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Lista capitoli: Capitolo 1: *** 1. El Verano Mas Triste [Miguel Bosé feat. Carlos Berlanga] *** Capitolo 2: *** 2. Changes [David Bowie feat. Butterfly Boucher] *** Capitolo 3: *** 3. Gocce Di Memoria [Giorgia] *** Capitolo 4: *** 4. Never Felt This Way [Alicia Keys] *** Capitolo 5: *** 5. Como Un Lobo [Miguel Bosé feat. Bimba Bosé] *** Capitolo 6: *** 6. Fortissimo [Claudio Baglioni] *** Capitolo 7: *** 7. Eppure Sentire (Un Senso Di Te) [Elisa] *** Capitolo 8: *** 8. Don't Let The Sun Go Down On Me [Elton John] *** Capitolo 9: *** 9. Bachata Rosa [Juan Luis Guerra] *** Capitolo 10: *** 10. Essere In Te [883 feat. Syria] *** Capitolo 11: *** 11. Somethin' Stupid [Frank Sinatra feat. Nancy Sinatra] *** Capitolo 12: *** 12. Solo Por Ti [Josh Groban] *** Capitolo 13: *** 13. Adesso E' Facile [Mina feat. Manuel Agnelli] *** Capitolo 14: *** 14. Give Me The Simple Life [Jamie Cullum] *** Capitolo 15: *** 15. La Voz [Laura Pausini] *** Capitolo 16: *** 16. For Once In My Life [Vonda Shepard] *** Capitolo 17: *** 17. Sulla Via Di Casa Mia [Claudio Baglioni] *** Capitolo 18: *** 18. Le Festin [Camille] *** Capitolo 19: *** 19. Love Me Tender [Frank Sinatra] *** Capitolo 20: *** 20. Fino In Fondo [Luca Barbarossa feat. Raquel Del Rosario] *** Capitolo 21: *** 21. Look Through My Eyes [Phil Collins] *** Capitolo 22: *** 22. Salvami [Gianna Nannini feat. Giorgia] *** Capitolo 23: *** 23. Si Todos Fuesen Iguales A Ti [Miguel Bosé feat. Rosa Leon] *** Capitolo 24: *** 24. There For Me [Sarah Brightman feat. Josh Groban]. *** Capitolo 25: *** 25. Prendimi Così [Piero Pelù]. *** Capitolo 26: *** 26. Underneath The Night Sky [Young Love] *** Capitolo 27: *** 27. Boulevard Of Broken Dreams [Green Day] *** Capitolo 28: *** 28. The Story [Brandi Carlile] *** Capitolo 29: *** 29. Marry Me [Dolly Parton] *** Capitolo 30: *** 30. Il Giardino Delle Api [Marco Masini]. *** Capitolo 31: *** 31. Beato Te [Marco Masini]. *** Capitolo 32: *** Epilogo. Thankful [Josh Groban]. ***
Capitolo 1 *** 1. El Verano Mas Triste [Miguel Bosé feat. Carlos Berlanga] ***
Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.
1.El Verano Mas Triste
"Io ho parlato."
"E che gli hai detto?"
"Gli ho detto che mi scopavo la moglie."
Lasciarono
la stazione di Polizia insieme, i tre fratelli Mercer. Tre, non più quattro. Bobby
odiava il numero tre. Lo odiava dai tempi in cui si era fatto coinvolgere in
una specie di storia con una donna sposata. Era finita con una scazzottata tra
lui e il marito cornuto, e visto che ne era uscito piuttosto malconcio, Bobby
avrebbe preferito non ripetere. Quindi, basta triangoli. Mai più donne sposate, aveva promesso a se stesso. Aveva aggiunto sposate dopo essersi reso conto che non
avrebbe mai potuto vivere senza una donna. Aveva avuto modo di provare
l'astinenza forzata in carcere, e la cosa non gli era piaciuta affatto: era
stata dura, affrontare tutto senza compagnia...
Si
sorprese a fissare i due fratelli, che sembravano aver trovato la donna della
loro vita. Jerry aveva pure sfornato due marmocchie, com'era possibile? Per non
parlare di Angel e Sofi: se avessero continuato a darci dentro con quel ritmo,
la possibilità di diventare ancora zio non era poi così remota... E lui,
invece? Naa, a lui bastava una scopata. Una bella e sana scopata con una
pupattola a caso. Nelle ultime settimane non aveva fatto altro che occuparsi di
vendette e boss da ridimensionare: adesso era il momento di pensare un po' a
sé. Iniziava la missione: Trova Una Donna Per Bobby.
"Fratello,
a che pensi?" La voce di Jerry, amorevolmente abbracciato da Camille,
riportò Bobby sulla Terra.
"Stavo
pensando che adesso voi due figli di puttana ve ne andrete a casa a spassarvela
con le vostre donne, e mi lascerete qui in mezzo alla strada solo come un
cane" ribatté lui, fingendosi offeso.
"Trovati
una ragazza, fratello" sentenziò Angel, facendo spallucce e lanciandogli
qualche confezione di preservativi.
"La
fai facile, tu" rispose Bobby, intascando le confezioni. "Tu hai La
Vida Loca."
Sofi,
sentendosi chiamata in causa, rispose semplicemente alzando il dito medio.
Impegnato a lamentarsi per la mancanza di una donna, Bobby rimase indietro
rispetto al resto del gruppo e smise di prestare attenzione a dove metteva i
piedi, andando a sbattere contro una ragazza appena uscita dal supermercato.
"Ehi, che cazzo!" sbottò l'uomo, sorpreso dall'urto. Osservò la
ragazza raccogliere quello che le era caduto, rendendosi conto che si trattava
davvero di un bell'esemplare. "Ehi, serve una mano?"
La
ragazza si rialzò, apparentemente con fatica, e stringendosi al petto la busta
lacera puntò gli occhi nei suoi. "No grazie, Bobby Mercer. Ne hai già
combinati abbastanza, di casini." Detto questo, marciò via, lasciandolo
con un palmo di naso.
"Ehi!"
protestò. "Guarda che io sono stato gentile! Donne..." aggiunse,
sibilando e raggiungendo gli altri. "Non lamentatevi se poi vi facciamo le
corna" commentò ancora, rivolgendosi in modo particolare a Sofi.
Un
paio d'ore più tardi, Camille e Sofi chiamarono a tavola i tre uomini. "Le
bambine sono ancora da tua madre?" si informò Jerry.
"Ho
pensato di lasciarle da lei ancora qualche giorno, mentre vi rimettete in sesto
e decidete che cosa fare con la casa" rispose Camille, mettendo in tavola
una ciotola di minestra. "Almeno non vi staranno tra i piedi."
"E'
una cosa di cui dovremmo discutere" osservò Angel. "Insomma, è la
casa della mamma, io credo che dovremmo sistemarla."
"I
soldi non mancano. Abbiamo i quattrocentomila dollari dell'assicurazione. Se
facciamo le riparazioni da noi, possiamo risparmiare sulla manodopera"
rispose Jerry. "Che ne dici, Bobby?"
Per
la seconda volta in poco tempo, Bobby si fece sorprendere disattento.
"Come?"
"Jerry
stava dicendo che per le riparazioni alla casa di mamma potremmo... ehi,
fratello, ma ti senti bene?"
Bobby
si passò una mano sugli occhi. "Sì, sto bene." Fece una pausa.
"Stavo pensando alla ragazza di oggi. Sono sicuro di averla già vista,
eppure non mi ricordo il suo nome..."
Una
fragorosa risata risuonò nella cucina. "Fratello, le sei stato dietro per
tre anni e non te la ricordi?" gli domandò Jerry, iniziando a piangere per
le troppe risate.
"Ehi,
che avete da ridere? No, spiegatemi, voglio ridere anch'io..." fece Bobby,
sarcastico, aspettando che l'ilarità scemasse.
Angel
riuscì a darsi una calmata. "L'unica ragazza di Detroit che Bobby Mercer
non è mai riuscito a farsi!" esclamò, battendo il cinque al fratello e
ricominciando a ridere.
"Ahahah,
molto divertente. Allora?"
Jerry
si ricompose. "Fratello, quella è la figlia del reverendo."
"Di
quale reverendo?"
"Il
reverendo Chambers, quello che viveva giù su Evans Street."
"E'
la figlia più piccola, Adia" specificò Jerry.
Bobby
strizzò gli occhi e distolse lo sguardo dai fratelli, riflettendo. Chi
diavolo... "Oh, cazzo. Quella
figlia del reverendo?"
Dopo
cena, si trasferirono in salotto. “Accidenti, la piccola Adia è cresciuta
davvero bene…” osservò Bobby. “Proprio una bella pollastra.”
“Sei
disgustoso, Bobby” lo rimproverò Sofi. “Non pensi ad altro che al sesso.”
“Sbaglio
o Madre Teresa ha detto qualcosa?” la prese in giro lui, schivando per un pelo
il cuscino che lei gli aveva lanciato.
“Tanto
piccola non direi” osservò Angel. “Quanti anni aveva quando te ne sei andato?
Diciotto?”
“Venti”
lo corresse Sofi. “Era una classe avanti a me.”
“Da
quanti anni è morto il reverendo?” chiese Camille a Jerry.
“Il
reverendo Chambers è morto?” si stupì Bobby. “Quando cazzo è successo?”
“Mentre
eri in galera, fratello” rispose Jerry. “Cinque anni fa, se non sbaglio. Brutta
storia.”
“Che
gli è successo?”
“Gli
hanno sparato” spiegò l’altro. “Davanti alla sua chiesa. Hanno mirato alle
gambe. L’hanno lasciato lì ad agonizzare, e quando sua figlia è corsa ad
aiutarlo, hanno sparato anche a lei.”
“Quale
figlia? Quell’uomo aveva più figlie che capelli” osservò Bobby.
“La
tua pollastra” ribatté Angel. “Non hai visto come zoppica?”
Bobby
si rese conto di non averci fatto caso. “Non l’ho notato. Chi è stato a
sparare?”
Jerry
fece spallucce. “Killer di fuori città. Ma lo sanno tutti che dietro c’era la
mano di Victor Sweet.”
“Perché
far uccidere il prete?”
“Perché
si opponeva al regime di Victor. Chiedeva alla gente di opporsi con lui, ma
nessuno lo ascoltava. Non che fosse pericoloso, ma tu sai com’è… com’era Victor. Bastava guardarlo male.”
Bobby
annuì, dando segno di aver capito. “Cazzo, me ne sono perse di cose” cercò di
scherzare. In realtà, quella situazione gli ricordava la morte di sua madre. In
fondo, Evelyn Mercer e il reverendo Chambers erano morti entrambi per un
capriccio di Victor. Ma ora tutto era sistemato: quel bastardo galleggiava
sotto il ghiaccio del lago, e non avrebbe più fatto male a nessuno. Si alzò.
“Grazie per la cena, Camille. Vida loca…”
aggiunse, saltellando all’indietro per evitare un calcio di Sofi. “Io me ne
vado a letto.”
Angel
sorrise. “Il letto di chi?”
“Il
mio, fratellino. Ma da domani si cambia musica, stanne certo. Voglio che si
sappia che Bobby Mercer è tornato in città.”
NdA
– Prima di continuare, sempre che
qualcuno abbia avuto il coraggio di arrivare in fondo a questo capitolo, ho deciso
di lasciare una piccola nota.
Non ho
idea di come sia nata questa storia, davvero.
È solo
che, dopo aver rivisto il film per qualcosa come la decima volta, mi sono
chiesta che cosa succedesse dopo l’interrogatorio finale (del quale riporto uno
stralcio a inizio capitolo). Nella scena conclusiva, in cui i tre fratelli sono
alle prese con la sistemazione della casa, il “fantasma” di Evelyn chiede a
Bobby se abbia intenzione di restare. Bobby risponde di sì, ma… perché? Il film
non ci dà una risposta, e allora… la risposta l’ho creata io. Ho cercato di
dare a Bobby Mercer (indubbiamente il mio personaggio preferito) un motivo per
restare.
Inoltre,
trovavo maledettamente ingiusto che Jerry e Angel avessero una donna e Bobby
no. *indignazione – mode ON*
Altro
avvertimento: sono solita titolare i capitoli con il titolo della canzone che
mi ispira mentre scrivo. Anche il titolo della ff è “musicale”: è tratto dalla
canzone “Adia” di Sarah McLachlan, che personalmente vi consiglio di ascoltare.
Spero
vi possa piacere questo mio obbrobrio, o che, perlomeno, non vi faccia troppo
schifo. Fatevi sentire, in entrambi i casi!
Quello che fino a pochi giorni prima
era sembrato a Bobby un obiettivo di vitale importanza, ovvero trovarsi una
donna, passò in secondo piano. Non che non sentisse più il bisogno di una
donna, anzi: ma sentiva che prima aveva altro da fare.
Era martedì, come il giorno in cui
avevano fatto fuori Jack. Cazzo, sono
passate solo due settimane? Sembra una vita, pensò Bobby, chinandosi a
spazzare via un po’ di terra dalla lapide di famiglia. Il giorno dopo sarebbe
stato mercoledì. Poi ci sarebbe stato un giovedì, e poi un venerdì. Pian piano,
sarebbe arrivato un altro martedì, e Jack sarebbe stato una settimana più
morto. Bobby odiava il tempo, quando questo giocava contro di lui.
Si rialzò, spolverandosi i jeans, e
si allontanò dal cimitero. Era ora di lasciare i ricordi là dove dovevano
stare: nel passato. Mentre tornava in città, ripensò a quello che Jerry e Angel
gli avevano raccontato a proposito del reverendo Chambers. Già che c’era, aveva
cercato anche la sua tomba: una fotografia che lo ritraeva sorridente, e le
solite frasi idiote: marito affezionato, padre adorato, uomo coraggioso. Il
reverendo era un brav’uomo, sì, ma non era certo un santo. Così come,
probabilmente, non era stata una santa nemmeno Evelyn.
Parcheggiò e sorrise, al ricordo di
sua madre. Non ebbe il tempo di crogiolarsi nella serenità, perché con la coda
dell’occhio notò Adia Chambers entrare in un negozio dall’altra parte della
strada. Angel ha ragione, zoppica un
sacco, osservò, scendendo dall’auto e cercando di escogitare qualcosa per
riuscire ad incontrarla in un modo che potesse sembrare del tutto casuale.
Aspettò di vederla uscire, sorridendo al negoziante, poi iniziò a camminare
verso di lei, apparentemente distratto.
“Non è possibile!” la sentì
esclamare. “Di nuovo tu?”
“Oh mio Dio, non posso crederci!
Adia Chambers? Quanto tempo è passato dall’ultima volta che ci siamo visti?”
“Lasciami passare, Mercer.”
“Dai, non andare via così di fretta!
Facciamo due chiacchiere, che dici? In memoria dei vecchi tempi!”
“Ma quali vecchi tempi…” ribatté
lei, cercando di dribblarlo, per quanto possibile.
Bobby fu piuttosto abile a sfilarle
di mano il pesante pacco che reggeva. “Su, andiamo. Non sia mai che Bobby
Mercer faccia faticare una donna.”
“Bobby Mercer, ti ordino di…”
“Dai, rilassati, tesoro. Ti aiuto
qui e poi andiamo a prenderci un caffè, ti va?”
La ragazza si arrese, si risistemò
il berretto e iniziò a camminare a fianco del cattivo ragazzo più strano a cui
Detroit avesse mai dato i natali. Quando giunsero sul sagrato della chiesa, si
fermò. “Credo di poter andare avanti da sola, grazie” disse, cercando di
riprendersi il pacco, ma Bobby fu piuttosto bravo a portarlo rapidamente fuori
della sua portata.
“Ehi, guarda che oggi sono gratis, e
sono tutto per te. Puoi fare di me quello che vuoi” ammiccò lui, sperando che
lei captasse ogni singolo doppio senso. D’altra parte, era per provarci
spudoratamente con lei, che era andato a cercarla.
“Pensavo non andassi molto d’accordo
con le chiese.”
“Io? Con le chiese? Che cosa te lo
fa pensare?”
Lei fece spallucce. “Ah, lascia
stare…”
Una volta sistemato lo scatolone nel
magazzino con gli altri, entrambi uscirono di nuovo nel pallido sole di quel
martedì.
“Allora” esordì lei, con voce
incerta, “ho saputo di tua madre. È stato un shock per tutti. Mi dispiace di
non essere venuta al funerale, ma non sono stata bene. Però ogni tanto vado da
lei. Al cimitero” specificò.
“Grazie, è un bel pensiero. Allora
sei stata tu a portare i lillà.”
La ragazza annuì. “Una volta mi
aveva detto che le piacevano molto.”
“Non sapevo vi foste parlate.”
“Dev’essere stato cinque o sei anni
fa. A volte veniva in chiesa. Le piacevano i sermoni di mio padre.”
Ci fu silenzio, per qualche minuto.
“Ho saputo di tuo padre” disse Bobby.
Adia alzò lo sguardo su Bobby, per
distoglierlo subito dopo.
“Mi dispiace” aggiunse lui. Lei
annuì, incapace di parlare. “Ho saputo anche di te” continuò Bobby.
“Certo. Immagino volessi vedere con i
tuoi occhi la povera piccola Chambers zoppa” rispose lei, con acredine. “Meglio
vedere la gente rovinata, piuttosto che morta, vero?” Fece dietrofront e si
allontanò, visibilmente in difficoltà, lasciando Bobby solo sul sagrato.
“Donne…” sospirò ancora lui. “Non si
sa mai come cazzo ci si deve comportare con voi.”
Rientrato a casa, quella sera,
incrociò lo sguardo divertito di Angel. “Allora? Oggi sei riuscito a farti
anche l’ultima della lista?”
“Fottiti, fratello, non ho un cazzo
di voglia di parlare di quella stronzetta.”
“Vedo che hai già cambiato idea”
intervenne Sofi, affacciandosi alla cucina. “Siccome non sei ancora riuscito ad
andarci a letto, non è più una pollastra, ma una stronzetta? Quanto siete
stronzi voi uomini!”
“Fratello, puoi dire alla Vida Loca di farsi gli affari suoi, una
volta tanto?”
“Scusa, tesoro, è un affare di
famiglia” sussurrò Angel, spingendo la ragazza di nuovo verso i fornelli. Si
sedette sul tavolino basso del salotto, proprio davanti al fratello. “Bobby, mi
spieghi perché vuoi farti quella ragazza a tutti i costi? Insomma, siamo a
Detroit! È pieno di donne, perché
vuoi proprio lei?”
Bobby rifletté per un paio di
secondi. Perché siamo tutti e due soli,
perché siamo uguali. “Perché non voglio che si dica in giro che una donna
ha rifiutato Bobby Mercer.”
Bobby
aspettò l’arrivo della mezzanotte, prima di uscire. “Dove stai andando?” gli
aveva chiesto Angel.
“Ho
un appuntamento.”
“E
lei lo sa?”
“Lo
saprà presto.”
Angel
sorrise e scosse la testa, prima di raggiungere Sofi in camera da letto. Se la
preda di Bobby avesse confermato di avere lo stesso carattere pungente e
caparbio del padre, non si sarebbe stupito di veder tornare a casa il fratello
entro mezz’ora, scornato e ancora a secco.
Bobby
parcheggiò in Evans Street, poco distante dalla casa del reverendo. Sette anni
prima, nel periodo in cui aveva dato la caccia alla giovane Adia, era solito
parcheggiare proprio in quello stesso punto. Sorrise, al ricordo di tutto ciò
che aveva fatto per riuscire a portarsela a letto. E non ci era mai riuscito.
Raccolse una manciata di sassolini e girò intorno alla casa, cercando di
ritrovare la finestra della stanza della ragazza. Sapeva che era sempre rimasta
a vivere lì, e che ora in quella stessa casa viveva Aaron, suo fratello
maggiore, con la moglie e i due figli.
Bobby
si fermò e lanciò il primo sassolino contro quella che ricordava essere la
finestra giusta. Attese trenta secondi, poi ne lanciò un altro. Altri trenta
secondi di silenzio, poi ne lanciò un terzo. La finestra si sollevò, e gli
occhi azzurri della ragazza, carichi di disapprovazione, si fissarono su di
lui. “Che diavolo vuoi, Mercer?” sibilò lei, cercando di non svegliare i
bambini. “E’ mezzanotte passata.”
“Vuoi
uscire con me?”
“Esiste
il telefono, lo sai?”
“Intendevo
adesso.”
“Tu
sei pazzo…”
“Dai,
che ti costa?”
“E
dove avresti intenzione di portarmi, sentiamo?”
“Tu
lascia fare a me. Detroit è piena di posti carini da vedere.” Fece una pausa.
“Dai, ti prometto che non allungherò le mani” mentì. Sapeva che non sarebbe
riuscito a trattenersi. La osservò valutare la proposta.
“Dammi
cinque minuti” si arrese lei, richiudendo la finestra.
Cinque
minuti più tardi, Adia uscì di casa, chiudendosi la porta alle spalle. Zoppicando,
attraversò la veranda e il giardino e raggiunse Bobby, ancora appoggiato al
cofano dell’auto. Mentre la ragazza si avvicinava, lui si premurò di osservarla
accuratamente: jeans, maglione, giubbotto, scarpe da ginnastica, sciarpa e
berretto. Capelli lunghi, scuri, molto più lunghi di quanto ricordasse. Occhi
azzurri, completamente privi dell’aura ingenua che lo aveva fatto diventare
matto otto anni prima. Adia Chambers era cambiata, non era più la ragazzina che
aspirava a portarsi a letto a tutti i costi. Eppure, gli piaceva lo stesso.
“Perché
mi sono lasciata convincere?” sbuffò lei. “Otto anni e hai sempre la solita
faccia da schiaffi.”
“Così
mi ferisci, agnellino” ribatté lui, fingendosi triste.
“Come
vuoi. Comunque ti avverto, ho dello spray al peperoncino, in caso di bisogno.”
Bobby
rise. “Ah, allora anche alle figlie dei preti piacciono le cose spinte…”
“Che
imbecille…” sospirò lei. “Ci vediamo in giro, Mercer” aggiunse, voltandosi per
tornare in casa.
Lui
l’afferrò per un polso, con decisione. “Per
favore” sussurrò. “Facciamo un giro. Ho voglia di parlare con qualcuno”
aggiunse, allentando la stretta.
“Ti
sei rammollito, Mercer. Una volta avresti detto chiaro e tondo che volevi fare
sesso con me.”
“Ti
sei rammollita anche tu, Chambers. Una volta mi avresti lanciato un secchio
d’acqua dalla finestra.” Lasciò completamente il polso di lei. “Dai, ti
prometto che non allungherò le mani.” Questa volta, non mentiva. O almeno,
avrebbe cercato di controllarsi.
Bobby
parcheggiò davanti a casa sua – la casa di
sua madre – e spense il motore. Improvvisamente non più illuminata dalla
luce dei fari, casa Mercer sembrava ancora più spettrale. Bobby si rilassò
contro il sedile, mentre guardava la struttura completamente crivellata dai
colpi degli scagnozzi di Victor. La sua casa, la casa di sua madre. Ci sarebbe voluto del tempo, per rimetterla in sesto.
E nonostante tutto, Bobby lo sapeva, non sarebbe mai tornata ad essere quella
di prima.
“Ho
letto la notizia sui giornali” disse finalmente la ragazza, rompendo il
silenzio nel quale si erano rinchiusi dall’inizio del viaggio. “Ho letto che
c’era stata una sparatoria. Subito non ho pensato che fosse casa tua. Poi, ho letto che nello scontro era
morto Jack Mercer, e allora…” La voce si spense. “Dire che mi dispiace per
quello che è successo non lo farà tornare indietro. Non fa tornare indietro
nessuno.”
Bobby
annuì.
“Però
fa stare un po’ meglio, non credi?” continuò lei, voltando appena la testa per
guardarlo.
“Un
po’, forse” ammise lui. “Che cosa provi?”
“Riguardo
a cosa?”
“Riguardo
alla morte di tuo padre. Al sapere che l’uomo che lo ha fatto ammazzare è
morto? Sei felice?”
“Tu
lo sei?”
“Non
si risponde ad una domanda con un’altra domanda, non te lo hanno insegnato?”
Adia
sorrise. “Mio padre mi ha insegnato a perdonare.”
“Anche
un omicida?”
“Anche
un omicida. Lo so, sembra una cosa strana, ma… io avevo perdonato Victor
Sweet.”
Questa
volta fu Bobby a voltarsi a guardarla, per la prima volta da quando erano
saliti in auto. “Come puoi aver perdonato Victor Sweet? Ha ucciso tuo padre!”
esclamò, sorpreso.
“Lo
so. So che Victor Sweet ha fatto uccidere mio padre. Ma io non l’ho mai
considerato degno del mio odio.”
“Degno del tuo odio?” esclamò ancora lui,
decisamente più sorpreso di prima.
“Il
disprezzo, come l’amore, è una cosa che bisogna guadagnarsi poco a poco. E’ una
delle cose che mi ha insegnato mio padre.”
“Mi
stai dicendo che tutto quello che ha fatto Victor Sweet non è stato sufficiente
a fartelo odiare?”
Adia
scosse la testa. “Forse, se fosse vissuto ancora un po’, ci sarebbe arrivato.”
Bobby
scosse la testa a sua volta, divertito. “Incredibile… davvero incredibile…”
“Cosa?”
“Quel
figlio di puttana ha ucciso tuo padre e ti ha fottuto una gamba, e tu non lo
hai mai detestato?”
Adia
cercò di scansare il gergo colorito e abbozzò un sorriso. “Esattamente.” Fece
una pausa. “E comunque sono i miei
affetti familiari e la mia gamba, e
vorrei decidere da sola in che modo compiangerli” aggiunse, rifacendosi seria.
“Tu odiavi Victor, vero?” gli domandò, sotto voce, dopo altri minuti di niente.
Bobby
alzò gli occhi sulle macerie della propria casa.
Capitolo 4 *** 4. Never Felt This Way [Alicia Keys] ***
Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.
4. Never Felt This
Way
“Volevo
picchiarlo. Volevo fargli male. Volevo che soffrisse.” Fece una pausa. “Quando
ho scoperto che era stato lui a far uccidere nostra madre, l’ho voluto morto. Ho
pensato a come sarebbe stato ucciderlo, con queste mani. Ho pensato a come mi
sarei sentito.”
“Come ti senti, sapendo che è
morto?”
“Meglio. Almeno so che non farà più
del male a nessuno. Anche se questo non farà tornare indietro mia madre, né
tantomeno Jack” ammise Bobby, voltandosi di nuovo a guardare la ragazza.
Adia sostenne lo sguardo per un paio
di secondi, poi tornò a concentrarsi sulla casa. “Credo… credo che sarebbe
saggio… smettere di concentrarsi sui
morti, per un po’.”
“E su cosa dovremmo concentrarci,
invece?”
“Su di noi” rispose lei, senza
pensarci. “Insomma, su noi nel nostro
ambiente. Le nostre… famiglie. Fratelli, sorelle… sai, quel genere di noi.”
“Ah, quindi non noi inteso come Bobby Mercer e Adia Chambers che fanno… che ne so,
sesso nel parcheggio del cinema?”
Adia non riuscì a trattenere una
risata. “No, Bobby. Decisamente non
quel genere di noi.”
“Perché no, scusa? Io sono un
bell’uomo, tu sei una bella donna, perché non dovremmo spassarcela?” rincarò
lui, allargando le braccia e gesticolando per avvalorare la propria teoria.
Lei si sorprese a fissarlo per un
paio di istanti più del dovuto. Sì, Bobby Mercer era un bell’uomo: forse non
aveva i lineamenti disegnati con la squadretta, e sicuramente avrebbe potuto
sforzarsi per sembrare un po’ meno rude di una scimmia… ma in fondo, la ragione
per cui Bobby Mercer le era sempre piaciuto era quella sicurezza, quella sua
incredibile autostima che si poteva quasi vedergli fuoriuscire dai pori. Bobby
Mercer si amava con tutto se stesso…
e aveva appena detto di trovarla carina. No, una bella donna. Se lei fosse stata ancora la ragazzina di otto
anni prima, probabilmente avrebbe accettato quella frase come una dichiarazione
di amore eterno, e si sarebbe trovata ad abbassare il sedile passeggero.
Scosse la testa. “E’ incredibile il
modo in cui riesci a rovinare tutto, Bobby” sbottò, incupendosi e scendendo
dall’auto.
Bobby la guardò imboccare il
marciapiede, diretta verso casa. Era la gamba sinistra quella che le doleva: lo
capì osservandola. Mise in moto e iniziò a costeggiare il marciapiede,
abbassando il finestrino per poterle parlare. “Che ho detto di male? Ho detto
che sei una bella donna, di solito alle ragazze piace!”
“Il punto è che stavamo parlando di
cose serie, Bobby. Stavamo parlando di qualcosa di importante.”
Bobby continuò a seguire piano il
marciapiede e la marcia di Adia, cercando una risposta.
“A volte dovresti cercare di seguire
quello che sta dicendo l’altra persona, e non concentrarti soltanto su te
stesso o su quello che vuoi dagli altri” disse ancora lei, che evidentemente
non si aspettava una risposta. “Ma in fondo è questo il tuo problema, Bobby
Mercer” continuò, rallentando visibilmente l’andatura, “tu non ti chiedi mai che cosa vogliono gli altri, ma
soltanto che cosa vuoi tu.” Si fermò
per riprendere fiato.
“Hai finito?”
“Credo di sì.”
“Allora sali. Ti porto a casa.”
“Non ci penso nemmeno.”
Lui portò una mano all’altezza del
clacson. Intuendo quello che avrebbe fatto, Adia obbedì.
Evans Street, le due del mattino.
Bobby non riusciva a credere che fossero stati fuori così tanto. Scese
dall’auto e aprì lo sportello alla ragazza, che non si dimostrò sorpresa.
Camminarono insieme fino alla veranda, senza parlare. Bobby avrebbe voluto che
quel vialetto fosse infinito. “Scusa per quanto ho detto prima” si giustificò,
quando si fermarono davanti alla porta. “Ho parlato senza riflettere.”
“E’ una cosa che fate spesso, voi
uomini” rispose lei, ridendo. “Ma voi Mercer siete particolarmente bravi nel
farvi voler male.”
“Perché vivi ancora con tuo
fratello?” le domandò, ignorando la precedente frecciatina.
“Perché stare con la sua famiglia mi
dà l’illusione di averne ancora una mia. E tu, perché vivi ancora con i tuoi
fratelli?”
“Perché la mia casa è ridotta a pezzi.”
Fece una pausa. “Tu non hai più una famiglia?” domandò, senza capire.
“Non lo siamo più stati da quando è
morta mia madre” rispose lei, sedendosi sul dondolo.
Senza chiedere il permesso, Bobby si
sedette accanto a lei, alla sua sinistra. “Tua madre è morta quindici anni fa”
osservò.
“Lo so, Bobby, ma ti ringrazio per
avermelo ricordato” rispose lei, sarcastica. Poi, recuperando serietà: “Mio
padre ci ha voluto bene, ci ha insegnato ad amarci l’un l’altra, a difenderci e
a proteggerci. Ma senza mia madre, non siamo più stati una famiglia vera. Poi le mie sorelle si sono sposate, se ne sono
andate di casa. Mio fratello si è sposato e ha messo su famiglia. Eravamo
rimasti soltanto io e mio padre…”
“…e ti hanno portato via anche
questo” completò Bobby, in un sussurro.
“Io voglio bene alle mie sorelle, e
voglio bene a mio fratello” ribatté lei, “ma senza la mamma non è più stata la
stessa cosa.”
Bobby le passò un braccio attorno
alle spalle e la attirò vicino a sé. Se Angel lo avesse visto in quel momento,
sarebbe scoppiato a ridere. Bobby Mercer stava davvero cercando di consolare una donna? Jack lo avrebbe
preso in giro per anni, se gli avesse visto compiere un gesto simile. Ma Adia
stava piangendo sul serio, adesso, e per quanto i suoi singhiozzi fossero calmi
e controllati, sapeva di non poterla lasciare sola.
“Capisco quello che provi” le
sussurrò. “Se penso a com’era la mia vita prima di incontrare mia madre e la
confronto con tutto quello che è riuscita a darmi… è per questo che ho odiato
Victor Sweet. Mia madre era la cosa più bella della mia vita, la sola cosa che
non sarei mai riuscito a distruggere.”
“Sei felice che sia morto?” gli
chiese lei, sollevando la testa.
“Ha avuto quello che si meritava”
rispose lui. “Ma no, non sono felice.”
“Che cosa farai adesso, Bobby
Mercer? Te ne andrai di nuovo in giro per il mondo a spaccare la faccia a chi
ti guarda male, oppure farai un po’ di casino qui da noi?”
“Non lo so. Credo che potrei
restare, per un po’. In fondo, sono appena uscito di galera, non ho un posto
dove stare. E poi, c’è da rimettere in piedi la casa di mia madre, e…” si
interruppe sentendo un rumore all’interno della casa, proprio dietro la porta.
Adia si voltò di scatto, proprio come lui, ed entrambi si trovarono di fronte
Aaron, il fratello maggiore di lei.
“Scusate, mi sono alzato per andare
in bagno e ho sentito delle voci” si giustificò l’uomo. “Buonanotte, Adia.
Bobby…”
Bobby ricambiò il saluto con un
cenno del capo, poi guardò l’orologio. “Sono le due passate. Forse è meglio che
me ne vada.” Si alzò, immediatamente imitato dalla ragazza. “Grazie per la
bella serata, e scusa il disturbo” aggiunse, aggiustandosi il bavero del
giubbotto.
“Te ne vai così?” gli domandò lei,
un pizzico di sorpresa nella voce.
“Così come?”
“Senza nemmeno tentare di toccarmi
il sedere?”
“Ho promesso che non avrei allungato
le mani.”
Adia sorrise. “Non credevo avresti davvero mantenuto la promessa. Hai
passato tre anni a dire che non vedevi l’ora di vedermi in mutande…”
“Credo di non essere più lo stesso
Bobby Mercer di allora.”
“Questa nuova versione non mi
dispiace, sai?”
Bobby accennò un sorriso. “Nemmeno a
me” ammise, facendo un paio di passi indietro e scendendo uno scalino.
“Te ne vai così?” gli chiese ancora
lei, avvicinandosi d’istinto.
“Così come?”
“Senza dirmi che non ci sarà
un’altra occasione? Di solito, è questo che fai.”
Bobby abbassò la testa e la rialzò
quasi subito, un sorriso dipinto sul volto. “Te l’ho detto, non sono più lo
stesso Bobby Mercer.” Percorse all’indietro gli ultimi due scalini e se ne
andò, sorridendole. Adia lo guardò andare via, un po’ dispiaciuta. Il suo cuore
di ragazzina aveva sperato almeno in un bacio. Ma un bacio al chiaro di luna,
davanti alla porta di casa, non era nello stile di Bobby Mercer, né di quello
vecchio né di quello nuovo.
Capitolo 5 *** 5. Como Un Lobo [Miguel Bosé feat. Bimba Bosé] ***
Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.
5.
Como Un Lobo
“Ciao,
agnellino!” si sentì apostrofare il giorno successivo, mentre raggiungeva il
piccolo negozio che gestiva in Patterson Avenue. Si voltò, giusto in tempo per
vedere Bobby attraversare di corsa la strada.
“Lo
sai che le strisce pedonali hanno uno scopo?”
“Beh,
non posso passare dalla parte del bene così all’improvviso. Potrei avere uno
shock. E tu lo sai che è lavoro dei fattorini, portare i pacchi?” ribatté,
togliendole dalle mani la scatola che reggeva. “Accidenti, pesa. Che cos’è, una
bomba?”
“Libri”
rispose lei.
“Libri?”
“Libri,
Bobby. Quelle cose che si leggono…
sai leggere, vero?”
“Molto
divertente. Certo che so leggere, agnellino. E ieri, invece? Che cosa
trasportavi, ieri?”
“Candele.”
“Candele?”
