We Are Still Innocent.

di EffieSamadhi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. El Verano Mas Triste [Miguel Bosé feat. Carlos Berlanga] ***
Capitolo 2: *** 2. Changes [David Bowie feat. Butterfly Boucher] ***
Capitolo 3: *** 3. Gocce Di Memoria [Giorgia] ***
Capitolo 4: *** 4. Never Felt This Way [Alicia Keys] ***
Capitolo 5: *** 5. Como Un Lobo [Miguel Bosé feat. Bimba Bosé] ***
Capitolo 6: *** 6. Fortissimo [Claudio Baglioni] ***
Capitolo 7: *** 7. Eppure Sentire (Un Senso Di Te) [Elisa] ***
Capitolo 8: *** 8. Don't Let The Sun Go Down On Me [Elton John] ***
Capitolo 9: *** 9. Bachata Rosa [Juan Luis Guerra] ***
Capitolo 10: *** 10. Essere In Te [883 feat. Syria] ***
Capitolo 11: *** 11. Somethin' Stupid [Frank Sinatra feat. Nancy Sinatra] ***
Capitolo 12: *** 12. Solo Por Ti [Josh Groban] ***
Capitolo 13: *** 13. Adesso E' Facile [Mina feat. Manuel Agnelli] ***
Capitolo 14: *** 14. Give Me The Simple Life [Jamie Cullum] ***
Capitolo 15: *** 15. La Voz [Laura Pausini] ***
Capitolo 16: *** 16. For Once In My Life [Vonda Shepard] ***
Capitolo 17: *** 17. Sulla Via Di Casa Mia [Claudio Baglioni] ***
Capitolo 18: *** 18. Le Festin [Camille] ***
Capitolo 19: *** 19. Love Me Tender [Frank Sinatra] ***
Capitolo 20: *** 20. Fino In Fondo [Luca Barbarossa feat. Raquel Del Rosario] ***
Capitolo 21: *** 21. Look Through My Eyes [Phil Collins] ***
Capitolo 22: *** 22. Salvami [Gianna Nannini feat. Giorgia] ***
Capitolo 23: *** 23. Si Todos Fuesen Iguales A Ti [Miguel Bosé feat. Rosa Leon] ***
Capitolo 24: *** 24. There For Me [Sarah Brightman feat. Josh Groban]. ***
Capitolo 25: *** 25. Prendimi Così [Piero Pelù]. ***
Capitolo 26: *** 26. Underneath The Night Sky [Young Love] ***
Capitolo 27: *** 27. Boulevard Of Broken Dreams [Green Day] ***
Capitolo 28: *** 28. The Story [Brandi Carlile] ***
Capitolo 29: *** 29. Marry Me [Dolly Parton] ***
Capitolo 30: *** 30. Il Giardino Delle Api [Marco Masini]. ***
Capitolo 31: *** 31. Beato Te [Marco Masini]. ***
Capitolo 32: *** Epilogo. Thankful [Josh Groban]. ***



Capitolo 1
*** 1. El Verano Mas Triste [Miguel Bosé feat. Carlos Berlanga] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

1.    El Verano Mas Triste

 

 

"Io ho parlato."
"E che gli hai detto?"
"Gli ho detto che mi scopavo la moglie."

 

Lasciarono la stazione di Polizia insieme, i tre fratelli Mercer. Tre, non più quattro. Bobby odiava il numero tre. Lo odiava dai tempi in cui si era fatto coinvolgere in una specie di storia con una donna sposata. Era finita con una scazzottata tra lui e il marito cornuto, e visto che ne era uscito piuttosto malconcio, Bobby avrebbe preferito non ripetere. Quindi, basta triangoli. Mai più donne sposate, aveva promesso a se stesso. Aveva aggiunto sposate dopo essersi reso conto che non avrebbe mai potuto vivere senza una donna. Aveva avuto modo di provare l'astinenza forzata in carcere, e la cosa non gli era piaciuta affatto: era stata dura, affrontare tutto senza compagnia...

Si sorprese a fissare i due fratelli, che sembravano aver trovato la donna della loro vita. Jerry aveva pure sfornato due marmocchie, com'era possibile? Per non parlare di Angel e Sofi: se avessero continuato a darci dentro con quel ritmo, la possibilità di diventare ancora zio non era poi così remota... E lui, invece? Naa, a lui bastava una scopata. Una bella e sana scopata con una pupattola a caso. Nelle ultime settimane non aveva fatto altro che occuparsi di vendette e boss da ridimensionare: adesso era il momento di pensare un po' a sé. Iniziava la missione: Trova Una Donna Per Bobby.

"Fratello, a che pensi?" La voce di Jerry, amorevolmente abbracciato da Camille, riportò Bobby sulla Terra.

"Stavo pensando che adesso voi due figli di puttana ve ne andrete a casa a spassarvela con le vostre donne, e mi lascerete qui in mezzo alla strada solo come un cane" ribatté lui, fingendosi offeso.

"Trovati una ragazza, fratello" sentenziò Angel, facendo spallucce e lanciandogli qualche confezione di preservativi.

"La fai facile, tu" rispose Bobby, intascando le confezioni. "Tu hai La Vida Loca."

Sofi, sentendosi chiamata in causa, rispose semplicemente alzando il dito medio. Impegnato a lamentarsi per la mancanza di una donna, Bobby rimase indietro rispetto al resto del gruppo e smise di prestare attenzione a dove metteva i piedi, andando a sbattere contro una ragazza appena uscita dal supermercato. "Ehi, che cazzo!" sbottò l'uomo, sorpreso dall'urto. Osservò la ragazza raccogliere quello che le era caduto, rendendosi conto che si trattava davvero di un bell'esemplare. "Ehi, serve una mano?"

La ragazza si rialzò, apparentemente con fatica, e stringendosi al petto la busta lacera puntò gli occhi nei suoi. "No grazie, Bobby Mercer. Ne hai già combinati abbastanza, di casini." Detto questo, marciò via, lasciandolo con un palmo di naso.

"Ehi!" protestò. "Guarda che io sono stato gentile! Donne..." aggiunse, sibilando e raggiungendo gli altri. "Non lamentatevi se poi vi facciamo le corna" commentò ancora, rivolgendosi in modo particolare a Sofi.

 

Un paio d'ore più tardi, Camille e Sofi chiamarono a tavola i tre uomini. "Le bambine sono ancora da tua madre?" si informò Jerry.

"Ho pensato di lasciarle da lei ancora qualche giorno, mentre vi rimettete in sesto e decidete che cosa fare con la casa" rispose Camille, mettendo in tavola una ciotola di minestra. "Almeno non vi staranno tra i piedi."

"E' una cosa di cui dovremmo discutere" osservò Angel. "Insomma, è la casa della mamma, io credo che dovremmo sistemarla."

"I soldi non mancano. Abbiamo i quattrocentomila dollari dell'assicurazione. Se facciamo le riparazioni da noi, possiamo risparmiare sulla manodopera" rispose Jerry. "Che ne dici, Bobby?"

Per la seconda volta in poco tempo, Bobby si fece sorprendere disattento. "Come?"

"Jerry stava dicendo che per le riparazioni alla casa di mamma potremmo... ehi, fratello, ma ti senti bene?"

Bobby si passò una mano sugli occhi. "Sì, sto bene." Fece una pausa. "Stavo pensando alla ragazza di oggi. Sono sicuro di averla già vista, eppure non mi ricordo il suo nome..."

Una fragorosa risata risuonò nella cucina. "Fratello, le sei stato dietro per tre anni e non te la ricordi?" gli domandò Jerry, iniziando a piangere per le troppe risate.

"Ehi, che avete da ridere? No, spiegatemi, voglio ridere anch'io..." fece Bobby, sarcastico, aspettando che l'ilarità scemasse.

Angel riuscì a darsi una calmata. "L'unica ragazza di Detroit che Bobby Mercer non è mai riuscito a farsi!" esclamò, battendo il cinque al fratello e ricominciando a ridere.

"Ahahah, molto divertente. Allora?"

Jerry si ricompose. "Fratello, quella è la figlia del reverendo."

"Di quale reverendo?"

"Il reverendo Chambers, quello che viveva giù su Evans Street."

"E' la figlia più piccola, Adia" specificò Jerry.

Bobby strizzò gli occhi e distolse lo sguardo dai fratelli, riflettendo. Chi diavolo... "Oh, cazzo. Quella figlia del reverendo?"

 

Dopo cena, si trasferirono in salotto. “Accidenti, la piccola Adia è cresciuta davvero bene…” osservò Bobby. “Proprio una bella pollastra.”

“Sei disgustoso, Bobby” lo rimproverò Sofi. “Non pensi ad altro che al sesso.”

“Sbaglio o Madre Teresa ha detto qualcosa?” la prese in giro lui, schivando per un pelo il cuscino che lei gli aveva lanciato.

“Tanto piccola non direi” osservò Angel. “Quanti anni aveva quando te ne sei andato? Diciotto?”

“Venti” lo corresse Sofi. “Era una classe avanti a me.”

“Da quanti anni è morto il reverendo?” chiese Camille a Jerry.

“Il reverendo Chambers è morto?” si stupì Bobby. “Quando cazzo è successo?”

“Mentre eri in galera, fratello” rispose Jerry. “Cinque anni fa, se non sbaglio. Brutta storia.”

“Che gli è successo?”

“Gli hanno sparato” spiegò l’altro. “Davanti alla sua chiesa. Hanno mirato alle gambe. L’hanno lasciato lì ad agonizzare, e quando sua figlia è corsa ad aiutarlo, hanno sparato anche a lei.”

“Quale figlia? Quell’uomo aveva più figlie che capelli” osservò Bobby.

“La tua pollastra” ribatté Angel. “Non hai visto come zoppica?”

Bobby si rese conto di non averci fatto caso. “Non l’ho notato. Chi è stato a sparare?”

Jerry fece spallucce. “Killer di fuori città. Ma lo sanno tutti che dietro c’era la mano di Victor Sweet.”

“Perché far uccidere il prete?”

“Perché si opponeva al regime di Victor. Chiedeva alla gente di opporsi con lui, ma nessuno lo ascoltava. Non che fosse pericoloso, ma tu sai com’è… com’era Victor. Bastava guardarlo male.”

Bobby annuì, dando segno di aver capito. “Cazzo, me ne sono perse di cose” cercò di scherzare. In realtà, quella situazione gli ricordava la morte di sua madre. In fondo, Evelyn Mercer e il reverendo Chambers erano morti entrambi per un capriccio di Victor. Ma ora tutto era sistemato: quel bastardo galleggiava sotto il ghiaccio del lago, e non avrebbe più fatto male a nessuno. Si alzò. “Grazie per la cena, Camille. Vida loca…” aggiunse, saltellando all’indietro per evitare un calcio di Sofi. “Io me ne vado a letto.”

Angel sorrise. “Il letto di chi?”

“Il mio, fratellino. Ma da domani si cambia musica, stanne certo. Voglio che si sappia che Bobby Mercer è tornato in città.”

 

 

NdA – Prima di continuare, sempre che qualcuno abbia avuto il coraggio di arrivare in fondo a questo capitolo, ho deciso di lasciare una piccola nota.

Non ho idea di come sia nata questa storia, davvero.

È solo che, dopo aver rivisto il film per qualcosa come la decima volta, mi sono chiesta che cosa succedesse dopo l’interrogatorio finale (del quale riporto uno stralcio a inizio capitolo). Nella scena conclusiva, in cui i tre fratelli sono alle prese con la sistemazione della casa, il “fantasma” di Evelyn chiede a Bobby se abbia intenzione di restare. Bobby risponde di sì, ma… perché? Il film non ci dà una risposta, e allora… la risposta l’ho creata io. Ho cercato di dare a Bobby Mercer (indubbiamente il mio personaggio preferito) un motivo per restare.

Inoltre, trovavo maledettamente ingiusto che Jerry e Angel avessero una donna e Bobby no. *indignazione – mode ON*

Altro avvertimento: sono solita titolare i capitoli con il titolo della canzone che mi ispira mentre scrivo. Anche il titolo della ff è “musicale”: è tratto dalla canzone “Adia” di Sarah McLachlan, che personalmente vi consiglio di ascoltare.

Spero vi possa piacere questo mio obbrobrio, o che, perlomeno, non vi faccia troppo schifo. Fatevi sentire, in entrambi i casi!

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Capitolo 2
*** 2. Changes [David Bowie feat. Butterfly Boucher] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

2. Changes

 

 

            Quello che fino a pochi giorni prima era sembrato a Bobby un obiettivo di vitale importanza, ovvero trovarsi una donna, passò in secondo piano. Non che non sentisse più il bisogno di una donna, anzi: ma sentiva che prima aveva altro da fare.

            Era martedì, come il giorno in cui avevano fatto fuori Jack. Cazzo, sono passate solo due settimane? Sembra una vita, pensò Bobby, chinandosi a spazzare via un po’ di terra dalla lapide di famiglia. Il giorno dopo sarebbe stato mercoledì. Poi ci sarebbe stato un giovedì, e poi un venerdì. Pian piano, sarebbe arrivato un altro martedì, e Jack sarebbe stato una settimana più morto. Bobby odiava il tempo, quando questo giocava contro di lui.

            Si rialzò, spolverandosi i jeans, e si allontanò dal cimitero. Era ora di lasciare i ricordi là dove dovevano stare: nel passato. Mentre tornava in città, ripensò a quello che Jerry e Angel gli avevano raccontato a proposito del reverendo Chambers. Già che c’era, aveva cercato anche la sua tomba: una fotografia che lo ritraeva sorridente, e le solite frasi idiote: marito affezionato, padre adorato, uomo coraggioso. Il reverendo era un brav’uomo, sì, ma non era certo un santo. Così come, probabilmente, non era stata una santa nemmeno Evelyn.

            Parcheggiò e sorrise, al ricordo di sua madre. Non ebbe il tempo di crogiolarsi nella serenità, perché con la coda dell’occhio notò Adia Chambers entrare in un negozio dall’altra parte della strada. Angel ha ragione, zoppica un sacco, osservò, scendendo dall’auto e cercando di escogitare qualcosa per riuscire ad incontrarla in un modo che potesse sembrare del tutto casuale. Aspettò di vederla uscire, sorridendo al negoziante, poi iniziò a camminare verso di lei, apparentemente distratto.

            “Non è possibile!” la sentì esclamare. “Di nuovo tu?”

            “Oh mio Dio, non posso crederci! Adia Chambers? Quanto tempo è passato dall’ultima volta che ci siamo visti?”

            “Lasciami passare, Mercer.”

            “Dai, non andare via così di fretta! Facciamo due chiacchiere, che dici? In memoria dei vecchi tempi!”

            “Ma quali vecchi tempi…” ribatté lei, cercando di dribblarlo, per quanto possibile.

            Bobby fu piuttosto abile a sfilarle di mano il pesante pacco che reggeva. “Su, andiamo. Non sia mai che Bobby Mercer faccia faticare una donna.”

            “Bobby Mercer, ti ordino di…”

            “Dai, rilassati, tesoro. Ti aiuto qui e poi andiamo a prenderci un caffè, ti va?”

            La ragazza si arrese, si risistemò il berretto e iniziò a camminare a fianco del cattivo ragazzo più strano a cui Detroit avesse mai dato i natali. Quando giunsero sul sagrato della chiesa, si fermò. “Credo di poter andare avanti da sola, grazie” disse, cercando di riprendersi il pacco, ma Bobby fu piuttosto bravo a portarlo rapidamente fuori della sua portata.

            “Ehi, guarda che oggi sono gratis, e sono tutto per te. Puoi fare di me quello che vuoi” ammiccò lui, sperando che lei captasse ogni singolo doppio senso. D’altra parte, era per provarci spudoratamente con lei, che era andato a cercarla.

            “Pensavo non andassi molto d’accordo con le chiese.”

            “Io? Con le chiese? Che cosa te lo fa pensare?”

            Lei fece spallucce. “Ah, lascia stare…”

            Una volta sistemato lo scatolone nel magazzino con gli altri, entrambi uscirono di nuovo nel pallido sole di quel martedì.

            “Allora” esordì lei, con voce incerta, “ho saputo di tua madre. È stato un shock per tutti. Mi dispiace di non essere venuta al funerale, ma non sono stata bene. Però ogni tanto vado da lei. Al cimitero” specificò.

            “Grazie, è un bel pensiero. Allora sei stata tu a portare i lillà.”

            La ragazza annuì. “Una volta mi aveva detto che le piacevano molto.”

            “Non sapevo vi foste parlate.”

            “Dev’essere stato cinque o sei anni fa. A volte veniva in chiesa. Le piacevano i sermoni di mio padre.”

            Ci fu silenzio, per qualche minuto. “Ho saputo di tuo padre” disse Bobby.

            Adia alzò lo sguardo su Bobby, per distoglierlo subito dopo.

            “Mi dispiace” aggiunse lui. Lei annuì, incapace di parlare. “Ho saputo anche di te” continuò Bobby.

            “Certo. Immagino volessi vedere con i tuoi occhi la povera piccola Chambers zoppa” rispose lei, con acredine. “Meglio vedere la gente rovinata, piuttosto che morta, vero?” Fece dietrofront e si allontanò, visibilmente in difficoltà, lasciando Bobby solo sul sagrato.

            “Donne…” sospirò ancora lui. “Non si sa mai come cazzo ci si deve comportare con voi.”

 

            Rientrato a casa, quella sera, incrociò lo sguardo divertito di Angel. “Allora? Oggi sei riuscito a farti anche l’ultima della lista?”

            “Fottiti, fratello, non ho un cazzo di voglia di parlare di quella stronzetta.”

            “Vedo che hai già cambiato idea” intervenne Sofi, affacciandosi alla cucina. “Siccome non sei ancora riuscito ad andarci a letto, non è più una pollastra, ma una stronzetta? Quanto siete stronzi voi uomini!”

            “Fratello, puoi dire alla Vida Loca di farsi gli affari suoi, una volta tanto?”

            “Scusa, tesoro, è un affare di famiglia” sussurrò Angel, spingendo la ragazza di nuovo verso i fornelli. Si sedette sul tavolino basso del salotto, proprio davanti al fratello. “Bobby, mi spieghi perché vuoi farti quella ragazza a tutti i costi? Insomma, siamo a Detroit! È pieno di donne, perché vuoi proprio lei?”

            Bobby rifletté per un paio di secondi. Perché siamo tutti e due soli, perché siamo uguali. “Perché non voglio che si dica in giro che una donna ha rifiutato Bobby Mercer.”

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Capitolo 3
*** 3. Gocce Di Memoria [Giorgia] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

3. Gocce Di Memoria

 

 

Bobby aspettò l’arrivo della mezzanotte, prima di uscire. “Dove stai andando?” gli aveva chiesto Angel.

“Ho un appuntamento.”

“E lei lo sa?”

“Lo saprà presto.”

Angel sorrise e scosse la testa, prima di raggiungere Sofi in camera da letto. Se la preda di Bobby avesse confermato di avere lo stesso carattere pungente e caparbio del padre, non si sarebbe stupito di veder tornare a casa il fratello entro mezz’ora, scornato e ancora a secco.

 

Bobby parcheggiò in Evans Street, poco distante dalla casa del reverendo. Sette anni prima, nel periodo in cui aveva dato la caccia alla giovane Adia, era solito parcheggiare proprio in quello stesso punto. Sorrise, al ricordo di tutto ciò che aveva fatto per riuscire a portarsela a letto. E non ci era mai riuscito. Raccolse una manciata di sassolini e girò intorno alla casa, cercando di ritrovare la finestra della stanza della ragazza. Sapeva che era sempre rimasta a vivere lì, e che ora in quella stessa casa viveva Aaron, suo fratello maggiore, con la moglie e i due figli.

Bobby si fermò e lanciò il primo sassolino contro quella che ricordava essere la finestra giusta. Attese trenta secondi, poi ne lanciò un altro. Altri trenta secondi di silenzio, poi ne lanciò un terzo. La finestra si sollevò, e gli occhi azzurri della ragazza, carichi di disapprovazione, si fissarono su di lui. “Che diavolo vuoi, Mercer?” sibilò lei, cercando di non svegliare i bambini. “E’ mezzanotte passata.”

“Vuoi uscire con me?”

“Esiste il telefono, lo sai?”

“Intendevo adesso.”

“Tu sei pazzo…”

“Dai, che ti costa?”

“E dove avresti intenzione di portarmi, sentiamo?”

“Tu lascia fare a me. Detroit è piena di posti carini da vedere.” Fece una pausa. “Dai, ti prometto che non allungherò le mani” mentì. Sapeva che non sarebbe riuscito a trattenersi. La osservò valutare la proposta.

“Dammi cinque minuti” si arrese lei, richiudendo la finestra.

 

Cinque minuti più tardi, Adia uscì di casa, chiudendosi la porta alle spalle. Zoppicando, attraversò la veranda e il giardino e raggiunse Bobby, ancora appoggiato al cofano dell’auto. Mentre la ragazza si avvicinava, lui si premurò di osservarla accuratamente: jeans, maglione, giubbotto, scarpe da ginnastica, sciarpa e berretto. Capelli lunghi, scuri, molto più lunghi di quanto ricordasse. Occhi azzurri, completamente privi dell’aura ingenua che lo aveva fatto diventare matto otto anni prima. Adia Chambers era cambiata, non era più la ragazzina che aspirava a portarsi a letto a tutti i costi. Eppure, gli piaceva lo stesso.

“Perché mi sono lasciata convincere?” sbuffò lei. “Otto anni e hai sempre la solita faccia da schiaffi.”

“Così mi ferisci, agnellino” ribatté lui, fingendosi triste.

“Come vuoi. Comunque ti avverto, ho dello spray al peperoncino, in caso di bisogno.”

Bobby rise. “Ah, allora anche alle figlie dei preti piacciono le cose spinte…”

“Che imbecille…” sospirò lei. “Ci vediamo in giro, Mercer” aggiunse, voltandosi per tornare in casa.

Lui l’afferrò per un polso, con decisione. “Per favore” sussurrò. “Facciamo un giro. Ho voglia di parlare con qualcuno” aggiunse, allentando la stretta.

“Ti sei rammollito, Mercer. Una volta avresti detto chiaro e tondo che volevi fare sesso con me.”

“Ti sei rammollita anche tu, Chambers. Una volta mi avresti lanciato un secchio d’acqua dalla finestra.” Lasciò completamente il polso di lei. “Dai, ti prometto che non allungherò le mani.” Questa volta, non mentiva. O almeno, avrebbe cercato di controllarsi.

 

Bobby parcheggiò davanti a casa sua – la casa di sua madre – e spense il motore. Improvvisamente non più illuminata dalla luce dei fari, casa Mercer sembrava ancora più spettrale. Bobby si rilassò contro il sedile, mentre guardava la struttura completamente crivellata dai colpi degli scagnozzi di Victor. La sua casa, la casa di sua madre. Ci sarebbe voluto del tempo, per rimetterla in sesto. E nonostante tutto, Bobby lo sapeva, non sarebbe mai tornata ad essere quella di prima.

“Ho letto la notizia sui giornali” disse finalmente la ragazza, rompendo il silenzio nel quale si erano rinchiusi dall’inizio del viaggio. “Ho letto che c’era stata una sparatoria. Subito non ho pensato che fosse casa tua. Poi, ho letto che nello scontro era morto Jack Mercer, e allora…” La voce si spense. “Dire che mi dispiace per quello che è successo non lo farà tornare indietro. Non fa tornare indietro nessuno.”

Bobby annuì.

“Però fa stare un po’ meglio, non credi?” continuò lei, voltando appena la testa per guardarlo.

“Un po’, forse” ammise lui. “Che cosa provi?”

“Riguardo a cosa?”

“Riguardo alla morte di tuo padre. Al sapere che l’uomo che lo ha fatto ammazzare è morto? Sei felice?”

“Tu lo sei?”

“Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda, non te lo hanno insegnato?”

Adia sorrise. “Mio padre mi ha insegnato a perdonare.”

“Anche un omicida?”

“Anche un omicida. Lo so, sembra una cosa strana, ma… io avevo perdonato Victor Sweet.”

Questa volta fu Bobby a voltarsi a guardarla, per la prima volta da quando erano saliti in auto. “Come puoi aver perdonato Victor Sweet? Ha ucciso tuo padre!” esclamò, sorpreso.

“Lo so. So che Victor Sweet ha fatto uccidere mio padre. Ma io non l’ho mai considerato degno del mio odio.”

Degno del tuo odio?” esclamò ancora lui, decisamente più sorpreso di prima.

“Il disprezzo, come l’amore, è una cosa che bisogna guadagnarsi poco a poco. E’ una delle cose che mi ha insegnato mio padre.”

“Mi stai dicendo che tutto quello che ha fatto Victor Sweet non è stato sufficiente a fartelo odiare?”

Adia scosse la testa. “Forse, se fosse vissuto ancora un po’, ci sarebbe arrivato.”

Bobby scosse la testa a sua volta, divertito. “Incredibile… davvero incredibile…”

“Cosa?”

“Quel figlio di puttana ha ucciso tuo padre e ti ha fottuto una gamba, e tu non lo hai mai detestato?”

Adia cercò di scansare il gergo colorito e abbozzò un sorriso. “Esattamente.” Fece una pausa. “E comunque sono i miei affetti familiari e la mia gamba, e vorrei decidere da sola in che modo compiangerli” aggiunse, rifacendosi seria. “Tu odiavi Victor, vero?” gli domandò, sotto voce, dopo altri minuti di niente.

Bobby alzò gli occhi sulle macerie della propria casa.

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Capitolo 4
*** 4. Never Felt This Way [Alicia Keys] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

4. Never Felt This Way

 

 

“Volevo picchiarlo. Volevo fargli male. Volevo che soffrisse.” Fece una pausa. “Quando ho scoperto che era stato lui a far uccidere nostra madre, l’ho voluto morto. Ho pensato a come sarebbe stato ucciderlo, con queste mani. Ho pensato a come mi sarei sentito.”

            “Come ti senti, sapendo che è morto?”

            “Meglio. Almeno so che non farà più del male a nessuno. Anche se questo non farà tornare indietro mia madre, né tantomeno Jack” ammise Bobby, voltandosi di nuovo a guardare la ragazza.

            Adia sostenne lo sguardo per un paio di secondi, poi tornò a concentrarsi sulla casa. “Credo… credo che sarebbe saggio… smettere di concentrarsi sui morti, per un po’.”

            “E su cosa dovremmo concentrarci, invece?”

            “Su di noi” rispose lei, senza pensarci. “Insomma, su noi nel nostro ambiente. Le nostre… famiglie. Fratelli, sorelle… sai, quel genere di noi.”

            “Ah, quindi non noi inteso come Bobby Mercer e Adia Chambers che fanno… che ne so, sesso nel parcheggio del cinema?”

            Adia non riuscì a trattenere una risata. “No, Bobby. Decisamente non quel genere di noi.”

            “Perché no, scusa? Io sono un bell’uomo, tu sei una bella donna, perché non dovremmo spassarcela?” rincarò lui, allargando le braccia e gesticolando per avvalorare la propria teoria.

            Lei si sorprese a fissarlo per un paio di istanti più del dovuto. Sì, Bobby Mercer era un bell’uomo: forse non aveva i lineamenti disegnati con la squadretta, e sicuramente avrebbe potuto sforzarsi per sembrare un po’ meno rude di una scimmia… ma in fondo, la ragione per cui Bobby Mercer le era sempre piaciuto era quella sicurezza, quella sua incredibile autostima che si poteva quasi vedergli fuoriuscire dai pori. Bobby Mercer si amava con tutto se stesso… e aveva appena detto di trovarla carina. No, una bella donna. Se lei fosse stata ancora la ragazzina di otto anni prima, probabilmente avrebbe accettato quella frase come una dichiarazione di amore eterno, e si sarebbe trovata ad abbassare il sedile passeggero.

            Scosse la testa. “E’ incredibile il modo in cui riesci a rovinare tutto, Bobby” sbottò, incupendosi e scendendo dall’auto.

            Bobby la guardò imboccare il marciapiede, diretta verso casa. Era la gamba sinistra quella che le doleva: lo capì osservandola. Mise in moto e iniziò a costeggiare il marciapiede, abbassando il finestrino per poterle parlare. “Che ho detto di male? Ho detto che sei una bella donna, di solito alle ragazze piace!”

            “Il punto è che stavamo parlando di cose serie, Bobby. Stavamo parlando di qualcosa di importante.”

            Bobby continuò a seguire piano il marciapiede e la marcia di Adia, cercando una risposta.

            “A volte dovresti cercare di seguire quello che sta dicendo l’altra persona, e non concentrarti soltanto su te stesso o su quello che vuoi dagli altri” disse ancora lei, che evidentemente non si aspettava una risposta. “Ma in fondo è questo il tuo problema, Bobby Mercer” continuò, rallentando visibilmente l’andatura, “tu non ti chiedi mai che cosa vogliono gli altri, ma soltanto che cosa vuoi tu.” Si fermò per riprendere fiato.

            “Hai finito?”

            “Credo di sì.”

            “Allora sali. Ti porto a casa.”

            “Non ci penso nemmeno.”

            Lui portò una mano all’altezza del clacson. Intuendo quello che avrebbe fatto, Adia obbedì.

 

            Evans Street, le due del mattino. Bobby non riusciva a credere che fossero stati fuori così tanto. Scese dall’auto e aprì lo sportello alla ragazza, che non si dimostrò sorpresa. Camminarono insieme fino alla veranda, senza parlare. Bobby avrebbe voluto che quel vialetto fosse infinito. “Scusa per quanto ho detto prima” si giustificò, quando si fermarono davanti alla porta. “Ho parlato senza riflettere.”

            “E’ una cosa che fate spesso, voi uomini” rispose lei, ridendo. “Ma voi Mercer siete particolarmente bravi nel farvi voler male.”

            “Perché vivi ancora con tuo fratello?” le domandò, ignorando la precedente frecciatina.

            “Perché stare con la sua famiglia mi dà l’illusione di averne ancora una mia. E tu, perché vivi ancora con i tuoi fratelli?”

            “Perché la mia casa è ridotta a pezzi.” Fece una pausa. “Tu non hai più una famiglia?” domandò, senza capire.

            “Non lo siamo più stati da quando è morta mia madre” rispose lei, sedendosi sul dondolo.

            Senza chiedere il permesso, Bobby si sedette accanto a lei, alla sua sinistra. “Tua madre è morta quindici anni fa” osservò.

            “Lo so, Bobby, ma ti ringrazio per avermelo ricordato” rispose lei, sarcastica. Poi, recuperando serietà: “Mio padre ci ha voluto bene, ci ha insegnato ad amarci l’un l’altra, a difenderci e a proteggerci. Ma senza mia madre, non siamo più stati una famiglia vera. Poi le mie sorelle si sono sposate, se ne sono andate di casa. Mio fratello si è sposato e ha messo su famiglia. Eravamo rimasti soltanto io e mio padre…”

            “…e ti hanno portato via anche questo” completò Bobby, in un sussurro.

            “Io voglio bene alle mie sorelle, e voglio bene a mio fratello” ribatté lei, “ma senza la mamma non è più stata la stessa cosa.”

            Bobby le passò un braccio attorno alle spalle e la attirò vicino a sé. Se Angel lo avesse visto in quel momento, sarebbe scoppiato a ridere. Bobby Mercer stava davvero cercando di consolare una donna? Jack lo avrebbe preso in giro per anni, se gli avesse visto compiere un gesto simile. Ma Adia stava piangendo sul serio, adesso, e per quanto i suoi singhiozzi fossero calmi e controllati, sapeva di non poterla lasciare sola.

            “Capisco quello che provi” le sussurrò. “Se penso a com’era la mia vita prima di incontrare mia madre e la confronto con tutto quello che è riuscita a darmi… è per questo che ho odiato Victor Sweet. Mia madre era la cosa più bella della mia vita, la sola cosa che non sarei mai riuscito a distruggere.”

            “Sei felice che sia morto?” gli chiese lei, sollevando la testa.

            “Ha avuto quello che si meritava” rispose lui. “Ma no, non sono felice.”

            “Che cosa farai adesso, Bobby Mercer? Te ne andrai di nuovo in giro per il mondo a spaccare la faccia a chi ti guarda male, oppure farai un po’ di casino qui da noi?”

            “Non lo so. Credo che potrei restare, per un po’. In fondo, sono appena uscito di galera, non ho un posto dove stare. E poi, c’è da rimettere in piedi la casa di mia madre, e…” si interruppe sentendo un rumore all’interno della casa, proprio dietro la porta. Adia si voltò di scatto, proprio come lui, ed entrambi si trovarono di fronte Aaron, il fratello maggiore di lei.

            “Scusate, mi sono alzato per andare in bagno e ho sentito delle voci” si giustificò l’uomo. “Buonanotte, Adia. Bobby…”

            Bobby ricambiò il saluto con un cenno del capo, poi guardò l’orologio. “Sono le due passate. Forse è meglio che me ne vada.” Si alzò, immediatamente imitato dalla ragazza. “Grazie per la bella serata, e scusa il disturbo” aggiunse, aggiustandosi il bavero del giubbotto.

            “Te ne vai così?” gli domandò lei, un pizzico di sorpresa nella voce.

            “Così come?”

            “Senza nemmeno tentare di toccarmi il sedere?”

            “Ho promesso che non avrei allungato le mani.”

            Adia sorrise. “Non credevo avresti davvero mantenuto la promessa. Hai passato tre anni a dire che non vedevi l’ora di vedermi in mutande…”

            “Credo di non essere più lo stesso Bobby Mercer di allora.”

            “Questa nuova versione non mi dispiace, sai?”

            Bobby accennò un sorriso. “Nemmeno a me” ammise, facendo un paio di passi indietro e scendendo uno scalino.

            “Te ne vai così?” gli chiese ancora lei, avvicinandosi d’istinto.

            “Così come?”

            “Senza dirmi che non ci sarà un’altra occasione? Di solito, è questo che fai.”

            Bobby abbassò la testa e la rialzò quasi subito, un sorriso dipinto sul volto. “Te l’ho detto, non sono più lo stesso Bobby Mercer.” Percorse all’indietro gli ultimi due scalini e se ne andò, sorridendole. Adia lo guardò andare via, un po’ dispiaciuta. Il suo cuore di ragazzina aveva sperato almeno in un bacio. Ma un bacio al chiaro di luna, davanti alla porta di casa, non era nello stile di Bobby Mercer, né di quello vecchio né di quello nuovo.

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Capitolo 5
*** 5. Como Un Lobo [Miguel Bosé feat. Bimba Bosé] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

5. Como Un Lobo

 

 

“Ciao, agnellino!” si sentì apostrofare il giorno successivo, mentre raggiungeva il piccolo negozio che gestiva in Patterson Avenue. Si voltò, giusto in tempo per vedere Bobby attraversare di corsa la strada.

“Lo sai che le strisce pedonali hanno uno scopo?”

“Beh, non posso passare dalla parte del bene così all’improvviso. Potrei avere uno shock. E tu lo sai che è lavoro dei fattorini, portare i pacchi?” ribatté, togliendole dalle mani la scatola che reggeva. “Accidenti, pesa. Che cos’è, una bomba?”

“Libri” rispose lei.

“Libri?”

“Libri, Bobby. Quelle cose che si leggono… sai leggere, vero?”

“Molto divertente. Certo che so leggere, agnellino. E ieri, invece? Che cosa trasportavi, ieri?”

“Candele.”

“Candele?”

