Le Custodi della notte-La caccia

di Lilith Lancaster
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Memorie ***
Capitolo 2: *** Burn Baby Burn ***
Capitolo 3: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 4: *** Incubi ***
Capitolo 5: *** Ritorno alla realtà ***
Capitolo 6: *** Nuovi Incontri ***
Capitolo 7: *** Incidenti e Sorprese ***
Capitolo 8: *** Casa dolce casa ***
Capitolo 9: *** Vita privata e vita segreta ***
Capitolo 10: *** Visite notturne ***
Capitolo 11: *** Il castello di carte inizia a crollare ***
Capitolo 12: *** Terremoto ***
Capitolo 13: *** Attrazione ***
Capitolo 14: *** Cordoglio e tradimento ***
Capitolo 15: *** Discendenza ***
Capitolo 16: *** Silenzi e Bugie ***
Capitolo 17: *** Sentimento ***
Capitolo 18: *** Primo Appuntamento ***
Capitolo 19: *** Chiarimenti ***
Capitolo 20: *** Allo scoperto ***
Capitolo 21: *** Catfight ***
Capitolo 22: *** Contatti ***



Capitolo 1
*** Memorie ***


 

 



Memorie



Elena Atwood. un nome che qui in paese conoscevano tutti. Un nome ammirato e odiato. Semplicemente un nome. Il mio nome.

Eh si, Elena Atwood sono io. Sono io la minuta sedicenne con i capelli color grano, la carnagione chiara e gli occhi blu come zaffiri. Sono io quella ragazza mingherlina seduta davanti al computer.

Frequento il liceo di un piccolo paesino di nome Bremerton . La mia è una vita apparentemente perfetta. Sembra la vita normale di una normale adolescente. Ma non è così.

Mia mamma è morta quando avevo cinque anni e mio padre è un importante uomo d’affari, sempre fuori città per lavoro. Lo vedo una volta al mese.
Viene a trovarmi qui, nella grande villa che ha comprato per noi, ma dove vivo solo io.
Il fatto che lui sia assente è un bene, continuo a ripetermi, è un bene perché altrimenti non potrei portare a termine le mie missioni, non potrei svolgere il mio lavoro. Il lavoro che mia madre svolgeva prima di me e che mia nonna aveva svolto prima di lei. Una missione, che è stata tramandata di generazione in generazione….fino a me.

Noi siamo Guardiane. Protettrici notturne, vendicatrici, signore dell’oscurità. Ci chiamano con molti nomi e nel corso della storia veniamo perseguitate e uccise, oppure glorificate e onorate. Quelle come me esistono dalla notte dei tempi. Noi ci chiamiamo Custodi. Custodi della vita e dei segreti del mondo.

Avevo dieci anni quando venni a sapere la verità…quando decisi di accettare la missione di famiglia. Lo scoprii per caso. La mia storia inizia così:

Sto facendo una cosa proibita. So che non dovrei, so che se papà lo scoprisse finirei nei guai. Eppure non riesco a fermarmi. Voglio sapere. Devo sapere.

Sono nella biblioteca, la biblioteca di famiglia piena di vecchi volumi di pelle. Sono seduta ad un tavolo e davanti a me è spiegato l’albero genealogico della famiglia. Sono ore che lo osservo. Ore che cerco di carpire i suoi misteri.

Ore che fisso quel nome: Ambrosia Ifigenia Temple.

Il nome della mamma. Accanto c’è quello di papà e sotto il mio.
Sfioro con le dita la vecchia pergamena, sentendola crepitare. Quale mistero nasconde? Si, sono sicura che ci sia qualcosa sotto. Sono sicura che c’è un motivo per cui alcuni nomi siano scritti in inchiostro blu. Qualcuno potrebbe pensare ad una coincidenza, semplicemente una stupidaggine. Non io. Io sento che c’è qualcosa che chiede la mia attenzione.
Ed ecco…proprio quello che speravo. Un’idea. Mi alzo di scatto dal tavolo, rovesciando la sedia. Tanto non c’è nessuno in casa tranne Amy, la mia domestica.

Giro per la biblioteca, cercando la sezione giusta. L’adrenalina e l’eccitazione che travolgono ad ondate la mia mente. Forse finalmente scoprirò qualcosa. Ed eccola li, la targhetta che cercavo.

Genealogia.

Faccio scorrere lo sguardo lungo l’altissima parete della sezione e mi sento una stupida. Come ho fatto a non pensarci prima? La soluzione di tutto era a portata di mano, costantemente sotto i miei occhi, ignorata proprio perché così scontata.

Alla fine un altro cartellino mi indica i ripiani giusti dove cercare: Temple. la famiglia di mamma. Sono i ripiani più alti, ma non mi lascio scoraggiare. Con lo sguardo cerco la scala, quella scala che papà non vuole farmi utilizzare.

In poche ore ho violato tantissimi divieti che papà mi ha imposto…mi stringo nelle spalle con noncuranza. Uno in più uno in meno…e poi so che tanto se lo venisse a sapere la passerei liscia come al solito. Trovo la scala e, decisa e determinata, vado a prenderla e la appoggio contro la parete coperta dei volumi sulla genealogia.

Mi arrampico fino agli scaffali più alti e lascio scorrere le mie dita lungo le copertine lise dei libri di storia della famiglia Temple. sono troppi….ci vorrebbero mesi per trovare qualcosa di interessante….ma a guidarmi c’è qualcosa. Il mio istinto. Mentre le mie dita scorrono inesorabili e i miei occhi scorgono i titoli so che da qualche parte troverò la risposta a molte domande. La risposta agli incubi che tormentano le mie notti, incubi di gole squarciate, belve feroci e sangue…le risposte che cerco sulla mamma e sulla sua morte. Risposte che papà si è sempre rifiutato di darmi, trincerandosi dietro un secco: “non mi va di parlarne”
Ed eccola…una scossa elettrica lungo i polpastrelli. Il mio intuito di solito non sbaglia e questa volta decido di affidarmi completamente ad esso. Prendo il libro su cui la mia mano ha indugiato. Lo estraggo con qualche sforzo dallo scaffale e lo stringo al petto, incurante della polvere che mi invade le narici.

Adesso arriva la parte problematica…scendere senza cadere.

Ho le mani serrate intorno al prezioso volume e senza la ferrea presa delle mani ho paura di cadere. Guardo di sotto e mi viene la nausea. Non ho mai sofferto di vertigini ma adesso, con il vuoto sotto di me, ho la spiacevole sensazione di galleggiare nel nulla.

Cosa faccio adesso? Penso mentre il panico invade, strisciante, la mia mente.
“calmati” mi ripeto. Guardo il libro che stringo tra le braccia e ne sfioro la copertina delicata.
Non c’è altra soluzione…o almeno io non ne vedo alcuna. Lo devo buttare.
Ho paura che si rovini a devo pur fare qualcosa…non posso restare li, sospesa in bilico. E non posso chiamare Amy, perché altrimenti mi sequestrerebbe il libro.
In casa nessuno vuole che faccia domande sulla mamma. Ma io voglio sapere.

Di lei ho visto solo qualche foto. Un volto pallido e ovale, perfetto e bellissimo, incorniciato da una cascata di capelli ramati. E i miei stessi occhi blu. Papà mi ha sempre detto che ho preso molto da lei, anche se i capelli biondi li ho presi da lui. Dice che sono una vincente, proprio com’era la mamma. Ma questo è tutto ciò che mi è dato sapere.

Beh non sono più d’accordo. Adesso voglio sapere tutto di lei. Faccio un respiro profondo e, quasi con riluttanza, le mie mani si staccano dalla copertina di pelle. Mi sembra che il tempo vada a rallentatore…mi sembra di osservare attentamente ogni attimo dell’inesorabile caduta della mia storia. Un tonfo sordo e attutito dalla moquette testimonia che il libro ha toccato terra. Adesso sono io a doverlo raggiungere. Poggio le mani sui pioli consunti e in poche agili mosse atterro con grazie accanto al libro di pelle.

Un’altra cosa che ho preso da mamma. L’agilità e l’eleganza dei movimenti. So benissimo di essere aggraziata perché a scuola me lo dicono tutti e anche la mia insegnante di danza classica è fiera del mio portamento e sospira vedendomi librare sulle punte.

Mi chino e raccolgo il prezioso libro che forse può raccontarmi molte cose. Lo stringo a me e mi avvio fuori dalla biblioteca. Per i corridoi non c’è nessuno. Amy dovrebbe essere al piano di sotto, in cucina con la cuoca.
Senza fare rumore cammino fino alla mia camera. Apro la porta e mi infilo dentro. Giro la chiave. E mi rilasso. È fatta. E mi siedo sul letto, poggiando il libro sulle mie ginocchia. E lo apro.

E tra quelle pagine trovo finalmente la verità.

Quando scoprii tutto sulla famiglia Temple, decisi di parlare con mia nonna, Afrodite Antigone Temple. l’ultima erede femminile della famiglia Temple ancora in vita.

Fu lei ad iniziarmi all’arte del combattimento, fu lei ad insegnarmi come uccidere e come non farmi scoprire. Fu lei ad insegnarmi tutto. Fu lei ad insegnarmi come portare a termine le missioni.

Il compito delle custodi è proteggere l’umanità, eliminando i Mutati. Ogni missione è una caccia. Che termina con la marte di un Mutato. E oggi sono in missione.

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Capitolo 2
*** Burn Baby Burn ***


Burn Baby Burn


C’era vento. Sentii le foglie agitarsi nel fitto della foresta. Anche io ero inquieta.

Era  strano…non mi ero mai sentita inquieta durante una missione. Quando combatto la mia mente è pacificata e io mi sento serena. Oggi no. Oggi è un giorno diverso.

Me ne stavo  raggomitolata sul ramo di un albero, fasciata in un aderente corpetto di pelle nera, che mi lascia scoperte le braccia e le spalle, per facilitare i movimenti. Per lo stesso motivo portavo un paio di pantaloni di pelle nera, talmente attillati da sembrare una seconda pelle.

Sono gli abiti ideali per combattere e mimetizzarsi. Soprattutto nel bosco sprofondato nella quiete notturna. Era il posto giusto, ne ero sicura. Fu in quel momento che lo udì. Foglie calpestate con leggerezza…un passo felpato e silenzioso. Chiusi gli occhi, cercando di concentrarmi solamente su quel rumore felpato e attutito. Passò qualche minuto e ancora niente.
Era vicino, molto vicino. Sentii un naso che fiutava l’aria. E poi eccolo, proprio sotto di me. Feci un salto, gettandomi di sotto. E atterrai addosso a qualcosa di ispido e muscoloso. Le mie ginocchia doloranti a causa della botta protestarono quando feci una capriola all’indietro. Prima che il grosso animale avesse tempo di capire cosa stava succedendo ero già in piedi e brandivo una spada lunga e sottile.

Il grosso puma ruggì, mostrandomi una chiostra di denti affilati ed aguzzi. Mi studiò per qualche secondo, girando in tondo, e io assecondai i suoi movimenti, muovendomi in circolo. Senza preavviso mi si lanciò contro, con rabbia e furia, ma senza alcuna tecnica. Combatteva seguendo l’istinto. Scartai di lato, graffiandogli la spalla con la spada. Un sottile rivolo di sangue iniziò a colare sul terreno di foglie.

L’animale ruggì la sua rabbia e si slanciò di nuovo contro di me, puntando alla mia gola. Si faceva guidare dal suo lato animale…il che andava tutto a mio vantaggio.
Scartai di nuovo, e stavolta la mia spada recise il tendine della sua zampa anteriore. Mugolò di dolore e ancora una volta provò a colpirmi, ad uccidermi. Un’altra ferita si aprì lungo il suo fianco. Ormai era furibondo, lo vedevo dagli occhi che scintillavano di furia incontrollata.

Rimasi a guardarlo, aspettando la prossima mossa, sorridendo. Quasi non mi accorsi del dolore quando le sue zanne si serrarono sulla mia spalla con forza.

Cavolo. Mi ero distratta. E avevo lasciato che usasse i suoi poteri sulla mia mente. Mi ero lasciata annebbiare. Merda.

Scalciai, mentre il felino mi faceva ruzzolare a terra, tenendo stretta la mia spalla. Gemetti e cercai di togliermelo di dosso. Che fine aveva fatto la mia spada? Doveva essere caduta. Voltai la testa e la vidi, a pochi palmi di distanza dalla mia mano tesa.

La bocca insanguinata del puma si sollevò, mirando alla mia gola. E fu lì che agii.

Mi piegai su me stessa, stringendomi le ginocchia al petto. Caricai il colpo e assestai una pedata nella giugulare del puma, che arretrò sempre più infuriato. Afferrai la spada e mi rimisi in piedi più in fretta possibile.

Il puma si era ritirato nel folto della foresta, probabilmente a leccarsi le ferite. Ed io? Beh avevo una spalla ridotta non proprio bene…la carne maciullata lasciava intravedere l’osso. Avevo anche un braccio sanguinante, che recava l’impronta delle sue zampe possenti. Il corpetto adesso aveva assunto una tonalità cremisi e i pantaloni erano macchiati. I miei capelli neanche a parlarne. Ma la cosa importante era portare a termine la missione, uccidere il Mutato. Se volevo vincere dovevo agire per prima. Non potevo starmene li ad aspettare che tornasse. Dovevo concludere, e alla svelta anche.

Seguii le sue orme, stando attenta a non lasciarmi sfuggire il minimo suono. La tensione nell’aria era palpabile. Forse non era una cosa saggia…quel mutato era particolarmente stupido…agiva d’istinto. Probabilmente stava scappando. Ma non sarebbe andato lontano. Mi addentrai nella foresta, arrancando visibilmente. Non ero più in forma smagliante.

Il bosco si aprì improvvisamente nell’ampio bacino di un placido laghetto
Rimasi immobile, abbandonandomi completamente ai sensi come mi aveva insegnato la nonna. I Mutati erano animali…per ucciderli spesso bisognava affidarsi ai propri istinti primitivi…bisognava capire cosa pensavano e cosa avessero intenzione di fare.

Niente. Del grosso puma non c’era traccia ovunque guardassi. Spinta da chissà cosa mi avvicinai al lago, finchè le mie all star nere di pelle non furono a poca distanza dalla sponda.

Abbassai lo sguardo, contemplando lo strano colore dell’acqua….sembrava violaceo.

Ma no non era viola….era rosso…rosso come il sangue.

Prima che la mia  mente avesse tempo sufficiente per elaborare l’informazione, due braccia muscolose si tesero ad afferrarmi per la vita, spuntando direttamente dal fondo del lago.

Urlai e cercai di dimenarmi, mentre qualcosa mi trascinava giù. Stavo ancora urlando quando l’acqua invase la mia bocca. Il sapore dolciastro e metallico del sangue toccò la mia lingua e fui avvolta da una sensazione di panico.

Il mutato era da qualche parte, sott’acqua insieme a me. Spalancai gli occhi e fu la cosa più orribile che mi fosse mai capitata.

L’acqua era rossa. Ovunque solo il rosso del sangue, mio e suo. E sentirne il sapore e sapere di essere immersa nel sangue….mi venne un brivido e scattai verso l’alto.

Il lago era poco profondo, ma mi sembrò che passasse un tempo interminabile prima che potessi finalmente respirare di nuovo, prima che la mia bocca potesse sputare tutto quel sangue…..dalla superficie le cosa non era meno raccapricciante.

Perché lentamente tutto il lago era diventato di porpora e persino l’acqua aveva una consistenza meno densa del sangue ma più dell’acqua normale. I Mutati riescono a perdere una grande quantità di sangue senza svenire…io non credevo di esserne in grado. Ed ero stanca.

Una mano mi sfiorò la caviglia e mi tirò di nuovo sott’acqua. Questa volta non gridai perché sapevo che non sarebbe servito a niente. Questa volta scalciai. E sentì qualcosa, probabilmente un naso, incrinarsi sotto il mio piede. Dovevo riemergere. Dovevo trovare la spada….ma no….bastava la pistola.

Una beretta nove millimetri, semplice ed efficace. Il marsupio dove la tenevo era impermeabile….non avevo mai avuto modo di collaudarlo ma la nonna non mi avrebbe mai fornito materiale scadente. Cercai a tentoni la zip del marsupio, continuando a scalciare freneticamente per allontanare le mani che si protendevano verso di me. Si spostava con una velocità incredibile, non umana. E in effetti lui non lo era. Un altro calcio ben assestato mi fece guadagnare la libertà.

Indietreggiai, cercando di raggiungere la riva, mentre la mia mano destra armeggiava freneticamente con il marsupio. E poi ce la feci. Toccai il fondo, la riva. Mi trascinai fuori dall’acqua, sulla riva fangosa. Caddi all’indietro, sbattendo la schiena contro un sasso, ancora troppo vicina al lago…

Dall’acqua emerse il puma, grande, feroce….incredibilmente potente e determinato ad uccidermi. Spalancò la bocca in un ruggito che era quasi un ghigno. E feci fuoco.

Un caricatore intero sparato dritto nella sua bocca. 

Neanche un mutato poteva sopravvivere ad una cosa del genere. Il sangue mi schizzò in faccia e sui vestiti, più denso e scuro di quello umano. Il corpo del puma si contrasse, ancora in aria, ancora proteso nel suo balzò. Il suo corpo cambiò in una frazione di secondo e quello che mi crollò addosso non era più un feroce felino ma un uomo possente, spalle larghe, doveva essere sul metro e novanta.

Il peso del suo corpo massiccio mi schiacciò al suolo, facendo aderire il suo corpo privo di vita al mio, stanco e stremato. Orrore e disgusto mi pervasero. Prima di tutto perché il corpo nudo di un mutato, gli esseri peggiori sulla faccia della terra, era vicino a me…ma anche perchè il mio viso era a pochi centimetri dal suo cranio…o a quello che ne restava.

Con un moto di ribrezzo feci appello alle mie ultime forze per spingere di lato quel corpo senza vita. Quando riuscii a spostarlo ragionevolmente, strisciai lontano in fretta, graffiandomi i gomiti e la schiena, le spalle e il collo. Respiravo affannosamente.

Appoggiandomi alla radice contorta di un albero lì vicino cercai di alzarmi, leggermente incerta sulle gambe. Avevo il respiro corto, fitte al costato, la spalla completamente lacerata, graffi contusioni….ma ero viva. E avevo portato a termine la mia missione. Solo questo contava.

Adesso la parte meno piacevole del lavoro. Presi il corpo e lo allontanai dall’acqua, cercando con molte difficoltà di spostare quella specie di gigante.

Dal marsupio estrassi una piccola macchina fotografica, una vecchia polaroid, anch’essa impermeabilizzata. Guardai per un secondo il viso dell’uomo che avevo ucciso. Non provai alcun rimorso. Lui non era umano. Lui e tutta la sua specie meritavano di morire perché erano malvagi, dal primo all’ultimo. Ciononostante odiavo quella parte della missione.

Ogni missione comprendeva tre punti.

  1. eliminare il bersaglio
  2. portare a casa una documentazione
  3. far sparire le prove
Riportare una documentazione significava fotografare volto e corporatura del mutato eliminato e portarli nella biblioteca, dove in un pesante volume erano raccolte tutte le informazioni sui Mutati. Quelli uccisi, il loro grado, i loro capi, quelli da eliminare e le posizioni gerarchiche di ciascuno di essi.

Di solito l’animale rispecchiava la personalità del mutato…e di solito i più alti gerarchicamente erano i predatori. Sospettavo di aver fatto fuori un pezzo grosso.

Scattai le foto, poi dal piccolo marsupio estrassi dell’altro. Una piccola boccetta d’olio e una scatola di fiammiferi. Quello non era esattamente olio…era una mistura speciale che i Temple usavano da secoli…qualcosa che un tempo era conosciuta come fuoco greco.

Versai il contenuto dell’ampolla sul corpo del Mutato, poi presi un fiammifero e lo accesi.
"addio mostro…va all’inferno insieme a tutti i tuoi simili…è quello il vostro posto" probabilmente non era l’epitaffio che avrebbe voluto sentirsi dedicare ma era tutto quello che mi sentissi di dire.

Lasciai che il fiammifero cadesse e mi allontanai. Per quel giorno proprio non me la sentivo di assistere al rogo di un corpo senza vita. Non potei però evitare di avvertire il puzzo di carne bruciata che si diffuse nella radura.

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Capitolo 3
*** Ritorno a casa ***


Ero bagnata fradicia, puzzavo di sangue e avevo bisogno di un medico. Perciò andai dalla nonna, stringendo tra le mani le polaroid che avevo scattato.
Mia nonna viveva in un casa piuttosto vecchia ma perfettamente arredata e lussuosissima. Una villa stupenda che ospitava un segreto millenario.
Il cancello era aperto. La nonna mi aspettava. Mi aspettava sempre dopo ogni missione. Anche se  di solito non tornavo conciata così male…avevo qualche cicatrice, sul braccio destro soprattutto, ma niente di serio. I
l pesante portone di tasso si stagliava nitido contro il cielo plumbeo. Mancavano ormai poche ore all’alba. Picchiai con il battente sul portone di legno massiccio aspettando che William, il maggiordomo della nonna, venisse ad aprirmi. Mi appoggiai allo stipite della porta sfinita. Quando Will venne ad aprire quasi caddi perdendo l’equilibrio. Mi sorresse, osservandomi con aria di disapprovazione.
« santo cielo signorina…come siete ridotta….lo dico sempre a Mrs Temple che non dovrebbe mandarvi la fuori, povera bambina »
Sorrisi sfinita, abbandonandomi tra le braccia dell’anziano ma robusto maggiordomo. Will tendeva a considerarmi ancora una bambina piccola e spaurita, indifesa e bisognosa di protezione. Mi faceva tenerezza il modo in cui io facevo tenerezza a lui. La nonna era l’unica che vedesse il fuoco che mi ribolliva dentro, la smania di estirpare il male dal mondo…forse perché questa smania apparteneva anche a lei.
Il maggiordomo mi trascinò praticamente di peso al piano di sopra, nella stanza che un tempo era appartenuta a mia madre e che adesso era a tutti gli effetti mia.
Mi fece sdraiare sul letto e mi lasciò li per qualche istante. Ne approfittai per lasciare le foto sul comodino. Non dovevo macchiarle di sangue. Quando Will tornò con lui portò con se una cassetta del pronto intervento e mia nonna.
Adocchiò le foto e sospirò di sollievo. « ci sei riuscita » una semplice costatazione. Annuì.
Mi sentivo debole….non ero sicura della mia voce.
« vediamo cosa fare per te piccola »s i chinò su di me, seguita di Will.
“ la spalla per prima cosa ” mormorò mia nonna, osservandomi con uno sguardo.
Will annuì e si chinò su di me. Un istante dopo un forte bruciore invase le mie carni, strappandomi un gemito soffocato. “ sai che devo disinfettarla ” mormorò con aria contrita il maggiordomo.
“ tranquillo…so cosa va fatto ” mormorai a denti stretti, mordicchiandomi il labbro. Sapevo che avrebbe fatto male. E fu così. Dovette pulire la ferita, dare i punti e fasciarla….
Strinsi i denti, impedendo a me stessa di lanciare il minimo gemito.
Quando avevo accettato il mio ruolo avevo accettato tutto, compresi sofferenza e sacrifici. La nonna mi accarezzava la mano e mi sorrideva. Era fiera di me, lo sapevo. Perché ero brava, ero bella ed ero letale. Non avevo mai fallito una missione e facevo onore alla famiglia Temple. chiusi gli occhi, chiedendomi se mia mamma si fosse mai trovata nella stessa situazione in cui mi trovavo io. Questa era stata la sua camera. Riuscivo quasi a vederla, sdraiata nel grande letto, con i capelli rosso mogano sparsi sul cuscino bianco.
Avevo visto alcune sue foto e un suo ritratto. Per certi versi mi somigliava. Avevamo la stessa carnagione pallida e gli stessi occhi blu zaffiro, gli stessi tratti delicati. Ma i suoi capelli di un cupo rosso scuro erano di gran lunga più belli dei miei dello stesso colore della luna, eredità di mio padre. E poi lei era alta e slanciata.  Anche papà lo era. Ero l’unica nanetta della famiglia. Sospirai e continuai a distrarmi con quei pensieri sciocchi.
Will ci mise un po’ a rimettermi in sesto ma quando ebbe finito insistetti per alzarmi e andare subito in biblioteca con la nonna, per raccontarle della mia missione. Arrancai fino alla biblioteca zoppicando e appoggiandomi alla spalla di Will. Mi fece sprofondare in una morbida e comoda poltrona, mentre la nonna spostava verso di me un grande tavolo di tasso nero e una sedia dall’alto e rigido schienale. Si sedette accanto a me, mentre Will correva a prendere un grande libro polveroso che era il ricettacolo di noi Custodi. La nonna aveva già preso e osservato con occhi attento le foto da me riportate. Aprì il libro e sorrise mentre sistemava le foto e scriveva la data di eliminazione del Mutato.
“ bene tesoro…te la sei vista con uno dei più importanti gerarchicamente ” mi sorrise, fiera di me.
“ lo avevo immaginato…era tutt’altro che un animale preda degli istinti…era molto più furbo del normale e pensava con assoluta lucidità. Sembrava molto umano ”  quelle parole mi fecero tremare la voce. Non uccidevo essere umani. Io uccidevo mostri. Considerare quella belva un essere umano però mi metteva sullo stesso livello di un volgare e comune omicida. Scossi la testa, allontanando quel pensiero dalla mia mente. 
“ sei la migliore….ho pensato di affidarti il compito più difficile ” si strinse nelle spalle e mi sorrise ancora, mentre continuava a sfogliare il libro. La dentro c’era la storia di noi Custodi. C’era la storia della mia vita. e migliaia di omicidi.
“ Athena è già tornata? ” ero un po’ in ansia per lei. Era una delle due mie amiche. Io Athena e Savannah eravamo le ragazze più popolari della scuola e della città in generale. la maggior parte dei nostri coetanei pensava che la nostra popolarità fosse essenzialmente dovuta al nostro aspetto fisico...non si rendevano conto che quel ruolo di prestigio era qualcosa che veniva tramandato di generazione in generazione...insieme al ruolo di custode. Io ero la regina assoluta per via della mia discendenza. da sempre infatti, i Temple erano stati a capo della congrega. anzi l'avevano fondata. Athena era come me. una Custode. Aveva un anno in più di me anche se era una combattente da meno tempo.
Alta, magra, con un fisico snello e asciutto ma statuario e formosa…una cascata di capelli neri e lucidi, onde delicate e morbide come seta. Occhi grandi di un blu intenso. Athena aveva il suo fascin,o lo sapevo. Anzi era a dir poco bellissima.
Anche Savannah era una custode, una ragazzina timida e fragile, con grandi occhi grigi  un visetto pulito e delicato e i capelli neri. Era diventata una custode da poco, e a mio parere non avrebbe dovuto diventarlo mai. Era troppo buona e fragile per uccidere. Anche se uccideva dei mostri. Aveva svolto al massimo due o tre missioni e io e Athena, di comune accordo, ci davamo da fare per svolgere le missioni che la nonna le assegnava senza che questa lo scoprisse. Volevamo proteggere Savannah, che tra noi era l’unica ancora capace di guardare il mondo con occhi di bambina
“ dovrebbe essere qui a momenti ” la nonna aveva un tono di voce distaccato ed impassibile, come se la cosa non le riguardasse. In effetti la nonna era sempre molto fredda e distaccata…tranne che con me. Ci somigliavamo molto io e lei.
“ che incarico le hai affidato? ” domandai per ingannare il tempo e l’attesa.
“ niente di difficile… Un Lupo, mutato da molto poco…ce la farà ” voleva rassicurarmi e in parte era riuscita a tranquillizzarmi. Un lavoro facile. Athena se la sapeva cavare.
Non feci in tempo a dire altro che qualcuno bussò al portone. Stavo per fiondarmi di sotto per accogliere a braccia aperte la mia amica, ma la nonna mi trattenne, posando una mano sulla mia spalla e facendomi sedere con fermezza. Fece un cenno a Will che si affrettò ad accogliere l’ospite.
“ sei stanca…non devi sforzarti così….ci metterai un po’ per tornare in piena forma ” mi ammonì preoccupata, sfiorandomi il viso con una carezza gentile. Sapevo che era preoccupata, sapevo che il timore che facessi la fine di mamma la ossessionava. Ma non lo avrei permesso. Non me ne sarei andata da questo mondo finchè non avessi sterminato tutti i Mutati.
Passarono alcuni minuti di profondo e ostinato silenzio. Ero nervosa, ticchettavo con le unghia sul tavolo, aspettando Athena. Forse era ferita e Will la stava curando. La nonna studiava il mio viso, le mie espressioni…sorrideva intenerita. Altri cinque minuti di attesa e ansia quando finalmente Athena entrò.
Il viso era pallido, ma non lo stesso pallore naturale della mia carnagione. Quello di Athena era tirato e stanco. I capelli erano in totale disordine e il corpetto, uguale al mio, era stracciato in più punti. Non che il mio fosse migliore quando ero tornata. mi resi conto solo in quel momento che la nonna mi aveva fatto indossare una morbida vestaglia di seta. Ci fissammo e mi alzai incerta sulle gambe, avvicinandomi a lei. Ci abbracciamo.
“ perché non andate in camera? Io e Will stiamo aspettando Angeline… ” la frase rimase in sospeso ma non c’era bisogno di aggiungere altro.
Angeline era un’altra custode, di un anno più grande di me, i capelli di un biondo ancora più chiaro del mio,  e anche più scialbo e insignificante a mio parere. occhi grigi, alta, persino più alta di Athena. Formosa e bellissima. E ovviamente mia eterna rivale. Ci odiavamo fin dall’asilo. godevo segretamente del mio ruolo all’interno della congrega….un ruolo che mi poneva al di sopra di Angeline sebbene lei avesse più esperienza e più anni di “servizio attivo”
 Io e Athena ci guardammo. Non c’era bisogno di parole per capirsi. Entrambe volevamo scongiurare quell’incontro e farci trovare in disordine e ferite. Era una questione di orgoglio. E poi ogni volta che io ed Angeline eravamo  nella stessa stanza non poteva che scoppiare una tempesta. Anche Angeline aveva delle amiche, Kathleen, Juliet ed Elisabeth, tutte custodi.
Kathleen era fuori città, per una missione in Europa. Mentre Elisabeth era in Canada, a fare pulizia anche lì. Juliet era da qualche mese in inghilterra. Sebbene Angeline fosse sola in quel periodo, questo non le impediva di lanciare frecciatine e commenti acidi all’indirizzo mio e di  Athena
Appoggiandoci l’una all’altra ci dileguammo in fretta.
Appena fuori dalla biblioteca ci arrestammo, indecise su dove andare.
“ camera mia è coperta di sangue ” mormorai con un sorriso ripensando all’avventura notturna. Ero stranamente fiera di me. La mia missione era particolarmente difficile eppure l’avevo svolta alla perfezione. Come sempre.
“ anche la mia ” Athena non mostrava alcune emozione, restava tranquilla e pacata, perfettamente padrona del suo corpo e delle sue emozioni. Era una cosa che le invidiavo.
“ allora mi faccio una doccia e metto addosso qualcosa di pulito….ci vediamo nella stanza rossa ” propose mentre già si dirigeva verso la sua. Annuii e mi diressi verso la porta di legno scuro che si trovava in fondo al corridoio. Quella era la stanza rossa. la oltrepassai ed entrai nella mia vera stanza. Ogni stanza aveva un colore. La mia era la stanza blu, quella di Athena la stanza verde, quella di Angeline la stanza rosa, quella di Juliet la stanza lillà, quella di Kathleen la stanza oro quella di Elisabeth la stanza indaco, quella di Savannah la stanza bianca. Poi c’erano parecchie altre stanze, molte delle quali non avevo mai visitato perché chiuse a chiave. Quella rossa era stata la camera della nonna ma adesso lei dormiva in un’altra ala della villa, o del castello per essere sinceri.
Solo io avevo le chiavi della stanza rossa e avevo il permesso di utilizzarla quando la mia era inagibile.
Spalancai la porta della stanza blu, arricciando il naso all’odore del sangue. Il mio sangue e quello del Mutato. Andai nel bagno adiacente alla stanza e aprì il rubinetto dell’acqua calda. Mi spogliai con calma e lentezza, cercando di non sfiorare le ferite che prudevano e pizzicavano. Avevo parecchie fasciature, bendate strette con un materiale impermeabile. Lasciai cadere i vestiti sporchi sul pavimento ed entrai nella doccia. L’acqua calda sulla schiena fece sciogliere e rilassare i miei muscoli contratti. 
Non mi ero resa conto di essere così tesa. Chiusi gli occhi, insaponando per bene il corpo e i capelli. Sciacquai la schiuma dai capelli e dal viso e anche quando il mio corpo fu perfettamente pulito rimasi a godermi il tepore dell’acqua sulla pelle. Ad occhi chiusi, cullata dallo scrosciare dell’acqua mi rilassai completamente. e l’acqua cambiò consistenza…divenne viscida e un odore penetrante e metallico invase le mie narici. Odore di sangue.
Spalancai gli occhi di colpo, paralizzata dal freddo e irrazionale terrore che mi invadeva lo stomaco. Mi ritrovai aggomitolata per terra, sotto il getto caldo della doccia. Acqua. Solo e semplice acqua. Sospirai di sollievo e mi diedi della stupida. Avevo lasciato correre troppo la mia fantasia. Ma come c’ero finita seduta nel fondo della doccia? Forse mi ero raggomitolata inconsciamente. Ormai sentivo una specie di panico attanagliarmi le viscere. Non volevo restare sola in quella stanza un istante di più. Mi sollevai e afferrai un grosso asciugamano, avvolgendomi dalle spalle alle caviglie. Mentre chiudevo l’acqua ed uscivo dalla doccia mi parve di intravedere un sottile rivolo rosso che scorreva verso lo scarico.

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Capitolo 4
*** Incubi ***


Athena era già raggomitolata sul letto rosso, i capelli avvolti in un asciugamano e una camicia da notte di seta verde a coprire il suo corpo. I miei capelli erano già asciutti e ricadevano morbidamente sulla mia camicia da notte di seta blu.
Andai a sedermi accanto ad Athena, afferrando un cuscino rosso e stringendolo a me. Lo sguardo penetrante di Athena scrutò la mia espressione, analizzandone ogni minima sfaccettatura.
“ che hai? Sembri ancora più scossa di prima… ” osservò scrutandomi, ma prima che potessi rispondere cambiò argomento. Evidentemente aveva intuito che ero restia a parlarne.
“ ho visto Angeline poco fa…proprio mentre uscivo dalla mia stanza. Evidentemente ha portato a termine la sua missione. Anche lei dormirà qui stanotte….nella sua stanza che a quanto pare non ha neanche uno schizzo di sangue ”
“ se anche fosse completamente coperta di letame ci dormirebbe pur di non farlo sapere a me ” commentai acida.
Un po’ mi bruciava il fatto che lei fosse tornata dalla missione senza un graffio. Probabilmente aveva avuto anche il tempo di rifarsi le unghia.
Athena rise e mi tirò una cuscinata. Ovviamente risposi e di li a poco si scatenò una vera e propria battaglia. Anche se un po’ mi mancava Savannah, con la sua dolce e ingenua voglia di vivere e le sue pazzie da bambina. Era ancora molto infantile, mentre Athena era molto matura. Io ero molto...Elena. Non c’era un aggettivo per definirmi perché non ero ne matura ne ingenua….non sapevo neanche io com’ero veramente.
Io e Athena ci addormentammo nella stanza rossa, abbracciate l’una all’altra, stanche e stremate.
Le missioni mi lasciavano sempre un senso di amara contentezza e fu con quello che mi addormentai, con la testa poggiata sul grembo di Athena, mentre lei mi accarezzava i capelli e scivolava insieme a me nel mondo dei sogni.

Tutto era rosso. Dalle pareti grondava sangue viscido e appiccicoso. Anche il letto era coperto di sangue e i miei capelli giacevano in una pozza di sangue.
Girai il viso nel sonno e la mia faccia si immerse in una calda pozza di sangue. Mi sollevai di scatto, urlando. Provai a scendere dal materasso, completamente coperto di sangue.
Quelle che avevo scambiato per lenzuola rosse altro non era che sangue. Tutto era sangue.
Scesi dal letto e i miei piedi affondarono nella moquette. Un urlo di orrore mi si strozzò in gola. Non c’era più il pavimento. Al suo posto un profondo lago di sangue, denso e orribilmente reale.
Sprofondavo fino alle ginocchia nel denso liquido vischioso. Poi una mano si serrò attorno alla mia caviglia, tirandomi sotto. Sempre più in profondità. I miei polmoni si riempirono di sangue. Ovunque solo il rosso del sangue. E poi due luci. Di un blu intenso e profondo. Due occhi. Una luce derisoria in quello sguardo blu.
“ visto che ti piace il sangue ho pensato di farti questo bel regalo… ” Una voce melodiosa e perfetta, leggermente roca e profonda. Una voce bellissima ma che mi fece rabbrividire di paura. Una risata crudele….cercai di dibattermi, di risalire, ma il sangue era ovunque. mi sentivo soffocare.
Non esisteva altra realtà tranne il sangue che inondava ogni cosa.
“ basta ” gemetti e altro sangue invase la mia bocca. Non ce la facevo più.
“ spero che tu ti sia divertita dolcezza… ” Mi lasciai andare. Ormai lottare non serviva a niente. Sentivo la mia consapevolezza vacillare. Chiusi gli occhi. Tenerli aperti non serviva perchè non c’era niente da vedere. E scivolai lentamente. E finalmente l’oscurità mi avvolse

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Capitolo 5
*** Ritorno alla realtà ***


“ Elena…Elena..Elena ”
Una voce che mi richiamava, che cercava di farmi risalire da chissà quali abissi.
Mi sollevai di scatto. Il viso di Athena era proteso su di me, tirato e stanco, sembrava assonnata.
Mi portai una mano al petto, cercando di respirare. E scoprì che l’aria entrava ed usciva dai miei polmoni senza alcuna difficoltà. Un sospirò di sollievo mi sfuggì dalle labbra. Ci misi qualche istante per recuperare il mio famigerato sangue freddo.
Mi guardai intorno. Ero nella stanza rossa….sdraiata per terra, sulla soffice moquette. Doveva essere stato un sogno…mi sollevai di scatto. Il ricordo del lago di sangue era troppo vivido nella mia mente, rivissuto in maniera ancora più orribile nel sogno.
Mi sedetti sul letto. Avevo come l’impressione che il pavimento mi avrebbe risucchiato e si sarebbe trasformato in una profonda pozza….
“ no ” ansimai cercando di non ricordare. Athena mi seguì, fissandomi circospetta e preoccupata. Venne a sedersi vicino a me e mi cinse le spalle con un braccio. Posai la testa sulla sua spalla, ma non piansi. Elena Atwood non piangeva per un brutto sogno.
“ che è successo? ” la mia voce suonava debole e spaventata, la stessa voce che avrebbe potuto avere un coniglietto ferito. Ma io non ero un coniglietto ero una leonessa.
“ non lo so….ti ho sentita urlare e mi sono svegliata…ed eri sul pavimento…e ti dimenavi come se avessi le convulsioni….e gridavi. Respiravi affannosamente…mi hai fatta spaventare ” notando la paura che cominciava a riaffacciarsi nel mio sguardo si affrettò a tranquillizzarmi.
“ ma mi sono preoccupata per niente…è stato solo un brutto sogno ”
Sospirai e mi accarezzai le braccia nude, cercando di scacciare dalla mia pelle l’orrida sensazione del sangue viscoso.
“ quello che non mi spiego è come sei finita a terra… ” Athena continuava a rimuginarci su. E mi fece tornare in mente l’episodio della doccia. Mi ero ritrovata per terra senza sapere come esserci finita. Un brivido mi corse lungo la schiena. Una coincidenza? Due coincidenze?
No probabilmente ero solo ancora agitata per la nottata di “ caccia ”. Era quella maledetta serata che aveva scosso il mio sistema nervoso.
“ che ore sono? ” stavo iniziando a recuperare la calma, iniziando a ragionare a mente fredda. Ma si ero stata una sciocca a farmi prendere dal panico per un brutto sogno. Figurarsi.
“ quasi le sette….conviene dormire sennò domani non riusciremo a seguire le lezioni senza appisolarci ogni tre minuti ” anche Athena aveva recuperato il suo autocontrollo e il suo tono di voce pacato e confortante.
Vagliai per un secondo le opzioni. Rimettermi a dormire e rischiare l’ennesimo incubo oppure fare un giro in giardino, o fare colazione….alla fine decisi. Tutto tranne tornare a letto.
Mi sollevai di nuovo, infilando le ciabatte. Per qualche ragione il solo pensiero di entrare a contatto con la moquette mi metteva i brividi.
“ dove vai? ” Athena non sembrava stupita, ne irritata. Athena mi capiva.
“ faccio una passeggiata…rimani pure qui non sto via molto… ” mi avvolsi in una vestaglia blu e sgusciai fuori dalla porta prima ancora che potesse rispondermi. Sapevo che avrebbe rispettato la mia scelta e non mi avrebbe seguita. Athena sapeva rispettare i miei silenzi e il mio bisogno di solitudine.
Scesi le scale che portavano al pianterreno e uscì nel giardino sul retro. I primi caldi raggi del sole inondavano la panchina di marmo dove andavo spesso a leggere.
Mi strinsi le braccia attorno al corpo, rabbrividendo appena. L’aria del mattino era fresca e pulita.
Eppure neanche quella serviva a scacciare dal mio corpo l’odore del sangue. Sangue che invadeva tutto. Scossi la testa. Mi odiavo per la debolezza che stavo mostrando. Io non ero mai stata una debole e non lo sarei di certo diventata adesso. “ era solo un sogno…solo un sogno Elena non essere stupida ” mi ripetei mentalmente.
Eppure per qualche strana ragione le mie stesse parole mi sembravano false. Chissà perché mi venne in mente il Mutato che avevo ucciso. E un pensiero del tutto fuori luogo, del tutto inadatto si affacciò nella mia mente.
“ chissà se aveva una famiglia ”
spalancai gli occhi e fui tentata di prendermi a sberle. Cosa cavolo andavo a pensare? Quel mutato era un mostro..un mostro che probabilmente aveva fatto a pezzi milioni di innocenti. Per il semplice fatto di essere quello che era.
I Mutati erano uomini….apparentemente. ma i loro istinti e la loro vera natura era un’altra. da un momento all’altro il loro corpo esplodeva, trasformandosi in quello di una bestia. Erano mutaforma, malvagi, assassini, incapaci di dominare i loro istinti…e per natura desiderosi di sangue…persino un Mutato con la forma di un innocuo coniglietto poteva essere letale anche se non era niente paragonato ai grossi felini che reggevano il potere della comunità dei mutati.
La comunità dei mutati era organizzata con semplicità. Il più forte era il capo. il più forte era il principe delle tenebre e del sangue. Il più forte comandava. la sua parola era legge. Sul principe dei mutati non si sapeva gran che. Solo che era una tigre bianca, l’animale spirito più raro esistente. Ne erano esistiti solo altri due in tutta la storia del mondo.
E sapevo che era colpa sua se mia madre era morta. Sua e di tutta quella maledetta razza.
“ Bene Bene Bene ” una voce ironica e sensuale mi fece sollevare la testa di scatto.
Mi resi conto di essere seduta sulla panchina. Il sole alle mie spalle che accendeva i miei capelli di mille riflessi e faceva brillare i miei occhi. Davanti a me Angeline.
“ che ci fai qui Angeline? ” La mia voce rimase distaccata, come se neanche le stessi parlando.
“  Afrodite mi ha mandata a chiamarti….è ora di vestirsi per andare a scuola…. ” Fece una pausa, aspettando una mia risposta, che non venne.
“ e sinceramente ero anche preoccupata…hai urlato per tutta la notte…non volevo ti fosse successo qualcosa di brutto ” un sorriso derisorio piegò le sue labbra perfette.
Probabilmente non le sarebbe dispiaciuto se mi fosse successo qualcosa di brutto.
“ tranquilla…sono in perfetta forma ” risposi, caustica e concisa.
Non risposi e continuò a sorridere in quel modo beffardo e derisorio, quasi sapesse tutti i mille pensieri che si agitavano nella mia testa.
Mi alzai dalla panchina senza dire altro. Non ero psicologicamente in grado di sostenere un dialogo pieno di frecciatine…per quello ci sarebbe stato tempo dopo.
“ dove scappi? ” la sua voce ironica mi fece voltare per lanciarle un piccolo sorrisetto.
“ come hai detto tu…la nonna vuole vedermi....in effetti mi aveva detto che c’erano alcune cose del libro che andavano riviste ” sapevo che ad Angeline non andava giù che solo io e la nonna potessimo consultare il libro oscuro, il libro dove erano raccolte tutte le informazioni sui mutati.
Le voltai le spalle, allontanando i capelli dal viso con un gesto secco della mano.
Entrai in cucina, dove mi assalì l’odore dei cornetti appena sfornati. Will era ai fornelli e cucinava delle uova. Indossava un grembiule e un vecchio cappello da chef.
“ Buongiorno signorina ” mi salutò allegramente.
“ giorno Will ” borbottai mentre mi sedevo e afferravo un cornetto al cioccolato. “la nonna è già scesa?” domandai mentre davo un morso al cornetto e gustavo il sapore del cioccolato caldo.
“ no signorina…ha preferito restare in biblioteca per dare un’occhiata ad alcuni documenti ”
Non ebbi tempo per manifestare la mia delusione perché Athena scese le scale con grazia. Indossava un dolcevita rosso scuro, lo stesso colore delle foglie in quel periodo dell’anno. La gonna, di un caldo marrone, le arrivava fino alle ginocchia.
“ corri a vestirti…non vorrai arrivare in ritardo ” mi rimproverò mentre si sedeva di fronte a me e prendeva un cornetto vuoto. Non me lo feci ripetere due volte e lasciai metà del cornetto sul piatto. La mia camera era stata ripulita e non mostrava tracce del sangue che aveva imbrattato il letto e il pavimento. Tutto era tornato alla normalità, come se niente fosse successo.
Aprì l’armadio e tirai fuori una polo blu, dell’esatta tonalità dei miei occhi. Indossai un paio di jeans chiari e le all star blu. Mi avvolsi una sciarpa bianca attorno al collo e sopra di essa poggiai una catenina d’oro bianco, fine e perfetta. Il ciondolo era una rosa attorno a cui si avvolgeva un bellissimo serpente. Il tutto era tempestato di zaffiri piccoli e perfetti. Un regalo della nonna.
Mi guardai per qualche secondo nell’alto e ampio specchio appeso alla parete che rifletteva per intero la mia figura. Ero bella. La sciarpa fasciava il mio collo sottile e i pantaloni attillati mettevano in risalto la mia figura snella e armoniosa. L’unica cosa che odiavo di me erano quei capelli. Odiavo quel delicato color oro che mi faceva spesso apparire come una pallida e delicata fatina.
Scesi anche io le scale, portando a tracolla la mia borsa blu con l’occorrente per la scuola.
Athena ed Angeline avevano già finito di fare colazione. Athena sedeva ancora dove l’avevo lasciata, mentre Angeline era appoggiata al muro. Indossava una giacca di lattex, rossa e attillata, sotto si intravedeva una maglietta nera, scollata e aderente. Indossava un paio di pantaloni di pelle nera, molto simili a quelli che usavamo per le missioni. Faceva davvero una bella figura. I suoi occhi grigi si posarono su di me, valutandomi con assoluta freddezza.
Odiavo i giorni come questo. Perché eravamo costrette ad andare tutte e tre in macchina insieme anche se avremmo lasciato Angeline poco prima della scuola. Nessuna delle due ci teneva ad arrivare in compagnia dell’altra.
Quando entrai in cucina Athena si alzò e insieme ci dirigemmo verso la macchina, una Lancia nera, tirata a lucido, dalla linea elegante. Io presi posto nel sedile anteriore, di fianco a Will, lasciando ad Athena l’arduo compito di sopportare Angeline che aveva iniziato a lagnarsi del tempo. Per i suoi gusti c’era troppo vento. Le scompigliava i capelli e le faceva appiccicare quelle stupide foglie al viso. soffocai un risolino mentre intercettavo una smorfia esasperata di Athena.
Finalmente la macchina si mise in moto e per qualche minuto le lamentele di Angeline cessarono.
La scuola distava una decina di minuti da casa della nonna, ma quella manciata di secondi era resa interminabile dalla presenza di Angeline. Non riuscivo mai a rilassarmi quando c’era lei nei paraggi. Avevo come la sensazione di avere un coltello premuto all’altezza delle scapole. Appena allentavo un po’ la tensione la lama rischiava di farmi sanguinare.
Quando finalmente Will accostò per farla scendere mi rilassai, abbandonandomi contro la spalliera del sedile.
“ non ne potevo proprio più…altri cinque minuti a parlare dei suoi capelli e non avrebbe più avuto niente di cui parlare….l’avrei rasata a zero ” sbottò Athena.
Scoppiai a ridere, procurandomi un’occhiataccia, seguita da una risatina.
Quando anche noi scendemmo la scuola iniziava già a riempirsi. Appena scendemmo dalla macchina l’attenzione di tutti si spostò su di noi.
Era sempre così, soprattutto quando arrivavamo insieme. Savannah ci venne incontro con il suo largo sorriso e gli occhi scintillanti di euforia.
Era poco più bassa di Athena, magra e longilinea. I capelli perennemente in disordine. La salutammo con un sorriso e senza dire una parola lei si mise alla mia sinistra, mentre Athena si schierava alla mia destra. Ci avviammo verso l’alula, ricambiando i saluti e i sorrisi, seguite da sguardi invidiosi e ammirati.
Io e Savannah avevamo la prima ora in comune, letteratura inglese, mentre Athena aveva biologia. Ci salutammo ai piedi delle scale.
Io e Savannah salimmo al primo piano mentre Athena rimase al pianterreno. L’alula era già piena quando entrammo. Prendemmo posto nei soliti banchi che occupavamo, in ultima fila, io accanto alla finestra e Savannah alla mia sinistra.
Letteratura inglese mi piaceva, soprattutto perché in questo periodo stavamo trattando “ il ritratto di Dorian Grey ” uno dei miei libri preferiti. Per un momento pensai che mi sarebbe piaciuto conservare intatta la mia bellezza e la mia giovinezza per secoli e secoli….
Con il procedere della lezione mi persi nei miei pensieri mentre Savannah seguiva e prendeva appunti per entrambe. Quando la campanella suonò raccolsi tra le braccia i libri e mi avviai verso il mio armadietto.
“ beh…com’è andata ieri? ” mi sussurrò Savannah con voce sottile e un po’ spaventata. Non le piaceva parlare di noi, della nostra attività segreta…
“ è andata ” dissi stringendomi nelle spalle e fermandomi per aprire il mio armadietto. Riposi i libri di letteratura e presi quelli di storia.
“ si ma….non ti sei fatta male vero? ” la sua voce ansiosa mi fece sorridere. Era sempre così tenera e premurosa….
“ tranquilla…a parte qualche graffio e una brutta nottata va tutto bene ” minimizzai con voce quanto più tranquilla possibile, mentre il sogno di sangue tornava a presentarsi vivido nella mia mente. Chiusi di scatto l’armadietto, lasciandovi però la mano appoggiata. Sollevai lo sguardo verso di essa….e per un secondo mi sembrò ricoperta di sangue. Sbattei le palpebre un paio di volte.
“ suggestionabile…stupida suggestionabile ” mi rimproverai mentre ritiravo la mano e la affondavo nella tasca dei jeans
“ senti io vado in aula…non voglio fare tardi ” borbottai voltandomi velocemente e scendendo le scale di corsa. Savannah rimase a guardarmi. Sentivo il suo sguardo perplesso dietro di me.
“ stupida fifona ” imprecai contro me stessa all’idea che un semplice incubo potesse sconvolgermi a tal punto. Entrai in aula e mi sedetti nel primo posto libero che vidi. Quella non sarebbe stata una lezione piacevole perché era l’unica che avevo in comune con Angeline. A dire il vero era frequentata anche da Elisabeth che teneva quasi testa ad Angeline quanto ad antipatia.
Ringraziai la mia buona stella per il fatto che almeno una delle due non ci fosse quel giorno. lo sguardo di Angeline mi trapassava la schiena. Accidentalmente mi ero seduta proprio davanti a lei.
Mi alzai per cambiare posto ma le sue dita lunghe e curate, perfettamente laccate di rosso si posarono sulla mia spalla…trattenendomi.
“ tranquilla resta pure ” mormorò mentre si riappoggiava alla spalliera della sedia.
“ tanto sei così piccola che ci vedo lo stesso ” la sua voce amabile non tradiva lo scherno insito nelle sue parole, eppure ormai ero abbastanza allenata da riuscire a coglierlo.
“ purtroppo la ragazza seduta dietro te non può dire la stessa cosa….è tre ore che si sporge da un lato all’altro per riuscire a vedere qualcosa oltre la tua capigliatura….ingombrante ”
anche il mio tono di voce era dolce e gentile, quasi stessi ridendo con una delle mie amiche. Eppure avevo colpito il suo punto debole. In effetti la coda alta di Angeline impediva alla minuta ragazza che le sedeva dietro di vedere oltre il mio banco.
Angeline si voltò, sorprendendo la ragazzina che si sporgeva a destra per riuscire a sbirciare il biondino seduto al primo banco. Lo sguardo glaciale di Angeline la trapassò mentre la ragazza alzava gli occhi per incrociare quelli freddi e altezzosi di Angeline. Vidi la povera ragazzina raggomitolarsi su se stessa e stringersi buona buona nel suo banco.
Io ed Angeline non ci parlammo più perché l’arrivo del professore mi salvò da eventuali frecciatine.
Non riuscì a seguire neanche questa lezione, ma non mi sarei sognata mai e poi mai di chiedere appunti ad Angeline. Le successiva due ore furono interminabilmente lunghe e noiose. Quel giorno la mia testa era altrove, persa ad inseguire i ricordi dell’incubo..o meglio a rifuggire quelle sensazioni. Eppure una parte di me desiderava ricordare per poter analizzare ogni dettaglio

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Capitolo 6
*** Nuovi Incontri ***


Quando finalmente mi ricongiunsi ad Athena e Savannah tirai un sospiro di sollievo.
Mi sedetti al solito posto, in un tavolo appartato ma che tutti agognavano speranzosi. Sedersi al tavolo con noi era un privilegio che concedevamo a ben poche persone.
Io sedevo dando le spalle all’ampia vetrata, con la schiena e i capelli completamente inondati dal sole, i cui raggi creavano intorno al mio viso una specie di aureola.
Athena e Savannah erano immerse in chissà quale conversazione e quando mi sedetti accanto a loro non smisero neanche di parlare. Io mi poggiai comodamente allo schienale della sedia, osservando da sotto le palpebre la mensa ormai vuota.
“ ciao Elena..Savannah, Athena ” Jake prese posto di fronte a me. Era dell’ultimo anno, alto, capelli corvini e occhi castani. Carino tutto sommato. Era anche un gran sciupa femmine. A scuola aveva molto successo anche per il suo carattere aperto e cordiale, scherzoso e leggermente provocatorio. Accanto a lui si sedettero Jason e Julian, i suoi immancabili compagni. Jake era il mio ragazzo e tutti pensavano che Savannah e Athena avrebbero finito con l’innamorarsi di Jason e Julian.
Ci raggiunse anche Annabell, una ragazzina timida che però sapeva dimostrarsi molto arguta.
Loro erano gli unici ammessi al nostro tavolo.
Angeline non si vedeva da parecchio alla mensa. Probabilmente le seccava stare da sola al tavolo anche se le sarebbe bastato chiedere compagnia che mezza scuola le sarebbe corsa dietro. Ma Angeline non era abituata a frequentare certa “ plebaglia ” come la definiva lei.
“ e ho sentito dire che è ricchissimo…ricco sfondato! ” la voce sottile ed eccitata di Annabell mi fece alzare la testa nella sua direzione. Chissà chi era l’argomento dei pettegolezzi del giorno. Jake sbuffò, irritato. Probabilmente la conversazione lo annoiava.
“ di chi state parlando ragazze? ” chiesi sporgendomi leggermente verso Annabell.
Tutti si voltarono verso di me. Una cosa snervante, ma a cui tutto sommato ero abituata. Qualunque cosa io dicessi mi calamitava al centro dell’attenzione.
“ del ragazzo nuovo…non lo hai ancora visto? ” Annabell sembrava incredula. Athena completamente disinteressata stava ripassando per la lezione di storia, Savannah aveva lo sguardo attento e trasognato. Jake, si dondolava sui piedi della sedia e fumava una sigaretta con aria davvero seccata. Jason parlava al cellulare e Julian fissava sognante la mano di Athena che tamburellava sul libro. Dunque c’era un ragazzo nuovo…beh non era un argomento poi così scottante.
“ non credo di aver fatto caso ad un ragazzo nuovo ” dissi poggiandomi languidamente alla spalliera e osservandomi le lunghe e snelle dita della mano destra.
“ meglio così…mi irriterei parecchio se tu lo guardassi ” la voce secca e leggermente ironica di Jake mi fece voltare nella sua direzione con un sorriso freddo.
Ecco il problema. Era geloso del ragazzo nuovo. Beh se Jake era geloso doveva essere proprio un bel ragazzo perché in città non c’era nessuno più carino di lui.
“ Jake devo forse ribadire che non sono di tua proprietà? Faccio dico e guardo quello che mi pare ” odiavo gli ordini, odiavo le imposizioni. Ero una persona testarda, abituata a comandare e a fare sempre di testa mia. Quel tono leggermente autoritario di Jake mi mandava sui nervi.
“ sei la mia ragazza ” sbottò dando un nervoso tiro alla sigaretta. Eravamo molto simili io e lui. Ci eravamo messi insieme da poco, ma se pensava che sarei diventata una ragazzina docile ed accondiscendente…..
Osservai i muscoli delle sua braccia. Aveva davvero uno splendido fisico, ma sapevo di non esserne innamorata. Semplice attrazione dal punto di vista fisico. E lo stesso valeva per lui. Lo avevamo chiarito subito.
“ non lo sarò ancora per molto se continuiamo così ” prima che mi rispondesse tornai a rivolgermi ad Annabell, troncando la discussione. La poveretta aveva seguito il piccolo battibecco con gli occhi sgranati, senza osare dire una parola.
“ dicevamo? ” inarcai un sopracciglio mentre la fissavo e lei diventava rossa e iniziava a balbettare. Era divertente vedere quanto potere avessi sulle ragazze più deboli. Non che fossi una despota. Ma mi godevo il potere.
“ beh ecco lui è….fantastico! semplicemente fantastico! È inglese credo….e ho sentito dire che è ricchissimo e….davvero …lo devi vedere ” terminò la frase sgranando gli occhi sognante, già immersa nelle sue romanticherie.
Intercettai lo sguardo torvo di Jake e scossi il capo, disinteressata. Un ragazzo era sempre un ragazzo. E in quel momento me ne bastava uno.
“ andiamo a fare una passeggiata ” Jake si alzò e venne a scostarmi la sedia, senza darmi la possibilità di rifiutare.
“ non intenderai farmi una scenata di gelosia vero? ” sibilai un po’ infastidita. In fondo mi stavo godendo il pranzo con i mie i amici…non mi andava di guastarlo con una lite.
“ voglio solo stare con te ” si mise sulla difensiva ma poi cambiò umore e sorrise. Mi condusse nel retro della mensa e mi fece sedere sul basso muretto.
“ hai qualcosa da dirmi? ” ero ancora fredda e seccata, irritata dal tono di voce che aveva usato poco prima, alla mensa. Io non ero un oggetto, ne una proprietà. E soprattutto non ero un ubbidiente animaletto ammaestrato.
“ te l’ho detto…voglio solo stare con te. ” Rimase in piedi, proprio di fronte a me.
“ non sono sicura di avere voglia di stare con te adesso ” guardai oltre la sua testa, cosa non facile perché anche così era più alto di me di qual che centimetro.
Sospirò, poi mi prese il mento tra le mani e mi abbassò un po’ la testa, fissandomi negli occhi.
“ mi dispiace okay? ”
Mi rilassai e lo abbracciai, posando la testa sulla sua spalla. Lui ne approfittò per baciarmi il collo e io risi e lo allontanai.
“ e dai scemo…mi sposti tutta la sciarpa ” dissi mentre gli avvolgevo le gambe intorno alla vita. mi prese il viso tra le mani e mi baciò. Lasciai che una delle sue mani mi scivolasse dietro la nuca e si infilasse tra i capelli. Un colpo di tosse, poi una leggera risata
“ scusate…non volevo disturbare ” un voce ironica e leggermente familiare. Alzai lo sguardo e incontrai due freddi e beffardi occhi blu.
“ se non vuoi disturbare perché non te ne vai? ” chiesi seccata, mentre Jake si voltava fissando male il ragazzo. Era alto, ancora più alto di Jake. Ben piazzato. Un viso bellissimo, muscoli scolpiti e possenti che si intravedevano sotto la maglietta aderente. Capelli neri, non troppo corti. Occhi grandi e blu, lineamenti perfetti. Rimasi per qualche istante a fissarlo perché tutto, dal suo viso al suo fisico era di una bellezza perfetta affascinante e pericolosa. Sembrava sprigionare un alone di mistero e una sensualità molto provocante.
In quel momento realizzai che non lo avevo mai visto prima. Doveva essere lui il ragazzo nuovo. Adesso capivo l’entusiasmo di Annabel perché anche io, sebbene avessi sempre frequentato i ragazzi più belli di Bremerton, ero rimasta affascinata dallo sguardo profondo e magnetico di quei grandi occhi blu. Anche io non avevo potuto fare a meno di ammirare le sue spalle larghe mentre desideri non proprio adatti si insinuavano nella mia mente.
“ beh io ero qui già da prima…quindi in teoria siete voi che avete disturbato me ”  beffardo e derisorio. Lo fulminai con un’occhiataccia.
“ si da il caso che questo è un luogo pubblico. Posso starci anche io e fare quello che mi pare ” sbottò Jake irritato mentre cercava di scostarsi da me per avvicinarsi al ragazzo che a dire il vero sembrava molto più adulto di Jake. misi una mano sulla spalla di Jake, trattenendolo. Lo avrei sistemato io, quel tizio.
“ io dicevo per voi…pensavo voleste un po’ di intimità….ma se vi va di avere pubblico per me non ci sono problemi…mi sono sempre piaciuti i film…. ”  Ancora più beffardo e leggermente malizioso. Se fossi stata meno irritata probabilmente sarei arrossita. Invece gli rivolsi un sorriso perfido. Non mi degnai neanche a rispondergli. Mi strinsi nelle spalle e chinai di nuovo il viso verso Jake, che prontamente mi baciò. Se voleva stare li a fare il guardone buon per lui.
Dopo qualche altro bacio allontanai il viso di Jake. Il ragazzo era ancora li. Ci fissava canzonatorio. Sollevai un sopracciglio e sorrisi, fiera di me.
“ soddisfatto così? Visto che, per tua sfortuna, puoi solo guardare…. ”
“ se volessi potrei fare molto più che guardare…molto più del ragazzino la ” disse scoppiando a ridere, come se gli avessi appena raccontato una barzelletta.
“ di sicuro non con me…. ”
“ posso avere di meglio ” si strinse nelle spalle e io avvampai di rabbia. Lo avrei volentieri strangolato, ma adesso era Jake a trattenere me, posandomi una mano sul ginocchio.
“ vai a cercartelo allora ” dissi voltando la testa.
“ se voglio…al momento voglio restare e vedere fino a dove sei disposta ad arrivare. Ho il film senza dover pagare il biglietto del cinema….peccato non aver pensato a portare i popcorn ”
Tutti il fascino di quei magnetici occhi blu sparì di colpo e fui invasa da rabbia e irritazione. Altro che bello e affascinante..era odioso. Non lo conoscevo ma già avevo capito di detestarlo.
Mi stava davvero facendo saltare i nervi. Saltai giù agilmente dal muretto e presi Jake per mano.
“ andiamo…non mi va di stare a parlare con un borioso maleducato ” dissi trascinandomelo dietro, senza dargli possibilità di opporsi.
“ ma come fine primo tempo? ” mi sbeffeggiava con un tono di voce ironico e fintamente gentile. Fingeva delusione e sorpresa. Mi voltai verso di lui mentre Jake iniziava davvero a perdere la pazienza. Lo trattenni. Una rissa non sarebbe stata utile a nessuno, soprattutto non a Jake che era noto per essere un ragazzo impulsivo. Non sarebbe stata la prima volta che faceva a pugni a scuola.
“ senti…torna al tavolo…qui me la sbrigo io ” dissi conciliante, spingendolo verso la mensa.
Lo vedevo esitare e percepivo i suoi dubbi.
“ torno subito…metto a posto questo maleducato e sono da te ” sorrisi in quel modo dolce e innocente che rendeva impossibile resistermi. Jake mi fissò per qualche secondo, palesemente scontento della mia decisione…o semplicemente dall’interruzione. Beh non potevo certo dargli torto. Quel tizio era tremendamente seccante. E si prendeva troppa confidenza per i miei gusti.
Jake si allontanò a continuò a fissarmi finchè non scomparve oltre la porta.
“ bene…adesso oltre che come spettatore mi vuoi come attore? ” si sedette sul muretto dove poco prima ero stata acciambellata io.
“ senti…non so chi tu ti creda di essere…ma questa è la mia scuola. Qui comando io…intesi? E non mi piacciono i pervertiti e i maleducati ” sorridevo gentile ma freddamente pericolosa. Ero stanca di lui, stanca della discussione.
“ non ti conviene sfidarmi….quindi meglio per te se non ci provi ” ribadii seccamente. Non gli conveniva neanche irritarmi. Sapevo essere molto pericolosa quando ero arrabbiata. E anche se io non prendevo a pugni il primo impiccione come invece faceva spesso Jake la mia vendetta sapeva essere molto più crudele e divertente….divertente per me almeno.
“ e questo dovrebbe intimidirmi? Una ragazzina alta un metro e un tappo di bottiglia che si da arie da gran donna? ” rise e mi fissò, spavaldo ed arrogante.
Aveva tirato in ballo la mia altezza…un errore madornale. Era ciò che mi faceva infuriare più di qualsiasi cosa. Essere derisa per la mia modesta statura mi faceva letteralmente uscire dai gangheri. Sembrava che lui lo sapesse e si divertisse a provocarmi.
Strinsi i pugni e mi avvicinai a lui, socchiudendo leggermente gli occhi e fissandolo con uno sguardo a dir poco glaciale.
“ ah vuoi invertire le posizioni? ” altra provocazione. Stava davvero riuscendo a farmi arrabbiare.
“ sarò anche alta un metro e basta….ma dato che sei un pallone gonfiato non ci vorrà certo la forza per sgonfiarti. ” Gettai i capelli all’indietro e mi voltai.
“ Elena Atwood. Ricordati questo nome mi raccomando ” dissi poco prima di varcare la soglia della mensa. Gli lanciai un ultimo sguardo. Era seduto nella stessa posizione di prima, con lo stesso sorriso beffardo.
Jake mi fissava ansioso e infastidito. Mi sedetti accanto a lui e gli strinsi la mano.
Tutti i presenti al tavolo alzarono lo sguardo e fissarmi. Evidentemente Jake aveva già raccontato tutto.
“ è guerra ” sussurrai semplicemente.