“Candele
per la chiesa. Sai, quelle cose che si accendono…”
“So
cos’è una candela, grazie. Che diavolo ci fai con una scatola di libri?” le
domandò ancora lui, continuando a camminare al suo fianco.
“Cerco
di venderli. Gestisco una piccola libreria, e… ecco, siamo arrivati.” Fece
scattare la serratura ed entrò nel negozietto. “Lasciali pure lì, grazie. Sei
stato molto gentile” disse, indicando il bancone del negozio.
“E
così, sei una donna in carriera” osservò lui, appena dietro di lei.
Adia
ebbe un sussulto. Non credeva fosse così vicino. “Beh, più che donna in
carriera, direi ragazzina allo sbando.”
“Hai
quasi trent’anni, non sei una ragazzina” osservò Bobby. “Sei una donna.”
Adia
si voltò, trovandolo molto più vicino di quanto pensasse. Era la prima persona
da tanto tempo a definirla apertamente una donna.
Lo aveva già fatto la sera prima, ma lei era troppo distratta dall’aggettivo bella per riuscire a focalizzare tutta
la propria attenzione sull’altra parola. “Grazie.”
“E
di che?”
“Beh,
in casa nessuno mi considera una donna. Per tutti, sono ancora la piccolina di
casa. È frustrante, essere ancora trattata come una bambina a ventisette anni
suonati.”
“Anche
Jack si lamentava di questo” ricordò Bobby. Al pensiero di suo fratello,
aggrottò le sopracciglia. Non era ancora pronto a pensare a Jack con serenità.
“Lo consideravamo ancora un ragazzino.”
Adia
sorrise, aprendo il pacco che Bobby aveva appoggiato sul bancone. “Siete sempre
stati molto uniti” osservò. “Le mie sorelle e io non abbiamo mai avuto molto in
comune.”
“E
tuo fratello?”
“Lo
hai visto ieri sera. Si preoccupa per me. Ieri, quando te ne sei andato, mi ha
raccomandato di fare attenzione.”
“Non
ho una bella reputazione, vero?”
“No,
infatti. Non hai una bella reputazione, e mio fratello tende ad esagerare.”
No, non tende ad esagerare,
pensò Bobby. Ha ragione, cazzo. Da
qualche parte dentro di me c’è il Bobby stronzo, che ieri sera ci avrebbe
provato senza ritegno. E ho la sensazione che presto salterà di nuovo fuori a
rompere i coglioni.
“Io
credo che dovresti dargli ascolto” osservò lui. “In fondo, è sempre tuo
fratello.”
“Se
fosse tanto saggio, non avrebbe sposato l’ottava piaga d’Egitto.”
Bobby
scoppiò a ridere. “E’ tanto insopportabile?”
“Tu non ne hai idea.”
La
giornata sembrava essere passata in un lampo: la chiacchierata mattutina con
Bobby le aveva messo addosso uno strano senso di tranquillità e allegria che
l’aveva aiutata ad affrontare serenamente il lavoro. Nonostante questo, Adia
non era convinta che fosse una buona cosa. Non riusciva a capire perché Bobby
Mercer continuasse a ronzarle attorno a quel modo, non riusciva a capire il suo
apparente cambiamento. Continuava ad esserci una vocina, dentro di lei, che le
ripeteva di non fidarsi, di fare attenzione. Quella voce continuava a dare
ragione all’opinione di Aaron. E avrebbe continuato a farlo, nonostante la sua
volontà di credere al cambiamento di Bobby.
Quella
voce l’accompagnò per tutto il giorno, fino a sera, quando la porta del negozio
si aprì. “Ciao, agnellino.”
Adia
si affrettò a togliersi gli occhiali. “Hai fatto una scommessa con tuo
fratello, vero? Per forza. Devi aver fatto una scommessa con Angel.”
“Non
credo di capire” rispose lui, guardandola alzarsi e iniziare a riordinare.
“Hai
scommesso che saresti riuscito a portarmi a letto entro una settimana? Entro
cinque giorni? Dev’essere per questo che ti comporti in maniera così strana…”
continuò lei, iniziando ad abbassare le veneziane. Era quasi orario di
chiusura, e improvvisamente aveva voglia di andarsene, di allontanarsi da
Bobby.
“Continuo
a non capire.”
“Sei
sempre stato… beh, uno stronzo. E improvvisamente torni, e sei… normale. Non cerchi di mettermi le mani
addosso, limiti le battute idiote… che diavolo ti sta succedendo, Bobby
Mercer?”
“Ieri
sera mi sembrava di aver capito che il nuovo Bobby ti piacesse.”
“Non
ne sono così sicura…” sussurrò lei, più per se stessa che per lui.
“Preferivi
il vecchio Bobby?” le domandò lui. “Preferivi il Bobby che tratta le donne come
stracci?” la incalzò, chiudendo la porta. “Preferivi il Bobby che mette le mani
addosso a tutte?” le chiese ancora, abbassando l’ultima veneziana. D’istinto,
Adia si ritrovò ad arretrare. Che cosa aveva sperato di ottenere? Bobby la
chiamava agnellino. Lei era un agnellino, lui era il lupo.
“B-Bobby…”
sussurrò, spaventata.
“Preferivi
l’altro Bobby? Allora ti accontento” sibilò lui, a pochissimi centimetri da
lei, poco prima di scattare in avanti, proprio come un lupo sulla preda. Adia sentì
le loro labbra incontrarsi violentemente, senza alcun tipo di magia. Le mani di
Bobby le afferrarono il viso, poi la spalla, senza delicatezza, senza alcun
tipo di sentimento.
“Bobby…
Bobby, fermati” lo supplicò.
Lui,
incredibilmente, obbedì. Il vecchio Bobby non l’avrebbe mai fatto.
“Scusami.
Scusami” disse Bobby, la voce ridotta ad un sussurro, senza riuscire a
lasciarla andare. “Non… non ho fatto nessuna scommessa.”
“No,
scusami tu. Non volevo accusarti. È solo che…”
“…ti
è sembrato strano, lo so. Sembra strano anche a me” concluse lui, facendo
scivolare via le mani dal volto di lei. “In realtà, fino a qualche giorno fa,
sarei stato pronto a scommettere che ti avrei portata a letto entro una
settimana. Ma poi… poi non lo so, è cambiato qualcosa.”
Adia
rimase a guardarlo, senza capire.
“Ho
pensato parecchio a mia madre, a Jack, a quello che è successo… e poi ho
parlato con te, e…”
“…e
hai scoperto di avere una coscienza?” completò sarcastica lei, incrociando le
braccia e distogliendo lo sguardo. La violenza di poco prima bruciava ancora
sulle labbra e sulla pelle. Bruciava anche più giù, in qualche angolo nascosto:
bruciava nel cuore.
“Forse”
rispose lui, riavvicinandosi. “Il punto è… il punto è che non ti voglio più.” Adia lo guardò interrogativa: da come le si era
gettato addosso pochi istanti prima, avrebbe detto il contrario. “Il punto è
che tu adesso mi interessi” continuò
lui, senza fare caso all’espressione meravigliata di lei. “Non è come otto anni
fa, non voglio portarti a letto e basta.”
Adia
avvertì un brivido lungo la schiena: Bobby Mercer stava davvero cambiando,
allora? E lo stava facendo proprio sotto i suoi occhi? Non riusciva a crederci.
Bobby Mercer le stava dicendo che non pensava più a lei come all’unica ragazza
di Detroit con cui non era ancora stato: le stava dicendo che era l’unica
ragazza di Detroit con la quale avrebbe voluto stare in quel momento, o
qualcosa del genere. Forse stava solo lavorando di fantasia, forse aveva
battuto la testa ed era in coma, forse l’avevano drogata e ora aveva delle
visioni. “Bobby…” sussurrò. “Perché me lo stai dicendo?”
“Non
lo so, te l’ho detto. Fino a una settimana fa volevo soltanto farmi una sana
scopata con una bella ragazza, ma poi… poi mi sono accorto che andare a letto
con delle belle ragazze non mi ha mai portato da nessuna parte. Forse mia madre
aveva ragione, quando mi diceva che non mi sarei procurato altro che guai.
Forse sono davvero un incapace, un poco di buono.”
Adia
non riusciva a rimanere lì in piedi, a guardarlo scivolare
nell’autocommiserazione. Il Bobby Mercer che conosceva non faceva queste cose,
e non chiedeva scusa. Il Bobby Mercer che ci aveva provato con lei per tre anni
di seguito non chiedeva scusa, e non si poneva quesiti etici. Gli si avvicinò un
po’, un passo alla volta, aspettando che lui alzasse lo sguardo. Gli appoggiò
una mano sulla spalla e si sporse verso di lui. Aveva sempre immaginato così il
primo bacio tra loro: aveva immaginato di sorprenderlo con un gesto del genere.
Aveva immaginato dolcezza, naturalezza. Aveva immaginato amore.
Si
staccò da lui e rimase a guardarlo, in attesa di una reazione. Bobby rimase a
guardarla a sua volta. “Che cosa significa, questo?”
“Significa
che mi sei sempre piaciuto, Mercer.”
“E
allora perché non hai mai accettato di uscire con me?”
“Perché
tu ti sei accorto di me soltanto quando sei rimasto a corto di ragazze. Se
avessi accettato di uscire con te sarei stata soltanto un ripiego, un avanzo,
qualcosa che nessuno aveva voluto. Sono sempre stata nessuno, anche in
famiglia… non volevo che anche tu mi usassi.”
Bobby
abbassò lo sguardo: non aveva più parole. Aveva finito anche gli sguardi.
Allungò una mano, alla cieca, e cercò quella di Adia. La strinse, mentre le
appoggiava l’altra sulla nuca, con dolcezza.
La baciò ancora, ma non come pochi minuti prima. Questa volta, il Bobby
violento e precipitoso sembrava non essere mai esistito. Le mani passarono
sulla schiena di lei, costringendola ad avvicinarsi di più. Voleva sentirla
vicina, voleva sentirsela addosso, voleva sentirla abbandonarsi completamente a
lui. Spostò le labbra dalla bocca al collo, senza pause, senza staccare la
propria pelle dalla sua.
Adia
accettò il bacio, accettò ogni carezza. In quel momento sentì che sarebbe
successo: lei e Bobby Mercer avrebbero fatto l’amore. La mano di Bobby tentò di
infiltrarsi sotto la sua camicetta. “Non qui, Bobby” sussurrò, staccandosi
appena da lui. “Se deve succedere adesso, non voglio che succeda qui.”
“E
allora dove? A casa tua, magari?” ribatté lui, in tono leggermente sarcastico.
“Certo
che no” rispose lei. “Vieni con me” aggiunse, prendendolo per mano e guidandolo
verso il retro del negozio. Dì lì, una stretta scala a chiocciola portava al
piano superiore. Bobby non aveva avuto modo di notarla, prima. Lasciò che Adia
lo guidasse lentamente, modellando il suo passo su quello della ragazza, e
cercando di ignorare la voce che gli intimava di fare più in fretta. Mentre
salivano, non poté fare a meno di guardare il corpo che si muoveva davanti a
lui. Adia era cambiata, nel corso degli anni: era stata un’adolescente molto
carina, poi aveva abbandonato quell’età, ed era diventata una splendida donna.
Bobby si trattenne a fatica dall’allungare le mani verso quel corpo prima di
essere giunto a destinazione.
In
cima alla stretta scala, si apriva un piccolo spazio che Adia sembrava aver
trasformato in un miniappartamento: un letto, un piccolo armadio, un comodino,
una scrivania, qualche vestito sparso qui e là e tonnellate di libri. Le
piaceva leggere, ormai l’aveva capito. In realtà, Bobby l’aveva sempre saputo.
Adia si fermò al centro della stanza: “Scusa il disordine, ma ci sto molto poco
qui.”
“Che
cos’è, una specie di rifugio segreto?”
“Dormo
qui, ogni tanto. Quando capisco che mia cognata non sopporta la mia presenza,
oppure quando… beh, quando ho un appuntamento.”
Al
pensiero che un altro uomo potesse essere stato con lei in quella stanza, Bobby
avvertì una fugace stretta allo stomaco. Ma non si poteva certo immaginare
fosse ancora vergine: d’accordo, era figlia di un reverendo, ma aveva
ventisette anni, dannazione! Poteva solo sperare che nessuno degli uomini con
cui era stata l’avesse lasciata particolarmente soddisfatta: allora, forse, lei
si sarebbe ricordata di lui. Forse, avrebbe finalmente fatto qualcosa di buono.
Qualcosa per cui valesse la pena essere ricordato. Qualcosa di meglio che far
gettare Victor Sweet in fondo al lago.
“E’
un posto carino” ammise Bobby. Incasinato,
ma carino. Abbassò lo sguardo sulle loro mani ancora intrecciate, poi lo
rialzò su di lei: anche Adia stava guardando le loro mani, e sembrava nervosa.
“Sei nervosa?”
“No”
rispose lei in fretta. Mentiva.
“Non
mentirmi, agnellino.”
“Un
po’, forse. Tu?”
“Io?”
sorrise lui. “Io sono Bobby Mercer, agnellino. Io non sono mai nervoso.” Con la mano libera, tornò a ricoprire la guancia di
lei, poi le regalò un altro bacio. Lasciò che le loro labbra giocassero a
rincorrersi per un po’, prima di lasciar scivolare avanti la propria lingua.
Quando lo fece, sentì le mani di Adia risalire sul suo petto, fino al bavero
del giubbotto. Sentì il calore delle sue dita attraverso i vestiti. Sentì il
cuore accelerare i propri battiti. La pelle spessa della giacca iniziò a
scivolare via dalle sue spalle, e allora distese le braccia per facilitarle il
compito. Le mani di Adia tornarono sul suo petto, ancora coperto da diversi
strati di vestiti. Le ricoprì la schiena con le proprie dita, accarezzandola e
obbligandola a stargli più vicina. La voleva,
non c’era alcun dubbio. Quella notte, la voleva tutta per sé.
Le
fece scivolare una mano sotto la camicetta, facendola risalire fino al
reggiseno. Sentì i gancetti sotto le dita, accarezzò il pizzo e ripercorse al
contrario il dorso della ragazza. Tornò a baciarla con più intensità, e la
avvertì infiltrare una mano al di sotto della sua felpa, alla ricerca di un
contatto più diretto con la sua pelle. Il tocco delicato delle sue dita lo
faceva impazzire. Fece scivolare le proprie dita lungo il bordo dei jeans di
lei, accarezzandolo con dolcezza. Iniziò a risalire lungo la camicetta,
slacciando i bottoni uno ad uno, continuando ad accarezzarle il collo con le
labbra. Arrivato alla scollatura, abbassò la testa per baciarla, mentre faceva
scivolare via la stoffa. Con un impercettibile fruscio, la camicetta cadde a
terra, e Bobby tornò a stringere di più Adia. Voleva sentirla, voleva sentirla con tutto il suo corpo. Infilò una gamba
tra quelle della ragazza, incollandosi ancora di più a lei.
Un
velo di rossore sembrò farsi strada sul volto di Adia. “Che c’è, agnellino?” le
chiese, con un sorriso. “Mi sembrava di aver capito che avessi già… esperienza.”
“Certo
che ce l’ho, l’esperienza… è solo che… beh, non credo di essere mai stata con
qualcuno esperto quanto te.”
Bobby
sorrise e si staccò da lei, spingendola dolcemente all’indietro, verso il
letto. Adia si sedette sul bordo, aspettando. Lui calciò via calze e scarpe, e
mentre si sfilava in un unico gesto felpa e maglietta, lei fece lo stesso. Si
avvicinò a lei e la costrinse ad arretrare fino al centro. Si abbassò su di
lei, baciandola ancora, facendole capire che da quel momento non avrebbero più
potuto tirarsi indietro. Adia gli allacciò le braccia al collo, obbligandolo ad
aderire completamente al suo corpo.
“Prima
hai detto che non mi vuoi più” mormorò, mentre lui spostava le labbra sul suo
collo, senza staccare il petto dal suo seno, “ma adesso sono io che voglio te.”
Bobby
rialzò appena la testa, quel tanto che bastava per riuscire a guardarla negli
occhi. “Allora avevo ragione” ribatté, una smorfia sarcastica dipinta sul volto
non rasato, “anche alle figlie dei preti piacciono le cose spinte.”
Adia
sorrise a sua volta, poi si lasciò baciare ancora. Sentì le mani di Bobby
slacciarle il reggiseno, poi scendere subito a giocare con la sua cintura e con
i bottoni dei suoi jeans. Si mosse ancora, sentendo sempre di più che,
nonostante le parole, Bobby la voleva.
Gli lasciò le spalle e con le mani corse fino all’allacciatura dei pantaloni.
Bobby si mosse per darle una mano, poi tornò ad adagiarsi sul letto, stretto
tra le ginocchia di lei. Lui smise di accarezzarle il seno e iniziò a sfilarle
con decisione i jeans. Adia ebbe un attimo di indecisione, sapendo che presto
lui avrebbe visto la cicatrice sulla sua gamba, poi si rilassò. Bobby non le
avrebbe dato importanza, lo sapeva. E infatti, Bobby non diede nemmeno segno di
averla notata. Fece cadere i jeans sulla moquette, poi ricominciò da capo con
la biancheria. Si liberò a sua volta dei boxer e si fermò, guardandola negli
occhi. Voleva imprimere nella propria memoria ogni dettaglio di quella loro
prima volta.
La
baciò un’ultima volta, prima di introdursi con decisione nel suo corpo. Adia
inarcò la schiena e si lasciò sfuggire un gemito, mentre Bobby si fermava e
prendeva fiato per il movimento successivo. Per essere figlia di un prete, Adia aveva avuto parecchie esperienze sessuali
con uomini diversi, ma nessuno era mai riuscito a farla sentire completa come
stava facendo lui in quel momento. Forse dipendeva solo dal fatto che Bobby le
era sempre piaciuto, o forse era perché tutte le ragazze con cui era stato lo
avevano soprannominato Dio del Sesso.
Sì, sicuramente si stava facendo influenzare dalle opinioni degli altri. Forse
Bobby non era così straordinario…
Iniziò
a muoversi con dolcezza in lei, incredibilmente lento nonostante l’eccitazione,
baciandola lungo la linea del collo e accarezzandole con dolcezza il seno, e
Adia comprese che non si stava facendo influenzare dall’opinione di nessuno, in
quel preciso istante: Bobby sapeva davvero essere fantastico. Ad ogni spinta di
lui, si sentiva trasportare un po’ più in là, oltre tutto ciò che era mai
riuscita a provare. La dolcezza di Bobby la stupiva, in un certo senso, così
come in effetti sembrava stupire anche lui. C’era qualcosa nel modo in cui si
muoveva, nel modo in cui la guardava, che faceva pensare addirittura all’imbarazzo: sembrava quasi impacciato, a
tratti, come se non si riconoscesse in quello che stava facendo. Come se non
riuscisse a crederci.
Presto
il ritmo aumentò, i movimenti si fecero più decisi. I loro respiri si fecero
sempre più irregolari, le carezze più fugaci. Il silenzio della stanza fu pieno
dei loro sussurri e dei loro gemiti. Stringendosi di più a lui, Adia sentì
arrivare il piacere. Tenne Bobby legato a sé mentre anche per lui arrivava il
momento. Si baciarono a lungo, prima di lasciarsi. Il silenzio fu rotto
soltanto dal fruscio delle lenzuola, e da un sussurro di lei: “Non andare via,
Bobby. Resta qui, per favore. Resta qui.”
Si
stesero l’uno di fronte all’altra, senza riuscire a smettere di guardarsi.
Bobby allungò due dita verso di lei, e con quelle le accarezzò la guancia.
“Cazzo, quanto sei bella…”
“Sempre
elegante, vedo.”
“E
dai, agnellino, concedimi almeno questo” sorrise lui.
Capitolo 7 *** 7. Eppure Sentire (Un Senso Di Te) [Elisa] ***
Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.
7.
Eppure Sentire (Un Senso Di Te)
Adia
si rigirò tra le coperte, sfiorando, nell’incoscienza del sonno, un corpo caldo
accanto a sé. Aprì immediatamente gli occhi, spaesata, contraendo i muscoli in
attesa di un pericolo imminente. Non era un pericolo. È solo Bobby, disse a se stessa, sentendo defluire la tensione. Allora sì, potrei considerarlo un pericolo.
Le stava dando la schiena, e Adia pensò che forse preferiva così. Non avrebbe
sopportato l’espressione soddisfatta dipinta sul suo volto addormentato. Non
avrebbe sopportato l’idea di sapersi fautrice di quella serenità. Diavolo, non
sopportava nemmeno l’idea di essere finita a letto con lui. Aveva lottato per
anni contro di lui, contro la sua malsana idea dei rapporti di coppia, e alla
fine si era fatta infinocchiare come un’adolescente cotta del belloccio della
scuola. Bobby aveva torto. Lei non era
una donna.
Si
voltò dall’altra parte, non prima di aver lasciato vagare lo sguardo lungo la
schiena semiscoperta dell’uomo che le giaceva accanto. Non pensava che anni di
risse e di galera potessero contribuire allo sviluppo di tutti quei muscoli.
Sicuramente, però, muscoloso non equivaleva a resistente, perché Bobby era
crollato addormentato entro mezz’ora dal loro rapporto - l’unico di quella notte. Lesse più volte la scritta nera che gli
attraversava le spalle. Nessuna pietà.
Nessuna pietà. Eccola lì, servita su
un piatto d’argento, la testimonianza del fatto che Bobby non era cambiato, che
era sempre un pessimo soggetto e che sarebbe stato meglio tenersi alla larga da
lui. Di quale altra prova aveva bisogno?
Non
riusciva ad addormentarsi. Era abituata a dormire sdraiata sul fianco destro,
ma voltarsi avrebbe significato trovarsi davanti la schiena di Bobby, e cedere
al ricordo di quella notte che ancora non era giunta al termine. Non avrebbe
dormito comunque, quindi tanto valeva rimanere distesa sul fianco che non le
era congeniale. Il giorno dopo si sarebbe presentata al lavoro con due occhiaie
da far spavento, poi sarebbe andata a casa e suo fratello le avrebbe chiesto
informazioni sul suo stato di salute. A quel punto, lei avrebbe mentito,
dicendo che andava tutto bene e che non c’era niente di cui preoccuparsi. E
invece, qualcosa per cui preoccuparsi ci sarebbe stato. Ci sarebbe stato
eccome, visto che il suo cuore era ormai partito per la tangente. In maniera
definitiva ed irrecuperabile.
Ma
prima della preoccupazione di suo fratello e delle occhiatacce da parte di sua
cognata, ci sarebbe stato un altro problema da affrontare, ben più grave e
complicato da risolvere: far uscire Bobby. Non poteva farlo uscire all’ora di
apertura: i gestori dei negozi vicino al suo, i passanti… tutti avrebbero
visto. E tutti loro conoscevano bene
Adia, e sapevano che Adia Chambers non era tipo da fare queste cose. Adia era
la figlia minore del defunto reverendo Chambers, accidenti! Non trascorreva
certo la notte con gli uomini nel mini appartamento che aveva creato sopra il
negozio! Soprattutto, non sarebbe mai stata a letto con Bobby Mercer.
Inconsciamente,
Adia sorrise. Quando aveva portato Bobby al piano di sopra e si erano guardati
intorno, lui aveva capito che lei fosse stata lì già con altri uomini. O
meglio, era stata lei ad indirizzare le sue riflessioni in quella direzione.
Lui non aveva detto nulla, ma aveva lasciato trapelare il suo disappunto nel
sentire la parola appuntamento. Non
che non avesse mai avuto un uomo, anzi: rispetto alle sue sorelle, si era data
parecchio da fare… ma mai in quel letto. Forse aveva cercato di non farglielo
scoprire perché non voleva che si montasse la testa. Perché Bobby Mercer, lei
lo sapeva bene, lo avrebbe fatto. Si sarebbe dato un mucchio di arie.
Sono io che voglio te.
Ricordava
benissimo di averglielo sussurrato mentre, presi dalla foga del momento, si
stavano spogliando. Subito dopo, avevano ricominciato a baciarsi e ad
esplorarsi, e lei ne aveva approfittato per muovere ancora il bacino, per
scontrarsi con quello di lui e assicurarsi che sarebbe davvero successo. Si sentì arrossire a quel ricordo, che poche ore
di sonno non avevano cancellato, e inconsciamente desiderò che accadesse
ancora. Non perché Bobby fosse – come aveva potuto constatare – molto ben
dotato, non perché fosse – anche questo era certo – molto bravo, e nemmeno
perché lei – le costava ammetterlo, ma era così – pensasse di non averne ancora
avuto abbastanza di lui.
Voleva
ancora Bobby perché… non lo sapeva, ma era certa che non fosse per uno dei tre
motivi che le erano passati per la testa pochi secondi prima. Voleva Bobby
perché non si era mai sentita così amata prima di quella notte.
Ma
lui, lui l’avrebbe voluta ancora? Avrebbe ancora portato le sue mani su di lei,
l’avrebbe ancora spogliata come aveva fatto quella notte? Oppure, in fondo, era
sempre il solito, e si sarebbe accontentato di una notte sola?
Il
frusciare delle lenzuola la riscosse dai suoi pensieri. Il braccio di Bobby si
posò sul suo fianco, stringendola. Il suo respiro, sommesso e irregolare, le
solleticava la nuca, e la informò che stava ancora beatamente dormendo. Il suo
torace, solido e irrobustito da anni di scontri corpo a corpo, era dolcemente
premuto contro la sua schiena. Le gambe, lunghe e muscolose, scivolarono
delicatamente in mezzo alle sue, intrecciandosi all’altezza delle ginocchia.
Sorrise, rendendosi conto che Bobby non aveva i piedi freddi. Nel silenzio
della stanza, Adia distinse chiaramente i battiti dei loro cuori.
Capitolo 8 *** 8. Don't Let The Sun Go Down On Me [Elton John] ***
Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.
8. Don’t Let The Sun Go Down On Me
Si
svegliò di soprassalto perché aveva il sole negli occhi. E perché uno spiffero
le aveva accarezzato la pelle nuda della schiena. E perché non c’era più
nessuno dietro di lei. Adia si mise a sedere, tirando su il lenzuolo per
coprirsi. Non c’era nessuno, era completamente sola. Perché diavolo avrebbe
dovuto coprirsi? Quando Bobby si era voltato verso di lei, abbracciandola nel
sonno, avrebbe dovuto sapere che non sarebbe stato per sempre. Avrebbe dovuto
saperlo, che lasciare il letto di una donna prima che questa si svegliasse era completamente nello stile di Bobby
Mercer.
Sospirò e si rivestì, poi scese di
sotto. Era quasi ora di apertura. La chiave era ancora nella porta, e la porta
era chiusa. Come diavolo aveva fatto ad uscire, quel mezzo criminale? Controllò
la chiave di riserva: era ancora al suo posto, appesa al gancio dietro il
bancone. Forse Bobby era ancora lì da qualche parte? “B-bobby?” tentò, con voce
tremante, senza ricevere risposta. Ovviamente.
Prima di aprire, tornò al piano di sopra per cambiare le lenzuola: non voleva
che le ricordassero la stupidaggine fatta quella notte. Mentre rifaceva il
letto, lisciando con cura ogni piega, guardò fuori dalla finestra. Da quando
quella povera quercia aveva così tanti rametti spezzati? Doveva essere stato il
vento, o forse la neve.
Tornò al piano inferiore, in
negozio, e dopo aver controllato di essere in ordine iniziò ad alzare la
veneziana. Arrivata a metà del vetro, sobbalzò. Dall’altro lato della porta,
Bobby aveva sfoderato uno dei suoi migliori sorrisi. “Come diavolo sei uscito?”
strillò, aprendo la porta.
“Dalla finestra. Mi sono calato giù
per la quercia” rispose lui con nonchalance, scrollandosi di dosso un po’ di
neve ed entrando. Adia si accorse sono in quell’istante che stava nevicando. Piuttosto
abbondantemente. Nessuno dei negozi intorno dava segni di vita. Richiuse la
porta e abbassò la veneziana. “Caffè?” le domandò lui, porgendole un bicchiere
fumante.
“Grazie” rispose lei, accettando la
bevanda. Il calore del bicchiere le ricordò il calore del suo torace… ma non
era la stessa cosa, lo sapeva bene.
“Hai pensato che avessi tagliato la
corda, vero?”
“Non lo nego.”
“Il tuo è un pregiudizio piuttosto
comune.”
“Non mi risulta che tu abbia mai
fatto qualcosa per ribaltare l’opinione che la gente ha di te.”
“Non lo nego” ribatté lui, facendole
il verso. “Dobbiamo proprio starcene qui in piedi come due cretini?” Adia colse
l’allusione, e lo precedette al piano di sopra. “Oh, vedo che hai cambiato le
lenzuola. Aspetti la visita di qualcuno che potrebbe disapprovare quello che
abbiamo fatto?”
“A proposito di quello che abbiamo
fatto…”
“…non vedi l’ora di rifarlo? Sì,
sono fantastico, lo so.”
“Non è questo” rispose lei,
appoggiando il caffè sulla scrivania. “Io… io non credo che succederà di nuovo.”
Bobby rimase a fissarla per un pugno
di secondi, senza capire. Poteva vedere gli ingranaggi sforzarsi per arrivare
ad una soluzione. “Non credo di aver capito.”
“Io… credo che non avremmo dovuto fare sesso, questa notte.” Attese invano
una risposta. “Insomma, è stato fantastico, va bene? E’ stata una notte
strepitosa, ma credo che dovremmo fermarci qui.”
“Perché?”
“Perché…” Perché, Adia, perché? Tu stessa hai pensato che ti stesse amando, che
non fosse solo sesso, e ora non sai dargli una risposta? “Perché non
potrebbe mai funzionare, ed entrambi lo sappiamo bene.”
“Che cosa?”
“Che… cosa?”
“Che
cosa potrebbe non funzionare?” Ma che cos’era, un interrogatorio o che
altro?
Adia abbassò gli occhi. “Credo sia
meglio che tu vada, Bobby. Grazie… per tutto.”
Bobby impiegò secoli per lasciare la
stanza. Lo sentì sbattere con violenza la porta del negozio. Avrebbe dovuto
scendere e far scattare la serratura, lo sapeva, ma non ne ebbe la forza. Si lasciò
cadere sul letto, su quel letto rifatto di fresco che nonostante tutto sapeva
ancora di loro, e si lasciò andare al pianto. Non aveva mai pianto per un uomo,
se non per suo padre.
Bobby entrò in cucina e si versò una
tazza di caffè. Jerry era al lavoro da almeno un’ora, Camille era uscita per
fare delle commissioni. Probabilmente Angel e Sofi dormivano ancora, dopo aver
passato un’altra notte a darci dentro come conigli. Poteva capirli: in fondo,
anche lui aveva passato la notte in bianco… macché. Lui e Adia l’avevano fatto
una sola volta, dopodiché lui si era addormentato. Un tempo non si sarebbe
accontentato: sarebbe andato avanti per ore, finché lei non lo avesse implorato
di concederle un po’ di respiro… Il fatto era che non si trattava di semplice sesso. Quella notte era stato qualcosa
di più. Quella notte, Adia aveva saputo toccare una corda nascosta del suo
cuore, aveva saputo tirare fuori un Bobby diverso… un Bobby che forse gli
piaceva di più.
“Fratello, hai l’aria nervosa. Ci andrei
piano, con il caffè.”
Alzò
lo sguardo su Angel, ancora in pigiama, e lo osservò versare del succo d’arancia
in due bicchieri. Lo osservò tostare quattro fette di pane, disporle su un
piatto e cospargerle di miele. Lo osservò mettere tutto su un piccolo vassoio,
adornandolo con uno dei fiori di plastica con i quali Camille adornava la casa.
“Che cazzo stai facendo?”
“Porto
la colazione a letto a Sofi.”
“E
da quando ti comporti così?”
“Così
come?”
“Da…
cavaliere.”
“Da
quando ho chiesto a Sofi di sposarmi.”
“Sposarti? E quando diavolo è successo?”
“Una
settimana fa, ma tu non te ne sei reso conto. Non ci sei tanto con la testa,
ultimamente.”
“Non
è vero.”
“Non
raccontare le bugie al tuo fratellino. Che succede?”
Bobby
fissò a lungo la bevanda scura, prima di rispondere. “Sono stato con lei. Con
Adia.”
“Oh.
Quando?”
“Stanotte.
Sono appena tornato.”
“Wow,
ci hai dato dentro, eh?” Bobby non rettificò quella convinzione. Non aveva
voglia di sentirsi prendere per il culo da Angel solo perché non si era scopato
Adia almeno dieci volte. Lei non era così, e forse nemmeno lui. Rimase a
fissare la tazza. “Ma nonostante questo, non sei felice…” aggiunse l’altro,
fissandolo con aria interrogativa. “Che è successo?”
“Mi
sono svegliato abbracciato a lei. E avevo… insomma, non avevo soltanto voglia di rifarlo. Volevo stare con lei come è
successo stanotte. Però non so, mi è mancato il coraggio di svegliarla. Mi sono
calato dalla finestra, e volevo venire a casa. Poi ho pensato che sarebbe stata
una vigliaccata, allora sono andato a prendere due caffè e mi sono piazzato
davanti alla porta, aspettando che andasse ad aprire. E poi lei mi ha detto che
non era sicura di voler… ripetere l’esperienza.
E mi ha detto di andarmene.”
“Oh.
Non è stato carino da parte sua. Ma tu hai cercato di interpretare i suoi
pensieri? Insomma, le ragazze possono essere davvero complicate…”
“Ci
ho provato, Angel.”
“Forse
non ti sei impegnato abbastanza?” lo incalzò il fratello, un’espressione da
uomo esperto dipinta sul volto.
“Ma
vattene affanculo, tu e La Vida Loca”
sorrise Bobby, accennando con la testa al piano superiore, dal quale Sofi aveva
iniziato a chiamare a gran voce Angel.
“Arrivo,
tesoro! Bobby, ascolta. Come tu non hai capito lei, forse lei non ha capito te”
gli disse. “Ma non lo saprai mai, se non provi a parlare con lei.”
Capitolo 9 *** 9. Bachata Rosa [Juan Luis Guerra] ***
Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.
9.
Bachata Rosa
Bobby decise di aspettare il giorno
successivo per tentare il chiarimento con Adia. Quel giorno nevicava troppo, e
la ferita era ancora troppo recente. Se fosse andato da lei appena glielo aveva
suggerito Angel, non sarebbe riuscito ad esprimersi nel modo giusto. E lei si
sarebbe arrabbiata. Probabilmente avrebbero dato in escandescenze in mezzo alla
strada, qualche passante ficcanaso avrebbe chiamato la polizia e lui si sarebbe
ritrovato le manette ai polsi prima ancora di riuscire a spiegare la
situazione. No, grazie. Conosceva
l’opinione che la gente aveva dei Mercer, e non ci teneva a trascorrere
un’altra notte dietro le sbarre. Non dopo aver scoperto che potevano esserci
notti piene di passione e dolcezza come l’ultima.
Jerry era stato molto generoso
nell’accogliere entrambi i fratelli a casa propria. Purtroppo, un’eventualità
del genere non era mai stata contemplata, ed esisteva una sola stanza degli
ospiti – che era diventata, per forza di cose, il talamo di Angel e Sofi. A
Bobby si era presentata una scelta piuttosto ardua: dormire sul divano, oppure
su una comoda brandina nel soppalco costruito sopra il garage. Bobby aveva
scelto la seconda ipotesi, se non altro per essere sicuro di non riuscire a
sentire nulla delle attività notturne di Angel. E per restarsene solo. Gli
ultimi sei mesi di galera li aveva trascorsi da solo, visto che il suo compagno
di cella si era fatto piantare un coltello nella schiena per aver spifferato
del piano di evasione di un altro gruppo.
Solo.
