "Stai bene?"
Jeremy le lanciò uno sguardo truce: "Sì, ma non grazie a te."
"Mi
dispiace." mormorò, sincera. "Il sangue mi ha sempre messo
ansia. Sono svenuta a ogni prelievo che ho fatto finora e quella volta
in cui una mia compagna si tagliò con una forbice, alle
elementari, le vomitai sulle scarpe."
"Hai fatto le elementari a Bourton?" si interessò Alex.
"Certo."
"Allora è Danielle Pevensy." dedusse, esperto. "Me la sono fatta."
Taylor
gli lanciò un'occhiata offuscata, felice di aver avuto qualche
anno in meno di lui e non esserci mai capitata in classe, poi
tornò a rivolgersi a Jeremy: "Non sopporto il sangue. Davvero.
Mi dispiace."
"Fa
lo stesso, Lor." il sorriso di Jeremy si mascherò sotto la pezza
che gli copriva la metà inferiore del volto. "Ci sono abituato.
E poi non avrei voluto il tuo vomito sulle scarpe."
Taylor
si abbandonò a un mezzo sorriso di sollievo, felice di sapere
che Jeremy non se l'era presa troppo e che stava bene.
"Com'è
che con lui ti scusi e con me no?" proruppe Alex, le sopracciglia
corrugate nella direzione di Taylor. "Ieri per poco non mi asportavi
l'organo riproduttore con quel calcio alla Kung Fu Kid."
"È Karate Kid." mormorò Jeremy, la voce ovattata.
Taylor alzò le sopracciglia sogghignando: "I tuoi modi, caro 'peggiore incubo', non sono stati troppo gentili."
"Ah, e quelli di Jerry sì?" ribatté il moro.
"Beh..."
Taylor arrossì senza un apparente motivo. In effetti, non le
piaceva Alex tanto quanto non le piaceva Jeremy, dunque non capiva
perché si fosse sentita in dovere di scusarsi con quest'ultimo.
Avrebbe
dovuto godere del suo malessere, specialmente dopo l'ultima
intimidazione che le aveva gentilmente dedicato. E invece sembrava che
non riuscisse a darvi il giusto peso. Non sapeva perché, ma
aveva il presentimento che ci fosse un remoto sottofondo di insicurezza
nelle sue minacce.
"A dire il vero non so nemmeno cosa ci facesse lì appiccicato al mio naso." disse, infine, diplomatica.
"Cercavo
di svegliarti, senza sapere che il tuo sonno batte di gran lunga il
cloroformio nel rapporto qualità-prezzo." rispose prontamente
Jeremy, poi si rivolse all'amico, cambiando frettolosamente argomento.
"Cos'hai portato per colazione?"
Lui
sorrise come illuminato dal pensiero del cibo: "Ciambelle appena
sfornate!" lasciò a Jeremy il compito di medicarsi, poi si
sfregò le mani, contento, e fece il giro della fiancata.
"Sono
proprio..." indicò il punto del cofano su cui aveva appoggiato
il sacchetto, ma le parole gli morirono in bocca. "...lì."
"Oh, Alex." chiocciò Jeremy, previdente, in un misto di rassegnazione e sconforto.
"Io le avevo messe lì!" si difese il moro, mortificato. "Te lo giuro, Jerry, erano proprio lì sul cofano!"
"Non è possibile."
"No, infatti! Io ero sicuro di averle appoggiate! Qualcuno me le ha rubate, non c'è altra spiegazione!"
"Fantastico."
il biondo si appoggiò contro un lato dell'auto, sbuffando.
"Addio colazione, pasto più importante della giornata. Taylor ci
stresserà con i suoi sproloqui e io morirò di stenti.
Ottimo lavoro, Al."
Il
ragazzo abbassò lo sguardo e strinse i pugni, arrabbiato con la
sfortuna. Sfortuna, maldestria,...non sapeva se fosse davvero colpa di
un fattore esterno. Molto probabilmente il vero problema era lui; mai
una volta che ne combinasse una giusta, dannazione!
Dopo
la tentata fuga di Taylor, ci pensava sempre più spesso. Forse
Jeremy non lo voleva affatto con sé, forse non aveva mentito
quando gli aveva detto che sarebbe stato solo di impiccio, forse non
sarebbe mai riuscito a proteggerlo. L'avrebbe solo danneggiato ancora
di più, come se già Cordano o Taylor non si stessero
mettendo d'impegno per farlo.
Taylor
si accorse del suo irrigidimento e provò un moto di tenerezza
per Alex. Si sentiva quasi in colpa nei suoi confronti, per averlo
aggredito e aver tradito la sua buona fede. In fondo, tentava solo di
rendersi più utile che poteva. Non era stupido, era solo buono e
ingenuo, non voleva fare del male a nessuno.
"Non
importa." proruppe la giovane, improvvisando un tono allegro e
cameratistico. "Vorrà dire che ci daremo dentro a pranzo, no?"
Visto
da qualcuno al di fuori di quel terzetto, pareva davvero strano che
fosse lei, la vittima della situazione, a motivare gli altri. Quasi
sembrava volesse tirare su di morale i suoi rapitori. Che scena assurda.
Alex alzò lo sguardo, colto da un'improvvisa illuminazione: "Ehi, aspettate! Mi è venuta un'idea!"
Nemmeno il tempo che Jeremy riuscisse a dire 'lascia perdere' e Alex era già sparito.
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Tessy
Heavens camminava avanti e indietro per la sua enorme stanza da letto.
Allyson, assorta, fissava le sue ballerine blu seduta sul piccolo pouf.
Nessuna delle due parlava, ma nelle loro menti c'erano mille voci e
pensieri, indaffarati nel cercare di ricostruire gli eventi e di capire
quale errore fosse stato il più grave.
"È
impossibile che mio padre non sia ancora riuscito ad avere una sola
traccia." Tessy ruppe il silenzio, nervosa. "Dispone di un triliardo di
aggeggi tecnologici e ha conoscenze in ogni angolo di Bourton, è
amico persino del senzatetto sotto la macelleria."
"Non è facile, Tess."
"Perché si ostina a non voler dir nulla alla polizia?"
La
sua amica sospirò: "Non è colpa sua, lo sai. Sta cercando
di agire accuratamente, perché non vuole essere troppo
precipitoso e farsi sfuggire la situazione di mano. Sta solo cercando
di non fare passi falsi, come ognuno di noi, d'altronde." Allyson
fissò il muro, sconsolata.
"Sono passati giorni."
"Beh, almeno ora sappiamo che non può essere scappata di sua spontanea volontà."
"Ma non può essersi dissolta!"
Allyson
non ribatté. Era evidente che dovevano esserci delle altre
persone di mezzo, perché Taylor non sarebbe mai stata lontana da
sua madre più di un paio di giorni. Non volontariamente, almeno,
e non senza avvisarla. Nemmeno se fosse stata arrabbiata a morte, di
questo era certa.
Nella sua testa c'erano mille interrogativi, il primo di essi riguardava chi avrebbe mai potuto avere interesse a rapire Taylor.
Non
riusciva a darsi una risposta, non riusciva a capire. Non conosceva
nessuno a cui Tay potesse aver fatto torti. Le stupide ipotesi che
aveva fatto su vecchie fiamme o compagni di classe imbecilli non
reggevano neanche esagerando con la fantasia e persino Amanda,
nonostante gli sforzi, era stata capace di fornire anche un solo
sospetto.
Taylor non aveva mai dato fastidio a nessuno.
Così
Allyson si sentiva terribilmente in colpa per averla obbligata ad
andare a quella festa. Sentiva che era stato quello il punto di svolta,
che non avrebbe dovuto trovarsi lì. Se non fosse stata
così egoista e disillusa, probabilmente a quest'ora sarebbero
state in camera sua, a ridere sui ritratti che Taylor faceva ad Alex,
secondo come lo immaginava.
Già,
Alex. Un altro bel punto di domanda. Si faceva sentire di rado, era
sfuggevole e taciturno e lei stava cominciando a pensare che la storia
della nonna fosse campata in aria, come del resto la loro relazione.
Un
neo-coppia avrebbe dovuto passare un sacco di ore assieme, avrebbe
dovuto coccolarsi e procurare sostegno reciproco. Una neo-coppia
avrebbe potuto discutere di quel fatto, cercando delle soluzioni, e lei
avrebbe dovuto essere consolata tra le braccia del suo ragazzo, invece
che da un misero pouf, circondata dai sensi di colpa.
Tessy
sbuffò, lasciandosi cadere sul letto e prendendosi la testa tra
le mani: "Ho così tanta confusione in testa." pigolò.
"Sembra un vero e proprio mistero e io sto pensando a un sacco di
dettagli che mi sono lasciata sfuggire, che avrebbero potuto mettermi
in allerta."
Allyson la guardò. Quella frase catturò la sua attenzione e si mise dritta sul pouf.
"Prova a dirmeli."
La
ragazza fece di spallucce, indecisa se ritenere i suoi sospetti mere
fantasie o utili informazioni: "Beh, per cominciare, quando sono
uscita, quella sera, ho sentito dei rumori. Proprio vicino alla quercia
sul retro."
"Dei rumori?"
"Sì,
ma potrebbe essere stata qualsiasi cosa. Il vento, gli scoiattoli, le
macchine sulla strada,... A un certo punto ho anche immaginato che
fosse...ah, lascia stare." scacciò l'immagine del volto
sorridente di Eric con fatica. "Però forse dovremmo controllare,
non lo so."
Allyson
si succhiò una guancia con fare indeciso. Lei era una ragazza
poco avventurosa e intraprendente, sicuramente non il tipo che si
sarebbe messo a fare Sherlock in autonomia, specialmente in un caso
così avvolto dal mistero.
Tuttavia,
era di Taylor che si stava parlando, della sua migliore amica di
sempre, e se lei poteva contribuire in qualsiasi modo, allora lo
avrebbe fatto. Si alzò dal pouf con rinnovata energia: "Dicono
che tentare non nuoce."
Tessy
le sorrise incerta, ma afferrò il cappotto in un muto gesto di
accordo. Lanciò ad Allyson il suo e una volta che si furono
coperte, uscirono nel giardino.
Fuori
faceva meno freddo del solito, sebbene la quantità di alberi
attorno alla villa di Tessy rendesse il tutto molto umido. La stradina
dietro alla quercia era pulita, la neve si era sciolta e, anche se i
passeri non cantavano, era lo stesso uno scenario molto verde, quasi
primaverile.
Le
due amiche camminarono fino alla panchina scansionando ogni singolo
dettaglio; ogni filo d'erba, ogni sassolino, ogni traccia lasciata
dagli animali. Sembravano quasi due turiste sprovviste di cartina, con
un urgente bisogno di trovare un bagno pubblico. Nessuna delle due
aveva idea di cosa cercare e soprattutto dove cercarlo.
"Non
c'è nulla, Ally." disse Tessy, girando su se stessa per la terza
volta. "Tutto ordinario, l'ennesimo buco nell'acqua."
"Forse non stiamo guardando bene."
"Non
credo." sospirò Tessy, rassegnata. "Mi sento così
stupida. Sto solo cercando di trovare un modo per non starmene con le
mani in mano ad affrontare la mia colpevolezza. Forse i rumori che mi
sembrava di aver sentito non sono che delle fantasie per convincermi
che può esserci una soluzione. Alla fine, tutto va bene pur di
dimenticare questo rimorso che mi assilla giorno e notte." si
lasciò cadere sulla panchina di legno, cupa e rattristita.
"Ti
capisco, Tessy. Anch'io mi sento così." l'amica le si sedette
accanto, posandole una mano sulla gamba, incapace di essere dura con
lei in un momento del genere.
Anche
se era ancora amareggiata per il suo comportamento alla festa, non
riusciva a tenerle il broncio. L'urgenza di trovare Taylor sovrastava
qualsiasi altro sentimento e poi bastava guardarla negli occhi per
capire che era davvero pentita.
"No,
è diverso." ribatté Tessy, scuotendo la testa. "Tu sei
una persona molto più buona di me, Ally. Non hai mai fatto nulla
per ferire gli altri volontariamente. Nemmeno quella scimmia di tuo
fratello, che, con tutto rispetto, è davvero un idiota."
Allyson
le lanciò un'occhiata risentita, ma Tessy alzò le spalle
come a dire che era vero e non ci poteva fare niente.
"Dopo
quello che ha fatto alla vostra famiglia, io non potrei più
nemmeno sopportare la sua vista." proseguì. "Anzi, io uno
così lo odierei anche solo per l'infamia che rischia di gettare
sul mio nome. Eppure tu no, Ally, tu sei diversa. Tu gli vuoi bene
comunque e gli vorresti bene qualsiasi cosa capitasse tra voi. Io...io
non riesco a essere così." sentenziò, sconfitta. "Non ho
mai cercato di avvicinarmi a Taylor, anzi ho fatto di tutto per
allontanarmi e allontanarla. L'ho sempre vista di cattivo occhio, ho
sempre temuto che potesse rovinare la mia vita perfetta con la sua
pesante aria di negatività e non mi sono mai chiesta
perché con lei non fosse come con tutti gli altri. Sembrava a
essere l'unica a disprezzarmi in quel modo e io mi sono sempre limitata
a prendere il suo odio come l'ennesima prova che fosse una persona
orribile." scosse la testa, guardando il cielo pallido e ascoltando il
respiro di Allyson al suo fianco. "Forse avrei solo dovuto cercare
capirla." concluse. "Avrei potuto essere meno superficiale ed
egocentrica. Avrei potuto evitarle certe battute spiacevoli e magari
tentare di non essere la strega che lei crede che sia. Ora capisco
perché mi odia così tanto e se mai dovesse succedere
qualcosa, lei avrà sempre un orribile ricordo di me. La
sorellastra che le ha rubato il padre e che l'ha sempre trattata male."
"Oh,
Tessy." Allyson l'abbracciò di slancio, commossa da
quell'inaspettata e poco ortodossa presa di coscienza. "Taylor non ti
ha mai odiata! Si fa vedere scontrosa, ma in realtà ha solo
bisogno di aprirsi e sfogare la sua rabbia. Penso che le cose tra di
voi potrebbero migliorare. Con tempo e pazienza, molta pazienza, ma
potreste davvero diventare amiche."
"Se mai ne avremo l'occasione."
"Tessy,
non dire così!" saltò su la biondina, improvvisamente
animata dalla franchezza della ragazza. "Tay è intelligente e
furba! Qualsiasi cosa succeda, se la caverà."
Si
sentì scossa dalle parole dell'amica, sia per quanto riguardasse
l'ammissione che aveva fatto, sia per aver guardato la realtà in
faccia senza mezzi termini. Se mai ne avremo l'occasione. La strinse
più forte nell'abbraccio, presa dall'euforia e dal panico
assieme.
Se mai ne avremo l'occasione.
In
un certo senso, era da anni che bramava di sentirselo dire, proprio
perché non desiderava altro che far riappacificare le due
sorelle. Peccato che sembrasse essere irrimediabilmente troppo tardi.
"Ehi, Allyson." lo sguardo della musicista si posò sullo spigolo della panchina. "Guarda."
La ragazza sciolse l'abbraccio per poter notare la piccola chiazza rossa sul legno.
"Oh mio Dio." sfiatò. "Credi sia...?" chiese, sconvolta.
"Ovviamente spero di no, ma potrebbe essere."
Le
due si guardarono negli occhi, scambiandosi più informazioni di
quante potessero essere dette a parole. Consultarono il silenzio per un
po', poi Allyson prese fiato, la faccia distorta in una smorfia di
agitazione e riluttanza.
"C'è un solo modo per esserne certe." si alzò in piedi, sentendo le gambe tremare.
"No,
Ally. Papà ha detto che deve rimanere fra noi." disse Tessy,
quasi automaticamente, quasi fosse un mantra che aveva imparato.
"Lo
so." le diede ragione l'amica. "Ma questo riduce circa del novantanove
per cento le nostre possibilità di aiutare Taylor."
È
vero, prima aveva difeso la decisione dell'uomo sul procedere
cautamente, ma ora si trovava di fronte a una svolta piuttosto
sconcertante.
Avevano
degli elementi in più: la sicurezza che Taylor non si fosse
allontanata volontariamente, degli strani rumori la notte del 14
dicembre, una panchina nascosta dietro a una quercia e una chiazza di
sangue. Non osava nemmeno avvicinare l'idea che quel sangue potesse
appartenere a Taylor. Se così fosse stato, chi l'aveva rapita?
Che cosa le avevano fatto? Che cosa le stavano facendo?
Non era più tutto solo un'ipotesi, ora. Dovevano immediatamente rivolgersi alla polizia.
"È vero, Ally, ma papà..." la mora parve per un attimo indecisa.
Non
aveva mai questionato le decisioni di suo padre. Le erano sempre
sembrate sensate e orientate a preservare il suo bene. Tuttavia,
riconosceva che forse questa volta si stava sbagliando. Probabilmente
anche Oliver non era nel pieno delle sue facoltà e non sapeva
affrontare lucidamente il problema.
"Forse
hai ragione. Dirlo a papà probabilmente non cambiebbe nulla."
concluse, allora, pensierosa. "Continuerà a contattare persone e
dire che troverà la soluzione. Se avvisiamo la polizia, si
sentirà sottovalutato, ma poi ci ringrazierà. Di fatto,
lui non pensa mai alle soluzioni più semplici." guardò
l'amica negli occhi, con determinazione. "Andiamo alla polizia e
spieghiamo ogni cosa. È la soluzione migliore."
"Sei sicura?"
"Sì." rispose fermamente. "Voglio davvero che trovino Taylor, non mi importa chi sarà a farlo."
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"Ti ho fatto tanto male?" chiese Taylor a Jeremy, mentre aspettavano Alex appoggiati alla macchina.
Il biondo parve riscosso da una riflessione: "Che cosa?"
"Dico, ti ha fatto male la botta sul naso?"
Lui
se lo tastò, quasi ricordandosi solo in quel momento di
possederne effettivamente uno: "Credo che a questo punto potrebbero
tranquillamente prendermi a sprangate in faccia senza che me ne
accorga; non me lo sento più."
Taylor arricciò le labbra: "Credo che così siamo pari."
Jeremy
si voltò a guardarla. Era evidente che si riferisse alla storia
dello schiaffo e lui si sentì in colpa come ogni volta in cui ci
pensava. Ma non poteva di certo mostrarsi in torto con lei, non dopo
quel discorso che aveva imbastito il giorno prima, dopo il suo
tentativo di fuga. Non poteva permettersi di abbassare la guardia;
doveva cercare di farle paura, doveva mostrarle chi comandava.
"Eh
no, cara Heavens, mi dispiace tappare le tue alette in cerca di
giustizia, ma ora sono io quello in svantaggio." le disse,
sorprendendola.
"Prego?"
incrociò le braccia, irritata. "Secondo i miei calcoli, siamo
uno a uno e palla al centro, caro...come ti chiami di cognome?"
"I
tuoi calcoli sono sbagliati, Einstein." il ragazzo scosse la testa,
sorridendo divertito. "A onor del vero, la notte in cui ti ho rapita mi
hai dato un pugno sul naso. Un altro." precisò. "Ero in bagno di
sangue. Puoi chiedere ad Alex, se vuoi."
"Sei
incredibile!" sbottò lei. "Permetti che avessi un attimo di
panico addosso e il mio cervello non ragionasse nella paura di essere
uccisa? Non è dipeso da me, non lo puoi contare, è stata
solo colpa tua."
"Ti
stai aggrappando sugli specchi, mocciosa." incalzò, osservando
le sue guance che si coloravano di combattività. "Ti ricordo che
il sangue che è sceso era il mio e per me ha piuttosto contato."
Taylor
si sentiva presa in contropiede e non sapeva come contestare: Jeremy
era davvero bravo a trovare le sue argomentazioni. Specialmente, era
bravo a usare quegli occhi come arma di distruzione di massa.
"Game,
set and match per Jeremy." gorgogliò il ragazzo, vittorioso.
"Mia cara Lor, rassegnati, hai ancora un conto in sospeso con il
rapitore più temibile della Britannia."
"Dunque
staresti dicendo che uno schiaffo, assolutamente barbaro e volontario,
può sostituire un colpo di legittima difesa in uno stato semi
incosciente. Sono senza parole."
"Magari."
gli occhi azzurri di Jeremy si fissarono su quel volto arrabbiato e
offeso. "Lor, mi piacerebbe davvero continuare questa lieta
discussione, ma sto iniziando a stancarmi, complice anche il fatto che
ho delle cannucce vuote al posto delle vene, ormai. Perché non
ammetti di avere la coscienza più sporca della mia e la chiudi
qui, facendo un bel favore a entrambi?"
"Sei tu che mi hai rapita!" sbottò, esasperata. "Come faccio ad avere la coscienza più sporca della tua?"
Il ragazzo roteò gli occhi: "Quante polemiche."
"Se l'avessi saputo prima, avrei sbattuto più forte contro il tuo naso." ringhiò lei.
E
dopo questa conclusione, i due piombarono finalmente in un esausto
silenzio. Sul mare increspato si sentivano i gabbiani cantare e l'odore
di salsedine rendeva il paesaggio molto suggestivo, benché fosse
pieno dicembre. I pochi pescatori sulla riva si stavano dirigendo verso
i marciapiedi per cercare di vendere il loro ricavato mattutino,
elogiando tutte le qualità del pesce fresco. I negozi
cominciavano ad aprire e i primi bambini uscivano di casa bardati come
eschimesi per raggiungere la fermata dell'autobus.
Jeremy non aveva mai preso l'autobus da bambino.
Non
gli piaceva, pensava che fosse troppo noioso. Piuttosto adorava sedersi
nel sedile del passeggero nell'auto di sua madre e giocare assieme a
lei durante il tragitto.
Di
solito accendevano la radio e Jeremy aveva il compito di abbassare il
volume per far sì che loro due potessero continuare la canzone
senza la base. Dopo un po' doveva alzarlo per vedere se fossero
riusciti a tenere il tempo.
Lui
era molto bravo, aveva una buona memoria e spesso guidava sua mamma,
stonata e fuori tempo come pochi. Alla fine, concludevano sfalsando
tutto e scoppiando in grandi risate di cuore.
Jeremy
sorrise, ricordando di quel giorno in cui erano stati così lenti
che all'alzare il volume, stavano già trasmettendo un nuovo
pezzo.
Taylor
lo guardò di sottecchi. Evidentemente stava ricordando qualcosa
di bello, perché aveva un'espressione davvero beata, che lo
rendeva molto più umano del solito. Molto più bello. E
già era bello, figuriamoci.
Improvvisamente, Jeremy parve ridestarsi dal ricordo e ritornò alla solita espressione distaccata.
Aveva
appena realizzato che gli era capitato di nuovo. Ancora una volta la
barriera che teneva a bada i suoi ricordi era stata neutralizzata dalla
presenza di Taylor e aveva sprigionato una serie di sentimenti
dolce-amari che credeva di aver rinchiuso in un luogo irraggiungibile.
Lo
faceva impazzire, Taylor, lo faceva infuriare come non mai per questo.
Perché quella ragazza aveva il potere di renderlo così
vulnerabile? Era possibile che la sua sola presenza, e relativa
vicinanza, incidesse così tanto sulla sua fermezza? Come
riusciva a farlo sentire così spensierato da rifugiarsi in
quella zona del suo cuore che andava rinnegando da tempo?
Sospirò, irrequieto e assalito dai dubbi.
"Senti,
Lor." cominciò a parlare, senza saper bene cosa dire. Sperava
che le parole gli uscissero spontaneamente di bocca, come quando dici
qualcosa solo perché ne senti il bisogno ed esce come capita,
anche senza che tu lo voglia. Ma quella volta non successe. La frase
rimase in sospeso nell'aria, catturata dalla salsedine.
"Sì?" incalzò lei.
"Mi dispiace di averti dato uno schiaffo. Non volevo." disse infine, secco.
Si
chiese se era davvero quello che aveva in mente di dirle. Certo, non le
stava mentendo e gli era dispiaciuto sul serio, però sperava di
potersi sentire più alleggerito. Invece non era cambiato nulla.
"Ah."
la ragazza sembrò sorpresa. Non si sarebbe aspettata di certo
delle scuse da parte di Jeremy, non quando lui sembrava sempre
così convinto di avere ragione. Si schiarì la voce:
"Bene."
Ci
fu qualche secondo di silenzio, poi lei prese fiato per parlare di
nuovo: "Mi dispiace per aver ingannato Alex, lui non c'entra niente con
la mia fuga."
"Lo so." disse lui, semplicemente. "Sei tu il problema. Ed è colpa tua anche se me la sono presa con lui."
"Ovvio."
lei roteò gli occhi. "Però non credere che ci abbia
provato con me o viceversa." aggiunse, seria. "In quanto al primo
punto, Alex è molto più moralmente integro di te, dunque
non gli si sarebbe neanche passato per la testa, mentre per te è
stato il primo sospetto, dato che sei una creatura di satana,
psicologicamente deviata e perversa. In quanto al secondo punto, io su
Alex ci potrei anche fare un pensierino, ma lui sta dalla tua parte,
quella del male, quindi no."
"Wow. Ora sì che mi hai precluso un sacco di possibilità."
"E
comunque grazie per avermi minacciata a morte come punizione. Sei stato
davvero troppo carino. A quando il prossimo accesso d'ira?"
"Io non ti ho-"
"Eccomi
qua!" il bel moro comparve con tre cartocci fumanti e li
distribuì tra di loro. Sembrava tornato da una sessione di lotta
libera, i capelli arruffati e il fiatone. Ma aveva un sorriso
soddisfatto che quasi univa un orecchio all'altro.
Jeremy strinse l'involucro e alzò il tovagliolo di carta, titubante, per spiare il contenuto.
"Allora?" chiese Alex con tono carico di aspettativa.
Lo sguardo di Jeremy rimbalzò dal cartoccio ad Alex e da Alex al cartoccio.
"Pesce alla griglia." disse solamente, il tono lugubre.
"Ovvio! Non sono geniale?" guardò Taylor in ricerca di approvazione.
Lei
gli sorrise incoraggiante e poi tornò a fissare quella specie di
sogliola unta e molle. Avrebbero dovuto ficcargliela in gola, prima che
la mangiasse di sua spontanea volontà.
"Pesce alla griglia." tornò a ripetere il biondo. "Alle sette e mezzo del mattino?"
Alex
soppesò il suo pesce con delusione: "Dubitavo che ti sarebbe
piaciuto, ma l'ho preso comunque, per non lasciarvi completamente a
pancia vuota."
Jeremy
rivolse all'amico uno sguardo pentito. Faceva sempre di tutto per lui e
lui non era mai abbastanza riconoscente. Anzi, come aveva detto a
Taylor, spesso tendeva a prendersela e a caricarlo di mille colpe per
nulla.
In
realtà, lo usava come valvola di sfogo e sapeva che era un
atteggiamento ignobile. Forse aveva bisogno che glielo ricordassero
più spesso. Forse aveva bisogno degli sguardi indignati di
Taylor, come quello che stava ricevendo in quel momento.
"Mi
piace il pesce fritto, Alex." cercò di rimediare. "Anzi, a
pensarci bene, non avresti potuto scegliere meglio, perché il
pesce ha molte vitamine e per lo stato in cui mi trovo, sono davvero
utili."
Taylor
sorrise, soddisfatta. Jeremy mise in bocca un bel pezzo di sogliola per
terminare credibilmente il monologo. Anche Alex sorrise e iniziò
a divorare la sua colazione, mentre la ragazza, senza farsi notare, ne
lanciava pezzetti ai gabbiani che si avvicinavano al marciapiedi.
Dopo aver finito, risalirono in macchina, in un'atmosfera di serenità probabilmente mai raggiunta prima.
"Dove andiamo?" chiese Taylor.
Jeremy
mise in moto: "In un motel gestito da una ultraottantenne sorda come
una campana. Lì saremo più sicuri che in una botte di
ferro."
La ragazza sospirò: "E quando mi riporterete da mia madre?"
"A Natale, se farai la brava. Con un bel fiocco rosso in testa."
"Ha-ha."
L'auto
si mosse in avanti di mezzo metro e produsse un rumore insolito, come
se le ruote anteriori avessero schiacciato qualcosa di molliccio,
avvolto da della carta.
Jeremy
fermò la macchina, poi, molto lentamente, si voltò verso
Alex: "Scusa, Alex, chi aveva rubato le ciambelle?"
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Oliver
Heavens sfogliava distrattamente un depliant sul funzionamento delle
nuove rate concesse dalla Money House. Seduto nel suo ufficio, una
tazza di caffè nero sulla scrivania e una penna in mano,
contemplava fuori dalla grande vetrata la città dipingersi dei
colori del tramonto. Aveva tentato per due ore di fissare la sua
attenzione su quelle maledette rate, ma nella sua testa continuava a
comparire una cifra che gli rendeva il lavoro impossibile.
Due milioni di sterline. E un penny.
Nelle
sue casse personali raggiungeva a malapena la metà e di certo
non sarebbe riuscito a trovare un altro miliardo neanche in un paio di
secoli. E poi c'era la retta del conservatorio di sua figlia,
l'abbonamento di sua moglie al teatro, l'affitto della villa al mare,
le bollette dell'impianto audio,...
E tutto dipendeva da lui. Tutto, soprattutto Taylor.
Non
vedeva Taylor di persona da molti anni, se non rare volte in chiesa o
per strada. Era palese che lei lo evitasse come la peste e lui, d'altro
canto, non si era mai avvicinato, nemmeno per un semplice saluto.
Il
ricordo più vivido che aveva di lei era di uno scricciolo di
appena un anno con in mano una matita colorata e murales sulle pareti
tutt'intorno. Non ci pensava mai, ma, se capitava, qualche rara volta
mentre imbustava i soldi dei suoi alimenti, sorrideva prima di
scacciare quell'immagine.
Non
aveva mai smesso di volerle bene, neanche quando il suo cuore era stato
rubato dall'amore per Martha e si era allontanato da Amanda. Aveva
pensato alla sua bambina tutti i giorni, finché poi non era
arrivata Tessy e si era fatto tutto più complicato.
Tessy
aveva conquistato tutto il suo essere, perché in effetti Tessy
era stato il coronamento di un amore perfetto e idilliaco e lui aveva
formato una nuova famiglia che risplendeva di fortuna e bellezza. Era
cambiato, o forse era sempre stato così, diceva la gente.
Dalla
nascita di Tessy era sempre stato al settimo cielo, si era sentito
completo e soddisfatto. Il dovere che aveva verso la sua prima famiglia
non lo faceva stare male, anzi, lo adempieva diligentemente e senza
rimorsi. Aveva continuato a pagare gli alimenti, l'istruzione e lo
sport di Taylor. Di tanto in tanto le telefonava, ma lei gli raccontava
poche cose successe alle elementari poi voleva riattaccare, nonostante
la voce di Amanda in sottofondo la incoraggiasse a parlare.
Le
inviava spesso delle buste con la mancia, forse più per Amanda
che per lei, ed era convinto che avrebbe comprato quello che non poteva
darle in altri modi. Era a posto con la coscienza. Era felice, non
vedeva nient'altro attorno a sé.
Amanda
era sollevata dal punto di vista economico, ma per tutto il resto
sapeva che niente avrebbe mai colmato il vuoto lasciato da Oliver. Non
tanto nel suo cuore, quello era consapevole da molto tempo ormai, ma in
quello di Taylor. Nella vita di Taylor, che più cresceva
più diventava insofferente nei confronti di quell'uomo. E lei
non poteva farci niente. Non riusciva a spiegarlo a Oliver, non era
riuscita a farglielo capire nemmeno nelle cento lettere che gli aveva
scritto dopo il divorzio.
Come
padre non era mai stato molto presente, un po' perché aveva
altro a cui pensare, un po' perché non era nella sua indole. Da
dopo la separazione, poi, era sparito definitivamente e quando Amanda
glielo faceva notare, lui preferiva scacciare il pensiero e
concentrarsi sulle cose belle della sua nuova vita.
Nuova...ormai aveva già diciotto anni.
Il
suo tempo era impegnato nel lavoro alla Money House, nella crescita di
Tessy e nella vita movimentata a cui aveva ormai fatto l'abitudine.
Dopo un po' Amanda aveva smesso di assillarlo e lui aveva smesso di
chiamare. Senza che se ne fosse reso conto, Taylor aveva smesso di
essere una bambina.
Oliver
non aveva mai avuto il coraggio di affrontare i suoi errori. Quello che
aveva ora poteva benissimo compensare il suo vago e sporadico senso di
colpa, se solo avesse evitato per sempre di guardarsi indietro. Finora
ci era riuscito bene, ma sembrava che il suo piano stesse crollando
definitivamente a picco.
Tutto sommato, lui a Taylor non aveva mai smesso di volere bene e adesso sì che si stava sentendo seriamente in colpa.
Si rendeva conto di aver trionfato come padre per Tessy, ma di aver allo stesso tempo fallito come padre per Taylor.
Sapeva
anche che non avrebbe mai più potuto rimediare. Era tardi e
aldilà della situazione, ormai Taylor era grande e si era fatta
un'idea ben precisa di lui. Non l'avrebbe cambiata, nemmeno se lui
fosse riuscito a tirarla fuori.
Però
lui voleva tirarla fuori. Doveva. Perché anche se in fondo
l'aveva già persa, non poteva lasciarla andare così. Il
bene che le aveva sempre voluto e che non aveva mai dimostrato non
glielo permetteva.
L'unica cosa che poteva fare, se mai ci fosse riuscito, era trovare quei due milioni di sterline.
Ma aveva la netta sensazione che non ci sarebbe mai riuscito.
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"Certo
che questo motel è proprio triste." si lamentò Taylor
circumnavigando il letto spoglio e sedendocisi sopra per soppesarne la
comodità.
"Perché? Io lo trovo molto feng shui. Mi si addice." disse Jeremy, gettando il suo borsone su una sedia.
"Che?"
Il
ragazzo la guardò con fare provocatorio: "Oh, il genio della
situazione non sa che cosa significa feng shui. Questo sì che
è uno scandalo di corte per una principessina del suo rango e la
sua istruzione."
"Non lo so neanch'io, se è per questo." si intromise Alex.
"Su di te non avevo dubbi." ribatté Jeremy.
"Fortunatamente
sei più brillante di noi, tu, erudito delinquente che ha rapito
la persona sbagliata." lo canzonò Taylor.
"Erudito
delinquente. Mi piace." sembrò pensarci su. "Avrei preferito
Sommo Rapitore, ma andrà bene comunque. In ogni caso feng shui
è giapponese e significa 'minimalista, essenziale'."
"Oh,
dunque ti si addice perché ti senti giapponese. Dovevo
sospettarlo dal modo in cui apprezzavi il pesce fritto oggi a
colazione."
"Lor,
non farmi sprecare la scorta giornaliera di risate finte." rispose lui
mellifluo. "Naturalmente, mi si addice perché rispecchia la mia
semplicità e raffinatezza. So che non è all'altezza delle
tue mansioni reali appartenenti alla dinastia Tudor, ma ti ci
abituerai. Non hai ancora visto la topaia in cui ho intenzione di
portarti una volta che ce ne saremo andati da qui."
"Non mi impressioni, Jeremy, te l'ho detto."
"Questo
Jeremy è troppo plebeo come nome. Sommo Rapitore andava
benissimo. Anzi, gradirei mi chiamassi così, d'ora in poi."
"E
tu smettila di chiamarmi Lor, principessa o mocciosa. Sono Heavens per
te, e Taylor nei momenti in cui mi sento particolarmente magnanima."
"Oh, dimenticavo che preferirei mi dessi del lei."
"E che altro? Devo salutarla con l'inchino?"
"Oh, no, sua altezza, quello è un mio dovere di umile servo." e si inchinò con un'ampia riverenza.
Taylor
gemette di rabbia e scattò in piedi, afferrando l'asciugamani in
dotazione nella stanza: "Vado a farmi una doccia, qui l'aria sta
diventando davvero insopportabile!"
"Posso venire con te?" ammiccò Jeremy, con l'intenzione di farla irritare ancora di più.
"Non
ti vorrei nella mia doccia nemmeno se fossi bello e simpatico." si
chiuse la porta del bagno dietro le spalle e diede un giro di chiave,
lasciando Jeremy a fissare il legno con un sorrisetto sghembo.
"Accidenti!" commentò Alex, accompagnandosi con un fischio. "Ti tiene davvero testa, la ragazza."
Ricevette un'occhiataccia dal suo amico.
"Intendo, nei limiti del confronto." tentò di rimediare. "Solo un po'."
La
testa di Jeremy soffrì di un improvviso capogiro, che lo fece
barcollare all'indietro. Fortunatamente, Alex non notò nulla
perché era di spalle, così si prese qualche secondo per
inspirare e recuperare l'equilibrio.
Non
voleva che Alex se ne accorgesse, avrebbe dovuto dare troppe
spiegazioni. Avrebbe dovuto confessargli che non si sentiva in forma e
che era stanco. Avrebbe dovuto dirgli che, nonostante sorridesse e
battibeccasse normalmente, aveva una fottuta paura di morire. O che lui
morisse. O che capitasse qualcosa a Taylor.
Ma non poteva farlo. Perché lui era Jeremy. Forte, coraggioso, tutto d'un pezzo Jeremy. Indifferente alla situazione.
Eppure
dentro di sé un'inquietudine enorme cresceva giorno dopo giorno,
tappa dopo tappa di quell'estenuante sequestro on the road. Lo stress
si intensificava sempre di più, l'anemia e l'inverno gli
remavano contro e Taylor sembrava voler sabotare i piani alla radice,
immischiandosi negli affari di Jeremy come stava facendo nella sua
anima.
Aveva
bisogno di scaricarsi, di uscire per un attimo da quella situazione,
fingere di essere una ragazzo normale, solo per un momento.
Lo
faceva da quando aveva incominciato a cavarsela da solo e aveva
occupato illegalmente la microscopica stanza di un bed&breakfast a
Bourton. La pagava facendo favori loschi al proprietario e così
riusciva ad assicurarsi almeno un tetto sulla testa. Ma appena si
sentiva soffocare da quelle quattro mura e dalla sua vita, usciva e se
ne andava nel bosco oltre il parco. Camminava a vuoto e si fermava solo
per ammirare gli specchi d'acqua. Adorava quando era inverno e poteva
vederli ghiacciati, perché allora poteva immaginare di
pattinarci sopra, di essere diverso, di divertirsi come i suoi amici
quando erano piccoli, su un paio di pattini.
Aveva tanto bisogno di schiarirsi le idee.
"Senti,
vado a farmi un giro fuori." comunicò ad Alex, appena si fu
sufficientemente ripreso dal malessere. "Tu non ti muovere da qui e non
farti scappare Lor. Chiaro?"
"Agli ordini."
Il
ragazzo si avviò verso l'ingresso: "Ah." si interruppe, prima di
uscire. "E non osare varcare la soglia di quella porta!" indicò
il bagno dal quale proveniva il rumore di un getto d'acqua.
"Non lo farò." gli assicurò lui con uno sguardo d'intesa e rimase solo in camera.
Finì
di sistemare le sue cose pensando a Jeremy e Taylor, poi si sedette sul
letto ed estrasse il cellulare dalla tasca, vinto dalla tentazione.
Digitò il numero della sua ragazza e attese una risposta.
Ciao!
Sono Allyson e se era me che stavate cercando, avete scelto il momento
sbagliato! Lasciate un messaggio dopo il bip, lo ascolterò il
prima possibile!
Alex
si schiarì la voce: "Ehm...ciao, Ally. Come stai? Sono Alex."
sospirò. "Al momento sono ancora fuori Bourton. Nonna sta un po'
meglio, ma la devono tenere in osservazione, quindi devo pensare a
starle vicino." deglutì a fatica, era così difficile
mentirle, aveva una voglia pazza di vederla. "Non sai quanto mi manchi,
non vedo l'ora di tornare per recuperare il tempo con te." rimase in
silenzio per un secondo, fissando la parete fatiscente di fronte a lui.
"Ti amo."
Premette
la cornetta rossa e si passò una mano sul viso. Non poteva
continuare a lungo con quella storia, oppure l'avrebbe persa. Allyson
era una persona d'oro e non poteva permettersi di lasciarla andare. Non
se lo sarebbe mai perdonato.
Pensò
che ne avrebbe parlato a Jeremy, che si sarebbe allontanato per qualche
giorno per andare a trovarla. Ma poi il terrore che il suo amico
rimanesse solo, con una ragazza a carico e la pistola di Cordano
puntata alla tempia lo fece sentire ancora peggio.
Se
solo avesse potuto dire ad Allyson la verità, lei lo avrebbe
capito. Lo avrebbe sostenuto. Ma era troppo pericoloso parlargliene.
Avrebbe messo tutti quanti in pericolo, lei in primis.
Qualcuno bussò alla porta.
Alex
si alzò e andò ad aprire sovrappensiero. Non chiese
nemmeno chi fosse dall'altra parte, perché era convinto che si
trattasse di Jeremy, tornato dalla sua passeggiata.
Ma
fu qualcun altro a entrare, prendendolo alla sprovvista e sgusciando
all'interno prima che lui potesse impedirglielo. Tentò di
chiudergli la porta addosso, ma ormai era già entrato e Alex si
era reso conto di aver combinato l'ennesima sciocchezza.
Un
ragazzo robusto e poco più alto di lui lo stava fissando dal
centro della stanza, la postura in tensione e una mano pericolosamente
stazionata nella tasca.
"Chi cazzo sei?" esclamò Alex.
"Dovrei farti la stessa domanda." diede un'occhiata veloce in giro. "Ma credo di poter immaginare."
Alex si spostò impercettibilmente per assicurarsi una migliore posizione davanti alla porta del bagno.
"Non
credevo che Parker si fosse evoluto a tanto." ghignò Richard
squadrandolo con un sopracciglio alzato. "Tu e io siamo alter-ego, sai?"
"Non
compararmi a te e alla feccia per cui lavori." ringhiò Alex,
capendo finalmente con chi stava avendo l'onore di conversare. "Che
cosa vuoi?"
Il riccio gli si avvicinò, minaccioso: "Dov'è la ragazza?"
"Non credo sia molto saggio dirtelo."
"Te
lo devo chiedere per cortesia? Ti ricordo che la tua vita e quella del
tuo amichetto sono nelle mani di Edoardo Cordano e io agisco per suo
conto."
Alex
lo guardò in cagnesco. C'era qualcosa del viso di quel ragazzo
che gli era molto familiare, ma non riusciva a capire cosa. L'aveva
già visto a Bourton, forse?
"Taylor è lì dentro." gli disse, gelido, accennando appena alla porta chiusa del bagno.
"Dovrei crederti?"
"Sì."
Richard
schioccò la lingua: "Mi sembri troppo stupido per essere
lasciato a custodire l'unica cosa che tiene in vita Parker. O anche lui
è un idiota, oppure ignora di aver assunto un braccio destro che
sa solo aprire porte al nemico."
Alex non rispose e abbassò lo sguardo.
"Voglio vederla." disse Richard.
"Al momento non può."
"Posso aspettare." ribatté lui. "Oppure posso togliermi subito il pensiero e dare un'occhiata."
"No!"
Richard cercò di avventarsi sulla porta, ma Alex si mise in mezzo, dandogli un forte spintone e facendolo cadere a terra.
Come
una fortunata coincidenza, proprio in quel momento Jeremy comparve
sulla porta d'entrata, ancora aperta, e si bloccò sullo stipite,
ansimante e sorpreso dalla scena: "Richard! Alex! Che cazzo succede?"
Il
riccio si alzò ripulendosi i pantaloni: "Oh, Parker, che gioia
rivedere la tua lentigginosa faccia. So che mi aspettavi in un altro
momento, ma sono capitato di strada prima e ho pensato di fare una
sorpresa alla nuova coppia." lo schernì accennando ad Alex, teso
dietro di lui. "Mi spiace, non ho portato fiori né cioccolatini.
Ho solo la vecchia calibro 20 nella tasca, ma ho come l'impressione che
i vostri gusti si discostino da certi tipi di presente, vero?"
Jeremy
aggrottò le sopracciglia, confuso: "Come hai fatto a trovarci?
Non ho scritto nulla a Cordano. Non eravamo d'accordo."
"Vi
ho pedinati." rispose lui, con tono di superiorità. "Tornavo da
Bristol e vi ho incrociati a Stroud. Dato che avevo del tempo libero,
ho pensato che avrei fatto un piacere a Cordano anticipando la mia
visita. Così ho seguito il vostro catorcio per un po', prima che
il treno mi facesse rallentare. Pensavo di avervi persi, ma poi l'ho
avvistato nel parcheggio davanti a questo cesso di albergo e ho
aspettato nascosto finché non sei provvidenzialmente uscito da
questa stanza. Peccato che di tutti gli indizi che avete lasciato in
giro manchi quello fondamentale. Dov'è la ragazza?"
"La
ragazza c'è, Richard." sentenziò Jeremy, asciutto. "Sta
facendo la doccia, ma in ogni caso tu non la vedrai. Non mi fido di te
e di quel verme, specialmente ora che so che hai una pistola."
Lo fissava con astio e voleva solo che se ne andasse al più presto. Quel ragazzo portava solo guai, lo sapeva benissimo.
"Paura
del mio grilletto facile?" incalzò, estraendo l'oggetto e
facendolo roteare nella mano. "Nah, è solo una diceria di paese.
Come ho già detto, non credo finché non vedo, dunque mi
basta un'occhiata e sarò soddisfatto. Cordano dice che sei ben
consapevole del rischio che stai correndo e che non faresti cazzate. Ma
onestamente, Parker, io credo che tu ne abbia già fatte fin
troppe di cazzate. Non mi fido di te." di nuovo tentò di
avvicinarsi al bagno, ma venne respinto dal ragazzo.
"Ho detto che sta facendo la doccia." ripeté, inflessibile.
"E allora?" domandò lui, un sorrisetto malizioso sulle labbra.
"E
allora la lasci stare. La vedrai un'altra volta." lo aggredì
Jeremy. "Magari quando deciderò io e quando lei avrà
qualcosa addosso."
"Andiamo,
Parker, voglio solamente vedere se è Taylor Heavens che
nascondete là dietro." gorgogliò con un falso tono
innocente. "Tecnicamente non avrò bisogno di guardare più
in giù del collo per accertarmene."
Jeremy strinse i pugni sentendo il respiro farsi veloce e un'ormai familiare sensazione avvinghiarsi al suo stomaco.
"Però,
a ripensarci, potrei controllare se anche la sua merce vale due
miliardi di sterline o se l'abbiamo sopravvalutata."
"Chiudi
quella cazzo di bocca!" Jeremy non riuscì a trattenersi e diede
a Richard uno spintone che per poco non lo mandò di nuovo a
terra.
Lui
ritrovò stabilità ridendo sprezzante, mentre Jeremy
camminava lentamente verso il borsone per prendere la sua pistola.
"Che maniere, Parker, era solo una battuta! Non ti ricordavo così ben intenzionato."
"Non
sono ben intenzionato, non nei tuoi confronti." afferrò
finalmente l'oggetto e, anche se perfettamente cosciente che non fosse
carico, lo puntò verso Richard.
"La
guardia del corpo, la pistola,...pare che tu abbia imparato qualcosa da
Cordano, dopotutto." non perdeva mai quel tono di scherno; aveva capito
che Jeremy aveva più punti deboli di quelli che mostrasse. "Ma a
quanto pare hai ancora un'anima, tu, e questa fa da ostacolo alla
realizzazione del mio compito. Non credo che Cordano ne sarà
molto contento."
"Ugualmente
non sarà contento del tuo insuccesso." ribatté Jeremy. "O
della tua morte, se hai intenzione di inquinare l'aria di questo motel
ancora un secondo di più."
"D'accordo,
Parker, ora levo le tende." acconsentì, alzando le mani e
facendosi indietro. "Ma permettimi di dire che il tuo galateo lascia
molto a desiderare e non è così che si ricevono gli
ospiti, specie se sono partner in affari."
"Vattene."
ripeté, scuotendo la pistola, il braccio fermo come quello di
una statua, mentre Alex gli si posizionava vicino a braccia conserte,
il volto serissimo.
"Non
è un addio, Parker." fece Richard, arrendendosi e impugnando la
maniglia. "Riceverai notizie da noi molto presto. Ora che abbiamo fatto
parte delle presentazioni, Edoardo e io non vediamo l'ora di
partecipare una bella uscita a quattro." aprì la porta e mise un
piede fuori, ma si fermò, per ritornare un secondo sui suoi
passi. "Rettifico, cinque. E che la quinta sia veramente Taylor
Heavens, oppure i vostri culi salteranno in aria ancor prima che
vediate lei morire."
Mentre
Richard percorreva il vialetto del parcheggio, Jeremy poteva già
immaginarsi la conversazione telefonica tra lui e Cordano. Sarebbe
stato pane per i denti del suo malvivente preferito. Avrebbe preparato
una bella festa per lui.
Ma
d'altra parte non si fidava nemmeno un briciolo di Richard. Per quanto
lo conoscesse, sapeva che sarebbe stato capace di tutto. Con una mente
come quella di Cordano alle spalle, poi, non c'era pericolo che le
pratiche fossero svolte in maniera pacifica.
Aveva
paura che Cordano lo facesse fuori e prendesse Alex e Taylor per
continuare da sé la missione. Aveva paura che Taylor non gli
andasse bene per quel compito, aveva paura della non-collaborazione di
Oliver e dell'imprevedibilità di Richard. Aveva un sacco di
paure e poche energie per affrontarle lucidamente.
"Ehi,
che cosa succede?" la testa di Taylor sbucò dal bagno proprio
mentre Alex chiudeva la porta con un calcio. Jeremy si voltò e
nascose repentinamente la pistola dietro la schiena. La fece scivolare
nella tasca posteriore dei pantaloni, mentre Taylor raccoglieva i
capelli bagnati e si guardava intorno sospettosa.
Il
moro, che sembrava essere appena sceso dalle montagne russe,
aprì la bocca nell'intento di raccontare tutto, ma Jeremy lo
precedette: "Niente, litigavamo."
"Ah sì? A me sembrava che ci fosse qualcuno."
"Ti
immagini le cose, Heavens." se ne uscì lui, mentre Alex ammirava
la sua inespressa abilità nel recitare e si chiedeva
perché si ostinasse a tenerla all'oscuro di tutto.
"Come
ti pare." sbuffò lei. "Senti, Jeremy, non so come dirtelo, ma il
vestitino nero non è più sufficiente alle mie esigenze.
Ho bisogno di qualcos'altro."
Il ragazzo la guardò come se avesse chiesto di cantarle un inno sacro: "Vuoi altri vestiti?"
"Ti
aspetti che vada avanti con questo fazzoletto di finto raso?"
indicò l'abito che stava indossando: "Fa freddo, qui sotto."
Jeremy
sbuffò, lanciandole un'occhiata distratta, il pensiero che
andava in direzioni più preoccupanti. "D'accordo, provvederemo a
trovarti qualcosa. Intanto puoi mettere questa." si sfilò la
felpa grigia e gliela lanciò con noncuranza. "E se non ti
soddisfa, puoi sempre girare in mutande e reggiseno. Per quanto tu
possa essere insopportabile e poco carina, una donna è sempre
una donna."
Lei gli fece una smorfia: "Porco. E pure stronzo." disse, e si chiuse di nuovo in bagno portando la felpa con sé.
Quando
il biondo si girò verso il suo amico, lui lo stava guardando con
un'espressione a dir poco inquietante. Confusa, spaventata e
compassionevole allo stesso tempo. Un mix davvero peculiare su una
bella faccia come quella di Alex.
"Che c'è?"
"Hai appena rischiato di farti ammazzare da Richard perché lui ha alluso alla nudità di Taylor."
"Esatto."
"Spiegami meglio il punto."
"Alex,
lui è un verme." disse, con semplicità. "Sai quanto
esiterebbe a premere un grilletto? A mettere le mani su di noi? Su di
lei? Io sono una persona per bene."
"Jerry."
guardò il biondo negli occhi e poi fece un'espressione che
spiegava il tutto meglio di qualsiasi altra parola. "Tu l'hai rapita."
--------------------------------------------------------------------------
Il
titolo, "Pesce fresco e pensieri bollenti", è giocato sia sul
suono delle parole, sia, appunto, sui pensieri che iniziano a
presentarsi alla mente di Jeremy e in più fa riferimento alle
allusioni poco eleganti di Richard. Che ne pensate dei personaggi? Chi
sono i buoni e chi sono i cattivi?
PUBBLICITA':
Se vi va, passate a leggere le altre mie due storie Io
e te è grammaticalmente scorretto ,
e Io e te è grammaticalmente scorretto 2, di cui, per quanto riguarda la prima, uscirà il libro a marzo 2017!
Se
poi vorrete unirvi al gruppo in cui si sta assieme, si parla di tutto e
si condividono momenti bellissimi, vi basterà iscrivervi e io approverò
la vostra iscrizione a Grammaticalmente
Scorretti
Oppure potete chiedermi l'amicizia su Facebook come Daffy Efp :)
|
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Capitolo 6 *** Holy Light ***
All I want - 6.2
ALL
I
WANT
FOR
CHRISTMAS
IS...
********Holy Light********
"Il
vestitino nero non è più sufficiente alle mie esigenze.
Ecco qui, principessa. Un intero negozio a tua disposizione."
"Scherzi, vero?"
Jeremy
e Taylor si trovavano davanti a una vetrina che faceva angolo, nel bel
mezzo di un incrocio deserto, alle nove di mattina. L'insegna cadeva a
pezzi e l'entrata era sbarrata da una tavola di legno orizzontale.
"È
un negozio che vende abiti di seconda mano." spiegò
semplicemente lui. "Sua Maestà si troverà un po' a
disagio, ma il servo non può offrirle di meglio. Nel caso
decidiate di tagliarmi la testa vorrei lasciare la mia eredità,
cioè nulla, ad Alex."
"Come diavolo hai trovato questo buco, si può sapere?"
"Ho cercato il meglio per te, Taylor."
La ragazza lo fissò con intenzioni omicide.
Jeremy
ridacchiò divertito: "Una volta era una rinomata pellicceria e
mia nonna ci veniva per farsi fare le pellicce su misura."
rabbrividì al pensiero delle pellicce, poi al pensiero di sua
nonna, poi al pensiero di sua nonna con una pelliccia. "Viaggiavamo da
Bourton fino a Stroud sulla sua carriola piena di fumo solo per venire
in questo posto. Un vero orrore. Poi la proprietaria morì e l'
'Emporio della pelliccia' non rimase che una vecchia gloria, sostituita
dall' 'Emporio della seconda mano'. O 'Mporo dlla sconda ma', se
vogliamo guardare l'insegna."
Taylor
scoppiò a ridere e Jeremy ne fu sorpreso. Non si aspettava di
divertirla con il suo racconto, ma ciò fece sorridere anche lui
e sistemò la situazione in un'inconsueta atmosfera pacifica.
Si
avvicinarono alla piccola bottega e Jeremy batté sul legno.
Taylor si aspettava di non ottenere alcuna risposta, invece dopo
qualche secondo una ragazza si affacciò all'entrata e sorrise:
"Posso esservi utile?"
Per quanto Taylor riuscisse a vedere dalla fessura, notò che aveva un aspetto giovanile, anche se un po' trasandato.
"Dovremmo comprare dei vestiti." disse Taylor, un po' in soggezione dalla sbarra di legno. "Siete...aperti?"
La ragazza sgranò gli occhi scuri: "Siamo aperti? Uhm...beh, certo. Certo che siamo aperti."
Taylor e Jeremy si scambiarono un'occhiata.
La
ragazza, sorpresa di avere davanti a sé un paio di nuovi
clienti, levò il legno e controllò a destra e a sinistra
come per accertarsi che non fosse uno scherzo: "Prego, entrate pure."
Si
fecero avanti, Taylor più timidamente, ed entrarono attraverso
una doppia porta. Il negozio era molto spazioso; si intuiva che in
passato doveva aver ospitato un considerevole business, ma ormai le
pareti erano annerite e gli angoli occupati da montagne di scatoloni
accatastati. La merce era disposta al centro del negozio, in maniera
ordinata lungo scaffali ed espositori. Taylor dovette ammettere che, a
eccezion fatta per l'aspetto un po' decadente, quel negozio non
sembrava poi così male. L'organizzazione e la varietà dei
capi a disposizione risvegliarono in lei una voglia di shopping che
negli ultimi giorni si era per forza di cose assopita.
"Sono
molto lieta che abbiate scelto il nostro negozio. Posso...ehm, posso
aiutarvi?" la ragazza, non abituata a trattare con clienti saltuari e
sconosciuti, se ne stava in piedi davanti a loro, mentre si torturava
le mani in grembo.
"No, grazie." le sorrise Taylor. "Darò un'occhiata."
Anche se abbastanza strana, pensò, quella ragazza le infondeva una certa simpatia.
Jeremy
si allontanò verso un espositore di foulard dalla parte opposta
della stanza; le aveva lasciato quaranta sterline e le aveva, come al
solito, intimato di non parlare troppo, né di uscirsene con
strane trovate. Non aveva avuto bisogno di ricordarle la sua promessa;
Taylor l'aveva molto ben presente da quella sera all'hotel di
Cirencester.
Da
un lato, si sentiva in soggezione sapendo che Jeremy portava sempre con
sé la sua pistola, dall'altro faticava a immaginare che, anche
se l'aveva minacciata, sarebbe stato capace di usarla. Dopo quella
chiacchierata al loro arrivo a Stroud la percezione che aveva di lui
era leggermente cambiata. Secondo una sua personalissima teoria, la
pistola serviva a Jeremy per difendersi e non per attaccare,
perché, sempre per una sua personalissima teoria, Jeremy subiva
molti più attacchi di quanti ne sferrasse.
Ma
era sempre e comunque troppo misterioso, dunque tutte quelle di Taylor
non erano che supposizioni. E non voleva esagerare con le supposizioni;
dopotutto, Jeremy l'aveva rapita, drogata e minacciata di piantarle una
pallottola nelle gambe.
"Scusami?" qualcuno bussò sulla sua spalla, facendola sobbalzare.
"Ehi, che paura!" sorrise alla commessa, mentre riponeva la maglietta sullo scaffale.
"Persa in qualche piacevole pensiero?" le chiese la giovane.
"Nah, solo indecisa." mentì Taylor, riferendosi ai vestiti.
Lei tese la mano cicciottella, scoprendo l'apparecchio per denti: "Mi chiamo Joanne."
Taylor
rispose alla stretta, cercando di suonare amichevole e chiedendosi se
per caso non ci fossero volantini sulla sua scomparsa e lei l'avesse
riconosciuta: "Taylor." si presentò, quasi temendo la sua
reazione.
"Credo che io e te abbiamo la stessa età, sai? Io ho vent'anni." esclamò, allegra.
"Diciannove."
"Figo e il tuo amico, invece?" s'informò Joanne incollando gli occhi alla figura di Jeremy che spuntava tra gli scaffali.
"Ehm...ventidue, credo." buttò lì Taylor. "Comunque non siamo propriamente amici."
"Oh.
Capisco." Joanne rimase in attesa, sperando che Taylor si spiegasse
meglio, ma la sua nuova cliente non aggiunse altro, così prese
fiato e proseguì. "Sono davvero felice che abbiate scelto il mio
negozio. Seriamente." sorrise facendo scintillare l'apparecchio.
"Sicuro." accondiscese Taylor, tornando a guardare i maglioni.
"Sai, noi non siamo troppo abituati a ricevere clienti 'normali', se mi passi il termine."
Taylor
pensò che quella ragazza fosse fin troppo loquace e la
guardò in modo scocciato, ma poi incrociò i suoi occhi
bisognosi di compagnia e si dispiacque.
"Che intendi dire?" si sforzò di darle retta.
"Beh,
solitamente vendiamo solo alla clientela che ci ha lasciato in
eredità nostra nonna. Cioè, intendo, quello che ne
è rimasto. Dopo che ha chiuso con la pellicceria, se ne sono
andati via tutti e hanno continuato a comprare da noi solo quelli del
mercato settimanale. Ogni tanto portiamo qualcosa alle ragazze del
centro immigrati e ai bambini dell'orfanotrofio di Stroud, com'era
solita fare nonna con le rimanenze di mercato."
"È comunque un nobile commercio." la incoraggiò.
"Sì,
anche se il mio sogno è sempre stato di aprire un emporio come
quello di nonna. Magari senza pellicce, però quando mi ha
lasciato in gestione il suo lavoro, l'intenzione era di spopolare e
attirare un sacco di clienti. Immaginavo che sarebbe venuto qualcuno di
famoso e che mi avrebbe messo sul giornale, che avrei fatto della
seconda mano la moda del momento. La verità, però,
è che qui non passa mai nessuno ed è per questo che vi
sono grata."
Taylor
annuì, gentile: "In effetti è un po' nascosto,
però è molto carino. Vendi prodotti buoni, forse dovresti
lavorare un po' sull'esterno."
"Dici?"
le si illuminarono gli occhi, come se aspettasse quel momento da una
vita. "I vestiti li scelgo personalmente, dalle persone che me li
portano. Beh...è da tempo che qualcuno non me ne porta di nuovi.
Questi sono di qualche stagione fa." aggiunse indicando colpevolmente
il maglione che Taylor aveva appeso al braccio.
"Sono
comunque confortevoli." ostentò Taylor, definitivamente seccata.
Insomma, voleva trovare dei vestiti, non chiacchierare con la commessa,
anche se lei sembrava non avere la minima intenzione di lasciarla in
pace.
"Allora se non siete amici, cosa siete?" se ne uscì Joanne.
"Come?"
"Voglio dire, tu e il ragazzo biondo...siete...?"
Taylor la fissò per qualche istante e poi scoppiò a ridere: "Insieme? No, figurati. Tutt'altro."
"Ah." si stupì. "Lui non ti piace?" chiese, quasi scandalizzata.
"No." rispose lei in automatico, ma si sentì stranamente in imbarazzo.
Le
sembrò che Joanne tirasse un sospiro di sollievo:
"Quindi...uhm...lui sarebbe...insomma, si può considerare
libero?"
La fissò di nuovo, non riuscendo a trattenersi. Joanne ci voleva provare con Jeremy?
Il
suo sguardo saettò proprio sul ragazzo, intento a esaminare le
sciarpe con fare serio e soppesante. Jeremy e Joanne, questa sì
che era bella! A Taylor venne da ridere solo al pensiero.
Jeremy,
a cui veniva l'orticaria solo a sentir parlare troppo la gente, sarebbe
morto con a fianco una come lei. Per quanto potesse essere carina e
gentile, l'avrebbe sicuramente fatto impazzire con la sua logorrea
cronica e lui sarebbe finito per impiccarsi dopo cinque secondi di
dialogo.
A quel pensiero, un sorrisetto malvagio spuntò sul volto di Taylor.
Guardò
di nuovo Joanne, poi Jeremy e poi decise che doveva cogliere la palla
al balzo: "Se è libero? Liberissimo!" sorrise, maliziosa,
abbassando la voce. "Anzi, Jo, se ti posso chiamare così, mi
confidava giusto l'altro giorno che è in urgente ricerca di una
fidanzata. Una matura, con le idee chiare, una che sa cosa vuole."
Gli occhi scuri della giovane si illuminarono e scambiarono un'occhiata con quelli furbi di Taylor.
"Sul serio?" si emozionò. "Oh mio Dio, potrei essere io!"
"Assolutamente."
"Lo pensi davvero?" trillò, speranzosa. "Oddio, è una vita che desidero presentarmi!"
"Una vita?" chiese Taylor, confusa.
"Sì,
certo!" cinguettò, estasiata. "Non è la prima volta che
lo vedo a Stroud, quando era bambino veniva sempre all'emporio di
nonna, poi è sparito e ho iniziato a vederlo di nuovo da
adolescente, all'orfanotrofio."
"All'orfanotrofio." ripeté Taylor, in un'implicita richiesta di conferma.
"Sì,
quando andavo con nonna a portare le rimanenze di mercato lui era
sempre lì. E com'era bello..." commentò con aria
sognante. "Lo spiavo dal finestrino del furgone mentre stava a fumare
di nascosto sul terrazzo."
"Ah."
"Non so nemmeno come si chiama. Come si chiama?"
"Jeremy."
"Jeremy!
Oddio, che bel nome! Jeremy." ripeté come se stesse recitando
una formula magica. "Quindi, secondo te, se ci vado a parlare..."
buttò lì, sistemandosi la maglia sulla scollatura. "Se
vado da Jeremy e mi presento, insomma...Joanne e Jeremy suona molto
bene. Che ne pensi, ci vado? Oi, Taylor, ci sei?"
La ragazza si scrollò e annuì, incoraggiante: "Certo."
"Che figata. Allora io vado, eh."
"Vai."
le fece l'occhiolino. "E ricorda che adora le ragazze curiose, che
hanno molto da dire, perciò parla tanto e fagli un mucchio di
domande."
"Ricevuto! Grazie, Taylor." le strinse nuovamente la mano e partì a passo di marcia.
La
mora si appostò dietro un espositore di pullover e si godette la
faccia seccata di Jeremy appena la ragazza gli porse la mano,
interrompendo i suoi pensieri: "Ciao, Jeremy, mi chiamo Joanne."
Sperando
che la vendetta di Jeremy non sarebbe stata troppo atroce, Taylor
tornò a scarpe e maglioni e lasciò che Joanne si
occupasse di lui. Aveva delle nuove informazioni su cui riflettere, uno
spiraglio di speranza per iniziare a capire qualcosa del suo introverso
e taciturno rapitore.
Ovviamente
quella notizia l'aveva sconvolta, ma le aveva anche fornito una sorta
di appiglio. Se Jeremy era lì, forse la ragione era da ricercare
nel suo passato e Taylor l'avrebbe fatto. Perché sì,
perché in fondo quel Jeremy l'aveva incuriosita sin dal primo
momento e, ancora più in fondo, l'idea di sapere qualcosa di
importante su di lui, inconsciamente, la attirava.
Dopo
ben un'ora, Jeremy ricevette una chiamata di Alex, preoccupato che
nessuno fosse ancora tornato, e fu proprio grazie a quella che
riuscì a schiodarsi Joanne di dosso.
Le
disse che dovevano andare all'ospedale per trovare un caro amico e che,
purtroppo, non poteva più continuare quella piacevolissima
conversazione. Uscirono dalla bottega con scarpe e vestiti nuovi per
Taylor e un completo intimo in omaggio per Jeremy.
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"No,
non ti faccio da palo." disse Jeremy a denti stretti mentre si
avviavano verso la macchina, attenti a non scivolare sulla neve.
La
sera precedente c'era stata una bella nevicata e loro dovevano
attraversare tutto il parco prima di raggiungere il parcheggio della
povera Betsie. Per questo motivo Taylor aveva appena chiesto a Jeremy
che si fermasse e le facesse da appoggio mentre lei si cambiava quegli
odiosi tacchi.Aveva appena comprato un paio di sneakers; le avrebbe
volentieri sostituite a quelle trappole con la suola che Allyson le
aveva prestato. O quello, o una rovinosa scivolata sul sentiero
ghiacciato.
"Eddai, Jeremy, ti prego!"
"No."
"Perché no?"
"Perché
sei subdola, perché mi hai appioppato un'oratrice più
feroce di te e perché voglio vederti soffrire."
"Beh, sei uno stronzo." lo accusò.
Il
ragazzo la guardò di traverso poi proseguì per il
vialetto, dandole le spalle e lasciandola sola con il suo broncio.
"Sai cosa?" insistette lei, disperdendo l'eco nel parco deserto. "Joanne non ti meritava!"
"E
io non meritavo te, ma il destino è crudele." alzò le
spalle, continuando imperterrito a camminare mentre reggeva le borse
dei nuovi acquisti.
"Jeremy,
torna qui! Dammi una mano!" lo implorò Taylor, facendosi venire
il broncio. "Se cado e mi faccio male che fai, eh? Come lo spieghi a
Oliver?"
Il
ragazzo si fermò di colpo e sbuffò espirando sonoramente.
Quella ragazza ne sapeva una più del diavolo, dannazione. Si
voltò e tornò sui suoi passi per accontentarla; sapeva
che se non lo avesse fatto, lei avrebbe continuato a lamentarsi o si
sarebbe fatta male di proposito. E allora sì che, come gli aveva
appena ricordato, sarebbero stati guai.
"Questa
me la paghi, mocciosa." disse piantandosi di fianco a lei con le
braccia incrociate. "Soprattutto la trovata della commessa
logorroica...come se tu non blaterassi già a sufficienza."
La ragazza non se lo fece ripetere due volte e si aggrappò alla sua spalla sfilandosi la scarpa con sollievo.
"Sareste
stati bene, assieme." lo provocò con un sorriso di sfida. "Lei
sarebbe stata la metà socievole, buona, gentile e tu la
metà stronza."
"Non credo sarebbe durata con uno come me."
"Tu non saresti durato."
"Oh,
io ormai posso gestire gli sproloqui egregiamente, dato che grazie a te
ho sviluppato un'ottima tolleranza." sorrise lui. "Però alla mia
bellezza sconcertante il suo cuore non avrebbe retto."
"L'unica cosa di sconcertante che vedo in te è l'immodestia."
"Dici?"
Jeremy si girò di scatto, fissando i suoi occhi maliziosi sul
volto di Taylor, che si trovava a pochissimi centimetri da lui.
La
ragazza, completamente impreparata a quel gesto diretto, arrossì
e rimase impalata con la gamba a mezz'aria, il piede scalzo e una
scarpa nella mano.
Vedere
Jeremy così da vicino le sparò il cuore direttamente
nella gola; un po' per la soggezione che provava nei suoi confronti e
un po' per la sua – e sì, qui doveva ammetterlo –
bellezza. Poteva osservare senza fatica le sue iridi immacolate e
così azzurre da farle venir voglia di usarle per sostituire il
cielo.
E
poi sentiva il calore della sua bocca così vicino che di colpo
l'inverno attorno a loro svanì. Poteva bearsi di quel tepore
naturale, di quel respiro impalpabile e inebriante che avrebbe
volentieri condiviso, di quel profumo autentico e complesso che non le
avrebbe mai più ricordato niente di diverso da Jeremy.
"Lor."
sussurrò Jeremy a un palmo di naso da lei, guardandola
intensamente e facendo scivolare il suo respiro lungo i pendii delle
sue guance.
"Sì?"
"Vaffanculo."
Jeremy le posò un un dito sul petto e, senza staccare gli occhi
dai suoi, la spinse all'indietro, facendole perdere l'equilibrio e
facendola rovinosamente cadere nella neve.
"Jeremy!"
strillò lei, soffrendo l'improvviso e spiacevole contatto col
freddo, mentre Jeremy prorompeva in una grassa risata.
"Sei proprio uno stronzo! Come ti sei permesso?"
Cercò
immediatamente di rialzarsi, piagnucolando e imprecando perché
aveva le gambe e un piede nudi. Il ragazzo rise di gusto, divertito nel
vederla dimenarsi goffamente e continuare a scivolare sulla neve,
sbattendo ogni volta il sedere e lamentandosi.
"La vendetta va consumata fresca, principessina di ghiaccio."
"Vaffanculo!"
Taylor non ci mise molto a creare una palla di neve e la scagliò
senza pensarci due volte sul volto di Jeremy, beccando l'orecchio.
"Ahi!
Che diavolo fai?" berciò lui, tastandosi il punto colpito e
cercando di tirare via la neve, ma Taylor lo colpì di nuovo e
stavolta lo centrò in pieno viso.
"Centro!" esultò lei.
"Dacci un taglio, Heavens!" tuonò Jeremy, senza riuscire a mascherare una risata che nacque nel suo stomaco.
Taylor
non gli diede la minima retta e approfittò della sua temporanea
cecità per improvvisare una raffica che lo fece indietreggiare.
Jeremy
fu preso alla sprovvista e mollò la presa sulle borse,
lasciandole cadere mentre cercava di difendersi con le braccia. Quando
il suo metodo non fu più sufficientemente efficace, decise di
passare al contrattacco e si lanciò su di lei, sfidando la
pioggia di palle di neve.
Si
gettò a terra cercando di afferrarla, ma Taylor
indietreggiò, bagnandosi il sedere e ridendo dell'espressione
irritata di Jeremy. Quando finalmente il ragazzo riuscì ad
afferrare la sua caviglia, fu facile per lui tirarla e farla scivolare
sulla neve finché non l'ebbe proprio sotto si sé, le
guance e il naso arrossati, gli occhi che scintillavano per
l'adrenalina e il divertimento.
Anche
negli occhi di Jeremy c'era una luce diversa e quasi magica. Chi lo
conosceva avrebbe detto che mai aveva visto una tale espressione
disegnata sul suo volto duro e rigido. O per lo meno, mai in molti e
molti anni. Sembrava essere tornato bambino, sembrava essere il bambino
che non era mai stato.
Nel
bel mezzo del parco la cui superficie innevata era ormai segnata dalla
battaglia, ognuno di loro ascoltava il proprio cuore e lasciava che il
pensiero fluisse liberamente, passando per i toni caldi color
cioccolato delle iridi di Taylor e immergendosi in quelli congelati nel
tempo di Jeremy.
Taylor
aveva visto per la prima volta un lato del carattere di Jeremy che
pensava non esistesse. L'aveva visto divertirsi e ridere
spensieratamente, anche se solo per pochi minuti. Lei stessa era stata
capace di dimenticare per un momento tutte le sue angosce e si era
sorpresa di sentirsi così felice e serena. Non pensava che
sarebbe mai stato possibile, fintanto che avesse avuto quel ragazzo tra
i piedi, e invece le stava accadendo. Si stava sentendo bene; era
così strano.
Al
contrario, Jeremy stava pensando all'arcobaleno di emozioni che Taylor
riusciva a fargli provare. Emozioni che non aveva mai provato o a cui
aveva sempre resistito, come la paura, lo smarrimento, la confusione,
la gioia, la serenità, la voglia di ridere. E passava
così da un estremo all'altro, dall'emozione più bella a
quella più insopportabile, senza avere la possibilità, in
questo gran marasma, di decidere da sé. Rideva così,
spontaneamente, e si arrabbiava, perché quando lei era con lui
si sentiva bene e poi si sentiva male, e ancora, tutto daccapo. Era
un'altalena di sentimenti contrastanti che lui non riusciva a gestire e
che lo stavano lentamente portando, se lo sentiva, verso la rovina.
"Sei una mocciosa decisamente insopportabile." le disse con il fiatone, godendo della sua posizione di vantaggio sopra di lei.
"E tu sei un rapitore decisamente scarso."
"Però sono immensamente bello. Coraggio, ammettilo."
Lei
scosse la testa, muovendo la neve incastrata tra i ciuffi castani che
Jeremy sembrò notare per la prima volta. Gli piacevano i capelli
di Taylor, davano l'aria di essere morbidi e fortunatamente più
disciplinati di lei.
"Lor,
non mi fai fesso facilmente." alzò un sopracciglio. "Non ti
lascerò andare finché non ammetti che Jeremy Parker
è il più bello, in gamba, magnifico e intelligente. A
costo di vederti congelare sotto i miei occhi."
"Sempre ricatti, Jeremy."
"Oh, io adoro i ricatti."
"Chissà perché l'avevo notato."
"Con te funzionano."
"Beh,
piaci molto più a Joanne che a me." bofonchiò lei, a
disagio sotto quell'azzurro divertito e inquisitore. Poi le
tornò alla mente qualcosa e decise di azzardare una proposta:
"Se lo ammetto, poi tu rispondi a una domanda?"
"Un ricatto sul ricatto? Carino."
"Jeremy."
la ragazza deglutì indecisa su quale delle sue mille lentiggini
posare lo sguardo, poi prese coraggio e glielo chiese. "Perché
eri in un orfanotrofio?"
Il
ragazzo, sorpreso da quella domanda, si ritrasse e spostò lo
sguardo, come se di colpo quello di Taylor fosse diventato
insostenibile. Pensò febbrilmente a come una tale informazione
potesse essere giunta all'orecchio di Taylor e poi realizzò che
doveva essere stata Joanne. Per forza doveva essere stata lei; in uno
dei suoi mille racconti gli aveva accennato che era di Stroud e che
l'aveva visto spesso da piccolo.
Ecco,
aveva rovinato tutto. Quella domanda fu come una secchiata di acqua
gelata in faccia; si rese conto che era nei guai fino al collo e che
non stava facendo altro che lasciarsi condizionare troppo, esponendosi
incoscientemente come mai si era permesso in vita sua. Lui non poteva
assolutamente concedersi il lusso di essere vulnerabile, di far
conoscere il suo passato. Non lo aveva mai fatto, era sempre riuscito a
evitarlo e ora tutto stava crollando a causa di una semplice ragazzina.
Lui stava crollando e lei sì, non era non era altro che una
semplice ragazzina, da cui dipendeva tutta la sua vita.
Taylor lo vide tornare repentinamente serio, come se l'inverno fosse calato di colpo su di lui.
"Non
sono affari tuoi." le rispose secco e si staccò da lei,
rimettendosi in piedi in un batter di ciglia. Ecco il Jeremy di sempre,
pensò, scontroso e prepotente. Era troppo bello per essere vero.
"Andiamo, Alex ci aspetta." disse poi, raccogliendo le borse con i
vestiti.
"Aspetta, Jeremy! Che ho detto di sbagliato? Jeremy!"
Ma
lui non le diede retta, ormai si era già incamminato verso
l'uscita del parco, le spalle rigide e contratte, gli occhi
completamente svuotati da quella scintilla di magia.
Taylor
si alzò a fatica, ripulendosi come meglio poté e finendo
di indossare le sue nuove sneakers. Lo seguì in silenzio,
arrabbiata e mortificata, guardando i suoi capelli bagnati ondeggiare
secondo il ritmo dei passi. Non seppe perché, ma appena
salì nel silenzio ostile dell'auto, pensò a Tessy e a
cosa stesse facendo in quel momento, tutta sola a Bourton.
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"Papà?" Tessy bussò alla camera di suo padre, chiusa dalle sei di mattina. Di domenica mattina.
"Papà, devo uscire per le prove della messa."
La porta finalmente si aprì e rivelò un Oliver stanco e in disordine: "Ciao, gioiello."
Tessy gli sorrise, premurosa: "Va tutto bene?"
"Sì, certo. Ti accompagno." raccolse la sua giacca dall'appendiabiti e prese le chiavi della macchina.
"Che stavi facendo là dentro?"
"Lavoro." rispose lui con un'alzata di spalle.
Era
da quando aveva saputo di Taylor che Tessy lo vedeva giù di
morale. Si comportava in maniera strana, si chiudeva in camera per ore,
tornava tardi da lavoro e, quando lei gli chiedeva notizie della
sorella, evitava l'argomento o se ne usciva con un semplice "niente di
nuovo".
A
volte le veniva d'istinto rivelargli che non era solo in questo
compito, che lei e Allyson avevano contattato la polizia e che si
stavano muovendo con tutta attenzione sul loro caso, ma non trovava il
coraggio. Aveva paura che lui si arrabbiasse e che pensasse che lei non
gli desse abbastanza fiducia.
Non
era una questione di fiducia, Tessy aveva piena considerazione delle
capacità di suo padre, ma in un momento del genere bisognava
assolutamente affidarsi a chi di mestiere. Non c'erano alternative e la
situazione era molto più grave di quanto sembrasse, a detta
della polizia.
Non
capiva perché suo padre fosse contrario a farsi aiutare. Due
giorni prima, in centrale, era stato un sollievo potersi rimettere
nelle mani degli esperti. Lei e Allyson avevano parlato con Bob Gaynor,
il responsabile della denunce per scomparsa; era stato molto
professionale e aveva dato loro la speranza che cercavano.
Dopo
essersi accertato che fossero maggiorenni, aveva chiesto loro di
fornirgli più dettagli possibili e di indicargli ogni orario e
conoscenza. Aveva registrato tutti gli appunti e, dopo essersi fatto
dare i loro numeri di telefono, aveva garantito loro che avrebbe subito
messo all'opera la sua squadra.
Entro
pochi giorni avrebbero saputo fornire le prime notizie e lei doveva
assolutamente avvisare suo padre. Solo che non sapeva come. Ci aveva
provato già un paio di volte, ma lui era distaccato, distratto e
non dava segno di voler entrare in argomento "Taylor".
Forse
ne stava soffrendo più di quanto ci si potesse aspettare, aveva
pensato, o forse era scocciato per il fatto che non riuscisse a
trovarla con i suoi mezzi. Fatto stava che ora entrambi erano immersi
in un silenzio tombale, all'interno della lussuosa auto nera.
La
radio, che solitamente si trovava sintonizzata su un canale di musica
classica, era muta e indifferente, il cielo grigiastro tutt'intorno non
faceva che rendere l'aria ancor più deprimente. Inutile negare
che Tessy fosse molto preoccupata; se c'era una persona con cui non si
poteva andare in depressione, quella era proprio Oliver Heavens. Che
gli stava succedendo?
"Eccoci
qui, oggi verrà solo mamma alla messa, io devo sbrigare una
faccenda in ufficio." disse fermando l'auto davanti alla chiesa.
"Va bene." rispose Tessy, prendendo il suo violino. "Buona giornata, papà."
"Buona giornata, gioiello."
Guardò
la ragazza scendere e sorridere alla sua amica Allyson che la stava
aspettando fuori dall'entrata. Riaccese il motore e si diresse alla
Money House.
Sapeva
che l'avrebbe trovata vuota, perché di domenica mattina tutti i
banchieri rimanevano a casa, con la propria famiglia, il proprio letto
e la propria tranquillità. Lui di tranquillità non ne
provava da giorni, purtroppo. Né riusciva a dormire, né
aveva tempo per la sua famiglia.
Pensava
a un modo per trovare quei soldi e stava ore a fissare il telefono
nell'attesa che una chiamata gli dicesse che era tutto uno scherzo, che
ci era cascato e che aveva vinto due milioni di sterline per aver
contribuito a far ridere qualcuno. Ma più il tempo passava,
più questa speranza diminuiva.
Allora
si concentrava a trovare un modo per far soldi su internet, a cercare
gente disposta a spendere due milioni di sterline per un orologio d'oro
o un impianto audio ben funzionante, ma non c'era nessuno pronto a fare
un miracolo per lui. Doveva vendere la sua casa, la sua macchina e la
baita in montagna. E forse avrebbe raggiunto quella cifra.
