Lemon Crush

di Herit
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: The city of Angels (Of fallen Angels) ***
Capitolo 2: *** Track 1: I'm still here (Waiting for you) ***
Capitolo 3: *** Track 2: Other World (The World with you) ***
Capitolo 4: *** Track 3: Sliping through my fingers (Dreams I've never Confessed) ***
Capitolo 5: *** Track 4: Through the barricades (Just a new day) ***
Capitolo 6: *** Track 5. Girl in The Mirror (Why is she crying?) ***
Capitolo 7: *** Track 6: If I were a Boy... (If you were a Girl) ***
Capitolo 8: *** Track 7: Step by step (Danger on the track) ***



Capitolo 1
*** Prologo: The city of Angels (Of fallen Angels) ***


Allora.... qualche piccolo commentino mi sembra giusto farlo. Questa fic è nata per partecipare all'"Only Chance contest" indetto sul forum di EFP da Valy-chan. Non sono riuscita però a darle vita nei tempi stabiliti e quindi, beh... eccomi qui a pubblicarla con la speranza che a voi possa piacere. Per il Contest ci erano state assegnate tre canzoni, assieme ad un link da cui prendere la citazioni e delle immagini. Essendo problematico (per me xD) riportare tutto, vi lascio qui il link al concorso: Only Chance Contest
E' il mio primo tentativo di storia di questo genere. Solitamente mi do a cosa più leggerine, infatti sono in fase di rivisitazione di alcune parti che mi lasciano perplessa. Vorrei risistemarle, prima di combinare obrobriosi obrobri =P Sono 15 capitoli complessivi, tutti piuttosto brevi in realtà, quindi spero porterete pazienza e ovviamente che... recensirete X3

Hope you enjoy it! *_* 
Buona lettura!

Lemon Crush

Prologo: The City Of Angels...
Of Fallen Angels


    -E anche questo è morto.- Midgar, una delle città con il più alto tasso di criminalità sulla faccia della terra. Un grigiore plumbeo ad avvolgere tutto e a caratterizzarla. E' incredibile come anche la gente si abitui e si assuefi a tale condizione, tanto da vestirsi lei stessa completamente di grigio e nero. Anche nei modi delle persone si trovava la medesima tonalità. Una tristezza abbacinante che investe come una pallottola chiunque vi arrivi senza essere preparato ad affrontare un tale spettacolo. Una città che dopo aver visto lo splendore delle centrali di produzione del combustibile Mako che portavano ricchezza a chi ci viveva e lavorava ed al commercio, l'aveva vista declinare poco a poco, fino a quando il crimine era divenuto l'unico modo per sopravviverci.

    Non c'erano piante, in quel luogo. Tutte tagliate. Sradicate. Distrutte al fine di lasciar spazio agli enormi edifici che producevano la Mako. Come se quel segno di vitalità da parte del pianeta fosse qualcosa di inutile ai fini della vita della razza che lì dominava: quella umana. Aliena in un mondo che ormai ci conviveva, come un cane convive con le pulci. Sembrava quasi che fosse lo stesso a mettere gli uomini gli uni contro gli altri al fine di portarli allo sterminio. All'auto distruzione.

    Si trovavano in una laterale. Una stradina poco trafficata nei sobborghi della città.

    Due uomini vestiti di nero, tutto fuorché beccamorti, piegati sulla carcassa abbandonata di un terzo. Il corpo, mezzo mangiato da chissà quale animale che sicuramente aveva trovato la morte qualche metro più in là, in una casa abbandonata o in un vicolo ancor più malfamato di quello, era quello di un ragazzo. Probabilmente non raggiungeva nemmeno i vent'anni. Steso prono e con i vestiti logori e tarmati. Nessun documento per identificarlo. Nulla che lo distaccasse dall'essere un semplice esemplare di uomo maschio, morto per un'overdose di chissà quale micidiale cocktail di droghe ed alcol, a giudicare da come puzzava.

    -Il solito drogato.- Una pura e semplice constatazione. Omicidi. Stupri. Spaccio. La solita routine. Un giorno come un altro in quel luogo. La città del peccato e delle trasgressioni. Così la definivano i non addetti ai lavori. Chi ci passava solo perché doveva arrivare più a nord e lì si fermava solo negli hotel al centro della Città. Oppure chi ci si fermava per qualche tempo solo per sperimentare qualcosa di nuovo e poi se ne andava soddisfatto per raccontare agli amici -ai parenti no, perché quello che si faceva a Midgar, era bene non lo sapessero- o a qualche ragazza per fare lo splendido, di quali esperienze al limite avesse vissuto.

    Chi ci viveva aveva una visione ben diversa di quella città. Le porte chiuse a doppia mandata e le finestre sprangate. E se non era così, bisognava solo pregare di risvegliarsi il giorno dopo con le mutande ancora addosso e non con qualche morto in casa perché il marito o la moglie di turno aveva fatto fuori il primo psicolabile che gli era entrato in casa per far incetta di beni. Furto. C'erano ladruncoli davvero bravi, in quella città. Topi di appartamento che davano decisamente un bel da fare alla polizia locale.

    -Nah... si direbbe l'abbiano pure picchiato. Guarda che strani segni. Sembrano ematomi.- Capelli rossi e disordinati, pettinati come chi svuota con un colpo solo un'intera scatola di gel solo per tenerli scompigliati come un riccio che se la sta facendo sotto per la paura ed un codino più lungo che gli si raccoglieva ordinato e morbido sulla schiena. Un viso da ragazzino, ancora, con incastonati due occhi di un azzurro chiaro e piacevole che osservavano quel povero corpo come osserverebbero una rana sul tavolo di un laboratorio durante l'ora di biologia, pronta e psicologicamente preparata per essere vivisezionata. Stava punzecchiando il cadavere con un'asta di ferro non troppo lunga così da indicare i suddetti segni al collega che, come un silenzioso uccello rapace, osservava dall'alto la sua preda., scrutandola da dietro i suoi fidati occhiali da sole.

    -Mh. Non è il primo. In questi giorni ne ho visti altri presentare quei lividi.- Il tono assorto mentre fa mente comune. Un uomo alto e dalla pelle mulatta. Calvo. O “rasato per comodità”, come preferiva definirsi lui. Vestito di tutto punto, a differenza dell'altro con la camicia fuori dai pantaloni e la giacca lasciata aperta. Il gessato ben chiuso, in ordine, con la cravatta che presenta un nodo fatto ad arte. Non una piega. Non una cosa fuori posto. Tesi ed antitesi della perfezione. -Ho già pensato a chiamare la scientifica, mentre tu ti trastullavi con il morto. Pedofilo.- Piatta la voce dell'uomo mentre sposta il proprio sguardo dal compagno all'ingresso della strada. Verso dove di lì a poco tempo sarebbero dovute comparire le volanti della polizia. Avverte subito il peso del collega su di sé, posato sulla sua spalla destra con il braccio sinistro. Il capo posato su questo a solleticare un poco il suo collo con i capelli.

    -Oh, come siamo previdenti, Rude.- Lo canzona aprendo un sorrisino sornione sul viso, il rosso. L'osserva dal basso con espressione sorniona ed un sorrisetto sghembo che sa di beffa. Nel mentre si tamburella quella specie di manganello contro la spalla libera in un gesto abituale. Vezzoso, quasi. E seguita ad osservare il cadavere come se fosse qualcosa di particolarmente interessante, mentre ad una persona qualunque si sarebbe già chiuso lo stomaco per il ribrezzo. Rude non sembra prendere botta delle parole dell'altro. Semplicemente torna a fissarlo da sotto gli occhiali, continuando a mostrarsi altero in quel tenere il capo alto, limitandosi ad abbassare lo sguardo, così da sopperire alla loro differenza di altezza.

    -Tu quella cosa la lavi, prima di entrare in casa mia, Reno. Potrebbe essere infetta.- Estemporaneo ai discorsi affrontati fino a quel momento, se ne esce così, andando ad indicare con un cenno del mento la spranga di ferro in miniatura che il collega continua a sbatacchiarsi sulla spalla. Un grugnito contrariato è la risposta che gli fornisce il collega. Ripetuto. Più accentuato, quando il mulatto gli sfugge da sotto il braccio, facendogli perdere l'equilibrio, dirigendosi verso l'imboccatura della laterale. Non par farci caso, Rude, agli scimmiottamenti che Reno va a fargli alle spalle. Né tanto meno par interessarsi di quello sberleffo che subito li segue. Ben uso a quello e ad altro, da parte del compagno.






Ecco a voi il prologo :3
Ogni capitolo avrà il titolo di una canzone così come potete notare di questo :P
Questo perché io sinceramente adoro la musica e quindi ciò mi influenza non poco xD Non di meno, mi erano state date (come detto al principio) tre canzoni tra cui scegliere da utilizzare all'interno della Fiction. Una di queste appunto "Lemon Crush" di Prince che da titolo all'intero racconto v.v.

Ora passiamo ai Disclaimer:
Final Fantasy VII ed i suoi personaggi non mi appartengono (per vostra fortuna xD), così come le canzoni e le citazioni inserite all'interno della fic che sono di propietà dei rispettivi autori. Sto scrivendo questo racconto non a scopo di lucro, ma per puro divertimento.


Grazie in anticipo a chi leggerà ed a chi recensirà ^^
Herì

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Capitolo 2
*** Track 1: I'm still here (Waiting for you) ***


Track 1. I'm Still Here...

                      Waiting For You


Gesti automatici. Prende una cioppa dalla cesta del pane. Prende un barattolo di marmellata dalla credenza e per finire, afferra il contenitore del burro andando a posare tutto quanto sul tavolo sgombro. Vuoto, se non fosse per quel coltello che lo guarda, troppo poco affilato e con la punta troppo rotonda perché possa farsi del male utilizzandolo. Beh, se davvero volesse compiere una pazzia, avrebbe diverse armi da poter utilizzare. Vive da solo. Un fantasma di se stesso e di quello che era stato. La vita frantumata a soli ventitré anni. O per lo meno così si sente. Preda di sensi di colpa non suoi. Per cose che lui non ha fatto. Ed è forse per questo che si ritiene ancora più responsabile.

Gesti automatici. Afferra quel povero coltello ingrigito che si adatta perfettamente al suo umore. Quello stesso umore che negli ultimi tre anni ha pensato bene di peggiorare drasticamente finendogli esattamente sotto i tacchi, talmente in basso da risultare impossibile riportarlo a galla anche con una gru. Che si adatta perfettamente all'umore di quella città terribilmente decadente. L'osserva attentamente, come se ancora stesse valutando un'ipotesi presa in considerazione talmente tante volte, da essere ormai un rituale che esegue ogni mattina. E il riflesso sull'argento ossidato della sua superficie l'osserva di rimando. Due occhi di un tono particolare di azzurro che rimangono immobili ed impassibili in un'apatia che non si è più spezzata, se non in occasioni più uniche che rare. Poi eccolo ferire il burro per tagliarne un pezzo.

Ma il burro non soffre.

Non muore.

Il burro è qualcosa di inanimato.