Guardava la neve cadere e se ne stava solo, disteso su quella brandina a cui si
stava pian piano adattando, notte dopo notte. Brandina che gli stava di nuovo
stretta, dopo aver capito che poteva avere di meglio. Poteva avere una stanza vera, poteva avere un letto vero. Poteva avere una donna vera, che lo amasse veramente. La sola donna ad averlo amato veramente era stata Evelyn, ma il suo era un amore diverso: un
amore di madre. Lui voleva un amore
di donna, se ne stava rendendo conto
solo ora. Voleva un amore che significasse per lui quello che significava
l’amore di Camille per Jerry, o l’amore di Sofi per Angel. Voleva tornare a
casa, la sera, e sapere che ci sarebbe stato qualcuno da salutare il giorno
dopo, uscendo. Perché no, poteva volere anche dei figli! Era tutto diverso. Lui
stesso era diverso.
“Ah, vaffanculo” sbottò, girandosi su un fianco. “Da quando sei
diventato così moscio, Bobby?”
Evans Street, coperta di neve, era
ancora più bella. La casa del reverendo Chambers, in mezzo a tutto quel bianco,
sembrava una di quelle case dipinte sulle cartoline di Natale. Ma Natale era
passato da due mesi, e lui era lì per parlare, non per festeggiare una stupida
ricorrenza. Prese coraggio, prima di avventurarsi lungo il vialetto, fin sotto
il portico e fino alla porta.
Venne ad aprire una donna sui
quarant’anni. “Sì?” disse, in tono stizzito. Bobby cercò di guardare oltre la permanente
perfetta e lo stile falso casual, ma non c’era nulla da vedere. Doveva essere
la cognata di Adia, la moglie di Aaron. Perfetto,
mi sta già sul culo.
“Sì, sto… sto cercando Adia. È in
casa?”
“No, non c’è. Non ho idea di dove
sia quella benedetta ragazza. Proprio adesso che devo uscire e mi serve
qualcuno che dia un’occhiata ai bambini…” sbuffò.
“Ho capito… e per caso sa dove posso
trovarla?”
“Che vuole che ne sappia io? Sarà
andata a piangere sulla tomba di suo padre, come sempre.”
“Grazie” rispose Bobby,
sgattaiolando via.
C’era una sola serie di impronte
impresse nella neve fresca, e portavano dritte alla tomba del reverendo
Chambers. Ma davanti al marmo non c’era nessuno. Però qualcuno c’era stato,
perché la lapide era stata pulita e liberata dalla neve. E qualcuno ci si era
inginocchiato davanti, probabilmente per una preghiera. Le orme proseguivano in
una direzione che Bobby conosceva bene: andavano verso le tombe di Evelyn e
Jack. Bobby si avvicinò in silenzio alla figura inginocchiata a terra, che gli
dava le spalle. In silenzio attese la fine della preghiera e il segno della
croce.
Guardò Adia rialzarsi con fatica,
sorreggendosi alla lapide per riuscire a raddrizzare la gamba ferita. Ebbe l’istinto
di correre in suo aiuto, di offrirle il braccio, ma lo represse. Lei non
avrebbe gradito. Lei non voleva essere aiutata, meno che mai da uno come lui. Aspettò
che fosse completamente in piedi, prima di parlare. “Moriranno” disse,
indicando i lillà che aveva posato sulla tomba di Evelyn.
“Ne porterò altri” rispose lei,
senza voltarsi a guardarlo.
“Non sei obbligata a farlo. Non era
tua madre.”
“Non era nemmeno la tua, allora. Ma è
stata anche mia madre, in un certo
senso. È stata la madre di molte persone.” Non si era ancora voltata, ma poteva
vedere il fiato di lei condensarsi e salire verso l’alto in forma di nuvoletta.
“Mi è stata vicina. Veniva spesso in chiesa, a sentire i sermoni di mio padre,
finché… finché non è morto.”
“Com’è successo?” domandò, senza
riuscire a frenarsi. Non era lì per parlare ancora di Victor, ma non poteva
farne a meno. Voleva sapere, voleva conoscere il dolore di Adia, per capire se
corrispondeva al proprio.
“Non ne voglio parlare. Scusa, ma
devo andare. Ho un sacco di cose da fare.” Bobby riuscì ad afferrarle il polso,
costringendola a guardarlo. Comprese perché non si fosse voltata verso di lui:
due profonde occhiaie le segnavano il viso, come se non avesse dormito. Come se
non avesse dormito perché troppo impegnata a piangere. “Lasciami, Bobby.” Non
era una protesta, non era una supplica: era un’affermazione.
“Se ti lascio andare, parlerai con
me?”
“Di che cosa?”
“Di quello che vuoi. Voglio solo parlare. Credimi.” Adia annuì, e la
lasciò andare. “Sei in macchina?”
“No.”
“Ti do un passaggio.”
“Ok.”
Salirono sull’auto di Bobby, e
rimasero immobili e in silenzio per qualche minuto, a guardare la coltre bianca
che ricopriva ogni cosa. “Dove… dove vuoi che andiamo?” le domandò.
Adia rifletté. “Visto che ci tieni
tanto a passare del tempo con me, mi aiuteresti a fare una cosa?”
“Ok, va bene. Perfetto. Che cosa?”
La stanza di Adia si trovava al
secondo piano, sul lato sud della casa. Bobby fece correre lo sguardo lungo le
pareti spoglie e gli scatoloni chiusi, e provò a immaginare come potesse essere
stata quando Adia aveva cinque, poi nove, poi quindici anni. “E così ti
trasferisci, eh?”
“Già” rispose ermetica, chiudendo l’ultima
scatola con il nastro adesivo.
“E dove?”
“Nel mio appartamento. Non è il massimo,
ma per adesso andrà bene.” Fece una pausa e lo guardò. “Se non vuoi aiutarmi,
mi arrangerò. Insomma, potrei affittare un furgone, o…”
“No, mi fa piacere. Dico davvero. E poi
sono gratis, lo sai.” Con quell’ultima battuta, riuscì a strapparle un sorriso,
il primo della giornata.
Iniziò a fare la spola tra la stanza
e l’auto, mentre lei controllava di aver tolto ogni traccia di sé dalla casa. Salutò
i due nipoti, Adam e Jordan, con un bacio, e rivolse un sorriso alla
babysitter. Mentre lasciava cadere le proprie chiavi nella ciotola nell’ingresso,
la porta si aprì e Aaron fece il proprio ritorno dal lavoro. “Ciao a tutti,
sono a…” si interruppe, nel vedere Bobby. “Ciao, Adia. Ciao, Bobby.”
Bobby stava per salutare, quando la
ragazza di fianco a lui intervenne. “Senti, io sto… sto andando via. Mi… mi
trasferisco. Non è giusto che continui a stare qui… insomma, è casa tua e di Cecilia,
adesso. È meglio che me ne vada.”
“Che… che cosa? N-non… Adia, lo sai
che ti voglio bene. Sei mia sorella, non sei un peso. Puoi restare qui anche
tutta la vita.”
“Lo so, Aaron. Lo so. Il fatto è che…
beh, tu e tua moglie avete… bisogno
dei vostri spazi. Non posso continuare a rubare il vostro spazio.” Bobby rimase
sorpreso dal modo in cui Adia riuscì ad evitare di dire che se ne andava perché
la cognata era un serpente a sonagli. “Lo sai, ho quel piccolo appartamento
sopra il negozio. Starò lì. Starò bene” lo rassicurò, cucendosi addosso un
sorriso carico di dolcezza.
Bobby li guardò entrambi. “Ehi,
mettiamo in chiaro che non è stata un’idea mia” si affrettò a precisare, prima
di beccarsi un pugno nello stomaco. Aaron non era molto più robusto di lui, ma
preferiva evitare di testare la sua forza. “Ti… ti aspetto in macchina, ok?”
Uscì e prese fiato. Adia lo seguì un paio di minuti più tardi. “Già finito?”
“Sì” rispose lei. “Non ho avuto il
coraggio di dirgli tutto quello che penso di sua moglie. Mi sono limitata a maniaca del controllo e manipolatrice.”
“Starai davvero in quell’appartamento?”
“Costa poco, è vicino al lavoro e
non ci sono topi” sorrise lei, ravviandosi i capelli.
“Tre ottime ragioni, direi.”
Le impedì di muovere un solo dito, e
si diede da fare per scaricare l’auto e portare tutto dentro al negozio in meno
di mezz’ora, prima che si facesse ora di pranzo. Sistemò tutto con ordine in un
angolo dell’appartamento, e così facendo ebbe modo di notare la presenza anche
di un bagno e di un angolo cucina – dettagli che alla prima visita gli erano
completamente sfuggiti. “Che ne diresti se… andassimo a pranzo?”
“T-tu ed io?” domandò Adia, una
punta di sorpresa nella voce.
“No, io e il presidente. Sì, tu e
io.”
“Credo che vada bene. Ma non ho
tempo, poi devo sistemare le mie cose.”
“Va bene, ti prometto che ti
riporterò indietro presto.”
Scesero al piano inferiore, uscirono
dal negozio e attraversarono la strada, per infilarsi nella più vicina tavola
calda. Sfregandosi le mani per riscaldarle, Bobby indicò un tavolo piuttosto in
disparte. Per una volta, non desiderava stare al centro dell’attenzione. Aspettarono
la cameriera e ordinarono entrambi una bistecca con insalata – incredibilmente,
avevano gli stessi gusti – prima di iniziare a parlare.
“Mi dispiace per ieri mattina”
iniziò a dire lei. Bobby alzò la testa di scatto, stupito. “Non avrei dovuto
trattarti così male. Il fatto è… è che mi è sembrato tutto così strano. Sai,
tu, io…” Si fermò, prima di lasciarsi sfuggire qualcosa che avrebbe potuto
essere captato dalle orecchie sbagliate.
“Non importa. Anch’io ho la mia
parte di colpa. Non avrei dovuto essere così… precipitoso. Avrei dovuto calmarmi, cercare di parlare in modo
civile.”
“Avrei dovuto cercare di farmi
capire da subito.”
“Non colpevolizzarti, non è il caso.
È uno sbaglio che possiamo fare tutti.”
“Non tu. Tu dici sempre chiaramente quello che vuoi.”
Bobby si scostò per permettere alla
cameriera di appoggiargli davanti il piatto. La sentì andare via, ma non sentì
il bisogno di guardarla. Un tempo, ne avrebbe approfittato per guardarle il
sedere e immaginarsela in biancheria intima o meno. Ma oggi c’era Adia davanti
a lui. E pur avendola vista senza biancheria
intima – e avendola trovata bellissima –, non aveva alcuna difficoltà a
concentrare la propria attenzione sul viso di lei, anziché sul suo corpo.
“Che cosa c’è, ho qualcosa in
faccia?” domandò lei, coprendosi preventivamente con il tovagliolo.
“No, tranquilla, non hai niente”
sorrise lui, allungando una mano per scostarle la salvietta dal viso. Le loro
dita si scontrarono, e lui ritrasse subito le proprie. Forse lei non era ancora
pronta per un simile contatto, e lui voleva rispettare i suoi tempi e i suoi
spazi. Ma sentitemi, sembro un psicologo
da talk-show. “Sei perfetta così.”
Capitolo 10 *** 10. Essere In Te [883 feat. Syria] ***
Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.
10. Essere In Te
La
osservò svuotare gli scatoloni, uno dopo l’altro, sistemare ogni oggetto al
proprio posto, finalmente a casa. Era
libertà, quella che riusciva a
leggere adesso nei suoi occhi. Occhi che, comunque, continuavano ad evitarlo.
Bobby non riusciva davvero a capire: lui non riusciva a staccare gli occhi da
Adia. Non riusciva a scacciare dalla propria mente tutto ciò che aveva provato
quella notte: la curva della sua schiena dolcemente premuta contro il suo
torace, i suoi capelli impigliati tra le sue dita, il suo respiro lieve e
regolare... per non parlare di tutto ciò che era successo prima. Bobby scosse
la testa per scacciare quell’incredibile accozzaglia di immagini, e cercò di
concentrare la propria attenzione sugli scatoloni vuoti. “Che… che cosa vuoi
farne di questi?”
“Li
porterò in magazzino, più tardi. Possono sempre servire” ripose lei, aprendo
una scatola piena di libri e iniziando a tirarli fuori uno alla volta,
allineandoli con precisione sullo scaffale.
Bobby
si avvicinò, e in silenzio cominciò ad aiutarla. “Questi… erano di tuo padre?”
le domandò, osservando una vecchia Bibbia.
Adia
annuì. “Mio padre non aveva fatto testamento, quindi tutte le sue cose furono
divise in modo arbitrario dal notaio. Le mie sorelle dissero che non… a loro
non interessavano i libri di nostro padre.”
“Ma
tu invece adori leggere.”
“Che
cos’è la vita, senza un buon libro?” rispose lei, abbozzando un sorriso. “Quand’ero
bambina, lui e Aaron mi leggevano spesso storie della Bibbia” continuò,
indicando il volume che Bobby teneva ancora tra le mani. “La sera, prima di
andare a dormire, mi leggevano la storia dell’Arca e del diluvio, la storia di
Mosè, la… ma non credo ti interessi” continuò, interrompendosi all’improvviso.
“Perché
non dovrebbe interessarmi?”
“Perché
non sei esattamente un uomo di Chiesa”
rispose lei, sorridendo davvero.
“Forse
mi interessa, perché è la tua vita”
ribatté Bobby, allineando la Bibbia insieme agli altri libri.
“Perché
la mia vita dovrebbe interessarti?”
“Perché
non dovrebbe?” Adia abbassò lo sguardo. “Solo perché ti sei sempre considerata
meno degli altri, non significa che tu lo sia.” Solo perché gli altri mi hanno sempre considerato un criminale, non
significa che io lo sia. “Com’è morto tuo padre?” le domandò.
Adia
mise da parte lo scatolone vuoto, ma invece di prenderne un altro e cambiare
discorso, si sedette sul bordo del letto. “Era poco prima di Natale. Più o
meno, lo stesso periodo in cui hanno ucciso tua madre.” Bobby la raggiunse e si
sedette accanto a lei, cercando di mantenere la giusta distanza. “Spesso gli
davo una mano in chiesa. Sai, il catechismo per i più piccoli, le raccolte di
beneficienza… stavamo preparando uno spettacolo natalizio. Un piccolo musical
per i parrocchiani.” Fece una pausa, come per raccogliere le idee. “Anche tua
madre ci aiutò. Cucì dei bellissimi costumi da angioletto.” Sorrise, a quel
ricordo.
“Sì,
le sono sempre piaciute queste cose” ammise lui, sottovoce.
“Era
martedì. Avevamo appena finito le prove per lo spettacolo, i bambini erano
appena tornati a casa. Uscimmo per tornare a casa. Papà stava per chiudere, ma
io mi accorsi di aver dimenticato un costume che dovevo portare da tua madre,
per una modifica.” Si fermò e trasse un profondo respiro, per aiutarsi a
proseguire. “Ero dentro quando… quando sentii gli spari. Due, due spari, li
ricordo come fosse ieri.” Bobby allungò una mano verso la sua, stringendola forte.
“Chiunque sarebbe rimasto nascosto. Ma io non… non ci riuscii. Non potevo
lasciare mio padre…” si interruppe,
scoppiando in lacrime.
Bobby
mandò al diavolo ogni limite e ogni confine. La cinse con le proprie braccia,
lasciando che si appoggiasse completamente a lui. La strinse come non aveva mai
fatto con nessuna, appoggiandole le labbra tra i capelli e lasciando che gli
bagnasse la maglietta con le proprie lacrime. “Va tutto bene, va tutto bene” le
sussurrò, cullandola dolcemente.
“Non
potevo lasciarlo là fuori nella neve” singhiozzò lei. “Ma quelli si erano attardati. Erano ancora lì, quando uscii. Prima di
sentir arrivare la polizia, loro…” si interruppe ancora, sprofondando di nuovo
il viso nel petto di Bobby.
“Scusa,
non dovevo chiederti nulla” si scusò lui. “Non volevo farti soffrire ancora.”
“Ci
sono abituata” sussurrò lei. “Non ho mai smesso di pensare a quella notte.”
“La
polizia riuscì a prenderli?”
Lei
scosse la testa. “Fuggirono. Erano completamente coperti, non riuscii a
vederli.”
Killer di fuori città, pensò Bobby. Era questo lo stile di Victor. Meno che con
mamma.
“Bobby…”
sussurrò Adia, richiamando la sua attenzione. “Ti ho mentito. Io odiavo Victor Sweet.” Fece una pausa. “E
sono contenta che tu lo abbia fatto sparire.”
Bobby
ebbe un tuffo al cuore, nel sentire quelle parole. Solo i suoi fratelli
conoscevano la verità. I suoi fratelli, e gli uomini che erano con loro al
lago. Ma nessuno di loro aveva legami con Adia. O almeno, non gli sembrava. “Che…
come fai a…”
“Come
faccio a sapere che sei stato tu?” Si scostò da lui, asciugandosi le lacrime
con la manica del maglioncino. “Ti conosco, Bobby. Ho visto il tuo tatuaggio. Nessuna pietà. Victor ha fatto eliminare
tuo fratello e tua madre. Non avresti mai potuto avere nessuna pietà per lui.”
“Non…
non l’hai detto a nessuno, vero?”
“Non
sono una di quelle sciacquette con cui ti intrattieni di solito. Non sono
stupida” ribatté, alzandosi.
Bobby
fu pronto ad afferrarle il polso. “Scusa, non volevo.”
“Ti
piacciono così tanto i miei polsi?”
Non
rispose. La costrinse a tornare a sedersi, dolcemente. “Sono solo una delle
tante cose che mi piacciono di te” sussurrò.
“Perché
io, Bobby? Ci sono tante ragazze a Detroit. Perché sei qui?”
“Non
lo so” ammise lui. “Non so perché sono qui. Però so che è il posto dove sto
meglio.”
“Come
fai a stare bene con me? Non abbiamo niente in comune.”
“Non
è vero, abbiamo tanto in comune.”
“Ad
esempio?”
“Victor
Sweet.” Adia distolse lo sguardo. “Pensaci. Tu hai perso tuo padre, io ho perso mia madre. Ed entrambi
sono stati fatti fuori da Victor Sweet, perché gli tenevano testa. Abbiamo
entrambi una famiglia che ci vuole bene e un posto dove stare, ma non sappiamo
con chi parlare quando abbiamo voglia di sfogarci. Siamo gli unici a sapere che
mia madre adorava i lillà. Tuo padre è morto di martedì, mio fratello è morto
di martedì. Tuo padre è morto a Natale, mia madre è morta a Natale. Siamo stati
a letto insieme. Ti ho offerto il pranzo e ti ho aiutata a traslocare. Non avrei
fatto tutta quella fatica, se non fossi importante.”
Adia
tornò a guardarlo. “Sicuro di essere Bobby Mercer? Quello che non ha fatto che
chiedermi di fare sesso con lui per tre anni di seguito?”
“Non
sono mai stato più sicuro.” Sussurrò la propria risposta a pochi centimetri
dalle labbra semichiuse di lei, che immediatamente le strinse e cercò di
allontanarsi.
“No,
Bobby. Non credo sia una cosa giusta…”
“Smettila di fare la cosa giusta, Adia. Inizia
a fare la cosa più giusta per te.”
Adia
non riuscì ad ignorare quel consiglio. Si lasciò andare, lasciando che Bobby si
avvicinasse. Si lasciò baciare, sapendo che sarebbero finiti a letto insieme. Ancora. Avrebbe dovuto opporsi, convinta
com’era che Bobby le avrebbe spezzato il cuore. Avrebbe dovuto prenderlo a
calci lungo tutta la strada, cacciarlo via. Ma non poteva. Non poteva, perché
questa volta sembrava sincero. Era sincero. Le sue mani le sfilarono
presto il maglioncino, lasciandolo poi cadere sulla moquette. Non riuscì a non
mordicchiarsi un labbro, mentre si liberava della maglietta, mettendo in
funzione ogni singolo muscolo.
“Che
cosa vuoi da me, Bobby?” gli domandò tra un bacio e l’altro, mentre si stendeva
su di lei.
“Voglio
che ti fidi di me” rispose,
baciandole avidamente il collo. “Sono
cambiato” aggiunse, slacciandole i jeans. “Voglio che tu sia mia” sussurrò ancora, sfilandole con
gesto deciso i pantaloni. “Voglio che tu mi dica che mi vuoi” disse ancora, spogliandosi in fretta per tornare subito su
di lei.
“E
poi?” gli chiese ancora, riprendendo ad accarezzarlo. E poi, che ne sarà di me, quando mi avrai usata? Che cosa ne sarà di
me?
“E
poi… voglio che passi il resto della tua
vita con me” sussurrò, prendendo possesso del suo corpo con una spinta
decisa. “Voglio che tu sia il mio motivo per
restare a Detroit” disse ancora, addentrandosi di più in lei. “Voglio che
tu sia quello che Camille è per Jerry, quello che Sofi è per Angel” continuò,
senza interrompere il ritmo dei propri movimenti e delle proprie carezze. Lo
baciò quando lo sentì dire: “Voglio che tu sia la mia ragazza, tu e nessun’altra.”
Non
riusciva a dormire. Aveva paura di svegliarsi, e di ritrovarsi sola in quel
letto così grande. E poi era pomeriggio. Non era abituata a dormire di
pomeriggio. Sbirciò la sveglia sul comodino, sporgendosi oltre Bobby. Erano
quasi le sei, non era più pomeriggio. Era quasi sera. E lei aveva passato il
pomeriggio a fare l’amore con Bobby. Tornò ad appoggiare la testa sul cuscino,
e fissò il volto dell’uomo che le stava davanti. Fissò ogni piccola ruga, ogni
linea, ogni microscopica cicatrice: voleva imprimersi ogni dettaglio della
mente, voleva ricordare tutto. Scese a
fissargli il petto, soffermandosi su ogni tatuaggio: ogni tatuaggio indicava
una storia. Forse, un giorno, anche lei avrebbe avuto il suo posto sulla pelle
di Bobby. Scosse la testa: non voleva illudersi, ma non ci riusciva. La
tormentava il pensiero che lui volesse stare con lei. Per sempre. Per tutta la
vita. No, scherzava. Aveva scherzato. L’aveva detto per convincerla a dirgli di
sì ancora una volta.
“Pensi
ancora che sia un errore?”
Alzò
gli occhi. Lui la stava guardando. Per la prima volta, non sentì l’esigenza di
distogliere lo sguardo. “Forse. Non riesco a credere che tu sia completamente
redento.”
“Non
ho mai detto di essere redento. In fondo, sono ancora un peccatore.”
“Ama il peccato, odia il peccatore”
ribatté lei. “E’ questo che dicono.”
“Forse
potresti andare controcorrente, e amare il peccatore. Oppure, potresti amarci
entrambi. Sono sicuro che non sarebbe così impegnativo.”
Adia
sorrise. Come aveva fatto a resistergli tanto a lungo?
La
prima ad accorgersi dell’assenza di Bobby a tavola fu la figlia minore di
Jerry, particolarmente legata all’ex galeotto. “Papà, perché zio Bobby non cena
con noi?” Jerry alzò la testa di scatto, accorgendosi solo in quel momento che
suo fratello non era con loro. Per fortuna, Camille intervenne per toglierlo
dall’imbarazzo.
“Lo
zio Bobby aveva un impegno, tesoro. Ha chiamato prima per dire che sarebbe
rimasto a cena fuori.”
Angel
scoppiò a ridere. “Ha detto questo? Che aveva un impegno?”
“Sì,
ha detto così” confermò Camille. “Ha detto che non sarebbe riuscito a
liberarsi, e…” si interruppe quando le risate di Angel si fecero troppo forti.
“Fratello,
sai qualcosa che io non so?” chiese Jerry, indeciso se unirsi alla risata o
preoccuparsi.
“Oh,
niente di importante. Insomma, se l’impegno
di Bobby è l’impegno che intendo io,
non mi stupisco che lo preferisca a noi.” Jerry continuò a fissarlo, senza
capire. “Andiamo, Jerry, fai un piccolo sforzo di memoria. Ti ricordi di che si
parlava appena una settimana fa? Di chi
si parlava?”
“Della
figlia di… oh, merda!”
“Jerry,
ci sono le bambine!” lo rimproverò la moglie.
“Scusa,
tesoro” si affrettò a rispondere lui, per poi tornare subito a riferirsi al
fratello. “Mi stai dicendo che… ci è riuscito?”
“L’altra
sera” confermò Angel, con il tono di chi la sa lunga. “Ma poi lei lo ha buttato
fuori.”
“Quindi
lui adesso non è con lei?”
“Credo
proprio che sia con lei, invece. E qualcosa mi dice che è riuscito a fare pace…”
Adia
sollevò per un’ultima volta le mani davanti al viso, per un ultimo conteggio. Quattro
era il responso definitivo. Lei e Bobby Mercer avevano fatto sesso quattro
volte in sette ore. Ed era quasi sicura che, una volta che si fosse svegliato,
c’erano parecchie probabilità che Bobby fosse pronto a rifarlo. Dio mio, Bobby è un ninfomane e mi sta
contagiando!, pensò allarmata. Quasi avesse sentito i suoi pensieri, Bobby
si mosse nel sonno e le si avvicinò di più. “Buongiorno” le sussurrò all’orecchio,
la voce arrochita dall’ora di sonno che si era concesso.
“Veramente
sono le dieci di sera” rispose lei, alzando appena la testa.
“Questo
spiegherebbe perché ho fame.”
“Non
c’è molto, in frigorifero. Oggi avrei dovuto fare la spesa, ma qualcuno mi ha
trattenuta” scherzò lei.
“Ma
non mi dire! E chi sarà stato quel mascalzone?” continuò lui, accarezzandole il
collo con le labbra.
“Ti
darò un paio di indizi: ti assomiglia, è disteso nel mio letto, mi sta
abbracciando e non porta le…” si interruppe di colpo, travolta dalle labbra di
Bobby. “E continua ad allungare le mani” aggiunse, staccandosi da lui.
“Accidenti,
se non sapessi che è già stato in galera, lo sbatterei dentro.”
“Bobby…”
“No,
ti prego!” esclamò, improvvisamente esasperato, staccandosi da lei. “Non fare
quella faccia!”
“Quale
faccia?” domandò lei, girandosi sulla schiena.
“Quella faccia” ripeté, indicando il suo
viso. “Sei diventata improvvisamente seria. Tra due minuti dirai che abbiamo
sbagliato, che non avremmo dovuto fare sesso, che ti deluderò, che soffrirai,
poi mi dirai di andarmene e io me ne tornerò a casa con la coda fra le gambe”
continuò, scostando le coperte con un calcio e mettendosi a sedere. Adia distolse
lo sguardo, sebbene ormai avesse visto Bobby nudo ben più di una volta.
“Non
stavo per dire questo” sussurrò, mentre lui già si stava rivestendo.
“Come?”
le chiese, voltandosi.
“Non
stavo per dire che abbiamo sbagliato” ripeté, tirandosi a sedere e sistemandosi
bene il lenzuolo.
“E
allora che cosa stavi per dire?”
“Una
cosa stupida. Non vale nemmeno la pena di dirla, in effetti” rispose, piegando
la gamba destra e abbracciandosi il ginocchio.
“Dai,
voglio saperla” la esortò, tornando a sedersi.
“Non
è niente, davvero. Non è importante.”
“Può
darsi, ma voglio che tu la dica.”
Adia
lo guardò negli occhi per parecchi istanti, poi tornò a fissarsi il piede
sinistro, che faceva allegramente capolino in fondo al mucchietto di coperte. “Beh,
io… io non ho mai avuto una storia seria. Nessun fidanzato ufficiale, o roba simile. Mai.” Si sistemò una ciocca di
capelli dietro l’orecchio e riprese fiato. “Non che non sia uscita… insomma,
non sono un’asociale. Sono uscita con parecchi ragazzi, ma nessuno di loro mi
ha mai… affascinata quanto te.”
“Che
intendi…”
“No,
Bobby, lasciami finire. Ecco, io… quando avevo quindici anni, ti vedevo sempre
andare in giro per la città con tua madre, e speravo che un giorno ti saresti
accorto di me. Poi, quando ho finito il liceo, hai cominciato a darmi la caccia
come se fossi stata un pezzo di carne, e… beh, il modo in cui mi trattavi mi
disgustava. Non riuscivo a credere che fossi il Bobby che… che mi piaceva. Ho
dovuto sforzarmi di non cedere. Tu non sai quanto ho faticato per non dirti di
sì.” Alzò gli occhi, e si accorse che Bobby la stava fissando, interessato e
incredulo. “Poi te ne sei andato, e non pensare a te è stato più facile. Ho iniziato
a uscire con i ragazzi soltanto a vent’anni, e… ne avevo ventuno la prima volta
che ho fatto l’amore con uno di loro. Si chiamava Barry, aveva ventidue anni e
studiava Legge. Non so nemmeno perché te lo dico, non vive nemmeno più a
Detroit.”
“Non
riesco a capire dove vuoi arrivare” sussurrò Bobby.
“Non
lo so nemmeno io, in realtà” ammise lei. “E’ che io mi sono costruita una vita,
mentre tu non c’eri. Sapevo che avrei potuto non rivederti più, non avere mai
più un’occasione, eppure… eppure continuavo a sperare che nel mio futuro ci
fossi tu.” Bobby dovette farsi più vicino, per udire quell’ultimo sussurro. Per
vedere il rossore sulle guance di Adia, però, non avrebbe avuto bisogno di
avvicinarsi.
“Che
cosa stai cercando di dirmi?”
“Che
ti ho mentito” rispose lei, alzando fiera lo sguardo. “Ho detto che mi sei
sempre piaciuto, ma non è vero. Io ti ho… ti ho sempre amato.”
Bobby
rimase a guardarla in silenzio, senza sapere bene che cosa rispondere. Poi le
accarezzò il viso. “E questa sarebbe una cosa stupida?”
“Tu
non la trovi stupida?”
“Affatto.
Insomma, non posso dire lo stesso, perché non sono sicuro di aver mai amato qualcuno, però non credo che l’amore
sia una cosa stupida.” Fece una pausa. “Ti ringrazio.”
“Per
che cosa?”
“Per
aver detto di amarmi. Sei l’unica donna che me lo abbia mai detto, a parte mia
madre. Ma lei non conta.”
“Quindi
non sei… arrabbiato?”
“Perché
dovrei essere arrabbiato?”
“Oh,
non so. Ho sempre pensato che ti avrebbe dato fastidio che una donna…” si
interruppe, quando Bobby scoppiò a ridere. “Che c’è?”
“Dovresti
sentirti, sei troppo divertente!” esclamò, continuando a ridere di gusto. “L’unico
motivo per cui potrei essere arrabbiato ora è la fame. Tu dammi da mangiare e
il pericolo sarà scongiurato” aggiunse, regalandole un bacio a fior di labbra e
saltando giù dal letto.
“Eccoti,
finalmente! Stavamo per denunciare la tua scomparsa” lo prese in giro Angel,
sorprendendolo mentre cercava di rientrare senza farsi notare. “Ehi, sono le
sette del mattino.”
“Sì,
e allora?”
“E
allora, dove avresti passato le ultime ventiquattro ore?” lo incalzò il
fratello, in tono scherzoso.
“Non
hai niente di meglio da fare che farmi il terzo grado?” rispose Bobby,
versandosi del succo d’arancia. Aveva fame, accidenti. Lui e Adia avevano cenato
con il poco che avevano trovato nel frigorifero, ma l’aver fatto l’amore –
altre due volte, quella notte – aveva di nuovo prosciugato ogni energia.
“Bobby,
sicuro di sentirti bene?” gli domandò Jerry, con aria allarmata.
“Non
sono mai stato meglio. Perché?”
“Perché
hai messo il succo in un bicchiere, invece di bere dal cartoccio” spiegò Sofi,
smettendo per un istante di imburrare il proprio toast.
Bobby
fissò il bicchiere con sospetto, quasi temesse di venirne azzannato. “Beh,
forse ho solo pensato che sarebbe stato da maleducati.” Rubò il pane imburrato
dalle mani della ragazza, temporaneamente distratta dal suo cambiamento. “Grazie,
Sofi” disse, mentre raggiungeva la propria stanza.
“Come
sarebbe a dire? Perché non mi chiami più Vida
Loca?” la sentì strillare.
Si
sedette a cavalcioni sulla brandina, finendo di masticare il pane. Aveva ancora
fame, ma non voleva tornare di sotto subito. Avrebbe aspettato che Camille
uscisse per portare le bambine a scuola, che Jerry andasse al lavoro, e che
Sofi e Angel… oh, potevano fare quello che volevano. Nel frattempo, avrebbe
letto il giornale. Fece scorrere le pagine fino alle offerte di lavoro. Se
voleva restare in città, doveva trovarsi qualcosa da fare. Oltre a stare con
Adia, s’intendeva. E poi, voleva dare una svolta alla propria vita, iniziare a
comportarsi in maniera onesta. Sentiva che il vecchio Bobby era finito in fondo
al lago con Victor Sweet, e che il nuovo Bobby smaniava per avere un’occasione.
“Fratello,
hai un minuto?”
“Jerry,
ciao. Certo, ma non dovresti essere al lavoro?”
“Mi
sono preso un paio d’ore di libertà.” Mentre parlava, Bobby vide farsi avanti
anche Angel, che recuperò da un angolo due vecchie sedie da giardino e le mise
vicino alla brandina.
“Offerte
di lavoro?” osservò l’ex soldato. “Stai cercando un lavoro?”
“Sì”
ammise Bobby, grattandosi la nuca nervosamente. “Non posso… è… è giusto così.
Di che volevi parlare, Jerry?”
“Della
casa di mamma. Non possiamo lasciarla così.”
“No,
hai ragione. Non possiamo e non dobbiamo. Era la casa della mamma, dobbiamo
metterla a posto.”
“Bene,
su questo siamo d’accordo” confermò Angel. “Come dobbiamo muoverci per
sistemarla, Jerry?”
“Per
i permessi e tutto il resto non c’è problema, posso occuparmene io” rispose
l’interessato. “Per i soldi… beh, se siete d’accordo, potremmo attingere ai
soldi dell’assicurazione sulla vita di mamma. Sono duecentocinquantamila
dollari, ce n’è abbastanza per rimettere in sesto mezzo quartiere. E potremmo
risparmiare sulla manodopera, se facciamo noi i lavori.”
“Ok,
va bene” rispose Bobby. “Ci sto, è una bella idea.”
“Andata,
fratello” confermò Angel. “Rimettiamo in piedi la casa della mamma.”
Jerry
si alzò, imitato dal fratello. Stavano per lasciare il soppalco, quando Jerry
si voltò verso il terzo fratello. “Bobby, toglimi una curiosità. Perché stai
cercando un lavoro?”
“Te
l’ho detto, è giusto così” ripeté l’interrogato.
Jerry
si accontentò della risposta. Sapeva di non poter cavare altro a Bobby Mercer.
Capitolo 13 *** 13. Adesso E' Facile [Mina feat. Manuel Agnelli] ***
Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.
13. Adesso E’ Facile
Adia
non riusciva a togliersi dalla mente le sensazioni dell’ultima notte. Era piuttosto
patetico, in realtà, continuare a pensare a Bobby come avrebbe fatto un’adolescente
alla prima cotta. Anche se in fondo lei era questo: visto che aveva trascorso l’adolescenza
accontentandosi di condividere con lui la città, ora doveva recuperare tutte le
esperienze non vissute prima.
“Somigli
tanto a papà, quando sei pensierosa.”
Se
fosse stata la protagonista di un film o di un romanzo, avrebbe alzato la testa
di scatto e avrebbe sgranato gli occhi, mentre il cuore iniziava a battere furiosamente
nel petto. Ma lei era soltanto Adia Chambers, modesta titolare di una minuscola
libreria alla periferia di Detroit, e avrebbe riconosciuto tra mille altre la
voce di suo fratello. “Ciao, Aaron. Come mai da queste parti?”
