Lemon Crush di Herit (/viewuser.php?uid=110002)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: The city of Angels (Of fallen Angels) ***
Capitolo 2: *** Track 1: I'm still here (Waiting for you) ***
Capitolo 3: *** Track 2: Other World (The World with you) ***
Capitolo 4: *** Track 3: Sliping through my fingers (Dreams I've never Confessed) ***
Capitolo 5: *** Track 4: Through the barricades (Just a new day) ***
Capitolo 6: *** Track 5. Girl in The Mirror (Why is she crying?) ***
Capitolo 7: *** Track 6: If I were a Boy... (If you were a Girl) ***
Capitolo 8: *** Track 7: Step by step (Danger on the track) ***
Capitolo 1 *** Prologo: The city of Angels (Of fallen Angels) ***
Allora....
qualche piccolo commentino mi sembra giusto farlo. Questa fic
è nata per partecipare all'"Only Chance contest" indetto sul
forum di EFP da Valy-chan. Non sono riuscita però a darle
vita nei tempi stabiliti e quindi, beh... eccomi qui a pubblicarla con
la speranza che a voi possa piacere. Per il Contest ci erano state
assegnate tre canzoni, assieme ad un link da cui prendere la citazioni
e delle immagini. Essendo problematico (per me xD) riportare tutto, vi
lascio qui il link al concorso: Only
Chance Contest
E'
il mio primo tentativo di storia di questo genere. Solitamente mi do
a cosa più leggerine, infatti sono in fase di rivisitazione
di alcune parti che mi lasciano perplessa. Vorrei risistemarle, prima
di combinare obrobriosi obrobri =P Sono 15 capitoli complessivi, tutti
piuttosto brevi in realtà, quindi spero porterete pazienza e
ovviamente che...
recensirete X3
Hope you enjoy it! *_*
Buona lettura!
Lemon
Crush
Prologo:
The City Of Angels...
Of
Fallen Angels
-E
anche questo è morto.- Midgar, una delle città
con il più alto
tasso di criminalità sulla faccia della terra. Un grigiore
plumbeo
ad avvolgere tutto e a caratterizzarla. E' incredibile come anche la
gente si abitui e si assuefi a tale condizione, tanto da vestirsi lei
stessa completamente di grigio e nero. Anche nei modi delle persone
si trovava la medesima tonalità. Una tristezza abbacinante
che
investe come una pallottola chiunque vi arrivi senza essere preparato
ad affrontare un tale spettacolo. Una città che dopo aver
visto lo
splendore delle centrali di produzione del combustibile Mako che
portavano ricchezza a chi ci viveva e lavorava ed al commercio,
l'aveva vista declinare poco a poco, fino a quando il crimine era
divenuto l'unico modo per sopravviverci.
Non c'erano piante,
in quel luogo. Tutte tagliate. Sradicate. Distrutte al fine di
lasciar spazio agli enormi edifici che producevano la Mako. Come se
quel segno di vitalità da parte del pianeta fosse qualcosa
di
inutile ai fini della vita della razza che lì dominava:
quella
umana. Aliena in un mondo che ormai ci conviveva, come un cane
convive con le pulci. Sembrava quasi che fosse lo stesso a mettere
gli uomini gli uni contro gli altri al fine di portarli allo
sterminio. All'auto distruzione.
Si trovavano in una
laterale. Una stradina poco trafficata nei sobborghi della
città.
Due uomini vestiti
di nero, tutto fuorché beccamorti, piegati sulla carcassa
abbandonata di un terzo. Il corpo, mezzo mangiato da chissà
quale
animale che sicuramente aveva trovato la morte qualche metro
più in
là, in una casa abbandonata o in un vicolo ancor
più malfamato di
quello, era quello di un ragazzo. Probabilmente non raggiungeva
nemmeno i vent'anni. Steso prono e con i vestiti logori e tarmati.
Nessun documento per identificarlo. Nulla che lo distaccasse
dall'essere un semplice esemplare di uomo maschio, morto per
un'overdose di chissà quale micidiale cocktail di droghe ed
alcol, a
giudicare da come puzzava.
-Il solito
drogato.- Una pura e semplice constatazione. Omicidi. Stupri.
Spaccio. La solita routine. Un giorno come un altro in quel luogo. La
città del peccato e delle trasgressioni. Così la
definivano i non
addetti ai lavori. Chi ci passava solo perché doveva
arrivare più a
nord e lì si fermava solo negli hotel al centro della
Città. Oppure
chi ci si fermava per qualche tempo solo per sperimentare qualcosa di
nuovo e poi se ne andava soddisfatto per raccontare agli amici -ai
parenti no, perché quello che si faceva a Midgar, era bene
non lo
sapessero- o a qualche ragazza per fare lo splendido, di quali
esperienze al limite avesse vissuto.
Chi ci viveva aveva
una visione ben diversa di quella città. Le porte chiuse a
doppia mandata e
le finestre sprangate. E se non era così, bisognava solo
pregare di
risvegliarsi il giorno dopo con le mutande ancora addosso e non con
qualche morto in casa perché il marito o la moglie di turno
aveva
fatto fuori il primo psicolabile che gli era entrato in casa per far
incetta di beni. Furto. C'erano ladruncoli davvero bravi, in quella
città. Topi di appartamento che davano decisamente un bel da
fare
alla polizia locale.
-Nah... si direbbe
l'abbiano pure picchiato. Guarda che strani segni. Sembrano ematomi.-
Capelli rossi e disordinati, pettinati come chi svuota con un colpo
solo un'intera scatola di gel solo per tenerli scompigliati come un
riccio che se la sta facendo sotto per la paura ed un codino
più
lungo che gli si raccoglieva ordinato e morbido sulla schiena. Un
viso da ragazzino, ancora, con incastonati due occhi di un azzurro
chiaro e piacevole che osservavano quel povero corpo come
osserverebbero una rana sul tavolo di un laboratorio durante l'ora di
biologia, pronta e psicologicamente preparata per essere
vivisezionata. Stava punzecchiando il cadavere con un'asta di ferro
non troppo lunga così da indicare i suddetti segni al
collega che,
come un silenzioso uccello rapace, osservava dall'alto la sua preda.,
scrutandola da dietro i suoi fidati occhiali da sole.
-Mh. Non
è il
primo. In questi giorni ne ho visti altri presentare quei lividi.- Il
tono assorto mentre fa mente comune. Un uomo alto e dalla pelle
mulatta. Calvo. O “rasato per comodità”,
come preferiva
definirsi lui. Vestito di tutto punto, a differenza dell'altro con la
camicia fuori dai pantaloni e la giacca lasciata aperta. Il gessato
ben chiuso, in ordine, con la cravatta che presenta un nodo fatto ad
arte. Non una piega. Non una cosa fuori posto. Tesi ed antitesi della
perfezione. -Ho già pensato a chiamare la scientifica,
mentre tu ti
trastullavi con il morto. Pedofilo.- Piatta la voce dell'uomo mentre
sposta il proprio sguardo dal compagno all'ingresso della strada.
Verso dove di lì a poco tempo sarebbero dovute comparire le
volanti
della polizia. Avverte subito il peso del collega su di sé,
posato
sulla sua spalla destra con il braccio sinistro. Il capo posato su
questo a solleticare un poco il suo collo con i capelli.
-Oh, come siamo
previdenti, Rude.- Lo canzona aprendo un sorrisino sornione sul viso,
il rosso. L'osserva dal basso con espressione sorniona ed un
sorrisetto sghembo che sa di beffa. Nel mentre si tamburella quella
specie di manganello contro la spalla libera in un gesto abituale.
Vezzoso, quasi. E seguita ad osservare il cadavere come se fosse
qualcosa di particolarmente interessante, mentre ad una persona
qualunque si sarebbe già chiuso lo stomaco per il ribrezzo.
Rude non
sembra prendere botta delle parole dell'altro. Semplicemente torna a
fissarlo da sotto gli occhiali, continuando a mostrarsi altero in
quel tenere il capo alto, limitandosi ad abbassare lo sguardo,
così
da sopperire alla loro differenza di altezza.
-Tu quella cosa la
lavi, prima di entrare in casa mia, Reno. Potrebbe essere infetta.-
Estemporaneo ai discorsi affrontati fino a quel momento, se ne esce
così, andando ad indicare con un cenno del mento la spranga
di ferro
in miniatura che il collega continua a sbatacchiarsi sulla spalla. Un
grugnito contrariato è la risposta che gli fornisce il
collega.
Ripetuto. Più accentuato, quando il mulatto gli sfugge da
sotto il
braccio, facendogli perdere l'equilibrio, dirigendosi verso
l'imboccatura della laterale. Non par farci caso, Rude, agli
scimmiottamenti che Reno va a fargli alle spalle. Né tanto
meno par
interessarsi di quello sberleffo che subito li segue. Ben uso a quello
e ad altro, da parte del compagno.
Ecco a voi il prologo :3
Ogni capitolo avrà il titolo di una canzone così
come potete notare di questo :P
Questo perché io sinceramente adoro la musica e quindi
ciò mi influenza non poco xD Non di meno, mi erano state
date (come detto al principio) tre canzoni tra cui scegliere da
utilizzare all'interno della Fiction. Una di queste appunto "Lemon
Crush" di Prince che da titolo all'intero racconto v.v.
Ora passiamo ai Disclaimer:
Final Fantasy VII ed i suoi personaggi non mi appartengono (per vostra
fortuna xD), così come le canzoni e le citazioni inserite
all'interno della fic che sono di propietà dei rispettivi
autori. Sto scrivendo questo racconto non a scopo di lucro, ma per puro
divertimento.
Grazie in anticipo a chi leggerà ed a chi
recensirà ^^
Herì
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Capitolo 2 *** Track 1: I'm still here (Waiting for you) ***
Track
1. I'm Still Here...
Waiting
For You
Gesti
automatici. Prende una cioppa dalla cesta del pane. Prende un
barattolo di marmellata dalla credenza e per finire, afferra il
contenitore del burro andando a posare tutto quanto sul tavolo
sgombro. Vuoto, se non fosse per quel coltello che lo guarda, troppo
poco affilato e con la punta troppo rotonda perché possa
farsi del
male utilizzandolo. Beh, se davvero volesse compiere una pazzia,
avrebbe diverse armi da poter utilizzare. Vive da solo. Un fantasma
di se stesso e di quello che era stato. La vita frantumata a soli
ventitré anni. O per lo meno così si sente. Preda
di sensi di colpa
non suoi. Per cose che lui non ha fatto. Ed è forse per
questo che
si ritiene ancora più responsabile.
