Una mano dal passato

di Akiko chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il potere dei ricordi (parte prima) ***
Capitolo 2: *** Il potere dei ricordi (parte seconda) ***
Capitolo 3: *** I luoghi dell'infanzia ***
Capitolo 4: *** Vecchi amici ***
Capitolo 5: *** Tutto come allora? ***
Capitolo 6: *** Partenza per il ritiro ***
Capitolo 7: *** Desideri di bambini ***
Capitolo 8: *** Un insospettabile amico ***
Capitolo 9: *** Litigi ***
Capitolo 10: *** I've had the time of my life ***
Capitolo 11: *** Il ricevimento ***
Capitolo 12: *** Il passato ritorna ***
Capitolo 13: *** Baci sbagliati ***
Capitolo 14: *** Gli errori si pagano ***
Capitolo 15: *** Una promessa mantenuta ***
Capitolo 16: *** Una triste storia ***
Capitolo 17: *** Premonizioni ***
Capitolo 18: *** Solo un amico ***
Capitolo 19: *** Il tuo angelo ti ha seguita ***
Capitolo 20: *** Il capitano tedesco ***
Capitolo 21: *** La resa dei conti ***
Capitolo 22: *** La partenza di Antlia ***
Capitolo 23: *** La lettera ***
Capitolo 24: *** Vite parallele ***
Capitolo 25: *** Il cerchio si chiude ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26. Rivelazioni ***
Capitolo 27: *** Ritrovarsi ***



Capitolo 1
*** Il potere dei ricordi (parte prima) ***


CAPITOLO 1.IL POTERE DEI RICORDI (PARTE PRIMA)
Con mano malferma scostò gli scuri tendaggi di pesante velluto e spalancò le imposte nella speranza che la fresca brezza della notte di San Francisco le donasse un qualche sollievo. Ma nulla. Tremò da capo a piedi nel vano sforzo di concentrarsi sul suo respiro mentre i rumori della metropoli americana le giungevano da poco lontano. Un respiro, due respiri, ce la poteva fare, poteva calmare quel galoppo tumultuoso che le squarciava il petto.
-Respira…uno….due…-
Il corpo magro, emaciato, coperto da un sottile strato di sudore che l’aria si affannava velocemente ad asciugare, era ora scosso da brividi di freddo misti a paura. I capelli dorati scendevano in disordinati boccoli sulle spalle esili, le labbra aride, serrate in una smorfia di dolore e gli occhi di un verde smerigliato d’oro, erano contornati da nere occhiaie che spiccavano sul volto esangue. Eppure lo sguardo spento, colmo di disperazione, pur straziando il cuore di chi lo scrutava, non cancellava del tutto la giovane bellezza della ragazza.
Un’altra notte insonne.
Da quanto tempo non dormiva? Il corpo spossato e la mente annebbiata erano allo stremo. Ma proprio non vi riusciva. Non poteva chiudere gli occhi neanche un istante, altrimenti immagini spaventose, dal chiaro sentore di morte, dilaniavano il suo animo ormai agonizzante.
Ricordi.
Verde, rossa, blu e poi di nuovo verde: le luci dei riflettori. Accecanti bagliori si sovrappongono,si mescolano in un caleidoscopio di colori. E poi i flash, continui lampi di luce che catturano e imprigionano persone, fatti, in istantanee eterne. E tra le luci emergono occhi, tanti. Occhi curiosi, invadenti,lussuriosi, avidi, rapaci, crudeli. Occhi inevitabilmente attratti dai corpi magri e perfetti delle modelle che, una dopo l’altra, sfilano ancheggiando con grazia sulla passerella. Quella grazia imposta da ore e ore di esercizi, ma dovuta anche ad un talento naturale che fa la differenza tra un’anonima modella e una top.
Un talento che le acerbe bellezze di Antlia* e Carina* hanno in abbondanza.
Antlia e Carina due costellazioni, due astri nascenti nel firmamento della moda.
Un piede davanti all’altro, capo alto, sorriso appena accennato, sguardo fiero e altero sempre fisso a scrutare un irraggiungibile orizzonte
Mani.
Mani che toccano senza dolcezza né umanità, mani che cambiano, svestono, rivestono, tirano, frugano… mani dappertutto senza pudore né rispetto... come se quei corpi fossero solo vuoti fantocci da agghindare… E via un altro giro in passerella… un altro ancora…una girandola senza fine.
Non sorprende che una vita del genere, frenetica e arida, abbia bisogno di qualche “sostegno”. Le rigide diete debilitano il corpo a cui, però, è chiesto sempre di più. Una pasticca ogni tanto tiene i nervi a posto e dà la carica per sostenere un’altra sfilata.
-Dai Antlia non fare tutte queste storie, butta giù-
-No, voglio farcela da sola, Carina-
-Uffa! Fai come credi, io senza non ce la faccio-
-Vedi? Stai diventando dipendente-
-Ma che dici!- la risata limpida e spontanea di Carina riscaldava il cuore e rassicurava.
E invece…
-Carina, mio Dio che hai fatto…-
-Ma niente, sta tranquilla é tutto sotto controllo-
E invece…
-Che schifo sto mondo. Droga e sesso… e questa non aveva neanche vent’anni… che vita bruciata-
-E l’altra?Non ne ha neanche diciotto… é una bambina-
-Bambina? Non farmi ridere. Questa é marcia come tutte le altre…-
-No no no…
-Signora sua figlia é fortunata. Nessuna traccia di droga é emersa dagli esami ematici, perciò non possiamo trattenerla. Probabilmente é un po’ di tempo che non ne assume, ma non si illuda…-
-Io non ho mai preso quella roba-
-Si Clarice lo so –
E invece no, non lo sa.
-Mamma non mi crede- una certezza dolorosa ma ineluttabile.
Nessuno le credeva. E Carina se n’era andata nell’indifferenza di quel mondo frivolo.
Basta.
Non reggeva più.
Era ora di finirla.
Un’unica semplice soluzione. Un brivido le corse lungo l’intera spina dorsale al solo pensiero. Con passo incerto si accostò alla grande scrivania di legno pregiato, fece scorrere le mani febbricitanti sulla liscia superficie levigata, cercando alla cieca un oggetto che non tardò a trovare. Afferrò il raffinato taglierino dal manico in madreperla che usava per aprire la corrispondenza, rigirò assente il coltello tra le mani osservando, come in trance la fredda lama che rispecchiava la gelida luce lunare lasciata filtrare dai tendaggi scostati. Clarice sollevò la leggera manica del pigiama di fine lino denudando il braccio ed offrendo alla vista la pelle candida solcata da delicate venature bluastre, la sua meta ultima. Un taglio profondo e la vita sarebbe defluita ineluttabilmente dal suo corpo che, ormai, non aveva più né la forza né la voglia di vivere.
Accostò la lama affilata al polso sottile e palpitante.
Il freddo dell’acciaio a contatto con la pelle febbricitante le provocò una vertigine, istintivamente strinse forte gli occhi e tutto cominciò a girarle attorno, un vortice violento che le fece perdere il senso dell’equilibrio costringendola ad aggrapparsi ad una mensola appesa alla parete. Il fragile ripiano scricchiolò sotto quel peso improvviso ma Clarice non mollò la presa finché non cedette del tutto staccandosi dalla parete e rovinando a terra in un turbinio di libri e carte.
-Maledizione!- imprecò graffiando con rabbia il freddo marmo del pavimento -Dov’è finito?- mormorò cercando con gli occhi il coltellino che le era scivolato dalle mani nella caduta. Era più che determinata ad arrivare sino in fondo, e quel piccolo incidente non l’avrebbe certo persuasa dalla decisione presa. Si trascinò carponi sino ai piedi del letto dove era finito il tagliacarte pronta a compiere ciò che ormai riteneva essere l’unica soluzione possibile. Ma qualcos’altro attirò improvvisamente la sua attenzione. Accanto alla lama spiccava un rettangolo sgualcito. Raccolse quel pezzetto di carta lucida mentre un flebile barlume si faceva strada nella sua mente stravolta. Una foto, ingiallita, con un angolino rovinato, era scivolata chissà da quale libro. Osservò trattenendo il fiato per l’emozione l’immagine ritratta, intuendo appieno il significato di quell’oggetto materializzatosi dal nulla. Due bambini di circa sette anni le sorridevano da un passato lontano e quasi totalmente dimenticato. Il bimbo dal duro cipiglio nonostante la tenera età, dai capelli e occhi nerissimi, aveva un’espressione corrucciata dovuta sicuramente all’imbarazzo e al fastidio provocato dalla bimba dai biondissimi boccoli abbarbicata al suo collo con le braccine sottili strette attorno a lui come un naufrago attaccato ad una boa. Ma la piccina non aveva paura di annegare anzi … rideva felice.
Un flash …un rumore… un nome … la diga infranta, l’ondata di ricordi …
-Genshj*…-
-Ciao Tsunami* ma che hai fatto?- il bimbo osservava allibito i segni rossastri che spiccavano nitidi sul collo e le braccia dell’amica.
-A botte con Anego-
-Ancora?-
-Si e ancora e ancora… - una scintilla di sfida vibrò nelle iridi smeraldo della bambina -Finché non ammetterà che tu sei il più bravo-
Suo malgrado il bimbo non riuscì  reprimere un ghigno di soddisfazione –Ma a me non interessa quello che pensa quella lì, io so di essere il migliore-
-Ma lei dice che il piccoletto ti batterà…-
-Ahaha non farmi ridere…-
-…-
 
-Parto Genshj-
-E dove vai?-
-In America-
-Ed è lontana?-
-Sì-
-E tornerai presto?-
-Non tornerò più-
-Perché Tsunami?-
-Non lo so, l’hanno deciso mamma e papà-
-Io ti aspetterò-
-Ma io non tornerò-
-Tornerai Tsunami-
-…-
-Tornerai..- bisbigliò Clarice sfinita – tornerai…- il fioco suono della sua voce la fece sussultare e lacrime amare iniziarono a scendere lungo le gote esangui, lente scie di angoscia repressa, inesorabili testimoni di un dolore solitario, magico balsamo in grado di dissolvere pian piano il velo di torpore che l’avvolgeva.
Quando la vita tocca il fondo, quando anche l’ultima parvenza di speranza si allontana, una mano, giunta da chissà dove, ci invita a rialzarci…
-Tornerai Tsunami-
Clarice, stremata nel corpo ma soprattutto nella mente, fece uno sforzo sovrumano per non perdere coscienza davanti alla piccola mano di un bimbo di dieci anni, tesa verso di lei. Due occhi neri e infantili la supplicavano di afferrarla e di risalire da quell’abisso che vorace la stava inghiottendo.
-Prendere o lasciare Tsunami…che farai?- mormorò alla luna e alle stelle mute testimoni di quel dolore straziante. Clarice sprofondò in quello stato tra coscienza e oblio, dove il confine tra fantasia e realtà cessa di esistere, iniziando un dialogo immaginario con il suo ricordo…
-Tornerai…-
-Tornerò? Ma io non sono più quella bimba innocente Genshj…se sapessi cosa sono diventata…-
-Tornerai..-
-Genshj ciò che io tocco marcisce. Ho seminato solo morte e vergogna intorno a me…non voglio infettare anche te… -
-Tornerai-
-No.. .non insistere … e poi tu non sarai neanche lì … ho letto che sei in Europa…Francia... no forse Germania…non me lo ricordo neppure. Ma so che ora sei veramente un fenomeno per tutti…non solo per me..-
-Non temere io ci sarò sempre per te-
-GENSHJ!-
Non fu più un impercettibile sussurro avvolto dal manto silenzioso della notte, ma un urlo struggente che, come una sciabolata, squarciò finalmente del tutto quella coltre opprimente che le avvelenava l’anima. Mossa da un’energia faticosamente, ma saldamente ritrovata, Clarice uscì di corsa dalla stanza, precipitandosi in fondo al corridoio.
In pochi attimi raggiunse la camera della madre spalancandone la porta con foga –Mamma!- chiamò la ragazza mentre la genitrice balzava a sedere sul letto togliendosi con un sussulto la mascherina antietà dagli occhi.
La ragazza fissò il volto confuso della madre, tolta quel brusco modo al pacifico sonno in cui era immersa, ignara che a poca distanza, la sua unica figlia aveva sostenuto e vinto per un soffio una dura battaglia con la morte.
-Clarice…cosa…-
-Voglio tornare a casa mamma!-
-Ma sei a casa Clarice… cara- replicò la donna con tono cauto, temendo che la figlia fosse impazzita del tutto.
-No mamma a casa … in Giappone!-
 
NOTE:
ANTLIA e CARINA: sono due costellazioni dell’emisfero Australe
GENSHJ: ( trad.) fenomeno
TSUNAMI: (trad.) maremoto, onda anomala 

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Capitolo 2
*** Il potere dei ricordi (parte seconda) ***


CAPITOLO 2. IL POTERE DEI RICORDI (PARTE SECONDA)

Qualcosa interruppe bruscamente il profondo sonno di Benji. Un urlo straziante, proveniente da chissà dove, lo fece saltare a sedere sul grande letto della sua stanza. Benji sbatté gli occhi più volte, cercando di allontanare quel senso di confusione e angoscia che l’aveva colto. Lentamente fece vagare lo sguardo attraverso la stanza, rincuorandosi man mano che identificava tutti gli oggetti familiari.
-Si ci mancava solo questo…- borbottò indispettito il ragazzo sgusciando fuori dalle leggere coperte e avviandosi alla finestra. Con un movimento deciso spalancò le pesanti imposte, appoggiandosi al balcone per respirare a pieni polmoni l’aria tiepida della notte di Fujiawa.

-Ma che diavolo mi prende ora…-

Il ragazzo percepì nettamente l’oppressione al petto che pian piano diminuiva, mentre nella sua testa continuava a rimbombare, come un eco lontano, un indecifrabile richiamo.

Con un piccolo salto si issò sul balcone, appoggiando le ampie spalle muscolose alla fredda cornice di marmo della finestra. Piegò una delle lunghe gambe al petto abbracciandola, mentre l’altra, a penzoloni fuori dalla finestra, dondolava nervosa. Lo sguardo preoccupato donava a quel bellissimo viso una luce particolarmente tenebrosa. Trasse ancora due profondi respiri, facendo sollevare e riabbassare ritmicamente il petto scolpito.

Aggrottò la fronte, in parte coperta dai capelli arruffati, sforzandosi di ricordare il sogno che l’aveva svegliato. Ma per quanto si concentrasse non gli sovveniva assolutamente nulla. Per quello che ne sapeva lui, non stava assolutamente sognando.

Sorrise sprezzante alla luna che lo osservava silenziosa. Benjiamin Price rappresentava tutto ciò che un ragazzo di vent’anni avrebbe desiderato essere. Bello, ricco, famoso, sempre circondato da stuoli di ammiratrici disposte a tutto, grande promessa del calcio giapponese ed internazionale, uno dei pochi calciatori nipponici famosi all’estero.

Da due anni era il portiere titolare dell’Amburgo, uno dei più rinomati club calcistici a livello mondiale. Il suo contratto sarebbe scaduto a giorni e, ovviamente, l’Amburgo, restio a farsi scappare il suo rampollo, lo lusingava con proposte da capogiro. Lui, però, stava temporeggiando, e aveva chiesto di rimandare la decisione alla fine dei mondiali Juniores, che si sarebbero tenuti da lì a un mese. Proprio per gli impegni con la nazionale, era da poche settimane rientrato in Giappone.

Ma dietro quella facciata di notorietà e perfezione, si nascondeva un ragazzo con una vita per niente invidiabile. Benji, già da tempo, aveva preso coscienza dello stato di insicurezza e disagio che sempre più difficilmente riusciva a controllare. Era giunto a livelli di guardia preoccupanti, e il giovane campione temeva sempre più che quel problema interferisse con le sue prestazioni sportive.
Nessuno poteva immaginare che l’arrogante e freddo Benjiamin Price fosse in realtà così insicuro. Riusciva a mascherare le sue debolezze con tutti, ma non poteva più fingere con se stesso. Per questo motivo, dopo un’estenuante lotta interiore, aveva deciso di prendere un appuntamento con uno dei migliori psicanalisti tedeschi.
Aveva sborsato fior di quattrini per sentirsi dire che il suo problema aveva radici lontane, nella sua infanzia, nel rapporto coi genitori. Il loro comportamento, a dir poco disinteressato, nei confronti del figlio, avevano indotto in Benji una naturale diffidenza verso il prossimo.
Il problema principale era proprio la sua incapacità di instaurare rapporti duraturi e soddisfacenti. Si apriva a fatica, era introverso e taciturno, e anche con i suoi amici di infanzia arrivava sino ad un certo punto, per poi ritrarsi infastidito. Pochi erano riusciti a conquistarsi la sua fiducia e il suo rispetto, nessuno era riuscito ad avere le sue confidenze. Benjiamin Price era un compartimento a tenuta stagna: nulla di quello che vi era al suo interno poteva uscire all’aperto.
Col tempo questa situazione lo aveva logorato, andando ad inasprire lati del suo carattere già piuttosto critici. Con gli anni la sua arroganza e la sua strafottenza erano arrivati a livelli difficilmente sopportabili. Più di una volta i suoi compagni di squadra avevano ceduto alla tentazione di piazzargli un bel destro in faccia. Con Karl-Hainz Schneider, suo compagno nell’Amburgo, all’inizio i pugni erano stati il loro unico modo di comunicare. Ma col tempo quell’antipatia reciproca si era trasformata in indifferenza, per poi assumere sfumature di ammirazione e trasformarsi in qualcosa che poteva vagamente somigliare all’amicizia. Ma Benji non si illudeva, lui amici nel vero senso della parola, non ne aveva. E si sentiva terribilmente solo. E arrabbiato.

Una cieca collera lo invase anche in quel momento: piangersi addosso era una cosa che non sopportava e si odiava quando permetteva a quei momenti di debolezza di prendere il sopravvento.

Con furia balzò giù dal balcone atterrando a piedi uniti sul freddo pavimento di marmo chiaro della camera. A pochi passi, il biancore del pallone, l’oggetto che lui più amava e odiava, risaltava nella penombra della grande stanza. Ancora una volta Benji si sfogò nel suo modo usuale. Tirò un calcio di inaudita potenza, la palla colpì violentemente il pesante comodino accanto al letto, rovesciandolo a terra. La lampada di ceramica colorata cadde sul pavimento con un sonoro tonfo, rompendosi in tre pezzi, mentre tutto il contenuto dei cassetti, si sparpagliava sul tappeto color avorio.

-Ma bravo ora ti metti anche a sfasciare la casa!- esclamò Benji passandosi rabbiosamente una mano tra i folti capelli scuri. Continuando ad imprecare, rimise il comodino nella posizione originale. Guardò furioso tutti gli oggetti caduti attorno, qualche penna, un quaderno, un libro, chiavi, una foto…foto?

Raccolse quel quadratino colorato fissandolo incredulo. Non ricordava che quella foto fosse finita lì. Anzi, non ricordava neanche più di averla.

Un sorriso divertito piegò le belle labbra del portiere. L’immagine ritraeva un giovanissimo Benji con un’espressione alquanto imbarazzata, provocata dalla bambina che gli era letteralmente appesa al collo.

-Accidenti a te Tsunami! Lo sapevi che non lo sopportavo e lo facevi apposta per mettermi in difficoltà…-

Tsunami. Un ricordo lontano ma ancora doloroso.

-Vedrai Tsunami sarò il più grande portiere del mondo-
-Ma per me lo sei già Genshj-
-Si ma io voglio esserlo per tutti-
-Non ti basta esserlo per me?-
-No, tu non capisci niente di calcio-
-Ah e così? Io non capisco niente? E allora sai cosa ti dico? Che ha ragione Anego quando dice che sei il bambino più antipatico della città-
-Sai che me ne importa di cosa pensate tu e Anego-
-Sei cattivo Genshj. Anzi no vuoi far credere di essere cattivo. Ma son di far finta ti convincerai di esserlo davvero-
-Ma che dici, sei solo una bambina stupida-
-E tu sei…sei… un bunker!-
-Un cosa?!?-
-Un bunker... non sai cos’e?-
-Veramente no…-
-Sono dei rifugi in cemento armato, dove la gente si nasconde durante la guerra per sfuggire alle bombe dei nemici
-E che c’entro io?-
-Tu sei così. Neanche le bombe ti fanno male. Sei impenetrabile però…anche i bunker hanno una porta. Basta trovarla perché è nascosta bene…-
-E tu l’hai trovata la porta?-
-A volte me la fai trovare altre no-
-E quando la trovi che fai?-
-Ti voglio bene perché  mi mostri tante cose belle…-
-Cioè?-
-Non te lo dico… cosi impari a trattarmi male…-

-Chissà che ci vedevi di bello in me, Tsunami…-


Un sospiro uscì dalla bocca di Benji. Quella bimba era cresciuta assieme a lui. I parchi delle loro ville erano confinanti e avevano frequentato lo stesso nido sin dalla tenerissima età. Lei gli si era molto affezionata nonostante, neanche da piccolo, avesse avuto un carattere facile. Ma quella bimba era un vero e proprio “tsunami” e travolgeva come un turbine tutti quelli che la circondavano. All’inizio proprio non la sopportava, sempre sorridente e casinista, quel soprannome che le aveva dato, per farla arrabbiare, le stava proprio bene! Ma col tempo si era reso conto che la sua compagnia gli piaceva, e sempre più di frequente la invitava a giocare a pallone.

-Ma sei bravissimo. Non te ne scappa una-
-In effetti voglio diventare un grande portiere-
-Sei un fenomeno… Genshj. Si, sei Genshj-

E divenne la sua tifosa più accanita. E guai a chi metteva in discussione le doti di Genshj! Tsunami aveva fatto a botte con tutti i bambini della città, soprattutto con Anego, per la quale aveva un’aperta antipatia. Anego infatti non sopportava Benji e, di conseguenza, Tsunami non sopportava Anego. Ah! Quanti graffi e quante sbucciature aveva dovuto disinfettare mentre Tsunami scalciava infastidita.
Quando lei partì non si rese pienamente conto di quello che stava accadendo. Era convinto che sarebbe tornata. Come dalle vacanze. Si stava via un po’ di tempo e poi si tornava a casa.

Quando capì che non l’avrebbe più rivista, cancellò il suo ricordo per non soffrire…Tsunami l’aveva lasciato… come i suoi genitori…

-Parto Genshj-
-E dove vai?-
-In America-
-Ed é lontana?-
-Sì-
-E tornerai presto?-
-Non tornerò più-
-Tornerai-

No, non era più tornata. Erano passati dieci anni e lui non aveva più saputo niente di lei e della sua famiglia.

Un inevitabile senso di solitudine strinse il petto del ragazzo. Un bruciore agli occhi lo innervosì. Stava per piangere? No mai, lui non sapeva piangere. Distolse lo sguardo dalla foto, ma l’immagine della bimba gli si era ormai impressa nella mente. Gli occhi chiari pieni di allegria, i biondi capelli stretti in due simpatici codini e la manina bianca protesa verso di lui.

Quando la vita sembra vuota e insulsa, e vivere é più una sofferenza che una gioia, una mano, giunta da chissà dove, ci indica la via per ritrovare la felicità.

-Ti voglio bene perché  mi mostri tante cose belle…-

Benji iniziò a parlare con quell’apparizione -Perché non torni Tsunami?-

-Parto Genshj-

-Perché?-

-Non lo so l’hanno deciso mamma e papà-

-Ma ora perché non torni? Io ho bisogno di te. Torna-

-Io ci sarò sempre quando tu avrai bisogno di me-

-TSUNAMI-

Il suono della sua voce destò Benji dallo stato semionirico in cui era scivolato. Con stizza gettò la foto nel cassetto richiudendolo con un pugno -Bene ora ho le visioni e parlo da solo… Mi sa che dovrò intensificare le visite dall’analista appena torno in Germania- borbottò, gettandosi a peso morto sul soffice letto, addormentandosi, però, solo molto tempo dopo. 
 

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Capitolo 3
*** I luoghi dell'infanzia ***


CAPITOLO 3. I LUOGHI DELL’INFANZIA
 
La voce stentorea del comandante si diffuse nell’ampio e sonnacchioso abitacolo di prima classe. Un cadenzato susseguirsi di rumori metallici testimoniava che i passeggeri stavano diligentemente eseguendo le istruzioni del pilota, allacciando le cinture di sicurezza. L’aereo si inclinò dolcemente e iniziò a perdere quota preparandosi all’atterraggio, mentre i viaggiatori venivano informati sulla situazione climatica a terra, che in quel momento si aggirava attorno ai 24 gradi.
 
Per contenere l’ansia, Clarice concentrò tutta la sua attenzione sullo strato gassoso delle nuvole che man mano si faceva più rarefatto, sino a scomparire del tutto, lasciando spazio ad uno splendido cielo azzurro, mentre la terra si avvicinava pericolosamente.
 
Nonostante avesse viaggiato molto negli States, e qualche volta anche in Europa, a Milano e Parigi, per sfilare, non si era ancora abituata a quella sensazione di vuoto e precarietà che precede l’atterraggio. E come sempre trasse un sospiro di sollievo quando l’apparecchio, sobbalzando leggermente, si appoggiò alla pista, diminuendo progressivamente la velocità sino ad arrestarsi del tutto.
 
Emozionata ed impaziente, recuperò i bagagli e si affrettò a guadagnare l’uscita. Una volta nell’ampio piazzale antistante all’aeroporto, alzò gli occhi al cielo, notando come questo le sembrasse più limpido rispetto all’ America, come il sole fosse più caldo e amichevole, e l’aria più respirabile. Indubbiamente, il suo animo stava già beneficiando della sua scelta di tornare in Giappone.
 
Erano passati solo due giorni da quella terribile notte, purtroppo solo una delle tante da un anno a quella parte. Clarice aveva riorganizzato il suo rientro in fretta, avvertendo la servitù della sua vecchia villa. La madre, pur criticando la sua scelta, non si era opposta, e la ragazza aveva avuto il sospetto che fosse contenta di liberarsi di quella figlia così problematica. Ovviamente non l’aveva seguita, e Clarice non ne era per nulla dispiaciuta.
 
Nonostante la sua famiglia non fosse più tornata in Giappone negli ultimi dieci anni, il padre si era sempre rifiutato di vendere la grande villa di Fusjiawa dove era nato e cresciuto. Conoscendo l’avversione della moglie per il Giappone, da lei considerato obsoleto e bigotto, nel testamento aveva lasciato la casa in eredità alla figlia che, da canto suo, non si era neanche mai sognata di liberarsene, forse conscia che un giorno vi sarebbe tornata.
 
E ora si apprestava a fare un salto temporale di dieci anni. Non si illudeva certo che tornare alla sua vecchia città fosse sufficiente a cancellare gli ultimi drammatici anni della sua vita, ma il senso di relativa tranquillità che provava da quando aveva rimesso piede in Giappone, era la prova tangibile che la sua decisione era stata, in quel delicato momento, la migliore possibile.
 
Scrutò attentamente il parcheggio riservato alle auto private, cercando di individuare un volto familiare tra le numerose vetture sistemate ordinatamente su quattro file.
 
-Sig…signorina Clarice? é proprio lei?-
 
Una calda voce maschile fece voltare la ragazza, incontrando lo sguardo stupito di un uomo brizzolato, non molto alto, di circa cinquant’anni, con uniforme completamente nera eccettuati i risvolti delle maniche e del collo, che invece erano di un bianco immacolato.
 
Senza troppa difficoltà Clarice riconobbe il suo fedele autista -Joseph!-
 
-Oh signorina stentavo a riconoscerla. Com’e diventata grande…- esclamò l’uomo non nascondendo la commozione di ritrovarsi davanti la sua cara padroncina.
 
Tutti i domestici avevano sofferto molto per il trasferimento della famiglia. Il padre di Clarice era stato, infatti, un uomo generoso e pieno di rispetto per i suoi dipendenti, che dal canto loro lo avevano ricambiato con affetto e devozione. Purtroppo, destino volle, che si invaghisse di un’americana di vent’anni più giovane, capricciosa e viziata, che trattava il personale in modo decisamente opposto al marito, tenendo un comportamento a dir poco deplorevole anche nei confronti del compagno. Tutti avevano sperato, per il bene del padrone, che una volta nata la piccola Clarice, la madre la smettesse con quegli atteggiamenti libertini e si dedicasse alla famiglia. Così non fu. La predisposizione di Costance, questo era il nome della madre di Clarice, per la maternità era pari a zero. La piccola, nonostante ciò, fu allevata circondata dall’affetto dei domestici, in particolare di Joseph e Nadine, detta Nanà, sua moglie e balia di Clarice. La bimba era cresciuta vivace e spensierata nonostante la freddezza della madre e un padre che, pur adorandola, era completamente soggiogato dalla moglie.
 
Il tragitto dall’aeroporto alla villa fu breve e piacevole. Clarice volle essere informata su tutte le novità della casa, sia per reale interesse, sia per evitare domande imbarazzanti da parte di Joseph.
 
Imboccato il viale di accesso dell’ imponente villa, la ragazza tacque, assaporando tutte le piacevoli emozioni che la stavano pian piano invadendo.
 
Scesa dall’auto, non fece neanche in tempo ad ammirare l’austera facciata in stile moderno, che il pesante portone di solido noce si spalancò e una donnina, piuttosto in carne, le corse incontro trafelata -La mia bambina! Ma sei proprio tu?- strillò, prendendo a fatica il viso della ragazza tra le mani. La donna,infatti, pur in punta dei piedi, arrivava a stento al petto di Clarice, che per aiutarla, si sporse in avanti permettendole di scrutarla attentamente e riconoscerla.
 
-Si Nanà sono io-
 
-Piccola mia come sei cresciu…- Nanà non riuscì neppure a concludere la frase, scossa da singhiozzi irrefrenabili, abbracciò forte la ragazza che ricambiò con altrettanta emozione, mentre un piacevole calore le invadeva il petto.
 
Ma come aveva potuto stare lontana anni da quella donna che con un solo abbraccio le intiepidiva il cuore ghiacciato da tanto tempo? 
 
Era a casa, veramente a casa.
 
Dopo un’ora di amorevoli coccole di Nanà e Joseph, e una sfilza di rimproveri per il suo aspetto sciupato, che lei imputò al viaggio, e per la sua eccessiva magrezza, Clarice riuscì finalmente a varcare la soglia della sua stanza.
 
La sua cameretta.
 
Era rimasta proprio come allora. La carta da parati bianca con numerose sfumature rosa e con vari orsacchiotti dipinti, era davvero infantile, ma era fonte di talmente tanti piacevoli ricordi che le sembrò inconcepibile anche la sola idea di apporre un cambiamento. Osservò con il cuore che le batteva forte in petto facendola sentire finalmente viva, la sua cara cameretta. Non aveva nulla delle classiche camere giapponesi, era rigorosamente arredata all’occidentale, sua madre aveva sempre avuto un aperto disprezzo per futon e tutto ciò che sapesse anche solo lontanamente di “Giappone”! Se suo padre non fosse stato ricco quella donna non l’avrebbe mai sposato, pensò Clarice con disprezzo.
 
Notò, appoggiata alla poltrona foderata di un caldo raso color rosa antico, perfettamente lavata e stirata, quella che dall’indomani sarebbe stata la sua divisa scolastica. Accarezzò il liscio tessuto blu sorridendo al pensiero di cominciare una nuova vita, una vita migliore. Beh! peggio era difficile. Peggio dell’inferno non c’era poi molto.
 
Si affacciò alla finestra sporgendosi con tutto il busto per respirare a pieni polmoni l’aria calda del pomeriggio. Il suo sguardo vagò libero sul verde del parco per soffermarsi infine sulla mole imponente della villa confinante. La villa di Genshj.
 
-Chissà dove sei…-
 
Sapeva benissimo che lui aveva lasciato il Giappone da diversi anni, e non si era fatta inutili speranze. E tutto sommato era meglio così, dopo tanti anni non avrebbero avuto poi molto da condividere, le loro vite avevano preso strade completamente diverse. Più preziosa era la tenerezza di quel ricordo, puro e semplice come solo un’amicizia tra bambini può esserlo. Senza le complicazioni della vita, lo squallore in cui era vissuta negli ultimi mesi.
 
La ragazza rabbrividì nonostante il caldo sole che le accarezzava il volto e le braccia scoperte. Imbrigliò i propri pensieri, conscia di quale piega avrebbero preso se solo li avesse lasciati a briglia sciolta. Con un gesto deciso scosse il capo e si cambiò velocemente d’abito. Scelse una comoda tuta estiva al posto del severo abito da viaggio, precipitandosi fuori, alla riscoperta della strade della sua città.
 
Clarice vagò tutto il pomeriggio per le spaziose vie del centro. Il suo cuore godeva ogni volta che riscopriva un locale, un negozio, un luogo familiare, e allo stesso tempo prendeva mentalmente nota di tutti i cambiamenti avvenuti in quegli anni. Al termine di un’ampia e soleggiata via, si trovò di fronte all’entrata del parco.
 
Gustando il fresco cono gelato alla fragola, che aveva comprato poco prima, percorse i viali ombrosi, respirando il profumo dell’erba da poco tagliata e ascoltando il fruscio dell’aria tra le foglie.
 
Giunse sino ai margini di un polveroso campo da calcio situato nella parte occidentale del parco pubblico stupendosi di ritrovarlo ancora lì immutato dopo tanto tempo. Alcuni bambini stavano giocando affannandosi rumorosamente attorno ad una palla a scacchi. Clarice li osservò mentre la sua mente si staccava per vagare lontano, molto lontano …
 
Quel campetto cosi malridotto é conteso tra i bambini della Shutetsu, capeggiati da Genshj e da lei, e da quelli della Nankatsu, capeggiati da Anego e Bruce. È infatti l’unico campo pubblico fornito di reti e linee di gioco, ed é quindi molto ambito dai bambini del quartiere. Genshj, con la sua solita prepotenza, si è nuovamente accaparrato dei diritti sul campo che, però, i bambini della Nankatsu questa volta non sono disposti a riconoscere. Insieme a Bruce ed Anego vi è un nuovo bimbetto, un piccoletto giunto da poco in città. Lei lo sbircia con battagliero cipiglio ben conscia che con la protezione di Genshj può permettersi di sfidare chiunque. Ma quel moccioso non la degna neppure di uno sguardo e non coglie la sua sfida, osa invece sfidare Genshj! Una partita deciderà l’utilizzo del campo. Si é accomodata a bordo campo accanto ad Anego, pronta a deridere l’amica per la magra figura che sta per fare il suo pupillo.
Invece, con grande sorpresa di tutti, il bambino non solo scarta tutta la difesa della Shutetsu, ma riesce anche a segnare al suo Genshj, facendolo, per di più, sbattere contro il palo della porta!
Lei è saltata in piedi, il cuore che batte all’impazzata alla vista del sangue che scende copioso sul volto dell’amico. Ha ripreso a respirare solo quando lo vede afferrare il bimbo per la maglietta e urlargli arrabbiato che quella sfida non é terminata e che si sarebbe conclusa al campionato interscolastico. Lei allora, una volta rassicurata sullo stato di salute dell’amico, vuole imitarlo, come sempre faceva, ed afferra la povera Anego per il colletto dandole una sonora capocciata.
 
Il suo scopo era stato quello di procurarsi una ferita simile a quella di Genshj. In realtà rimediò solo un brutto bernoccolo che le rimase per una settimana. Non seppe mai come andò a finire la sfida perché, da lì a pochi giorni, era partita per l’America…
 
La ragazza sorrise e ritornò a mettere a fuoco la polverosa terra battuta del campo di fronte a lei. Qualcosa era cambiato, non vi era più alcun rumore attorno e le ombre degli alberi si erano enormemente allungate. Quando mise a fuoco questi particolari, scattò come una molla e, senza perdere neanche un istante, cominciò a correre verso casa.
 
-Porca miseria! Avevo promesso a Nanà che sarei tornata prima del tramonto. Non voglio farla preoccupare già dal primo giorno!- borbottava preoccupata uscendo di corsa dal parco.
 
Poco lontano, un furioso Benji stava avanzando verso casa.
 
-Accidenti a quelle smorfiose. Se non la smettono di fare tutto quel baccano agli allenamenti le strozzo con le mie mani. Appiccicose come la colla, le stanno studiando tutte per rendermi la vita impossibile!-
 
Per i giovani campioni della Nankatsu era sempre più difficile tenere a bada le orde di fans che si accalcavano a vedere gli allenamenti e che pedinavano i giocatori ovunque andassero all’interno della scuola. I convocati per la nazionale erano, ovviamente, le prede più ambite. Benji, col suo atteggiamento tenebroso e solitario, attirava ragazzine urlanti e fastidiose, come il miele le mosche, il che lo mandava letteralmente fuori dai gangheri. Anche perché, le spigliate ammiratrici, ne inventavano veramente di tutti i colori per avvicinare il bel portiere. Quel pomeriggio una ragazza del secondo anno aveva simulato uno svenimento per potergli finire tra le braccia. Benji all’inizio si era preoccupato, pensando stesse realmente male, ma poi, le risa soffocate delle amiche, gli avevano svelato il trucco, mandandolo su tutte le furie. In quel preciso momento avrebbe volentieri eliminato tutto il genere femminile dalla faccia della terra. Se gliene fosse capitata un’altra tra le mani non avrebbe garantito per la sua incolumità!
 
Clarice velocizzò la sua andatura. Era proprio in ritardo! Scostò la manica della leggera maglietta per poter controllare l’ora sull’orologio da polso, distogliendo  per pochi istanti gli occhi dalla strada. Si accorse troppo tardi dell’ombra scura che si era improvvisamente materializzata davanti a lei. L’impatto fu inevitabile, sbatté violentemente contro la schiena dello sconosciuto, il quale si sbilanciò leggermente in avanti, ma riprese immediatamente la posizione eretta, mentre lei con la violenza del contraccolpo rovinò dolorosamente a terra -Ahi che botta- esclamò sentendo la mano, che aveva appoggiato sul marciapiede per ammorbidire la caduta, bruciare come se avesse sfiorato una fiamma ardente.
 
Sollevò lo sguardo mortificata pronta a scusarsi ma non era affatto preparata a ciò che vide. Un volto virile, indubbiamente bello ma in quel momento alterato dalla rabbia, la fissava con due occhi che se avessero potuto fulminarla, di lei non sarebbe rimasta neanche la cenere. Perplessa stentò ad aprire bocca, in effetti poteva comprendere il fastidio che gli aveva provocato, ma quella reazione eccessiva, la sconcertava -Mi…mi spiace …scusa ero distratta…- balbettò stordita dal dolore, che ora si stava diffondendo al braccio e alla spalla, e dallo sconcerto per la furia imperante nelle iridi scure dell’uomo.
 
Benji piegò le labbra in una smorfia sprezzante -Si come no-
 
-Eh? Non l’ho fatto apposta-
 
-Ma certo- replicò bruciandola con un’occhiata.
 
-Ma che vuoi insinuare? Per quale motivo dovrei venirti addosso di mia spontanea volontà?- si stava veramente arrabbiando -E per cortesia me la dai una mano ad alzarmi?- chiese piccata, porgendogli la mano sana e tentando di mantenere la calma, ripetendosi che probabilmente aveva frainteso tutto e che ora lui si sarebbe finalmente accorto di aver esagerato.
 
Il ragazzo osservò quella mano esile e affusolata sporta nella sua direzione, come se fosse l’oggetto più raccapricciante del mondo e, senza minimamente accennare ad afferrarla, si girò, andandosene.
 
Clarice balzò in piedi furiosa -Ma chi ti credi di essere?-
 
-Uhm! Come se non lo sapessi-
 
-Cafone, maleducato! Nessuno ti ha insegnato le buone maniere?-
 
Ma il ragazzo aveva svoltato l’angolo ed era sparito dalla sua vista. Nonostante la voglia di rincorrerlo e tirargli un sonoro ceffone, Clarice decise che non valeva proprio la pena perdere tempo con certi tipacci e riprese la sua corsa verso casa. 

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Capitolo 4
*** Vecchi amici ***


Clarice terminò la sua presentazione alla nuova classe con un leggero ed aggraziato inchino. I suoi verdi occhi scrutarono con attenzione uno ad uno i volti delle compagne. Era una classe esclusivamente femminile, non molto numerosa.
L’insegnante le indicò un banco in seconda fila e lei vi si diresse lentamente, continuando a cercare un volto familiare. Si accomodò accanto ad una ragazza dal viso simpatico e i corti capelli neri ma … non era Anego. 
 
Tentò invano di individuare i lineamenti della sua amica d’infanzia. Aveva scelto quella sezione dopo aver consultato i nominativi nei registri ed essersi assicurata che l’amica fosse proprio in quella classe, ma ora non riusciva ad identificarla. Cautamente, per non far comprendere all’insegnante che il suo interesse era molto lontano dalla lezione in corso, si voltò, osservando le ragazze alle sue spalle, qualcuna le rivolse un timido sorriso, e in terza fila, accanto alla finestra, notò un banco vuoto… forse…- Scusa mi sai dire chi manca?- bisbigliò alla vicina indicando, con un piccolo gesto della mano, il posto vuoto.
 
-La manager della squadra di calcio. Ha delle ore di permesso perché tra poco ci saranno i mondiali juniores e tutta la squadra si sta preparando. Sai in questa scuola ci sono molti componenti della nazionale giovanile- rispose la ragazza con un certo orgoglio.
 
La manager? Poteva essere…
 
-Mi sai dire come si chiama?-
 
-La manager? Patricia Gatsby-
 
Anego! Ecco dov’era! Se lo doveva immaginare. Quel maschiaccio avrebbe fatto di tutto per evitare quelle noiosissime lezioni. Non le restava quindi che stringere i denti e farsi passare in qualche modo quella lunga mattinata.
 
Quando finalmente suonò la campanella dell’ultima ora, la ragazza si precipitò verso l’uscita, quasi del tutto indifferente alle richieste delle compagne che desideravano approfondire la conoscenza con la nuova arrivata. Ricorrendo alla prima banalissima scusa che le sovvenne, sgattaiolò fuori dall’aula e si diresse decisa verso i club sportivi.
 
Non le fu difficile individuare il campo da calcio e oltrepassò la recinzione senza problemi.
 
Il campo era deserto. Si portò una mano alla fronte per proteggere gli occhi dal forte sole estivo ed ispezionò minuziosamente tutto ciò che ricadeva all’interno del suo spazio visivo. Non c’era anima viva … no un momento … qualcuno c’era!
 
Seduta su una panchina, all’ombra degli spalti, una ragazza era china in avanti, intenta a leggere dei fogli.
 
Avanzò lentamente mettendo a fuoco ogni particolare della sconosciuta. Il viso era parzialmente coperto dai capelli neri che le arrivavano poco oltre le spalle, ma le era possibile, comunque, scorgerne chiaramente il profilo dai lineamenti dolci e rilassati. Di certo quella non era Anego. Figuriamoci! Quel maschiaccio impenitente!
 
-Scusa sto cercando la manager- esordì una volta giunta a pochi passi dalla ragazza. Questa, colta alla sprovvista, sobbalzò spaventata facendo scivolare alcuni fogli che svolazzarono intorno alle belle gambe fasciate dalla leggera tuta rossa della squadra, prima di depositarsi a terra -Sono io- rispose pacatamente la ragazza mora accucciandosi per raccogliere i fogli caduti.
 
Clarice si ritrovò a fissare incredula due begli occhi scuri e sereni. La voce era melodiosa e piacevole e rispecchiava esattamente la dolcezza dei lineamenti. Decisamente non poteva essere Anego -Scusami, io cerco Patricia Gatsby-
 
-Sì, sono io-
 
Clarice la fissò ancora più insistentemente. Non era possibile! Quella non poteva essere la sua Anego! Non ci avrebbe mai creduto!
 
La confusione doveva essere ben leggibile sul suo volto, perché notò l’espressione interrogativa insita negli occhi scuri che la scrutavano in silenzio, aspettando pazientemente che lei si presentasse. Anego? No, decisamente non era lei … almeno che … Vi era solo un modo per sincerarsene.
 
Intenzionalmente adottò un tono canzonatorio e strafottente, cancellando in un istante la cordialità con cui, sino a quel momento, aveva apostrofato Patty -Ah sì? E così sei tu la fortunata che può permettersi di stare qui ad oziare, mentre noi povere mortali ci annoiamo in classe!-
 
Patty sbatté le palpebre sbalordita -Cosa?- chiese mutando radicalmente tono.
 
-Però interessante l’idea della manager…- proseguì Clarice con sempre maggiore strafottenza -Certo sei furba…questo me lo ricordavo…-
 
-Ehi! Ma chi sei? Come ti permetti di parlarmi così?-
 
Un lampo di collera attraversò i begli occhi scuri di Patty. Clarice ebbe un tuffo al cuore! Sì non vi erano più dubbi, quella era Anego! Aveva colto il familiare scintillio combattivo nello sguardo dell’amica, mai l’aveva dimenticato. E come avrebbe potuto? Quanti pugni aveva incassato dopo aver scorto quel lampo!
 
L’istinto la spingeva a saltare al collo di Patty e stringerla forte, urlandole quanto le era mancata e quanto fosse felice di averla ritrovata dopo tanti anni, ma … il gioco cominciava a piacerle. Erano secoli che non si divertiva così…Anego e Tsunami, nuovamente ai ferri corti…-L’ho sempre saputo che sei sveglia … - rincarò- é per questo che non mi sono mai capacitata della tua predisposizione per i perdenti….-
 
-Ora basta!- Patty, ormai, non tentava neanche più di dissimulare la rabbia e l’antipatia per quella spilungona che le stava riversando addosso un monte di insulti ingiustificati.
 
-Che c’è? Vuoi fare a botte … Anego?- l’apostrofò Clarice mollando a terra la cartella e appuntandosi le mani ai fianchi, assumendo la posa battagliera che usava da bambina come preludio delle loro scazzottate.
 
- Ma sei matta? Cosa cavolo….- Patty si interruppe bruscamente…come l’aveva chiamata? Anego? Erano anni che nessuno la chiamava più così…il suo nomignolo da bambina…
 
Patty esaminò la ragazza. Era molto alta, la superava di almeno una decina di centimetri, nonostante lei non fosse bassa, i capelli color miele, leggermente arricciati sulle punte, le arrivavano a metà schiena, la figura magra e ben fatta, gambe lunghissime e perfette, occhi verdi e scintillanti di sfida…gli occhi…quegli occhi… Un velo iniziò a dissolversi nella sua mente. Tentò di collegare quegli occhi ad un ricordo, c’era un ricordo, lo sentiva, ma non riusciva ancora ad accedervi.
 
-Che hai ora Anego? Sei senza parole? La tua espressione non é per niente intelligente … ma questo non mi sorprende…Vabbè oggi mi sento generosa. Ti do un’ultima possibilità per evitare di prenderle: ti decidi si o no ad ammettere che…Genshj è il migliore e che il Piccoletto non ha nessuna speranza?-
 
Divertimento e felicità balenarono negli occhi di Clarice, quando Patty spalancò le splendide iridi color della notte -Tsu…Tsunami…- il cuore della ragazza fece un balzo mentre pronunciava quel nome mai dimenticato e conservato con cura in un angolo recondito. Percepì le lacrime salirle agli occhi, facendoli splendere ulteriormente. Ma si controllò. Sempre la solita Tsunami! E così la voleva provocare? Va bene, se voleva giocare, lei non si sarebbe tirata indietro, non lo aveva mai fatto e di certo non avrebbe iniziato ora!
 
Ricacciando indietro l’emozione con un profondo respiro, Patty la attaccò con vigore -Co..come osi Tsunami? Non chiamare mai più Holly in quel modo! E poi…anche un pollo segnerebbe a Benji!- rispose piccata, puntando un dito al petto di Clarice, gesto che ricordava, la faceva andare su tutte le furie.
 
-Anego questa volta hai esagerato! Non te la perdono!-
 
Le due ragazze si afferrarono per le spalle, strattonandosi prima delicatamente, come se volessero saggiare l’una la consistenza dell’altra, ma poi la presa si fece più forte e decisa. Incapaci di parlare, ma con gli occhi colmi di lacrime, che ora sgorgavano libere e copiose, si comunicarono con quel tocco, più di mille parole, più di mille emozioni.
 
Una spinta più energica sbilanciò Clarice che, prima di cadere, si aggrappò saldamente al collo di Patty, trascinandosela dietro. Continuarono ad azzuffarsi, rotolando sull’erba umida e odorosa, tirandosi i capelli, simulando le sberle e i pugni che da bambine si erano scambiate con ben altro vigore, i volti stravolti dalle risa e dalle lacrime, gli occhi sfavillanti di felicità.
 
In quel momento, i ragazzi uscirono dagli spogliatoi, pronti per iniziare gli allenamenti del pomeriggio. Le risate e l’animato vocio si interruppero bruscamente alla vista della loro manager che ruzzolava a bordo campo avvinghiata ad una sconosciuta, apparentemente dandole e prendendole di santa ragione.
 
Lo stupore li aveva pietrificati e non furono in grado di far altro che scambiarsi occhiate interrogative.
 
Ma poi, finalmente, qualcuno tra loro si riprese ed intervenne -Patty che stai facendo?- protestò Tom afferrando la manager per le spalle e trattenendola con forza. Lo stesso fece Holly che, immobilizzati i polsi di Clarice, la tenne bloccata a terra. Le due ragazze, totalmente coinvolte l’una dall’altra, non si avvidero dell’arrivo dei giocatori, e lanciarono entrambe un’esclamazione di sorpresa quando si sentirono afferrare e immobilizzare con decisione.
 
-Lasciami Tom! Ho una questione di…vecchia data da risolvere- esclamò Patty, cercando di divincolarsi dalla salda presa del centrocampista e lanciando un calcio in direzione di Clarice.
 
-Ah sì? Non ne hai prese abbastanza eh?- rispose questa scalciando a sua volta.
 
Presa dalla foga del momento, Clarice si era completamente scordata di indossare ancora la divisa scolastica, e così il suo istintivo calcio sollevò l’ampia gonna, offrendo all’intera squadra una panoramica completa delle sue mutandine di pizzo bianco.
 
Ma ci pensò una bassa voce maschile, cinica e fredda, a far notare, con poca grazia, quella sconveniente leggerezza -Belle mutandine-
 
Clarice arrossì sino alla radice dei capelli e con uno strattone si liberò dalla presa di Holly, sistemandosi la gonna che era abbondantemente scivolata al di sopra delle ginocchia.
 
-Almeno hai la decenza di arrossire- continuò imperterrita la gelida voce.
 
Clarice alzò gli occhi piena di vergogna, pronta a scusarsi e a spiegare la situazione, quando inquadrò il ragazzo che l’aveva ripresa, entrambe le volte, in modo così duro. Spalancò gli occhi smeraldo, balzando in piedi con una tale furia che Holly, ancora inginocchiato alle sue spalle, perse l’equilibrio e finì a terra.
 
-TU!??!!! Brutto cafone ancora tra i piedi! strepitò, dimenticando all’istante ogni imbarazzo - Aspetta …ora sarai capace di dire che l’ho fatto apposta- 
 
Aveva di nuovo di fronte il tipaccio che la sera prima l’aveva trattata in quel modo deplorevole. Ma ora si sarebbe vendicata. Gli avrebbe detto tutto quello che si meritava.
 
Un sorriso sghembo piegò le labbra carnose del giocatore -Certo che sì! Altrimenti che ci faresti qui?- continuò ironico.
 
-Ma si può sapere chi sei?- iniziò avvicinandosi al ragazzo per niente intimorita e pervasa da una rabbia cieca - Non ho mai incontrato uno sfrontato, presuntuoso, deficiente, pallone gonfiato, imbe…- e avrebbe continuato con una sfilza di insulti, dimentica di tutte le buone maniere, se una risata scrosciante non l’avesse interrotta. Clarice si voltò e vide Anego con le lacrime agli occhi, che si teneva la pancia nell’inutile tentativo di bloccare i singulti.
 
-Patty ma che….- balbettò Clarice perplessa, come d’altronde tutta la squadra, che osservava la manager, sbalordita. Patty non riusciva a riprendere il controllo di se stessa e si ristese a terra ridendo senza ritegno in preda alle convulsioni.
 
-Patty…- ripeté Clarice. Ma che le prendeva? Aveva sbattuto la testa? No, non le pareva proprio.
 
Patty con un enorme sforzo, si quietò e, asciugati gli occhi col dorso della mano, si girò su un fianco puntellandosi con un gomito a terra, mettendosi comoda per assistere a quello spettacolo unico.
 
-Basta Patty- tuonò Benji già al limite della sua scarsa sopportazione –Chi e questa? Falla sparire subito e iniziamo gli allenamenti-
 
Clarice si volse a guardare l’odioso ragazzo, questa volta pronta a schiaffeggiarlo, non amava prendere a sberle gli sconosciuti, ma questo era insopportabile! Per chi l’aveva scambiata? Un randagio da scacciare?
 
Patty intuì l’intenzione di Clarice e con tono divertito, che contrastando con la tensione che aleggiava tra Benji e Clarice e la perplessità palpabile della squadra, rendeva la situazione ancora più comica e assurda -Siiiiiii ti prego tiragli uno schiaffo! Io non sono mai arrivata a tanto, ma sapessi quante volte l’ho desiderato!-
 
Clarice fu nuovamente bloccata dall’incomprensibile comportamento dell’amica. C’era qualcosa che le sfuggiva, si sentiva protagonista di uno scherzo di cui solo Anego sembrava capirne il senso.
 
Patty si rese conto che il gioco stava diventando pericoloso, non era saggio provocare due caratteri facilmente “infiammabili” come quei due, ma si stava divertendo come non mai e poi doveva far pagare a Tsunami gli insulti che le aveva rivolto poco prima -Dai perché ti sei bloccata? Stai andando alla grande! La interpreti benissimo la mia parte….- disse birichina, alzandosi e ripulendosi i pantaloni dai fili d’erba rimasti impigliati.
 
-Patty che stai dicendo…- Clarice fissava attonita l’amica che lentamente si stava avvicinando con un sorriso indecifrabile stampato in faccia. Intuì, ormai seriamente spaventata, che le stava per essere svelata una verità di vitale importanza.
 
-Ma si dai, per una volta, scambiarci le parti potrebbe essere divertente. Vediamo…- disse portandosi un dito alle labbra e guardando in alto con aria assorta -Ah sì…allora dimmi se sono altrettanto brava…- e così dicendo, strizzando un occhio con fare cospiratore, si portò le mani ai fianchi scimmiotando in modo goffo e maldestro la posizione “di battaglia” di Clarice -Ehi come osi dire quelle cose a…Genshj? Tsunami sei finita!-
 
Clarice si sentì morire. In un’altra situazione avrebbe riso sino alle lacrime, per la buffa imitazione dell’amica, ma in quel frangente sentì solamente il sangue defluirle dal volto. Si volse di scatto verso il ragazzo che sino a qualche minuto prima avrebbe voluto ammazzare. Nonostante la sua non indifferente altezza, dovette alzare il viso per incrociare gli occhi neri e profondi di lui, che tuttavia non riuscì a scorgere del tutto, messi in ombra dalla visiera del cappellino.
 
-Be..Benjiamin…- balbettò con voce strozzata chiedendosi donde avesse scovato la forza di respirare.
 
-Cla…Clarice- le fece eco lui con un filo di voce appena percettibile.
 
Nella mente della ragazza, i pensieri iniziarono a girare vorticosamente creandole uno stato confusionale, da cui un unico concetto emerse chiaro e vagamente comprensibile: realizzò che non aveva neppure preso in considerazione l’opportunità di incontrare Benji! Certa che lui vivesse stabilmente all’estero, non si era preparata alla valanga di emozioni che ora la travolgevano con violenza e soprattutto, si chiedeva, ormai in preda al panico, che cosa lui stesse pensando. Era arrabbiato per tutta quella sceneggiata? Infastidito? Indifferente? In fondo erano semplicemente stati amici d’infanzia, forse non era stata importante quanto lui lo era stato per lei, anche se, pur nel marasma totale, mai avrebbe messo in dubbio che un legame come il loro potesse essere alimentato da una parte sola. L’amicizia, come l’amore, era un fuoco a due fonti, sempre. Ma lui aveva fatto molto di più, le aveva salvato la vita, afferrandola a pochi passi dal baratro.
 
Un tempo, che sembrava lontano secoli e secoli, era in grado di leggere nel cuore di Benji con una certa facilità, ma ora? Quello non era più un bimbo di dieci anni, con il moccio al naso e le ginocchia perennemente sbucciate, ma un uomo forte e, a quanto aveva appurato, scontroso e pungente.
 
Quando la ragione viene messa a tacere non resta altro che affidarsi all’istinto. E guidata proprio da questa forza ancestrale, Clarice, con gesto delicato, sollevò la visiera di Benji, entrando, tramite quella porta privilegiata, nell’anima tenacemente celata del ragazzo -La mia vita dipende da quello che il tuo sguardo mi rivelerà…- pensò mentre un brivido di eccitazione le si irradiava lungo la schiena.
 
Benji trattenne bruscamente il fiato, consapevole che stava permettendo all’unica persona al mondo in grado di farlo, di mettere a nudo i suoi sentimenti. La cosa, ovviamente lo terrorizzava, ma d’altro canto, lo sollevava, c’erano zone d’ombra di se stesso che non riusciva a decifrare e sperava che finalmente qualcuno le vedesse e, magari, gliele illuminasse.
 
Il ragazzo rimase immobile. Clarice si tuffò nelle nerissime iridi di Benji e un fuoco devastante le attanagliò le viscere salendo velocemente al petto. In Benji aveva scorto il suo stesso bisogno, la sua stessa felicità, le loro menti erano tornate a comunicare, in modo forte e chiaro come quando erano bambini. Senza più remore né incertezze, si gettò su quel petto ampio, affondandovi il volto e stringendo forte le braccia attorno a quel corpo virile. Benji ricambiò la stretta, chiudendo le braccia muscolose attorno alle spalle esili di lei, stringendo piano, per timore di far del male a quell’essere prezioso ripiombato tra le sue mani da chissà dove e chissà come.
 
I loro corpi aderirono come due pezzi di un puzzle, i loro cuori vennero riallacciati da un’invisibile catena di cui entrambi avevano dimenticato l’esistenza, il mondo si fermò per un istante … ma subito riprese il suo corso… per poi fermarsi ancora … e infine girare vorticosamente, stordendoli.
 
Nessuno degli spettatori ci capiva nulla. Solo Patty sorrideva felice, mentre una lacrima solitaria scendeva sulla bella gota ancora arrossata per le risa e l’emozione.
 
Gli altri brancolavano nel buio più completo. Prima quella sconosciuta aveva ricoperto Benji di insulti e poi gli si fiondava tra le braccia? E Benji la lasciava fare con espressione inebetita?
 
Finalmente qualcuno realizzò -Tsunami?!!?- esclamò Johnny folgorato da un’idea – Sei proprio tu?!!?-
 
Clarice si staccò a malincuore dal calore del corpo di Benji e, dopo un’ultima occhiata a quel volto meraviglioso, si voltò curiosa di sapere chi altri l’aveva riconosciuta -Johnny!- urlò felice abbracciando l’antico compagno di giochi.
 
-Ehi ci sono anch’io!- reclamò un bel ragazzo intrufolandosi scherzosamente tra Johnny e Clarice.
 
-Paul! Oh ma come sei diventato bello! Già all’asilo facevi strage! Figuriamoci ora - disse maliziosamente facendo arrossire il ragazzo -Ted! Bob!-
 
Clarice passò da un abbraccio all’altro, ogni volta ritrovando sensazioni e emozioni dimenticate che, come un balsamo lenitivo, scendevano a curare il suo cuore ferito.
 
Sciogliendosi dal solido abbraccio di Bob, concentrò la sua attenzione su Holly -Scusami mi sei familiare ma non capisco chi sei-
 
-Te lo do io un piccolo aiuto…anzi….Piccoletto…- sorrise Patty, battendo affettuosamente la mano sui pettorali del capitano.
 
-Tu? Sei proprio tu quel pestifero bambino che sfidò Genshj buttandolo addosso al palo della porta?- tuonò minacciosa Clarice.
 
Holly, visibilmente confuso, la guardò imbarazzato. Patty accorse prontamente in suo aiuto -Holly ti ricordi quando arrivasti a Fusjiawa e sfidasti Benji? Quando segnasti su passaggio di Roberto?- il ragazzo annuì divertito, stava cominciando a capire -E ti ricordi quella bambina odiosa che stava sempre appiccicata a Benji e che mi diede quella capocciata perché tu avevi fatto male al suo portiere?-
 
– Allora sei tu!-
 
-Bingo!- esclamò Clarice contenta stringendo la mano a Holly e ricambiando il suo sorriso spontaneo e gentile. La sua attenzione fu di nuovo attratta da un altro ragazzo alle spalle di Holly -Bruce?- domandò incerta.
 
-Ciao Clarice-
 
-Bruce! Ma che ci fai tu in una squadra di calcio?- lo canzonò lei.
 
-Come sarebbe a dire?- protestò piccato il ragazzo -Per tua informazione gioco anche in nazionale!-
 
-Davvero? Poveri noi- borbottò lei portandosi una mano alla fronte e assumendo un’espressione sconsolata, che fece scoppiare a ridere tutti quanti, eccetto Bruce.
 
-Clarice non sei cambiata affatto sempre la solita antipatica- replicò imbronciato. Lei, notando il disappunto dipingersi sul volto dell’amico, gli saltò al collo scoccandogli un sonoro bacio sulla guancia -Sto scherzando sciocchino! So benissimo quanto vali!- disse suadente -Bene ora ho salutato tutti mi sembra …no manca qualcuno- disse scorgendo l’unico ragazzo rimasto in disparte dallo sguardo caldo e dolce, come il sorriso che le indirizzò facendosi avanti.
 
-Non ti sforzare, lui non lo conosci- intervenne Patty cogliendo l’espressione concentrata di Clarice -Tom si è aggiunto alla squadra dopo la tua partenza-
 
-Ciao piacere di conoscerti-
 
-Piacere mio-
 
Era veramente bellissimo e la sua stretta trasmetteva gentilezza e sicurezza allo stesso tempo -Ma noi non ci conosciamo già?-
 
-No non credo sono arrivata solo ieri…-
 
-Si ma vieni dall’America io ci sono stato. Da che città vieni?-
 
Clarice si irrigidì ma fece uno sforzo sovrumano per non darlo a vedere – San Francisco- disse fissandolo guardinga. Non aveva pensato all’eventualità che qualcuno la riconoscesse. Mancava dalle passerelle da quasi un anno, e pur essendo stata molto famosa negli States, era certa che la sua fama non avesse oltrepassato i confini americani e, soprattutto, che non fosse giunta in Giappone, paese tradizionalista, ricco di bellezze proprie di cui andava fiero, e che si professava del tutto indifferente alle trasgressive bellezze americane. E lei non aveva mai rivelato di essere per metà giapponese. Sua madre l’aveva convinta che la cosa avrebbe nuociuto alla sua immagine, in che modo, se lo stava ancora chiedendo.
 
-Uh…no non ci sono stato. Io ho visitato Vancouver in Canada e New York…-
 
-Forse mi confondi con qualcun’altra, sai mi dicono che ho un viso molto comune…-
 
L’atmosfera festosa venne interrotta dall’arrivo del mister, che spedì i ragazzi a scaldarsi con 15 giri di campo.
 
-Ciao e tu chi sei?- chiese l’allenatore facendo partire il cronometro e volgendosi verso Clarice.
 
-Una mia carissima amica- intervenne Patty con impeto, incapace di contenere oltre la felicità.
 
-Ho capito Patty, però non può stare qui, sai com’è il regolamento. A proposito hai trovato la sostituta di Susy?-
 
Patty ebbe un fulmineo lampo di genio -Sì certo, eccola qui- disse dando una leggera spinta a Clarice, che la guardò perplessa.
 
-Ma Patty potevi dirlo subito. Allora benvenuta tra noi. Hai già sistemato le carte in segreteria?-
 
-Beh veramente…-
 
-La stavo accompagnando mister. Così le procuro anche la tuta della squadra-
 
-Ottimo Patty allora a dopo- e la sua attenzione fu completamente e definitivamente assorbita dai giocatori.  

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Capitolo 5
*** Tutto come allora? ***


Clarice seguì docilmente Patty in segreteria. Tutto stava accadendo in fretta e senza che nessuno si degnasse di chiedere il suo parere, ma dovette ammettere che l’ amica aveva avuto un’ottima idea. Dopo tutto, che aveva da rimproverare a Patty? Le dava l’opportunità di saltare delle noiosissime ore di lezione e di stare coi suoi amici. Non poteva andarle meglio!
 
Sistemata la parte burocratica, le due amiche tornarono al campo chiacchierando animatamente. Clarice teneva stretto al petto un pacco contenente una tuta rossa con lo stemma della squadra e una azzurra che, come Patty le spiegò, avrebbe dovuto indossare da lì ad una settimana, ovvero quando sarebbero andati in ritiro con la Nazionale.
 
-Che vuol dire ritiro? - chiese Clarice incuriosita.
 
-I ragazzi della Nazionale arrivano da diverse città del Giappone e ognuno gioca nella squadra locale. Si conoscono tutti da bambini, grazie ai campionati interscolastici, ma hanno comunque bisogno di un paio di settimane di allenamento per ritrovare l’intesa perfetta. Il luogo scelto quest’anno é un albergo isolato, presso le cascate Fukuroda … Così non ci saranno distrazioni inutili e fastidiose - aggiunse Patty indicandole un gruppetto di ragazzine scalmanate che schiamazzavano impazzite, accalcate alla rete di recinzione del campo sportivo.
 
-Ecco perché Benjiamin ieri mi ha attaccata in quel modo! Pensava fossi una di quelle pazze!-
 
-Ma che e successo?- chiese Patty e Clarice raccontò l’episodio all’amica, che rise a crepapelle per una buona mezz’ora.
 
Patty la istruì su tutte le incombenze delle managers. Clarice rabbrividì al pensiero di dover lavare e stirare dalla mattina alla sera, ma l’amica tentò di convincerla che il lavoro era molto gratificante. Clarice non ne era per nulla convinta ma, per evitare di litigare con Patty, questa volta sul serio, non osò dire nulla.
 
Alla fine degli allenamenti mentre distribuiva asciugamani, la nuova arrivata si complimentò con tutta la squadra. I ragazzi erano migliorati tantissimo, persino Bruce era stato eccezionale. Benji ai suoi occhi era, comunque, sempre il migliore, non aveva lasciato passare una palla, ma non poteva negare la tecnica e il talento della Golden Combi, come Patty le aveva spiegato erano soprannominati Holly e Tom.
 
Benji le si avvicinò asciugandosi il collo fradicio con la salvietta -Mi aspetti?-
 
Il cuore della ragazza perse un battito -Certo- rispose sorridendogli felice. Era tutto il giorno che aspettava l’occasione per stare un po’ sola con lui.
 
Chiacchierò allegramente con Patty ed Evelyne finendo di sistemare la piccola cucina e mettendo al fresco le bibite per il giorno dopo. Patty la stava tempestando di domande e Clarice, molto abilmente, convogliava l’attenzione dell’amica su divertenti ed innocui episodi che le erano capitati prima che la sua vita venisse irrimediabilmente stravolta.
 
Benji si fece una doccia veloce e dopo venti minuti uscì dagli spogliatoi. Fu trattenuto sulla porta da Ted incuriosito da un nuovo schema difensivo. Sospirando, il portiere, si fermò un minuto a discutere con l’amico, dopo essersi assicurato che Clarice fosse ancora impegnata in cucina.
 
La ragazza stava terminando di pulire il lavello e attraverso la finestra poté osservare Benji discutere col difensore. Certo che era diventato bellissimo. Inconsciamente trattenne il respiro nell’ammirare la possente figura del portiere, i capelli ancora umidi e spettinati e i lineamenti scolpiti.
 
-Guarda che lo consumi se continui così- le sussurrò Patty all’orecchio facendola sobbalzare.
 
-Patty ma che dici!- ribatté lei sulla difensiva.
 
La risposta che ricevette fu solo un occhiolino più che allusivo, quindi Clarice, conscia di essere stata inequivocabilmente colta in fallo, si limitò a salutare e a raggiungere Benji.
 
Appena la scorse, il portiere si liberò di Ted e, insieme, si avviarono verso casa, finalmente soli.
 
Benji e Clarice si avviarono insieme verso casa. Nessuno dei due desiderava interrompere il silenzio carico d’intensità che si era spontaneamente formato. Non vi era inutile imbarazzo o snervante tensione tra di loro, ma solo una semplice voglia di studiarsi a vicenda, concedendosi, per tacito accordo, ancora un po’ di tempo per assaporare, con calma, le forti e contrastanti sensazioni che quell’incontro aveva provocato.
 
-Clarice ti andrebbe di cenare da me?- chiese Benji a pochi minuti da casa, restio a separarsi così presto dalla sua più cara amica.
 
-Certo, con vero piacere!-
 
Imboccarono silenziosamente la via privata che conduceva a villa Price. Clarice seguì Benji in salotto. Il ragazzo si avviò verso la grande scala che conduceva alla zona notte -Vado ad appoggiare il borsone, accomodati pure- le disse salendo i primi gradini.
 
-Vengo con te- replicò lei seguendolo con noncuranza.
 
Benji si voltò e la squadrò colmo di incredulità, ma non colse nulla di allusivo o malizioso nell’espressione e nella voce dell’amica -In camera mia?- ribatté comunque perplesso.
 
-Certo! E non fare quella faccia, non é la prima volta che salgo in camera tua - replicò Clarice divertita dall’improvviso imbarazzo di Benji.
 
-Ma … avevamo otto anni!- esclamò seguendo incerto la ragazza ormai giunta in alto alla scala.
-E allora? Per me non é cambiato niente- concluse candidamente dirigendosi senza incertezza nella stanza del ragazzo. Questa era molto ampia e luminosa, ammobiliata con gusto, ma nel complesso asettica e vuota. Eccettuata una bacheca colma di trofei, medaglie dorate e targhe finemente incise, e una foto della Nankatsu appesa accanto al letto, risalente ad almeno 5 o 6 anni prima, tutto era freddo ed impersonale. Niente rispecchiava il carattere e la personalità di Benji. Ciò la sorprese e glielo disse.
 
-Hai ragione- fu la laconica risposta- ma io vivo in Germania da due anni e quindi vengo qui saltuariamente-
 
-Sì, avevo letto qualcosa… infatti non mi aspettavo di incontrarti…-
 
-Allora non sei tornata per me- la punzecchiò lui, ammiccando comicamente.
 
-Oh tu sei stato una splendida sorpresa, ma io sono tornata….- Clarice si bloccò facendo il possibile per nascondere il suo turbamento. Precauzione inutile, Benji la conosceva troppo bene per non accorgersene.
 
-Lascia stare non mi interessa il perché. Dimmi solo quanto resterai- disse, scosso dal fulmineo guizzo di paura apparso nei begli occhi verdi di Clarice. In America doveva esserle accaduto qualcosa di molto spiacevole e avrebbe dato chissà cosa per saperlo, ma non voleva forzare l’amica, e soprattutto non voleva vederla triste. In quel momento Benji realizzò che il sorriso di Tsunami aveva su di lui lo stesso effetto che poteva avere un’oasi ricca d’acqua fresca per un assettato disperso nel deserto da giorni e giorni -Ma che diavolo sto pensando?- si chiese mentalmente il ragazzo scuotendo perplesso il capo.
 
-Sono tornata per restare, non voglio più tornare in America- fu la secca risposta.
 
Dal tono perentorio, Benji capì che il discorso era chiuso e che non avrebbe più dovuto affrontarlo.
 
-Ma ora raccontami di te. Voglio sapere cosa hai fatto dal giorno della mia partenza a oggi!- proseguì lei dopo qualche secondo, di nuovo allegra.
 
-Ma è una storia lunghissima- protestò Benji che non aveva mai considerato la sua vita tanto interessante da essere raccontata.
 
-Appunto comincia-
 
Riluttante, il ragazzo ubbidì.
 
Nelle ore successive Clarice rivisse con Benji l’iscrizione alla Nankatsu, le partite con Holly contro Mark Lenders, gli infortuni, e tante altre piccole e grandi gioie che avevano accompagnato il suo amico in quegli otto intensi anni. Clarice pendeva dalle labbra di Benji e condivideva le emozioni che apertamente il ragazzo stava rivivendo.
 
Finalmente lo sentì vicino come in passato. La complicità e l’intesa erano riemerse con tanta forza quanta Clarice non avrebbe neanche osato sperare.
 
Al termine della cena, Benji stava ancora parlando, gesticolando animatamente. In principio si era sentito sciocco, le sue parole gli erano sembrate insignificanti e noiose, ma lo sguardo profondo di Clarice che lo incitava a continuare, faceva sembrare tutto importante e prezioso. Le domande che, di tanto in tanto, la ragazza poneva, gli fecero comprendere quanto lo stesse ascoltando e capendo.
 
Benji, ad un certo punto, raschiandosi con l’ennesimo colpetto di tosse la gola secca, realizzò, con piacevole sorpresa, di non aver mai parlato tanto quanto quella sera, la constatazione lo divertì e scoppiò a ridere.
 
-Che hai da ridere?- chiese lei incuriosita da quel raro cedimento di Benji.
 
Il ragazzo si alzò ancora sorridente, tenendo un vassoio con due tazzine di caffè in mano, le fece un cenno col capo, invitandola a seguirlo in salotto.
 
Si accomodò sul divano ad angolo di damasco blu e le porse una tazza, dicendo -Rido perché stasera mi hai fatto parlare più di quanto non abbia mai fatto in vent’anni-
 
-Esagerato-
 
-No non esagero, ho molta difficoltà a comunicare con gli altri-
 
Cosa aveva detto? In una sola sera, era riuscita a fargli ammettere il suo più intimo problema con tanta disarmante naturalezza? Benji fu attanagliato da un’irrazionale paura, per puro istinto di autodifesa portò la mano destra alla fronte, intenzionato a calcarsi il cappellino sugli occhi e nascondere, in quel modo ridicolo, la breccia appena aperta nella sua corazza, ma anche quell’insignificante difesa gli fu negata: in quel momento non indossava il suo inseparabile “scudo”.
 
Per camuffare lo sciocco gesto a vuoto, si passò stizzosamente una mano tra i corti capelli, facendo vagare lo sguardo in tutte le direzioni possibili, pur di non incrociare quello della ragazza che gli sedeva accanto.
 
Clarice, terminò di sorseggiare il caffè, apparentemente distratta, ma in realtà attenta ad ogni minima mossa di Benji. Provò un’infinita tenerezza. Sempre uguale il suo Genshj: mai ammettere di essere umano! Lottò per controllare l’impulso di abbracciarlo stretto e cullarlo dolcemente come un bambino, di risentire di nuovo il suo calore, di appoggiarsi a quel corpo apparentemente invincibile, fargli sentire che gli era vicina e che anche lei aveva bisogno di lui -Ma che cavolo sto pensando?-si rimproverò amaramente Clarice.
 
Si creò, per la prima volta in quella magnifica sera di inizio estate, un leggero imbarazzo. Clarice si schiarì la voce fingendo noncuranza e cominciò a narrare qualche episodio della sua vita in America. Certo, avrebbe preferito non farlo, ma non poteva non dire niente, in fondo bastava solamente omettere gli ultimi quattro anni, ovvero da quando suo padre era morto e lei, fragile bambina alle soglie dell’adolescenza, aveva perduto in modo tragico la sua guida spirituale, ritrovandosi nelle mani incapaci di colei che, purtroppo, era sua madre. La sua vita era andata inevitabilmente a rotoli, trascinandola inesorabilmente a toccare il fondo di un’esistenza invivibile. Ma in precedenza, era stata una ragazzina spensierata, simile a milioni di serene adolescenti. Era quest’ultima, l’unica faccia disposta a mostrare a Benji e a tutti gli altri amici giapponesi. Il passato non doveva assolutamente contaminare il presente, o anche la sua ultima speranza di rinascita sarebbe svanita definitivamente.
 
Mentre ascoltava, Benji si sistemò nell’angolo del divano e, una volta appoggiatosi comodamente allo schienale, poté, in quelle posizione, osservare, con calma certosina, l’amica. La soffusa luce della lampada alogena giocava con il corpo e il volto delizioso di Clarice. Benji provò una feroce invidia per quella luce che poteva accarezzare impunemente quella creatura meravigliosa. Non riuscì a trovare un solo difetto in quei lineamenti eterei, e tanto meno nel corpo perfetto, ma ciò che più lo aveva colpito era il portamento pieno di grazia ed eleganza, il modo di camminare, di parlare, di sospirare, anche il più insignificante gesto di lei trasudava sensualità e calamitava tutti i suoi sensi storditi. Si chiedeva, divertito, come avesse fatto quella casinista imbranata, pasticciona a diventare una creatura così aggraziata e affascinante…
Come piume trascinate dal vento, i suoi pensieri corsero lontano...
 
-Benjiamin ma insomma!- sbuffò Clarice indignata.
-Eh che c’è?- replicò lui sorpreso, dissipando a fatica i peccaminosi pensieri che, da qualche minuto, affollavano piacevolmente la sua mente.
 