“Sei
mia sorella. Mi sembra normale farti una visita, ogni tanto. Ti sei appena
trasferita in un appartamento tutto tuo, e sono venuto a vedere se ti serviva
qualcosa.”
“Sono
a posto, grazie. Come vanno le cose giù alla fabbrica?”
“Abbastanza
bene, ma non cambiare discorso.”
“Non
sto cambiando discorso.”
“Stai
cambiando discorso. Sei mia sorella. Ti conosco. Sei mia sorella: tengo a te.”
Non
riuscì a celare un sorriso. “Le due cose non sono per forza correlate.”
“Non
dire così…”
“Aaron,
ho quattro sorelle più grandi di me, e nessuna di loro sa a che cosa sono allergica”
ribatté la ragazza, guardando l’uomo dritto negli occhi. “No, non le odio”
aggiunse, anticipando la domanda che il fratello non avrebbe mai avuto il
coraggio di porle. “Offenderei la memoria dei nostri genitori, se lo facessi.” Sparì
per una decina di secondi nel retro del negozio, per poi tornare dietro il
bancone.
“La
tua gamba è peggiorata o sbaglio?”
Adia
deglutì. “Sbagli, va tutto bene. Probabilmente sono solo un po’ affaticata.”
“Non
avresti dovuto affrontare questo trasloco da sola” la redarguì Aaron,
curiosando tra i nuovi arrivi.
“Non
ero sola” sussurrò lei.
Aaron
sorrise, e le rivolse un’occhiata maliziosa. “Giusto. Il che mi porta a pensare
che la causa del tuo affaticamento
potrebbe essere un’altra.”
“E
se anche fosse?”
“Hai
ventisette anni, sei perfettamente in grado di decidere da sola chi
frequentare.”
“Però?”
“Però?”
“Deve
esserci un però, Aaron. C’è sempre un
però, quando parlo con te.”
“Non
è vero” si indispettì lui. “Però, devi ammettere che… è Bobby Mercer, Adia!”
“E
allora?”
“Ti
è corso dietro come un cane da punta per anni, e non hai mai ceduto. Perché
adesso… perché?”
“E’
cambiato, Aaron. Non è più lo stronzo di dieci anni fa.” Fece una pausa. “Lo
riconosco, non è uno stinco di santo, ma…”
“Adia,
per favore, guardami” la interruppe
lui, prendendola con delicatezza per le spalle e costringendola a fissarlo. “Meno
di due mesi fa, sua madre è stata uccisa per conto di Victor Sweet. Poche settimane
dopo, Victor Sweet è misteriosamente scomparso,
e guarda caso lui è stato il primo ad
essere indagato.”
“Indagato e colpevole non significano la stessa cosa.” Aaron la lasciò andare e
si passò una mano tra i capelli, senza parole. “Io so che cosa significa essere
creduta colpevole senza esserlo davvero, Aaron.”
“No,
Adia, tu non sei…”
“Io
non sono colpevole, lo so” lo
interruppe lei. “Ma questo non ha mai fatto cambiare idea alle nostre sorelle. Loro
continuano a ritenermi responsabile della morte di papà.”
“Adia,
non…”
“E
un po’ di ragione ce l’hanno, se ci pensi bene. Se io non avessi insistito per
mettere in scena quei musical di Natale, lui non si sarebbe trovato davanti
alla chiesa, quella sera. Ma Victor Sweet lo avrebbe fatto uccidere in un altro
momento, in un altro modo. È colpa mia se si è trovato davanti alla chiesa
quella sera, ma non è colpa mia se è morto.”
“Come
siamo arrivati a parlare di questo?”
“Mi
hai chiesto perché frequento Bobby Mercer. O meglio, mi hai detto che sarebbe
meglio se non frequentassi Bobby
Mercer. Però, come hai detto tu, ho ventisette anni. Sono abbastanza grande per
decidere da sola chi frequentare.”
“Quindi…
vi frequentate?”
Adia
fece spallucce. “Non lo so. Abbiamo fatto sesso, non so se possa essere
considerato frequentarsi.”
“Questo non lo avrei voluto sapere” si
affrettò a rispondere lui, ancora troppo protettivo nei confronti di Adia per riuscire
ad immaginarsela a letto con qualcuno senza procurarsi una crisi di coscienza.
“E
io non avrei voluto dirtelo, ma lo sai che mi è impossibile resisterti, quando
giochi a fare il poliziotto” ribatté lei con un sorriso.
“Sei
sempre stata la mia preferita, lo sai? E per qualsiasi cosa, lo sai che puoi
venire da me.”
“Certo.
Sei tu il mio cavaliere senza macchia e senza paura.”
Capitolo 14 *** 14. Give Me The Simple Life [Jamie Cullum] ***
Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.
14. Give Me The Simple Life
Arthur
Johnson – o ‘il vecchio Artie’, come lo chiamavano nel quartiere – aveva
sessant’anni e troppi acciacchi. Aveva passato la prima metà della vita a fare sacrifici
per avviare la propria attività, e quando era stato a un passo dalla meta la
moglie, stufa di aspettare, lo aveva lasciato, portandogli via anche la casa.
Poi c’era stato l’infarto, e la vecchiaia aveva iniziato ad avanzare. Non
c’erano figli a cui lasciare l’attività, non c’erano amici a cui confidare i
propri patimenti. Aveva un fratello, ma abitava lontano, e comunque
difficilmente si sarebbe scomodato a venire fino a Detroit per ascoltare le
lamentele di suo fratello. Però, nonostante tutto, il vecchio Artie aveva un
cuore buono e generoso, e se poteva essere d’aiuto a qualcuno non si tirava
indietro.
Forse è questo che ci rende diversi,
pensò Bobby, mentre raggiungeva il magazzino di Artie. Siamo entrambi dei falliti, ma almeno lui sa rendersi utile.
“Per
l’amor del Cielo, non dirmi che quello che sta arrivando è proprio Bobby
Mercer!” esclamò il vecchio Artie, guardandolo con aria divertita. “Devo far
nascondere soldi e gioielli, o hai intenzioni pacifiche?”
Bobby
sorrise. Il vecchio Artie lo accoglieva con quella battuta da quasi vent’anni,
da quando lui ne aveva quindici e gli aveva sgraffignato dieci dollari per
comprare un regalo di compleanno a sua madre. Inutile dire che Evelyn lo aveva
preso letteralmente a calci nel
sedere, quando lo aveva scoperto. E lo aveva trascinato per un orecchio fino al
magazzino, per obbligarlo a chiedere scusa e a restituire il maltolto. “No, ho
intenzioni pacifiche… permanenti.”
Artie lo guardò con sospetto, aspirando dalla sigaretta accesa. “Quella roba ti
uccide, lo sai?”
“Prima
o poi dobbiamo morire tutti, no?” ribatté il vecchio, gettando il mozzicone a
terra e spegnendolo con la punta della scarpa. “Scusa se non sono stato al
funerale di tua madre e di tuo fratello, ma… era tempo di revisione” aggiunse,
toccandosi il petto all’altezza del cuore. “Bella cerimonia?”
“E’
una di quelle cerimonie che uno si augura di non vedere mai” rispose Bobby,
abbassando la testa. “Ma sì, sono state belle cerimonie.”
“Sono
andato al cimitero, un paio di giorni fa. Non vi facevo tipi da fiori, voi
Mercer.”
“Non
siamo stati noi.”
Artie
alzò un sopracciglio, curioso, poi capì che non gli avrebbe cavato altro. “Come
mai da queste parti, Bobby? Sapevo che eri tornato in città, ma credevo che
saresti ripartito subito dopo il funerale di tua madre.”
“Sono
successe un po’ di cose, i programmi sono cambiati.”
“E
poi è morto anche Jack.”
“Già”
fu la risposta laconica di Bobby. Jack se n’era andato da tre settimane, ormai,
ma lui non riusciva ancora a farsene una ragione. Così come non riusciva a
farsi una ragione della morte di sua madre. La sola cosa in grado di consolarlo
era che Victor Sweet, il responsabile di tutto quel dolore, era finito in fondo
al lago. In fondo al lago, insieme alla parte peggiore di se stesso.
“Come
mai qui?” gli chiese ancora il vecchio Artie.
“Mi
serve un lavoro” confessò Bobby, trovando il coraggio di guardarlo negli occhi.
“Hai
provato a leggere gli annunci sul giornale?”
“Sì,
ma cercano soltanto gente qualificata, gente con un diploma. E poi cercano
impiegati, segretari, commessi… io non sono tagliato per quel tipo di lavoro.”
“Non
ci hai mai provato, come fai a sapere se ci sei tagliato o no?”
“Lo
so, Artie. Mi conosco. Io ho bisogno di fare un lavoro di fatica, ho bisogno di
spezzarmi la schiena. Mi serve un lavoro così.”
“Una
volta ti guadagnavi da vivere con gli incontri di pugilato. Non sei vecchio,
potresti ancora farlo” osservò Artie, accendendo un’altra sigaretta.
“Sono
guadagni facili, ma una volta smesso? No, non voglio finire di nuovo in quel
giro. Ho bisogno di un lavoro pulito, di qualcosa che mi tenga fuori dai guai.”
“Fuori
dai guai, a te? Bobby Mercer fuori dai guai? Sarebbe come dire che Maria
Maddalena era una suora!”
Bobby
sorrise. “Sono serio, Artie. Mi serve un lavoro.”
“Come
mai?”
“Questioni
personali” rispose in fretta. Notò l’espressione indifferente del vecchio, e
allora decise di parlare. “Voglio mettere la testa a posto.”
Artie
scoppiò in una risata rauca. “Bobby Mercer mettere la testa a posto? Ti hanno
dato una botta in testa, per caso?”
“Ma
perché diavolo non può essere possibile? Guarda che ho dei sentimenti anch’io!”
“Già,
infatti tutte le ragazze di Detroit ti ricordano per i tuoi sentimenti… oh, andiamo, non vorrai
farmi credere che ti sei lasciato convincere da una pollastra? Tu?”
Bobby
sorrise. “Credimi, mi costa ammetterlo, ma è così. Una pollastra mi ha messo il
guinzaglio.”
“Chi
è quella pazza che ti ha ripreso nel suo letto?”
“Una
che non ci era mai stata” ribatté lui.
“Siamo
sicuri che sia di Detroit?”
“E’
la figlia del reverendo Chambers, la più giovane” confessò Bobby.
Artie
rifletté per qualche secondo. “Beh, accidenti, hai preso la migliore della
nidiata. Le sue sorelle sono davvero quattro stronze, ma lei mi ha sempre fatto
una buona impressione. Andavo nella chiesa di suo padre, ogni tanto. Prima che
morisse. È davvero una gran bella ragazza, se solo avessi vent’anni di meno…
peccato per quella gamba, però. Ehi, come diavolo hai fatto a convincerla a frequentare
un tipo come te? Non l’avrai messa incinta, per caso?”
“No,
accidenti!” Spero di no, dannazione.
Anche se non… “E’… è successo, ok? Ci siamo incontrati per caso in città,
abbiamo parlato, siamo usciti… andiamo, Artie, lo sai come succedono certe cose,
no?”
“Sì,
sì, ok, risparmiami i dettagli” lo interruppe il vecchio, spegnendo anche
quella seconda sigaretta. “Beh, potrei avere bisogno di un uomo in più in
magazzino, adesso che ci penso. Se ti può interessare. Ma sia chiaro, lo faccio
solo per quella benedetta ragazza che ha scelto di sopportare una canaglia come
te.”
“Dici
davvero? Quindi, quando…”
“Ad
una condizione” lo interruppe ancora Artie. “Inizierai soltanto quando avrai
messo a posto la casa di tua madre. Non ne possopiù di passare davanti a quel rottame di una
casa.”
“Grazie,
Artie. Mi stai salvando la vita.”
“No,
non sono io che ti sto salvando.”
Entrò
a passo sicuro nel negozio di Adia, e riconobbe immediatamente la figura che
gli dava le spalle. Sperò che Aaron non fosse andato a cercarlo per
suonargliele: per una volta – forse la prima in vita sua – non aveva alcuna
voglia di fare a botte. Non davanti alla ragazza, perlomeno. Non dopo averle
detto di essere cambiato. Non disse nulla per attirare l’attenzione su di sé:
lasciò che Adia alzasse lo sguardo su di lui, e aspettò che Aaron si voltasse
in cerca di ciò che aveva distolto l’attenzione della sorella. “Posso… tornare
più tardi, se è un problema” disse. Bobby Mercer che proponeva di togliere il
disturbo da solo? Non poteva essere vero.
“No,
resta” rispose l’altro uomo. “Si stava giusto parlando di te” continuò,
tornando a guardare la sorella.
Bobby
sospirò. Che cosa aveva pensato di ottenere, tornando a dare la caccia alla
figlia del reverendo? “Ok, cerchiamo di rendere le cose più semplici.
Colpiscimi.”
Aaron
lo guardò alzando un sopracciglio, evidentemente senza capire. “Perché dovrei
colpirti?”
“Non…
non vuoi picchiarmi?”
“Non
ne vedo il motivo.”
Bobby
guardò Adia, cercando una spiegazione. Lei sorrise. “Ha trascorso i primi
trentacinque anni della sua vita a farsi picchiare dalla gente, cerca di
capirlo” spiegò la ragazza al fratello. “Ha il complesso del pugile, se non
riesce a farsi prendere a pugni da qualcuno non è contento.”
Aaron
sorrise. “Siete adulti e vaccinati, no? E poi adesso Adia non vive nemmeno più
sotto il mio stesso tetto, non è affar mio quello che combina. Però sono pronto
a ridurti in briciole, se la fai soffrire.”
Bobby
annuì, sorridendo a sua volta. “Ho capito. Comunque io posso passare più tardi,
se dovete parlare…”
“No,
non ti preoccupare. Tanto devo andare, tra mezz’ora inizia il mio turno.” Baciò
la sorella sulla guancia, e nel passare accanto a Bobby, gli mise una mano
sulla spalla in gesto fraterno. Bobby rispose con un mezzo sorriso.
“Come
mai da queste parti?” gli domandò lei, una volta rimasti soli.
“Buffo,
meno di un’ora fa il vecchio Artie mi ha chiesto la stessa cosa.”
“Sei
stato dal vecchio Artie? Perché?”
“Non
posso vivere di rapine, e sono troppo vecchio per tornare sul ring” scherzò
lui.
“Sono
d’accordo sulle rapine, ma non sei vecchio”
lo corresse lei, tornando a controllare le vecchie fatture che stava mettendo
in ordine prima dell’arrivo di Aaron.
“Non
ho detto di essere vecchio. Ho detto
di essere troppo vecchio per tornare
sul ring.”
“C’è
differenza?” domandò, alzando gli occhi. Com’era riuscito ad arrivarle tanto
vicino senza che se ne accorgesse?
“Certo
che c’è differenza. Ci sono cose per cui non si è mai troppo vecchi” sussurrò, lasciandole un bacio leggero alla base del
collo.
“Non
ci starai provando con me, Bobby?” lo
prese in giro.
“Provare
a fare cosa? A sedurti? Credevo di esserci già riuscito…”
“Solo
perché sono stata a letto con te un paio di volte, non significa che tu mi
abbia sedotta…”
“Sì,
comunque io non le definirei un paio di
volte…” Adia si lasciò scappare una risata, provocando l’immediato
allontanamento dell’uomo. “Beh, che c’è?”
“Mi
stavo appunto chiedendo quando sarebbe successo. Quando ti saresti stufato di
fare il bravo ragazzo e saresti tornato lo scimmione di sempre” aggiunse,
incrociando la sua espressione confusa.
“Ehi,
era solo una battuta” si giustificò lui. “Dio, sei sempre stata così
suscettibile?”
“Non
sono suscettibile!” ribatté lei,
stizzita. “E preferirei che evitassi certe esclamazioni…” aggiunse, quasi in un
sussurro.
Bobby
resistette all’impulso di mordersi la lingua. Nonostante tutto, Adia restava la
figlia di un ministro di Dio, o come
accidenti si chiamavano. Magari ci credeva davvero,
e preferiva non sentire certe imprecazioni. Ripensò a sua madre: Evelyn andava
in chiesa. Evelyn aveva aiutato con i costumi per il musical di Natale. Evelyn
lo aveva trascinato con sé un paio di volte – ‘trascinato’ in senso letterale. Eppure, nonostante tutto… non
è che non ci credesse. È solo che Dio gli sembrava una cosa troppo lontana,
troppo astratta… Bobby aveva sempre creduto soltanto in quello che poteva
vedere e toccare. Bobby aveva adottato come religione la forza dei propri
pugni: era con quelli che si cavava fuori da ogni situazione. Nonostante credesse
in qualcosa che stava lassù e guardava quaggiù, non riusciva a rendere quel qualcosa il fulcro della propria esistenza. E con tutta la buona
volontà del mondo, non avrebbe iniziato ora. Nemmeno per Adia. “Scusa”
borbottò, mettendosi le mani in tasca. “Forse sono io quello suscettibile…”
Adia
si trattenne dal rispondere con un “Ma dai?”. Avrebbe solo peggiorato le cose. E
Dio solo sapeva quanto già fossero ingarbugliate. “No, scusami tu. Sono… sono
un po’ nervosa.”
“Ne
vuoi parlare?”
Adia
alzò la testa, stupita dalla domanda. Ma da Bobby Mercer, ultimamente, ci si
poteva aspettare di tutto, anche che si calasse giù per una quercia innevata
per andare a prendere il caffè. Per un attimo, fu tentata di dirgli che le sue
sorelle non le rivolgevano la parola e che non le avevano risposto agli auguri
di Natale; fu tentata di dirgli che era stufa di quel lavoro, quel lavoro che
lei stessa aveva scelto; fu tentata di dirgli che le mancavano i propri
genitori; fu tentata di dirgli che Aaron aveva avuto l’intuizione giusta, e la
gamba le faceva male. Non il solito fastidio che da cinque anni la accompagnava
senza tregua, ma dolore. “No, niente
di grave” rispose, distogliendo lo sguardo da lui e rifilandogli un sorriso più
falso degli orecchini di perle che aveva messo al matrimonio di suo fratello.
Il
vicinato al completo si affacciò alle finestre e si spinse fino alle verande,
incuriosito dai rumori che provenivano da casa Mercer – o meglio, da quello che restava di casa Mercer. I
bambini si spinsero fino al giardino, per osservare meglio gli uomini che
scaricavano il camion. Il giardino della casa dove Evelyn Mercer aveva sempre
vissuto fu presto ingombrato da tavole di legno, mattoni, sacchi di cemento e
vari attrezzi. Quando il camion liberò la strada, l’intero vicinato poté
vedere, schierati sul marciapiede, i tre fratelli Mercer.
“Fratelli,
ci siamo” disse Angel, guardando per l’ultima volta lo scheletro della casa.
“Diamoci
da fare” confermò Jerry.
Sì, diamoci da fare. Per mamma e per Cracker
Jack, pensò Bobby.
Parecchi
uomini del vicinato si avvicinarono offrendosi come aiuto, ma i tre fratelli
rifiutarono ogni proposta. La casa era ridotta così per colpa loro, perché non
avevano saputo proteggere la mamma, e loro – loro, da soli – l’avrebbero rimessa a posto. Avrebbero lavorato sodo,
anche per tutto il giorno, pur di riavere indietro la casa della loro mamma. La
loro casa. Anche se non sarebbe mai
più stata la stessa di prima, senza la mamma e senza Jack. D’altra parte,
nessuno di loro era più lo stesso di un tempo: Jerry aveva una famiglia; Angel
si sarebbe sposato; Bobby si era quasi innamorato.
Più
tardi, nel pomeriggio, i ragazzini del quartiere si riunirono per una partita
di hockey sulla strada innevata; Bobby non poteva fare a meno di osservarli, di
tanto in tanto. Avrebbero giocato tranquilli, adesso, senza il timore di
imbattersi nella gente sbagliata. Anche i loro genitori sarebbero stati più
tranquilli, sapendo che nessuno si sarebbe più preso a fucilate per strada. Gettò
un’occhiata dall’altra parte, quasi in fondo alla strada. Continuava a vedere
il rosso del sangue di Jack sul bianco della neve, e qualcosa gli diceva che
quell’immagine lo avrebbe perseguitato per sempre. Tutto il tempo del mondo non
sarebbe bastato per dimenticare gli ultimi istanti di Jackie.
Qualcosa
gli colpì la caviglia. Abbassò lo sguardo e vide il dischetto da hockey con il
quale i ragazzini stavano giocando. Lo raccolse e si voltò per restituirlo ai
proprietari. “Evelyn non tornerà più, vero?” gli chiese una ragazzina, con l’aria
di conoscere già la risposta.
“No,
Evelyn non tornerà” ammise Bobby, sapendo quanto sarebbe mancata a tutti
quanti. Non era solo la madre dei fratelli Mercer: lei voleva bene a tutti i
ragazzi del quartiere, ed era sempre pronta a dare una mano, anche quando l’interessato
non riusciva a chiedere aiuto.
“Perché
è morta, vero?” chiese un altro ragazzino, beccandosi subito una gomitata nelle
costole dall’amica.
“Già”
rispose Bobby. Non aveva senso nascondere la verità.
“Ci
mancherà tanto” disse un altro.
Bobby
annuì. “Andate a giocare, su” disse loro, restituendo il dischetto alla
ragazzina.
Continuarono
a lavorare senza pause fino alla sera, quando il freddo si fece troppo intenso
e gli stomaci iniziarono a brontolare per la fame. Dopo aver sistemato gli
attrezzi, raggiunsero la casa di Jerry, dove Camille e Sofi, insieme alle bambine,
li aspettavano per la cena.
“Fratello,
che succede? Sembri pensieroso” chiese Jerry a Bobby, che alzò la testa di
scatto, sorpreso per il fatto di essere stato interpellato.
“No,
niente di grave” rispose. Buffo, la stessa bugia che Adia gli aveva rifilato il
giorno prima. Però i suoi fratelli sembravano essersela bevuta.
“Fratello,
non ci provare” lo contraddisse Angel. “Che succede?”
“Pensavo
alla mamma.” Mentiva, ma sapeva che quella bugia sarebbe stata più credibile. O
almeno, ci sperava. “Stavo pensando che mi mancheranno le sue cene. Non
fraintendetemi” disse subito, rivolgendosi alle due donne, “voi cucinate
benissimo, ma…”
“Non
ti preoccupare, Bobby” lo rassicurò Camille, “abbiamo capito quello che
intendi.”
“A
proposito, quando ci fai conoscere la tua nuova ragazza?” aggiunse Sofi,
squadrandolo con ironia.
“Scordatelo”
tagliò corto Bobby. “Non ci pensò proprio a portare Adia…” si interruppe di colpo,
ma ormai era caduto nella trappola della futura cognata, che mirava a fargli
ammettere la sua relazione. “Non stiamo insieme” precisò. “Ci frequentiamo.”
“Sempre
così, con voi uomini” borbottò Sofi. “Ma che diavolo vuol dire frequentarsi? O state insieme, oppure
non state insieme.”
Bobby
sorrise. La logica di Sofi non faceva una grinza, anche se non l’avrebbe mai
appoggiata – non davanti a tutti, e sicuramente non davanti a lei. “Angel, ti
spiace dire alla Vida Loca di farsi
gli affari suoi?” domandò al fratello, alzando le mani davanti al viso per
difendersi dai colpi di strofinaccio che Sofi aveva iniziato ad infliggergli.
“Chi
è Adia?” domandò la figlia maggiore di Jerry.
“E’
la ragazza che lavora alla libreria, tesoro. Dove hai comprato Peter Pan, ricordi?”
“Quella
con la gamba rotta?” domandò l’altra bambina.
I
cinque adulti non risposero subito. Bobby sentì su di sé gli sguardi incerti dei
fratelli e delle rispettive compagne, e annuì. “Sì, tesoro, proprio lei.”
“E’
lei la tua fidanzata?” continuò la piccola, infilandosi in bocca un’altra
forchettata di patate.
Bobby
sentì di nuovo quattro paia d’occhi fissarlo, ma questa volta con curiosità. “No,
non è la mia fidanzata.”
“Oh”
fece la bambina, visibilmente delusa.
La
sorella maggiore intervenne per darle una mano. “Ma zio Bobby, se non ti sposi come
farai ad avere dei bambini?”
“Ha
ragione, Bobby” le diede manforte Jerry. “Come farai ad avere dei bambini, se
non ti sposi?” Bobby ebbe una visione fugace della prima notte passata con
Adia, e subito dopo gli tornò in mente la domanda del vecchio Artie. Gli venne
naturale sorridere.
Una
volta messe a letto le bambine, Bobby riuscì a sfuggire al controllo della
famiglia e a rifugiarsi sulla sua brandina. Sposarsi,
lui? L’aveva sempre detto che quelle due bambine avevano una fantasia troppo
sfrenata. Adesso non riusciva a fare a meno di pensare a come sarebbe stato
condividere tutto con una donna, dal
letto alla colazione, dal bagno alla tv, ventiquattro ore al giorno, sette
giorni su sette, senza pause. No, non ne
sarei capace, pensò. Però non avrebbe potuto passare tutta la vita nella
casa di sua madre – che, tra l’altro, avrebbe presto condiviso con il fratello,
la cognata e almeno una dozzina di bambini.
Si
alzò, si rivestì e raggiunse il piano inferiore. “Esci?” gli domandò Jerry,
vedendolo transitare in cucina a passo di corsa.
“Sì,
mamma” rispose Bobby in tono ironico. “Non aspettarmi alzata.”
“Bobby”
lo richiamò indietro il fratello. “Sicuro che vada tutto bene?”
“Sì,
Jerry, va tutto bene” lo rassicurò ancora una volta.
“Stai
andando da Adia?”
“Accidenti,
Jerry, ho trentacinque anni, non credi che sia in grado di badare a me stesso?”
“Non
intendevo questo. Volevo solo sapere dove cercarti in caso di bisogno.”
Bobby
sorrise. “Sì, vado da lei.” Sempre che
non abbia cambiato idea su di noi e mi butti fuori a calci nel sedere, s’intende.
Capitolo 16 *** 16. For Once In My Life [Vonda Shepard] ***
Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.
16. For Once In My Life
Poco
prima di mezzanotte, Adia si sfilò gli occhiali e chiuse il libro che stava
leggendo. Rimase ferma a guardarne la copertina per almeno due minuti, prima di
decidersi ad appoggiarlo sul comodino alla propria sinistra. “Persuasione” sussurrò, sfiorando le
lettere in rilievo del titolo. Era sempre stato il suo romanzo preferito, il
romanzo da leggere quando si sentiva confusa o aveva bisogno di ritrovare se
stessa. Era uno dei libri ereditati da suo padre, che a sua volta l’aveva
ereditato dalla moglie. Adia l’aveva letto così tante volte da averlo
consumato, ma non sarebbe mai riuscita a separarsene. D’un tratto, si trovò a
pensare che anche Bobby lo aveva toccato, quando l’aveva aiutata con il
trasloco. Non riuscì a impedirsi di sorridere, al pensiero che Bobby fosse
entrato in contatto con entrambi i suoi genitori, pur senza saperlo.
Si
decise a metterlo via e fece per sdraiarsi, quando un leggero bussare alla
finestra attirò la sua attenzione. Bussare?,
si chiese, perplessa, per poi alzare gli occhi sulla figura appollaiata sulla
quercia. Bobby la stava osservando da chissà quanto, e lei non se n’era nemmeno
accorta. Si alzò, e con qualche difficoltà si diresse verso la finestra, per
alzare il pannello e chiedere a quel matto di Bobby Mercer perché la stesse
importunando a quell’ora. “Che ci fai lì?” gli chiese, senza cercare di
mascherare la sorpresa.
“Tu
e io stiamo insieme?” le chiese, a bruciapelo.
Adia
ringraziò il cielo di non essere lei quella seduta sulla cima di un albero,
altrimenti sarebbe caduta come un frutto maturo. “Cosa?”
“Tu
e io stiamo insieme?” ripeté, in tono assolutamente calmo.
“Non
saprei” fu la sua risposta. “L’ultima volta che sei stato qui hai detto che
volevi che fossi la tua ragazza” osservò, “ma poi non ne abbiamo più parlato.” Fece
una pausa e osservò l’espressione assorta dell’uomo. “Non potevi telefonare?”
gli domandò, sottolineando l’ovvietà dell’ipotesi.
“Non
ho il tuo numero.”
“Oh.
Aspettare domani?”
“Non
riuscivo a dormire, dovevo saperlo. Beh… ci si vede.” Si mosse, come per
iniziare la discesa, ma lei lo fermò.
“Ehi,
dove vai?”
“A
casa.”
“Fammi
capire: ti arrampichi su un albero nel bel mezzo della notte per venirmi a
chiedere se stiamo insieme, e te ne vai senza dirmi se lo siamo?”
Bobby
riprese la posizione iniziale. “Giusto. Quindi?”
“Quindi
cosa?”
“Stiamo
insieme o no?”
“Perché
diavolo lo chiedi a me?”
“Beh,
perché sei tu l’interessata.”
“Mercer,
certe cose si fanno in due.”
“Eh
già, certe cose si fanno in due” osservò lui, abbassando lo sguardo sul suo
seno. Solo in quel momento Adia si rese conto di indossare soltanto una leggera
canotta e un paio di pantaloni decorati con una graziosa fantasia a topolini. Arrossì
e distolse lo sguardo da Bobby, cercando di capire perché diavolo ogni volta le
dovesse fare quell’effetto.
“Dai,
entra, mi sto congelando” lo invitò, allontanandosi dalla finestra.
“Non
è colpa mia, sei tu che vai in giro mezza nuda” ribatté Bobby, entrando e
richiudendosi la finestra alle spalle.
“Non
vado in giro mezza nuda, sono in
pigiama e stavo per mettermi a dormire” rispose piccata, strofinandosi le
braccia per scaldarsi. Improvvisamente, sentì le mani di Bobby posarsi sulle
sue spalle, incredibilmente calde nonostante il gelo dell’inverno. Ancor più
all’improvviso, si sentì costretta a voltarsi, per trovarsi faccia a faccia con
lui. Com’era possibile che il suo intero
corpo fosse caldo, nonostante le temperature polari dell’esterno? Non
appena le ebbe lasciato libere le labbra, glielo chiese. “Come fai a essere
così caldo? Fuori si gela!”
“Sono
Bobby Mercer, agnellino. Io sono sempre
caldo.”
“Molto
divertente” rispose lei. “E sei anche molto modesto. Ma ancora non abbiamo
risolto niente.”
“Che
cosa dovremmo risolvere?”
“Stiamo
insieme o no?” gli domandò lei.
“Oh,
quello” rispose lui, come
ricordandosi solo in quell’istante del discorso che avevano interrotto. “Non
saprei. Tu che dici?”
“Beh,
non… non so. Dal modo in cui mi hai arpionata,
direi di sì.”
“Era
per scaldarti, agnellino” ribatté, sorridendo con malizia.
“Perché
continui a chiamarmi agnellino?”
“Hai
l’aria ingenua” rispose lui, facendo spallucce. “Insomma, non nel senso di stupida. È solo che sei… hai l’aria di
una che va protetta.” La dolcezza di quelle ultime parole le fece di nuovo
abbassare gli occhi, imbarazzata.
“E
da quando proteggi la gente?” gli
chiese, dopo qualche istante di silenzio. “Di solito tu alla gente spezzi le
ossa.”
Bobby
rise. “Solo a quelli che non mi piacciono. E a quelli che toccano le cose che amo” aggiunse, sottovoce,
sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Erano
ancora abbracciati, in piedi nella semioscurità della stanza. “Perché sei
venuto fin qui per chiedermi se stiamo insieme?”
“Te
l’ho detto, non riuscivo a dormire.”
“Va
bene, ma come ti è venuta in mente una domanda simile?”
“Mia
nipote. Mi ha chiesto come pensavo di avere dei bambini, se prima non mi sposo.”
“E
perché dovresti avere dei bambini?”
“E’
quello che ho pensato io, accidenti!” esclamò, lasciandola andare. “Insomma,
perché diavolo dovrei volere dei figli? Però immagino sia normale pensarla
così, per dei bambini che crescono in modo normale,
come le figlie di Jerry” concluse, grattandosi la nuca.
Adia,
nel frattempo, si era seduta sul letto, cercando di non pensare al dolore alla
gamba, che cresceva se stava in piedi per troppo tempo. “Sì, credo sia normale.
Insomma, stanno crescendo con una madre e un padre, e…”
“E
poi Angel sta per sposare Sofi, quindi credo che stiano iniziando a vedere il matrimonio
come una cosa normale.”
Adia
sorrise. “Peccato che lo zio Bobby non sia esattamente quel che si dice un uomo
normale” lo prese in giro.
“Ahahah.
Molto divertente. È che… è che non ci ho mai pensato” ammise, appoggiando le
mani al davanzale della finestra e facendo correre lo sguardo lungo la città
addormentata. “Non me lo sono mai chiesto.” I passi irregolari di Adia,
attutiti dalla moquette, gli fecero alzare appena la testa. “Forse non mi sono
mai dato il tempo di chiedermelo.”
La
mano di Adia si posò con dolcezza sulla sua spalla. “Hai tutto il tempo che
vuoi. Nessuno ti corre dietro. Io no di sicuro” aggiunse, sorridendo e
indicandosi la gamba.
Bobby
la guardò, e in quel momento capì di non averla mai vista. Dietro quel sorriso, sotto quella battuta, si celava una
donna il cui immediato destino dipendeva dalla sua decisione. Lei stava
scherzando, ma lui non poteva permetterselo. Non più, almeno. Smettila di cazzeggiare, Bobby, e decidi:
vuoi questa donna o no?, si impose, mentre continuava ad osservarla come un
critico d’arte di fronte a un quadro. Si voltò lentamente, e con la stessa lentezza
le portò una mano al viso: era troppo bella, troppo delicata, troppo fragile. Forse
era troppo, per uno come lui. Forse avrebbe
dovuto mentire: mentire a lei, mentire a se stesso. Forse avrebbe dovuto dirle
che non provava nulla, forse avrebbe dovuto lasciarla libera, forse avrebbe
dovuto lasciarla a qualcun altro. E rischiare
che finisca con qualcuno peggio di te?, pensò. “Potresti finire male, con
me. Lo sai, questo?” le sussurrò.
“Ti
preoccupi per il bene degli altri?”
Scosse
la testa. “Mi preoccupo per il tuo. Voglio essere sicuro che tu stia bene.”
“Io
sto bene, Bobby. Non sono mai stata meglio.”
“Io
intendevo bene con me.”
“Anch’io
intendevo bene con te.” Bobby sorrise,
mentre la mano scivolava sulla nuca di Adia e la attirava di nuovo vicino a sé.
Un altro bacio, più profondo e finalmente libero di ogni dubbio, li legò l’uno
all’altra. “Penso sia chiaro che puoi restare” gli sussurrò la ragazza, creando
un po’ di spazio tra loro, mentre lo liberava del giubbotto.
“Certo
che ho intenzione di restare” rispose lui, cercando subito di riprenderla tra
le proprie braccia. “Non vorrai che rischi il mio affascinante osso del collo
scendendo giù da quel maledetto albero?”
Adia
sorrise contro le sue labbra, mentre la sollevava e la riportava verso il
letto. “Volevo solo assicurarmi che lo sapessi.”
“Ehi,
guarda che sono un Mercer” ribatté lui, falsamente piccato, mentre la lasciava
cadere di malagrazia sul materasso. “Non siamo mica stupidi.”
Per
la prima volta, si ritrovarono a fare davvero
l’amore. Sembrava tutto uguale, esattamente come le altre volte, ma tra loro
era cambiato tutto. Sarebbero stati insieme, sarebbero stati una coppia. Sarebbero usciti insieme, la gente si sarebbe voltata a
guardarli sorpresa. La figlia del
reverendo e l’ex peggior criminale di Detroit insieme, che cosa incredibile! Eppure lo avrebbero fatto. Sarebbero
stati insieme.