Gesti
automatici. Afferra quel povero coltello ingrigito che si adatta
perfettamente al suo umore. Quello stesso umore che negli ultimi tre
anni ha pensato bene di peggiorare drasticamente finendogli
esattamente sotto i tacchi, talmente in basso da risultare
impossibile riportarlo a galla anche con una gru. Che si adatta
perfettamente all'umore di quella città terribilmente
decadente.
L'osserva attentamente, come se ancora stesse valutando un'ipotesi
presa in considerazione talmente tante volte, da essere ormai un
rituale che esegue ogni mattina. E il riflesso sull'argento ossidato
della sua superficie l'osserva di rimando. Due occhi di un tono
particolare di azzurro che rimangono immobili ed impassibili in
un'apatia che non si è più spezzata, se non in
occasioni più
uniche che rare. Poi eccolo ferire il burro per tagliarne un pezzo.
Ma
il burro non soffre.
Non
muore.
Il
burro è qualcosa di inanimato.
Forse
è per questo che non gli fa male vederlo sfaldarsi sotto la
lama
smussata della posata. Troppo codardo per affrontare quella barba
incolta, segno che da un paio di giorni sembra fregarsene di
sé
stesso. Troppo codardo per affrontare quelle occhiaie che gli segnano
il volto da tre anni a quella parte.
“Possiamo
fare a meno del burro ma, nonostante tutto il nostro amore per la
Pace, non possiamo fare a meno delle armi. Non si può
sparare con il
burro.” Chissà
perché gli è tornata in mente quella
frase. Forse per tormentarlo un altro po', visto che in quegli anni
non si è dannato abbastanza l'anima. La voce che si fa
spazio nella
sua testa è calda e pastosa, con una nota vivace e
divertita, come
il suo proprietario, dopo tutto. Se lo rivedeva davanti, seduto
dall'altra parte del tavolo, mentre cenano. Loro due assieme a Tifa e
Aerith. Un quartetto affiatato, con i problemi che hanno tutti i
quartetti composti da due ragazzi e due ragazze con caratteri tanto
differenti e che non riescono ancora a far chiarezza nei loro
sentimenti.
-Dai,
Claud, buttati. La conosci solo da una vita!- Zack capiva sempre
tutto di lui, nonostante il suo silenzio e la sua riservatezza.
Nonostante il suo essere distaccato e dall'espressione intellegibile.
Nonostante solo la giovane Cetra riuscisse a farlo sorridere
spontaneamente con la sua dolce solarità. Nonostante le
promesse mai
mantenute. Il SOLDIER sapeva la direzione che aveva però
preso il
cuore del giovane Strife. I SOLDIER, erano un dipartimento distaccato
della polizia locale e lui aveva giurato fin da piccolo che sarebbe
riuscito ad entrarci. Allora era solo all'inizio e la strada sembrava
impervia. Ma con Fair come esempio, era sicuro che ce l'avrebbe
fatta. Oltre tutto, il loro capo squadra era Sephiroth. Uomo
intelligente, senza dubbio. Dotato di grande forza e perspicacia.
Tutti i casi che avevano affrontato fino a quel momento erano stati
risolti in tempi record. Il loro gruppo era l'orgoglio della
centrale, tanto che non l'aveva più sciolto da che si era
formato,
nonostante il regolamento prevedesse un rimescolamento dei ruoli e
che le squadre fossero composte da quattro elementi, non da tre come
la loro.
-Ma...-
Proteste mai pronunciate, quando ancora il mondo conosceva la voce
del biondino dalla pettinatura improbabile. Dai capelli ispidi,
capaci di quel naturale disordine che di tanto in tanto il collega si
divertiva a modificare arruffandoglieli ulteriormente.
-Suvvia.
Altrimenti me la prendo io, la nostra “Cuore
Chiuso”. Sei
avvertito.- “Cuore Chiuso”. Aveva la mania di
chiamare Tifa così.
Non era altro che la traduzione del suo cognome, alla fine. Ma la
ragazza sembrava particolarmente suscettibile alla cosa, soprattutto
se a chiamarla così era Zack e c'era lui nei dintorni. Non
l'aveva
mai capita. Non in questo almeno. E lei non aveva mai voluto
confidarsi. Non che lui fosse bravo a fare domande, in
realtà.
Semplicemente, quando si aspettava che la giovane dovesse dirgli
qualcosa, si sedeva lì, davanti al bancone del 7th
Heavens e aspettava che lei parlasse. Che facesse domande a cui
solitamente otteneva blande risposte da parte dell'aspirante
poliziotto. O che fosse lei per una volta ad aprirsi. Ma questo non
accadeva quasi mai. Sapeva bene, comunque, che l'amico non avrebbe
mai potuto mettere in atto quella minaccia. Lui e Aerith erano troppo
affiatati. Troppo perfetti assieme perché lui potesse anche
solo
sognarsi di tradirla. Forse era anche per questo che Cloud
continuava a procrastinare.
Gesti
automatici. La fetta di pane è lì, imburrata, che
ricambia il suo
sguardo mogio pronta ad essere addentata e a lui è passata
la fame.
Quei ricordi bruciano ancora con la loro suadente dolcezza. Lascia
lì
tutto, abbassando le braccia lungo il corpo, per poi posarsi le mani
sulle gambe, spingendo indietro la sedia con i piedi per allontanarsi
dal tavolo: gli si è chiuso lo stomaco. Ed è in
quel momento che
suona il cellulare. Fastidioso quel suono. Lo stesso suono che gli
ricorda perché è ancora in vita. Che gli ricorda
che ci sono
persone che nonostante tutto ancora pensano a lui. Lo lascia suonare,
ma non risponde. Aspetta. Aspetta così tanto che finalmente
parte la
segreteria telefonica e lui par quasi rilassarsi. Le spalle che si
abbassano in un moto più tranquillo. China gli occhi
sull'apparecchio telefonico posato sul tavolo ed attende. Attende che
la voce del suo interlocutore gli arrivi alle orecchie. Attende e
finalmente qualcuno si mette a parlare.
E'
una ragazza.
Parla
da sola.
E'
lei.
Ne
accoglie la voce con sguardo colpevole. Lo stesso che probabilmente
avrebbe se fossero faccia a faccia. Vergognoso. Timoroso, seppure
tutto si nasconda dietro quell'apatia che di nuovo si fa presente sul
suo viso chiaro, macchiato solo da qualche lentiggine sotto gli
occhi.
Seppure
si nasconda dietro quella forza che in realtà non ha
più.
“Ha
chiamato Reno. Aveva una voce strana. Parlava di un morto nel decimo
quartiere. Ha detto che presentava strani ematomi sparsi per il
corpo. Credono che sia ancora quella
droga. Vuole che tu vada da loro.” Scende un breve
silenzio, ma
lei è ancora lì.
Ci
spera.
Spera
che lui le risponda.
Ci
spera, ma sa che non lo farà.
E
allora sospira piano piano, impercettibilmente a non volersi far
sentire. Ma lui è ben conscio del fatto che quel sospiro
è lì,
presente. A pronunciare tante cose mai dette. “Stai
attento,
Claud, okay? E vieni a trovarci. Marlene e Denzel hanno voglia di
vederti. Fallo almeno per loro.” Mari e Den. Se li
immagina ad
aiutare Tifa a mettere a posto la casa. A fare la lista di quello che
potrebbe servirle per il bar. Ad imparare come aiutarla una volta
diventati un po' più grandi e consapevoli. Se li immagina
davanti
al suo studio.
Dentro
al suo studio a giocare agli investigatori privati con quel poco che
ha lasciato lì, visto che spesso passava dal 7th
Heavens
fermandocisi per la notte e dove alla fine, lui e Zack avevano
istituito una sorta di base solo per sé. Il loro angolo di
quiete
dove mettere in ordine le idee e dove Tifa gli lasciava quelle poche
informazioni che riusciva a carpire ai clienti. Nelle loro
conversazioni oppure perché un po' alticci parlottavano di
questo o
quello spacciatore e di questa o quella loro bravata.
Il
loro pensiero. Di quelle tre persone che aspettavano il suo ritorno.
Di quelle tre persone da cui fare ritorno. Quello lo faceva andare
avanti, nonostante le volte in cui si facesse vedere da loro fossero
davvero poche e sparse, scaglionate durante l'anno. Durante quei tre
anni. La voce metallica della segreteria graffia l'aria e lui
richiude velocemente il cellulare, zittendola. Scacciandola dal suo
piccolo spicchio di pace.
Gesti
automatici. Si alza lentamente, indossando la giacca di ordinanza e
silenzioso come un gatto se ne esce di casa. Rimane tutto sul tavolo,
ma è certo che una volta tornato, quel tutto sarà
scomparso,
lasciando il tavolo adorno solamente di quel coltello e di un
biglietto. “La colazione è il pasto più
importante. Mangia. T.”
E' così, tutti i giorni, in un tacito accordo che non era
mai stato
stipulato, ma dovuto ad un vincolo che tra lui e Tifa era innato ed
immortale. Talvolta si chiedeva come lei potesse ancora prendersi
cura di lui.
Talvolta
si chiedeva come lei potesse ancora raccomandargli di stare attento.
Talvolta
si chiedeva come lei potesse ancora amare qualcuno così...
così
come lui.
Sempre
che l'abbia mai amato. Zack ne sembrava tremendamente convinto.
Aerith anche. Parla poco, Cloud, ma il cervello, specialmente per i
drammi adolescenziali, va ancora come un treno in corsa e senza una
meta ben precisa. Lo porta distante da lei? Lo porta da lei?
Gesti
automatici. Monta sulla moto andando a controllare che spade e
pistole siano ancora al loro posto. La pistola d'ordinanza è
obbligato a portarla con sé. Ma lui continua di gran lunga a
preferire le spade, come arma. Accende la Fenrir e parte lungo la
strada.
Vive
nell'estrema periferia della città. Lì
c'è una chiesetta
abbandonata. Ad Aerith piaceva particolarmente quando era in vita,
tanto che, dove nessuno andava più da anni. Dove uno
spiraglio di
terra era ancora visibile e capace di dare frutto, lei era riuscita a
creare un piccolo angolo di paradiso, imperlato dalla candida
bellezza dei gigli. Da brava “ragazza dei fiori” li
aveva fatti
crescere e seguiti con amore. E' lì che si dirige per prima
cosa. E'
lì che si ferma. La porta ben chiusa. L'osserva per qualche
istante
prima di lasciare la moto al proprio destino per quei dieci minuti in
cui si assenta ed entra.
Entra
per ricordarla.
Entra
per chiedere un perdono che lui stesso non sa imporsi.
Entra,
perché è l'unico modo per sentirla ancora vicina.
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Capitolo 3 *** Track 2: Other World (The World with you) ***
Track
2. Other World:
The
world with you.