-Guardati! Ti sei stravaccato sul divano relegandomi in un angolino, stretta come una sardina- protestò, cercando di stiracchiare le gambe, ormai indolenzite, che teneva ripiegate sotto il corpo.
 
-Ah…- esclamò lui ridacchiando, notando che, senza rendersene conto, aveva occupato, poco educatamente, tre quarti di divano.
 
-Fatti in là che mi stendo anch’io- ordinò categorica Clarice rimproverandolo con un’occhiata torva.
 
-Eh no! Io sto comodo così, se vuoi ti stendi qui accanto- ribatté gaio, battendo una mano sul cuscino damascato e scostandosi leggermente verso lo schienale del divano per farle posto. Il suo gesto era chiaramente provocatorio, tanto per metterla un po’ in imbarazzo... Mai e poi mai si sarebbe sognato che lei lo prendesse sul serio. E invece…
 
-Come vuoi- disse Clarice con tono falsamente indifferente. Aveva capito benissimo il gioco sleale di Benji, ma non gli avrebbe lasciato vincere la partita, imbarazzata lei?
Si sdraiò con grazia modellando il suo corpo sul fianco del portiere e appoggiò candidamente la testa sul petto di Benji, ridacchiando tra sé e sé quando lo sentì trattenere il fiato per alcuni secondi.
-Così ti passa la voglia di fare il furbo!- pensò ignorando deliberatamente l’improvvisa accelerazione del suo battito cardiaco.
-E ora che anch’io sono comoda- proseguì disinvolta, senza dar segno di aver colto il disagio dell’amico -raccontami della Germania-
-La…Ge..Germania…- ripeté confuso
 
Ma cosa c’entrava la Germania? Nulla aveva più alcun significato…eccetto il corpo caldo e invitante di Clarice…
 
-Ma sì! Ti sei interrotto al tuo arrivo in Germania, voglio sapere come hai fatto ad integrarti, dai racconta- insistette imperturbabile Clarice, consapevole solo in parte dello stravolgimento di Benji.
 
Per quanto fosse disinibita e spontanea nei confronti del portiere, si sarebbe sicuramente allarmata se avesse percepito anche solo la metà dell’intensità dell’eccitamento dell’amico…
 
-Eh…- articolò a fatica lui. Benji lottò con se stesso per riuscire a mettere insieme qualcosa di senso compiuto -Tsunami lo stai facendo apposta? Sembri perfettamente a tuo agio, come se tutta questa situazione fosse naturale ed innocente...- constatò turbato.
 
Sospirando rassegnato, iniziò a narrare del suo inserimento nell’Amburgo, delle difficoltà iniziali, di Schneider…
 
-Clarice…- chiamò dopo un’altra mezz’ora di chiacchiere, notando il respiro leggero e regolare della ragazza. Nessuna risposta. Si era addormentata…
-Ehi Clarice, è così che sei interessata alle mie avventure in Germania?- mormorò sfiorandole i morbidi capelli color miele con le labbra leggermente umide. Quel gesto lo infiammò da capo a piedi. Si irrigidì violentemente. Per un istante non respirò, temendo di averla svegliata, ma la ragazza continuò a dormire placidamente.
 
Rimase lì immobile fissando gli strani giochi di luce che ora la lampada proiettava sul soffitto del lussuoso salotto. Cercò di ignorare il piacevole calore che il corpo di Clarice gli trasmetteva, e un po’ alla volta si rilassò.
 
Purtroppo la posizione che aveva assunto cominciò ben presto ad essere alquanto scomoda, le spalle e il collo gli dolevano. E inoltre era già molto tardi. Doveva svegliarla anche se… non ne aveva nessuna voglia…
-Però Tsunami potrei farti uno scherzetto…- pensò con un sorrisetto scherzosamente vendicativo.
Passò il braccio sotto le spalle della ragazza attirandola cautamente sopra il suo petto, poi le infilò una mano sotto le ginocchia e con movimento fluido si alzò, sollevandola tra le braccia muscolose.
 
Salì lentamente in camera tenendola delicatamente stretta a sé. Una volta deposto l’amica sul grande letto ad una piazza e mezza, trascorse alcuni minuti ad osservarne il volto bellissimo, reso angelico dal sonno rilassato in cui era sprofondata. Sospirando e respingendo la tentazione di riempirla di baci, la coprì con la leggera trapunta estiva posta ai piedi del letto, spense la luce e si distese accanto. Dopo poco tempo anche il suo respiro si fece regolare, lentamente perse conoscenza e scivolò in un sonno profondo.
 
-Benjiamin svegliati immediatamente!- sbraitò Clarice con rabbia e stupore, scrollando il braccio del ragazzo addormentato serenamente al suo fianco.
-Che c’è?- chiese Benji con voce roca, impastata di sonno.
-Cosa ci faccio nel tuo letto?- Clarice faticava a non prenderlo a pugni.
-Uhm?...- borbottò lui girandosi dall’altra parte, intenzionato a ignorare quella fastidiosa interruzione del suo sonno ristoratore.
-Svegliati!- tuonò lei ormai al limite del suo autocontrollo.
-Clarice….ti sei addormentata e ti ho portata a letto …stavo scomodo in divano….- borbottò lui riacquistando via via lucidità.
-Ma perché non mi hai svegliata? Ma ti sembra normale che io dorma nel tuo letto? Con te?- imbarazzo e collera si mescolarono comicamente nella voce di Clarice.
-Ma dai…che c’è di male…non è mica la prima volta che dormiamo insieme..- sentenziò ormai perfettamente sveglio.
-Benjiamin avevamo 8 anni!-
 
Benji si sistemò, con studiata lentezza, le braccia dietro il capo, assunse un’aria innocente e godette divertito delle occhiate inceneritici di Clarice -Ma … per me non è cambiato niente- disse serafico, ripetendo esattamente la stessa frase che lei aveva pronunciato qualche ora prima mettendolo a tacere, incurante del suo imbarazzo.
 
Quindi anche Tsunami sapeva che certi atteggiamenti potevano essere fraintesi e che tra di loro non vi poteva essere la stessa intimità di 8 anni prima senza…conseguenze…
 
-Benjiamin!- urlò sbattendogli il cuscino in faccia e saltando fuori dal letto.
 
Per dissimulare l’imbarazzo, Clarice cominciò a lisciarsi e risistemarsi la tuta e la t-shirt. Benji la osservava assumendo quell’espressione beata che ha il gatto davanti al topo! Era così insolito vedere Tsunami imbarazzata, e dopo quello che gli aveva fatto passare, se lo meritava proprio…ma non si rendeva conto di cosa gli faceva? Che faticava a controllare i suoi istinti e pensieri alla sua sola presenza? E lei lo provocava incurante…
 
-Non urlare che mi svegli tutta la casa…- disse ridendo il bel portiere.
 
-Benjiamin Price sei un uomo finito!- decretò impassibile avviandosi verso la porta.
 
-Dove vai?-
 
-A casa MIA, nella MIA stanza, a farmi una doccia nel MIO bagno!- disse lei minacciosa.
 
-Aspetta ti accompagno-
-Non osare avvicinarti! E per quanto riguarda te, caro Benjiamin, non ti voglio più vedere … per le prossime due ore!- proclamò con tono duro che contrastava con le scintille di divertimento che danzavano nei suoi occhi.
 
A Benji non sfuggì lo sforzo disumano che fece l’amica per non scoppiare a ridere, per quanto lo riguardava, invece, non aveva alcun motivo per trattenersi, e le sue risate accompagnarono Clarice sino in fondo alla scalinata.
 
Uscì silenziosamente dalla maestosa villa, godendo appieno della fresca sferzata di brezza mattutina che la colpì. I primi bagliori dell’alba stavano schiarendo il cielo ad oriente. Iniziava un nuovo giorno. E finalmente, dopo tanto tempo, Clarice lo accolse con gioia e speranza, considerandolo un dono prezioso e non un’ orribile maledizione.
 
Benji si ricoricò, pienamente consapevole che non sarebbe più stato in grado di addormentarsi. Il cuscino e la coperta erano impregnati del delicato profumo di lei. Inspirò a pieni polmoni quell’odore tenue che gli ricordava l’innocenza e la spensieratezza della sua infanzia e tentò di rilassarsi pensando a loro due bambini, discoli e ribelli… Inutile. Non vi riusciva. L’immagine che prepotente gli danzava davanti agli occhi non era quella di una bimba mingherlina coi codini e le guance paffute, ma quella di una giovane donna dal corpo sinuoso e pericolosamente sexi…
 
In meno di ventiquattr’ore, Tsunami aveva stravolto la sua vita e lui non aveva neanche fatto in tempo ad accorgersene. Non gli aveva lasciato scampo.
Gli aveva teso un’imboscata, e lo trovava diabolicamente ingiusto!
 
Inesorabilmente e subdolamente, una marea di sentimenti erano penetrati oltre la sua maschera di freddezza ed indifferenza, la sua corazza si era sgretolata, la sua anima scandagliata minuziosamente.
 
-Tsunami e ora che devo fare con te? In un giorno mi hai messo di fronte a me stesso e mi hai fatto leggere nel mio cuore con una semplicità infantile… - si passò nervosamente una mano sulla fronte aggrottata -Bah… se almeno ti avessi ritrovata prima, avrei risparmiato i soldi dello strizzacervelli!- sorrise debolmente alla sua pietosa battuta, mentre un brivido gli correva lungo la schiena -Sono in un mare di guai!- concluse sconsolato, ficcando nervosamente la testa sotto il cuscino.
 
Clarice rise per l’ennesima volta ripensando alla comica situazione in cui lei e Benji si erano cacciati con totale incoscienza. L’acqua calda della doccia le scorreva lungo il corpo statuario, arrossando la pelle delicata. Amava fare docce bollenti anche in estate.
 
Rivisse il suo risveglio.
 
Intorpidita dal sonno si era voltata, andando a sbattere contro un corpo solido. Impaurita era balzata a sedere sul letto accorgendosi che la persona accanto a lei era Benji. Questo l’aveva in un primo tempo rassicurata ma, immediatamente, mentre il suo corpo si inlanguidiva sospettosamente, realizzò che quello non era un valido motivo per rassicurarsi. Turbata, lo aveva aggredito scrollandolo energicamente…
 
Anche ora, il solo pensiero di quel volto beatamente addormentato e quel petto possente, che si abbassava e alzava sotto il respiro regolare, le provocava piccole scosse lungo tutto il corpo. Una vampata di calore la fece irrigidire, ma attribuì tutto all’eccessivo calore dell’acqua. Chiuse il rubinetto e si avvolse nel morbido accappatoio di spugna rosa, avviandosi in camera. Il sorriso le morì sulle labbra e la situazione le apparve improvvisamente grottesca e imbarazzante. In effetti non c’era nulla di divertente in quello che era successo. Si era comportata con eccessiva leggerezza, e il fatto che lo avesse fatto con Benji, il suo migliore amico, non era una scusante. Non vi era giustificazione per il suo deplorevole comportamento e Benji avrebbe fatto solo che bene a tenerla a debita distanza. Aveva invaso i suoi spazi con noncuranza, provocandolo come una donnaccia. Per fortuna Benji non ne aveva approfittato. Come avevo potuto addormentarsi così tra le sue braccia?
 
Benji era solo un amico, non poteva e non doveva esser altrimenti. Non avrebbe mai commesso l’imprudenza di innamorarsi dell’unica persona al mondo che non avrebbe mai dovuto amare!
 
-Ma non corro questo pericolo. Per me è solo il mio migliore amico. La mia ancora di salvezza, rappresenta tutto quello che é rimasto di puro ed innocente in me… E non è molto … purtroppo… Benji merita una donna migliore di me- concluse, decisa a soffocare per sempre una parte importante del suo cuore. 

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Capitolo 6
*** Partenza per il ritiro ***


Nella settimana successiva, Clarice e Benji non ebbero più una sola occasione per stare insieme. Gli amici reclamarono affettuosamente la presenza dell’amica, per lunghe e piacevoli serate in onore dei vecchi tempi. Inoltre, diventare una manager non era affatto il paradiso che la ragazza si era immaginata. Innanzitutto, per avere il permesso di saltare un mese di lezione, avrebbe dovuto svolgere una marea di compiti extra e sostenere degli esami al suo rientro, per accertare che la sua preparazione fosse ancora al passo con il resto della classe. E, ciliegina sulla torta, Patty la subissava con una sequenza infinita di preparativi in previsione del ritiro. La pignoleria di Patty le era ben nota, ma in quella settimana la ragazza stava superando se stessa.
 
E così, tra incontri di piacere e interminabili doveri, domenica sera arrivò senza che Clarice se ne rendesse quasi conto. Era notte inoltrata quando chiuse l’ultima valigia. Il giorno seguente avevano il treno per Tokyo alle 6.50 del mattino, alla stazione della metropoli vi sarebbe stato il resto della squadra ad aspettarli, e da lì un autobus li avrebbe portati a destinazione.
 
Clarice si rigirò per l’ennesima volta nel morbido letto che odorava di lavanda, attorcigliando il lenzuolo di fine cotone attorno alle lunghe gambe affusolate. Il letto era completamente disfatto, quindi sbuffando, si alzò e cominciò nervosamente a sistemarlo. Era una notte molto calda, e nonostante la finestra spalancata, non un filo d’aria circolava nella camera. Non aveva acceso il condizionatore perché l’aria fredda le procurava mal di testa, ma quella sera la temperatura era quasi insopportabile.
 
Ma, in realtà, non era il caldo il motivo alla base della sua irrequietezza.
 
Affacciatasi alla finestra, scrutò attentamente attraverso il buio della notte. La luna era alta e brillava solitaria nel cielo. La sua aureola argentata aveva, da sempre, un effetto calmante sul suo animo. Il sole le dava gioia ed energia, la luna pace e tranquillità. Tutti elementi di cui, in quel preciso istante, aveva vitale bisogno. Il pensiero dell’imminente partenza per il ritiro non le dava pace.
 
Ma, inutile negarlo, quella era solo la punta dell’iceberg, la sua ansia aveva radici ben più profonde e concrete.
 
Era giunta in Giappone da nove giorni, dopo un’assenza di dieci anni. Molte cose erano inevitabilmente cambiate, ma, con suo immenso stupore e piacere, ne aveva ritrovate inalterate molte altre. Come, ad esempio, il suo speciale rapporto con Anego, l’affetto e la simpatia di tutti i suoi amici, i profumi e i sapori della sua casa, i colori della sua città, la magia tra lei e Benji..
 
-Benjiamin…- le sfuggì, lieve come un soffio, quel nome che, come un magico talismano, aveva il potere di placare la sua anima, attenuando il dolore per tutte le cose ingiuste che le erano accadute nella sua breve vita.
 
Genshj era stato un dono inaspettato e bellissimo. Emerso furtivamente dal passato, in una notte di dolore e disperazione, quel lontano ricordo si era materializzato, nell’arco di pochi giorni, in un ragazzo dai profondissimi occhi neri. Non avevano faticato a ristabilire quell’esclusivo legame fatto di complicità. Spesso gli amici si stupivano nel notare la loro capacità di intendersi con un minimo gesto o espressione, senza il bisogno di proferire parole. Clarice riusciva a prevedere e prevenire i bisogni e i comportamenti di Benji, anche se lui riusciva solo in parte a ricambiare. Clarice era sicura che Benji avesse intuito che gli stava nascondendo qualcosa di terribilmente importante, che una parte di lei gli era sconosciuta. Non era sicura, però, di aver capito quanto Benji desiderasse scoprire cosa gli celasse, ma sperava con tutto il cuore, che non ne fosse minimamente intenzionato. Se lo fosse stato, avrebbe dovuto allontanarlo. Come poteva permettere che il suo migliore amico venisse a conoscenza del suo peccaminoso passato di modella? Che vedesse le foto patinate e trasgressive insieme a Carina? Lo scandalo in cui era stata coinvolta?
 
I giornalisti l’avevano descritta come una spregiudicata, dedita alla droga e ai festini a luci rosse. Aveva perorato la sua causa, urlando la sua estraneità, ma i fatti le erano stati contro, nessuno le aveva creduto, neppure sua madre aveva avuto il minimo dubbio sulla sua colpevolezza.
 
-Questa qui è marcia come tutte le altre- aveva sentenziato, con spietata crudeltà, un poliziotto, mentre lei, avvolta in una puzzolente coperta di lana color verde militare, dopo essere stata staccata a forza dal corpo gelato di Carina e trasportata di peso in caserma per gli esami ematici e i vari accertamenti, fingeva di dormire. E qual è il destino delle mele marce nella cesta di mele sane? Contaminare anche le altre, ovvio.
 
E ancora quel terribile dubbio: aveva fatto bene a tornare in Giappone? L’alternativa era la morte. Clarice era tornata perché il suo istinto di sopravvivenza aveva vinto, nonostante tutto. Ma era degna di stare accanto a ragazzi sani e genuini come Benji, Holly, Patty, Bruce e tutti gli altri?
 
Ma, in fondo, che male poteva fare loro? Era innocua, non voleva fare alcun danno, solo averli accanto, un loro sorriso, una parola, una carezza, era tutto quello che Clarice desiderava. In cambio non avrebbe dato nulla, non perché non volesse, ma solo perché aveva la triste consapevolezza che tutto ciò che proveniva da lei fosse infetto.
 
Le ginocchia cedettero, chinò il capo e diede sfogo al suo dolore nell’unico modo che, per ora, le era concesso: piangere.
 
−−−
 
Accidenti a Patty, Paul, Ted e tutti gli altri! Ma perché non se né andavano tutti al diavolo? Benji sbuffò inviperito per la millesima volta. In quella settimana non era più riuscito a parlare con Clarice, né a stare solo con lei. Sempre qualcuno tra i piedi, pronto a reclamarla e a portargliela via. Se avesse potuto, avrebbe fatto un massacro, così, al mondo, sarebbero rimasti solo loro due.
Clarice …un maremoto inarrestabile aveva travolto la sua vita… niente di nuovo! Tsunami aveva fatto centro ancora una volta!
 
Fino a pochi giorni prima lui, il grande portiere nipponico, stella della Nazionale, il Super Great Goal Keeper, l’invincibile ed inflessibile asso dell’Amburgo, lottava silenziosamente con i fantasmi del suo io, combatteva strenuamente contro l’insicurezza e l’angoscia da lui stesso alimentate, dibattendosi in un circolo vizioso che lo stava risucchiando inesorabilmente. E come un dono dal cielo, una dea salvatrice gli era stata inviata, e con la sua semplice presenza aveva ucciso tutti i demoni che albergavano indisturbati nel suo cuore. Perché, ora, Benji non si sentiva più sull’orlo di un baratro. La bufera che imperversava nel suo animo era stata magistralmente placata. Si sentiva padrone di se stesso, come non mai.
 
Tutti se n’erano accorti, anche se nessuno aveva osato fare alcun commento. Negli ultimi mesi si era trasformato veramente in una persona insopportabile. I compagni di squadra lo temevano e lo avevano tenuto a debita distanza di sicurezza, come si faceva con un cane rabbioso. Sino a che Tsunami non aveva risvegliato il suo lato umano. Ora rideva e scherzava negli spogliatoi, perdonava e incoraggiava in campo. Era tornato ad essere un amico e un compagno affidabile.
 
E l’indomani lo avrebbe dimostrato alla sua vera squadra al completo. La Nazionale Giapponese. Solo quella era la sua squadra, solo quando il numero uno spiccava sulla maglia verde acqua, con la bandiera nipponica perfettamente cucita all’altezza del cuore, si sentiva un giocatore completo, un uomo soddisfatto. L’Amburgo, la Nankatsu, non avevano alcun valore in confronto alla gloriosa Nazionale Giapponese, più che mai determinata a fare onore al suo paese ai prossimi mondiali, dimostrando come il battagliero Giappone, potesse tener testa alle più grandi potenze calcistiche. Tutti si sarebbero piegati di fronte alla furia degli undici giocatori nipponici, tutti sarebbero impazziti di frustrazione di fronte all’impenetrabilità della porta giapponese. Avrebbero vinto. E avrebbe dedicato la sua vittoria a Clarice. La sua dea della salvezza…e dell’amore….
 
Possibile che lui, l’impassibile Benjiamin Price, il cui nome faceva tremare i polsi ai più pericolosi attaccanti, fosse così follemente innamorato? No, folle sarebbe stato negare quel sentimento.
 
Si era accorto immediatamente che quello che provava per Clarice non aveva più niente a che fare con l’innocente amicizia che avevano condiviso da bambini. Ma erano mai stati amici? Benji aveva più volte in quei nove giorni, avuto il sospetto che già a 8 anni fosse stato innamorato di lei. Come spiegare altrimenti, quel vuoto che lo aveva accompagnato e attanagliato da quando lei era partita dieci anni prima? Che lo psicanalista avesse sbagliato, e la sua insicurezza derivasse dall’abbandono dell’amica piuttosto che dall’indifferenza dei genitori? Poteva essere. Più ci pensava e più la cosa gli sembrava plausibile.
 
Eppure aveva risolto un problema per invischiarsi in uno ancora più grosso. Come dire a Clarice quello che provava? Come sopportare un suo eventuale rifiuto? Cosa era peggio un rifiuto o il rimpianto di non averle detto niente? E poi perché alle volte aveva la sensazione che lei gli nascondesse qualcosa? Qualcosa che non gli voleva dire… Un altro uomo forse… Perché aveva lasciato l’America definitivamente? Una delusione d’amore? Se solo avesse avuto tra le mani colui che aveva osato farla soffrire…e la faceva ancora soffrire… questo Benji lo percepiva chiaramente, quindi era ancora innamorata di quel tizio….
 
Una morsa di gelosia trapassò il cuore del ragazzo in quell’afosa notte. Benji rabbrividì percorso da una miriade di brividi ghiacciati, mentre l’intera città boccheggiava afflitta dall’afa, in una delle notti d’estate più calde degli ultimi trent’anni.
 
−−−
 
-Bimba mia divertiti e riposati…- le raccomandò Nanà dandole un buffetto sul naso. Alla vecchia balia non erano sfuggite le profonde occhiaie sotto gli occhi verdi di Clarice, ma nessun commento uscì da quelle labbra carnose, leggermente piegate in una smorfia di preoccupazione. Più volte, in quella settimana, aveva visto la sua giovane padrona tesa e scostante, sospettava da tempo che non dormisse bene, ma non insistette, almeno aveva ricominciato a mangiare e qualche chiletto l’aveva già recuperato, con suo enorme sollievo.
 
-La valigia è sistemata, signorina. Possiamo partire- commentò l’autista chiudendo pomposamente il baule della limousine nera.
 
Clarice scosse il capo osservando la carrozzeria lucente che restituiva i primi raggi del sole nascente -Ma perché hai scelto questa macchina, Joseph? Mi mette a disagio lo sai è troppo…snob- protestò la ragazza arricciando indispettita il bel nasino dal profilo delicato.
 
-Signorina la Cadillac è dal meccanico e nella Maserati non vi è spazio per le valigie e…-
 
-Va bene Joseph lasciamo perdere- sbuffò sventolando le mani con fare rassegnato - Andiamo!- ordinò aprendo la portiera della lussuosa auto.
 
Non le piaceva l’idea di presentarsi alla stazione con quell’aggeggio. Eccetto lei e Benji, che erano gli ultimi discendenti di due delle famiglie più in vista del Giappone, Bob, Paul e Ted che erano decisamente benestanti, tutti gli altri erano ragazzi semplici e di origine borghese. Ma la differenza di classe non aveva mai minimamente interferito con il loro rapporto, e per nulla al mondo voleva apparire per quello che era agli occhi della nobiltà Giapponese. Che sciocchezze. L’unica persona che nella sua famiglia credeva ancora nel valore della nobiltà era sua madre, che aveva sacrificato la sua giovinezza e bellezza per un uomo che, non solo non aveva mai amato, ma per il quale non aveva provato il benché minimo affetto o rispetto. Per Clarice l’unica nobiltà che avesse un qualche valore era quella dell’anima, ma quando lo aveva detto a sua madre, questa le era scoppiata a ridere in faccia, affermando che quella era la sciocca convinzione di una ragazzina idealista. E quando era stata travolta dallo scandalo, sua madre più di una volta l’aveva guardata come per dire “Questo intendevi per nobiltà d’animo?” ma per fortuna la sua crudeltà non era mai arrivata al punto di manifestare apertamente i suoi pensieri.
 
Mentre la limousine si immetteva velocemente nelle strade ampie e ben tenute di Fusjiawa, Clarice pensò a come sarebbe stata la sua vita se non fosse mai partita per l’America. Sarebbe cresciuta tra i suoi amici, avrebbe frequentato con loro la Nankatsu vivendo intensamente ogni giorno e ogni emozione con loro. Sarebbe stata un’adolescente felice, spensierata, piena d amici…e invece si ritrovava una giovane donna incapace di affrontare la vita, di accettarsi e di volersi bene. Si faceva schifo per la sua debolezza, per aver lasciato che l’immondizia del mondo la avviluppasse, per non aver reagito con maturità e forza alla morte del padre. Era una donna insicura e impaurita…
 
I suoi pensieri furono bruscamente interrotti da un ragazzo che arrancava faticosamente verso la fermata del bus, trascinando un ingombrante borsone.
 
-Joseph accosta- ordinò perentoria Clarice.
 
La ragazza scese con grazia felina dall’auto -Ciao Tom- esordì sorridendo all’amico - Non vorrai mica arrivare in stazione con il bus, con quella borsa così pesante?- disse appoggiandosi leggermente alla portiera che teneva spalancata.
 
-Clarice…ciao!- rispose il ragazzo fissando perplesso la limousine con tanto di autista.
 
-Dai sali che ti do un passaggio. A meno che…- Clarice aveva notato l’occhiata incerta che Tom aveva rivolto all’auto -…tu non abbia paura della mia auto, sai nonostante l’aspetto austero è simpatica….- concluse sorridendo timidamente. Tremava all’idea che lui la giudicasse una ricca snob.
 
Ma il sorriso luminoso di Tom cancellò in un attimo tutte le sue paure, riscaldandole il cuore -Ma certo! Andiamo non sto nella pelle! Una limousine! Uao! Faremo un’entrata da gran signori alla stazione…- dichiarò eccitato lanciando il borsone nel bagagliaio che Joseph teneva educatamente aperto.
 
Clarice si sedette nell’abitacolo passeggeri scrutando attentamente l’amico seduto di fronte a lei. Era quasi commovente lo stupore fanciullesco con cui stava esaminando le rifiniture interne dell’auto. Lo conosceva da appena una decina di giorni eppure già lo considerava una persona eccezionale. Mai una parola fuori posto, un tono offensivo o un gesto brusco. Era il ragazzo ideale. Quello che lei aveva sempre sognato. Calmo e rassicurante, un porto sicuro dove trovare riparo.
 
Tom si accorse dello sguardo intenso con cui Clarice lo stava osservando -Che c’è?- le chiese dolcemente, scrutandola a sua volta con rinnovata attenzione.
 
-Ni…niente Tom. Sono un po’ nervosa….- mentì, vergognandosi per essere stata sorpresa ad esaminarlo con tanta sfacciataggine.
 
-Ma no, vedrai che i ragazzi ti piaceranno sono tutti simpaticissimi…anche se qualcuno lo è a modo suo-
 
-Ti riferisci a Lenders?
 
-Sì, come lo sai?-
 
-Oh Benjiamin me ne ha parlato in abbondanza. A sentir lui non lo sopporta…-
 
-Ed è così- disse convinto Tom, memore del cattivo rapporto tra il portiere e il bomber giapponese. Più volte la tensione e l’ostilità tra i due avevano messo in seria discussione la performance della squadra.
Clarice sorrise sorniona -No, in realtà Benjiamin lo ammira moltissimo. Lo considera uno dei migliori giocatori giapponesi e un insostituibile compagno di squadra-
 
Tom sgranò gli occhi –Ma … te lo ha detto lui?-
 
Clarice rise di fronte all’espressione sconcertata del centrocampista. Lo sguardo nocciola scintillava di incredulità.
 
-Certo che no! Benjiamin non sa parlare dei suoi sentimenti. Ma con me non serve che parli…- concluse Clarice mentre la consueta ondata di tenerezza la invase; ogni volta che pensava alle difficoltà di Benji nell’esternare il suo lato sensibile, quella sensazione la pervadeva inevitabilmente.
 
-Bah solo tu lo capisci! Comunque ti credo, perché tu leggi in Benji come in te stessa-
 
Clarice voltò il capo di lato fingendosi improvvisamente attratta dalla strada che scorreva veloce oltre il finestrino oscurato -No Tom ti sbagli. Io leggo in Benjiamin come in me stessa non sono mai riuscita a fare-
 
A Tom non sfuggì la repentina tristezza che offuscò il dolce viso della ragazza, e maledì se stesso e la sua lingua lunga, anche se non gli sembrava di aver detto alcunché di sbagliato. Senza dire nulla scivolò sul sedile accanto a lei, le passò un braccio attorno alle spalle, facendola appoggiare al suo ampio petto. Clarice non si oppose, e lui, troppo preoccupato per lo stato d’animo dell’amica, non fece caso all’intimità del gesto. Il timido Tom non era avvezzo a certi slanci verso le ragazze. Ma in quel momento non se ne diede pensiero. L’unica cosa importante era dare all’amica la forza di cui aveva bisogno per combattere contro quell’invisibile nemico -Piccola onda indifesa non essere triste, vedere con chiarezza dentro di noi è una delle cose più difficili della vita. Ma quando finalmente ci riuscirai, ti stupirai della semplicità con cui ciò accadrà- le sussurrò sfiorandole i capelli con le labbra. Come erano morbidi e profumati. Sapevano di rose appena sbocciate.
 
Il tono roco, ancora più dolce del solito, la fece sentire come burro al sole, la voce di lui era poco più di un bisbiglio, ma ebbe su di lei lo stesso effetto rigenerante del sole sui primi teneri germogli di primavera che, sfuggiti alla mortale morsa dell’inverno, sbocciavano gioiosi.
 
Istintivamente alzò la testa per incontrare gli occhi di lui, desiderava ringraziarlo, ma nessuna parola le uscì di bocca nel momento in cui incontrò quegli occhi caldi e tranquilli. Rimasero immobili fissandosi, mentre parole non dette galleggiavano come bolle di sapone tra di loro.
 
Clarice sentì, comunque, il bisogno di dire qualcosa per giustificare quella sua reazione eccessiva. Perché preoccupare e insospettire l’amico? Se non imparava a controllare meglio le sue reazioni si sarebbe tradita prima o poi -Tom io…-
 
-Ehi! Ho interrotto qualcosa?- la voce squillante di Patty echeggiò nell’abitacolo dell’auto facendoli sobbalzare. Nonostante tentasse di dissimulare con un tono allegro, Patty non riuscì a nascondere l’espressione preoccupata e stupita. Colti in fallo, i due ragazzi rimasero muti tenendo lo sguardo basso. Tom ritrasse il braccio dalle spalle di Clarice e arrossì violentemente. Erano talmente presi uno dall’altra che non si erano resi conti che l’auto aveva accostato e la portiera era stata aperta.
 
-Patty?- biascicò la ragazza incerta.
 
Patty decise di ignorare tutta la situazione. Far finta di niente era un atteggiamento senza dubbio ipocrita, ma in quel momento le sembrò il più opportuno -Si io. Il tuo pulmino si è fermato sotto casa mia in perfetto orario. Tu forse ti sei dimenticata del nostro appuntamento, ma il tuo autista, per fortuna, no! – Con fare disinvolto consegnò le tre voluminose valigie, i due trolley, lo zaino e la trousse da viaggio a Joseph, avviando un chiacchierio rumoroso mentre insisteva con l’autista per aiutarlo a sistemare le sue cose nel bagagliaio.
 
-Ma Patty quanta roba hai portato?- esclamò stupefatta Clarice, osservando la montagna di bagagli dell’amica che in breve occuparono tutto lo spazio libero dell’auto.
 
-Eh sai com’è… ero un po’ indecisa, così per non aver rimpianti, mi sono portata via tutto l’armadio- rispose l’amica strizzandole l’occhio e simulando un’allegria che non provava affatto.
 
Un imbarazzante silenzio scese nell’auto ma nessuno dei tre si sforzò di riempirlo. Decisero in comune e tacito accordo, che vi sarebbe stato un momento più adatto di quello per le spiegazioni di quanto era successo.
 
Arrivarono alla stazione mentre il sole schiariva il cielo, colorando di un tenue rosa l’orizzonte.
 
Sicuramente sarebbe stata un'altra giornata molto calda. Ma la cosa non impensieriva i ragazzi, rallegrati dal pensiero che, nel giro di poche ore, sarebbero giunti in una delle zone più belle e piacevoli del Giappone.
 
Le cascate Fukuroda erano le più imponenti del paese. Certo, se paragonate alle immense cascate Americane e Africane, non erano altro che un insignificante dislivello di un fiumiciattolo di media grandezza. Ma per i Giapponesi rappresentavano una specie di Eden, di cui andavano molto fieri.Inoltre i dintorni pullulavano di tempietti buddisti e shintoisti, per i quali Clarice aveva una vera passione. Chissà, magari, in una pausa avrebbe potuto concedersi una bella gita. In effetti, stava prendendo quel ritiro come una vacanza, ma per i ragazzi non sarebbe stato affatto così: li aspettavano due settimane di intensissimi allenamenti, di dieta ferrea e di ritempramento dello spirito. Nonostante ciò, non apparivano per nulla turbati, anzi sprizzavano gioia da tutti i pori.
 
Allegre risate e volti distesi, accolsero Clarice, Tom e Patty alla stazione. Loro erano gli ultimi e Holly li stava aspettando impaziente prima di iniziare a distribuire i biglietti che aveva già fatto da un pezzo -Probabilmente é qui dalle cinque!- pensò Clarice, afferrando il biglietto che il ragazzo le porgeva, ancora una volta colpita dall’entusiasmo e totale abnegazione con cui il Capitano si dedicava al calcio e a tutto ciò che aveva a che fare con esso. La cosa non doveva divertire allo stesso modo Patty. Clarice aveva intuito i sentimenti dell’amica per il Capitano, anche se non avevano mai affrontato direttamente l’argomento.
 
-Tokyo, stazione centrale di Tokyo….-
 
La voce metallica dell’altoparlante risuonò nell’aria della modernissima stazione della capitale nipponica. Un gruppetto di giovani ragazzi, vestiti sportivamente e carichi di ingombranti valigie e borsoni, scese al binario 15, imboccando, subito dopo, le scale mobili che conducevano all’uscita principale.
 
L’autobus che li avrebbe condotti all’albergo, li attendeva in quarta corsia ed era completamente anonimo. La Federazione aveva rinunciato ai colori e alle scritte degli sponsor, in modo che i giocatori passassero inosservati, evitando così ritardi dovuti a tifosi a caccia di autografi. La precauzione era, evidentemente, riuscita perché, eccetto quelli che Clarice identificò con i componenti della Nazionale, non vi era nessun altro in giro.
 
Il treno proveniente da Fusijawa era l’ultimo e quindi tutti li aspettavano impazienti. L’accoglienza fu calorosa e Clarice rimase in disparte, aspettando che i ragazzi si scambiassero battute pepate e voluttuose pacche sulle spalle, mentre Patty scompariva tra le braccia di una bellissima ragazza dai capelli ramati.
 
-Amy ti presento Clarice…o Tsunami per gli amici… attenta, il suo nomignolo è più che meritato- cinguettò Patty presentando quelle che riteneva le sue più care amiche -Ragazzi vi presento la terza manager!- proseguì Patty ottenendo una sfilza di fischi di approvazione.
 
Patty sospirò preoccupata mentre osservava la reazione vivace dei componenti della nazionale -Eh…Niente di strano. Clarice non passa certo inosservata... Spero solo questo non voglia dire guai …già tremo all’idea che Benji venga a sapere di lei e Tom-
 
Ripensando al significato della scena a cui aveva assistito quella mattina, Patty fu colta da un forte disappunto. Di sottecchi osservò Benji che, imperturbabile, attendeva che tutti i compagni si presentassero a Clarice, apostrofandola con battute più o meno spiritose e provocatorie, alle quali lei replicava felice, apparendo completamente a suo agio. Tom invece guardava da tutt’altra parte e, nella sua espressione corrucciata, si poteva leggere una sorta di imbarazzo.
 
-Questo ritiro riserverà delle grosse sorprese! E io non ho nessuna intenzione di restare una spettatrice passiva come sempre. Chissà forse riuscirò anch’io a trovare l’amore…- Un sospiro speranzoso sfuggì dalle labbra della bella Patty mentre il suo sguardo, carico di dolcezza e frustrazione, si posava sulla chioma arruffata del Capitano. 

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Capitolo 7
*** Desideri di bambini ***


Arrivarono a destinazione nel primo pomeriggio, affamati e intorpiditi. Quei corpi atletici non erano fatti per l’immobilità, e anche poche ore di autobus, costituivano una dura prova per quei fasci nervosi che bramavano potersi stendere sfrecciando attraverso un campo verde all’inseguimento di una sfera a scacchi. Le ragazze invece, accoccolate in fondo al bus, stavano ancora chiacchierando animatamente, rilassate e a loro agio, quando il mezzo si arrestò di fronte al modernissimo complesso alberghiero che avrebbe ospitato, in assoluta privacy, quegli importanti ospiti.
 
I ragazzi, una volta recuperate le valigie, si riunirono nella hall, dove il Mister distribuì le chiavi e le varie raccomandazioni per gli allenamenti del giorno dopo. Quel pomeriggio erano liberi, cosa che incontrò il manifesto disappunto del Capitano.
 
Questa volta il Mister aveva optato per delle camere singole, ritenendo che fossero abbastanza adulti da meritare un po’ di intimità, senza nulla togliere all’affiatamento della squadra. I giocatori furono distribuiti tra il quarto e il quinto piano, mentre le managers furono sistemate al terzo.
 
L’albergo era uno studiatissimo miscuglio di stile orientale ed occidentale. La hall e il ristorante erano in stile Europeo, mentre la zona notteriprendeva la più rigorosa tradizione orientale. Ogni camera, ampia e molto luminosa, era arredata semplicemente ma con raffinatezza. Il pavimento era ricoperto di tatami, lusso ormai raro anche nelle case dei giapponesi più abbienti. Non vi erano sedie e neppure letti. Sul pavimento vi erano disseminati, un po’ dappertutto, cuscini multicolori, mentre sulle pareti spiccavano bellissime stampe dei paesaggi Giapponesi più suggestivi. Per dormire vi era il tradizionalissimo futon arrotolato dentro l’apposito armadio, secondo l’usanza nipponica. Ogni stanza era dotata di un grande bagno in stile occidentale, fornito sia di doccia che di vasca idromassaggio. Infine vi era una piccola terrazza dotata di sedia a dondolo e tavolinetto in vimini, nella quale si poteva sorseggiare un ottimo the, osservando il bosco sottostante che si estendeva a perdita d’occhio e ascoltando, in lontananza, il rombo della cascata.
 
Per accedere alla zona notte, era d’obbligo togliersi le scarpe, per questo motivo, accanto agli ascensori e alle scale per i piani, vi erano delle piccole stanze con a disposizione degli ospiti, le tradizionali ciabatte, che andavano comunque lasciate fuori dalla camera, in quanto sui tatami si camminava esclusivamente scalzi
 
L’albergo era anche dotato di terme in stile orientale, modernizzate da innovazioni tecnologiche come saune e comodissime poltrone che regalavano un rilassante massaggio ad aria a tutto il corpo. La zona relax era completata da un’enorme piscina coperta e riscaldata, con tre diversi livelli di profondità e un vertiginoso trampolino, ed infine, nella stanza adiacente, una fornitissima palestra per gli atleti.
 
Il retro dell’albergo era occupato da un nuovissimo campo da calcio regolamentare dotato di illuminazione e piccola tribuna.
 
I ragazzi depositarono i bagagli nelle rispettive camere, si attardarono giusto il tempo di sciacquare viso e mani, per poi precipitarsi nel ristorante. Mangiarono voracemente un ottimo pranzo a base di pesce d’acqua dolce e verdure a vapore. Dopo aver soddisfatto i bisogni dello stomaco, si rilassarono nel sobrio salottino, sorseggiando un the freddo.
 
Clarice finì di gustare il suo drink, seguendo svogliatamente le discussioni concitate dei ragazzi, che vertevano esclusivamente su argomenti calcistici. Il suo sguardo vagava irrequieto oltre la grande vetrata aperta, seguendo ipnotizzata il ritmico oscillare delle cime degli alberi, scosse dalla leggera brezza estiva.
 
Benji, seduto poco distante, apparentemente intento a seguire le disquisizioni di Holly su un nuovo schema d’attacco, in realtà la stava studiando da parecchi minuti, tentando di indovinarne i pensieri. Appoggiò sul tavolo il bicchiere di amaro con cui stava distrattamente giocherellando e si alzò, ignorando totalmente lo sguardo interrogativo e lievemente infastidito del Capitano.
 
Si avviò verso la ragazza -Clarice hai voglia di fare una passeggiata?- chiese guardandola intensamente.
 
-Oh il nostro portiere fa il romantico?- lo canzonò Mark placidamente stravaccato nel divanetto situato alla destra della ragazza. Il volto del portiere scattò lievemente di lato, limitandosi ad incenerire con un’occhiataccia il bomber giapponese.
 
Clarice non perse una virgola dell’espressione dell’amico: la mascella contratta, il ghigno strafottente e gli occhi solo apparentemente quieti -Oh Benjiamin che idea fantastica!- esclamò in tono esageratamente allegro per distrarre il portiere - Andiamo alla cascata?- chiese sospirando sollevata nel risentire lo sguardo di Benji caldo e limpido su si sé, distogliendo definitivamente l’attenzione dall’antipatico compagno di squadra.
 
-Sì porta un impermeabile….- proseguì il ragazzo con un tono carico di sottinteso che solo lei poteva cogliere.
 
La ragazza sbatté le palpebre stupefatta –Oh- riuscì solo a dire prima che un luminoso sorriso le increspasse la bocca, illuminandole gli occhi. Benji trattenne il fiato di fronte a quella visione. Dio se solo fosse riuscito a far splendere quel meraviglioso sorriso per sempre!
 
–Benjiamin! Oh sì…corro….- esultò Clarice scattando verso gli ascensori e notando, solo in quel momento, l’espressione interrogativa di Patty.
 
Durante il tragitto in bus, Patty ed Amy le avevano confidato di non aver mai visto la cascata e di essere emozionate all’idea di quella vista che immaginavano, non a torto, straordinaria. D’altra parte, quel tuffo nel passato, che le stava  proponendo Benji, era un ricordo loro, da non condividere con nessuno…era un frangente prezioso, una gemma inestimabile.
 
Ma non era giusto escludere gli altri, non avrebbero capito il motivo, e già qualcuno stava facendo delle insinuazioni imbarazzanti, anche se chi le faceva non sapeva assolutamente niente di loro. Nessuno degli amici più cari, si sarebbe mai neanche lontanamente sognato, di fare una battuta simile su di loro. Agli occhi di tutti erano due amici legati da una decennale amicizia.
 
-Ehi chi ha voglia di fare una bella gita alla cascata?- propose facendo vagare lo sguardo su tutti i presenti per trattenerlo qualche secondo in più sul volto sorpreso di Benji che in fretta si trasformò in stizza. Clarice percepì attraverso la stanza affollata, il disappunto di Benji colpirla in pieno.
 
Comunque anche se comprendeva benissimo il risentimento del portiere, ritenne inopportuna la sua reazione e glielo fece chiaramente capire attraverso il loro personalissimo linguaggio fatto di sguardi. Il ragazzo si limitò a volgere gli occhi altrove e piegare le labbra in un ghigno inintelligibile. Eccolo di nuovo che indossava la maschera e celava emozioni e pensieri dietro ad un atteggiamento freddo ed ostile.
 
–Ma come manager, il tuo bello ti invita ad un incontro tetè e tu inviti il pubblico? Non ti ritenevo un’esibizionista, pensavo che certe cose preferissi farle in privato- osò ancora l’incauto capitano della Toho non riuscendo a resistere alla tentazione di stuzzicare un Benji Price in evidente difficoltà.
 
Clarice non attese neanche la reazione di Benji e, fulminea, si pose tra i due ragazzi, celando Mark alla vista del sempre più pericoloso portiere. Quello sciocco stava decisamente giocando con il fuoco!
 
Clarice si voltò appena, gli occhi verdi freddi come lastre di giada grezza -Caro Lenders, credo tu abbia frainteso. Io e Benjiamj non siamo fidanzati ma amici, quindi se ti fa piacere unirti al gruppo sei il benvenuto, altrimenti chiudi la bocca e tieni le tue stupide insinuazioni per qualcun altro, disposto a ridere alle tue pietose provocazioni- lo attaccò decisa, cercando però di non perdere la calma. Una lite tra i due titolari, il primo giorno di ritiro, non avrebbe certo giovato alla squadra, e lei era fermamente intenzionata ad evitare in tutti i modi possibili che ciò avvenisse. E soprattutto una lite per colpa sua non se lo sarebbe mai perdonato.
 
Mark si alzò lentamente, soppesando attento la ragazza di fronte a lui - Ah davvero tu non sei la sua ragazza? Allora Price…- disse con un tono mellifluo che sapeva di finto a miglia di distanza -Non hai niente in contrario se ci provo con la bella manager?-
 
Clarice aprì la bocca ma non le uscì alcun suono facendo la figura del classico pesce fuor d’acqua. Un silenzio tombale scese nella stanza in attesa del risposta di Benji che non venne.
 
Fu, invece, la voce di Clarice, traboccante di collera non più repressa, a rompere il silenzio -Lenders, credo che Benjiamin non sia stato abbastanza onesto nel descrivermi il tuo caratteraccio- proruppe ritrovando le parole che prima le erano morte sulle labbra per lo stupore -Sei molto peggio di come ti hanno descritto. Se la tua è una provocazione per generare guai, non avrai soddisfazione. Se invece sei serio…beh… questo mette in seria discussione anche quel briciolo di intelligenza che ero disposta a concederti. E ora io e Benjiamin andiamo alla cascata e vorrei invitarvi tutti ad unirvi. Ci sono ancora un paio d’ore di luce e mi sembra un modo carino per impegnare il tempo prima della cena. Da domani non credo avrete molte altre occasioni per fare gite di piacere- concluse girando sui tacchi e non lasciando spazio alla replica dell’attaccante, del quale aveva deciso di ignorarne totalmente la presenza. Da quel momento in poi Mark Lenders per lei non sarebbe più esistito! Che odioso individuo… Peccato, sino a quel momento era stato tutto perfetto…
 
-Uao io mi unisco volentieri- esultò Patty scattando in piedi.
 
-Anch’io vengo con piacere- disse a ruota Tom felice di poter finalmente dissipare quella cappa di tensione.
 
Ben presto aderirono tutti quanti, compreso Lenders, rispondendo con una noncurante alzata di spalle e un’espressione serafica allo sguardo truce del portiere, come se la discussione di poco prima non fosse mai avvenuta.
 
Aspettarono anche gli ultimi ritardatari e si incamminarono di buon passo per il sentiero a tratti scosceso e reso difficoltoso dal disordinato rigoglio di arbusti, licheni e rami spezzati. Sia Benji che Clarice avevano trascorso molti giorni di vacanza in quei luoghi, durante la loro infanzia, ma la maggior parte degli altri ragazzi non era mai stata in quel paradiso di pace apparente e potenza incontrastata.
 
Il sentiero si fece sempre più stretto e ripido man mano che si inoltrava nel folto del bosco. Nonostante gli alberi formassero un fitto tetto naturale, alcuni raggi di sole riuscivano ostinatamente a penetrare tra le verdi fronde, illuminando di una luce quasi irreale il sentiero sul quale si erano avventurati i ragazzi. Benji e Clarice conducevano il gruppo senza incertezze. In ogni caso, anche se il luogo era praticamente incontaminato, alcuni segni umani erano chiaramente visibili: delle indicazioni, incise su cartelli di legno di abete rosso, erano disseminati con una certa frequenza, indicando il giusto cammino da seguire per giungere alla cascata senza spiacevoli digressioni.
 
Il rumore dell’acqua si fece via via più forte, e ogni tentativo di comunicazione si fece difficoltoso, cosicché smisero di chiacchierare e si concentrarono sui rumori e gli odori del bosco caratteristicamente pregno di umidità. Al di là di una tortuosa curva del sentiero, si presentò, inaspettatamente, uno spettacolo da mozzare il fiato. L’acqua impetuosa e scrosciante scendeva con furia dal dislivello formando un lago ai suoi piedi, che si incanalava in un fiume che, visto da quell’altezza, sembrava una profonda cicatrice, la lama d’acqua che tagliava in due il folto verde degli alberi sembrava uno sfregio provocato dalla spada di un gigante.  Rimasero in ammirazione per alcuni minuti, disorientati e intimoriti da tanta potenza.
 
Negli occhi di Mark Lenders si accese la fiamma combattiva che lo contraddistingueva. Era la prima volta che vedeva uno spettacolo di tale inaudito splendore. La potenza di quel fenomeno della natura sembrava penetrargli nelle membra. In qualche modo la forza dell’acqua gli colmò lo spirito, predisponendolo a quello che sarebbe stato un campionato memorabile.
 
Mentre tutta la squadra ammirava rapita e disorientata lo strabiliante spettacolo, Benji afferrò la mano di Clarice e la strattonò leggermente. La ragazza comprese all’istante e lo seguì con il cuore che le batteva forte. Si avvicinarono all’acqua attraverso un angusto passaggio tra le rocce praticamente invisibile, solo gli esperti conoscitori della cascata sapevano della sua esistenza, ma loro lo ricordavano bene, avendo passato tanti giorni spensierati, perlustrando ogni anfratto di quel luogo ameno. Sorridendo complici estrassero gli impermeabili dalla sacca e, di nuovo insieme, dopo tanti anni, si diressero verso la loro “tana segreta” che aveva fatto da spettatrice ai sogni di due bambini felici. Giunti a pochi passi dall’acqua che scorreva violenta, i due ragazzi sollevarono il cappuccio dell’impermeabile allacciando saldamente le cinghie sotto il mento, quindi si aggrapparono a delle maniglie arrugginite ma ben ancorate nella roccia, facendo molta attenzione allo strato scivoloso di muschio.  Clarice trattenne il fiato, stringendosi convulsamente alle maniglie, nel punto in cui l’acqua fredda la colpì in pieno ma, un passo dopo, era al sicuro in una caverna buia e umida. Benji estrasse la torcia dalla tasca e illuminò la grotta. Alle loro spalle un muro d’acqua li isolava dal mondo. Si trovavano nel cuore della grande cascata.
 
Avanzarono di qualche passo mentre Benji faceva scorrere la luce sulle pareti.
 
-Ti ricordi il punto esatto?- chiese Clarice con la voce spezzata dall’emozione.
 
-Credo di sì. E tu lo ricordi?- replicò illuminandola con la torcia.
 
-Sì- rispose semplicemente lei, turbata dallo strano tono dell’amico.
 
Benji la prese per mano e insieme si diressero verso il fondo della grotta.
 
Individuata una roccia dalla forma caratteristica, che spuntava dal terreno, girarono verso la parete di destra e lentamente il portiere fece vagare il fascio di luce su tutta la parete.
 
-Eppure deve esser qui…- disse Benji continuando a stringere dolcemente la mano di Clarice. Non avrebbe lasciato quel contatto per nulla al mondo e, il senso di vuoto che provò, quando lei si divincolò, scattando in avanti e inginocchiandosi a pochi passi da lui, lo colse del tutto impreparato.
 
-Benjiamin eccoli!- urlò felice Clarice ignara del turbamento dell’amico.
 
Benji le si inginocchiò accanto e insieme staccarono un po’ di muschio dalla parete. Lì, seminascoste dallo strato verde, vi erano delle scritte incise con infantile goffaggine sulla roccia viva.
 
Io sarò il portiere più forte del mondo. B.P.”
“Io farò felici tutti quelli che amo. C.K.”
 
-Quel giorno avevamo deciso di incidere il nostro desiderio più grande, ti ricordi Benjiamin la comica cerimonia che avevamo ideato per rendere più solenne il nostro rito?-
 
-Sì, ci eravamo ispirati ad un filmato su una tribù australiana…se non sbaglio…-
 
-C’eravamo agghindati in modo ridicolo e avevamo fatto tutta una sequenza di movenze assurde…come eravamo sciocchi-
 
-No non sciocchi, volevamo solo dare maggiore importanza a ciò che per noi era già il nostro scopo di vita-
 
-Tu ci sei quasi Benjiamin..- disse lei con un filo di voce accarezzando, con il dito affusolato, le incisioni fatte dall’amico all’età di sette anni con un taglierino sottratto di nascosto ai genitori.
 
-Quasi…e tu?-chiese lui scrutandola serio.
 
Un paio d’occhi pieni d’angoscia si tuffarono nelle nere profondità degli occhi di Benji.
 
-Clarice…che c’è?-
 
Ora avrebbe saputo cosa tormentava l’amica, glielo avrebbe detto, ne era certo.
 
-Price, Clarice siete qui?- la voce preoccupata del secondo portiere della Nazionale irruppe attraverso il buio della grotta. Benji sentì un motto di rabbia irrefrenabile, quel posto era suo e di Clarice, qualsiasi intrusione era una violenza inaudita alla loro intimità.
 
-Siamo qui- rispose Clarice alzandosi bruscamente, turbata ma grata per la provvidenziale apparizione del portiere della Toho. Non avrebbe avuto il coraggio di mentire a Benji, ma neanche di rivelargli la verità…
 
-Ma perché siete spariti? Ci avete fatto preoccupare- disse acido Ed.
 
Il gruppo accortosi dell’assenza dei due ragazzi aveva subito sospettato un isolamento volontario, ma Patty aveva insistito che ciò non era possibile, che non si sentiva per niente tranquilla e aveva lanciato un’occhiata inorridita in fondo alla cascata. Gli altri avevano minimizzato, dandole della paranoica, ma subito si erano organizzati per la ricerca. Ad Ed era venuto in mente di guardare in quella grotta segreta, sconosciuta alla maggior parte dei turisti, ma non a lui, che più volte vi si era recato in ritiro spirituale con il padre. Per i giovani karatechi le cascate erano, infatti, un luogo privilegiato di riflessione e di meditazione.
 
-Scusaci noi….- balbettò Clarice dandosi della stupida per aver fatto preoccupare gli amici.
 
-Lascia stare, andiamo gli altri sono in ansia. Patty già vi immagina annegati in fondo al lago!- disse Ed dirigendosi fuori dalla grotta e la ragazza si mosse per seguirlo ma fu trattenuta da una presa decisa al polso -Clarice io ho bisogno di parlarti da solo…-
 
-Non ora sono tutti preoccupati per causa nostra…- disse abbassando lo sguardo, non voleva che Benji le leggesse dentro il dolore che ancora non era riuscita a rinchiudere in fondo al cuore ma ragazzo non accennava a mollare la presa -… stasera dopo cena facciamo una passeggiata, così mi potrai parlare-   
 
-Ok - si limitò a replicare il portiere lasciandola finalmente andare. Quella sera sarebbe stato di nuovo solo con lei e le avrebbe detto tutto quello che aveva chiuso nel cuore. Ma come mai non lo aveva ancora capito dal momento che non le sfuggiva niente di lui? Che facesse finta di non capire?
 
In poco tempo raggiunsero gli amici e Clarice si sentì morire di vergogna quando Patty l’abbracciò singhiozzando -Ma Patty non stai esagerando? Ero con Benjiamin non mi poteva succedere niente…- cercò di rassicurarla, accarezzando la fulva chioma dell’amica che tirava rumorosamente su col naso.
 
-Una volta forse non mi sarei preoccupata, ma ora che so come stanno le cose… non sapevo che pensare, non potevi esserti isolata di proposito con Benji, non con il tuo ragazzo presente….- la manager si bloccò di colpo portandosi una mano alla bocca e scostandosi in fretta dall’amica. Benji era lì, a pochi passi da Clarice e lei sperò con tutto il cuore che il rumore dell’acqua avesse coperto le sue parole, anche se, per l’emozione, aveva praticamente urlato. Patty portò lo sguardo sull’amica che sembrava non aver colto le sue parole, probabilmente distratta dagli altri, quindi cercò di indovinare la verità frugando nel volto del portiere ma Benji non fiatò e lei non fu in grado di decifrarne l’espressione.
 
I ragazzi girovagarono ancora una mezz’oretta e, quando la fame si fece sentire, si avviarono allegri verso casa. Solo Benji non partecipò all’allegria generale, trincerandosi ostinatamente dietro un’espressione più cupa e solitaria del solito.
 
Clarice non riusciva a capire appieno la reazione dell’amico e quindi preferì lasciarlo sbollire per i fatti suoi.
 
Il resto della squadra non se lo sognava nemmeno di avvicinare un Benji così di cattivo umore. Ma la persona che più di tutte evitava qualsiasi minimo contatto con il portiere era Patty. Che stupida ere stata! Se Benji aveva colto la sua frase, ben presto avrebbe dovuto dare delle spiacevoli spiegazioni. E non voleva essere lei a spezzargli il cuore. In fondo, nonostante il caratteraccio, gli era molto affezionata e comprendeva bene che voleva dire soffrire per amore. Anche se, per fortuna, nel suo caso, la rivale in amore non era un’altra donna, ma il calcio. E forse la cosa non doveva sollevarla in quel modo. Almeno se fosse stata un’altra, avrebbe potuto combattere ad armi pari, ma come lottare contro un sogno? Comunque il pensiero di Holly tra le braccia di un’altra, come aveva trovato Clarice tra quelle di Tom quella mattina, le era letteralmente insopportabile. Molto meglio immaginarlo intento all’inseguimento di un’innocua e stupidissima palla… 

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Capitolo 8
*** Un insospettabile amico ***


Quella sera, quando Clarice entrò nella grande sala ristorante, vi trovò i ragazzi già seduti a tavola impegnati in chiassose conversazioni. Mancavano solo Benji e Lenders. Il portiere entrò in quel momento, le passò accanto ignorandola totalmente come se lei fosse un pezzo d’arredamento. Clarice lo guardò perplessa prendere posto accanto a Patty e mentre si accomodava a sua volta accanto a Tom, provò ad intercettare lo sguardo del portiere che finse di non vederla.
 
Quando arrivò anche l’attaccante della Toho, i camerieri cominciarono a portare le pietanze ipocaloriche e altamente digeribili. Nonostante fossero banditi dolci e grassi, la cena non fu spiacevole, anzi lo chef, sfoderando una non comune fantasia, aveva reso tutti i piatti invitanti e succulenti. Pienamente soddisfatti e rifocillati, giunsero al caffè, e molti ospiti si spostarono nella veranda o nel salotto adiacente, per gustare la nera bevanda in completo relax.
 
Clarice si stava avviando, a sua volta, alla veranda per prendere una boccata d’aria insieme agli amici, quando un cameriere la intercettò.
 
-Signorina Kameda ?- chiese professionalmente.
 
-Sì sono io- rispose mentre un brutto presentimento si faceva strada in lei.
 
-Una telefonata. Prego mi segua alla reception-
 
La ragazza afferrò la cornetta con diffidenza, come se fosse un animale pronto ad aggredirla. La sua voce si incrinò incerta, quando in giapponese disse -Pronto sono Clarice Kameda-
 
-Figlia mia non parlare in quella plebea lingua con me- la voce fastidiosamente affettata della madre le trapassò il cuore come una lama affilata.
 
La ragazza si appoggiò al muro chiudendo forte gli occhi –Mamma …- constatò passando automaticamente all’americano -…come hai fatto ad avere il numero dell’albergo?-
 
Perché quella donna l’aveva raggiunta in quel paradiso? I diavoli non dovevano aver accesso in paradiso.
 
-Me lo ha dato Nadine. Devo dirti una cosa molto importante-
 
-Dimmela- mormorò a denti stretti mentre un’improvvisa spossatezza le illanguidiva le membra. Attendeva inerme come una lepre in mezzo alla radura puntata dall’aquila, il colpo che, era sicura, sua madre le avrebbe inferto.
 
-Come sei fredda cara. Dimmi come stai?- proseguì la madre in tono mellifluo che infastidì ulteriormente Clarice, aumentando la sua irritazione e agitazione -Ma che ci fai alle cascate Fukuroda?-
 
-Che t’importa?- chiese dura ma subito si morse il labbro pentendosi della sua debolezza, mostrare il fianco alla madre era pericoloso, molto pericoloso –Scusa mamma…sto bene, sono qui in ferie…- disse vaga desiderando solo chiudere quella telefonata il più in fretta possibile.
 
-Senti cara-
 
Clarice fu attraversata da un fremito: quando sua madre sfoderava così sfacciatamente quel falso tono materno, non ci si poteva aspettare nulla di buono.
 
E infatti il colpo arrivò, inesorabile e spietato -Ho incontrato per caso il presidente della Fashion American Corporation che sta organizzando un’importante tourné in Sud America e Nord Europa per lanciare la nuova stagione della moda…-
 
Clarice si passò una mano ghiacciata sulla fronte portandosi nervosamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio -Mamma fermati. Qualsiasi sia la tua proposta, la mia risposta è no. Io non lavoro più nel campo della moda- protestò angosciata. Doveva stare calma –Respira, respira…-
 
-Lo so cara che non sfili più da quasi un anno, ma Antony, cioè il presidente Eastwood, non si è dimenticato della splendida Antlia ed è più che felice di prendersi la responsabilità del tuo rilancio…-
 
I suoi nervi erano pericolosamente vicini al punto di rottura, ogni ulteriore parola della madre la agitava come un punteruolo ben acuminato che strisciava sulla pelle -Mamma hai capito ciò che ho detto? Io non sfilo più-
 
Nonostante i suoi sforzi di non far percepire alla madre la sua debolezza, Clarice sentì la sua voce tremare e le ultime parole le uscirono come un soffio.
 
-Clarice allora tu non mi ascolti. Lui si fida di te ed è disposto a puntare tutta la nuova collezione invernale su Antlia…-
 
Strinse ancora più forte la cornetta facendo sbiancare le nocche. Desiderava interrompere quello strazio, ma doveva essere chiara e categorica, altrimenti sua madre l’avrebbe tormentata sino a che non si fosse piegata alla sua volontà -Cercherò di essere chiara, ascoltami bene perché non sono più disposta a tornare sull’argomento. Io con quel mondo ho chiuso, non ne voglio più sapere niente. Ca…- il cuore della ragazza pulsò dolorosamente mentre deglutiva nel tentativo di alleviare l’improvvisa arsura della gola – Carina è morta e io mi sono salvata per miracolo-
 
-Cara…-
 
-Io sono stata coinvolta in una serie di fatti più grandi di me che non ho saputo gestire ed evitare- proseguì ignorando l’interruzione -… e non nel senso che credi tu. Sono viva per modo di dire, ancora oggi l’immagine di Carina stroncata dall’overdose, mi tormenta di notte e mi impedisce di dormire. Ma a te tutto questo non importa. Tu non sai il dolore, la vergogna, la rabbia che provo e non ti chiedo di capirmi, tanto non ci riusciresti neanche se finalmente ti decidessi a provarci. Ma una cosa sì te la chiedo. Lasciami in pace, non mi cercare più. Dimentica cosa sono stata e cosa sono. Anzi fai una cosa migliore, fai finta che io non esista, da questo momento in poi tu non hai figli. Addio mamma a mai più-
 
Con violenza, tremando dalla testa ai piedi, scaraventò la cornetta sulla forcella e si appoggiò affannosamente al bancone con entrambe le mani. Il fiato corto, il corpo contratto, gli occhi lucidi, che spettacolo pietoso doveva essere. Per fortuna non c’era l’addetto alla reception. Aveva perso il controllo di se stessa, cosa aveva detto … se qualcuno l’avesse sentita. Si guardò attorno preoccupata. Nessuno. Traendo un profondo respiro di sollievo, si voltò.
 
E allora lo vide.
 
Appoggiato allo stipite della porta, le braccia conserte al petto, i muscoli tesi lasciati scoperti dalle maniche perennemente arrotolate sulle spalle e gli occhi scuri come la notte senza luna fissi su di lei.
 
Clarice sentì la terra mancarle sotto i piedi -Da quanto sei lì? Cosa hai sentito?- chiese la ragazza incapace di controllare l’attacco isterico che la stava sopraffacendo.
 
Senza emettere alcun suono, Mark coprì la breve distanza che li separava e con gesto deciso l’afferrò per un braccio, trascinandola quasi di peso nella hall dell’albergo dove, afferrate al volo due giacche a vento dall’attaccapanni, sempre fornito per gli ospiti, la fece uscire in giardino.
 
-Lasciami- urlò Clarice con il volto stravolto dalle lacrime opponendosi inutilmente alla forza bruta di lui. La stava trascinando come un sacco di patate, senza alcun rispetto!
 
-Taci- sibilò l’attaccante rafforzando la presa sino a farle dolere il braccio.
 
La ragazza sconvolta tentò di morderlo, ma lui intuendone le intenzioni si limitò  a roteare gli occhi in cielo con fare impaziente e a caricarsela in spalla senza difficoltà. Ecco, ora era davvero un sacco di patate!
 
Ormai neanche più infuriata ma svuotata da quell’umiliante situazione si abbandonò a quella forza incontrastabile e si lasciò trasportare in un angolo appartato del parco ricco di siepi ed alberi.
 
Quando giunsero vicino ad un piccolo laghetto in stile giapponese, circondato di sassi e di cascatelle ingegnosamente costruite con rami di bambù, finalmente la depose a terra. Commise l’errore di abbassare la guardia e la ragazza ne approfittò per schiaffeggiarlo.
 
Mark incassò il colpo senza reagire. Clarice tremava dalla testa ai piedi, il volto inondato di lacrime, gli occhi spiritati. La fissò muto, incapace di trovare le parole adatte di fronte a quello sfogo di terrore e disperazione -Ho sentito quello che hai detto ma non ho capito nulla. Non conosco l’americano- disse infine non distogliendo lo sguardo da quel volto stravolto.
 
-Ah..- fu l’unica cosa che Clarice riuscì a proferire mentre un’altra scarica di singhiozzi convulsi la sconquassarono, facendola barcollare. Mark la prese al volo stringendosela al petto, era talmente magra e fragile che avrebbe potuto spezzarla con una semplice pressione. La avvolse cauto, dosando con attenzione la sua forza, attendendo immobile la reazione di lei. La sentì abbandonarsi ed aggrapparsi ai suoi fianchi come alla ricerca di un appiglio per non affogare. La cullò leggermente, come faceva coi suoi fratellini per calmarli dopo un brutto incubo. Lei non si oppose ma lo strinse ancor di più, inondandogli di lacrime salate la morbida stoffa della maglietta.
 
Quando anche l’ultimo singhiozzo scomparve, Mark si decise a rompere il silenzio –Non parlare se non vuoi, ma dimmi se c’è qualcosa che posso fare…-
 
-Stringimi forte, fortissimo sino a togliermi il respiro, sino a stritolarmi …e molla la presa solo quando sei sicuro che io sia…morta- disse con voce paurosamente inespressiva.
 
-Eh no ragazza, così non va- rispose lui rabbioso afferrandola per le spalle e scostandola bruscamente da sé per poterla guardare dritta negli occhi. Improvvisamente priva di quel caldo appoggio, Clarice urlò di dolore per poi afflosciarsi nuovamente tra le sue mani. Mark la sostenne ancora facendola riadagiare tra le sue braccia. Il tono del ragazzo divenne tenero e rassicurante -Perché vuoi morire? Che ti è successo di così terribile per rifiutare la vita?-
 
-Mi vogliono riportare all’inferno- mormorò Clarice stringendosi forte alla maglietta del ragazzo, come se da quella presa dipendesse la sua sopravvivenza.
 
-E chi vorrebbe fare ciò? Tua madre?-
 
Clarice alzò, sul volto spigoloso dell’attaccante, due occhi pieni di terrore -Avevi detto che non capivi l’americano…- lo rimproverò con un filo di voce, ricominciando a tremare.
 
Lui cominciò ad accarezzarle la schiena con gesti lenti e confortanti -Infatti. Però mamma è una parola internazionale, la si capisce in qualsiasi lingua e tu l’hai urlata più volte…- la rassicurò lui, guardandola intensamente.
 
-Mark…- disse riadagiando il capo sul pettorale muscoloso del giocatore proprio sopra il suo cuore. Ascoltò rapita il battito regolare e ritmico di quell’organo affascinante e misterioso, lentamente una piacevole calma la pervase, magicamente il suo cuore impazzito si sintonizzò con quello di lui. Vi era un avvolgente silenzio tutt’attorno, rotto solo dal rombo della cascata in lontananza e il lieve sciacquio delle fontanelle del parco. Mark attese pazientemente che lei riprendesse a parlare continuando ad accarezzarle la nuca e le spalle
 
-Sembra strano vero? La persona che ti ha donato la vita, che dovrebbe proteggerti e guidarti, in realtà sta facendo di tutto per distruggermi… Ma vedi mia madre non è nata per fare la mamma. Ha sposato mio padre solo per il denaro e non ha mai amato né me né papà. A lei non importa che io sia felice, ma solo che soddisfi le sue ambizioni, chissà forse quello era il destino che aveva sognato per se stessa, e quando io mi sono spontaneamente inoltrata per quella strada, lei non ha fatto altro che spingermi avanti, sempre più avanti. Non le importava che io non fossi pronta e abbastanza matura per affrontare certe situazioni ed evitare i pericoli. Non le importava nulla che io mi stessi spegnendo e perdendo…niente, niente…solo che arrivassi dove lei non era riuscita a giungere…-
 
Clarice tacque, provando una strana sensazione di estraneità, come se quella che stava raccontando non fosse la storia della sua vita, ma di una sconosciuta il cui destino le era del tutto indifferente. Sentiva la forza della Tigre attorno a lei, come uno scudo invisibile che la proteggeva e separava dal resto del mondo.
 
-Ma forse hai frainteso. Una madre desidera sempre il meglio per i propri figli. Una mamma non può non amare un figlio- disse convinto Mark, pensando con infinita tenerezza alla donna che aveva sacrificato tutta la sua vita per allevare lui e i suoi fratellini.
 
-Tu non la conosci. Lei sa cosa mi è successo, sa che sono sopravissuta solo fisicamente ma che la mia anima è morta con….- Clarice si bloccò mentre la sua anima sanguinava abbondantemente da ferite mai rimarginate.
 
-Continua dimmi tutto, non può essere così terribile, forse parlarne ti aiuterà a vedere le cose sotto una luce diversa…-
 
-Ma la morte non la puoi vedere sotto luci diverse, la sua luce è una sola, gelida e… senza possibilità di ritorno-
 
-Ma tu sei viva Clarice. Viva, viva! Devi amare la vita, devi amarti, qualsiasi cosa sia successa tu sei qui e devi andare avanti-
 
-Ma lei non c’è più!- urlò staccandosi per la prima volta di sua volontà da quell’appiglio caldo e confortante- Io sapevo e non ho fatto nulla. E’ come se l’avessi uccisa io!-
 
Lui si sentì gelare. Ma cosa era successo a quella ragazza? L’aveva giudicata bella e viziata, provando un’istintiva antipatia più per quello che lei rappresentava, che non per il suo essere. Qualcuno gli aveva detto che era figlia di una ricchissima famiglia, cresciuta tra ville e nobili, amica d’infanzia di Benji. Ma l’immagine di lei che si era creato, non combaciava per niente con quella ragazza spaventata e stravolta che gli stava straziando il cuore. Perché, nonostante tutto quello che si dicesse di lui, di fronte a tanto distruttivo dolore, la feroce Tigre non era in grado di rimanere indifferente.
 
-Clarice calmati…- disse stringendole una mano. Era gelata. Velocemente Mark raccolse una delle giacche a vento che aveva portato con sé e che aveva gettato distrattamente sull’erba. Gliela infilò dolcemente, lei lo lasciò fare, muovendo le braccia a comando e non fiatando neanche quando lui le sfiorò involontariamente i seni chiudendo la zip della giacca. Neanche se ne accorse.
 
Mark la riprese per mano e la condusse lentamente lungo il vialetto. Camminare l’avrebbe calmata. O almeno così sperava. Ma che doveva fare? Forse doveva chiamare Price. Lui l’amava, questo Lenders l’aveva capito subito. Gli era bastato scorgere lo sguardo di Benji quella mattina alla stazione. In dieci anni, da che l’aveva conosciuto alle medie, mai era riuscito a leggere nell’anima del portiere. Aveva più volte dubitato che vi fosse un’anima all’interno di quel corpo, che come un muro invalicabile, fermava tutti i suoi tiri, distruggendo in un’unica ferrea presa, ore massacranti di disumani allenamenti. Aveva da prima odiato quell’uomo così poco umano, poi aveva cominciato ad ammirarlo. Quanta tecnica, quanto controllo, quanta impassibilità. Niente scuoteva o coglieva impreparato il grande portiere para-tutto. Mentre lui, giovane asso della Toho, spesso si rovinava con le proprie mani, preda di una rabbia incontrollata che gli cancellava ogni razionalità, portandolo a commettere errori su errori. Grazie al suo più acerrimo nemico aveva imparato a dominare le sue reazioni. Questo era il segreto che Mark Lenders custodiva gelosamente nel cuore: quando sentiva l’istinto animale prendere il sopravvento, pensava a Benjiamin, al suo sguardo glaciale, e questo lo calmava all’istante. Benji era il suo maestro, la sua guida … in un certo senso. Ma quella mattina lo sguardo del portiere non era stato più imperturbabile. Qualcosa lo aveva scosso, facendo emergere quello che nessuno aveva mai visto: l’anima di Benjiamin Price. Immediatamente, con folle rabbia, aveva cercato di capire che cosa avesse causato quello scempio. Mark avrebbe volentieri eliminato chiunque avesse osato ridurre così il suo idolo. E non ci aveva impiegato molto a capire. Solo fugacemente gli occhi di Benji si erano soffermati sulla ragazza che Patty aveva presentato come la nuova manager. E non vi furono dubbi. Lei era la causa del cambiamento di Benji. Se solo avesse potuto, l’avrebbe rispedita a calci nel posto dal quale era venuta. La odiava per quello che aveva fatto.
 
Ma ora tutto era cambiato. Un breve contatto con quelle verdi gemme, gli rivelarono un’unica verità: quella donna sconvolgeva. Come l’avevano chiamata, Tsunami? Sì non c’erano dubbi. Non si poteva non rimanere travolti, stare a contatto con Clarice significava rinunciare alla propria anima, in un modo o in un altro lei ti entrava dentro, portando in superficie fantasmi dimenticati da tempo. Neanche il SGGK aveva potuto farci niente, e ora Mark non gliene faceva più una colpa. Avrebbe aiutato l’amico e quella creatura, che celava chissà quale tragedia, a trovare un po’ di serenità. Ma come doveva fare? Da che parte poteva iniziare? Che situazione insolita per la temibile Tigre!
 
-Ascoltami bene Clarice. Io ti ho vista oggi per la prima volta e non so nulla di te. Forse questo dovrebbe impedirmi di dirti certe cose. Ma ascoltami lo stesso. Io non so cosa ti sia successo, sicuramente cose terribili che io non oso immaginare, ma credi di essere l’unica a soffrire? Questo non consola, lo so, ma tieni sempre a mente che la vita è fatta di due facce. Ogni cosa ha il suo lato buio. Esistono le lacrime ma esiste il sorriso. Esiste il dolore ma anche il piacere, il male e il bene. Questo ci sembra tremendamente ingiusto, ma mi spieghi come potresti amare la felicità se non hai mai provato la tristezza? La vita è questa, nessuno sa il suo perché, ma c’è e la devi vivere finché puoi, perché dopo, qualsiasi cosa ci sia o non ci sia, non è più vita. Non rinunciare a vivere per quanto questo ti possa costare, ognuno di noi su questo mondo ha un’unica possibilità. Non gettarla al vento. Insegui i tuoi sogni e allontana il dolore, fallo per te e per le persone che ami e un giorno muori pensando “ho vissuto” e non “avrei potuto vivere”-
 
Con quelle semplici parole tentava disperatamente di far capire alla ragazza muta che gli camminava affianco come un automa, la grande verità a cui lui era giunto dopo mesi di tristi e dolorose riflessioni.
 
Clarice rifletteva. Lasciò trascorrere del tempo, permettendo alle parole di lui di entrare nel suo cervello. Da principio niente più che vuoti suoni, ma lentamente cominciarono ad assumere un significato, un significato profondo che sapeva di speranza.
 
Speranza per il futuro.
 
Perché rinunciare a vivere?
 
Era tornata in Giappone per rifarsi una vita. Sua madre apparteneva al passato e lì doveva rimanere, non le avrebbe permesso di rovinare tutti i suoi sforzi di rinascita. Guardò Mark con gratitudine. Era merito di persone belle e positive come lui, Benji, Patty, Tom…che avrebbe cancellato tutto il dolore che le avvelenava il cuore.
 
-Grazie Mark- disse semplicemente, non occorrevano tante parole. I loro occhi, la tenace stretta delle loro mani, comunicavano tutto ciò che le parole non potevano esprimere.
 
