L'avventura mancante

di Joseph Bell
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premessa - alcuni documenti ***
Capitolo 2: *** Capitolo I - Due cuori nella casa delle bambole ***
Capitolo 3: *** Capitolo II - come salvai le carte e la pelle ***
Capitolo 4: *** Capitolo III - Un po' di luce, solo un po' ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV - La febbre, la pozione magica e l’interprete italiana ***
Capitolo 6: *** Capitolo V - Viaggio in Italia, parte prima ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI - Alcune considerazioni ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII - Il racconto del giovane Verner ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII - L'avventura mancante ***



Capitolo 1
*** Premessa - alcuni documenti ***


PREMESSA

 

Clapham, 25 luglio 1970.

 

Con la presente dichiaro che le informazioni contenute in questo manoscritto sono state tratte dai documenti custoditi nella cassetta di sicurezza del dottor John Hamish Watson presso la filiale di Lombard street della Banca di Londra, ergo, in qualità di mero trascrittore, declino ogni responsabilità per eventuali danni morali che la divulgazione di questo manoscritto potrà causare. Dichiaro altresì essere trascorsi da oggi il termine di anni trenta dalla pubblicazione delle volontà testamentarie del dottor John Hamish Watson.

Preciso che nel 1940, in qualità di impiegato della Banca di Londra, presenziai all’ apertura del vano di sicurezza che il dottore aveva presso il nostro Istituto. L’operazione di apertura forzata si rese necessaria in quanto trascorsi i termini di legge per reclamare la proprietà del contenuto del mezzo di custodia. Secondo le Norme correnti, infatti, in assenza di reclamo, le proprietà contenute nei mezziforti dati in concessione, passano de plano all’ Istituto che eroga il servizio, trascorso il termine di dieci anni dalla data del decesso del concessionario.

Certamente alcuni maligni potranno obiettare che io mi sia impossessato abusivamente dei documenti del defunto dottor Watson, ma per fugare ogni dubbio in merito a ciò, accludo copia del verbale d’apertura della cassetta di sicurezza, da cui si evince chiaramente che la proprietà dei manoscritti del dottor John Hamish Watson è esclusivamente mia.

 

In Fede,

                                                                                                               Samuel Donovan

 

 

 

 

 

ROYAL BANK OF LONDON

 

29, Lombard Street

 

 

Ufficio della tesoreria e delle custodie.

 

OGGETTO: verbale di apertura forzata del mezzo di custodia n° 24585620

 

In data 25 luglio 1940 alle ore 1 e 40 post meridiane, trascorsi i termini di legge, come da regolamento interno dell’Istituto ed in assenza di reclami da parte degli aventi diritto, si procede all’apertura forzata della cassetta di sicurezza n° 24585620 data in concessione al dottor John Hamish Watson il 12 dicembre 1901.

 

Presente il sottoscritto, notaio, Dott. Harold Norman Obwegner,

Presente il direttore dell’Istituto, Sir David Galwert,

Presente il Capo Cassiere, Signor Robert Thornam,

Presente il commesso del caveau, Signor Samuel Donovan,

Presente il tecnico autorizzato della Harland & Kolln, Signor Stephen Pyne.

 

Alle ore 1 e 50 post meridiane si incarica il signor Stephen Pyne, tecnico della ditta costruttrice del caveau, Harland & Kolln, di procedere alla apertura del mezzo di custodia.

 

Alle ore 2 e 30 post meridiane si incarica il signor Donovan di  procedere all’ ispezione del contenuto della cassetta di sicurezza in oggetto. Di seguito si riporta quanto rinvenuto:

 

n°1 scatola metallica con etichetta recante la dicitura “John Hamish Watson, 5° reggimento fucilieri Northumberland”, contenente molteplici manoscritti stenografati.

 

n°2 plico chiuso con tre sigilli in ceralacca, senza iscrizioni.

 

Il signor Donovan viene incaricato dell’apertura del plico di cui al secondo punto in elenco. Detto plico contiene un fascio di cinque fogli di carta in formato da lettera autografo del dottor John Hamish Watson, legate insieme da una fettuccia. Da rilevare che il frontespizio del fascicolo reca le seguenti parole:

 

“Londra, 26 giugno 1930

Io, John Hamish Watson in perfetta capacità di intendere e volere, non avendo prole ed essendo prossimo alla fine dei miei giorni, lascio la proprietà integrale di quanto contenuto nella cassetta di sicurezza n° 24585620 della Banca di Londra a colui che aprirà il plico che contiene queste carte, vincolandolo a non pubblicare nessuna delle informazioni che rinverrà prima del termine di trenta anni dalla data di apertura del plico.

John H. Watson”

 

Preso atto di quanto sopra, stante il nulla osta del direttore d’Istituto e del Capo Cassiere, si consegna il contenuto della cassetta n° 24585620 al signor Samuel Donovan, che risulta esserne, a norma di Legge, il nuovo proprietario.

Si chiude il verbale, con le firme dei presenti, alle ore 3 e 25 post meridiane del giorno 25 luglio 1940.

 

Per garanzia di Legge,

Harold Norman Obwegner


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Capitolo 2
*** Capitolo I - Due cuori nella casa delle bambole ***


CAPITOLO  I  -  Due cuori nella casa delle bambole

 

 

Terminato il turno alle cinque del pomeriggio, uscii dalla banca. Alcuni colleghi mi invitarono al pub, ma io declinai:

“Non posso, Bess mi aspetta a casa, non vorrete rendervi responsabili del fallimento del mio matrimonio, vero?”

“Ah, e bravo Sam!” rispose uno, “Vai vai, che la mogliettina italiana ti aspetta,” poi rivolgendosi alla compagnia, “Io la mia la lascio volentieri a casa!”

Al che io risposi placido, “Vedi, questo è il vantaggio di avere una moglie italiana: tu devi tornare a casa, mentre io voglio tornare a casa.”

Piovve uno scroscio di risate ed ammiccamenti che interruppi dicendo:

“Poi sono curioso di leggere queste carte che ho ereditato oggi.”

Thomas, il cassiere più giovane, mi disse scherzando:

“Ah! Se dovessimo aprire la cassetta del duca di York voglio essere presente. Accidenti, con questi pazzi in giro ti puoi trovare tra le mani qualche milione di sterline senza neppure accorgertene. Ma dimmi Sam, c’erano soldi li dentro?”

Scossi il capo ridendo e poggiata la scatola metallica sul tavolo, all’ ingresso del salone della banca, la aprii per mostrare che c’erano solo carte.

“Ecco, come vedete non c’è nulla di importante qui dentro, solo carte stenografate che non riesco a leggere. Parola mia, questo dottor Watson non doveva avere tutte le rotelle a posto per arrivare a spendere cinque sterline all’anno per una cassetta di sicurezza in cui conservava delle carte!”

“Si vede che aveva soldi da buttare,” rispose Thomas, “Certo con questi tempi che corrono e quei crucchi pazzi di là del Canale, io mi terrei stretto anche un penny bucato, ma si vede che il vecchio dottore non la pensava così.”

“Nient’affatto!” Rispose la voce traballante di Oswald Cullen, il direttore di sala, a cui ormai mancavano pochi mesi per la pensione “Signor Donovan, la invito prima di tutto a mantenere un certo decoro nel salone della banca, quanto a voi signori, ritengo cosa di pessimo gusto spettegolare sulle volontà testamentarie di un nostro cliente. Se volete chiacchierare andate al pub. Quanto alle carte del dottore, signor Donovan, le suggerisco di custodirle con cura. Lei è troppo giovane per capire di cosa sto parlando, ma se avrà modo di leggere quei manoscritti, la scongiuro di farne un uso responsabile. Conobbi personalmente il dottore e le garantisco che era una persona molto seria!”

Così dicendo, l’anziano funzionario mi prese il braccio in una stretta solida, un gesto di confidenza di cui non l’avrei mai ritenuto capace e mi disse:

“Quelli che lui ha pubblicato per anni erano solo romanzetti, li dentro,” indicando con lo scarno dito la scatola, “Ci sono dei segreti che possono irritare numerose persone. Stia attento signor Donovan, non le è stato fatto un bel regalo e francamente, non vorrei trovarmi al suo posto.”

Con passo celere mi diressi verso la stazione. Passando davanti la tabaccheria Sampson, a Walbrook, mi toccai le tasche del paltò ricordandomi che avevo finito il trinciato per la pipa, ma non feci in tempo a tornare indietro, che la mia ampia falcata mi aveva già condotto sui gradini della stazione di Cannon Street. Dentro di me fui felice di risparmiare sei pence e carezzai la mia vecchia Peterson, che giaceva nella tasca destra del cappotto, come per consolarla, perché per un po’ non l’avrei fumata.

Durante il viaggio in metropolitana pensai ai nuovi acquisti da fare per la casa. Bess ed io, infatti, ci eravamo sposati da pochi mesi e nonostante gli aiuti delle nostre famiglie, dovevamo fare non pochi sacrifici per mettere su famiglia.

Numero 16, Church Street, Luton, appena poche miglia fuori Londra, come dicevano i latini: Domus mea parva est, sed mihi apta.

Entrai, chiusi la porta e buttai la giacca su una poltrona gridando:

“Bess! Sono tornato.”

Posai le carte sul tavolo ed andai nella stanza attigua a cercare mia moglie.

“Bess, ma dove sei? Bess!”

La trovai affacciata alla finestra che guardava infondo alla strada in direzione della ciminiera della Bedford1.

“Bess, ma che fai? Perché non rispondevi?”

“Guardavo quell’enorme camino nero, mamma mia, che brutto.”

“Sei triste? Che succede?”

“No, niente, oggi sono andata a fare la spesa con Franca e Anna e loro dicono che presto ci sarà la guerra e che gli Inglesi combatteranno contro gli Italiani e che noi Italiani che siano qui in Inghilterra verremo mandati via o addirittura imprigionati,” era molto spaventata e triste, “Ma è vero, Sam?”

Purtroppo era vero,  le nostre due nazioni si stavano già combattendo  per colpa di folli decisioni che avrebbero portato un completo sovvertimento degli equilibri politici del mondo. La colonia italiana di Londra, numerosissima fin dai tempi dei Re Plantageneti, si sarebbe ridotta quasi a scomparire dopo la guerra. Ma in quel momento non volevo credere a tanto orrore e quindi abbracciai mia moglie dicendole:

“Ma certo che no, sciocchina! Tu sei la signora Donovan e sei inglese, come me. Capito Bess?”

“Mi piace quando mi chiami Bess, mi fa dimenticare di essere Elisabetta Fucini, figlia di un anarchico condannato all’esilio.”

Rimanemmo ancora qualche ora a discutere delle paure di Bess, di suo padre, che da bambino aveva conosciuto Gabriel Rossetti2, anche lui vittima dell’esilio, parlammo della guerra, che era cominciata a giugno,  poi cenammo e passammo il resto della serata in salotto ascoltando la radio. La BBC parlava delle azioni dei soldati inglesi contro gli Italiani in nord Africa ed invitava la popolazione a non intraprendere viaggi nei territori sotto il controllo italiano. Ero francamente imbarazzato, mia moglie soffriva trovandosi in mezzo a questa sorta di schizofrenia. Le emozioni del suo cuore, mi confidò, erano contrastanti e temeva per l’incolumità di ognuna delle due parti. Spensi la radio buttando il giornale sul divano e presi le mani di Bess dicendole:

“Adesso basta tesoro, basta! Il mondo faccia pure ciò che vuole, noi siamo qui e dobbiamo rimanere uniti per…” il mio sguardo si abbassò verso il suo grembo, poi la guardai negli occhi sorridendo. “Quando diventeremo genitori.”

Mi persi in quei suoi immensi occhi neri che avevano preso a guardarmi con una infinita dolcezza.

“Sam, vieni qui. Ho paura,” disse, ed io la portai sul letto in braccio addormentandomi vicino a lei.

Il sonno durò poco, in quella strana nottata non potei chiudere occhio. Mia moglie dormiva profondamente ed io stetti a guardarla per molti minuti, rapito dai suoi capelli corvini gettati sul cuscino di lino chiaro. La tenue illuminazione della strada emanava tonalità azzurrine che si riflettevano sul soffitto. Mi alzai dal letto cercando qualcosa da fare, scorsi la scatola metallica che avevo ereditato e decisi che era arrivato il momento giusto per aprirla.

Alla discreta luce di una vecchia lampada ad olio esplorai il contenuto della cassetta. Carte, carte e carte stenografate. Null’altro. Duecentotrentasei fogli numerati nell’angolo in alto a destra, scritti su ambo i lati, che non riuscivo a leggere dal momento che la stenografia era un’ arte a me oscura. Levai i fogli dalla scatola e li misi ordinatamente uno sull’ altro di fronte a me. Poi mi dedicai al plico. I sigilli che avevo rotto la mattina in banca, erano stati fatti con un timbro che recava l’effige di una lanterna di terracotta affiancata dalle lettere D C. Rimuginai a lungo pensando a quale eccentrico figuro potesse chiudere un plico con un sigillo simile e ad un tratto mi sentii toccare una spalla. Trasalii per un momento, poi mi accorsi che era mia moglie.

“Che ci fai ancora in piedi?” mi chiese, assonnata.

“Potrei farti la stessa domanda, sai? Stavo consultando la mia eredità.” risposi sorridendo.

“Cosa? Cosa è questa roba?”

“Nulla, sono le carte di un povero vecchio morto dieci anni fa, che aveva una cassetta di sicurezza in banca, da noi. Non avendo figli o altri eredi ha deciso di lasciare i suoi fogli al primo che avesse aperto il suo testamento e quel fortunato sono io!”

Mia moglie sorrise incredula: “Beh, era un bel po’ strano questo vecchio.”