Forse è per questo che non gli fa male vederlo sfaldarsi sotto la lama smussata della posata. Troppo codardo per affrontare quella barba incolta, segno che da un paio di giorni sembra fregarsene di sé stesso. Troppo codardo per affrontare quelle occhiaie che gli segnano il volto da tre anni a quella parte.

“Possiamo fare a meno del burro ma, nonostante tutto il nostro amore per la Pace, non possiamo fare a meno delle armi. Non si può sparare con il burro.” Chissà perché gli è tornata in mente quella frase. Forse per tormentarlo un altro po', visto che in quegli anni non si è dannato abbastanza l'anima. La voce che si fa spazio nella sua testa è calda e pastosa, con una nota vivace e divertita, come il suo proprietario, dopo tutto. Se lo rivedeva davanti, seduto dall'altra parte del tavolo, mentre cenano. Loro due assieme a Tifa e Aerith. Un quartetto affiatato, con i problemi che hanno tutti i quartetti composti da due ragazzi e due ragazze con caratteri tanto differenti e che non riescono ancora a far chiarezza nei loro sentimenti.


-Dai, Claud, buttati. La conosci solo da una vita!- Zack capiva sempre tutto di lui, nonostante il suo silenzio e la sua riservatezza. Nonostante il suo essere distaccato e dall'espressione intellegibile. Nonostante solo la giovane Cetra riuscisse a farlo sorridere spontaneamente con la sua dolce solarità. Nonostante le promesse mai mantenute. Il SOLDIER sapeva la direzione che aveva però preso il cuore del giovane Strife. I SOLDIER, erano un dipartimento distaccato della polizia locale e lui aveva giurato fin da piccolo che sarebbe riuscito ad entrarci. Allora era solo all'inizio e la strada sembrava impervia. Ma con Fair come esempio, era sicuro che ce l'avrebbe fatta. Oltre tutto, il loro capo squadra era Sephiroth. Uomo intelligente, senza dubbio. Dotato di grande forza e perspicacia. Tutti i casi che avevano affrontato fino a quel momento erano stati risolti in tempi record. Il loro gruppo era l'orgoglio della centrale, tanto che non l'aveva più sciolto da che si era formato, nonostante il regolamento prevedesse un rimescolamento dei ruoli e che le squadre fossero composte da quattro elementi, non da tre come la loro.

-Ma...- Proteste mai pronunciate, quando ancora il mondo conosceva la voce del biondino dalla pettinatura improbabile. Dai capelli ispidi, capaci di quel naturale disordine che di tanto in tanto il collega si divertiva a modificare arruffandoglieli ulteriormente.

-Suvvia. Altrimenti me la prendo io, la nostra “Cuore Chiuso”. Sei avvertito.- “Cuore Chiuso”. Aveva la mania di chiamare Tifa così. Non era altro che la traduzione del suo cognome, alla fine. Ma la ragazza sembrava particolarmente suscettibile alla cosa, soprattutto se a chiamarla così era Zack e c'era lui nei dintorni. Non l'aveva mai capita. Non in questo almeno. E lei non aveva mai voluto confidarsi. Non che lui fosse bravo a fare domande, in realtà. Semplicemente, quando si aspettava che la giovane dovesse dirgli qualcosa, si sedeva lì, davanti al bancone del 7th Heavens e aspettava che lei parlasse. Che facesse domande a cui solitamente otteneva blande risposte da parte dell'aspirante poliziotto. O che fosse lei per una volta ad aprirsi. Ma questo non accadeva quasi mai. Sapeva bene, comunque, che l'amico non avrebbe mai potuto mettere in atto quella minaccia. Lui e Aerith erano troppo affiatati. Troppo perfetti assieme perché lui potesse anche solo sognarsi di tradirla. Forse era anche per questo che Cloud continuava a procrastinare.

Gesti automatici. La fetta di pane è lì, imburrata, che ricambia il suo sguardo mogio pronta ad essere addentata e a lui è passata la fame. Quei ricordi bruciano ancora con la loro suadente dolcezza. Lascia lì tutto, abbassando le braccia lungo il corpo, per poi posarsi le mani sulle gambe, spingendo indietro la sedia con i piedi per allontanarsi dal tavolo: gli si è chiuso lo stomaco. Ed è in quel momento che suona il cellulare. Fastidioso quel suono. Lo stesso suono che gli ricorda perché è ancora in vita. Che gli ricorda che ci sono persone che nonostante tutto ancora pensano a lui. Lo lascia suonare, ma non risponde. Aspetta. Aspetta così tanto che finalmente parte la segreteria telefonica e lui par quasi rilassarsi. Le spalle che si abbassano in un moto più tranquillo. China gli occhi sull'apparecchio telefonico posato sul tavolo ed attende. Attende che la voce del suo interlocutore gli arrivi alle orecchie. Attende e finalmente qualcuno si mette a parlare.

E' una ragazza.

Parla da sola.

E' lei.

Ne accoglie la voce con sguardo colpevole. Lo stesso che probabilmente avrebbe se fossero faccia a faccia. Vergognoso. Timoroso, seppure tutto si nasconda dietro quell'apatia che di nuovo si fa presente sul suo viso chiaro, macchiato solo da qualche lentiggine sotto gli occhi.

Seppure si nasconda dietro quella forza che in realtà non ha più.

Ha chiamato Reno. Aveva una voce strana. Parlava di un morto nel decimo quartiere. Ha detto che presentava strani ematomi sparsi per il corpo. Credono che sia ancora quella droga. Vuole che tu vada da loro.” Scende un breve silenzio, ma lei è ancora lì.

Ci spera.

Spera che lui le risponda.

Ci spera, ma sa che non lo farà.

E allora sospira piano piano, impercettibilmente a non volersi far sentire. Ma lui è ben conscio del fatto che quel sospiro è lì, presente. A pronunciare tante cose mai dette. “Stai attento, Claud, okay? E vieni a trovarci. Marlene e Denzel hanno voglia di vederti. Fallo almeno per loro.” Mari e Den. Se li immagina ad aiutare Tifa a mettere a posto la casa. A fare la lista di quello che potrebbe servirle per il bar. Ad imparare come aiutarla una volta diventati un po' più grandi e consapevoli. Se li immagina davanti al suo studio.

Dentro al suo studio a giocare agli investigatori privati con quel poco che ha lasciato lì, visto che spesso passava dal 7th Heavens fermandocisi per la notte e dove alla fine, lui e Zack avevano istituito una sorta di base solo per sé. Il loro angolo di quiete dove mettere in ordine le idee e dove Tifa gli lasciava quelle poche informazioni che riusciva a carpire ai clienti. Nelle loro conversazioni oppure perché un po' alticci parlottavano di questo o quello spacciatore e di questa o quella loro bravata.

Il loro pensiero. Di quelle tre persone che aspettavano il suo ritorno. Di quelle tre persone da cui fare ritorno. Quello lo faceva andare avanti, nonostante le volte in cui si facesse vedere da loro fossero davvero poche e sparse, scaglionate durante l'anno. Durante quei tre anni. La voce metallica della segreteria graffia l'aria e lui richiude velocemente il cellulare, zittendola. Scacciandola dal suo piccolo spicchio di pace.

Gesti automatici. Si alza lentamente, indossando la giacca di ordinanza e silenzioso come un gatto se ne esce di casa. Rimane tutto sul tavolo, ma è certo che una volta tornato, quel tutto sarà scomparso, lasciando il tavolo adorno solamente di quel coltello e di un biglietto. “La colazione è il pasto più importante. Mangia. T.” E' così, tutti i giorni, in un tacito accordo che non era mai stato stipulato, ma dovuto ad un vincolo che tra lui e Tifa era innato ed immortale. Talvolta si chiedeva come lei potesse ancora prendersi cura di lui.

Talvolta si chiedeva come lei potesse ancora raccomandargli di stare attento.

Talvolta si chiedeva come lei potesse ancora amare qualcuno così... così come lui.

Sempre che l'abbia mai amato. Zack ne sembrava tremendamente convinto. Aerith anche. Parla poco, Cloud, ma il cervello, specialmente per i drammi adolescenziali, va ancora come un treno in corsa e senza una meta ben precisa. Lo porta distante da lei? Lo porta da lei?

Gesti automatici. Monta sulla moto andando a controllare che spade e pistole siano ancora al loro posto. La pistola d'ordinanza è obbligato a portarla con sé. Ma lui continua di gran lunga a preferire le spade, come arma. Accende la Fenrir e parte lungo la strada.

Vive nell'estrema periferia della città. Lì c'è una chiesetta abbandonata. Ad Aerith piaceva particolarmente quando era in vita, tanto che, dove nessuno andava più da anni. Dove uno spiraglio di terra era ancora visibile e capace di dare frutto, lei era riuscita a creare un piccolo angolo di paradiso, imperlato dalla candida bellezza dei gigli. Da brava “ragazza dei fiori” li aveva fatti crescere e seguiti con amore. E' lì che si dirige per prima cosa. E' lì che si ferma. La porta ben chiusa. L'osserva per qualche istante prima di lasciare la moto al proprio destino per quei dieci minuti in cui si assenta ed entra.

Entra per ricordarla.

Entra per chiedere un perdono che lui stesso non sa imporsi.

Entra, perché è l'unico modo per sentirla ancora vicina.


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Capitolo 3
*** Track 2: Other World (The World with you) ***


Track 2. Other World:

The world with you.


La stazione. Avevo sempre pensato fosse un bel posto per passare il tempo. Gente che va. Gente che viene. Tante storie che si intrecciano tra di loro per brevi attimi e che poi si perdono per sempre. E poi magari si intrecciano ancora nel nuovo soffio di un attimo, ma in quel momento si è troppo presi da altro per accorgersene. E' in questo posto che tutto è cominciato.

Io a Midgar c'ero stato un paio di volte, da ragazzino. Uno dei tanti che ci passano nei loro viaggi e che di questa città portano con sé tanti ricordi di trasgressioni insensate. Io portavo con me il ricordo di tante belle ragazze con cui ci avevo provato. Quando si è un rubacuori professionista e dall'apparenza un po' frivola, c'è poco da fare. Fortunatamente all'alba dei miei ventidue anni avevo cambiato idea e mi ero arruolato nella polizia di questa città nella quale il lavoro certo non manca.

Era proprio nella Stazione di Midgar che avevo conosciuto per la prima volta Cloud Stife. Nemmeno diciassette anni. Un ragazzo piuttosto taciturno che avrebbe presto intrapreso la carriera del SOLDIER, disposto ad abbandonare, come me del resto, la propria casa e la propria famiglia. Disposto ad abbandonare tutto in nome di qualcosa in cui credeva davvero: la giustizia. E poi, ma lo potei scoprire solo in seguito, come molti ragazzini nutriva ammirazione e stima profonde per Sephiroth. Tanto che la prima volta lo vidi vacillare fu quando gli comunicai che era il nostro diretto superiore. Nello sguardo un bagliore emozionato che poche volte sono riuscito a vedere di nuovo.