Mark sorrise, un sorriso raro e per questo ancora più prezioso -E ora che ti sei ripresa, signorina, iniziamo a divertirci?- chiese fermandosi di botto.
 
-Cosa?!!- esclamò Clarice confusa non comprendendo le intenzioni del ragazzo.
 
-Ma sì, un bacino me lo puoi anche dare per il mio supporto- disse malizioso parandosi davanti alla ragazza con un luccichio divertito nelle iridi nerissime.
 
-Ma tu sei pazzo! – boccheggiò incredula -Lo sapevo che non potevo fidarmi di te! Lenders stammi alla larga-
 
-Dai non dirò niente a Price- il suo tono si fece di nuovo serio, anche se nei suoi occhi scintillava ancora una luce divertita.
 
-Lascia fuori Benjiamin, ti ho già spiegato che lui non c’entra niente-
 
-Ah no? Quindi non ricambi i suoi sentimenti?-
 
-Ma di che stai parlando? Tra me e Benjiamin non c’è nient’altro che amicizia-
 
-Sei sicura Clarice? Glielo dovresti dire, perché non credo che lui la pensi così-
 
-Ascoltami tu ora. Nessuno capisce Benjiamin meglio di me, e ti assicuro che tu stai vaneggiando…-
 
-Ferma lì!Tu capisci Benji? Sì, ti credo ed è per questo che sono convinto che tu non voglia vedere come stanno le cose. Ma far finta che non ci siano non le cancellerà, prima o poi dovrai affrontare la situazione-
 
-Al diavolo Lenders! Con te è tempo perso. E non ti impicciare, non sei adatto a fare il Cupido, trovati un altro passatempo per ammazzare la noia-
 
E detto ciò, girò sui tacchi e si precipitò in camera, furiosa e infastidita da quel ragazzo a cui doveva molto e che non avrebbe più potuto né odiare né ignorare. 

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Capitolo 9
*** Litigi ***


Morfeo fu clemente con Clarice quella notte, e un sonno profondo avvolse conciliante la ragazza, a dispetto dello stravolgimento che la telefonata della madre le aveva indubbiamente provocato. Evidentemente, lo sfogo che Mark le aveva concesso, sostenendola e assecondandola, ma stando bene attento ad intervenire ogni qualvolta lei cominciava a farneticare e perdere di vista la giusta dimensione della situazione, le aveva permesso di esternare il dolore e l’angoscia, permettendo così, alla sua anima scombussolata, di trascorrere qualche ora di riposo e tranquillità.
 
Ma il dio dei sogni non fu altrettanto generoso con un altro illustre ospite dell’albergo.
 
Benji, da parecchie ore ormai, fissava il soffitto intonacato della sua stanza con gli occhi sbarrati, incapace di impedire ai suoi pensieri di incaponirsi in un’unica direzione: Clarice. Innanzitutto si era completamente dimenticata del loro appuntamento, e questo era già sufficiente a farlo andare su tutte le furie. Dopo cena l’aveva aspettata invano in veranda, e poi l’aveva cercata ovunque, senza successo. Ma vi era un altro atroce pensiero che gli toglieva il sonno e l’aria, martellandogli in testa con dolorosa insistenza: la frase sfuggita a Patty nei pressi della cascata. L’aveva udita chiaramente, anche se sperava, con tutte le sue forze, di averne frainteso il significato. Sicuramente si trattava di uno stupido scherzo tra le due, di cui lui non era a conoscenza. Clarice non poteva avere un fidanzato tra i membri della Nazionale, era un’idea assurda, ma il suo maledettissimo orgoglio gli impediva di chiedere qualsiasi spiegazione. Così, trascorse quella notte, lenta e impietosa, rigirandosi nel letto sino a che, esausto e con i primi raggi di sole che filtravano sempre più insistentemente tra gli scuri accostati, cadde in un sonno agitato, popolato da sogni angoscianti.
 
-Cla sei sveglia? Muoviti- la raffica di bugni contro il battente e la voce di Patty fecero balzare Clarice sul letto distogliendola bruscamente dal sonno profondo in cui era immersa. Confusa e leggermente infastidita, si precipitò ad aprire la porta della camera.
 
-Patty…ma che ore sono?- chiese assonnata stropicciandosi gli occhi e non riuscendo a reprimere uno sbadiglio.
 
-Le sette. Muoviti gli allenamenti iniziano tra un’ora, c’è giusto il tempo per la colazione. Dobbiamo controllare che sia tutto a posto-
 
-Ma cosa deve essere a posto??!-
 
-La colazione. Dobbiamo controllare che mangino solo quello che il medico sportivo ha scritto nella loro dieta-
 
-Patty vai al diavolo. Non mi metterò certo a controllare piatto per piatto che cosa c’è e cosa non c’è. Stai esagerando come al solito!-
 
Indispettita per il brusco e inutile risveglio, tentò di chiudere la porta in faccia all’amica, ma Patty, fulminea, pose un piede tra lo stipite e la porta, bloccandola e spalancandola subito dopo, irrompendo nella stanza con foga -Ascoltami bene Tsunami. Hai accettato di fare la manager, quindi io do gli ordini e tu li esegui senza discutere. Questo è il tuo compito stamattina. E preparati in fretta che sei già in ritardo- tuonò con un tono talmente insolente, che cancellò all’istante ogni residuo di sonno dalla mente di Clarice.
 
-Non osare darmi ordini Anego. Sei ridicola. Ma ti sei vista?-
 
-Tsunami, non ti conviene fare la ribelle con me!-
 
-Anego, hai avuto un incontro ravvicinato con una tarantola stanotte? Sprizzi veleno da tutti i pori!- la provocò Clarice, decisa a far passare all’amica la voglia di usare quel tono autoritario e prepotente con lei.
 
-Tsunami…- sibilò la ragazza mora ficcando le mani nelle tasche della tuta e stringendo forte i pugni per impedirsi di reagire.
 
Era ridicolo! Non erano più due bambine pronte a risolvere ogni cosa a suon di ceffoni e calci, erano due ragazze adulte e mature…ma allora perché quella voglia incontenibile di prendere a pugni Clarice? Non era andata dall’amica con cattivi propositi, anzi, si era svegliata allegra e serena, e ora non si capacitava del suo comportamento aggressivo e violento! Probabilmente era tutta colpa dello spavento che il giorno precedente aveva preso nei pressi della cascata, quando si era accorta che Clarice e Benji erano spariti. Irrazionalmente, come un fiume in piena, i pensieri più macabri le si erano affastellati nella mente, non aveva potuto accettare l’idea che Clarice si fosse isolata volontariamente assieme a Benji con Tom presente e invece… qualcosa in tutta quella storia non quadrava, ma non era certo attaccando Clarice in quel modo, che avrebbe ottenuto una spiegazione. Inoltre le occhiate feroci di Benji, le avevano fatto capire chiaramente che il portiere aveva colto alla perfezione la sua frase infelice, e che solo il suo smisurato orgoglio gli impediva di chiederle spiegazioni. Ma lei tremava alla sola idea di dover affrontare Benji… Questo misto di sentimenti dovevano averla scossa molto più di quanto essa stessa ritenesse, e quella mattina era bastato un nulla per farla esplodere. Ma questo non la giustificava… il suo comportamento era, a dir poco, disdicevole e ora vampate di vergogna coglievano la ragazza sotto lo sguardo truce dell’amica.
 
Clarice, con occhi ancora scintillanti di rabbia, osservava con sospetto l’amica immobile di fronte a lei -Anego ma che ti prende? Per due carote in più o in meno nel piatto mi fai tutta sta sceneggiata?- chiese con un tono che esigeva una spiegazione immediata a quell’ingiustificato attacco.
 
-Non è questo il motivo, lo sai-
 
-Ma che cosa allora?- chiese Clarice corrucciando la fronte perplessa. Non capiva proprio dove volesse andare a parare l’amica e cominciava a sentirsi inquieta.
 
-Parlo di Tom e Benji. Io non ci voglio entrare chiaro? Chiarisci la situazione il prima possibile altrimenti qui scoppia un disastro-
 
-Ma…Patty non è come credi …Tom …hai frainteso non c’è nulla tra di noi, almeno niente di quello che credi tu, e Benji che c’entra? Non sarai convinta anche tu come quell’orso di Lenders, che Benji provi qualcosa per me?-
 
-Clarice affronta la realtà e sii sincera altrimenti ti spezzo tutte le ossa con le mie mani. Non ti permetterò di spezzare il cuore a due miei carissimi amici. E ora muoviti che è veramente tardi- ordinò perentoria Patty uscendo velocemente dalla stanza, confusa e arrabbiata sia con se stessa, per quello sfogo esagerato, sia con Clarice che, cocciutamente, si ostinava a giocare con noncuranza con i sentimenti di due ragazzi a cui lei era molto affezionata.
 
Una volta sola, Clarice richiuse la porta della camera fremendo di rabbia e delusione. Si lavò e vestì in fretta, dirigendosi, ancora profondamente turbata, nella sala ristorante. Patty era già in sala, seduta rigidamente al suo solito posto, intenta a mordicchiare del pane tostato, apparentemente coinvolta dalle battute di Bruce seduto di fronte a lei, ma l’espressione sul suo viso delicato rimaneva tesa, anche quando la ragazza si sforzava di ridere alle battute del difensore. La manager dai capelli corvini non alzò neanche lo sguardo quando Clarice entrò nel ristorante, e questa, dopo aver ricambiato i cenni di saluto dei ragazzi, prese posto svogliatamente accanto a Benji.
 
-Hai una pessima faccia stamattina, dormito male?- l’apostrofò subito il ragazzo, travolto da un’ondata di rabbia nei confronti dell’amica e desideroso di avere con lei uno scontro diretto il prima possibile.
 
-Uh- mugugnò Clarice sorseggiando ostinatamente il caffè bollente, disposta ad ustionarsi, piuttosto che incrociare lo sguardo indagatore del portiere.
 
-Mi dici che hai?- incalzò lui. Era chiaro che Clarice non aveva alcuna intenzione di chiacchierare, ma lui voleva sapere, voleva parlare con lei, era troppo tempo che non comunicavano più…
 
In fondo perché non sfogarsi col suo migliore amico? Che colpa ne aveva lui, se Patty aveva costruito un romanzo su un fraintendimento? Lei sarebbe stata disponibile a chiarire qualsiasi cosa, se solo glielo avesse chiesto…e invece no, Anego aveva preferito attaccarla e trarre le sue conclusioni senza lasciarle l’opportunità di spiegarle come stavano realmente le cose…
 
Ma che dire a Benji? Era ancora troppo confusa e indignata, con quello stato d’animo, rischiava di dire delle cose spiacevoli che non avrebbero giovato a nessuno.
 
-Benjiamin ti ci metti pure tu? Lasciami in pace-
 
Benji tacque per alcuni minuti e la osservò perplesso, giocherellando distrattamente con il tovagliolo stropicciato. Si interrogò a lungo, mentre esaminava il profilo teso dell’amica, se fosse il caso di insistere ulteriormente, ma, alla fine, decise di non desistere. Tsunami non poteva escluderlo dalla sua vita, non poteva rifiutargli le spiegazioni di cui lui aveva vitale bisogno…
 
-Ho almeno il diritto di sapere dove sei sparita ieri sera? Ti aspettavo- la accusò senza mezzi termini.
 
Clarice si voltò verso l’amico, e il respiro le si mozzò in gola quando incrociò gli occhi adirati di lui che la squadravano implacabili.
 
-Oh Benjiamin mi spiace… mi sono totalmente dimenticata del nostro appuntamento…- e poi, abbassando il capo desolata, aggiunse con un sussurro appena percettibile -Ha telefonato mia madre-
 
Non servivano altre spiegazioni, Benji comprese appieno il significato di quella breve frase e, nei suoi occhi nerissimi, la delusione e la rabbia furono immediatamente sostituite dall’apprensione. Non aveva dimenticato il rapporto a dir poco conflittuale che l’amica aveva con la genitrice e la categorica ostinazione con cui Clarice, da sempre, si rifiutava di affrontare l’argomento…
 
-Ah- commentò Benji con un tono dolce e comprensivo che, il tenebroso portiere, usava solo in rarissime occasioni –Niente di buono allora…-
 
Il ragazzo sorrise debolmente cercando di incrociare nuovamente gli occhi color smeraldo dell’amica che, però, fissava ostinatamente la tazza ancora colma di caffè che stringeva tra le mani ghiacciate. Benji aveva un nitido ricordo della signora Kameda, era proprio grazie alla madre di Clarice, che aveva appreso, ancora in tenera età, che la bellezza esteriore aveva ben poco a che fare con la bontà d’animo. Costance Kameda era, all’epoca, la donna più bella che Benji avesse mai visto. Ma gli erano bastati pochi istanti per percepire distintamente l’alone di freddezza e falsità che quella donna emanava. Non avrebbe mai saputo dire che cosa gli avesse rivelato la vera natura di Costance, fatto sta che la sua opinione non fu mai smentita, anzi, purtroppo per Clarice, ripetutamente confermata e rafforzata.
 
-No, niente di buono- bisbigliò Clarice ricacciando indietro stizzita una ciocca di capelli color miele, sfuggita dalla bassa coda di cavallo.
 
Fisicamente, per quel che ricordava lui, Clarice assomigliava straordinariamente alla madre, ma l’amica, fortunatamente, aveva ereditato il carattere dolce e sincero del padre…
 
Benji osservò impotente la ragazza seduta a pochi centimetri da lui, china e silenziosa, per l’ennesima volta barricata dentro se stessa, e resistette a fatica all’impulso di stringerla tra le sue braccia nel tentativo di infonderle la forza per superare il suo dolore. Fin da bambini entrambi avevano avuto rapporti problematici con i rispettivi genitori, ma mentre Benji, più volte, sfogava la sua rabbia e frustrazione con l’amica, rendendola partecipe della sua delusione e scacciando assieme a lei la solitudine causata dalla fredda indifferenza dei genitori, Clarice, invece, aveva sempre eclissato l’argomento, timorosa di ammettere i sentimenti contrastanti che la legavano alla madre. Benji sapeva esattamente che cosa Tsunami avesse paura di ammettere: accettare di odiare la propria madre, era un sentimento con cui si faticava a convivere. Piuttosto che affrontare quella dolorosa questione, Clarice preferiva far finta di niente, ignorare il dolore e la rabbia che albergavano dentro il suo cuore, ma Benji era sempre più convinto che ciò fosse un errore madornale e che, prima o poi, avrebbe finito per distruggerla. Ma anche questa volta, il portiere dovette arrendersi all’evidenza, non lo avrebbe reso partecipe dei suoi problemi, non avrebbe affrontato la questione, lo avrebbe allontanato, rifiutando il suo appoggio e aiuto e, cosa peggiore di tutte, nascondendo il problema dietro ad un muro di finta indifferenza.
 
Benji avrebbe voluto urlare, piangere, scuoterla, obbligarla a versare sulle sue spalle parte di quel dolore, che lui sapeva enorme, ma che lei si rifiutava ostinatamente anche solo di prendere in considerazione. Invece si limitò a calarsi il suo cappellino sugli occhi ed uscire dalla stanza velocemente.
 
Un quarto d’ora dopo, i ragazzi si stavano scaldando correndo a buon ritmo, lungo il perimetro del campo sportivo.
 
La giornata era nuvolosa, il cielo, di un cupo grigio-azzurro, non faceva presagire niente di buono. L’odore di pioggia impregnava prepotentemente l’aria, ben presto quei neri nuvoloni avrebbero riversato a terra tutto il loro pesante contenuto.
 
Il mister torchiò ininterrottamente i ragazzi per tutta la mattinata, consapevole che nel pomeriggio gli allenamenti sarebbero stati ridotti a causa della pioggia e del vento che già si stava alzando inesorabile. Ogni singolo giocatore tentava di dare il meglio, accantonando, per brevi istanti, delusioni e problemi. La squadra era veramente al massimo della potenza e la soddisfazione brillava incontrastata negli occhi attenti dell’allenatore. Indubbiamente era necessario ancora un po’ di affiatamento, soprattutto tra Mark e Holly che, a volte, faticavano ad intendersi, mentre la difesa era pressoché impenetrabile, sia quella organizzata da Warner, sia quella diretta da Benji.
 
Quando i ragazzi vennero a dissetarsi e asciugarsi il sudore, il clima pesante che ancora aleggiava prepotentemente tra le due managers, venne inevitabilmente percepito da tutta la squadra. La tensione vibrava nell’aria tagliente come un rasoio. Le due ragazze non si erano ancora decise a chiarire la situazione e continuavano ostinatamente ad evitarsi.
 
Amy rispose con un’alzata di spalle all’occhiata interrogativa che Holly le rivolse, ma il Capitano non era disposto ad accettare un comportamento così dannoso per la squadra, da parte della manager più in gamba che avesse mai avuto. Patty, ai suoi occhi, svolgeva il suo lavoro con encomiabile diligenza e responsabilità, mai avrebbe permesso ai suoi problemi personali di interferire con il rendimento della squadra, ma evidentemente quella sua amica, venuta dall’America, aveva il potere di sconvolgerla al punto tale, da farle dimenticare che il bene della squadra veniva prima di qualsiasi altra cosa.
 
-Ora voglio una spiegazione- tuonò Holly portandosi a pochi passi dalle due ragazze. Patty lo guardò con occhi spalancati e, nonostante comprendesse appieno il perché del disappunto che chiaramente leggeva negli occhi del suo amato Capitano, non poté fare a meno di stupirsi di fronte a quel tono insolitamente duro.
 
Clarice tentò di parlare, ma desistette immediatamente, che avrebbe dovuto dire? Lei per prima, non si capacitava della reazione esagerata dell’amica. Si sentiva ferita e tradita, da quella che considerava la sua migliore amica, era stata attaccata ingiustamente senza possibilità d’appello. Che stupida era stata! Avrebbe dovuto spiegare subito che quello che aveva visto tra lei e Tom era tutto un malinteso, ma mai si sarebbe aspettata un attacco così violento...
 
-Niente Capitano. Scusami…- esordì Patty arrossendo di vergogna per quella situazione che lei, per prima, aveva creato senza sapere il perché.
 
-Beh niente non direi Patty. Per oggi basta Amy, tu e Clarice siete libere di andare a risolvere i vostri problemi lontano dalla squadra. Mi deludi Patty, lo sai che è dannoso alimentare sciocche ed inutili tensioni intorno ai miei giocatori!-
 
-E che ne sai tu, se le nostre tensioni sono sciocche e inutili? Ma sì, che te ne importa? L’importante è che nulla turbi la tua preziosissima squadra e il resto… può andare al diavolo!- sbottò Patty livida di collera, trattenendo a fatica le lacrime che insistenti le pungevano gli occhi. Non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederla piangere, e anche se avesse versato tutte le lacrime del mondo che sarebbe cambiato? Nulla…lei non era altro che un’ottima colonna portante della squadra quando tutto andava bene, ma se mostrava qualche segno di disagio o cedimento, andava allontanata perché non adempiva più al suo dovere in modo impeccabile. Che importava a lui che cosa vi fosse realmente alla base del suo malessere? Nulla…
 
Patty sentì una morsa gelida attanagliarle il cuore e provò una stranissima sensazione, come se un pezzo del suo cuore si fosse congelato per sempre…Fece un paio di passi indietro, poi voltò le spalle ad Holly, alla squadra, a Clarice -Al diavolo tutti quanti! Vi odio- pensò mentre si allontanava velocemente.
 
Clarice osservava allibita la figura dell’amica che si allontanava rigida e impettita, decisa a non lasciar intuire a nessuno il dolore lancinante che stava provando. Non esitò neanche un attimo, mise da parte il rancore e la sua delusione personale e corse dietro all’amica.
 
La cercò in camera e nella hall dove un cameriere le disse di aver visto Patty entrare nelle terme dell’albergo solo pochi minuti prima.
 
Toltasi i vestiti e avvoltasi in un ridotto asciugamano di morbida spugna, Clarice si immerse nelle bollenti acque termali lasciando che il calore e l’aria umida sciogliessero i suoi muscoli irrigiditi dalla tensione accumulata dopo la triste discussione di quella maledetta mattina.
 
Cercò l’amica muovendosi adagio tra le varie vasche e finalmente la trovò, immersa sino al mento in un angolo nascosto della vasca più grande.
 
Le si avvicinò silenziosamente, ma Patty la vide arrivare e alzò su di lei due occhi colmi di lacrime. Non fece il minimo sforzo per mascherare il suo dolore e lasciò che Clarice le passasse un braccio attorno alle spalle, adagiò la testolina mora sul seno morbido dell’amica e lì pianse liberamente tutte le sue lacrime.
 
-Credo di doverti delle scuse Clarice- esordì infine, dopo molto tempo, con voce ancora spezzata dai singhiozzi.
 
-No lascia stare, non ha importanza-
 
-Cla non rendermi le cose ancora più difficili. Ha importanza eccome- disse decisa Patty scostandosi dall’amica e asciugandosi l’ultima lacrima. Nonostante i suoi splendidi occhi neri fossero gonfi di pianto, vi era tornata a splendere la luce battagliera e decisa, che Clarice conosceva bene -Ho sbagliato , ti chiedo scusa. È la tua vita io non ho nessun diritto di criticare e giudicare…-
 
Anego sapeva essere dura con se stessa e non esitava neanche un istante a tornare sui suoi passi una volta che si rendeva conto di aver commesso un errore, questo era uno dei lati del carattere dell’amica d’infanzia, che Clarice più amava ed ammirava, solo poche persone erano in grado di superare il proprio orgoglio con tanta disarmante sincerità.
 
-E va bene Patricia, ti dirò quello che penso. Mi hai giudicata senza lasciarmi il tempo di difendermi…e questa è una cosa che fa molto male…- un lampo di dolore attraversò gli occhi di Clarice…
-Bambina? Non farmi ridere. Questa é marcia come tutte le altre…-
No no no…
-Signora sua figlia é fortunata. Nessuna traccia di droga é emersa dagli esami ematici, perciò non possiamo trattenerla. Probabilmente é un po’ di tempo che non ne assume, ma non si illuda…-
… ma scacciò con forza quegli echi lontani e dolorosi, non era quello il momento dei ricordi…
 
-Non ritengo di essere obbligata a darti alcuna spiegazione, ma lo faccio in nome di un’amicizia che per me vale tantissimo. Tra me e Tom non vi è nulla. Lui è un ragazzo dolcissimo e mi ha consolata in un momento di sconforto…-
 
-Dici davvero? Non state insieme?-
 
-Patty no!- sbottò Clarice incapace di comprendere tutta quell’ansia di Patty per un’eventuale relazione tra lei e il centrocampista giapponese.
 
-Ah non sai che peso mi togli dal cuore. Tremavo all’idea che Benji venisse a sapere di una storia tra te e Tom- sospirò sollevata Patty.
 
-Basta Patty con questa storia! Benjiamin non è innamorato di me-
 
-Ne sei sicura?- gli occhi neri di Patty sembravano voler penetrare nel cervello della bionda amica per poterne leggere tutti i più reconditi pensieri.
 
-Lo avrei capito non credi?- disse Clarice, sorprendendosi per la nota d’incertezza che, involontariamente, aveva dato alla sua domanda.
 
-Sì credo di sì. Ma non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere…-
 
-Patricia, se Benjiamin fosse innamorato di me, sarebbe una tragedia perché per me è solo il mio migliore amico e io non saprei come affrontare una situazione del genere-
 
Patty scrutò l’amica incerta, ma alla fine decise di non insistere oltre, forse Clarice non era ancora pronta ad accettare la realtà -In effetti sarebbe un brutto guaio. Beh spero di essermi sbagliata. Ma ora….torniamo a noi, mi perdoni?- chiese Patty con due occhioni da cerbiatta che avrebbero intenerito un lupo affamato.
 
-Certo sciocchina. Anche se la tua reazione esagerata mi ha fatto sospettare tante cose….se solo non sapessi che non vedi altri che il Capitano…-
 
-Clarice…oggi Holly è stato…-
 
-Imperdonabile-
 
-No…che ha lui da farsi perdonare? È fatto così e per quanto questo mi faccia male, amare vuol dire soprattutto accettarsi non credi?-
 
-No, io credo che amare voglia dire essere incapaci di far soffrire l’altro…-
 
-Sì hai ragione…Holly mi ferisce spesso e non se ne rende neanche conto…mentre tu e Benji…-
 
-E ancora insisti! No no e no…- urlò Clarice investendo l’amica con poderose manate d’acqua bollente, mentre Patty riparandosi il volto, piegata dalle risate, chiedeva umilmente perdono per le sue basse insinuazioni. 

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Capitolo 10
*** I've had the time of my life ***


Dopo essere uscite dalle terme serene e finalmente riconciliate, Patty e Clarice raggiunsero i ragazzi per il pranzo, partecipando volentieri all’allegria generale, che i positivi commenti del mister aveva ampiamente alimentato.
 
Holly, completamente intento a complimentarsi con i suoi compagni per la perfetta forma fisica e i miglioramenti esibiti in campo, si era totalmente dimenticato del battibecco avuto con Patty, anzi, a dire il vero, non era neanche consapevole di aver avuto una discussione con la sua manager. Patty dal canto, suo, non si era aspettata niente di diverso, e aveva deciso di dimenticare l’ennesima delusione ricevuta, buttandosi tutto alle spalle con un’indifferenza che non era sicura di riuscire a provare.
 
Il pomeriggio trascorse lento e noioso. Purtroppo la pioggia, più violenta del previsto, aveva costretto il mister a sospendere del tutto gli allenamenti e, terminate le due ore di palestra al coperto, i ragazzi ora giacevano stravaccati nel salottino, giocando a carte e bevendo the caldo, l’unica bevanda, oltre all’acqua ed agli integratori, a loro concessa.
 
Patty e Clarice, ormai ristabilita la consueta armonia, erano appartate in un angolo, intente a risolvere complesse equazione di aritmetica. Totalmente concentrate sul faticoso esercizio, non fecero caso agli sguardi ammirati che buona parte dei giocatori volgeva nella loro direzione. Le due ragazze erano degne rappresentati di due tipi molto diversi di bellezza. Mora, formosa, dolce, solare, determinata e impulsiva Patty, bionda riflessiva, sensuale, elegante, orgogliosa e magnetica Clarice.
 
-Uffa che noia!- sbuffò Bruce per l’ennesima volta- perché non facciamo qualcosa stasera?-
 
-Sì per esempio?- lo imbeccò Danny Mellow.
 
-Che ne so. Magari andiamo all’inaugurazione della discoteca in paese…- buttò lì Bruce.
 
-Cosa? Di che stai parlando?- chiese interessatissimo Danny.
 
L’attenzione della squadra venne calamitata sul difensore giapponese. Bruce, fiero per l’inatteso successo della sua proposta, continuò- Si chiama Hippodrome e si trova in paese a pochi chilometri da qui. Potremmo anche andarci a piedi…-
 
-Con questo acquazzone- replicò Mark sbuffando e rivolgendo un’occhiata feroce al cielo nuvoloso.
 
Ma questo, come se avesse avuto timore dello sguardo rabbioso della Tigre, cominciò a diradare la fitta coltre di nuvole, lasciando intravedere qualche sprazzo di cielo azzurro.
 
-Vedi? Il cielo è dalla nostra parte…- ammiccò Danny, reso euforico dalla proposta di Bruce.
 
-E il mister?- obiettò Holly- Siamo in ritiro, non se ne parla per niente-
 
-E dai Holly non fare il rovina feste. Ci muoviamo verso le undici, il mister sarà già a letto e non faremo tardi…dai …- insistette Bruce.
 
-No, io non mi prendo questa responsabilità- replicò il Capitano combattuto tra il desiderio, da lui pienamente condiviso, di qualche ora di svago, e la responsabilità della squadra, di cui era il garante.
 
-Holly! Se non vuoi unirti a noi, almeno non fare la spia- disse Julian.
 
-Ma come Julian, ti ci metti pure tu?- chiese stupito il Capitano mentre le sue deboli difese scricchiolavano sotto quel fuoco incrociato.
 
-Certo! Mi sto annoiando e ho proprio voglia di fare quattro salti. Allora è deciso, se non piove stasera si va a ballare!- proseguì Julian conscio, come il resto della squadra d’altronde, che il Capitano sarebbe stato dei loro.
 
-Cosa?-chiese Patty afferrando solo le ultime parole della conversazione.
 
-Si va a ballare bellezze. Mettetevi in ghingheri che questa sera facciamo follie- esultò Danny saltellando animatamente per la stanza, al colmo della felicità.
 
Quella sera i ragazzi sgattaiolarono, nel più completo silenzio, fuori dalle loro stanze per ritrovarsi tutti assieme nella hall deserta e buia.
 
Fingendo reticenza, per salvare almeno una parvenza di serietà e onestà nei confronti del mister, Holly si era unito al gruppo, adducendo come scusa, che era suo compito non perderli d’occhio. assicurarsi che non facessero sciocchezze e tornassero ad un orario decente.
 
La bellezza delle tre managers, che proprio in quel momento uscirono dall’ascensore, raggiungendo velocemente i giocatori, diede il colpo di grazia all’umore della compagnia, portandolo alle stelle!
 
Le ragazze avevano deciso di fare le cose in grande e, verso le quattro del pomeriggio, ovvero dieci minuti dopo aver preso la decisione di passare la serata in discoteca, si erano chiuse in camera di Clarice e non ne erano più uscite se non per veloci e fruttuose capatine nelle rispettive stanze, per recuperare cosmetici e accessori.
 
Patty, in special modo, aveva adoperato particolare cura per la scelta dell’abito e del trucco. Dopo una lunga discussione con le amiche sotto la doccia, era giunta alla conclusione che la situazione con Holly andasse risolta una volta per tutte. La ragazza indossava, sotto il cappotto, indispensabile per proteggersi dal freddo reso lievemente pungente dall’umidità e dal vento, un abitino di seta rossa che scendeva leggero, formando morbide pieghe attorno alle ginocchia sottili. La scollatura non era volgare, ma comunque notevole, e la schiena abbondantemente scoperta.
 
Amy aveva optato per dei pantaloni di lino neri e una camicetta turchese semitrasparente, che creava un piacevolissimo contrasto con i riflessi rossicci dei capelli che, lasciati sapientemente liberi, le coprivano le spalle.
 
Clarice indossava, infine, una lunga gonna color panna molto semplice ma che sottolineava, con sobria eleganza, le bellissime gambe, e una maglietta aderente con lo scollo a barchetta ella stessa tinta, che fasciava sinuosamente i seni alti e sodi. Sebbene meno provocante e appariscente delle amiche, il suo portamento regale rendeva il suo abito unico, facendolo sembrare molto più elegante e audace di quanto non fosse in realtà. Non solo i ragazzi la squadrarono rapiti, ma anche le amiche la ispezionarono ammirate, chiedendosi il segreto di tanta sensualità e classe che sfoggiava con la massima naturalezza.
 
La loro entrata in discoteca non passò inosservata, non solo per l’abbondanza di bellezza femminile, ma anche i fisici atletici e imponenti dei ragazzi erano invidiabili e altamente desiderabili.
 
Benji fasciato in paio di pantaloni neri e una polo bianca, che ne evidenziava i pettorali tesi, emanava quella sera un fascino, generalmente non trascurabile, addirittura magnetico.
 
Holly, avvolto in un paio di jeans scoloriti abbinati ad una camicia di seta azzurra aperta sul collo robusto, con quell’aria contegnosa e seria, attirava inevitabilmente l’attenzione del pubblico femminile presente nella sala da ballo.
 
Mark che, eguagliato in altezza solo dai due portieri, sprigionava una virilità maschia irresistibile, sottolineata dalle spalle immense e dalla carnagione bronzea.
 
Tom sfoggiava un classico completo di tweed scuro che risaltava la corporatura robusta e possente del centrocampista, reso irresistibile dal suo volto dolcissimo illuminato da un’espressione angelica.
 
Il locale era di classe, molto più di quanto si aspettassero. Alcuni di loro, non avvezzi a tanto lusso, si sentirono intimoriti. Alle pareti spiccavano specchi enormi, di diversi colori e fattezze, dal soffitto pendevano artistiche composizioni di cristallo finissimo, la pista da ballo, corredata da tre bar rivestiti di pregiatissimo marmo dalle più svariate tonalità, era enorme, dotata di una fontana al centro dalla quale fuoriuscivano fasci multicolori che, unitamente all’acqua che zampillava copiosa, formavano dei giochi di luce molto suggestivi. Tre ampie terrazze circolari, disposte su tre diversi piani, si affacciavano sulla pista ovale. Disseminati ovunque, vi erano tavolini e comode poltrone in pelle nera. Sui cubi, disposti a coppie, ai quattro angoli della pista, si dimenavano le ragazze immagine fasciate in abiti succinti dai colori sgargianti e illuminati da mille paiettes. Il Dj ululava dalla console, con voce chiara e melodiosa, incitando i ballerini in danze sempre più sfrenate, mentre camerieri, dispensavano bibite e cibarie spostandosi tra i tavolini con professionale disinvoltura.
 
I ragazzi, dopo aver ispezionato con curiosità il luogo, si accomodarono in un angolo, trovato fortunatamente libero, nella terrazza del terzo piano. 
 
-Ehi Harper ma dove ci hai portato? In un covo di fighetti?- sbraitò Mark osservando dubbioso un ragazzo incravattato avvinghiato a una donna con abito da sera con tanto di strascico.
 
-Almeno lui un’idea ce l’ha avuta al contrario di te…- lo difese Clarice sfidando l’attaccante con un’occhiata indecifrabile.
 
-Sì certo, per te e Price sarà anche un posto qualsiasi, ma per gente come me, non è adatto- protestò il bomber alzando perplesso il sopracciglio.
 
-Ah Mark non essere sciocco. Un locale è un locale. L’apparenza si può superare con intelligenza…- replicò la ragazza.
 
-Che vuoi dire?-
 
-Che se elimini dal tuo bel volto quell’espressione imbronciata, passi per un fighetto anche tu e credo che più donne, qui dentro, siano della mia stessa opinione- sorrise complice Clarice che, già da qualche minuto, aveva notato tre ragazze sedute poco distante, che lanciavano occhiate languide a Mark, facendo evidenti cenni di approvazione.
 
Il ragazzo seguì perplesso lo sguardo di Clarice e notò le tre ragazze, che immediatamente gli rivolsero ampi sorrisi, passandosi le mani tra i capelli e accavallando le gambe fasciate in collant trasparenti con fare invitante.
 
-Blah!- fu l’unico commento del ragazzo mentre una smorfia di disprezzo gli si dipingeva sul volto. Non aveva mai apprezzato certe palesi manifestazioni di approvazione. L’alchimia delicata che si crea tra uomo e donna era, a sua opinione, qualcosa di privato e delicatissimo, sfoderarla in pubblico con tanta noncuranza, la considerava una cosa di pessimo gusto. Stizzito, si chiuse in un lugubre silenzio e, in malo modo, afferrò al volo una vodka ghiacciata dal vassoio di un cameriere che passava in quel momento.
 
-Mark!- lo riprese subito Holly -Non puoi bere quella roba. Lo sai bene che la nostra dieta …-
 
-Taci Hutton- lo interruppe bruscamente il bomber, trangugiando la bevanda in un sol fiato.
 
-Scusa Mark, non volevo irritarti- disse Clarice, pentita della sua pessima battuta e mortificata per aver irritato quel ragazzo dal carattere estremamente suscettibile.
 
-Bah taci anche tu- sbuffò lui guardandola intensamente. Lentamente si rigirò il bicchiere vuoto tra le dita facendo tintinnare il ghiaccio rimasto sul fondo, continuando a tenere lo sguardo fisso sul volto mortificato della manager. Con mossa felina, stupendo tutti i presenti, si alzò e afferrò la ragazza per un avambraccio sollevandola praticamente di peso -Andiamo- ordinò perentorio.
 
-Dove?- chiese Clarice confusa.
 
-A ballare no?- disse lui, incurante degli sguardi sbalorditi dei compagni di squadra.
 
-Cosa ? Lenders sei già ubriaco?- chiese esterrefatto Bruce.
 
Mark neanche rispose, almeno che ringhiare non fosse una risposta.
 
-Ottima idea Mark- concluse Clarice, decisa ad assecondare il ragazzo, anche se non capiva esattamente se stesse parlando sul serio o se era solo una scusa per tagliare la corda.
 
Fino al giorno prima si sarebbe sentita in pericolo di fronte ad un atteggiamento così aggressivo. Ma ora, dopo aver provato sulla propria pelle, la delicatezza e la sensibilità che l’attaccante celava con cura dietro la facciata di uomo duro, si fidava ciecamente di lui. Per tutto il giorno aveva temuto di cogliere nell’attaccante giapponese, una battuta o un gesto di scherno o rimprovero per la crisi isterica della sera precedente, maledicendosi per aver dato a quello sconosciuto un’arma potentissima per ferirla e piegarla. Troppe volte era stata colpita a tradimento da persone con cui aveva instaurato rapporti di fiducia, non si sarebbe stupita di un colpo basso da parte di quel ragazzo, che da subito, le era parso antipatico e cinico. Invece l’aveva piacevolmente stupita. Niente di allusivo o imbarazzante era emerso dal comportamento di Mark. E Clarice aveva decisamente rivalutato l’opinione che si era fatta di lui –A volte le prime impressioni sono completamente sbagliate…per fortuna…-pensò mentre, senza timore, lo seguiva in pista.
 
Si fecero spazio tra la folla di ballerini scatenati e accaldati. Riuscirono a giungere sino ai bordi della fontana, e qui cominciarono a seguire il ritmo della musica. Clarice si muoveva con la solita istintiva grazia, ma anche il bomber diede prova di insospettabili doti di ballerino, che nessuno avrebbe creduto possibili in un corpo così massiccio e soprattutto in un carattere introverso e asociale come era quello di Mark Lenders. I due ballerini improvvisati si esibirono con sicurezza e dimestichezza in svariate danze muovendosi leggiadri e sinuosi sulle note della musica assordante.
 
-Ma guarda quei due prima non si sopportano e ora ballano d’amore e d’accordo! E devo ammettere che sanno il fatto loro. Guardate un po’ Lenders….- commentò il sempre più stupito Bruce.
 
-E fanno bene!Non siamo qui per divertirci?- proclamò Danny Mellow alzandosi e avviandosi con passo deciso verso la scala che portava alla pista
 
-Io vado a unirmi alle danze- disse Julian trascinandosi dietro Amy.
 
In men che non si dica, al tavolo rimasero solamente Patty, Holly, Tom e Benji. Patty osservò gli amici che, sgomitando tenacemente, avevano raggiunto e circondato Mark e Clarice, dando inizio, tutti insieme, ad un ballo molto divertente ed originale. Patty si lasciò sfuggire un sospiro, ma perché Holly non la invitava ballare? Lo squadrò di sottecchi, realizzando dolorosamente che, se avesse aspettato lui, avrebbe fatto le radici su quella sedia.
 
-Io raggiungo gli altri voi che fate?- decise alzandosi in piedi e facendo ondeggiare la corta gonna di seta attorno alle belle gambe.
 
-Vengo con te – disse una calda voce.
 
Per un attimo il cuore di Patty smise di battere, le era parsa la voce di Holly, invece era solo Tom. Evidentemente la sua espressione delusa doveva essere stata notata dal centrocampista che abbassò lo sguardo mortificato, Patty di sentì morire di vergogna per aver offeso l’amico, ma chi se ne importava di quel tonto di Holly? Lei voleva divertirsi!
 
-Certo, andiamo Tom. Voi che fate?- disse prendendo Tom per mano.
 
Un cenno della mano di Benji, cupo e teso come non mai, le fece capire che insistere sarebbe stato tempo perso. Così la ragazza, con una rassegnata alzata di spalle, si avviò verso la pista seguita da Tom.
 
Non appena i due raggiunsero il gruppo di amici, la musica cambiò e le note sensuali di “I’ve had the time of my life” si diffusero nell’aria. Con stupore, Clarice sentì la mano calda e ampia di Mark appoggiarsi possessivamente sulla sua schiena e con una maestria incredibile il ragazzo la condusse in un conturbante mambo. Avvolta in quel tenace abbraccio e con la mano piccola e bianca completamente coperta da quella scura e potente di lui, Clarice abbandonò qualsiasi reticenza e compiacente volteggiò dando avvio ad un’esibizione favolosa.
 
Patty e Tom, dal canto loro, non si scoraggiarono davanti alla perfetta sincronia dei passi dei due amici; in fretta il giovane centrocampista recuperò tutti gli insegnamenti acquisiti durante un corso di ballo in Francia e guidò con sicurezza Patty, che, invece, appariva più incerta, ma dopo pochi passi si adeguò perfettamente al ritmo del suo cavaliere, seguendolo fiduciosa sull’onda della musica.
 
Il resto della squadra in pista tentò, dopo essersi procurato una compagna improvvisata, di seguire le due coppie, che leggiadre, volteggiavano, completamente rapite dalla sensualità di quel ballo. Sulla scia delle note più lente e conturbanti, Mark strinse sempre più il corpo di Clarice al suo, la ragazza, pur leggermente disorientata dalla presa eccessivamente sensuale di Mark, si abbandonò docilmente, immergendosi completamente nella libidine di quella musica meravigliosa. 
 
Un applauso scrosciante accolse le due coppie quando anche le ultime note si spensero nell’aria. La voce accattivante del Dj, ringraziò i ballerini per il bellissimo spettacolo offerto, e i quattro ragazzi, si resero conto di aver incentrato su di loro l’attenzione di tutta la disco e che la pista si era svuotata per lasciare posto ai loro passi esperti. Sorridendo incerti, tra l’imbarazzato e il divertito, i due cavalieri presero le loro dame per mano e si avviarono al bar, dopo aver eseguito un comico inchino per ringraziare il pubblico, che ricambiò quel simpatico gesto con una calorosa risata.
 
-Uao,Tom sei fantastico! Mai provata un’emozione simile! Ma dove hai imparato a condurre il mambo in quel modo?- esclamò Patty incapace di nascondere lo stupore e l’ammirazione per l’inaspettata dote dell’amico. Tom evitò di incrociare gli occhi lucidi dell’amica e ordinò un succo d’ananas per smorzare l’emozione che il suo rossore tradiva. Lo sguardo languido e dolcissimo che rivolse a Patty, prima di dedicarsi alla sua bibita, colpirono Clarice. Quello sguardo non lo aveva mai visto negli occhi nocciola di Tom, che in quelle settimane aveva imparato a conoscere e apprezzare. In quel preciso istante, comprese il segreto del cuore dell’amico e, l’occhiata che Tom le rivolse, le dissolse definitivamente ogni dubbio. Il ragazzo non fece nulla per nascondere l’evidenza, da troppo tempo celava quel segreto nel cuore e, finalmente, qualcuno l’aveva scoperto, che fosse Clarice non poteva fargli che piacere. Ammirava e rispettava quella ragazza, che conosceva molto meglio di quanto ella potesse sospettare.
 
-Ma anche il mio cavaliere è stato una sorpresa- disse Clarice rivolgendo uno sguardo colmo di ammirazione ed affetto a Mark.
 
-È vero Lenders, ci hai svelato una faccia di te sconosciuta e insospettabile- disse Patty mollando un buffetto sulla mano del bomber, constatando, con notevole sorpresa, che in dieci anni, da che lo conosceva, quella era la prima volta che lo toccava in modo scherzoso. Aveva sempre temuto il difficile giocatore, come la maggior parte della squadra. La collera e l’aggressività di cui lo sapevano capace, non rendeva nessuno bramoso di stare a contatto con la Tigre più dello stretto necessario.
 
Ma Clarice aveva compiuto un miracolo, aveva ammansito Mark Lenders!
Patty osservò ammirata la siluette dell’amica. La bellezza era solo un accessorio aggiuntivo, la vera forza di Clarice era l’aurea magica che la contraddistingueva, rendendola unica e speciale per chiunque. Ma in modo del tutto incomprensibile agli occhi di Patty, Clarice non si rendeva conto di questo suo potere, anzi, a volte, tentava di soffocarlo inconsciamente. Tsunami, a dispetto del nome foriero di morte e distruzione, era un’iniezione di ottimismo e speranza.
 
-Ah manager Gatsby ci sono talmente tante cose che non sai di me. È che non ti è mai importato saperle, tu vedi solo Hutton e gli altri sono satelliti di passaggio- disse Mark con finta noncuranza.
 
Clarice si chiese, mentre lo fissava sconcertata, se la battuta gli fosse sfuggita incautamente o se l’effetto fosse voluto, fatto sta che come un tuono a ciel sereno, quella frase cancellò il clima disteso e divertito che si era creato.
 
Patty senza fiatare, abbandonò il succo di frutta sul tavolo marmoreo del bar e scomparve tra la folla. Un Tom immobile e muto, fissò allibito il punto dove un attimo prima vi era la manager, sorridente e ancora deliziosamente affannata per il ballo, quindi alzò sul compagno di squadra due occhi in cui brillava una luce imperscrutabile e sparì anch’egli tra la folla, allontanandosi velocemente nella direzione in cui era scomparsa Patty.
 
Ma Clarice non aveva il cuore tenero del centrocampista e attaccò Mark senza mezzi termini -Contento?- sbottò furiosa.
 
-Mi fai una colpa per aver detto la verità? Insomma ragazze, lo volete capire che la vita va affrontata? Fare gli struzzi non giova a nessuno- sentenziò deciso Mark.
 
-Smettila di fare il saggio dispensatore di consigli fuori luogo e non richiesti. Credi di essere talmente superiore da poter dire a tutti cosa fare e comprendere cosa provano?-
 
-No, ma sono abbastanza saggio da poter dire che sprecare energie perché non si ha il coraggio di affrontare i propri sentimenti è una grossissima cazzata-
 
Un lampo di dolore oscurò il bel volto dell’attaccante e a Clarice non sfuggì. Il dolore era una cosa che non le passava mai inosservata.
 
-Mark che ti è successo?- chiese titubante appoggiando la sua mano candida su quella abbronzata e nerboruta dell’amico che giaceva inerme sul bancone del bar.
 
-E a te che è successo?- chiese di rimando lui intrecciando delicatamente le dita della mano con quelle di lei.
 
-Mark è troppo doloroso parlarne….- disse, mentre l’amaro sapore delle lacrime le saliva in bocca.
 
-E allora non ne parleremo ancora. Né io né tu. Forse un giorno….Oilà Price! Qual buon vento ti porta?- esclamò cambiando completamente tono ed espressione.
 
La figura imponente del portiere si era materializzata alle spalle di Clarice. La ragazza accolse l’amico con un sorriso che, però, le morì sulle labbra non appena incrociò gli occhi di Benji. L’espressione dura che il ragazzo le riservò, la fece rabbrividire. Mark sentì la mano di lei, ancora tra le sue, farsi istantaneamente ghiacciata, combatté contro l’istinto di stringerla ancora più forte, e invece sciolse la presa con studiata lentezza, non distogliendo, neanche per un istante, gli occhi dal volto tirato del portiere, il quale, anche se guardava ostinatamente altrove, non stava perdendo un solo particolare della situazione.
 
Per un attimo, Benji non poté evitare di incrociare gli occhi di Mark. I due si affrontarono con stoico sangue freddo, nonostante il portiere stesse per esplodere e Mark percepisse il pericolo fin dentro le viscere.
 
Caro mio, se la vuoi dovrai lottare molto, non ho ben capito contro cosa, ma qualcosa di tremendo e non vorrei certo essere al tuo posto. Anche se lei vale qualsiasi battaglia…in bocca al lupo SGGK- pensò Mark lasciando definitivamente la mano di Clarice.
 
-Holly vi sta cercando. Dice che è ora di tornare. Tom e Patty non erano con voi?- disse glaciale il portiere.
 
-Sì ma si sono allontanati poco fa, li vado a cercare. Ci vediamo ai tavoli tra dieci minuti- e dicendo ciò, l’attaccante si dileguò tra la folla.
 
Un imbarazzante silenzio calò tra Benjiamin e Clarice.
 
-Benji sei cupo questa sera, non ti piace il locale?-
 
-Tu invece sei raggiante- un smorfia cattiva si dipinse sul bel volto di lui -Te la intendi alla perfezione con Lenders. Che strano avrei detto che non lo sopportavi. Ma qualcosa è cambiato tra di voi-
 
-Benjiamin non mi piace per niente il tuo tono- protestò Clarice.
 
Il ragazzo aprì la bocca ma poi, scrollando impercettibilmente le spalle, la richiuse, si voltò e si avviò lentamente verso la direzione dove li aspettavano gli altri.
 
Clarice non lo seguì. Rimase ancora qualche minuto sola e pensierosa al bar. Poi si scosse, non poteva lasciare quella discussione in sospeso, tra lei e Benji non doveva esistere imbarazzo, non dovevano esserci frasi non dette e silenzi ingiustificati.
 
Le parole di Mark le scoppiarono nella mente come una bomba…
 
-Fare gli struzzi non giova a nessuno…La vita va affrontata…Vivi…ama…e muori pensando “ho vissuto”-
 
Immersa in queste riflessioni, salì le scale che conducevano ai tavoli e in pochi secondi si ritrovò alla terrazza dove stavano i suoi amici. Clarice rimase a bocca aperta di fronte alla scena inaspettata che si trovò davanti agli occhi. Al tavolo, dove poco prima stavano seduti tutti assieme, c’erano le tre ragazze che avevano ammiccato maliziosamente a Mark, provocandone l’ira. Queste ora, parlavano gesticolando vistosamente con un allibito Holly, un gasato Paul, un festaiolo Danny e… un allegro Benji. Fu su quest’ultimo che si concentrò l’attenzione di Clarice. Poco prima aveva avuto un incontro con un portiere cupo e arrabbiato, mentre ora si trovava davanti un Benji decisamente su di giri.
 
-Ci voleva quella brunetta prosperosa per far tornare il sorriso sulle sue labbra- pensò amaramente Clarice mentre squadrava la ragazza che, avvolta in un abitino color oro che lasciava ben poco all’immaginazione, schiacciava sfacciatamente il suo abbondante seno sull’avambraccio muscoloso del portiere, che non sembrava per nulla dispiaciuto da tanta audacia.
 
Benji, se aveva notato l’arrivo della bionda manager, non lo diede a vedere, neanche una volta la sua attenzione si staccò dagli occhi ambrati della brunetta, che rideva sboccatamente alle sue battute. Inaspettatamente anche lui scoppiò a ridere, una risata rara e gutturale che a Clarice sembrò falsa e forzata. Ma il filo della sua ragione cosciente fu spezzato dalla vista della mano grande e forte di lui che affondava nei capelli color ebano della ragazza. Questa, galvanizzata dal gesto confidenziale, gettò le braccia al collo del ragazzo e, senza pudore, lo baciò appassionatamente sulle labbra.
 
Il portiere sembrò gradire il trattamento e a Clarice non restò altro che seguire sgomentata le enormi mani di Benji che scivolarono lungo la schiena nuda della brunetta per appoggiarsi possessive sui fianchi ben torniti della ragazza. Fissò in tralice il volto del suo migliore amico, le sue palpebre chiuse che celavano alla sua vista gli occhi profondi e le impedivano di vedere che cosa stesse veramente passando per la mente del suo Benji!
 
-Mio!??! O mio Dio no!- pensò sgomentata poco prima che un’improvvisa debolezza la avvolgesse, facendole piegare le ginocchia. Clarice intuì, in un ultimo barlume di lucidità, che il bacio tra Benji e la sconosciuta si stava facendo sempre più intimo e profondo e scrutava ipnotizzata il corpo morbido della ragazza che si stringeva sempre più a quello massiccio del portiere.
 
Un senso di nausea si aggiunse al suo malessere e il mondo circostante cominciò a girare vorticosamente.
 
Nell’istante preciso in cui era certa di cadere a terra svenuta, un braccio robusto la sorresse cingendole la vita e percepì un corpo possente e caldo aderire alla sua schiena, dandole conforto e protezione. Per un istante, il volto sereno e luminoso di suo padre le apparve davanti agli occhi, facendola tremare dalla testa ai piedi…
 
Ancora una volta Mark era accorso in suo aiuto. Non aveva bisogno di voltarsi per sapere che era lui. Il suo odore maschio le era ormai familiare, il suo tocco protettivo ed inconfondibile, la avvolse, calmando la nausea e allontanando ogni debolezza.
 
-Allora Holly si va a casa?- esordì Ed infastidito e sbalordito da quella scena inconsueta. Insieme a Mark era, infatti, giunta tutta la squadra, compresa Patty, ormai completamente dimentica della sua rabbia contro Lenders, troppo inebetita dalla scena del portiere avvinghiato a quella sconosciuta.
 
-Sì sì certo- anche Holly era alquanto esterrefatto, nessuno di loro si era sognato di andare oltre a due semplici chiacchiere con quelle sconosciute e vedere Benji con ben altre intenzioni lo aveva disorientato.
 
-Ah ah guarda il nostro Benji come si sta divertendo. E io che credevo ti stessi annoiando- esordì il solido inopportuno Bruce.
 
-Taci Harper! Andiamo- tuonò Mark aggressivamente, lasciando la vita di Clarice e ponendosi di fronte a lei, in modo da impedirle di vedere oltre la pietosa messa in scena del portiere.
 
-Ma come ve ne andate di già?- chiese la ragazza dai capelli corti seduta tra Holly e Paul.
 
-Sì- disse categorico Mark fulminandola con un’occhiata.
 
-Ma perché così presto? Non te ne andrai anche tu?- proseguì la brunetta avvinghiata a Benji.
 
Il portiere percepì su di sé lo sguardo stupito dell’intera squadra. Per un istante si sentì a disagio ma la sagoma di Clarice, parzialmente coperta dal corpo ingombrante di Lenders, gli fece montare dentro una rabbia impotente -Quasi quasi rimango un altro po’- buttò lì accavallando le gambe e allargando svogliatamente le braccia sullo schienale del divanetto.
 
-Non dire cazzate Price! Alza il culo e andiamo!- ringhiò Mark sollevando i pugni -Ora basta, questo stupido sta esagerando! Gli spacco il muso.. – pensò l’attaccante al limite del suo autocontrollo.
 
-Ma come parla questo zoticone? Ehi un momento …Price?- cinguettò la ragazza spalancando tanto d’occhi- Tu sei il portiere della Nazionale Giapponese! Ma voi siete…-
 
-Ehi bambola taglia corto- l‘apostrofò aggressivamente Mark – Andiamo prima che quest’oca si metta ad urlare ed attiri tutta la discoteca-
 
-Sì è meglio andare- confermò Holly alzandosi.
 
In pochi minuti i ragazzi erano all’aperto. L’aria fresca della notte colpì quei corpi accaldati, che si strinsero nei cappotti e nelle giacche a vento. Clarice, allacciando automaticamente la cintura del suo cappotto, si chiese se anche Benji fosse uscito dalla discoteca o avesse persistito nel suo intento di rimanere tra le braccia vogliose di quella ragazza. Non aveva il coraggio di accertarsene. Non riusciva a decifrare il motivo del malessere che l’aveva invasa e seguiva il gruppo come un automa, con la mente talmente densa di pensieri da renderli un groviglio incoerente.
 
Il percorso di ritorno si svolse nel quasi totale silenzio. Clarice percepì vagamente una presenza a suo fianco, qualcuno le stava parlando, anche se le giungevano più rumori che parole. Cercò di concentrarsi e realizzò che accanto a lei c’era Patty -Allora?- chiese la ragazza osservandola.
 
-Allora cosa ?- disse Clarice
 
-Ma non hai ascoltato una parola?-
 
-Cosa?- Clarice voleva urlare, piangere, ma che volevano da lei, che voleva il mondo da lei? Cercò di calmarsi, Patty non c’entrava nulla -Scusa Patty puoi ripetere ero soprapensiero?-
 
-Non era nulla di importante- disse comprensiva Patty- Ti chiedevo solamente se stasera ti andava di dormire con me. Vorrei parlarti di alcune cose…-
 
-Patty io….si va bene…- concluse Clarice.
 
Il silenzio della notte sarebbe stato meno doloroso con un’ amica vicino.
 
La notte era limpida. Le stelle sembravano polvere di diamanti placidamente adagiate su un panno di velluto nero. Clarice studiò il firmamento e lo trovò più brillante del solito. Era una notte senza luna, il manto argentato della sua amica della notte non poteva avvolgerla infondendole pace e tranquillità. Avrebbe dovuto quietare la sua anima da sola.
 
Rientrarono in albergo in assoluto silenzio. La loro scappatella doveva passare inosservata. Le ragazze salirono in ascensore e, mentre le porte metalliche si stavano chiudendo, con un quasi impercettibile scricchiolio, Clarice scorse la figura familiare del portiere salire le scale assieme a Holly e Tom. Una morsa dolorosa riavvolse la ragazza, che usò tutto il suo autocontrollo per ignorarla.
 
Trascinò il suo futon in camera di Patty e, una volta indossato il pigiama e tolto il leggero trucco dal volto, si coricò accanto all’amica.
 
-È stata una serata strana …- cominciò titubante Patty non sapendo come affrontare l’argomento.
 
-Strana? Un aggettivo vago…- replicò Clarice passandosi una mano sugli occhi.
 
-Non mi viene in mente niente di più preciso….- disse Patty. Stava certamente sbagliando approccio, non avrebbe mai ottenuto niente dall’amica con un attacco così blando.
 
-Non sapevo sapessi ballare il mambo…- disse Clarice cercando di assumere un tono allegro.
 
-Infatti non lo so ballare, era il mio cavaliere ad essere fantastico…Tom..- mormorò Patty.
 
-Tom…- le fece eco semplicemente Clarice.
 
Un silenzio carico di interrogativi invase le menti delle ragazze. In quell’istante entrambe stavano pensando, in preda a sentimenti contrastanti e insospettabili, al loro dolcissimo amico.
 
-E di Mark che mi dici?- fu Patty la prima ad interrompere quel silenzio pericoloso -Ma chi se lo sarebbe aspettato?-
 
-Sì è un ragazzo dalle mille doti nascoste- confermò Clarice ripensando con piacere al giovane capitano della Toho.
 
-Ti piace?- chiese Patty a bruciapelo.
 
-Sì mi piace molto- disse sinceramente Clarice.
 
-Ma io intendo …come …uomo…cioè…se ti piace come ad una donna può piacere un uomo…- balbettò Patty incapace di trovare le parole giuste.
 
-No, non c’è spazio per l’amore nella mia vita ora-
 
-Perché? Come fai a deciderlo tu?-
 
-Lo decido e basta- disse dura Clarice.
 
-Che ti è successo in America? Perché sei tornata così all’improvviso?-
 
Clarice boccheggiò nel buio, non si aspettava un attacco così diretto -Patty non farti strane idee. Nessun amore infelice mi ha spinto a lasciare l’America. Un giorno te lo dirò il motivo, ma ora non me la sento. Buonanotte -
 
E con questa mossa incauta, Patty vide il muro erto dall’amica farsi invalicabile mentre il silenzio assoluto della notte avvolgeva definitivamente la stanza. 

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Capitolo 11
*** Il ricevimento ***


Le prime luci dell’alba, di un tenue azzurro annacquato, furono accolte con un profondo sospiro di sollievo da parte di Benji. Quella era stata veramente una notte da dimenticare. Le immagini della sera precedente gli continuavano a scorrere davanti come una noiosa moviola, rendendo intollerabile qualsiasi pensiero. E così da ore ormai, scena dopo scena, rivedeva il corpo di Clarice sensualmente allacciato a quello di Lenders, le loro mani intrecciate sul freddo marmo, i loro sguardi complici. E ancora, e questa volta Benji aveva davvero voglia di vomitare, il contatto con quella brunetta sconosciuta, di cui non conosceva neppure il nome, il suo profumo fastidioso e il suo sapore estraneo…e Mark che sorreggeva Clarice e poi la celava alla sua vista. Lei che si faceva trascinare via… lui che avrebbe voluto urlare per la frustrazione e la rabbia.
 
Il portiere balzò giù dal letto buttando per aria tutte le coperte mentre si passava nervosamente una mano davanti agli occhi come a voler dissipare le ultime ombre moleste della nottata. Si tolse con rabbia i boxer e si infilò nella doccia sotto il getto d’acqua gelata. Il freddo gli impediva quasi di respirare, facendolo rabbrividire, ma non accennò neanche ad aprire il rubinetto dell’acqua calda, sperava che il dolore fisico lenisse quello psichico, stordendolo e impedendogli di continuare a pensare sempre e solo a lei. Ma non c’era nulla da fare, non vi era verso per uscire da quella tormentosa situazione, se non decidersi ad accettare le cose per quel che erano… Clarice e Lenders… Ma come poteva essere così? Come poteva lei innamorarsi di un uomo che aveva conosciuto due giorni prima, quando loro erano cresciuti insieme?
 
-Perché Cla? Perché lui e non io?- sospirò il portiere abbassando il capo lasciando che i capelli fradici gli celassero il volto stravolto. Sentiva le lacrime pungergli gli occhi ma era deciso a non cedere a quell’ennesima debolezza, consapevole che, anche se le avesse lasciate scorrere, non avrebbero lenito quella lancinante sensazione di abbandono che gli attanagliava le viscere.
 
-Signorina le ho detto che non è possibile- disse il direttore dell’albergo con tono irritato appena celato dietro l’espressione educata -Gli ordini sono chiari, nessuno può accedere all’albergo eccetto il personale- proseguì sostenendo lo sguardo adirato della giovane che aveva generato tanto scompiglio al banco accettazione.
 
-Non essere sciocco, mio padre è uno dei proprietari e io ho tutto il diritto di entrare. Tanto più che devo vedere un amico- insistette la ragazza sfilandosi con studiata noncuranza il leggero spolverino di lana azzurra.
 
-Ma io non sono stato avvertito. Dovrei sentire l’allenatore della Nazionale-
 
-Ah non farla tanto lunga- tagliò corto lei con uno stizzito gesto della mano per nulla intenzionata a mollare. Non se ne sarebbe andata da quell’albergo sino a che non avesse ottenuto ciò che le interessava. Aveva passato una notte insonne tormentata dal ricordo di quello splendido ragazzo abbordato per caso la sera prima in discoteca. Come se quegli occhi bellissimi e quel fisico mozzafiato non fossero stati sufficienti a farla impazzire, vi si era aggiunto il fatto che quello non era un bel ragazzo qualunque, ma il grande Benjiamin Price! Questa scoperta l’aveva decisamente mandata in estasi. La sera precedente, incredula e stupita dalla rivelazione sull’identità del ragazzo, non aveva avuto la prontezza di fermarlo ed invitarlo a passare la notte con lei, evitando così di passare delle lunghissime ed inutili ore rigirandosi inquieta nel letto da sola. Ma ora non avrebbe mollato la sua succulenta preda per nulla al mondo, quello stupido direttore non le avrebbe fatto perdere neanche un secondo in più!
 
-Consegnatemi le chiavi della suite e facciamola finita. Ho intenzione di passare qui qualche giorno- ordinò sporgendo il palmo di una mano bianca e curata nella direzione del direttore, sempre più indeciso e preoccupato per la piega che stava prendendo la situazione.
 
-Ma signorina…-
 
Amanda alzò gli occhi al cielo in un’espressione di insofferenza -Mi basta una telefonata per farti perdere il posto. Preferisci affrontare un rimprovero da un insignificante allenatore o il benservito dall’uomo che firma la tua busta paga?-
 
Il direttore squadrò con una certa apprensione la figura della ragazza, soffermandosi, suo malgrado, sulla generosa scollatura dell’abito per poi risalire sul volto determinato. Con un sospiro di rassegnazione e senza aggiungere una parola, estrasse da un cassetto una chiave dorata e la lasciò cadere nella mano caparbiamente protratta sopra il banco.
 
-Signorina non crei troppi problemi…-
 
-Non credo tu sia in grado di dirmi cosa posso o non posso fare- rispose lei sfoggiando un irritante sorrisetto di trionfo e avviandosi, ancheggiando sfacciatamente, agli ascensori.
 
Clarice entrò insieme a Patty nel ristorante per la colazione, salutò i ragazzi presenti con un ampio gesto della mano ed un sorriso tirato, quindi si diresse verso il buffet. Ora aveva due alternative, far finta di niente o affrontare la realtà. Prima di addormentarsi, aveva esaminato a lungo quanto successo in discoteca la sera precedente. La sua reazione era stata esagerata, in fondo Benji non era una sua proprietà e il fatto che lui si concedesse dei piacevoli diversivi, non c’entrava niente con il loro rapporto. Lui ci teneva alla loro d’amicizia, di questo era certa, non l’avrebbe mai esclusa dalla sua vita anche se in preda al suo testosterone.
 
Ostentando una determinazione che non provava affatto, aggiunse uno yogurt magro al suo striminzito vassoio e cercò con lo sguardo Benji attraverso la sala. Non si stupì di vederlo seduto tutto solo al tavolo, sapeva perfettamente che nessuno dei compagni di squadra osava avvicinarlo quando era di umore così cupo. Quasi nessuno… una persona in realtà c’era ma Clarice notò che Mark non era ancora sceso.
 
-Posso sedermi?- chiese a pochi passi dal portiere.
 
Benji annuì impercettibilmente, non si aspettava una mossa così diretta da parte di Clarice, ma nonostante la sorpresa, riuscì a celare alla perfezione, dietro la sua abituale espressione indecifrabile, il suo turbamento.
 
La ragazza prese posto di fronte a lui -Allora Benji cos’è quest’aria truce?- iniziò lei addentando il suo pane tostato.
 
-Clarice…-
 
-Mi sembra che ieri sera tu non abbia passato una serata spiacevole anzi…-
 
Benji sentì il cuore accelerare i battiti -Cosa vuoi insinuare?- come sempre, nessuna barriera, pur eretta con cura e determinazione, era sufficientemente robusta da resistere ai colpi di Tsunami.
 
-Non fare il finto tonto…perché sei così triste oggi? Ti manca già la compagna di ieri sera? Se vuoi stasera torniamo al locale…-
 
-Non occorre fare tanta strada, io sono qui- la voce squillante e leggermente stridula della nuova venuta fece sussultare i due ragazzi, talmente concentrarsi a leggere uno nella mente dell’altra, che non si erano accorti del concitato brusio che aveva accompagnato l’apparizione della procace brunetta.
 
Benji sollevò la testa di scatto riconoscendo appena nel volto sorridente vicino a lui la ragazza della sera prima. Non si sforzò neppure di nascondere la sorpresa e la stizza mentre Clarice fece del suo meglio per dissimulare i propri reali pensieri.
 
Perché, in fondo, doveva essere infastidita dalla presenza della ragazza? Ora Benji sarebbe stato felice e quindi doveva esserlo anche lei. Ma che diritto aveva quella sconosciuta di stare lì? Loro erano in ritiro…
 
Il medesimo pensiero attraversò la mente di Benj -Non puoi stare qui. È vietato a chiunque avvicinare i giocatori in ritiro- disse con tono duro e distaccato che fece scorrere un brivido lungo la schiena di Clarice. Detestava quel lato altero ed arrogante di Benji. Freddo come il cuore dell’iceberg. Tagliente come il vento siberiano che spazzava le coste del nord.
 
-Ma io sono qui in nome del proprietario dell’albergo per accertarmi che tutto funzioni alla perfezione…- disse languida la brunetta appoggiando entrambe le mani sul tavolo e sporgendosi in avanti sino quasi a sfiorare la fronte del portiere ed offrendo a tutti i presenti un ampio scorcio del suo decolté. Clarice la osservò preoccupata: evidentemente quella sconosciuta non era sensibile agli umori di Benji, o forse preferiva non notarli. A suo rischio e pericolo, ovviamente. Non era certa che una quarta di reggiseno fosse sufficiente a placare l’ira che sapeva stava montando in Benji.
 
Ma Benji non fece in tempo ad aprire bocca poiché una voce adirata tuonò alle spalle di Clarice -Ehi cos’è questa novità? Noi siamo in ritiro le donne non sono ammesse!-
 
Mark Lenders si avvicinò scuro in volto con atteggiamento più bellicoso del solito.
 
-Ah no? - replicò la ragazza indicando sfacciatamente le tre managers presenti nella sala -E loro cosa sono? – proseguì con tono di sfida anche se lo scatto all’indietro palesava il timore che espressione minacciosa dell’attaccante giapponese aveva suscitato in lei.
 
-Loro non c’entrano, sono le nostre managers- tuonò Mark facendo un passo avanti.
 
Amanda indietreggiò di due -Beh la cosa non mi riguarda. Mio padre è il proprietario dell’albergo e io sono qui in nome suo per controllare che i nostri ospiti abbiano tutto il necessario- insistette lei riparandosi alle spalle di Benji in cerca di protezione da quell’energumeno che ora la puntava pericolosamente.
 
-Sì ce l’abbiamo. Ora che hai controllato sparisci- concluse Mark assestando una poderosa manata sul tavolo che tremò a tal punto che il barattolo dello zucchero finì a terra con un tonfo metallico.
 
Clarice si alzò di scatto, appoggiando una mano affusolata sul bicipite gonfio dell’attaccante -Basta Mark. Che lei sia qui o meno a te non deve interessare. Sarà il Mister a decidere a riguardo- disse sperando di bloccare l’esplosione di rabbia che intuiva essere prossima -Noi non c’entriamo niente- aggiunse la ragazza guardandolo dritto negli occhi.
 
Mark agganciò lo sguardo di lei per alcuni secondi, poi scrollando le spalle adagiò le braccia lungo i fianchi e trasse un profondo respiro prima di allontanarsi imprecando qualcosa di incomprensibile.
 
Clarice, prima di seguire l’amico, si volse di nuovo verso la nuova arrivata -Comunque…piacere di conoscerti io sono Clarice – disse porgendo la mano alla bruna che ricambiò la stretta con un sorriso ambiguo.
 
-Io sono Amanda- disse infine prima di dedicare tutte le sue attenzioni al ragazzo seduto, silenzioso e teso, che all’apparire del compagno di squadra sembrava aver perso il dono della parola.
 
Amanda usò tutte le sue armi persuasive quando spiegò al Mister di essere stata incaricata dal padre di controllare che i suoi illustri ospiti fossero trattati nel migliore dei modi, e che quindi si sarebbe fermata qualche giorno per istruire e sorvegliare il personale. Il Mister obiettò che nulla d’eccepibile vi era nella professionalità degli inservienti dell’albergo, ma la ragazza insistette che quello era il suo lavoro e che lo avrebbe svolto nel migliore dei modi, non arrecando alcun disturbo alla squadra. E comunque, tra le righe, fece chiaramente capire al Mister che non avrebbe in alcun modo potuto opporsi al suo soggiorno nell’hotel. L’allenatore non poté fare altro che arrendersi alla situazione, pur avendo chiaramente compreso che ben altri motivi avevano condotto lì quella capricciosa ragazza.
 
Ma su un punto restò inflessibile: Amanda non avrebbe dovuto, per nessuna ragione al mondo, avvicinarsi al campo da calcio quando i ragazzi si stavano allenando, altrimenti avrebbe trasferito istantaneamente la squadra in un altro luogo più consono.
 
La ragazza accettò senza obiezioni, la condizione impostale e, in un primo momento, non vi fece neanche caso. Ma quando si rese conto che i giocatori passavano praticamente dodici ore al giorno al campo da calcio, la cosa cominciò a preoccuparla.
 
Amanda faticava a far trascorrere le ore che la separavano dagli incontri con il suo bel portiere, e le lunghe ore di sauna e i frequenti bagni nelle terme non erano sufficienti a distrarla. Già il primo giorno comprese che i suoi inteludi con Benji sarebbero stati drasticamente ridotti ad un paio d’ore nel dopocena e un brevissimo intervallo tra il pranzo e gli allenamenti del pomeriggio.
 
Livida di rabbia e in preda ad una cieca frustrazione, dovette accettare la situazione senza creare ulteriori problemi altrimenti, ne era certa, il Mister avrebbe messo in atto la sua minaccia di spostare altrove l’intera squadra. A peggiorare il suo umore vi era, inoltre, lo strano comportamento del portiere, che non sembrava gradire per niente la sua presenza. Del ragazzo disponibile e focoso della sera in discoteca, non vi era più la benché minima traccia e Amanda non riusciva a trovare una spiegazione plausibile per questo cambiamento.
 
Le giornate così si susseguirono pigre e noiose, seguendo un ritmo regolare, scandito da orari e doveri rispettati con impeccabile diligenza. Le dodici ore di allenamento, cadenzate dalla messa a punto di nuovi schemi, dalla visione di filmati e dai commenti sulle squadre avversarie, che presto avrebbero dovuto affrontare in Turchia, si alternavano alle ore di palestra con esercizi mirati al potenziamento sistematico della muscolatura delle gambe. E i risultati di tutti quegli sforzi, furono presto ben visibili: di ora in ora la squadra mostrava un miglioramento nella tecnica, nell’affiatamento e nella potenza. Il Mister girava attorno ai ragazzi fiero e soddisfatto, come un leone attorno ad un succulento pezzo di carne, non risparmiando apprezzamenti ed incoraggiamenti più che meritati. Tutti i giocatori e, di conseguenza le managers, traevano il massimo beneficio da quel clima positivo e ben augurante, portando le prestazioni di tutti a livelli quasi perfetti.
 
L’unica persona a non comprendere il motivo di tanta felicità ed orgoglio era Amanda, che vagava sempre più inquieta e con una perenne espressione annoiata stampata in volto. I suoi contatti con Benji erano pressoché inesistenti e per niente appaganti. Mai il portiere aveva espresso il desiderio di stare solo con lei e l’intrepida ragazza aveva provato più volte ad isolarlo dai compagni, per poter godere di qualche ora di intimità con l’uomo dei suoi sogni. Ma questi non si staccava mai dalla squadra e di notte si chiudeva a chiave in camera da quando lei, la prima notte, lo aveva sfacciatamente invitato a condividere lo stesso letto. Scontroso e teso, le aveva risposto che lui era in ritiro e che non era il caso di sprecare preziose energie! Amanda era rimasta troppo allibita da quella sconcertante risposta e, lì per lì, aveva incassato il colpo. Ma più tardi, decisa a non arrendersi, era andata a bussare alla porta del portiere e, non ottenendo alcuna risposta, aveva tentato di entrare nella sua camera, ma l’aveva trovata irrimediabilmente chiusa a chiave.
 
Niente stava andando come lei aveva previsto. Benji, il più delle volte, la evitava, e le rarissime occasioni in cui non la allontanava, Amanda aveva avuto la fastidiosa sensazione di essere una specie di rifugio, anche se non aveva ben capito da che cosa Benji avesse bisogno di proteggersi.
 
Il resto dei ragazzi non la degnavano di nessuna considerazione e praticamente continuavano la loro vita come se lei non esistesse, considerandola alla stregua del resto del personale dell’albergo. L’unica eccezione era Clarice, che le aveva dimostrato, se non proprio simpatia, almeno una muta accettazione sin dall’inizio. Tutti si erano strenuamente opposti alla sua presenza, solo la bionda ragazza non aveva avuto nulla da ridire, limitandosi ad astenersi da qualsiasi commento in proposito.
 
Decisamente, da ragazza di mondo quale era, quella vita da monaca di clausura, la stava stancando. Per fortuna ricevette notizia di un interessante diversivo che avrebbe dato un po’ di brio a quella monotona situazione -Questa sera arriva mio padre con la sua nuova fidanzata e degli amici. Farò un piccolo ricevimento di benvenuto e vorrei che partecipassi anche tu Benji- comunicò al portiere in uno dei loro fugaci e inconcludenti incontri nella breve pausa pomeridiana dopo il solito pranzo controllato.
 
-No Amanda non ne ho voglia. E poi dimentichi che sono in ritiro non sono in vacanza- rispose stizzito il portiere. Trovava la presenza di quella ragazza sempre più ingombrante e invadente, ma era l’unico scudo di cui disponeva di fronte all’immagine di Clarice felice e sorridente, sempre più in sintonia con i ragazzi della squadra e con Lenders in particolare.
 
-Ma è solo un ricevimento informale, sai che faccio? Invito tutti anche il Mister, così non avrà niente da rimproverare- insistette lei afferrando il portiere per i fianchi e schiacciandogli con disinvoltura i seni sull’ampio petto, offrendogli una vista totale delle sue grazie.
 
-Non mi sembra una buona idea- protestò debolmente Benji irrigidendosi a quel contatto così intimo, ma non accennando a ritirarsi. Il calore e la morbidezza del corpo di Amanda erano di gran lunga più sopportabili della vista di Clarice con Lenders che discutevano piacevolmente su un divanetto poco distante insieme a Bruce e Holly.
 
-Hai ragione non è buona ma … ottima!- disse la ragazza baciandolo velocemente sulle labbra -Vado a proporla agli altri- cinguettò felice, allontanandosi in tutta fretta per evitare altre noiose obiezioni da parte del portiere.
 
-Al diavolo- imprecò Benji tirando un pugno alla ringhiera del terrazzo.
 