“Direi di sì, anche se il vecchio Cullen dice il contrario. A quanto pare doveva essere una persona importante qualche anno fa,” presi il coperchio della scatola metallica e ne lessi il nome, “Era un militare, o qualcosa del genere, si chiamava John Hamish Watson.”

Mia moglie trasalì. “Come hai detto? Watson? Il dottor Watson?”

“Sì, perché? Lo conosci pure tu? Sai che era un medico?”

“Sam, quello fuori di testa sei tu, davvero! Accidenti, ma non conosci i racconti del dottor Watson?” rise di gusto, “Vorresti dire che tu non conosci Sherlock Holmes?”

“Mai sentito nominare, Bess!”

Ogni frase venne interrotta dalle sirene antiaeree. Il suono cupo di quei segnalatori di morte scandiva le serate inglesi da almeno quindici giorni. Dopo pochi minuti udii il rombo delle squadriglie di Messerschmitt3 che si avvicinavano. Mi aspettavo di li a poco rumori di esplosioni, ma il tuonare dei motori dei caccia tedeschi era più forte del solito. Chiusi le carte nella scatola metallica e vi forzai dentro anche il plico, misi tutto nella credenza e con mia moglie ci nascondemmo sotto il tavolo. Un boato inumano ci privò dell’udito per qualche minuto. Un ronzio fastidioso fischiava nelle orecchie e solo la percezione fisica dello stringere nella mia la mano di Bess, mi dava la sicurezza di non essere ancora morto. Passarono minuti lunghi come ore ed alla fine uscimmo dal nostro nascondiglio scoprendo con orrore che il muro che limitava la nostra casa era crollato. Mi sentivo come un pupazzo nella casa delle bambole. Per tutta la città la luce elettrica era sparita e dall’ orribile finestra che aveva aperto il bombardamento, mi apparve la notte rischiarata dai bagliori e dalle esplosioni della fabbrica Bedford in fiamme.

 

1, Bedford Vehicles: fabbrica Britannica di mezzi pesanti, operativa dal 1931, impegnata nella costruzione dei carri armati  “Churchill Mk IV”. Non fu mai bombardata.

2, Dante Gabriel Rossetti: Poeta e Pittore Italo-Britannico, fondatore del movimento Preraffaellita, il padre, Gabriele Rossetti, filologo e studioso di Dante Alighieri, venne condannato all’esilio dal Regno delle Due Sicilie per la partecipazione ai moti rivoluzionari del 1820.

3, Messerschmitt, aereo da caccia tedesco in dotazione alla Luftwaffe.


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Capitolo 3
*** Capitolo II - come salvai le carte e la pelle ***


CAPITOLO II  -  Come salvai le carte e la pelle

 

Quelli che passarono alla storia come i “bombardamenti Baedeker1” finirono nell’ agosto del 1941, con l’apertura del fronte russo. Nonostante il Terzo Reich avesse tante armi e tanti soldi, non poteva permettersi di mantenere una guerra contro di noi ed una contro l’Unione Sovietica.

Da un anno vivevamo a casa dei miei genitori , a Clapham, ci eravamo trasferiti in fretta e furia la notte in cui la nostra casa di Luton venne semidistrutta dai bombardamenti che colpirono la Bedford.

 Nel mentre era nato anche il piccolo Charles Matteo, il meraviglioso bambino che Bess mi aveva donato.

La filiale della Banca di Londra presso cui lavoravo, venne distrutta da una bomba a dicembre del 1940 e così, da quella data, entrai nel personale volontario di sicurezza Nazionale distaccato a Clapham.

Debbo confessare che il lavoro non era eccessivo, la paga discreta, anche se neppure lontanamente paragonabile a quella che percepivo in banca, ma in compenso il tempo da dedicare alla mia famiglia era molto; nel complesso, quindi, potevo ritenermi fortunato.

Una mattina, i primi di settembre del 1942, mentre svolgevo il mio servizio di volontario presso la stazione di Clapham, accogliendo i profughi che come me avevano avuto una casa distrutta dalle bombe, mi capitò di vedere una famiglia benestante scendere dal treno delle 12 e 40. Il padre era un signore rispettabile, di mezz’ età, con una valigia di cuoio marrone, la madre, una signora indaffarata a tenere uniti i due bambini, un maschietto ed una femminuccia. Fu proprio la vista dei bambini a far scattare nella mia mente qualcosa che ormai avevo cancellato. Come in un’istantanea colsi il maschietto mentre cercava di tenersi stretta una scatola di costruzioni, una scatola metallica troppo grande per lui e che a fatica teneva sotto il braccio. Urlai:

“I documenti!”

Molta gente si spaventò, alcuni si girarono, altri gridarono scompostamente “al ladro!”, cercando qualcuno che poteva aver rubato dei non meglio identificati documenti nella ressa della banchina ferroviaria.

A fine turno tornai a casa rassegnato. Pensai che non avrei mai più rivisto quelle carte, ormai sicuramente carbonizzate tra le macerie. Ma come sempre il mio angelo custode, mia moglie, era in agguato:

“Prova!” mi disse Bess mentre riscaldava il latte per il piccolo Charles “Stasera, prendi il treno per Luton, ci vorranno più o meno venti minuti da qui, vai a casa, sempre che esista ancora e cerca!”

L’inguaribile ottimismo di Bess aveva il potere di far sembrare semplice la più drammatica delle avventure, tuttavia io obiettai:

“Scusa, ma cerchiamo di essere logici, perché poi dovrei tornare li? Per di più al solo scopo di cercare dei pezzi di carta!”

“Ah, questo non lo so di certo! Ma tu mi hai detto che eri dispiaciuto per aver perso i documenti di Watson ed io ti ho dato un parere” dopo un attimo di pausa, in cui provò il calore del latte sul suo polso, proseguì “certo, se fosse per me ti direi di andarci di corsa, vorrei tanto sapere i dettagli dell’ indagine del Faro o dei Reali olandesi”

Guardai mia moglie, che aveva assunto un’aria sognante, mentre dava la poppata a nostro figlio, e le dissi:

“Ma che stai dicendo? Cos’ è il faro? E che c’entrano i Reali olandesi?” al che lei seccata:

“Prendi i documenti e torna qui, intanto io cerco di farmi prestare qualche vecchia copia dello Strand dal parroco, così capirai meglio!”

“Lo Strand?”

“Vai, non ti preoccupare, quando tornerai capirai tutto”

 

Alle 20 e 15 presi il treno per Luton. Nei miei programmi avevo pensato di andare a quel che restava della mia casa, in non più di mezz’ora cercare la scatola e tornare alla stazione alle 9e 50, in tempo per prendere il treno per il ritorno. Un’ operazione abbastanza folle, di sicuro, ma se era vero che la fortuna aiuta gli audaci, allora tanto valeva fare una prova.

Al fischio del capotreno seguì lo stridore delle ruote della motrice, dopo qualche sbuffo nero ero lanciato a cinquanta miglia orarie sulla ferrovia locale. In tasca avevo del pane con roastbeef, previdentemente preparato dalla mia Bess. Il vagone era semideserto, c’ era solo un’ anziana signora seduta in testa, vicino la porta di comunicazione con l’altra carrozza, il cui capo ciondolava ad ogni sobbalzare del treno.

Arrivai a Luton alle 20 e 35. Quello che era un gaio paesino del Bedfordshire appariva come un rudere. Molte le case crollate ed i negozi chiusi. Le tende dell’ esercito nelle piazze erano il segno che la popolazione residente non aveva voluto, o forse non aveva potuto, abbandonare il proprio paese. Camminai tra le rovine delle case lungo St. Mary Road. Erano  rimasti pochi edifici integri e la cosa mi parve molto strana, dal momento che quando partimmo da li la situazione non era certo così catastrofica. Pensai che forse, durante la nostra assenza, si erano verificati altri bombardamenti, ma la mia ipotesi stava per essere confutata, peraltro in modo assai sgradevole.

Vidi dietro una casa ancora integra la sagoma di una grande gru a vapore. Mi avvicinai. Ai piedi della struttura metallica c’erano quattro operai che stavano bivaccando. Chiesi loro:

“Scusate il disturbo, ma come mai tutte queste case sono crollate? Ci sono stati altri bombardamenti?”

Uno degli operai, messo da parte il pasto, si alzò dicendomi:

“No, signore, abbiamo avuto ordine di abbattere tutte le case pericolanti dopo il bombardamento del luglio dell’ anno scorso”

Raggelai, pensando che non avrei mai più rivisto i miei documenti:

“Siete già arrivati a Church street?”

“No, non ancora, abbiamo cominciato da appena dieci giorni.” Forse intuendo le mie intenzioni, l’operaio proseguì “Ma, non credo che la lasceranno avvicinare ai ruderi, sono tutti pericolanti e poi c’è la ronda dei volontari, per scongiurare i casi di sciacallaggio.”

“Capisco, grazie, buon proseguimento, arrivederci”

Mi affrettai lungo la strada, fino a scorgere da lontano la chiesa di St. Mary, sorprendentemente rimasta indenne. Evidentemente la mia casa cadeva sul margine più esterno dell’area colpita dalla bomba e questo fece si che i danni fossero limitati alla sola facciata.

Salii i gradini pericolanti della mia vecchia casa. Fino ad arrivare all’appartamento. Tutto era rimasto grossomodo come quella sera, tranne che nella camera da pranzo, dove per l’assenza del muro di facciata tutte le suppellettili ed i mobili avevano subito gli insulti delle intemperie.

In mezzo a quella assordante desolazione, venni colto da un raptus di follia:

“Perché non mangiare qui?” mi dissi e, presa una sedia, mi sedetti di fronte all’ immensa finestra come uno spettatore in galleria. Lo spettacolo era crudele: devastazioni, bivaccamenti improvvisati, tende, ma anche una certa industriosità dei miei concittadini nel cercare di ricostruire tutto ciò che avevano perso. Alla data di oggi, dopo trenta anni, posso dire che al posto di quella graziosa casetta georgiana e dell’ intero isolato, adesso c’è un grande parcheggio che serve il vicino aeroporto. All’ epoca, però non mi posi il problema di cosa sarebbe successo dopo, cavai di tasca il panino fatto da mia moglie e mi misi a mangiare relativamente sereno.

Qualcosa sibilò vicino il mio orecchio, l’intonaco del muro, dietro di me, saltò in piccole schegge mentre una voce dalla strada gridava:

“Chi va la! Fermo o sparo!”

La situazione era talmente assurda che una mia reazione di spavento, seppure perfettamente normale, sarebbe parsa fuori luogo.

“Non è un po’ troppo tardi per avvertire?” dissi “prima si avverte, poi si spara, casomai. Fatto così è un po’ inutile, no?” non feci a tempo a finire la frase che un soldato, giunto dietro di me, mi puntò il fucile alla schiena intimandomi di rimanere fermo.

“Sono il proprietario di questo appartamento, e sono un volontario della protezione nazionale distaccato a Clapham” dissi addentando il panino e rimanendo seduto, poi volgendomi verso il militare, con la bocca ancora piena  “vuol favorire?”

Evidentemente il soldato si sentì preso in giro , poiché mi assestò un colpo alla base del collo con il calcio del fucile

“In piedi!” mi disse dopo che rovinai cadendo dalla sedia

“Vuol vedere i miei documenti?” tossii gattonando verso un appiglio per potermi alzare

“Vediamo, forza!”

“Eccoli!” e tirai ai suoi piedi il mio portafogli, il soldato lo aprì e dopo un po’ me lo porse dicendomi:

“Lei ha rischiato pesantemente, signor Donovan. Avrei potuto colpirla in piena fronte poco fa”

“Non credo, la sua mira è veramente scadente” replicai “e se adesso non le spiace vorrei finire di mangiare, ho il treno tra esattamente venti minuti” dissi guardando con noncuranza l’orologio.

“Non è possibile signore, quest’area è sottoposta ad interdizione, debbo chiederle di abbandonare subito questo edificio, lo dico per lei, signore, è pericoloso!”

Richiusi il panino nella carta oleata, lo rimisi in tasca e mi diressi verso il mobile della credenza che giaceva rovesciato sul pavimento.

“Vorrebbe essere così gentile da aiutarmi a sollevare questa credenza?” dissi al militare “ci sono dei documenti di mia proprietà che debbono assolutamente essere recuperati”

“Va bene, signore, ma dopo lei scomparirà da qui, vero?”

“Ma certo, oltretutto, mi creda, non mi trattiene davvero nulla!”

Il soldato mise il fucile a tracolla e mi aiutò a spostare il mobile di chiaro rovere inglese. Lo sportello della credenza non voleva saperne di aprirsi, ma cedette alle dolci lusinghe della baionetta del militare, rivelando la tanto sperata scatola di metallo. La presi malcelando una certa impazienza e scappai giù per i gradini dopo aver ringraziato il soldato ed avergli detto:

“Mi raccomando, chiuda bene quando esce!”.

 

1, Bombardamenti Baedeker: serie di bombardamenti effettuati sul suolo inglese dalla Luftwaffe nel marzo del 1942. Il nome deriva da una popolare guida turistica della Gran Bretagna molto diffusa in Germania ed edita dalla Karl Baedeker Verlag.


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Capitolo 4
*** Capitolo III - Un po' di luce, solo un po' ***


CAPITOLO III –  Un po’di luce, solo un po’

 

Riuscii a prendere il treno delle 9 e 50, come avevo programmato. L’avventura kafkiana con il povero militare di ronda mi procurò un viaggio piacevole, dal momento che non potei smettere di ridere pensando alla sua figura inebetita mentre mi osservava allontanarmi verso la stazione con la scatola sottobraccio.

“Una figura buffissima” pensai “si leva l’elmetto, si gratta la testa e rimane li, imbambolato, come uno stoccafisso.” Ripercorsi la scena numerose volte con la mente e sempre mi faceva ridere quell’ uomo in divisa che potevo vedere nella mia camera da pranzo, attraverso lo squarcio nella parete.