E
poi? Poi avrebbe dovuto cambiare tutta la sua vita. Tessy avrebbe
dovuto accontentarsi di un appartamento in centro, senza più la
piscina, Martha avrebbe dovuto smettere di comprare pellicce e disdire
tutti gli abbonamenti a quelle riviste su quale colore di smalto
andasse più di moda.
Spense
il motore sul suo posto auto, scese e sospirò ammirando
l'edificio a più piani. Da lì riusciva vedere le vetrate
del suo ufficio, al piano più alto, proprio sotto la H
dell'insegna rossa "Money House". Avrebbe perso anche il posto di
dirigente, una delle cose a cui teneva di più al mondo. Si sa,
era un grado alto, che veniva dato a chi godeva di prestigio e buoni
fondi.
Fortunatamente,
sapeva già a chi lasciare le redini della Money House. Aveva
tanti progetti per il suo business, ma li avrebbe riposti nelle mani di
Edoardo, suo fidato collaboratore. Solo qualche giorno prima aveva in
progetto per lui un trasferimento, data la sua età e l'esigenza
di ringiovanire il personale, ma ora sarebbe stato felice –
almeno l'unico in tutta quella faccenda – di mantenere il suo
posto e di vedere una possibilità di ascesa nella carriera.
Salì
in ascensore e si diresse all'ultimo piano, dove la solita segretaria
era impegnata a sistemare palline e alberelli in ogni angolo.
"Buongiorno, Kate." salutò. "Al lavoro anche di domenica?"
"Sì."
sorrise la ragazza, sistemandosi i ciuffi biondi. "Mia figlia Hannah
è in montagna con un'amica e mio marito oggi è d'aiuto a
ritinteggiare il ristorante, così ho pensato di venire ad
attaccare qualche addobbo."
"Ottima
idea." le sorrise ed entrò nel suo ufficio, sentendosi
terribilmente in colpa anche per lei e per il suo destino. Avrebbe
sostituito Cordano, se solo non fosse successo ciò che era
successo. Le avrebbe fatto una bellissima sorpresa di Natale e avrebbe
dato beneficio alla sua giovane famiglia. Ma ora realizzò che
non sarebbe stato possibile; sarebbe rimasta ad addobbare stupidi
alberelli all'ultimo piano di domenica mattina per altri innumerevoli
anni.
Il
suo ufficio era impeccabilmente pulito e in ordine. Una montagna di
scartoffie lo attendeva per il lunedì, ma fece finta di non
notarle e si sistemò al computer. Scrisse qualche e-mail agli
affiliati, doveva assolutamente spedire gli auguri di Natale, e diede
una controllata alle offerte per l'orologio. Tre mila sterline. Era
questo il massimo che riusciva a ottenere?
La
porta dell'ufficio si spalancò e un ometto basso e grassottello
fece il suo ingresso reggendo alcuni fogli. Era poco più vecchio
di Oliver, con un naso enorme e il viso sorridente: "Oliver! Speravo di
trovarla qui!" esclamò raggiungendo la scrivania.
Lui oscurò il sito di vendite online e sorrise al suo collaboratore: "Buongiorno, Frank."
"Ottime
notizie, Oliver, ottime notizie." annunciò l'uomo, tutto gasato.
Rifilò il foglio sotto il naso di Oliver e gli disse di leggere
attentamente.
Dopo pochi secondi, il suo capo alzò gli occhi e lo guardò smarrito: "Che roba è?"
"Ma
non capisce?!" sbottò lui, risoluto. "È l'approvazione
dell'Universal Credit. Siamo nei primi cinque della regione! L'affare
è concluso, Oliver!"
Lui
lo squadrò con i suoi occhi grigi: "L'affare? Vuoi dire quello a
cui lavoriamo da nove mesi? Siamo in accordo con la Universal?"
"Può dirlo forte."
Oliver
si lasciò cadere sulla sedia: "Siamo nei primi cinque!"
esultò in un misto di incredulità e soddisfazione.
Finalmente le sue orecchie sentivano una notizia positiva. "Ottimo
lavoro, Frank."
"Oh,
no, capo. Il lavoro è tutto suo." rilanciò l'altro,
modesto e sincero. "Ma si rende conto? Ora godiamo di una sicurezza
indiscutibile, siamo sotto l'ala della Universal! Lei è un uomo
veramente in gamba, se lo lasci dire. Nessun dirigente in tutto il
Cotswolds è riuscito a convincere quella banca, ma lei...lei
è un oratore nato; un banchiere nato. Le siamo tutti grati, mi
creda Oliver."
L'uomo gli sorrise, felice di ricevere quei complimenti, ma allo stesso tempo malinconico come poche volte in vita sua.
"Sa,
Oliver, se decidesse di andarsene ora dalla Money House le darebbero
almeno un miliardo di sterline. E da qui in avanti lei varrà
ogni giorno di più! Al momento del suo congedo sarà
riconosciuto con un premio impareggiabile." gli fece l'occhiolino,
sinceramente ammirato dalla competenza e professionalità che
Oliver non cessava mai di dimostrare. "Grazie a questo accordo la sua,
e, diciamocelo Oliver, anche la nostra pensione sarà sufficiente
a figli e nipoti finché non ci rinchiuderanno nella bara!"
Oliver
lo fissò, rapito. Era rimasto al milione di sterline con sguardo
da trota e il cuore che martellava. Aveva sentito bene?
"Frank, dici sul serio? C'è davvero un riconoscimento per i dirigenti?"
L'uomo
si grattò il mento: "Com'è sempre stato, signor Heavens.
A ogni buon dipendente la banca offre sempre un premio di congedo. A
ogni buon dirigente, un gran bel premio."
Oliver
si morse il labbro, riducendo i suoi occhi a fessure. Forse qualcuno
gli stava servendo la soluzione su un piatto d'argento, perché
un piano, ben delineato e funzionante, era appena apparso alla sua
mente. Doveva solo trovare il coraggio di afferrare l'occasione senza
ripensamenti.
"Tutto bene, capo? La vedo pensieroso."
"Bene, sì, bene." fece lui, alzandosi e lasciando la sedia a girare. "Credo che andrò a casa a meditare."
"Meditare? Su cosa, se posso permettermi?"
"Sugli
errori a cui potrei ancora rimediare." recitò, solenne,
guardando Frank, ma non vedendolo realmente. Aveva appena pronunciato
un'altra frase da film; era un buon segno.
"Bene, allora...ehm, a domani, Oliver."
"Arrivederci, Frank."
E
proprio come un attore che lascia il palco mentre cala il sipario,
Oliver lasciò il suo ufficio, dirigendosi verso un posto in cui
avrebbe potuto riflettere in libertà. Era ansioso di mettere a
punto la sua idea e, sì, emozionato. Perché forse –
forse, pensò piano nella sua testa – non tutto era perduto.
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"Oggi
è domenica." Taylor ruppe il silenzio, mentre Alex e Jeremy
addentavano i loro panini, concentrati a non lasciar cadere nemmeno una
foglia di insalata.
"E allora?" borbottò il biondo.
"C'è la messa, no?" se ne uscì Alex.
"Grazie, Alex."
"Per la cronaca, la quarta messa d'avvento." precisò Taylor.
"E allora?" chiese di nuovo Jeremy.
"È l'ultima prima di Natale." gli rispose Alex masticando l'ultimo boccone.
"Grazie. Alex."
"È
davvero importante, non ne ho saltata una da quando hanno iniziato a
portarmi in chiesa da piccola." spiegò lei con aria saputa.
"Wow, che vita da sballo."
"Jeremy, la religione è una parte fondamentale della mia vita."
"E allora?"
"Sai, credo che voglia andare a messa oggi." disse Alex.
"No, vuole andare a pascolare le mucche sull'Himalaya! Certo che lo so, Alex, non sono un deficiente."
"E allora perché continui a dire "e allora"?"
"Alex, giuro che ti arriva un cazzotto, ok?"
"Oh,
vuoi fare a botte? Non ti conviene, biondo. Ti spezzerei come uno
stuzzicadenti con quelle gambe anoressiche che ti ritrovi."
"Ti prego, ricordami perché sei venuto con noi."
"Perché il bambino speciale aveva bisogno della sua balia."
"Oh, che divertente."
"Ragazzi!"
li richiamò Taylor, troncando l'amorevole discussione con tono
mellifluo. "Mi farebbe davvero piacere assistere alla messa."
"Scordatelo." la zittì Jeremy.
"Perché? Non faccio niente di male!"
"Se vuoi posso andare io con lei."
"Alex, te ne stai zitto per una volta?"
"Jeremy,
ti prego." Taylor tentò di corromperlo con lo sguardo più
indifeso che avesse. Allargò gli occhi scuri e sbatté le
ciglia lentamente, mentre le sue sopracciglia pregavano di avere
pietà. Non faceva mai gli occhi dolci per ottenere qualcosa,
nemmeno con sua madre, ma sembrava che per sciogliere Jeremy non
bastasse promettere di comportarsi bene.
"Lor, risparmiati il moscerino nell'occhio. Non ci andrai."
"Ma
Jeremy." congiunse le mani, andando remissiva al suo cospetto. "Per me
è davvero importante. Non hai mai avuto qualcosa di importante?
Di assolutamente imperdibile? Qualcosa tipo l'unica cosa che ti desse
speranza in un momento di sconforto?"
"La pizza."
"Allora mi capisci!"
"Sì,
ma sono sempre stato troppo debole per rinunciare alla dipendenza dal
fumo e comprarmela. Quindi falla finita e adeguati alla depressione."
"Oh, Jeremy, se mi vuoi bene, mi lascerai andare a messa!"
"Non ti voglio bene."
"Però merito un premio per essermi comportata bene ieri al negozio."
"E
quello lo chiami comportarsi bene? Se vuoi domani ti compro uno
zuccherino, ma non posso concederti di più. Il trauma legato a
Joanne non si dimentica facilmente."
"Andiamo, non puoi essere così cattivo."
"Non hai ancora visto nulla."
Taylor
sbuffò, esasperata. Si sedette sul pavimento della camera,
raccogliendosi le ginocchia con le mani. Era una ragazza di Bourton e
questo la rendeva anche una ragazza estremamente religiosa e
praticante; era vero che non mancava quasi mai a messa di domenica
mattina. Ma a parte il senso del dovere nei confronti della chiesa,
Taylor sentiva che davvero partecipare all'avvento le avrebbe fatto
bene. L'avrebbe sollevata dalla preoccupazione per sua madre, le
avrebbe dato coraggio e speranza, le avrebbe permesso di rivolgere le
sue domande a Dio, come le aveva insegnato sua madre sin da quando
Oliver se n'era andato.
Alex
stappò una bottiglia di birra, sorseggiando tranquillo, mentre
Jeremy cominciava ad avvertire un maledettissimo senso di colpa farsi
largo nel suo stomaco. Più guardava la ragazza con la sua
espressione delusa e gli occhi bassi, più si odiava per esserne
la causa. Come al solito quella strana serpe stringeva il suo cuore e
lui non poteva farci nulla. Era completamente vittima di un indefinito
e stupido sentimento; inaudito per uno come lui.
Alla
fine posò il panino e incrociò le braccia al petto: "Ok,
Lor. Dammi una buona ragione, una sola buona ragione, per andare in
quel posto e io ti ci porto."
La ragazza alzò la testa e lo guardò, un po' colta alla sprovvista.
"Mi
devi convincere, mocciosa." le intimò puntandole addosso la
bottiglia di birra. "E ricordati che io non credo in niente e nessuno."
Taylor
ci pensò per qualche secondo e poi decise che la verità
sarebbe stata la via migliore: "Non si tratta di te, Jeremy, ma di me.
Attraverso Dio posso comunicare a mia madre che sto bene, posso
confidarGli quanto mi manchi e chiederGli di proteggerla al posto mio.
Non posso farlo come si deve da qui. O comunque non mi sento sicura che
mi ascolterebbe."
Jeremy
sentì la stretta allo stomaco salire e prendersela di colpo col
suo Pomo d'Adamo, rendendogli difficile deglutire. Taylor gli parve
talmente indifesa e innocente da essere quasi illegale. Quel tono un
po' bambinesco e quelle parole da Catechismo rivelarono quanto fosse
piccola, quanto fosse inesperta del mondo e quanto la sua realtà
non fosse che una costruzione che avevano creato attorno a lei senza
che nemmeno se ne rendesse conto. Era così dannatamente tenera
che gli fece male, che gli pugnalò il cuore e lo fece sentire
parte di quella metà di mondo che faceva schifo, e nient'altro.
Quell'ingenuità
avrebbe dovuto mandarlo su tutte le furie e invece l'aveva inondato di
pena e dispiacere, forse invidia per non possedere quel modo di vedere
così semplice e privo di malizia. Invidia per non essere stato
protetto com'era stata lei, rabbia per aver dovuto crescere troppo in
fretta, diventando lo scettico che era. Troppo grande ormai per poter
credere, eppure troppo vulnerabile per non risentirne le conseguenze.
Era
anche troppo cosciente per non rendersi conto di cosa stava succedendo.
A Taylor sarebbe bastato un nonnulla per essere felice. E anche a lui
sarebbe bastato un nonnulla, sia per farla felice e sia per
distruggerla completamente. Avrebbe potuto rompere la sua sfera di
cristallo con lo scetticismo, con l'asettico resoconto della
realtà, con le parole dure e sprezzanti che in passato non aveva
mai temuto di spendere sulla religione. Oppure avrebbe potuto
semplicemente chiudere gli occhi e fingere. Fingere che lei non stesse
vivendo in una menzogna, fingere che Dio avrebbe veramente protetto sua
madre, fingere che andare a messa avrebbe avuto il minimo significato.
Taylor
riusciva a toccarlo nel profondo semplicemente essendo se stessa, nel
modo in cui era stata illusa, delusa e cresciuta, e fu per questo che
lui decise di fingere. Di farla felice.
Chiuse
gli occhi e prese un respiro profondo: "Preparati." disse
semplicemente, e gettò nel cestino quei pochi avanzi di panino.
Alex,
che capì il disagio che aveva provocato involontariamente
Taylor, si offrì di accompagnarla da solo, ma Jeremy gli
assicurò che era tutto a posto, che potevano partire insieme. In
poco tempo tutti e tre furono davanti alla chiesa ed entrarono poco
prima che la messa iniziasse.
"Sentimi
bene, principessa, io non so come ti abbiano abituata, ma queste sono
le regole." sussurrò Jeremy all'orecchio di Taylor. "Niente
confessioni chiusa là dentro assieme al prete, niente comunione
immersa nelle file di fedeli, niente buste con richieste d'aiuto nelle
offerte."
"Wow, Jeremy, hai davvero fantasia."
"Eviterai
di guardare in faccia la gente." proseguì, inscalfibile. "Starai
a capo chino e non parlerai con nessuno. L'ultima cosa di cui abbiamo
bisogno è essere riconosciuti."
"Jeremy, siamo in una chiesa in piena campagna, ci sono dieci persone, dodici se consideri anche il prete e il chierichetto."
"Anche la peste inizia sempre con un malato."
Taylor gli lanciò un'occhiata sconcertata.
"Ah, e niente balli o riti sacri di qualsiasi genere. Che non ti venga nemmeno in mente."
Taylor ridacchiò: "Non facciamo riti sacri, Jeremy."
"Bene."
"Solo canti."
"Non
azzardarti a cantare, mocciosa, non provarci neanche." sibilò
lui, nel panico, ma la campanella di inizio cerimonia trillò
prima che lei potesse ribattere.
Il
ragazzo vide tutte le persone alzarsi e si guardò attorno, come
se fosse su un altro pianeta. Non aveva che sfocati ricordi di una
funzione e ora sentiva già il fiato mancare, nella pura angoscia
di essere in una chiesa, con almeno dodici potenziali testimoni oculari
del suo crimine. Aveva già detto che odiava quella Heavens?
Gli alieni eseguirono il segno della croce e lui pensò che prima o poi l'avrebbe portato definitavemente alla rovina.
"Sinistra, destra, amen." gli sussurrò Taylor, vedendolo in difficoltà.
"Grazie." disse lui e, guardandola con aria di sfida, ripeté. "Nel nome del Padre, del Figlio, sinistra, destra, Amen."
Taylor scosse la testa e desiderò sbatterla sulla colonna più vicina.
Si preannunciava una cerimonia molto lunga.
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Finalmente
il sacerdote diede la benedizione e i fedeli si dileguarono lentamente
verso l'uscita. Jeremy prese per mano Taylor, sollevato di poterla
trascinare fuori da quel posto e andarsene per non ritornarci
più. La ragazza, tuttavia, oppose resistenza e si
intestardì per aspettare un momento.
"Lor, non ci voglio invecchiare qui dentro."
"Voglio accendere una candela." disse lei.
"Una che? Non c'è già abbastanza luce?"
"Jeremy, non fare il saccente. Voglio accendere un lumino per pregare."
"Ancora? Non ti sembra di averci già dato dentro in questi pallosissimi quarantacinque minuti?"
"Ti ricordo che siamo in chiesa, non si possono usare certi termini."
"Ora Dio ha scritto anche il vocabolario?"
"Smettila,
Jeremy, è una cosa seria." si avvicinò a un banchetto
pieno di candele accese e lo indicò al ragazzo, che la
seguì più per inerzia che per interesse. "Vedi? Ognuna di
quelle è una preghiera verso qualcuno di particolare."
"Interessante. Scommetto che c'è anche l'amante segreta del prete tra quelle persone particolari."
"Jeremy,
che diavolo dici?" lo rimproverò a bassa voce, come se avesse
appena bestemmiato e lei si vergognasse per lui. A Jeremy sembrava
troppo ridicola, ma allo stesso tempo piacevolmente buffa e ingenua.
"Non pensare nemmeno a una cosa del genere, è una grave mancanza
di rispetto. I preti sono sposati con Dio!"
"Sapevo che quel tizio doveva essere gay. Aveva proprio la faccia."
Il
ragazzo si beccò un pugno piuttosto forte sulla spalla, al quale
ridacchiò. L'argomento sembrava pungere sul vivo Taylor e lui se
la stava spassando alla grande nello stuzzicarla appositamente.
"Ehi, siamo in chiesa, non si possono fare certe cose." infierì continuando a godere del fastidio che provocava.
"Sei insopportabile, Parker." ammise lei cercando di far prendere fuoco a uno stoppino.
"Come fai a sapere il mio cognome?"
"Me l'hai detto ieri mattina, ricordi? Jeremy Parker, il più bello, in gamba, intelligente..."
"Oh,
già." si ricordò lui, stupito. Era strano che avesse
registrato un'informazione a cui lui non aveva nemmeno prestato
attenzione; non credeva le importasse del suo cognome. Lui stesso non
si era reso conto di averlo fatto conoscere. Forse intendeva
semplicemente denunciarlo, era per quel motivo che di solito la gente
cercava di sapere determinate informazioni su di lui. Ma lasciò
correre e si schiarì la voce: "Bello, in gamba, intelligente.
Amen." sospirò. "Ora che abbiamo pregato possiamo uscire?"
"Non
era pregare, era decantare qualità inesistenti." finalmente la
sua candela si accese e la appoggiò vicino alle altre. La
guardò per qualche secondo, ipnotizzata dalla luce arancione,
poi ne offrì una a Jeremy.
"No, grazie." rifiutò lui.
"Coraggio, non è un reato." insistette lei.
"So cos'è un reato, direi." le rivolse un'occhiata eloquente. "Non voglio e basta."
"Ma Jeremy-"
"Ho detto di no, non credo nel tuo Dio, Lor, mi sembra solamente inutile. È come se io ti costringessi a fumare."
"Non
dire stupidaggini, Dio non può essere comparato alle sigarette
nemmeno per sbaglio. E poi, a Dio non importa se credi a Lui o meno,
qualsiasi cosa Gli chiederai, sarà presa in considerazione."
Guardò
il suo naso dritto e le guance arrossate e lo sguardo fiero e
capì che doveva darle ragione per farla tacere. Come al solito.
"Da
qua." le lanciò un'occhiata irritata e sofferente, poi,
titubante, afferrò la candela e attinse dalla sua per
accenderla. Quando fu pronta, la sistemò un po' più
distante dalle altre e la guardò.
"E ora?"
"Ora
fai finta che sia...che so, un cellulare per chiamare qualcuno molto
lontano da qui. Avrai di certo qualcuno con cui parlare o a cui
dedicare una preghiera, no?"
Il
ragazzo annuì impercettibilmente. Era riluttante a quella
situazione, eppure in qualche modo stava continuando a seguire gli
ordini di Taylor. Lui, che seguiva gli ordini di Taylor. Quanto era
fottuto quel ragazzo poteva saperlo solo lui.
Ma
in realtà si chiedeva cosa ci fosse di così tanto
speciale da spingere quella pazza a volerlo coinvolgere. Voleva
capirlo, voleva sapere anche lui, voleva provare anche lui.
Stava
facendo qualcosa di assolutamente nuovo, che rappresentava una specie
di tentazione benigna a cui aveva sempre resistito per riuscire ad
accettare il male in cui viveva. Stava cedendo, ahimè, e non
c'era più una difesa che fosse abbastanza alta per fargli
recuperare lucidità.
Non pensava seriamente a sua madre da anni. Per un attimo, ebbe davvero paura dei suoi stessi pensieri.
"Bene, ora chiudi gli occhi e non aver paura."
Furono quasi un sussurro, quelle ultime tre parole, e fecero fremere il suo respiro.
Chiudere
gli occhi? Taylor gli stava chiedendo di avere fiducia. Gli stava
chiedendo troppo forse, ma alla fine...per chi lo stava facendo? Per
lei stessa o per lui? La testa aveva iniziato a vorticare e lui si
sentiva definitivamente confuso.
Taylor
riusciva a percepire la tensione di Jeremy. Non osava fargli domande,
ma voleva che anche lui potesse essere aiutato da Dio. Che ci credesse
o no, la sua preghiera sarebbe stata ascoltata e di questo ne era
certa. Decise di imitare il temibile rapitore e calò le palpebre
con un sorriso in volto, lasciando che l'immagine di sua madre
comparisse nella sua mente.
Pochi
secondi dopo gli occhi scuri di Taylor ritornarono a guardare quelli
celesti di Jeremy, resi più caldi del solito forse per l'effetto
della luce delle candele. Non li aveva tenuti chiusi nemmeno un
secondo, constatò quasi ridendo tra sé. Aveva svolto un
pessimo esercizio, ma almeno l'aveva svolto.
Sorrise amichevolmente e disgiunse le mani: "Grazie per aver provato." gli disse solamente.
"Non
devi ringraziare me." rispose il ragazzo. "Io non ho fatto nulla,
è a lui a cui chiedi tutti quei favori." fece, indicando una
statua di legno raffigurante Gesù. "Immagino che debba averne
davvero le palle piene."
Lei sorrise, ammonitoria: "Sì, è vero. Ma non sono tutti per me, i favori."
"E per chi, allora?"
"Per chi ne ha bisogno."
Jeremy assunse un'espressione corrucciata: "Ma non ha senso."
"Forse dovresti solo imparare il significato della parola 'preghiera'. Subito dopo quello di 'modestia', naturalmente."
"Sì, forse." abbassò lo sguardo, apparentemente preso dai pensieri.
Taylor
lo vedeva per la prima volta realmente perplesso. Sicuramente aveva
capito che la Fede era qualcosa a lui completamente estraneo. In
particolare, non era abituato a pensare agli altri, quando era chiaro
che per tanto tempo fpsse stato obbligato a concentrarsi solo su se
stesso.
La ragazza non poté fare a meno di ridacchiare.
"Cosa c'è, ora?" le chiese lui.
"È
facile, Jeremy. Devi solo trovare qualcuno a cui servirebbe qualcosa e
chiederla per lui, cosicché possa averla più facilmente."
"E tu a chi avresti pensato, sentiamo."
"Beh, a mia mamma, alla mia migliore amica e..." ora fu Taylor ad abbassare lo sguardo, leggermente in imbarazzo. "A te."
Il ragazzo sollevò le sopracciglia in un'espressione stupita: "A me?"
Nessuno aveva mai pregato per lui.
"Io credo che Dio dovrebbe aiutare anche te." rispose, un po' impacciata.
"Davvero, non ci capisco più niente. Credevo che mi odiassi perché ti ho rapita."
"Difatti ti odio perché mi hai rapita, ma ho la sensazione che non sia stato tu a volerlo fare. Ho ragione, Jeremy?"
Ci
fu un lungo, interminabile silenzio durante il quale gli occhi dell'una
fissavano quelli dell'altro a pochi centimetri di distanza, come il
giorno prima. Quel contatto non portava mai a nulla di buono, insegnava
la storia.
Era
davvero possibile che fosse stato così stupido da lasciar
intuire la verità?, si chiese Jeremy. Quella ragazza aveva
davvero un qualcosa di speciale, altrimenti come riusciva a leggerlo
come se fosse stato un libro aperto, come nessun altro era capace di
fare?
Avrebbe
voluto lasciarsi andare a quel potere, confidarsi, liberarsi del suo
peso, ma non poteva. Lui non poteva essere sincero. Lui doveva mentire,
doveva dirle di no, che era tutta un'idea sua e che era tutta una
questione di soldi. Doveva mentire costretto da un insulso ricatto,
costretto da un uomo che l'aveva ficcato in quell'assurdo casino, in
cui sentiva di annegare sempre di più.
Che
cosa gli stava succedendo? Non riusciva a dire una semplice bugia di
fronte a Taylor? Lui era un mago in queste cose, recitava benissimo,
mentiva con una scioltezza innata. Ora invece sembrava quasi bloccato,
sembrava insensibile e indeciso. Sembrava desiderare così tanto
la giustizia, per una volta nella sua vita, invece di soccombere
all'indifferenza della sua insipida esistenza.
Stava forse perdendo quella motivazione di cui Cordano parlava tanto?
"Senti,
lascia stare. So che stai per rifarmi la ramanzina del 'devi stare al
tuo posto', 'ti pianto una pallottola nelle gambe' e via dicendo,
perciò...scusa, non te lo chiederò più." disse
infine lei, il sospetto, memore del giorno prima, di essere andata
oltre ciò che Jeremy aveva scelto di concederle. "Piuttosto, tu
per chi hai pregato?"
'E'
la giornata delle domande di merda?' pensò questa volta Jeremy.
Non gliene andava bene una, stava realmente pensando che Taylor volesse
fargliela pagare per averla rapita, attraverso subdoli giochetti
psicologici.
"Non per te." rispose, diplomatico.
"Non
avevo dubbi." ribatté lei, un po' delusa per non aver ricevuto
una vera risposta. Le sarebbe davvero piaciuto sapere chi c'era nella
testa di quel ragazzo.
"Ehi,
non fare così, sei comunque importante." la canzonò lui.
"No Lor, no soldi. No soldi, no sigarette. Tu e le mie sigarette siete
legate da un legame indissolubile. E vitale."
"Haha,
grandioso sillogismo." tagliò corto freddamente, riprendendo le
distanze da lui. "Direi che è la conclusione migliore a questo
insensato incontro spirituale."
Jeremy
la scrutò perplesso. Aveva percepito un vertiginoso aumento di
freddezza da parte della ragazza nei suoi confronti, intuendo che
qualcosa nella sua battuta l'aveva fatta arrabbiare.
Effettivamente
non era stato molto piacevole e si poteva dire che avesse rovinato un
momento fin troppo gradevole per vedere come protagonisti loro due.
Tuttavia, non era la prima volta che capitava e lei non se l'era mai
presa prima. Aveva sempre risposto acidamente alle sue battute e si era
dimostrata ammirevolmente impassibile.
Quando
uscirono, Alex li accolse con un'aria spazientita: "Halleluja! Cosa
stavate facendo là dentro, contavate le pagine della Bibbia?"
Taylor gli lanciò un'occhiata truce: "Siete proprio uguali, voi due." e si chiuse in macchina, sbattendo lo sportello.
Il ragazzo si girò verso Jeremy: "Cos'è successo?"
"Credo sia incazzata con me."
"Che tu ci creda o no, a questo ci ero arrivato anch'io. Perché?"
Il biondo scosse la testa: "Pensa che sia uno stronzo."
"Oh, benvenuta nel club, allora."
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Il
titolo, "Luce sacra", sembra semplice, ma nella mia mente contorta ha
vari significati (di cui non frega a nessuno, ma dettagli).
Si riferisce alla luce della candeline (a proposito, io sono una patita di Yankee Candle,
dovevo dirvelo) che è da considerarsi sacra per ciò che
rappresenta, ossia la preghiera. Si riferisce anche alla luce rara e
genuina (per questo quasi sacra) che accende gli occhi di Jeremy quando è felice e poi, in scala più filosofica, per me pone una contrapposizione tra Holy, cioè la Fede, e Light, cioè la Ragione,
che sono due valori opposti, rappresentati rispettavamente da Taylor e
Jeremy. Forse, da Jeremy, più nei termini di realismo e
scetticismo che di ragione. Ma vabbè. Sono solo i miei viaggi
mentali.
PUBBLICITA':
Se vi va, passate a leggere le altre mie due storie Io
e te è grammaticalmente scorretto ,
e Io e te è grammaticalmente scorretto 2, di cui, per quanto riguarda la prima, uscirà il libro a marzo 2017!
Se
poi vorrete unirvi al gruppo in cui si sta assieme, si parla di tutto e
si condividono momenti bellissimi, vi basterà iscrivervi e io approverò
la vostra iscrizione a Grammaticalmente
Scorretti
Oppure potete chiedermi l'amicizia su Facebook come Daffy Efp :)
|
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Capitolo 7 *** Monsters at the Diderot ***
All I want - 7.2
ALL
I
WANT
FOR
CHRISTMAS
IS...
********Monsters at the Diderot********
Jeremy
si rigirò nuovamente sotto le lenzuola, finendo a pancia in su.
Fissò il soffitto, la mente intasata di immagini. Gli faceva
male la testa e, nonostante la stanza fosse riscaldata, aveva le mani e
il naso congelati. Erano i sintomi della sua anemia in peggioramento,
ulteriore pensiero che doveva aggiungere alla lista dei tormenti che
gli impedivano di addormentarsi.
Mancavano
solo sei giorni a Natale e, se tutto fosse andato per il verso giusto,
avrebbe finalmente gettato una pietra sopra al suo debito con Cordano.
Avrebbe intascato una parte del riscatto che, per quanto esigua, gli
avrebbe comunque permesso di scappare lontano e non farsi vedere mai
più. Se ne sarebbe andato da quello squallido bed&breakfast
di Bourton e avrebbe ricominciato da un'altra parte, senza più
furti, senza più minacce, e cercandosi un lavoro come si deve.
Sperava
che si sarebbe congedato presto da Taylor; con lei tutto era diverso, e
più difficile. Nonostante ci fossero momenti in cui le avrebbe
volentieri attaccato del nastro adesivo sulle labbra, ogni tanto
riusciva davvero a farlo sorridere, a renderlo spensierato. Poi si
ritrovava a passare intere nottate insonni, ma l'altalenare del loro
assurdo rapporto andava di pari passo con l'altalenare delle sue
emozioni. Da quelle che spingevano più in alto a quelle che lo
facevano capitolare di nuovo in basso in un batter di ciglia.
Ultimamente
si era addirittura imbarcata nell'impresa di fargli mettere in dubbio
l'esistenza di un Dio. Lei ci credeva così tanto che sembrava
l'avesse incontrato di persona e lui, anche se non ci avrebbe mai e poi
mai creduto, si era lasciato guidare dalle sue istruzioni,
chissà se per farla tacere o perché desiderava, in fondo,
lasciarsi andare solo per un po' al sapore della speranza.
Si
passò una mano sul viso: se esisteva un Dio, allora
perché l'aveva messo in una situazione del genere? L'avrebbe
domandato molto volentieri a Taylor; a vedere se in quel caso avesse
saputo dargli una delle sue filosofiche e bigotte spiegazioni, o se se
ne fosse semplicemente rimasta zitta davanti alla realtà nuda e
cruda.
Cambiò
di nuovo lato. Era confuso e interdetto come mai in vita sua. Il tempo
scorreva, quei soldi sembravano un traguardo così
irraggiungibile e intanto davanti a lui si presentavano sfide sempre
più difficili. Aveva messo in conto che non sarebbe stata una
passeggiata in relazione al lato pratico, ma non si aspettava
minimamente che ci sarebbe stato anche un lato morale. Né
sentimentale, se i sentimenti esagerati e indefiniti che lo
tormentavano potevano valere.
Ricordò
la prima volta che vide Taylor, in lacrime sotto la luce di un
lampione. Il suono del suo pianto l'aveva subito colpito ed era
difficile ammetterlo, ma, anche se senza un'apparente ragione, l'aveva
toccato. Aveva sentito l'istinto di prendersela con la causa della sua
sofferenza e ora, ironia della sorte, era stato proprio lui a ereditare
quel ruolo.
C'erano
momenti, la notte specialmente, in cui si odiava per quello che le
stava facendo, per averla allontanata dalla madre e per averla
destinata a essere in continuo pericolo. Specialmente dopo
l'inaspettata visita di Richard, questa preoccupazione si era
decisamente acuita. Forse perché fino a quel momento c'erano
stati solo lui e Alex e non aveva realizzato che Taylor, esattamente
come lui, poteva essere sacrificabile come qualsiasi altra pedina nel
gioco di Cordano.
Aveva
anche immaginato di poter lasciarla andare, di come lei sarebbe stata
felice nel riabbracciare la madre e di quanto sarebbe stata sollevata
di potersi dimenticare di lui. Ma sapeva che questo avrebbe voluto dire
una cosa ben precisa: Cordano l'avrebbe perseguitato finché non
l'avesse visto morire sotto i suoi squallidi occhi. E allora era giusto
ragionare in quel modo? Era umano veder soffrire lei al suo posto?
Si
girò di nuovo, la testa scoppiante. C'erano troppe domande a cui
sapeva rispondere, ma fingeva di ignorare, troppe cose a cui pensare,
troppe emozioni da combattere. Forse non era tanto forte quanto
pensava. Ce l'aveva sempre fatta da solo, aveva superato ogni ostacolo
e lottato contro i più malintenzionati individui. E proprio ora
che qualcuno aveva deciso di affiancargli l'essere più innocuo
del mondo, si trovava davanti al rischio di perdere la partita
più importante della sua vita.
Un
possente tuono fece tremare i vetri all'improvviso, così ne
approfittò per alzarsi e andare a controllare fuori. Tanto di
dormire non se parlava proprio. La pioggia imperversava, mentre Alex,
ignaro del temporale, stava disteso sul divanetto e riposava al ritmo
di un ronfo leggero. Senza sorprendersi troppo, notò che la luce
nella stanza adiacente era accesa e che la porta era socchiusa.
La
sospinse cautamente, facendola cigolare, e spiò al suo interno:
"Si può?" sussurrò per non svegliare Alex.
Taylor
sussultò, colta di sorpresa, e alzò gli occhi da quella
che sembrava una fotografia fatta a pezzi. Fissò Jeremy restando
in silenzio.
Il
ragazzo notò le palpebre arrossate di Taylor, ma entrò
nella stanza facendo finta di niente. Esitò un attimo sulla foto
e sui fogli di carta che la ragazza aveva sparpagliato al suo cospetto,
poi accennò alla finestra con il mento: "Paura del temporale?"
"No." rispose lei semplicemente.
"Allora che fai ad occhi aperti?" tentò di suonare amichevole.
"Potrei farti la stessa domanda."
"Io li uso per controllare te." rispose prontamente.
Taylor sospirò: "Non riesco a dormire, ma non c'entra il temporale."
"E allora cosa?" si sedette sul letto, non troppo distante da lei.
La
ragazza nascose i vari fogli dietro la schiena e abbassò lo
sguardo. Non voleva dirgli che in realtà stava pensando a lui e
al suo carattere di merda e che stava ammazzando il tempo cercando di
copiare una foto su alcuni pezzi di carta trovati nel comodino e che
stava lottando per non scoppiare a piangere e che era arrabbiata con
suo padre e che avrebbe voluto fargli tante domande e che si sentiva
ferita.
"Non riesco a...non mi viene bene un disegno, tutto qui." rispose con un'alzata di spalle.
Jeremy
cercò il suo sguardo, ma lo trovò remoto e sfuggevole,
arrossato come dopo un pianto e stanco, esattamente come il suo. Con
una mossa repentina afferrò il foglio da dietro la sua schiena e
si mise in piedi per potervi dare un'occhiata prima che Taylor lo
agguantasse.
Scrutò
la fotografia strappata, rinfusa come i pezzi di un puzzle, e poi la
riproduzione che Taylor aveva fatto di essa. Era esattamente identica,
proporzionata e viva, tra una sfumatura e l'altra creata con un moncone
di matita, ora lasciato a se stesso sul comodino.
"Wow." fu tutto quello che riuscì a dire.
"Ridammeli subito!" sbottò lei, presa dal panico.
Tentò
di prendere i fogli, ma Jeremy si spostò alla luce per guardare
meglio: "Questo è tuo padre! E c'è anche tua
sorella...Taylor, sei bravissima."
Era
la prima volta che si sentiva fare un complimento da Jeremy e la prima
volta che lo sentiva parlare spontaneamente, senza filtri e senza aver
prima valutato cosa dire. Sembrava sinceramente ammirato, come i suoi
vecchi compagni alle elementari quando lei disegnava sul banco o sugli
angoli dei quaderni. Ma non si fece distrarre e continuò a
insistere.
"Jeremy, dammelo!"
Lui si voltò a guardarla con un ghigno: "Lor, non mi sembra il caso. Qui e ora, con Alex proprio nella stanza accanto..."
"Non quello, pervertito! Il disegno! E anche la foto! Ridammi subito le mie cose."
Il
ragazzo rise e alzò il braccio perché Taylor non
arrivasse a raggiungerlo. Lei si alzò sulle punte e quasi si
appoggiò a lui, ma fu tutto invano. Ottenne solo il suo sguardo
fisso su di lei a pochi centimetri di distanza e un sorrisetto
inquisitore che la metteva ancor più in disagio: "Lor,
cos'è quella foto? Dietro c'è una dedica e tu non sei nel
quadretto. Dove l'hai presa?"
"Non sono affari tuoi." ringhiò suonando tale e quale a lui.
"L'hai rubata a casa di Tessy, non è vero?"
"No."
"E l'hai strappata, ma ti dispiaceva e quindi la stai copiando."
"Non
mi dispiace affatto, quella foto è un insulto! Ma in ogni caso,
a te non deve importare, perciò dammi subito tutti i miei fogli
e sparisci da qui!"
"Non
mi ricordavo fossi tu a dare gli ordini." la fissò con il tipico
sorrisetto di chi la sa lunga e la scrutò, divertito, beandosi
del suo vivido rossore imbarazzato. Aveva capito cosa stava succedendo;
era esattamente come aveva ipotizzato e sentì un vago moto di
tenerezza nei confronti di quella ragazza. Intuiva l'invidia che
l'aveva spinta a strappare una foto rubata e il senso di colpa che ora
l'aveva obbligata a trovare un rimedio.
Era
così da lei, così prevedibile. Jeremy si stupì di
quanto stesse iniziando a conoscerla e a capirla al volo, si
stupì di aver inquadrato una personalità che normalmente
avrebbe disprezzato, ma che, al contrario delle sue aspettative, ora lo
stava facendo sorridere.
"Se colori bene come disegni, tua sorella non se ne accorgerà mai." le fece l'occhiolino.
"Vaffanculo."
Taylor
provò ad allungarsi di nuovo, ma Jeremy fece un passo indietro e
appoggiò i fogli sopra un armadio impolverato, più alto
persino di lui, impossibile per Taylor da raggiungere.
"Dimmi perché sei arrabbiata con me e te lo ridarò." le disse, serio.
Taylor
lo guardò in cagnesco, l'amarezza ormai dissipata in favore di
una motivata irritazione e del solito inspiegabile fervore che Jeremy
le provocava. Ora voleva pure sapere il motivo della sua rabbia; era
davvero incredibile.
Non
credeva che gli importasse più di tanto e anche in quel momento
pensò che fosse tutto parte del copione. Da quella risposta che
lui le aveva dato in chiesa, aveva iniziato a vederla diversamente, a
vedere Jeremy diversamente; non era altro che il mercenario senz'anima
che non si sforzava di nascondere. Per questo, da quel giorno gli aveva
rivolto la parola solo per chiedergli dove fosse il sale, imponendosi
di rimanere ancorata alla realtà e smetterla di farsi illusioni.
Non avrebbe mai conosciuto un'anima nascosta dietro quegli occhi; Jeremy non era altro che un rapitore e lei la sua vittima.
Non
sapeva perché si fosse illusa del contrario. Quel pomeriggio,
forse a causa dell'odore d'incenso o forse per il tepore delle candele,
aveva pensato solo per un secondo che Jeremy potesse essere diverso.
Aveva visto oltre l'arroganza delle fragilità e oltre la
freddezza della bontà. Ma molto probabilmente era stata solo una
fantasia dettata dalla stanchezza e dalla disperazione: quel Jeremy che
aveva intravisto era sparito ancora prima che potesse rendersi conto di
quanto le sarebbe piaciuto.
Non
c'era nient'altro che i soldi, lei non era nient'altro che un cumulo di
soldi che sarebbe servito a quel ragazzo per commettere altri crimini e
continuare a condurre una vita priva di qualsiasi buon proposito. Che
fossero direttamente per lui o per qualcun altro, poco cambiava. Era un
oggetto, Taylor. E forse fino a quel momento aveva finto di non
crederci. Aveva sperato. Ma in quell'avventura, aveva capito, per la
speranza non c'era posto.
"Se
fossi a casa mia invece che in questo schifosissimo motel a
rappresentare il valore di due milioni di sterline, starei meglio." si
arrese infine, tagliente.
Jeremy annuì lentamente, aspettandosi una risposta del genere: "È per quella frase, giusto?"
"Di
che cavolo stai parlando?" Taylor finse di cadere dalle nuvole, ma
pensò che Jeremy non si lasciasse davvero sfuggire nulla.
"No Lor, no soldi." ripeté lui, divertito. "Dai, l'ha capito persino il campanaro che ti ha dato fastidio."
"Ah sì, era così? Non me la ricordavo più."
"Lor."
"Senti, Jeremy, non mi va di parlare con te."
"Ma io voglio parlarne."
"Io no. Per colpa tua, sono davvero molto impegnata a fare altro, come ad esempio odiarti."
Non
seppe perché, ma quelle parole lo fecero sussultare.
Abbozzò un sorriso di scherno: "Non credo che tu sia molto brava
a odiare le persone."
"Hai ragione." gli concesse lei, lanciandogli uno sguardo rovente. "Ma tu non sei una persona. Quindi."
Il
ragazzo si irrigidì. Quello era stato davvero un colpo basso e
sferrato con quel tono colmo di rabbia e con quegli occhi arrossati,
aveva fatto sì che lui l'accusasse più gravemente del
dovuto.
"Che
c'è?" riprese la parola lei. "Avrei dovuto essere più
delicata? Scusami, a volte la realtà è impossibile da
negare."
"Io
non volevo offenderti con quella frase." disse lui, la voce bassa che
si sforzava di nascondere il bruciore di una fresca, inaspettata ferita.
"Lo so. Hai solo detto la verità." disse lei. "E io ho detto la verità."
Jeremy
rimase in silenzio, lo sguardo a terra, incapace di sostenere quello di
Taylor un solo secondo di più; per la prima, vera volta, si
sentiva di essere stato sconfitto.
Odiava
doverlo ammettere a se stesso, ma l'opinione che Taylor aveva di lui e
che gli aveva appena sbattuto in faccia senza mezzi termini non gli
piaceva. Anzi, gli faceva schifo, e rabbia, e male. Erano le parole
peggiori che avrebbe mai potuto rivolgergli, perché, in un certo
senso, erano vere. E la verità faceva così male,
accidenti.
"Giusto."
sussurrò allora, avvicinandosi e alzando su di lei lo sguardo
gelido e svuotato. "Io non sono una persona, sono un mostro. Ecco
perché ho sbagliato a venire qui. Avrei voluto chiederti scusa
per aver usato quella frase poco ortodossa e dirti che aveva uno scopo
ben diverso dal ferirti. Ma, dopotutto, che senso ha? Un mostro non
può chiedere scusa."
"Nemmeno
io per te sono una persona." ribatté lei, altrettanto
impassibile. "Sono solo un mucchio di stupidissimi, sporchi soldi."
"Già.
Da oggi riprendiamo i nostri ruoli di non-persone, allora. Io sono il
mostro e tu i miei due milioni di sterline. Io sono il rapitore e tu la
ragazza sbagliata."
"Non siamo mai stati nulla di diverso."
"Sono d'accordo."
Jeremy le lanciò un'ultima occhiata fremente di rabbia, poi si girò e si diresse verso la porta.
"Il foglio, Jeremy." gli ricordò lei, imperativa.
Lui
la guardò alzando un sopracciglio: "Ho detto rapitore, non
maggiordomo." e se ne andò lasciandola alle prese con la mensola
troppo alta.
Ancora
una volta l'aveva messo ai ferri corti, o forse peggio. Stavolta
l'aveva davvero accoltellato con le parole, gli aveva sbattuto in
faccia la sua opinione nei suoi confronti. Non che la immaginasse
diversa, ma forse sperava solo che non fosse così maledettamente
dolorosa.
Probabilmente
gli aveva solo fatto un favore, si disse. Ristabilendo le distanze da
lei, non avrebbe corso il rischio di farsi sfuggire la situazione di
mano. Sarebbe stato tutto più facile e disinteressato. Sarebbe
stato meglio per lui, per lei, per Alex, per tutti.
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Il
cellulare di Oliver squillò più volte prima che se ne
accorgesse e rispondesse risvegliando la sua voce da un rauco torpore:
"Pronto?"
"Oliver."
Il suo nome, pronunciato da quelle note basse e minacciose, gli fece raggelare il sangue nelle vene: "Sì?"
"Non vorrei farle pressione, ma il tempo sta per scadere."
L'uomo
prese un gran respiro, lanciando un'occhiata alla marea di documenti
che per poco non facevano esplodere la sua ventiquattrore: "Ho la
situazione sotto controllo."
Jeremy
parve sorpreso da quel tono sicuro. Davvero quell'uomo irrisoluto stava
riuscendo a sbrogliarsi dalla situazione tutto da solo?
"Non
mi dica...è sicuro che nessuno sappia, tranne lei?"
domandò, stupito e sospettoso. "Perché altrimenti
è ben cosciente di cosa potrebbe succedere, non è vero?"
"Sì,
sì, lo so." deglutì lui. Era stato molto attento a non
far insospettire nessuno, era stato così silenzioso e distaccato
che quasi i suoi cari non lo riconoscevano più. Nessun indizio,
nemmeno involontario, gli era sfuggito. Ne era completamente sicuro.
"Ottimo.
Le saprò comunicare l'ora e il luogo, allora. Verrà da
solo e con la somma in una borsa ben coperta. Non faccia scherzi,
signor Heavens, perché le garantisco che finché non
avrò quei soldi, lei non avrà sua figlia."
Oliver si allentò il colletto e rimase ad ascoltare il silenzio dopo che il telefono fu riattaccato.
Poi, determinato, rimise in tasca il cellulare ed entrò alla Money House. Sarebbe stato il suo ultimo lunedì.
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Jeremy
riattaccò e si voltò verso Alex, che se ne stava nella
cabina telefonica insieme a lui, trepidante. Taylor era chiusa
nell'auto, il polso ammanettato allo sportello, mentre loro due avevano
deciso di monitorare la situazione a casa Heavens.
"Ha trovato i soldi." annunciò, piatto.
Alex sorrise, sinceramente felice della notizia: "È magnifico, no?"
Jeremy abbassò lo sguardo, pensoso.
"Che c'è?" gli chiese l'amico.
"Non lo so, ma credo abbia fatto qualche pazzia per averli. Sembrava così...dispiaciuto."
"Nah,
è un tizio straricco, non c'è niente che non possa
avere." butto lì con un'alzata di spalle. "Probabilmente era
solo in pena per Taylor."
"Già."
Una
musichetta metallica proveniente dalla tasca di Jeremy riempì
improvvisamente la cabina. Dopo aver scambiato uno sguardo
significativo con Alex, il ragazzo estrasse il cellulare e premette la
cornetta verde per rispondere.
Se
non si era capito prima, ora era evidente, dal suo sbiancare
improvviso, che stava per intrattenere una nuova piacevole
conversazione col suo malvivente di fiducia.
"Parker,
mi sono stancato di essere tenuto all'oscuro di tutto." disse la voce
imperiosa di Cordano. "Voglio accertarmi di come sta procedendo. Voglio
essere sicuro che quella mocciosa sia tutta intera e che tu la stia
tenendo a bada come ti sei vantato di saper fare. E poi, è ora
che mostri il tuo bel musino anche a Richard."
Da
quelle parole, Jeremy intuì che il suo braccio destro doveva
aver omesso la sua recente visita nei pressi del motel. Non sapeva se
l'avesse fatto per la vergogna dell'insuccesso o perché temeva
che Cordano lo avesse punito. In ogni caso, Jeremy concordò con
Richard che il silenzio sarebbe stato utile a entrambi.
"Gli mando un selfie, se ci tiene tanto." sbuffò.
"Non
ti conviene fare lo spavaldo." lo ammonì sopra al rumore della
sua auto che veniva messa in moto, probabilmente per portarlo verso la
Money House con il petto tronfio di vittoria avvolto dallo smoking.
"Questa sera, Parker, al Diderot. Richard aspetta te e la tua allegra
combriccola per una bella pinta di birra e, ah, offrirete voi,
immagino."
"Che cosa? No, Cordano, non metterò piede in quel posto!"
"Oh, lo farai." ridacchiò l'altro.
"Scordatelo."
"Ti
stai ribellando, Parker? Forse dovrei ricordarti cosa potrebbe
accaderti, se non esegui i miei ordini." lasciò la frase in
sospeso con tono teatrale.
Jeremy strinse con violenza l'apparecchio vicino all'orecchio: "Lei non può entrare lì dentro." sibilò.
"Gli
unici a cui è vietato l'accesso sono gli sbirri, Parker. Se
è vero che è con te, avrà una scorta più
che valida."
"Non
basta. La gente là è peggio degli squali, Cordano,
è pericoloso." protestò tentando di farlo ragionare.
"Sono armati e ubriachi. Quando vedono una ragazza, pensano solo a-"
"Sono
argomentazioni banali, Parker." lo interruppe lui. "Basta che non la
rubino e per me possono farle qualsiasi cosa. E sono abbastanza sicuro
che, con quello che vale, non te la farai di certo rubare."
"Sei
un bastardo!" gli urlò addosso il ragazzo, infuriato. "Non puoi
trovare un altro posto? Non puoi fare in un altro modo?"
"Parker." pronunciò Cordano, monocorde. "Cosa c'è che ti preoccupa più del dovuto?"
"Quel posto mi preoccupa. Potevamo andare da qualsiasi altra parte."
"Invece
è il luogo perfetto. La polizia non ci mette piede,
perché non sa nemmeno della sua esistenza. In più, dato
che non mi fido di te, non voglio che siate isolati, voglio che tu sia
costretto a comportarti da bravo bambino in pubblico. E poi, lì
nessuno parlerà, stanne certo. Se devono fare qualcosa, passano
subito ai fatti." ridacchiò sapendo di star infastidendo il
ragazzo.
"Non ce la porterò." disse, deciso.
"Allora
devo dedurre che le cose non stiano andando come voglio io, Parker, e
che tu mi stia nascondendo qualcosa. Richard è a Stroud con la
sua amica pistola e sa anche dove alloggi. Potrei dirgli di passare a
fartela conoscere in giornata."
Jeremy
chiuse gli occhi assalito da un immagine di puro terrore. Sapeva che
Cordano ne sarebbe stato capace. L'avrebbe trovato ovunque.
"La vedrà soltanto e poi ce ne andremo." disse riluttante, con gli occhi serrati e con il cuore in gola per il rimorso.
"Pare che il piccolo Jeremy si preoccupi un po' troppo del normale per la sua povera vittima."
Il
ragazzo lanciò un'occhiata a Taylor attraverso il vetro. Aveva
la testa appoggiata al finestrino e lo sguardo perso sulla strada
ingrigita dalla nebbia.
"Non me ne importa nulla di quella mocciosa." disse, freddo. "Non voglio che qualcosa rovini il piano, tutto qui."
Dall'altra
parte ci fu l'ennesima risatina arrogante: "Non hai perso tutto il tuo
egoismo, Parker. O almeno spero. Sii puntuale alle dieci e vedi di
avere la ragazza. Finché non metterò le mani su quei
soldi, la tua vita dipenderà interamente da lei."
L'uomo riattaccò e Jeremy sbatté violentemente il cellulare contro una parete della cabina telefonica.
"Era Richard, vero?" Alex lo guardò preoccupato.
"No, era quel figlio di puttana del suo capo. Vuole che questa sera porti Taylor al Diderot."
Alex
deglutì sonoramente. Raramente Jeremy usava termini pesanti in
sua presenza e raramente l'aveva visto così arrabbiato. Doveva
trattarsi di una faccenda poco promettente: "Jerry, chi diavolo
è questo Diderot?" gli chiese.
"Un
vecchio pub nella parte abbandonata della baia. Portare là una
ragazza è come annunciare ai deportati di Auschwitz l'arrivo
degli americani."
"Oliver!"
L'uomo
si bloccò esattamente sull'ingresso della banca, la busta con la
lettera di dimissioni in mano e l'espressione di chi spera che duemila
sterline gli piovano miracolosamente dal cielo.
Seguì
con lo sguardo la donna piccoletta che gli veniva incontro,
infreddolita e nervosa, chiedendosi cosa diavolo ci facesse lì.
"Cosa diavolo ci fai qui?"
"È l'unico posto in cui sono sicura di trovarti." rispose con tono d'ovvietà. "Devo parlarti. Di persona."
"Non ora, Amanda. È tempo di cose più importanti."
"Sempre
con queste frasi cinematografiche." sentenziò irritata. "A meno
che non si tratti di Taylor, ho io la precedenza."
Oliver
guardò la sua ex-moglie con occhi smarriti. Sì, si
trattava di Taylor, ma, no, non poteva dirglielo. E poi, a essere
sincero, quasi sperava che ci fosse qualche contrattempo. Se c'era
l'occasione di ritardare le sue dimissioni, l'avrebbe colta al volo!
Salirono
fino al suo ufficio, sotto il giudizio curioso dei colleghi, e si
chiusero all'interno. Il riscaldamento non era stato acceso e le
scartoffie ovunque diedero alla donna un'impressione di incuria davvero
insolita.
"Posso offrirti un caffè?" chiese Oliver, togliendole galantemente il cappotto.
"No,
grazie." rispose lei, declinando sia il caffè che l'invito a
restare solo in maglione. Guardandosi attorno, notò le ultime
modifiche all'ambiente dall'ultima volta in cui ci era entrata. Si era
fatto più moderno e nei portafoto i soggetti erano cambiati.
Si riscosse e tornò a concentrarsi sul suo ex marito: "Sono venuta a chiederti cosa sta succedendo."
Oliver si abbandonò sulla sua poltrona in pelle, facendole fare un giro completo: "Oh, ehm...niente di importante."
"Qual è la tua definizione di importante?" rilanciò lei, incrociando le braccia con fare scocciato.
"Non ho novità su nostra figlia."
"Non
ci credo." asserì Amanda, mantenendo una linea dura. "Non
rispondi alle telefonate, non mi contatti per informarmi di come
procede, sei praticamente sparito dalla circolazione! Oliver, io ti
conosco. Sta succedendo qualcosa."
"No, sto solo lavorando al caso con molto impegno."
"È qualcosa di cui vuoi tenermi all'oscuro. Anzi, di cui stai tenendo all'oscuro tutti quanti. Dico bene?"
"Amanda, per favore." sbuffò, fingendo di massaggiarsi le tempie per scacciare un inesistente mal di testa.
"Qualunque
cosa sia, Oliver, ti prego di dirmela ora, perché Taylor
è la cosa più "importante" che mi è rimasta e ho
la netta sensazione che potrei davvero rischiare di perderla."
Gli
occhi grigi dell'uomo evitarono quelli autoritari di lei. Non aveva
perso la capacità di accorgersi di ogni minimo dettaglio, non
aveva smesso di scoprire la verità sotto qualsiasi bugia od
omissione.
"Oliver."
la voce di Amanda si fece meno sicura. "Se sai qualcosa su Tay che io
non so, qualsiasi cosa, ti prego, dilla anche a me. Sto morendo di
paura."
"Amanda,
sai che la sto cercando." mise in piedi un tono innocente che aveva
ormai già troppe pretese. "Cosa posso dirti di più?"
"Stai mentendo."
"No."
La
donna gli si avvicinò e lo guardò dritta negli occhi,
fermando la sedia girevole con un braccio: "Oliver Heavens, tua figlia
è scomparsa e sua madre è qui di fronte a te. Smettila di
fare il solito vile codardo."
Quando
Amanda tirava fuori gli artigli di mamma orsa, Oliver sapeva che
sarebbe finito in un vicolo cieco. Deglutì grattandosi il mento
incolto: "Non vuoi proprio demordere, eh?"
"No."
"Beh,
è vero che qualcosa sta succedendo, ma non è vero che io
non stia facendo tutto quello che posso per trovare una soluzione. Il
mio silenzio non è viltà, Amanda, ma prudenza. È
una faccenda complicata, dovresti fidarti."
"Fidarmi di chi? Di te?"
Oliver
accusò il colpo con una smorfia, ma pensò che se lo
meritava: "Ti prego di non insistere e ti assicuro che sistemerò
ogni cosa. Te lo prometto."
"Come
posso non insistere?" esordì lei, la voce rotta dall'agitazione.
"Cristo Santo, Oliver, è mia figlia! Lo so che forse non capisci
il peso di questa parola, ma per me è tutto, d'accordo? Io non
posso sopportare il pensiero di non poterla vedere mai più. Io
non posso convivere con questa situazione! Ho paura che stia soffrendo,
che mi stia cercando, che sia ferita, che sia morta, per la miseria!" i
suoi occhi erano lucidi e pieni di terrore, la sua voce tremante, in
accordo con un petto che batteva veloce. "E tu mi vieni a dire che non
devo insistere e accettare il tuo silenzio."
"Oh,
Amanda, mi dispiace così tanto." l'uomo si alzò in piedi
e l'abbracciò di slancio, provando insieme pena, senso di colpa
e preoccupazione. Si disse che in quel momento avrebbe voluto morire,
che avrebbe preferito essere lui quello al posto di Taylor, che non
sarebbe mai stato in grado di gestire una situazione così
complicata.
"Amanda, giuro che vorrei dirti la verità, ma non posso." sfiatò con la gola annodata.
Amanda
ricambiò quell'abbraccio di disperazione e capì che era
un sentimento condiviso, un mal di vivere che non era la sola a provare
e un peso che stavano condividendo entrambi, così
disperatamente, per la prima volta.
"Oliver, ti prego, dimmi che cosa sta succedendo." implorò ancora una volta.
L'uomo
si morse il labbro, frustrato, stanco e combattuto tra lo sfogarsi e il
mantenere il segreto. Era così difficile, così snervante
e ingiusto. Era un macigno enorme che sentiva il bisogno di dividere,
ma era una minaccia così grave che tutto in lui urlava di non
cedere.
Alla fine, però, sospirò sconfitto. Si era reso conto di essere arrivato alla fine del vicolo cieco.
Conoscere
bene Amanda e sapere che non avrebbe mai mollato lo spinse a prendere
la decisione. Era certo che lei gliel'avrebbe cavato di bocca in un
modo o nell'altro quello stesso giorno e così, presa una boccata
d'ossigeno, iniziò a raccontarle tutto ciò che sapeva.
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"Heavens." Jeremy entrò nella stanza di fretta e si avvicinò alla ragazza che rifaceva il letto.
"Che c'è?" domandò lei, fingendosi indifferente al fatto che lui non la chiamasse più Lor.
Il ragazzo gettò un cappotto sul letto: "Vestiti, usciamo."
Taylor guardò prima il capo di dubbia provenienza e poi lui, come fosse impazzito all'improvviso.
"Dove andiamo?"
Jeremy
non rispose, si limitò a raccomandarsi affinché
indossasse il cappotto e si vestisse in modo coprente. Le intimò
di non usare tacchi e scollature e di lasciare i capelli sciolti sul
viso. Taylor non ne capì il motivo e si confermò ancora
confusa quando, allacciato l'ultimo bottone, Alex la strattonò
fuori dicendo che erano in ritardo. In ritardo per cosa?
Pochi
secondi dopo erano già in macchina, in un silenzio così
glaciale che Alex non si azzardò nemmeno ad accendere la radio.
Quella situazione non piaceva a nessuno, né in particolare
né in generale, ma almeno facilitava la riuscita del piano.
Ognuno di loro non voleva parlare, ognuno di loro aveva dei dubbi che
lo tenevano occupato, ognuno di loro non vedeva l'ora di tornarsene a
casa per smetterla di odiarsi.
Il
viaggio non durò molto, i ragazzi si allontanarono dalla
periferia per seguire la costa e, arrivati all'inizio del bosco,
parcheggiarono per proseguire a piedi verso la baia abbandonata. La
strada tra la vegetazione sembrò molto lunga a Taylor, Jeremy
non si decideva a proferire verbo e sembrava che Alex lo imitasse in
soggezione. A un certo punto, lei decise di rompere quel pesante
silenzio: "Alex, Jeremy, dove cavolo mi state portando?"
Il
biondo, preso da mille pensieri, parve accorgersi solo in quel momento
della sua presenza. Avevano camminato per parecchi minuti a
considerevole distanza, cosa che le avrebbe permesso di voltarsi e
scappare senza che nessuno potesse trovarla in mezzo a quegli alberi
circondati dal buio. Arretrò di qualche passo per affiancarla e,
grato che non avesse ancora provato a ribellarsi, le strinse il polso:
"Lo vedrai a breve. Seguici e non aprir bocca." le ordinò.
Apparentemente
scocciata, la ragazza si allontanò da lui, lasciando che tra i
loro corpi ci fosse la distanza delle loro braccia distese, unite dalla
solo dalla sua stretta.
"Molto maturo." commentò Jeremy senza allentare la presa.
"Posso almeno sapere se vedrò sorgere il sole, domani?"
Alex sospirò: "Questo dipende da-"
Ma subito ricevette un calcio sullo stinco e si zittì completamente.
"Scusa." mormorò verso Jeremy.
"Voglio sapere cosa succede." si impose Taylor, il tono leggermente acuto, modificato dall'agitazione.
"Ti ho detto di non aprir bocca." ribadì Jeremy.
Ammetteva
di essere fin troppo duro, ma ormai la conosceva abbastanza bene da
sapere che fosse l'unico modo per tutelarla. Se le avesse fatto sapere
i programmi per la serata, lei non avrebbe mai accondisceso a seguirli
e, di certo, non aveva né le forze né il coraggio di
costringerla. Allo stesso modo non poteva lasciar trapelare la sua
inquietudine: non voleva spaventare Alex e non voleva che Taylor
potesse far leva sulle sue sue debolezze.
Era
meglio che si comportasse da vero rapitore. Se voleva essere
convincente agli occhi di Richard, doveva per primo esserlo per Alex e
Taylor. Specialmente per Taylor.
"E
invece parlerò fino a che non me lo dirai." proseguì
quest'ultima. "So che la mia abilità oratoria ti spingerà
a farlo!"
Taylor
aveva avvistato il pub tra le fronde degli alberi, scuro contro i
riflessi chiari della luna sul mare e aveva capito che qualcosa non
andava. Che non era uno di quei soliti cambi d'hotel che i ragazzi
architettavano, né tanto meno una gita al negozio di vestiti.
"Jeremy, che cos'è quel posto? Dove mi volete portare?"
"Taylor,
basta con le domande." sospirò lui, altrettanto morso
dall'agitazione, ma di molti gradi più freddo. "Ti ho detto che
tutto ciò che dovrai fare è seguirci e non parlare."
"Te l'ho detto, non mi farai stare zitta."
"Taylor!"
di colpo, Jeremy le strattonò il polso, fino a farla sbattere
contro di lui e poterla guardare dritta negli occhi, sotto la fioca
luce dei lampioni.
"Ascoltami."
sussurrò a pochissimi centimetri dal suo viso. "Stavolta devi
fare quello che ti dico, che ti piaccia o no. Devi tenere quella cazzo
di bocca chiusa e non aprirla nemmeno un secondo, a meno che non sia io
a dartene il consenso."
Taylor
trasalì per la vicinanza a quella lingua tagliente e a quella
voce congelata. Si ricordò della sera all'hotel di Cirencester e
rivisse la spiacevole sensazione di sopraffazione che aveva subito
anche in quell'occasione. La percezione di quel ragazzo come di un
essere senz'anima, di un mostro, per l'appunto, si impossessò di
lei e le sigillò le labbra.
"Non
devi azzardarti a fare domande e non muoverai un solo muscolo là
dentro. Non fare nessuna stronzata, non farti venire idee e non
provare, neanche per scherzo, a disobbedirmi. Hai capito?" la
guardò intensamente. "Hai capito?"
Taylor annuì e s'irrigidì.
Aveva
notato qualcosa nei suoi occhi che prima non poteva cogliere. Qualcosa
che li abitava già da un po', ma di cui, forse a causa della
rabbia che li dominava, non aveva mai nemmeno sospettato. Era
preoccupazione, e ciò la fece letteralmente raggelare.
Si
allontanò da lui, confusa e spaventata e seguì i ragazzi
dentro a quel locale poco promettente, facendosi mille domande e
rimanendo ben nascosta dietro ai due.
All'interno
le luci erano soffuse, i pavimenti e i muri, interamente in legno,
impregnati di un forte miscuglio di odori, i tavoli ricoperti di
bicchieri vuoti. Il peggio era la clientela di quel pub, almeno una
ventina di uomini sbronzi, soli o in gruppo, dall'aria tutt'altro che
amichevole.
Il
volume della musica era basso, superato dal brusio delle voci e dal
tintinnio dei bicchieri. Non appena entrarono, facendosi strada tra la
cortina di fumo, Taylor sentì la stretta di Jeremy farsi
più salda e involontariamente si avvicinò a lui. Molto
meglio il mostruoso Jeremy che quegli uomini.
Dovettero
fare slalom tra sedie e tavolini per raggiungere il bancone del pub.
Jeremy prese posto accanto a un robusto ragazzo e fece sedere Taylor
tra lui e Alex, fermo come una statua in posizione eretta. Il giovane
sconosciuto, abbigliato in modo disordinato, si girò piano verso
di loro e fece un cenno, come se li stesse aspettando da una vita.
Taylor
non lo aveva mai visto, ma se anche fosse stato il contrario, non lo
avrebbe mai riconosciuto. Indossava grandi occhiali da sole e la barba
rossiccia gli ricopriva tutto il mento e le guance. La sua testa era
fasciata da un cappello ben calato sulla fronte.
"Parker."
salutò, la voce così grave e sprezzante che fece tremare
Taylor. "E...l'amico." aggiunse rivolgendosi ad Alex, poi il suo
sguardo cadde sulla ragazza e si trasformò in un'espressione
sarcastica. "E guarda chi ci porta la marea...cominciavo a pensare che
vi sareste presentati da soli dicendo che la ragazza era ancora nella
doccia."
Taylor sussultò e guardò Alex alle sue spalle, ricevendo in cambio un'occhiata colpevole.
"Chiudi quella bocca." lo zittì Jeremy, schifato. "L'hai vista, ora? Sei soddisfatto?"
"Estasiato." rispose lui, divertito, allungando una mano verso Taylor.
La
ragazza indietreggiò spaventata, arrivando ad appoggiarsi
completamente ad Alex, il quale attualmente rappresentava per lei un
porto sicuro.
Richard
scoppiò in una risata di scherno e si alzò in piedi per
scansare i due ragazzi. Jeremy lo lasciò passare, riluttante, e
incollò a lui gli occhi con il cuore che batteva furioso nella
gola e nelle orecchie. Studiava ogni sua mossa e, assieme ad Alex, era
pronto a scattare nel caso avesse fatto un passo falso. Se Richard
avesse anche solo torto un capello a Taylor, Jeremy avrebbe perso ogni
controllo.
La
ragazza si era fermata con la schiena al bancone, non potendo far altro
che rimirare il suo riflesso verde di paura sulle lenti dello
sconosciuto.
Quando
il ragazzo allungò di nuovo la mano, dovette trattenere un
grido. Non mosse un muscolo; non seppe se per il terrore o
perché Jeremy le aveva intimato di non farlo. Non
ricambiò la sua stretta; si limitò a rimanere immobile e
ricacciare indietro il senso di nausea che la situazione le stava
provocando.
"Credevo che agli Heavens avessero insegnato l'educazione." ghignò lui.
"Basta
così, lasciala stare." intervenne Alex, incapace di sopportare
lo sguardo indifeso di Taylor un minuto di più.
"Tranquillo,
alter-ego, non voglio farle assolutamente nulla." ribatté il
ragazzo con un'ambigua bonarietà. "Voglio solo sentire la sua
voce e avere l'onore di stringere la sua morbida manina. E' per
metà nobile, dopotutto, no?" poi si rivolse di nuovo a Taylor.
"Sei o non sei la figlia di Oliver?"
Taylor
non riusciva nemmeno a schiudere le labbra, Alex sembrava a un passo
dal voler ammazzare tutti, ma Jeremy, che era il più vulnerabile
tra i presenti, tenne la situazione sotto controllo e rivolse a Taylor
uno sguardo che si poteva interpretare come lontana freddezza, ma che
in realtà era pieno di protezione: "Rispondigli, Taylor."
Lei si fidò ciecamente di Jeremy e mise assieme un tremante e rauco "sì".
Richard
rise nuovamente, dilettato da tutta quella scenetta e sorpreso di
quanta paura riuscisse a incutere. Era vero che non avrebbe fatto nulla
alla ragazza, ma avere quei due sotto controllo come marionette lo
faceva sentire incredibilmente forte.
"Ma
Oliver non è nobile. È solo ricco." Taylor non
riuscì a trattenersi e catturò l'attenzione di tutti e
tre. Un paio di occhi erano allarmati, un paio infuriati, un paio
oltremodo divertiti.
"E
così non ti hanno ancora tagliato le corde vocali, eh?" rise
Richard. "Scommetto che Jeremy non lo farebbe mai, ma se fossi in lui
non avrei difficoltà a dominare quella lingua lunga. Parker, non
hai insegnato al tuo ostaggio le regole?"
"Non è colpa sua." lo difese istintivamente Taylor.
"Oh,
allora sei tu la ribelle. Voi Heavens avete proprio un bel caratterino,
da quel che si sente in giro, ma mi sa che scegli la persona sbagliata
con cui dimostrarlo." allungò il braccio per l'ennesima volta e
sfoderò un sorriso malizioso sotto i peli ramati dei baffi.
"Richard." si presentò.
Quel
nome scosse per un attimo la memoria di Taylor, ma era così
impaurita che non riusciva né a muoversi né a pensare.
Perché non si era morsa la lingua? Perché non era
riuscita a trattenersi? Doveva tacere, Jeremy l'aveva avvisata! Il
problema era che si sentiva tropo impaurita per agire lucidamente.
La
tensione e la frustrazione le stavano giocando brutti scherzi e aveva
la netta sensazione che non sarebbe uscita viva da quel posto. Quel
Richard sembrava fin troppo malintenzionato e nel suo cervello
l'ipotesi che Jeremy potesse abbandonarla a lui si stava facendo
strada, mozzandole il respiro.
"Taylor."
la riscosse proprio quest'ultimo, invitandola a ricambiare la stretta
con sguardo truce. Sapeva che lei non sarebbe rimasta zitta, l'aveva
messo in preventivo, nonostante le sue raccomandazioni travestite da
ordini. Sperava con tutto il cuore che la smettesse di dar contro a
Richard, anche se lui stesso stava lottando per trattenere la mano
sulla pistola.
La
ragazza tese allora la sua mano, pallida e tremante e la unì a
quella di Richard ricacciando indietro un conato di vomito.
"Che ti prende, smorfiosetta, ti fa schifo anche solo stringermi la mano?"
Successe
tutto troppo rapidamente: Richard ringhiò questa domanda
avanzando un passo verso Taylor, lei si piegò all'indietro
finendo con il gomito sopra il bancone e così facendo,
urtò diversi boccali che, a effetto domino, si ruppero lasciando
che la birra scorresse per tutta la superficie.
A
quel punto aveva catturato l'attenzione del barista e di un gruppo di
clienti le cui birre erano finite sul bancone assieme ai cocci di vetro.
"Ehi!"
esclamò uno di questi, voltandosi di scatto con un'espressione
rabbiosa. "Ehi, brutti figli di puttana! Voglio sapere chi ha versato
la mia birra. Chi è il pezzo di me-" ma non appena notò
la tremante figura di Taylor, sgranò gli occhi puntandola come
un segugio. "...raviglia."
Alex
guardò subito Jeremy e, dalla sua espressione, capì che
non sarebbe affatto stato facile uscire da quel posto. Taylor aveva
involontariamente aizzato la bestia.
Il
biondo si affrettò a interporsi tra Taylor e il sopracitato,
sfoderando un tono tanto educato quanto terrorizzato: "La meraviglia si
scusa per l'inconveniente e la lascia alla sua consumazione."
"La meraviglia non ha una voce propria?"
"No, la sua voce appartiene a me come tutto il resto del suo corpo." disse, tagliente.
Mentre
Alex e Jeremy discutevano con l'omone e la sua compagnia, Richard ne
approfittò per avvicinarsi a Taylor. La afferrò per un
braccio e la trascinò in disparte, provvedendo a tapparle la
bocca con la mano, prima che lei potesse gridare.
La
fissò da dietro le lenti scure, quasi dispiaciuto di doverlo
fare, ma sapendo che stava solo obbedendo agli ordini di Cordano, come
aveva sempre fatto. Non gli era stato insegnato altro che seguire le
istruzioni e da anni riteneva che fosse la cosa giusta. Forse, se
avesse saputo che aveva tra le mani la migliore amica di sua sorella,
non avrebbe saputo soffocare il dispiacere.
Forse,
se si fosse ricordato di lei, quando la incrociava per il corridoio di
casa sua, lui undicenne e lei un piccolo scricciolo di sette anni,
avrebbe fatto un importante collegamento. Forse, se lei si fosse
ricordata di lui, abbattuto dai rimproveri dei genitori, mentre lei ed
Allyson giocavano con le bambole nella stanza accanto, avrebbe potuto
cambiare ciò che sarebbe successo in un non troppo lontano
futuro.
Ma
Taylor aveva visto quel viso pochissime volte prima che scappasse di
casa e non avrebbe mai potuto riconoscere i tratti morbidi di un
bambino dietro a quei crespi peli ramati. Allo stesso modo, anche per
Richard erano passati troppi anni e cambiate troppe cose; il suo
passato, quello in casa Stuart, non era che un mucchio di dolorosi
ricordi che era riuscito a schiacciare sotto l'immoralità della
vita di strada.
"Sentimi
bene, smorfiosa, io non credo che quel senza palle di Parker stia
facendo il suo lavoro con te." le alitò addosso, l'alcol che le
inzuppò la pelle e la cattiveria che le inumidì gli
occhi. "A quest'ora avrebbe già dovuto tenerti a briglie salde,
invece mi pare che ti lasci prendere fin troppe libertà. A te
servirebbe una bella lezione, non credi?"
La
sua stazza era così minacciosa su di lei che pensò
volesse picchiarla. Così agì d'istinto; affondò le
unghie sulle braccia di Richard e contemporaneamente gli morse la mano
che lui teneva sulla sua bocca.
Grande
passo falso. L'effetto fu che Richard la lasciò andare
immediatamente, indietreggiando e bestemmiando a polmoni pieni per il
dolore.
"Brutta troia!" le gridò addosso.
Immediatamente,
tutti i presenti si voltarono verso il bancone. Anche Alex e Jeremy,
assieme ai tre uomini, cessarono di discutere e nel pub cadde un
silenzio agghiacciante.
"Taylor,
che hai fatto?" soffiò Jeremy, il totale panico che ormai si non
si trattenne più all'interno della sua gola.
Ma
la sua voce fu istantaneamente sovrastata da altre più possenti.
Grida ed esclamazioni si sollevarono dai tavoli, assieme alle persone e
alla più virile eccitazione all'interno del pub.
"Guardate,
il bastardo ha la tipa e non ci fa condividere!" alcuni clienti,
sbronzi fino al midollo cominciarono ad avanzare verso il bancone.
Alcuni
pensarono in automatico che Taylor fosse una prostituta portata nel pub
da Richard, altri videro solamente una femmina da rendere propria,
altri ancora avevano solo voglia di fare un po' di baccano.
Alex,
distrattosi dalla discussione con gli uomini della birra, venne spinto
indietro dagli stessi, mentre Jeremy tentò con scarso successo
di raggiungere Taylor. Il barista gli si parò davanti e
iniziò ad accusarlo per il danno fatto, mentre nel pub scoppiava
l'inferno.
Il
proprietario iniziò ad aggredire Jeremy, che si scansava nella
vana impresa di soccorrere la ragazza. Mentre la folla maschile la
circondava, Richard si dileguò e la lasciò sola con la
schiena contro il bancone, davanti a una massa di squallidi pervertiti.
Gli
epiteti con cui quegli uomini la chiamavano diventavano sempre
più pesanti, mentre lei cercava disperatamente con lo sguardo i
suoi rapitori. Strano a dirsi.
Si
vedeva da lì a pochi minuti strattonata da quella moltitudine di
sudice mani, i vestiti fatti a pezzi e il viso rigato di lacrime di
vergogna. L'avrebbero stuprata e forse uccisa e tutto perché non
aveva eseguito gli ordini di Jeremy. Ora capiva perché era tanto
preoccupato e perché le aveva ordinato di non parlare e non
farsi notare.
Uno
degli ubriaconi la prese per un braccio, stringendolo senza misura e
riversandole addosso la sua sete di malsano desiderio: "Vieni con me
signorina, ti diverti tanto."
"No,
lasciami andare! Lasciami!" cercò di liberarsi, ma altri
provavano a rubarla a lui. La sua premonizione si stava avverando, era
diventata un pezzo di carne con cui un branco di cani randagi stava
litigando.
Era
una situazione assurda. Nessuno l'aveva mai desiderata così
tanto e lei non aveva mai desiderato così tanto che nessuno la
desiderasse. Si sentiva davvero un pezzo di carne; era questione di
minuti prima che, un morso da una parte e uno dall'altra, la
dividessero in brandelli.
Mentre
le grida intorno a lei si facevano sempre più forti, alcuni di
loro avevano iniziato una rissa e un uomo aveva estratto una pistola.
Prima ancora che lei potesse gridare, quello sparò un colpo, senza mira né rimpianto.
Taylor
si paralizzò. Nella sua testa sentì solo un forte fischio
che durò per diversi secondi durante i quali le immagini
scorrevano davanti a lei senza un suono. L'uomo l'aveva mollata per
assalire qualcuno e lei vedeva spari partire da una parte all'altra del
pub e chiazze rosse sul pavimento.
Le pistole e il sangue erano i suoi due peggiori incubi messi insieme.
A
un tratto si accorse che qualcuno la stava scuotendo per una spalla,
gridava verso di lei, con gli occhi sgranati, anche se la sua voce e la
sua presenza sembravano lontani anni luce.
"Taylor! Taylor! Dobbiamo andarcene! Dobbiamo uscire da qui!"
Alex
la prese per mano e la trascinò coprendola con il suo corpo. Una
pallottola saettò proprio a due passi da loro e lei chiuse gli
occhi, fidandosi solo della stretta del ragazzo. Per lei quei secondi
durarono un'eternità, ma li visse quasi come uno spettatore,
lontana persino da se stessa.
Forse per merito di un miracolo, riuscirono a raggiungere l'uscita e se ne andarono, correndo a perdifiato verso il bosco.
Quando furono abbastanza distanti, Alex si fermò e si piegò su se stesso: "Stai bene?" le chiese con il fiatone.
Taylor non gli rispose. Restava in piedi con le ginocchia tremanti e il viso trasparente per la paura.
"Senti,
Taylor, mi dispiace, ma ti devo lasciare qui." disse, respirando con
fatica. "Devo andare ad aiutare Jeremy, d'accordo? Nasconditi qui. Ti
prego."
E senza aggiungere altro, si voltò e riprese a correre.
La
ragazza annuì, come in trance, e guardò il moro dirigersi
di nuovo verso il Diderot. Dopo il silenzio di alcuni secondi, mosse un
passo in avanti e si accasciò a terra per vomitare tutto quello
che aveva visto.
Mentre riversava sul terreno il suo shock, una domanda apparve prepotente nella sua mente. Cos'era successo a Jeremy?
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Chi
sono i "Mostri al Diderot"? Il titolo, appunto, pone l'accento sulla
parola "mostri", quasi a chiedere a voi lettori chi siano i veri mostri
di questa storia. Jeremy che rapisce Taylor? Taylor che aggredisce
Jeremy? Gli uomini del Diderot? Richard? A voi l'ardua sentenza.
PUBBLICITA':
Se vi va, passate a leggere le altre mie due storie Io
e te è grammaticalmente scorretto ,
e Io e te è grammaticalmente scorretto 2, di cui, per quanto riguarda la prima, uscirà il libro a marzo 2017!
Se
poi vorrete unirvi al gruppo in cui si sta assieme, si parla di tutto e
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la vostra iscrizione a Grammaticalmente
Scorretti
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Capitolo 8 *** Athens and Sparta ***
All I want - 8.2
ALL
I
WANT
FOR
CHRISTMAS
IS...
********Athens and Sparta********
Jeremy uscì affannato e con la felpa imbevuta di liquore, ma fortunatamente tutto intero.
Si
coprì con un cappotto che aveva rubato e si diresse a passo
svelto lontano dalla baia, ai confini del bosco, controllando
smaniosamente che nessuno lo stesse seguendo. Non molto tempo dopo,
Alex spuntò dalla vegetazione, l'espressione da
sono-appena-uscito-vivo-da-una-sparatoria-mortale-wow-che-forza.
I
due amici si scambiarono uno sguardo sollevato e poi sospirarono
sonoramente, come se si fosse trattato di qualcosa che facevano spesso
e anche questa volta fossero riusciti a cavarsela. In realtà non
era affatto così, ma a nessuno dei due andava di ricordare
l'ovvio.
Dall'esterno
si sentiva il trambusto, le grida e gli spari sembravano non cessare,
così i ragazzi si allontanarono alla svelta e raggiunsero
Betsie. Alex assicurò a Jeremy di aver portato in salvo Taylor e
gli spiegò dove l'aveva lasciata.