-Cosa c’è Benjiamin? La tua bella ti ha fatto arrabbiare?-
 
Il ragazzo sobbalzò nell’udire quella voce tanto amata che, ormai, lo tormentava ogni attimo del giorno e della notte -No, cioè sì. Vuole fare un ricevimento per il padre e la sua fidanzata che arrivano stasera-
 
-Uao allora ti presenta alla famiglia!-il tono di lei era piatto, privo di qualsiasi allegria -Vedo che non state perdendo tempo- tentò di scherzare sperando di non risultare patetica.
 
-Clarice!- gli occhi di Benjiamin lampeggiarono con furia e, con gesto del tutto inaspettato, la afferrò con foga per le braccia, scuotendola -Non scherzare…-
 
Clarice sbatté le palpebre confusa-Benjiamin mi fai male- disse sconvolta dall’incomprensibile reazione del portiere.
 
Lui la penetrò con i suoi occhi color pece, Clarice sentì qualcosa di indistinto rompersi dentro e accolse inerme l’ondata di frustrazione e dolore che la travolse facendola tremare. Lui sentì la pelle di lei rabbrividire sotto le sue mani e la lasciò andare di scatto, imprecando mentalmente contro se stesso.
 
-Scusa Clarice solo che non mi piace scherzare su certe cose. Non è come credi-
 
-Io non credo niente- inspiegabilmente aveva una gran voglia di piangere- Scusami tu, sono stata inopportuna-
 
Il viso di Benji tornò ad essere una maschera indecifrabile ma le iridi scure brillarono intensamente-Cla ti va di fare due passi sino alla cascata?-
 
-Mi spiace Benjiamin ma…Mark…mi sta aspettando…- mentì spudoratamente. Per la prima volta in vita sua non aveva alcuna voglia di stare con Benji. Che fosse l’inizio della fine della loro amicizia? Si era illusa che la presenza di una ragazza nella vita del suo migliore amico non avrebbe cambiato il loro rapporto e invece… Benji non era più lo stesso, aveva delle reazioni che lei non riusciva a comprendere e prevedere e questo la spaventava.
 
Velocemente si allontanò dal terrazzo, senza voltarsi indietro sapendo che le lacrime erano ben visibili nei suoi occhi. Ignorò gli amici nella sala e si infilò tra le porte di un ascensore in partenza. Solo una volta al sicuro nella sua stanza si concesse di piangere tutte le sue lacrime, lasciando che i singhiozzi dessero voce a quel muto dolore.
 
Il sole stava tramontando tingendo con rapide pennellate di fuoco la linea dell’orizzonte. La calda luce arancione degli ultimi raggi danzava birichina sul volto candido della ragazza placidamente addormentata. Le lacrime, ormai asciutte, avevano lasciato una lunga scia sulle gote rilassate. Un sommesso bussare irruppe nella stanza costringendo Clarice ad abbandonare il caro oblio del sonno. Ancora leggermente intontita per il pisolino fuori programma, andò ad aprire e si trovò di fronte il volto preoccupato di Patty-Clarice come stai?-
 
-Bene perché?- non si era resa conto che i segni delle lacrime erano ancora chiaramente visibili sul suo volto.
 
-Eh niente…- mentì Patty -Senti stasera c’è il ricevimento per il padre di Amanda-
 
-Così il Mister ha ceduto- disse appoggiandosi allo stipite della porta e portandosi una mano alla tempia per massaggiarla piano. Il pianto a cui si era abbandonata le aveva lasciato in ricordo un pulsante stordimento.
 
-Già dice che non ci farà male un po’ di mondanità e poi il padre di Amanda sembra un tipo importante. Tu che fai, vieni?-
 
-Certo, perché no?- sbottò indispettita.
 
Patty scrutò l’amica. Le faceva tanta pena, ma perché Clarice non ammetteva, almeno con se stessa, che cosa provava veramente per Benji? Quella situazione la stava logorando. No, non poteva lasciarle fare quello scempio della sua vita e di quella dell’amico, doveva assolutamente fare qualcosa.
 
-Bene allora fatti bella! Stasera dobbiamo essere raggianti!-
 
Clarice spalancò gli occhi arrossati -Perché? È Amanda che deve presentare il suo ragazzo al padre, noi non c’entriamo, facciamo solo coreografia-
 
-Non importa, faremo una bella coreografia-
 
Un’ antica fiamma si accese nel cuore di Clarice… bellezza, potere, ammirazione … perché proprio in quel momento? Aveva semplicemente bisogno di un po’ di sicurezza e di fiducia in se stessa, o vi era dell’altro? Il suo corpo, un tempo non molto lontano, era stato fonte di successo, si fidava del suo fascino, era stato la sua carta vincente in più di un’occasione… perché non usarlo ancora come scudo contro il mondo?
 
Percepì forte e denso il peso impalpabile di stoffe pregiate scivolarle addosso, gli sguardi avidi che frugavano tra le pieghe, l’aurea invisibile di potere e intoccabilità della modella che altera calpesta la passerella.
“Ed ecco splendide signore e gentili signori, il momento più atteso della serata! È un piacere ed un onore presentarvi il modello di punta della nuova collezione autunno-inverno firmata Armani… Il tessuto, di delicato chiffon azzurro, è  indossato dalla bellissima Antlia, il corpo e il volto di questa nuova stagione della moda…”
Antlia e Carina due costellazioni, due astri nascenti nel firmamento della moda…
-Oh Antlia sei splendida… il tuo volto giovane e fresco esalta il mio abito come nessun’altra può fare…-
-Antlia sfilerai solo tu stasera, Carina sta poco bene…ma cos’ha? Ultimamente è strana...tu ne sai qualcosa?-
 
-No…-
 
Una bugia detta per proteggere ma che aveva ucciso.
 
-Clarice tutto bene? Sei molto pallida…-
La voce di Patty era vicina ma le sembrava tanto lontana, eppure fu sufficiente per scuoterla -Ok Patty, ti stupirò- affermò sorridendo senza che alcuna ombra di felicità sfiorasse il suo sguardo vacuo. 

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Capitolo 12
*** Il passato ritorna ***


Quella sera la sala centrale era stata preparata con cura senza tralasciare il benché minimo dettaglio. Grosse lampade di vetro smerigliato si erano aggiunte alla consueta illuminazione, rischiarando a giorno tutte le sale comuni dell’hotel, riverberando una calda luce sulle raffinate composizioni floreali che traboccavano da vasi di vetro e gesso posti nei vari angoli. Su tavoli coperti da tovaglie immacolate, vassoi ricolmi di ogni leccornia troneggiavano invitanti, mentre il centro dello spazioso salone era stato lasciato completamente sgombro, a disposizione per le danze. Nella parete più in fondo capeggiava un piccolo palco che ospitava la stimatissima orchestra del paese vicino. Indaffarati camerieri in livrea, diretti e coordinati da un elegante direttore, giravano professionalmente tra gli ospiti che, già da qualche minuto, affollavano la sala, chiacchierando allegramente fra loro raccolti in ordinati capannelli.
 
-Papà- la voce squillante di una giovane donna attraversò come una sciabola la sala, imponendosi sfacciatamente sul concitato brusio di fondo ed attirando gli sguardi curiosi dei presenti.
 
Amanda, avvolta in una nuvola di vaporoso satin blu, si tuffò tra le braccia del distinto uomo di mezza età, in elegante completo da sera, apparso proprio in quel momento nel rettangolo scuro della porta laterale. L’uomo mosse qualche passo avanti ricambiando con un sorriso bonario gli urletti eccitati della figlia e  lasciando intravedere una donna dall’aria sofisticata sino a quel momento celata dalla figura imponente del padre di Amanda. L’attenzione della sala fu immediatamente calamitata da quella nuova apparizione dai lineamenti stranamente familiari su un volto ancora fresco nonostante l’età non più giovanissima. Patty esaminò con rinnovato interesse la sconosciuta chiedendosi dove l’avesse già incontrata, certa di conoscere quel viso tanto bello. La manager corrugò perplessa la fronte quando incrociò gli occhi della donna:  uno sguardo freddo e altezzoso, per nulla dissimulato dal sorriso di circostanza che stava elargendo con generosità.
 
Alle spalle della coppia vi era anche un ragazzo dai lunghi capelli biondi raccolti in una bassa coda di cavallo e gli occhi di un azzurro indefinito, simile al cielo d’estate.
 
-Cara Mandi- disse finalmente il padre di Amanda non appena la figlia gli lasciò lo spazio per respirare -Sei favolosa- esclamò ridendo divertito per l’esuberante accoglienza della sua unica figlia –Lascia che ti presenti Costance- aggiunse fiero, appoggiando la mano ben curata su quella affusolata della compagna ora possessivamente avvolta attorno al suo avambraccio.
 
La ragazza strinse svogliatamente la mano della donna che aveva accompagnato il padre, non la studiò con particolare attenzione, certa che il mese dopo sarebbe stata sostituita da un’altra. Una cosa però la sorprese, quella era una donna di una certa età, e non una delle appariscenti ventenni che di solito scaldavano il letto del padre. Sicuramente non era una delle aspiranti modelle dell’azienda del genitore, convinte che diventare l’amante del presidente, fosse il lasciapassare per garantirsi successo e fama imperitura. In ogni caso, non dedicò molto tempo alle sue elucubrazioni, perché la sua curiosità venne calamitata dal bellissimo biondo alle spalle del padre.
 
Il padre colse al volo la direzione dello sguardo della figlia -Questo è Timothy il modello di punta della mia nuova collezione invernale-
 
Amanda strinse la mano del ragazzo, provando un piacevole brivido di compiacimento, quando lui la trattenne tra le sue per un tempo notevolmente più lungo di quanto il bon-ton esigesse.
 
-Allora cara mi devi presentare i tuoi ospiti?-
 
-Certo papà- cinguettò la ragazza eccitata facendo una mezza piroetta su se stessa -È un vero onore per me, presentarti la grande Nazionale Giapponese….- proseguì, indicando i ragazzi presenti con un ampio e plateale gesto della mano.
 
-Oh cara, grande…staremo a vedere ai prossimi mondiali-
 
-Ah papà sono grandi e lo dimostreranno al mondo. Con Benji in porta poi… - la ragazza si guardò in giro stupita -Ma dov’è Benji?- chiese, accorgendosi solo in quel momento che il portiere non era presente in sala. Tra l’eccitazione per l’arrivo del padre e la conoscenza del fascinoso modello, si era completamente dimenticata dell’oggetto dei suoi desideri. Amanda scrollò le spalle indifferente, d’altronde era abituata ai suoi fuochi di paglia che andavano e venivano con sconcertante rapidità. Evidentemente anche il tenebroso portiere era al capolinea del suo volubile interesse.
 
-Benji è il ragazzo di cui mi hai parlato cara?-
 
-Sì papà ma non lo vedo…ah eccolo che arriva!-
 
L’inconsapevole oggetto di quel rapido scambio di battute tra padre e figlia, stava facendo il suo ingresso in sala. Benji avanzò di qualche passo scostandosi distrattamente una ciocca ribelle dagli occhi, facendo frusciare la pregiata stoffa della sua giacca color grigio antracite, sicuramente opera di alta sartoria visto il modo impeccabile con cui gli si disegnava addosso, risaltandone le ampie spalle ed il fisico imponente. Non indossava la cravatta e il colletto della camicia lasciava intravedere il collo abbronzato sfiorato dai corti capelli ancora umidi e lievemente arruffati. Benji avanzò di qualche passo con aria imbronciata, le mani svogliatamente infilate nelle tasche dei pantaloni che, insieme all’abbigliamento informale, lanciavano un chiaro e forte segnale di noncuranza. Non aveva alcuna voglia di presenziare a quello stupido ricevimento e non era per nulla intenzionato a nasconderlo. I suoi occhi annoiati vagarono distratti sui presenti sino a che si posarono, spalancandosi per lo stupore, sulla donna bionda accanto al padre di Amanda. Le pupille di Benji si dilatarono, rendendo il suo sguardo magnetico, particolarmente intenso. Tra la perplessità generale, il ragazzo fece un mezzo passo indietro come spaventato da qualche pericolo che solo lui sembrava vedere, il volto, sino ad un attimo prima inespressivo, era ora profuso da una rara emozione tanto più sconcertante quanto praticamente impossibile da scorgere sul viso del giocatore che aveva fatto della sua inespressività il suo tratto distintivo. Conscio di essersi tradito, Benji Price chiuse gli occhi un istante e, con un ultimo battito di ciglia, riacquistò il suo proverbiale sangue freddo. Solo gli amici più cari poterono cogliere la rapida l’occhiata con cui perlustrò la sala, alla ricerca di qualcuno che non riuscì a trovare.
 
-Benjiamin Price!- la bionda compagna di Anthony Eastwood si staccò, per la prima volta da che erano arrivati, dal braccio del suo fidanzato e fece qualche passo in direzione del portiere ancheggiando sinuosamente -È un piacere rivederti- la voce della donna era bassa e melodiosa, ma aveva una sfumatura glaciale che a fatica riusciva a celare dietro a dei modi eleganti.
 
Benji sentì un brivido corrergli lungo la schiena mentre osservava la donna che attraversava sorridente la sala andandogli incontro a braccia spalancate, tra lo stupore generale. Il portiere rimase immobile nella medesima posizione, ancorato al suolo come una statua di pesante granito, mentre un lampo diffidente attraversava le sue iridi nerissime, unico segnale su un volto altrimenti impassibile -Signora Kameda- disse a denti stretti mentre la donna gli passava un braccio attorno al collo, costringendolo a piegarsi in avanti per accogliere due baci sulle guance.
 
-Caro lascia che ti guardi! L’ultima volta che ti ho visto eri un bimbetto non più alto di così e ora…sei bellissimo tesoro- il tono falsamente affettuoso della donna fece venire il voltastomaco al portiere, che si irrigidì ulteriormente quando sentì le mani leggere di lei scivolargli dalle spalle giù per le braccia mentre il suo profumo ricercato gli riempiva le narici.
 
-Vi conoscete?- chiese stupita Amanda affiancandosi a Benji e cercando di ristabilire con la sua presenza il diritto di proprietà sul giovane portiere.
 
Nella sala si creò una strana e incomprensibile tensione. Patty cominciò ad agitarsi, cercò di incrociare lo sguardo di Holly, sperando di trovare in lui un qualche segno rassicurante, ma il suo sforzo si rivelò inutile, mai era riuscita ad avere quel tipo di intesa con il Capitano e, sarebbe stata ora di ammetterlo, mai l’avrebbe avuto. Incontrò, invece, gli occhi limpidi ed ambrati di Tom, che condivisero con lei la stessa sotterranea preoccupazione.
 
-Certo che ci conosciamo. Lui era il compagno di giochi di mia figlia quand’erano bambini…-
 
Anche Mark cominciò a fiutare il pericolo mentre nervosamente faceva oscillare il liquido scuro nel bicchiere che teneva in mano.
 
-Ah sì?- commentò Amanda arricciando indispettita il bel nasino -Che strana coincidenza. A quanto pare il mio Benji è pieno di amiche d’infanzia…-
 
-No ti sbagli Amanda- una voce gelida e controllata, molto simile a quella di Costance, attraversò la sala come poco prima aveva fatto quella di Amanda ma il clima ora era incomprensibilmente mutato: una cappa oscura, tanto più temibile quanto più inspiegabile, era scesa nella sala -…si sta parlando sempre della stessa persona-
 
Clarice, avvolta in un lungo abito di delicata seta color acquamarina, emerse dalla penombra dell’atrio, avanzando regale e altezzosa. Il volto pallido non tradiva emozioni e gli occhi color smeraldo erano fissi sulla sofisticata donna immobile di fronte a Benji.
 
-Amore mio- cinguettò Costance facendo qualche passo in direzione della ragazza. Il suo sorriso si ampliò man mano che si avvicinava, colmandosi di ammirazione, non si era aspettata che la figlia avesse conservato tutta la sua innata eleganza. Invece eccola lì! Bella come non mai, si decisamente il ritorno di Antlia sarebbe stato uno scoop che avrebbe occupato per molto tempo le prime pagine dei rotocalchi della moda.
 
Clarice la lasciò avvicinare e accondiscese pacata all’abbraccio della donna - Risparmia le sceneggiate- sussurrò dura all’orecchio della madre facendola indietreggiare stupita.
 
Benji fissò la scena trattenendo il fiato per lo stupore, stentava a riconoscere la sua amica nella giovane elegante che era apparsa nella sala. Lo sguardo glaciale, l’espressione dura, il corpo seducente più aggraziato e sinuoso del solito. Clarice quella sera emanava una sensualità a lui sconosciuta, combinata con una freddezza insospettabile in una creatura che lui sapeva essere dolce e spontanea.
 
Che stava succedendo? Tom, Mark e Patty si scambiarono occhiate confuse avvicinandosi istintivamente di qualche passo all’amica come a voler creare attorno a lei un anello protettivo contro un mostro che ancora faticavano ad individuare. Non avevano ben chiaro da che temibile nemico la dovessero difendere ma la loro barriera sarebbe stata comunque invalicabile. Non avrebbero permesso a nulla e nessuno di colpire la loro preziosa amica.
 
Con gesto deciso che non aveva niente di affettuoso, Clarice riattirò a sé la madre e avvicinò il volto inespressivo, a quello studiatamente truccato di Costance – Una sola parola su Antlia e potrai scordarti per sempre qualsiasi mia collaborazione, chiaro?- mormorò a fior di labbra simulando un bacio sulla guancia.
 
Costance annuì confusa con un impercettibile cenno del capo visibile solo alla figlia. Quella non era la sua Clarice, non era più la ragazzina che poteva manipolare a suo uso e consumo, che era successo? Cosa avevano fatto quei pezzenti musi gialli alla sua bambolina? Doveva stare molto attenta, essere cauta e paziente, altrimenti non avrebbe ottenuto niente da quella sciocca complessata -Tesoro ti presento il mio fidanzato, Anthony Eastwood- disse nervosa cogliendo l’avvicinarsi dell’uomo -Caro, lei è Clarice mia figlia…Clarice- la donna calcò sul nome della figlia, sperando che l’uomo comprendesse la situazione ed evitasse di usare il nome d’arte della modella.
 
Il magnate americano era abbastanza esperto di dive e vita di società, per capire al volo l’atteggiamento delle due donne. Evidentemente la ragazzina faceva un po’ di capricci, come tutte le star di un certo calibro. Ma l’avrebbe fatta capitolare. Dio come era bella e regale! Che portamento, che pelle, che sensualità… Sembrava incredibile che quel concentrato di femminilità non avesse neanche vent’anni! Oltre che ancheggiante ed elegantissima in passerella, per una frazione di secondo, Anthony Eastwood se la immaginò arrendevole tra le sue lenzuola, pronta ad esaudire con solerzia ogni suo desiderio. La madre era certo una donna intrigante ed astuta, oltre che ricca, una compagna ideale, ma mai avrebbe rinunciato a un bocconcino così delizioso. Il presidente della Fashion American Corporation sentì il sangue montargli alla testa quando la ragazza gli si avvicinò porgendogli una mano bianca e liscia come l’alabastro.
 
-È un piacere conoscerti …Clarice- disse divorandone con gli occhi colmi di cupidigia lo splendido volto, incorniciato da due boccoli color miele che le scendevano morbidi sino alle spalle dritte e ben proporzionate.
 
La ragazza non disse nulla, trincerata dietro ad un costruito distacco, limitandosi ad osservare la sua mano imprigionata tra quelle scure dell’uomo. Qualcosa si rigirò nel suo stomaco, quel semplice contatto insignificante era sufficiente a disgustarla. Ritrasse la mano il più in fretta possibile, evitando accuratamente di guardare negli occhi sia lui che la madre. Lo sguardo di Clarice, freddo e controllato, ma in fondo al quale era annidata una vigliacca fiammella di puro terrore, si spostò casualmente su Amanda che, sentendo di stare per perdere il centro della scena, si affrettò a recuperare l’attenzione del padre distraendolo con un fiume di chiacchiere. Clarice approfittò di quell’involontario aiuto per indietreggiare e porre più distanza possibile tra lei e il suo peggior incubo appena trasformato in realtà.
 
Stava ancora indietreggiando quando percepì un braccio forte e muscoloso, ma dal tocco estremamente delicato, circondarla da dietro e appoggiarsi caldo e deciso appena sotto il suo seno. Immediatamente il suo pensiero corse a Mark, ultimamente lui accorreva sempre a sostenerla nel bisogno, ma il brivido traditore che le scese lungo la schiena, facendole accapponare la pelle, non le lasciarono dubbi - Benjiamin- mormorò timidamente.
 
-Tsunami vuoi che tagliamo la corda?- le chiese piano, sfiorandole i capelli con le labbra vicino all’orecchio, in modo che solamente lei potesse udire le sue parole.
 
-No, devo affrontare i fantasmi del mio passato…- replicò poco convinta, evitando di voltarsi ed incrociare lo sguardo preoccupato dell’amico.
 
Il portiere, deluso, allentò la stretta e si accinse a ritrarre il braccio, ma lei lo precedette, trattenendo quella mano solida, protettivamente posata su di lei - Tienimi stretta Benjiamin, ho bisogno di te…- sussurrò con un fil di voce, dando corpo, in maniera inequivocabile, a quel sentimento che da sempre provava, ma che si ostinava caparbiamente a negare. Solo quando sentì il portiere trattenere bruscamente il fiato e la sua stretta farsi più volitiva, comprese la reale portata delle sue parole… in quel momento Clarice seppe la verità… e ne ebbe paura.
 
-Scusa Benjiamin- disse confusa, divincolandosi dalla presa dell’amico e allontanandolo con decisione.
 
-No aspetta- protestò lui cercando di afferrarla per una spalla e di farla voltare in modo da leggere nei suoi occhi trasparenti quello che, incautamente, le sue parole gli avevano appena rivelato. Non si era sbagliato, la donna che amava, il suo devastante “tsunami”, gli aveva appena detto di avere bisogno di lui.
 
Benji non poteva credere alle proprie orecchie, il tono che Clarice aveva usato per esprimergli quella sconcertante richiesta d’aiuto, esprimeva molto più di quanto lui avrebbe mai osato sperare. Ma ora voleva una definitiva conferma, voleva leggere nello smeraldo di quelle iridi infinite l’eco perfetto dei suoi stessi sentimenti.
 
La voce autoritaria del signor Eastwood che, salito sul palco, si era impossessato del microfono, attraversò la sala calamitando su di sé l’attenzione generale. Benji, preso in contropiede dall’inaspettata interruzione, si distrasse per una manciata di secondi, il tempo necessario a Clarice per sparire in mezzo alla folla.
 
Inconsapevole di quanto stava accadendo in sala, il Presidente della Fashion American Corporation proseguì imperterrito nel suo ipocrita discorso di benvenuto, dando ufficialmente inizio alla festa. Un applauso scrosciante accolse le affermazioni del padrone di casa e in pochi istanti l’orchestra riprese a suonare mentre alcune coppie di ballerini si apprestavano ad aprire le danze.
 
Nonostante l’apparente normalità, il ricevimento proseguì in un modo alquanto insolito. Amanda sembrava più interessata a ricambiare la pressante e sfacciata corte del modello americano, piuttosto che presentare al padre il fidanzato. Benji, dal canto suo, non si crucciava per niente della civetteria con cui la sua presunta fidanzata, ricambiava le avance di un altro uomo. L’espressione corrucciata e lo scintillio minaccioso annidato nelle sue iridi color pece, erano dovute alla preoccupazione di ritrovare Clarice, che era misteriosamente scomparsa nel nulla. Tom e Mark giravano come cani in gabbia in giro per la sala, in attesa o alla ricerca di chissà cosa.
 
Oltre a Clarice erano scomparsi anche Anthony Eastwood e la madre della ragazza. Benji prevedendo il peggio, iniziò a perlustrare da cima a fondo l’albergo, ma purtroppo le sue ricerche furono vane.
 
I tre si erano accuratamente appartatati in un’anticamera nascosta della sala congressi, e la spiacevole discussione che si stava svolgendo, era di vitale importanza per Clarice. Freddamente, la ragazza stava calcolando ogni sua mossa, soppesando con matematica precisione ogni sua parola. Doveva liberarsi in fretta di quei due, senza che nessuno sospettasse alcunché. Doveva giocare le sue carte con circospezione.
 
-Allora Antlia… sei splendida. Tua madre mi aveva assicurato che la lontananza dalle passerelle non ti aveva nuociuto, ma non mi sarei mai aspettato una tale rinascita. Sei ancora più bella di quanto ricordassi, sarà un piacere puntare la mia collezione su di te e Jasmine Lood la modella emergente della mia casa di moda-
 
-Jasmine Lood?-
 
-Beh lei sarà la tua spalla, sarà un’altra Carina-
 
Il sangue defluì dal volto della ragazza. Clarice fece uno sforzo quasi disumano per imporsi il più fermo autocontrollo di fronte alla fredda noncuranza con cui quell’uomo viscido e senza scrupoli aveva pronunciato il nome della sua migliore amica. Ma sapeva con certezza che quelle due sanguisughe non dovevano neanche sospettare che le sue ferite erano ancora dolorosamente aperte. Carina era morta e nessuno poteva più farle del male, ma lei era viva ed era in pericolo. Quei due individui minacciavano di distruggere tutto quello che lei aveva duramente costruito nelle ultime settimane.
 
-Già è una buona idea- concesse atona fissando un punto indefinito della parete vuota alle spalle dell’uomo.
 
-Cosa? Allora stai veramente valutando la mia proposta?-
 
-Sì l’avevo già valutata, mamma mi ha chiamato qualche sera fa. Anche se devo dire l’improvvisata di questa sera mi ha talmente indispettita che quasi quasi cambio idea…- disse spostando lo sguardo, ora di nuovo freddo e controllato, sul volto sorpreso del presidente Eastwood. Con mossa studiata accavallò sinuosamente le gambe, facendo in modo che il generoso spacco della gonna si aprisse sino a metà coscia. Aveva già notato dove puntava lo sguardo lussurioso di quell’uomo, ma sua madre che ne pensava? Possibile che non se ne accorgesse? La guardò di sottecchi, ma niente traspariva dal comportamento della genitrice, che si limitava a guardare adorante l’uomo brizzolato. Clarice ebbe l’impressione che questa volta, sua madre fosse realmente innamorata. Trovò la cosa patetica, e non riuscì a reprimere una nuova ondata di disgusto per quei due individui che desiderava allontanare il più in fretta possibile.
 
-Che vuoi dire?- chiese l’uomo perplesso, allentandosi il nodo della cravatta con un gesto innaturale, che tradiva il turbamento che l’atteggiamento provocante della ragazza aveva generato in lui.
 
-Volete farmi credere che siete qui per una casualità? È ovvio che siete venuti per controllarmi…che c’è signor Eastwood dubitava del… mio stato di salute? – la ragazza ammiccò maliziosamente, agitandosi sulla poltrona e facendo scivolare l’apertura dello spacco qualche centimetro più sù. Quel semplice gesto fu sufficiente a far venire le vertigini al magnate americano, che eccitato e confuso, constatò che erano secoli che qualche ragazzina non gli provocava reazioni così violente.
 
Clarice provò un senso di vomito misto ad onnipotenza. Doveva stare attenta, quella miscela era esplosiva… non doveva abusare del potere che momentaneamente sembrava esercitare sull’uomo.
 
-Ma no che dici…-prese tempo il signor Eastwood.
 
-Non menta- strillò la ragazza, assumendo un’aria imbronciata da bambina capricciosa. Un po’ di isteria poteva esserle d’aiuto -Lo so che dubitavate di me. Ma ora che mi avete visto che ne dite? Sono all’altezza?- Clarice si alzò, fece alcuni passi ancheggiando sapientemente e facendo un mezzo giro su se stessa.
 
Per un attimo Antlia calcò nuovamente la passerella… fuori sorrideva soddisfatta, dentro moriva, divorata dall’ansia…
 
-Cara sei…sei… non ho parole per descriverti- l’uomo trattenne il fiato per l’emozione.
 
-E allora voglio che vi fidiate di me!-
 
-Tutto quello che vuoi- cedette il magnate.
 
-Forza Clarice ancora un piccolo sforzo- si fece coraggio per poter continuare quella disgustosa sceneggiata -Andatevene via, questa sera stessa-
 
L’uomo si agitò scompostamente sulla poltrona -Ma perché?-
 
-Perché avete ottenuto quello che volevate, non avete più nessun motivo per restare qui. Ci sono un sacco di cose in America da preparare. Immagino che abbandonare i sarti e gli stilisti in questo momento cruciale non sia stato facile…-
 
-In effetti no… Ok! – disse saltando in piedi esaltato il presidente della Fashion American Corporation -Costance, torniamo in America questa sera stessa. Prepareremo tutto nei minimi particolari e tra un mese, cara Antlia, ci raggiungerai e daremo inizio alla stagione della moda più memorabile degli ultimi vent’anni!-
 
Dentro di sé, Clarice trasse un profondo sospiro di sollievo. Tra un mese sarebbe scomparsa in Antartide, e allora chi l’avrebbe più ritrovata?
 
-Oh signor Anthony, posso chiamarla così vero?- disse stringendosi al braccio dell’uomo con un’aria civettuola. Gli occhi smeraldo di Clarice si allacciarono per un istante a quelli blu notte della madre - Lei sì che mi capisce. Vedrà non si pentirà di avermi dato questa opportunità- insinuò con aria sorniona.
 
-Non ho alcun dubbio in proposito- replicò lui completamente soggiogato dal fascino conturbante di quella splendida creatura. Ancora un mese e sarebbe stata sua. Ma un carattere così volubile e capriccioso non andava contraddetto. Ah! Come era stato stupido a precipitarsi lì. Aveva dato retta a quella sciocca di Costance. Quella donna aveva perso tutto il suo fascino in poche ore, il confronto con la figlia aveva fatto definitivamente capitolare il presidente, che ben presto avrebbe scaricato la madre in favore della figlia. Ma, dopotutto, non era stato tempo perso, la vista di quella meraviglia, valeva molto più di un viaggio a vuoto.
 
I tre tornarono nella sala, ed Anthony Eastwood si scusò con gli ospiti, annunciando che un’ improvvisa telefonata di lavoro richiedeva la sua presenza immediata in America e che, quindi, sarebbero ripartiti quella sera stessa.
 
 
 
Quando il taxi con a bordo i fantasmi del passato tornati all’attacco, scomparve oltre la curva del viale di accesso dell’ albergo, il castello di menzogne di Clarice crollò e la ragazza fu scossa da incontrollati sussulti. Il suo mantello di ghiaccio e finzione si era improvvisamente sciolto, lasciandola stordita e terrorizzata. Con l’ultimo briciolo di autocontrollo che le era rimasto, per non insospettire nessuno, si ritirò nella sua stanza, adducendo come scusa un feroce attacco di emicrania. Fuggì con l’anima ridotta nuovamente a brandelli, insensibile al richiamo preoccupato di Tom, allo sguardo apprensivo di Benji e a quello protettivo di Mark. 

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Capitolo 13
*** Baci sbagliati ***


Giunta finalmente al sicuro nella sua stanza, Clarice, in preda ad una vera e propria crisi isterica, si liberò del vestito da sera, strappandoselo di dosso e gettandolo a terra, ormai ridotto ad un’inservibile mucchietto di seta lacerata. Si precipitò in bagno evitando accuratamente di guardarsi allo specchio, la sua coscienza, ferita ma non annientata, avrebbe potuto rinfacciarle il deplorevole comportamento che aveva tenuto con il fidanzato della madre. Nonostante avesse fatto tutta quella messinscena per salvare quel briciolo di vita sopportabile che si stava faticosamente ricostruendo, i suoi principi erano stati comunque messi a dura prova. Aveva fatto una prolungata violenza su se stessa per civettare ed amoreggiare con un uomo che avrebbe di gran lunga preferito non incontrare mai!
Si tolse tutto il trucco, strofinando la pelle del volto sino a che non la sentì bruciare, indossò con gesti meccanici, concentrata solo sullo sforzo di mantenere la mente sgombera da qualsiasi pensiero, la leggera camicia da notte che si apriva soffice e vaporosa sulle gambe tornite. Si lasciò cadere di peso sul futon affondando il volto nel cuscino. Non aveva la forza di piangere né di urlare, sentiva la tensione crescere a dismisura dentro di lei, sconquassandole l’anima, ma non aveva la più pallida idea di come farla uscire. Per un attimo, Clarice, credette di morire soffocata dal terrore e dalla tristezza. Ma piano piano il respiro riprese il suo ritmo regolare e la cappa di piombo che l’avvolgeva cominciò a disperdersi. Si rigirò nel letto tirandosi la coperta di lana sino al mento nella speranza di placare i brividi. Aveva terribilmente bisogno di una bibita calda, una tisana l’avrebbe sicuramente aiutata a stendere i nervi, permettendole, magari, di annullare nel sonno qualsiasi pensiero.
 
Qualcuno bussò alla sua porta. Rimase immobile senza accennare a rispondere. Il picchiettio sull’uscio di spessa noce si ripeté leggermente più forte, ma a Clarice giunse come un suono sordo ed ovattato che le dava fastidio. Non aveva intenzione di vedere nessuno… Ma la porta iniziò lentamente ma inesorabilmente ad aprirsi… accidenti! Perché non l’aveva chiusa a chiave?
 
Vide un’ombra scura delinearsi nel rettangolo della porta e non ci mise molto a riconoscere l’intruso. Mark entrò nella stanza lasciando l’entrata socchiusa, permettendo così alla luce del corridoio di penetrare -Ti ho portato una tazza di infuso di timo…- disse avvicinandosi al futon.
La ragazza non si mosse, non disse nulla, aveva espresso un desiderio e qualcuno lo aveva esaudito, perché cacciarlo? Con un gesto reso goffo e stentato dallo stato di prostrazione in cui versava, lontano anni luce dall’innata grazia che la contraddistingueva, si mise a sedere allungando le braccia per afferrare la tazza. Mark sentì una morsa al petto nel vedere quella creatura, a lui ormai tanto cara, ridotta in quelle condizioni, schiacciata ed annientata da un dolore che lui poteva solo in parte comprendere. Le porse la tisana scrutandola con attenzione, soffermandosi incerto a contemplare i bei boccoli dorati sparpagliati disordinatamente attorno al volto sconvolto. Non capiva se quel pallore spettrale fosse un effetto della fioca lama di luce che dal corridoio filtrava nella camera, o se fosse reale. Mark trasse un profondo respiro prima di sedersi sul futon accanto a lei. Clarice rimase immobile con la tazza fumante stretta tra le mani, assorbita dal dolciastro profumo di timo che saliva scaldandole il viso gelato. Con un tocco delicato, il cannoniere giapponese le scostò un ricciolo dal volto, soffermandosi pensoso ad accarezzare la guancia vellutata di quell’ essere sofferente e poco dopo, sempre con estrema lentezza, le fece scorrere la mano abbronzata dietro la nuca, affondando le dita nervose nella massa soffice e dorata dei capelli di lei. Clarice percepì vagamente la pressione delle dita di Mark dietro il capo e sbatté le palpebre sorpresa, quando sentì la fronte tiepida del ragazzo appoggiarsi sulla sua. Il viso di Mark era a soli pochi centimetri dal suo, percepiva l’alito caldo del giovane attaccante che, mescolato al vapore della tisana, ancora saldamente stretta tra le mani pochi centimetri più sotto, le lambiva il viso infondendole una strana pace.
 
-Mark…- sussurrò piano. Il calore di lui si stava irradiando a lei e,nonostante fosse cosciente che quella posizione in altre circostanze le avrebbe senz’altro provocato imbarazzo e disagio, in quel preciso istante non desiderava altro che protrarre quel contatto innocente il più a lungo possibile.
 
-Ssss piccola, non dire niente a me, non sono io quello che può aiutarti…- disse pianissimo il ragazzo scandendo ogni parola, lasciandole il tempo di riflettere e comprendere.
 
Lei capì che non poteva e non voleva più negare la realtà…
 
-Mark avevi ragione tu facevo lo struzzo…-ammise timidamente.
 
-Lo so… perché non vai da lui e glielo dici?-
 
-E che gli dico? Amore mio, ti piacciono gli struzzi?-cercò di scherzare Clarice rilassandosi sempre più.
 
Il ragazzo rise sommessamente, grattandola delicatamente dietro la nuca come se fosse una tenera gattina da coccolare -Beh in effetti non ho scelto l’animale più adatto a rappresentarti. Lo struzzo è così goffo mentre tu…sei una sensualissima gatta- disse sospirando- come Maki…-
 
-Chi?-Clarice ebbe un sussulto e rovesciò un po’ di tisana sulla maglia del ragazzo.
 
-Attenta- scattò lui non appena percepì il liquido bollente attraverso il leggero strato della felpa venire a contatto con la pelle. Il ragazzo scostò la stoffa dal petto, rassicurando Clarice con uno sguardo scevro da qualsiasi rimprovero –Non ti preoccupare, non è niente… - l’attaccante agganciò lo sguardo smarrito dell’amica -Non ti ridurre come me. Vai da lui, ne hai bisogno più che mai e…lui pure-.
 
-E se non fosse così? Se lui non mi volesse?-
 
-Rischia, ma lo sai bene che non è così. Tu hai le chiavi del suo cuore, tu sai dove nasconde la sua anima, tu gli hai tolto la visiera di quello stupido cappellino dagli occhi…perché dubiti ancora?-
 
Clarice ricambiò lo sguardo intenso ed incredibilmente profondo del numero nove della nazionale e, conscia di quanto fosse limitata la capacità delle parole di esprimere determinate sensazioni, pregò mentalmente che la sua anima fosse in grado di trasmettergli tutto l’affetto e la gratitudine che in quel momento provava. Mark sorrise, uno di quei sorrisi rari e preziosi che solo in rarissime occasioni increspavano le labbra della Tigre, senza dubbio più propensa ad azzannare che a sorridere. Quindi senza aggiungere altro, le voltò le spalle ed uscì silenziosamente dalla stanza.
 
Benji fece appena in tempo ad appiattirsi lungo la parete nella penombra del corridoio del terzo piano, in modo che il compagno di squadra non lo vedesse. Che ci faceva Mark Lenders in camera di Clarice? Ma che stupido era, non lo aveva ancora capito?
 
Scese velocemente nella hall ormai deserta, ed uscì in veranda gettando tra le siepi del giardino la tazza con la tisana al mirtillo che aveva fatto preparare per lei. Evidentemente si era sbagliato, non era certo la sua stupidissima tisana quello di cui Clarice aveva bisogno. La Tigre l’aveva senz’altro consolata più che a sufficienza!
 
L’immagine di lei, voluttuosamente abbandonata tra le braccia di Lenders, gli serrò la bocca dello stomaco facendogli venire le vertigini. Benji imprecò rabbiosamente mentre tentava di sfasciare un pesante vaso di bronzo che conteneva una simpatica composizione di fiori notturni. Il gelsomino, che perlaceo risaltava nella notte, diffondendo il suo delicato profumo nell’aria, fece saltare i nervi al portiere che strappò l’innocente fiore gettando anch’esso tra le siepi. Ma Clarice se lo poteva scordare! Non avrebbe passato un’altra notte insonne, tormentato da immagini libidinose della donna che amava tra le braccia di un altro. Avrebbe affogato il suo dolore in un modo molto più piacevole. Un sorriso amaro curvò le belle labbra del portiere quando scorse la figura prosperosa della sua pseudofidanzata che, come evocata dai suoi pensieri, stava avanzando con il suo abituale passo provocante verso di lui. Amanda si arrestò a pochi passi dal ragazzo fissando stupita la strana espressione sul volto del portiere.
 
-Vieni qui- ordinò lui perentorio afferrandola per un polso e tirandosela addosso senza tanti preamboli.
 
La ragazza si adagiò confusa sul petto del portiere fissando incredula i pettorali scolpiti sui quali era andata a sbattere.
 
Possibile che il suo, tra qualche istante ex fidanzato, fosse diventato passionale tutto in un colpo? Aveva lottato con ogni mezzo contro la ritrosia di Benji, provocandolo e allettandolo con ogni arma a sua disposizione, non ottenendo nulla più che qualche bacio distratto e insapore, e ora il bel portiere bruciava di desiderio per lei, tanto da reclamarla con la forza?
 
Peccato che ormai fosse troppo tardi, ad Amanda quella manifestazione di maschio desiderio non faceva più alcun effetto, i suoi pensieri ed il suo cuore erano già da qualche ora rivolti ad un’altra persona… Doveva dirglielo, i suoi bagagli erano già accatastati nella hall e il taxi sarebbe arrivato tra un quarto d’ora. Era vero che non c’era nulla di particolarmente serio tra di loro, che spesso si era sentita un ripiego per Benji, ma abbandonarlo senza una parola, per correre dietro ad un modello americano conosciuto solo poche ore prima, non era un gesto educato da parte sua. E lei, in genere, amava tenere buoni rapporti con i suoi ex amanti, chissà la vita era imprevedibile ed un ritorno di fiamma era pur sempre possibile… Aveva prenotato un volo per San Francisco quella notte stessa. La giovane donna non aveva mai provato una sensazione così totalitaria, un rapimento così completo. O almeno questo era il suo pensiero all’inizio di ogni storia. Ma che ci poteva fare se si innamorava e disinnamorava con tanta facilità? Il biondo ragazzo l’aveva stregata e ora lei fremeva dal desiderio di raggiungerlo.
 
-Benji ti devo parlare- disse alzando i suoi occhi ambrati sul volto cupo del portiere.
 
-Sì dopo, ora vieni qui- la mise a tacere Benji, con una voce roca che la ragazza non gli aveva mai sentito prima. Benji si chinò su di lei quasi con rabbia e Amanda non comprese se fosse dolore o piacere il formicolio che sentì sulle labbra quando il portiere si impossessò avidamente della sua bocca. Completamente spiazzata dall’inusuale comportamento del ragazzo, non si oppose in alcun modo alla lingua del portiere che esigeva una sua risposta, mentre le mani del ragazzo premevano insistentemente sui suoi glutei. Benji non l’aveva mai baciata così, veramente non l’aveva mai baciata di sua spontanea volontà, quelle poche volte che era successo, era sempre stata lei a prendere l’iniziativa. Indubbiamente quello era un bacio molto passionale, quelli che Amanda aveva sempre desiderato ricevere dal fuoriclasse giapponese, peccato che ormai fosse troppo tardi, lei ora pensava solo al suo biondissimo Timothy ed era unicamente il volto del bel modello quello che aveva impresso nella mente in quel momento. Nonostante ciò, aspettò pazientemente che Benji sfogasse la sua rabbia, perché lo aveva capito chiaramente, quello non era certo un bacio dettato da un improvviso e fulminante ritorno di fiamma per lei, anche se continuava a sfuggirle il motivo di tutto quella messa in scena.
 
Dopo averlo cercato inutilmente nella sua stanza, Clarice cercò Benji nel bar e nella hall, finalmente lo intravide sulla veranda. Purtroppo, però, non era solo, ma saldamente avvinghiato ad Amanda in un bacio molto più che audace. Indietreggiò inorridita, come era stata sciocca a pensare che bastasse una sua dichiarazione per far cadere Benji ai suoi piedi! Aveva aspettato troppo e quelli erano i risultati. Lo aveva perso per sempre, anzi, ammise sconvolta, non lo aveva mai avuto, almeno non nel senso che Mark quella sera le aveva fatto crudelmente ammettere. La ragazza si celò nell’ombra scivolando via nell’oscurità. Uscì dall’albergo, fuggendo via lontano, con l’unica intenzione di porre più spazio possibile tra lei e il suo amore perduto.
 
Benji si staccò improvvisamente da Amanda. -Clarice- mormorò ancora con le labbra umide e gonfie per quel bacio senza senso. Gli era sembrato di sentire il suo profumo, la sua presenza. Non poteva sbagliarsi, il suo corpo aveva reagito incontrollato, precedendo qualsiasi pensiero razionale, come era solito fare in presenza di lei, rispondendo a quel misterioso richiamo che solo l’anima di Clarice era in grado di lanciargli. Scrutò ansioso ogni angolo della veranda, ma non vide nessuno: oltre a loro, in quello stramaledetto loggiato, non vi era anima viva.
 
-Allora è lei- disse Amanda sorpresa, cogliendo il nome pronunciato con inequivocabile passione dal ragazzo.
 
-Cosa? No…- cercò di mentire Benji seppellendo in fretta nei meandri della sua anima qualsiasi turbamento.
 
-Lascia stare Benji, tanto lo sapevo che tra di noi non funzionava. Non avevo capito perché ma ora lo so. Meglio, così parto tranquilla senza sensi di colpa- disse allegra.
 
-Cosa?- chiese lui confuso.
 
-Parto questa sera stessa. Raggiungo…mio padre in America-
 
E silenziosamente si allontanò senza aggiungere altro, lasciando il ragazzo muto, confuso e sollevato.
 
-Benji- il richiamo trafelato di Patty riscosse il portiere dai pensieri contrastanti in cui era immerso da qualche minuto. Benji se ne stava mollemente appoggiato alla balaustra e osservava, ancora incredulo, le luci del taxi che si allontanava nella notte lungo il viale alberato, con a bordo Amanda.
 
-Che c’è Patty?- chiese il portiere leggermente infastidito per l’irruzione inopportuna dell’amica.
 
-Sono preoccupata, non riesco a trovare Clarice- disse la ragazza indispettita dal tono brusco del portiere. In realtà avrebbe dovuto esserci abituata, ma per qualche strana ragione, Benji Price le faceva sempre saltare i nervi.
 
-Bah! Stupido ti conviene pigliarla al volo la tua Tsunami, altrimenti dove la trovi un’altra povera pazza disposta a sopportarti?- pensò Patty fulminandolo con un’occhiataccia a cui il ragazzo non diede la benché minima considerazione.
 
-Uh…-sbottò il portiere –Hai guardato in camera di Lenders?-il suo tono voleva essere sarcastico, ma ne uscì una patetica mistura di rabbia e dolore.
 
-Benji che dici! Stupido idiota! Ma non lo hai capito? Te lo devo dire io?- imprecò incollerita Patty alzando i pugni sino a sotto il naso dell’allibito portiere.
 
-Cosa, che cosa?- urlò quasi Benji scostando i pugni dell’amica con un gesto poco gentile.
 
Patty si spaventò un poco per la reazione esagerata del portiere, ma ormai non poteva più tacere, la caparbietà, la collera e l’affetto che, nonostante tutto, provava per Benji, le diedero il coraggio di affrontare a testa alta l’ira del ragazzo -Tra Mark e Clarice non c’è nulla di quello che credi tu, io … so che lei ama una persona solamente, e non è Mark Lenders-
 
-Ma che ne sai tu?-
 
-Lo sa come lo so io- la stazza imponente dell’attaccante si materializzò all’improvviso a pochi passi da loro, facendo sobbalzare sia Patty che Benji.
 
-Clarice è venuta a cercarti per dirti una cosa molto importante, non l’hai vista?- proseguì il cannoniere, incurante del disagio dei due amici.
 
Benji non era sicuro di intendere ciò che quei due stavano tentando di comunicargli, non si voleva illudere, ma la nitida sensazione di poco prima, gli sembrò ora ancora più reale ed intensa. Aveva percepito la presenza di Clarice, lei era lì… possibile che avesse visto quel folle bacio tra lui e Amanda?
 
-Oh no Tsunami!- sbottò Benji passandosi rabbiosamente una mano tra i folti capelli scuri.
 
-Dobbiamo cercarla, dove sarà?-intervenne Patty osservando, sempre più preoccupata, prima Benji e poi Mark.
 
-Io la cerco nell’albergo, voi due perquisite il parco- disse Mark che indubbiamente era il più lucido dei tre. Non voleva nemmeno pensare che quella sciocca avesse fatto qualcosa di avventato....
 
Benji e Patty iniziarono le ricerche perlustrando le panchine e le siepi attorno alle fontanelle nei pressi dell’albergo. Non trovando alcuna traccia di Clarice, decisero di dirigersi verso la cascata.
 
Incapace di piangere, pervasa da una rabbia impotente che la faceva sentire vuota ed inutile, Clarice era giunta, senza rendersene conto, ai piedi della cascata. Fissò in trance la schiumosa consistenza dell’acqua, che illuminata dai tenui raggi lunari, sembrava una morbida nuvola di ovatta gonfiata a piacere da qualche dispettoso folletto del bosco. Si allontanò di qualche metro, in mondo che il rombo dell’acqua non la intontisse. La testa le doleva terribilmente e quel tonfo ripetuto non faceva che peggiorare il suo malessere. In breve raggiunse una grossa roccia, dietro alla quale vi era un piccolo spiazzo relativamente tranquillo, protetto com’era, da quella naturale barriera acustica. Clarice si inerpicò sulla roccia, passando dall’altra parte con un agile salto.
 
Era arrabbiatissima con se stessa. Come aveva potuto essere così cieca? Dovevano portarglielo via, per farle capire quanto lui fosse importante? Ma in fondo era meglio così, che diritto aveva lei di amare Benji? Nessuno. Non meritava un ragazzo così… che sciocca era stata solo a pensarlo. In fondo averlo trovato tra le braccia di un’altra era stato solo un bene, le aveva impedito di fare una follia della quale si sarebbe indubbiamente pentita, le parole di Mark l’avevano confusa, le avevano fatto credere di essere una donna degna di amare e di esser amata. Ma così non era…Carina…la sua migliore amica era morta e lei non aveva fatto nulla per impedirlo, che razza di persona era?
 
Un fruscio alle sue spalle la fece sobbalzare, interrompendo bruscamente il corso dei suoi pensieri. Indietreggiò sino ad appoggiarsi alla fredda parete rocciosa-Chi c’è?- strillò sforzandosi di tenere a bada il panico, era stata una sciocca ad inoltrarsi sino alla cascata da sola di notte.
 
-Clarice sei tu?-
 
-Tom?- la ragazza trasse un profondo sospiro di sollievo nel riconoscere la voce e nello scorgere, poco più in là, la figura familiare dell’amico.
 
-Mi hai spaventata a morte- disse avvicinandosi al ragazzo appoggiato contro la parete rocciosa.
 
-Che ci fai qui da sola a quest’ora?- chiese lui stupito.
 
-E tu?-
 
Quella notte la luna c’era. Non al massimo splendore, ma abbastanza luminosa per permetterle di scorgere chiaramente gli occhi gonfi e le guance rigate dell’amico.
 
-Tom…ma che succede?- il cuore di Clarice si strinse, come sempre il dolore delle persone che amava, le faceva dimenticare qualsiasi problema personale.
 
-Nulla- mentì lui girandosi di lato e stropicciandosi gli occhi col palmo della mano - Tu piuttosto, perché sei qui tutta sola e sconvolta invece di essere tra le braccia del ragazzo che ami e che ti ama?- le chiese lui a bruciapelo lasciandola interdetta.
 
-Che dici Tom? – biascicò confusa abbassando lo sguardo.
 
-Piccola onda non negare, perché non vuoi essere felice e far felice Benji?- continuò imperterrito il giovane centrocampista.
 
-Tom non sai di che stai parlando…-
 
-Si che lo so. Voi vi amate, ma qualcosa che tu hai creato nella tua testa, vi impedisce di dichiararvi...-
 
-Tom basta tu non sai di che stai parlando- ripeté Clarice perdendo la calma e alzando sul ragazzo due occhi che lo supplicavano di avere pietà.
 
-Sì che lo so. Qui non ti può sentire nessuno solo io e la luna. Dicci, piccola onda, perché rifiuti l’amore?-
 
-Tom….io….io non merito Benjiamin- quella frase dolorosa uscì direttamente dal cuore di Clarice. Dio, quanto male faceva! Una lama affilata infilzata nella sua gola le avrebbe senza dubbio procurato meno dolore.
 
-Ma che dici stupida! Tu meriti di essere felice…-
 
-Tom tu non sai…-
 
-Cosa non so…Antlia?-
 
Clarice spalancò le iridi smeraldo, si sentì come se in quel momento, sotto i suoi piedi, si fosse aperto un baratro senza fine, la sua mente, avvolta da uno spesso manto di stupore ed incredulità, si rifiutava di comprendere.
 
Ma perché? Perché mentire e nascondere? Finalmente qualcuno sapeva…
 
-Tom tu sai…da quando?- chiese esitante, riprendendosi parzialmente dallo shock.
 
-Da sempre Clarice. Ricordi la prima volta che ci siamo incontrati al campo sportivo della Nankatsu? Ti avevo riconosciuta subito, ma il terrore sul tuo volto, mi fece capire che tu non desideravi affatto essere riconosciuta. Conosco tutta la tua storia… i due astri della moda erano il sogno proibito di tutti i ragazzi degli States e io, beh… ero uno di quelli…-
 
-E nonostante tutto mi hai offerto la tua amicizia?- Clarice non poteva credere che quel ragazzo meraviglioso le fosse rimasto accanto tutto quel tempo dimostrandole un’amicizia sincera, nonostante conoscesse il suo triste passato, nonostante il sudiciume che lei rappresentava.
 
-Basta Clarice, smettila di commiserarti. Hai passato dei momenti terribili, ma perché la tua vita di adesso deve essere condizionata da quello che è stato?-
 
-Perché lei è morta…-
 
-Lei è Carina? Mi spiace per lei, ma tu sei viva, sei libera, sei una ragazza bellissima che ha tanto da dare. Ti prego- e dicendo ciò Tom la afferrò saldamente per le spalle costringendola ad alzare lo sguardo che lei teneva fisso a terra piegata dalla vergogna e dai sensi di colpa - Tu che puoi amare fallo, lui ti ama…non buttare via tutto questo, non vi è nulla di più sbagliato di un amore non corrisposto- disse dolorosamente il ragazzo, e questa volta fu Tom ad abbassare lo sguardo.
 
-Patty…- mormorò Clarice.
 
-Sì Clarice, Patty…-
 
Gli occhi di lui si incupirono sino a diventare color della notte, Clarice percepì il calore delle mani di lui sulle sue spalle attraverso la felpa di flanella che aveva frettolosamente indossato per andare a cercare Benji. Le mani di Tom si strinsero ancor più attorno alle spalle esili mentre le sue iridi nocciola si illuminarono di una strana luce nell’istante in cui si immersero nelle profonde pupille smeraldo di Clarice, candidamente spalancate per lo stupore e la sorpresa. I due ragazzi rimasero immobili, trattenendo il respiro con lo sguardo incatenato l’uno sul volto dell’altra. Una sferzata di vento umido, carico di goccioline di acqua dolce fece ondeggiare i lunghi capelli sciolti della ragazza che rabbrividì di freddo. Istintivamente avvicinò ancora più il suo corpo a quello dell’amico che emanava un piacevole e rassicurante calore.
 
In quel momento, Clarice e Tom, ebbero la triste consapevolezza di essere due naufraghi in mezzo ad una terribile bufera, due naufraghi che prima di arrendersi ed annegare, volevano assaporare ancora qualcosa di bello dalla vita…
 
Le labbra calde e leggermente umide di Tom si poggiarono lievi e delicate su quelle tremanti di Clarice. Per alcuni secondi rimasero immobili, labbra contro labbra, increduli di fronte a quanto stava accadendo, indecisi se continuare o meno quella piacevole follia. Le mani di lui scivolarono lungo le braccia della ragazza sino a raggiungere i fianchi rotondi, per poi allacciarsi dietro la schiena, attirandola definitivamente a sé. Lei ricambiò l’abbraccio dell’amico circondandogli il collo e schiudendo le labbra, pronta a trasformare quel timido tocco in un bacio ben più profondo. Clarice percepì il battito del centrocampista accelerare d’improvviso e, subito dopo, la stretta del ragazzo perdere qualsiasi parvenza d’amicizia, divenendo possessiva e decisa.
 
La scialuppa era stata mandata, spettava solo a loro salirvi o meno.
 
All’unisono decisero di scegliere la vita, la gioia che il contatto caldo e rassicurante del corpo di un amante può dare, l’inebriamento dei sensi che uomo e donna possono scambievolmente donarsi. Si arresero definitivamente, abbandonandosi all’unisono alla voluttà di quel bacio, allontanarono rimpianti e paure e dischiusero le labbra accogliendo l’uno il sapore e il calore dell’altra.
 
-Patty giù- ordinò Benji trascinando la ragazza a terra strattonandola per un braccio.
 
-Benji sei impazzito?- lo rimproverò Patty cadendo praticamente a terra, trascinata a forza dallo strattone del ragazzo. Patty osservò incredula il volto truce del portiere e solo allora, seguendo la direzione del suo sguardo, vide la scena che aveva tanto sconvolto il loro impassibile portiere. Acquattati tra le fronde di un basso cespuglio, i due ragazzi non potevano credere ai loro occhi.
 
-Ma lei mi aveva assicurato che non stavano assieme…- mormorò Patty fissando Tom e Clarice inequivocabilmente allacciati in un bacio molto passionale.
 
-Tu sapevi?- Benji era completamente svuotato. Quest’ulteriore colpo di scena lo aveva distrutto definitivamente, togliendogli la voglia di lottare e sperare.
 
-Sì sapevo- disse Patty. Un grosso nodo le salì in gola –Andiamo via Benji, andiamo via-
 
Rabbia per un’amicizia tradita, frustrazione per le menzogne di una persona che credevano amica, dolore per un amore perduto, rassegnazione per l’ingiustizia di tutta quella situazione, gravavano sulle spalle dei due ragazzi mentre, silenziosamente, si allontanavano nel buio della notte.
 
Quel bacio, indubbiamente sbagliato, esprimeva la disperazione e la solitudine di due cuori che, casualmente, si erano trovati a condividere un dolore simile. La passionalità con la quale era iniziato stava pian piano scemando, lasciando che la dolcezza e l’amicizia riprendesse il sopravvento. Accolsero, senza porsi domande, la relativa serenità che quel contatto inaspettato aveva infuso ad entrambi. Sapevano che non era quella la strada corretta per affrontare e risolvere i loro reciproci problemi, ma si erano concessi una veloce e piacevole fuga dalla realtà, anche se era più che mai chiaro, che stavano nascondendo dietro ad un gesto disperato un dolore incontenibile. Si staccarono ancora leggermente ansanti e, senza rimpianti né recriminazioni, si fissarono schiettamente negli occhi. Il solito dolcissimo sorriso increspò le labbra di Tom e Clarice, grata, ricambiò con eguale dolcezza.
 
-Clarice non dovevamo arrivare a tanto…- sussurrò lui accarezzandole dolcemente la schiena mentre lei attorcigliava con estrema cautela i corti capelli castani del ragazzo attorno alle sue dita.
 
-Sì non dovevamo ma è successo. In fondo non abbiamo fatto del male a nessuno…- sospirò Clarice facendo scivolare le mani da dietro la nuca del ragazzo, sulle sue spalle ampie e quindi appoggiarsi leggere sui pettorali, scostandosi a malincuore da quel tenero e dolce rifugio.
 
-Già- confermò lui - e… a noi stessi?- chiese incerto il ragazzo staccandosi a sua volta.
 
-Tu credi?- chiese lei, sorridendo tra sé e sé, ritenendo che quel bacio fosse la cosa meno dolorosa che le fosse capitata da anni a quella parte.
 
-No…ci ha fatto bene… ma non è questo il punto. Clarice è arrivato il momento di affrontare la vita a viso aperto-
 
-Sì- la ragazza non aggiunse altro limitandosi a fissare quelle iridi nocciola, cercando di assorbire da esse la forza e la determinazione di cui aveva bisogno per fare quello che avrebbe già dovuto fare molto tempo prima.
 
-Brava questa è la strada giusta. Fammi una promessa Clarice…-
 
-Dimmi-
 
-Domani, prima che il sole sia tramontato, dirai a Benji cosa provi realmente per lui…-
 
-Tom mi stai chiedendo molto…-
 
-Lo so ma devi dirgli che lo ami e non come un amico o un fratello, ma come una donna ama un uomo. E il resto…-
 
-Quale resto?-
 
-Il tuo passato Clarice, non puoi permettere che lo venga a sapere da terzi. Credi che tua madre starà zitta in eterno? No, devi dirglielo tu come sono andate veramente le cose..-
 
-Ma nessuno mi ha mai chiesto come sono andate. Tutti mi hanno giudicata e condannata ancora prima di chiedermi che cosa fosse realmente successo..-
 
-Ma con Benji non andrà così, lui ti ascolterà e ti crederà senza giudicarti. Come sono disposto a fare io e tutti quelli che ti conoscono e ti amano. Sei speciale Clarice, e nessuna persona che ti è stata accanto può dubitare della tua bellezza interiore…-
 
-Tom…sai …io credo che se non ci fosse stato Benji mi sarei perdutamente innamorata di te…- disse Clarice arrossendo leggermente. Il ragazzo rise di gusto a quella timida e impacciata dichiarazione e, dopo averle dato un tenero buffetto sulla guancia ancora accaldata per l’emozione che quel bacio le aveva procurato, le passò un braccio attorno alle spalle e insieme si diressero verso l’albergo, pronti ad affrontare la vita e tutto quello che essa aveva in serbo per loro. 

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Capitolo 14
*** Gli errori si pagano ***


Clarice sbatté le palpebre più volte stropicciandosi con vigore gli occhi ancora gonfi di sonno. La notte, umida e fredda, stava lasciando il posto ad un nuovo giorno. Si girò verso la finestra, soffermandosi ad osservare i minuscoli granelli di polvere che leggiadri volteggiavano senza peso nell’aria, avvolti dalla luce del sole nascente.
Nonostante l’apparente calma, la mente della ragazza stava già lottando per non uscire dal tranquillo oblio offerto dal sonno, ma la realtà, in tutta la sua sferzante violenza, stava inesorabilmente prendendo il sopravvento. Con un sospiro rassegnato, spalancò del tutto gli occhi, accettando di prendere coscienza del mondo circostante.
Nella sua mente i fatti delle ultime dodici ore si rincorsero veloci, confondendosi in un turbine nebuloso, dove i confini tra ciò che era realmente successo e ciò che la sua fantasia aveva elaborato, non erano più distinguibili. Allungandosi nervosamente nel letto, cercò di ricapitolare i fatti salienti delle ultime ore e di mettere un po’d’ordine in quel groviglio di suoni, voci, colori, sensazioni….
 
….Benji nella terrazza che le annuncia l’imminente ricevimento… la festa di Amanda…il padre di Amanda… che altri non era che il presidente della Fashion American Corporation…sua madre…la sua voce…il suo profumo…il suo sorriso falso ed ipocrita…l’amore che non le aveva mai dato…l’ambizione sfrenata di una donna egoista e cinica disposta a sacrificare senza alcun rimpianto la sua unica figlia…sua madre…
 
Clarice balzò in piedi e, premendosi con forza una mano sulla bocca, si precipitò in bagno. Fece appena in tempo a piegarsi sul lavabo che un conato di vomito le sconquassò il corpo con violente convulsioni. Svuotò tutto il contenuto del suo stomaco cercando di non pensare a nulla, concentrandosi forzatamente sul gusto acido e pungente dei succhi gastrici che le salivano in bocca, bruciandole la gola.
 
Quando finalmente anche l’ultimo singulto cessò, poté finalmente aprire il rubinetto e sciacquarsi la bocca ed il viso imperlato di sudore ghiacciato. Rimase ancora qualche minuto ad osservare la sua immagine stravolta riflessa nello specchio del bagno e le sembrò di esser tornata indietro di un mese, quando quegli occhi vacui e sofferenti erano la normalità per lei…
 
Involontariamente i suoi pensieri ripresero da dove erano stati interrotti….
 
…sua madre ed Anthony…quella falsa promessa di raggiungerli in America tra un mese…la loro partenza in taxi nella notte…Mark…Benji ed Amanda…
 
Clarice si aggrappò con tutte le sue forze alla bianca superficie di ceramica del mobile del bagno…
 
la fuga alla cascata…Tom…il loro bacio…
 
-Tom…- mormorò piano, rasserenandosi un poco nello scorgere una luce di speranza e vitalità brillare nuovamente nelle profondità delle sue iridi color smeraldo. Uscì dal bagno ancora spossata, proseguendo a piccoli passi, prudentemente appoggiata alla parete.
 
Gemette di dolore mentre si sforzava di resistere alla tentazione di lasciarsi cadere a peso morto sul futon spiegazzato. La testa le doleva terribilmente. Imprecando, si tolse il pigiama ed indossò un paio di ieans e una felpa, non aveva davvero intenzione di rimanere chiusa in camera a vomitare e a versare lacrime inutili.
 
 
-Patty, vorrei chiederti un giorno di libertà- disse Clarice avvicinandosi all’amica che a bordo campo stava facendo il conto degli integratori,annotando tutto su una cartellina.
 
La mora manager non la degnò neanche di uno sguardo continuando a scrivere con la sua grafia minuta ed ordinata -Chiedi al mister- la voce rigida e laconica cadde nell’aria simile a una sferzata di vento gelido.
 
-Già fatto, ha detto che non ci sono problemi, ma per correttezza volevo avere anche il tuo benestare- proseguì sconcertata per il comportamento distaccato dell’amica.
 
-Sì certo…per correttezza-
 
-Patty cosa c’è?-
 
-Oh niente! Semplicemente certe parole dette da te hanno uno strano significato- sbottò, dando le spalle all’amica e facendo qualche passo in direzione della panchina dove vi erano già accomodate Amy e Eve che chiacchieravano spensieratamente tra di loro.
 
-Non capisco, sii più esplicita-
 
-Correttezza Clarice! Tu non sai neanche cosa voglia dire essere corretti- sbraitò la storica manager della Nankatsu voltandosi rabbiosamente verso colei che un tempo, non molto lontano, aveva considerato la sua migliore amica.
 
-Perché mi dici questo?-
 
-Fai quello che vuoi della tua vita, ma se un’amica…o almeno questo io credevo di essere per te, ti chiede di essere sincera, sei pregata di esserlo o altrimenti astieniti da qualsiasi bugia, se la verità non la vuoi dire!-
Clarice strofinò nervosamente i palmi delle mani sui jeans. A cosa di riferiva Patricia? Sicuramente quello era il momento meno opportuno per lasciare ulteriori incomprensioni sospese in aria, ma le chiassose risate dei ragazzi, che si stavano velocemente avvicinando al campo, pronti ad iniziare gli allenamenti della mattinata, fecero desistere Clarice dal chiedere qualsiasi ulteriore spiegazione. Infatti, suo malgrado, aveva già individuato la figura imponente del portiere, facilmente distinguibile nel gruppo per il diverso colore della maglietta e l’inseparabile cappellino rosso che risaltava come un dardo infuocato sotto i raggi del sole di quel giorno, iniziato sotto i peggiori auspici. Benji era senza dubbio l’ultima persona sulla faccia della terra, che aveva intenzione di incontrare in quelle condizioni. Dover vedere il suo bellissimo volto e dover fare i conti con quegli occhi incredibili che le scaldavano il cuore con un semplice scintillio, e sapere che non erano per lei i suoi sguardi, i suoi sorrisi, i suoi pensieri, le avrebbe dato il definitivo colpo di grazia. Quanti colpi mortali poteva sopportare ancora? Clarice non lo sapeva, ma era certa di non esser molto lontana dal punto di rottura.
 
-Patty chiariremo tutto stasera. Ora devo andare- disse allontanandosi in tutta fretta e scomparendo tra i fitti alberi, esattamente nella direzione opposta dalla quale stavano sopraggiungendo i ragazzi.
 
Immersa nei suo pensieri, percorse un lungo tratto del sentiero ben battuto che attraversava il bosco sfociando in una piccola radura al centro della quale si ergeva un isolato tempietto shintoista* ben curato e dalle magnifiche fattezze.
 
La ragazza fissò sorpresa  la magnifica facciata intervallata da nicchie dorate contenenti splendide statue marmoree e lignee dei vari dei del pantheon shintoista. Al centro, esattamente sopra l’imponente portone d’ingresso, vi erano due nicchie più grandi e completamente ricoperte di bassorilievi rappresentanti scene sacre, contenenti le statue in oro massiccio delle due principali divinità: Izanaghi e Izanami*. Sei ampi gradini marmorei conducevano al portone principale fatto in robusto legno di abete finemente intarsiato. Clarice sospinse il pesante battente, peraltro solamente accostato, e in pochi istanti si ritrovò all’interno del tempio. L’ambiente interno era molto più austero dell’esterno e la ragazza si stupì delle ridotte dimensioni dell’unica navata terminante in un’abside ricoperta di affreschi colorati, con al centro l’altare colmo di offerte e i tradizionali gohei* che pendevano ai lati, oscillando allegramente al soffio della tiepida brezza estiva che penetrava nel tempio attraverso le numerose finestre socchiuse.
 
In effetti, l’interno del tempio non era molto grande o, perlomeno, molto meno di quanto uno si aspettasse dall’esterno. Le spesse pareti in roccia viva facevano in modo che vi fosse una temperatura costante sia d’inverno che d’estate. Clarice si appostò a pochi passi dal grande altare in pietra ed oro e si inginocchiò su un cuscino di soffice piuma d’oca, sul quale una devota fedele o qualche solerte sacerdotessa, aveva abilmente ricamato la scena madre del rituale della grande purificazione. La ragazza si concentrò sui cesti colmi di frutti di stagione, deposti con cura ai piedi dell’altare e pregò in silenzio, tentando di svuotare la mente e la sua anima da tutte le preoccupazioni. Ma la cosa andava oltre le sue capacità: come cavalli imbizzarriti, i suoi pensieri correvano veloci, senza freni.
 
Un leggero fruscio alla sua destra la riscosse. Una bella ragazza dai lineamenti delicati che indossava il tradizionale kimono bianco a maniche larghe e il copricapo in foggia purpurea, segno distintivo delle sacerdotesse shintoiste, si sedette accanto a lei.
 
-Tutto bene?- le chiese la sacerdotessa ravvivando con un’asticella di bambù il cero che bruciava l’incenso ai piedi dell’altare.
 
-No, direi che niente va bene…- fu la laconica risposta di Clarice, indecisa se essere infastidita per l’inaspettata intrusione o sollevata per avere qualcuno con cui sfogarsi.
 
-Uhm…problemi che si possono risolvere?- indagò la sacerdotessa squadrandola con i suoi profondi occhi ambrati.
 
- Non lo so…in questo momento mi sembrano problemi insormontabili…-
 
-Ti è morta una persona cara?-
 
Clarice esitò qualche istante prima di rispondere -Non di recente…-
 
-Ma non hai ancora superato il dolore…-
 
-E tu…lei come lo sa?-
 
-Va benissimo il tu. L’ho capito dalla tua reazione. Sei diventata più bianca di un lenzuolo alla mia domanda-
 
-Beh devi ammettere che non è una domanda discreta da porre ad una sconosciuta-
 
-Sì hai ragione. Allora per essere discreta avrei dovuto fare un giro di parole per arrivare poi allo stesso punto, con l’unica differenza di avere perso del tempo prezioso per niente. Invece così, abbiamo affrontato subito la questione e ora abbiamo più tempo per pensare ad una possibile soluzione. Io credo che nella vita sia dannoso girare attorno ai problemi, tentare di mascherare i propri pensieri e sentimenti dietro a facciate infinite di convenevoli e pregiudizi …-
 
Clarice sorrise -Ho un amico che la pensa esattamente come te. Sono giorni e giorni che mi ripete in continuazione questi concetti-
 
-Il tuo amico è una persona molto intelligente…Il fatto che tu abbia un amico è già un buon passo avanti verso la soluzione dei tuoi problemi-
 
-Oh no! Lui per fortuna non c’entra niente con i miei problemi. Vedi…- Clarice trasse un profondo respiro prima di denudare quella parte del suo cuore avvizzita e sofferente –La mia migliore amica è morta, si è uccisa con le sue stesse mani, avvelenandosi a poco a poco. Io sapevo di questa sua debolezza, ma ho sempre minimizzato, facevo finta di non vedere e non capire…l’ho lasciata morire…-
 
-Non credo le cose siano andate così. Non si lascia mai morire una persona che si ama. Sicuramente ci saranno stati dei fattori esterni alla tua volontà, che ti hanno impedito di evitare questa disgrazia-
 
-Fattori esterni dici? Uhm…potrei dirti che avevo 17 anni, che ero poco più di una bambina, spaventata da quel mondo che mi vorticava intorno stordendomi, che avevo…ho una madre che…odio… e l’unica persona al mondo in grado di capirmi, mio padre, è morto quattro anni fa lasciandomi un vuoto incolmabile che…solo un’altra persona è riuscito a colmare…ma tutto ciò non cambia niente. Lei è morta, io potevo evitarlo e non l’ho fatto. Non ci sono scuse, non ci sono attenuanti, solo morte e sensi di colpa. Vuoti incolmabili…- sbottò incapace di controllare il fiume di frasi sconnesse che la sua bocca articolava prima che la mente le approvasse.
 
-Ma mi hai detto che ci sarebbe una persona in grado di colmare i tuoi vuoti…forse l’amico di cui mi parlavi prima…-
 
-Chi?!…No lui mi è stato molto vicino e mi ha aiutato a capire cosa ho nel cuore. Ma la persona a cui mi riferisco é…il mio migliore amico, il mio compagno di giochi, la mano che dal passato è emersa per impedirmi di rinunciare alla vita…-
 
-E allora aggrappati a quella mano, stringila forte e non lasciarla mai più!-
 
-Ma sarà lui a lasciare me non appena saprà che cosa ho fatto…che cosa sono stata…-
 
-Sciocchezze. Tutti possiamo sbagliare nella vita. Ed il tuo errore più grande non è non aver saputo aiutare la tua amica, ma nell’esserti chiusa tutto questo dolore nel cuore, nell’aver rielaborato la realtà in modo distorto. Forse se ti lasciassi aiutare, se provassi ad aprirti del tutto, capiresti che le cose non sono andate come credi, che vi è un altro modo di vedere i fatti-
 
-Ma che ne sai tu!- urlò Clarice scattando in piedi, colpita ed offesa da quelle parole che alle sue orecchie risuonavano spietate e crudeli -Non lo hai capito? Io l’ho uccisa! Ho ucciso la mia migliore amica che amavo come una sorella. Cosa ti dice che non possa fare altrettanto con l’uomo che amo?-
 
-Non dire assurdità. Vedi che sei accecata e che non vuoi vedere le cose per quel che sono? Una ragazzina spaventata e confusa, che si è trovata in una situazione a cui non poteva far fronte, non ha niente a che fare con la donna innamorata di ora. Non sopporto la gente che immola la sua vita in funzione di un errore o di un dolore del passato. La vita prosegue sempre e comunque ed è nostro dovere viverla. Smettila di commiserarti affronta i tuoi sentimenti e lasciati trasportare da essi. E poi non oso immaginare il male che hai fatto a questo ragazzo se anche lui ti ama come lo ami tu…- concluse la giovane religiosa alzandosi a sua volta.
 
Il pensiero di Benji e di Amanda sensualmente avvinghiati ed impegnati in quel travolgente bacio nella fioca luce della veranda, si affacciò alla mente di Clarice con crudele nitidezza. Le grandi e potenti mani di Benji, lussuriosamente adagiate sulle curve prosperose di Amanda e la passione che faceva fremere i due amanti all’unisono, erano immagini marchiate a fuoco nel cuore di Clarice.
 
-No non direi. Ieri sera se la stava beatamente spassando con la sua ragazza…- disse cercando di controllare la rabbia e la frustrazione che sicuramente era ben visibile sul suo volto alterato.
 
-Scusa credevo che tra di voi vi fosse un legame profondo e duraturo e che lui corrispondesse i tuoi sentimenti…-la  voce della sacerdotessa aveva ora assunto un tono basso e compassionevole.
 
-È così infatti… io… so che lui mi ama- esclamò Clarice stringendo i pugni e alzando con decisione il capo. La lunga coda di cavallo, in cui aveva raccolto i suoi setosi capelli dorati, oscillò nell’aria ed un boccolo dorato sfuggì all’elastico colorato andando ad adagiarsi sulla spalla della ragazza.
 
Questa volta fu la sacerdotessa a rimanere stupita e colpita dalle parole e dall’atteggiamento caparbio e fiero della giovane donna -Ma come lui ha la ragazza e, a quanto mi dici, se la passano piuttosto bene, e tu mi vieni a dire che lui ama te, come fai ad affermare una cosa simile?-
 
Un abbagliante sorriso rischiarò finalmente il volto di Clarice, allontanando la coltre di angoscia e dolore che da quel mattino le gravava sul capo. La visita della madre, il bacio tra Amanda e Benji, tutto stava assumendo un aspetto diverso… Un’unica, tanto sconcertante quanto semplice verità, brillava ora nella vita di Clarice. Una verità da sempre presente nel suo cuore ma mai confessata: Benji l’amava! Le loro anime non si potevano mentire, quel misterioso e magico dialogo che i loro cuori erano in grado di scambiarsi, era l’unica vera certezza nella vita di Clarice. Poteva continuare a nascondersi, a negare, a lottare strenuamente contro se stessa ed i sui sentimenti, ma questo non cambiava le cose: lei e Benji si amavano, così doveva essere, così era!
 
C’erano ancora molti punti da chiarire, malintesi da dipanare ed ostacoli da superare, ma si sentiva forte e fiduciosa, non temeva più nulla ora che aveva finalmente trovato il coraggio di ammettere quella meravigliosa realtà.
 