“Candele per la chiesa. Sai, quelle cose che si accendono…”

“So cos’è una candela, grazie. Che diavolo ci fai con una scatola di libri?” le domandò ancora lui, continuando a camminare al suo fianco.

“Cerco di venderli. Gestisco una piccola libreria, e… ecco, siamo arrivati.” Fece scattare la serratura ed entrò nel negozietto. “Lasciali pure lì, grazie. Sei stato molto gentile” disse, indicando il bancone del negozio.

“E così, sei una donna in carriera” osservò lui, appena dietro di lei.

Adia ebbe un sussulto. Non credeva fosse così vicino. “Beh, più che donna in carriera, direi ragazzina allo sbando.”

“Hai quasi trent’anni, non sei una ragazzina” osservò Bobby. “Sei una donna.”

Adia si voltò, trovandolo molto più vicino di quanto pensasse. Era la prima persona da tanto tempo a definirla apertamente una donna. Lo aveva già fatto la sera prima, ma lei era troppo distratta dall’aggettivo bella per riuscire a focalizzare tutta la propria attenzione sull’altra parola. “Grazie.”

“E di che?”

“Beh, in casa nessuno mi considera una donna. Per tutti, sono ancora la piccolina di casa. È frustrante, essere ancora trattata come una bambina a ventisette anni suonati.”

“Anche Jack si lamentava di questo” ricordò Bobby. Al pensiero di suo fratello, aggrottò le sopracciglia. Non era ancora pronto a pensare a Jack con serenità. “Lo consideravamo ancora un ragazzino.”

Adia sorrise, aprendo il pacco che Bobby aveva appoggiato sul bancone. “Siete sempre stati molto uniti” osservò. “Le mie sorelle e io non abbiamo mai avuto molto in comune.”

“E tuo fratello?”

“Lo hai visto ieri sera. Si preoccupa per me. Ieri, quando te ne sei andato, mi ha raccomandato di fare attenzione.”

“Non ho una bella reputazione, vero?”

“No, infatti. Non hai una bella reputazione, e mio fratello tende ad esagerare.”

No, non tende ad esagerare, pensò Bobby. Ha ragione, cazzo. Da qualche parte dentro di me c’è il Bobby stronzo, che ieri sera ci avrebbe provato senza ritegno. E ho la sensazione che presto salterà di nuovo fuori a rompere i coglioni.

“Io credo che dovresti dargli ascolto” osservò lui. “In fondo, è sempre tuo fratello.”

“Se fosse tanto saggio, non avrebbe sposato l’ottava piaga d’Egitto.”

Bobby scoppiò a ridere. “E’ tanto insopportabile?”

“Tu non ne hai idea.”

 

La giornata sembrava essere passata in un lampo: la chiacchierata mattutina con Bobby le aveva messo addosso uno strano senso di tranquillità e allegria che l’aveva aiutata ad affrontare serenamente il lavoro. Nonostante questo, Adia non era convinta che fosse una buona cosa. Non riusciva a capire perché Bobby Mercer continuasse a ronzarle attorno a quel modo, non riusciva a capire il suo apparente cambiamento. Continuava ad esserci una vocina, dentro di lei, che le ripeteva di non fidarsi, di fare attenzione. Quella voce continuava a dare ragione all’opinione di Aaron. E avrebbe continuato a farlo, nonostante la sua volontà di credere al cambiamento di Bobby.

Quella voce l’accompagnò per tutto il giorno, fino a sera, quando la porta del negozio si aprì. “Ciao, agnellino.”

Adia si affrettò a togliersi gli occhiali. “Hai fatto una scommessa con tuo fratello, vero? Per forza. Devi aver fatto una scommessa con Angel.”

“Non credo di capire” rispose lui, guardandola alzarsi e iniziare a riordinare.

“Hai scommesso che saresti riuscito a portarmi a letto entro una settimana? Entro cinque giorni? Dev’essere per questo che ti comporti in maniera così strana…” continuò lei, iniziando ad abbassare le veneziane. Era quasi orario di chiusura, e improvvisamente aveva voglia di andarsene, di allontanarsi da Bobby.

“Continuo a non capire.”

“Sei sempre stato… beh, uno stronzo. E improvvisamente torni, e sei… normale. Non cerchi di mettermi le mani addosso, limiti le battute idiote… che diavolo ti sta succedendo, Bobby Mercer?”

“Ieri sera mi sembrava di aver capito che il nuovo Bobby ti piacesse.”

“Non ne sono così sicura…” sussurrò lei, più per se stessa che per lui.

“Preferivi il vecchio Bobby?” le domandò lui. “Preferivi il Bobby che tratta le donne come stracci?” la incalzò, chiudendo la porta. “Preferivi il Bobby che mette le mani addosso a tutte?” le chiese ancora, abbassando l’ultima veneziana. D’istinto, Adia si ritrovò ad arretrare. Che cosa aveva sperato di ottenere? Bobby la chiamava agnellino. Lei era un agnellino, lui era il lupo.

“B-Bobby…” sussurrò, spaventata.

“Preferivi l’altro Bobby? Allora ti accontento” sibilò lui, a pochissimi centimetri da lei, poco prima di scattare in avanti, proprio come un lupo sulla preda. Adia sentì le loro labbra incontrarsi violentemente, senza alcun tipo di magia. Le mani di Bobby le afferrarono il viso, poi la spalla, senza delicatezza, senza alcun tipo di sentimento.

“Bobby… Bobby, fermati” lo supplicò.

Lui, incredibilmente, obbedì. Il vecchio Bobby non l’avrebbe mai fatto.

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Capitolo 6
*** 6. Fortissimo [Claudio Baglioni] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

6. Fortissimo

 

 

“Scusami. Scusami” disse Bobby, la voce ridotta ad un sussurro, senza riuscire a lasciarla andare. “Non… non ho fatto nessuna scommessa.”

“No, scusami tu. Non volevo accusarti. È solo che…”

“…ti è sembrato strano, lo so. Sembra strano anche a me” concluse lui, facendo scivolare via le mani dal volto di lei. “In realtà, fino a qualche giorno fa, sarei stato pronto a scommettere che ti avrei portata a letto entro una settimana. Ma poi… poi non lo so, è cambiato qualcosa.”

Adia rimase a guardarlo, senza capire.

“Ho pensato parecchio a mia madre, a Jack, a quello che è successo… e poi ho parlato con te, e…”

“…e hai scoperto di avere una coscienza?” completò sarcastica lei, incrociando le braccia e distogliendo lo sguardo. La violenza di poco prima bruciava ancora sulle labbra e sulla pelle. Bruciava anche più giù, in qualche angolo nascosto: bruciava nel cuore.

“Forse” rispose lui, riavvicinandosi. “Il punto è… il punto è che non ti voglio più.” Adia lo guardò interrogativa: da come le si era gettato addosso pochi istanti prima, avrebbe detto il contrario. “Il punto è che tu adesso mi interessi” continuò lui, senza fare caso all’espressione meravigliata di lei. “Non è come otto anni fa, non voglio portarti a letto e basta.”

Adia avvertì un brivido lungo la schiena: Bobby Mercer stava davvero cambiando, allora? E lo stava facendo proprio sotto i suoi occhi? Non riusciva a crederci. Bobby Mercer le stava dicendo che non pensava più a lei come all’unica ragazza di Detroit con cui non era ancora stato: le stava dicendo che era l’unica ragazza di Detroit con la quale avrebbe voluto stare in quel momento, o qualcosa del genere. Forse stava solo lavorando di fantasia, forse aveva battuto la testa ed era in coma, forse l’avevano drogata e ora aveva delle visioni. “Bobby…” sussurrò. “Perché me lo stai dicendo?”

“Non lo so, te l’ho detto. Fino a una settimana fa volevo soltanto farmi una sana scopata con una bella ragazza, ma poi… poi mi sono accorto che andare a letto con delle belle ragazze non mi ha mai portato da nessuna parte. Forse mia madre aveva ragione, quando mi diceva che non mi sarei procurato altro che guai. Forse sono davvero un incapace, un poco di buono.”

Adia non riusciva a rimanere lì in piedi, a guardarlo scivolare nell’autocommiserazione. Il Bobby Mercer che conosceva non faceva queste cose, e non chiedeva scusa. Il Bobby Mercer che ci aveva provato con lei per tre anni di seguito non chiedeva scusa, e non si poneva quesiti etici. Gli si avvicinò un po’, un passo alla volta, aspettando che lui alzasse lo sguardo. Gli appoggiò una mano sulla spalla e si sporse verso di lui. Aveva sempre immaginato così il primo bacio tra loro: aveva immaginato di sorprenderlo con un gesto del genere. Aveva immaginato dolcezza, naturalezza. Aveva immaginato amore.

Si staccò da lui e rimase a guardarlo, in attesa di una reazione. Bobby rimase a guardarla a sua volta. “Che cosa significa, questo?”

“Significa che mi sei sempre piaciuto, Mercer.”

“E allora perché non hai mai accettato di uscire con me?”

“Perché tu ti sei accorto di me soltanto quando sei rimasto a corto di ragazze. Se avessi accettato di uscire con te sarei stata soltanto un ripiego, un avanzo, qualcosa che nessuno aveva voluto. Sono sempre stata nessuno, anche in famiglia… non volevo che anche tu mi usassi.”

Bobby abbassò lo sguardo: non aveva più parole. Aveva finito anche gli sguardi. Allungò una mano, alla cieca, e cercò quella di Adia. La strinse, mentre le appoggiava l’altra sulla nuca, con dolcezza. La baciò ancora, ma non come pochi minuti prima. Questa volta, il Bobby violento e precipitoso sembrava non essere mai esistito. Le mani passarono sulla schiena di lei, costringendola ad avvicinarsi di più. Voleva sentirla vicina, voleva sentirsela addosso, voleva sentirla abbandonarsi completamente a lui. Spostò le labbra dalla bocca al collo, senza pause, senza staccare la propria pelle dalla sua.

Adia accettò il bacio, accettò ogni carezza. In quel momento sentì che sarebbe successo: lei e Bobby Mercer avrebbero fatto l’amore. La mano di Bobby tentò di infiltrarsi sotto la sua camicetta. “Non qui, Bobby” sussurrò, staccandosi appena da lui. “Se deve succedere adesso, non voglio che succeda qui.”

“E allora dove? A casa tua, magari?” ribatté lui, in tono leggermente sarcastico.

“Certo che no” rispose lei. “Vieni con me” aggiunse, prendendolo per mano e guidandolo verso il retro del negozio. Dì lì, una stretta scala a chiocciola portava al piano superiore. Bobby non aveva avuto modo di notarla, prima. Lasciò che Adia lo guidasse lentamente, modellando il suo passo su quello della ragazza, e cercando di ignorare la voce che gli intimava di fare più in fretta. Mentre salivano, non poté fare a meno di guardare il corpo che si muoveva davanti a lui. Adia era cambiata, nel corso degli anni: era stata un’adolescente molto carina, poi aveva abbandonato quell’età, ed era diventata una splendida donna. Bobby si trattenne a fatica dall’allungare le mani verso quel corpo prima di essere giunto a destinazione.

In cima alla stretta scala, si apriva un piccolo spazio che Adia sembrava aver trasformato in un miniappartamento: un letto, un piccolo armadio, un comodino, una scrivania, qualche vestito sparso qui e là e tonnellate di libri. Le piaceva leggere, ormai l’aveva capito. In realtà, Bobby l’aveva sempre saputo. Adia si fermò al centro della stanza: “Scusa il disordine, ma ci sto molto poco qui.”

“Che cos’è, una specie di rifugio segreto?”

“Dormo qui, ogni tanto. Quando capisco che mia cognata non sopporta la mia presenza, oppure quando… beh, quando ho un appuntamento.”

Al pensiero che un altro uomo potesse essere stato con lei in quella stanza, Bobby avvertì una fugace stretta allo stomaco. Ma non si poteva certo immaginare fosse ancora vergine: d’accordo, era figlia di un reverendo, ma aveva ventisette anni, dannazione! Poteva solo sperare che nessuno degli uomini con cui era stata l’avesse lasciata particolarmente soddisfatta: allora, forse, lei si sarebbe ricordata di lui. Forse, avrebbe finalmente fatto qualcosa di buono. Qualcosa per cui valesse la pena essere ricordato. Qualcosa di meglio che far gettare Victor Sweet in fondo al lago.

“E’ un posto carino” ammise Bobby. Incasinato, ma carino. Abbassò lo sguardo sulle loro mani ancora intrecciate, poi lo rialzò su di lei: anche Adia stava guardando le loro mani, e sembrava nervosa. “Sei nervosa?”

“No” rispose lei in fretta. Mentiva.

“Non mentirmi, agnellino.”

“Un po’, forse. Tu?”

“Io?” sorrise lui. “Io sono Bobby Mercer, agnellino. Io non sono mai nervoso.” Con la mano libera, tornò a ricoprire la guancia di lei, poi le regalò un altro bacio. Lasciò che le loro labbra giocassero a rincorrersi per un po’, prima di lasciar scivolare avanti la propria lingua. Quando lo fece, sentì le mani di Adia risalire sul suo petto, fino al bavero del giubbotto. Sentì il calore delle sue dita attraverso i vestiti. Sentì il cuore accelerare i propri battiti. La pelle spessa della giacca iniziò a scivolare via dalle sue spalle, e allora distese le braccia per facilitarle il compito. Le mani di Adia tornarono sul suo petto, ancora coperto da diversi strati di vestiti. Le ricoprì la schiena con le proprie dita, accarezzandola e obbligandola a stargli più vicina. La voleva, non c’era alcun dubbio. Quella notte, la voleva tutta per sé.

Le fece scivolare una mano sotto la camicetta, facendola risalire fino al reggiseno. Sentì i gancetti sotto le dita, accarezzò il pizzo e ripercorse al contrario il dorso della ragazza. Tornò a baciarla con più intensità, e la avvertì infiltrare una mano al di sotto della sua felpa, alla ricerca di un contatto più diretto con la sua pelle. Il tocco delicato delle sue dita lo faceva impazzire. Fece scivolare le proprie dita lungo il bordo dei jeans di lei, accarezzandolo con dolcezza. Iniziò a risalire lungo la camicetta, slacciando i bottoni uno ad uno, continuando ad accarezzarle il collo con le labbra. Arrivato alla scollatura, abbassò la testa per baciarla, mentre faceva scivolare via la stoffa. Con un impercettibile fruscio, la camicetta cadde a terra, e Bobby tornò a stringere di più Adia. Voleva sentirla, voleva sentirla con tutto il suo corpo. Infilò una gamba tra quelle della ragazza, incollandosi ancora di più a lei.

Un velo di rossore sembrò farsi strada sul volto di Adia. “Che c’è, agnellino?” le chiese, con un sorriso. “Mi sembrava di aver capito che avessi già… esperienza.”

“Certo che ce l’ho, l’esperienza… è solo che… beh, non credo di essere mai stata con qualcuno esperto quanto te.”

Bobby sorrise e si staccò da lei, spingendola dolcemente all’indietro, verso il letto. Adia si sedette sul bordo, aspettando. Lui calciò via calze e scarpe, e mentre si sfilava in un unico gesto felpa e maglietta, lei fece lo stesso. Si avvicinò a lei e la costrinse ad arretrare fino al centro. Si abbassò su di lei, baciandola ancora, facendole capire che da quel momento non avrebbero più potuto tirarsi indietro. Adia gli allacciò le braccia al collo, obbligandolo ad aderire completamente al suo corpo.

“Prima hai detto che non mi vuoi più” mormorò, mentre lui spostava le labbra sul suo collo, senza staccare il petto dal suo seno, “ma adesso sono io che voglio te.”

Bobby rialzò appena la testa, quel tanto che bastava per riuscire a guardarla negli occhi. “Allora avevo ragione” ribatté, una smorfia sarcastica dipinta sul volto non rasato, “anche alle figlie dei preti piacciono le cose spinte.”

Adia sorrise a sua volta, poi si lasciò baciare ancora. Sentì le mani di Bobby slacciarle il reggiseno, poi scendere subito a giocare con la sua cintura e con i bottoni dei suoi jeans. Si mosse ancora, sentendo sempre di più che, nonostante le parole, Bobby la voleva. Gli lasciò le spalle e con le mani corse fino all’allacciatura dei pantaloni. Bobby si mosse per darle una mano, poi tornò ad adagiarsi sul letto, stretto tra le ginocchia di lei. Lui smise di accarezzarle il seno e iniziò a sfilarle con decisione i jeans. Adia ebbe un attimo di indecisione, sapendo che presto lui avrebbe visto la cicatrice sulla sua gamba, poi si rilassò. Bobby non le avrebbe dato importanza, lo sapeva. E infatti, Bobby non diede nemmeno segno di averla notata. Fece cadere i jeans sulla moquette, poi ricominciò da capo con la biancheria. Si liberò a sua volta dei boxer e si fermò, guardandola negli occhi. Voleva imprimere nella propria memoria ogni dettaglio di quella loro prima volta.

La baciò un’ultima volta, prima di introdursi con decisione nel suo corpo. Adia inarcò la schiena e si lasciò sfuggire un gemito, mentre Bobby si fermava e prendeva fiato per il movimento successivo. Per essere figlia di un prete, Adia aveva avuto parecchie esperienze sessuali con uomini diversi, ma nessuno era mai riuscito a farla sentire completa come stava facendo lui in quel momento. Forse dipendeva solo dal fatto che Bobby le era sempre piaciuto, o forse era perché tutte le ragazze con cui era stato lo avevano soprannominato Dio del Sesso. Sì, sicuramente si stava facendo influenzare dalle opinioni degli altri. Forse Bobby non era così straordinario…

Iniziò a muoversi con dolcezza in lei, incredibilmente lento nonostante l’eccitazione, baciandola lungo la linea del collo e accarezzandole con dolcezza il seno, e Adia comprese che non si stava facendo influenzare dall’opinione di nessuno, in quel preciso istante: Bobby sapeva davvero essere fantastico. Ad ogni spinta di lui, si sentiva trasportare un po’ più in là, oltre tutto ciò che era mai riuscita a provare. La dolcezza di Bobby la stupiva, in un certo senso, così come in effetti sembrava stupire anche lui. C’era qualcosa nel modo in cui si muoveva, nel modo in cui la guardava, che faceva pensare addirittura all’imbarazzo: sembrava quasi impacciato, a tratti, come se non si riconoscesse in quello che stava facendo. Come se non riuscisse a crederci.

Presto il ritmo aumentò, i movimenti si fecero più decisi. I loro respiri si fecero sempre più irregolari, le carezze più fugaci. Il silenzio della stanza fu pieno dei loro sussurri e dei loro gemiti. Stringendosi di più a lui, Adia sentì arrivare il piacere. Tenne Bobby legato a sé mentre anche per lui arrivava il momento. Si baciarono a lungo, prima di lasciarsi. Il silenzio fu rotto soltanto dal fruscio delle lenzuola, e da un sussurro di lei: “Non andare via, Bobby. Resta qui, per favore. Resta qui.”

Si stesero l’uno di fronte all’altra, senza riuscire a smettere di guardarsi. Bobby allungò due dita verso di lei, e con quelle le accarezzò la guancia. “Cazzo, quanto sei bella…”

“Sempre elegante, vedo.”

“E dai, agnellino, concedimi almeno questo” sorrise lui.

Li divideva soltanto un raggio di luna.

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Capitolo 7
*** 7. Eppure Sentire (Un Senso Di Te) [Elisa] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

7. Eppure Sentire (Un Senso Di Te)

 

 

Adia si rigirò tra le coperte, sfiorando, nell’incoscienza del sonno, un corpo caldo accanto a sé. Aprì immediatamente gli occhi, spaesata, contraendo i muscoli in attesa di un pericolo imminente. Non era un pericolo. È solo Bobby, disse a se stessa, sentendo defluire la tensione. Allora sì, potrei considerarlo un pericolo. Le stava dando la schiena, e Adia pensò che forse preferiva così. Non avrebbe sopportato l’espressione soddisfatta dipinta sul suo volto addormentato. Non avrebbe sopportato l’idea di sapersi fautrice di quella serenità. Diavolo, non sopportava nemmeno l’idea di essere finita a letto con lui. Aveva lottato per anni contro di lui, contro la sua malsana idea dei rapporti di coppia, e alla fine si era fatta infinocchiare come un’adolescente cotta del belloccio della scuola. Bobby aveva torto. Lei non era una donna.

Si voltò dall’altra parte, non prima di aver lasciato vagare lo sguardo lungo la schiena semiscoperta dell’uomo che le giaceva accanto. Non pensava che anni di risse e di galera potessero contribuire allo sviluppo di tutti quei muscoli. Sicuramente, però, muscoloso non equivaleva a resistente, perché Bobby era crollato addormentato entro mezz’ora dal loro rapporto - l’unico di quella notte. Lesse più volte la scritta nera che gli attraversava le spalle. Nessuna pietà. Nessuna pietà. Eccola lì, servita su un piatto d’argento, la testimonianza del fatto che Bobby non era cambiato, che era sempre un pessimo soggetto e che sarebbe stato meglio tenersi alla larga da lui. Di quale altra prova aveva bisogno?

Non riusciva ad addormentarsi. Era abituata a dormire sdraiata sul fianco destro, ma voltarsi avrebbe significato trovarsi davanti la schiena di Bobby, e cedere al ricordo di quella notte che ancora non era giunta al termine. Non avrebbe dormito comunque, quindi tanto valeva rimanere distesa sul fianco che non le era congeniale. Il giorno dopo si sarebbe presentata al lavoro con due occhiaie da far spavento, poi sarebbe andata a casa e suo fratello le avrebbe chiesto informazioni sul suo stato di salute. A quel punto, lei avrebbe mentito, dicendo che andava tutto bene e che non c’era niente di cui preoccuparsi. E invece, qualcosa per cui preoccuparsi ci sarebbe stato. Ci sarebbe stato eccome, visto che il suo cuore era ormai partito per la tangente. In maniera definitiva ed irrecuperabile.

Ma prima della preoccupazione di suo fratello e delle occhiatacce da parte di sua cognata, ci sarebbe stato un altro problema da affrontare, ben più grave e complicato da risolvere: far uscire Bobby. Non poteva farlo uscire all’ora di apertura: i gestori dei negozi vicino al suo, i passanti… tutti avrebbero visto. E tutti loro conoscevano bene Adia, e sapevano che Adia Chambers non era tipo da fare queste cose. Adia era la figlia minore del defunto reverendo Chambers, accidenti! Non trascorreva certo la notte con gli uomini nel mini appartamento che aveva creato sopra il negozio! Soprattutto, non sarebbe mai stata a letto con Bobby Mercer.

Inconsciamente, Adia sorrise. Quando aveva portato Bobby al piano di sopra e si erano guardati intorno, lui aveva capito che lei fosse stata lì già con altri uomini. O meglio, era stata lei ad indirizzare le sue riflessioni in quella direzione. Lui non aveva detto nulla, ma aveva lasciato trapelare il suo disappunto nel sentire la parola appuntamento. Non che non avesse mai avuto un uomo, anzi: rispetto alle sue sorelle, si era data parecchio da fare… ma mai in quel letto. Forse aveva cercato di non farglielo scoprire perché non voleva che si montasse la testa. Perché Bobby Mercer, lei lo sapeva bene, lo avrebbe fatto. Si sarebbe dato un mucchio di arie.

Sono io che voglio te.

Ricordava benissimo di averglielo sussurrato mentre, presi dalla foga del momento, si stavano spogliando. Subito dopo, avevano ricominciato a baciarsi e ad esplorarsi, e lei ne aveva approfittato per muovere ancora il bacino, per scontrarsi con quello di lui e assicurarsi che sarebbe davvero successo. Si sentì arrossire a quel ricordo, che poche ore di sonno non avevano cancellato, e inconsciamente desiderò che accadesse ancora. Non perché Bobby fosse – come aveva potuto constatare – molto ben dotato, non perché fosse – anche questo era certo – molto bravo, e nemmeno perché lei – le costava ammetterlo, ma era così – pensasse di non averne ancora avuto abbastanza di lui.

Voleva ancora Bobby perché… non lo sapeva, ma era certa che non fosse per uno dei tre motivi che le erano passati per la testa pochi secondi prima. Voleva Bobby perché non si era mai sentita così amata prima di quella notte.

Ma lui, lui l’avrebbe voluta ancora? Avrebbe ancora portato le sue mani su di lei, l’avrebbe ancora spogliata come aveva fatto quella notte? Oppure, in fondo, era sempre il solito, e si sarebbe accontentato di una notte sola?

Il frusciare delle lenzuola la riscosse dai suoi pensieri. Il braccio di Bobby si posò sul suo fianco, stringendola. Il suo respiro, sommesso e irregolare, le solleticava la nuca, e la informò che stava ancora beatamente dormendo. Il suo torace, solido e irrobustito da anni di scontri corpo a corpo, era dolcemente premuto contro la sua schiena. Le gambe, lunghe e muscolose, scivolarono delicatamente in mezzo alle sue, intrecciandosi all’altezza delle ginocchia. Sorrise, rendendosi conto che Bobby non aveva i piedi freddi. Nel silenzio della stanza, Adia distinse chiaramente i battiti dei loro cuori.

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Capitolo 8
*** 8. Don't Let The Sun Go Down On Me [Elton John] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

8. Don’t Let The Sun Go Down On Me

 

 

            Si svegliò di soprassalto perché aveva il sole negli occhi. E perché uno spiffero le aveva accarezzato la pelle nuda della schiena. E perché non c’era più nessuno dietro di lei. Adia si mise a sedere, tirando su il lenzuolo per coprirsi. Non c’era nessuno, era completamente sola. Perché diavolo avrebbe dovuto coprirsi? Quando Bobby si era voltato verso di lei, abbracciandola nel sonno, avrebbe dovuto sapere che non sarebbe stato per sempre. Avrebbe dovuto saperlo, che lasciare il letto di una donna prima che questa si svegliasse era completamente nello stile di Bobby Mercer.

            Sospirò e si rivestì, poi scese di sotto. Era quasi ora di apertura. La chiave era ancora nella porta, e la porta era chiusa. Come diavolo aveva fatto ad uscire, quel mezzo criminale? Controllò la chiave di riserva: era ancora al suo posto, appesa al gancio dietro il bancone. Forse Bobby era ancora lì da qualche parte? “B-bobby?” tentò, con voce tremante, senza ricevere risposta. Ovviamente. Prima di aprire, tornò al piano di sopra per cambiare le lenzuola: non voleva che le ricordassero la stupidaggine fatta quella notte. Mentre rifaceva il letto, lisciando con cura ogni piega, guardò fuori dalla finestra. Da quando quella povera quercia aveva così tanti rametti spezzati? Doveva essere stato il vento, o forse la neve.

            Tornò al piano inferiore, in negozio, e dopo aver controllato di essere in ordine iniziò ad alzare la veneziana. Arrivata a metà del vetro, sobbalzò. Dall’altro lato della porta, Bobby aveva sfoderato uno dei suoi migliori sorrisi. “Come diavolo sei uscito?” strillò, aprendo la porta.

            “Dalla finestra. Mi sono calato giù per la quercia” rispose lui con nonchalance, scrollandosi di dosso un po’ di neve ed entrando. Adia si accorse sono in quell’istante che stava nevicando. Piuttosto abbondantemente. Nessuno dei negozi intorno dava segni di vita. Richiuse la porta e abbassò la veneziana. “Caffè?” le domandò lui, porgendole un bicchiere fumante.

            “Grazie” rispose lei, accettando la bevanda. Il calore del bicchiere le ricordò il calore del suo torace… ma non era la stessa cosa, lo sapeva bene.

            “Hai pensato che avessi tagliato la corda, vero?”

            “Non lo nego.”

            “Il tuo è un pregiudizio piuttosto comune.”

            “Non mi risulta che tu abbia mai fatto qualcosa per ribaltare l’opinione che la gente ha di te.”

            “Non lo nego” ribatté lui, facendole il verso. “Dobbiamo proprio starcene qui in piedi come due cretini?” Adia colse l’allusione, e lo precedette al piano di sopra. “Oh, vedo che hai cambiato le lenzuola. Aspetti la visita di qualcuno che potrebbe disapprovare quello che abbiamo fatto?”

            “A proposito di quello che abbiamo fatto…”

            “…non vedi l’ora di rifarlo? Sì, sono fantastico, lo so.”

            “Non è questo” rispose lei, appoggiando il caffè sulla scrivania. “Io… io non credo che succederà di nuovo.”

            Bobby rimase a fissarla per un pugno di secondi, senza capire. Poteva vedere gli ingranaggi sforzarsi per arrivare ad una soluzione. “Non credo di aver capito.”

            “Io… credo che non avremmo dovuto fare sesso, questa notte.” Attese invano una risposta. “Insomma, è stato fantastico, va bene? E’ stata una notte strepitosa, ma credo che dovremmo fermarci qui.”

            “Perché?”

            “Perché…” Perché, Adia, perché? Tu stessa hai pensato che ti stesse amando, che non fosse solo sesso, e ora non sai dargli una risposta? “Perché non potrebbe mai funzionare, ed entrambi lo sappiamo bene.”

            “Che cosa?”

            “Che… cosa?”

            Che cosa potrebbe non funzionare?” Ma che cos’era, un interrogatorio o che altro?

            Adia abbassò gli occhi. “Credo sia meglio che tu vada, Bobby. Grazie… per tutto.”

            Bobby impiegò secoli per lasciare la stanza. Lo sentì sbattere con violenza la porta del negozio. Avrebbe dovuto scendere e far scattare la serratura, lo sapeva, ma non ne ebbe la forza. Si lasciò cadere sul letto, su quel letto rifatto di fresco che nonostante tutto sapeva ancora di loro, e si lasciò andare al pianto. Non aveva mai pianto per un uomo, se non per suo padre.

 

            Bobby entrò in cucina e si versò una tazza di caffè. Jerry era al lavoro da almeno un’ora, Camille era uscita per fare delle commissioni. Probabilmente Angel e Sofi dormivano ancora, dopo aver passato un’altra notte a darci dentro come conigli. Poteva capirli: in fondo, anche lui aveva passato la notte in bianco… macché. Lui e Adia l’avevano fatto una sola volta, dopodiché lui si era addormentato. Un tempo non si sarebbe accontentato: sarebbe andato avanti per ore, finché lei non lo avesse implorato di concederle un po’ di respiro… Il fatto era che non si trattava di semplice sesso. Quella notte era stato qualcosa di più. Quella notte, Adia aveva saputo toccare una corda nascosta del suo cuore, aveva saputo tirare fuori un Bobby diverso… un Bobby che forse gli piaceva di più.

            “Fratello, hai l’aria nervosa. Ci andrei piano, con il caffè.”

Alzò lo sguardo su Angel, ancora in pigiama, e lo osservò versare del succo d’arancia in due bicchieri. Lo osservò tostare quattro fette di pane, disporle su un piatto e cospargerle di miele. Lo osservò mettere tutto su un piccolo vassoio, adornandolo con uno dei fiori di plastica con i quali Camille adornava la casa. “Che cazzo stai facendo?”

“Porto la colazione a letto a Sofi.”

“E da quando ti comporti così?”

“Così come?”

“Da… cavaliere.”

“Da quando ho chiesto a Sofi di sposarmi.”

Sposarti? E quando diavolo è successo?”

“Una settimana fa, ma tu non te ne sei reso conto. Non ci sei tanto con la testa, ultimamente.”

“Non è vero.”

“Non raccontare le bugie al tuo fratellino. Che succede?”

Bobby fissò a lungo la bevanda scura, prima di rispondere. “Sono stato con lei. Con Adia.”

“Oh. Quando?”

“Stanotte. Sono appena tornato.”

“Wow, ci hai dato dentro, eh?” Bobby non rettificò quella convinzione. Non aveva voglia di sentirsi prendere per il culo da Angel solo perché non si era scopato Adia almeno dieci volte. Lei non era così, e forse nemmeno lui. Rimase a fissare la tazza. “Ma nonostante questo, non sei felice…” aggiunse l’altro, fissandolo con aria interrogativa. “Che è successo?”

“Mi sono svegliato abbracciato a lei. E avevo… insomma, non avevo soltanto voglia  di rifarlo. Volevo stare con lei come è successo stanotte. Però non so, mi è mancato il coraggio di svegliarla. Mi sono calato dalla finestra, e volevo venire a casa. Poi ho pensato che sarebbe stata una vigliaccata, allora sono andato a prendere due caffè e mi sono piazzato davanti alla porta, aspettando che andasse ad aprire. E poi lei mi ha detto che non era sicura di voler… ripetere l’esperienza. E mi ha detto di andarmene.”

“Oh. Non è stato carino da parte sua. Ma tu hai cercato di interpretare i suoi pensieri? Insomma, le ragazze possono essere davvero complicate…”

“Ci ho provato, Angel.”

“Forse non ti sei impegnato abbastanza?” lo incalzò il fratello, un’espressione da uomo esperto dipinta sul volto.

“Ma vattene affanculo, tu e La Vida Loca” sorrise Bobby, accennando con la testa al piano superiore, dal quale Sofi aveva iniziato a chiamare a gran voce Angel.

“Arrivo, tesoro! Bobby, ascolta. Come tu non hai capito lei, forse lei non ha capito te” gli disse. “Ma non lo saprai mai, se non provi a parlare con lei.”

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Capitolo 9
*** 9. Bachata Rosa [Juan Luis Guerra] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

9. Bachata Rosa

 

 

            Bobby decise di aspettare il giorno successivo per tentare il chiarimento con Adia. Quel giorno nevicava troppo, e la ferita era ancora troppo recente. Se fosse andato da lei appena glielo aveva suggerito Angel, non sarebbe riuscito ad esprimersi nel modo giusto. E lei si sarebbe arrabbiata. Probabilmente avrebbero dato in escandescenze in mezzo alla strada, qualche passante ficcanaso avrebbe chiamato la polizia e lui si sarebbe ritrovato le manette ai polsi prima ancora di riuscire a spiegare la situazione. No, grazie. Conosceva l’opinione che la gente aveva dei Mercer, e non ci teneva a trascorrere un’altra notte dietro le sbarre. Non dopo aver scoperto che potevano esserci notti piene di passione e dolcezza come l’ultima.

            Jerry era stato molto generoso nell’accogliere entrambi i fratelli a casa propria. Purtroppo, un’eventualità del genere non era mai stata contemplata, ed esisteva una sola stanza degli ospiti – che era diventata, per forza di cose, il talamo di Angel e Sofi. A Bobby si era presentata una scelta piuttosto ardua: dormire sul divano, oppure su una comoda brandina nel soppalco costruito sopra il garage. Bobby aveva scelto la seconda ipotesi, se non altro per essere sicuro di non riuscire a sentire nulla delle attività notturne di Angel. E per restarsene solo. Gli ultimi sei mesi di galera li aveva trascorsi da solo, visto che il suo compagno di cella si era fatto piantare un coltello nella schiena per aver spifferato del piano di evasione di un altro gruppo.

            Solo. Guardava la neve cadere e se ne stava solo, disteso su quella brandina a cui si stava pian piano adattando, notte dopo notte. Brandina che gli stava di nuovo stretta, dopo aver capito che poteva avere di meglio. Poteva avere una stanza vera, poteva avere un letto vero. Poteva avere una donna vera, che lo amasse veramente. La sola donna ad averlo amato veramente era stata Evelyn, ma il suo era un amore diverso: un amore di madre. Lui voleva un amore di donna, se ne stava rendendo conto solo ora. Voleva un amore che significasse per lui quello che significava l’amore di Camille per Jerry, o l’amore di Sofi per Angel. Voleva tornare a casa, la sera, e sapere che ci sarebbe stato qualcuno da salutare il giorno dopo, uscendo. Perché no, poteva volere anche dei figli! Era tutto diverso. Lui stesso era diverso.