"Grazie,
Alex." disse il biondo, stringendogli il braccio con un sentimento
ancora più intenso della gratitudine. "Dobbiamo recuperarla e
spostare Betsie da qui, prima che qualcuno chiami la polizia e
rischiamo di essere avvistati."
"D'accordo, sali."
"Alex. Piccolo particolare."
Alex sorrise soddisfatto, estraendo qualcosa dalla tasca: "No, caro mio, non le ho perse le chiavi!"
Jeremy alzò un sopracciglio: "Non puoi guidare dentro al bosco."
"Giusto." ribatté l'altro perdendo la sua enfasi.
"Vado
io da Taylor." disse il biondo guardandosi alle spalle, verso la
vegetazione. Quel muro di legno nero spaventava pure lui e a ogni
minuto che passava temeva che a Taylor potesse accadere ogni genere di
disavventura. "Sempre che sia ancora dove l'hai lasciata." aggiunse con
una punta di agitazione che fece passare per scetticismo.
"Allora tu vai e io porto via Betsie."
"D'accordo. Ricorda di non stazionare in un punto solo, muoviti attorno alla città e tieni gli occhi aperti."
"Tutto chiaro."
"Ci incontriamo più tardi, ti mando un messaggio."
"Ok."
"E grazie di nuovo."
"Prego, Jerry, e..."
I due ragazzi si guardarono un attimo nel buio della notte.
"Cosa?"
"Niente." il moro scosse la testa. "A dopo."
Alex
salì nell'auto e la accese rumorosamente. Jeremy, senza esitare
nella fiducia per il suo amico, gli diede le spalle e si diresse veloce
verso il bosco. Percorse un sentiero non troppo definito, un po' a
tentoni, ingannato dal buio. Sentiva i suoi passi contro il terriccio
umido e coperto di aghi e, sempre più in lontananza, il
trambusto al Diderot. Cercò di orientarsi fino al punto che Alex
gli aveva descritto, ma quando lo raggiunse, di Taylor non c'era
nemmeno l'ombra.
Il
panico lo assalì di nuovo e la testa iniziò a vorticare.
Camminò per una ventina di minuti tra gli alberi, chiamando la
ragazza ad alta voce e insistentemente, aggrappandosi a quel nome per
non disperare. A ogni secondo che passava senza una sua risposta, era
certo di averla persa.
Persa,
oppure lasciata in balia di qualche ubriaco sfuggito dal pub. O peggio
ancora, nelle mani di Richard; ignara di tutto e indifesa come solo
Taylor appariva ai suoi occhi. Possibile che fosse scappata? Quella era
l'ipotesi migliore. Avrebbe potuto farlo tranquillamente, perché
quello non era un bosco fitto, anzi, gli alberi erano molto radi e
spogli e si potevano scorgere la baia e il Diderot da qualsiasi punto.
Le sarebbe bastato dirigersi in direzione contraria e seguire la luce
della luna. L'erba era bassa e il cielo, quella notte, non troppo
scuro. Nulla che facesse paura, insomma, tranne il fatto che lei non ci
fosse da nessuna parte.
Dopo
un'altra decina di minuti persi a girovagare tra i tronchi,
sentì finalmente qualcosa. Erano dei rumori soffocati,
provenienti da un punto poco più avanti. Avrebbero potuto essere
il lamento di qualche animale, tanto gli apparivano sommessi e
indefiniti, ma si avvicinò comunque, con speranza e cautela.
Finalmente
raggiunse l'albero dietro cui sentiva quel pianto e con grande sollievo
vide Taylor, sana e salva, seduta su una radice e tutta rannicchiata
sotto le fronde. Gli sembrò, in quel momento, che la Terra
riprendesse a girare.
"Taylor!" esclamò, quasi commosso per averla trovata.
La
ragazza sussultò e non appena alzò gli occhi su di lui,
Jeremy notò che erano spaventati a morte e colmi di lacrime.
"Jeremy!" gridò, disperata. "Sei qui!"
Senza
che lui potesse prevederlo, la ragazza si alzò di scatto e gli
corse incontro travolgendolo letteralmente con tutta la sua irruenza.
Il ragazzo dovette reggersi bene a terra per non cadere all'indietro,
ma fu pronto a ricevere la sua esile figura tra le braccia ed
assicurarla a sé in quella che si poteva definire una stretta di
puro sollievo.
Nell'istante
in cui Taylor affondò la testa nel suo petto e prese a
singhiozzare ancora più forte, Jeremy non seppe fare altro che
tramutare quel contatto in un triste abbraccio, lasciando che le sue
mani sostenessero quella fragile schiena tremante e che il suo collo
ospitasse le lacrime salate di una bambina fin troppo coraggiosa.
Si
rese conto di quanto fosse fragile e forte contemporaneamente e di
quanto lui la stesse mettendo alla prova. Giorno dopo giorno era la
causa di una nuova sofferenza per lei; colui che l'aveva strappata
dalla sua vita tranquilla e messa di fronte ai pericoli del mondo.
"Mi dispiace." le sussurrò chiudendo gli occhi.
Quello
era il suo peggiore incubo: la ragazza che odiava sentir piangere che
piangeva tra le sue braccia e quel dannato profumo che gli invadeva le
narici e la mente.
Era colpa sua. Tutta colpa sua. Non avrebbe potuto sentirsi peggio di così.
Per
lo meno lei stava bene, ma al momento sembrava solo una magra
consolazione. Non sembrava stare poi così bene, dopotutto.
"Mi
dispiace, Lor." le ripeté come se quelle uniche tre parole che
sapeva usare per scusarsi potessero veramente calmarla.
"Pensavo...ve
ne foste...a-andati..." singhiozzò lei, stringendo più
forte i pugni sotto il cappotto di Jeremy, avvinghiandosi alla sua
felpa, come se ciò potesse non farlo allontanare mai più.
"Senza di te? Che senso avrebbe?" disse lui, posando timidamente la mano sulla sua testa.
"Dov'è Alex? Co-come sta?"
"Sta bene. Va tutto bene, Taylor. Calmati, ti prego."
"No, Jeremy...io...pensavo che- che mi avreste lasciato qui. Pensavo che...non sareste più tornati."
"Perché, Lor?"
"Credevo che vi fosse successo...qualcosa di grave...mio Dio, Jeremy, è stato orribile!"
Taylor
si sfogò ancora e ancora, facendo del petto di Jeremy la sua
unica consolazione e versando tutte le lacrime che aveva da versare.
Apprezzava quel contatto e quel calore umano come mai prima di allora e
si lasciava cullare dal suo rapitore come se l'avesse sempre fatto,
senza dire una parola o avanzare un'accusa. Dopo svariato tempo,
lentamente i singhiozzi si calmarono e lei si allontanò da quel
posto in cui per la prima volta si era sentita a casa, anche se non lo
era per niente.
Guardò
Jeremy nell'azzurro cielo che appariva infinitamente dispiaciuto e si
rese conto di ciò che era successo. Avevano rischiato la vita
tutti e tre e aveva avuto paura che Jeremy e Alex non ce l'avrebbero
fatta. Sarebbe stata in parte colpa sua e il pensiero l'aveva fatta
stare male per ore, incurante del fatto che fossero stati proprio loro
a rapirla, in primo luogo, e portarla in quel pub, poi.
Non
capiva perché quell'eventualità le aveva causato tanto
turbamento, non capiva se fosse normale o se qualcosa in lei non
andasse. Sapeva solo che le era sembrata l'ipotesi più orribile
del mondo, finché non aveva rivisto lui, sano e salvo, tornato
apposta per riprenderla.
Ora
lo guardava con un sollievo enorme, come se non aspettasse altro, se
non la presenza di quel ragazzo, se non la certezza di non essere sola,
di vederlo di nuovo. Non aveva ancora metabolizzato tutti gli shock di
quella nottata, ma sembrava che l'assenza dei ragazzi fosse stato
finora il più destabilizzante per lei.
Nel
frattempo, la testa di Jeremy sembrava non volersi fermare e
l'adrenalina iniziava a scemare per trasformarsi in stanchezza.
Così, decise di sedersi ai piedi di un albero, trascinando
Taylor vicino a lui. Nonostante lei avesse obbedito al quel tacito
ordine senza proteste, prendendo posto accanto a lui in silenzio, era
ancora ben evidente quanto fosse scossa e quanto quella notte l'avesse
profondamente segnata, forse per sempre.
Jeremy
si appoggiò al tronco sospirando, sollevato di saperla incolume,
ma al contempo attanagliato dal rimorso per tutto il male che le stava
facendo.
"Non
avrei dovuto portarti laggiù." disse quasi tra sé,
prendendosi la testa fra le mani. "Mi dispiace. Avrei dovuto trovare un
altro modo."
Taylor
decise di essere diretta e sgusciò la sua curiosità senza
mezzi termini, la voce ancora rotta dal pianto: "Chi era quel tale,
Jeremy? Che cosa voleva da noi? Perché siamo andati lì?
Voglio saperlo."
Il
ragazzo parve indeciso tra il raccontare la verità e l'ennesima
bugia, ma poi si trovò di fronte a quegli occhi feriti e
arrossati e capì che davanti a loro non sarebbe più
riuscito a mentire.
"È
solo uno dei tanti nemici che ho." rispose in un sospiro intriso di
tristezza. "Doveva accertarsi che il rapimento stesse filando liscio,
che tu stessi bene e che avessi tutto sotto controllo. Piccoli
particolari che mi pare di non aver affatto dimostrato, tra le altre
cose."
"È stato lui a scegliere il posto?"
Jeremy
schioccò la lingua, arrabbiato con se stesso al ricordo di
quanto poco avesse insistito per far cambiare idea a Cordano riguardo
al Diderot: "Più o meno."
"Capisco."
disse solamente lei, tirandosi le maniche fino alle nocche e soffiando
sulle mani a coppa per scaldarsi le dita. Dopo un po' di silenzio,
prese un respiro e guardò il ragazzo con fare serio. "Non sei
stato tu a volermi rapire." pronunciò in una vera e propria
costatazione, indignata, arrabbiata e piuttosto sicura. "Ti hanno
costretto."
Jeremy
sorrise e scrollò le spalle, poco impressionato dalla sua
prevedibile deduzione, ma divertito dal tono battagliero di quello
scricciolo.
"Io sono un benefattore, Lor. Avevo il dovere morale di salvare i tuoi cari dalla tua insopportabile presenza."
"Jeremy."
"Guarda
come mi hai ridotto in pochi giorni. Non oso immaginare che succede a
loro che ti hanno da una vita. Non credi che abbia fatto un favore a
tutti?"
Taylor
capì che non poteva domandare oltre, così si
accontentò di quella non negazione. Jeremy avrebbe sempre
cercato di dissimulare la situazione, ma a lei era parso ben chiaro,
quella notte, che ci fosse qualcun altro dietro a tutto quel trambusto.
"Credo
di sì, Robin Hood." ribatté allora, fissandosi mestamente
le scarpe. "Anche se dovevi giocare meglio le tue carte. Rubare ai
ricchi per dare ai poveri, ma scegliere i ricchi giusti, non gli
stronzi come Oliver."
"Ehi." Jeremy corrugò la fronte. "Non dire così, tuo padre sta facendo di tutto per riportarti a casa."
"Sì, certo."
"Heavens." Jeremy la fissò con un cipiglio di rimprovero che lei trovò quasi inopportuno da un tale pulpito.
"Cosa?"
"Piantala con il sarcasmo. Tuo padre è un brav'uomo. Sta dando tutto per te."
Lei
scosse la testa: "Non per me, Jeremy, per lui." contestò.
"Oliver ha paura di perdere la sua fama e il suo prestigio, tutto qui.
Sta solo aspettando che io ritorni per avere una storia da raccontare,
l'ennesimo motivo per cui farsi adorare da sua moglie, da Tessy, dai
giornali...solo...per fare l'eroe, come nei suoi adorati film, come ha
sempre fatto."
"Dici così solo perché ce l'hai con lui. Se sentissi la sua voce al telefono, non saresti del parere."
"Oh,
andiamo, è ovvio che sia preoccupato! Che figura ci farebbe con
il mondo se un superuomo come lui non riuscisse nemmeno a salvare la
sua figlioletta abbandonata?"
"Ti avrà anche abbandonata in passato, ma non ti sta abbandonando adesso!"
"Sono solo cazzate!"
"Perché non lo vuoi perdonare?!"
Jeremy
fissò Taylor con il respiro affannato e le sopracciglia
corrugate. Era un argomento che gli stava a cuore, si sorprese di
realizzare.
La ragazza non capiva perché proprio lui si ostinasse così tanto: "A te che importa?"
"Voglio
sapere perché lo odi così. Voglio sapere che cosa ti ha
fatto per impedirti di dargli una seconda opportunità."
"Mi
ha abbandonata quando avevo un anno, Jeremy!" sbottò lei. "Ti
basta?" non aspettò nemmeno che rispondesse e proseguì
presa dall'impeto di far sapere anche a lui le gesta insensibili del
cosiddetto padre. "Ha fatto vivere una vita orribile a mia madre, l'ha
presa in giro e ha ignorato le sue suppliche per diciotto anni! Io la
sentivo piangere alla notte e vedevo il suo mento tremare quando lo
incontravamo in giro e a mano con quella stupida riccona rifatta! Lui
è uno stronzo e tu mi chiedi di dargli una seconda
possibilità. Di credere che Oliver sia un uomo migliore di
quello che sembra."
"Di
sicuro ti ha fatto male, Taylor." rispose lui, lentamente e con una
serietà insolita. "Ma sai cosa diceva sempre la mia di mamma?"
La ragazza rimase in silenzio, scrutando quelle iridi chiarissime concentrate sulle sue.
"Diceva:
se Sparta piange, Atene non ride." deglutì a fatica, come se gli
costasse molto raccontare quell'aneddoto. "Ne aveva molti di detti, ma
questo era uno dei più quotati e mi ha sempre fatto riflettere.
Guardare le cose da più prospettive."
Vide
che Taylor aveva finalmente abbracciato la politica del silenzio,
così proseguì e si spiegò meglio: "Se tu e tua
madre avete vissuto anni difficili, le difficoltà sono spettate
anche a chi ne è stato la causa. Non credo che tuo padre abbia
lasciato una moglie e una figlia senza un minimo di rimorso e se anche
non ti è sembrato, probabilmente è perché ha
lottato per nasconderlo. Pensa a quanto deve aver sofferto per quella
scelta."
"Nessuno l'ha costretto a scegliere."
"La
vita, Taylor. A volte si fanno delle cose che siamo spinti a fare, le
facciamo per sopravvivere, ma non sempre sono cose che ci fanno felici.
Possono essere anche scelte che in realtà ci distruggono e fanno
soffrire altre persone, ma siamo obbligati per il nostro bene a seguire
una determinata strada." sembrava quasi che stesse parlando di se
stesso.
"Quindi stai dicendo che la vita ha obbligato Oliver a preferire Martha a mia madre?"
"In
un certo senso sì." confermò lui. "Non sto dicendo che
sia giusto, Lor, sto solo dicendo che, dal suo punto di vista, è
stato necessario. La vita l'ha messo davanti a un bivio. I sentimenti,
ma ancora più in profondità i suoi bisogni e i suoi
istinti l'hanno costretto a prendere una decisione."
"Beh, allora avrei dovuto essere io la sua scelta! Non Martha!"
"Per
l'uomo di allora non era quella la strada da intraprendere. Non ne sai
tutti i motivi, ma non puoi nemmeno escludere che non si sentisse
pronto abbastanza per te."
"E allora perché per Tessy è stato pronto?"
"Perché
una volta fatta una scelta, Lor, non si può sempre tornare
indietro. Dopo essersi allontanato da te la sua vita è andata
avanti in un altro modo e forse in quell'occasione ha sviluppato le
capacità per sapersi gestire."
"Avrebbe potuto tentare di riallacciare con me in qualsiasi modo."
"Gliel'avresti permesso?"
Taylor tacque e abbassò lo sguardo, presa in contropiede.
"Con
il tuo caratterino, non credo che gli avresti reso le cose facili."
Jeremy le sorrise, intenerito. "Figuriamoci da preadolescente isterica.
Ma, in ogni caso, forse non avrebbe nemmeno saputo da dove cominciare.
Però magari con gli anni si è pentito davvero, magari ha
capito, magari sta capendo solo adesso. È un umano e, dopotutto,
ha sbagliato."
"Ha sbagliato di grosso."
"Certo,
Lor." le diede ragione il biondo, a sua volta incapace di immaginare
come una persona potesse avere il cuore di far soffrire così
tanto quella ragazza. "Ma a prescindere da tutto, ora lui c'è."
Taylor
era colpita da quelle parole, colpita per come veramente aprissero una
prospettiva su un aspetto diverso, che mai l'aveva sfiorata. Non
l'aveva mai vista dal punto di vista del carnefice, suo padre, non
aveva mai preso in considerazione che anche lui avesse potuto star male
e che avesse dovuto scegliere in quel modo.
E allora si chiedeva: come poteva qualcuno essere costretto da se stesso per se stesso? Si chiamava egoismo o felicità?
Nonostante
la nuova visione delle cose, non riusciva nemmeno a pensare di poter
perdonare Oliver. Solo per il male che aveva fatto ad Amanda, non si
meritava una seconda possibilità. L'avesse anche tirata fuori da
quel guaio, lei non gliel'avrebbe mai concessa.
"Mi
è mancato davvero tanto un papà." si lasciò
sfuggire, prima che potesse frenare quest'intima confidenza. Aveva
sempre faticato, in passato, ad ammetterlo persino con sua madre o con
Ally.
"Lo so." rispose semplicemente Jeremy.
Rimasero così in silenzio a fissare il cielo spruzzato di poche stelle di fronte a loro.
Taylor
non osava fare domande o dire nulla di più. Era grata a quel
ragazzo perché era stato il primo a non farla sentire la solita
abbandonata dal mondo. Quando parlava con gli altri, reagivano tutti
sempre allo stesso modo: dispiacendosi per lei e lamentandosi assieme a
lei.
Jeremy,
invece, le aveva dato contro – come al solito, dopotutto –
ma le aveva fatto capire che una medaglia aveva sempre due facce. Per
una volta aveva fatto sentire un po' colpevole pure lei e questo aveva,
in una minima, infinitesimale, atomica parte, redento un pochino il
crudele Oliver.
Certo,
la rabbia e la delusione c'erano ancora e Oliver restava pur sempre il
nemico numero uno. Ma Jeremy sapeva quando mostrare compassione e
quando, invece, scatenare la sua vena insensibile a fin di bene.
Chissà se finora non si era sempre comportato così nei
suoi confronti.
Jeremy
la guardò e si chiese se veramente l'amore per una donna potesse
portare a perdere qualcosa di tanto grande e importante. In un certo
senso si sentiva alleato di Oliver, perché diciotto anni fa si
era comportato come lui si stava comportando ora. Come aveva fatto
Oliver in passato, Jeremy stava rinunciando a qualcosa di importante
come la sua pace e la sua libertà pur di salvare qualcosa di
fondamentale, ovvero la sua vita, mettendone in gioco tante altre.
Facendone soffrire tante altre.
Tuttavia,
non sapeva se avrebbe resistito fino alla fine, perché stava
diventando tutto sempre più confuso e difficile. Taylor lo aveva
influenzato in modo troppo inaspettato e si sentiva un verme al
pensiero dell'incubo che le stava facendo vivere. Erano veri e propri
sensi di colpa quelli che sin dall'inizio lo avevano attanagliato e che
ora si stavano mettendo prepotentemente in mezzo ai suoi piani.
All'inizio
lei gli era sembrata così forte e indipendente, ma poi si era
accorto che era più debole di quanto si potesse immaginare. Le
fragilità che cercava di mascherare erano tante ed era
così sola e ferita a causa di un passato che lui non faticava a
comprendere. Per la prima volta, in tutta quell'avventura, si chiese se
stesse facendo tutto ciò per felicità o per egoismo.
"Lo
sai per chi ho pregato, Lor?" le chiese improvvisamente, sapendo di
star completamente distruggendo tutti gli sforzi di anni e anni, ma
sentendo un disperato bisogno, da dentro di sé, di condividerlo
con lei.
La ragazza scosse la testa, anche se poteva immaginarlo.
Lui prese un profondo respiro: "La mia mamma."
Tre parole che non usava mai insieme.
Taylor
lo guardò senza parlare, in attesa, in dubbio. Quasi impaurita
di poter respirare in modo sbagliato e vanificare il peso di ciò
che lui aveva, visibilmente a fatica, appena confessato.
"Volevi tanto saperlo, no?" incalzò lui.
"Jeremy, io...se non ti va di parlarne, fa lo stesso, era solo..."
"Tranquilla." la interruppe, sorridendole. "Mi sa che te lo devo."
Taylor
gli rivolse un sorriso che a lui parve bellissimo, ma non ci si
soffermò troppo. In quella situazione sapeva benissimo di aver
già calato abbastanza difese e il peggio stava giusto per
arrivare.
"Voglio
che anche tu sappia quanto le volevo bene, quanto fosse speciale e
brava in tutto quello che faceva. Quanto mi manca e quanto cavolo mi
è mancata." si passò una mano tra i capelli, un po'
imbarazzato, ma fiero di quelle parole.
Taylor
apprezzò infinitamente lo sforzo di Jeremy e lo vide per la
prima volta in estasi, completamente innamorato della persona di cui
stava parlando. Era davvero bellissimo, così. Era perfetto.
"Dimmi com'era." domandò curiosa ed emozionata a sua volta.
Lui
si passò di nuovo la mano nei capelli, quasi per darsi forza, e
decise di imbarcarsi in quel discorso che sapeva naufragare sempre in
porti aridi e sconsolati. Ma aveva gli occhi di Taylor davanti e
sentiva che forse loro avrebbero potuto salvarlo dal dolore di quel
luogo, o per lo meno capirlo.
"Si
chiamava Miriam ed era una donna bellissima." cominciò. "Aveva i
capelli lunghi, biondi, e la pelle piena di lentiggini. Le odiava con
tutto il cuore, ma la capisco, dato che su questo ho preso sicuramente
da lei. Con la differenza che a lei, invece, stavano davvero bene. Le
sarebbe stato bene qualsiasi difetto."
"Io le trovo carine le tue lentiggini."
"Lor. Io sono meraviglioso a prescindere. Posso non piacere solo a me stesso."
"Ok,
torniamo a parlare di tua madre." tagliò corto lei, imbarazzata.
"Sono sicura che non ti ha trasmesso la modestia, vero?"
"Nah."
"Dimmi che facevate. Com'era di carattere."
"Passava
tutto il tempo con me, perché non lavorava. Era la mia migliore
amica, la mia compagna di giochi, la mamma migliore che un bambino
potesse desiderare. Sai, tipo quelle dei film o delle
pubblicità. Anche se detestavo quando lo faceva, si preoccupava
sempre per me e quando mi faceva male qualche parte del corpo, lei ci
posava un bacio, facendomi miracolosamente passare ogni dolore. Comodo,
eh? Ogni volta che riusciva a farmi salire in macchina per portarmi
all'asilo doveva tornare a prendermi qualche ora dopo perché
facevo il disastro pur di tornare con lei. Una volta ricordo di essermi
addirittura infilato sotto la sottana di una suora e quella volta si
è arrabbiata sul serio, dicendomi che non avrei cenato...non
avrei avuto comunque fame, dopo quello che avevo visto." sorrise
leggermente al ricordo. "Alla fine invece aveva preparato le
crêpes con il cioccolato e mi aveva costretto a mangiarle mentre
guardavamo Sister Act, facendomi cantare assieme alle suore per
punizione." fece una pausa e poi il suo sguardo s'incupì.
Taylor
lasciò passare qualche secondo. Avrebbe voluto chiedere 'e
poi?', ma sapeva che Jeremy ci sarebbe arrivato. Un'introduzione
così felice non avrebbe spiegato nulla di quel ragazzo, se non
ci fosse stato un però.
"Mio
padre tornava tardi. Molto tardi." proseguì allora, il biondino.
"Lavorava alla Money House e di sicuro se chiederai a Oliver, si
ricorderà di quel bastardo. Tradiva di continuo mia madre,
beveva, litigava. Lei mi metteva a dormire presto, ma io rimanevo
sveglio per sentire le loro discussioni e poi i bicchieri che si
rompevano e le urla di mamma. Le sentivo e piangevo, mi tappavo le
orecchie con le mani, mi infilavo sotto alle coperte e nei miei incubi
vedevo sempre quelle scene spaventose. La faccia di mamma impaurita e
io sulle scale con le orecchie coperte." i suoi pugni erano serrati e
il suo respiro iniziava ad affannarsi. "E poi successe una cosa
orribile."
Ecco,
c'era arrivato. Guardò Taylor e la vide trasalire davanti
all'espressione del suo volto. Superato quel punto, Jeremy sapeva che
avrebbe riaperto un sacco di ferite e che il dolore sarebbe stato molto
più che lancinante.
"Era
il tredici settembre e io avevo sei anni. Il giorno successivo avrei
dovuto cominciare le elementari e per l'occasione mamma mi aveva
comprato uno zaino nuovo, quello che avevamo visto in una vetrina e mi
era subito piaciuto. Quando lui lo vide cominciò a urlarle
addosso cose irripetibili, dicendo che era l'unico della famiglia a
portare a casa soldi e lei non faceva altro che sperperarli in
inutilità...era...molto più ubriaco del solito." la sua
voce si incrinò in quel momento e Taylor chiuse gli occhi,
incapace di reggere l'immagine di delle labbra tremanti di Jeremy. "Lei
gli aveva detto che se non poteva lavorare era a causa sua, che non
gliene fregava nulla di avere un figlio da accudire e che era un marito
ingrato. Gli disse che sapeva dei suoi tradimenti e...altre cose che
non ricordo, ma che all'epoca mi sembrarono terribili. Inizialmente
sembrava una discussione come tante altre, ma la differenza era che
quella volta io ero lì e mi resi conto subito che mio padre
aveva perso il controllo. Ero lì davanti a loro quando la
chiamò 'puttana', ero lì davanti a loro quando lei mi
gridò di salire in camera, ero lì davanti a loro quando
sentii il suono delle porcellane frantumarsi sotto il peso della mia
mamma, spinta violentemente contro il mobile del salotto."
Jeremy
guardò la terra come fosse il vecchio pavimento bianco di casa.
La riga tra le mattonelle che si riempiva lentamente di liquido rosso.
"Ero
lì davanti a loro quando mio padre mi ha detto di dire a tutti
che la mamma era caduta dalle scale ed era morta. E fu l'ultima volta
che lo vidi."
Taylor
sussultò e si coprì la bocca con entrambe le mani. Voleva
chiedere a Jeremy di smettere, non voleva ascoltare oltre, non voleva
più sentire la potenza del dolore inconsolabile che sgorgava
dalla sua gola.
Ma
lui continuò, lo sguardo fisso al terreno, vuoto e tremendamente
ferito: "Lei era...era stesa a terra e io volevo credere che mi stesse
facendo uno scherzo. Che stupido, mio Dio, ero proprio un bambino
scemo. La scuotevo come un idiota, come se potesse aprire gli occhi
sorridente come al solito e chiedermi di rimettere in ordine tutto che
era tardi e l'indomani c'era la scuola...mi ricordo...mi ricordo che le
presi una mano sanguinante e la baciai...ma lei non si
muoveva...pensavo di poterla guarire anch'io con un bacio...che
stupido." ripeté, strusciando il palmo contro lo zigomo per
mandare via una gelida lacrima.
Ma
quella fu solo la prima di tante altre, che da quel momento in poi
Jeremy non riuscì più a trattenere. Erano lacrime che
desideravano scendere da moltissimo tempo e che finora era stato capace
di dominare sotto una maschera d'indifferenza.
Senza
che potesse impedirlo, gli tornarono alla mente tutte le immagini che
aveva oscurato fino ad allora; vedeva la madre sorridere, riempirlo di
solletico sul divano, i suoi baci sulla fronte, le sue boccette di
profumo ordinate sulla specchiera...e poi la vedeva lì, gli
occhi chiusi e tutte quelle lentiggini che, come luci sul fare
dell'alba, stavano esaurendo la loro brillantezza. Sentiva la sua
stessa voce, confusa e spazientita, chiamare inutilmente.
Mamma? Mamma? Mamma!
Ma la sua mamma non gli avrebbe più risposto.
Anche
Taylor stava piangendo. Come poteva pensare che un ragazzo così
apparentemente freddo come Jeremy avesse patito tanta sofferenza per
tutta la sua vita? Era sconvolta. Era arrabbiata, furiosa, voleva
uccidere quell'uomo! Voleva prenderlo, sbatterlo al muro e urlargli:
perché?
Perché
aveva rovinato la vita di suo figlio? Perché gli aveva pugnalato
il cuore con tutta quell'indifferenza? Perché gli aveva tolto la
felicità?
Ma
non poteva fare nulla se non, come Jeremy, immaginare la giovane
Miriam, bionda e bellissima, distesa esanime sul pavimento. E accanto a
lei, piccolo e indifeso, un bambino riccioluto, che voleva solo la
mamma. Voleva solo, come tutti al mondo, essere felice.
Senza
parlare, appoggiò la testa sull'incavo del suo collo e lo
ascoltò piangere silenziosamente, il petto che si sforzava per
trattenere i singhiozzi e la postura che, con gran contegno, non si
abbandonava al dolore.
Teneva
sempre duro, Jeremy, non si scomponeva, ma soffriva e basta. Taylor
sentiva le sue lacrime calde caderle sui capelli e poi una sua mano
accarezzarli, quasi fungessero da calmante. Avrebbe voluto essere
più utile di così, ma non avrebbe saputo che dire o cosa
fare. Anche lei era impotente di fronte a quell'enorme ingiustizia.
Passarono
minuti, forse ore, nei quali nessuno voleva spezzare il suono della
natura. Rimasero in quella posizione: l'una adagiata all'altro, vicini
fisicamente per ingannare il freddo, vicini spiritualmente per
ingannare il vuoto.
"Non
volevo farti piangere di nuovo." esordì Jeremy, che aveva
sentito sulle guance della ragazza l'empatia che provava verso di lui.
"Di nuovo? Che intendi dire?"
"So che hai pianto l'altra sera. Mentre disegnavi quella foto."
"Oh."
"E il giorno in cui ti ho dato lo schiaffo. E quando ti ho minacciato per essere scappata."
Taylor sorrise: "Beh, se Sparta piange, Atene non ride."
Anche
Jeremy, tra le lacrime, sorrise. Pensò che quella ragazza avesse
qualcosa di speciale; solo lei avrebbe potuto farlo ridere e piangere
allo stesso tempo! E quanto aveva cambiato di lui in così poco
tempo, senza che nemmeno se ne fosse accorto. Era riuscita ad aprire
delle porte che lui teneva sigillate e continuava a sorprenderlo,
giorno dopo giorno, ora dopo ora. Le voleva bene, troppo forse, anche
se non l'avrebbe mai ammesso. Il suo orgoglio e la sua missione glielo
impedivano.
"E quindi io sarei Atene o Sparta?" le domandò, cancellandosi le lacrime dalle guance.
"Sparta. Sicuramente Sparta."
"Sono d'accordo."
"Senti, Jeremy." proruppe lei, curiosa, ma discreta. "Ma poi che ne è stato di tuo padre?"
"È
finito in prigione, a Windsor, dov'era scappato. È morto due
anni dopo mia madre; all'inizio pensavano a un suicidio legato al
rimorso, ma lui non provava rimorso, non l'ha mai provato. È
morto perché la sua anemia non veniva curata da molto tempo e,
francamente, non ho provato nulla quando me l'hanno riferito. Non sono
nemmeno andato al funerale."
"È stata la scelta giusta."
"Quella
di mia madre è stata sbagliata, invece. La peggiore. Mi domando
sempre come avesse fatto ad amare quell'essere. Come avesse potuto
scegliere lui. Era una donna così buona e così
intelligente e lui..."
"Credo valga lo stesso discorso che hai fatto su Oliver."
Jeremy fissò di nuovo il terreno, incantato e triste: "Credo di sì."
"E tu? Che ne è stato di te? Della tua istruzione...che hai fatto poi?"
"Ti
chiedi come faccia a essere così colto, eh?" scherzò lui,
leggermente più sereno nonostante si sentisse completamente
svuotato. "Beh, subito dopo l'omicidio, sono stato affidato a nonna
Angelina, che mi ha fatto fare le elementari da privato e le medie alle
scuole pubbliche di Bourton, ma che mi ha detestato per ogni singolo
giorno in cui mi ha avuto in casa sua. Ero un bambino problematico,
come potrai immaginare. Quando si è trasferita in Australia per
sbarazzarsi di me, è riuscita a farmi prendere dall'orfanotrofio
di Stroud, dove ho fatto le superiori e vissuto i miei migliori anni da
preadolescente teppistello. Sai? Bruciavo i letti e mettevo le
lucertole morte nelle ciabatte del direttore."
"Sei uno stronzo!"
Jeremy
ridacchiò, compiaciuto di se stesso: "A diciassette anni mi sono
stancato di quel lager gestito da ss sotto le spoglie di monache e me
ne sono andato definitivamente. Diciamo che ho imparato a cavarmela da
solo, gestendo autonomamente un po' tutto."
"Intendi facendo il ladro?"
"Non
rovinare la poesia, Taylor. Ho studiato da solo quello che mi serviva
sapere. Sono stato in biblioteca di tanto in tanto, ma mai in chiesa."
precisò.
"Wow, non ti facevo un tipo da biblioteca."
"Mi
piaceva fingere di studiare, mentre guardavo le tette della
bibliotecaria. Erano gli anni della pubertà, non so se mi
spiego."
"Ora capisco la vera motivazione dietro i tuoi studi."
"E tu? Com'è che sei così brava a disegnare?"
La
ragazza arrossì lievemente. Non sapeva se lo pensasse davvero,
ma quella domanda l'aveva indubbiamente lusingata. Non era frequente
sentirsi dedicare belle parole da parte di Jeremy.
"Davvero mi reputi brava?"
"Fenomenale,
Lor. Mi piacciono i tuoi disegni." confermò lui, in
sincerità. "E guarda che io mi interesso di arte; ho studiato
tutti i maggiori pittori europei dal Medioevo."
"Tra una tetta e l'altra."
"Simpatica. Le mie critiche sono fondate e obiettive. Anche se persino un bambino capirebbe che hai davvero talento."
Taylor
arrossì ancora di più: "Un giorno ti farò un
ritratto, allora." fu il suo modo di ringraziarlo per il complimento.
Tuttavia,
entrambi si resero subito conto dell'impossibilità di
quell'affermazione e spensero l'entusiasmo del loro dialogo. Per
l'imbarazzo che aveva generato, la discussione perse subito il suo
ritmo e si tramutò in significativo silenzio.
"Allora, principessa, ha deciso di approvare questa nuova sistemazione?" propose Jeremy, cambiando argomento per sdrammatizzare.
"Nuova sistemazione?"
"Il
mio stomaco." il ragazzo sfoderò finalmente il buon vecchio tono
strafottente. "Non sarà alla sua altezza, ma mi pare di capire
che è comodo."
Taylor
rimase per un po' interdetta, ma poi convenne con lui che tra tutti i
posti che avevano cambiato finora, quello era in assoluto il più
confortevole. Anche se c'era freddo, anche se erano stessi per terra,
anche se non c'era nulla sopra le loro teste, se non un cielo con poche
stelle.
Arrossì
e non rispose, ma si sistemò meglio sulla sua spalla e si
raggomitolò accanto a lui, infilando una mano sotto la sua
giacca per tenerla al caldo.
Jeremy
si irrigidì per la sorpresa di quel gesto: "Credo sia un
sì." biascicò, prima di decidere finalmente di rilassare
i muscoli.
Taylor
stiracchiò le gambe accanto a quelle distese del ragazzo,
meravigliandosi di quanto bene si sentisse. Così vicino a lui
non c'era più freddo e avrebbe potuto rimanere in quella
posizione per ore, a sorridere della piega che aveva preso la nottata.
Si
concentrò e percepì il cuore di Jeremy sotto il suo palmo
battere un po' più lentamente del normale. Non si stupì
di ciò; tutto di lui era una sorpresa. In qualche modo, era
speciale.
Dal
canto suo, se ripensava a quello che era successo negli ultimi minuti,
Jeremy non poteva che realizzare di essersi esposto irrevocabilmente.
Ormai era ufficiale: Taylor lo aveva cambiato, lo aveva rivoltato come
un calzino, era riuscita a farlo ridere, piangere, preoccupare,
arrabbiare, tutto nella stessa notte, come nessuno mai aveva fatto
prima.
Sentiva
la mano della ragazza premere sul cuore e sorrideva perché era
stata capace di aprirlo, riconoscendo la serratura meglio di quanto lui
potesse fare. Strana la vita a volte.
Chiuse
gli occhi e inspirò il suo profumo di talco e lavanda a pieni
polmoni. Si lasciò trasportare da esso completamente; per la
prima volta, senza opporre resistenza. Permise a tutti i ricordi di
risplendere sotto le sue palpebre serrate, mentre con la testa
appoggiata al tronco di un albero aspettava che fossero rivestiti di un
nuovo senso di accettazione.
"Jeremy?"
"Sì?"
"Puzzi di liquore."
"Vorrei poter dire la stessa cosa di te, Lor."
"In che senso?"
"Nulla. Lascia stare."
Taylor
decise di non questionare oltre; era esausta e in un tale senso di pace
che non voleva rischiare di rovinare un solo atomo di quell'atmosfera.
Tutta la tensione e la paura che aveva immagazzinato in una sola sera
fluirono distanti dal suo cuore e, nel calore di un contatto
così unico, decise di dar pace ai suoi occhi doloranti per il
pianto. Li chiuse e si addormentò sul petto di Jeremy, con un
sorriso sulle labbra e un nuovo sentimento nel cuore.
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"BRUTTI IDIOTI!"
Il grido, grave e potente sulle loro teste, rimbombò tra gli alberi e fece aprire a Taylor un occhio assonnato.
"Deficienti! Razza di stronzi!"
La
ragazza distinse, contro i raggi del sole, il dolce profilo di Alex e,
facendo leva con il braccio sul terreno, alzò il busto per
guardarlo meglio. Era sporco un po' ovunque e portava una lugubre
espressione, segnata da due spaventose signore occhiaie.
"Buongiorno..." mormorò cercando di pararsi con una mano dalla luce.
"Buongiorno una bella merda!"
Jeremy
ricevette quel delicato fraseggio direttamente nelle orecchie e
sembrò riconoscere l'amico ancora prima di destarsi: "Alex?"
"Sì, Alex, quello stronzo che vi cerca da cinque fottutissime ore!"
Jeremy
aprì gli occhi a fatica e si guardò intorno confuso, la
memoria che faticava a ingranare. Non appena rimise in sequenza logica
gli eventi della notte precedente, rizzò il busto con un
sussulto: "Alex!" si sbatté una mano in fronte. "Cazzo, scusami,
ho dimenticato di-"
"Farmi
sapere che non sei morto? Sei un pezzo di merda!" gridò allora
il moro, puntandogli contro un minaccioso indice. "Tu mi hai fatto
girare come una trottola tutta la notte! Ho setacciato ogni angolo di
Stroud, sono finito persino nei tombini di questa cittadina del cazzo e
vi ritrovo a dormire, no dico, dormire, in mezzo al bosco! Io ti
ammazzo a mani nude, Jeremy Parker del cazzo!"
"Mi
dispiace, Al." cercò di scusarsi il biondo, alzandosi in piedi
ancora un po' scombussolato e con un pesante mal di testa. "Mi è
proprio passato di mente...io...davvero..."
"A
me no, invece! Ho passato una notte d'inferno pensando che ti fosse
capitato qualcosa, che avessi perso la ragazza! Ti rendi conto che
stavo per chiamare la polizia? Io?!"
Jeremy lo guardò inorridito: "Dimmi che non l'hai fatto."
"Ci sono andato vicino, mi è venuto in mente mentre attendevo in linea. Comunque non è questo il punto!"
Jeremy tirò un sonoro sospiro di sollievo.
"Dici tanto a me, ma tu sei un emerito deficiente!" lo accusò di nuovo il moro.
"Al..."
"In
realtà." li interruppe Taylor, alzatasi in piedi con assoluta
calma e compostezza, mentre si puliva il retro dei pantaloni. "È
stata colpa mia, Alex."
Il ragazzo fece una smorfia in sua direzione, ma tacque e alzò il mento per ascoltare la sua spiegazione.
"Jeremy
stava giusto per chiamarti, ma poi abbiamo cominciato a litigare e io
ho tentato di scappare. Nella fretta di fermarmi si è scordato
di avvisarti." lo disse con un'espressione carica di falso rimpianto.
"Oh."
il moro smise di agitare le mani verso Jeremy e squadrò la
ragazza, ricordando dello stato in cui l'aveva vista per l'ultima volta
la sera precedente. Capiva benissimo perché avesse provato a
scappare, lui l'avrebbe fatto molto prima di quella notte, se fosse
stato nei suoi panni.
"Mi dispiace." le disse solo.
"È
tutto ok, Alex." sorrise lei. "Ora so che non è colpa vostra.
Non scapperò più, non prendertela con Jeremy."
"E va bene." grugnì lui, incrociando le mani al petto. "Alla fine l'importante è che vi abbia trovati."
Il biondino si diresse verso di lui e gli mise una mano sulla spalla: "Al, cosa farei senza di te?"
Il
ragazzone, non abituato a sentirsi importante, fu preso alla sprovvista
dalle parole del suo amico e si limitò ad abbassare lo sguardo,
compiaciuto. Jeremy lanciò un'occhiata in tralice a Taylor e le
sorrise, ringraziandola silenziosamente. Era così strano pensare
che tra loro tre si fossero, di fatto, formate delle dinamiche.
"Signori,
io ho bisogno di una capatina al cespuglio." annunciò lei,
mentre si ravviava i capelli come aveva visto fare mille volte alla
sorella. "Mi promettete che non ci saranno sbirciatine?"
"Promesso!" esclamò Jeremy mostrando provocatorio le dita incrociate.
Nonostante il malessere, si sentiva stranamente allegro, più leggero.
La ragazza gli rispose con un sorrisetto saccente e si allontanò verso alcuni alberi più radi.
Jeremy era così incantato a seguirla che si accorse solo dopo, con un sussulto, che due occhi neri lo stavano squadrando.
"Che c'è?" domandò.
Alex
lo guardò con aria ponderante e poi sospirò la risposta:
"Non ti ho mai visto in questo stato, nemmeno dopo una rissa con
Cordano."
Jeremy si passò nuovamente una mano sul volto, scostando i capelli biondi dal viso: "La mia anemia sta peggiorando."
"Ma
non è solo quello, vero?" Alex affondò i suoi occhi in
quelli di Jeremy e lo mise direttamente con le spalle al muro. Lo
conosceva meglio di chiunque altro; sebbene fosse un po' fessacchiotto,
su certe cose non sbagliava mai.
"Stanotte ho raccontato tutto a Taylor." snocciolò allora lui.
"Le hai svelato il piano di Cordano?"
"Certo, Alex, poi le ho anche dato le chiavi della macchina e la pistola, giusto per sicurezza."
"È sarcasmo, vero?"
"Ovviamente."
"Ma
allora...." Alex si concesse una brevissima pausa di riflessione, poi
sgranò gli occhi, stupito. "Le hai raccontato di tua madre?"
Jeremy
annuì ripensando alla scorsa notte: lui e Taylor avevano pianto
e parlato assieme, senza litigare, come fossero amici, come se tra loro
non esistesse, di fatto, un'enorme e incolmabile differenza. Ma era
stato incredibile.
"Sul serio?" chiese il moro, ancora incapace di credere a quell'affermazione.
"Già." confermò Jeremy, grattandosi la nuca.
"Oh."
Inutile
negare che Alex ne fosse profondamente sorpreso. Sapeva che quello era
l'argomento che Jeremy considerava in assoluto più intimo.
Quando l'aveva conosciuto, in prima media, non immaginava che potesse
avere un tale segreto alle spalle: gli aveva detto che viveva con la
nonna, perché i genitori lavoravano in America ed era riuscito a
tenere in piedi quella storia con tutti i suoi compagni. Piano piano
aveva preso confidenza con Alex, ma gli ci erano voluti ben quattro
anni prima che si decidesse a raccontargli la verità.
Si
ricordava di quel giorno, era estate e Bourton era deserta
perché tutti erano in vacanza. Lui e Jeremy erano al lago e
avevano appena provato la loro prima sigaretta. Era stato Jeremy a
convincerlo e se sua madre l'avesse saputo, l'avrebbe punito per un
anno intero: dovevano ancora iniziare la seconda superiore e già
si comportavano da ragazzacci.
Dopo
essersi sciacquato la bocca da quel gusto infernale, Alex era tornato
coi piedi a mollo accanto a Jeremy e l'aveva fatto ridere a crepapelle,
come spesso capitava. Dopo un po', tuttavia, il suo amico era diventato
di colpo triste e gli aveva annunciato che a settembre non sarebbe
ritornato a scuola con lui, perché sua nonna lo avrebbe portato
all'orfanotrofio.
Alex
si disperò più di quanto Jeremy avesse immaginato e gli
chiese il perché, insistendo a smettere, nel caso fosse stato
uno scherzo, e implorandolo affinché facesse cambiare idea alla
nonna. Così Jeremy gli disse che era impossibile e decise,
finalmente, di spiegargli il perché.
Quella
confessione, se possibile, lo legò ancor di più a quel
teppistello dagli occhi di ghiaccio. Dopo il suo trasferimento a
Stroud, continuò a vederlo di nascosto, anche se i suoi lo
ammonivano sul fatto che avrebbe subito la sua negativa influenza.
Andò avanti a scappellotti e punizioni finché non
diventò adolescente e Jeremy, finalmente, ritornò a
vivere da solo a Bourton.
In
quegli anni, Alex aveva imparato a capire quanto il suo amico avesse
sofferto incessantemente dal giorno in cui sua madre fu uccisa. Quanto
la ferita che portava dentro lo avesse influenzato nel suo crescere e
quanto preferisse tenerla nascosta al resto del mondo sotto un cerotto
di freddezza in continuo perfezionamento. Il fatto che si fosse aperto
a Taylor in così poco tempo sembrò per Alex un vero e
proprio miracolo.
Qualcosa nel suo amico stava forse cambiando?
"Perché gliel'hai detto?" gli domandò, sapendo persino meglio di lui la risposta.
Jeremy
si chiuse nelle spalle: "Non lo so, io...l'ho fatto e basta, non
c'è un perché. Sicuramente non avrei dovuto."
"Perché? Non ti fidi di lei?"
"Sì che mi fido. Molto di più di quanto lei si fidi di me, ma forse è proprio questo il problema..."
"Non per fare l'avvocato del diavolo, ma nemmeno io mi fiderei di te dopo un rapimento."
"Sei un amico fantastico, Alex." esclamò lui, sarcastico.
"Lo
so." constatò Alex. "E in qualità di amico fantastico, mi
sento in dovere di dirti che, data la piega che hanno preso certi
eventi, tu ti stai innamorando."
Per un attimo il cuore di Jeremy smise di battere.
Quell'osservazione
gli arrivò come una secchiata d'acqua gelida in piena faccia.
Era quello che non aveva mai ammesso, quello che mai avrebbe voluto
sentirsi dire, specialmente da una persona la cui opinione contava
così tanto. Se era vero che si stava innamorando, allora poteva
suicidarsi all'istante. Non sarebbe cambiato molto. Non poteva e non
doveva innamorarsi: non in quel momento, non in quel modo, non di
Taylor.
"Non dire stronzate." se ne uscì piatto. "Piuttosto, hai una sigaretta?"
"Morirai, se continui a trattarti così."
"Stron-za-te." sillabò, rovistando nelle tasche per trovare il suo pacchetto.
Estrasse
la sigaretta con le dita che tremavano. Era vero; le sue condizioni
fisiche lasciavano molto a desiderare, con l'anemia che peggiorava a
vista d'occhio, il freddo che continuava a sopportare e l'incessante
stress sulle sue spalle. Ma ciò che lo preoccupava di più
erano le condizioni mentali in cui si trovava. Un altro passo falso in
quella direzione gli avrebbe dato il colpo di grazia, ne era sicuro,
avrebbe dato a Cordano i mille più uno motivi per farlo
definitivamente fuori. Non doveva più lasciare spazio ai
sentimenti. Non doveva innamorarsi.
"Ragazzi, correte!" la voce di Taylor riecheggiò tra gli alberi, fin troppo lontana per non destare preoccupazione.
I
due si scambiarono uno sguardo irrequieto; Jeremy lasciò cadere
la sigaretta senza nemmeno avere il tempo di accenderla e corsero
subito verso il punto da cui avevano sentito il suono. Quando lo
raggiunsero, in una radura non troppo distante, capirono che, per
fortuna, stavolta non li attendeva nessuna minaccia.
Taylor
era appoggiata con i gomiti a una vecchia staccionata. Il legno coperto
di muschio circondava un laghetto completamente ghiacciato, mentre gli
alberi tutt'intorno davano un tocco magico a quel luogo, quasi fosse lo
scenario di una fiaba invernale.
Alex
affiancò la ragazza con un'espressione fanciullesca e si sporse
alla sua destra, per rimirare la natura specchiata su se stessa. Jeremy
invece si sistemò alla sinistra di Taylor, ancora più
bello in quell'atmosfera congelata che faceva risaltare i tratti
armonici del suo viso. Tutti e tre rimasero a contemplare il panorama,
più suggestivo che mai, forse perché l'ansia che aveva
abitato ognuno di loro era passata e quella nottataccia, ormai, aveva
ceduto il posto al mattino.
Strano
a dirsi, eppure, tra quei ragazzi dalle storie simili e
contemporaneamente diverse, si era creato un legame particolare, quel
genere di legame che si viene a creare un po' per forza un po' per
necessità nelle situazioni difficili, un legame che forse era
tenuto saldo per miracolo, ma che, a loro insaputa, stava diventando
più forte di quanto potessero immaginare.
"Mi sarebbe tanto piaciuto imparare." disse Jeremy ad un tratto, il bianco del giaccio riflesso sulle impenetrabili iridi.
"Che cosa?" chiese Taylor guardandolo rapita.
"Pattinare." rispose lui. "Dev'essere bello."
"Qui nel Cotswolds non sei nessuno se non sai pattinare." disse Alex, prendendolo un po' in giro.
"Lo
so. Quand'ero più piccolo, le suore ci portavano spesso a
pattinare e io ero l'unico a starmene con le mani in mano per tutta la
gita. Tutti i ragazzini del mio collegio si divertivano un mondo,
mentre io rimanevo in disparte a guardarli perché non sapevo
farlo."
"Non te l'hanno insegnato?" domandò Taylor.
"No, perché ero uno stronzo. Mi odiavano tutti."
"E Alex?"
"Ehi, so pattinare, ma non sono un maestro." si difese il moro.
"Alex
non è del tutto tagliato per le spiegazioni." precisò
lui, sorridendo all'amico. "Ma in ogni caso d'inverno non ci vedevamo
spesso. Mi obbligavano sempre a stare con quelli del collegio e prima
delle superiori nonna non ha mai voluto comprarmi dei pattini. Sarebbe
stato così bello sfrecciare sul giaccio, senza pensieri, senza
regole...quanto mi piacerebbe saperlo fare."
"Nemmeno
io ci riesco." ribatté Taylor. "Mi piacerebbe, ma la
realtà è che sono un vero e proprio disastro su ghiaccio."
"No, tu?" Jeremy sorrise leggermente.
Taylor
gli fece il verso, poi assunse un'espressione malinconica: "La mia
migliore amica ha cercato spesso di insegnarmi, ma a quanto pare sono
una capra. Almeno lei è bravissima."
"Sul serio? E non la invidi?"
"Al
contrario, la ammiro molto. Sai, lei...sa come muoversi, sa fare un
sacco di figure, è semplicemente fantastica." disse, con una
nota di nostalgia nella voce.
"Anche la mia ragazza è bravissima a pattinare." sospirò Alex, unendosi all'atmosfera deprimente.
"Davvero? Hai una ragazza?" si interessò Taylor.
"In
teoria sì, ma in pratica non lo so più." fece lui,
abbattuto. "Credo di aver sprecato ogni possibilità che mi ha
dato, ormai."
"Hai fatto qualcosa di sbagliato?"
"Le ho mentito." rispose, visibilmente pentito. "E l'ho trascurata troppo."
Taylor
ripensò ad Allyson e al suo volto deluso la sera della festa di
Tessy; quando il suo ragazzo le aveva dato buca. Avrebbe voluto
ammonire Alex sul fatto non si dovrebbe mai trascurare una ragazza, che
la presenza, sia fisica che sentimentale, è fondamentale per il
funzionamento equilibrato di una coppia.
Lo
ripeteva sempre, Allyson, specialmente da quando si era fidanzata con
quel nuovo tizio. Sperava stesse andando bene fra loro; le mancavano da
morire le loro chiacchierate, le sue sfuriate perché lui non la
capiva e la sua faccia sognante quando raccontava dei loro incontri. In
generale, le mancava Allyson.
La
sua unica consolazione era sapere che non fosse sola. Al contrario di
Amanda, Allyson aveva un uomo su cui contare, uno che, nonostante le
imperfezioni, lei amava davvero e con tutto il cuore. Non aveva mai
avuto l'occasione, Taylor, di conoscerlo, un po' perché erano
insieme da pochissimo, un po' perché studiava fuori
città, ma da come Allyson gliene parlava costantemente, aveva
capito che poteva essere il ragazzo giusto per lei.
Per
averla colpita così profondamente, immaginava fosse un tipo
molto semplice. Uno buono, uno altruista e genuino. Per farla sorridere
tanto, doveva essere davvero innamorato, e divertente. Uno un po'
sbadato e magari sulle nuvole...uno...uno tipo Alex.
"Oh
mio Dio!" Taylor si sbatté una mano in fronte e guardò
Alex, come illuminata da una rivelazione. "Tu sei Alex!"
"Perspicace." commentò Jeremy.
Il moro le porse una mano divertito: "Taylor, giusto? Molto piacere."
"Tu!" esclamò lei, puntandogli contro l'indice. "Tu sei quell'idiota!"
"Ehi!"
In
una sconvolgente serie di flash, le connessioni tra ciò che
sapeva e ciò che stava accadendo si manifestarono nella mente di
Taylor. Le descrizioni di Allyson, il nome del suo ragazzo, Alex, la
sua assenza alla festa di Tessy. Ogni secondo che passava, era sempre
più convinta che la sua amica stesse assieme a uno dei suoi
rapitori. Tutto combaciava.
"Allyson!" proruppe. "Tu sei il ragazzo di Allyson!"
Alex sgranò gli occhi, sorpreso.
"Allyson sta con te!" ripeté lei, inorridita.
"Come fai a sapere che Ally..."
"Ti
prego, dimmi che non è vero." se ne uscì Jeremy,
effettuando il collegamento prima di Alex. "Dimmi che la sua ragazza
non è la tua migliore amica."
Come
se già la confusione non fosse abbastanza, il cellulare di Alex
squillò e il mittente della chiamata non poteva essere nessuno,
se non esattamente Allyson Stuart.
"È lei." avvisò il moro con un'espressione quasi nauseata.
Prontamente,
Jeremy afferrò Taylor per la vita e con una mano le tappò
la bocca: "Mi spiace, Lor, devo farlo." sussurrò prevedendo la
voglia della ragazza di parlare con lei.
Come
previsto, infatti, cercò di divincolarsi, lamentandosi e
mugolando per poter dire anche una sola sillaba alla sua migliore
amica. Non gliene importava nulla in quel momento; voleva che Allyson
sentisse la sua voce, che sapesse che stava bene, che aveva conosciuto
Alex, che le mancava e che aveva voglia di riabbracciarla.
"Pro-pronto?" balbettò Alex, sotto pressione.
"Ho
ascoltato il tuo messaggio." rispose la ragazza dall'altro capo, piatta
e distaccata in un modo tale che Alex poté quasi sentire il suo
stesso cuore creparsi.
"Ally, io..."
"Dove sei, Alex?" sospirò esasperata. "Con chi sei? Che cosa fai?"
"Sono da nonna, no? Te l'ho detto..."
"Io
non ti capisco più, non capisco più! Mi chiami e mi dici
che ti manco, eppure non ti vedo da settimane! E la scusa della nonna?
Alex, io..."
"Allyson, ti prego."
"Lo so che devo fidarmi, ma è più difficile di quanto credi."
"Tornerò presto, Ally, te lo prometto."
"Non
me ne faccio niente delle tue promesse! Sono giorni che continui a
promettere!" ci fu un momento di silenzio, poi la ragazza riprese.
"Scusami. Non volevo gridare. Però non hai idea di cosa stia
passando, qui. La mia migliore amica è sparita, tu sei sparito,
comincio a pensare cose strane, comincio a sospettare che tu non mi
stia dicendo la verità."
Il
ragazzo si morse un labbro cacciando indietro il nodo alla gola: "Ally,
ti prego...dammi solo qualche altro giorno e poi tornerò...dammi
un'ultima possibilità."
"Mi
dispiace, Alex" pronunciò, tetra e triste fino al midollo. "Non
ti credo più. Non posso farlo." disse, e chiuse così la
telefonata.
Ci
fu qualche secondo di silenzio tra i tre. Un silenzio di tomba,
un'immobilità irreale e gelida come il ghiaccio che li osservava
dal lago.
Poi Alex parlò e fu come se quel ghiaccio si rompesse, imitando il suono del suo cuore che si frantumava in mille pezzi.
"Andiamocene." disse seccamente, volgendo loro le spalle e facendo strada verso il punto da cui erano arrivati.
Taylor si divincolò da Jeremy e prese a correre verso di lui: "Aspetta! Alex, aspetta!"
Lo
raggiunse, nonostante il suo passo fosse fin troppo veloce: "Alex, mi
dispiace." disse, avendo intuito il succo della telefonata.
"Anche a me dispiace." ribatté lui, atono, senza nemmeno voltarsi indietro.
"Alex,
Allyson...per quanto mi faccia davvero strano che voi due siate voi
due, lei ti ama veramente." gli disse, sperando potesse servire in
qualche modo da consolazione. "Te lo posso assicurare."
Conosceva
la sua amica e sapeva che qualsiasi cosa stesse facendo, la faceva
perché era preoccupata. Era comprensibile che stesse agendo in
quel modo, ma era indubbio che il suo atteggiamento fosse dettato dalla
paura e dalla sofferenza. Probabilmente se fosse stata con lei in quel
momento, lei stessa le avrebbe consigliato di lasciare Alex senza
esitazione. Ora, però, riuscendo a guardare da entrambe le
prospettive, poteva capire sia l'una che l'altro.
"Magari
mi amava, Taylor." sibilò, arido nel tono e nei sentimenti. "Ma
ora non mi ama più. È troppo tardi."
Accelerò
ancora di più il passo e, senza mai voltarsi alle spalle, si
distanziò ulteriormente da tutto e da tutti.
Jeremy
se ne stava dietro di loro a guardare e sentire con orecchie proprie
cosa aveva combinato. Stava rovinando tre vite per una sola e sentiva
di non poterlo più sopportare.
Taylor
si voltò a guardarlo, in cerca di qualche appoggio da parte sua,
ma lui non riuscì a dire nulla, capendo in quel momento che si
stava presentando davanti a lui la scelta più dura che si fosse
mai ritrovato a prendere: da una parte l'amicizia e l'amore, dall'altra
la sua vita.
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Ho
un debole per questo capitolo, "Atene e Sparta", perché come da
titolo ci fa vedere molte cose da una prospettiva diversa. E voi chi
siete, Atene o Sparta?
PUBBLICITA':
Se vi va, passate a leggere le altre mie due storie Io
e te è grammaticalmente scorretto ,
e Io e te è grammaticalmente scorretto 2, di cui, per quanto riguarda la prima, uscirà il libro a marzo 2017!
Se
poi vorrete unirvi al gruppo in cui si sta assieme, si parla di tutto e
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la vostra iscrizione a Grammaticalmente
Scorretti
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Capitolo 9 *** Heavens and Bell ***
All I want - 9.2
ALL
I
WANT
FOR
CHRISTMAS
IS...
********Heavens and Bell********
Jeremy mollò lo zaino ai piedi di Taylor, che alzò la testa dal foglio e lo scrutò senza parlare.
"Ce ne andiamo." disse.
Dietro
di loro, Alex aprì la porta del motel, trascinando il suo
borsone noncurante del rischio che si potesse sporcare. Sembrava non
importargli di nulla, in quel momento. Aveva il muso lungo e le labbra
serrate da giorni.
"Dove andiamo?" fu la naturale domanda della ragazza, a cui sembrava di star rivivendo un dejà-vu.
"Una
mia vecchia conoscenza ci lascia la sua casa in periferia a
Cheltenham." spiegò il biondo, iniziando a riempire lo zaino con
le poche cose di Taylor. "Staremo lì fino a Natale."
"Mancano solo cinque giorni a Natale. E poi che faremo?" si lasciò sfuggire Taylor, impaziente di sentire buone notizie.
"E poi, se tutto andrà come dovrebbe andare, sarai libera." le rispose lui, più seccato che gentile.
Taylor
sorrise d'istinto, anche se non avrebbe voluto. Aveva così tanta
voglia di rivedere i suoi cari che non poté ignorare l'euforia
che fomentava dentro di lei. Allo stesso tempo, però, non
riusciva a immaginarsi in assenza di Jeremy e Alex. Ormai poteva dire
di essersi abituata a quei due, alla loro presenza, ai loro ritmi, alle
loro voci attorno.
Era
così strano, ma in qualche modo erano diventati una parte di
lei; una parte che non sapeva se amare od odiare, ma che
indipendentemente da tutto, la rendeva completa. Sembrava assurdo a
dirsi, ma attualmente Taylor Heavens si trovava tra due fuochi: la sua
famiglia, da una parte, e i suoi rapitori, dall'altra. Due fuochi
così ardenti, uno dei quali avrebbe potuto bruciarla in
qualsiasi momento.
Doveva
ammettere che da quando Jeremy le aveva parlato di sua madre, aveva
iniziato a considerarlo diversamente. Non riusciva più a vederlo
solo come un rapitore o come una persona che faceva del male
volontariamente, ma piuttosto come un ragazzo solo e sofferente, che si
comportava in un determinato modo perché nessuno gli aveva mai
dato la possibilità di agire diversamente.
Avrebbe
voluto abbracciarlo perché era sicura che meritasse un po'
d'affetto nella vita. Avrebbe voluto dirgli che era riuscita a
comprendere i motivi dietro le sue scelte e che le dispiaceva di
avergli detto certe cattiverie. Avrebbe voluto ammettere che provava
qualcosa di strano e diverso per lui. Qualcosa di inspiegabile, che
andava oltre la compassione e la logica. Avrebbe voluto, ma non poteva.
Da
una parte non ci riusciva, perché sapeva che i suoi sentimenti
erano insensati e privi di buon senso, oltre che sicuramente non
ricambiati. Dall'altra non osava nemmeno immaginare che la situazione
potesse prendere risvolti più rosei e felici. Era troppo
complessa e sbagliata per lasciar spazio a ipotesi di miglioramento.
"Non racconterò di voi alla polizia." esordì, decisa.
"Lo so." ribatté Jeremy con un mezzo sorriso.
All'inizio
pensava che sarebbe dovuto ricorrere alle minacce con lei. Era sicuro
che l'avrebbe terrorizzata, in modo tale che la verità sarebbe
rimasta per sempre un segreto e lei avrebbe raccontato ai suoi
familiari una storia messa a punto per far quadrare ogni cosa e non
destare sospetti su i veri responsabili.
Tuttavia,
col tempo aveva capito che non era necessario. In qualche modo era
giunto a fidarsi più di Taylor che di se stesso e si era accorto
che tra loro tre era nato qualcosa. Un rapporto, lo poteva definire,
che gli dava la sicurezza che Taylor non lo avrebbe mai messo nei guai
più di quanto lo era ora. E lo stesso discorso valeva per Alex.
Poteva starne certo.
"Ehi,
non essere così sicuro di te." Taylor si alzò in piedi e
guardò il ragazzo con occhi maliziosi. "Potrai anche essere un
sommo rapitore, ma io sono pur sempre la ragazza sbagliata, ricordi?"
sussurrò.
Anche Jeremy le sorrise, seguendola con lo sguardo, mentre preparava le sue cose: "La peggiore di tutte."
"Avete
finito di tubare, voi due? Possiamo andare?" la domanda secca e
indolente di Alex riportò i ragazzi alla realtà e li
spinse a tacere e darsi una mossa per finire di prepararsi.
Alex
non aveva perso quel tono dalla mattina in cui Allyson lo aveva
lasciato e Jeremy doveva ammettere che era arrivato a mettergli una
certa paura. Non l'aveva mai visto in quello stato.
Salirono
in macchina senza dirsi nient'altro, ognuno immerso nei propri pensieri
e nei canti melensi delle voci bianche alla radio. Jeremy guidò
per qualche ora e nessuno cambiò stazione finché non
arrivarono a destinazione, accolti dal pallido sole del primo
pomeriggio. Pareva che i canti di Natale scaldassero i cuori di
chiunque.
La
casa che avevano raggiunto era nascosta in periferia, piccola e
accerchiata dal bosco, collocata alla fine di una trascurata stradina
sassosa. Il genere di posto in cui si sarebbero potuti tenere segreti
centinaia di contrabbandi, osservò Taylor. Il genere di posto
che solo uno come Jeremy poteva conoscere.
Quando
entrarono, la prima cosa che Taylor avvertì fu uno strano
tepore, come se quella casa fosse solita ospitare delle persone. La
mobilia all'interno era piuttosto antica, ma nel complesso comoda: un
letto a castello nell'angolo, una cucina essenziale, un divanetto con
una tv della grandezza di una scatola da scarpe. Sulla parte più
lontana, una massiccia porta in legno che presumibilmente portava al
bagno. Modesta sì, ma era finora il posto più
confortevole che Taylor avesse visto. Dopo il petto di Jeremy,
ovviamente.
"Hans
è partito due giorni fa. Credo sia in un altro Paese,
probabilmente in cerca di un permesso di soggiorno per i suoi figli."
spiegò Jeremy riferendosi alla vecchia conoscenza di cui aveva
parlato. Gettò lo zaino sul divano e aprì la finestra,
facendola scricchiolare per tutto ghiaccio che le si era attaccato.
Taylor
faticava a pensare che il proprietario di quella baracca potesse farci
stare anche dei figli, ma non si pose troppe domande.
"Non è male." commentò, sistemando le sue poche cose sul letto. "Il tuo amico è stato gentile."
"È lo stesso che mi ha venduto il cloroformio per te."
"Il tuo amico è uno stronzo."
Jeremy
rise, ricordando quanto Taylor l'avesse rimproverato, indignata, per
aver cercato di drogarla. Fu una delle prime volte che la trovò
davvero buffa e che lo fece ridere di gusto. Era normale che sentisse
quasi un senso di nostalgia?
Alex,
non troppo distante da loro, si affacciò alla finestra e prese
una sonora boccata d'aria guardando malinconicamente le fronde degli
alberi pressate dal peso della neve.
Jeremy
smise all'istante di trafficare con lo zaino e posò gli occhi
preoccupati sul suo amico. Avrebbe voluto consolarlo, spendere delle
parole utili per lui, ma non aveva idea di cosa dire o fare. Era come
bloccato; come non era mai stato capace di dargli consigli d'amore,
altrettanto era negato per queste situazioni e in più aveva la
netta sensazione che ora Alex lo odiasse.
Per
come lo aveva sentito parlare, gli era sembrato che quella Allyson
fosse davvero la ragazza giusta per lui e se ora lo aveva lasciato, la
colpa non era che di Jeremy. Aveva capito benissimo che il motivo per
cui Alex aveva dovuto mentirle era il guaio in cui l'aveva
personalmente coinvolto e l'aveva trascurata per non lasciare solo lui.
Era un amico fantastico, Alex, e lui non era che un inutile, ingrato
peso per le vite altrui.
Taylor
lanciò al tormentato amante uno sguardo di compassione e
provò ad avvicinarsi a lui. Se anche in precedenza le aveva
fatto capire di non avere la minima intenzione di ascoltarla, lei non
avrebbe mollato. Ci aveva riflettuto in macchina: lui ed Allyson
sarebbero stati una bellissima coppia. Non potevano perdere il
potenziale che avevano.
Così
si appoggiò alla cornice della finestra e gli parlò,
cauta: "Sai, ho sempre pensato che l'Alex di cui mi parlava Ally non
fosse altro che un borghesotto universitario tutto fumo e niente
arrosto." confessò con un mezzo sorriso.
Il moro proruppe in un verso di scetticismo: "Te ne parlava bene, allora."
"Alex."
Taylor si issò sul davanzale della finestra per guardare in
faccia il ragazzo e Jeremy provò un po' d'invidia per non essere
al suo posto. Ma non disse nulla; si limitò a seguire il dialogo
di quei due da una colpevole distanza, sentendosi se possibile ancora
più inutile e dannoso.
"Quando
mi parlava di te, i suoi occhi splendevano come quando mi parlava dei
suoi pattini." proseguì Taylor. "Diceva che eri quello giusto ed
eri semplicemente perfetto, così io mi ero fatta quest'idea di
te. Una specie di dio molto ricco che regalava il suo fascino a belle
ragazze come Allyson solo per portarsele a letto."
Ci fu un secondo, un breve istante, in cui Alex e Jeremy si scambiarono un'impercettibile occhiata significativa.
"Avevate torto entrambe." si sminuì il ragazzo, tornando a concentrarsi su di lei.
"E invece sai che ti dico?" continuò lei, senza dargli retta. "Che avevamo torto entrambe!"
Alex allargò le braccia eloquentemente.
"Non sei perfetto e non sei nemmeno un borghesotto universitario tutto fumo e niente arrosto."
"Ehm...grazie?"
"Sei
molto di più. Sei simpatico, divertente, buono, gentile,
altruista, ma, sopratutto, sei leale. Tu sei un amico vero, il migliore
che si possa avere e il più prezioso. La tua umanità e la
tua abnegazione sono tanto forti quanto quelli di un vero eroe e, se
solo Ally avesse avuto l'occasione di capirlo, ti ammirerebbe come
tale."
"Io? Un eroe?"
"Alex,
tu faresti qualsiasi cosa per gli altri." era sicura di ciò che
aveva appena detto; lo pensava da quando lui l'aveva afferrata nel
mezzo della folla impazzita del Diderot, e, rischiando la sua stessa
vita per lei, l'aveva portata in salvo. L'aveva fatto per lei e per
Jeremy, ma era piuttosto convinta che l'avrebbe fatto per chiunque.
"So
che è una pazzia, perché dopotutto tu mi stai rapendo, ma
è questo che penso di te." affermò, sorridendogli.
Il
ragazzo non era del tutto convinto di aver afferrato il punto, ma si
sentiva davvero onorato per la considerazione che Taylor aveva di lui.
"All'inizio, non ti avrei dato una lira." assicurò lei.
"Vorresti dire che le opinioni cambiano?" tentò di indovinare.
"No,
voglio dire che Allyson non conosce la vera persona che sei e appena lo
farà, se ne innamorerà ancora di più. Vedrai." gli
appoggiò una mano sul braccio, accarezzandolo con fare materno.
Lui assunse un tono pieno di amarezza e rimorso: "Ma ci siamo lasciati, Taylor."
"Sottovaluti
la bontà di Allyson; in un certo senso, voi due siete molto
simili. E poi, tutti meritano una seconda occasione." gli fece
l'occhiolino e saltò giù dal davanzale, lasciandolo a
fissare fuori con un'espressione perplessa.
Jeremy
aveva osservato la scena con gli occhi di un bambino affascinato.
Ringraziava mentalmente Taylor, che con la sua dolcezza era riuscita a
rasserenare Alex, ma allo stesso tempo era geloso di lui. Il modo in
cui Taylor gli aveva parlato era carico di affetto, di rispetto e
ammirazione. Cosa che con lui no aveva mai fatto.
Aveva
la netta impressione che alla ragazza piacesse molto di più
Alex. Sotto tutti i punti di vista, il suo amico era migliore: aveva un
fisico più scolpito, era bruno e molto piacente, non era uno
stronzo e agiva sempre seguendo il suo cuore. Era chiaro che lui avesse
un effetto positivo su una persona sensibile come Taylor, mentre Jeremy
non faceva che nausearla e spaventarla.
Si riscosse di colpo dai pensieri, allibito.
Che
cosa gli passava per la mente? Era forse diventato pazzo? In una
situazione del genere, si ritrovava ad avere uno stupido attacco di
gelosia, mentre la sua vita andava a rotoli, assieme a quella del suo
migliore amico. Gli sembrava di essere tornato indietro a quand'erano a
Stroud e aveva fatto quella scenata davanti ad Alex. Che diavolo di
ragione aveva per essere invidioso di chiunque intrattenesse rapporti
con Taylor?
Accese
la televisione per distrarsi, scoprendo che l'unico canale visibile era
quello a emissione regionale. Sbuffò davanti allo schermo e
lasciò, sconsolato, la trasmissione sui bambini del Cotswolds
che – tanto per cambiare – si erano riuniti davanti al
municipio di Winchcombe per cantare carole in compagnia del sindaco.
Tutto
ciò gli metteva ansia: Natale era ormai vicino e con lui la fine
di tutto quel trambusto. Avrebbe rilasciato Taylor, incassato una
percentuale – forse – della refurtiva, estinto i suoi
debiti e poi...basta. Avrebbe ricominciato a vagare per i borghi
malfamati d'Inghilterra, rubando ai fruttivendoli e aiutando di tanto
in tanto le nonnette che attraversavano la strada, per sentirsi meno
cattivo. Cordano non gli avrebbe lasciato una somma generosa, ma almeno
non avrebbe mai più avuto a che fare con lui. Alex sarebbe
tornato da Allyson e con un po' di fortuna si sarebbero messi di nuovo
insieme e avrebbe ripreso gli studi all'università.
Sarebbe
rimasto di nuovo solo e quel che era peggio, suo malgrado, era che non
avrebbe mai più rivisto Taylor. Sbuffò di nuovo cercando
di scacciare quel malessere dal cuore e quei pensieri dalla testa,
mentre si eclissava in cucina per preparare qualcosa di caldo.
Taylor
stava nel salotto a disegnare, di buon umore, con il blocchetto che
aveva trovato a Stroud ben sistemato sulle gambe. Alex, animato da una
nuova speranza, scribacchiava su una cartaccia trovata in giro: voleva
comporre una lettera di scuse per Allyson.
Improvvisamente,
però, i bambini smisero di cantare e la sigla del notiziario
speciale riempì le mura della casetta. L'annuncio proveniente
dal conduttore fece sussultare tutti e tre.
Jeremy finì col rovesciare il latte bollente a terra.
Alex scattò in piedi.
Taylor calciò il blocco in disparte e si appiccicò allo schermo della tv.
"Nuovo
aggiornamento relativo alla misteriosa scomparsa della diciannovenne di
Bourton. Dopo ulteriori indagini, pare che la giovane Taylor Margaret
Heavens, figlia dell'appena dimesso direttore della Money House, sia
ufficialmente vittima di un rapimento. Abbiamo notizie di un suo
avvistamento lo scorso diciotto dicembre a Cirentester e, a seguire, il
risultato delle indagini della polizia sui due presunti rapitori. Ma
vediamo prima il servizio del nostro inviato Stanley Finnigan, da
Cirencester."
Jeremy sentì il cuore smettere di battere per un secondo e fece un passo indietro, per lasciarsi sostenere dalla parete.
Alla
televisione un giovane impacciato parlava alla telecamera mostrando la
stanza dell'hotel in cui avevano alloggiato nei giorni precedenti e poi
intervistava un tizio che nessuno di loro aveva mai visto, ma che,
apparentemente, aveva visto loro. Probabilmente, pensò Taylor
venendo attanagliata da un assurdo senso di colpa, l'aveva sentita
urlare quando aveva provato a scappare.
L'uomo
descrisse sommariamente Taylor e i suoi due accompagnatori, sostenendo
di averli visti entrare e uscire dalla hall più di una volta,
poi prese a criticare lo scadente servizio dell'hotel finché
l'inviato non lo congedò frettolosamente. Diede di nuovo la
linea allo studio, augurando a Taylor di essere ancora viva.
Taylor
fissava la tv a bocca aperta, Alex tratteneva il respiro, Jeremy
pensava che il suo personale conto alla rovescia fosse appena iniziato.
"Passiamo
allora alle notizie più recenti. Dopo il sopralluogo della
polizia di ventiquattrore fa, sarebbero state ritrovate alcune tracce
di sangue all'esterno di villa Heavens. Non si dispone ancora di un
referto ufficiale da parte dei medici, ma dall'intervista rilasciata
stamani dal dottor Bowels, il sangue risulterebbe appartenere a un
giovane residente di Bourton."
"Cazzo." commentò Jeremy, vedendo una sua foto non troppo recente comparire sullo schermo.
Anche Alex emise un gemito, sconvolto da quello che stava sentendo.
"Jeremy
David Parker, ventiduenne pregiudicato e senza fissa dimora, sembra non
avere alcun apparente collegamento con la vittima, ma rimane finora
l'indagato numero uno. Sentiamo il servizio in diretta di Maria Ross."
L'inquadratura
mostrò una signora ben vestita, che, sullo sfondo della stazione
di Bourton, si teneva l'auricolare e raccontava a tutto il Cotswolds
ciò che Jeremy temeva di più al mondo: "Sì,
buonasera, mi trovo qui nel cuore di Bourton dove sta per arrivare il
sindaco di Cirencester in vista della riunione col nostro sindaco,
l'onorevole Darren Grisham. In queste ultime ore le forze dell'ordine
hanno indagato sui dati di Parker, trovando un unico precedente che lo
vedrebbe coinvolto, assieme a un impiegato della Money House, in un
caso di furto. Si parlerebbe di Edoardo Cordano, proprio il neo
appuntato presidente dell'azienda. Giusto trentasei ore fa, Oliver
Heavens avrebbe ceduto la sua carica all'uomo, elemento che ha spinto
le indagini ad andare più a fondo. Cordano risulterebbe,
infatti, coinvolto nello scarceramento di Parker, avvenuto nel luglio
di quest'anno, come persona a carico del pagamento della sua cauzione.
L'elemento sconcertante sembra essere proprio il luogo in cui Parker
avrebbe compiuto il furto, ovvero la mansione di Bourton appartenente a
Cordano."
Jeremy
pensò di stare morendo: si accasciò sul divano esalando
una soffocata imprecazione, mentre anche la fotografia di Edoardo
compariva sul lato destro dello schermo.
"L'uomo
sarebbe strettamente legato all'ex-dirigente aziendale, nonché
padre della vittima, che avrebbe personalmente fatto il suo nome come
sostituto. L'indagato al momento risulta non rintracciabile, in
particolare dopo la perquisizione della sua residenza a Bourton. Le
prove rilevate durante l'ispezione rimanderebbero a una piuttosto certa
attività mafiosa da parte dell'indagato. Attualmente, si
ipotizza che Edoardo Cordano e Jeremy David Parker siano i rapitori
della giovane e che abbiano un interesse comune a riscattare la quota
per il suo rilascio. Sono già state inviate le pratiche di
ricerca in tutta la regione e l'atmosfera, qui a Bourton è
più che irrequieta. Ma lasciamo spazio alle interviste di
Georgia Calls."
Sullo
schermo apparve l'immagine di una Amanda Vallet in lacrime, al centro
di polizia, accerchiata da mille microfoni e registratori. Il suo nome
comparve sotto l'inquadratura, accompagnato dall'indicazione di
parentela che aveva con Taylor.
"Conosce quegli uomini, signora? Pensa che sia colpa del suo ex-marito se sua figlia è scomparsa?"
"No..io...non so nulla."
"Amanda, che cosa direbbe a sua figlia, se potesse sentirla?"
"Oh, Tay, ti voglio bene e ti giuro che qui stanno facendo di tutto per trovarti...tieni duro, piccola, tieni duro."
"Oh mio Dio." Taylor si era portata una mano alla bocca e aveva gli occhi colmi di lacrime.
Il
nome dell'intervistato cambiò in "Allyson Stuart, amica" e
comparve una ragazza sotto un ombrello, che guardava spaesata alla
telecamera.
"Stuart, un'ultima domanda, è stata davvero lei a ritrovare la traccia di sangue vicino a quella panchina?"
"Sì, io e Tessy."
"Che cos'ha pensato quando l'ha vista?"
"Beh,
abbiamo avuto paura che Taylor fosse stata ferita e siamo corse a
riferirlo alla polizia. Adesso che sappiamo chi sta cercando di farle
del male, sono sicura che la troveremo presto. Ce la faremo, Tay, mi
manchi da morire."
La ripresa seguente raffigurava una porta che si sbatteva in faccia alla telecamera per nascondere Oliver Heavens dai flash.
Il conduttore tornò allora al centro dell'inquadratura e passò alla notizia successiva.
Alex si affrettò a spegnere il televisore, facendo piombare la casa in un lugubre, nefasto silenzio.
Non passò nemmeno un minuto, e il cellulare di Jeremy squillò.
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Oliver
si sbatté la porta alle spalle, girando la chiave nella toppa e
appoggiando la schiena al gelido metallo della doppia mandata.
Era
appena sfuggito a una marea di giornalisti e non aveva idea di come
avesse fatto, ma aveva il fiatone e pensieri molto più neri a
cui dedicarsi.
Il
suo salotto ampio e freddo gli parve un carcere in attesa di essere
riempito dai suoi sensi di colpa, che per quella giornata avevano
già sovraffollato la sua gola. Senza nemmeno togliersi il
cappotto, si lasciò scivolare lungo il legno della porta,
rompendo quel chiassoso silenzio con un singhiozzo.
Aveva fallito.
Come padre, come marito e come uomo. E nemmeno per la prima volta.
Aveva
fallito quando aveva lasciato Amanda e Taylor, aveva fallito quando
aveva trascurato Tessy e aveva fallito quando non aveva saputo gestire
un'altra vita, oltre la sua. Ecco cosa, lui non sapeva gestire
nient'altro al di fuori di se stesso. Soldi, lavoro, piacere,
fama...tutto quello che lo rendeva orgoglioso era individuale,
egoistico e solo finché non lo stancava, riusciva a giostrarlo
al meglio.