-La mia anima parla con la sua. Sempre, anche quando noi non riusciamo più a capirci…Mark ha ragione….io ho le chiavi del suo cuore, io so in quale bunker si nasconde la sua anima…-
 
-Faccio fatica a seguirti, ma mi sembra di aver capito che hai trovato la soluzione che cercavi- commentò la sacerdotessa impallidendo impercettibilmente e affrettandosi a sistemare un gohei caduto a terra, per impedire alla giovane donna al suo fianco di cogliere il suo improvviso ed inspiegabile turbamento.
 
-Sì e grazie a te…come ti chiami?- chiese Clarice seguendo la sacerdotessa.
 
-Maki- disse automaticamente questa, voltandosi ormai nuovamente padrone di sé.
 
Clarice strinse con affetto le mani piccole e ben fatte della sacerdotessa e l’abbracciò con calore mentre quel nome pronunciato si faceva pian piano strada nella sua mente…non era un nome nuovo…ma dove l’aveva già sentito? Non poteva sbagliarsi, non era un nome molto comune in Giappone….ma nonostante i suoi sforzi, non le veniva in mente niente.
 
Maki notò l’espressione concentrata di Clarice, e temendo un’altra pericolosa ricaduta nella prostrazione di quella strana creatura, che le aveva suscitato, dapprima compassione e poi sincera simpatia, si affrettò a distrarla -Allora Clarice ti fermi a pranzo con me e mio nonno?-
 
-Nonno?-
 
-Sì. il sacerdote di questo tempio è il mio nonnino-
 
Clarice consumò un semplice ma gustoso pranzo nella piccola cucina annessa al tempio insieme a Maki, che scoprì non essere affatto sacerdotessa, ma una promettente giocatrice di softball, alla ricerca di pace e riposo per ristabilirsi da un brutto infortunio avvenuto durante un allenamento, e il suo anziano nonno che era il vero sacerdote del tempio. Clarice, durante quel piacevole pranzo, allietato da simpatici aneddoti sull’infanzia di Maki che il nonno raccontava con brio, si trovò più volte a riflettere su dove avesse già sentito il nome della ragazza che le suonava stranamente familiare. Probabilmente aveva letto qualcosa su di lei su qualche rivista sportiva ma era certa che quella familiarità avesse origini più vicine.
 
Solo a pomeriggio inoltrato si incamminò lungo il sentiero che la riconduceva all’albergo, le ore erano infatti volate, nonostante Clarice fremesse dalla voglia di rivedere Benji e potergli finalmente parlare. Si sentiva determinata e combattiva come non le capitava da tantissimo tempo. Avrebbe eliminato chiunque si fosse frapposto tra lei e il portiere: Amanda, Patty e le sue accuse… solo in quel momento Clarice ripensò alle parole dell’amica di quella mattina.
 
Decisamente aveva molte cose da chiarire, a partire da Patty. Un sorriso deciso increspò le belle labbra della bionda ragazza, mentre svoltava l’ultima curva e la stazza dell’albergo si stagliava grigia ed imponente contro il cielo infuocato da uno splendido tramonto.
 
NOTE:
*SHINTOISMO: religione nazionale del  Giappone. La parola deriva da Shinto = via degli dei (in giapponese si dice  kami-no-michi che significa appunto via degli dei)
*IZANAGHI e IZANAMI: divinità  cosmogoniche da cui avrebbero avuto origine tutti gli dei. Da Izanaghi avrebbero avuto origine anche  la dea Sole ed il dio Luna.
* GOHEI: strisce di carta pendenti da una bacchetta di legno offerte dai fedeli alla divinità.
 
 

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Capitolo 15
*** Una promessa mantenuta ***


Il sole per metà oltre la linea dell’orizzonte, screziava il cielo delle più svariate sfumature di rosso, inframmezzate da un blu cupo puntellato dalle prime tremolanti stelle della sera. Nonostante ciò, gli allenamenti della giornata non erano ancora conclusi per i giovani campioni della nazionale giapponese, impegnati a disputare gli ultimi dieci minuti di un’amichevole che il Mister aveva organizzato dividendo i giocatori in due squadre.
 
L’allenatore si era allontanato da qualche minuto per rispondere ad un’urgente telefonata ed aveva invitato i ragazzi a ritirarsi negli spogliatoi. Ma gli instancabili giocatori nipponici erano tenacemente decisi a saggiare le loro reciproche capacità in un ultimo pericoloso contropiede. La partita era in perfetta parità, ma il numero nove della nazionale, ovvero l’indomito Mark Lenders, la Tigre del calcio nipponico, l’attaccante più caparbio e temuto del Giappone, non era intenzionato ad accettare l’ennesimo pareggio contro la squadra capitana da Holly e difesa da Benji.
 
Con il suo solito piglio combattivo, Mark stoppò di petto il passaggio all’indietro di Carter, dribblò senza troppe difficoltà Harper, evitò con un balzo felino l’impeccabile scivolata di Becker, ed infine concluse l’azione calciando la palla da una posizione assai favorevole, alla quale il portiere Price, nonostante il suo incommensurabile talento, nulla poté opporre.
 
Il numero nove fissò trionfante la sfera a scacchi che roteava impazzita contro le maglie della rete alle spalle di Benji. Accolse esultante le congratulazioni dei compagni che si affrettavano a circondarlo stupidi ed orgogliosi della splendida forma fisica del loro miglior cannoniere.
 
Mark, indaffarato a schermirsi e a godersi le attenzioni dei compagni, che continuavano ad enumerare le qualità di quel goal sorprendente, non fece caso all’ombra fulminea diretta verso il numero undici, ancora a terra dopo la scivolata che nulla aveva potuto contro la furia della Tigre.
 
Travolto da una rabbia cieca che gli sgorgava dal più profondo del cuore, Benji afferrò Tom per il collo della maglietta sollevandolo letteralmente da terra e senza batter ciglio gli assestò un micidiale destro in pieno stomaco. Tom Becker perse in un istante il delicato colorito tanto apprezzato dalla tifoseria femminile e roteò gli occhi all’indietro prima di accasciarsi come un sacco vuoto contro il compagno di squadra che lo respinse con violenza, gettandolo supino a terra.
 
-Così impari a giocare a calcio, idiota!- sibilò Benji sovrastando con il suo metro e ottanta il povero ragazzo che si contorceva ai suoi piedi, premendosi entrambe le mani sullo stomaco nella speranza di arrestare la fitta lancinante che gli attraversava l’intestino.
 
L’urlo di sorpresa proveniente da bordo campo attirò all’istante l’attenzione della squadra che solo in quel momento prese coscienza di quanto accaduto. Come una bolla di sapone che si dissolve nell’aria, il clima complice ed allegro che regnava in campo si dileguò repentinamente nel nulla. Paralizzati dallo stupore, i ragazzi si limitarono a guardare con occhi sgranati la giovane donna che attraversava correndo il campo gettandosi accanto al loro centrocampista agonizzante tra l’erba del campo, mentre il loro portiere osservava impassibile la scena a un passo da loro con le braccia tese lungo i fianchi ed il pugno ancora chiuso.
 
Giunta da pochi minuti al campo sportivo, Clarice, impaziente di rivelare a Benji tutto quello che aveva nel cuore, si era appostata in disparte aspettando tranquilla che gli allenamenti terminassero. Aveva seguito con aria distratta l’azione d’attacco di Mark e non aveva praticamente neanche visto il goal, tanto era concentrata a cercare le parole giuste per rivelare a Benji i suoi reali sentimenti. Incredula si era lasciata sfuggire un urlo quando, come attraverso la visione ovattata di un sogno, aveva visto Benji afferrare ed atterrare Tom.
 
-Benjiamin sei impazzito?- lo rimproverò furente guardandolo dritto negli occhi, il portiere non distolse lo sguardo ma rimase immobile, conscio che nulla trapelava dal suo volto, abituato all’autocontrollo da anni e anni di esperienza.
 
-Price ti sei bevuto il cervello?- ringhiò Mark, il primo a riprendersi dallo stato di torpore che aveva paralizzato i giocatori di fronte al gesto sconsiderato del loro portiere titolare. Per fortuna il Mister si era allontanato e non aveva assistito a quella vergognosa scena, altrimenti nessuna giustificazione avrebbe evitato a Benji una più che meritata espulsione. Possibile che quel portiere avesse così poca considerazione della sua carriera e dei suoi compagni?
 
Mark si accucciò accanto al compagno di squadra sofferente a terra ed aiutò Clarice a sollevarlo, il ragazzo sebbene ancora rigido e contratto per il dolore, si adagiò mollemente tra le braccia di Clarice appoggiandosi al suo seno morbido.
 
Il numero nove si rialzò non lesinando a Benji un’ulteriore occhiata carica di rabbia e disapprovazione esigendo un’immediata spiegazione.
 
Benji come risposta, girò sui tacchi e se ne andò senza che nessuno dei compagni, neppure il Capitano, che tutto permetteva tranne che comportamenti indisciplinati in campo, osasse fermalo.
 
Patty sopraggiunse in fretta, i bei lineamenti contratti in una smorfia preoccupata mentre passava una salvietta umida sul volto teso di Tom asciugandogli il sudore ghiacciato addensato sulla fronte contrita per il dolore.
 
-Ma che gli è preso per un goal incassato? Quel portiere sta dando i numeri!- disse sconcertato il principe del calcio, Julian Ross.
 
-Non è per quel goal che Benji è esploso!- replicò Patty asciutta, incapace di trattenersi oltre.
 
Tutta l’attenzione della squadra venne calamitata sulla manager che si morse un labbro maledicendo mentalmente la sua lingua lunga. Non era riuscita a controllarsi, qualcosa era scattato dentro di lei mentre puliva il volto di Tom che la fissava grato per quella tenera attenzione. Il centrocampista si stava lentamente riprendendo, anche se ancora livido ed incapace di stare seduto senza l’appoggio del corpo di Clarice che, solerte e premurosa, continuavano a sorreggerlo stringendolo tra le braccia.
 
-Se qualcuno qui presente, avesse seguito i miei consigli e fosse stato più sincero, tutto ciò non sarebbe successo- sbottò Patty guardando con astio la mano candida di Clarice appoggiata sulla spalla di Tom.
 
-Qualcosa mi dice che tu ti stai riferendo a me- si difese la ragazza, a cui non era sfuggita l’allusione neanche troppo dissimulata di Patty - Siamo alle solite, accusi senza cognizione di causa-
 
-E no bella mia- Patty si alzò di scatto scaraventando violentemente la salvietta in faccia al centrocampista che gemette per quel nuovo e, a suo avviso, immeritato, attacco -Questa volta so bene come stanno le cose!- gli occhi le scintillavano furiosi mentre fissava sdegnata i due ragazzi ancora abbracciati a terra.
 
-Parla chiaro- incalzò Clarice turbata da tanta ferocia -Che avrei fatto questa volta? –
 
-Scegli meglio i luoghi per i tuoi incontri amorosi o occhi indiscreti potrebbero giungere sino…ai piedi della cascata-
 
Clarice arrossì e anche il colorito di Tom passò, in pochi secondi, dal bianco cadaverico al rosso vermiglio.
 
-Tu hai visto…-
 
-Non solo io ma anche Benji ha visto!- sbottò tutto di un fiato Patty, spostando lo sguardo colmo di disprezzo prima sulla bionda ragazza poi sul centrocampista che boccheggiava affannato senza emettere alcun suono.
 
Un brusio concitato serpeggiò rapido tra i giocatori presenti, che avevano seguito la scena con orecchie ed occhi bene aperti, più che mai determinati a non lasciarsi sfuggire neanche un accento di quell’imbarazzante discussione.
 
-Clarice credo tu possa spiegare il malinteso…- intervenne Mark fissando incredulo la manager e il centrocampista ancora visibilmente sofferente.
 
-Sì ma non ora- lo interruppe Tom staccandosi da Clarice e puntellando le mani a terra per sorreggersi - Cla vai da lui subito, spiegagli tutto e…ricordati che ieri mi hai fatto una promessa- concluse indirizzandole un occhiolino d’intesa che Patty ancora ritta davanti a loro, colse al volo rimanendone profondamente turbata. Qualcosa in tutta quella situazione non le tornava… se almeno quei due avessero avuto la decenza di spiegarle come stavano le cose…eppure non era né cieca né stupida e quel bacio era… un bacio! Non aveva frainteso, ma allora che stavano blaterando quei due traditori?
 
-Tom…Mark…oh che casino! Tom ti prego spiega tu a questa zuccona come stanno le cose. Io devo andare!- disse Clarice scattando in piedi e correndo via veloce come il vento, lasciando tutta la squadra nel più totale smarrimento.
 
Si precipitò a capofitto su per la tromba delle scale diretta al quarto piano, dopo aver intravisto il pulsante dell’ascensore lampeggiare sulla scritta “occupato”. Mossa da un incalzante desiderio di chiarire quel mare di malintesi, Clarice coprì a tempo di record ben quattro rampe di scale facendo i gradini a due a due. Giunse ansante al pianerottolo del quarto piano ed esitò indecisa davanti alla pesante porta di vetro smerigliato che divideva le scale dal corridoio che conduceva alle camere. Senza perdere altro tempo, afferrò la maniglia di ottone e spalancò la porta. Percorse il corridoio, coperto da una soffice mouquette rosso bordeux che attutiva i suoi passi incerti ma allo stesso tempo impazienti.
 
Svoltò a sinistra arrestandosi davanti alla camera 456. La ragazza rimase qualche istante a fissare le venature dello spesso pannello di noce che la divideva da Benji, ultimo ostacolo tra lei e il suo destino. Che aveva intenzione di fare? Come avrebbe iniziato il discorso? Benji l’aveva vista mentre baciava Tom... E se avesse frainteso tutto? Se quello di Benji nei suoi confronti fosse sempre e solo stato innocente affetto fraterno? Come avrebbe fatto a far collimare il tumulto di sentimenti che provava lei con un rifiuto di Benji? Ma allora che spiegazione dare alla violenta reazione del portiere? Quale poteva essere stata la molla di tanta violenza se non la gelosia? E si è gelosi di una donna non di un’amica, giusto? Il suo volto, sino a quel momento incupito dal dubbio, cambiò espressione, gli occhi si illuminarono di speranza mentre con mossa incerta picchiava le nocche contro la porta provocando un tenue rimbombo.
 
Aspettò qualche istante ma non ottenne risposta. Provò ad abbassare la maniglia e la porta girò sui cardini senza far alcun rumore. Clarice la richiuse piano alle sue spalle ed attraversò la stanza illuminata dalla fioca luce proveniente dall’esterno dai lampioni del parco.
 
Oramai il sole era definitivamente tramontato e le prime stelle brillavano alte in cielo. La stanza era avvolta nel più completo silenzio, tranne che per lo scrosciare insistente dell’acqua dalla doccia. Benji si stava lavando. Decisamente la sua presenza in quella stanza era imbarazzante ed inopportuna. Un pensiero sconcertante le balenò in testa, più fastidioso di una zanzara che interrompe il sonno: e se Benji fosse stato in doccia in compagnia della sua focosa fidanzata? Che situazione vergognosa se fossero usciti nudi ed eccitati dal bagno, trovandola impalata come una statua di marmo al centro della stanza, pronta a dichiarare a Benji tutto il suo amore!
 
Il dolore, la vergogna e il dubbio, le diedero il coraggio di avvicinarsi alla porta accostata del bagno ed infilare la testa dentro. La nebbia di vapore era abbastanza diradata da permetterle di vedere la sagoma imponente del portiere all’interno dell’abitacolo della doccia intento a sciacquarsi i capelli. Nonostante il vetro smerigliato non le permettesse di vedere se non contorni sfocati, Clarice trasse un profondo sospiro di sollievo nel constatare che Benji era solo, e non la sorprese sentire le sue gambe farsi molli ed una miriade di brividi scenderle lungo la schiena di fronte alla bellezza prorompente del corpo nudo del portiere.
 
La tentazione di raggiungerlo sotto il getto dell’acqua era fortissima, ma fu trattenuta da un naturale pudore, che la indusse ad una saggia ritirata. Si appoggiò alla cornice della portafinestra che Benji aveva lasciato accostata per far entrare la leggera brezza della sera. Fissò estasiata il cielo scuro tempestato di piccoli puntini luminosi e si concentrò per identificare le varie costellazioni, sperando con quello stratagemma, di placare il disordinato battito del suo cuore.
 
Era intenta in quel compito quando un rumore di passi all’interno della stanza la richiamò alla realtà. Il respiro le si mozzò in gola di fronte all’incommensurabile bellezza del corpo seminudo di Benji.
 
Il ragazzo si stava energicamente passando una salvietta tra i folti capelli arruffandoli con vigore, facendo guizzare ad ogni movimento i muscoli gonfi dei bicipiti. Clarice non riusciva a scorgerne il volto bruno, coperto da un lembo della salvietta e dai ciuffi più lunghi che gli ricadevano morbidi sugli occhi chiusi. Goccioline solitarie tracciavano scie argentate lungo i pettorali scolpiti e ricoperti da una leggera peluria, scendendo giù verso il ventre ed arrestandosi solo sull’orlo dell’asciugamano saldamente allacciato attorno ai fianchi stretti. Le gambe scattanti e forti in grado di sollevare quei novanta chili di muscoli con la stessa velocità di un gatto che piomba sulla preda, erano leggermente divaricate per permettergli un maggior equilibrio.
 
Benji gettò il capo all’indietro ed aprì gli occhi bloccandosi di colpo. Incredulo, sbatté le palpebre un paio di volte prima di convincersi che la figura che aveva di fronte non era un miraggio ma era proprio Clarice.
 
Sbalordito lasciò cadere la salvietta che si adagiò silenziosa tra i suoi piedi -Che ci fai nella mia stanza?- chiese riprendendosi solo in parte dalla sorpresa.
 
Lei sorrise appena, quel sorrisetto beffardo, per lui tanto familiare, che sin da bambina le piegava le labbra ogni volta che stava per svelare una marachella -Genshj sono venuta a chiederti delle spiegazioni per il tuo imperdonabile comportamento di poco fa con un tuo compagno di squadra- disse tentando di mascherare nel migliore dei modi le emozioni sconosciute che le stavano mandando i cortocircuito i pensieri.
 
-Non credo di dovere a te delle spiegazioni- replicò acido Benji- E comunque non mi sembra che tu abbia il diritto di entrare nella mia stanza …-
 
-Ehi Benjiamin da quando in qua io non ho il diritto di entrare nella tua stanza a mio piacimento? Se non sbaglio quando eravamo piccoli non me lo hai mai proibito-
 
-Adesso basta Clarice!- scattò irato -Non voglio offendere la tua intelligenza accusandoti di non sapere che ciò che ci era permesso fare a otto anni non ci è più concesso ora-
 
Il sorrisetto furbo sulla faccia di Clarice si accentuò -E chi ce lo impedisce? Dimmi Genshi che cosa è cambiato in questi dieci anni?-
 
-COSA? Tutto! Non siamo più bambini!-
 
-E con ciò?- ora però non sorrideva più, una luce diversa, a lui del tutto sconosciuta, illuminava gli occhi verdi della donna. Benji ne fu del tutto spiazzato, ma quella confusione non era comunque sufficiente a placare la collera e la frustrazione che aveva in corpo.
 
Clarice dal canto suo, seguiva con attenzione ogni minima espressione di Benji, conscia che il suo controllo era vicino al punto di rottura. Lo stava esasperando, la tensione dei muscoli del collo e i pugni chiusi con tanta forza da fargli tremare i muscoli delle braccia, ne erano chiari indicatori. E gli occhi, quegli occhi avrebbero potuto incenerirla. Ma questa volta non aveva alcuna intenzione di ammansirlo, troppi sentimenti erano stati repressi con insensata ferocia da entrambe le parti. Ed era ormai arrivato il momento di concedere loro una possibilità. Se bruciavano, lo avrebbero scoperto presto, insieme.
 
La ragazza fece alcuni passi verso Benji muovendosi con estrema lentezza in modo che lui potesse registrare ogni suo gesto e bloccarla, nel caso lo avesse desiderato. Giunta a pochi centimetri da lui, sollevò una mano per scostargli un ciuffo di capelli umidi dalla fronte.
 
Benji fremette a quell’innocente tocco, più lieve di una carezza. Furente per l’assurdità di quella situazione, straziato dall’immagine di colei che amava con tutto se stesso che baciava un altro nei pressi della grande cascata che li aveva visti bambini, annichilito dalla crudeltà con cui lei continuava a provocarlo incurante dei suoi sentimenti, afferrò al volo quel braccio candido serrandolo in una presa d’acciaio facendola gemere di dolore e sorpresa.
 
-A che gioco stai giocando Clarice? Non sono disposto a fare il burattino nelle tue mani. Dimmi che senso ha tutto ciò!-sibilò lui ormai fuori dai gangheri, stringendo sempre più forte.
 
Stupita dalla violenza di quella stretta, Clarice lo guardò stranita spalancando incredula i suoi occhi color smeraldo -Dimmelo tu- lo provocò ulteriormente, tentando di ignorare il dolore al braccio.
 
-Ora basta! Stai superando qualsiasi limite-
 
-Mi stai facendo male- replicò senza accennare a staccare gli occhi da quelli di lui.
 
-E il male che tu fai a me? Questo non conta niente? Eh? Rispondimi, maledizione- disse il ragazzo dandole uno strattone che le fece perdere l’equilibrio costringendola ad appoggiare entrambe le mani sul petto di Benji per non finire a terra. Rimase immobile, incapace di proferire anche una sola parola, affascinata dal battito del cuore di Benji che pulsava tumultuoso sotto le sue dita. Era quasi tra le sue braccia, finalmente! Appoggiò la fronte sulla spalla del portiere, accostando interamente il suo corpo a quello di lui, respirando a fondo il profumo virile che ormai la avvolgeva e sentiva già parte di sé. Lo sentì trattenere il respiro mentre con un braccio le cingeva la vita, tenendola allacciata. Non era uno dei loro soliti abbracci, ma una stretta sconvolgente che non aveva nulla a che fare con l’amicizia. Non si era sbagliata, questo Benji provava per lei, questa passione, questo fuoco bruciava nel cuore del suo migliore amico. E ora lei voleva bruciare tra quelle fiamme, voleva saggiare la potenza dell’amore di Benji. Voleva essere invasa e soffocata da quell’amore che per troppo tempo era stato crudelmente tenuto in catene.
 
Si agitò felice tra le sue braccia, ma il portiere, mal interpretando i suoi movimenti e temendo che la ragazza lo volesse allontanare, le fece scivolare la mano sui glutei stringendola ancor più, costringendola al più erotico ed intrigante dei contatti.
 
Perché Tom la poteva baciare e lui no? Moriva di desiderio, la voleva subito.
 
-Tsunami perdonami ma non rinuncerò ad un tuo bacio. Anche uno solo…non mi importa se poi mi odierai e se non vorrai più saperne di me…- pensò Benji confuso, scostandosi da lei giusto il necessario per intercettarle le labbra morbide e piene.
 
Clarice accolse con soddisfazione il bacio dell’uomo che amava, si sciolse di piacere quando la lingua calda ed esigente di Benji penetrò nella sua bocca. Stordita da quell’intenso piacere gli cinse il collo aderendo totalmente al corpo ancora gocciolante del portiere.
 
Incredulo e stordito per l’inaspettata risposta di lei, Benji allentò la presa riportando la mano sulla schiena di Clarice. Lentamente abbandonò la furia con cui si era accanito su di lei, e trasformò quel bacio disperato in un piacevole ed accondiscendente scambio di promesse d’amore. Si era preparato a far fronte ad un rifiuto, ad una estenuante resistenza ed invece aveva trovato un’accoglienza calorosa. La lingua di Clarice si muoveva dolce e sensuale contro la sua stuzzicandolo ed invitandolo ad un piacevole banchetto, mentre le mani delicate di lei scivolavano dal suo petto dove erano rimaste tutto il tempo, su per le spalle sino ad allacciarsi dietro la sua nuca in una dolce ed eccitante carezza.
 
Benji, estasiato da quel inaspettata partecipazione, fece scorrere entrambe le mani lungo la schiena di lei deliziosamente inarcata per aderire meglio al suo corpo, accarezzò, questa volta con dolcezza, apprezzandone appieno la tonda pienezza, le curve del fondoschiena, per poi risalire ancora ed affondare le dita nei morbidi capelli della ragazza.
 
A malincuore interruppe quel bacio sensuale, bloccato ed infastidito da un dubbio insinuatosi a forza nella sua mente. Con mossa repentina prese il volto ovale di Clarice tra le mani costringendo la ragazza a fissarlo negli occhi senza possibilità di fuga. La luce intensa che lesse in quelle iridi smeraldo, gli scaldarono il cuore, facendolo tremare sin nelle viscere.
 
Ma che stava accadendo? La sera prima l’aveva vista baciare Tom e ora lo guardava con quegli occhi colmi d’amore? Benji non si poteva sbagliare, il sentimento che le leggeva negli occhi non poteva essere che amore. O era lui che fantasticava accecato dai suoi stessi sentimenti?
 
Si staccò riluttante indietreggiando di un paio di passi in modo da porre una minima distanza di sicurezza tra di loro. Si passò irritato una mano tra i capelli socchiudendo gli occhi e pregando tra sé e sé di riprendere in fretta il controllo delle sue emozioni. Non riusciva a ragionare con il profumo intenso di lei che gli inebriava i sensi stordendolo ed il calore di quel corpo invitante che lo faceva bruciare di desiderio.
 
-Clarice esigo delle spiegazioni- disse cercando di mantenere un tono basso e distaccato.
 
-Benjiamin credo…tu ti riferisca a quello che hai visto ieri sera alla cascata-
 
Lo sguardo sofferente del ragazzo, simile a quello di un lupo braccato, non le lasciarono dubbi sul fatto che era proprio a quel malinteso che il portiere si riferiva.
 
–Dopo che mia madre se n’é andata sono corsa in camera preda di emozioni contrastanti. Tu capisci bene perché…Mark mi ha portato una tisana e mi ha fatto un bel discorsetto…l’ennesimo a dire la verità, sul fatto che dovessi essere sincera con te e dirti che…si insomma per me sei molto più di un amico. Questa volta mi aveva convinta ed ero scesa a cercarti ma ti ho trovato in terrazza in dolce compagnia…-il tono di Clarice si fece accusatorio nel proferire queste ultime parole e Benji capì immediatamente quale fosse la muta domanda che l’amica gli stava ponendo.
 
-Avevo visto Lenders uscire dalla tua stanza ed ero convinto che tra voi vi fosse del tenero. Ho baciato Amanda solo per disperazione per togliermi dalla testa la tua immagine con Lenders…- disse sincero.
 
-Ecco la stessa cosa è successa con Tom alla cascata. Eravamo entrambi disperati per amori non corrisposti e ci siamo lasciati andare ad un momento di debolezza. Ma abbiamo capito immediatamente il nostro errore. Ne abbiamo parlato francamente e abbiamo deciso che quello non era il modo giusto per affrontare i nostri problemi…-
 
-Perciò Tom sa che tu non lo ami…-
 
-Sì certo e neppure lui ama me…purtroppo ama una persona che non lo degna neanche di uno sguardo…o almeno così vuole dare ad intendere…- ancora una volta Clarice si ritrovò a riflettere sulla reazione esagerata di Patty di fronte alla notizia di un flirt tra lei e Tom…possibile che…forse quel folle bacio avrebbe avuto delle conseguenze inaspettate, per nulla spiacevoli.
 
-Oh Clarice ho tante cose da chiederti e tante da dirti ma se non soddisfo subito il bisogno che ho di te credo che impazzirò!- disse il portiere ricoprendo in un lampo lo spazio che li divideva. Finalmente libero di soddisfare il bisogno vitale che aveva di lei, Benji prese nuovamente Clarice tra le braccia in una stretta più tenera e pacata rispetto a prima, questa volta infatti non temeva rifiuti, Clarice era sua! Si rimpossessò di nuovo di quelle labbra tentatrici pronto a perdersi nuovamente nella libidine della bocca di lei.
 
Contrariamente alle sue aspettative, il giovane amante trovò una debole resistenza -E Amanda?- chiese lei con una punta di gelosia mal celata.
 
-Se né andata ieri sera!-
 
-Andata?-
 
-Sì Tsunami! Ma ora taci e lasciati baciare, le spiegazioni a dopo- la zittì incapace di controllare oltre la sua impazienza. Proprio non lo capiva che se non si fosse abbandonata immediatamente alle sue richieste, lui sarebbe morto di frustrazione soffocato dal suo devastante desiderio?
 
Con l’avidità di un bimbo affamato che si attacca al biberon, Benji si impossessò delle labbra di Clarice esplorandole e stuzzicandole all’infinito con una dolcezza che le fecero salire le lacrime agli occhi.
 
Ma quello non era certo il momento per piangere, Clarice infatti constatò, non senza una punta di apprensione, che la bocca e le mani di Benji si stavano facendo sempre più esigenti ed il ragazzo era sceso, avido e possessivo, dal collo alle spalle mentre le sue mani, magicamente infilate sotto la leggera felpa, proseguivano determinate verso il gancetto del reggiseno.
 
La fanciulla sentì le gambe farsi molli e si aggrappò alle spalle del portiere per non cadere, che interpretò quel gesto come un tacito invito a proseguire e non esitò ad armeggiare con la biancheria intima della ragazza con maggior foga ed impudenza per soddisfare quello che riteneva un permesso ad andare oltre.
 
Ma per Clarice tutto stava accadendo troppo in fretta. Non era giusto bruciare in quel modo le tappe, si erano appena trovati dopo anni di separazione, erano stati sempre e solo amici e ora si erano scoperti per la prima volta innamorati. Ci voleva indubbiamente del tempo per elaborare quella loro nuova condizione, per esaminare i piacevoli risvolti di questo nuovo rapporto.
 
Le mani calde di Benji avevano finalmente raggiunto il loro intento, ed ora trionfanti si stringevano possessive attorno al loro meritato premio. Il corpo della ragazza reagì con inaudita violenza al tocco delle dita febbricitanti di Benji chiuse a coppa attorno ai suoi seni ormai nudi e talmente eccitati da farle quasi male. Ogni barlume di prudenza si spense come per incanto nella sua mente mentre una spirale irreale di piacere la trascinava verso lidi sconosciuti.
 
Come poteva dar retta al buon senso se lui la toccava in quel modo? Del resto era tutto inutile: il suo corpo stava già assecondando i movimenti del suo amante. Sollevò accondiscendente le braccia permettendo a Benji di liberarla in un sol colpo di maglia e reggiseno, lasciandola seminuda con le sue tonde pienezze protratte in un sensuale invito.
 
Aderì voluttuosa al petto del portiere, eccitandosi ancor più nel sentire i loro cuori battere per l’ennesima volta allo stesso pazzo ritmo. 
 
Benji la sollevò senza sforzo depositandola sul futon ed affrettandosi a liberarla dai pochi indumenti che ancora imprigionavano quel corpo fatto per essere amato ed ammirato e non coperto da squallidi strati di stoffa. Fece volare lontano i jeans della ragazza insieme all’asciugamano che ancora aveva allacciato attorno ai fianchi.
 
Clarice osservò stupida l’erotico contrasto che le sue mani lattee provocavano contro la scura carnagione delle braccia del suo uomo. Fece scorrere estasiata le dita lungo i bicipiti per raggiungere poi le spalle tese ed elastiche e quindi scendere leggiadra sui pettorali in rilievo e fermarsi beata ad ascoltare il cuore di lui che pulsava sotto il suo palmo.
 
se tu sei abbastanza pronta per cogliere l’attimo infinitamente piccolo ma altrettanto magico in cui quella dolce mano si protende verso di te e l’afferri con forza, sta certa che solo felicità e piacere ti regalerà…
 
Sospirando, Clarice abbandonò tanta innocente pudicizia per lanciarsi in esplorazioni molto più ardite e dare finalmente libero sfogo al groviglio di sentimenti che la legavano da sempre a Benji. Ormai scevra di dubbi e paure, ma dominata unicamente dalla forza dei sensi, solleticò ed accarezzò Benjiamin senza pudore, cercando con spietata determinazione di individuare tutte le zone più sensibili del suo corpo.
 
Il ragazzo, dal canto suo, non era certo disposto a sopportare senza reagire, le sue mani, rese leggermente ruvide da anni di allenamenti, non si fecero intimorite dalla bellezza del corpo di Clarice, e come magiche armi create per regalare piacere, trastullarono con veemenza la sua splendida amante.
 
…amor mio sei emerso da un lontano passato per riportarmi in vita, ma questo ancor non ti basta ed è il paradiso che vuoi donarmi…
 
Nonostante tentassero di procrastinare quel momento il più possibile, entrambi sentivano il desiderio divampare come un fuoco incontenibile e giunsero in breve alle soglie del punto di non ritorno, dove il piacere esplode con tale distruttiva violenza da sembrare quasi dolore. Dopo un ultimo lungo bacio, Benji immerse i suoi occhi incandescenti nelle verdi iridi di lei cercando il permesso per potere raggiungere insieme la completezza totale, l’unione ancestrale tra uomo e donna, segreto e magia della vita stessa.
 
…esito tremante di paura, vulnerabile ed inerme troppo grande è la gioia che tu mi vuoi dare, sarò mai in grado di ricambiare?
 
Strettamente avvinghiata alle spalle possenti dell’uomo che amava, Clarice annuì impercettibilmente facendo ondeggiare i biondi boccoli che le incorniciavano il volto come una dorata criniera, permettendo così a Benji di sondarle l’anima lasciandogli scorgere, finalmente senza più remore, l’incontenibile e bruciante amore che provava per lui. Sentì le labbra del ragazzo sfiorarle per l’ennesima volta la tempia pulsante e rimase piacevolmente scossa dalla facilità con cui il suo amante riusciva ad infiammare il suo istinto di donna. Tremò di piacere quando il corpo massiccio del portiere prese posto sopra di lei divaricandole dolcemente le gambe con un ginocchio.
 
Suo malgrado si irrigidì quando sentì una forte pressione sul suo sesso.
 
-Benjiamin non farmi male- disse incapace di sostenere lo sguardo annebbiato dalla passione del ragazzo.
 
-Cla …amore…è la prima volta?-
 
-Sì…-rispose lei con un fil di voce appena udibile.
 
-Amore…-
 
-Ti amo Benjiamin…-
 
Rincuorata da quel dolce scambio di frasi d’amore, Clarice tentò di rilassarsi mentre il suo amante ritornava alla carica facendosi strada a forza contro le barriere naturali che il suo corpo inviolato ancora possedeva. Ma un altro pensiero le attraversò la mente forte e chiaro come la luce del faro nel mare in tempesta. Sospirando strinse le gambe costringendo Benji a fermarsi. Il ragazzo guardò perplesso le gote di Clarice imporporarsi ancor sempre più.
 
-Benjiamin io…non prendo la pillola- disse titubante la ragazza non sapendo bene come affrontare il discorso.
 
-La cosa?- chiese stupito il portiere.
 
-Non sono protetta…-
 
-Da che?-
 
-Benjiamin sei tonto? Potrei rimanere incinta!- replicò stizzita da tanta ottusità. Possibile che per gli uomini fosse tanto difficile afferrare al volo certi messaggi?
 
-Cazzo!- imprecò il portiere allontanandosi bruscamente da Clarice e rotolando su un fianco in modo da scivolare accanto alla ragazza che lo fissava sbalordita -Benjiamin!Sei un insensibile- sbottò trattenendo le lacrime che le pungevano gli occhi. Saltò su a sedere e si coprì il petto con il lenzuolo in un tardivo impeto di pudore.
 
-No Amore perdonami…- disse lui avvedendosi della mossa incauta che aveva ferito l’amor proprio della sua fidanzata. Il ragazzo si puntellò su un gomito e depositò una scia di lievi e dolcissimi baci sulla spalla e il braccio rigidamente contratto attorno alla stoffa del lenzuolo nel tentativo di proteggersi dalla vergogna e dall’imbarazzo.
 
-Amore perdonami non volevo essere indelicato ed offensivo solo che…vedi il punto é…che…beh insomma io non ho preservativi!-
 
-Caz…!- si lasciò sfuggire suo malgrado la ragazza interrompendosi giusto in tempo per non far scoprire al suo amante che anche lei nei momenti cruciali faceva uso di parole non proprio da signora.
 
Benji spalancò i begli occhi scuri -Clarice…sei un’insensibile!- la canzonò facendole il verso incapace di reprimere un dolcissimo sorriso.
.
-Ah Benjiamin Price sei sempre il solito!E ora?-
 
Il ragazzo fissò con espressione corrucciata il volto bellissimo della sua donna che lo guardava speranzosa in attesa di una sua pronta soluzione. Le labbra leggermente gonfie per i baci appassionati che si erano scambiati, le pupille dilatate ancora accese di desiderio, le gote deliziosamente imporporate… decisamente doveva farsi venire un’idea o quel paradiso dei sensi avrebbe dovuto aspettare …
 
-Julian!- esclamò Benji saltando in piedi esultante. Il portiere lasciò vagare i suoi occhi color pece per la stanza e in men che non si dica recuperò i pantaloni della sua tuta seminascosti in un angolo della stanza.
 
Si precipitò alla porta, ma prima di spalancare l’uscio, si voltò verso la sua amante che guardava allibita le manovre incomprensibili del suo uomo –Tsunami torno tra due minuti ma tu promettimi che non scapperai!-
 
La ragazza gli lanciò una lunga ed indefinibile occhiata, prima di sussurrare -E dove vuoi che vada…senza di te?-
 
La risposta di Benji fu una risata cristallina che fecero traboccare d’amore il cuore della ragazza.
 
Julian Ross non fece assolutamente nulla per mascherare la sorpresa che lo colse alla vista del portiere con addosso solo i pantaloni della tuta blu della nazionale, la testa arruffata e l’espressione stranita, ritto davanti a lui. Indubbiamente preoccupato per la sanità mentale dell’amico, Julian esitò un attimo, prima di farsi da parte e permettere al portiere di entrare nella sua stanza dopo che gli aveva quasi buttato giù la porta sotto una tempesta di pugni.
 
-Eh dai Julian non sono impazzito ma ho bisogno di un grandissimo favore- esordì Benji arrossendo di botto sino alla radice dei capelli.
 
In quel momento Julian era disposto a giurare su tutti gli dei del mondo, che da quando aveva conosciuto Benjiamin Price dieci anni prima ai campionati interscolastici, mai una sola volta lo aveva visto arrossire, neppure di collera. Il difensore nazionale constatò, sempre più turbato, che il portiere era per la prima volta nella sua vita, incapace di controllare le sue emozioni e queste si manifestavano chiare e spietate su quei lineamenti abitualmente inespressivi. Il principe del calcio strabuzzò gli occhi incredulo quando il portiere farfugliò la sua incomprensibile richiesta. Inebetito Julian se la fece ripetere una seconda volta, rischiando seriamente di venir linciato da Benji se non fosse stato tanto preso da altri piacevoli pensieri.
 
Borbottando sottovoce Benji rientrò nella sua stanza e, dopo essersi assicurato che Clarice non si fosse mossa dal suo letto, chiuse la porta a chiave alle sue spalle.
 
-Allora?- chiese lei scrutando il volto cupo del portiere messo in ombra dai folti capelli che ancora umidi ed arruffati gli ricadevano sugli occhi, mettendo in ombra buona parte del suo splendido volto.
 
-Non mi sono mai vergognato tanto in vita mia Tsunami!E tutto questo per colpa tua-
 
-Sì Benjiamin, a dopo il riconsolidamento del tuo orgoglio calpestato, allora ce l’hai o no?- incalzò senza farsi impietosire dall’espressione desolata del suo compagno.
 
-Femmina assatanata! Io butto alle ortiche la mia reputazione, costruita con anni di sacrifici e tu pensi solo al soddisfacimento della tua carne?-
 
-Ma che blateri?Non è solo il mio di soddisfacimento!-
 
-Tsunami!- esclamò Benji lasciandosi cadere a fianco di Clarice, stringendola forte a sé e strofinandosi beato contro la morbida pelle delle spalle di lei totalmente scoperte -Questa me la paghi …con tanto di interessi- disse sventolandole davanti al naso un quadratino di carta plastificata oggetto di tanto scompiglio.
 
-Oh …sarà un vero piacere!- esclamò lei civettuola cingendo il torace del suo uomo per poi, fulminea e birichina scivolare lungo i suoi fianchi sino ad incontrare l’elastico dei pantaloni e sfilarglieli in un sol veloce gesto.
 

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Capitolo 16
*** Una triste storia ***


Clarice sospirò estasiata, godendosi le lente carezze di Benji lungo la schiena, mentre l’ondata di piacere che li aveva travolti poco prima, andava spegnendosi piano piano, lasciando il posto ad una rilassante ed appagante spossatezza.
 
-Tsunami…sei sveglia?-
 
-Si Benjiamin…-
 
-Amore mio…solo tu mi chiami così…posso sapere perché usi sempre il mio nome intero?- chiese languido, passandole una mano sotto il ventre ed attirandola a sé modellando i suoi muscoli sulle curve di lei.
 
-Uhm…lo vuoi proprio sapere? È un segreto al quale tengo molto- rispose girandosi nella cerchia delle sue braccia in modo da poterlo guardare dritto negli occhi. Benji approfittò di quel movimento per affondare le mani nei boccoli rigogliosi e poterle depositare un lievissimo bacio sulle palpebre delicate che proteggevano quegli occhi stupendi che in quel momento emanavano un calore nuovo.
 
-Allora sì ora lo voglio sapere più che mai…-
 
-Vedi- iniziò Clarice arrossendo leggermente. Finalmente non vi era più nulla da mascherare, nulla da nascondere. O quasi…perlomeno non doveva più fingere di non amarlo -Per me “Benjiamin” è la parola più bella del mondo. Da piccola significava compagnia, risate, divertimento. Quando potevo chiamarti significava che ero uscita da quella villa asfissiante in cui mia madre infestava tutta l’aria… E da grande “Benjiamin” ha significato…vita…- la ragazza fece una brevissima pausa –Tu amore mi hai salvato la vita ma questo non ho ancora il coraggio di dirtelo…- pensò stringendo nervosamente le mani sotto le coperte -… amore, felicità. Pronunciare il tuo nome è la cosa che più amo fare al mondo e non ridurrei per nulla al mondo questo piacere. Per questo motivo non lo accorcio mai, anzi se potessi lo allungherei all’infinito. Vorrei passare tutto il resto della mia vita a pronunciare il tuo nome-
 
Il portiere rispose a quella genuina dichiarazione d’amore deponendo un casto bacio sulla fronte di Clarice per poi stringerla a sé ed affondare il volto nell’incavo sensibile tra i seni, assaporando il tepore confortante della sua pelle, mentre lei si limitava a blandirlo arruffandogli dolcemente i capelli scuri. Stettero lì stretti, in silenzio per qualche minuto, uniti da quel sentimento meraviglioso che sentivano crescere dentro ad ogni loro respiro.
 
Ma per quanto innamorati, non di solo amore può vivere un essere umano, e lo stomaco della ragazza già da qualche tempo reclamava il suo doveroso pasto. Clarice si agitò nella stretta delle braccia di Benji.
 
-Emh…Benjiamin io avrei fame, che ne dici di scendere a cenare e rincuorare tutti sul nostro stato di salute? Inoltre, credo tu debba scusarti con Tom…- aggiunse con una punta di rimprovero percepibile nonostante il tono particolarmente caldo e dolce.
 
-Uhm…- brontolò il ragazzo maldisposto ad abbandonare la comoda posizione in cui si trovava– In effetti avrei anch’io un certo appetito ma non volevo urtare la tua sensibilità-
 
-Ma che dici sciocco!- sbottò lei ridendo e sgusciandogli dalle braccia. Nonostante la sua completa nudità, Clarice non provò alcuna vergogna nel mostrarsi a Benji in tutta la sua bellezza. Si mosse con calma permettendo al suo amante di imprimersi nella mente ogni minimo dettaglio del suo corpo. Rabbrividì di piacere, percependo sulla pelle lo sguardo ammirato di Benji che le scivolava addosso come una delle tante languide carezze che si erano scambiati.
 
-Ma…quello che cos’è?- esclamò il portiere esterrefatto saltando a sedere sul futon. L’improvviso mutamento nella voce del ragazzo, fece voltare Clarice che fissò senza comprendere il volto allibito che la scrutava come se di fronte a sé avesse una creatura aliena.
 
Benji balzò fuori dal letto e con due ampie falcate fu accanto alla sua donna. Afferrò Clarice per una spalla, costringendola a girarsi. La ragazza comprese che cosa lo avesse tanto turbato solo quando sentì il dito caldo di Benji puntarsi accusatorio sulla soffice carne del suo gluteo destro -Ah…quello…-
 
-Sì questo!-
 
-È solo un tatuaggio – rispose candidamente.
 
-Un tatuaggio?Lì??!?!??!- sbottò Benji incapace di credere alle proprie orecchie.
 
Clarice sin rese conto che il ragazzo era veramente infastidito da quel segno artificiale sul suo corpo, ritenne perciò opportuno ricacciare indietro la risposta piccata che gli era salita alle labbra, e frugò nella mente alla ricerca di una replica più pacata.
 
Benji dal canto suo, continuava a fissare stralunato quel groviglio bluastro di strani intrecci rotondeggianti che formavano una contorta cornice attorno alla lettera C dell’alfabeto occidentale. Nonostante ritenesse quel tatuaggio uno sfregio incivile su un corpo, a suo parere perfetto, dovette ammettere, almeno con se stesso, che quei segni sembravano racchiudere un magico significato dal potere oscuro, che lo affascinavano, stuzzicandone la curiosità.
 
-Benjiamin non fare il bigotto… in America molte ragazze hanno più di un tatuaggio sul corpo…- cercò di rassicurarlo Clarice allacciando le braccia attorno ai fianchi del portiere e strusciandosi leggermente addosso a lui per ammansirlo.
 
-Tsunami non me ne frega niente delle ragazze americane…dimmi chi te lo ha fatto?-
 
-Come chi…un tatuatore…-
 
-Un UOMO???!!?!?- urlò quasi il portiere afferrandole i polsi e sciogliendosi da quell’abbraccio ingannatore.
 
-No…era una donna….ma Benjiamin la tua reazione mi sembra ridicola…- protestò Clarice ormai stufa della reazione esagerata del ragazzo e decisa a farla finita il più in fretta possibile.
 
-Ridicola dici! Ho il terribile sospetto che un uomo abbia messo le sue sudice mani sul tuo…su di te, per …quanto? Un’ora?-
 
-Quattro ore- lo rimbeccò lei dandogli le spalle e cercando con lo sguardo i suoi indumenti sparpagliati.
 
-Quattro?! Per fare quella roba lì?-
 
-Ah come sei noioso!- sbuffò Clarice raccogliendo le sue mutandine da terra e infilandosele in fretta, in modo da nascondere allo sguardo adirato di Benji l’oggetto di tanto contendere -È un tatuaggio ben fatto che ha richiesto parecchio lavoro, per non parlare di quanto mi è costato e poi…-
 
-E poi cosa?-
 
-Ha un valore affettivo…- bisbigliò Clarice allacciandosi il reggiseno.
 
-Che vuoi dire?- il cambiamento d’umore avvenuto  nella ragazza non sfuggì all’attento portiere che, ancora una volta, ebbe la spiacevole sensazione che vi fosse qualcosa di lei che gli era precluso. Ma ora le cose erano cambiate, solo un’ora prima si erano appartenuti nella maniera più completa, Clarice non aveva più né il diritto né la possibilità di nascondergli nulla -Cla cosa significa quel tatuaggio?-
 
Ecco… se n’era accorto. Benji sapeva che vi erano delle cose non dette, dei segreti non confessati. Ancora quanto poteva aspettare prima di rivelargli tutta la verità? Ma perché proprio in quel momento? Quell’attimo era così prezioso, così perfetto, non poteva rovinarlo. Erano così felici, si erano appena scoperti amanti, non era certo quello il momento per dirgli che…
 
-Ecco Antlia ora siamo indivisibili. Tu hai il mio marchio ed io il tuo!-
 
-Bah…devo dire che è ben fatto…però che imbarazzo, non potevi scegliere un’altra posizione?-
 
-Ma va! Trovo la posizione originale e…trasgressiva-
 
-Niente da ridire…trasgressiva è trasgressiva…C …come Carina…-
 
-Sì! E A come Antlia…-
 
-Ma C può stare anche per Clarice…-
 
-…e A per April, ma questa è solo una noiosa coincidenza. Tu sai che quella C sta per Carina e io so che sul mio corpo ci sarà da ora e per sempre la A di Antlia-
 
-Tu sei pazza e io ancor di più che mi faccio sempre convincere da te a fare le cose più assurde...-
 
-Ehi Clarice, tutto ok?- lo sguardo preoccupato di Benji la riportò alla realtà.
 
-Sì … C sta per Clarice per cos’altro vuoi che stia?- mentì, terminando di vestirsi e raccogliendo i boccoli arruffati in un’alta coda di cavallo.
 
Non del tutto persuaso dalla risposta evasiva di Clarice, Benji non trovò niente di meglio che abbracciarla un’ultima volta senza aggiungere altro, prima di recuperare anch’egli i suoi indumenti e vestirsi in tutta fretta.
 
Il loro ingresso al ristorante fu accompagnato da sguardi curiosi più o meno diretti. Clarice intercettò immediatamente gli occhi scuri di Mark seduto da solo ad un tavolo accanto alla finestra. Il mezzo sorriso che aleggiava sul suo volto abbronzato, la fecero arrossire sino alla radice dei capelli. Possibile che le si leggesse in faccia quanto accaduto tra lei e il portiere? Eppure l’espressione tra il divertito ed il compiaciuto di Mark non le lasciavano molti dubbi sul fatto che il giovane attaccante avesse colto al volo la nuova situazione. Ma in fondo il numero nove poteva ritenersi soddisfatto, non era lui che in tutti i modi l’aveva spronata e spinta tra le braccia di Benji? Non era stato forse il primo, a farle notare come i sentimenti di Benji per lei andassero ben oltre una mera amicizia e che lei doveva prendere coscienza della situazione? Le parole dell’attaccante l’avevano dapprima torturata e poi, invece, si erano trasformate in potenti armi che le avevano dato la forza di compiere quell’importante passo. Erano state proprio le semplici frasi di Mark a fornirle la determinazione necessaria per confidare a Benji i suoi reali sentimenti. Quelle frasi si erano conficcate come spilli acuminati nella sua mente e rimbombavano ancora nel suo animo chiare e profetiche:
 
 - Insegui i tuoi sogni e allontana il dolore, fallo per te e per le persone che ami e un giorno muori pensando “ho vissuto” e non “ho rinunciato a vivere”-
 
-Tu capisci Benji? Sì, ti credo ed è per questo che sono convinto che tu non voglia capire come stanno le cose. Ma far finta che non ci siano non le cancellerà, prima o poi dovrai affrontare la situazione-
 
-… sprecare energie perché non si ha il coraggio di affrontare i propri sentimenti è una grossissima cazzata…-
 
-Fare gli struzzi non giova a nessuno…-
 
E dopo molto, troppo tempo, finalmente lei aveva ammesso la verità…
 
-Mark avevi ragione tu facevo lo struzzo…-
 
-Lo so… perché non vai da lui e glielo dici?-
 
-E che gli dico?Amore mio, ti piacciono gli struzzi?-
 
- Beh in effetti non ho scelto l’animale più adatto a rappresentarti. Lo struzzo è così goffo mentre tu…sei una sensualissima pantera come la mia Maki…-
 
-Maki!- bisbigliò Clarice, sussultando suo malgrado. Benji si voltò preoccupato verso la donna in piedi al suo fianco, che pallida e pensosa fissava un punto imprecisato della sala.
 
- Che c’è?-
 
-Niente … mi è venuta in mente una cosa della massima importanza! Ascolta tu va a sistemare le cose con Tom, io nel frattempo faccio due chiacchiere con una certa persona…-
 
-Chi?- chiese il portiere confuso.
 
-Mark-
 
-Ah!- si limitò a commentare Benji non riuscendo ad evitare la stilettata di gelosia che lo colpì puntuale.
 
-Oh mio non fare il geloso! Mark è la persona che più i tutte ha contribuito alla riuscita del nostro rapporto…-
 
-Sarà - concesse poco convinto il portiere. In ogni caso non era intenzionato a fare la parte del fidanzato geloso, sentiva di potersi fidare di Clarice. Lei aveva detto di amarlo e lui non poteva mettere in dubbio la sua parola. Poteva dubitare di chiunque, anche di se stesso, ma mai avrebbe dubitato della lealtà e sincerità di Clarice -Ok accomodati accanto a Lenders e mangia con lui, io mi aggrego al tavolo di Tom, Patty ed Holly. Ma se quel zotico alza solo un dito o dice una minima cosa che ti dia solo una po’ di fastidio… tu chiamami che gli farò un trattamento tale…-
 
-Benjiamin basta così, ho capito- lo interruppe decisa appoggiandogli un dito sottile sulle belle labbra carnose, quindi gli fece un dolcissimo occhiolino, recuperò un vassoio colmo di cibo e si avviò al tavolo dove era accomodato il giovane attaccante giapponese.
 
Mark osservò, dapprima divertito, poi stupito, le mosse della giovane donna che in pochi istanti aveva congedato il temibile Benjiamin Price con una semplice occhiata, aveva attraversato la sala con il suo passo inconfondibile e quindi preso posto proprio di fronte a lui.
 
-Ehi Clarice non mangi con il tuo uomo?- esclamò perplesso fermandosi con  la forchetta a mezz’aria.
 
-E chi ti dice che Benjiamin sia il mio uomo?-
 
-Te lo si legge in faccia-
 
-Ah…e cos’altro mi si legge in faccia?- chiese  lei arrossendo suo malgrado.
 
-Uh…non molto altro sta tranquilla…- sentenziò con un sorrisetto sardonico che mandò Clarice su tutte le furie.
 
-Mark sei un pervertito, maleducato e inopportuno…-
 
-Shhh…se sei venuta qui per riempirmi di insulti puoi anche tornare dal tuo portierino…oh guarda sta chiacchierando con Tom…spero non abbia intenzione di rompergli il naso oltre che lo stomaco…-
 
-No, gli sta chiedendo scusa-
 
-Scusa?!!??! Price che chiede scusa? Ma guarda…un’ora di sesso gli ha mandato in giostra i due neuroni che si ritrova dentro quella zucca vuota!-
 
-Mark! Bada a come parli!- lo avvertì la ragazza sbattendo i pugni sul tavolo.
 
-A che ti riferisci? L’ora di sesso o la carenza di neuroni del tuo bello?-
 
-Mark Lenders! Tu sei la persona più indiscreta che io abbia mai avuto il dispiacere d’incontrare!-
 
-Ah ti riferisci all’ora di sesso allora…-
 
-Mark basta! Mi stai insultando-
 
-Ok cambiamo argomento che vuoi?-
 
-Come che voglio?- replicò totalmente spiazzata dal repentino cambiamento di tono del ragazzo.
 
-Beh sei venuta a sederti al mio tavolo, dove stava beatamente mangiando questa deliziosa zuppa di carote e zucchine in santa pace, vorrei almeno sapere il perché di questa interruzione della mia meritata cena!-
 
-Beh…- Clarice esitò incerta, dimenticando all’istante l’irritazione che le frecciate oltremodo indiscrete di Mark le avevano procurato. Quel ragazzo aveva il poterle di spiazzarla con una facilità disarmante. In pochi istanti poteva farla arrabbiare come pochi ci riuscivano e poi, con un sol gesto, farle dimenticare qualsiasi rancore… sapeva fermarle il cuore o farglielo battere all’impazzata...la offendeva e la coccolava, la proteggeva e l’attaccava… tutto con la naturalezza di un respiro.
 
Clarice, sotto lo sguardo interrogativo di Mark, si affrettò a riprendere le fila dei suoi pensieri: come poteva introdurre il discorso? Non era neppure sicura che la Maki che aveva conosciuto quel pomeriggio fosse la stessa di cui parlava Mark. Vi era in realtà un modo molto semplice per accertarsene, ma prima avrebbe dovuto sapere cosa c’era stato tra loro. Aveva percepito dolore e rimpianto nella frase sfuggita a Mark la sera prima, ma che nascondeva quel dolore? Cosa non aveva funzionato nel loro rapporto? E soprattutto, Mark era disposto a riaprire una storia che sembrava conclusasi in circostanze molto spiacevoli?
 
-Beh io volevo ringraziarti per tutte le volte che mi hai consigliata e aiutata e…vorrei ricambiare- iniziò titubante cercando di tastare il terreno senza scoprirsi.
 
-Uh? Non ti capisco. Tu non mi devi niente. Io non ho fatto proprio niente-
 
Lo scrutò un attimo pensosa, poi rendendosi conto che non gli avrebbe tirato fuori niente di più, chiese -Hai finito di mangiare?-
 
-Sì perché?-
 
-Andiamo a fare due passi-
 
-Sei certa?-
 
-Ma sì zuccone, muoviti!-
 
I due ragazzi uscirono all’aperto, respirando deliziati la frizzante aria della sera. Lentamente si avviarono lungo il sentiero facendo scricchiolare nel silenzio del bosco la ghiaia sotto il loro passi regolari. Camminarono in silenzio uno di fianco all’altra, mentre la mente di Clarice lavorava febbrilmente nel tentativo di ottenere da Mark le informazioni di cui necessitava.
 
-Fin dove vuoi arrivare?- le chiese improvvisamente il ragazzo. Clarice lo guardò confusa non capendo che intendesse, ma guardando dinnanzi a sé, scorse nel buio il profilo imponente del tempio dove si era rifugiata quella mattina. Non si era accorta di aver camminato per più di mezz’ora attraverso il bosco senza proferire una parola. Tutto sommato non era così che voleva affrontare la situazione, ma quella era comunque la via più diretta.
 
-Mark entriamo nel tempio a pregare?-
 
-Vuoi ringraziare gli dei per averti fatto finalmente aprire gli occhi?-
 
-Uffa sempre a fare dell’ironia, comunque sì-
 
-Ma mi puoi ringraziare anche qui!-
 
-Ma tu non sei un dio!-
 
-Ma sono io che ti ho fatto aprire gli occhi!-
 
-Ritengo che la modestia ed il tatto non rientrino nelle tue doti…-
 
Clarice osservò perplessa le larghe spalle del calciatore sussultare una, due, tre volte, sino a che, incapace di trattenersi oltre Mark Lenders scoppiò a ridere. Non una risata di circostanza, ma un riso di gusto che gli sgorgava da dentro e lo faceva stare bene come non gli capitava da tanto tempo. Non le ci volle molto per farsi contagiare da quell’ilarità e ben presto si ritrovarono entrambi con le lacrime agli occhi.
 
-Chi va là!- la voce spaventata di una donna li colse di sorpresa mentre un fascio di luce li raggiunse tra il folto degli alberi.
 
-Ci scusi signora…noi stavamo solo passeggiando- cercò di rassicurarla Mark con tono pacato.
 
Un silenzio tombale fu l’unica risposta alle scuse del ragazzo mentre la torcia gli illuminava il volto, accecandolo -Per favore può abbassare quella pila?- ma non ottenendo alcuna risposta alla sua richiesta indietreggiò di qualche passo togliendosi dalla traiettoria della luce -Ehi potrebbe almeno rispondere! Le abbiamo chiesto scusa per lo spavento ma non credo debba allarmarsi tanto, in fondo un tempio è un luogo pubblico a qualsiasi ora del giorno o della notte…-
 
La torcia si spense -Sì Mark hai ragione- l’ombra che aveva parlato emerse dal buio della siepe, i contorni evanescenti illuminati solamente dalla fioca luce proveniente dal portico del tempio. Nonostante il buio, Clarice percepì l’attaccante arretrare e d’istinto gli afferrò una mano, stringendola forte tra le sue. Lui distolse lo sguardo dall’ombra apparsa dal nulla per soffermarsi sulla bionda accompagnatrice al suo fianco ed un dubbio crudele si insinuò in lui, facendolo letteralmente impallidire di collera.
 
-Dimmi che tu non c’entri niente!- sbottò con tanta ira che Clarice fece un balzo all’indietro spaventata. C’entrare in cosa? Dalla reazione incontrollata di lui era ovvio che aveva indovinato e che quella Maki era proprio la donna che aveva spezzato il cuore al bomber giapponese in circostanze a lei sconosciute, ma non l’aveva organizzato ad hoc quell’incontro. Era stato il destino a volerlo. Mah… forse in realtà lo aveva in parte favorito...
 
-Mark…io non so cosa tu intenda- iniziò incerta, schiacciata dal suo sguardo impietoso -Ho conosciuto Maki oggi per caso e mi è venuto in mente che tu una volta mi avevi nominato una ragazza con lo stesso nome. La mia era una supposizione non ero certa….-
 
-Sciocca impicciona!- sbottò lui interrompendola e facendola sussultare una seconda volta - Ma è quello che mi merito. Io mi sono immischiato nella tua vita e tu hai ricambiato con la stessa moneta! Ma io sapevo che cosa stavo facendo, tu non hai la più pallida idea di che cosa sia avvenuto tra me e …lei…non dovevi Clarice…diavolo che hai combinato!-
 
Il ragazzo imprecò furente, sciorinando una serie di epiteti irripetibili che fecero tremare di vergogna e paura Clarice, incredula di fronte ad una reazione così violenta. Al termine di quel blasfemo sfogo d’ira, il ragazzo non trovò niente di meglio che dare le spalle alle due donne e sferrare un calcio violento ad una povera siepe la cui unica colpa era trovarsi a portata di tiro della Tigre.
 
-Mark…- la voce di Maki era solo un flebile sussurro.
 
Clarice si chiese quanto coraggio dovesse possedere quella fragile donna per osare rivolgere la parola alla Tigre in quelle condizioni. Ma la sua attenzione si spostò velocemente sulle spalle dell’attaccante che al suono di quel richiamo sussultarono irrigidendosi ancor di più.
 
-Maki per favore…non dire nulla. È stato uno stupido errore. Clarice non sa nulla…- la supplicò con amarezza.
 
-E allora spieghiamoglielo che cosa è successo!- un urlo di dolore che squarciò definitivamente la pace di quella notte.
 
Clarice sobbalzò per l’ennesima volta. Ci mancava solo che Maki si lasciasse andare ad uno sfogo d’ira come quello di Mark. Le ci volle solo una fugace occhiata per notare la trasformazione avvenuta nel volto della giovane donna. La dolce e pacata sacerdotessa del pomeriggio era ora una donna disperata e arrabbiata.
 
-Diciamolo al mondo intero che razza di figlio di puttana è Mark Lenders! E magari sarebbe lui l’amico di cui mi hai parlato oggi! Il fidato confidente che ti ha insegnato la via per la felicità! Lui…l’uomo insensibile ed ipocrita che mi ha usata finché gli ho fatto comodo…-
 
-Maki non è così!- sbottò Mark voltandosi con un’espressione talmente addolorata nello sguardo che Clarice sentì il cuore spezzarsi in due.
 
-Ah non è così dici? Non è così? Me lo sto forse inventando che quando, contrariamente ai tuoi piani sono rimasta incinta, con tutta la tua nonchalance, mi hai invitato ad abortire?-
 
Clarice sentì il sangue gelarsi nelle vene. Qualcosa dentro di lei si ruppe, una parte importante del suo cuore e del suo precario equilibrio cadde a terra frantumandosi in mille pezzi. Guardò, incapace di celare le sue emozioni, quel ragazzo che sino a pochi istanti prima considerava il più integerrimo e leale amico che avesse incontrato dopo Benji. Disprezzo e pena si mescolarono nelle sue iridi color smeraldo, lampi crudeli e spietati che colpirono Mark dritto al cuore. Nonostante avesse una gran voglia di afferrare Clarice per i capelli e trascinarla lontano intimandole di dimenticare ogni parola di quella triste scena, decise che non poteva lasciarle credere di essere un mostro disumano… era restio a far conoscere a terzi parti così intime della sua vita privata, ma ormai le cose erano andate troppo oltre  e, era certo, Clarice non avrebbe mai lasciato cadere nel nulla la frase di Maki.
 
-Maki non è stato facile chiederti una cosa del genere. Ma era la cosa più giusta da fare, io sto iniziando la mia carriera di giocatore professionista e tu quella di softball, che avremmo potuto dare a quel bambino? Il peso di aver rovinato le nostre vite?-
 
-Rovinato? Nostro figlio! Mio e tuo- urlò disperata la ragazza scagliandosi con violenza contro il petto solido dell’attaccante e tempestandolo di pugni, sfogando in quel modo isterico tutta la rabbia cha aveva in corpo.
 
Mark le bloccò i polsi. Immobilizzandola -Basta Maki calmati- le intimò con un tono duro ma nel quale era chiaramente percepibile un retrogusto di amarezza e sofferenza.
 
Clarice osservò preoccupata Maki che ora tremava come una foglia con un’ espressione allucinata che non lasciava presagire nulla di buono.-Scusatemi…io non so che ho fatto…Maki perdonami…-
 
-Lascia stare!- la interruppe bruscamente Maki allontanandosi da Mark e spazzando con un gesto della mano l’aria davanti a sé, come se volesse allontanare un insetto molesto - Ma visto che sei qui voglio farti conoscere tutta la storia-
 
L’occhiata di puro odio che inviò a Mark fece venire la pelle d’oca a Clarice che non poteva credere che quella donna avesse un tempo amato Mark tanto da condividere quell’intimità e quei sentimenti che lei stessa aveva per la prima volta condiviso con Benji solo qualche ora prima.
 
-Mi rifiutai di abortire, ma il destino, evidentemente, aveva deciso di darla vinta a questo farabutto. Un malore mi colse il terzo mese di gravidanza ed ebbi un aborto spontaneo e sai che cosa mi disse lui per consolarmi? “dai Maki è stato meglio così!”- la ragazza raddrizzò le spalle infuriata.
 
-Ora basta!-
 
-Nostro figlio è morto e…- continuò imperterrita senza far caso all’interruzione di lui.
 
-Ho detto basta!- la interruppe di nuovo con maggiore convinzione - Sono stato uno sciocco ed insensibile, hai ragione. Ma un figlio lo devi volere, devi essere in grado di dargli il meglio del meglio. Noi non avremmo potuto offrirgli altro che le nostre frustrazioni, involontariamente gli avremmo, prima o poi, riversato addosso la colpa di aver ostacolato le nostre vite. Io non avrei più potuto realizzare il mio sogno di diventare un calciatore professionista e tu saresti stata costretta a rinunciare alla tua carriera. È questo che volevi? Rispondi! Per soddisfare la tua voglia di maternità avresti rovinato la vita di tre persone? La tua, la sua e la mia!?!-
 
Maki tacque schiacciata dalla pesante verità di quelle parole mentre Clarice, nella desolazione più totale, si chiedeva come avesse potuto intromettersi così ad occhi chiusi nella vita di due persone. Era solo colpa sua se quei due individui, che un tempo si erano tanto amati, ora si stavano scambiando delle accuse terribili, riaprendo con spietata cattiveria ferite mai rimarginate.
 
-Tu hai avuto il coraggio di dirmi “meglio così”…-tentò di protestare Maki ormai soggiogata dalla forza e dalla determinazione dello sguardo di quello che solo poco tempo prima era il suo uomo. Non c’era nulla da fare, per quanto l’avesse ferita ed umiliata, lei amava ancora e, ne era certa, avrebbe amato per il resto delle sua vita, solo ed unicamente Mark Lenders.
 
-E te lo ripeto. É stato meglio così. Questo non significa che per me sia stato semplice, anch’io ho sofferto, che credi. Ma non eravamo pronti ad accogliere un bambino Maki! –
 
-Mark…-bisbigliò la ragazza appoggiando nuovamente le mani sul petto di lui ma questa volta con dolce esitazione alla ricerca di un muto consenso -Forse dovremo parlarne con calma, da soli…-
 
Mark avrebbe dato qualsiasi cosa solo poche settimane prima, perché Maki lo guardasse ancora a quel modo, rivolgendosi a lui con quel tono caldo e profondo che un tempo aveva fatto vibrare le corde più sensibili del suo cuore. Ma ora qualcosa era cambiato, non capiva ancora esattamente cosa, ma vi era un’emozione che non era più la stessa dentro di lui -Sì credo tu abbia ragione. Ma questo non è il luogo né il momento….passerò…ora però devo…dobbiamo tornare all’hotel- disse staccandosi da lei e poggiando i suoi occhi ancora adirati  su Clarice.
 
La ragazza avrebbe voluto sprofondare, sotto quello sguardo imperioso, abbassò la testa fissando la terra umida e scura ai suoi piedi, incapace di sopportare tanta furibonda ira.
 
-Andiamo Clarice- comandò autoritario l’attaccante afferrandola per un gomito e trascinandosela dietro senza troppi complimenti.
 
-Mark aspetta- gli intimò Maki, ma il ragazzo fece finta di non udire e in pochi istanti le due figure scomparvero inghiottite dal folto bosco immerso nel buio della notte.
 

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Capitolo 17
*** Premonizioni ***


I due ragazzi rientrarono nell’albergo in silenzio, passando per la veranda. Durante il tragitto di ritorno attraverso il bosco, non si erano rivolti neppure una parola, ognuno perso nelle proprie considerazioni, tutt’altro che allegre.
 
In un angolo dell’ampio patio che dava sul parco dell’albergo, una fioca luce illuminava un tavolo attorno al quale erano seduti alcuni giocatori della nazionale, coinvolti in  un’agguerrita partita di carte. Tra questi vi era anche Tom, che fu l’unico a notare il veloce passaggio di due ombre nell’angolo buio della terrazza; non fece fatica a riconoscere l’incedere sinuoso dell’amica e la stazza imponente del loro miglior attaccante. Nonostante il buio e la velocità con cui scomparvero all’interno della hall, gli bastò una fuggevole occhiata, per comprendere che qualcosa di poco piacevole era accaduto tra quei due. Cedette la mano e, con una banale scusa, abbandonò velocemente il tavolo da gioco.
 
Trovò la ragazza sola al bancone del bar, accoccolata su uno sgabello, apparentemente intenta a sorseggiare un gin-lemon ghiacciato.
 
-Ehi ti sei data all’alcool?- sdrammatizzò, afferrando un altro sgabello e accostandolo a quello di Clarice.
 
-No … solo che avevo bisogno di qualcosa di forte per stordirmi- rispose desolata, fissando, senza vederli, i cubetti di ghiaccio che si scioglievano lentamente nel liquido opaco.
 
-Allora dovevi scegliere una vodka o un whisky-
 
-Blah! Non riesco a buttar giù neppure questo … che disastro!- sbuffò disgustata allontanando il bicchiere da sé.
 
-Che  è successo?-
 
-Uhm …. credo di essermi giocata uno dei miei migliori amici…-
 
-Mark?-
 
-Già-
 
-Ma non puoi chiarire la cosa?-
 
La ragazza emise un flebile sospiro -Sì … forse si può, ma il punto è che lui non è quello che credevo…- la voce le si strozzò in gola mentre le lacrime le salirono agli occhi senza che lei potesse fare nulla per bloccarle.
 
-E tu chi sei per giudicare?- la voce severa dell’attaccante la fece irrigidire con la stessa brutalità di una sferzata di aria gelida in pieno volto.
 
-Mark…- balbettò stordita senza avere la forza di alzare gli occhi sull’imponente figura del ragazzo ormai a pochi passi da lei.
-Dimmi signorina che cosa pensi ora di me?- proseguì imperterrito, infilandole due dita sotto il mento e costringendola a guardarlo in faccia e a fare i conti con la collera che vibrava minacciosa nei suoi occhi neri - Che cosa è cambiato tanto ad farti dire che non sono ciò che credevi?- infierì ignorando il panico che si impossessava di lei - E chi sei tu per giudicare gli altri? Che ne sai di come ragiono io, di cosa ho provato e cosa provo tutt’ora? Forse sei in grado di metterti nei miei panni e dire esattamente che cosa avrei voluto veramente fare?- urlò quasi, lasciandola andare bruscamente ed arretrando di un passo -A te non è mai capitato di fingere Clarice? Di cancellare un passato che non ti appartiene più? Di nascondere un lato oscuro di te che non sai spiegare né controllare? Una parte di te di cui ti vergogni, ma della quale non puoi fare a meno, perché, per quanto tu possa crescere, maturare e cambiare, il passato non si cambia e ti apparterà per sempre come parte inscindibile da te?- chiese abbassando la voce sino a renderla un sussurro ma senza farle perdere la rabbia e la frustrazione di cui ogni parola era pregna.
 
Clarice abbassò nuovamente lo sguardo, mortificata ed incredula, era certa che Mark stesse parlando della sua vita, ma quelle parole si adattavano a lei come un abito cucito su misura, le rammentavano tutto ciò che era ed era stata. Sentì una morsa dolorosa allo stomaco mentre realizzava che Mark aveva riassunto in poche frasi il dramma e la sofferenza che da un anno si portava dietro a cui lei non era mai riuscita a dare voce. Aveva scoperto un lato oscuro di Mark Lenders e sicuramente ce n’erano altri, ma questo che cambiava? Lui era sempre e comunque Mark… Come lei era Clarice ed era stata Antlia, ma ora non lo era più. Si era comportata come tutte quelle persone che l’avevano giudicata senza pietà e senza esserne in grado. Aveva deliberato la sentenza senza prima farsi un esame di coscienza. Proprio lei criticava un errore di Mark! Lei che aveva nel suo passato droga, festini a base di sesso, foto osè e la morte di Carina sulla coscienza.
 
Tom intuì il dolore dell’amica con una sola occhiata -Mark non parlare così… Clarice è confusa- la difese, sfiorandole una mano in un silenzioso gesto di conforto. Clarice sussultò stupita per quella carezza ricordando, con qualche secondo di ritardo, che Tom era l’unico a conoscere il suo passato, e quindi poteva comprendere l’effetto devastante che le parole dell’attaccante avevano avuto su di lei.
 
-Tom lascia stare. Mark ha ragione io non lo dovevo giudicare. Non ne ho né il diritto né la capacità…Sono molto stanca vado a letto…scusatemi..- balbettò alzandosi.
 
-Clarice noi dobbiamo parlare- le intimò Mark muovendo un passo verso di lei.
 
Lei per tutta risposta affrettò l’andatura -Domani… ora non siamo in grado di affrontare una discussione- proferì prima di lasciare velocemente il bar.
 
 
⃰⃰  ⃰  ⃰  ⃰  ⃰
 
Oramai la squadra aveva raggiunto quella che il Mister definiva la quintessenza del successo, ovvero l’affiatamento perfetto tra tutti i componenti della squadra. Nonostante quel ritiro fosse stato per molti dei ragazzi in campo, tutt’altro che scevro da distrazioni e problemi, erano stati talmente determinati, da lasciare i loro problemi personali confinati  fuori dal campo.
 
Benjiamin Price, il portiere titolare, non poteva essere in forma migliore. Neppure i tiri più imprevedibili e difficili lo coglievano impreparato; piombava sicuro su ogni palla, serrandola con forza tra i muscoli delle braccia e frantumando così ogni illusione degli attaccanti di oltrepassare quella barriera impenetrabile. Il suo stato d’animo si rifletteva negli occhi scuri che da qualche tempo brillavano di felicità e gioia di vivere. Benji era innamorato. Per la prima volta era totalmente, follemente, perdutamente innamorato. Il rapporto con Clarice procedeva, a suo modo di vedere,  a gonfie vele ed era certo che nulla avrebbe potuto turbare quell’intesa perfetta che avevano stabilito. L’unico neo era la riottosità di Clarice a svelargli certi fatti del suo passato, ma in fondo, a lui, il passato di Clarice non importava più di tanto, l’unica cosa che aveva  realmente importanza era il presente, il loro presente, fatto d’amore e sesso. Riteneva che qualunque avvenimento le fosse accaduto, non fosse poi così importante da interferire con la loro storia ed ignorava, forse con esagerata noncuranza, i lampi di sconforto e paura che a volte sfrecciavano veloci sul volto di Clarice. Qualche volta aveva tentato di farla parlare, più per curiosità che non per reale preoccupazione, ma si faceva facilmente distrarre da altri aspetti della sua donna, ed accettava sempre di buon grado le distrazioni che lei gli offriva generosa per farlo desistere dalle sue svogliate indagini.
 
La storia cambiava per Mark Lenders. Il potente attaccante era tanto caparbio ed implacabile in campo, quanto inquieto ed intrattabile fuori. Nessuno dei suoi compagni osava neanche più rivolgergli la parola, persino Ed Warner e Danny Mellow gli stavano a debita distanza, comunicando con lui solo durante gli allenamenti. Erano trascorsi quattro giorni da quella terribile sera in cui aveva rivisto Maki. Quegli insulti e quelle accuse se le era meritate, ma era un capitolo che avrebbe preferito fosse rimasto chiuso. E invece Clarice aveva combinato quel pasticcio….Clarice…. Era lei la maggior causa della sua inquietudine. L’atteggiamento della ragazza nei suoi confronti era drasticamente cambiato, non vi era più né intesa né complicità tra di loro. E questo lo faceva impazzire di rabbia che sfogava in campo intercettando ogni passaggio e calciando la sfera con violenza triplicata.
 