Ricordo che quel giorno la stazione mi appariva come un film in bianco e nero. Una di quelle vecchie pellicole che nel tempo si è leggermente ingiallita. Ecco. Questo sembrava. Il grigiore di quel cielo che non è mai cambiato. Il grigiore di quella nebbiolina che poco a poco invadeva la città come un parassita che si nutre di tutto ciò che trova innanzi a sé, ingoiandolo ed inglobandolo. Gente che andava e gente che veniva. Uno di quei vecchi film che raccontava di quei poveracci che migravano dalla campagna alla città con la speranza di trovare lavoro. A Midgar, all'epoca -ma anche adesso credo-, avveniva il contrario. La gente si spostava dalla città alle campagne perché a Midgar era impossibile vivere una giornata tranquilla, senza che il notiziario delle dodici sparasse in prima pagina la cronaca nera oppure un titolo a piena schermata che comunicasse di questa o di quella rapina finita più o meno bene per rapinatori e/o rapinati. La vita nelle campagne era davvero più semplice.

Qualcosa spezza il ritmo dei miei pensieri e vedo davanti a me due occhi color smeraldo che mi fissano divertiti e io so già perché c'è quell'espressione su quel volto tanto carino e tanto amato. Si abbassa verso di me, stuzzicandomi il viso con i ciuffi più corti di capelli che le incorniciano la faccetta sempre dolce e vivace. Reclama un bacio che presto le arriva perché effettivamente a lei non so dire di no.

-A cosa stai pensando?- Chiede ad un soffio dalle mie labbra. Non ne sento il profumo. Non sento il calore del suo respiro. Non sento niente di quello che avrei sentito abitualmente. Alle anime non è concesso. Ma il sapore di quei baci non è cambiato da quando avevamo un corpo entrambi. Da quando facevamo l'amore. Da quando giocavamo sul letto con i cuscini perché magari lei aveva fatto il broncio e finivamo sfiniti a ridere stesi ed abbracciati dandoci degli stupidi perché era normale commettere errori ed era inutile arrabbiarsi quando bastava parlare. Peccato sia durata troppo poco e ormai non abbiamo più un letto su cui fare a cuscinate o un divano su cui buttarci dopo che eravamo tornati a casa sfiancati dal lavoro per... coccolarci un po'. Avevamo accelerato i tempi. Tutti ce lo dicevano. Dopo un solo anno di conoscenza, avevamo cominciato a vivere assieme, nel suo appartamento. Avevamo accelerato i tempi, ma ora come ora la reputo una fortuna: almeno avevamo potuto viverci un poco.

-Ad un certo biondino che probabilmente si sta ancora accusando di quel che è successo.- Le spiego mentre allungo le braccia per cingerle la vita. Una vita sottile. Il rumore della stoffa che fruscia che risuona nella mia mente. Il suono di ricordi. Il calore di un corpo che non potrei più sentire e che avvolge invece i miei arti.

Ricordi.

Ricordi.

Ricordi.

Fanno male, ma ringrazio di poterli ancora avere per me. Di non averli ancora perduti. La sento sospirare. Più per vezzo che per bisogno: le anime non respirano. Mi abbraccia il collo, posando la sua testa sulla mia, nascondendo il viso alla mia vista e restiamo così per un po'. Un tempo che non so definire, perché anche se siamo in una sorta di paradiso, il mio unico vero paradiso è con lei. Così. Lo era anche quando eravamo vivi. Ma in quel luogo il tempo non par nemmeno scorrere. Il soffio di un istante si amplifica all'infinito, senza trovare poi più inizio o conclusione.

-Sai che non si darà mai pace...- Non ha il suono di una domanda, quanto di una constatazione che le fa male e sentirla così mi invoglia a stringerla più forte, posando il capo sulla sua spalla. Non abbiamo un corpo, ma dopo tre anni che siamo morti, riusciamo a controllare la consistenza della nostra anima, tanto da non rischiare di trapassarci a vicenda. Ci abbiamo lavorato parecchio, eh! E finalmente abbiamo raggiunto un risultato davvero ottimo.

-Lo so. Ma cosa potremmo fare?- Dev'essere strano, per lei, sentirmi scoraggiato, tant'è che per qualche attimo non risponde, distaccandosi poco a poco da me e mostrandomi uno dei suoi sorrisi migliori. Non so che poteri magici abbia questa ragazza, ma ad un suo sorriso è impossibile opporre alcun tipo di resistenza. Ed un suo sorriso è in grado di tirarti su il morale anche quando ce l'hai sotto le suole delle scarpe. Ecco cosa ci vorrebbe a Cloud! Qualcuno che gli sorrida così. Ed ecco che torno a chiedermi perché ancora non abbia detto niente a Tifa. Perché si ostini a starle lontano. Vedere Mari e Denzel gli farebbe ancora meglio. Li ama. Sono la sua “famiglia”. E ancora si ostina a non rendersene conto. E poi: idea...

-Ci inventeremo qualcosa.- Mi risponde la giovane Cetra. Morta troppo giovane e per questo i suoi -nostri assassini- presto o tardi pagheranno. Eccheccavolo! E la giustizia dov'è a questo mondo, altrimenti? Rispondo al suo sorriso con un'espressione sorniona. Di chi ha già inventato quel “qualcosa”. La vedo sorpresa davanti ai miei occhi mentre le sue mani prendono a carezzarmi i capelli scuri, a porcospino. Tra me, Claud e Reno c'è competizione aperta, per quanto riguarda la capigliatura. Ma almeno la mia sta bassa. Aspetta in silenzio, mostrando impazienza solamente nel suo ostinarsi a guardarmi. Io però dissento con il capo. Devo trasgredire qualche regola, se voglio mettere in atto il mio piano e forse è meglio che lei non venga a sapere cosa voglio combinare. Il Paradiso lei se lo merita tutto.

-Stai tranquilla, Aerith. So cosa fare e come farlo.- La rassicuro semplicemente, facendo un po' il ruffiano, andando incontro alla sua mano con la testa, invogliando ancora quelle carezze che per qualche istante sono cessate. Obbediente, lei riprende da dove si è fermata, ricominciando a giocherellare con i miei ciuffi neri. E' ovvio che voglia spiegazioni, ma per il momento non gliene fornisco e sembra accettarlo. Si è sempre fidata di me. Lo fa anche ora e l'apprezzo per questo. D'altronde l'amo anche per questo.

-Zack, mi raccomando...- Non sa nemmeno lei cosa raccomandarmi. Ma quella frase è d'obbligo. Quel botta e risposta era ormai collaudato e rodato da tempo. Ogni volta che io e Cloud dovevamo partire per qualche ispezione, me lo ripeteva. Ogni volta che ci affidavano un malvivente da cogliere in fragrante io le ripetevo le stesse cose dette solo poco fa e lei si raccomandava. Era il mio motivo per tornare. Dirle: “Vedi? Non mi è successo niente! E adesso voglio un premio perché sono stato bravo.” Espressione sardonica e voce maliziosa. Sguardo accattivante. E Claud ogni volta diventava paonazzo al pensiero del “premio” che avrei ricevuto io. Mi piaceva la sua ingenuità da questo punto di vista. Di quel bambino cresciuto troppo in fretta. Di quell'adulto rimasto inconsciamente ancora bambino. Così scappava. Sono sicuro che andasse da Tifa, ma che quel che facevano, fosse ben lungi dalla notte di passione e tenerezza che avremmo affrontato io e questo fiore che ancora stringo tra le braccia.


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Capitolo 4
*** Track 3: Sliping through my fingers (Dreams I've never Confessed) ***


Track 3. Sliping Through My Fingers

Dreams I've Never Confessed


Era mattina presto. Quel giorno Zack aveva deciso di dormire da Claud. Non era strano, tutt'altro: solitamente i SOLDIER provenivano da diverse parti del paese e quindi venivano smistati in vari appartamenti che condividevano con colleghi e compagni di squadra. Non era un caso quindi, che la mansarda dove abitava il biondino, fosse anche quella dove avrebbe dovuto vivere il moro. Moro che da un po' di tempo a quella parte, però, aveva preso a frequentare assiduamente la casa di Aerith. Alla fine erano sul punto di sposarsi, che c'era di male?


Lui è lì, in piedi, accanto ad una delle panche rimaste integre dopo uno degli ultimi scontri avvenuti in quella cattedrale e che l'hanno ridotta ad un cumulo di macerie di cui solo poco è rimasto in piedi. Lì, fermo immobile. Il capo chino e gli occhi chiusi, come se solo quello basti a portarli indietro. A riportarli da lui. Respira piano, impercettibilmente, tanto che se entrasse qualcuno potrebbe prenderlo per un manichino lasciato là da qualche teppistello di strada pronto a far marachelle. E' qualcosa di abituale, ormai. Il suo modo di cominciare la giornata e trovare un po' di pace. Non l'avrebbero mai perdonato, ne era certo. Ma soprattutto, non si sarebbe mai perdonato lui.


-Cloud! Cloud! Vieni, ho bisogno di parlarti-. Era mattina presto, e Zack aveva pensato bene di svegliarlo con i suoi modi un poco bruschi, ma solitamente efficaci dopo che lui era riuscito a dormire sì e no un paio d'ore. Lo stava scuotendo senza troppa forza dopo averlo afferrato per una spalla. Era posato a carponi sopra il suo letto, completamente vestito, seppure i suoi capelli fossero ancora disordinati, come chi si è rigirato tutta la notte contro il cuscino senza in realtà aver chiuso occhio. Gli aveva mugugnato dietro qualcosa come: “Lasciami in pace... Tifa non te la do”, suscitando una sonora risata da parte del moro. Risata che aveva avuto il potere di strappare completamente il giovane Strife dalle braccia amorevoli di Morfeo. Lo stesso Strife che, dopo aver fatto mente locale ed essersi reso conto di che cosa gli aveva appena detto, si era rigirato sotto le coperte, sprofondando in esse. Complessato come qualsiasi buon adolescente con le sue sane beghe mentali. Solo che Cloud Strife non era più esattamente un adolescente. Due giorni dopo sarebbe ufficialmente divenuto maggiorenne. Un grugnito suggerì al SOLDIER che finalmente era riuscito ad ottenere l'attenzione del collega.

-Gliel'ho chiesto, Cloud. Le ho chiesto di sposarmi!- Entusiasmo. Quell'entusiasmo che lui non avrebbe mai avuto. Zack gli aveva praticamente urlato contro quelle parole in un impeto di euforia che lui probabilmente non avrebbe mai capito, né potuto sperimentare. O almeno di questo era convinto.

Indugiò per qualche istante, riemergendo da sotto le coperte, prima di osservare il moro che in quel momento doveva avere la testa su un altro pianeta, appartenente ad un altro sistema solare, e con tutta certezza ad una dimensione parallela. Non era strano vedere il First Class Soldier stralunato. Un tipo alla buona, decisamente più spontaneo ed amichevole di lui. Ma in quel momento lo era fin troppo. Evidente fosse al settimo cielo. Era per la banalità della domanda che sarebbe seguita che il biondino si stava trattenendo dal porgliela lasciando le labbra dischiuse ad incamerare aria, rizzandosi lentamente a sedere contro la testiera del letto ed il muro che si trovava alla sua destra, schiacciandosi contro a questo..