Lacrime salate iniziarono a solcargli le guance deperite.
Adesso
si rendeva conto che la sua vita non era un film, che non c'era alcun
regista dietro le quinte, che era lui l'unico a doversi accertare che
tutto fosse perfetto per andare in scena. Capiva che aveva sbagliato
fin dall'inizio. Il suo copione adesso era bianco, in attesa della
battuta giusta per uscire di scena senza sacrificare nessuno.
Non
era riuscito a salvare Taylor prima che la polizia si intromettesse.
Era stato troppo lento e ora il rapitore avrebbe rispettato la sua
orribile promessa.
Avrebbe voluto morire, Oliver.
L'aveva
detto ad Amanda e lei si era arrabbiata. Non con lui, ma con la vita.
Con il mondo, così crudele con lei, e lui era rimasto ad
ascoltarla, pensando che era stato l'origine di ogni male. La sua
ex-moglie aveva pianto lacrime amare tante volte e lui non le aveva mai
viste fino a quel lunedì nel quale le aveva rivelato che sua
figlia era stata rapita.
Certo,
l'aveva consolata, e si era sentito un verme. Nessuno l'aveva mai
consolata quando lui se n'era andato. O forse sì. Taylor, che
ora stava rimettendo per tutti gli errori di un padre troppo
superficiale. La Taylor a cui non aveva mai smesso di volere bene, come
lo voleva a Tessy e a Martha, solo che non lo aveva mai dimostrato.
Né a lei, né a se stesso.
Il
cuore gli sfondava la gabbia toracica: aveva un'enorme, dannata, paura.
Aveva paura di perdere una figlia che aveva già perso. Aveva
paura che Taylor potesse morire.
Cos'avrebbe
fatto a quel punto? Non avrebbe mai avuto l'occasione di parlarle e di
dirle quanto sordo e cieco fosse stato in quegli anni, non avrebbe
potuto chiederle scusa e si sarebbe sentito un assassino. Il cuore di
Amanda avrebbe ceduto per la seconda volta e probabilmente anche il suo
non ce l'avrebbe fatta.
"Papà." la candida voce di Tessy gli fece alzare il capo.
La guardò frastornato, preso dai mille pensieri.
"Ti avevo detto che avrei fatto da solo. Non ti sei fidata di me, Tessy."
La
ragazza aveva gli occhi colmi di lacrime: "Papà, non è
questo. Io...papà, io mi fido di te. È che ho avuto paura
e mi sono sentita in colpa per lei."
Oliver
si alzò in piedi quasi barcollando e le offrì il posto
tra le sue braccia: "Lo so, Tessy. Ti capisco. Scusami."
"Perché ti scusi, papà?"
L'innocenza
con cui sua figlia gli porse quella domanda era quasi disarmante. Lo
abbracciava e non sapeva, non aveva idea di quanto lui c'entrasse in
quella situazione. Di quanto la sua incapacità avesse permesso
che il caso non si fosse risolto prima e senza il bisogno che altri
s'intromettessero. Di quanto quella che lei reputava una nuova speranza
non era che l'ufficiale condanna a morte della sua sorellastra.
"Perché sono un buono a nulla. È tutta colpa mia." rispose.
"No!"
Tessy si animò. "Non hai rapito tu Taylor, papà! La colpa
è solo di quei bastardi e sono sicura che la polizia li
troverà! Ci puoi scommettere che li metteranno dentro! E che
Taylor sarà salva."
Lo sguardo grigio di Oliver divenne ancora più angosciato.
"È troppo tardi, Tessy." ribatté, scuotendo la testa. "Troppo tardi."
E sì, poteva anche sembrare una frase da film, ma purtroppo non lo era.
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Taylor
era rannicchiata in un angolino del divano, silenziosa e muta come se
uno stato di trance si fosse impossessato di lei. Stringeva un cuscino
impolverato, lo sentiva aderire al suo corpo e premeva ancora di
più, poi ci appoggiava sopra le labbra e soffocava un umido
sospiro.
Alex sbuffò alzandosi in piedi e facendo cadere qualche libro per la foga.
"Smettila." le ordinò.
Ma
il suo imperativo risuonò molto più come una malcelata
supplica. Non aveva il polso di Jeremy, lui. Taylor gli lanciò
un'occhiata offuscata e decise di fingere di non averlo sentito, come
volevasi dimostrare.
"Se non la finisci di fare così, me ne vado." fu il secondo tentativo del moro.
La ragazza tirò su col naso: "Così come?"
"Così...triste."
"Scusa,
Alex. Non riesco a non essere triste dopo quello." esalò a mezza
voce, indicando con la testa il televisore spento.
"Mi dispiace." ribatté lui. "Ma mi stai facendo sentire un mostro."
Taylor
si stropicciò gli occhi con la manica del maglione, pensando a
quella parola, mostro, e sentendosi sempre più confusa. Poi,
inspirò profondamente e riprese la calma. Mille domande
affollavano la sua mente dopo quel telegiornale.
"Alex, voi siete dei bravi ragazzi. Perché tutto questo? Che cosa ve lo fa fare?"
Alex
si passò una mano sul viso, trattenendo un fiume di scuse e
spiegazioni che Jeremy gli avrebbe sicuramente impedito di dare:
"Noi...beh, Taylor, non dipende del tutto da noi."
"Questo
l'avevo capito." sbuffò lei. "Ma perché? Perché
siete arrivati a questo punto? Chi c'è davvero dietro a tutto
questo?"
"Beh, Jeremy, lui..."
"Non è Jeremy. E nemmeno tu. È quel Cordano, vero? È lui che vi ha ingaggiati per il lavoro."
Alex
si sentiva sopraffatto da tutte quelle domande e iniziava davvero a
capire Jeremy con le sue crisi isteriche nei confronti della ragazza.
"Taylor, ti prego."
"E ora che vi stanno cercando che cosa succederà? Jeremy era sconvolto!"
"Non lo so."
"Perché
vi siete messi in questa situazione? Che cosa ci guadagnate? Mi chiedo
cosa diavolo vi abbia promesso quel verme per convincervi ad abbassarvi
a tanto."
"Ehi."
Alex la interruppe, seriamente offeso. "Jeremy non si sarebbe mai
cacciato in questo casino, se non fosse stato strettamente necessario,
ok?" non riusciva a trovare le parole per rimanere discreto, ma si
sentiva in dovere di difendersi da quelle accuse. "Quindi per lui
è strettamente necessario. E di conseguenza lo è anche
per me. Fine della storia."
Taylor
rimase molto colpita da quella risposta e abbassò subito gli
occhi, come riconoscendosi in torto. In realtà, Alex era una
persona così genuina che qualsiasi suo rimprovero non poteva che
essere fondato su un valido motivo. Anche se non sapeva ancora quale
fosse, si accontentò. Paradossalmente, si faceva impressionare
più da lui che da Jeremy.
"Scusa, Alex." proruppe.
"Scusa
tu." borbottò lui, incrociando le braccia, incapace di rimanere
arrabbiato persino con chi lo attaccava personalmente.
"Io potrei aiutarlo."
"Anch'io
vorrei poterlo fare." ribatté il moro, frustrato. "Ma, vedi, il
punto con Jeremy è che è del tutto inutile. Aiutarlo
è quello che provo a fare da anni, ma è così
testardo che l'unico capace di tirarlo fuori da questa vita di merda
non può che essere lui stesso. Io lo aiuto come posso, ma non
sarà mai abbastanza e così è il massimo che
posso." concluse indicandosi insoddisfatto.
La
ragazza rifletté per qualche istante e convenne con Alex che era
aveva ragione. Si era accorta anche meglio dei diretti interessati
quando Alex donasse l'anima e il corpo per il suo amico. Quanta stima e
quanto affetto provasse per lui, volendo rischiare qualunque prezzo,
senza chiedere nulla in cambio, accettando anche gli insulti e subendo
il caratteraccio di Jeremy.
Ma
non serviva a nulla: Jeremy non era quello ragionevole. Sebbene paresse
l'esatto contrario, Jeremy era quello stupido, folle, che seguiva
l'istinto prima che il pensiero e che avrebbe nascosto le sue debolezze
a qualsiasi costo. Jeremy era quello a cui era mancata una vita e
quello che ora tentava di tenerne in piedi una in completa assenza di
fondamenta.
Alex
ci era arrivato prima di lui. Alex l'aveva capito ormai da molto, molto
tempo e aveva accettato silenziosamente che il suo orgoglio e la sua
caparbietà non gli avrebbero mai permesso di rendergli la vita
migliore.
E nonostante tutto, era ancora al suo fianco.
"Sei davvero una brava persona, Al." sussurrò Taylor.
Il
ragazzo sorrise: "Anche Jeremy lo è, te lo assicuro. Anche se
non lo dimostra, lui è l'unico che mi abbia sempre rispettato
per quello che sono. L'unico che mi insulterebbe per ore intere, ma
che, alla fine dei conti, darebbe volentieri la vita per me."
Taylor
lo guardò ammirata e ipnotizzata; era difficile credere a quella
visione così positiva di Jeremy, ma era altrettanto commovente
ascoltare con quanta gratitudine e sicurezza Alex parlasse del suo
amico. Alex le aveva appena rivelato un lato davvero dolce del suo
carattere e lei non poté fare a meno di sentirsi come una mamma
orgogliosa del proprio figliolo.
"Grazie, Alex."
Scrollò le spalle: "Di che?"
"Di
avermi dato speranza. E di essere così come sei." rispose con un
sorriso contro il cuscino. "A volte non ti daresti mai la pena di
conoscere persone da cui in realtà si può imparare molto."
Alex la guardò con un mezzo sorriso: "A volte fai dei discorsi davvero incomprensibili."
La
ragazza si lasciò finalmente scappare una risata, ma venne
spezzata sul nascere dalla porta che si apriva di colpo, portando nella
stanza il gelo dell'esterno.
Taylor e Alex si voltarono a guardare Jeremy, curiosi e impazienti di sapere il verdetto della telefonata.
Il
suo viso era se possibile ancora più pallido, l'unico accenno di
colore stava nei contorni degli occhi, rossi di capillari e viola per
le profonde occhiaie. Era evidente che fosse infreddolito, i muscoli
tesi e le mani nelle tasche. In realtà, le teneva ben nascoste
lì dentro per non far vedere ad Alex e Taylor che stavano
tremando.
Il
suo sguardo distaccato si spostò in giro per la stanza, per poi
finire deciso sulla figura del suo migliore amico: "Alex, devi tornare
a casa."
Il moro alzò le sopracciglia con fare confuso: "A casa...a Bourton?"
"Sì." sembrava che Jeremy stesse prendendo quella decisione al momento. "Sì, prendi Betsie e torna a casa."
"Pure Betsie? E tu?"
"Non mi serve."
"Ma-"
"Niente
ma." Jeremy suonò spaventosamente serio, in un modo che nessuno
dei due aveva mai sentito, né visto sul suo volto. "Devi tornare
dalla tua famiglia e da Allyson, devi far deviare tutti i possibili
sospetti da te, perché se non ritorni subito, ti scopriranno."
"Non
ti lascio da solo!" esclamò Alex, capendo ben poco di ciò
che il biondo gli stava spiegando. L'aria di dicembre gli aveva per
caso congelato la ragione?
"Non
sarò solo, Taylor sarà con me." ribatté lui,
lanciando una fugace occhiata alla ragazza, due passi più
distante da loro e con un aspetto terribile.
"E cos'hai intenzione di fare con lei? Usarla come guardia del corpo?" sbottò Alex, sentendosi quasi tradito dall'amico.
"Alex, lo faccio per te, te ne devi andare. Qui rischi solo di essere riconosciuto come mio complice."
"Perché
lo sono." sbottò lui. "E lo sono stato fino ad ora, è un
rischio che grava sulla mia testa da un po', se non te n'eri accorto."
"Allora forse non eri in questa stanza quando mi hanno trasmesso alla tv!"
"E
che cosa cambia una tua stupida fotografia?!" gridò il moro,
arrabbiato. "Fino ad ora non potevano riconoscere Taylor? Non potevano
sospettare di me a Bourton? Pensa ai miei e ad Allyson! Per la miseria,
Jeremy, sono stato nella merda dal primo minuto che ho passato in giro
con te, che diavolo è cambiato adesso?"
Qualsiasi
cosa gli avessero detto al telefono, era impensabile che d'un tratto
avesse deciso di sbrigarsela da solo. Che diavolo gli era successo? Di
punto in bianco non aveva più bisogno di lui? Magari era lui a
non capire, eppure non sopportava l'idea che in qualche modo Jeremy lo
stesse liquidando.
"Allora
sei proprio stupido." gli sputò contro il biondo. "Adesso che la
polizia pensa che il mio complice sia Cordano, è il momento
perfetto per te per uscire da questa situazione."
"Ma io non voglio uscire!"
"Alex!"
la voce profonda di Jeremy risuonò oltremodo aggressiva. "Quelle
persone non sono così stupide! Quanto pensi che ci voglia prima
che qualcuno se ne esca con il tuo nome? Ci siamo fatti vedere ovunque,
manchi da Bourton da svariati giorni, ma, soprattutto, io e te siamo
amici da una vita!"
Ad Alex quella sembrò quasi un'accusa e allora indietreggiò, confuso e ferito dalle parole dell'amico.
"Finché
credono che i rapitori siamo io e Cordano, tu sei salvo, Alex. È
la copertura perfetta e se non cogli l'occasione, durerà troppo
poco."
"È vero. Ma se io non sto con te, come faccio ad assicurarmi che vada tutto bene?"
Jeremy sospirò: "Andrà tutto bene." gli uscì come una cantilena.
"Non posso saperlo, se non ci sono. Non posso aiutarti."
"Devi fidarti di me."
Alex
si morse il labbro, il respiro che usciva pesante dalle narici e gli
occhi che pizzicavano fastidiosamente: "Che cosa pensi di fare?"
Jeremy
non osò incontrare gli occhi di Taylor. Non sapeva cos'avrebbe
fatto; sapeva solo che non avrebbe mai permesso che Alex venisse
coinvolto più del dovuto e quindi doveva assolutamente
rinunciare al suo aiuto. Subito. O sarebbe stato troppo tardi per lui.
Quando sarebbe rimasto solo con la ragazza, avrebbe davvero pensato al da farsi.
"Taylor e io ce ne andremo di qua." rispose solamente. "Aspetterò fino a nuovo ordine."
Il
moro mostrò un'espressione sempre più agitata e
incredula: "Fammi capire: Cordano ti ha telefonato semplicemente per
dirti di aspettare un nuovo ordine?"
"Non...non era Cordano." disse Jeremy, abbassando gli occhi.
"E chi, allora?"
"Oliver."
Taylor sussultò: "Oliver? Che cosa ti ha detto?"
"Nulla."
tagliò corto lui, gelido, senza nemmeno degnarla di uno sguardo,
poi tornò a concentrarsi sul suo amico. "Alex, ti prego. Torna a
casa, inventati qualcosa che funzioni e riguadagna la fiducia di tutti.
Dopotutto, mi sarai d'aiuto anche da Bourton." aggiunse, sperando di
convincerlo. "Ho bisogno che qualcuno mi aggiorni su come procedono le
cose là; posso fidarmi solo di te."
Ci
fu qualche istante di profondo silenzio. Il silenzio improvviso e
inerte che precede una dolorosa separazione, che segna una lenta presa
di consapevolezza, un silenzio deluso e carico di dispiacere. Alla
fine, però, Alex annuì.
Era
abituato agli ordini di Jeremy, ma questo aveva un che di solenne. Un
ordine che avrebbe potuto sembrare maleducato e ingrato, ma che sotto
sotto sapeva di supplica. Jeremy voleva che lui andasse via e anche se
non aveva ancora afferrato il perché, capiva che avrebbe dovuto
ascoltarlo. Si era sempre fidato del suo migliore amico e non se n'era
mai pentito. Jeremy sapeva sempre cosa fare.
Si
diresse verso il letto a castello e senza troppi sforzi afferrò
il suo zaino. Raccolse le sue cose sparse per la stanza, fece mucchio
in malo modo di tutti i foglietti che aveva scritto poco prima e si
infilò una felpa scura, quella con cui Taylor l'aveva visto per
la prima volta.
Fece
tutte queste cose sotto lo sguardo di due paia di occhi; uno caldo e
prosciugato di lacrime, ma non di voglia di versarne, uno freddo e
piegato dalla forza che il mondo esercitava su di lui.
Si
avvicinò per primo a Taylor, la scrutò dall'alto del suo
metro e ottantacinque e le sorrise: "Ehi, Tay." la salutò
dandole una leggera pacca sulla spalla.
"Alex..."
Lei
era ancora frastornata. Tutto stava succedendo così velocemente,
aveva ancora una miriade di domande vorticanti per la testa e ora si
trovava a combattere una sensazione tanto inaspettata quanto orribile.
Era il rifiuto di veder Alex partire, la sofferenza nell'immaginare
quell'inedito trio senza una delle sue parti. Mai avrebbe immaginato
che si sarebbe affezionata così tanto a un tale idiota.
"Ehi,
Taylor, non fare quella faccia." sorrise lui. "Jeremy è bravino,
ma resto sempre e comunque io il tuo peggiore incubo, ci puoi
scommettere!"
"Ma per favore." fu l'unica cosa che riuscì a dirgli, la voce alterata dal nodo in gola.
"Stai
bene, Taylor." le augurò, sincero. "Vedrai che andrà
tutto bene! E poi, se dico ad Ally che mia nonna è risorta,
magari torna con me." scherzò lui.
Sempre il solito.
Si
voltò verso Jeremy, non ancora mossosi dalla sua posizione. Il
biondino era poco più basso di lui e aveva un aspetto molto
più trascurato. Magari guardandoli la gente non avrebbe creduto
che tra di loro scorresse quel legame incredibile, ma la verità
era che non avrebbero mai smesso di essere amici. Mai, nemmeno se un
mafioso si fosse messo tra di loro, nemmeno se il destino li avesse
voluti separare a tutti i costi, nemmeno se uno dei due avesse
rischiato la vita.
Si
sarebbero sempre dati man forte, perché anche se erano diversi e
in qualche modo appartenevano a due realtà opposte, formavano un
duo che non sarebbe mai diventato un singolo. Jeremy e Alex, era
così che quei due nomi erano sempre stati pronunciati assieme,
come Stanlio e Ollio, come Timon e Pumbah, come Dolce e Gabbana...beh,
forse era meglio che non sentissero del paragone con Dolce e Gabbana o
avrebbero di sicuro protestato.
"Ti chiamo quando arrivo, Jerry." gli disse.
"Sempre se non ti perdi per strada." sorrise lui, debolmente. "Teniamoci in contatto. Appena sai qualcosa, avvertimi."
Alex
annuì ed estrasse un pacchetto di fazzoletti di carta dallo
zaino: "Tieni." li porse all'amico. "La prossima volta che il tuo naso
sarà in piena dovrebbe bastarti il pacchetto intero."
"Davvero
divertente." Jeremy aveva voglia di ridere, ma il fatto che quello
fosse un addio glielo impediva e lo faceva sentire come se qualcuno gli
stesse strappando le braccia e le gambe dal corpo. "Sei stato di aiuto,
Al."
"Credevo non l'avresti mai detto." esultò, soddisfatto. "Ci vediamo tra cinque giorni."
Jeremy
si limitò a spostare gli occhi dal suo viso e fu a quel punto
che Taylor capì che stava nascondendo qualcosa.
Ma
Alex non si fece troppe domande e, zaino in spalla, aprì la
porta per uscire. Salutò di nuovo entrambi e poi imboccò
il vialetto sassoso, verso l'albero sotto cui se ne stava parcheggiata
la vecchia Betsie.
Non
appena Taylor e Jeremy rimasero soli, il biondo spostò gli occhi
su di lei e sentì che non ci sarebbe più stato nemmeno un
minuto in cui si sarebbe sentito bene.
"Che cosa nascondi?" lo aggredì subito Taylor.
"Niente, principessa. Ormai conosce tutta la verità grazie ai fottutissimi mass media."
"Non è vero. Perché stai mandando via Alex?"
"Te l'ho detto, Taylor. L'ho fatto solo per il suo bene."
Taylor fece spola tra le sue iridi e non trovò traccia di falsità riguardo quell'ultima affermazione.
"Beh, ti mancherà." disse allora, semplicemente.
"Ha parlato Capitan Ovvio." commentò lui, saccente.
"Se è così ovvio, perché non gliel'hai detto?" la sua voce suonava piena di indignazione e tristezza.
Quale
amico si reputava, se non riusciva neanche a dire qualcosa di carino?
Non aveva nemmeno perso il suo tono da sergente di ghiaccio e ora Alex
se ne stava andando via assieme alla probabilità che si
rivedessero.
"Perché non è affar tuo." rispose lui.
"Beh, sai una cosa?" esordì la ragazza. "Alex non ti merita."
Jeremy s'irrigidì di colpo. Non era vero. Non poteva dirgli questo!
"Vaffanculo, Taylor." sibilò.
Lei
gli voltò le spalle e presa la decisione di non dargli retta,
ascoltò il suo cuore e si diresse di corsa verso la porta.
"Alex!" gridò uscendo nel vialetto.
Il moro, che ormai aveva raggiunto la macchina e stava per montarci, si voltò, sorpreso.
"Aspetta!"
Taylor,
anche se vestita solo di un maglione troppo grande, gli corse incontro
e prima ancora che lui potesse dirle qualcosa, si gettò tra le
sue braccia.
Il moro sorrise, preso un po' in contropiede, e la abbracciò a sua volta, stringendola con fare fraterno: "Ehi."
"Sì,
rimarrai per sempre la mia più grande paura." incalzò con
voce tremula. "E a Jeremy mancherai da morire. Sono venuta a dirtelo
io, perché lui è troppo stronzo."
Alex ridacchiò, sorpreso e vagamente felice.
"Grazie. Solo che è strano che sia tu a fermare me, questa volta."
A
Taylor tornò in mente il suo tentativo di fuga dall'hotel di
Cirencester. Quel giorno Alex aveva dovuto rincorrerla e trattenerla
perché non scappasse e ricordava ancora molto bene i suoi
lamenti dopo che lei gli aveva sferrato un bel calcio nel luogo sacro.
Ricordava anche di aver pensato cose cattive su di lui e di averlo
giudicato male. Era contenta di essersi ricreduta, ma triste di averlo
fatto troppo tardi.
Una flebile risata uscì dalla sua bocca, assieme a una solitaria lacrima sul viso schiaffeggiato dal freddo.
"Stai piangendo per me?" Alex si stupì.
"Sì, stupido." rispose la ragazza. "Mi mancherai."
"Anche
tu, Taylor." la strinse di nuovo, ancora più stretto di prima e
grato nei suoi confronti. Pensò che forse Jeremy non era l'unico
a volergli bene e, tutto sommato, Taylor aveva ragione. Alex non era
del tutto inutile; c'erano delle qualità in lui.
Si
era davvero affezionato a Taylor e riteneva che Allyson fosse fortunata
ad averla come migliore amica. Forse anche lui avrebbe potuto
considerarla un'amica, un giorno. Forse, a pensarci, erano amici
già da tempo; da quando, quella mattina a Stroud, lui le aveva
portato pesce alla griglia per colazione e lei gli aveva sorriso per
ringraziarlo. Aveva addirittura mangiato tutto il pesce.
"Salutami Allyson." disse Taylor, sciogliendo finalmente l'abbraccio.
"Certo, lo farò."
"No, Alex!" Taylor si sbatté una mano in fronte. "Non puoi farlo, lei non deve sapere che tu hai a che fare con me!"
"Oh. Giusto."
Era incredibile; lei doveva insegnare a lui come rapirla! Cose da Alex.
"Grazie,
Taylor." Alex salì in macchina e la mise in moto, poi chiuse la
portiera e abbassò il finestrino, sporgendosi leggermente e
rivolgendo a Taylor un sorriso fraterno. "Proteggi Jeremy, ok? Anche se
sei gracile e scoordinata."
"Ci provo." ribatté lei, gli occhi ancora lucidi. "E tu non fare cazzate."
"Io? Ma quando mai?" le fece l'occhiolino e se ne andò.
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Jeremy
poggiò il piatto sul tavolo e aspettò che la lancetta
segnasse i dieci minuti. Alzò il coperchio della pentola e
ammirò il suo primo vero purè: una soluzione di acqua e
polverina giallognola con tanto di simpatici grumi galleggianti.
Sbuffò sonoramente e spense il fuoco, versando nel lavabo quello
che qualsiasi altra persona avrebbe fatto diventare commestibile
mediante le quattro semplici regole scritte nella confezione.
Jeremy odiava cucinare.
Non solo non ne era capace, ma sembrava addirittura che anche i piatti già pronti gli venissero male.
Diede
un'occhiata all'uovo, perlomeno quello aveva un aspetto sano: bastava
solo distruggerlo in malo modo sulla padella, cosa che sapeva fare
benissimo, data la sua consolidata esperienza nel distruggere le cose.
Con
l'aiuto del cucchiaio di legno riempì il piatto di frittata e la
coprì con una manciata di spezie che trovò nel ripiano a
destra. Si era bruciato un dito e aveva rotto un uovo sul fornello, ma
tutto sommato poteva vantare un discreto successo nella preparazione
della cena di Taylor.
Già,
Taylor...non le aveva più rivolto la parola da quando era
rientrata. Aveva seguito la scenetta dell'abbraccio dalla finestra con
una morbosissima serpe attorno allo stomaco, ricacciando indietro la
voglia di dare un pugno al muro. Era invidioso del suo amico per
l'affetto che aveva ricevuto da Taylor e allo stesso tempo era
arrabbiato per non essere riuscito a salutarlo come si doveva.
Certo,
Taylor l'aveva fatto al suo posto, ma ora aveva il dubbio che Alex
potesse davvero pensare di non meritarsi un amico come lui. Non poteva
dirgli che lo aveva cacciato perché gli voleva un bene
dell'anima, e aveva paura che per questo lui non l'avrebbe mai saputo.
Ma Jeremy sarebbe per sempre rimasto in silenzio, o Alex sarebbe
tornato indietro, lo sapeva.
E
non avrebbe nemmeno fatto parola del tormento che stava affrontando
nella sua anima. Di quanto si sentisse disperato, incazzato e
frustrato. A causa di quell'addio, a causa di quella maledetta
telefonata, a causa di Taylor.
Il
pensiero orribile del futuro che stava per vivere svanì
bruscamente quando il tè bollente straripò dalla tazza e
gli bruciò per la seconda volta il dito.
Corse
verso il getto d'acqua del rubinetto per anestetizzare la scottatura e
di colpo pensò a sua madre e a quanto anche lei fosse
irrimediabilmente maldestra ai fornelli.
Ricordava
torte scoppiate nel forno, polli troppo ripieni, lasagne talmente poco
cotte da essere croccanti e caffè salati. Sì, il gene
della negazione per l'arte culinaria era ereditario, ma Jeremy non
ricordava occasioni in cui sua madre non sorridesse degli errori. Anche
se era una totale frana, ci metteva il cuore ogni volta, perché
lo faceva per lui, lo faceva per la persona che amava.
Si
fanno tante cose per le persone che si amano, pensava Jeremy, a volte
cose che si odiano completamente. E aver mandato via Alex era una di
quelle, anche se non l'avrebbe mai saputo.
Sospirò
sistemando il piatto e il bicchiere di tè sul vassoio e vivendo
la consapevolezza che ormai i ricordi di sua madre fossero diventati
quotidiani.
Lei,
per esempio, gli avrebbe detto di mangiare, perché doveva
mantenersi in forze e crescere robusto, ma Miriam non c'era e non
poteva vedere come il figlio fosse debole e stanco...e lui non avrebbe
mangiato. Non aveva fame, non poteva averne, dato che aveva lo stomaco
annodato in mille e più modi, dato che la paura e la
preoccupazione condizionavano ogni suo gesto. Non avrebbe mangiato, ma
come sua madre per lui, voleva che Taylor lo facesse.
Sì,
era arrabbiato con lei, sì, non avevano più scambiato una
parola dal pomeriggio e sì, l'aveva abbandonata a se stessa
chiudendosi in cucina, ma questo non aveva impedito che il suo cuore si
preoccupasse ancora per lei.
Dannazione!
Ormai non era più capace di ricacciare tutto indietro, di
convincersi dei contrari, di affermare sempre "non è vero".
Ormai
era il cuore ad avere la meglio sul cervello e i sentimenti, proprio
quelli che aveva soffocato per sedici anni, si stavano abbattendo su di
lui come un uragano improvviso e incontrollabile. Non riusciva
spiegarsi il perché. Oppure sì, ma sapeva che comunque
ammetterlo sarebbe stato inutile.
"Bella fregatura, Jeremy." si disse parlando da solo come i matti.
Afferrò saldamente il vassoio e si diresse nel piccolo salotto, dove assieme al camino, Taylor aveva acceso anche la tv.
"Lor, ti ho portato la-"
Non finì la frase perché non si aspettava la scena che si trovò davanti.
Taylor
era seduta a terra, la schiena appoggiata al divano, e dai suoi occhi
sgorgavano lacrime accompagnate da potenti singhiozzi.
Appoggiò
il vassoio a terra e guardò lo schermo del televisore: era in
onda uno speciale sulla storia della ragazza scomparsa a Bourton.
Stavano
raccontando la sua vita, la sua infanzia, e il presentatore usava
termini come 'abbandono', 'sofferenza' e 'solitudine', che solo a
Jeremy diedero i brividi. Figuriamoci a Taylor.
In
primo piano c'era una fotografia ritraente Oliver e la sua seconda
moglie, assieme alla piccola Tessy Heavens, poi un video: un compleanno
di Tessy e la voce che raccontava che da quel giorno Oliver smise di
mantenere la corrispondenza con Amanda.
E
ancora la fotografia di Amanda, una 'mamma single', la definirono, che
aveva sacrificato tutto pur di crescere al meglio la sua bambina. Un'
immagine di Taylor ed Allyson abbracciate, che sorridevano entrambe
adolescenti e con l'apparecchio, mentre veniva ricordato agli
spettatori che mentre frequentava le scuole medie, Taylor non
partecipava alla vita sociale di Bourton. Che passava il tempo a
studiare, ma che in realtà alla notte piangeva d'invidia verso
le amiche che arrivavano a scuola accompagnate dai loro papà. E
verso la sua sorellastra, che le stava mostrando il passato che sarebbe
spettato a lei. Seguì l'ennesima sfilza di fesserie sentimentali
su un accompagnamento di violini e pianoforte.
Taylor
aveva gli occhi rossi come il naso, la sua figura tremante e fragile
davanti a quel melenso racconto non faceva altro che aumentare la
voglia che Jeremy aveva di prendere a calci la causa della sua
sofferenza.
Ma
tutto, su secondo esame, riconduceva a lui come vera e singola causa di
ogni male. Se non l'avesse rapita, tutto sarebbe proceduto senza
drammi. Taylor si sarebbe fortificata con gli anni e sarebbe cresciuta
indifferente al suo passato e sicura del presente.
Preso da un potente moto di rabbia, staccò la spina del televisore e le si parò davanti agli occhi.
"Perché guardi quella roba?"
"Perché la stanno trasmettendo. Lasciami guardare."
"Credo che sulla tua stessa vita sappia più cose tu e non quello stupido documentario."
"E quindi?"
"Ti stai solo facendo del male."
"Non mi importa."
"Che stronzate." la sua voce suonò sprezzante e fredda.
La ragazza reagì con ancora più singhiozzi: "Non sono stronzate! Quella lì è la mia famiglia!"
"Quale famiglia, Taylor? Quella che non hai mai avuto?"
Jeremy
si pentì subito di quello che aveva detto. Non ragionava
più, era sopraffatto dalla frustrazione. Non sopportava vedere
Taylor in quello stato, non sopportava che piangesse per colpa sua e il
fatto che non riuscisse a farla sentire meglio lo mandava in tilt. Con
il conseguente risultato di farla stare ancora peggio.
"Scusami." tentò di rimediare. "Non volevo."
Jeremy credeva nella famiglia di Taylor.
Era
solo arrabbiato per il passato che le aveva fatto vivere, ma non per
questo pensava che non avrebbe rimediato. Certo, se Oliver fosse stato
più svelto, ora Taylor non sarebbe così nei guai, ma non
poteva biasimare nemmeno lui. Sapeva quanto impegno ci avesse messo,
sentiva quanto stesse dando se stesso, quanto si stesse pentendo per
ogni singolo errore. Purtroppo, però, quello sarebbe bastato a
Jeremy e non a Cordano. Per quell'essere immondo, Oliver era stato
troppo lento e basta.
"No,
Jeremy. Hai ragione." lo contradisse lei, issandosi sul divano e
sedendosi con le ginocchia rannicchiate al petto. "La mia vita fa
schifo, è quello che dicono alla tv, in tutti i canali. La vita
della mia mamma fa schifo e vederla sullo schermo fa ancora più
schifo. Oliver è uno stronzo. È colpa sua se sono qui."
"No,
Taylor. È colpa mia se sei qui." il ragazzo sentiva un fuoco
ardergli dentro. La verità era che lui le aveva reso la vita uno
schifo. Nessun altro.
Le
si avvicinò e si sedette accanto a lei, prendendosi la testa tra
le mani e ascoltando quel pianto che lo stava lentamente uccidendo.
Ogni lacrima della ragazza era come un coltello infilato nel suo petto;
avrebbe voluto fare qualcosa, farle ritornare il sorriso, farle scodare
quell'orribile esperienza, tornare indietro nel tempo. Ma non poteva,
ovviamente.
Si sentiva impotente e inutile, tanto quanto le sofferenze che le stava impartendo.
Lei,
d'altro canto, stava odiando mostrarsi così debole e infantile e
si asciugava le guance con il palmo della mano, sperando invano che
cessassero di venire bagnate.
Che
scena paradossale; Taylor rannicchiata accanto a Jeremy, in lacrime, ma
disposta a concedergli fiducia nonostante tutto quello che stesse
passando, Jeremy confuso e distrutto dalla consapevolezza di essersi
innamorato della persona a cui stava rovinando la vita.
"Spero
solo che non stia soffrendo troppo." soffiò lei, ripensando ad
Amanda, che, sola, non avrebbe mai saputo sostenere una situazione di
tale portata.
Jeremy
la guardò e la vide così fragile e indifesa che gli venne
spontaneo avvolgerla in un abbraccio. Un abbraccio protettivo, che
andava oltre il contesto, un abbraccio attraverso il quale voleva
urlarle quanto fosse stupido e quanto gli sarebbe piaciuto poter
nutrire dei sentimenti senza i limiti che gli impedivano di farlo.
Ma
l'avrebbe riportata a casa, l'avrebbe protetta a qualsiasi costo e
avrebbe fatto in modo che il suo incubo finisse, anche se questo
implicava che il suo non sarebbe mai finito. Era il minimo che potesse
fare per lei.
"La
rivedrai presto, Taylor, e starete bene entrambe." le disse in un
soffio all'orecchio. "Cambierete idea riguardo a Oliver, te lo
prometto."
Strinse
la sua schiena tremante, la tenne stretta a sé e inspirò
a fondo quel profumo di ricordi, immergendo il viso nei suoi capelli e
desiderando di non essersi mai innamorato di lei. Era una condanna, una
dolce condanna che più s'intensificava, più portava le
cose verso un finale inevitabile.
Sentì
i pugni di Taylor stringersi attorno alla sua maglietta, sentì
le sue lacrime bagnargli il petto e la sua bocca muoversi contro la sua
pelle fredda per dirgli grazie. Lei che ringraziava lui? Per cosa? Per
averle fatto conoscere l'inferno?
Non
sapeva che Taylor con quel "grazie" intendesse "grazie di essere qui".
Nonostante tutto, si sentiva protetta tra quelle braccia, si sentiva a
casa, si sentiva amata. Non era un caso che il suo cuore battesse
così forte.
Aveva
già capito da tempo la vera persona che era Jeremy, aveva capito
che non era lui a volere questo per lei e, anzi, aveva capito che stava
tentando di renderle quella tortura più sopportabile. Il
problema era che nel farlo le aveva fatto provare emozioni così
intense che aveva paura che fossero amore. Sì, aveva paura,
perché se fosse stato amore, sarebbe stato uno di quei classici
amori impossibili, in cui tutto avrebbe fatto in modo che non
succedesse nulla.
A
lei capitavano sempre questo genere di controsensi. Se ci pensava,
tutta la sua vita fino a quel momento era stata un controsenso, anche
se doveva ammettere che Jeremy era il migliore che le fosse capitato.
Si
lasciò cullare in silenzio, memorizzando il ritmo dei suoi
respiri e dei battiti lenti del suo cuore. Recuperò l'ossigeno
che le mancava e si rilassò contro il petto di quel ragazzo
così irritante, stronzo e misterioso. Così pessimo da
essere forse il migliore.
Poco
a poco ritornò la Taylor calma e razionale di sempre, con una
nuova consapevolezza però, quella di essersi innamorata di
Jeremy Parker, il ragazzo che l'aveva rapita. Tanto per gradire.
"Perché lo fai?" gli chiese, sciogliendo quell'abbraccio impacciato.
Gli
occhi azzurri titubanti cercarono una via di fuga da quelli inquisitori
della ragazza, ma non riusciva più a scappare da lei: "Fare
cosa?"
"Il
cattivo." rispose, disarmante come una bambina. "Il cattivo di una
storia in cui credi di essere quello che prende le decisioni, quello
che domina. Quando in realtà sai benissimo che non è
così e ti lasci dominare dalla rabbia, dal rimpianto e dal
rancore."
"È la mia vita, Taylor."
"Non è una vita, questa!" protestò lei. "Vuoi dirmi che non hai mai sofferto, non hai mai desiderato di cambiare?"
Oh, eccome se l'aveva fatto. Ma ovviamente non poteva parlarne a lei.
"Nessuno è mai contento di nulla." disse, alzando le spalle. "Vuoi dirmi che tu sei contenta?"
"No." gli diede ragione. "Non se ho davanti agli occhi tutto questo, senza poterlo cambiare. Vorrei poter fare qualcosa per te."
"Non puoi."
I
loro volti erano così vicini che avrebbe voluto baciarla. Aveva
il suo respiro leggero adagiato in ogni piega del suo viso, il suo
profumo caldo in ogni vuoto della sua gola e c'era una promessa sulle
sue labbra che avrebbe tanto voluto assaporare. Ma era il suo
buonsenso, quello assopito da tempo, che gli intimava di non farlo.
"Ma tu mi stai aiutando, Jeremy. Perché non posso farlo anch'io? Non è giusto."
"Tante cose non sono giuste. La mia vita è compresa tra queste. E, credimi, non sto facendo nulla di speciale per te."
"Invece sì. Molto più di quello che pensi."
Gli
occhi dell'uno erano immersi in quelli dell'altra, così diversi,
come le realtà a cui appartenevano, ma con un passato simile e
sofferto. Curioso come talvolta il destino giocasse con le vite delle
persone e le facesse scontrare nella maniera più impensabile,
per poi creare dei legami che nessuno avrebbe mai potuto aspettarsi.
"Che cosa starei facendo per te, Taylor?" domandò lui, in un sussurro.
"Beh, innanzitutto, non mi hai ancora cucito la bocca come avevi promesso."
Sul viso di Jeremy si disegnò un sorriso.
"E poi non mi lasci mai sola."
"Ovviamente. Credi che mi fidi a lasciarti sola con tutto quello che combini?"
"Non
pensi anche tu che forse sarà orribile essere di nuovo soli?"
gli chiese a bruciapelo, aprendosi al suo sorriso, così vicino e
confortevole. "Quando ci separeremo, non dispiacerà un po' anche
a te?"
In quel momento, davvero, avrebbe voluto risponderle di sì, e abbracciarla di nuovo, e baciarla.
Ma
anche se Jeremy era un ragazzo irrazionale e istintivo, quando doveva
fare una scelta così importante, usava sempre pensarla in tutte
le sue sfaccettature.
Scegliere
di baciare Taylor, o comunque di mostrarle i suoi veri sentimenti,
avrebbe comportato una disfatta completa. Non poteva mostrarsi debole,
specialmente in quel momento, specialmente se gli era stato imposto di
essere forte, o meglio, si era imposto di essere forte. Tutto stava per
finire e non doveva fare altro che resistere finché ogni cosa
non fosse tornata al suo posto. Lo doveva fare per Taylor.
Se
avesse compiuto un solo passo falso, avrebbe firmato la sua condanna.
Per salvarla, doveva essere il Jeremy di sempre. O forse il Jeremy di
sempre era quello che aveva sempre represso?
Non importava: era il Jeremy arido e insensibile quello che serviva adesso.
"No, Lor." sussurrò. "A me non dispiacerà."
Mentì
guardandola dritto negli occhi. Si sentì un codardo e un
egoista, ma sapeva che in fondo lei avrebbe fatto presto a dimenticarsi
di lui. Le stava rendendo le cose ancora più facili, si stava
dimostrando il mostro che le lo aveva sempre accusato di essere.
Era l'unico modo di renderle tutto più facile.
Taylor
non riuscì a sostenere quello sguardo denso e duro, per cui
abbassò gli occhi e si scostò un po' da quel petto
tiepido che ormai era diventato la sua seconda casa: "Lo immaginavo."
disse con un filo di voce e un falso sorriso. "L'hai sempre detto che
non mi sopporti."
"Per quello servono doti da martire."
"Già."
restò al gioco con un sorriso, poi si ritrasse definitivamente
da lui e fece per alzarsi. "Scusa se mi sono comportata da bambina."
Ma Jeremy, preso da un moto di profonda tristezza, la fermò, trattenendola per un polso.
"Lor,
tu sei una bambina." era un'affermazione quasi dolce e una presa in
giro. "Perciò mangia e poi lavati quelle lacrime dal viso. Ti
aspetto qui."
Taylor annuì.
Pensò
che, anche se lui non provava le stesse cose per lei, aveva comunque la
capacità di farla sentire bene. Era meglio così: era
meglio che non provasse niente. Meglio per lui, meglio per entrambi.
Questo di certo non le impediva di essere delusa, ma doveva fare buon
viso a cattivo gioco.
Quindi fece quello che lui le aveva detto e quando tornò in salotto, non si era mosso da quella posizione sul divano.
Fu
ben felice di coricarsi accanto a lui e trovare di nuovo l'incavo del
suo collo per appoggiare la testa. Sembrava che il corpo del ragazzo
avesse la forma complementare al suo, come i pezzi di un puzzle, come
un materasso in lattice che si modella perfettamente alla persona che
vuole dormirci sopra.
"Jeremy,
qualsiasi cosa dovesse succedere..." iniziò prima che potessero
addormentarsi. "Sappi che nonostante tutto, credo che tu sia..."
"Che cosa?" lo sentì sorridere, come ogni volta che stava per umiliarla.
"Bello."
"Questo già lo sapevo, principessa."
"Intendo
bello dentro, Jeremy, hai capito. Puoi sembrare uno stronzo quanto
vuoi, ma io so, perché l'hai dimostrato, che nascondi qualcosa
di buono sotto tutta quell'indifferenza." le costava ammetterlo.
In
fondo lui era pur sempre un idiota e non avevano fatto altro che
litigare da quando si erano conosciuti, però non poteva
nascondere la verità. Era irritante, strafottente e prepotente,
ma nonostante tutto era lì con lei e guardandosi indietro,
Taylor si era accorta che c'era sempre stato.
Forse
lui non sentiva quello che sentiva lei e forse era meglio per entrambi,
però una cosa era certa e voleva che anche lui lo sapesse: "Non
è vero che Alex non ti merita. Forse sei uno stronzo di prima
categoria, ma lui sa come sei davvero e per questo ti vuole bene.
E...anche io te ne voglio."
Il biondino chiuse gli occhi e prese un lungo respiro, senza ribattere.
Rimase
ad ascoltare l'eco di quelle cinque parole nella sua testa,
memorizzandole come una bellissima canzone e sorridendo per aver avuto
la fortuna di ascoltarle. Tacque finché non fu certo che Taylor
si fosse addormentata e poi, quasi in un sussurro, le rispose.
"Io ti amo, invece."
Con
un braccio le cinse la vita; sapeva che in futuro non avrebbe
più potuto farlo. Strofinò il naso contro i suoi capelli
e inspirò il profumo che non avrebbe mai dimenticato; quello di
sua madre, quello dei suoi ricordi, quello della sua Taylor. Come fosse
diventato così sentimentale non riusciva a spiegarselo, ma
sapeva che in parte era dovuto alla telefonata su cui, tanto per
cambiare, aveva mentito.
Era
stato Cordano in persona, infuriato e aggressivo come non mai, a
chiamarlo qualche ora prima. Anche lui aveva avuto modo di vedere il
maledetto servizio al telegiornale e a quel punto non gli rimaneva
altro da fare che rispettare la sua promessa.
Jeremy ricordava benissimo la minaccia che da settimane vorticava nella sua mente:
Un errore, Parker, e userò il mio giocattolo per decretare la tua eliminazione dal gioco. Cordano aveva deciso di metterla in pratica.
Gli
aveva detto che gli avrebbe concesso ancora cinque giorni. Entro Natale
avrebbe dovuto risolvere quell'enorme problema, oppure l'avrebbe ucciso
personalmente.
E
qual era la soluzione al problema? Quando Cordano gliel'aveva detto, si
era accasciato contro la parete della casa e aveva sentito la terra
mancare da sotto i suoi piedi.
"Non possiamo più continuare con la storia del rapimento, Parker."
"E allora che cosa facciamo?"
"Che
cosa farai tu, Parker! Da questo momento in poi il problema è
solo tuo e come lo risolverai è molto semplice: ucciderai Taylor
Heavens e farai sparire le sue tracce entro Natale, oppure sarai tu a
dover dire addio a questo mondo una volta per tutte."
"Che cosa? Sei fuori di testa, Cordano!"
"Chiudi
quella merda di bocca, lurido Parker! Se quella ragazzina non
sarà morta nel giro di cinque giorni , ti verrò a cercare
personalmente e porrò fine alla tua insulsa vita del cazzo! Hai
capito oppure no, Parker? Da adesso quella stronza non è che la
vittima di uno psicopatico assassino, cioè te. La farai fuori e
rivelerai te stesso come unico, pazzo responsabile. Ogni singolo
sospetto su un rapimento o su di me dovrà essere smentito, e, se
non farai quello che ho detto, ti verrò a cercare con tutti i
mezzi di cui dispongo e ti farò soffrire le pene dell'inferno
prima di poter finalmente infilare una pallottola nei tuoi stupidi
polmoni!
Sono stato chiaro, Parker?
Sono stato chiaro?!?"
Jeremy
aveva sentito scivolare la vita dal suo corpo e finire nel nevischio
del bosco, persa per sempre nella freddezza di quell'inverno. Era
questa la scelta a cui era stato messo di fronte. Due vite, una sola da
salvare.
Avrebbe
dovuto portare Taylor in un posto nascosto e ucciderla, per poi
liberarsi di lei. A quel punto avrebbe potuto denunciarsi, come aveva
ordinato Cordano, oppure scappare lontano da Bourton e da quell'uomo,
cominciando tutto d'accapo.
Qualsiasi cosa avesse fatto, se non l'avesse fatta entro cinque giorni, sarebbe morto.
Riportare
Taylor a Bourton e scappare? Sarebbe stato plausibile, se solo Richard
non lo stesse aspettando al varco in previsione di qualsiasi suo
tentativo di fuga.
E
allora doveva davvero ucciderla. Doveva sacrificare la vita di Taylor
per la sua. Ora non era più come prima: la libertà, per
una vita, la felicità, per una vita. Ora era una vita per una
vita. Non gli rimaneva alternativa alcuna, se non quella di compiere la
scelta più grande di sempre.
Era più importante la vita di Taylor Heavens o quella di Jeremy Parker? Ormai cominciava seriamente a dubitarne.
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Anche
questo titolo presenta più piani di lettura: nomina Taylor e
Alex come rappresentativi dell'intero capitolo e infatti sono le due
persone su cui si giocano le scelte più importanti di Jeremy. Ma
sono anche due persone dal rapporto "Heaven and Hell", frase che
richiama sonoramente il titolo. Inizialmente le loro interazioni erano
negative, poi estremamente positive e poi, col proseguire della storia,
si vedrà. Sicuramente questo titolo vi tornerà alla mente.
Allo
stesso modo, paradisiaca e infernale è l'esperienza che sta
vivendo Jeremy e anche il rapporto che lo lega a Taylor e Alex.
PUBBLICITA':
Se vi va, passate a leggere le altre mie due storie Io
e te è grammaticalmente scorretto ,
e Io e te è grammaticalmente scorretto 2, di cui, per quanto riguarda la prima, uscirà il libro a marzo 2017!
Se
poi vorrete unirvi al gruppo in cui si sta assieme, si parla di tutto e
si condividono momenti bellissimi, vi basterà iscrivervi e io approverò
la vostra iscrizione a Grammaticalmente
Scorretti
Oppure potete chiedermi l'amicizia su Facebook come Daffy Efp :)
|
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Capitolo 10 *** A Lot of Things Together ***
All I want - 10.2
ALL
I
WANT
FOR
CHRISTMAS
IS...
********A Lot of Things Together********
Taylor
si svegliò quando la luce biancastra arrivò a pungere il
suo naso all'aria. Aprì gli occhi pesanti e rimase immobile in
quella comoda posizione. Le sembrava una di quelle domeniche sotto
Natale di anni fa in cui si risvegliava al calduccio delle coperte e
aspettava che Amanda tirasse le tende per controllare fino a dove la
neve fosse arrivata a coprire il vetro.
Si
voltò per vedere se Jeremy stesse ancora dormendo e con un vago
senso di delusione trovò il posto accanto al suo vuoto. In
compenso c'era una coperta di lana a coprirla perché non
prendesse freddo e un vassoio ai suoi piedi. Sorrise alzandosi e
guardando con un sopracciglio inarcato il tentativo di succo d'arancia
che il ragazzo le aveva lasciato. C'era un bicchiere con dentro quelle
che sembravano interiora di qualche animale miste al suo sangue, ma
comunque apprezzava lo sforzo.
Si sentiva bene, un po' stordita, ma felice.
Sul
letto di Jeremy c'erano un paio di felpe di cui una un po' sbiadita,
gialla, che prese in prestito perché sapeva che l'avrebbe tenuta
al caldo. Infilò le sneakers che aveva raccattato in quel
negozietto di Cirencester e si specchiò sull'anta dell'armadio
vuoto. Raccolse i capelli in una coda e fece una smorfia: no, non la
convincevano. Provò a lasciarli cadere, ma sembravano due drappi
da teatro senza alcun significato. Sbuffò.
Quand'era
stata l'ultima volta che si era preoccupata seriamente dei suoi
capelli? Probabilmente nemmeno alla festa di Tessy le era importato
così tanto.
Optò
per una treccia laterale e invano cercò qualche traccia di
cosmetico nella casa. Zero. In genere un po' di matita e mascara le
avrebbero dato un tocco femminile e le sarebbe davvero servito in quel
momento.
D'improvviso
si rese conto che si stava davvero preoccupando di essere carina. In
una situazione del genere. Stava dando i numeri.
Uscì scrollando la testa e seguendo il rumore di un motore proveniente dal retro della casa.
Di
Jeremy riusciva a vedere solamente le gambe coperte dai jeans, dato che
il resto del corpo era nascosto sotto una macchina che faceva un rumore
infernale. La scrutò cercando di capirne il modello, ma
rinunciandoci non appena notò che il volante era a sinistra.
Un
modello europeo e per giunta senza targa, color grigio topo e con
un'ammaccatura sul lato destro. Insomma, girare con quella equivaleva
ad avere un insegna luminosa sul capo fatta apposta per insospettire la
polizia.
Una sgradevole imprecazione uscì da sotto la macchina assieme a una nuvoletta di fumo.
"Che cosa stai facendo?" chiese Taylor avvicinandosi all'auto rombante.
Jeremy uscì a fatica da lì sotto: "Buongiorno, principessa." la salutò pulendosi il viso dalla cenere.
Taylor fece una smorfia: "Buongiorno. Che cosa stai facendo?"
"Non vedi? Mi sono sempre interessato di botanica, quindi sto dando un occhio al giardino."
Davvero irritante, la notte non l'aveva cambiato.
Forse
Jeremy notò la sua faccia, forse pensò che nonostante si
divertisse un mondo a prenderla in giro, lei non era nella giusta
modalità: "Cerco di resuscitare questa vecchia carriola."
spiegò.
Taylor diede un'occhiata attraverso i finestrini e storse il naso: "Non sembra che tu te la stia cavando alla grande."
"Vuoi provare tu?" propose passandole quella che doveva essere una chiave inglese.
Gli riservò un'occhiata fosca che esplicitava un convintissimo "no".
"D'accordo,
principessa, non sia mai che sporchi quella meravigliosa felpa. A
proposito, potresti prestarmela di tanto in tanto. Sembra fatta apposta
per me."
Taylor arrossì lievemente: "Scusa, non te l'ho chiesta."
Fece di spallucce e ritornò a macchinare: "Non preoccuparti, tanto è orribile."
Taylor
emise un silenzioso commento di disappunto; tutti i suoi sforzi
smontati da un misero "tanto è orribile". Com'erano gratificanti
i complimenti di Jeremy.
"Che c'è?" chiese, notando quella sua espressione assorta.
"Niente." rispose la ragazza. "Posso darti una mano?"
"Nah...si muore di freddo qui, rientra pure, ci metterò un attimo."
"Mmm."
Jeremy
la guardò con sufficienza. Quel "mmm" esprimeva tutto il
disappunto di Taylor sulle sue doti restauratrici e sicuramente gli
stava rimproverando quell'atteggiamento troppo spavaldo.
"Abbiamo un meccanico affermato qui? D'accordo, Lor. Sali e premi l'acceleratore quando te lo dico."
La ragazza annuì, felice di poter essere utile e, diciamolo, rimanere in sua compagnia.
"Dove andremo con questa?" chiese timidamente, sperando di non ottenere un nuovo muro di ghiaccio.
"Il
piano è questo, principessa." cominciò, sbrigativo,
appoggiandosi alla porta dell'auto. "Appena abbiamo riesumato il
catorcio, ce ne andiamo e ci dirigiamo verso Burford, un paesino a una
manciata di kilometri da Bourton. Percorreremo tutte le strade
secondarie possibili e una volta lì ti rifugerai nella chiesa,
dove svelerai ai frati chi sei e ti farai riaccompagnare a casa.
Ovviamente prima di ciò, mi darai il tempo di andarmene dal
Cotswolds e possibilmente dall'Inghilterra. Se riusciamo a fare tutto
senza che nessuno ci metta i bastoni tra le ruote, ognuno di noi
tornerà alla normalità. O perlomeno, tu lo farai e io mi
eviterò parecchi guai."
"Oh." Taylor fissò il volante in pelle, riflettendo sul "e dopo?" che Jeremy aveva palesemente lasciato intendere.
Jeremy
ci aveva pensato tutta la notte, non aveva mai chiuso occhio
perché a ogni nuova possibile soluzione si presentava un nuovo
possibile problema. Alla fine aveva convenuto con se stesso che per
salvare la pelle di entrambi avrebbe dovuto giocare sul fattore fortuna.
Bourton
era una zona inavvicinabile sia per lui che per Taylor, Dio solo sapeva
quanti seguaci di Cordano erano in attesa di un suo arrivo, quindi
aveva optato per la cittadina lì accanto. Certo, era sicuro che
le "sentinelle" non si limitassero a controllare Bourton, ma che
fossero seminate un po' dovunque, anche a Bruford. Ma almeno Bruford
era una città piccola e che Jeremy conosceva a memoria; poteva
sfruttare questi fattori per rendersi meno visibile e in più era
abbastanza sicuro che il caro Cordy non avrebbe sprecato troppi uomini
per quella macchietta di case dimenticate da Dio.
Come
luogo dove mettere Taylor al sicuro, la chiesa era perfetta; la chiesa
di Bruford, che era popolata da frati e vecchie pettegole, ancora di
più. Avrebbero riconosciuto Taylor in un battibaleno e, prima di
ogni cosa, si sarebbero preoccupati di accertare la sua salute.
L'avrebbero curata e messa al caldo e quando sarebbe stata pronta,
avrebbero ascoltato la sua storia. Era certo che Taylor avrebbe fatto
in modo di dargli il vantaggio temporale che le aveva chiesto. Quando
la polizia di Bourton avrebbe raggiunto la chiesa di Bruford per
portare la ragazza a casa, lui sarebbe stato lontano già da un
po'.
Avrebbe
corso il più velocemente possibile fino al porto e si sarebbe
imbarcato sulla prima nave in partenza per qualsiasi altro posto, dove
avrebbe finto un'altra identità. Nessuno avrebbe potuto fare del
male a Taylor una volta circondata da altre persone, e lui se ne
sarebbe andato con questa sicurezza. Triste e malinconica per lui, che
non l'avrebbe mai più rivista, ma almeno era una sicurezza.
"Premi." le disse da sotto l'auto.
Il
rombo del motore sovrastò un tentativo di parola da parte di
Taylor, ma quando finì, ripeté: "Farò in tempo a
farti gli auguri di Natale?"
La voce di Jeremy le arrivò ovattata, ma riuscì comunque a capire: "Sai che non credo in quelle cose."
"Beh, io sì."
"Premi."
Taylor spinse di nuovo l'acceleratore con uno sbuffo.
---------------------------------------------------------------------------------
"Da
tempo che non ci si vedeva, Bell." la barista sorrise ad Alex
porgendogli la bottiglia di birra che aveva ordinato e facendogli
spudoratamente l'occhiolino.
"L'università mi ha tenuto parecchio impegnato." rispose lui, disinvolto.
La ragazza annuì comprensiva: "Non ti prendi una piccola pausa natalizia?"
"Da quando mia nonna è morta non ci sono più pause per me."
"Oh, Alex...io...non credevo, mi dispiace."
Il ragazzo alzò una mano scuotendo la testa: "Meglio non piangere sul passato, Katherine."
"Crystal."
"Proprio come mia nonna! Scusa, ho bisogno di uscire."
E
fu così che si congedò dalla bella barista, ritornando
sulla strada imbiancata di Bourton. Bevve un sorso della sua birra
ghiacciata e alzò la lampo della giacca, diretto all'asilo. La
cosa poteva sembrare paradossale, tuttavia il motivo che lo spingeva a
raggiungere quel luogo con un mazzo di fiori in mano era proprio
Allyson.
Sapeva
che sarebbe uscita da lì entro pochi minuti, dopo aver dato una
mano alla zia che faceva la maestra. Era in quel posto che tutto era
cominciato, pensò con amarezza. Erano i primi di ottobre e
pioveva a dirotto; Alex aveva parcheggiato lì davanti per
riconsegnare un libro alla biblioteca giusto di fronte, ma nello
scendere dall'auto aveva trascinato con sé il suo blocco degli
appunti facendo svolazzare foglietti per tutto il viale.
Allyson
arrivava proprio in quel momento diretta all'asilo, l'ombrello a
ripararla e una certa fretta data dal ritardo. Non appena aveva visto
il rimbambito che imprecava sotto l'acqua con gli appunti fradici
sparsi ai piedi, aveva provato un moto di pietà e l'aveva
aiutato. Non l'avrebbe fatto, se avesse riconosciuto il famoso Alex
Bell, donnaiolo per fama, eppure era stato proprio quando i loro occhi
si erano incontrati sotto le fitte gocce che era scoccata la scintilla.
Sì,
proprio come nei film, lei era ammutolita e lui le aveva sorriso. Poi
le aveva anche fatto l'occhiolino e le aveva chiesto come si chiamasse,
ricevendo in cambio un chiarissimo invito ad andare a quel paese in
quanto i due avevano svolto parecchi laboratori assieme, durante le
scuole medie.
Depresso
al massimo, Alex era risalito in macchina inzuppato fino all'osso, ma
era stato fermato da Allyson e dalla sua infinità bontà
d'animo. Lei lo aveva portato al coperto dentro all'asilo e gli aveva
trovato un cambio asciutto. Da quel giorno avevano cominciato a uscire
insieme fino agli inizi di dicembre quando lui, innamorato tanto quanto
era impregnato sotto la pioggia di ottobre, le aveva proposto di
ufficializzare la cosa.
Ebbene,
erano passate solo tre settimane da quando si erano fidanzati e in
quest'arco di tempo era riuscito a mandare all'aria tre mesi di dura
conquista. Quel che era peggio era che per Alex, se lo sentiva, quella
Allyson era la ragazza giusta.
Moriva
dalla voglia di vederla, voleva baciarla di nuovo, sentire la sua
delicatezza e la sua dolcezza sulla pelle. Non poteva accettare di
perderla.
Aspettò
cinque, dieci, venti minuti sulle scale della scuola materna, ma
nessuno uscì e allora, vinto dall'impazienza, decise di entrare.
All'interno
sembrava scoppiata la terza mini-guerra mondiale. Migliaia di
nanerottoli correvano come impazziti vestiti da personaggi della
natività, tutti in fermento per quella che Alex intuì
essere la recita.
Ricordava
di aver partecipato a una di quelle rappresentazioni da bambino. Lui
faceva l'asino mentre Jeremy aveva ottenuto la parte dell'arcangelo
Gabriele, solo perché era biondo e carino. E tenero a suo tempo,
aggiunse mentalmente con un sorriso.
Una bimbetta si schiantò sulle sue gambe, rovinando a terra assieme al suo vestitino da pallina di Natale.
"Oh,
scusa, scricciolo." ridacchiò Alex, allungandole una mano per
aiutarla ad alzarsi. Ma non appena la piccola alzò gli occhi,
gridò di paura e scoppiò a piangere.
"Shh...zitta, pallina di Natale, non piangere. Su, per favore."
La bambina pianse ancora più disperatamente: "Sei cattivo! Mi hai fatto cadere!"
"No, non è vero."
"Sì!"
"Tecnicamente sei stata tu a venirmi addosso."
"No, sei stato tu, perché sei cattivo!"
"E
vabbè, adesso diamo un giudizio alle persone così, solo
perché pensiamo di essere dalla parte della ragione."
La bambina raggiunse il culmine della disperazione.
Si
alzò a fatica e corse a mo' di pinguino fino al primo adulto che
trovò: una ragazza che stava sistemando le orecchie da asino a
un bambino imbronciato. Le tirò il vestito e non appena
ricevette la sua attenzione, le indicò Alex, aumentando i suoi
singhiozzi e pulendosi il naso con la mano.
Quando
Allyson si accorse che l'incriminato non era altri che Alex, il suo
Alex, le si accese lo sguardo e sembrò che una scintilla
illuminasse il salone.
La
ragazza sussurrò qualcosa alla bambina che, rivolta un'ultima
occhiata d'odio ad Alex, se ne andò facendogli la linguaccia.
Alex rispose con lo stesso gesto, mentre anche il piccolo con le
orecchie da asino se la svignava dalle cure di Allyson.
Fu
inevitabile che i due ragazzi decidessero di avvicinarsi, cautamente,
per trovarsi giusto a qualche centimetro di distanza. Satavano in piedi
a specchiarsi l'uno negli occhi dell'altra, in mezzo a quel tripudio di
bambini e colori e decorazioni, dopo giorni che nemmeno si vedevano.
"Che cosa ci fai qui?" chiese la ragazza, la voce che un po' tradiva l'emozione.
"Consegna diretta." rispose, porgendole il mazzo di fiori.
Allyson guardò i fiori titubante, senza sapere a quale delle mille opzioni che le presentava la mente dare retta.
"Sono
fiori, Ally. Se non vuoi accettare le mie scuse, almeno accetta questi,
perché li ho scelti pensando a te e a quel poco che so sui tuoi
gusti."
Allyson
si perse in quelle pozze scure, la prima cosa che l'aveva catturata
quando aveva conosciuto Alex. L'aveva amato dal primo giorno e aveva
sofferto così tanto quando aveva dovuto prendere la decisione di
lasciarlo, che si era ripromessa che non si sarebbe mai più
fatta ingannare da un paio di pupille. Peccato, sembrava non riuscire a
mantenere certe promesse.
"Grazie." disse infine, prendendo il mazzo. "È gentile da parte tua."
"Allyson, non è per niente gentile, lo so. Non fingere di essere educata con me, so che vorresti prendermi a schiaffi."
"Oh, Alex."
"Io
lo farei." si morse il labbro, attanagliato dalla rabbia contro se
stesso. "Io volevo dimostrarti che posso essere molto di più.
Sono imbecille e stupido, molto stupido, ma avrei voluto farti vedere
anche dell'altro."
"C'è stato poco tempo..." mormorò lei con gli occhi bassi e un nodo alla gola.
"Non
è vero, Ally." sospirò lui. "Ce ne sarebbe stato a
sufficienza, ma è colpa mia. Non l'ho saputo usare bene. Non
l'ho saputo usare affatto."
"E come lo useresti, se potessi tornare indietro?"
"Farei
la cosa più bella del mondo; starti accanto." rispose di getto e
con la voce tremante. "Ti farei conoscere il meglio di Alex Bell, ti
farei sorridere quando inciampo sui miei stessi piedi, ti racconterei
tutta la vera storia di mia nonna. Vorrei sembrare intelligente a tutti
i costi, per non fare brutte figure con te, finendo per farne comunque
e per fermarmi a fissare le tue bellissime guance rosse e la tua
espressione felice. Rimedierei a tutti i miei errori e ogni singolo
secondo, Ally, lo regalerei a te."
La
ricciolina lo stava ad ascoltare senza riuscire a reprimere il sorriso,
le guance rosa increspate dall'emozione. Nemmeno lei avrebbe mai voluto
perdersi tutte quelle cose; per tutti i giorni in cui lui non era stato
al suo fianco aveva sentito la sua mancanza come qualcosa di opprimente
e insostenibile. Il tempo, aveva pensato, era il regalo più
bello che qualcuno potesse fare a qualcun altro.
E
la notizia felice in tutto ciò era che il loro tempo non si era
mai davvero esaurito; ne avevano ancora tanto davanti e avevano la
possibilità di riprenderlo in mano, adesso, ricominciare di
nuovo.
Non
voleva perdersi tutto quello che Alex aveva di speciale e ora che era
di nuovo lì con lei, sentiva che sarebbe stato tutto più
facile. Era stata ferita da lui, ma non riusciva a stargli distante.
Non se lui si preparava un discorso del genere solo per chiederle scusa.
"Ally,
Sam mi ha tirato i capelli, è cattivo!" la pallina di Natale le
tirò di nuovo il vestito, stavolta con meno lacrime agli occhi,
ma la stessa faccia arrabbiata.
"Un momento, Clarisse, sto parlando."
"Ma lui è cattivo!"
"Senti,
pallina." Alex si abbassò sulle ginocchia per raggiungere la
piccola Clarisse. "Per favore, puoi lasciarmi solo un minuto per dire
una cosa ad Allyson? Poi ti prometto che sarà di nuovo tutta per
te. Voglio solamente dirle che sono stato un idiota e che non mi merito
un solo grammo del suo amore, ma che io la amo. E non importa se finora
gliel'avevo detto solo un paio di volte: l'ho pensato ogni notte in cui
dormivo distante da lei e ogni mattino in cui mi svegliavo senza il suo
profumo sotto il naso. Voglio dirle che quello che provo per lei
è stato qualcosa di puro fin dal primo istante in cui l'ho
guardata e che, anche se ho sbagliato, i miei errori e le mie bugie non
hanno corrotto i miei sentimenti. Io amo Allyson, piccola pallina di
Natale. Credi che anche lei ami me?"
"Sì."
La
testa di Alex si alzò per guardare la ragazza, ai cui occhi si
erano affacciate delle lacrime di commozione. Era stata lei a
rispondergli e fu come se gli avesse ridato la vita.
Anche
la bambina sorrise e allora Alex tornò a concentrarsi su di lei:
"Grazie, pallina, per avermi lasciato quel minuto. Credi che mi
perdonerà per tutti i guai che ho combinato?"
La bambina si aprì in un sorriso sdentato e annuì. Gli stava simpatico ora, Alex.
"Ti perdono, Alex." confermò la ragazza.
Il
ragazzo si alzò e abbracciò Allyson di slancio,
sollevandola da terra e facendole fare una giravolta per la gioia.
"Ti amo, Allyson!" esclamò. "Ti amo."
Il
viso della ragazza si colorò come non succedeva da giorni e si
appoggiò a quello di Alex, avvicinandosi alle sue labbra e
coronando quel meraviglioso momento con un bacio. Il più dolce
che si fossero mai scambiati, il più vero che Alex avesse mai
dato, il più bello che Allyson avesse mai ricevuto.
Clarisse
aprì la bocca e sgranò gli occhi, dimenticandosi del suo
amichetto Sam e fissando la scena come se di fronte a lei stesse
accadendo l'apocalisse.
La
mano di Alex percorse la schiena di Allyson in una carezza che voleva
essere la promessa di non andarsene mai più. No, non avrebbe
più rischiato di perderla e le avrebbe sempre e per sempre
raccontato la verità.
Certo, avrebbe aspettato il ritorno di Jeremy per dire tutta la verità, ma era già un grande passo.
"Che
schifo! Suor Mary! Suor Maaaaary!" Clarisse si coprì gli occhi
sgolandosi per richiamare l'attenzione della donna, una vecchia suora
che bazzicava per l'asilo da quando c'erano solo le fondamenta.
Il
viso rugoso e un'espressione hitleriana, suor Mary si fece largo per
mettere le mani addosso a coloro che stavano generando un vago senso di
scompiglio in un luogo in cui lo scompiglio già regnava sovrano.
"Cosa succede qui?" domandò la donna, portandosi le mani ai fianchi.
Faticosamente
e con grande disappunto, Alex allontanò da sé la sua
ragazza e si ricompose assumendo uno sguardo innocente: "Buongiorno."
"Buongiorno
un corno!" gracchiò suor Mary. "Allyson, per l'amor di Dio, chi
è quest'uomo? Hai forse perso il buonsenso?"
La
ragazza si liberò in una risata così cristallina,
così tipica della vecchia Allyson allegra che la suora
sgranò gli occhi, stupita.
"È un bravo ragazzo, suor Mary. Un po' scemo di tanto in tanto, ma..."
"Quel
figliolo che frequentavi qualche mese fa?" la interruppe la suora,
abbastanza contrariata all'idea. Di lui non aveva che una brutta
considerazione e lo sfocato ricordo dei pomeriggi in cui si presentava
per scroccare qualcosa da mangiare alla mensa.
"Esatto, è Alex. Ora siamo insieme. Di nuovo." le sorrise Allyson di rimando, radiosa.
"L'avevo notato. Gesù...le dimostrazioni pubbliche fuori di qui." intimò puntando un dito inquisitore contro Alex.
Lui indietreggiò vagamente inquietato.
"Mi prendo una pausa, allora." decise Allyson. "Posso, suor Mary?"
Suor
Mary la scrutò pensando che fosse matta. Da qualche settimana a
quella parte la ragazza aveva passato cupi pomeriggi interi senza mai
uscire dall'asilo. Sempre assorta o in combutta con la vecchia amica,
figlia del celebre Heavens. Sapeva di tutta la faccenda della sua amica
Taylor e sapeva che Allyson stava soffrendo, per questo aveva
continuato a sentirsi impotente di fronte alla sua tristezza.
Aveva
provato a tirarla su in tutti i modi, ma non aveva mai mostrato alcun
segno di serenità, nemmeno un sorriso. E ora, proprio ora, come
un dono di Natale dopo chili di amaro carbone, arrivava questo
scapestrato manifestatore della sua avidità sessuale (o
perlomeno questo era ciò che pensava di lui) e la faceva
letteralmente rifiorire. Non capiva, per questo era felice di aver
scelto Dio.
"Certamente, lo dico a tua zia, se ti cerca." rispose infine.
"Suor Mary, il tipo cattivo gli ha dato un bacio con la lingua! Bleah!" pigolò Clarisse tirando la veste della suora.
"Si
dice le ha dato..." gracchiò quest'ultima, prendendo per mano la
pallina di Natale con le gambe e allontanandola al più presto da
quel pessimo esempio che era Albert o come diavolo aveva detto di
chiamarsi.
"Vecchia zitella." commentò lui per l'appunto, non appena suor Mary fu abbastanza distante da non sentire.
"Non è zitella, Alex, è sposata con Dio."
"Ha scelto l'unico che non potesse rifiutare."
Allyson ridacchiò, avvolgendosi nella calda sciarpa di lana: "Ti amo anch'io, Alex. Non sai quanto mi sei mancato."
Alex le sorrise, ricordando improvvisamente le parole di Taylor.
Sottovaluti la bontà di Allyson. Tutti meritano una seconda occasione.
Aveva ragione.
"Sai
cosa ti dico?" proruppe cingendole la vita con la mano e
accompagnandola fuori dall'asilo. "Che sono sicuro che la tua migliore
amica tornerà a Bourton sana e salva. In fondo, se è tua
amica, è senza dubbio in gamba come te. E poi quel Jeremy di cui
parlano tanto alla tv dev'essere un tipo a posto, nonostante le
malelingue."
Allyson gli riservò un sguardo un po' sarcastico. Di certo Alex aveva una discreta fantasia.
"Lo spero davvero, Al. Grazie per l'ottimismo, comunque." aggiunse lasciandogli un delicato bacio sulla guancia.
Si
allontanarono a piedi verso il parco imbiancato di Bourton, l'uno
abbracciato all'altra mentre la neve ricominciava a scendere per creare
un'atmosfera sempre più natalizia. Avevano molte cose da
raccontarsi.
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"Jeremy!"
Il
ragazzo prese paura e sussultò, rischiando di uscire di
carreggiata. Era così sovrappensiero che persino la familiare
voce di Taylor era riuscita a fargli prendere un colpo.
"Che succede?" domandò ritrovando il contegno e sbirciando il sedile posteriore.
"Guarda
cos'ho trovato!" la nota d'eccitazione che accompagnava l'esclamazione
della ragazza gli fece desiderare di essere lì dietro con lei e
godersi la sua espressione bambinesca.
"Dev'essere
qualcosa che vale almeno un milione di sterline, o un milione di
sterline vero e proprio, da come hai preso la notizia."
La
sentì armeggiare e sbuffare per qualche istante, poi un sospiro
soddisfatto gli fece finalmente voltare la testa all'indietro per
osservare la grande scoperta.
Taylor
tentava di rispolverare un paio di pattini da ghiaccio di colore
bianco. Sembravano vecchi e trascurati, ma la sua faccia era totalmente
meravigliata, come se li avesse trovati nuovi nuovi e impacchettati a
mo' di regalo di Natale.
Dovevano
essere dei figli di Hans, l'amico che aveva prestato l'auto a Jeremy, e
Taylor doveva averli scovati sotto il suo sedile durante
un'esplorazione dettata dalla sua fastidiosissima e incontentabile
curiosità.
"Wow,
Lor. Dovresti avvisarmi la prossima volta che trovi un tale tesoro.
Potrei rimanerci secco dalla sorpresa." il ragazzo rise tra sé.
"Non eri tu quello che voleva imparare a pattinare, di grazia?"
"Ti sembra che quei cosi mi vadano bene, di grazia? Al massimo ci andranno dentro i tuoi preziosi piedini, principessa."
Taylor
scosse la testa, esasperata per quel perenne tono canzonatorio. E va
bene, Jeremy aveva ragione e quei pattini sarebbero alla meglio andati
bene su di lei. Senza contare che il modello era femminile ed era
piuttosto sicura che Jeremy non li avrebbe messi ai piedi nemmeno se
gli fossero calzati a pennello. Eppure a lei quella scoperta era
sembrata bellissima; se Jeremy avesse saputo lasciarsi andare, ogni
tanto, avrebbe vissuto una vita più felice.
"Devono appartenere della figlia di Hans." spiegò lui. "Sai, è una tua coeta-"
"Jeremy?"
Le
parole si erano smorzate nella gola del ragazzo non appena aveva
avvertito una fitta al fianco destro, così potente da
annebbiargli per un secondo la vista e fargli mollare la pressione
sull'acceleratore.
Si
riprese con fatica, prendendo un paio di lunghi respiri e deglutendo
tutto il dolore con la speranza di eliminarlo in quel modo.
"Jeremy." Taylor si sporse in avanti, fino ad arrivare all'altezza del ragazzo.
"...nea. Una coetanea." continuò lui a denti stretti, come se non fosse successo nulla.
"Jeremy, sei tutto pallido. Ti senti male?" domandò, preoccupata.
"No, Lor, sto benissimo. Piantala di dirmi che sono pallido, lo sono sempre stato."
La
ragazza si ritirò arrendendosi al solito barbarismo nei suoi
confronti. Era solamente, inevitabilmente, allarmata. Come una mamma
con il suo bambino, come una ragazza con il suo...
Ecco,
lo stava pensando di nuovo! Da quando, la notte prima, aveva in qualche
modo esternato il suo affetto per Jeremy, non riusciva a distrarsi. Era
come se dicendolo ad alta voce lo avesse ammesso anche a se stessa e
ora lo sentisse ancora di più.
Il
bene che gli voleva, la rassegnazione che dirlo non era servito, la
consapevolezza che fosse solo una stupida. Una povera adolescente
innamorata che non era capace di realizzare la situazione, ecco
cos'era. Si era fatta così tanti castelli in aria che avrebbe
potuto dare domicilio a tutti i senzatetto del mondo! Che le era
passato per la testa?
Che stava succedendo al suo cuore?
Jeremy
abbassò gli occhi sulle sue mani, bianche e gelide, aggrappate
al volante come se fosse la sua ultima speranza. Stavano tremando e
quando si accorse che, alzando lo sguardo, anche la strada sembrava
tremare, frenò. Convenne con se stesso che se non si fosse
fermato all'istante, sarebbe svenuto rischiando di fare il doppio
favore a Cordano.
Accostò
vicino alla zona boschiva di Lake Baenue, riconoscendo il piccolo lago
che si trovava in linea d'aria esattamente a metà tra Cheltenham
e Burford. Sì, avrebbe potuto permettersi un ritardo sulla
tabella di marcia. Una breve pausa, giusto per recuperare le energie
per terminare quel maledetto viaggio.
"Lake Baenue?" chiese Taylor. "Non è dove c'è quello storico chiosco di cioccolata calda?"
Ricordava
i giorni di San Valentino passati con Amanda a riscaldarsi lo stomaco
mentre una Allyson di dieci anni già volteggiava sul laghetto
ghiacciato, supportata dal padre.
"Sarebbe
davvero utile che ci fosse ancora." biascicò Jeremy uscendo
dall'auto e inspirando a pieni polmoni il freddo ossigeno emanato dagli
alberi lì intorno.
Si
appoggiò alla fiancata con la schiena e si passò una mano
tra i capelli biondi mentre con l'altra si sfiorava il petto
all'altezza del cuore. I suoi battiti erano sempre stati piuttosto
lenti, ma quando l'anemia da cui era affetto non veniva tenuta sotto
controllo, questi sembravano quasi inesistenti.
Si sentiva debole e sotto pressione, sfinito.
I
medici, quando ancora qualcuno si prendeva cura di lui e si preoccupava
di accompagnarlo all'ospedale, gli avevano sempre raccomandato una
pastiglia ogni due settimane perché il suo caso era uno di
quelli gravi e non doveva prendersi sotto gamba.
Senza
abbastanza zucchero e ferro in corpo sarebbe svenuto e con un taglio
avrebbe rischiato di morire per dissanguamento. Naturalmente era sempre
riuscito a scamparla rubacchiando qua e là confezioni del
medicinale, ma ora che le pastiglie erano finite, come anche tutte le
energie che gli rimanevano in corpo, sentiva che anche l'anemia stava
diventando uno dei suoi innumerevoli nemici.
Sarebbe almeno riuscito a mettere in salvo Taylor?
"Che ti succede?"
Trovarsela davanti agli occhi l'aveva fatto ancora una volta sussultare.
"Niente."
La
ragazza lo guardò così male che rivide per un attimo
quella strega travestita da suora a cui aveva alzato la sottana quando
andava all'asilo. Ottimo, ora aveva anche le visioni.
Taylor
si alzò sulle punte e si allungò verso la sua fronte. In
un gesto che lo sorprese, ci posò sopra le sue labbra. Ecco, ora
sì che il cuore batteva veloce.
"Che cosa...?"
"Sento se hai la febbre. Hai la febbre." decretò lei, senza ombra di dubbio nella voce.
"Sciocchezze."
"Ti sei fermato perché ti senti male."
"No."
"Guido io."
"Che cosa??"
Lo
sguardo sconcertato di Jeremy si posò su di lei come se si fosse
appena proposta di accompagnarlo in una scampagnata sulla Luna.
"Hai un aspetto terribile, Jeremy." spiegò corrucciando le sopracciglia.
"Grazie
per il complimento." ritornò stabile sui suoi piedi e le prese
le spalle. "Ma brutto o bello, sono io quello che guida. Non voglio
morire spappolato contro un albero."
"Divertente."
"E poi non sai neanche la strada. E non mi fido di te."
"Bene. Allora rimaniamo qui a trasformarci in ghiaccioli malati e orgogliosi."
"Senti."
tagliò corto lui, pensando alla soluzione più saggia. "Io
ho bisogno di una di quelle cioccolate di cui parlavi e sono sicuro che
tu vuoi provare i tuoi nuovi pattini sul lago. Tutti e due ora
prendiamo una pausa e poi si riparte con destinazione Burford. Basta
con le iniziative patriottiche, Giovanna D'Arco."
"Perché mi parli come se fossi una demente?" si divincolò lei, irritata.
"Giovanna D'Arco era una demente."
"Giovanna D'Arco era un'eroina!"
"Sentiva le voci."
"E ha salvato la Francia."
"Ed è morta bruciata."
"Ma ora tutti la ricordano."
"...come una povera demente."
"Come un'eroina!"
Taylor
lo guardò offesissima, ma parve che ciò lo dilettasse
molto, per cui, dopo essersela spassata con una risata, la prese per un
polso e la guidò fino al chiosco di cioccolato caldo,
cominciando già a sentirsi meglio.
Quando
cadde per la terza volta, Taylor desiderò di sprofondare
nell'acqua gelida, piuttosto che ascoltare la risata melodicamente
divertita di Jeremy.
Sbuffò
e a fatica ritornò alla posizione eretta che difficilmente
riusciva a mantenere per due minuti. Fortunatamente erano i soli in
quel posto, salvo per il vecchio Sullivan, il proprietario gentile del
chioschetto.
