Opposites attract

di WindGoddess
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** We watch the show(s), we watch the stars ***
Capitolo 2: *** Open mind for a different view and nothing else matters ***
Capitolo 3: *** Keep in touch with mama kin ***
Capitolo 4: *** I wanna be your boyfriend ***



Capitolo 1
*** We watch the show(s), we watch the stars ***


.:1:.

We watch the show(s), we watch the stars

 
 

Baby, seems we never ever agree

You like the movies

And I like TV,

I take things serious

And you take ‘em light,

I go to bed early

And you party all night

 

 

< Scordatelo, Cartman >.

Dall’altro capo del telefono, dopo aver alzato gli occhi al cielo ed aver sussurrato un “E ti pareva”, Eric sbuffò sonoramente, avvertendo la sensazione di un imminente discussione nell’aria.

< Che vuol dire “scordatelo”? > rispose stizzito, < C’è un film al cinema che voglio vedere e stasera ci andiamo, punto >

< No che non ci andiamo! Non mi va di uscire e voglio vedere un film in tv! >

< Non fare l’ebreo spilorcio, è sabato! Uno dei pochi che possiamo passare da soli, tra l’altro, quindi col cazzo che ci rinchiudiamo in camera tua! >.

Eric alzò la voce, anche se non era quella la sua intenzione. Sbuffando nuovamente si appoggiò con la spalla contro il muro, lottando per un breve secondo contro il filo del telefono che gli si era attorcigliato a un braccio. Aveva creduto di poter passare una bella serata da solo con Kyle dopo tanto tempo… e invece quel testardo non aveva affatto le sue stesse intenzioni. Erano ormai tre mesi che stavano insieme ma tra la preparazione degli esami finali a scuola – dopo i quali, finalmente, avrebbero preso quel benedetto diploma! – e gli amici che non sembravano affatto avere intenzione di lasciarli per una volta soli, non avevano avuto che poche occasioni per stare insieme come si deve. Nonostante questo desse piuttosto fastidio ad entrambi, a Kyle non era passato nemmeno per l’anticamera del cervello che, almeno una sera ogni tanto, avrebbero potuto congedarsi educatamente dagli inviti degli altri usando la scusa – peraltro veritiera – di voler fare tutt’altro in altro luogo e, soprattutto, da soli. Eric era più che convinto che il ragazzo ebreo avrebbe cominciato a buttare giù lamentele su lamentele se lui avesse avuto anche solo l’ardire di proporre una cosa del genere. Qualsiasi motivazione più che giusta lui avrebbe tirato fuori, l’altro avrebbe di sicuro ribattuto che non se la sentiva di dare buca a Stan, che di sicuro, una volta entrati al college, avrebbero avuto poche occasioni per stare tutti insieme e che, quindi, era meglio approfittare di quei pochi giorni rimanenti o gli altri si sarebbero potuti offendere, eccetera eccetera, stronzate di questo tipo. Non sapeva, Kyle, che ormai loro due erano diventati oggetto delle beffe di Kenny, il quale domandava con fin troppa insistenza quand’è che sarebbe diventato zio, rispondendosi subito dopo con un sonoro “Mai” seguito da una fragorosa risata. Persino Butters aveva confessato timidamente che per lui non faceva differenza se qualche sera non sarebbero usciti tutti e cinque ma in tre, e quel punto Eric si era davvero sentito uno sfigato. Se si era giunti al punto che persino Strachecca potesse fargli certi tipi di osservazioni, allora la sua situazione doveva davvero essere penosa. Ma, proprio quando stava cominciando a pensare che, in fondo, trascinarsi Kyle in giro per South Park legato e imbavagliato non era poi un’idea tanto malvagia, ecco che accade il miracolo: in una sola sera Butters si becca la febbre, Wendy chiama Stan dicendo di avere la casa completamente vuota e Kenny manda tutti elegantemente a cagare per un appuntamento con una ventitreenne svedese – dove diavolo fosse andato a beccarla, poi, era ancora un mistero-. Questa è ciò che, in gergo, si chiama “gigantesca ed irripetibile botta di culo” ed Eric, di fronte a tanta sfacciata fortuna, non aveva perso un solo minuto di tempo, andando subito a controllare i film in proiezione al cinema con relativi orari e pregustandosi una serata tranquilla fuori ma, per lo meno, soli.

Kyle, invece, aveva pensato l’esatto opposto. E quando mai.

< Cartman, ma siamo solo noi due! Ci annoieremo! >

< Molto carino da parte tua. Se sono tanto noioso come mai stai con me? >

< N-non volevo dire questo! >

< Sul serio? E cosa volevi dire, allora? >.

Sentì distintamente Kyle ringhiare, dall’altro capo del telefono.

< Voglio solo vedere quel film in tv! Non ci vengo, al cinema, e tu verrai qui da me! >.

Eric sapeva che era inutile tentare di fargli cambiare idea con i mezzi tradizionali, per cui decise di seguire una via un po’ più subdola. Negli ultimi tempi aveva drasticamente ridotto il numero di dispetti, offese e prese in giro varie nei suoi confronti – per motivi fin troppo ovvi -, ma per quella volta decise che avrebbe benissimo potuto trasgredire il suo fioretto personale.

< E va bene, allora vengo da te. Magari, se sono fortunato, avrò anche l’occasione per fare due chiacchiere con tua madre > mormorò, con voce più bassa e tono dispettoso.

< Che vorresti dire? >

< Suppongo che ancora non sappia niente… giusto? >

< Non farti venire in mente nessuna cazzata culone, ho capito dove vuoi andare a parare! Qu-questo si chiama ricatto! >

< Ricatto? Mi reputi capace di una cosa simile? > chiese Eric con tono offeso e spudoratamente sarcastico.

< Sì, e anche di molto peggio, indescrivibilmente peggio! Ma sappi che con me questi tuoi trucchetti del cazzo non funzionano! Guai a te se ti lasci scappare una sola sillaba! >

< Kyle, queste tue accuse mi feriscono mortalmente. Che male ci sarebbe nel fare due innocenti chiacchiere con la tua mammina? >

< S-smettila di fare il cretino! Lo sai che… glielo dico prima o poi, eh! Ho bisogno di un altro po’ di tempo, te l’ho detto… e poi non ne avresti il coraggio, no che non ce lo avresti  e… mi dai fastidio quando fai così! Te lo ripeto: guai a te se… >, ma Eric lo interruppe, approfittando del chiaro tentennamento dell’altro.

< Ma come, non saresti felice se lei sapesse di noi? >

< Smettila, cretino! Mi sto incazzando! >

< Non saresti più contento se lo sapesse subito? Non sarebbe tutto più facile? Non ti toglieresti un enorme, gigantesco macigno dallo st- >, e questa volta fu lui a venire interrotto. Prima da un ringhio, poi da parole urlate con tono sgradevolmente acuto.

< Va bene, va bene, VA BENE! Ci vengo al tuo fottuto cinema, cazzo! >.

Il fatto che, subito dopo, si fosse sentito chiudere il telefono in faccia con fin troppa rabbia non toccò minimamente Eric. Posò la cornetta poggiandola delicatamente sul ricevitore con un sorriso soddisfatto stampato in viso. Nonostante la carta “Lo dico a Sheila Broflovski” fosse rischiosa, insidiosa e per nulla piacevole da usare, ancora una volta aveva funzionato.

 

**********

 

< Dillo >

< Cosa? >

< Lo sai >

< No culone, non lo so >

< Che il film ti è piaciuto >.

Kyle, per risposta, gli diede un pugno sulla spalla, allontanandosi poi da lui di pochi passi. Eric sorrise, massaggiandosi il punto colpito e facendosi spazio tra le persone che, in quel momento, stavano uscendo dalla sala per poterlo raggiungere.

< Veramente avevo pensato più ad un “Sì Cartman, hai ragione come al solito” >

< Fottiti! > urlò Kyle, voltandosi e guardandolo furente. 

< Mamma mia, quanto sei scontroso. Perché non lo ammetti, piuttosto che fare sempre l’ebreo acido? >

< Mi è piaciuto, va bene? E adesso che l’ho detto spero tu sia contento e non mi scassi più le palle! >.

< Visto che non ci è voluto niente? Potresti anche evitare di fare di ogni cosa una polemica, ogni tanto >

< E tu potresti anche smetterla di prendermi in giro, una volta per tutte! >

< Dovresti imparare da me, sai? Cerca di essere più rilassato, sembri sempre uno che ha mangiato un chilo di sale a colazione! >.

Kyle aprì la bocca per rispondere, ma poi la richiuse abbassando lo sguardo, mortificato da quelle parole. Non che volesse dare ragione ad Eric, però non poté negare di essersi sentito punto nel vivo. Era vero, spesso le sue risposte, anche a provocazioni minime, erano fin troppo infervorate e sgarbate. Ma cosa poteva farci, se quello era il suo carattere? Senza contare, poi, che questo suo atteggiamento risultava terribilmente amplificato se era proprio Eric a prenderlo in giro, anche se, a dire il vero, non ci sarebbe stato nulla di cui meravigliarsi. Fin dal primo giorno in cui si conobbero, il primo anno d’asilo, il loro rapporto era sempre stato basato su un assiduo e costante litigio correlato a prese in giro piuttosto pesanti e dispetti vari, chiunque avrebbe potuto confermare. Persino ora che stavano insieme non potevano fare a meno di accapigliarsi per delle sciocchezze. Forse era proprio quello il punto, la questione che più irritava Kyle. Dannazione, si erano innamorati l’uno dell’altro, dichiarati e messi insieme e… non era cambiato quasi nulla, possibile?! Certo, il sentir uscire dalla propria bocca le parole “Mi piaci, cazzo” dirette ad Eric Cartman e dalla sua la risposta “Anche tu, purtroppo”, aveva rappresentato già di per sé un fatto di importanza eccezionale e di sicura imprevedibilità, ma era implicito nei loro caratteri che tutto dovesse rimanere così dannatamente statico? Possibile che non ci fosse verso di rendere il loro rapporto non idilliaco e costellato di nomignoli, regalini e cazzate varie, ma solo meno caustico? Certo era che, a vederli insieme, ricordavano due cani randagi che si litigano un osso completamente spolpato: nessuno dei due saprebbe cosa farsene, eppure entrambi ne reclamano la proprietà. Per principio. Ad Eric, infatti, avrebbe fatto decisamente piacere passare il sabato sera sul letto in camera di Kyle, possibilmente con casa Broflovski deserta e, per precauzione, la porta della stanza sbarrata. Quella serata, tuttavia, la vedeva decisamente troppo preziosa, in quanto rara, per passarla chiusi dentro. Lui non era caratterialmente un tipo a cui piaceva passare il sabato sera in casa in tuta e ciabatte a guardare la tv, per questo voleva uscire e avere l’occasione di passeggiare con Kyle in maniera disinvolta e disinteressata per le strade di South Park senza dover prendere Kenny a calci ogni trenta secondi per farlo smettere con gli sfottò e, soprattutto, senza Stan che monopolizzava le orecchie del suo ragazzo riempiendole con continui lamenti sull’ultimo litigio con Wendy. Come al solito, puntualmente, le sue buone intenzioni, già di per loro rare, erano state non travisate, ma non carpite affatto. Senza contare, inoltre, che a Kyle il film era piaciuto per davvero, quindi che diavolo aveva da lamentarsi?! Avendo però notato il leggero rossore di cui si erano colorate le sue guance all’ennesima battuta sul suo carattere acido, Eric decise che, per quella sera, i battibecchi potevano anche concludersi lì. Stettero quindi entrambi in silenzio per una manciata di secondi, il tempo di arrivare alla macchina di Eric. Fu solo quando entrambi si furono seduti ed ebbero chiuso le portiere che Kyle si decise a parlare per primo.

< Non capisco perché hai insistito a venirmi a prendere con la macchina. Bastavano dieci minuti a piedi da casa tua, per arrivare al cinema > disse tranquillamente, come se non avessero mai discusso. Un’altra delle caratteristiche del loro rapporto, infatti, era proprio quella: potevano essere sull’orlo di uccidersi a vicenda ed essere perfettamente capaci di parlare, appena pochi minuti dopo, come se nulla fosse successo. Quella constatazione, neanche a farlo apposta, un pochino lo rincuorò. Il rombo del motore coprì le sue ultime parole, ma Eric lo sentì ugualmente.

< Voglio andare in un posto tranquillo > rispose, immettendosi subito sulla strada e accelerando improvvisamente, la meta ben fissata nella testa.

< Dove vorresti andare, così di corsa? Guarda che è quasi mezzanotte e… stiamo uscendo dal paese? > chiese ad un tratto Kyle stupito, accorgendosi di essere sulla strada che portava allo stagno di Spark. Rimase un attimo interdetto, non avendo la più pallida idea di cosa andassero a fare lì a quell’ora. Tuttavia, quando notò che la macchina puntava dritta verso il bosco, un’idea ben precisa cominciò a farsela. Questo, nemmeno a dirlo, lo allarmò un bel po’.

< Oh no, non ci pensare proprio! > esclamò, nervoso.

< Che palle, ma sei sempre a protestare? Ti ho già detto che voglio andare in un posto tranquillo, non approfittiamo stasera che non ci sono gli altri non riusciremo mai a stare- >

< Cartman! Dove vuoi andare tu ci vanno le coppiette a scopare! > lo interruppe, brusco, marcando con decisione le ultime due parole e venendo puntualmente ignorato. Sussultò addirittura quando, arrivati ad una piccola radura nascosta da alberi e cespugli, vide ben tre macchine a circa un paio di metri di distanza l’una dall’altra, con i lunotti e i parabrezza completamente appannati e gli altri finestrini coperti alla bell’e meglio da cappotti, felpe e magliette varie.