Smisi di ridere. Capii.

“Ecco perché!” e compresi l’umore di quell’ uomo, compresi il perché di quel suo stare perplesso con l’elmetto in mano.

“Anche lui si è sentito un pupazzo nella casa delle bambole e certo avrà provato terrore, come me quella sera. Anche lui”

La brusca frenata mi cancellò quel pensiero dalla testa, dal finestrino scorsi il cartello “Clapham”, ero arrivato.

Attraversai il paese, le poche persone che vidi per la strada mi salutarono ed io risposi loro. Corsi a casa con la mia eredità sottobraccio, aprii la porta e mi diressi in camera da letto. Erano le 10 e 20 di sera, mia moglie dormiva con il piccolo Charles accanto. Mi fermai a vedere quella scena tenerissima e mi domandai

“Perché, Perché mai l’uomo diviene così cattivo da adulto?”

facendo il più piano possibile mi cambiai per la notte, ma come un anno prima, non mi riuscì di chiudere occhio, optai allora per concludere qualcosa di lasciato in sospeso. Mi diressi al tavolo da pranzo, scostai una pila di giornali constatando che si trattava delle vecchie copie del “the Strand” a cui fece riferimento mia moglie prima che partissi per Luton ed aprii la scatola metallica. La mia eredità era ancora li, come un anno prima, ne estrassi il plico che avevo frettolosamente forzato all’ interno, e dopo le altre carte. Le disposi nuovamente in ordine e ripresi la mia analisi li dove l’avevo interrotta.

Delle duecentotrentasei carte stenografate, riuscii a leggere solo le date e quello che presumibilmente doveva essere l’argomento via via trattato, vi comparivano titoli come: “ 11 gennaio 1889 - Omicidio Trepoff”,  “3 febbraio 1889 – fratelli Atkinson” , “21 febbraio 1889 - Reali olandesi, non pubblicare fino alla morte di S.A.R. Guglielmina di Orange-Nassau”. Iniziai a comprendere le parole del vecchio Cullen quando mi disse che le informazioni di quelle carte potevano risultare spiacevoli a molte persone. Feci un elenco di tutti i titoli, segnando anche i numeri di pagina corrispondenti. Il lavoro di catalogazione mi portò via buona parte della nottata, ma del resto catalogare documenti, anche se di contabilità, era stato il mio lavoro sino ad un anno prima. Finii verso l’ una di notte e sebbene il sonno cominciasse a farsi sentire c’era ancora il plico da esplorare, così, messi da parte i fogli stenografati, aprii il plico estraendo le cinque pagine che conteneva, legate insieme da una larga fettuccia bianca fermata con un nodo. Sciolsi il nodo e misi da parte il nastro, poi disposi uno dopo l’altro i fogli davanti a me. Uno di essi attirò la mia attenzione in modo peculiare: si trattava di un formato speciale, diverso da un comune foglio da lettera e realizzato con una spessa carta di qualità decisamente buona. In testa al foglio era raffigurata una lampada di terracotta affiancata dalle cifre D C e sotto l’indirizzo: “142, Pall Mall, Londra”. Il testo era scritto in una grafia tonda, nitida e ben calcata, ma non era scritto in inglese. La data riportata era: “Londra, 6 maggio 1891”, la firma era una minuscola serie di letterine tonde messe in riga a formare la parola “Verner”. Sull’ altro lato del foglio, c’era quella che presumibilmente doveva essere una risposta, la cui data era: “Greve in Chianti, 15 maggio 1891”, redatta in due grafie e due lingue distinte, di cui una inglese. La parte di testo per me comprensibile riportava:

 

 

“Caro cugino,

Non è sicuro far girare troppe carte, la posta potrebbe essere intercettata, è per questo che lo zio ed io rispondiamo sul retro della lettera ed è per questo che ho intenzione di limitare al massimo ogni comunicazione. Rimarrò qui in silenzio per un po’, almeno fin quando non si saranno calmate le acque, non scrivere più, ne va della mia vita, quella gente è pericolosa, ed anche se il loro affare è sfumato vorranno di certo eliminare ogni prova che possa ricondurli alla faccenda del porto.

Ti ringrazio per quello che hai fatto, ti lascio qualche istruzione per mio fratello, fagliele leggere.

 

1)      Contatta W, ho bisogno di essere creduto morto per qualche anno, lui sa come fare.

2)      Continua a pagare l’affitto di casa mia. Accertati che tutto rimanga così come l’ho lasciato, se la signora H. dovesse far storie inventati qualcosa, qualsiasi cosa, ma tutto deve assolutamente restare come è.

3)      Fai un bonifico internazionale di 1000 sterline sul conto corrente 795/32 del Banco di Toscana, filiale n° 1,  16, piazza della Signoria, Firenze. Ho urgente bisogno di denaro che mi dovrà bastare per un periodo piuttosto lungo.

4)      Distruggi questa lettera

Grazie ancora, vi farò sapere in anticipo quando ritornerò

Vostro, S.”

 

Certo la storia si faceva molto intricata, su un vecchio atlante provai a cercare la città da cui era stata datata la risposta firmata dal signor “S”, ma non riuscii a trovarla. Tuttavia, adesso sapevo che questo misterioso signore era il cugino del signor Verner, ma quello dell’ effige in testa alla pagina rimase comunque un enigma irrisolto.

All’ improvviso ebbi la sensazione di aver avuto un deja-vu, quell’ immagine di lanterna con le cifre D C non mi era nuova, chiusi gli occhi e cercai il più possibile di ricordare. Provai la stessa sensazione che sperimentano coloro che per la prima volta si cimentano ad infilare un filo nella cruna di un ago, il filo, la cui estremità sfrangiata si sfioccava in tante fibre, era il mio ricordo di quella strana immagine e la cruna, solido pertugio d’acciaio, la mia mente. Ogni volta che provavo ad afferrare il ricordo, esso mi sfuggiva restituendomi immagini di distruzione, rumori di bombardamenti e ricordi di quell’ ultima notte a Luton. Poi d’improvviso tutto fu nitido. I sigilli di ceralacca che chiudevano il plico. Confrontai le due immagini ed ebbi la conferma che volevo, adesso bastava solo tradurre il resto della lettera oppure recarsi di persona al 142 di Pall Mall per chiedere informazioni.

La mia curiosità per quella sera non fu affatto appagata, il velo di mistero attorno al bizzarro medico che mi aveva creato suo erede ed al suo ancor più bizzarro seguito di amici, andava infittendosi, mi era scoppiato un terribile mal di testa a furia di lanciare la mia mente in tentativi di collegare tra loro i Re dei Paesi Bassi, C D, il signor Verner ed il suo parente, il signor “S”.

  Decisi, quindi, di andare a letto trascurando le altre tre pagine del plico per evitare di  acuire i dolorosi sintomi della mia emicrania.

Mi distesi piano, cercando di non svegliare il piccolo Charles che dormiva vicino a Bess, ma non ci riuscii e per un attimo confesso di aver preferito le sirene della contraerea al fragoroso pianto di mio figlio. Bess si svegliò ed in breve ridusse al silenzio il pargolo sommergendolo con tutta la dolcezza che solo lei poteva usare, la vidi sorridermi nella penombra e dirmi:

“Come è andata la caccia?”

“Bene, erano li, li ho classificati, ma non sono riuscito a leggere quasi nulla è scritto in una lingua che non conosco, forse in italiano.”

Bess mi disse qualcosa, ma io sprofondai in un sonno piacevolissimo che pose fine al mio mal di testa.


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Capitolo 5
*** Capitolo IV - La febbre, la pozione magica e l’interprete italiana ***


CAPITOLO IV – La febbre, la pozione magica e l’interprete italiana

 

Mi svegliai il giorno dopo con il sole già alto e nessuno vicino a me. Avevo gli occhi gonfi e la testa pesante. Provai ad alzarmi dal letto con l’unico risultato di rovinare nuovamente sul materasso dopo aver fatto una piroetta. Non mi sentivo molto bene, chiamai Bess la quale venne con in braccio il piccolo Charles. Vedendomi in quello stato pietoso e dopo avermi messo una mano sulla fronte sentenziò:

“Hai la febbre. Sam, sei riuscito ad ammalarti ad agosto! Come hai fatto?”

“Non lo so, ma sto male, Bess”

“No, ma stai tranquillo, non è influenza” mi rassicurò mia moglie “Sicuramente è l’eccessiva fatica di questi giorni che ti ha ridotto così” uscì dalla stanza continuando a parlare “Adesso vado a cercare qualcosa per rimetterti a posto, tu aspetta qui, non ti muovere, vado anche da Christiansen a dirgli che oggi non potrai essere di servizio” riapparve nella stanza, vestita di tutto punto, dopo pochi minuti “mi raccomando, non ti muovere!”

Era improbabile, e posso garantire che lo è tutt’oggi, tentare di fermare mia moglie. Il suo temperamento mediterraneo, affatto mitigato da ormai quasi quarant’anni di cittadinanza britannica, la porta spesso a travolgere, anche fisicamente, qualsiasi cosa o persona che non si allinei al suo pensiero. Quindi nemmeno mi sforzai di chiederle dove andasse, chiusi gli occhi e mi riaddormentai.

Mi risvegliai quando una goccia d’acqua ghiacciata iniziò a colarmi lungo il collo. Aprii gli occhi e scorsi mia madre alle prese con delle pezze bagnate che mi disponeva sulla fronte ad intervalli regolari. Sorrisi e le chiesi

“Sai dove sia Bess?”

“Si, è tornata poco fa, è con tuo padre in cantina”

“In cantina?”

“Si, ha detto che le serviva del vino”

“Per cosa?”

La risposta stava per arrivare, un intenso profumo fruttato precedette nella camera la bella figura di Bess, la quale comparve con una candida e grande tazza in mano.

“Eccoci qui,  questa è la cura” si avvicinò al comodino e vi posò sopra la tazza, mentre io e mia madre la osservavamo curiosi.

“Sam, dove sono i fiammiferi?”

“I fiammiferi? Nella tasca della giacca, perché?” Senza rispondere, Bess trovò la scatola di zolfanelli, ne accese uno e lo accostò al bordo della tazza. Una fiamma di almeno sei pollici si levò dal candido contenitore in ceramica, estinguendosi spontaneamente dopo poco. Mia madre, inorridita, si levò in piedi gridando:

“Che diavoleria è mai questa? Non vorrai far bere quella cosa al mio Sam?”

Bess si voltò verso mia madre, dopo avermi avvicinato la tazza e disse pacifica:

“Signora, si tratta di un…tonico, la ricetta me l’ha insegnata mia nonna. Bevi, Sam, ti sentirai subito meglio”

Una sostanza di colore marrone scuro e di consistenza spessa, riposava nella bianca tazza di ceramica, l’odore era decisamente invitante, ma non appena iniziai a berla, sentii come un fuoco divorarmi i visceri. Feci per abbassare la tazza, ma mia moglie mi fermò forzandomi a trangugiare tutto sino all’ ultima goccia.

“Ma cosa diamine c’è qui dentro!” urlai. Dopo qualche minuto sentii che il mal di testa stava diminuendo, mentre un’onda di calore, dall’ addome, si propagava in ogni fibra del mio corpo.

“Caspita, Bess, questa cosa è eccezionale, mi sento decisamente meglio!”

“Te l’avevo detto!”

Vidi mia madre andare via perplessa, guardando con timore mia moglie e me con apprensione

 “Mi spieghi cosa c’era qui dentro?”

Chiesi con curiosità a Bess

“Ma nulla, Sam! Frutta, spezie e miele messi a bollire in un tegame pieno di vino, quando il liquido si addensa tanto da entrare in una tazza è pronto. Poi si toglie l’alcool in eccesso dando fuoco con un fiammifero e si beve. Questo è il segreto della pozione magica!”

“Quindi tu sei uscita a cercare gli ingredienti”

“Si, e li ho trovati quasi tutti, tranne uno: i chiodi di garofano. Non so come si chiamino in inglese e quindi non li ho neppure potuti cercare”

“Chiodidi Grofano?” ripetei incerto

“No!” sorrise Bess scandendo piano: “Chiodi – di – garofano sono dei semi”

“Capisco, strana lingua l’italiano” Sgranai gli occhi “Bess! Diamine, le carte, mi devi fare da interprete!”

“Cosa?”

“Si, tra le carte di Watson ce n’è una in italiano, me la devi tradurre, portale tutte qui, te le farò vedere”

“Calma, calma, si, già l’ho letta. Ricordi di avermelo detto ieri sera, prima di addormentarti? Aspetta, la vado a prendere”

 

Così iniziò a farsi un po’ di luce sul mistero delle carte del dottor Watson: sulla prima facciata del foglio “della lanterna” c’era scritto:

 

 

Londra 7 maggio 1891

 

Caro zio,

Vogliate perdonarmi per le poche volte che v’ho scritto da quando sono qui a Londra.

V’è necessità che voi e la zia prestiate soccorso ad un pover’ uomo di cui non posso dirvi oltre in questa lettera.

Voi conoscete quant’ io sia serio, pertanto vi chiedo, amatissimo zio, di fare ciò che vi dirò di seguito senza indugiare minimamente su nulla. Sappiate che ogni vostra curiosità verrà appagata presto, ma sappiate pure che dalla celerità e dalla precisione del vostro intervento dipende la vita di un uomo a noi tutti molto caro.

Ecco quanto vi scongiuro di fare:

Il 15 di questo mese recatevi con la carrozza chiusa al bivio per la chiesa di san Marcellino, appena fuori Greve. Abbiate cura di oscurare tutti i vetri e di far sì  che nessuno possa scorgere, dall’esterno, gli occupanti del mezzo.