            “Ah, vaffanculo” sbottò, girandosi su un fianco. “Da quando sei diventato così moscio, Bobby?”

 

            Evans Street, coperta di neve, era ancora più bella. La casa del reverendo Chambers, in mezzo a tutto quel bianco, sembrava una di quelle case dipinte sulle cartoline di Natale. Ma Natale era passato da due mesi, e lui era lì per parlare, non per festeggiare una stupida ricorrenza. Prese coraggio, prima di avventurarsi lungo il vialetto, fin sotto il portico e fino alla porta.

            Venne ad aprire una donna sui quarant’anni. “Sì?” disse, in tono stizzito. Bobby cercò di guardare oltre la permanente perfetta e lo stile falso casual, ma non c’era nulla da vedere. Doveva essere la cognata di Adia, la moglie di Aaron. Perfetto, mi sta già sul culo.

            “Sì, sto… sto cercando Adia. È in casa?”

            “No, non c’è. Non ho idea di dove sia quella benedetta ragazza. Proprio adesso che devo uscire e mi serve qualcuno che dia un’occhiata ai bambini…” sbuffò.

            “Ho capito… e per caso sa dove posso trovarla?”

            “Che vuole che ne sappia io? Sarà andata a piangere sulla tomba di suo padre, come sempre.”

            “Grazie” rispose Bobby, sgattaiolando via.

 

            C’era una sola serie di impronte impresse nella neve fresca, e portavano dritte alla tomba del reverendo Chambers. Ma davanti al marmo non c’era nessuno. Però qualcuno c’era stato, perché la lapide era stata pulita e liberata dalla neve. E qualcuno ci si era inginocchiato davanti, probabilmente per una preghiera. Le orme proseguivano in una direzione che Bobby conosceva bene: andavano verso le tombe di Evelyn e Jack. Bobby si avvicinò in silenzio alla figura inginocchiata a terra, che gli dava le spalle. In silenzio attese la fine della preghiera e il segno della croce.

            Guardò Adia rialzarsi con fatica, sorreggendosi alla lapide per riuscire a raddrizzare la gamba ferita. Ebbe l’istinto di correre in suo aiuto, di offrirle il braccio, ma lo represse. Lei non avrebbe gradito. Lei non voleva essere aiutata, meno che mai da uno come lui. Aspettò che fosse completamente in piedi, prima di parlare. “Moriranno” disse, indicando i lillà che aveva posato sulla tomba di Evelyn.

            “Ne porterò altri” rispose lei, senza voltarsi a guardarlo.

            “Non sei obbligata a farlo. Non era tua madre.”

            “Non era nemmeno la tua, allora. Ma è stata anche mia madre, in un certo senso. È stata la madre di molte persone.” Non si era ancora voltata, ma poteva vedere il fiato di lei condensarsi e salire verso l’alto in forma di nuvoletta. “Mi è stata vicina. Veniva spesso in chiesa, a sentire i sermoni di mio padre, finché… finché non è morto.”

            “Com’è successo?” domandò, senza riuscire a frenarsi. Non era lì per parlare ancora di Victor, ma non poteva farne a meno. Voleva sapere, voleva conoscere il dolore di Adia, per capire se corrispondeva al proprio.

            “Non ne voglio parlare. Scusa, ma devo andare. Ho un sacco di cose da fare.” Bobby riuscì ad afferrarle il polso, costringendola a guardarlo. Comprese perché non si fosse voltata verso di lui: due profonde occhiaie le segnavano il viso, come se non avesse dormito. Come se non avesse dormito perché troppo impegnata a piangere. “Lasciami, Bobby.” Non era una protesta, non era una supplica: era un’affermazione.

            “Se ti lascio andare, parlerai con me?”

            “Di che cosa?”

            “Di quello che vuoi. Voglio solo parlare. Credimi.” Adia annuì, e la lasciò andare. “Sei in macchina?”

            “No.”

            “Ti do un passaggio.”

            “Ok.”

            Salirono sull’auto di Bobby, e rimasero immobili e in silenzio per qualche minuto, a guardare la coltre bianca che ricopriva ogni cosa. “Dove… dove vuoi che andiamo?” le domandò.

            Adia rifletté. “Visto che ci tieni tanto a passare del tempo con me, mi aiuteresti a fare una cosa?”

            “Ok, va bene. Perfetto. Che cosa?”

 

            La stanza di Adia si trovava al secondo piano, sul lato sud della casa. Bobby fece correre lo sguardo lungo le pareti spoglie e gli scatoloni chiusi, e provò a immaginare come potesse essere stata quando Adia aveva cinque, poi nove, poi quindici anni. “E così ti trasferisci, eh?”

            “Già” rispose ermetica, chiudendo l’ultima scatola con il nastro adesivo.

            “E dove?”

            “Nel mio appartamento. Non è il massimo, ma per adesso andrà bene.” Fece una pausa e lo guardò. “Se non vuoi aiutarmi, mi arrangerò. Insomma, potrei affittare un furgone, o…”

            “No, mi fa piacere. Dico davvero. E poi sono gratis, lo sai.” Con quell’ultima battuta, riuscì a strapparle un sorriso, il primo della giornata.

            Iniziò a fare la spola tra la stanza e l’auto, mentre lei controllava di aver tolto ogni traccia di sé dalla casa. Salutò i due nipoti, Adam e Jordan, con un bacio, e rivolse un sorriso alla babysitter. Mentre lasciava cadere le proprie chiavi nella ciotola nell’ingresso, la porta si aprì e Aaron fece il proprio ritorno dal lavoro. “Ciao a tutti, sono a…” si interruppe, nel vedere Bobby. “Ciao, Adia. Ciao, Bobby.”

            Bobby stava per salutare, quando la ragazza di fianco a lui intervenne. “Senti, io sto… sto andando via. Mi… mi trasferisco. Non è giusto che continui a stare qui… insomma, è casa tua e di Cecilia, adesso. È meglio che me ne vada.”

            “Che… che cosa? N-non… Adia, lo sai che ti voglio bene. Sei mia sorella, non sei un peso. Puoi restare qui anche tutta la vita.”

            “Lo so, Aaron. Lo so. Il fatto è che… beh, tu e tua moglie avete… bisogno dei vostri spazi. Non posso continuare a rubare il vostro spazio.” Bobby rimase sorpreso dal modo in cui Adia riuscì ad evitare di dire che se ne andava perché la cognata era un serpente a sonagli. “Lo sai, ho quel piccolo appartamento sopra il negozio. Starò lì. Starò bene” lo rassicurò, cucendosi addosso un sorriso carico di dolcezza.

            Bobby li guardò entrambi. “Ehi, mettiamo in chiaro che non è stata un’idea mia” si affrettò a precisare, prima di beccarsi un pugno nello stomaco. Aaron non era molto più robusto di lui, ma preferiva evitare di testare la sua forza. “Ti… ti aspetto in macchina, ok?” Uscì e prese fiato. Adia lo seguì un paio di minuti più tardi. “Già finito?”

            “Sì” rispose lei. “Non ho avuto il coraggio di dirgli tutto quello che penso di sua moglie. Mi sono limitata a maniaca del controllo e manipolatrice.”

            “Starai davvero in quell’appartamento?”

            “Costa poco, è vicino al lavoro e non ci sono topi” sorrise lei, ravviandosi i capelli.

            “Tre ottime ragioni, direi.”

 

            Le impedì di muovere un solo dito, e si diede da fare per scaricare l’auto e portare tutto dentro al negozio in meno di mezz’ora, prima che si facesse ora di pranzo. Sistemò tutto con ordine in un angolo dell’appartamento, e così facendo ebbe modo di notare la presenza anche di un bagno e di un angolo cucina – dettagli che alla prima visita gli erano completamente sfuggiti. “Che ne diresti se… andassimo a pranzo?”

            “T-tu ed io?” domandò Adia, una punta di sorpresa nella voce.

            “No, io e il presidente. Sì, tu e io.”

            “Credo che vada bene. Ma non ho tempo, poi devo sistemare le mie cose.”

            “Va bene, ti prometto che ti riporterò indietro presto.”

            Scesero al piano inferiore, uscirono dal negozio e attraversarono la strada, per infilarsi nella più vicina tavola calda. Sfregandosi le mani per riscaldarle, Bobby indicò un tavolo piuttosto in disparte. Per una volta, non desiderava stare al centro dell’attenzione. Aspettarono la cameriera e ordinarono entrambi una bistecca con insalata – incredibilmente, avevano gli stessi gusti – prima di iniziare a parlare.

            “Mi dispiace per ieri mattina” iniziò a dire lei. Bobby alzò la testa di scatto, stupito. “Non avrei dovuto trattarti così male. Il fatto è… è che mi è sembrato tutto così strano. Sai, tu, io…” Si fermò, prima di lasciarsi sfuggire qualcosa che avrebbe potuto essere captato dalle orecchie sbagliate.

            “Non importa. Anch’io ho la mia parte di colpa. Non avrei dovuto essere così… precipitoso. Avrei dovuto calmarmi, cercare di parlare in modo civile.”

            “Avrei dovuto cercare di farmi capire da subito.”

            “Non colpevolizzarti, non è il caso. È uno sbaglio che possiamo fare tutti.”

            “Non tu. Tu dici sempre chiaramente quello che vuoi.”

            Bobby si scostò per permettere alla cameriera di appoggiargli davanti il piatto. La sentì andare via, ma non sentì il bisogno di guardarla. Un tempo, ne avrebbe approfittato per guardarle il sedere e immaginarsela in biancheria intima o meno. Ma oggi c’era Adia davanti a lui. E pur avendola vista senza biancheria intima – e avendola trovata bellissima –, non aveva alcuna difficoltà a concentrare la propria attenzione sul viso di lei, anziché sul suo corpo.

            “Che cosa c’è, ho qualcosa in faccia?” domandò lei, coprendosi preventivamente con il tovagliolo.

            “No, tranquilla, non hai niente” sorrise lui, allungando una mano per scostarle la salvietta dal viso. Le loro dita si scontrarono, e lui ritrasse subito le proprie. Forse lei non era ancora pronta per un simile contatto, e lui voleva rispettare i suoi tempi e i suoi spazi. Ma sentitemi, sembro un psicologo da talk-show. “Sei perfetta così.”

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Capitolo 10
*** 10. Essere In Te [883 feat. Syria] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

10. Essere In Te

 

 

            La osservò svuotare gli scatoloni, uno dopo l’altro, sistemare ogni oggetto al proprio posto, finalmente a casa. Era libertà, quella che riusciva a leggere adesso nei suoi occhi. Occhi che, comunque, continuavano ad evitarlo. Bobby non riusciva davvero a capire: lui non riusciva a staccare gli occhi da Adia. Non riusciva a scacciare dalla propria mente tutto ciò che aveva provato quella notte: la curva della sua schiena dolcemente premuta contro il suo torace, i suoi capelli impigliati tra le sue dita, il suo respiro lieve e regolare... per non parlare di tutto ciò che era successo prima. Bobby scosse la testa per scacciare quell’incredibile accozzaglia di immagini, e cercò di concentrare la propria attenzione sugli scatoloni vuoti. “Che… che cosa vuoi farne di questi?”

            “Li porterò in magazzino, più tardi. Possono sempre servire” ripose lei, aprendo una scatola piena di libri e iniziando a tirarli fuori uno alla volta, allineandoli con precisione sullo scaffale.

            Bobby si avvicinò, e in silenzio cominciò ad aiutarla. “Questi… erano di tuo padre?” le domandò, osservando una vecchia Bibbia.

            Adia annuì. “Mio padre non aveva fatto testamento, quindi tutte le sue cose furono divise in modo arbitrario dal notaio. Le mie sorelle dissero che non… a loro non interessavano i libri di nostro padre.”

            “Ma tu invece adori leggere.”

            “Che cos’è la vita, senza un buon libro?” rispose lei, abbozzando un sorriso. “Quand’ero bambina, lui e Aaron mi leggevano spesso storie della Bibbia” continuò, indicando il volume che Bobby teneva ancora tra le mani. “La sera, prima di andare a dormire, mi leggevano la storia dell’Arca e del diluvio, la storia di Mosè, la… ma non credo ti interessi” continuò, interrompendosi all’improvviso.

            “Perché non dovrebbe interessarmi?”

            “Perché non sei esattamente un uomo di Chiesa” rispose lei, sorridendo davvero.

            “Forse mi interessa, perché è la tua vita” ribatté Bobby, allineando la Bibbia insieme agli altri libri.

            “Perché la mia vita dovrebbe interessarti?”

            “Perché non dovrebbe?” Adia abbassò lo sguardo. “Solo perché ti sei sempre considerata meno degli altri, non significa che tu lo sia.” Solo perché gli altri mi hanno sempre considerato un criminale, non significa che io lo sia. “Com’è morto tuo padre?” le domandò.

            Adia mise da parte lo scatolone vuoto, ma invece di prenderne un altro e cambiare discorso, si sedette sul bordo del letto. “Era poco prima di Natale. Più o meno, lo stesso periodo in cui hanno ucciso tua madre.” Bobby la raggiunse e si sedette accanto a lei, cercando di mantenere la giusta distanza. “Spesso gli davo una mano in chiesa. Sai, il catechismo per i più piccoli, le raccolte di beneficienza… stavamo preparando uno spettacolo natalizio. Un piccolo musical per i parrocchiani.” Fece una pausa, come per raccogliere le idee. “Anche tua madre ci aiutò. Cucì dei bellissimi costumi da angioletto.” Sorrise, a quel ricordo.

            “Sì, le sono sempre piaciute queste cose” ammise lui, sottovoce.

            “Era martedì. Avevamo appena finito le prove per lo spettacolo, i bambini erano appena tornati a casa. Uscimmo per tornare a casa. Papà stava per chiudere, ma io mi accorsi di aver dimenticato un costume che dovevo portare da tua madre, per una modifica.” Si fermò e trasse un profondo respiro, per aiutarsi a proseguire. “Ero dentro quando… quando sentii gli spari. Due, due spari, li ricordo come fosse ieri.” Bobby allungò una mano verso la sua, stringendola forte. “Chiunque sarebbe rimasto nascosto. Ma io non… non ci riuscii. Non potevo lasciare mio padre…” si interruppe, scoppiando in lacrime.

            Bobby mandò al diavolo ogni limite e ogni confine. La cinse con le proprie braccia, lasciando che si appoggiasse completamente a lui. La strinse come non aveva mai fatto con nessuna, appoggiandole le labbra tra i capelli e lasciando che gli bagnasse la maglietta con le proprie lacrime. “Va tutto bene, va tutto bene” le sussurrò, cullandola dolcemente.

            “Non potevo lasciarlo là fuori nella neve” singhiozzò lei. “Ma quelli si erano attardati. Erano ancora lì, quando uscii. Prima di sentir arrivare la polizia, loro…” si interruppe ancora, sprofondando di nuovo il viso nel petto di Bobby.

            “Scusa, non dovevo chiederti nulla” si scusò lui. “Non volevo farti soffrire ancora.”

            “Ci sono abituata” sussurrò lei. “Non ho mai smesso di pensare a quella notte.”

            “La polizia riuscì a prenderli?”

            Lei scosse la testa. “Fuggirono. Erano completamente coperti, non riuscii a vederli.”

            Killer di fuori città, pensò Bobby. Era questo lo stile di Victor. Meno che con mamma.

            “Bobby…” sussurrò Adia, richiamando la sua attenzione. “Ti ho mentito. Io odiavo Victor Sweet.” Fece una pausa. “E sono contenta che tu lo abbia fatto sparire.”

            Bobby ebbe un tuffo al cuore, nel sentire quelle parole. Solo i suoi fratelli conoscevano la verità. I suoi fratelli, e gli uomini che erano con loro al lago. Ma nessuno di loro aveva legami con Adia. O almeno, non gli sembrava. “Che… come fai a…”

            “Come faccio a sapere che sei stato tu?” Si scostò da lui, asciugandosi le lacrime con la manica del maglioncino. “Ti conosco, Bobby. Ho visto il tuo tatuaggio. Nessuna pietà. Victor ha fatto eliminare tuo fratello e tua madre. Non avresti mai potuto avere nessuna pietà per lui.”

            “Non… non l’hai detto a nessuno, vero?”

            “Non sono una di quelle sciacquette con cui ti intrattieni di solito. Non sono stupida” ribatté, alzandosi.

            Bobby fu pronto ad afferrarle il polso. “Scusa, non volevo.”

            “Ti piacciono così tanto i miei polsi?”

            Non rispose. La costrinse a tornare a sedersi, dolcemente. “Sono solo una delle tante cose che mi piacciono di te” sussurrò.

            “Perché io, Bobby? Ci sono tante ragazze a Detroit. Perché sei qui?”

            “Non lo so” ammise lui. “Non so perché sono qui. Però so che è il posto dove sto meglio.”

            “Come fai a stare bene con me? Non abbiamo niente in comune.”

            “Non è vero, abbiamo tanto in comune.”

            “Ad esempio?”

            “Victor Sweet.” Adia distolse lo sguardo. “Pensaci. Tu hai perso tuo padre, io ho perso mia madre. Ed entrambi sono stati fatti fuori da Victor Sweet, perché gli tenevano testa. Abbiamo entrambi una famiglia che ci vuole bene e un posto dove stare, ma non sappiamo con chi parlare quando abbiamo voglia di sfogarci. Siamo gli unici a sapere che mia madre adorava i lillà. Tuo padre è morto di martedì, mio fratello è morto di martedì. Tuo padre è morto a Natale, mia madre è morta a Natale. Siamo stati a letto insieme. Ti ho offerto il pranzo e ti ho aiutata a traslocare. Non avrei fatto tutta quella fatica, se non fossi importante.”

            Adia tornò a guardarlo. “Sicuro di essere Bobby Mercer? Quello che non ha fatto che chiedermi di fare sesso con lui per tre anni di seguito?”

            “Non sono mai stato più sicuro.” Sussurrò la propria risposta a pochi centimetri dalle labbra semichiuse di lei, che immediatamente le strinse e cercò di allontanarsi.

            “No, Bobby. Non credo sia una cosa giusta…”

            Smettila di fare la cosa giusta, Adia. Inizia a fare la cosa più giusta per te.”

            Adia non riuscì ad ignorare quel consiglio. Si lasciò andare, lasciando che Bobby si avvicinasse. Si lasciò baciare, sapendo che sarebbero finiti a letto insieme. Ancora. Avrebbe dovuto opporsi, convinta com’era che Bobby le avrebbe spezzato il cuore. Avrebbe dovuto prenderlo a calci lungo tutta la strada, cacciarlo via. Ma non poteva. Non poteva, perché questa volta sembrava sincero. Era sincero. Le sue mani le sfilarono presto il maglioncino, lasciandolo poi cadere sulla moquette. Non riuscì a non mordicchiarsi un labbro, mentre si liberava della maglietta, mettendo in funzione ogni singolo muscolo.

            “Che cosa vuoi da me, Bobby?” gli domandò tra un bacio e l’altro, mentre si stendeva su di lei.

            “Voglio che ti fidi di me” rispose, baciandole avidamente il collo. “Sono cambiato” aggiunse, slacciandole i jeans. “Voglio che tu sia mia” sussurrò ancora, sfilandole con gesto deciso i pantaloni. “Voglio che tu mi dica che mi vuoi” disse ancora, spogliandosi in fretta per tornare subito su di lei.

            “E poi?” gli chiese ancora, riprendendo ad accarezzarlo. E poi, che ne sarà di me, quando mi avrai usata? Che cosa ne sarà di me?

            “E poi… voglio che passi il resto della tua vita con me” sussurrò, prendendo possesso del suo corpo con una spinta decisa. “Voglio che tu sia il mio motivo per restare a Detroit” disse ancora, addentrandosi di più in lei. “Voglio che tu sia quello che Camille è per Jerry, quello che Sofi è per Angel” continuò, senza interrompere il ritmo dei propri movimenti e delle proprie carezze. Lo baciò quando lo sentì dire: “Voglio che tu sia la mia ragazza, tu e nessun’altra.”

 

            Non riusciva a dormire. Aveva paura di svegliarsi, e di ritrovarsi sola in quel letto così grande. E poi era pomeriggio. Non era abituata a dormire di pomeriggio. Sbirciò la sveglia sul comodino, sporgendosi oltre Bobby. Erano quasi le sei, non era più pomeriggio. Era quasi sera. E lei aveva passato il pomeriggio a fare l’amore con Bobby. Tornò ad appoggiare la testa sul cuscino, e fissò il volto dell’uomo che le stava davanti. Fissò ogni piccola ruga, ogni linea, ogni microscopica cicatrice: voleva imprimersi ogni dettaglio della mente, voleva ricordare tutto. Scese a fissargli il petto, soffermandosi su ogni tatuaggio: ogni tatuaggio indicava una storia. Forse, un giorno, anche lei avrebbe avuto il suo posto sulla pelle di Bobby. Scosse la testa: non voleva illudersi, ma non ci riusciva. La tormentava il pensiero che lui volesse stare con lei. Per sempre. Per tutta la vita. No, scherzava. Aveva scherzato. L’aveva detto per convincerla a dirgli di sì ancora una volta.

            “Pensi ancora che sia un errore?”

            Alzò gli occhi. Lui la stava guardando. Per la prima volta, non sentì l’esigenza di distogliere lo sguardo. “Forse. Non riesco a credere che tu sia completamente redento.”

            “Non ho mai detto di essere redento. In fondo, sono ancora un peccatore.”

            Ama il peccato, odia il peccatore” ribatté lei. “E’ questo che dicono.”

            “Forse potresti andare controcorrente, e amare il peccatore. Oppure, potresti amarci entrambi. Sono sicuro che non sarebbe così impegnativo.”

            Adia sorrise. Come aveva fatto a resistergli tanto a lungo?

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Capitolo 11
*** 11. Somethin' Stupid [Frank Sinatra feat. Nancy Sinatra] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

11. Somethin’ Stupid

 

 

            La prima ad accorgersi dell’assenza di Bobby a tavola fu la figlia minore di Jerry, particolarmente legata all’ex galeotto. “Papà, perché zio Bobby non cena con noi?” Jerry alzò la testa di scatto, accorgendosi solo in quel momento che suo fratello non era con loro. Per fortuna, Camille intervenne per toglierlo dall’imbarazzo.

            “Lo zio Bobby aveva un impegno, tesoro. Ha chiamato prima per dire che sarebbe rimasto a cena fuori.”

            Angel scoppiò a ridere. “Ha detto questo? Che aveva un impegno?”

            “Sì, ha detto così” confermò Camille. “Ha detto che non sarebbe riuscito a liberarsi, e…” si interruppe quando le risate di Angel si fecero troppo forti.

            “Fratello, sai qualcosa che io non so?” chiese Jerry, indeciso se unirsi alla risata o preoccuparsi.

            “Oh, niente di importante. Insomma, se l’impegno di Bobby è l’impegno che intendo io, non mi stupisco che lo preferisca a noi.” Jerry continuò a fissarlo, senza capire. “Andiamo, Jerry, fai un piccolo sforzo di memoria. Ti ricordi di che si parlava appena una settimana fa? Di chi si parlava?”

            “Della figlia di… oh, merda!”

            “Jerry, ci sono le bambine!” lo rimproverò la moglie.

            “Scusa, tesoro” si affrettò a rispondere lui, per poi tornare subito a riferirsi al fratello. “Mi stai dicendo che… ci è riuscito?”

            “L’altra sera” confermò Angel, con il tono di chi la sa lunga. “Ma poi lei lo ha buttato fuori.”

            “Quindi lui adesso non è con lei?”

            “Credo proprio che sia con lei, invece. E qualcosa mi dice che è riuscito a fare pace…”

 

            Adia sollevò per un’ultima volta le mani davanti al viso, per un ultimo conteggio. Quattro era il responso definitivo. Lei e Bobby Mercer avevano fatto sesso quattro volte in sette ore. Ed era quasi sicura che, una volta che si fosse svegliato, c’erano parecchie probabilità che Bobby fosse pronto a rifarlo. Dio mio, Bobby è un ninfomane e mi sta contagiando!, pensò allarmata. Quasi avesse sentito i suoi pensieri, Bobby si mosse nel sonno e le si avvicinò di più. “Buongiorno” le sussurrò all’orecchio, la voce arrochita dall’ora di sonno che si era concesso.

            “Veramente sono le dieci di sera” rispose lei, alzando appena la testa.

            “Questo spiegherebbe perché ho fame.”

            “Non c’è molto, in frigorifero. Oggi avrei dovuto fare la spesa, ma qualcuno mi ha trattenuta” scherzò lei.

            “Ma non mi dire! E chi sarà stato quel mascalzone?” continuò lui, accarezzandole il collo con le labbra.

            “Ti darò un paio di indizi: ti assomiglia, è disteso nel mio letto, mi sta abbracciando e non porta le…” si interruppe di colpo, travolta dalle labbra di Bobby. “E continua ad allungare le mani” aggiunse, staccandosi da lui.

            “Accidenti, se non sapessi che è già stato in galera, lo sbatterei dentro.”

            “Bobby…”

            “No, ti prego!” esclamò, improvvisamente esasperato, staccandosi da lei. “Non fare quella faccia!”

            “Quale faccia?” domandò lei, girandosi sulla schiena.

            Quella faccia” ripeté, indicando il suo viso. “Sei diventata improvvisamente seria. Tra due minuti dirai che abbiamo sbagliato, che non avremmo dovuto fare sesso, che ti deluderò, che soffrirai, poi mi dirai di andarmene e io me ne tornerò a casa con la coda fra le gambe” continuò, scostando le coperte con un calcio e mettendosi a sedere. Adia distolse lo sguardo, sebbene ormai avesse visto Bobby nudo ben più di una volta.

            “Non stavo per dire questo” sussurrò, mentre lui già si stava rivestendo.

            “Come?” le chiese, voltandosi.

            “Non stavo per dire che abbiamo sbagliato” ripeté, tirandosi a sedere e sistemandosi bene il lenzuolo.

            “E allora che cosa stavi per dire?”

            “Una cosa stupida. Non vale nemmeno la pena di dirla, in effetti” rispose, piegando la gamba destra e abbracciandosi il ginocchio.

            “Dai, voglio saperla” la esortò, tornando a sedersi.

            “Non è niente, davvero. Non è importante.”

            “Può darsi, ma voglio che tu la dica.”

            Adia lo guardò negli occhi per parecchi istanti, poi tornò a fissarsi il piede sinistro, che faceva allegramente capolino in fondo al mucchietto di coperte. “Beh, io… io non ho mai avuto una storia seria. Nessun fidanzato ufficiale, o roba simile. Mai.” Si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e riprese fiato. “Non che non sia uscita… insomma, non sono un’asociale. Sono uscita con parecchi ragazzi, ma nessuno di loro mi ha mai… affascinata quanto te.”

            “Che intendi…”

            “No, Bobby, lasciami finire. Ecco, io… quando avevo quindici anni, ti vedevo sempre andare in giro per la città con tua madre, e speravo che un giorno ti saresti accorto di me. Poi, quando ho finito il liceo, hai cominciato a darmi la caccia come se fossi stata un pezzo di carne, e… beh, il modo in cui mi trattavi mi disgustava. Non riuscivo a credere che fossi il Bobby che… che mi piaceva. Ho dovuto sforzarmi di non cedere. Tu non sai quanto ho faticato per non dirti di sì.” Alzò gli occhi, e si accorse che Bobby la stava fissando, interessato e incredulo. “Poi te ne sei andato, e non pensare a te è stato più facile. Ho iniziato a uscire con i ragazzi soltanto a vent’anni, e… ne avevo ventuno la prima volta che ho fatto l’amore con uno di loro. Si chiamava Barry, aveva ventidue anni e studiava Legge. Non so nemmeno perché te lo dico, non vive nemmeno più a Detroit.”

            “Non riesco a capire dove vuoi arrivare” sussurrò Bobby.

            “Non lo so nemmeno io, in realtà” ammise lei. “E’ che io mi sono costruita una vita, mentre tu non c’eri. Sapevo che avrei potuto non rivederti più, non avere mai più un’occasione, eppure… eppure continuavo a sperare che nel mio futuro ci fossi tu.” Bobby dovette farsi più vicino, per udire quell’ultimo sussurro. Per vedere il rossore sulle guance di Adia, però, non avrebbe avuto bisogno di avvicinarsi.

            “Che cosa stai cercando di dirmi?”

            “Che ti ho mentito” rispose lei, alzando fiera lo sguardo. “Ho detto che mi sei sempre piaciuto, ma non è vero. Io ti ho… ti ho sempre amato.”

            Bobby rimase a guardarla in silenzio, senza sapere bene che cosa rispondere. Poi le accarezzò il viso. “E questa sarebbe una cosa stupida?”

            “Tu non la trovi stupida?”

            “Affatto. Insomma, non posso dire lo stesso, perché non sono sicuro di aver mai amato qualcuno, però non credo che l’amore sia una cosa stupida.” Fece una pausa. “Ti ringrazio.”

            “Per che cosa?”

            “Per aver detto di amarmi. Sei l’unica donna che me lo abbia mai detto, a parte mia madre. Ma lei non conta.”

            “Quindi non sei… arrabbiato?”

            “Perché dovrei essere arrabbiato?”

            “Oh, non so. Ho sempre pensato che ti avrebbe dato fastidio che una donna…” si interruppe, quando Bobby scoppiò a ridere. “Che c’è?”

            “Dovresti sentirti, sei troppo divertente!” esclamò, continuando a ridere di gusto. “L’unico motivo per cui potrei essere arrabbiato ora è la fame. Tu dammi da mangiare e il pericolo sarà scongiurato” aggiunse, regalandole un bacio a fior di labbra e saltando giù dal letto.

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Capitolo 12
*** 12. Solo Por Ti [Josh Groban] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

12. Solo Por Ti

 

 

            “Eccoti, finalmente! Stavamo per denunciare la tua scomparsa” lo prese in giro Angel, sorprendendolo mentre cercava di rientrare senza farsi notare. “Ehi, sono le sette del mattino.”

            “Sì, e allora?”

            “E allora, dove avresti passato le ultime ventiquattro ore?” lo incalzò il fratello, in tono scherzoso.

            “Non hai niente di meglio da fare che farmi il terzo grado?” rispose Bobby, versandosi del succo d’arancia. Aveva fame, accidenti. Lui e Adia avevano cenato con il poco che avevano trovato nel frigorifero, ma l’aver fatto l’amore – altre due volte, quella notte – aveva di nuovo prosciugato ogni energia.

            “Bobby, sicuro di sentirti bene?” gli domandò Jerry, con aria allarmata.

            “Non sono mai stato meglio. Perché?”

            “Perché hai messo il succo in un bicchiere, invece di bere dal cartoccio” spiegò Sofi, smettendo per un istante di imburrare il proprio toast.

            Bobby fissò il bicchiere con sospetto, quasi temesse di venirne azzannato. “Beh, forse ho solo pensato che sarebbe stato da maleducati.” Rubò il pane imburrato dalle mani della ragazza, temporaneamente distratta dal suo cambiamento. “Grazie, Sofi” disse, mentre raggiungeva la propria stanza.

            “Come sarebbe a dire? Perché non mi chiami più Vida Loca?” la sentì strillare.

            Si sedette a cavalcioni sulla brandina, finendo di masticare il pane. Aveva ancora fame, ma non voleva tornare di sotto subito. Avrebbe aspettato che Camille uscisse per portare le bambine a scuola, che Jerry andasse al lavoro, e che Sofi e Angel… oh, potevano fare quello che volevano. Nel frattempo, avrebbe letto il giornale. Fece scorrere le pagine fino alle offerte di lavoro. Se voleva restare in città, doveva trovarsi qualcosa da fare. Oltre a stare con Adia, s’intendeva. E poi, voleva dare una svolta alla propria vita, iniziare a comportarsi in maniera onesta. Sentiva che il vecchio Bobby era finito in fondo al lago con Victor Sweet, e che il nuovo Bobby smaniava per avere un’occasione.

            “Fratello, hai un minuto?”

            “Jerry, ciao. Certo, ma non dovresti essere al lavoro?”

            “Mi sono preso un paio d’ore di libertà.” Mentre parlava, Bobby vide farsi avanti anche Angel, che recuperò da un angolo due vecchie sedie da giardino e le mise vicino alla brandina.

            “Offerte di lavoro?” osservò l’ex soldato. “Stai cercando un lavoro?”

            “Sì” ammise Bobby, grattandosi la nuca nervosamente. “Non posso… è… è giusto così. Di che volevi parlare, Jerry?”

            “Della casa di mamma. Non possiamo lasciarla così.”

            “No, hai ragione. Non possiamo e non dobbiamo. Era la casa della mamma, dobbiamo metterla a posto.”

            “Bene, su questo siamo d’accordo” confermò Angel. “Come dobbiamo muoverci per sistemarla, Jerry?”

            “Per i permessi e tutto il resto non c’è problema, posso occuparmene io” rispose l’interessato. “Per i soldi… beh, se siete d’accordo, potremmo attingere ai soldi dell’assicurazione sulla vita di mamma. Sono duecentocinquantamila dollari, ce n’è abbastanza per rimettere in sesto mezzo quartiere. E potremmo risparmiare sulla manodopera, se facciamo noi i lavori.”

            “Ok, va bene” rispose Bobby. “Ci sto, è una bella idea.”

            “Andata, fratello” confermò Angel. “Rimettiamo in piedi la casa della mamma.”

            Jerry si alzò, imitato dal fratello. Stavano per lasciare il soppalco, quando Jerry si voltò verso il terzo fratello. “Bobby, toglimi una curiosità. Perché stai cercando un lavoro?”

            “Te l’ho detto, è giusto così” ripeté l’interrogato.

            Jerry si accontentò della risposta. Sapeva di non poter cavare altro a Bobby Mercer.

            Lo cerco per Adia. Solo per lei.

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Capitolo 13
*** 13. Adesso E' Facile [Mina feat. Manuel Agnelli] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

13. Adesso E’ Facile

 

 

            Adia non riusciva a togliersi dalla mente le sensazioni dell’ultima notte. Era piuttosto patetico, in realtà, continuare a pensare a Bobby come avrebbe fatto un’adolescente alla prima cotta. Anche se in fondo lei era questo: visto che aveva trascorso l’adolescenza accontentandosi di condividere con lui la città, ora doveva recuperare tutte le esperienze non vissute prima.

            “Somigli tanto a papà, quando sei pensierosa.”

            Se fosse stata la protagonista di un film o di un romanzo, avrebbe alzato la testa di scatto e avrebbe sgranato gli occhi, mentre il cuore iniziava a battere furiosamente nel petto. Ma lei era soltanto Adia Chambers, modesta titolare di una minuscola libreria alla periferia di Detroit, e avrebbe riconosciuto tra mille altre la voce di suo fratello. “Ciao, Aaron. Come mai da queste parti?”

            “Sei mia sorella. Mi sembra normale farti una visita, ogni tanto. Ti sei appena trasferita in un appartamento tutto tuo, e sono venuto a vedere se ti serviva qualcosa.”

            “Sono a posto, grazie. Come vanno le cose giù alla fabbrica?”