< Ecco, lo sapevo! Altro che “posto tranquillo”! >

< Ma veramente non- >

< Non ci voglio stare qui! Dove diavolo mi hai portato? Portami a casa che è tardi, non ci penso proprio a sottostare a qualche tuo desiderio perverso! > prese a urlare, credendo di aver intuito quali fossero le intenzioni di Eric. Certo, doveva ammettere che a lui avrebbe fatto più che piacere “sottostare”, negarlo sarebbe stato stupido. Il problema, tuttavia, non era cosa avrebbero fatto, ma proprio dove lo avrebbero fatto! L’idea di fare certe cose lì, così vicino ad altre persone, in una macchina nascosta tra cespugli e sterpaglie, lo imbarazzava e lo ripugnava. Va bene che non erano una coppia di schizzinosi che pretendevano il letto ad ogni costo per fare qualsiasi cosa, ma se proprio dovevano finire per vivere la loro intimità in quel posto a quel punto sarebbe stato meglio se fossero rimasti a casa sua, no? Ebbe ovviamente premura di informare Eric sulla natura dei suoi pensieri, ma le sue urla erano talmente alte e acute che il poveretto dovette faticare non poco per evitare di lasciare il volante per tapparsi le orecchie.

< Che diavolo urli, porca puttana! > esclamò arrabbiato e con le orecchie che gli fischiavano.

Kyle stava per replicare ancora, ma si zittì quando notò che, a dispetto delle sue previsioni, non si stavano affatto fermando in mezzo a quelle macchine, ma anzi, le superarono velocemente per imboccare una stradina stretta e tortuosa.

< Dove… dove diavolo mi stai portando? > chiese, sempre allarmato ma ora anche decisamente incuriosito. Perché, c’era da dire, il fatto di non riuscire a capire sempre cosa passasse per la mente di Eric gli dava fastidio, eppure risvegliava in lui una curiosità spropositata. Quant’era fastidioso essere sempre dominato da due sentimenti contrastanti in sua presenza! Da canto suo, Eric non rispose, concentrato com’era nella guida, e fortunatamente l’altro smise anche di fare domande. Dopo pochi minuti si ritrovarono in un’altra piccola radura, ma dalla parte opposta dello stagno. Kyle si guardò intorno, con gli occhi sgranati. Circondata dalle nuvole e da un alone pallido e sfocato, la luna aveva un aspetto decisamente inquietante. La forte luce giallastra colpiva lo stagno, che sembrava bruciare a causa delle increspature dell’acqua. Gli alberi che circondavano lo specchio d’acqua, ricoperti da foglie solo per metà, issavano i loro rami rinsecchiti al cielo come fossero grotteschi spaventapasseri. Tutto attorno a loro, solo silenzio e buio. La parola che venne in mente a Kyle per descrivere quel posto fu solo una: lugubre.

< Era… era qui che volevi arrivare? > chiese, non senza un tono fortemente stupito.

L’altro annuì per risposta, guadagnandosi un’occhiata di rimprovero.

< Se volevi fare il romantico non ci sei riuscito per niente. Questo posto è terribile, sembra il set di un film horror! > esclamò, ma non diede tempo per le repliche. Si liberò in fretta della cintura di sicurezza, lanciandosi letteralmente verso Eric per poterlo baciare.

< Mi piace, è una ficata > sussurrò, a fior di labbra, con un ghigno furbetto e l’animo più rilassato.

< Non ne dubitavo >

< Mi hai fatto pensare chissà cosa, stronzo >

< Me n’ero accorto, ma avevo pensato di farti una piccola sorpresa >

< Hai uno strano modo di sorprendere le persone, sai?>.

Un altro bacio, più profondo e più lungo. Solo silenzio, attorno a loro. Kyle gongolò dentro di sé. Decisamente Cartman non avrebbe potuto concludere la serata in modo migliore. Non ci era mai stato, in quel posto, per lo meno non a quell’ora. Ringraziò quindi mentalmente quel ciccione che però, con la sua mania di non dire mai le cose, per qualche minuto lo aveva fatto seriamente preoccupare.

< Però > mormorò poi, < È passata la mezzanotte. Non dovresti accompagnarmi a casa? >

< Ancora? Guarda che non c’è scuola, domani > puntualizzò Eric.

< Lo so perfettamente > sbottò acido, < Solo, io vado a dormire presto, la sera. Non come te, che se non si fanno le due del mattino non prendi sonno >.

Il tono si era addolcito, facendo diventare quell’esclamazione un affettuoso rimprovero, ma poi Kyle notò che l’espressione dell’altro si era fatta… maliziosa?

< Beh, mi sa che stavolta farai tardi anche tu >.

Non fece in tempo a replicare che la sua bocca venne chiusa da quella di Eric, che repentinamente abbassò il sedile del passeggero e lo spostò più indietro. Con una certa fretta cominciò anche a sbottonargli il colletto della camicia, per poter poi lasciargli piccoli baci sul collo. Kyle dovette ammettere a sé stesso che, lontano da una squallida piazzola in mezzo ad altre macchine, quella situazione non gli dispiaceva affatto, anzi. Era decisamente raro che potessero permettersi certe… coccole, che poi gli avevano fornito un’ottima e soddisfacente risposta alla domanda: “Perché diavolo dovrei stare con Eric Cartman?”.

‘Perché mi eccita per quanto è stronzo. Ecco perché’ pensò, soffocando una risata con uno sbuffo. Tuttavia, nonostante l’eccitazione stesse cominciando a sentirla per davvero, non poté fare a meno di terrorizzarsi al pensiero che, il giorno dopo, se non avesse trovato un metodo efficace per nascondere il collo e le spalle, sua madre avrebbe di certo preteso di sapere non solo dove si era procurato l’innumerevole quantità di morsi e succhiotti che, lo sentiva, gli sarebbero presto comparsi addosso, ma soprattutto come. E mentre si deliziava nel sentire la sua pelle così piacevolmente torturata, si chiese se non fosse il caso di domandare a Eric se avesse ancora l’abitudine di tenere nascosto il fondotinta nel cassetto della scrivania, come quando era alle elementari e si travestiva da donna più spesso di quanto un bambino di quell’età dovesse fare. Ma questo, ovviamente, avrebbe potuto benissimo chiederlo dopo.


*********************

Note dell'autrice

Primo capitolo di un progettino che mi stuzzicava da un po' di tempo.
Una raccolta di one-shots, ognuna ispirata da una strofa della canzone "Opposites Attract" di Paula Abdul, una canzone che si discosta un po' dai miei gusti ma che mi piace e mi mette allegria, inoltre il video è molto simpatico.
Il mio obiettivo è quello di scrivere delle storie che mettano in luce il conflittuale rapporto tra due entità completamente distinte e separate, ovvero quelle di Eric e Kyle, e al contempo mostrare che il vecchio detto "Gli opposti si attraggono" -che è anche il titolo della canzone, appunto- non è campato in aria, eh! Proprio come dice la canzone, insomma. Può sembrare un po' cliché come cosa, ma chi può dire che non sia effettivamente così?
E dunque, se non si fosse ancora capito o qualcuno non avesse letto l'introduzione, è una raccolta completamente Kyman.
Slash, slash e ancora slash, ebbene sì, signori!
Il titolo che ho scelto per questa one-shot, tratto da "Radio Ga Ga" dei mitici Queen, è da tradurre "Guardiamo gli spettacoli, guardiamo le star", ovvero i cantanti che fanno i video musicali.
Ma, poiché non è certamente il significato migliore per questa storia, lo si può tranquillamente vedere come "Guardiamo gli spettacoli, guardiamo le stelle", che trovo fosse molto azzeccato. Cacchio, se sono pignola...
Vi invito, come al solito, ad andare su Youtube ad ascoltare le due canzoni che son molto carine e ne vale la pena :)
Ecco la traduzione della prima strofa di Opposites Attract (che ho leggermente modificato per dare l'impressione che parlasse Kyle) :

Baby, sembra proprio che non andiamo mai d'accordo
A te piacciono i film
E a me piace la Tv
Io prendo le cose seriamente
E tu alla leggera
Io vado a letto presto
E tu festeggi tutta la notte

Ripeto quello che ho già scritto nell'introduzione: dedico tutta, ma proprio tutta, questa raccolta a Setsuka, dalla prima all'ultima parola, punteggiatura e spaziatura comprese.
Perché le voglio bene e... perché sì.
Un bacio a chi legge, chi commenterà e chi leggerà senza commentare.
Un bacio enoooooorme a chi ha commentato, letto e messo tra i preferiti "The way you smoke" nel fandom di Bleach e "The Spirit Carries On", anche alla dolce Dimea, ebbene sì XD
Che nobile animo, che ho XD
Comunque, scusate la prolissità e... di nuovo, grazie davvero.

WindGoddess 







 

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Capitolo 2
*** Open mind for a different view and nothing else matters ***


Nvu

.:2:.

Open mind for a different view and nothing else matters

 

 

Our friends are sayin'
We ain't gonna last
’Cause I move slowly
And baby you’re fast
I like it quiet
And you love to shout
But when we get together
It just all works out

 

 Per il suo primo appuntamento con Kyle, Eric si era messo seriamente d’impegno a programmare ogni cosa nei minimi particolari. Non che ci fosse molto da programmare, a dire il vero.

Si sarebbero incontrati direttamente di fronte al cinema alle 7:30 p.m. in punto, avrebbero visto “Shutter Island”, sarebbero andati a mangiare al KFC e poi, prima di tornare a casa, sarebbero passati per la caffetteria dei Tweak per un caffé e un dolce.

Semplice, lineare, senza una sbavatura o una qualche proposta che sarebbe potuta essere messa in discussione. Era sicuro, quindi, che sarebbe filato tutto liscio come l’olio. Come no.

In quel preciso momento, ripensando a tutto questo e soprattutto a quanto si era sentito stupido nel constatare che sì, era decisamente emozionato al solo pensiero di uscire finalmente con Kyle, Eric si guardò un attimo attorno per fare il punto della situazione.

Era di fronte al cinema: bene.

Erano le sette e mezzo in punto, non un minuto di più: bene.

Erano lui e Kyle: più che bene.

C’era Kenny: male.

C’era anche Stan: malissimo.

< Non credo d’aver capito bene: cos’è che ci fate voi qui? >

< Il cinema non è di tua proprietà, culone. Ognuno può venirci quando più gli pare >

Eric sollevò un sopracciglio nel sentire le parole di Stan, pronunciate tra l’altro con un tono talmente scontroso che se in quel momento ci fosse stata la finale del premio “Il più acido del mondo”… diavolo, probabilmente non sarebbe stato Kyle a vincere!

< E a te proprio stasera è venuta voglia di vedere un film, non è così? >

< Hai qualche problema? >

Che perspicacia”, pensò Eric, palesando però soltanto una smorfia divertita. Certo che ce l’aveva, un problema. Era alto un metro e settanta circa, aveva i capelli neri e lisci, una fidanzata in corsa per diventare santa, portava il nome di Stanley Marsh. Il suddetto problema, d’altro canto, doveva aver intuito la decisa nota di scherno della sua reazione, considerando che si era avvicinato a lui di qualche passo con un cipiglio piuttosto arrabbiato.

< Ti ho chiesto se- >

< Stan, non c’è bisogno di litigare. Ormai ci siamo, vediamo insieme questo benedetto film e siamo tutti contenti, no? >

Eric mise una mano sulla spalla di Kyle, messosi in mezzo ai due litiganti per sedare ogni possibile battibecco sul nascere. Al litigante, per essere precisi, visto che uno dei due aveva avuto il buon senso di non far presente all’altro che aveva appena rovinato un appuntamento, cosa che di certo avrebbe potuto scatenare una rissa.   

< Sì Stan, godiamoci questo bel film tutti assieme > esclamò soltanto, dirigendosi immediatamente alla biglietteria per evitare di venire ulteriormente risposto. Fece due biglietti, uno per sé e uno per Kyle, e si congedò dagli altri con la scusa di voler andare a fare la fila per i pop-corn. Aspettando il suo turno davanti al bancone ebbe tutto il tempo di ricamare nella sua testa una sfilza di offese dirette a Stan e, al contempo, di pensare ad una piccola vendetta che certamente prima o poi si sarebbe preso.

Un mese. Tanto aveva aspettato prima che Kyle riuscisse a farsi entrare in testa che stare con una persona non equivaleva a darsi qualche fugace bacetto nascosti nell’ombra e fare finta di nulla davanti agli altri. Aveva insistito più volte, avevano discusso, Kyle aveva protestato urlando con quella vocetta stridula che si ritrovava perforandogli i timpani… ma alla fine si era convinto ad uscire con lui. Eric non ci sperava quasi più, ma a quanto pareva aveva cantato vittoria fin troppo presto. Il suo ragazzo, nella sua immensa ingenuità -giusto per non dire stupidità-, aveva infatti avuto la brillante idea di dire tutto al suo Super Migliore Amico del cazzo, finendo col farglielo ritrovare tra i piedi in un momento che sarebbe dovuto essere di certo non “intimo”, ma ci si sarebbe potuto avvicinare molto, volendo. La presenza di Kenny, invece, proprio non riusciva a spiegarsela, ma di certo non era lui a rappresentare il problema maggiore. Il ragazzo dietro al bancone lo richiamò alla realtà, porgendogli la sua porzione gigante di pop-corn affogati nel burro fuso. Eric pagò, fissando l’enorme confezione come se si aspettasse che essa gli potesse suggerire il modo più facile e doloroso per liberarsi di Stan, se non per sempre, almeno per quella sera. Avendo capito, dopo qualche secondo, che dai pop-corn non sarebbe mai arrivata la risposta sospirò sconfitto, deciso ormai a raggiungere gli altri -e non l’altro, cosa piuttosto fastidiosa da sottolineare- e a godersi per lo meno il film. Prima di entrare nella sala, però, volle comunque fare un’ ultima, piccola preghierina.

Fa’ che siano giusto quattro posti liberi e solo un paio vicini“.

Varcò la soglia con gli occhi chiusi, fiducioso che tutte le persone presenti quella sera nel cinema fossero lì per guardare il loro stesso film. Li aprì di colpo, pronto ad individuare quei due fantomatici e unici posti vuoti e occuparli seduta stante.

Gli bastò appena un decimo di secondo per rendersi conto che esisteva al mondo un unico appellativo adatto alla situazione in cui si trovava invischiato in quel momento: sfiga.