Giunto in tal luogo attendete sino all’ultimo rintocco del mezzodì; vi si approssimerà un uomo in condizioni miserevoli che non parla italiano. Fatelo montare repentinamente in carrozza e conducetelo alla vostra casa, non fermatevi per alcun motivo. La dilettissima zia Fanny potrà fare da interprete tra voi e quest’uomo, che vi racconterà tutta la sua incredibile storia. Abbiate cura di lui come la avreste di me e ragguagliatemi, vi prego, su tutte le nuove del caso.

Con eterno affetto e riconoscenza,

vostro devotissimo nipote

Horace Teofilo Verner

 

 Sul retro, sotto la risposta redatta in inglese stava scritto:

 

Nipote,

stento a credere quanto è accaduto. Un uomo, ridotto a guisa del più emaciato mendicante, si è arrampicato nella nostra vettura con le ultime forze che aveva, per poi cadere svenuto sul sedile. Grazie a vostra zia Fanny, ho potuto comprendere quanto egli dicesse ed ho scoperto, con grandissima gioia, che quel giovane così mal’ in arnese altri non è che il figliuolo della mia amata sorella Beatrice. Non abbiate timori, nipote, vostro cugino è adesso circondato da cure amorevolissime e si riavrà assai presto.

Ho poi appreso che questo ragazzo corre serissimi pericoli, legati alla sua professione, di cui non ho, tuttavia, ancora afferrato la natura. Di certo potrà star sereno giacchè, fintanto che si troverà nella villa non avrà nulla da temere.

Quanto a voi, nipote, la mia collera nei vostri confronti è un poco scemata, tuttavia vi debbo rimproverare di non aver più mai dato notizie di voi da quando siete partito. Non dimenticatevi dei vostri zii, date contezza di voi e veniteci a trovare presto.

Vostro zio

Nestore Verner Targhini-Zanca

 

 

Rimasi molto dubbioso. Bess posò il foglio sul comodino, vicino alla tazza di ceramica bianca e mi disse:

“come stai?”

“bene, solo non riesco a capire il significato di questa lettera”

“neppure io, però adesso sarà il caso che stai tranquillo e pensi a rimetterti”

no, non posso, mi mancano gli altri tre fogli, e sono sicuro che la chiave di tutto si trova li!” .

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Capitolo 6
*** Capitolo V - Viaggio in Italia, parte prima ***


 

CAPITOLO V – Il racconto del Dott. Watson -1: Viaggio in Italia

 

Avevo ragione. Appena fui  in grado di poter leggere, misi gli occhi sul manoscritto e la situazione mi fu chiara. Cullen aveva predetto correttamente: la mia non era una eredità fortunata.

 

---

 

Perfino la più grande metropoli del mondo con tutti i suoi innumerevoli divertimenti, può apparire tediosa allorquando la mente sia catturata e monopolizzata da un unico pensiero fisso.

Dopo la lettera del maggio 1891 non ebbi più notizie di Sherlock Holmes, lo immaginavo immerso nella sua prigione dorata alle porte di Firenze mentre i suoi concittadini lo credevano morto in una cascata svizzera.

Fu essenzialmente la mancanza d’azione, la perdita di quel pizzico di brio e la lontananza del mio amico a spronarmi nella realizzazione di un pensiero folle: andare a trovare Holmes.

Ammetto che, seppure sulle prime mi sarebbe bastato avere solo qualche notizia per lettera, con il passare del tempo, mi resi conto di avere la necessità di rivederlo di persona e di scorgere nuovamente quella sua lunga figura che portavo bene impressa nella memoria.

Verso la metà di gennaio del 1894, erano passati due anni dalla precipitosa fuga del mio amico da Londra,  mi recai, come spesso facevo, a Baker street per visitare la signora Hudson e per respirare, seduto sulla mia poltrona, quell’aria ancora carica del forte odore del latakia1. Quel giorno in particolare ricordo di essermi soffermato più del solito sul quadro che la mia vecchia padrona di casa aveva posto appena sopra la mensola del caminetto. Si trattava di un disegno a china che raffigurava le cascate Reichembach,  circondata da un drappo nero. Risi al pensiero di cosa avrebbe potuto dire Holmes di quella immagine, ma presto il mio goliardico umore venne stemperato dall’ insinuarsi di una sottile nostalgia. Tutti gli angoli di quell’appartamento mi parlavano, mi raccontavano la loro storia e mi chiedevano di ricondurli, in qualche modo, dal loro proprietario. Il mio sguardo rimbalzava dall’ attizzatoio che Holmes aveva raddrizzato nel caso del signor Roylott alla sua pipa di gesso, dall’ arpione del pirata Peter ad uno dei messaggi ricevuti dalla signora Cubitt, ancora appeso alla parete, dal cassetto che custodiva discreto il vituperato astuccio di marocchino e la fotografia di Irene Adler all’imponente schedario criminale che Holmes metteva costantemente in subbuglio.

Mi parve di vederlo nuovamente inginocchiato con i fascicoli attorno sparsi, mentre mi spiegava i risvolti artistici della sua professione, egli stesso si definiva un artista sui generis, che aveva acquisito il gusto per l’arte dal suo avo Vernet e lo aveva convogliato per un canale che si avvale del ragionamento più che delle tele.

Sorrisi pensando a quell’episodio, alla vicenda del signor Melas, frangente in cui feci la conoscenza dell’ altra mirabile mente di casa Holmes, Mycroft. Mi rividi come in un sogno nella “Sala degli Stranieri” del Diogenes club mentre osservavo i fratelli Holmes, scambiarsi battute in rapida successione in quel loro curioso gioco della finestra.

“Mycroft!”

dissi ad alta voce d’un tratto, mentre mi incamminavo giù per i diciassette gradini di Baker street.

“perché non ci ho pensato prima!”

La signora Hudson uscì dalla cucina al pian terreno e mi osservò con curiosità

“va tutto bene, dottore?”

“Benissimo mia cara signora! Se glielo chiedessi con un po’ di anticipo potrebbe preparare quel suo delizioso roastbeef?”

“Si, certo” mi rispose la gentile signora alquanto sorpresa da quella mia bizzarra richiesta

“E pensa che potrà viaggiare?”

“Chi? Io?”

“Ma no, signora! Il roastbeef!” dissi stizzito. Solo dopo mi accorsi di aver assunto il piglio del mio amico con la povera signora Hudson, la quale rimase a guardarmi inebetita sulla soglia di quello che ancora continuo a chiamare “221b” mentre mi allontanavo verso New Bond street, diretto al Pall Mall.

 

Ricordo che provai una sorta di eccitazione inspiegabile mentre percorrevo le strade verso il Diogenes. La mia mente era completamente avvolta nelle più disparate cogitazioni, cercando di far coincidere orari ferroviari, traghetti, permessi, visti, passaporti e ad un tratto mi resi conto del perché Holmes rimaneva sempre muto durante le sue indagini.

Finii per distrarmi talmente tanto che arrivai quasi a Buckingham palace, dovetti quindi tornare indietro e pensai che queste cose ad Holmes non accadevano mai, egli accendeva e spegneva il suo cervello a piacimento, non gli succedeva mai di dimenticare qualcosa perché troppo immerso in un ragionamento.

 

Incontrai Mycroft nella “Sala degli Stranieri”, era placidamente assiso sulla poltrona quando con stupore alzò lo sguardo verso di me e disse:

“Adesso capisco perché Sherlock ripone tanta fiducia in lei, il suo tempismo è encomiabile, si sieda, prego” disse indicandomi una sedia “dobbiamo solamente aspettare mio cugino Horace, le dobbiamo mostrare una cosa molto importante”

“Signor Holmes, temo di non afferrare, io sono qui per chiederle un grande aiuto”

“Come? Non ha ricevuto il mio biglietto? L’ho mandato presso il suo studio”

“No, ero uscito, ero andato…” non mi fece finire la frase

“Ah, già! Anche lei come mio fratello è un gironzolone che ama le lunghe passeggiate, ma dico io quale è il vantaggio di abitare e lavorare nello stesso palazzo se poi si va in giro ad affaticarsi camminando per strada? Io, dottore, proprio non la capisco! Se poi penso a quello che mi aspetta tra poco…!” disse portandosi una mano alla fronte. “Comunque, cosa voleva chiedermi?”

Trattenni un sorriso pensando a quando Sherlock Holmes parlando del fratello diceva: “egli è completamente privo di energie, è troppo pigro, preferisce ritenere errata una sua deduzione piuttosto che alzarsi e verificarla personalmente”.

“ Volevo chiederle se poteva aiutarmi ad andare da suo fratello!” dissi con un sorriso imbarazzato

“Mio buon dottore” rispose il paffuto funzionario “è quello che vogliamo tutti, l’ho fatta chiamare apposta! Si sieda, prenda un sigaro, dobbiamo aspettare Horace, come sa anche lui è un medico ed avrà certo avuto un’ urgenza. Nel mentre è meglio non affaticare la mente”

Se fino ad un momento prima avevo provato il furor holmesianum adesso ero tornato ad essere, o perlomeno a sentirmi, l’ottuso Epimeteo di sempre. Non capivo più nulla, quindi decisi di sedermi e di attendere il dottor Horace Teofilo Verner, il cugino italiano dei fratelli Holmes.

Egli, che più in avanti avrebbe rilevato il mio studio di Kensington, era l’ultimo discendente del ramo italiano dei Vernet, nato nel 1735, durante il periodo del soggiorno romano del celebre paesaggista francese.  A seguito di una fortunata serie di matrimoni con la nobiltà toscana, i Vernet si trasferirono da Roma per andare a vivere in un latifondo posto nelle immediate vicinanze di Firenze.

In anni più recenti, durante le invasioni napoleoniche, il nonno del mio collega, si era visto espropriato di una notevole quota del suo patrimonio fondiario. Caduto l’Imperatore, poi, aveva mutato il suo nome da “Vernet” in un più germanico “Verner”, tanto per evitare di rimanere vittima della diffusa francofobia, quanto per allinearsi con la nuova classe dirigente dei granduchi d’Asburgo-Lorena nel tentativo di riottenere almeno una parte dei  possedimenti confiscati.

Il dottor Verner, con la sua esile figura, entrò nella sala con passo silenzioso, poi, chiusa la porta dietro di se, disse:

“E’ incredibile, in questo posto si ha paura di disturbare anche i posacenere!”

“Evidentemente, cuginetto, non sei abituato alla calma tu che vieni da un paese tanto festaiolo”

“Mycroft, carissimo, anche tu vieni da un paese festaiolo, come me, per metà”

“Si, ma io ho acquisito solo la metà silenziosa” disse con un sorrisetto Holmes.

“Ah!” sospirò il mio collega “Oh! Watson!” disse  quando si accorse della mia presenza “stavamo giusto aspettando lei!”

“Che combinazione, anche io stavo aspettando lei, Verner”

“Oh, si, mi scusi per il ritardo, ma ho avuto un’urgenza… comunque… Mycroft ed io volevamo farle vedere questo, è arrivato stamane con la posta, lo manda Sherlock.”

Guardai il foglio che Verner mi porgeva ed inorridii nel rivedere gli omini danzanti del signor Cubitt.

“Questo è un codice con cui Holmes ed io ci siamo scontrati tempo fa” indugiai “dovrei andare a cercare nei miei diari la chiave per…” ovviamente Mycroft non mi fece finire la frase

“C’è scritto: “ho bisogno di aiuto per fuggire, importante. S.” Il messaggio è molto corto per limitare le possibilità di decifrarlo a chiunque non sia in possesso della chiave” disse Holmes quasi sbadigliando

“Ah, quindi lei conosce il codice degli omini danzanti!” dissi io ingenuamente ed a questa mia domanda Mycroft scosse il capo lentamente, portandosi una mano alla fronte. Per fortuna Verner venne in mio aiuto:

“No, collega, sa come sono fatti i fratellini Holmes, vero? Non esiste codice che loro non sappiano decifrare, quando l’ho visto ho pensato ad uno scherzo di mio zio, come vede, infatti il francobollo è italiano e l’annullo è di Firenze” indicando Mycroft seduto “poi quel valent’uomo che vede seduto li, mi ha detto che era un messaggio di Sherlock”.

“Oh, e quindi dobbiamo andare da lui!”

“Ma certo” disse Verner “è per questo che Mycroft è di umore più nero del solito, non l’ha capito? Solo il pensiero di farsi tremila chilometri tra andata e ritorno lo fa sentir male!”

“A quanto corrisponde un chilometro?” chiesi io

“Più o meno mezzo miglio” rispose Verner “ tutto il viaggio saranno millesettecento miglia grosso modo”

“Non è nulla, Verner! Dopo il viaggio di ritorno da Herat questa sarà poco più che una passeggiata!”

“Ottimo, Watson!” disse Verner sorridendo “e tu, cugino, che ne dici?”

Sentendoci parlare così, Mycroft guardò entrambi:

“Non potreste portare voi i miei saluti a Sherlock?”

“Perfetto, sei dei nostri, allora! Ho già preparato tutto, partiremo dopodomani, alle quattro del mattino c’è un treno per Plymouth, da li il traghetto per Calais partirà alle sei e mezza del mattino, dopodiché prenderemo il nuovo treno rapido, l’Orient Express, fino a Venezia. Da li dovremmo trovare un treno per raggiungere Bologna, prendere la ferrovia Porrettana ed arrivare a Firenze. Il viaggio durerà pressappoco un paio di giorni.” Disse Verner fregandosi le mani “Preparate i bagagli, ci vedremo alla stazione Victoria dopodomani alle tre e mezza. Watson, venga armato, non si sa mai.”

“Oh, certo, si! Ma come facciamo per i documenti? Per i passaporti?”

“Sentito il dottore, cuginetto?” cinguettò Verner all’ indirizzo di Mycroft, il quale rispose gravemente:

“L’Amministrazione Britannica non consente un uso privato delle risorse statali. Io sono un funzionario del Governo e la mia opera non è volta ad appagare le necessità dei singoli individui”

“Mycroft, capisco che non hai nessuna voglia di muoverti dal tuo club, ma si tratta di tuo fratello! Sono sicuro che se i il dottor Watson necessita di un visto sul passaporto tu saprai farglielo avere in poche ore, vero?”