            “Abbastanza bene, ma non cambiare discorso.”

            “Non sto cambiando discorso.”

            “Stai cambiando discorso. Sei mia sorella. Ti conosco. Sei mia sorella: tengo a te.”

            Non riuscì a celare un sorriso. “Le due cose non sono per forza correlate.”

            “Non dire così…”

            “Aaron, ho quattro sorelle più grandi di me, e nessuna di loro sa a che cosa sono allergica” ribatté la ragazza, guardando l’uomo dritto negli occhi. “No, non le odio” aggiunse, anticipando la domanda che il fratello non avrebbe mai avuto il coraggio di porle. “Offenderei la memoria dei nostri genitori, se lo facessi.” Sparì per una decina di secondi nel retro del negozio, per poi tornare dietro il bancone.

            “La tua gamba è peggiorata o sbaglio?”

            Adia deglutì. “Sbagli, va tutto bene. Probabilmente sono solo un po’ affaticata.”

            “Non avresti dovuto affrontare questo trasloco da sola” la redarguì Aaron, curiosando tra i nuovi arrivi.

            “Non ero sola” sussurrò lei.

            Aaron sorrise, e le rivolse un’occhiata maliziosa. “Giusto. Il che mi porta a pensare che la causa del tuo affaticamento potrebbe essere un’altra.”

            “E se anche fosse?”

            “Hai ventisette anni, sei perfettamente in grado di decidere da sola chi frequentare.”

            “Però?”

            “Però?”

            “Deve esserci un però, Aaron. C’è sempre un però, quando parlo con te.”

            “Non è vero” si indispettì lui. “Però, devi ammettere che… è Bobby Mercer, Adia!”

            “E allora?”

            “Ti è corso dietro come un cane da punta per anni, e non hai mai ceduto. Perché adesso… perché?”

            “E’ cambiato, Aaron. Non è più lo stronzo di dieci anni fa.” Fece una pausa. “Lo riconosco, non è uno stinco di santo, ma…”

            “Adia, per favore, guardami” la interruppe lui, prendendola con delicatezza per le spalle e costringendola a fissarlo. “Meno di due mesi fa, sua madre è stata uccisa per conto di Victor Sweet. Poche settimane dopo, Victor Sweet è misteriosamente scomparso, e guarda caso lui è stato il primo ad essere indagato.”

            Indagato e colpevole non significano la stessa cosa.” Aaron la lasciò andare e si passò una mano tra i capelli, senza parole. “Io so che cosa significa essere creduta colpevole senza esserlo davvero, Aaron.”

            “No, Adia, tu non sei…”

            “Io non sono colpevole, lo so” lo interruppe lei. “Ma questo non ha mai fatto cambiare idea alle nostre sorelle. Loro continuano a ritenermi responsabile della morte di papà.”

            “Adia, non…”

            “E un po’ di ragione ce l’hanno, se ci pensi bene. Se io non avessi insistito per mettere in scena quei musical di Natale, lui non si sarebbe trovato davanti alla chiesa, quella sera. Ma Victor Sweet lo avrebbe fatto uccidere in un altro momento, in un altro modo. È colpa mia se si è trovato davanti alla chiesa quella sera, ma non è colpa mia se è morto.”

            “Come siamo arrivati a parlare di questo?”

            “Mi hai chiesto perché frequento Bobby Mercer. O meglio, mi hai detto che sarebbe meglio se non frequentassi Bobby Mercer. Però, come hai detto tu, ho ventisette anni. Sono abbastanza grande per decidere da sola chi frequentare.”

            “Quindi… vi frequentate?”

            Adia fece spallucce. “Non lo so. Abbiamo fatto sesso, non so se possa essere considerato frequentarsi.”

            Questo non lo avrei voluto sapere” si affrettò a rispondere lui, ancora troppo protettivo nei confronti di Adia per riuscire ad immaginarsela a letto con qualcuno senza procurarsi una crisi di coscienza.

            “E io non avrei voluto dirtelo, ma lo sai che mi è impossibile resisterti, quando giochi a fare il poliziotto” ribatté lei con un sorriso.

            “Sei sempre stata la mia preferita, lo sai? E per qualsiasi cosa, lo sai che puoi venire da me.”

            “Certo. Sei tu il mio cavaliere senza macchia e senza paura.”

            “Fai attenzione, ok?”

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Capitolo 14
*** 14. Give Me The Simple Life [Jamie Cullum] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

14. Give Me The Simple Life

 

 

            Arthur Johnson – o ‘il vecchio Artie’, come lo chiamavano nel quartiere – aveva sessant’anni e troppi acciacchi. Aveva passato la prima metà della vita a fare sacrifici per avviare la propria attività, e quando era stato a un passo dalla meta la moglie, stufa di aspettare, lo aveva lasciato, portandogli via anche la casa. Poi c’era stato l’infarto, e la vecchiaia aveva iniziato ad avanzare. Non c’erano figli a cui lasciare l’attività, non c’erano amici a cui confidare i propri patimenti. Aveva un fratello, ma abitava lontano, e comunque difficilmente si sarebbe scomodato a venire fino a Detroit per ascoltare le lamentele di suo fratello. Però, nonostante tutto, il vecchio Artie aveva un cuore buono e generoso, e se poteva essere d’aiuto a qualcuno non si tirava indietro.

            Forse è questo che ci rende diversi, pensò Bobby, mentre raggiungeva il magazzino di Artie. Siamo entrambi dei falliti, ma almeno lui sa rendersi utile.

            “Per l’amor del Cielo, non dirmi che quello che sta arrivando è proprio Bobby Mercer!” esclamò il vecchio Artie, guardandolo con aria divertita. “Devo far nascondere soldi e gioielli, o hai intenzioni pacifiche?”

            Bobby sorrise. Il vecchio Artie lo accoglieva con quella battuta da quasi vent’anni, da quando lui ne aveva quindici e gli aveva sgraffignato dieci dollari per comprare un regalo di compleanno a sua madre. Inutile dire che Evelyn lo aveva preso letteralmente a calci nel sedere, quando lo aveva scoperto. E lo aveva trascinato per un orecchio fino al magazzino, per obbligarlo a chiedere scusa e a restituire il maltolto. “No, ho intenzioni pacifiche… permanenti.” Artie lo guardò con sospetto, aspirando dalla sigaretta accesa. “Quella roba ti uccide, lo sai?”

            “Prima o poi dobbiamo morire tutti, no?” ribatté il vecchio, gettando il mozzicone a terra e spegnendolo con la punta della scarpa. “Scusa se non sono stato al funerale di tua madre e di tuo fratello, ma… era tempo di revisione” aggiunse, toccandosi il petto all’altezza del cuore. “Bella cerimonia?”

            “E’ una di quelle cerimonie che uno si augura di non vedere mai” rispose Bobby, abbassando la testa. “Ma sì, sono state belle cerimonie.”

            “Sono andato al cimitero, un paio di giorni fa. Non vi facevo tipi da fiori, voi Mercer.”

            “Non siamo stati noi.”

            Artie alzò un sopracciglio, curioso, poi capì che non gli avrebbe cavato altro. “Come mai da queste parti, Bobby? Sapevo che eri tornato in città, ma credevo che saresti ripartito subito dopo il funerale di tua madre.”

            “Sono successe un po’ di cose, i programmi sono cambiati.”

            “E poi è morto anche Jack.”

            “Già” fu la risposta laconica di Bobby. Jack se n’era andato da tre settimane, ormai, ma lui non riusciva ancora a farsene una ragione. Così come non riusciva a farsi una ragione della morte di sua madre. La sola cosa in grado di consolarlo era che Victor Sweet, il responsabile di tutto quel dolore, era finito in fondo al lago. In fondo al lago, insieme alla parte peggiore di se stesso.

            “Come mai qui?” gli chiese ancora il vecchio Artie.

            “Mi serve un lavoro” confessò Bobby, trovando il coraggio di guardarlo negli occhi.

            “Hai provato a leggere gli annunci sul giornale?”

            “Sì, ma cercano soltanto gente qualificata, gente con un diploma. E poi cercano impiegati, segretari, commessi… io non sono tagliato per quel tipo di lavoro.”

            “Non ci hai mai provato, come fai a sapere se ci sei tagliato o no?”

            “Lo so, Artie. Mi conosco. Io ho bisogno di fare un lavoro di fatica, ho bisogno di spezzarmi la schiena. Mi serve un lavoro così.”

            “Una volta ti guadagnavi da vivere con gli incontri di pugilato. Non sei vecchio, potresti ancora farlo” osservò Artie, accendendo un’altra sigaretta.

            “Sono guadagni facili, ma una volta smesso? No, non voglio finire di nuovo in quel giro. Ho bisogno di un lavoro pulito, di qualcosa che mi tenga fuori dai guai.”

            “Fuori dai guai, a te? Bobby Mercer fuori dai guai? Sarebbe come dire che Maria Maddalena era una suora!”

            Bobby sorrise. “Sono serio, Artie. Mi serve un lavoro.”

            “Come mai?”

            “Questioni personali” rispose in fretta. Notò l’espressione indifferente del vecchio, e allora decise di parlare. “Voglio mettere la testa a posto.”

            Artie scoppiò in una risata rauca. “Bobby Mercer mettere la testa a posto? Ti hanno dato una botta in testa, per caso?”

            “Ma perché diavolo non può essere possibile? Guarda che ho dei sentimenti anch’io!”

            “Già, infatti tutte le ragazze di Detroit ti ricordano per i tuoi sentimenti… oh, andiamo, non vorrai farmi credere che ti sei lasciato convincere da una pollastra? Tu?”

            Bobby sorrise. “Credimi, mi costa ammetterlo, ma è così. Una pollastra mi ha messo il guinzaglio.”

            “Chi è quella pazza che ti ha ripreso nel suo letto?”

            “Una che non ci era mai stata” ribatté lui.

            “Siamo sicuri che sia di Detroit?”

            “E’ la figlia del reverendo Chambers, la più giovane” confessò Bobby.

            Artie rifletté per qualche secondo. “Beh, accidenti, hai preso la migliore della nidiata. Le sue sorelle sono davvero quattro stronze, ma lei mi ha sempre fatto una buona impressione. Andavo nella chiesa di suo padre, ogni tanto. Prima che morisse. È davvero una gran bella ragazza, se solo avessi vent’anni di meno… peccato per quella gamba, però. Ehi, come diavolo hai fatto a convincerla a frequentare un tipo come te? Non l’avrai messa incinta, per caso?”

            “No, accidenti!” Spero di no, dannazione. Anche se non… “E’… è successo, ok? Ci siamo incontrati per caso in città, abbiamo parlato, siamo usciti… andiamo, Artie, lo sai come succedono certe cose, no?”

            “Sì, sì, ok, risparmiami i dettagli” lo interruppe il vecchio, spegnendo anche quella seconda sigaretta. “Beh, potrei avere bisogno di un uomo in più in magazzino, adesso che ci penso. Se ti può interessare. Ma sia chiaro, lo faccio solo per quella benedetta ragazza che ha scelto di sopportare una canaglia come te.”

            “Dici davvero? Quindi, quando…”

            “Ad una condizione” lo interruppe ancora Artie. “Inizierai soltanto quando avrai messo a posto la casa di tua madre. Non ne posso  più di passare davanti a quel rottame di una casa.”

            “Grazie, Artie. Mi stai salvando la vita.”

            “No, non sono io che ti sto salvando.”

 

            Entrò a passo sicuro nel negozio di Adia, e riconobbe immediatamente la figura che gli dava le spalle. Sperò che Aaron non fosse andato a cercarlo per suonargliele: per una volta – forse la prima in vita sua – non aveva alcuna voglia di fare a botte. Non davanti alla ragazza, perlomeno. Non dopo averle detto di essere cambiato. Non disse nulla per attirare l’attenzione su di sé: lasciò che Adia alzasse lo sguardo su di lui, e aspettò che Aaron si voltasse in cerca di ciò che aveva distolto l’attenzione della sorella. “Posso… tornare più tardi, se è un problema” disse. Bobby Mercer che proponeva di togliere il disturbo da solo? Non poteva essere vero.

            “No, resta” rispose l’altro uomo. “Si stava giusto parlando di te” continuò, tornando a guardare la sorella.

            Bobby sospirò. Che cosa aveva pensato di ottenere, tornando a dare la caccia alla figlia del reverendo? “Ok, cerchiamo di rendere le cose più semplici. Colpiscimi.”

            Aaron lo guardò alzando un sopracciglio, evidentemente senza capire. “Perché dovrei colpirti?”

            “Non… non vuoi picchiarmi?”

            “Non ne vedo il motivo.”

            Bobby guardò Adia, cercando una spiegazione. Lei sorrise. “Ha trascorso i primi trentacinque anni della sua vita a farsi picchiare dalla gente, cerca di capirlo” spiegò la ragazza al fratello. “Ha il complesso del pugile, se non riesce a farsi prendere a pugni da qualcuno non è contento.”

            Aaron sorrise. “Siete adulti e vaccinati, no? E poi adesso Adia non vive nemmeno più sotto il mio stesso tetto, non è affar mio quello che combina. Però sono pronto a ridurti in briciole, se la fai soffrire.”

            Bobby annuì, sorridendo a sua volta. “Ho capito. Comunque io posso passare più tardi, se dovete parlare…”

            “No, non ti preoccupare. Tanto devo andare, tra mezz’ora inizia il mio turno.” Baciò la sorella sulla guancia, e nel passare accanto a Bobby, gli mise una mano sulla spalla in gesto fraterno. Bobby rispose con un mezzo sorriso.

            “Come mai da queste parti?” gli domandò lei, una volta rimasti soli.

            “Buffo, meno di un’ora fa il vecchio Artie mi ha chiesto la stessa cosa.”

            “Sei stato dal vecchio Artie? Perché?”

            “Non posso vivere di rapine, e sono troppo vecchio per tornare sul ring” scherzò lui.

            “Sono d’accordo sulle rapine, ma non sei vecchio” lo corresse lei, tornando a controllare le vecchie fatture che stava mettendo in ordine prima dell’arrivo di Aaron.

            “Non ho detto di essere vecchio. Ho detto di essere troppo vecchio per tornare sul ring.”

            “C’è differenza?” domandò, alzando gli occhi. Com’era riuscito ad arrivarle tanto vicino senza che se ne accorgesse?

            “Certo che c’è differenza. Ci sono cose per cui non si è mai troppo vecchi” sussurrò, lasciandole un bacio leggero alla base del collo.

            “Non ci starai provando con me, Bobby?” lo prese in giro.

            “Provare a fare cosa? A sedurti? Credevo di esserci già riuscito…”

            “Solo perché sono stata a letto con te un paio di volte, non significa che tu mi abbia sedotta…”

            “Sì, comunque io non le definirei un paio di volte…” Adia si lasciò scappare una risata, provocando l’immediato allontanamento dell’uomo. “Beh, che c’è?”

            “Mi stavo appunto chiedendo quando sarebbe successo. Quando ti saresti stufato di fare il bravo ragazzo e saresti tornato lo scimmione di sempre” aggiunse, incrociando la sua espressione confusa.

            “Ehi, era solo una battuta” si giustificò lui. “Dio, sei sempre stata così suscettibile?”

            “Non sono suscettibile!” ribatté lei, stizzita. “E preferirei che evitassi certe esclamazioni…” aggiunse, quasi in un sussurro.

            Bobby resistette all’impulso di mordersi la lingua. Nonostante tutto, Adia restava la figlia di un ministro di Dio, o come accidenti si chiamavano. Magari ci credeva davvero, e preferiva non sentire certe imprecazioni. Ripensò a sua madre: Evelyn andava in chiesa. Evelyn aveva aiutato con i costumi per il musical di Natale. Evelyn lo aveva trascinato con sé un paio di volte – ‘trascinato’ in senso letterale. Eppure, nonostante tutto… non è che non ci credesse. È solo che Dio gli sembrava una cosa troppo lontana, troppo astratta… Bobby aveva sempre creduto soltanto in quello che poteva vedere e toccare. Bobby aveva adottato come religione la forza dei propri pugni: era con quelli che si cavava fuori da ogni situazione. Nonostante credesse in qualcosa che stava lassù e guardava quaggiù, non riusciva a rendere quel qualcosa il fulcro della propria esistenza. E con tutta la buona volontà del mondo, non avrebbe iniziato ora. Nemmeno per Adia. “Scusa” borbottò, mettendosi le mani in tasca. “Forse sono io quello suscettibile…”

            Adia si trattenne dal rispondere con un “Ma dai?”. Avrebbe solo peggiorato le cose. E Dio solo sapeva quanto già fossero ingarbugliate. “No, scusami tu. Sono… sono un po’ nervosa.”

            “Ne vuoi parlare?”

            Adia alzò la testa, stupita dalla domanda. Ma da Bobby Mercer, ultimamente, ci si poteva aspettare di tutto, anche che si calasse giù per una quercia innevata per andare a prendere il caffè. Per un attimo, fu tentata di dirgli che le sue sorelle non le rivolgevano la parola e che non le avevano risposto agli auguri di Natale; fu tentata di dirgli che era stufa di quel lavoro, quel lavoro che lei stessa aveva scelto; fu tentata di dirgli che le mancavano i propri genitori; fu tentata di dirgli che Aaron aveva avuto l’intuizione giusta, e la gamba le faceva male. Non il solito fastidio che da cinque anni la accompagnava senza tregua, ma dolore. “No, niente di grave” rispose, distogliendo lo sguardo da lui e rifilandogli un sorriso più falso degli orecchini di perle che aveva messo al matrimonio di suo fratello.

            Bobby finse di credere alla bugia.

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Capitolo 15
*** 15. La Voz [Laura Pausini] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

15. La Voz

 

 

            Il vicinato al completo si affacciò alle finestre e si spinse fino alle verande, incuriosito dai rumori che provenivano da casa Mercer – o meglio, da quello che restava di casa Mercer. I bambini si spinsero fino al giardino, per osservare meglio gli uomini che scaricavano il camion. Il giardino della casa dove Evelyn Mercer aveva sempre vissuto fu presto ingombrato da tavole di legno, mattoni, sacchi di cemento e vari attrezzi. Quando il camion liberò la strada, l’intero vicinato poté vedere, schierati sul marciapiede, i tre fratelli Mercer.

            “Fratelli, ci siamo” disse Angel, guardando per l’ultima volta lo scheletro della casa.

            “Diamoci da fare” confermò Jerry.

            Sì, diamoci da fare. Per mamma e per Cracker Jack, pensò Bobby.

            Parecchi uomini del vicinato si avvicinarono offrendosi come aiuto, ma i tre fratelli rifiutarono ogni proposta. La casa era ridotta così per colpa loro, perché non avevano saputo proteggere la mamma, e loro – loro, da soli – l’avrebbero rimessa a posto. Avrebbero lavorato sodo, anche per tutto il giorno, pur di riavere indietro la casa della loro mamma. La loro casa. Anche se non sarebbe mai più stata la stessa di prima, senza la mamma e senza Jack. D’altra parte, nessuno di loro era più lo stesso di un tempo: Jerry aveva una famiglia; Angel si sarebbe sposato; Bobby si era quasi innamorato.

            Più tardi, nel pomeriggio, i ragazzini del quartiere si riunirono per una partita di hockey sulla strada innevata; Bobby non poteva fare a meno di osservarli, di tanto in tanto. Avrebbero giocato tranquilli, adesso, senza il timore di imbattersi nella gente sbagliata. Anche i loro genitori sarebbero stati più tranquilli, sapendo che nessuno si sarebbe più preso a fucilate per strada. Gettò un’occhiata dall’altra parte, quasi in fondo alla strada. Continuava a vedere il rosso del sangue di Jack sul bianco della neve, e qualcosa gli diceva che quell’immagine lo avrebbe perseguitato per sempre. Tutto il tempo del mondo non sarebbe bastato per dimenticare gli ultimi istanti di Jackie.

            Qualcosa gli colpì la caviglia. Abbassò lo sguardo e vide il dischetto da hockey con il quale i ragazzini stavano giocando. Lo raccolse e si voltò per restituirlo ai proprietari. “Evelyn non tornerà più, vero?” gli chiese una ragazzina, con l’aria di conoscere già la risposta.

            “No, Evelyn non tornerà” ammise Bobby, sapendo quanto sarebbe mancata a tutti quanti. Non era solo la madre dei fratelli Mercer: lei voleva bene a tutti i ragazzi del quartiere, ed era sempre pronta a dare una mano, anche quando l’interessato non riusciva a chiedere aiuto.

            “Perché è morta, vero?” chiese un altro ragazzino, beccandosi subito una gomitata nelle costole dall’amica.

            “Già” rispose Bobby. Non aveva senso nascondere la verità.

            “Ci mancherà tanto” disse un altro.

            Bobby annuì. “Andate a giocare, su” disse loro, restituendo il dischetto alla ragazzina.

            Continuarono a lavorare senza pause fino alla sera, quando il freddo si fece troppo intenso e gli stomaci iniziarono a brontolare per la fame. Dopo aver sistemato gli attrezzi, raggiunsero la casa di Jerry, dove Camille e Sofi, insieme alle bambine, li aspettavano per la cena.

            “Fratello, che succede? Sembri pensieroso” chiese Jerry a Bobby, che alzò la testa di scatto, sorpreso per il fatto di essere stato interpellato.

            “No, niente di grave” rispose. Buffo, la stessa bugia che Adia gli aveva rifilato il giorno prima. Però i suoi fratelli sembravano essersela bevuta.

            “Fratello, non ci provare” lo contraddisse Angel. “Che succede?”

            “Pensavo alla mamma.” Mentiva, ma sapeva che quella bugia sarebbe stata più credibile. O almeno, ci sperava. “Stavo pensando che mi mancheranno le sue cene. Non fraintendetemi” disse subito, rivolgendosi alle due donne, “voi cucinate benissimo, ma…”

            “Non ti preoccupare, Bobby” lo rassicurò Camille, “abbiamo capito quello che intendi.”

            “A proposito, quando ci fai conoscere la tua nuova ragazza?” aggiunse Sofi, squadrandolo con ironia.

            “Scordatelo” tagliò corto Bobby. “Non ci pensò proprio a portare Adia…” si interruppe di colpo, ma ormai era caduto nella trappola della futura cognata, che mirava a fargli ammettere la sua relazione. “Non stiamo insieme” precisò. “Ci frequentiamo.”

            “Sempre così, con voi uomini” borbottò Sofi. “Ma che diavolo vuol dire frequentarsi? O state insieme, oppure non state insieme.”

            Bobby sorrise. La logica di Sofi non faceva una grinza, anche se non l’avrebbe mai appoggiata – non davanti a tutti, e sicuramente non davanti a lei. “Angel, ti spiace dire alla Vida Loca di farsi gli affari suoi?” domandò al fratello, alzando le mani davanti al viso per difendersi dai colpi di strofinaccio che Sofi aveva iniziato ad infliggergli.

            “Chi è Adia?” domandò la figlia maggiore di Jerry.

            “E’ la ragazza che lavora alla libreria, tesoro. Dove hai comprato Peter Pan, ricordi?”

            “Quella con la gamba rotta?” domandò l’altra bambina.

            I cinque adulti non risposero subito. Bobby sentì su di sé gli sguardi incerti dei fratelli e delle rispettive compagne, e annuì. “Sì, tesoro, proprio lei.”

            “E’ lei la tua fidanzata?” continuò la piccola, infilandosi in bocca un’altra forchettata di patate.

            Bobby sentì di nuovo quattro paia d’occhi fissarlo, ma questa volta con curiosità. “No, non è la mia fidanzata.”

            “Oh” fece la bambina, visibilmente delusa.

            La sorella maggiore intervenne per darle una mano. “Ma zio Bobby, se non ti sposi come farai ad avere dei bambini?”

            “Ha ragione, Bobby” le diede manforte Jerry. “Come farai ad avere dei bambini, se non ti sposi?” Bobby ebbe una visione fugace della prima notte passata con Adia, e subito dopo gli tornò in mente la domanda del vecchio Artie. Gli venne naturale sorridere.

 

            Una volta messe a letto le bambine, Bobby riuscì a sfuggire al controllo della famiglia e a rifugiarsi sulla sua brandina. Sposarsi, lui? L’aveva sempre detto che quelle due bambine avevano una fantasia troppo sfrenata. Adesso non riusciva a fare a meno di pensare a come sarebbe stato condividere tutto con una donna, dal letto alla colazione, dal bagno alla tv, ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette, senza pause. No, non ne sarei capace, pensò. Però non avrebbe potuto passare tutta la vita nella casa di sua madre – che, tra l’altro, avrebbe presto condiviso con il fratello, la cognata e almeno una dozzina di bambini.

            Si alzò, si rivestì e raggiunse il piano inferiore. “Esci?” gli domandò Jerry, vedendolo transitare in cucina a passo di corsa.

            “Sì, mamma” rispose Bobby in tono ironico. “Non aspettarmi alzata.”

            “Bobby” lo richiamò indietro il fratello. “Sicuro che vada tutto bene?”

            “Sì, Jerry, va tutto bene” lo rassicurò ancora una volta.

            “Stai andando da Adia?”

            “Accidenti, Jerry, ho trentacinque anni, non credi che sia in grado di badare a me stesso?”

            “Non intendevo questo. Volevo solo sapere dove cercarti in caso di bisogno.”

            Bobby sorrise. “Sì, vado da lei.” Sempre che non abbia cambiato idea su di noi e mi butti fuori a calci nel sedere, s’intende.

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Capitolo 16
*** 16. For Once In My Life [Vonda Shepard] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

16. For Once In My Life

 

 

            Poco prima di mezzanotte, Adia si sfilò gli occhiali e chiuse il libro che stava leggendo. Rimase ferma a guardarne la copertina per almeno due minuti, prima di decidersi ad appoggiarlo sul comodino alla propria sinistra. “Persuasione” sussurrò, sfiorando le lettere in rilievo del titolo. Era sempre stato il suo romanzo preferito, il romanzo da leggere quando si sentiva confusa o aveva bisogno di ritrovare se stessa. Era uno dei libri ereditati da suo padre, che a sua volta l’aveva ereditato dalla moglie. Adia l’aveva letto così tante volte da averlo consumato, ma non sarebbe mai riuscita a separarsene. D’un tratto, si trovò a pensare che anche Bobby lo aveva toccato, quando l’aveva aiutata con il trasloco. Non riuscì a impedirsi di sorridere, al pensiero che Bobby fosse entrato in contatto con entrambi i suoi genitori, pur senza saperlo.

            Si decise a metterlo via e fece per sdraiarsi, quando un leggero bussare alla finestra attirò la sua attenzione. Bussare?, si chiese, perplessa, per poi alzare gli occhi sulla figura appollaiata sulla quercia. Bobby la stava osservando da chissà quanto, e lei non se n’era nemmeno accorta. Si alzò, e con qualche difficoltà si diresse verso la finestra, per alzare il pannello e chiedere a quel matto di Bobby Mercer perché la stesse importunando a quell’ora. “Che ci fai lì?” gli chiese, senza cercare di mascherare la sorpresa.

            “Tu e io stiamo insieme?” le chiese, a bruciapelo.

            Adia ringraziò il cielo di non essere lei quella seduta sulla cima di un albero, altrimenti sarebbe caduta come un frutto maturo. “Cosa?”

            “Tu e io stiamo insieme?” ripeté, in tono assolutamente calmo.

            “Non saprei” fu la sua risposta. “L’ultima volta che sei stato qui hai detto che volevi che fossi la tua ragazza” osservò, “ma poi non ne abbiamo più parlato.” Fece una pausa e osservò l’espressione assorta dell’uomo. “Non potevi telefonare?” gli domandò, sottolineando l’ovvietà dell’ipotesi.

            “Non ho il tuo numero.”

            “Oh. Aspettare domani?”

            “Non riuscivo a dormire, dovevo saperlo. Beh… ci si vede.” Si mosse, come per iniziare la discesa, ma lei lo fermò.

            “Ehi, dove vai?”

            “A casa.”

            “Fammi capire: ti arrampichi su un albero nel bel mezzo della notte per venirmi a chiedere se stiamo insieme, e te ne vai senza dirmi se lo siamo?”

            Bobby riprese la posizione iniziale. “Giusto. Quindi?”

            “Quindi cosa?”

            “Stiamo insieme o no?”

            “Perché diavolo lo chiedi a me?”

            “Beh, perché sei tu l’interessata.”

            “Mercer, certe cose si fanno in due.”

            “Eh già, certe cose si fanno in due” osservò lui, abbassando lo sguardo sul suo seno. Solo in quel momento Adia si rese conto di indossare soltanto una leggera canotta e un paio di pantaloni decorati con una graziosa fantasia a topolini. Arrossì e distolse lo sguardo da Bobby, cercando di capire perché diavolo ogni volta le dovesse fare quell’effetto.

            “Dai, entra, mi sto congelando” lo invitò, allontanandosi dalla finestra.

            “Non è colpa mia, sei tu che vai in giro mezza nuda” ribatté Bobby, entrando e richiudendosi la finestra alle spalle.

            “Non vado in giro mezza nuda, sono in pigiama e stavo per mettermi a dormire” rispose piccata, strofinandosi le braccia per scaldarsi. Improvvisamente, sentì le mani di Bobby posarsi sulle sue spalle, incredibilmente calde nonostante il gelo dell’inverno. Ancor più all’improvviso, si sentì costretta a voltarsi, per trovarsi faccia a faccia con lui. Com’era possibile che il suo intero corpo fosse caldo, nonostante le temperature polari dell’esterno? Non appena le ebbe lasciato libere le labbra, glielo chiese. “Come fai a essere così caldo? Fuori si gela!”

            “Sono Bobby Mercer, agnellino. Io sono sempre caldo.”

            “Molto divertente” rispose lei. “E sei anche molto modesto. Ma ancora non abbiamo risolto niente.”

            “Che cosa dovremmo risolvere?”

            “Stiamo insieme o no?” gli domandò lei.

            “Oh, quello” rispose lui, come ricordandosi solo in quell’istante del discorso che avevano interrotto. “Non saprei. Tu che dici?”

            “Beh, non… non so. Dal modo in cui mi hai arpionata, direi di sì.”

            “Era per scaldarti, agnellino” ribatté, sorridendo con malizia.

            “Perché continui a chiamarmi agnellino?”

            “Hai l’aria ingenua” rispose lui, facendo spallucce. “Insomma, non nel senso di stupida. È solo che sei… hai l’aria di una che va protetta.” La dolcezza di quelle ultime parole le fece di nuovo abbassare gli occhi, imbarazzata.

            “E da quando proteggi la gente?” gli chiese, dopo qualche istante di silenzio. “Di solito tu alla gente spezzi le ossa.”

            Bobby rise. “Solo a quelli che non mi piacciono. E a quelli che toccano le cose che amo” aggiunse, sottovoce, sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

            Erano ancora abbracciati, in piedi nella semioscurità della stanza. “Perché sei venuto fin qui per chiedermi se stiamo insieme?”

            “Te l’ho detto, non riuscivo a dormire.”

            “Va bene, ma come ti è venuta in mente una domanda simile?”

            “Mia nipote. Mi ha chiesto come pensavo di avere dei bambini, se prima non mi sposo.”

            “E perché dovresti avere dei bambini?”

            “E’ quello che ho pensato io, accidenti!” esclamò, lasciandola andare. “Insomma, perché diavolo dovrei volere dei figli? Però immagino sia normale pensarla così, per dei bambini che crescono in modo normale, come le figlie di Jerry” concluse, grattandosi la nuca.

            Adia, nel frattempo, si era seduta sul letto, cercando di non pensare al dolore alla gamba, che cresceva se stava in piedi per troppo tempo. “Sì, credo sia normale. Insomma, stanno crescendo con una madre e un padre, e…”

            “E poi Angel sta per sposare Sofi, quindi credo che stiano iniziando a vedere il matrimonio come una cosa normale.”

            Adia sorrise. “Peccato che lo zio Bobby non sia esattamente quel che si dice un uomo normale” lo prese in giro.

            “Ahahah. Molto divertente. È che… è che non ci ho mai pensato” ammise, appoggiando le mani al davanzale della finestra e facendo correre lo sguardo lungo la città addormentata. “Non me lo sono mai chiesto.” I passi irregolari di Adia, attutiti dalla moquette, gli fecero alzare appena la testa. “Forse non mi sono mai dato il tempo di chiedermelo.”

            La mano di Adia si posò con dolcezza sulla sua spalla. “Hai tutto il tempo che vuoi. Nessuno ti corre dietro. Io no di sicuro” aggiunse, sorridendo e indicandosi la gamba.

            Bobby la guardò, e in quel momento capì di non averla mai vista. Dietro quel sorriso, sotto quella battuta, si celava una donna il cui immediato destino dipendeva dalla sua decisione. Lei stava scherzando, ma lui non poteva permetterselo. Non più, almeno. Smettila di cazzeggiare, Bobby, e decidi: vuoi questa donna o no?, si impose, mentre continuava ad osservarla come un critico d’arte di fronte a un quadro. Si voltò lentamente, e con la stessa lentezza le portò una mano al viso: era troppo bella, troppo delicata, troppo fragile. Forse era troppo, per uno come lui. Forse avrebbe dovuto mentire: mentire a lei, mentire a se stesso. Forse avrebbe dovuto dirle che non provava nulla, forse avrebbe dovuto lasciarla libera, forse avrebbe dovuto lasciarla a qualcun altro. E rischiare che finisca con qualcuno peggio di te?, pensò. “Potresti finire male, con me. Lo sai, questo?” le sussurrò.

            “Ti preoccupi per il bene degli altri?”

            Scosse la testa. “Mi preoccupo per il tuo. Voglio essere sicuro che tu stia bene.”

            “Io sto bene, Bobby. Non sono mai stata meglio.”

            “Io intendevo bene con me.”

            “Anch’io intendevo bene con te.” Bobby sorrise, mentre la mano scivolava sulla nuca di Adia e la attirava di nuovo vicino a sé. Un altro bacio, più profondo e finalmente libero di ogni dubbio, li legò l’uno all’altra. “Penso sia chiaro che puoi restare” gli sussurrò la ragazza, creando un po’ di spazio tra loro, mentre lo liberava del giubbotto.

            “Certo che ho intenzione di restare” rispose lui, cercando subito di riprenderla tra le proprie braccia. “Non vorrai che rischi il mio affascinante osso del collo scendendo giù da quel maledetto albero?”

            Adia sorrise contro le sue labbra, mentre la sollevava e la riportava verso il letto. “Volevo solo assicurarmi che lo sapessi.”

            “Ehi, guarda che sono un Mercer” ribatté lui, falsamente piccato, mentre la lasciava cadere di malagrazia sul materasso. “Non siamo mica stupidi.”

            Per la prima volta, si ritrovarono a fare davvero l’amore. Sembrava tutto uguale, esattamente come le altre volte, ma tra loro era cambiato tutto. Sarebbero stati insieme, sarebbero stati una coppia. Sarebbero usciti insieme, la gente si sarebbe voltata a guardarli sorpresa. La figlia del reverendo e l’ex peggior criminale di Detroit insieme, che cosa incredibile! Eppure lo avrebbero fatto. Sarebbero stati insieme.

            “Dovrò avvertire mia nipote che sono fidanzato” scherzò Bobby, sdraiandosi al suo fianco.

            “Ma sia chiaro, non intendo fare bambini, per adesso” rispose lei, accoccolandosi contro il suo petto, cercando di ignorare le fitte alla gamba.