La sala era completamente deserta, praticamente tutta la gente si era riversata in quella adiacente a vedere chissà quale romanticheria. Altro che “due soli posti vicini”, avevano l’imbarazzo della scelta su dove sedersi! Per giunta, una volta deciso dove sistemarsi, Stan aveva fatto in modo che Kyle finisse esattamente tra loro due, evidentemente per tenerlo meglio sott’occhio. Certo, avrebbe potuto protestare e chiedere di cambiar posto, ma aveva decisamente troppa stima di sé stesso per poterselo permettere. Per quanto potesse essere egoista, narcisista, insensibile e anche un po’ viziato non era di certo più un poppante col moccio al naso, per cui giudicò fin troppo l’essere finito per lo meno vicino a Kyle, il quale, dal canto suo, gli concesse un “Mi dispiace” sussurrato un secondo prima che la sala si oscurasse e partissero i trailer. A quel punto Eric decise di deporre le armi e mettersi il cuore in pace, rosicandosi il fegato in silenzio e contando di far scontare il tutto a Kyle il prima possibile in modi decisamente piacevoli. Per lui, almeno. Gli era persino passata la fame, tanto che diede l’enorme confezione di pop-corn a Kenny senza averne toccato uno, con sentiti ringraziamenti di quest’ultimo. Così, senza null’altro che potesse fare, cercò per lo meno di concentrarsi sul film e goderselo, riuscendo a stare tranquillo per una ventina di minuti circa e avendo modo di apprezzare notevolmente l’inizio e il suo dolce profumo di frutta.

“Profumo di frutta?”.

Lentamente, col collo irrigidito e con estrema circospezione, si voltò pian piano alla sua destra, venendo quasi investito da quel profumo agrodolce proveniente dalla testa rossa di Kyle, mollemente appoggiata sullo schienale a meno di un centimetro dalla sua spalla.

Troppo vicino. Dette un’occhiata veloce a Stan, rincuorandosi nel vederlo totalmente assorbito dal film e… no, un attimo. Si era sentito… rincuorato? No, cazzo! Come gli era saltato in mente di preoccuparsi di Stan anche per un solo, misero istante? Chi credeva di essere per imporre a quel modo la sua volontà su di lui e su Kyle? Qualcuno si era forse mai permesso di dirgli che non doveva stare con Wendy o di mettergli i bastoni tra le ruote quando usciva con lei? Non gli sembrava fosse mai andata così, per cui al fastidio si sostituì inevitabilmente -e ovviamente- la rabbia. Stan aveva fatto di tutto per far sì che Kyle lo lasciasse fin dal primo giorno in cui era venuto a conoscenza di loro due, che per una strana coincidenza, chiamiamola così, corrispondeva proprio al giorno stesso in cui si erano messi insieme, dopo una settimana circa di sms, chiamate e discorsi del tipo “Decidiamoci o facciamo vecchi”, “Pensiamoci ancora qualche anno, così magari ci passa” o ancora “Se lo viene a scoprire mia madre mi scuoia vivo”, e questa di certo non l’aveva detta lui. D’accordo, forse non erano esattamente la coppia perfetta, per non dire la più insospettabile di tutte, ma questo dava per caso il diritto a Stan, come a chiunque altro, di metter dito tra di loro? No, certo che no. Ovviamente no! Per questo doveva fargliela pagare, altro che comportarsi da persone mature! No, qui ci voleva qualcosa che facesse per lo meno rosicare Marsh in modo atroce e vistoso. La sua attenzione, a quel punto, era ormai completamente distolta dal film e dedita a ben altro tipo di pensieri. Doveva cercare di farsi venire una buona idea, possibilmente qualcosa di sottile, subdolo e cattivo.

Sembrava proprio, tuttavia, che il suo lato oscuro e dispettoso quella sera non volesse funzionare. Non gli veniva in mente assolutamente nulla di appropriato o di anche lontanamente soddisfacente e questo, neppure a dirlo, lo indispettì non poco. Cominciò a pensare che ormai stava diventando decisamente troppo buono, che si stesse rammollendo, che stesse insomma perdendo il suo smalto cartmanesco. Mentre era ancora tutto impegnato a escogitare, pensare, architettare, d’improvviso sentì Kyle spostarsi ancora di più verso di lui, fino a poggiare completamente la testa sulla sua spalla con estrema naturalezza, come se fosse stato lui in persona a chiedergli di farlo. E lì ebbe un’idea incredibilmente stronza.

Non particolarmente cattiva né subdola, ma di sicuro fortemente irritante. Forse la sua astuzia era tornata improvvisamente indietro, forse era appena diventato la prova vivente che un aiuto, per qualsiasi cosa ti serva, te lo dà sempre la persona più impensabile, forse era quel dannato profumo fruttato che gli stava dando alla testa, fatto sta che fece semplicemente la cosa più spontanea del mondo: alzò un braccio e lo poggiò sulla spalla di Kyle. Non c’era nulla di male, nemmeno se non fosse stato il suo ragazzo, ma come previsto il suo movimento non sfuggì a Stan che, Eric notò con la coda dell’occhio, assunse un’espressione prima leggermente sorpresa, ma che poi si fece via via più scioccata e, soprattutto, arrabbiata.

Macchè, troppo riduttivo! Furiosa, era questo il termine esatto.

In quel preciso istante la sua attenzione tornò stranamente al film, che fece ovviamente solo finta di guardare. Un po’ perché non stava capendo un accidenti di quanto stesse accadendo, un po’ perché era troppo occupato a godere di una vecchia quanto amata sensazione.

Ah, il dolce e delizioso Sapore della Vendetta, quel nettare paradisiaco che si riesce a gustare solo nel momento in cui una tua semplicissima e innocente azione riesce a far girare notevolmente le palle al tuo nemico e a danneggiarlo visibilmente!

Un sapore gustoso ma, ahimè, di breve durata. Non erano di certo circondati da una folla di persone, sarebbe stato di sicuro inevitabile almeno un urlo da parte di Stan, se non un vero e proprio susseguirsi di offese a lui dirette. Le cose, invece, andarono meglio di quanto previsto. Come se gli avesse involontariamente letto nel pensiero, Kyle alzò la testa dalla sua spalla, gli lanciò uno strano sorriso d’intesa e cominciò a baciarlo. Eric non poté dirsi di certo preparato ad una simile azione da parte sua, anzi, lo credeva totalmente incapace di prendere iniziative del genere. Non poté però fare a meno di scoppiare a ridere dentro di sé quando sentì Stan emettere un mugolio di frustrazione. Non poté dargli torto, in effetti. Di certo avrebbe voluto far scoppiare un putiferio, peccato solo che non fosse stato lui a cominciare ma aveva fatto tutto Kyle. Non che gli dispiacesse, semmai tutto il contrario, ma l’aveva visto che lui non aveva fatto niente, no? Era stato il suo amico a cominciare, evidentemente era quello ciò che voleva e lui si stava semplicemente impegnando a non fare altro che darglielo. Perciò che Stan si fottesse, lui di certo avrebbe continuato. Dopo una manciata di appaganti minuti decise che, per il momento, poteva anche ritenersi soddisfatto e fece per allontanarsi, anche perché aveva una voglia matta di lanciare un’occhiata furtiva a Stan e controllare il suo stato di incazzatura, molto elevato secondo le più rosee previsioni. Prima che potesse fare un altro movimento, sorprendentemente, Kyle lo afferrò per la nuca di scatto, imponendogli così di continuare ciò che avevano fatto fino a pochi attimi prima: limonare selvaggiamente.

E, ovviamente, come dire di no?

Ma sì, fanculo a Stan e a Di Caprio!” pensò.

Non era tipo a cui piaceva andare al cinema solo per sbaciucchiarsi con la propria ragazza –o, come nel suo caso, col proprio ragazzo-, anzi. Da amante di film quale lui era non si sarebbe mai permesso di cadere in simili sciocche tentazioni in quello che lui considerava quasi un luogo sacro, tuttavia pensò che, per una volta, poteva anche permettersi un simile lusso. Non solo perché Kyle baciava dannatamente bene e quella era la prima volta che mostrava le sue doti per un periodo di tempo superiore al minuto, ma anche perché… cazzo, Stan stava stringendo i braccioli della sua poltrona in modo tanto convulso che se ne sentiva lo scricchiolio anche a due posti di distanza!

Va bene, la serata di certo non era andata come previsto e, anzi, pensava che fosse completamente rovinata. Invece non solo si era vendicato per bene di colui che avrebbe voluto mandarla completamente a monte, ma c’era anche il piccolo, importante particolare che si stava eccitando da morire. Quelle labbra, quella lingua, quel sapore, quel… Kyle, porca puttana!

E pensare che si era insultato mille e più volte davanti lo specchio quando aveva realizzato che si era preso una cotta per lui! Ma chi, al posto suo, avrebbe mai potuto dargli torto? Dove diavolo aveva imparato a baciare a quel modo? E perché solo in quella situazione aveva tirato fuori questa sua arte? Proprio quando cominciò a pensare alla maniera più discreta possibile di farselo lì, sulle poltrone, senza che gli altri due se ne accorgessero minimamente, le luci si accesero all’improvviso e sul maxi-schermo presero a scorrere i titoli di coda. Il film era ormai giunto alla sua conclusione e con lui anche quella situazione così dannatamente piacevole. Si staccarono con un sonoro schiocco di labbra. Eric guardò Kyle in viso, deciso a sussurrargli un ringraziamento per avergli fornito quella splendida occasione, ma tutto ciò che riuscì a fare fu soffocare una risata quando notò che il volto del ragazzo era diventato del colore dei suoi capelli: rosso come il fuoco. 

< Finalmente ci avete dato un taglio! Credevo vi voleste mangiare a vicenda! >.

La voce di Kenny risuonò alta e cristallina per la prima volta in quella serata, spezzando anche il palese imbarazzo in cui era piombato Kyle, seppur per poco.

< Che vuoi, avevo un bel po’ da recuperare > rispose Eric con un sorriso soddisfatto.  

< Certo, come no > bofonchiò irritato Stan, mettendosi il giubbotto con una certa fretta e annunciando il suo imminente ritorno a casa. 

< Ma Stan, dove vai? Possiamo andare a mangiare da qualche parte, è ancora presto p- >

< Non mi va, e poi mi sembra proprio che a te piaccia la cattiva compagnia > sbottò, sorpassando Kenny con poca grazia e dirigendosi verso l’uscita. Kyle rimase interdetto da quella risposta, ma era pur sempre del suo migliore amico che si trattava e non avrebbe mai potuto lasciarlo andare a quel modo.

< Scusami. Torno subito > disse rivolto a Eric, dopodichè si affrettò a raggiungere l’amico anche se non aveva la più pallida idea di cosa dirgli. Uscito fuori dalla sala si stupì nel non vederlo e, al contempo, ci rimase decisamente male. Possibile che fosse tanto arrabbiato con lui da scappare a quel modo? Uscì fuori dal cinema e, fortunatamente, lo scorse camminare a testa bassa poco lontano.

< Stan! > lo chiamò < Ma che diavolo ti prende? > domandò una volta che l’ebbe raggiunto, afferrandolo per un braccio.

Stan si fermò, divincolandosi con forza e guardandolo decisamente arrabbiato.

< Non puoi avere la faccia tosta di chiedermi una cosa del genere! >

< Non credi di stare esagerando, adesso? >

< Esagerando? T-tu… l’hai fatto apposta! Ti sei fatto abbracciare e sbaciucchiare da Cartman apposta! >

< Grazie tante, stiamo insieme > esclamò in un sussurro, temendo che qualche passante casuale potesse origliare cose che, per il momento, era meglio tenere segrete il più possibile alla popolazione di South Park. Peccato solo che la sua uscita avesse contribuito a far innervosire Stan maggiormente.

< V-voi… >  balbettò, cercando di trovare le parole adatte, < Voi non state insieme come tutti gli altri! Siete… cazzo, siete fuori dal mondo! >

< Posso capire che sia incredibile ma… so che ti chiedo uno sforzo enorme, ma potresti per favore provare a non comportarti a quel modo scontroso quando siamo tutti insieme? >

< Perché non capisci? > esclamò l’altro, addolcendo leggermente il tono e guardando Kyle con espressione a metà tra il triste e lo scoraggiato, < Io… ti giuro, non avrei detto una singola parola se fosse stato… non lo so, qualunque altra persona! Persino Garrison mi sarebbe andato bene, ma Cartman… > fece una smorfia disgustata al pronunciare il suo nome, < Che sia lui… proprio non riesco a sopportarlo, figurarsi accettarlo! >

< Ma non potresti- >

< Cazzo, amico, è Cartman! Avreste dovuto insultarvi e fregarvi i pop-corn a vicenda, magari… lanciarveli addosso, ma di certo non stare lì a scambiarvi la saliva! >

< Scusa, ma non sarebbe stato peggio? Abbiamo trovato un modo per andare d’accordo, non è meglio così? > domandò Kyle, cercando di buttarla un po’ sul banale e sperare che quella discussione finisse al più presto.

< Andare d’accordo? Voi non potete andare d’accordo! Siete… siete un nazista ed un ebreo, sembrate una grottesca coppia di comici! Se non fate ridere fate ribrezzo, te ne rendi conto? L’unico motivo per cui ancora non ho detto nulla a tua madre è che ho troppa pietà di te per poterlo fare, anche se sono convinto che il tuo sia… non lo so, un fottuto capriccio che durerà al massimo qualche altro giorno! >    

< Stan, adesso basta! Stai esagerando e mi stai offendendo! >  

< Non sto esagerando, voglio farti ragionare! >

< Credi non ci abbia già pensato? Ci ho ragionato eccome, e questa è stata la decisione che ho preso! Non accettare un bel cazzo se proprio non ci riesci, io di certo non vengo a importi niente! >

< Ma come, non è questo che hai cercato di fare fino a poco fa? >

< NO! >

Quel suo grido, contrapposto al tono piuttosto pacato con cui aveva condotto la discussione fino a quel momento, stupì Stan a tal punto da ammutolirlo e Kyle, da parte sua, non si curò di certo di moderarlo. Era ora che dicesse all’amico ciò che riteneva giusto.