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Capitolo 7
*** Incidenti e Sorprese ***


“cosa intendi fare Elena?” Athena mi camminava a fianco, interrogandomi con uno sguardo deciso e circospetto. Scossi la testa e mi strinsi nelle spalle.
“devo ancora pensare a qualcosa” ma non ci avrei messo molto per farmi venire una buona idea. La mia piccola mente diabolica lavorava già in maniera febbrile.
“non cacciarti nei guai mi raccomando”  fu l’ultimo avvertimento prima di dividerci. Lei svoltò a destra, io continuai dritto, immersa nei miei pensieri. O meglio, riflettendo sui miei piani e su tutte le possibili piccole ripicche che avrei potuto mettere in atto.
Avevo ginnastica in quest’ora e avrei potuto lasciare vagare la mente senza preoccupazioni.
Ero brava a pallavolo. Ero la leader della squadra.
Mi diressi in fretta alla palestra e mi cambiai nello spogliatoio, indossando i pantaloncini attillati e il top blu che il prof osava chiamare “divisa”
Le mie compagne erano già in campo a riscaldarsi. Le raggiunsi e ci dividemmo in due squadre, iniziando la partita. In poco tempo la mia squadra si potrò in vantaggio mentre io eseguivo schiacciate perfette e potenti.
Sfogare la rabbia colpendo con forza la palla era una buona strategia antistress per me. Immaginai di colpire la faccia di quel borioso arrogante.....immaginai la sua guancia sotto le mie dita mentre gli stampavo la mano in faccia e sorrisi al pensiero.
E in quel momento eccolo. Di nuovo lui, di nuovo quello stupido e presuntuoso.
Era appoggiato con aria indolente alla parete e osservava svogliatamente la partita. Non sapevo cosa ci facesse li dato che lui era più grande di me..non poteva frequentare le mie stesse lezioni.
Incrociò il mio sguardo e sollevò la mano in segno di saluto mentre un sorriso beffardo piegava le sue labbra perfette. Strinsi gli occhi e schiaccia la palla con più forza del necessario.
In breve tempo lui fu al centro dell’attenzione, mentre sorrisi e sguardi languidi abbondavano sui visi delle mi compagne.  Mi distrassi per un secondo per osservarlo meglio e capire il motivo di tanto scalpore. Era un bel ragazzo, anzi un bell’uomo…ma non è che in città i bei ragazzi mancassero. Ma lui sembrava avere qualcosa di speciale. Una sorta di magnetismo sensuale e travolgente…assurdo! Era solo un ragazzo come un altro.
Purtroppo il mio momento di distrazione mi fu fatale. riportai l’attenzione sulla partita giusto in tempo per vedere la pallonata che si avvicinava. Ero già pronta a fare muro, già in aria per schiacciare….ma la palla era rossa, completamente coperta di sangue. Non riuscì ad urlare, non riuscì a muovermi. E la palla mi colpì in pieno viso, arrestando il mio salto che terminò di botto sul pavimento. Sbattei la testa e il mondo si confuse sopra e sotto di me.
Ci misi qualche istante per riprendermi dallo shock, il tempo sufficiente perché le mie compagne si affollassero attorno a me. Sbattei le palpebre, rendendomi conto che me ne stavo distesa sul pavimento. Chini su di me c’erano tanti volti preoccupati e ansiosi.
“va tutto bene…mi sono solo distratta” tentai di dire ma avevo la voce fragile e nessuno mi credette
“sul serio…datemi una mano a rialzarmi” ma nessuno si mosse e continuarono a fissarmi tutte. Strinsi gli occhi spazientita e cercai di sollevarmi da sola.
Una mano si posò sulla mia spalla e mi ricacciò a terra.
“meglio che stai giù…hai preso una bella botta”
Voltai la testa a fulminarlo con uno sguardo.
“lasciami subito….tu…tu..sei un idiota” gli sibilai cercando di allontanare la sua mano e scostarmi dal suo viso, un po’ troppo vicino al mio.
Lui scoppiò a ridere e mi aiutò ad alzarmi.
“la accompagno in infermeria” provò a farmi appoggiare alla sua spalla ma io mi scostai fissandolo male. Le altre ragazze improvvisamente erano troppo prese ad ammirare lui per preoccuparsi per me.
Lanciai un paio di occhiatacce più che meritate e barcollai ancora stordita. La testa mi girava e sentivo che mi stava venendo un bel bernoccolo. Senza contare le ferite e i graffi della sera prima, che mi avevano alquanto indebolita. Il ragazzo mi afferrò prima che cadessi, afferrandomi sotto il gomito e sorreggendomi.
“qualcuno vada a chiamarmi Jake” ordinai con voce perentoria. Preferivo che fosse il mio ragazzo ad accompagnarmi in infermeria piuttosto che quest’odioso sconosciuto.
Tutte evitarono il mio sguardo, imbarazzate.
“ehm…ci abbiamo già provato ma lui è…beh è dalla preside” una ragazza più coraggiosa delle altre azzardò questa risposta, per nulla soddisfacente.
“che cosa diavolo è successo?” sbottai irritata da tutti quei misteri.
Altri sguardi imbarazzati, prima verso di me, poi verso il ragazzo che mi sorreggeva.
“ecco Jake ha…diciamo ha….beh lui….si insomma ha litigato con Michael” sussurrò una, mantenendo lo sguardo basso, senza incrociare il mio sguardo.
“e chi sarebbe Michael?” chiesi perplessa. Non che non le credessi. Era tipico di Jake cacciarsi nei guai. Una risatina al mio fianco e mi voltai a freddare il ragazzo con uno sguardo.
“stanne fuori” gli sibilai.
Scoppiò a ridere e alzò le mani in segno di resa.
Le ragazze sembravano sorprese adesso. Mi guardavano stupite e schioccate.
Il ragazzo si chinò verso di me. “Michael sono io” mi sussurrò nell’orecchio.
No. Non ci potevo credere. Come aveva potuto Jake. Gli avevo detto che me ne sarei occupata io ma evidentemente aveva pensato di risolvere la questione a modo suo. Strinsi i pugni e non risposi.
“e quando ha intenzione di farlo uscire la preside?” chiesi con tutta la dignità che mi restava. Il mio tono di voce non era più fermo perché mi sentivo stordita e stanca.
“beh non lo sappiamo…ma è meglio che Michael ti accompagni in infermeria adesso…ti verrò a chiamare quando esce” si offrì quella che mi aveva spiegato la situazione.
“grazie mille…Amber” ricordavo vagamente il suo nome e la ricompensai con un sorriso cordiale.
La ragazza sorrise raggiante di rimando. Avrei provveduto ad invitarla al tavolo con noi.
“avanti andiamo..non ti reggi in piedi” il finto tono sollecito e preoccupato di Michael mi dava sui nervi ma repressi una rispostaccia e lascia che mi sorreggesse fuori dalla palestra. Appena varcammo la porta mi divincolai con forza.
“fermati un attimo.” Sibilai mentre prendevo dalla tasca dei jeans un piccolo specchietto e mi davo una sistemata ai capelli. Ci tenevo ad apparire sempre perfetta. E non mi andava di girare per la scuola con i pantaloncini della tuta.
“devo andare nello spogliatoio e rimettermi i miei vestiti.” Dissi con un sospiro.
“e io devo aiutarti ad indossarli? Purtroppo ho più dimestichezza nel togliere i vestiti alle ragazze piuttosto che nel metterglieli” affermò con malizia mentre un sorriso impertinente gli piegava le labbra.
“Presuntuoso” borbottai.
Fui tentata di voltarmi e andare da sola alla spogliatoio, ma sapevo che non avrei retto. Sentivo la testa pesante,  il corpo pesante, spossato. Avevo un gran voglia di sedermi. Barcollai e istintivamente mi appoggiai al suo braccio. I muscoli erano saldi e forti. Più ancora di Jake. Ma perché poi, continuavo a paragonarli?
“devi solo aiutarmi ad arrivarci” ammisi con un sospiro. Non mi piaceva avere bisogno di aiuto. Avrei tanto voluto che accanto a me ci fosse Athena, con la sua presenza confortante e estremamente riservata. Invece dovevo ritrovarmi proprio lui. Lo conoscevo da meno di un ora ma lo detestavo. E adesso ero costretta ad accettare il suo aiuto.
Sembrava capire i miei pensieri perché sogghignava, sicuro di se e rilassato. Mi cinse la vita con un braccio e si avvolse intorno al collo il mio braccio, piegandosi in avanti perché riuscissi ad appoggiarmi alla sua spalla. Mi sentivo uno scricciolo in confronto a lui, ma era una sensazione a cui ero ormai abituata. Sbattei un paio di volte le palpebre, cercando di schiarirmi un po’ le idee.
Mi sorresse per tutto il tragitto, facendosi praticamente carico di tutto il mio peso. Gli spogliatoi si trovavano in un edificio esterno alla palestra, vicino al campo da football. Entrai in quello femminile e lui mi seguì senza la minima esitazione, facendomi sedere sulla panca accanto agli armadietti. “dove hai messo i tuoi vestiti?” chiese mentre dava un’occhiata in giro.
Gli indicai il mio armadietto e dopo aver frugato un po’ dentro mi portò i vestiti che avevo indossato la mattina. Li presi dalle sue mani e gli faci cenno di uscire.
“sicura di farcela? Se vuoi posso darti una mano?” sembrava innocente e completamente a suo agio.
“fuori” gli sibilai mentre slacciavo le scarpe per poter togliere i pantaloncini e indossare i jeans.
All’ennesima occhiataccia da parte mia si decise ad uscire e fui libera di rivestirmi in pace. Mi diedi un’occhiata nello specchio. Avevo il viso un po’ bianco e i capelli scarmigliati. Un lato della mia faccia era rosso e gonfio. Mi tastai dietro la nuca e sentì che stava affacciando un bernoccolo. Sospirai e mi rimisi in piedi, appoggiandomi al muro arrivai la porta e la spalancai, preda per un secondo di un capogiro. Fui afferrata prontamente da Michael che mi strinse le braccia intorno al corpo e mi sorresse.
“va tutto bene” scattai risentita, battendomi per rimettermi in piedi.
“non ti dai mai di sotto eh? Perché non ammetti una buona volta che senza di me rischi di non arrivare all’infermeria?” la sua voce era beffarda e condiscendente, quasi stesse parlando ad una bambina cocciuta. Mi fece irritare ma non avevo abbastanza forze per rispondergli.
“ce la faccio.” Ripetei ostinata. Non mi ascoltò. Decise che la mia parola non contava niente e mi sollevò di peso, prendendomi in braccio.
“spero che Jake ci veda…così ti spaccherà la faccia” mormorai altera e irritata. Lui scoppiò a ridere e calò un po’ il viso per portarlo a pochi centimetri dal mio.
“ci ha già provato…con scarsi risultati…” allegro e sicuro di se.
“ti dispiacerebbe spiegarmi che è successo?” sembrava più un ordine che una richiesta. Ed in effetti era proprio un ordine. Non ero abituata a chiedere niente…di solito tutti erano pronti ad accontentarmi prima ancora che aprissi bocca.
“beh il tuo ragazzo mi ha aspettato all’uscita della mensa e ha cercato di fare il gradasso, dicendo che dovevo stare alla larga da te ecc ecc…tutte quelle cose da innamorato geloso” mi sfotteva e la cosa mi fece avvampare di rabbia e imbarazzo. Come aveva potuto Jake combinare una cosa del genere? La violenza non mi piaceva anche se ne facevo ampio ricorso durante le mie missioni. Ma non la mettevo in pratica su esseri umani…solo su mostri.
“non doveva farlo..gli avevo detto chiaramente che ti avrei rivolto la parola solo per umiliarti” non ero una persona subdola e non intendevo nascondere i miei piani. Si la guerra era ancora aperta. Anzi era necessario più che mai vincerla.
“in ogni caso ha anche cercato di prendermi a pugni…gli ho quasi spezzato una mano” commentò sorridendo tra se e se. Spalancai gli occhi. Jake era il ragazzo più forte della scuola…
“non avresti dovuto….spero che la preside ti espella” dissi sorridendo speranzosa a quell’eventualità. Ormai eravamo arrivati davanti all’infermeria. Mi fece scendere perchè avevo già iniziato a scalciare e a dibattermi.
Entrammo in silenzio e io andai a sedermi sul lettino, mentre lui spiegava alla nostra infermiera cosa era successo. La donna insistette per controllarmi la testa. Mi fece un massaggio piuttosto doloroso, poi mi diede un pacchetto di ghiaccio e mi disse di tenerlo per tutto il giorno. mi diede anche una pillola per il mal di testa e i spalmò sulla guancia una pomata per alleviare il gonfiore. Michael rimase per tutto il tempo appoggiato ad una parete, sorridendo pigramente. Io ringraziai gentilmente la donna che si stava prodigando in tutti i modi per farmi sentire meglio e cercai di spiegare che adesso stavo bene. mi misi in mano un blister di pasticche.
“se hai giri di testa prendine una. Ogni due ore e a stomaco pieno” mi ammonì mentre chiudeva le mie dita intorno al blister. Si rivolse  Michael.
“tienile compagnia…è meglio se per oggi non tornate a lezione. Manderò un biglietto alla preside per informarla”  gli disse. Pensai con disperazione che avrei dovuto sorbirmelo per tutto il resto dell’orario scolastico, il che significava come minimo altre tre ore. Sospirai e scesi dal lettino, cercando in tutti i modi di non barcollare. Michael era al mio fianco prima ancora che muovessi un paio di passi e mi sorresse senza sforzo. Uscimmo così, stranamente vicini e silenziosi.
“riaccompagnami in palestra” sussurrai appena uscimmo e la fredda aria autunnale iniziò a sferzarmi il viso. Era il ventotto ottobre. Rabbrividì leggermente e mi strinsi le braccia intorno al corpo. Michael sembrava perfettamente a suo agio anche nel vento. Mi guardava con quel solito sorrisetto strafottente, quel sorriso che mi dava sui nervi e mi metteva stranamente a disagio.
“non hai sentito quello che ha detto la signorina Stevenson? Non devi tornare a lezione.” La sua voce suonava ammonitrice e severa, quasi come quella di una vecchia governante acida. Quel pensiero mi fece sorridere. “eih è la prima volta che sorridi…attenta a non fare sgretolare la maschera di cera che ti porti appresso” mi provocò cogliendo al volo la possibilità di irritarmi. Decisi di ignorarlo, anche perché in quel momento non mi veniva in mente nessuna replica pungente.
“e che facciamo genio? Rimaniamo qui a congelare?” mi decisi a chiedere. Accarezzai per un momento l’idea di chiamare Athena e Savannah per farmi compagnia ma con quale scusa le avrei fatte uscire dalla classe? Forse dovevo rassegnarmi a passare almeno un’ora con Michael.
“andiamo nel laboratorio di chimica…” non era una proposta. Prima ancora che potessi ribattere e protestare mi stava già trasportando verso il laboratorio di chimica. Nessuno lo usava mai. Era sempre perennemente deserto e mi chiesi come facesse lui a saperlo dato che era evidentemente appena arrivato a scuola.
Fu lui ad aprire la porta e a farmi entrare. Il laboratorio di chimica altro non era che un’aula deserta, senza sedie ne banchi ma solo un grasso e lungo tavolo e una lavagna appesa al muro. Allontanandomi da lui mi issai sul tavolo e mentre lui si chiudeva la porta alle spalle ne approfittai per scostare un po’ la polo e osservare la ferita alla spalla che mi aveva lasciato il mutato. Sollevai la benda, osservando attentamente la ferita che non sembrava così grave come l’avevo giudicata ieri. Prima che lui si voltasse avevo già ricoperto tutto.
“qui potremo stare tranquilli” disse sedendosi per terra con le spalle contro la parete e il viso rivolto verso di me.
“guarda morivo dalla voglia di restare sola con te” ironica e pungente. Sorrisi soddisfatta di me stessa e lasciai che le gambe penzolassero giù dal tavolo. I miei piedi non arrivavano neanche a sfiorare il pavimento. Misi il blister di pillole nella tasca dei jeans ed estrassi il cellulare.
“sono nel laboratorio di chimica…vieni a prendermi appena finisce la lezione” scrissi il messaggio per Athena e lo inviai.
Una parte di me sperava che Athena venisse anche prima, ma sapevo che non sarebbe riuscita ad inventare una scusa decente per poter uscire dalla classe.
“le mie amiche verranno a prendermi” lo informai giusto per spezzare un po’ il silenzio innaturale che era calato e che rischiava di mettermi a disagio.
“come mai non hai chiamato il tuo ragazzo?” volle sapere. A dire il vero non volevo che lui e Jake si incontrassero di nuovo…non volevo che Jake avesse problemi.
“volevo evitare a Jake dei casini” ammisi stringendomi nelle spalle.
“oppure vuoi del tempo solo per noi due” insinuò con un sorriso malizioso.
“hai azzeccato. Voglio del tempo per strangolarti in santa pace, senza testimoni scomodi ad assistere” mormorai sfoderando il sorriso più angelico che riuscissi a fare spuntare sulle mie labbra. Mi massaggiai un po’ la guancia e lo guardai. Lui mi guardò.
Restammo in silenzio per un paio di minuti, osservandoci di sottecchi, studiandoci a vicenda. Io cercavo di capire i punti deboli del mio avversario. Lui sembrava fare la stessa cosa.
Una parte della mia mente notò anche che era bello e incredibilmente sexy ma misi a tacere quella parte senza tante cerimonie.
“perché ti sei trasferito proprio a Bremerton? “ domandai leggermente incuriosita.
“il nome mi ispirava” liquidò la faccenda stringendosi nelle spalle.
“ e sei Europeo?” chissà cosa mi spingeva a fare tutte quelle domande.  Decisi che conoscerlo meglio era il modo migliore per capire come sconfiggerlo.
“inglese” precisò con un sorriso, poi tacque e lo stesso feci io.
Restammo in silenzio per tutto il resto dell’ora, fissandoci reciprocamente mentre io controllavo ansiosa l’ora nel display del cellulare.
“è meglio che tu adesso vada” dissi cinque minuti prima che suonasse la campanella. Non replicò e uscì dalla stanza senza salutarmi, ma continuando a fissarmi di sottecchi. Rimasi sola ad aspettare Athena e Savannah che non tardarono ad arrivare. Furono davanti al laboratorio due minuti prima che la campanella suonassero. Entrarono e mi osservarono un po’ ansiose.
“che ci fai qui?” mi chiese Savannah mentre veniva a sedersi accanto a me e osservare la mia guancia rossa. La abbracciai e sorrisi ad entrambe.
“incidente in palestra…ma va tutto bene. la signorina Stevenson non ha voluto che tornassi a lezione, quindi sono venuta qui per stare un po’ in pace” spiegai pazientemente. Athena si avvicinò e mi poggiò una mano sul ginocchio, osservando con occhio critico il mio viso.
“hai bisogno di un bello strato di fondotinta” commentò con un mezzo sorriso.
“il trucco dovrà aspettare….non so se lo avete saputo ma Jake si è messo nei guai. Ha cercato di picchiare quello nuovo…Michael” spiegai con un sospiro.
Savannah sgranò gli occhi mentre Athena non sembrò particolarmente sorpresa. Probabilmente aveva immaginato che sarebbe successo qualcosa di simile.
“tu come lo sai?” mi chiese. Perspicace come sempre.
“beh me lo ha detto quello nuovo…è stato lui ad accompagnarmi in infermeria e poi qui” ammisi di malavoglia. Non mi andava di scendere nei dettagli circa il tempio passato con lui. Anche perché non avevamo detto niente di rilevante o interessante. Una comune e banale conversazione con una comune e banale persona. Liquidai la mia affermazione con una noncurante alzata di spalle.
“credi che la cosa peggiorerà?”Savannah innocente e un po’ spaventa mi fissava mordicchiandosi il labbro inferiore.
“non se sarò in grado di impedirlo. Oggi stesso parlerò con Jake.” Quello era il primo passo.
“stasera tutte da me per un pigiama party….” Proposi mentre scendevo agilmente dal tavolo. Athena annuì silenziosamente mentre Savannah evitò il mio sguardo.
“io beh…credo di non poter fare niente stasera” la guardai e mi avvidi che aveva lo sguardo leggermente esitante ed impaurito.
“perché?” io ero sorpresa e un po’ confusa.
“tua nonna mi ha affidato una missione” confessò mentre si fissava la punta delle scarpe.
Sapevo che le missioni gettavano sempre nel panico la povera ed ingenua Savannah.
“sai già i dettagli’” la mia voce aveva assunto quella sfumatura glaciale e professionale che usavo sempre quando si parlava della mia attività notturna.
“una volpe” sussurrò. Sapevo che non era la paura di morire a terrorizzarla. Era la paura di fare del male ad un essere vivente. Savannah soffriva nel vedere soffrire qualsiasi cosa. Per lei era un tormento incredibile uccidere, anche se su trattava di bestie priva di coscienza e di anima.
“ci penserò io per te. Fammi avere la documentazione nel pomeriggio” ero decisa a risparmiare quel tormento a Savannah e Athena probabilmente doveva occuparsi di una sua missione. Glielo leggevo nello sguardo che era così. Altrimenti lei stessa si sarebbe proposta per andare ad eliminare il Mutato. Savannah alzò lo sguardo fissandomi con riconoscenza mentre mi gettava le braccia intorno al corpo. “piano piano…mi gira la testa” dissi imbarazzata da troppe dimostrazioni di affetto. Io ero un tipo molto schivo.
“neanche io posso.” La voce chiara e sicura di Athena ci fece sollevare lo sguardo ed entrambe la fissammo in attesa di una spiegazione ragionevole.
“tua nonna vuole che faccia un viaggetto in Alaska…c’è un orso che sta mietendo vittime li. Parto pomeriggio….e se tutto va bene sarò di ritorno in due giorni”
Athena mi sarebbe mancata.
“è la tua prima trasferta?” chiesi sorridendo leggermente. Io ero stata in vari stati, Dal Kansas alla Virginia…ero stata perfino in Argentina. Tutte le missioni erano andate alla grande.
“Si e la cosa mi rende un po’ nervosa” ammise mentre io le stringevo confortante un braccio e Savannah le accarezzava il viso.
“tranquilla è la stessa cosa di sempre…studia bene il territorio prima” consigliai. In fondo ero io l’esperta del gruppo. mi ero allenata per due anni e uccidevo da quattro. Un vero record. Neanche Angeline poteva vantarne uno migliore. Lei andava in missione da quando ne aveva tredici e si era allenata per tre anni prima di iniziare.
“il pigiama party allora è rimandato…Quando Athena tornerà ci riuniremo tutte a casa mia” sospirai e mi allontanai da entrambe, scendendo dal tavolo.
“tornate in classe….io vado a casa. Savannah portami tutta la documentazione necessaria…entro stasera”  mi salutarono con un sorriso che ricambiai prima di uscire. Ottenni dalla preside il permesso di tornare a casa, dicendo che non mi sentivo troppo bene.
Quando uscì fuori dalla scuola l’aria fresca mi investì in pieno. Non avevo voglia di andare dalla nonna. Ne di chiamare Will. Sarei tornata nella mia grande e solitaria casa.
Villa Atwood era situata su una collina, isolata dal resto delle case e lontana dalla scuola. Si prospettava una lunga passeggiata ma non avevo paura. La solitudine mi aveva sempre fatto bene. ormai ero abituata a passare ore in compagnia dei miei pensieri.
Attraversai in silenzio il parcheggio della scuola, osservando distrattamente le auto parcheggiate. Ero ormai di fronte al cancello quando sentì un clacson alle mie spalle.
Mi voltai inarcando un sopracciglio, curiosa di vedere chi fosse. Di fronte a me una scintillante Ferrari nera e lucida. Macchina nuova, mai vista prima a Bremerton. Non ci misi molto a capire di chi fosse. Nel frattempo Michael si avvicinò, accostandosi a me. Spalancò la portiera dal lato del passeggero e mi fece cenno di salire. Scossi la testa, rifiutando.
“avanti non fare tante storie…c’è freddo e una ragazzina così piccola non dovrebbe andare in giro da sola” un sorriso illuminò il suo viso magnetico. Esitai un po’, mordicchiandomi il labbro inferiore. Combattuta tra la curiosità e la stizza nei suoi confronti. Alla fine, vinta dalla curiosità, cedetti. mi sedetti e lasciai cadere a terra la borsa con i libri.
Non chiesi come facesse a sapere che volevo tornare a casa, non chiesi perché volesse accompagnarmi. Mi sedetti a braccia conserte, fissandolo di traverso. I suoi occhi sembravano ancora più grandi, di un blu scuro come il cielo a mezzanotte. Un ciuffo di capelli gli ricadeva davanti al viso e la sua pelle nella penombra della macchina sembrava di un bianco innaturale.
“eih niente battuta pungente?” chiese allegro mentre anche lui mi fissava. Il suo tono di voce sembrava tradire la tensione e una sorta di strana impazienza.
“no devo aggiornare il repertorio per trovarne qualcuna di abbastanza cattiva da rivolgere a te” risposi senza guardarlo. L’intimità fornitaci dalla macchina mi metteva a disagio, cosa strana perché non mi ero mai sentita in imbarazzo sola con un ragazzo.
“dove abiti?”
Gli dissi l’indirizzo e i allungai per accendere la radio. Presi un cd che aveva poggiato sul cruscotto e lo inserì. Nella macchina si diffusero le note di “i’d Came for you”
Ascoltai la canzone chiudendo gli occhi.
“mi piace” commentai stupefatta
“ho buon gusto io” fu la lapidaria replica.
La macchina correva veloce, immersa nel silenzio.
“ti va se andiamo a mangiare una pizza stasera?” mi chiese d’un tratto. Mi voltai stupefatta verso di lui. Sgranai gli occhi, poi inarcai un sopracciglio, studiandolo come se fosse una strana razza aliena.
“sei pazzo o cosa? Punto numero uno sono fidanzato…”
“ah giusto con quel ragazzino borioso” disse ridendo. Jake non sembrava preoccuparlo. “non ne sei innamorata quindi…”
Arrossì ma non ero intenzionata a dargliela vinta.
“eih tu non mi conosci. Non sai niente di me ne della mia vita privata…e neanche dei miei sentimenti”
Per un momento la sua faccia assunse un’espressione da “e a te chi lo dice?”. Una strana ansia mi attanagliò le viscere. Sembrava capire molte, troppe cose….
“una sensazione” disse stringendosi nelle spalle con noncuranza. “l’ho notato da come ti comporti con lui…più come una padrona che come un’amante”
Aveva ricominciato a deridermi. Lo fulminai con un’occhiataccia.
“non ho nessuna intenzione di fornirti dettagli circa la mia  vita privata. Secondo: ti detesto. Sinceramente mi irriti mi fai saltare i nervi mi fai arrabbiare e non provo alcun sentimento gentile nei tuoi confronti.” Schietta e sincera come sempre.
Scoppiò a ridere ma non rispose.
“Comunque ho già un impegno stasera”
“che genere di impegno?” mi sembrava un po’ troppo curioso e invadente per i miei gusti….e poi cosa potevo rispondergli? Vado ad ammazzare un mostro? No di certo! Gli esseri umani normali non sapevano dell’esistenza dei Mutati. Eravamo noi Custodi a proteggerli e a vegliare sulle loro vite, eliminando i mutati che le minacciavano
“un impegno…familiare” farfugliai alla fine.
I suoi occhi si accesero…di rabbia? Non ne ero sicura ma mi sembrava proprio di aver visto un lampo di rabbia nei suoi occhi blu scuro. Improvvisamente mi resi conto dell’assurdità della situazione. In macchina con uno sconosciuto…poteva anche essere un killer psicopatico per quello che ne sapevo io. Per un attimo ebbi paura e mi raggomitolai in silenzio contro la portiera, tenendomi pronta a spalancarla se avesse anche solo tentato un movimento verso di me.
“sta calma Elena.” Intimai a me stessa, rifiutando di recitare la parte della codarda.
“se tenta qualcosa…beh sono una brava combattente. Posso stenderlo se voglio” mi rincuorai in questo modo e pensando alla lotta della sera prima mi sentì più sicura. La canzone era finita e Michael spense la radio. Il silenziò piombò di botto. Lo osservai e notai che il suo profilo era rigido, la mascella contratta. I muscoli delle braccia tesi…stringeva il volante con forza assurda e non guardava verso di me. Avvertivo la sua rabbia nel modo in cui guidava…la percepivo nel suo sguardo improvvisamente più scuro e profondo. Troppo profondo. Stava davvero riuscendo a spaventarmi ma non lo avrei ammesso mai e poi mai.
“probabilmente sono ancora scossa dopo l’incubo di ieri sera” mi giustificai. Probabilmente lui era solo irritata perché avevo rifiutato il suo invito. Ma sembrava qualcosa di molto più bruciante e profondo di un’irritazione adolescenziale. Sembrava pura e semplice rabbia animale.
“voglio scendere” farfugliai mentre le mie dita armeggiavano con la maniglia.
La mano di Michael si poggiò sulla mia, trattenendomi.
“non puoi scendere dalla macchina in corsa” la sua voce aveva la stessa sfumatura di paurosa furia che brillava nei suoi occhi.
“accosta allora. Voglio scendere! Adesso!” la mia voce era diventata più acuta.
“dai siamo quasi arrivato” disse ridendo cordiale e allegro come prima. Che mi fossi immaginata tutto? Lui sembrava perfettamente rilassato adesso, gentile ed ironico come il primo istante in cui lo avevo visto. La musica aleggiava nell’aria le sue dita tenevano il tempo picchiettando sul volante….
“voglio scendere!”  ribadì con enfasi.
Mi sentivo irrazionale. Stavo facendo tutto quel casino per niente eppure…..eppure possibile che mi fossi immaginata tutto? Il suo silenzio, la sua rabbia…il pericolo.
“Elena non fare la stupida” mi rimproverò allegramente. Ritrasse la mano dalla mia ma per sicurezza mise la sicura. “non vorrei che impazzissi del tutto e ti buttassi giù dall’auto in corsa” Spiegò con un sorriso beffardo. Lentamente anche io mi rilassai ma non smisi neanche per un secondo di fissarlo circospetta, mantenendo una mano sulla sicura e una sulla maniglia, pronta a tutto. Sia alla fuga sia ad un combattimento. L’auto si arrestò e io sobbalzai.
“siamo arrivati” spiegò inarcando un sopracciglio e osservandomi con un sorriso di sfottimento. In quel momento mi accorsi che aveva parcheggiato davanti al cancello di ferro battuto della villa. Scesi dalla macchina in tutta fretta e suonai al citofono.
“Amy sono io….aprimi” dissi alla mia cameriera, l’unica che mi tenesse compagnia durante tutto l’anno. Il cancello si spalancò e io entrai. Quando mi voltai per salutare Michael, forse anche per ringraziarlo, l’auto e il suo guidatore non c’erano più.
Mi incamminai per il vialetto, scuotendo la testa. Il portone della villa era già aperto

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Capitolo 8
*** Casa dolce casa ***


Villa Atwood era una costruzione imponente e moderna, interamente dipinta di bianco e all’ultima moda. Era una casa di tre piani. Il primo piano era costituito dal salotto, la cucina una sauna, un bagno turco, una stanza per i massaggi e una grande piscina interna. Il secondo piano era occupato dalla stanza di mio padre, dal suo studio e dalla biblioteca.
Era un piano che restava quasi perennemente vuoto. Il terzo piano era tutto mio. C’era una stanza molto grande che altro non era se non il mio guardaroba. un’altra stanza era adibita per accogliere tutte le mie scarpe. La mia camera da letto era arredata nei toni del blu, il mio colore preferito. Il bagno era perfettamente curato, di un pallido azzurro. La vasca a idromassaggio era sempre pronta per ogni evenienza.
Poi c’erano i salottini, tra cui il mio preferito, interamente tappezzato di uno splendido ceruleo. Era li che ricevevo formalmente le visite. La mia camera si affaccia sul lato est della casa e uscendo dal balcone ci si ritrovava in un’ampia terrazza che occupava tutto il lato est della casa. Il pavimento, formato interamente da lastre di vetro trasparente, si protendeva sulla grande piscina esterna. Alcuni tavolini e sedie erano riparate da piccoli gazebo di legno bianco. Ogni tanto, quando il tempo lo permetteva e ne avevo voglia mi bastava sporgermi dalla terrazza e buttarmi per fare un tuffo in piscina.
Amy, la mia domestica dormiva al primo piano, in una delle tante stanze degli ospiti.
La villa non mi piaceva. Era troppo grande e silenziosa perché io ci vivessi da sola. Mi faceva sentire ancora più piccola e desolata con la sua incombente vastità. Per questo ogni volta che ne avevo l’occasione invitavo Athena e Savannah a dormire da me.
“è lei signorina?” la voce di Amy mi accolse non appena varcai il portone della villa.
“si sono io….sono tornata prima dalla scuola” abbandonai la borsa sul divano di pelle nera, sapendo che entro pochi minuti l’avrei ritrovata in camera.
“vado un po’ in camera mia…se passa Savannah falla salire”
Imboccai di corsa il corridoio e poi salì le imponenti scale, osservando i dipinti e le foto che mio padre aveva fatto appendere alle pareti. Erano tutte cose di ottimo gusto ma che a me sembravano vuote e banali. Arrivai al secondo piano e come ogni giorno mi diressi alla camera di mio padre. Aprì la porta. Come sempre era vuota e perfetta.
Sfiorai il copriletto con una mano. Ormai per me era una specie di rituale. Era iniziato tutto quando ero piccola. Ogni giorno salivo in camera sua, nella speranza di trovarlo mentre disfaceva ai bagagli. Ogni giorno ero rimasta delusa. Uno dei tre telefoni di casa era poggiato sul comò di fronte al suo letto. Lo presi e composi il numero del suo cellulare. Mi rispose la segreteria telefonica. Ero tentata di lasciare un messaggio, di chiedergli quando sarebbe venuto a trovarmi. Non lo feci.
Staccai e uscì dalla camera, salendo di corsa al primo piano mentre un groppo di lacrime mi si addensava in gola. Aprì la porta della mia camera e i spogliai lentamente. Nell’armadio tenevo i miei vestiti preferiti, quelli che usavo più spesso….rovistai nei cassetti e tirai fuori una camicia da notte di seta dorata, lunga quasi fino al ginocchio. Guardai l’orologio. Non erano neanche le tre e mezza. La scuola finiva alle quattro e mezza. Sospirai e uscì in terrazza in un angolo uno stereo all’ultima moda con tanto di casse e amplificatori riposava perfettamente armonizzato con il resto. Lo accesi e le note di “innocence”, una delle mie canzoni preferite, si diffusero ovunque. mi sedetti in una sedia e lasciai vagare lo sguardo sulla piscina. Amy era di sotto e stava sistemando le sdraio che occupavano uno dei bordi della piscina. Mi vide e mi salutò con un sorriso che ricambiai appena.
Ero ansiosa e mi annoiavo. Sul tavolino c’era ancora un libro che stavo leggendo, il gioco dell’angelo. Un libro interessante che mi aveva assorbito completamente. lo aprì e in breve tempo ero completamente immersa nella lettura e negli intrighi di una tenebrosa Barcellona.
“signorina…le ho portato qualcosa da bere”
Sobbalzai e il libro mi cadde di mano. Mi ero completamente alienata e non mi ero accorta del passo pesante di Amy sui gradini delle scale.
“mi dispiace non volevo spaventarla” si scusò venendo verso di me e posando sul tavolo un vassoio con un bicchiere di coca cola con ghiaccio, cannuccia, ombrellino e una fetta di limone.
Le sorrisi e la rassicurai. “grazie mille Amy…ero solo distratta”
Mi chinai per recuperare il libro, sperando non si fosse sgualcito.
“Savannah non è ancora arrivata?” domandai mentre iniziavo a sorseggiare la bibita fresca.
“no signorina. Ma sono le quattro e mezza…sarà appena uscita da scuola”
Prima di passare sarebbe sicuramente tornata a casa….quindi avrei dovuto trascorrere ancora un’ora in solitudine. Allungai la mano per posare il bicchiere sul tavolino. E rimasi pietrificata. Tutto il bicchiere era ricoperto di sangue viscido e rosso scuro. L’ombrellino e la fetta di limone erano macchiati di sangue. E dentro al bicchiere non più coca cola ma sangue caldo e vischioso. Mi passai una mano sulle labbra per poi osservare le mie dita. Anch’esse erano macchiate di sangue.
Il grido che stava per sfuggirmi mi rimase in gola e la mano mi tremò mentre cercavo di allontanare il bicchiere di sangue da me. E accidentalmente me lo rovesciai addosso. Scuro sangue sulla mia camicia, sulle mie braccia e sulle mie gambe.
“oh accidenti” il mormorio di Amy mi riportò alla realtà. Mi bastò sbattere le ciglia un paio di volte per rendermi conto della camicia bagnata di coca cola che mi aderiva al corpo. Il tavolino era appiccicoso di coca cola. Il bicchiere giaceva rovesciato sul tavolo e l’ombrellino riposava, dimenticato, sul pavimento di vetro.
Sapevo di essere ancora seduta sulla sedia, con gli occhi sgranati e un’espressione ebete. Mi alzai di scatto e scostai la camicia appiccicosa dal mio corpo snello. Respirai a fondo, lieta di essere uscita dall’orribile visione che ancora mi faceva venire i brividi. L’incubo di sangue continuava a perseguitarmi.
“tranquilla Amy. Vado in camera a mettermi qualcosa di pulito...” la mia voce suonava fredda e meccanica. Amy si girò preoccupata verso di me, fissando il mio volto cinereo.
“state bene signorina?” la sua voce era accorta e ansiosa.
“si tutto ok” mormorai mentre sollevavo il bicchiere e lo raddrizzavo.
Prima che potesse chiedere altro spalancai la portafinestra che dava sulla terrazza e rientrai in camera. Andai in bagno e mi sciacquai il viso, cercando di prendere un po’ di colore, pizzicandomi le guance perché assumessero una sfumatura più salubre. Infilai la testa sotto il lavandino, lasciando che l’acqua mi scorresse tra i capelli, chiudendo gli occhi, cercando di non pensare,. In cinque minuti i miei capelli erano inzuppati, la camicia da notte si era appiccicata alle mie gambe e alla mia pancia snella e io iniziavo a sentire freddo.
Rabbrividì e tolsi la testa da sotto il lavandino. Non mi curai neanche di prendere una tovaglia. Tornai in camera mia e notai distrattamente che Amy aveva già pulito tutto.
Volsi le spalle alla terrazza, cercando così di non ricordare le orrende immagini sanguinarie che portava con se. Mi chinai e rovistai in uno degli ultimi cassetti del mio comò, tirando fuori una vaporosa camicia da notte di pizzo celeste. Tolsi quella appiccicosa di coca cola e la usai asciugare le gambe e la pancia dalla bibita residua.
Due colpi di tosse in cui si avvertiva una sfumatura divertita. Mi voltai di scatto vero la terrazza.
Appoggiato al parapetto di vetro c’era Michael. Rimasi attonita, senza sapere cosa fare. Paralizzata per un momento dalla sorpresa e convinta si trattasse di un’altra allucinazione. Invece era proprio reale e stava entrando in camera mia facendo scorrere il pannello di vetro della portafinestra.
Mi ripresi quanto più in fretta possibile rendendomi conto che ero in intimo e lui era nella mia stanza. Afferrai la camicia da notte pulita e me la strinsi contro il corpo.
“cosa ci fai qui?” sbottai furiosa mentre con lo sguardo cercavo disperatamente un paio di jeans. Non c’era neanche un capo di vestiario fuori dall’armadio. Per un secondo maledissi Amy e la sua fissa per l’ordine. Per trovare un paio di jeans avrei dovuto cercare nei cassetti dell’armadio….che stava esattamente alle mie spalle.
Michael al contrario di me sembrava perfettamente a suo agio. Rise e mi osservò per qualche istante, quasi stesse valutando un cavallo da comprare. La cosa mi mandò su tute le furie.
“Jake ti ammazzerà” minacciai a denti  stretti. E in quel momento ci speravo davvero.
“e perché mai? Io sono entrato dalla porta e la tua cameriera mi ha detto di accomodarmi in veranda…ti stavo aspettando da persona civile quando tu sei venuta e hai iniziato a denudarti davanti a me. A proposito..come streap teese non era niente male” il suo tono di voce beffardo e derisorio mi fece arrabbiare ancora di più.
Avanzai verso di lui con l’intenzione di prenderlo a schiaffi ma quando alzai il braccio per colpirlo mi ritrovai il polso imprigionato nella sua stretta, più forte di quanto pensassi. Avrei potuto lottare ma per farlo avrei dovuto mollare la camicia da notte che mi stringevo contro il corpo e non ero assolutamente intenzionata a dare ancora spettacolo. La stretta della sua mano era forte. Probabilmente mi avrebbe lasciato i segni delle sue dita sul polso.
Strattonai rabbiosamente il braccio, cercando di divincolarmi senza mollare la camicia e senza scoprirmi minimamente.
“lasciami andare brutto stronzo” sibilai tra i denti, assestandogli un calcio al polpaccio. Parve non accorgersi neanche che lo avevo colpito. Mi fissava con occhi rabbiosi.
“non provarci mai più o la prossima volta ti stacco il braccio” ringhiò a pochi centimetri dal mio viso. Per un secondo credetti che ne sarebbe stato capace. Ignorando il buon senso e il leggero brivido di paura che mi scorreva lungo la colonna vertebrale, gli risi in faccia.
Questo lo fece infuriare ancora di più. Mi attirò a se, premendo il suo corpo duro e muscoloso contro il mio, piccolo e spavaldo.
Cercai di scostarmi, infastidita da quel contatto e soprattutto dal mio non adeguato abbigliamento. Lui non mollava la presa e mi fissava con occhi ardenti, rendendomi impossibile guardare altrove. Cercai di mostrarmi baldanzosa e sicura di me. Non ero certo una ragazzina frignante che si abbatte alla prima difficoltà e non ero abituata a cedere di fronte alla forza bruta. Non ero certo intenzionata a farlo adesso, meno che mai a cedere a lui.
“ti ho detto di lasciarmi. Subito” ribadì con tono fiero, smettendo al contempo di dibattermi per evitare che la mia gamba nuda sfiorasse la sua coperta dai jeans.
Recuperò il suo abituale tono canzonatorio e mi lasciò andare, sorridendo malizioso.
“che peperino” commentò con un fischio di finta ammirazione.
Senza rispondergli lo fulminai con un’occhiataccia e, sperando che non se ne accorgesse, mi strofinai il polso dolorante. Arretrai lentamente fino alla porta del bagno e lui fece il gesto di seguirmi con un sorriso.
Gli sbattei la porta in faccia ed indossai in fretta la mia camicia da notte. Era lievemente trasparente e mi arrivava appena a metà coscia….ma era tutto quello di cui disponevo al momento. Decisi che lasciarlo solo in camera mia non era una cosa saggia. Spalancai la porta e infatti lo trovai a curiosare nei miei cassetti. Mi parai tra lui e il comò.
“giù le mani dalla mia roba” gli intimai mentre richiudevo i cassetti che lui aveva aperto.
“sei proprio acida sai?” andò a sedersi sulla sedia di fronte alla scrivania. Intrecciò le mani dietro la testa e cominciò a dondolarsi su due piedi della sedia.
Sbuffai e per un secondo immaginai di spezzare con un calcio i piedi della sedia e farlo cadere a terra. Ne sarei stata capace ma ero scalza e mi sarei fatta male io stessa. Non ne valeva la pena. Accantonai quel pensiero.
Andai  a sedermi sul letto, incrociando le gambe con grazia.
“allora..a cosa devo l’onore di questa visita?” domandai sarcastica mentre ponevo l’accetto sulla parola onore per intendere che per me più che un onore era uno snervante fastidio. Un sorriso sottile si disegnò sulle mie labbra e riacquistai la mia solita freddezza gentile e perfetta che gli altri tanto mi ammiravano.
“hai dimenticato  l’ i pod nella mia macchina” mise una mano dalla tasca e tirò fuori quello che era senza ombra di dubbio il mio i pod. La cuffia penzolava dalla sua mano, invitandomi a riprenderla.
Allungai una mano e presi l’ipod.
“grazie” mi costrinsi a sussurrare. Non mi andava di ringraziarlo però in fondo oggi aveva fatto molto per me. Odiavo dover essere grata di qualcosa a qualcuno. Odiavo sentirmi in debito…ma in fondo potevo considerare questa una semplice gentilezza.
Continuò a sorridere in quel modo che mi faceva pentire vivamente di averlo ringraziato. Sollevai un sopracciglio, fissando allusivamente a turno lui e la porta. Non raccolse.
Continuava a fissarmi sorridendo beffardo e a suo agio. Sembrava prestarmi la stessa considerazione che io prestavo ai miei mobili. E questo proprio non potevo sopportarlo. Io, Elena Atwood, la regina di Bremerton. La migliore custode della nuova generazione…ignorata in questo modo da un comune e banale umano.
Mi alzai e mi fermai davanti a lui, poggiando le mani sui fianchi e tamburellando a terra con un piede
“ti ringrazio ancora per l’ipod...volevi dirmi altro?”
Il suo sguardo ironico mi squadrò da capo a piedi, soffermandosi sulle gambe e sulla leggere trasparenza della camicia da notte. Rifiutai di farmi mettere in imbarazzo e continuai a fissarlo.
“no niente di particolare” sussurrò e nel frattempo allungò una mano verso di me. Feci un passo indietro e mi allontanai da lui, recuperando una certa distanza di sicurezza.
Quando tornai a fissare il suo viso l’espressione beffarda era sparita del tutto e si fissava la mano con aria torva, come se non potesse credere al tradimento di un amico fedele.
Si alzò di scatto, facendo rovesciare a terra la sedia.
“sei proprio un tipo strano” mormorai scuotendo la testa. Non parve avermi udito. Rimase immobile qualche secondo poi uscì in fretta dalla stanza, senza neanche salutare,
scossi la testa. Con questo qui non si sapeva mai cosa aspettarsi. Quel ragazzo era un vero e proprio rebus. Quello che mi preoccupava però era che iniziava ad incuriosirmi.
Non potevo permettere che succedesse. Non potevo permettere a me stessa di trovarlo carino interessante o attraente. Anche perché era quanto di più irritante esistesse sulla faccia della terra. Scrollai le spalle e mi gettai sul letto. Rigirandomi l’i pod tra le mani.
Solo allora ricordai che quel giorno non avevo usato l’ipod e lo avevo lasciato chiuso a chiave nel mio armadietto.