La
stazione. Avevo sempre pensato fosse un bel posto per passare il
tempo. Gente che va. Gente che viene. Tante storie che si intrecciano
tra di loro per brevi attimi e che poi si perdono per sempre. E poi
magari si intrecciano ancora nel nuovo soffio di un attimo, ma in
quel momento si è troppo presi da altro per accorgersene. E'
in
questo posto che tutto è cominciato.
Io
a Midgar c'ero stato un paio di volte, da ragazzino. Uno dei tanti
che ci passano nei loro viaggi e che di questa città portano
con sé
tanti ricordi di trasgressioni insensate. Io portavo con me il
ricordo di tante belle ragazze con cui ci avevo provato. Quando si
è
un rubacuori professionista e dall'apparenza un po' frivola,
c'è
poco da fare. Fortunatamente all'alba dei miei ventidue anni avevo
cambiato idea e mi ero arruolato nella polizia di questa
città nella
quale il lavoro certo non manca.
Era
proprio nella Stazione di Midgar che avevo conosciuto per la prima
volta Cloud Stife. Nemmeno diciassette anni. Un ragazzo piuttosto
taciturno che avrebbe presto intrapreso la carriera del SOLDIER,
disposto ad abbandonare, come me del resto, la propria casa e la
propria famiglia. Disposto ad abbandonare tutto in nome di qualcosa
in cui credeva davvero: la giustizia. E poi, ma lo potei scoprire
solo in seguito, come molti ragazzini nutriva ammirazione e stima
profonde per Sephiroth. Tanto che la prima volta lo vidi vacillare fu
quando gli comunicai che era il nostro diretto superiore. Nello
sguardo un bagliore emozionato che poche volte sono riuscito a vedere
di nuovo.
Ricordo
che quel giorno la stazione mi appariva come un film in bianco e
nero. Una di quelle vecchie pellicole che nel tempo si è
leggermente
ingiallita. Ecco. Questo sembrava. Il grigiore di quel cielo che non
è mai cambiato. Il grigiore di quella nebbiolina che poco a
poco
invadeva la città come un parassita che si nutre di tutto
ciò che
trova innanzi a sé, ingoiandolo ed inglobandolo. Gente che
andava e
gente che veniva. Uno di quei vecchi film che raccontava di quei
poveracci che migravano dalla campagna alla città con la
speranza di
trovare lavoro. A Midgar, all'epoca -ma anche adesso credo-, avveniva
il contrario. La gente si spostava dalla città alle campagne
perché
a Midgar era impossibile vivere una giornata tranquilla, senza che il
notiziario delle dodici sparasse in prima pagina la cronaca nera
oppure un titolo a piena schermata che comunicasse di questa o di
quella rapina finita più o meno bene per rapinatori e/o
rapinati. La
vita nelle campagne era davvero più semplice.
Qualcosa
spezza il ritmo dei miei pensieri e vedo davanti a me due occhi color
smeraldo che mi fissano divertiti e io so già
perché c'è
quell'espressione su quel volto tanto carino e tanto amato. Si
abbassa verso di me, stuzzicandomi il viso con i ciuffi più
corti di
capelli che le incorniciano la faccetta sempre dolce e vivace.
Reclama un bacio che presto le arriva perché effettivamente
a lei
non so dire di no.
-A
cosa stai pensando?- Chiede ad un soffio dalle mie labbra. Non ne
sento il profumo. Non sento il calore del suo respiro. Non sento
niente di quello che avrei sentito abitualmente. Alle anime non
è
concesso. Ma il sapore di quei baci non è cambiato da quando
avevamo
un corpo entrambi. Da quando facevamo l'amore. Da quando giocavamo
sul letto con i cuscini perché magari lei aveva fatto il
broncio e
finivamo sfiniti a ridere stesi ed abbracciati dandoci degli stupidi
perché era normale commettere errori ed era inutile
arrabbiarsi
quando bastava parlare. Peccato sia durata troppo poco e ormai non
abbiamo più un letto su cui fare a cuscinate o un divano su
cui
buttarci dopo che eravamo tornati a casa sfiancati dal lavoro per...
coccolarci un po'. Avevamo accelerato i tempi. Tutti ce lo dicevano.
Dopo un solo anno di conoscenza, avevamo cominciato a vivere assieme,
nel suo appartamento. Avevamo accelerato i tempi, ma ora come ora la
reputo una fortuna: almeno avevamo potuto viverci un poco.
-Ad
un certo biondino che probabilmente si sta ancora accusando di quel
che è successo.- Le spiego mentre allungo le braccia per
cingerle la
vita. Una vita sottile. Il rumore della stoffa che fruscia che
risuona nella mia mente. Il suono di ricordi. Il calore di un corpo
che non potrei più sentire e che avvolge invece i miei arti.
Ricordi.
Ricordi.
Ricordi.
Fanno
male, ma ringrazio di poterli ancora avere per me. Di non averli
ancora perduti. La sento sospirare. Più per vezzo che per
bisogno:
le anime non respirano. Mi abbraccia il collo, posando la sua testa
sulla mia, nascondendo il viso alla mia vista e restiamo
così per un
po'. Un tempo che non so definire, perché anche se siamo in
una
sorta di paradiso, il mio unico vero paradiso è con lei.
Così. Lo
era anche quando eravamo vivi. Ma in quel luogo il tempo non par
nemmeno scorrere. Il soffio di un istante si amplifica all'infinito,
senza trovare poi più inizio o conclusione.
-Sai
che non si darà mai pace...- Non ha il
suono di una domanda,
quanto di una constatazione che le fa male e sentirla così
mi
invoglia a stringerla più forte, posando il capo sulla sua
spalla.
Non abbiamo un corpo, ma dopo tre anni che siamo morti, riusciamo a
controllare la consistenza della nostra anima, tanto da non rischiare
di trapassarci a vicenda. Ci abbiamo lavorato parecchio, eh! E
finalmente abbiamo raggiunto un risultato davvero ottimo.
-Lo
so. Ma cosa potremmo fare?- Dev'essere strano, per lei, sentirmi
scoraggiato, tant'è che per qualche attimo non risponde,
distaccandosi poco a poco da me e mostrandomi uno dei suoi sorrisi
migliori. Non so che poteri magici abbia questa ragazza, ma ad un suo
sorriso è impossibile opporre alcun tipo di resistenza. Ed
un suo
sorriso è in grado di tirarti su il morale anche quando ce
l'hai
sotto le suole delle scarpe. Ecco cosa ci vorrebbe a Cloud! Qualcuno
che gli sorrida così. Ed ecco che torno a chiedermi
perché ancora
non abbia detto niente a Tifa. Perché si ostini a starle
lontano.
Vedere Mari e Denzel gli farebbe ancora meglio. Li ama. Sono la sua
“famiglia”. E ancora si ostina a non rendersene
conto. E poi:
idea...
-Ci
inventeremo qualcosa.- Mi risponde la giovane Cetra. Morta troppo
giovane e per questo i suoi -nostri assassini- presto o tardi
pagheranno. Eccheccavolo! E la giustizia dov'è a questo
mondo,
altrimenti? Rispondo al suo sorriso con un'espressione sorniona. Di
chi ha già inventato quel “qualcosa”. La
vedo sorpresa davanti
ai miei occhi mentre le sue mani prendono a carezzarmi i capelli
scuri, a porcospino. Tra me, Claud e Reno c'è competizione
aperta,
per quanto riguarda la capigliatura. Ma almeno la mia sta bassa.
Aspetta in silenzio, mostrando impazienza solamente nel suo ostinarsi
a guardarmi. Io però dissento con il capo. Devo trasgredire
qualche
regola, se voglio mettere in atto il mio piano e forse è
meglio che
lei non venga a sapere cosa voglio combinare. Il Paradiso lei se lo
merita tutto.
-Stai
tranquilla, Aerith. So cosa fare e come farlo.- La rassicuro
semplicemente, facendo un po' il ruffiano, andando incontro alla sua
mano con la testa, invogliando ancora quelle carezze che per qualche
istante sono cessate. Obbediente, lei riprende da dove si è
fermata,
ricominciando a giocherellare con i miei ciuffi neri. E' ovvio che
voglia spiegazioni, ma per il momento non gliene fornisco e sembra
accettarlo. Si è sempre fidata di me. Lo fa anche ora e
l'apprezzo
per questo. D'altronde l'amo anche per questo.
-Zack,
mi raccomando...- Non sa nemmeno lei cosa raccomandarmi. Ma quella
frase è d'obbligo. Quel botta e risposta era ormai
collaudato e
rodato da tempo. Ogni volta che io e Cloud dovevamo partire per
qualche ispezione, me lo ripeteva. Ogni volta che ci affidavano un
malvivente da cogliere in fragrante io le ripetevo le stesse cose
dette solo poco fa e lei si raccomandava. Era il mio motivo per
tornare. Dirle: “Vedi? Non mi è successo
niente! E adesso
voglio un premio perché sono stato bravo.”
Espressione
sardonica e voce maliziosa. Sguardo accattivante. E Claud ogni volta
diventava paonazzo al pensiero del “premio” che
avrei ricevuto
io. Mi piaceva la sua ingenuità da questo punto di vista. Di
quel
bambino cresciuto troppo in fretta. Di quell'adulto rimasto
inconsciamente ancora bambino. Così scappava. Sono sicuro
che
andasse da Tifa, ma che quel che facevano, fosse ben lungi dalla
notte di passione e tenerezza che avremmo affrontato io e questo
fiore che ancora stringo tra le braccia.
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Capitolo 4 *** Track 3: Sliping through my fingers (Dreams I've never Confessed) ***
Track
3. Sliping Through My Fingers
Dreams
I've Never Confessed
Era
mattina presto. Quel giorno Zack aveva deciso di dormire da Claud.
Non era strano, tutt'altro: solitamente i SOLDIER provenivano da
diverse parti del paese e quindi venivano smistati in vari
appartamenti che condividevano con colleghi e compagni di squadra.
Non era un caso quindi, che la mansarda dove abitava il biondino,
fosse anche quella dove avrebbe dovuto vivere il moro. Moro che da un
po' di tempo a quella parte, però, aveva preso a frequentare
assiduamente la casa di Aerith. Alla fine erano sul punto di
sposarsi, che c'era di male?
Lui
è lì, in piedi, accanto ad una delle panche
rimaste integre dopo
uno degli ultimi scontri avvenuti in quella cattedrale e che l'hanno
ridotta ad un cumulo di macerie di cui solo poco è rimasto
in piedi.