< Mi parli come se avessi deciso di uccidere qualcuno e non mi sta bene! Non sto commettendo un crimine, lo capisci che te la stai prendendo troppo per una stronzata? Sì, sto con Cartman. E non uno qualsiasi, ma Eric Theodore, lo stronzo che mi prendeva per il culo un minuto sì e l’altro pure da bambini. Da bambini, Stan! Abbiamo diciassette anni adesso, te ne rendi conto? No, non mi interrompere! > esclamò, notando un’azione di protesta, < Se proprio non hai alcuna voglia di accettare la cosa mi sta bene, ma per lo meno prova a rispettare la mia decisione se davvero ti reputi il mio migliore amico! >

Parlò quasi senza riprendere fiato e, quand’ebbe finito, non si diede nemmeno pena di aspettare la risposta. Semplicemente, girò i tacchi e ritornò verso il cinema senza voltarsi. All’ingresso lo aspettavano Eric e Kenny, alquanto perplessi nel vederlo così nervoso e anche perché non avevano potuto far finta di non sentire l’ultima parte della discussione. Con la voce alta che si ritrovava Kyle c’era piuttosto da chiedersi chi fosse il sordo che non aveva sentito nulla, in tutta South Park. Eric tentò di dire qualcosa ma venne zittito, afferrato per un braccio e trascinato letteralmente via.

< Scusaci Kenny > sbottò Kyle verso il ragazzo biondo, che mormorò qualcosa facendo spallucce. Eric lo salutò con un cenno della mano, poco prima che girassero un angolo e Kenny scomparisse dalla loro vista.

< Kahl, dove st- >

< Zitto! > lo interruppe, continuando a trascinarlo incurante degli sguardi curiosi delle persone che incrociavano. Con tutti i crucci che aveva per la testa figurarsi se aveva spazio per occuparsi delle occhiate di qualche semi-sconosciuto che non sapeva farsi i cazzi propri! Piuttosto, la sua mente era tutta incentrata sulla figura di Stan trafitto da mille freccette immaginarie, anche se il sentimento predominante non era la rabbia. Più che altro, si sentiva decisamente avvilito. Aveva commesso un’azione che tra amici non bisognerebbe mai fare: aveva litigato con lui e l’aveva piantato in asso per il suo ragazzo, ma la cosa non gli dispiaceva affatto.

Quando aveva deciso di mettersi con Eric il suo primo pensiero era stato proprio il timore di come avrebbe reagito Stan alla cosa e i fatti avevano dimostrato che era una paura più che fondata. Ma lui lo stava trattando come se fosse pazzo o chissà quale terribile azione avesse commesso, senza fare il minimo sforzo per… no, non “accettare la cosa”. Kyle sapeva benissimo che una richiesta del genere avrebbe voluto dire davvero troppo, ma dannazione! Erano amici, sì o no? E allora perché non poteva semplicemente dire “Rispetto la tua decisione ma sappi che non la condivido per niente e forse non ci riuscirò mai”? Di certo non lo avrebbe fatto saltare dalla gioia, ma era già qualcosa, una sorta di patto a cui avrebbe potuto benissimo sottostare. E invece…

< Cosa diavolo c’è di sbagliato in tutto questo? > sbottò a voce alta.

< Che mi stai rovinando il giubbotto a furia di tirarlo! Vuoi lasciarmi sì o no? >

Ma Eric non aspettò che Kyle si fermasse. Con uno strattone si liberò dalla sua presa, fermandosi poi per constatare il danno che, per fortuna, era pressoché nullo.

< S-scusami > arrivò una flebile risposta.

< Un cazzo! Che t’è preso? >

< Stan… >

A quel nome Eric alzò gli occhi al cielo. Si stava davvero spazientendo.

< E basta, Kyle! Non ne vuole sapere di me e te, punto! Fattene una ragione! >

< Ma è il mio migliore amico! Non… > deglutì, abbassando lo sguardo, < Non posso… far finta di niente. Non mi va che lui non mi parli più perché… > e non riuscì a finire la frase. Continuare sarebbe stato come ammettere che anche per lui stare con Cartman era un problema, un intralcio al tranquillo scorrere della sua vita. E da una parte era effettivamente così, ma lui vedeva quella perturbazione della sua tranquillità come una cosa positiva, quel piccolo cambiamento che ogni tanto è bene che avvenga perché, in caso contrario, si rischia di affogare nella routine e, di conseguenza, nella noia.

< Perché stai con me? > fu Eric a concludere la frase. Ricevette come risposta un cenno d’assenso con la testa.

< E questo è davvero un problema così grosso? >

< N-no >

< Riformulo la domanda: tu lo vedi davvero come un problema così grosso? >

< No! Certo che no! >

< E allora cosa, maledizione? Gli passerà, di che ti preoccupi? >

Già, di cosa si preoccupava?

< Che… che non gli passi >

< Che stronzata >

Kyle sollevò di scatto la testa, irritato da quella risposta. Faceva presto a parlare, Eric, visto che l’unica persona il cui giudizio potesse vagamente interessargli, saputo che stavano insieme, aveva emesso un lungo e sonoro fischio di approvazione e gli aveva anche regalato qualche preservativo colorato! Inutile dire che questa persona era Kenny.

< Tu… sei fortunato, ecco! Non ti fai problemi a preoccuparti solo di te stesso, per te i giudizi degli altri contano meno di zero! >

< Beh, chiamami scemo >

< Io non sono fatto così! Per me è importante che Stan rimanga mio amico, gli voglio bene e non voglio perdere la sua amicizia perché… >

< Perché stai con me? >

Di nuovo. Kyle si morse la lingua quando incontrò lo sguardo carico di sufficienza di Cartman.

< Io… non voglio dire che lo vedo come un problema > cercò di giustificarsi.

<  Mi sembra proprio il contrario. Pensavo fossi convinto, visto anche quanto ne abbiamo parlato >

< Sono convinto, infatti! Non voglio tornare indietro, voglio solo andare avanti, mettere un piede davanti all’altro e vedere questo dove mi porterà! >

< E se questo comportasse camminare senza Stan? >

Kyle aprì la bocca per rispondere, ma quando il suo cervello ebbe metabolizzato alla perfezione la gravità di quella domanda riuscì solo a produrre un gemito strozzato. Come rispondere ad una domanda del genere?

< Io… io non lo so > disse sinceramente.

< Proprio la risposta che mi aspettavo >

Eric, contrariamente a qualunque aspettativa, sorrise. Gli mise una mano sulla spalla e cominciò a camminare lentamente, seguito da Kyle come un cagnolino.

< Lo sai che mi piaci parecchio, ma non ti negherò che sarei pronto a lasciarti se a te venisse in mente anche solo per un attimo di scegliere quel cretino a me. Non perché vorrei monopolizzarti… cioè, in realtà lo vorrei, ma… lasciami dire che tu hai proprio un concetto distorto di come si sta con una persona >

< C-che intendi dire? > chiese Kyle, timoroso che con quel discorso Eric volesse lasciarlo per davvero. E diavolo, se gli dispiaceva.

< Che non puoi pensare ad ogni possibile e immaginabile fattore esterno e fartene un problema. Se sei deciso a fare una cosa devi farla per davvero, non puoi essere buono solo a parole! Vuoi stare con me? Bene, allora devi smetterla di farti i problemi per Stan. Lo so che non capisco, che non me ne frega mai niente e che sono un insensibile, ma potresti anche fidarti di quello che dico, una volta tanto! >

< Cioè? >

< Gli passerà, Kahl. Gli do qualche giorno al massimo, poi finirà di fare l’idiota e ti chiederà scusa >

Kyle annuì, ma senza troppa convinzione. Non era in una maniera così semplice che Stan Marsh sarebbe tornato sui suoi passi per una cosa che lui considerava tanto grave, crescendo era diventato decisamente cocciuto su alcune cose. Eppure… fidarsi di Eric? Poteva anche provarci, in fondo non aveva poi tutti i torti.

< Forse… forse hai ragione tu > convenne alla fine, sentendosi decisamente più sollevato.

A quel punto, però, l’unica cosa che rimaneva da fare era pregare che anche Stan la pensasse come Eric e che si preoccupasse della loro amicizia come la cosa più importante di tutte.

 

 

+ + + + + + + + + +

 

 

Quando aprì la porta e vide un Kyle dall’espressione indecifrabile piantato sulla soglia, Eric dovette ammettere che, probabilmente, non si sarebbe mai abituato alle sue frequenti visite, soprattutto se si presentava con uno smagliante sorriso a trentadue denti.

< Avevi ragione > esclamò, entrando in casa Cartman senza neppure chiedere il permesso.

< Su cosa? >

< Su Stan. Mi ha chiamato poco fa e… beh, si è scusato. Insomma, abbiamo fatto pace >

Eric fece finta di stupirsi della cosa mentre si richiudeva la porta dietro le spalle.

< Ottimo, ci ha messo solo una settimana. È più sveglio di quanto credessi >

< Smettila di sfotterlo > lo rimproverò Kyle, ma la sua voce non aveva per nulla un tono aspro, più che altro l’aveva detto per abitudine. Non era mai capitato che litigasse a quel modo con Stan, che entrambi si arrabbiassero al punto da dirsi delle cattiverie. Il fatto che si fossero riappacificati, quindi, lo faceva sentire estremamente contento. Tuttavia, in quei giorni, aveva riflettuto anche molto sulle parole di Eric, sentendosi estremamente stupido al pensiero che, alla domanda “Sceglieresti me o Stan?” non aveva saputo dare una risposta concreta. Certo, la domanda non era delle più semplici e forse la sua era stata la risposta che, al momento, poteva risultare la più giusta. Il motivo per cui si era sentito stupido, in realtà, ce l’aveva proprio di fronte agli occhi in quel momento: era Cartman che gli faceva mettere in discussione il suo stesso modo di essere, con la sua dannata e innata sicurezza nel sapere alla perfezione ciò che voleva e come avrebbe agito in questa o quella situazione. Lui era praticamente tutto l’opposto, prima di dare una qualsiasi risposta aveva bisogno di riflettere, pensare bene, rimuginare su qualsiasi altra opzione possibile e disponibile. Non poteva non ammettere, quindi, che un po’ lo ammirava per questo.

< Sei da invidiare, sai? > disse all’improvviso e con la più assoluta sincerità.

< Lo so, sono un ottimo esempio >

< Ora non esageriamo > lo ammonì < Piuttosto… non mi chiedi cosa mi ha detto? Come abbiamo fatto pace? >

< Ti ho per caso fatto capire che me ne frega qualcosa? Tu, piuttosto! Sei venuto solo per dirmi questo? >

< Più o meno >

< No, perché avr… Che vuol dire “più o meno”? >

Kyle incrociò le braccia dietro la schiena, assumendo un’espressione fintamente ingenua.

< Beh, passavo di qui e… > si avvicinò ad Eric < … ho notato che la macchina di tua madre non era in garage… > era a pochi centimetri dal suo viso < … e pensavo che fossi solo. Magari potrei tenerti un po’ di compagnia, così mi faccio perdonare per venerdì scorso >

Il sorriso che Eric sfoggiò nel sentire quelle parole era talmente largo che avrebbe potuto far invidia allo Stregatto. Idem dicasi per l’espressione furbetta che ne seguì subito dopo.

< Cavolo, così sì che mi piaci! > esclamò, attirandolo a sé prendendolo per la vita.

Con un gesto fulmineo gli tolse anche il cappello, facendolo cadere a terra e, incredibilmente, Kyle non se ne curò.

< Potresti cominciare con un bacio > gli sussurrò Eric soffiandogli sulle labbra < Ma bada che non ne accetto uno di durata e intensità minore di quello che mi hai dato venerdì al cinema. Vedi di darti da fare > concluse.

< Saprò farmi perdonare > rispose Kyle, un attimo prima di spingerlo contro il muro del corridoio e cominciare a baciarlo esattamente come gli era stato richiesto. Doveva ammettere a sé stesso che un bel po’ imbarazzato si sentiva ma, incredibilmente, anche la voglia di farsi perdonare da Eric era tanta.

Di farsi perdonare.

Da Cartman.

“Mi sto rincretinendo, perdo colpi” pensò, ma non poteva negare che quella situazione aveva già del paradossale di suo, tanto che tutto il resto poteva solo essere oro colato. Ebbene, anche cercare il perdono di Eric Cartman passava in secondo piano rispetto allo starci insieme. Eric, dal canto suo, se solo avesse saputo quello che gli frullava nella testa in quel momento lo avrebbe spiaccicato al muro. Non tanto per il tipo di pensieri, ma più che altro perché se Kyle pensava quelle cose voleva di certo dire che non si stava concentrando abbastanza per il bacio. Questo, senza ombra di dubbio, lo avrebbe fatto incazzare da morire. Già quell’ultima settimana era passata in modo pessimo a scuola, con loro due praticamente divisi per evitare casini e altri litigi, e quel poco che parlavano a telefono era tutto un lamentarsi per Stan, pensare a Stan, parlare di Stan. E diavolo, a pensarci bene anche lui in quel momento stava pensando a Stan! Decise definitivamente di scacciare via la sua immagine, concentrandosi solo nel godersi meglio Kyle e quelle labbra tanto dotate che si ritrovava. Un’ultima promessa, però, non poté non farla a sé stesso: la prossima volta che Stan si fosse messo in mezzo a loro due sarebbe stata la volta buona che l’avrebbe ucciso, togliendolo definitivamente via dalle palle sue, di Kyle e di quella sfortunata donna che rispondeva al nome di Wendy Testaburger.