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Capitolo 9
*** Vita privata e vita segreta ***


Savannah venne un’ora dopo e mi trovò ancora sdraiata sul letto, a rimuginare su quel piccolo mistero. L’ i pod era sicuramente il mio. C’erano le mie canzoni nell’ordine in cui io le avevo sistemate…ma come aveva fatto a prenderlo? E perché?
“Elena ti ho portato la documentazione” mi salutò con un sorriso e venne a sedersi accanto a me.
Lasciò cadere sul letto una cartellina che io afferrai ed aprii. Un lavoretto facile. Ci avrei messo meno di un’ora. Sospirai e richiusi la cartella.
“grazie di tutto Elena…so che non dovrei neanche lasciartelo fare, che sei stanca dopo la missione di ieri…ma io…non ci riesco. Mi sento male al solo pensiero.” La sua voce era debole e spezzata. Le sorrisi e la abbraccia in modo molto materno.
“sta tranquilla…per me non è un problema. Anzi è un piacere.” Era vero. Mi piaceva il mio lavoro, mi piaceva contribuire allo sterminio dei mostri. Savannah mi lanciò un’occhiata severa.
“non potremmo cercare che ne so di stipulare con loro un accordo?” la sua voce era esitante ma non era la prima volta che Savannah manifestava queste sue idee bizzarre. E impossibili.
“Savannah…sono animali. Non si possono fare accordi con gli animali”
Lei non era d’accordo. Scosse la testa con decisione.
“no non è vero. Sono persone. Persone diverse ma pur sempre persone” il suo tono di voce era un po’ dubbioso ma sapevo che Savannah credeva fermamente nella sacralità della vita. di qualunque vita si trattasse. Probabilmente era una persona migliore di me. Io ero disposta ad uccidere pur di proteggere me stessa e coloro che amavo. Lei era disposta a sacrificare se stessa per salvare una misera vita. Ricordavo ancora come si era sentita dopo la sua prima missione. Era talmente depressa e sofferente che sia io che Athena avevamo deciso di proteggerla. Al contrario quando io avevo terminato la mia prima missione mi ero sentita euforica, forte ed imbattibile Uccidere dava una sensazione di potere e di invincibilità. Mi osservai distrattamente le mani bianche ed affusolate mentre Savannah continuava il suo monologo che io non ascoltavo più. Quelle stesse mani che sapevo essere macchiate di sangue. sangue di mutati ma pur sempre sangue. per un istante mi domandai se quelle strane visioni che mi tormentavano non fossero da attribuire ad un latente senso di colpa. ma possibile che io, Elena Atwood la spietata custode, mi sentissi in colpa? e i Mutati, loro non si sentivano mai in colpa? non sentivano quel senso di vuoto alla bocca dello stomaco dopo aver tolto una vita? Scossi la testa e non cercai neanche di ascoltare Savannah. Sapevo che cercava di instillare in me lo stesso orrore che provava lei uccidendo un Mutato ma io non mi ero mai sentita in colpa. Mi dispiaceva di più uccidere un coniglio che uno di quei mostri.
Mi stiracchiai e pensai ai vestiti di pelle che tenevo in un cassetto dell’armadio, rigorosamente chiuso a chiave. A dire il vero dovevo ammettere di essere stanca. Il mio corpo era ancora indolenzito e la mia mente obnubilata  da incubi e visioni. Ma per Savannah ne valeva la pena. Pensai anche ad Athena, che presto sarebbe partita in trasferta. Da quando le custodi eravamo noi Bremerton e dintorni erano sicuri e praticamente privi di Mutati. Ma il nostro compito era proteggere tutto il mondo non solo la nostra città. Un compito difficile ma che svolgevo con gioia.
“mi stai ascoltando?” Savannah mi toccò leggermente il braccio, facendomi sobbalzare di sorpresa.
“mi sono persa” ammisi ridendo. Savannah non se la prendeva mai per niente. Era una ragazza cordiale, sempre pronta a sorridere. Si arrabbiava di rado e la rabbia le passava in cinque minuti. Athena era quella più pacata e taciturna, riflessiva e ordinata. Io ero l’imprevedibile. Il mio carattere mutava alla velocità della luce. Un momento ero fredda e scostante, quello dopo allegra e ironica. Sapevo di avere ereditato la testardaggine di papà e la determinazione di mamma. Ma soprattutto ero una persona molto orgogliosa e anche un po’ suscettibile. Risi di quell’autoanalisi improvvisata.
“stavi cercando di redarguirmi e farmi imboccare la via del bene?” la presi in giro sorridendo.
“no ormai ho rinunciato” anche lei rideva, complice di quello scherzo. “ti stavo dicendo una cosa seria….riguarda Angeline” bastò quel nome per catturare la mia attenzione.
“avanti sputa il rospo” la esortai ansiosa. Da sempre io e Angeline sfruttavamo le debolezze l’una dell’altra. non era un comportamento gran che corretto ma non ero disposta a fare la brava bambina quando si trattava di Angeline. Ogni tanto serviva giocare sporco.
“beh prima di tutto ho sentito che parlava con Jake. Beh parlare proprio no. Gli diceva che tu non lo meriti e che sei attratta da quello nuovo….e credo abbia anche avanzato alcune proposte” mormorò arrossendo. Savannah non era tipo da raccontare in giro pettegolezzi o malignità. Stava solo riferendo gli eventi a cui aveva assistito per proteggermi ed essermi d’aiuto.
“che genere di proposte?” domandai sospettosa, inarcando un sopracciglio e fissandola con aria inquisitoria. Lei divenne ancora più rossa e distolse lo sguardo.
“gli ha chiesto se gli andava di uscire insieme qualche volta…perché aveva un vestito nuovo che avrebbe tanto voluto fargli vedere” disse la frase tutto d’un fiato e poi alzò gli occhi a fissarmi.
Strinsi gli occhi. Se avessi avuto Angeline a portata di mano probabilmente le avrei staccato tutti quei bei capelli di cui andava tanto fiera. Sapevo esattamente cosa stava cercando di fare. Voleva che Jake mi lasciasse. E io non ero mai stata scaricata da un ragazzo.
“ se pensa che mollerò la presa tanto facilmente si sbaglia di grosso” mormorai lentamente. No che non avrei mollato. Non l’avrei data vinta ad Angeline per niente al mondo.
“c’è dell’altro. All’uscita della scuola è salita in macchina con Michael Ashton…seguita dagli sguardi invidiosi di tutte le ragazze della scuola” mormorò lentamente.
Non ci potevo credere. Aveva messo gli occhi anche su Michael. Una parte di me pensava “che se lo tenesse…tanto a me non interessa” ma la possibilità di guastare i piani di Angeline era troppo ghiotta per rifiutarla alla leggera.
“bene…credo proprio che dovrò darmi da fare. Non oggi però.” La mia voce era pacata. Sapevo di poter vincere ancora una volta. E il lavoro veniva prima di qualsiasi disputa di carattere privato.
“dovresti parlare con Jake però…sembrava furioso dopo che ha parlato con Angeline…sai com’è...”
Si, conoscevo Jake. Era un tipo impulsivo e rifletteva solo dopo aver combinato casini. Sospirai e mi scostai spazientita i capelli dal viso.
“ci parlerò. Lo prometto…ma stasera ho da fare…stasera devo ripulire la città dai mostri no?” dissi ridendo.
“Elena preferirei non parlassi così…sembra quasi che tu stia andando ad una meravigliosa festa” mi rimproverò Savannah.
“ma per me è una festa” le ricordai con un sorrisetto mentre mi alzavo e andavo alla scrivania dove avevo lasciato il telefono di casa. Composi un numero e attesi.
“pronto?” la voce calda e sicura di Jake era inconfondibile. Aveva un tono profondo e leggermente roco che gli conferiva un’aura sensuale.
“ciao Jake sono Elena” non aspettai che parlasse. Probabilmente mi avrebbe sciorinato una sfilza infinita di domande accusatorie.
“ti va di vederci tra….un’ora?” chiesi mentre sbirciavo l’orologio.
Si, avrei avuto tempo sufficiente per prepararmi per la missione. Missione che mi avrebbe richiesto appena qualche minuto. Sbuffai pensando alla faccia corrucciata di Jake.
“vengo a casa tua” non sembrava una domanda e in effetti non lo era. Decisi di accontentarlo almeno in questo.
“ok come vuoi...ma io alle otto ho un impegno”
“ah si? E con chi? Con il ragazzo nuovo?” il suo tono si fece acido e furioso. La sua mancanza di gentilezza fece infuriare anche me. Strinsi i pugni e risposi con altrettanta acidità di lui.
“sei un idiota Jake! Mia nonna ha bisogno di vedermi…ma ti sembro il tipo che esce con uno che neanche conosce?”
Il silenzio dall’altra parte del telefono bastò come risposta. Effettivamente io ero imprevedibile ma il fatto che lui mi credesse capace di tradirlo mi irritò.
“ribadisco: sei un idiota. Ci vediamo tra un’ora.”
Gli staccai il telefono in faccia e lo posai sulla scrivania. Savannah mi fissava sorridendo.
“tu e Jake proprio non riuscite ad andare d’accordo eh?”
“mi provoca” borbottai mentre mi buttavo sul letto e mi coprivo il viso con le mani.
“quanto sono stressanti le relazioni di coppia” mormorai mentre Savannah veniva a sedersi accanto a me e mi accarezzava i capelli.
“ecco perché io sono single.” Disse ridendo
“no tu sei single perché stai aspettando il principe azzurro…che per inciso non esiste! Prima o poi anche tu dovrai buttarti con un ragazzo qualsiasi”
Rise ma non mi rispose. Sapevo che niente di quello che io dicevo le avrebbe mai fatto cambiare idea. Ne sui mutati ne sul principe azzurro. Aveva una dolce testardaggine che la rendeva unica.
“penso che adesso dovrei andare…sai non credo che a Jake farebbe piacere trovarmi qui…penso abbia in mente un grazioso tete a tete” si alzò e sempre ridendo mi abbracciò e uscì dalla stanza. Savannah era così. Sempre allegra e sempre in movimento. Non mi aveva dato neanche il tempo di salutarla. Sorrisi e andai ad aprire l’armadio. Di certo non avrei aspettato Jake in camicia da notte…
Scelsi un paio di jeans blu chiaro e una camicia di un rosso scuro. I capelli erano perfettamente ondulati e non avevano bisogno di essere pettinati ma non resistetti alla tentazione di spazzolarli un paio di volte. Andai ad accendere il computer che stava sulla scrivania e collegai internet. Mentre aspettavo che Jake arrivasse controllai la casella delle mail. Ne avevo molte non lette. La maggior parte erano da parte di Savannah e Athena ma ne avevo un paio anche da altri amici o conoscenti della scuola. Scorsi tutta la lista e richiusi delusa. Niente. Mio padre non mi aveva neanche mandato una mail. Era tipico di lui, dimenticarsi di me.
Il mio ragazzo arrivò con un largo anticipo e mi trovò ancora seduta davanti al pc.
Non mi accorsi  del suo ingresso e mi fece sobbalzare posandomi una mano sulla spalla. Sollevai il viso e gli sorrisi. Anche se non mi sentivo molto allegra non avevo alcuna intenzione di renderlo partecipe dei miei problemi. I rapporti con mio padre erano soltanto miei.
“sei in anticipo” mormorai mentre sollevavo la testa e gli sorridevo con aria furba. Ricambiò il sorriso e si chinò a baciarmi mentre io facevo scivolare un braccio attorno al suo collo. Con naturalezza si piegò e portò le braccia sotto le mie ginocchia, sollevandomi dalla sedia.
“e dai mettimi giù” dissi ridendo. In realtà stavo più che bene accoccolata contro il suo petto caldo. Ecco questo era un ragazzo. Un ragazzo a cui piacessi e desideroso di farmi felice…ok non andavamo sempre d’amore e d’accordo però io e Jake ci capivamo. Non come…..mi rifiutai di completare quel pensiero perché avrebbe portato la mia mente su altri sentieri.
“come vuoi principessa” mormorò mentre mi posava con leggerezza sul mio soffice materasso. Prima che potessi dire altro il suo corpo era premuto sul mio. Sorrisi mentre mi baciava le labbra.
“non dovevamo parlare?” chiesi ridendo mentre allontanavo leggermente il suo viso.
“c’è tempo” sussurrò mentre mi portava indietro i capelli e mi accarezzava dolcemente il viso. Girai il volto e scoppiai a ridere.
“ok basta così…facciamo le persone serie” cerca di alzarmi ma non sembrava molto propenso a cedere. Prese il mio viso tra le mani e mi baciò delicatamente la mascella.
“le persone serie sono noiose…perché non ci divertiamo un po’?”
“adesso non mi va di divertirmi” dissi spazientita mentre lo allontanavo facendo pressione sul suo petto muscoloso. Sbuffando si distese accanto a me e mi guardò un po’ contrariato.
“che devi dirmi?” il suo tono bruscò mi innervosì ulteriormente.
“non parlarmi così” lo apostrofai mentre mi sistemavo i capelli.
“perché sennò che fai? Mi lasci e ti metti con quello li? Quell’Ashton?”
“di quel’Ashton come dici tu non me ne frega niente. Anzi mi sta leggermente antipatico” leggermente era un eufemismo. Mi sedetti sul letto e incrociai le gambe.
“non devi essere geloso…e soprattutto non devi dare ascolto ad Angeline” adesso era la mia voce a risultare tagliente. Sbuffò ed evitò il mio sguardo.
“le tue leali seguaci ti hanno già informato a quanto pare…beh non le ho mica detto che volevo uscire con lei….io l’ho ignorata”
“sai che se per caso scoprissi che invece non è andata così…beh in quel caso….mi arrabbierei molto” usai un tono di voce dolce ma era molto più che un semplice avvertimento.
“adesso sei tu che fai la gelosa” mi punzecchio ridendo. La cosa doveva sembrargli un onore. Il problema era che io non ero affatto gelosa di lui….mi infastidiva, anzi mi faceva letteralmente impazzire di rabbia il pensiero che Angeline osasse cercare di circuire il mio ragazzo.
“non provocarmi” lo ammonii mentre avvicinavo di nuovo il mio viso al suo. Sfiorai lentamente e con delicatezza le sue labbra con la punta dell’indice, togliendogli il sorriso.
Inarcai un sopracciglio e lo fissai con aria furba.
Mi prese la mano e iniziò a baciarne con delicatezza il palmo.
“Elena tu lo sai quanto ti desidero vero?” sussurrò mentre cercava di baciare le mie labbra e io mi allontanavo ridendo. Posai una mano sul suo petto e lo tenni a distanza mentre mi adagiavo languidamente sui cuscini. Tentatrice? Chi io?
“e tu sai benissimo che devi saper resistere” risi e mi passai una mano tra i capelli mentre lo fissavo con un sorriso furbo e una faccia un po’ insolente.
“a parte gli scherzi…non capisco perché non vuoi farlo” nella sua voce il disappunto era più che evidente. Mi venne da ridere ma mi trattenni.
“perché non mi va punto e basta. La prima volta di una ragazza deve essere qualcosa di speciale...e bisogna avere una certa maturità che io ancora non ho”
“se sei così matura da fare questi discorsi sei sicuramente abbastanza matura per venire a letto con me” esclamò imbronciato mentre incrociava le braccia al petto.
Quando faceva così sembrava tanto un bambino.
“eh dai non mettere il broncio” dissi ridendo mentre mi buttavo su di lui e lo facevo sdraiare sul letto. Immediatamente le sue braccia si avvolsero attorno alla mia vita.
“si può sapere per quanto tempo dovrò aspettare?”
“tutto il tempo necessario” sbuffò ancora ma non rispose, intento a baciarmi delicatamente il collo e la spalla. Sorrisi e mi sdraiai accanto a lui , poggiando la testa sul suo petto.
Restammo così per un decina di minuti, raccontandoci le rispettive giornate. Naturalmente omisi la visita di Michael Ashton a casa mia e lui evitò di menzionare Angeline.
Era passata circa un’ora quando lo caccia dalla mia stanza con un bacio ed un sorriso.
Ok adesso era ora di mettere da parte la vita privata e concentrarsi sulla missione. Chiusi a chiave la porta e andai all’armadio. Aprì il terzo cassetto e ne sollevai il fondo. Lì nascondevo i miei vestiti. E le mie armi di riserva. L’armamentario completo era a casa della nonna ma dal momento che lei non sapeva che sarei andata io in missione non mi sembrava il caso di piombare a casa sua e prendermi le mie pistole. Un piccolo pugnale d’argento e una Gloch andavano più che bene per quel lavoretto facile facile. Tirai fuori anche la tuta di pelle e lentamente, con gesti sicuri la indossai. Quando ebbi finito il mio corpo era interamente coperto di nero. Persino il volto era coperto di nero. Una stretta benda che si srotolava attorno al mio viso e lasciava liberi soltanto i miei occhi. Combattere così era scomodo ma necessario. Se un mutato riusciva a sfuggire si doveva evitare che la guardiana fosse riconosciuta. Le uniche parti completamente scoperte erano le braccia e le spalle. Il corpetto di pelle aderente e fasciante era ottimo per facilitare i movimenti sebbene a prima vista potesse sembrare scomodo. Quel giorno decisi di indossare il mio portafortuna, il mio amuleto.
Un bracciale d’argento finemente lavorato, a forma di serpente che si arrotolava lungo il mio avambraccio fino al polso. Il bracciale terminava con la testa del serpente a fauci spalancate. All’occorrenza dalla bocca del serpente potevo fare scattare una lama non eccessivamente lunga ma sufficientemente affilata da ferire gravemente persino un mutato.
Averlo attorno al braccio mi rendeva più tranquilla. La missione in se non presentava alcun pericolo…eppure….eppure ero ancora tormentata dalle visioni della notte precedente. Tutto quel sangue…io immersa fino ai capelli nel sangue vischioso di quell’essere orribile.
Sospirai e accarezzai delicatamente il serpente d’argento attorno al mio braccio. Era appartenuto a mia madre e a sua madre prima di lei. Pensare a mia madre riuscì a scacciare un po’ di inquietudine.
Al calare del sole ero già in posizione. Già pronta ad eliminare un altro mostro. E così feci.
 
Il piccolo corpo di una volpa ardeva per terra accanto a me. Era stato fin troppo semplice. Sorrisi compiaciuta di me stessa mentre strofinavo il piccolo pugnale insanguinato sull’erba soffice. I miei vestiti erano intatti e non avevo perso neanche una piccola goccia di sangue.
In mano stringevo le mie foto, la documentazione necessaria.
Mi acquattai per terra, aspettando che il corpicino finisse di bruciare. Avrei dovuto spegnere il fuoco dopo. Non volevo rischiare un incendio perché quello che non dovevo assolutamente rischiare era di attirare l’attenzione sul nostro passatempo notturno.
Arricciai il naso al nauseabondo odore di carne bruciata e sospirai spazientita. Quella era la parte che odiavo di più. Stare immobile ed attendere.
Mi sdraiai a pancia sotto e poggiai il mento tra le mani mentre aspettavo e sbadigliavo dalla noia.
Improvvisamente davanti ai miei occhi baluginarono schizzi di rosso.  Scattai in piedi ma non c’era più la terra a sostenere il mio peso. Affondavo fino alle ginocchia in un mare rosso. Urlai mentre cercavo di dibattermi, di uscire da quell’incubo.
Improvvisamente nel rosso uno squarcio di blu. Anzi due. Due occhi. Quegli occhi.
“no di nuovo no” sussurrai terrorizzata mentre mi stringevo la testa. Sapevo che erano solo illusioni. Dovevano esserlo. Eppure il sangue che scivolava tra le mie dita era talmente reale….
“a quanto pare un assaggio non ti è bastato…continui ad amare il sapore del sangue..bene dolcezza..gustatelo fino in fondo…”
La voce era carica di rabbia. Mi strinsi le mani sulle orecchie, cercando di non vedere, non sentire..ma soprattutto di capire.
“lasciami in pace” urlai a nessuno in particolare. Tremavo. Il sangue iniziava a risalire lungo il mio corpo, ad accarezzare i miei capelli e la mia schiena.
“smettila!”
“non posso dolcezza…non finchè non avrai imparato…oggi hai preso una vita…una vita che mi apparteneva. In cambio voglio la tua.”
Non risposi mentre un brivido correva lungo la mia schiena. Tutto quel sangue….ormai mi arrivava al collo. Se non fossi riuscita a uscire da quell’incubo sarai soffocata all’interno di quel mare rosso.
“è inutile non vedi? Non te ne andrai finchè io non deciderò altrimenti” la voce adesso era gentile e divertita. Avevo voglia di piangere, di urlare.
“un giorno non ne potrai più e magari proverai a trapanarti la testa per farne uscire queste orribili visioni..ma non servirà. Non sono visioni. Sono reali. Reali quanto il cadavere che brucia accanto a te” di nuovo rabbia e di nuovo derisione. Di nuovo la mia paura.
E poi come era arrivata la visione scomparve e io mi ritrovai, ansante e sudata, stesa per terra accanto alle ceneri di quello che era stato il mutato. Mi portai le mani al viso e vi nascosi la faccia, soffocando i singhiozzi.
Singhiozzi di sollievo e paura. Per la prima volta nella mia vita avevo davvero paura.
Passarono una manciata di minuti prima che riuscissi a riprendere il controllo di me stessa. Mi sollevai stringendo ancora tra le mani le foto spiegazzate. I miei capelli erano coperti di terra, aggrovigliati e sporchi. Lo stesso valeva per le mie braccia e il mio viso.
Ok mi ero proprio cacciata in un bel guaio.

NOTE FINALI:

ed eccomi alle mie prime note come autrice. per prima cosa voglio ringraziare tutti coloro che hanno recensito ma anche solo letto la mia storia. apprezzo tanto il fatto che abbiate perso anche solo cinque minuti a dare un'occhiata. Vorrei in particolare ringraziare ScarMel e stellysisley che hanno seguito la mia storia passo passo! apprezzo tantissimo il fatto che non solo l'abbiate letta, ma abbiate recensito praticamente ogni capitolo. anche se non ho avuto tempo di rispondere a tutte le recensioni le ho lette e apprezzate davvero un sacco perchè mi hanno dato la voglia di continuare questa storia. quindi un sentitissimo grazie. mi scuso inoltre per non aver aggiornato così a lungo...sono tornata solo questa mattina da Roma, dove ho passato le mie vacanze. e ora passiamo alla storia...in questo capitolo ho voluto mettere una sottile conrapposizione tra le due vite che Elena conduce...e anche tra le sue personalità. perchè Elena è un pò di tutto. la vediamo dolce e quasi materna con Savannah, poi maliziosa e birichina con Jake e infine spietata come custode. però qualche dubbio inizia a invadere la sua mente. ho voluto fare un accenno anche al padre di Elena perchè pur essendo assente ha un ruolo importante nella vita della mia protagonista. lei pur ripetendosi che non ha bisogno di nessuno è cresciuta con il timore di essere abbandonata e per questo fa fatica a legarsi veramente alle persone...spero che continuerete a leggere e non odierete Elena per i suoi continui sbalzi di umore. Grazie a tutti quelli che mi hanno seguito fino ad ora!

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Capitolo 10
*** Visite notturne ***


Me ne stavo raggomitolata nel letto, con le ginocchia strette contro il petto. Tremavo. Avevo paura di chiudere gli occhi. Mi sentivo da schifo perché mai prima di allora mi ero sentita così debole.
Dopo la missione ero andata a casa di Savannah per consegnarle la documentazione. Quando mi aveva vista con il volto bianco e coperto di terra si era spaventata. Le avevo detto che ero solo inciampata e non avevo ferite e forse l’aveva bevuta. Avevo spento il telefono e fatto una doccia. Non avevo voglia di parlare con nessuno.
Mi passai le mani sulla faccia mentre cercavo disperatamente di trovare una spiegazione logica per quello che era successo. Lo spavento forse.
No non era plausibile. Dove esserci qualcosa sotto…ma cosa?
“ok elena…stai calma…partiamo dall’inizio.” Cercai di pensare. L’inizio l’inizio…qual’era l’inizio? Il mutato ucciso la scorsa notte, il puma….no no non poteva essere. La voce. Ecco dovevo partire da lì. E dalle parole.
Di chi era quella voce? Chi era? Era quel misterioso uomo a procurarmi le visioni? Ma un uomo poteva mai essere in grado di una cosa simile? No…un mutato! L’idea mi colpì con la forza di un fulmine. Ma non avevo mai sentito che un mutato fosse in grado di procurare visioni….i mutati erano animali. I Mutati erano mostri. E questo era il più mostruoso di tutti. Perchè aveva deciso di torturarmi. Quindi se volevo che le visioni cessassero…avrei dovuto trovare il mutato e ucciderlo. La cosa non mi causava grandi problemi. L’unico problema sarebbe stato rintracciare il suddetto animale. Avrei dovuto fare una visita alla biblioteca di famiglia…ora che avevo iniziato a mettere ordine in tutta la storia iniziai a sentirmi più tranquilla.
Non mi avrebbe più fatto paura. Avrei contrastato le visioni insinuatemi nella testa da quel verme strisciante e alla fine lo avrei ucciso. Mi sarei goduta ogni singolo momento della sua morte.
Sentì bussare alla porta e scattai a sedere, tirandomi la coperta fin sul mento.
“Miss Elena ci sono visite per lei” la voce di Amy dall’altra parte della pesante porta mi tranquillizzò. Scesi dal letto e m infilai una vestaglia da camera coordinata alla camicia da notte.
Aprì la porta e fissai perplessa la mia cameriera.
“chi è a quest’ora Amy?” domandai curiosa. Forse Savannah, preoccupata per me…o magari Athena che mi salutava prima di partire…
“il ragazzo che è venuto oggi pomeriggio Miss Elena…l’ho fatto accomodare nel salotto blu” sussurrò lei. Sembrava stupita da quella visita serale.
Michael? Che diavolo ci faceva di nuovo in casa mia?
“va bene Amy digli che sto scendendo subito” dissi spazientita da quella visita inattesa.
Siccome non intendevo ricevere Michael in camicia da notte mi infilai una canotta bianca e un jeans ma lasciai perdere trucco e scarpe. In fondo non ero mica costretta ad essere perfetta in ogni occasione…e meno che mai a piacergli. Cosa me ne importava di come potesse giudicarmi? Scesi le scale a piedi nudi, rabbrividendo al contatto del marmo freddo. Ignorai la sensazione e mi precipitai nel salotto blu.
In casa avevamo tre salotti, quello blu, quello rosa e quello giallo. Quello blu era il mio preferito, quello dove mi intrattenevo più spesso.
Quando entrai Michael era seduto comodamente con l’aria da padrone sulla mia poltrona preferita, di velluto ceruleo.
 “che ci fai qui?” chiesi mentre mi poggiavo le mani sui fianchi e lo guardavo con aria bellicosa.
“buonasera anche a te signorina cortesia” mi salutò con il suo solito tono pigro e beffardo.
Mi sedetti rigidamente sul bordo del divano e lo fissai accigliata ma fredda.
“a cosa devo il....piacere…di questa visita” il mio tono lasciava trapelare con chiarezza impressionante il fatto che la sua visita era tutto fuorché un piacere. La mia voce tuttavia era cortesemente glaciale e distaccata.
“ho pensato che senza di me ti saresti annoiata” disse ridendo con quella sua aria sicura di se, come se fosse davvero convinto che senza di lui la mia serata sarebbe stata praticamente una noia mortale.
“ti sbagli di grosso” dissi senza sciogliere la mia posa rigidamente eretta.
“oh andiamo, sembra che qualcuno ti abbia impalato…rilassati ogni tanto” disse tranquillo mentre mi fissava con un sorriso impertinente stampato in faccia.
Con un sospiro rilassai le spalle e mi appoggiai alla spalliera del divano, scostandomi  i capelli dal viso e dal collo.
Il suo sorriso si fece più caldo e io continuai a fissarlo gelidamente. Lo scambio di occhiate durò qualche minuto, poi spazientita ruppi il silenzio.
“non capisco perchè sei venuto…se lo fai per irritarmi sta tranquillo, ci sei riuscito! Ora puoi anche andare” proposi con un sorriso speranzoso. Non ci contavo, ma tanto valeva tentare.
“mi fai così cattivo?” domandò con aria ingenua
“anche di più”  ammisi con sicurezza
Prima che potesse fare altro se non ridere della mia affermazione tornai a parlare.
“senti davvero la tua presenza mi innervosisce. Mi innervosisce il fatto che entri in casa mia senza essere invitato, che ti comporti in modo arrogante…mi fai saltare i nervi! Ho avuto una giornata parecchio pesante quindi ti sarei grata se mi lasciassi in pace” dissi con schiettezza. Avevo davvero avuto troppe emozioni per permettermi anche il lusso della cortesia. Se ripensavo alle visioni i brividi iniziavano a percorrere il mio corpo.
Ovviamente non si mosse. Mi sorrise con un sorriso angelico.
“ma magari io sono venuto proprio per farti rilassare un po’”
“come, di grazia?” chiesi con tono sbalordito, alzando un sopracciglio “procurandomi una crisi di nervi? Ti assicuro che non è per niente rilassante”
“ti faccio un massaggio?” propose ridendo mentre già si alzava dalla poltrona e girava per arrivare alle mie spalle. Mi voltai e lo fulminai con uno sguardo totalmente sconcertato.
“ma tu sei folle. Non pensarci neanche.” Scattai in piedi e badai a mantenere il divano tra me e lui.
“era solo una proposta…io lo facevo per te”
“se vuoi fare qualcosa per me lasciami in pace….e tieni le tue manacce lontane da me”
Tornò a sedersi con quel sorriso insolente che non accennava a lasciare il suo viso.
“credo che dovremmo essere amici”
Feci un bel respiro e strinsi le mani a pugno, imponendo a me stessa di essere garbata.
“io invece non credo. Vuoi dei motivi? Prima di tutto piombi a casa mia quando non sei invitato. Secondo, il mio ragazzo ti odia, terzo non ci si può fidare di te, quarto tu non mi stai simpatico. Quinto, io non sto simpatica a te…posso continuare se vuoi”
Rise e si raddrizzò un po’, guardando dritto verso di me. Non sorrideva più ma il suo viso non era neanche serio. Era semplicemente indecifrabile.
“quindi visto che siamo d’accordo su quanto ci detestiamo a vicenda è meglio che tu mi stia alla larga. Sono sicura che Angeline gradirebbe la tua amicizia….” Insinuai sorridendo.
Sollevò un sopracciglio e mi guardo mentre il sorriso tornava a piegare le sue labbra perfette
“Gelosa?”
La sola parola bastò a farmi innervosire ed irrigidire. Io Elena Atwood gelosa di un ragazzo che neanche conoscevo?
“assolutamente no! Ma penso che voi due siate fatti l’uno per l’altra. vi assomigliate molto caratterialmente” in effetti entrambi riuscivano a darmi sui nervi in modo incredibile. Angeline forse un po’ meno.
“si caratterialmente siamo molto simili” mi concesse con una scrollata di spalle.
“ecco non lo sai che il simile conosce il simile? Mai studiato filosofia? Empedocle?” sulla filosofia ero piuttosto ferrata e anche se il discorso di Empedocle non si applicava all’amore ma alla conoscenza io ero pronta ad usarlo a mio beneficio.
“e secondo la scienza invece gli opposti si attraggono” disse ridendo. Sbuffai ma non risposi. Io e lui ci somigliavamo? Forse un po’. Entrambi testardi, entrambi caratteri forti. Ma io avevo una personalità molto meno insolente della sua.
 “ok come vuoi. L’importante è che tu non metta me nei casini con il mio ragazzo” dissi per troncare la discussione.
“è così geloso quindi?” chiese divertito. “allora scommetto che non gli hai raccontato della nostra chiacchierata pomeridiana”
“no non gli ho detto niente della tua intrusione nella mia camera…sarebbe venuto ad ucciderti”
Scoppiò a ridere come se dubitasse che Jake potesse anche solo fargli un graffio. Evidentemente non aveva ancora capito bene quanto potesse essere impulsivo Jake.
Scosse la testa in silenzio, sorridendo e fissandomi di traverso.
“secondo me dovresti lasciarlo e frequentare un vero uomo. La gelosia è una cosa totalmente assurda…e se è geloso vuol dire che sa che tu sei sensibile alle tentazioni” con lui non riuscivo mai a capire quando stava scherzando e quando invece faceva sul serio.
“no, vuol dire che tiene a me” ribattei poco convinta. Effettivamente lui teneva a me..ma io? Io non ero mai stata gelosa di lui. Mi infastidiva il fatto che Angeline ci provasse perché odiavo il pensiero che una ragazza osasse prendersi ciò che mi apparteneva. Si io non ero veramente innamorata di Jake. Mi sentivo meschina ma era la verità. Sospirai e allontanai quei pensieri che non portavano a nulla, tornando a fissare il mio interlocutore
“non ti piacerebbe lasciarti tentare?” domandò con un sorriso leggermente allusivo mentre cercava di protendersi ancora una volta verso di me.
“no grazie declino l’invito. Non sono quel tipo di ragazza” mormorai con un tono di voce freddo che voleva essere un avvertimento. Se ci teneva alla sua incolumità era meglio se teneva le mani al loro posto…cioè lontano da me.
“come fai a sapere se ti piacerebbe o no se non provi?” insinuò ancora con voce bassa e morbida, vellutata e profonda. Aveva una voce estremamente sensuale e dovette scuotere la testa per schiarirmi le idee. La sua voce aveva un che di ammaliante al pari dei suoi occhi che non mi erano mai sembrati tanto profondi. Distolsi lo sguardo a fatica e parlai fissando un quadro alle sue spalle.
“i tuoi giochetti non sono divertenti. Neanche ti conosco e già pretendi di accaparrarti certi privilegi che non concedo neanche al mio ragazzo”
“me li concederesti se fossi il tuo ragazzo?” domandò innocentemente. Il suo sguardo ironico però tradiva le sue intenzioni e rendeva tutt’altro che innocenti le sue parole.
“non lo sei quindi non dobbiamo neanche porci il problema” la mia voce non era più fredda come prima ma mantenevo un apparente distacco che bastava per resistere alle sue parole insinuanti.
Rise e la specie di malia che aveva cercato di avvolgermi si allentò. Tirai un sospiro di sollievo e tornai ad appoggiarmi alla spalliera del divano.
“dovremo provare prima o poi” propose sorridendo.
“non ti consiglio di trattenere il respiro mentre aspetti che questo avvenga” mormorai con un tocco di derisione. Anche se fisicamente lo trovavo attraente, estremamente attraente…anche se mi sarebbe piaciuto da morire avere la possibilità di segnare un punto contro Angeline conquistando Michael….non mi sarei mai messa con lui, per il semplice fatto che bastavano poche sue parole per darmi sui nervi. Eravamo caratterialmente incompatibili.
“se lo trattengo poi mi fai la respirazione bocca a bocca?” chiese con un sorriso sfrontato ed impertinente che mi fece avvampare
“no di certo. Semmai chiamo Angeline e ci pensa lei”
“ammetto che la cosa non sarebbe spiacevole”
La sua affermazione mi infastidì un po’ ma cercai di non darlo a vedere. In fondo ero consapevole del fatto che Angeline era una ragazza bella ed affascinante.
“giusto, quando non si può avere il piatto principale ci si accontenta della portata minore” disse sorridendo sicura di me.
“e chi lo dice che non posso avere la portata principale? Ma sai…dulcis in fundo”
Mi alzai spazientita. Mi sentivo parecchio inquieta, sia per via della serata non esattamente piacevole sia perché le sue parole e i suoi atteggiamenti mi mettevano sempre a disagio.
“Credo che tu debba andartene” mormorai nervosamente. Mi arrotolai una ciocca di capelli intorno al dito e lo fissai con una certa aria di sfida.
“ma se sono qui da appena dieci minuti!” protesto ridendo
“ e sono anche troppi. Forza…fuori” mi avvicinai a lui e usai tutte le mie forze per farlo alzare. Devo ammettere che non ci sarei mai riuscita se non mi avesse assecondato e si fosse alzato con lentezza. Lo spinsi fuori dalla porta del salotto e poi giù per le scale, fino alla porta d’ingresso,
che spalancai. Quando varcò la soglia chiusi la porta senza tante cerimonie ma infilò un piede arrestandola a pochi centimetri di distanza dall’intelaiatura.
“non mi dai il bacio della buona notte?”  domandò impertinente.
“si contaci” scoppiai a ridere e gli chiusi la porta in faccia.
Sentì la sua risata profonda e morbida dall’altra parte della porta ma la ignorai e salì di corsa le scale fino a raggiungere la mia camera. Chiusi la porta e mi buttai tutta vestita sul letto, coprendomi il viso con il cuscino. Chiusi gli occhi e cercai di non pensare. Di non pensare alla scuola, alla missione, al sangue ma soprattutto a Michael.
In pochi istanti senza che me ne rendessi conto ero scivolata tra le morbide braccia di morfe



NOTE FINALI:

Sono stata a lungo indecisa se pubblicare o meno questo capitolo. l'ho scritto in un momento di delirio da febbre e non ne sono molto soddisfatta. ho deciso di postarlo lo stesso perchè mi sembra indispensabile per lo sviluppo di Michael, qualsiasi sarà. non ho ancora ben chiaro il suo ruolo ma di sicuro sarà molto importante quindi voglio che si capisca quanto irritante sia questo ragazzo. è la nemesi di Elena. vi è mai capitato di detestare qualcuno a pelle? beh Elena lo detesta. lo detesta perchè anche se lei non vuole ammetterlo le somiglia moltissimo per certi aspetti, riesce a trovare i punti deboli della nostra custode che si è sempre considerata invulnerabile. ecco Michael è uguale e contrario ad Elena. se lei ha mille sfaccettature lui ne ha altrettante e prevedo interessanti sviluppi per loro due.


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Capitolo 11
*** Il castello di carte inizia a crollare ***


Il sole era sorto da poco quando riemersi dal mio sonno profondo. Mi stiracchiai, avvolta nelle calde coperte del mio letto.
Prima che la mia mente avesse il tempo di scuotersi dal torpore del sonno una sensazione di terrore mi attanagliò lo stomaco. Cercai di alzarmi di scatto dal letto ma qualcosa mi tratteneva…riuscì a spalancare gli occhi e su di me si aprì un cielo rosso sangue.
Urlai e cercai di dibattermi. Il mio corpo si contorse, impossibilitato a muovermi. Le mie mani erano bloccate da qualche parte sopra la mia testa. Voltai il viso da una parte all’altra, terrorizzata. Dalle pareti colava sangue denso che aveva ormai raggiunto il pavimento e scorreva inesorabile verso il letto…verso di me. Non potevo permettergli di raggiungermi.
“Basta” implorai mentre chiudevo gli occhi. Forse appena li avessi riaperti il sangue sarebbe scomparso. Sapevo che era solo l’ennesima orribile visione ma in questo momento era realtà.
Era l’unica realtà che la mia mente percepisse per il momento.
La risata maligna e profonda invase la mia testa. Divertita e rilassata. Fu in quel momento che odiai davvero. Avevo odiato i mutati ma questo essere che si divertiva a logorare la mia mente, a sottrarmi la realtà per sostituirlo con un sogno sanguinario era qualcosa di peggiore di quei mostri senza coscienza. Lo odiai come mai avevo odiato niente e nessuno.
Chiunque ci fosse dietro questi sogni orribili avrebbe pagato con la vita la mia sofferenza.
Avrei imbrattato le pareti con il suo sangue e questa volta avrei goduto il rosso liquido che colava giù dai muri. Questa visione fantastica e conturbante prese forma nella mia mente e in quel momento capì davvero quanto queste visioni fossero pericolose per me.
Non mi stavano solo togliendo il sonno e la realtà…mi stavano corrompendo la mente.
Quei pensieri estremamente violenti non sembravano neanche appartenermi. Amavo uccidere i mutati ma non amavo il sangue. Amavo solo fare il mio dovere. Eppure in quel momento godevo al pensiero di tinteggiare le pareti della camera con il sangue di un essere senziente. Non che l’essere in questione non lo meritasse ovvio.
Calde lacrime di rabbia frustrazione e paura solcarono le mie guance. Lacrime rosse come sangue. Lacrime che erano sangue.
“ti odio” urlai con tutto il fiato che avessi, urlai cercando di non vedere il sangue che risaliva il mio letto e iniziava a sfiorare il mio corpo.
“neanche io ti amo molto” niente di ciò che io dicevo riusciva ad allontanare lo scherno da quella voce vellutata e maligna. Miele sulla lama di un coltello.
Piano piano quel liquido denso avviluppò le mie gambe e iniziò a risalire lungo il mio busto mentre io piangevo lacrime di sangue che scorrevano sul guanciale non più immacolato.
“si diceva che il sangue di giovani vergini aiutasse a mantenere la pelle intatta…non sei contenta di questo mio regalo?” domandò nella mia testa quella voce vellutata e pericolosa che sembrava riempire la mia realtà di sangue.
“sarò contenta solo quando ti avrò ucciso” pensai. Eppure sapevo che avrebbe captato quelle parole.
La sua risata profonda mi fece tremare di rabbia e paura. Il sangue nel frattempo si era arrampicato lungo il mio corpo e mi lambiva il collo. In poco tempo mi sommerse e mi ritrovai a stringere gli occhi e ad annaspare alla ricerca di aria.
Non potevo lasciarmi soffocare in quel lago rosso e viscoso. Non potevo perdere e non potevo arrendermi. Forse non ero potente come quell’essere strano e spaventoso che si divertiva a giocare con la mia mente ma non ero neanche inerme.
Lottai. Fisicamente e mentalmente. Cercai di liberarmi dal sogno e dalle catene che avvolgevano il mio corpo e richiamai alla mente immagini che mi ricordavano la realtà concreta, quella vera. Quella dove dormivo nel mio letto e non in un lago di sangue. Eppure qualsiasi immagine cercassi di ricreare veniva accompagnata da schizzi rossi che la tingevano di sangue amalgamandola all’orrende realtà in cui stavo sprofondando.
“non ti permetterò di vincere” pensai con rabbia. Strattonai più forte le catene che mi legavano al letto, spinta da una rabbia cieca. Si ruppero e fui libera.
Libera di nuotare verso la superficie del lago rosso…verso la fine dell’incubo. Quando la mia testa riaffiorò presi aria e piansi mentre un’ondata di rabbia e incredulità si riversava su di me.
Mi svegliai ansimando. Sudata e stanca. I capelli mi aderivano al viso. Mi portai le mani al volto solo per constatare che fossero libere da lacci e catene. Sospirai mentre nascondevo il volto tra le mani e scoppiavo a ridere.
Ce l’avevo fatta. Anche se con fatica ero riuscita a liberarmi del sangue. Sapevo che le visioni sarebbero tornate fino a quando il misterioso individuo non si fosse stancato di giocare…o finchè non lo avessi ucciso. Eppure il pensiero di essere riuscita a fare cessare l’incubo mi riempiva di gioia selvaggia.
Mi alzai dal letto e mi recai in bagno continuando a sorridere.
Quando sollevai il volto lo specchio mi restituì l’immagine del mio viso bianco e pallido. Gli occhi erano scuri e profondi, cerchiati da occhiaie pesanti e violacee. Sospirai mentre mi sciacquavo il viso con aria distratta. Da quanto tempo non mi facevo un bel sonno? Da quanto tempo avevo paura di chiudere gli occhi per paura di riaprirli accecata dal rosso del sangue?
Mentre guardavo il mio pallido riflesso stanco giurai una cosa a me stessa. Quel mostro non sarebbe più riuscito a farmi piangere. Mai più avrei divertito quell’essere versando le mie lacrime. Rabbia e odio si ma mai dolore.
Quando uscì dal bagno il mio viso aveva acquistato vigore e lucentezza, merito soprattutto in un compatto strato di fondotinta. Quel giorno non era proprio il caso di fare l’orgogliosa e rifiutare l’aiuto estetico di un po’ di trucco.
Uscì dalla mia camera camminando scalza fino a raggiungere il mio  guardaroba. Iniziai a vagare tra file e file di vestiti sistemati in ordine.
Scelsi un golf marrone con lo scollo a V e un paio di jeans a sigaretta grigio chiaro. Indossai il tutto e mi guardai allo specchio. No non mi piaceva. Sembravo troppo smorta.
Quel giorno avevo bisogno di qualcosa di vivace. Senza pensarci scelsi una camicetta di seta cremisi e la indossai sostituendo i jeans chiari con una gonna nera. Indossai un giubbotto di lattex nero e un cerchietto dello stesso rosso della camicia.
Ecco adesso si che ero perfetta. Il mio pallore sembrava in qualche modo più pericoloso e candido a contrasto con lo splendido rosso della camicia. Rosso come il sangue….scacciai quel pensiero per non addentrarmi su sentieri pericolosi che avrei preferito evitare. Per la mia sanità mentale era meglio evitare ogni menzione al sangue
Eppure guardandomi allo specchio mi trovai bellissima e perfetta. Non potevo non pensare che quei colori cupi fossero perfetti per esaltare il mio fascino.
Scossi la testa e sospirai. Non era proprio il momento di lasciarsi prendere dalla vanità.
Era ancora presto quando tornai in camera a preparare con calma la borsa. Presi dall’armadio una collanina con un rubino e la indossai. Pettinai i capelli un paio di volte per assicurarmi che fossero perfetti e morbidamente ondulati e poi uscì dalla stanza senza preoccuparmi di rifare il letto. Quando sarei tornata a casa tutto sarebbe stato in perfetto ordine.
Amy era tremendamente efficiente ma anche tremendamente silenziosa. Ma non era il massimo come compagnia.
Prima di andare in cucina per la colazione passai a controllare la camera di mio padre. Anche oggi era vuota. Non ne fui sorpresa ma provai ugualmente una sensazione di solitudine e di abbandono che non mi piaceva per niente. Erano mesi che non vedevo mio padre e l’ultima volta si era fermato a casa solo per due giorni.
Due giorni che aveva passato chiuso nel suo ufficio a fumare e controllare carte e appunti. In fondo avevo sempre sospettato che la mia vita non avesse nessun reale valore per lui. Pagava quando era necessario e mi forniva tutto ciò di materiale che poteva servirmi…ma l’unica cosa che non mi avrebbe dato era proprio l’unica che io desideravo. Il suo affetto.
Strinsi i pugni e chiusi gli occhi per qualche secondo. Non volevo piangere e non volevo essere triste. Io non avevo bisogno di nessuno, men che meno di uno sconosciuto che era mio padre solo di nome. Se lui poteva fare a meno di me io avrei potuto fare a meno di lui.
Scesi le scale di corsa senza voltarmi indietro e giurai a me stessa che non sarei più tornata in camera sua. Eppure sapevo che quello stesso pomeriggio sarei passata a controllare.
Quando arrivai in cucina fui colpita dall’odore caldo e dolce che invadeva il corridoio e la stanza. Amy non c’era, probabilmente indaffarata da qualche parte. Mi sedetti e presi un cornetto caldo dal vassoio posto al centro del tavolo. Mangiai in silenzio, con aria distratta, tutta immersa nella pianificazione della giornata.
Quando mi alzai era ancora relativamente presto per la scuola. Mancava una mezz’ora abbondante ma la scuola era distante da casa e mi attendeva una lunga passeggiata. Non avevo una macchina quindi mi sarebbe toccato camminare da sola in mezzo al vento gelido. La cosa non mi infastidiva più di tanto perché quel giorno non mi andava di parlare con nessuno. non volevo immobilizzare il mio volto in un’espressione felice, non volevo fingere un’allegria che non provavo ne sorridere per accontentare qualcuno.
Ma sapevo che una volta messo piede a scuola avrei dovuto indossare la maschera e la corona e recitare la parte della regina felice.
Nei giorni come questo, quando il vento fischiava cupo e opprimente e il cielo grigio premeva sulla mia testa come una cappa onnipresente, odiavo tutto. odiavo il mondo e me stessa per la semplice ragione che non ero felice. Sperai che la nonna avesse qualche missione da affidarmi perché l’unica cosa che potesse donarmi un po’ di piacere era eliminare un mostro. Q
uel giorno avevo bisogno di uccidere. Forse non ero una brava persona per questo, ma quando un altro mostro scompariva dalla faccia della terra per mano mia…io gioivo. Sospirai e mi chiusi il portone di casa alle spalle mentre imboccavo il vialetto e dopo poco chiudevo dietro di me anche il cancello di ferro battuto finemente lavorato.
Immersa nei miei pensieri cupi mi accorsi della macchina solo dopo diversi passi. Se ne stava di fronte al cancello, parcheggiata di lato per non ostacolare le poche macchine che passavano dalla zona. Con un sospiro attraversai la strada e aprì la portiera anteriore.
“eih Will. Che ci fai qui?” chiesi tentando di sorridere al maggiordomo.
“signorina Elena la signora Temple mi ha detto che aveva bisogno di parlare con lei”
La richiesta non era poi così strana perché la nonna mi mandava spesso a chiamare per chiedermi consigli e informarmi delle sue decisioni. Forse le mie preghiere erano state esaudite e mi avrebbe assegnato una missione.
“dille che appena esco da scuola passo a trovarla” mormorai mentre iniziavo a chiudere la portiera. Mi fermò prendendomi per un polso. Se fosse stato qualcun altro a fare un gesto del genere mi sarei infuriata ma Will era come un padre o un nonno per me.
“no signorina…la signora ha detto che vuole vederla subito…è una cosa molto urgente” sussurrò agitato. Lo fissai per qualche istante in silenzio. Si stringeva le mani in un gesto nervoso. Doveva essere successo qualcosa di brutto per fare innervosire Will a questo modo. Una morsa di paura mi attanagliò lo stomaco mentre ripensavo ad Athena, sola in Alaska. E se le fosse successo qualcosa?
Entrai in macchina agitata e nervosa e lo guardai con aria preoccupata.
“Athena sta bene?” domandai mentre mi torcevo le mani in attesa della risposta.
“si signorina…la signorina Athena è partita ieri”
Sospirai di sollievo e mi rilassai contro il sedile della macchina. L’importante era che le mie amiche stessero bene. Will invece non si rilassò per niente e mise in moto con uno scatto brusco che non gli era consueto. Anche la sua guida quel giorno era nervosa.
Non vedeva l’ora di arrivare a Villa Temple e sinceramente anche io. Iniziava a spaventarmi e ad incuriosirmi tutto quel nervosismo.
Quando finalmente si arrestò davanti al portone della casa scesi in tutta fretta.
Aprì il portone con il suo mazzo di chiavi estremamente pesanti ed antiche e mi precedette lungo le scale. Stavamo andando in biblioteca. ovviamente.
Spalancai la porta senza aspettare che il maggiordomo mi annunciasse. In fondo quella era casa mia ed era stata casa di mia madre.
Rimasi per qualche istante ferma sulla porta. La nonna era seduta alla scrivania e di fronte a lei stava il libro delle ombre, che accarezzava distrattamente con una mano quasi fosse  un gatto persiano. La stanza era più affollata di quanto avessi pensato.
Su una poltrona sedeva Angeline, perfettamente abbandonata contro lo schienale e il sorriso sornione di una dea greca. Savannah era seduta su un’altra poltrona, rigida e assonnata. Sedeva con le mani in grembo e l’espressione di una bambina ansiosa. Notai subito che nella stanza c’erano anche Kathleen e Elisabeth, le due amiche di Angeline. Rispettivamente a destra e a sinistra della loro compagna.
Entrai e mi avvicinai a Savannah, cingendole distrattamente le spalle con un braccio.
Mia nonna alzò lo sguardo e mi fissò. Profonde occhiaie solcavano il suo viso solitamente impeccabile e i capelli erano leggermente in disordine. Appariva stanca e preoccupata.
Si alzò con qualche fatica, barcollando appena. Non era da mia nonna essere così debole. Lei era stata una custode e questo la rendeva forte agile e scattante nonostante la sua età.
Iniziò a camminare per la stanza tenendosi stretto al petto il libro delle ombre.
“vi ho convocate tutte qui per una facceda molto urgente. Mi dispiace che Athena non ci sia ma manderò un elicottero a prelevarla entro domani sera. Per allora dovrebbe aver finito la sua missione e potremo renderla partecipe degli ultimi eventi” la sua voce era debole e stanca. Mi avvicinai a lei e sebbene sapessi che non gradiva che qualcuno la trattasse come una persona debole, le offrì un braccio per farla appoggiare.
Lei mi prese la mano, stringendola tra le sue con forza inaudita. Sollevò lo sguardo a fissarmi e i suoi occhi bruciavano di una paura che mai avrei pensato di vedere nella nonna. Paura della perdita. Mi baciò la mano e continuò a stringerla ma non si permise nessun altro gesto. Raddrizzò la schiena e mai come ora ammirai il coraggio e la determinazione di mia nonna.
“Juliet è morta” sussurrò guardandoci tutte.
Il sorriso di Angeline scomparve, sostituito da un’espressione impassibile. Elisabeth si irrigidì e tremò di rabbia e molto altro. Il viso di Kathleen si rigò di lacrime silenziose e rabbiose. Savannah scoppiò in singhiozzi. Io rimasi immobile, come se la verità di quelle parole stentasse a penetrare nella mia mente. Io e Juliet non eravamo mai state amiche…anzi lei era amica di Angeline e questa non la rendeva esattamente una persona a me gradita. Ma era un’alleata, una compagna nella guerra.
“com’è successo?” mormorai incrociando lo sguardo della nonna. La mia voce appariva distante e fredda come se la cosa non mi toccasse. Qualcosa mi preoccupava infinitamente di più. Mia nonna non era mai stata legata a Juliet da un affetto particolare. La nonna era combattente da moltissimi anni e aveva visto morire tantissime amiche e compagne…persino la sua stessa figlia. Era abituata alla perdita e al dolore. Eppure aveva paura.
Sospirò e lasciò la mia mano per tornare a sedersi alla scrivania. Aprì il libro e ne estrasse un paio di foto. Le sollevò mostrandole a noi e tutte ci avvicinammo per osservarle. Strinsi Savannah in un abbraccio, spingendo il suo viso contro la mia spalla. qualcosa mi diceva che in quelle foto non c'era niente di buono...e qualsiasi cosa ci fosse non volevo che Savannah la vedesse. mi sporsi cautamente oltre la sua testa per dare un’occhiata a ciò che la nonna mostrava. Una delle foto mostrava un leone e una leonessa, intenti a dilaniare un corpo senza vita.
Strinsi i pugni con rabbia contro le spalle di Savannah mentre lei cercava di voltarsi per guardare le fotografie. La costrinsi a chinare la testa, impedendole di vedere. Era davvero troppo per lei. Sapevo che immagini del genere l’avrebbero perseguitata per notti e notti. Avrebbero perseguitato anche me, dannazione!
L’altra foto mostrava una pantera nera, sinuosa ed agile. Se ne stava appollaiata su un ramo e fissava l’obiettivo con i suoi occhi grandi e azzurri.
Le foto mostravano sicuramente dei mutati, molto potenti anche.
Mentre tutte noi continuavamo a guardare le fotografie la nonna si prese il viso tra le mani.
“avevo mandato Juliet in Inghilterra. La presenza di tanti felini in un solo continente mi aveva insospettito. Sapete bene che i Mutati lottano tra di loro per la territorialità…ebbene questi sembravano vivere in modo estremamente pacifico. La sua era una missione di spionaggio, non di caccia. Era in Inghilterra da un mese e ogni settimana mi mandava via mail tutte le novità del caso. L’ultimo rapporto doveva venire ieri…non ha chiamato e mi sono preoccupata. Stavo già pensando di mandare una di voi a controllare quando mi sono arrivate queste” sventolò le fotografie davanti ai nostri occhi. E io distolsi l’attenzione per qualche istante. Beh almeno adesso una cosa era chiara.
Una di noi sarebbe andata in Inghilterra a vendicare la morte di Juliet. Sospettavo che la nonna avrebbe mandato Angeline perché Juliet era stata una sua seguace e una sua amica. Avrei desiderato andare io ma l’importante era che la nostra custode venisse vendicata.
“li uccideremo” mormorai con voce fredda mentre lasciavo libera Savannah che cercava con tutta se stessa di contenere i singhiozzi se non le lacrime.
La nonna sollevò il capo e scosse la testa. Girò le fotografie, facendoci vedere il retro di quelle polaroid. Mi chinai verso di lei per scorgere meglio la scritta tracciata con inchiostro rosso sul retro di una delle foto.
Non era inchiostro. Era sangue.
Rabbrividì ed indietreggiai mentre mi stringevo le braccia al petto.
Qualcosa mi diceva che quello era il sangue di Juliet. E con improvvisa chiarezza capì che il corpo martoriato in foto era proprio quello della custode. Anche le altre ragazze indietreggiarono e Kathleen si portò la mano alla bocca come a trattenere un conato di vomito.
“questo è solo un assaggio…ci vediamo presto” recitava la scritta.
Qualcuno era rimasto a fotografare i mutati che facevano scempio del corpo. Qualcuno che non li temeva. Sicuramente un altro mostro. E poi aveva tracciato quelle scritte rosse con il sangue della nostra compagna. Era un avvertimento.
Un avvertimento per dirci che presto un’altra di noi sarebbe morta. Strinsi i pugni con rabbia e finalmente capì la preoccupazione di mia nonna. Chiunque avesse fatto questo era potente. Tanto potente da arrivare minacciarci.
“chiunque sia stato mi ha mandato anche qualcos’altro.” Sussurrò mentre suonava un campanello. La porta si spalancò e Will ci raggiunse. Reggeva in mano una specie di vassoi dall’aria tutt’altro che promettente. Sicuramente non era venuto ad offrirci the e ciambelle. Posò il vassoio sul tavolo e la nonna scostò il panno nero che copriva il vassoio.
Stavolta caddi in ginocchio, orripilata. Sul vassoio giaceva quella che era senza dubbio la mano destra di Juliet. Sul dorso spiccava il simbolo del serpente attorcigliato intorno ad una spada ornata di rose rosse e piene di spine. Quel simbolo era il simbolo delle custodi e non appena divenuta tale Juliet se lo era tatuato sulla mano destra, in bella vista. Era fiera di essere una custode e voleva portarne il marchio sulla pelle. Un conato di vomito mi contorse lo stomaco ma riuscì a controllarmi. Savannah e Kathleen erano uscite dalla stanza, Elisabeth stava vomitando in un angolo e Angeline aveva dipinta in viso un’espressione terrorizzata e disgustata.
Tutto sommato sembrava che io fossi la più calma. Era proprio per questo che ero la leader delle custodi. Perché nonostante tutto era quella capace di mantenere il sangue freddo meglio di tutte.
Tornai ad osservare la mano stringendomi le braccia intorno allo stomaco.
La mano era stata staccata a morsi all’altezza del polso. Notai distrattamente le dita smaltate di viola ormai incrostate di terra e fango. Mi passai una mano sul viso mentre la nonna ricopriva il vassoio e faceva cenno a Will di portarlo via.
Il silenzio regnò nella stanza. Nessuno osava muoversi, forse neanche respirare. i conati di Elisabeth erano cessati e oltre la porta non si sentivano più i singhiozzi di Savannah e Kathleen. Io tremavo ma in silenzio. Tremavo di rabbia e paura, ma soprattutto tremavo di odio.
Perché chiunque avesse ucciso Juliet era un mostro privo di umanità. Non soltanto aveva ucciso una custode o l’aveva lasciata uccidere…aveva lasciato che i mutati straziassero il corpo di Juliet e poi egli stesso aveva infierito…indicava una mancanza di rispetto. Mancanza di rispetto nei confronti di noi custodi, della sua avversaria…ma soprattutto mancanza di rispetto nei confronti della vita.
“sono arrivata ad una conclusione ragazze. Juliet era una ragazza abile e intelligente, nonché una guerriera preparata ed esperta.” Sussurrò la nonna senza alzare il viso dalle mani. La ascoltai distrattamente, preda della mia rabbia.
“penso che abbiamo a che fare con il sovrano dei mutati. Nessun altro controllerebbe i mutati. Nessun altro potrebbe costringerli a vivere insieme a stretto contatto. Nessuno sarebbe riuscito ad assistere alla caccia scattando fotografie. E soprattutto…nessuno sarebbe stato così poco umano da farci una cosa simile. I mutati uccidono è vero…ma senza premeditazione…non pensano a piani subdoli del genere a meno che non gli sia stato ordinato” la voce della nonna tramava di paura ma anche nel suo tono scorgevo rabbia ed indignazione.
Il re dei Mutati. Non potei trattenere un brivido di paura al solo pensare quel nome. Perché il principe dei mutati era il male incarnato nell’essenza animale. Era il cuore nero e pulsante dell’inferno. E quello che aveva fatto a Juliet era mostruoso.
“re dei mutati pagherai per esserti preso la sua vita e quella di mia madre. Vedrò il tuo cuore infilzato nella mia spada un giorno” pensai con ferocia e rabbia.
“che cosa dobbiamo fare?” il sussurro di Angeline mi riportò con i piedi per terra. Non l’avevo mai sentita tanto spaventata e prossima ad un crollo nervoso.
La nonna esitò, stringendosi forte la testa tra le mani
“non lo so”
La situazione era tornata relativamente calma. Kathleen e Savannah erano rientrate e tutte noi avevamo trovato una poltrona in cui sederci. La questione era molto seria e andava discussa attentamente. Ma non adesso. Non di giorno. il momento magico per le custodi era la notte e di notte avremmo agito.
Per prima cosa era necessario che Athena tornasse...dovevamo completare il cerchio del potere per riuscire a esaminare davvero la questione.
La nonna aveva deciso che tutte le missioni erano sospese a tempo indeterminato e aveva decretato il trasferimento delle custodi nella sede centrale, ergo Villa Temple. Ognuna aveva la sua stanza e la casa era sufficientemente grande da accoglierci tutte, quindi per un po’ avremmo vissuto tutte insieme, pronte a combattere fianco a fianco in caso di emergenza.
Era stupido e infantile da parte mia, soprattutto in una situazione del genere, ma pensavo che avere Angeline tra i piedi per un bel po’ fosse una delle peggior sorti che mi potesse capitare.
Non vedevo l’ora che Athena tornasse. Ero preoccupata per lei e sentivo il desiderio del suo abbraccio confortante.
“ovviamente noi siamo custodi e il nostro supremo compito è quello di proteggere la gente anche a scapito delle nostre vite. Non appena Athena tornerà le missioni riprenderanno. “ stava dicendo la nonna ancora seduta alla scrivania.
“dovremo anche addestrare una nuova custode…questo compito spetterà a te Elena” mi apostrofò la nonna sciogliendomi dalle mie riflessioni. Sbuffai ma non risposi. Il pensiero di dover addestrare una ragazzina mi andava tutt’altro che bene ma quelle erano le regole.
Essendo io la leader dovevo essere io ad occuparmi della formazione della nuova recluta. E così sarebbe stato anche durante il cambio generazionale. Un giorno sarei stata io a svolgere il ruolo della nonna…sempre se fossi vissuta abbastanza a lungo.
“chi sono le candidate?” domandai mentre cercavo di non pensare alla mano inerte sul vassoio.
“la sorella di Juliet, Rachel, oppure sua cugina Becky.” Si alzò e prese da uno scaffale un libro grande e antico quanto quello delle ombre. Il libro della discendenza. Quel libro conteneva tutte le foto e le informazioni circa la discendenza di tutte le custodi. Solo chi discendeva dalla prima congrega di custodi aveva il permesso di divenirlo. Era una regola rigida e ferrea. Mi porse due fotografie e le osservai attentamente. Rachel era poco più che una bambina, con il viso a forma di cuore, infantile ed ingenuo. La foto doveva essere piuttosto recente.
“domani stesso cercherò Rachel. Va nella mia stessa scuola anche se lei è solo al primo anno.” Era ancora una bambina ma stava per vedere la sua vita cambiare di botto.
“fai come ti pare…hai la massima libertà ma fra tre anni dovrà entrare attivamente a far parte delle custodi. Quando la riterrai pronta potrai portarla in missione con te ma per lasciarla andare da sola ci vorrà molto tempo.” Per quel che ne sapevo ero stata l’unica ad andare in missione dopo solo due anni di addestramento. La preparazione solitamente andava dai tre ai cinque anni.
Questo significava che Rachel avrebbe avuto come minimo diciassette anni quando avrebbe cominciato. Ero un po’ agitata perché era la prima volta che mi capitava di dover addestrare qualcuno. A tutte noi ci aveva pensato la nonna, oppure qualche madre ancora in vita che avesse svolto il ruolo di custode. Alle future generazioni avrei dovuto pensare io.
Non si trattava solo di addestrare una ragazza ma anche di iniziarla ad una nuova vita e proteggerla finchè non fosse stata in grado di proteggersi da sola.
Sospirai ma sorrisi. In fondo era arrivato il momento di accettare in tutto e per tutto il mio ruolo all’interno del gruppo.
“Juliet era mia amica. Dovrei essere io ad addestrare sua sorella” si intromise Angeline. Sembrava scossa dagli avvenimenti ma non poteva perdere l’occasione di sottrarmi un po’ di potere. Se io avessi addestrato la nuova recluto il mio posto di erede Temple sarebbe diventato inconfutabile fino alla mia morte. E lei lo sapeva.
“sono io la leader…sono io che l’addestro” risposi sorridendo. Il mio tono però tradiva la tensione e la sfida. Il ruolo di leader apparteneva a me e non le avrei mai permesso di portarmelo via. Era un vero e proprio gioco di potere e non ero disposta a cedere di fronte ad Angeline.
“sono stati i Temple a fondare la Congrega, sono stati i Temple a tramandare il compito…e saranno i Temple a tramandarlo anche in futuro” terminai sorridendo con aria rilassata. E trionfante.
“il bene del gruppo viene prima della dinastia” si oppose lei con voce altrettanto fredda e rilassata della mia. Era necessario avere un tono di voce impassibili nelle schermaglie per il potere.
“proprio per questo l’addestramento di Rachel spetterà a me” sorrisi rovesciando la frittata con abilità. “sono quella che ha mostrato una maggiore propensione nella caccia, quella che ha svolto più missioni, quella che ha completato l’addestramento in meno tempo, quella che ha affrontato i mutati più forti…perché io sono la più forte” marcai l’accento soprattutto sull’ultima frase.
“io sono una custode da più anni di te” rispose piccata dalla mia osservazione.
“si ma l’abilità non si acquista con gli anni” risposi scoppiando a ridere. Questo l’avrebbe infastidita e infatti scattò in piedi irritata e andò alla finestra, voltandomi le spalle. Angeline era brava ma io avevo vero e puro talento. Talento per uccidere.
La nonna mi sorrise soddisfatta dal modo in cui avevo gestito la questione e io mi rilassai impercettibilmente contro la spalliere dalla poltrona.
“adesso ragazze andrete tutte con Will e prenderete i vostri effetti personali. È probabile che dobbiate stare qui per un bel po’ di tempo quindi vi consiglio di portare vestiti e tutto l’occorrente per la scuola. Parlerò io con i vostri genitori.
La versione ufficiale sarà che siete affrante per la morte di Juliet e io ho pensato che possa farvi bene stare tutte vicine. I genitori di Juliet pensano che lei sia a sciare in Europa e la storia che divulgheremo sarà che ha avuto un incidente.” La nonna aveva pianificato tutto in pochi istanti, mantenendo l’autocontrollo e pensando con estremo acume. La madre di Juliet non era una custode.
Per diventare custodi c’era un solo modo. Bisognava essere un membro di una delle sette famiglie che avevano formato la prima Congrega.
Le famiglie originarie erano quella dei Temple, quella dei Fox, quella dei Merriweater, quella dei Vambrough, quella dei Fowl, quella dei Santini e quella dei Bennett.
Delle famiglie originarie soltanto io Athena e Angeline eravamo discendenti dirette. Le altre erano cugine o parenti della prima custode di ciascuna famiglia.
La madre di Juliet non era mai stata una custode ma alla morte di una delle discendenti della famiglia Bennett era toccato a Juliet, ancora di otto anni, essere addestrata per il ruolo di custode.
“adesso andate…Will vi porterà tutte a casa e poi tornerete qui ciascuna con la propria macchina e i propri vestiti. E mi raccomando…state attente” ci stava congedando quindi mi alzai dalla poltrona e affiancai Savannah che era già arrivata alla porta, con la sensazione che il mondo che conoscevo si sfaldasse sotto i miei piedi.