Era
bastato che si nascondessero dietro sciarpe e cappucci perché
l'ormai ottantenne sdentato non li riconoscesse e dopo aver finalmente
riempito i loro stomaci con qualcosa di caldo e dolce, facesse pure lo
sconto per loro.
Dopo
quell'ottima cioccolata, Taylor aveva indossato i pattini e, convinta
che fosse fattibile, si era precipitata sulla superficie ghiacciata del
Baenue. Pessima idea.
Non aveva fatto i conti con la sua goffaggine e la totale mancanza di coordinazione. E ovviamente il ghiaccio scivoloso.
"Dai,
dammi la mano." Jeremy l'aveva raggiunta e le aveva offerto un
appiglio, prevedendo a breve un'ennesima rovinosa caduta. Forse non
serviva nemmeno tentare di salvarle la vita, perché continuando
così, si sarebbe ammazzata da sola.
Ma a Jeremy ciò faceva ridere e la trovava di una tenerezza disarmante, purtroppo.
"Ce la faccio." bofonchiò lei tentando di avanzare graziosamente.
Al
biondo riusciva davvero difficile trattenersi; non avrebbe voluto
riderle in faccia, ma Taylor era semplicemente negata. Persino
aggrappata come un'ancora al suo braccio vacillava sui suo stessi piedi.
"Non
mi aiuti prendendomi in giro, sai?" ringhiò lei cercando di
sembrare disinvolta. Si sarebbe davvero scompisciata dalle risate a
vedere lui nella situazione inversa, invece che con le sue comodissime
scarpe a suole piatte.
"Credo
che tu abbia un talento nascosto." ribatté Jeremy, tenendole
saldamente la mano mentre molto lentamente lei pattinava in avanti.
"Molto nascosto."
"Nascosto come il tuo senso dell'umorismo?" la ragazza rispose a tono.
Jeremy
stava per controbattere qualcosa di altrettanto arguto, ma il ghiaccio
lo tradì e lo fece scivolare all'indietro, facendolo finire con
la schiena a terra e con una ragazza sulla pancia. Nella caduta,
infatti, aveva trascinato con sé la povera Taylor, che se fino a
ora si era presa della scoordinata, per lo meno adesso aveva avuto la
sua rivincita.
Il
biondo, schiacciato dal peso della ragazza e dolorante per la botta
contro il durissimo suolo, le era almeno servito da cuscino e ora si
trovavano esattamente l'una sopra l'altro, petto contro petto.
Taylor, preoccupata, tentò di rialzarsi, ma ottenne solo un ulteriore scivolone per ripiombare sopra la pancia di Jeremy.
"Sei un elefante coi pattini!" sbuffò lui, respirando a fatica.
"Certo, sono stata io a trascinarti per terra, vero?"
"Beh, sicuramente non sei un modello di agilità e leggerezza."
"Senti
che stronzo!" lo guardò infuriata per scoprire che a sua volta
anche lui la stava osservando come quel giorno a Stroud, in cui si era
meravigliata di vedere per la prima volta Jeremy divertirsi.
Non
seppe perché, ma quell'espressione serena la contagiò e
si aprì in un sorriso che di arrabbiato aveva ben poco.
Ben
presto finirono entrambi con le lacrime agli occhi dalle risate; la
scena davvero paradossale era ciò che ci voleva per allentare
tutta quella tensione e, sì, tutti e due avevano bisogno di
lasciarsi andare così, come se fossero due semplici ragazzi a un
semplice appuntamento.
"Lor, mi stai spappolando un polmone." riuscì a dire Jeremy, tra un respiro affannato e l'altro.
Così
si misero d'impegno per districarsi e sedersi a bordo lago, l'una
ancora con i pattini, l'altro con un ritrovato rossore sulle gote e
l'aria tutta felice.
Eh
sì, a quanto pareva un po' di zucchero e la presenza di Taylor
erano bastati come toccasana per il suo fisico e aveva deciso di
godersi appieno quegli ultimi momenti di spensieratezza, sperando di
conservarli per sempre anche quando sarebbe tutto finito.
Magari
avrebbe fatto come con sua madre, avrebbe cercato di dimenticare in
fretta e mettere per sempre da parte le emozioni, ma era sicuro che non
ci sarebbe mai riuscito. Non una seconda volta.
"Non imparerò mai a pattinare." esordì lei avvolgendosi le ginocchia in un abbraccio.
"Mai dire mai, principessa." ridacchiò lui. "Ricordati che ho bisogno di un insegnante."
"Jeremy, tu hai bisogno di un miracolo." ribatté sarcastica.
Jeremy
infilò la mano nella tasca dei jeans e ne estrasse un pacchetto
di sigarette e un accendino. Fumare, un vizio che gli aveva trasmesso
un senzatetto ancora quando aveva quattordici anni. Una delle poche
cose, seppur anch'essa sbagliata, che lo faceva sentire un comune
ventiduenne.
"Vuoi?"
chiese offrendone una a Taylor e ricordando immediatamente il primo
giorno di quella avventura, al distributore automatico. Sapeva da
quella volta che lei l'avrebbe rifiutata.
"Sei scemo, Jeremy?"
"È vero, è vero...gas nocivi nei tuoi polmoni." la citò roteando gli occhi.
"No,
Jeremy. Sei scemo perché sei malato e ti metti a fumare.
Già che ci sei fammi guidare la tua macchina e lascia che ti
spappoli contro un albero, tanto che differenza fa?"
Jeremy non poté fare a meno di alzare le sopracciglia e guardarla con una certa sorpresa. Sembrava quasi...arrabbiata?
"Ehi. È solo una sigaretta." la svalorizzò accendendola ed emettendo la prima densa nuovoletta di fumo.
Taylor
non poteva sapere quanto gli piacesse. Certo, Jremy non poteva fumare
molto spesso, se non aveva l'occasione di rubare le sigarette, ma
quando ne aveva qualcuna tra le mani, poteva dirsi felice. Per lui
fumare una sigaretta era un momento di cui godere, un tempo brevissimo
in cui essere tranquilli, normali, in pace. Jeremy adorava soffermarsi
a osservare i ghirigori biancastri che vorticavano davanti ai suoi
occhi per sfumare e confondersi con il colore del cielo. Era il suo
momento di quiete, non aveva nient'altro che la sciarpa di sua madre e
le sigarette rubate.
Taylor tossì, coprendosi il naso con la manica: "Perché sei così masochista?"
Jeremy
rise di nuovo, trovando quasi irritante che fosse adorabile anche
mentre cercava di fare la mammina. A pensarci bene, non trovava
occasione in cui non fosse adorabile.
"Dovresti
provare a sentire il sapore del fumo, Lor." le suggerì, sapendo,
per com'era fatta, che non avrebbe mai osato. "È un sapore
così contro le regole, ma che allo stesso tempo lascia il buono
in bocca."
La
ragazza si tolse la sciarpa dal naso e si avvicinò a lui per
testare quel fantomatico sapore, ma l'unica cosa che sentì fu un
fastidioso odore di cenere insidiarsi nei polmoni e tossì di
nuovo: "È disgustoso."
"Non
ho detto odore, Lor." ripeté lui dolcemente, osservando la punta
arrossata del suo naso. "Il sapore è totalmente diverso."
"Oh, certo." lo prese in giro. "Il sapore della cenere e del pericolo di morte devono essere favolosi."
"A volte con il pericolo di morte puoi giocare. Se sei bravo abbastanza, non muori."
"Jeremy, tu mi sembri proprio sull'orlo della morte."
"Eppure
sono qui." sorrise, enigmatico. "Forse è proprio perché
volevo sentire questo sapore che non sono ancora morto."
"Il sapore di una sigaretta è così buono da mantenerti in vita?"
"Il sapore di tante cose assieme."
"Non ti credo."
"Allora prova."
Taylor
avrebbe voluto dire a quell'idiota masochista che lei non avrebbe mai
osato provare a fumare, ma non ci riuscì. Perché Jeremy
si sporse dolcemente sul suo viso e la baciò.
Sembrava
impossibile, ma era l'unica persona oltre a lei in quel lago e quindi
il bacio non poteva che essere suo. Era così sorpresa che per un
attimo fu presa dal panico, ma la sensazione passò subito, per
il semplice fatto che il tocco di Jeremy era il più dolce che
avesse mai sentito.
I
suoi occhi si chiusero per assaporare al meglio quell'inaspettato
contatto e si sentì improvvisamente pervasa da un'emozione
intensa come lo scoppio di un fuoco d'artificio; un'esplosione di gioia
che le fece quasi male al cuore e benissimo all'anima.
Stava baciando Jeremy Parker.
Le
labbra del ragazzo erano morbide e calde contro le sue e il suo respiro
le accarezzava il viso così delicatamente che le venne spontaneo
allungare una mano per stringerla attorno a un lembo della sua giacca,
una silenziosa preghiera che quel contatto durasse il più a
lungo possibile.
Le
stava piacendo più di quanto avrebbe potuto immaginare e aveva
improvvisamente capito a cosa si riferisse Jeremy con quel sapore di
tante cose assieme.
Il
suo cuore sembrava voler rompere la gabbia toracica, così forte
che il battito le invadeva le orecchie e la mente, sempre più
inebriata dai modi e dai ritmi di Jeremy. La mano fredda del ragazzo
era scivolata lentamente tra i suoi capelli, sciogliendo la treccia che
si era fatta quella mattina e facendo scendere i ciuffi sulla sua
pelle, la voglia di essere scaldato e di sentire la morbidezza di
Taylor ovunque potesse.
La
attirò ancor più a sé, mentre le loro lingue si
accarezzavano sapendo di essere perfette le une per le altre, come due
pezzi complementari di un puzzle, ritrovati in mezzo a mille altri.
Non ce l'aveva fatta, Jeremy.
Aveva
permesso che la parte debole di sé avesse il sopravvento su
quella forte e si era lasciato trasportare da un sentimento nuovo per
lui, finalmente, dopo giorni che desiderava farlo.
Il profumo di Taylor gli invase le narici, colpendogli la memoria, colpendo il cuore, che adesso sembrava traboccare di vita.
Sentiva
le gambe molli, ma non per l'anemia: la causa era Taylor e quella
sovrabbondanza di amore che si era ritrovato a provare per lei. Quasi
gli veniva da ridere; sembrava tutto così semplice con lei
accanto, sembrava tutto così bello e buono, sembrava che niente
avrebbe mai potuto andargli storto, per il semplice fatto che lui era
innamorato.
Che buffo, Jeremy si era innamorato, qualcosa che suonava talmente inadeguato a lui!
Eppure, smise di baciarla solo perché era a corto di fiato.
"Allora,
principessa. Che cosa ne pensa di questo sapore?" quasi
sussurrò, posando le sue iridi chiarissime sul viso confuso di
Taylor, le palpebre ancora socchiuse e le labbra arrossate.
Lei
ci mise un po' per riprendersi: ancora la mente era scollegata, immersa
nel tepore di una sconvolgente sensazione e nella consapevolezza di
aver amato quel bacio dal primo all'ultimo istante.
Si
schiarì la voce, cercando una certa stabilità per poter
almeno mettere in fila una manciata di parole: "Come...come dicevi tu.
Così contro le regole, ma che...che allo stesso tempo lascia il
buono in bocca."
Le sorrise, afferrando di nuovo il pacchetto e porgendoglielo: "Vuoi una sigaretta?"
"Una
sigaretta no, ma magari un altro bacio sì." Taylor non
riuscì a trattenersi e quando capì di averlo detto
davvero, arrossì di botto. Un applauso alla sfacciataggine, si
disse.
Jeremy
rise e la guardò in un certo senso compiaciuto, ma anche
consapevole che così facendo stava solo complicando la
situazione.
"Perché sei così masochista?"
"Perché mi hai baciata?"
Aprì
la bocca per rispondere, ma di fatto da quelle labbra non uscì
che una nuovoletta di ossigeno condensato. C'erano mille motivi che
potevano essere riassunti in due bravissime parole, ma di certo non
poteva pronunciarle. Non proprio ora che era arrivato fino a quel punto.
"Io...credo che sia stato un addio opportuno." disse deglutendo la voglia di prendersi a schiaffi.
Taylor
abbassò lo sguardo, annuendo appena, mentre il vento muoveva i
ciuffi castani sul suo viso: "Ho sempre odiato gli addii."
Il ragazzo si trovò assolutamente d'accordo: "Anch'io."
"Jeremy, tu...non provi nulla per me?"
Ecco,
gliel'aveva chiesto. Diretta come un proiettile, mirando al punto. Era
una domanda senza scampo, per cui una volta saputa la risposta, avrebbe
potuto mettersi finalmente il cuore in pace.
"No." fu la risposta di Jeremy, altrettanto diretta.
Annuì
di nuovo, stavolta trattenendo una lacrima: "E se tu...se non fossimo
in questa maledetta situazione, tu proveresti qualcosa per me?"
Sembrava
quasi una supplica, la voce sommessa e lo sguardo tremulo, lucido,
immerso nel suo. Provava a leggere la vera risposta nei suoi occhi,
cosa in cui era diventata piuttosto brava, ma sembrava davvero
dannatamente impossibile questa volta.
Jeremy
si era già enormemente pentito per quel bacio. Aveva ottenuto
solo sofferenza, sofferenza in più da aggiungere a tutta quella
che già le aveva impartito. Era uno stupido, un idiota, un
povero maschio che si faceva mettere k.o. dai sentimenti.
Forse
fu per quello che le rispose di no, anche se la vera risposta sarebbe
stata sì. Sì, avrebbe provato qualcosa per lei e lo
avrebbe fatto incondizionatamente dal dove, il come e il se. Purtoppo
però, in quel momento erano tre incognite fondamentali e non
poteva certo trovare una soluzione non sapendo il loro valore.
Non poteva dirle che l'amava, perché sennò né lei e né lui sarebbero sopravvissuti.
Taylor
sorrise amaramente come aveva fatto la sera prima e si portò i
capelli dietro all'orecchio: "Sei un rapitore orribile, Jeremy."
Anche
lui assunse la medesima espressione: "E tu sei la ragazza più
sbagliata del mondo. Avrei davvero voluto rapire Tessy, almeno non
sarebbe stata così bella, così gentile e così
intelligente da farmi sembrare uno stupido mostro senza sentimenti."
Taylor alzò gli occhi su di lui e gli regalò lo sguardo più bello del mondo.
Non disse nulla, ma capì molto e sentì l'impulso di ritrovare quel contatto di labbra.
Portò una mano dietro il collo del ragazzo e attirò a sé il suo viso con l'altra.
Al
contrario di ciò che si sarebbe aspettata, lui non si oppose a
quel bacio, ma lasciò che tutto il suo corpo si infiammasse di
nuovo, come benzina fredda che aspetta solo che il suo fiammifero le
cada sopra.
Labbra
roventi in quel gelido dicembre che anche solo sfiorandosi, emanavano
lingue di fuoco. Si accarezzavano prima dolcemente, poi con passione,
senza mai staccarsi le une dalle altre, perché il freddo non
piaceva a nessuno dei due, ma ancora di più perché non
c'era nessuno a impedirlo.
Nessuno
che volesse separarli in quel momento, solo loro due e quel bacio,
molto meno innocente del primo, che non voleva mai finire. Jeremy non
si era mai sentito così nel baciare una ragazza, non aveva mai
sentito quella reazione chimica che si aveva solamente tra due
determinati elementi.
"Ci
sono cose che capisci dopo averle provate sulla tua stessa pelle" gli
diceva sua madre e ora lui aveva colto il senso della frase. Certo,
Madre Natura era stata piuttosto stronza a scegliere proprio Taylor
come suo elemento compatibile.
Se
all'inizio gli avessero detto che Taylor Heavens, l'irritante
principessina, sarebbe riuscita a cambiarlo così tanto in
meglio, si sarebbe fatto una grassa risata. Non lo credeva ancora
possibile, in effetti, il modo in cui era riuscita a sconvolgergli la
vita. Anche se niente si era ancora risolto, sentiva che qualsiasi cosa
fosse accaduta, gli sarebbe comunque rimasto quel ricordo, quell'amore
che l'aveva migliorato, che l'aveva fatto ridere e aveva colorato il
grigio in cui viveva da anni.
Forse
un semplice "grazie" non sarebbe mai bastato. Forse non le avrebbe mai
detto "ti amo", non direttamente, ma era quello che sentiva e che
avrebbe sempre portato con sé, come un polo con il suo polo
opposto, come un lucchetto con la sua chiave.
"Promettimi
una cosa." sussurò Taylor appoggiando la fronte alla sua, il
fiato corto. "Promettimi che qualsiasi cosa dovesse succedere, ti farai
aiutare. Che cercherai di migliorare la tua vita. Sono certa che quando
mamma e Oliver sapranno la verità, saranno disposti a darti una
mano e-"
"Te lo prometto." la zittì prima che parlasse oltre.
Sapeva
che non l'avrebbe mantenuta, quella promessa, ma ormai era abituato a
dire bugie importanti. Avrebbe fatto il possibile perché lei si
dimenticasse di lui per sempre e viceversa. Punto e basta.
"Ok..." annuì la ragazza, sollevata. "Ok, Jeremy."
"Andiamo." disse allora lui, scostandosi finalmente da lei con enorme rammarico. "Si sta facendo tardi."
Si
alzò in piedi e le porse la mano, aiutandola a mantenere
l'equilibrio sui pattini, finché non poté indossare di
nuovo le scarpe. Ritornarono alla macchina così, mano nella
mano, persi ognuno nei propri pensieri, a loro volta persi in quel
sapore di tante cose assieme che era rimasto nelle loro bocche.
---------------------------------------------------------------------------------------------
"Pronto?"
"Edoardo Cordano?"
"Dipende."
"Stanno andando via da qui."
Il
silenzio dall'altra parte fece intendere che l'interlocutore si
aspettava maggiori informazioni per essere sicuro di poter parlare.
"Lake Banue, sono diretti a Nord."
"Sullivan,
sei tu, vecchia carcassa!" Cordano parve sollevato, ma anche
arrabbiato. "Quante volte ti devo dire di farti riconoscere subito
quando mi telefoni?"
Di
sicuro una chiamata dalla polizia era l'ultima cosa di cui aveva
bisogno in quel momento e aveva paura che sarebbe capitata a momenti.
"Scusami,
Edoardo, ma avevo fretta di parlare." rispose il vecchio, seguendo con
lo sguardo il ragazzo biondo che faceva salire la Heavens in macchina
con fare premuroso. "Non puoi credere a quello che ho appena visto."
"Sono tutto orecchi, Sullivan."
"Sembra che il caro Parker abbia veramente un problema ad eseguire il tuo semplicissimo ordine."
"Ovvero?
Non giocare a fare il misterioso, vecchio della malora. Sai che sono
nella merda fino ai capelli per colpa di quel figlio di-"
"Sono innamorati."
"...prego?"
Il
vecchio cioccolatiere ridacchiò mettendo in mostra gli ultimi
tre denti che componevano il suo sorriso: "Cosa ti aspettavi? Sono due
giovani, Cordano. Sono predisposti a credere nell'amore eterno e
puttanate del genere, non hanno ancora capito che a questo mondo
contano solo i maledettissimi soldi."
"Sei sicuro di quello che dici, vecchio?"
"Ti può bastare sapere che si sono baciati e che si tengono per mano?"
"Dove hai detto che sono diretti?"
"Verso Nord, con una Fiat ammaccata di almeno due secoli fa."
Dall'altoparlante del telefono si sentì il rombo di un'automobile messa in moto.
"Hai intenzione di seguirli?" chiese Sullivan, divertito dall'astio che traboccava dal fare di Cordano.
"Sì." rispose quest'ultimo. "Ho in mente per la nuova coppia un regalo bello da morire."
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"Tante cose insieme" credo che si spieghi da solo XD
Anche
per questo capitolo ho un debole e credo che il primo bacio tra i due
sia il più romantico che io abbia mai scritto nella storia della
mia vita.
PUBBLICITA':
Se vi va, passate a leggere le altre mie due storie Io
e te è grammaticalmente scorretto ,
e Io e te è grammaticalmente scorretto 2, di cui, per quanto riguarda la prima, uscirà il libro a marzo 2017!
Se
poi vorrete unirvi al gruppo in cui si sta assieme, si parla di tutto e
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la vostra iscrizione a Grammaticalmente
Scorretti
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Capitolo 11 *** Fatal Encounters ***
All I want - 11.2
ALL
I
WANT
FOR
CHRISTMAS
IS...
********Fatal Encounters********
Allyson si svegliò sentendo suonare il suo telefono.
Si sporse sul comodino e lo afferrò per non perdere la chiamata: "Pronto?"
Si
mise a sedere tirandosi le lenzuola per coprire il petto nudo, stando
attenta a non svegliare Alex, angelicamente addormentato con la bocca
socchiusa e una mano sul suo cuscino.
"Ally, sono io. Come stai?"
"Richard!" gioì a bassa voce. "Credevo che non potessi chiamarmi prima di domani."
"Come si fa a stare lontani dalla tua voce?" ridacchiò il fratello.
"Il solito adulatore." Allyson scosse la testa sorridendo. "Come stai?"
"Alla grande, sono di turno a Bourton e mi chiedevo se avessi tempo per passare a prendere il tuo regalo di Natale."
Alex
si mosse leggermente, spostando la mano dal cuscino e portandosela
accanto al viso. La ragazza scese lentamente dal letto, coprendosi con
la prima vestaglia che trovò nei paraggi e uscendo dalla camera.
In salotto la luce della vigilia di Natale filtrava attraverso le tende
e, scostandole, osservò il paesaggio fuori, imbiancato in una
suggestiva giornata di sole.
"Certo
che verrei. Molto volentieri, Richie." rispose appoggiandosi al vetro e
seguendo con gli occhi i due bambini che si prendevano a palle di neve
sulla strada, ricordando quando quei due bambini erano lei e suo
fratello, congelati fino all'osso, ma troppo felici di trovarsi nella
neve fino alle ginocchia.
"Che ne dici di trovarci al nuovo caffè? Quello che ha appena appena aperto vicino alla stazione."
"Perfetto. Tra una mezz'ora ti raggiungo. Ti devo assolutamente presentare una persona, Richie." squittì, eccitata.
Richard
si morse il labbro. Aveva sempre paura di fare conoscenza con persone
sbagliate, ma non riusciva a dire di no ad Allyson: "Spero solo che non
sia un pezzo di stronzo, oppure sai che faccio presto a spaccargli-"
"Sempre
con queste manie da patriarca, Richard!" alzò la voce, in difesa
del suo Alex, che di stronzo aveva ben poco: "Vedrai che farete
amicizia in quattro e quattr'otto."
"Allora è davvero un ragazzo..."
"A
dopo." sbuffò lei scuotendo la testa e chiudendo lo schermo del
cellulare con uno scatto. Questo aspetto del carattere di Richard le
aveva sempre dato fastidio. Non serviva a nulla fare l'iperprotettivo
quando era stato lui il primo ad abbandonarla quando era una ragazzina
innamorata del suo fratellone!
Si
pentì subito del suo egoistico pensiero. In fondo, lui
gliel'aveva sempre detto che sarebbe scappato per vivere la vita che
voleva. Che colpa poteva fargliene?
"Ally."
Alex entrò in cucina con i capelli neri arruffati e il cuscino
ancora stampato in faccia, incurante di indossare solo un paio di boxer.
Per
quanto la vista del suo ragazzo a petto nudo la allietasse, Allyson
decise di voltargli le spalle e scaldare un buon tè:
"Buongiorno, Bella Addormentata. Dormito bene?" gli domandò.
Il
ragazzo diede un'occhiata fuori, riavvolgendo il nastro fino alla sera
scorsa, quando, dopo aver chiamato Jeremy per tenerlo aggiornato da
Bourton, era salito da Allyson, la casa vuota perché i genitori
erano partiti qualche giorno verso una località montana.
"Beh, si può dire che ho preferito la parte prima del dormire."
Allyson sorrise, arrossendo: "Effettivamente è piaciuta molto anche a me..."
La
raggiunse cingendole la vita e lasciandole un bacio sul collo, mentre
lei riempiva le due tazze: "Chi era al telefono?" sussurrò
solleticandole l'orecchio.
"Mio fratello." rispose lei. "Oggi te lo faccio conoscere."
Alex storse il naso: "Spero che non sia il tipico fratello geloso."
Allyson smise all'istante di versare il tè nelle tazze.
Si
divincolò dalla stretta del ragazzo e sbatté la teiera
sul ripiano, irritata: "Voi maschi siete tutti caproni uguali!"
esclamò prima di andarsene nella stanza a fianco sbattendo
sonoramente la porta. Alex pensò che fosse in quel periodo del
mese, non vedeva altre soluzioni.
--------------------------------------------------------------------------------
Jeremy
diede un'occhiata al contachilometri, calcolando che ce l'avrebbe fatta
senza problemi a raggiungere Burford nei tempi che aveva prestabilito.
Mancavano solo un paio d'ore e poi sarebbe tutto finito.
Jeremy
amava Taylor. L'aveva capito nel momento in cui l'aveva sentita
piangere sulla panchina di villa Heavens, l'aveva rinnegato tutte le
volte che si era sentito bene con lei e l'aveva accettato solo la sera
prima, quando l'aveva baciata.
Gli
sarebbe piaciuto farlo di nuovo e continuare a farlo per tutta la sua
vita, ma la sua vita era un fottuto casino e non poteva uscirne
così per magia.
E
adesso, proprio adesso che aveva aperto gli occhi, avrebbe dovuto
forzatamente richiuderli e tutto perché non era concepito che
lui fosse felice.
Aveva
preso una decisione: aveva deciso che avrebbe considerato quel bacio
come una piccola défaillance, che avrebbe dimenticato la
sensazione che gli aveva invaso il cuore, che avrebbe finto che quel
periodo della sua vita non fosse mai esistito e forse sarebbe stato
capace di continuare senza fare appello al passato.
Si
sarebbe concentrato su se stesso e non avrebbe mai più lasciato
che una persona influenzasse la sua esistenza, mai più. Sarebbe
ritornato il vecchio Jeremy egoista, che non si preoccupava di nessuno
fuorché di se stesso e che non usciva di senno per una semplice
ragazza.
Taylor si mosse sul sedile e con un sonoro respiro aprì gli occhi.
Il ragazzo le lanciò una rapida occhiata, senza dire nulla. Era ancora nel pieno della fase di rinnego dei sentimenti.
"Che ore sono?" biascicò lei, stropicciandosi gli occhi.
"Le dieci."
Taylor
si sistemò sul sedile, guardando la strada e riconoscendo la
statale che conduceva alla parte a Nord della regione: "Nevica da
molto?"
"No."
"Sarai stanco di guidare."
"No."
"D'accordo..."
la ragazza lo guardò strano, per accertarsi del suo stato.
Sembrava normale, se si considerava quel persistente pallore una cosa
normale.
"Ehi, oggi è la vigilia!" sorrise, cercando di rendere quell'atmosfera tesa un po' più allegra.
Nemmeno
lei si sentiva in vena di festeggiamenti: al solo pensare che entro
poco avrebbero dovuto separarsi le si annodava la gola, ma da persona
speranzosa quale era, si augurava, fino all'ultimo, che lui cambiasse
idea una volta arrivati a Burford.
Ecco,
sperava di essere lei a convincerlo a rimanere, aiutandolo a superare
tutte le sue difficoltà. Ovviamente Taylor non aveva idea
dell'enorme caos con cui Jeremy doveva destreggiarsi per la salvare la
propria vita e non solo, non sapeva che per Jeremy, di rimanere, non se
ne parlava proprio.
"Ho...qualcosa
per te." aggiunse, sorridendo ed estraendo un foglietto ripiegato dalla
tasca del cappotto. Glielo porse, notando il suo sguardo smarrito, reso
ancora più celeste dal bianco di fuori. Forse non si aspettava
che lei avesse un regalo per lui, ipotizzò compiaciuta.
Jeremy prese il foglietto, titubante, e lesse il suo nome su uno dei due lati.
Possibile che stesse davvero ricevendo un regalo di Natale dopo anni?
Lo
aprì tenendo un occhio sulla strada e quando vide il suo
ritratto disegnato a matita, rimase profondamente colpito dalla
perfezione con cui era stato riportato su carta. Se c'era una cosa che
non potesse essere rinnegata era il talento di Taylor. Si chiedeva come
avesse fatto a intrappolare nella matita tutti quei minimi dettagli che
insieme davano un'inconfondibile immagine di un Jeremy sorridente. Era
bellissimo; sia il disegno che il soggetto, naturalmente.
"Grazie...wow...beh, è..." difficilmente gli rimanevano in bocca così poche parole. "Non me lo aspettavo."
Taylor sorrise, soddisfatta di aver fatto affluire un po' di sangue a quelle guance.
"D'accordo,
sì, me lo aspettavo." la smontò lui. "Erano giorni che ti
vedevo disegnare e quando mi hai dato il foglio, ho capito
perché. Ma non pensavo fossi così brava. E non pensavo
stessi disegnando me."
"Ebbene
sì." rimbeccò lei. "Sai com'è, certi sorrisi sono
più unici che rari, per cui ho pensato di immortalarne uno per
quando sarai il solito stronzo. Sappi che agli altri piaci quando
sorridi."
Il ragazzo scosse la testa ridacchiando: "Mi sa che piaccio specialmente a te, mh?"
Taylor arrossì e proiettò lo sguardo sulla carreggiata, fuori dal finestrino.
Era
impossibile restarle indifferente, pensò Jeremy, con un ghigno
quasi rassegnato e allo stesso tempo divertito nell'osservare come si
vergognasse.
"Ehi,
ti capisco...è normale perdere la testa quando si ha una
meraviglia davanti." rincarò la dose, tanto per vedere l'effetto
delle sue parole su di lei. Effetto che amava, perché qualsiasi
reazione di Taylor, per lui, era sempre interessante.
La
ragazza avrebbe voluto sprofondare. La stava facendo sentire
così sciocca: "Io non perdo mai la testa, Jeremy. So sempre
quello che faccio."
"Quindi sei consapevole del fatto che io ti piaccia da morire."
"Finiscila!" intimò incrociando le braccia. "Sei tu che mi hai baciata."
"Il passato è passato." la prese in giro.
Lei sgranò gli occhi, offesa e oltraggiata: "Beh, anche quel disegno allora è passato! Ma guarda tu..."
"No,
questo lo voglio tenere!" esclamò infilando il foglio sotto al
maglione per evitare che lei lo riprendesse. "Immagina quale utilizzo
potrebbe farne la polizia, se tu decidessi di farne mostra. Le uniche
immagini che hanno di me sono quelle in cui sono un marmocchio con i
denti davanti mancanti; non vedono l'ora di farmi un servizio come si
deve, magari con un bello sfondo a strisce bianche e nere."
"Sei un barbaro!" esclamò lei, alterata. "Una cosa che ti manca oltre alla gratitudine è il tatto!"
"Però non mi manca il fascino, vero?"
"No, quello no. Ne hai tanto quanto l'autostima. Ehi, potresti aprire il finestrino? Il tuo ego mi sta soffocando."
"Certo,
principessa." l'aria gelata irruppe nel piccolo abitacolo rimbalzando
contro la faccia della ragazza, spettinandole i capelli.
"Chiudi il finestrino!" pigolò, mentre cercava di tenere a bada i ciuffi volanti.
"Sai usare qualche altro verbo oltre all'imperativo?"
"Sì: vai a quel paese. Imperativo esortativo."
Jeremy
rise, alzando finalmente il finestrino e riportando una certa
stabilità all'interno dell'auto: "Sei così irritante
quando fai la saputella."
"Sei così irritante quando fai lo strafottente."
"Comunque grazie per il disegno."
La ragazza scosse la testa: "Prego, Jeremy." ribatté sarcastica.
Rimasero
in silenzio; l'uno con il sorriso (forse era l'unico che i litigi
mettessero di buon umore, oppure erano una cosa così normale da
fargli scordare tutti gli anormali problemi che doveva sopportare),
l'altra a braccia incrociate, buttata giù da una versione del
ragazzo che niente aveva a che vedere con quella del giorno prima.
Continuò
a pensarci per svariati minuti, godendo del momento di tacita pace che
si era venuto a creare: in fondo anche litigare le accendeva quella
piccola scintilla nel cuore.
Come
i baci, come gli sguardi, come i pianti. Ogni cosa che facessero
assieme risvegliava in lei un sentimento nuovo e ininterpretabile. Una
specie di bibitone di tutte le emozioni esistenti, una voglia di non
fermarsi mai perché quel mix le dava energia.
Gli
lanciò un'occhiata, notando che anche lui era distrattamente
immerso in qualche pensiero e poi ritornò a concentrarsi sulla
strada.
Per fortuna lo fece.
"Jeremy!"
gridò, afferrando il volante e sterzando, mentre lui frenava di
colpo. I loro corpi vennero bloccati dalla cintura e la botta non fu
poi così forte, ma il tonfo che avevano sentito non
preannunciava nulla di buono.
"Taylor! Stai bene?"
"Sì, e tu? Chi diavolo era quell'idiota in mezzo alla strada?!"
Jeremy
si sporse per vedere meglio chi aveva investito, poi sbuffò
seccato: "Un travestito con la barba. Aspetta qui." le intimò
slacciandosi in fretta la cintura e scendendo dall'auto.
Si
avvicinò all'uomo disteso lungo la carreggiata, vicino al
marciapiedi, e si accovacciò su di lui, verificando di non aver
fatto danni seri: "Signore, tutto bene?" domandò, più
seccato che preoccupato.
Un
imbecille travestito da Babbo Natale era l'ultima cosa che gli serviva,
dato che si trovava sul filo del rasoio di una missione che non
aspettava altro di essere mandata a rotoli da un dettaglio
insignificante. Come quell'imbecille travestito.
La
vittima tossicchiò rialzandosi a fatica a causa della imponente
massa del suo corpo, sputacchiando la neve che gli era entrata in
bocca: "La gamba..." si lamentò.
Jeremy
controllò l'arto che l'uomo gli aveva indicato. Non scorse nulla
di troppo traumatico e dopo essersi accertato che riuscisse ancora a
piegare le giunture, si rilassò, tentando di rimettere in piedi
quell'omone imponente.
"Ti serve una mano?" la voce di Taylor suonò fin troppo vicina al suo orecchio destro.
"Quale parte di "aspetta qui" non comprendi?" le domandò, mentre issava l'uomo e sbuffava per la fatica.
La
ragazza roteò gli occhi e aiutò a sorreggere Babbo
Natale, che ben presto ritornò sui suoi piedi, zoppicando
leggermente.
"Sono
desolato, sono davvero un disastro." tentò di scusarsi. "Sono di
fretta perché devo consegnare questi regali e scivolo
continuamente sul dannatissimo ghiaccio."
"Ho notato." fu il commento di Jeremy.
"Ero
caduto in mezzo alla strada e non riuscivo a fare altro che trascinarmi
all'indietro. Ma voi siete arrivati prima che riuscissi a raggiungere
il marciapiedi e io un giorno o l'altro la inizierò questa
maledetta dieta. Vi ringrazio di aver frenato in tempo."
"Non
si preoccupi, piuttosto torni a casa e si faccia controllare da un
medico, per sicurezza." gli consigliò Taylor, apprensiva,
guadagnandosi un grugnito nell'orecchio da parte di Jeremy. Dopo quella
nottata al Diderot, non aveva ancora perso il vizio di parlare a
vanvera.
"Non posso." scosse la testa il signore.
"Perché?"
"Beh,
perché è la vigilia di Natale e io sono vestito da Babbo
Natale." rise lui, facendo vibrare le sue grosse corde, poi prese il
naso di Taylor tra l'indice e il medio e lo strinse amorevolmente. "Non
è solo un impegno, ci sono venti bambini che mi stanno
aspettando da un anno intero con un sorrisone sdentato. Non potrei mai
deludere quei sorrisoni."
A
Taylor quell'uomo sembrò davvero il Papà per eccellenza e
gli sorrise, stregata dal suo modo di fare: "Andrà nelle scuole
a dare le caramelle?"
Quando era piccola e andava alle elementari, adorava quel momento.
L'uomo scosse la testa: "No. Sono per i bambini dell'orfanotrofio."
Taylor
lanciò una rapida occhiata a Jeremy, che aveva alzato le
sopracciglia per la sorpresa. Improvvisamente quell'uomo gli era
diventato simpatico.
Lo
ringraziò mentalmente a nome di tutti quei ragazzini, a cui si
sentiva inevitabilmente vicino, e poi si incantò a guardare i
mille pacchi sparsi per il marciapiedi. Taylor avrebbe dato oro per
congelare quell'attimo e avere il tempo di immortalare l'espressione di
Jeremy in un ritratto. Non gliel'aveva detto, ma aveva fatto due copie
del suo regalo. Una l'avrebbe conservata per sempre così da non
dimenticare mai il suo volto.
Jeremy
si disincantò con un colpo di tosse, poi si diresse verso il
regali e li raccolse senza dire nulla, riponendoli frettolosamente nel
sacco per restituirli a Babbo Natale.
"Grazie, ragazzo." sorrise lui, mettendo a posto la barba finta e il cappellino rosso. "Non so come scusarmi con voi."
"Non ce n'è bisogno." ribatté. "Riesce ancora a camminare?"
"Oh
sì, tutto questo lardo ha attutito la caduta." rise di gusto con
quel vocione profondo da perfetto Papà Natale, sistemandosi poco
elegantemente i calzoni e rimettendosi il sacco in spalla per andarsene.
Ma
quella risata contagiosa si affievolì non appena i suoi occhi
appannati dalla neve si soffermarono nuovamente sul viso di Taylor.
Rimasero sul volto della ragazza per un po' e poi, come preso da
un'intuizione, il suo sguardo saettò verso Jeremy. Poi
l'espressione cambiò radicalmente.
"Sa, cara, lei assomiglia talmente tanto a..."
"È
vero, glielo dicono tutti. Non è così, Tracy?" Jeremy lo
precedette, cingendo la vita di Taylor, sorridente.
"Sì, è vero..." rispose lei, sperando di intuire al più presto il gioco di Jeremy.
L'uomo li guardò confuso e sospettoso: "...a quella ragazza..."
"Già,
Tessy Heavens, lei sì che ha talento." proseguì Jeremy,
cercando di deviare i sospetti dell'uomo. "Come lei il violino non lo
suona nessuno. Strano che la mia Tracy non sia di Bourton, avrebbero
potuto essere parenti!"
L'uomo annuì, a corto di parole.
Ritornò
a guardare la giovane, che tanto somigliava alla ragazza che era stata
rapita nella sua città. In effetti non sembrava tanto una che
era stata rapita, così amorevolmente avvolta nelle braccia di
quella faccia d'angelo. Sembrava davvero in pace con se stessa, felice,
si direbbe, al suo fianco.
Lui
gli era sembrato un po' freddo e distante; gli aveva ricordato quel
ragazzino che qualche anno prima vedeva sempre all'orfanotrofio durante
il suo rituale giro di regali. Era uno dei più grandi e se ne
stava sempre in disparte. Assisteva alla sua recita da un angolo con le
braccia incrociate e non si lasciava mai avvicinare, nemmeno per riceve
il dono che gli spettava. L'uomo aveva sempre intuito la sua voglia di
volersi lasciare andare come gli altri e l'enorme bisogno d'affetto che
reprimeva. Gli dispiaceva per lui, ma le suore gli avevano sempre detto
che era fatto così e non c'era niente da fare.
Era
sparito anni fa e non l'aveva più visto, anche se ora gli
sembrava di averlo di fronte di nuovo: chissà forse anche lui,
come quel ragazzino, era solo una facciata dura, ma non nascondeva
nulla se non un amore profondo. Sicuramente per quella ragazza, si
disse.
"Tracy
non saprà suonare il violino, ma per me rimane la miglior
artista del mondo." rincarò Jeremy, per rinforzare la copertura.
"Non per niente è la mia ragazza. Vero, Tracy?"
I
suoi occhi limpidi andarono a pregare quelli di Taylor perché
capisse. Poi si sporse sul suo viso per lasciarle un fugace bacio a
stampo sulle labbra, che lei ricambiò con piacere.
"Sei
sempre così ammaliante, Ludwig." Taylor sbatté le ciglia,
sorridendo esageratamente. "Ma è per questo che ti amo
così tanto."
"Ludwig." protestò lui, sibilando a denti stretti mentre sfoggiava un sorriso forzato.
L'uomo
li guardava come fossero due pazzi, ma comunque il suo cuore smise di
agitarsi per i sospetti e la tensione si sciolse con una bella risata.
Era un vecchio miope e sulle nuvole, che aveva appena subito uno shock;
il suo sospetto non poteva che essere un'allucinazione. E poi, era
sicuro che chiunque avesse avuto davanti non avrebbe potuto
rappresentare l'unione di un rapitore con la sua vittima. C'era
così tanto amore solo nello sguardo di quei due che come minimo
dovevano essere fidanzati da anni.
"Oh, perdonatemi di nuovo." si scusò, allora. "Siete proprio una bella coppia."
"Meravigliosa." commentò Jeremy, guadagnandosi un pizzicotto da Taylor.
Dopotutto
lei gli stava facendo un enorme favore; aveva l'occasione di farlo
finire dietro le sbarre davanti agli occhi, travestita di rosso e
bianco, e non la stava sfruttando. Aveva scelto di fare quella stupida
sceneggiata, piuttosto di confermare i sospetti dell'uomo.
"Buon Natale, signore." cercò di congedarsi. "Si riguardi."
"Aspetta,
ragazzo!" lo chiamò il Babbo, frugando nel sacco. "Non posso non
ringraziarvi almeno con un piccolo dono. I bambini dell'orfanotrofio e
io vi auguriamo buonissime feste." sorrise cordiale da dietro le lenti
e con le guanciotte rosse, porgendogli un'elaborata sfera con un
pupazzo di neve all'interno, abbellita da un fiocco rosso e un ramo di
vischio. Era il regalo che aveva sempre tentato di porgere a quel
ragazzino prima che sparisse dall'orfanotrofio. Ora l'avrebbe dato a
Ludwig, che tanto gli somigliava e a cui augurava davvero il meglio.
"Grazie." soffiò Jeremy, abbassando gli occhi e non facendosi sentire nemmeno da lui.
Il
Babbo Natale se ne andò zoppicando e lasciando Taylor con due
occhioni dolci e lacrimosi, come una bambina commossa dal regalo
più bello che potesse aspettarsi.
Jeremy la guardò, il solito atteggiamento indifferente: "Cos'è, mai visto un tipo che si traveste?"
"No, è che...è stato così carino e gentile..."
"Oh,
principessina dell'universo." le cinse le spalle e la strinse a
sé con fare divertito. "Domani festeggerai anche tu con regali e
travestiti con la barba...te lo prometto."
Tralasciando
il fatto che l'avesse chiamata "principessina dell'universo" e che
suonasse molto come una presa in giro, Taylor lo guardò da
quella posizione, con una voglia pazza di poggiare la testa lì
sul suo petto e rimanere ad ascoltare il suo cuore.
"Mancherà comunque qualcosa." si limitò a dire, sperando che Jeremy cogliesse il riferimento.
"Lo so." ribatté lui, fingendo invece di non capire. "Il regalo di Ludwig."
Staccò la foglia di vischio dalla sfera e la infilò nella tasca del cappotto di Taylor: "Fanne buon uso, Lor."
Lei finse una risata, quando invece avrebbe volentieri lasciato che la malinconia s'impadronisse di quella scena: "Grazie."
Risalirono
in macchina, un po' infreddoliti e amareggiati. Taylor sapeva che non
avrebbe potuto farne così buon uso. Le sarebbe piaciuto vedere
quel vischio sopra le loro due teste, ma il fatto che Jeremy le avesse
indirettamente suggerito di utilizzarlo con qualcun altro l'aveva
rattristita enormemente. Non sarebbe mai successo.
Jeremy mise in moto e sospirò.
Burford era vicina. Il momento in cui avrebbero dovuto dirsi addio ancora di più.
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"Mi
raccomando, Alex." la voce di Allyson era in qualche modo minacciosa.
"Niente battute ingrate, niente occhiate troppo lunghe e niente domande
strane."
Il ragazzo annuì, salendo la vietta che conduceva alla caffetteria.
"Comportati bene e sicuramente vi piacerete a vicenda."
Si passò una mano nei capelli forse un po' troppo lunghi per lui e annuì ancora.
"Hai capito, Alex?"
"Sì, perbacco, Ally." esclamò allora, sbuffando. "Che sarà mai, un mangiafidanzati?"
La
ragazza gli lanciò un'occhiata truce e si fece strada camminando
più velocemente fino a raggiungere la porta che era stata
decorata con una scritta di buone feste: "Non mi fare pentire di essere
tornata assieme a te."
Lui le fece il verso, pensando che nonostante tutto, a volte fosse proprio paranoica.
La
seguì nel caldo ambiente di paese, riempito da qualche anima in
giro per gli ultimi affrettatissimi acquisti di Natale e avvolto in un
invitante aroma di caffè.
Al
bancone stava seduto un ragazzo robusto, con una barba di parecchi
giorni e i capelli ricci e crespi spettinati sulla fronte. Sembrava
avere gli spilli sulla sedia, stava come pronto allo scatto, impaziente
di vedere la sorella dopo tempo che non si incontravano.
Aveva
un pacchetto rosa in mano, contenente un grazioso cappello di lana del
medesimo colore, che aveva scelto con l'aiuto di ben due commesse per
paura di deluderla. Era agitato il triplo del solito: non solo aveva
una paura folle che Allyson sospettasse che lui fosse coinvolto nel
rapimento della sua migliore amica, ma doveva inoltre sopportare la
presenza di un intruso.
La
sola idea che qualcun altro potesse condividere con lui la sua
intoccabile sorella gli faceva rivoltare lo stomaco e il fatto che
molto probabilmente questo individuo sarebbe stato addirittura
più presente di lui nella sua vita gli faceva venire voglia di
prenderlo a sprangate a priori.
In
più, da quando l'aveva vista piangere alla televisione a causa
in minima parte sua, si era ammattito così tanto che aveva quasi
cambiato idea sul fronte rapimento. Ovviamente il mirabile Cordano non
gli aveva lasciato scelta e quindi ora si trovava lì con un
senso di colpa grande quanto quella caffetteria.
"Richie!"
La
sua testa si girò di scatto per incontrare l'esile figura della
ragazza, radiosa nel suo cappotto beige. Si alzò e le corse
letteralmente addosso, abbracciandola con impeto e stringendola
così forte che i suoi piedi si sollevarono da terra e
incominciò a tossicchiare: "Non sono un orsacchiotto di peluche,
Richie. Potresti rompermi."
Allentò la presa baciandole la fronte: "Mi sei mancata, Ally."
Alex
li raggiunse in quel momento, non aveva voluto rovinare il
melodrammatico incontro, ma appena si fece più vicino i suoi
occhi si assottigliarono, seguendo quel profilo barbuto e
scannerizzando quell'immagine stranamente familiare.
"Anche
tu." sorrise la ricciolina, poi accennò ad Alex. "Ecco, lui
è ragazzo che ti volevo presentare, Richie. Si chiama Alex."
Fu
una specie di esplosione atomica l'incrocio tra gli sguardi dei due
ragazzi. Un silenzio tombale piombò nel bar, come in ogni film
che si rispetti, e persino l'aria sembrò gelare all'istante.
Qualcuno avrebbe potuto giurare di aver sentito un tuono all'esterno.
"Tu." una sola sillaba che sembrava traboccare di disprezzo da parte di Richard.
"No,
dimmi che non è vero..." era impossibile per Alex accettare che
quel verme avesse lo stesso sangue dell sua Allyson. Non voleva credere
ai suoi occhi.
Proprio quest'ultima impallidì e fece spola con lo sguardo tra la figura dell'uno e l'altro.
"Quel
Richard." ringhiò Alex sentendosi sormontare dalla rabbia e dal
rancore di quel giorno all'hotel in cui aveva dovuto ricorrere alle
mani per impedirgli di aprire la porta del bagno mentre Taylor stava
facendo una doccia.
"Quell'Alex."
a dire il vero Richard non ricordava nemmeno il suo nome, ma il viso di
quello stronzo lo aveva irritato la prima volta che si erano visti e
continuava a irritarlo anche in quel momento con crescente
intensità.
"Dimmi
che questo porco non è davvero tuo fratello." Alex si rivolse ad
Allyson, facendole aprire la bocca con incredulità.
"Non ti permettere!" s'indignò lei.
"Allyson, se ti sei davvero fidanzata con questo coglione, hai perso la ragione."
"Richard! Siete impazziti?"
"Coglione,
eh?" Alex lo raggiunse con una sola falcata, puntandogli addosso lo
sguardo più astioso che avesse. "Prova a ripetere, stronzo."
Richard
non ci vide più, era totalmente sopraffatto dalla rabbia, e fu
incontrollabile la reazione che lo spinse a colpire il ragazzo dritto
al volto, facendolo cadere all'indietro per l'urto.
"Oh mio Dio!" esclamò Allyson correndo in soccorso del suo ragazzo.
Lui
la allontanò, scattando in piedi e pulendosi il labbro.
Ripagò Richard con la sua stessa moneta, sferrandogli un
fortissimo pugno allo stomaco.
La
rissa che si scatenò qualche secondo più tardi fu
inevitabile. Mentre Allyson e il proprietario della caffetteria
pregavano perché la smettessero, i due ragazzi si colpirono a
vicenda senza pietà, entrambi non riuscendo a sopportare il
fatto che l'altro fosse in qualche modo legato alla ragazza.
Incredibile
la voglia che avesse Alex di essere aggressivo con quell'essere,
incredibile anche il rancore che provasse nei suoi confronti, non
essendo abituato a quel tipo di sentimento. I suoi modi rozzi e pesanti
lo nauseavano e l'ipotesi che avessero potuto essere rivolti alla sua
Allyson incrementava sempre di più la forza con cui dava pugni a
raffica.
"Uscite
da qui, oppure chiamo la polizia!" tuonò il proprietario,
ottenendo finalmente un po' di ascolto da parte dei due. La polizia non
sarebbe stata d'aiuto a nessuno dei due, sicuramente.
Si
fermarono guardandosi intorno e notarono le svariate paia di occhi
puntate su di loro. Una su tutti, la più sconvolta, ferì
profondamente entrambi. Richard avrebbe preferito sprofondare sotto
terra.
"Grazie
davvero a tutti e due." Allyson aveva un tono che traboccava di
delusione, verso entrambi i fronti. Diede loro le spalle e uscì
dalla caffetteria con passo veloce e deciso, sentendosi esterrefatta e
irrimediabilmente tradita.
Senza
pensarci molto, i ragazzi la seguirono, per uscire assieme dalla porta
e chiamarla invano, mentre lei non abbandonava i suoi passi.
Alex fece per correrle dietro, ma Richard lo trattenne per la giacca, facendolo cadere di nuovo a terra.
"A lei pensiamo dopo." ringhiò guardandolo dritto negli occhi.
"Immagino che tu sia abituato a pensare a lei dopo."
Alex
si beccò un pugno più violento dei precedenti che gli
fece sanguinare copiosamente il labbro. Gli aveva fatto male, ma non si
era pentito della frase che aveva detto.
"Non azzardarti mai più a dirlo, pezzo di merda!" gli intimò il ragazzo, ormai vinto dalla rabbia.
"È
la verità!" si difese Alex, gridando. "Sei uno sporco
doppiogiochista, dove trovi la forza di fingere davanti a lei come se
nulla fosse?"
"Oh,
quindi deduco che tu le abbia raccontato tutto, vero, pezzo di
stronzo?" Richard gli si avvicinò, afferrandolo per il colletto
della giacca.
Alex tentò di divincolarsi, ma la stretta del ragazzo non ammetteva obiezioni.
"Il tuo amico ti ha scaricato qui perché non gli servi più?"
Richard
rise di nuovo, nella sua proverbiale cattiveria: "Che c'è,
braccio destro del cazzo, il tuo compagno segreto di scopate ha
realizzato che eri un peso morto? Ti ha lasciato in pasto agli squali
per potersi dedicare meglio al suo lato etero?"
Alex
non rispose, ma gli sputò dritto in faccia; quelle gli
sembravano solo cattiverie gratuite. Jeremy non lo aveva abbandonato.
Non poteva sapere che Richard era a Bourton.
Richard
si ripulì senza smettere di ridere amaramente: "Ti avverto,
feccia, prova solo a toccare mia sorella e io ti farò pentire di
essere nato."
"A
quanto pare tieni davvero tanto a tua sorella, eh? Così tanto
che non ti importa di essere un gran pezzo di merda nei suoi confronti."
"Non permetterti di parlare di Allyson e non dirmi come devo comportarmi."
"Certo
che ne parlo, invece. Sono il suo fottutissimo fidanzato e la capisco
molto meglio di te." lo sfidò, allora, riuscendo finalmente a
liberarsi dalla sua stretta. "Lei ti ama perdutamente, ti venera e ti
difende. E tu invece non sai e non puoi far altro che nasconderle la
verità, farla soffrire e prenderti gioco della sua fiducia. Se
è questo il tuo modo di dimostrarle quanto ci tieni, beh allora
lasciati dire che non vali niente come persona e come fratello."
Gli
occhi nocciola di Richard lampeggiarono e un altro lamento di dolore
sfuggì dalla bocca di Alex, dopo essere stato colpito
violentemente.
"Chiudi
quella bocca, feccia! Tu non sai un cazzo di come tratto Allyson!"
gridò guardando il ragazzo a terra in modo quasi spaventato.
Forse
le sue parole non erano così insensate, ma erano indicibili. Non
era disposto ad ascoltare, tanto meno ad accettarle.
"Beh, a giudicare da come tratti gli altri, Richard..." ribatté il moro rialzandosi in modo traballante.
"Quella ragazza non ha niente a che vedere con Allyson." fu la sua ragione.
Alex
rise sprezzante: "No? Sono amiche, sono coetanee e si conoscono da una
vita. Se ci fossimo sbagliati e avessimo rapito Allyson? Eh?"
Quella
domanda riecheggiò nell'aria, mentre il traffico sembrava essere
scomparso e persino la neve aveva preso a scendere più
soavemente.
"Se
non avessi conosciuto Ally e avessimo preso lei? Se fosse stata lei
quella minacciata di non rivedere più la sua famiglia?
E
se i rapitori non fossimo stati noi, ma qualcuno di molto più
esperto e senza scrupoli?" il petto di Alex si alzava e abbassava a
corto di fiato per la lotta, mentre quello di Richard si muoveva alla
stessa maniera, in cerca disperata di ossigeno. Le immagini che gli
stavano scorrendo nella mente erano a dir poco disarmanti.
"E
se fosse stata Ally quella a trovarsi faccia a faccia con uno stronzo
della tua portata, in un pub di maniaci alcolizzati, senza la certezza
di nulla se non quella di poter morire?"
Lui,
a differenza del moro, era molto più pratico del mestiere e
conosceva persone davvero capaci di tanto. Aveva visto cose sgradevoli
e aveva riso per scongiurare quell'amarezza che ogni volta gli avevano
suscitato. In quel momento l'idea che tutto quello che era in progetto
per Taylor Heavens avesse potuto riguardare Allyson gli faceva venire i
brividi.
"È una merda, vero?" lo riscosse Alex, avvicinandosi.
"Stammi lontano!" gli ordinò, quasi fosse un appestato.
Si
stava davvero sentendo male; un senso di angoscia si era insidiato nel
suo cuore e non riusciva a scacciarlo. Più pensava alle parole
di quel ragazzo, più la sua testa vorticava in preda al terrore
e ai sensi di colpa.
"Anche
io la amo." continuò Alex. "Non sopporterei che le succedesse
qualcosa di brutto. Taylor poteva essere Allyson e sai una cosa?
Neanche Taylor se lo merita. Immagina quanto male è stata
lontano dalla sua famiglia, immagina la paura che avuto, immagina
quella sera al Diderot, Richard."
Il
ragazzo indietreggiò di un passo, lo sguardo perso nel ricordo.
Aveva scoperto solo pochi giorni prima che quella Taylor era
così legata ad Allyson, e si era sentito un verme. Ma non tanto
quanto il momento in cui si era rivisto darle della troia e farle
assumere un'espressione terrorizzata.
Si
era davvero comportato da maiale. Non aveva idea che la ragazza fosse
la migliore amica di sua sorella, allora. Forse se l'avesse saputo,
qualcosa sarebbe cambiato. Forse no. Forse immaginare Allyson al suo
posto, ora, glielo stava facendo capire. Forse realizzare quanto male
stesse causando alla sorella lo aveva distrutto sin da quando aveva
visto il telegiornale e ora era arrivato al punto in cui non riusciva a
sopportarlo.
Ma
si era anche reso conto della sua stupidità: chiunque avrebbe
potuto essere Allyson e il suo lavoro era proprio quello di rendere la
vita difficile a chiunque.
Gli
spari, la rissa nel pub, le persone colpite dai proiettili: una ragazza
che non c'entrava nulla avrebbe potuto essere uccisa. Perché?
Per un capriccio di un animale come Cordano e della bestia che aveva
come assistente.
"Immagina
che Allyson fosse stata al posto di Taylor." insistette Alex, un rivolo
di sangue che scese dal labbro tagliato. "Immagina che uno di quei
vermi l'avesse presa e l'avesse violentata."
"Ho
capito, basta!" lo bloccò il ragazzo, alzando le mani di fronte
a lui come per fermarlo. Era incapace di ascoltare di più. La
testa gli stava scoppiando e sentiva un'opprimente sensazione di
rimorso e di paura per tutto quello che sarebbe potuto succedere.
"Basta." ripeté, in un sibilo straziato.
Alex rimase in silenzio. Per una manciata di secondi si sentì solo il suono dei loro respiri pesanti.
"È
vero, ho sbagliato. È questo che vuoi sentirti dire?" quella di
Richard era una preghiera perché Alex la smettesse di farlo
sentire così sporco e colpevole.
"Sì."
"D'accordo, allora. Lo ammetto. Ho sbagliato."
"Mi sembra impossibile che siate fratelli, perché tu non sei come lei?"
"Che
domanda del cazzo, Alex, il braccio destro stupido." s'innervosì
di nuovo. "Anche i miei genitori se lo sono chiesti per anni, ma
nessuno ha mai capito la semplice e chiara risposta. Io non sono come
loro, come gli altri, io sono diverso punto e basta. E tu sei
l'ennesimo deficiente che non lo capisce."
"Lo
capisco, invece." rispose Alex. "Anch'io sono diverso. Non sono
brillante o intelligente come altri, faccio casini in continuazione, ho
deluso spesso i miei genitori e...le persone che amo. Ma Allyson
è stata capace di farmi sentire speciale lo stesso. Io voglio
stare con lei, Richard, anche se a te non va bene. E non mi importa se
mi farai pentire di essere nato, sopporterei anche questo per lei."
Richard rimase in silenzio, con uno sguardo impassibile.
"Se
per te vale lo stesso, lascia che lei ti migliori." suggerì il
moro. "Lascia perdere quella schifezza in cui ti sei lasciato
trascinare da Cordano. Fallo per Allyson."
Il
riccio si avvicinò ancora ad Alex, che, dolorante e troppo
stanco, si lasciò prendere per il colletto senza difendersi:
"Sai una cosa, Alex?" gli sputò in faccia con cattiveria, ma con
una certa insicurezza nella voce. "Ti credevo inutile, invece sei
davvero una spina nel fianco."
Alex alzò le sopracciglia: "Dovrei forse prenderlo come un complimento?"
"Assolutamente
no." gli rispose l'altro, recuperando il suo ghigno divertito. "Non ti
sopporto e mi fai schifo dal primo secondo in cui ti ho visto, ma se
mia sorella ha scelto te come fidanzato, allora deve aver avuto delle
ragioni." sorprendentemente gli aveva fatto un sorriso sghembo. "Solo
un passo falso, amico, e questa non sarà stata l'ultima rissa
tra me e te."
"Idem per te, amico." ribatté Alex, sfidandolo.
"Lo faccio solo per Allyson." tornò a ripetere Richard.
"Io pure."
Sembrò
quasi che fosse avvenuto un miracolo. In realtà Richard aveva
semplicemente convenuto con le parole di Alex. Aveva esagerato, aveva
permesso troppe ingiustizie ed era stato artefice di cattiverie che non
sarebbe più stato in grado di ripetere, nemmeno se avesse
voluto. In più, c'era qualcosa che gli era venuto in mente,
qualcosa con cui davvero poteva dimostrare quanto tenesse a sua sorella
e magari impedire che tante persone soffrissero.
"Alex?"
"Sì?"
"Avvisa il tuo amico, non gli rimane molto tempo."
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Mentre
la radio trasmetteva il concerto natalizio di una famosissima orchestra
a Londra, anche il cellulare di Jeremy suonò, rovinando una
bellissima "Silent Night" di viole e flauti.
Taylor si sporse per abbassare il volume e lui rispose, senza nemmeno controllare il numero del mittente.
"Non andare a Burford!" fu la prima cosa che sentì dall'altoparlante.
Allora sì, staccò il cellulare dall'orecchio e controllò di aver riconosciuto bene la voce.
"Alex?"
"Dove siete, Jeremy? Non dovete andare a Burford, allontanatevi subito, non imboccate neanche la statale!"
"Alex, ormai sono all'entrata della città." rispose lui, confuso. "Che succede?"
"Merda.
Devi deviare!" gli ordinò l'amico, il tono ansioso e
preoccupato. "Hanno capito che ti saresti diretto lì e Cordano
ha seminato gente da tutte le parti."
"Come ha capito che...? Che cosa stai-"
"Vogliono uccidervi, porca puttana!" gridò, disperato.
Jeremy
trattenne il respiro; si aspettava una cosa del genere, ma non in quel
momento, non con Taylor ancora al suo fianco. Pensava di avere il piano
perfetto, ma evidentemente c'era stata qualche falla.
"Che cazzo ho sbagliato?!" rimproverò quasi a se stesso. "Sai dove sono?"
"Ci
sono circa dodici persone a Burford, come minimo quattro saranno alle
porte della città. Ha piazzato gente anche lungo l'autostrada:
devi completamente cambiare rotta, Jeremy. Adesso."
Il
ragazzo lanciò un'occhiata a Taylor, che cercava di capire
qualcosa scrutandolo. Doveva pensare in fretta, ma era difficile
pensare in una situazione di quella portata. Ogni possibile soluzione
che gli saltava alla mente veniva scartata nemmeno un secondo dopo.
Quando, però, consultò lo specchio retrovisore, ogni singola soluzione esistente diventò impossibile.
Mentre
il sangue gli si gelava nelle vene e il cielo gli crollava sulla testa,
anche i suoi occhi si inumidirono: non seppe se per la frustrazione o
per la consapevolezza che tutto era finito in quell'istante. Non c'era
più speranza.
Edoardo Cordano si era appena immesso nella statale e con un'accelerata l'aveva raggiunto, standogli esattamente alle calcagna.
"Grazie, Alex." biascicò mentre tratteneva il nodo della sconfitta nella gola.
"Ti
prego, Jerry, allontanati da lì il più in fretta
possibile. Anche Cordano è sulle tue tracce, perciò
è meglio che tu sparisca del tutto. Ti daremo una mano da qui e
appena sarai da qualche parte correrò da te. Hai capito?
Jerry, hai capito?"
"Certo che ho capito." la voce di Jeremy tremò. "Ti sembro forse scemo?"
"Beh, no. Fammi sapere qualcosa senza lasciar passare un'eternità." rispose Alex. "Non farmi preoccupare troppo, ok?"
Jeremy faticò a trattenere una lacrima, mentre il sorriso sprezzante di Cordano si rifletteva sul suo specchietto.
"Ti voglio bene, Alex."
Terminò la telefonata senza aggiungere nient'altro. Non gliel'aveva mai detto prima e se ne pentì.
"Jeremy,
che cosa succede?" domandò Taylor, che aveva seguito tutto
intuendo che qualcosa di irrimediabile stava per succedere.
Jeremy
guardò la diramazione dell'autostrada nelle sue diverse uscite,
scartando quella contrassegnata dal cartello "Burford", poi
tornò a guardare Cordano, sempre dietro di loro.
No,
non aveva più scelta, ma fu in quel momento che capì che
c'era una cosa che avrebbe cercato di salvare a tutti i costi. Qualcosa
che importava più della sua stessa vita. Qualcosa, anzi
qualcuno, che aveva importato più della sua stessa vita per
tutto quel tempo.
Guardò
Taylor e decise: il volante girò, le ruote stridettero e Jeremy
imboccò l'unica strada che conduceva a Bourton.
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Gli
"Incontri Fatali" qui sono tanti: quello di Richard con Alex, quello di
Jeremy e Taylor con Babbo Natale, ma, soprattutto, quello di Jeremy con
Cordano.
A quale piano avrà pensato Jeremy?? Ma, SOPRATTUTTO, voi credete a Babbo Natale? (adesso mi ammazzano)
PUBBLICITA':
Se vi va, passate a leggere le altre mie due storie Io
e te è grammaticalmente scorretto ,
e Io e te è grammaticalmente scorretto 2, di cui, per quanto riguarda la prima, uscirà il libro a marzo 2017!
Se
poi vorrete unirvi al gruppo in cui si sta assieme, si parla di tutto e
si condividono momenti bellissimi, vi basterà iscrivervi e io approverò
la vostra iscrizione a Grammaticalmente
Scorretti
Oppure potete chiedermi l'amicizia su Facebook come Daffy Efp :)
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Capitolo 12 *** Save You to Save Me ***
All I want - 12.2
ALL
I
WANT
FOR
CHRISTMAS
IS...
********Save You to Save Me********
"Jeremy,
che diavolo-" Taylor non riuscì a finire la frase, perché
la brusca inversione a u dell'auto le fece prendere uno spavento
apocalittico.
Più che inversione a u le era sembrata un'inversione a i, da quanto fosse stata rapida e completamente fuori di testa.
"Sei impazzito?!" strillò, mentre Jeremy accelerava senza controllo, senza nemmeno darle retta.
Le
macchine che prima sembravano viaggiare tranquillamente, ora
sfrecciavano accanto a loro come proiettili. Sembravano uno sciame di
insetti impazziti, ma l'unico vero pazzo lì in mezzo era il
ragazzo accanto a lei.
Il grido di Taylor si unì ai vari clacson, ma il ragazzo sembrava non sentire, concentrato sulla carreggiata.
"Jeremy,
ci schianteremo!" Taylor si coprì gli occhi e si strinse
involontariamente a se stessa, mentre la loro vettura sfiorò di
poco un tir nella direzione opposta. Si vedeva già spalmata a
terra prima ancora di capire cosa diavolo fosse saltato nella mente
malsana di Jeremy.
Un'altra
macchina passò così vicino che sentì il suono del
clacson come se fosse stato all'interno della sua testa.
Per
scansare l'ennesimo autista che rischiavano di centrare in pieno, la
macchina strisciò contro un cartello stradale che indicava la
corsia d'immissione per Bourton. Quindi, oltre al terribile stridio
nelle orecchie, Taylor avvertì la sensazione che si stesse
verificando un drastico cambio di programma.
"Perché
stai andando lì?" cercò di farsi rispondere alzando la
voce, ma il biondo continuava a dare attenzione solamente a quello che
succedeva dietro di loro, controllando gli specchietti retrovisori ogni
tre nanosecondi, poi si mordeva il labbro e premeva più forte
l'acceleratore.
La ragazza ebbe un attimo di sollievo quando invece di proseguire per un percorso trafficato, lui scelse una strada secondaria.
Ma
il sollievo durò fino a che non cominciarono a capitare sopra le
buche disseminate lungo la strada battuta, facendo tremare la vettura
come se fosse stata una maracas e loro i sonagli al suo interno.
Taylor
non riuscì a contare quante volte sbatté la testa e
quante volte la cintura si oppose così forte al suo corpo da
segnarle il collo. Non era nemmeno riuscita ad afferrare il
perché Jeremy stesse percorrendo le più assurde stradine
dimenticate, anche se l'aveva l'intuito.
Stava
chiaramente circumnavigando la città senza una meta, quindi
stava cercando di seminare qualcuno. Sperava solo di non morire
spiaccicata sull'asfalto ancora prima di scoprire perché.
---
Cordano
l'aveva visto fare quella pazza manovra e l'aveva imitato, seguendolo
finché non aveva imboccato una via imbevuta di nebbia e di
solitudine. Voleva mantenere il passo, ma il ragazzo andava troppo
veloce e conosceva la Bourton di periferia meglio di lui. Ciò
che vedeva davanti a sé era solo quella maledetta nebbia e la
stradina disconnessa di campagna, diramata in migliaia di modi
possibili, attraverso i quali Parker si divertiva a giocare a
nascondino. Se ne sarebbe pentito a breve, pensò, altamente
irritato.
L'aveva
perso di vista, ma l'intenzione di raggiungerlo non se la sarebbe di
certo lasciata sfuggire. Era stanco di farsi prendere in giro, ormai
era diventata una questione personale e voleva risolverla il prima
possibile.
Cercò
di pareggiarlo andando a intuizione, mentre ignorava la seconda
chiamata di fila dal suo cellulare. Girò a destra, costeggiando
un lago e cercando di rintracciare l'altra auto con lo sguardo.
Ma Jeremy sembrava ormai sparito.
Il suo cellulare squillò di nuovo.
"Che cazzo vuoi, Richard?!" ringhiò all'altoparlante, concentrato sulla strada davanti a sé.
"Parker è arrivato a Burford." rispose la voce del suo tirapiedi.
"Ah sì?"
"Raggiungi la città, sarà lì nei paraggi."
Cordano ridacchiò con tutto l'intento di denigrarlo: "La tua ignoranza non ti smentisce mai, Richard."
Dall'altra
parte della cornetta il ricciolino espresse il suo disappunto con un
gestaccio, forte del fatto che non potesse vederlo.
Visto
che Alex era corso a recuperare Allyson, lui era rimasto solo nella
cabina telefonica e probabilmente i passanti l'avrebbero preso per
pazzo.
"Sono
proprio qui a Bourton, Richard, ce l'ho a un palmo di naso." gli
riferì l'uomo, una punta di agitazione nella voce. Non vedeva
l'ora di farla finita una volta per tutte e non poteva proprio
lasciarsi scappare una tale occasione.
"Ti stai sbagliando." tentò di deviarlo il ragazzo. "Mi hanno riferito di averlo appena visto a Burford."
"Sul serio, Richard. Mi credi stupido?" Cordano si chiedeva cosa prendesse a quell'ammasso di inutilità e capelli.
"No, Edoardo." sospirò Richard.
Chiaramente
non si era illuso di poterlo ingannare, ma almeno sapeva di potergli
far perdere tempo, cosicché ne potesse guadagnare Jeremy.
Sarebbe bastato anche solo distrarlo; qualsiasi fastidio potesse dargli
avrebbe dato un vantaggio a Parker.
Incredibile;
stava davvero parteggiando per il nemico. O almeno questo era quello
che gli avevano messo in testa, ma dopo quel tête à
tête con Alex non ne era più così sicuro. Forse il
nemico era sempre stato quello di fianco a lui, solo che se n'era
accorto troppo tardi.
"E
allora cosa?" gli ringhiò addosso, snervato. "Parker è a
Bourton e io sto per raggiungerlo e lui si sta dirigendo verso il
capolinea. Dove cazzo sei tu, piuttosto? Mi servi e anche in fretta."
Richard pensò che almeno poteva farsi dare delle coordinate e tentare il tutto per tutto assieme ad Alex.
"Dimmi dove siete precisamente e arrivo."
Cordano spiegò tutti i dettagli a Richard poi lo ammonì di muoversi e portare anche la sua pistola.
"Ok, senti." tentò il ragazzo. "Aspettami fermo dove sei e fra al massimo dieci minuti sono lì."
Cordano rimase per un attimo in silenzio e Richard temette che avesse capito tutto.
"Fermo dove sono?" sillabò l'uomo. "Richard, che cazzo ti è preso?"
"A Bourton hanno disseminato sbirri in ogni angolo, non ti conviene farti notare. Rimani in quel punto e-"
"Senti,
Stuart, chiudi quella merda di bocca, mi stai solo dando noia."
sputò lui. "L'ho sempre detto che quando fai quelle riunioncelle
di famiglia con la tua sorellina del cazzo ti rincretinisci più
del solito. A volte mi domando cosa me ne faccio di te, dal momento in
cui sei veramente inutile."
Cordano
sterzò per un'altra via secondaria, continuando però a
non vedere nessuno. Non poteva farsi distrarre proprio in quel momento,
così chiuse la telefonata appuntandosi un urgente cambio
d'assistente.
Era deciso a farla pagare a Parker, costasse anche la gattabuia.
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Ti voglio bene, Alex.
Il
moro era rimasto a fissare il telefonino con aria frastornata. Jeremy
non si era mai sbilanciato così tanto con lui, era in assoluto
la prima volta che gli diceva una cosa del genere e, se si voleva tener
conto del contesto, non era affatto un buon segnale.
"Anch'io." aveva risposto dopo qualche attimo, ma non si era accorto che lui aveva già attaccato.
Scuotendo la testa aveva riposto l'apparecchio nella tasca e aveva dato un'occhiata all'ora.
L'avrebbe
richiamato entro mezz'ora perché innanzitutto aveva un
bruttissimo presentimento sulla faccenda e poi perché non
sarebbe riuscito ad aspettare ulteriormente senza la conferma che i due
se la stessero cavando.
Richard
gli aveva raccontato il piano di Cordano e ad Alex era sembrato che a
questo giro le speranze per il suo amico fossero davvero esigue.
Avrebbe
voluto essere lì assieme a loro. Magari non sarebbe stato utile,
d'altra parte raramente lo era, ma almeno avrebbe potuto essere
lì. Il rischio che potesse succedere qualcosa di assolutamente
negativo da un momento all'altro non faceva che aumentare quel senso di
inquietudine che si era abituato a provare da quando non aveva il suo
amico sotto controllo.
Paura?
Sì, aveva paura. Ma d'altra parte contava moltissimo su Jeremy e
forte del fatto che gli avesse dato indicazioni utili, sperava
fortemente che riuscisse come sempre a togliersi dai guai.
Lui
e Richard si erano già messi d'accordo: avrebbero spiegato tutto
ad Allyson mentre si dirigevano verso Burford. Grazie a Richard,
avrebbero raggiunto Cordano e l'avrebbero fermato, dando il tempo a
Jeremy di scappare e a non dover imbattersi mai più in
quell'abominio di uomo. Sì, non era impossibile: ce l'avrebbe
fatta, ora aveva un alleato.
Ma prima doveva nuovamente portare dalla sua parte anche Allyson.
"Allyson!"
finalmente riuscì a trovare la ragazza. Si era allontanata a
piedi dal caffè dove aveva avuto luogo la spiacevole rissa e se
ne stava imbronciata appoggiata a un lato di Betsie.
"Allyson!" dovette chiamarla diverse volte perché lei si decidesse a prestargli attenzione.
Era palesemente delusa e arrabbiata per il suo comportamento e quello del fratello.
Assolutamente
comprensibile che volesse rimanere sola, pensò il ragazzo, ma
non era proprio il momento. Ora, Alex voleva raccontarle la
verità: Richard gli aveva assicurato che lei avrebbe capito e
che era l'unico modo per finire quell'enorme farsa.
D'altronde,
la verità sarebbe servita a spiegarle il perché di tutto
il trambusto che avevano causato nel caffè e per rassicurala
(relativamente) sull'amica Taylor. Avrebbe preferito tenerglielo
nascosto per sempre, ma prima o poi Taylor sarebbe tornata e qualcuno
l'avrebbe informata, suscitando come minimo la sua ira funesta. Meglio
prevenire che curare, si era sempre sentito dire.
La affiancò lungo il marciapiedi che lei aveva iniziato a percorrere a grandi falcate, lo sguardo fisso sull'asfalto.
"Hai
ragione." le disse, mentre i loro respiri condensati si scontravano
nell'aria. "Siamo stati due stupidi, idioti, infantili..."
"Risparmiatelo." tagliò corto lei, apparentemente disinteressata alle scuse, e continuò a camminare.
"Lo
so, lo so, è che...veramente, Ally, adesso è tutto a
posto. È stato solo un piccolo incidente di percorso che abbiamo
prontamente risolto." cercò di rassicurarla.
Lei
si fermò in mezzo al passaggio per dirgli qualcosa, ma poi si
accorse del suo aspetto, squadrandolo con cipiglio esasperato: "Se
questo è il modo di farmi vedere come avete risolto..."
I
suoi occhi passarono in rassegna il labbro ancora sporco di sangue e lo
zigomo violaceo del ragazzo. Se fossero riusciti a penetrare sotto i
vestiti, avrebbero visto anche qualche livido a livello dello stomaco.
Decisamente un'immagine non promettente.
Alex
sorrise imbarazzato: "So che non sembro troppo integro, ma ti posso
assicurare che abbiamo fatto pace. Mi dispiace per aver fatto a botte."
Allyson sospirò: "Mi dispiace, mi dispiace...Alex, l'ho sentito troppe volte da te."
"Senti, Ally, stavolta ti assicuro che sarà l'ultima. La verità è che-"
"La
verità?" sbottò lei, alterando la sua voce calma. "Non
credo esista davvero e comunque quasi quasi preferisco un'unica bugia
bella e buona, perché sono stufa di sentire duecento
verità diverse!"
"Vuoi sentire qual è stata finora l'unica bugia bella e buona, allora?" propose lui, speranzoso.
"No!" esclamò lei, ancora più esasperata. "Possibile che non capisci, Alex? Io mi sento presa in giro da te!"
"Non..."
Alex faceva davvero fatica a organizzare un discordo quando aveva
troppe cose da dire. "Non ti sto prendendo in giro. Sei la cosa
più importante che ho, cavolo, e lo sei altrettanto per Richard."
"Non lo sembra più di tanto."
"Abbiamo sbagliato entrambi, ok? Ma avevamo una ragione. Ragione che forse non ti piacerà sentire, ma..."
"Non
la voglio sentire!" stavolta la sua voce sembrò appartenere a
qualcun altro, tant'era insolito quel tono profondamente arrabbiato e
deciso in una persona paziente e tranquilla come lei. Si voltò
per proseguire verso il marciapiedi, ma Alex la seguì, testardo.
"Richard e io ci siamo conosciuti mentre ero a Stroud."
"Ho
detto che non ti voglio ascoltare, Alex!" strillò la ragazza,
guardandolo dritto negli occhi. "Non mi interessa se hai nuove
mirabolanti storie da raccontarmi, mi sono stancata. Tu mi hai illusa
fino a ora e io ho continuato a darti possibilità su
possibilità. Credevo fossi sincero questa volta, almeno questa,
ma a quanto pare non lo sei. Mi fidavo di te, ero sicura che dopo
averti perdonato non avresti più giocato con i miei sentimenti e
invece..." lasciò cadere la frase, facendo un eloquente gesto
con le mani ed evitando di suonare triste come si stava sentendo. "Non
ce la faccio ad andare avanti così, lo capisci?"
Gli
occhi scuri del ragazzo cercarono di cogliere la dolcezza perduta di
quelli nocciola di Allyson, ma non ce n'era l'ombra: era davvero seria.
Alex
sentì per l'ennesima volta di aver sbagliato tutto e di aver
combinato un enorme casino. Avrebbe voluto gridare contro se stesso e
prendersi a pugni per quanto era stupido.
"Anche a me dispiace, Alex. Più che a te." concluse lei, distogliendo lo sguardo.
"Non
puoi fidarti di me ancora una volta? Ho bisogno che ascolti
perché è successo tutto questo e allora capirai."
tentò.
"No,
lo so io perché. Perché tu e Richard siete uguali:
nessuno dei due mi prende mai sul serio, non sapete fare altro che
abbandonarmi e quando tornate siete solo bravi a incasinarmi la vita."
"Non è vero e questo lo sai, Allyson!"
"Provamelo,
allora!" lo fissò con gli occhi umidi, al limite
dell'esasperazione. "Lo vedi? Sei coperto di sangue, Alex. Avete appena
fatto a botte a dimostrazione di cosa? Della felicità di
ritrovarsi per la prima volta tutti insieme?"
Il ragazzo sospirò, frustrato: "Se solo mi lasciassi spiegare."
"Non
voglio sentire le tue favole." scandì bene ogni parola,
avvicinandosi a lui in modo che gli fosse chiaro. Si dice che le
persone buone di natura siano difficili da far arrabbiare, ma che,
nello sfortunato caso in cui dovesse succedere, siano capaci di
scatenare un uragano.
"Non sono favole!" si difese Alex. "Smettila di accusarmi in questo modo, voglio semplicemente raccontarti le cose come stanno."
"Beh, perdonami, credevo l'avessi già fatto. Più e più volte, aggiungerei."
"L'ho fatto, è solo che mi mancano dei particolari."
"Particolari
che non mi piaceranno, secondo quello che hai detto. Particolari che
hai omesso, che hai voluto nascondermi. Che razza di ragazzo vuoi
essere per me, Alex?" ribatté lei. "Ti comporti proprio come uno
stupido."
Il ragazzo indietreggiò, come colpito da quelle parole: "Per te sono uno stupido?"
"Sì,
Alex. Me lo hai dimostrato tu stesso." le costava dire certe
cattiverie, ma la situazione e quel minimo di amor proprio che le era
rimasto glielo imponevano.
Alex
si sentì più ferito che mai. Sono tante le critiche che
una persona può ricevere, ma sono i criticanti a fare la
differenza. Che era stupido glielo avevano detto in tanti e quindi
ormai lo pensava anche lui di se stesso, ma dentro la sua testa si era
insidiata la convinzione che Allyson fosse l'unica a non condividere
ciò. Si sbagliava di nuovo, a quanto pareva.
A spezzare quell'imbarazzato e teso silenzio fu la suoneria del cellulare di Allyson.
Combattuta
tra l'ignorare e l'accettare la chiamata, decise di premere la cornetta
verde e rimase in attesa di ascoltare quello che il fratello avesse da
dirle. Si aspettava una specie di sipario come quello a cui aveva
appena assistito e invece, con sua somma sorpresa, la richiesta fu
tutt'altra.
"Alex è lì con te?" né un ciao, né uno scusa, solo quella domanda.
"Sì."
"Ho assolutamente bisogno di parlargli."
Incredula e sempre più irritata tese la mano verso il suo ragazzo e gli passò il cellulare.
Oltre
a un "Pronto?" e un "Che cosa?!?", quest'ultimo non disse nient'altro,
ma quando riattaccò il suo sguardo era, se possibile, ancora
più preoccupato di prima.