            “Sono d’accordo. Questa città deve ancora abituarsi all’idea di avere me in città, figuriamoci i miei figli.”

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Capitolo 17
*** 17. Sulla Via Di Casa Mia [Claudio Baglioni] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

17. Sulla Via Di Casa Mia

 

 

            Il giorno seguente, Bobby lasciò l’appartamento di Adia di buon’ora, e raggiunta la casa di sua madre riprese a lavorare con i fratelli alla ristrutturazione. Si sentiva strano, ma in senso positivo: si sentiva leggero, felice come non si era mai sentito. L’ultima notte aveva cambiato tutto, e improvvisamente sembrava che tutto fosse destinato ad andare bene. Sembrava quasi troppo bello per essere vero: il cattivo era stato abbattuto, ci sarebbe stato un lavoro e una casa. E, da poche ore prima, aveva anche una ragazza. Per non parlare dei suoi due fratelli, che gli volevano bene e che gli sarebbero sempre stati accanto.

            “A che pensi, fratello?”

            La voce di Angel lo riportò alla realtà. “A niente, perché?”

            “Beh, Jerry mi ha detto che ieri notte sei uscito” rispose l’altro in tono ironico. “Ti ha preso a calci, non è vero?”

            “No. Avrebbe dovuto?”

            “Andiamo, sei mio fratello. Ti conosco. Di solito non ti è difficile farti prendere a calci. Beh, che è successo?” incalzò, osservando che il fratello era tornato a lavorare senza reagire.

            “Ma come? Pensavo che tu e Sofi ormai foste degli esperti. Non sai come si fanno certe cose?”

            “Ahahah, molto divertente. Dai, che vi siete detti?”

            “Perché dovremmo esserci detti qualcosa? Non possiamo aver fatto sesso e basta?”

            “Quando uno fa sesso e basta poi non ha una faccia come la tua.”

            Bobby non riuscì a trattenere una risata. “Accidenti, stare con Sofi ti ha fatto diventare un filosofo.”

            “Non prendermi in giro. Dai, c’è qualcosa che ti preoccupa?”

            L’altro si inginocchiò e iniziò ad inchiodare alcune assicelle con aria concentrata. Tra un colpo di martello e l’altro, decise di confessare la novità al fratello. “Usciamo insieme” confessò, dopo parecchi interminabili minuti scanditi dal picchiare ritmico del martello.

            “Uscite insieme?” ripeté Angel, sospeso tra una risata e la più totale incredulità.

            “E’ la mia ragazza, va bene?” confermò Bobby, a voce un po’ troppo alta.

            “No, un momento, chi è la ragazza di chi?” domandò Jerry, affacciandosi dall’esterno attraverso una finestra.

            “Nostro fratello esce con la figlia del reverendo” fu la risposta di Angel, ancora piuttosto confuso.

            “Nostro fratello? Quello che due settimane fa diceva di aver bisogno soltanto di una bella scopata?”

            “Siete due stronzi, lo sapete?” li rimproverò Bobby. “Siete veramente i due fratelli più stronzi che si possano avere!” Nel frattempo, sia Angel che Jerry avevano deciso di abbandonarsi alle risate, sostenendosi l’un l’altro attraverso la finestra sventrata. Bobby decise di lasciarli fare: che lo prendessero pure in giro… era troppo contento per lasciare che certe bambinate intaccassero la sua felicità.

            A metà del pomeriggio, Jerry se ne andò per andare a prendere le bambine a scuola, mentre Angel si trovò costretto a raggiungere Sofi per definire alcuni dettagli riguardanti il matrimonio. Bobby rimase solo, e dopo un’ultima ora di lavoro solitario, decise di lasciar perdere e di seguire l’esempio dei fratelli: avrebbe fatto un’improvvisata a Adia, magari le avrebbe fatto piacere.

            Quando varcò la porta del negozio, la vide affacciarsi per un attimo dal retrobottega. Si accorse che stava parlando al cellulare, e annuì quando lei gli fece segno di aspettare per un minuto. Rimase in piedi nei pressi del bancone, aspettando che la conversazione finisse. Mentre curiosava in giro, Bobby riuscì a decifrare piuttosto chiaramente degli stralci di conversazione, naturalmente soltanto da parte della ragazza: “Ma certo… no, capisco… non è una situazione semplice… che cosa mi consiglia di fare? Oh, capisco. No, certo,  mi rendo conto che l’unica soluzione sia… certo. Certo, ci penserò. La ringrazio, arrivederci.”

            “Qualcosa non va?” le domandò, quando la vide tornare.

            “Eh? No, tutto a posto. Una piccola incomprensione con un fornitore, ma è tutto risolto.”

            No, Adia, non mentirmi. Lo sai che fiuto una bugia a chilometri di distanza. In circostanze normali, l’avrebbe tartassata fino a farle confessare la verità, ma quel giorno era troppo stanco per sprecare altre energie in un’attività così inutile. “Bene, sono contento.”

            “A che punto siete con la casa?” gli domandò, probabilmente per sviare il discorso su un argomento meno spinoso.

            “Bene, bene. Penso che andando avanti a questo ritmo, entro una settimana o due sarà tutto finito. Così poi potrò iniziare il lavoro giù al magazzino.”

            “Sono contenta. Mi spiaceva vedere la casa così malridotta… beh, almeno Angel e Sofi avranno un posto dove abitare dopo sposati, no?”

            “Già” sospirò Bobby. Non aveva mai pensato a quell’aspetto della situazione: per Angel e Sofi sarebbe stato un ottimo posto dove vivere, ma di lui che ne sarebbe stato? Non poteva certo – né tantomeno avrebbe voluto, pur avendone la possibilità – continuare ad occupare la vita dei fratelli come stava facendo in quel periodo! Magari con il passare del tempo, il lavoro al magazzino gli avrebbe fatto guadagnare abbastanza per affittare un appartamento giù in città. Non gli serviva niente di spettacolare: un paio di stanze sarebbero bastate. Ebbe una fugace visione delle poche stanze al piano di sopra, nelle quali Bobby aveva vissuto gli attimi più intensi della sua più recente felicità.

            “Va tutto bene?”

            “Certo, è tutto ok.” Stavolta, fu lui a mentire. Ma non poteva fare altrimenti: non poteva dire che, per un attimo, si era visto nell’atto di condividere un’intera casa con una donna. “Che fai, stasera?” Buffo, come la situazione si fosse ribaltata: adesso era lui a cercare di sviare il discorso.

            “Niente di che. Pensavo a un buon libro, o magari un film.”

            “Che ne diresti di una cena, invece?”

            “Una cena? Tu ed io?”

            “Più o meno.”

            “Più o meno?”

            “Tu, io e la famiglia. È il compleanno del cane, e credo che alle bambine farebbe piacere conoscerti. Quando ho detto di essere fidanzato sono come esplose.”

            “Hai detto alle tue nipoti che siamo fidanzati?”

            “No, in realtà non ancora. Però sarebbero contente di conoscerti.”

            Adia aprì e chiuse la bocca un paio di volte, senza riuscire a dire nulla, poi balbettò: “A cena? Con la tua famiglia?”

            “L’idea ti terrorizza così tanto?”

            “No, è solo che… insomma, siamo ancora all’inizio.”

            “E allora?”

            E allora, forse non è il caso di ostentare troppo un legame che non…” Si interruppe quando Bobby tirò fuori il cellulare dalla tasca. “Bobby, che stai…”

            “Ciao, Jerry. Senti, dì a Camille di aggiungere un posto a tavola. Sì, esatto. Sette e mezza? Va bene, ci saremo.” Chiuse la comunicazione e ripose il cellulare, continuando a fissarla con un ghigno beffardo.

            “Tu non hai davvero…”

            “Certo che l’ho fatto. Tu continui a dimenticare che sono un Mercer, tesoro” la interruppe, sporgendosi oltre il bancone per baciarla. “E’ una cena in famiglia. Niente di formale.”

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Capitolo 18
*** 18. Le Festin [Camille] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

18. Le Festin

 

 

            Bobby ignorò il cartello che diceva ‘Chiuso’ e spinse la porta, per poi far scattare la serratura. “Spero che tu sia pronta!” disse a voce alta mentre raggiungeva il retro del negozio e iniziava a salire la scala a chiocciola. Si lasciò sfuggire un profondo sospiro e un sonoro “Wow!” nel vedere Adia seduta sul bordo del letto con indosso soltanto un paio di jeans. “Dio, se non ci aspettassero a cena non ci penserei due volte prima di…”

            “Bobby” lo redarguì lei, staccando per un attimo gli occhi dall’unghia che stava finendo di limare.

            “Che c’è? Stavo solo dicendo che mi stai facendo venire voglia di strapparti di dosso… oh, scusa” si pentì, nel rendersi conto di aver imprecato.

            “No, non importa” fu la risposta di lei, che finì di indossare gli stivali e si alzò. Mentre si dirigeva verso l’armadio, Bobby la afferrò per un braccio, tirandosela vicino. “Hai le mani un po’ troppo lunghe, Mercer” lo prese in giro, concedendogli il bacio che le stava domandando. “Quando vuoi qualcosa, potresti anche chiedere.”

            “Posso saltare la cena e stare tutta la notte qui con te?” le chiese, affondandole il viso nel collo.

            “E deludere quelle due povere bambine?” ribatté Adia, staccandosi con una risata e pescando una camicetta a righe da una stampella. “Non vorrai rendermi bersaglio dell’ira delle due piccole Mercer, vero?”

            “Ah, quelle bambine sono buone come il pane. Non farebbero male a una mosca, figuriamoci alla mia ragazza.”

            “Sai” commentò lei, allacciandosi l’ultimo bottone, “è strano pensare a me come alla tua ragazza.” Dopo un attimo di silenzio, si lasciò sfuggire una breve risata.

            “Perché ridi?” le domandò, avvicinandosi piano.

            “Stavo pensando alla faccia che avrebbe fatto mio padre, se fosse ancora vivo.”

            “Probabilmente mi avrebbe chiuso nei sotterranei della chiesa.”

            “La nostra chiesa non ha sotterranei” lo rassicurò. Abbassò lo sguardo per un attimo, pensierosa, poi rialzò gli occhi e guardò il riflesso di Bobby nello specchio davanti a lei. “Bobby…”

            “Che c’è?” le chiese, molto più vicino di prima.

            “Ecco, se… tu… tu ti stancherai di me, vero?” Bobby abbassò lo sguardo a sua volta, senza rispondere. “Volevo… sai, solo essere… preparata. Per quando accadrà.”

            “Adia, io non… non voglio che pensi una cosa del genere. Non posso prometterti che staremo insieme per sempre e saremo felici e contenti, non è nel mio stile. Potrebbe finire, sì” ammise, accarezzandole una ciocca scura sfuggita al fermaglio. “Ma se finisse, non potrebbe mai essere perché mi sono stufato di te. Non potrei mai stancarmi di te.” La ragazza annuì per dimostrare di aver compreso, e allora lui sorrise. “Dai, andiamo. Siamo quasi in ritardo.”

            “Metto il giubbotto e arrivo. Fammi un favore, prendi la bottiglia di vino che c’è sul tavolo.”

            “Wow” commentò l’uomo. “Che te ne fai?”

            “Mi hai invitato a una cena di famiglia senza nemmeno chiedere il permesso ai padroni di casa. Portare una bottiglia di vino mi sembra il minimo” osservò lei, controllando di essere in ordine.

            Quando si furono accomodati in auto e furono partiti verso la meta, Bobby le sfiorò il ginocchio con due dita, sussurrandole: “Sai, l’azzurro ti sta benissimo. Si intona con gli occhi.” Nel buio, Adia si sentì avvampare: Bobby Mercer le stava davvero facendo un complimento che non riguardava il sesso? Allora, forse, stavano davvero dando una svolta al loro rapporto.

            “Grazie, Bobby.”

 

            Bobby la stupì ancora quando, arrivati a casa di Jerry, le aprì lo sportello e le diede una mano a scendere. Infilò la chiave nella toppa e aprì la porta, scostandosi poi per lasciarla entrare. “Benvenuta nell’umile casa di mio fratello” le sussurrò, mentre lo scalpiccio di piedi infantili annunciava l’arrivo delle due bambine.

            “Zio Bobby, sei arrivato!” esclamò la più piccola, saltando immediatamente tra le braccia dell’uomo. “Zio Angel era arrabbiato perché sei in ritardo, e ha detto una parola brutta, e mamma lo ha picchiato con lo straccio.” Solo in quel momento le due bambine si accorsero della presenza di Adia.

            “Zio Bobby…” lo chiamò la più grande, strattonandogli il giubbotto. “Lei è la tua fidanzata?”

            Alla parola fidanzata, i quattro adulti riuniti in cucina si catapultarono nell’ingresso in modo più o meno rocambolesco, facendo sussultare la coppia appena entrata. “Ok, credo ci siano un paio di presentazioni da fare…” sospirò Bobby. “Adia, questi sono mio fratello Jerry e mio fratello Angel. Lei è Camille, la moglie di Jerry, e lei è Sofi, la fidanzata di Angel. Le bambine già le conosci, no?” Fece una pausa, poi continuò. “Questa è Adia, la… la mia ragazza.”

            Dopo un rapido giro di strette di mano e di sorrisi, Adia mostrò il vino. “Io avrei portato questo, per la cena. Non so se va bene, ma visto che Bobby mi ha avvertita all’ultimo…”

            “Grazie, è un pensiero molto carino” rispose Camille. “Vogliamo accomodarci?”

            Bobby mise giù la bambina, e mentre gli altri si avviavano verso la cucina rimase indietro con Adia. Le tolse il cappotto e si voltò per appenderlo ad uno dei ganci. “Sei sempre in tempo a scappare, se vuoi” le sussurrò, prendendola in giro e offrendole subito dopo la mano.

            “Non andrei lontano, temo” rispose lei, accettando la mano e lasciandosi guidare da Bobby.

 

            Ciò che più spaventava Adia, ovvero riuscire ad avere una conversazione normale con la famiglia di Bobby, si rivelò più facile del previsto: le bambine, entusiaste di conoscere la donna che, secondo loro, avrebbe sposato zio Bobby, non le diedero tregua nemmeno per un minuto, chiedendole continuamente informazioni sui suoi gusti in fatto di animali e favole, e sbilanciandosi persino a chiederle qualcosa a proposito della sua famiglia. Sotto lo sguardo indagatore della famiglia – che comunque, non era così tremenda – Adia si lasciò interrogare volentieri: in fondo, i bambini le erano sempre piaciuti, e più di una volta aveva fatto da babysitter ai figli di Aaron, risultando loro più gradita della madre. E poi, a tratti, nascosta dalla tovaglia, la mano di Bobby stringeva il suo ginocchio e le sfiorava la gamba, facendole percepire il suo appoggio.

            Verso le nove e mezzo, complici un paio di sbadigli da parte della bambina più piccola, Camille decise che era il momento di mandarle a dormire. Le fece alzare e salutare tutti, poi cercò di indirizzarle verso le scale. “Forza, ragazze. Domani c’è scuola.”

            “Possiamo farci leggere una favola, mamma?” domandò la maggiore, con voce speranzosa.

            “Ma certo, tesoro. Infilatevi il pigiama, io vi raggiungo subito” le assicurò Jerry.

            “Ma noi non vogliamo te, papà” contestò la piccolina.

            “Vuoi che venga io, tesoro?” indagò Sofi, che di solito veniva preferita per il suo strano accento.

            La bambina scosse la testa. “Può venire la fidanzata di zio Bobby?”

            Ci fu un attimo di silenzio, durante il quale i sei adulti si scambiarono occhiate piuttosto sorprese. “Io non… non credo sia il caso di…” balbettò Adia, guardandosi intorno con aria nervosa. “Insomma, io non so…”

            “Non sai leggere le storie?” le chiese preoccupata la piccola, incredula di fronte alla possibilità che una donna adulta non sapesse leggere le favole.

            “Oh, no, certo che le so leggere. Le leggevo sempre ai miei nipoti. È solo che…”

            “Beh, ma allora puoi leggerle anche a noi” osservò la più grande, in tono ovvio.

Camille le spinse verso le scale. "Su, andate a cambiarvi per la notte." Aspettò che fossero al piano di sopra, poi si voltò verso Adia, ancora imbarazzata. "Mi daranno il tormento per settimane, se non leggerai per loro" sorrise. "Ti faccio strada?" Il sorriso della moglie di Jerry era aperto e amichevole, come Adia non si sarebbe mai aspettata. Insomma, da quando aveva riallacciato i rapporti con Bobby sapeva che i Mercer non erano soltanto pugni, calci e brutto carattere, ma essere considerata come una di famiglia da una donna con la quale non aveva quasi mai parlato prima di quella sera... beh, era strano. Strano forte.

"Io non... io non vorrei essere invadente..." cercò di giustificarsi.

"Non dire sciocchezze. Le bambine sono piuttosto diffidenti, di solito. E' raro che decidano di interagire con qualcuno di loro spontanea volontà" spiegò Jerry. "In questo, hanno preso da Bobby" aggiunse, con una risata.

“Siete… sicuri che…”

“Su, vai” la esortò Bobby.

Camille la condusse al piano superiore con un sorriso. “Di solito basta un capitolo, per farle addormentare.”

Adia entrò piano nella stanza, sorridendo e lasciando che Camille socchiudesse la porta. La più piccola reggeva un libro quasi più grosso di lei, e le chiese di sedersi sul suo letto. Zia Adia, come ormai era stata soprannominata, obbedì e prese in custodia il libro, iniziando a leggere un nuovo capitolo delle avventure di Peter Pan. Aveva riconosciuto immediatamente il libro: Camille aveva ceduto alle richieste delle bambine e lo aveva comprato proprio nel suo negozio. I segni d’usura facevano pensare che fosse stato letto parecchie volte, e di questo Adia non poteva che essere felice.

Mentre leggeva, le parve di sentir scricchiolare la porta, ma non ci fece caso, o forse pensò che fosse soltanto una piccola corrente d’aria. Quando vide che le bambine erano profondamente addormentate, chiuse il libro e lo appoggiò sulla scrivania, spense la luce e uscì in corridoio senza far rumore. Dall’altra parte della porta, in silenzio, l’aveva aspettata Bobby. “Però, sei brava a leggere le favole” le sussurrò.

“Mi sono allenata” rispose lei, avviandosi verso le scale.

“Aspetta” le sussurrò ancora, trattenendola per un braccio. “Io…”

“Che c’è?” gli domandò lei, dopo dieci secondi di silenzio.

“Niente” fu la sua risposta. “Ti riaccompagno a casa.”

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Capitolo 19
*** 19. Love Me Tender [Frank Sinatra] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

19. Love Me Tender

 

 

            Il viaggio di ritorno fu piuttosto silenzioso: Adia ancora non riusciva a capacitarsi di aver superato indenne il primo incontro con la famiglia di Bobby, e soprattutto non riusciva a credere di aver fatto una così buona impressione da riuscire a farsi immediatamente strada nel cuore delle due bambine. “Ti senti bene?” si sentì domandare a un certo punto.

            “Certo, sto benissimo. Perché?”

            “Perché non hai risposto alle ultime tre domande che ti ho fatto” le rispose Bobby, continuando a guidare.

            “Scusa, ero un po’… sovrappensiero.”

            “Ti capita spesso, ultimamente” osservò lui, distogliendo lo sguardo da lei e lasciandolo vagare sulla città.

            “Sì, è vero” ammise Adia sottovoce.

            “Ne vuoi parlare?”

            Lei scosse la testa e sorrise. “Non è niente di grave. Stavo solo pensando a stasera. Sono stata bene.”

            “Certo che sei stata bene. I Mercer trattano bene gli ospiti.” Parcheggiò davanti alla libreria e spense il motore. Si voltò verso Adia e le passò un braccio dietro le spalle. Si avvicinò con gesti lenti e misurati, insicuro solo in apparenza. Era incredibile come pochi giorni insieme fossero stati sufficienti ad insegnare ad Adia come interpretare i comportamenti di Bobby. Lasciò che la pressione della mano di Bobby sulla sua schiena la spingesse verso di lui, e lasciò che lui la baciasse. Non c’erano dubbi, Bobby con le donne ci sapeva fare: un misero bacio era riuscito ad interrompere il flusso disordinato dei suoi pensieri, e un misero bacio la stava spingendo a desiderare di trascorrere un’altra notte insieme.

            “Stanotte puoi restare, se vuoi” gli sussurrò, staccandosi di quel poco che bastava per articolare quelle cinque parole.

            “Tu vuoi che resti?”

            “Non te lo avrei chiesto” gli fece notare.

            “Ok, resto. Tu entra, io parcheggio meglio e arrivo.”

            “Va bene.”

            Adia scese, attraversò il marciapiede e si infilò in negozio, mentre Bobby riaccendeva il motore e si allontanava di qualche metro. La guardò nello specchietto retrovisore, chiedendosi ancora una volta com’era possibile che una donna così bella e speciale come Adia avesse scelto di stare con lui. Rimase in auto per qualche minuto, cercando ancora una ragione a tutto ciò che stava accadendo, o comunque cercando di convincersi che stesse accadendo davvero. L’aveva portata a cena a casa di suo fratello, le aveva fatto conoscere la sua famiglia… le sue nipoti l’avevano costretta a leggere loro la favola della buonanotte! Non poteva essere tutto vero.

            Si decise ad entrare, sbarrando l’ingresso al proprio passaggio. Mentre saliva al piano superiore, si sfilò il giubbotto. Prima di qualsiasi altra cosa, avrebbe voluto chiederle di dire la verità, di smettere di trincerarsi dietro la bugia di qualche giorno prima. C’era qualcosa che non gli aveva detto, qualcosa che stava nascondendo. E non era un’inezia, ne era sicuro. Stava pensando alle parole più adatte da usare, quando entrò nella stanza e vide Adia seduta sul bordo del letto, con un’espressione tanto triste da far pensare che sarebbe potuta scoppiare in lacrime in meno di dieci secondi. “Non ti azzardare a dirmi che stai bene” la ammonì, lanciando il giubbotto su una sedia e inginocchiandosi davanti a lei. Non ricevette risposta. “Non hai l’aria di una che sta bene” continuò, sfilandole piano gli stivali.

            “Non è niente, stai tranquillo.”

            Bobby le lanciò un’occhiata a metà tra il furioso e l’annoiato. “Non mentire a me, agnellino. Dai, che succede?”

            Adia esitò, guardandosi intorno per evitare di doverlo guardare – e per tentare di non piangere. “E’ per… è per la mia gamba” ammise, finalmente, con un filo di voce.

            “Non mi importa della tua gamba, lo sai.”

            Altro silenzio. “Mi fa male. Già da un po’.”

            “E non l’hai detto a nessuno?”

            “Non volevo essere di peso.”

            Bobby scosse piano la testa. Sapeva essere così testarda… “Sei stata da un medico, almeno?”

            “Sì, ci sono stata. Ero al telefono con lui, oggi pomeriggio. Non era un fornitore” confessò, abbassando la testa in segno di pentimento.

            “Sospettavo che mi avessi detto una bugia. Che ti ha detto?”

            “Ho bisogno di un’altra operazione. Potrebbero… ah, non so nemmeno perché te ne sto parlando.”

            “Tutti abbiamo bisogno di parlare, agnellino. Dai, che ha detto il medico?”

            Adia esitò ancora. Era stata lei a lanciare il sasso, eppure non sembrava pronta a continuare la partita. “Io… potrebbero rimettermi in sesto la gamba. Farmi smettere di zoppicare.”

            “Mi sembra una buona cosa, o sbaglio?” commentò lui, rialzandosi e mettendosi a sedere accanto a lei.

            “Sì, sarebbe grandioso, però…”

            “Però cosa?”

            “Niente. Niente di importante.” Fece per alzarsi, ma lui la trattenne per un polso e la costrinse a sedersi di nuovo.

            “Però cosa?” ripeté, severo.

            “Però… servono… ecco, servono soldi.”

            “Soldi? Quanti?”

            “C-cinquantamila dollari. E io non… non li ho.” Abbassò la testa, sperando che i capelli le coprissero il volto. Non servì, perché Bobby riuscì comunque a vedere la lacrima che le rigò la guancia.

            “Ci sarà sicuramente una soluzione” la rincuorò lui. “Tuo fratello e le tue sorelle sicuramente…”

            “Aaron farebbe di tutto per me, questo è vero. Sulle mie sorelle ho qualche dubbio” rispose sarcastica.

            “Perché? Sono le tue sorelle, in fondo” si stupì Bobby. continuava ad illudersi che tutte le sorelle e tutti i fratelli del mondo fossero pronti ad aiutarsi l’un l’altro come lo erano lui, Angel e Jerry.

            “Loro… loro mi considerano responsabili della morte di papà” confessò Adia, alzandosi e riponendo gli stivali nel solito angolo. “Se non fosse stato per me, non ci sarebbe stato il musical. Niente musical, niente prove. Niente prove, niente sparatoria sul sagrato della chiesa.”

            “Ma non è stata colpa tua!” esclamò Bobby, scattando in piedi a sua volta.

            “Lo so, Bobby! So benissimo che avrebbero trovato un altro momento per ammazzarlo, ma loro non vogliono rendersene conto! Mi considerano colpevole quanto gli uomini che hanno sparato, lo capisci? Loro pensano che sia colpa mia!” Stava urlando, e stava piangendo. E gli stava raccontando cose di sé che pochissimi sapevano. Cose di cui non gli sarebbe importato nulla, dieci anni prima. Ma adesso era tutto diverso: adesso, Adia era la donna che amava, e vederla così disperata gli faceva male. La raggiunse e la strinse in un abbraccio, cercando di farle sentire tutta la sua presenza. Le accarezzò i capelli, mentre lei continuava a ripetere ciò che le sorelle pensavano di lei.

            “Ssh” le sussurrò, accarezzandola con dolcezza. “In qualche modo faremo. In qualche modo troveremo i soldi.”

            “No, Bobby, voglio che ne resti fuori.”

            “Non posso starne fuori, Adia. Ci sono dentro. Ci sono saltato dentro quando ti ho fatta cadere davanti al supermercato.”

            Trascorse qualche minuto di silenzio. “Perché vuoi aiutarmi, Bobby?”

            “Io voglio… voglio aiutarti perché ti amo, Adia.” Fatto, l’aveva finalmente detto. Ti amo, Adia.

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Capitolo 20
*** 20. Fino In Fondo [Luca Barbarossa feat. Raquel Del Rosario] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

20. Fino in fondo

 

 

            Erano rientrati ormai da cinque ore. Il display della sveglia segnava le tre del mattino. Nel buio della stanza, stesa sul lato sinistro del letto, Adia fissava la quercia innevata al di là del vetro. Sospirò. “Scusami, Bobby” sussurrò.

            “Per che cosa?” le domandò lui con la voce impastata. Evidentemente non dormiva, mentre lei aveva sperato di sì.

            “Immagino pensassi a qualcosa di diverso, quando ti ho chiesto di restare.” Adia lo sentì muoversi alle sue spalle, e anche senza guardarlo sapeva che doveva essersi voltato sul fianco sinistro, e che probabilmente si stava puntellando con il gomito sul cuscino. Ormai lo conosceva. “Insomma, pensavo che…”

            “Che avessi accettato per la prospettiva di fare sesso?” la interruppe. “Ammetto di aver preso in considerazione l’ipotesi di farlo, ma non è l’unica ragione per cui ho accettato.” Accarezzò i lunghi capelli scuri della ragazza e si attorcigliò una ciocca attorno al dito. “Sono abbastanza grande da rendermi conto che una relazione non può essere basata esclusivamente sul sesso.”

            “Non avrei mai pensato di sentirlo dire da…”

            “Uno come me?” la interruppe ancora. “Sono d’accordo. Ma il bello della vita è che si cambia: un giorno la pensi in un modo, il giorno dopo ti rendi conto di aver sbagliato. È questo il bello.” Un fruscio le fece capire che si era di nuovo steso accanto a lei. Con il braccio destro le cinse la vita, stringendola a sé con una dolcezza fino a quel momento mai dimostrata. “Che fai, non rispondi con una delle tue solite battute acide?”

            “L’hai detto tu, che nella vita si cambia.”

            Bobby la strinse più forte. “Ti aiuterò, Adia. Ti aiuterò a trovare quei soldi.”

            “No, non voglio che tu perda tempo per questa storia.”

            “Non è una perdita di tempo, se può renderti felice.” Un altro lungo silenzio gli fece sospettare che si fosse addormentata. “Adia?”

            “Perché?”

            “Perché voglio aiutarti? Credevo di avertelo detto…”

            “Perché ti sei innamorato di me?”

            Bobby inspirò profondamente. “Perché sei la persona più forte che abbia mai conosciuto.”

            “Forte? Io? Sicuro di non avermi confuso con la ragazza del giovedì?”

            “Dai, non fare la scema” ribatté lui, con un sorriso. “Tu sei forte, Adia. Ne hai passate tante in vita tua, eppure non ti sei mai stancata di combattere. Hai perso praticamente tutta la tua famiglia, eppure continui a stare dalla parte giusta, continui a… sei forte, Adia.”

            Nel buio, Adia sorrise. “E poi, ho resistito al tuo fascino” lo prese in giro.

            “Mi mancavano già le tue battute” rise lui, obbligandola a voltarsi per baciarla.

 

            “Che hai, fratello? Ti vedo preoccupato.”

            “Niente” rispose Bobby, senza preoccuparsi di risultare convincente.

            “Dai, sai che puoi parlarmi di tutto. Si tratta di Adia? Avete litigato?”

            “No, va tutto bene. Dai, non voglio parlarne.” Liquidò rapidamente la faccenda, sperando che il fratello demordesse. Ma Jerry era un vero Mercer, e non avrebbe mai lasciato perdere senza prima aver combattuto.

            “Le bambine si sono innamorate di lei, sai? Stamattina a colazione non hanno smesso nemmeno per un minuto di parlare di zia Adia. Non mi stupirebbe se stessero già pensando ai nomi da dare ai loro cuginetti.”

            “Che ci pensino pure, ma tanto non se ne parla. Non in un prossimo futuro, almeno.”

            Jerry fece spallucce. “Le faresti felici.”

            Bobby si immobilizzò e guardò il fratello con tanto d’occhi. “Dovrei fare dei figli soltanto per far contente le tue figlie?” domandò, incredulo.

            “Ehi, se la metti così è squallida. Però devi ammettere che hai l’età giusta per diventare padre.” Bobby non rispose a quella frecciatina da parte del fratello. Non poteva rischiare di tradirsi e ammettere che ci aveva pensato, a come sarebbe stato avere un figlio. Ci aveva pensato più di una volta, l’ultima proprio quella notte. Adia aveva chiuso gli occhi e lentamente si era addormentata, proprio tra le sue braccia. Bobby aveva sentito il suo respiro cambiare e farsi più lieve, e in quel momento aveva compreso che Adia si sentiva al sicuro, accanto a lui. Lui stesso si sentiva diverso, quando era con lei. Avrebbe potuto chiudere gli occhi e dormire, esattamente come stava facendo lei, eppure non ci riusciva. Non faceva che ripensare agli anni passati, quando cambiava le ragazze con la stessa frequenza con cui si cambiava i calzini, e iniziava a chiedersi se quelli fossero davvero stati anni sprecati. Davvero aveva gettato al vento anni, rincorrendo le cose sbagliate?

            “Bobby?” La voce di Jerry lo riportò bruscamente alla realtà.

            “Cosa?”

            “Che ti prende?”

            Bobby aspettò, prima di rispondere. Avrebbe voluto trovare una scusa, mentire… ma da un po’ di tempo, non ci riusciva più. “Jack” sussurrò. “Se avessi un maschio, lo chiamerei Jack.” Incontrò lo sguardo incredulo di Jerry. “Non fare quella faccia. Mi è capitato di pensarci, tutto qui. E ho pensato che sarebbe stata una bella idea per ricordare nostro fratello.”

            L’espressione basita di Jerry si sciolse fino a diventare un sorriso, mentre una sonora risata riempiva la casa, ormai quasi ultimata. “Vi prego, ditemi che è una candid camera! Non posso credere che Bobby Mercer abbia davvero deciso di mettere la testa a posto!”

            “Fanculo, Jerry.”

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Capitolo 21
*** 21. Look Through My Eyes [Phil Collins] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

21. Look Through My Eyes

 

 

            “Quanto credi che manchi alla fine dei lavori, Jerry?” domandò Angel, quando finalmente si fermarono per una pausa.

            Il fratello alzò le spalle. “Non molto, immagino. Insomma, siamo andati bene finora. Non è vero, Bobby? Bobby?” ripeté, notando che il fratello era di nuovo perso nei propri pensieri, come immerso in un mondo a sé.

            “Sì, è una buona idea. Ci sto” rispose Bobby, riscuotendosi in fretta dal proprio torpore.

            “Ma che ti sei fumato la scorta di Cracker Jack?” chiese Angel, decisamente sconvolto. “Sei completamente fuori!”

            “Ne vuoi parlare, fratello?”

            “Non c’è niente di cui parlare, sto bene” rispose acido Bobby, pentendosene subito dopo. Si stava comportando esattamente come Adia: si mostrava pensieroso, e quando qualcuno gli domandava di parlare dei suoi problemi, lui negava qualsiasi difficoltà. Fanculo, pensò. Fanculo a tutto. “E’ che non ve ne posso parlare. Sono faccende private.”

            “Faccende private?” ripeté Angel, incredulo. “Non ci sono mai stati segreti tra noi, Bobby.”

            “Non è un segreto, Angel. Non ne posso parlare, è diverso.”

            “Riguarda Adia?” chiese Jerry, mantenendo la solita flemma. “Che cos’hai combinato?”

            “Che cosa ho… perché devo essere sempre io a combinare qualcosa? Solo perché non sono mai stato un santo, non vuol dire che la colpa di tutto sia mia!”

            “Non ho detto questo, Bobby. Volevo solo sapere se è successo qualcosa. Insomma, ieri eri tutto felice, e adesso…”

            “No, non è successo niente” tagliò corto Bobby, allontanandosi di qualche passo per far sbollire la rabbia.

            Angel e Jerry lo guardarono, senza muoversi di un centimetro. Sapevano di aver tirato troppo la corda, ma nessuno dei due si sentiva tranquillo, nel sapere che qualcosa turbava Bobby. Erano i fratelli Mercer, dopotutto. Anche senza la mamma, anche senza Jack. Rimanevano comunque i fratelli Mercer. E se un Mercer aveva un problema, tutti gli altri erano in dovere di aiutarlo. Jerry e Angel avrebbero fatto il giro del mondo per Bobby, anche se conoscevano loro fratello, e sapevano che non era nel suo stile accettare l’aiuto degli altri, meno che mai lo sarebbe stato chiederlo. Eppure, contrariamente ad ogni ipotesi, Bobby si voltò e tornò indietro a passo sicuro.

            “La ferita di Adia è peggiorata” confessò in tono duro. “E’ stata dal medico, e dovrebbe… c’è un intervento che può fare. Rimetterebbe a posto tutto, tornerebbe ad essere quella di prima. Ma l’operazione costa cinquantamila dollari. E lei non li ha, cinquantamila dollari” concluse, sussurrando.

            “Te lo ha detto lei?” chiese Jerry.

            “Ieri sera, quando l’ho riaccompagnata a casa. L’ho dovuta praticamente costringere a parlare, o non me l’avrebbe detto” spiegò l’altro, stringendo i pugni in tasca. “Non l’ha detto a nessuno, neanche alla sua famiglia.”