NOTE FINALI:

In Questo capitolo ho focalizzato la mia attenzione solo sulla vita da custode che svolge Elena. questo è un vero e proprio terremoto per lei, qualcosa che cambia la sua vita come custode. inizialmente non avevo previsto la morte di Juliet, la custode sarebbe stata solo un insignificante elemento di contorno, ieri sera però mi è venuta in mente questa scena e non sono riuscita ad allontanarla finchè non ho buttato giù quattro righe sulla storia di Juliet. e quindi è uscito fuori questo capitolo. Ma partiamo dall'inizio. l'incubo. Elena è forte e ha capito che in un certo qual modo può opporsi a quei sogni. e questo è un bene. si è però resa conto che i sogni la influenzano. provate a pensare per tutto il giorno ad un pensiero, alla fine quel pensiero farà parte di voi. e così e per Elena. anche se la cosa non le fa piacere il sangue inizia ad avere un ruolo importantissimo nella sua vita. non è un caso che l'incubo si presenti spesso dopo gli scontri con Michael. non so se lo avete notato ma quando è con lui Elena abbassa la guardia, getta la maschera. è la vera Elena. non la fredda e distaccata regina di Bremerton, ne la custode cinica e impassibile. è semplicemente Elena con tutte le sue contraddizioni. quindi è più vulnerabile. ancora una volta ho fatto un accenno ad Artemis Atwood, il padre di Elena, una figura che mi chiede ardentemente un pò di spazio. prima o poi dovrò sofermarmi davvero su di lui. quanto ne sa della doppia vita che conduce sua figlia? quanto ne sa della morte della moglie? tiene davvero così poco ad Elena? sono tutte domande che prima o poi meriteranno una risposta per il momento concentratevi sui sentimenti che Elena nutre verso di lui. abbandono. Elena si sente abbandonata e il suo non-rapporto con il padre ha condizionato tutto il suo modo di relazionarsi con gli altri. Elena è abituata ad essere sola e indipendente, è abituata a tenere i propri sentimenti per se. anche con le sue amiche non si confida mai realmente. Elena è un mondo a se stante. e adesso torniamo a Juliet. ho introdotto la figura del re dei Mutati, ma quanto sappiamo realmente di lui? e dei Mutati? li abbiamo visti sempre filtrati dal punto di vista delle custodi che in fin dei conti non sono esattamente neutrali. e se Savannah alla fin fine avesse ragione? non lo so neanche io, però iniziamo a vedere che non sono così animali come le custodi pensano. già scopriamo che hanno un capo, un re. questo significa che hanno un'organizzazione politica. e intuiamo che il re dei Mutati è abbastanza lucido da scattare le foto e minacciare le custodi. malvagio si, animale credo proprio di no. in contrapposizione alla mancanza di notizie sull'organizzazione politica dei Mutati ho voluto aggiungere maggiori informazioni sulle custodi. discendono tutte da una congrega originaria, la leader è sempre appartenuta alla famiglia Temple, la famiglia di Elena, hanno un libro dove registrano tutte le discendenti e un libro dove annotano tutte le informazioni sui mutati. ho inserito in questo capitolo anche un piccolo scontro Elena-Angeline. dalle poche parole che si scambiano possiamo cpaire il perchè della loro rivalità. il potere all'interno della congrega delle custodi. Elena è molto abile nel mantenere il suo ruolo ma anche Angeline non scherza. vi dico da subito di tenere d'occhio Rachel, che si prospetta un personaggio interessante. inoltre fate caso al comportamento di Elena a Villa Temple. è fredda, distaccata. questa è Elena la maggior parte delle volte, è incapace di lasciarsi andare alle emozioni, le reprime, le soffoca. sottolineo questo particolare perchè vorrei notaste la differenza tra Elena normale e Elena quando è con Michael. perdonatemi per il commento lunghissimo ma su questo capitolo avevo davvero tanto da dire. concludo dicendo che il prossimo capitolo sarà in contrapposizione a questo e quindi si concentrerà sulla vita privata di Elena. 

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Capitolo 12
*** Terremoto ***


Entrando in macchina sentivo lo sguardo affilato di Angeline trapassarmi la schiena
Non era per niente contenta della piega che aveva preso la giornata. Aveva perso un’amica e un’alleata e io invece avevo vinto il potere. Purtroppo la morte di Juliet mi guastava in bocca il sapore della vittoria perché non potevo pensare ad altro tranne la sua mano poggiata sul vassoio.
Me l’avrebbe pagata giurai a me stessa. Chiunque lo avesse fatto, l’avrebbe pagata.
Will ci aspettava già in macchina. Presi posto sul sedile anteriore mentre Angeline Kathleen Savannah ed Elisabeth si strizzavano in quello posteriore.
Ci avviammo verso la città e ad una ad una facemmo scendere tutte le ragazze. Rimasi solo io per una buona mezz’ora perché casa mia era ai margini di Bremerton, in una zona bellissima ed isolata.
Quando finalmente arrivammo di fronte al cancello tirai un sospiro di sollievo perché ero ansiosa di tornare a Villa Temple.
“signorina la aspetto?” mi domandò Will ben sapendo che altrimenti avrei dovuto farmela a piedi. E ben sapendo che non era esattamente sicuro lasciare una custode da sola dopo la sconcertante notizia di questa mattina.
Scossi la testa e sorrisi.
“chiederò a Jake di passare a prendermi” mormorai per prevenire le sue proteste. Mi avviai veloce al cancello e aspettai che si aprisse. Corsi per il vialetto e arrivai al portone di casa dove Amy mi stava già aspettando.
“che ci fate a casa signorina?” domandò un po’ preoccupata.
“niente di grave…la nonna oggi non stava tanto bene e mi ha chiesto di andare da lei a farle visita. Starò a casa sua per un pò”  spiegai mentre salivo le scale di casa correndo.
Entrai in camera mia e come al solito la trovai perfettamente ordinata. Dall’armadio presi una valigia piuttosto grande. Anzi a dire il vero grande era un eufemismo. Ci sarei potuto entrare persino io anche se forse sarei stata un po’ scomoda. Dall’armadio e dai cassetti iniziai a prendere manciate di vestiti e biancheria intima che gettai senza il minimo riguardo in valigia. Ai libri e ai miei accessori prestai un po’ più di attenzione e li deposi in una tasca interna della valigia con molta più cura. Corsi nel grande guardaroba e presi vestiti a caso che mi sembravano dei colori adatti a me e li portai in camera mia, dove fecero una fine analoga a quelli che poco tempo prima erano nell’armadio e adesso giacevano piegati disordinatamente in valigia.
L’operazione di trasloco richiese parecchie minuti e quando ebbi finito mi trasportavo giù per le scale due grossi trolley, un borsone piuttosto pesante e una maxi borsa.
Arrancavo visibilmente ma tenevo troppo ai miei oggetti personali per rinunciare ad uno solo di essi.
Per miracolo riuscì ad arrivare alla porta d’ingresso, dove Amy mi guardò con aria ansiosa.
“va tutto bene. ce la faccio” sbuffai mentre mi trascinavo l’immane peso fuori dalla soglia e lungo il vialetto. Amy mi seguì con lo sguardo ma non osò neanche seguirmi perché sapeva che questo mi avrebbe irritata. feci qualche passò in strada e poi mi fermai sul marciapiede. Poggiando le valigie accanto a me. Dalla tasca dei jeans estrassi il telefonino e composi il numero di Jake.
Mi rispose la segreteria telefonica. Sbuffai contrariata e mi decisi a lasciare un messaggio.
“eih Jake sono io. Puoi passare a prendermi? Sono a casa e devo andare da mia nonna….beh richiamami e fammi sapere” chiusi la comunicazione e mi preparai ad una lunga attesa.
Jake richiamò dopo un quarto d’ora. Un quarto d’ora che passai ad osservarmi le unghia.
Quando il telefonino iniziò a vibrare tra le mie mani risposi alla chiamata con un sospiro di sollievo.
“eih meno male. È mezz’ora che aspetto sul marciapiede di casa. Dove sei?”
Dall’altra parte un silenzio imbarazzato.
“Jake? Ci sei?” domandai un tantino seccata
“si piccola... è solo che non posso venire…non adesso…sono con Julian e Jason e stiamo facendo una partita di football amichevole con altri ragazzi e.,..torna a casa e tra un’oretta o due ti passo a prendere” mormorò un po’ imbarazzato. Ma non eccessivamente perché Jake era sempre troppo sicuro di se stesso.
Strinsi i pugni irritata. E mi morsi il labro inferiore per impedirmi una risposta pungente.
“va bene fa come vuoi” staccai la telefonata senza dargli modo di ribattere e posai il telefonino nella tasca dei jeans con una piccola imprecazione.
Bene..se lui non voleva venire a prendermi…ma la sarei cavata da sola.
Recuperai borsone e valigie e ricominciai a camminare trascinandomi dietro i miei bagagli piuttosto pesanti. Mi maledissi per aver portato tanta roba. Ma Elena Atwood non si arrendeva mai.
Avevo fatto solo pochi passi stentati ma ormai il marciapiede era finito e mi toccava scendere in strada. Mi appiattì contro il guard rail per evitare che qualche macchina mi schiacciasse e iniziai a tirarmi faticosamente dietro le valigie. Villa Temple era a dir poco lontana ma che non si dicesse che Elena Atwood era una pappamolla.
Sospirai mentre sistemavo meglio la borsa sulla mia spalla destra.
Ero in prossimità di una curva ormai ed era un punto particolarmente pericoloso. Beh tanto di li non passava mai nessuno quindi potevo andare tranquilla.
Mi scostai un po’ dal margine della strada per evitare di sporcare i vestiti.  E fu quello il mio errore.
Una macchina prese la curva correndo come se fosse ad un gran premio di formula uno e mi passò talmente vicino da provocare uno spostamento d’aria sufficiente per gettarmi a terra. Caddi e fui sommersa dalle mie valigie mentre speravo che non si aprissero. Sbattei la testa contro l’asfalto duro e per la seconda volta in due giorni la vista mi si appannò. Dannazione.
La botta alla testa di ieri non era niente rispetto al dolore che provai ora. Cercai di rialzarmi e di lottare contro le valigie che mi avevano inchiodata al suolo, ben consapevole che se fosse passata un’altra macchina mi avrebbe investita e allora per me non ci sarebbero più state missioni, ne preoccupazioni.
Non mi accorsi che la macchina si era fermata a soccorrermi. A dire il vero mi accorsi solamente del fatto che rischiavo di morire investita da un momento all’altro.
“Elena?” una voce sorpresa a poca distanza da me.
Una voce che purtroppo conoscevo fin troppo bene.
“oh no. Tutto ma non questo” mugugnai mentre cercavo di muovermi e schiarirmi le idee.
“Elena tutto bene?” Michael non sembrava preoccupato, minimamente. Anzi, la sua voce suonava divertita. Lo odiai profondamente per questo.
“col cavolo. Mi hai quasi ammazzata.” Sibilai incapace di assumere un tono veramente arrabbiato. Sbattei le palpebre e vidi che mi aveva già liberato dalle valigie e tendeva una mano pronto ad aiutarmi. Poteva scordarselo!
Mi appoggiai al guard rail e con qualche sforzo riuscì a mettermi seduta.
“sei un pirata della strada” gli mormorai contro cercando di assumere un tono accusatorio. Purtroppo la mia voce suonava solo…stanca e fragile.
Rise e si chinò per sollevarmi al che lo guardai con una faccia talmente sbalordita che scoppiò a ridere. La situazione era tutt’altro che comica, almeno per me. Ero assolutamente sorpresa dal fatto che dopo avermi quasi uccisa, spaventata a morte un bel po’ di volte in due giorni e irritata a livelli incredibili, adesso osasse anche cercare di prendermi in braccio.
Non era sfacciataggine…rasentava la follia!
La sua risata mi irritò oltre misura. Mi tirai su da sola e lo fulminai con un’occhiata a dir poco gelida mentre mi spazzolavo i jeans coperti di polvere. Notai distrattamente la sua Ferrari nera mentre mi massaggiavo la testa con una mano. Anche i miei capelli a questo punto dovevano essere coperti di polvere ma tanto appena arrivata a Villa Temple avrei atto una doccia.
“sei un idiota” sibilai mentre continuava a fissarmi con un sorriso impertinente.
Il sorriso scomparve in fretta come se quel piccolo insulto fosse bastato a cancellare il suo buon umore. A quanto pare era più imprevedibile e volubile di me. Solitamente ero io quella il cui umore cambiava con la stessa velocità di una barca in mezzo ai venti.
“se hai finito di insultare io me ne vado. Non ho tempo da perdere con una…ragazzina” l’ultima parola aveva tutta l’aria di essere un insulto ma stordita com’ero non trovai niente da ribattere.
Si allontanò da me in pochi brevi passi rabbiosi e si diresse alla sua macchina. Stava spalancando la portiera quando mi venne in mente che non sarei mai riuscita ad arrivare dalla nonna con le valigie e lo stordimento causato dalla caduta.
“eih” lo chiamai a voce sufficientemente alta perché mi sentisse. Si bloccò e rimase immobile ma non si voltò verso di me.
Scorgevo il profilo del suo volto e mi sembrava di scorgere in esso la rabbia.
Beh se volevo arrivare sana e salva a Ville Temple mi toccava fare buon viso a cattivo gioco. Il punto era…come lo convincevo a darmi un passaggio? Se fosse stato del solito umore impertinente e irritante non sarebbe stato difficile ma adesso sembrava furioso distante e freddo. Sospirai e mi avvicinai a lui, stando ben attenta a guardare se arrivavano macchine prima di attraversare la strada. Un altro incidente mi sarebbe stato senza dubbio fatale.
Aggirai la macchina fino a portarmi di fronte a lui e poggiai la mia mano su quella di lui che teneva la maniglia della portiera.
“mi hai investito. Il minimo che puoi fare è portarmi a casa” sussurrai con voce morbida. Quando serviva sapevo anche mettere da parte il caratteraccio e giocare la parte della sensuale. Non che volessi sedurlo…solo ammorbidirlo un po’.
Si girò a guardarmi stupefatto dal cambiamento del mio tono di voce. La rabbia stava lentamente evaporando dai suoi occhi ma non mi sembrava il caso di riprendere il mio atteggiamento di sfida. Non finchè non fossi stata comodamente seduta sulla sua macchina.
“sono stanca, mi fa male la testa e ho un maledetto sonno…quindi saresti così gentile da darmi un passaggio?” mormorai con voce dolce e al tempo stesso determinata. La mia mano risalì lungo il suo braccio e giocherellò con la zip del giubbotto di pelle nera che indossava.
Lui sembrava confuso, come se non riuscisse a capire cosa diavolo mi prendeva. Anche la sua espressione sembrava congelata e incerta, come se non sapesse che faccia assumere per fronteggiare il mio brusco cambiamento d’umore.
Alla fine optò per il sorriso sardonico e l’espressione divertita.
“mi sembrava di capire che fossi un idiota” rise e mise una mano sulla mia, fermandola e allontanandola dal suo corpo.
“lo sei infatti.” La mia voce rimase suadente e morbida mentre ammettevo quello che pensavo con tutte le mie forze. Negarlo sarebbe stato ipocrita e io ero una persona sincera.
“ma ciò non toglie che sono una ragazza, sono stanca…e ti sto chiedendo aiuto” lo fissai sgranando gli occhi con una tale espressione innocente che sapevo essere in grado di commuovere anche le pietre. I miei occhi erano dolci e al tempo stesso misteriosi mentre fissavo il mio sguardo profondo in quello infinito e bruciante di lui.
Sotto l’oceano blu dei suoi occhi bruciavano sentimenti che non riuscì a captare.
mi scrutò per qualche istante, indeciso se ridere arrabbiarsi o migliaia di altre cose. Alla fine scrollò le spalle come per liberarsi di un gran peso.
“Sali” sussurrò con la più seria delle espressioni. Sorrisi e senza esitare andai ad aprire la portiera anteriore dal lato del passeggero. Presi posto sul morbido sedile di pelle nera mentre lui andava a recuperare le mie valigie. Guardai distrattamente i suoi cd e poi ne scelsi uno.
Quando tornò stavo cercando di capire come accendere il suo lettore cd. La mia espressione concentrata lo fece ridere.
“faccio io” prese il cd dalle mie mani e premette un paio di tasti. Prima ancora che la musica iniziasse a difondersi nella macchina lui era già al volante e stava facendo manovra per immettersi nuovamente sulla strada.
“ah dimenticavo…dovresti a accompagnarmi a casa di mia nonna…Ville Temple.”
Non mostrò alcuna emozione ne chiese informazioni e fui io a dargli l’indirizzo giusto e a spiegargli il percorso per raggiungerlo.
Partì in modo piuttosto brusco e io venni appiattita contro lo schienale di pelle.
Le note morbide e stupende di 21 guns si diffusero nella macchina, facendomi chiudere gli occhi e appoggiare la testa dolorante allo schienale. Reclinai appena la testa, godendomi il movimento della macchina che mi cullava e la morbidezza delle note.
La macchina fermò di botto e io fui sballottata contro il sedile. Sbattei le palpebre e solo allora mi accorsi di essere davanti a Villa Temple. dovevo essermi addormentata. Una ciocca di capelli mi ricadeva sugli occhi e copriva parzialmente il mio viso.
Mi sentivo ancora parecchio intontita e i miei occhi faticavano a vedere davvero. certio, bisognava aggiungerci due notti praticamente insonni e un notevole stress mentale…
La musica continuava lenta e dolce e mi impediva di schiarirmi le idee. Mi sentivo per qualche strano motivo fin troppo al sicuro.
Michael era voltato verso di me. Le sue mani erano strette con forza sul volante ma i suoi occhi bruciavano sul mio viso. Allungò una mano e mi scostò la ciocca di capelli dal volto sfiorando la mia pelle con un gesto lieve e quasi impercettibile.
Sorrisi per nessun motivo in particolare e cercai di riordinare le idee. Il suo sguardo mi bruciava la pelle e mi metteva a disagio sebbene per qualche motivo ne fossi anche compiaciuta.
Scossi la testa e mi raddrizzai con lentezza. I suoi occhi erano ancora fissi sul mio viso, quasi ne fosse ipnotizzato. La mia mente intorpidita mi costrinse ad incrociare il suo sguardo e i suoi occhi incatenarono i miei. In quel momento, stanca e assonnata, ancora abbandonata al placido sonno, in quel momento in cui le mie barriere erano tutte scivolate e la mia mente era a nudo…in quel momento mi accorsi di quanto fossi attratta dal suo viso magnetico e oscuro..quanto mi affascinasse il suo corpo perfetto. C’era qualcosa che trascendeva la semplice bellezza…ero attratta da lui perché aveva un carattere forte quanto il mio, in grado di tenermi testa. Ed ero attratta da lui perché i suoi occhi profondi mi riempivano di interrogativi e di misteri oscuri.
Sul mio viso non era dipinta nessuna delle espressioni consuete…ne freddezza ne rabbia ne scherno. Ero…vulnerabile. Lui invece sembrava invincibile avvolto da un manto di oscurità.
Si protese verso di me e io, vinta da quella malia, non mi mossi. Rimasi immobile mentre premeva la sua bocca sulla mia con forza e determinazione. Le sue labbra iniziarono a muoversi sulle mie e la sua lingua tracciò i contorni della mia bocca in modo quanto più sensuale potessi immaginare. Eppure io rimasi immobile. Era il bacio più bello che avessi mai ricevuto eppure non riuscivo a rispondere. Non riuscivo a muovermi. Non riuscivo a protestare ne a partecipare. Ero creta nelle sue mani. Quelle stesse mani si strinsero attorno alla mia vita e alla mia nuca, spingendo con forza il mio corpo contro il suo. Non c’era niente di romantico in quel bacio eppure c’era qualcosa di tremendamente seducente.
Mi attirò più vicina, portando il mio corpo piccolo e minuto sul suo imponente e muscoloso. le mie gambe si strinsero intorno ai suoi fianchi, una incastrandosi contro lo sportello dell'auto, l'altra urtando con ben poca delicatezza il freno a mano. il suo bacino aderiva perfettamente al mio e per la prima volta non mi fu difficile percepire il suo umore.
I miei istinti si risvegliarono e risposi al bacio con prudenza e delicatezza, quasi con paura. Passai un braccio attorno al suo collo e per la prima volta mi abbandonai completamente, lasciando che fosse qualcun altro a controllare.
Il suo bacio non era delicato. Era forte e prepotente eppure me ne sentì conquistata. Lasciai che fosse lui a baciare me, restando appollaiata sulle sue ginocchia muscolose.
Premette il mio corpo all’indietro e mi appoggiai al volante.
Accidentalmente il mio peso si concentrò sul clacson e quel suono ruppe il silenzio.
La magia che mi aveva avvinta si spezzò in mille pezzi e fui estremamente consapevole del fatto che lui era Michael, uno sconosciuto che detestavo, e che io ero Elena, la regina di Bremerton la custode e la fidanzata di Jake.
Mi presi il viso tra le mani, incapace di credere a quello che era successo. Era stato solo un bacio in fondo…eppure non avrei mai dovuto permetterlo. Lui sembrava altrettanto sconvolto di me. Il suo corpo era teso sotto il mio. Sollevai lo sguardo giusto il tempo per vedere la sua espressione feroce e sconcertata mentre si passava un dito sulle labbra con aria incredula e furiosa.
Quella visione non servì certo a placare la paura che mi ribolliva nello stomaco. Mi svincolai dal suo abbraccio e ci riuscì solo perché non oppose alcuna resistenza. Tornai sul sedile del passeggero e per qualche altro istante rimasi immobile. Il silenzio ormai era totale, quasi il mondo stesse trattenendo il respiro in attesa delle mie parole
Uscii dalla macchina in tutta fretta ma prima di chiudere la portiera mi sporsi in avanti.
“questo non è mai successo” mormorai prima di fuggire verso il portone.
La sua espressione incredula mi seguì per tutto il tragitto, mentre un terremoto scuoteva tutto il mio essere.



NOTE FINALI:


come avevo promesso questo capitolo, anche abbastanza breve, si è concentrato sulla vita di Elena. non è un caso che la prima parte sia veloce e leggera, è è una contrapposizione voluta sulla seconda e ultima parte, quella più importante. eccoci al punto saliente. Elena e Michael si sono baciati. non c'è amore in questo bacio, è ancora troppo presto per parlare di amore. nemmeno Elena e Michael sanno spiegare cosa li spinge. entrambi sono increduli, per motivi diversi. entrambi vorrebbero non essere così attratti l'uno dall'altra. ecco, tra Elena e Michael c'è attrazione, attrazione irresistibile ma non solo fisica. ognuno ha trovato nell'altro ciò che incosciamente stava cercando. qualcuno in grado di tenergli testa. Elena è sempre stata la primadonna, abituata a vincere e primeggiare. adesso Michael riesce a resisterle, è come lei. e Michael ha sempre avuto vittoria facile sul gentilsesso, però Elena è forte. riprendo il discorso degli opposti e degli uguali. Elena e Michael sono entrambi. sono uguali e contrari al tempo stesso. sono perfetti insieme, almeno in apparenza. quanto però sia corretta questa nuova attrazione ancora non lo so. prima di tutto non dimentichiamo che Elena è fidanzata. non è innamorata di Jake, però gli vuole bene. mentre è attratta da Michael ma non gli vuole bene. non è una scelta tanto facile. inoltre Elena ha paura. non è mai stata così attratta da qualcuno in vita sua, non ha mai perso il controllo di se stessa. non si è mai lasciata travolgere, tanto da considerarsi praticamente immune alle emozioni. basti pensare a come ha reagito alla morte di Juliet. è rimasta quasi impassibile. con Michael però non ci riesce...quindi non resta che aspettare per capire come gestiranno la cosa.

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Capitolo 13
*** Attrazione ***


Sedevo nella camera blu che un tempo era appartenuta a mia madre. Me ne stavo raggomitolata sul letto con le gambe incrociate e le mani strette attorno una tazza di cioccolata calda. Il mio sguardo fisso nel vuoto indicava che non ero ancora del tutto in me.
Ero sconvolta. Avevo baciato  Michael che era uno sconosciuto. Avevo baciato di Michael che era un ragazzo che detestavo. Avevo baciato Michael anche se ero fidanzata con Jake. Ero una persona meschina. A dire il vero era stato Michael a baciare me, ad approfittarsi di un mio momento di debolezza, mentre ero ancora annebbiata dal sonno.
Ma alla fine io avevo risposto al bacio.
Quello che più mi spaventava e sconvolgeva però era il fatto che, mentre lui mi stringeva con le sue braccia muscolose, avevo scoperto una parte di me che avevo pensato di non possedere.
Una parte sensibile e docile. Una parte che aveva bisogno di una persona abbastanza forte da dominarla. Avevo provato il desiderio di lasciarmi andare, il desiderio di affidare la mia vita e il mio corpo a qualcun altro. Non mi ero mai abbandonata in modo così totale e questo mi terrorizzava.
Ero sempre stata forte e invincibile, ero sempre stata io a prendere il controllo della mia vita e di quella degli altri…eppure, stretta nel suo abbraccio, avevo desiderato che fosse lui a prendere il sopravvento, a controllare. Avevo desiderato che si prendesse cura di me come mio padre non aveva mai fatto e come nessuno avrebbe mai fatto.
Una lacrima di rabbia solcò la mia guancia. Odiavo Michael perché mi aveva costretto a fare i conti con la fragilità che c’era in me.
Però c’era anche un’altra verità con cui mi aveva costretta a confrontarmi. Adesso che l’evidenza appariva lampante non potevo più ostinarmi a pensare che quel moto alla bocca dello stomaco che sentivo quando me lo vedevo davanti fosse dovuto solo ad antipatia. Ne ero affascinata.
Sapevo che era una cosa sbagliata, sapevo che lui non era la persona adatta a me….eppure mi aveva ammaliato.
Forse era perché non lo conoscevo ancora bene e mi sembrava ammantato da un alone di mistero ma ormai sapevo che qualcosa nel suo sguardo magnetico mi attraeva.
Bevvi un sorso di cioccolata cercando di scacciare il torpore e lo stordimento.
Savannah e le altre ragazze si erano ritirate in camera al pari di me dopo che avevamo discusso di tutto ciò che era necessario. Per tutta la durata della riunione ero stata distratta e silenziosa e il mio silenzio non era sfuggito alla nonna ne ad Angeline e Savannah. Eppure nessuno mi aveva fatto domande ed ero stata libera di rifugiarmi in camera non appena finita la conversazione.
Posai la tazza praticamente intatta sul comodino e mi sdraiai sul letto fissando il soffitto blu.
Un colore leggermente più chiaro degli occhi di Michael. Sbuffai esasperata da quei pensieri che sembravano non appartenermi. Da quando in qua Elena Atwood si perdeva in romanticherie?
Afferrai un cuscino e me lo poggiai sul viso mentre cercavo con tutta me stessa di scacciare il ricordo di quel corpo forte che stringeva il mio.
Un bussare leggero mi distolse dai miei pensieri, fornendomi un insperato aiuto.
“avanti” mormorai mentre mi tiravo su di qualche centimetro e appoggiavo la schiena alla testata del letto.
Le tende del baldacchino erano tirate a nascondere me e il materasso ma io riuscii a vedere la figura snella e aggraziata di Savannah che varcava la soglia e richiudeva la porta alle sue spalle.
Sospirai ma mi aspettavo una sua visita quindi non ne fui sorpresa.
La mia amica si avvicinò al letto e scostò il baldacchino. Mi fissò per qualche istante con un sorriso dolce e si sedette sul bordo del letto.
“ti vedo….strana” sussurrò cercando di leggere la mia espressione impassibile.
Mi strinsi nelle spalle e cercai di sorridere ma la tensione all’interno del mio corpo mi impedii di essere naturale e gentile come la mia amica meritava.
“vuoi dirmi che succede?” sussurrò accorata cercando di non suonare invadente. La sua non era curiosità ma solo preoccupazione per me. Savannah si preoccupava per tutti.
“è stata una giornata pesante” mormorai a mo di scusa. Si la giornata era stata pesante ma soprattutto ricca di novità…tutte in negativo per quel che mi riguardava.
“probabilmente sei quella che sta soffrendo di più per la morte di Juliet” protese le braccia per stringermi e darmi quel conforto che a suo dire mi era necessario. Le sue parole mi fecero avvampare di vergogna perché il pensiero di Juliet mi aveva a mala pena sfiorato da quando ero tornata a casa. Non ero affezionata a lei. Ero una persona meschina e spregevole perchè una mia compagna era morta e io perdevo il mio tempo a pensare ad un ragazzo.
L’unica persona veramente umana era Savannah.
Lei stava realmente soffrendo per quella morte eppure aveva ingoiato le lacrime e aveva deciso di fare la coraggiosa perché pensava che fossi più sensibile e scossa di lei. Pensava che io avessi bisogno di essere consolata.
Eppure, sebbene sapessi di comportarmi da meschina, non negai la sua affermazione. Se avessi detto che non era per Juliet avrebbe insistito per saperne la vera ragione…e io non volevo palare di Michael. Anzi a dire il vero non volevo proprio pensare a lui.
Vedendo che non accettavo il suo abbraccio si spinse più vicina a me senza però sfiorare il mio corpo. Magari un’altra persona si sarebbe offesa ma Savannah mi conosceva bene e sapeva come trattarmi. Oppure Savannah era semplicemente troppo buona.
“non devi nascondere così le tue emozioni, Elena. Fanno parte di te e non c’è niente di male nel dimostrare il tuo dolore” mi sussurrò con voce estremamente matura.
Di solito era Savannah la più piccola e innocente di noi. Adesso si stava sforzando di recitare il ruolo dell’adulta per aiutare me.
“va tutto bene…davvero!” sorrisi notando la sua espressione scettica. Non andava tutto bene ma avrei protetto Savannah dal suo stesso altruismo risparmiandole i miei problemi.
“è solo che…è successo tutto così in fretta….e poi io lo odio. Il re dei mutati intendo. Lui ha ucciso mia madre e io voglio uccidere lui. E poi mi sento in colpa…sono sempre stata acida con Juliet e adesso…adesso mi sento in colpa e non avrò mai la possibilità di scusarmi con lei”
Quello che dicevo era vero e qualche lacrima affiorò ai miei occhi, subito scacciata dalla mia ferrea volontà. Odiavo piangere. Piangere era un segno di fragilità e debolezza e io ero una persona forte.
Evitai di menzionare Michael che era il motivo principale del mio malessere psicologico ma evitai anche di mentire perché Savannah non meritava una bugia.
Questa volta lei ignorò la mia reticenza e mi abbracciò con leggerezza e naturalezza. Mi divincolai perché i contatti fisici non mi piacevano neanche un po’, anzi mi mettevano sempre in imbarazzo. le mie guance infatti erano screziate di rosso mentre la allontanavo con delicatezza.
“va tutto bene. è solo la sorpresa per questi brutti avvenimenti ma vedrai che domani sarò più in forma che mai. Anche perché avrò una ragazza da addestrare” sorrisi per quanto mi fosse possibile e mi chiesi se la famiglia di Juliet avesse già saputo la notizia. Sospettavo di si. Anzi ne ero praticamente certa. Sospirai e mi adagiai sui morbidi cuscini di velluto blu.
“Savannah io adesso faccio una doccia. Ho bisogno di rilassarmi un po’. Tu vai pure a letto e sta tranquilla…io sto benissimo”
Volevo molto bene a Savannah ma la sua eccessiva emotività spesso mi metteva a disagio. Con Athena era diverso perché lei era fredda e distaccata quasi quanto me.
La mia piccola e ingenua amica capì che avevo bisogno di stare da sola e si allontanò sorridendomi e augurandomi buonanotte. Era davvero tenera e dolce.
Mi sollevai dal letto e con lentezza sbottonai la camicia rossa che lasciai cadere per terra. Come a casa, anche qui c’era qualcuno che riordinava tutto prima che potessi chiederlo. Lasciai cadere a terra anche la gonna e la biancheria intima e mi diressi in bagno. Aprì l’acqua calda e finalmente potei rilassarmi sotto il getto dell’acqua calda.
Chiusi gli occhi assaporando il piacere delle gocce calde sul mio corpo freddo e stanco. Mi sciacquai il corpo e i capelli come se sfregando con energia avessi potuto eliminare anche i ricordi di quella disastrosa giornata. Purtroppo i ricordi sono qualcosa di assai più forte dell’acqua e neanche la marea del tempo può portarli via.
Passai una mezz’ora buona sotto il getto caldo ma alla fine mi decisi ad uscire e ad affrontare la realtà. Presi un asciugamano e me lo avvolsi attorno al corpo lasciando scoperte le spalle e gran parte delle gambe. Il freddo aggredì la mia pelle abituata al tepore della doccia ma non me ne curai.
Tornai in camera desiderosa di sdraiarmi a letto e concedermi un po’ di meritato riposo.
Ma i miei desideri potevano essere esauditi? Ovviamente no.
Mi bloccai sulla porta del bagno perché appoggiato con noncuranza alla porta della stanza c’era Michael. Per poco lo stupore non mi paralizzò.
Non aveva la solita espressione derisoria stampata in faccia per cui rimasi indecisa su come comportarmi. Il suo sguardo mi percorse da caso a piedi, acceso di mille emozioni, e poi la sua attenzione si posò sui vestiti che giacevano ai miei piedi.
Stavo per lasciarmi scappare un commento pungente ma notai che in un angolo della camera c’erano le mie valigie. Che sciocca! Nella fretta di fuggire me n’ero completamente dimenticata.
“grazie” sussurrai mentre mi decidevo a muovere qualche passo all’interno della stanza.
Rispose con un millimetrico cenno del capo e rimase in silenzio a guardarmi con occhi accesi. La sua espressione non era rabbiosa ma…famelica. Non mi veniva altro modo per definirla.
“ti dispiace uscire? dovrei vestirmi..” sussurrai mentre un lampo di sfida baluginava nei miei occhi e con un lieve movimento della mano gli indicavo la porta
Il solito sorriso impertinente tornò a piegare le sue labbra.
“a dire il vero si, mi dispiace” sorrise senza staccare gli occhi dal mio corpo e dalle mia pelle, cosa che mi irritò profondamente.
“quando parli con me devi guardarmi negli occhi” dissi stringendomi l’asciugamano attorno al corpo con più forza.
“e comunque vedi di fartelo piacere ed esci. Io mi devo vestire.”  Sbottai un tantino esasperata dal suo sguardo rovente. Eppure dovevo ammettere che ne ero anche compiaciuta. ed era proprio questo il problema! il languore che sentivo nello stomaco mi rendeva nervosa...era qualcosa di totalmente estraneo per me. quindi ancora una volta optai per un atteggiamento aggressivo.
la miglior difesa è l'attacco!
Non si mosse di un millimetro. Incrociò le braccia al petto e mi guardò sorridendo.
Benissimo…se voleva giocare duro ero anche pronta a giocare. mi diressi verso di lui che mi osserva attentamente come se temesse qualche mia mossa ma all’ultimo momento girai a destra e mi diressi alla grande cassettiere blu. Gli voltai le spalle per qualche secondo e mi dedicai alla scelta del vestiario per la notte. Quando mi voltai per tornare nel bagno e indossare l’intimo e la sottoveste me lo ritrovai un po’ troppo vicino per i miei gusti.
Abbassò la testa per fissarmi dritto negli occhi, o forse per baciarmi, e io poggiai la mano sul suo petto muscoloso, tentando di mantenere le distanze.
Questo lo fece sorridere mentre chinava la testa vero le mie labbra. Sfiorò la mia bocca con la suama senza baciarmi sul serio, solo per stuzzicarmi. Ma ero troppo poco vestita per assecondare i suoi giochetti. Mi allontanai passando sotto una delle sue braccia, che aveva poggiato alla cassettiera all’altezza del mio viso per intrappolarmi contro il suo corpo.
“non mi piacciono questi giochetti” dissi cercando di mantenere un contegno e avvicinandomi alla porta del bagno. altrochè se mi piacevano! una parte di me stava urlando insulti alla mia parte razionale! insulti molto coloriti.
 Per prima cosa mi sarei vestita. Poi avrei dedicato il mio tempo a fargli capire che non sarei stata il suo ennesimo giocattolo con cui giocare e poi buttare via in pezzi.
“hai paura di me vero?” domandò con convinzione mentre una sfumatura trionfante vibrava nella sua voce di seta. mi girai per incrociare il suo sguardo con tanta freddezza da cancellare il suo sorriso ironico.
“temo le mie reazioni, non te” sussurrai estremamente sincera “temo che tu mi faccia perdere il controllo, temo che tu ti approfitti di me, temo che tu mi renda una persona meschina…ma non ho paura di te”  lo fissai altera e distaccata ma sapevo che se mi avesse baciata allora forse non sarei stata tanto fredda e arrogante. Ma non avevo nessuna intenzione di mettermi alla prova ancora una volta. Non intendevo tradire Jake, ne cedere a Michael.
Entrai nel bagno prima che potesse rispondermi e chiusi la porta a chiave dietro di me. Lasciai cadere l’asciugamano e mi affrettai ad indossare gli slip e il reggiseno di pizzo rosso. Avevo un debole per la lingerie. Non intendevo fare vedere a nessuno la mia biancheria intima ne le mie camicie da notte ma mi piaceva indossare indumenti di pizzo e merletti.
La camicia da notte che avevo scelto era di seta rossa, morbida seducente e leggermente trasparente. Non sapevo perchè la mia scelta fosse ricaduta proprio su quel particolare capo di abbigliamento ma non intendevo chiedermene la ragione. Se lui usava le sue armi contro di me….beh io avrei usato le mie! E io ero Elena Atwood…non c’era uomo che non riuscissi a sedurre e incantare. Anche se forse Michael sarebbe stato una sfida più impegnativa.
Esitai per un istante prima di trovare il coraggio per uscire dal bagno. Michael era rimasto nella stessa posizione di prima ma adesso teneva i pugni serrati come se lottasse per contenere l’ira.
Non appena varcai la soglia il suo sguardo furioso si posò su di me, valutandomi attentamente. Il suo sguardo si accese di bramosia e molto altro e io sorrisi.
“stai cercando di tentarmi?” sussurrò leggermente roco.
Scossi la testa e sorrisi mentre andavo a sedermi sul letto e incrociavo le gambe senza scoprire la pelle candida delle cosce.
“sei tu quello che sta facendo di tutto per sedurre me” risposi ridendo.
Scoppiò a ridere e si avvicinò , vendendo a sedersi al mio fianco. Posò una mano sul mio ginocchio e io lo scostai in fretta. Avevo paura che si spingesse maledettamente oltre.
“questo è vero, non posso negarlo” sorrise affascinante cercando di incantarmi ancora una volta con quei suoi occhi troppo scuri e profondi.
“potresti smetterla per un secondo e  comportarti da persona civile?” domandai facendo baluginare i miei denti bianchi in un sorriso furbo.
Il suo sorriso fece eco al mio ma non smise di tentare di affascinarmi con lo sguardo. Scossi la testa. Michael era proprio incorreggibile ma io ero sufficientemente padrona di me da ignorare il suo sguardo e il suo sorriso.
“partiamo dal presupposto che oggi non è successo niente, che tu non sei mai venuto in camera mia, che non mi hai mai accompagnata a casa e non mi hai mai…baciata….cosa ci fai qui?” domandai
Lui sorrise  facendomi intravedere i suoi denti perfetti come tutto il resto di lui.
“e se ti dicessi che avevo solo voglia di vederti? E magari di baciarti?” sussurrò con voce morbida e profonda, accarezzandomi il viso con le sue parole.
Deglutì cercando di scacciare l’effetto che la sua voce mi provocava. Mi sembrava assurdo...però mi sembrava di avere le farfalle nello stomaco. Una cosa anormale e che intendevo ignorare.
Le farfalle andavano soppresse!
“non ti crederei assolutamente” risposi stizzita mentre mi allontanavo i capelli dal viso. Nonostante quella meno vestita e più provocante fossi io sembrava che non ci fossero trucchi di seduzione che non conoscesse. Dal volto alla voce, riusciva a rendere tutto sensuale e malizioso. 
“Elena così mi ferisci” sgranò gli occhi in una finta espressione innocente e ferita. “dubiti forse della mia buona fede? O del mio amore addirittura?”
Non potei trattenere una risata.
“puoi giurarci” risposi allegramente. Anche lui sorrise e si lasciò trasportare dalla mia momentanea allegria. Allegria che non era dovuta a niente in particolare ma solo al fatto che la sua presenza mi facesse piacere. Era strano che fossi così di buon umore.
Quando smisi di ridere trovai il suo volto ancora una volta troppo vicino. Ancora una volta mi fissava con serietà, cercando di penetrare nei recessi della mia anima. altrochè se era incostante il ragazzo! persino io faticavo a stare dietro ai suoi sbalzi d'umore!
“senti forse mi sono sbagliata e non sei una persona così disgustosa come ti credevo” mormorai cauta mentre ancora una volta mettevo una mano sul suo petto per mantenere un minimo di distacco tra i nostri due corpi. Lui sorrise ma non rispose come se l’unica di cui gli importasse fosse baciarmi. sembrava proprio che le cose stessero così a dire la verità. E io? Anche io volevo baciarlo? Certo che si dannazione! Ero umana e stavo scoprendo una cosa che gli scienziati chiamano “ormoni”
Eccoli, i miei maledetti ormoni traditori! Erano rimasti in coma per sedici anni e adesso eccoli più attivi che mai, pronti a ballare la cucaracha e lanciarsi in un party degno della notte degli Oscar!
Il suo viso si avvicinò ancora di più e la sua bocca mi solleticò il collo, pericolosamente vicina all’orecchio. Un brivido mi corse lungo la schiena mentre i miei ormoni sollevavano le pina colada per brindare ai primi pensieri indecenti che sorgevano nella mia mente.
“è disgusto il brivido che ho sentito?” sussurrò quasi dolcemente, mentre le sue labbra sfioravano il lobo del mio orecchio. Sussultai e chiusi gli occhi mentre la sua mano si poggiava sulla mia coscia nuda, pericolosamente vicina al bordo della camicia.
Un sospiro mi sfuggì dalle labbra mentre le sue dita forti sfioravano la mia pelle calda. Dannazione dannazione dannazione! Volevo che lui mi toccasse. Volevo sentire la sua mano accarezzare ogni singolo centimetro della mia pelle, le sue labbra avviluppare le mie. Volevo sentire il suo corpo contro il mio…oh cielo! Cosa erano quei pensieri? Io, Elena Atwood, regina di Bremerton, io che sarei potuta essere presidentessa del club della castità, io che avevo mandato in bianco decina di fidanzati senza scompormi minimamente, proprio io, ero adesso tentata di stendere Michael sul letto e infilarmi nei suoi pantaloni? Da dove mi venivano quei pensieri sconci! Ero sconvolta.
Feci pressione sul suo petto, rilasciando le dita che per un secondo si erano serrate a pugno sulla sua maglia, allontanandolo nonostante la sua mano avesse iniziato ad accarezzarmi dal ginocchio fin quasi all’interno coscia.
“Michael io non ti conosco. Ti ho visto pochissime volte nella mia vita…senza contare che ho un ragazzo e non sono quel tipo di ragazza da frequentare due persone contemporaneamente. E soprattutto non bacio il primo estraneo che mi capita” la mia voce appariva un tantino rauca, forse un po’ incerta, ma intendevo chiarire questi tre punti perché non volevo che si prendesse troppe libertà. In macchina avevo sbagliato e in un momento di debolezza avevo lasciato che lui facesse ciò che voleva. Ma non sarebbe accaduto più.
Il suo sguardo si fece serio, addirittura accigliato. Ritirò la mano e per un secondo rimpiansi la sua stretta calda ed esperta. Ma la verità era che  non sapeva come rispondere perché non si era mai posto questi problemi. voleva soltanto divertirsi un po’ e pensava che io fossi accondiscendente e sottomessa. Si sbagliava.
Oltre ad essere una persona molto razionale avevo anche dei saldi principi morali. Non avrei mai tradito Jake.
“allora lascia il bamboccio” sussurrò alla fine mentre cercava di nuovo di stringermi a se.
“a che scopo? Non voglio stare con te e tu non vuoi stare con me…. Senza contare che Jake non è un bamboccio” protestai mentre ancora una volta mi divincolavo ed evitavo il suo abbraccio. Arrossì per la bugia che avevo detto. Altrochè se volevo stare con lui…in senso fisico si intende!  
“rallenta Elena, metti in congelatore gli ormoni per un secondo” mi ammonii. Michael non mi stava proponendo niente. Voleva solo giocare con me ma io non ero la bambolina di nessuno. neanche di Michael. Io non potevo cedere dannazione.
“non lo ami” rispose sicuro di se. Tremendamente arrogante e tremendamente sincero.
“ma gli voglio bene. non lascerò un ragazzo a cui sono affezionata per soddisfare un tuo capriccio momentaneo” spiegai con pazienza, come se stessi parlando con un bambino
“e se non fosse momentaneo?” domandò sorridendo
“sarebbe lo stesso un capriccio e io non assecondo i capricci di nessuno” risposi infastidita. Mi scostai leggermente da lui per evitare che provasse a baciarmi di nuovo. Una parte di me desiderava le sue labbra ma l’altra era fermamente decisa a non farsi mettere i piedi in faccia. Prima di tutto il mio orgoglio e la mia dignità. I miei desideri passavano in secondo piano.
“perché invece non assecondare i tuoi? Perché per una volta non ti lasci andare e abbandoni il tuo trono di ghiaccio? Perché per una volta non ti permetti di essere umana?” sussurrò queste parole tentatrici al mio orecchio. Ero sicura che il serpente avesse quella stessa voce mentre mormorava ad Eva le parole che l’avrebbero condannata all’esilio dal giardino dell’Eden.
Ecco, bastavano poche parole sussurrate con quella voce roca che il mio sistema nervoso andava a farsi friggere.
“Pensa Elena, pensa” mi ripetei per evitare che i miei istinti da adolescente in crisi d’astinenza da ben sedici anni prendessero il sopravvento. Con qualche sforzo la parte razionale prevalse, riportando a galla rabbia e irritazione.
“perché non voglio essere uno dei tuoi trofei, perché non voglio che tu calpesti il mio orgoglio, perché sei tremendamente arrogante e perché sei l’ultimo ragazzo al mondo a cui potrei cedere” sbottai infuriata. Sapeva essere davvero irritante certe volte.
“adesso..fuori! voglio andare a dormire e non mi va che tu rimanga qui ad infastidirmi con le tue sciocchezze” lo liquidai con un gesto della mano, indicando la porta e invitandolo ad andarsene. Si alzò dal letto e mi fissò combattuto tra la rabbia e l’incredulità.
“nessuna ragazza mi ha mai respinto” sussurrò totalmente incapace di accettare l’evidenza, cioè il fatto che io non ero un oggetto alla sua mercé
“forse qualcuna avrebbe dovuto farlo. Comunque vedi il lato positivo. C’è una prima volta per tutto. oggi hai imparato che non sei così irresistibile come credi”
Mi sdraiai a mezzo sui cuscini e lo fissai con le sopracciglia inarcate aspettando che se ne andasse.
“mi hai lanciato una sfida Elena…adesso non mi darò pace finchè non riuscirò a sedurti, finchè non giurerai di amarmi e mi offrirai il tuo cuore” sussurrò mentre si avviava alla porta.
“imparerai che io non mi arrendo mai e che se voglio qualcosa me la prendo. Sarebbe stato meglio per te se avessi ceduto subito invece di attirare la mia attenzione in modo così poco vantaggioso per te. Buonanotte” non mi lasciò il tempo di rispondere ed uscì dalla stanza.
Scossi la testa tra me e me mentre un sorriso arcuava la mia bocca. Poteva fare l’arrogante quanto gli pareva ma ero stata io a vincere il primo round.



NOTE FINALI:

devo dire che questo capitolo mi ha procurato diversi grattacapi...probabilmente non sono stata in grado di descrivere bene la passione che c'è tra Michael ed Elena, ma la mia inesperienza in campo amoroso ha giocato contro di me. per prinma cosa volevo dire che leggendo questo capitolo ho capito una cosa fondamentale per me. Elena non mi somiglia. almeno, non del tutto. all'inizio di questa storia avevo messo molto di me stessa in questo personaggio ma oggi scrivendo mi sono resa conto che Elena non fa più parte di me. è quasi reale ormai per me e stimo profondamente questa ragazza di inchiostro. ma passiamo al capitolo...per prima cosa l'incontro con Savannah. ancora una volta possiamo vedere la bontà di questa donna-bambina, la sua ingenuità e la sua disponibilità. prevedo degli sviluppi anche per lei ed Athena, che sono due personaggi a cui mi sto lenamente affezionando. quello che voglio farvi ntoare è però il comportamento che Elena assume con Savannah e quello che assume con Michael. con la sua amica è fredda, distaccata, non mostra le sue vere emozioni. con Michael tutto sale a galla. che sia rabbia o attrazione, niente in Elena mente quando è con lui. e questa è la parte principale del capitolo. lo scontro di due personalità talmente forti che probabilmente finiranno per distruggersi a vicenda. sono entrambi troppo testardi, troppo passionali, troppo tutto...Elena è ancora inesperta nelle relazioni fisiche, non ha mai fatto l'amore e non è mai stata veramente attratta da qualcuno. Michael ivnece come potete immaginare è molto esperto. eppure Elena sta scoprendo un lato passionale del suo carattere un lato che Michael riesce ad assecondare ed appagare. ancora una volta però è la parte razionale di Elena ad avere la meglio e francamente sono sollevata che sia stato così. sebbene sia io a scrivere questa storia il capitolo mi è leggermente sfuggito di mano, tanto che credo alzerò il rating da giallo ad arancione. sono rimasta con il fiato sospeso finchè Elena non ha trovato la forza di allontanare Michael. perchè lui non le sta offrendo niente e lei ha bisogno di sicurezza. lo si può capire da una frase all'inizio del capitolo, un piccolissimo riferimento a suo padre. nessuno si è mai preso davvero cura di lei, quindi è questo che Elena cerca realmente...e credo che Michael sia la persona meno adatta a darle quel senso di sicurezza di cui lei ha bisogno..beh staremo a vedere. piccola curiosità che vi svelo...scrivendo questo capitolo e immaginando la relazione di Michael ed Elena mi è venuta in mente la canzone "Love the way you lie" di Eminem e Rihanna. vedete il video, quello con Megan Fox se vi capita, potrebbe darvi un'idea più chiara del rapporto tra questi due. in particolare la frase "Maybe that's what happen when a tornado meet a volcano" ecco Michael è un vero tornado che irrompe nella vita di Elena, ma lei è un vulcano, pronto da un momento all'altro ad esplodere.