"Che cosa ti ha detto?" gli chiese, confusa e infastidita.
Il ragazzo non rispose, ma la prese per mano e la trascinò per il marciapiedi da dove erano venuti.
"Dove cavolo stiamo andando?!"
"Dobbiamo andare a salvare il culo di quei particolari di cui ti parlavo prima. Tu seguimi, ti spiego strada facendo."
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Quando Jeremy spense il motore, Taylor poté riprendere a respirare.
Non
aveva mai sfiorato così da vicino la possibilità di fare
un epico incidente in una desolata strada di campagna.
Ansimava
provata dalle turbolenze in auto e aveva una faccia pallida e tesa:
cosa stava succedendo? Guardò Jeremy, anche lui con il fiato
corto e quella costante espressione nervosa, in attesa di qualcosa. Il
ragazzo incrociò il suo sguardo e lei ci lesse un mare di
cattive notizie.
"Scendi." le disse, inespressivo.
Eseguì
gli ordini, uscendo dalla vettura e dandosi una rapida occhiata
intorno: riconosceva quel posto. Erano al limite del parco di Bourton,
sul bordo più lontano del laghetto, da cui, passato il muro di
alberi, ci ritrovava giusto di fronte alla stazione.
Si
chiedeva cosa ci facessero lì in mezzo, così vicini al
pericolo di essere visti dalla polizia...per fortuna (o forse no?) non
c'era anima viva nei dintorni.
Alle
loro spalle non c'era altro che l'umida campagna, coperta di erba
incolta e neve. A terra, vicino a loro, faceva da decorativo un logoro
pino di plastica con qualche festone natalizio ancora impigliato tra i
rami e circondato da palline sbiadite e crepate.
Si
immaginava che qualcuno usasse quella zona come discarica o che bande
di ragazzini ci andassero per fumare senza essere beccati. Di sicuro
non avrebbe mai immaginato di poterlo visitare il giorno della vigilia
di Natale, mentre tutte le famiglie stavano al calduccio a casa propria
a indaffararsi per il gran pranzo del giorno dopo.
"Jeremy, vuoi spiegarmi perché hai cambiato strada?" chiese, impaziente, mentre lo seguiva scendere dall'auto.
Lui
la raggiunse senza nemmeno preoccuparsi di abbottonarsi il cappotto o
avvolgersi la sciarpa al collo, lasciandola così a penzoloni
sulla felpa in quel freddo insopportabile.
Aveva
un aspetto orribile, non perché avesse perso i suoi gradevoli
tratti, ma perché la tensione e la paura glieli avevano
deformati. Lo sguardo affascinante e intenso dei suoi occhi era
distante e freddo, come un muro di ghiaccio che voleva difendere una
fortezza di emozioni. Piuttosto debole come muro, ma non troppo da
scoraggiarlo.
Era
determinato a portare a termine quella decisione, costasse quel che
costasse. Non gli importava se poi la fortezza sarebbe stata
completamente abbattuta, l'importante era salvare il salvabile.
Si
avvicinò alla ragazza, il viso di lei rivolto in alto verso il
suo, in attesa di una risposta. La differenza tra le loro altezze era
abbastanza da permettergli di sembrare molto più forte e
imponente di quanto in realtà fosse.
"Stammi
a sentire, Taylor." iniziò, più serio che mai. "Non devi
fare altro che eseguire i miei ordini, ora. E senza domande."
Certo,
era una frase ricorrente da quando l'aveva conosciuto, però al
momento avrebbe preferito una piccola spiegazione. Giusto due parole
sull'argomento. Aggrottò le sopracciglia, confusa, e fece per
parlare, ma lui non glielo consentì.
"Sai come arrivare alla stazione da qui?"
"...sì." annuì non molto convinta.
"Bene,
allora tutto quello che devi fare è correre più veloce
che puoi e raggiungerla. Una volta lì devi entrare e trovare
un'autorità. Da quel momento in poi potrai raccontargli quello
che ti pare, e sarai fuori pericolo." spiegò, conciso.
Questo era quello che Taylor chiamava "essere precipitosi", difatti sgranò gli occhi, incredula: "Che cosa?!"
"Andiamo,
Heavens." sbuffò lui. "Che cosa non ti è chiaro?" chiese
spazientito, come se stesse parlando a qualcuno con problemi di
ricezione.
Gli
sarebbe piaciuto che Taylor avesse accettato senza obiettare, ma non ci
aveva sperato molto. Ormai sapeva benissimo che sarebbe dovuto arrivare
agli estremi.
"Heavens?" si stupì lei, lasciando che la voce prendesse un'intonazione ferita.
"È il tuo cognome, se non ricordo male. Hai capito o no quello che ti ho detto?"
"No...cioè, sì che ho capito, ma..."
"Allora muoviti."
Taylor
si sentiva smarrita, non sapeva cosa pensare. Come mai era stata
catapultata nel passato, durante i primi giorni vissuti con una
versione perfida di Jeremy?
"Jeremy, stai dando di matto?" gli domandò allora.
Lui le mise le mani sulle spalle.
"Non
sto dando di matto." disse, la voce grave e profonda. "Ma lo
farò se continui a fare domande come i bambini. Fai quello che
ti ho detto e basta."
"Perché?"
"Ti ho detto di non fare domande come i bambini!"
La
ragazza si ritrasse, testarda e decisamente avversa a eseguire quegli
ordini: "Scusa se non comprendo il tuo atteggiamento. Non capisco
perché mi dai questi ordini, ora."
"Pensavo
fosse abbastanza chiaro." le disse eloquentemente, accennando alla
strada dietro di loro, quella che avrebbe portato al cuore di Bourton.
Lei guardò verso quella direzione, poi di nuovo Jeremy: "Mi stai...ordinando di tornare a casa e raccontare tutto?"
"Cavoli, che genio."
"Cavoli, che pazzo. Non era questo il piano; chi ci ha inseguiti?"
Jeremy
incassò con un sorriso che sperava nascondesse il disappunto.
Eccola qui Taylor; troppo testarda e incosciente per decidere di
ascoltarlo senza fare domande. Troppo intelligente per sottostare a un
ordine senza saperne le motivazioni.
Lanciò
un'occhiata alla stada da dove arrivavano: Cordano non ci avrebbe messo
molto a trovarli. Altrettando, Jeremy avrebbe dovuto essere veloce
– e furbo – a convincere Taylor.
"Perché
guardi sempre indietro?" domandò intercettando la direzione del
suo sguardo. "Chi diavolo è? E quel Cordano? È venuto per
prendere me?"
Dirle
la verità? Sarebbe stato possibile, ma era anche sicuro, Jeremy,
che sapendola Taylor non l'avrebbe lasciato da solo.
Era
sicuro, come poche volte nella vita, che quella ragazzina sarebbe stata
così stupida da non volersene andare. Sarebbe rimasta con lui,
avrebbe cercato insensatamente di trovare una via diversa, avrebbe solo
dato a Cordano la possibilità di uccidere anche lei.
E questo Jeremy non l'avrebbe permesso.
"Vuoi
chiudere quella cazzo di bocca una buona volta?" esclamò lui.
"Perché semplicemente non taci e te ne vai, eh? Ti sto dando
quello che volevi dall'inizio, sei libera, vai!"
"Non
mi stai dando alcuna libertà, Jeremy!" ribatté lei,
rifiutandosi di seguire le istruzioni che continuava a darle.
Il
momento in cui avrebbero dovuto separarsi era arrivato all'improvviso e
decisamente non come lei se l'era aspettato, perciò si stava
trovando lì su due piedi con le sue contorte idee e una speranza
che sembrava di secondo in secondo più vana.
Sentiva che qualcosa non quadrava.
Jeremy
rise amaramente, come per prenderla in giro: "Ecco il tuo problema,
cara principessina, tu vuoi troppe cose e non sai godere di nulla. Non
hai fatto nient'altro che lamentarti per tutto il tempo: di tuo padre,
della tua famiglia, della tua sfortuna, del rapimento, di me, di Alex.
E adesso cambi di nuovo idea e fai i capricci. Non posso esaudire tutti
i tuoi desideri!"
Taylor
sentì la forza della rabbia bruciarle la gola e farle salire le
lacrime agli occhi: "Io non mai preteso che esaudissi i miei desideri.
Voglio solo sapere perché mi stai cacciando così e
perché mi nascondi la verità."
"Perché io a te non devo proprio niente, Lor. Nemmeno la verità."
Taylor accusò malamente il colpo e si ritrasse ancor di più: "E cosa credi di fare? Come pensi di cavartela?"
"Senza di te? Alla grande."
"Non doveva andare così."
"E
come, sua maestà?" Jeremy ghignò, cattivo, e la
guardò sfidandola con il suo gelo. "Ti aspettavi un romantico
bacio d'addio? Ti prego, smettila di fare la mocciosa piagnucolona e
vattene."
"No."
"Vattene, Taylor."
"No, Jeremy, non ti lascio da solo. C'è qualcosa che non va, non sono stupida."
Taylor non voleva demordere e il tempo stava scorrendo troppo veloce e inesorabile.
Jeremy
ancora una volta aveva immaginato di poter arrivare a questo punto e
ciò che stava per fare gli causava un dolore lancinante in mezzo
all'anima. Ma era l'unico modo.
Sapeva
che non avrebbe convinto Taylor, altrimenti. Sapeva che lei era troppo
buona e innamorata per non decidere in quel modo, per non decidere di
rinunciare a tutto per lui. Quanto l'amava, si disse. Quanto l'avrebbe
odiato, e lui l'avrebbe amata comunque e per sempre.
"Non
me ne frega un cazzo di quello che vuoi o non vuoi." le riversò
addosso con freddezza. "Le cose stanno così punto e basta. Tu
ora vai via e io penso ai fatti miei, com'è sempre stato e come
sarà per sempre."
"Non è vero!" ribatté lei, alzando il tono di voce. "Tu hai promesso che ti saresti fatto aiutare!"
Il ragazzo scosse la testa, gelido come il ghiaccio: "Era una bugia."
"Non era una bugia, Jeremy." agonizzò con la gola ostruita da un grosso nodo. "Me l'hai promesso."
"Sai
quante promesse ti avrei fatto pur di farti tacere?" rise. "Ma che cosa
credevi, Taylor? Che fossi così coglione da giocarmi la vita per
una mocciosa come te? Che mi fossi sul serio innamorato?"
Una
lacrima calda scivolò sulla guancia gelata della ragazza,
spargendo l'amarezza che avevano scatenato quelle parole aride come un
deserto.
"Hai detto e fatto molte cose per me."
"Oh,
ma certo. E ne avrei fatte finché avessi continuato a fare la
brava bambina. Oh, Taylor." rise di nuovo, così sprezzante e
impersonale che la ragazza non poté fare a meno di rabbrividire.
"Non mi sono mai capacitato di quanto fossi stupida."
"Non
posso credere che sia stato tutto una recita." disse volendo sembrare
convinta, ma aveva la voce incrinata. Dentro di lei qualcosa stava
crollando. Forse una certezza che si era costruita da sola?
"E
cosa ti rende così convinta del contrario?" fu la sua risposta.
"Non me ne è mai fregato nulla dei tuoi moralismi e dei discorsi
da ragazzina illusa. Sei una bambina e per me i bambini vanno
accontentati, oppure si mettono a piangere e attirano l'attenzione."
Il
singhiozzo di Taylor spezzò l'aria e il cemento si bagnò
delle sue lacrime che erano cadute come le sue ultime certezze. Sentiva
un dolore lancinante al cuore, una fitta che racchiudeva in sé
tutte le più negative sensazioni e di colpo le sembrava di
essere ritornata una bambina di qualche anno davanti al padre che
distruggeva tutte le cose belle a cui era abituata.
Il mondo quella volta le era caduto sulle spalle e sembrava che la storia si stesse ripetendo.
"Mi hai baciato, Jeremy..."
"Oh,
sì." ridacchiò lui. "E ti avrei anche scopato, se ne
avessi avuto l'occasione. Mi sembrava di avertelo già detto, no?
Per quanto tu possa essere insopportabile e poco carina, una donna
è pur sempre una donna."
Quella
frase uccise Taylor. Quasi si accasciò, sentendo che mai niente
al mondo avrebbe potuto chiudere l'enorme ferita che Jeremy, solo
aprendo la bocca, le aveva impartito.
Non
sembrava nemmeno dispiaciuto. Al contrario di ciò che era
accaduto nei giorni precedenti, non stava facendo nulla per impedirle
di piangere. Anzi, la stava guardando soffrire e rincarava
costantemente la dose, come se lo divertisse, come se non avesse
progettato nient'altro, per tutto quel tempo, se non ferirla in quel
modo.
"Pensavo
che fossi sincero, Jeremy. Pensavo che avessi deciso di non mentirmi da
quel giorno in cui mi hai raccontato di tua madre."
"Ti sbagli, ho solo imparato a farlo meglio."
Taylor
stava pensando che mai niente e nessuno l'avesse fatta sentire in quel
modo: voleva arrabbiarsi e urlargli addosso, ma la sua voce interiore
era soffocata dal dolore per essere stata umiliata e tradita. Non si
capacitava che la persona dolce e altruista che le aveva dimostrato
essere Jeremy fosse in realtà una maschera. Avrebbe dovuto
capirlo prima, forse, ma lui era stato un eccellente attore, tanto da
farla innamorare follemente del suo personaggio. Com'era stato
possibile? Com'era possibile?
Faceva così male da alimentare le lacrime e i singhiozzi, come il legno buttato sul fuoco.
Era
stordita, come quando da piccola guardava i fuochi d'artificio e ne
aveva allo stesso tempo il terrore. Si sentiva proprio così:
stava ammirando un meraviglioso fuoco d'artificio e non si spiegava
perché una cosa così bella potesse fare così tanta
paura con quel potente chiasso. Voleva che lui la smettesse al
più presto di sparare a raffica quelle frasi cattive, voleva
vedere i colori senza il frastuono, voleva che le fosse mostrato solo
quel lato romantico e sensibile che tanto amava, ma a quanto pareva si
era dissolto come le luci colorate che ritornano polvere.
"Adesso
vattene." pronunciò quelle parole stancamente, ma senza
distogliere le sue iridi turchesi dal volto della ragazza.
Lei
scosse la testa debolmente, tirando su con il naso: "Non puoi farmi
questo, Jeremy. Lo sai che mi sono innamorata di te...lo sai..."
"Innamorata?" incalzò lui, sprezzante. "Non siamo in un romanzetto rosa, Taylor. Cresci un po', ti prego."
"Non
lo stai dicendo sul serio. Dimmi che non lo stai dicendo sul serio..."
sembrava quasi lo stesse implorando, gli occhi serrati per trattenere
quel fiume di tristezza.
Jeremy
stava soffrendo come non mai nella sua vita. Gli sembrava di star
accoltellando una colomba: più vedeva le lacrime solcare il viso
di Taylor, come sangue scarlatto che sporca le piume immacolate,
più si sentiva un assassino, una persona orribile che stava
distruggendo la cosa più bella e pura.
Si
ripeteva continuamente che lo stava facendo per lei, ma sembrava non
funzionare. La amava, come avrebbe potuto sopportare un solo minuto in
più quella patetica recita in cui affermava tutto il contrario?
Decise che era arrivato il momento del tutto per tutto. Ormai non c'era uscita che per quella aberrante e imperdonabile strada.
Con immensa fatica, infilò la mano nella tasca interna della giacca e prese un profondo respiro.
"Ti prego, Jeremy." tremò la ragazza. "Ti prego."
E
non sapeva per cosa lo stesse pregando, ormai, ma ammutolì non
appena vide l'oggetto che lui aveva estratto e che le stava puntando
contro.
Indietreggiò fissandolo con gli occhi ancora colmi di lacrime: "Non...non..."
Lo
guardò smarrita e piena di paura. Fu come se da quel gesto in
poi il suo cervello avesse smesso di funzionare e in lei fosse rimasto
solo il primordiale sentimento del terrore.
La mano di Jeremy tremava stretta alla pistola, pallida e gelata.
Anche
lui aveva una fottuta paura, mille volte più grande di quella di
Taylor. Le puntava l'arma addosso, consapevole che lei ne fosse
terrorizzata e si faceva schifo e avrebbe preferito morire che essere
protagonista di quella scena. Ma l'avrebbe fatto per salvarla.
L'avrebbe fatto per lei.
"Tu...tu
non lo faresti mai....Jeremy?" la voce le uscì flebile e
tremante, mentre il suo petto si alzava e abbassava velocemente e
indietreggiava sul nevischio, come un animale in fuga dall'umano
malintenzionato.
Ma
Taylor non voleva scappare. Si sentiva morire, eppure preferiva
rimanere. Voleva sapere se veramente Jeremy sarebbe stato capace di
tanto. Se non gli fosse importato di lei a tal punto da premere il
grilletto.
Lo
guardò negli occhi, quei meravigliosi ritagli di cielo che
l'avevano affascinata dal primo momento, e rivide tutti quei sorrisi e
quei pianti che avevano condiviso, insieme.
Si
rivide litigare con lui il giorno in cui, svegliandosi di soprassalto,
gli aveva dato una testata e lo aveva fatto sanguinare, si rivide
trattenersi dalle risate mentre lui tentava di approcciarsi alla
religione con scarso successo, si rivide sorridere affettuosamente
all'immagine di due candele accese, particolarmente significative.
Quella
notte in cui aveva condiviso le lacrime amare di quel ragazzo e a sua
volta si era commossa per la sua difficile infanzia, quel mattino in
cui lo aveva assillato fingendo di essere logorroica e quel pomeriggio
in cui aveva assaporato le sue labbra e la sua insolita dolcezza.
In
quegli occhi leggeva se stessa, ma non la solita se stessa, piuttosto
quella che aveva scoperto un mondo, quella che aveva imparato a
guardare entrambe le facce di una medaglia, quella che aveva messo da
parte l'orgoglio e che si era messa in un mare di guai solo
perché farlo con Jeremy l'aveva fatta sentire bene.
Quegli
occhi rubati al cielo si lasciarono sfuggire una lacrima e subito dopo,
nell'aria gelida di Bourton, si udì uno sparo.
Un
proiettile colpì un punto del terrenp non molto distante dalla
ragazza, facendole perdere l'equilibrio e facendola cadere a terra per
lo spavento.
Il
braccio di Jeremy rimase rigido nella sua direzione, come era stato un
tempo per difenderla, mentre lei si alzava scivolando sulla neve e
ansimando tra le lacrime. I suoi occhi erano allucinati e terrorizzati
come quelli di un coniglio davanti al cacciatore.
Gli rivolse un'ultima occhiata carica di dolore e poi corse via.
Scivolò
di nuovo e si rialzò in fretta, perché quel suono duro e
metallico non avrebbe smesso per molto tempo di riecheggiare nella sua
mente.
Solo
quando fu completamente sparita da quello spiazzo, Jeremy lasciò
cadere la pistola e si accasciò a terra, tremante.
Ce
l'aveva fatta. Taylor non era più a rischio. Aveva seriamente
temuto di non riuscirci, ma ora era sicuro che non sarebbe più
tornata indietro. Si era spinto così in là che non
sarebbe tornata mai indietro. Ma era certo che, se le cose fossero
andate diversamente, lei sarebbe rimasta. Le avrebbero fatto del male e
piuttosto che ciò succedesse, aveva preferito essere lui a farle
del male. Aveva preferito il suo odio alla sua morte.
Però ora Jeremy era vuoto. Jeremy non era più nessuno.
Gli
sembrava di stare sulla punta di una montagna, la valle da una parte,
una ripida parete rocciosa dall'altra: aveva appena spinto Taylor
giù per la valle e aveva usato così tanta forza che ora
per il contraccolpo stava precipitando per la parete rocciosa. Ne era
consapevole, ma non pensava potesse fare così male.
Gli
aveva detto che si era innamorata di lui. Non che non se lo fosse
aspettato, ma sentirselo dire chiaro e tondo era stata una coltellata
in pieno petto, perché sapeva che cosa si provasse. Lui sentiva
le stesse cose di cui parlava Taylor e di conseguenza poteva benissimo
immaginare quanto le sue parole cattive l'avessero ferita.
Sperare
che in un futuro si sarebbe innamorata di qualcun altro? No, non ci
riusciva. Non ci riusciva perché sapeva che non avrebbe mai
trovato nessuno migliore di lui nel proteggerla, ma sopratutto
nell'amarla.
Amore, sì...davvero uno schifo.
Esalò
un sospiro, di quelli a cui generalmente seguono un mare di lacrime, ma
di lacrime Jeremy non ebbe il tempo di versarne.
"Parker!"
Lo
sapeva. Era lì per aspettare quel momento e nonostante stesse
per diventare il peggiore della sua intera e breve vita, era
immensamente felice di non doverlo condividere con Taylor.
Che
smielosamente altruista che sei, Jeremy, si disse, e in quel momento
ebbe la percezione di quanto profondamente fosse stato cambiato.
Un'auto
frenò di scatto a pochi metri dallo spiazzo, sollevando un sacco
di neve che sembrava messa lì apposta, per attutire la scena. Il
rumore dei freni non fu niente in confronto a quello della portiera che
sbatté violentemente, ma Jeremy non si mosse.
Rimase
immobile, a guardare con occhi vitrei quello che gli succedeva attorno.
Neanche volendo avrebbe potuto tentare qualcosa: Cordano gli teneva la
pistola ben puntata contro. E Cordano aveva un'ottima mira, dopotutto.
"Bastardo...sei un bastardo!" gridò l'uomo, furioso. "L'hai fatta scappare!"
Jeremy sorrise: "E fidati, non è stato facile."
"Sei
un gran pezzo di merda!" l'uomo rise, pazzo e sprezzante: "Dovresti
davvero vederti, Parker, sei diventato così debole che mi fai
quasi pena. Guardati! Sei ridotto come un cane, sei piegato a
metà! Che cazzo ti ha fatto quella sgualdrina? È questo
quello per cui l'hai ritenuta così importante? È per
questo che stai accettando di morire?"
"Cordano, tu non capirai mai un cazzo."
"Quindi
era questo che volevi sin dall'inizio. Salvare quell'insulsa ragazzina,
perché ti sei innamorato. Beh, complimenti, ce l'hai fatta: lei
vivrà la sua vita innamorandosi di qualcun altro e costruendo la
famiglia che tu non hai mai avuto, mentre tu morirai ventenne in mezzo
a un mucchio di neve. Furbo, non c'è che dire."
Il ragazzo strizzò gli occhi per mandare giù il colpo: "Ho accettato il compromesso."
"Fammi
indovinare." incalzò Cordano giocherellando con quell'odioso
arnese. "La sindrome di Stoccolma ha contagiato anche te?"
"Sindrome
di Stoccolma...?" nonostante non avesse la minima voglia di farsi
prendere in giro da quella carogna, Jeremy voleva sapere di quali
diavolerie stesse blaterando.
"È
semplice, Parker: due persone costrette alla convivenza forzata, in
genere rapitore e vittima, che sviluppano una sorta di...sentimento?
Una cosa malata, totalmente irrazionale e priva di qualsiasi senso.
Specialmente nel momento in cui lei si fa fottere dal poliziotto che la
salva e lui muore." si divertiva davvero, perché aveva trovato
in Jeremy un punto ancora più debole della paura di morire. Lo
stesso che, colpito, aveva trasformato il Jeremy indifferente ed
egoista con cui era venuto a conoscenza diversi mesi prima. Quel punto
si chiamava Taylor Heavens.
Ma
Jeremy realizzò subito le intenzioni di Cordano e gli
lanciò un'occhiata truce: "Non c'è nessuna sindrome,
Cordano, solo la tua sudicia e maledetta presenza nella mia vita.
Smettila con i tuoi giochetti e fai quello che devi fare."
Cordano
rise di nuovo, di un riso amaro e crudo: "Lascia che ti illustri la
cosa, piccolo Romeo dei bassi fondi. Avresti potuto intascare poco meno
di un milione di sterline, risolvere tutti i tuoi casini da orfano
dimenticato dal mondo e andartene da questo posto a cui sei incatenato
da quando quella bestia di tuo padre ha ucciso tua madre."
"Non-"
"Lasciami
finire, Parker!" l'uomo era a dir poco furioso. Furioso per i guai che
Jeremy gli aveva fatto passare dal giorno in cui aveva fatto irruzione
in casa sua, furioso per tutti quelli che sarebbero arrivati da
lì a poche ore, se non minuti.
"Quando
ci siamo conosciuti, la tua misera vita ti ha dato l'occasione di
riscattarti dalla merda che David Parker ti aveva gettato addosso e tu
cos'hai fatto? L'hai bruciata, l'hai mandata a puttane per un'insulsa
bambinetta viziata. Perché, Jeremy? Perché ti sei
innamorato." ripeté.
"Me
l'ha insegnato mia madre!" esclamò Jeremy, la gola annodata. "Me
l'ha insegnato mia madre ad amare, prima che quella bestia di mio padre
la uccidesse!"
"Oh,
ma amare è un'altra cosa, mio caro Parker." ghignò lui.
"Infatti a quanto pare tua madre non è mai stata ferrata
sull'argomento e ha insegnato pure a te come si fa a farsi prendere per
il culo dagli stronzi."
Jeremy si avventò su di lui, sopraffatto dalla rabbia.
Si
scagliò con tutta la forza che gli era rimasta, ma l'uomo era
preparato e lo bloccò facilmente con un potente calcio
all'altezza dello stomaco. Il ragazzo cadde a terra piegandosi in due e
sputando sangue.
Fece fatica a riprendere fiato, ma riuscì comunque a rispondergli: "Non...parlare così...di lei."
"Di chi? Di Taylor o di tua madre?" Cordano rise amaramente."Dio, Parker, tutto questo è davvero incomprensibile."
Jeremy
fece cadere un'altra lacrima, di dolore e di frustrazione: "Non
preoccuparti. Magari lo comprenderai durante il lungo periodo di tempo
che avrai per meditare dietro le sbarre."
Il
mafioso lo raggiunse con una falcata e, afferrato saldamente il
colletto della sua felpa, lo fece ritornare in piedi, puntandogli la
pistola dritta dritta sul ventre.
La felpa di Jeremy si era sollevata e il contatto tra il ferro gelido e la sua pelle nuda lo fece rabbrividire.
In
quel preciso momento, la sua mente ripercorse a ritroso quei giorni in
cui tutto era cambiato. Vedeva un ragazzo coperto da una sciarpa
bianca, la stessa che ora penzolava sul suo petto, slegata. Il suo naso
era coperto di sangue perché era stato picchiato e Cordano gli
puntava la pistola sotto il mento. Quel giorno aveva firmato la sua
condanna, ma potendo, sarebbe tornato indietro? Non sapeva rispondersi.
C'era qualcosa che non avrebbe mai potuto perdersi, nonostante stesse
per perdere tutto.
"Va bene, Parker. Le tue ultime parole."
Quel
giorno, quel ragazzo aveva affermato che tenere a bada una ragazzina
sarebbe stato l'ultimo dei suoi problemi. Quando si dice 'le ultime
parole famose'.
"Vaffanculo, Cordano." rispose, flebile come la fiamma della sua stessa vita, che si stava per spegnere. "E buon Natale."
Quel
giorno quel ragazzo aveva detto a Cordano che sperava di morire dopo di
lui, perché la sua vita valeva molto di più e avrebbe
fatto qualsiasi cosa pur di riuscirci. Il possibile l'aveva fatto, ma
aveva trovato una vita che valeva ancora di più della propria.
"Nonostante tutti i tuoi inutili sforzi, morirai da solo, Parker. Buon Natale."
Quel giorno quel ragazzo aveva pensato che nessuno si sarebbe mai frapposto tra lui e il proiettile.
E aveva ragione.
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Il
rumore insopportabile dello sparo tormentava le orecchie e la mente di
Taylor da diversi minuti, ma era quasi sicura di averne appena sentito
un altro dal luogo da cui era scappata.
Si asciugò gli occhi con il palmo delle mani, tremante, e alzò lo sguardo sulla vietta innevata.
Non
ce l'aveva fatta ad arrivare fino alla stazione, si era fermata prima,
si era raggomitolata su una panchina di legno sotto un albero spoglio e
aveva pianto tutta la delusione e il dolore che l'avevano sopraffatta.
Come aveva fatto all'inizio di quella stupida avventura. Se avesse
potuto, sarebbe tornata indietro e avrebbe cambiato molte cose.
Non
aveva ancora smesso di sfogare tutte le sue lacrime, ma quell'odioso
rumore, impossibile per lei non udirlo, aveva fatto scattare un
campanello d'allarme.
Proveniva indubbiamente dallo spiazzo abbandonato, ma quale poteva essere la sua causa, se Jeremy era rimasto solo?
Jeremy...un
singhiozzo risuonò nell'aria. Se lui fosse stato lì, lei
non lo sapeva, non avrebbe sopportato la sensazione che gli provocava
il suo pianto. Se lui non le avesse detto un mare di bugie, lei non si
sarebbe messa a piangere. Si era immaginata, era stata così
presuntuosa da immaginarsi, di poter cambiare quel ragazzo.
Cosa
le aveva fatto credere di riuscire ad attenuare l'egoismo, l'orgoglio,
la strafottenza, il menefreghismo? La risposta era facile: lui
gliel'aveva fatto credere. L'aveva baciata, si era preso cura di lei in
una maniera così dolce che non cascarci con tutte le scarpe
sarebbe stato impossibile.
E
continuava a non capire come avesse fatto a recitare così bene.
Perché a lei quei baci e quelle cure erano sembrati veri. Troppo
veri per non esserlo.
Chi
aveva sparato? Il suo cuore cominciava ad agitarsi. Magari era stato
lui stesso per accertarsi che non fosse tornata indietro...magari no.
Non
era pronta all'azione, lei era sempre rimasta a guardare gli altri che
agivano davanti ai suoi occhi. Spesso era impotente, quindi era
abituata a lasciar correre ed essere vittima, come era accaduto con suo
padre e con sua sorella e ora con Jeremy. Forse sarebbe stato meglio se
fosse rimasta lì a soffrire in silenzio e avesse fatto finta di
niente.
Ma se Jeremy si fosse trovato in pericolo?
Dalle
sue parole, lui non aveva bisogno di lei, quindi poteva benissimo
smetterla di arrovellarsi tanto per una persona del genere. Peccato che
si fosse innamorata di una persona del genere, anzi, esattamente di
quella.
Quando
si è innamorati, innamorati davvero, si tende a respingere le
proprie obiezioni di coscienza per il bene dell'altro.
Fu
forse per questo che Taylor, contro quello che le imponeva il cervello,
si alzò e a passi incerti ripercorse la stradina in pendenza che
conduceva alla piazzola. Più ci si avvicinava, osservando
intimorita i dintorni deserti, più sentiva chiaramente dei
rumori...qualcuno che apriva la portiera di un'auto, la chiudeva e il
motore che partiva. Sperava che fosse Jeremy che se ne stava andando.
Sperava di non trovare nessuno, lì.
Sbucò
nello spiazzo nell'esatto momento in cui l'auto partì sgommando
in retromarcia. La seguì con gli occhi per un istante, per poi
abbassare lo sguardo e sentire il suo cuore perdere un battito.
A terra, non lontano dal piccolo alberello di Natale, giaceva inerme il corpo di Jeremy, supino e con una mano sul ventre.
La
mano pallida contrastava il rosso vibrante che si era espanso sul suo
petto e sulla neve attorno a lui. Generalmente Taylor si sarebbe
pietrificata sul posto, completamente congelata, ma senza dare retta
alla sua stupida paura, si precipitò verso di lui sentendosi
ancora più stupida per averlo abbandonato.
Si
accovacciò accanto l suo corpo immobile e si sforzò con
tutta la volontà che aveva di non lasciarsi prendere dal
terrore: "Je-Jeremy. Oh mio Dio. Jeremy!"
Il
ragazzo mosse di poco la testa e schiuse gli occhi come se le sue
palpebre pesassero un quintale. Ci mise qualche secondo a mettere a
fuoco il volto, mentre il vero fuoco si diramava dal suo fianco per
tutto il corpo, raggiungendo ogni estremità in un tripudio di
dolore.
"Lor."
Gli uscì come un soffio di sorpresa, mentre gli occhi della ragazza si riempivano di lacrime.
"Sei uno stronzo." fu tutto ciò che riuscì a dirgli. "Sei un grandissimo stronzo, Jeremy."
Il
ragazzo raccolse le forze per farle un sorriso, ma ne uscì solo
una smorfia sofferente: "Sempre delicata come una rosa, principessa..."
Lei
si strofinò gli occhi offuscati dal pianto, presa dal panico e
dal rifiuto per ciò che aveva davanti. Poi, prendendo un grosso
respiro, cercò di soppesare il danno, constatando che la pozza
di sangue si era ingrandita e le mani di Jeremy erano più fredde
della neve su cui era disteso.
Respirava
sempre più lentamente ed emetteva gemiti sofferenti, muovendo il
bacino spasmodicamente per assecondare il dolore.
Doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa, anche se aveva una dannatissima paura e quasi non riusciva a muoversi.
"Non
dovevo lasciarti da solo." parlò tra le lacrime, mentre lui
tremava per il freddo e la debolezza sempre più opprimenti. "Non
avrei dovuto crederti, Jeremy. Perché finisco sempre per darti
retta, eh? Perché ti ascolto? Se fossi rimasta con te, avrei
potuto fare qualcosa...qualsiasi cosa."
"Sì...con la tua stazza imponente...e la tua forza bruta..." anche in quelle condizioni riusciva a prenderla in giro.
Lei
si fece forza e gli sfilò la sciarpa bianca dal collo. Con le
mani tremanti, alzò il lembo della sua giacca, trovando
malamente ripiegato il suo disegno, il regalo di Natale che aveva fatto
per il ragazzo. Ormai era completamente macchiato di sangue,
perciò lo lasciò cadere sulla neve e con tutta la
delicatezza possibile per il suo stato di ipertensione, sollevò
la felpa e affrontò la ferita direttamente.
Avrebbe
vomitato anima e corpo seduta stante, se solo il rifiuto di vedere
Jeremy in quello stato non fosse stato più forte di qualsiasi
altra emozione o sensazione. Con estrema cautela gli legò la
sciarpa attorno alla vita, in modo che fungesse da improvvisata benda.
"Che cosa fai?" chiese flebilmente lui. "È la sciarpa di mia mamma."
"È il modo più utile in cui tu l'abbia utilizzata finora."
"Lascia
perdere, Taylor..." la esortò, quasi dolcemente, come se stesse
riprendendo un bambino impegnato in qualcosa di inutile e stupido.
Lei
scosse il capo, testarda, e tirando su con il naso continuò a
concentrarsi sul suo lavoro. Ma le mani tremavano sempre di più
e le lacrime scendevano sul viso, scivolando via
lentamente...esattamente come stava facendo la vita di Jeremy sotto i
suoi occhi.
"Beh, almeno non è vero." tossicchiò lui, tentando un altro debole sorriso.
"Non è vero cosa?"
"Che morirò da solo."
La ragazza si bloccò: "Che-che cosa dici, Jeremy?" balbettò, lo sguardo basso. "Tu non...non morirai."
"E poi dici che sono io quello che dice le bugie...sei proprio una mocciosa, Lor."
"Devo
solo...ho solo bisogno di un cellulare..." mormorò la ragazza
tra le lacrime, tastando la giacca di Jeremy. "Dove...dove cavolo...?"
"Smettila."
con uno sforzo immenso, la sua mano gelida si posò su quella di
Taylor, sporca di sangue e intenta a perlustrare spasmodicamente una
tasca.
Lei
nascose il viso dietro il braccio, un patetico tentativo di non farsi
vedere mentre frignava. Si sentiva così inutile!
"Taylor, guardami." la implorò Jeremy. "Per favore..."
Finalmente
incrociò i suoi occhi. I suoi occhi che stavano quasi per
chiudersi, di cui scorgeva l'azzurro intenso, quello che non era mai
cambiato, che non si era mai affievolito e che le sembrava ingiusto
dover perdere così, per una stupida vendetta. Lei amava
quell'azzurro. Non era giusto.
"Promettimi
che comunque vada, cercherai di riconciliarti con tuo padre." era una
richiesta formulata debolmente, ma lui ci credeva nell'amore di quel
singolare uomo per Taylor. Sapeva che l'amava, riconosceva in lui i
suoi stessi sintomi.
Taylor annuì nei singhiozzi.
"Promettimi che...se non potrò farlo io...farai in modo che Alex...non combini cazzate..."
Le scappò un sorriso tra le lacrime: "L'impegno ce lo metto, Jeremy."
"Promettimi che...imparerai a pattinare."
"Ok. Lo prometto." sospirò, incapace di aggiungere altro.
Silenziosamente,
allungò la mano per stringere quella di Jeremy, odiando tutto e
tutti quelli che si erano messi tra di loro, contro di loro.
Lui
era sempre stato quello forte, quello determinato. Anche se faceva
qualcosa contro la sua volontà, eseguiva tutto perfettamente.
Dei tre era sempre stato l'unico a sapere a cosa andasse incontro, ma
non l'aveva mai detto.
Aveva
affrontato i suoi problemi con il coraggio di un leone che protegge gli
animali più deboli e ora che il leone era stato colpito da un
proiettile, gli animali più deboli non potevano fare altro che
stare a guardare e sentirsi impotenti. Avrebbe voluto essere al suo
posto e non capiva perché Dio stesse facendo questo proprio a
lui. Non aveva già sofferto abbastanza?
"Stai pensando...al tuo Dio...vero?"
"Sì." rispose lei. "Sì, lui...non doveva farti questo."
"No, Lor." la contraddisse. "La mia preghiera ha funzionato."
Gli lanciò uno sguardo sconvolto e interrogativo.
"Quel
giorno, a Stroud." disse. "Avevo chiesto...che..." respirava a fatica,
i polmoni che lo stavano abbandonando, stanchi. "Che andasse tutto
bene..."
"Oh, bel modo di fare andare tutto bene! Niente è andato bene, Jeremy! Guarda!"
"Non è vero." Jeremy tossì, stringendo forte la mano di Taylor. "Mi sono innamorato anch'io, Lor."
Il
rumore di una brusca frenata a pochi metri da loro spezzò la
catena di sguardi, ma chiunque fosse, arrivò troppo tardi. In
quel momento Jeremy chiuse gli occhi, esausto, e mollò la presa
sulla mano di Taylor.
"Taylor!" Allyson corse incontro all'amica, gettandosi con le ginocchia sulla neve e abbracciandola forte.
La
ragazza rispose all'abbraccio come fosse un automa, rimanendo in
silenzio perché non aveva nemmeno la forza di pensare.
Svenne
poco dopo, oppressa da quel sovraccarico di eventi ed emozioni,
ricordandosi solo la voce di Alex che chiamava un'ambulanza e quella di
Richard che dopo aver discusso con la sorella, aveva deciso di
inseguire Cordano finché non l'avesse raggiunto e fatto
arrestare.
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Il
titolo, "Salvarti per salvarmi", mi sembra alquanto emblematico. Per
questo non vi rompo troppo le ballotte e vi lascio subito al prossimo
capitolo.
PUBBLICITA':
Se vi va, passate a leggere le altre mie due storie Io
e te è grammaticalmente scorretto ,
e Io e te è grammaticalmente scorretto 2, di cui, per quanto riguarda la prima, uscirà il libro a marzo 2017!
Se
poi vorrete unirvi al gruppo in cui si sta assieme, si parla di tutto e
si condividono momenti bellissimi, vi basterà iscrivervi e io
approverò la vostra iscrizione a Grammaticalmente
Scorretti
Oppure potete chiedermi l'amicizia su Facebook come Daffy Efp :)
|
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Capitolo 13 *** All Kinds of Love ***
All I want - 13.2
ALL
I
WANT
FOR
CHRISTMAS
IS...
********All Kinds of Love********
"Sei sicura di volerlo fare?"
"Sì,
mamma." ripeté Taylor per l'ennesima volta, mentre si sistemava
la coda di cavallo con l'impressione di sembrare in disordine.
Prese un profondo respiro e appoggiò la mano sulla maniglia della portiera, ma venne bloccata dalla donna.
"Tay, aspetta!" Amanda strinse il suo braccio per trattenerla.
L'ultima
volta che si era allontanata, non l'aveva più rivista per venti
giorni: quel pensiero la spaventò. Sembrava fosse stata lontana
per una vita e ora, dopo solo un giorno dal suo ritorno, doveva
separarsene di nuovo.
"Che c'è?"
La donna la guardò negli occhi, uguali ai suoi, scuri e profondi.
"Sono
davvero felice che tu stia bene." le disse, il tono tremante di chi ne
aveva passate tante e aveva paura di ammettere che finalmente fosse
tutto finito.
Taylor
sorrise, ripensando a quanto aveva sofferto la mancanza della la madre.
Aveva avuto paura di non poterla più rivedere o abbracciare,
aveva avuto paura che lei sarebbe rimasta sola. E ora non doveva
più averne, poteva guardarla e stare tranquilla, perché
erano lì, insieme. E a casa, finalmente.
"Avevi
dubbi?" le ripose sorridendo allegramente, poi le lasciò un
veloce bacio sulla guancia e scese dalla macchina. Sua mamma era sempre
stata forte per lei, ora era tempo di ricambiare il favore.
Amanda
abbassò il finestrino facendo entrare l'aria pungente di fine
dicembre: "Mi raccomando, Tay." la redarguì. "Per qualsiasi
problema non esitare a chiamarmi, anzi, se preferisci che io resti qui
fuori con l'auto..."
"Mamma."
la interruppe dolcemente la ragazza. "È solo una cena di Natale,
la cosa peggiore che possa capitarmi è che il tacchino sia poco
cotto."
Amanda
le lanciò un'occhiata in tralice, non così amichevole
come ci si potrebbe aspettare: "Davvero spiritosa. Torno all'ospedale,
allora, ti chiamo se ho notizie. Va bene?"
"Grazie, mamma."
"E, Tay?"
"Mh?"
"Credo che tu abbia fatto bene ad accettare, solo...non essere troppo acida, eh."
"Mamma!" ridacchiò lei, quasi divertita da tutte quelle raccomandazioni. "Sono in missione di pace!"
La
donna alzò le sopracciglia: non si capacitava ancora di come in
poco più di ventiquattr'ore dal ritrovamento di sua figlia
avesse scoperto così tanti cambiamenti in lei. E non erano
proprio cambiamenti di poco conto.
"Stai attenta, ok? Ti ricordo che dovresti stare ancora a riposo, secondo i medici."
"Non
riposerò finché i medici non mi daranno qualche buona
notizia." fu la risposta della ragazza, ricca di emozioni che Amanda
riusciva benissimo a immaginare.
Abbassò
lo sguardo, tanto dubbiosa quanto preoccupata per sua figlia e tutto
ciò che in quel momento le stava tanto a cuore: "Tu cerca di
distrarti, mh? Ti voglio bene, ci vediamo più tardi."
La
ragazza annuì e salutò con la mano sua madre, mentre
partiva per lasciarla sola davanti a villa Heavens. C'era un freddo
penetrante e ghiaccio sui marciapiedi, ma le strade erano lo stesso
molto popolate. Specialmente da chi stava andando a riunirsi per
l'irrinunciabile cenone natalizio.
D'altra
parte, era il 25 dicembre e l'atmosfera non poteva essere più
adatta. Non per tutti, naturalmente, ma nessuno dei passanti pensava a
cose brutte, quella sera. D'altronde la loro vita negli ultimi quindici
giorni si era svolta regolarmente: pacchetti, addobbi, alberi, messe,
canti...
Si
voltò e si trovò faccia a faccia con la visione della
sontuosa residenza Heavens, elegante e altera nella zona elitaria della
piccola Bourton. Aveva sempre guardato con meraviglia le fattezze di
quel quartiere: le sue abitazioni grandi e curate, i suoi viali
spaziosi e alberati, i parchi e le zone boschive che trasmettevano pace
e tranquillità.
Molta all'apparenza, ma aveva appreso che effettivamente l'apparenza inganna.
Si
fece coraggio e, stringendosi nel cappotto per conservare quel poco
calore che era riuscita a recuperare, si avviò verso la porta.
L'ultima volta che era stata lì era stato l'inizio del caos,
perciò faceva un certo effetto tornarci di nuovo.
Da
una parte quasi desiderava che quell'esperienza si potesse ripetere,
dall'altra voleva fortemente che non fosse mai successo nulla. Una
serie di desideri e rimpianti si intrecciavano ai suoi ricordi,
rendendoli ancora più vividi, ma non era tempo di mettersi a
pensare, quello.
Era
da più di ventiquattr'ore che continuava incessantemente a
torturarsi; adesso, però, doveva assolutamente portare a termine
quella missione con nervi saldi e tempra forte. Gliel'aveva chiesto
Jeremy.
Non
fece nemmeno in tempo a suonare che l'entrata si spalancò
all'improvviso, rivelando una Tessy meravigliosa nel suo vestito rosso,
impeccabile e vibrante.
Taylor s'irrigidì. Pensava di essere pronta per quel momento, ma scoprì che non lo era affatto. Ottimo inizio.
Cos'era? Nervi saldi e tempra forte?
Ma
la vera sorpresa fu Tessy, che al contrario di lei, sembrava essere ben
determinata nell'accoglierla con un abbraccio. Che doveva fare? Era
indecisa tra voltarsi e scappare prima che riuscisse a prenderla o
urlare come se non ci fosse un domani. Forse era meglio la prima.
Invece,
prima che riuscisse a fare qualsiasi cosa, venne avvolta in un forte
profumo di sandalo e vaniglia e contemporaneamente stretta da un corpo
tanto esile quanto caldo. Era strano quel contatto, pensò.
Forse
era l'abitudine a un altro tipo di abbraccio; più forte,
più protettivo, forse era la non abitudine al corpo di Tessy,
che non conosceva, che aveva sempre rifiutato di conoscere. Le piaceva,
tutto sommato; sapeva di casa, sapeva di normalità.
Appena
la sorellastra si staccò da lei, la guardò con un sorriso
imbarazzato: "Perdonami, ehm...non so quanto tu avessi voglia di un
abbraccio da parte mia, è solo che...sono davvero felice che tu
ce l'abbia fatta, Taylor." sembrava sincera e la sua espressione
comunicava sollievo e gioia. "Ti sembrerà strano detto da me,
però...in tutto questo tempo ho avuto davvero paura e ti voglio
chiedere scusa. Scusami, Taylor, per le tante volte in cui avrei dovuto
essere matura e invece ho continuato a fare la stronza."
Questo
sì che era essere precipitosi, ma Taylor, commossa da quelle
inaspettate parole, si lasciò andare in un sorriso e si
schiarì la voce: "Tutt'altro rispetto ai commentini su quanto
sia grassa."
Anche
Tessy sorrise, stavolta più rilassata nel vedere che Taylor non
sembrava poi così arrabbiata con lei: "Sappi che non lo pensavo."
"Che
bugiarda" ridacchiò Taylor. "Metà della colpa è
senza dubbio mia." ammise con fatica e tornando seria. "Credo che
Allyson avesse ragione: noi due non abbiamo mai voluto conoscerci
veramente, io per prima. Mi dispiace." le costava davvero tanto dirlo
ad alta voce, però aveva capito, negli ultimi giorni, che farsi
condizionare dal rancore e dalla vendetta per gli screzi passati non
portava mai a nulla di buono. Glielo aveva sempre detto la sua migliore
amica e lei non le aveva mai dato ascolto, ora però sapeva che
non si sbagliava.
"Senti,
facciamo che da oggi si ricomincia e come proposito per l'anno nuovo
cercheremo di accontentare la povera Allyson." sorrise Tessy, animata
dal desiderio di ricominciare tutto da capo e rimediare alle mancanze.
"Niente più ostilità."
"Nei limiti del possibile. Ho mille commentini alle spalle da smaltire."
"Naturalmente. Anch'io ho la mia parte di fastidio da tenere a bada."
"Affare fatto."
Le ragazze si sorrisero e si strinsero la mano, forse per la prima volta in tutta la loro vita.
Dalla
porta si faceva strada un profumino davvero invitante, così non
esitarono a entrare in casa e farsi avvolgere dall'atmosfera natalizia,
con tanto di caminetto strepitante, luci dorate, candele accese e un
tavolo perfettamente imbandito per quattro persone.
Taylor
sorrise, euforica per la prima volta dopo ore di pianto incessante.
Tutto quel calore, quella sensazione di familiarità, di
pace...le mancavano proprio e le servivano. Ne aveva davvero bisogno,
in quel momento.
"Oh,
Taylor, benvenuta!" esclamò una donna vestita di tutto punto,
dalle forme sinuose e prosperose e dal sorriso raffinato.
Appoggiò il vassoio di tartine sul tavolo e la baciò sulle guance: "Sei fredda, tesoro, vuoi una coperta?"
"No no, si sta bene qui. Grazie per il benvenuto e buon Natale." le sorrise.
Era
una bellissima donna, Martha Gellerd. Aveva i capelli rossi e la pelle
chiara, giovane, per quanto l'età lo permettesse. Chissà
se Amanda ne era mai stata invidiosa, si chiese, e poi si
meravigliò di quanto poco, in realtà, conoscesse la
seconda famiglia di suo padre. Ma era lì per rimediare, giusto?
"Mamma,
per favore, non viene dalla Lapponia." la liquidò Tessy. "Va' a
chiamare i Robins, devi ricordare loro che quest'anno non li riceveremo
prima delle dieci."
"Giusto, hai ragione. Speriamo che Judith non sia curiosa come al solito." cinguettò lei tornando in cucina.
Tessy
rivolse uno sguardo di scuse a Taylor e si sedette sulla poltrona:
"Mamma ha invitato mezza Bourton dopo cena per la tombola di Natale."
"Potevate avere i vostri ospiti anche a cena." ribatté lei. "Non volevo essere d'intralcio."
Tessy
alzò le sopracciglia: "Quel branco di zitelle in crisi di mezza
età? Credimi, loro sarebbero state d'intralcio a noi. E poi non
voglio nessuno; questa dev'essere una cena di famiglia e la famiglia
siamo noi. Mi spiace che Amanda non sia qui, a proposito."
Taylor
pensò a sua madre che ora doveva essere già arrivata
all'ospedale di Bourton. L'avrebbe chiamata se avesse avuto notizie,
l'aveva detto lei. Non doveva rimuginarci troppo.
E
poi Tessy aveva appena detto qualcosa di assolutamente inaspettato: la
famiglia siamo noi. Taylor non si era mai sentita famiglia...ed era
sicura che Tessy non la volesse nella sua. Forse in fondo aveva
più pregiudizi di quanto pensasse.
"Sono
stata io a chiederle di rimanere a casa." spiegò allora. "Avevo
bisogno di stare sola con voi. Questo non significa che non sarebbe
stata felice di essere presente." aggiunse con un sorriso.
Pensò
all'opera di convinzione che aveva dovuto fare per guadagnare la
fiducia di Amanda, quando le aveva proposto di andare completamente
sola. Amanda era molto scettica sulla stabilità fisica e
sentimentale della figlia. Tuttavia, nei giorni della sua assenza,
aveva ricominciato a tessere buoni rapporti con persone che prima
credeva di non poter nemmeno avvicinare. Ora toccava a Taylor e capiva
che non volesse alcuna interferenza, per quanto d'aiuto potesse esserle.
Tessy stava per ribattere quando il campanello suonò.
La
ragazza roteò gli occhi: "Lo sapevo, quegli zotici dei Robins
non riescono a stare lontani dai pettegolezzi. Perdonami un secondo."
si alzò e si avviò a passo sostenuto verso la porta,
pronta a spiegare chiaro e tondo a quelle persone che avrebbero dovuto
farsi una vita invece di bazzicare sempre dove c'era del gossip.
Ma alla porta non trovò esattamente chi si aspettava.
Un
ragazzo della sua età, biondo e di bell'aspetto, la stava
guardando con il naso congelato, mentre soffiava all'interno delle mani
congiunte per farsi un po' di caldo.
"Ehi."
Tessy
lo guardò con fare titubante. Era un'apparizione oppure era
lì veramente? Quanto tempo era passato da quanto si erano
rivolti la parola per l'ultima volta?
"Tu..." pareva confusa e spiazzata nel vederlo lì davanti.
"Mi si iberna il cervello qui fuori...posso entrare?" domandò scrutando all'interno.
"Ehm...veramente..."
"Beh,
credo che l'ibernazione non sia affatto una buona idea." intervenne
Taylor, comparsa all'improvviso per dare man forte alla sorellastra
apparentemente confusa e a disagio.
Tessy
parve riscuotersi: "Ecco, in realtà io stavo parlando con
Taylor. È la prima volta che la vedo da quando è tornata,
quindi si dal caso che necessiti di un po' d'intimità e non mi
sembra altrettanto il caso che tu ricompaia dopo tutto questo tempo
proprio la sera di Natale."
"Seguo
le orme di Gesù." fu la battuta alla quale nessuna delle due
rise. "Ciao Taylor, io sono Eric." le tese la mano coperta dai guanti.
"Ho sentito di te al tg e...sono davvero contento che tutto sia andato
per il meglio."
"Grazie." rispose lei con un finto sorriso. Per il meglio un cavolo, pensò.
"Sentite,
io vi lascio discutere a quattr'occhi da soli, eh?" aggiunse. "Vado a
chiedere a Martha cosa si mangia." e con un'occhiataccia da parte della
sorellastra si dileguò verso la cucina. Naturalmente non aveva
intenzione di sparire, infatti si appostò dietro una colonna con
tutta la volontà di spiare la conversazione.
Quell'Eric
non le ispirava un granché, però aveva l'aria del
disperato, di uno che aveva l'impellente bisogno di essere perdonato. E
sperava che Tessy glielo avrebbe concesso, che gli avrebbe dato una
seconda occasione. Aveva imparato che tutti hanno storie diverse alle
spalle, così come poteva averne anche lui.
Eric
era entrato e si era fiondato davanti al camino, Tessy lo guardava a
braccia conserte, irritata e nervosa. Non sapeva che avesse combinato,
ma aveva una vaga idea di chi fosse e quindi poteva dedurre che non
scorressero più buoni rapporti tra i due.
Era
giusto sul punto di lasciarli veramente soli, quando, voltandosi,
andò a sbattere contro qualcuno che stava camminando e parlando
contemporaneamente, e non si era accorto di lei.
"Scusi."
Alzò gli occhi sulla figura che le stava davanti e si bloccò come una statua.
Anche l'altro rimase immobile a guardarla, il fuoco del camino riflesso sulle sue pupille grigiastre.
Era
distratto e non si aspettava uno scontro con Taylor, in quel preciso
istante. Come la figlia, pensava di essere pronto a fronteggiare una
persona, ma nel momento in cui era accaduto aveva realizzato di non
esserlo affatto.
Lei
non osava muovere un muscolo: erano anni che non si trovava così
vicino a suo padre, anni che non parlava con lui faccia a faccia, anni
che aveva passato a odiarlo. E ora era lì, a un palmo di naso da
lei, sempre uguale nel suo elegante smoking grigio, eccetto per un
pugno di rughe in più nel volto.
Dopo essersi schiarito la voce, fu lui ad ammorbidire l'espressione e regalarle un sorriso: "Taylor."
Aveva
detto il suo nome, niente di più, però aveva detto tutto.
Le aveva fatto sentire quella voce che era sempre mancata alle sue
orecchie; la voce di un uomo, di un padre, le aveva fatto sentire come
il suo nome doveva essere detto, perché era stato proprio lui a
comunicarlo per la prima volta all'infermiera perché venisse
scritto sul suo braccialetto di riconoscimento e successivamente sulla
sua carta d'identità.
"Oliver..." ricambiò lei a mezza voce, come un saluto che non sapeva se rimanere tale o prendere intonazioni diverse.
"La
cena è pronta!" annunciò Martha sovrastando il sottofondo
musicale che riecheggiava per la casa assieme alla discussione di Eric
e Tessy.
Oliver sorrise e fece un cenno con la testa verso il tavolo apparecchiato: "Avrai fame, no?"
Taylor annuì e lo seguì verso il salone, dove Eric si stava rivestendo.
"Oh, Eric, che piacere!" lo salutò Oliver. "Buon Natale, figliolo."
"Buon
Natale, Eric." gli fece eco Martha lanciando un'occhiatina a Tessy, la
quale era rimasta nella sua posizione con sguardo severo.
"Non
resti per cena?" chiese Oliver, come ci si sarebbe potuto aspettare da
uno che neanche lontanamente ricordava tutta la diatriba svoltasi tra
lui e sua figlia. In fondo, a Eric aveva sempre voluto bene. Oliver
voleva bene a tutti.
"No,
Eric non resta." lo fece tacere Tessy, aprendo la porta e invitando il
ragazzo rifarsi vivo solo quando avrebbe trovato qualcosa di più
efficace di un semplice "scusa".
Il
ricciolino uscì a testa bassa, sconfitto, chiudendo la sua breve
comparsa con un augurio di buon Natale poco convinto. Ma lasciò
la casa in una strana quiete, al contempo piacevole e ricca di
aspettative.
I
quattro si sedettero a tavola e, dopo aver pregato ringraziando per
quel giorno così speciale, Martha cominciò a servire la
zuppa, blaterando sul fatto che Tessy fosse sempre così poco
cortese con gli ospiti.
"Ci
siamo", pensò Taylor, che si sarebbe aspettata qualche discorso
da parte di Oliver, ma che era grata che alla fine nessuno si fosse
lanciato in certi formalismi.
In
realtà, apprezzava che tutti stessero facendo del loro meglio
per far scorrere gli eventi nella direzione in cui dovevano andare. E
ora era arrivato il momento di ricominciare da zero.
La prima cena con la famiglia che non aveva mai avuto.
Nonostante
l'atmosfera, si sentiva così spaventata e a disagio che in una
situazione normale non avrebbe esitato ad alzarsi e scappare a gambe
levate per tornare da sua madre.
Ma questa volta non poteva. L'aveva promesso e se non riusciva a farlo per se stessa, almeno doveva farlo per lui.
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Amanda
scivolò nel corridoio cercando di fare meno rumore possibile:
era tardi e molte persone si erano addormentate sulle sedie di
plastica. Un bambino dalle guanciotte arrossate ronfava sulle gambe del
papà e una signora sussurrava qualcosa di incomprensibile al
telefono. Raggiunse la porta doppia e la socchiuse pian piano,
sgusciando dentro e poggiandola di nuovo.
La
piccola saletta era deserta e ancora più silenziosa, quasi
inquietante se non fosse stato per quell'unica giacca a vento
raggomitolata su una sedia di plastica blu. Si avvicinò e
notò che sotto di essa c'erano un Blackberry e un mazzo di
chiavi contrassegnato da un pendente a forma di A.
Pensò
che Allyson avesse dimenticato le sue cose e le sistemò sul
tavolino lì di fronte, così almeno le avrebbe ritrovate
in ordine se fosse venuta a riprenderle. Si svestì ringraziando
che ci fosse il riscaldamento: se freddo, quel posto sarebbe stato il
massimo della tristezza.
Prese
un profondo respiro e si affacciò alla finestrella che dava
sulla sala adiacente a quella in cui si trovava. Si aspettava di vedere
sempre la stessa scena: un lettino bianco, infiniti macchinari e un
ragazzo dal viso angelico disteso a lottare contro la morte. Invece
questa volta vi era un particolare in più. Un ragazzo bruno
stava seduto accanto a Jeremy Parker e si teneva la testa con entrambe
le mani.
Amanda
entrò cautamente, ma non abbastanza da non essere sentita da
Alex, che alzò lo sguardo arrossato su di lei e sussultò.
"Ciao." salutò lei in un bisbiglio delicato, sorridendogli.
Lui non rispose, impassibile. Si limitò solamente a seguirla con gli occhi mentre camminava verso di lui.
"Alexander
Bell, giusto?" gli chiese fermandosi accanto al lettino. "Pensavo che
qualcuno avesse dimenticato le sue cose in saletta, invece c'eri tu
qui."
Alex
abbassò lo sguardo sull'orologio, rendendosi conto di essere
lì da molto più tempo di quanto credesse: "Avrei voluto
rimanere giusto una decina di minuti, ma..." s'interruppe sospirando e
passandosi una mano sul volto.
Amanda
gli rivolse uno guardo di comprensione, molto simile a quello che anche
Taylor gli aveva rivolto non molti giorni prima e poi s'incantò
a osservare tutte quelle macchine che lampeggiavano e producevano uno
strano suono.
A
pensare che poteva esserci sua figlia sopra il lettino si sentiva
mancare, poi guardava quel biondino e non poteva fare a meno di
commuoversi.
Aveva
salvato la vita di sua figlia sacrificando la propria: come avrebbe mai
potuto essergli abbastanza riconoscente? Non sapeva chi fosse, eppure
da quando l'aveva visto nella foto alla tv aveva pensato che
somigliasse davvero a un angelo.
Ricordava
di essersi chiesta come potesse un ragazzo tanto bello e dai tratti
tanto gentili essere capace di un rapimento, un gesto così
cattivo e immorale. Aveva avuto ragione a metterlo in dubbio e quasi le
dispiaceva non aver pensato subito che doveva esserci qualcosa di
più sotto a tutta quella storia. Qualcosa che lo obbligava a
essere quello che non era.
"Da quanto sei qui?" chiese al moro, ritornando a focalizzarsi su di lui.
Alex
scosse la testa, andando a ritroso nel tempo e non ricordando nemmeno
in che altro modo l'avesse passato se non lì, sempre concitato
nell'attesa di qualcosa, di una buona notizia.
"Ti
ho visto ieri mattina quando hanno portato qui Jeremy e Taylor."
proseguì la donna. "Ti ho visto ieri notte, ti ho visto questa
mattina e anche nel primo pomeriggio. Non dirmi che non sei ancora
tornato a casa."
Alex sbuffò: "Sì che ci sono tornato."
"Quando?"
"Non lo devo dire a lei, non è la mia di madre."
Seguì un silenzio a questa frase, rotto solo da qualche sporadico bip.
"Mi dispiace." si scusò lui, poco dopo. "Non volevo essere maleducato."
"No,
Alexander, hai ragione." rispose Amanda soffermandosi sul volto di
Jeremy, così pallido da fare risaltare tantissimo le lentiggini
cosparse sul naso e sulle guance, come stelle al contrario; nere in un
cielo luminoso.
"Mi chiami Alex."
"E
tu non darmi del lei." gli sorrise. "È che mi sono preoccupata
così tanto per Taylor da farmi venire naturale preoccuparmi per
chiunque...anche per te, benché tu sia quasi uno sconosciuto."
fece una smorfia in segno di scuse.
"Come sta Taylor?" si preoccupò il ragazzo, quasi ricordandosi solo in quel momento della ragazza.
"Le
hanno detto che poteva uscire solo questo pomeriggio, senza esagerare,
ed è già andata a una cena di Natale con suo padre. Fino
a un minuto prima non aveva ancora smesso di piangere, mia figlia
è una vera incosciente! Allyson ha anche cercato di farla
ragionare, ma lei era determinata ad andare a quella cena da quando ha
ricevuto l'invito questa mattina. D'altronde nemmeno Oliver riusciva ad
aspettare; desidera vedere Taylor con tutto se stesso. Non l'avevo mai
visto così euforico e consapevole." Amanda scosse la testa e
sospirò, lanciando un'occhiata a tutti macchinari attorno a
Jeremy. "Spero che almeno si distragga un po'."
Alex
annuì. Chissà cosa dovevano aver passato i signori
Heavens. Non si era mai posto il problema, a dir la verità. Di
una sola cosa era certo: se avesse in qualsiasi modo potuto prendere le
lancette dell'orologio e riportarle indietro a quel giorno, quando sul
campetto da tennis aveva promesso a Jeremy che l'avrebbe accompagnato
nella sua avventura, avrebbe cambiato molte cose. Compresa la
sofferenza che avevano causato a tutta quella famiglia.
Sospirò esausto, stropicciandosi gli occhi doloranti: "È stata anche mia la colpa per tutto questo casino."
"Ma
cosa dici?" sbottò Amanda, seriamente contrariata dalle sue
parole. "Non devi sentirti responsabile; Taylor mi ha raccontato tutto
quello che è successo, per filo e per segno, e la polizia ha
preso coscienza di chi ci stava dietro e in che misura. Tu e lui non
avete colpe e, anche se avete fatto alcune cose sbagliate, vi siete
fatti perdonare."
Quei
due ragazzi potevano anche aver sbagliato, ma ogni loro errore era
stato riconosciuto e rimediato da loro stessi. E adesso eccoli
lì, per aver voluto ribaltare una situazione che sembrava
doversi concludere in maniera tragica per la vittima, ma che aveva
invece reso vittima il carnefice.
"Avrei
perlomeno potuto dissuaderlo dal fare questa stupidaggine, avrei potuto
cercare di capire che cosa stava veramente succedendo, avrei potuto
rimanere insieme a lui invece di tornarmene a Bourton...un sacco di
cose che non ho fatto e che avrebbero potuto impedire che lui..." la
sua voce venne rotta da un singhiozzo e la sua mano andò a
coprire il volto, già segnato da altre lacrime.
Amanda
si avvicinò al ragazzoe gli cinse le larghe spalle con un
braccio: "Sarebbe accaduto comunque. Cordano l'avrebbe trovato
nonostante tutti gli aiuti possibili. Conosco quell'uomo, perché
lavorava con il mio ex marito da quando ancora non erano che semplici
dipendenti. Non si fa fermare da nulla, finché non ottiene
ciò che vuole."
Alex
inspirò profondamente, mentre si tormentava le mani tremanti:
"Giuro che lo ucciderò." la sua voce era colma di rabbia e di
odio, di quelli puri, che possono sgorgare solo dal cuore più
buono.
"No..."
sussurrò Amanda pazientemente e dolcemente, con lo stesso tono
che usava Taylor quando cercava di calmarlo. "Di lui ora se ne
occuperanno i giudici, per ciò che ha fatto e per ciò che
aveva già fatto. Non sporcarti le mani come ha fatto lui, pensa
a Jeremy e stagli vicino, però prenditi anche un momento per
te...vai dalla tua famiglia, stai con Allyson...in fondo oggi è
Natale e con lui c'è sempre qualcuno qui, vedrai che
andrà tutto per il meglio."
Alex
annuì deglutendo a fatica e abbozzando un sorriso che faticava a
distendersi completamente: "Grazie...ci proverò." non che ne
fosse davvero convinto, ma apprezzava la premura di Amanda e si sentiva
in qualche modo di doverle almeno un po' di considerazione.
Amanda
gli offrì un fazzolettino e poi si alzò in piedi:
"Aspetto lì fuori nella saletta." disse incamminandosi verso la
porta. "Finché Taylor non torna, io non me ne vado. Così
Jeremy sarà in compagnia."
Alex
la guardò senza parlare, finché non chiuse la porta alle
sue spalle e lo lasciò di nuovo solo con Jeremy...nel silenzio,
nella paura.
Andarsene via? No.
Lui doveva stare lì. Lì con Jeremy.
L'unica volta in cui se n'era andato, era successo tutto questo.
Quindi non l'avrebbe lasciato mai più solo.
Voleva
solo poter tornare a ridere di nuovo con lui, a litigarci, a
rimproverarlo per il suo naso costantemente sanguinante. Aveva paura di
non poterlo fare più.
Jeremy
era il suo migliore amico e nella sua mente era sempre stato
l'invincibile Jeremy, quello che se la cavava sempre, quello che ce la
faceva per il rotto della cuffia e che finiva per sorridere trionfante
e dargli una pacca sulla spalla accompagnata da un orgoglioso "Te
l'avevo detto che sarebbe filato tutto liscio!".
Però
stavolta non era successo, stavolta c'era stato un intoppo nel cammino
e aveva portato a una conclusione a cui Alex non era pronto. Insomma,
non era preparato all'eventualità che l'invincibile Jeremy
potesse essere vinto. Era come leggere un'avventura di Peter Pan e
aspettarsi la vittoria di Capitan Uncino: impensabile. Ma stavolta
c'era Wendy e proprio lei aveva fatto vacillare così tanto Peter
Pan da renderlo una preda più facile per Uncino.
Chi si sentiva lui in tutta questa storia? Beh, strano a dirsi, ma si sentiva molto la piccola Trilly.
Jeremy
l'aveva accantonato per Taylor, a un certo punto gli aveva detto di non
necessitare più del suo aiuto e, chissà, forse pensava
che gli sarebbe bastata la ragazza di cui si era innamorato.
Era
da quando erano arrivati all'ospedale che non riusciva a togliersi quel
pensiero dalla testa: nonostante cercasse disperatamente di non darlo a
vedere, provava rabbia nei confronti di quella ragazza che aveva fatto
sbandare Jeremy, che aveva fatto abbassare le sue difese, che lo aveva
distratto. All'inizio pure lui la trovava una cosa positiva e talmente
insolita da essere quasi tenera.
Ma
dopo si era reso conto di quanto seria fosse la faccenda e quanto poco
avesse contato lui, nonostante fosse da sempre l'unico ad avere il
rapporto più profondo con il biondino. Taylor aveva rovinato
tutto, aveva rotto tutti gli equilibri.
Più
lo guardava, inerme e senza forze, più la rabbia nei confronti
di Taylor cresceva. Jeremy aveva preferito l'amore all'amicizia ed ecco
cos'era successo! C'era quell'orribile pensiero, che lui provava invano
a scacciare, che fosse Taylor la responsabile dello stato del suo
amico. Se lui non si fosse innamorato di lei, sarebbe stato lì a
lottare contro la morte?
Sbuffò
stropicciandosi di nuovo gli occhi; era esausto e confuso. Non doveva
pensare così, Jeremy lo avrebbe ammazzato. E a lui importava di
Jeremy, che lo considerasse ancora il suo migliore amico o meno.
Gli
poggiò una mano sulla spalla mentre una nuova lacrima scendeva
dai suoi occhi: "Deve filare tutto liscio, Jerry, anche stavolta."
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Tutta la tavolata scoppiò a ridere per la gaffe di Martha.
Aveva
appena fatto un doppio senso orribile che includeva guanti in lattice e
il retto di un tacchino. Era simpatica quella Martha, constatò
Taylor, non se lo sarebbe mai aspettato.
E
non si sarebbe mai aspettata nemmeno che la tensione si allentasse
tanto da scomparire: la cena era proseguita di bene in meglio e ora che
stavano mangiando il classico budino si poteva dire soddisfatta e
divertita. Aveva riso degli aneddoti di Tessy sui tradizionali ospiti
di queste occasioni presso casa Heavens, aveva ascoltato i racconti di
Oliver sugli attori che chiedevano esorbitanti prestiti alla Money
House per rifarsi i nasi e si era addirittura appuntata un paio di
ricette di Martha da riprodurre per sua madre. Sì, si era
davvero scaldata, sia fuori che dentro. Finalmente.
Mentre
Tessy si sventolava con il tovagliolo, immersa nelle risa, lei si
concentrò sullo sguardo di Oliver, tutto preso dalla figura
della moglie che agonizzava nell'imbarazzo. Com'erano felici, quegli
occhi, com'erano rapiti e innamorati.
Era
una scena quasi adorabile a vedersi. Quasi, però, perché
dentro Taylor albergava costante quel senso di malinconia che un po'
modificava il quadretto, incupendolo.
Probabilmente
qualche tempo fa quello sguardo era stato rivolto a sua madre, ma ora
non più. Ora aveva la piena consapevolezza che quei tempi non
sarebbero più potuti tornare e che quella scintilla si era
semplicemente spenta.
Oliver
Heavens si era innamorato di Martha Gellerd, anzi no, lui amava Martha
e Taylor sapeva bene quanto forte ed esplosivo e incontrastabile
potesse essere un sentimento del genere. Si disse che era ora di
familiarizzare con il fatto e di smetterla di andarci sempre contro. In
fondo Oliver voleva riallacciare i rapporti con sua madre, era
evidente, e si era proclamato volenteroso a essere presente, a colmare
i vuoti che aveva sempre lasciato in disparte.
Con
questa nuova determinazione, Taylor si pulì la bocca e
andò in bagno, per rimanere un po' sola a riflettere. Si
sciacquò le mani e il viso, sentendosi ancora nel bel mezzo di
un turbine di eventi, uno più destabilizzante dell'altro, ma
sorridendo per la prima volta allo specchio.
Sì,
stava sorridendo, forse per lo champagne bevuto, forse per il tepore
che finalmente si era riappropriato del suo corpo, forse per quella
sensazione di euforia nel suo cuore. Sentiva come se qualcosa si stesse
rimettendo a posto, come se un pezzo di puzzle che componeva il suo
cuore si stesse riavvicinando dopo essere stato strappato via.
Uscì a prendere una boccata d'aria sul davanzale, coprendosi col cappotto per non prendere un malanno.
Avevano
smesso da poco di tenerla sotto osservazione: i suoi valori non erano
del tutto equilibrati, era ancora in uno stato piuttosto debole e
avevano riscontrato una forte percentuale di stress che la opprimeva.
Però adesso stava bene e aveva voglia di tornare a respirare
quell'aria pungente dell'inverno che aveva vissuto così
intensamente negli ultimi giorni.
Non
era ancora uscita all'aria aperta da quando, la mattina prima, era
stata portata all'ospedale nella stessa ambulanza in cui qualche
dottore che ricordava in maniera confusa cercava freneticamente di
assistere Jeremy, di fermare l'emorragia, di estrarre il proiettile.
Ricordava
le loro parole, non i loro volti. Ricordava la sensazione di bagnato
sulle guance, che l'aveva accompagnata per tutto il giorno e tutta la
notte e ora sfiorava con le dita le sue palpebre sensibili
perché le facevano male.
Aveva
pianto così tanto da irritare la pelle, ma era ben cosciente che
tutte quelle lacrime non erano servite a nulla. Non era piangendo,
né pregando che era riuscita ad aiutare Jeremy. Non ci stava
riuscendo e questo le creava un senso di smarrimento difficile da
combattere.
Allora
aveva deciso di provare. Di provare a fare quello che Jeremy le aveva
chiesto. Forse così, si diceva, lui ce l'avrebbe fatta.
"Ehi."
una voce la distolse dall'immagine della panchina nascosta in mezzo
agli alberi lì sotto di lei. Si voltò per vedere Oliver
che le sorrideva allungandole una sciarpa bianca: "Sei uscita senza la
tua sciarpa, pensavo che avessi freddo."
Taylor la prese sorridendo: "In realtà l'ho lasciata lì apposta, non ce l'ho per metterla."
"Oh, capisco." Oliver sembrava essere a disagio.
"Ma grazie comunque." rimediò subito Taylor infilandola nella tasca e sorridendogli di nuovo.
Oliver
si rilassò avanzando verso di lei e posizionandosi non molto
distante, appoggiato alla ringhiera. Si guardò intorno per
prendere tempo, indeciso se parlare o meno e cosa dire nel caso avesse
scelto la prima opzione. Si era addirittura annotato qualche riga quel
pomeriggio, ma non ricordava nemmeno la metà delle parole che
avrebbe voluto dire.
Alla
fine, però, il bisogno di far uscire tutto quello che da giorni
schiacciava all'interno del suo cuore si fece troppo forte e lo
convinse a farsi coraggio. Non resistette più e parlò:
"Non sono qui solo per la sciarpa, comunque."
Taylor
si concentrò su di lui, il volto illuminato dalle lucine a
intermittenza che si alternavano in mille colori attorno al terrazzo.
"Sono qui per parlare con te, Taylor."
Parole che quasi temeva ad ascoltare, ma che si aspettava. In fondo, in cuor suo ci sperava davvero in un momento così.
Sperava
di poter ritrovare suo padre, anche solo per una volta, anche solo per
una manciata di minuti, ed era una speranza che, anche se non l'avrebbe
mai ammesso, conservava sin dal primo giorno in cui aveva lasciato la
sua famiglia.
Certo,
non poteva nascondere di avere paura: Oliver era pur sempre un
pressoché sconosciuto ed era stato la causa della sofferenza di
sua madre. Però era stanca di vivere in un groviglio di fili.
Ora aveva bisogno di districare la sua vita, filo per filo, partendo
dal più grosso.
Prese
un profondo respiro e si disse che il momento era arrivato. Finora
tutto era filato liscio: la cena, la compagnia, le risate...adesso
però arrivava il momento della verità, quello che lei
aspettava, ma contemporaneamente non voleva sentire, quello che Jeremy
le aveva chiesto di tenere in considerazione.
No,
non aveva solo paura, aveva il terrore di quello che sarebbe potuto
succedere e la causa dipendeva proprio da lei: non era mai riuscita a
capire cosa provasse nei confronti di suo padre. Odio? Amore? Non lo
sapeva, però si fidava di Jeremy e se c'era una cosa che aveva
capito, era che lui credeva che ci potesse ancora essere una famiglia.
Inspirò a fondo e si mise ad ascoltare Oliver.
"Vedi,
Taylor, in questi giorni ho avuto un'opportunità." inizio molto
da film, ma non sarebbe stato Oliver Heavens, se non avesse pensato a
un discorso del genere. "Beh, di opportunità ne ho quasi
quotidianamente: dai buoni sconto che arrivano per posta alle super
offerte delle filiali della Money House, ma stavolta non è stato
di certo quel genere di opportunità." sorrise alla figlia per
stemperare la tensione poi tornò di nuovo serio. "Quello di cui
parlo io è un momento che piomba all'improvviso quando la tua
vita sta semplicemente viaggiando per il suo corso naturale, un momento
che arriva quando sei ignaro, quando meno te lo aspetti. All'inizio
fatichi a rendertene conto, durante quel momento faresti di tutto pur
di ritornare su quel corso naturale e poi, solo alla fine, realizzi la
grande, immensa opportunità che hai ricevuto. Il corso naturale
della mia vita è cambiato ed è stato possibile
perché quello che è successo mi ha indotto a esaminare
quello che ero. Dico "ero" perché non voglio esserlo più,
Taylor. Non voglio più essere un uomo che persegue la
felicità senza accorgersi dell'infelicità che sparge
attorno a lui, non voglio più essere chiamato "papà"
senza veramente essere un papà e non voglio più piombare
dalle nuvole se qualcuno mi dice: "Tua figlia Taylor è in
pericolo, sei tu che devi salvarla"."
Si
schiarì la voce, esaminando per qualche istante il viso di
Taylor, poi riprese: "Ti giuro, bambina mia, che ho passato ore a
disperarmi e non solo perché non riuscivo a trovare il modo per
aiutarti, ma anche perché più il tempo stringeva
più mi rendevo conto della grandezza dell'errore che ho commesso
nei tuoi confronti." si fermò ancora, forse commosso, forse solo
affannato.
Taylor
non si era ancora mossa, anche se dentro di lei si stava scatenando una
tempesta. Sembrava come se ogni suo organo vibrasse a ogni parola
pronunciata dal tono caldo e grave di suo padre. In particolare due
parole le avevano ostruito la gola; bambina mia, e ora quasi faticava a
deglutire. Nessun uomo l'aveva mai chiamata così...e quanto lei
l'aveva silenziosamente desiderato!
"Credo
che chiederti scusa non basterà mai." proseguì Oliver, il
tono da attore completamente dissolto, ora c'era un tono stanco e
paterno. "Tu non sei come Amanda: lei è una donna che si
è scontrata con l'uomo sbagliato e anche se non mi
perdonerà mai, perlomeno ha accettato di provare a ricostruire
qualcosa, per il bene di tutti. Lei è stata ferita e ha dovuto
curarsi da sola, ma alla fine è riuscita lo stesso a cavarsela.
Tu no, Taylor. Tu non ti sei solamente scontrata con l'uomo sbagliato,
ma ci sei anche cresciuta. Sei cresciuta con l'immagine di un
papà traditore, menefreghista, cattivo. E proprio negli anni in
cui avresti dovuto ricevere il massimo dell'amore e dell'affetto, sia
da una mamma che da un papà. Io...avrei dovuto spiegarti il
perché delle mie scelte. Avrei dovuto farti capire che ti ho
sempre amato tanto quanto amo Martha e Tessy...e invece eccomi qua.
Preso dalla bella vita, dal lusso, dal successo. Sono un uomo fallito,
Taylor." sospirò massaggiandosi il naso.
"Perché non me l'hai mai detto?" soffiò Taylor, avvolta nell'emozione.
Oliver
scosse la testa: "Non lo so...o forse l'ho capito solo in questi
giorni. Il mio problema è che sono un superficiale, sono...sono
solo uno schiavo del benessere e della ricchezza. Forse semplicemente
sono sempre stato talmente soddisfatto della mia vita attuale che non
ho mai avuto il coraggio di guardare indietro. Il terrore di perdere il
mio presente mi impediva di fronteggiare gli errori e i problemi del
passato."
Ecco
quello che non voleva sentire: quello che le faceva male i timpani e il
cuore. Le parole di Oliver la sollevavano e poi tutto a un tratto la
buttavano di nuovo a terra.
"Mi consideri un errore del passato, Oliver?" chiese con un filo di voce, tremante.
L'uomo
sgranò gli occhi guardando la figlia: "Che cosa? Ma come ti
viene in mente, Taylor!" sembrava quasi un rimprovero, un rimprovero
pieno di paura. "Non ho mai voluto dire questo!"
"Ma
è così...che..." la sua voce era incrinata, faticava a
parlare. "Che mi sono sentita, Oliver...sempre...ogni volta che ti
aspettavo e non arrivavi, ogni volta che ti chiamavo nel sonno e non
rispondevi, ogni volta che piangevo e non eri lì per asciugarmi
le lacrime...ogni volta che a scuola i miei compagni scrivevano "ti
voglio bene" nelle letterine natalizie al papà e io non potevo,
perché non avevo nessuno a cui portare quella lettera e se anche
avessi voluto portartela, avrei sempre avuto paura di sentirmi dire "Io
invece non te ne voglio, io ho un'altra famiglia e un'altra figlia
adesso, tu sei stata solo uno sbaglio"!"
Oliver
agì d'impulso e chiuse quella ragazza in un abbraccio
così stretto da impedirle di divincolarsi. Taylor fu presa alla
sprovvista: tentò di scostarsi, spinse con le braccia e si
agitò, ma lui non le lasciava via d'uscita.