Un grugnito baritonale fu la risposta, che, a posteriori, si rivelò affermativa.

 

La pernice al forno, sapientemente accompagnata da uno Chablis2 del 1879 era un lontano ricordo. Eravamo scesi da poco a Venezia, abbandonando i lussi dell’ Orient Express per salire su di un più modesto convoglio in direzione di Bologna. Al paesaggio gentile e delicato della campagna francese, che avevamo visto il pomeriggio precedente, si era sostituito un pianoro vastissimo invaso da una fitta nebbia, da cui spuntavano di tanto in tanto degli uomini vestiti con pesanti tabarri di lana cotta. Verner, il nostro Cicerone, ci spiegò che quella era la pianura emiliana, la quale d’estate sapeva essere tanto bella ed affascinante quanto fosca ed oscura d’inverno.

Arrivammo a Firenze alle sei di sera del 17 gennaio 1894, Mycroft, esausto ed ancora più indispettito dall’ enorme fatica che per lui aveva rappresentato un così lungo viaggio, cercò di convincerci che sarebbe stato opportuno dormire in città per poi recarsi da Holmes il giorno dopo. Naturalmente io ero di tutt’altro avviso, ma non avevo una confidenza tale da potermi permettere di imporre la mia opinione. Per fortuna Verner convinse il cugino della assoluta necessità di un nostro tempestivo intervento a villa Targhini così come era stato richiesto dal mio amico.

Prendemmo un fiacre, una carrozza pubblica più grande e comoda delle nostre carrozze londinesi, nella piazza di Santa Maria Novella e ci dirigemmo per la via Chiantigiana verso la nostra meta.

Era già molto scuro e se almeno nella città potevamo godere di una flebile illuminazione artificiale, nella campagna regnava il buio più pesto e le uniche luci a solcare quel mare oscuro erano i fanali della nostra carrozza. Di tanto in tanto attraversavamo borghi silenziosi ed io mi sporgevo dal finestrino per respirare quell’ aria così penetrante e per osservare qualcosa del paesaggio attorno a me. Mycroft era taciturno ed imbronciato, seduto nell’ angolo sul divano di logoro cuoio, mentre Verner, con l’entusiasmo tipico di chi ritorna dopo tanto tempo a casa propria, snocciolava i nomi delle contrade che attraversavamo, indicandomi ora questo ora quel posto, che nel buio della notte non riuscivo a scorgere.

Dopo quasi una mezz’ora fummo davanti un bel cancello di ferro battuto ai lati del quale stavano, incise su ampie superfici di marmo le parole “ VILLA TARGHINI – ZANCA”. Il nostro viaggio era appena finito, ma la grande avventura in cui ci saremmo imbattuti tutti quanti era appena agli inizi.

Il nostro movimento davanti al cancello della villa, attirò uno dei guardiani, che ci venne incontro con una poco amichevole espressione ed un fucile da caccia, imbracciato in maniera decisamente ostile. Verner ed il guardiano si scambiarono poche parole e subito il cancello della villa fu aperto. Fummo fatti entrare, Mycroft ed io  facemmo la conoscenza del barone Verner Targhini-Zanca e della sua amabile signora, nostra connazionale, la baronessa Fanny.

Durante i convenevoli e le presentazioni di rito, una lunga figura, avvolta in una vestaglia rossa, si appalesò alla nostra vista con la noncuranza del più perfetto dandy.

“E voi cosa ci fate qui?” disse Sherlock Holmes con un espressione quasi irata

“Credimi Sherlock, non sarei venuto per nulla al mondo. Avrei senz’altro preferito attenderti fedelmente sulla poltrona del mio club” rispose placido Mycroft

Guardai il funzionario con un certo disappunto e dissi “Holmes, ma non è stato lei a chiamarci?”

“Io? Watson, ma cosa dice?” rispose il mio amico avvicinandosi a noi

“Sherlock, tu ci hai mandato questo qui e noi siamo venuti!” Concluse Verner mostrando il messaggio arrivato al Diogenes “Guarda” continuò “c’era il francobollo italiano, il timbro è di Firenze… chi altri poteva essere?”

“Non io! Non io, accidenti!” urlò Holmes incrociando le braccia e mettendosi nervosamente a camminare per il corridoio. In un angolo la baronessa Fanny traduceva le parole che ci scambiavamo e le ripeteva all’ orecchio del marito, sui cui lineamenti si potevano cogliere le nostre stesse espressioni con qualche attimo di ritardo.

“Il messaggio degli omini di Cubitt.” disse Holmes sospirando “Mycroft, devi proprio avere una brutta opinione di tuo fratello per credere che io usi un codice come questo per comunicare con voi” si girò verso di me

“Dottore, come sempre devo ringraziarla di tutta la pubblicità che lei ha fatto alla mia professione con i sui racconti. Come debbo ripeterle che non deve divulgare i dettagli! Non basta aver cambiato il numero civico di dove abito, anche perché, non essendoci duecento numeri su Baker street, anche un idiota capirebbe che vivo al numero ventuno!” ci fu una pausa che parve lunga decenni “Ma al di la di questo” disse rivolgendosi a tutti con rassegnazione “siete caduti in una trappola” appallottolò il messaggio degli omini che aveva ancora in mano “ ed avete condannato a morte tutti noi”.

Una cortina di mestizia calò sugli sguardi di tutti i presenti. L’anziano barone Verner impartì un ordine alla servitù, che prontamente uscì dalla sala, poi si avvicinò ad Holmes e gli mise una mano sulla spalla chiamando a se la moglie. Anche in quel momento così tragico, in cui la vita di ognuno era appesa ad un filo, non potei fare a meno di cogliere quel quadro bizzarro in cui l’anziano nobile, per parlare con il nipote, si avvaleva della traduzione della moglie.

“Vedrai che tutto si sistemerà. I guardiani piantoneranno gli ingressi della villa ininterrottamente. Ho dato disposizione che vengano usate anche le mute di segugi che di norma usiamo per la caccia. Nessuno potrà avvicinarsi alla villa senza essere visto” Così disse la baronessa Fanny traducendo le parole del marito, ma Holmes replicò con un amaro sorriso:

“Il nostro nemico è ben più grande di un semplice sicario. Abbiamo contro tutto il Governo di questa nazione. Potrebbe darsi, che questa volta siamo veramente arrivati al capolinea. Mio caro Boswell” disse il mio amico stringendomi una spalla “ Non è colpa sua, sappia che non le serbo rancore”

 

---

 

 

Londra, 6 luglio 1930

 

Caro erede,

questa mattina un colpo apoplettico ha seriamente compromesso le mie già precarie condizioni, sento che, con molta probabilità, non arriverò a superare la nottata. Non odiarmi per aver interrotto così la tua lettura, ma sappi che ti scrivo queste righe con il preciso intento di ammonirti.

Non so chi tu sia, né lo voglio sapere. Sono certo che il Caso sceglierà la migliore persona possibile. Ti devo avvertire, però, su una cosa importante, non proseguire la lettura di questa storia se ti manca il coraggio. Se vorrai leggere oltre, sappi che molte persone saranno pronte ad impedirti di farlo. Sappi che ho mentito su molte cose nella mia vita, sempre a fin di bene, ma adesso sto dicendo la verità, se vorrai leggere oltre chiedi di Horace Verner o, visto che saranno passati ormai molti anni, di suo figlio presso il Diogenes club, dì loro che sei “l’erede del dottor Hamish”. Usa queste parole ed otterrai quel che cerchi. Che Dio t’aiuti.

 

J. H. Watson

 

1, Latakia : Tabacco di origine cipriota dall’odore estremamente forte e persistente, componente della classica english mixture

2, Chablis: vino bianco francese prodotto in Borgogna

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Capitolo 7
*** Capitolo VI - Alcune considerazioni ***


CAPITOLO VI  – Considerazioni

 

Lessi d’un fiato il racconto del dottore e mi scontrai contro quell’ interruzione come contro un muro di mattoni. L’unica mia speranza era Bess: la grande esperta delle storie di Holmes.

 

“Ho letto le pagine che il dottore aveva scritto” le dissi quella stessa sera a cena “a quanto pare fanno parte di uno dei racconti inediti, ma la storia non è completa.”

“Quando è stata scritta?”

“non molto tempo fa, immagino, ma parla di avvenimenti accaduti nel gennaio 1894”

“Impossibile, controlla meglio, nel gennaio ’94 Holmes era creduto morto da tutti, forse avrai letto male, come minimo dovrebbe essere maggio 1894”

“no, Bess. Gennaio 1894”

Mia moglie parve confusa

“tu sai cosa sia lo Hiatus?”

“no, francamente, no”

“E’ il nome che si da ad un periodo che va tra il 1891 ed il 1894. Periodo in cui Sherlock Holmes viene creduto defunto nelle cascate Reichembach, in svizzera, dopo un mortale duello con il temibile professor James Moriarty”

“Ah, si, queste cascate vengono nominate da Watson” cercai il passo del racconto “ecco, ascolta: << lo immaginavo immerso nella sua prigione dorata alle porte di Firenze mentre i suoi concittadini lo credevano morto in una cascata svizzera>> Quindi Watson sapeva che era vivo!”

Bess parve sempre più stupita

“No, lui lo rincontrò nell’ avventura della casa vuota, dopo tre anni. Anche Watson era convinto che Holmes fosse morto. Non capisco, ma sei sicuro che quella roba l’abbia scritta Watson? Anche perché Holmes non rimase a Firenze, ma viaggiò per mezzo mondo, pensa che andò addirittura in Tibet!”

Evidentemente mi trovavo di fronte ad un qualcosa di veramente anomalo. Le parole di Oswald Cullen, l’anziano cassiere della banca in cui lavoravo, risuonarono ancora nelle mie orecchie:

Signor Donovan, non le è stato fatto un bel regalo e francamente non vorrei trovarmi al suo posto

No, non mi era stato fatto un bel regalo affatto. In principio avevo creduto di trovarmi di fronte a qualche raccontino poliziesco partorito da una mente molto creativa, ma mi resi conto subito che quanto avevo per le mani non era frutto di una invenzione, era una realtà, una verità che a molti ancora poteva risultare sgradita, pur dopo quasi cinquanta anni.

Era evidente che, la prima cosa da fare era informarsi sulla vita del signor Holmes, dei suoi amici e dei parenti. Nessuno era più vocato a questo compito della mia adorabile moglie.

 

In solo due mesi ricevetti una buona istruzione su tutto quello che viene definito “Canone holmesiano” ovvero tutte le opere scritte dal dottor Watson ed apparse sullo Strand. Notai moltissimi dettagli discrepanti tra un racconto e l’altro, specialmente per quanto riguardava le date. Quando poi andai ad incrociare i dati desunti dal “Canone” con quelli che si potevano estrapolare dai racconti della mia “eredità”, in particolare con il mutilo resoconto del viaggio in Italia, emersero delle divergenze davvero imbarazzanti:

 

1-     Holmes e Watson abitano al 221b di Baker street secondo la versione ufficiale, ma per ammissione dello stesso Watson, nel “viaggio in Italia”, quello non è il loro vero indirizzo. Questa informazione la si può desumere anche dall’ “avventura della casa vuota”. Questo racconto, sebbene forse frutto dell’ immaginazione di Watson, riporta un tragitto che i due amici percorrono per le strade di Londra, seguendo questo percorso ci si ritrova all’ altezza del civico 22 di Baker street, la sede, appunto, della casa vuota. Ne segue che l’appartamento di Holmes è al civico 21, dall’altra parte della strada.

2-     Holmes proviene da una famiglia benestante di estrazione rurale, originaria del Sussex. Non si precisa altro nella “avventura dell’ interprete greco” se non che Holmes è il discendente di un pittore francese, Horace Verenet. Tempo dopo, nell’ avventura del “costruttore di Norwood” fa la sua comparsa un oscuro individuo, Verner,  che Watson dice di non conoscere e che poi si rivela un parente di Holmes. Eppure dal “viaggio in Italia” si apprende che Verner e Watson si conoscono benissimo e non solo, si apprende anche che Verner è un nobile italiano e che la sua zia, Beatrice, è la madre dei fratelli Holmes.

3-     Holmes muore in una cascata svizzera lottando con il suo acerrimo nemico Moriarty. Come è possibile che una rivalità così aspra venga a comparire solo in un breve resoconto di poche pagine senza mai un minimo riferimento durante le precedenti avventure? Inoltre nelle lettere si parla di un non meglio precisato affaire o “scandalo” come causa della fuga precipitosa di Holmes da Londra, fuga che deve essere creduta una morte.

 

Alla luce di queste informazioni era perciò possibile dedurre che:

 

1– Watson alterava intenzionalmente molti dei dettagli che avrebbero potuto ricondurre ad elementi sulla vita privata sua e di Holmes.

 

2- Holmes non è mai stato alle cascate Raichembach e non ha mai lottato contro un professore di matematica di nome James Moriarty

 

3- Holmes, tra il 1891 ed il 1894 è stato coinvolto in un’ indagine su scala internazionale relativa ad un presunto scandalo di cui non conosciamo i dettagli.  A seguito di questa indagine è dovuto scappare da Londra per rifugiarsi a Firenze, da dove ha continuato ad occuparsi del caso, con il vantaggio di essere creduto morto.

 

 

Nel febbraio 1942 tutta l’Europa, ad eccezione della Gran Bretagna, era dominata dal giogo tedesco. Il fronte russo dava parecchie noie alla Wermacht, nonostante l’imponente mobilitazione del piano Brbarossa, l’esrcito russo, decisamente inferiore per risorse e qualità dei mezzi, offriva una strenua resistenza, come del resto aveva già fatto in occasione dell’ invasione napoleonica.