 

  

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Note dell’autrice

Questa storia mi ha fatto penare. L’ho riscritta tre volte, riletta un milione e ancora non mi soddisfa. Ma credo proprio che più di così non possa fare, è già tanto essere riuscita a completarla in un limite di tempo inferiore a dieci anni. Il finale è un po’ alla buona, portato avanti in maniera piuttosto veloce ma, lo ripeto ancora una volta, meglio di così non sono riuscita fare.
Il titolo, trovato all’ultimo momento, è preso da quella stupenda canzone che è “Nothing else matters” dei Metallica, invito come al solito chi non la conoscesse ad ascoltarla, che ne vale la pena. La traduzione del titolo è "Apri la mente per un nuovo punto di vista e nient'altro ha importanza" , mentre quella della seconda strofa di Opposites Attract usata all'inizio di questa storia, è:

"I nostri amici dicono
che tra noi non durerà
Perché io mi muovo piano
e, baby, tu sei veloce.
A me piace la tranquillità
e a te piace gridare
Ma quando stiamo insieme
tutto funziona alla grande"

Ringrazio di cuore chi ha commentato il capitolo precedente, chi ha letto senza commentare, chi ha messo la raccolta tra i preferiti e chi tra i seguiti :)
Spero che questo capitolo non vi faccia troppo schifo *w*
Alla prossima

 WindGoddess

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Capitolo 3
*** Keep in touch with mama kin ***


cap 3
.3.
Keep in touch with mama kin




Who'd have thought we could be lovers?
I make the bed
And you steal the covers
I like it neat
And you make a mess
You take it easy
Baby, I get obsessed



“O Signore, nella tua infinita bontà e misericordia, nello smisurato amore che provi per ogni creatura della Terra, ascolta la mia preghiera. Se davvero mi ami, ti prego, ti scongiuro… uccidimi adesso!”
< Kyle? Kyle mi senti? KYLE! >.
La sentiva. Oh, sì, che la sentiva. E quanto avrebbe preferito essere sordo!
< S-sì… mamma >.
Che a Kyle qualche volta squillasse il cellulare alle sette del mattino non era cosa inusuale. C’era sempre Stan che aveva litigato con Wendy e aveva bisogno del suo Super Migliore Amico, Ike che si lamentava del fatto che lui fosse via da casa e che gli mancava e Kenny che chiamava perché… perché era Kenny, doveva pur rompere le palle ogni tanto e ad orari assurdi. In effetti non c’era molta gente che lo chiamasse, ma la cosa certa è che, fino a quel giorno, sua madre non l'aveva mai telefonato.
Era a Denver da ormai sei mesi, finalmente al college e non c'era stata volta che Sheila Broflovsky avesse chiamato suo figlio maggiore. Il motivo di tutto quell'astio lo conosceva perfettamente. Erano due, per la precisione.
Il primo: la sua scelta di frequentare medicina a Denver e non legge ad Harvard.
La seconda: il suo coinquilino, che, per un incredibile sovrapporsi di coincidenze, era anche il suo ragazzo.
La sua cara mammina già aveva digerito con estrema difficoltà il fatto che uno dei suoi figli fosse omosessuale, ma che si fosse messo con una certa persona... Kyle preferì non pensarci. Già sopportare quasi un anno di litigi alternati a lunghi silenzi, soprattutto da parte di suo padre, era stato faticoso, ma il problema maggiore venne fuori quando, finita la scuola superiore, aveva espresso senza il minimo timore -o quasi- il suo desiderio di andare a Denver, studiare per diventare medico e prendere un piccolo appartamento in città e non nel dormitorio del college... col suo ragazzo. Quel giorno, dopo aver sgranato gli occhi per la sorpresa alla richiesta del figlio, Sheila Broflovsky era diventata una perfetta attrice.
Fingeva di essere preoccupata che suo figlio cominciasse ad affrontare la dura vita collegiale, apprensiva affinché si trovasse un piccolo ma decente appartamento per due, indaffarata mentre lo aiutava a preparare un veloce trasloco.
Fingeva di essere felice per lui, sorridendogli e rispondendo con un “Ma certo che sono d'accordo, Kyle” a qualsiasi cosa lui dicesse o a qualsivoglia idea esponesse. Una falsità talmente evidente da risultare fastidiosa ed irritante, tanto che Kyle aveva cominciato a rimpiangere i silenzi e le occhiate astiose della donna. Ma, poi ci pensò, in fondo andava bene così. Non si pentì neppure per un secondo della via intrapresa, considerando che, in tale maniera,  aveva potuto facilmente provvedere a immatricolazione, ricerca dell'appartamento e trasloco senza nessun pensiero per la testa o fastidiose urla di rimprovero nelle orecchie.
Tuttavia, una volta trasferitosi e cominciato ad affrontare il suo primo anno accademico, si aspettava per lo meno un minimo di venti chiamate al giorno, almeno di circostanza, e invece... niente.
Solo quando lo telefonava Ike sentiva di sottofondo qualcosa del tipo “Salutami Kyle”, nemmeno fosse un amico o un semplice conoscente.  
Ma, dopo aver visto che i suoi nervi ne risultavano vincitori grazie a quella commedia da due soldi, Kyle mandò mentalmente a cagare sua madre e suo padre e si godette i suoi primi mesi da collegiale alla grande. Fino a quella mattina.
< Bene, allora hai capito? Saremo lì da voi per mezzogiorno >.
< Ah, aspetta! Mamma, perché tu e papà volete venire a pranzo qui? Insomma, io credevo che voi… che tu... ce l'avessi con me >.
Un sospiro, dall'altro capo del telefono.
< Sì e sono ancora arrabbiata, ma ho avuto modo di parlare molto con Liane in questi giorni. Sembrava tanto sicura della buona fede di suo figlio, quindi ho pensato di venire a trovarvi. Se vedrò che le cose vanno bene, che stai studiando senza distrarti e che quel ragazzo si comporta... >.
< Mamma, almeno chiamalo per nome! > si lasciò sfuggire Kyle, sperando di non aver svegliato il diretto interessato. Guardò il letto di fronte al suo, ma sembrava proprio che non avesse combinato alcun danno.
< Che... Eric Cartman si comporta bene, allora... potrei provare a darvi una possibilità >.
Chissà perché, ma le parole della madre non gli furono di alcun conforto. A lui andava più che bene che non gli parlasse, cos'era ora quel tentativo di riavvicinamento non richiesto?
< M-ma mamma, così all'improvviso... non è meglio se venite... >.
< Niente “ma”, giovanotto! Oggi io e tuo padre saremo da voi, quindi vedi di farci trovare tutto in regola o giuro che ti porterò via a forza da quella città! >.
Eccolo, il vero spirito della signora Broflovsky.
< S-sì, mamma >.
< Bene. A oggi, allora! >.
E riattaccò.
L’ondata di panico che investì Kyle in quel momento fu un qualcosa di indescrivibile. Si sentì percorrere da un brivido di paura che andò ad aumentare esponenzialmente quando riuscì, in un momento di lucidità, a fare il punto concreto della situazione.
Sarebbero venuti i suoi genitori a pranzo.
Quel giorno.
A casa sua.
Sua e di…
< CARTMAN! >.
Accese la luce, balzando in piedi.
Vide il diretto interessato scostare il cumulo di coperte sotto il quale era seppellito e scattare seduto, guardandosi intorno spaesato e spaventato.
< Cosa? Che c’è? Spegni questa cazzo di luce! >.
Ma Kyle non l’ascoltò. Anzi, si premunì di andare ad alzare la serranda del balcone e spalancarlo, lasciando che un tiepido raggio di sole primaverile entrasse ad illuminare la stanza.
< Kyle, ma che cazzo succede!? >
< Alzati subito! Dobbiamo preparaci, mettere in ordine, fare la spesa! >.
< Ma che ti prende? Che è successo? Mi vuoi... > e si era perso, fissando l’orario sulla sveglia digitale poggiata sul suo comodino < SONO LE SETTE DEL MATTINO! >.
< Non è vero, sono le sette e un quarto > puntualizzò l’altro, mettendosi subito a rifare il proprio letto.
Eric, innervositosi, balzò in piedi e gli si avvicinò minaccioso.
< È DOMENICA, PORCA PUTTANA! Spero tu abbia un ottimo motivo per avermi svegliato a- >.
< Verranno qui! > esclamò Kyle, nervoso.
< MA CHI? >.
< I miei genitori! Verranno oggi a pranzo qui! > e finalmente si fermò, fissando Eric… terrorizzato? Speranzoso? Un po’ tutte e due, a dire il vero. Era pronto a ricevere come risposta urla di spavento con contorno di strappate di capelli e panico totale, che lui stesso avrebbe immediatamente contribuito ad alimentare affinché si fosse creato un magnifico effetto d’isteria collettiva. Lo vide alzare un sopracciglio, sgranare leggermente gli occhi e… niente.
Eric se ne ritornò a letto così come si era alzato, avendo anche cura di sprimacciare il cuscino e accucciarsi ben bene sotto le coperte a mo’ di fagotto.
< C-che diavolo fai? Non hai sentito quello che ho detto? > urlò l’altro, non appena ebbe recuperato un po’ di lucidità, ricevendo come risposta un dito medio issato in bella vista. Irritato non poco da quella reazione totalmente inaspettata, si avvicinò al letto di Eric con un ringhio e tirò via le coperte con mala grazia.
< Alzati subito! Abbiamo un sacco di cose da fare! >.
Sussultò quando lo vide tirarsi su come un vampiro che esce dalla propria tomba, come se non avesse compiuto alcuno sforzo.
< Se non la smetti immediatamente di fare l’isterico, ti infilo con la testa nel cesso e ti ci lascio finché non vedrò più una sola bollicina >.
Forse fu il tono di voce roco e incazzato, forse la consapevolezza di aver esagerato oppure l’espressione da demone che Eric aveva stampata in viso, fatto sta che Kyle si decise a prendere un respiro profondo e ad imporsi calma, giusto il tempo affinché gli facesse comprendere in quale gigantesco mare di merda stavano nuotando... Metaforicamente parlando.
< Cartman, forse non capito bene la situazione. Oggi v- >.
< Quella stronza di tua madre e quel senza palle di tuo padre verranno a scroccare il pranzo da noi. Ho sentito, non sono sordo >.
< Bene > e sorrise soddisfatto, nemmeno stesse parlando con un bambino di cinque anni < Che ne diresti allora di alzarti, scegliere dei vestiti decenti, aiutarmi a sistemare casa, fare la spesa e cucinare? >.
< Che ne diresti se invece dormissi fino alle dieci, indossassi la prima cosa che prendo nell’armadio, scendessimo a fare venti dollari di spesa e cucinassimo mezz’ora prima che i tuoi vengano a rovinarci il pomeriggio? >.
< Dannazione, allora non hai proprio capito! Dobbiamo essere perfetti e fare bella figura o mia madre mi riporterà a casa a suon di calci nel culo! >.
< E perché? Non siamo mica sotto esame >.
< Siamo ufficialmente sotto esame, dannato culone! Sai quello che ho passato per essere qui con te! >.
< No, so quello che hai passato per studiare medicina qui a Denver > puntualizzò.
Inutile descrivere con che espressione offesa Kyle lo guardò, neppure avesse pronunciato qualche terribile blasfemia contro il suo dio.
< C-come puoi dire questo? Io credevo… credevo che ti facesse piacere l’idea di stare in casa con me! >.
< Ma se abbiamo deciso di venire qui prima che ci mettessimo assieme! >.
< M-ma oggi i miei vengono e… >.
< E cosa? Senti… > si tirò i capelli indietro in un gesto nervoso < Non siamo una coppia di sposini novelli, io non sono in attesa dei suoceri, con l’ansia di essere perfetto! I tuoi vogliono venire a pranzo qui? Che vengano pure, troveranno il loro prezioso primogenito con uno dei suoi amici d’infanzia più che col suo ragazzo, né più né meno! >.
Detto ciò si riappropriò nuovamente delle coperte e si mise in posizione fetale, aspettando che Kyle dicesse “Hai ragione” e se ne andasse a dormire anche lui. Non avvertì, tuttavia, nessun movimento del materasso che gli facesse capire che l’altro si era alzato, anzi. Sembrava proprio che si fosse puntellato sulle mani per potersi avvicinare meglio a lui.
< Eric > sussurrò, infatti < Quello che dici è vero, ma… io non voglio rischiare che mi riportino a casa. Se il pensiero che vada via ti fa dispiacere anche solo un pochino… non è che potresti comportarti bene solo per oggi? Per favore > miagolò alla fine, sorridendo soddisfatto quando notò che il suo ragazzo aveva scostato le coperte e lo stava guardando in maniera… furbetta?
< Il sexy shop che sta a due isolati da qui ha messo in offerta le manette col peluche. Se faccio tutto quello che dici dovrai permettermi di comprarle… e usarle, s’intende >.
Concluse, aspettando una risposta. Kyle si ritrovò completamente spiazzato da quella richiesta. Non si aspettava di certo che Eric Cartman gli facesse un favore senza poter avere nulla in cambio, il solo pensare che potesse accadere un simile miracolo era assurdo, per non dire un gran spreco di energie, ma era piuttosto titubante nel dargli una risposta affermativa. Nonostante ormai stessero insieme da un bel po’, tendeva ancora a vedere certe richieste come un qualcosa di troppo… perverso per poter avere il coraggio di assecondarlo. Il solo pensiero, anzi, lo metteva profondamente a disagio e in imbarazzo. Tuttavia, quella era una vera e propria questione d’emergenza, Dio solo sapeva cosa avrebbe potuto combinare Eric se gli avesse detto di no. Decise di dare un calcio al proprio orgoglio -e alla propria timidezza- pur di non trovarsi la casa arredata in stile Auschwitz con Cartman vestito da SS nazista che sproloquiava in tedesco con tanto di Wagner in sottofondo. Perché, lo sapeva, ne sarebbe stato capace.
< O-ok > biascicò.
Ricevuta la risposta desiderata, Eric si scostò definitivamente le coperte di dosso e si alzò in piedi, stiracchiandosi per bene alla tenue luce del mattino. Sollevato da quel comportamento, Kyle ritornò ad ordinare il suo letto, cominciando ad appuntarsi mentalmente tutte le cose da fare.  Cose che, purtroppo, andarono ad irrobustire poco dopo il già gonfio bagaglio culturale di Eric. Infatti, dopo che quest’ultimo ebbe finito di sistemare la propria scrivania, togliendo una montagna di libri scritti in almeno tre lingue diverse, vocabolari e fotocopie varie, alla vista di Kyle che gli porgeva spugna e detergente per le superfici di ceramica pensò che, forse, fare quel patto non era stata poi un’idea tanto furba.
< No, non ci pensare proprio > sbottò.
< Non protestare! Ѐ l’unica stanza che ti faccio pulire, sii più collaborativo! >.
< Cominciamo già a trasgredire i patti? Io cucino, faccio le lavatrici e stiro, tu pulisci! >.
< Ѐ per velocizzare i tempi! È solo una cazzo di stanza, non- >.
< Non è una stanza, è un cesso! >.
< Esatto, e tu lo pulirai >.
< No! >.
< Sì! >.
< No! >.
< Sì! >.
< Basta! > Eric urlò, decisamente spazientito. Non aveva la minima intenzione di mettersi a fare una delle poche cose al mondo che davvero lo faceva sentire un idiota: pulire il bagno.
< La mia risposta è no! Sinonimi: mai, scordatelo, toglitelo dalla testa, no, no, no e ancora NO, cazzo! >.