"Io
non ho mai sbagliato a darti la vita, Taylor! Questo te lo devi mettere
in testa, ok?" piangeva Oliver, le lacrime che bagnavano i capelli
della sua bambina così grande, che ce l'aveva fatta da sola
quella volta, che ce l'aveva fatta da sola sempre. "Quello che ho
sbagliato è averti abbandonata perché stavo pensando solo
a me stesso! Non ho mai fatto nient'altro, se non pensare a me stesso e
me ne sono accorto troppo tardi! Ho sacrificato te per me, Taylor. Non
sono come quel ragazzo, che ha capito prima cosa significasse veramente
amare, no...io l'ho capito dopo, l'ho messo in secondo piano
perché sono stato accecato dall'egoismo. Mi dispiace, bambina
mia, mi dispiace così tanto..."
Taylor
si lasciò vincere dal pianto e affondò nella giacca a
vento di suo padre, le mani che stringevano le sue braccia, il viso
appoggiato al suo petto. Era la piccola Taylor che voleva un
papà, che voleva sfogarsi e fare tutto quello che le era sempre
stato negato. Era la Taylor di qualche anno che stringeva il maglione
di Oliver, ignara che quella sarebbe stata l'ultima volta, come se quel
giorno la sua vita fosse stata messa in pausa e solo in quel momento
qualcuno avesse premuto di nuovo "play".
Rimasero
abbracciati per un po', finché la ragazza si calmò e si
scostò per guardare Oliver in viso: "Se io non fossi stata
rapita, tu non te ne saresti mai accorto."
Oliver
scosse la testa e abbassò lo sguardo: "È per questo che
parlo di opportunità, Taylor. Certo, è stata
un'esperienza orribile, sia per me che per te. Soprattutto per te."
disse accarezzandole dolcemente il viso e scostandole un ciuffo dalla
fronte. "Ma è stata così forte che mi ha fatto aprire gli
occhi e sarei disposto a ripeterla solo per farti capire quanto ne
avevo bisogno. Ho avuto tanta paura per te, Taylor. E vedere che ora
sei qui e stai bene mi fa più contento di qualsiasi vecchio film
girato nel Bronx, di qualsiasi remunerazione lavorativa, di qualsiasi
altra stupida cosa a cui ero legato." la guardava quasi come se potesse
legarla al suo sguardo per non doversene separare più: aveva
veramente capito.
Taylor tirò su con il naso, ancora scossa: "Non so se riuscirò mai a perdonarti, Oliver."
L'uomo
sorrise e le baciò la fronte: "Non devi perdonarmi, Taylor. Non
devi nemmeno chiamarmi "papà" o sforzarti per farmi un piacere.
Io ti capirò, se vorrai continuare a starmi lontano, però
l'unica cosa che mi importa è che dovunque andrai, con chiunque
sarai e qualsiasi cosa starai facendo, saprai e avrai la certezza che
io ti amo e io ti ho sempre amato, che casa mia è sempre aperta
per te e Amanda, che tu e Tessy siete le mie bambine e che dovessi
anche vendere il mio nome, farò di tutto perché non vi
facciano mai del male."
La
ragazza sorrise, commossa. Guardò suo padre con gli occhi della
bambina abbandonata il cui sogno finalmente si realizza e si fece
scappare l'ultima lacrima, prima di asciugarsi il viso e calmarsi.
Chi
l'avrebbe mai detto, a qualche giorno prima di Natale, che quella
ragazza ferita e sconsolata si sarebbe trovata, qualche giorno dopo,
sul balcone di villa Heavens a piangere perché suo padre le
aveva chiesto scusa?
Lei
non lo avrebbe mai immaginato e se glielo avessero detto quel giorno,
prima di entrare alla festa dei diciott'anni di Tessy, si sarebbe messa
a ridere amaramente, della stessa amarezza che aveva usato dentro alla
cabina telefonica quando Jeremy le aveva rivelato il suo piano.
"Ti sto facendo un favore."
"Davvero? Scusa, ma non riesco a capire quale tra l'avermi rapita e l'avermi rapita!"
"L'averti rapita ti farà riavvicinare a tuo padre."
Aveva ragione. Jeremy aveva sempre avuto ragione.
"Torniamo dentro adesso. Ti prenderai un accidenti." disse Oliver accennando alla porta a vetri.
Taylor annuì e seguì l'uomo all'interno, venendo nuovamente avvolta da un piacevole calore.
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Amanda
aveva lasciato l'ospedale a mezzanotte, dopo aver passato una mezz'ora
con Taylor. La ragazza era tornata alle undici passate dalla sua
serata, aveva raccontato tutto alla madre e poi aveva deciso di
rimanere ancora un po', tanto casa sua non distava molto e comunque
avrebbe sempre potuto dormire lì.
Tornare in quel luogo dopo la serata che aveva appena passato le metteva quasi angoscia.
Per
un momento era riuscita a mordere la felicità, ma era stato solo
un piccolo boccone in confronto alla torta di tristezza che l'aspettava
al Moore Cottage Hospital.
Ripensò alla conclusione positiva della cena, che avrebbe raccontato anche a Jeremy e non vedeva l'ora di farlo.
"Grazie
davvero della serata e buon proseguimento. Divertitevi alla tombola."
aveva baciato sulle guance Martha temendo di venire soffocata dai
quintali di profumo che aveva addosso.
La
donna le aveva fatto l'occhiolino: "Grazie a te per la compagnia, fammi
sapere come ti verranno le mie ricette!" per un attimo aveva visto
l'immagine di lei a mo' di Gordon Ramsay che le gridava che era tutto
crudo, poi si era convinta che non era altro che una donna come tante
altre. Doveva piantarla di mitizzarla.
"Certo!" le aveva sorriso Taylor, poi aveva abbracciato Tessy e si erano date gli immancabili tre bacetti.
"Ci sentiamo per Capodanno, eh." le aveva detto la ragazza. "Magari vengo un giorno di questi in ospedale."
"Mi farebbe piacere." aveva risposto Taylor, girandosi poi verso Oliver e tendendogli la mano.
L'uomo
le aveva sorriso e gliel'aveva stretta: "Buon Natale, Taylor. Porta i
miei auguri anche ad Amanda, mi raccomando." si erano guardati negli
occhi un attimo ancora, poi avevano sciolto la stretta.
Taylor
aveva salutato tutti di nuovo e aveva aperto la porta per andarsene.
Stav per imboccare il vialetto a passo sicuro, quando qualcosa le aveva
fatto prendere un colpo.
Lo
stesso tizio ricciolino che si era presentato lì all'inizio
della serata era seduto sopra una slitta illuminata da una miriade di
lucette e trainata da un paio di cavalli, davanti all'entrata della
villa. Martha per poco non ci lasciava le penne, Oliver batteva le mani
rapito.
"Buon
Natale!" aveva gridato il ragazzo agitando la mano. "Ehi, Tessy! Avevi
detto che avrei dovuto trovare qualcosa di più efficace di un
semplice scusa e io ho rubato la slitta di Babbo Natale!" aveva
indicato l'aggeggio tutto compiaciuto. "Ti avrei portato anche le
renne, ma Rudolph aveva il naso che colava e loro non viaggiano mai
senza un compagno!" nessuno aveva riso alla battuta, tranne,
naturalmente, Oliver.
Alla palese non reazione di Tessy, il ragazzo aveva sospirato.
"Senti,
Tess!" aveva urlato di nuovo smontando dalla slitta. "Io ti amo." aveva
allargato le mani. "E...so che stavolta ho fatto parecchio il coglione,
perché credevo di essere stanco di noi. Invece mi manchi, Tessy,
mi manca la nostra Teric. Era la cosa più bella che avessi e la
più bella che potrò mai avere e ho capito che non
sarò mai stanco di te. Se mi era sembrato di esserlo, è
stato solo perché le cose serie mi spaventano. Voglio essere
serio, però, da oggi in avanti. Voglio stare seriamente con te e
se i signori Heavens me lo permetteranno, voglio anche chiederti di
sposarmi...tra qualche annetto, eh, non mi morite." aveva aggiunto
ridacchiando per la faccia di Martha.
Taylor
e Tessy si erano scambiate una rapida occhiata, poi Taylor si era
schiarita la voce: "Ehm...sarà meglio che io me ne vada, anche
stavolta. Buone feste, Eric." aveva aggiunto rapidamente rivolta al
ragazzo.
"Aspetta!" l'aveva fermata Tessy. "Vengo anch'io."
Eric
l'aveva guardata con occhio da trota, i dubbi, la paura e la speranza
tutti mescolati insieme in quel verde pieno di buoni propositi.
Poi
Tessy gli aveva sorriso: "Un giretto gratis sulla slitta di Babbo
Natale la notte di Natale non mi sembra un regalo da buttare."
Eric
si era illuminato, anche più raggiante delle sue lucine e aveva
offerto la mano a Tessy per farla salire. Oliver aveva sorriso come
davanti a una commedia natalizia ed era rientrato in casa tenendo la
mano di Martha.
Era
contenta di come aveva lasciato le cose ed era infinitamente
riconoscente a Jeremy: se non fosse stato per lui, non l'avrebbe mai
fatto.
Jeremy...in quel momento avrebbe solo voluto abbracciarlo e dirgli "grazie". Quale altra parola sarebbe stata più adatta?
Aprì
la porta ed entrò nella sala dove era tenuto sotto osservazione
giorno e notte, apparentemente addormentato, ma in realtà in
costante lotta contro la morte. Camminò piano fino a raggiungere
il suo letto e si fermò a pochi passi da lui per osservarlo:
anche se cercava disperatamente di trovarne, non vedeva alcun segno di
miglioramento.
Il
suo viso leggermente inclinato sul cuscino era pallidissimo, gli occhi
chiusi appoggiati su due occhiaie profonde e le mani immobili
abbandonate sul lenzuolo bianco, prive di vita.
Aveva
rischiato tanto, Jeremy, e per chi ne sapeva di più sembrava che
il peggio dovesse ancora venire. Appena era arrivato in ospedale tutti
avevano pensato che fosse troppo tardi per lui, invece, dopo ben due
ore di intervento erano incredibilmente riusciti a salvare il
salvabile. Ma meno di un'ora dopo il suo quadro clinico era crollato a
picco di nuovo e aveva dovuto subire una grossa e complicata
trasfusione di sangue.
Durante la procedura il suo cuore si era fermato facendo temere il peggio a tutti, poi qualcosa lo aveva salvato, di nuovo.
Da
quel momento la diagnosi non era più cambiata e, a detta dei
medici, non era destinata a cambiare o, se avesse dovuto, sarebbe stato
solo in peggio: Jeremy soffriva di anemia grave e non curata da troppo
tempo per rendere possibile il compenso di tutto il sangue che aveva
perso.
Di
per sé quella ferita d'arma da fuoco sarebbe stata curabile, ma
i medici ritenevano che fosse già un miracolo che il ragazzo non
fosse morto, nelle condizioni in cui si trovava. Era debole, malato ed
era arrivato lì in uno stato di ipotermia avanzata: il coma era
la conclusione migliore che ci si potesse aspettare in un contesto del
genere.
Non
sapevano cosa gli avesse permesso di sopravvivere: se della fortuna o
delle semplici coincidenze, forse l'accortezza di Taylor di ridurre al
minimo l'emorragia bendandolo con una sciarpa, forse il tempestivo
arrivo di Richard, Alex e Allyson. Ma quel che era certo era che le sue
condizioni non erano destinate a un miglioramento e temevano, anzi, che
non ce l'avrebbe fatta entro l'inizio del nuovo anno.
Taylor
non voleva crederci, nonostante la diagnosi dei medici, nonostante il
pessimismo di alcuni stupidi giornali locali, nonostante fosse
attaccato a un respiratore e altre mille diavolerie che non facevano
altro che fare bip e registrare numeri incomprensibili.
Anche
lei, in cuor suo, coltivava una paura indescrivibile, però non
voleva essere costretta a dire addio a Jeremy, come non lo era mai
stata nel corso di quell'avventura che veniva dal concludersi. Aveva
avuto tante occasioni per scappare da lui, anche quando stava
attraversando un momento di puro odio nei suoi confronti, eppure non lo
aveva mai fatto.
Si
lasciò scappare l'ennesima lacrima, ma la scacciò subito
con la mano. Voleva smettere di piangere, era stanca. Sperava che forse
reagire avrebbe aiutato Jeremy, per cui si avvicinò al comodino
di fianco al letto per posarvici sopra un pacco regalo rosso.
Sapeva
di avergli già fatto un regalo, ma visto com'era finito, aveva
deciso di fargliene un altro: "Buon Natale, Jeremy." sussurrò
sedendosi sulla sedia di plastica lì accanto e tracciando con
gli occhi il contorno del suo viso, così magro eppure ancora
così bello, angelico.
"Direi
che ora tocca a te regalarmi qualcosa." gli suggerì. "Insomma,
non crederai che mi farò bastare un misero rametto di vischio,
vero? Coraggio, apri gli occhi." era scettica, Taylor, non aveva mai
creduto ai film in cui la gente sussurra cose alle persone in coma
sperando che loro riescano a sentire.
Tuttavia,
erano quasi due giorni che stava lì a piangere disperatamente,
oppure in religioso silenzio, senza dire né fare molto. Non le
rimaneva altra scelta e voleva trovare un modo per fargli aprire gli
occhi, per tornare a vedere quell'azzurro immacolato che l'aveva
affascinata fin da subito, così freddo e austero, ma in
realtà così buono. Voleva solo vedere un sorriso su
quelle labbra, ora che non aveva più nemmeno un ritratto per
potersene ricordare.
Labbra
che avrebbe voluto poter scaldare. Sì, avrebbe voluto togliergli
quella stupida mascherina e baciarlo di nuovo nella speranza di sentire
ancora quel sapore di tante cose insieme che aveva sentito la prima
volta. Così contro le regole, che allo stesso tempo lascia il
buono in bocca.
"Ti prego..."
Avrebbe
voluto prenderlo a sberle per quello che aveva fatto per lei e poi
avrebbe voluto dirgli grazie e che lo amava. Ma lui ora aveva cose
più importanti a cui pensare, come lottare tra la vita e la
morte e vincere, perché lui aveva sempre perso nella vita e
adesso era giusto che ottenesse una vittoria, almeno per una volta. Era
giusto.
Taylor
fece avanzare la sua mano e strinse quella del ragazzo: gelida e magra
al contatto con le sue dita calde. Era lei a stringere lui ora, ma
avrebbe preferito il contrario. Avrebbe preferito sentire quella
stretta forte e sicura che non la voleva lasciare andare, che la voleva
trascinare ovunque e che la guidava quando si sentiva persa.
Avrebbe
volentieri fatto scambio con Jeremy...alla fine lui non se lo meritava
di essere lì. Non aveva mai fatto altro che subire la cattiveria
delle persone: di suo padre che aveva ucciso sua madre davanti ai suoi
occhi, della gente che lo aveva abbandonato a se stesso, di Cordano che
lo aveva minacciato fino a tentare di ucciderlo. Che cosa aveva fatto
di male quel ragazzo al mondo? Che torto aveva arrecato così
grande da essere ripagato in questo modo? Lui che di amore ne aveva
così tanto da dare, pur non avendone mai ricevuto.
Non era giusto.
Taylor
sentì il rumore della porta che dietro di lei si apriva e
sobbalzò. Si voltò e, inaspettatamente, incrociò
lo sguardo stanco di Alex.
Gli fece un debole sorriso, poi diede un'occhiata all'orologio alla parete: "È tardissimo, Alex. Che ci fai qui?"
Lui
scosse la testa e si avvicinò a lei: "Non riesco a dormire. E ho
dimenticato qui queste." disse sollevando il mazzo di chiavi.
"Com'è andata?"
"Oh,
bene." rispose lei, un po' impacciata, ritraendo la sua mano. "A dire
il vero è andata inaspettatamente bene, anche se ero la sola a
non aspettarmelo." aggiunse accennando al biondino. "Sai, è
stato lui a convincermi. Sapeva fin dall'inizio che le cose avrebbero
potuto iniziare a sistemarsi, piano piano."
Lui annuì senza dire nulla, immerso nei pensieri.
"C'è
qualcosa che non va?" gli chiese cercando di capire la sua espressione.
Sembrava avere il volto quasi scuro, incupito da chissà quali
idee.
Alex si limitò a scuotere la testa e continuare a fissare un punto indefinito sul display accanto al letto.
Era
strano, Alex. Non aveva ancora avuto modo di stare con lui senza che si
trovasse in un mare di lacrime, ma ora che lo osservava con più
calma notava che non era il solito Alex. Beh, chiaramente non si
aspettava un pagliaccio tutto scherzi e allegria, dopotutto anche lui
era in un grande stato di preoccupazione, ma Taylor pensava ci fosse
dell'altro oltre a quello. E non si sbagliava.
"Lo
so che sei preoccupato per Jeremy." disse, cercando di suonare
più dolce possibile. "Non piango più ora, ma lo sono
anch'io."
Gli
occhi scuri del ragazzo si spostarono repentinamente su di lei, come ad
assicurarsi che stesse dicendo la verità. Fu un gesto quasi
fulmineo, ma lei lo notò rimanendone colpita, così
continuò per rassicurarlo.
"Vorrei che non avesse mai fatto quello che ha fatto. Vorrei che fosse meno coraggioso e che non avesse mai voluto proteggermi."
"Beh, anch'io." fu la secca risposta di Alex.
Taylor lo guardò alzando le sopracciglia e lui si rese conto di non essere riuscito a trattenersi.
Anche il muro di Alex stava iniziando a creparsi.
Si alzò facendo un gran sospiro e raccolse in fretta e furia le sue cose: "Scusami, devo andare."
Taylor
cercò di uscire dal suo stato di confusione e si affrettò
a fermarlo: "Aspetta, Alex! Che cosa c'è che non va?"
Lui scostò la mano che aveva posato sul suo braccio e scosse la testa: "Lascia stare."
"No che non lascio stare, si può sapere che ti prende?"
Alex
sbuffò e lasciò cadere il mazzo di chiavi su una sedia
appoggiata al muro. Stava provando a controllarsi, ma tutta quella
situazione lo stava infastidendo troppo ed era stanco di asciugare
lacrime altrui, quando era il primo che ne avrebbe avute in abbondanza:
"Vuoi sapere cosa c'è che non va? Farei prima dirti cosa
c'è che va."
"Alex..."
Taylor sospirò. "Guarda che io ti capisco benissimo; lo so che
sei deluso, preoccupato, arrabbiato. Vorresti solo spaccare tutto e
gridare con tutta la voce che hai in gola. Lo so, credimi. Ed è
totalmente comprensibile che tu ti senta come se nulla andasse per il
verso giusto."
"Forse
perché è così." la interruppe aggrottando le
sopracciglia, nervoso. "Niente va per il verso giusto. Questa
situazione è davvero una merda."
"Lo
è." gli diede ragione. "Ma sono sicura che Jeremy non potrebbe
sopportare che continuiamo a piangerci addosso, invece di-"
"E
tu che cazzo ne sai di cosa sopporta o no Jeremy?!" la sua domanda
risuonò nella piccola stanza, la voce rotta sul nome del suo
amico e subito dopo un silenzio quasi fastidioso, intervallato
regolarmente dai bip elettronici.
Taylor si ritrasse di qualche passo: "Non lo so...penso che sia così."
"Beh, forse ti sbagli. Forse non lo conosci abbastanza per saperlo. Forse non l'hai mai conosciuto abbastanza e basta."
Taylor era stata presa alla sprovvista: "Che cosa vorresti dire?"
"Che-"
iniziò la frase con impeto, rischiando davvero di far uscire
tutto quello che aveva dentro, ma poi si bloccò e sospirò
passandosi entrambi le mani sul viso. "Senti, sono stanco ed Allyson ha
provato a chiamarmi già sei volte. Devo andare."
"No!"
Taylor lo fermò di nuovo, pentendosi di aver dovuto alzare la
voce. "C'è qualcosa che devi dirmi e io non sono stupida, Alex."
disse con il respiro affannato di chi sta cercando di trattenere le
parole. Entrambi erano al limite, era palese.
"Non devo dirti nulla, ok? Lasciami stare."
"Sei
arrabbiato con me per quello che è successo a Jeremy?" la sua
domanda era secca, ma decisiva. Tra tutte quelle che avrebbe potuto
fare era esattamente quella che Alex non voleva essere costretto ad
affrontare.
Il
ragazzo sospirò e guardò il pavimento, ma la sua mano,
chiusa attorno alla maniglia della porta, strinse più forte,
fino a che le nocche non diventarono bianche.
"Perché
se credi che sia solo colpa mia, non devi fare altro che dirmelo. Ormai
che tu lo creda o no, ti conosco abbastanza bene." proseguì la
ragazza, la voce che tradiva profonda delusione e un sempre più
forte senso di colpa. "Se mi odi perché pensi che ti abbia
rubato Jeremy e l'abbia ridotto in questo stato, voglio che me lo dici
in faccia." ormai la sua voce era incrinata e gli occhi lucidi, pieni
di rimorso, di dolore per quello che Alex le stava per rinfacciare. Una
delle sue poche sicurezze che andava in pezzi, l'ennesima.
Il
ragazzo alzò lo sguardo che andò a colpire esattamente in
mezzo al cuore di Taylor. Era uno sguardo traboccante di rabbia, duro,
gelido. Tutta un'altra cosa rispetto agli sguardi protettivi e di
rispetto reciproco che si erano scambiati durante la loro avventura.
"Sì, Taylor." rispose, una voce talmente seria che non sembrava nemmeno la sua. "E non avevi nessun diritto di farlo."
La
sua risposta suonò dentro la testa della ragazza come potrebbe
suonare un bicchiere di cristallo nell'esatto momento in cui entra in
collisione con il pavimento.
Nemmeno
Taylor, allora, riuscì più a trattenersi e lasciò
che altre lacrime solcassero il suo viso: "Non avrei mai voluto che
Jeremy salvasse me al suo posto, mai. Non gli avrei mai fatto questo
volontariamente. Se solo potessi tornare indietro, Alex, ti giuro che
cambierei le cose." ed era la verità, nuda e cruda. "Ma se
c'è qualcosa su cui hai completamente torto è che Jeremy
abbia preferito me a te. Sei il suo migliore amico, Alex, e niente e
nessuno potrà mai cambiare ciò. Lui non ha fatto altro
che proteggerti per tutto questo tempo, pensava sempre prima a te che
agli altri, infatti ha voluto che te ne andassi per non farti finire in
mezzo a questo casino, perché sapeva che ti saresti cacciato in
ogni situazione per lui e ha voluto prevenirlo! Vedi, Alex, lui non ti
ha cacciato perché non aveva bisogno di te, ma perché ne
aveva troppo. Ha scelto di-"
"Ha scelto di morire per te!" gridò lui, la voce colma di rabbia.
"L'avrebbe fatto anche per te! L'hai detto tu stesso.Alex!"
"Non
mi importa cos'avrebbe fatto per me, mi importa che nessuno e dico
nessuno lo aveva mai ridotto così, nemmeno la gente di merda con
cui ha sempre a che fare. Se non fosse per te, Taylor, nessuno di noi
sarebbe qui! Ti sei...ti sei intromessa! E l'hai fatto lasciando le
peggiori conseguenze possibili e ora non posso fare a meno di pensare
che..." si interruppe prendendosi la testa fra le mani, esasperato.
"Che vorrei solo che te ne fossi rimasta dove dovevi stare."
Un
moto di rabbia salì fino allo stomaco di Taylor e diede voce ai
suoi pensieri: "Beh, notizia dell'ultima ora: siete stati voi a
rapirmi, Alex, non l'ho chiesto io! Non ho chiesto io di conoscervi,
non ho chiesto io di essere strappata via da dov'ero e, soprattutto,
non ho chiesto io di vedere Jeremy e te in questo stato!"
"E
allora avresti dovuto startene zitta e buona senza interferire con i
nostri piani! Avresti dovuto...avrebbe dovuto andare diversamente."
"Mi
sono innamorata, Alex! Non l'ho fatto per interferire o per
chissà quali ragioni, è semplicemente successo. E quando
succede ti giuro che, anche se vorresti, non ci puoi fare nulla.
Dovresti capirmi, quando parlo di amore."
"Oh, certo, amore. Beh, guarda che amore!" gridò al culmine della rabbia, indicando sprezzante Jeremy.
Taylor
si zittì di colpo, completamente devastata da quella cattiveria.
Sentì nitidamente il piccolo frammento rimasto del suo cuore
andare in mille pezzi e non ce la fece più.
Sopraffatta
da tutta la tensione, dal rimorso e dal senso di colpa, lanciò
un'ultima occhiata a Jeremy con le parole di Alex che le rimbombavano
nelle orecchie, poi scappò via a sonori singhiozzi, lasciando
nella stanza un pensante e insopportabile silenzio, rotto solo, e
ancora una volta, dai regolari bip dei macchinari.
Alex chiuse gli occhi e si abbandonò contro il muro, lasciandosi cadere fino a sedersi sul pavimento.
Era
scosso, frustrato, arrabbiato, esausto. Non riusciva più nemmeno
a pensare e sentiva come se l'avessero spinto dalla cima di una
montagna giù per un precipizio. All'inizio non si era nemmeno
reso conto di stare cadendo, ma ora che era arrivato in fondo, non si
aspettava che la caduta sarebbe stata così veloce. Sospirando,
raccolse le ginocchia al petto e pianse tutto quello che aveva vissuto
finora.
Solo Jeremy non stava sentendo nulla di tutto ciò, eppure era da lui che dipendeva ogni cosa.
Era stato il Natale peggiore di tutte le loro vite.
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Allyson
camminava lungo i corridoi ascoltando l'eco prodotto dai suoi passi.
Non amava attirare l'attenzione, ma apparentemente lì ci
riusciva benissimo, nonostante avesse in piedi un paio di mount boot
ancora sporche di fango che producevano un rumore abbastanza molesto.
Forse,
comunque, non era esattamente il rumore a far rizzare le antenne a
quella gente, quanto il fatto che una ragazza giovane e di bell'aspetto
vagasse per quel posto inusuale.
Tuttavia, Allyson non guardava e seguiva a testa bassa la guardia che le faceva strada.
Svoltato
un angolo pieno di asciugamani da lavare tra cui una donna di servizio
stava frugando, la guardia si fermò ed estrasse un mazzo di
chiavi dalla tasca.
La
massiccia porta di ferro si aprì non senza produrre un
fastidioso cigolio e l'immagine di una sala abbastanza grande si
stagliò di fronte agli occhi della ragazza. Al centro vi erano
tre lunghi tavoli con delle panche incorporate e una delle pareti era
divisa orizzontalmente tra muro e vetro. Il colore dominate era un
verdino acido, abbastanza sgradevole, sui tavoli e sulle pareti.
In
ogni caso, non era quello a risaltare, ma piuttosto l'arancio vivo
della divisa di Richard Stuart, che si trovava seduto al tavolo
centrale, assorto in chissà quali pensieri, poco prima che
Allyson entrasse.
Non
appena sentì il rumore delle chiavi nella toppa, rizzò la
testa repentinamente e, riconosciuta la sorella, si alzò in
piedi con tutta l'aria di un fuoco d'artificio che sta per esplodere.
"Ally!"
"Richard!"
La
guardia non ebbe nemmeno il tempo di trattenere la ragazza per un
braccio, che questa era già saltata al collo del fratello, i
piedi sollevati da terra e il viso affondato nella sua spalla.
Non
ce la fece quell'uomo a sgridarla o ad ammonire il ragazzo, distolse
semplicemente lo sguardo come se non si fosse accorto di nulla.
D'altronde sapeva la storia del neo-detenuto e, non appena aveva dato
un'occhiata alla scheda del visitatore, ossia Allyson, aveva previsto
che sarebbe stato un incontro toccante. Era raro, per il carcere di
Bourton, detenere gente così giovane.
"Oh,
Ally..." sussurrava il ragazzo che la guardia vedeva di spalle, mentre
non poteva notare come accarezzasse dolcemnete i morbidi ricci della
sorella.
Allyson
allentò la stretta solo per guardare Richard negli occhi e
riconoscervi un'inaspettata serenità. Al contrario, però,
il ragazzo si era accorto già da qualche istante che gli occhi
di lei erano tutt'altro che tranquilli.
Le
passò una mano sulla fronte per spostare i riccioli ribelli e
poi dolcemente percorse il profilo della sua guancia con il pollice:
"Ehi."
"Richard,
sei stato un incosciente." disse a bassa voce, con un'espressione
preoccupata e confusa. Doveva ancora capire molte cose, Allyson.
"Tutt'altro." spiegò lui pazientemente. "La mia è stata una presa di coscienza."
"Sì, lo capisco, ma..."
"Per
la prima volta ho fatto qualcosa di giusto, Ally. Lo dovevo fare."
cercò di tranquillizzarla. "Per Parker, per Taylor, per te
e...soprattutto per me."
"Ma adesso...?" la ragazza gli rivolse uno sguardo vuoto, gli occhi che impiegarono pochissimi istanti a riempirsi di lacrime.
"No, non devi piangere." la sgridò portando entrambe le mani sul suo volto.
Facile
a dirsi, pensava. Da tre giorni a quella parte era stata bravissima:
non aveva versato mai nemmeno una goccia, né per la disperazione
di Taylor, né per la rabbia di Alex. Non si era fatta sopraffare
da nessuna emozione, nessun pianto l'aveva contagiata, era come se per
32 ore fosse stata completamente apatica.
In
realtà, non era apatia, ma coraggio. Era sempre stata forte per
gli altri, senza che nemmeno avessero dovuto chiederglielo. Avrebbe
potuto unirsi ai singhiozzi della sua amica, o avrebbe potuto
rimprovevrare la scontrosità del suo ragazzo, ma non l'aveva mai
fatto.
Dopotutto, anche se nessuno se n'era accorto, il dramma aveva toccato anche lei.
Dopo
che la macchina di Richard aveva frenato sulla neve, la mattina della
vigilia di Natale, Alex e lei erano scesi di gran carriera per
soccorrere i loro amici. Richard, invece, era rimasto immobile
nell'abitacolo, le mani strette sul volante e lo sguardo fisso davanti
a sé.
Allyson
era inginocchiata a terra, occupata a sorreggere Taylor, quando aveva
intuito che qualcosa non andava. Si era voltata verso di lui e,
sconvolta per gli eventi, ma ancora lucida, gli aveva chiesto cos'aveva
in mente. Lo aveva già capito, prima ancora che lui le
rispondesse, ma in quel momento sperava con tutta se stessa che avesse
cambiato idea.
Invece Richard le disse di resistere finché non sarebbe arrivata l'ambulanza; lui sarebbe tornato entro qualche ora.
Non
gli aveva creduto, Allyson, e aveva fatto bene perché l'avrebbe
rivisto solo dopo qualche giorno, in prigione. Così, dopo una
breve discussione, lo aveva salutato per l'ultima volta, incapace di
dire o fare qualsiasi cosa per fermarlo. Qualche ora...dicono sempre
così, gli uomini, non hanno la minima misura del tempo.
Richard
aveva percorso l'autostrada ai 150, violando chissà quante leggi
in una trentina di minuti. Aveva passato Cirencester, Stroud, Bath e si
dirigeva verso Sud, sapendo esattamente dove sarebbe finita la sua
corsa.
Fuori
dal Cotswolds c'era una città portuale, Bristol, in cui una
barca non autorizzata aspettava Cordano qualora avesse avuto bisogno di
darsela definitivamente a gambe. Lo sapeva solo Richard e riteneva che
questo fosse il momento giusto far tesoro di quel segreto. D'altronde
era sicuro che il suo caro maestro fosse sulla strada della fuga
decisiva.
Così
accelerava ed evitava per un pelo un sacco di possibili incidenti,
perché sapeva che se Cordano avesse raggiunto quella barca, non
ci sarebbe stato modo di fermarlo. Certo, aveva già avvisato la
polizia portuale di Bristol perché lo intercettasse, ma
quell'uomo aveva un numero infinito di risorse e Richard era sicuro che
occuparsene personalmente sarebbe stata l'opzione migliore.
In
fondo, aveva passato quattro anni a fargli da spalla e, sebbene da una
parte avesse appreso quanto scaltro e intuitivo fosse quell'uomo,
dall'altra aveva anche imparato quali fossero i suoi punti deboli. Una
medaglia ha sempre due facce, dopotutto.
Richard
era sempre stato grato a Edoardo. Nonostante tutto, non poteva negare
che quell'uomo l'avesse formato. L'aveva preso come un ragazzino
spaventato e arrabbiato e lo aveva trasformato, anche se con metodi
poco ortodossi, in un ragazzo forte e indipendente. Grazie a lui aveva
imparato a farsi valere, a difendersi. Adesso che era anche diventato
consapevole, però, aveva capito che Edoardo gli aveva insegnato
tutto tranne l'amore e il rispetto per il prossimo, così,
ciò da cui doveva realmente difendersi ora era lui, il suo
maestro. E nel comprenderlo, Richard era diventato un uomo.
Aveva
raggiunto il porto ed era riuscito a intercettarlo per un pelo: stava
percorrendo un molo secondario, ormai in disuso da anni, a cui
attraccavano solo i pescatori.
Aveva
gridato il suo nome e, senza mai smentire se stesso, Cordano si era
girato con un sorriso sulle labbra. Un sorriso cattivo, corrotto da
troppo tempo. Un sorriso che sarebbe stato molto difficile far tornare
puro e spontaneo.
Per
un secondo Richard ebbe paura di quel sorriso, ma poi ricordò
perché era giunto fin lì lasciando tutto ciò che
aveva a Bourton, compresa la sua futura libertà.
Non
aveva armi con sé, quindi non poteva concedersi il lusso di
temporeggiare, così passò subito alle maniere brute e si
gettò contro Edoardo, badando bene a bloccargli le mani in modo
che non afferrasse quella pistola che utilizzava con tanta
facilità. Edoardo era più basso, magro e debole di lui,
per cui riuscì ad avere subito la meglio e lo fece cadere di
schiena contro il legno umido del molo.
In
quel momento Edoardo Cordano, senza la sua pistola e senza alcuno
scagnozzo che gli guardasse le spalle, sembrava indifeso. Eppure solo
una mezz'ora prima aveva sparato a un ragazzo di ventidue anni per
vederlo morire assieme all'amore che per la prima volta aveva vissuto.
Per
circa un minuto rimasero stesi sul pontile a evitare i reciproci colpi,
finché Richard non afferrò la schiena di Cordano e,
portando tutto il suo peso da una parte, fece in modo di trascinarlo
con sé dentro all'acqua.
Lo
schiaffo gelido che ricevettero li bloccò per qualche istante,
ma Richard, che era più giovane e in forma, ebbe per primo la
prontezza di afferrare le spalle dell'uomo e spingerlo in basso,
più a fondo nel mare ghiacciato dell'Inghilterra meridionale.
Sperava, in quel momento, che Cordano sentisse la stessa morsa che
aveva attanagliato Jeremy quando si era ritrovato inerme e senz'aria
sulla neve.
Sperava che per una volta nella sua vita Cordano capisse cosa non era giusto. Cosa non era umano.
Lasciò
la presa solo quando il freddo cominciò a penetrargli nelle ossa
e, nell'istante in cui l'uomo risalì in superficie per
respirare, la polizia navale di Bristol raggiunse il molo, portando con
sé armi a sufficienza per far perdere a Cordano qualsiasi voglia
di fare il furbo.
I
due furono caricati sulla barca attrezzata e, dopo essere stati
ammanettati, ricevettero una coperta e una maschera per l'ossigeno.
Cordano non aveva uno sguardo sconfitto, né deluso. Aveva uno
sguardo rassegnato. Forse solo allora Richard capì che quel
sorriso, quello che Cordano gli aveva rivolto appena l'aveva visto, non
era un sorriso di scherno, ma di rassegnazione. E si ricordò
dell'ultima telefonata che avevano avuto.
Era
da quel momento che Cordano si era rassegnato. Era più vecchio
di lui e sapeva come andavano certe cose. Prima di diventare quello che
era, pure lui era stato giovane e allora aveva potuto capire molto da
quei pochi minuti di conversazione. Aveva capito che la sua rovina non
sarebbe stata Jeremy, bensì Richard. E anche se avesse dovuto
farcela dopo quella storia, prima o poi quello Stuart l'avrebbe fatto
ammanettare.
Forse
non era stato abbastanza bravo a mettergli in testa certe idee, forse
semplicemente non aveva previsto che alla fine di tutto l'amore, quello
di cui blaterava Jeremy, avrebbe toccato anche i più
apparentemente immuni. Forse, tutto sommato, era proprio lui, Edoardo
Cordano, ad aver fatto male i suoi calcoli. E non perché non
avrebbe dovuto fidarsi delle persone, ma perché avrebbe dovuto
capire che le persone non si sarebbero mai fidate di lui.
"Non
ce la faccio, Richard." sospirò Allyson lasciando affondare il
viso nell'incavo della spalla del fratello. "Non ce la faccio senza
Alex e senza di te."
Adesso
al ragazzone spettavano quindici anni di reclusione, per tutto quello
che aveva fatto in passato, durante la sua vita da giovane ribelle
sotto l'influenza di Cordano. Sapeva a cosa sarebbe andato in contro
esponendosi così tanto per fermare quel criminale, ma ormai non
gli importava. Lo doveva a Jeremy e Taylor. E anche ad Alex. Ma,
soprattutto, lo doveva a sua sorella.
E sapere che ora Edoardo Cordano era condannato all'ergastolo alleggeriva di un po' la sua pena.
"Shh."
lui la strinse inspirando il profumo del suo balsamo. "Sarebbe andata
così, lo sapevamo. Mi hai insegnato tanto, Ally...e come
fratello maggiore non mi aspettavo di imparare da te. Pensavo che
saresti stata tu, un giorno, ad ammirare quello che il tuo fratellone
faceva. Volevo essere il tuo eroe, ma avevo sbagliato completamente il
modo in cui esserlo."
"No,
Richie." la ragazza lo guardò, anche se non voleva fargli vedere
i suoi occhi pieni di lacrime. "Tu sei il mio eroe. E anche se Tessy mi
ha sempre detto che ero pazza, lo sei sempre stato. Non ho mai perso la
fiducia in te."
Sorrisero
entrambi, guardandosi. Gli stessi occhi nocciola che si specchiavano e
si ammiravano. Si erano sempre voluti bene Allyson e Richard,
indipendentemente dalle circostanze, e nemmeno adesso sarebbe cambiato
qualcosa. Anzi, il loro amore fraterno non avrebbe fatto altro che
fortificarsi sempre di più.
Richard la accarezzò di nuovo e le diede un bacio sulla fronte: "Per una volta sento di meritarti."
Era
una frase forte e strana pronunciata da un ragazzone così
imponente e all'apparenza grezzo, ma fu una frase che sciolse il cuore
di Allyson. Non aveva fatto nulla per lui, eppure aveva fatto
così tanto. Aveva cambiato suo fratello, l'aveva fatto diventare
un uomo migliore e che importava se ora avrebbe dovuto pagare per gli
errori passati? Tutto sommato era lì a Bourton, a pochi passi da
casa sua. Gli sarebbe sempre stata vicino, l'avrebbe visto ogni giorno.
"So
a cosa pensi." le disse nascondendo un sorriso divertito. "Sarà
più bello, adesso. E dovrai abituarti a vedermi sempre."
"Sì, però tu non sarai felice..."
"Lo
sarò finché sarai a fianco a me, come lo sei stata
finora." garantì con un buffetto sulla sua guancia. "E poi
così potrò tenermi aggiornato sulle mosse di quell'Alex."
Il volto di Allyson si incupì: "Non credo che ce ne sarà bisogno."
"Perché?"
Lei abbassò gli occhi, cercando di evadere l'argomento.
"Ehi, Ally. Non mi dirai che ti ha lasciato? Devo pestarlo?"
"No, Richie, sono stata io ad allontanarlo. Di nuovo."
"E ripigliatelo, no? Di nuovo."
Allyson scosse la testa mestamente, triste e affranta: "Non credo che vorrà tornare da me ancora una volta."
"È impossibile che qualcuno voglia stare lontano da te."
"Lo
dici solo perché non hai sentito come l'ho trattato. L'avevo
lasciato una prima volta e poi lui è tornato per convincermi di
nuovo. Ma dopo la vostra rissa mi sono arrabbiata, non ho voluto dargli
ascolto e gli ho detto delle cattiverie che non pensavo. Praticamente,
l'ho lasciato una seconda volta, ma non volevo farlo davvero!
Insomma..."
Richard sorrise: "Si vede che quel ragazzo ti fa proprio perdere la testa."
"Richie,
ti prego." alzò gli occhi su di lui ed erano lucidi. "Non sai
quanto male mi sento. Se solo gli avessi dato un po' di fiducia, avrei
potuto capire le sue motivazioni. Invece c'è stato bisogno che
Taylor tornasse e che fosse lei a raccontarmi che meravigliosa persona
ho ferito così profondamente."
"Ally."
Richard agì contro le sue simpatie, ma si sentì in
obbligo di difendere Alex, perché, nonostante tutto, aveva dato
prova persino a lui di essere una bella persona. "Vedrai che lui
sarà disposto ad ascoltare le tue scuse. Vedrai che ti
capirà."
"Non ne sono così convinta..."
"Allyson." disse Richard, il tono fermo. "Alex ti ama."
La
ragazza lo guardò con gli occhi spalancati. Non si sarebbe mai
aspettata che Richard potesse pronunciare quelle parole. Per nessun
uomo, per Alex ancor meno.
"Ti
ama." ripeté lui. "Posso anche non sopportarlo, ma è
impossibile non riconoscerlo. Quel giorno mi ha fatto capire che non ci
potrà mai essere nessuno di più adatto a te, se non lui."
Allyson era così colpita da quelle parole che ammutolì.
"Vedrai che ti capirà e ti perdonerà. Come anche tu hai capito e perdonato lui, in passato." la rassicurò.
"Sei sicuro?"
"Certo." disse. "Parlaci, ok? Non lasciare che i casini di Cordano influiscano anche su voi due."
"Mmm...va bene."
"Me lo prometti, Ally?"
"Promesso."
"Bene." sorrise lui beffardo. "Proprio ora che mi ero illuso del fatto che non avrei avuto un cognato così idiota!"
Ad Allyson finalmente scappò una risata. Offesa, ma pur sempre una risata.
"Richard! Sei sempre il solito!"
Richard
la abbracciò con forza, strinse le sue braccia attorno alla sua
esile vita ed espirò contro i suoi capelli, sorridendo.
"Sì, sempre, Ally."
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Si
dice che allo scoccare della mezzanotte a cavallo tra il 31 dicembre e
il primo gennaio sia buona consuetudine indossare qualcosa di rosso,
per buon auspicio.
Ad
Alex questo particolare sfuggiva ogni anno, eppure, fino a quel
momento, si poteva dire che fosse filato tutto liscio. Forse, aveva
pensato, il fatto che non avesse mai indossato nulla di rosso la notte
di Capodanno aveva accumulato la sfiga fino a quel punto e ora lo
spirito del 'qualcosa di rosso' si stava vendicando facendogli passare
l'inferno.
La
sua ragazza cercava continuamente di comunicare con lui, ma lui la
evitava per paura di essere lasciato di nuovo, Taylor lo odiava a morte
per tutto quello che le aveva sputato addosso circa una settimana
prima, il suo migliore amico non dava alcun segno di miglioramento e il
mondo, per lui, sembrava essersi ridotto a una stanzetta asettica e
silenziosa.
Aveva
perso tre chili e parecchio colore in viso, tornava a casa a orari
improbabili, dopo essere stato malamente cacciato dalle infermiere, e
non aveva ancora dormito più di due ore senza fare incubi
insopportabili. Al contrario di Taylor, o delle altre persone coinvolte
nella faccenda, Alex non riusciva a farsi aiutare. L'unica reazione che
gli veniva spontanea era quella di respingere chiunque, persino Allyson.
Si
chiudeva in se stesso, nei pensieri, nei ricordi e allora realizzava
che fino a quel giorno non aveva avuto altro che Jeremy. Si conoscevano
dall'età di undici anni, dopotutto.
Al
tempo Jeremy era il ragazzino che in classe stava sempre zitto e non
aveva amici, mentre Alex era il fighetto che faceva colpo sulle
compagne. Jeremy era timido e non conosceva nessuno, mentre Alex era
amico di quasi tutti i ragazzini della scuola. Bourton era piccola,
eppure era come se Jeremy si fosse appena trasferito lì, mentre
Alex era di casa in qualsiasi famiglia.
Jeremy
tornava a casa a piedi e veniva accolto da sua nonna, che gli domandava
se si fosse ricordato di comprarle il giornale, mentre Alex veniva
accompagnato dai genitori, nella lussuosa Bmw nera che faceva invidia a
tutti. Jeremy se la cavava abbastanza in matematica, mentre Alex sapeva
giocare a basket.
Allora
un giorno Alex chiese a Jeremy di dargli una mano in matematica,
così poi si sarebbero fatti una partita a basket nel suo
cortile. Non seppe bene perché chiese a lui, tutto sommato molti
altri suoi compagni erano addirittura più bravi e socievoli, ma
con il tempo realizzò che era perché aveva una faccia
simpatica e gli dispiaceva che uno con una faccia così rimanesse
solo a fissarsi le scarpe.
Infatti,
il giorno in cui gli parlò per la prima volta, quel bambino di
appena undici anni con una massa di capelli biondi spettinati e la
faccia cosparsa di lentiggini si stava guardando i piedi, pensando a
chissà cosa.
"Jerry." lo chiamò allegramente il ragazzino dai tratti mediterranei.
Il
biondino alzò la testa e gli rivolse uno sguardo che lo
colpì. Non si aspettava di scontrarsi con occhi tanto chiari e
freddi, non li aveva mai osservati così da vicino. Era come
quando si guardava un film, tutti presi da una scena cupa, e tutt'un
tratto lo schermo diventava chiarissimo e luminoso, tant'è che
faceva addirittura male guardare.
Ed
era strano perché non se lo aspettava. Vedeva Jeremy Parker ogni
giorno a scuola, quindi avrebbe dovuto sapere che aveva uno sguardo del
genere, invece quel giorno era come se lo vedesse veramente per la
prima volta. Due occhi chiarissimi, pieni di pensieri e sorpresi.
Però non sembravano sorpresi in senso negativo; sembravano
piuttosto speranzosi.
"Alex?"
rispose quello osservandolo a metà via tra il dubbioso e il
curioso, chiedendosi perché Alex Bell si prendesse tanta
confidenza con lui, ma rispondendosi subito che lo faceva perché
era un tipo stupido e tendeva a trattare tutti da amiconi.
Probabilmente gli avrebbe chiesto di unirsi a lui per fare qualche
ludica e interessante attività ricreativa.
"Perché non ti unisci a noi per una partita di basket con il sacchetto della merenda di Lynn?"
Ecco appunto.
"Mi
spiace, non mi va." tagliò corto tornando ai suoi pensieri. Tipo
al giornale dimenticato che gli avrebbe causato un pomeriggio di
rimproveri e lamenti. Se sua nonna non l'aveva ancora mollato per
strada per trasferirsi in Australia, l'avrebbe fatto quel giorno.
Glielo diceva che era stanca di lui e anche se non gliel'avesse
ricordato ogni santa volta, l'avrebbe capito da solo. Quasi quasi era
meglio l'orfanotrofio che vivere con la mamma di suo padre. Sapeva che
lei l'aveva preso in cura solo per soldi. E che, tra l'altro, se n'era
pentita.
"Non verresti nemmeno per vedere William che imbratta la bici nuova di Stevenson?"
Jeremy
fece no con la testa senza riuscire a reprimere la voglia di alzare un
sopracciglio. I suoi coetanei erano davvero stupidi e infantili, ma
quel Bell li batteva tutti.
"A
dire il vero contavo più che altro che saresti venuto da me
questo pomeriggio. Sai...per fare due tiri a basket e un po' di
matematica." propose allora un po' deluso per l'impassibilità
dimostrata dal compagno.
Non
seppe se fu per la sorpresa di quella richiesta, per l'insistenza,
oppure per l'opportunità di evitare un pomeriggio con sua nonna,
ma Jeremy gli concesse un secondo di attenzione in più, mossa
che fece comparire un gran sorriso sulla faccia da bambino di Alex.
Jeremy l'uomo di ghiaccio sembrava interessato a passare un pomeriggio
assieme a lui.
"Ti
riaccompagnamo noi a casa!" aggiunse come se ciò potesse
obbligare il suo compagno ad accettare definitivamente. Come se la
batteria di pentole inclusa potesse essere ciò che determina
l'acquisto di una nuova cucina.
Jeremy
aprì la bocca per ringraziare, ma declinare l'invito. Tuttavia,
nel momento in cui avrebbe dovuto farlo, si ritrovò invece a
chiedere se avesse potuto prestargli il telefono per avvisare sua nonna.
Ne
erano ancora entrambi inconsapevoli, ma in quel momento stavano legando
assieme due vite. Due sole parole scambiate durante una ricreazione
stavano dando vita a un'amicizia indissolubile, che sarebbe andata
oltre tanti pericoli e complicazioni.
La
signora Angelina Twain Parker concesse entusiasticamente al nipote di
passare un pomeriggio dall'amico e telefonò in men che non si
dica al salone "Claire's" per prenotarsi una benedetta messa in piega.
Pareva che quella strana situazione avesse messo il buon umore a un
sacco di gente.
Così
i genitori di Alex, suonata la campanella delle 12.40, accompagnarono i
due ragazzini fino alla casetta gialla di Birch Street, costellata di
tulipani fucsia e viola nei davanzali e provvista di un piccolo campo
rettangolare nel giardino, come si confaceva alle case delle famiglie
benestanti di Bourton.
Passarono
il pomeriggio come aveva previsto Alex, se non meglio ancora. Svolsero
i compiti di matematica, presero il tè che la signora Bell,
londinese di nascita, non si faceva mai mancare e uscirono sotto il
sole delle cinque. Sudarono un bel po', ma non si stancarono per ore.
Giocarono
un po' a basket e poi a qualcosa che Jeremy aveva inventato. Qualcosa
di avventuroso che stupì Alex e lo fece sentire soddisfatto di
aver voluto stringere amicizia con lui. Sì, perché quel
bambino così timido si era lentamente aperto durante la
giornata, come quell'origami che, a contatto con l'acqua, sboccia come
un fiore. E l'acqua per Jeremy era stato Alex.
Dopo
essere usciti, gli era spuntato in viso un sorriso entusiasta e un po'
malizioso, che Alex non si aspettava e che gli fece venir voglia di
fare tante domande al suo compagno, perché ora sapeva che gli
avrebbe risposto.
Ma
fu troppo preso dal gioco che fecero per tutto il pomeriggio e si
dimenticò di interrogarlo. D'altronde, aveva vissuto
un'avventura bellissima; fingendo di essere un esploratore in un'isola
selvaggia, il suo quartiere, e visitando, di fatto, luoghi di cui aveva
da sempre ignorato l'esistenza. Anzi, a essere precisi, Alex conosceva
a occhi chiusi ogni angolo di Birch Street, ma con Jeremy gli era parso
che tutto fosse nuovo, diverso, più bello.
Prima
che scendesse dall'auto per fare ritorno alla modesta casa della nonna,
parecchi isolati più distante dalla sua, gli chiese di dargli il
cinque. Jeremy lo guardò stranito, le pupille rimpicciolite per
scrutare quella mano aperta davanti al suo viso, esitante per
chissà quale motivo. Perché avrebbe dovuto dargli il
cinque? Non erano amici e glielo disse.
"E
invece io voglio che tu sia mio amico." lo esortò Alex,
prendendo la sua mano senza nervo e facendola sbattere contro la sua,
per poi sfoggiare un sorriso soddisfatto, nonostante Jeremy non avesse
mosso nemmeno un muscolo.
"Il mio amico." ripeté Alex.
Ma
Jeremy non voleva un amico. Troppo diverso da lui, pensava, troppo
felice per poter condividere qualcosa della sua vita. Non avrebbe mai
potuto capire. E invece Jeremy non lo sapeva, ma quattro anni dopo
avrebbe deciso di condividere la sua storia con lui, rendendolo la
prima e unica persona al mondo a sapere del suo passato. E gli avrebbe
fatto un bene incredibile.
Alex
desiderava con tutto il cuore quell'amico. Voleva quel Jeremy,
perché credeva di potergli far cambiare idea sul suo conto.
Credeva di potergli dimostrare che non era stupido come tutti pensavano
e che avrebbe potuto farlo sorridere, un giorno. Alex era sempre stato
un cuore buono.
E,
infatti, non era stato un caso che, tra tutte le persone che conosceva,
avesse scelto di diventare il migliore amico della più triste.
Sapeva
che Jeremy non era come lui. Sapeva che tutto sommato lui non ci teneva
così tanto ad avere amicizie con i ragazzini di Bourton, ma
preferiva fare il solitario, voleva -o doveva- arrangiarsi.
Tuttavia,
dopo quel famoso pomeriggio, non aveva mai più declinato un suo
invito. Certo, sfoggiava la solita espressione seccata ogni volta che
lo vedeva avvicinarsi, ma poi chiudeva sempre il libro che stava
leggendo e acquisiva uno sguardo che tradiva, giorno dopo giorno sempre
di più, la sua maschera di freddezza. Anzi, più si
vedevano più gli pareva che fosse contento, sollevato. Non aveva
mai capito se fosse merito suo o dei giochi avventurosi per Birch
Street o del tè di sua madre, però non gli serviva
saperlo. Gli bastava vedere che stava bene e ridere assieme a lui.
Troppo buono Alex, sempre troppo buono.
Sospirò
togliendo un filo ribelle dal suo maglione rosso. Gliel'aveva prestato
Allyson durante la solitaria nottata che avevano passato insieme e lui
non aveva più avuto il coraggio di restituirlo. Gli sembrava
più significativo che mai, quella notte tra il 31 dicembre e il
primo gennaio. Anche se a queste cose non credeva per niente.
Allungò
una mano verso quella inerme di Jeremy e la posò sopra. Non
voleva stingerla, quello spettava casomai a Taylor. Alex voleva solo
fargli sentire che, nonostante tutto, come sempre, lui c'era. E gli
sembrò per un attimo di tornare a quel pomeriggio in cui con la
stessa volontà gli aveva offerto una mano forte e determinata
per dare il cinque alla sua, debole, impassibile e priva di energia,
proprio come ora.
"Mi
dispiace, Jeremy." disse con un filo di voce. Non c'era nessuno
lì dentro, non serviva parlare forte. E poi, l'ultima volta che
lo aveva fatto era stato per dar contro a Taylor, con il risultato di
farla scappare in lacrime.
"Non volevo trattare così Taylor. Ho sbagliato."
Si sedette sulla sedia accanto al letto e rimase in silenzio a osservare il viso del suo amico.
Non
era più tondo e roseo come quando era piccolo, ora si notavano
bene gli zigomi e la forma un po' spigolosa della mascella. Se solo
avesse potuto tornare indietro a quando ancora gettavano palline di
carta in testa alle signore che passeggiavano per il parco di Bourton,
non avrebbe esitato un solo secondo! Avrebbe avuto tempo.
Adesso,
invece, sentiva di non averne più. Ed era per quel motivo che si
era comportato come un lunatico isterico con tutti, era per quel motivo
che il buon Alex sembrava cattivo. Alex aveva solo paura di perdere il
suo migliore amico.
"Le
ho detto quelle cose perché ero fuori di me." spiegò
quasi in un sussurro. "Però non ci credo veramente. Lei
è...lei...voi due state bene insieme. Voglio dire, tu sei un
ragazzo con la testa a posto e...beh, insomma, sì, hai la testa
a posto, ma sei comunque scapestrato...ma meglio, voglio dire, è
una cosa che piace alle donne. Poi Taylor è
tutta...beh...è tutta lì..." sagomò l'aria come
per dire che Taylor era piccoletta e graziosa. "Questo è
sicuramente positivo, perché...è come se vi compensiate,
no? Nel senso, non che tu sia alto e lei bassa...sì, comunque
sei alto. Però lei non è bassa. È minuta, ecco...e
secondo me ti si addicono le ragazze minute."
Sospirò continuando a fissare invano le palpebre immobili del suo amico. Nessun segno.
"Mi
dispiace." disse in un sospiro sconsolato. "So quanto lei sia
importante per te...e anche per me. In fondo, è diventata mia
amica. E io sono suo amico. Ti prometto che mi farò perdonare da
lei, però tu devi esserci, Jerry." e nel pronunciare il suo
nome, la sua voce si incrinò. "Devi esserci per vedere quanto
bella è la tua Taylor quando fa pace con le persone, ma anche
quando è furiosa, specialmente se l'oggetto della sua furia sei
tu, perché ti assicuro che i suoi occhi omicidi sono un vero
spettacolo. Devi esserci per sentire il tono dolce di quella bestia di
Richard quando parla di Allyson, devi esserci per darmi dell'idiota e
fare delle espressioni disperate quando non capisco cosa vuoi dire.
Devi esserci, Jerry. Io..." fece pressione con la mano sopra la sua e
fissò gli occhi sul suo volto mentre una lacrima gli rigava la
guancia. "Ho bisogno di te."
Purtroppo
era troppo fragile e stressato per riuscire a essere forte come tutti
gli dicevano. Purtroppo non aveva il carattere della sua ragazza o del
suo migliore amico e nelle situazioni negative si lasciava sopraffare
dagli eventi. Purtroppo non era disposto ad accettare di non avere
più tempo da spendere con Jeremy.
Come
era sempre successo, Alex non avrebbe lasciato Jeremy. Alex lo avrebbe
sempre cercato. Alex si sarebbe sempre preoccupato per quel bambino
orfano che si fissava le scarpe. Sempre.
Perciò
scoppiò a piangere per l'ennesima volta davanti all'immagine del
suo migliore amico che non dava segni di vita, se non artificialmente
indotti, e si accasciò sul suo addome nascondendo il viso nelle
maniche di quel maglione rosso.
Andò
avanti a lungo, senza nemmeno accorgersi della mezzanotte che scoccava
e dei festeggiamenti di Capodanno dalla finestra. Non fece gli auguri a
nessuno, non rispose alla chiamata di Allyson, rimase in balia di
profondi e incontrollabili singhiozzi e lacrime bollenti che si
perdevano nella sua barba di qualche giorno e cadevano sul bianco del
lenzuolo.
Contemporaneamente,
più distante e nel buio della sua camera, Taylor soffocava il
pianto nel bianco della sciarpa di Jeremy. Con quale faccia si sarebbe
presentata in ospedale la mattina seguente, sapendo che aveva promesso
a tutti che l'avrebbe piantata di essere così debole? Il
correttore faceva miracoli con i brufoli, ma con occhi gonfi e
arrossati no.
Sua
madre si sarebbe preoccupata, Allyson l'avrebbe sgridata, Tessy
l'avrebbe compatita e Oliver l'avrebbe spronata a tenere duro. E
Jeremy? Cos'avrebbe pensato di lei il suo Jeremy?
Questo
pensiero fece aumentare l'intensità dei suoi singhiozzi. Magari
avrebbe potuto trasformarsi in un orso scontroso come aveva fatto Alex
e permettersi di esprimere la sua disperazione come e quando le pareva,
oppure avrebbe potuto continuare a fare buon viso a cattivo gioco.
Così si sarebbe ridotta, come da una settimana a quella parte, a
passare delle ore con lui, parlargli, sorridergli, accarezzarlo, e poi
piangere nella sua solitudine. Lei voleva essere forte, ci provava, ma
più si sforzava, più soffriva in seguito. Come quando
bevi tanto da diventare euforico e le conseguenze si fanno sentire solo
dopo, in proporzione all'alcol ingerito.
Strinse
quella sciarpa contro il suo petto, poi la fece salire per
strofinarcisi la guancia e infine vi posò sopra le labbra nel
ricordo di un bacio che avrebbe riassaporato più di ogni altra
cosa al mondo.
Il
caldo delle labbra di Jeremy che vinceva il freddo dell'aria su ogni
singolo centimetro di pelle. Tutto l'amore, il bello della vita e la
felicità concentrati nell'unione bollente di due paia di labbra
congelate. E un cuore grande, grande da morire.
Ormai era il primo gennaio e, secondo i medici, Jeremy non avrebbe resistito oltre.
Proprio
quel cuore così grande batteva sempre più lentamente, il
suo respiro era ogni giorno più debole e la speranza che potesse
salvarsi era flebile come il battito che, in silenzio, appoggiandosi al
suo petto, Taylor ascoltava spesso.
Così
diverso da far male dal battito che l'aveva cullata una notte non
troppo lontana, dopo la sparatoria in uno squallido locale di Stroud.
Era
stata la prima volta in cui aveva sentito di essere a casa, tra le
braccia di Jeremy. La prima volta in cui un pensiero davvero bizzarro
le aveva attraversato la mente: di provare qualcosa per quel gradissimo
stronzo che l'aveva rapita.
E
da perfetta isterica, Taylor sbottò in una risata solitaria che
riecheggiò nella stanza. Si ricordò di quando aveva
provato a scappare dall'hotel di Cirencester, sfruttando
l'ingenuità di Alex e irritando Jeremy a tal punto da fargli
pensare che il suo amico volesse provarci con lei in una situazione del
genere. E poi era stato lo stesso cretino a innamorarsi come un
barbagianni.
Poi
si ricordò di quella mattina in cui l'aveva trascinato in chiesa
e di quando gli aveva dato una testata facendogli sanguinare il naso o
ancora di quel giorno in cui avevano investito un uomo travestito da
Babbo Natale e avevano finto di chiamarsi Tracy e Ludwig e di essere
una coppia e tutto ciò la faceva ridere perché si era
divertita. Era stata davvero felice, come mai lo era stata prima di
allora.
E
adesso Taylor aveva la sensazione che il tempo le stesse scivolando
dalle dita, assieme a Jeremy. Il suo Jeremy. Il Jeremy che amava e che
non l'avrebbe mai saputo.
Perché
Jeremy aveva usato tutta l'energia che gli rimaneva per dirle che si
era innamorato di lei, andando contro tutto e tutti, consapevole di
ogni rischio. Mentre lei che, paradossalmente, era quella che aveva
sempre rischiato di meno, non aveva trovato il modo per farlo. Ed era
irrimediabilmente tardi.
Mentre
di sotto una bottiglia di champagne veniva stappata tra schiamazzi e
risate, la porta della sua stanza si spalancò e la luce
artificiale che la illuminò di colpo svelò un aspetto
terribile, l'aspetto della paura.
Oliver
non disse nulla, chiuse semplicemente la porta alle sue spalle,
posò il bicchiere e il piatto di pudding sulla scrivania e in
due ampie falcate raggiunse Taylor.
Si
sedette cauto sul piumone accanto a lei, si allungò in avanti e
la avvolse in un abbraccio grande, caldo, protettivo, paterno. Taylor
tremò e intensificò il suo pianto abbandonandosi sul
petto del suo papà.
Erano
circa le quattro quando la ragazza venne rapita da un sonno disperato,
a cui lei era riluttante, ma a cui aveva dovuto soccombere.
Un
sonno che le faceva dare calci e pugni alla coperta che Oliver le aveva
adagiato sopra, perché quella coperta non era il corpo di Jeremy.
Un
sonno che l'aveva presa contro il suo volere, un altro rapimento, che
però stavolta non avrebbe portato a nulla di buono.
----
Alex,
invece, era già sveglio da mezz'ora. Aveva dormito un paio d'ore
abbondanti sull'addome di Jeremy e si era svegliato di soprassalto
sognando di soffocarlo con il peso della sua testa.
Si
era alzato più intontito che mai, con le ginocchia che tremavano
per la stanchezza e un lato del viso rigato dai segni lasciati dal
lenzuolo. Aveva pianto e sbavato, così si era diretto verso il
comodino e aveva elegantemente usato l'acqua dei fiori che avevano
portato a Jeremy per rinfrescarsi il viso.
A quel punto si era ritrovato con la faccia bagnata e aveva risolto di asciugarsi, naturalmente, con il lenzuolo del lettino.
Stava
giusto sfregandosi gli occhi, quando qualcosa catturò la sua
attenzione. Si asciugò bene le ciglia per assicurarsi che non
fosse il riflesso delle gocce e si rese conto che il suo sguardo non lo
aveva ingannato. Così si avvicinò con timore e mise a
fuoco mentre il suo battito cardiaco accelerava pericolosamente.
Appena
si accertò di ciò che stava succedendo, sentì il
seme del panico diffondersi dal suo petto e paralizzare tutti i muscoli.
Una
goccia di sangue, densa e scura, quasi nera, stava scendendo dal naso
di Jeremy, avanzando con una lentezza sconcertante e destabilizzante.
Alex rimase per un millesimo di secondo a osservarla, fintanto che la
sua concitata e preoccupata concentrazione non fu scossa da un
improvviso rumore dei macchinari.
Un
suono acuto lo aveva spaventato a morte e si era messo a scandire un
ritmo dal significato sconosciuto, ma che continuava a velocizzarsi e
rallentare, irregolare come la pioggia spinta dalle raffiche di vento
durante una burrasca.
Tutto
ciò ebbe l'effetto di paralizzarlo completamente e gli
mozzò il respiro. Nella sua mente esplose il pensiero che Jeremy
stesse per morire, che il suo cuore stesse per fermarsi e che lui
dovesse assolutamente correre ad avvisare i medici. Ma non ci riusciva,
perché sembrava che i suoi muscoli si fossero fossilizzati nella
loro posizione.
Non respirava bene, o forse non respirava più. E questa frase si adattava molto bene per descrivere sia Jeremy che Alex.
Quest'ultimo,
preso da un vero e proprio attacco di panico, non poteva fare nulla se
non fissare con occhi sbarrati il sangue che ora, a corposi fiotti,
scendeva dal naso di Jeremy, colava sulla sua mascherina e macchiava la
coperta e il petto nudo del ragazzo.
Ma fu proprio quando il sangue penetrò nelle fessure della mascherina che Alex finalmente si disincantò.
Come
sbloccato da un incantesimo di Medusa, corse di filato a togliergli
quell'arnese dalla faccia, mentre lui iniziava a rantolare a causa del
liquido che gli era entrato nella bocca e lo stava soffocando.
Alex
slacciò il nodo dietro il collo e nell'attimo in cui
sfilò la mascherina dalla bocca di Jeremy, pensò che se
il suo amico fosse morto per colpa di quella sua ennesima stupidaggine,
non si sarebbe mai dato pace e sarebbe morto anche lui.
Ma Jeremy, liberato da quell'obbligazione, sputò sangue e saliva, tirò un lungo respiro e aprì gli occhi.
Alex,
che aveva lo sguardo fisso sulla sua faccia, sembrò essere
abbagliato come quel giorno a scuola, quando osservò i suoi
occhi per la prima volta. Così ora si stupì
immotivatamente di quel colore, di quella luminosità e di quella
chiarezza.
Jeremy
si pulì la bocca con l'avambraccio e, alzandosi leggermente con
il busto, si tappò il naso con i dorso della mano e si mise a
testa in su, per contenere l'emorragia.
Poi
spostò gli occhi sul suo amico, immobile a fianco a lui, una
mano a mezz'aria con in mano la sua mascherina per l'ossigeno e l'altra
a grattarsi la guancia, l'espressione tipicamente tra l'ebete e
l'infinito.
"Alex." lo chiamò.
"Jerry?" biascicò lui, incapace di pensare.
"Alex, dai, prendi uno straccio, qualcosa. Sto facendo un casino qui, muoviti."
Il
moro lo guardò se possibile ancora più stupito e si
girò lento come uno zombie per cercare quello che gli era stato
chiesto.
Rimediò
una federa azzurrina che piegò in quattro e pose sotto il naso
del ragazzo, muovendosi sempre come in una moviola e guardandolo poco,
cercando di assimilare prima il tutto nella sua mente.
Era
esattamente come quella volta in cui aveva preso una A in fisica. Gli
ci era voluto un po' prima di realizzare che fosse capitato veramente,
e soprattutto a lui.
Finalmente,
dopo svariati secondi che Jeremy aveva più saggiamente impiegato
ad asciugare la perdita si sangue, se ne uscì con qualcosa di
intelligente.
"Chiamo il dottore." disse.
"Eh, direi." rispose Jeremy, sorridendo. "Ma prima dammi una mano qui."
Non
ancora totalmente lucido e preda degli eventi, Alex diede
priorità al problema presente e si sedette sulla sedia lì
accanto, reggendo la federa per Jeremy.
"Devi
stare a testa in giù e premere sul naso." gli disse, come ogni
volta che si trovava ad affrontare questi episodi, talmente frequenti
con Jeremy fin da quando aveva undici anni.
"Sì, così facciamo le cascate del Niagara."
Alex si fermò e sorrise immediatamente nel sentir giungere quella frase alle sue orecchie.
In quel momento aveva realizzato di aver preso una A. In quel momento, si era reso conto che Jeremy era vivo.
Jeremy
era tornato con lui. Il suo migliore amico, di cui lui aveva bisogno,
era lì. Era vivo. Non l'aveva abbandonato, nemmeno questa volta.
Perché lui era Peter Pan e nessun Capitan Uncino del cazzo gli
avrebbe mai messo i piedi in testa.
Lo
guardò commosso e si aprì in un gran sorriso traboccante
di sollievo, che si trasformava da istante a istante in euforia, mentre
il suo cuore batteva forte.
Anche
Jeremy ricambiò, le guance che incominciavano miracolosamente a
prendere colore. E quello, si poteva dire, era davvero un miracolo.
Alex
si alzò in piedi: "Vado ad avvisare i medici." disse, ma in
realtà era impaziente di dirlo a tutti, al mondo intero. Doveva
correre da Taylor e darle questa notizia ed era sicuro che allora
l'avrebbe perdonato, poi doveva farlo sapere ad Allyson e Richard e
doveva raccontare a Jeremy di Cordano e della punizione che si era
meritato.
Ma
in quel momento la domanda più sorprendente e martellante nella
sua mente era "Che cosa è successo?". Com'era stato possibile
che Jeremy ce l'avesse fatta? Cosa l'aveva salvato? Le sue parole di
quella notte? L'amore di Taylor? L'amore per Taylor?
Allora prima di uscire, si rivolse di nuovo all'amico, incredulo e felice: "Ma cos'è successo, Jerry?"
Il biondo, anche se debole e decisamente provato, gli sorrise, felice che tutto fosse andato per il meglio.
"A me lo chiedi?" rispose sorridendo.
L'unica
cosa che sapeva era che, quella terza domenica d'avvento, Cordano e
Richard l'avevano inseguito per le strade di Bourton, e poi l'avevano
picchiato fino a farlo finire in ospedale, per non aver ancora sanato
il suo debito di duemila sterline.
Da lì in poi non ricordava più nulla.
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Vi prego, non m'accoppate.
Il titolo, "Tutti i tipi di amore",
descrive, appunto, tutti i modi in cui, in questo capitolo, il
sentimento si manifesta. L'amore di una mamma per la figlia, quello di
un papà per la figlia, quello di un uomo per una donna, quello
di una ragazza per un ragazzo, quello di un amico nei confronti del suo
migliore amico. Evviva l'ammmore.
Vi piacerebbe leggere anche l'ULTIMO capitolo di questa storia? Beh, restate in attesa, lo vedrete sullo schermo del vostro PC il 1 gennaio 2017, come regalo di Natale da parte mia e augurio a tutti di un meraviglioso anno nuovo.
Buon Natale!
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Capitolo 14 *** Omnia vincit amor ***
All I want - 14 .2
ALL
I
WANT
FOR
CHRISTMAS
IS...
********Omnia vincit amor********
"Allora, adesso ti ricordi?"
"No."
Alex sospirò, deluso, mentre Jeremy fece la smorfia di rituale e si alzò dalla sedia.
"Dove
vai, aspetta!" lo fermò l'amico. "Non ti ho ancora raccontato
della parte in cui Taylor mi ha dato un calcio nelle palle e tu-"
"Alex, ti prego." sospirò Jeremy, voltandosi appena verso di lui. "Sono stanco."
"Ma, Jeremy."
Il
rimprovero del ragazzo sembrò quasi fuori luogo. Assurdo
richiedere a uno che si era svegliato da un coma solo due giorni prima
di ascoltare cento volte sempre la stessa storia.
Jeremy
era davvero stanco. Aveva solo voglia di fare una passeggiata per il
corridoio e poi tornare a guardare fuori dalla finestra sperando sempre
che il giorno dopo sarebbe stato quello in cui l'avrebbero dimesso.
Ma sapeva che era una speranza bella grossa.
I
medici gli avevano spiegato per filo e per segno tutto quello che il
suo corpo aveva dovuto sopportare ed erano stati piuttosto chiari sul
fatto che, per non sprecare il miracolo che aveva ricevuto, avrebbe
dovuto passare lì dentro almeno un mese. Un mese di esami, di
cure, di riposo,...di noia.
E poi c'era Alex.
Alex
che da tre giorni a quella parte non era ancora riuscito a mettersi
l'anima in pace. Passava l'intera giornata al suo fianco e non faceva
altro che raccontare, raccontare, raccontare...
I
medici avevano confermato che, a causa del lungo periodo in coma,
qualcosa in Jeremy non aveva ripreso a funzionare correttamente.
D'altronde era il minimo che potessero mettere in conto: non avrebbe
potuto sopravvivere senza almeno un effetto collaterale.
E
l'effetto collaterale in questione fu che la sua memoria aveva
resettato una porzione della sua vita: precisamente dalla domenica
d'avvento in cui Cordano e Richard l'avevano obbligato a rapire Tessy
Heavens, fino al suo risveglio. Di quelle ultime tre settimane non
ricordava assolutamente nulla.
E
sì, chiaramente aveva già sentito milioni di volte la
storia di com'erano andati i fatti. Lui aveva chiesto aiuto ad Alex, da
veri idioti, avevano rapito Taylor anziché Tessy e, da vero
idiota, lui si era innamorato di questa Taylor. C'erano poi un sacco di
altri dettagli, che Jeremy ascoltava più per far contento il suo
amico che per altri motivi.
Ma, ancora una volta, di quella Taylor e di tutta quella storia non sapeva altro che i fatti riportati.
Alex
gli aveva fatto guardare ore di telegiornali registrati, aveva
disegnato uno sproposito di schemi riassuntivi e gli aveva anche
propinato degli assurdi esercizi per la memoria. Ma non era servito a
niente.
Secondo
i medici, Jeremy avrebbe potuto recuperare la memoria come anche
perderla per sempre. Sarebbero potuti passare giorni, anni, oppure
l'eternità intera. Non poteva prevederlo nessuno; solo il suo
cervello sapeva se e quando si sarebbe riattivato.
Tuttavia,
Alex era convintissimo che, non appena Jeremy avrebbe rivisto Taylor di
persona, si sarebbe ricordato di ogni cosa, di ogni sentimento, di ogni
singolo secondo che era intercorso dal momento in cui l'aveva
addormentata col cloroformio a quello in cui i ruoli si erano scambiati
e lui era svenuto tra le braccia di lei.
Alex,
d'altronde, lo desiderava più di ogni altra cosa: per il suo
amico, ma soprattutto per Taylor. Il giorno in cui Jeremy si era
svegliato, ovvero il primo di gennaio, era stato lui a fare la
chiamata. E così al telefono l'aveva ascoltata gridare di gioia
e di sorpresa e poi si era preso l'ingrato compito di darle la notizia
che avrebbe ammazzato brutalmente la sua neonata speranza.
Ma era l'unico a poterlo e doverlo fare.
L'aveva
informata sulla perdita di memoria di Jeremy: Taylor era rimasta in
silenzio e, Alex ne era sicuro, era appassita come un girasole in un
giorno d'improvviso inverno.
Ma
i dottori erano stati chiari: vedere la ragazza avrebbe potuto essere
un trauma positivo per Jeremy, perciò doveva accadere quando
sarebbe stato completamente in forze e, nel frattempo, Alex si era
preso carico della sua, come l'aveva nominata, 'preparazione.'
Non
aveva mai cessato, neanche un solo secondo, di impegnarsi per Taylor e
Jeremy. Alla prima lo doveva, per essere stato un completo stronzo con
lei e per ringraziarla del bene che aveva fatto a lui e al suo amico.
Al secondo voleva donare di nuovo la felicità. Non poteva
accettare che vivesse il resto della sua vita vuoto di tutto quello che
aveva imparato. Aveva ricevuto un dono enorme, un dono che, ne era
sicuro, l'avrebbe reso una persona migliore e felice, un dono che si
meritava dopo anni e anni di ingiustizie. Non poteva aver smarrito quel
dono.
Il
miglior futuro che avrebbe desiderato per Jeremy era quello a fianco di
Taylor. Non poteva neanche ipotizzare che tornando a essere il Jeremy
di prima di quell'avventura, avrebbe vissuto bene. Certo, avrebbe
creduto di vivere bene, ma Alex, e tutto il Cotswolds ormai, sapeva che
non sarebbe stato così.
Per
questo si alzò e seguì Jeremy lungo il corridoio del
reparto, mentre, camminando al suo fianco, gli raccontava di quella
volta in cui Taylor gli aveva dato un calcio nelle palle e lui aveva
fatto una gran scenata di gelosia.
--------------------------------------------------------------------------------------------------
Era passata una settimana.
Da
quando Jeremy aveva aperto gli occhi, per sette giorni non aveva potuto
fare niente e vedere nessuno. Eccetto Alex e sua nonna. Per una
settimana intera.
Ma
ora, finalmente, lo facevano uscire nel giardino dell'ospedale e poteva
godere, per qualche ora ben distribuita nella giornata, del senso di
libertà di cui si era sempre sentito padrone.
Era
uscito per la prima volta quella stessa mattina, aveva preso un po'
d'aria e passeggiato per una mezz'ora e poi era rientrato, sentendosi
già quasi completamente guarito. Era incredibile come il riposo
forzato gli costasse, mentre muoversi lo facesse sentire meglio.
Non
gli avevano ancora tolto la fasciatura all'addome, ma la ferita aveva
smesso di sanguinare. Aveva fatto tutti gli accertamenti possibili e
immaginabili e ormai ricordava quasi a memoria tutti i valori del suo
sangue. Anche i dottori erano soddisfatti dei suoi miglioramenti, ma
lui era già troppo stanco di aspettare.
Senza dar retta ai mille progetti di Alex, aveva già deciso cosa avrebbe fatto una volta uscito.
Sua
nonna era ricomparsa dal nulla qualche giorno prima, presentandosi
nella sua camera d'ospedale con una faccetta falsamente pentita e un
mucchio di scartoffie da firmare. Aveva sentito di lui al telegiornale;
forse si era veramente sentita in colpa, ma le era anche venuta un'idea.
Così
era tornata a Bourton-on-the-water dall'unico nipote che aveva; per
dirgli che gli avrebbe lasciato una buona parte della sua
eredità e che gli avrebbe comprato una casa. Jeremy ne era
rimasto molto contento, ma non si era commosso: la nonna non era di
colpo diventata una santa; voleva solamente guadagnarsi un po' di
popolarità, comparendo nelle interviste al tg come inedita buona
samaritana.
Si
era solo messa in testa che sarebbe stato meglio riscattare la sua
immagine di nonna cattiva che i media avevano fornito nei vari racconti
della vicenda.
Ma
ciò che importava a Jeremy, ora, era avere
un'opportunità. Con questa inaspettata riapparizione della
signora Twain, ora aveva dei soldi e una casa: non sapeva ancora bene
dove, ma si sarebbe finalmente stabilito.
"Allora, Jerry, sei pronto?"
Il ragazzo guardò l'amico, fremente sullo stipite della porta.
Si
guardò allo specchio e ponderò le sue occhiaie, poi si
spettinò un po' i capelli con la mano e si rivolse ad Alex: "Lo
faccio solo perché me lo chiedi tu, sia chiaro."
Alex
aggrottò le sopracciglia e guardò il ragazzo con profonda
rabbia: in quella settimana aveva potuto rendersi conto che uno dei
tratti che aveva sempre caratterizzato Jeremy era quello
dell'indifferenza e la freddezza. Una volta ci era abituato, ora non
più, ed era abbastanza palese che non riuscisse a sopportarlo
come un tempo.
Nelle
settimane passate, Taylor era riuscita a mitigare di molto i tratti
più duri di Jeremy e l'aveva reso una persona più
sensibile ed empatica, tanto che Alex vi si era spontaneamente abituato.
Ora
sembrava che tutto si fosse dissolto nel nulla. Perché la
memoria di Jeremy aveva scelto di cancellare proprio quel periodo?
Proprio quei miglioramenti? Proprio Taylor?
"Lo
fai per te stesso." lo corresse Alex, poi si affrettò a coprirsi
con la giacca e scendere nel giardino assieme a Jeremy.
Il giardinetto dell'ospedale di Bourton era piccolo e curato.
Aveva
una forma quadrata e, lungo il suo perimetro, un muretto bianco e
fatiscente lo rendeva molto chiuso, quasi intimo. Al centro stava una
fontana spenta, piena di aghi di pino e pigne, e lungo i quattro
sentieri ghiaiati che si diramavano da essa, erano piazzate delle
panchine in legno, su cui Alex e Jeremy presero posto.
Al
giardino si poteva accedere dall'interno, oppure da un piccolo arco di
marmo che serviva da entrata secondaria all'ospedale. Proprio
lì, appena fuori dall'arco, si trovavano Allyson e Taylor, l'una
piena di carica, l'altra avvolta da un misto di emozioni che l'aveva
lasciata muta da una settimana a quella parte.
Finalmente stava per rivedere Jeremy.
Aveva
vissuto un arcobaleno di emozioni, dalla più positiva alla
più negativa, in meno di due minuti, quando il primo gennaio
aveva ricevuto la chiamata di Alex.
In
quei giorni, poi, aveva avuto il tempo di trarre le proprie
considerazioni e, ora che finalmente si trovava a pochi passi da lui,
sembrava non aver concluso proprio nulla. Oltre al perenne contrasto
tra sollievo e tristezza che provava nel cuore, non sapeva minimamente
che avrebbe fatto o cosa gli avrebbe detto.
Non
sapeva se essere positiva a riguardo o se rassegnarsi al peggio, sapeva
solo che la voglia di rivedere quegli occhi era più grande di
qualsiasi altro istinto avesse mosso le sue gambe fino all'ospedale. E
l'aveva agognato così tanto che ora quasi si sentiva svenire.
"Coraggio, Tay." le disse Allyson, posandole una mano sulla schiena. "Vedrai che andrà tutto bene."
La
ragazza annuì e si lasciò guidare dalla spinta di Allyson
mentre varcavano l'entrata del giardino e si dirigevano verso la
fontana spenta, vicino cui erano seduti i due ragazzi.
Allyson
si fermò a metà strada, nello stesso momento in cui Alex
si alzò dalla panchina e corse verso le due, lasciando Jeremy da
solo. Era la prima volta che vedeva entrambe, dato che nemmeno lui era
mai uscito da quell'ospedale.