La sede della banca presso cui lavoravo era stata ricostruita e venni reintegrato in servizio con la promozione a capo commesso per meriti civili in tempo di guerra.

Fu in una giornata dei primi di marzo, verso le sei del pomeriggio, che, finito il lavoro,  volli andare a dare un’ occhiata a Baker street per vedere i luoghi da cui partivano tutti i racconti di Watson.

Avevo come riferimento la descrizione della “casa vuota” ed il percorso fatto da Watson e Holmes per arrivarci. Raggiunsi quindi George street, girai per Kendall place e mi trovai esattamente dietro il numero 22 di Baker street. Entrai nell’ edificio per la porta sul retro sperando di non essere visto da nessuno ed uscii dall’ ingresso che dava sulla strada. La sorpresa fu amara, il palazzo georgiano che aveva ospitato le avventure del famoso investigatore era un povero cumulo di macerie, pensai:  “proprio come la mia casa a Luton” (Per la cronaca segnalo che al momento della stesura del presente racconto, sul terreno del numero 21 si trova la filiale di una banca multinazionale1). L’appartamento da cui ero appena uscito era esattamente quello descritto da Watson, bianco, con una lunetta di vetro sopra la porta. Non potevo sbagliarmi, ero arrivato all’ inizio della mia personale indagine su Sherlock Holmes.

Da un telefono pubblico chiamai il pub di Coleman, l’unico a Clapham ad avere un telefono, perché avvertisse Bess che quel giorno avrei tardato a rientrare. Era infatti nei miei piani di andare al

142 di Pall Mall, la sede del Diogenes Club, per chiedere notizie di Horace Verner o di un suo erede in grado di fornirmi il racconto mancante. Con un taxi impiegai qualche minuto ad arrivare a destinazione, non potei fare a meno di sorridere pensando ad Holmes che si appollaiava dietro le carrozze o che impiegava venti minuti per andare da un quartiere all’ altro di Londra. Giunto a destinazione, scesi e bussai alla porta.

Mi venne ad aprire un signore anziano con abiti dimessi, molto probabilmente un custode, a cui chiesi:

“E’ questo il Diogenes Club?”

“Questo era il Diogenes, signore. Adesso è solo la sede degli archivi del Reform Club2.”

“Stavo cercando il signor Verner, sa dove posso trovarlo?”

“Verner?” il vecchio si passò una mano sulla guancia mal rasata “Beh, credo che lo potrà trovare ad Highgate se non ha deciso di essere sepolto in patria” il vecchio sorrise mostrando numerose finestre tra i suoi denti “sa, signore, era italiano, purtroppo è morto prima di vedere quello che stiamo combinando ad i suoi amici in nord Africa” Rise sguaiatamente, il vegliardo, guadagnandosi tutto il mio disprezzo

“Non sa se aveva dei figli?” chiesi freddamente

“Si, forse uno, un certo… oh, non ho granchè memoria signore” disse sorridendo viscidamente, al che gli tirai una moneta e lui riprese a parlare

“Oh, si adesso ricordo! Si chiama Jorge Horace Verner” si passò una mano in testa “Abita a Glastonbury, nel Sommerset”

“Non è che per caso ricorda anche la strada?”

“Ma certo signore, 23 Old Temple street.”

 

A marzo presi tre giorni di ferie dal lavoro, deciso a godermi una gita con la mia famiglia, in un incantevole posto della Cornovaglia, noto per il suo clima delicato ed il paesaggio pieno di sole: Glastonbury.

 

1, sulla ubicazione del 221b di Baker street confronta il bellissimo articolo a questo indirizzo: http://www.unostudioinholmes.org/case.htm

2, Reform Club celebre club londinese con sede in Pall Mall

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Capitolo 8
*** Capitolo VII - Il racconto del giovane Verner ***


CAPITOLO VII – Il racconto del giovane Verner

 

Forse a causa della solitaria torre che da tempo immemorabile si erge sulla collina avvolta dalle nebbie, forse per l’antica abbazia in rovina che ricorda un dipinto di Friedrich1 o forse a causa del Jerusalem di William Blake2, Glastonbury emana un fascino ieratico, lontano dal tempo corrente. In questi luoghi non ci si stupirebbe di vedere Re Artù camminare per la città o Merlino raccogliere l’acqua dal Chalice Well3, certo al giorno d’oggi questo posto è divenuto uno dei tanti ritrovi dei cosiddetti “figli dei fiori”, ma all’ epoca dei fatti che sto raccontando era un bellissimo paesino che discretamente raccontava al viaggiatore il suo grande bagaglio di leggende.

Alloggiavamo al Pilgrim’s tavern, una vecchia locanda che non credo esista ancora. Era un posto semplice, ma pulito e mantenuto in ordine da una cortese signora che provvedeva con solerzia a tutte le necessità dei suoi ospiti. La mattina successiva al nostro arrivo lasciai Bess e Charles a fare colazione e chiesi alla proprietaria le indicazioni per Old Temple street. Ricordo che vi arrivai con semplicità, era una piccola strada in discesa al termine della quale, in lontananza, si scorgevano le rovine del monastero francescano fatto chiudere da Enrico VIII. Al numero 23 trovai un portoncino laccato di verde, con sopra una grande maniglia di lucido ottone, non c’erano targhe o nomi.

Bussai ed una signora anziana, vestita con un abito non più di moda da almeno cinquant’anni, mi disse con voce piana e ferma.

“Desidera?”

“Buongiorno, sono il signor Donovan, dovrei parlare con il signor Jorge Horace Verner”

“Il barone Verner non può riceverla, buona giornata” rispose freddamente la signora chiudendomi la porta in faccia. A questo punto mi tornarono in mente le parole dell’ anziano Cullen: “Non le è stato fatto un bel regalo” se avessi considerato anche il monito pronunciato dal dottor Watson alla fine del suo racconto mutilo, avrei potuto concludere dicendo: “Il Fato è contro di me, meglio non andare oltre” ma, giunto a quel punto, la mia curiosità fu talmente tanta, da spingermi ad un gesto molto poco educato. Bussai a pugno chiuso e pesantemente alla piccola porta con il risultato di richiamare non solo l’anziana signora sulla soglia, ma anche l’attenzione di qualche passante.

“Come si permette ad usare questa invadenza? Vada via o chiamerò le guardie!” tuonò la signora. Io per tutta risposta dissi:

“Dica al barone che io sono l’erede del dottor Hamish”

Il portoncino verde si chiuse sonoramente per riaprirsi dopo pochi minuti. L’anziana domestica mi introdusse agli ambienti interni, dai quali proveniva una musica di pianoforte.

“Il barone suona?” chiesi alla domestica al solo fine di rompere il ghiaccio.

“La prego di fare silenzio!” mi rispose la vecchia con molto poco garbo

Stetti zitto ed attesi fuori da quello che presumibilmente doveva essere lo studio del barone Verner. La musica cessò, udii delle frasi ed una risatina vivace provenire dall’ interno della stanza. Dopo poco, sulla soglia, vidi comparire la figura di una giovane ragazza, di statura assai minuta, completamente infagottata in un vestito pieno di orpelli.

 

“Grazie, sir, per la pazienza che avete con me. Mi raccomando, dormite e cercate di mangiare!”

 

Dietro la giovane comparve la figura di un uomo molto robusto, alto pressappoco sei piedi , una figura pacifica, ma con tratti che certo non si sarebbero potuti definire inglesi. Doveva essere il barone Verner, era di carnagione scura, indossava una pesante vestaglia da camera di colore verde ed aveva una gran massa di capelli nero corvino in testa. Il barone prese la mano della signorina e si chinò per baciarla dicendo:

“Miss, può star certa che lo farò, glielo prometto! Domani sarò qui ad attenderla”

 

Dopo questo la signorina si avviò con passo assai allegro verso l’uscita, mentre il barone si avvicinò a me presentandosi:

 

“Salve, sono il barone Jorge Horace Verner” disse porgendomi la mano in modo assai cordiale “ed immagino che lei sia l’erede designato dal fato, vero?”

 

“Immagino di si, signor barone, il mio nome è Samuel Donovan, sono un impiegato di banca”

 

lo sguardo del nobile si fece sospettoso

“per quale Istituto lavora, signor Donovan?”

 

“per la banca di Londra, signore, la stessa filiale in cui il dottor Watson aveva la sua cassetta di sicurezza” sulle labbra del barone tornò un sorriso sereno

“La filiale di Lombard street, immagino, no?”

“Esattamente signore”

“Quindi lei conosce la Glynn & Mills al numero 67?”

“Beh, signore, quell’ istituto fallì molti anni prima che io mi impiegassi alla banca di Londra, non l’ho mai vista personalmente”

“Ovvio, caro Donovan, ma lei sa perché quella banca fallì?”

“A dire il vero, no, signore, ma io sono qui per…”

“Caro Donovan” disse il barone sorridendo e facendomi cenno di accomodarmi “lei non lo sa, ma è qui esattamente per sapere questo!”

 

L’aria frivola e leggera dell’ ospite non fecero altro che confondere ancora di più i miei pensieri, mi accomodai in una vecchia poltrona di cuoio chiaro ed il mio sguardo si posò su un grande pianoforte verticale su cui erano collocati moltissimi ritratti di persone e scorci di paesaggi che non avevo mai veduto, sulla destra del massiccio strumento di palissandro un tavolino di noce portava una lampada liberty che spandeva una tenue luce attraverso i suoi vetri colorati. Davanti a me, semi sdraiato su una chaise-longue di seta verde, stava il barone Verner che mi guardava evidentemente divertito nel cogliere il mio disorientamento. Nel tentativo di rompere l’imbarazzante silenzio chiesi:

“Lei insegna pianoforte?”

“Oh, no, affatto, lo suono a malapena e ad orecchio” mi rispose sorridendo “però mi piace sentir suonare la signorina Neamar, la ragazza che ha visto uscire al suo arrivo. E’ una brava fanciulla e ha la pazienza di sopportare un individuo stravagante come me!” fece una pausa, al termine della quale emise un sospiro, e guardando il soffitto riprese:

“Tuttavia signor Donovan, lei non è certo qui per sapere cosa faccio io nel mio tempo libero, quindi se non sa da che parte cominciare a pormi le domande comincerò io dal principio, ma la avverto che la storia potrebbe essere lunga!”

 

“Dunque signor barone, io ero presente all’ apertura della cassetta di sicurezza del dottor Watson e, per una serie di fortuite coincidenze sono stato l’uomo che ha aperto il plico sigillato”

 

“E questo fa di lei l’erede, molto bene, poi cos’altro le è capitato?”

 

“Ho letto gli appunti stenografati, ne ho preso nota e li ho trascritti per esteso”

 

Il barone annuiva “Poi?”

 

“Poi ho letto il resoconto che si trovava dentro la busta, quello che parla della visita di Watson in Italia per trovare Holmes”

 

Con un ampio sorriso Verner riprese a parlare: “Si, il povero dottore era molto legato a mio zio” si alzò per andare al pianoforte, da cui prese una cornice d’argento “Era proprio un brav’uomo, mi ricordo di quando veniva a casa nostra a prenderci con il suo brum per andare a trovare zio Sherlock. Era veramente un buon amico.” Gli occhi del barone si fecero lucidi mentre mi porgeva la cornice cha aveva preso “Guardi, vede?” mi disse indicando con il dito “questo qui a sinistra era mio padre, questo qui in basso, seduto a terra sono io, poi qui, seduto sulla sedia c’è mio zio e quest’ uomo baffuto in piedi dietro di lui era il dottore. Questa fotografia è stata scattata nel 1921, avevo quindici anni, ne è passato di tempo, eh?” Quell’ ultima domanda sembrava più rivolta a se stesso che a me “Bene, adesso che conosce i protagonisti della storia, mi dica, signor Donovan, cosa vuole sapere?”

“Barone, se non le spiace vorrei conoscere il motivo della precipitosa fuga da Londra di suo zio, Sherlock Holmes, e vorrei sapere il finale del resoconto contenuto nel plico che costituisce la mia, per così dire, eredità. In fondo il dott. Watson ha lasciato disposto di venire a chiedere informazioni presso il dottor Verner o i suoi eredi, quindi, in un certo qual modo, il possesso di queste informazioni mi è dovuto”

Il barone mi guardò con amarezza, gli sfuggì una sorriso disgustato a cui seguì: “Io le dovrei delle informazioni? Ne è sicuro signor Donovan? Potrei rifiutarmi di raccontare i fatti privati della mia famiglia ad un oscuro individuo che mi viene in casa e mi parla di “doveri” e di “diritti” testamentari accampati, per giunta, in modo tanto bizzarro. Con tutto il rispetto per la buon’anima del dottor Watson, non mi sento in dovere di raccontarle nulla signore.” Si alzò dirigendosi alla finestra “Se io adesso le raccontassi tutta la storia di quello che la gente chiama Hiatus chi mi assicura che lei poi non andrà in giro a divulgarla al solo scopo di trarne profitto?”

Il comportamento dell’ eccentrico nobile era quantomeno bizzarro. La mia era solo curiosità, ero stato tirato in ballo in una storia senza senso, avevo rischiato di morire fucilato in casa mia, avevo affrontato peripezie incredibili per difendere le carte di Watson, avrei avuto sicuramente il piacere di sapere dove mi avrebbe portato tutta questa successione di follie.

“Signore” dissi “non è mia intenzione pubblicare alcunché di quanto lei mi dirà, sono solo curioso di sapere cosa è successo dal 1891 al 1894 a suo zio”

“Lei è pazzo, Donovan!” disse ridendo il mio interlocutore “Sicuramente io lo sono, lo so che lo sta pensando, ma mi creda, lo è anche lei! Lei non è un buon osservatore. Vediamo di metterla sulla pista giusta, allora, domanda semplice: cosa ci fa un nobile italiano, uno Squire, come dite voi, in Inghilterra, mentre gli inglesi e gli italiani si massacrano in Libia? A questa segue una domanda ancora più semplice: come mai il nobile italiano non è tornato a casa sua, visto che ha veramente una bella casa in Italia, ma rimane qui in una casetta di un piccolo paesino della Cornovaglia? Sa darmi delle risposte?”