            “Le sue sorelle potrebbero aiutarla” osservò Angel. “Hanno sposato tutte e quattro dei tipi con la grana.”

            “Non si parlano. Le sue sorelle danno ancora la colpa a Adia per la morte del padre. Pensano che se non ci fosse stato il musical di Natale, gli scagnozzi di Victor Sweet non lo avrebbero fatto fuori.”

            “Che idiozia!” esclamò Jerry. “Lo avrebbero fatto secco in un altro momento.”

            “E’ quello che ho detto anch’io. Ma quelle quattro stronze non capirebbero comunque.” Fece una pausa. “Non l’ha detto nemmeno a suo fratello. Ha paura che voglia aiutarla” osservò, con un sorriso. “Non vuole problemi con la cognata.”

            “La capisco” osservò Angel sottovoce.

            “Non vedo il problema, Bobby” disse Jerry, guardando il fratello.

            “Non vedi il problema?” ripeté Bobby. “Mi servono soldi, Jerry. Mi servono cinquantamila dollari, e non conosco un solo modo pulito per trovarli.”

            “Ce li hai sotto il naso, fratello” rispose l’altro, indicando la casa.

            “Non venderò la casa della mamma, Jerry” ribatté Bobby stizzito.

            “Possibile che debba sempre spiegarvi tutto? I soldi dell’assicurazione, Bobby. Ho fatto qualche calcolo. Una volta finiti i lavori e sistemate un po’ di pratiche riguardanti l’eredità, ci divideremo il resto dei soldi, e a ognuno di noi spetteranno centomila dollari. Puoi prendere cinquantamila dollari in anticipo per pagare l’intervento di Adia.”

            Angel annuì. “Sì, fratello, per me non ci sono problemi.”

            “Aspetta un momento, com’è che Angel sapeva tutto e io non sapevo niente?”

            Jerry alzò le spalle, sorridendo. “Non è colpa mia se hai iniziato a dormire sempre fuori casa.”

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Capitolo 22
*** 22. Salvami [Gianna Nannini feat. Giorgia] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

22.Salvami

 

 

            Bobby fece il giorno dell’isolato per tre volte, prima di decidersi a parcheggiare. Era stato facile accettare la proposta di Jerry e Angel di riscuotere in anticipo metà di quanto gli sarebbe comunque spettato. Era stato facile anche infilarsi in tasca l’assegno. Era stato facile guidare fino al quartiere di Adia. Ma convincerla a prendere quei soldi avrebbe potuto non essere così semplice. Adia avrebbe lottato con le unghie e con i denti, pur di non farsi aiutare. Nonostante la mancanza di obiezioni, lui sapeva che lo avrebbe contestato. Era fatta così, la donna che amava. Non riusciva ad accettare che a qualcuno importasse di lei. Avrebbe respinto con tutte le sue forze l’aiuto di Bobby, ma lui se ne sarebbe fregato. Perché anche lui era testardo, e l’avrebbe costretta ad accettare quei soldi, a costo di portarla di peso in sala operatoria.

            “Ehi” la salutò, entrando nel negozio.

            “Ehi, ciao” rispose lei. “Un attimo e sono da te” aggiunse, indicando una cliente, una signora già piuttosto in là con gli anni.

            “Non preoccuparti, non ho fretta.”

Iniziò a curiosare in giro, ma nonostante l’apparente distrazione e la distanza dal bancone riuscì a cogliere piuttosto distintamente ciò che la donna bisbigliò a Adia: “Fa’ attenzione, tesoro. Quello secondo me ti vuole derubare.”

Sorrise, cercando di reprimere una risata, e nello stesso istante udì la risposta della presunta vittima, sempre sussurrata: “Non si preoccupi, signora Collins. Lo ha già fatto, e le assicuro che è stata l’esperienza più bella della mia vita.” Il sorriso gli si congelò sul viso: di che diavolo stava parlando? “Mi ha rubato il cuore, e non ho alcuna intenzione di riprendermelo” aggiunse lei, probabilmente per sciogliere i dubbi della cliente. Bobby sorrise ancora.

“Cos’è questa storia della rapina?” le domandò quando la signora Collins li lasciò finalmente soli.

“Ho pensato di romanzare un po’ la cosa” rispose Adia, iniziando ad oscurare la vetrina per mezzo delle veneziane. “In realtà non me lo hai rubato, il cuore. Diciamo che te lo sto noleggiando.”

“Noleggiando, eh? E sentiamo, come ti pago?”

“Comportandoti bene.”

Bobby scoppiò a ridere. “Questa è bella, davvero. Una relazione noleggiata…”

“Sì, modestamente so essere molto divertente” ribatté Adia, facendo scattare la serratura e chiudendo definitivamente il negozio. “Ho fatto il pasticcio di patate, ieri sera. Però ho sbagliato le dosi. È troppo, per una persona sola.”

“Mi stai chiedendo se voglio fermarmi a cena?”

“Forse. Vuoi fermarti a cena?”

“Potrei volerlo. Tu vuoi che io mi fermi?”

“Se tu vuoi, lo voglio anch’io.”

“Lo sai che sembriamo due adolescenti al primo appuntamento?” le fece notare.

“Hai ragione” ammise lei. “Allora, vuoi fermarti a cena?”

“Non posso lasciarti mangiare tutto quel pasticcio da sola. Farai indigestione.”

 

Bobby si stiracchiò sulla sedia, allungando le gambe e appoggiando la schiena al legno. “Di questo passo mi farai ingrassare, lo sai?”

“Non ti facevo il tipo di uomo che si preoccupa del proprio peso” lo prese in giro Adia, alzandosi per mettere via i piatti sporchi.

La prese per il polso e la attirò delicatamente a sé. “Dai, vieni qui.”

“Devo lavare i piatti” protestò debolmente Adia, lasciandosi tirare indietro.

Loro possono aspettare” ribatté l’uomo, facendola sedere sulle proprie ginocchia e baciandola immediatamente, per impedirle di rispondere. Sfilò la matita con la quale si era raccolta i capelli, lasciando che le ricadessero lungo la schiena, e lanciò via il fermaglio improvvisato, che atterrò con un colpo secco in un punto imprecisato della stanza. Con la stessa mano, prese l’assegno dalla tasca dei jeans. Si staccò lentamente da Adia e si passò la punta della lingua sulle labbra, cercando le parole giuste da dire. Non riuscendoci, si limitò a porgerle il foglietto piegato a metà.

“Bobby, stai bene? Che… che cos’è?” domandò, prendendo con circospezione il pezzo di carta. Lo aprì e distolse immediatamente lo sguardo. “No, Bobby. Non… come… non so nemmeno come… no, Bobby, non posso accettare.”

“Sapevo che avresti detto così” sussurrò l’uomo, sorridendo debolmente. “Accettali, Adia. Per favore. Se non vuoi farlo per me, fallo almeno per te.”

“Perché… perché vuoi…”

“…aiutarti? Te l’ho detto. Te l’ho detto più di una volta.” Fece una pausa. “Vedilo come un favore personale.”

“Un favore” ripeté Adia in tono piatto. “E che cosa vorresti che facessi per te?”

“Niente. Niente di più di quello che già fai.”

“Che cosa ho fatto per te finora, a parte offrirti un paio di cene?”

Bobby le sfiorò uno zigomo, tornando finalmente a guardarla negli occhi. “Tu mi stai salvando, Adia. Ogni giorno che passa, tu… tu mi cambi, mi rendi migliore. E lo so che detta così sembra una stronzata, ma è la verità. Tu… tu continua a salvarmi, per favore.”

Adia lo abbracciò con tutta la forza di cui era capace, senza parlare. Nessuno dei due disse altro.

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Capitolo 23
*** 23. Si Todos Fuesen Iguales A Ti [Miguel Bosé feat. Rosa Leon] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

23.Si Todos Fuesen Iguales A Ti

 

 

            Finito di fare l’amore, Bobby si appoggiò con la schiena alla testiera del letto, lasciando che Adia si accoccolasse contro di lui. Era incredibile come anche il suo modo di fare sesso fosse cambiato, nell’ultimo mese: prima di Adia, Bobby aveva sempre pensato prima al proprio piacere, e solo dopo a quello della donna; e prima di Adia, aveva sempre detestato il fatto di essere toccato, una volta finito. Ma adesso, con lei – forse perché ne era innamorato – era tutto diverso: pensava prima a lei e poi a se stesso, non fuggiva come un ladro una volta avuto quel che voleva e addirittura le aveva passato un braccio dietro la testa e la stava accarezzando.

            “Non sarà facile. Questo lo sai, vero?”

            “A cosa ti riferisci?”

            “All’operazione. Non è come farsi togliere le tonsille. Dovranno ricostruirmi i legamenti del ginocchio, ci vorranno almeno sei settimane  prima che io…”

            “Bel tentativo, complimenti” la interruppe.

            “Tentativo?”

            “Se stai cercando di convincermi a lasciarti, sappi che non funziona. Ho aspettato quasi dieci anni, prima di poterti mettere le mani addosso, e di certo non rinuncio adesso.” Con l’altra mano salì ad accarezzarle la guancia. “Io non me vado più, Adia” le sussurrò, a pochi centimetri dal viso.

            “Sei proprio un duro, eh?”

            “Oh, non sai quanto” sorrise, prima di baciarla ancora una volta.

            “Meno male che non tutti sono come te” lo prese in giro.

            “Scherzi? Io sono un pezzo unico. È per questo che tutti mi vogliono.”

            “E allora com’è che nessuna ti ha mai tenuto per sé?” ribatté, sfiorandogli con l’indice uno dei tatuaggi.

            “Perché io non volevo rimanerci, tutto qui.”

            Adia si strinse un po’ di più a lui. “Ci metterò secoli per restituirti i soldi, lo sai?”

            “Lo fai apposta, vero?”

            “Cosa?”

            “Farmi arrabbiare. Quei soldi sono un regalo, non desidero che tu me li restituisca.”

            “Bobby, non mi hai prestato un dollaro per il biglietto dell’autobus. Sono cinquantamila dollari. Cinquantamila biglietti dell’autobus.”

            “Sì, e sono un regalo. Sul serio, se ti azzardi a restituirmi anche un solo dollaro, giuro che li brucerò.”

            “Testardo” sbuffò la ragazza.

            “Sono tuo degno compare, cara mia.” Fece una pausa. “Come farai con il negozio? Insomma, con tutta la riabilitazione che dovrai fare, non credo che sarai in grado di lavorare…”

            “Beh, io… io chiuderò il negozio. Per sempre, intendo.”

            “Cosa?”

            “Sì, io… io volevo dirtelo già l’altro ieri, poi non c’è stata occasione… mi hanno… mi hanno assunta giù alla biblioteca.”

            “Credevo ti piacesse avere una tua attività…”

            “Beh, non così tanto. Ci ho pensato parecchio, prima di decidermi a fare un colloquio. È un lavoro più tranquillo, pagano bene, è un guadagno sicuro, ed è decisamente meno faticoso: non devo tenere i conti, non devo preoccuparmi di… ho fatto male, vero?”

            “No, no, assolutamente. Sono solo… sorpreso, non credevo avessi problemi di questo genere. Quindi, il negozio che fine farà?”

            “Beh, potrei continuare ad affittare il negozio e l’appartamento, oppure potrei cercare un’altra sistemazione. Escludo l’ipotesi di tornare a casa di Aaron.”

            Seguirono dieci secondi di silenzio. “Vieni a stare da me.”

            “Cosa?” domandò Adia, stupefatta, mettendosi a sedere e voltandosi di scatto a guardarlo.

            “Che c’è?” le domandò lui, allargando le braccia.

            “Tu mi hai chiesto di vivere con te?”

            “Beh, la casa è quasi completamente ristrutturata, e c’è tanto spazio per tutti. Insomma, per Sofi e Angel, e per me e per te. E poi, passo più tempo qui che a casa di Jerry. È un po’ come se vivessimo già insieme.”

            La logica di Bobby non faceva una piega, ma Adia ancora non riusciva a credere alle proprie orecchie. Vivere insieme? Condividere tutto, nella casa che era stata della madre di lui, nella casa che lo aveva visto crescere? Formare una famiglia, insieme, in quella casa dove lui aveva trovato la cosa più simile alla pace e alla felicità? “Tu non… non stai scherzando, vero? Me lo stai chiedendo sul serio?”

            “Certo che te lo sto chiedendo sul serio. Non scherzo mai, se c’è di mezzo mia madre.”

            “I-immagino di…”

            “Devi solo dire di sì, Adia. Vieni a vivere con me.” Si avvicinò e con dolcezza le prese il viso tra le mani. “Sei la prima donna a cui io l’abbia mai chiesto.”

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Capitolo 24
*** 24. There For Me [Sarah Brightman feat. Josh Groban]. ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

24. There For Me

 

 

            “Posso… posso parlarti un minuto?” chiese Bobby a Angel, in un momento di pausa.

            Jerry alzò le mani in segno di resa. “Io devo fare una telefonata di lavoro, tolgo il disturbo.” Si allontanò, lasciando i due fratelli soli, l’uno di fronte all’altro.

            “Fratello, che hai? Sembri sconvolto, va tutto bene?” gli domandò Angel, notando l’espressione pensierosa.

            “Come l’hai capito?”

            “Beh, hai una faccia…”

            “No, no. Come… come hai capito che era Sofi la donna giusta per te?”

            “Oh, io… sinceramente, non lo so. Non sono nemmeno sicuro che lo sia.”

            “E allora perché la sposi?”

            “Perché è la donna più giusta che abbia mai incontrato.”

            Bobby sbuffò. “Fottuta filosofia… non ci capirò mai un cazzo di queste stronzate.”

            “Allora, mi dici che è successo o ti devo pestare per farmelo dire?” indagò l’altro.

            “Senti, io… promettimi che non ti arrabbierai.”

            “Perché dovrei arrabbiarmi? Che hai combinato?”

            Bobby inspirò a fondo. “Io ho… io ho chiesto a Adia di vivere insieme. La casa della mamma è quasi finita, e lei dovrà lasciare il suo appartamento, e allora ho pensato che non sarebbe…” Si interruppe quando Angel scoppiò a ridere. “Beh?”

            “Perché diavolo dovrei arrabbiarmi, scusa?”

            “Beh, credevo che avresti voluto venirci ad abitare con Sofi, una volta sposati. Da soli” sottolineò.

            “Bobby” riprese il fratello, recuperando la serietà necessaria. “Quella non è casa mia. Era la casa della mamma, quindi ora è casa nostra: mia, tua e di Jerry. Puoi portarci chi ti pare, per quel che mi riguarda.” Fece una pausa e aggiunse, con un sorriso: “Basta che sia gente rispettabile. Abbiamo una reputazione da mantenere.”

            “Quindi non… ti va bene?”

            “Dio, certo che mi va bene! Sempre che quella pollastra non ti scarichi prima che la casa sia finita.”

            “Fanculo, stronzo.”

            “Ehi, sono solo realista. Guarda in faccia la realtà: quante probabilità ci sono che una come lei resista con uno come te?” Più di quante credi, fratello, si disse Bobby, rimettendosi i guanti da lavoro. “A proposito, ha accettato i soldi per l’operazione?”

            “Sì, li ha accettati. Ho dovuto insistere un po’, ma alla fine l’ho convinta.”

            “Avevi dubbi? Non si resiste al fascino dei Mercer!” esclamò Jerry, tornando a lavorare con loro. “Ma come diavolo hai fatto a convincere suo fratello? Mi è sempre sembrato un tipo con la testa dura…”

            “Che c’entra suo fratello?”

            Jerry lo guardò strabuzzando gli occhi, come se gli avesse appena sentito dire che Jack non aveva mai sfiorato nemmeno per sbaglio uno spinello. “Beh, immagino che gli abbia detto che sta per sottoporsi ad un intervento chirurgico… mi sembrava che fossero in buoni rapporti, no?” Aspettò invano una risposta del fratello. “Beh? Glielo ha detto o no?”

            “Non lo so” rispose Bobby, facendo spallucce. “Non ne abbiamo parlato.”

            “Giuro, non riesco a capire come facciano le donne a starvi addosso, siete due insensibili…” sbuffò Jerry.

            La protesta di Angel non tardò ad arrivare, ma i due fratelli lo ignorarono. “Dici che gliene dovrei parlare?” si informò Bobby.

            “Se tu fossi un uomo normale, ti direi di sì. Ma siccome si tratta di una questione delicata, non so davvero che dirti…”

            “Ehi, guarda che io sono perfettamente in grado di affrontare una questione delicata!” protestò Bobby, sentendosi punto sul vivo.

            Una risata soffocata da parte di Angel lo fece voltare. “Già, tu hai scritto il manuale della delicatezza…” commentò, senza riuscire a trattenere l’ilarità.

            “Ahahah” lo scimmiottò Bobby, senza troppo entusiasmo. “Posso affrontare questa cosa senza problemi, e ve lo posso dimostrare!”

            “Bobby, non fare…” iniziò Jerry, cercando di arginare il potenziale pericolo. Perché Bobby poteva diventare davvero pericoloso, quando si arrabbiava a quel modo.

            “No, Jerry, non ci provare nemmeno! Vado da lei, ci vediamo più tardi” si congedò, lanciando i guanti da lavoro a Angel e saltando in macchina alla velocità della luce.

            Angel e Jerry, rimasti indietro senza la possibilità di replicare, si scambiarono un’occhiata divertita e scoppiarono a ridere. “Tornerà indietro con la coda tra le gambe tra meno di un’ora, se affronta la cosa così” osservò Angel. “Quella lo molla all’istante.”

            “No, lei è troppo in gamba. Gli darà una bella strigliata, questo è sicuro. Ma non lo mollerà.”

            “Come fai a dirlo?”

            “Sesto senso. Sono sposato da nove anni” rispose l’altro, evasivo. “Allora, vogliamo rimetterci al lavoro?”

 

            Adia si stupì di veder piombare Bobby in libreria a quell’ora del pomeriggio: le era parso di capire che avrebbero lavorato alla casa praticamente tutto il giorno, tutti i giorni, per riuscire a finirla entro un paio di settimane. “Come mai da queste…” iniziò, bloccandosi all’istante nell’incrociare l’espressione furente di Bobby. “Che è successo? Hai una faccia…”

            “Tuo fratello lo sa?”

            “Di che cosa stai…”

            “Dell’intervento. Glielo hai detto?”

            “No” confessò Adia, dopo un silenzio piuttosto lungo. “No, Aaron non lo sa. E preferirei che continuasse a non saperlo.”

            “Che fine ha fatto il vostro bel rapporto senza segreti e senza bugie?” la interrogò, in tono sarcastico. “Pensavo vi diceste sempre tutto.”

            “Non ci diciamo sempre tutto” lo corresse. “Non è il mio frate confessore. Preferisco che non sappia dell’intervento. Non ancora, almeno.”

            “Non riesco a capire.”

            “Eppure mi sembra abbastanza semplice, Bobby” sospirò lei, sfilandosi gli occhiali. “Come credi che reagirebbe Aaron, se gli dicessi che sto per sottopormi ad un intervento chirurgico da cinquantamila dollari pagato da te?”

            “Non vuoi dirgli dell’operazione perché sono io a pagare?”

            “Non ho detto questo. Credo solo che si sentirebbe un po’ scavalcato, sapendo che ho accettato soldi da un estraneo.”

            “Ma io non sono un estraneo!”

            “Intendevo qualcuno di estraneo alla famiglia.”

            “Mi sembra che tu abbia l’età giusta per decidere da sola da chi farti aiutare, o sbaglio?”

            “Non è una questione di età, Bobby. Come ti sentiresti se Jerry o Angel avessero un problema e si facessero aiutare da me, senza dirti nulla?”

            “Beh, io non… ma che c’entra? Angel e Jerry non lo farebbero mai.” Quella conversazione stava prendendo una piega che non gli piaceva nemmeno un po’: aveva tutta l’aria di essere una litigata coi fiocchi.

            “Era soltanto un esempio, Bobby. Però potrebbe capitare. Come ti sentiresti?”

            “Va bene, probabilmente li pesterei. Ma…”

            “Ecco, appunto. Pensi che Aaron si sentirebbe diversamente, se gli dicessi che farò quell’intervento senza il suo aiuto?”

            Bobby non rispose subito, ma provò a calarsi nei panni del fratello di Adia, per capire come avrebbe potuto reagire di fronte ad una situazione simile. “Se fossi nei panni di tuo fratello” iniziò, a voce bassissima, “credo che scoprire di essere stato tenuto all’oscuro di tutto mi farebbe incazzare parecchio.” Fece una pausa e la guardò negli occhi. “Mi farebbe incazzare parecchio, sapere che mia sorella non mi ha detto di doversi ricoverare in ospedale.”

            “Non ho detto che non glielo dirò. Solo, glielo dirò più avanti.”

            “Che senso ha dirglielo adesso o tra due settimane? In ogni caso sarò io a pagare, e in ogni caso lui si incazzerà.”

            “Smettila, per favore” lo pregò. Sospirò, prendendosi la testa fra le mani. “Per favore, Bobby, smettila. Sono già abbastanza nervosa, senza che…”

            “Scusa” ribatté lui, in tono calmo. “Hai paura per l’operazione?”

            “Un po’” ammise Adia, annuendo. “E’ praticamente un’operazione di routine, ma… non mi sono mai piaciuti gli ospedali. Preferisco restarne fuori.”

            “Tu lo sai che per ogni cosa puoi contare su di me, vero?”

            Adia annuì ancora, tirando su col naso per scongiurare il pericolo di mettersi a piangere. “Lo so, Bobby. Tu ci sei sempre.”

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Capitolo 25
*** 25. Prendimi Così [Piero Pelù]. ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

25. Prendimi Così

 

 

            Seguirono due settimane piuttosto difficili da sopportare, almeno da parte di Bobby. Non c’era voluto molto per portare a termine la ristrutturazione della casa, e una volta conclusi i lavori, i tre fratelli erano tornati alle loro occupazioni: Angel era stato letteralmente inghiottito da Sofi, entusiasta all’idea di diventare presto la signora Mercer; Jerry aveva ripreso il proprio ruolo all’interno della ditta, ed era tornato ad occuparsi delle solite questioni lavorative. Bobby era tornato dal vecchio Artie, sperando che la promessa di un lavoro fosse ancora valida.

            “Assumerti? Certo, ho detto che l’avrei fatto. Lo sto facendo, no?”

            “Sì, è solo che… lo sai, no? Quello che pensa di me la gente…”

            “Di solito non te ne preoccupi.”

            “Sì, lo so, ma…” Bobby si interruppe e si grattò la nuca, sorridendo. “Dio, quella donna mi sta facendo diventare matto.”

            “Non ti ha ancora mollato?” gli chiese l’altro, sorridendo a sua volta.

            “No, non mi ha ancora mollato.”

            “Da quando vi frequentate?”

            Bobby scrollò le spalle. “Ho perso il conto. Un mese, forse un mese e mezzo.”

            “Come sta andando?”

            “Sta andando bene.” Fece una pausa. “L’ho portata a casa mia. A conoscere la mia famiglia, intendo.”

            “Bobby Mercer sta davvero mettendo la testa a posto, allora. Com’è andata?”

            “Oh, direi alla grande. Le figlie di Jerry la adorano. La chiamano ‘zia’ e le hanno chiesto di leggere loro la favola della buonanotte.”

            Artie rise. “Sai, non vorrei essere nei tuoi panni. Appena si sarà sparsa la notizia, tutti gli uomini di Detroit ti odieranno.”

            “E perché?”

            “Perché ti sei preso l’ultima brava ragazza rimasta in città, ecco perché.”

            Bobby sorrise ancora. “Beh, io sono stato via per otto anni. Hanno avuto tutto il tempo per provare a prendersela.”

 

            I dettagli dell’intervento erano stati concordati da Adia direttamente con il medico che l’aveva in cura ormai da cinque anni; nonostante la promessa fatta a Bobby circa l’informare Aaron dell’operazione, Adia non ne aveva parlato con nessuno che non fosse il dottor Turner. Cercava di evitare l’argomento anche con Bobby: sapeva che lui avrebbe finito col tirare in ballo Aaron, e lei non aveva alcuna intenzione di parlarne ancora. Era nervosa, anche se avrebbe preferito non ammetterlo. Era nervosa e aveva anche un po’ di paura: non per l’intervento – ormai era diventata un’operazione quasi di routine –, ma per quello che ne sarebbe seguito. Le sarebbero occorse almeno quattro settimane di riabilitazione, per recuperare la completa mobilità della gamba, e in tutta sincerità, lei non era convinta che Bobby avrebbe saputo reggere tanto stress. In fondo, non poteva essere cambiato così tanto.

            La sera prima del ricovero in ospedale, Adia insistette per rimanere sola, ma Bobby non si dimostrò disponibile a cedere alla richiesta. “Nossignora, non ti lascio sola la notte prima dell’operazione” protestò, chiamandola dal lavoro durante la pausa pranzo.

            “Dai, Bobby, potresti. Tanto, ho intenzione di mangiare qualcosa e di andare subito a dormire.”

            “A maggior ragione, se i tuoi programmi sono questi, avrai bisogno di compagnia per non annoiarti, no? Ok, scherzavo” si corresse immediatamente, nel cogliere l’inizio di un rimprovero da parte della ragazza. “Ma non ti lascio sola comunque” aggiunse, mentre la sua voce cambiava di tono.

            All’altro capo del filo, Adia sorrise. Quei cambiamenti sembravano farsi sempre più frequenti, e sembravano proprio voler testimoniare il mutamento profondo del carattere di Bobby. “E va bene, allora. Ma non ti fare strane idee” lo redarguì.

            “Nossignora, niente strane idee. Oh, alla cena ci penso io.”

            “Come sarebbe a dire che alla cena ci pensi tu?” ribatté lei, stupita. “Non mi risulta che tu sia un asso in cucina.”

            “Non mi risulta che lo sia nemmeno tu. E dai, agnellino, fidati di me.”

            “Bobby…”

            “Fidati di me, ok? Tanto non cambierò idea nemmeno se mi pregherai in cinese. Lo sai che sono fatto così.”

            “Sì, lo so che sei fatto così.”

            “Devo andare, ho quasi finito la pausa. Facciamo alle sette, allora?”

            “Va bene, Mercer. Ci vediamo alle sette. Stupiscimi.”

            Una breve pausa all’altro capo del filo. “Ti amo, Adia.”

            “Sai, mi… mi piace come lo dici.”

            “E’ perché lo penso.”

 

            Adia osservò sospettosa il contenuto del proprio piatto. “Lo hai cucinato davvero tu? Non ci credo.”

            “Se devo essere sincero, non è tutto merito mio. Mi ha aiutato Sofi.”

            “Sofi? Sofi ha accettato di aiutare te?” domandò ancora, incredula.

            Bobby sbuffò, sedendosi. “Le ho dovuto promettere che non l’avrei presa in giro per sei mesi, prima di convincerla.”

            “E lo hai fatto per me?”

            “Ehi, non montarti la testa…” replicò lui, prendendola in giro. “Non volevo morire di fame, ecco tutto.”

            “Bobby…”

            “Sì?”

            “Ti amo.”

            “Dai, mangia, che si raffredda.” Adia decise di ubbidire, senza smettere di sorridere. Bobby era decisamente divertente, quando cambiava discorso a quel modo. “Hai… hai parlato con… no, lascia perdere.”

            “Con mio fratello, intendi?” gli domandò. Bobby annuì. Adia posò la forchetta. “No. No, non gli ho ancora parlato.” Fece una pausa, aspettando una risposta. “Beh, non dici niente?”

            “Non servirebbe a nulla, tanto” osservò lui, abbandonando a sua volta la posata. “Dico bene?”

            “No, forse no” rispose lei, ricominciando a mangiare. “Perché insisti con questa storia?”

            “Quale storia?”

            “Vuoi che parli con Aaron a tutti i costi. Perché?”

            “E’ tuo fratello.”

            “Lo so da ventotto anni, ma ti ringrazio per la precisazione.”

            “Non sto scherzando, Adia. E’ tuo fratello, ha diritto di sapere che domani un branco di sconosciuti ti squarterà la gamba da cima a fondo per rimetterti a posto.”

            Adia fece una smorfia. “Non credo sarà così macabra.”

            “Hai capito che intendo, Adia. Sicuramente andrà tutto bene, ma c’è sempre una possibilità che falliscano. Potrebbe… potrebbe esserci una complicazione, o che diavolo ne so. Io ci sarò, ma non sono la tua famiglia. Non potrei decidere niente, lo capisci?”

            Adia abbassò la forchetta e la appoggiò lentamente a lato del piatto. Deglutì e sbatté le palpebre un paio di volte, per allontanare le lacrime. Bobby aveva ragione. Qualcosa sarebbe potuto andare storto, e il dottor Turner avrebbe potuto presentarsi a Bobby con una liberatoria da firmare, o chissà che altro, e lei non avrebbe mai potuto lasciare che tutta quella responsabilità cadesse sulle sue spalle. Lui l’amava, certo, ma anche lei lo amava, e proprio in nome di quel sentimento non poteva lasciare che accadesse. Però, nonostante quella consapevolezza, non le riusciva di confrontarsi con Aaron: forse perché in fondo Aaron era simile a Bobby, e non avrebbe mai accettato di lasciarla sola davanti alla prospettiva di un’impresa così importante. Lasciare che suo fratello le stesse vicino, però, avrebbe sicuramente portato degli attriti tra lui e la moglie, e Adia non voleva essere la responsabile di un litigio. Aveva passato la vita intera a colpevolizzarsi per gli attriti in famiglia, e ora che era finalmente cresciuta, voleva crearne il meno possibile. Era stata lei la causa della rottura tra le sorelle e il padre, e lo era stata fin dalla nascita: era venuta al mondo quando la più giovane delle sorelle aveva già sette anni, e le era stato sempre difficile integrarsi. I genitori, che comunque avevano amato indistintamente tutti e sei i loro figli, avevano riservato più attenzioni a Adia, arrivata quando ormai nessuno dei due se la sarebbe più aspettata, e questo aveva in qualche modo alimentato una sorta di gelosia nelle quattro sorelle Chambers. Aaron era l’unico con il quale Adia fosse mai riuscita ad avere un rapporto sincero, forse dovuto al fatto di essere l’unico maschio in una famiglia composta in maggioranza da femmine. Ma nonostante quel rapporto speciale che erano riusciti a costruire, Adia non poteva dirgli dell’operazione. Non ci riusciva.

            “Io… io non posso, Bobby.”

            “Non puoi o non vuoi?” sussurrò lui in risposta.

            “Non posso. O forse non voglio, non lo so. Non voglio trascinarlo nei miei problemi.”

            “E’ tuo fratello. E’ obbligato a ficcare il naso nei tuoi problemi.”

            “Bobby, hai conosciuto sua moglie. Mi ucciderebbe.”

            “Chi se importa di quella stronza? Lei non ha niente a che fare con te. E’ con lui che sei imparentata, non con sua moglie.”

            “Lo so, Bobby, ma… lasciamo stare, ok?”

            “Sì, scusa” si arrese lui. “Non avrei dovuto tirar fuori l’argomento. Mi dispiace” concluse, allungando una mano per accarezzarle i capelli.

            “Sei perdonato.”

 

            Bobby aspettò che Adia si fosse completamente addormentata, prima di allontanarsi da lei. Le posò un bacio tra i capelli, poi lasciò l’appartamento senza fare rumore. Salì in macchina e guidò nervosamente fino a Evans Street, cercando di concentrarsi sulla strada e al contempo cercando le parole giuste da usare con Aaron.

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Capitolo 26
*** 26. Underneath The Night Sky [Young Love] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

26. Underneath The Night Sky

 

 

            Bobby esitò, prima di bussare. Soltanto per una manciata di secondi, si chiese se svegliare Aaron Chambers nel cuore della notte fosse la cosa più giusta da fare. Valutò rapidamente i possibile risvolti negativi della situazione: prima di tutto, Aaron avrebbe potuto rifiutarsi di parlare con lui, o, peggio, avrebbe potuto chiamare la polizia – o, peggio ancora, la polizia l’avrebbe potuta chiamare la moglie di lui. Se, tuttavia, Bobby fosse riuscito a parlare con il fratello di Adia, c’era la possibilità che fosse lei a rifiutarsi di parlare con lui, da quel momento. Su quel punto era stata irremovibile, e lui se ne stava fregando. Ma mai si era sentito forte come in quel momento: in ballo c’era la serenità della sua ragazza, e anche se gli costava ammetterlo, avrebbe fatto di tutto per lei. Bussò due volte.

            Attese un minuto. Proprio quando si accingeva a battere un altro colpo, Aaron venne ad aprire, assonnato e decisamente preoccupato. “Chi diavolo… Mercer? Che ci fai qui? E’ successo qualcosa? Dov’è mia sorella?”

            Bobby alzò le mani davanti al proprio corpo, in segno di difesa. “Sta bene, è a casa e dorme. Non è successo niente.”

            “Ma allora… ma che cazzo ci fai qui?”

            “Ho bisogno di parlarti” ammise Bobby, abbassando le mani.

            Aaron si passò una mano sulla faccia, stropicciandosi gli occhi. “Sono le due del mattino” osservò, più per se stesso che per rimprovero nei confronti di Bobby.

            “Sì, lo so. Ma non potevo aspettare. Riguarda tua sorella.”

            “Hai detto che sta bene” ribatté Aaron, tornando a preoccuparsi.

            “Infatti sta bene. Dai, è importante.”

            “Entra” lo invitò l’altro, scostandosi per farlo entrare.

            Appena ebbe messo piede in casa, Bobby fu immediatamente aggredito da Cecilia, accorsa al piano inferiore per capire che cosa stesse succedendo. “Oh, dovevo immaginarlo che c’entrassi tu. Lo sapevo, che quella stupida si sarebbe cacciata in un guaio, mettendosi a uscire con un criminale come te, e…”

            Aaron la afferrò per un polso, mostrando forse per la prima volta un briciolo di controllo della situazione. “Cecilia, non azzardarti a chiamare mia sorella stupida. Torna a dormire.”

            “Ma tesoro…”

            Torna di sopra. Devo parlare con Bobby.” Cecilia obbedì, non dopo aver lanciato un’ultima occhiata di fuoco a Bobby, ancora fermo accanto alla porta d’ingresso. “Vieni con me” aggiunse Aaron, guidando l’ospite verso la cucina. “Forza, siediti” lo esortò, indicandogli uno sgabello. Si stropicciò ancora una volta gli occhi, poi si versò del caffè. “Caffè?”

            “Sì, grazie.”

            Aaron si sedette di fronte a Bobby. “Scusa per Cecilia. Non è sempre così. Insomma, lo è spesso, ma… scusala.”

            “Non importa. Sono abituato a sentirmi chiamare criminale” lo rassicurò Bobby, piegando un angolo della bocca in un sorriso.

            “Allora, hai detto che volevi parlare di Adia.”

            “Sì. Beh, lei non sa che sono qui. Spero solo che non si svegli prima del mio ritorno.”

            “Dormi a casa sua?” gli domandò Aaron, alzando un sopracciglio con fare sospetto.

            “Non sempre, ma qualche volta capita. Beh, è una donna adulta…”

            “Sì, sì, lo so. Insomma, me ne ha parlato, so che cosa fa con te. Insomma, non mi ha raccontato tutto nel dettaglio, ecco, ma… non mi illudo che non abbia mai fatto sesso. Anzi, sospetto che ne abbia fatto più lei di tutte le nostre sorelle messe insieme” aggiunse, con una risatina.