**********


< Dannazione a quella troia scassa palle! >.
Con un gesto stizzito, Eric si accasciò a terra e lanciò via la spugna. Un lungo e sottile arco di schiuma bianca si andò a delineare per aria, finendo poi col cadere a terra mentre la spugna, non trovando l’ostacolo di una porta chiusa, andava elegantemente a spiaccicarsi sul muro del corridoio, restando per un secondo appesa prima di finire in terra con un secco “splat”. In quel momento passò Kyle con in mano uno spolverino, fermandosi appena in tempo per evitare di venire colpito. Con uno sbuffo di rassegnazione, prese la spugna con due dita, fissandola per un attimo prima di poter rivolgere ad Eric uno sguardo seccato. Sguardo che, a dirla tutta, si trasformò ben presto in una smorfia, una di quelle che potrebbero uscir fuori quando si cerca di evitare di scoppiare a ridere, perché fu la prima cosa che avrebbe voluto fare quando vide la sua tenuta da pulizie: una logora canotta bianca, che portava impressi i segni della lotta della sera prima tra il suo ragazzo e un tubetto di ketchup che proprio non voleva saperne di aprirsi -inutile specificare chi avesse avuto la meglio-, un paio di mutande nere sgualcite e vecchie ciabatte infradito di almeno due numeri più grandi.
< Oddio, non ti si può guardare > lo prese in giro, entrando in bagno con l’intenzione di controllare, per l’ennesima volta, che non ci fossero panni sporchi in giro. Si vide costretto a bloccarsi, minacciato da Eric che brandiva a mo’ di spada lo scopettino del water.
< Chiudi quella dannata bocca ebrea! Mi hai costretto tu a fare tutto questo! >.
< Mamma mia, e che sarà mai? >.
Kyle non lo guardò neppure, andando invece a prendere un calzino che aveva adocchiato sulla scarpiera.
< Esatto, mamma tua! È proprio colpa sua se adesso fai il rompicoglioni e mi costringi a pulire come un servo! >.   
< Eh, esagerato >.
Kyle pose fine alla discussione con un gesto stizzito della mano. Stava per uscire dal bagno, per permettere ad Eric di continuare nelle sue faccende, ma poi si voltò.
< Appena hai finito mettiti qualcosa di decente addosso, che andiamo a fare la spesa >.
Eric dovette trattenersi dallo strozzarlo. Concluse la sua odiata mansione di fretta e di furia, per poi lavarsi e vestirsi velocemente per evitare ulteriori rimproveri o, peggio, qualche altro incarico.
Non appena misero il naso fuori casa, un vento pungente li fece rabbrividire leggermente, ricordando loro il motivo principale per cui non erano andati all’università lontano da casa, come avevano fatto invece Stan e Butters: a Denver c’era, pressappoco, lo stesso clima freddo di South Park, che entrambi amavano tanto. Si incamminarono a passo svelto, anche se il supermercato più vicino era ad appena un centinaio di metri da casa loro.
< Cos’è che dobbiamo comprare? > domandò Eric quasi distrattamente, camminando a testa alta e osservando i gonfi nuvoloni grigi che troneggiavano in cielo, carichi di pioggia.
< Non so. Potremmo cucinare del pesce > suggerì Kyle.
< Già, in effetti potrei cucinare del pesce >.
Ricevette un’occhiataccia come sola risposta. Giunsero al piccolo negozio senza più scambiare una parola, Kyle era troppo concentrato sulla spesa, mentre Eric… Beh, non pensava a niente, se non al fatto di avere il sabato pomeriggio completamente rovinato. Aveva la faccia talmente cupa che persino il proprietario del negozio non poté non notarlo.
< Hola, Eric! Cómo estás?(¹) > domandò, mostrando il suo largo sorriso mezzo sdentato.
< Buenos días, señor Aguilar. Podría ser mejor, gracias(²) >.
Il signor Aguilar, un messicano di sessant’anni immigrato negli U.S.A. una ventina d’anni prima, aveva una predilezione particolare per i suoi due giovani clienti. Soprattutto, aveva molto in simpatia Eric, col quale poteva conversare ogni tanto in spagnolo per poterlo aiutare a migliorare la sua pronuncia, già tuttavia molto buona.
< Oh! Come mai dici questo, niño(³)? >.
Ma la curiosità dell’uomo non poté essere soddisfatta. Con uno strattone, Kyle ebbe premura di ricordare ad Eric che loro avevano una certa fretta -o meglio, solo lui-, così i due si congedarono per potersi addentrare tra gli scaffali del supermercato.
< Non c’era bisogno di essere maleducati > lo rimproverò Eric.
< Senti chi parla. Piuttosto, andiamo al banco del pesce e prendiamo… qualcosa >.
< Che ne dici di un bel carico di frutti di mare? > .
< Sei pazzo? Lo sai che non posso mangiare quella roba! >.
< Ma se la mangi sempre, quando la cucino! >.
< Ci sono i miei a pranzo oggi e loro non mangiano cibo non kasher(*)! >
< Dovrebbero essere loro ad adeguarsi a noi! È a casa nostra, che vengono! >.
< Sono loro che pagano l’affitto, culone! >.
< Ah sì, pero por eso me gusta(⁴) >.
Entrambi si girarono nella direzione da cui era provenuta la voce. Quando ne vide il proprietario, Kyle pensò che, davvero, quel giorno Dio voleva punirlo per qualcosa che aveva fatto. Dietro al bancone del pesce, con le mani poggiate sui fianchi, una canotta bianca che gli aderiva perfettamente al torace tonico e muscoloso e una bandana blu a fasciargli la testa, c’era, impettito, il nipote del padrone del negozio, il giovane Felipe Aguilar. Era un bravo ragazzo, lavoratore e di gran bell’aspetto, ma Kyle non poteva assolutamente soffrirlo e il motivo era semplice: era stra-maledettamente gay e, soprattutto, aveva una cotta per Cartman che non si premurava certo di nascondere.
< Felipe? Ma non eri tornato in Messico per stare un po’ con tua madre? > gli domandò Eric, sorridendogli e stringendogli la mano.
< Ah, ma come puoi pensare che possa stare lontano da te per un mese, mi dulce Enrique(⁵)? >.
A Kyle venne quasi da vomitare. Non solo per l’eccessivo contenuto di zucchero contenuto in quella frase -e, a lui che era diabetico, faceva davvero male- ma anche per quell’odioso nominativo col quale il giovane messicano aveva cominciato a chiamare il suo ragazzo da un po’ di tempo.
Ma che Enrique e Enrique! Per lui “culone” va più che bene” pensò, irritato.
< Abbiamo bisogno di roba buona, Felipe. Cos’è arrivato stamattina? > rispose Eric, fingendo di non aver sentito ma, al contempo, gongolando per l’espressione visibilmente arrabbiata di Kyle.
< Trote, carpe, gamberi, salmone… Tutto quello che vedi qui sul bancone è fresco di giornata, Enrique. Ma se vuoi… > e sorrise, malizioso < …puoi venire dietro in magazzino con migo(⁶). Potresti trovare qualcosa di mucho más interessante que-(⁷) >.
< SALMONE! >.
Eric e Felipe sobbalzarono allo strillo di Kyle.
< Salmone, per favore. Vorremmo mangiare quello, sì! >.
< Veramente io volevo andare a vedere cos- >.
< Ho detto… > e gli diede un pizzicotto sul braccio < …che voglio del salmone >.
Eric sorrise, contento che Kyle mostrasse la gelosia in maniera tanto evidente.
< Salmone, d'accordo. Felipe, daccene  quattro belli grossi >.
L'interpellato aprì la bocca per fare una battuta sconcia su quanto aveva appena sentito, ma lo sguardo incazzato del suo rivale lo fece desistere da ogni proposito. Accartocciò velocemente i quattro pesci in carta di giornale, ponendoli poi ad Eric e salutandolo con enfasi, stringendo le sue mani nelle proprie e cominciando a blaterare in spagnolo cose che Kyle, nonostante non capisse, poteva benissimo immaginare, con un piccolo sforzo di fantasia. Quando pensò che la sceneggiata fosse durata abbastanza, afferrò Eric per un braccio e lo trascinò verso la cassa. Pagò senza rivolgergli la parola, sotto lo sguardo divertito del signor Aguilar che aveva sentivo tutto, per poi uscire dal negozio senza neppure salutare. Eric lo raggiunse, subito dopo aver porto le dovute scuse.
< Quanto siamo acidi > esclamò, dopo qualche secondo di silenzio.
< Vaffanculo! Va' a scoparti quel porco messicano, visto che ti piace così tanto! >.
L'urlo del ragazzo ebreo fu tanto alto da aver permesso a molti passanti di capire ogni singola parola, scatenando reazioni tra le più disparate. Quella che fece sorridere Eric, tuttavia, fu quella di una donna, che assunse una smorfia stupita talmente esagerata che mancava poco che il -palese- botox le schizzasse fuori dalle pieghe delle rughe. Il sorriso, però, non durò che un breve istante. Il pensiero che Kyle fosse così nervoso perché sarebbero arrivati i suoi genitori lo faceva incazzare non poco. Seriamente, ma che diavolo voleva Sheila Broflovsky? Aveva rotto le palle a suo figlio per anni, spesso, com'era successo prima che partissero per il college, gli aveva reso la vita un vero e proprio inferno. Come cazzo si era permessa di auto-invitarsi a pranzo, quindi? Senza preavviso, poi! Li aveva buttati giù dal letto, li aveva costretti a lustrare la casa, fare la spesa, cucinare e, sopratutto, aveva mandato Kyle in paranoia, cosa che gli dava fastidio più di ogni altra. Quando il pensiero di infilare un po’ di veleno per topi nei loro piatti cominciò a delinearsi nella sua testa, erano ormai giunti sulla soglia di casa. Kyle stava trafficando con le chiavi, ma le mani gli tremavano tanto che le fece cadere a terra. Eric lo vide irrigidirsi, stringere i pugni e incassare la testa nelle spalle senza però muoversi di un millimetro. Sospirò.
< Faccio io > mormorò, chinandosi perprenderle. Quando si fu rialzato, mentre era intento a scegliere la chiave giusta, sentì Kyle tirarlo per la manica della felpa.
< Che c'è? >.
< S-scusa, Eric > biascicò l’altro, quasi con le lacrime agli occhi. < Sono… un po’ nervoso, cerca di capire >.
Eric alzò gli occhi al cielo, sospirando ancora. Come avrebbe potuto tenere il muso a Kyle quando si comportava a quel modo?
< Non fa niente, tanto questa giornata finirà, prima o poi. Cerchiamo di fare bella impressione >.
L’altro annuì senza alzare la testa, ma in cuor suo era contento che Cartman gli avesse risposto a quel modo. Quei gesti così inaspettati, quella maturità che sembrava non aver mai raggiunto e che, invece, usciva fuori quando era lui ad averne più bisogno lo portavano sempre di più a convincersi che, alla fine, la scelta di mettersi insieme era stata la migliore che potesse prendere.