Lì, fermo immobile. Il capo chino e gli occhi chiusi, come
se solo
quello basti a portarli indietro. A riportarli da lui. Respira piano,
impercettibilmente, tanto che se entrasse qualcuno potrebbe prenderlo
per un manichino lasciato là da qualche teppistello di
strada pronto
a far marachelle. E' qualcosa di abituale, ormai. Il suo modo di
cominciare la giornata e trovare un po' di pace. Non l'avrebbero mai
perdonato, ne era certo. Ma soprattutto, non si sarebbe mai perdonato
lui.
-Cloud!
Cloud! Vieni, ho bisogno di parlarti-. Era mattina presto, e Zack
aveva pensato bene di svegliarlo con i suoi modi un poco bruschi, ma
solitamente efficaci dopo che lui era riuscito a dormire sì
e no un
paio d'ore. Lo stava scuotendo senza troppa forza dopo averlo
afferrato per una spalla. Era posato a carponi sopra il suo letto,
completamente vestito, seppure i suoi capelli fossero ancora
disordinati, come chi si è rigirato tutta la notte contro il
cuscino
senza in realtà aver chiuso occhio. Gli aveva mugugnato
dietro
qualcosa come: “Lasciami in pace... Tifa non te la
do”,
suscitando una sonora risata da parte del moro. Risata che aveva
avuto il potere di strappare completamente il giovane Strife dalle
braccia amorevoli di Morfeo. Lo stesso Strife che, dopo aver fatto
mente locale ed essersi reso conto di che cosa gli aveva appena
detto, si era rigirato sotto le coperte, sprofondando in esse.
Complessato come qualsiasi buon adolescente con le sue sane beghe
mentali. Solo che Cloud Strife non era più esattamente un
adolescente. Due giorni dopo sarebbe ufficialmente divenuto
maggiorenne. Un grugnito suggerì al SOLDIER che finalmente
era
riuscito ad ottenere l'attenzione del collega.
-Gliel'ho
chiesto, Cloud. Le ho chiesto di sposarmi!- Entusiasmo.
Quell'entusiasmo che lui non avrebbe mai avuto. Zack gli aveva
praticamente urlato contro quelle parole in un impeto di euforia che
lui probabilmente non avrebbe mai capito, né potuto
sperimentare. O
almeno di questo era convinto.
Indugiò
per qualche istante, riemergendo da sotto le coperte, prima di
osservare il moro che in quel momento doveva avere la testa su un
altro pianeta, appartenente ad un altro sistema solare, e con tutta
certezza ad una dimensione parallela. Non era strano vedere il First
Class Soldier stralunato. Un tipo alla buona, decisamente
più
spontaneo ed amichevole di lui. Ma in quel momento lo era fin troppo.
Evidente fosse al settimo cielo. Era per la banalità della
domanda
che sarebbe seguita che il biondino si stava trattenendo dal
porgliela lasciando le labbra dischiuse ad incamerare aria,
rizzandosi lentamente a sedere contro la testiera del letto ed il
muro che si trovava alla sua destra, schiacciandosi contro a questo..
Stringe
nella mano le chiavi della Fenrir. Un tocco gentile, tutto sommato.
Completamente differente da quello con cui impugna la spada e la
pistola. Si spinge avanti di un paio di passi, andandosi a sedere poi
innanzi a quello spiazzo di terra coltivato a gigli. In quei tre anni
erano morti e rinati ad ogni ciclo senza che nessuno se ne prendesse
cura. O almeno di questo è sempre stato convinto.
Probabilmente non
si è mai accorto di quella tacita figura che di quando in
quando
entrava nella chiesa ad innaffiarli nei giorni troppo caldi o a
proteggerli quando la pioggia era troppo battente ed il vento
rischiava di spazzarli via.
Stringe
il portachiavi con leggerezza, lasciando che due anelli si incontrino
tra loro provocando un fine suono metallico. L'unico suono che
riempie l'ambiente, in quel momento.
-E...
e lei..?- Si era ritrovato a chiedere mostrando un'espressione forse
poco convinta in quella dimostrazione di curiosità che
sicuramente
non era da Cloud Strife, ma che in quel momento era d'obbligo. Almeno
nei confronti dell'amico. Questi tornò a posare i piedi per
terra,
abbandonando quella dimensione parallela nella quale si era tuffato,
mostrandogli un sorrisetto ruffiano. Di chi sapeva bene di aver vinto
un premio. Un premio speciale. E a quel pensiero sorrise con
gentilezza, per poi lasciarsi ricadere all'indietro, andandosi a
stendere sul letto del collega con le braccia incrociate dietro il
capo, soddisfatto di essere riuscito addirittura a strappare due
parole di senso compiuto dalla bocca del futuro poliziotto.
-Ha
accettato.- Ammise con l'espressione di chi in quel momento
è in
pace con il mondo. Di nuovo silenzio. Di nuovo la quiete, ma per una
volta fu Cloud a spezzarla, distaccandosi dal muro, così da
poter
osservare meglio il volto dell'altro, visto che questi era steso con
il capo rivolto verso i piedi del letto.
-Complimenti.-
Basso il tono del giovane. Ingentilito, in qualche modo, da una sorta
di complicità con l'altro ragazzo. Era da settimane, se non
mesi che
continuava ad assillarlo con quel discorso. Voleva davvero sposarla e
Cloud aveva avuto modo di rendersi conto che parteggiava per il
collega e che davvero sperava che Aerith gli rispondesse
positivamente. Uscì pigramente dal letto. Ormai era sveglio:
tanto
valeva alzarsi per preparare la colazione. Presto sarebbero dovuti
partire per proseguire un'indagine.
Sono
due fedine d'oro. Sembrano piccole spirali bianche, gialle e rosse.
Tre tonalità del medesimo metallo. Sono particolari. Quando
riapre
gli occhi è su quelle che va a posare lo sguardo per qualche
istante. Non si dilunga troppo, come se non riuscisse a sostenerne la
vista. Prega. Prega in silenzio. Non prega delle divinità,
però.
No. Lui prega solo perché vuol essere perdonato. Lo fa
tornando ad
occhi socchiusi. Lo fa osservando quelle due fedi che non adornano le
dita che dovrebbero. Lo fa vicino a quei fiori. Lì, dove
solo tre
anni prima avrebbe dovuto avvenire la cerimonia. Lo fa a capo chino,
quasi attenda che la falce della Nera signora cali anche sul suo
corpo a prendersi anche la sua, di vita.
-Ho
promesso di vivere anche per te. Ma non riesco a portare sulle mie
spalle il peso di tre vite.- Snocciola lentamente quelle parole, come
se gli costasse fatica il fatto di farle susseguire le une alle
altre. Alza gli occhi verso quel cielo coperto da una leggera foschia
causata dalle fabbriche e dall'umidità insita nell'aria.
Tanto che
anche la luce del sole arriva ovattata ed attutita. Nuvole nere che
invece si dispiegano all'orizzonte.
-Vorremmo
che foste tu e Tifa i testimoni. E anche...- Era strano sentire Zack
titubare davanti a qualcuno. Era strano vederlo incerto davanti a
qualcosa. Specie perché alla fine stava parlando con lui. Da
quando
si faceva problemi a parlargli? Cloud l'osservò senza capire
il
prosieguo del discorso. Si limitava a fissare il collega dall'altra
parte del tavolo con una fetta di pane mezza mangiucchiata in bocca.
Già allora mangiava senza voglia, solo perché
altrimenti sarebbe
cascato a terra come un frutto maturo a metà giornata.
-Nh?-
Un suono nasale emesso giusto per fargli capire che, nonostante la
svogliatezza con cui stava affrontando la colazione, lo stava
ascoltando. Era insolito vedere Zack giocare con i cereali inzuppati
nel latte anziché finirli in un lampo per poi agguantarlo
per la
collottola che lui non aveva nemmeno finito di mangiare, e fiondarsi
di corsa al 7th
Heaven poco distante dal
loro appartamento per farsi un caffè prima dell'inizio del
loro
turno di pattuglia.
-Vorremmo
che faceste da padrini ai bambini.- La voce incrinata dall'emozione.
Era palpabile lo stupore che albergava nella stanza. Tanto che se
avessero potuto l'avrebbero tagliato con un grissino. Il coltello
sarebbe stato un'esagerazione: troppo affilato. Quella fu la prima
volta in cui Fair vide Cloud a bocca aperta, tanto che la fetta di
pane gli cadde direttamente dentro il bicchiere con la spremuta di
limone. Sì, perché tra tutte le cose anomale che
caratterizzavano
il giovane Strife, c'era anche una passione particolare per la
spremuta di limone. Per lo meno da un po' di tempo a quella parte.
-Padrini...
ai... bambini?- Ripeté quelle parole tra un eccesso di tosse
ed un
altro. Imbarazzato, forse. Stupito. Sconvolto. Scene che
probabilmente non avrebbero più visto la luce. E Zack
sorrise
divertito all'amico, annuendo. Sarebbe divenuto padre e lui stesso
stentava a crederci.
Claud
si gira verso la porta e poco a poco si dirige nuovamente
all'esterno. E' in ritardo, ma non par badarci più di tanto.
Anche
il fatto di andare a lavorare, ormai è solo una questione di
abitudine. Lo fa perché deve, ma nulla l'invoglia
più a metterci la
passione di quando andava a caccia di malviventi assieme a Zack e
Sephiroth. Tocca la porta di legno con la devozione di chi si trova
di fronte ad una reliquia dal valore inestimabile. Ed è con
lentezza
che abbandona la chiesa. Anche in questa mattina che si presenta
più
uggiosa delle altre. Una lentezza che però lascia presto
passo alla
velocità. Così come il silenzio lascia spazio al
rombo del motore
di una moto. La Fenrir parte e lui si lascia dietro la piccola
cattedrale, ma non quei ricordi che continuano a bruciargli l'anima.
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Capitolo 5 *** Track 4: Through the barricades (Just a new day) ***
Track
4. Through The Barricades...
Just
a New Day
Non
si era visto ancora un cliente, quel giorno, al 7th
Heavens.
Tifa se ne sta lì a ripulire le ultime tazze da
caffè prima di
riporle al loro posto. Addosso quell'espressione tranquilla di chi
lascia che il mondo scorra per conto suo, purché non si
immischi con
la sua vita. Di chi cerca una sorta di distacco, sempre disposto ad
ascoltare e risolvere i problemi degli altri, perché negli
anni le
spalle sono diventate forti ed in grado di sostenere qualunque peso,
a patto che nessuno cercasse di carpire i suoi, di problemi. Di
risolverli poi non se ne parla proprio: c'è solo una persona in
grado di risolvere ciò che l'affligge, e quella stessa
persona da
più di due mesi non mette piede nel bar. Dall'altra parte
del
bancone c'è una bambina che ha si e no tre anni. Guarda Tifa
con
curiosità ed ingenuità. Ha gli occhi limpidi e
dolci, seppure sotto
sotto nasconda un carattere da vero peperino. I capelli sono castani.