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Capitolo 14
*** Cordoglio e tradimento ***


“Elena svegliati. Faremo tardi a scuola” Savannah mi scuoteva delicatamente per farmi riemergere dal mio profondo sonno. Sbattei le palpebre e aprì gli occhi inquadrando il viso a cuore della mia amica proteso sopra di me.
“che ore sono?” mormorai assonnata mentre mi giravo dall’altra parte e abbracciavo il cuscino.
“l’ora di andare a scuola pigrona” mi afferrò per una spalla e con delicatezza mi girò verso di se.
“ho sonno” brontolai mentre mi coprivo il viso con il cuscino
“dormirai in classe. Dai le altre sono tutte già vestite” mi spronò.
Sbuffai e mi sollevai un po’, fissandola malamente. Questo la fece scoppiare a ridere. Mi scompigliò i capelli e aprì le tende del baldacchino per fare penetrare la luce fino a me. Mi stiracchiai voluttuosamente, sorridendo soddisfatta.
Avevo dormito bene, senza che orribili incubi venissero a disturbarmi.
Savannah era andata ad aprire le mie valigie. Ne tirò fuori una camicia verde che mi lanciò insieme ad un paio di jeans chiari.
“vestiti. In fretta. Se tra cinque minuti non sei pronta mando Angeline su a prenderti” minacciò ridendo mentre si precipitava fuori dalla camera.
Quella minaccia bastò a farmi saltare giù dal letto. Mi affrettai ad andare in bagno per lavare i denti ed il viso. Mi lavai e vestii in tutta fretta e quando scesi le scale stavo ancora cercando di allacciare i lacci delle all star. Non avevo neanche il tempo di fare colazione.
Savannah era già in macchina. Lei ed Athena ne avevano una e quindi solitamente era una delle due a darmi un passaggio fino alla scuola. Salì in macchina e mi piegai per sistemare i lacci delle scarpe.
Inciampare davanti a tutta la scuola era una cosa che volevo assolutamente evitare. L’altra era Michael. Dubitavo che ci sarei riuscita, ma ci avrei almeno provato.
Savannah partì lentamente, con prudenza. Anche nella guida era calma e controllata.
Mentre lei guidava io abbassai lo specchietto e mi dedicai ad un ritocco del make up, giusto per controllare che tutto fosse in ordine. Avevo avuto il tempo di darmi appena una passata di lucidalabbra ma apparivo comunque molto bella. La mia non era presunzione perché ero in grado di valutare freddamente persino me stessa. Ero piccola e minuta ma con le curve sufficientemente accentuate. Avrei potuto essere bellissima se fossi stata più alta e slanciata. Invidiavo molto Athena e Savannah per la loro corporatura longilinea.
Chiusi lo specchietto e mi concentrai sulla strada, cercando di non pensare al fatto che probabilmente Michael mi aveva trovato troppo piccola e gracile.
Lui mi sovrastava di più di una testa. Doveva essere almeno venti centimetri più alto di me.
Uffa ma perché dovevo sempre pensare a lui, in positivo o in negativo che fosse?
“oggi dovrai parlare con Rachel. Sarà distrutta povera piccola” la voce compassionevole di Savannah mi riportò con i piedi per terra. Ah già..la nuova recluta. Quella la cui vita sarebbe stata affidata a me.
Sinceramente non avevo pensato affatto allo stato emotivo in cui si sarebbe trovata. Questo dimostrava la mia poca sensibilità. Sospirai al pensiero di dovermi sorbire pianti e lacrime. Non ero dell’umore giusto per consolare nessuno. anzi, raramente ero talmente ben disposta da offrire il mio sostegno. Le uniche che potevano chiedere il mio aiuto anche durante una crisi di pianto erano Athena e Savannah.
“i genitori la vogliono allontanare un po’ dall’atmosfera cupa della casa quindi ne approfitteremo e la porteremo a Villa Temple. prenderà quella che era la camera di Juliet anche se non credo sia saggio dirle che era della sorella” Savannah sembrava molto ben informata. Parlava con sicurezza, come se fosse tutto già stabilito.
“come sai tutte queste cose?” domandai un tantino perplessa. Scoppiò a ridere e si voltò a guardarmi mentre faceva retromarcia per posteggiare nel parcheggio della scuola.
“io ho ascoltato quello che diceva tua nonna ieri sera. Se anche tu le avessi prestato un minimo di attenzione ne sapresti tanto quanto me” rispose mentre sfilava le chiavi dal quadro e scendeva dalla macchina. Scesi anche io e feci il giro per affiancarmi a Savannah. Naturalmente avevamo già tutti gli occhi puntati addosso. Salutai gente che conoscevo solo di vista e sorrisi a tutti mentre mostravo un’espressione contrita e dispiaciuta a tutti coloro che mi chiedessero notizie su Juliet.
Ci misi un po’ a trovare quello che cercavo. Una chioma rosso fiammante un po’ in disparte rispetto alla folla. Mi avviai in quella direzione e trovai Rachel, la sorella di Juliet, seduta in un angolo, praticamente invisibile a tutti. Lacrime calde bagnavano le sue guance e cadevano sulle sue mani.
Mi chinai per passarle un braccio intorno alle spalle anche se mi sentivo un po’ impacciata nel mio ruolo di guida e sostenitrice.
“va tutto bene Rachel.” Sussurrai mentre la confortavo con un lievissimo abbraccio.
Cosa altro potevo dirle? Sua sorella era appena morta! Mi sembrava assurdo rifilarle tutti quei “
lei non vorrebbe vederti piangere, lei vorrebbe vederti felice”.
Nessuna di noi poteva sapere cosa Juliet avrebbe voluto, anche se secondo me avrebbe voluto essere vendicata. Ma a quello ci avrei pensato io appena possibile.
“non può essere successo davvero” singhiozzò nascondendo il suo viso piccolo e infantile nell’incavo del mio collo. Le accarezzai la schiena timidamente e nel frattempo cercai con lo sguardo Savannah. I nostri sguardi si incrociarono sopra la marea anonima di volti.
Un sorriso triste piegava le labbra della mia amica, che però mostrò di approvare il mio comportamento. Ci scambiammo un cenno e Savannah si occupò in fretta di attirare su di se l’attenzione in modo che nessuno si accorgesse di me e Rachel, abbracciate in un angolo.
Sinceramente non sapevo come comportarmi con quella bambina disperata. Niente di quello che io avessi detto avrebbe potuto lenire il suo dolore. nessuna parola avrebbe reso meno reale il atto che sua sorella era morta e nessuna parola le avrebbe ridato sua sorella.
Mi sentivo estremamente inutile, perché non c’era niente che io potessi fare realmente per lei.
“Rachel so che è difficile. So che il mondo ti sta crollando sotto i piedi” sussurrai mentre prendevo il suo viso tra le mani e la costringevo a guardarmi. I suoi occhi verdi erano arrossati dal pianto.
“credimi, lo so. Ci sono passata anche io. Ma piangere non serve a niente. Bisogna essere forti e tirare avanti. Per quanto tu possa piangere la situazione non cambierà. Niente potrò tornare come prima. Ma potrai cambiare il futuro. Se rimani qui a piangere la tua vita ti scorrerà davanti senza che tu abbia la possibilità di viverla” mormorai cercando di suonare quanto più delicata a confortate possibile.
Forse non erano le parole adeguate e forse non erano le parole più dolci che le potessi rivolgere. Probabilmente avrei dovuto rincuorarla tirando in ballo gli angeli il cielo e il fatto che Juliet era sempre con lei ma non me la sentivo di scendere in argomenti in cui io per prima stentavo a credere. Avevo preferito parlare con sincerità e dirle le cose che avrei volute dette io quando era morta mia madre. 
Niente stupidaggini e niente mezze verità.
Le lacrime continuarono a solcare inesorabili il suo viso, ma per lo meno smise di singhiozzare.
“perché è successo questo?” domandò disperata aggrappandosi a me.
Scossi la testa in silenzio “non lo so” sussurrai. In realtà lo sapevo benissimo. Era successo perché esistevano degli abomini come i Mutati. Era successo perché sua sorella era una ragazza coraggiosa e aveva accettato il compito di lottare per proteggere il mondo umano, mettendo in pericolo se stessa. Era successo perché la vita semplicemente non è giusta. la vita non guarda in faccia niente e non si preoccupa del dolore di nessuno. ha i suoi progetti e resta insensibile a lacrime e preghiere.
La vita è crudele ma è tutto quello che abbiamo.
Sollevò una mano per asciugarsi le lacrime ma stava tremando, cercando con tutta se stessa di controllarsi. Maledizione non ero pronta a questo. Non ero pronta a consolare nessuno meno che meno questa bambina dall’aria fragile.
La strinsi con delicatezza e guardai dritto di fronte a me mentre la lasciavo piangere. Restammo immobili fino a che il suono della campanella non ci fece sobbalzare.
Mi scostai con delicatezza da lei e presi la sua mano costringendola ad alzarsi.
“dobbiamo andare” la incitai muovendomi frettolosamente verso la mia classe. Si fermò e scosse la testa. Teneva il capo chino e le lacrime avevano ripreso a scorrere.
“non voglio…non voglio entrare in classe. Non voglio che le mie compagne mi facciano domande. Non voglio il loro aiuto” sussurrò mentre nascondeva il viso tra le mani.
Chissà se il mio invece lo avrebbe accettato....Beh c’era un solo modo per scoprirlo.
“se vuoi puoi venire con me…ti proteggerò io” sussurrai avvicinandomi un po’ e posandole una mano sul braccio. Cercavo in tutti i modi di dire la cosa giusta ma non ero mai stata una campionessa di tatto quindi probabilmente non me la stavo cavando bene.
Sollevò lo sguardo per incrociare il mio e non so cosa vi lesse ma annuì senza parlare.
Sorrisi, rassicurante, e le presi di nuovo la mano, guidandola ancora una volta. Sospirai pensando che da adesso in poi questa fragile vita era letteralmente nelle mie mani.
Quando entrai in aula l’attenzione si spostò dal professore a me e Rachel. Nascosi per quanto possibile il suo volto basso e rigato di lacrime e andai a sedermi in un banco libero. Rachel prese una sedia e l’accostò al mio banco, il tutto senza alzare lo sguardo. Le strinsi una mano cercando di darle forza.
Certe volte l’attenzione era una brutta cosa…soprattutto quando tutto quello che si voleva era restare soli con il proprio dolore.
Rachel rimase tutto il giorno raggomitolata al mio fianco, senza lasciarmi mai la mano. La portai a tutte le mie lezioni e la protessi da domande troppo curiose. Ad un certo punto della giornata aveva smesso di piangere ma la tristezza velava ancora il suo sguardo. Era normale ma mi sentivo impotente nel non poterla aiutare sul serio. Era una sensazione maledettamente frustrante.
Quando arrivammo alla mensa i tavoli erano tutti pieni di gente che sussurrava a mezza voce. Gente che si chiedeva cosa fosse successo e aggiungeva aneddoti e particolari ad una storia che, se fosse stata divulgata, sarebbe stata già di per se troppo macabra.
Trascinai Rachel fino al mio solito tavolo e la feci sedere nell’angolo più appartato, in modo che potesse godere di un po’ di tranquillità. Non potei impedire però che il chiacchiericcio giungesse fino a noi. Lanciai un paio di occhiate inceneritrici di qua e di la e l’effetto fu immediato. Le voci si abbassarono fino a diventare tenui mormorii di sottofondo.
Savannah e Jake erano già al tavolo e cercarono di non fare caso alla nostra presenza quando ci unimmo al gruppo. Probabilmente Savannah aveva già raccomandato ai ragazzi di non mostrarsi troppo interessati. Come sempre Savannah era premurosa e gentile.
“tu che ne dici piccola?” la voce di Jake mi costrinse a voltare la testa per dedicargli la mia attenzione. Ero ancora seccata per quello che era successo ieri. Anzi ero arrabbiata. Gli rivolsi un lungo sguardo freddo che ricambiò con aria perplessa e subito dopo un po’ colpevole.
“non ho seguito la discussione e non mi interessa seguirla dal momento che riguarderà sicuramente la partita di basket che avete giocato ieri?” sorrisi e tornai a voltargli le spalle.
Rachel aveva per qualche istante smesso di guardare il suo piatto e aveva ascoltato la mia discussione perciò quando tornai a voltarmi verso di lei incrociai il suo sguardo. Divenne rossa e abbassò immediatamente la testa nel timore che m arrabbiassi con lei.
Mi chinai per sussurrarle all’orecchio qualche parola nel tentativo di farle capire che per me non c’era nessun problema se ascoltava me e Jake. Ma soprattutto nel tentativo di distrarla.
“lo sport non mi piace per niente. Tu che ne pensi?” domandai con un sorriso e lasciando che la mia voce assumesse una sfumatura morbida.
“io…non me ne intendo molto di basket. Ma mi piace il pattinaggio” sussurrò con lo sguardo chino.
“fantastico il pattinaggio. Mi ha sempre affascinata ma ti confesso che la paura di cadere mi ha sempre frenata dal provare” una conversazione banale al solo scopo di distrarla.
“se vuoi qualche volta potrei insegnarti” mormorò mentre sorseggiava distrattamente una coca cola.
“sarebbe grandioso. Ma non mi filmare mentre cado per terra altrimenti tutta la scuola riderà di me”
“oh no! Non lo farei mai!” si affrettò ad assicurare. Le sorrisi gentilmente e non risposi anche perché non mi veniva in mente nessuna brillante replica.
Le altre ore passarono così, tra sorrisi accennati, bisbigli concitati e lacrime silenziose.
Feci del mio meglio per distrarla durante le lezioni e evitarle il continuo chiacchiericcio che ci seguiva, ma sapevo che lei era ben conscia delle attenzioni indiscrete del corpo studentesco. Anche qualche professore ci mise la sua facendole le condoglianze e dicendole le solite sciocchezze stile “lei adesso è in un posto migliore. È il tuo angelo custode” ecc.
Quando finalmente le lezioni terminarono i genitori la stavano aspettando davanti al cancello della scuola. Entrambi avevano gli occhi rossi e stanchi. I loro visi erano pallidi e tirati, gli occhi cerchiati da occhiaie profonde, il dolore chiaramente visibile in ogni gesto. La salutai con un breve sorriso di incoraggiamento e la guardai andare a testa china dai genitori e lasciarsi abbracciare. Fui improvvisamente e assurdamente gelosa di lei. Io non ero mai stata abbracciata da mio padre in questo modo. Gli abbracci di mia mamma neanche li ricordavo. La invidiai perché nonostante tutto lei aveva una famiglia, qualcosa che io non avrei avuto mai e poi mai.
Strinsi i pugni e mi voltai per non dover più vedere il delizioso quadretto familiare. Il mio sguardo si indurì, una reazione istintiva quando vedevo che qualcosa poteva ferirmi.
“eih amore. ti accompagno a casa” mi girai di scatto e vidi Jake sul suo fuoristrada che aveva inchiodato proprio vicino a me.
“un po’ tardiva come proposta” risposi senza guardarlo mentre mi dirigevo verso la macchina di Savannah. Rimase in silenzio senza sapere bene come prendermi ma mi seguì con la macchina.
“e dai mi tieni il broncio?” domandò sporgendosi un po’ dal finestrino.
“no Jake. Tenere il broncio è infantile. Io sono arrabbiata è un po’ diverso” risposi continuando a guardare dritto davanti a me. Ma quanto ci metteva Savannah ad arrivare?
“allora sali e ne parliamo. Vuoi restare arrabbiata per tanto tempo? E poi ho detto a Savannah che tornavi con me” continuò ridendo. La sua allegria mi sembrava totalmente inappropriata. Ah voleva parlare? Bene! che si preparasse a vedersi piombare addosso il tornado Elena.
Non gli risposi ma aggirai la macchina e andai ad aprire la portiera dal lato del passeggero.
“portami da mia nonna”
“vedi stai sempre a dare ordini. È per questo che le cose tra noi non vanno” sbuffò ma partì senza ulteriori discussioni.
“no Jake le cose tra noi non vanno perché sei infantile, immaturo, capriccioso, arrogante, impulsivo, testardo, geloso, asfissiante…potrei trovare un centinaio di altri termini ma mi fermò qui” sbottai io. Ah adesso era colpa mia? Da quando in qua mi trovava così dispotica.
“non è vero non sono così” protestò mentre il suo viso si adombrava leggermente.
“ah no?” sollevai un sopracciglio guardandolo con aria leggermente ironica.
“io sarò anche un po’ autoritaria ma tu sei troppo immaturo. Quando ho bisogno di te non ci sei mai, quando invece ci sei ti arrabbi per delle cavolate”
“mi dispiace non esserci stato ieri. Davvero. non pensavo che saresti andata a piedi da sola. Insomma ti avevo detto di aspettare. Ma quando sono arrivato a casa tua Amy mi ha detto che eri già andata” si giustificò un tantino imbarazzato.
Evidentemente aveva capito di averla fatta grossa.
Probabilmente avrei dovuto annuire e dirgli che mi aveva costretta a trascinare le valigie per un kilometro e passa, aumentando il suo senso di colpa, ma non ero capace di mentire e poi volevo in un certo senso dimostrargli che senza di lui me la cavavo più che bene.
“non potevo aspettarti per due ore! Mia nonna aveva bisogno di me” protesta indignata. Poi sorrisi come un gatto davanti alla tana di un topolino.
“ah, e comunque non sono mica andata a piedi. Ho incontrato Michael e lui gentilmente si è offerto di darmi un passaggi" la sua reazione alle mie vellutate parole fu istantanea.
Strinse le mani intorno al volante e mi fulminò con un’occhiata arrabbiata.
“Michael? Michael?! Adesso gli dai del tu? Avrei dovuto spaccargli la faccia” era arrabbiato e la cosa mi faceva piacere. Si era meritato una piccola punzecchiatura.
“si gli do del tu dato che è stato così gentile da aiutarmi quando tu non c’eri” risposi sorridendo allegramente. Non era una cosa saggia continuare a stuzzicarlo ma io non riuscivo ad impedirmelo.
“quindi io volto le spalle un giorno e subito civetti con un altro?” gridò furioso.
“non ci ho mica civettato. Ma almeno lui ha abbastanza decenza da non lasciare una ragazza a se stessa” Lo provocai mentre iniziavo ad arrabbiarmi anche io.
“io lo ammazzo” minacciò infuriato.
“ci hai già provato e ti è andata male. “ gli ricordai gongolando
“ne sei felice eh? E io che ero pronto a fare a pugni con lui solo per te” stavolta la sua espressione era talmente ferita che mi sentii in colpa.
“oh Jake! Io non voglio che tu faccia a pugni con nessuno…vorrei solo che tu fossi più presente e ti impegnassi un minimo per che so…fare conversazione. Ti rendi conto che ogni volta che ci vediamo non parliamo di altro se non di sport? Quando sono così fortunata da avere tempo per parlare prima che tu inizi a lamentarti che non ci baciamo mai!” mi ero ammorbidita un po’ ma non intendevo lasciare la questione in sospeso.
“non ti piace baciarmi?” chiese sorpreso.
“no Jake non ho detto questo. Ma vorrei anche dedicarmi ad una conversazione interessante tanto per cambiare.”sospirai mentre cercavo di chiarire il concetto. Ero sicura che il suo atteggiamento non sarebbe cambiato di una virgola. Per lui quello che stavo dicendo non aveva alcun senso.
“di cosa dovremmo parlare?” domandò totalmente sconcertato.
“non so Jake…di cosa parli con i tuoi amici?” mi pentii subito di averlo chiesto.
“di sport!” rispose immediatamente. Sembrava stupito che avessi fatto una domanda del genere. Effettivamente era stato stupido da parte mia…di cosa accidenti parlava Jake? Solo e soltanto di sport. Sbuffai e alzai gli occhi al cielo chiedendomi per quale motivo sprecassi il mio tempo con lui. Era carino ed affascinante, certe volte anche dolce…ma a me servivano stimoli intellettuali!
Ok questo senso di insoddisfazione era affiorato in tempi recenti però….però in qualche modo Jake non era più abbastanza. Mi sentivo meschina per questo, ma non lo consideravo abbastanza.
“ok allora tieni presente i tuoi amici…e non dire niente di quello che diresti a loro” tagliai corto perché la discussione iniziava a farsi noiosa.
Scoppiò a ridere mentre il buonumore tornava sul suo viso.
“ma io mica cerco di baciare Jason e Julian” sospirai e scossi la testa. Era un caso disperato. Ormai iniziavo a pensare che il suo cervello avesse spazio solo per due cose: ragazze e sport. Era triste constatare quanto può essere frustrante confrontarsi con l’intelletto maschile.
Arrivammo finalmente a villa Temple. tirai un sospiro di sollievo e mi preparai ad una rapida fuga strategica. Imboccammo il vialetto e Jake parcheggiò nei pressi del cancello.
Guardai distrattamente in quella direzione. E notai due figure abbracciate, o meglio, avvinghiate.
Angeline era appoggiata al muro, gli occhi socchiusi, un sorriso sornione dipinto sulle labbra rosse. Non riconobbi il ragazzo che le stava baciando il collo con passione. Scossi la testa sorridendo silenziosamente. Non mi sarei fatta sfuggire l’occasione per lanciarle qualche commento sarcastico. Ne avevo già pronti un bel po’. Fu allora che il ragazzo sollevò il viso ed incrociò il mio sguardo. Michael si accorse di me e Jake. Fece un passo indietro, continuando a fissare me.
Il sorriso che fino a qualche istante fa aveva piegato le mie labbra sparì. Fui veloce a girarmi verso Jake e sorridergli per nascondere a Michael il fatto che, trovarlo lì, abbracciato con Angeline, mi avesse turbato. Era perché lei era la mia peggiore nemica o perché provavo qualcosa per lui? Non lo sapevo ma a questo punto non intendevo indagare a fondo. Fu solo grazie al mio famosissimo autocontrollo che riuscì a voltarmi verso Jake e sorridergli.
“vedi che non c’era bisogno di preoccuparsi? Adesso non devi spaccare la faccia nessuno”
Lui sorrise di rimandò e parcheggiò la macchina. Stava gongolando, lo vedevo benissimo.
Non mi voltai per controllare cosa stessero facendo Michael e Angeline. Preferivo non sapere.
Jake finì la manovra di retromarcia e poi mi attirò a se per salutarmi con un bacio.
Risposi con più slancio del normale perché speravo che Michael stesse osservando. A dire il vero il contatto delle labbra di Jake non mi entusiasmava più. Mi sembrava scontato banale e prevedibile. Mi sembrava…freddo. Non c’era calore, almeno da parte mia.
Jake invece non si accorse di nulla e intrecciò le dita dietro i miei capelli, arruffandomeli.
Mi divincolai con dolcezza cercando di non far trapelare il fastidio che mi dava quell’abbraccio.
“e dai Jake. Mi hai guastato tutti i capelli” sbuffai ma tornai a sorridere attraverso una ciocca di capelli. Ovviamente era tutto uno spettacolo a beneficio dei due possibili spettatori.
Scesi dalla macchina in fretta, prima che Jake potesse attirarmi di nuovo a se per un altro bacio indesiderato. Lo salutai con la mano e mi voltai ad affrontare i miei due peggiori nemici.
Angeline aveva assunto una posa disinvolta ma si vedeva dalla sua espressione che era seccata dall’intrusione. Avevamo interrotto un incontro molto bollente a giudicare dalla scena di poco prima.
Michael stava qualche passo davanti a lei e mi fissava imperscrutabile. Ebbi sufficiente tempo per prepararmi psicologicamente a qualsiasi battuta sgradita e per fare apparire sulla mia faccia il solito sorriso di circostanza. Arrivai al portone e li salutai con un finto sorriso imbarazzato.
“salve ragazzi. La casa è grande se volete vi metto a disposizione una delle tante stanze degli ospiti” risi in modo naturale. niente nella mia voce o nel mio viso manifestava l’irritazione e la rabbia che sentivo assalirmi. Michael non rispose ma Angeli sbuffò seccata.
“se voglio posso benissimo portarlo in camera mia”
“oh fai pure. Ma è vicina a quella di mia nonna e sai…beh sarebbe di cattivo gusto. Buon proseguimento” sussurrai mentre mi allontanavo lentamente. Gli girai le spalle cercando di mantenere una camminata fluida e rilassata. Avrei voluto correre in camera di Angeline e dare fuoco a tutti i suoi vestiti.
Non ero mai stata gelosa in vita mia. Non avevo mai provato una tale rabbia se non contro i Mutati. Ripensavo ad Angeline stretta tra le braccia di Michael e una fitta di gelosia si impadroniva di me. Ma c’era anche un’abbondante porzione di rabbia. Rabbia perché Michael era uno sporco doppiogiochista. Rabbia perché ieri aveva baciato me e oggi lei…rabbia perché temevo che avesse raccontato ad Angeline ciò che era successo ieri…rabbia perché nessuno aveva il diritto di giocare con me. Rabbia perché Michael iniziava a piacermi davvero. possibile che il primo ragazzo che mi interessasse veramente dovesse essere un idiota?
Entrai nella mia stanza e mi sbattei con furia la porta alle spalle. Iniziai a camminare nervosamente su e giù per la stanza, maledicendo mentalmente lei, lui e anche me stessa e la mia debolezza. Da quando in qua mi perdevo la calma a causa di un ragazzo?
Passai una notte praticamente insonne. Mi bastava chiudere gli occhi per rivedere il suo sorriso beffardo, il suo viso perfetto…ma soprattutto il suo corpo avvinghiato a quello di Angeline.
Quando Jake venne a prendermi la mattina dopo per portarmi a scuola ero più irritata che mai e pronta a scattare come una molla alla minima provocazione. Rachel non era ancora venuta a dormire da noi ma sospettavo che oggi mi sarebbe stata appiccicata. Da una parte la cosa non mi dispiaceva perché quella bambina sofferente avrebbe potuto impegnare il mio tempo e farmi smettere di pensare a quei due. Egoista? Forse un po’. Ma tutti siamo un po’ egoisti e tutti cerchiamo un modo per stare meglio, un balsamo che lenisca il dolore delle ferite. Oppure una camomilla per frenare la rabbia. Nel mio caso forse entrambe le cose.
Facemmo tutto il viaggio in macchina senza fiatare, mentre lui mi lanciava occhiatine furtive domandandosi il perché del mio malumore.
Quando parcheggiò scesi in fretta cercando di non guardarmi intorno per scorgere Michael o Angeline ma non riuscii a trattenermi del tutto e lanciai furtive occhiate al parcheggio per cercarli. Nessuno dei due sembrava nei paraggi.
Probabilmente erano appartati da qualche parte pensai con un’amara sincerità.  Però in fondo mi rimaneva la soddisfazione di non aver ceduto a Michael. Non completamente almeno. Se non altro potevo dire che non mi aveva aggiunto alla sua lista di conquiste da una notte e via.
Scostai i capelli dal viso sbuffando irritata e mi avviai a passo di marcia verso l’entrata della scuola. Come al solito fui seguita dalle occhiate ammirati e dai saluti reverenziali ma oggi non ero dell’umore per sorridere e distribuire gentilezze. Rachel mi venne incontro con lo sguardo basso non sapendo bene come comportarsi. Sembrava che fossi diventata il suo unico punto di riferimento, il suo appiglio nel caos che era diventata la sua vita. le sorrisi con quanta più dolcezza fossi capace nel mio attuale stato d’animo e le feci cenno di seguirmi.
Jake era rimasto indietro e mi guardò mentre m allontanavo, scuotendo la testa divertito. Probabilmente non capiva quanto poco propensa fossi a divertirmi in quel particolare frangente. Accompagnai Rachel alla sua lezione e poi mi diressi alla mia. La giornata fu interminabile e noiosa come al solito. La passai correndo da un’aula all’altra senza parlare con nessuno, troppo di malumore per perdermi nelle banali conversazioni dei miei coetanei. Savannah intuì il mio umore inspiegabilmente cupo e capì che era meglio starmi alla larga. Saggia decisione. Sapevo che presto o tardi il mio malumore sarebbe esploso e non volevo prendermela con Savannah. Del resto non volevo prendermela neanche con Rachel ma non era altrettanto facile tenere lontano quella ragazzina spaurita.
Per tutto il giorno mi camminò a fianco, attaccandosi con forza al mio braccio. In più di un’occasione fui tentata di mandarla via con parole tutt’altro che amorevoli ma il suo viso mi ispirava una strana tenerezza e nonostante il malumore non ebbi il cuore di sgridarla. Me la portai dietro come una scimmietta per mezza giornata. Quando finalmente suonò l’ora della mensa potei raggiungere il mio tavolo e riappropriarmi del mio braccio di cui Rachel si era impossessata per tutta la giornata. Mi sgranchii la mano anchilosata tanto la ragazza l’aveva stretta e sospirai. Savannah Jake e gli altri mi lanciarono furtive occhiate di traverso ma nessuno parlò. Io mi guardai intorno distrattamente nel tentativo di scorgere i biondi capelli di Angeline e quelli corvini di  Michael.
Lei era seduta ad un tavolo appartato insieme a Kathleen ed Elisabeth ma lui non c’era. Non seppi cosa pensare ma fui soddisfatta che lei non lo avesse per se, almeno in quel momento.
Tornai a prestare attenzione al mio tavolo e mi accorsi che tutti gli sguardi erano puntati su di me.
“beh? Che avete da guardare?” chiesi sorridendo mentre prendevo dal tavolo il mio bicchiere di coca e sorseggiavo lentamente la bibita fredda.
“so di essere meravigliosa ma così mi mettete a disagio” scherzai divertita. il mio umore era in neta ripresa!
Jake rise e si chinò verso di me per sfiorarmi le labbra con un bacio. Ricambiai con leggerezza, felice di dare un’immagine di me stessa spensierata e allegra. Per nessuna ragione al mondo qualcuno avrebbe dovuto scoprire che in questo momento tutto quello che volevo era alzarmi andare a cercare Michael e prenderlo a schiaffi. Nascosi però in modo eccezionale i miei pensieri e niente di tutto questo fece capolino nella mia espressione. Apparivo allegra e serena, perfettamente padrona di me stessa e di ogni situazione.
Ricominciarono le chiacchiere e gli scherzi ma dentro di me sentivo crescere l’inquietudine. Dov’era Michael? Che fine aveva fatto?
Sospirai e cercai di concentrarmi sulla conversazione in atto ma mi sembrava estremamente banale. Mi appoggiai allo schienale della sedia e spostai la mia attenzione su Rachel che fissava con aria sconsolata il suo piatto.
I capelli rosso scuro le accarezzavano le spalle e il volto, stanco e tirato, era quello di una bambina. La sua infantile bellezza era sorprendente ma ancora di più lo erano i profondi occhi verdi. Volevo capire qualcosa di più di lei perché, che lo volessi o meno, sarebbe stata mia responsabilità per i prossimi tre anni come minimo.
Rachel sollevò il capo verso Savannah e il resto del gruppo fissando i loro sorrisi come se fossero qualcosa di alieno. Ovviamente non era ancora pronta a divertirsi. La tragedia che aveva investito la sua vita era troppo recente e soprattutto troppo dolorosa.
Rividi il corpo di Juliet così come lo avevano mostrato le fotografie e ancora una volta fui assalita dalla rabbia. Strinsi i pugni nascosti sotto il tavolo desiderando partire immediatamente. Volevo andare a caccia. Volevo uccidere chiunque avesse fatto una cosa tanto tremenda.
Non era il semplice omicidio di una Custode…era il modo in cui tutto era stato compiuto…come se fosse una festa. Chiunque lo avesse fatto si era divertito. Si era divertito ad uccidere, a spaventarci…a distruggere. Mi domandai quanto si sarebbe divertito quando lui sarebbe stato la preda e io la cacciatrice. Quando avesse visto la mia spada penetrare nella sua carne e sentito la vita scorrere via dal suo corpo. Pregustai la sensazione del suo sangue sotto le dita….sangue.
Il mio stomaco si contorse mentre qualcosa di estremamente terrificante succedeva nella mia mente. Il sangue inondava tutto. il mio sogno ad occhi aperti si tramutava nell’incubo di sempre. Lo scenario immaginario della mia vendetta si tinse di rosso e le mie mani tremarono.
Sapevo di essere seduta alla mensa, sapevo di essere attorniata da amici…eppure sapevo anche di essere sola in una spiaggia inondata di schizzi di sangue. Il mio corpo camminava verso il mare in tempesta e i miei piedi si bagnavano nell’acqua tinta di rosso. Desideravo urlare ma non volli farlo perché ero consapevole che quello era solo l’ennesimo terribile incubo ma che il mio grido sarebbe stato reale. Chiusi gli occhi lasciando che l’incubo continuasse perché era il solo modo per farlo cessare. Lascia che nel mio sogno il mio corpo si spostasse in avanti, verso l’acqua rossa mossa dalle onde. Lasciai che il sangue si avviluppasse ai miei vestiti e alla mia pelle candida e lasciai che l’orrore mi travolgesse. Lasciai che il mio corpo nuotasse nel mare rosso del sangue e che i miei capelli si impregnassero di rosso. Lasciai che la mia testa andasse giù e che i miei polmoni inalassero il sangue viscoso che riempiva la mia testa.
Sbattei le palpebre e tornai alla realtà. Le mie mani erano strette convulsamente ai bordi della sedia e tremavano e il mio viso era più pallido del solito, ma nient’altro tradiva il terrore che mi aveva attanagliato fino a qualche istante fa. Se non potevo controllare i sogni potevo quantomeno controllare la me stessa reale. Nessuno si era accorto di niente e la conversazione procedeva tranquilla e rilassata. Staccai le mani dalla sedia e me le passai tra i capelli, un gesto che riusciva sempre a calmarmi e infondermi sicurezza.
Non l’avrai vinta pensai furiosa e soddisfatta al tempo stesso. Furiosa perché ancora una volta qualcuno stava giocando con me e con la mia testa. Soddisfatta perché ancora una volta, in un modo o nell’altro, non gli avevo permesso di averla vinta. Non del tutto almeno.
Improvvisamente le conversazioni attorno a me si smorzarono e si affievolirono fino a diventare tenui sussurri. Savannah e Annabel smisero di parlare e si voltarono per qualche istante a fissare qualcosa alle mie spalle. Jake sbuffò irritato e si voltò dall’altra parte.
Mi voltai anche io curiosa di sapere a cosa si doveva tanto interesse.
Prevedibile. Michael era appena entrato in mensa. Indossava un giubbotto nero attillato, un paio di jeans scurissimi e attillati e una maglia blu cupo attillata e aderente. Gli occhiali da sole scuri coprivano i suoi occhi incredibilmente profondi. Le ragazze nella stanza lo fissavano ipnotizzate perché c’era qualcosa di nuovo e diverso nel suo modo di fare…sembrava ancora più bello e arrogante che mai. Sembrava carico di energia e di…potere. Non sapevo come altro definirlo.
Distolsi lo sguardo perché non volevo che mi sorprendesse a fissarlo. Sicuramente ero io che lo vedevo in una luce nuova perché mi stavo rendendo conto di subire il suo fascino come tutte le altre ragazze. Anzi forse un po’ di più.
Michael camminava tra i tavoli con la sua andatura lenta ed elegante, consapevole degli sguardi ammirati che lo seguivano. Sorrideva tra se, divertito. Ero sicura che si sarebbe seduto al tavolo di Angeline ma tirò dritto…verso di noi.
Lo vidi avvicinarsi senza sapere bene cosa fare, ancora leggermente distratta ad ammirare il suo fisico perfetto e i suoi capelli scurissimi.
Lo vidi arrivare fino al mio tavolo e fermarsi alle mie spalle sorridendo.
semplicemente lo vidi.
Poggiò con noncuranza una mano sulla mia spalla destra e si chinò per sfiorarmi la guancia con un bacio, il tutto senza staccare gli occhi dallo sguardo infastidito di Jake. Voleva provocarlo.
“ciao Elena. Posso sedermi?” domandò con voce vellutata e divertita.
Avrei voluto dirgli di andare all’inferno ma non intendevo dare soddisfazione a lui o al resto della scuola. Mi strinsi nelle spalle e sorrisi mentre mi sembrava di sentire ancora il tocco della sua mano sulla spalla. Una sensazione più che piacevole.
“siediti pure se trovi una sedia” risposi assumendo un tono noncurante.
“ma non pensavo volessi sederti al nostro tavolo…hai compagnia migliore che ti aspetta se non sbaglio” mormorai sfoderando un sorriso e inarcando un sopracciglio. In realtà la situazione non mi divertiva neanche un po’. Perché veniva a sedersi al mio tavolo? Angeline glielo permetteva? Qualcosa mi sfuggiva, ne ero certa.
Prese una sedia libera dal tavolo accanto e si sedette accanto a me sorridendo senza alcuna intenzione di raccogliere la mia provocazione. Jake lo fissava con uno sguardo truce che non sembrava preoccupare minimamente Michael.
Dopo qualche istante di silenzio, tutti al mio tavolo tornarono alle loro discussioni tranne Jake che pareva non avere nessuna intenzione di perdermi di vista.
“seriamente…che vuoi?” domandai chinandomi appena verso Michael per evitare che tutti sentissero.
“così si tratta un amico?” domandò ridendo.
“noi non siamo amici Michael” precisai mentre tornavo ad allontanarmi da lui per evitare di fare incazzare ancora di più Jake.
“hai ragione…siamo molto di più” sussurrò ridendo mentre la sua voce morbida e profonda mi accarezzava la pelle. Quel suo tono di voce, quel suo timbro profondo e caldo, vellutato e sensuale, erano una tentazione incredibilmente potente.
Inarcai un sopracciglio ma non risposi perché ad essere sincera non sapevo neanche io cosa dire. Era l’unico in grado di prendermi totalmente in contropiede, l’unico in grado di lasciarmi spiazzata. Ma non per questo intendevo dargliela vinta.
 Tornai a sorseggiare in modo distratto la mia coca cola, tenendolo d’occhio ma cercando di apparire totalmente indifferente.
“allora…non mi chiedi niente?” domandò sorridendo mentre si sporgeva verso di me.
“cosa dovrei chiedere?” feci la finta tonta e lo fissai con espressione confusa. In realtà morivo dalla voglia di fargli un paio di domande, o meglio, di lanciargli un paio di accuse.
“dai non cercare di fregarmi! Te lo leggo negli occhi cosa stai pensando!”
“io non sto pensando assolutamente a niente!” protestai veementemente
“suscettibile…fin troppo sulla difensiva” mi punzecchiò divertito.
Ancora una volta non seppi cosa rispondere e optai per il silenzio. In fondo secondo un antico proverbio il silenzio è la migliore arma…personalmente pensavo che un commento sagace fosse meglio del silenzio ma quando non si sapeva bene cosa dire era meglio astenersi.
“ok visto che fai l’ostinata ti dico io quello che vuoi sapere…no, io ed Angeline non stiamo insieme..ma sai ieri si è offerta di farmi vedere la città e dopo tutta la tua scortesia un po’ di gentilezza mi serviva proprio”
Mi allontanai innervosita, sistemandomi sul bordo della sedia.
“non mi importa assolutamente se stai con Angeline o meno. Per quel che mi riguarda potresti uscire con tutta la scuola, maschi inclusi. Ma non capisco perché sei venuto a sederti qui, accanto a me e al mio caratteraccio, invece che al tavolo di Angeline”
“troppo zucchero alla lunga può stancare” rispose imperturbabile, senza smettere neanche per un attimo di sorridere. Sembrava che niente di quello che io dicessi riuscisse ad irritarlo. Odiavo risultare divertente ai suoi occhi perché per me non c’era niente di divertente nella situazione e soprattutto nel suo modo di fare.
“troppo a lungo? Ma se la conosci da massimo una settimana!” esclamai mentre mentalmente pensavo che anche io lo conoscevo davvero da pochissimo tempo. Eppure aveva qualcosa che mi attirava in modo innegabile. Come il caprifoglio attira le falene la sua voce e i suoi occhi attiravano me. Un paragone assurdo ma la mia mente era investita da immagini altrettanto assurdamente stupide e poetiche. Detestavo i miei pensieri quando prendevano questa piega.
“e comunque lasciami dire che Angeline è tutt’altro che dolce.” Precisai incrociando le braccia al petto un tantino stizzita. I miei pensieri mi infastidivano. Il fascino che lui esercitava su di me mi infastidiva. La mia debolezza mi infastidiva.
“effettivamente hai ragione” mi tolse il bicchiere di coca dalle mani e prima che io potessi riprendermelo iniziò a sorseggiare la mia bibita, fissandomi con aria di sfida.
“ma non è diretta e sarcastica come te” commentò. Non sapevo se prenderlo come un complimento per cui ancora una volta non risposi.
Restammo in silenzio per qualche minuto, entrambi immersi nei nostri pensieri. Sentivo il chiacchiericcio smorzato accanto a noi ma non mi curavo delle persone che mi circondavano. Avevo dimenticato Jake Savannah Rachel…tutti quanti.
Ero concentrata solo sul ragazzo che mi sedeva accanto e che avrei dovuto detestare con tutte le mie forze. Morivo dalla smania di dargli uno schiaffo perché qualunque cosa dicesse restava il fatto che aveva giocato con me e questo non ero disposta a tollerarlo. Lui mi piaceva ma amavo me stessa al di sopra di tutto. poteva sembrare una cosa egoistica e meschina ma avevo imparato a contare esclusivamente su di me e a salvaguardare me stessa e i miei sentimenti. Non avevo mai avuto un padre o una madre che mi consolassero la notte, quando il buio mi spaventava e i mostri sotto al letto venivano a terrorizzarmi. Non avevo avuto dei genitori che mi aiutassero a superare il momento di smarrimento e disagio che era seguito al progressivo mutare del mio corpo. Non avevo avuto dei genitori che mi stessero accanto nelle piccole e nelle grandi cose della vita. Amavo la nonna e sapevo che lei mi amava ma per me era necessario essere indipendente, bastare a me stessa….era una sorta di meccanismo di difesa. Avevo imparato a cavarmela in ogni situazione, emotiva o reale che fosse.
“che fai stasera?” la sua voce a pochi centimetri dal viso mi fece sobbalzare.
“che t’importa?” domandai piccata, rivedendo nella mia testa le sue braccia strette attorno al corpo formoso di Angeline.
“ti invito formalmente ad uscire con me” rispose con sicurezza e tranquillità, apparentemente non conscio del tono da me usato e dal fastidio che mi si leggeva chiaramente sul viso.
“e io ti invito formalmente a lasciarmi in pace” replicai in fretta, fissandolo con aria torva.
“tendi a dimenticarti che io sono fidanzata” ricordai senza incrociare il suo sguardo mentre i miei occhi si soffermavano su Jake, che nel frattempo aveva ripreso a conversare animatamente con Julian. Sicuramente parlavano di basket.
“mi risulta che tu stessa sia disposta a dimenticare questo piccolo intralcio quando lo desideri”
Le sue parole mi fecero trasalire ma ne riconobbi la verità. Ero stata scorretta e meschina.
“un piccolo sbaglio non può pregiudicare un rapporto tanto meraviglioso” gli sibilai offesa dalla sua insinuazione ma soprattutto dal fatto che avesse avuto così poco tatto da ricordarmi il mio piccolo momento di debolezza. Avrebbe dovuto tacere sull’accaduto, soprattutto dopo che lo avevo visto in atteggiamenti “affettuosi” con Angeline. Che diritto aveva lui di parlare?
“quindi lui lo sa?” domandò a tradimento. Sobbalzai e risposi senza incontrare il suo sguardo perché un tremendo senso di colpa mi assaliva. Che razza di persona ero?
“non c’è niente da sapere” sviai mentre le mie guance si tingevano di rosso.
“potrei dirglielo io…” insinuò candidamente. Mi voltai a fissarlo sbalordita, sgranando gli occhi totalmente sorpresa.
“e perché dovresti farlo? Vuoi rovinarmi la vita? vuoi che Jake mi lasci? Potrebbe anche succedere ma prima si incazzerebbe a morte e te la farebbe pagare”
“non ho paura del tuo fidanzatino. È uno sbruffone e niente di più” sbuffò sprezzante. Non riuscivo a credere che potesse essere così arrogante, così sicuro di se….
“in ogni caso non hai motivo di parlare con Jake, quindi tieni chiusa quella boccaccia” lo ammonii stringendomi le braccia al petto.
“e se ti volessi tutta per me?” domandò mellifluo. Il semplice fatto che stesse insinuando una cosa simile mi fece arrossire ancora di più ma non risposi e lo fissai torva e indispettita. Scoppiò a ridere ignorando la mia espressione truce e posò una mano sul mio ginocchio. Sbalordita da tanta spavalderia diedi un secco colpo alla sua mano, allontanandola da me.
“tieni a posto quelle mani” lo avvertì mentre cercavo di allontanare la mia sedia dalla sua per quanto possibile in uno spazio tanto ristretto.
“non posso più toccarti?” la sua voce sembrava innocentemente sorpresa ma sapevo che si stava divertendo un mondo a mie spese. Scossi la testa come unica risposta. Il tempestivo suono della campanella mi salvò da ulteriori punzecchiature. Prima che Jake potesse fermarmi, prima che Rachel potesse seguirmi, schizzai in piedi e mi allontanai in fretta, mescolandomi al caos della mensa. Avevo bisogno di riflettere da sola perché Michael iniziava ad essere un problema. Mi distraeva dalla mia missione ma soprattutto era capace di lasciarmi a bocca aperta come una sciocca tredicenne innamorata.
Per tutto il giorno l’eco della sua risata mi seguì come uno spettro dispettoso.

NOTE:

per prima cosa voglio scusarmi per aver impiegato tanto tempo a postare il nuovo capitolo. ho avuto numerosi problemi con la scuola, carichi inauditi di compiti e la gita scolastica. quando sono tornata non avevo l'ispirazione giusta e sono una di quelle persone che si rifiutano di buttare giù una sola parola se non sono sicure di poter dare il meglio. nonostante la ritrovata voglia di scrivere questo capitolo non è venuto come speravo, ma è più una piccola introduzione al personaggio di Rachel che un evolversi della storia. unica vera novità è il rapporto tra Angeline e Michael. è un raporto nessenzialmente superficiale ma che ferisce profondamente Elena e le apre gli occhi sui suoi reali sentimenti. si rende conto di non tenere più di tanto a Jake, di essere attratta da Michael e vede pericolosamente messa a rischio la propria corazza di indipendenza. Elena ha paura, per questo fa la dura con Michael. importante è soprattutto Rachel. inizialmente nella mia storia questo personaggio non era proprio previsto, così come non era prevista la morte di Juliet, ma le custodi stanno iniziando a prendere sempre più spazio nella mia narrazione, che secondo il mio schema iniziale avrebbe dovuto essere incentrata solo su Elena e marginalmente su Athena e Savannah. Rachel è ancora una bambina ed è una delle persone più diverse da Elena che finora io abbia introdootto in questa storia. è fragile e spaurita, più timida e bambina di Savannah. non ha paura di mostrare le proprie emozioni al mondo e si lascia travolgere dal dolore senza rifletterci. vedremo cosa ne verrà fuori. spero che il capitolo vi piaccia!

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Capitolo 15
*** Discendenza ***


Discendenza
 


Camminavo distratta per il parcheggio, rabbrividendo nella gelida aria del primo mattino. Intorno a me il vociare degli studenti indaffarati, ansiosi di tornare alle proprie case.

Stranamente mi sentivo distante da tutti loro. Per tutto il giorno ero stata scostante e distratta, persa in pensieri talmente astrusi che adesso faticavo a ricordarli. Il mio umore era un’altalena impazzita mossa da venti contrari. Sospirai camminando con attenzione tra file e file di macchina.

Volevo evitare di essere travolta da uno studente poco coscienzioso.

“Elena. Elena fermati” una voce alle mie spalle mi strappò a pensieri malinconici.

“No, di nuovo no” mormorai leggermente demoralizzata.

Rachel corse fino a trovarsi al mio fianco e tornò a stringermi un braccio tra le sue mani piccole e fredde. Ormai sembrava che le fosse impossibile separarsi da me. Repressi un sospiro e mi costrinsi a sorriderle. Era davvero troppo piccola e dall’aria ingenua per poter essere anche solo vagamente scortese con lei. Peccato che fosse anche così insicura…e che la sua insicurezza sfociasse in un costante bisogno di starmi vicino (a quanto pareva).

"Andiamo a casa dai” la incitai con un sospiro. Avevo intenzione di farmi una passeggiata fino a casa della nonna. Sebbene la distanza fosse parecchia avevo voglia di camminare all’aria aperta. Non sapevo se Rachel fosse dello stesso avviso ma…le conveniva adattarsi senza fare storie. Mi incamminai verso l’uscita della scuola stando attenta a non perdere di vista la ragazzina che mi stava attaccata. Non osavo immaginare come avrebbe reagito nel perdermi d'occhio e nel trovarsi sola nel caotico parcheggio. Sicuramente non sarebbe stato niente di piacevole nè per me nè per lei. Savannah mi avrebbe sgridato per la mia negligenza e avrei probabilmente dovuto consolare l’ennesimo scoppio di pianto di Rachel. A dire il vero lei si stava comportando in modo stoico ma ogni tanto non poteva impedire a se stessa di piangere. Non la biasimavo per questo ma ero sempre in imbarazzo quando dovevo confrontarmi con le eccessive manifestazioni emotive. Ero sempre stata una ragazza piuttosto fredda e riservata. Preferivo tenere dentro di me i sentimenti che provavo e non avevo mai pianto in pubblico perché lo ritenevo una resa di fronte alle debolezze umane.

Che Rachel piangesse era comprensibile ma era altrettanto comprensibile che io non volessi consolarla. Niente di personale…soltanto volevo evitare situazioni imbarazzanti.

Lei mi seguiva senza fiatare, affidandosi completamente a me. Ci misi poco a superare il parcheggio affollato e imboccare la strada per villa Temple. la passeggiata con Rachel si dimostrò tutt’altro che spiacevole. La ragazzina mi seguiva senza fiatare e io fui ben contenta di mettere in moto il corpo e lasciarmi avvolgere dal silenzio. Sentivo estremo bisogno di andare in missione. Decisi che oggi stesso avrei cercato di allenare Rachel. L’inattività forzata a cui ero stata costretta dopo la morte di Juliette mi pesava più di ogni altra cosa.

Per ingannare il tempo ripensai a tutte le missioni svolte e a ciò che avevo imparato da quando ero una custode, una cacciatrice. Ripensai al tempo passato a studiare sui libri la storia delle custodi, al tempo passato ad imparare a maneggiare ogni tipo di arma. E adesso, a soli sedici anni, ero una perfetta assassina. Non che vedessi me stessa sotto quella luce. Non mi reputavo una persona malvagia ma neanche un’eroina. Facevo ciò che era giusto perché era destino che fossi io a farlo. Con la dovuta preparazione chiunque avrebbe potuto portare a termine la missione, anche se forse non tutti sarebbero stati spinti dallo stesso zelante fervore che spingeva me.

Era passata una mezz’ora abbondante quando varcammo il cancello d’accesso e arrancammo con un lieve affanno fino al pesante portone. Entrambe eravamo rimaste assorte nei nostri pensieri per tutta la camminata ed entrambe adesso faticavamo a ritornare con i piedi per terra.

Il portone era socchiuso. Sgusciai in fretta all’interno, dove regnava una tiepida luce dorata. Spesso la gente di Bremerton guardava con diffidenza Villa Temple, sebbene la nonna fosse uno dei più rispettati e stimati membri della comunità. La casa, molto più simile ad un castello medievale che ad una vera villa, incuteva sempre rispetto e nelle notti di luna piena c’era chi la guardava con superstizioso timore. Ormai antico era diventato sinonimo di misterioso, e misterioso di oscuro.

I miei poveri compaesani non si rendevano tuttavia conto che il passato permeava le strade della città in modo estremamente evidente. La storia delle custodi era ovunque per chi avesse saputo cosa cercare.

Perché semplicemente noi custodi esistevamo da sempre. Esistevamo per estirpare dal mondo il male. Non si parlava certo del male in senso astratto. Contro quello eravamo impotenti come qualsiasi altro umano. No, la nostra missione era molto più concreta. I mutati erano un’aberrazione, scherzi della natura, mostri spietati. Assassini. Non potevamo concedere loro di vivere.

Già così, nonostante tutti i nostri sforzi, contenere la malvagità dei Mutati era estremamente complicato. Eravamo poche e non riuscivamo a proteggere tutto il mondo. Facevamo del nostro meglio ma i Mutati erano tanti e in varie parti del mondo. Noi potevamo soltanto mettere tutte noi stesse nella missione. E dalla prima all’ultima di noi, da me ad Angeline, ci impegnavamo davvero per portare con onore la bandiera che era stata delle nostre madri prima di noi. Anche Savannah, sebbene odiasse arrecare dolore, faceva del suo meglio per essere d’aiuto. Era un’abile stratega e la maggior parte delle volte era a lei che ci rivolgevamo per ottenere informazioni utili sui nostri nemici. Mi girai lievemente per osservare la ragazzina minuta alle mie spalle, timida, dallo sguardo basso e l’aria tenera. Somigliava molto a Savannah in un certo senso, ma la mia amica aveva la forza di una donna sebbene il suo carattere fosse naturalmente gentile. Savannah era capace di atti di estremo coraggio e non si tirava mai indietro. Era pronta a darsi da fare per gli altri, ad esporsi per una buona causa. Non si vergognava nell’ammettere ciò che le passava per la testa e aveva una franca consapevolezza di se che le conferiva sicurezza e padronanza. Cosa che mancava totalmente a Rachel. Sarebbe toccato a me fare di lei una guerriera, e il compito sembrava tutt’altro che facile. La presi per mano, stringendo le dita attorno al suo polso esile e trascinandola su per le scale senza tanti convenevoli. Dal momento che toccava a me fare di lei una guerriera, ma anche una donna, avrei iniziato subito. La trascinai su per le scale fino alla biblioteca. Varcammo la porta senza che lei si opponesse e la guidai ad un tavolo di mogano, appartato in fondo alla grande stanza. I tavoli erano parecchi, quasi come in una biblioteca pubblica, ma tutti erano vuoti per il momento. Meglio così. Preferivo affrontare la cosa con calma e a modo mio.

 Chiusi le tende e accesi una piccola lampada sul tavolino, assecondando la parte più teatrale di me e creando un’atmosfera soffusa e misteriosa. Forse stavo esagerando ma quello che le stavo per dire era qualcosa di incredibilmente importante, un solenne passaggio della staffetta da sua sorella a lei.

Rachel si sedette sulla sedia imbottita dall’alto schienale e mi guardò perplessa.

Le feci cenno di tacere e la lasciai per qualche istante, inoltrandomi tra i fitti scaffali. La biblioteca di Villa Temple conteneva un’enorme quantità di libri antichi e volumi pregiati. Arrivai allo scaffale che cercavo, uno scaffale di cui conoscevo tutti i libri praticamente a memoria. Uno in particolare. Presi una scala appoggiata lì vicino e la usai per arrampicarmi fino al ripiano più alto. Con qualche piccolo sforzo riuscì a prendere il pesante libro dalla copertina di pelle nere. Lo strinsi al petto e saltai giù agilmente, atterrando senza neanche far rumore, attutendo l’impatto sulla punta dei piedi. Con la grazia di un gatto che salta giù da un ramo per balzare sulla sua preda. Oggi ero proprio poetica e melodrammatica, pensai ridendo in silenzio dei miei articolati pensieri. Sapevo essere proprio teatrale certe volte.

Ritornai silenziosamente al tavolo dove Rachel sedeva immobile, con le mani in grembo come una bambina in attesa della sgridata della maestra. Non mi aveva sentita arrivare e sobbalzò quando lasciai cadere sul tavolo il pesante libro con un tonfo sordo.

“Scusa non volevo spaventarti. Ma dobbiamo parlare” mormorai accorata mettendole una mano sulla spalla. Rachel sollevò lo sguardo verso di me, incerta, mordicchiandosi il labbro inferiore.

Presi una sedia e la spostai al suo fianco, sedendomi al contrario e poggiando le braccia sulla spalliera. Con un cenno della testa spostai la sua attenzione sul pesante libro nero. Rachel lo guardò per qualche istante, sfiorandone la pelle consunta con i polpastrelli, esitante.

"Sto per dirti delle cose che ti turberanno molto. Ma è necessario che tu capisca e che non ne faccia parola con nessuno. Nessuno deve sapere. Non lo devi dire ai tuoi genitori, nè alle tue amiche. So che non capisci ciò che sta succedendo, e so anche che niente di quello che ti dirò avrà un senso all’inizio. So che ciò che sentirai sconvolgerà la tua vita e non sarai più la stessa persona di adesso. Lo so perché di sono passata. Ci siamo passate tutte.” La mia voce era solenne ma cercavo di imprimergli un tono rassicurante perché capivo che sarebbe rimasta sconvolta da ciò che stavo per dirle.

Capivo che niente di ciò che aveva imparato nella sua breve vita sarebbe servito a prepararla a questo. Accarezzai con le dita la pelle nera e aprì il libro distrattamente, sfiorando la pergamena consunta e leggermente bucherellata. Ogni buco era una cicatrice. Un ricordo di secoli fa.

"C'è una cosa che devi sapere prima di tutto. Il mondo non è come tu l'hai immaginato, non tutto è così semplice e razionale come pensi, come ti hanno insegnato a scuola. Ci sono cose che gli umani non possono controllare, cosa da cui non possono difendersi. Ci sono cose pericoloso contro cui gli uomini sono inermi. Qualcuno però deve proteggerli. Leggi la prima pagina” Rachel obbediente abbassò lo sguardo a sbirciare la pergamena che giaceva davanti a lei, in attesa di essere riscoperta da occhi nuovi, di rivivere tramite le mie parole.

“Non capisco…che lingua è?” domandò leggermente confusa, aggrottando la fronte.

"Greco arcaico.” Risposi sorridendo lievemente. "I greci sono stati i primi a mettere per iscritto la cultura che ci interessa. Ti racconterò una storia. Ed è così che devi vederla per il momento. Come una storia.

Tanto tempo fa il mondo era un posto selvaggio, pieno di insidie e pericoli. L’uomo aveva appena iniziato a darsi un ordinamento, delle leggi e delle norme di comportamento. La civiltà era agli arbori ma l’uomo già portava in se il concetto di giusto o sbagliato.

Sappiamo poco di ciò che eravamo agli inizi dell’era umana. Ma già dalla preistoria c’era qualcosa che gli uomini temevano, qualcosa che loro veneravano perché consideravano divinità. Oggi erroneamente si pensa che gli uomini primitivi adorassero gli dei della natura, elargendo sacrifici ad essi ma non è così. Non erano dei astratti che adoravano. Gli uomini erano deboli, in balia delle forze della natura e dei predatori. Impararono presto ad armarsi e a cacciare ma per quanto abili fossero c’era qualcosa che non riuscivano a sconfiggere. Delle bestie, mezzi uomini mezzi animali. Erano veloci e forti, in grado di mutare forma di loro volontà, di adattarsi a qualsiasi ambiente e sopravvivere. Queste creature facevano strage di uomini finchè essi non iniziarono ad elargire a queste potentissime creature dei sacrifici. Sacrifici umani, di carne e sangue. In questo modo placavano le creature che li lasciavano in pace per un certo arco di tempo. Finchè non decidevano di attaccare. Le prima fonti certe su queste creature risalgono all’Egitto. Anche qui erano adorati come dei. Forse ricorderai che gli dei Egiziani sono zoomorfi. Hanno sembianze in parte umane e in parte animali. Questo perché gli dei che gli egizi veneravano esistevano realmente, erano uomini in carne e ossa, se uomini possiamo definirli. Ad esempio Anubi, il dio sciacallo, era un uomo capace di mutarsi in sciacallo, Bastet, la dea gatto, una donna che poteva assumere le sembianze di gatto. Queste creature non erano molto numerose ed erano in tutto e per tutto simili a delle belve feroci, capricciosi ma scaltri, seguivano gli istinti e la loro sete di sangue.

 La storia di queste creature si dipana lungo tutto il corso della storia dell’uomo. Man mano però questi esseri persero le connotazioni divine di cui erano stati ammantati nell’antichità e si iniziò a vederli per ciò che erano realmente. Mostri. Creature contro natura. Abomini da eliminare. Fu così che nacque la prima Congrega di Custodi. Furono le donne greche le prime a riunirsi per sterminare tali mostri. In breve tempo scoprirono che le creature erano più scaltre ed intelligenti di quanto credessero. Non si basavano solo sull’istinto ma utilizzavano anche un intelletto animale, fino acuto e imbattibile. Erano veloci forti e scaltri. Combatterli sembrava impossibile. Le donne capirono che per prima cosa era necessario capire i propri avversari. E cercarono informazioni.

Scoprirono, dopo molte ricerche e a costo di molte vite, che le creature avevano una primitiva organizzazione gerarchica che si basava sulla legge del più forte. Il più forte comandava.

Era una legge animale, poco evoluta, esattamente come le creature. Le donne decisero allora di sfruttare il loro intelletto, qualcosa che andava ben al di la della semplice astuzia delle creature. Divennero abili nell’uso delle armi ma soprattutto abili strateghe. Fu così che iniziò la caccia. Le custodi continuarono ad esistere anche dopo che la Grecia perse la sua importanza. Le donne greche passarono la staffetta alle figlie e quando i romani conquistarono la Grecia molte custodi sposarono uomini romani, spostandosi in Italia. Quello che si sa è che le famiglie originarie che sopravvissero a tutti i passaggi generazionali erano dieci. Con il tempo le custodi assunsero un ruolo sempre più importante. Spesso furono acclamate come eroine, altre volte perseguitate come streghe. La caccia alle streghe ne è un chiaro esempio. Alcune di quelle creature, che presero il nome di Mutati, svilupparono la loro intelligenza umana e assunsero cariche di prestigio nella società umana. E poichè l’unico pericolo alla forza incontrastata dei Mutati era costituito dalle custodi, questi si impegnarono a scatenare contro di loro una violenta oppressione. Delle dieci famiglie ne rimasero soltanto sette che hanno continuato a tramandare il compito di madre in figlia fino ai giorni nostri” tirai un sospiro chiudendo le palpebre e tirando un sospiro di sollievo.