“Dovrò
avvertire mia nipote che sono fidanzato”
scherzò Bobby, sdraiandosi al suo fianco.
“Ma
sia chiaro, non intendo fare bambini, per adesso” rispose lei, accoccolandosi
contro il suo petto, cercando di ignorare le fitte alla gamba.
“Sono
d’accordo. Questa città deve ancora abituarsi all’idea di avere me in città, figuriamoci i miei figli.”
Capitolo 17 *** 17. Sulla Via Di Casa Mia [Claudio Baglioni] ***
Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.
17. Sulla Via Di Casa Mia
Il
giorno seguente, Bobby lasciò l’appartamento di Adia di buon’ora, e raggiunta
la casa di sua madre riprese a lavorare con i fratelli alla ristrutturazione. Si
sentiva strano, ma in senso positivo: si sentiva leggero, felice come non
si era mai sentito. L’ultima notte aveva cambiato tutto, e improvvisamente
sembrava che tutto fosse destinato ad andare bene. Sembrava quasi troppo bello
per essere vero: il cattivo era stato abbattuto, ci sarebbe stato un lavoro e
una casa. E, da poche ore prima, aveva anche una ragazza. Per non parlare dei
suoi due fratelli, che gli volevano bene e che gli sarebbero sempre stati
accanto.
“A
che pensi, fratello?”
La
voce di Angel lo riportò alla realtà. “A niente, perché?”
“Beh,
Jerry mi ha detto che ieri notte sei uscito” rispose l’altro in tono ironico. “Ti
ha preso a calci, non è vero?”
“No.
Avrebbe dovuto?”
“Andiamo,
sei mio fratello. Ti conosco. Di solito non ti è difficile farti prendere a
calci. Beh, che è successo?” incalzò, osservando che il fratello era tornato a
lavorare senza reagire.
“Ma
come? Pensavo che tu e Sofi ormai foste degli esperti. Non sai come si fanno
certe cose?”
“Ahahah,
molto divertente. Dai, che vi siete detti?”
“Perché
dovremmo esserci detti qualcosa? Non possiamo aver fatto sesso e basta?”
“Quando
uno fa sesso e basta poi non ha una
faccia come la tua.”
Bobby
non riuscì a trattenere una risata. “Accidenti, stare con Sofi ti ha fatto
diventare un filosofo.”
“Non
prendermi in giro. Dai, c’è qualcosa che ti preoccupa?”
L’altro
si inginocchiò e iniziò ad inchiodare alcune assicelle con aria concentrata. Tra
un colpo di martello e l’altro, decise di confessare la novità al fratello. “Usciamo
insieme” confessò, dopo parecchi interminabili minuti scanditi dal picchiare
ritmico del martello.
“Uscite
insieme?” ripeté Angel, sospeso tra una risata e la più totale incredulità.
“E’
la mia ragazza, va bene?” confermò Bobby, a voce un po’ troppo alta.
“No,
un momento, chi è la ragazza di chi?” domandò Jerry, affacciandosi dall’esterno
attraverso una finestra.
“Nostro
fratello esce con la figlia del reverendo” fu la risposta di Angel, ancora
piuttosto confuso.
“Nostro
fratello? Quello che due settimane fa diceva di aver bisogno soltanto di una
bella scopata?”
“Siete
due stronzi, lo sapete?” li rimproverò Bobby. “Siete veramente i due fratelli
più stronzi che si possano avere!” Nel frattempo, sia Angel che Jerry avevano
deciso di abbandonarsi alle risate, sostenendosi l’un l’altro attraverso la
finestra sventrata. Bobby decise di lasciarli fare: che lo prendessero pure in
giro… era troppo contento per lasciare che certe bambinate intaccassero la sua
felicità.
A
metà del pomeriggio, Jerry se ne andò per andare a prendere le bambine a
scuola, mentre Angel si trovò costretto a raggiungere Sofi per definire alcuni
dettagli riguardanti il matrimonio. Bobby rimase solo, e dopo un’ultima ora di
lavoro solitario, decise di lasciar perdere e di seguire l’esempio dei
fratelli: avrebbe fatto un’improvvisata a Adia, magari le avrebbe fatto
piacere.
Quando
varcò la porta del negozio, la vide affacciarsi per un attimo dal retrobottega.
Si accorse che stava parlando al cellulare, e annuì quando lei gli fece segno
di aspettare per un minuto. Rimase in piedi nei pressi del bancone, aspettando
che la conversazione finisse. Mentre curiosava in giro, Bobby riuscì a
decifrare piuttosto chiaramente degli stralci di conversazione, naturalmente soltanto
da parte della ragazza: “Ma certo… no, capisco… non è una situazione semplice…
che cosa mi consiglia di fare? Oh, capisco. No, certo, mi rendo conto che l’unica soluzione sia…
certo. Certo, ci penserò. La ringrazio, arrivederci.”
“Qualcosa
non va?” le domandò, quando la vide tornare.
“Eh?
No, tutto a posto. Una piccola incomprensione con un fornitore, ma è tutto
risolto.”
No, Adia, non mentirmi. Lo sai che fiuto una
bugia a chilometri di distanza. In circostanze normali, l’avrebbe
tartassata fino a farle confessare la verità, ma quel giorno era troppo stanco
per sprecare altre energie in un’attività così inutile. “Bene, sono contento.”
“A
che punto siete con la casa?” gli domandò, probabilmente per sviare il discorso
su un argomento meno spinoso.
“Bene,
bene. Penso che andando avanti a questo ritmo, entro una settimana o due sarà
tutto finito. Così poi potrò iniziare il lavoro giù al magazzino.”
“Sono
contenta. Mi spiaceva vedere la casa così malridotta… beh, almeno Angel e Sofi
avranno un posto dove abitare dopo sposati, no?”
“Già”
sospirò Bobby. Non aveva mai pensato a quell’aspetto della situazione: per
Angel e Sofi sarebbe stato un ottimo posto dove vivere, ma di lui che ne
sarebbe stato? Non poteva certo – né tantomeno avrebbe voluto, pur avendone la possibilità – continuare ad occupare la
vita dei fratelli come stava facendo in quel periodo! Magari con il passare del
tempo, il lavoro al magazzino gli avrebbe fatto guadagnare abbastanza per
affittare un appartamento giù in città. Non gli serviva niente di spettacolare:
un paio di stanze sarebbero bastate. Ebbe una fugace visione delle poche stanze
al piano di sopra, nelle quali Bobby aveva vissuto gli attimi più intensi della
sua più recente felicità.
“Va
tutto bene?”
“Certo,
è tutto ok.” Stavolta, fu lui a mentire. Ma non poteva fare altrimenti: non
poteva dire che, per un attimo, si era visto nell’atto di condividere un’intera
casa con una donna. “Che fai, stasera?” Buffo, come la situazione si fosse
ribaltata: adesso era lui a cercare di sviare il discorso.
“Niente
di che. Pensavo a un buon libro, o magari un film.”
“Che
ne diresti di una cena, invece?”
“Una
cena? Tu ed io?”
“Più
o meno.”
“Più
o meno?”
“Tu,
io e la famiglia. È il compleanno del cane, e credo che alle bambine farebbe
piacere conoscerti. Quando ho detto di essere fidanzato sono come esplose.”
“Hai
detto alle tue nipoti che siamo fidanzati?”
“No,
in realtà non ancora. Però sarebbero contente di conoscerti.”
Adia
aprì e chiuse la bocca un paio di volte, senza riuscire a dire nulla, poi
balbettò: “A cena? Con la tua famiglia?”
“L’idea
ti terrorizza così tanto?”
“No,
è solo che… insomma, siamo ancora all’inizio.”
“E
allora?”
“E allora, forse non è il caso di
ostentare troppo un legame che non…” Si interruppe quando Bobby tirò fuori il
cellulare dalla tasca. “Bobby, che stai…”
“Ciao,
Jerry. Senti, dì a Camille di aggiungere un posto a tavola. Sì, esatto. Sette e
mezza? Va bene, ci saremo.” Chiuse la comunicazione e ripose il cellulare,
continuando a fissarla con un ghigno beffardo.
“Tu
non hai davvero…”
“Certo
che l’ho fatto. Tu continui a dimenticare che sono un Mercer, tesoro” la
interruppe, sporgendosi oltre il bancone per baciarla. “E’ una cena in
famiglia. Niente di formale.”
Bobby
ignorò il cartello che diceva ‘Chiuso’ e spinse la porta, per poi far scattare
la serratura. “Spero che tu sia pronta!” disse a voce alta mentre raggiungeva il
retro del negozio e iniziava a salire la scala a chiocciola. Si lasciò sfuggire
un profondo sospiro e un sonoro “Wow!” nel vedere Adia seduta sul bordo del
letto con indosso soltanto un paio di jeans. “Dio, se non ci aspettassero a
cena non ci penserei due volte prima di…”
“Bobby”
lo redarguì lei, staccando per un attimo gli occhi dall’unghia che stava
finendo di limare.
“Che
c’è? Stavo solo dicendo che mi stai facendo venire voglia di strapparti di
dosso… oh, scusa” si pentì, nel rendersi conto di aver imprecato.
“No,
non importa” fu la risposta di lei, che finì di indossare gli stivali e si
alzò. Mentre si dirigeva verso l’armadio, Bobby la afferrò per un braccio,
tirandosela vicino. “Hai le mani un po’ troppo lunghe, Mercer” lo prese in
giro, concedendogli il bacio che le stava domandando. “Quando vuoi qualcosa,
potresti anche chiedere.”
“Posso
saltare la cena e stare tutta la notte qui con te?” le chiese, affondandole il
viso nel collo.
“E
deludere quelle due povere bambine?” ribatté Adia, staccandosi con una risata e
pescando una camicetta a righe da una stampella. “Non vorrai rendermi bersaglio
dell’ira delle due piccole Mercer, vero?”
“Ah,
quelle bambine sono buone come il pane. Non farebbero male a una mosca,
figuriamoci alla mia ragazza.”
“Sai”
commentò lei, allacciandosi l’ultimo bottone, “è strano pensare a me come alla
tua ragazza.” Dopo un attimo di
silenzio, si lasciò sfuggire una breve risata.
“Perché
ridi?” le domandò, avvicinandosi piano.
“Stavo
pensando alla faccia che avrebbe fatto mio padre, se fosse ancora vivo.”
“Probabilmente
mi avrebbe chiuso nei sotterranei della chiesa.”
“La
nostra chiesa non ha sotterranei” lo rassicurò. Abbassò lo sguardo per un
attimo, pensierosa, poi rialzò gli occhi e guardò il riflesso di Bobby nello
specchio davanti a lei. “Bobby…”
“Che
c’è?” le chiese, molto più vicino di prima.
“Ecco,
se… tu… tu ti stancherai di me, vero?” Bobby abbassò lo sguardo a sua volta,
senza rispondere. “Volevo… sai, solo essere… preparata. Per quando accadrà.”
“Adia,
io non… non voglio che pensi una cosa del genere. Non posso prometterti che
staremo insieme per sempre e saremo felici e contenti, non è nel mio stile.
Potrebbe finire, sì” ammise, accarezzandole una ciocca scura sfuggita al
fermaglio. “Ma se finisse, non potrebbe mai essere perché mi sono stufato di te. Non potrei mai stancarmi
di te.” La ragazza annuì per dimostrare di aver compreso, e allora lui sorrise.
“Dai, andiamo. Siamo quasi in ritardo.”
“Metto
il giubbotto e arrivo. Fammi un favore, prendi la bottiglia di vino che c’è sul
tavolo.”
“Wow”
commentò l’uomo. “Che te ne fai?”
“Mi
hai invitato a una cena di famiglia senza nemmeno chiedere il permesso ai
padroni di casa. Portare una bottiglia di vino mi sembra il minimo” osservò
lei, controllando di essere in ordine.
Quando
si furono accomodati in auto e furono partiti verso la meta, Bobby le sfiorò il
ginocchio con due dita, sussurrandole: “Sai, l’azzurro ti sta benissimo. Si
intona con gli occhi.” Nel buio, Adia si sentì avvampare: Bobby Mercer le stava
davvero facendo un complimento che non riguardava il sesso? Allora, forse,
stavano davvero dando una svolta al
loro rapporto.
“Grazie,
Bobby.”
Bobby
la stupì ancora quando, arrivati a casa di Jerry, le aprì lo sportello e le
diede una mano a scendere. Infilò la chiave nella toppa e aprì la porta,
scostandosi poi per lasciarla entrare. “Benvenuta nell’umile casa di mio
fratello” le sussurrò, mentre lo scalpiccio di piedi infantili annunciava
l’arrivo delle due bambine.
“Zio
Bobby, sei arrivato!” esclamò la più piccola, saltando immediatamente tra le
braccia dell’uomo. “Zio Angel era arrabbiato perché sei in ritardo, e ha detto
una parola brutta, e mamma lo ha picchiato con lo straccio.” Solo in quel
momento le due bambine si accorsero della presenza di Adia.
“Zio
Bobby…” lo chiamò la più grande, strattonandogli il giubbotto. “Lei è la tua
fidanzata?”
Alla
parola fidanzata, i quattro adulti
riuniti in cucina si catapultarono nell’ingresso in modo più o meno
rocambolesco, facendo sussultare la coppia appena entrata. “Ok, credo ci siano
un paio di presentazioni da fare…” sospirò Bobby. “Adia, questi sono mio
fratello Jerry e mio fratello Angel. Lei è Camille, la moglie di Jerry, e lei è
Sofi, la fidanzata di Angel. Le bambine già le conosci, no?” Fece una pausa,
poi continuò. “Questa è Adia, la… la mia ragazza.”
Dopo
un rapido giro di strette di mano e di sorrisi, Adia mostrò il vino. “Io avrei
portato questo, per la cena. Non so se va bene, ma visto che Bobby mi ha
avvertita all’ultimo…”
“Grazie,
è un pensiero molto carino” rispose Camille. “Vogliamo accomodarci?”
Bobby
mise giù la bambina, e mentre gli altri si avviavano verso la cucina rimase
indietro con Adia. Le tolse il cappotto e si voltò per appenderlo ad uno dei
ganci. “Sei sempre in tempo a scappare, se vuoi” le sussurrò, prendendola in
giro e offrendole subito dopo la mano.
“Non
andrei lontano, temo” rispose lei, accettando la mano e lasciandosi guidare da
Bobby.
Ciò
che più spaventava Adia, ovvero riuscire ad avere una conversazione normale con
la famiglia di Bobby, si rivelò più facile del previsto: le bambine, entusiaste
di conoscere la donna che, secondo loro, avrebbe
sposato zio Bobby, non le diedero tregua nemmeno per un minuto, chiedendole
continuamente informazioni sui suoi gusti in fatto di animali e favole, e
sbilanciandosi persino a chiederle qualcosa a proposito della sua famiglia.
Sotto lo sguardo indagatore della famiglia – che comunque, non era così
tremenda – Adia si lasciò interrogare volentieri: in fondo, i bambini le erano
sempre piaciuti, e più di una volta aveva fatto da babysitter ai figli di
Aaron, risultando loro più gradita della madre. E poi, a tratti, nascosta dalla
tovaglia, la mano di Bobby stringeva il suo ginocchio e le sfiorava la gamba,
facendole percepire il suo appoggio.
Verso
le nove e mezzo, complici un paio di sbadigli da parte della bambina più
piccola, Camille decise che era il momento di mandarle a dormire. Le fece
alzare e salutare tutti, poi cercò di indirizzarle verso le scale. “Forza,
ragazze. Domani c’è scuola.”
“Possiamo
farci leggere una favola, mamma?” domandò la maggiore, con voce speranzosa.
“Ma
certo, tesoro. Infilatevi il pigiama, io vi raggiungo subito” le assicurò
Jerry.
“Ma
noi non vogliamo te, papà” contestò la piccolina.
“Vuoi
che venga io, tesoro?” indagò Sofi, che di solito veniva preferita per il suo
strano accento.
La
bambina scosse la testa. “Può venire la fidanzata di zio Bobby?”
Ci
fu un attimo di silenzio, durante il quale i sei adulti si scambiarono occhiate
piuttosto sorprese. “Io non… non credo sia il caso di…” balbettò Adia,
guardandosi intorno con aria nervosa. “Insomma, io non so…”
“Non
sai leggere le storie?” le chiese preoccupata la piccola, incredula di fronte
alla possibilità che una donna adulta non sapesse leggere le favole.
“Oh,
no, certo che le so leggere. Le leggevo sempre ai miei nipoti. È solo che…”
“Beh,
ma allora puoi leggerle anche a noi” osservò la più grande, in tono ovvio.
Camille le spinse verso le
scale. "Su, andate a cambiarvi per la notte." Aspettò che fossero al
piano di sopra, poi si voltò verso Adia, ancora imbarazzata. "Mi daranno
il tormento per settimane, se non leggerai per loro" sorrise. "Ti
faccio strada?" Il sorriso della moglie di Jerry era aperto e amichevole, come
Adia non si sarebbe mai aspettata. Insomma, da quando aveva riallacciato i
rapporti con Bobby sapeva che i Mercer non erano soltanto pugni, calci e brutto
carattere, ma essere considerata come una di famiglia da una donna con la quale
non aveva quasi mai parlato prima di quella sera... beh, era strano. Strano
forte.
"Io non... io non vorrei
essere invadente..." cercò di giustificarsi.
"Non dire sciocchezze.
Le bambine sono piuttosto diffidenti, di solito. E' raro che decidano di
interagire con qualcuno di loro spontanea volontà" spiegò Jerry. "In
questo, hanno preso da Bobby" aggiunse, con una risata.
“Siete… sicuri che…”
“Su, vai” la esortò Bobby.
Camille la condusse al piano
superiore con un sorriso. “Di solito basta un capitolo, per farle
addormentare.”
Adia entrò piano nella
stanza, sorridendo e lasciando che Camille socchiudesse la porta. La più
piccola reggeva un libro quasi più grosso di lei, e le chiese di sedersi sul
suo letto. Zia Adia, come ormai era
stata soprannominata, obbedì e prese in custodia il libro, iniziando a leggere
un nuovo capitolo delle avventure di Peter Pan. Aveva riconosciuto
immediatamente il libro: Camille aveva ceduto alle richieste delle bambine e lo
aveva comprato proprio nel suo negozio. I segni d’usura facevano pensare che
fosse stato letto parecchie volte, e di questo Adia non poteva che essere
felice.
Mentre leggeva, le parve di
sentir scricchiolare la porta, ma non ci fece caso, o forse pensò che fosse
soltanto una piccola corrente d’aria. Quando vide che le bambine erano
profondamente addormentate, chiuse il libro e lo appoggiò sulla scrivania,
spense la luce e uscì in corridoio senza far rumore. Dall’altra parte della
porta, in silenzio, l’aveva aspettata Bobby. “Però, sei brava a leggere le
favole” le sussurrò.
“Mi sono allenata” rispose
lei, avviandosi verso le scale.
“Aspetta” le sussurrò ancora,
trattenendola per un braccio. “Io…”
“Che c’è?” gli domandò lei,
dopo dieci secondi di silenzio.
“Niente” fu la sua risposta.
“Ti riaccompagno a casa.”
Capitolo 19 *** 19. Love Me Tender [Frank Sinatra] ***
Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.
19. Love Me Tender
Il
viaggio di ritorno fu piuttosto silenzioso: Adia ancora non riusciva a
capacitarsi di aver superato indenne il primo incontro con la famiglia di
Bobby, e soprattutto non riusciva a credere di aver fatto una così buona
impressione da riuscire a farsi immediatamente strada nel cuore delle due
bambine. “Ti senti bene?” si sentì domandare a un certo punto.
“Certo,
sto benissimo. Perché?”
“Perché
non hai risposto alle ultime tre domande che ti ho fatto” le rispose Bobby,
continuando a guidare.
“Scusa,
ero un po’… sovrappensiero.”
“Ti
capita spesso, ultimamente” osservò lui, distogliendo lo sguardo da lei e
lasciandolo vagare sulla città.
“Sì,
è vero” ammise Adia sottovoce.
“Ne
vuoi parlare?”
Lei
scosse la testa e sorrise. “Non è niente di grave. Stavo solo pensando a
stasera. Sono stata bene.”
“Certo
che sei stata bene. I Mercer trattano bene gli ospiti.” Parcheggiò davanti alla
libreria e spense il motore. Si voltò verso Adia e le passò un braccio dietro
le spalle. Si avvicinò con gesti lenti e misurati, insicuro solo in apparenza.
Era incredibile come pochi giorni insieme fossero stati sufficienti ad
insegnare ad Adia come interpretare i comportamenti di Bobby. Lasciò che la
pressione della mano di Bobby sulla sua schiena la spingesse verso di lui, e
lasciò che lui la baciasse. Non c’erano dubbi, Bobby con le donne ci sapeva
fare: un misero bacio era riuscito ad interrompere il flusso disordinato dei
suoi pensieri, e un misero bacio la stava spingendo a desiderare di trascorrere
un’altra notte insieme.
“Stanotte
puoi restare, se vuoi” gli sussurrò, staccandosi di quel poco che bastava per
articolare quelle cinque parole.
“Tu
vuoi che resti?”
“Non
te lo avrei chiesto” gli fece notare.
“Ok,
resto. Tu entra, io parcheggio meglio e arrivo.”
“Va
bene.”
Adia
scese, attraversò il marciapiede e si infilò in negozio, mentre Bobby
riaccendeva il motore e si allontanava di qualche metro. La guardò nello
specchietto retrovisore, chiedendosi ancora una volta com’era possibile che una
donna così bella e speciale come Adia avesse scelto di stare con lui. Rimase in
auto per qualche minuto, cercando ancora una ragione a tutto ciò che stava
accadendo, o comunque cercando di convincersi che stesse accadendo davvero.
L’aveva portata a cena a casa di suo fratello, le aveva fatto conoscere la sua
famiglia… le sue nipoti l’avevano costretta a leggere loro la favola della
buonanotte! Non poteva essere tutto vero.
Si
decise ad entrare, sbarrando l’ingresso al proprio passaggio. Mentre saliva al
piano superiore, si sfilò il giubbotto. Prima di qualsiasi altra cosa, avrebbe
voluto chiederle di dire la verità, di smettere di trincerarsi dietro la bugia
di qualche giorno prima. C’era qualcosa che non gli aveva detto, qualcosa che
stava nascondendo. E non era un’inezia, ne era sicuro. Stava pensando alle
parole più adatte da usare, quando entrò nella stanza e vide Adia seduta sul
bordo del letto, con un’espressione tanto triste da far pensare che sarebbe
potuta scoppiare in lacrime in meno di dieci secondi. “Non ti azzardare a dirmi
che stai bene” la ammonì, lanciando il giubbotto su una sedia e
inginocchiandosi davanti a lei. Non ricevette risposta. “Non hai l’aria di una
che sta bene” continuò, sfilandole piano gli stivali.
“Non
è niente, stai tranquillo.”
Bobby
le lanciò un’occhiata a metà tra il furioso e l’annoiato. “Non mentire a me, agnellino. Dai, che succede?”
Adia
esitò, guardandosi intorno per evitare di doverlo guardare – e per tentare di
non piangere. “E’ per… è per la mia gamba” ammise, finalmente, con un filo di
voce.
“Non
mi importa della tua gamba, lo sai.”
Altro
silenzio. “Mi fa male. Già da un po’.”
“E
non l’hai detto a nessuno?”
“Non
volevo essere di peso.”
Bobby
scosse piano la testa. Sapeva essere così testarda… “Sei stata da un medico,
almeno?”
“Sì,
ci sono stata. Ero al telefono con lui, oggi pomeriggio. Non era un fornitore”
confessò, abbassando la testa in segno di pentimento.
“Sospettavo
che mi avessi detto una bugia. Che ti ha detto?”
“Ho
bisogno di un’altra operazione. Potrebbero… ah, non so nemmeno perché te ne sto
parlando.”
“Tutti
abbiamo bisogno di parlare, agnellino. Dai, che ha detto il medico?”
Adia
esitò ancora. Era stata lei a lanciare il sasso, eppure non sembrava pronta a
continuare la partita. “Io… potrebbero rimettermi in sesto la gamba. Farmi smettere
di zoppicare.”
“Mi
sembra una buona cosa, o sbaglio?” commentò lui, rialzandosi e mettendosi a
sedere accanto a lei.
“Sì,
sarebbe grandioso, però…”
“Però
cosa?”
“Niente.
Niente di importante.” Fece per alzarsi, ma lui la trattenne per un polso e la
costrinse a sedersi di nuovo.
“Però
cosa?” ripeté, severo.
“Però…
servono… ecco, servono soldi.”
“Soldi?
Quanti?”
“C-cinquantamila
dollari. E io non… non li ho.” Abbassò la testa, sperando che i capelli le coprissero
il volto. Non servì, perché Bobby riuscì comunque a vedere la lacrima che le
rigò la guancia.
“Ci
sarà sicuramente una soluzione” la rincuorò lui. “Tuo fratello e le tue sorelle
sicuramente…”
“Aaron
farebbe di tutto per me, questo è vero. Sulle mie sorelle ho qualche dubbio”
rispose sarcastica.
“Perché?
Sono le tue sorelle, in fondo” si stupì Bobby. continuava ad illudersi che
tutte le sorelle e tutti i fratelli del mondo fossero pronti ad aiutarsi l’un l’altro
come lo erano lui, Angel e Jerry.
“Loro…
loro mi considerano responsabili della morte di papà” confessò Adia, alzandosi
e riponendo gli stivali nel solito angolo. “Se non fosse stato per me, non ci
sarebbe stato il musical. Niente musical, niente prove. Niente prove, niente
sparatoria sul sagrato della chiesa.”
“Ma
non è stata colpa tua!” esclamò Bobby, scattando in piedi a sua volta.
“Lo
so, Bobby! So benissimo che avrebbero trovato un altro momento per ammazzarlo,
ma loro non vogliono rendersene conto! Mi considerano colpevole quanto gli
uomini che hanno sparato, lo capisci? Loro pensano che sia colpa mia!” Stava urlando, e stava piangendo. E gli stava
raccontando cose di sé che pochissimi sapevano. Cose di cui non gli sarebbe
importato nulla, dieci anni prima. Ma adesso era tutto diverso: adesso, Adia
era la donna che amava, e vederla così disperata gli faceva male. La raggiunse
e la strinse in un abbraccio, cercando di farle sentire tutta la sua presenza. Le
accarezzò i capelli, mentre lei continuava a ripetere ciò che le sorelle
pensavano di lei.
“Ssh”
le sussurrò, accarezzandola con dolcezza. “In qualche modo faremo. In qualche
modo troveremo i soldi.”
“No,
Bobby, voglio che ne resti fuori.”
“Non
posso starne fuori, Adia. Ci sono dentro. Ci sono saltato dentro quando ti ho
fatta cadere davanti al supermercato.”
Trascorse
qualche minuto di silenzio. “Perché vuoi aiutarmi, Bobby?”
“Io
voglio… voglio aiutarti perché ti amo,
Adia.” Fatto, l’aveva finalmente detto. Ti
amo, Adia.
Capitolo 20 *** 20. Fino In Fondo [Luca Barbarossa feat. Raquel Del Rosario] ***
Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.
20. Fino in fondo
Erano
rientrati ormai da cinque ore. Il display della sveglia segnava le tre del
mattino. Nel buio della stanza, stesa sul lato sinistro del letto, Adia fissava
la quercia innevata al di là del vetro. Sospirò. “Scusami, Bobby” sussurrò.
“Per
che cosa?” le domandò lui con la voce impastata. Evidentemente non dormiva,
mentre lei aveva sperato di sì.
“Immagino
pensassi a qualcosa di diverso, quando ti ho chiesto di restare.” Adia lo sentì
muoversi alle sue spalle, e anche senza guardarlo sapeva che doveva essersi
voltato sul fianco sinistro, e che probabilmente si stava puntellando con il
gomito sul cuscino. Ormai lo conosceva. “Insomma, pensavo che…”
“Che
avessi accettato per la prospettiva di fare sesso?” la interruppe. “Ammetto di
aver preso in considerazione l’ipotesi di farlo, ma non è l’unica ragione per
cui ho accettato.” Accarezzò i lunghi capelli scuri della ragazza e si
attorcigliò una ciocca attorno al dito. “Sono abbastanza grande da rendermi
conto che una relazione non può essere basata esclusivamente sul sesso.”
“Non
avrei mai pensato di sentirlo dire da…”
“Uno
come me?” la interruppe ancora. “Sono d’accordo. Ma il bello della vita è che
si cambia: un giorno la pensi in un modo, il giorno dopo ti rendi conto di aver
sbagliato. È questo il bello.” Un fruscio le fece capire che si era di nuovo steso
accanto a lei. Con il braccio destro le cinse la vita, stringendola a sé con
una dolcezza fino a quel momento mai dimostrata. “Che fai, non rispondi con una
delle tue solite battute acide?”
“L’hai
detto tu, che nella vita si cambia.”
Bobby
la strinse più forte. “Ti aiuterò, Adia. Ti aiuterò a trovare quei soldi.”
“No,
non voglio che tu perda tempo per questa storia.”
“Non
è una perdita di tempo, se può renderti felice.” Un altro lungo silenzio gli
fece sospettare che si fosse addormentata. “Adia?”
“Perché?”
“Perché
voglio aiutarti? Credevo di avertelo detto…”
“Perché
ti sei innamorato di me?”
Bobby
inspirò profondamente. “Perché sei la persona più forte che abbia mai
conosciuto.”
“Forte?
Io? Sicuro di non avermi confuso con la ragazza del giovedì?”
“Dai,
non fare la scema” ribatté lui, con un sorriso. “Tu sei forte, Adia. Ne hai
passate tante in vita tua, eppure non ti sei mai stancata di combattere. Hai perso
praticamente tutta la tua famiglia, eppure continui a stare dalla parte giusta,
continui a… sei forte, Adia.”
Nel
buio, Adia sorrise. “E poi, ho resistito al tuo fascino” lo prese in giro.
“Mi
mancavano già le tue battute” rise lui, obbligandola a voltarsi per baciarla.
“Che
hai, fratello? Ti vedo preoccupato.”
“Niente”
rispose Bobby, senza preoccuparsi di risultare convincente.
“Dai,
sai che puoi parlarmi di tutto. Si tratta di Adia? Avete litigato?”
“No,
va tutto bene. Dai, non voglio parlarne.” Liquidò rapidamente la faccenda,
sperando che il fratello demordesse. Ma Jerry era un vero Mercer, e non avrebbe
mai lasciato perdere senza prima aver combattuto.
“Le
bambine si sono innamorate di lei, sai? Stamattina a colazione non hanno smesso
nemmeno per un minuto di parlare di zia
Adia. Non mi stupirebbe se stessero già pensando ai nomi da dare ai loro
cuginetti.”
“Che
ci pensino pure, ma tanto non se ne parla. Non in un prossimo futuro, almeno.”
Jerry
fece spallucce. “Le faresti felici.”
Bobby
si immobilizzò e guardò il fratello con tanto d’occhi. “Dovrei fare dei figli
soltanto per far contente le tue
figlie?” domandò, incredulo.
“Ehi,
se la metti così è squallida. Però devi ammettere che hai l’età giusta per
diventare padre.” Bobby non rispose a quella frecciatina da parte del fratello.
Non poteva rischiare di tradirsi e ammettere che ci aveva pensato, a come sarebbe
stato avere un figlio. Ci aveva pensato più di una volta, l’ultima proprio quella
notte. Adia aveva chiuso gli occhi e lentamente si era addormentata, proprio
tra le sue braccia. Bobby aveva sentito il suo respiro cambiare e farsi più
lieve, e in quel momento aveva compreso che Adia si sentiva al sicuro, accanto
a lui. Lui stesso si sentiva diverso, quando era con lei. Avrebbe potuto
chiudere gli occhi e dormire, esattamente come stava facendo lei, eppure non ci
riusciva. Non faceva che ripensare agli anni passati, quando cambiava le
ragazze con la stessa frequenza con cui si cambiava i calzini, e iniziava a
chiedersi se quelli fossero davvero stati anni sprecati. Davvero aveva gettato
al vento anni, rincorrendo le cose sbagliate?
“Bobby?”
La voce di Jerry lo riportò bruscamente alla realtà.
“Cosa?”
“Che
ti prende?”
Bobby
aspettò, prima di rispondere. Avrebbe voluto trovare una scusa, mentire… ma da
un po’ di tempo, non ci riusciva più. “Jack” sussurrò. “Se avessi un maschio,
lo chiamerei Jack.” Incontrò lo sguardo incredulo di Jerry. “Non fare quella
faccia. Mi è capitato di pensarci, tutto qui. E ho pensato che sarebbe stata
una bella idea per ricordare nostro fratello.”
L’espressione
basita di Jerry si sciolse fino a diventare un sorriso, mentre una sonora
risata riempiva la casa, ormai quasi ultimata. “Vi prego, ditemi che è una
candid camera! Non posso credere che Bobby Mercer abbia davvero deciso di mettere
la testa a posto!”
Capitolo 21 *** 21. Look Through My Eyes [Phil Collins] ***
Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.
21. Look Through My Eyes
“Quanto
credi che manchi alla fine dei lavori, Jerry?” domandò Angel, quando finalmente
si fermarono per una pausa.
Il
fratello alzò le spalle. “Non molto, immagino. Insomma, siamo andati bene finora.
Non è vero, Bobby? Bobby?” ripeté, notando che il fratello era di nuovo perso
nei propri pensieri, come immerso in un mondo a sé.
“Sì,
è una buona idea. Ci sto” rispose Bobby, riscuotendosi in fretta dal proprio
torpore.
“Ma
che ti sei fumato la scorta di Cracker Jack?” chiese Angel, decisamente
sconvolto. “Sei completamente fuori!”
“Ne
vuoi parlare, fratello?”
“Non
c’è niente di cui parlare, sto bene” rispose acido Bobby, pentendosene subito
dopo. Si stava comportando esattamente come Adia: si mostrava pensieroso, e
quando qualcuno gli domandava di parlare dei suoi problemi, lui negava
qualsiasi difficoltà. Fanculo, pensò.
Fanculo a tutto. “E’ che non ve ne
posso parlare. Sono faccende private.”
“Faccende
private?” ripeté Angel, incredulo. “Non ci sono mai stati segreti tra noi,
Bobby.”
“Non
è un segreto, Angel. Non ne posso parlare, è diverso.”
“Che
cosa ho… perché devo essere sempre io a combinare qualcosa? Solo perché non
sono mai stato un santo, non vuol dire che la colpa di tutto sia mia!”
“Non
ho detto questo, Bobby. Volevo solo sapere se è successo qualcosa. Insomma,
ieri eri tutto felice, e adesso…”
“No,
non è successo niente” tagliò corto Bobby, allontanandosi di qualche passo per
far sbollire la rabbia.
Angel
e Jerry lo guardarono, senza muoversi di un centimetro. Sapevano di aver tirato
troppo la corda, ma nessuno dei due si sentiva tranquillo, nel sapere che qualcosa
turbava Bobby. Erano i fratelli Mercer, dopotutto. Anche senza la mamma, anche
senza Jack. Rimanevano comunque i fratelli Mercer. E se un Mercer aveva un
problema, tutti gli altri erano in dovere di aiutarlo. Jerry e Angel avrebbero
fatto il giro del mondo per Bobby, anche se conoscevano loro fratello, e sapevano
che non era nel suo stile accettare l’aiuto degli altri, meno che mai lo
sarebbe stato chiederlo. Eppure, contrariamente ad ogni ipotesi, Bobby si voltò
e tornò indietro a passo sicuro.
“La
ferita di Adia è peggiorata” confessò in tono duro. “E’ stata dal medico, e
dovrebbe… c’è un intervento che può fare. Rimetterebbe a posto tutto,
tornerebbe ad essere quella di prima. Ma l’operazione costa cinquantamila
dollari. E lei non li ha, cinquantamila dollari” concluse, sussurrando.
“Te
lo ha detto lei?” chiese Jerry.