Stringe nella mano le chiavi della Fenrir. Un tocco gentile, tutto sommato. Completamente differente da quello con cui impugna la spada e la pistola. Si spinge avanti di un paio di passi, andandosi a sedere poi innanzi a quello spiazzo di terra coltivato a gigli. In quei tre anni erano morti e rinati ad ogni ciclo senza che nessuno se ne prendesse cura. O almeno di questo è sempre stato convinto. Probabilmente non si è mai accorto di quella tacita figura che di quando in quando entrava nella chiesa ad innaffiarli nei giorni troppo caldi o a proteggerli quando la pioggia era troppo battente ed il vento rischiava di spazzarli via.

Stringe il portachiavi con leggerezza, lasciando che due anelli si incontrino tra loro provocando un fine suono metallico. L'unico suono che riempie l'ambiente, in quel momento.


-E... e lei..?- Si era ritrovato a chiedere mostrando un'espressione forse poco convinta in quella dimostrazione di curiosità che sicuramente non era da Cloud Strife, ma che in quel momento era d'obbligo. Almeno nei confronti dell'amico. Questi tornò a posare i piedi per terra, abbandonando quella dimensione parallela nella quale si era tuffato, mostrandogli un sorrisetto ruffiano. Di chi sapeva bene di aver vinto un premio. Un premio speciale. E a quel pensiero sorrise con gentilezza, per poi lasciarsi ricadere all'indietro, andandosi a stendere sul letto del collega con le braccia incrociate dietro il capo, soddisfatto di essere riuscito addirittura a strappare due parole di senso compiuto dalla bocca del futuro poliziotto.

-Ha accettato.- Ammise con l'espressione di chi in quel momento è in pace con il mondo. Di nuovo silenzio. Di nuovo la quiete, ma per una volta fu Cloud a spezzarla, distaccandosi dal muro, così da poter osservare meglio il volto dell'altro, visto che questi era steso con il capo rivolto verso i piedi del letto.

-Complimenti.- Basso il tono del giovane. Ingentilito, in qualche modo, da una sorta di complicità con l'altro ragazzo. Era da settimane, se non mesi che continuava ad assillarlo con quel discorso. Voleva davvero sposarla e Cloud aveva avuto modo di rendersi conto che parteggiava per il collega e che davvero sperava che Aerith gli rispondesse positivamente. Uscì pigramente dal letto. Ormai era sveglio: tanto valeva alzarsi per preparare la colazione. Presto sarebbero dovuti partire per proseguire un'indagine.


Sono due fedine d'oro. Sembrano piccole spirali bianche, gialle e rosse. Tre tonalità del medesimo metallo. Sono particolari. Quando riapre gli occhi è su quelle che va a posare lo sguardo per qualche istante. Non si dilunga troppo, come se non riuscisse a sostenerne la vista. Prega. Prega in silenzio. Non prega delle divinità, però. No. Lui prega solo perché vuol essere perdonato. Lo fa tornando ad occhi socchiusi. Lo fa osservando quelle due fedi che non adornano le dita che dovrebbero. Lo fa vicino a quei fiori. Lì, dove solo tre anni prima avrebbe dovuto avvenire la cerimonia. Lo fa a capo chino, quasi attenda che la falce della Nera signora cali anche sul suo corpo a prendersi anche la sua, di vita.

-Ho promesso di vivere anche per te. Ma non riesco a portare sulle mie spalle il peso di tre vite.- Snocciola lentamente quelle parole, come se gli costasse fatica il fatto di farle susseguire le une alle altre. Alza gli occhi verso quel cielo coperto da una leggera foschia causata dalle fabbriche e dall'umidità insita nell'aria. Tanto che anche la luce del sole arriva ovattata ed attutita. Nuvole nere che invece si dispiegano all'orizzonte.


-Vorremmo che foste tu e Tifa i testimoni. E anche...- Era strano sentire Zack titubare davanti a qualcuno. Era strano vederlo incerto davanti a qualcosa. Specie perché alla fine stava parlando con lui. Da quando si faceva problemi a parlargli? Cloud l'osservò senza capire il prosieguo del discorso. Si limitava a fissare il collega dall'altra parte del tavolo con una fetta di pane mezza mangiucchiata in bocca. Già allora mangiava senza voglia, solo perché altrimenti sarebbe cascato a terra come un frutto maturo a metà giornata.

-Nh?- Un suono nasale emesso giusto per fargli capire che, nonostante la svogliatezza con cui stava affrontando la colazione, lo stava ascoltando. Era insolito vedere Zack giocare con i cereali inzuppati nel latte anziché finirli in un lampo per poi agguantarlo per la collottola che lui non aveva nemmeno finito di mangiare, e fiondarsi di corsa al 7th Heaven poco distante dal loro appartamento per farsi un caffè prima dell'inizio del loro turno di pattuglia.

-Vorremmo che faceste da padrini ai bambini.- La voce incrinata dall'emozione. Era palpabile lo stupore che albergava nella stanza. Tanto che se avessero potuto l'avrebbero tagliato con un grissino. Il coltello sarebbe stato un'esagerazione: troppo affilato. Quella fu la prima volta in cui Fair vide Cloud a bocca aperta, tanto che la fetta di pane gli cadde direttamente dentro il bicchiere con la spremuta di limone. Sì, perché tra tutte le cose anomale che caratterizzavano il giovane Strife, c'era anche una passione particolare per la spremuta di limone. Per lo meno da un po' di tempo a quella parte.

-Padrini... ai... bambini?- Ripeté quelle parole tra un eccesso di tosse ed un altro. Imbarazzato, forse. Stupito. Sconvolto. Scene che probabilmente non avrebbero più visto la luce. E Zack sorrise divertito all'amico, annuendo. Sarebbe divenuto padre e lui stesso stentava a crederci.


Claud si gira verso la porta e poco a poco si dirige nuovamente all'esterno. E' in ritardo, ma non par badarci più di tanto. Anche il fatto di andare a lavorare, ormai è solo una questione di abitudine. Lo fa perché deve, ma nulla l'invoglia più a metterci la passione di quando andava a caccia di malviventi assieme a Zack e Sephiroth. Tocca la porta di legno con la devozione di chi si trova di fronte ad una reliquia dal valore inestimabile. Ed è con lentezza che abbandona la chiesa. Anche in questa mattina che si presenta più uggiosa delle altre. Una lentezza che però lascia presto passo alla velocità. Così come il silenzio lascia spazio al rombo del motore di una moto. La Fenrir parte e lui si lascia dietro la piccola cattedrale, ma non quei ricordi che continuano a bruciargli l'anima.

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Capitolo 5
*** Track 4: Through the barricades (Just a new day) ***


Track 4. Through The Barricades...

Just a New Day


Non si era visto ancora un cliente, quel giorno, al 7th Heavens. Tifa se ne sta lì a ripulire le ultime tazze da caffè prima di riporle al loro posto. Addosso quell'espressione tranquilla di chi lascia che il mondo scorra per conto suo, purché non si immischi con la sua vita. Di chi cerca una sorta di distacco, sempre disposto ad ascoltare e risolvere i problemi degli altri, perché negli anni le spalle sono diventate forti ed in grado di sostenere qualunque peso, a patto che nessuno cercasse di carpire i suoi, di problemi. Di risolverli poi non se ne parla proprio: c'è solo una persona in grado di risolvere ciò che l'affligge, e quella stessa persona da più di due mesi non mette piede nel bar. Dall'altra parte del bancone c'è una bambina che ha si e no tre anni. Guarda Tifa con curiosità ed ingenuità. Ha gli occhi limpidi e dolci, seppure sotto sotto nasconda un carattere da vero peperino. I capelli sono castani. Di un castano chiaro e caldo, con qualche riflesso tendente al rosso. E' lì che l'osserva prendendosi cura della propria bambola di pezza. La sta cambiando d'abito con impegno da una buona dozzina di minuti. E quando davvero non ce la fa più a litigare con il suo braccio che non par proprio essere intenzionato ad entrare nel piccolo buco della manica della maglietta che sta cercando di infilarle addosso, l'allunga verso l'adulta, in una tacita preghiera perché lo faccia lei.

-Sorellona, puoi?- Le domanda parlando fin troppo bene per la sua età. E Tifa si ritrova a sorridere, annuendo un paio di volte, asciugandosi le mani sullo straccio con cui sta lucidando le stoviglie, per poi afferrare la bambola che la bimba le sporge, rivestendola cautamente. A lei non è mai piaciuto giocare con le bambole. Ha sempre preferito giocare alla lotta con i maschi del suo quartiere, a Niebelheim, oppure cacciarsi in qualche pericoloso pasticcio dal quale difficilmente usciva illesa e tutt'ora preferisce allenarsi prendendo a pugni e calci un sacco appeso pigramente nel garage, come se fosse un salame messo lì ad aspettare il giusto grado di essiccazione. Rende il giocattolo alla sua legittima proprietaria dopo averlo osservato per qualche attimo, voltandosi lentamente quando si sente tirare la gonna da una manina piccola e leggera. C'è un bambino, accanto a lei. Gli occhi di un blu intenso sollevati verso il suo viso. L'osserva speranzoso, senza però parlare.

-Che succede, Denzel?- Gli domanda piegando le gambe ed abbassandosi alla sua altezza con il viso. Anche lui non ha superato i tre anni, ancora, così come la gemella. Appare intimidito davanti allo sguardo rosso della donna che ha davanti, tanto che porta gli occhi da un'altra parte, toccandosi i capelli mossi con una manina. Tifa gli sorride con dolcezza andandogli a carezzare il capo con una mano. Delicata.

-Quando torna Cloud?- Gli domanda sollevando le spalle e chiudendosi in queste. Ogni giorno. Le pone quella domanda ogni giorno. E lei gli rivolge quel sorriso un po' triste ed un po' malinconico ogni giorno. Ed ogni volta sembra sul punto di arrendersi. Di dirgli che non lo sa e che probabilmente, il Cloud che lei conosceva, non sarebbe mai tornato. Eppure non desiste. Quella speranza non vuol morire. Ed il sorriso della mora si distende, assumendo una nota più dolce.

-Presto, Denzel. Sono sicura che tornerà presto.- Promesse da marinaio. Promesse che non dovrebbe fare perché sa che lei non può mantenerle al posto del poliziotto. Non può travestirsi da lui ed entrare dalla porta del locale con quel passo felino e leggero. Silenzioso. Non può dire ai bambini che finalmente ha trovato pace e che starà con loro. Anche lei ci spera. Spera che un giorno succederà qualcosa di simile. Ovviamente più alla Cloud Stife. Con poche parole. Con pochi gesti. Quelli essenziali a rendere una speranza realtà. Il bambino allunga le braccia verso di lei e Tifa non può fare a meno di sollevare quel peso esiguo, sedendolo sopra il bancone, accento alla gemellina che non si è persa una sola parola in quello scambio di battute, lasciando perdere anche la bambola che sta rivestendo. Lasciando perdere per qualche istante la scelta della gonna tra la vasta gamma di gonnelle disposte sul bancone. Alterna lo sguardo tra Tifa ed il fratello fin quando la porta non viene aperta: il primo cliente della giornata. L'unico cliente che mai si sarebbero sognati di vedere lì.