Un’altra persona che in campo continuava dare il massimo, ma che fuori era la desolazione fatta persona, era Tom Becker. In nessun modo era riuscito ad avvicinarsi a Patty, né tanto meno a farle capire quali fossero i suoi sentimenti. Anche se dubitava che rivelarglieli avrebbe cambiato qualche cosa. Purtroppo il suo era un amore a senso unico e prima lo avrebbe accettato, meglio sarebbe stato per lui.
 
In panchina la situazione era meno ingarbugliata. Clarice aveva confidato a Patty la sua relazione con Benji, le aveva spiegato il reale significato del bacio  tra lei e Tom, e la situazione tra le due managers sembrava definitivamente chiarita.
 
E così, in questa più o meno confusa altalena di sentimenti, le due settimane di ritiro erano giunte agli sgoccioli. Quella sera, la vigilia del rientro, un inconsueto fermento agitava i ragazzi, il Mister, infatti, aveva deciso di concedere loro qualche ora di libertà e da qualche minuto le nere teste della nazionale erano chine attorno ad un  tavolo, coinvolte in un’animata discussione su come trascorrere quell’ultima serata tra i monti. Bruce propose un’altra capatina all’Hippodrome, non risparmiando a Benji una piccante battuta, di fronte alla quale il portiere non si scompose nemmeno constatando, sorpreso, come la “storia” con Amanda gli sembrasse lontana anni luce e non risalente a una manciata di giorni prima.
 
In un angolo della sala Patty distolse inquieta lo sguardo dai ragazzi -Cla ti andrebbe un giro alla cascata? Vorrei rivederla un’ultima volta ma ho paura ad andare sola-
 
-Sì Patty volentieri- accettò la bionda manager finendo di sorseggiare il suo caffè macchiato.
 
-Ma non vuoi stare con Benji? Sei sicura?-
 
-Sì,  Benji è impegnato con Holly in un’accesa discussione calcistica, non si accorgerà neanche della mia assenza. Dai andiamo Anego!- trillò contenta, strattonando l’amica per un braccio, grata di quell’inaspettato diversivo che l’avrebbe aiutata a non pensare per un po’ a quel chiodo fisso che era diventato il suo dissapore con Mark.
 
⃰⃰  ⃰  ⃰  ⃰  ⃰⃰
 
La  cascata con la sua prorompente bellezza lasciò le due fanciulle ancora una volta senza parole. Di fronte a quello sfoggio di potenza di madre natura, tacquero annichilite mentre prendevano coscienza della piccolezza dell’uomo in confronto a certi fenomeni. Il fragore assordante dell’acqua rendeva difficoltosa ogni comunicazione, perciò le due amiche camminarono in silenzio una di fianco all’altra, dirigendosi casualmente nelle vicinanze di una roccia che entrambe conoscevano molto bene.
 
-Qui tu e Tom vi siete baciati…- constatò Patty all’improvviso fissando la fredda parete rocciosa.
 
-Sì ma perché ti viene in mente proprio ora? Ti ho già spiegato come sono andate le cose- si difese Clarice, osservando perplessa il volto cupo dell’amica.
 
-Sì è che…com’è stato?-
 
-Cosa?-
 
-Baciare Tom…-
 
-Patricia…invece di chiedermelo perché non lo provi tu stessa?-
 
-Ma che dici Tsunami, sempre a sparar spropositi-
 
-Beh non è certo più spropositato della domanda assurda che mi ha i fatto- disse cambiando tono, dopo aver notato che l’amica non aveva nessuna intenzione di litigare ma che stava tentando goffamente di confidarle qualcosa -Anego, Tom è innamorato di te lo hai capito questo?-
 
-Ma che dici!-
 
-Non lo dico, lo so-
 
-Te lo ha detto lui?-
 
-Sì-
 
-Quando?-
 
-La sera che ci siamo…baciati…-
 
-Ah ti confida di amare me e bacia te?-
 
-Stava piangendo, stava male…tu non vedi altri che Holly e lo fai soffrire…-
 
-Tsunami io non so… sono confusa- ammise Patty allargando le braccia in un gesto rassegnato.
 
-Anche io lo ero prima di dire  a Benjiamin che l’amavo. Ma poi tutto è stato semplice-
 
-Ma per voi è diverso, siete nati per stare insieme-
 
-Ma che vuol dire? Se non provi, non lo saprai mai. Magari anche tu e Tom siete fatti per stare insieme…-
 
-Non lo so però sono felice di sapere che lui … sì insomma che mi vuole bene-
 
-Beh è già qualcosa. Non voglio farti fretta, pensaci con calma. Ci sono un paio di settimane prima della partenza per i mondiali d’Inghilterra… magari per allora avrai le idee più chiare-
 
-Sì magari… Ma ora spiegami che è successo tra te e Mark. Tra di voi non è più come prima, che è accaduto?- chiese Patty, cambiando totalmente discorso.
 
-Una brutta faccenda… di cui io sono in parte responsabile…- Clarice scrutò pensosa il bosco illuminato fiocamente dalla luce lunare -… ti va di fare una bella passeggiata con me?-
 
-Sino a dove?-
 
-Vieni seguimi- ordinò Clarice prendendo l’amica per mano e avviandosi lungo il sentiero che portava al tempio.
 
Camminarono per mezz’ora di buon passo e giunsero finalmente nella radura che si apriva per offrire la vista della spettacolare facciata colonnata del tempio. Patty rimase estasiata di fronte alla meravigliosa abilità costruttiva di quella gioiello architettonico. Clarice era certa di aver colto solo in parte la bellezza del tempio, ma l’occhio esperto ed appassionato della sua amica gli avrebbe senz’altro reso maggior giustizia. Patty era, infatti, dotata di un naturale talento artistico, che la portava ad apprezzare ed amare tutte le forme d’arte, ma con una particolare predilezione per l’architettura. Più volte aveva palesato l’intenzione di seguire seriamente questa passione dopo il college. Clarice invidiava, ma al contempo ammirava, la sicurezza con cui Patty era in grado di pianificare il suo futuro. L’unico ambito in cui proprio non le riusciva di far chiarezza erano i suoi sentimenti contrastanti per Holly e per Tom. Probabilmente ancora qualche tassello importante mancava nel cuore dell’amica, che nel frattempo tergiversava, struggendosi per un amore idealizzato, alimentato solo dalle sue fantasie, ed un amore reale che, invece, avrebbe potuto darle felicità e sicurezza, se solo lei si fosse decisa a prenderlo in considerazione.
 
Clarice sorrise impercettibilmente mentre, all’ombra di una colonna, osservava l’amica che accarezzava rapita il basamento di una imponente colonna sul lato sinistro della scalinata lignea che portava all’interno del tempio. La divertiva pensare che per lei la situazione era esattamente opposta a quella di Patty: aveva trovato l’amore ed era certa che la sua vita sarebbe sempre stata legata a Benji, ma ignorava totalmente che cosa voleva diventare… Clarice Kameda, ex top-model americana, che sarebbe diventata?
 
- Beh… già il fatto di avere un futuro da programmare é un’importante conquista …-pensò mentre spingeva il pesante portone che si aprì cigolando debolmente sui cardini.
 
Patty si affrettò a seguire l’amica all’interno della costruzione sacra.  Respirarono a pieni polmoni il profumo rilassante dell’incenso e Clarice proseguì verso il cuore del tempio mentre Patty si attardò ad ammirare un quadro appeso ad una delle pareti interne.
 
Clarice scorse l’esile figura di Maki in fondo all’abside intenta a sistemare i cesti delle offerte. Le si avvicinò cautamente.
 
-Maki…- chiamò titubante.
 
-Ah sei tu…- disse quella senza entusiasmo, girando appena il capo nella direzione della nuova venuta.
 
-Io ti devo delle scuse. Tu hai fatto molto per me e io ti ho ripagata con una moneta ben ingrata-
 
-Puoi dirlo forte-
 
-Ma ti assicuro che non era mia intenzione-
 
-Mi sono sentita usata e scaricata! –
 
-Ma non capisco…-
 
-Non capisci?- dolore e odio si mescolarono nelle iridi ambrate della donna -Mark se né andato qualche minuto fa…-
 
-Avete chiarito?-
 
-Oh sì è stato chiarissimo. Gli ho detto che sarei stata disposta  a dimenticare tutto e ricominciare tutto da capo…-
 
-Ma è magnifico- la interruppe Clarice felice.
 
Un lampo di pura sofferenza le oscurò il volto -Ma … lui mi ha risposto che ormai non ha più importanza…-
 
-Come sarebbe a dire?-
 
-Che da quando ha conosciuto te lui è cambiato… che si è innamorato di te- buttò fuori quelle parole tutte d’un fiato come se le bruciassero in bocca.
 
-Ma non è possibile…-
 
-Ti ripeto è e stato chiarissimo-
 
-Io non so che dire ma… -
 
-Vattene! Sparisci! Non voglio vederti mai più!- le intimò infine voltandole le spalle e scomparendo aldilà di una bassa porticina che Clarice notò solo in quel momento.
 
Patty non comprese appieno cosa fosse accaduto tra la sua amica e la sacerdotessa del tempio. Sapeva solo che, ad un certo punto, aveva visto Clarice indietreggiare pallida e tremante, girare sui tacchi ed uscire in tutta fretta, mentre l’altra donna scompariva nel nulla. Saggiamente ritenne opportuno seguire senza discutere l’amica e, sulla strada del ritorno, non l’annoiò con inopportune domande, anche se la curiosità e la preoccupazione non le davano pace.
⃰⃰  ⃰  ⃰  ⃰  ⃰⃰
-Ah eccoti qui, dove eri sparita?- le chiese Benji andando  incontro alle due managers che stavano attraversando velocemente la hall.
 
-Io e Patty abbiamo fatto un ultimo giro alla cascata…-
 
-Potevi dirmelo, sarei venuto volentieri anch’io-
 
-Impiccione! Avevamo voglia di stare per i fatti nostri- replicò Clarice, sfoggiando un improbabile tono scherzoso per non mettere in allarme il compagno e doversi subire una raffica di domande a cui non avrebbe potuto rispondere senza mentire.
 
-Ho capito, pettegolezzi di donne-
 
-Ecco appunto- disse Clarice sforzandosi di sorridere.
 
Ma tutte le sue precauzioni erano inutili, il portiere conosceva troppo bene la sua donna per non comprendere quando fingeva uno stato d’animo che era ben lungi dal provare e non si stupì affatto della successiva domanda che lei finse di buttare lì con noncuranza.
 
-Hai visto Mark?-
 
-È andato a letto ormai da un’ora, era di pessimo umore stasera. Non sei ancora riuscita a parlargli?-
 
-No e probabilmente non vi riuscirò neanche stasera. Vado a letto anch’io, sono molto stanca-
 
-Nooo….Io, Tom ed Holly stiamo andando in paese a raggiungere gli altri. Hanno telefonato poco fa dicendo di aver trovato un posto veramente spassoso. Dai venite anche voi!-
 
-Io sono troppo stanca-
 
-Ma …-
 
-Ti prego Benjiamin non insistere. Divertitevi- e così dicendo la ragazza si alzò sulle punte e depose un lieve bacio sulle labbra del portiere che, rassegnato, fissò la figura snella di Clarice sparire all’interno dell’ascensore.
 
-Tu Patty che fai?- chiese poi stringendosi nelle spalle in un gesto di rassegnazione.
 
-Quanto tempo ho per cambiarmi?-
 
⃰⃰  ⃰  ⃰  ⃰  ⃰
Clarice si era spogliata in fretta e, contro ogni sua aspettativa, riuscì a prender sonno senza troppa difficoltà. Dormiva da circa un’ora, ma il suo riposo era tutt’altro che rilassante. La ragazza si contorceva sotto le coperte, attorcigliando sempre più il lenzuolo attorno al corpo sudato.
 
Una luce lontana sconquassò il buio, un lampo bianco illuminò a giorno il salone zeppo di stoffe colorate … Echi confusi, voci irreali, profumi familiari di stoffa e cipria … Un sogno  prendeva  forma …
 
-Ciao Antlia come stai?-
 
-Carina ma sei viva!-
 
-Certo sciocca! Muoviti che tra due minuti tocca a te-
 
-Cosa?!?!-
 
Solo in quel momento Clarice realizzò di essere dietro le quinte della passerella di New York, all’interno del palazzo del parlamento il luogo della loro ultima sfilata insieme…
 
-Ma che ci faccio qui? Io non sfilo più- chiese confusa, fissando terrorizzata il volto bruno dell’amica.
 
-Questa è solo una prova generale tra un mese sfilerai sul serio-replicò tranquillamente Carina sorridendole con dolcezza.
 
-No- urlò Clarice.
 
-Sì dovrai tornare. Non puoi vivere il tuo presente se prima non hai risolto tutti i conti che hai lasciato in sospeso-
 
-Ma io non ho conti in sospeso-
 
-Sì che ne hai. La mia morte non può rimanere impunita, e  tu devi superare il tuo senso di colpa-
 
-Carina questo non avverrà mai, io non potrò mai dimenticare che avrei potuto salvarti e non l’ho fatto!- esplose Clarice lasciando che le lacrime le rigassero le guance esangui.
 
-Tra poco lo incontrerai…-
 
-Chi?!?!-
 
-Karl-
 
-E chi è?-
 
-Come non te lo ricordi? Ah forse non ricordi neanche più il nome dell’uomo che ho amato e che tu mi hai rubato … - disse Carina estremamente calma nonostante la crudeltà delle sue accuse.
 
-No non è andata così…aspetta dove vai…aspetta…io voglio dirti…spiegarti come sono andate le cose…aspetta…-
 
-ASPETTA- balzò a sedere sul letto, spaventata dal suo stesso urlo che echeggiava ancora contro le pareti buie della stanza. Le unghie conficcate nella trapunta di lana, le labbra aride, gli occhi vitrei, esprimevano eloquentemente il terrore di cui era preda. Confusa e stordita tentava di rammendare a se stessa che si era trattato solo di un sogno… nient’altro che un sogno … un sogno … solo un sogno …. ma perdio quanto sembrava vero! Ogni singola parola di quell’onirico dialogo era stampata a fuoco nella sua mente.
 
La porta della sua stanza si spalancò all’improvviso e Clarice sobbalzò sconvolta. Era certa che la figura scura  che si stagliava sul rettangolo luminoso dell’uscio fosse la sua amica riemersa dall’Ade grazie a qualche magico prodigio.
 
-Carina…non è possibile- balbettò strascicando le parole come un ubriaco.
 
-Clarice… tutto bene? – la voce calda di Mark la riportò momentaneamente alla realtà, aprendo una breccia nello stato di semicoscienza in cui si trovava.
 
-Sei tu …-
 
-E chi pensavi fosse? Tutto bene? Ti ho sentita urlare…-
 
-Era…solo un sogno….sto bene …credo…-
 
Mark tacque per alcuni istanti, poi con tono stranamente tagliente e freddo, chiese -Posso andare allora?-
 
Il fascio di luce che, attraverso la porta, filtrava dal corridoio sino a dentro la camera, illuminava appena il contorno della figura di lei seduta sul futon. Il giovane rimase immobile per nulla intenzionato a varcare la linea della porta, anzi, l’impazienza con cui stringeva la maniglia di ottone, palesavano la sua voglia di andarsene.
 
Ma la voce di lei lo trattenne -Mark tu sei … il mio angelo custode? Ti ha mandato lei per vegliare su di me?-
 
La stranezza di quelle domande lo costrinse a cercarla nell’oscurità -Ma che stai dicendo? Cazzo forse non sei ancora completamente sveglia…- abbandonò l’appiglio a cui si era inutilmente ancorato, superò la sua titubanza ad entrare e, con un sospiro strozzato, chiuse la porta alle sue spalle. Fece scivolare la mano sulla liscia parete cercando a tentoni l’interruttore, una volta trovato, accese la luce ed illuminò la stanza.
 
Ritto in piedi al centro della stanza, aspettava in silenzio che lei gli desse qualche spiegazione.
 
-Sei o non sei il mio angelo custode?-
 
Il ragazzo fissava ostinatamente un punto imprecisato, evitando di proposito di guardare Clarice -Ma dai,  ti sembro un angelo?- suo malgrado al numero nove veniva da ridere: l’avevano spesso descritto come il giocatore più aggressivo e violento dell’intero campionato nipponico, e quelle non erano certo le doti caratteristiche di un angelo!
 
-E allora perché arrivi sempre quando ho bisogni di te?-
 
-Uh…secondo me stai impazzendo. Ascoltami bene. La mia stanza è proprio sopra la tua e stavo beatamente  dormendo nel mio letto, quando il tuo urlo mi ha svegliato di botto e sono corso giù a vedere se era tutto ok…- in realtà non stava affatto “beatamente dormendo”, ma stava consumando il pavimento della stanza  percorrendolo in lungo e in largo come una tigre in gabbia, ma questo non era tenuto a specificarlo.
 
-Mi spiace averti svegliato…ma…-
 
-Lascia perdere comunque vedo che va tutto bene anche se…- Mark finalmente si decise a poggiare gli occhi sulla ragazza. Il pallore spettrale, le orribili borse nere sotto gli occhi e le goccioline di sudore che scivolavano lungo le tempie innaturalmente pulsanti, lo spaventarono a morte -Cazzo…Clarice, stai male?- il calciatore si affrettò ad inginocchiarsi accanto a lei, cercò di afferrarle le mani bianche e gelide artigliate con tenacia alla trapunta. Con dolcezza  le aprì le dita  una ad una e strinse tra le sue quelle membra rigide ed esangui.
 
-Piccola…era solo un sogno…-
 
-No, era molto di più-
 
-Ma che dici …sei confusa-
 
-No, non sono mai stata più lucida. Era una premonizione. Carina mi ha dato un avvertimento e io non lo posso ignorare…-
 
-Sciocchezze un sogno è solo un sogno. E poi chi è questa Carina?-
 
Clarice spalancò gli occhi confusa sentendo il nome dell’amica pronunciato dalla bocca di Mark… poteva contaminare anche lui? Il suo angelo poteva essere insozzato dai suoi peccati? No non era giusto… lui aveva già i suoi fantasmi da tenere a bada…
 
-Mark…ho rivisto Maki questa sera-
 
Il ragazzo si irrigidì e tentò di ritrarre le mani, ma Clarice lo trattenne avvinghiando le sue dita bianche attorno a quelle di lui in una presa che il ragazzo avrebbe potuto sciogliere solo facendole male, e questo sapeva essere impossibile.
 
-Perché le hai detto che ami me?-
 
-Perché era la prima scusa che mi è venuta in mente-
 
-Cosa?-
 
-Non sapevo che dirle. Io e Maki ci siamo amati tanto, io l’ho amata ma ora… lei non è più la stessa ed  io neppure. Non ci capiamo più tra di noi è cambiato qualcosa ed io non me lo spiegare. Forse un giorno mi pentirò di ciò a cui ho rinunciato e tornerò sui miei passi, ma per ora voglio stare alla larga da lei e dalle tristi esperienze che mi ricorda. Nonostante lei non abbia capito, quel bimbo era anche figlio mio e nonostante io non lo volessi è ovvio che non sono stato indifferente alla sua ….perdita. Ma un’esperienza del genere dovrebbe avvicinare due cuori innamorati,, invece io e Maki ci siamo inevitabilmente allontanati, ognuno chiuso nel suo dolore e rancore. Evidentemente non eravamo abbastanza innamorati da superare insieme  una situazione del genere-
 
-Ma perché dirle che ami un’altra. Ti rendi conto di quanto male adesso lei stia?-
 
-Clarice non sono perfetto. Le ho ripetuto all’infinito che ero confuso e che non ero più sicuro di amarla, ma lei sembrava non capire le mie parole, mi supplicava di tornare insieme, di dimenticare tutto, io…ho trovato solo un modo per farla star zitta…-
 
-…sì dirle che ami me. Ma non è vero!-
 
Un silenzio teso seguì l’affermazione di Clarice.
 
-Mark …è vero?-
 
Una luce indecifrabile attraversò per un attimo gli occhi neri dell’attaccante, una luce che Clarice non aveva mai visto nello sguardo di nessun uomo incontrato sino ad allora. Non capiva, non leggeva in Mark Lenders! Se ci fosse stato Benji avrebbe già capito tutto,  ma quello non era Benji… era Mark, e Clarice aspettava ansiosa quella risposta, chiedendosi che cosa avrebbe preferito sentirsi dire.
 
-No- fu poco più di un sussurro nella notte. Il ragazzo si alzò in fretta approfittando del fatto che Clarice, nella tensione dell’attesa, aveva allentato la presa.
 
-Mark aspetta- la ragazza balzò fuori dal letto e lo raggiunse al centro della stanza -Non mi importa che tu neghi… per me tu sei il mio angelo custode e …non avrei potuto averne uno migliore. Sei l’unico angelo che voglio al mio fianco-
Il ragazzo si voltò per guardarla in faccia. Erano due creature sofferenti, alle quali la vita aveva chiesto molto, forse troppo. Nessuna parola proferita da essere umano avrebbe potuto descrivere anche solo la metà di quel legame incantato che li univa indissolubilmente.
Decisero di accettare ciò che il destino aveva stabilito per loro, creando quell’ invisibile laccio che li portava ripetutamente ad intrecciare le loro mani. Gli occhi di prezioso smeraldo di Clarice affondarono fiduciosi nelle nerissime iridi di Mark ed entrambi presero tacita coscienza della potenza del loro inspiegabile legame. 
Non c’era più spazio per la paura nei loro cuori, non vi era né esitazione, né tormento nei loro occhi... solo un indissolubile, incomprensibile promessa di aiuto reciproco.
Forse un angelo aveva messo Mark sulla strada di Clarice.
Forse una Moira capricciosa aveva tessuto la trama di quel crudele gioco che aveva dapprima spinto Mark a far sì che Clarice appartenesse ad un altro, per poi scoprirsi innamorato di lei.
Il ragazzo comprese, in quel preciso istante, di essere irrimediabilmente perduto, nulla poteva opporre, tutta la forza e la determinazione della Tigre, non sarebbero state sufficienti per cancellare dal suo cuore l’immagine di Clarice come gli appariva in quel momento, ritta di fronte a lui, fiduciosa e fragile come non mai.
 
Un sorriso impenetrabile increspò le belle labbra dell’attaccante distendendone i lineamenti duri mentre usciva dalla stanza senza avere più il coraggio di voltarsi indietro.
 

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Capitolo 18
*** Solo un amico ***


I bianchi muri intonacati dell’imponente scuola Nankatsu brillavano sotto il riverbero cocente del sole di quella afosa giornata di inizio estate. Un largo cortile, ricco di alberi e di palestre disseminate un po’ ovunque, occupava la parte antistante dell’edificio. Da qualche minuto, su una panchina di questo giardino, sedevano due giovani studentesse, riparate dalle fronde degli alberi che ondeggiavano ritmicamente mosse dalla brezza estiva. Poco distante, gli ultimi studenti, tutti simili nella caratteristica divisa della scuola, si affrettavano  lungo il viale d’uscita, salutandosi chiassosamente con ampi gesti delle mani.
 
Clarice si lasciò sfuggire l’ennesimo sospiro mentre calciava mollemente un sassolino davanti a sé. Poco prima, lei e Patty, avevano ricevuto i risultati dell’esame di rientro che avevano sostenuto dopo l’ assenza di due settimane per seguire la Nazionale in ritiro alle cascate Fukuroda.
 
Entrambe erano passate con voti molto al di sotto della loro media abituale, cosa che la preside non aveva lasciato passare impunemente, facendole chiamare d’urgenza in presidenza. Le aveva fatte accomodare con un contenuto gesto del capo e le aveva squadrate con una gelida occhiata di rimprovero che aveva fatto desiderare alle due amiche di scomparire per sempre dalla faccia della Terra.
 
L’anziana preside, sistemandosi con cipiglio severo i pesanti occhiali dalla montatura dorata sul naso adunco,  aveva iniziato una lunghissima predica che aveva avuto come fulcro l’importanza della scuola, il dovere di costruirsi un futuro migliore e l’assoluta necessità di non trascurare per alcun motivo al mondo la cultura personale. In effetti quelle parole, pronunciate con espressione dura, ma con un tono pacato, nel quale era percepibile una sfumatura di sincera preoccupazione, avevano sortito il loro effetto nell’animo delle due ragazze, che ora riflettevano tristemente sui loro errori.
 
Erano pienamente consapevoli che né la nazionale, né il calcio, potevano divenire il loro scopo di vita, la base su cui costruire il loro futuro. Certo, i ragazzi e quello sport avrebbero sempre occupato un posto importante nelle loro vite, ma esse non potevano concludersi nel calcio. Ma troppe cose erano accadute durante quel ritiro, troppe distrazioni le avevano distolte dai libri, il cuore le aveva portate lontano, piccoli e grandi problemi le avevano travolte, a volte portandole alla felicità, altre gettandole nella disperazione più nera. E loro non avevano potuto opporsi a quella piena di sensazioni ed emozioni.
 
In ogni caso, ancora nulla era perduto, in fondo l’esame l’avevano superato e ora si apprestavano a preparare quello finale che si sarebbe tenuto un paio di giorni prima della partenza per l’Inghilterra. Le date erano uscite il giorno prima e, sia Patty che Clarice, avevano esultato felici, nel constatare che non avrebbero dovuto rinunciare a seguire i loro campioni in Europa a causa degli esami.
 
-Basta piangerci addosso!- proruppe Patty guardando seria l’amica -Ora dobbiamo preparaci seriamente Tsunami… rimbocchiamoci le maniche e che questo smacco ci serva di lezione. Forza! Per fortuna non siamo state così sprovvedute da farci bocciare, anche se ci è mancato veramente poco… mettiamoci sotto sul serio… perciò per questa settimana niente Benji- concluse la ragazza mora sventolando con fare autoritario il suo dito indice sotto il naso di Clarice.
 
-Come sarebbe  a dire “niente Benji”?-
 
-Niente distrazioni! Solo studio- rincarò la dose Patty annuendo decisa.
 
-Ma Anego… allora ….niente Tom-
 
-Ma che dici sciocca. Io e Tom non stiamo insieme-
 
-Sì non ufficialmente ma …-
 
-Ssssh … sta zitta che potrebbe sentirti qualcuno!- sbottò Patty saltando al collo dell’amica e premendole con forza una mano sulla bocca mentre si guardava attorno per accertarsi che nessuno avesse udito quell’incauta confessione.
 
Clarice era l’unica persona a sapere che l’ultima sera di ritiro, mentre lei era alle prese con premonizioni ed angeli custodi, Tom si era finalmente deciso ad aprire il proprio cuore. Forse l’aver visto Clarice e Benji tanto felici insieme lo aveva fatto capitolare, o forse, semplicemente, il ragazzo era arrivato al limite della sopportazione. Patty quella sera stessa era piombata in camera di Clarice a notte fonda con le guance ancora rosse per l’emozione e gli occhi vivacissimi. Dopo un primo attimo di giustificata confusione, Clarice aveva colto l’espressione estatica dell’amica e aveva compreso al volo che cosa fosse avvenuto. Ciò nondimeno, aveva ascoltato con attenzione il concitato racconto della manager. In breve aveva appreso che, ad un certo punto della serata, Patty e Tom avevano perso di vista il resto del gruppo durante uno dei numerosi pellegrinaggi da un locale all’altro, cosicché avevano fatto la strada di ritorno completamente soli. Clarice aveva sorriso tra sé e sé, pensando che quell’allontanamento non fosse poi accaduto per caso, ma che l’astuto ragazzo avesse fatto in modo di confondere Patty ed isolarla dal gruppo. Il centrocampista, aveva proseguito a raccontarle Patty, aveva affrontato l’argomento in maniera contorta e confusa, girandoci intorno impacciato, ma alla fine, in qualche modo, era riuscito a giungere al nocciolo della questione e, con una dolcezza disarmante, aveva detto alla ragazza di volerle bene in modo speciale. Patty aveva accolto la dichiarazione di Tom con gioia anche se non si era sbilanciata, temendo di illuderlo eccessivamente. La prudente manager aveva, con tatto e diplomazia, detto al ragazzo di provare qualcosa per lui, ma di non sapere esattamente cosa, di lasciarle un po’ di tempo per far chiarezza. Ma nonostante i suoi propositi di andare calma e pensarci bene, quando lui si era fermato in mezzo al sentiero, afferrandola per un polso, lei nonaveva trovato motivo di opporsi. Ben sapendo che cosa stesse per accadere, non si era ritratta, anzi gli aveva fatto scivolare timidamente le braccia attorno al collo e aveva corrisposto con trasporto al bacio di Tom. Quello era stato il suo primo bacio e, anche se lo aveva sempre immaginato insieme ad Holly, Patty ammise, nella più totale sincerità, che non le era dispiaciuto proprio per niente.
Il loro rapporto non era ancora ben definito, non stavano ufficialmente insieme e Patty aveva esplicitamente chiesto a Tom di non farle fretta, di non baciarla mai più, che sarebbe stata lei, una volta presa una decisione definitiva, a  fare il primo passo. Tutto questo perché non voleva farlo soffrire a causa delle sue continue indecisioni. Clarice osservava da spettatrice attenta lo svolgersi di quella neonata relazione, ma non interveniva in alcun modo,  limitandosi a tenere le dita incrociate, sperando con tutto il cuore, che l’amica non tenesse troppo a lungo sulle spine un cuore sensibile come quello di Tom.
 
⃰  ⃰  ⃰  ⃰  ⃰  ⃰
 
I giorni successivi passarono monotoni. Le due ragazze, determinate e ligie al dovere, si erano praticamente barricate dentro la grande villa di Clarice e passavano interminabili ore chine sui libri, chiuse a chiave dentro lo studio tappezzato di mensole stracolme di libri di ogni genere. Fedeli ai loro propositi, avevano chiesto a Nanà di fare in modo che nessun disturbo dal mondo esterno le raggiungesse e quindi di non passare telefonate e visite prima delle sette di sera.
 
Benji aveva accettato a malincuore quella situazione, accontentandosi di vedere Clarice solo per fugaci momenti dopo cena. Per fortuna era impegnato con il club dell’Amburgo che stava tornando alla carica con tenacia, proponendogli contratti sempre più da favola. Il portiere era lusingato da tanto denaro e da tanta testardaggine nel volerlo a tutti i costi in squadra. D’altronde la modestia non rientrava nelle doti del SGGK, il quale sapeva più che bene quale fosse il suo valore calcistico, quindi non perdeva occasione per vantarsi con i suoi compagni di squadra, che pendevano letteralmente dalle sue labbra e spalancavano tanto d’occhi quando Benji accennava con disinvoltura alle cifre stratosferiche che gli proponeva il club tedesco.
 
Anche se lentamente le ore passarono, e con esse i giorni. Arrivò la vigilia dell’ esame e le due amiche avevano da poco abbandonato il tavolo dello studio ricoperto di libri aperti e quaderni spiegazzati. La tensione aleggiava nella casa e Patty, dopo aver indossato la sua tuta rossa portafortuna, dedicò il resto della serata alla sua occupazione preferita antistress: correre sino allo stremo delle forze su e giù per il grande parco della villa.
 
Clarice, dal canto suo, non condivideva certe passioni e preferiva scaricare i nervi dedicandosi a una buona lettura. Ma sin dalle prime righe si rese conto che quel diversivo non avrebbe funzionato affatto. Non era da lei essere così ansiosa per un esame, ma si trattava di una questione importante. Se non passavano non avrebbe potuto seguire la squadra ai mondiali e non avrebbe potuto iscriversi all’università. Infatti, in quei giorni che era stata sempre gomito a gomito con Patty, le due amiche, oltre che studiare, si erano confidate i reciproci sogni, soffermandosi per la prima volta a fare seri progetti per il futuro.
 
Clarice aveva sentito una calda ondata di ottimismo riempirle il cuore mentre esponeva a Patty i suoi progetti. Sino a qualche settimana prima non avrebbe mai immaginato che la vita potesse essere bella e foriera di felicità per lei. Un brivido le corse veloce lungo la schiena mentre ripensava ai tragici momenti in cui aveva desiderato farla finita, negandosi la possibilità di avere un futuro. Ma ora sorrideva felice alla vita, sicura che un futuro per lei c’era, un futuro che voleva tracciare con le sue mani, guidata unicamente dal cuore.
 
Patty desiderava diventare architetto e si sarebbe trasferita a Yokohama, dove vi era la più prestigiosa facoltà di architettura dell’intero paese. Clarice, stupendo se stessa, aveva esposto i suoi progetti  con una chiarezza ed una determinazione che non sospettava nemmeno di possedere. Desiderava aiutare donne che si erano trovate nella triste situazione di Maki, voleva diventare un bravo medico specializzato in  ginecologia ed ostetricia, ma non un dottore per ricche signore snob, ma un medico a completa disposizione di giovani ragazze madri, impaurite e confuse. Le sarebbe piaciuto aprire una clinica che operasse nella realtà sociale più disadattata del suo paese, dove, purtroppo, nonostante il Giappone fosse in media un paese ricco e fortunato, vi era uno strato nascosto di gente povera che soffriva e di cui nessuno si occupava.
 
Il ripensare a Maki le fece inevitabilmente pensare anche a Mark. Clarice si agitò nervosamente sul grande divano in pelle nera che troneggiava al centro del lussuoso salotto di casa sua. Appoggiata mollemente sui soffici cuscini, lasciò scivolare distrattamente a terra il pesante volume con le avventure di Edmound Dantes, piegò con fare assorto le braccia flessuose sotto il capo e seguì intenta il filo dei suoi pensieri…
 
Mark
 
Le mancava molto, era inutile negarlo. Di nascosto, aveva più volte mentalmente contato i giorni che  mancavano al loro nuovo incontro… le mancava la sensazione di sicurezza che sapeva infonderle con la sua sola presenza… se solo lui le fosse stato accanto in quel momento non sarebbe stata così tesa… le avrebbe detto “sta tranquilla andrà tutto bene” e lei gli avrebbe creduto, ciecamente, come sempre… se solo fosse stato lì … con il suo abbraccio protettivo e la sua voce calda….non sarebbe stata così inquieta… ma perché no? L’abbraccio se lo poteva scordare, ma la voce … quella la poteva sentire!
 
Clarice si sollevò appena, scosse più volte il capo facendo ondeggiare attorno alle spalle i lunghi capelli dorati, come se volesse scacciare una volta per tutte qualsiasi ripensamento. Sapeva che Patty, tra le carte della squadra, aveva tutti i recapiti telefonici dei ragazzi.
 
Fece uno scatto e percorse quasi di corsa il lungo corridoio che portava alla scalinata che collegava il pian terreno alla zona notte. Fece tutto con estrema fretta, temendo di non avere il coraggio di completare ciò che si era prefissata: raggiunse velocemente la stanza dell’amica, aprì il cassetto ed individuò subito la gonfia cartellina rossa con su scritto, a caratteri cubitali: “Prima Manager Patricia Gatsby”. Esaminò i fogli al bordo dei quali vi erano numerose note scritte con la calligrafia chiara ed ordinata di Patty. I giocatori erano stati diligentemente schedati in ordine alfabetico, saltò i primi fogli e andò direttamente alla lettera L. Ricopiò il numero sul suo block-notes e rimise a posto la cartellina con mani leggermente tremanti. Perché tremava? In fondo non stava facendo nulla di male….voleva semplicemente sentire un amico…
 
Scese in soggiorno e si riaccoccolò sul divano con le gambe piegate sotto il corpo. Afferrò l’apparecchio telefonico e lo posò sulle ginocchia incrociate. Compose il numero, ma al primo squillo sentì il suo cuore battere all’impazzata. Ma che stava facendo? Perché non chiamava Benji, il suo ragazzo, anziché disturbare Mark a quell’ora di notte? Che stupida non aveva neanche guardato l’ora… le nove e mezza… beh non era poi così tardi…. Ma forse era meglio desistere, stava per riattaccare quando al quarto squillo una vocina squillante rispose.
 
-Pronto casa Lenders, chi parla?-  la voce di una bimba che non doveva avere più di sei anni, le risuonò nell’orecchio. E così Mark aveva una sorellina…
 
-Ciao sono Clarice, un’amica di Mark, tuo fratello è in casa?-
 
-Sì te lo passo subito, come hai detto che ti chiami?-
 
-Clarice-
 
-Sei la sua ragazza?- nonostante l’ingenuità con cui era stata posta la domanda, Clarice si sentì avvampare.
 
-No…sono un’amica-
 
-Uh… Mark non mi ha mai parlato di te…-
 
-Sai com’è … ci conosciamo da poco, ma me lo puoi passare?-
 
-Lucy chi è?- una profonda voce maschile fece aumentare i battiti del cuore di Clarice.
 
-Ah fratellone è per te. Una certa Clarice che dice di essere una tua amica, ma secondo me è la tua nuova ragazza-
 
-Da qua e stai zitta. Vai a lavarti i denti e poi fila a letto altrimenti le prendi-
 
Clarice non comprese la risposta pepata della bimba che si allontanò strillando qualcosa al fratello.
 
-Pronto?- la voce di Mark la fece fremere da capo a piedi.
 
-Mark…sono Clarice…ti disturbo?-
 
-Veramente …no , ma come mai mi chiami? Stai bene?-
 
-Sì solo che…- glielo doveva dire che aveva bisogno di sentirlo perché gli mancava da morire? Che il giorno dopo aveva l’esame e che aveva un infinito bisogno di essere tranquillizzata da lui?
 
-Cla ci sei?-
 
-Sì … volevo sapere come stavi, non ci siamo più sentiti-
 
-Io sto bene e tu? Hai fatto l’esame di maturità?-
 
-Ce l’ho domani…-
 
-Ah è per questo che mi hai chiamato, cos’è hai bisogno di essere tranquillizzata?-
 
Aveva capito al volo, come sempre con disarmante e sorprendente facilità.
 
-Sì-
 
 Che serviva fingere? Fingere cosa poi?
 
Dall’altro capo del filo ci fu silenzio. Clarice temette che avesse riattaccato -Mark ci sei ancora?-
 
-Sì… hai studiato?-
 
-Come una pazza. Io e Patty non ci siamo staccate dai libri per due intere settimane. Ho il cervello stracolmo di nozioni di ogni genere- disse mentre il disagio che aveva provato poco prima si dissolveva nel nulla.
 
-E allora che hai da temere? Vedrai che andrà tutto bene. E tra tre giorni sarai felice e diplomata sull’aereo che ci porterà tutti in Europa a vincere i mondiali-
 
-Oh sì non vedo l’ora!-
 
-E allora rilassati. Prenditi una buona tisana bollente ed infilati a letto … e mi raccomando niente sesso e niente sogni premonitori… ma solo un profondo e dolce sonno-
 
-Mark! Sei impossibile come ti permetti?-
 
-E via… non te la prendere… hai più avuto brutti sogni?- chiese diventando improvvisamente serio.
 
-Qualche volta ce li ho- rispose sincera. 
 
-E … Benji ti sta vicino?-
 
-Non ne sa niente. E poi che vuoi che gli dica? Sono solo stupidi incubi-
 
-Sì ma…va tutto bene con lui?-
 
-Sì, benissimo-
 
-Bene. Allora in bocca la lupo per domani-
 
-Aspetta parliamo ancora un po’- lo supplicò riluttante a terminare così presto quella telefonata.
 
-Scusami ma devo andare… c’è Lucy che piange. Ciao Clarice- tagliò corto Mark riagganciando la cornetta.
 
Clarice non ebbe neanche il tempo di augurare all’amico la buonanotte, il triste click del termine comunicazione aveva tranciato a metà la sua risposta. Insomma, le aveva praticamente sbattuto il telefono in faccia!
 
-Con chi eri al telefono?- La figura slanciata di Patty si stagliò nel rettangolo della porta che dal salotto portava al portico. La ragazza era appoggiata con apparente noncuranza allo stipite della porta e si stava asciugando il sudore che scendeva copioso dalla fronte nonostante la fascetta di spugna bianca che indossava sempre quando correva. In realtà la giovane manager, nascosta da diversi minuti dietro il pesante tendaggio della stanza, non si era persa una sola parola di quella breve comunicazione tra l’amica ed il capitano della Toho, ma voleva esaminare con cura la reazione di Clarice.
 
-Uh…con Mark- rispose evasiva Clarice risistemando il telefono sopra il basso mobile accanto al divano.
 
-E come mai ti ha chiamata?-
 
-L’ho chiamato io-
 
-Ah…-
 
-E dai Patty non fare quella faccia! È  solo un amico… Non posso aver voglia di sentire un amico?- si difese Clarice, chiedendosi mentalmente per qual motivo si sentisse tanto colpevole.
 
-Sì certo. Ma non ti sembra strano aver cercato conforto in un amico anziché nel tuo ragazzo? Perché non hai chiamato Benji?-
 
-L’ho sentito prima. E comunque Mark è diverso. Lui mi è sempre stato accanto quando avevo bisogno di lui. L’ho eletto mio angelo custode, ed è ovvio che avessi bisogno di un po’ di conforto da parte del mio angelo-
 
-Cooosa!?!? Mark Lenders un angelo!?!- esclamò Patty incredula – Beh …Posso darti un consiglio? Non farti sentire in giro perché… ti rinchiuderebbero in un luogo assai lugubre chiamato manicomio- rise Patty lasciandosi cadere  sul divano accanto all’amica.
 
-Ma dai, lo sai bene che non è così orso come appare- disse Clarice in parte contagiata dall’allegria dell’altra.
 
-Ok non è poi così cattivo come sembra, ma da qui a definirlo angelo…bah…sei proprio strana se vedi in Lenders un angelo non oso immaginare come vedi il diavolo…-
 
Oh forse l’idea del diavolo l’aveva un po’ confusa ma dell’inferno l’aveva di certo chiarissima. Ma non era di sicuro quello il momento per lasciarsi travolgere da fastidiosi fantasmi – Che ne dici di una tisana e una bella dormita?-
 
-Sì Tsunami ottima idea. Domani è il grande giorno!-
 
E le due amiche si diressero in cucina interrogandosi a vicenda  sui fatti salienti dell’ultima dinastia giapponese, gli autori post bellici più famosi ed infine il modo corretto per affrontare una complicata dimostrazione geometrica sulla tridimensionalità dello spazio.
 

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Capitolo 19
*** Il tuo angelo ti ha seguita ***


L’esame fu lungo e difficile. Quando uscirono dall’imponente struttura della scuola Nankatsu, il sole stava tramontando dietro le verdi colline che circondavano la piccola cittadina di Fusijsawa. Patty e Clarice camminavano in silenzio, con passo lento e leggermente strascicato, il capo chino e la fronte corrucciata.
 
Le due managers non furono affatto sorprese di trovare, poco oltre il muretto della scuola, un gruppetto di ragazzi che chiacchieravano rumorosamente tra di loro. Non appena le scorsero ogni chiacchierio cessò all’istante, sostituito da una muta attesa.
 
-Allora com’è andata?- chiese impaziente Benji afferrando una mano di Clarice.
 
-Uh…- brontolò la ragazza mentre Patty taceva sotto lo sguardo interrogativo di Tom e degli altri.
 
-Uh?! Che risposta è? - insistette Benji con una punta di preoccupazione nella voce -Allora com’è andata?-
 
-Uh…- ripeté la ragazza poi in uno slancio improvviso, che colse il portiere di sorpresa, gli saltò al collo urlando- Benissimooooooooo! Entrambe siamo passate con la lode!-
 
-E vai! Le nostre managers secchione!- esclamò Tom dando un tenero buffetto sulla guancia a Patty, gesto innocente e contenuto che passò del tutto inosservato agli altri componenti della squadra, ma che fece egualmente arrossire la ragazza costringendola ad abbassare lo sguardo.
 
-E allora stasera si festeggia!- proclamò Bruce che, inspiegabilmente, si era lasciato sfuggire il disagio della sua manager, perdendo così un’occasione d’oro per prenderla in giro, occupazione che lo divertiva oltre ogni dire.
 
-Ah il nostro Bruce! Sei rimasto troppo a contatto con Mellow. Ora non vedi che festini e divertimenti- lo prese in giro Ted dandogli una sonora manata sulla spalla.
 
Il riferimento al giovane asso della Toho portò inevitabilmente Clarice a pensare a Mark. Che bello se ci fosse stato anche lui a festeggiare e a complimentarsi con lei, invece doveva aspettare altri tre giorni. E se lo avesse chiamato? Magari aveva piacere di sapere come le era andato l’esame, anche se la sera precedente era stato così freddo e scostante. No, se era interessato al suo esame questa volta avrebbe dovuto chiamare lui!
 
-Allora Clarice?-
 
-Eh? Allora cosa- ripeté la ragazza confusa rendendosi conto che il portiere le stava chiedendo qualcosa. Forse Patty aveva ragione, c’era qualcosa di strano nel suo comportamento … ma che pensava? Il ragazzo dei suoi sogni, l’unico che amava, era lì accanto a lei, e non poteva desiderare nulla di più.
 
-Scusa Benjiamin, ero distratta che hai detto?-
 
-Ma a che stavi pensando?- sbottò il ragazzo
 
-Meglio che tu non lo sappia- pensò sentendo qualcosa simile al senso di colpa pizzicarla lievemente.
 
-Ho proposto di fare una festa a casa mia, prendiamo del sushi e della carne alla gastronomia all’angolo e mangiamo tutti in compagnia da me, che dici?-
 
-Ottima idea andiamo- disse allegra la ragazza allontanando definitivamente il pensiero di due occhi neri traboccanti di forza e determinazione.
 
------
 
La serata a casa di Benji si svolse allegramente e per una volta non furono gli schemi di gioco della squadra il nocciolo della discussione, ma l’esame appena sostenuto dalle due managers, che fiere ed eccitate raccontarono nei minimi particolari tutte le loro risposte. Ridendo e scherzando i componenti della squadra Nankatsu si ritirarono da villa Price solo a notte fonda. Mentre Benji accompagnava gli amici alla porta, Clarice si avviò in cucina. Era intenta a sistemare bicchieri e posate nella lavastoviglie quando Benji la raggiunse.
 
-Lascia stare, se ne occuperà Ketty domani mattina- le sussurrò con voce leggermente roca abbracciandola da dietro -Ti fermi stanotte?-
 
-Non so… non ho avvertito Nanà… sai che si preoccupa…- disse lei turbata dalle coccole che il suo fidanzato le stava beatamente elargendo.
 
-Chiamala- disse Benji deciso mentre giocherellava con le sottili spalline del vestito di cotone color cremisi che Clarice indossava.
 
-Non so- protestò lei ma sentendo la sua determinazione venir meno al passaggio fugace delle mani di Benji sul suo seno.
 
-E dai…-
 
-Ma è tradissimo, Nanà starà dormendo non la voglio svegliare…-
 
-Se sta dormendo non si accorgerà neanche della tua assenza…-
 
-Mi arrendo Benjiamin. Lasciami fare una telefonata, le lascerò un messaggio in segreteria così domani mattina anche se non mi trova in casa non farà un collasso-
 
-Ok, andiamo su, puoi chiamare dalla mia stanza- disse trionfante il ragazzo afferrando Clarice per una mano e trascinandola impaziente al piano superiore.
 
-Aspetta un attimo, faccio quella telefonata- disse la ragazza divincolandosi ridendo dall’abbraccio lascivo del suo uomo che aveva già infilato le mani sotto la corta gonna dell’abito. Benji si lasciò cadere mollemente all’indietro piombando sul letto che troneggiava nella stanza.
 
-Uff muoviti- borbottò il portiere puntellandosi sui gomiti.
 
La ragazza si sedette sul bordo del letto e alzò la cornetta in ottone del telefono appoggiato al basso comodino di radica screziata. Compose il numero di casa e fu sorpresa quando al terzo squillo sentì la voce bassa e melodiosa di Nanà.
 
-Clarice, piccola mia, sei tu?- chiese la donna leggermente affannata per la preoccupazione.
 
-Sì. Scusami Nanà non volevo svegliarti, ti chiamo per avvertirti che mi fermo da Benjiamin  a dormire-
 
-Va bene piccola… hai fatto bene ad avvertirmi, ero molto in ansia-
 
-Scusami ancora Nanà e…buonanotte-
 
Un’improvvisa idea balenò nella mente di Clarice e ancora prima di realizzare che stava facendo, aveva richiamato la domestica.
 
 -Nanà?-
 
-Sì tesoro che c’è?-
 
-Ha forse chiamato qualcuno per me?-
 
-Ah sì me ne stavo dimenticando… aspetta l’ho scritto qui sul notes accanto al telefono…-
 
Il cuore di Clarice cominciò suo malgrado ad accelerare. Che sciocca sicuramente non era lui! E in ogni caso perché doveva essere così agitata?
 
-Ecco…ha chiamato il signor…Lenders da Tokyo-
 
Aveva chiamato!
 
Clarice sussultò e Benji, che le stava accarezzando la schiena, si bloccò guardandola incuriosito.
 
-Ah…grazie Nanà buonanotte- disse riattaccando in fretta la cornetta.
 
-Che succede?- chiese il ragazzo abbassandole del tutto le sottili spalline del vestito ed accarezzando con lo sguardo il seno scoperto di Clarice.
 
-Ni… niente. Tutto a posto… come immaginavo era in ansia- mentì Clarice vergognandosi per il suo turbamento ingiustificato.
 
Maledetto, stramaledetto senso di colpa!
 
-Bene, ora però veniamo a noi…- disse Benji prendendola tra le braccia e trascinandola sul letto con lui.
 
La coltre di nebbia era sempre più nera e densa. Clarice vagava scalza su quella strada sterrata mentre i ciottoli aguzzi le tagliavano i piedi, facendola sanguinare. Si voltò e vide la scia rossa  di sangue che stava lasciando. Quella scia brillava rischiarando il buio totale che imperava opprimente. Il rosso del suo sangue  le sembrava l’unica cosa viva e vera in tutto quell’angosciante oscurità. Non sapeva dove stava andando, né perché fosse lì. Aveva un’unica inspiegabile certezza: lei la stava aspettando e per nulla al mondo sarebbe mancata a quell’appuntamento … Finalmente scorse una luce giallognola in fondo alla via e cominciò a correre facendo uso delle ultime energie. Arrivò ansante nei pressi di quella luce e lì la vide. Avvolta in una vestaglia bianca lunghissima ed esageratamente grande che la faceva apparire informe, vi era Carina. I suoi occhi color della notte erano splendenti e rilassati come quando l’aveva vista per la prima volta quattro anni prima.
 
-Carina come stai? Mi sembra meglio…-
 
-Sì ora che sei qui sto bene. E poi sono felice…finalmente hai deciso-
 
-Deciso cosa?-
 
-Di tornare a sfilare-
 
-No ti sbagli, io non ritorno affatto a sfilare!-
 
-Come no! Io ti starò accanto… -
 
-No. Non voglio!-
 
-Te l’ho già detto perché non puoi essere felice finché non avrai  saldato i conti col passato-
 
-Ma io non ho conti in sospeso-
 
-Ah no? E allora perché non hai ancora avuto il coraggio di dire a Benjiamin la verità?-
 
-Che c’entra, gliela dirò presto…-
 
-No non gliela dirai finché non avrai sistemato i conti con la tua coscienza. Comunque non avrai scelta Antlia,  presto lo incontrerai e lui svelerà a tutti la verità. Solo che racconterà quella verità che tu non vuoi sentire-
 
 -Ma chi sta arrivando? E di che verità vai parlando? Rispondi Carina…rispondi-
 
Clarice spalancò gli occhi inorridita. Aveva urlato? Non le sembrava. Si rigirò lentamente nel letto e vide Benji sprofondato nel sonno, il capo arruffato appoggiato al cuscino, il volto disteso ed appagato. Ma Clarice non era nelle condizioni adatte per apprezzare la dolce bellezza del suo ragazzo. Deglutì un paio di volte respirando a fondo ed attendendo che i battiti del suo cuore si acquietassero. Scivolò cautamente fuori dal letto recuperando a tastoni i suoi vestiti sparpagliati a terra sul tappeto color avorio.
 
La notte era calda ed afosa. Il cielo cosparso di miriadi di stelle, brillava incontrastato sopra il suo capo confuso e dolorante.
 
Ancora incubi.
 
Ma quando sarebbe finita quella tortura? Perché non sognava distese sconfinate di campi fioriti dove lei e Benji facevano l’amore senza preoccupazioni né paure?
 
Aprì silenziosamente il portone di casa e sgattaiolò attraverso l’atrio. Notò vicino al telefono un piccolo rettangolo di carta dove Nadine aveva scritto due righe con la sua calligrafia appuntita ed incerta. Lesse le poche righe:
 
Ore 19.40 ha chiamato il signorino Mark Lenders ha lasciato detto di richiamarlo appena possibile a qualsiasi ora del giorno o della notte a questo numero…-
 
Che strano messaggio e poi che numero era? Il prefisso non era di Tokyo… chiamarlo a qualsiasi ora …del giorno o della notte… Che ore erano? Le cinque e un quarto del mattino… rigirò nervosamente quel foglietto tra le mani, chiedendosi se fosse il caso  di chiamare o meno…
 
-------
 
Il cicaleccio fastidioso del telefono in camera destò Clarice dal pesante sonno in cui era immersa.
 
-Pronto?- rispose la ragazza con la voce impastata di sonno.
 
-Signorina c’è il signorino Benji in linea, glielo passo?-
 
-Benjiamin? Oh…sì Nanà grazie-
 
Il doppio clik metallico segnò il passaggio della comunicazione dalla linea interna alla sua stanza -Clarice? Ma dove sei finita? Perché te ne sei andata senza dirmi niente?- tuonò Benji dall’altro capo della cornetta.
 
-Ciao amore… buongiorno anche a te… mi sono svegliata in piena notte e non riuscivo più a riaddormentarmi e così ho preferito uscire per non svegliarti-
 
-Potevi svegliarmi ci avrei pensato io a farti riprender sonno…- disse con una chiara nota di malizia nella voce.
 
-Uh…non ti affaticare troppo lo sai che domani mattina partiamo per l’Europa?-
 
-Certo che lo so! Ma ho energie in abbondanza sia per vincere i mondiali sia per far felice la mia donna…-
 
-Presuntuoso!-
 
-No, realista. Le conosco le mie capacità, so fin dove posso arrivare…-
 
-A proposito di capacità, che farai dopo i mondiali? Accetterai il nuovo contratto dell’Amburgo?-
 
-Credo di sì, ma a te non dispiace trasferirti in Germania?-
 
-Io? Trasferirmi?-
 
-Certo. Tu verrai con me!-
 
-Ma Benjiamin sono appena tornata in Giappone…- la ragazza si irrigidì. In Europa? Lasciare quel rifugio magico che era la sua terra? Lasciare Patty, Nanà, la sua città, la pace infinita e l’equilibrio che solo Fusjisawa era riuscita a donarle? Lasciare Mark? No.
 
-Io non ci avevo pensato…-
 
-Ma come! Stiamo insieme Clarice e non ho intenzione di vivere un amore a distanza, di vederti una volta al mese o anche peggio!-
 
-Mah…non mi sembra argomento da affrontare al telefono. Vado a farmi una doccia e un’abbondante colazione. Ne riparliamo poi-
 
Interruppe bruscamente la comunicazione non lasciando a Benji nessuna possibilità di replica.
 
Lasciare il Giappone un’altra volta? Mai!
 
Ma non poteva condizionare la vita di Benji. Separarsi da lui?
 
-Ma è un vicolo cieco!- sbuffò Clarice indossando un paio di shorts rossi ed una canottiera bianca. Recuperò un paio di sandaletti bianchi molto comodi e  si precipitò fuori inforcando gli occhiali da sole per proteggersi dal riverbero del sole mattutino. Le era passata completamente la voglia di fare colazione e desiderava solamente raggiungere la casa di Patty al più presto.
 
Si fermò affannata davanti ad una villetta a schiera bassa e ben tenuta alla fine di una stradina tranquilla. Suonò il campanello e la signora Gatsby venne ad aprire dopo pochi istanti accogliendola con un caldo sorriso materno. Patty stava facendo colazione in cucina e non le sfuggì l’aria crucciata di Clarice.
 
-Allora che succede?-
 
-Oh Patty!Benji mi  ha chiesto di andare con lui in Germania dopo i mondiali- disse Clarice senza tanti giri di parole. Se non altro Maki e Mark le avevano insegnato ad affrontare i problemi di petto senza girarci inutilmente attorno.
 
-Ah….che peccato! Io credevo che saremmo andate all’Università assieme…-
 
-Ma è quello che voglio anch’io…ma…
 
-…lasciare Benji non è facile-
 
-Neanche lasciare te ed il Giappone e Nanà e…-
 
-Lui- concluse Patty sospirando.
 
-Lui chi?-
 
-Il tuo… angelo custode-
 
Mark, sempre lui. Quel numero… poteva chiamarlo e sentire la sua voce e tutto sarebbe stato più facile.
 
-Allora ti piace la mia idea?-
 
-Cosa? Che idea Patty?-
 
-Ecco lo sapevo! Ogni volta che lo nomino entri in una dimensione parallela e nessuno riesce più a comunicare con te. Sono la persona meno adatta a darti consigli in amore, visto la confusione che regna sovrana nella mia vita. Ma Clarice è chiaro come il sole che sei confusa e …-
 
-Alt! Ferma Patty il sentimento che mi lega a Mark non ha niente a che fare con quello che provo per Benjiamin-
 
-Va bene. Comunque ti chiedevo se ti va un giretto fuori città-
 
-Uao! Che idea splendida. Hai già in mente il posto?-
 
-Pensavo Osaka-
 
-Il mare …è una vita che non vado in quei posti-
 
-Allora è fatta lasciami 10 minuti per infilarmi un paio di pantaloni ed una maglietta-
 
-Ma come ci andiamo?-
 
-Chiedo l’auto  a mia madre. Oggi è il suo giorno libero e non le serve…-
 
-Ok, muoviti allora che Osaka ci aspetta-
 
Un quarto d’ora dopo le due ragazze erano sulla superstrada dirette a tutta velocità verso Osaka a bordo della rampante Maserati nera. Joseph aveva molto insistito per accompagnare personalmente le due ragazze, ma queste non avevano voluto sentir ragioni, quello era un giorno tutto per loro e non volevano intrusioni. E Patty dimostrò da subito una buona confidenza ed una discreta abilità nel dominare il potente motore dell’auto. In poco più di due ore le ragazze raggiunsero il lungomare di Osaka con i capelli arruffati dal vento ed il viso arrossato. Ma ridevano felici e Clarice cominciò finalmente a rilassarsi.
 
L’aria balsamica di Osaka stuzzicò l’appetito delle due amiche che decisero di pranzare in un localino spartano in riva al mare assaggiando deliziosi i piatti di pesce freschissimo e gelato artigianale.
 
Passeggiarono scalze in riva al mare lasciando che le onde lambissero i loro piedini delicati che lasciavano delle piccole impronte regolari  sul bagnasciuga.
 
-Clarice non so che dirti. Lascialo partire. Se vi amate la distanza non cambierà il vostro rapporto. Tu ti iscrivi all’università, concludiamo gli studi assieme e  poi tra qualche anno ne riparleremo. In fondo non hai ancora vent’anni, sei giovane. Ancora qualche anno di libertà te lo puoi concedere-
 
-Tu al mio posto faresti così?-
 
-Sì, credo di sì. E poi se proprio vedi che non funziona, che ti manca troppo, sei sempre in tempo a raggiungerlo ad Amburgo-
 
-Sì hai ragione. E poi basta pensarci. Ora ci sono i mondiali e staremo tutti a Londra felici e beati-
 
-Li dobbiamo vincere questi mondiali. Tutti dovranno rivalutare il calcio nipponico-
 
-Sì ma sono sicura che vinceremo, abbiamo una squadra eccezionale-
 
-Già puoi dirlo forte. Sono tutti straordinari-
 
-Holly è senza dubbio un capitano carismatico e saprà trascinare la sua squadra  alla vittoria-
 
-Holly…-
 
-Ci pensi ancora Patty?-
 
-Sempre. Un amore come quello che io ho provato per anni per lui non si dimentica in fretta. Ma mi rendo conto che un sentimento soffocato per tanto tempo perde forza e vitalità . questo è quello che è successo al mio amore. C’è sempre ma è sempre più debole e inconsistente…-
 
-E Tom?-
 
-Tom é…dolce, tenero, mi fa sentire importante, mi da tutto quello che io avrei voluto avere da Holly e non ho mai avuto. Ma non è Holly…-
 
-E questo è un male?-
 
-No Tom ed Holly sono così diversi e molto diversi sono i sentimenti che mi suscitano…-
 
-In effetti è una situazione molto complicata ma non forzare le cose. Te l’ho già detto lascia tempo al tempo-
 
-Già e lo stesso potrei consigliare a te-
 
-Ma no...io non ho da scegliere tra due uomini. Nella mia vita vi è posto per un unico amore e questo amore è indubbiamente Benjiamin. È sempre stato così e così sarà sempre-
 
-Ma quello strano legame che hai con Mark?-
 
-Appunto, è un legame misterioso e bellissimo. Lui ha lo strano potere di materializzarsi al mio fianco ogni volta che sono in difficoltà. mi fa sentire protetta, al sicuro…-
 
-Bah…ma stiamo parlando dello stesso Mark Lenders? Dell’attaccante in grado di spezzare le gambe agli avversari senza batter ciglio, di tirare una cannonata in faccia ad un povero portiere, terrorizzandolo di proposito? Di fare a pugni dalla mattina alla sera con tutti coloro che osano solo guardarlo?-
 
-Sarà come dici tu ma per me Mark è un amico sincero, una spalla su cui piangere e un appiglio a cui aggrapparmi in ogni istante. È un faro nella tempesta, un’oasi nel deserto, una speranza per una vita migliore…-
 
-Migliore di che cosa? La tua vita è meravigliosa!-
 
-Non è sempre stata così-
 
-Perché non mi racconti qualcosa del tuo passato Clarice?-
 
-Perché fa troppo male Patty-
 
-A Benji hai detto qualcosa?-
 
-No-
 
-E a Mark?-
 
-Non di proposito…-
 
-Come sarebbe a dire?-
 
-Ha sentito una telefonata tra me e mia madre, lui dice di non aver capito nulla, ma dal tono e dal mio stato dopo la telefonata ha capito alcune cose…ma esplicitamente non gli ho mai detto niente-
 
-Ho capito. Si sta facendo tardi Clarice, che ne dici di una bella corsa sino all’auto?-
 
-Ok …dove vai?-
 
-Corri lumaca che chi arriva ultima offre la cena stasera-
 
-Imbrogliona non vale- disse Clarice ridendo e gettandosi alla rincorsa dell’amica che aveva parecchi metri di vantaggio. Un’improvvisa frenata di Patty prese Clarice totalmente di sorpresa che per non piombare addosso all’amica, rischiando di far male ad entrambe, sbandò di lato finendo a terra.
 
-Patty sei impazzita? Che ti è preso?- sbuffò Clarice rialzandosi e togliendosi la sabbia dalle mani e dalla canotta.
 
Patty guardò Clarice con uno sguardo indecifrabile.
 
-Tu sapevi che lui era qui?-
 
-Lui chi?- Clarice si voltò  e lo vide. Stava calciando una palla tra le onde schiumeggianti con tutta la forza che aveva in corpo.
 
-Mark…-
 
-Il tua angelo ti ha seguita …-
 
-E che ti avevo detto? Lui c’è sempre quando io sto male. Vieni andiamo a salutarlo- disse Clarice felice prendendo Patty per una mano e correndo incontro al ragazzo.
 
Quanto le era mancato!
 
-Mark- gridò felice.
 
Ci fu una lunga pausa durante la quale il giocatore prese nota con riluttanza della presenza delle due ragazze e alzò gli occhi per guardarle, soffermandosi stupito su una in particolare.
 
Non era possibile!
 
La sua voce fresca gli toccò il cuore come una carezza ardente, tanto piacevole quanto dolorosa. Alla luce calda del tramonto, i capelli dorati di Clarice sembravano un’aureola di oro liquido attorno al volto ovale leggermente arrossato dal sole di quella lunga giornata trascorsa sulla spiaggia. E poi ancora i seni alti e le gambe slanciate coperte solo dei corti short rossi che le fasciavano i fianchi sottolineandone la sensuale rotondità… e quel sorriso sereno e sincero ma in fondo al quale resisteva sempre un’ombra di tristezza come se Clarice si impedisse di essere del tutto felice.
 
Non era possibile!
 
Aveva le allucinazioni! Erano giorni che lottava per togliersi la sua immagine dalla mente e ora gli materializzava davanti senza chiedergli neppure il permesso, facendo scricchiolare il suo equilibrio.
 
-Ciao - esordì Clarice sorridendo beata, ignara del turbamento del ragazzo.
 
-Che ci fate qui?- chiese di rimando duro e distaccato, distogliendo lo sguardo da lei e fingendo di cercare il pallone tra le onde.
 
-Che accoglienza calorosa!- sbottò Clarice facendo ancora un paio di passi in direzione del ragazzo.
 
Mark tacque, limitandosi ad agganciare col piede nudo la sfera che il mare gli aveva restituito.
 
Notando che il capitano della Toho non aveva alcuna intenzione di aggiungere altro, Clarice proseguì piccata -Ti prego frena l’entusiasmo perché potrei imbarazzarmi!-
 
Il ragazzo si decise a guardarla nuovamente. In quegli attimi di apparente apatia, Mark aveva fatto una violenza su se stesso e le sue emozioni, riportando tutti gli impulsi sotto il livello di guardia. Ora poteva affrontare quella creatura dal potere diabolico in grado di scombussolare la Tigre sino a farle perdere la ragione.
 
Clarice non poteva comprendere il reale motivo di  quel prolungato silenzio, osservò nervosa ed irritata quel ragazzo che la ignorava con tanta sfrontata maleducazione!  Annebbiata dall’ira, si portò istintivamente le mani ai fianchi.  
 
-Tsunami…calmati! Non vorrai fare a pugni con Lenders?- chiese Patty preoccupata riconoscendo la posizione aggressiva che l’amica assumeva quando si accingeva a fare a pugni.
 
-Certo che no Anego. Ma forse hai ragione tu è solo un arrogante, selvatico ed incivile-
 
-Ehi non esagerare! Siete voi che avete interrotto i miei allenamenti che pretendi che faccia i salti di gioia?- sbuffò Mark inarcando infastidito le sopracciglia.
 
-Va bene scusaci… volevo solo salutarti non mi aspettavo di trovarti qui- accondiscese Clarice attenuando il tono acido che aveva adottato.
 
-Neanche io se è per questo. Come mai da queste parti?-
 
-Una gita fuori città per rimetterci dal stress esami e prepararci psicologicamente per a partenza di domani-
 
-È  andato bene l’esame?- chiese lui ormai certo di avere tutto sotto controllo.
 
-Oh Mark, a meraviglia- disse entusiasta Clarice dimenticando l’irritazione per la fredda accoglienza dell’attaccante. Sempre la stessa storia… l’altalena di sentimenti che quel ragazzo le faceva provare nell’arco di pochissimi istanti, la lasciava sempre perplessa. Ma era un fatto che aveva imparato ad accettare senza porsi troppe domande… Iniziò a raccontargli per filo e per segno tutti i particolari dell’esame e Patty si stupì nel notare l’espressione interessata e divertita di Mark di fronte al fiume di parole della sua amica. Si sarebbe aspettata irritazione e nervosismo, non sembrava affatto contento di dover interrompere i suoi allenamenti, ed invece ascoltava paziente da più di dieci minuti lo sproloquio di Clarice.
 
-Quindi siete pronte per concentrarvi esclusivamente sulla squadra- disse ridendo non appena Clarice terminò il suo particolareggiato racconto.
 
-Eh già e tu sei pronto per segnare quanti più goal possibili?-
 
-Puoi scommetterci. Non sono mai stato più in forma-
 
-Uhm…non ne dubito- disse Clarice gettando uno sguardo ammirato al corpo del ragazzo coperto solo da un paio di pantaloncini cortissimi. Passò in rassegna con manifesta approvazione quel corpo asciutto e virile, i muscoli armoniosi del torace, completamente liscio eccettuato un rado groviglio di peli  sul petto, il ventre scolpito solcato da una leggera peluria che dall’ombellico scendeva giù sino a scomparire sotto l’elastico dei pantaloni. E poi quelle gambe d’acciaio, con dei muscoli talmente tesi che guizzavano possenti sotto la pelle abbronzata.
 
-Ehi non mi guardare così che potrei reagire…- la punzecchiò Mark notando fiero l’esame minuzioso a cui la ragazza lo stava sottoponendo.
 
-Cosa? Sei sempre il solito villano! Il mio era uno sguardo da intenditore!Sono la manager della squadra ed è normale che esamini i giocatori!- sbuffò Clarice punta sul vivo ma abituata alle insinuazioni dirette ed imbarazzanti del suo amico che ormai le suscitavano più divertimento che imbarazzo.
 
-Non esaminare troppo allora, altrimenti qualche portierino di nostra conoscenza potrebbe innervosirsi-
 
-La smetti di fare insinuazioni inopportune?-
 
-Ai suoi ordini signora!- la canzonò Mark sollevando le mani in aria in un comico gesto di resa.
 
Patty non intervenne in quel giocoso scambio di battute, ma non poté fare a meno di rimanere colpita dalla naturale complicità che vi era tra quei due. Clarice poteva negare ad oltranza, ma i suoi occhi parlavano per lei e quando quegli occhi incontravano quelli di Mark Lenders, erano scintille, pericolose ed eccitanti scintille, che potevano trasformarsi in un devastante incendio in qualsiasi momento.
 

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Capitolo 20
*** Il capitano tedesco ***


CAPITOLO 20. IL CAPITANO TEDESCO
 
-E comunque non hai alcun diritto di fare il geloso. Tu sei il primo a fare l’imbecille con tutte le belle ragazze che ti capitano a tiro- il tono collerico di Eve echeggiò nell’aria facendo voltare tutta la rappresentativa giapponese che stava pazientemente attendendo l’arrivo del pullman nell’ampio parcheggio del Victoria Park Hotel, uno dei più lussuosi alberghi di Londra, a pochi passi dalla cattedrale di Saint Paul.
 
-Ma che succede? Sembra che stamattina tutte le coppie siano in crisi- sbuffò Jason Derrik che poco prima aveva notato l’inconsueta tensione tra il loro miglior difensore, Julian Ross, e la sua inseparabile fidanzata dai capelli ramati. I due ragazzi, in genere sempre in armonia e in vena di coccole e sorrisi, erano quella mattina stranamente tesi e distaccati. Amy se ne stava in disparte tra Patty e Clarice e Julian si aggirava inquieto tra i compagni con un’espressione lugubre stampata in volto.
 
-Eve ma che succede?- chiese Patty allarmata, muovendo qualche passo in direzione dell’amica.
 
-Niente! Solo che questo cafone si è permesso di dire che io vengo allo stadio solo per vedere… Schneider- la voce della ragazza divenne suo malgrado sognante nel pronunciare il nome del bellissimo e famosissimo capitano della Germania.
 
-Ecco! Vedi non sei neanche capace a pronunciare il suo nome senza assumere quell’aria da gatta morta-
 
-Ma come osi!- sbottò Eve pronta a scagliarsi contro Bruce, se una mossa tempestiva di Patty non l’avesse bloccata.
 
-Calma, calma. Bruce non puoi essere geloso di Schneider. Tutte le ragazze del pianeta sono qui per ammirarlo. È una specie di sex simbol… ma questo non cambia il fatto che Eve ami solo te- tentò diplomaticamente di calmare gli animi Patty.
 
-Sarà … ma a me non va che la mia ragazza sbavi dietro a quel tedesco, che tra l’altro è anche il nostro avversario più forte-
 
-Ma che c’entra! In campo esiste solo il Giappone, e nel mio cuore ci sei solo tu… ma gli occhi meritano un po’ di piacere… e che piacere. Patty non sei emozionata? Vedremo il bellissimo Schneider dal vivo…chissà se è bello come in tv…- cinguettò Eve raggiante,dimenticandosi completamente dell’irritazione del suo fidanzato che sbuffò sconsolato mentre l’eccitazione serpeggiava sovrana tra le managers.
 
L’unica a non condividere quel clima di elettrizzante eccitazione, era Clarice che guardava stupida lo strano comportamento delle sue amiche.
 
-E tu che fai? Non vai in visibilio per Schneider?- le chiese Benji facendole un buffetto sulla guancia.
 
-Chi? Ma chi è questo Schneider?-
 
Gli occhi sgranati dell’intera squadra si puntarono su Clarice.
 
-Come? Tu non sai chi è Schneider!- chiese allibita Patty avvicinandosi all’amica e guardandola come se fosse impazzita -Karl-Hainz Schneider?-
 
-No- rispose semplicemente Clarice sempre più stupita.
 
-Tesoro, vuoi dirmi che non conosci l’affascinante capitano tedesco, il bellissimo e corteggiatissimo Kaiser? Sogno nascosto, e neanche tanto, delle ragazze di tutto il mondo?- le chiese Benji osservandola attento ed incapace di reprimere un sorrisetto a metà tra il divertito ed il compiaciuto.
 
-Ma cosa vuoi che ne sappia io del capitano tedesco? In America non si segue molto il calcio ed io non me ne sono mai interessata seriamente prima di tornare in Giappone. E insomma, cos’è questa storia? Io sono qui per il Giappone punto e basta. Le altre squadre non mi interessano! E tanto meno gli altri giocatori…-
 
-Ecco una che sa il fatto suo. Così si parla. Brava Clarice. Vedi Eve? Dovresti imparare da lei- disse Bruce stringendo grato la mano della manager bionda.
 
-Bah lascia perdere questo sciocco di Bruce e vieni con noi. In pochi minuti cambierai idea- disse Eve ignorando ancora una volta il suo ragazzo ed allontanando Clarice dal gruppo di giocatori.
 
Sedute sugli spalti le quattro ragazze si guardavano intorno frastornate dalla moltitudine di colori ed urla che riempivano lo stadio inglese dove tifosi esultanti, incitavano la propria squadra che si apprestava ad entrare in campo per dare inizio all’inaugurazione dei mondiali juniores di calcio.
 
Finalmente le note dell’inno dei padroni di casa si diffuse nell’aria e all’improvviso un silenzio irreale scese nello stadio.
 
-Ci siamo- bisbigliò Patty eccitata, afferrando le mani di Clarice e di Amy che le sedevano accanto.
 
Lentamente, con passo fiero e altero, la squadra inglese iniziò la sua sfilata. Il capitano inglese reggeva nella mano destra l’asta con la bandiera britannica che svolazzava  allegra mossa dal leggero soffio di aria calda di quella afosa giornata d’estate e nella sinistra la coppa del mondo d’oro massiccio. Tutti i giocatori, riserve e preparatore atletico compresi, entrarono in campo seguendo in fila indiana il loro capitano. Raggiunsero il centro campo e si disposero in riga sulla linea centrale con una mano appoggiata al cuore cantando il loro inno con espressione seria e concentrata.
 
-Con questo vedremo benissimo ogni cosa … e qualcuno in particolare- disse Eve ammiccando allusivamente e sfoderando un binocolo da borsetta.
 
-Ma non vi sembra di esagerare?- chiese Clarice disorientata dalle battute audaci delle sue amiche sul giovane capitano tedesco.
 
-Appena lo vedrai, capirai che non esageriamo affatto- disse Amy che abitualmente era la più timida e riservata in quel genere di cose, ma quel giorno era anch’essa pervasa da un’inconsueta eccitazione, che aveva mandato in bestia il calmo e fedele fidanzato.
 
Dalla loro posizione le ragazze non vedevano nulla più che delle macchioline chiare al centro del campo, ma Eve si affrettò a passare il suo binocolo per osservare da vicino i giocatori. Non appena l’inno si spense, lo speaker lesse ad alta voce la formazione inglese e diede l’ufficiale benvenuto alle squadre sfidanti.
 
Le formazioni che partecipavano ai mondiali erano 18 e la presentazione proseguiva a rilento. Al decimo elenco di nomi più o meno conosciuti, le intrepide tifose giapponesi, cominciarono ad accusare gli effetti del gran caldo estivo. Ma le ragazze, nonostante la sete e l’afa, non erano intenzionata a cedere, tenute incollate a quelle sedie sia dall’amore patriottico, sia dal desiderio di vedere il capitano tedesco.
 
Altre cinque squadre sfilarono in campo prima che l’altoparlante diffondesse nell’aria l’annuncio tanto atteso.
 
-La sedicesima squadra in campo … dall’estremo oriente, la squadra rivelazione del calcio moderno, signori e signore, accogliete con calore il paese del sol levante … il Giappone-
 
La stanchezza, il caldo opprimente e la sete non impedirono alle quattro giovani managers di saltare sugli spalti,  sbracciandosi e urlando “Vai Giappone”. Applaudirono con foga, mentre i venti giocatori nipponici ed il Mister si disponevano ordinatamente a centro campo, pochi passi più avanti delle altre squadre avversarie, presentate poco prima. Quando le note dell’inno si spensero lo speaker si apprestò per l’ennesima volta ad annunciare la formazione.
 