“Ieri
sera, quando l’ho riaccompagnata a casa. L’ho dovuta praticamente costringere a
parlare, o non me l’avrebbe detto” spiegò l’altro, stringendo i pugni in tasca.
“Non l’ha detto a nessuno, neanche alla sua famiglia.”
“Le
sue sorelle potrebbero aiutarla” osservò Angel. “Hanno sposato tutte e quattro
dei tipi con la grana.”
“Non
si parlano. Le sue sorelle danno ancora la colpa a Adia per la morte del padre.
Pensano che se non ci fosse stato il musical di Natale, gli scagnozzi di Victor
Sweet non lo avrebbero fatto fuori.”
“Che
idiozia!” esclamò Jerry. “Lo avrebbero fatto secco in un altro momento.”
“E’
quello che ho detto anch’io. Ma quelle quattro stronze non capirebbero
comunque.” Fece una pausa. “Non l’ha detto nemmeno a suo fratello. Ha paura che
voglia aiutarla” osservò, con un sorriso. “Non vuole problemi con la cognata.”
“La
capisco” osservò Angel sottovoce.
“Non
vedo il problema, Bobby” disse Jerry, guardando il fratello.
“Non
vedi il problema?” ripeté Bobby. “Mi servono soldi, Jerry. Mi servono
cinquantamila dollari, e non conosco un solo modo pulito per trovarli.”
“Ce
li hai sotto il naso, fratello” rispose l’altro, indicando la casa.
“Non
venderò la casa della mamma, Jerry” ribatté Bobby stizzito.
“Possibile
che debba sempre spiegarvi tutto? I soldi dell’assicurazione, Bobby. Ho fatto
qualche calcolo. Una volta finiti i lavori e sistemate un po’ di pratiche
riguardanti l’eredità, ci divideremo il resto dei soldi, e a ognuno di noi
spetteranno centomila dollari. Puoi prendere cinquantamila dollari in anticipo
per pagare l’intervento di Adia.”
Angel
annuì. “Sì, fratello, per me non ci sono problemi.”
“Aspetta
un momento, com’è che Angel sapeva tutto e io non sapevo niente?”
Jerry
alzò le spalle, sorridendo. “Non è colpa mia se hai iniziato a dormire sempre
fuori casa.”
Bobby
fece il giorno dell’isolato per tre volte, prima di decidersi a parcheggiare. Era
stato facile accettare la proposta di Jerry e Angel di riscuotere in anticipo
metà di quanto gli sarebbe comunque spettato. Era stato facile anche infilarsi
in tasca l’assegno. Era stato facile guidare fino al quartiere di Adia. Ma
convincerla a prendere quei soldi avrebbe potuto non essere così semplice. Adia
avrebbe lottato con le unghie e con i denti, pur di non farsi aiutare. Nonostante
la mancanza di obiezioni, lui sapeva
che lo avrebbe contestato. Era fatta così, la donna che amava. Non riusciva ad accettare che a qualcuno importasse di lei.
Avrebbe respinto con tutte le sue forze l’aiuto di Bobby, ma lui se ne sarebbe
fregato. Perché anche lui era testardo, e l’avrebbe costretta ad accettare quei
soldi, a costo di portarla di peso in sala operatoria.
“Ehi”
la salutò, entrando nel negozio.
“Ehi,
ciao” rispose lei. “Un attimo e sono da te” aggiunse, indicando una cliente,
una signora già piuttosto in là con gli anni.
“Non
preoccuparti, non ho fretta.”
Iniziò a curiosare in giro,
ma nonostante l’apparente distrazione e la distanza dal bancone riuscì a
cogliere piuttosto distintamente ciò che la donna bisbigliò a Adia: “Fa’
attenzione, tesoro. Quello secondo me ti vuole derubare.”
Sorrise, cercando di
reprimere una risata, e nello stesso istante udì la risposta della presunta
vittima, sempre sussurrata: “Non si preoccupi, signora Collins. Lo ha già
fatto, e le assicuro che è stata l’esperienza più bella della mia vita.” Il sorriso
gli si congelò sul viso: di che diavolo stava parlando? “Mi ha rubato il cuore,
e non ho alcuna intenzione di riprendermelo” aggiunse lei, probabilmente per
sciogliere i dubbi della cliente. Bobby sorrise ancora.
“Cos’è questa storia della
rapina?” le domandò quando la signora Collins li lasciò finalmente soli.
“Ho pensato di romanzare un
po’ la cosa” rispose Adia, iniziando ad oscurare la vetrina per mezzo delle
veneziane. “In realtà non me lo hai rubato, il cuore. Diciamo che te lo sto
noleggiando.”
“Noleggiando, eh? E sentiamo,
come ti pago?”
“Comportandoti bene.”
Bobby scoppiò a ridere. “Questa
è bella, davvero. Una relazione noleggiata…”
“Sì, modestamente so essere
molto divertente” ribatté Adia, facendo scattare la serratura e chiudendo
definitivamente il negozio. “Ho fatto il pasticcio di patate, ieri sera. Però ho
sbagliato le dosi. È troppo, per una persona sola.”
“Mi stai chiedendo se voglio
fermarmi a cena?”
“Forse. Vuoi fermarti a cena?”
“Potrei volerlo. Tu vuoi che
io mi fermi?”
“Se tu vuoi, lo voglio anch’io.”
“Lo sai che sembriamo due
adolescenti al primo appuntamento?” le fece notare.
“Hai ragione” ammise lei. “Allora,
vuoi fermarti a cena?”
“Non posso lasciarti mangiare
tutto quel pasticcio da sola. Farai indigestione.”
Bobby si stiracchiò sulla
sedia, allungando le gambe e appoggiando la schiena al legno. “Di questo passo
mi farai ingrassare, lo sai?”
“Non ti facevo il tipo di
uomo che si preoccupa del proprio peso” lo prese in giro Adia, alzandosi per
mettere via i piatti sporchi.
La prese per il polso e la
attirò delicatamente a sé. “Dai, vieni qui.”
“Devo lavare i piatti”
protestò debolmente Adia, lasciandosi tirare indietro.
“Loro possono aspettare” ribatté l’uomo, facendola sedere sulle
proprie ginocchia e baciandola immediatamente, per impedirle di rispondere. Sfilò
la matita con la quale si era raccolta i capelli, lasciando che le ricadessero
lungo la schiena, e lanciò via il fermaglio improvvisato, che atterrò con un
colpo secco in un punto imprecisato della stanza. Con la stessa mano, prese l’assegno
dalla tasca dei jeans. Si staccò lentamente da Adia e si passò la punta della
lingua sulle labbra, cercando le parole giuste da dire. Non riuscendoci, si
limitò a porgerle il foglietto piegato a metà.
“Bobby, stai bene? Che… che
cos’è?” domandò, prendendo con circospezione il pezzo di carta. Lo aprì e
distolse immediatamente lo sguardo. “No, Bobby. Non… come… non so nemmeno come…
no, Bobby, non posso accettare.”
“Sapevo che avresti detto
così” sussurrò l’uomo, sorridendo debolmente. “Accettali, Adia. Per favore. Se non
vuoi farlo per me, fallo almeno per te.”
“Perché… perché vuoi…”
“…aiutarti? Te l’ho detto. Te
l’ho detto più di una volta.” Fece una pausa. “Vedilo come un favore personale.”
“Un favore” ripeté Adia in
tono piatto. “E che cosa vorresti che facessi per te?”
“Niente. Niente di più di
quello che già fai.”
“Che cosa ho fatto per te
finora, a parte offrirti un paio di cene?”
Bobby le sfiorò uno zigomo,
tornando finalmente a guardarla negli occhi. “Tu mi stai salvando, Adia. Ogni giorno che passa, tu… tu mi cambi, mi rendi
migliore. E lo so che detta così sembra una stronzata, ma è la verità. Tu… tu continua a salvarmi, per favore.”
Adia lo abbracciò con tutta
la forza di cui era capace, senza parlare. Nessuno dei due disse altro.
Capitolo 23 *** 23. Si Todos Fuesen Iguales A Ti [Miguel Bosé feat. Rosa Leon] ***
Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.
23.Si Todos Fuesen Iguales
A Ti
Finito di fare l’amore, Bobby si appoggiò con la schiena
alla testiera del letto, lasciando che Adia si accoccolasse contro di lui. Era incredibile
come anche il suo modo di fare sesso fosse cambiato, nell’ultimo mese: prima di
Adia, Bobby aveva sempre pensato prima al proprio piacere, e solo dopo a quello
della donna; e prima di Adia, aveva sempre detestato il fatto di essere
toccato, una volta finito. Ma adesso, con lei – forse perché ne era innamorato – era tutto diverso: pensava
prima a lei e poi a se stesso, non fuggiva come un ladro una volta avuto quel
che voleva e addirittura le aveva passato un braccio dietro la testa e la stava
accarezzando.
“Non
sarà facile. Questo lo sai, vero?”
“A
cosa ti riferisci?”
“All’operazione.
Non è come farsi togliere le tonsille. Dovranno ricostruirmi i legamenti del
ginocchio, ci vorranno almeno sei settimane prima che io…”
“Bel
tentativo, complimenti” la interruppe.
“Tentativo?”
“Se
stai cercando di convincermi a lasciarti, sappi che non funziona. Ho aspettato
quasi dieci anni, prima di poterti mettere le mani addosso, e di certo non
rinuncio adesso.” Con l’altra mano
salì ad accarezzarle la guancia. “Io non me vado più, Adia” le sussurrò, a
pochi centimetri dal viso.
“Sei
proprio un duro, eh?”
“Oh,
non sai quanto” sorrise, prima di baciarla ancora una volta.
“Meno
male che non tutti sono come te” lo prese in giro.
“Scherzi?
Io sono un pezzo unico. È per questo che tutti mi vogliono.”
“E
allora com’è che nessuna ti ha mai tenuto per sé?” ribatté, sfiorandogli con l’indice
uno dei tatuaggi.
“Perché
io non volevo rimanerci, tutto qui.”
Adia
si strinse un po’ di più a lui. “Ci metterò secoli per restituirti i soldi, lo
sai?”
“Lo
fai apposta, vero?”
“Cosa?”
“Farmi
arrabbiare. Quei soldi sono un regalo, non desidero che tu me li restituisca.”
“Bobby,
non mi hai prestato un dollaro per il biglietto dell’autobus. Sono cinquantamila dollari. Cinquantamila biglietti dell’autobus.”
“Sì,
e sono un regalo. Sul serio, se ti
azzardi a restituirmi anche un solo dollaro, giuro che li brucerò.”
“Testardo”
sbuffò la ragazza.
“Sono
tuo degno compare, cara mia.” Fece una pausa. “Come farai con il negozio? Insomma,
con tutta la riabilitazione che dovrai fare, non credo che sarai in grado di
lavorare…”
“Beh,
io… io chiuderò il negozio. Per
sempre, intendo.”
“Cosa?”
“Sì,
io… io volevo dirtelo già l’altro ieri, poi non c’è stata occasione… mi hanno…
mi hanno assunta giù alla biblioteca.”
“Credevo
ti piacesse avere una tua attività…”
“Beh,
non così tanto. Ci ho pensato parecchio, prima di decidermi a fare un
colloquio. È un lavoro più tranquillo, pagano bene, è un guadagno sicuro, ed è
decisamente meno faticoso: non devo tenere i conti, non devo preoccuparmi di…
ho fatto male, vero?”
“No,
no, assolutamente. Sono solo… sorpreso,
non credevo avessi problemi di questo genere. Quindi, il negozio che fine farà?”
“Beh,
potrei continuare ad affittare il negozio e l’appartamento, oppure potrei
cercare un’altra sistemazione. Escludo l’ipotesi di tornare a casa di Aaron.”
Seguirono
dieci secondi di silenzio. “Vieni a stare da me.”
“Cosa?”
domandò Adia, stupefatta, mettendosi a sedere e voltandosi di scatto a
guardarlo.
“Che
c’è?” le domandò lui, allargando le braccia.
“Tu
mi hai chiesto di vivere con te?”
“Beh,
la casa è quasi completamente ristrutturata, e c’è tanto spazio per tutti. Insomma,
per Sofi e Angel, e per me e per te. E poi, passo più tempo qui che a casa di
Jerry. È un po’ come se vivessimo già
insieme.”
La
logica di Bobby non faceva una piega, ma Adia ancora non riusciva a credere
alle proprie orecchie. Vivere insieme? Condividere tutto, nella casa che era
stata della madre di lui, nella casa che lo aveva visto crescere? Formare una famiglia, insieme, in quella casa dove
lui aveva trovato la cosa più simile alla pace e alla felicità? “Tu non… non
stai scherzando, vero? Me lo stai chiedendo sul serio?”
“Certo
che te lo sto chiedendo sul serio. Non scherzo mai, se c’è di mezzo mia madre.”
“I-immagino
di…”
“Devi
solo dire di sì, Adia. Vieni a vivere con me.” Si avvicinò e con dolcezza le
prese il viso tra le mani. “Sei la prima donna a cui io l’abbia mai chiesto.”
Capitolo 24 *** 24. There For Me [Sarah Brightman feat. Josh Groban]. ***
Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.
24. There For Me
“Posso…
posso parlarti un minuto?” chiese Bobby a Angel, in un momento di pausa.
Jerry
alzò le mani in segno di resa. “Io devo fare una telefonata di lavoro, tolgo il
disturbo.” Si allontanò, lasciando i due fratelli soli, l’uno di fronte
all’altro.
“Fratello,
che hai? Sembri sconvolto, va tutto bene?” gli domandò Angel, notando
l’espressione pensierosa.
“Come
l’hai capito?”
“Beh,
hai una faccia…”
“No,
no. Come… come hai capito che era Sofi la donna giusta per te?”
“Oh,
io… sinceramente, non lo so. Non sono nemmeno sicuro che lo sia.”
“E
allora perché la sposi?”
“Perché
è la donna più giusta che abbia mai incontrato.”
Bobby
sbuffò. “Fottuta filosofia… non ci capirò mai un cazzo di queste stronzate.”
“Allora,
mi dici che è successo o ti devo pestare per farmelo dire?” indagò l’altro.
“Senti,
io… promettimi che non ti arrabbierai.”
“Perché
dovrei arrabbiarmi? Che hai combinato?”
Bobby
inspirò a fondo. “Io ho… io ho chiesto a
Adia di vivere insieme. La casa della mamma è quasi finita, e lei dovrà
lasciare il suo appartamento, e allora ho pensato che non sarebbe…” Si
interruppe quando Angel scoppiò a ridere. “Beh?”
“Perché
diavolo dovrei arrabbiarmi, scusa?”
“Beh,
credevo che avresti voluto venirci ad abitare con Sofi, una volta sposati. Da soli” sottolineò.
“Bobby”
riprese il fratello, recuperando la serietà necessaria. “Quella non è casa mia. Era la casa della mamma,
quindi ora è casa nostra: mia, tua e
di Jerry. Puoi portarci chi ti pare, per quel che mi riguarda.” Fece una pausa
e aggiunse, con un sorriso: “Basta che sia gente rispettabile. Abbiamo una
reputazione da mantenere.”
“Quindi
non… ti va bene?”
“Dio,
certo che mi va bene! Sempre che quella pollastra non ti scarichi prima che la
casa sia finita.”
“Fanculo,
stronzo.”
“Ehi,
sono solo realista. Guarda in faccia la realtà: quante probabilità ci sono che
una come lei resista con uno come te?” Più
di quante credi, fratello, si disse Bobby, rimettendosi i guanti da lavoro.
“A proposito, ha accettato i soldi per l’operazione?”
“Sì,
li ha accettati. Ho dovuto insistere un po’, ma alla fine l’ho convinta.”
“Avevi
dubbi? Non si resiste al fascino dei Mercer!” esclamò Jerry, tornando a
lavorare con loro. “Ma come diavolo hai fatto a convincere suo fratello? Mi è
sempre sembrato un tipo con la testa dura…”
“Che
c’entra suo fratello?”
Jerry
lo guardò strabuzzando gli occhi, come se gli avesse appena sentito dire che
Jack non aveva mai sfiorato nemmeno per sbaglio uno spinello. “Beh, immagino
che gli abbia detto che sta per sottoporsi ad un intervento chirurgico… mi
sembrava che fossero in buoni rapporti, no?” Aspettò invano una risposta del
fratello. “Beh? Glielo ha detto o no?”
“Non
lo so” rispose Bobby, facendo spallucce. “Non ne abbiamo parlato.”
“Giuro,
non riesco a capire come facciano le donne a starvi addosso, siete due
insensibili…” sbuffò Jerry.
La
protesta di Angel non tardò ad arrivare, ma i due fratelli lo ignorarono. “Dici
che gliene dovrei parlare?” si informò Bobby.
“Se
tu fossi un uomo normale, ti direi di sì. Ma siccome si tratta di una questione delicata, non so davvero che
dirti…”
“Ehi,
guarda che io sono perfettamente in grado di affrontare una questione delicata!”
protestò Bobby, sentendosi punto sul vivo.
Una
risata soffocata da parte di Angel lo fece voltare. “Già, tu hai scritto il manuale della delicatezza…” commentò,
senza riuscire a trattenere l’ilarità.
“Ahahah”
lo scimmiottò Bobby, senza troppo entusiasmo. “Posso affrontare questa cosa
senza problemi, e ve lo posso dimostrare!”
“Bobby,
non fare…” iniziò Jerry, cercando di arginare il potenziale pericolo. Perché
Bobby poteva diventare davvero pericoloso,
quando si arrabbiava a quel modo.
“No,
Jerry, non ci provare nemmeno! Vado da lei, ci vediamo più tardi” si congedò,
lanciando i guanti da lavoro a Angel e saltando in macchina alla velocità della
luce.
Angel
e Jerry, rimasti indietro senza la possibilità di replicare, si scambiarono
un’occhiata divertita e scoppiarono a ridere. “Tornerà indietro con la coda tra
le gambe tra meno di un’ora, se affronta la cosa così” osservò Angel. “Quella
lo molla all’istante.”
“No,
lei è troppo in gamba. Gli darà una bella strigliata, questo è sicuro. Ma non
lo mollerà.”
“Come
fai a dirlo?”
“Sesto
senso. Sono sposato da nove anni” rispose l’altro, evasivo. “Allora, vogliamo
rimetterci al lavoro?”
Adia
si stupì di veder piombare Bobby in libreria a quell’ora del pomeriggio: le era
parso di capire che avrebbero lavorato alla casa praticamente tutto il giorno,
tutti i giorni, per riuscire a finirla entro un paio di settimane. “Come mai da
queste…” iniziò, bloccandosi all’istante nell’incrociare l’espressione furente
di Bobby. “Che è successo? Hai una faccia…”
“Tuo
fratello lo sa?”
“Di
che cosa stai…”
“Dell’intervento.
Glielo hai detto?”
“No”
confessò Adia, dopo un silenzio piuttosto lungo. “No, Aaron non lo sa. E
preferirei che continuasse a non saperlo.”
“Che
fine ha fatto il vostro bel rapporto senza segreti e senza bugie?” la
interrogò, in tono sarcastico. “Pensavo vi diceste sempre tutto.”
“Non
ci diciamo sempre tutto” lo corresse.
“Non è il mio frate confessore. Preferisco che non sappia dell’intervento. Non
ancora, almeno.”
“Non
riesco a capire.”
“Eppure
mi sembra abbastanza semplice, Bobby” sospirò lei, sfilandosi gli occhiali.
“Come credi che reagirebbe Aaron, se gli dicessi che sto per sottopormi ad un
intervento chirurgico da cinquantamila dollari pagato da te?”
“Non
vuoi dirgli dell’operazione perché sono io
a pagare?”
“Non
ho detto questo. Credo solo che si sentirebbe un po’ scavalcato, sapendo che ho accettato soldi da un estraneo.”
“Ma
io non sono un estraneo!”
“Intendevo
qualcuno di estraneo alla famiglia.”
“Mi
sembra che tu abbia l’età giusta per decidere da sola da chi farti aiutare, o
sbaglio?”
“Non
è una questione di età, Bobby. Come
ti sentiresti se Jerry o Angel avessero un problema e si facessero aiutare da
me, senza dirti nulla?”
“Beh,
io non… ma che c’entra? Angel e Jerry non lo farebbero mai.” Quella
conversazione stava prendendo una piega che non gli piaceva nemmeno un po’:
aveva tutta l’aria di essere una litigata coi fiocchi.
“Era
soltanto un esempio, Bobby. Però potrebbe capitare. Come ti sentiresti?”
“Va
bene, probabilmente li pesterei. Ma…”
“Ecco,
appunto. Pensi che Aaron si sentirebbe diversamente, se gli dicessi che farò
quell’intervento senza il suo aiuto?”
Bobby
non rispose subito, ma provò a calarsi nei panni del fratello di Adia, per
capire come avrebbe potuto reagire di fronte ad una situazione simile. “Se
fossi nei panni di tuo fratello” iniziò, a voce bassissima, “credo che scoprire
di essere stato tenuto all’oscuro di tutto mi farebbe incazzare parecchio.” Fece
una pausa e la guardò negli occhi. “Mi farebbe incazzare parecchio, sapere che
mia sorella non mi ha detto di doversi ricoverare in ospedale.”
“Non
ho detto che non glielo dirò. Solo, glielo dirò più avanti.”
“Che
senso ha dirglielo adesso o tra due settimane? In ogni caso sarò io a pagare, e
in ogni caso lui si incazzerà.”
“Smettila,
per favore” lo pregò. Sospirò, prendendosi la testa fra le mani. “Per favore, Bobby,
smettila. Sono già abbastanza nervosa, senza che…”
“Scusa”
ribatté lui, in tono calmo. “Hai paura per l’operazione?”
“Un
po’” ammise Adia, annuendo. “E’ praticamente un’operazione di routine, ma… non
mi sono mai piaciuti gli ospedali. Preferisco restarne fuori.”
“Tu
lo sai che per ogni cosa puoi contare su di me, vero?”
Adia
annuì ancora, tirando su col naso per scongiurare il pericolo di mettersi a
piangere. “Lo so, Bobby. Tu ci sei sempre.”
Capitolo 25 *** 25. Prendimi Così [Piero Pelù]. ***
Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.
25. Prendimi Così
Seguirono
due settimane piuttosto difficili da sopportare, almeno da parte di Bobby. Non
c’era voluto molto per portare a termine la ristrutturazione della casa, e una volta
conclusi i lavori, i tre fratelli erano tornati alle loro occupazioni: Angel
era stato letteralmente inghiottito
da Sofi, entusiasta all’idea di diventare presto la signora Mercer; Jerry aveva
ripreso il proprio ruolo all’interno della ditta, ed era tornato ad occuparsi
delle solite questioni lavorative. Bobby era tornato dal vecchio Artie,
sperando che la promessa di un lavoro fosse ancora valida.
“Assumerti?
Certo, ho detto che l’avrei fatto. Lo sto facendo, no?”
“Sì,
è solo che… lo sai, no? Quello che pensa di me la gente…”
“Di
solito non te ne preoccupi.”
“Sì,
lo so, ma…” Bobby si interruppe e si grattò la nuca, sorridendo. “Dio, quella
donna mi sta facendo diventare matto.”
“Non
ti ha ancora mollato?” gli chiese l’altro, sorridendo a sua volta.
“No,
non mi ha ancora mollato.”
“Da
quando vi frequentate?”
Bobby
scrollò le spalle. “Ho perso il conto. Un mese, forse un mese e mezzo.”
“Come
sta andando?”
“Sta
andando bene.” Fece una pausa. “L’ho portata a casa mia. A conoscere la mia
famiglia, intendo.”
“Bobby
Mercer sta davvero mettendo la testa a posto, allora. Com’è andata?”
“Oh,
direi alla grande. Le figlie di Jerry la adorano. La chiamano ‘zia’ e le hanno
chiesto di leggere loro la favola della buonanotte.”
Artie
rise. “Sai, non vorrei essere nei tuoi panni. Appena si sarà sparsa la notizia,
tutti gli uomini di Detroit ti odieranno.”
“E
perché?”
“Perché
ti sei preso l’ultima brava ragazza rimasta in città, ecco perché.”
Bobby
sorrise ancora. “Beh, io sono stato via per otto anni. Hanno avuto tutto il
tempo per provare a prendersela.”
I
dettagli dell’intervento erano stati concordati da Adia direttamente con il
medico che l’aveva in cura ormai da cinque anni; nonostante la promessa fatta a
Bobby circa l’informare Aaron dell’operazione, Adia non ne aveva parlato con
nessuno che non fosse il dottor Turner. Cercava di evitare l’argomento anche
con Bobby: sapeva che lui avrebbe finito col tirare in ballo Aaron, e lei non
aveva alcuna intenzione di parlarne ancora. Era nervosa, anche se avrebbe
preferito non ammetterlo. Era nervosa e aveva anche un po’ di paura: non per
l’intervento – ormai era diventata un’operazione quasi di routine –, ma per
quello che ne sarebbe seguito. Le sarebbero occorse almeno quattro settimane di
riabilitazione, per recuperare la completa mobilità della gamba, e in tutta
sincerità, lei non era convinta che Bobby avrebbe saputo reggere tanto stress.
In fondo, non poteva essere cambiato così tanto.
La
sera prima del ricovero in ospedale, Adia insistette per rimanere sola, ma
Bobby non si dimostrò disponibile a cedere alla richiesta. “Nossignora, non ti
lascio sola la notte prima dell’operazione” protestò, chiamandola dal lavoro
durante la pausa pranzo.
“Dai,
Bobby, potresti. Tanto, ho intenzione di mangiare qualcosa e di andare subito a
dormire.”
“A
maggior ragione, se i tuoi programmi sono questi, avrai bisogno di compagnia
per non annoiarti, no? Ok, scherzavo” si corresse immediatamente, nel cogliere
l’inizio di un rimprovero da parte della ragazza. “Ma non ti lascio sola
comunque” aggiunse, mentre la sua voce cambiava di tono.
All’altro
capo del filo, Adia sorrise. Quei cambiamenti sembravano farsi sempre più
frequenti, e sembravano proprio voler testimoniare il mutamento profondo del
carattere di Bobby. “E va bene, allora. Ma non ti fare strane idee” lo
redarguì.
“Nossignora,
niente strane idee. Oh, alla cena ci penso io.”
“Come
sarebbe a dire che alla cena ci pensi tu?” ribatté lei, stupita. “Non mi
risulta che tu sia un asso in cucina.”
“Non
mi risulta che lo sia nemmeno tu. E dai, agnellino, fidati di me.”
“Bobby…”
“Fidati
di me, ok? Tanto non cambierò idea nemmeno se mi pregherai in cinese. Lo sai
che sono fatto così.”
“Sì,
lo so che sei fatto così.”
“Devo
andare, ho quasi finito la pausa. Facciamo alle sette, allora?”
“Va
bene, Mercer. Ci vediamo alle sette. Stupiscimi.”
Una
breve pausa all’altro capo del filo. “Ti amo, Adia.”
“Sai,
mi… mi piace come lo dici.”
“E’
perché lo penso.”
Adia
osservò sospettosa il contenuto del proprio piatto. “Lo hai cucinato davvero
tu? Non ci credo.”
“Se
devo essere sincero, non è tutto merito mio. Mi ha aiutato Sofi.”
“Sofi?
Sofi ha accettato di aiutare te?” domandò ancora, incredula.
Bobby
sbuffò, sedendosi. “Le ho dovuto promettere che non l’avrei presa in giro per
sei mesi, prima di convincerla.”
“E
lo hai fatto per me?”
“Ehi,
non montarti la testa…” replicò lui, prendendola in giro. “Non volevo morire di
fame, ecco tutto.”
“Bobby…”
“Sì?”
“Ti
amo.”
“Dai,
mangia, che si raffredda.” Adia decise di ubbidire, senza smettere di
sorridere. Bobby era decisamente divertente, quando cambiava discorso a quel
modo. “Hai… hai parlato con… no, lascia perdere.”
“Con
mio fratello, intendi?” gli domandò. Bobby annuì. Adia posò la forchetta. “No.
No, non gli ho ancora parlato.” Fece una pausa, aspettando una risposta. “Beh,
non dici niente?”
“Non
servirebbe a nulla, tanto” osservò lui, abbandonando a sua volta la posata. “Dico
bene?”
“No,
forse no” rispose lei, ricominciando a mangiare. “Perché insisti con questa
storia?”
“Quale
storia?”
“Vuoi
che parli con Aaron a tutti i costi. Perché?”
“E’
tuo fratello.”
“Lo
so da ventotto anni, ma ti ringrazio per la precisazione.”
“Non
sto scherzando, Adia. E’ tuo fratello, ha diritto di sapere che domani un
branco di sconosciuti ti squarterà la gamba da cima a fondo per rimetterti a
posto.”
Adia
fece una smorfia. “Non credo sarà così macabra.”
“Hai
capito che intendo, Adia. Sicuramente andrà tutto bene, ma c’è sempre una
possibilità che falliscano. Potrebbe… potrebbe esserci una complicazione, o che
diavolo ne so. Io ci sarò, ma non sono la tua famiglia. Non potrei decidere
niente, lo capisci?”
Adia
abbassò la forchetta e la appoggiò lentamente a lato del piatto. Deglutì e
sbatté le palpebre un paio di volte, per allontanare le lacrime. Bobby aveva
ragione. Qualcosa sarebbe potuto andare storto, e il dottor Turner avrebbe
potuto presentarsi a Bobby con una liberatoria da firmare, o chissà che altro,
e lei non avrebbe mai potuto lasciare che tutta quella responsabilità cadesse
sulle sue spalle. Lui l’amava, certo, ma anche lei lo amava, e proprio in nome
di quel sentimento non poteva lasciare che accadesse. Però, nonostante quella
consapevolezza, non le riusciva di confrontarsi con Aaron: forse perché in
fondo Aaron era simile a Bobby, e non avrebbe mai accettato di lasciarla sola
davanti alla prospettiva di un’impresa così importante. Lasciare che suo
fratello le stesse vicino, però, avrebbe sicuramente portato degli attriti tra
lui e la moglie, e Adia non voleva essere la responsabile di un litigio. Aveva passato
la vita intera a colpevolizzarsi per gli attriti in famiglia, e ora che era
finalmente cresciuta, voleva crearne il meno possibile. Era stata lei la causa
della rottura tra le sorelle e il padre, e lo era stata fin dalla nascita: era
venuta al mondo quando la più giovane delle sorelle aveva già sette anni, e le
era stato sempre difficile integrarsi. I genitori, che comunque avevano amato
indistintamente tutti e sei i loro figli, avevano riservato più attenzioni a
Adia, arrivata quando ormai nessuno dei due se la sarebbe più aspettata, e
questo aveva in qualche modo alimentato una sorta di gelosia nelle quattro
sorelle Chambers. Aaron era l’unico con il quale Adia fosse mai riuscita ad
avere un rapporto sincero, forse dovuto al fatto di essere l’unico maschio in
una famiglia composta in maggioranza da femmine. Ma nonostante quel rapporto
speciale che erano riusciti a costruire, Adia non poteva dirgli dell’operazione. Non ci riusciva.
“Io…
io non posso, Bobby.”
“Non
puoi o non vuoi?” sussurrò lui in risposta.
“Non
posso. O forse non voglio, non lo so. Non voglio trascinarlo nei miei problemi.”
“E’
tuo fratello. E’ obbligato a ficcare
il naso nei tuoi problemi.”
“Bobby,
hai conosciuto sua moglie. Mi ucciderebbe.”
“Chi
se importa di quella stronza? Lei non ha niente a che fare con te. E’ con lui
che sei imparentata, non con sua moglie.”
“Lo
so, Bobby, ma… lasciamo stare, ok?”
“Sì,
scusa” si arrese lui. “Non avrei dovuto tirar fuori l’argomento. Mi dispiace”
concluse, allungando una mano per accarezzarle i capelli.
“Sei
perdonato.”
Bobby
aspettò che Adia si fosse completamente addormentata, prima di allontanarsi da
lei. Le posò un bacio tra i capelli, poi lasciò l’appartamento senza fare
rumore. Salì in macchina e guidò nervosamente fino a Evans Street, cercando di
concentrarsi sulla strada e al contempo cercando le parole giuste da usare con
Aaron.
Capitolo 26 *** 26. Underneath The Night Sky [Young Love] ***
Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.
26. Underneath The
Night Sky
Bobby
esitò, prima di bussare. Soltanto per una manciata di secondi, si chiese se
svegliare Aaron Chambers nel cuore della notte fosse la cosa più giusta da
fare. Valutò rapidamente i possibile risvolti negativi della situazione: prima
di tutto, Aaron avrebbe potuto rifiutarsi di parlare con lui, o, peggio,
avrebbe potuto chiamare la polizia – o, peggio ancora, la polizia l’avrebbe
potuta chiamare la moglie di lui. Se, tuttavia, Bobby fosse riuscito a parlare
con il fratello di Adia, c’era la possibilità che fosse lei a rifiutarsi di parlare con lui, da quel momento. Su quel punto
era stata irremovibile, e lui se ne stava fregando. Ma mai si era sentito forte
come in quel momento: in ballo c’era la serenità della sua ragazza, e anche se
gli costava ammetterlo, avrebbe fatto di tutto per lei. Bussò due volte.
Attese
un minuto. Proprio quando si accingeva a battere un altro colpo, Aaron venne ad
aprire, assonnato e decisamente preoccupato. “Chi diavolo… Mercer? Che ci fai
qui? E’ successo qualcosa? Dov’è mia sorella?”
Bobby
alzò le mani davanti al proprio corpo, in segno di difesa. “Sta bene, è a casa
e dorme. Non è successo niente.”
“Ma
allora… ma che cazzo ci fai qui?”
“Ho
bisogno di parlarti” ammise Bobby, abbassando le mani.
Aaron
si passò una mano sulla faccia, stropicciandosi gli occhi. “Sono le due del
mattino” osservò, più per se stesso che per rimprovero nei confronti di Bobby.
“Sì,
lo so. Ma non potevo aspettare. Riguarda tua sorella.”
“Hai
detto che sta bene” ribatté Aaron, tornando a preoccuparsi.
“Infatti
sta bene. Dai, è importante.”
“Entra”
lo invitò l’altro, scostandosi per farlo entrare.
Appena
ebbe messo piede in casa, Bobby fu immediatamente aggredito da Cecilia, accorsa
al piano inferiore per capire che cosa stesse succedendo. “Oh, dovevo
immaginarlo che c’entrassi tu. Lo sapevo, che quella stupida si sarebbe
cacciata in un guaio, mettendosi a uscire con un criminale come te, e…”
Aaron
la afferrò per un polso, mostrando forse per la prima volta un briciolo di
controllo della situazione. “Cecilia, non azzardarti a chiamare mia sorella stupida. Torna a dormire.”
“Ma
tesoro…”
“Torna di sopra. Devo parlare con Bobby.”
Cecilia obbedì, non dopo aver lanciato un’ultima occhiata di fuoco a Bobby,
ancora fermo accanto alla porta d’ingresso. “Vieni con me” aggiunse Aaron,
guidando l’ospite verso la cucina. “Forza, siediti” lo esortò, indicandogli uno
sgabello. Si stropicciò ancora una volta gli occhi, poi si versò del caffè. “Caffè?”
“Sì,
grazie.”
Aaron
si sedette di fronte a Bobby. “Scusa per Cecilia. Non è sempre così. Insomma,
lo è spesso, ma… scusala.”
“Non
importa. Sono abituato a sentirmi chiamare criminale”
lo rassicurò Bobby, piegando un angolo della bocca in un sorriso.
“Allora,
hai detto che volevi parlare di Adia.”
“Sì.
Beh, lei non sa che sono qui. Spero solo che non si svegli prima del mio
ritorno.”
“Dormi
a casa sua?” gli domandò Aaron, alzando un sopracciglio con fare sospetto.