Un tonfo leggero e la bambola di Marlene è a terra, riversa supina, mentre la bimba corre verso l'uscio davanti al quale sosta un giovane. Ha i capelli biondi. L'aria assente e fin troppo seria. Ed è vestito di nero, come se ancora portasse il lutto. Le braccia sottili della bambina gli avvolgono la vita e per un istante solo lui sembra sciogliersi mentre chiude gli occhi, incassando l'impatto dato dallo slancio della piccola.

Tifa l'osserva in silenzio. Sembra stupita, ma d'altronde è normale che lo sia. Ha appena predetto che sarebbe arrivato, ed eccolo lì, sulla soglia del suo locale. L'osserva da capo a piedi ed è una fitta al cuore quella che maschera con un sorriso leggero che le incurva appena le labbra. Lenta fa il giro del bancone per poi fermarsi accanto a Denzel che non ha mosso un muscolo per scendere da dove l'aveva messo lei, sul bancone. Anzi. Solo in quel momento si scosta andandosi a nascondere dietro alle sue spalle. Vergognoso per aver dubitato che le parole di quella che gli faceva da mamma fossero solo un'altra bella bugia. La ragazza scuote piano il capo con dissenso, voltandosi verso di lui per prenderlo in braccio. Ma nemmeno lei si sposta dal bancone. Aspetta i tempi di Cloud. Lo aspetta come ha sempre fatto. Quando il poliziotto solleva lo sguardo ad osservare la proprietaria del Bar, lei è lì e non può far altro che ricambiarne l'occhiata con quel sorriso calmo ed in qualche modo rassicurante che solitamente usa con i bambini, mentre lui avvolge le spalle di Marlene con un solo braccio, quasi temesse di romperla, facendo altrimenti.

-Cloud, stai con noi, vero?- Gli domanda l'infante con voce instabile. Insicura. Di chi esprime un desiderio ad una stella cadente e l'ha vista soltanto all'ultimo momento. Il giovane non le risponde, limitandosi ad abbassare il capo e portare lo sguardo altrove. E' la proprietaria del bar a fare un piccolo miracolo, in qualche modo, dopo esserglisi finalmente avvicinata: con il braccio che non sorregge Denzel va ad avvolgere il collo del biondino, costringendolo a posare il capo chino sulla sua spalla. Lo stesso capo contro il quale lei appoggia il proprio.

-Profumi di gigli. Sei stato alla chiesa.- Non è una domanda, quella della ragazza, ma una semplice constatazione. Lui la lascia fare. Gli piace quel contatto, non può negarlo. Non è la prima volta che l'abbraccia, ma è raro. E' raro che lei lo faccia, com'è raro che lui la lasci fare. Alla fine, nemmeno Tifa è poi tanto aperta. Riservata al punto giusto. Un'ottima ascoltatrice, senza dubbio. Ma poco usa a parlare di sé. E ama come lei riesce a capirlo senza che lui parli, seppure talvolta lo turbi. Si sente scoperto, quando succede, privo di quella protezione che gli fornisce il suo mutismo. Anche Denzel par prendere coraggio, dal gesto della donna e di getto butta le braccia al collo del biondino. E' strana quella sensazione. E' strano quel calore e Cloud par crogiolarsi in esso per qualche breve attimo, concedendoselo.

-Mh.- Un mormorio in assenso, mentre annuisce lentamente con il capo, contro la spalla della ragazza, così da non spezzare quell'istante. Si chiede cos'ha fatto lui per meritarsi quell'accoglienza. Alla fine niente. Ed è proprio perché non ha fatto niente che quei due bambini ora sono orfani. Aggrotta le sopracciglia e poco alla volta si distacca da Tifa e dai bimbi che l'abbracciano ancora, cominciando a dirigersi verso le scale che portano al piano superiore. -Sono venuto a prendere delle cose. Mi servono al lavoro.- Spiega alla fine. Conciso. Marlene e Denzel l'osservano dispiaciuti. Non si trattiene nemmeno questa volta. Il bambino fa forza sulle braccia di Tifa per essere messo nuovamente a terra e veloce corre dietro a Cloud, imitato a ruota dalla gemellina. La proprietaria del locale invece, semplicemente l'osserva. Mille cose in quello sguardo. Mille cose non dette e che il giovane Stife non sa leggere. Ha troppa paura di farlo e di vedere che lei lo reputa solamente un codardo. I loro sguardi rimangono incatenati per qualche istante ed è lui il primo a distoglierlo, lasciandosi afferrare le mani dai bambini e venendo quasi trascinato verso le scale che portano al piano di sopra. Rimane immobile per qualche istante, Tifa, osservando la schiena dell'amico d'infanzia, prima d'incamminarsi dietro al trio senza fretta. Con la pioggia che ha preso a scrosciare fuori incessante ed irritante, è possibile che nessuno passi dal bar, superandolo per dirigersi direttamente in fabbrica o in ufficio. Se fosse giunto qualcuno, avrebbe aspettato qualche istante: non sarebbe stato un problema.

-Cloud, come va la spalla?- Finalmente si decide a chiederglielo, una volta giunta davanti alla porta di quello che appare come una specie di studiolo. Quello che hanno allestito lui e Zack. Ci sono articoli di giornale appesi ad una superficie di compensato attaccata alla parete. Foto che ha attaccato il moro di loro quattro assieme. Visi sorridenti di un lontano giorno passato in spiaggia. Un telefono fisso ed una branda. Qualche anno prima, spesso il biondino dormiva lì, se il collega non tornava perché passava la notte da Aerith. Per sentire comunque il calore di una casa.

Lei è ferma all'ingresso di questo santuario di ricordi perfettamente spolverati, come se non fosse passato nemmeno un giorno dall'ultima volta che i due ragazzi si sono trovati lì a lavorare a qualche caso intricato che si erano portati a casa dal lavoro. Oppure allo stesso caso che imbrigliava le loro vite da anni, ormai. I bambini corrono su per scale, nella loro cameretta a prendere i numerosi disegni che hanno fatto per il ragazzo in quei mesi. Ne sente i passi. Ne sente il vociare allegro ed entusiasta.

Il biondino si sfiora la spalla destra con la mano opposta. Gli dà ancora problemi dall'ultimo incontro con l'unica banda di malviventi che sia mai riuscita a sfuggirgli. E l'unica in verità che lui brama di arrestare. Solleva la spalla buona in un gesto noncurante. E' davanti la scrivania, in piedi, e con noncuranza riprende a rovistare nei cassetti di questa alla ricerca di ricordi. Cose che non sa nemmeno lui. O forse sì. Eccolo, quel fascicolo.

Quello a cui stavano lavorando lui e Zack. La scritta “Niebelheim” che spicca per via dell'inchiostro nero sulla carta gialla della busta. Continua con i propri affari senza degnare Tifa di una risposta. Gli mancherebbe solo darle altre preoccupazioni. Non par proprio rendersi conto che così facendo peggiora solo le cose. Non par accorgersi nemmeno di quella luce incupita nello sguardo della ragazza. La stessa ragazza che poi si muove con risoluta decisione verso di lui.

-Fammi dare un'occhiata.- Lo invita, afferrando la busta e togliendogliela delicatamente dalle mani senza trovare grande resistenza. L'osserva per un istante. Distrattamente. Sa cosa contiene al suo interno, nonostante con gli anni il suo volume sia come minimo raddoppiato. L'ha scoperto qualche anno a dietro. Poco prima che il giovane Fair e l'ultima Cetra morissero. L'ha scoperto perché è stato lo stesso SOLDIER a dirglielo. Quello che era successo alla fabbrica. A suo padre. Il tradimento. La follia. Sospira e la posa sulla superficie di legno verniciata. Scorre quindi le dita lungo la scrivania andandosi a piazzare davanti la ragazzo, invitandolo con una leggera pressione sulla spalla sinistra ad accomodarsi sulla sedia girevole alle sue spalle.

-Fratellone, guarda!- E' la voce entusiasta di Marlene, con quella “r” un po' moscia che richiama l'attenzione dei due su sé e Denzel, alle sue spalle, mentre entrambi sventolano in aria diversi fogli. Tifa non può fare a meno di sorridere divertita a quella scena un po' dolce e un po' comica. Osserva quindi di sottecchi Claud che finalmente par avere un guizzo di vitalità nello sguardo solitamente malinconico. Un muto divertimento che in breve si spegne, però.

-Chi di voi sa dov'è la scatola del pronto soccorso?- Gli domanda poggiandosi le mani sui fianchi magri. La vita sottile che si piega appena perché lei si inclina leggermente in avanti. Entrambi si azzittiscono per qualche istante, per poi sollevare con entusiasmo le manine schiamazzando un “io!Io!”, continuando fin quando la giovane non si raddrizza andando ad incrociar le braccia al petto. -La andate a prendere, per favore?- Gli porge quindi quella richiesta sorridendo, piegando le gambe così da essere alla loro altezza, bene o male. I due aggrottano la fronte alla ricerca di un possibile tranello, ma è con entusiasmo che annuiscono, alla fine.

-Ma sorellona... ti sei fatta male?- Le chiede scettico Denzel, con quella “s” un po' sibilante. Difetti di pronuncia che probabilmente con gli anni passeranno, come il dolore e tutto quello che si stanno trascinando su quelle spalle esili. La ragazza gli sorride e dissente con il capo.

-Allora il fratellone?- Interviene preoccupata Marlene, suscitando un nuovo sorriso sul viso chiaro della mora. Questa volta pare pensarci un momento, prima di annuire pian piano con il capo, facendo spalancare gli occhi alla bambina per la preoccupazione.

-Si è tagliato con la carta. E' sbadato, vero?- Domanda andando a posare le mani sul capo di entrambi i bambini. Claud se ne sta fermo lì ad osservare la scena. Ad osservare come quella ragazza riesca a fargli da sorella ed al contempo da madre. Ne osserva i modi di fare. Ne osserva quella delicatezza acquisita poco a poco in quegli anni, perché avrebbe potuto giurare che da bambina no, non ce l'aveva. C'è qualcosa che però, ora come allora non è cambiata: Tifa è sempre stupenda; non può negarlo. Perso nei suoi pensieri, si accorge solo dopo che la bambina gli è davanti, che Marlene gli si è avvicinata afferrandogli le mani, provocandogli una smorfia, quando ad essere mosso è il braccio dolente. La bimba pare capirlo, perché il sinistro lo lasca subito perdere, continuando a sorreggere la sua mano destra.

-Quale dito fa male?- Gli chiede con quella grammatica essenziale. Normale sia ancora a quei livelli. Lui l'osserva per qualche istante e sembrerebbe quasi sul punto di sorridere, se non fosse che una morsa gli stringe il cuore e lo stomaco. Semplicemente le fa vedere l'indice. Perfetto. Intatto. Provo di qualunque taglio. Ma la bambina non par farci caso. Nell'innocenza dei suoi tre anni va a dargli un bacetto sulla punta del dito, lasciandolo interdetto, una volta che soddisfatta si allontana. -Un bacio e la bua se ne va.- Semplice la spiegazione che gli vien fornita dalla stessa Marlene prima di uscir dalla porta e scomparire giù per le scale assieme al fratello, lasciando lui e Tifa da soli in un silenzio carico di tutto e di niente.