**********


La casa era linda come uno specchio e profumata come un campo di fiori, non c'era un granello di polvere che fosse fuori posto e il bagno era stato rifornito di asciugamani puliti e saponette, nemmeno fossero in albergo. I due inquilini erano puliti, profumati e ben vestiti, jeans e camicia stirata di fresco per entrambi. Sarebbe parso tutto deliziosamente perfetto se non forse stato per un piccolo, irrilevante particolare.
< I tuoi ce l'hanno un orologio? No, te lo chiedo perché vorrei sapere se si saranno accorti di che ore sono >.
Dopo aver pronunciato queste parole, Eric picchiò con un pugno sul tavolo e si alzò in piedi, spazientito. Fissò con rabbia i piatti col cibo che aveva preparato con tanta cura e che si stavano impietosamente raffreddando. A saperlo, avrebbe ordinato qualcosa al ristorante cinese.
< Forse... hanno trovato traffico >.
< Già, o magari sono finiti in qualche scarpata >.
Kyle lo guardò seriamente spaventato.  
< E se è davvero successo loro qualcosa? >.
< Ehi, guarda che scherzavo >.
< Lo so! Ma se fosse davvero- > ma non finì la frase.
Si alzò in piedi anche lui, prendendo a camminare su e giù per la piccola sala da pranzo nervoso e preoccupato. Aveva fatto pensieri del genere già a partire da mezzogiorno e un minuto, ma non aveva voluto dare ascolto alla parte pessimista del suo cervello. Tuttavia, tra un pensiero e l’altro, si erano fatte quasi le due del pomeriggio. Era evidente che ci fosse qualche problema.
< Perché non provi a chiamarli? >.
< Lo avrebbero fatto loro, se fossero stati in ritardo! >.
Ulteriormente spazientito, Eric si avvicinò al divano e afferrò il cellulare di Kyle, rimanendo alquanto allibito quando il suo sguardo si posò sullo schermo.
< Stupido ebreo spilorcio! Risparmi anche sulla batteria del cellulare! > esclamò, arrabbiato, accendendolo < Questo coso era spento e non te ne sei nemmeno accorto! >.
< COSA?! >.
Kyle fece un balzo all’indietro da record. Sentì distintamente un sudore freddo scendergli giù per la schiena insieme ad una serie di brividi. Era spento? Non se n’era neppure accorto! Doveva interpretare il tutto come un brutto segno, allora? Avrebbe ricevuto qualche messaggio d’aiuto o la chiamata della polizia? O, peggio, di qualche medico dell’obitorio?
“Signore, mi pento di tutti i pensieri cattivi fatti sui miei genitori! Ti prego, fa’ che stiano bene!”.
Non fece neppure in tempo a terminare di formulare un pensiero del genere che partì la suoneria. Nel silenzio generale, le note polifoniche di quella sciocca canzoncina rimbombavano come una marcia funebre.
< È tua madre >.
Si irrigidì, il cuore gli batteva all’impazzata. Se era lei a chiamare vuol dire che stavano bene, ma non voleva rispondere. Ormai si era impaurito, aveva fatto tanti brutti pensieri, per cui poteva anche darsi che, dall’altro capo del telefono, ci fosse qualche medico o qualche volontario del pronto soccorso. Magari avevano estratto quel cellulare da un mucchio di lamiere contorte e chiamato il suo numero, che doveva essere tra le ultime chiamate effettuate. Di certo avrebbero detto “Ah, lei è il figlio. Ci dispiace, dobbiamo darle una brutta notizia” o qualcosa del genere, come se simili notizie potessero essere date con…
< Pronto, signora Broflovsky? Salve signora, sono Eric >.
Kyle si sentì prossimo all’infarto. Guardò Eric con gli occhi sgranati per la rabbia, ma anche con un po’ di sollievo. Aveva risposto sua madre, vuol dire che stavano davvero bene. Allungò la mano per farsi porgere il cellulare, ma l’altro lo liquidò con un gesto stizzito della mano, stupendolo non poco.
< No signora, Kyle è in bagno. Può dire a me se vuole, noi comunque vi stiamo… >.
Si bloccò, mettendo su un cipiglio che non faceva presagire nulla di buono.
< Ah… capisco. No, ma si figuri, nessun disturbo. Certo, mi rendo cont… sì. Sono sinceramente dispiaciuto, signora >.
“È successo qualcosa! Lo sapevo, cazzo!”
Kyle si afferrò i capelli in un gesto di frustrazione. Quel dannato cellulare, negli ultimi tempi, doveva avere qualcosa che non andava, visto che si spegneva spesso da solo! Se solo lo avesse controllato un po’ prima!
< Lo dirò io a Kyle, non si preoccupi. Sì… d’accordo, gli dirò che richiamerà tra un paio d’ore, le va bene? Ottimo. Sì… sì. Arrivederci, signora >.
Lentamente, allontanò il telefono dal suo orecchio, chiudendo la chiamata. Kyle si gli avvicinò pian piano, timoroso. Le parole che aveva udito gli facevano davvero pensare al peggio.
< C-che ti ha detto? Che è successo? >.
All’inizio, lo sguardo di Eric era inespressivo, guardava solo il cellulare con sguardo vuoto e non proferiva una sola parola. Poi, però, alzò un sopracciglio fino all’inverosimile e la sua espressione divenne… seccata.
< Succede che è ora di comprarti un cellulare nuovo >.
Senza aggiungere altro, gettò con disprezzo l’apparecchio sul tavolo, strappandosi il grembiule bianco che ancora aveva indosso.
< N-non capisco. Mamma e papà stanno bene? Perchè non sono qui? > pigolò Kyle, che aveva le idee decisamente confuse. Si vide rivolgere uno sguardo irritato, accompagnato da un sorriso nervoso.
< È da quando il tuo cellulare si è spento, a quanto pare almeno dalle dieci di stamattina, che tua madre cerca di chiamarti. Tuo padre- >.
< Ah! È successo qualcosa a papà? >.
< Ha un attacco di diarrea fulminante, a quanto pare. Non riesce a stare per più di dieci minuti senza dover correre in bagno, quindi per oggi i tuoi cari genitori non verranno. Abbiamo buttato la nostra domenica mattina nel cesso nella maniera più stupida e inutile possibile > concluse, gettando il povero grembiule a terra e accasciandosi poi su una sedia, lo sguardo puntato sul cibo, ormai quasi congelato. Kyle, dal canto suo, era rimasto in piedi, sconcertato. Anzi, completamente spaesato.
< Non… posso crederci > biascicò, dopo qualche secondo di silenzio tombale.
< Sapessi io > sbottò Eric in risposta, cominciando a mangiare.
< Io… > ma si bloccò. Sentì un’enorme, colossale sensazione di imbarazzo esplodergli nella testa, che poi andò a colorare tutto il volto di un rosso acceso e, al contempo, avvertì le lacrime pizzicargli gli occhi.
< Mi sento… davvero stupido >.
< Fai bene. Anzi, direi che dovresti sentirti il più titanico idiota sulla faccia della Terra, nell’intero Sistema Solare, in tutto il vasto e inesplorato univ- >.
< Ok, ho afferrato il concetto! Non c’è bisogno di essere così esagerati! >
< Non ce n’è bisogno? Guarda qua! > e Eric fece un gesto con la mano, indicando il tavolo < Ho cucinato questo ben di Dio apposta perché quei due rompicoglioni dei tuoi genitori non avessero nulla da ridire su di me, abbiamo reso questa casa uno specchio, ho pulito il bagno, messo la camicia buona, mi sono svegliato alle sette e ho sprecato una delle mie poche domeniche libere solo per far contento te! Adesso chiudi il becco, poggi le chiappe sulla sedia e mangi tutto quello che c’è su questo cazzo di tavolo senza lasciarne neppure una briciola! >.
A quel fiume di parole, Kyle non seppe proprio cosa replicare. Si ritrovò soltanto a boccheggiare e pensare che qualsiasi cosa avesse potuto dire in sua difesa sarebbe suonata inutile. Cartman aveva dannatamente ragione, sotto ogni punto di vista. Abbassò il capo, dispiaciuto e amareggiato. Aveva combinato un casino, si era innervosito per nulla, aveva fatto la figura della donnetta isterica per… un pugno di mosche. Si sedette, sentendosi in colpa mentre si ficcava in bocca un pezzo di salmone e constatando quanto fosse squisito. Si sentiva che Eric, nonostante avesse sbuffato per la maggior parte del tempo, ci aveva messo il cuore nel cucinarlo. Gli occhi gli si inumidirono di nuovo. Quanto tempo sarebbe occorso prima che potesse perdonarlo?
< Dopo dammi otto dollari > lo sentì dire all’improvviso.
< P-perché? > chiese, tirando su col naso.
< Perché domani vado a comprare le manette. Non mi importa se i tuoi non sono venuti, io il mio dovere l’ho fatto >.
Appena qualche minuto, ecco il tempo necessario che ad Eric era bastato per perdonarlo. Una lacrima gli sfuggì davvero, ma non per la tristezza. In quel momento, Kyle sentì distintamente tutta l’ansia accumulata quella mattina fuggire via dal suo animo in un istante. Come aveva potuto pensare di prendersi tanta pena per la visita dei suoi genitori? Se anche a sua madre non fosse andata bene qualcosa, lui che cosa avrebbe fatto? Sarebbe tornato a casa a capo chino e avrebbe obbedito a tutti i suoi ordini? No, ovviamente. Studiare medicina lo appassionava, il pensiero che, una volta terminati gli studi, avrebbe potuto aiutare concretamente le persone lo spronava ad impegnarsi e a dare il meglio di sé, Denver era una città fantastica e, in tutto questo, c’era Eric con lui. Certo, litigavano ancora parecchio per delle sciocchezze, battibeccavano su quisquilie, spesso davano spettacolo e più volte gli altri inquilini del palazzo li avevano rimproverati affinché abbassassero quantomeno la voce, ma per la prima volta nella sua vita, e per davvero, Kyle poteva dire di essere felice, di essere soddisfatto di sé stesso e della sua vita. Non avrebbe permesso mai più a sua madre di scombussolarlo a quel modo, anzi, pensò che ci avrebbe fatto una bella chiacchierata quanto prima. In quel momento, tuttavia, non era a lei che doveva pensare ma al ragazzo seduto di fronte a sé. Nonostante era ormai palese che le cose si fossero aggiustate, decise comunque di farsi perdonare.
< Direi che… potrei anche dartene venti >.
Eric alzò lo sguardo, curioso.
< E come mai? >.
< Beh, perché… potresti anche trovare qualcos’altro che… ti piacerebbe provare, ecco >.
All’ennesimo, violento rossore che seguì quelle parole, Eric rispose con un ghigno divertito. Cosa che, a dire il vero, un po’ fece pentire Kyle di quanto aveva detto.  
< Ci puoi giurare, Kahl. Ci puoi giurare >.



**************************

(¹): Salve, Eric! Come stai?
(²): Buongiorno, signor Aguilar. Potrebbe andare meglio, grazie.
(³): Ragazzo.
(4): Eh sì, ma è per questo che mi piace.
(5): Mio dolce Eric.
(6): Con me.
(7): Molto più interessante che-.
(*): Il termine ebraico Kasher (o casher) si riferisce al cibo che risponde ai requisiti di Kasherut (o Casherut), termine che indica l'idoneità di un cibo ad essere consumato da un ebreo, in accordo con le regole alimentari della religione ebraica stabilite nella Torah. Tra questi cibi sono esclusi, per l’appunto, tutti gli invertebrati marini, considerati “impuri”.


Note dell’autrice
Finalmente sono riuscita a scrivere una one-shot che mi soddisfi. Non so quante volte l’ho cancellata prima di riuscire a dire “Ok, può andare bene”!
Comunque, la traduzione della strofa di Opposites Attract è (sempre tradotta alla buona) :
Chi avrei mai pensato che noi potessimo stare insieme?
Io rifaccio il letto
E tu rubi le coperte
A me piace il pulito
E tu fai disordine
Tu la prendi alla leggera
Baby, io mi ossessiono.
Il titolo, invece, è un verso di Mama Kin degli Aerosmith (una cover è stata fatta anche dai Guns 'n Roses, consiglio l’ascolto di entrambe). Il bello, però, è che vuol dire “Tieniti in contatto coi parenti di mamma”, cosa che con la storia c’entra poco. Mi sembrava molto ironico, se lo si vuol rivedere riferito a Kyle, ma… anche no, voglio dire. Comunque l’ho trovato azzeccato perché il mio cervello ha deciso così, quindi godetevelo, che dire?? XD
Voglio fare qualche altra precisazione: il signor Aguilar e suo nipote Felipe li ho inventati io al momento, poiché mi servivano per la storia. Poiché io non parlo spagnolo, inoltre, mi sono dovuta affidare al traduttore di Google. Ergo, se ci fosse qualcuno che ne capisce più di me mi farebbe piacere che mi segnalasse eventuali strafalcioni. Ringrazio tutti coloro che hanno letto il precedente capitolo, chi l’ha recensito e chi ha messo la storia tra i preferiti o le seguite. Grazie davvero.
WindGoddess

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Capitolo 4
*** I wanna be your boyfriend ***


op 4

.4.

I wanna be your boyfriend

I’ve got the money
And you’re always broke
I don't like cigarettes
And you like to smoke
Things in common
Just ain't a one
But when we get together
We have nothin' but fun

 

Eric sbuffò annoiato, ruotando gli occhi con stizza, per poi posare lo sguardo su Kyle. Il ragazzo ebreo stava camminando su e giù per la stanza da almeno una ventina di minuti, fermandosi ogni tanto e tendendo le orecchie, in allerta come un animale impaurito. Quando aveva appurato che il pericolo, che di nome faceva Sheila Broflovsky, non fosse in procinto di entrare nella sua camera allora si calmava, per poi ricominciare comunque a girare in tondo. Peccato solo che Eric si fosse stufato di quel silenzio e di quei gesti nervosi. Lui era lì per un motivo ben preciso: affrontare la delicata questione che era andato a proporre a Kyle e che interessava entrambi alla stessa maniera.

< Allora? > domandò, seccato. Ruppe il silenzio in maniera tanto brusca da far scattare l'altro come una molla troppo tesa.

< A-allora cosa? >.

< Secondo te? >.

Kyle tentennò un attimo, rimanendo spiazzato da quella domanda, nonostante fosse proprio su di essa che stava rimuginando.

< Vorrei... pensarci ancora un po' > rispose alla fine, con tono poco convinto.

< Ci siamo presi una settimana, mi sembra che di tempo ne hai avuto fin troppo >.

Non ricevendo ulteriore risposta, Eric decise che la sua pazienza necessitava di essere ricaricata. Tirò fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette e, senza neppure chiedere il permesso, ne accese una e prese a fumare, guardando fuori dalla finestra. Kyle non se ne accorse subito, ma dopo qualche secondo il suo naso non poté di certo non recepire un odore estraneo a quello della sua stanza. Sì voltò verso Eric, guardandolo a dir poco inorridito.

< Butta via quella dannata sigaretta! >.

L'interpellato, stupito che gli venisse finalmente dedicata attenzione, non si scompose più di tanto.

< No, perché dovrei? >.

< Perché lo sanno anche i bambini che il fumo fa male! >.

< Anche fare a botte, ma preferisco fumare piuttosto che andare in giro a pestare la gente >.

< Che razza di discorso è? Potresti, anzi, dovresti evitare entrambe le cose invece che scegliere con quale delle due farti male! >.

< Ho uno spirito masochista, che ci vuoi fare > sorrise Eric, facendo cadere la cenere in un bicchiere vuoto sopra la scrivania.

< Tu? Ma quando mai! E poi quello che dici non ha il minimo senso! >.

< E non deve avercelo, Kahl >. 
< Ma che... Cosa diavolo vuoi cercare di dire? >.
< Che devi chiudere il becco e lasciarmi fumare in pace! >.
Quella risposta necessitava di un contro-attacco altrettanto feroce, ma qualsiasi cosa Kyle stesse per dire venne bloccata dalla voce di sua madre che, oltre a fargli quasi venire un infarto, lo avvertiva che stava per uscire con Gerald e Ike. Avrebbero portato il piccolo a fare una visita di controllo e non sarebbero tornati prima di un'ora, forse di più, e si raccomandava affinché lui e Eric Cartman studiassero senza distrarsi o la sua media sarebbe calata, eccetera, eccetera.