“Non
sempre, ma qualche volta capita. Beh, è una donna adulta…”
“Sì,
sì, lo so. Insomma, me ne ha parlato, so che cosa fa con te. Insomma, non mi ha
raccontato tutto nel dettaglio, ecco,
ma… non mi illudo che non abbia mai fatto sesso. Anzi, sospetto che ne abbia
fatto più lei di tutte le nostre sorelle messe insieme” aggiunse, con una
risatina.
“Le
chiederò di venire a vivere con me” ammise Bobby, dopo qualche secondo di
silenzio.
“E’
un passo importante.”
“Lo
so. Ci ho pensato parecchio.”
“Dove
vi trasferirete?”
“Se accetterà, andremo a casa di mia
madre.”
“Perché,
hai dei dubbi? Accetterà. Credo sia innamorata di te dai tempi del liceo.”
“Beh,
quando saprà che sono stato qui, credo che essere innamorata di me dai tempi
del liceo non farà differenza” commentò Bobby, guardando il contenuto della
propria tazza con tristezza.
“Di
che cosa devi parlarmi, Bobby?”
Bobby
si grattò un sopracciglio, continuando a cercare le parole adatte. “Domani mattina
andrà in ospedale per farsi operare.”
“O-operare?
Alla gamba, dici?” Bobby annuì. “Ma… ma non può essere! Mi aveva detto che
quell’intervento era troppo costoso, e non aveva nemmeno voluto farsi aiutare
da me…”
“Sì,
me lo ha detto.”
“E
come… dove ha trovato i soldi?”
Incrociò lo sguardo di Bobby, e in quel momento comprese. “Sei stato tu?”
“Non
voleva accettare, all’inizio. L’ho quasi dovuta obbligare a prendere quei soldi.”
“Quanto
le serviva? Non me lo ha mai voluto dire…”
“Cinquantamila
dollari.”
“Cinquantamila
dollari? E dove diavolo li hai trovati, cinquantamila dollari?”
“Li
ho presi dall’eredità di mia madre. Dalla mia parte, con il consenso dei miei
fratelli” specificò. “Mia madre è stata uccisa per quei soldi, e per quei soldi
è morto anche mio fratello. Dovevo usarli per qualcosa di utile. E poi, a mia
madre è sempre piaciuta tua sorella” osservò, con un sorriso. “Adia non voleva
accettare, all’inizio. Ho dovuto insistere parecchio perché accettasse.”
“Perché
non me ne ha parlato?”
“Per
lo stesso motivo per cui non voleva accettare il mio aiuto. Perché è testarda,
perché è orgogliosa, e non vuole essere di peso a nessuno. È anche per questo
che se n’è andata di qui.”
“Credevo
fosse perché odia mia moglie” osservò Aaron, sorridendo.
“Beh,
anche. Il punto è che lei… lei è fatta così.”
“Sì,
è vero. Ha sempre voluto fare tutto di testa sua.”
“Non
voleva che te lo dicessi. Diceva che ti saresti preoccupato, che la cosa ti
avrebbe creato dei problemi, ma… non potevo accettare che ti tenesse all’oscuro
di tutto. Sei suo fratello, in fondo.”
“Ti
ringrazio di essere venuto fin qui a dirmelo.”
“Era
la cosa giusta da fare” replicò Bobby, alzandosi. “Grazie a te per avermi
ascoltato.”
Bobby
rientrò com’era uscito: dalla porta principale e senza fare rumore. Si spogliò
rapidamente, lasciando cadere i vestiti sulla sedia, esattamente dove li aveva
lasciati poco prima. Mentre si sfilava i pantaloni, gettò un’occhiata verso
Adia: dormiva ancora sullo stesso fianco, come se non si fosse mossa in quelle
due ore in cui lui era stato fuori. Scostò piano le coperte e si mise a letto
furtivo come un ladro, lui che ladro non lo era più. Aspettò qualche secondo,
prima di voltarsi verso di lei e abbracciarla in modo da far sembrare tutto
naturale.
“Sei
stato da lui, vero?” sussurrò Adia, senza muoversi.
Il
primo istinto di Bobby fu quello di mentire, di fingere di non saperne nulla…
ma no, non poteva ingannare lei così come non poteva ingannare se stesso. “Sì,
sono stato da lui.” Aspettò invano una risposta. “Lo so che ti avevo promesso
che non ci sarei andato, ma lui aveva il diritto di saperlo.”
“Dovrei
buttarti giù dal letto e prenderti a calci per tutta la strada, lo sai?”
“Ne
avresti tutto il diritto.”
“Ma
non posso, sono zoppa.”
“Puoi
prendermi a schiaffi, allora.”
“No,
non sarebbe la stessa cosa” osservò Adia, dopo qualche secondo di pausa. “Tanto
non servirebbe a nulla. Se non sbaglio, mi hai detto che devo prenderti così.”
Bobby
sorrise. “Sì, l’ho detto.”
“E
allora va bene, Bobby. Ti prendo così come sei.”
“Adia…”
“Sì?”
“Vuoi
venire a vivere con me?”
“Me
lo hai già chiesto, mi sembra.”
“Sì,
è vero. Ma non mi hai mai dato una risposta vera.”
Adia
si rigirò tra le sue braccia, voltandosi a guardarlo. “Sì, voglio venire a
vivere con te.”
“Quindi,
mi perdoni per aver spifferato tutto a tuo fratello?”
La
ragazza sorrise, accarezzandogli la guancia. “Sei un Mercer. A voi si perdona
sempre tutto.”
NdA – Come dicono i miei cari colleghi americani, Here We Go!
Mi sembra giusto, arrivata a questo punto,
intervenire per dire qualcosa alle mie lettrici (anche se comunichiamo
piuttosto assiduamente anche al di fuori di questa storia e di EFP):
1.Siamo
alla fine, siamo agli sgoccioli, stiamo per concludere. Non so ancora se la
cosa durerà uno, due, tre, cinque capitoli, ma tant’è. Mi dispiace separarmi da
Bobby e Adia, ma se andassi avanti a raccontare le loro avventure, allora tanto
varrebbe aprire un blog ^^
2.Non ho mai dato un volto a Adia, anche se
l’ho sempre descritta come una ragazza con lunghi capelli scuri e occhi
azzurri. Personalmente, anche se ciascuno di voi se la sarà immaginata un po’
come crede, io mi sono ispirata alla cantante Norah Jones.
3.Idem per Aaron: non ho mai detto nulla di
lui, e anche se probabilmente vi siete fatte una vostra idea di lui, io me lo
immagino un po’ come Edward Norton (sì, lo so, ho un’immaginazione molto vivace
^^).
Non mi sembra di avere altro da dire:
ringrazio Dada88 per le recensioni
fiume e l’inserimento nelle storie seguite, Kashmir per il supporto morale e per l’inserimento nelle storie
seguite, s a r s a per le
recensioni, ed eventuali lettori silenziosi per avermi accompagnata sin qui.
Ad occhi chiusi, ancora piuttosto assonnato, Bobby allungò
un braccio verso Adia. Una volta afferrato il vuoto, si convinse ad aprire gli
occhi: era solo. Un rumore proveniente dalla piccola cucina lo informò che si
era alzata. Bobby guardò la sveglia e sbuffò. Avrebbero dovuto essere in
ospedale alle nove, ed erano appena le cinque e mezza: qualsiasi cosa Adia
stesse facendo in cucina, certamente poteva aspettare. Si alzò, e con indosso
solo le mutande raggiunse l’altra stanza, confermando i propri sospetti: in
pigiama, con i capelli raccolti in un nodo pericolante, e uno strofinaccio
nella mano destra, Adia stava facendo le
pulizie. Bobby si appoggiò allo stipite e rimase a guardarla in silenzio
per un minuto, prima di scoppiare a ridere. Nell’accorgersi di lui, la ragazza
si voltò con aria colpevole, come una bambina beccata a rubare la marmellata.
Nemmeno un istante più tardi, però, recuperò la propria compostezza e
ricominciò a strofinare la superficie che aveva smesso di pulire poco prima.
“Che
fai?” le domandò Bobby.
“Pulisco
la cucina.”
“Sono
le cinque e mezza del mattino.”
“Non
riuscivo a dormire.” Bobby si avvicinò in silenzio e le mise una mano sulla
spalla, afferrando lo strofinaccio con l’altra. “Ehi, che fai?”
“Ti
sto disarmando” scherzò lui, lanciando via lo straccio umido. “Perché non mi
hai svegliato?” le domandò, cingendola con le braccia.
“Dormivi
così bene… non volevo disturbarti.”
“Lo
sai che puoi disturbarmi quanto vuoi…” le sussurrò, avvicinandole le labbra al
collo. “Che succede, hai paura?”
“Per
l’intervento? Un po’, forse.”
“Andrà
tutto bene, Adia” la rassicurò, facendola voltare tra le proprie braccia.
“Andrà tutto bene” le ripeté, guardandola negli occhi. Adia gli passò le
braccia dietro la schiena e appoggiò la testa al suo petto, certa che nulla
sarebbe potuto andare male, finché Bobby fosse rimasto al suo fianco. Trasse un
paio di respiri profondi per cercare di calmarsi e reprimere il nervosismo, e
in quell’attimo Bobby sorrise. “Che fai, piangi? Non pensavo di aver detto
qualcosa di così terribile.”
“Cercavo
di non farlo, in realtà” rispose lei, alzando la testa e guardandolo dritto
negli occhi. “Cercavo di pensare positivo.”
“C’è
una cosa che ti aiuterebbe a pensare positivo, secondo me. Ma se te lo dicessi,
credo che mi accuseresti di essere poco sensibile e di pensare solo a me
stesso.”
“Pensavi
al sesso?”
“No,
veramente pensavo a una bella rissa, ma anche questa non è male come idea” la
prese in giro.
“Che
scemo…” commentò lei, a bassa voce.
“Ehi,
quando mi hai scelto sapevi a che andavi incontro” ribatté lui. “Allora?
Facciamo a botte o facciamo l’amore?”
Adia
rise. “Il dottor Turner mi ha raccomandato di non fare troppi sforzi…”
“Tu
non ti preoccupare, faccio tutto io…” commentò Bobby, prima di baciarla
all’improvviso. “Scusa se sono andato a spifferare tutto a tuo fratello” si
scusò, prendendosi una piccola pausa dal bacio. “Non avrei dovuto.”
“Non
importa” lo perdonò lei, accarezzandogli i capelli. “Sai, è strano. Un paio di
mesi fa ti avrei semplicemente preso a calci nel sedere… beh, metaforicamente. E invece adesso… Dio,
adesso invece farò l’amore con te!” commentò, sinceramente incredula.
“Non
riesco a credere alle mie orecchie… sbaglio o ti ho sentita imprecare?”
Adia
abbassò lo sguardo, colpevole, e si morse un labbro in segno di pentimento.
“Colpa tua, Mercer. Hai una cattiva influenza su di me.”
“Avrò
anche una cattiva influenza su di te, ma non ti ho mai sentita lamentarti…”
ribatté prontamente lui, prendendola tra le braccia e riportandola sul letto.
“Andiamo, ci restano soltanto tre ore prima dell’appuntamento con il dottor
Turner.”
“Allora,
Adia, come ti senti? Sei pronta?” le domandò il dottor Turner, accogliendola in
ospedale con uno dei suoi soliti sorrisi cordiali.
“Sto
bene, la ringrazio. Ho trovato un modo perfetto per scaricare la tensione”
rispose, sorridendo a Bobby, che in risposta strinse un po’ la presa sulla sua
vita.
“Non
credo siamo ancora stati presentati” sorrise Bobby, tendendo una mano verso il
medico. “Bobby Mercer, sono il fidanzato di Adia.”
“Davvero
lieto di conoscerla” rispose lo specialista, stringendo con vigore la mano che
gli era stata offerta. Non conosceva la reputazione di Bobby, dunque non sentì
la necessità di osservarli per capire che cosa avessero in comune.
“L’intervento avverrà soltanto questo pomeriggio, ma stamattina faremo gli
ultimi accertamenti e le ultime analisi. Adesso devo ultimare il mio giro di
visite, ma poi mi occuperò di te. Questa è Carla, l’infermiera che ti preparerà
per l’operazione” aggiunse, indicando la donna in camice rosa che si era appena
avvicinata. “A più tardi” aggiunse, appoggiando una mano sulla spalla di Adia
con fare paterno. “Bobby” disse ancora, porgendo poi la stessa mano all’uomo,
che di rimando la strinse.
“Salve,
Adia. Io sono Carla” si presentò l’infermiera, una donna sui quarant’anni,
dalla carnagione olivastra e con una massa di capelli ricci raccolti in uno
chignon contenitivo. “Per qualsiasi cosa, puoi rivolgerti a me.” Consultò l’orologio
da polso. “Ok, tra dieci minuti inizieremo con gli esami. Vi lascio soli”
concluse, sorridendo.
Adia
aspettò che l’infermiera fosse sufficientemente lontana, prima di lasciar
andare un sospiro. “Bobby, portami a casa” esordì, voltandosi a guardarlo.
“Non
ci penso nemmeno” rispose lui, con un sorriso.
“Ho
paura.”
“Sono
più spaventato di te.”
“Non
fare il buffone. Tu non hai mai paura di niente.”
“Sono
cambiato, e lo sai. Avanti, andrà tutto bene. Questo dottore mi sembra un tipo
in gamba, e l’infermiera è gentile. Sicuramente sanno quel che fanno, e…”
“Non
ho paura dell’operazione. Lo so che andrà bene.”
“E
allora di cos’hai paura?”
“Ho
paura che possa cambiare tutto” sussurrò la ragazza, distogliendo lo sguardo.
“Beh,
questo è ovvio. È ovvio che cambierà
tutto. Insomma, tornerai ad essere quella di una volta, e andremo a vivere
insieme, e… andrà tutto bene”
concluse, prendendole la testa tra le mani e sussurrando quelle ultime parole a
pochissimi centimetri dal suo volto. Suggellò quella promessa con un bacio a
fior di labbra, poi la scostò da sé. “Adesso vai. Prima si inizia, prima si
finisce.”
Si
separarono con un sorriso, e furono immediatamente raggiunti da Carla. “Verso
mezzogiorno avremo finito con gli esami. Avrai un’ora di riposo prima dell’intervento.
Casomai voleste vedervi ancora una volta” spiegò, guardando prima Bobby e poi
Adia.
Bobby
annuì. “Grazie.” Lanciò un’ultima occhiata a Adia, poi lasciò l’atrio dell’ospedale,
combattendo contro la volontà di voltarsi a guardare indietro. Se l’avesse
fatto, difficilmente avrebbe potuto convincersi ad andarsene.
Le
giornate avevano iniziato ad allungarsi in maniera tangibile, e il sole aveva
finalmente iniziato ad intaccare lo spesso strato di neve e ghiaccio che
ricopriva la città. Mancava ancora più di un mese all’inizio della primavera,
ma a tratti già sembrava che l’inverno fosse terminato. Evans Street, come il
resto della città, era ancora completamente imbiancato, ma il riverbero dei
raggi del sole sulla neve conferiva a tutto il quartiere una luce diversa.
Bobby bussò educatamente alla porta dei Chambers, aspettando che qualcuno
venisse ad aprire. Uno dei figli di Aaron si affacciò, chiedendo timidamente al
visitatore di qualificarsi.
“Ehi,
ciao. Tu devi essere Adam. Sono un amico della zia Adia, e…”
“No,
io sono Jordan. Adam è mio fratello. Ma io so chi sei. Tu sei il fidanzato di
zia Adia. Mamma dice che sei un delinquente.”
“Ah,
tua madre la pensa così?”
Il
ragazzino, che doveva avere circa sette anni, annuì. “Però papà dice che sei a
posto. E io gli credo.”
Bobby
sorrise. “Tuo padre è in casa? Dovrei parlare con lui.”
Il
bambino aprì la porta. “Avanti. Pulisciti le scarpe sullo zerbino, prima. La
mamma ha passato l’aspirapolvere.”
Potrei riempirle la casa di fango per il
solo gusto di vederla sbarellare, ragazzino. “Ok.”
“Aspetta
qui. Vado a chiamare papà.” Bobby ebbe finalmente l’occasione di osservare bene
il ragazzino, e lo colpì la sua straordinaria somiglianza con il padre e con
Adia: gli stessi occhi chiari, i lineamenti delicati e l’espressione seria. Quei
tre si somigliavano come gocce d’acqua.
Aaron
arrivò un minuto più tardi, distogliendolo dai suoi pensieri. “Bobby, ciao. È…
è successo qualcosa?”
“Vorrei…
possiamo parlare?”
Il
fratello di Adia lo guardò, annuendo. L’ultima volta che Bobby era stato a casa
sua e gli aveva chiesto di parlare, aveva scoperto che sua sorella stava per
essere operata. Ed era successo meno di dodici ore prima. “Jordan, tesoro,
perché non torni di sopra e cominci a fare i compiti? Io arrivo subito.”
“Va
bene, papà” rispose il bambino, iniziando ad inerpicarsi su per le scale.
“Non…
non dovrebbe essere a scuola?” domandò Bobby, una volta seguito Aaron in
cucina.
“Ha
avuto il morbillo” spiegò l’altro. “E’ stato tremendo, ma almeno ci siamo tolti
il dente. Spero che tu…”
“Oh,
sì, ci sono passato. Avevo diciassette anni, ed è stato orribile. Credo di non
essere mai stato peggio.”
Aaron
sorrise. “Sei qui per parlare di Adia?” gli domandò, versandogli una tazza di
caffè.
“Sì,
in un certo senso” rispose Bobby, occupando lo stesso sgabello di quella notte.
“Vengo adesso dall’ospedale.”
“Come…
come sta?”
“Questa
mattina faranno gli ultimi accertamenti e le ultime analisi, o almeno così ha
detto il medico. L’intervento sarà questo pomeriggio.”
“E
tu… tu non sei con lei?”
“E’
di questo che volevo parlarti.” Bobby si guardò in giro. “Tua moglie è in casa?”
Il rumore dell’aspirapolvere in funzione al piano di sopra evitò ad Aaron l’imbarazzo
di rispondere. “Ascolta, io amo tua sorella.”
“Mi
pareva che di questo avessimo già discusso.”
“Sì,
beh… comunque, io sono felice di poterle restare accanto. Insomma, è la donna
che amo, vado a letto con lei e vivremo insieme, quindi… occuparmi di lei è normale. Però tu sei suo fratello, e tra noi due
sei tu quello che ha più diritto di starle accanto.”
“Bobby,
a me non dà fastidio che tu le sia rimasto vicino per tutto questo tempo.”
“Non
l’ho mai pensato.”
“E
allora che stai cercando di dirmi?”
Bobby
sospirò. “Voglio che tu vada da lei. In ospedale. Oggi. È tua sorella, ed è tuo dovere starle vicino. Qualunque sia l’opinione
di tua moglie” aggiunse in fretta, notando lo sguardo che Aaron aveva rivolto
al soffitto. “Giuro, non mi importa, sono disposto a spezzarti le gambe e a
trascinarti a forza in macchina, ma tu oggi andrai da tua sorella.” Fece una
pausa. “Le vostre sorelle l’hanno praticamente abbandonata, e continuano a
considerarla responsabile per la morte di vostro padre. Tu sei l’unico a sapere
tutto di lei, sei l’unico… ad averle sempre voluto bene. Ha scoperto che sono
venuto da te, la scorsa notte, e… e ho paura che si senta abbandonata anche da
te, se non ti vedrà. Non lo ammetterebbe mai, certo, ma non voglio rischiare
che soffra.”
“La
ami.”
“E’
una domanda?”
Aaron
scosse la testa. “No, non lo è. Si vede che sei pazzo di lei. E sai, sono
contento che lei ci abbia messo tanto, prima di cedere. Forse dieci anni fa non
avresti saputo amarla come la ami adesso.”
“E’
un modo per dirmi che andrai da lei?”
“E’
un modo per dire quello che ho detto” replicò Aaron. “Ma andrò da lei.”
“A
mezzogiorno, mi raccomando” sorrise Bobby, alzandosi e sistemandosi il
giubbotto. “Cerca un’infermiera di nome Carla, sui quarant’anni, latino
americana. Dille che sei il fratello di Adia.”
“Tu
non ci sarai?”
Bobby
rifletté per qualche istante, prima di rispondere. “Avrà soltanto un’ora di
respiro tra la fine delle analisi e l’inizio dell’intervento. Voglio che la
trascorra con te.”
Aaron
sorrise, passandosi una mano tra i capelli chiari. “Tanto tu potrai stare con
lei per il resto dei tuoi giorni, no?”
“Lo
spero.”
Nonostante
il sole e le temperature non più rigide, le strade di Detroit erano comunque
piuttosto deserte. Bobby guidò fino al cimitero, poi si concesse una lunga
passeggiata tra le lapidi. Osservandole tutte, una per una, si rese conto di
quante persone che conosceva se ne fossero andate nel corso degli anni: ex
compagni di scuola finiti nel giro sbagliato, vicini di casa, vecchi insegnanti…
Si fermò davanti alla tomba del reverendo Chambers, soffermandosi ad osservare
la fotografia. La somiglianza dell’uomo con Aaron e Adia era impressionante:
Bobby ne era certo, invecchiando Aaron sarebbe diventato identico a suo padre. Sfilò
una mano dalla tasca e spazzò via un po’ di neve dal marmo, poi se la ricacciò
in tasca. “Lo so, forse sperava che sua figlia trovasse di meglio” sospirò,
fissando lo sguardo sugli occhi del reverendo, identici a quelli di Adia. “Lo
so, non sono il tipo di genero che uno si augura di avere. Se avessi una
figlia, se tornasse a casa con uno come me… lo prenderei a calci in culo per
tutta la strada. È strano, no? Eppure io non ho mai cercato di cambiare… e
Cristo santo, sto davvero parlando con una tomba?” Si passò una mano sugli
occhi, strofinandoseli forte, come per svegliarsi. “Beh, rassegnati” proseguì,
continuando a rivolgersi alla lapide, “non sono mai stato un buon cristiano, e
non ho intenzione di cominciare adesso. Però tua figlia la amo davvero.” Si allontanò
di qualche passo, deciso a raggiungere la tomba della madre e del fratello, poi
tornò indietro. Si inginocchiò sulla neve e pregò per il padre della donna che
amava.
Capitolo 28 *** 28. The Story [Brandi Carlile] ***
Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.
28. The Story
Per
tutta la vita, Bobby si era vantato di non avere paura di niente: non aveva mai
avuto paura del buio, non aveva mai temuto i ragazzi più grandi di lui, non si
era mai spaventato nemmeno trovandosi uno contro quattro in un vicolo buio di
Detroit. Ma adesso Bobby Mercer, trentacinque anni di spavalderia e arroganza,
aveva paura di varcare la soglia dell’ospedale: aveva paura di trovarsi davanti
il dottor Turner, aveva paura di vederlo scuotere la testa con aria di
sconfitta. Peggio, aveva paura di trovarsi davanti Aaron, e di diventare
vittima della sua rabbia. In fondo, era stato lui a convincere Adia a
sottoporsi all’operazione.
Bobby
aveva voglia di piangere. Aveva pianto soltanto due volte in vita sua: la
prima, quando aveva saputo della morte di sua madre; la seconda, quando Jackie
gli era morto tra le braccia, sulla neve davanti casa. Bobby si strinse forte
il naso tra pollice e indice, scongiurando il pericolo di scoppiare in lacrime
davanti alla porta dell’ospedale. E se
invece fosse andato tutto bene?, pensò. Se
Adia ti stesse già aspettando, sveglia e sana? E se Aaron, invece di
picchiarti, volesse solo abbracciarti? Chiuse gli occhi per un istante,
ripensando all’ultima notte. “Sai, Bobby,
non credevo sarei mai arrivata a dirlo, ma… credo che tu ed io, in qualche
modo, siamo fatti per stare insieme” gli aveva sussurrato Adia, forse
credendolo addormentato, accarezzandogli i capelli come soltanto sua madre
aveva fatto. “Insomma, siamo diversi.
Siamo opposti. Ma forse ci incastriamo bene proprio per questo. Forse è giusto
così.”
Prima
di rendersi conto di aver mosso un passo, Bobby si ritrovò nell’atrio
dell’ospedale. Improvvisamente, si rese conto di non saper dove dirigersi. Si
guardò intorno per mezzo minuto, prima di decidersi a muoversi verso il banco
dell’accettazione. Mentre lo raggiungeva, cercava di mettere insieme le parole
giuste, senza successo. Che razza di qualifica aveva, per arrivare lì a
domandare dove fosse Adia? Abbozzò un sorriso all’infermiera in camice giallo che
alzò gli occhi domandandogli di che cosa avesse bisogno, ma prima ancora di
riuscire a parlare, una voce familiare lo chiamò. “Oh, buonasera, Bobby.” Si
voltò rapidamente in direzione della voce, incrociando il sorriso
dell’infermiera che si era occupata di Adia. “Me ne occupo io” aggiunse,
rivolgendosi alla collega. “Adia sta bene” lo rassicurò, mettendogli un braccio
attorno alle spalle e guidandolo verso un corridoio sulla sinistra.
“L’intervento è riuscito, e il dottor Turner sta finendo proprio adesso alcuni
controlli. Non si è ancora svegliata dall’anestesia” aggiunse, prevenendo una
domanda che forse non avrebbe nemmeno avuto il coraggio di arrivare, “ma
dovrebbe mancare poco. Comunque veda di convincere quel poveretto ad alzarsi
almeno per andare in bagno” disse ancora, a voce bassa, indicando un uomo
biondo raggomitolato su una delle fredde seggiole di plastica fissate alla
parete. Bobby annuì, e Carla lo lasciò andare.
“Ehi”
sussurrò ad Aaron, avvicinandosi a passo lento.
“Ehi”
rispose l’altro, alzando la testa. “L’intervento è andato bene, ma non si è
ancora svegliata.”
“Sì,
me l’ha detto…” iniziò Bobby, lasciando cadere a metà la frase.
“Il
dottor Turner è con lei” disse ancora Aaron, voltando appena la testa verso la
camera. “Sta finendo alcuni accertamenti.”
Bobby
annuì. “Ti… ti spiace se mi…”
“Prego”
lo interruppe l’altro, indicando una delle seggiole vuote.
Bobby
non fece nemmeno in tempo a sedersi, che immediatamente il dottor Turner uscì
dalla camera. “Buonasera” li salutò, facendoli scattare entrambi sull’attenti
come soldatini obbedienti. “Adia sta bene. Come vi avevo anticipato,
l’intervento è riuscito, esattamente come previsto. Ho appena concluso una
serie di accertamenti, e sembra proprio che non ci si possa lamentare. Dovrebbe
svegliarsi tra una decina di minuti. Normalmente permettiamo solo ad una
persona di restare con il paziente, ma… sono disposto a fare uno strappo alla
regola, sempre che mi promettiate di non affaticarla troppo.” I due uomini
annuirono. “Bene. Con permesso.” Il medico si congedò, e i due rimasero a
guardarsi per una manciata di secondi, decidendo chi dei due dovesse parlare
per primo.
Bobby
lasciò andare un sospiro profondo, chiudendo gli occhi per un istante. Alla sua
sinistra, Aaron si risedette. “Dio, ti ringrazio” mormorò, le mani giunte
davanti al volto. “Ho… ho dovuto litigare con Cecilia, per venire qui”
aggiunse, senza muoversi. “Lei non… credo che ce l’abbia a morte con te.”
“Ci
sono abituato.”
“Abbiamo
parlato, quanto?, due volte, eppure conoscerti… accidenti, conoscerti mi ha
cambiato. È come se improvvisamente fossi diventato capace di difendermi, di…
di agire. Io non ne sono mai stato
capace. Era… era papà, quello forte. Era papà quello che sapeva prendere il
controllo della situazione. Di ogni situazione.
Io ho sempre cercato di imparare da lui, ma non ci sono mai riuscito. Ma
adesso… adesso è come se avessi finalmente trovato il coraggio di farmi valere.
Con mia moglie e con le mie sorelle.” Fece una pausa e alzò gli occhi su Bobby,
rimasto in piedi a fissarlo. “Le ho chiamate. Le ho chiamate tutte. Sai, mentre il dottor Turner
operava Adia. Le ho chiamate e mi sono fatto valere. Ne ho dette quattro a
ognuna di loro, per come… per come hanno trattato Adia in tutti questi anni.
Per quello che hanno pensato di lei quando papà è morto.”
“Ne
sono felice.”
“Mai
quanto me.”
Bobby
accennò un sorriso, distolse lo sguardo e si sfilò lentamente il giubbotto,
improvvisamente conscio di quanto facesse caldo in quel corridoio. “Io credo…
credo che dovresti entrare. Adia starà per svegliarsi, le farà piacere avere un
viso familiare accanto.”
“Se
è per questo, forse troverebbe più rassicurante avere te vicino.”
“Aaron,
io…”
“Entriamo
insieme, Bobby. In fondo, il dottor Turner ci ha dato il permesso.”
Bobby
si lasciò convincere, e seguì Aaron all’interno della stanza. Con grande
sorpresa di entrambi, gli occhi di Adia erano spalancati. “Sapevo che vi
sareste piaciuti” mormorò, la voce arrochita dall’anestesia. “Sapevo che
sareste andati d’accordo” sorrise. Bobby sorrise a sua volta, lasciando andare
avanti Aaron. In fondo, pensò, forse Aaron ha ragione, e forse Adia e io
staremo insieme per tutta la vita. Forse Aaron ha ragione: forse siamo davvero
cambiati.
Maggio
sembrò impiegare mesi per arrivare: Angel e Sofi avevano deciso di sposarsi il
quattordici, come il giorno in cui si erano conosciuti. Avevano programmato
tutto nei minimi dettagli, dal numero degli invitati ai fiori che avrebbero adornato
la chiesa. Persino il tempo sembrava aver deciso di dar loro una mano, e da una
settimana intera il sole splendeva su Detroit. Era tutto a posto: gli invitati
– un numero particolarmente esiguo, considerate le numerose parentele della
sposa e soprattutto le sue manie di grandezza – erano presenti, il reverendo
pronto ad iniziare, lo sposo in piedi davanti all’altare.
Angel
stava sudando nel suo abito nuovo, e continuava a torcersi nervosamente le
mani, tentando di allontanare l’ansia. Accanto a lui, Jerry sembrava ancora più
turbato, quasi temesse l’arrivo di un cataclisma. Dei tre fratelli Mercer,
Bobby era certamente il più calmo: come i fratelli, indossava un abito nuovo,
elegante, apparentemente cucito su misura per lui; Adia non era riuscita a
convincerlo a rasarsi, ma almeno si era dato una sistemata, cercando di
apparire al meglio. Stava in piedi accanto a Angel e Jerry, e continuava a
guardare in direzione di Adia, seduta in prima fila assieme a Camille e alle
bambine. Da tempo, Bobby la considerava la donna più bella sulla quale avesse
mai messo gli occhi, ma quel giorno… quel giorno, stretta in un morbido abito
blu notte, beh, quel giorno era semplicemente un miracolo. Le sorrise,
ricevendo in cambio un sorriso di uguale intensità, e proprio in quell’attimo
fu distratto da qualcuno che gesticolava sul fondo della chiesa. Alzò gli occhi
e vide Sofi, già pronta per la cerimonia, sbracciarsi per ottenere la sua
attenzione. Bobby si guardò intorno un paio di volte, prima di capire che Sofi
stava davvero cercando di chiamare lui.
Tuttavia, prima ancora di riuscire a pensare a un modo per domandarle che
diavolo volesse, l’uomo la sentì fischiare, e subito dopo esclamare: “Bobby,
brutto idiota, porta subito qui il culo!” Bobby fece un cenno a Angel e Jerry,
per rassicurarli, e sorridendo corse lungo la navata, raggiungendo Sofi al di
là del portone.
“Senti,
Bobby, prima di fare questa cosa tu e io dobbiamo parlare” esordì la ragazza,
prendendolo per il bavero della giacca e sospingendolo contro la parete.
“Oh,
no, lo sapevo… la vida loca si è
innamorata di me!” commentò Bobby, roteando gli occhi. Si divertiva come un
bambino a provocare Sofi. “Beh, me lo aspettavo. Angel ha il suo fascino, ma io
sono sicuramente più…”
“Oh,
taci, idiota!” lo zittì lei. “Senti, io lo so che tu non mi hai mai potuta
sopportare, e che pensi che sia una… beh, una
di quelle, e so anche che pensi che Angel meriti di meglio. Ma io Angel lo
amo davvero. L’ho sempre amato” proseguì, addolcendosi. “Lui è diverso, è
sempre stato diverso. E fa sentire diversa anche me. Lo capisci questo?”
Bobby,
incredibilmente serio, annuì. “Sì, capisco ciò che vuoi dire.”
“Bene.
Volevo solo che fosse tutto chiaro, prima di… prima di fare questa cosa.”
“Ok,
bene, abbiamo chiarito. Senti, io… io torno di là. Sbrigati, però. Angel odia
aspettare, e credo che Jerry stia per avere una crisi isterica” ribatté lui,
avviandosi verso la porta.
“Aspetta,
Bobby!” lo fermò lei, mettendogli una mano sul braccio. “Vorrei… posso
chiederti un favore?”
“Dimmi.”
“Mio…
mio cugino Eduardo, quello che doveva portarmi all’altare, ha avuto un… contrattempo. Insomma, l’hanno beccato
mentre cercava di sgraffignare una macchina per venire qui. Quindi mi chiedevo
se… se tu… se potessi…”
“…accompagnarti
all’altare?” completò lui. Sofi annuì. “E va bene, facciamo questa stronzata”
rispose, dopo un minuto di silenzio, sorridendo e porgendole il braccio.
Il
più stupito nel vederli attraversare insieme la navata fu certamente Angel:
l’ultima cosa che si sarebbe aspettato di vedere era la propria fidanzata
camminare a braccetto con suo fratello. Considerando che a malapena riuscivano
a stare insieme nella stessa stanza, e trovando estremamente improbabile
l’ipotesi che avessero deciso di concedersi una tregua, anche se solo per il
giorno delle nozze, lo sposo si trovò a domandarsi che cosa fosse successo tra
quei due. Jerry gli diede di gomito, e con un sussurro discreto gli fece notare
la straordinaria bellezza di Sofi. Angel smise di scervellarsi, smise di
torcersi le mani e si limitò a guardare Sofi. Jerry aveva ragione: era meravigliosa, e il modo in cui lo
guardava… sì, si sarebbero amati per il resto della vita.
La
festa si spostò fuori Detroit, nell’hotel che gli sposi avevano deciso di
riservare per i festeggiamenti. Gli invitati si gettarono immediatamente sul
cibo, e subito dopo riempirono la pista da ballo, iniziando ad agitarsi al
ritmo della piccola orchestra. Bobby si accorse che Adia desiderava ballare:
aveva accavallato le gambe all’altezza del ginocchio e stava facendo dondolare
lentamente un piede. Per cinque anni non aveva potuto ballare - né aveva avuto
qualcuno con cui farlo –, e certamente adesso avrebbe voluto rifarsi di quella
privazione. Si alzò, facendo strisciare la sedia, e immediatamente lei si voltò
a guardarlo. “Dove vai?”
“Balliamo”
rispose lui, tendendole la mano.
“Ballare?
Ma tu non balli!”
“Che
ne sai, agnellino? Non ci siamo visti per un sacco di tempo” ammiccò lui. “Dai,
andiamo!” esclamò, afferrandole la mano e tirandola in piedi come se fosse
stata un sacco. Adia si rassegnò a seguirlo al centro della pista, mentre il
quartetto cambiava canzone.
“Adoro
questa canzone…” si lasciò sfuggire Adia, guardando verso i musicisti, nel
riconoscere le prime note di Turn Me On
di Norah Jones. Nel sentire la mano di Bobby posarsi sulla sua schiena, calda e
protettiva, tornò a guardarlo. “Fai sul serio?”
“Certo
che faccio sul serio. In fondo, basta girare, no?”
Adia
ridacchiò. “Sì, basta girare” sussurrò, lasciandosi stringere e guidare dal
fidanzato.