-Il capitano Oliver Hutton regge la bandiera bianca e rossa, seguono i portieri Benjiamin Price, Eduard Warner ed Alan Croker; i difensori Julian Ross, Bruce  Harper, Ralph Peterson, Clifford Yuma, Bob Denver, Carlie Custer; a centrocampo Ted Carter, Johnny Meson, Jason e James Derrik, Tom Becker, Danny Mellow, Paul Diamond, Patrick Everett, Sandy Winter; le punte Mark Lenders e Philip Callaghan ed infine il preparatore atletico Kirk Parson….-
 
-Finalmente sono in campo, credevo non entrassero più- urlò Clarice per farsi sentire dalle amiche sopra il boato assordante che esplodeva attorno a loro all’annuncio della diciasettesima squadra: l’Italia. L’inno di Mameli giunse confuso alle orecchie di Clarice intontita: se non avesse raggiunto al più presto un posto fresco ed una bibita dissetante, sarebbe svenuta.
 
-Ragazze non ce la faccio più, vado a bere, vi porto qualcosa?-
 
-Ma dove vai, la prossima è la Germania- la bloccò Patty
 
-Ma se non vado a bere svengo, scusatemi…- disse allontanandosi, ignorando le lamentele delle amiche.
 
-Stai attenta- le urlò Amy, prima che la ragazza svanisse inghiottita dalla folla.
 
Le ci vollero più di venti minuti per uscire dagli spalti facendosi spazio a forza sgomitando a destra e a sinistra. Si trovava nel lungo corridoio ricoperto da una rilassante moquette azzurra, già in parte ristorata dall’aria condizionata, quando un boato assordante, nel quale era percepibile una predominanza di acute note femminili, le fece capire che lo speaker doveva aver nominato il capitano tedesco. Clarice sorrise tra sé e sé pensando allo stato di eccitazione in cui dovevano essere le amiche in quel preciso istante.
 
Le ci vollero altri venti minuti per percorrere il lungo tunnel che portava alla zona ristorazione, raggiungendo a fatica il bancone marmoreo dove si affrettò ad ordinare una coca-cola ghiacciata. Trangugiò la sua bibita tutta d’un fiato, ancora qualche secondo e avrebbe perso i sensi sopraffatta dalla sete.
 
Comprò altri tre barattoli di coca-cola ed uscì sgomitando ancora una volta per farsi largo. Il fiume di gente che incontrò nel corridoio le fecero comprendere che la presentazione delle squadre era giunta a termine. In quel momento le diciotto squadre in lizza per la coppa del mondo erano tutte unite in campo, i maggiori giovani campioni del mondo erano pronti a confrontarsi lealmente e strenuamente sino alla conquista del trofeo finale. 
 
Le era impossibile ripercorrere il corridoio che conduceva agli spalti e dopo svariati tentativi di lotta infruttuosa contro quei corpi accaldati che spingevano per raggiungere l’uscita, sospirò sconsolata, accettando l’evidenza: avrebbe dovuto aspettare Patty e tutti gli altri nel parcheggio dello stadio.
Si mise in coda e si lasciò trascinare dalla folla, in pochi minuti raggiunse il parcheggio e si sedette ad aspettare pazientemente all’ombra di un frondoso platano. 
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-Insomma Patty mi vuoi dire dove è finita Clarice?- sbottò Benji giunto a pochi passi dall’autobus e piuttosto inquieto, dopo aver notato che Clarice non era neanche nel parcheggio.
 
-Eccola!- esultò Amy, scorgendo la figura snella e flessuosa di Clarice che attraversava il parcheggio venendo loro incontro.
 
-Ehi campioni! Siete stati favolosi- disse la ragazza allegra, raggiungendo il gruppo.
 
-Ma dove eri finita?- chiese Benji vistosamente rincuorato alla vista della ragazza.
 
-A prendere da bere, ma poi la folla mi ha trascinato fuori dallo stadio, non riuscivo più a tornare indietro e…-
 
-Benjiamin Price!-
 
Una profonda voce maschile, dal forte accento straniero, attraversò l’aria immobilizzando tutti i presenti. Patty Amy ed Eve si lasciarono sfuggire un urletto di eccitata sorpresa riconoscendo il grande Kaiser a pochi passi da loro, in tutta la sua sfolgorante bellezza. I biondi capelli gli sfioravano le spalle ampie e muscolose, la maglietta attillata color sabbia con lo stemma della nazionale tedesca stampata sulla sinistra all’altezza del petto, evidenziava meravigliosamente il fisico aitante del giovane. Ma ciò che ammaliava, stregava, incatenava le ragazze di tutto il mondo, era quello sguardo fiero e sprezzante che rifletteva i colori più puri del cielo.
 
Benji si allontanò da Clarice e si avvicinò velocemente al suo compagno di squadra dell’Amburgo, stringendogli calorosamente la mano. Il carisma del giocatore tedesco era tale che non solo le ragazze, ma anche gli stessi giocatori giapponesi erano, loro malgrado, attratti irresistibilmente dal ragazzo. In breve il ragazzo venne circondato e, nonostante l’altezza di Schneider, che sfiorava il metro e novanta, Clarice non riuscì a vedere altro che una testa bionda spiccare in mezzo ad una folla di teste nere.
 
-Schneider è un piacere rivederti- disse Benji, sinceramente felice di rivedere il suo vecchio amico.
 
-Anche a me fa molto piacere incontrarti. Ma sarà ancora più bello incontrarci in campo…l’uno contro l’altro- disse il cannoniere tedesco ricambiando lo sguardo complice del portiere.
 
-Certo- rispose Benji sostenendo senza timore lo sguardo fiero del tedesco che solo poche persone al mondo riuscivano a reggere.
 
-Allora a presto Price. Spero che la tua squadra riesca a superare il primo girone…- disse Schneider sprezzante, incapace di controllare la sua naturale propensione alla provocazione.
 
-Non scherzare Schneider, noi siamo qui per vincere-
 
La risata divertita del tedesco fece saltare i nervi a molti giocatori nipponici, l’irascibile Lenders aveva già mosso un passo minaccioso verso il biondo ragazzo, che lo guardò interrogativo, alzando un sopracciglio come unica reazione.
 
-Calma Mark … quanto a te, Schneider, ci vediamo alla finale- disse deciso il Capitano Giapponese appoggiando una mano sulla spalla del numero nove ed intervenendo per la prima volta nella discussione.
 
-Vedremo…a prest…- la maschera di fredda alterigia del numero dieci tedesco si sgretolò per una frazione di secondo, un tempo troppo breve perché qualcuno potesse accorgersi del turbamento improvviso del ragazzo.
 
Lei!
 
Un rimbombo metallico attirò l’attenzione dei ragazzi, che si girarono nell’istante stesso in cui la loro manager si chinava a raccogliere le lattine che aveva lasciato cadere a terra e che ora rotolavano rumorosamente sui ciottoli del parcheggio a qualche passo da lei.
 
Una delle lattine finì tra piedi di Schneider che si chinò a raccoglierla. Fece alcuni passi verso Clarice -Tieni- le disse semplicemente in inglese.
 
Clarice si sentì trapassare da parte a parte da un paio di occhi azzurri freddi come il ghiaccio. Seppe in un istante di essere perduta, perché il guizzo di sorpresa, che attraversò come un lampo le iridi trasparenti di Schneider, non le lasciarono dubbi sul fatto che l’avesse riconosciuta. Nonostante ciò trovò il coraggio di balbettare un -Grazie- sperando inutilmente di essersi sbagliata.
 
-Chi non muore si rivede – esclamò piano il giovane capitano in perfetto inglese, frantumando le sue ultime, tenui speranze.
 
-Ti sbagli…noi non ci conosciamo…- biascicò confusa, evitando di proposito quello sguardo indagatore.
 
-Ah no? Antlia …nell’alta moda c’era la voce di un tuo ritorno, ma credevo fosse un pettegolezzo e invece eccoti qui- disse alzando la voce mentre i ragazzi si avvicinavano, cercando di capire che avessero da dirsi la loro manager e il capitano tedesco.
 
Clarice messa alle strette, fece l’unica cosa che in quel momento le sembrò sensato fare.
 
-Ti prego stai zitto- lo supplicò con la disperazione dipinta in volto.
 
Il ragazzo le rivolse una lunga, eloquente occhiata e lei si sentì schiacciare sotto il peso di quegli occhi di ghiaccio fuso da cui dipendeva la sua vita.
 
-Cosa succede? Vi conoscete?- chiese Benji stupito dal pallore della sua ragazza.
 
-No…mi sembrava, ma mi sono sbagliato… non ho il piacere di conoscere la signorina…- disse Scnheider freddo ed imperscrutabile come sempre.
 
-Lei è Clarice una delle manager della squadra giapponese- spiegò Holly.
 
-Allora a presto- tagliò corto il glaciale capitano tedesco, guardando fisso Clarice, che non fece fatica  comprendere che quelle ultime parole erano rivolte a lei e non alle partite che avrebbero dovuto affrontare in quel campionato.
 
Durante il tragitto di ritorno all’albergo, una strana eccitazione serpeggiava tra i ragazzi nipponici, che animatamente commentavano le impressioni della giornata. Benji era attorniato dai suoi compagni di squadra che gli chiedevano ogni genere di informazioni sulla squadra tedesca e, in particolare, sul capitano. Questa eccitazione permise a Clarice di riprendersi in parte dallo shock e di elaborare con calma quanto successo, senza che Benji si accorgesse di nulla.
 
-Allora Clarice che ci dici del capitano tedesco ?- attaccò Eve
 
-Cosa volete che vi dica?- si schermì ancora lievemente agitata.
 
-Ma se sei sbiancata! Dai, ammettilo, sei rimasta anche tu folgorata- disse la timida Amy, abbassando la voce per evitare che Julian sentisse i suoi commenti sul temuto rivale.
 
-È bellissimo…no di più…- commentò Eve con aria sognante.
 
Come se avessero intuito che le loro ragazze stavano parlando di un altro uomo, Bruce e Julian richiamarono con una scusa le due donne, costringendole a prendere posto accanto a loro. Clarice e Patty rimasero sole i fondo al bus.
 
-Allora mi dici che è successo?- iniziò Patty senza mezzi termini.
 
-Cosa?-
 
-Clarice ho visto la tua reazione anche se hai tentato di nasconderla … fulminata dal bel tedesco?-
 
-No…é che non mi aspettavo che fosse lui…-
 
-Lui chi?-
 
-Patty io…lo conoscevo già. L’avevo conosciuto a San Francisco quasi due anni fa-
 
-E perché dicevi di non conoscerlo?-
 
-Non sapevo il suo nome…Karl vero?-
 
-Sì Karl-
 
Il sogno fatto l’ultima notte a Fukuroda si materializzò nella sua mente, i pezzi del puzzle andarono inesorabilmente al loro posto…
 
-…Antlia, tra poco lo incontrerai…-
 
-Chi?-
 
-Karl-
 
-E chi è?-
 
-Come non te lo ricordi? Ah forse non ricordi neanche più il nome dell’uomo che ho amato e che tu mi hai rubato…-
 
-Ci siamo allora- bisbigliò Clarice prendendo coscienza del tragico epilogo a cui stava giungendo la sua storia ad una velocità che la lasciava stordita, confusa, annientata.
 
Eppure Carina l’aveva avvertita molto tempo prima… il passato non perdona, lei questo l’aveva sempre saputo…
 
…siamo anime in una storia incancellabile…Con il gelo nella mente sto correndo verso te, siamo nella stessa sorte che tagliente ci cambierà, aspettiamo solo un segno, un destino, un’eternità, dimmi come posso fare per raggiungerti adesso…*
 
 
 
*Le parole sono tratte da “Gocce di memoria” canzone che Giorgia ha dedicato ad Alex Baroni.
 

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Capitolo 21
*** La resa dei conti ***


21. LA RESA DEI CONTI
 
Clarice rientrò in camera con il morale a pezzi e lo sguardo assente. Si sentiva svuotata, priva di forza e volontà, come una misera bambola di pezza abbandonata in fondo ad un armadio buio. Il cappio le si stava inesorabilmente stringendo attorno al collo e lei non vi si poteva opporre in alcun modo. Frustrazione e rabbia le dilaniavano l’anima mentre sconsolata si lasciava cadere sul letto trapuntato. Allungò un braccio e accese la radio, tanto per fare qualcosa, nella vana speranza di distrarsi e distendere i nervi tesi. Ascoltò in trance le notizie del notiziario del tardo pomeriggio della BBC:
 
sport. Si é appena conclusa allo stadio nazionale “Golden Sport” l’inaugurazione dei mondiali juniores che si terranno nel nostro paese a partire da sabato 25 giugno. Il primo girone vede in campo la Turchia, il Brasile, la Francia … la nostra nazionale contro…l’entusiasmo è alle stelle…i migliori auspici…
Come era possibile? Quel sogno non era un sogno, ma allora anche tutto il resto… …Karl…Carina…no basta…
…passiamo ora alla pagina dello spettacolo. Si fanno sempre più insistenti e concrete le voci che vogliono la giovane modella americana, soprannominata Antlia, come protagonista della prossima stagione della moda, che si aprirà tra due settimane a New York, per poi proseguire in Europa, attraverso le più rinomate passerelle della moda di Parigi, Milano e Londra. Ricordiamo che la giovane, non ancora ventenne, è stata coinvolta, circa un anno fa, in un giro di droga e prostituzione che ha intaccato la sua immagine, costringendola ad allontanarsi dalle passerelle forse per ricoverarsi in un centro di disintossicazione per evitare di fare la stessa fine che è toccata alla sua inseparabile compagna, Carina, morta di overdose in circostanze…
 
-Basta!- urlò saltando in piedi e scaraventando la radio contro la parete dove si frantumò con un sordo rumore di vetri rotti. Clarice osservò stralunata l’oggetto fatto a pezzi che spiccava contro il freddo marmo del pavimento lucido. Si passò una mano tra i capelli scarmigliati mentre sentì le ginocchia farsi molli e piegarsi inermi sotto il suo peso. Il trillo del telefono la riscosse brutalmente, facendole riprendere l’equilibrio ed impedendole così di accasciarsi a terra.
 
-Pronto?- disse sollevando meccanicamente la cornetta.
 
-Ciao Antlia-
 
-Chi parla?- chiese spenta, senza alcuna inflessione nella voce.
 
-Sono Karl-
 
-Che vuoi?- chiese rianimandosi mentre una rabbia cieca le saliva alla testa.
 
Era tutta colpa sua! Perché era ricomparso nella sua vita? Maledetto!
 
-Che accoglienza…dopo tanto tempo e dopo il nostro ultimo fugace incontro mi aspettavo qualcosa di più caloroso-
 
-Dimmi che vuoi e facciamola finita-
 
-Voglio te- disse lui con voce insolitamente calda e carezzevole.
 
-No- 
 
-Mi sembra di aver capito che i tuoi amichetti giapponesi non sappiano nulla di te…- proseguì lui ignorando la laconica protesta di lei.
 
-Appunto e perciò sei pregato di non immischiarti e di tacere-
 
-Ed è quello che farò se tu farai la brava con me- il suo tono ridivenne gelido e tagliente mentre pronunciava le ultime parole.
 
-Che cosa vuoi?- ripeté con fermezza la ragazza sentendosi definitivamente in trappola.
 
-Fatti bella stasera, passo a prenderti alle otto-
 
-Non se ne parla neanche-
 
-Cara…o accetti il mio invito o in men che non si dica tutto il Giappone saprà ogni cosa sulla bellissima e trasgressiva Antlia…in effetti mi chiedo come facciano a non saperlo già…-
 
-Vigliacco questo è un ricatto!-
 
-Chiamalo come vuoi…. l’ultima volta non mi sembravi indisposta verso di me…-
 
-Io non sono più quella che hai conosciuto-
 
-Me ne sono accorto. A proposito datti una sistemata perché ti ho vista un po’ trascurata…bella come sempre ma…ti mancava il fascino audace dei vecchi tempi…e un’ultima cosa Antlia…le persone come te non cambiano mai…a stasera - concluse con beffarda insolenza.
 
La comunicazione si interruppe brusca e veloce come era iniziata, lasciando Clarice tremante di rabbia e di paura.
 
Lampi di memoria, freddi e taglienti, come pugnalate in pieno petto…
 
-… Carina il tuo bello sta arrivando. L’ho visto dalle scale, tra qualche istante sarà qui con un mazzo enorme di rose…Ehi Carina mi stai ascoltando? Ma che stai facendo? Carina…-
 
Il corpo seminudo dell’amica era disordinatamente accasciato sopra la tazza, il laccio emostatico ancora avvolto attorno al braccio che cominciava a divenire bluastro, lo sguardo vacuo, assente e quel sorriso ebete, che Clarice avrebbe voluto cancellare a ceffoni…
 
-Carina… no… mio dio che hai fatto…un'altra volta…-
 
-Ch…chi…sta...a...a...arrivando?- balbettò la sua amica mentre l’eroina entrava veloce in circolo.
 
Non poteva permettere che la trovasse così…nessuno doveva sapere…
Maledizione, perché? Se l’avesse detto a qualcuno magari lei non sarebbe morta…e invece aveva sempre taciuto e nascosto ogni cosa… come quella volta…
-Ciao- disse languida sbarrandogli la strada
 
-Ciao- balbettò lui confuso
 
-Dove stai andando così di fretta?- lo provocò spavalda.
 
-Da Carina…è nel suo camerino?-
 
-Uhm…non lo so…ma non ti andrebbe una deviazione nel mio prima?- disse strusciandosi spudoratamente addosso al corpo massiccio del ragazzo.
 
-Eh…veramente…-
 
Antlia non gli lasciò scelta, impossessandosi vorace delle belle labbra carnose del ragazzo.
 
-Andiamo dove vuoi bellezza- si arrese infine lui senza troppa fatica.
 
Prese il biondo ragazzo per mano e lo condusse nel suo camerino. Non aveva ancora ben chiaro che cosa avrebbe fatto con lui…il ragazzo era indubbiamente eccitato e si aspettava un proseguo molto piacevole a quell’invito sfacciato…ma lei fino a che punto era disposta ad arrivare per proteggere Carina? A qualsiasi cosa! Spalancò la porta del camerino, fece entrare il ragazzo e la richiuse alle sue spalle. Squadrò il giovane immobile, in attesa al centro della stanza, perfettamente a suo agio tra montagne di stoffe colorate disseminate un po’ ovunque. In effetti doveva ammettere che Carina si sceglieva bene i suoi amanti… Altissimo, biondo, muscoloso, prestante e due occhi che avrebbero acceso con una sola occhiata la femmina più frigida…ma che fare ora?
 
-Che succede, timidezza improvvisa?- disse lui avvicinandosi e prendendola tra le braccia. Niente, non vi era più niente da fare…o forse sì? Forse avrebbe potuto respingerlo…evitare che…
 
Sbam!
 
La porta si schiantò letteralmente contro la parete e Carina, furiosa come non mai, irruppe nel camerino. Incredula, lanciò un urlo disumano di fronte al corpo ormai quasi nudo della sua amica tra le braccia del suo ragazzo.
 
-Questa poi! Antlia come hai potuto-
 
Sul volto di Carina lo sconvolgimento per quell’inaspettato tradimento si mescolavano agli effetti della droga ed Antlia ringraziò mentalmente il cielo: Karl non avrebbe mai potuto sospettare che lo stato di Carina fosse dovuto alla droga e non alla sorpresa di averli scoperti assieme…
 
-Questa non te la perdono. E tu schifoso traditore esci subito di qui-
 
-No aspetta è stata lei…Carina io stavo venendo da te…-si difese il ragazzo.
 
-Sicuro…chissà quanto ha faticato a convincerti a rinunciare ai tuoi piani…guardati…povero bambino sedotto…-
 
Nonostante il suo proverbiale sangue freddo, Karl arrossì sotto lo sguardo smaliziato di Carina,  conscio che il suo eccitamento era ben visibile a chiunque. Per una volta il Kaiser si sentì vulnerabile e ridicolo sotto lo sguardo di una donna furiosa.
 
-Vattene è meglio- disse Antlia che nel frattempo aveva indossato un accappatoio sopra al reggiseno di pizzo e alla gonna slacciata che la coprivano sommariamente.
 
Il ragazzo uscì senza aggiungere altro. Quando Clarice fu ben sicura che si fosse allontanato prese Carina per le spalle e la scrollò con violenza.
 
-Sciocca si può sapere che combini? Eri in condizioni pietose, ho dovuto distrarlo altrimenti ti avrebbe trovata fatta come una pera matura!-
 
-Ah lo hai fatto per me…-
 
-Questo è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, Carina, tu hai bisogno di aiuto-
 
-E tu sei un’impicciona, puttana e bugiarda! Non ci dovevi scopare per distrarlo!-
 
-Non ci ho scopato-
 
-Solo perché vi ho interrotti. Puttana!-
 
-Basta Carina. Ti perdono perché non sai quello che dici, ma ora mi segui in ospedale-
 
-Non ti seguo proprio da nessuna parte. Addio!
 
Ed era stato un vero addio!
 
L’aveva rincorsa ma così, nuda com’era, non poteva andare lontano. Fuori nevicava e faceva freddo …gelo dentro e fuori…
 
-Monia dov’è Carina?L’ho cercata dappertutto…-
 
-Ah se non lo sai tu che sei la sua sorella siamese…-
 
-Dai non rompere, dimmi dov’è-
 
-Alla festa di George Willis-
 
-Coosa? Willis?Che ci fa Carina da quel pappone di George Willis?-
 
-Perché ti stupisci? Non è la prima volta che va a quel tipo di feste…-
 
-No ti sbagli, Carina non lo farebbe mai-
 
-Sciocca. La roba costa e la prostituzione è un modo facile e veloce per procurarsela-
 
Ciaf!
 
-Non osare più dire una cosa del genere di Carina!- urlò,  prima di correre via lasciando la modella allibita a massaggiarsi la guancia dolorante.
 
-Oh guardate chi c’è! L’altezzosa e glaciale Antlia è scesa dall’Olimpo e si è degnata di venirci a trovare nel nostro paradiso-
 
-Togliti dai piedi George e dimmi dov’è Carina-
 
-Ma dai bella,  divertiti con noi e smettila con quell’aria da santarellina…Carina ce l’ha appena raccontato come scopavi felice con il suo nuovo amichetto-
 
-Questi non sono affari tuoi. Dimmi dov’è Carina e me ne vado-
 
-Ma smettila! Cosa credi di valere più delle altre? Sei una donnaccia come tutte e prima o poi ti abbasserai anche tu a fare sesso con noi-
 
-Vai al diavolo e non osare toccarmi bastardo. Carina me la cerco da me-
 
E l’aveva trovata…fredda ed esangue…la vita è un attimo e quell’attimo per Carina era passato…
 
E ora lui era tornato. E voleva lei. Voleva Antlia…quell’Antlia che lei gli aveva sfacciatamente presentato ma che non era nessuna: l’Antlia che Karl Hainz Schneider voleva non era mai esistita, né allora né tanto meno ora.
 
E se così non era? Ancora atroci, inevitabili, disarmanti sensi di colpa… Avrebbe potuto inventarsi una scusa qualsiasi ed allontanarlo… Avrebbe potuto dirgli che Carina se n’era già andata…. Avrebbe potuto…avrebbe dovuto… invece lo aveva condotto per mano nel suo camerino in preda ad una strana eccitazione. In effetti ricordava ancora chiaramente i baci e le carezze del Kaiser, dapprima aveva avuto paura, le era venuta persino la nausea, ma poi…qualcosa era scattato … qualcosa che non aveva saputo controllare … aveva ceduto accondiscendente alle sue carezze esperte, al suo tocco possessivo … Karl era stato il suo primo uomo…il primo bacio…le prime audaci, calde, sensuali carezze di mani maschili sulla sua pelle inesperta di adolescente …
 
E va bene! Era giunto il momento di saldare i conti col passato. Niente bugie, niente rimpianti, niente rimorsi … solo così avrebbe potuto continuare a vivere.
 
Era giunto il momento di scegliere: soffocare tra crudeli sensi di colpa, annientata da colpe che forse non aveva o liberarsi per sempre da quella rete di rimorsi che la intrappolava e … vivere … finalmente vivere … e amare …
 
Le ci volle un attimo per decidere. Una decisione sola ed ineluttabile. Una decisione che l’avrebbe portata lontano … forse troppo … forse troppo poco …
 
–Hai ragione tu Carina, ci sono ancora troppi conti in sospeso ma li salderò tutti…ad iniziare da Karl Hainz Schneider-
 
Preparò in fretta i suoi bagagli, scese nella hall e diede le istruzioni al facchino. Quindi oltrepassò le porte girevoli del centro estetico dell’albergo, affidandosi alle mani esperte dell’estetista solo dopo averle dato delle accurate e puntigliose istruzioni.
 
Alle sette e mezza una donna sfacciatamente provocante attraversava con passo sinuoso la hall del Victoria Park Hotel attirando, come una calamita, gli sguardi ammirati delle poche persone presenti nell’ampio atrio, accendendo fiammelle lussuriose negli animi degli uomini. La sensualità conturbante che ad ogni passo usciva da quel corpo, si mescolava all’alone di impareggiabile fascino che la donna sembrava gestire con noncurante sapienza. Evidentemente era abituata ad essere al centro dell’attenzione.
 
-Ma quella…CLARICE - chiamò perplesso il numero nove della nazionale, lasciando cadere a terra la rivista che stava distrattamente sfogliando. I due inseparabili compagni di squadra, Danny ed Ed, seduti di fronte a lui, lo guardarono esterrefatti. Spalancarono gli occhi sbalorditi nel riconoscere anch’essi la loro manager nella donna dalla carica erotica sconosciuta che aveva scombussolato la tranquilla pace della serata. Clarice si arrestò un attimo al richiamo dell’amico ma decise di non voltarsi. Incontrare lo sguardo di Mark le avrebbe tolto qualsiasi forza e lei aveva bisogno di tutta la sua determinazione per abbandonare coloro che amava. Proseguì decisa, infilandosi tra le porte dell’ascensore che un inserviente teneva appositamente aperte per lei.
 
La ragazza trasse un profondo respiro prima di bussare alla porta. Il suo tocco voleva essere deciso invece risultò estremamente debole. La porta si aprì quasi subito e la vista di Benji, teneramente avvolto in un accappatoio bianco, che esaltava il colore profondo degli occhi, le fece tremare le gambe.
 
-Clarice…ma che…amore sei splendida…-
 
-Benjiamin ti devo parlare- disse riprendendosi in fretta da quello stupido cedimento. Aveva iniziato la salita, sarebbe arrivata sino in cima…in cima alla sua vita…
 
-Dimmi…ma non riesco a credere…ma che hai fatto?-
 
-Sono tornata me stessa…- disse gelida mentre in cuor suo avrebbe voluto liquefarsi tra le sue braccia. Ma non aveva scelta … doveva lasciare Benji fuori da tutto quella storia…
 
…basta un fiore solo in mezzo ad un mucchio di rifiuti, basta un po’ di cielo che qualcuno lascia ancora vedere, basta il tempo di un volo di pellicani sopra spiagge nere…ed è ancora vita…**
 
-Che vuol dire?-
 
-Non sono la ragazza che tu hai conosciuto. Io sono la donna che tu vedi ora, in questo momento. Spregiudicata, trasgressiva, spudorata…rivedere Karl mi ha riportato alle mie origini. Ho finto per troppo tempo, ma ora sono stufa, voglio tornare ad essere quella che sono in realtà-
 
-Clarice che stai cercando di dirmi? Che c’entra Karl?-
 
-Io e lui stiamo insieme da….un anno…mi ero stancata di lui e mi ero presa un periodo di pausa in Giappone. Sono stata bene, mi sono divertita con te, ma oggi mi sono resa conto che amo solo lui. Siamo fatti della stessa pasta. Tu non c’entri niente con me o con lui…caro Benjiamin sei stato uno spassoso diversivo … -
 
-Ma sei impazzita Tsunami!-
 
-…amo Karl e torno con lui- sottolineò inespressiva come se stesse recitando con leggerezza un copione imparato a memoria - Addio, stasera me ne torno in America. Conserverò un…divertente ricordo di te e di tutti gli altri ma…un bel gioco dura poco e il nostro è finito…- concluse arretrando di qualche passo, diffidando dello sguardo truce e minaccioso con cui il portiere si stava avvicinando
 
-Benjiamin amore mio… il mio cuore ti urla il mio amore, ma lo devo soffocare. Oh vi prego dei di tutti i cieli, fate in modo che non oda altro che le mie menzogne. Carina aiutami,  fai che Benjiamin non mi legga nell’anima come lui solo sa fare…-
 
-Su, non la prendere così… ti sei divertito anche tu in fondo…-disse spazzando l’aria davanti a sé con la mano in un gesto di sprezzante noncuranza.
 
-Taci! Tu o sei impazzita o stai scherzando! Clarice io parlo con il tuo cuore lo sai e non è questo quello che mi ha detto in questi giorni che siamo stati insieme, non è questo che mi dice ogni volta che facciamo l’amore…e poi non ti credo che stai con Karl…Clarice eri vergine, perdio!-
 
-Ah una sciocca messa in scena…mi hanno detto che agli uomini piace essere i primi ed io uso questo trucchetto con ogni nuovo amante…- disse alzando gli occhi al cielo in un gesto molto eloquente.
 
-Ma non sono mica stupido, certe cose le capisco!-
 
-Sei uno stupido se credi che io ti abbia amato anche un solo istante. Te lo ripeto sei stato un piacevole passatempo, ma ora non ho più tempo. Karl mi aspetta nella hall e…mio caro, mi spiace dirtelo, ma non sei neanche granché come amante. Spero di averti insegnato qualcosa ma…hai ancora parecchia strada da fare…- quell’ultima frecciata era il massimo che Clarice poteva far uscire dal suo cuore straziato. Umiliarlo era l’unico modo per bloccare la furia che ora divampava nelle profondità dei suoi occhi scuri. Benji non le credeva, voleva trattenerla, glielo leggeva in faccia. Se solo lui l’avesse presa tra le braccia e stretta forte, lei avrebbe ceduto, si sarebbe accasciata contro il suo petto e gli avrebbe detto ogni cosa … ma Benji rimase zitto ed immobile.
 
E Clarice uscì dalla stanza e dalla sua vita.
 
Un ragazzo, elegantemente vestito in un completo nero dal taglio squisito, attendeva vicino alla porta d’entrata dell’albergo, esaminando con noncuranza l’arredamento della hall. La sua maschia bellezza ed il carisma magnetico che emanava la sua imponente figura, attrassero ben presto sguardi di manifesta ammirazione.
 
-E quello che ci fa qui?- chiese Bruce, indicando il capitano tedesco ai compagni con un gesto del capo mentre mentalmente ringraziava il cielo che Eve fosse ancora sotto la doccia.
 
Mark non badò neanche all’indicazione di Bruce ma rimase immobile a fissare la figura ancheggiante della donna che attraversava in quel momento la stanza diretta verso il biondo ragazzo che, all’apparire di Clarice, distese i lineamenti aristocratici in un sorriso compiaciuto.
 
-Eccomi. Scusa il ritardo- disse giunta a pochi passi da Karl.
 
-Non importa…ne è valsa la pena…- disse ammirando la figura slanciata ed intrigante della ragazza avvolta da un miniabito nero di seta vaporosa che si apriva pericolosamente rischiando di scoprire le rotondità di quel corpo magnifico ad ogni passo.
 
Il Capitano tedesco le offrì il braccio e lei vi si poggiò con apparente noncuranza, in realtà stava lottando per reprimere le ondate di nauseante odio che il contatto con quell’uomo le provocava. Ancora non gli perdonava di averla costretta a quella pietosa sceneggiata con Benji…Benji…il suo dolcissimo Benji…
 
-Clarice- tuonò una voce familiare alle sue spalle. La ragazza nemmeno si volse, sapeva bene chi l’aveva chiamata.
 
-Una parola, una sola parola e io ti giuro capirò che debbo fare-disse Mark, afferrando la ragazza per una spalla.
 
-Lasciami- disse gelida, non lasciando trapelare nulla dell’agitazione che le serrava dolorosamente lo stomaco.
 
-Ehi l’hai sentita? Lasciala stare- la difese Karl, allontanando con un gesto brusco la mano dell’attaccante giapponese serrata protettivamente sulla spalla della ragazza.
 
-Clarice…- mormorò Mark, arretrando di un passo con la morte negli occhi, troppo confuso per poter reagire adeguatamente alla provocazione del tedesco.
 
-Lasciami andare Mark, solo questo ti chiedo- disse impassibile come un automa.
 
-Clarice…- ripeté il ragazzo in un ultimo disperato tentativo.
 
-Dai Antlia andiamo- ordinò autoritario Schneider, trascinando la ragazza oltre la porta.
 
NOTE:
** Le parole sono tratte da “Ancora Vita” di Ramazzotti
 

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Capitolo 22
*** La partenza di Antlia ***


CAPITOLO 22. LA PARTENZA DI ANTLIA
 
-Cosa? Clarice se n’è andata con Karl? State scherzando?-
 
-E non urlare così Patty! Te l’ho detto e te lo ripeto- insistette Bruce mentre un’ora dopo raccontava quanto successo al resto della squadra.
 
-Ma non è possibile…dov’è Benji?- chiese allibita la ragazza guardandosi attorno.
 
-Già dov’è Benji?- ripeté Tom preoccupato.
 
-Io l’ho visto poco fa al bar, era solo e stava bevendo … mi é parso strano… ma non ho osato avvicinarlo…non ho molta confidenza con lui…- disse Eve che temeva il caratteraccio del portiere ed evitava ogni contatto con lui, soprattutto quando di umore nero.
 
-Andiamo a vedere - disse Tom dirigendosi in fretta verso il bar, seguito a ruota da Patty ed il resto della squadra.
 
Trovarono il portiere appollaiato in precario equilibrio su un alto sgabello accostato al bancone del bar, intento a mandar giù l’ennesimo bicchiere di brandy. Non serviva un accurato esame per stabilire che il ragazzo era ubriaco fradicio: gli occhi assenti, il sorriso ebete, la posizione scomposta ed incerta, non lasciavano il benché minimo dubbio. Nonostante lo spettacolo pietoso che aveva di fronte, Tom non desistette dal suo intento, tentando egualmente di sapere qualcosa di più preciso riguardo Clarice.
 
-Benji che è successo tra te e Clarice?- gli chiese il centrocampista scandendo bene le parole come se parlasse ad un bambino di pochi anni.
-E chi sarebbe Clarice?- biascicò il portiere con la bocca impastata dalla dose eccessiva di liquore che aveva ingurgitato.
 
-Dai Benji, Clarice…-
 
-Ah quella Clarice…ha detto che il gioco è finito e che se ne torna in America …con Karl…il suo unico amore…sic- disse puntellando le mani sul banco e tentando di alzarsi dallo sgabello. Le forti gambe erano però incapaci di sorreggere quella massa barcollante, tanto che Mark dovette fare uno scatto afferrandolo per le spalle ed impedire che il grande SGGK finisse poco dignitosamente disteso a terra.
 
-È completamente fatto! Non otterremmo niente da lui!- dichiarò l’attaccante allontanando il suo volto da quello del portiere, disgustato dal forte odore acidulo che impregnava l’alito di Benji.
 
-Ma Clarice se n’è andata veramente con Karl! Io non ci capisco nulla!- borbottò sconsolato Tom, passandosi nervosamente una mano tra i corti capelli castani.
 
-Sì questo te lo posso giurare. L’ho vista con i miei occhi- insistette Bruce.
 
-Ma tu Mark le hai parlato, che ha detto?- indagò il giovane centrocampista, intenzionato a venire a capo di quella incomprensibile faccenda.
 
-Niente di lasciarla andare…-
 
-E lui che ha detto?-
 
-Di lasciarla stare-
 
-Patty tu sai qualcosa?-
-Fammi pensare…uhm….ah sì…in autobus mi ha detto che non si aspettava di rivedere Karl...-
 
-Come?!?!- la interruppe Tom facendo un balzo e fissando l’amica come fosse un oracolo in procinto di svelargli una grande verità -Ma se aveva detto di non conoscerlo!-
 
-Non sapeva il suo nome, ma lo conosceva…l’ha incontrato due anni fa in America…-
 
-Cosa? In America?- chiese Tom che finalmente cominciava a comprendere che cosa fosse successo, anche se la consapevolezza non lo rincuorava affatto -Mark…per caso Karl l’ha chiamata con uno strano soprannome?-
 
-Sì ora che mi fai pensare sì aspetta…-
 
-Antlia?-lo incalzò il ragazzo certo della risposta che avrebbe ricevuto.
 
-Sì esatto…ma che vuol dire?- chiese Mark perplesso, caricandosi Benji in spalla, stufo di tenerlo sollevato per le ascelle. Il portiere aveva reclinato il capo all’indietro e ora russava rumorosamente, ignaro dell’agitazione che vibrava attorno a lui.
 
-Patty presto dobbiamo andare- esclamò il numero undici muovendo alcuni passi verso l’uscita mentre i compagni lo guardavano come se fosse impazzito.
 
-Dove?- chiese timorosa la ragazza, ma già pronta a scattare ovunque Tom la volesse condurre.
 
-A recuperare Clarice-
 
-Ma Tom, non l’hanno rapita! È andata di sua spontanea volontà…- protestò Mark.
 
-No ti sbagli…è andata perché Karl la sta ricattando-
 
-Cosa?- disse esterrefatto il giovane attaccante lasciando involontariamente scivolare dalle spalle il povero portiere che avrebbe rovinato a terra in maniera molto dolorosa, se Bruce e Julian non si fossero opportunamente tuffati per prendendolo al volo.
 
-Presto Patty vai a recuperare l’indirizzo dell’albergo della nazionale tedesca, intanto io chiamo un taxi- ordinò Tom prendendo in mano la situazione con estremo sangue freddo nonostante l’agitazione che gli opprimeva il petto.
 
-Vengo con voi- protestò Mark affiancandosi al numero undici.
 
-No, tu occupati di Benji, meno siamo e meno diamo nell’occhio…e più possibilità abbiamo di fare in tempo. Non insistere mi faresti solo perdere del tempo prezioso e ti assicuro che non è il caso-
 
Di fronte a quella replica decisa, il bomber giapponese capitolò di malavoglia e non prima di aver ammonito con un’occhiata molto eloquente il compagno, facendogli capire che, se non avesse portato indietro Clarice sana e salva, avrebbe fatto meglio a cambiare pianeta.
 
-Tom mi vuoi spiegare che sta succedendo?- chiese Patty una volta che il taxi partì sgommando a tutta velocità alla volta del King’s Royal Hotel, dove era alloggiata la nazionale tedesca e il capitano Karl Hainz Schneider.
 
Il ragazzo si volse e guardò Patty seduta rigidamente accanto a lui, con il viso contratto in una smorfia di preoccupazione ed angoscia, gli occhi neri sgranati, velati di paura. Era chiaro che la ragazza stava facendo tutto il possibile per non lasciarsi andare ad una crisi di pianto isterico. Tom decise che era ingiusto tenerla ancora all’oscuro, avrebbe fatto qualsiasi cosa per cancellare quel dolore dal volto della donna che amava, anche tradire un segreto… ma questa forse era la cosa più giusta da fare, anche per Clarice, soprattutto per Clarice, era giunto il momento di far crollare quel pietoso castello di segreti e mezze verità.
 
-E va bene Patty ti dirò tutto. Clarice… Antlia era una delle modelle più famose e più belle degli States. Sfilava sempre in coppia con una ragazza afroamericana soprannominata Carina. Insieme formavano la coppia più bella e richiesta dell’alta moda. Purtroppo però Carina morì, circa un anno fa, di overdose e Clarice fu coinvolta in uno scandaloso processo che si concluse con la sua totale assoluzione, ma che, evidentemente, non ha cancellato i suoi sensi di colpa. Si ritiene responsabile della morte della sua migliore amica, si vergogna del suo passato. È stata troppe volte giudicata ed accusata senza possibilità di difesa e teme di essere giudicata e disprezzata ancora una volta dalle persone che ama-
 
Un silenzio carico di stupore, misto a compassione, accolse la sconcertante rivelazione di Tom. Ma Patty si costrinse a riprendersi in fretta, non era il momento di farsi paralizzare dal panico, cominciava dolorosamente a prendere coscienza dell’infinito bisogno di aiuto di cui Tsunami aveva bisogno. La sua impertinente e dolcissima Tsunami era invischiata in un mare di brutture inconfessabili -Tom…è terribile…io sapevo che c’era qualcosa che la turbava, ma non potevo immaginare questo orrore… ma perché non mi ha mai detto niente?-
 
-Te l’ho detto, si vergogna e teme il giudizio della gente. Dice che se non le ha creduto sua madre non le crederebbe nessuno-
 
-Sciocca! Come può quella donna fredda e cattiva condizionare a tal punto la vita di Clarice? Perché non capisce che chi le vuole bene sa come lei è in realtà? Io non l’avrei mai giudicata…e Benji? Lui cosa sa?-
 
-Niente nessuno sa niente. Io lo so solo perché sono stato in America e la conoscevo, ma non si è mai confidata con anima viva-
 
-E tu credi che Karl la ricatti?-
 
-Ne sono certo…eccoci arrivati finalmente! Forza inventati una scusa per andare in camera di Schneider- le ingiunse il ragazzo gettando delle banconote sul sedile anteriore del taxi e uscendo di corsa dall’auto.
 
-Ma chi ti dice che siano lì?- chiese Patty non appena entrarono nella hall dell’albergo.
 
-Cosa pensi voglia un tipo come Schneider da Clarice?- le chiese Tom con un sorriso amaro che increspava le belle labbra.
 
Patty arrossì, non lo voleva accettare, ma sapeva bene che cosa Tom intendesse e, constatazione anche peggiore, sapeva perfettamente che aveva ragione. Sollevò il capo decisa, avviandosi con passo combattivo alla reception.
 
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-Perché mi hai portata in camera tua?- proruppe la ragazza con tono preoccupato mentre spalancava la finestra che portava nell’ampia veranda da cui si poteva scorgere il campanile del palazzo del parlamento con il suo famoso orologio che scandiva le ore di tutto il mondo.
 
-Mi hai chiesto un posto tranquillo per parlare…più tranquillo di questo- rispose con espressione falsamente candida il ragazzo, afferrandola per le spalle e dilungandosi in sensuali carezze lungo le braccia scoperte.
   
-Fermo! Tieni giù le mani da me Schneider! Hai frainteso tutto. Io ti debbo chiarire alcune cose- disse Clarice scostandosi bruscamente e stringendosi le braccia sottili attorno al petto in un inutile tentativo di difesa, sentendosi piccola e vulnerabile sotto quegli occhi che sembravano volessero divorarla.
-Poi mi dirai tutto quello che vuoi ma ora…mio dio Antlia… sapessi quante volte ti ho sognata… quante volte mi sono svegliato in piena notte in preda all’eccitazione …il tuo corpo mi fa impazzire…- mormorò il ragazzo, affondando le mani nei capelli dorati di lei, sciogliendole con un sol veloce gesto lo chignon morbido in cui li aveva raccolti.
-Schneider! Ma cosa… - protestò la ragazza facendo ricorso a tutte le sue forze per liberarsi dalla presa di acciaio con cui il ragazzo l’aveva imprigionata con sorprendente rapidità.
Un paio di occhi di un azzurro indescrivibile la scrutarono con desiderio bruciante e Clarice si sentì soccombere, troppo debole di fronte a tanta virile passione -Lasciami subito! - ordinò in un disperato impeto di ribellione, tentando di controllare il panico che iniziava ad annebbiarle la mente.
In risposta Karl la strinse a sé con rinnovata violenza.
-Lasciami andare- balbettò lei senza fiato.
Clarice, istintivamente, gettò indietro il capo, terrorizzata, dibattendo nella speranza di liberarsi dal quell’abbraccio soffocante, ma lui stringeva sempre più forte rendendole palese l’inutilità dei suoi sforzi. 
-Sei così bella…ed è da tantissimo tempo che desidero questo momento - mormorò, circondandole la vita con un sol braccio mentre con la mano libera le accarezzava impunemente il seno.
-Antlia finalmente mi darai ciò che mi hai promesso due anni fa…- borbottò scrutandola con sguardo lascivo.
I loro visi quasi si toccavano. L’alito caldo del giocatore sfiorava la fronte di Clarice che, incapace di controllarsi oltre, lasciò che il terrore prendesse il sopravvento, paralizzandola.
Karl non fece caso all’espressione terrorizzata della ragazza, accecato com’era dalla voglia di lei, dalla brama di possedere quel corpo che per un intero anno gli aveva tolto il sonno, la tranquillità, spingendolo a cercare, in decine di ragazze accondiscendenti, un minimo di soddisfazione per acquietare la sua brama sconfinata.
Strinse con maggior foga quel corpo morbido al suo, Clarice gemette di dolore, quella stretta le impediva quasi di respirare mentre l’eccitazione evidente del ragazzo premeva contro il suo ventre, facendole salire ondate di nauseante frustrazione. La ragazza resisteva ostinatamente alle labbra di lui, che fameliche reclamavano una sua risposta, torturandole la fronte, le tempie, i lobi delle orecchie, l’invitante curva della gola.
Non avrebbe potuto resistere ancora a lungo, la mano di Karl, infatti, aveva abbandonato il suo seno per premere con forza sotto il suo mento, costringendola ad alzare il capo. Doveva scuotersi da quella paralisi in cui era precipitata, reagire, farlo ragionare in fretta. Con un profondo sospiro Clarice tentò di schiarirsi le idee -Karl aspetta io…non voglio. Non volevo allora e non voglio ora-
-Ma che vai dicendo? Se mi sei saltata addosso peggio di una cagna in calore…-
 
-Lascia che ti spieghi perché l’ho fatto…- disse puntando le mani sul petto scolpito ed incredibilmente ampio di lui, respingendolo con tutte le sue forze.
 
-Sta zitta, non voglio sentire le tue bugie. Non mi interessa perché lo hai fatto, voglio solo godere del tuo corpo, prendermi ciò che due anni fa mi hai promesso..-
 
-Ma io non ti ho promesso proprio un bel niente-
 
-Zitta- le intimò il ragazzo, afferrandola con forza per i fianchi e scaraventandola sul letto. Clarice  rimbalzò sul soffice materasso e sarebbe finita certamente a terra, se Karl non si fosse gettato su di lei come una furia, schiacciandola con tutto il suo peso. Il terrore che provava nel non riuscire ad allontanarlo, nel sentire quel corpo pesante gravargli addosso, le fecero capire di essere perduta, le idee si mischiarono confuse nella sua mente ed invece di parole le uscirono solo singhiozzi.
 
Le mani avide di Karl non avevano perso tempo, si erano infilate sotto la gonna e si chiudevano bramose attorno al suo sesso. La ragazza scalciava e si contorceva, ma lui era troppo forte e non sembrava per nulla preoccupato di farle male.
 
-Ti odio. Credi che violentandomi ti sentirai più uomo?- disse singhiozzando disperata.
 
-Cara non oserei mai forzare una donna…ma…con te è diverso. So esattamente che non desideri altro che appartenermi e che tutta questa resistenza non è altro che un’altra delle tue messe in scena…-
 
-No. Lasciami spiegare, capirai che hai frainteso il mio comportamento di due anni fa che…- il lampo di incertezza che vide sfrecciare negli occhi chiari di Karl le accesero una debole speranza.
 
Dei pugni assestati con inaudita violenza contro la porta rimbombarono nella stanza. Karl sollevò il capo confuso, Clarice smise di singhiozzare e, approfittando della momentanea distrazione di lui, lo spinse di lato con tutte le sue forze, sgattaiolando lontano. Si precipitò alla porta girando la chiave che il ragazzo aveva chiuso dall’interno.
 
-Clarice…mio dio che ti ha fatto?-
 
-Tom- la ragazza si gettò tremante e sconvolta tra le braccia confortanti dell’amico.
 
-Che le hai fatto porco. Patty occupati di lei- ordinò il ragazzo, allontanando a malincuore l’amica disperata.
Il dolce, pacato Tom, si lanciò come una furia addosso al prestante capitano della Germania, assestandogli un pugnoin pieno volto, con una violenza tale da mandarlo a sbattere contro la parete tappezzata della camera. Un rivolo di sangue scese velocemente dal labbro rotto di Karl, macchiandogli il colletto immacolato della camicia da sera.
Il volto di Tom era trasfigurato dalla rabbia e dal desiderio di far pagare a quel vigliacco l’affronto che aveva fatto alla sua vulnerabile amica.
-Avvicinati ancora a Clarice e te la dovrai vedere con me e soprattutto con Benji Price, l’unico al mondo che ha il diritto di toccare Antlia, sporco maiale-
Patty stringeva tra le braccia l’amica singhiozzante mentre guardava con stupore la trasformazione avvenuta nel ragazzo. La ferocia e la determinazione che vide in Tom in quel momento la fecero sentire fiera di sapere che quell’uomo forte e virile era suo. Suo, solo ed esclusivamente suo!
 
-Dai qua Patty- disse Tom prendendo Clarice tra le braccia e sollevandola di peso -Andiamo a casa piccola onda…il tuo mare non è questo- le sussurrò depositandole un delicato bacio sui capelli profumati. Clarice si abbandonò felice tra le braccia di Tom, il suo porto sicuro, la sua ancora di salvezza…
 
Ma non questa volta…
 
-Tom…- mormorò non appena il ragazzo la depose delicatamente sul sedile posteriore del taxi.
 
-Zitta. Sta tranquilla Clarice, io ho capito tutto. È giunto il momento della verità-
 
-Sì Tom…la verità …quando tornerai all’albergo vai alla reception e chiedi all’inserviente di darti la lettera indirizzata alla squadra giapponese…- disse con gli occhi persi nel vuoto e un’espressione di incomprensibile serenità.
 
-Cosa?- urlò allibito il ragazzo.
 
-La mia verità- spiegò calma- Leggila domani assieme a tutti gli altri, anche Karl…fai in modo che questa lettera giunga anche a lui, me lo prometti Tom?-
 
-Ma perché una lettera? Potrai spiegare tutto a parole domani…- intervenne Patty che sino a quel momento se n’era stata ad osservare in silenzio.
 
-Domani sarò a San Francisco- replicò Clarice con sconcertante semplicità, come se quella fosse la cosa più ovvia da fare.
 
-Perché Tsunami? Perché vai via?- le chiese Patty afferrandole una mano e stringendola forte tra le sue, per nulla contagiata dallo stato di quiete che sembrava aver invaso l’animo dell’amica.
 
-Perché…io devo risolvere alcune questioni che ho lasciato in sospeso-
 
-Ma tu mi hai promesso di rimanere in Giappone con me, che saremo andate all’università assieme…-
 
-Ed è quello che voglio Anego. Ma prima ci sono delle cose…che devo risolvere-
 
-Non ti lascerò partire, nessuno di noi te lo permetterà-
 
-Anego ti scongiuro non fermarmi. Solo se sistemerò il caos che mi sono lasciata alle spalle, potrò tornare da voi ed essere finalmente me stessa. Questa volta senza segreti, senza rimorsi, senza bugie…-
 
-Promettimi che tornerai da noi molto presto Tsunami-
 
-Te lo prometto Anego-
 
Le due ragazze si fusero in un lungo, sincero abbraccio che Clarice avrebbe custodito tra i suoi ricordi più cari, dandole forza e sostegno in quel difficile viaggio a ritroso che si appestava a compiere.
 
Poco tempo dopo, davanti al nastro del check-in, le due ragazze erano ancora saldamente abbracciate.
 
-Amo Tom ora lo so- le sussurrò Patty all’orecchio.
 
-Lo sapevo. Vi auguro ogni felicità. Ed anch’io voglio essere felice Patty. Ti scongiuro non cercarmi, non seguirmi e fai in modo che nessuno lo faccia. Pensate solo ai mondiali e poi…io tornerò da voi- disse Clarice soffocando la commozione che comunque le si leggeva in faccia.
 
Patty troppo scossa da quell’inaspettato addio, si limitò ad un debole cenno d’assenso col capo, voltandosi subito dopo per soffocare i singhiozzi convulsi che non riusciva più a trattenere, contro il petto rassicurante di Tom.
 
Clarice diede le spalle ai due amici, scomparendo nel grande aeroporto inglese senza più voltarsi indietro. Guardare Patty e Tom avrebbe significato tornare indietro, scavalcare la barriera metallica del controllo aeroportuale e supplicare i suoi amici di non lasciarla partire.
 

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Capitolo 23
*** La lettera ***


CAPITOLO 23. LA LETTERA
 
Un silenzio funebre, interrotto solo dal monotono tintinnio delle stoviglie, incombeva opprimente nella sala ristorante dell’hotel londinese. I giovani giocatori nipponici si accingevano a terminare la loro colazione in uno stato di cupa tensione, inframmezzata da malcelati sospiri increduli che nascondevano domande pressanti che nessuno aveva il coraggio di porre. A nessuno era sfuggita l’assenza di Clarice, il volto livido di Tom, gli occhi rossi e gonfi di Patty e soprattutto l’espressione stralunata di Benji che, giunto alla quarta tazzina di caffè, sembrava voler dissolvere nella caffeina i litri di alcool ingurgitati la sera precedente senza però, apparentemente, trarne alcun beneficio.
 
I ragazzi di sforzavano di concentrarsi sul cibo che avevano di fronte, evitando così di irritare ancor più gli animi con occhiate curiose e domande fuori luogo.
 
Per questo motivo nessuno si avvide dell’imponente figura che, con ampie e decise falcate, attraversò la sala, avvicinandosi velocemente ai loro tavoli. Un leggero fruscio ed un’ombra proiettata sulla tovaglia immacolata, sulla quale era chino il portiere titolare, attirò l’attenzione di tutti i presenti che sobbalzarono sorpresi.
 
Il capitano tedesco si ergeva altero in tutto il suo metro e novantacinque centimetri, il volto cupo e i lineamenti aristocratici, in parte rovinati da una vistosa tumefazione bluastra tra il labbro superiore e la base del naso, che si stava gonfiando nonostante lo strato di antinfiammatorio che il tedesco aveva prontamente spalmato.
 
Lo sguardo in genere gelido e sprezzante, era illuminato da un inconsueto barlume di compassione quando si posò sul capo chino dell’ex compagno di squadra. Non gli faceva certo piacere vedere un uomo del calibro di Benjiamin Price, ridotto in quello stato da una squaldrinella qualsiasi.
 
-Ecco qua!- disse lasciando cadere sul tavolo davanti a Benji, il voluminoso plico di riviste patinate che reggeva in mano.
 
Il ragazzo sussultò sorpreso e alzò su Karl due occhi spenti che fecero rimescolare il sangue nelle vene al tedesco. Quante volte aveva provato sconforto davanti all’impenetrabilità dello sguardo di quel portiere che sapeva prevedere tutte le sue mosse in campo, e ora….. ma avrebbe sistemato immediatamente le cose, avrebbe fatto capire a Benji che per una così non ne valeva proprio la pena!
 
-Ma cos…- borbottò Benji confuso.
 
-Price mi è giunta voce che Antlia…Clarice o come diavolo si chiama, è la tua ragazza. Ma tu sai con chi stai assieme? Beh leggi un po’ di questa robaccia e fattene un’idea- sbottò Karl aprendo una rivista a caso e sbattendola sotto il naso dell’allibito portiere.
 
Benji abbassò lo sguardo vacuo sulle riviste ed emise un gemito strozzato mentre una luce indefinibile rianimò in un istante le sue iridi nere. Percepì un dolore fisico alla bocca dello stomaco mentre pian piano metteva a fuoco il bellissimo volto della sua Clarice, ora sorridente, ora sfacciatamente provocatorio, osservarlo dalle copertine dei tabloid americani.
 
Si asciugò stizzito il palmo sudato della mano strofinandolo quasi con violenza contro la stoffa ruvida dei jeans, cercando in quel modo di mascherare il tremore fastidioso che gli intorpidiva le membra. Il tentativo funzionò perché quando finalmente si decise ad afferrare una delle riviste, la sua mano era ferma ed infallibile, come sempre. Sfogliò quelle pagine, toccandole il meno possibile, come se si fosse trattato di materiale infetto.
 
La sua mascella squadrata si irrigidì prepotentemente mentre i begli occhi bruni si ridussero a poco più di una fessura: davanti a sé aveva un’immagine licenziosa di Clarice, in una posa a suo parere oscena, con le parti più belle ed intime nascoste da semplici giochi d’ombra. Quella foto scabrosa immortalava Clarice strettamente avvinghiata ad un’altra donna di colore, in una posizione a dir poco ambigua, entrambe senza veli ed adagiate mollemente su uno strato di candidi pizzi e tulle colorati. Nonostante la rabbia ed il disgusto, nel vedere la sua donna alla mercè degli sguardi di chiunque, non riuscì a reprimere il brivido di eccitazione che quell’immagine gli provocò. La sua collera aumentò a dismisura al solo pensiero di quanti altri uomini avessero avuto la sua stessa reazione davanti al corpo di Clarice!
 
Indignato lasciò cadere a terra il giornale, afferrandone subito un altro. Sulla copertina lucida, il fondoschiena rotondo di Clarice, coperto solamente da un filo di lunghissimi capelli platinati, spiccava sulla carta, il tatuaggio che lui tante volte aveva accarezzato e baciato, spiccava beffardo ed un altro tatuaggio quasi identico, con una A al posto della C, era impresso sul gluteo destro della ragazza di colore. Lesse le poche righe che commentavano ciò che a suo parere non era descrivibile a parole:
 
Antlia e Carina unite per la vita! Il marchio dell’una sul corpo dell’altra.
È così che le due inseparabili modelle hanno voluto sancire il loro esclusivo e morboso legame ad un anno dalla la loro prima uscita in passerella…
 
Benji aprì una rivista dopo l’altra e lesse avidamente:
 
Offerta record: due milioni di dollari per un servizio fotografico osé delle due modelle Antlia e Carina. Le due ragazze stanno valutando la proposta di concedere al famosissimo Playboy, l’esclusiva delle loro prime foto di nudo…
 
E ancora, pagina dopo pagina:
 
Basta nominarle per fare il tutto esaurito! Antlia e Carina sono contese a suon di milioni tra i maggiori stilisti di tutto il mondo, ma le ragazze esitano…
Ed infine un titolo a lettere cubitali spiccava crudele:
Sesso e droga nella vita dei due astri nascenti della moda. Si è conclusa nei peggiori dei modi la parabola ascendente delle due top model che hanno fatto impazzire l’America.
Il corpo senza vita della bellissima Carina trovato nel bagno di un dandy americano famoso nell’ambiente della moda per la sua passione per le belle donne ed i festini equivoci. Più volte indagato per favoreggiamento alla prostituzione, il signor George Willis è sempre uscito incolume da qualsiasi accusa. Ma ora il cadavere della bella modella, trovato nella sua villa di San Francisco, riapre molte questioni mai chiarite sul conto del giovane miliardario. Accanto al corpo di Carina, vi era l’ inseparabile Antlia in uno stato di prostrazione, non è chiaro se provocato dalle dosi massicce di alcool e droga di cui la giovane modella fa uso, o dal dolore per la perdita della cara amica…
E sotto un’altra foto sexi delle due ragazze ancora allacciate in una posa maliziosa su un grande letto ricoperto di petali di rose rosse.
-Neanche della morte hanno rispetto questi sciacalli- borbottò Benji con veemenza, infastidito dall’accostamento della foto di nudo con l’articolo che annunciava la morte della povera ragazza.
 
Parole crude, taglienti, assurde. Benji leggeva riga dopo riga, senza comprenderne più il significato, un solo pensiero turbinava nella sua mente…la sua Clarice, la sua splendida e vitale Tsunami non poteva nascondere tanto sozzume…
-Basta!- urlò il ragazzo inferocito, scaraventando lontano il plico di riviste che si sparpagliò per la sala sotto gli sguardi allibiti dei compagni di squadra -Dimmi che significa tutto ciò Karl!- ordinò furioso trapassando il capitano tedesco con uno sguardo colmo d’odio.
-Ma come Benji, non lo hai capito? L’angelo che tu credevi fosse la bella Clarice, in realtà è una delle modelle più chiacchierate e scandalose d’America…-
-Non è possibile- balbettò il ragazzo abbassando lo sguardo turbato.
-Benji non gli credere, non è così- intervenne Tom appoggiando una mano sulle spalle curve del portiere - Tieni, questa é di Clarice, me l’ha data prima di partire mi..-
 
-Partire?!?Partire per dove?!- urlò Benji fuori si sé, guardando la lettera come se fosse un serpente velenoso.
 
-È tornata in America… Mi ha chiesto di leggere questa a te e a tutti gli altri… anche a te Karl- proseguì Tom mantenendo un tono pacato ed un’espressione serena per non agitare ulteriormente gli animi, nonostante la pena che gli attanagliava il cuore.
 
-A me? – chiese burbero il tedesco stentando a riconoscere nel pacato ragazzo che aveva di fronte, il furioso assalitore della sera prima.
 
-Non sei obbligato ovviamente, ma potrebbe aiutarti a capire molte cose- lo sfidò Tom a testa alta, dissigillando la lettera. Estrasse con calma due fogli fittamente scritti con la calligrafia minuta ed elegante di Clarice. I calciatori giapponesi si strinsero attorno al loro centrocampista, che iniziò la lettura con voce ferma, anche se, già dalle prime righe, l’affetto sincero che provava per Clarice, gli incrinò leggermente la voce, tuttavia non si fermò sino all’ultima parola.
 
Cari amici,
quando leggerete questa lettera io sarò probabilmente già giunta a San Francisco. Avrei preferito non tornare mai più in questa città che odio e che mi ha dato solo dolore e sofferenza. Ma sono stata costretta a prendere questa decisione. Non posso più vivere con questo macigno che mi porto nel cuore…
 
Cercherò di spiegarvi tutto dall’inizio.
 
Lei, Carina, anzi April, era la mia migliore amica. Dividevamo tutto: sogni, speranze, ideali…Purtroppo, destino volle che entrambe scegliessimo una professione che dall’esterno può sembrare una favola dorata, ma in realtà, quando vi si è dentro, ci si accorge che altro non é che una gabbia disumana, che macella le persone sino a che di loro non resta altro che un cumulo di ossa senza forza né personalità. Insieme formavamo la coppia di modelle più richiesta ed ammirata d’America. Tutti ci volevano e ci ammiravano nonostante fossimo giovanissime ed inesperte, ma i dettami della moda o una serie di circostanze casuali, fece sì che raggiungessimo in fretta le vette del successo. Troppo in fretta…il successo non è facile da gestire e dà alla testa. Inoltre le diete, lo stress, le pressanti richieste a cui i nostri corpi erano costretti, costringevano molte di noi a cercare dei sostegni fisici e psicologici.
 
La droga, gli psicofarmaci e l’alcool sono di uso comune tra le modelle. E Carina non fece eccezione. Io sapevo di questa sua debolezza ma non intervenni mai, cercai sempre di minimizzare e di nascondere…anche quella volta che Karl venne a trovarla.
 
Si erano conosciuti da poco e lei ne era veramente innamorata. Era persa per lui, felice e raggiante, viva come da molto tempo non la vedevo più. Avevo sperato che quell’’amore l’avrebbe aiutata ad uscire dalla droga, a smetterla di martoriare il suo povero corpo. Illusa! Non solo non l’aiutò, ma fece precipitare la situazione. Una sera, al termine di una sfilata particolarmente impegnativa, scorsi Karl dirigersi verso il camerino di Carina, lo precedetti e corsi da avvertirla, forse guidata da uno strano presentimento che non compresi subito…
 
Beh… la trovai in condizione pietose. Si era appena iniettata una dose e la droga stava entrando in circolo. Non volevo che Karl vedesse quella scena disgustosa e la abbandonasse. L’avrei protetta a qualsiasi costo, e non compresi invece che la stavo uccidendo.
 
Bloccai Karl sulle scale e lo convinsi a seguirmi nel mio camerino. Usai qualsiasi mezzo per distrarlo ed impedirgli di andare da lei. Ma fu lei a venire da noi. Sconvolta nel vedere la sua migliore amica ed il suo ragazzo insieme, cacciò lui ed aggredì me. Avemmo una lite furibonda che si concluse con la sua fuga.
 
La trovai poche ore dopo…morta per overdose in uno squallido bagno di puttane…
 
Ovviamente fui travolta nello scandalo ed i giornalisti andarono a nozze scrivendo calunnie di ogni tipo nonostante dalle mie analisi ematiche non emerse mai nulla.
 
Mia madre non mi diede alcun appoggio, limitandosi a criticare in silenzio quella figlia drogata che le era capitata.
 
La vita non aveva senso, nessuno credeva in me, i sensi di colpa mi schiacciavano e lei mi mancava tantissimo. Decisi di farla finita una triste notte…ma poco prima di concludere il mio folle progetto, una foto scivolò da un libro…
 
Una foto mia e tua Benjiamin, che ci ritraeva da bambini…forse ce l’hai anche tu quella foto che io porto sempre con me come mio portafortuna…
 
Quella notte stessa decisi di tornare in Giappone e due giorni dopo riabbracciavo tutti voi e te…Genshj.
 
Benjaimin, tu eri la cosa più bella e pura della mia vita, non volevo contaminarti con la mia sozzeria ed è per questo che ho lottato strenuamente contro quell’amore che da subito provai per te.
 
Non ci riuscii. Si può combattere contro tutto ma non contro l’amore e mi arresi a quel sentimento forte ed unico che mi unirà a te per sempre.
 
Ma ora ho capito che vi è un’amica che ha diritto di essere vendicata. Non è giusto che continuino ad infamare Carina quando il suo unico errore è stato cedere alle ingiustizie della vita.
 
Vi porto tutti nel cuore e sarete la mia forza ed il mio coraggio in questa battaglia che mi appresto a combattere e a vincere…
 
Io vincerò per me e per voi, fate altrettanto in Inghilterra. Non seguitemi, non cercatemi, solo così potrò sconfiggere i fantasmi del passato e tornare da voi finalmente me stessa.
 
Tom sei stato il mio porto sicuro, la mia ancora di salvezza, la tua dolcezza e l’affetto che provo per te sono ben radicati nel mio cuore. Vincerò per te mio dolcissimo Tom.
 
Anego insieme a Carina sei l’amica più cara che ho, sei la mia forza Patty.
 
Benjiamin, non ci sono parole per descriverti tu sei tutto: la vita, l’amore…tutto. Ti amerò sempre, sarai sempre nel mio cuore. Vincerò anche per te mio bellissimo amore.
 
Mark… mio angelo custode mi proteggerai anche aldilà dell’oceano? Io sono sicura di sì. Senza di te io sono debole ed indifesa, ma le tue parole ed il tuo spirito mi staranno sempre accanto. Ti prego non credere alle menzogne che hanno scritto su di me, non credere alle foto che vedrai, quelle fanno parte della mia metà oscura…saprai amarmi lo stesso anche ora che hai visto cosa nascondevo con tanta cura? Riuscirai ad amare anche la mia parte oscura come io amo la tua?
 
Ed infine tutti voi amici cari vi porto con me, datemi la forza di ritornare da voi.
 
Un bacio a tutti
Clarice
 
 

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Capitolo 24
*** Vite parallele ***


CAPITOLO 24. VITE PARALLELE
 
Si è appena conclusa la partita di apertura tra gli uscenti campioni del mondo ed il Senegal. Il risultato di 3 a 0 per i padroni di casa, non è stato una sorpresa per nessuno, anche se i senegalesi hanno dimostrato di possedere un carattere battagliero soprattutto nella ripresa. Purtroppo però la loro tecnica calcistica lascia ancora molto a desiderare …
 
È ufficiale: la bella Antlia sfilerà per la Fashion American Corporation! La splendida modella ha oggi raggiunto gli studi nel più assoluto riserbo. Dopo aver riabbracciato le giovani colleghe, abbandonate un anno e mezzo fa…
 
Incredibile! Contro ogni previsione il Giappone batte la Corea 2 a 0 con una splendida doppietta del bravissimo attaccante nipponico Lenders…
 
Primo giro di prova in passerella per Antlia. La modella è strettamente sorvegliata, impossibile avvicinarla o rubarle qualche fotografia. Comunque voci indiscrete confermano lo splendido stato di salute della ragazza, che ha rinunciato alla sua chioma platinata, che la rese famosa quattro anni fa, in favore di un color miele più naturale….
 
Continua la parabola ascendente della squadra rivelazione del campionato! Il Giappone conclude a rete inviolata la seconda partita del girone contro l’Equador…
 
Una foto rubata…la bella Antlia a passeggio per le strade del centro con un misterioso accompagnatore…
 
Il Giappone e la Turchia superano il turno e accedono agli ottavi insieme a Francia, Brasile, Argentina, Inghilterra, Germania, Italia, Svezia, …
 
Grande fervore per l’apertura della stagione autunno-inverno! Finalmente la chiacchierata Antlia in passerella. I fotografi si scatenano, i giornalisti incalzano, ma la bellissima modella non rilascia interviste e fugge i flash…
 
Il Giappone batte la Turchia grazie ad una forma fisica impeccabile. Nessun errore, nessuna incertezza da parte del portiere Benjiamin Price, che indiscrezioni vogliono nell’Amburgo anche nella prossima stagione, senza dubbio il miglior giocatore in campo. Anche il capitano nipponico, Oliver Hutton, sul quale sembra aver messo gli occhi il club del Barcelona…
 
Splendida! Antlia ha fatto il tutto esaurito. Il cinema la reclama, la tv la corteggia, l’America impazzisce, il mondo ai suoi piedi un’altra volta…ma la ragazza continua a trincerarsi dietro al silenzio stampa, che cosa teme la bella modella? Forse ha paura di quello che si potrebbe dire su di lei? Il suo silenzio è comunque inutile perché tutto il mondo ha gli occhi puntati su di lei e le insinuazioni si sprecano…
 
Non ci sono parole! L’inarrestabile attacco nipponico piega i padroni di casa sul 3 a 2 che abbandonano qui il loro sogno di riconquistare per la seconda volta consecutiva la coppa del mondo. La doppietta di Mark Lenders, uno dei migliori attaccanti di questo campionato del mondo, e il rigore messo a segno da Tom Becker, per l’entrata fallosa di O’ Neil su centrocampista Mellow, ha decretato la sconfitta dell’Inghilterra. Accedono alla semifinale: Giappone, Francia, Germania ed Italia.
 
Antlia sbarca in Europa e fa furore nelle passerelle italiane. Milano allibita di fronte alla bellezza della giovane modella Americana. Si mormora un possibile contratto con un importante stilista italiano. Ovviamente, Antlia non dice nulla …
 
Strabiliante vittoria dell’unica ed indubbia rivelazione del calcio moderno. Tutto il mondo sta rivalutando il calcio dell’estremo oriente: i maggiori club calcistici scendono in campo per accaparrarsi i campioni nipponici. Anche oggi il Giappone ha superato se stesso  eliminando l’Italia con un’altra doppietta di Lenders, che con questi due goal è il capo cannoniere del campionato insieme al capitano tedesco Karl-Hainz Schneider. Giappone in finale!
 
La giovane Antlia sempre più inavvicinabile. Non si concede al suo pubblico che la acclama sempre con maggior insistenza. Si mormora che la bella modella soffra di manie di persecuzione e si sia dotata di ben dodici guardie del corpo, che non la perdono di vista un momento. Nonostante la splendida forma fisica e la grazia sensuale che la contraddistingue, ponendola sempre qualche gradino più su rispetto alle sue colleghe, la bella modella sembra non aver superato i traumi psicologici conseguenti alla morte della sua amica Carina scomparsa all’incirca diciotto mesi fa in circostanze assai tristi…
 
Passa il turno anche la Germania. Giappone e Germania in questa finale di coppa del mondo!!
 
A Parigi la folla l’ha accolta come una star, ma lei continua ad essere fredda e distaccata. Non concede né autografi né sorrisi…Antlia non riesce a colmare il vuoto lasciato da Carina. “è impossibile veder un sorriso sul suo volto, è scostante, volubile, triste ed impenetrabile, a volte non sappiamo come prenderla. Si chiude nel suo camerino e non vuole vedere nessuno. Inoltre litiga continuamente con la madre…” queste sono le parole di una giovane modella che lavora fianco a fianco con Antlia…
 
Cresce la tensione per l’attesissima finale che decreterà i nuovi campioni del mondo. Domani sera alle 20.30, l’arbitro italiano Pierluigi Collina darà il fischio d’inizio nello stadio Golden di Londra, lo stesso dove, poco più di un mese fa, è avvenuta l’inaugurazione di questi sorprendenti mondiali…
 
Prima intervista concessa da Antlia alla nota rivista inglese Times: “Smettetela di chiamarmi modella americana. Sono giapponese e sono fiera del mio Paese che presto vincerà la coppa del mondo” “Segui il calcio Antlia? Sei una sportiva?” “Amo il calcio, lo sport e…chi lo pratica”
 
Ci siamo la monetina ha assegnato il calcio d’inizio al Giappone. Palla a centrocampo…tocco d’inizio del Capitano Oliver Hutton…
 
Ultimo giorno di alta moda a Parigi. Domani la bella Antlia sarà testimonial delle passerelle inglesi…continua a circondarsi di guardie del corpo che non fanno avvicinare nessuno…si mormora di un amore clandestino tra la bella modella e il capo della sua scorta… un misterioso uomo che lei chiama confidenzialmente Jack…
 
Incredibile parata di Price! Solo la classe del portiere nipponico ha potuto bloccare la cannonata del tedesco Schneider ed impedire alla Germania di passare  in vantaggio già all’ottavo minuto del primo tempo…Il Giappone soffre, la difesa fa acqua ed il centrocampo è impotente di fronte alla furia tedesca…
 
Splendido vestito in broccato dorato con bordi di pizzo di Siviglia per la Fashion American Corporation…indossa l’abito l’eterea Antlia, che da poco ha rivelato alla stampa di avere origini giapponesi. A quanto pare, il padre della modella era un ricco nobile giapponese morto quattro anni fa in un tragico incidente, un pirata della strada ha falciato l’uomo  a pochi metri da casa per dileguarsi poi nella notte. Il colpevole non è mai stato scoperto
 
Altro errore della difesa nipponica. Questa volta neanche Price ha potuto arrestare il tiro di Schneider…al trentesimo del primo tempo il risultato è quindi di 1 a 0 per la Germania…
 
Nella magnifica cornice dei giardini privati della reggia di Versailles, continua la serata di alta moda. In passerella ancora la collezione di punta della Fashion American Corporation ispirata alla tecnologia e allo spazio. Le modelle sfilano con abiti di impalpabile seta argentata, che associata a eccentrici accessori quali mantelli, caschi e stivali…
 
Si conclude sull’1 a 0 per la Germania questo primo tempo di finale del mondo. Il Giappone non riesce ad organizzare il gioco, qualcosa non funziona tra i giocatori di questa squadra rivelazione che ha reiteratamente dimostrato di saper fare di più di quanto non ha fatto in questo primo tempo…chissà che nella ripresa il paese del sol levante non ritrovi la sua marcia in più…se così non sarà, il risultato finale è già scontato…
 
Scandalo! L’eccentrica Antlia invece di uscire con l’abito da sera in pizzo e tulle previsto dalla collezione, esce in passerella completamente nuda con addosso solamente un’enorme bandiera del Giappone che le cela a malapena il corpo da milioni di dollari. Ricordiamo che in questo preciso momento, allo stadio Golden di Londra, si sta disputando la finale tra Germania e Giappone…una parte del pubblico applaude ammirato di fronte a tanto caloroso patriottismo, un’altra parte invece fischia e disapprova tanta insubordinazione…
 
Ci siamo l’arbitro fischia l’inizio della ripresa…palla ai piedi di Oliver Hutton che avanza …dalla Francia giunge una curiosa notizia…la bella modella Antlia, che da poco ha rivelato essere Giapponese, è uscita in passerella indossando la bandiera giapponese anziché il vestito della collezione. Furiosi gli stilisti, esaltato il pubblico, ancora una volta la scandalosa modella ha dimostrato di infischiarsene delle convenzioni e segue decisa il suo cuore…Avete sentito ragazzi? Una delle donne più belle del mondo sta pensando a voi…Forza Giappone non puoi deludere questa bella dama!
 
Dopo l’exploid di Antlia, tutto prosegue secondo il calendario…siamo giunti agli ultimi abiti della serata…si conclude qui la serata di alta moda di Parigi….
 
-Fermati Antlia! Voglio una spiegazione!- tuonò Anthony Eastwood sbarrando la strada alla ragazza che correva veloce verso il camerino, incurante dello strascico dell’abito da sera da milioni di dollari che, incastrandosi negli angoli, rischiava di strapparsi.
 
-Dopo Anthony ora non ho tempo- rispose Antlia sollevando in aria una mano in un gesto di sfrontata noncuranza, senza accennare neppure a rallentare la sua corsa.
 
-Fermati! Non sopporto certe insubordinazioni!-
 
-Beh…licenziami!- lo rimbeccò lei ormai giunta in alto alla scalinata che portava al suo camerino privato -E ora lasciami in pace che devo andare a vedere la partita-.
 
Giunta finalmente nel suo camerino, accese la televisione, sintonizzando l’apparecchio sul canale satellitare che trasmetteva in diretta mondiale la finale di calcio.
 