Rimanevo incantato a guardare quell’ uomo. Parlava e gesticolava come fosse un pazzo, alternava toni acuti a toni gravi della voce e di tanto in tanto emetteva gridolini di compiacimento per ciò che diceva, in parole povere era il nipote di Sherlock Holmes.

“No, signore, ma immagino che avendo le giuste informazioni potrei tentare di…”

“Ovvio! Ma provi ad usare la logica, deduca le informazioni che le servono. Io, italiano, mi trovo qui quando per logica mi troverei più al sicuro in Italia, che ne deduce?”

“Che lei in Italia non sarebbe al sicuro”

“Bravissimo! Visto? Se si impegna riesce a ragionare, bravo! Perché a casa mia non dovrei sentirmi sicuro?”

“Perché…” non sapevo veramente cosa dire e mi tormentavo le mani guardando Verner che mi incitava con lo sguardo a rispondere “Perché ha fatto qualcosa che non doveva fare?” azzardai e la reazione del barone mi fece capire che non avevo del tutto torto

“Bravo! C'è andato vicino. Ha mai pensato di fare l’investigatore?” disse ridendo e battendo le mani mentre camminava per la stanza “Allora Donovan, basta giocare” con una mossa repentina si lanciò su una poltrona guardandomi divertito “Adesso le racconterò tutto quello che è successo”.

 

1, Kaspar David Friedrich, pittore romantico tedesco vissuto agli inizi del XIX secolo, i suoi dipinti sono permeati da un’aura mistica e misteriosa

2, William Blake, Poeta ed incisore inglese vissuto tra il XVIII ed il XIX secolo, autore del poema Jerusalem da cui è stato tratto uno degli inni non ufficiali dell’Inghilterra

3, Glastonbury...Chalice Well,la cittadina di Glastonbury è famosa per una leggenda riguardante un presunto viaggio effettuato dal giovane Gesù in compagnia di Giuseppe d’Arimatea. Questa leggenda ispirò il poema Jerusalem di Blake


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Capitolo 9
*** Capitolo VIII - L'avventura mancante ***


CAPITOLO VIII – L’avventura mancante

 

Il barone Verner si distese sulla poltrona ed allungò una mano verso il tavolino habillé che gli era accanto, le sue mani, che a dispetto della corporatura massiccia, erano molto sottili ed allungate, frugavano dentro un cofanetto di radica ed emersero brandendo un havana che mi fu porto con un sorriso.

“Prego signor Donovan, questi sono i sigari preferiti da sir Winston Churchill, sono certo che li apprezzerà”

“La ringrazio” dissi ansioso di ascoltare il racconto “ma fumo solo la pipa e, a dire il vero, è da tanto tempo che non la tocco più”

“Ah, come mio zio!” disse il barone mentre, come in un rituale, si accingeva ad accendere il suo sigaro ed a tirare le prime boccate “che tabacco fuma?”

“Fumavo un taglio classico, nulla di speciale, un comune con una aggiunta di latakia cipriota, ma, non vorrei sembrarle scortese…”

“Si, si, ho capito signor Donovan. Adesso arriveremo al punto. Questa storia ha avuto inizio più di settanta anni or sono, immagino che un’ ora di più non farà poi così tanta differenza.”

Reclinò il capo verso l’alto e sbuffò verso il soffitto una serie di volute azzurrine, poi rivolse il suo sguardo verso di me.

“Dunque, signor Donovan, lei è un impiegato di banca. Conosce  per caso come si sia evoluto il sistema bancario italiano?”

“Francamente no, signore, so che l’Italia possiede, come l’Inghilterra, una banca centrale che controlla tutti gli altri istituti di credito e che è la sola a battere moneta”

“Esatto Donovan, proprio così. Ma prima non era così, come lei sa l’Italia era un insieme di stati sovrani, ognuno con una banca centrale. Dopo l’unificazione, il diritto di stampare monete venne ancora concesso alle ex banche centrali dei singoli stati, si ebbe dunque un fenomeno per cui esistevano ben quattro banche che battevano moneta: il Regio Banco di  Torino, la Banca di Toscana, il Banco di Napoli e di Sicilia ed infine la Banca Romana. Deve sapere che proprio quest’ ultima, a differenza delle altre, non aveva stabilimenti tipografici, quindi la stampa delle banconote della Banca Romana  era affidata, su commissione alla Zecca di Londra, la quale provvedeva dietro richiesta alla produzione di determinati quantitativi di banconote con numeri di serie già predefiniti.” Il barone fece una pausa per poi riprendere “Non mi guardi in quel modo, queste informazioni saranno importanti in seguito e le serviranno per capire quanto è accaduto la notte del 6 maggio 1891”.

“Mi perdoni, Barone, ma non esiste un resoconto di questi fatti messo per iscritto?”

“No, Donovan. Il dottore lo voleva scrivere e lo avrebbe certamente fatto se la malattia glielo avesse permesso. Purtroppo ne esiste solo una versione orale, la mia!” disse toccandosi il petto “ma se lei mette in dubbio la mia obbiettività…”

“Oh, no barone, certamente no!”

“Molto bene!”

 

Alcune volute di fumo si aprirono come grandi fiori grigi verso il soffitto mentre il barone Verner raccoglieva le idee. Ad un tratto, come se avesse ultimato le prove per una sinfonia, si girò verso la finestra e cominciò a parlare:

“Nel 1886, un imprenditore privato di nome Andrew Lomackson acquisì il 70% del capitale azionario della “Manchester Channel & Docks” la quale fino a quel momento era stata una società controllata dal Tesoro. Per quell’ operazione venne staccato l’assegno dall’ importo più alto mai emesso da un privato, attraverso un pezzettino di carta di qualche centimetro quadrato passarono di mano un milione e settecentomila sterline. L’intestatario del conto corrente era un certo Eugene Simonaux e la banca era la Glynn & Mills1, precisamente la filiale al numero 67 di Lombard street. Inizia a ricollegare i fatti, Donovan? Le domande che nessuno si pose all’ epoca di questa transazione, sarebbero dovute essere: perché il Governo sta vendendo una propria società ad un privato? Come fa un privato cittadino a poter emettere un assegno per una cifra che all’epoca poteva rappresentare il bilancio interno di un piccolo stato come il Lichtenstein? Ed in ultimo, come mai la notizia non ha fatto alcun rumore?

Cominciamo a fare un po’di luce. Andrew Lomackson, un imprenditore americano, si incontra con il signor Eugene Simonaux, rampollo di una famiglia della nuova nobiltà creata da Napoleone, ma finita in disgrazia. Il signor Simonaux, pur non avendo molte possibilità economiche ha molte buone conoscenze, inoltre la sua ottima educazione unitamente ad un titolo di marchese gli garantiscono la simpatia delle anziane signore parigine, le quali lo invitano puntualmente nei loro salotti. Tra i velluti e le chiacchiere Simonaux si sente a proprio agio, riesce a barcamenarsi ed a mettere insieme il pranzo con la cena conquistando le simpatie delle annoiate mogli dei più potenti uomini di Francia. Visto così il nostro personaggio non sembra essere molto pericoloso, direi piuttosto che si tratta di un comune cicisbeo. Lomackson, al contrario di Simonaux è un uomo rude, venuto dal nulla e diventato milionario dopo una vita di sacrifici, non è quello che si dice uno stinco di santo e con sotterfugi più o meno delicati era riuscito a farsi assegnare dal Congresso degli Stati Uniti la commissione di una tratta ferroviaria che doveva collegare Boston, Chicago, Salt Lake City e Los Angeles. Logicamente, un’impresa del genere richiede dei fondi adeguati e l’idea di Lomackson era quella di reperirli in Francia. Come saprà, Donovan, le ferrovie di tutta l’America sono state costruite grazie ai soldi degli azionisti Britannici, ma la Francia rappresentava ancora un territorio vergine e non toccato dalle speculazioni statunitensi. Fu per un caso che nella hall dell’ Hotel du Louvre a Parigi, Lomacksons salvò dal carcere Simonaux che tentava di fuggire, vestito da cameriere, dopo aver rubato i gioielli di una facoltosa signora con cui aveva passato la notte. I due divengono amici, ovviamente fu un’amicizia interessata, giacchè Lomackson intuì subito le potenzialità di Simonaux, un ottimo passe-par-tout per i salotti della Parigi che conta. Quindi, in cambio di un tetto sulla testa e qualche vestito, Simonaux introdusse il suo compare al Gotha francese.

Fu durante una festa che Lomackson fece un altro incontro, stavolta con un personaggio della sua stessa taglia, un anziano armatore italiano, anche lui venuto dal nulla e divenuto ricchissimo: Raffaele Rubattino. Costui, attraverso conoscenze politiche era riuscito ad ottenere numerose commesse statali, che lo portarono rapidamente ad essere uno degli uomini più ricchi del suo paese, ricco a tal punto che potè permettersi di comprare dal Governo Eritreo l’intera baia di Assab. Capirà, Donovan, che un trio così ben assortito non poteva non dedicarsi da subito all’attività che gli riesce più congeniale, ovvero produrre soldi, senza alcun limite dettato dall’ etica o dal buon senso, del resto gli affari sono affari!

Lomackson spiegò al collega italiano il suo intento di recepire fondi per la realizzazione della tratta ferroviaria transcontinentale. Si trovava in grande svantaggio rispetto alle imprese concorrenti come la West Railways o la Union Pacific, le quali avevano saturato la borsa di Londra con le loro azioni. L’unica speranza per lui di non perdere l’appalto statale era di recuperare fondi nel vecchio Continente. A quanto pare l’anziano finanziere italiano, sentendo quella storia scoppiò a ridere facendo notare come sarebbe stato impossibile spremere anche un solo fiorino dalle tasche francesi già duramente provate dal recente crollo del secondo Impero. La soluzione di Rubattino apparve semplice, quasi al limite della banalità: vendere a terzi la società concessionaria per la costruzione delle ferrovie un momento prima di dichiarare fallimento, quindi trasferirsi sul vecchio continente per non incorrere nelle sanzioni derivate dalla bancarotta fraudolenta. Uno schema molto astuto, ma qui entra in ballo un nuovo elemento.”

Verner si distese, tirò una boccata dal sigaro e riprese

“Si, un nuovo elemento”

Ad un tratto un terribile rumore di ceramiche in frantumi attirò la nostra attenzione, Verner, giratosi verso di me disse:

“Se non fosse che è andata via direi che si tratta di…”

Un’esile figura fece la sua comparsa nel salotto scortata dalla arcigna donna di servizio, la quale disse laconicamente: “ Miss Bellis Neamar, signor barone”

La giovane ragazza si fece avanti a piccoli passettini con il visino basso

“Sir, mi spiace, le avevo portato un nuovo servizio da tè per rimpiazzare quello che ho rotto stamattina” dei lacrimoni si affacciavano al piccolo viso “ma la scatola che lo conteneva mi è caduta ed è andato tutto in frantumi”

Verner scoppiò a ridere “Ma miss! Non importa, non doveva disturbarsi, venga qui, si sieda. Le presento il signor Samuel Donovan, signor Donovan, la signorina Neamar. Miss, stavo raccontando al nostro ospite la storia del porto”

La ragazza battè le mani divertita “Oh, è una delle mie preferite! A che punto è arrivato?”

Rimasi stupito, cosa voleva dire con “è una delle mie preferite”? ce ne erano delle altre? E poi, non dovevano essere informazioni riservate? Il giovane barone era un tipo veramente bizzarro ed ancor di più la sua amica.

“Siamo quasi giunti all’ acquisto del porto, miss”

“Ah, si, il signor Strofina-un-piccolo-pipistrello sta per…”

Verner scoppiò a ridere “Miss, la prego! Si dice Rubattino, tutto attaccato, con la “o” alla fine”

“Ed io cosa ho detto? Rubbattiny, Strofinaunpiccolopipistrello”

“Va bene, ci rinuncio!” disse Verner continuando a ridere

“Allora, come dicevo, Rubattino riconsidera il piano e chiama Lomackson per esporgli il suo progetto:

 

“Lei dovrà vendere la sua società ferroviaria falsificando i bilanci, in modo da farla apparire solida. Cerchi di ottenere la cifra più alta possibile, abbiamo bisogno di due milioni di sterline”

“Abbiamo? Forse lei ne ha bisogno e non vedo perché”

“Voglio entrare in società con lei, Lomackson. Voglio comprare il porto di Manchester”

“Cosa? Ma non le basta la baia che ha comprato in Eritrea? Cosa ci deve fare con il porto di Manchester?”

“Caro ragazzo, lei vede troppo poco lontano. Inizieremo ad importare oppio in Inghilterra, le occorre che le spieghi come?”

“Penso di si, signore, perché o lei è un genio o, parola mia, lei è pazzo da legare!”

“Bene, Lomackson, visto che sono arrivato a questa età credo che la sua prima ipotesi sia quella corretta. Lei sa che l’Inghilterra esporta oppio in Cina dall’ India? Certo che lo sa, hanno combattuto due guerre per questo, bene, adesso rifletta. Noi compreremo l’oppio in Cina e lo faremo arrivare ad Assab. Li cambieremo i documenti del carico e trasformeremo l’oppio cinese in vasi indiani o in qualsiasi altra cosa. A questo punto invieremo la merce al porto di Manchester e da li a tutte le fumerie del Regno Unito. Che ne dice?”