Chiedo scusa in ginocchio se di quando in quando in questi capitoli ClOud diventa ClAud, ma il mio Pc ha deciso che Cloud proprio non gli piace e l'ha corretto puntualmente in Claud in automatico -.-"""""" Passerò nuovamente in rassegna i vari capitoli, scusatemi davvero T^T

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Capitolo 6
*** Track 5. Girl in The Mirror (Why is she crying?) ***



Track 5. Girl in The Mirror

Why is she crying?


-Ha chiamato Reno.- Esordio banale, in quel tentativo di riprendere un discorso, solo per non stare in silenzio, mentre l'aiuta a liberarsi dall'ingombro della canottiera nera che indossa il ragazzo, svelando così un addome fasciato da una garza ormai non più bianca, macchiata di sangue. Cloud non l'osserva, limitandosi a rabbrividire quando Tifa gli sfiora la parte lesa. Un fremito sotto le sue mani, ma lei non par essere intenzionata a lasciare a metà il proprio lavoro.

-Lo so. Sto andando da lui.- Ammette senza particolari sfumature nella voce il ragazzo, portando gli occhi ad osservare l'ordine più assoluto di quella stanza. E la pulizia che a quanto pare non manca. Ci mette poco a far due più due, andando a terminare il proprio giro sul profilo dell'amica ancora intenta a toglierli la fasciatura. Concentrata. Ne segue i tratti con lo sguardo. Li carezza appena, prima di scendere con gli occhi lungo la linea del suo collo sottile. E poi lì si ferma, impedendosi di osservarla ancora, chiudendo gli occhi ed andando a volgere nuovamente il capo altrove.

-Claud...- Beccato. Ecco come si sente quando la voce della ragazza gli giunge poco distante dall'orecchio, in un sussurro quasi. Beccato in pieno, come un bambino con il dito nel vaso della marmellata. Non par rendersi conto del fatto che quella calma apparente nella voce della donna sia solo la calma prima della tempesta. -Ma ti sei mai fatto visitare da un dottore?- Gli domanda indicandogli il foro d'entrata del proiettile richiuso da alcuni punti di sutura, ma che par essere sul punto di infettarsi. Di nuovo lui porta il proprio sguardo in un'altra direzione, dopo averla brevemente guardata, in un tacito dissenso. Avvertendo chiaramente il disappunto della donna che si traduce in uno sbuffo che gli arriva, caldo, sul collo facendolo rabbrividire appena.

Suoni arrivano dal piano di sotto. Probabilmente i due gemellini si stanno impegnando a trovare la cassetta del pronto soccorso. E d'improvviso è una canzone vivace, che batte e che sale fino alle loro orecchie, lasciandoli momentaneamente interdetti. Lemon Crush. La conoscono entrambi. La conoscono bene. L'avevano trovata un po' casualmente in un cd di colonne sonore comprato in quei mercatini dove si acquista tutto a buon prezzo. Zack l'aveva preso perché c'erano canzoni che conosceva già e che il suo Mp3 non poteva ancora vantarsi di contenere. L'aveva dato a Tifa, una volta che le tracce erano finite all'interno dell'apparecchio, per “ravvivare un po' l'atmosfera del locale” e scherzando aveva aggiunto che c'era una canzone adatta in tutto e per tutto al loro amico, suscitando il disappunto del biondino. Tale canzone era appunto Lemon Crush. La proprietaria del bar si era sempre chiesta del perché delle parole del SOLDIER. Ma in un certo modo era la loro canzone. Quella del loro quartetto. Ci era affezionata, a modo suo.

La canticchia sommessamente. Ormai la sa a memoria.

-If I'm working at my jobba... I'm the victim, U're the robba...- Ha una bella voce, Tifa. Più di quanto il poliziotto non ricordasse. L'ha sentita cantare in rare occasioni, e solitamente c'era anche Aerith a farle la spalla. Erano meravigliose quando si esibivano assieme. Creavano una bella melodia, due voci tanto diverse. Due persone tanto diverse. E poi di solito saltava fuori Zack che si univa al coro facendole desistere dal loro intento di proseguire con la canzone designata. L'ultima volta che era successo, le due giovani, coalizzatesi, l'avevano riempito di farina per dolci.

Passi per le scale e la ragazza si distacca da lui andandosi ad avvicinare alla porta della stanza, uscendo e chiudendosela alle spalle. Sa che non vuole che i bambini lo vedano in quelle condizioni. La sente parlare con i due gemelli. Li sente protestare. Ma Tifa è magica e alla fine sembrano calmarsi e avverte i loro passi proseguire fino al piano di sopra.

La canzone riparte da capo. Quasi sicuramente hanno premuto qualche pulsante a caso e quelle note verranno ripetute più e più volte. La ragazza torna con la cassetta d'emergenza già aperta e da questa va a tirar fuori una bottiglietta di acqua ossigenata ed un pezzo di cotone che imbeve nel liquido. Lo disinfetta con calcolata delicatezza. In silenzio, stando bene attenta a quello che combina sulla spalla del giovane. Lo stesso giovane che sopporta stoicamente quando il disinfettante prende a bruciare come se gli stessero versando sopra dell'acido. E poi è di nuovo la voce di Tifa che gli risuona dolcemente nelle orecchie infrangendo quel silenzio tra loro. Un silenzio che non comprende la musica che ancora risuona vivace, né tanto meno la pioggia che scroscia contro le finestre. Un silenzio troppo opprimente e fastidioso tra loro due.

-Don't matter how much I try 2 stoppa... I can't Help thinkin' about cha...- Alle ultime parole si ferma per qualche istante, andando ad osservare di sottecchi il ragazzo, colto in flagrante nell'osservarla assorto.

La guarda in volto.

L'osserva tanto da farla sentire quasi in imbarazzo, visto che per una volta non distoglie lo sguardo ed è lei a farlo al posto suo.

La studia come se fosse un alieno e quello fosse il loro primo contatto.

“E' solo una questione di coraggio. Diglielo!” Zack l'haa incitato dichiararsi migliaia di volte, ma lui, recidivo e testardo, non l'ha mai fatto. Timoroso di ricevere un maledetto “no” per risposta. Sono passati tre anni. Se anche ora glielo dicesse, lei probabilmente lo rifiuterebbe con delicatezza e quella leggera nota di rimprovero nella voce. Quella di chi ha pazientemente atteso e ora ha smesso di aspettare. Sempre che l'abbia mai aspettato e non fossero solo fantasie del collega che voleva vederlo accasato. Lui però non parla. Poco avvezzo alle parole. Poco uso a dimostrare i propri sentimenti sia oralmente che tramite i gesti. Tifa torna ad osservarlo dopo aver afferrato una benda pulita, cominciando a fasciargli il braccio e parte del torace, così da nascondere la ferita. E' in piedi. Davanti a lui. Costretta a quella posizione per via del lavoro che sta compiendo con i capelli scuri che nel mentre stuzzicano il viso del giovane Strife. Cloud abbassa di nuovo lo sguardo ad osservare le sue mani che gli passano sul torace una. Due volte prima che si fermino, facendo attaccare il finale della fascia autoreggente contro un lembo incollato alla sua pelle. E' solo un istante quello in cui la mano della giovane donna sfiora l'incarnato del ragazzo e questo par bastare per chiudere lo stomaco ad entrambi. Ma è la consueta indifferenza a quel genere di sensazioni che ha la meglio e mentre lui torna ad osservare il vuoto innanzi a sé come se fosse la cosa più interessante del mondo, l'amica d'infanzia va a recuperare una seconda benda. Ne tira un lembo, assicurandosi che sia pulita, e riprende da dove aveva smesso.

-I bambini...- Un nuovo esordio da parte della proprietaria del bar, che però vien smorzato dalla voce del poliziotto, che sembra decidersi a parlare solo in quel momento, sovrastandola.

-Non puoi andare avanti...- O quel silenzio denso e palpabile, o l'intrecciarsi di quelle due voci che si mischiano senza però confondersi l'una nell'altra, mentre i due vanno avanti con i propri pensieri. Scostanti. Dissonanti.

-Vorrei adottarli...- Imperterrita Tifa va, prosegue senza desistere. Senza permettersi il lusso di tacere, ora che ce l'ha davanti. Anche solo per metterlo al corrente della cosa.

-Ad accudirli da sola...- Snocciola quei pensieri con voce grave, come se fosse una cosa a cui sta pensando da tempo ormai. Ed alle ultime parole della giovane si zittisce e sgrana gli occhi.

-Però per farlo, mi hanno detto che devo assicurargli un futuro anche a livello pecuniario e che se voglio occuparmi di entrambi, dovrei almeno raddoppiare le entrate del bar.- Gli spiega senza guardarlo in volto. La voce priva di esitazioni, nonostante lei tenga il capo chino e per qualche istante le mani le tremino per un nervosismo mai espresso. Cloud l'osserva come se avesse di fronte un'estranea e lei si ferma a metà di un giro della fasciatura, intrappolandone il collo tra le braccia senza nemmeno accorgersene, in un primo momento. Quando par rendersene conto, va semplicemente ad abbassare un po' di più il capo fino ad incontrare il suo. Fronte contro fronte, con gli occhi chiusi. Rilassata in quel silenzio che ha accolto le sue parole, disperdendole poco a poco. Piccole onde che viaggiano, senza però poter arrivare troppo lontano. Ma alle orecchie del giovane arrivano fin troppo chiare. Tanto che, nonostante la posizione in cui sono, lui non accenna ad osservare la donna.

-Non posso aiutarti.- Si risolve a dire semplicemente, cercando di liberarsi dalle braccia della ragazza e soprattutto di quel contatto tra i loro corpi, quando si accorge che sono effettivamente troppo vicini. La sensazione di calore. Il fiato della ragazza sul viso che si mischia al suo respiro.

-Non ti ho chiesto di aiutarmi a livello finanziario. Non ti ho chiesto proprio di aiutarmi.- Errore: grave errore. Fraintendere Tifa è davvero uno degli sbagli peggiori che lui o chiunque altro può permettersi il lusso di commettere. Ma ormai è tardi. Ormai lui è già in piedi. Canottiera e camicia tra le mani e si avvia verso l'uscita della stanza. L'unica volta in cui Tifa Lockheart si confida, riesce a fraintenderla. E' un lento sospiro quello che gli esce dal naso, mentre volge appena il capo in direzione della ragazza, rimasta accanto alla scrivania, interdetta.

-Io...- Comincia, ma quell'inizio muore miseramente, cristallizzandosi sulle sue labbra ed impedendo alle altre parole di fuoriuscire liberamente. La garza che gli penzola da dietro la schiena, ancora in parte arrotolata, gli batte pigramente contro il coccige, ma lui ha ben altro cui pensare in quel preciso istante. Per una volta lo sguardo puntato sull'amica d'infanzia in silenziosa attesa.