La
prima cosa che fece fu lanciare un fugace sguardo ad Allyson,
concedendosi un millesimo di secondo per godere di quell'innata purezza
e quei grandi occhi dolci. Non avevano ancora chiarito dopo la famosa
litigata, non gliene aveva dato modo, perché era sicuro che lei
gli avrebbe detto di troncare definitivamente la loro relazione.
Allyson
rispose allo sguardo con uno altrettanto addolorato. Sapeva di aver
ferito Alex profondamente e capiva che quello era il motivo per cui
aveva smesso di parlare con lei. Sapeva che avrebbe dovuto dare ascolto
a Richard, ma si sentiva troppo in errore per sperare che Alex avrebbe
accettato le sue scuse.
Alex allora staccò gli occhi da lei e si rivolse a Taylor, avvolgendola con in impeto in un forte e protettivo abbraccio.
"Mi dispiace così tanto, Taylor."
La
ragazza fissò le rughe di stanchezza ed empatia del suo volto e
si sentì catapultata nel passato; a quando la gente la guardava
in quel modo e si dispiaceva per quello che Oliver le aveva fatto. Era
un po' abituata a sentirsi compatita, ma ne era anche stanca e avrebbe
voluto che Jeremy fosse lì per farla sentire diversamente.
Beh...Jeremy
era lì. Solo che probabilmente non aveva alcuna intenzione nei
suoi confronti, se non quella di finire presto i convenevoli e
tornarsene alla sua vita.
"Taylor." la richiamò Alex. "Ti prego, devi reagire."
La ragazza gli sorrise: "Certo. Non è che sia morto."
"No." soffiò lui, notando tristemente che le sue iridi castane erano liquide di pianto.
"E
comunque ho sbagliato, Tay, non sai quanto mi dispiace. A litigare con
te, intendo. A dirti quelle cose orribili...non le pensavo."
La ragazza gli riservò un altro sorriso: "Sì che le pensavi."
Alex fu preso in contropiede. Lui ed Allyson si guardarono per un attimo.
"È
giusto che fossi arrabbiato con me." proseguì lei. "Ho capito le
tue ragioni, Alex, e sulla maggior parte di esse non posso che essere
d'accordo."
"Era
solo gelosia. Immotivata." la corresse lui. "Non è che io ami
Jerry, sia chiaro, ma ero geloso che ti fossi messa tra di noi. Sono
sempre stato abituato ad avere Jerry solo per me, e viceversa per lui."
"Questo
non è mai cambiato. Quello che rappresenti per Jeremy, Alex, non
è cambiato di una virgola indipendentemente dalla mia presenza."
"Lo
so. E, in ogni caso, l'ho capito dopo che tu per lui sei stata un
miracolo. Hai fatto un favore anche a me. Aldilà delle sue
amicizie e dei suoi ragionamenti da kamikaze, innamorarti di lui
è stato il miglior regalo che potessi farci."
"Davvero?"
"Certo!"
sorrise stringendole il braccio. "È per questo che ora devi
andare da lui e fargli ricordare tutto. Fallo di nuovo, il tuo
miracolo. Per favore."
La
ragazza annuì flebilmente, come poco prima aveva annuito ad
Allyson. Poi spostò gli occhi oltre il corpo di Alex e lo vide.
Jeremy era lì, apparentemente spensierato e in salute, seduto su una panchina di legno a fissarsi le scarpe.
Alex
ed Allyson le sorrisero e lasciarono che avanzasse distanziandosi da
loro. Convennero, senza doverlo esprimere, che sarebbe stato meglio
lasciare il giardino, cosicché Jeremy e Taylor potessero
rimanere soli.
E
allora Taylor prese un profondo respiro e camminò verso la
fontana con il cuore che le batteva fortissimo e un enorme nodo in
gola. Quando Jeremy la vide avvicinarsi, si alzò subito in piedi
e le tese la mano con un sorriso un po' nervoso.
Secondo
Alex, quello avrebbe dovuto essere un momento fondamentale per lui e
avrebbe dovuto stare concentrato al massimo. Gli aveva intimato di non
comportarsi da stronzo, di ascoltare attentamente quello che Taylor gli
avrebbe detto e di dare un'opportunità, a lei e a se stesso, di
farsi aprire il cuore.
Jeremy
non si ricordava che il suo amico fosse mai stato così fuori di
testa, perciò decise che l'avrebbe fatto, se non per nessun
altro, solo per lui. Per dargli soddisfazione e sperare che la
piantasse di assillarlo.
Sinceramente,
non aveva mai preso tutta quella storia sul serio. Certo, era convinto
che gli fosse accaduto davvero, ma l'idea che l'avesse cambiato
così profondamente era a lui incomprensibile. L'idea di essere
arrivato ad amare perdutamente una persona gli risultava fiabesca e
inverosimile.
Ogni
volta che glielo raccontavano, pensava che fosse stato figo, ma
rimaneva sempre e comunque un curioso racconto a cui si sentiva
totalmente estraneo.
"Ciao." le disse, sperando che l'imbarazzo non avrebbe piegato prima lui di lei.
Taylor gli prese la mano e la strinse mostrandogli inevitabilmente quanto stesse tremando.
"Ciao."
rispose con una faccia così tirata che Jeremy la trovò
addirittura diversa dalle foto che aveva visto sui giornali e in tv.
"Come stai?"
"Bene." rispose lei, la voce acuta e instabile. "Mi fa davvero piacere sapere che è lo stesso anche per te."
"Diciamo così." sorrise lui.
"Senti,
Jeremy, io..." Taylor prese un profondo respiro e Jeremy si
fermò un attimo a osservarla, come gli aveva suggerito di fare
Alex.
Gli
aveva detto che se si era innamorato di lei, allora sicuramente doveva
piacergli, così ascoltò quel consiglio e studiò il
viso della ragazza. Era rotondo e pallido, le guance e il naso erano
arrossati per il freddo e sotto agli occhi anche per lei erano previste
due occhiaie violacee.
Le
sue ciglia erano folte e tutte disordinate, come se si fosse sfregata
gli occhi per scacciare le lacrime, mentre i capelli erano ben
pettinati e lucidi, evidentemente preparati per un'occasione importante.
Se
le piaceva? La trovava gradevole. Aveva delle fattezze minute, come il
naso e il labbro superiore, mentre gli occhi erano grandi e caldi, le
stavano bene incorniciati dai ciuffi dello stesso colore.
E
poi aveva delle mani piccole che gli ricordavano quelle di una bambina,
come d'altra parte la sua statura e la sua voce per niente imponente o
prepotente.
Sì,
era carina, ma l'aveva guardata come si guarda una persona che non si
conosce. Senza sapere niente su di lei, o su di loro.
"Io
volevo ringraziarti." disse la ragazza, stringendosi le mani al petto.
"Anche se non te lo ricordi, hai fatto qualcosa di grande valore per
me. E per mia madre e i miei amici. Tutti ti sono grati per avermi
salvato la vita, io in primis."
"Dovere." rispose lui, un po' a disagio, ma cercando comunque di suonare disinvolto. "Grazie anche a te per...ehm..."
Alex gliel'aveva ripetuto un milione di volte, ma ancora non gli sembrava verosimile dirlo!
"Per avermi aiutato coi miei problemi." concluse.
Quella
conversazione sembrava così falsa che a Taylor venne la nausea.
Voleva andarsene e scappare subito; non avrebbe retto ancora un secondo
così. Il suo Jeremy era davanti a lei ed erano perfetti
sconosciuti.
"Senti, sediamoci un po'." propose lui, invitandola a prendere posto al suo fianco.
La
ragazza obbedì e si sedette in silenzio, osservando l'erba
ingiallita del giardino e guardando di sottecchi, ogni tanto, quel
bellissimo azzurro che sarebbe stato clinicamente impossibile da
dimenticare.
"Allora, dimmi." incalzò di nuovo Jeremy. "Che piani hai per il futuro?"
"Che...piani?" Taylor sembrò indecisa.
Non
aveva nessun piano. A dire il vero, in quei giorni non era mai riuscita
a vedere oltre quello stesso momento. Forse aveva sperato troppo in un
miracoloso recupero della memoria da parte di Jeremy?
"Non hai nulla in mente ora che tutto questo casino è passato?"
Tutto questo casino. A Taylor salì un nuovo un conato di vomito.
"Io,
per esempio, voglio comprare una casa." proseguì il ragazzo,
allegro. "Certo, devo almeno lasciar passare un paio di mesi per
rimettermi in sesto, ma poi mi trasferirò."
"Sul serio?"
"Sì." confermò lui.
"E dove?"
"Non lo so con precisione, ma mi attirava l'Australia. Ho una nonna che-"
"Sì, so di tua nonna." Taylor lo interruppe bruscamente.
Quella notizia l'aveva colta impreparata. Jeremy non poteva andarsene da Bourton! Non poteva andarsene da lei!
"Ah."
sorrise lui, gentilmente. "Beh, mi sembrava giusto approfittare della
sua offerta e magari in Australia riprendere gli studi e trovare un
lavoro."
"E
Alex?" era l'unica persona che avesse e di cui si ricordasse lì
a Bourton, perciò Taylor tentò di proporlo come contro.
"Ovviamente non è d'accordo." ghignò Jeremy, divertito. "Ma so che alla fine mi capirà."
Jeremy
vide Taylor abbassare gli occhi sotto le folte ciglia e stringere le
mani che aveva in grembo in un pugno nervoso. Gli dispiacque davvero
molto e sentì come una morsa allo stomaco, per essere la causa
della sua sofferenza.
"Ehi."
cercò di distrarla. "Tornerò comunque spesso a Bourton
per passare del tempo con Alex e, se lo vorrai, potremmo vederci in
quelle occasioni."
"Vederci?" a Taylor sembrò un'ipotesi assurda.
Lei
non poteva vedere Jeremy di tanto in tanto, lei voleva passare ogni
secondo accanto a lui! Certo, era felice che fosse sopravvissuto e che
stesse bene, ma, volendo essere egoista, le sembrava solo una misera
consolazione.
"Sì, uscire insieme qualche volta. Con Alex, Allyson e tua sorella."
Il
fatto che avesse dovuto specificare anche la presenza di altre persone,
la buttò ancora più giù. Ma certo...che si
aspettava? Che Jeremy volesse uscire con lei? Che chiedesse un
appuntamento a una completa sconosciuta? Doveva metterselo in testa;
lei per Jeremy non era più nessuno, ora.
Ok,
avrebbe potuto raccontargli dei momenti che avevano passato insieme,
del loro primo e unico bacio, dei sentimenti che avevano provato,...ma
sarebbe servito davvero? Allyson le aveva ripetuto che sarebbero
sicuramente stati d'aiuto, lei le aveva creduto, ma aveva cambiato idea
non appena aveva visto Jeremy.
L'aveva
sentito così freddo e distaccato, così lontano da quella
persona calda e confortevole che aveva conosciuto. Ecco cosa le
sembrava quel Jeremy che aveva davanti: un quadro bellissimo e di
incommensurabile valore, che era stato irreparabilmente rovinato da una
secchiata di vernice nera.
"Va bene." rispose semplicemente.
"Taylor."
quando Jeremy disse il suo nome, il cuore della povera ragazza
sussultò ancora una volta. Le era mancato così tanto
sentirlo pronunciato da quel timbro e da quell'intonazione!
Jeremy
proseguì: "Non vorrei che stessi così male. Lo so che
è colpa mia, Alex mi ha raccontato un bel po' di cose."
"E sono solo la metà di tutte quelle che so io."
"Vuoi parlarne?"
"No." quella risposta le costò uno sforzo enorme. "Non credo che servirebbe, tu che dici?"
Jeremy abbassò lo sguardo: "Non lo so."
Taylor
si sentiva mortificata e sconfitta. Pensava a quanto tempo le fosse
servito perché Jeremy le aprisse il suo cuore, a quanti sforzi e
quanti litigi e a quanto tutto ciò fosse stato vanificato in un
soffio.
Ma
si schiarì la voce e, come sempre, tenne duro: "Tieni." disse,
estraendo dalla borsa la sciarpa bianca di Jeremy. "È ora che te
la restituisca."
Jeremy guardò a quell'oggetto con un po' di sorpresa e di dolore e lo prese senza dire nulla.
Poi
inspirò a fondo e si fece coraggio: voleva ascoltare Alex e
fidarsi del suo consiglio. Fece quello che gli sembrò più
decisivo, per scongiurare ogni possibile rimpianto futuro: si
allungò verso Taylor, girò il suo volto con una mano e la
baciò.
Fu un bacio breve e non troppo intenso, che lasciò Taylor spiazzata e Jeremy indifferente come prima.
Solo un po' intontito dal suo profumo di talco e lavanda.
"Perché...?" gli chiese Taylor, gli occhi ancora più lucidi e feriti.
Jeremy alzò le spalle: "Ho tentato, Taylor. Mi dispiace."
"Capisco."
"Grazie per la sciarpa."
"Prego."
disse lei, tremante, alzandosi dalla panchina come se ora scottasse. Il
fiato le mancava ed era chiaro che stesse per scoppiare in lacrime.
Anche
Jeremy si alzò, dispiaciuto più per la ragazza che per se
stesso, e le tese di nuovo la mano: "Non sarà un addio."
tentò di consolarla. "Mi piacerebbe che restassimo amici. Magari
potremmo scriverci, di tanto in tanto."
"Certo." ribatté lei, immobile e con i pugni serrati nelle tasche.
"Mi
dispiace." ripeté lui, senza sapere che così facendo la
stava uccidendo definitivamente, gli occhi che si trattenevano, ma il
cuore che si era abbandonato a un pianto straziante già da un
po'.
Jeremy ritrasse la mano e le rivolse quello che lei sapeva essere l'ultimo sorriso: "Riguardati, Taylor, va bene?"
"Lo farò."
E
detto ciò la ragazza gli voltò le spalle e percorse il
vialetto dell'ospedale con la consapevolezza che quella parentesi di
amore e felicità nella sua vita si era chiusa per sempre.
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Il giorno di San Valentino, Tessy Heavens era uno splendore.
Aveva
indossato la pelliccia bianca che Martha le aveva regalato per Natale,
poi si era spruzzata il profumo al sandalo che le piaceva tanto e, una
volta agganciata la collana Teric dietro al collo, era salita sulla sua
nuova Bmw per passare a prendere Allyson e Taylor.
Avrebbe
dato un passaggio alle ragazze fino a Lake Baenue, dove si sarebbero
fermate per passare un pomeriggio all'insegna della spensieratezza.
L'ultimo, prima che Taylor partisse.
Certo,
da questo punto di vista le dispiaceva, ma d'altra parte non poteva
essere più eccitata: grazie all'aiuto di Eric e Richard era
riuscita a convincere anche Alex a venire.
Lei,
Eric e Taylor avrebbero fatto in modo di lasciare lui ed Allyson in
intimità ed erano sicuri che si sarebbero riappacificati.
Come avevano fatto ad ottenere l'aiuto di Richard?
Beh,
Tessy era andata a trovarlo assieme a Taylor e, da brave sorellastre
complottiste, gli avevano raccontato degli ultimi sviluppi nella storia
tra Alex e sua sorella. Richard aveva assoldato Eric affinché
minacciasse corporalmente Alex di prendersele: se quell'istupidito di
Bell non avesse fatto l'uomo e affrontato Allyson direttamente, Eric
sarebbe stato l'estensione della violenza di Richard.
Così,
una volta ricevuto l'invito da parte di Taylor e Tessy, Alex fu
"più che felice di accettare". In realtà, lo era davvero,
e sapeva che quelle di Richard erano minacce a fin di bene. Se tra lui
ed Allyson doveva finire; almeno si sarebbe tolto di scena
dignitosamente e avrebbe così sperato di strapparle almeno un
ultimo bacio.
Fu
il primo dei ragazzi ad arrivare a Lake Banue e li aspettò al
chiosco di cioccolato caldo che ora aveva cambiato gestione. Mentre
ordinava cinque tazze con panna montata, si maledì per non
essere riuscito a ordinare anche la sesta; quella che sarebbe spettata
a Jeremy.
Credeva
di poterlo convincere, ma si era sbagliato di grosso; per quanto ci
avesse provato, Jeremy non aveva voluto partecipare a quell'uscita. Da
cinque giorni era stato dimesso e si era temporaneamente stabilito a
casa di Alex, ma non faceva altro che parlare della sua partenza, del
suo futuro, della sua voglia di ricominciare e bla bla bla. Non aveva
la minima intenzione di stare a sentirlo.
Aveva
passato tutti quei giorni a programmare la sua partenza, che sarebbe
stata il 21 febbraio, giusto due giorni dopo quella di Taylor. Non
importava quante e quali motivazioni gli avesse fornito Alex per andare
a Lake Baenue con lui; Jeremy era stato irremovibile, e una vera spina
nel fianco, avrebbe aggiunto.
Ciò
che non sapeva del suo amico, però, era che il suo no aveva una
precisa motivazione. Dopo il giorno in cui aveva parlato con Taylor
Heavens, infatti, Jeremy aveva deciso che non l'avrebbe mai più
voluta vedere. Non perché non gli sarebbe piaciuto, tutto
sommato, l'aveva trovata una persona piacevole, ma perché aveva
visto quanto solo la sua presenza la facesse soffrire e non intendeva
avere quel ruolo nella vita di nessuno.
Sapeva
che non avrebbe mai dato a Taylor ciò di cui aveva bisogno. Lei
voleva che la sua memoria tornasse, ma Jeremy non poteva prevedere se e
quando sarebbe successo e nel frattempo le loro vite sarebbero andate
avanti. Non voleva accontentarla giusto per darle l'illusione del prima
o poi.
Quell'avventura
di cui non ricordava nulla, se non altro, aveva costituito per lui un
nuovo punto di partenza e non poteva sprecare l'occasione. Non sarebbe
rimasto indietro per quella ragazza, anche se le stava simpatica e gli
dispiaceva.
Sarebbe
andato avanti coi suoi progetti e, per non sentirsi in colpa, né
far soffrire lei, non l'avrebbe più rivista. Se c'era una cosa
che aveva intuito di Taylor, era che fosse una ragazza intelligente. E
lui non era un bravo attore. Si sarebbe accorta che forzare il loro
rapporto sarebbe stata solamente una finzione destinata a deludere
molti cuori.
Così
aveva detto no ad Alex, senza dargli troppe spiegazioni, sperando che
anche lui, un giorno o l'altro, si sarebbe messo il cuore in pace.
Ma
Alex non ebbe il cuore in pace nemmeno un secondo per tutta quella
giornata. Quando i ragazzi arrivarono, salutò Tessy
comunicandole con lo sguardo che non era riuscito a convincere Jeremy e
anche lei si dispiacque. In fondo sperava che, oltre ad Allyson, anche
Taylor avrebbe trovato un po' di sollievo. Invece non sarebbe successo
nemmeno quella volta.
Bevvero
insieme, parlarono e chiacchierarono di argomenti tranquilli, che non
potessero toccare livelli più sensibili a cui, con maggiore o
minore intensità, tutti erano soggetti.
Tessy
sgusciò la sua scusa prima ancora del momento pattuito; si
avvinghiò a Eric e lo trascinò da qualche parte nel
boschetto per amoreggiare indisturbata.
Taylor
allora si affrettò a sparire dalla scena per completare il piano
concordato con la sorella: indossò i suoi pattini da ghiaccio
– quelli che Hans le aveva regalato, dopo aver saputo di Jeremy e
della loro avventura – e si isolò sul lago ghiacciato per
far pratica.
Essendo
senza pattini, Allyson l'aveva semplicemente seguita e si era seduta su
un tronco traverso per osservarla dal bordo del lago e darle, di tanto
in tanto, qualche consiglio.
"È diventata brava, eh?"
La
domanda di Alex, alle sue spalle, la spaventò, ma poi sorrise e
tornò a guardare l'amica: "Se la cava bene." commentò.
"Se stata tu a insegnarle?"
"In
realtà, le ho mostrato solo le nozioni di base. Per il resto
è stata la sua determinazione. Si è allenata tutti i
giorni, per ore e ore, anche se era tardi, anche se era sola, anche se
cadendo si faceva male."
"È davvero testarda Taylor."
"Vuole
solo mantenere una promessa." spiegò Allyson, sentendosi
mortificata e dispiaciuta per la sua amica. In un solo mese era
riuscita a padroneggiare i pattini in modo ammirevole: certo, non aveva
ancora imparato nulla di difficile, ma per essere partita da sotto
zero, aveva fatto dei progressi incredibili. Non aveva mai detto ad
Allyson perché tenesse tanto a imparare, ma lei aveva capito
che, come per la riappacificazione verso Tessy e suo padre, lo doveva a
Jeremy.
Alex si sedette accanto a lei sul tronco e sospirò: "Peccato che quel demente di Jeremy non lo apprezzerà mai."
Allyson
guardò Alex di sottecchi, quasi timorosa di riscoprire uno dei
qualsiasi tratti che amava di quel ragazzo. La voce bassa e un po'
roca, gli occhi scurissimi, la mascelle forti, e contratte, ora che era
arrabbiato. O agitato.
"Io ho apprezzato quello che hai fatto tu per Taylor." soffiò.
Alex alzò le sopracciglia: "Davvero?"
"Certo." confermò la ragazza.
"Ma non è servito a nulla. Alla fine Taylor se ne andrà e Jeremy pure."
"Non
mi riferisco solo ai tuoi tentativi di far recuperare la memoria a
Jeremy." precisò lei. "Ma a tutto quello che hai fatto mentre
lei era a con voi. Ai gesti di premura che hai avuto nei suoi
confronti, alla protezione che le hai offerto."
"Ma l'ho rapita."
"Taylor
mi ha detto che non si è mai veramente trattato di rapimento."
sorrise involontariamente al ripensare a tutti gli aneddoti che l'amica
le aveva riportato. A quanto era stato goffo il suo fidanzato e quanto
corruttibile Jeremy. A quanto poco, di fatto, fossero assomigliati a un
rapitore e il suo complice. "E poi tu nemmeno la volevi rapire, non
è così? Hai solo voluto aiutare Jeremy. Non credevo
aveste quest'enorme legame."
"Non ho mai fatto in tempo a parlartene. Tu e io eravamo insieme solo da una settimana."
"Sì, lo capisco. Nemmeno io avevo fatto in tempo a parlarti di Taylor e Tessy. E a presentarti Richard."
"Se l'avessimo fatto, sarebbero cambiate molte cose."
"Sembra sempre che abbiamo troppo poco tempo noi due, eh?"
I
due ragazzi si guardarono e poi Allyson prese di nuovo la parola: "In
ogni caso, ti ringrazio. È anche grazie a te se ora Taylor
è di nuovo qui."
"Credevo fossi arrabbiata con me per questo."
"Non
ti premio per aver deciso di compiere un crimine, ma non sono
arrabbiata. Paradossalmente, sono molto più arrabbiata con me
stessa, per non aver saputo ascoltarti, per essere saltata subito a
delle conclusioni sbagliate e per averti chiamato 'stupido'."
Alex abbassò lo sguardo e lo incollò al terreno: "È quello che sono."
"No,
non è vero, Alex!" sbottò, facendolo sussultare.
"Smettila di permettere alle persone di offenderti in questo modo,
smettila di accettare questa critica non vera!"
"Non
la accetto da parte delle altre persone, Ally, ma da te sì." le
disse, piano, facendola sentire tremendamente in colpa. "Io sono
stupido, perché l'hai detto tu."
La
ragazza si sentì un verme, profondamente sconvolta per la ferita
che aveva inflitto ad Alex. Proprio lei, che per lui rappresentava
così tanto.
Così
prese un sospiro e gli fece una carezza sulla guancia; lenta, piena di
amore, che attraversò la sua barba ispida per fargli girare il
volto verso di lei. A quel punto lo guardò dritto negli occhi.
"Vorrei
essere perfetta per te, Alex, ma non lo sono." disse. "Ho sbagliato a
chiamarti così e, dato che tutti facciamo degli errori, dovresti
perdonarmi. Non penso che tu sia stupido; l'ho detto perché
sapevo che ti avrebbe fatto male."
"E allora perché ci siamo già lasciati due volte?"
"Perché
non è facile." rispose lei. "Non è facile quando ami
qualcuno così tanto per la prima volta."
Alex la fissò, colpito dalle sue parole e dal suo viso bellissimo e innamorato.
Quello
che aveva detto era forse la spiegazione che cercava da tempo: se tra
lui ed Allyson c'erano stati così tanti alti e bassi era
perché, per la prima volta nelle loro vite, si erano ritrovati
ad amare davvero.
Prima
di lei, Alex aveva avuto molti rapporti. Ma non lo avevano mai fatto
soffrire così tanto, sebbene, logicamente, fossero tutti
terminati. Non aveva mai avuto paura della parola 'fine'. Con Allyson,
invece, si era addirittura ridotto a ignorarla, pur di non correre il
rischio.
E
il senso di colpa quando le diceva una bugia, l'importanza che avevano
le sue opinioni, la rabbia che aveva provato ogni volta che aveva
sentito di deluderla. Il coraggio che aveva avuto di affrontare, per
lei, la scontrosità di Richard e di dire per la prima volta un
vero 'ti amo'.
Sì, ora tutto tornava.
Non
poteva immaginarlo, perché non l'aveva mai provato prima, ma
l'amore era quello. E, a quanto pareva, non era toccato solo a lui, ma
anche ad Allyson.
"Visto che sorridi, immagino tu sia d'accordo." tentò la ragazza.
"Sei troppo intelligente." ribatté lui, scuotendo la testa con una smorfia allegra.
I due ragazzi assunsero un'espressione sollevata e si rivolsero un sorriso che confermava il perdono di entrambi.
Guardarono
in avanti, verso Taylor che pattinava rapidamente sul lago, e decisero
che non serviva darsi un bacio. L'avrebbero fatto quella sera, prima di
passare la notte insieme, l'una tra le braccia dell'altro. Però
si diedero la mano e le loro dita si allacciarono, assieme ai loro
cuori, per sempre, su un tronco traverso di Lake Banue.
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Era il 19 febbraio, Bourton era ancora congelata e le campane suonavano mezzogiorno.
Jeremy
aveva appena avuto una brutta litigata con Alex, ma non ci fece troppo
caso, perché in quell'ultimo periodo le brutte litigate trai due
erano all'ordine del giorno.
Il
motivo era sempre lo stesso: da un mese e mezzo a quella parte, Alex
non aveva ancora gettato la spugna e lo assillava giorno e notte
sull'argomento Taylor Heavens. Jeremy aveva provato di tutto: a fargli
capire che era una questione fisica, che forzare le cose non avrebbe
portato a nulla di buono, che nessun articolo di giornale gli avrebbe
dato una miracolosa illuminazione.
Ma
Alex era irremovibile e tentava qualsiasi via, in qualsiasi momento,
anche a costo di sentirsi urlare contro. Jeremy era infinitamente grato
ad Alex per la sua dedizione, senza ombra di dubbio, ma si arrabbiava
con lui perché non sapeva farsene una ragione.
Persino la diretta interessata, Taylor, ci era riuscita.
Lei,
infatti, se ne sarebbe andata il giorno stesso, sarebbe partita
lasciandosi tutto alle spalle. Si sarebbe trasferita a Newcastle, nel
Nord dell'Inghilterra, per iniziare degli studi universitari, con la
prospettiva di viaggiare poi in Europa. Il trasferimento sarebbe stato
definitivo; dopo un anno anche Amanda, sua madre, l'avrebbe raggiunta e
avrebbero proseguito la loro vita lì.
Ovviamente quell'argomento era stato l'oggetto della recentissima disquisizione con Alex.
Il
ragazzo riteneva che per un evento del genere Jeremy dovesse a Taylor
almeno un addio, ma lui non era del parere. Era rimasto fedele alla sua
decisione, soprattutto dato che si sarebbe trattato di un addio. In
fondo lo faceva anche per Taylor, ma questo ragionamento ad Alex era
sembrato ipocrita e inconcepibile.
Forse
non avrebbero mai trovato un punto di incontro, ma almeno da quel
giorno in poi Taylor sarebbe stata distante e non avrebbe più
costituito motivo di insistenza da parte di Alex. In più, anche
Jeremy sarebbe partito nel giro di due giorni.
Il
suo trasferimento non sarebbe stato definitivo come quello di Taylor,
perché doveva tanto ad Alex e non l'avrebbe piantato in asso
così. Avrebbe creato il suo nuovo nido in Australia, ma sarebbe
tornato a Bourton una volta ogni due mesi per passare qualche giorno a
casa di Alex – e, un domani, a casa di Alex ed Allyson.
Poi
avrebbe spesso fatto visita a Oliver Heavens, al quale aveva chiesto
infinite volte scusa per tutto il disagio che aveva causato. Ma non era
stato così necessario: Oliver non aveva mai serbato rancore nei
confronti di Jeremy. L'unica persona a cui l'aveva seriamente fatta
pagare era stato Cordano; che, non si sa come, aveva fatto finire
nell'ala più malfamata del carcere di Bourton, assicurandosi che
venisse trattato come lui aveva sempre trattato gli altri.
Dopo
che Oliver aveva ottenuto nuovamente il posto come direttore della
Money House, aveva addirittura offerto un lavoro a Jeremy, ma
quest'ultimo aveva rifiutato. Allora gli aveva offerto il suo aiuto
ogni volta che ne avesse avuto bisogno e lo aveva redarguito sul fatto
che Martha l'avrebbe aspettato a cena almeno una volta ogni due mesi.
Jeremy
non aveva idea di come avesse fatto a meritare tutto questo, ma ne era
immensamente grato e gli dispiaceva solamente che il lato negativo
della medaglia fosse spettato a Taylor.
Un
messaggio di Alex lo avvisò che il treno di Taylor sarebbe
partito entro mezz'ora e che era ancora in tempo per cambiare idea e
salutarla per l'ultima volta. Aveva anche aggiunto un paio di 'stronzo'
e 'brutto deficiente', ma, lo stesso, Jeremy preferì non
rispondere e spense il telefono.
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Amanda e Taylor si trovavano sulla grande gradinata della stazione centrale di Bourton.
Era
un imponente edificio in marmo bianco che si ergeva opposto al
dispersivo parco della città; guardiano dei laghetti ghiacciati
e dei bambini che per tutta la stagione invernale ci andavano per
giocare con gli amici.
Attorno
a loro, in piedi sui gradini, c'erano Alex ed Allyson, Oliver, assieme
a Martha e Tessy, ed Eric, che si era offerto di aiutare con le valige.
Il
treno per Newcastle sarebbe partito entro pochi minuti e l'unica
persona contenta di ciò, tra i presenti, era Taylor. Non c'era
da stupirsi che tutti i suoi cari la stessero salutando con un gran
muso lungo: a partire da Alex, nessuno di loro era mai riuscito ad
accettare la sua idea di andarsene da Bourton.
Ma,
d'altra parte, non potevano insistere più di tanto,
perché l'avevano capita. Il punto di stallo in cui era finita
tutta la recente vicenda del rapimento era piuttosto chiaro; da quella
situazione non sarebbero mai usciti né lei né Jeremy e,
per quante svolte positive avesse procurato a entrambi, la ferita
più grande per Taylor sarebbe per sempre rimasta incurabile.
Bourton
rappresentava per lei la famosa parentesi che si era aperta e poi
richiusa; ora doveva guardare oltre, o sarebbe rimasta a osservare il
suo passato tentando di rompere un muro che l'avrebbe per sempre
lasciata al di fuori.
Non
che non ne avesse sofferto, o che quel dolore fosse mai cessato, ma in
fondo Taylor era una persona ragionevole e aveva capito, prima che
chiunque altro glielo dicesse, che il modo migliore per affrontare
quello che il destino le aveva riservato era accettarlo silenziosamente
e ripartire da zero.
Non
l'avrebbe voluto fare, ovviamente, ma doveva, perché nessuno le
avrebbe mai ridato la felicità che aveva assaporato. Almeno,
pensava, avrebbe fatto qualcosa di utile per sua madre. Si sarebbe
concentrata in tutto e per tutto sugli studi e poi avrebbe trovato un
lavoro, per regalare ad Amanda una vecchiaia tra gli agi e l'orgoglio.
Era
contenta di come tutto si fosse sistemato con la famiglia di suo padre:
aveva promesso a Martha che avrebbe imparato a cucinare come lei, a
Tessy che le avrebbe scritto e l'avrebbe ospitata nella sua residenza
universitaria, a Eric che avrebbe pensato a lui ogni volta in cui
avesse visto una slitta di Natale.
Poi
era arrivato il momento dei saluti e aveva abbracciato Allyson
così forte da toglierle il respiro: "Tu verrai a trovarmi a
Newcastle, vero?"
"Ogni
volta in cui avrai bisogno di me, Taylor." le aveva risposto l'amica,
lo sguardo determinato e pieno dei migliori auguri per lei e la sua
nuova vita. "Ci sarò sempre per te, ricordatelo."
"E tu?" Taylor aveva guardato Alex e si era abbandonata a un sorriso pieno d'affetto.
Ma
Alex aveva le lacrime agli occhi e cercava in ogni modo di nascondere
il viso, incapace, al contrario di Allyson di essere forte per lei. Era
forse quello che aveva sofferto di più per le decisioni di chi
gli era stato intorno nei momenti importanti della sua vita.
Non capiva il perché e si sentiva impotente. Taylor gli sarebbe mancata da morire.
La ragazza gli si avvicinò e gli prese delicatamente una mano: "Alex."
Lui cercò di rifuggire il suo sguardo, ma non ci riuscì.
"Devi essere il fidanzato perfetto per Ally, ok?"
Annuì debolmente.
"Sai
che ho sempre creduto in te." aggiunse, sorridendogli. "E in voi. E
adesso che c'è Ally, so che ti impedirà di fare cazzate
quando non ci saremo io e Jeremy a controllarti."
Vedendo
che lui ancora non si decideva ad aprir bocca, gli si mise davanti e
allargò le braccia, stavolta coperte da un cappotto ben pesante:
"Mi puoi abbracciare?"
Ovviamente
Alex non poté resistere a quella richiesta e, vinto dall'affetto
che provava per lei, cedette e la strinse fortissimo, come quel giorno
in cui le impedì di scappare e quel giorno in cui si salutarono
a Celtenham, prima che lasciasse lei e Jeremy soli.
"Mi mancherai, Taylor." disse sperando che nessuno vedesse le sue lacrime. "Sei la mia migliore amica, lo sai?"
Taylor
si stupì di quella frase e intensificò l'abbraccio con
ancora più orgoglio: "E tu sei il mio migliore amico."
ricambiò. "Non cambiare mai, Al. Ti voglio bene."
Quando
l'abbraccio si sciolse, Taylor si allontanò di poco dal gruppo
per salutare le ultime due persone che avrebbe lasciato a Bourton: i
suoi genitori.
Anche
se Amanda l'avrebbe raggiunta nel giro di un anno, sapeva che le
sarebbe mancata tantissimo e, allo stesso modo, ora che aveva
riscoperto la presenza di Oliver, le dispiaceva doversene separare per
l'ennesima volta.
Ma era una sua scelta e sia Oliver che Amanda l'avevano compresa senza dire nulla.
Solo
che adesso per Amanda era difficile salutare la sua bambina, dopo
così poco che l'aveva riavuta indietro dal pensiero di poterla
perdere per sempre. Così le fece una carezza e la
ringraziò, perché l'aveva sempre fatta sentire una donna
realizzata, nonostante tutto, e perché indirettamente era stata
la causa della sua riappacificazione. Con Oliver, ma in primis con se
stessa.
Ora
sembrava tutto di nuovo in assetto; c'era un clima di concordia, anche
se nulla era stato cambiato. Amanda credeva che servisse una
rivoluzione per riportare tutto alla tranquillità, invece aveva
scoperto che non era così. Doveva solo accettare il presente e
dopo che Taylor le aveva fatto un lungo discorso su Sparta, Atene e la
doppia faccia di una medaglia, ci era riuscita.
Ora
lei e Oliver erano amici; anzi, avevano un legame più speciale
dell'amicizia. Erano una squadra, uniti di nuovo per il bene della
figlia. Amanda aveva anche scoperto che la moglie di Oliver era una
persona squisita e aveva l'impressione che, durante quell'ultimo anno
in cui sarebbe rimasta a Bourton, sarebbero diventate amiche.
Taylor fece un timido passo verso Oliver e gli allungò una serie di lettere e foglietti tenuti insieme da un elastico.
"Sono
tutte le lettere e i biglietti che ci facevano fare a scuola, in
occasione delle feste." spiegò, notando lo sguardo sorpreso di
Oliver verso quel mucchio di fogli. "Li ho tenuti per anni e anni,
sognando inconsciamente, un giorno, di poterteli dare."
Oliver
alzò gli occhi inumiditi su Taylor e non seppe parlare, se non
per dirle che li avrebbe letti tutti e che le voleva bene.
"Anch'io ti voglio bene." ammise lei, rivolgendogli un sorriso.
Le
sembrò un saluto opportuno; dopotutto Oliver le era stato
accanto sempre da quando era tornata, ed era sicura che non avrebbe mai
dimenticato la loro chiacchierata durante la sera di Natale. Come non
avrebbe nemmeno scordato la notte di Capodanno, in cui, finalmente,
dopo tanti anni in cui aveva desiderato farlo, si era sfogata sul suo
petto e si era addormentata tra le sue braccia. Era contenta di aver
collezionato quei ricordi, che, seppur pochi, erano finalmente dei bei
ricordi del suo papà.
Taylor
alzò la mano e salutò affettuosamente tutti quanti, poi
salì la gradinata ed entrò nella stazione per andare
verso un futuro senza Jeremy.
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Il
campanello suonò insistentemente per qualche secondo, senza
lasciare a Jeremy il tempo di spegnere il fornello. Avrebbe bruciato
l'ennesimo tentativo di frittata, se lo sentiva.
Roteò
gli occhi non appena sentì quel rumore acuto e insistente: se si
trattava di Alex che era venuto a implorarlo di cambiare idea,
l'avrebbe ammazzato a mani nude.
E invece la persona che trovò aldilà della porta sembrava uno sconosciuto.
Spiò dall'occhiello, finse di non essere in casa e se ne tornò alla preparazione del suo pranzo.
Ma
il tizio non aveva alcuna intenzione di demordere: o si trattava di un
postino accanito, oppure Alex aveva mandato qualcuno a intercedere per
la sua volontà. Tanto la casa era sua e Jeremy aveva come
l'impressione che non gli sarebbe importato se qualcuno l'avesse
sfasciata pur di convincerlo ad andare alla stazione.
Nel
dubbio di qualche lettera urgente o pacco da ritirare, Jeremy
sbuffò e andò di nuovo alla porta strascicando i piedi.
"Chi è?" chiese pigramente al citofono.
"Signor Parker? Jeremy Parker?"
"Veramente questa residenza appartiene alla famiglia Bell, quindi non vedo come possa esserci Jeremy Parker al suo interno."
"La prego, signor Parker, devo parlare con lei."
Jeremy assottigliò gli occhi.
Tirò
il chiavistello verso destra, inserì la catena e aprì la
porta di giusto dieci centimetri. Fissò l'uomo aldilà
della soglia e si maledì perché non aveva l'uniforme del
postino.
"Lei chi è?" grugnì, senza alcuna implicazione di buone maniere.
Doveva per forza essere una trovata di Alex.
"Mi
chiamo Gabriel Arch." disse l'uomo, inclinando le sopracciglia in
un'espressione apprensiva. "Noi ci conosciamo già, signor
Parker, e io sono venuto per poterle parlare."
"Se l'ha mandata Alexander, può anche andarsene." ringhiò Jeremy, oltremodo irritato da tutta quella situazione.
"Io
non so chi sia il signor Alexander. O meglio, l'ho visto alla tv, ma
non ho mai avuto la fortuna di parlarci o di conoscerlo di persona."
spiegò l'uomo. "Tuttavia, ho saputo della sua molto prossima
partenza e la pregherei ascoltare cosa ho da dirle in merito."
Jeremy lo guardò ancora per qualche secondo e poi, improvvisamente, ricordò.
La
forma piena delle guance e gli occhi infossati sotto le sopracciglia
folte gli portarono alla memoria l'immagine dello stesso uomo che aveva
davanti, qualche anno più giovane e travestito di bianco e
rosso, con un sacco di regali sulle spalle.
"Non si ricorda di me?"
Jeremy gli sbatté la porta in faccia.
L'uomo
rimase per un attimo spiazzato, ma poi tornò alla carica. E
Jeremy, che aveva fatto solo mezzo passo verso la cucina, si
sentì così equilibratamente in colpa e arrabbiato che non
seppe se urlargli di andarsene o dispiacersi per le sue maniere.
Alla
fine il campanello smise di suonare e lui si trovò il faccione
di quell'uomo spiaccicato alla finestra. Bussò sul vetro diverse
volte, finché Jeremy, trattenendo un'imprecazione, non
scostò la tenda.
"Che diavolo vuole?"
Il
signore gli fece cenno di aprire l'anta e Jeremy eseguì roteando
gli occhi: "Senta, questa non è nemmeno casa mia, non mi
costringa a chiamare i proprietari, oppure-"
"Jeremy." lo interruppe Gabriel, appoggiando entrambe le mani al davanzale. "Mi dica se si ricorda di me."
Jeremy
inspirò a fondo, chiedendosi che diavolo fosse preso alle
persone, che tutto un tratto, come aveva fatto sua nonna, avevano
allegramente deciso di tornare dal passato e ricomparire nella sua vita.
"È quell'uomo che anni fa veniva al mio orfanotrofio, travestito da Babbo Natale." disse, riluttante.
"Sì."
confermò lui, poi fece un cenno a qualcuno dietro le sue spalle
e una ragazza, timidamente, fece capolino davanti alla finestra di casa
Bell. "E questa è mia figlia Joanne."
Jeremy le lanciò uno sguardo confuso, poi tornò a guardare lui.
Ma che diavolo volevano quegli sconosciuti?
"Né io né Joanne abbiamo mai avuto il coraggio di parlarle, signor Parker, prima di incontrarla un mese fa."
"Oh mio Dio." si lamentò Jeremy. "Siete qui anche voi per la storia del rapimento."
"Esatto." intervenne la ragazza. "E, Jeremy, devi ascoltarmi se ti dico che-"
"Basta."
la interruppe freddo. "Smettetela tutti quanti. Sono stanco di sentirmi
ripetere le stesse cose da mesi, sono stanco di rivedere gente con cui
non ho mai avuto uno straccio di rapporto e che ora pretende di
conoscermi da una vita e di sapere più cose di me sul mio conto!"
Joanne
si ritrasse, cercando nel padre la stessa tristezza che provava lei a
sentir parlare così Jeremy. In fondo, era vero, non si
conoscevano e non si erano mai parlati, salvo per un unica volta. Ma
sia per lei che per Gabriel era stato così folgorante che
avevano capito tutto ciò che lui e Taylor avevano impiegato
settimane per capire.
"La prego, non lasci che quella ragazza se ne vada via da lei per sempre. Non parta." insistette Gabriel.
"Non
mi dica quello che devo fare." rispose a tono Jeremy, poi si rivolse
verso Joanne. "E tu, non so nemmeno chi diavolo tu sia!"
"Tu
e Taylor siete venuti al mio emporio. Abbiamo parlato e mentre cercavo
di raccontarti qualcosa di me il tuo sguardo cercava sempre lei, non
lasciavi mai che la tua attenzione ricadesse su nient'altro e avevi una
tale preoccupazione in quegli occhi che non ho mai pensato, nemmeno per
un secondo, che qualcun altro avrebbe mai potuto interessarti di
più."
"E
poi il giorno della vigilia avete incontrato me." proseguì
Gabriel. "E io lo sapevo che eravate quei due della tv! Ma lei mi ha
convinto del contrario, signor Jeremy, perché amava così
tanto quella ragazza che non sarebbe stato possibile considerarvi un
rapitore e la sua vittima."
"Oh, smettetela!" Jeremy chiuse la finestra con impeto e sentì il legno scricchiolare.
Si
massaggiò la testa, che aveva iniziato a dolere, e serrò
il vetro con la maniglia. Poi, come se il nervoso non fosse abbastanza,
avvertì la puzza di bruciato sotto al naso e corse a spegnere il
fuoco.
Ormai le uova si erano carbonizzate e con un'imprecazione le gettò malamente nel lavandino.
Il campanello riprese a suonare.
"Vi ho detto di andarvene!" gridò Jeremy.
"Non ce ne andremo finché non ci vorrà ascoltare, signor Parker!" si sentì ribattere da dietro la porta.
Allora
sospirò, frustrato e arrabbiato, e corse in camera. Aprì
l'armadio in cui Alex gli faceva tenere le sue cose, afferrò una
valigia e la riempì alla rinfusa.
Cacciò
dentro tutti i suoi vestiti stropicciati, le scarpe, lo spazzolino,
mentre il campanello non cessava di strillare e l'odore di bruciato gli
dava ancora di più alla testa. Prese la cartella zeppa dei suoi
referti medici e la infilò tra un capo e l'altro, poi,
appoggiò la sua sciarpa bianca, e fu l'unica cosa che
maneggiò con cura.
La
appiattì con le mani e si rese conto che qualcosa era cambiato
nel tessuto: era più morbida e di un bianco meno intenso.
Così la guardò meglio e non notò nulla di diverso:
non poteva saperlo, ma il suo sangue e le lacrime di Taylor l'avevano
sbiadita.
Aveva
un buon odore, però, lo stesso che aveva sentito addosso a
Taylor quel giorno nel giardino dell'ospedale e che in quel momento gli
sembrò un sollievo rispetto alla puzza che aleggiava nella casa.
Fu
forse perché si soffermò troppo a respirare quel profumo
che la sua testa subì un improvviso giramento, facendogli
perdere l'equilibrio.
Il
rumore, l'odore e il nervosismo lo stavano facendo sentir male e non
aveva di certo il fisico per affrontare lo stress. Così
controllò di aver preso tutto: in fondo all'armadio restava solo
un pacco regalo avvolto da una carta rossa.
Jeremy lo afferrò, di fretta, e lo ficcò nella valigia senza nemmeno darsi la pena di chiuderla per bene.
Scese le scale di corsa, si coprì solamente con la sua felpa e aprì finalmente la porta.
Davanti
agli sguardi combattivi di Gabriel e Joanne, sfoggiò la sua
espressione indifferente e non esitò a rivolgersi nuovamente a
loro con tono strafottente: "Dato che non ve ne andate, me ne
andrò io. Lontano da voi, lontano da Bourton, lontano da tutte
queste cazzo di rotture."
Chiuse la porta e scese i gradini che lo separavano dal vialetto per uscire dal giardino di Alex.
"Perché scappa sempre, signor Jeremy?" si infervorò l'omone, cercando di aiutare il ragazzo con la valigia.
"Mi lasci stare!" gridò lui. "Lei non mi conosce!"
"E invece sì!"
"Papà."
lo pregò Joanne, che vedeva in tutta quella sceneggiata ormai il
capolinea. Erano andati a cercare quel ragazzo di persona per aiutarlo,
ma era lampante che non volesse farsi aiutare e che non fossero una
presenza gradita.
Le
sarebbe dispiaciuto più di ogni altra cosa vedere Jeremy e
Taylor non poter rimanere insieme, specialmente dopo aver sentito la
loro storia per intero e aver verificato di persona la grandezza e
l'intensità del loro legame.
Ma,
dopotutto, lei e suo padre non erano che intoppi trovati lungo il
cammino, di cui Jeremy aveva dimenticato e che, senza Taylor al suo
fianco, non avrebbero mai più significato nient'altro. Solo la
presenza di quella ragazza poteva rendere Jeremy diverso, solo lei
aveva la chiave per aprire il forziere della sua anima.
"Sì
che ti conosco, invece!" sbottò Gabriel mettendosi davanti a
Jeremy e bloccandogli il passaggio su quel vialetto ghiacciato. "Sei
quel bambino triste e solo che non ha mai voluto festeggiare il Natale,
che non si è mai concesso di accettare un dono e che ha sempre
preferito scappare dalla felicità."
Jeremy lo guardò, inevitabilmente ferito da quelle parole, le sopracciglia corrugate e la mascella serrata.
"Ho
capito che quel bambino eri tu, quando hanno raccontato di te al tg il
giorno di Natale, ma l'ho sospettato dal primo momento in cui ti ho
visto. Quando ti sei presentato come Ludwig, ricordi?" proseguì
concitato. "E la persona che ho conosciuto quel giorno era diversa:
stava festeggiando il Natale, si era concessa di accettare un dono e
stava mordendo la felicità."
"Non ricordo niente di tutto ciò."
"La ragazza che avevi accanto ti stava rendendo felice."
"Non me lo ricordo."
"E
allora fidati, Jeremy!" lo implorò l'uomo. "Fidati di chi ha
visto l'amore dentro al tuo sguardo, di chi, pur non conoscendoti,
è venuto a casa tua per dirti quanto tu sia stupido a lasciare
andare tutto e di chi non vuole più rivedere l'infelicità
sul tuo volto."
"Non lasciare che il passato vinca su di te." aggiunse Joanne, guardandolo da distante con affetto.
Quelle
parole colpirono Jeremy in modo troppo diretto e non fecero altro che
aumentare la sua rabbia e la frustrazione, la sensazione che tutti
fossero impazziti e la nostalgia dei tempi in cui la gente lo evitava e
preferiva lasciarlo perdere.
"Ha
già vinto su di me." sputò, sterile e freddo come il
terreno su cui stava in piedi. "Taylor è già partita per
Newcastle e io sono felice di non vederla mai più, mi sta solo
dando noia."
Con
una spallata, fece da parte Gabriel e, sorpassandolo, lo guardò
negli occhi: "Ora me ne vado anche io, così potrò
togliere di mezzo voi, Alex, e le altre mille seccature che tutti mi
state dando."
Detto
questo, recuperò il passo spedito con cui era uscito di casa, ma
l'inverno di Bourton e la suola piatta delle sue scarpe lo tradirono di
nuovo.
Jeremy
scivolò all'indietro sul ghiaccio e trascinò con se la
sua valigia, che gli piombò sulla pancia, aprendosi e spargendo
tutto il suo interno per il vialetto.
Gabriel
e Joanne si precipitarono ad aiutarlo, ma Jeremy intimò loro di
stargli lontano. Si alzò con la schiena e la testa doloranti e
raccolse le sue cose in fretta, senza nemmeno alzare gli occhi sulle
due persone che stavano a pochi metri da lui.
Solo
quando una mano gentile gli mise sotto gli occhi il pacchetto rosso che
era caduto dalla valigia, lui si degnò di fermarsi.
"Si è rotto." gli fece notare l'uomo, il dispiacere nella voce.
Jeremy
portò l'oggetto a sé e accertò con una certa
riluttanza che la carta si era strappata e la scatola si era aperta da
un lato.
Era
il regalo che Taylor gli aveva lasciato in ospedale la notte di Natale.
Non l'aveva mai aperto e l'aveva accantonato dentro all'armadio con
l'intenzione di lasciarlo per sempre così. Gli dispiaceva
gettarlo, ma allo stesso tempo trovava inutile e insensato aprire un
dono che non avrebbe avuto significato.
Purtroppo, ormai, l'involucro era completamente distrutto, così decise di eliminarlo del tutto, svelandone il contenuto.
Nella scatola Taylor aveva confezionato un paio di pattini da ghiaccio; nuovi, brillanti, della taglia giusta per Jeremy.
"Mi sarebbe tanto piaciuto imparare."
"Che cosa?"
"Pattinare. Dev'essere bello."
Jeremy mollò la scatola all'istante, come se avesse improvvisamente iniziato a scottare.
Che cosa era successo?
O se l'era immaginato, oppure aveva appena sentito delle voci e visto un paio di volti pallidi.
"Non imparerò mai a pattinare."
"Mai dire mai, principessa. Ricordati che ho bisogno di un insegnante."
"Jeremy, tu hai bisogno di un miracolo."
Di nuovo.
Jeremy strizzò gli occhi e contemporaneamente deglutì.
Tentò
di scacciare quei pensieri che di colpo avevano riempito le sue
orecchie, mentre l'immagine di un lago ghiacciato sbiadiva, astratta,
nella sua memoria a breve termine.
"Promettimi che...imparerai a pattinare."
Sembrava non servire; la sua mente stava facendo tutto da sola e lui non riusciva a riprenderne il controllo.
Preso
dal panico, allora, guardò in basso. Dall'impatto col terreno,
un altro oggetto era scivolato fuori dalla scatola; si trattava di un
rametto di vischio, a cui Taylor aveva attaccato un biglietto. Lo
lesse, mentre Gabriel tratteneva un sussulto: 'È il miglior uso
che potessi farne'.
"Mancherà comunque qualcosa."
"Lo so. Il regalo di Ludwig. Fanne buon uso, Lor."
Jeremy
gettò anche questo a terra e si coprì il volto con
entrambe le mani, mentre quello che sembrava un attacco di panico se la
prese con il suo stomaco.
Che
gli stava succedendo? La testa pulsava, l'odore di quegli oggetti era
lo stesso che aveva annusato prima sulla sua sciarpa e che gli stava
causando una serie di gravi capogiri.
Si sentiva male, vedeva sfocato e respirava a fatica.
Afferrò
i pattini e il vischio per chiuderli frettolosamente nella scatola
rotta, ma nel fare quest'operazione, qualcosa scivolò tra le sue
mani.
Erano due fogli, pinzati insieme.
Jeremy lì fissò per un attimo con il petto che si alzava e si abbassava velocemente.
Sul
primo era ritratto lui, in bianco e nero, con un sorriso che mai si era
visto in volto, ma che lo faceva apparire bellissimo.
"Sai
com'è, certi sorrisi sono più unici che rari, per cui ho
pensato di immortalarne uno per quando sarai il solito stronzo. Sappi
che agli altri piaci quando sorridi."
"Mi sa che piaccio specialmente a te, mh?"
Guardò
il secondo foglio, sperando di non capirci niente e, invece, anche
stavolta il suo cervello ricevette una scossa. Ritraeva una famiglia
con un padre, una madre e una bambina. Era sempre disegnato a mano, ma
imitava una fotografia e sul retro c'era scritta una una frase; era una
dedica per Tessy Heavens.
"Lor, cos'è quella foto? Dietro c'è una dedica e tu non sei nel quadretto. Dove l'hai presa?"
"Non sono affari tuoi."
"L'hai rubata a casa di Tessy, non è vero?"
"No."
"E l'hai strappata, ma ti dispiaceva e quindi la stai copiando."
"Non
mi dispiace affatto, quella foto è un insulto! Ma in ogni caso,
a te non deve importare, perciò dammi subito tutti i miei fogli
e sparisci da qui!"
Ancora
un altro flash e Jeremy non riuscì a scacciarlo, non potendo
fare a meno di soccombere a quella raffica di ricordi.
"Taylor, guardami. Per favore... Promettimi che comunque vada, cercherai di riconciliarti con tuo padre."
Il
respirò di Jeremy si mozzò e fu come riceve un pugno in
pieno stomaco. La sua testa girò vorticosamente, e dovette
accasciarsi al suolo per non cadere.
"Lor."
"Senti, Jeremy, non mi va di parlare con te."
"Ma io voglio parlarne."
"Io no. Per colpa tua, sono davvero molto impegnata a fare altro, come ad esempio odiarti."
"Non credo che tu sia molto brava a odiare le persone."
Sentì
le mani forti di Gabriel far presa sulle sue braccia per alzarlo, ma
lui rimase inerte e con lo sguardo sbarrato, perso nel vuoto, l'azzurro
del ghiaccio che, forse, si stava scongelando.
"Nemmeno io per te sono una persona. Sono solo un mucchio di stupidissimi, sporchi soldi."
"Già.
Da oggi riprendiamo i nostri ruoli di non-persone, allora. Io sono il
mostro e tu i miei due milioni di sterline. Io sono il rapitore e tu la
ragazza sbagliata."
"Non siamo mai stati nulla di diverso."
La voce di Joanne ripeteva il suo nome, preoccupata, e chiedeva al padre se fosse il caso di chiamare un'ambulanza.
"Cosa significa 'non sei Tessy'?"
"Significa che non sono Tessy."
"Mi hai drogata!"
"Perspicace."
"Tu sei pazzo! Mi hai drogata! Finiresti in prigione per questo!"
"E
non solo. Ti ho derubata, sequestrata, rinchiusa in un luogo
circoscritto e minacciata. Se in Inghilterra esistesse la pena di
morte, dovrei iniziare a cercarmi un cimitero carino. Non ho soldi per
l'avvocato."
"Che diritto hai di trattarmi come un oggetto? Chi ti autorizza a darmi un valore e soprattutto a giocare con la mia mia vita?"
"Lor, non alzare la voce."
"Io faccio quello che mi pare! Non mi puoi togliere la libertà, non ne hai il diritto!"
"Abbassa quella voce, porca puttana, o ci sentiranno tutti!"
"NON DARMI ORDINI!"
"Senti,
Taylor. Nemmeno tu conosci me, ok? Quindi smettila di fare la vittima.
L'unica cosa che mi interessa sono quei soldi, tutto il resto
può benissimo andare a farsi fottere. Vuoi odiare a morte tuo
padre? Fallo. Vuoi odiare a morte me? Liberissima. Ma smettila di
scocciarmi."
"Senti, Lor." "Sì?" "Mi dispiace di averti dato uno schiaffo. Non volevo."
"Eddai, Jeremy, ti prego!"
"No."
"Perché no?"
"Perché
sei subdola, perché mi hai appioppato un'oratrice più
feroce di te e perché voglio vederti soffrire."
"Se lo ammetto, poi tu rispondi a una domanda?"
"Un ricatto sul ricatto? Carino."
"Jeremy. Perché eri in un orfanotrofio?"
"Coraggio, non è un reato."
"So cos'è un reato, direi. Non voglio e basta."
"Ma Jeremy-"
"Ho detto di no, non credo nel tuo Dio, Lor, mi sembra solamente inutile. È come se io ti costringessi a fumare."
"Non
dire stupidaggini, Dio non può essere comparato alle sigarette
nemmeno per sbaglio. E poi, a Dio non importa se credi a Lui o meno,
qualsiasi cosa Gli chiederai, sarà presa in considerazione."
"Da' qua."
"Perché non lo vuoi perdonare?!"
"A te che importa?"
"Voglio
sapere perché lo odi così. Voglio sapere che cosa ti ha
fatto per impedirti di dargli una seconda opportunità."
"Lo sai per chi ho pregato, Lor? La mia mamma.
Volevi tanto saperlo, no?"
"Perché lo fai?"
"Fare cosa?"
"Il
cattivo. Il cattivo di una storia in cui credi di essere quello che
prende le decisioni, quello che domina. Quando in realtà sai
benissimo che non è così e ti lasci dominare dalla
rabbia, dal rimpianto e dal rancore."
"Lo immaginavo. L'hai sempre detto che non mi sopporti."
"Per quello servono doti da martire."
"Già. Scusa se mi sono comportata da bambina."
"Lor, tu sei una bambina."
"Oh, certo. Il sapore della cenere e del pericolo di morte dev'essere favoloso."
"A volte con il pericolo di morte puoi giocare. Se sei bravo abbastanza, non muori."
"Jeremy, tu mi sembri proprio sull'orlo della morte."
"Eppure sono qui. Forse è proprio perché volevo sentire questo sapore che non sono ancora morto."
"Il sapore di una sigaretta è così buono da mantenerti in vita?"
"Il sapore di tante cose assieme."
"Non ti credo."
"Allora prova."
"Hai detto e fatto molte cose per me."
"Oh,
ma certo. E ne avrei fatte finché avessi continuato a fare la
brava bambina. Oh, Taylor. Non mi sono mai capacitato di quanto fossi
stupida."
"Non posso credere che sia stato tutto una recita, Jeremy."
"E
cosa ti rende così convinta del contrario? Non me ne è
mai fregato nulla dei tuoi moralismi e dei discorsi da ragazzina
stupida. Sei una bambina e per me i bambini vanno accontentati, oppure
si mettono a piangere e attirano l'attenzione."
"Pensavo
che fossi sincero, Jeremy. Pensavo che avessi deciso di non mentirmi da
quel giorno in cui mi hai raccontato di tua madre."
"Ti sbagli, ho solo imparato a farlo meglio."
"Beh, almeno non è vero."
"Non è vero cosa?"
"Che morirò da solo."
"No, Lor. La mia preghiera ha funzionato. Avevo chiesto...che... Che andasse tutto bene..."
"Oh, bel modo di fare andare tutto bene! Niente è andato bene, Jeremy! Guarda!"
"Non è vero. Mi sono innamorato anch'io, Lor."
Jeremy prese una boccata d'ossigeno come fosse il primo respiro della sua vita .
E, infatti, fu come nascere di nuovo.
Si
liberò dalla stretta di Gabriel, si alzò in piedi e
raccolse il ramo di vischio. Poi guardò Joanne e suo padre:
"Qualcuno di voi ha una macchina?"
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L'auto inchiodò a pochi metri della stazione e Gabriel si portò la mano al cuore.
"Lei
mi deve un anno di vita, signor Parker." sfiatò, con gli occhi
sbarrati. "Prima mi investe e poi guida ai cento per il centro abitato."
Jeremy tirò il freno a mano: "Le devo molto più di un anno di vita, signor Arch."
Scese dall'auto e prima di chiudere la portiera, si affacciò dentro all'abitacolo: "Grazie di tutto, davvero. E, Joanne?"
"Sì?"
Jeremy le fece l'occhiolino e lei andò in brodo di giuggiole: "Sei fantastica."
Il
ragazzo chiuse la portiera e si girò verso l'orologio della
stazione: mancava un quarto all'una e lui era arrivato in ritardo.
"No..." sussurrò guardandosi intorno con fare smarrito.
Chissà, sperava forse che l'orologio fosse rotto e segnasse l'orario sbagliato?
Il
suo sguardo scese sulle scalinate all'esterno della stazione e vi
trovò un gruppo insolito: Alex, Allyson, Tessy e il fidanzato,
Oliver, Martha e Amanda. Ma Taylor non c'era.
Allora l'orologio non si era rotto e lui era davvero arrivato troppo tardi.
Sentì
il sangue salire alle guance e accenderle di rabbia e gli occhi
pizzicare: non ce l'aveva fatta. Non era riuscito a fermare Taylor. O
solo a dirle addio. O solo a guardarla per l'ultima volta.
Si
avvicinò alla gradinata lentamente e scandendo i suoi passi al
ritmo della sconfitta. La prima persona che si accorse di lui fu
Allyson, che, un po' distante dal resto del gruppo, stava tenendo la
mano di Alex e gli aveva appena dato un bacio.
Jeremy
pensò che Taylor avesse mantenuto anche la terza promessa che
gli aveva fatto; qualora lui non avesse potuto, avrebbe trovato il modo
di assicurarsi che Alex non facesse cazzate. E in vista della partenza
di Jeremy, Taylor il modo l'aveva trovato: Allyson.
Sorrise alla biondina, che, staccatasi dal volto di Alex, lo guardò stupita e fece cenno al suo ragazzo di voltarsi.
Appena Alex girò il viso, incontrò la figura di Jeremy prima con altrettanto stupore e poi con rabbia.
"Brutto
deficiente!" lo apostrofò, alzandosi bruscamente e andando verso
di lui a passo di marcia. "Adesso ti presenti? Idiota! Ti ho mandato
duecento messaggi!"
"Scusa." disse Jeremy, semplicemente, non ricordando nemmeno dove avesse ficcato il cellulare dopo il primo messaggio di Alex.
Se
pensava a tutti gli sforzi che il suo amico aveva fatto,
incessantemente, ma invano, gli veniva da vomitare. Quanto del suo
tempo gli aveva regalato? Quante energie aveva speso per la sua causa?
"Che
cosa ci fa qui?" gli chiese Alex, facendo uscire una nuvoletta di
condensa dalla bocca, poi prese un cipiglio severo. "Jeremy, hai
addosso solo la felpa."
"Sì, lo so, mi spiace."
"Ci sono due gradi, cazzo! Si può sapere che cazzo ti prende? Perché non mi hai risposto?"
Alex e Jeremy si guardarono per qualche istante, l'uno di fronte all'altro, senza che nessuno dei due dicesse nulla.
E
allora Alex sgranò gli occhi, come quel giorno all'ospedale,
quando aveva ricevuto la gioia più grande della sua vita nel
vedere il suo amico risvegliarsi dal coma.
Jeremy
si lasciò scappare un debole sorriso e pronunciò con le
labbra, senza dirlo a voce e perché solo lui lo vedesse, un
'grazie'.
A
quel punto Alex mandò al diavolo qualsiasi contegno e si
gettò su di lui per abbracciarlo forte; suo fratello non di
sangue che finalmente era tornato a casa.
Jeremy
ricambiò la stretta, commosso, e fu il primo abbraccio delle
loro vite. Si strinsero così saldamente che fu chiaro come
niente al mondo avrebbe mai potuto sciogliere quell'unione. A dispetto
di tutto, non si erano mai abbandonati e avrebbero sempre e volentieri
dato la vita l'uno per l'altro.
Il loro fu l'abbraccio di due uomini che erano finalmente diventati adulti, che avevano finalmente ammesso di volersi bene.
"Grazie, Jeremy." fu il turno di Allyson, che aveva capito tutto e aveva posato una mano sulla spalla del ragazzo.
I
due amici sciolsero l'abbraccio e Jeremy sorrise ad Allyson: "Grazie a
te per non aver mai lasciato Alex. Definitivamente, intendo."
La
riccia rise e, mentre si aggrappava al braccio del suo ragazzo,
lanciò uno sguardo che a Jeremy sembrò il più
felice e gioioso del mondo: "Taylor non è ancora partita."
svelò, incapace di contenere la sua positività. "Il
capotreno ha posticipato la partenza di mezz'ora."
"Sul serio?!"
"Sì."
"Ma Taylor..."
"Ha
voluto a tutti i costi fare una passeggiata." si intromise Tessy, che
si era avvicinata ai ragazzi assieme a Oliver e Amanda. "Ha detto che
preferiva andare da sola per godersi l'ultima mezz'ora a Bourton e
salutarla a modo suo." spiegò, accennando al parco di fronte
alla stazione.
Sul
viso di Jeremy si disegnò la stessa espressione che c'era su
quello di Allyson: la consapevolezza di avere ancora un'ultima
possibilità, ancora qualche minuto per riuscire a tornare
indietro nel tempo e riportare il passato nel presente.
Prima
che decidesse di muovere un solo passo, i suoi occhi andarono sui volti
di Oliver e Amanda, formulando un'implicita richiesta di consenso.
Amanda
fece per aprire la bocca ed esporre la sua preoccupazione riguardo alla
possibile reazione di Taylor, ma Oliver la precedette.
"Vai, figliolo. Vai."
Amanda
tacque e dopo poco sorrise: in fondo, sì, Taylor le aveva
insegnato che a volte era possibile sperare fino all'ultimo.
Jeremy si rivolse ad Allyson: "Quanto tempo ho ancora?"
"Quindici minuti prima che il treno parta."
Annuì e poi guardò di nuovo Alex, la cui ultima parola sarebbe stata fondamentale.
Il ragazzo gli fece solamente l'occhiolino e Jeremy capì che ce l'avrebbe fatta.
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Corse
a perdifiato per tutto il parco, con l'aria fredda che gli entrava
nella felpa e leniva il bruciore della ferita sotto sforzo.
Le
sue gambe sembravano più forti di quel giorno in cui si era
ritrovato a compiere la stessa azione per sfuggire a Cordano. Forse
perché la spinta che veniva loro data era più forte del
senso di sopravvivenza. Era amore e Jeremy lo sapeva bene,
perché ora se lo ricordava.
Fortunatamente non fu difficile trovare Taylor.
Aveva
portato con sé i suoi pattini e ora stava sfrecciando sulla
superficie di un laghetto ghiacciato; volteggiava un po', poi
barcollava, ma si riassestava in un battibaleno e tornava a provare una
piroetta. Era così che aveva deciso di salutare Bourton.
Vederla per lui fu scioccante; dopotutto, era la prima vera volta dopo quasi due mesi.
Era
bellissima, la sua Taylor, e anche bravissima. Si chiese come avesse
fatto a imparare così bene, ma si rispose che sicuramente anche
lei era stata spinta dal suo stesso sentimento. E quindi la capiva. O
almeno sperava che fosse così; che fosse ancora così,
dopo tutto il dolore che le aveva causato.
Si
fermò a bordo lago e rimase a guardarla per qualche istante. Era
vero che aveva poco tempo, ma era impossibile non incantarsi e,
dopotutto, un po' di fifa ce l'aveva.
Aveva
paura che la volontà di Taylor fosse cambiata, che i suoi
sentimenti si fossero persi, che il progetto per il suo nuovo futuro
l'avesse ormai allontanata. Aveva paura che avrebbe preso quel treno,
alla fine, nonostante tutto.
Ma ciò che successe lo costrinse ad agire; Taylor si era accorta di lui ed era rovinata a terra per la sorpresa.
Così Jeremy si affrettò ad andare verso di lei per aiutarla a rialzarsi.
"No,
no. È tutto a posto." disse lei, rimettendosi in piedi con
inaspettata maestria e pattinando verso lo spiazzo d'erba su cui si era
fermato Jeremy.
Tutto
era bianco, azzurro e verde intorno a loro, fatta eccezione per i
flebili raggi dorati che filtravano attraverso la vegetazione. Le
fronde degli alberi cadevano rasenti alle loro teste, uno di quelli era
probabilmente lo stesso dietro cui Jeremy si era nascosto in quella
domenica d'avvento in cui si era fermata la sua memoria.
"Ciao." la salutò Jeremy non appena lei fu abbastanza vicina.
Con
i pattini ai piedi guadagnava qualche centimetro in altezza e poteva
guardarla in modo più diretto; godendo del calore che
trasmettevano le sue iridi sotto quelle ciglia perennemente spettinate.
"Ciao." ricambiò lei, sconvolta e sorpresa di vedere proprio lui davanti a sé. "Che cosa ci fai qui?"
"Beh, Alex mi aveva avvisato che saresti partita e allora..."
"Avrei dovuto partire venti minuti fa."
"Lo so." fece una smorfia. "Sono leggermente in ritardo."
La
ragazza lo osservò con le sopracciglia inarcate, talmente
confusa da non riuscire nemmeno a ipotizzare le motivazioni di quella
situazione.
"Volevo solo salutarti." spiegò allora Jeremy. "E augurarti buon viaggio. Mi sembrava doveroso."
"Certo." affermò lei, impacciata.
"Anche se è un addio, credo sia giusto così."
"Ah,
io odio gli addii." non poté fare a meno di dire e Jeremy
nascose un sorriso. "Comunque, grazie." si riscattò in fretta.
"Buona partenza anche a te per dopodomani."
"Grazie." sorrise lui.
Abbassò
gli occhi per guardare la linea che separava il terreno dal ghiaccio;
da una parte lui con le sue scarpe a suola piatta, dalla parte opposta
lei con i pattini che aveva consumato a suon di cadute.
Quando
alzò di nuovo gli occhi e li posò sul viso da bambina di
Taylor, erano più azzurri che mai e lei ne fu così
colpita che non poté trattenere un sussulto.
"Sai, Taylor." disse Jeremy. "Non ti ho mai ringraziato per il tuo regalo di Natale."
La
ragazza non si aspettava di certo quell'uscita e arrossì di
botto. Sgranò gli occhi, agonizzando nel panico più
totale: "Oh, quel regalo! ...beh, io...era solo un presente
per...insomma, non farci caso, ok? Erano solo delle sciocchezze che
avevo tenuto per-"
"Non mi avevano mai comprato un paio di pattini." commentò lui, mostrando un sorriso sornione e malizioso.
Taylor
deglutì e se possibile, arrossì ancora di più,
desiderando di poter indietreggiare sul ghiaccio e sparire nel bosco
dietro di loro.
"Lo so." le uscì stridulamente.
Non
aveva idea che Jeremy avesse aperto il suo regalo e, soprattutto, che
gliene avrebbe parlato dopo due mesi. L'aveva appoggiato sul comodino
accanto al suo letto d'ospedale, ancora quando lui era in coma, la
notte di Natale. E dopo tutto quel trambusto, anche lei aveva smesso di
considerarlo importante e se n'era dimenticata.
"Hai avuto un gran bel pensiero."
"Jeremy, ti prego." pigolò lei. "Avresti capito il loro significato, se fossimo stati in un contesto diverso."
"Beh, devo dire che anche il ritratto che mi hai fatto è stupendo."
"...grazie."
"Sembra che ti piacessi davvero molto."
"Jeremy, il mio treno parte tra meno di dieci minuti, credo sia ora che vada e-"
"Ehi, ti capisco. È normale perdere la testa quando si ha una meraviglia davanti."
Lo
sguardo di Taylor, finora reticente, scattò sul viso di Jeremy e
lo trovò fin troppo bonario e disteso per non accorgersi che
l'imbarazzo che c'era stato tra di loro quel giorno all'ospedale si era
inspiegabilmente dissolto. I suoi occhi si erano improvvisamente accesi
di una luce che Taylor credeva non esistesse più.
E poi quella battuta non l'aveva già sentita?
"Il
disegno della tua famiglia è reso così bene che non
riesco a trovare le differenze con una vera fotografia."
proseguì Jeremy. "E la dedica sul retro è davvero
ingiusta, perché tu non sei nemmeno nominata."
"Era
un simbolo Jeremy." balbettò Taylor, presa dall'imbarazzo e
dalla sensazione di essere presa in giro. "Regalandoti quella foto ti
avrei fatto capire che avevo riallacciato i rapporti con Oliver. Era
per dirti che avevo mantenuto la...ah, lascia stare."
"La promessa?" incalzò lui, divertito. "Mi avevi fatto delle promesse?"
"Senti, Jeremy, io ho un treno che sta per partire, ok?" cercò di zittirlo, infastidita. "Devo proprio andare."
Si chinò e si slacciò i pattini, per poi toglierli frettolosamente e calzare di nuovo le sue sneakers.
"Solo
un attimo, sua altezza." le disse, facendola sussultare nuovamente e
costringendola ad alzare gli occhi su di lui. "C'è ancora una
cosa che non ho capito."
Taylor rimase in attesa di sapere cosa e Jeremy estrasse dalla tasca della felpa un oggetto.
Poi lo alzò in aria e lo fece penzolare sopra le loro teste.
"Che diavolo significa che è il miglior uso che potessi farne?"
Taylor fissò il rametto di vischio diventando color lampone e poi tornò su Jeremy, inorridita.
Il
ragazzo non trattenne un tenero sorriso davanti all'espressione che
aveva imparato ad amare e fece un passo verso Taylor, che era tornata
alla sua normale statura.
Così
l'ebbe a un palmo di naso dal suo viso, le teste inclinate con la
giusta angolatura per potersi incastrare perfettamente in un bacio
sotto il vischio.
"È...è..."
"Lo so cos'è, Lor."
"No, non lo sai." tentò lei. "Jeremy, non vorrei davvero che pensassi male. Il vischio rappresenta-"
"Il bacio che vorrei tanto darti in questo momento."
"Il...cosa?"
"Lor."
sussurrò lui, dolcemente, abbassando il braccio e usandolo per
attirare Taylor a sé. "Se ti dicessi che non puoi prendere quel
treno perché voglio che resti per sempre con me, che cosa
risponderesti?"
La
ragazza per poco non svenne: Jeremy era così bello, così
vicino e così se stesso. Ma soprattutto così se stesso.
"Jeremy?" chiese allora, le iridi che si spostavano velocemente nel tentativo di leggere quelle di lui.
"Direi che Sommo Rapitore va meglio."
A
quelle parole, la bocca di Taylor si aprì nel tentativo di dire
molte cose, ma la domanda che uscì fu la più sciocca,
dettata dallo stupore e dall'incredulità.
"Ti è ritornata la memoria?"
"Se il ricordo di un'irritante, piccola mocciosa che mi mette il bastone fra le ruote è corretto, allora sì."
"Oh,
Jeremy!" quell'esclamazione uscì con voce rotta, accompagnata da
un paio di occhi che si riempivano di lacrime e commozione. Taylor si
portò entrambe le mani alla bocca, nella più totale
sorpresa ed espressione di gioia. "Stai dicendo sul serio?"
"Sì, Lor. Ma ora basta domande."
Jeremy
le prese i polsi e glieli scostò delicatamente, poi
circondò il suo viso con entrambe le mani e la baciò.
Fu
il bacio più agognato e romantico della loro esistenza. Mai
più, nemmeno nel futuro, avrebbero sentito tutta quella vita
scorrere dalle labbra di una a quelle dell'altro. Fu come restituirsi a
vicenda un'anima, un cuore, la speranza.
E
si ritrovarono così; in un sapore indescrivibile di tante cose
insieme, così contro le regole, ma che lascia il buono in bocca.
Le loro lacrime che si mescolavano assieme al giusto e incontestabile
trionfo dell'amore sul male. Così tanto atteso da lui,
così tanto insperato da lei.
Taylor
si sentiva interdetta: Jeremy era davvero tornato? Era davvero di nuovo
lì con lei? Quel bacio le diceva di sì, ma
l'assurdità della situazione rendeva difficile crederlo. E
allora lo strinse più forte e lo baciò pensando che non
avrebbe mai più vissuto, senza di lui. Come la prima volta in
cui si erano baciati, implorò silenziosamente che quel contatto
durasse per sempre.
Chiaramente
non poteva essere così, ma il loro amore, quello sì,
sarebbe durato per sempre. E le loro vite, da quel momento, sarebbero
proseguite nella stessa direzione, insieme. Non potevano vedere nel
futuro, ma se ci fossero riusciti, ne avrebbero avuto la conferma. A
Jeremy, però, non importava sapere cosa sarebbe successo poi.
L'importante
per lui era il presente. Recuperare ogni secondo che aveva perso;
riprendersi la sua Taylor centimetro per centimetro, carezza dopo
carezza. E fu così che ancora una volta posò la mano
dietro la nuca della ragazza, sciolse la sua treccia e giocò con
i suoi morbidi ciuffi come giocava con le sue morbide labbra.
Non
aveva mai dimenticato di amarla, quella consapevolezza era rimasta
sempre nel profondo del suo cuore: dal giorno in cui l'aveva sentita
piangere sotto la quercia di villa Heavens a quella mattina in cui
aveva aperto il suo regalo di Natale. Si staccò da lei e la
guardò negli occhi.
"Ti amo." le disse, riuscendo finalmente ad ammetterlo ad alta voce.
"Oh,
Jeremy, ti amo anch'io!" Taylor travolse il ragazzo con un abbraccio e
pianse contro la sua spalla, come aveva fatto quella notte fuori dal
Diderot, quando aveva pensato che lui l'avesse abbandonata. "Avevo
paura che non sarei mai riuscita a dirtelo."
"Mi dispiace."
"Pensavo che mi sarei dovuta rassegnare sul serio."
"Non ti sei mai rassegnata, nemmeno quando stavo per morire. Non sai quanto ti sono grato per questo."
"Jeremy,
tu stavi per morire due volte, per me." proruppe in un singhiozzo
guardandolo come se avesse potuto andarsene di nuovo da un momento
all'altro. "La prima volta fisicamente, la seconda come persona."
"Non
l'ho fatto, alla fine. E non lo farò mai, Taylor." Jeremy
guardò quelle gote arrossate benedicendole, e sorrise. "Forse
è proprio perché volevo sentire questo sapore che non
sono ancora morto."
Taylor fece per dire qualcosa, ma il fischio lontano di un treno bloccò le sue parole.
"Il mio treno sta per partire..." osservò, il tono distante, come i pensieri che riguardavano la sua partenza.
"Non andare."
Taylor
cercò di riflettere, nella fretta e nella confusione del
momento, il cuore che batteva fortissimo e il profumo fresco di Jeremy
che l'abbracciava come la promessa di una vicina primavera: "Ma tu...?
Anche tu partirai fra due giorni."
"Non
più, Lor." disse lui. "Voglio restare qui a Bourton. Voglio
comprare una casa e viverci con te. Voglio iniziare a lavorare alla
Money House e imparare a essere un uomo. Voglio farlo al tuo fianco,
perché solo tu sei la ragazza sbagliata per me."
"La ragazza sbagliata..." sorrise lei, gli occhi sognanti sotto le ciglia umide e arruffate.
"Ti prego, Lor." Jeremy la implorò, prendendole la mano e guardandola dritto negli occhi.
"Ma
ho già fatto l'iscrizione all'università di Newcastle e
prenotato la stanza nel condominio studentesco." obiettò lei,
condividendo lo stesso desiderio di Jeremy, ma molti più dubbi
sull'immediato futuro. "E cosa dirò a mia madre? Cosa
dirò a tutte quelle persone?"
"Lor."
Sul volto di Jeremy era improvvisamente comparso un ghigno divertito, che a Taylor non suggerì nulla di buono.
"La
risposta è molto semplice." sorrise, facendo risplendere i suoi
occhi azzurri. "Dirai loro che ti ho rapito di nuovo."
E
detto ciò, circondò la vita di Taylor con un braccio e se
la caricò sulle spalle. Ridendo ai suoi lamenti e alle sue
infondate minacce, la portò lontano dalla stazione e, stavolta
davvero, la rapì per sempre.
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"Omnia vincit amor", l'amore vince su tutto, ricordatelo sempre e specialmente in questi giorni di festa.
Io vi ringrazio infinitamente per aver seguito questa storia fino alla fine e spero almeno di avervi regalato una gioia.
Colgo l'occasione anche per salutare tutti voi che mi conoscete da poco
o che mi avete sempre seguito e che avete reso possibile la
realizzazione dei miei sogni (*accompagnamento di violini in mi
bemolle*). Per me il 2016 è stato un anno meraviglioso e non
posso che ringraziarvi con l'augurio che il 2017 lo sia anche per voi!
Siete il motivo per cui tante cose belle mi sono successe e quindi vi dedico questo capitolo <3
Se vi va, andate a sbirciare anche Io
e te è grammaticalmente scorretto e Io e te è grammaticalmente scorretto 2, di cui, per quanto riguarda la prima, uscirà il libro a marzo 2017!
Se poi vorrete unirvi al gruppo Grammaticalmente
Scorretti vi accoglieremo volentieri.
Detto
ciò, auguro a tutti un felici e serene feste e che, anche per
voi, come per Taylor e Jeremy, l'amore vinca su tutto.
Buon anno,
Daffy
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