            “Le chiederò di venire a vivere con me” ammise Bobby, dopo qualche secondo di silenzio.

            “E’ un passo importante.”

            “Lo so. Ci ho pensato parecchio.”

            “Dove vi trasferirete?”

            Se accetterà, andremo a casa di mia madre.”

            “Perché, hai dei dubbi? Accetterà. Credo sia innamorata di te dai tempi del liceo.”

            “Beh, quando saprà che sono stato qui, credo che essere innamorata di me dai tempi del liceo non farà differenza” commentò Bobby, guardando il contenuto della propria tazza con tristezza.

            “Di che cosa devi parlarmi, Bobby?”

            Bobby si grattò un sopracciglio, continuando a cercare le parole adatte. “Domani mattina andrà in ospedale per farsi operare.”

            “O-operare? Alla gamba, dici?” Bobby annuì. “Ma… ma non può essere! Mi aveva detto che quell’intervento era troppo costoso, e non aveva nemmeno voluto farsi aiutare da me…”

            “Sì, me lo ha detto.”

            “E come… dove ha trovato i soldi?” Incrociò lo sguardo di Bobby, e in quel momento comprese. “Sei stato tu?”

            “Non voleva accettare, all’inizio. L’ho quasi dovuta obbligare a prendere quei soldi.”

            “Quanto le serviva? Non me lo ha mai voluto dire…”

            “Cinquantamila dollari.”

            “Cinquantamila dollari? E dove diavolo li hai trovati, cinquantamila dollari?”

            “Li ho presi dall’eredità di mia madre. Dalla mia parte, con il consenso dei miei fratelli” specificò. “Mia madre è stata uccisa per quei soldi, e per quei soldi è morto anche mio fratello. Dovevo usarli per qualcosa di utile. E poi, a mia madre è sempre piaciuta tua sorella” osservò, con un sorriso. “Adia non voleva accettare, all’inizio. Ho dovuto insistere parecchio perché accettasse.”

            “Perché non me ne ha parlato?”

            “Per lo stesso motivo per cui non voleva accettare il mio aiuto. Perché è testarda, perché è orgogliosa, e non vuole essere di peso a nessuno. È anche per questo che se n’è andata di qui.”

            “Credevo fosse perché odia mia moglie” osservò Aaron, sorridendo.

            “Beh, anche. Il punto è che lei… lei è fatta così.”

            “Sì, è vero. Ha sempre voluto fare tutto di testa sua.”

            “Non voleva che te lo dicessi. Diceva che ti saresti preoccupato, che la cosa ti avrebbe creato dei problemi, ma… non potevo accettare che ti tenesse all’oscuro di tutto. Sei suo fratello, in fondo.”

            “Ti ringrazio di essere venuto fin qui a dirmelo.”

            “Era la cosa giusta da fare” replicò Bobby, alzandosi. “Grazie a te per avermi ascoltato.”

 

            Bobby rientrò com’era uscito: dalla porta principale e senza fare rumore. Si spogliò rapidamente, lasciando cadere i vestiti sulla sedia, esattamente dove li aveva lasciati poco prima. Mentre si sfilava i pantaloni, gettò un’occhiata verso Adia: dormiva ancora sullo stesso fianco, come se non si fosse mossa in quelle due ore in cui lui era stato fuori. Scostò piano le coperte e si mise a letto furtivo come un ladro, lui che ladro non lo era più. Aspettò qualche secondo, prima di voltarsi verso di lei e abbracciarla in modo da far sembrare tutto naturale.

            “Sei stato da lui, vero?” sussurrò Adia, senza muoversi.

            Il primo istinto di Bobby fu quello di mentire, di fingere di non saperne nulla… ma no, non poteva ingannare lei così come non poteva ingannare se stesso. “Sì, sono stato da lui.” Aspettò invano una risposta. “Lo so che ti avevo promesso che non ci sarei andato, ma lui aveva il diritto di saperlo.”

            “Dovrei buttarti giù dal letto e prenderti a calci per tutta la strada, lo sai?”

            “Ne avresti tutto il diritto.”

            “Ma non posso, sono zoppa.”

            “Puoi prendermi a schiaffi, allora.”

            “No, non sarebbe la stessa cosa” osservò Adia, dopo qualche secondo di pausa. “Tanto non servirebbe a nulla. Se non sbaglio, mi hai detto che devo prenderti così.”

            Bobby sorrise. “Sì, l’ho detto.”

            “E allora va bene, Bobby. Ti prendo così come sei.”

            “Adia…”

            “Sì?”

            “Vuoi venire a vivere con me?”

            “Me lo hai già chiesto, mi sembra.”

            “Sì, è vero. Ma non mi hai mai dato una risposta vera.”

            Adia si rigirò tra le sue braccia, voltandosi a guardarlo. “Sì, voglio venire a vivere con te.”

            “Quindi, mi perdoni per aver spifferato tutto a tuo fratello?”

            La ragazza sorrise, accarezzandogli la guancia. “Sei un Mercer. A voi si perdona sempre tutto.”

 

NdA – Come dicono i miei cari colleghi americani, Here We Go!

Mi sembra giusto, arrivata a questo punto, intervenire per dire qualcosa alle mie lettrici (anche se comunichiamo piuttosto assiduamente anche al di fuori di questa storia e di EFP):

1.        Siamo alla fine, siamo agli sgoccioli, stiamo per concludere. Non so ancora se la cosa durerà uno, due, tre, cinque capitoli, ma tant’è. Mi dispiace separarmi da Bobby e Adia, ma se andassi avanti a raccontare le loro avventure, allora tanto varrebbe aprire un blog ^^

2.       Non ho mai dato un volto a Adia, anche se l’ho sempre descritta come una ragazza con lunghi capelli scuri e occhi azzurri. Personalmente, anche se ciascuno di voi se la sarà immaginata un po’ come crede, io mi sono ispirata alla cantante Norah Jones.

3.       Idem per Aaron: non ho mai detto nulla di lui, e anche se probabilmente vi siete fatte una vostra idea di lui, io me lo immagino un po’ come Edward Norton (sì, lo so, ho un’immaginazione molto vivace ^^).

Non mi sembra di avere altro da dire: ringrazio Dada88 per le recensioni fiume e l’inserimento nelle storie seguite, Kashmir per il supporto morale e per l’inserimento nelle storie seguite, s a r s a per le recensioni, ed eventuali lettori silenziosi per avermi accompagnata sin qui.

See you soon,

EffieSamadhi*

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Capitolo 27
*** 27. Boulevard Of Broken Dreams [Green Day] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

27. Boulevard Of Broken Dreams

 

 

            Ad occhi chiusi, ancora piuttosto assonnato, Bobby allungò un braccio verso Adia. Una volta afferrato il vuoto, si convinse ad aprire gli occhi: era solo. Un rumore proveniente dalla piccola cucina lo informò che si era alzata. Bobby guardò la sveglia e sbuffò. Avrebbero dovuto essere in ospedale alle nove, ed erano appena le cinque e mezza: qualsiasi cosa Adia stesse facendo in cucina, certamente poteva aspettare. Si alzò, e con indosso solo le mutande raggiunse l’altra stanza, confermando i propri sospetti: in pigiama, con i capelli raccolti in un nodo pericolante, e uno strofinaccio nella mano destra, Adia stava facendo le pulizie. Bobby si appoggiò allo stipite e rimase a guardarla in silenzio per un minuto, prima di scoppiare a ridere. Nell’accorgersi di lui, la ragazza si voltò con aria colpevole, come una bambina beccata a rubare la marmellata. Nemmeno un istante più tardi, però, recuperò la propria compostezza e ricominciò a strofinare la superficie che aveva smesso di pulire poco prima.

            “Che fai?” le domandò Bobby.

            “Pulisco la cucina.”

            “Sono le cinque e mezza del mattino.”

            “Non riuscivo a dormire.” Bobby si avvicinò in silenzio e le mise una mano sulla spalla, afferrando lo strofinaccio con l’altra. “Ehi, che fai?”

            “Ti sto disarmando” scherzò lui, lanciando via lo straccio umido. “Perché non mi hai svegliato?” le domandò, cingendola con le braccia.

            “Dormivi così bene… non volevo disturbarti.”

            “Lo sai che puoi disturbarmi quanto vuoi…” le sussurrò, avvicinandole le labbra al collo. “Che succede, hai paura?”

            “Per l’intervento? Un po’, forse.”

            “Andrà tutto bene, Adia” la rassicurò, facendola voltare tra le proprie braccia. “Andrà tutto bene” le ripeté, guardandola negli occhi. Adia gli passò le braccia dietro la schiena e appoggiò la testa al suo petto, certa che nulla sarebbe potuto andare male, finché Bobby fosse rimasto al suo fianco. Trasse un paio di respiri profondi per cercare di calmarsi e reprimere il nervosismo, e in quell’attimo Bobby sorrise. “Che fai, piangi? Non pensavo di aver detto qualcosa di così terribile.”

            “Cercavo di non farlo, in realtà” rispose lei, alzando la testa e guardandolo dritto negli occhi. “Cercavo di pensare positivo.”

            “C’è una cosa che ti aiuterebbe a pensare positivo, secondo me. Ma se te lo dicessi, credo che mi accuseresti di essere poco sensibile e di pensare solo a me stesso.”

            “Pensavi al sesso?”

            “No, veramente pensavo a una bella rissa, ma anche questa non è male come idea” la prese in giro.

            “Che scemo…” commentò lei, a bassa voce.

            “Ehi, quando mi hai scelto sapevi a che andavi incontro” ribatté lui. “Allora? Facciamo a botte o facciamo l’amore?”

            Adia rise. “Il dottor Turner mi ha raccomandato di non fare troppi sforzi…”

            “Tu non ti preoccupare, faccio tutto io…” commentò Bobby, prima di baciarla all’improvviso. “Scusa se sono andato a spifferare tutto a tuo fratello” si scusò, prendendosi una piccola pausa dal bacio. “Non avrei dovuto.”

            “Non importa” lo perdonò lei, accarezzandogli i capelli. “Sai, è strano. Un paio di mesi fa ti avrei semplicemente preso a calci nel sedere… beh, metaforicamente. E invece adesso… Dio, adesso invece farò l’amore con te!” commentò, sinceramente incredula.

            “Non riesco a credere alle mie orecchie… sbaglio o ti ho sentita imprecare?”

            Adia abbassò lo sguardo, colpevole, e si morse un labbro in segno di pentimento. “Colpa tua, Mercer. Hai una cattiva influenza su di me.”

            “Avrò anche una cattiva influenza su di te, ma non ti ho mai sentita lamentarti…” ribatté prontamente lui, prendendola tra le braccia e riportandola sul letto. “Andiamo, ci restano soltanto tre ore prima dell’appuntamento con il dottor Turner.”

 

            “Allora, Adia, come ti senti? Sei pronta?” le domandò il dottor Turner, accogliendola in ospedale con uno dei suoi soliti sorrisi cordiali.

            “Sto bene, la ringrazio. Ho trovato un modo perfetto per scaricare la tensione” rispose, sorridendo a Bobby, che in risposta strinse un po’ la presa sulla sua vita.

            “Non credo siamo ancora stati presentati” sorrise Bobby, tendendo una mano verso il medico. “Bobby Mercer, sono il fidanzato di Adia.”

            “Davvero lieto di conoscerla” rispose lo specialista, stringendo con vigore la mano che gli era stata offerta. Non conosceva la reputazione di Bobby, dunque non sentì la necessità di osservarli per capire che cosa avessero in comune. “L’intervento avverrà soltanto questo pomeriggio, ma stamattina faremo gli ultimi accertamenti e le ultime analisi. Adesso devo ultimare il mio giro di visite, ma poi mi occuperò di te. Questa è Carla, l’infermiera che ti preparerà per l’operazione” aggiunse, indicando la donna in camice rosa che si era appena avvicinata. “A più tardi” aggiunse, appoggiando una mano sulla spalla di Adia con fare paterno. “Bobby” disse ancora, porgendo poi la stessa mano all’uomo, che di rimando la strinse.

            “Salve, Adia. Io sono Carla” si presentò l’infermiera, una donna sui quarant’anni, dalla carnagione olivastra e con una massa di capelli ricci raccolti in uno chignon contenitivo. “Per qualsiasi cosa, puoi rivolgerti a me.” Consultò l’orologio da polso. “Ok, tra dieci minuti inizieremo con gli esami. Vi lascio soli” concluse, sorridendo.

            Adia aspettò che l’infermiera fosse sufficientemente lontana, prima di lasciar andare un sospiro. “Bobby, portami a casa” esordì, voltandosi a guardarlo.

            “Non ci penso nemmeno” rispose lui, con un sorriso.

            “Ho paura.”

            “Sono più spaventato di te.”

            “Non fare il buffone. Tu non hai mai paura di niente.”

            “Sono cambiato, e lo sai. Avanti, andrà tutto bene. Questo dottore mi sembra un tipo in gamba, e l’infermiera è gentile. Sicuramente sanno quel che fanno, e…”

            “Non ho paura dell’operazione. Lo so che andrà bene.”

            “E allora di cos’hai paura?”

            “Ho paura che possa cambiare tutto” sussurrò la ragazza, distogliendo lo sguardo.

            “Beh, questo è ovvio. È ovvio che cambierà tutto. Insomma, tornerai ad essere quella di una volta, e andremo a vivere insieme, e… andrà tutto bene” concluse, prendendole la testa tra le mani e sussurrando quelle ultime parole a pochissimi centimetri dal suo volto. Suggellò quella promessa con un bacio a fior di labbra, poi la scostò da sé. “Adesso vai. Prima si inizia, prima si finisce.”

            Si separarono con un sorriso, e furono immediatamente raggiunti da Carla. “Verso mezzogiorno avremo finito con gli esami. Avrai un’ora di riposo prima dell’intervento. Casomai voleste vedervi ancora una volta” spiegò, guardando prima Bobby e poi Adia.

            Bobby annuì. “Grazie.” Lanciò un’ultima occhiata a Adia, poi lasciò l’atrio dell’ospedale, combattendo contro la volontà di voltarsi a guardare indietro. Se l’avesse fatto, difficilmente avrebbe potuto convincersi ad andarsene.

 

            Le giornate avevano iniziato ad allungarsi in maniera tangibile, e il sole aveva finalmente iniziato ad intaccare lo spesso strato di neve e ghiaccio che ricopriva la città. Mancava ancora più di un mese all’inizio della primavera, ma a tratti già sembrava che l’inverno fosse terminato. Evans Street, come il resto della città, era ancora completamente imbiancato, ma il riverbero dei raggi del sole sulla neve conferiva a tutto il quartiere una luce diversa. Bobby bussò educatamente alla porta dei Chambers, aspettando che qualcuno venisse ad aprire. Uno dei figli di Aaron si affacciò, chiedendo timidamente al visitatore di qualificarsi.

            “Ehi, ciao. Tu devi essere Adam. Sono un amico della zia Adia, e…”

            “No, io sono Jordan. Adam è mio fratello. Ma io so chi sei. Tu sei il fidanzato di zia Adia. Mamma dice che sei un delinquente.”

            “Ah, tua madre la pensa così?”

            Il ragazzino, che doveva avere circa sette anni, annuì. “Però papà dice che sei a posto. E io gli credo.”

            Bobby sorrise. “Tuo padre è in casa? Dovrei parlare con lui.”

            Il bambino aprì la porta. “Avanti. Pulisciti le scarpe sullo zerbino, prima. La mamma ha passato l’aspirapolvere.”

            Potrei riempirle la casa di fango per il solo gusto di vederla sbarellare, ragazzino. “Ok.”

            “Aspetta qui. Vado a chiamare papà.” Bobby ebbe finalmente l’occasione di osservare bene il ragazzino, e lo colpì la sua straordinaria somiglianza con il padre e con Adia: gli stessi occhi chiari, i lineamenti delicati e l’espressione seria. Quei tre si somigliavano come gocce d’acqua.

            Aaron arrivò un minuto più tardi, distogliendolo dai suoi pensieri. “Bobby, ciao. È… è successo qualcosa?”

            “Vorrei… possiamo parlare?”

            Il fratello di Adia lo guardò, annuendo. L’ultima volta che Bobby era stato a casa sua e gli aveva chiesto di parlare, aveva scoperto che sua sorella stava per essere operata. Ed era successo meno di dodici ore prima. “Jordan, tesoro, perché non torni di sopra e cominci a fare i compiti? Io arrivo subito.”

            “Va bene, papà” rispose il bambino, iniziando ad inerpicarsi su per le scale.

            “Non… non dovrebbe essere a scuola?” domandò Bobby, una volta seguito Aaron in cucina.

            “Ha avuto il morbillo” spiegò l’altro. “E’ stato tremendo, ma almeno ci siamo tolti il dente. Spero che tu…”

            “Oh, sì, ci sono passato. Avevo diciassette anni, ed è stato orribile. Credo di non essere mai stato peggio.”

            Aaron sorrise. “Sei qui per parlare di Adia?” gli domandò, versandogli una tazza di caffè.

            “Sì, in un certo senso” rispose Bobby, occupando lo stesso sgabello di quella notte. “Vengo adesso dall’ospedale.”

            “Come… come sta?”

            “Questa mattina faranno gli ultimi accertamenti e le ultime analisi, o almeno così ha detto il medico. L’intervento sarà questo pomeriggio.”

            “E tu… tu non sei con lei?”

            “E’ di questo che volevo parlarti.” Bobby si guardò in giro. “Tua moglie è in casa?” Il rumore dell’aspirapolvere in funzione al piano di sopra evitò ad Aaron l’imbarazzo di rispondere. “Ascolta, io amo tua sorella.”

            “Mi pareva che di questo avessimo già discusso.”

            “Sì, beh… comunque, io sono felice di poterle restare accanto. Insomma, è la donna che amo, vado a letto con lei e vivremo insieme, quindi… occuparmi di lei è normale. Però tu sei suo fratello, e tra noi due sei tu quello che ha più diritto di starle accanto.”

            “Bobby, a me non dà fastidio che tu le sia rimasto vicino per tutto questo tempo.”

            “Non l’ho mai pensato.”

            “E allora che stai cercando di dirmi?”

            Bobby sospirò. “Voglio che tu vada da lei. In ospedale. Oggi. È tua sorella, ed è tuo dovere starle vicino. Qualunque sia l’opinione di tua moglie” aggiunse in fretta, notando lo sguardo che Aaron aveva rivolto al soffitto. “Giuro, non mi importa, sono disposto a spezzarti le gambe e a trascinarti a forza in macchina, ma tu oggi andrai da tua sorella.” Fece una pausa. “Le vostre sorelle l’hanno praticamente abbandonata, e continuano a considerarla responsabile per la morte di vostro padre. Tu sei l’unico a sapere tutto di lei, sei l’unico… ad averle sempre voluto bene. Ha scoperto che sono venuto da te, la scorsa notte, e… e ho paura che si senta abbandonata anche da te, se non ti vedrà. Non lo ammetterebbe mai, certo, ma non voglio rischiare che soffra.”

            “La ami.”

            “E’ una domanda?”

            Aaron scosse la testa. “No, non lo è. Si vede che sei pazzo di lei. E sai, sono contento che lei ci abbia messo tanto, prima di cedere. Forse dieci anni fa non avresti saputo amarla come la ami adesso.”

            “E’ un modo per dirmi che andrai da lei?”

            “E’ un modo per dire quello che ho detto” replicò Aaron. “Ma andrò da lei.”

            “A mezzogiorno, mi raccomando” sorrise Bobby, alzandosi e sistemandosi il giubbotto. “Cerca un’infermiera di nome Carla, sui quarant’anni, latino americana. Dille che sei il fratello di Adia.”

            “Tu non ci sarai?”

            Bobby rifletté per qualche istante, prima di rispondere. “Avrà soltanto un’ora di respiro tra la fine delle analisi e l’inizio dell’intervento. Voglio che la trascorra con te.”

            Aaron sorrise, passandosi una mano tra i capelli chiari. “Tanto tu potrai stare con lei per il resto dei tuoi giorni, no?”

            “Lo spero.”

 

            Nonostante il sole e le temperature non più rigide, le strade di Detroit erano comunque piuttosto deserte. Bobby guidò fino al cimitero, poi si concesse una lunga passeggiata tra le lapidi. Osservandole tutte, una per una, si rese conto di quante persone che conosceva se ne fossero andate nel corso degli anni: ex compagni di scuola finiti nel giro sbagliato, vicini di casa, vecchi insegnanti… Si fermò davanti alla tomba del reverendo Chambers, soffermandosi ad osservare la fotografia. La somiglianza dell’uomo con Aaron e Adia era impressionante: Bobby ne era certo, invecchiando Aaron sarebbe diventato identico a suo padre. Sfilò una mano dalla tasca e spazzò via un po’ di neve dal marmo, poi se la ricacciò in tasca. “Lo so, forse sperava che sua figlia trovasse di meglio” sospirò, fissando lo sguardo sugli occhi del reverendo, identici a quelli di Adia. “Lo so, non sono il tipo di genero che uno si augura di avere. Se avessi una figlia, se tornasse a casa con uno come me… lo prenderei a calci in culo per tutta la strada. È strano, no? Eppure io non ho mai cercato di cambiare… e Cristo santo, sto davvero parlando con una tomba?” Si passò una mano sugli occhi, strofinandoseli forte, come per svegliarsi. “Beh, rassegnati” proseguì, continuando a rivolgersi alla lapide, “non sono mai stato un buon cristiano, e non ho intenzione di cominciare adesso. Però tua figlia la amo davvero.” Si allontanò di qualche passo, deciso a raggiungere la tomba della madre e del fratello, poi tornò indietro. Si inginocchiò sulla neve e pregò per il padre della donna che amava.

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Capitolo 28
*** 28. The Story [Brandi Carlile] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

28. The Story

 

 

            Per tutta la vita, Bobby si era vantato di non avere paura di niente: non aveva mai avuto paura del buio, non aveva mai temuto i ragazzi più grandi di lui, non si era mai spaventato nemmeno trovandosi uno contro quattro in un vicolo buio di Detroit. Ma adesso Bobby Mercer, trentacinque anni di spavalderia e arroganza, aveva paura di varcare la soglia dell’ospedale: aveva paura di trovarsi davanti il dottor Turner, aveva paura di vederlo scuotere la testa con aria di sconfitta. Peggio, aveva paura di trovarsi davanti Aaron, e di diventare vittima della sua rabbia. In fondo, era stato lui a convincere Adia a sottoporsi all’operazione.

            Bobby aveva voglia di piangere. Aveva pianto soltanto due volte in vita sua: la prima, quando aveva saputo della morte di sua madre; la seconda, quando Jackie gli era morto tra le braccia, sulla neve davanti casa. Bobby si strinse forte il naso tra pollice e indice, scongiurando il pericolo di scoppiare in lacrime davanti alla porta dell’ospedale. E se invece fosse andato tutto bene?, pensò. Se Adia ti stesse già aspettando, sveglia e sana? E se Aaron, invece di picchiarti, volesse solo abbracciarti? Chiuse gli occhi per un istante, ripensando all’ultima notte. “Sai, Bobby, non credevo sarei mai arrivata a dirlo, ma… credo che tu ed io, in qualche modo, siamo fatti per stare insieme” gli aveva sussurrato Adia, forse credendolo addormentato, accarezzandogli i capelli come soltanto sua madre aveva fatto. “Insomma, siamo diversi. Siamo opposti. Ma forse ci incastriamo bene proprio per questo. Forse è giusto così.”

            Prima di rendersi conto di aver mosso un passo, Bobby si ritrovò nell’atrio dell’ospedale. Improvvisamente, si rese conto di non saper dove dirigersi. Si guardò intorno per mezzo minuto, prima di decidersi a muoversi verso il banco dell’accettazione. Mentre lo raggiungeva, cercava di mettere insieme le parole giuste, senza successo. Che razza di qualifica aveva, per arrivare lì a domandare dove fosse Adia? Abbozzò un sorriso all’infermiera in camice giallo che alzò gli occhi domandandogli di che cosa avesse bisogno, ma prima ancora di riuscire a parlare, una voce familiare lo chiamò. “Oh, buonasera, Bobby.” Si voltò rapidamente in direzione della voce, incrociando il sorriso dell’infermiera che si era occupata di Adia. “Me ne occupo io” aggiunse, rivolgendosi alla collega. “Adia sta bene” lo rassicurò, mettendogli un braccio attorno alle spalle e guidandolo verso un corridoio sulla sinistra. “L’intervento è riuscito, e il dottor Turner sta finendo proprio adesso alcuni controlli. Non si è ancora svegliata dall’anestesia” aggiunse, prevenendo una domanda che forse non avrebbe nemmeno avuto il coraggio di arrivare, “ma dovrebbe mancare poco. Comunque veda di convincere quel poveretto ad alzarsi almeno per andare in bagno” disse ancora, a voce bassa, indicando un uomo biondo raggomitolato su una delle fredde seggiole di plastica fissate alla parete. Bobby annuì, e Carla lo lasciò andare.

            “Ehi” sussurrò ad Aaron, avvicinandosi a passo lento.

            “Ehi” rispose l’altro, alzando la testa. “L’intervento è andato bene, ma non si è ancora svegliata.”

            “Sì, me l’ha detto…” iniziò Bobby, lasciando cadere a metà la frase.

            “Il dottor Turner è con lei” disse ancora Aaron, voltando appena la testa verso la camera. “Sta finendo alcuni accertamenti.”

            Bobby annuì. “Ti… ti spiace se mi…”

            “Prego” lo interruppe l’altro, indicando una delle seggiole vuote.

            Bobby non fece nemmeno in tempo a sedersi, che immediatamente il dottor Turner uscì dalla camera. “Buonasera” li salutò, facendoli scattare entrambi sull’attenti come soldatini obbedienti. “Adia sta bene. Come vi avevo anticipato, l’intervento è riuscito, esattamente come previsto. Ho appena concluso una serie di accertamenti, e sembra proprio che non ci si possa lamentare. Dovrebbe svegliarsi tra una decina di minuti. Normalmente permettiamo solo ad una persona di restare con il paziente, ma… sono disposto a fare uno strappo alla regola, sempre che mi promettiate di non affaticarla troppo.” I due uomini annuirono. “Bene. Con permesso.” Il medico si congedò, e i due rimasero a guardarsi per una manciata di secondi, decidendo chi dei due dovesse parlare per primo.

            Bobby lasciò andare un sospiro profondo, chiudendo gli occhi per un istante. Alla sua sinistra, Aaron si risedette. “Dio, ti ringrazio” mormorò, le mani giunte davanti al volto. “Ho… ho dovuto litigare con Cecilia, per venire qui” aggiunse, senza muoversi. “Lei non… credo che ce l’abbia a morte con te.”

            “Ci sono abituato.”

            “Abbiamo parlato, quanto?, due volte, eppure conoscerti… accidenti, conoscerti mi ha cambiato. È come se improvvisamente fossi diventato capace di difendermi, di… di agire. Io non ne sono mai stato capace. Era… era papà, quello forte. Era papà quello che sapeva prendere il controllo della situazione. Di ogni situazione. Io ho sempre cercato di imparare da lui, ma non ci sono mai riuscito. Ma adesso… adesso è come se avessi finalmente trovato il coraggio di farmi valere. Con mia moglie e con le mie sorelle.” Fece una pausa e alzò gli occhi su Bobby, rimasto in piedi a fissarlo. “Le ho chiamate. Le ho chiamate tutte. Sai, mentre il dottor Turner operava Adia. Le ho chiamate e mi sono fatto valere. Ne ho dette quattro a ognuna di loro, per come… per come hanno trattato Adia in tutti questi anni. Per quello che hanno pensato di lei quando papà è morto.”

            “Ne sono felice.”

            “Mai quanto me.”

            Bobby accennò un sorriso, distolse lo sguardo e si sfilò lentamente il giubbotto, improvvisamente conscio di quanto facesse caldo in quel corridoio. “Io credo… credo che dovresti entrare. Adia starà per svegliarsi, le farà piacere avere un viso familiare accanto.”

            “Se è per questo, forse troverebbe più rassicurante avere te vicino.”

            “Aaron, io…”

            “Entriamo insieme, Bobby. In fondo, il dottor Turner ci ha dato il permesso.”

            Bobby si lasciò convincere, e seguì Aaron all’interno della stanza. Con grande sorpresa di entrambi, gli occhi di Adia erano spalancati. “Sapevo che vi sareste piaciuti” mormorò, la voce arrochita dall’anestesia. “Sapevo che sareste andati d’accordo” sorrise. Bobby sorrise a sua volta, lasciando andare avanti Aaron. In fondo, pensò, forse Aaron ha ragione, e forse Adia e io staremo insieme per tutta la vita. Forse Aaron ha ragione: forse siamo davvero cambiati.

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Capitolo 29
*** 29. Marry Me [Dolly Parton] ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

29. Marry Me

 

 

            Maggio sembrò impiegare mesi per arrivare: Angel e Sofi avevano deciso di sposarsi il quattordici, come il giorno in cui si erano conosciuti. Avevano programmato tutto nei minimi dettagli, dal numero degli invitati ai fiori che avrebbero adornato la chiesa. Persino il tempo sembrava aver deciso di dar loro una mano, e da una settimana intera il sole splendeva su Detroit. Era tutto a posto: gli invitati – un numero particolarmente esiguo, considerate le numerose parentele della sposa e soprattutto le sue manie di grandezza – erano presenti, il reverendo pronto ad iniziare, lo sposo in piedi davanti all’altare.

            Angel stava sudando nel suo abito nuovo, e continuava a torcersi nervosamente le mani, tentando di allontanare l’ansia. Accanto a lui, Jerry sembrava ancora più turbato, quasi temesse l’arrivo di un cataclisma. Dei tre fratelli Mercer, Bobby era certamente il più calmo: come i fratelli, indossava un abito nuovo, elegante, apparentemente cucito su misura per lui; Adia non era riuscita a convincerlo a rasarsi, ma almeno si era dato una sistemata, cercando di apparire al meglio. Stava in piedi accanto a Angel e Jerry, e continuava a guardare in direzione di Adia, seduta in prima fila assieme a Camille e alle bambine. Da tempo, Bobby la considerava la donna più bella sulla quale avesse mai messo gli occhi, ma quel giorno… quel giorno, stretta in un morbido abito blu notte, beh, quel giorno era semplicemente un miracolo. Le sorrise, ricevendo in cambio un sorriso di uguale intensità, e proprio in quell’attimo fu distratto da qualcuno che gesticolava sul fondo della chiesa. Alzò gli occhi e vide Sofi, già pronta per la cerimonia, sbracciarsi per ottenere la sua attenzione. Bobby si guardò intorno un paio di volte, prima di capire che Sofi stava davvero cercando di chiamare lui. Tuttavia, prima ancora di riuscire a pensare a un modo per domandarle che diavolo volesse, l’uomo la sentì fischiare, e subito dopo esclamare: “Bobby, brutto idiota, porta subito qui il culo!” Bobby fece un cenno a Angel e Jerry, per rassicurarli, e sorridendo corse lungo la navata, raggiungendo Sofi al di là del portone.

            “Senti, Bobby, prima di fare questa cosa tu e io dobbiamo parlare” esordì la ragazza, prendendolo per il bavero della giacca e sospingendolo contro la parete.

            “Oh, no, lo sapevo… la vida loca si è innamorata di me!” commentò Bobby, roteando gli occhi. Si divertiva come un bambino a provocare Sofi. “Beh, me lo aspettavo. Angel ha il suo fascino, ma io sono sicuramente più…”

            “Oh, taci, idiota!” lo zittì lei. “Senti, io lo so che tu non mi hai mai potuta sopportare, e che pensi che sia una… beh, una di quelle, e so anche che pensi che Angel meriti di meglio. Ma io Angel lo amo davvero. L’ho sempre amato” proseguì, addolcendosi. “Lui è diverso, è sempre stato diverso. E fa sentire diversa anche me. Lo capisci questo?”

            Bobby, incredibilmente serio, annuì. “Sì, capisco ciò che vuoi dire.”

            “Bene. Volevo solo che fosse tutto chiaro, prima di… prima di fare questa cosa.”

            “Ok, bene, abbiamo chiarito. Senti, io… io torno di là. Sbrigati, però. Angel odia aspettare, e credo che Jerry stia per avere una crisi isterica” ribatté lui, avviandosi verso la porta.

            “Aspetta, Bobby!” lo fermò lei, mettendogli una mano sul braccio. “Vorrei… posso chiederti un favore?”

            “Dimmi.”

            “Mio… mio cugino Eduardo, quello che doveva portarmi all’altare, ha avuto un… contrattempo. Insomma, l’hanno beccato mentre cercava di sgraffignare una macchina per venire qui. Quindi mi chiedevo se… se tu… se potessi…”

            “…accompagnarti all’altare?” completò lui. Sofi annuì. “E va bene, facciamo questa stronzata” rispose, dopo un minuto di silenzio, sorridendo e porgendole il braccio.

            Il più stupito nel vederli attraversare insieme la navata fu certamente Angel: l’ultima cosa che si sarebbe aspettato di vedere era la propria fidanzata camminare a braccetto con suo fratello. Considerando che a malapena riuscivano a stare insieme nella stessa stanza, e trovando estremamente improbabile l’ipotesi che avessero deciso di concedersi una tregua, anche se solo per il giorno delle nozze, lo sposo si trovò a domandarsi che cosa fosse successo tra quei due. Jerry gli diede di gomito, e con un sussurro discreto gli fece notare la straordinaria bellezza di Sofi. Angel smise di scervellarsi, smise di torcersi le mani e si limitò a guardare Sofi. Jerry aveva ragione: era meravigliosa, e il modo in cui lo guardava… sì, si sarebbero amati per il resto della vita.

 

            La festa si spostò fuori Detroit, nell’hotel che gli sposi avevano deciso di riservare per i festeggiamenti. Gli invitati si gettarono immediatamente sul cibo, e subito dopo riempirono la pista da ballo, iniziando ad agitarsi al ritmo della piccola orchestra. Bobby si accorse che Adia desiderava ballare: aveva accavallato le gambe all’altezza del ginocchio e stava facendo dondolare lentamente un piede. Per cinque anni non aveva potuto ballare - né aveva avuto qualcuno con cui farlo –, e certamente adesso avrebbe voluto rifarsi di quella privazione. Si alzò, facendo strisciare la sedia, e immediatamente lei si voltò a guardarlo. “Dove vai?”

            “Balliamo” rispose lui, tendendole la mano.

            “Ballare? Ma tu non balli!”

            “Che ne sai, agnellino? Non ci siamo visti per un sacco di tempo” ammiccò lui. “Dai, andiamo!” esclamò, afferrandole la mano e tirandola in piedi come se fosse stata un sacco. Adia si rassegnò a seguirlo al centro della pista, mentre il quartetto cambiava canzone.

            “Adoro questa canzone…” si lasciò sfuggire Adia, guardando verso i musicisti, nel riconoscere le prime note di Turn Me On di Norah Jones. Nel sentire la mano di Bobby posarsi sulla sua schiena, calda e protettiva, tornò a guardarlo. “Fai sul serio?”

            “Certo che faccio sul serio. In fondo, basta girare, no?”

            Adia ridacchiò. “Sì, basta girare” sussurrò, lasciandosi stringere e guidare dal fidanzato.

            Erano in pista da meno di un minuto, quando uno degli innumerevoli cugini di Sofi bussò alla spalla di Bobby. “Ehi, amico, ti offendi se mi faccio un giro?”