Quando Kyle si fu ripreso completamente dallo spavento, ovvero solo dopo aver sentito i suoi allontanarsi con la macchina, respirò profondamente, sollevato. L'assenza della sua famiglia rendeva le cose un tantino più semplici.

< O Mosè, ti ringrazio >.

< Bene! >.

Eric, che aveva aspettato diligentemente che i Broflovsky sgombrassero, diede l'ultimo tiro alla sigaretta e scattò in piedi. Aveva aspettato quel momento per una settimana, dopo aver rimuginato sopra quella spinosa questione fino a farsi venire il mal di testa ed ora era lì, con la sua risposta pronta e con la curiosità di sapere quella di Kyle che gli attanagliava le viscere.

< Ora non hai scuse! Siamo soli, quindi voglio la risposta. Ci mettiamo insieme o no? > e lo fissò, dritto negli occhi.

Kyle si sentì confuso, spaesato. Anche lui, quell'ultima settimana, aveva avuto ben poco da stare allegro. Non aveva dormito che poche ore a notte, ma quella era una questione troppo delicata per poter sprecare inutilmente il tempo a dormire!

< Ascolta, Cartman. Io ci ho davvero pensato bene, però- >.

< Non c'è nessun "però", Kahl. Sì o no? >.

< Ecco, se mi lasciassi- >.

< Ancora? Non voglio sentire sermoni! Voglio solo che pronunci un cazzo di monosillabo! >.

Kyle, irritato per essere stato interrotto per ben due volte, pestò un piede a terra con stizza e ignorò bellamente quanto l’altro aveva appena detto.

< Non voglio rispondere così! Voglio fare un discorso ben preciso, prima! >.

< A me non interessa nulla del genere >.

< E va bene, ho capito! > sospirò, seccato e vinto dall’ansia. < Facciamo così: daremo la risposta al mio tre all'unisono, poi ognuno procederà con le spiegazioni, se ne vorrà dare qualcuna >.

Eric stette un attimo a pensarci sù, ma dovette convenire sul fatto che l'idea non era male. Forse era la maniera migliore di procedere, tuttavia...

< Al mio tre, allora. Uno... Due... Tre! >.

< NO! > esclamarono all'unisono.

Rossi entrambi come pomodori, si fissarono negli occhi, increduli, strabuzzandoli più volte. Incredibile a dirsi, ma a Eric venne voglia di piangere. Ovvia sensazione, visto che, in realtà, non aveva risposto con sincerità. Il "" che avrebbe voluto pronunciare lo aveva ancora incastrato in gola. Aveva temuto che la risposta di Kyle sarebbe stata negativa -con ragione-, quindi aveva cambiato la sua all'ultimo secondo per proteggersi dal rifiuto, creare uno scudo contro la delusione, perché lui voleva davvero essere il ragazzo di Kyle. Se non per amore, che fosse almeno per orgoglio. Ci aveva messo davvero del tempo ad accettare i suoi sentimenti, a smetterla di torturarsi, a farsene una ragione, ed era stata un'enorme fatica. Che i suoi sforzi venissero premiati, allora, se lo sarebbe meritato!

< Perché? > domandarono, nuovamente all'unisono, per poi abbassare la testa per l'imbarazzo.

< Ehm... Prima tu > Eric riuscì a precedere Kyle, anche se non aveva molta voglia di ascoltare la sua risposta, la conosceva già.

Sarebbe stato tutto un disquisire sul fatto che sua madre lo avrebbe scuoiato vivo, che non avrebbe saputo come affrontare la sua comunità e la gente di South Park -da leggersi: "Stan"-, che tutto quello era assurdo e cazzate varie. Si preparò, dunque, ad ascoltare tutta una serie di baggianate che lo avrebbero di certo fatto star male per un po', ma poi si sarebbe certo ripreso, magari sarebbe tornato tutto come prima... a parte la cocente delusione che avrebbe presto ricevuto, che gli avrebbe lasciato addosso una cicatrice talmente grande da farlo diventare ancora più stronzo, irrispettoso, egoista e bastardo di quanto già non fosse. Bella prospettiva.

< Ho... ho mentito > furono, invece, le uniche due parole a giungergli all'orecchio. Chiese di ripetere, sicuro di non aver capito bene,  e Kyle pronunciò nuovamente quelle due parole esatte. Ora sì che era confuso.

< Io… non so dire bugie, non ne sono capace. Però avevo paura che la tua risposta sarebbe stata “no”, quindi… ho pensato di rispondere così anche io, per non darti l’illusione di avermi dato una delusione o... > lo guardò, mettendo su un leggero broncio < …mi avresti preso per il culo a vita >.

Detto ciò, Kyle divenne ancor più rosso e si diede mentalmente del codardo per non aver saputo continuare con la sua recita. Era sicuro di aver dato a Eric un motivo più che valido per dargli dello stupido da allora fino alla fine dei secoli. Sperava, tuttavia, che avrebbe considerato la situazione da un punto di vista più… magnanimo, facendo magari finta che non fosse successo nulla e che quella conversazione non fosse mai avvenuta. Proprio per questo rimase non poco stupito quando si vide rivolgere un sorriso che, stranamente, non aveva nulla di cattivo. Il che suonava alquanto strano, considerando che era di Cartman che si stava parlando.  

< Temo che dovrò ricambiare questo slancio di sincerità confessando che… Beh, in pratica anche la mia risposta non era quella giusta. I motivi sono gli stessi, quindi non mi metterò di certo a spiegare >.

I sessanta secondi che seguirono queste parole furono lunghi e pesanti. Soprattutto, diedero modo ad entrambi di assorbire bene quanto accaduto e di sentirsi due totali deficienti.

< Siamo… due stupidi > ruppe il silenzio Kyle, non credendo a  quanto stava succedendo. Aveva un che di surreale, quella situazione.

< No, tu sei stupido. Uno stupido ebreo >.

Ed Eric, con il tatto che da anni lo contraddistingueva, aggiustò tutto in un lampo con una delle sue uscite più fini. Anzi, fece di più. Mise in ordine e poi rivoltò nuovamente il tutto quando, in un momento in cui Kyle aveva abbassato le difese, decise che, per come stavano andando le cose, poteva anche concedersi il lusso di fare qualcosa di veramente stupido. Il bacio che gli diede fu leggero e delicato, uno sfiorarsi di labbra che durò due, forse tre secondi, ma che riuscì a far diventare Kyle bianco come un lenzuolo. Il che era ben strano, data la situazione.

< Oddio, ti senti bene? > domandò, stupito, una volta resosi conto delle conseguenze del suo operato.

Il ragazzo ebreo, contro ogni più oscura previsione, era diventato un cadavere. Fissava un punto alle sue spalle con la bocca semiaperta, come se fosse in stato vegetativo. Roba che, in altri tempi, lo avrebbe fatto ridere per una settimana ma che, al momento, rappresentava un pericolo, un motivo di seria preoccupazione.

< Khal? > lo richiamò, almeno per essere sicuro che fosse vivo.

< S…sì > sentì sussurrare.

< Sì cosa? >.

< La… ris-posta a-alla tua domanda >.

Solo dopo aver parlato, Kyle si rese conto di quanto stesse esagerando. Non era in fondo quello, che si aspettava? Non era quello che desiderava, che sperava tanto che Eric facesse, prima o dopo? Eppure, nonostante tutto, era rimasto sorpreso da quel gesto, da quel bacio leggero che aveva riassunto l’inverosimiglianza di quel pomeriggio in pochi secondi e che, quando Eric si era allontanato, era come se gli avesse tirato via tutta la sorpresa, l’ansia, la preoccupazione, il nervoso che aveva incamerato in corpo in quei giorni, per lasciare solo il posto ad una sensazione di sfarfallio nello stomaco affatto piacevole, ma che era contento di avere. Era strano che non avesse assunto anche lui un vivace color porpora come quello di Eric, ritto davanti a lui e docile e sottomesso come mai. Erano opposti anche nella maniera di provare imbarazzo, eppure erano entrambi… contenti, soddisfatti, persino, della decisione presa. Certo, le cose erano andate in maniera alquanto bizzarra, ma poi si resero entrambi conto che, poiché era di loro due che si parlava, era inconcepibile che andassero in maniera normale.

< Almeno non mi hai vomitato in faccia come faceva Stan con Wendy > sussurrò di nuovo Kyle, anche se quelle tenui parole rimbombarono nel silenzio della stanza come se le avesse urlate.

< B-beh… ho voluto risparmiartelo >.

< Oh, quanta premura >.

< Non fare il gradasso, che non ti si addice >.

Di nuovo silenzio, ma questa volta entrambi sapevano come evitare di renderlo pesante, mettendosi magari a guardare ognuno un punto imprecisato sul muro o sul soffitto. Si guardarono di nuovo negli occhi, per poi deglutire e, allungando leggermente il collo, darsi un altro bacio. Sospirarono entrambi quando sentirono nuovamente il tocco l’uno delle labbra dell’altro sulle proprie, anche se ci sarebbe stato di che imbarazzarsi se solo si fossero potuti vedere: a parte le bocche, i loro corpi erano lontani l’uno dall’altro di almeno una ventina di centimetri. Eric teneva persino le mani dietro la schiena, mentre Kyle aveva serrato le braccia lungo i fianchi, stringendo i pugni. Più che un bacio di due diciassettenni, sembrava quello che si sarebbero potuti dare due bambini di non più di nove anni. Però erano contenti. Quando si allontanarono, non poterono fare a meno di ridacchiare, Eric sempre più rosso, Kyle sempre più cadaverico.

< Allora… è sì, a quanto pare > sussurrò Eric, grattandosi poi la nuca in maniera nervosa.

< Sì, cioè… ci possiamo provare, eh! >.

< Oh, certo! Provare, e se va male… nessun rancore >.

< No, nessun rancore >.

< Però… > e Eric si diede un po’ di coraggio, dando all’altro un buffetto sulla testa < …a me piacerebbe che andasse, sai? >.

Era fatta, dunque. Erano insieme. Per il momento, per lo meno, ma entrambi avevano il sentore che, con un po’ di fortuna e –tanta- pazienza, quel loro strano rapporto, che aveva assunto una piega importante, avrebbe funzionato. Anzi, ne erano convinti. Rimaneva solo una piccola, importante questione.

< Bisogna festeggiare. Che si fa? >.

< Scommetto che ti andrebbe bene qualsiasi cosa, basta che si mangi, culone! >.

< No! Ma come hai fatto ad indovinare? >.

Senza aspettare risposta, Eric si prese un altro bacio e poi afferrò la sua giacca, che aveva buttato sulla scrivania di Kyle, per far capire all’altro che aveva davvero voglia di uscire e andare da qualche parte.

< Sono le sei passate, quindi potremmo anche andare a prenderci un hamburger > esclamò, fin troppo contento.

< O-ok > fu la semplice risposta di Kyle, che era rimasto a dir poco sorpreso da tanto entusiasmo. Se non altro, era per qualcosa di positivo. Dopo un attimo di disorientamento si avvicinò all’armadio, aprendolo e trafficando un po’ all’interno per trovare qualcosa di più pesante per uscire, visto che sentiva stranamente freddo. Al contrario di Cartman, che invece sembrava avesse incredibilmente caldo.

< Però ti avviso che sono al verde, quindi dovrai attingere alla borsa che porti al collo e offrire la cena anche a me! >.

Kyle, che si stava quasi cullando in quel silenzio armonioso che si era venuto a creare, rimase letteralmente fulminato da quelle parole.

< Dannato culone avaro! Non pensarci nemmeno! > urlò, facendo capolino da dietro l’anta dell’armadio, avendo giusto il tempo di vedere l’altro guardarlo con un sorriso furbetto e poi uscire in fretta dalla stanza, come se ormai fosse già stato tutto deciso. Afferrò il primo giaccone pesante a portata di mano e, senza neppure chiudere l’armadio, cercò di rincorrerlo, urlando che non doveva proprio sperare di vedersi offrire nulla più di un bicchiere d’acqua e cose del genere, ma con qualche parolaccia in più. Tuttavia, giusto per essere sicuri, ebbe premura di mettersi comunque una mano sul petto, tranquillizzandosi una volta sicuro che la borsa coi soldi che, effettivamente, aveva l’abitudine di portarsi sempre al collo, fosse abbastanza piena.


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Note dell'autrice
Ad aggiornare prima proprio non ci sono riuscita XD
Che dire su questa one-shot? Niente, se non che non ha nulla di particolare. Avevo altre idee per la testa ma al contempo avevo pensato che a qualcuna delle gentili donzelle che ha il coraggio di leggere le mie storie fosse venuta l'idea di voler leggere come è cominciato il tutto, come avevo programmato che Kyle e Eric si mettessero insieme. In realtà anche io ero curiosa di saperlo, e il risultato è stato questo. Non poteva uscirmi nulla di più stupido e di estremamente meno introspettivo XD
C'è da dire che questa volta ho riletto la storia meno volte del solito prima di postarla, quindi se ci fossero degli errori sarò grata a chi me li vorrà segnalare. Ah, anche a chi mi dicesse perché ha trovato questa storia, magari, una vera cagata.
Prego il gentile pubblico di inQuinarsi di fronte alla canzone il cui titolo ha avuto il dicutibile piacere di divenire anche quello di questa one-shot, ovvero "I wanna be your boyfriend" dei grandi, immensi Ramones. Sono andata a scomodare persino loro, pensate un po'.
Per quanto riguarda la quarta strofa di Opposites Attract, ecco l'arronzata traduzione:
Io ho i soldi
e tu sei sempre al verde
A me non piacciono le sigarette
e a te piace fumare
Di cose in comune
non ce n'è neppure una
Ma quando stiamo insieme
non facciamo altro che divertirci
Boh, direi con questo è tutto. Ringrazio, senza tuttavia poter rispondere per mancanza di tempo, chi legge e chi commenterà, chi ha trovato due minuti di tempo per commentare la precedente one-shot, chi ha messo la raccolta tra i preferiti o tra i seguiti.
Buone feste a tutti :)

WindGoddess

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