Era appena sprofondata nella comoda poltrona imbottita, infischiandosene della montagna di stoffe pregiate sulle quali si era adagiata, quando udì due voci, una femminile molto concitata e una maschile bassa e pacata, provenire dal corridoio ed invadere la sua momentanea privacy.
 
-Signora forse è meglio che la lasci stare per ora-
 
-E’ mia figlia e le parlo quando mi pare e piace-
 
Sbuffando ed imprecando, Clarice balzò in piedi e con uno scatto felino si gettò sulla porta spalancandola -Uffa! Smettetela voi due! Devo vedere la partita. Jack entra e tu mamma… sparisci- disse secca fulminando entrambi con un’occhiataccia.
 
L’uomo alto e molto robusto, vestito in un elegante completo nero da sera, sgattaiolò nel camerino alle spalle della ragazza senza batter ciglio, mentre Costance, mortificata dal tono duro della figlia, rimase impietrita ad osservare la porta color avorio che le veniva sbattuta in faccia.
 
-Clarice me la spieghi quell’uscita della bandiera?- esordì l’uomo non appena fu certo che la fastidiosa signora Kameda si fosse allontanata.
 
-Shhhh…Jack dopo…- lo mise a tacere la ragazza bionda riaccomodandosi sulla poltrona da cui era stata costretta ad alzarsi qualche istante prima.
 
-Ma vuoi vedere sul serio la partita?- insistette l’uomo, osservandola dubbioso.
 
-Certo che sì…lì in campo ci sono i miei migliori amici e …il ragazzo che amo..-
 
-E chi sarebbe?- chiese Jack, sinceramente incuriosito, corrugando la fronte spaziosa coperta da qualche ciuffo di capelli biondi.
 
-Uhm…segreto. Ora taci….dai Mark vai!!!-
 
….Lenders non ci sta. La furia dell’attaccante è incontenibile, splendido passaggio del numero nove nipponico al suo capitano, scivolata di Hubert, niente da fare la palla rimane incollata ai piedi del giapponese Hutton…che ora passa a Becker che aggancia la sfera con precisione e passa immediatamente a Callaghan…posizione favorevole…smarcato anche l’ultimo difensore…Callaghan è solo davanti al portiere tedesco, carica il tiro, ma arriva in scivolata Scnheider…Colpo di scena: il giovane attaccante nipponico non si fa sorprendere ed evita l’intervento di Schneider passando velocemente a Lenders che tira…GOAAAAAL! Il Giappone pareggia al quarantesimo della ripresa! Tutto da rifare per i tedeschi…
 
-GOAL!- urlò la ragazza saltando al collo del poliziotto esterrefatto. Ma era proprio la fredda e controllata Clarice, quella ragazza che sprizzava felicità da tutti i pori, con gli occhi scintillanti di un sentimento così intenso che lo faceva fremere?
 
Era la prima volta che la vedeva ridere e tremare di felicità…com’era bella e forte…l’ammirava come mai aveva ammirato qualcuno in vita sua. Eccetto se stesso, ovviamente. Clarice stava rischiando la vita ogni istante del giorno e della notte per vendicare un’amica che era morta due anni prima… Stava dando un definitivo calcio alla sua carriera, nessuno avrebbe più voluto sulle passerelle una ragazza che aveva lavorato nell’ombra contro i suoi datori di lavoro, le sue colleghe, le organizzazioni che la finanziavano…Nessuna casa di moda avrebbe mai accettato di rischiare tanto, e neanche il fatto che si trattasse di Antlia, l’astro della moda, sarebbe stato sufficiente a reintegrarla agli occhi di quelli sciacalli.
 
Ma in fondo non rinunciava a niente. Lei non era fatta per quel mondo e Jack questo lo sapeva più che bene. Non poteva certo negare il fascino magnetico di quella ragazzina, che in passerella sapeva trasformarsi in un centro d gravità irresistibile. Ma Clarice era innanzitutto una ragazza pura e genuina, doti che stridevano con il mondo della moda e la rendevano inadatta a quel mestiere. Clarice stessa gli aveva confidato che non le piaceva sfilare, che non le importava di essere ammirata e desiderata da orde di sconosciuti, che l’unica cosa che la rendeva felice era piacere al suo uomo…uomo…Jack si chiedeva sempre più spesso chi fosse il misterioso individuo che occupava il cuore della fanciulla.
 
Il poliziotto spostò il suo sguardo acuto sullo schermo a diciotto pollici e osservò attentamente i giocatori che veloci schizzavano attraverso il campo verde. Clarice seguiva con espressione rapita il suo Giappone che lottava per la vittoria; era talmente concentrata che non si accorgeva neppure del lembo della gonna di milioni di dollari che stava torturando e strapazzando tra le sue lunghe e curatissime dita. Non si era neppure cambiata! Nessun stilista avrebbe permesso una cosa del genere. Ma nessuno osava contraddire Antlia. Lo steso presidente Eastwood si era, a più riprese, piegato ed umiliato di fronte alla fermezza della ragazza, ed aveva accettato compiacente ogni singolare ed eccentrica richiesta, anche quando queste gli erano sembrate sfiorare l’assurdo. Per esempio, il fatto che avesse una guardia del corpo che passava con la modella ogni istante del giorno e della notte, ed altre undici guardie che le giravano intorno senza mai perderla di vista, soprattutto durante le sfilate.
 
Nessuno sospettava, neppure lontanamente, che quei dodici uomini, erano in realtà esperti poliziotti dell’antidroga, impegnati nella dura battaglia contro la mafia americana, determinati a porre fine al colossale traffico di droga che vorticava intorno al ricco mondo dell’alta moda.
 
Ma nonostante la loro indubbia professionalità e le loro straordinarie capacità investigative, non erano ancora riusciti a mettere le mani sui pezzi grossi. I pescetti erano tutti sotto controllo, ventiquattro ore su ventiquattro, bastava una semplice firma per far scattare le manette per almeno un centinaio di persone più o meno note, ma non erano certo i piccoli spacciatori o le giovani modelle drogate, la mira principale di quella delicata operazione che proseguiva da anni e nella quale Clarice era entrata a far parte circa un mese prima.
 
Un sorriso incredulo increspava le belle labbra del poliziotto ogni volta che ripensava a quell’incredibile mattina, quando Clarice era entrata per la prima volta nel suo ufficio.
 
- Capo una visita per lei…-
- Chi è John?
- Clarice Kameda-
-E chi è?-
-Antlia capo-
-COOSA!!?!?!-
 
I due uomini si erano scambiati un’occhiata incredula mentre l’ispettore capo dell’antidroga di San Francisco, Jack O’Connor, ordinasse al suo inseparabile collega, John Norton, di farla accomodare.
 
La ragazza si era fermata sulla soglia scrutandolo con sospetto. Jack aveva accettato quell’esame, facendo egli stesso un’accurata analisi. La postura eretta, il petto in fuori e le spalle dritte, il capo alto e lo sguardo diretto, non lasciavano dubbi sullo stato d’animo estremamente determinato della giovane. E così quella era Antlia, il fenomeno delle passerelle… Alta slanciata, bionda, perfetta…bella… e molto giovane. Ma non vi era nulla d’eccezionale in lei. Era bella sì, ma come lo erano tante altre ragazze americane…e allora perché era così osannata e desiderata?
 
La ragazza era perfettamente conscia del minuzioso esame a cui era sottoposta, ma non manifestò segni di disagio o impazienza sotto lo sguardo acuto dell’ispettore capo di San Francisco, anzi aspettò passivamente che lui finisse la sua valutazione prima di muovere qualche passo oltre la soglia.
 
Fu solo quando si mosse, avvicinandosi a lui con la piccola mano protesa in avanti, che comprese in un sol istante il segreto del suo successo. La grazia felina, il fascino conturbante del suo ancheggiare, il dolce ondeggiare di quel corpo sinuoso, Antlia sprigionava magnetismo e sex-appeal senza affettazione, con una naturalezza che poteva derivare solo da un dono di madre natura… Non appena Jack strinse tra le sue quella manina bianca e delicata, incrociando gli occhi incredibilmente verdi di lei, sentì uno strano brivido percorrergli la schiena, cosa che non gli capitava da tempo immemorabile.
-Stai invecchiando, vecchio mio!- pensò accomodandosi nella sua poltrona ed invitando la ragazza a fare altrettanto nella poltroncina di pelle scamosciata di fronte alla sua ampia scrivania letteralmente sommersa dalle carte.
 
-Signorina Kameda, a cosa debbo l’onore?-
 
-Lei è il famoso Jack O’Connor, l’uomo integerrimo, il nemico numero uno dei trafficanti di droga, il più esperto poliziotto in questo campo di tutti gli Stati Uniti?- disse seria Clarice senza mai distogliere i suoi occhi profondi dal volto marcato di lui.
 
-Vedo che lei legge cosa dicono i giornali di me…- aveva ribattuto sarcasticamente, non capendo dove volesse andare a parare la ragazza con quel pomposo preambolo.
 
-Sì, e mi chiedo come una persona come lei non sia a conoscenza delle schifezze che succedono all’ombra dei riflettori, dietro le quinte dell’alta moda-
 
Jack l’aveva squadrata per la seconda volta, affondando negli occhi di lei per un ulteriore minuzioso esame… e ancora una volta il suo istinto non gli diede nessun segno di allarme.
 
-Chi glielo dice che io non ne so niente?- se credeva di scomporla con quella affermazione, si era sbagliato di grosso. Clarice si limitò a fare una smorfia amara.
 
-Forse perché un anno e mezzo fa, la mia migliore amica fu stroncata da una dose eccessiva di droga e la polizia non trovò niente di meglio da fare che arrestare ed indagare me, che non c’entravo un fico secco-
 
-Si riferisce al caso di April Farray?…brutta storia…comunque, per sua informazione signorina Kameda, io ero tra quelli che l’arrestarono ingiustamente…-
 
Questa volta Clarice mostrò un segno di cedimento, un lampo di collera misto a paura saettò nei suoi occhi smeraldini. La ragazza lo squadrò con freddo disprezzo, e si alzò.
 
-Credo di essere capitata nel posto sbagliato. Mi scusi ma non è lei la persona che mi aspettavo di incontrare- disse altera.
 
-E chi si aspettava di incontrare?-
 
-Un poliziotto in grado di fare il proprio dovere. Ovvero far rispettare la giustizia, in grado di catturare i criminali e non perdere tempo dietro a povere ragazze che hanno l’unica colpa di essere capitate nel posto sbagliato al momento sbagliato…- replicò cominciando a cedere alla tensione che sino a quel momento aveva tenuto sotto controllo.
 
-Che avrei dovuto fare? Lei era lì, inginocchiata accanto alla sua amica morta di overdose nel bagno di uno squallido bordello…-
 
-Non era un bordello-
-Ok era un lussuoso attico all’ultimo piano di un grattacielo per ricchi snob…ma la sostanza non cambia! Orge, droga ed alcool… c’era più gente nuda a quella festa che in una spiaggia di nudisti...-
 
Ancora adesso, ripensandoci, Jack non sapeva spiegarsi che cosa fosse scattato nella mente della ragazza, sapeva solo che dopo avergli dato una lunghissima, indecifrabile occhiata, Clarice aveva ripreso posto sulla poltrona accavallando le lunghe gambe con grazia innocente, dicendogli semplicemente –Tutti possono sbagliare…una volta. Ma la seconda non deve accadere-
 
Da allora era iniziata la loro stretta collaborazione.
 
In men che non si dica, la ragazza gli aveva esposto con dovizia di particolari, tutti i gli strani discorsi, i passaggi di bustine, denaro, occhiate sospette tra le modelle, anche tra le più giovani di appena sedici anni; i silenzi improvvisi, i discorsi lasciati a metà al suo passaggio, i volti imbarazzati e le risposte evasive alle sue domande.
 
Aveva fatto nomi e cognomi, molti dei quali erano già noti all’ispettore. Da anni aveva delle spie infiltrate tra le modelle, poliziotti travestiti da sarti, da fotografi, da tecnici luci, perquisivano periodicamente ogni angolo dell’alta moda americana. Ma mancava l’aggancio giusto, definitivo che permettesse loro di mettere le mani sui capi dell’organizzazione. E quell’aggancio era finalmente arrivato. Antlia.
 
A lei tutto era concesso, pur di non irritare la bella modella, gli stilisti ed i presidenti della case di moda, erano disposti ad assecondarla in tutto e per tutto, senza far la benché minima piega.
 
Clarice aveva accettato tutto: il rischio, il pericolo, la tensione, il disagio che lavorare nell’ombra inevitabilmente provocava. Le aveva esposto con precisione i rischi elevati e il concreto pericolo di morte a cui andava incontro, ma lei non aveva esitato, non aveva fatto neanche un minimo passo indietro.
 
L’omertà che aveva sempre riscontrato tra le modelle lo aveva sconvolto. Eppure Clarice non era come tutte le altre. A lei non importava la fama, il successo, i soldi che, a quanto sapeva, ne aveva in abbondanza.
 
Clarice Kameda, nata a Fushiawa 18 anni prima … sapeva tutto di lei. Aveva dovuto informarsi bene prima di potersi fidare. Ma la migliore garanzia era il suo intuito di poliziotto navigato, che non l’aveva mai tradito in quasi vent’anni di onorata carriera.
 
Jack O’Connor a 38 anni era a capo del commissariato dell’intera città di San Francisco. Giovanissimo era entrato nelle polizia, distinguendosi ben presto per la sua determinazione e capacità d’indagine. Si era distinto soprattutto nell’antidroga, diventando in pochi anni l’ispettore capo di uno dei migliori centri antidroga dell’America Settentrionale.
 
Erano anni che girava intorno a quell’affare e ora ne fiutava la conclusione con piacere ed eccitazione. Stava per raggiungere il successo grazie a quella splendida creatura che in quel momento gli sedeva vicino, seguendo con occhioni sgranati, i giocatori nipponici che si avvicinavano pericolosamente alla porta tedesca.
 
Il successo o la sconfitta… ma non di sconfitta si sarebbe trattata… aveva puntato molto su Clarice e non si sbagliava. Accidenti! Sarebbe stato disposto a scommettere l’intera carriera su quella donna ed era certo di non rischiare poi molto.
 
-O mio Dio, Jack- esclamò la ragazza afferrandogli una mano e attirando la sua attenzione.
 
-…altra pericolosa azione del Giappone. L’intera squadra si è spostata in avanti…il Giappone sta rischiando il tutto e per tutto in quest’ultimo minuto, un minimo errore e sarebbe spacciato dal momento che la porta è difesa esclusivamente dal portiere Benjiamin Price. La palla resta in possesso di Hutton, passaggio all’indietro per Everett, dribbling perfetto…passaggio a Julian Ross che viene bloccato dal capitano tedesco... niente da fare Scnheider è beffato sul tempo…la palla è ora in possesso di Lenders che…cosa fa…carica il tiro…no da quella distanza è impossibile…ma forse è l’unica cosa da fare infatti l’arbitro sta guardando l’orologio…Lenders carica il tiro…potentissima cannonata a raso terra…il portiere la intercetta ma…NON LA TRATTIENE…INCREDIBILE PALLA IN RETEEEEEEEEE. L’arbitro fischia…è finita! Il Giappone è campione del mondo!-
 
-Jack abbiamo vinto, hanno vinto! Il mio angelo ha segnato!!!!!!- urlò Clarice, saltando al collo del poliziotto che faticava a capire le parole della ragazza la quale, in preda all’eccitazione, parlava metà in americano e metà in Giapponese.
 
Un sonoro bussare interruppe le urla di gioia della ragazza. Il poliziotto si affrettò ad aprire, la sua espressione divertita mutò non appena il suo fedele braccio destro, John Norton, entrò nel camerino con un’aria truce che non prometteva nulla di buono.
 
-Che c’è?- chiese Jack senza preamboli, intuendo già la funerea risposta.
 
-Cattive notizie capo…il cecchino era qui stasera, ma qualcosa deve aver interrotto i suoi piani…-
 
-Cazzo!- imprecò il poliziotto voltandosi verso Clarice che lo guardava stralunata.
 
-Andiamo via di qui. Clarice cambiati- ordinò, tirando la tenda di taffettà argentato, che separava un angolo del camerino, permettendo alla ragazza di cambiarsi nonostante la loro presenza nella stanza. Non si fidava a parlare lì dentro, troppe orecchie indiscrete si nascondevano nell’ombra.
 
Il poliziotto osservò preoccupato il pannello argentato dietro il quale intravedeva i movimenti della ragazza. E quindi erano prossimi alla resa dei conti, il cerchio si stava chiudendo.
 
Tutto poteva sembrare perfetto, secondo i piani, ma l’ansia per l’incolumità di Clarice non gli dava tregua impedendogli di apprezzare il profumo della vittoria ormai prossima.
 

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Capitolo 25
*** Il cerchio si chiude ***


CAPITOLO 25. IL CERCHIO SI CHIUDE
 
Jack tamburellava nervosamente sul tavolo in radica della suite in pieno centro londinese, in cui soggiornava assieme alla ragazza da un paio d’ore. Lo sguardo pungente del poliziotto esaminava ogni particolare della donna rigidamente seduta di fronte a lui, apparentemente intenta ad esaminare il liquido scuro che faceva oscillare con lentezza nella tazza stretta tra le mani.
 
-Allora Clarice è importante che tu abbia tutto chiaro-
 
-Uff Jack…sì per l’ennesima volta sì- sbuffò la giovane, lasciandosi sfuggire un sospiro d’impazienza per la noiosa insistenza del poliziotto prima di trangugiare un sorso del bollente, ma squisito, the inglese.
 
Da quasi un mese Jack ed i suoi scagnozzi erano l’ombra nascosta di Clarice. Da quando aveva denunciato quelle strane voci ed i passaggi sospetti tra le modelle, era scattato un serrato programma di protezione attorno alla bella Antlia.
 
-Clarice non è un gioco!- disse freddo ed impassibile il poliziotto.
 
-Lo so, lo so, che credi. Insomma Jack, è un mese che passo tutte le mie ore sotto sorveglianza, che vengo spiata e seguita nell’ombra. Ascolto e capto ogni voce, ogni movimento, sono sempre sotto tensione e ora tu mi vieni a dire che vi é una spia che mi tiene sott’occhio da più di una settimana…Jack lo so bene che non è un gioco!- sbottò la ragazza tutta d’un fiato agitandosi sulla poltrona di pelle -Che credi!- proseguì  -Ci tengo alla mia pelle…ma non starai esagerando?-
 
-No, non esagero quando ti dico che sei in pericolo! Devi stare molto attenta, è fondamentale che ti siano chiari due punti. Primo, sono già due anni che siamo sulla pista del più grosso giro di droga e prostituzione di alto borgo della contea di San Francisco e, non vorrei esagerare, di tutti gli States. Secondo, troppe volte questi porci l’hanno fatta franca sulla pelle di ingenue ragazze…-
 
-E lo vieni a dire a me!- esclamò la ragazza con una dolorosa incrinatura nella voce -A me, che ho perso la mia migliore amica per colpa loro! Jack dimmi tutto quello che devo fare ed io lo farò-
 
La luce che brillava negli occhi color smeraldo di Clarice colpirono il duro cuore del temuto ispettore capo della polizia di San Francisco.
 
Sospirando, ricacciò indietro l’impulso di mandare tutto al diavolo e di portarla lontano, al sicuro. Si impose un tono distaccato e professionale mentre le dava, per l’ultima volta, le istruzioni per la serata.
 
Quella sera Clarice avrebbe sfilato nel parco privato di Buckingam Palace; la passerella era stata montata nello spiazzo antistante alla dependance reale che, nei secoli addietro, aveva ospitato le avventure galanti dei regnanti anglosassoni. Gli uomini più potenti della Gran Bretagna, le ricche dame e la nobiltà inglese, attendevano con febbricitante eccitazione uno degli eventi mondani più importanti.
 
Ma questa non era certo una novità o una peculiarità del Regno Unito. Era difficile persino immaginare la quantità di denaro che girava attorno al mondo della moda, un business di dimensioni colossali da togliere il fiato.
 
Jack era sulle spine, la preoccupazione gli si leggeva in volto nonostante tutti i suoi sforzi per celarla. Aveva avuto la conferma che un cecchino era sulle tracce di Clarice e che, in almeno due altre occasioni, aveva tentato di farla fuori, ma qualcosa aveva, fortunatamente, mandato a monte ogni tentativo.
 
Ma quella era l’ultima sfilata di Antlia.
 
Poi sarebbe tornata in America, e lui sapeva che la ragazza era intenzionata a mollare tutto e tornarsene in Giappone per studiare medicina. Se volevano toglierla dai piedi per punirla delle informazioni che aveva passato alla polizia, quella era l’ultima occasione per farlo. E questo non lo poteva proprio permettere, se le fosse successo qualcosa di irreparabile non se lo sarebbe mai perdonato. Al di là di ogni etica professionale, si era sinceramente affezionato a quella donna fuori dal comune e avrebbe dato volentieri dieci anni della sua vita per saperla felice e spensierata nel suo paese, tra i suoi amici, tra le braccia di quel misterioso uomo che lei diceva di amare.
 
-Ascoltami bene. Dopo che la truccatrice e la parrucchiera hanno finito di prepararti, infila questa ricetrasmittente nell’orecchio destro. È minuscola e nessuno se ne accorgerà. In questo modo saremo in continuo contatto e ti terrò aggiornata su tutto. Clarice è importante che quando avremmo finalmente individuato il killer, tu scenda dal palco il più in fretta possibile e ti nasconda al sicuro dietro le quinte dove ci saranno John e Simon a proteggerti, é tutto chiaro?-
 
-Sì-
 
-Mi raccomando, appena te lo dico scendi dal palco. Per nessun motivo al mondo dovrai esitare-
 
-Ho capito. Non sono stupida e non ho nessuna intenzione di morire-
 
-Bene-
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-Andare ad una sfilata di moda?- chiese incredulo Bruce squadrando perplesso Patty che frugava nervosa all’interno della sua borsetta alla ricerca di qualcosa.
 
-Sì, ma non è una semplice sfilata…c’è Clarice- puntualizzò la ragazza estraendo un coupon su cui era stampato a caratteri cubitali il nome d’arte della modella.
 
È vero, aveva promesso a Clarice di non cercarla mai, ma quello non era cercare, semplicemente andava a vederla. Chissà, magari sarebbe riuscita ad avvicinarla, a parlarle, convincerla a tornare… ma era veramente quello che voleva fare Clarice? Patty non voleva dubitare della sua amica, ma i giornalisti stavano scrivendo proprio di tutto: capricci, manie di persecuzione, America in delirio, il mondo della moda impegnato ad assecondare ogni vezzo della bella modella… e ancora flirt, amanti, avventure passionali e, come se tutto quello non fosse sufficiente, la storia con la body-guard… Patty non ci capiva più nulla. Voleva vederla e capire… voleva sapere se a Yokohama l’avrebbe aspettata invano o se invece l’avrebbe presto raggiunta all’università, come promesso tra le lacrime all’aeroporto un mese prima.
 
-E allora credi che Clarice si ricordi ancora di noi?- commentò amaro Benji guardando il foglio tra le mani della manager come se fosse un rifiuto puzzolente.
-Benji da te non mi sarei mai aspettata una frase del genere. Come puoi dubitare- ribatté Patty offesa ed amareggiata dalla frase del portiere, ma conscia che quello era il pensiero non confessato di tutti, lei compresa, e che Benji aveva solo avuto il coraggio di manifestarlo.
 
-Lascia stare Patty, avresti un’amara delusione…l’ennesima- commentò il portiere con tono beffardo calcandosi il cappellino sugli occhi.
 
-Tom anche tu la pensi così?- chiese la ragazza al centrocampista fermo e silenzio alle spalle di Benji.
 
-Non so...io non so più cosa pensare…- balbettò imbarazzato, ma immediatamente l’immagine di Clarice, fragile e triste, gli sovvenne colpendolo come una sferzata. No, non l’avrebbe mai abbandona a meno che non fosse lei stessa a chiederglielo esplicitamente -Non voglio credere ai giornalisti. Crederò solo a Clarice- asserì convinto, sostenendo senza timore lo sguardo ironico di Benji.
 
-E allora c’è solo un modo. Preparatevi stasera si va a vedere una sfilata di alta moda- concluse Patty in un tono forzatamente allegro.
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-Mio dio quanta gente- esclamò Amy sollevando lo strascico della lunga gonna di taffettà color cremisi che indossava, accomodandosi su uno dei tavoli a pochi passi dalla passerella.
 
Inaspettatamente, i ragazzi erano stati accolti all’entrata come degli ospiti d’onore, apprendendo, con stupore, che il comitato organizzativo aveva deciso, all’ultimo momento, di riservare dei posti in prima fila per giovani campioni del mondo, e quindi ora i ragazzi più le due accompagnatrici si stavano sistemando nei quattro tavolini ai piedi della passerella letteralmente ricoperta di ghirlande di profumate orchidee.
 
Patty guardava allibita i diamanti, le pietre preziose che baluginavano ovunque, pendendo dai colli incipriati e dalle orecchie delle ricche signore di alto lignaggio. Il lusso sfrenato e la ricchezza che si respirava a pieni polmoni in quella cornice, le fecero venire le vertigini e cominciò a dubitare fortemente dell’intenzione di Clarice di abbandonare tutto quel lusso. Era un mondo speciale, fatto di denaro e potere, dove ogni desiderio veniva esaudito…no che andava a pensare, ciò che desiderava Clarice, il denaro non glielo poteva dare. Lei voleva amore, amicizia …-Almeno spero sia ancora così…- pensò contorcendosi ansiosamente le mani in grembo. Tom, accortosi con prontezza dello stato d’animo della sua ragazza, le sfiorò appena il braccio sussurrandole -Sta tranquilla, ritroverai la tua Tsunami- Patty lo guardò incerta ma la fiducia che colse nelle iridi ambrate di lui la rilassò, dandole una nuova forza. Ora era pronta ad affrontare qualsiasi cosa.
 
Il botto violento dei fuochi d’artificio squarciò il cielo stellato, illuminando la notte di migliaia di luci che si mescolarono in un caleidoscopio di colori.
 
La sfilata aveva inizio.
 
Le luci si spensero, solo il cielo, con gli ultimi razzi artificiali ancora accesi, ed il palco erano illuminati. Le orchidee candide come la neve, emanavano effluvi esotici.
 
Il silenzio irreale che si creò all’improvviso nel parco era rotto solo dall’allegro zampillare delle due piccole fontane marmoree poste ai piedi della grande scalinata barocca da cui, tra brevi istanti, sarebbero scese le modelle.
 
Le note potenti del contrabbasso si levarono improvvise, percuotendo l’aria con suggestiva intensità, le prime strofe del “Fortuna” ruppero il silenzio nel momento preciso in cui una figura sottile apparve all’apice della scalinata.
 
Un’atmosfera incantata aleggiava nel parco di Buckingam Palace, gli ospiti si prepararono entusiasti ad assaporare quella serata di alta moda, le donne allungando i colli ingioiellati e gli uomini allentando di nascosto i nodi delle cravatte.
 
L’adrenalina saliva, i corpi si agitavano, Antlia entrava in scena.
 
La bellezza magnetica della ragazza attirò all’istante tutti gli sguardi su di sé. Patty percepì la tensione densa di aspettativa, i sospiri trattenuti, le espressioni fameliche, gli occhi avidi che sembravano voler perforare il corpo della modella, le cui curve femminili erano lasciate abbondantemente scoperte dalla lascivia dell’abito che indossava incurante di tutto e tutti.
 
Un brivido lento e fastidioso percorse la flessuosa schiena della manager, mentre a stento tentava di distinguere i lineamenti delicati di Clarice, si rifiutava di mettere a fuoco in un quel corpo, fatto per soddisfare le lussurie più sfrenate, la sua dolce amica.
 
Eppure era proprio Clarice quella donna che stava scendendo con grazia i gradini, abbigliata in un abito lungo di seta impalpabile color cenere che le lasciava scoperte le splendide spalle ed una porzione abbondante del seno alto e sodo. Il vestito fasciava la modella esaltandone il corpo perfetto con un gioco sapiente di trasparenze. Ad ogni passo giù dalla ripida scalinata, i tre strati di velo trasparente, che formavano la gonna, si aprivano, lasciando scoperte le lunghissime gambe. Tra i veli si intravedevano le cosce strette da una giarrettiera argentata, in un gioco di conturbante seduzione. La fierezza del suo portamento era paragonabile ai felini della savana africana, la bionda chioma, stretta da una semplice corona di gigli intrecciati, ricordava la criniera imperiosa del re della foresta. Alle orecchie e attorno al collo flessuoso, portava con disinvoltura diamanti di incredibile grossezza, che emanavano scintillii invitanti ad ogni minimo movimento. La sua bellezza era tale che sembrava una creatura divina più che una donna fatta in carne ed ossa.
 
-Apre la serata la splendida Antlia…da poco di nuovo in passerella. Indossa un abito di leggero chiffon color cenere arricchito da preziosi intrecci di prezioso oro bianco proveniente dalle cave di Assuan…-
 
Clarice giunse ai piedi della scalinata, arrestò un attimo la sua avanzata regale, per poi proseguire ancheggiando sicura sugli alti tacchi.
 
Arrivò sino al bordo estremo della passerella, soffermandosi un istante nel momento preciso in cui un’ombra familiare si mosse tra il pubblico…Jack che vegliava su di lei. Eppure vi era un’altra presenza che la stava proteggendo…Clarice percepiva su di sé una cappa d’amore che nessun cecchino avrebbe potuto rompere.
 
Un cecchino.
 
Un brivido gelido attraversò come una scarica elettrica il corpo della ragazza. Nascosto nell’ombra vi era un uomo pronto a far fuoco su di lei, senza riserve, senza rimpianti. Avrebbe spezzato la sua vita con un solo gesto, con la stessa noncuranza con cui si gettava un mozzicone di sigaretta. Ma non sarebbe andata così, Jack l’avrebbe protetta.
 
-Tutto tranquillo Clarice prosegui sei bellissima come sempre my little darling- sentì attraverso l’auricolare inserito nell’orecchio destro. Sorrise suo malgrado, non le aveva mai detto di trovarla bellissima, il suo piccolo tesoro…
 
-Ehi ma che modi- protestò Patty rivolta al fotografo che l’aveva praticamente scavalcata.
 
-Mi scusi signorina, ma Antlia sta sorridendo ed è un evento eccezionale-
 
-Ma che va blaterando?- lo apostrofò Patty confusa.
-Come non lo sa? La bella modella non ride mai, è fredda e distaccata con tutti. Per noi fotografi è impossibile riprenderla al di fuori delle sfilate e non rilascia interviste…insomma una star capricciosa…-
 
-Ehi bada a come parli. Avrà le sue ragioni per stare alla larga da sciacalli come voi giornalisti- intervenne Mark.
 
-Uh…tu non la conosci…la dama di ghiaccio si comporta così per attirare ancora di più l’attenzione…dopo quella brutta storia di droga, temeva di non essere più il sogno proibito degli americani…è proprio una bellissima squaldrina- commentò l’incauto fotografo, continuando a far scattare il flah senza sosta.
 
In un attimo Mark Lenders fu in piedi ed il suo destro mandò in frantumi il setto nasale dell’imbecille che aveva osato rivolgersi a Clarice in quel modo osceno, mentre la macchina fotografica volava lontano tra il pubblico.
 
Il movimento tra i tavoli attirò l’attenzione della modella, che aguzzò la vista nella speranza di vedere che cosa stesse accadendo tra i tavoli, ma non distinse altro che ombre scure muoversi nel buio e, dato che Jack non le comunicava niente, fece la seconda piroetta volteggiando su se stessa per poi tornare indietro mentre altre due modelle scendevano dalle scale.
 
-Adesso basta. Quella sciocca viene via con noi alla fine di questa pagliacciata e guai a lei se osa discutere- sibilò Mark riprendendo posto mentre il fotografo si allontanava di corsa convinto di essere incappato in qualche fan maniaco.
 
-Non la puoi obbligare. Lei ha scelto così di sua spontanea volontà- commentò asciutto Benji.
 
-Price sei uno stupido. Clarice mi deve delle spiegazioni chiare e convincenti, una lettera confusa e contraddittoria non può bastarmi come spiegazione!-
 
Patty, Benji e tutti gli altri erano pienamente consapevoli dello stato di confusione che la lettera di Clarice aveva sollevato. Aveva scritto di amare l’attaccante, ma poche righe sopra diceva di amare Benji. I due ragazzi, ovviamente, non avevano mai discusso apertamente della faccenda, ma Patty sapeva che il portiere non aveva accettato le spiegazioni di Clarice. Non solo non tollerava il fatto che non si fosse fidata di lui, credendolo capace di giudicarla e criticarla, ma soprattutto non si dava pace per averlo abbandonato dicendogli che l’amava ma che amava anche un altro. Patty dubitava che l’amore di Benji sarebbe sopravissuto alla rabbia e alla delusione che imperavano nel cuore del portiere in quel momento. Clarice non avrebbe dovuto commettere tutti quegli errori…
 
E poi Mark. Il rapporto che aveva con Clarice, Patty proprio non lo capiva, e dubitava che anche loro due ne avessero compreso la portata. Mark aveva combattuto come una vera tigre inferocita per vincere quei mondiali, come Clarice gli aveva chiesto, ed era certa che lui avesse superato se stesso e segnato quella valanga di goal, diventando il capocannoniere dei mondiali, solo mosso dalle parole di lei. Inoltre aveva il sospetto che Mark meditasse sul serio di riportare Clarice in Giappone con sé, con la forza se necessario. Era certa che il ragazzo sarebbe venuto da solo quella sera e avrebbe fatto di tutto per avvicinarsi alla modella, eludendo chissà in che modo le guardie del corpo per convincerla a tornare a casa. E, ad essere sinceri, Patty appoggiava Mark in tutto e per tutto e gli avrebbe dato una mano se necessario. Clarice doveva tornare con loro….eccola di nuovo…l’ultimo abito della sfilata…
 
-Signori e belle signore, Antlia conclude questa splendida passerella indossando l’abito di punta della collezione. Uno splendido abito di organza color malva con sfumature che vanno dall’indaco al blu zaffiro e veri zaffiri provenienti dalle cave del Sudan contornano la profonda scollatura a v …lo scialle di impalpabile tulle è tempestato di pura polvere di diamanti… Un abito da principesse signore…-
 
La ragazza arrivò nuovamente sino alla fine della passerella…eppure era lì, una sensazione strana, di calore e protezione. Clarice scrutò per l’ennesima volta tra i tavoli, ma il riverbero accecante delle luci del palco le impediva di vedere nell’oscurità della platea. Ruotò su se stessa, lasciando scivolare lo scialle di soffice tulle sino alle caviglie trattenendolo con una mano, come da copione, e tornò indietro lasciando che il prezioso tessuto strisciasse a terra formando una splendida coda dai mille bagliori.
 
-Darling è fatta…non c’é pericolo- le comunicò Jack tramite l’auricolare. La ragazza trasse un profondo sospiro di sollievo e tornò velocemente dietro le quinte. E così neanche quella sera il cecchino aveva sparato.
 
-Antlia cambiati- le disse Vania la costumista, aprendole la zip sul retro dell’abito.
 
-Ma io ho finito-protestò perplessa la ragazza.
 
-No cambio programma, dai indossa questo devi premiare i campioni del mondo-
 
-Cosa?!-
 
-Sì, sono qui ed Anthony ed io ti abbiamo preparato una sorpresa. Insomma dopo la tua performance a Parigi…dovevamo in qualche modo sdebitarci…- intervenne sua madre sopraggiungendo in quel momento, facendosi strada a gomitate tra la calca dei corpi delle modelle seminude.
 
La ragazza impallidì mentre altre due costumiste le sfilavano l’abito di zaffiri e le infilavano un bellissimo vestito verde smeraldo in perfetta tinta con i suoi occhi, che in quel momento brillavano di una luce intensa. Un unico pensiero turbinava vorticoso nella mente di Clarice
 
-Sono qui…sono qui…ecco perché quella sensazione di calore…oh amici miei…rivedervi finalmente…ma non è ancora il momento…ma chi se ne frega io muoio dalla voglia di rivedervi, di rivederti…-
 
L’applauso si spense piano piano mentre Anthony Eastwood, salito sul palco illuminato a giorno, prendeva la parola.
 
-Un attimo di attenzione signori e signore. Un fuori programma, un regalo speciale per la nostra bellissima Antlia che a Parigi ha manifestato un amore per la sua squadra del cuore…molti di voi sapranno lo scherzetto che mi ha fatto Antlia…-
 
Qualche ilare risatina tra il pubblico confermò ciò che Anthony già sapeva: la notizia aveva fatto il giro del mondo, conferendo ulteriore pubblicità alla sfilata parigina ed ai suoi modelli. In definitiva, quella splendida ragazza aveva avuto un’incredibile idea pubblicitaria e lui era stato uno stupido a rimproverarla.
 
-Quindi voglio ricambiare ed è con piacere che invito a salire sul palco la rappresentativa giapponese. Vi prego signori un applauso di incoraggiamento per i neo campioni-
 
Uno scroscio di applausi investì i ragazzi non appena la luce dei riflettori venne direzionata sui tavoli dove erano seduti. Sorpresi, si guardarono in faccia l’un l’altro.
 
-Forza ragazzi, non siate timidi, salite sul palco che la nostra Antlia vi darà un omaggio simbolico per dimostrarvi con quanto affetto ha seguito le vostre gesta durante questo mese…- annunciò con decisione il signor Eastwood.
 
Mark fu il primo ad alzarsi, alla luce fioca, si poteva intravedere l’espressione preoccupata che aleggiava sul bel viso dai lineamenti marcati. Non si mosse sino a che Holly non si alzò a sua volta, avviandosi sul palco. Holly era il suo capitano e perciò toccava a lui guidare la squadra. Si alzarono tutti, per ultimo Benji, che rimase incerto sino alla fine se seguire i compagni e dover guardare in faccia colei che amava e odiava con tutto se stesso. Lentamente, uno dopo l’altro, i ventidue ragazzi salirono sul palco tra gli applausi e le urla di incoraggiamento del pubblico lieto di quel fuoriprogramma.
 
-Clarice cos’è questa storia!- tuonò Jack palesemente arrabbiato nell’orecchio della ragazza.
 
-Non so Jack non ne sapevo niente, un regalo di mia madre e di Anthony-
 
-Non mi piace, non uscire-
 
-Ma non posso, mi stanno chiamando, devo andare-
 
-Clarice…maledizione- sbottò il poliziotto intravedendo la sagoma della ragazza stagliarsi in alto alla scalinata.
 
Stava ritta, con un’enorme coppa fatta di anemoni rossi e gialli sapientemente intrecciati, stretta tra le braccia. Iniziò a scendere i gradini nonostante non fosse poi tanto sicura di arrivare sino in fondo. Ad ogni passo il suo cuore accelerava, le gambe si facevano sempre più molli…respirando a fondo sollevò la testa e guardò dritta dinnanzi a sé…Tom, i suoi incredibili occhi nocciola furono i primi che incontrò, immediatamente percepì come una forza esterna entrarle nelle vene…Mark…no non poteva guardarlo o sarebbe svenuta all’istante…Benjiamin…-…oh dei di tutti i cieli…- …Benjiamin…-
 
Clarice barcollò, ma per fortuna era ormai giunta ai piedi delle scale, procedette con il cuore in tumulto verso i suoi amici. Gli applausi, il palco, le luci…nulla aveva più senso, solo loro e la sua voglia di non lasciarli più. Voleva gettare al vento quegli stupidi fiori, affondare tra le loro braccia, finalmente felice di vivere…
 
-Perdonami Carina, perdonami Jack ma io non rinuncerò una seconda volta a tutti loro…io torno in Giappone…-
 
-Clarice scendi immediatamente dal palco. Abbiamo individuato il killer, scendi- la voce di jack immobilizzò la ragazza. Lasciò cadere a terra i fiori a pochi passi da Holly che aveva già proteso le braccia verso di lei per riceverli. Il capitano si accorse dell’improvviso pallore dell’amica e, temendo che stesse per svenire, le si avvicinò afferrandola per un braccio.
 
-Clarice non è il momento di farti prendere dal panico. Cazzo Clarice, sta per sparare scendi dal palco- imprecava Jack incessante dentro l’orecchio della ragazza.
 
-Jack…- farfugliò confusa.
 
-No Clarice non sono Jack, sono Holly- disse il capitano giapponese passandole il braccio attorno alla vita ormai certo che sarebbe caduta a terra.
 
-Lo so Holly- disse invece appoggiandogli una mano sul torace muscoloso e guardandolo negli occhi con espressione supplichevole -…scendi dal palco-
 
-Cosa?- chiese il ragazzo fissandola incerto.
 
-SCENEDETE TUTTI DAL PALCO, PRESTO- urlò la modella dando un energico spintone ad Holly che finì ai bordi della passerella calpestando le orchidee.
 
-Clarice che ti prende calmati…- disse Mark cercando di avvicinarsi alla ragazza che credeva in preda ad una crisi isterica.
 
-SCENDETE DA QUESTO FOTUTTISSIMO PALCO IMMEDIATAMENTE!- urlò ancora, evitando, con un incredibile prontezza di riflessi, sicuramente acuita dalla paura, la presa di Mark.
 
-Clarice che diavolo fai, scendi. Fregatene di loro. Sei tu il bersaglio non spareranno su di loro-sbraitò Jack che seguiva incredulo quella pazza che spingeva i giocatori giù dal palco, incurante del fatto che vi fosse un fucile di precisione pronto a farle saltare la testa.
 
-Ne sei sicuro?- urlò la ragazza sotto gli occhi sbalorditi di Tom e Benjiamin che aveva appena spinto giù dalla passerella.
 
-No…cristo…muoviti scendi e salvati, pensa alla tua pelle-
 
-La mia vita non avrebbe più senso se anche uno solo di loro dovesse venir ucciso per causa mia…- disse calma guardando i suoi amici al sicuro in platea che la fissavano silenziosi trattenendo il respiro, troppo sconcertati anche per fiatare.
 
-Scendi Clarice- urlò Jack catapultandosi tra i tavoli e piombando a pochi passi dal gruppetto di giocatori che si voltò ad osservarlo con espressione sempre più confusa.
 
Clarice si voltò un’ultima volta per assicurarsi che non fosse rimasto nessuno sulla passerella, quindi, rincuorata, stava per gettarsi tra le braccia di Jack ma un dolore lancinante la freddò, ed improvvisamente attorno a lei non ci fu altro che buio.
 
Il corpo della giovane modella cadde riverso all’indietro tra le orchidee, mentre una grossa chiazza di sangue si spandeva velocemente impregnando i capelli color miele, gocciolando giù dal palco, tingendo di rosso i bianchi petali profumati.
 
L’ultima cosa che vide fu una mano forte e grande protesa verso di lei…
 
…Siamo gocce di un passato che non può più tornare, questo tempo ci ha tradito, è inafferrabile, racconterò di te, inventerò per te quello che non abbiamo, le promesse sono infrante come pioggia su di noi, le parole sono stanche, so che tu mi ascolterai, aspettiamo un altro viaggio, un destino, una verità… dimmi come posso fare per raggiungerti adesso…per raggiungerti adesso…per raggiungere te…*
 
*Le parole sono tratte da “Gocce di memoria” di Giorgia.
 

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Capitolo 26
*** Capitolo 26. Rivelazioni ***


~~CAPITOLO 26. RIVELAZIONI

Le urla isteriche delle signore si mescolarono allo stridio metallico delle sedie sbattute contro i tavoli rovesciati dalla folla che premeva per allontanarsi man mano che prendeva coscienza di quanto avvenuto. In un batter d’occhio, Jack era accanto a Clarice, mentre una catena umana, fatta di poliziotti armati, circondava l’ispettore capo ed il corpo esanime della modella.

-CLARICEEEE! Fammi passare- urlò Benji lanciandosi con furiosa violenza addosso a chiunque osasse sbarrargli la strada, seguito da Patty, Mark , Holly e Tom altrettanto agitati e determinati a raggiungere il corpo di Clarice riverso a terra in una pozza di liquido scuro.

-Via, allontanatevi immediatamente…nessuno può avvicinarsi…capo…- urlò un poliziotto tenendo bene in vista la pistola nella speranza di scoraggiare quei ragazzi scatenati.

-Non fate avvicinare nessuno! Clarice mi senti? Maledizione un dottore! Dov’è il dottore?- sbraitò Jack sollevando dolcemente la ragazza da terra e stringendola con estrema attenzione tra le braccia. 

-Jack…- sussurrò Clarice sbattendo confusa le palpebre arrossate.

-O Dio ti ringrazio! Clarice mi senti? Ora ti porto al sicuro…sta tranquilla-

La ragazza si abbandonò ubbidiente tra le braccia del poliziotto, appoggiò il capo sul petto vigoroso di lui, ringraziando mentalmente la mano destra dell’uomo che le sorreggeva il capo che sentiva insopportabilmente pesante.

Clarice spalancò gli occhi smarrita quando la salda presa dell’uomo attorno al suo corpo venne meno, sostituita dal freddo pavimento di marmo. Jack l’aveva trasportata in fretta dietro le quinte, ed ora, la stava deponendo a terra, tra i vestiti, in un angolo deserto. Non vi era nessuno oltre a loro, le modelle erano state bloccate e condotte in una stanza della dependance reale, dove erano controllate a vista da alcuni uomini di Scotland Yard informati sul delicato caso.

Jack strappò il vestito della ragazza, scoprendole la spalla colpita ed il seno tondo e roseo. Constatò con immenso piacere che, nonostante avesse perso un bel po’ di sangue, la ferita era superficiale, uno striscio bruciacchiato sulla pelle candida.

-Clarice non è nulla, solo un graffio…- disse spostando suo malgrado lo sguardo sul seno scoperto della giovane modella. Si affrettò a coprirla con un abito azzurro abbandonato a pochi passi da lui, vergognandosi per la sua umana debolezza -Tieni premi questo con forza sulla ferita in modo da bloccare il sangue. Il dottore sarà qui a momenti. Io non lo posso aspettare, devo andare ad arrestare quel bastardo che ti ha sparato ...-
-Va bene l’avete preso?- chiese lei sentendosi improvvisamente più forte, come se le parole rincuoranti di lui, avessero miracolosamente rimarginato la ferita.
-No ma lo prenderò, a dopo little darling…-
-Prendilo Jack, fallo per Carina-
-Lo prenderò per te, soprattutto per te- replicò lanciandole un’eloquente occhiata, prima di sparire oltre la siepe con la sua magnum 44 ben salda in pugno.

Clarice si sistemò meglio appoggiandosi al muro ed arrotolando, come meglio le riusciva, la stoffa attorno alla spalla. Aveva ragione Jack, era solo una ferita superficiale, era stato lo spavento, più che il dolore, a farle perdere i sensi…però il sangue continuava ad uscire…

-Clarice…bambina mia, che ti hanno fatto!-
-Mamma!- esclamò sorpresa, mettendo a fuoco la figura immobile nell’ombra, tra gli attaccapanni.
-Come stai?- le chiese Costance facendosi avanti ed inginocchiandosi accanto alla figlia,
-Bene mamma è solo un graffio…-
-Fai vedere tesoro…-

-Ma cosa…- Jack si bloccò di colpo in mezzo al parco nel momento in cui udì la voce di Clarice e della signora Kameda attraverso l’auricolare che lo teneva in costante contatto con la modella. Aveva dato ordine che nessuno si avvicinasse a Clarice, perché allora la madre era con lei? Estrasse, dalla tasca interna del suo pesante giubbotto antiproiettili una ricetrasmittente, mentre un dubbio atroce prendeva consistenza nella sua mente -Simon perché la signora Kameda è con Clarice?-
-Cosa!? Capo noi non abbiamo fatto passare nessuno, non so…-
-Lascia stare. Mettiti in posizione e non le perdere di vista…Norton mi senti?-
-Sì capo-
-L’avete preso?-
-Sì ma…-
-Ma cosa?-
-È morto. Si è sparato prima che potessimo fermarlo-
-Maledizione…ma che diavolo succede?- Jack si portò istintivamente una mano all’orecchio dove aveva posizionato il ricevitore che gli trasmetteva la voce di Clarice. Quello che udì gli mozzò il respiro in gola …

-Tieni Clarice bevi questo-
-Cos’è mamma?-

La voce della ragazza era chiara anche se sofferente, la ferita doveva dolerle molto.

-Un analgesico, ti farà stare meglio-
-Ma non mi serve, non ho dolori-

Jack ricominciò a respirare sollevato, Clarice stava mentendo, aveva capito che c’era qualcosa di strano…

-Sciocchezze, non ti fidi della tua mamma? Bevilo e poi starai meglio…molto meglio-
-Mamma sei strana…che cosa…ferma!-
-Bevilo ti ho detto!-

In pochi istanti Jack aveva estratto un’altra ricetrasmittente -Catherine stai registrando?- chiese sbrigativamente al tecnico per le registrazioni ambientali.
-Ogni cosa capo…è lei!-
-Sì. Ora però devo salvare quella povera ragazza- borbottò tra sé e sé, mentre ritornava velocemente verso il palco ancora illuminato.

Non appena giunse a pochi metri dalla passerella, individuò tre dei suoi uomini ancora impegnati a tenere a bada i ventidue ragazzi giapponesi e le loro accompagnatrici, che spingevano, urlavano e tiravano calci pericolosissimi in direzione dei poliziotti.
-Che succede?- tuonò Jack facendoli voltare all’unisono.
-Facci vedere Clarice brutto idiota …voglio sapere come sta la mia Clarice!-
-Calmati! Vedo che tieni molto ad Antlia…-
-Non la chiamare così! Lei è Clarice e basta! Dimmi se è…- Benji non aveva neanche il coraggio di dar forma al suo sospetto.
-Viva?- concluse per lui Jack -Sì lo è, ma se continuate ad intralciare il nostro lavoro, non lo sarà ancora per molto-
-Cosa vuoi dire?- intervenne Mark.
-Aspetta…Simon sei in posizione?- chiese Jack parlando nella ricetrasmittente.
-Sì capo non le perdo di vista neanche un istante…attendo ordini-
-Ok intervieni solo quando te lo dirò io o se c’é pericolo immediato per Clarice-
-Sta tranquillo, non le verrà torto un capello…-

Jack spostò lo sguardo sui ragazzi che non perdevano una virgola delle sue parole, ma che non ne capivano il senso.

-Ora scoprirete chi è Antlia…tutta la verità- disse il poliziotto staccando un filo da un marchingegno che somigliava ad un registratore tascabile, mentre un lampo di ammirazione guizzava veloce nei suoi occhi azzurri.

La voce di Clarice giunse flebile ma chiara alle orecchie dei suoi amici. La ragazza parlava molto lentamente per permettere a tutti i poliziotti, compresa la squadra speciale di Scotland Yard, di comprendere le sue parole e di registrare ogni cosa.

-Mamma smettila che diavolo stai facendo-
-Bevi questa roba-
-Dimmi cos’è…-
-Veleno stupida. Stricnina, non sentirai alcun dolore-
-Perché?-
-Mi chiedi anche  perché, sporca spia? Credi che non lo sappia che collabori con la polizia per bloccare il traffico di droga che gira tra le modelle? Sciocca! Non lo hai capito che le ville, le auto, i soldi che ti godi ogni giorno, vengono proprio dalla droga?-
-Tu…tu sei immischiata in questo schifoso traffico-
-Sei più ingenua di quanto credessi! Io non sono immischiata, io lo dirigo il commercio di droga. Stupida bambina viziata. Avresti potuto avere tutto dalla vita ed invece sei sempre rimasta fedele a inutili principi che ti ha inculcato quel fallito di tuo padre…-
-Non nominare papà!-
-Ma fammi il piacere! Sai qual’è l’eredità che tuo padre ti ha lasciata? Quella stupida villa in Giappone…ma il resto, tutte le case che abbiamo in giro per il mondo, le quote azionarie di molte agenzie di moda …le ho guadagnate io con il mio lavoro…-
-Lavoro mamma? Fornire la droga a povere ragazze troppo deboli per non cadere nella trappola, lo chiami lavoro?-
-Ma che me ne importa di quelle povere drogate? Non ci posso credere Antlia…stai ancora pensando a quella nullità di Carina… parlava troppo, per una dose sarebbe stata capace di spifferare tutto al primo venuto, è stata una fortuna che quella partita tagliata male sia capitata proprio a lei…-
-Tu...maledetta!-
-E non guardarmi così… Anche tuo padre è morto proprio nel momento giusto…-
-Papà!?…Che Dio ti perdoni…sei un mostro…perché mi hai messa la mondo se mi odi così tanto?-
-Io non ti odiavo, anzi ero molto fiera della mia bellissima figlia, saresti stata la mia erede perfetta, peccato che hai scelto di ribellarti. Se ti fossi lasciata plasmare, tutto sarebbe stato diverso. E invece no! La mia integerrima figlia rifiuta la droga, non approva scendere a compromessi per ottenere ciò che vuole, ma cosa ti ha portato tutto ciò? Ora ti farò fuori Clarice e non avrò pietà anche se sei sangue del mio sangue…il massimo che posso fare è non farti soffrire…Addio cara…salutami Carina e tuo padre quando li incontrerai…Tesoro ti si sta annebbiando la vista, guarda quanto sangue hai perso…stai lottando per rimanere cosciente? Non ti sforzare, soffrirai meno se svieni…-
-Un’ultima cosa …mamma-
-Dimmi cara-
-Qualcuno lassù forse avrà pietà di te, ma io non sono così nobile e perciò… ti auguro che il carcere sia molto duro…-
-Cosa!?-

-Signora Kameda, in nome dello stato della California, la dichiaro in arresto. Lei ha il diritto di rimanere in silenzio, ogni cosa che dirà potrà essere usata contro di lei. Ha diritto ad un avvocato….-

-Ben fatto little darling- disse Jack sbirciando compiaciuto le espressioni sconvolte dei calciatori giapponesi.
-Jack?-
-Sì Clarice-
-Io sto svenendo sul serio…la ferita… vuoi farmi morire dissanguata?-
-No piccola, arrivo subito- disse il poliziotto girando sui tacchi e pronto a soccorrere la sua coraggiosa amica.
-Aspetti!- una ragazza mora, con il volto inondato di lacrime, si fece avanti -Tsunami…possiamo vederla?-
-Tsunami?- ripeté il poliziotto senza capire.
-Clarice…per noi è Tsunami- replicò secco un ragazzo alto che Jack riconobbe immediatamente: il grande SSGK, Benjiamin Price, il portiere paratutto…che fosse lui il ragazzo di cui Clarice gli aveva parlato?

-Perché “Tsunami”?- chiese sorpreso.
-Non l’ha capito?-lo apostrofò Mark rudemente. E quello era il capocannoniere rivelazione dei mondiali…

-Onda anomala…maremoto…sì ho capito…comunque ora non la potete vedere. Tornate in Giappone …presto vi raggiungerà-

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Capitolo 27
*** Ritrovarsi ***


~~CAPITOLO 27. RITROVARSI

Buon ANNO a tutti!!! Salute, gioia, divertimento, fortuna e fantasia…non voglio proprio poco da questo 2014!!!!

Per aspera ad astra.

Akiko chan

 

La ragazza uscì solitaria dall’afosa aula del quinto piano del complesso universitario di Yokohama. Attraversò il cortile stringendo pensosamente tra le braccia un paio di grossi libri, mentre l’aria frizzante di quel tardo pomeriggio d’inizio autunno, le scompigliava dolcemente i lucenti capelli corvini.

Fece alcuni passi, osservando assorta le foglie secche che si accumulavano a terra lungo il ciglio del vialetto d’accesso. Una coppia di ragazze, matricole del primo anno, la superarono con indifferenza, lasciando dietro di loro una scia di allegre risate. Patty sospirò tristemente.

Era passato un altro mese e di Tsunami nessuna traccia.

-Ciao Amore, che fai qui sola soletta?- chiese il bel ragazzo moro, apparso all’improvviso alle sue spalle.
-Tom…ciao…-
-Che c’è? Perché sei così triste? Sempre lo stesso motivo?-
-Sì …sono passati ormai quattro mesi e Tsunami non si fa viva. Non chiama, non scrive…la stampa, dopo il putiferio iniziale, non la nomina neanche più…-
-Beh questo è un bene …-
-Sì ma….Tom che fai…dai sciocco- protestò Patty con disappunto, dibattendosi inutilmente per scostare le mani del ragazzo che si erano poggiate sui suoi occhi impedendole di vedere.

-Ti sembra il momento di scherzare? Insomma ti sto parlando seriamente…- continuò adirata cercando di divincolarsi, ma era tutto inutile, Tom l’aveva stretta a sé bloccandola contro il suo petto e la sua presa era potente come una morsa d’acciaio.

-Patricia ti amo troppo…per me ogni tuo desiderio è un ordine e quindi….Clarice ti ordino di apparire perché il mio dolce amore lo desidera ed io non la voglio vedere infelice!- disse con una buffa intonazione che irritò oltre ogni dire il carattere facilmente infiammabile di Patty.

-Tom sei uno stupido! Io sono seria e sto male e…. non è possibile!-

Non poteva credere ai suoi occhi!

-Clarice!- urlò Patty gettando all’aria i libri che sino ad un istante prima stringeva con cura  al petto e gettandosi con foga tra le braccia dell’amica.
-Ahi!- Clarice sbiancò vacillando impercettibilmente, stretta in quell’abbraccio impetuoso.
-Che c’è? La spalla…oddio sono una sciocca!-
-No, non è niente …ora sto molto meglio, ma me la sono vista brutta…era più grave di quel che sembrava …- spiegò Clarice massaggiandosi la parte offesa e sorridendo timidamente per rincuorare l’amica che la osservava desolata.

-Perché non mi hai chiamata? In silenzio per quattro mesi… non sapevo…non sapevamo più cosa pensare…- blaterò Patty stropicciandosi comicamente gli occhi colmi di lacrime non più trattenute.
-Perdonami, ma tra la convalescenza, l’operazione e un po’ di…”cosette” da sistemare, non ho avuto tempo…-
-Tsunami non si fa così…ma sono così felice di rivederti! Manterrai la promessa che mi hai fatto? Ti sei già iscritta l’università?-
-Si certo stamattina…Tom mi ha aiutata con le pratiche- disse rivolgendo un caldo sorriso all’amico che le osservava serafico.
-Tom!? Perché non mi hai detto niente! Ma guarda che fidanzato imbroglione mi sono trovata!- sbuffò Patty mettendo il broncio ed incrociando le braccia al petto.
-Oh no, ti assicuro che è il migliore in circolazione. Gli ho chiesto io di stare zitto, per farti una sorpresa-
-E ci sei riuscita, eccome! Ma dimmi a cosa ti sei iscritta?-
-Medicina-
-Uao, ottima scelta! E la facoltà è proprio accanto alla mia…-
-Sì l’ho scelta per quello…-
-Non prendermi in giro stupida…-
-E dai, non fare la permalosa Anego-
-Tsunami io non sono permalosa, sei tu che sei indisponente-
-Ah e così ti indispongo?-
-Calma, ragazze calma…- intervenne Tom accigliandosi, intuendo che la faccenda stava prendendo una piega pericolosa.
-Taci!- lo zittirono all’unisono le due ragazze con tono concitato.
-Non osare rivolgerti così al mio fidanzato- sbottò Patty attaccando Clarice.
-Ma che fidanzato! Se non era per me, te ne accorgevi chissà quando-
-Ma come osi? Tu non hai saputo far altro che limonare con il mio Tom alla cascata…-
-Anego ora basta! Come al solito non conosci limiti…-
-A botte Clarice? Ma la tua spalla reggerà lo scontro?-
-Tu non ti preoccupare…-
-Ehm ragazze io …non credo sia il caso di litigare già dal primo giorno….ohi ohi che anni duri si prospettano all’orizzonte…-
-Perché tu che c’entri?- chiese Clarice divertita dall’espressione tragicomica del ragazzo.
-Anche Tom studia all’università- disse Patty con fierezza, ben disposta a cambiare argomento. L’ultima cosa che realmente desiderava, era fare a botte con la sua migliore amica appena ritrovata. E poi non in quelle condizioni precarie, non era leale…ne avrebbe avute di occasioni per azzuffarsi con Tsunami …Dio che felicità!

-Ah sì? E a cosa sei iscritto?- chiese Clarice, accantonando definitivamente lo scontro con Patty.
-Medicina- rispose il ragazzo.
-Tom perché non me lo hai detto?- chiese incredula.
-Eh… le sorprese non le puoi fare solo tu…-
-Che bello! Allora studieremo insieme!-
-Sì-
-Ma e la tua carriera agonistica? Medicina richiede una frequenza assidua…
-Continuo ad allenarmi, ma il calcio non è la sola cosa che mi appassiona nella vita. E poi sono giovane, qualche anno di studio me lo posso ancora concedere, prima di decidere se gettarmi anima e corpo nel calcio…-
-Già, questo è vero- convenne Clarice, guardando compiaciuta l’amico.
-Comunque questa scelta non l’ho fatta solo io…-
-Davvero? E chi altri si è iscritto all’università?- chiese Clarice curiosa.
-Lui per esempio- intervenne Patty indicando con la mano una persona alle spalle di Clarice.

Clarice si voltò ed il suo cuore si arrestò mentre metteva a fuoco la figura imponente del ragazzo che stava attraversando il cortile con passo spedito.

-Tom, Patty.…- balbettò Clarice guardando gli amici in cerca di conforto.
-Dai vai da lui, avete una marea di cose da chiarire, ti conviene iniziare subito…- le consigliò Patty dandole una spintina d’incoraggiamento.
-E se non volesse più saperne di me? In fondo l’ho deluso profondamente…-
-Io non credo, comunque se non glielo chiedi, non saprai mai che cosa pensa realmente di te. Ma non ti preoccupare, ho la netta sensazione che lui Antlia non sappia nemmeno chi sia…- aggiunse Tom facendole un occhiolino d’intesa che rincuorò solo in parte Clarice.
-Ho paura…- piagnucolò nella speranza che i due amici avessero pietà di lei e la nascondessero da qualche parte. Era certa di non avere la forza necessaria per affrontarlo, non era preparata ad un incontro così immediato, aveva sperato di procrastinare quel momento sino a che non avesse deciso nei minimi dettagli che cosa dirgli e come comportarsi.
-Troppo tardi, ti ha vista…a presto Tsunami- disse Patty allontanandosi velocemente con Tom.

Clarice rimase imbambolata sotto il platano quasi spoglio, tra le foglie ingiallite che continuavano a scendere ondeggiando tranquillamente in balia del tenue vento autunnale. Quella pace irreale era in stridente contrasto con la bufera di emozioni che si dibattevano nel suo cuore mentre guardava quasi con angoscia il ragazzo che si avvicinava…

Quanto l’aveva aspettata e finalmente era tornata…per lui?

Una sola occhiata servì a Clarice per comprendere che le sue paure erano infondate, non vi era odio né rimprovero sul suo volto, solo sorpresa e…gioia!

-E così sei tornata finalmente!-
-Sì…- mormorò lei abbassando la testa.
-Guardami in faccia mentre mi dici come stanno le cose e non far finta di non capire…- disse lui mettendole un dito sotto il mento e costringendola ad incrociare i suoi occhi color pece -…aspetto delle risposte…oh Clarice…sapessi quanto mi sei mancata- ammise svelando con semplicità il sentimento che aveva celato con cura nel cuore.
-Anche tu mi sei mancato tanto…- rispose con altrettanta sincerità.
-Ma?-
-Ma…ci sono molte cose da chiarire ed io non so da che parte cominciare…-
-Dubito che esista un inizio… forse non riusciremo mai a capire cosa sia realmente successo tra di noi. Sai- esitò un istante frapponendo un passo di distanza tra di loro, come se l’eccessiva vicinanza di lei gli impedisse di esprimere ciò che per tanto tempo avevano subito passivamente, senza porsi troppe domande. Era estremamente imbarazzante, per una persona rude e concreta come lui, parlare di una cosa così….romantica? Surreale? Fantastica? Ma sentiva la necessità di dare un senso a tutto quello che era accaduto…magari parlandone insieme avrebbero compreso….o forse semplicemente non c’era nulla da comprendere…- …. a volte era come se una forza sovrannaturale mi spingesse a proteggerti e mi permettesse di capire quando avevi bisogno di me. Non mi era mai capitato con nessuna…non so dare un nome al sentimento che ci lega, ma forse non è così importante dargliene uno…non so…probabilmente non ha niente a che fare con quello che noi chiamiamo amore, forse è qualcosa di ancora più grande, o forse il semplice frutto della nostra fantasia. Comunque, qualsiasi sia la verità spero, di averti aiutata a conquistare la vita che vuoi…-

Clarice afferrò la mano abbronzata del ragazzo e la portò alle labbra con reverenza, esprimendo con quel dolcissimo gesto tutta la sua gratitudine -Non so spiegare neanch’io cosa sia accaduto, ma se tu non ci fossi stato, io non ce l’avrei mai fatta ... è soprattutto grazie a te, alla forza che mi hai dato, che ho vinto la mia battaglia e ora ….sì sono pronta a vivere la mia vita-
-Sono felice di sentirti parlare così. E sono contento di aver avuto un ruolo così importante, ma ora è giusto che ognuno prenda il suo posto senza ambiguità- sorrise dolcemente ritraendo con riluttanza la mano. La osservò un attimo, prima di ficcarla in tasca con eccessiva veemenza.
-Tu sei importante per me…- proseguì Clarice turbata da quel gesto.
-Lascia stare non spiegare a parole ciò che è stato, lo sminuiresti. Ricordati una cosa però…se avrai ancora bisogno di me, chiamami ed io verrò….E comunque non sono certo che scegliendo Price tu faccia la scelta migliore…- disse Mark Lenders voltandole le spalle e cominciando ad allontanandosi lentamente.

Era troppo, troppo anche per la Tigre…

-Forse non sarà la migliore, ma è l’unica che posso fare. Il mio destino è Benjiamin…lo è sempre stato sin dall’inizio…-
-Allora muoviti, altrimenti dovrai volare sino in Germania per dirglielo-
-Cosa!?-
-Non lo sai? Partirà per Amburgo domani mattina…ha accettato la proposta dei tedeschi-
-E perché Tom non me lo ha detto? Accidenti!-
-Forse loro credevano che tu fossi tornata per me…- replicò arrestandosi e voltandosi un’ultima volta verso di lei.
-Ma…anche tu lo credevi?-
-Lo speravo, ma in realtà l’ho sempre saputo che nel tuo cuore c’é sempre stato solo Benji…il perché mi sfugge, ma comunque mi era chiaro. E tutto sommato mi va bene così: una donna che preferisce Price a me, non mi merita!- concluse ridendo con le labbra ma non con il cuore.
-Come sei presuntuoso-
-E tu come sei sciocca a star qui a perder tempo, lo vuoi vedere sì o no il tuo amato? Sappi però che lo troverai molto arrabbiato con tutta la confusione che hai fatto!-
-A presto Tigre!- gli urlò Clarice felice, sparendo in un lampo oltre le siepi del campus universitario.

Non sempre si riesce a capire quanto male facciamo a chi ci ama…

-Addio amore mio, non lo saprai mai quanto ti ho amata ma è meglio così…conoscendoti ti saresti tormentata per tutta la vita ed invece voglio che tu sia felice, completamente, totalmente felice- mormorò Mark disgustato dalla lacrima amara che sentì scendere lungo la guancia. L’asciugò con rabbia, inferocito da quella puerile debolezza….ma giurò solennemente che era la prima e l’ultima…Clarice apparteneva già al suo passato…doveva appartenere al passato…

-Signorino c’è una visita per lei- annunciò il maggiordomo socchiudendo incerto la porta della camera da letto del suo padrone.
-Insomma Gorge, come te lo devo dire! Non voglio vedere nessuno!- sbraitò il ragazzo sdraiato sul grande letto al centro della stanza in penombra.
-Sì…ma la signorina dice che non se ne andrà sino a che non l’avrà vista …- insistette esitante il domestico, intimorito dal pessimo umore che da qualche mese faceva scoppiare il giovane padrone in esagerati ed ingiustificati scoppi d’ira alla minima contrarietà.
-La signorina?- chiese Benji sprezzante sollevandosi su un gomito- Chi è? Quella testarda di Patty?-
-No Benjiamin sono io- disse Clarice, materializzandosi alle spalle del maggiordomo.
-Tu….Va bene George puoi andare- ordinò congedando il domestico con un distratto gesto della mano, mentre, con sguardo incredulo, squadrava l’esile figura che si stagliava contro il chiaro rettangolo della porta.
 
Il maggiordomo si ritirò in silenzio chiudendo la porta alle spalle della ragazza. Benji scese dal letto con estrema lentezza come se quel semplice gesto gli costasse una fatica immane. Si fissarono a lungo, tesi ed imbarazzati, i volti di entrambi, appena rischiarati dagli ultimi, deboli raggi del tramonto, esprimevano mille contrastanti sentimenti.

Lui, pervaso da una rabbia cieca mescolata a dolore, frustrazione, sofferenza, rancore, odio, amore, non aveva la più pallida idea di come affrontare quella valanga di emozioni ingarbugliate. Con l’impeto che la contraddistingueva, Tsunami aveva annientato le sue barriere e con esse anche la sua anima ed i suoi sentimenti. L’impassibile SSGK si era ridotto ad un semplice uomo innamorato e tradito, incapace di pensare ed agire coerentemente. Era contenta ora? Era fiera di averlo gettato in quello stato? No, era inutile bleffare…sapeva benissimo che Clarice non aveva mai avuto intenzione di fargli del male…il problema era che gliene aveva fatto…e tanto…

Lei, tremava come una foglia inchiodata da quegli occhi spietati che la accusavano delle più atroci nefandezze. Ogni sua parola, ogni suo gesto non avrebbe fatto altro che aumentare l’ira che divampava in Benjiamin, sapeva che era sufficiente un suo minimo, impercettibile movimento per  farlo esplodere. Eppure non poteva evitare l’ineluttabile confronto, era consapevole che toccava a lei porre fine a quell’imbarazzante situazione.

Respirò a fondo, concentrandosi per dare alla sua voce almeno una parvenza di normalità- Come stai?-

-Uhm…cambia domanda…- rispose secco, voltandole le spalle.

-Ehm…non mi rendi le cose facili-

Ed il suo sfogo giunse. Diretto, tagliente, crudele, implacabile…

-E te le dovrei anche rendere facili? Mi hai mentito, ingannato, abbandonato, tradito…e tu mi vieni a dire che dovrei renderti le cose facili? Ipocrita!-

Doveva difendersi? Sì doveva farlo, anche se non era certa di averne la forza…

-Io….e va bene hai ragione, hai stramaledettamente ragione e non ti biasimo se non ne vuoi più sapere niente di me, ma ascoltami: ti amo Benjiamin, ti amo con tutta l’anima e ti chiedo perdono per tutto ciò che ho fatto. Ti supplico di darmi una seconda possibilità, ti prom…-

Le parole le morirono in gola, raggelate dalla risata sprezzante di Benji che la colpì crudelmente, facendole più paura di qualsiasi possibile reazione di rabbia. Benji si voltò guardandola con occhi resi cupi dall’odio -Ma che bel discorsetto! E ora che dovrei fare? Prenderti tra le braccia e dirti “oh amore non ti preoccupare ho già dimenticato che mi hai abbandonato per mesi lasciandomi come unica spiegazione una stupida lettera in cui dicevi di amare un altro!” che facciamo Clarice? Ci amiamo sino a che non rivedrai Lenders? E poi ricomincerai a dividerti tra noi due? No cara, non ci sto! Ciò che è mio non sono disposto a dividerlo con nessuno, tanto meno con Mark Lenders! Cos’è non rispondi? Ho colto nel segno?-

Ma stavano veramente così le cose? Era solo questo che turbava Benji? Ma chi era quel ragazzo che le stava di fronte? Non il suo Benjiamin.

-Non posso credere che tu sia così cieco! Ho attraversato l’inferno negli ultimi cinque mesi! Il mondo intero mi è crollato addosso… e l’unico tuo tormento è stato che io amassi un altro?! Non posso crederci!-

-Eh no cara, non mi farai passare dalla parte del torto! So benissimo cosa hai passato ma so anche che se tu mi avessi detto tutto dall’inizio, le cose sarebbero andate molto diversamente…-

-Non era possibile- disse improvvisamente calma. Un sentimento di piatta irrealtà si fece inaspettatamente strada nel suo cuore, anestetizzando ogni altro sentimento.

-Cosa non era possibile?- chiese perplesso, percependo con apprensione il repentino cambiamento che avveniva in Clarice.

La stava perdendo…sino a quel momento era sempre stata con lui…ma ora se ne stava andando…

-Non potevo lasciare che il mio passato mi schiacciasse e non potevo neppure permettere che tu fossi coinvolto…no Benjiamin, ciò che ho fatto è stata la scelta più giusta…- concluse sorridendo senza allegria.

L’uragano è impossibile da arginare una volta esploso.

-E allora non dovevi tornare! Non dovevi venire a letto con me, non dovevi coinvolgermi per poi mettermi da parte come un pupazzo!-

L’aveva perduta. Ora e per sempre. Il suo smisurato orgoglio aveva vinto ancora una volta, non era in grado di fidarsi di un altro essere se non riusciva a fidarsi neanche di se stesso. Decisamente era più semplice convincersi che fosse lei ad averlo tradito e non che fosse lui a tradire entrambi…

-Eppure Mark ha capito…perché tu non ci riesci? …Benjiamin… che ci sta succedendo?-

Freddo, freddo, tanto freddo…

-È finita qua…Benjiamin?-

Addio…

-Non è mai iniziata…è stato tutto un incubo…tu non sei mai riapparsa nella mia vita, io non ti ho mai amata…non è mai successo nulla…-

Addio…

-Sei un vigliacco Benjiamin! Non sono stata in grado di arrivare al tuo cuore e dubito che ci sia persona al mondo in grado di farlo…non può esserci sino a che tu non accetterai di avere un cuore e di poter amare come tutti gli altri! Sei tu l’ipocrita, accusi la tua famiglia di essere la causa della tua incapacità di affidarti agli altri ma non è così…mia madre mi ha fatto molto più male della tua, eppure io amo!- gli urlò Clarice fuggendo via tra le lacrime.

Addio amore…è scesa la notte nel mio cuore…

Non poteva cedere alla disperazione, aveva una vita da costruire davanti a sé. Una vita che avrebbe vissuto anche senza di lui…una via tracciata con tanta fatica aveva il diritto di essere percorsa…

Ma poteva concedersi ancora un attimo di pausa, ancora pochi minuti per ricomporre tassello per tassello la sua storia.

Molti avvenimenti sarebbero potuti andare diversamente, ma il destino aveva tessuto quella trama e lei l’aveva accettata… dapprima con incertezza, con la morte nella mente e la paura nel cuore… ma l’amicizia e l’amore l’avevano soccorsa. Erano sbocciati in lei, dandole la forza di sfidare e annientare i fantasmi del suo passato.

Recuperò un frammento di vita, il frammento che l’aveva salvata….Quel campo…un campo verde in un mare nero…

Senza rendersene conto, cullata dai suoi pensieri, Clarice era giunta al campo della Nankatzu, dove qualche mese prima, aveva ricongiunto la sua vita a quella dei suoi amici…i suoi unici veri amici…

Calpestò l’erba profumata di rugiada notturna, stupendosi di quanto fosse morbida. Percorse lentamente l’intero perimetro del campo, seguendo la linea bianca che sembrava risplendere di luce propria nel buio della notte.

E quindi la consapevolezza di non essere sola.

Non c’era sorpresa nei loro volti, semplicemente sapevano che sarebbe successo. Clarice avanzò sicura, arrestandosi solo ad un passo da lui, tanto vicini che il calore dei loro corpi si confondeva.

Non vi erano più confini, uniti in un’unica magica aurea.
 
Lei aprì la bocca per parlare ma poi scosse il capo, ripensandoci: che dire? C’era veramente qualcosa da dire?

-Domani parto per Amburgo…-

-Non verrò con te…-

-Lo so, ma mi aspetterai?-

Afferrò la mano nerboruta di Benji stringendola forte tra le sue … non vi era una risposta sensata a quella domanda, lei lo avrebbe aspettato ma non erano ancora sicuri che il loro acerbo amore sarebbe sopravvissuto alla lontananza. Si erano ritrovati dopo tanti anni e non avevano davvero avuto tempo per conoscere la donna e l’uomo che erano diventati. Decisamente non sarebbe stato semplice concedere a quel sentimento confuso di crescere e rafforzarsi con migliaia di chilometri a separarli. 

Abbassarono lo sguardo: passato, presente, futuro erano magicamente racchiusi nell’intreccio delle loro dita. Il destino avrebbe deciso ancora una volta per loro? O erano ormai sufficientemente maturi per tracciare con sicurezza la direzione delle loro vite?

Se si ama
nessuno sbaglio è imperdonabile
nessun dolore è infinito
nessuna offesa è insuperabile
nessuna lontananza è incolmabile

Ma solo se si ama
per sempre.

(THE END)

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