Mi ero lasciata trascinare io stessa dalle mie parole, rivivendo in quel piccolo e semplice riassunto la storia di secoli. Era una storia che conoscevo molto bene, da prima ancora che la nonna me la raccontasse. Era una storia che rivivevo nei miei incubi. Una storia che, notte dopo notte, si ripeteva nella mia mente con spezzoni di immagini e frammenti di ricordi di ciò che era stata la guerra sanguinosa tra Custodi e Mutati. Ormai però ero diventata brava ad allontanare quel genere di incubi. Ero abituata ad averli ogni notte e a fronteggiarli. Erano vividi e reali quasi quanto i recenti incubi di sangue che mi avevano tormentata. Scossi la testa…adesso stavo divagando. Meglio non pensare troppo al sangue per il momento, e concentrarsi esclusivamente sulla piccola Rachel. Spostai il mio sguardo su di lei, che mi fissava con occhi sgranati ed espressione assorta.

"è una bella storia” sussurrò in risposta al mio silenzio. "Ma molto triste. Sembra che l’essere umano sia completamente inerme e debole, che la sua vita sia in mano a poche custodi”

“Ed è così. La maggior parte degli uomini sono deboli perché non riescono ad affrontare la realtà che il mondo non è quel posto razionale che immaginano. Ci sono sette famiglie che continuano a portare avanti la discendenza. Sette ragazze. Sei al momento” precisai guardandola con uno sguardo che voleva essere eloquente. Lei parve non capire e mi fissò al colmo dello stupore.

“Sette famiglia…sette ragazze…ti dice niente? Io, Athena, Savannah, Angeline, Elizabeth, Kathleen….e Juliet” sussurrai. Ok, il tatto non era mai stato il mio forte. Ero sempre stata una persona diretta e anche in questo caso preferii affrontare la questione senza girarci intorno, abbandonando l’assetto da favoletta.

“Le custodi devono essere sette. C’è bisogno di tutte per mantenere un certo equilibrio. E adesso che Juliet non c’è più spetta a te continuare al suo posto”

Rachel balzò in piedi, rovesciando la sedia. In un unico movimento fluido anche io fui in piedi e scostai la sedia, protendendo una mano per farla tornare seduta.

Si scansò, spaventata confusa e anche un po’ arrabbiata.

“Sta lontana da me. Tu sei pazza! queste sono solo stupide storie. Assurdità. Non voglio saperne dei tuoi vaneggiamenti. Ma Juliet non devi neanche nominarla. Lei non si sarebbe mai fatta coinvolgere nella tua assurda setta di pazzi…sempre ammesso che esista una tale setta.” I suoi occhi erano inondati di lacrime ma scintillavano di rabbia.

Fui sul punto di perdere la pazienza ed appiopparle un bel ceffone ma contenni la rabbia perché schiaffeggiarla decisamente non era il modo migliore di trattare. Sbuffai spazientita mettendomi le mani sui fianchi.

“Beh sei libera di pensarla come vuoi su di me, ma quello che ti ho raccontato è vero, e tu farai il tuo dovere com’è giusto che sia. Tua sorella prima di te lo ha fatto e lo stesso hanno fatto le tue antenate. Puoi pure reputarmi pazza ma dentro di te sai che ho ragione. Adesso ti lascio un po’ da sola così potrai pensare e chiarirti le idee. Qua dentro c’è tutto. Se cerchi nella sezione in fondo ci sono anche parecchi testi sulla storia delle custodi scritti in inglese. Quando avrai finalmente capito ciò che ti chiedo, quando avrai capito il tuo dovere, fammi sapere. Fino a quel momento sono costretta a tenerti qui. Quando avrai accettato tutto quanto ti insegnerò la storia delle custodi ma soprattutto ti insegnerò ad usare le armi. Fra tre anni minimo andrai in missione. È compito mio prepararti ad affrontare i Mutati, com’è dovere della tua famiglia e lo farò, costi quel che costi.” Non le diedi tempo di ribattere.

 Girai sui tacchi e mi chiusi la porta della biblioteca alle spalle. Diedi un giro di chiave e mi allontanai, incurante delle proteste che già si levavano dall’altra parte della porta.

Non ero proprio dell’umore per spiegare pazientemente ad una bambina recalcitrante più di mille anni di storia. Le avevo spiegato le cose essenziali ma adesso stava a lei rifletterci sopra e accettarle come vere. Niente di quello che io potessi dire o fare sarebbe servito o avrebbe accelerato il processo graduale che avrebbe portato infine all’accettazione della verità. Era meglio lasciarla riflettere da sola per un po’. Quando avesse smaltito la rabbia avrebbe iniziato sicuramente a curiosare tra gli scaffali della biblioteca. In caso contrario sarebbe rimasta chiusa in quella stanza per un bel po’. C’erano divani di pelle nera sufficientemente comodi perché potesse sdraiarsi per una dormita. E avrei provveduto a farle portare qualcosa da mangiare. Eh si, era un rapimento in piena regola. Ma dal momento che la nonna mi aveva lasciato totale libertà nell’addestramento avrei applicato i miei metodi. Non avevo tempo da perdere per farmi insultare da una ragazzina recalcitrante. Le proteste di Rachel si attutirono man mano ce mi allontanavo dalla porta. Arrivai davanti allo studio della nonna e bussai, impaziente.

“Avanti” ricevetti in risposta. Entrai senza farmi pregare due volte. La nonna stava seduta alla scrivania e osservava assorta il Libro delle Ombre.

“Oh sei tu Elena. Temevo fosse Will venuto ad insistere perché mangiassi qualcosa.” Un sorriso teso increspò per un attimo le sue labbra. Si prese la testa tra le mani e chinò il capo. Non l’avevo mai vista così afflitta. Avanzai fino alla sua sedia e mi inginocchiai di fronte a lei. Le presi le mani e la costrinsi a guardarmi.

“Nonna non è colpa tua. Non potevi prevedere che sarebbe successo” mormorai sapendo bene che si sentiva in colpa.

 Tutte noi Custodi eravamo affidate a lei quindi pensava che fosse compito suo proteggerci dai pericoli. Le accarezzai la pelle chiara e delicata della mano e per la prima volta vidi la fragilità nel suo sguardo solitamente d’acciaio. Le strinsi le braccia intorno al corpo, poggiando al contempo la testa sulla sua spalla.

“Avrei dovuto essere più accorta. Elena non riesco a non pensarci. Avrei dovuto proteggere Juliet. E quello che è peggio è che avresti potuto essere tu. La mia sconsideratezza avrebbe potuto costare la vita anche a te e io…non riuscirei a sopportarlo. Non potrei sopportarlo di nuovo” stringeva i pugni dietro la mia schiena. Cercando di mantenere il solito atteggiamento controllato.

Capivo cosa stava cercando di dirmi. Mia nonna era la donna più forte che avessi mai conosciuto. Era sopravvissuta a decine di missioni, alla perdita di tutte le sue compagne, alla morte di suo marito, alla morte della figlia…ma non poteva sopportare tutto quanto un’altra volta. Non poteva perdere anche me. Cercai di sorridere e di confortarla.

“Non succederà. Non succederà nonna te lo giuro” sussurrai contro i suoi capelli. Non l’avrei lasciata sola. Per quanto fosse forte autoritaria e indistruttibile era sempre una donna anziana, sola.

Avrei dovuto essere più accorta e prendermi cura di lei con più attenzione. Avrei dovuto evitarle ogni ansia. Le scappò un singhiozzo che nascose contro i miei capelli. Restammo qualche istante abbracciate ma poi lei si raddrizzò, recuperando il suo abituale contegno.

“Sto bene.” mormorò assumendo una posa statuaria e altera. Il breve momento di umanità che si era concessa era finito. Era tornata efficiente e professionale ma sapevo che le emozioni manifestate poco prima erano dentro di lei, a pochi centimetri dalla superficie.

“Avevi bisogno di qualcosa?” domandò tornando ad osservare il libro davanti a se.

“Si..volevo informarti che ho chiuso Rachel in biblioteca. Nessuno deve aprire quella porta tranne me. E nessuno le deve parlare. È importante” le sussurrai. Ignorai il suo sguardo leggermente sorpreso, che si chiedeva cosa mi fosse passato per la testa. Alla fine si strinse nelle spalle.

“Va bene. sono sicura che riuscirai a gestire tutta la situazione e non voglio sapere altro. Comportati come ti sembra meglio. Hai piena libertà” concesse con un gesto sbrigativo della mano.

“Nonna voglio anche riprendere le missioni” azzardai dopo un secondo di silenzio.

“Non se ne parla. Finchè non avrò sistemato questa faccenda nessuna di voi andrà la fuori. È pericoloso. Starete al sicuro e vi comporterete come normali adolescenti” sbottò senza neanche guardarmi in faccia. Era preoccupata, lo sapevo. Ma io avevo bisogno di agire.

“Non possiamo lasciare la gente indifesa. Hanno bisogno di noi!” protestai anche se dentro di me sapevo che il principale motivo per cui volevo che la nonna ricominciasse ad affidarci le missioni era la mia  vendetta. Avevo bisogno di sentire che stavo contribuendo ad eliminare quei mostri che avevano ucciso mia madre. Starmene inattiva mentre magari uccidevano della gente sotto il mio naso era per me qualcosa di impensabile.

“Elena basta! Non ci sono stati attacchi nelle vicinanze e non ti manderò certo in Europa dopo ciò che è successo. La discussione è chiusa. Quando sarai tu la leader della Congrega allora potrai prendere delle decisioni. Ma per il momento dovrai limitarti ad accettare le mie”

Non l’avevo mai vista tanto arrabbiata con me. Strinsi le labbra in segno di disapprovazione ma non osai dire altro. Mi sollevai in silenzio ed uscii dallo studio, sbattendomi la porta alle spalle con ben poca grazia. Ero davvero furiosa. Avevo bisogno di una missione. Avevo bisogno di uccidere qualche mostro, di purificare il mondo. E adesso cosa mi restava da fare? Corsi in camera mia, facendo i gradini a due a due. Non mi preoccupai neanche di chiudere la porta alle mie spalle. In un secondo fui all’armadio e cercai freneticamente i miei vestiti. In pochi istanti tenevo tra le mani i pantaloni di pelle e il corsetto. Tolsi il maglioncino che indossavo e lo lasciai cadere a terra, sostituendolo immediatamente con il corsetto di pelle. Strinsi i lacci fino a togliermi il respiro, finchè sentì la pelle nera aderire alla mia come una guaina. Indossai i pantaloni e allacciai il bracciale lungo l’avambraccio, confortata dalla sensazione del lucido metallo contro la pelle. sistemai i pugnali lungo l’altro braccio, attorno al polpaccio, alle caviglie, sulla schiena…riposi la pistola nella fondina e raccolsi i capelli in una coda alta. Dall’armadio presi una vestaglia di seta rossa che indossai per coprire il mio abbigliamento così poco usuale. Non che qualcuno dovesse vedermi ma era una precauzione nel caso in cui la nonna fosse uscita dallo studio nel momento sbagliato. Non sarebbe stata contenta se mi avesse vista bardata da battaglia. E avrebbe subito capito che stavo trasgredendo gli ordini. Che stavo andando a caccia.

A piedi nudi uscì dalla mia camera. Scesi le scale cercando di fare il meno rumore possibile, rabbrividendo quando i miei piedi sfiorarono il marmo freddo del pavimento.

Arrivai all’ingresso e varcai il portone, inoltrandomi all’interno del giardino. Lasciai la vestaglia su una panchina e mi voltai un secondo a guardare Villa Temple. stavo facendo una cosa sbagliata, una cosa proibita. Stavo disubbidendo ad un ordine diretto della nonna. Ma non mi sentivo in colpa. Era stata un periodo troppo stressante per me. Gli incubi, Michael, Rachel, Juliet….troppi problemi troppi pensieri. Avevo bisogno di mettere in moto il corpo e agire.

Senza indugiare oltre mi lasciai alle spalle il giardino della Villa e mi inoltrai nel bosco. Camminavo tra le foglie cadute e i ramoscelli secchi, incurante dei piccoli graffi che iniziavano a sfregiare la mia pelle chiara. Doveva esserci qualcosa da fare. Doveva esserci qualche mutato da eliminare una volta per tutte.

Il sole stava tramontando e io ero sempre più lontana dal sentiero principale. Nessun movimento indicava che qualcosa di diverso da qualche piccolo scoiattolo si aggirava tra le fronde. Sbuffai iniziando a rimpiangere la mia piccola pazzia. Forse la nonna aveva ragione, i dintorni erano davvero sicuri. Ero stata stupida e avventata. Mi accovacciai ai piedi di un albero, tra le radici contorte che offrivano un comodo riparo. Mi strinsi la testa tra le ginocchia, non sapendo se stizzirmi o mettermi a ridere. Avrei dovuto imparare a controllare meglio la mia impulsività. Beh ormai che c’ero tanto valeva restare da sola per un po’. Non so per quanto tempo rimasi raggomitolata ai piedi dell’albero, con i miei pensieri come unici compagni.

Potevano essere passati minuti oppure ore quando un ringhio a pochi centimetri da me mi fece sobbalzare. Immediatamente vigile scattai in piedi. A pochi metri dall’albero c’era un grosso lupo dal pelo grigio. Un comunissimo lupo, un animale come tanti altri. Non era un mutato ma poteva rivelarsi parecchio pericoloso anche lui. Senza fiatare estrassi la pistola dalla fondina e la puntai contro l’animale. Se avesse fatto un passo verso di me avrei dovuto sparare. Non potevo consentirgli di attaccarmi. Il lupo non si mosse, rimase a studiarmi con un ringhio trattenuto che gli sfuggiva dalla gola. Anche io rimasi a scrutarlo in silenzio, vigile e pronta a scattare. Mi resi conto di essere circondata solo quando fu troppo tardi. Un fruscio alle mie spalle mi fece voltare e feci appena in tempo a scartare di lato perché un altro lupo si stava avventando contro la mia gola. Riuscì ad evitare che i suo denti afferrassero il mio collo ma la sua bocca si serrò sul mio polso, facendomi strillare. La pistola mi cadde di mano. Il lupo fu costretto a mollare la presa e mi ritrovai per qualche istante libera. Con le spalle contro l’albero mi strinsi al petto il polso sanguinante. Fitte lancinanti di dolore partivano dall’arto ferito, disorientandomi. A tentoni cercai di estrarre uno dei pugnali e fu allora che un altro lupo sbucò dalla mia sinistra e mi morse il fianco. Urlai e persi la presa anche sul pugnale. Dannazione. In totale c’erano otto lupi. Affamati magri e scarni, con gli occhi iniettati di sangue. Prima che potessi reagire dalla mia destra arrivò l’ennesimo morso. Dei denti aguzzi si strinsero intorno al mio polpaccio, facendomi cadere su un ginocchio. Afferrai il pugnale e riuscì a difendermi da uno dei lupi che aveva approfittato della mia debolezza per stringere i denti intorno alla mia spalla. Ansimai, preda del dolore come mai prima d’ora. Possibile che stessi per essere uccisa da dei comuni animali? Ero sopravvissuta a lotte contro creature superiori eppure adesso stavo per soccombere ad opera di semplici lupi.

Mi avevano colta di sorpresa, non ero stata abbastanza veloce nel reagire. Strinsi il pugnale e mi alzai di nuovo, barcollante. Avevo una mano inservibile, una gamba che faticava a reggermi e una spalla sanguinante. Ma potevo difendermi. Mi lanciai contro il primo, mirando al collo. Il pugnale andò a segno e sentì il corpo del lupo abbandonarsi agli spasmi della morte. Contemporaneamente un altro lupo approfittò della mia distrazione e si avventò alle mie spalle, lacerandomi la carne del braccio prima che potessi respingerlo con un colpo di coltello alla zampa. Senza riflettere estrassi due coltelli da lancio e centrai altrettanti obbiettivi.  Ma ormai le armi stavano finendo e io ero stanca. A turno i lupi si lanciavano su di me, limitandosi a ferirmi per poi ritrarsi. Era una strategia vincente perché non appena mi voltavo per ucciderne uno subito gli altri mi si avventavano dai lati.

La mia unica speranza era trovare la pistola. Degli otto lupi iniziali ne erano rimasti quattro, di cui uno ferito. Se avessi trovato la pisola avrei potuto farcela. Indietreggiai lentamente, cercando di tenere d’occhio gli animali e stringendo nella mano il pugnale, l’ultimo che mi restava. Non riuscivo a muovere una mano senza che fitte di dolore mi paralizzassero. L’altro braccio era segnato da morsi ma ancora utilizzabile. Faticavo a tenermi in piedi ma se fossi caduta sarebbe stata la fine.

Ed eccola, la mia pistola, solo qualche passo dietro di me. Arretrai lentamente. Ormai pensavo di avercela fatta quando un lupo si avventò su di me. L’impatto mi fece cadere a terra. Sbattei la testa contro la terra dura ma scalciai il lupo lontano da me, ferendolo ad una spalla. Allungai la mano per prendere la pistola che sembrava lampeggiare come un insegna al neon. Stesi il braccio, cercando a tentoni l’impugnatura. E urlai di dolore. Ancora una volta si erano avventati su di me. Tutti insieme questa volta. Urlai cercando di difendermi, cercando di rialzarmi. Riuscì a raddrizzare la schiena per qualche secondo ma un nuovo assalto mi spinse all’indietro. La mia testa sbattè contro una pietra e questa volta non riuscii a mantenere la lucidità. Caddi nell’incoscienza con un unico pensiero.

“Mi dispiace nonna”


 

Note:

Per prima cosa voglio ringraizare Scarmel, la mia nuovissima, ma soprattutto validissima, beta. Non solo è stata così gentile da spiegarmi cosa fosse una beta, ma anche di acctetare di esserlo per me! quindi grazie mille! ma passiamo al capitolo...per prima cosa Elena torna ad essere scostante e fredda. niente Michael niente emozioni, potremmo dire. accanto a lui è come se Elena riprendesse vita. quando lui non c'è invece si spegne. Con Rachel è stata molto diretta e dura, l'ha messa in difficoltà e le ha rovesciato sulle spalle mille anni di storia e la verità sulla morte della sorella. in quel momento mi è venuta voglia di strozzarla, ma pazienza...Rachel è ancora una bambina ma sarà forte abbastanza per accettare tutto, almeno credo. ho inserito qualche informazioni in più sui Mutati, ma queste creature ancora appaiono misteriose. sono davvero come li descrive Elena? lei tende un pò troppo ad assolutizzare secondo me. Custodi Bene, Mutati Male. non può essere tutto così definito no? comunque...i Mutati sono antichissimi a quanto pare...risalgono alla preistoria. sono stati considerati dei fino all'antica grecia, quindi tanto animaleschi alla fin fine non saranno. e sono riusciti ad infiltrarsi nel mondo umano, quindi chiunque potrebbe essere un Mutato. le Custodi invece iniziano a diventare sempre più semplici. sappiamo che sono nate nell'antica grecia, che si sono passate il compito di madre in figlia ecc. Inizialmente non avevo previsto i riferimenti alla storia, come l'Egitto, la Grecia e la caccia alle streghe, ma ormai ci sono e approfondirò gli argomenti. altra novità? l'umanità della nonna di Elena. per la prima volta non è solo un capo, ma anche una donna. ancora non capisco i miei stessi sentimenti nei confronti di questa donna, ma avrà il suo momento prima o poi.
un bacio e scusate per il disturbo! e grazie per aver letto :)

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Capitolo 16
*** Silenzi e Bugie ***


“Elena apri gli occhi dannazione”una voce, a pochi centimetri dal mio viso.
 Uno scossone accompagnò quelle parole senza senso.
 “So che puoi farcela. Non farmi incazzare e apri quei maledetti occhi” ruggì a pochi centimetri da me.
 
Conoscevo quella voce. Altroché se la conoscevo. Ma non riuscivo a collegare quella voce con gli ultimi istanti di cui avevo memoria. Il bosco, i lupi…ma cosa c’entrava Michael?
Eppure, sebbene non riuscissi a cogliere il nesso tra le due cose, cercai di obbedire. Cercai di sbattere le palpebre e di muovere i muscoli. Improvvisamente il dolore tornò, riportandomi alla realtà. Tutti i muscoli gridavano di dolore, il mio corpo era indolenzito. La mia mente non esattamente lucida intervenne prontamente per rassicurarmi. Niente di troppo grave, ero sopravvissuta a cosa peggiori. Per il mio corpo però esisteva solo il presente. Solo quel dolore che sembrava riempire tutto ciò che era me.
 
"Piano, piano” mi ammonì quella voce estremamente accorata. Sentivo il suo respiro vicino al mio viso. Sbattei le palpebre e questa volta riuscì a mettere a fuoco il suo volto.
 
Era proteso su di me lo sguardo preoccupato. Cercai di voltare la testa e ci riuscii nonostante mi costasse molta fatica. Non c’era nessun elemento famigliare ad indicarmi dove mi trovavo. Cercai di raddrizzare la schiena ma mi sfuggì un mugolio di dolore.
 
“Ho detto sta ferma” protestò. Questa volta non c’era delicatezza nella sua voce, ma le sue braccia portavano ancora traccia di quella nota accorata che avevo sentito nella sua voce quando si strinsero attorno al mio corpo. Mi stava tenendo in braccio. Lui, in braccio, me. Io che odiavo quando un ragazzo mi apriva lo sportello o pagava la cena per me, io che odiavo quando qualcuno mi faceva sentire debole. Io che in quel momento non avrei voluto staccare il mio corpo dal suo neanche di un centimetro. Io che gli sarei rimasta appollaiata in braccio per una giornata intera.
 Fui immediatamente consapevole del contatto del suo petto muscoloso e avvampai. Fortunatamente la mia pelle era coperta di sangue e non gli fu possibile notare il mio rossore.
 
Odiavo arrossire! Perché diavolo arrossivo poi? Perché lui ero così attraente, e aveva Quello sguardo magnetico, particolare, che sembrava spogliarmi e….eih pensieri inadeguati off! Intimai alla mia mente, o più probabilmente ai miei ormoni di stare a cuccia e cercai di tornare lucida, di liberarmi delle fastidiose sensazioni dovute al dolore e alla sua presenza.
 
Per non incrociare il suo sguardo gettai ancora un’altra occhiata a ciò che mi circondava. Stavamo salendo una rampa di scale e tutto ciò che riuscivo a scorgere era una ringhiera di ferro battuto finemente lavorato. Di sicuro non era Villa Temple, e neanche casa mia.
Come ci eravamo arrivati lì dentro? Possibile che fossi così frastornata dal dolore e dalla perdita di sangue, o dalla sua presenza magari, da non accorgermi di dove venivo portata? Possibilissimo dato che in quel momento tutto era più che sfocato. Le mie difese, la mia voglia di combattere, la mia fedeltà a Jake, il mio odio nei confronti di Michael…
 
“Michael” sussurrai attirando immediatamente la sua attenzione “Dove siamo?”
“A casa mia” rispose come se la risposta fosse logica. Eh certo, mica un ospedale. No, quando trovi una povera ragazza ferita nel bosco non la porti in ospedale, certo che no, è una cosa stupida e irresponsabile. Casa sua, logico!
“come ho fatto a non pensarci prima” mormorai cercando di suonare sarcastica. Il mio intento venne vanificato dalla vocina sottile e stridula che mi sfuggì dalle labbra.
Nel frattempo avevamo raggiunto la fine della scala. Avrei voluto protestare e chiedergli di riportarmi a casa ma non ne ebbi la forza. Abbandonai il capo contro la sua spalla e chiusi gli occhi.
 
Sentii che spalancava una porta con un calcio e pochi istanti dopo fui adagiata su un materasso morbido e comodo. Oh, finalmente faceva qualcosa di giusto! Il mio corpo teso e dolorante si rilassò involontariamente su quella superficie morbida. Avrei voluto restare ad occhi chiusi per sempre ma sentivo uno strano soffiò caldo vicino all’orecchio. Il suo respiro forse? In allarme socchiusi le palpebre e ancora una volta trovai il suo viso troppo vicino al mio.
 
"Sto bene” mormorai tentando di alzarmi e allontanarmi da lui. Non sapevo se a mettermi in imbarazzo fosse la sua vicinanza così inaspettata oppure la mia impossibilità a giustificare tutta quella situazione. Forse entrambe le cose
“No che non stai bene” sembrava intenzionato a fare polemica. Che fine aveva fatto il rispetto per il gentil sesso? Probabilmente Michael lo doveva aver gettato nel cesso alla nascita perché con una lieve pressione sulla mia spalla più sana mi costrinse a riadagiarmi sul letto. Lo incenerii con uno sguardo ma non riuscii a negare l’evidenza delle sue parole.
 
“Cos’è successo?” domandai distogliendo lo sguardo dai suoi occhi penetranti e passandomi una mano sul viso. Sentivo le guancie incrostate di terra e sangue. per un momento mi maledissi per la pessima scelta dell’argomento. Geniale, Elena, chiedi spiegazioni su la tua caccia nei boschi….proprio un ottimo modo per fare insospettire Michael 
 
“Questo dovrei chiederlo io a te! stavo facendo una passeggiata nel bosco e ti ho trovata stesa per terra, coperta di sangue. Poco lontano da te c’erano alcuni lupi morti o moribondi quindi immagino che ti abbiano attaccata. Sei stata veramente fortunata. Non riesco a capire come tu abbia fatto ad ucciderli tutti e otto” mi rivolse uno sguardo incredulo e indagatore. Ovviamente non si lasciava sfuggire nulla. Io abbassavo ingenuamente la guardia un secondo e lui ne approfittava per cercare di carpire i miei segreti. E lui cosa ci faceva nel bosco? Aprii la bocca, pronta a porgli la domanda, poi optai per il silenzio. Se io avessi chiesto qualcosa lui si sarebbe sentito in diritto di fare altrettanto.
 
Non incrociai il suo sguardo e sospirai mentre la mia mente elaborava quei dati. Li avevo uccisi tutti, i lupi? Ricordavo di aver perso conoscenza ma mi era sembrato che almeno due fossero vivi sebbene leggermente feriti. Ma era anche possibile che mi fossi sbagliata. Tutto era così confuso in quel momento….Perlomeno Michael non aveva trovato le mie armi. Avrei dovuto tornare nel bosco a riprenderle. Possibilmente prima che la nonna scoprisse la mia piccola infrazione.
 
“Li ho uccisi io?” domandai ancora incredula.
Si strinse nelle spalle e annuì. “Suppongo di si dato che nel bosco c’eri solo tu. A proposito cosa ci facevi da sola nella foresta?” domandò severo. Le sue parole suonavano tanto come un rimprovero. Ed eccola la domanda, quella a cui non potevo rispondere in modo sensato. E quindi non risposi. Cosa potevo dire? Potevo cercare di inventarmi qualche balla più o meno credibile ma non ero abbastanza lucida al momento per architettare una buona bugia.
 
“E lasciami dire che il tuo abbigliamento è alquanto strano” continuò inarcando un sopracciglio. Ovvio, avevo un corpetto striminzito e i pantaloni da battaglia! Sembravo un misto tra tomb rider e una squillo dei sobborghi probabilmente. Avrei dovuto dire alla nonna che era tempo di rinnovare il guardaroba.
"Senti mi hai portata qui per farmi un interrogatorio? Conosco i miei diritti e non mi tirerai fuori neanche una parola tranne ” mi lamentai sulla difensiva.
 
Non avrei potuto rispondere a nessuna domanda, quindi meglio buttarla sulla polemica. Scoppiò a ridere ma continuò a fissarmi con sguardo indagatore. Michael era una che non mollava facilmente. Potevo scommetterci che stava macchinando qualcosa in quella sua mente malvagia.
 
“Tranquilla non sei in arresto e quanto prima ti procurerò un avvocato. Comunque sei ferita. Prima di riportarti a casa devo controllare il tuo stato di salute” ma certo, quanto era premuroso! Perché lui ovviamente era un medico, un esperto chirurgo o chissà che!
 
“grazie mi sento molto più sicura adesso…sai non mi avevi detto di quella tua laurea in medicina…” borbottai un tantino nervosa mente le sue mani iniziavano a scorrere sul mio corpo
 
“se vuoi ti porto in ospedale, non c’è problema…ma non mi sembra niente di serio e poi signorina non racconto i fatti miei, i dottori vorranno sapere…io sarei più discreto”  voce gentile e un tantino seccata, come se spiegasse qualcosa ad una bambina delle elementari. La cosa mi seccò parecchio.
 
“vada per l’ospedale?” domandò ironico, sollevando un sopracciglio. Come diavolo ci riusciva? Ancora una volta la mia mente annebbiata intervenne con pensieri inappropriati. Per un istante provai a sollevare un solo sopracciglio e la mia faccia si deformò in un’espressione a metà tra il ridicolo e il grottesco. Lui scosse la testa costernato, quasi dubitasse della mia sanità mentale.
 
“niente ospedale” capitolai alla fine tornando a distendere la pelle del viso, evitando di continuare a rendermi ridicola. Non perse tempo e ricominciò a sfiorare con poca delicatezza il mio corpo.
“allora sta ferma” mi ingiunse mentre già iniziavo a dimenarmi. La sua voce era decisa e autoritaria, come se si aspettasse da me assoluta obbedienza. Non mi conosceva affatto. Cercai ancora una volta di alzarmi perchè sue mani mi mettevano in imbarazzo. Ed erano anche abbastanza rudi a dire la verità. Il signor tatto e gentilezza era andato a farsi un giro ultimamente…
 
“Non sono ferita. Il sangue non è mio” mentii sperando che mi avrebbe lasciata andare. Tutto il suo corpo si protese verso di me, ricacciandomi con la testa sul cuscino.
 
“Ah no? Hai una spalla messa male per non parlare del polso. Adesso sta ferma. Mi farai dare un’occhiata a quelle ferite, con le buone o con le cattive” nella sua voce non c’era ombra di tentennamenti. Avrebbe fatto ciò che diceva. Strinsi i denti e non mi opposi, lasciando che mi slacciasse il corpetto per controllare le ferite. Ero in imbarazzo certo, ma il dolore era più forte di tutto. probabilmente in un altro momento avrei reagito con rabbia, lo avrei schiaffeggiata o forse lo avrei baciato….baciato? cosa c’entrava baciare adesso? Dio stavo perdendo il controllo di me! Sicuramente quei lupi mi avevano trasmesso una qualche strana infezione, non si spiegavano altrimenti pensieri del genere.
 
Certo lui era bello, figo, intelligente, figo, sensuale, figo, malizioso, figo e….no santissimi dei! Ancora con quei pensieri no eh!
 
Per evitare di perdermi nei meandri della mia mente momentaneamente posseduta dallo spirito di una ragazzina in piena crisi ormonale tornai a posare il mio sguardo su di lui.Lo vidi corrugare le sopracciglia e tastare intorno alle ferite e chiusi gli occhi, spostando altrove lo sguardo. Eravamo in un letto di fattura antica e pregiata, circondato da un baldacchino di seta rossa che mi ostruiva la visuale. Concentrai la mia attenzione sulle tende del baldacchino stringendo i denti per non urlare dal dolore.
 
Mi accorsi che Michael se n’era andato soltanto quando voltai il viso e non lo trovai accanto a me.
 Per un attimo fui presa dal panico. Non volevo restare sola. Fu solo un attimo perché lui torno prima che potessi elaborare qualsiasi altro pensiero. Portava tra le braccia una bacinella che poggiò su un comodino accanto al letto. Dalla bacinella prese una piccola spugna rotonda e la avvicinò alla mia spalla. Con delicatezza lavò la ferita, cercando di non farmi male.
Un piccolo gemito mi sfuggì dalle labbra.
 
“Mi dispiace” mormorò senza incrociare il mio sguardo. Era come se quelle parole gli fossero strappate a forza, come se non volesse dirle eppure non riuscisse a trattenersi.
“Non è colpa tua. Sono stata incosciente ad andare nel bosco da sola” mormorai mentre serravo i denti sul labbro inferiore. Ed ero stata stupida a gettarmi a capofitto nella caccia ai Mutati. Ma poi cosa mi aspettavo, che un Mutato si aggirasse tranquillamente nei dintorni di Villa Temple? lo avremmo “captato” nello stesso istante in cui avesse messo piede a Bremerton. E non c’erano Mutati nella mia città al momento. Avevamo lavorato bene, io e le altre. Casa nostra era finalmente, dopo lungo tempo, pulita.
 
Michael non rispose e continuò a pulire le ferite. In poco tempo la parte superiore del mio corpo era stata lavata e bendata a per bene. Sentivo di avere bisogno di un bel bagno caldo ma per quello avrei dovuto attendere.
 
Il dramma scoppiò quando Michael cerco di abbassarmi i pantaloni.
“Ehi che fai?” scattai trattenendo la sua mano e allontanandola da me utilizzando quel briciolo di forze che mi erano rimaste. Mi guardò leggermente perplesso.
“Controllo anche la gamba e il polpaccio. I pantaloni sono macchiati di sangue quindi suppongo che tu sia ferita.” Spiegò indicando una chiazza rossa all’altezza della coscia che andava facendosi sempre più larga man mano che il tempo passava.
Lo guardai accigliata e non risposi. Si ero ferita, ma non avevo intenzione di permettergli di togliermi anche i pantaloni. Tanto valeva che ci dessimo ad un party in intimo, o ad una lap dance. Certo, non c’era niente di erotico o di volgare nella sua intenzione di curarmi…giusto?
 
“Non mi toglierò i pantaloni finchè ci sarai tu nella stanza” affermai decisa, incrociando con qualche difficoltà le braccia al petto. Meglio non correre rischi. Michael mi fissò incredulo per un secondo. Di nuovo il suo perfetto sopracciglio inarcato si inarcò perfettamente sulla sua fronte perfettamente corrugata, parte del suo viso perfettamente atteggiato in un’espressione da perfetto uomo incapace di scendere a patti con ciò che ha sentito
“Stai scherzando vero?”
“Assolutamente no” chiarii senza ombra di incertezza. Mi fissò per un istante, prendendo nota del mio sguardo deciso e delle labbra testardamente serrate.
Rimanemmo a fissarci per qualche istante. Lotta all’ultimo sangue. allontanò lentamente le mani e io mi rilassai. tornai a reclinare il capo all’indietro sul guanciale, sentendo estremo bisogno di farmi una dormita. Elena 1 Michael 0
Quando già avevo iniziato a gongolare Michael agì. Sfruttò la mia esitazione e con un solo movimento strappò la parte superiore dei miei pantaloni, facendomi sobbalzare di sorpresa.
Elena 1 Michael….beh meglio lasciar perdere le partite virtuali che si svolgevano nella mia mente.
 
“Era il modo più veloce” spiegò in risposta al mio sguardo truce che sembrava non intimorirlo per niente. “Avresti continuato a fare storie e hai già perso abbastanza sangue” a quel punto rimaneva ben poco del mio corpo coperto. Finì di togliermi i brandelli del pantalone e si chinò ad osservare le ferite. Ovviamente ormai il mio viso era di un bel rosso che armonizzava perfettamente con le tende del baldacchino. Con un po’ di fantasia era possibile scambiarmi per un pezzo bizzarro di arredamento. Lavò e bendò anche le mie gambe in pochi minuti e poi finalmente si sollevò, sciacquandosi le mani nell’acqua della bacinella, ormai tinta di sangue.
 
Mi fissò dall’alto con un sorriso insolente sulle labbra, osservando il mio corpo scarsamente coperto con occhi ardenti. Adesso che le mie ferite sembravano non preoccuparlo più, iniziai seriamente a temere per la mia virtù.
“Passami il lenzuolo” ordinai con il tono più autoritario possibile. Purtroppo la mia voce suonò tremula e nervosa. Esitante. Volevo davvero coprirmi? Una parte di me desiderava che lui mi guardasse. “Solo per fargli vedere ciò che lui non avrà mai” pensai tra me e me in un disperato tentativo di salvare il mio orgoglio.
 
Un sorriso beffardo piegò le sue labbra incredibilmente perfette.
“Non credo proprio. Mi merito un premio per averti salvato…lascia almeno che io mi riempia gli occhi con la tua bellezza” motteggiò mentre mi sfiorava un fianco con la punta delle dita. Cercai di allontanare la sua mano ma l’aveva già ritratta quando io, con qualche sforzo, riuscii a sollevare la mia e ad avvicinarla al fianco.
 
“Finiscila!” protestai ricevendo in cambio un bel sorriso ironico. “Non ho nessuna intenzione di starmene qui immobile mentre tu ti prendi gioco di me”
Fraintesa di proposito le mie parole e il suo sguardo si accese. Eccolo! Potevo scommetterci che sarebbe partito a razzo con una sfilza di battute maliziose che mi avrebbero fatto rimpiangere di aver aperto bocca. E infatti…
“Sono soddisfatto di vedere che vuoi collaborare!” esclamò fingendo stupore ed emozione "Devo dire che preferisco una partner attiva...allora cosa vuoi che facciamo?" continuò mormorando con un sorriso malizioso negli occhi, lasciandomi pochi dubbi su cosa avesse scelto se fosse dipeso da lui. Anche se fosse dipeso da me…no no e ancora no! Se fosse dipeso da me ci saremmo dedicati ad una mezzora di lotta libera. Non certo ad un pomeriggio di baci e affini. No, certo che no!
 
“Noi due insieme un bel niente. Però vorrei dormire un po’ se non ti spiace. Oppure potresti riportarmi a casa” per quanto riuscisse a farmi irritare però, dovevo ammettere a me stessa che ero felice di essere li con lui. Felice che qualcuno fosse arrivato per me. Anche se lui non era esattamente arrivato per me. Però era arrivato.
 
“Per qualche giorno è meglio che tu non ti muova. Oggi dormirai qui da me” rispose ancora ridendo, prevedendo le mie proteste, che difatti arrivarono di li a breve. Fu irremovibile. Rifiutò di farmi alzare, di farmi tornare a casa.
“Questo è un rapimento” brontolai esausta dopo mezz’ora di discussione.
“Preferirei considerarla una fuga d’amore” mi schermì divertito venendo a sedersi accanto al letto.
"Illuso" soffiai senza incrociare il suo sguardo. vedendo che le mie proteste lo facevano soltanto sbellicare dalle risate gettai le armi.
 
“Posso almeno chiamare mia nonna?” domandai esasperata con un sospiro, cedendo infine alla logica e al buon senso.
Sorrise e frugò nella tasca del giubbotto che non si era tolto neanche per un istante. Mi porse il suo telefonino.
“certo, chiama la nonna e spiegale che mentre le stavi portando un cesto di prelibatezze sei stata attaccata da un grande lupo cattivo. Fortunatamente il cacciatore questa volta è intervenuto prima che il lupo ti avesse digerita. Scommetto che tua nonna  sarà molto preoccupata per la merenda perduta che per la tua salute precaria” rideva al solo pensiero. Ma quanto era spiritoso quel ragazzo?! Lo fissai con uno sguardo irritato ma tra me e me dovetti ammettere che non aveva tutti i torti. La nonna mi conosceva troppo bene. se avesse sospettato qualcosa probabilmente sarebbe andata in camera mia, avrebbe notato la mancanza delle mie armi preferite, poi mi avrebbe fatta cercare nel bosco e tadaaaaaa….Elena è fregata!
 
“stupido sapientone, sotuttoio, arrogante babbuino del Madagascar” brontolai mentre componevo il numero di Savannah. Squillava. attesi.
“Pronto?” la voce calda e dolce della mia amica mi scaldò il cuore. Possibile che per la mia avventatezza avessi rischiato di non sentirla più? Potevo essere davvero tanto stupida da rinunciare a cuor leggero ad un solo momento con le mie amiche
“Ciao sono io” risposi cercando di dare alla mia voce il solito tono deciso e forte. sono io…che cosa idiota. Come se lei sapesse chi è “io”
“Oh ciao Elena!” ecco, lei lo sapeva. Perché mi conosceva, punto e basta. diceva di essere capace persino di capire quando ero io a bussare alla porta di casa sua, dal mio modo di suonare il campanello, diceva
“Ero così preoccupata. Non ti abbiamo trovata da nessuna parte! Stavo per chiedere a tua nonna o chiamare Jake….” Sembrava sollevata, la sua voce si rilassò visibilmente. La piccola apprensiva, gentile Savannah…
“Oh no! Non fare niente del genere.” scattai subito, sentendo già nelle mie orecchie il silenzio assordante dell’ira della nonna o gli strepiti del mio fidanzato geloso
“Sono solo uscita a fare due passi…avevo bisogno di pensare…sai con tutto questo. E mi sono fermata a casa. Non mi va di dormire a Villa Temple stanotte, dillo anche alla nonna” mi affrettai a spiegare. Era una menzogna non esattamente geniale ma credibile.
 
Savannah rimase qualche secondo in silenzio. Probabilmente era preoccupata per qualcosa. Riuscivo ad immaginare i suoi occhi sgranati più del solito, le sue labbra arricciate nella classica espressione da Savannah-pensierosa. Espressione che solitamente avrei trovato adorabile ma che al solo immaginarla adesso mi fece scorrere un brivido di ansia lungo la spina dorsale.
 
“Elena…è pericoloso. sai tutta la faccenda…non sarebbe meglio stare tutte insieme? Vicine? Lo so che stai soffrendo, però non puoi affrontare tutto da sola. So che ti senti in colpa per la morte di Juliet, ma è così anche per me. Non scappare da questo…dalle emozioni” la sua voce era dolce, accorata. La voce di Savannah sapeva di casa. Di biscotti caldi al cioccolato, di cornetti appena sfornati. Sapeva di abbracci e di sorrisi, di piccoli momenti di normalità.
 
Rimasi in silenzio, non sapendo bene cosa dire. Savannah era così premurosa che mentirle mi faceva sentire un peso alla bocca dello stomaco. Come rubare le caramelle ad un bambino. Con la differenza che i mocciosi erano irritanti e fastidiosi, mentre Savannah era adorabile.
 
“e poi c’è Rachel...è ancora lì sai? ha gridato un po’” Savannah continuò, intuendo dal mio silenzio che parlare di emozioni e sentimenti non era esattamente il mio desiderio.
 
Mi passai una mano sulla fronte, ritornando con il pensiero alla fragile, e furiosa, bambina dai capelli rossi. Forse ero stata troppo severa, troppo brusca e insensibile.
 
“non so cosa fare con lei…è tutto così…strano! Savannah io non sono brava in questo, non sono brava nello stare vicino alle persone” mormorai tra l’imbarazzato e il patetico.
“non dire sciocchezze! Tu sei un’amica eccezionale e per me ci sei stata tante volte…il tuo modo di sostenere le persone non è facile da capire, ne da accettare, ma tu ci sei sempre. Nel tuo bizzarro e contorto modo tu ci sei.” Sussurrò con affetto. Quasi mi veniva da piangere. Quasi.
 
“Va bene, rimani a casa. Penserò io a Rachel, a tua nonna. Ci vediamo preso” mi salutò e dal tono della sua voce intuì che stava sorridendo. Era così facile darla a bere a Savannah. Era troppo buona per sospettare che qualcuno le stesse mentendo. Troppo generosa, troppo pronta ad aiutarmi.
Se avessi parlato con Athena sarebbe stato più complicato. Chiusi il telefonino e per un istante lo strinsi tra le dita, quasi la mia mano potesse sfiorare quella della ragazza che fino ad un istante fa era all’altro capo del telefono. Quella ragazza che era una delle migliori amiche che potessi sperare di trovare. Che potessi sognare. Cosa avessi fatto per meritarmi Savannah, ancora non lo sapevo.

Lasciai il telefonino nel palmo della mano di Michael, chiudendo gli occhi, assillata da un bruciante senso di colpa.
“ti dispiace passarmi una coperta? Sono davvero stanchissima…” sussurrai cercando di scacciare dalla mia mente il volto fiducioso di Savannah. Non rispose ma dopo qualche istante sentii il calore di una coperta. Ci vollero solo pochi istanti prima che passasi dalla veglia al sonno più profondo. L’ultima cosa che sentii fu la carezza della mano di Michael sul viso.



Note autore:


Capitolo molto di passaggio. mi serviva per introdurre ciò che succederà nel prossimo e perchè Michael deve iniziare ad avere indizi su ciò che Elena è realmente...o è Elena che deve avere indizi su Michael? forse entrambi. in ogni caso mi scuso per averci messo tanto, sono stata piena di problemi e sinceramente avevo poca voglia di scrivere perchè ero convinta che alla fin fine fosse tempo sprecato. perciò voglio scusarmi con quelle poche persone che leggono la mia storia e ringraziarle per quei minuti che spendono davanti alla tasiera. sono davvero importanti per me, e se vorrete lasciarmi un commento, positivo o negativo che sia, ne sarò sempre più che felice. non ho molto da dire su Elena e Michael tranne che gli ormoni di Elena iniziano a dare segni di vita....il titolo si riferisce a ciò che Michael ed Elena non si dicono reciprocamente e alle bugie che Elena racconta, a malincuore a Savannah. sono due tipi di rapporto, quello Michael-Elena e quello Elena-Savannah, che in questo capitolo ho voluto mostrare come normali rapporti di attrazione amicizia, che non sempre purtroppo sono basati sulla sincerità
un bacio a tutti, Lilith

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Capitolo 17
*** Sentimento ***