Di un castano chiaro e caldo, con qualche riflesso tendente al rosso.
E' lì che l'osserva prendendosi cura della propria bambola
di pezza.
La sta cambiando d'abito con impegno da una buona dozzina di minuti.
E quando davvero non ce la fa più a litigare con il suo
braccio che
non par proprio essere intenzionato ad entrare nel piccolo buco della
manica della maglietta che sta cercando di infilarle addosso,
l'allunga verso l'adulta, in una tacita preghiera perché lo
faccia
lei.
-Sorellona,
puoi?-
Le
domanda parlando fin troppo bene per la sua età. E Tifa si
ritrova a
sorridere, annuendo un paio di volte, asciugandosi le mani sullo
straccio con cui sta lucidando le stoviglie, per poi afferrare la
bambola che la bimba le sporge, rivestendola cautamente. A lei non
è
mai piaciuto giocare con le bambole. Ha sempre preferito giocare alla
lotta con i maschi del suo quartiere, a Niebelheim, oppure cacciarsi
in qualche pericoloso pasticcio dal quale difficilmente usciva illesa
e tutt'ora preferisce allenarsi prendendo a pugni e calci un sacco
appeso pigramente nel garage, come se fosse un salame messo
lì ad
aspettare il giusto grado di essiccazione. Rende il giocattolo alla
sua legittima proprietaria dopo averlo osservato per qualche attimo,
voltandosi lentamente quando si sente tirare la gonna da una manina
piccola e leggera. C'è un bambino, accanto a lei. Gli occhi
di un
blu intenso sollevati verso il suo viso. L'osserva speranzoso, senza
però parlare.
-Che
succede, Denzel?- Gli domanda piegando le gambe ed abbassandosi alla
sua altezza con il viso. Anche lui non ha superato i tre anni,
ancora, così come la gemella. Appare intimidito davanti allo
sguardo
rosso della donna che ha davanti, tanto che porta gli occhi da
un'altra parte, toccandosi i capelli mossi con una manina. Tifa gli
sorride con dolcezza andandogli a carezzare il capo con una mano.
Delicata.
-Quando
torna Cloud?- Gli domanda sollevando le spalle e chiudendosi in
queste. Ogni giorno. Le pone quella domanda ogni giorno. E lei gli
rivolge quel sorriso un po' triste ed un po' malinconico ogni giorno.
Ed ogni volta sembra sul punto di arrendersi. Di dirgli che non lo sa
e che probabilmente, il Cloud che lei conosceva, non sarebbe mai
tornato. Eppure non desiste. Quella speranza non vuol morire. Ed il
sorriso della mora si distende, assumendo una nota più dolce.
-Presto,
Denzel. Sono sicura che tornerà presto.- Promesse da
marinaio.
Promesse che non dovrebbe fare perché sa che lei non
può mantenerle
al posto del poliziotto. Non può travestirsi da lui ed
entrare dalla
porta del locale con quel passo felino e leggero. Silenzioso. Non
può
dire ai bambini che finalmente ha trovato pace e che starà
con loro.
Anche lei ci spera. Spera che un giorno succederà qualcosa
di
simile. Ovviamente più alla Cloud Stife. Con poche parole.
Con pochi
gesti. Quelli essenziali a rendere una speranza realtà. Il
bambino
allunga le braccia verso di lei e Tifa non può fare a meno
di
sollevare quel peso esiguo, sedendolo sopra il bancone, accento alla
gemellina che non si è persa una sola parola in quello
scambio di
battute, lasciando perdere anche la bambola che sta rivestendo.
Lasciando perdere per qualche istante la scelta della gonna tra la
vasta gamma di gonnelle disposte sul bancone. Alterna lo sguardo tra
Tifa ed il fratello fin quando la porta non viene aperta: il primo
cliente della giornata. L'unico cliente che mai si sarebbero sognati
di vedere lì.
Un
tonfo leggero e la bambola di Marlene è a terra, riversa
supina,
mentre la bimba corre verso l'uscio davanti al quale sosta un
giovane. Ha i capelli biondi. L'aria assente e fin troppo seria. Ed
è
vestito di nero, come se ancora portasse il lutto. Le braccia sottili
della bambina gli avvolgono la vita e per un istante solo lui sembra
sciogliersi mentre chiude gli occhi, incassando l'impatto dato dallo
slancio della piccola.
Tifa
l'osserva in silenzio. Sembra stupita, ma d'altronde è
normale che
lo sia. Ha appena predetto che sarebbe arrivato, ed eccolo
lì, sulla
soglia del suo locale. L'osserva da capo a piedi ed è una
fitta al
cuore quella che maschera con un sorriso leggero che le incurva
appena le labbra. Lenta fa il giro del bancone per poi fermarsi
accanto a Denzel che non ha mosso un muscolo per scendere da dove
l'aveva messo lei, sul bancone. Anzi. Solo in quel momento si scosta
andandosi a nascondere dietro alle sue spalle. Vergognoso per aver
dubitato che le parole di quella che gli faceva da mamma fossero solo
un'altra bella bugia. La ragazza scuote piano il capo con dissenso,
voltandosi verso di lui per prenderlo in braccio. Ma nemmeno lei si
sposta dal bancone. Aspetta i tempi di Cloud. Lo aspetta come ha
sempre fatto. Quando il poliziotto solleva lo sguardo ad osservare la
proprietaria del Bar, lei è lì e non
può far altro che ricambiarne
l'occhiata con quel sorriso calmo ed in qualche modo rassicurante che
solitamente usa con i bambini, mentre lui avvolge le spalle di
Marlene con un solo braccio, quasi temesse di romperla, facendo
altrimenti.
-Cloud,
stai con noi, vero?- Gli domanda l'infante con voce instabile.
Insicura. Di chi esprime un desiderio ad una stella cadente e l'ha
vista soltanto all'ultimo momento. Il giovane non le risponde,
limitandosi ad abbassare il capo e portare lo sguardo altrove. E' la
proprietaria del bar a fare un piccolo miracolo, in qualche modo,
dopo esserglisi finalmente avvicinata: con il braccio che non
sorregge Denzel va ad avvolgere il collo del biondino, costringendolo
a posare il capo chino sulla sua spalla. Lo stesso capo contro il
quale lei appoggia il proprio.
-Profumi
di gigli. Sei stato alla chiesa.- Non è una domanda, quella
della
ragazza, ma una semplice constatazione. Lui la lascia fare. Gli piace
quel contatto, non può negarlo. Non è la prima
volta che
l'abbraccia, ma è raro. E' raro che lei lo faccia,
com'è raro che
lui la lasci fare. Alla fine, nemmeno Tifa è poi tanto
aperta.
Riservata al punto giusto. Un'ottima ascoltatrice, senza dubbio. Ma
poco usa a parlare di sé. E ama come lei riesce a capirlo
senza che
lui parli, seppure talvolta lo turbi. Si sente scoperto, quando
succede, privo di quella protezione che gli fornisce il suo mutismo.
Anche Denzel par prendere coraggio, dal gesto della donna e di getto
butta le braccia al collo del biondino. E' strana quella sensazione.
E' strano quel calore e Cloud par crogiolarsi in esso per qualche
breve attimo, concedendoselo.
-Mh.-
Un mormorio in assenso, mentre annuisce lentamente con il capo,
contro la spalla della ragazza, così da non spezzare
quell'istante.
Si chiede cos'ha fatto lui per meritarsi quell'accoglienza. Alla fine
niente. Ed è proprio perché non ha fatto niente
che quei due
bambini ora sono orfani. Aggrotta le sopracciglia e poco alla volta
si distacca da Tifa e dai bimbi che l'abbracciano ancora, cominciando
a dirigersi verso le scale che portano al piano superiore. -Sono
venuto a prendere delle cose. Mi servono al lavoro.- Spiega alla
fine. Conciso. Marlene e Denzel l'osservano dispiaciuti. Non si
trattiene nemmeno questa volta. Il bambino fa forza sulle braccia di
Tifa per essere messo nuovamente a terra e veloce corre dietro a
Cloud, imitato a ruota dalla gemellina. La proprietaria del locale
invece, semplicemente l'osserva. Mille cose in quello sguardo. Mille
cose non dette e che il giovane Stife non sa leggere. Ha troppa paura
di farlo e di vedere che lei lo reputa solamente un codardo. I loro
sguardi rimangono incatenati per qualche istante ed è lui il
primo a
distoglierlo, lasciandosi afferrare le mani dai bambini e venendo
quasi trascinato verso le scale che portano al piano di sopra. Rimane
immobile per qualche istante, Tifa, osservando la schiena dell'amico
d'infanzia, prima d'incamminarsi dietro al trio senza fretta. Con la
pioggia che ha preso a scrosciare fuori incessante ed irritante,
è
possibile che nessuno passi dal bar, superandolo per dirigersi
direttamente in fabbrica o in ufficio. Se fosse giunto qualcuno,
avrebbe aspettato qualche istante: non sarebbe stato un problema.
-Cloud,
come va la spalla?- Finalmente si decide a chiederglielo, una volta
giunta davanti alla porta di quello che appare come una specie di
studiolo. Quello che hanno allestito lui e Zack. Ci sono articoli di
giornale appesi ad una superficie di compensato attaccata alla
parete. Foto che ha attaccato il moro di loro quattro assieme. Visi
sorridenti di un lontano giorno passato in spiaggia. Un telefono
fisso ed una branda. Qualche anno prima, spesso il biondino dormiva
lì, se il collega non tornava perché passava la
notte da Aerith.
Per sentire comunque il calore di una casa.
Lei
è ferma all'ingresso di questo santuario di ricordi
perfettamente
spolverati, come se non fosse passato nemmeno un giorno dall'ultima
volta che i due ragazzi si sono trovati lì a lavorare a
qualche caso
intricato che si erano portati a casa dal lavoro. Oppure allo stesso
caso che imbrigliava le loro vite da anni, ormai. I bambini corrono
su per scale, nella loro cameretta a prendere i numerosi disegni che
hanno fatto per il ragazzo in quei mesi. Ne sente i passi. Ne sente
il vociare allegro ed entusiasta.
Il
biondino si sfiora la spalla destra con la mano opposta. Gli
dà
ancora problemi dall'ultimo incontro con l'unica banda di malviventi
che sia mai riuscita a sfuggirgli. E l'unica in verità che
lui brama
di arrestare. Solleva la spalla buona in un gesto noncurante. E'
davanti la scrivania, in piedi, e con noncuranza riprende a rovistare
nei cassetti di questa alla ricerca di ricordi. Cose che non sa
nemmeno lui. O forse sì. Eccolo, quel fascicolo.