-Ti chiedo solo di star più a lungo con loro. Alla fine sei tu ha hai promesso a Aerith e Zack che ti saresti occupato dei Loro bambini.- Quel possessivo. Lo marca. Lo marca fin troppo bene con il tono di voce solitamente quieto, che ora prende però una venatura frustrata. No, a lei non pesa tirar su i bambini. Li ama come fossero suoi. Li ha cresciuti per tre anni. Ma li ha cresciuti Lei, quando invece la promessa era stata fatta da Cloud. Una sfida, la sua. Uno sprone per fargli assumere ed affrontare quelle che sono le sue responsabilità.

-C'è una cosa che devo fare, prima.- Le risponde semplicemente. La sua ultima parola. E quindi se ne va, lasciandola lì, immobile, con gli occhi che le pizzicano, ma è troppo orgogliosa per farlo vedere. Con i pugni chiusi per la stizza, ma è troppo orgogliosa per farglieli vedere. Con il cuore di nuovo in frantumi, proprio ora che stava cominciando a pensare che no, non avrebbe più sofferto per Cloud Strife. Ma è troppo orgogliosa per farglielo vedere e per ammettere che si sbaglia. E si sbaglia ancora quando non gli risponde più. Perché quel cuore lei gliel'ha offerto e continua ad offrirglielo. Ogni volta. Senza che questo però venga accettato. Prima. Prima. Prima. C'è sempre qualcosa prima. Lei sa cosa c'è, ed è per questo che non l'accetta.

Il rombo della Fenrir l'attira verso la finestra alla quale si avvicina lentamente, quasi sperando che la moto sia già andata portandosi via il suo proprietario. Ma moto e proprietario sono ancora lì. Lui con lo sguardo alto verso quella finestra dove sa esservi lei e lei con la fronte appoggiata al fresco vetro che si appanna poco a poco, mano a mano che respira con lo sguardo puntato verso il basso, dove sa esserci lui. Quel gesto noto di infilarsi e sistemarsi gli occhiali gliel'ha visto ripetere mille e mille volte ancora. Ed ogni volta ha il potere di farla sorridere perché così sembra uno di quei centauri ai quali aveva continuato a dare la multa nel suo primo anno nella polizia di quella città. Sorride, ma lo sguardo cade presto altrove, quando la Fenrir scompare dietro una secondaria.


Un uomo onesto, un uomo probo

s'innamorò perdutamente

d'una che non lo amava niente.


Gli disse -portami domani...-

gli disse -portami domani...

Il cuore di tua madre per i miei cani.-”


Ancora note dal piano inferiore del locale. Note diverse rispetto a quelle di prima. Quando si dice che una canzone rispecchia completamente lo stato d'animo di qualcuno. Tifa si sentiva proprio così. Come quell'uomo innamoratosi perdutamente di una donna che nemmeno lo considera. Solo che lei non era onesta. Con se stessa né tanto meno con Cloud.

E non poteva definirsi proba. Però non era stato il cuore di sua madre ad andare in pasto ai cani. Lei si sente così. Come se quell'organo che a tratti sa essere tanto pesante, le fosse stato strappato dal petto e dato in pasto a dei cani affamati.

E' lì: con la testa ancora appoggiata al vetro della finestra. Ad osservare il proprio riflesso che si ripete come infranto mille e mille volte ancora. Palpebre abbassate a richiamare a sé ricordi. A scacciarli. A farle tornare di nuovo la sua espressione di composta serietà e gentilezza. E quando si rialzano, lei osserva la finestra e due occhi scuri la guardano a loro volta. Due occhi rossi che, umidi, minacciano lacrime: il suo tentativo di tornare in sé è fallito.

Le trattiene.

Le respinge.

Le scaccia.

Poi si gira verso la porta che in poche rapide falcate supera e se la richiude dietro.

Il 7th Heaven deve comunque aprire.











Beh, che dire? 
Volevo creare un'atmosfera intima tra Cloud e Tifa, ma temo di non esserci proprio riuscita, visto che finiscono per litigare <.<""" 
Le due canzoni citate sono per l'appunto "Lemon Crush" di Prince, che da il titolo anche al racconto, e "la ballata dell'amore Cieco" del grandissimo Fabrizio de Andrè.
Grazie a tutti quelli che leggono. **S'inchina**

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Capitolo 7
*** Track 6: If I were a Boy... (If you were a Girl) ***


Track 6. If I were a Boy...

If you were a Girl


Bang.

Un colpo di pistola.

Bang.

Un altro. Due. Due semplici spari che vanno a segno portandoti via quanto avevi di più prezioso.


Fa male ricordare, vero Cloud?

Ti lasci trasportare al piano superiore della centrale come un manichino privo di vita. In piedi, da solo in quell'ascensore provo completamente di calore. Calore umano, intendo. Non quello delle ventole dell'aria calda. Hai sempre la testa alta, però. Vai avanti dritto, seguendo la tua strada. Ti trascini con cieco orgoglio, come un bruco che ancora non ha il coraggio di divenire una crisalide per poi librarsi come una farfalla. Ti fa tanta paura, il volo? Tra le mani niente, se non le chiavi della Fernrir con quelle due fedi con cui ti ritrovi a giocare distrattamente. Aerith, con me, ti sta osservando da un po'. Sono tre anni che ti osserva. Che ti guarda con una muta speranza negli occhi. Ti si avvicina lentamente, appoggiandoti una mano sul braccio, restandoti accanto come una colonna a sorreggere il tuo corpo. Glielo lascio fare. Alla fine, per te lei è stata come un Angelo Custode. Tifa, la tua ragione. Lei la tua forza. Sono due pezzi importanti di te entrambe. Io? Sai che non so darmi un ruolo nella tua vita? Direi che se potessi sceglierlo, sarebbe la spalla. Su cui ridere. Piangere. Mi davi tu gli spunti per le mie battutine più sagaci, amico mio.

-Ae, dagli una scossa.- Imploro quasi quella che avrebbe dovuto essere mia moglie, andando a ciondolare le braccia lungo i fianchi, esasperato, concedendomi un sospiro rassegnato, prima di affiancarla e di affiancare pure il biondino dalla parte del braccio sul quale ancora tiene la mano. Lei mi appoggia la testa sulla spalla lasciata nuda dalla canottiera che porto e io non posso fare altro che posare il capo sopra il suo.

-Oggi qualcosa cambierà.- Mi assicura andando a sorridere gentile, come sempre. La voce calda e musicale che mi arriva alle orecchie e che è qualcosa di simile ad una boccata d'aria nei polmoni. Sempre che un'anima abbia dei polmoni. Le concedo un verso gutturale molto alla Cloud Strife, tanto che la sento sbuffare. Uno sbuffo che ricorda una risata sommessa. Trattenuta. Ed io mi ritrovo a scuotere il capo. Veggente. Beh, d'altronde c'era chi ipotizzava che i morti potessero vedere il futuro. Lei, chissà perché, aveva questa dote anche in vita. Lei ed i suoi presagi.

-Lo spero. Sono stufo di vederlo in questo stato. Ci ha fatto una promessa e non la sta mantenendo.- Mi lamento. Non è da me, lo so. Però se potessi tirare uno scappellotto su quella testa di riccio, lo farei più che volentieri. Magari si darebbe una svegliata. Aerith si limita a voltarsi verso di me regalandomi un'espressione di dolce rammarico. Nemmeno a lei va a genio che vada avanti così. Ci sta male almeno quanto me. Vedo la sua mano scivolare lentamente via dal braccio del poliziotto qualche istante prima che le porte dell'ascensore si aprano per lasciar entrare una persona. E' un uomo. Moro. I capelli lisci e lunghi, tanto che gli ricadono disordinati anche davanti agli occhi. Occhi di un colore che ricorda quello delle braci. Ha un cappotto a collo alto addosso. Rosso. Monotono il ragazzo! Ci metto qualche istante a carburare mentre l'osservo. E mi fa quasi strano, perché piuttosto che guardar Cloud, lui sembra guardare me ed Aerith che ci scambiamo occhiate perplesse, con la coda dell'occhio. Dopo qualche attimo ci arrivo. Vincent Valentine. Era uno dei nostri migliori agenti. Solitamente agiva in borghese, mescolandosi con quelli della malavita locale. Osservo il viso del biondino che si sposta appena per fargli spazio, limitando al minimo i rapporti sociali ed il contatto con le altre forme di vita. Ha l'espressività di un sasso scolpita sul volto marmoreo. Anzi, direi diamantino,visto che non si inclina nemmeno se gli dai una scalpellata. Guardo poi la mia dolce metà in una tacita preghiera, mentre la sua immagine traballa appena, quando il moro la sfiora. -Proprietà privata. Non si tocca.- Lo so. Blatero a vuoto rivolgendomi così a Vincent, ma che ci posso fare? Le mie braccia corrono veloci ad avvolgere il corpo impalpabile della giovane Cetra, stando ben attento a dosare la concentrazione ed i movimenti, così da non trapassarla con le braccia, e la tiro lentamente a me, mentre la sento ridere. La faceva ridere anche quando eravamo vivi, la mia gelosia. La facevo ridere io in generale, in realtà. Ma almeno le sue non erano mai risate di scherno. E di nuovo mi sorprendo nel sentire lo sguardo del trasformista su di me, rivolgendogli un sorrisetto ironico: tanto non mi può vedere.

-Cosa ci fai qui, Vincent?- La voce di Cloud riempie l'abitacolo sorprendendomi ancora di più dello sguardo che l'uomo a rivolto a me ed alla mia ragazza per la velocità con la quale ha parlato. Tutti e tre puntiamo gli occhi sul biondino, osservandolo chi perplesso chi, come me, come se fosse appena avvenuto un miracolo ed un fascio di luce divina lo stesse illuminando. Cloud Strife che, per quanto svogliato, inizia un discorso, è cosa più unica che rara. Il diretto interessato l'osserva con un'occhiata acuta, prima di concedersi di aprir bocca.

-Sono un poliziotto anche io, fino a prova contraria.- Gli fa giustamente notare preparandosi ad uscire, andando ad osservare le porte scorrevoli. Gli occhi mi cadono su un particolare. Lasciando da parte il fatto che ha due meravigliose pistole tenute legate alle gambe, sulle fondine; il suo braccio sinistro è completamente meccanizzato. Ricorda vagamente degli artigli. E' la prima volta che lo noto. Salgo un po' con lo sguardo fino ad arrivare dove voglio. E' saldato alla pelle. Non sapevo avesse una protesi. Se così la si può definire. Ora mi spiego anche il perché del soprannome “Demone” con il quale spesso lo chiamavano con disprezzo ed invidia alcuni colleghi. -Ho scoperto da dove viene “Jenova”.- Gli spiega ed in tre andiamo a tendere le orecchie, attenti. E' un fremito quello che percorre Cloud. L'ho visto bene e l'ha visto anche Aerith, dato che di nuovo allunga una mano per posarla sul suo braccio con morbida delicatezza. Deve essersene accorto anche il nostro informatore, visto che attende un qualche segno di vita più espressivo da parte del biondino. O così sembra, almeno.