 Sbattei le palpebre un paio di volte e stirai i muscoli indolenziti. La luce era poca, soffusa.
“ben svegliata” una voce profonda vicino a me mi costrinse a girarmi. Incrociai lo sguardo di Michael e brontolai, girandomi su un fianco e posandomi il cuscino sulla testa. non avevo alcuna voglia di iniziare una conversazione mattutina con lui, e anche quella poca luce bastava a ferirmi gli occhi.
“che ore sono” brontolai poco propensa ad alzarmi. Il letto era estremamente comodo e caldo. strano, per Michael mi sarei aspettata qualcosa di tetro e lugubre. che so, una bara o un freddo blocco di marmo stile altare sacrificale. ok la mia mente non era esattamente lucida vero?
“mezzogiorno. Hai il sonno proprio pesante sai?”mi prese in giro. sembrava arzillo e risposato, come se qualche ora prima non mi avesse trovato quasi morta in un bosco. quasi come se non gli importasse. stupidi cambiamenti d'umore.
“tu dove hai dormito?” chiesi sospettosa.Michael era sempre un'incognita e anche se non lo facevo il tipo da approfittarsi della mia momentanea vulnerabilità, la mia innata prudenza richiedeva qualche innocua domanda.
“in camera mia ovviamente” rispose stringendosi nelle spalle con assoluta noncuranza. i suoi occhi brillavano mentre si manteneva volutamente sul vago.
“e quale sarebbe camera tua?” insistetti, temendo che la sua risposta potesse non piacermi.
“di certo non questa qui” rispose ridendo della mia cautela. in meno di un secondo aveva capito dove volevo andare a parare, mi aveva tenuto sulla graticola per qualche istante, per poi scoppiare a ridermi in faccia. ah ah ah. divertente il signorino.
Mi tirai su con qualche fatica e scostai la coperta dalle gambe, rabbrividendo a contatto con l’aria fresca del mattino. Gettai un’occhiata alla spalla e alle varie parti ferite e notai con sorpresa che qualcuno aveva cambiato le fasciature. Lo fissai truce ma non parlai.
“mi aiuti a scendere?” domandai un po’ brusca. L’idea che avesse sfiorato il mio corpo mentre io non ero vigile e cosciente, pronta a redarguirlo, mi metteva a disagio.
“sissignora” mormorò beffardo. Si alzò in piedi e invece di aiutarmi a sorreggermi sulle mie gambe mi prese in braccio senza alcuno sforzo. stupido testosterone maschile che portava gli uomini a voler costantemente dimostrare la propria forza e salvare la damigella.
“Odio essere trattata come una bambola” protestai seccata. Non ero mica un’invalida, odiavo dipendere da qualcuno anche nel più piccolo gesto e quel suo trattarmi come se non fossi capace di reggermi sulle mie gambe era snervante, mi faceva sentire esposta, vulnerabile.
“ma è questo che sei. Un piccola bambola di porcellana” posò la sua mano grande sul mio viso. Dovetti ammettere che in confronto a lui sembravo proprio una bambina. La sua mano riusciva a contenere senza difficoltà tutto il mio viso. La cosa mi seccò ancora di più.
“dove la porto signorina?” sussurrò in un tentativo di sembrare gentile, cercando di ignorare lo sguardo truce con cui accompagnai le sue parole. mi venne in mente quella classica frase di Titanic: << su una stella >> la mia frase fu molto meno poetica.
“in bagno. Ho bisogno di lavarmi. Spero tu abbia una doccia ,perché ho i capelli pieni di sangue secco e terra sporca” mi lamentai poco propensa a mostrarmi accomodante. non avrei potuto riconquistare la mia innata alterigia finchè non fossi stata pulita e perfetta. chiamatele manie di perfezione, ma essere ben vestita e sistemata nmi aiutava a controllare meglio me stessa.
“c’è una doccia in questo bagno…e una vasca molto lussuosa nel mio. Puoi scegliere tu” propose con una risata maligna. Non esitai neanche un attimo.
“doccia!” risposi in fretta e furia. Lo feci ridere e inspiegabilmente fui contagiata dal suo buon umore. Risi anche io. La mia risata lo sorprese e abbassò lo sguardo a fissarmi interrogativo, con un sopracciglio inarcato e un ghigno ben stampato sul quel volto perfetto e incredibilmente affascinante. cos'è, pensava forse che non ridessi mai? Prima che potessi realizzare ciò che stavo facendo avevo sollevato una mano per sfiorare il suo viso leggermente velato da una barba recente. Continuò a sorridere ma i suoi occhi si accesero di una luce più calda e profonda. Ritirai immediatamente la mano, stringendola forte con l’altra come se fosse un pericoloso serpente pronto a mordere appena avessi abbassato la guardia. stupida mano traditrice! inveii mentalmente contro me stessa e il mio sistema nervoso incapace di tiranneggiare gli stupidi muscolidel mio braccio.
“scusa” mormorai fissandomi le mani, profondamente imbarazzata da quel mio piccolo gesto di debolezza. Non rispose. Chinò il capo a fissarmi e la sua mano si strinse intorno al mio polso sano, strappando la mia mano alla morsa in cui me la serravo. Posò le mie dita sulla sua guancia con un gesto lento. fremetti nel sentire la sua pelle di nuovo al contatto con la mia. era ruvida, calda e profumava di sole e di ragazzo. Sollevai lo sguardo a fissarlo con gli occhi sgranati, senza sapere bene cosa mi stava succedendo. Sentivo il cuore andare un po’ più veloce del normale e uno strano languore impossessarsi del mio corpo già di per se fiacco. avevo voglia di poggiare le labbra su quella stessa guancia, di annusare il suo profumo e di lasciare scorrere le dita tra i suoi capelli. Scossi la testa nel tentativo di schiarirmi le idee.
“devo fare la doccia” mormorai distogliendo ancora una volta lo sguardo. Anche se certo fissare il suo petto marmoreo coperto solo da una maglia aderente non mi aiutava affatto. doccia, decisamente doccia. fredda, gelida.
“Hai ragione” sospirò e sciolse il mio polso dalla sua stretta. Entrò in bagno e con delicatezza  mi rimise in piedi. quando mi aveva sollevata ero rimasta indispettita da quel gesto, adesso invece avrei voluto rimanergli ancorata alle spalle per sempre. stile scimmietta ammaestrata. mi sarei presa a calci da sola!
Per qualche istante barcollai e lui mi tenne stretta a se per impedirmi di cadere. Non so se i mie problemi di equilibrio erano dovuti più ai muscoli doloranti o all’agitazione mentale causatami dall’eccessiva vicinanza tra di noi. Fatto sta che soltanto dopo qualche minuto riuscii a stare in piedi senza il suo sostegno. Mi lasciò guardandomi un po’ preoccupato, senza sapere bene se chiudere la porta oppure no. sembrava quasi restio a toccarmi di nuovo, quasi come se il nostro contatto potesse scatenare chissà quale reazione nucleare.
Dopo essere rimasta sola, rimasi per un istante imbambolata a fissare la porta chiusa, poi scossi la testa e mi spogliai dei pochi indumenti che mi erano rimasti. Aprii l’acqua calda della doccia e mi infilai sotto il getto tiepido. forse avrei dovuto girare la manopola sul blu, ma i miei muscoli tesi avevano bisogno di relax, non di un ennesimo trauma. soprattutto dopo l'ultimo e più recente, provocato dal suo tocco.  Il getto d’acqua mi faceva prudere le ferite ma in breve tempo i miei capelli furono puliti e profumati e l’acqua calda sciolse i muscoli contratti della mia schiena. Gettai la testa all’indietro e mi rilassai per qualche istante, dimenticando dove mi trovavo e tutta quella spiacevole situazione. mi faceva una strana sensazione usare il suo shampoo, sentire quello stesso profumo, appena un pò modificato, sui miei capelli, il suo docciaschiuma sulla mia pelle. era un pò come essere sfiorata dalle sue mani, in punta di dita, con un soffio del suo respiro. chiusi il rubinetto con stizza e rabbia, desiderando staccare quel misero pezzo di acciaio e sradicare anche quei pensieri completamente incoerenti dalla mia mente. Rimasi un secondo in ascolto.  Fuori dalla porta Michael camminava avanti e indietro, apparentemente inquieto. Sorrisi tra me e me, quasi involontariamente, e afferrai un telo da avvolgermi intorno al corpo. fu una sensazione spiazzante, troppo intima. Usare le sue cose, essere a casa sua...mi faceva sentire vicina a lui come mai mi ero sentita con un ragazzo.  sentivo un sudore freddo scenrmi lungo le scapole, le braccia e le gambe deboli, lo stomaco contorcersi e aggrovigliarsi. il cuore eseguire un migliaio di piroette su se stesso. ma non ero una codarda. ero Elena, e dovevo controllarmi. assurdo che solo essere in casa di un ragazzo mi sconvolgesse a questo modo. Respirai profondamente, cercando di riprendere il controllo del mio corpo e soprattutto della mia mmente.
 Quando fui sufficientemente presentabile aprii con cautela la porta. Me lo ritrovai più vicino di quanto avessi immaginato. e di certo questo non era un bene per quel poco di controllo e contegno che avevo racimolato nel bagno.  Lui era proprio oltre la soglia, ad appena un palmo dal mio viso, immobile. Sollevai lo sguardo a fissarlo e lui si affrettò a scansarsi per farmi passare.
Mi strinsi forte il telo contro il corpo sebbene avessi già indossato la biancheria intima. essere guardata da lui mi faceva sempre sentire esposta, fragile, quasi fossi nelle sue mani. troppe emozioni, troppo nuove.
“hai qualcosa da prestarmi? Non mi va di andare in giro in intimo” sussurrai voltandogli le spalle. mi mancava persino il coraggio di guardarlo negli occhi. perchè quegli occhi erano ciò che mi destabilizzava più di tutto.
Mi aspettavo una replica ironicamente, pungente e carica di malizia, che però non arrivò. non mi girai a gardarlo, sebbene la voglia di interrogare quei suoi magnetici occhi blu fosse qualcosa di dilagante.
“non credo che i miei vestiti ti vadano bene. e non ho altro qui” rispose in modo piuttosto brusco senza neanche una battuta, il che mi sorprese. finalmente permisi a me stessa di voltarmi e fissarlo e vidi che mi dava le spalle. anche lui sembrava restio ad incrociare il mio sguardo. Le braccia erano abbandonate lungo i fianchi, i pugni serrati. Potevo scorgere senza difficoltà i muscoli contratti del suo braccio e delle sue spalle. Stringendomi addosso il telo mi avvicinai appena, spinta da chissà cosa. Poggiai una mano sulla sua schiena rigida. avvertire i muscoli guizzare e contrarsi sotto il mio tocco fu qualcosa di spiazzante. totalmente inaspettato, come la mia reazione. Arrossii.
“ho fatto qualcosa di sbagliato?” chiesi accorata, preoccupata di quell’improvviso irrigidimento. non so perchp tenessi tanto a vederlo voltare, a sentire le sue battute maliziose e sapere che non era arrabbiato con me. era un desiderio irrazionale, la voglia incontenibile di vedere il suo sorriso capace di scombussolarmi lo stomaco.
“no non sei tu. È che io…io…” fu sul punto finire ma tacque. I muscoli della sua schiena si contrassero ancora di più, come se stesse faticando per mantenere il controllo su di essi. così come io faticavo a mantenere il mio cuore, che inesorabile sembrava allenarsi per i cento metri in un secondo.
“io vorrei riuscire a controllarmi ma non ci riesco. Mi dispiace non ci riesco” sussurrò. La sua voce era roca, più profonda del solito. Si allontanò da me, dalla mia mano e dalla mia vicinanza. sentire improvvisamente la mia mano vuota, priva del sostegno del suo corpo, era qualcosa di inaspettatamente fastidioso. quasi doloroso. lo vidi spalancare la porta e scenndere le scale tanto in fretta da sembrare che avesse il diavolo alle costole. fuggiva da me, da qualcosa che forse avevo inconsapevolmente fatto. avrei dovuto arrabbairmi, nessuno mi aveva mai trattata con tanta noncuranza, con tanto disprezzo. e invece mi sentivo avvilita e afflitta. come se fossi una ridicola, giovane, inesperta, sedicenne innamorata.
rimasi lì, perplessa, senza sapere il perché del suo cambiamento d’umore. Tolsi il telo bagnato e lo lasciai cadere a terra. non c'era più nessuno da cui dovessi coprirmi, nessuno da cui difendermi per evitare di cedere a qualcosa che non comprendevo fino in fondo. quel telo era stato la mia protezione, la mia corazza, ma adesso era inutile. lui non aveva neanche tentato di penetrare la mia armatura, non aveva cercato di guardare oltre, di guardare me. non quella volta almeno. lasciai cadere il telo con l'inspiegabile sensazione che non avrei mai dovuto indossarlo, che avrei dovuto lasciarli vedere fin da subito il mio corpo e, orrore, la mia anima. quasi mi disgustavano quei pensieri. melensi, noiosi, inutilmente sdolcinati. ma venivano a galla uno alla volta, impertirriti, indipendenti dalla mia volontà di affogarli in un mare di razionalitò.
 Dal letto presi una coperta pesante e me l’avvolsi intorno al corpo, non per proteggermi questa volta, ma per riscaldarmi, e andai a raggomitolarmi su una spessa poltrona imbottita dall’aria molto comoda. Michael era un totale mistero.  Non riuscivo mai a capire cosa pensava, ne a prevedere le sue reazioni. Ma quello che era peggio era che non riuscivo a prevedere le mie. In sua presenza io stessa perdevo il controllo. Ormai era innegabile. Mi piaceva, Mi stavo innamorando di lui. Avrei dovuto parlare con Jake, presto, molto presto. Non era giusto continuare ad ingannarlo così. Ogni volta che mi sfiorava io desideravo che fossero le mani di Michael a farlo, ogni volta che mi baciava desideravo le labbra di Michael. Mi sentì meschina. Forse non lo avevo totalmente tradito con il corpo, ma con la mente ormai appartenevo a Michael. Quel pensiero mi fece rabbrividire. No, io non appartenevo a nessuno. io ero la ragazza fredda e distaccata. Com’era possibile che una semplice carezza di questo sconosciuto bastasse a rimescolarmi le viscere? Mi presi la testa tra le mani, confusa più che mai. Mi alzai in piedi lasciando cadere la coperta e mi avvicinai al grande comò di legno. Su di esso troneggiava un imponente specchio. Osservai la mia immagine riflessa. I capelli biondi iniziavano già ad asciugarsi e ricadevano selvaggi e scombinati sulle mie spalle esili. Le mie guance erano più accese del solito ma la cosa peggiore erano i miei occhi. Erano caldi, accesi da una luce di emozione che mai vi avevo visto. La sconosciuta nello specchio mi spaventò. In cosa mi stavo trasformando.  in cosa mi stava trasformando?  era mai possibile che, per la prima volta nella mia vita mi stessi innamorando di qualcuno?  Perché proprio di Michael? Perché proprio adesso? amare mi spaventava. troppo.
Avevo paura. Una paura tremenda. Per anni mi ero accuratamente tenuta alla larga dai sentimenti. Avevo gi sofferto troppo a causa di mio padre. Tutto il mio amore non bastava a tenerlo con me per più di una settimana. Il mio pensiero era sempre stato. “chi mi lascerà adesso?” ma se non mi fossi mai affezionata a nessuno, avevo deciso tempo fa, se fossi stata indipendente, non avrei sofferto quando tutti mi avrebbero voltato le spalle. In fondo si è sempre soli. Eppure adesso mi ritrovavo ad avere bisogno di Michael più di quanto volessi ammettere. Ne avevo bisogno perché mi faceva incazzare, perché mi faceva emozionare. Perchè con lui mi sentivo viva, una persona completa con delle vere emozioni. Ne avevo bisogno in modo del tutto irrazionale.
Rimasi davanti allo specchio per una mezz’ora buona. Mi accorsi di essere rimasta in piedi, imbambolata e immobile, soltanto quando la porta della stanza sbatté e Michael fece il suo ingresso nella stanza. trasalii quando rividi quel viso tirato e incredibilmente bello. Lo guardai ancora confusa, ancora immersa nei miei pensieri. Anche lui non sembrava messo tanto meglio. Aveva lo sguardo febbrile, si muoveva nervosamente e si passava spesso una mano tra i capelli. Non c’era nessun sorrisetto impertinente sul suo viso. non era il Michael che avevo sempre visto. sembrava che qualcosa si rimescolasse dentro di lui, qualcosa di nuovo e incontenibile così come stava succedendo a me. mi aspettavo che dicesse qualcosa, invece gettò sul letto un sacchetto di plastica e me lo indicò con uno sbrigativo cenno del capo.
“ti ho comprato qualcosa da mettere” spiegò in risposta al mio sguardo perplesso. le parole gli uscivano dalle labbra come se ne venissero tirate a forza, come se parlare con me fosse una sorta di resa a ciò che nessuno dei due voleva ammettere.
“non ce n’era bisogno. Non posso accettare” protestai arrossendo. I motivi del mio imbarazzo erano due. Questa piccola gentilezza, insieme a tante altre, era la dimostrazione che lo avevo giudicato fin troppo male ed ero stata accecata dalla mia vanità e dai miei pregiudizi. Probabilmente non era una persona abbietta come credevo io. E due…non ero sicura di voler accettare un regalo da parte sua. non ero sicura di volere altri motivi per pensarlo quando non era con me.
“per favore. Non sono in vena di sostenere una diatriba verbale, quindi accettali e non fare storie” si massaggiò le tempie con una mano e mi apparve incredibilmente stanco. Sospirai e rassegnata, ma anche curiosa, mi avvicinai al sacchetto. Cautamente ne estrassi una maglia. Era una maglia rossa molto elaborata, con uno scollo all’americana molto profondo. I pantaloni che trovai dentro il sacchetto erano di un nero scurissimo. Nel sacchetto trovai anche un giubbotto di pelle nero, molto simile al suo. Presi tra le braccia i vestiti ed entrai nel bagno per indossarli. segretamente, una parte di me esultava per poter indossare qualcosa che aveva scelto lui, qualcosa che magari aveva sfiorato con le sue dita incredibilmente calde e forti. Scoprii che la maglia era molto più attillata di quanto sembrasse a prima vista. Aderiva ad ogni curva del mio corpo in modo impressionante. Lo scollo era tanto audace da mettermi in imbarazzo. non meno problematici furono i jeans. Non c’era praticamente alcuna differenza tra i pantaloni di pelle che usavo per le missioni e questi. Entrambi aderivano al mio corpo in modo provocante. Indossare il giubbotto fu un sollievo. Tirai su la zip fino al collo, in modo da nascondere quanto più possibile l’aderenza e la trasparenza della maglia.  Aprii la porta cautamente, sbirciando fuori dal bagno. Michael era appoggiato alla parete e aveva ripreso il suo solito atteggiamento noncurante, o almeno così sembrava. Avanzai chiudendomi la porta alle spalle. Sorrisi preda di un inspiegabile buon umore. mi sentivo su una giostra incontrollabile che influenzava il mio umore. sapere che mi aveva comprato dei vestiti, che anche nel momento in cui era fuggito da me ero rimasta nei suoi pensieri abbastanza perchè si proeccupasse di procurarmi qualcosa da mettere, faceva allargare un sorriso sul mio volto stanco.  Mi avvicinai a lui e ruotai su me stessa per fargli ammirare i vestiti che mi aveva comprato. un pizzico di innocua civetteria.
“allora…come sto?” chiesi con un sorriso furbo, recuperando la mia prontezza di spirito e la mia vivacità. Il suo sguardo si accese di un sorriso birichino e sfrontato che faceva eco al mio. mi piaceva tornare a scherzare con lui, tornare ad essere l'Elena sicura e decisa che tanto amavo. indossando di nuovo quella maschera, recuperando quella parte del mio carattere, tornavo ad essere forte.
“ti preferivo senza” mi provocò osservandomi con un sopracciglio inarcato. anche lui sembrava aver rispolverato la divisa del vecchio Michael malizioso e impertinente, quello con la faccia da schiaffi. Gli diedi un lieve colpo sulla spalla a mo di rimprovero ma scoppiai a ridere, scostandomi dalla fronte i capelli ormai asciutti. Mi guardò ridere e un sorrisetto si affacciò sulle sue labbra. Sembrava soddisfatto. Senza preavviso allungò una mano e mi attirò a se. Mi ritrovai con il volto a pochi centimetri dal suo petto marmoreo. e di certo quel contatto non ancora consumato, quell'odore così vicino e invitante, non era il modo migliore per alimentare la mia facciata di noncuranza, Sollevai lo sguardo giusto in tempo per vedere il suo viso che si avvicinava al mio. Avrei dovuto scostarmi e protestare ma non ne trovai la voglia. Rimasi a guardarlo, sorridendo senza sapere bene perché. Fui io a sollevarmi sulle punte e posare le mie labbra sulle sue. fu un comportamento totalmente irrazionale, che veniva dal più profondo della mia mente. non un pensiero, semplicemente un azione che il mio corpo aveva compiuto prima ancora di desiderare di compiere quell'azione. avevo agito, attirata da lui come una falena dalla luce, irrazionale, imprevedibile. e se avessi potuto prevederla, controllarla, non avrei di certo fermato quell'azione, quel momento quasi perfetto in cui vedevo il suo viso avvicinarsi. questa volta ero io a prendere l'iniziativa, ad avvicinarmi spontaneamente a lui. Lo sfiorai appena ma fu un incoraggiamento sufficiente. Le sue braccia si strinsero intorno alla mia vita esile, sollevandomi da terra di cinque centimetri buoni. Il suo bacio fu molto meno casto del mio. Mi travolse , lasciandomi senza fiato. Se fossi stata nel pieno possesso delle mie facoltà mentali gli avrei mollato un ceffone. Invece allacciai le braccia intorno al suo collo, rispondendo al bacio con più fervore di quanti io stessa immaginassi. sentii la sua lingua sfiorarmi le labbra, dolce, delicata ma decisa. mi ritrovai a socchiudere le labbra, lasciandogli libero accesso alla mia bocca, e un secondo dopo sentii il suo sapore sulle mie labbra, speziato, dolceamaro. unico, caldo. le sue labbra stuzzicavano le mie, la sua lingua accarezzava l'interno della mia bocca, il suo colpo saldo si schiacciava contro il mio. brividi percorrevano tutto il mio corpo, totalmente estranei, incontrollabili.  Era un po’ scomodo però, starsene sospesa a un paio di piedi da terra, con il vuoto sotto i piedi. In un certo senso guastava il momento. Doveva pensarla come me perché allontanò le sue labbra dalle mie giusto il tempo per avvicinarsi al letto.
A quel punto recuperai un briciolo di lucidità mentale e non appena mi ebbe adagiata sul materasso lo frenai, mettendogli una mano sul petto e tenendolo a debita distanza. Mi guardò evidentemente corrucciato e cercò di aggirare la mia guardia per baciarmi il collo. Rotolai di lato e ancora una volta frapposi fra me e lui un margine sufficiente di distanza. qualcosa nella mia mente mi urlava di mandare al diavolo la coscienza e lasciare che lui continuasse a baciarmi, questa volta comodamente sdraiati su quel letto soffice. ma sapevo che se gli avessi permesso quel bacio non sarei riuscita più a fermarlo.
“che ti prende?” proruppe contrariato, cercando di riprendermi e trattenermi accanto a se.
“è sbagliato” ripetei sebbene io stessa faticassi a prestare retta alle mie parole. La voglia di baciarlo, di sentire le sue braccia intorno a me, era superiore al senso del dovere. Mi appigliai all’immagine di quelle stesse braccia avvinghiate al corpo di Angeline. Con quelle stesse labbra aveva baciato la sua bocca neanche due giorni prima. la rabbia si sostituì facilmente al desiderio. quel momento, quello in cui avevo visto Angeline stretta a lui, era impresso a fuoco nella mia mente, un monito di quanto poco lui tenesse a me, quanto fossimo intercambiabili. che fossi io o che fosse Angeline non aveva importanza per lui.
“maledizione sei totalmente incoerente” sbottò frustrato. Lo guardai con aria di sfida, perdendo improvvisamente tutto il buon umore.
“e tu sei un bastardo” lo apostrofai senza tener conto di quanto poco mi convenisse mostrarmi insolente. “uno stronzo egoista. Credi che io sia una delle tue puttane? Credi di poter passare da me ad Angeline senza problemi? beh ti sbagli. Non sono a tua disposizione” chiarii mentre la rabbia si impadroniva di me. Non poteva permettersi di trattarmi come una qualsiasi ragazza facile.
“che cazzo c’entra Angeline adesso?” ruggì furioso scaraventando a terra le coperte del letto. Balzai a terra, lontano da lui che sembrava quanto mai irritato. si permetteva anche di fare l'irritato adesso?
“ah certo…non c’entra niente. Non sono una puttana. Non puoi usarmi e poi andare da lei” 
“tu fai la stessa cosa con quel bamboccio del tuo fidanzato” mi schernì con ben poca allegria.
“non è la stessa cosa” proruppi punta sul vivo, ferita da quell'affermazione “io non volevo…ho fatto degli sbagli ma cerco sempre di non spingermi troppo oltre, cerco sempre di rimediare e di tenermi a distanza da te. Sei tu che vuoi rendere le cose maledettamente difficili .vuoi che ammetta che mi piaci? Si è vero, mi piaci. Sono attratta da te. Ma sai una cosa? Sei uno stronzo. Tu vuoi solo giocare. non ti importa niente di Angeline, ne di me. Se ad Angeline va bene fatti suoi. Io però non sono così. Non sono quel tipo di ragazza e non lo diventerò per te.  Per te io non conto niente, vuoi solo dimostrare al mondo quanto sei irresistibile” commentai furiosa, la mia voce carica di amarezza e anche di un certo disprezzo. ero abituata a dettare le regole del gioco e in quel momento avevo la sensazione fortissima di essere usata.
“permetterai che io non voglia essere usata no?” domandai con le lacrime di frustrazione e rabbia che si affacciavano agli occhi. Le trattenni usando tutto il mio autocontrollo. Non piangere era la mia prima regola. Piangere davanti a lui sarebbe stata poi una resa totale.
Con un gesto rabbioso rovesciò a terra la poltrona e si voltò a guardarmi con occhi fiammeggianti.
“tu dai tutto per scontato. Mi giudichi senza lasciare che io dica qualcosa. E ti sbagli. Non ti voglio usare maledizione. Non so che mi succede. ma so che la notte non riesco a dormire se non ci siamo salutati con un sorriso, quindi ti lascio immaginare quanto poco abbia dormito ultimamente" esclamò terminando con amara ironia, ma non si fermò, continuando a parlare. "  non riesco a concentrarmi su quella che è la mia vita se non so che sei al sicuro. Non riesco ad allontanare il pensiero di te e credimi, vorrei farlo. Vorrei non dovermi preoccupare di vederti felice, vorrei non desiderare di staccare la testa al tuo ragazzo ogni volta che ti sfiora. Vorrei che tu non mi facessi incazzare, vorrei non perdere il controllo così facilmente. Vorrei provare indifferenza nei tuoi confronti ma non ci riesco. Quindi non venire a dire a me quanto tutto questo sia ingiusto. Lo so benissimo. Ma sai una cosa? La vita non è giusta. dannazione sei la persona più sbagliata che potessi trovare. sei sbagliata in generale. Sei cocciuta, testarda, arrogante e maledettamente rompipalle. sarà difficile starti accanto, sarà difficile non mandarti a quel paese almeno un migliaio di volte. ma penso che ne valga la pena. E sono disposto a mettermi in gioco pur sapendo che probabilmente ci ammazzeremo l’un l’altro, che non avrò un attimo di pace con te attorno. Ma preferisco un inferno con te al mio fianco piuttosto che la tranquillità di vederti tra le braccia di un altro. La verità è che io sono disposto a mettere in gioco tutto, anche me stesso. Tu sei una codarda. Hai paura di qualcosa che non riesci a controllare, hai paura di me perché non sono un burattino nelle tue mani. E hai paura di ciò che provi. Sei una codarda. Non sai quanto detesti dover dire queste cose, non sai quanto mi costi ingoiare l’orgoglio per dirti che questi siamo noi. Tu mi dici che sono un bastardo e io mi incazzo dandoti della stronza. Ma preferisco passare ogni istante della mia vita a litigare con te piuttosto che avere una vita tranquilla . non sono una persona tranquilla, e tu sei un terremoto, un terremoto di cui adesso non riesco a fare a meno Ti odio per avermi fatto perdere la testa” e davvero mi guardava come se mi odiasse.
Era il discorso più lungo che avesse mai fatto. Restai a guardarlo con gli occhi spalancati, incapace di capire appieno il significato di ciò che aveva detto. Aveva ragione. Aveva ragione dannazione. Ero stanca di cercare scuse. Ci fissammo, con il fiatone. Ansanti per la furiosa litigata. Aspettava che fossi io a rompere il silenzio ma non lo feci. Aggirai il letto e mi buttai nelle sue braccia, baciandolo davvero, lasciandomi andare come mai in vita mia. Passai una mano tra i suoi capelli folti, scompigliandoli. Sentii il suo corpo che aderiva al mio e questa volta non mi tirai indietro. Lasciai che mi stringesse a se, che le sue labbra scorressero lungo il profilo della mia mascella e poi giù sul mio collo. La sua bocca si era fatta più esigente ma anche più arrendevole in un certo senso. Come se avesse smesso di lottare e si fosse semplicemente arreso al proprio corpo. Le stesse sensazione che provavo io. Allontanai ogni pensiero e mi lasciai guidare dall’istinto.
Fu una cosa molto più facile di quanti avessi mai immaginato. Il suo corpo aderiva perfettamente al mio, come se fossimo fatti per stare insieme. Le sue braccia forti mi facevano sentire protetta e il suo bacio, dolce e possessivo al tempo stesso, esigente, mi rendeva incapace di pensare con chiarezza.
Quando allontanai il mio viso dal suo poggiai la testa sul suo petto e lui continuò ad abbracciarmi, un po’ impacciato in quelle piccole gentilezze. Chiusi gli occhi gustandomi quell’istante, sperando che non finisse mai. Quel momento era così perfetto, così giusto, che speravo di poterlo vivere per sempre. Mi sentivo assurdamente bene. un po’ frastornata, come se fossi leggermente brilla, ma tremendamente felice. Mi sentivo amata e questo valeva più di tutto.
“e adesso che si fa?” sussurrai senza incrociare il suo sguardo, confusa come non mai. La mia mente mi diceva una cosa, ma i miei desideri erano più forti di tutto.
“non ne ho idea” mormorò accarezzandomi i capelli con le labbra.
Mi allontanai di qualche passo e mi strinsi le braccia intorno al corpo. Lo guardai e notai che la sua faccia ero confusa e allo stesso tempo euforica quanto la mia.
“ti va se andiamo a bere qualcosa? Ho estremo bisogno di non pensare” mormorai guardandomi intorno per non guardare lui. La voglia di accarezzare il suo viso perfetto mi faceva prudere le mani.
Rise ma non sembrava esattamente rilassato.
“per una volta sono d’accordo con te. Ah ti ho preso anche un paio di scarpe” indicò una scatola che doveva aver posato sul letto mentre io ero in bagno. Mi sedetti sul materasso e sollevai il coperchio. Stivali di pelle con un tacco a spillo vertiginoso, morbidi e di splendida fattura. Lo fissai ad occhi sgranati. “ti aspetti che io li metta?” domandai incredula.
“credo di aver azzeccato il numero” rispose stringendosi nelle spalle. Controllai. Effettivamente aveva preso un trentacinque. Aveva occhio non c’era che dire. Anche i vestiti erano della taglia perfetta. Doveva avere una vasta esperienza con le donne.
“non mi ci vedo” sussurrai distrattamente accarezzando la pelle morbida.
“a me piacciono” fu il suo unico commento. Con un sospiro mi chinai per metterli ma una fitta alla spalla mi strappò un piccolo gemito. Mi si avvicinò a si inginocchiò per terra, prendendo lo stivale dalle mie mani.
“faccio io” sussurrò mentre sfiorava la pelle della mia caviglia. Quel semplice, piccolo, innocente contatto, bastò per farmi propagare una scarica di elettricità e adrenalina in tutto il corpo.
Con delicatezza mi infilò lo stivale, accarezzando distrattamente la mia caviglia. Non riuscì a trattenermi e scoppiai a ridere, attirando il suo sguardo lievemente perplesso.
“chi saresti, il principe azzurro di Cenerentola?” lo punzecchiai mentre mi alzavo in piedi. Il mio equilibrio era migliorato ma quei tacchi non mi aiutavano affatto. Sebbene le scarpe alte mi piacessero quel particolare tipo di stivali mi mettevano a disagio. Forse perché era stato lui a regalarmeli. Arrivavano sopra al ginocchio e si avviluppavano intorno alle mie gambe.
“non credo di essere in grado di recitare la parte del principe azzurro” ribatté divertito.
“ho sempre preferito la parte del furfante, del pirata…o del libertino” mi provocò.
“effettivamente l’ultima ti calza a pennello” risposi un po’ più acida di quanto avrei dovuto essere.
Rilevò le parole sottintese nella mia risposta e rise di cuore, divertito.
"ma anche tu non sei Cenerentola" mi apostrofè facendomi sorridere. mi piaceva quell'affermazione, perchè da sempre odiavo le princeipesse dei cartoni. davano una'immagine sbagliata delle donne. Cenerentola che migliora la propria vita solo con il matrimonio, Bincaneve che è così cretina da mangiare una mela offertale da una vecchia inquietante sapendo che in giro c'è una tizia che la vuole uccidere e che poi è costretta ad aspettare che il principe la salvi,  la bella addormentata, che altrettanto cretina della sua amica bianceneve va ad usare un telaio chiuso in una buia e tetra soffitta, e peggio di tutti, Ariel, che nonostante sia senza voce si prende alla fine il bel principe. come se alle donne non fosse necessario aprire bocca, come se il cervello fosse un optional. Tranuille ragazze, finchè avrete un bel fisico, non vi servirà dire cose intelligenti.  
“avanti andiamo prima che si faccia notte e io perda la pazienza” sbuffai seccata, già prossima al pentirmi di averlo invitato a passare altro tempo insieme. pensare alle favole, chissà perchè, mi aveva innervosita.
“hai altri impegni di notte?” mi sussurrò all’orecchio, superandomi in due lunghe falcate per aprire la porta. Scendemmo le scale in silenzio e fu solo quando mi ritrovai all’esterno che lo degnai di una risposta. “di sicuro tu non ne fai parte” borbottai, senza che lui mi degnasse della sua considerazione. Sapeva davvero farmi irritare il ragazzo!
 Scendendo ero stata troppo assorta a pensare a ciò che mi stava succedendo per accorgermi dell’ambiente che mi circondava. Adesso mi ritrovai in un lungo viale dall’aria  paradisiaca.
Delle siepi di fiori colorati bordavano la larga strada che portava all’imponente portone d’ingresso. Mi voltai per osservare la casa da cui ero appena uscita e rimasi di stucco. Tutto sembrava immerso nella luce e nel colore. L’edera rampicante si avvolgeva intorno alle mura, dandole un aspetto di fiaba. Sembrava proprio la casa di Biancaneve e i sette nani, solo che molto più grande.
“ti aspettavi che vivessi in un tetro castello e dormissi in una bara come il conte Dracula?” mi provocò notando il mio stupore.
“in un certo senso pensavo che bare e teschi si addicessero meglio alla tua personalità” commentai senza ombra di ironia. Quella casa dal giardino colorato, con l’albero di melo e l’altalena immersa nei fiori, sembrava uscita da un sogno.
“non sapevo che ci fosse una casa del genere da queste parti” commentai sorpresa constatando che la casa sembrava irradiare luce tutto intorno a se tanto era splendida.
“ci ho lavorato, dopo il mio arrivo. Non era così quando l’ho trovata” spiegò stringendosi nelle spalle. Non trovai niente da commentare perché ero sorpresa dalla bellezza e della delicata eleganza di quella casa molto simile ad un cottage incantato. Non riuscivo a concepire l’idea che Michael, che appariva tanto misterioso cupo e noncurante, avesse potuto progettare qualcosa di così bello e clorato, quasi come se avesse realizzato quella casa prendendo spunto da un libro di fiabe.
La sua stretta intorno al mio gomito mi riportò con i piedi per terra.
“Bella addormentata, la macchina è di qua” mormorò sorridendo, passandomi una mano sugli occhi come per accertarsi che fossi realmente sveglia. Sbuffai e gli diedi una manata sulla spalla.
“spiritoso, vedi di finirla con le favole.” brontolai con un leggero sorriso che mi affrettai a nascondere.
Lo seguii fino al retro della casa, dove era parcheggiata la sua fiammante auto nera. Salii senza aspettare che mi aprisse la portiera e poggiai la testa sul sedile, fissandolo di sbieco quando prese posto sul sedile del guidatore.
“vai piano” lo ammonii rammentandomi della sua guida non esattamente prudente.
“con me sei perfettamente al sicuro” nella sua voce colsi una nota stonata, un tono strano. Come se lui stesso non fosse convinto delle sue stesse parole. Mi voltai a guardarlo in tralice.
“non avrai intenzione di fare un incidente vero?” domandai assurdamente sospettosa.
“non essere assurda” protestò mentre ingranava la marcia e faceva manovra per uscire dal vialetto. Nel fare la retromarcia poggiò il braccio accanto al mio viso e si voltò verso di me. L’improvvisa vicinanza mi fece accelerare il battito cardiaco ma nascosi la cosa con una fredda e calma compostezza. Distolsi lo sguardo e guardai fuori dal finestrino mentre la casa incantata spariva lentamente alla vista, custodendo i ricordi di quanto era successo.

Note

Dalla serie "a volte ritornano" si sono ancora qui. per prima cosa voglio sempre scusarmi con quelle cinque o dieci persone che seguono questa storia. sono poche ma importanti per me. vorrei ringraziarle ad una ad una ma sto postando da casa di un amica, con il timer che scandisce i minuti che mi restano prima di restituirle il pc. quindi passo al capitolo, per dire a queste persone che mi seguono quanto sia speciali e quanto vorrei ringraziarle ci sarà tempo in seguito. per il momento speri vi basti il mio GRAZIE. lo scrivo grande così capite quanto questa parola sia importante per me. passiamo al titolo di questo capitolo. Sentimento. parla sa de credo. tutti i sentimenti di Elena e di Michael che vengono a galla, o che vengono nascosti. tutte le emozioni, i desideri...c'è tutto in questa sola parola. ancora una volta mi stupisco di come una semplice accozzaglia di parole possa dire tanto. per il resto devo dire di non essere molto soddisfatta dal capitolo. è stato molto difficile da scrivere, l'ho fatto in una sola notte, ma ho esitato a lungo a postarlo perchè non ne sono stata convinta. è stato scritto in un momento non molto felice della mia vita, che forse si ripercuote nell'amarezza e nella confusione dei personaggi, ma voglio che, almeno loro, ne vengano fuori. ancora una volta mi sono molto trovata in difficoltà con i sentimenti di Elena, non so se sono riuscita a descrivere in pieno quel misto di confusione e desiderio che prova, ne se abbastanza dei sentimenti di Michael sono traspariti. vorrei assumere un punto di vista più largo che mi permetta di includere anche i pensieri diretti di Michael, ma in questo momento questo racconto è narrato nella prospettiva di Elena e così rimarà. quindi spero che ciò che Michael prova vi arrivi, almeno indirettamente, attraverso le parole e i sentimenti della mia Elena. ancora un grazie.
Lilith

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Capitolo 18
*** Primo Appuntamento ***


 Michael parcheggiò di fronte un locale dall’aria poco raccomandabile. L'insegna sgangherata recitava la scritta "UXURY" vantando un sensibile vuoto nel punto in cui prima doveva esserci la L. non sembrava un locale rassicurante, ne uno dei posti che ero abituata a frequentare. tutti i miei ex mi avevano sempre portata in locali adatti a me, alla mia classe e alla mia eleganza. ristoranti costosi, discoteche all'ultima moda, pub sofisticati...questo invece sembrava una bettola in piena regola. lo osservai perplessa e per niente soddisfatta da dietro il finestrino, storcendo la bocca con disapprovazione. già il mio abbigliamento non era esattamente di mio gusto, poco consono alla mia abituale sobria eleganza, ma che anche il locale fosse così inadeguato....
Scesi dalla macchina sbattendo la portiera con più forza del dovuto, fissando con un sopracciglio ironicamente inarcato l’insegna del pub. Già solo quella prometteva bene. una ragazza in un succinto bikini all’interno di un calice disegnato con luci colorate e intermittenti. Emisi un fischio di finta ammirazione avvicinandomi a lui.
“proprio di classe” commentai guardando con ben poco apprezzamento l’entrata del locale. come poteva pensare che sarei entrata in un posto tanto squallido? uno in cui probabilmente sconoscevano la parola igiene, dove si riunivano i rozzi camionisti di qualche paese sperduto o i pochi ubriaconi di Bremerton?
“volevo che tu provassi qualcosa di diverso per il nostro primo appuntamento. Penso che tu sia stanca di tutti quei monotoni damerini e di cene a lume di candela. Naturalmente se la tua natura femminile è troppo fragile e delicata per sopportare di entrare in una bettola malfamata sarò felicissimo di portarti nel ristorante più chic della città” la sua voce era calda e suadente come miele ma aveva una punta di divertimento e di impertinenza. a dire il vero si, volevo qualcosa di diverso...ma non questo tipo di diverso santo cielo! i ristoranti chic e le cene sofisticate non mi annoiavano affatto, era la compagnia dei miei accompagnatori, solitamente, a risultare tediosa. e proprio adesso, che ero sicura di poter passare un'elegante, divertente, rilassante e appassionante serata con il ragazzo più interessante che avessi mai conosciuto, pregustando già i sofisticati sapori che avrebbero stuzziacto il mio palato....lui mi portava in un locale squallido privo di attrattiva. rozzo e volgare. eppure Mi aveva lanciato una sfida che non potevo rifiutare. aveva detto le uniche parole che avrebbero potuto indurmi ad entrare in quello schifo di posto fetisciente. aveva insinuato che fossi troppo fragile, troppo schizzinosamente idiota, per seguirlo li dentro. benissimo, si sbagliava! gli avrei dimostrato che se lui, con tutta la sua arroganza e la sua superiorità, non aveva problemi a passare in quel tugurio una serata intera, anche io potevo farcela.
Un sorriso diabolico si allargò sulle mie labbra. se dovevo accettare quella sfida tanto valeva farlo in grande stile. Tirai giù la zip del giubbotto che scostai dal mio corpo, lasciando ben in mostra la scollatura e l’addome piatto. sfoderare le armi era dìobbligo. ero una donna e avrei reagito con ogni mezzo a mia disposizione. avrei messo in mostra la mia bellezza altera, innalzandomi al di sopra di quello squallore e del suo stupidissimo appuntamento. sissignore, gliel'avrei fatta vedere io.
Mi guardò con un sopracciglio inarcato ma non fece commenti. sembrava troppo intento ad osservare le mie tette, cosa che fece allargare il mio sorriso. avrei calamitato l'attenzione di tutti in quel locale, fosse stata l'ultima cosa che facevo, poi avrei sbattuto in faccia a Michael la mia capacità di resistere ovunque e la mia indifferenza nei suoi confronti. Con un ultimo sguardo di sfida gli voltai le spalle e mi diressi verso il locale, accentuando il movimento dei fianchi con studiata eleganza. imitai i movimenti dei felini, che strisciano sinuosi verso la preda, agili e silenziosi.
Se proprio dovevo entrare in quella squallida bettola tanto valeva farlo con classe e sensualità. ecco quello che contraddistingue un grande eroe: l'entrata in scena. magari mi sarebbe stata utile una bella colonna musicale ad effetto o che so, una pistola carica alla mano mentre entravo sfondando la porta...ma per quella volta mi sarei dovuta accontentare di un'unica arma: la mia bellezza.
Entrai nel locale precedendolo di parecchi passi, mentre lui, ancora poggiato alla macchina, mi osservava divertito. aveva capito le regole del gioco, si divertiva in quella sfida in cui eravamo fin troppo coinvolti. entrambi volevamo dimostrare all'altro quanto poco ci importasse quell'appuntamento. Appena varcai la porta guardai con un sopracciglio inarcato il lungo bancone e i tavoli ingombri di gente dall’aria poco raccomandabile. C’era puzza di fumo e di alcool. il classico pub da squallido film messicano. quasi mi aspettavo di veder comparire un paio di cowboys dalla faccia sfigurata. Mi strinsi nelle spalle e gettai i capelli dietro la schiena, camminando nel corridoio formato dal bancone e dalla prima fila di tavoli.
“eih piccola. Vieni a bere qualcosa con noi” gridò un uomo afferrandomi per il gomito, cercando di tirarmi a sedere accanto a lui. Gli rivolsi un’occhiata gelida e diedi uno scossone al suo braccio. avrei potuto stenderlo con un colpo ben assestato, ero abituata a combattere creature ben più forti di un omone sbronzo, però non avevo voglia di farlo. non volevo spaccargli la faccia. mi sentivo ancora troppo debole, spossata sia fisicamente sia, dopo la discussione con Michael, mentalmente. certo, se la situazione fosse diventata insostenibile non avrei esitato a prendere a calci quella sua faccia avvinazzata,
“tieni le tue luride mani lontano da me” protestai con tono fermo e glaciale. La sua mente obnubilata dall’alcool non colse però il mio tono tutt’altro che amichevole e rise sguaiatamente, continuando nei suoi tentativi di tirarmi verso le sue ginocchia. luogo che, piuttosto che occupare, avrei preferito bruciare con un pò del fuoco greco che utilizzavo durante le missioni.  L’arrivo di Michael mi salvò da una bella rissa in un bar. ero già pronta a infilare il mio piccolo pugno nella sua pancia molle rigonfia di vino. probabilmente gli avrei fatto vomitare tutto quello che si era bevuto in trent'anni di patetica vita.
Lo vidi arrivare e tirai un sospiro di sollievo. Adesso ci avrebbe pensato lui a tirarmi d’impiccio. L’uomo ubriaco fraintese e sentendo la mia resistenza attenuarsi pensò che non fossi esattamente contraria all’idea della sua compagnia. Senza pensarci su un istante mi diede un forte strattone, trascinandomi sulle sue gambe, la sorpresa per quel gesto inatteso mi paralizzò per un istante. il disgusto risalì lungo la mia gola. avrei tanto voluto vomitargli in faccia.  Ancor prima che potessi alzarmi o schiaffeggiare quel volto rubizzo una stretta molto più forte si serrò intorno al mio polso e mi tirò in piedi.
“stai lontano da lei” ringhiò Michael a denti stretti, parandosi di fronte a me. Sentivo la sua rabbia travolgermi come una marea ardente. Sembrava a dir poco furioso. i capelli neri gli ricadevano sugli occhi, che brillavano quasi neri nella poca luce del locale. i muscoli si contraevano a vista d'occhio, il suo sguardo lanciava fiamme vive e la sua voce si era fatta più profonda e tagliente. L’uomo rimase un istante sorpreso da quell’intrusione imprevista ma si riprese in fretta. Si sollevò in piedi, senza neanche tener conto del fatto che Michael lo sovrastava di tutta una testa. ubriaco com'era non aveva capito ciò che a tutti gli altri avventori del locale era apparso evidente: Michael era un tipo pericoloso. la sua altezza, la sua forza e l'incontrollata furia nel suo sguardo erano bastati ad ammutolire il locale più della mia meravigliosa entrata in scena.
“eih chi ti credi di essere. Io e la signora stavamo facendo quattro chiacchiere. Ora sparisci” protestò sghignazzando l'ubriaco. Pessima mossa. davvero pessima mossa. non potevi che complimentarmi mentalmente con il tizio per la bravura con cui sceglieva le parole giuste per fare incazzare il ragazzo che troneggiava davanti a lui.
Michael strinse le mani intorno alla sua camicia macchiata di liquore,  stropicciandone il colletto già disfatto e sollevando l’uomo in aria di qualche piede. il volto dell'uomo si contrasse, tentò di scalcaire ma la stretta di Michael si fece più forte. si udì il tessuto della camicia che cominciava a lacerarsi, mezzo in tensione dalla stretta di ferro di Michael.
“non ti azzardare a toccarla. Lei è mia” la sua voce era bassa ma sembrava quasi un ringhio. furiosa, accesa d'ira. leggermente roca e affascinante. ma pericolosa. troppo pericolosa.
L’uomo stava diventando ancora più rosso, probabilmente per la mancanza di aria. Preoccupata dal fatto che Michael non sembrava intenzionato a mollare la presa, decisi di intervenire. un omicidio non era il massimo per il primo appuntamento e sinceramente mi sentivo un pò in colpa per quella situazione. forse se non avessi ostentato la mia persone quando ero entrata, il tizio non mi avrebbe notata e io e Michael non avremmo avuto alcun problema. mi decisi ad intervenire, poggiando con delicatezza una mano sulla schiena di quel ragazzo furioso che era il mio accompagnatore.
“Michael smettila” lo rimproverai con voce insolitamente dolce. sembrava fare da contrappeso al suo ringhio furioso di poco prima. lui Parve non sentirmi, mi ignorò volutamente, continuando a stringere la presa sulla camicia dell'uomo . Diede uno scossone al tipo ormai terrorizzato e questo mi mise addosso una strana ansia.
“avanti Michael smettila” protestati mentre la mia voce saliva di un'ottava, diventando più acuta a causa della morsa che mi serrava lo stomaco.  dato che sembrava non prestarmi la minima attenzione sgusciai sotto il suo braccio e mi parai di fronte a lui.
“smettila subito” questa volta mi vide. Abbassò lo sguardo su di me, i suoi occhi trafissero e bruciarono i miei, più spaventati e nervosi di quanto non avrei voluto.  chiuse gli occhi per un istante e prese un respiro profondo, quasi come se stesse cercando di controllare il proprio istinto. lottava per riconquistare la padronanza di se, per trovare la forza di mollare la presa sull'uomo. Ero pronta a dargli un bel pugno, quando finalmente si decise a mollare l’uomo, che si afflosciò a terra come un sacco di patate. Rimasi un secondo immobile, senza sapere come reagire perché lui sembrava ancora precariamente vicino a perdere il controllo. non mi era mai capitato di vederlo così arrabbiato, così irrimediabilmente irrazionale, perso a combattere contro qualcosa che gli cresceva dentro come una marea di rabbia.  Alla fine, quasi guidata da una forza sovraumana, mi avvicinai a lui e lo abbracciai. era un gesto spontaneo, un tentativo di rassicurarlo e una ricerca di rassicurazioni per me stessa. inconsciamente avrei voluto che mi accarezzasse i capelli, da sempre il mio punto debole, scusandosi per quello scatto di rabbia e assicurandomi che andava tutto bene. Michael rimase rigido contro di me ma almeno non mi respinse. sentivo i suoi muscoli fremere contro la mia guancia, sotto le mie dita. guizzavano in modo affascinante sotto il velo leggero della pelle. Quando riaprii gli occhi era tornato ironico e rilassato, il Michael controllato che mi affascinava dalla prima volta in cui i suoi occhi incredibilmente blu avevano trafitto i miei.
“avanti andiamo” poggiò una mano nell’incavo della mia schiena, un contatto che mi fece fremere, e mi guidò fino ad un tavolo piuttosto appartato. Camminando tra le persone mi accorsi che tutti ci seguivano con lo sguardo, in totale silenzio, quasi ritraendosi mentre passavamo.la piccola esibizione di Michael aveva generato un clima di paura venato da rispetto.
Mi sedetti prima che avesse il tempo di scostare la sedia per sfoggiare tutta la sua conoscenza delle buone maniere e pensai con uno strano compiacimento alla frase che aveva detto poco prima.
“lei è mia” se l’avesse detta Jake mi avrebbe infastidita, anzi mi avrebbe fatta incazzare, invece stranamente adesso ne ero compiaciuta. quasi. sentimenti contrastanti si erano risvegliati in me nel sentire quella frase. io non ero di nessuno e non lo sarei mai stata. usare  l'aggettivo possessivo andava bene per gli oggetti, non per le persone. però sentire che mi considerava "sua" parte di ciò che lui era, stranamente mi faceva arrossire e perdere un paio di stupidissimi e inutili battiti cardiaci.
“mi dispiace…per aver perso il controllo” si scusò senza incrociare il mio sguardo. sembrava che quell'affermazione gli venisse strappata a forza senza che ne fosse convinto, come se perdere il controllo fosse una cosa di routine per lui. Osservai di traverso il suo viso congelato in un’espressione arrogante. Non sembrava per niente dispiaciuto. sembrava baldanzoso, elettrizzato. Mi strinsi nelle spalle e lasciai perdere il discorso. non volevo scoprire cosa quell'espressione nascondeva, non volevo cancellargli quel ghigno dalla faccia con un pugno. Litigare proprio adesso non mi sembrava la cosa giusta. prima che potessimo scambiarci qualche parola il barista si avvicinò e prese le nostre ordinazioni, dimostrandosi sollecito e disponibile. Evidentemente la piccola dimostrazione di Michael era bastata per fargli ottenere premure…e paura. Fu Michael ad ordinare per entrambi, e io lo lasciai fare, troppo concentrata nel ammirare il suo viso dannatamente bello per ascoltare ciò che diceva. Ovviamente quando lui tornò a voltarsi verso di me finsi totale indifferenza. farmi sorprendere a fissarlo come una ragazzina innamorata, cosa che assolutamente non ero, sarebbe stata una mossa poco saggia da parte mia. gli avrebbe rivelato con quanta fatica distoglievo lo sguardo dal suo profilo perfetto, dal suo sguardo magnetico e ferino. come percepissi ognuno dei suoi movimenti sinuosi, come ammirassi la grazia con cui compiva ogni singolo gesto.
Restammo in silenzio ancora qualche minuto, finchè il barista non ci pose davanti due bicchieri di tequila. Guardai il mio un po’ esitante. Non avevo mai bevuto qualcosa di così forte…e non mi ero mai ubriacata. ero sempre stata controllata. odiavo perdere il controllo. io ero la regina del dominio di se e l'alcool certo non aiutava a mantenere un costante distacco. avevo sempre avuto paura che bevendo sarebbe venuta fuori la mia emotività, che magari avrei potuto dire qualcosa di troppo personale, qualcosa che mi avrebbe fatta conoscere. Incrociai il suo sguardo sorridente e divertito, quasi una sfida.
“lasciati andare per una volta.” Sussurrò chinandosi verso di me. il punto non era lasciarsi andare...perchè si, lo volevo. non era la morale ad impedirmi di bere quel bicchiere...era la paura. avevo troppa paura di abbandonarmi completamente. però lo volevo. e se c'era qualcuno con cui fossi sicura di potermelo permettere era lui. avevo perso la maschera così tante volte in sua presenza che una in più non avrebbe fatto differenza. forse.
Aveva ragione lui. Avevo bisogno di qualcosa di diverso. Avevo bisogno di adrenalina e di vita. forse essere controllata non era mai stata la sceltya giusta. io ero istinto, passione...e forse anche irrazionalità. avevo sempre saputo che queste parti del mio carattere esistevano, ma avevo cercato di cancellarle, di ddominarle in favore di un potere freddo. era il momento di cambiare qualcosa.
Lo guardai negli occhi, presi un respiro profondo e afferrai il bicchiere. Lui mi imitò ma prima di bere aspettò che anche io accostassi il bicchiere alle labbra. Io bevvi esitante, bagnandomi appena le labbra. Lui buttò giù il suo come se fosse acqua e mi guardò sorridente. non potei non fissare lo sguardo sulle sue labbra perfette, appena umide a causa di quel liquore forte che mi infiammò lo stomaco. Al primo sorso sentì le labbra e la gola andare a fuoco e tossì, sgranando gli occhi. Avevo bevuto al massimo un bayliss .
Scoppiò a ridere e si beccò un’occhiataccia da parte mia. forse le mie speculazioni psicologiche non erano state poi così giuste...
“pensavo fossi una dura…” mi provocò. Avvicinando di nuovo a me il bicchiere di tequila.
Scossi la testa decisa. “non lo voglio” dichiarai a braccia conserte. tornare indietro. avrei tanto voluto. ma non era possibile. ormai che avevo accettato la sfida tanto valeva andare fino in fondo, scoprire fino a che punto fossi chi avevo sempre creduto di essere
“femminuccia” rispose appoggiandosi allo schienale della sedia e fissandomi con un sopracciglio inarcato, quasi con aria di superiorità. cercava di spronarmi, di convincermi che l'irrazionalità era la strada giusta. mi tentava. Presi di nuovo il bicchiere e lo accostai esitante alle labbra. Me le bagnai appena ma prima che potessi allontanare il liquido chiaro dalla mia bocca con un colpo secco al fondo del bicchiere mi spinse in gola buona parte della tequila, che fui costretta a deglutire per non soffocare. Mi sembrava di aver ingoiato fuoco vivo. Quando il bruciore cominciò a placarsi lo degnai di un’occhiata fulminante a cui rispose con un sorriso. Ordinò altri due drink senza far caso alle mie vivaci proteste e meno di un minuto dopo quattro bicchieri vuoti erano posati sul tavolo.
La serata volò tra bicchieri di wodka e mille drink di cui non ricordavo neanche il nome. Al quinto iniziai a sentirmi intontita ma stranamente il sorriso affiorava sulle mie labbra in modo autonomo. Michael si alzò e andò a mettere una canzone al jukebox e senza neanche rendermene conto mi ritrovai abbracciata a lui, a ballare prima sulle note di “21 guns”, poi cullati da “don’t let me go”
 “allora…Ti stai divertendo?” mi sussurrò mentre restavo abbracciata a lui, con la testa poggiata sul suo petto. Il suo respiro mi scompigliava lievemente i capelli.
“non credo di essermi mai divertita di più. Ma probabilmente è perché non sono molto lucida” risposi sorridendo, sollevandomi sulle punte per nascondere il viso nell’incavo del suo collo.
Restammo al pub fino all’alba e quando ne uscimmo io barcollavo visibilmente. Le palpebre mi si chiudevano e avevo la vista annebbiata. Michael era come al solito padrone di se. Aveva i capelli leggermente scompigliati e sembrava quanto mai  bello nella luce chiara dell’alba. Non potevo dire di fare altrettanta figura. I miei capelli erano in disordine, la mia maglietta si era arrotolata, scoprendo un’ampia porzione del mio addome, il giubbotto lo avevo lasciato tra le braccia di Michael, rifiutandomi di indossarlo. Eppure i miei occhi brillavano di allegria.
Rabbrividì stringendomi le braccia al corpo quando il vento freddo sfiorò la mia pelle e si infiltrò tra i miei capelli disordinati.
“Avanti mettilo” sussurrò Michael gentilmente avvicinandomi il giubbotto. Scossi la testa ma non riuscì a protestare quando lui me lo fece indossare con gesti lenti e assurdamente premurosi. Sorrisi e  di slancio lo abbracciai. Per un secondo restò confuso ma poi sorrise e strinse le sue braccia forti attorno al mio corpo. Chiusi gli occhi, rilassandomi contro di lui. Non so per quanto tempo rimasi così ma ad un certo punto sentì la sua voce vicino al viso.
“elena stai dormendo?” nella sua voce avvertivo chiaramente una risata trattenuta ma non me ne importava niente.
“no” brontolai senza aprire gli occhi. Sentì la sua risata calda e musicale accarezzarmi la pelle.
“d’accordo ho capito” senza dire altro si chinò a sollevarmi tra le braccia e improvvisamente sentì il vuoto sotto i piedi. Spalancai gli occhi e mi portai una mano alla bocca, trattenendo un conato di vomito.
“eih fai piano. Mi hai fatto ubriacare ricordi?” gli rammentai tornando a chiudere gli occhi. Posai il capo sulla sua spalle senza ascoltare la sua risposta che giunse alle mie orecchie indistinta e priva di significato. Mi portò in braccio fino alla macchina e mi adagiò con  estrema delicatezza. Mentre lui faceva il giro per accomodarsi sul sedile del guidatore diedi un’occhiata ai cd che aveva sul cruscotto. Ne scelsi uno e lo inserii. La musica partì nello stesso istante in cui la macchina scartò in avanti. Sulle note di Smell like teen spirit cantammo, divertiti e un po’ brilli. Sporsi la testa fuori dal finestrino urlando le parole della canzone prima che lui mi tirasse di nuovo a sedere.
“fai la brava” mi rimproverò ridendo, cercando di sovrastare il volume della musica.  Adagiai la testa contro il sedile e socchiusi gli occhi per un istante. mi piaceva quella musica martellante. stranamente mi piaceva. era rilassante. mi cullava...L’ultima cosa che vidi prima di addormentarmi fu il suo viso che si chinava per sfiorare con le labbra calde la mia fronte fredda.

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Capitolo 19
*** Chiarimenti ***