Quello
a cui stavano lavorando lui e Zack. La scritta
“Niebelheim” che
spicca per via dell'inchiostro nero sulla carta gialla della busta.
Continua con i propri affari senza degnare Tifa di una risposta. Gli
mancherebbe solo darle altre preoccupazioni. Non par proprio rendersi
conto che così facendo peggiora solo le cose. Non par
accorgersi
nemmeno di quella luce incupita nello sguardo della ragazza. La
stessa ragazza che poi si muove con risoluta decisione verso di lui.
-Fammi
dare un'occhiata.- Lo invita, afferrando la busta e togliendogliela
delicatamente dalle mani senza trovare grande resistenza. L'osserva
per un istante. Distrattamente. Sa cosa contiene al suo interno,
nonostante con gli anni il suo volume sia come minimo raddoppiato.
L'ha scoperto qualche anno a dietro. Poco prima che il giovane Fair e
l'ultima Cetra morissero. L'ha scoperto perché è
stato lo stesso
SOLDIER a dirglielo. Quello che era successo alla fabbrica. A suo
padre. Il tradimento. La follia. Sospira e la posa sulla superficie
di legno verniciata. Scorre quindi le dita lungo la scrivania
andandosi a piazzare davanti la ragazzo, invitandolo con una leggera
pressione sulla spalla sinistra ad accomodarsi sulla sedia girevole
alle sue spalle.
-Fratellone,
guarda!- E' la voce entusiasta di Marlene, con quella
“r” un po'
moscia che richiama l'attenzione dei due su sé e Denzel,
alle sue
spalle, mentre entrambi sventolano in aria diversi fogli. Tifa non
può fare a meno di sorridere divertita a quella scena un po'
dolce e
un po' comica. Osserva quindi di sottecchi Claud che finalmente par
avere un guizzo di vitalità nello sguardo solitamente
malinconico.
Un muto divertimento che in breve si spegne, però.
-Chi
di voi sa dov'è la scatola del pronto soccorso?- Gli domanda
poggiandosi le mani sui fianchi magri. La vita sottile che si piega
appena perché lei si inclina leggermente in avanti. Entrambi
si
azzittiscono per qualche istante, per poi sollevare con entusiasmo le
manine schiamazzando un “io!Io!”, continuando fin
quando la
giovane non si raddrizza andando ad incrociar le braccia al petto.
-La andate a prendere, per favore?- Gli porge quindi quella richiesta
sorridendo, piegando le gambe così da essere alla loro
altezza, bene
o male. I due aggrottano la fronte alla ricerca di un possibile
tranello, ma è con entusiasmo che annuiscono, alla fine.
-Ma
sorellona... ti sei fatta male?- Le chiede scettico Denzel, con
quella “s” un po' sibilante. Difetti di pronuncia
che
probabilmente con gli anni passeranno, come il dolore e tutto quello
che si stanno trascinando su quelle spalle esili. La ragazza gli
sorride e dissente con il capo.
-Allora
il fratellone?- Interviene preoccupata Marlene, suscitando un nuovo
sorriso sul viso chiaro della mora. Questa volta pare pensarci un
momento, prima di annuire pian piano con il capo, facendo spalancare
gli occhi alla bambina per la preoccupazione.
-Si
è tagliato con la carta. E' sbadato, vero?- Domanda andando
a posare
le mani sul capo di entrambi i bambini. Claud se ne sta fermo
lì ad
osservare la scena. Ad osservare come quella ragazza riesca a fargli
da sorella ed al contempo da madre. Ne osserva i modi di fare. Ne
osserva quella delicatezza acquisita poco a poco in quegli anni,
perché avrebbe potuto giurare che da bambina no, non ce
l'aveva. C'è
qualcosa che però, ora come allora non è
cambiata: Tifa è sempre
stupenda; non può negarlo. Perso nei suoi pensieri, si
accorge solo
dopo che la bambina gli è davanti, che Marlene gli si
è avvicinata
afferrandogli le mani, provocandogli una smorfia, quando ad essere
mosso è il braccio dolente. La bimba pare capirlo,
perché il
sinistro lo lasca subito perdere, continuando a sorreggere la sua
mano destra.
-Quale
dito fa male?- Gli chiede con quella grammatica essenziale. Normale
sia ancora a quei livelli. Lui l'osserva per qualche istante e
sembrerebbe quasi sul punto di sorridere, se non fosse che una morsa
gli stringe il cuore e lo stomaco. Semplicemente le fa vedere
l'indice. Perfetto. Intatto. Provo di qualunque taglio. Ma la bambina
non par farci caso. Nell'innocenza dei suoi tre anni va a dargli un
bacetto sulla punta del dito, lasciandolo interdetto, una volta che
soddisfatta si allontana. -Un bacio e la bua se ne va.- Semplice la
spiegazione che gli vien fornita dalla stessa Marlene prima di uscir
dalla porta e scomparire giù per le scale assieme al
fratello,
lasciando lui e Tifa da soli in un silenzio carico di tutto e di
niente.
Chiedo scusa in ginocchio se di quando in quando in questi capitoli ClOud diventa ClAud, ma il mio Pc ha deciso che Cloud proprio non gli piace e l'ha corretto puntualmente in Claud in automatico -.-""""""
Passerò nuovamente in rassegna i vari capitoli, scusatemi davvero T^T
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Capitolo 6 *** Track 5. Girl in The Mirror (Why is she crying?) ***
Track
5. Girl in The Mirror
Why
is she crying?
-Ha
chiamato Reno.- Esordio banale, in quel tentativo di riprendere un
discorso, solo per non stare in silenzio, mentre l'aiuta a liberarsi
dall'ingombro della canottiera nera che indossa il ragazzo, svelando
così un addome fasciato da una garza ormai non
più bianca,
macchiata di sangue. Cloud non l'osserva, limitandosi a rabbrividire
quando Tifa gli sfiora la parte lesa. Un fremito sotto le sue mani,
ma lei non par essere intenzionata a lasciare a metà il
proprio
lavoro.
-Lo
so. Sto andando da lui.- Ammette senza particolari sfumature nella
voce il ragazzo, portando gli occhi ad osservare l'ordine
più
assoluto di quella stanza. E la pulizia che a quanto pare non manca.
Ci mette poco a far due più due, andando a terminare il
proprio giro
sul profilo dell'amica ancora intenta a toglierli la fasciatura.
Concentrata. Ne segue i tratti con lo sguardo. Li carezza appena,
prima di scendere con gli occhi lungo la linea del suo collo sottile.
E poi lì si ferma, impedendosi di osservarla ancora,
chiudendo gli
occhi ed andando a volgere nuovamente il capo altrove.
-Claud...-
Beccato. Ecco come si sente quando la voce della ragazza gli giunge
poco distante dall'orecchio, in un sussurro quasi. Beccato in pieno,
come un bambino con il dito nel vaso della marmellata. Non par
rendersi conto del fatto che quella calma apparente nella voce della
donna sia solo la calma prima della tempesta. -Ma ti sei mai fatto
visitare da un dottore?- Gli domanda indicandogli il foro d'entrata
del proiettile richiuso da alcuni punti di sutura, ma che par essere
sul punto di infettarsi. Di nuovo lui porta il proprio sguardo in
un'altra direzione, dopo averla brevemente guardata, in un tacito
dissenso. Avvertendo chiaramente il disappunto della donna che si
traduce in uno sbuffo che gli arriva, caldo, sul collo facendolo
rabbrividire appena.
Suoni
arrivano dal piano di sotto. Probabilmente i due gemellini si stanno
impegnando a trovare la cassetta del pronto soccorso. E d'improvviso
è una canzone vivace, che batte e che sale fino alle loro
orecchie,
lasciandoli momentaneamente interdetti. Lemon
Crush.
La conoscono entrambi. La conoscono bene. L'avevano trovata un po'
casualmente in un cd di colonne sonore comprato in quei mercatini
dove si acquista tutto a buon prezzo. Zack l'aveva preso
perché
c'erano canzoni che conosceva già e che il suo Mp3 non
poteva ancora
vantarsi di contenere. L'aveva dato a Tifa, una volta che le tracce
erano finite all'interno dell'apparecchio, per “ravvivare un
po'
l'atmosfera del locale” e scherzando aveva aggiunto che c'era
una
canzone adatta in tutto e per tutto al loro amico, suscitando il
disappunto del biondino. Tale canzone era appunto Lemon
Crush. La
proprietaria del bar
si era sempre chiesta del perché delle parole del SOLDIER.
Ma in un
certo modo era la loro canzone. Quella del loro quartetto. Ci era
affezionata, a modo suo.
La
canticchia sommessamente. Ormai la sa a memoria.
-If
I'm working at my jobba... I'm the victim, U're the robba...-
Ha
una bella voce, Tifa. Più di quanto il poliziotto non
ricordasse.
L'ha sentita cantare in rare occasioni, e solitamente c'era anche
Aerith a farle la spalla. Erano meravigliose quando si esibivano
assieme. Creavano una bella melodia, due voci tanto diverse. Due
persone tanto diverse. E poi di solito saltava fuori Zack che si
univa al coro facendole desistere dal loro intento di proseguire con
la canzone designata. L'ultima volta che era successo, le due
giovani, coalizzatesi, l'avevano riempito di farina per dolci.
Passi
per le scale e la ragazza si distacca da lui andandosi ad avvicinare
alla porta della stanza, uscendo e chiudendosela alle spalle. Sa che
non vuole che i bambini lo vedano in quelle condizioni. La sente
parlare con i due gemelli. Li sente protestare. Ma Tifa è
magica e
alla fine sembrano calmarsi e avverte i loro passi proseguire fino al
piano di sopra.
La
canzone riparte da capo. Quasi sicuramente hanno premuto qualche
pulsante a caso e quelle note verranno ripetute più e
più volte. La
ragazza torna con la cassetta d'emergenza già aperta e da
questa va
a tirar fuori una bottiglietta di acqua ossigenata ed un pezzo di
cotone che imbeve nel liquido. Lo disinfetta con calcolata
delicatezza. In silenzio, stando bene attenta a quello che combina
sulla spalla del giovane. Lo stesso giovane che sopporta stoicamente
quando il disinfettante prende a bruciare come se gli stessero
versando sopra dell'acido. E poi è di nuovo la voce di Tifa
che gli
risuona dolcemente nelle orecchie infrangendo quel silenzio tra loro.
Un silenzio che non comprende la musica che ancora risuona vivace,
né
tanto meno la pioggia che scroscia contro le finestre. Un silenzio
troppo opprimente e fastidioso tra loro due.