Erano
in pista da meno di un minuto, quando uno degli innumerevoli cugini di Sofi
bussò alla spalla di Bobby. “Ehi, amico, ti offendi se mi faccio un giro?”
“Sì,
mi offendo. Ho l’esclusiva” rispose lapidario Bobby, senza nemmeno guardarlo.
Dopo
un altro minuto, un altro parente della sposa venne a chiedere il permesso di
ballare con Adia. “Smamma, Zorro. È la mia ragazza.”
Un
terzo pretendente si fece avanti, un paio di minuti più tardi. “Sei educato e
hai la faccia simpatica, ma no” rispose stavolta Bobby. “Ah, e ti dispiace
informare i tuoi cugini che io questa me la sposo, e quindi sarebbe meglio per
loro non rompermi le palle? Grazie.”
Adia
aspettò che l’altro uomo si fosse allontanato, poi sorrise a Bobby. “Bella,
questa.”
“Cosa?”
“La
scusa che hai usato. Speriamo solo che ci caschino. Insomma, vederti sposato…
sarebbe un po’ strano.”
“Non
scherzavo.”
Adia
piegò la testa da un lato, fissandolo attentamente. “Fai sul serio?”
“Certo
che faccio sul serio. Volevo chiedertelo domani, ma credo di dovermi
accontentare.”
Adia
non era sicura che le gambe potessero reggerla. “B-bobby…” sussurrò,
balbettando.
“Cosa?”
“Tu
mi vuoi… tu mi vuoi sposare?”
Bobby
abbassò lo sguardo, imbarazzato. Adia non lo aveva mai visto così. Bobby Mercer
non era mai imbarazzato. Lo vide
passarsi la lingua sulle labbra, cercando la risposta più adatta alla
situazione. “Beh, io… non dirmi che tu non ci hai pensato.”
“Ma
certo… certo che ci ho pensato. Dio, sono figlia di un reverendo! Ovvio che ci
ho pensato” rispose lei, rendendosi conto che si erano fermati. “Però…
accidenti, credo… credo di aver bisogno di un po’ d’aria.” Bobby l’accompagnò
lontano dalla pista, attraverso la sala e fin sulla terrazza dell’hotel. Adia appoggiò
le mani alla balaustra e trasse un paio di profondi respiri, cercando di capire
se quel rumore assordante che avvertiva provenisse dall’orchestra oppure dalla
sua cassa toracica. “Bobby” riprese, finalmente calma, voltandosi a guardarlo, “tu
mi hai appena chiesto di sposarti?”
Bobby
si infilò le mani in tasca e grattò il pavimento con la punta delle scarpe
lucide. “Più o meno. Lo so che non è stata un gran che, come proposta, ma io…
insomma, lo sai. Non sono bravo in queste cose.”
Adia
aprì e richiuse la bocca a vuoto per un paio di volte. “E’… è da pazzi!”
commentò la donna, voltandosi di nuovo verso la balaustra. “E’ da pazzi” disse
ancora, voltandosi di nuovo verso Bobby.
“Sì,
questo l’hai già detto” le fece notare. “Lo so che sembra strano, detto da uno
che fino a sei mesi fa correva dietro a ogni pezzo di… a ogni donna che vedeva. Suona strano, non lo
nego. E forse, se fossi al posto tuo, non ci crederei, ma…” Fece una pausa,
traendo a sua volta un respiro profondo. “A mia madre piacevi. Se fosse ancora
viva, sarebbe felice sapendomi con te. Sarebbe felice di vedermi così cambiato,
e farebbe di tutto per convincermi a renderti per sempre mia. Ci sono mattine
in cui mi alzo e mi guardo allo specchio e non riesco a riconoscermi, ma poi
vedo che ci sei anche tu, e… e in qualche modo sento che è così che devo andare.”
Adia
strinse il labbro tra i denti, cercando di non piangere. Quel breve discorso l’aveva
commossa più del primo ‘Ti amo’, l’aveva coinvolta più della prima volta e l’aveva
definitivamente convinta della buona fede e dei sentimenti di Bobby. “Tu mi
vuoi sposare” osservò, in un sussurro.
“Sì”
rise Bobby. “Sì, è questo che credo di aver detto. Sempre se lo vuoi anche tu. Se
mi vuoi anche tu.”
Adia
abbassò lo sguardo, e quando lo rialzò mostrò finalmente tracce di pianto. “Non
posso non volerti, Bobby. Ti amo” bisbigliò, la voce incredibilmente ferma.
“Andiamo”
rispose lui, prendendola per mano.
“Andiamo
dove?”
“Facciamolo
adesso.”
“Adesso?
Sei impazzito?”
“Forse.”
“Ma…
ci servirà una chiesa, e gli anelli, e un prete… i testimoni!”
“Gli
anelli ce li ho. Una su quattro non è male, no?”
Mezz’ora
più tardi, Bobby fermò l’auto davanti alla chiesa dove per anni aveva lavorato
il padre di Adia. Mentre guidava, aveva chiamato Jerry, già tornato a casa con
Camille e le bambine, e lo aveva pregato di raggiungerlo lì. Adia aveva fatto
la stessa cosa con Aaron, pregandolo di andare solo. Adesso dovevano solo entrare. Bobby scese dall’auto, le aprì
lo sportello e le porse la mano, come un vero gentiluomo. Attraversarono il
sagrato a passo lento e raggiunsero l’ingresso laterale, e di lì l’ufficio del reverendo.
Fu Adia a bussare. “Reverendo Miller?” azzardò, dopo aver ricevuto il permesso
di entrare.
“Adia!”
esclamò il sacerdote, stupito di ricevere una simile visita quasi a mezzanotte.
“Figliola, che cosa ti porta qui?”
“Le…
le presento il mio fidanzato, Bobby Mercer. Bobby, questo è il reverendo
Miller. È lui che ha… che ha sostituito mio padre.” Bobby strinse la mano all’altro
uomo, azzardando un sorriso. “Padre, mi rendo conto che sembrerà una richiesta
piuttosto strana, e decisamente poco ortodossa, ma… noi vorremmo sposarci.”
“Non
capisco come potrebbe essere una… oh, ma voi forse intendete… ora? Adia, non credo sia… insomma, non
sono qui per criticare, ma… siete certi di averci riflettuto bene su? È un
passo molto importante, e…”
“Padre,
i miei genitori sono stati sposati per quarant’anni” lo interruppe dolcemente
lei. “So che cosa significa essere sposati. Bobby mi ama, e io amo lui, e lo so” aggiunse subito, prima che il
reverendo potesse rispondere, “so che
l’amore non basta. Ma Bobby mi è stato vicino. Mi è stato vicino in un momento
molto difficile, e in cambio non mi ha chiesto nulla, se non di amarlo. Per favore,
padre.”
Bobby
avvertì la preghiera di Adia in tutta la sua intensità. Anche lei voleva
sposarlo, soltanto adesso lo stava davvero
avvertendo.
“Va
bene, Adia. Se è quello che entrambi volete, possiamo farlo adesso, però vi
serviranno dei…” Un colpo alla porta lo interruppe, seguito dall’ingresso di un
uomo dai capelli biondi. “Aaron!” esclamò il reverendo, ancora più stupito di prima.
“Devo aspettarmi che arrivino anche le tue sorelle?”
“Non
credo, padre, a meno che mia sorella non abbia organizzato una riunione di
famiglia a mia insaputa. C’è il fratello di Bobby, se le interessa” aggiunse,
indicando Jerry, appena comparso alle sue spalle.
“Bobby,
che cazzo succede?” domandò Jerry, coprendosi poi la bocca con la mano. “Mi
scusi, padre.”
“Non
importa, non importa. I tempi cambiano” commentò il religioso, lisciandosi i
capelli bianchi. “Bene, io prendo il necessario. Se intanto volete precedermi
di là…”
“Bobby
e io ci sposiamo” riassunse Adia, guardando Aaron negli occhi. “E per la
cronaca, è stato lui a chiedermelo.”
“E
noi siamo qui per…”
“Farci
da testimoni, fratellino” completò Bobby. “L’avrei chiesto a Angel, ma Sofi lo
aveva già trascinato nella loro suite.” Con la coda dell’occhio colse l’espressione
incredula del suo futuro cognato, allora lasciò la mano di Adia. “Jerry e io vi aspettiamo di là” le
sussurrò, baciandola su una guancia.
“Che
succede?” le domandò Aaron, allargando le braccia per sottolineare la bizzarria
della situazione. “Insomma, vi lascio soli dieci minuti e…”
“Non
arrabbiarti, Aaron. Anch’io ho sempre pensato che sarebbe successo in maniera
diversa, con papà ad accompagnarmi, e mamma a piangere, e tutta la famiglia
riunita… ma non sarebbe stato possibile. Sei l’unica persona che mi sia
rimasta. Sei l’unica persona che voglio accanto in questo momento.”
Aaron
la abbracciò. “Va bene, allora. Se è quello che vuoi, va bene così” sussurrò,
tenendola stretta come non faceva da troppo tempo. Si staccò e le porse il
braccio. “Andiamo. Suppongo di essere io a doverti accompagnare all’altare.” Adia
si passò le mani sulle guance, per asciugarle dalle lacrime, poi accettò il braccio
del fratello.
Le
faceva uno strano effetto vedere Bobby in piedi accanto all’altare, vicino a
Jerry, entrambi eleganti e sorridenti. Le faceva uno strano effetto pensare che
stava per sposarsi senza indossare un vestito bianco: sua madre si era sposata
in bianco, e così Ruth, Miriam, Sarah e Rebecca. Nonostante nessuna di loro
fosse arrivata illibata al Grande Giorno, tutte e quattro le sue sorelle
avevano avuto il coraggio di indossare un vestito bianco. Ma lei no. Lei stava
per sposarsi indossando un abito blu notte, quasi nero, in una chiesa deserta. E
stava per sposare un uomo che aveva appena iniziato a renderla felice.
Capitolo 30 *** 30. Il Giardino Delle Api [Marco Masini]. ***
Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.
30. Il Giardino Delle Api
“L’abbiamo
fatto davvero?”
Bobby
guardò la propria mano sinistra, sulla quale spiccava una sottile fede d’oro.
“Direi di sì. Sì, l’abbiamo fatto davvero.”
“E’
da pazzi.”
“Sì,
questo lo hai già detto” rise Bobby.
“Riesci
ad immaginare la faccia di Sofi e Angel quando lo sapranno? Insomma, siamo
scappati dal loro matrimonio per andare al nostro!”
“In
realtà, stavo pensando alla faccia che farà tua cognata quando Aaron le dirà
perché è dovuto uscire all’una di notte per raggiungerti” rispose Bobby.
Adia
sorrise. “Chi se ne importa di cosa penserà quella strega…” commentò.
Bobby
parcheggiò l’auto nel vialetto e spense il motore. “Pensi sia una buona idea
svegliare il vicinato per comunicargli la notizia?”
“Bobby,
sono le due del mattino. Per quanto sia una bella notizia, non credo
apprezzerebbero.”
“Come
vuole, signora Mercer” si arrese, sporgendosi verso di lei per baciarla.
“Allora passiamo alla fase successiva.”
“Che
sarebbe?”
“Portare
la sposa in braccio oltre la soglia, se non sbaglio.” Scese dall’auto e, come
aveva fatto poco più di un’ora prima, aprì lo sportello alla donna che, da poco
meno di un’ora, poteva presentare come sua moglie. Le consegnò le chiavi di
casa e la sollevò tra le braccia, chiudendo lo sportello con un calcio. Salì
con qualche difficoltà i gradini della veranda, attese che Adia aprisse la
porta ed entrò in casa. La casa di sua
madre. La loro casa. “Bene,
immagino di poterti mettere giù, ora” sospirò l’uomo, facendola scendere.
“Accidenti, non ho più l’età per certe cose…”
“Ma
se non hai ancora quarant’anni…” lo rimproverò lei con un sorriso, lasciando
cadere le chiavi sul tavolino dell’ingresso. Si voltò a guardarlo e appoggiò la
schiena alla parete, le mani nascoste all’altezza del fondoschiena. “E adesso
che si fa?” gli domandò a bassa voce, mordicchiandosi un labbro nervosamente.
“Beh,
vediamo… siamo stati presentati alla comunità come signor e signora Mercer,
anche se ancora dobbiamo informare tutta la città… ti ho portata in braccio in
casa…” rispose Bobby, fingendosi assorto nella formulazione dell’elenco,
avvicinandosi di un passo alla volta, “direi che adesso dobbiamo soltanto
consumare” concluse, appoggiandole una mano sul fianco e abbassandosi per
baciarla.
“Pensavo
l’avessimo fatto già un paio di mesi fa” rispose lei, ridendo.
“Questo
è vero. Però adesso sarà ufficiale, agnellino mio” ribatté Bobby, passandole
l’altra mano dietro la nuca per attirarla meglio a sé. “Sarà tutta un’altra
storia.”
Adia
si lasciò baciare, e mentre le mani di Bobby si spostavano sulla sua schiena,
lei fece uscire allo scoperto le sue, per portarle sulle sue spalle. La casa
era completamente buia e assorta nel silenzio più totale: Sofi e Angel
sarebbero rimasti in hotel e poi sarebbero partiti per il viaggio di nozze.
Adia e Bobby avrebbero consumato la loro notte di nozze nella loro casa, soli e lontani da ogni forma
di distrazione.
All’improvviso,
Bobby si staccò da lei. “Perché non vai ad aspettarmi di sopra? Io arrivo
subito” le propose, afferrando il telefono dal tavolino.
“Chi
stai chiamando?”
“Il
vecchio Artie. Chi si sposa ha diritto ad una settimana di ferie.”
“E
tu ti aspetti che ti creda?” sorrise Adia.
“Vai,
ti raggiungo” ribatté lui, sorridendo con la medesima intensità.
Adia
salì al piano superiore, approfittando dell’attesa per darsi una rinfrescata e
controllare di non avere un aspetto troppo orribile. Notò, con una certa
felicità, che l’acconciatura aveva retto alla giornata fitta di impegni. Si
soffermò a guardare nello specchio il riflesso della propria mano, sulla quale
luccicava una semplice fede d’oro, identica a quella portata da Bobby. Un paio
di minuti più tardi, alle sue spalle apparve Bobby, elegante e spavaldo come al
solito, con una luce del tutto nuova negli occhi. Senza parlare, le fece scorrere
le mani sui fianchi, arrivando a congiungerle sul ventre di lei. “Come l’ha
presa il vecchio Artie?”
“Mi
ha creduto.”
“Davvero?”
“Ha
detto che non l’avrei mai chiamato a quest’ora della notte per rifilargli una
balla.”
Adia
sorrise. “Quindi…”
“…ho
una settimana libera. Sono tutto per te, agnellino.” Adia sorrise, voltando la
testa per permettergli di baciarla. Lo sentì aumentare la pressione della
stretta sul suo ventre, e si voltò per riuscire ad abbracciarlo. “Non so se te
l’ho già detto, ma sei bellissima.”
“Anche
tu stai bene, così” gli sussurrò lei di rimando.
Bobby
scosse appena la testa, sorridendo. “Io sono solo un poveraccio ripulito e
vestito con un abito elegante. Tu sei bellissima e basta.” Fece scendere le
proprie mani sul suo fondoschiena, accarezzando quelle curve che ormai
conosceva da tempo, e che per tutto il tempo sarebbero state sue. “Sei
bellissima” le disse ancora, senza oltrepassare il sussurro. “Ho quasi paura di
toccarti.”
“Puoi
fare di me quello che vuoi, Bobby. Lo sai…”
Prendendo
quella frase come il permesso di continuare, Bobby si sfilò rapidamente la
giacca e il farfallino che era stato costretto ad indossare, poi riportò le
mani sulla moglie, stringendola con più forza di quanto avesse fatto fino a
quel momento. Adia mosse le mani nell’esiguo spazio tra i loro corpi,
adoperandosi per slacciargli i bottoni della camicia bianca, mentre sentiva le
mani di Bobby percorrere il corpetto del suo vestito. “Mi spieghi come si apre
questa trappola?” le domandò, staccandole le labbra dal collo per un istante.
“C’è
una zip sul lato sinistro” rispose lei, slacciando finalmente l’ultimo bottone.
“Ehi, questo è nuovo” commentò, sfiorando con la mano un tatuaggio all’altezza
del cuore. “E’… sono…”
“Il
nome di mia madre” completò lui, spostando la propria mano su quella di lei. “E
quello di mio fratello. E il tuo.”
“Mancano
Angel e Jerry” gli fece notare.
“Oh,
loro sono qui” ribatté lui, indicando un altro tatuaggio. “Ma questo è un posto
speciale. Mia madre, Jackie, tu… avete il mio cuore.”
Adia
osservò il tatuaggio, poi alzò gli occhi nei suoi, guardandolo con amore. “Farò
di tutto per meritarmelo, Bobby” bisbigliò, suggellando la promessa con un
bacio.
“Lo
so” rispose lui, abbassando lentamente la zip. Lentamente, fece scivolare a
terra il lungo abito blu, accompagnandolo con le mani e con lo sguardo. “Dio,
adesso che siamo sposati mi sembri ancora più bella…” commentò, sfilandosi la
camicia. “Sono lo stronzo più fortunato di Detroit, questo è sicuro” aggiunse,
alzandola per la seconda volta tra le braccia e portandola sul letto, per
abbandonarsi poi su di lei.
Adia
lo strinse, desiderosa di sentirlo su di sé, di avvertire il suo peso, le sue
carezze, le sue mani… aveva bisogno di sentirselo addosso, aveva bisogno di
sapere che non era solo un sogno. Gli slacciò la cintura con una foga che non
le apparteneva, quasi con urgenza. Si sollevò per permettergli di sfilarle il
reggiseno, e con un gesto gentile lo convinse a spogliarsi dei pantaloni. Lo
riaccolse su di sé con un bacio, riconoscendo senza sforzo tutte le linee del
corpo premuto contro il suo. Fece scivolare le proprie mani sul suo torace,
avvertendolo abbassarsi e alzarsi ad ogni respiro. Inarcò la schiena e stese le
gambe, lasciando che con un gesto le sfilasse la biancheria. Sentì le sue mani
risalire lungo le sue gambe, accarezzare la cicatrice rimasta dopo l’intervento
e proseguire, arrivare fino ai fianchi e raggiungere il seno, dove si
fermarono. Un bacio nell’incavo del collo, un altro sulle labbra, e il
desiderio di sentirlo ancora più vicino. Quasi avesse letto nella mente di Adia
quel desiderio, Bobby si sistemò meglio e le rese sua, ancora una volta,
finalmente per sempre.
Trascorsero
l’intera settimana trascinandosi dal letto alla cucina, senza mai spingersi più
in là del salotto. Volevano sfruttare al massimo quei giorni di pace, prima che
Angel e Sofi tornassero a riempire la casa con la loro allegria. La mattina del
quinto giorno, mentre Bobby preparava il caffè, Adia comparve sulla soglia
della cucina indossando una delle magliette di Bobby sopra la biancheria. “Ehi,
agnellino. Hai una faccia… ti senti bene?”
“Bobby,
credo sia il caso di parlare di una cosa.”
“Ok,
ma siediti. Sei pallidissima…” Si inginocchiò accanto a lei, così da trovarsi
più o meno alla sua altezza. “Di che vuoi parlare?”
Adia
si schiarì la voce, evidentemente nervosa. “Credo…” iniziò, cercando di
mantenere ferma la voce, “credo che presto dovremo cambiare l’arredamento di
una delle stanze degli ospiti.”
“Cambiare
l’arredamento? Non… non capisco perché…” Lasciò cadere la frase a metà e le
guardò le braccia, incrociate davanti al ventre come a volerlo proteggere da un
pericolo. “Non stai cercando di dirmi che sei incinta, vero?”
“Beh,
io… io credo di sì. Questo mese ho saltato il ciclo, e stamattina ho vomitato.
Sei… ti dispiace che…”
“Aspetta,
aspetta solo un secondo” la interruppe, alzandosi e sparendo in salotto. Tornò
reggendo il telefono. “Angel? Vida loca,
passami Angel, sono Bobby. E’ importante, davvero!” Qualche secondo di attesa.
“Angel? Angel, sei seduto? Mi sono sposato, Angel. No, no, non ti prendo per il
culo. Chiama Jerry se non mi credi. Oh, e sto per avere un figlio” aggiunse,
dopo una breve pausa. “No, Angel, non ti prendo per il culo. È solo che dovevo
dirlo a qualcuno. Ehi, buona luna di miele!” Chiuse la telefonata e guardò
Adia. “Cristo santo… padre? Dio, mi tremano le gambe…” Adia si alzò di scatto e
lo abbracciò. “Dio, avremo un figlio!” esclamò, ricambiando l’abbraccio.
“Bobby,
non sono sicura che…” intervenne lei, sorridendo.
“No,
no, non può essere un falso allarme” la interruppe. “Un figlio, accidenti. Devo
dirlo a Jerry!” esclamò, dopo averla baciata, iniziando a comporre il numero
del fratello. “Su, vai a fare la doccia. Io preparo la colazione” aggiunse,
spingendola dolcemente verso le scale.
Adia
iniziò a salire verso il piano superiore, fermandosi quando sentì la voce di
Bobby salutare il fratello. Sorrise, rendendosi conto che, otto anni prima,
forse non l’avrebbe presa così bene.
Per
la seconda volta in poco meno di un anno, Bobby si ritrovò inginocchiato sulla
tomba del padre di Adia, pregando per la sorte della donna che da circa nove
mesi poteva definire sua moglie. Il reverendo
Chambers lo fissava con il solito sorriso immobile, tentando vanamente di
rassicurarlo. Bobby non riusciva a calmarsi: non era soltanto di Adia che si
parlava, questa volta, ma anche di suo
figlio. Suo figlio, una delle
poche cose buone che fosse riuscito a realizzare nel corso della propria vita.
Suo figlio o sua figlia, ancora non poteva saperlo con certezza. La sola cosa
certa era che suo figlio – o sua figlia – avrebbe dovuto nascere due settimane
prima, e invece se la stava prendendo comoda.
Da
una settimana, Adia era stata ricoverata in ospedale, per tenere la situazione
sotto controllo e assicurarsi che tutto procedesse secondo i piani. Da una
settimana, Bobby faceva la spola tra il magazzino del vecchio Artie, che lo
aveva appena promosso responsabile, la propria casa e l’ospedale, nutrendosi
quando capitava e dormendo ancor più di rado. “Io… io glielo chiedo per favore.
Insomma, Adia è sua figlia. Parliamo di suo
nipote” disse, trovandosi per la seconda volta a parlare con una tomba.
“Gliel’avevo promesso, che l’avrei amata. La amo, l’ho sposata. Avrei voluto
fare tutto in modo diverso, ma… è stato il destino. Lei dovrebbe saperne
qualcosa. È stato il destino a mettere Victor Sweet sulla sua strada, no?” Un
rumore di neve calpestata alle sue spalle gli fece voltare la testa. Distolse
lo sguardo nell’incrociare la figura dell’agente Carmichael, il poliziotto che
l’aveva arrestato per il maggior numero di volte. “Salve, agente. Prima di
tirare fuori i braccialetti, lasci che le dica che sto pregando.”
“Pregando?”
ripeté l’agente, incredulo. “Lasciamo stare. Ti cerco da almeno un’ora, sai?”
“Qual
è il capo d’accusa? Molestie nei confronti di un cadavere?”
“Non
voglio arrestarti, Mercer. Ha chiamato il vecchio Artie. Ti cercano
dall’ospedale. Hanno provato a cercarti a casa, ma non rispondeva nessuno, e il
cellulare risulta staccato.”
Bobby
guardò immediatamente il cellulare. “Merda, si è scaricata la batteria. Che è
successo?” domandò, alzandosi in piedi.
“Sembra
che tua moglie sia entrata in travaglio, ma si rifiuta di avere il bambino,
finché non sarai da lei.”
“Wow”
sospirò Bobby.
“Non
mi sembri entusiasta.”
“Oh,
lo sono. È solo che… sono anche terrorizzato. Molto terrorizzato.”
L’agente
Carmichael scoppiò a ridere. “Ti capisco, Mercer. Ho tre figlie. Il tuo cos’è,
maschio o femmina?”
“Non
lo so. Non l’abbiamo voluto sapere.”
“Non
sei curioso di scoprirlo?”
Bobby
guardò un’ultima volta la tomba del suocero, poi si lasciò andare ad un
sorriso.
Per
la prima volta in vita sua, Bobby salì su un’auto della polizia senza le
manette ai polsi. Approfittando della divisa e dell’auto d’ordinanza, il
poliziotto accompagnò Bobby davanti all’ingresso dell’ospedale in un lampo.
Bobby corse immediatamente nell’atrio, dirigendosi verso l’accettazione per
sapere dove trovare Adia, ma fu intercettato da Carla, l’infermiera che un anno
prima aveva assistito Adia nel corso dell’intervento alla gamba, e che si stava
occupando di lei anche in quel frangente. “Bobby, finalmente!” esclamò,
afferrandolo per un braccio. “Forza, non c’è tempo da perdere! È già al massimo
della dilatazione, non c’è più tempo, ma continua a dire di volerti aspettare.
Forza, andiamo!”
“Cosa…
cosa significa che è al massimo della dilatazione?” domandò l’uomo, mentre la
donna lo trascinava lungo un dedalo di corridoi, fino al reparto maternità.
“Significa
che tuo figlio, o tua figlia, o che diavolo è, muore dalla voglia di farsi
vedere dal mondo” ribatté l’infermiera, continuando a guidarlo verso la meta.
“Ok, ci siamo” annunciò, fermandosi davanti all’ingresso della sala parto.
“Togliti la giacca, su!” gli intimò, strattonando il giubbotto pesante.
“Mettiti il camice, forza!” gli ordinò ancora, aiutandolo ad infilarsi un buffo
camice azzurro. “Ok, ti risparmio la cuffia, ma andiamo, forza! Sarà già
abbastanza difficile senza che perdiamo tempo…” continuò, prendendolo per la
mano e trascinandolo nella sala. “Ci siamo, dottor Evans!” annunciò,
rivolgendosi al ginecologo. “Ho il padre!”
Bobby
non ebbe bisogno di essere guidato da Carla, per capire che il suo posto era
accanto a Adia, spettinata e scomposta come mai. “Ehi, tesoro, come ti senti?”
le domandò, avvicinandosi e baciandole la fronte. “Sei bellissima, lo sai?”
“Anche
tu stai bene” rispose lei con serenità, un istante prima che una contrazione le
facesse digrignare i denti. “Ho paura, Bobby…” sussurrò.
“Non
avere paura, agnellino” la rassicurò, prendendole la mano. “Ti ho cacciata io
in questo pasticcio, e io ti starò accanto mentre ne uscia… ahia!” esclamò, nel
sentirsi stringere la mano con una forza inaudita. “Cristo santo, che male!”
“Beh,
è pressappoco lo stesso dolore che prova lei” lo informò Carla, sorridendo.
Bobby
sospirò, e sistemandole meglio le braccia attorno alle spalle, le prese anche
l’altra mano. “Almeno distribuiscilo equamente, per favore” la pregò, riuscendo
a strapparle un minimo sorriso.
Ci
volle almeno un’ora, prima che Adia riuscisse ad avere il bambino: un’ora
intera prima che Bobby potesse guardare negli occhi suo figlio. “Mio Dio, è un
maschio” sussurrò, estasiato, mentre Carla, insieme ad un’altra infermiera,
lavava e vestiva il piccolo. “Dio, ho un figlio!” esclamò, baciando Adia. “Abbiamo un figlio…”
Carla
si avvicinò sorridendo, e delicatamente adagiò il piccolo tra le braccia della madre,
stremata per le lunghe ore di travaglio. “Come si chiamerà?”
“Samuel”
rispose Bobby, nello stesso istante in cui Adia diceva “Jack.”
“Oh”
fece Carla. “Immagino che dobbiate ancora finire di discuterne.”
“Credevo
volessi chiamarlo come tuo padre” disse Bobby, guardando Adia.
“Credevo
volessi chiamarlo come tuo fratello” rispose lei.
“Possiamo
chiamarlo con entrambi i nomi” propose lui.
Adia
scosse la testa, sorridendo. “Messi insieme non stanno affatto bene. D’altra
parte, non è facile mettere insieme i Mercer e i Chambers.”
“Preferisco
Samuel, allora.”
Adia
scosse ancora la testa. “No. Ha la faccia da Jack. Suo fratello potrebbe
chiamarsi Samuel.”
“Suo
fratello?”
“Sì,
beh, se in futuro dovessimo decidere di fargli un fratellino, intendo.”
Bobby
sorrise, annuendo. “Sono d’accordo.”
“Naturalmente,
pretendo che passi almeno un anno, prima di iniziare. Più o meno è il tempo che
mi ci vorrà per riprendermi da questo.” Guardò di nuovo suo figlio, che per
attirare la sua attenzione aveva agitato debolmente il pugnetto chiuso. “Jack
Mercer. È perfetto. Somiglia persino un po’ allo zio Jack.”
“Sì,
beh, considerando che è impossibile che gli somigli, direi che hai ragione”
sorrise Bobby, posandole un bacio tra i capelli. “Jack Mercer” sussurrò, lasciando che il neonato gli stringesse il
dito indice con la piccola mano. “Mi chiedo se Detroit sia pronta per questo.” In
risposta, quasi avesse voluto dire la sua, il piccolo Jack emise un debole
vagito. Bobby non ebbe vergogna di asciugarsi una lacrima. Mi chiedo se Detroit sia pronta per vedermi diventare padre.
La sveglia suonò alle sette del mattino, come sempre. Adia
la spense con un colpo secco e si rigirò tra le coperte, mugugnando per
rivendicare il proprio diritto a dormire un po’ di più. Almeno il giorno di
Natale, che cavolo! Bobby si svegliò a sua volta, e immediatamente allungò le
mani per tirarsela vicina e salutarla nel modo che più amava. Strofinandosi lentamente
contro di lei, le baciò il collo, incontrando il suo disappunto. “Bobby, sono
le sette del mattino” bisbigliò la donna. “Io non sono ancora sveglia, e tu hai voglia di fare sesso? Com’è
possibile?” gli domandò, girandosi sulla schiena per riuscire a guardarlo negli
occhi.
“Ho
sposato una donna bellissima che non ha perso il proprio fascino. Ehi, è il
giorno di Natale. Un po’ di sano sesso mattutino me lo potresti anche concedere”
aggiunse, spostandosi per riuscire a sovrastarla.
“Sai
che lo farei molto volentieri, se solo non ci fossero tre teppisti in miniatura
pronti a saltare sul letto appena svegli. Conoscendoli, credo che tra meno di
cinque minuti saranno qui.”
“Lo
sapevo, dovevamo abbandonarli davanti alla porta della chiesa appena nati”
commentò lui con un sorriso, tornando a distendersi.
Adia
rise, poi lo colpì amichevolmente sul braccio. “Ehi, sono i nostri figli! A proposito
di Natale, posso darti subito il mio regalo?”
“Spero
che consista in una lunga giornata da passare da soli, io e te.”
“Beh,
io…” iniziò lei, un attimo prima che la porta si spalancasse, lasciando che tre
bambini scalmanati invadessero la stanza. Jack, di nove anni, Samuel, di sette,
e Chris, di sei, saltarono immediatamente sul letto dei genitori, brandendo
ciascuno una maglietta. “Mamma, papà, abbiamo trovato questi sopra il letto,
quando ci siamo svegliati, e li abbiamo aperti subito, perché…” iniziò Samuel,
il più logorroico dei tre.
“Erano
sul letto, e c’era scritto di aprirli subito, e…” continuò Chris.
“Ma
come faceva Babbo Natale a sapere la misura delle magliette?” domandò Jack.
Bobby
alzò le mani in segno di resa. “Ehi, ragazzi, ragazzi! Uno alla volta. Fa’
vedere, Jackie.”
Il figlio maggiore gli porse
la maglietta. Bobby la spiegò davanti ai propri occhi, e dopo averla osservata
per bene scoppiò a ridere. “Direi che mamma Natale ha avuto una bellissima
idea…” osservò, restituendo la maglia al figlioletto.
Adia sorrise, porgendogli un
pacchetto. “Oh, hai ragione. E credo proprio che ce ne sia una anche per te,
papà Mercer…” I tre bambini si infilarono le magliette, osservando poi la
scritta ‘I’m A Mercer’ sul davanti, e la scritta ‘Beware’ stampata sulla
schiena. “Le ho fatte stampare anche per i tuoi fratelli e per le tue nipotine”
gli sussurrò, accarezzandogli una gamba al di sotto delle coperte.
“Però Babbo Natale non mi ha
portato tutto quello che volevo” protestò Chris, che aveva appena compiuto
quattro anni.
“Sentiamo, campione” commentò
Bobby, prendendo il bambino e mettendoselo in braccio, “che altro avresti
voluto per Natale?”
“Io avevo chiesto un
fratello, così non sono più il più piccolo. Ma mi va bene anche una sorella, se
non diventa antipatica come le figlie di zio Jerry.”
“Oh, tesoro…” disse Adia,
accarezzandogli la testa. “Beh, io e il papà ne stavamo giusto parlando, sai?”
aggiunse, alzando gli occhi sul marito.
“Davvero?” commentò il
piccolo Chris, al settimo cielo.
“Sì, davvero. Ma se davvero
ci tieni ad avere un fratello, adesso devi andare di sotto con i tuoi fratelli,
aprire i regali e aspettare che il papà e la mamma finiscano di parlarne, ok?”
Felici per quell’eventualità,
i tre ragazzini si precipitarono fuori della stanza a velocità supersonica,
rincorrendosi giù per le scale, fino in salotto. Rimasti soli, Bobby e Adia si
guardarono in silenzio per un minuto. “Di tutti i modi che ti sei inventata per
dirmi che sei incinta, questo è il migliore, lo sai?” commentò l’uomo, a bassa
voce.
Adia fece spallucce. “Volevo
dirtelo nella maniera tradizionale, ma quei teppisti dei tuoi figli mi hanno
costretta a cambiare i miei piani…” sorrise.
“Beh, tanto per cominciare,
quei teppisti sono i nostri figli”
ribatté Bobby con un sorriso, “e a quanto pare ci hanno appena lasciato soli…”
aggiunse, avvicinandosi con aria sorniona alla moglie. “E non cercare di
scappare, perché ho intenzione di finire quello che ho iniziato prima” la
avvertì, infilando una mano al di sotto della maglietta che Adia usava come
pigiama.
“Ehi, non mi hai detto che
pensi di…”
“…del fatto che sei di nuovo
incinta? Beh, mi pare di essere ancora qui, no?” completò, prima di baciarla.
“Parlo sul serio, Bobby”
ribatté lei, facendosi seria. “Insomma, un altro
figlio…”
“Ne sono felice, agnellino. Ti
amo, amo la nostra famiglia. Amo Jack,
Sam, Chris, e amerò anche Will” rispose, stendendosi accanto a lei, puntellato
su un gomito.
Adia sorrise, scuotendo la
testa. “Evelyn, vuoi dire.”
“Come? Sai già che è femmina?”
si stupì Bobby.
“No, è presto. Ma non so
spiegarmelo. Me lo sento, ecco tutto. Evelyn. Sarà Evelyn.”
L’Angolo
di Effie:
Finalmente,
eccoci giunti alla fine di questa storia. Non è stato semplice arrivare alla
fine, ma con un po’ di impegno mi sono “costretta” ad arrivare ad una qualche
conclusione (forse scontata, forse troppo da “vissero per sempre felici e
contenti”, ma indubbiamente la più giusta per Bobby e Adia). E’ incredibile
rendersi conto di essere arrivati in fondo: non ho nemmeno parole per
commentare.
Resta
soltanto da ringraziare chi ha seguito questa storia: Kashmir, Dada88,
Hikari88, sophia90 e s a r s a. Grazie a tutte voi, e a
presto,