-Jenova. Quindi anche... Lui.- Sputa a fatica quel pronome. Lo fa quasi con ribrezzo, tanta enfasi ci mette. Eh, sì tesoro. Oggi davvero cambia qualcosa. Vincent è riuscito a farlo sussultare e schifare il tutto nel giro di due minuti. Complimenti davvero! Aspetta un attimo. Ma questo ascensore non ci sta mettendo trop..? Uno scossone e l'abitacolo cessa completamente la sua lenta ascesa, tenendoci tutti e quattro intrappolati. I due colleghi non paiono prestare troppa attenzione in un primo momento, visto che le porte vengono aperte quasi immediatamente, forzate, più o meno. Stridono emettendo un rumore fastidioso. Il Demone però dissente con il capo, provocando un leggero frusciare di capelli contro la stoffa dell'impermeabile.

-Per ora ho avuto modo di vedere solo Kadaj.- Ammette andandosi ad arrampicare sul mezzo metro di cemento che lo divide dal piano. Non fa una piega, sul fatto che l'ascensore si sia bloccato a metà del piano, anziché finire la sua corsa dove avrebbe dovuto. Quell'aggeggio ha sempre dato problemi. Così come non la fa nemmeno Cloud, troppo immerso nel suo rancore e nei sensi di colpa. Segue Vincent poco dopo, decidendosi solamente quando le voci dei colleghi lo raggiungono alle orecchie. Ma soprattutto quando il nostro meccanico di fiducia da che lavoravamo lì, non se lo carica sulle spalla di peso, senza che il poliziotto possa emettere un fiato per protestare e non lo scarica dritto davanti al nostro capo sezione. Li convoca entrambi nel suo ufficio, lui ed il moro. Ha l'aria seria, rispetto alla solare cordialità che mi ricordo io. Faccio per seguirli, ma la mano di Aerith mi frena, avvinghiandosi delicatamente al mio braccio. Quando mi giro verso di lei per protestare, posso vedere un'espressione sconvolta sul suo viso. Scuote il capo con dissenso, ed in poco la posso veder dissolversi davanti ai miei occhi. Sta succedendo qualcosa di grave da qualche altra parte: non ci sono spiegazioni per il suo comportamento insolito, altrimenti. Mi ritrovo combattuto tra il seguire la mia lei ed il continuare a far da scorta al biondino dall'aria tesa che scompare dietro una porta. Alla fine la decisione non la prendo io, ma Aerith che torna indietro e sembra trarre un sospiro di sollievo.

-Non capisco mai quando sono visioni di ciò che deve accadere. O di ciò che sta realmente accadendo.- Mi spiega, senza in realtà spiegarmi nulla. Probabilmente lei deve rendersi conto anche della mia perplessità, perché mi sorride dolcemente, seppure sia un sorriso un po' di plastica, afferrandomi la mano accorta. Un'attenzione però distratta, portata solo dall'abitudine di quei tre anni passati in forma di pura anima.

-Cos'hai visto?- Le chiedo andandola a tirare a me, avvolgendola tra le mie braccia mentre la gente, ignara di noi, ci pazza attraversi facendo tremolare le nostre figure. Eppure noi non avvertiamo il loro tocco. Loro invece, sembrano sentire la nostra presenza. Quella sensazione di freddo che ti entra nelle ossa facendoti scorrere un brivido lungo la spina dosale. Sarei curioso di farlo a Cloud. Vorrei vedere come reagirebbe.

-Succederà qualcosa di brutto. A Tifa. E ai bambini. Dobbiamo avvertirli.- La sento tremare. Certo, è solo una sensazione che percepisco perché più d'una volta l'ho sentita tremare tra le mie braccia, seppure in occasioni ben più piacevoli. Me lo immagino, ma la sua figura trema davvero tra le mie braccia, vibrando leggermente, nonostante nessuno ora come ora che sia passato attraverso. Ci metto un po' a capire quanto mi viene detto, lo ammetto.

-Cosa?-



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Capitolo 8
*** Track 7: Step by step (Danger on the track) ***


Track 7. Step by Step

Danger on the Track


La porta del 7th Heaven si apre nuovamente. Al suo interno pochi fortuiti clienti. Quei pochi che, nonostante la pioggia, si sono azzardati ad arrivare fin lì per il loro meritato caffè o per consumare in fretta e furia un tramezzino, approfittando del fato che la pioggia fosse un po' scemata. Tifa si trovava dietro il bancone e i bambini sarebbero tornati di lì a poco dall'asilo dietro l'angolo accompagnati dalla madre di qualche compagno di classe. Non si sarebbe stupita se ad entrare fossero stati loro. Si stupisce, invece, nel veder far il suo ingresso lì ad un uomo alto. I capelli bianchi lunghissimi ed una giubba nera lasciata aperta sul petto dove trovavano intreccio due cinghie non meno chiare. Lo conosceva bene. L'aveva visto più e più volte, prima con Cloud e Zack e poi in televisione. Ci aveva scambiato anche qualche sporadica chiacchiera quando, assieme agli altri due poliziotti, aveva fatto sosta al locale.

-Sephiroth..?- La voce incerta. Incrinata dallo sbigottimento. Dalla paura. No! Tifa Lockheart non ha paura di niente. Ha affrontato tanti pericoli nel periodo in cui ha fatto parte di una squadra di primo soccorso in zona di guerra, quando ancora la guerra c'era. Di sicuro non aveva paura di un singolo uomo.

-Tifa.- Ne ricambia il saluto con un sorrisetto piuttosto falso. Melenso quasi. E la proprietaria del bar non può fare a meno di rabbrividire. Una scarica che le parte dal dietro la schiena e che dilaga per tutto il corpo. Rimane immobile, Tifa. Lo sguardo fiero e deciso puntato sull'ex SOLDIER. Lo osserva. Lo segue quando va a sedersi al bancone, esattamente davanti a lei. -Mi fai un Bourbon?- Le domanda andando a lanciare qualche rapida occhiata attorno. Chissà com'è, ma quei pochi avventori che affollavano il locale se la sono data a gambe, nel mentre, lasciandole qualche caffè ancora intatto sulla tazzina o qualche moneta per la consumazione, giusto per non avere debiti, per poi dileguarsi nel nulla. Annuisce la ragazza, allungandosi a prendere la bottiglia dell'alcolico sulla mensola sopra la sua testa.

-Perché sei qui?- Diretta la giovane. Non distoglie nemmeno per un istante lo sguardo scuro dall'unico cliente rimasto. Una forma di auto difesa, la sua. Lo guarda, pronta a reagire in qualunque momento. In qualunque modo. E lo vede sorridere di nuovo. Un ghigno che ha qualcosa di oscuro, in sé. Di terribile e spietato. E lei deve rendersene conto, perché per un attimo rimane lì, con le braccia sollevate a mezz'aria a frugare tra le bottiglie, per poi riprendere. Attenta.

-Per consumare, no?- Ironico il tono dell'uomo che nel mentre si alza. Le mani coperte dai guanti neri posate sopra la superficie liscia e pulita del bancone. Si protende poi verso la giovane, che per un istante pare trattenere il respiro, serrando con forza le mascelle tra loro a trattenere una sorta di nervosismo recondito. Di paura? Aggrotta le sopracciglia, Tifa, facendo assumere al volto un'espressione sera. Compita.

-Ci sono altri bar in città, p...- La frase però le muore in gola. Lì, ferma. E lei che resta con le labbra schiuse, e la bottiglia di Bourbon in mano, stretta con forza. I guanti. Dove li ha lasciati? Con la sua forza potrebbe fargli male anche a mani nude, volendo. Ma si tratta di Sephiroth. No. Non gli farebbe nemmeno il solletico. Ed è consapevolezza, il sentimento con cui lo guarda. Il medesimo sentimento che ha una lepre davanti alla volpe che l'ha messa in trappola. Lei è la lepre. Forse potrebbe scappare. Prendere i bambini ed andare in centrale da Cloud. La porta sul retro non è distante. E Sephiroth è una faina che l'osserva in attesa che scappi. Gli piace rincorrere le sue prede. Vuol vederle soffrire.

-Ma gli altri bar non hanno una proprietaria tanto graziosa.- Il tono risulta canzonatorio nella voce bassa dell'altro e tifa serra di nuovo i denti tra loro. La bottiglia stretta nella mano. La porta poco distante. I bambini. In centrale. E' la calma ad averla vinta, però e lei si costringe a fronteggiare ancora il suo cliente.

-Cosa vuoi?- Cambia le parole, ma il concetto è sempre quello. Ed il sorriso dell'uomo si allarga, tanto da divenire dolcemente divertito. Palesemente canzonatorio mentre con un cenno del capo va ad indicarle la bottiglia che tiene tra le mani.

-Una spremuta di Limone.- Ripete placidamente, per poi tramutare il sorriso in un ghigno. E quel ghigno sì, ha decisamente l'effetto desiderato, perché Tifa rabbrividisce di nuovo e legge. Legge tra le righe. Legge quello che pochi possono cogliere. Lemon Crush. Cloud.

-Mi spiace, ma non ho abbastanza limone.- Sibila quelle parole. E tanto basta a Sephiroth per capire che la ragazza ha colto dove vuole arrivare. Quel tono. Quell'acidità. Quello sguardo freddo che si vede rivolgere dalla Lockheart. Sembra trovarli addirittura divertenti, visto che si concede una breve risata. E' sibilante. Raggelante a modo suo. Tifa resta lì, immobile per qualche istante. Ferma nell'osservare l'ex SOLDIER.

-Oh, ma io ho trovato un'ottima merce di scambio per acquistarli.- Ribatte ed un attimo dopo la porta viene aperta dall'esterno. Fermo sull'uscio c'è un uomo alto. Anche lui ha i capelli bianchi. Corti e sparati all'insù. La giovane non può fare altro che portare gli occhi scuri verso di lui, cogliendone il cenno con il quale le indica la macchina parcheggiata perfettamente davanti all'ingresso. Due bambini sono tenuti legati ed imbavagliati da un terzo. Non riesce a vederlo, ma il solo vedere Denzel e Marlene ridotti in quello stato le basta per farle andare il sangue alla testa. La bottiglia di Bourbon la lancia addosso a Sephiroth, mentre lei letteralmente scavalca il bancone scaraventandosi contro il secondo uomo.

-Lasciateli andare!- Perentoria. Il braccio destro vien portato all'indietro e poi scagliato verso lo sconosciuto. Un ghigno. Ecco in cosa si infrangono i suoi sforzi. Un ghigno sfrontato ed una mano troppo grande anche per la sua. Una mano che la raccoglie e che poi le storce il braccio con forza, facendola gemere dal dolore. Dolore che però persiste ben poco, visto che in qualche istante perde i sensi. L'unica cosa che sente è un formicolio al braccio. Una puntura. Un'iniezione.

-Con questa dovrebbe stare buona per un po'. Loz, portala in macchina e di a Kadaj di legarla.- Perentorio l'uomo, mentre alterna lo sguardo la Loz ancora fermo sull'uscio con Tifa tra le braccia ed il giovane che nel mentre si è sporto dal finestrino dell'auto con un sorriso divertito. A tratti ancora infantile e vagamente invasato. E' un'auto che va via, quella che lascia ricordo di sé in quegli avventori stesi a terra abbandonati, privi di sensi e malmenati, che con uno sforzo di volontà riaprono gli occhi al rumore del motore che si accende.


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