-Don't
matter how much I try 2 stoppa... I can't Help thinkin' about cha...-
Alle ultime parole si ferma per qualche istante, andando ad osservare
di sottecchi il ragazzo, colto in flagrante nell'osservarla assorto.
La
guarda in volto.
L'osserva
tanto da farla sentire quasi in imbarazzo, visto che per una volta
non distoglie lo sguardo ed è lei a farlo al posto suo.
La
studia come se fosse un alieno e quello fosse il loro primo contatto.
“E'
solo una questione di coraggio. Diglielo!” Zack
l'haa incitato dichiararsi migliaia di volte, ma lui, recidivo e
testardo, non l'ha mai fatto. Timoroso di ricevere un maledetto
“no”
per risposta. Sono passati tre anni. Se anche ora glielo dicesse, lei
probabilmente lo rifiuterebbe con delicatezza e quella leggera nota
di rimprovero nella voce. Quella di chi ha pazientemente atteso e ora
ha smesso di aspettare. Sempre che l'abbia mai aspettato e non
fossero solo fantasie del collega che voleva vederlo accasato. Lui
però non parla. Poco avvezzo alle parole. Poco uso a
dimostrare i
propri sentimenti sia oralmente che tramite i gesti. Tifa torna ad
osservarlo dopo aver afferrato una benda pulita, cominciando a
fasciargli il braccio e parte del torace, così da nascondere
la
ferita. E' in piedi. Davanti a lui. Costretta a quella posizione per
via del lavoro che sta compiendo con i capelli scuri che nel mentre
stuzzicano il viso del giovane Strife. Cloud abbassa di nuovo lo
sguardo ad osservare le sue mani che gli passano sul torace una. Due
volte prima che si fermino, facendo attaccare il finale della fascia
autoreggente contro un lembo incollato alla sua pelle. E' solo un
istante quello in cui la mano della giovane donna sfiora l'incarnato
del ragazzo e questo par bastare per chiudere lo stomaco ad entrambi.
Ma è la consueta indifferenza a quel genere di sensazioni
che ha la
meglio e mentre lui torna ad osservare il vuoto innanzi a sé
come se
fosse la cosa più interessante del mondo, l'amica d'infanzia
va a
recuperare una seconda benda. Ne tira un lembo, assicurandosi che sia
pulita, e riprende da dove aveva smesso.
-I
bambini...- Un nuovo esordio da parte della proprietaria del bar, che
però vien smorzato dalla voce del poliziotto, che sembra
decidersi a
parlare solo in quel momento, sovrastandola.
-Non
puoi andare avanti...- O quel silenzio denso e palpabile, o
l'intrecciarsi di quelle due voci che si mischiano senza
però
confondersi l'una nell'altra, mentre i due vanno avanti con i propri
pensieri. Scostanti. Dissonanti.
-Vorrei
adottarli...- Imperterrita Tifa va, prosegue senza desistere. Senza
permettersi il lusso di tacere, ora che ce l'ha davanti. Anche solo
per metterlo al corrente della cosa.
-Ad
accudirli da sola...- Snocciola quei pensieri con voce grave, come se
fosse una cosa a cui sta pensando da tempo ormai. Ed alle ultime
parole della giovane si zittisce e sgrana gli occhi.
-Però
per farlo, mi hanno detto che devo assicurargli un futuro anche a
livello pecuniario e che se voglio occuparmi di entrambi, dovrei
almeno raddoppiare le entrate del bar.- Gli spiega senza guardarlo in
volto. La voce priva di esitazioni, nonostante lei tenga il capo
chino e per qualche istante le mani le tremino per un nervosismo mai
espresso. Cloud l'osserva come se avesse di fronte un'estranea e lei
si ferma a metà di un giro della fasciatura, intrappolandone
il
collo tra le braccia senza nemmeno accorgersene, in un primo momento.
Quando par rendersene conto, va semplicemente ad abbassare un po' di
più il capo fino ad incontrare il suo. Fronte contro fronte,
con gli
occhi chiusi. Rilassata in quel silenzio che ha accolto le sue
parole, disperdendole poco a poco. Piccole onde che viaggiano, senza
però poter arrivare troppo lontano. Ma alle orecchie del
giovane
arrivano fin troppo chiare. Tanto che, nonostante la posizione in cui
sono, lui non accenna ad osservare la donna.
-Non
posso aiutarti.- Si risolve a dire semplicemente, cercando di
liberarsi dalle braccia della ragazza e soprattutto di quel contatto
tra i loro corpi, quando si accorge che sono effettivamente troppo
vicini. La sensazione di calore. Il fiato della ragazza sul viso che
si mischia al suo respiro.
-Non
ti ho chiesto di aiutarmi a livello finanziario. Non ti ho chiesto
proprio di aiutarmi.- Errore: grave errore. Fraintendere Tifa
è
davvero uno degli sbagli peggiori che lui o chiunque altro
può
permettersi il lusso di commettere. Ma ormai è tardi. Ormai
lui è
già in piedi. Canottiera e camicia tra le mani e si avvia
verso
l'uscita della stanza. L'unica volta in cui Tifa Lockheart si
confida, riesce a fraintenderla. E' un lento sospiro quello che gli
esce dal naso, mentre volge appena il capo in direzione della
ragazza, rimasta accanto alla scrivania, interdetta.
-Io...-
Comincia, ma quell'inizio muore miseramente, cristallizzandosi sulle
sue labbra ed impedendo alle altre parole di fuoriuscire liberamente.
La garza che gli penzola da dietro la schiena, ancora in parte
arrotolata, gli batte pigramente contro il coccige, ma lui ha ben
altro cui pensare in quel preciso istante. Per una volta lo sguardo
puntato sull'amica d'infanzia in silenziosa attesa.
-Ti
chiedo solo di star più a lungo con loro. Alla fine sei tu
ha hai
promesso a Aerith e Zack che ti saresti occupato dei Loro
bambini.- Quel possessivo. Lo marca. Lo marca fin troppo bene con il
tono di voce solitamente quieto, che ora prende però una
venatura
frustrata. No, a lei non pesa tirar su i bambini. Li ama come fossero
suoi. Li ha cresciuti per tre anni. Ma li ha cresciuti Lei, quando
invece la promessa era stata fatta da Cloud. Una sfida, la sua. Uno
sprone per fargli assumere ed affrontare quelle che sono le sue
responsabilità.
-C'è
una cosa che devo fare, prima.- Le risponde semplicemente. La sua
ultima parola. E quindi se ne va, lasciandola lì, immobile,
con gli
occhi che le pizzicano, ma è troppo orgogliosa per farlo
vedere. Con
i pugni chiusi per la stizza, ma è troppo orgogliosa per
farglieli
vedere. Con il cuore di nuovo in frantumi, proprio ora che stava
cominciando a pensare che no, non avrebbe più sofferto per
Cloud
Strife. Ma è troppo orgogliosa per farglielo vedere e per
ammettere
che si sbaglia. E si sbaglia ancora quando non gli risponde
più.
Perché quel cuore lei gliel'ha offerto e continua ad
offrirglielo.
Ogni volta. Senza che questo però venga accettato. Prima.
Prima.
Prima. C'è sempre qualcosa prima. Lei sa cosa
c'è, ed è per questo
che non l'accetta.
Il
rombo della Fenrir l'attira verso la finestra alla quale si avvicina
lentamente, quasi sperando che la moto sia già andata
portandosi via
il suo proprietario. Ma moto e proprietario sono ancora lì.
Lui con
lo sguardo alto verso quella finestra dove sa esservi lei e lei con
la fronte appoggiata al fresco vetro che si appanna poco a poco, mano
a mano che respira con lo sguardo puntato verso il basso, dove sa
esserci lui. Quel gesto noto di infilarsi e sistemarsi gli occhiali
gliel'ha visto ripetere mille e mille volte ancora. Ed ogni volta ha
il potere di farla sorridere perché così sembra
uno di quei
centauri ai quali aveva continuato a dare la multa nel suo primo anno
nella polizia di quella città. Sorride, ma lo sguardo cade
presto
altrove, quando la Fenrir scompare dietro una secondaria.
“Un
uomo onesto, un uomo probo
s'innamorò
perdutamente
d'una
che non lo amava niente.
Gli
disse -portami domani...-
gli
disse -portami domani...
Il
cuore di tua madre per i miei cani.-”
Ancora
note dal piano inferiore del locale. Note diverse rispetto a quelle
di prima. Quando si dice che una canzone rispecchia completamente lo
stato d'animo di qualcuno. Tifa si sentiva proprio così.
Come
quell'uomo innamoratosi perdutamente di una donna che nemmeno lo
considera. Solo che lei non era onesta. Con se stessa né
tanto meno
con Cloud.
E
non poteva definirsi proba. Però non era stato il cuore di
sua madre
ad andare in pasto ai cani. Lei si sente così. Come se
quell'organo
che a tratti sa essere tanto pesante, le fosse stato strappato dal
petto e dato in pasto a dei cani affamati.
E'
lì: con la testa ancora appoggiata al vetro della finestra.
Ad
osservare il proprio riflesso che si ripete come infranto mille e
mille volte ancora. Palpebre abbassate a richiamare a sé
ricordi. A
scacciarli. A farle tornare di nuovo la sua espressione di composta
serietà e gentilezza. E quando si rialzano, lei osserva la
finestra
e due occhi scuri la guardano a loro volta. Due occhi rossi che,
umidi, minacciano lacrime: il suo tentativo di tornare in sé
è
fallito.
Le
trattiene.
Le
respinge.
Le
scaccia.
Poi
si gira verso la porta che in poche rapide falcate supera e se la
richiude dietro.
Il
7th
Heaven deve comunque aprire.
Beh, che dire?
Volevo creare un'atmosfera intima tra Cloud e Tifa, ma temo di non
esserci proprio riuscita, visto che finiscono per litigare
<.<"""
Le due canzoni citate sono per l'appunto "Lemon Crush" di Prince, che
da il titolo anche al racconto, e "la ballata dell'amore Cieco" del
grandissimo Fabrizio de Andrè.
Grazie a tutti quelli che leggono. **S'inchina**
|
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Capitolo 7 *** Track 6: If I were a Boy... (If you were a Girl) ***
Track
6. If I were a Boy...
If
you were a Girl
Bang.
Un
colpo di pistola.
Bang.
Un
altro. Due. Due semplici spari che vanno a segno portandoti via
quanto avevi di più prezioso.
Fa
male ricordare, vero Cloud?