“Signore, con tutto il rispetto, ma la sua strategia fa acqua ovunque. Per comprare il porto ci vorranno due milioni almeno, e per comprare e rivendere l’oppio guadagnandoci sopra dovremmo fare dei prezzi troppo alti rispetto a quelli della concorrenza. Non saremmo mai competitivi! In ultimo, signore, lei è certo un uomo assai ricco, ma dove crede di trovare tutti questi soldi?”

“Molto semplice, li farò stampare!”

“Vuole falsificare la sterlina?”

“No, intendo aprire un conto corrente in Inghilterra con autentiche lire italiane, non copie, ma banconote vere!”

Inutile che vi dica quanto il povero americano rimase spiazzato, ma non curandosi di nulla, Rubattino seguitò:

“Lomackson, ci rincontreremo tra una settimana alle dieci in punto al Credit Mobilier di Place Vendome a Parigi. Ci saranno delle persone importanti, venga e non ne rimarrà deluso. Porti con se quel suo amico sciocco, come si chiama? Ah, Simonaux!”

 

Passò una settimana. Lomackson e Simonaux entrarono nell’ imponente salone del Credit Mobilier, una delle banche più grandi d’Europa, chiesero del signor Rubattino e vennero fatti accomodare in un salotto ovattato. Dopo poco li raggiunsero tre persone, una di queste era Rubattino, che presentò gli altri due.

“Signori, vi presento il signor Bernardo Tanlongo, governatore della Banca Romana e Lord Randolph Churchill, che credo non necessiti di presentazioni”

Mentre Simonaux strinse cordialmente la mano ai nuovi venuti ignorando profondamente chi loro fossero, Lomackson rimase impietrito, davanti a se aveva il ministro delle finanze della nazione più potente della Terra ed il governatore di una banca di stato. Rubattino rise gelidamente.

“Ha visto, Lomackson? Niente male per un pazzo, eh?” L’armatore si rivolse a Churchill

“Milord, sono certo che il suo Ministero sarà lieto di vendere al signor Lomackson il porto della città di Manchester, egli ha di recente venduto delle commissioni per la costruzione di ferrovie in America, ricavando… quanto ha ricavato? Ah, bene, centocinquantamila sterline, che verranno versate a lei personalmente per essersi preso la briga di venire qui stamane ad accordarci questo piccolo favore. Il prezzo del distretto portuale sarà fissato in un milione e settecentomila sterline che verranno versate all’ Erario in soluzione unica a mezzo di un assegno bancario”

“Qui immagino di entrare in gioco io, vero?” disse Tanlongo

“Precisamente, lei opererà una commissione per quattro milioni di lire alla zecca di Londra, le banconote arriveranno in Italia con corriere diplomatico, da li, ripartiranno per Londra dove il nostro caro signor Simonaux aprirà un conto corrente presso la Glynn & Mills di Lombard street ed emetterà un assegno a favore dell’ Erario Britannico per l’acquisto del distretto portuale.”

A questo punto lord Churchill intervenne

“Mi auguro solo che l’operazione non porti a danni consistenti per l’economia del Paese, mi dia del tempo per riflettere, Rubattino, non posso…”

“Lei deve!” alzando improvvisamente la voce per poi ridurla “Milord, sappiamo benissimo che quando lo scandalo relativo alla sua incresciosa avventura nelle Indie verrà a galla, lei sarà costretto non solo alle dimissioni, ma alla damnatio memoriae . Non vorrebbe avere qualche soldino da parte prima di andare per sempre in esilio e vivere serenamente quel poco che la sua scandalosa malattia le consentirà di vivere? Segua il mio consiglio, faccia quello che deve!”

 

Lomackson fu sconvolto dall’ indole spietata dell’affarista italiano. Ne aveva viste e fatte egli stesso di tutti i colori, ma mai era arrivato a muovere delle leve tanto in alto.

Il 6 agosto del 1886 avvenne la transazione ed il porto di Manchester fu proprietà di Andrew Lomackson. A dicembre dello stesso anno Lord Churchill fu costretto alle dimissioni per cattiva gestione del patrimonio pubblico, morì di sifilide dopo poco tempo. Raffaele Rubattino, il grande artefice del diabolico piano, morì nel gennaio del 1887 lasciando la sua opera incompiuta. Eugene Simonaux, non capendo la pericolosità del gioco in cui era stato tirato dentro, si mise a ricattare Lomackson minacciandolo di raccontare l’affaire dell’oppio alla stampa, venne trovato morto a febbraio del 1887 nella pensione Des Beaux Arts a Montmartre, per aver assunto una eccessiva dose di cocaina.

 

Verner guardò con un sorriso la sua amica “Come vado? Le piace?”

“Oh, sir, questa storia mi emoziona sempre, è così piena di colpi di scena!”

“Barone” chiesi perplesso “mi faccia capire, ma la signorina conosce tutto?”

“Oh, si! Lei sa tutto, fino a ieri era la sola persona al mondo a sapere queste cose”

“Capisco” dissi “vada avanti, ancora non capisco in tutto questo cosa c’entri suo zio?”

“Porti pazienza Donovan e vedrà che capirà tutto. Lomackson è rimasto da solo a gestire l’affaire, ma senza Rubattino il flusso di denaro italiano si è interrotto e quello che sembrava essere un piano brillante rischia di sfumare.

L’americano però non si perde d’animo e riesce a contattare i soci in affari del suo defunto amico: il banchiere Ettore Consulich, l’industriale Erasmo Piaggio ed il principe Vincenzo Florio di Favignana. Essi avevano fondato una società, la Generale Italiana Navigazione che aveva rilevato il porto di Assab alla morte di Rubattino.  Lomackson incontrò i capi della società nel meraviglioso Hotel Hassler di Roma alla fine del febbraio 1887.

 

“Sappiamo, signor Lomackson” Esordì Florio “che il nostro compianto amico aveva molta fiducia in lei tanto da renderla socio in una vantaggiosa speculazione di cui aveva tenuto all’ oscuro finanche noi, i suoi più cari amici”

Lomackson, avvezzo al duro lavoro che lo aveva forgiato in gioventù, non amava le dietrologie e concepiva, come unica via diplomatica, il piombo della sua pistola. Non c’è da stupirsi quindi se rispose a quegli eleganti gentiluomini:

“Quanto volete?”

“Oh, signore! Come siete diretto!” rispose sdegnoso Florio, subito interrotto da Consulich, che essendo di sangue austriaco apprezzava i caratteri forti

“Lei mi piace Lomackson, saremo franchi con lei, si tenga pure il porto, noi le forniremo il denaro attraverso il governatore Tanlongo e le garantiremo anche il transito doganale nella baia di Assab, ma in cambio vogliamo il 75% degli introiti. Niente se e niente ma. O così o nulla!”

“Immagino che mi convenga accettare, e va bene, facciamo così”

Gli affari di Lomackson ripresero alla grande, la banca di Londra avviò un’ inchiesta sul misterioso conto corrente della Glynn & Mills che ospitava svariati milioni in valuta estera, ma grazie all’ intervento del console italiano a Londra tutto venne insabbiato.

Per riassumere, Donovan, Lomackson importava oppio dalla Cina e il terzetto della Generale Navigazioni incassava una lauta percentuale da dividere con il governatore della Banca Romana Bernardo Tanlongo, il ministro delle Finanze Luigi Miceli ed il capo del Governo italiano Francesco Crispi. La macchina sembrava perfetta e tutto sarebbe andato a meraviglia se ad un certo punto non fosse arrivato mio zio.

 

La giovane signorina Neamar iniziò a battere le mani: “E adesso ci divertiamo! Pensate, signor Donovan che Sherlock Holmes scopre l’oppio italiano per caso in una fumeria, poi arriva Watson ed insieme risolvono un altro caso, ma non dimenticano il primo… oh, scusate sir, forse volevate continuare voi?”

Verner rise “Grazie, miss, per avermi dato il modo di introdurre la storia. Fu per caso che nel 1889, mio zio, analizzando due campioni di oppio provenienti da due fumerie di Londra in cui erano avvenute due morti sospette, scoprì una perfetta identità tra le due sostanze. Mi spiego: stessi eccipienti, stesso trattamento, perfino stesso sistema di confezionamento. Eppure il gestore di una delle due fumerie gli aveva confidato, come saprà mio zio sapeva essere molto persuasivo, che l’oppio da lui venduto proveniva dall’ Italia, era di ottima qualità ed aveva un prezzo assai minore di quello indiano.

Per chiarire il dilemma il caro zietto si mise a girare per tutte le fumerie di Londra e in una di queste risolse il caso dell’ uomo dal labbro spaccato, di sicuro ne avrà sentito parlare.

In breve capì che esisteva un mercato parallelo dell’ oppio indiano, che però, non si sa come, veniva venduto ad un prezzo ridicolo e veniva creduto di provenienza italiana.

Il dottor Watson e mio zio si misero subito sulle tracce dell’ oppio italiano, e finirono per arrivare al porto di Manchester, dove una sera videro il brigantino “Pantelleria” sbarcare in modo piuttosto insolito delle casse lungo il Manchester Channel. Dai registri del porto risultò che la Pantelleria trasportava pigmenti per stoffe e proveniva dal porto di Assab.  Subito venne mobilitato zio Mycroft il quale si interessò del lato, per così dire, spionistico della vicenda. Grazie ad alcuni informatori nella Somalia Britannica si venne a sapere che delle navi solcavano costantemente la rotta tra la Cina e Assab trasportando oppio. Lei capisce che il mistero rimaneva in una sola domanda che assillava la mente dei miei zii e del dottor Watson: “Da dove prendevano i soldi?” A questa domanda rispose mio padre, in una bella mattina di marzo del 1891 mentre, da poco arrivato dall’ Italia, faceva colazione con i suoi cugini al Diogenes Club.

 

“Ah, cari cugini, l’Inghilterra è un’ altra cosa” disse “si mangia male, ma almeno non rischi che i tuoi risparmi vengano rubati da una banca!”

“Come, scusa?” chiese turbato zio Sherlock

“Ma si, non avete saputo di quel banchiere italiano, Tanlongo, che stampa moneta senza avere il corrispettivo aureo nei caveau? Pensate che ha fatto un buco di centocinquantaquattro milioni di lire! Qui da voi queste cose non succedono”

“No, infatti, noi con quei soldi ci ricompriamo il nostro oppio” rispose placido zio Mycroft mentre il fratello si alzava da tavola per correre dal dottor Watson

In poco tempo l’ affaire dell’ oppio venne smantellato,  ma zio non ebbe mai la gioia di vedere Lomackson occupare una suite a Dartmoor perché il farabutto aveva preparato un attento piano di fuga, aveva trasferito le sue finanze in una banca spagnola, e così facendo aveva causato il fallimento della Glynn & Mills, che dal giorno alla notte si era vista priva della sua maggiore quota in capitale liquido, e si era procurato un passaporto svedese a nome di Edvard Lomosson. La sera del 5 maggio 1891 mio zio lo intercettò mentre saliva su uno sloop della Generale Navigazioni, che lo avrebbe portato a Bilbao. In un’ accanita lotta sulla passerella dell’ imbarcazione Lomackson aprì il fuoco contro mio zio che cadde in acqua fortunatamente illeso.

 Dell’ americano non si seppe più nulla, morì dopo qualche mese, lo trovarono impiccato in un bagno d’albergo di Madrid. Ma l’avventura non era finita, rimaneva in piedi tutta la branca italiana dell’ organizzazione, mi riferisco non solo a Tanlongo, ma anche a tutta la corte di disonesti che gravitava attorno a lui. A nulla valsero le indagini dell’ onesto funzionario Gustavo Biagini promosse dal senatore Rudinì, ogni tentativo di far emergere lo scandalo veniva puntualmente insabbiato. Fu solo nel 1894 che mio zio, grazie all’ aiuto di un audace militare italiano, il colonnello Pintauro, riuscì a portare in tribunale i responsabili del più grande crack finanziario della storia d’Italia. Ma la sua opera servì solo a formalizzare l’arresto di Bernardo Tanlongo, mentre tutti i personaggi coinvolti, politici, amministratori, faccendieri e funzionari corrotti, rimasero a piede libero.  Come dire, Donovan, tanto rumore per nulla! Ma c’era ancora un dato importante da considerare per mio zio: fuggire illeso dall’ Italia. Certamente egli avrebbe potuto ancora usare i documenti e le prove raccolte come arma nei confronti di coloro che volevano fargli del male, ma fintanto che si trovava in Italia correva dei grandi pericoli, tanto lui che zio Mycroft e, ovviamente, mio padre.”

 

Il barone sorrise verso la sua amica e poi verso me chiedendomi “Bene, ci sono domande?” 

“A dire il vero si, barone” dissi ripensando alla rocambolesca catena di eventi “la mia copia del viaggio in Italia di Watson è mutila, se fosse possibile ne vorrei conoscere la conclusione”

il barone si alzò e si diresse ad un massiccio bureau di mogano da cui trasse un fascicolo

“Ecco, questa è la bozza del viaggio in Italia” fece una pausa “ la stesura definitiva è quella che ha lei, ma non è mai stata completata, se riesce a leggere nonostante le cancellature ed i ripensamenti del dottore, la troverà una storia molto interessante. A proposito, Donovan, non tenga conto di quanto le ho detto prima, pubblichi pure tutto ciò che riterrà opportuno, faccia attenzione però, aspetti qualche anno, aspetti che tutti coloro che hanno un legame con questa storia siano trapassati” rise “in fondo non dovrà attendere parecchio! Dopodiché, mio caro, faccia ancora sognare la gente che aspettava settimane intere per poter leggere le avventure di mio zio. Questa sarà l’ultima storia di Sherlock Holmes.”

 

1, Nel 1887 la Glynn & Mills di Lombard Street pagò effettivamente per un assegno dal valore di 1.710.000 sterline emesso per l’acquisto della società Bridgewater Navigation Company che controllava il Manchester Ship Canal. Ad oggi rimane l’assegno dall’importo più alto mai emesso da un privato cittadino.


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