            “Sì, mi offendo. Ho l’esclusiva” rispose lapidario Bobby, senza nemmeno guardarlo.

            Dopo un altro minuto, un altro parente della sposa venne a chiedere il permesso di ballare con Adia. “Smamma, Zorro. È la mia ragazza.”

            Un terzo pretendente si fece avanti, un paio di minuti più tardi. “Sei educato e hai la faccia simpatica, ma no” rispose stavolta Bobby. “Ah, e ti dispiace informare i tuoi cugini che io questa me la sposo, e quindi sarebbe meglio per loro non rompermi le palle? Grazie.”

            Adia aspettò che l’altro uomo si fosse allontanato, poi sorrise a Bobby. “Bella, questa.”

            “Cosa?”

            “La scusa che hai usato. Speriamo solo che ci caschino. Insomma, vederti sposato… sarebbe un po’ strano.”

            “Non scherzavo.”

            Adia piegò la testa da un lato, fissandolo attentamente. “Fai sul serio?”

            “Certo che faccio sul serio. Volevo chiedertelo domani, ma credo di dovermi accontentare.”

            Adia non era sicura che le gambe potessero reggerla. “B-bobby…” sussurrò, balbettando.

            “Cosa?”

            “Tu mi vuoi… tu mi vuoi sposare?”

            Bobby abbassò lo sguardo, imbarazzato. Adia non lo aveva mai visto così. Bobby Mercer non era mai imbarazzato. Lo vide passarsi la lingua sulle labbra, cercando la risposta più adatta alla situazione. “Beh, io… non dirmi che tu non ci hai pensato.”

            “Ma certo… certo che ci ho pensato. Dio, sono figlia di un reverendo! Ovvio che ci ho pensato” rispose lei, rendendosi conto che si erano fermati. “Però… accidenti, credo… credo di aver bisogno di un po’ d’aria.” Bobby l’accompagnò lontano dalla pista, attraverso la sala e fin sulla terrazza dell’hotel. Adia appoggiò le mani alla balaustra e trasse un paio di profondi respiri, cercando di capire se quel rumore assordante che avvertiva provenisse dall’orchestra oppure dalla sua cassa toracica. “Bobby” riprese, finalmente calma, voltandosi a guardarlo, “tu mi hai appena chiesto di sposarti?”

            Bobby si infilò le mani in tasca e grattò il pavimento con la punta delle scarpe lucide. “Più o meno. Lo so che non è stata un gran che, come proposta, ma io… insomma, lo sai. Non sono bravo in queste cose.”

            Adia aprì e richiuse la bocca a vuoto per un paio di volte. “E’… è da pazzi!” commentò la donna, voltandosi di nuovo verso la balaustra. “E’ da pazzi” disse ancora, voltandosi di nuovo verso Bobby.

            “Sì, questo l’hai già detto” le fece notare. “Lo so che sembra strano, detto da uno che fino a sei mesi fa correva dietro a ogni pezzo di… a ogni donna che vedeva. Suona strano, non lo nego. E forse, se fossi al posto tuo, non ci crederei, ma…” Fece una pausa, traendo a sua volta un respiro profondo. “A mia madre piacevi. Se fosse ancora viva, sarebbe felice sapendomi con te. Sarebbe felice di vedermi così cambiato, e farebbe di tutto per convincermi a renderti per sempre mia. Ci sono mattine in cui mi alzo e mi guardo allo specchio e non riesco a riconoscermi, ma poi vedo che ci sei anche tu, e… e in qualche modo sento che è così che devo andare.”

            Adia strinse il labbro tra i denti, cercando di non piangere. Quel breve discorso l’aveva commossa più del primo ‘Ti amo’, l’aveva coinvolta più della prima volta e l’aveva definitivamente convinta della buona fede e dei sentimenti di Bobby. “Tu mi vuoi sposare” osservò, in un sussurro.

            “Sì” rise Bobby. “Sì, è questo che credo di aver detto. Sempre se lo vuoi anche tu. Se mi vuoi anche tu.”

            Adia abbassò lo sguardo, e quando lo rialzò mostrò finalmente tracce di pianto. “Non posso non volerti, Bobby. Ti amo” bisbigliò, la voce incredibilmente ferma.

            “Andiamo” rispose lui, prendendola per mano.

            “Andiamo dove?”

            “Facciamolo adesso.”

            “Adesso? Sei impazzito?”

            “Forse.”

            “Ma… ci servirà una chiesa, e gli anelli, e un prete… i testimoni!”

            “Gli anelli ce li ho. Una su quattro non è male, no?”

 

            Mezz’ora più tardi, Bobby fermò l’auto davanti alla chiesa dove per anni aveva lavorato il padre di Adia. Mentre guidava, aveva chiamato Jerry, già tornato a casa con Camille e le bambine, e lo aveva pregato di raggiungerlo lì. Adia aveva fatto la stessa cosa con Aaron, pregandolo di andare solo. Adesso dovevano solo entrare. Bobby scese dall’auto, le aprì lo sportello e le porse la mano, come un vero gentiluomo. Attraversarono il sagrato a passo lento e raggiunsero l’ingresso laterale, e di lì l’ufficio del reverendo. Fu Adia a bussare. “Reverendo Miller?” azzardò, dopo aver ricevuto il permesso di entrare.

            “Adia!” esclamò il sacerdote, stupito di ricevere una simile visita quasi a mezzanotte. “Figliola, che cosa ti porta qui?”

            “Le… le presento il mio fidanzato, Bobby Mercer. Bobby, questo è il reverendo Miller. È lui che ha… che ha sostituito mio padre.” Bobby strinse la mano all’altro uomo, azzardando un sorriso. “Padre, mi rendo conto che sembrerà una richiesta piuttosto strana, e decisamente poco ortodossa, ma… noi vorremmo sposarci.”

            “Non capisco come potrebbe essere una… oh, ma voi forse intendete… ora? Adia, non credo sia… insomma, non sono qui per criticare, ma… siete certi di averci riflettuto bene su? È un passo molto importante, e…”

            “Padre, i miei genitori sono stati sposati per quarant’anni” lo interruppe dolcemente lei. “So che cosa significa essere sposati. Bobby mi ama, e io amo lui, e lo so” aggiunse subito, prima che il reverendo potesse rispondere, “so che l’amore non basta. Ma Bobby mi è stato vicino. Mi è stato vicino in un momento molto difficile, e in cambio non mi ha chiesto nulla, se non di amarlo. Per favore, padre.”

            Bobby avvertì la preghiera di Adia in tutta la sua intensità. Anche lei voleva sposarlo, soltanto adesso lo stava davvero avvertendo.

            “Va bene, Adia. Se è quello che entrambi volete, possiamo farlo adesso, però vi serviranno dei…” Un colpo alla porta lo interruppe, seguito dall’ingresso di un uomo dai capelli biondi. “Aaron!” esclamò il reverendo, ancora più stupito di prima. “Devo aspettarmi che arrivino anche le tue sorelle?”

            “Non credo, padre, a meno che mia sorella non abbia organizzato una riunione di famiglia a mia insaputa. C’è il fratello di Bobby, se le interessa” aggiunse, indicando Jerry, appena comparso alle sue spalle.

            “Bobby, che cazzo succede?” domandò Jerry, coprendosi poi la bocca con la mano. “Mi scusi, padre.”

            “Non importa, non importa. I tempi cambiano” commentò il religioso, lisciandosi i capelli bianchi. “Bene, io prendo il necessario. Se intanto volete precedermi di là…”

            “Bobby e io ci sposiamo” riassunse Adia, guardando Aaron negli occhi. “E per la cronaca, è stato lui a chiedermelo.”

            “E noi siamo qui per…”

            “Farci da testimoni, fratellino” completò Bobby. “L’avrei chiesto a Angel, ma Sofi lo aveva già trascinato nella loro suite.” Con la coda dell’occhio colse l’espressione incredula del suo futuro cognato, allora lasciò la mano di Adia. “Jerry e io vi aspettiamo di là” le sussurrò, baciandola su una guancia.

            “Che succede?” le domandò Aaron, allargando le braccia per sottolineare la bizzarria della situazione. “Insomma, vi lascio soli dieci minuti e…”

            “Non arrabbiarti, Aaron. Anch’io ho sempre pensato che sarebbe successo in maniera diversa, con papà ad accompagnarmi, e mamma a piangere, e tutta la famiglia riunita… ma non sarebbe stato possibile. Sei l’unica persona che mi sia rimasta. Sei l’unica persona che voglio accanto in questo momento.”

            Aaron la abbracciò. “Va bene, allora. Se è quello che vuoi, va bene così” sussurrò, tenendola stretta come non faceva da troppo tempo. Si staccò e le porse il braccio. “Andiamo. Suppongo di essere io a doverti accompagnare all’altare.” Adia si passò le mani sulle guance, per asciugarle dalle lacrime, poi accettò il braccio del fratello.

 

            Le faceva uno strano effetto vedere Bobby in piedi accanto all’altare, vicino a Jerry, entrambi eleganti e sorridenti. Le faceva uno strano effetto pensare che stava per sposarsi senza indossare un vestito bianco: sua madre si era sposata in bianco, e così Ruth, Miriam, Sarah e Rebecca. Nonostante nessuna di loro fosse arrivata illibata al Grande Giorno, tutte e quattro le sue sorelle avevano avuto il coraggio di indossare un vestito bianco. Ma lei no. Lei stava per sposarsi indossando un abito blu notte, quasi nero, in una chiesa deserta. E stava per sposare un uomo che aveva appena iniziato a renderla felice.

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Capitolo 30
*** 30. Il Giardino Delle Api [Marco Masini]. ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

30. Il Giardino Delle Api

 

 

            “L’abbiamo fatto davvero?”

            Bobby guardò la propria mano sinistra, sulla quale spiccava una sottile fede d’oro. “Direi di sì. Sì, l’abbiamo fatto davvero.”

            “E’ da pazzi.”

            “Sì, questo lo hai già detto” rise Bobby.

            “Riesci ad immaginare la faccia di Sofi e Angel quando lo sapranno? Insomma, siamo scappati dal loro matrimonio per andare al nostro!”

            “In realtà, stavo pensando alla faccia che farà tua cognata quando Aaron le dirà perché è dovuto uscire all’una di notte per raggiungerti” rispose Bobby.

            Adia sorrise. “Chi se ne importa di cosa penserà quella strega…” commentò.

            Bobby parcheggiò l’auto nel vialetto e spense il motore. “Pensi sia una buona idea svegliare il vicinato per comunicargli la notizia?”

            “Bobby, sono le due del mattino. Per quanto sia una bella notizia, non credo apprezzerebbero.”

            “Come vuole, signora Mercer” si arrese, sporgendosi verso di lei per baciarla. “Allora passiamo alla fase successiva.”

            “Che sarebbe?”

            “Portare la sposa in braccio oltre la soglia, se non sbaglio.” Scese dall’auto e, come aveva fatto poco più di un’ora prima, aprì lo sportello alla donna che, da poco meno di un’ora, poteva presentare come sua moglie. Le consegnò le chiavi di casa e la sollevò tra le braccia, chiudendo lo sportello con un calcio. Salì con qualche difficoltà i gradini della veranda, attese che Adia aprisse la porta ed entrò in casa. La casa di sua madre. La loro casa. “Bene, immagino di poterti mettere giù, ora” sospirò l’uomo, facendola scendere. “Accidenti, non ho più l’età per certe cose…”

            “Ma se non hai ancora quarant’anni…” lo rimproverò lei con un sorriso, lasciando cadere le chiavi sul tavolino dell’ingresso. Si voltò a guardarlo e appoggiò la schiena alla parete, le mani nascoste all’altezza del fondoschiena. “E adesso che si fa?” gli domandò a bassa voce, mordicchiandosi un labbro nervosamente.

            “Beh, vediamo… siamo stati presentati alla comunità come signor e signora Mercer, anche se ancora dobbiamo informare tutta la città… ti ho portata in braccio in casa…” rispose Bobby, fingendosi assorto nella formulazione dell’elenco, avvicinandosi di un passo alla volta, “direi che adesso dobbiamo soltanto consumare” concluse, appoggiandole una mano sul fianco e abbassandosi per baciarla.

            “Pensavo l’avessimo fatto già un paio di mesi fa” rispose lei, ridendo.

            “Questo è vero. Però adesso sarà ufficiale, agnellino mio” ribatté Bobby, passandole l’altra mano dietro la nuca per attirarla meglio a sé. “Sarà tutta un’altra storia.”

            Adia si lasciò baciare, e mentre le mani di Bobby si spostavano sulla sua schiena, lei fece uscire allo scoperto le sue, per portarle sulle sue spalle. La casa era completamente buia e assorta nel silenzio più totale: Sofi e Angel sarebbero rimasti in hotel e poi sarebbero partiti per il viaggio di nozze. Adia e Bobby avrebbero consumato la loro notte di nozze nella loro casa, soli e lontani da ogni forma di distrazione.

            All’improvviso, Bobby si staccò da lei. “Perché non vai ad aspettarmi di sopra? Io arrivo subito” le propose, afferrando il telefono dal tavolino.

            “Chi stai chiamando?”

            “Il vecchio Artie. Chi si sposa ha diritto ad una settimana di ferie.”

            “E tu ti aspetti che ti creda?” sorrise Adia.

            “Vai, ti raggiungo” ribatté lui, sorridendo con la medesima intensità.

            Adia salì al piano superiore, approfittando dell’attesa per darsi una rinfrescata e controllare di non avere un aspetto troppo orribile. Notò, con una certa felicità, che l’acconciatura aveva retto alla giornata fitta di impegni. Si soffermò a guardare nello specchio il riflesso della propria mano, sulla quale luccicava una semplice fede d’oro, identica a quella portata da Bobby. Un paio di minuti più tardi, alle sue spalle apparve Bobby, elegante e spavaldo come al solito, con una luce del tutto nuova negli occhi. Senza parlare, le fece scorrere le mani sui fianchi, arrivando a congiungerle sul ventre di lei. “Come l’ha presa il vecchio Artie?”

            “Mi ha creduto.”

            “Davvero?”

            “Ha detto che non l’avrei mai chiamato a quest’ora della notte per rifilargli una balla.”

            Adia sorrise. “Quindi…”

            “…ho una settimana libera. Sono tutto per te, agnellino.” Adia sorrise, voltando la testa per permettergli di baciarla. Lo sentì aumentare la pressione della stretta sul suo ventre, e si voltò per riuscire ad abbracciarlo. “Non so se te l’ho già detto, ma sei bellissima.”

            “Anche tu stai bene, così” gli sussurrò lei di rimando.

            Bobby scosse appena la testa, sorridendo. “Io sono solo un poveraccio ripulito e vestito con un abito elegante. Tu sei bellissima e basta.” Fece scendere le proprie mani sul suo fondoschiena, accarezzando quelle curve che ormai conosceva da tempo, e che per tutto il tempo sarebbero state sue. “Sei bellissima” le disse ancora, senza oltrepassare il sussurro. “Ho quasi paura di toccarti.”

            “Puoi fare di me quello che vuoi, Bobby. Lo sai…”

            Prendendo quella frase come il permesso di continuare, Bobby si sfilò rapidamente la giacca e il farfallino che era stato costretto ad indossare, poi riportò le mani sulla moglie, stringendola con più forza di quanto avesse fatto fino a quel momento. Adia mosse le mani nell’esiguo spazio tra i loro corpi, adoperandosi per slacciargli i bottoni della camicia bianca, mentre sentiva le mani di Bobby percorrere il corpetto del suo vestito. “Mi spieghi come si apre questa trappola?” le domandò, staccandole le labbra dal collo per un istante.

            “C’è una zip sul lato sinistro” rispose lei, slacciando finalmente l’ultimo bottone. “Ehi, questo è nuovo” commentò, sfiorando con la mano un tatuaggio all’altezza del cuore. “E’… sono…”

            “Il nome di mia madre” completò lui, spostando la propria mano su quella di lei. “E quello di mio fratello. E il tuo.”

            “Mancano Angel e Jerry” gli fece notare.

            “Oh, loro sono qui” ribatté lui, indicando un altro tatuaggio. “Ma questo è un posto speciale. Mia madre, Jackie, tu… avete il mio cuore.”

            Adia osservò il tatuaggio, poi alzò gli occhi nei suoi, guardandolo con amore. “Farò di tutto per meritarmelo, Bobby” bisbigliò, suggellando la promessa con un bacio.

            “Lo so” rispose lui, abbassando lentamente la zip. Lentamente, fece scivolare a terra il lungo abito blu, accompagnandolo con le mani e con lo sguardo. “Dio, adesso che siamo sposati mi sembri ancora più bella…” commentò, sfilandosi la camicia. “Sono lo stronzo più fortunato di Detroit, questo è sicuro” aggiunse, alzandola per la seconda volta tra le braccia e portandola sul letto, per abbandonarsi poi su di lei.

            Adia lo strinse, desiderosa di sentirlo su di sé, di avvertire il suo peso, le sue carezze, le sue mani… aveva bisogno di sentirselo addosso, aveva bisogno di sapere che non era solo un sogno. Gli slacciò la cintura con una foga che non le apparteneva, quasi con urgenza. Si sollevò per permettergli di sfilarle il reggiseno, e con un gesto gentile lo convinse a spogliarsi dei pantaloni. Lo riaccolse su di sé con un bacio, riconoscendo senza sforzo tutte le linee del corpo premuto contro il suo. Fece scivolare le proprie mani sul suo torace, avvertendolo abbassarsi e alzarsi ad ogni respiro. Inarcò la schiena e stese le gambe, lasciando che con un gesto le sfilasse la biancheria. Sentì le sue mani risalire lungo le sue gambe, accarezzare la cicatrice rimasta dopo l’intervento e proseguire, arrivare fino ai fianchi e raggiungere il seno, dove si fermarono. Un bacio nell’incavo del collo, un altro sulle labbra, e il desiderio di sentirlo ancora più vicino. Quasi avesse letto nella mente di Adia quel desiderio, Bobby si sistemò meglio e le rese sua, ancora una volta, finalmente per sempre.

 

            Trascorsero l’intera settimana trascinandosi dal letto alla cucina, senza mai spingersi più in là del salotto. Volevano sfruttare al massimo quei giorni di pace, prima che Angel e Sofi tornassero a riempire la casa con la loro allegria. La mattina del quinto giorno, mentre Bobby preparava il caffè, Adia comparve sulla soglia della cucina indossando una delle magliette di Bobby sopra la biancheria. “Ehi, agnellino. Hai una faccia… ti senti bene?”

            “Bobby, credo sia il caso di parlare di una cosa.”

            “Ok, ma siediti. Sei pallidissima…” Si inginocchiò accanto a lei, così da trovarsi più o meno alla sua altezza. “Di che vuoi parlare?”

            Adia si schiarì la voce, evidentemente nervosa. “Credo…” iniziò, cercando di mantenere ferma la voce, “credo che presto dovremo cambiare l’arredamento di una delle stanze degli ospiti.”

            “Cambiare l’arredamento? Non… non capisco perché…” Lasciò cadere la frase a metà e le guardò le braccia, incrociate davanti al ventre come a volerlo proteggere da un pericolo. “Non stai cercando di dirmi che sei incinta, vero?”

            “Beh, io… io credo di sì. Questo mese ho saltato il ciclo, e stamattina ho vomitato. Sei… ti dispiace che…”

            “Aspetta, aspetta solo un secondo” la interruppe, alzandosi e sparendo in salotto. Tornò reggendo il telefono. “Angel? Vida loca, passami Angel, sono Bobby. E’ importante, davvero!” Qualche secondo di attesa. “Angel? Angel, sei seduto? Mi sono sposato, Angel. No, no, non ti prendo per il culo. Chiama Jerry se non mi credi. Oh, e sto per avere un figlio” aggiunse, dopo una breve pausa. “No, Angel, non ti prendo per il culo. È solo che dovevo dirlo a qualcuno. Ehi, buona luna di miele!” Chiuse la telefonata e guardò Adia. “Cristo santo… padre? Dio, mi tremano le gambe…” Adia si alzò di scatto e lo abbracciò. “Dio, avremo un figlio!” esclamò, ricambiando l’abbraccio.

            “Bobby, non sono sicura che…” intervenne lei, sorridendo.

            “No, no, non può essere un falso allarme” la interruppe. “Un figlio, accidenti. Devo dirlo a Jerry!” esclamò, dopo averla baciata, iniziando a comporre il numero del fratello. “Su, vai a fare la doccia. Io preparo la colazione” aggiunse, spingendola dolcemente verso le scale.

            Adia iniziò a salire verso il piano superiore, fermandosi quando sentì la voce di Bobby salutare il fratello. Sorrise, rendendosi conto che, otto anni prima, forse non l’avrebbe presa così bene.

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Capitolo 31
*** 31. Beato Te [Marco Masini]. ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

31. Beato Te

 

 

            Per la seconda volta in poco meno di un anno, Bobby si ritrovò inginocchiato sulla tomba del padre di Adia, pregando per la sorte della donna che da circa nove mesi poteva definire sua moglie. Il reverendo Chambers lo fissava con il solito sorriso immobile, tentando vanamente di rassicurarlo. Bobby non riusciva a calmarsi: non era soltanto di Adia che si parlava, questa volta, ma anche di suo figlio. Suo figlio, una delle poche cose buone che fosse riuscito a realizzare nel corso della propria vita. Suo figlio o sua figlia, ancora non poteva saperlo con certezza. La sola cosa certa era che suo figlio – o sua figlia – avrebbe dovuto nascere due settimane prima, e invece se la stava prendendo comoda.

            Da una settimana, Adia era stata ricoverata in ospedale, per tenere la situazione sotto controllo e assicurarsi che tutto procedesse secondo i piani. Da una settimana, Bobby faceva la spola tra il magazzino del vecchio Artie, che lo aveva appena promosso responsabile, la propria casa e l’ospedale, nutrendosi quando capitava e dormendo ancor più di rado. “Io… io glielo chiedo per favore. Insomma, Adia è sua figlia. Parliamo di suo nipote” disse, trovandosi per la seconda volta a parlare con una tomba. “Gliel’avevo promesso, che l’avrei amata. La amo, l’ho sposata. Avrei voluto fare tutto in modo diverso, ma… è stato il destino. Lei dovrebbe saperne qualcosa. È stato il destino a mettere Victor Sweet sulla sua strada, no?” Un rumore di neve calpestata alle sue spalle gli fece voltare la testa. Distolse lo sguardo nell’incrociare la figura dell’agente Carmichael, il poliziotto che l’aveva arrestato per il maggior numero di volte. “Salve, agente. Prima di tirare fuori i braccialetti, lasci che le dica che sto pregando.”

            “Pregando?” ripeté l’agente, incredulo. “Lasciamo stare. Ti cerco da almeno un’ora, sai?”

            “Qual è il capo d’accusa? Molestie nei confronti di un cadavere?”

            “Non voglio arrestarti, Mercer. Ha chiamato il vecchio Artie. Ti cercano dall’ospedale. Hanno provato a cercarti a casa, ma non rispondeva nessuno, e il cellulare risulta staccato.”

            Bobby guardò immediatamente il cellulare. “Merda, si è scaricata la batteria. Che è successo?” domandò, alzandosi in piedi.

            “Sembra che tua moglie sia entrata in travaglio, ma si rifiuta di avere il bambino, finché non sarai da lei.”

            “Wow” sospirò Bobby.

            “Non mi sembri entusiasta.”

            “Oh, lo sono. È solo che… sono anche terrorizzato. Molto terrorizzato.”

            L’agente Carmichael scoppiò a ridere. “Ti capisco, Mercer. Ho tre figlie. Il tuo cos’è, maschio o femmina?”

            “Non lo so. Non l’abbiamo voluto sapere.”

            “Non sei curioso di scoprirlo?”

            Bobby guardò un’ultima volta la tomba del suocero, poi si lasciò andare ad un sorriso.

 

            Per la prima volta in vita sua, Bobby salì su un’auto della polizia senza le manette ai polsi. Approfittando della divisa e dell’auto d’ordinanza, il poliziotto accompagnò Bobby davanti all’ingresso dell’ospedale in un lampo. Bobby corse immediatamente nell’atrio, dirigendosi verso l’accettazione per sapere dove trovare Adia, ma fu intercettato da Carla, l’infermiera che un anno prima aveva assistito Adia nel corso dell’intervento alla gamba, e che si stava occupando di lei anche in quel frangente. “Bobby, finalmente!” esclamò, afferrandolo per un braccio. “Forza, non c’è tempo da perdere! È già al massimo della dilatazione, non c’è più tempo, ma continua a dire di volerti aspettare. Forza, andiamo!”

            “Cosa… cosa significa che è al massimo della dilatazione?” domandò l’uomo, mentre la donna lo trascinava lungo un dedalo di corridoi, fino al reparto maternità.

            “Significa che tuo figlio, o tua figlia, o che diavolo è, muore dalla voglia di farsi vedere dal mondo” ribatté l’infermiera, continuando a guidarlo verso la meta. “Ok, ci siamo” annunciò, fermandosi davanti all’ingresso della sala parto. “Togliti la giacca, su!” gli intimò, strattonando il giubbotto pesante. “Mettiti il camice, forza!” gli ordinò ancora, aiutandolo ad infilarsi un buffo camice azzurro. “Ok, ti risparmio la cuffia, ma andiamo, forza! Sarà già abbastanza difficile senza che perdiamo tempo…” continuò, prendendolo per la mano e trascinandolo nella sala. “Ci siamo, dottor Evans!” annunciò, rivolgendosi al ginecologo. “Ho il padre!”

            Bobby non ebbe bisogno di essere guidato da Carla, per capire che il suo posto era accanto a Adia, spettinata e scomposta come mai. “Ehi, tesoro, come ti senti?” le domandò, avvicinandosi e baciandole la fronte. “Sei bellissima, lo sai?”

            “Anche tu stai bene” rispose lei con serenità, un istante prima che una contrazione le facesse digrignare i denti. “Ho paura, Bobby…” sussurrò.

            “Non avere paura, agnellino” la rassicurò, prendendole la mano. “Ti ho cacciata io in questo pasticcio, e io ti starò accanto mentre ne uscia… ahia!” esclamò, nel sentirsi stringere la mano con una forza inaudita. “Cristo santo, che male!”

            “Beh, è pressappoco lo stesso dolore che prova lei” lo informò Carla, sorridendo.

            Bobby sospirò, e sistemandole meglio le braccia attorno alle spalle, le prese anche l’altra mano. “Almeno distribuiscilo equamente, per favore” la pregò, riuscendo a strapparle un minimo sorriso.

 

            Ci volle almeno un’ora, prima che Adia riuscisse ad avere il bambino: un’ora intera prima che Bobby potesse guardare negli occhi suo figlio. “Mio Dio, è un maschio” sussurrò, estasiato, mentre Carla, insieme ad un’altra infermiera, lavava e vestiva il piccolo. “Dio, ho un figlio!” esclamò, baciando Adia. “Abbiamo un figlio…”

            Carla si avvicinò sorridendo, e delicatamente adagiò il piccolo tra le braccia della madre, stremata per le lunghe ore di travaglio. “Come si chiamerà?”

            “Samuel” rispose Bobby, nello stesso istante in cui Adia diceva “Jack.”

            “Oh” fece Carla. “Immagino che dobbiate ancora finire di discuterne.”

            “Credevo volessi chiamarlo come tuo padre” disse Bobby, guardando Adia.

            “Credevo volessi chiamarlo come tuo fratello” rispose lei.

            “Possiamo chiamarlo con entrambi i nomi” propose lui.

            Adia scosse la testa, sorridendo. “Messi insieme non stanno affatto bene. D’altra parte, non è facile mettere insieme i Mercer e i Chambers.”

            “Preferisco Samuel, allora.”

            Adia scosse ancora la testa. “No. Ha la faccia da Jack. Suo fratello potrebbe chiamarsi Samuel.”

            “Suo fratello?”

            “Sì, beh, se in futuro dovessimo decidere di fargli un fratellino, intendo.”

            Bobby sorrise, annuendo. “Sono d’accordo.”

            “Naturalmente, pretendo che passi almeno un anno, prima di iniziare. Più o meno è il tempo che mi ci vorrà per riprendermi da questo.” Guardò di nuovo suo figlio, che per attirare la sua attenzione aveva agitato debolmente il pugnetto chiuso. “Jack Mercer. È perfetto. Somiglia persino un po’ allo zio Jack.”

            “Sì, beh, considerando che è impossibile che gli somigli, direi che hai ragione” sorrise Bobby, posandole un bacio tra i capelli. “Jack Mercer” sussurrò, lasciando che il neonato gli stringesse il dito indice con la piccola mano. “Mi chiedo se Detroit sia pronta per questo.” In risposta, quasi avesse voluto dire la sua, il piccolo Jack emise un debole vagito. Bobby non ebbe vergogna di asciugarsi una lacrima. Mi chiedo se Detroit sia pronta per vedermi diventare padre.

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Capitolo 32
*** Epilogo. Thankful [Josh Groban]. ***


Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

Epilogo. Thankful

 

 

I’ll keep a part of you in me,

and everywhere I am, there you’ll be.

{There You’ll Be, Faith Hill}

 

 

            La sveglia suonò alle sette del mattino, come sempre. Adia la spense con un colpo secco e si rigirò tra le coperte, mugugnando per rivendicare il proprio diritto a dormire un po’ di più. Almeno il giorno di Natale, che cavolo! Bobby si svegliò a sua volta, e immediatamente allungò le mani per tirarsela vicina e salutarla nel modo che più amava. Strofinandosi lentamente contro di lei, le baciò il collo, incontrando il suo disappunto. “Bobby, sono le sette del mattino” bisbigliò la donna. “Io non sono ancora sveglia, e tu hai voglia di fare sesso? Com’è possibile?” gli domandò, girandosi sulla schiena per riuscire a guardarlo negli occhi.

            “Ho sposato una donna bellissima che non ha perso il proprio fascino. Ehi, è il giorno di Natale. Un po’ di sano sesso mattutino me lo potresti anche concedere” aggiunse, spostandosi per riuscire a sovrastarla.

            “Sai che lo farei molto volentieri, se solo non ci fossero tre teppisti in miniatura pronti a saltare sul letto appena svegli. Conoscendoli, credo che tra meno di cinque minuti saranno qui.”

            “Lo sapevo, dovevamo abbandonarli davanti alla porta della chiesa appena nati” commentò lui con un sorriso, tornando a distendersi.

            Adia rise, poi lo colpì amichevolmente sul braccio. “Ehi, sono i nostri figli! A proposito di Natale, posso darti subito il mio regalo?”

            “Spero che consista in una lunga giornata da passare da soli, io e te.”

            “Beh, io…” iniziò lei, un attimo prima che la porta si spalancasse, lasciando che tre bambini scalmanati invadessero la stanza. Jack, di nove anni, Samuel, di sette, e Chris, di sei, saltarono immediatamente sul letto dei genitori, brandendo ciascuno una maglietta. “Mamma, papà, abbiamo trovato questi sopra il letto, quando ci siamo svegliati, e li abbiamo aperti subito, perché…” iniziò Samuel, il più logorroico dei tre.

            “Erano sul letto, e c’era scritto di aprirli subito, e…” continuò Chris.

            “Ma come faceva Babbo Natale a sapere la misura delle magliette?” domandò Jack.

            Bobby alzò le mani in segno di resa. “Ehi, ragazzi, ragazzi! Uno alla volta. Fa’ vedere, Jackie.”

Il figlio maggiore gli porse la maglietta. Bobby la spiegò davanti ai propri occhi, e dopo averla osservata per bene scoppiò a ridere. “Direi che mamma Natale ha avuto una bellissima idea…” osservò, restituendo la maglia al figlioletto.

Adia sorrise, porgendogli un pacchetto. “Oh, hai ragione. E credo proprio che ce ne sia una anche per te, papà Mercer…” I tre bambini si infilarono le magliette, osservando poi la scritta ‘I’m A Mercer’ sul davanti, e la scritta ‘Beware’ stampata sulla schiena. “Le ho fatte stampare anche per i tuoi fratelli e per le tue nipotine” gli sussurrò, accarezzandogli una gamba al di sotto delle coperte.

“Però Babbo Natale non mi ha portato tutto quello che volevo” protestò Chris, che aveva appena compiuto quattro anni.

“Sentiamo, campione” commentò Bobby, prendendo il bambino e mettendoselo in braccio, “che altro avresti voluto per Natale?”

“Io avevo chiesto un fratello, così non sono più il più piccolo. Ma mi va bene anche una sorella, se non diventa antipatica come le figlie di zio Jerry.”

“Oh, tesoro…” disse Adia, accarezzandogli la testa. “Beh, io e il papà ne stavamo giusto parlando, sai?” aggiunse, alzando gli occhi sul marito.

“Davvero?” commentò il piccolo Chris, al settimo cielo.

“Sì, davvero. Ma se davvero ci tieni ad avere un fratello, adesso devi andare di sotto con i tuoi fratelli, aprire i regali e aspettare che il papà e la mamma finiscano di parlarne, ok?”

Felici per quell’eventualità, i tre ragazzini si precipitarono fuori della stanza a velocità supersonica, rincorrendosi giù per le scale, fino in salotto. Rimasti soli, Bobby e Adia si guardarono in silenzio per un minuto. “Di tutti i modi che ti sei inventata per dirmi che sei incinta, questo è il migliore, lo sai?” commentò l’uomo, a bassa voce.

Adia fece spallucce. “Volevo dirtelo nella maniera tradizionale, ma quei teppisti dei tuoi figli mi hanno costretta a cambiare i miei piani…” sorrise.

“Beh, tanto per cominciare, quei teppisti sono i nostri figli” ribatté Bobby con un sorriso, “e a quanto pare ci hanno appena lasciato soli…” aggiunse, avvicinandosi con aria sorniona alla moglie. “E non cercare di scappare, perché ho intenzione di finire quello che ho iniziato prima” la avvertì, infilando una mano al di sotto della maglietta che Adia usava come pigiama.

“Ehi, non mi hai detto che pensi di…”

“…del fatto che sei di nuovo incinta? Beh, mi pare di essere ancora qui, no?” completò, prima di baciarla.

“Parlo sul serio, Bobby” ribatté lei, facendosi seria. “Insomma, un altro figlio…”

“Ne sono felice, agnellino. Ti amo, amo la nostra famiglia. Amo Jack, Sam, Chris, e amerò anche Will” rispose, stendendosi accanto a lei, puntellato su un gomito.

Adia sorrise, scuotendo la testa. “Evelyn, vuoi dire.”

“Come? Sai già che è femmina?” si stupì Bobby.

“No, è presto. Ma non so spiegarmelo. Me lo sento, ecco tutto. Evelyn. Sarà Evelyn.”

 

 

L’Angolo di Effie:

            Finalmente, eccoci giunti alla fine di questa storia. Non è stato semplice arrivare alla fine, ma con un po’ di impegno mi sono “costretta” ad arrivare ad una qualche conclusione (forse scontata, forse troppo da “vissero per sempre felici e contenti”, ma indubbiamente la più giusta per Bobby e Adia). E’ incredibile rendersi conto di essere arrivati in fondo: non ho nemmeno parole per commentare.

            Resta soltanto da ringraziare chi ha seguito questa storia: Kashmir, Dada88, Hikari88, sophia90 e s a r s a. Grazie a tutte voi, e a presto,

            EffieSamadhi*

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