Ti
lasci trasportare al piano superiore della centrale come un manichino
privo di vita. In piedi, da solo in quell'ascensore provo
completamente di calore. Calore umano, intendo. Non quello delle
ventole dell'aria calda. Hai sempre la testa alta, però. Vai
avanti
dritto, seguendo la tua strada. Ti trascini con cieco orgoglio, come
un bruco che ancora non ha il coraggio di divenire una crisalide per
poi librarsi come una farfalla. Ti fa tanta paura, il volo? Tra le
mani niente, se non le chiavi della Fernrir con quelle due fedi con
cui ti ritrovi a giocare distrattamente. Aerith, con me, ti sta
osservando da un po'. Sono tre anni che ti osserva. Che ti guarda con
una muta speranza negli occhi. Ti si avvicina lentamente,
appoggiandoti una mano sul braccio, restandoti accanto come una
colonna a sorreggere il tuo corpo. Glielo lascio fare. Alla fine, per
te lei è stata come un Angelo Custode. Tifa, la tua ragione.
Lei la
tua forza. Sono due pezzi importanti di te entrambe. Io? Sai che non
so darmi un ruolo nella tua vita? Direi che se potessi sceglierlo,
sarebbe la spalla. Su cui ridere. Piangere. Mi davi tu gli spunti per
le mie battutine più sagaci, amico mio.
-Ae,
dagli una scossa.- Imploro quasi quella che avrebbe dovuto essere mia
moglie, andando a ciondolare le braccia lungo i fianchi, esasperato,
concedendomi un sospiro rassegnato, prima di affiancarla e di
affiancare pure il biondino dalla parte del braccio sul quale ancora
tiene la
mano. Lei mi appoggia la testa sulla spalla lasciata nuda dalla
canottiera che porto e io non posso fare altro che posare il capo
sopra il suo.
-Oggi
qualcosa cambierà.- Mi assicura andando a sorridere gentile,
come
sempre. La voce calda e musicale che mi arriva alle orecchie e che
è
qualcosa di simile ad una boccata d'aria nei polmoni. Sempre che
un'anima abbia dei polmoni. Le concedo un verso gutturale molto alla
Cloud Strife, tanto che la sento sbuffare. Uno sbuffo che ricorda una
risata sommessa. Trattenuta. Ed io mi ritrovo a scuotere il capo.
Veggente. Beh, d'altronde c'era chi ipotizzava che i morti potessero
vedere il futuro. Lei, chissà perché, aveva
questa dote anche in
vita. Lei ed i suoi presagi.
-Lo
spero. Sono stufo di vederlo in questo stato. Ci ha fatto una
promessa e non la sta mantenendo.- Mi lamento. Non è da me,
lo so.
Però se potessi tirare uno scappellotto su quella testa di
riccio,
lo farei più che volentieri. Magari si darebbe una
svegliata. Aerith
si limita a voltarsi verso di me regalandomi un'espressione di dolce
rammarico. Nemmeno a lei va a genio che vada avanti così. Ci
sta
male almeno quanto me. Vedo la sua mano scivolare lentamente via dal
braccio del poliziotto qualche istante prima che le porte
dell'ascensore si aprano per lasciar entrare una persona. E' un uomo.
Moro. I capelli lisci e lunghi, tanto che gli ricadono disordinati
anche davanti agli occhi. Occhi di un colore che ricorda quello delle
braci. Ha un cappotto a collo alto addosso. Rosso. Monotono il
ragazzo! Ci metto qualche istante a carburare mentre l'osservo. E mi
fa quasi strano, perché piuttosto che guardar Cloud, lui
sembra
guardare me ed Aerith che ci scambiamo occhiate perplesse, con la
coda dell'occhio. Dopo qualche attimo ci arrivo. Vincent Valentine.
Era uno dei nostri migliori agenti. Solitamente agiva in borghese,
mescolandosi con quelli della malavita locale. Osservo il viso del
biondino che si sposta appena per fargli spazio, limitando al minimo
i rapporti sociali ed il contatto con le altre forme di vita. Ha
l'espressività di un sasso scolpita sul volto marmoreo.
Anzi, direi
diamantino,visto che non si inclina nemmeno se gli dai una
scalpellata. Guardo poi la mia dolce metà in una tacita
preghiera,
mentre la sua immagine traballa appena, quando il moro la sfiora.
-Proprietà privata. Non si tocca.- Lo
so. Blatero a vuoto
rivolgendomi così a Vincent, ma che ci posso fare? Le mie
braccia
corrono veloci ad avvolgere il corpo impalpabile della giovane Cetra,
stando ben attento a dosare la concentrazione ed i movimenti,
così
da non trapassarla con le braccia, e la tiro lentamente a me, mentre
la sento ridere. La faceva ridere anche quando eravamo vivi, la mia
gelosia. La facevo ridere io in generale, in realtà. Ma
almeno le
sue non erano mai risate di scherno. E di nuovo mi sorprendo nel
sentire lo sguardo del trasformista su di me, rivolgendogli un
sorrisetto ironico: tanto non mi può vedere.
-Cosa
ci fai qui, Vincent?- La voce di Cloud riempie l'abitacolo
sorprendendomi ancora di più dello sguardo che l'uomo a
rivolto a me
ed alla mia ragazza per la velocità con la quale ha parlato.
Tutti e
tre puntiamo gli occhi sul biondino, osservandolo chi perplesso chi,
come me, come se fosse appena avvenuto un miracolo ed un fascio di
luce divina lo stesse illuminando. Cloud Strife che, per quanto
svogliato, inizia un discorso, è cosa più unica
che rara. Il
diretto interessato l'osserva con un'occhiata acuta, prima di
concedersi di aprir bocca.
-Sono
un poliziotto anche io, fino a prova contraria.- Gli fa giustamente
notare preparandosi ad uscire, andando ad osservare le porte
scorrevoli. Gli occhi mi cadono su un particolare. Lasciando da parte
il fatto che ha due meravigliose pistole tenute legate alle gambe,
sulle fondine; il suo braccio sinistro è completamente
meccanizzato.
Ricorda vagamente degli artigli. E' la prima volta che lo noto. Salgo
un po' con lo sguardo fino ad arrivare dove voglio. E' saldato alla
pelle. Non sapevo avesse una protesi. Se così la si
può definire.
Ora mi spiego anche il perché del soprannome
“Demone” con il
quale spesso lo chiamavano con disprezzo ed invidia alcuni colleghi.
-Ho scoperto da dove viene “Jenova”.- Gli spiega ed
in tre
andiamo a tendere le orecchie, attenti. E' un fremito quello che
percorre Cloud. L'ho visto bene e l'ha visto anche Aerith, dato che
di nuovo allunga una mano per posarla sul suo braccio con morbida
delicatezza. Deve essersene accorto anche il nostro informatore,
visto che attende un qualche segno di vita più espressivo da
parte
del biondino. O così sembra, almeno.
-Jenova.
Quindi anche... Lui.- Sputa a fatica quel pronome. Lo fa quasi con
ribrezzo, tanta enfasi ci mette. Eh, sì tesoro. Oggi davvero
cambia
qualcosa. Vincent è riuscito a farlo sussultare e schifare
il tutto
nel giro di due minuti. Complimenti davvero! Aspetta un attimo. Ma
questo ascensore non ci sta mettendo trop..? Uno scossone e
l'abitacolo cessa completamente la sua lenta ascesa, tenendoci tutti
e quattro intrappolati. I due colleghi non paiono prestare troppa
attenzione in un primo momento, visto che le porte vengono aperte
quasi immediatamente, forzate, più o meno. Stridono
emettendo un
rumore fastidioso. Il Demone però dissente con il capo,
provocando
un leggero frusciare di capelli contro la stoffa dell'impermeabile.
-Per
ora ho avuto modo di vedere solo Kadaj.- Ammette andandosi ad
arrampicare sul mezzo metro di cemento che lo divide dal piano. Non
fa una piega, sul fatto che l'ascensore si sia bloccato a
metà del
piano, anziché finire la sua corsa dove avrebbe dovuto.
Quell'aggeggio ha sempre dato problemi. Così come non la fa
nemmeno
Cloud, troppo immerso nel suo rancore e nei sensi di colpa. Segue
Vincent poco dopo, decidendosi solamente quando le voci dei colleghi
lo raggiungono alle orecchie. Ma soprattutto quando il nostro
meccanico di fiducia da che lavoravamo lì, non se lo carica
sulle
spalla di peso, senza che il poliziotto possa emettere un fiato per
protestare e non lo scarica dritto davanti al nostro capo sezione. Li
convoca entrambi nel suo ufficio, lui ed il moro. Ha l'aria seria,
rispetto alla solare cordialità che mi ricordo io. Faccio
per
seguirli, ma la mano di Aerith mi frena, avvinghiandosi delicatamente
al mio braccio. Quando mi giro verso di lei per protestare, posso
vedere un'espressione sconvolta sul suo viso. Scuote il capo con
dissenso, ed in poco la posso veder dissolversi davanti ai miei
occhi. Sta succedendo qualcosa di grave da qualche altra parte: non
ci sono spiegazioni per il suo comportamento insolito, altrimenti. Mi
ritrovo combattuto tra il seguire la mia lei ed il continuare a far
da scorta al biondino dall'aria tesa che scompare dietro una porta.
Alla fine la decisione non la prendo io, ma Aerith che torna indietro
e sembra trarre un sospiro di sollievo.
-Non
capisco mai quando sono visioni di ciò che deve accadere. O
di ciò
che sta realmente accadendo.- Mi spiega, senza in realtà
spiegarmi
nulla. Probabilmente lei deve rendersi conto anche della mia
perplessità, perché mi sorride dolcemente,
seppure sia un sorriso
un po' di plastica, afferrandomi la mano accorta. Un'attenzione
però
distratta, portata solo dall'abitudine di quei tre anni passati in
forma di pura anima.
-Cos'hai
visto?- Le chiedo andandola a tirare a me, avvolgendola tra le mie
braccia mentre la gente, ignara di noi, ci pazza attraversi facendo
tremolare le nostre figure. Eppure noi non avvertiamo il loro tocco.
Loro invece, sembrano sentire la nostra presenza. Quella sensazione
di freddo che ti entra nelle ossa facendoti scorrere un brivido lungo
la spina dosale. Sarei curioso di farlo a Cloud. Vorrei vedere come
reagirebbe.
-Succederà
qualcosa di brutto. A Tifa. E ai bambini. Dobbiamo avvertirli.- La
sento tremare. Certo, è solo una sensazione che percepisco
perché
più d'una volta l'ho sentita tremare tra le mie braccia,
seppure in
occasioni ben più piacevoli. Me lo immagino, ma la sua
figura trema
davvero tra le mie braccia, vibrando leggermente, nonostante nessuno
ora come ora che sia passato attraverso. Ci metto un po' a capire
quanto mi viene detto, lo ammetto.
-Cosa?-
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