Mi stiracchia lentamente sbattendo le palpebre con aria pigra. Il languore del sonno non mi aveva ancora abbandonata del tutto e io mi crogiolavo in quel momento a metà tra la veglia e l’incoscienza. Un momento deliziosamente dolce, privo di pensieri ed emozioni.
Fu il mal di testa martellante a svegliarmi del tutto e a scacciare l’obnubilamento  quasi rilassante che mi avvolgeva. Mi portai le mani alle tempie, stringendo i denti. Mi sembrava che mi fosse passato sopra un branco di elefanti. Un dolore acuto, persistente ed estraneo. Qualcosa cui non ero assolutamente abituata, una sensazione nuova ma tutt’altro che piacevole. Il dopo sbornia.
La luce che filtrava da una finestra era troppo forte, troppo penetrante, mi incendiava gli occhi nonostante la barriera delle palpebre calate su di essi. Una mano fresca si posò sulla mia fronte, scostandomi i capelli dal volto, portandomi appena un po’ di sollievo. Sentivo la pelle ardere, lo stomaco capovolgersi e contrarsi. se avessi aperto gli occhi ero sicura che avrei visto il mondo ruotare come una giostra impazzita.
“tutto bene?” domandò Michael. e sebbene la sua voce osse affascinante come sempre suonò incredibilmente acuta e penetrante alle mie orecchie. borbottai per quel suono penetrante e fastidioso, simile al raschiare delle unghia sulla lavagna, che altro non era se non una risata soffocata da parte del padrone di casa. Lo sentivo vicino ma non riuscivo a capire dove fosse. a dire il vero non riuscivo neanche a capire chi fossi io. Sapevo solo che volevo dormire.
Aprii la bocca per rispondere e fui colta da un conato di vomito, talmente improvviso e inaspettato che rimasi senza fiato.  Decisamente il mio stomaco non voleva collaborare. Mi portai una mano alla bocca e improvvisamente il mal di testa passò in secondo piano. Saltai giù dal letto, ancora barcollante, cercando a tentoni la porta del bagno prima che fosse troppo tardi. Già immaginavo l'umiliazione di farmi vedere, da Michael per di più, a terra in una pozza di vomito. un incubo che non ero disposta ad affrontare.
Le sue braccia trovarono la mia vita e furono pronte a sorreggermi. Mi sollevò con gentilezza, aprendo la porta del bagno al posto mio, che del resto riuscii appena a distinguere la maniglia, confusa e delirante com'ero. Quando mi mise in piedi barcollai e caddi in avanti, per fortuna senza sbattere da nessuna parte. Che fine aveva fatto il mio proverbiale equilibrio? io che avevo camminato su tacchi a spillo di quattordici centimetri senza ondeggiare minimamente, mi ritrovavo ad annaspare incapace di sostenere il mio stesso peso. lacrime di rabbia minacciarono di affacciarsi ai miei occhi mentre a tentoni, con gli occhi gonfi e la vista annebbiata rimanevo immobile sul pavimento, con la schiena premuta contro il lavandino.
Michael si sedette per terra al mio fianco, guardandomi un po’ preoccupato. la parte più lucida del mio cervello notò indispettita che lui sembrava perfetto come al solito. non un capelli fuori posto, niente occhiaie e soprattutto niente nausea. Probabilmente era molto più abituato di me all'alcol, pensai stizzita, prima che qualsiasi pensiero fosse spazzato via dall'ennesimo conato.
“va via” lo supplicai mentre mi sporgevo verso il gabinetto. Non volevo che mi vedesse in quello stato, non volevo che mi vedesse e basta, in quel momento. e non volevo vederlo neanche io, con il suo faccino perfetto, i suoi capelli ordinati e il suo volto rilsssato.
Non mi ascoltò e anzi si avvicinò a me , avvolgendomi un braccio intorno alla vita. Mi passò l’altra mano sulla fronte, allontanandomi i capelli dal viso mentre vomitavo nel gabinetto. La sua presenza calda e sicura mi dava conforto mentre il mio corpo stanco era scosso dai conati. Nonostante averlo accanto mi fosse di conforto quando ebbi abbastanza forze cercai di allontanarlo.
“non voglio che tu mi veda così” la mia voce suonava debole e stentata alle mie stesse orecchie. fastidiosa, gracchiante. come aveva fatto a convincermi a bere così tanto? che fine aveva fatto il mio famigerato buonsenso?
“Elena non fare la stupida. Ieri sera eri uno straccio quindi non ci faccio neanche caso” la sua risposta mi strappò un gemito. Oh fantastico. proprio meraviglioso. non bastava essere un orrore la mattina, adesso potevo consolarmi pensando di essere stata altrettanto pessima già prima di andare a dormire, quando l'alcol ancora in circolo avrebbe dovuto rendermi euforica ed esuberante. cercai ancora di scacciarlo, limitandomi a frenetici cenni con le mani, nel timore che aprire la bocca mi provocasse ulteriori problemi.
Michael ignorò ogni mio tentativo di protesta, silenziosa o meno, sorbendosi tutte le capriole del mio stomaco senza fare la minima piega. attese pazientemente al mio fianco e quando sollevai lo sguardo verso di lui mi sollevò in braccio e mi sciacquò la bocca, schizzandomi il viso di acqua fredda.
Un po’ impacciata nascosi il volto bagnato nell’incavo del suo collo e mi lasciai trasportare fino al letto. decisi che per quella volta avrei messo da parte il mio orgoglio femminile e mi sarei lasciata portare in braccio. in fondo anche la mia testardaggine doveva piegarsi di fronte ai fatti, e l'unico fatto attendibile in quel momento era la mia incapacità di reggermi in piedi.
fortunatamente per me, per il mio stomaco e per la mia testa, il tragitto fu breve. con sollievo accolsi il contatto delle lenzuola calde sul mio corpo che aveva sfortunatamente assorbito tutto il freddo delle mattonelle del bagno. Michael mi adagiò sul materasso soffice, sistemandomi i cuscini dietro la schiena. Quelle piccole premure mi facevano piacere ma forzai la mia faccia leggermente più pallida del solito in un’espressione insofferente. Ci tenevo a salvare quel po’ di dignità che mi restava.
“ok ora basta. sono solo reduce da una sbronza” protestai quando lo vidi affaccendarsi per rimboccarmi le coperte. Non riuscivo a capacitarmi del fatto che quel ragazzo tanto premuroso fosse il Michael arrogante che conoscevo, il suo umore altalenante aveva come sempre il potere di spiazzarmi, di farmi sentire inadeguata e impacciata come mai ero stata in vita mia. Lui alzò lo sguardo a fissarmi leggermente divertito, come se le mie proteste fossero semplici inutili miagolii di un gattino capriccioso. Sollevò le coperte sorridendo tra se di chissà quale pensiero e me le lancio in faccia, seppellendomi sotto strati di tessuto caldo.Per qualche istante lottai per liberarmi del pesante piumone, cercando di togliermelo dalla testa. udivo la sua sommessa risata divertita, attutita dallo spessore delle coperte che mi pesavano addosso.
Quando ne riemersi, totalmente scarmigliata, gli scoccai un’occhiata altezzosa, resa meno minacciosa dal colorito verdastro della mia faccia e dal sommesso borbottio di sottofondo del mio stomaco non ancora tranquillo.
“sei infantile” lo apostrofai mentre cercavo di trattenere un sorrisino. temevo che sorridere avrebbe mandato il mio viso in frantumi, tanto sentivo la pelle tirata sugli zigomi e i lineamenti rigidi. Michael mi fissò di rimando con aria arrogante, seduto sul bordo del letto, i capelli neri che sfiroavano appena il colletto di un maglioncino beige di cotone.
“e tu sei  miss perfettina. non sai divertirti e sei troppo compassata” mi liquidò con un gesto aggrazziato dellesue lunghe dita. ah ero io quella perfettina? e lui che, reduce da una sbronza, sembrava pronto per posare per una campagna di moda?
Sollevai un sopracciglio fissandolo con evidente aria di sfida, pronta a dimostrargli come l'essere compassata non fosse poi così determinante per me. Allontanai totalmente le coperte dal mio corpo e prima che potesse prevedere le mie intenzioni mi slanciai su di lui, con la stessa agile naturalezza che avrei usato in una missione. Lo atterrai contro il morbido materasso, stringendo le ginocchia contro i suoi fianchi, premendo le dita sui suoi avambracci muscolosi.
Per un terribile istante temetti di essere colta da un'ennesimo conato e di rovinare per sempre il suo maglione con quel pò che era rimasto nel mio stomaco, mandando anche a quel paese qualsiasi speranza di un "amicizia", perchè era quello che continuavo a volere, o almeno così ripetevo a me stessa, con lui. fortunatamanete per una volta il mio corpo decise di essermi solidale e di non rovinare i miei piani.
“chi è che è compassata e perfettina?” domandai senza staccare gli occhi dai suoi, sentendo un vago sorriso errare sulle mie labbra screpolate, osservando il suo viso, terribilmente bello sotto di me.
“chi è adesso che è infantile?” ribatté cercando di apparire serio e di assumere un’aria di disapprovazione. Entrambi in realtà ci stavamo divertendo da matti. Ogni tanto era bello lasciarsi alle spalle le regole ma soprattutto la ragione, divertirsi seguendo l’istinto. Era questo che mi stava insegnando Michael. A lasciarmi andare con le persone, a fare ciò che desideravo senza curarmi troppo delle regole. Forse non era una cosa bella da fare, eppure non mi ero mai sentita felice come in questo periodo. Nonostante i mille problemi con le custodi, l’assenza di mio padre e i drammi adolescenziali, quei minuti di totale libertà in sua compagnia erano per me assolutamente preziosi.
Abbassai lo sguardo su di lui, decisa a ringraziarlo per le sue lezioni di normalità, di istinto, per quel suo non arrendersi di fronte al mio muro di ghiaccio, per il modo spietato in cui si ostinava a prendere a picconate le pietre di quel muro, credendo che dietro ci fosse qualcosa che ne valesse la pena. perchè ormai lo stavo capendo, che era questo che voleva. guardare oltre, dove nessuno era mai riuscito a guardare, e insegnare anche a me come guardare me stessa. i miei occhi si persero nei suoi e i ringraziamenti mi morirono sulle labbra. adesso non sorrideva, lui. mi fissava con le sue iridi blu terribilmente accese, quasi febbrili. i capelli neri, leggermente più lunghi di quando l oavevo incontrato, contornavano perfettamente il suo volto bianco. c'era una tale intensità nel suo sguardo che non riuscii a reprimere un fremito e mi accorsi improvvisamente di quanto il mio corpo fosse vicino al suo, come un semplice movimento ci avesse portati così a contatto. nel momento dello scherzo entrambi avevamo dimenticato la cautela che eravamo soliti usare nello sfiorarci, perchè forse entrambi temevamo quell'improvviso fuoco che sembrava scoppiare nell'istante in cui ci toccavamo davvero. quel fuoco che adesso stava bruciando il suo sguardo, acceso dal mio.
Spinta dall’istinto, quell'istinto di cui lui pian piano mi stava insegnando il valore,  chinai il viso per baciare le sue labbra carnose. Non pensai, fu un gesto meccanico, automatico. Normale. un gesto che avrei potuto compiere un milione di volte senza per questo trovarlo mai abitudinario, banale. Un gesto che semplicemente sembrava parte di me. Con lo stesso infallibile istinto irrazionale, quell'istinto che non aspettava le decisioni dei nostri cervelli troppo lenti a bruciare, ad accendersi di quella fiamma che ci consumava in fretta, le sue braccia si strinsero attorno al mio corpo e una sua mano si serrò dietro la mia nuca, infiltrando le dita tra i capelli.
Adesso non eravamo più solamente vicini, eravamo insieme. le nostre labbra si modellavano le une sulle altre, il mio corpo si adagiava completamente contro il suo, ricercando il calore che ardeva in entrambi. Non ero mai stata così attratta fisicamente da un ragazzo e la cosa era sconcertante e irritante al tempo stesso. Non mi piaceva la chimica speciale che c’era tra noi. Non mi piaceva sentirmi così legata a lui. Odiavo i legami troppo stretti…ero convinta che prima o poi si sarebbero spezzati e se si fossero spezzati io avrei sofferto. Persino con Athena e Savannah cercavo di mantenere una certa distanza. Era un istinto di autoconservazione, intrinseco nella mia natura. Se non ami non soffri quando ti abbandonano.
Fu quell'istinto di sopravvivenza ad allontanarmi da lui, a strapparmi da quel calore prima che decidessi allegramente di abbracciare le fiamme e lasciarmi consumare. Stavo trasgredendo tutte le mie regole per colpa sua. E sapevo, in modo istintivo e chiaro, che questo mi avrebbe fatta soffrire. E non ero preparata ad affrontare il dolore, non un'altra volta.  Contro il dolore fisico potevo anche cavarmela ma non ero brava nel fronteggiare le tempeste emotive. Non avrei permesso a nessuno, neanche a Michael, di scombussolarmi emotivamente.
“riportami a casa” mormorai sollevandomi dal letto e aggiustando le pieghe nella maglietta, eludendo il suo sguardo in cui le fiamme della passione cedevano il posto a vampate di pura collera.  
Mi fulminò con un’occhiataccia e il buon umore di entrambi evaporò con la stessa velocità con cui era arrivato, consumato da quella passione che temevo più di ogni altra cosa.
“sei assurda. Un minuto mi assali quello dopo ti comporti come una regina offesa” protestò mentre con rabbia andava ad aprire la porta della camera e scendeva le scale a quattro a quattro. Il suo tono brusco non mi piacque per niente. Non aveva alcun diritto per parlarmi in quel modo. Volai giù per le scale, cercando di starli alle costole, pronta a difendermi con la sola arma della ragione. perchè era la razionalità, l'unica cosa a cui potevo appigliarmi per impedire a me stessa di volare tra le sue braccia, di baciarlo ed accarezzare quei capelli di seta, sfiorare con i miei polpastrelli i suoi lineamenti cesellati.
“i miei cambiamenti d’umore non ti riguardano. E si da il caso che quanto ad incostanza abbia appreso da te” protestai mentre varcavamo il portone, senza guardarci l'un l'altra. mi stava riportando a casa, ma lo stava facendo solo per non dovermi guardare, per non sommergermi con la sfilza di inguirie che ero sicura gli stessero vorticando in testa. La Ferrari era parcheggiata lì davanti, quasi ci stesse aspettando. Michael aprì lo sportello con rabbia e prese posto sul sedile del guidatore. Mise in moto senza neanche aspettare che salissi e senza accennare un minimo gesto di cortesia. sembrava ansioso di togliersi la sottoscritta dai piedi e per un istante mi ferì sapere che un mio rifiuto potesse portarlo ad arrabbiarsi tanto. avrebbe dovuto capire, avrebbe dovuto aspettarselo. o forse ero io che avrei dovuto aspettarmelo, aspettarmi la sua rabbia. in fondo lo aveva sempre detto, che tutto ciò che voleva era il mio cedimento, vedere me completamente persa da lui. il suo orgoglio, con quelle semplici parole, con quell'ennesimo rifiuto, doveva aver subito un bel colpo, mitigato soltanto dalla rabbia di non potermi vedere cadere. Forse.
“ah l’allieva supera il maestro, non c’è che dire” ringhiò quando ormai disperavo di sentire una risposta.
“dici? Io invece credo di no. Sei la persona più incostante, incoerente, irrazionale e lunatica che io conosca” lo apostrofai mentre mi sedevo a braccia conserte. incredibile come, nel giro di qualche minuto fossimo passati dalla risata complice alla passione, per poi piombare nella rabbia e nella frustrazione. forse entrambi avevamo degli squilibri emotivi. La macchina partì con uno scatto brusco, evidente segno del malumore del guidatore. non che avessi bisogno di una prova materiale, perchè l'aria nell'abitacolo sembrava vibrare per la rabbia, mia e sua.
“e guida piano. Non voglio morire a causa tua” gridai mentre la macchina schizzava in avanti e il mio stomaco andava ad abbracciare la colonna vertebrale.
“tu mi vieni a parlare di essere irrazionale e lunatico? Proprio tu? Tu che ti mostri ogni giorno con una maschera diversa, tu che fingi continuamente di essere qualcuno che non sei? Il problema sta proprio qui…chi sei davvero?” sbottò senza guardarmi negli occhi, guidando a velocità per le strade di Bremerton, ansioso di togliersi dai piedi il fastidioso fardello, alias me.
“non hai alcun diritto per parlarmi così. Io non recito, non fingo. Sono così. Punto e basta. se ti va bene ok, altrimenti peggio per te. Non ho alcuna intenzione di cambiare per te, ne per nessun altro. Se ti vuoi adattare, questa sono io. Non puoi prendere di me solo le cose che ti piacciono. E dal momento che mi ritieni così falsa e incoerente allora lascia che ti dica una cosa, e su questo puoi stare sicuro che non mentirò. Sei un idiota, sei arrogante e presuntuoso. Ieri ho pensato che ci fosse del buono in te, che anche tu avessi un lato gentile, ma sei solo un presuntuoso che pretende di comandarmi a bacchetta. Beh io non prenderò ordini da te, non asseconderò mai i tuoi capricci. Farò quello che mi pare e non ne renderò conto a te.”
“ma guarda cosa devo sentire! Sono io che voglio comandare te? Semmai il contrario. Sei tu che vuoi trasformarmi in uno sciocco ammaestrato come tutti gli altri. ma io non sono il cagnolino di nessuno, non corro a cercarti ogni volta che sei di malumore. Non sono un tuo schiavo ne uno di quei poveri idioti che sono pronti a baciarti i piedi. Io so quello che valgo e so che non mi abbasserò mai, ne per te ne per nessun altro. Sono presuntuoso? Si forse. Ma è semplice consapevolezza di se.” L’arroganza sul suo viso furioso e rigido era più che evidente. Per un secondo provai l’impulso di schiaffeggiare quel suo volto così freddo.
“oh sappiamo tutti che hai un’alta concezione di te stesso, non c’è bisogno di sbandierarla ai quattro venti. Ma non puoi in alcun modo averla vinta con me. non te lo permetterò. Sei solo il nuovo arrivato con un bel faccino ma mettiti contro di me e io ti distruggo. Ho capito cosa vuoi fare…vuoi giocare con Angeline e con me, vantarti con tutti del tuo successo. Ma io non sono a tua disposizione. io non sono qui per farti giocare.” Sbottai stringendomi la mano al petto per reprimere l’impulso di picchiarlo.
“ e tu eri quella che parlava della mia arroganza? Ma ti sei sentita? Sei più presuntuosa tu di chiunque altro io conosca, compresa Angeline. Ma sei solo una sciocca bambina viziata che pesta i piedi quando non ottiene ciò che vuole” mi apostrofò con un sorriso talmente irritante che mi chiesi come avessi fatto solo pochi minuti prima a desiderare di baciarlo.
L’insulto mi lasciò a bocca aperta. Annaspai in cerca di parole abbastanza brutte da esprimere ciò che provavo in quel momento ma non me ne venne in mente nessuna.
Optai per un silenzio rabbioso che durò fino a che la sua macchina non si accostò di fronte al cancello di ferro battuto di Villa Temple. scesi dalla macchina prima ancora che si arrestasse del tutto e sbattei la portiera con tutta la forza di cui disponevo. Non vi furono gesti di saluto da parte di entrambi. probabilmente se avessi di nuovo aperto bocca ci saremmo reciprocamente mandati a quel paese. Mi incamminai su per il viale e trovai il portone già aperto. Savannah se ne stava sulla soglia fissandomi preoccupata. doveva aver sentito il rumore dele ruote che sgommavano sul vialetto, pensai distratta da quel pensiero totalmente inutile. che mi importava, in fondo, che Savannah avesse sentio la macchina di Michael? che avesse sentito me litigare con lui? in quel momento mi sembrava irrilevante. “elena che è successo? Dove sei stata? Stai male? Sembri pallida…” esclamò concitata venendomi subito incontro con quella sua apprensiose ingenua e generosa che però in quel momento non poteva fare altro che innervosirmi.
“savannah per favore almeno tu lasciami stare” sbottai innervosita di quel premuroso terzo grado.  Vidi i suoi occhi riempirsi di lacrime e fui tentata i scusarmi e raccontarle tutto. Sapevo di averla ferita, sapevo di non meritare al mio fianco una persona tanto buona. Ma ebbe il sopravvento l’orgoglio. Senza incrociare il suo sguardo corsi su per le scale e mi chiusi la porta della mia camera alle spalle con un tonfo sordo e pesante. Una volta immersa nel blu di quella stanza familiare sperai di trovare un po’ di pace ma la rabbia si era ormai impadronita di me, accompagnata da un sordo senso di colpa per aver risposto in quel modo alla persona che meno di tutte lo meritava. Passeggiai per la stanza cercando di sfogare l’ira in qualche modo, tentata dal prendere a pugni l’armadio. La ragione mi trattenne da un simile gesto sconsiderato ma avevo estremo bisogno di incanalare la rabbia. Il mio nervoso moto per la stanza mi portò presso la scrivania dove giaceva posato un tagliacarte. Senza rifletterci due volte lo presi e lo lanciai con rabbia contro l’armadio. Sebbene non fosse appuntito, tanta fu la forza che impressi in quel rabbioso lancio, che si infisse nel legno. Il manico vibrò per qualche istante per poi fermarsi.
Mi portai le mani ai capelli scompigliati, trattenendo a stento l’ira che rischiava di impadronirsi sempre di più di me. Non era giusto che mi trattasse così…non potevo permetterglielo. Mi sedetti sul letto ma, incapace di star ferma, saltai in piedi dopo pochi secondi. Se non avessi fatto qualcosa sarei letteralmente impazzita dal nervoso. In quel momento mi ricordai di un piccolo, insignificante dettaglio: Rachel. Mi ero completamente dimenticata di lei. L’idea di subirmi i piagnistei di una bambina non mi andava neanche un po’ ma a quel punto la cosa migliore da fare era concentrarmi sul dovere. le responasabilità del mio ruolo forse mi avrebbero aiutato a sopprimere quell'irrazionale bisogno di essere adolescente che sembrava avermi colpito improvvisamente come un'orribile malattia.
Presi un respiro profondo e lasciai la stanza a passo di marcia. Raggiunsi la biblioteca, ancora chiusa a chiave. Le chiavi erano pasate su un tavolino, perfettamente in bella vista.  Aprii, pronta a soffocare nel lavoro la rabbia del momento,  ma la visione che mi sarei aspettata non corrispondeva a quella che mi trovai davanti. Rachel sedeva sorridente e a capo chino, con un libro poggiato sulle ginocchia e un’aria soddisfatta.
Non si accorse della mia entrata e io rimasi a studiarla perplessa. Mi sarei aspettata che fosse pronta ad aggredirmi e ad insultarmi. Una parte di me aveva anche sperato in una reazione violenta, così avrei avuto una scusa per mettere in moto il corpo e sfogare la frustrazione dovuta alla “chiacchierata” con Michael. Invece quella che mi si parava di fronte era un’idilliaca e serena scena di pace quotidiana. Sospirai delusa e mossi qualche passo, richiudendomi la porta alle spalle.
Qualcosa mi diceva che Savannah e Rachel avevano fatto una chiacchierata attraverso la porta. chi se non la mia paziente, generosa, profondamente altruista amica avrebbe potuto portare armonia nella vita di quella bambina distrutta dalla perdita di una sorella e dalla consapevolezza di non poter scappare da qualcosa di più grande?
richiusi la porta, lasciando che Rachel affrontasse quel momento da sola, riflettenedo su ciò che sarebbe stato il suo futuro. se la stava cavando molto meglio da sola, senza la mia presenza a metterle ansia. avrei lasciato che trovasse da sola il proprio equilibrio, a meno che non fosse stata lei stessa a chiedere la mia guida.
Camminai inquieta per il corridoio senza sapere bene che cosa fare, troppo nervosa per stare ferma. Alla fine optai per una ricognizione nel bosco. Dovevo tornare nella radura e recuperare le mie armi. Non avrei mai avuto il cuore di lasciarle li, ognuna aveva uno speciale valore per me.
Scesi le scale cercando di non fare rumore per non attirare l'attenzione di nessuno, soprattutto quella di Savannah con cui ancora non ero pronta a scusarmi, senza curarmi delle ferite che bruciavano come non mai, ne dei muscoli indolenziti che protestavano, sfiniti.
Il portone era ancora aperto. Senza pensare a niente, sforzandomi di allontanare il viso di Michael dai miei pensieri, corsi inoltrandomi nel bosco, lasciando che l’istinto mi guidasse fino a ritrovare la strada.
Improvvisamente mi ritrovai nella piccola radura e mi fermai osservando il tappeto di foglie coperto di sangue. per terra giacevano i corpi di parecchi lupi. Alcuni riportavano poche ferite letali, ferite profonde di coltelli. Dovevano essere quelli che avevo ucciso io. Ma c’era di peggio. A parte l’odore ovviamente. L’odore di carne morta infestata da moscerini era nauseabondo ma ancora di più la vista dei corpi straziati di alcuni lupi. Non avevano più una sagoma riconoscibile. Erano stati letteralmente fatti a pezzi, dilaniati da denti potenti e affilati. La cosa peggiore era che io avevo già visto qualcosa di simile. Nelle polaroid che ritraevano il corpo straziato di Juliet. Deglutii convulsamente, incapace di muovere un muscolo.
Fu solo facendo appello a tutta la mia forza di volontà che riuscii a mettermi in cerca delle mie armi. Recuperare la pistola non fu difficile e anche il bracciale di metallo non fu un problema. Più difficoltoso fu estrarre i pugnali dai corpi dei lupi. Un’operazione immensamente sgradevole. Se non fossi stata una custode, abituata a maneggiare cadaveri e a vedere cose tutt’altro che piacevoli probabilmente non sarei mai riuscita a recuperarli senza vomitare. Cercando di non respirare l’odore forte e disgustoso divelsi le mie armi e le ripulii sulla maglietta. Cercai di impiegarci meno tempo possibile e non appena ebbi recuperato tutto abbandonai il bosco in tutta fretta, correndo su per il viottolo di Villa Temple come se ne andasse della mia vita. forse era così.
Arrivai in camera mia senza sapere bene come, mi infilai in fretta sotto la doccia e indossai un pigiama di seta blu. I capelli bagnati mi sgocciolavano sulla schiena mentre tornavo in biblioteca. Se non volevo pensare a Michael l’unica cosa da fare era pensare a Juliet. Avrei trovato chi l’aveva uccisa. Gliel’avrei fatta pagare. Pensare alla vendetta per qualche istante mi rendeva lucida. Entrai in biblioteca, cercando di non fare rumore, mentre l'immagine del corpo privo di vita di Juliet si sovrapponeva ai resti quasi irriconoscibili di quei lupi. Rachel era sdraiata su un divano con gli occhi chiusi. Il volto rilassato nel sonno appariva dolce e innocente. Estremamente tenero. Mi sentii in colpa per averla trattata in modo così duro, per non essere stata in grado di addolcirle la pillola, per averle scaricato tutto addosso con la delicatezza di un carro armato. Mi avvicinai a lei e le accarezzai la testa con una mano. Sbattè lievemente le palpebre e socchiuse gli occhi, ancora assonnati e incapaci di mettere completamente a fuoco la mia figura. Ci mise qualche istante per snebbiare la mente, ma non appena riuscì a pensare  con lucidità si tirò su di scatto, sedendo rigida e stranamente imbarazzata. Ero sul punto di scusarmi con lei ma prima che potessi parlare mi prevenne.
“mi dispiace aver reagito in quel modo…è che…quello che mi hai detto…è così assurdo, così poco normale..” sembrava in difficoltà con le parole. Tacqui ma le rivolsi un sorriso, incoraggiandola ad esprimere con sincerità ciò che le passava per la testa. prima non erpo stata brava ad ascoltarla, adesso avrei fatto di meglio.
“però ci ho pensato…e ti credo. Sembra tutto così paradossale…però adesso molti comportamenti di Juliet hanno più senso e io…sento…sento che è tutto vero!" Si prese la testa tra le mani, confusa dalla sue stesse parole, lottando ancora contro la razionalità che anni di vita normale le avevano inculcato.
“solo che tutto questo….stanno succedendo troppe cose tutte insieme” una lacrima brillò sulla sua guancia. Capivo il suo smarrimento. Il suo mondo in pochi giorni era cambiato radicalmente.
Mi sedetti accanto a lei sul divano di pelle nera e le passai un braccio intorno alle spalle.
“capisco che sia difficile…e capisco anche che affrontare una situazione simile in un momento delicato come questo non è l’ideale…ma non abbiamo tempo. Io voglio scoprire chi ha ucciso tua sorella, e per farlo ho bisogno del tuo aiuto. Siamo in minoranza rispetto al nemico…abbiamo bisogni che tu sia una custode. So cosa vuol dire perdere qualcuno, sentirsi soli…ma ci sono momenti in cui una donna deve essere forte…per fare ciò che va fatto” spiegai. Come discorso di consolazione non era il massimo ma io ero una persona pragmatica e poco incline all’emotività.
Ci mise qualche secondo per ricomporsi ma raddrizzò le spalle e scostò i capelli dal viso.
Sorrisi in un gesto d’approvazione silenziosa e mi alzai in piedi, prendendola per mano e tirandola in piedi. Stare rinchiusa li non le avrebbe certo fatto bene.
“adesso voglio una risposta. Vuoi diventare una di noi oppure no?” domandai seria e solenne.
Annuì, guardandomi negli occhi e cercando di apparire determinata. Per natura non sembrava una ragazza forte e spavalda ma ero sicura che il tempo e le missioni avrebbero temprato il suo carattere…sarebbe diventata più dura, più razionale e meno emotiva. Lo diventavamo tutte….era una cosa inevitabile perché uccidere lascia sempre un segno. Ecco perché ne io ne Athena volevamo che Savannah fosse costretta a uccidere. Lei non era abbastanza forte. Non sarebbe riuscita a resistere nel stroncare una vita. con Rachel sarei stata così protettiva? Non potevo permettermelo. Da quel momento, decisi, avrei bandito ogni sentimento.
Le emozioni si erano rivelate solo delle debolezze…non mi avevano aiutata. Ogni volta che mi ero lasciata prendere dalle emozioni instabili, soprattutto in quest’ultimo periodo con Michael, era successo qualcosa di brutto. Da questo momento in poi sarei tornata fredda altera e distaccata, anche a costo di non essere felice.
“allora andiamo..” la trascinai fuori dalla biblioteca e lungo il corridoio. Da un gancio alla parete recuperai un mazzo di chiavi e mentre camminavo spedita trascinandomi dietro la ragazza silenziosa. Quando aprì la terza porta a sinistra la spinsi con delicatezza all’interno della stanza. Le pareti, il letto e le tende…tutto era di un vivace color lillà. Era stata un’antenata di Juliet a scegliere quel colore e da quel giorno quella era stata la stanza delle sue discendenti. Adesso sarebbe appartenuta a Rachel. La ragazzina rimase indecisa, poco oltre la soglia. Io attraversai la stanza in pochi passi e aprii le finestre, lasciando entrare un po’ di luce. negli armadi dovevano essere ancora appese le cose di Juliet, come i vestiti per missioni e le armi. Spalancai le ante e frugai nei cassetti, raccogliendo tutto quanto. I vestiti non erano della taglia giusta per Rachel, e probabilmente non le sarebbero mai andati bene perché appariva di costituzione più minuta della sorella. Le armi invece, un giorno gliele avrei consegnate. Fino a quel momento le avrei tenute io. Ma non le avrei usate. Le armi di una custode erano sacre e solo le sue discendenti potevano usarle.
“era la camera di tua sorella” spiegai avviandomi verso la porta con le braccia cariche del mio fardello. Indicai con un cenno della testa la valigia che le apparteneva e che Will aveva già provveduto a salire.
“la c’è il bagno…fa come se fossi a casa tua, fatti una doccia, riposati…fa quello che vuoi. Se hai bisogno di me sono in biblioteca” spiegai uscendo. Prima di tornare nella silenziosa biblioteca tornai in camera mia per depositare i vestiti e le armi, in un cassetto del mio armadio immenso. Quando rimisi piede nella biblioteca mi accolse il silenzio che tanto avevo sperato di trovare.
Non ero lì senza motivo, solo per noia o per fuggire un po’ dal mondo. Ero li per darmi da fare, per capire chi aveva ucciso Juliet. E come trovarlo. Secondo la nonna era stato il principe dei mutati, l’autorità suprema in quel branco di animali feroci e inumani. Secondo Savannah il fatto che avessero un capo era un segno del fatto che erano civilizzati…secondo me no. Anche i leoni hanno un capobranco, ciò non vuol dire che vadano invitati a pranzo...da quello che ero riuscita ad osservare non c’era niente di civile o umano in quelle creature dalla doppia natura. Persino in forma umana avevano atteggiamenti animaleschi…il loro istinto era più da assassini che da umani. Erano nati per uccidere, nati per essere diversi. E noi custodi eravamo nate per proteggere il mondo.
Era un concetto semplice che avevo sempre tenuto a mente. Accantonai le riflessioni teologiche per cercare qualcosa di interessante tra i volumi della biblioteca. La ricerca sarebbe stata lunga. Il libro delle Ombre fu facile da prendere perché era custodito in una bacheca di legno massiccio, di cui solo io e la nonna possedevamo le chiavi. continuando a cercare trovai anche il Libro delle Morti, dove erano registrati  tutti i decessi delle custodi. Non mi serviva altro, almeno per il momento, barcollando sotto il peso dei due enormi volumi raggiunsi un tavolo e con mio grande sollievo potei poggiarli sul ripiano di legno. Mi spolverai i vestiti dalla polvere e mi sedetti sulla sedia rigida.
Aprii il libro delle morti all’ultima pagina, quella che registrava il decesso di Juliet.
 
Juliet Blackmoore, diciassette anni, figlia di Annabelle Brown, cugina di secondo grado di  Camille Bennet. Discendente indiretta della famiglia Bennet, addestrata dall’età di otto anni. Prima missione all’età di tredici. Nata a Bremerton il 15 aprile, madre avvocato, padre dentista, una sorella minore, Rachel Blackmoore, di attualmente quattordici anni. Possibili discendenti: Rachel Blackmoore, sorella, Becky Meyer, cugina da parte di madre.
 
Seguiva una breve biografia di Juliet, da quando era nata a quando era morta. Leggere la storia della sua vita per qualche motivo mi sembrava sbagliato. Io e Juliet non eravamo mai state in confidenza, non mi aveva mai raccontato i fatti suoi. adesso era come se stessi ficcanasando nella sua vita senza il suo permesso.
“perdonami…lo sto facendo per Rachel. Lei merita di avere un mondo più sicuro…e tu meriti di essere vendicata” pensai mentre le mie guance avvampavano per l’imbarazzo.
Se fossi stata io ad essermene andata in fondo avrei capito. Avrei voluto che la mia famiglia vivesse in un mondo migliore, avrei voluto che qualcuno uccidesse i miei assassini. Oppure no? Probabilmente queste erano emozioni della vita e una volta morta non avrei provato più niente, non sarei esistita più. Beh qualunque fosse la realtà io avrei fatto ciò che la mia coscienza mi suggeriva. Avrei cercato vendetta per Juliet. E per mia madre. Cercai di non soffermarmi troppo sui particolari della vita di Juliet e cercai di arrivare direttamente alle informazioni relative alla sua morte.
 
Morta il 23 ottobre nella contea di  Argyll and Bute, Scozia.
 
Questa semplice riga, vergata dalla calligrafia elegante e ordinata della nonna mi fece sobbalzare.
Scozia? La nonna aveva detto Inghilterra…mi aveva fornito informazioni sbagliate. Non potevo crederci. Come aveva potuto mentirmi? Ed era davvero tanto ingenua da pensare che io non avrei svolto delle ricerche? Come poteva avermi sottovalutata così tanto?
Strinsi i pugni con rabbia. In questi pochi giorni sembrava che io non potessi fidarmi di nessuno. e in quel momento presi una decisione. Da ora  in poi avrei fatto affidamento soltanto su me stessa, sulle mi forze. Dal momento che la nonna non aveva avuto remore nell’ingannarmi io non avrei avuto sensi di colpa nel disobbedirle.
Continuai a spulciare il libro alla ricerca di informazioni ma non trovai nient’altro di rilevante.
Dieci minuti dopo aver posato i libri e aver chiuso la biblioteca avevo già preso una decisione. Dannazione sarei andata in Scozia, avrei rimesso le cose a posto e avrei dimostrato alla nonna che nessuno, neanche lei, poteva dirmi cosa fare.
 

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Capitolo 20
*** Allo scoperto ***


Arrivai a scuola in ritardo. Stringevo il polso di Rachel mentre correvo per i corridoi deserti, imprecando mentalmente per quel ritardo così poco usuale per me. Peggio ancora che essere in ritardo, era saperne la ragione: Avevo passato una notte insonne, tormentata da incubi di ogni sorta. Come se non fosse abbastanza l’incubo che mi perseguitava da settimane! Corsi su per le scale del primo piano e lasciai Rachel davanti alla sua aula praticamente senza rallentare un attimo. Non mifermai neanche per osservare la sua faccia da cucciolo spaesato, schizzando su per le scale borbottando.
La professoressa Mason mi stava tutt’altro che simpatica e preferivo evitare una ramanzina. Stavo salendo di corsa le scale del secondo piano quando una presa salda mi strinse il polso. Prima ancora di voltarmi riconobbi la pressione di quelle dita incredibilmente forti.
“lasciami Michael” sbottai voltandomi. Mi ritrovai di fronte il suo viso incredibilmente bello e perfetto e fui travolta da una scossa, quasi fossi stata fulminata. I suoi occhi catturarono i miei e senza neanche sapere perché, sorrisi. O dannazione a me! Perchè doveva farmi quest’effetto? Scossi la testa con vigore tornando ad assumere un’aria truce.
“dobbiamo parlare” sentenziò con voce brusca. Nel frattempo le sue dita sciolsero lievemente la presa intorno al mio polso e iniziarono ad accarezzarmi la pelle con lenti movimenti circolari. Il tocco delle sue dita mi rendeva impossibile pensare con chiarezza. Potevo scommetterci, che lo stava facendo apposta!
“non adesso” mormorai cercando di allontanarmi. Avevo appena compreso che stargli accanto non mi faceva bene, mi rendeva una persona diversa e non ero sicura che quella persona mi piacesse. Eppure sentivo qualcosa trascinarmi verso di lui, un'attrazione inspiegabile, un desiderio irrazionale di litigare ancora con lui.
Lui non sciolse la presa e le sue dita risalirono fino all’incavo del mio gomito con assurda familiarità,come se conoscesse il mio corpo da sempre, come se avesse esplorato la mia pelle per secoli. come se gli appartenessi. Come poteva comportarsi con così tanta naturalezza? Avevamo litigato dannazione! E io avrei dovuto prenderlo a calci, non guardarlo con uno sguardo svenevole da tradicenne in balia degli ormoni. Che fine aveva fatto la cara vecchia Dognità, che per tanti anni mi aveva portata a Eppurebraccetto?
“io invece credo che adesso sia il momento opportuno” rispose con sicurezza e tranquillità. Odiavo quel suo modo di imporsi, la calma decisione con cui ignorava bellamente ciò che avevo detto per farsi propriamente i fattacci suoi. Ma poteva sognarselo, di lasciarmi a boccheggiare come un pesce fuori dalla vaschetta, in attesa che lui prendesse le decisioni. E se lui era decisamente più forte, io ero sicuramente più intelligente. Non per nulla ero una donna! Rilassai i muscoli, sorridendo con quel sorriso di miele e zucchero che sapevo esprimere arrendevolezza, gioia e piacere. Per un secondo mi fissò sbattendo le ciglia, perplesso da quel repentino cambio di umore. Probabilmente si sarebbe aspettato un sorriso assetato di sangue. Fui convincente mentre sollevavo l'altra mano per posarla sul suo braccio sinistro, sopra la camicia bianca che indossava. Era ancora vagamente perplesso mentre scioglieva definitivamente la presa dal mio braccio, convinto che avessi ceduto. Le mie dita esitarono un attimo sul suo avambracio scolpito, restie ad eseguire il comando che i miei neuroni urlavano a gran voce: "scappa scappa scappa scappa!". Vinse il cervello. Mi allontanai dal suo corpo talmente in fretta che lui non ebbe neanche il tempo di cambiare espressione, salendo i gradini a due a due. Mi fiondai lungo i corridoio e fino all’aula di letteratura inglese. Spalancai la porta senza neanche bussare e fui pietrificata dallo sguardo arcigno della Mason. Ma ne era valsa la pena. Prima di chiudermi la porta alle spalle, sollecitata dalla Melania "sono più acida di un limone acerbo" Mason, mi voltai a sbirciare il corridoio. Vuoto. Fortunatamente non mi aveva seguita.
“bene signorina Temple. ci faccia l’onore di sedersi tra noi comuni mortali” ironizzò con quella sua vocetta acuta e penetrante l'insegnante più odiosa nella storia delle istituzioni scolastiche. Sruffai ma evitai di commentare perché farmi spedire in presidenza non era decisamente la cosa migliore. Il resto della giornata passò senza intoppi fino allora di pranzo. Ero seduta a mensa, nel mio solito tavolo quando Michael fece il suo consueto ingresso teatrale, accompagnato da due ali di fanciulle vocianti. Il fatto che le ragazze lo guardassero in quel modo mi infastidiva, anzi mi rendeva furiosa. Avevo evitato Jake per tutta la mattina perché sapevo ciò che avrei dovuto fare…avrei dovuto lasciarlo. Il punto era che non sapevo come fare senza farlo incazzare…perché se Jake si fosse incazzato sarebbe andato a pestare Michael e per quanto fossi infuriata con lui, per quanto avrei voluto prenderlo io stessa a pugn, non volevo che si facesse male. Che stupida che ero!Scossi la testa dicendomi che in fondo era solo egoismo il mio, che non volevo rovinare il suo bel faccino perchè mi piaceva guardarlo. E poi mi dissi che ero ancora più stupida perchè non mi sarebbe dovuto piacere affatto, guardare un tale deficiente!
Sentii che Michael si avvicinava, accompagnato da quel consueto e snervante chiacchiericcio di ammirazione,  e mi guardai intorno disperatamente, come un coniglietto, Io un coniglietto, roba da pazzi, preso in trappola, sperando che Jake non fosse nei paraggi, sperando di sbagliarmi e di vedere Michael puntare in un’altra direzione. Invece veniva dritto verso di me. Si fermò a qualche centimetro dalla mia sedia. Poggiò le sue mani lunghe e affusolate sul schienale e mi scostò dal tavolo con un unico movimento brusco. Le sue dita si strinsero all’altezza del mio gomito e mi ritrovai in piedi prima ancora di poter protestare. Stavo per divincolarmi e ordinargli di tenersi alla larga da me ma prevenne ogni mia obiezione chinando il viso e baciandomi come aveva fatto la scorsa notte. Le sue braccia si avvolsero intorno alla mia vita, schiacciandomi con forza contro il suo corpo massiccio. Fu naturale per me abbandonarmi completamente a quel bacio, naturale rispondere con la stessa intensità. Troppo tardi mi ricordai che eravamo in un luogo pubblico e che centinaia di occhi ci stavano osservando. Mi allontanai di qualche centimetro e colsi i bisbigli di coloro che mi circondavano.
“è una sporca puttana. Non le basta essersi presa tutti i ragazzi più fighi della scuola..ora anche lui”
“oh non sapevo stessero insieme”
“chissà da quanto tempo va avanti”
“lo dicevo che c’era intesa tra i due”
“te lo avevo detto io…”
“era prevedibile. Elena si accaparra sempre i migliori”
“certo che è proprio disgustoso. Povero Jake”
“che bella coppia…ammazzerei per essere al posto di Elena”
Chiusi gli occhi per un istante e quando li riaprii tutti mi stavano fissando. I miei amici, i miei nemici, conoscenti e perfetti estranei. Tutti mi guardavano e in tutti leggevo le medesime espressioni. Rabbia, gelosia, invidia, sdegno, disgusto, incredulità. Angeline, a pochi tavoli di distanza mi fissava con rabbia. Quello che mi feriva di più era però vedere i miei amici guardarmi in quel modo. Persino Savannah ostentava un’espressione severa.
Gli occhi mi si velarono di lacrime e strinsi i pugni, affondandomi le unghia nei palmi. Prima che chiunque potesse reagire Michael mi lasciò andare e si voltò in un secondo, evitando un pugno diretto al suo viso. Jake era arrivato dopo Michael e ci guardava furioso. Non potevo biasimarlo. Mi portai una mano alla bocca nel tentativo di reprimere un singhiozzo. Jake caricò indietro l’altro braccio, cercando di sferrare un pugno a Michael. Michael fu più veloce. Si piegò su se stesso e prima che Jake potesse tentare un nuovo attacco gli sferrò un pugno alla mascella. Jake barcollò all’indietro e abbandonò la strategia dei pugni. Si slanciò a braccia tese contro Michael, afferrandolo alla vita e gettandosi a terra insieme a lui. Attorno a noi si era creato il vuoto. Il vociare era immenso, mi sentivo travolgere dai rumori, dalla paura…dal senso di colpa. cosa diavolo stavo facendo? Distolsi l’attenzione da me stessa per osservare i due ragazzi che lottavano sul pavimento. Lottavano per colpa mia, forse, ragionai in un istante di lucida autocritica, se fossi stata meno superficiale tutto questo si sarebbe evitato, se fossi stata fin da subito sincera con Jake e con me stessa. Ma ormai per i ripensamenti.
Non pensavo che Michael si sarebbe battuto con Jake eppure stava facendo a pugni per colpa mia. anche per colpa sua e per le sue trovate scenografiche a dire il vero, ricordai a me stessa. Non riuscivo a capire chi stesse avendo la meglio ma non potevo aspettare oltre. Senza riflettere mi lanciai anche io nella mischia, cercando di dividerli, di allontanarli. Sia Michael che Jake erano robusti e muscolosi mentre io ero minuta e gracile…ma ero abituata a combattere contro Mutati di tutte le dimensioni quindi avrei anche potuto metterli ko. Sempre che avessi deciso chi mettere al tappeto.
“smettetela subito. Finitela ragazzi” urlai cercando di distrarli. Non sembravano neanche accorgersi che io ero inginocchiata a pochi centimetri da loro. Con una mano spingevo il petto di Michael, con l’altra la spalla di Jake. Il corpo di Michael tremava di rabbia, una rabbia profonda e incontenibile che per un secondo mi mise paura. Ma non era il momento per sciocche fantasticherie. Non era il momento di farsi prendere dal panico. Era il momento di agire. Spinsi con più forza contro i loro corpi serrati l’uno contro l’altro. Jake caricò indietro il braccio cercando di spaccare il naso di Michael con un pugno ma sfortunatamente sbagliò bersaglio. E colpì il mio zigomo sinistro. Il colpo mi fece cadere all’indietro per qualche istante, intontita. Non mi aspettavo che uno dei due mi avrebbe colpita. Me lo sarei aspettata più da Michael a dire la verità. Ben presto la sorpresa lasciò posto alla rabbia e mi tirai su giusto in tempo per vedere Michael che stendeva Jake con tutta la forza di un pugno ben calibrato. Mi sfiorai la guancia con dita esitanti. Ultimamente era prassi che dovunque andassi fossi pestata a dovere. Erano settimane che le prendevo ovunque e la cosa iniziava a stancarmi. Michael sollevò lo guardo per incontrare il mio e si avvicinò. Assurdo..non aveva neanche un livido. I capelli erano leggermente spettinati ma nient’altro testimoniava lo scontro appena avvenuto. Si avvicinò a me con un sorriso impertinente, come un dio della guerra che ritorna vincitore dall’ennesima battaglia. Dio, quand’ero diventata così poetica e melodrammatica? Forse avevo preso una bella botta in testa. Anzi, era sicuro!
Sollevò una mano a sfiorarmi la guancia arrossata su cui, ne ero sicura, sarebbe comparsa un grosso livido violaceo. Il contatto con la sua pelle mi rasserenò in uno strano e assurdo modo. Mi sentii bene. mi sentii a casa, a posto, integra. Come se non le avessi mai prese per intenderci.
Chinai in avanti il capo, poggiandolo contro la sua spalla e lui mi accarezzò i capelli con la mano libera.
“mi dispiace che sia successo tutto questo” il che significava che gli dispiaceva che mi fossi beccata un pugno ma era felice di aver preso a pugni Jake. Io non sapevo ancora decidere quanto di ciò che era successo fosse un bene. Probabilmente era tutto sbagliato ma per qualche strano motivo in quel momento non mi importava. Ovviamente la pace non poteva durare perché fummo interrotti dall’arrivo di un’infuriata preside che urlava all’indirizzo di me Michael e Jake.
Due minuti dopo tutti e tre eravamo seduti in presidenza. Io sedevo in mezzo, ironia della sorte, a braccia conserte, cercando di non fissare nessuno dei due ragazzi che sedevano accanto a me. Sentivo lo sguardo rovente di Jake ustionarmi la guancia destra e quello di Michael mi sfiorava con altrettanta, inopportuna, intensità. La preside, Mrs Ina Petrovsky, ci fissava arcigna, in silenzio, trapassandoci con fredde occhiate dei suoi freddi occhi piccoli come spilli. Il nome della preside non poteva essere più inadeguato alla sua persona. Alta, massiccia, con spalle larghe e fianchi stretti, una crocchia di capelli biondo platino, lineamenti duri e occhi piccoli di un freddo grigio acciaio. Figlia di padre russo e di madre americana, sembrava sempre terribilmente infuriata. Un bizzarro incrocio tra la Signorina Rottermeier e la Trinciabue, mitiche istitutrici perfide viste in qualche giornata noiosa tra la spazzatura che popolava la Tv.
“spero che uno di voi tre si decida ad aprire la bocca e spiegarmi cosa è successo nella mia scuola” Esordì finalmente fissando me con particolare intensità.
Entrambi i ragazzi iniziarono a parlare velocemente, creando un guazzabuglio di suoni e parole. Scoppiai a ridere perché in quel momento Michael mi sembrava più  giovane che mai, un ragazzo arrabbiato, sorpreso a compiere una tipica bravata adolescenziale. Furono immediatamente zittiti da un secco cenno della preside che fece a me cenno di proseguire, o meglio iniziare, il loro racconto.
Deglutii e le mie guance si arrossirono per l’imbarazzo.
“ecco…Jake è…era…il mio ragazzo. e io ho…diciamo….deciso di lasciarlo. Avrei dovuto parlargli oggi ma non ci siamo visti per tutto il giorno…” tacqui un secondo perché Jake aveva emesso un verso rabbioso e aveva serrato la sua mano sul mio braccio destro, subito imitato da Michael che aveva però stretto la presa intorno alla mano di Jake. Insomma la tensione stava tornando a farsi sentire e la cosa non mi piaceva neanche un po’.
Con un secco colpo mi scrollai entrambe le loro mani dal braccio e mi sistemai all’indietro i capelli.
“purtroppo Michael ha dato prova del suo perfetto tempismo arrivando in sala mensa e baciandomi davanti a tutti” scoccai all’interessato uno sguardo rovente, indice che non lo avevo ancora perdonato per come aveva agito. Oh lo attendeva una lunga conversazione quando saremmo usciti di li. Avevo già in mente un bel discorsetto.
“Jake è arrivato e gli ho dato un pugno…o almeno ci ha provato…e così le cose sono degenerate”
Tagliai corto leggermente imbarazzata. Non potevo certo dire di essermi comportata in modo impeccabile. Con Jake avevo sbagliato alla grande e ne ero consapevole. Avrei dovuto parlargli non appena mi ero resa conto del fascino che Michael esercitava su di me. A mia discolpa potevo dire che mi ero accorta di essere innamorata di lui soltanto da poco, molto poco. Avevo faticato ad ammettere a me stessa che anche io potevo provare un sentimento così banale e scontato come l’amore. se fossi stata sincera con me stessa fin dall’inizio avremmo evitato tutti questi casini, eppure la possibilità di essere innamorata di Michael mi aveva spaventata talmente tanto da spingermi ad evitarlo. E mi spaventava ancora. Perché era la prima volta che mi innamoravo davvero di qualcuno ma soprattutto perché qualcosa mi diceva che lui mi avrebbe spezzato il cuore.
Per qualche istante nella stanza regnò un silenzio teso. La preside si accarezzava distrattamente il mento con la punta delle dita, fissandoci con i suoi occhietti penetranti.
“signor Parker, non è la prima volta che lei aggredisce il signor Ashton e non è la prima volta che lei perde la testa e porta scompiglio nella mia scuola. Cinque giorni di esclusione. E per voi due…un’ammonizione che si trasformerà in sospensione qualora creaste altri problemi. e adesso andate” ci liquidò in fretta, facendo un brusco cenno con la mano. Tutti e tre ci alzammo e io fui la prima ad uscire dalla presidenza. Appena fuori dalla porta sentii le dita di Jake stringermi una spalla e mi preparai per un ennesimo, inevitabile, confronto.
“che diavolo significa tutto questo?” chiese rabbioso. Michael era già pronto ad un nuovo scontro, lo vedevo dai suoi muscoli tesi. Agì prima che io parlassi, strattonando Jake e allontanandolo da me. Sembrava a dir poco furioso e da una parte potevo ben capirlo…ma eih…si era cacciato lui in quel pasticcio, quindi fatti suoi. Se avesse avuto un po’ di pazienza avrei sistemato io le cose con Jake…e poi avrei sistemato le cose con lui.
“non toccarla. Lei è mia” ringhiò.
“stai scherzando amico? Lei è la mia ragazza! Sapevo che le avevi messo gli occhi addosso fin dal primo giorno…ma non mi farò da parte. È la mia ragazza” sbraitò Jake.
Al che fui costretta ad intervenire, questa volta tenendomi a distanza dai due ragazzi. Questa orrenda scenata stile uomo delle caverne "Augh donna mia" doveva finire, e in fretta. Possibilmente prima che uno di loro tirasse fuori una clava e se ne andasse in giro coperto solo da una sudicia pelliccia di mammut. La clava avrei anche potuto sopportarla, ma ci tenevo all'igiene!
“piantatela tutti e due di parlare di me come se non fossi presente. Io non sono di nessuno.” il mio tono di voce lievemente indignato attirò la loro attenzione e entrambi mi fissarono increduli.
“dovrei lasciare che lui ti metta le mani addosso?” protestò Michael incredulo. Non chiedetemi quando si fosse trasformato da cattivo ragazzo a paladino delle donzelle perché sinceramente non so dare una risposta. Ma dovevo ammettere che il cambiamento non mi dispiaceva più di tanto.
Era però l’ennesima prova del suo umore incostante e volubile, ma soprattutto era la prova di quanto poco lo conoscessi. Era assurdo pensare che ci conoscevamo soltanto da poco settimane…a me sembrava una vita. non che una vita mi sarebbe bastata per capire quel ragazzo!
“e io dovrei lasciarmi fregare la ragazza sotto il naso?” protestò Jake.
Alzai gli occhi al cielo, esasperata dal loro modo di fare tremendamente medievale. La clava diventava una presenza sempre più palpabile ad ogni minuto che passava.
“ok chiariamo un paio di cose. Io non sono una proprietà. Se voglio lasciarti Jake ti lascio. E se voglio mettermi con Michael lo faccio, indipendentemente da ciò che tu, lui o chiunque altro possa pensare al riguardo.” Rimasi un secondo pensierosa e poi sorrisi con insolita ironia. “ok forse in questo caso l’opinione di Michael ha un certo valore” gli rivoli un sorrisetto a cui rispose con uno molto più teso. Sembrava ancora concentrato sulla possibilità di un’altra rissa.
“e Michael….grazie tante ma non ho bisogno che tu mi protegga. So cavarmela da sola e se non voglio che lui mi metta le mani addosso sono perfettamente capace di dirglielo. Adesso smettetela di comportarvi come due galletti da combattimento e fate funzionare quei minuscoli cervelli che vi ritrovate. Siamo appena stati puniti, desidererei evitare che si scateni un’altra rissa.” Ah la voce della ragione! Peccato che i ragazzi non sembravano tanto inclini a darmi ascolto.
“voglio sapere cos’è questa maledetta storia” protestò Jake per niente calmo. Almeno però mantenne le mani a posto, e Michael non ebbe ulteriori scuse per comportarsi come il protettore degli oppressi. Sospirai ma ammisi mentalmente che era un suo diritto sapere.
“ok hai ragione. Ti spiegherò tutto non appena ti sarai calmato. Ma finchè continui a gridare e a sbraitarmi in faccia terrò la bocca chiusa” per enfatizzare le mie parole incrociai le braccia al petto e senza degnare i due di ulteriore considerazione andai a sedermi nel vano di una finestra.
“avvisatemi quando avrete deciso di comportarvi come persone civili” sentenziai.
Mi guardarono per qualche secondo, accigliati, ponderando il mio umore e la mia determinazione. Quando capirono che sarei rimasta in silenzio per ore se necessario si decisero ad avvicinarsi.
“ok d’accordo” sbuffarono all’unisono. Parevano ben poco contenti che fossi io a prendere in mano la situazione. Il loro piccolo ego maschilista avrebbe dovuto fare i conti con quello.
Si piazzarono accanto a me, continuando a fissarsi in cagnesco ma senza proferire parola. Quasi per sottolineare la sua familiarità con me Michael poggiò una mano sul mio ginocchio, subito imitato da Jake. Stupida rivalità.
“ok Jake ora non ti incazzare…non avevo previsto che sarebbe successo tutto questo quando ho incontrato Michael. Eppure è successo. Ci siamo baciati. E mi sono resa conto che non sono innamorata di te e che non potrò esserlo mai. Ti voglio bene ma non c’è attrazione….non che tu non sia un bel ragazzo, dal punto di vista fisico credo che tu sia perfetto” non perfetto quanto Michael ovviamente. Dritta fredda e sincera. Ecco la mia tattica. Sperai che non desse in escandescenza ancora una volta perché nervosa com’ero lo avrei probabilmente messo ko con le mie sole forze.
Sentii la presa delle dita di Jake contrarsi sul mio ginocchio.
“ti sei innamorata di questo idiota?” sbottò senza incontrare il mio sguardo.
“si” ammisi arrossendo. Michael rise divertito del mio imbarazzo e la sua mano mi accarezzò la coscia per qualche istante.
“peggio per te. Credo che tu sia una deficiente a perdere tempo con lui. Ti spezzerà il cuore e poi non avrai più nessuno a raccogliere i pezzi” trasalii perché era ciò che temevo anche io. Ma ormai era fatta. Era come quando sei al luna park e gli amici ti convincono a salire sulle montagne russe. Una volta iniziato il giro non puoi fermarti per quanto disperatamente tu lo voglia. Devi aspettare di vederne la fine. Ecco, ormai il mio vagone era partito e mi trovavo a percorrere a tutta velocità le curve…e qualcosa mi diceva che presto mi sarei ritrovata a testa in giù.
Non mi accorsi che Jake si stava allontanando furioso ma non potei non sentire le braccia di Michael che mi avvolgevano. Poggiare la testa contro il suo petto fu rilassante e mi concessi qualche istante di debolezza.
“con te non ho ancora iniziato.” Sussurrai mentre riprendevo il controllo di me stessa e mi allontanavo. Stranamente, un sorriso si disegnò sulle mie labbra.
“ok quando sarai pronta ascolterò tutta la lavata di capo” mormorò fingendosi rassegnato all’inevitabile. Sorridendo gli diedi un pugno leggero sulla spalla e lui finse una smorfia di dolore.
“sei aggressiva. Lo dirò alla preside” protestò fintamente indignato. Gli feci una linguaccia e scossi la testa tra me e me. Assurdo come anche una semplice conversazione con lui bastasse a ridarmi il sorriso, a rendermi allegra e meno seria.
“ok sono pronta. Come ti è saltato in mente di fare una cosa del genere…mi hai messo in imbarazzo, hai creato un sacco di casini e probabilmente adesso mi disprezzeranno tutti” protestai cercando di assumere un tono indignato. Nella mia mente una vocina diceva: “oh chi se ne importa degli altri! a te ha fatto piacere quindi cosa importa del resto?”
Si strinse nelle spalle e prima che potessi continuare interruppe il mio predicozzo con un veloce ma appassionato bacio.
“ogni tanto bisogna essere spontanei. Ti ho vista lì, incredibilmente bella ma distante…e ho avuto il desiderio di eliminare questa distanza. l’ho fatto nel modo che ritenevo più giusto” non sembrava per niente contrito e poiché io in fin dei conti non ero troppo dispiaciuta rinunciai a fargli la morale.
“benissimo. E adesso?” domandai. Per la prima volta decisi di concedermi io stessa un gesto spontaneo. Mi sporsi verso di lui e fui io a baciarlo. Per me atti di affetto del genere non erano affatto facili. Persino con Jake, che conoscevo da tempo e per cui non provavo assolutamente niente di romantico, era stato difficile lasciarsi andare. Io ero essenzialmente una persona fredda e distaccata. Le emozioni troppo travolgenti non mi piacevano perché avere il controllo era fondamentale per me. Stavolta invece mi lasciai travolgere eccome! Anzi fui io a travolgere lui, riversando in quel bacio un calore che non si era aspettato.
“adesso tiriamo avanti come una qualsiasi banale coppia di innamorati” mormorò quando mi allontanai. Fu così che suggellammo la nostra relazione. 

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Capitolo 21
*** Catfight ***


Scendendo dalla macchina di Michael gli schioccai un rapido bacio sulla bocca, un gesto naturale, ma così poco usuale per me che arrossii di imbarazzo, e corsi rapida su per i gradini di casa. Avvertii subito qualcosa di diverso. Qualcosa che mi era mancato per tutti questi giorni, qualcosa che adesso più che mai mi era necessario. Athena. Era tornata. La casa sembrava rianimarsi alla sua presenza silenziosa. Appeso all’attaccapanni c’era il suo giubbotto, in un angolo il suo zaino e l’occorrente per la scuola. Bastarono quei pochi e semplici particolari per riempirmi di una gioia immensa. Avevo bisogno di Athena come mai prima d’ora. Corsi su per le scale senza neanche togliermi di dosso il giubbotto. In un attimo fui davanti alla sua camera e la aprii con furia, senza bussare e senza attende un solo istante. Provavo un violento impulso di gettarmi tra le sue braccia. Il verde smeraldino della camera mi accolse come un porto di salvezza. Ci misi appena un istante per individuare Athena. Era in piedi, accanto alla finestra. I vestiti erano puliti e lindi ma il suo volto era tirato e stanco, segnato dalla fatica e dalla preoccupazione. Eppure era lei. Non avrei mai pensato che rivederla mi avrebbe causato un così profondo senso di sollievo. Mi sentii bene, serena e rilassata come non mi accadeva da tempo. Athena aveva la capacità di trasmettermi calma.
“adesso che lei è qui tutto andrà bene…metterà a posto ogni cosa con Savannah, con Jake…”
Lo sguardo perplesso di Athena si posò su di me per appena qualche istante prima che obbedissi ad un impulso spontaneo e le gettassi le braccia al collo. Stranamente mi sfuggì un singhiozzo.
“finalmente sei tornata” singhiozzai stringendomi a lei. Mi passò una mano tra i capelli, con delicatezza, stupita da quell’inattesa dimostrazione di emotività da parte mia. Capii che settimane fa l’avrei accolta con un lieve abbraccio e un sorriso felice e nulla più. Non perché adesso la amassi di più ma perché, odiavo ammetterlo, Michael mi stava insegnando una cosa preziosa. Mi stava insegnando a mostrare le mie emozioni, ad essere umana.
“cos’è successo? Questo comportamento non è da te” la calma ieratica di Athena contribuì a tranquillizzarmi. La sua fredda compostezza venata di affetto era sempre uguale. Niente in lei era cambiato. Il mio mondo stava andando a rotoli e Athena sembrava l’unico punto fermo che mi fosse rimasto. La mia ancora di salvezza.
“sono successe così tante cose…” mormorai prendendomi la testa tra le mani. Provavo vergogna per le tante cose che le avevo taciuto negli ultimi tempi, ma soprattutto provavo vergogna per ciò che avevo fatto. Non si poteva dire che nei confronti di Jake fossi stata corretta. Ma ovviamente nessuno si aspettava da me correttezza e integrità morale. Io ero la spietata Regina di Bremerton.
“racconta” rispose pacata, incitandomi con la sua calma e spiegarle il motivo di tanta angoscia.
Quella riservatezza mi convinse. Se avesse insistito mostrando curiosità probabilmente me ne sarei andata dalla stanza scrollando le spalle e inventando qualche scusa.
Invece le raccontai tutto. Dal primo incontro con Michael fino alla disastrosa scenata in mensa. Le raccontai di quando ero andata a caccia da sola, accecata dal bisogno di mettere in moto il mio corpo e allontanare le emozioni instabili che avevano assalito il mio cuore.
Raccontai di Michael e riuscii persino a confidarle ciò che provavo per lui. Al termine del racconto Athena mi fissò con i suoi occhi blu, penetranti e intensi.
“oh Elena…credo proprio che tu ti sia innamorata” sussurrò.
“ho paura di si” mormorai scuotendo la testa, un tantino contrariata.
Mi fissò per qualche istante con quel suo sguardo penetrante, deciso e impassibile. Forse non ero io la più forte di noi Custodi…forse la più forte era Athena. E in quel preciso istante capii cosa mi metteva  così tanto a disagio di tutta la situazione con Michael. Avevo paura. Paura di perdere la mia autonomia, la mia forza e la mia indipendenza, paura di affezionarmi talmente tanto da non riuscire a fare più a meno di lui. Paura di essere abbandonata ancora una volta.
“Elena è una cosa meravigliosa” esclamò passandomi un braccio intorno alle spalle. “ok la situazione è un po’ complicata…ma è una cosa grandiosa. senti sarò sincera…sei sempre stata troppo schiva, troppo distante. forse Michael potrà aiutarti…per una volta lasciati andare.”
“Athena io…ho paura” confessai abbassando lo sguardo e stringendomi le braccia intorno al petto
Non c’era bisogno di ulteriori spiegazioni perché Athena era l’unica capace di cogliere al volo ciò che stavo cercando di dire.
“hai paura che ti ferirà non è vero? C’è sempre un rischio…non posso dire se sarà per sempre, ma forse ne vale la pena. Se davvero provi qualcosa per lui…allora non pensare al domani. Pensa a vivere. E qualunque cosa succederà io sarò al tuo fianco”
“sono combattuta. Per stare con lui sarei disposta a mettere in gioco tutta me stessa…e questo mi spaventa terribilmente. Non è da me. Mi sento vulnerabile dannazione” brontolai immusonita. Ormai stavo diventando simile ad una di quelle vecchiette con un perenne broncio sulle labbra.
“sto mugugnando non è vero? Basta la devo smettere con tutte queste paranoie. Come vada vada!” borbottai estenuata dalla mia stessa indecisione. Ormai comunque era troppo tardi per tornare indietro, quindi tanto valeva buttarsi del tutto.
“tutti mugugniamo ogni tanto, questa è la prova che anche tu sei umana…sai iniziavano a sorgermi dei dubbi” scherzò divertita. Sorrisi anche io. Dal momento che niente poteva cambiare le sconvolgenti emozioni che stavo provando in questi giorni tanto valeva affrontare la cosa con un sorriso e un po’ di ironia.
“ora basta parlare di me! Com’è andata in missione? La nonna ti ha detto di…” lasciai la frase a mezzo, un po’ incerta. A dire il vero il pensiero di parlare di Juliet, di rievocare nella mia mente le immagini che avevo visto…non mi andava per niente. Vidi lo sguardo di Athena farsi greve e velarsi di tristezza. Annuì seria e contrita.
“la missione è andata bene…sono rientrata in ritardo perché tua nonna ha preferito non prelevarmi in aereo, ha deciso per vie più anonime e discrete.”
Anniiì perfettamente in grado di capire il ragionamento di mia nonna. In una situazione critica come quella in cui ci trovavamo era indispensabile non dare nell’occhio. Era indispensabile mantenere il riserbo e l’anonimato, ammantarci di un velo di silenzioso mistero. Meno si parlava di noi meglio era per tutti. Non che gli uomini normali avessero mai avuto sentore della nostra esistenza. Era dai Mutati che dovevamo guardarci. Proteggere le nostre identità di Custodi era fondamentale. Se i Mutati avessero scoperto chi eravamo ci avrebbero colpito dove sarebbero stati sicuri di fare più male. Avrebbero colpito la nostra famiglia prima di colpire noi. E tutte combattevamo principalmente per proteggere le nostre famiglie e l’umanità in generale.
A questo punto mi venne in mente che qualcuno era sicuramente a conoscenza delle nostre identità, quanto meno di quella della nonna…altrimenti come avrebbe fatto a mandarci le foto di Juliet?
Questo mi riportò alla mente l’urgenza di una missione che io e solo io avrei compiuto. Eppure, sebbene fossi decisa a portare a termine il mio progetto da sola guardai Athena per qualche istante, ponderando la decisione di renderla partecipe del mio piano. Alla fine scossi la testa. Se avesse capito cosa avevo intenzione di fare avrebbe cercato di dissuadermi e al limite sarebbe partita con me…e un conto era mettere in gioco la mia vita, un altro rischiare quella di Athena.
Lei continuò ad osservarmi per qualche istante poi un sorriso le si dipinse in faccia.
“adesso basta con questi musi lunghi. Oggi è giorno di festeggiare!” esclamò battendo lievemente le mani e allungandosi verso il comodino per afferrare il cordless, uno dei tanti della casa. Compose un numero mentre io continuavo ad osservarla e solo quando ordinò due pizze familiari da consegnare a domicilio capii cosa intendeva. Era arrivato il momento per un pigiama party. Sorridendo divertita mi alzai in piedi e andai in camera mia. Mi spogliai in fretta e tolsi dall’armadio un pigiama di seta color oro vecchio. Lo indossai e tornai da Athena. Mi gettai sul letto finalmente a mio agio, libera per qualche istante da tutti i pensieri.
Le pizze arrivarono in pochi minuti, il tempo sufficiente perché Athena indossasse un pigiama rosso e ci scambiassimo qualche pettegolezzo. Scendemmo a prenderle e liquidammo il fattorino che, con aria imbambolata, cercava di attaccare bottone in qualche modo. Posammo le pizze sul basso tavolinetto davanti al divano e ci raggomitolammo su di esso, iniziando a vedere un vecchio film in bianco e nero. La nostra serata idilliaca fu interrotta purtroppo dall’arrivo delle altre custodi. Entrarono alla spicciolata, quasi avessero programmato la loro entrata in perfetta sintonia. La prima ad entrare fu ovviamente Angeline che mi degnò soltanto di un’espressione di sdegno. Scostandosi i capelli dal viso salì le scale con un contegno regale. Dopo di lei veniva Savannah, tutta affannata e con i capelli in disordine. Ci vide sedute sul divano e si fiondò da noi. Si buttò accanto a me, dopo aver abbracciato per cinque minuti buoni Athena. Mi fissò indecisa se mostrarsi un po’ arrabbiata oppure farsi i fatti suoi. Probabilmente pensava avessi bisogno di una sgridata per come avevo trattato Jake. Alla fine prese una fetta di pizza dal cartone.
“hai fatto un bel casino stavolta” sbuffò mentre nel frattempo mi scompigliava i capelli. Mi strinsi nelle spalle e sorrisi, ormai sicura della mia decisione. Ormai dalla padella ero uscita….restava solo da scoprire cosa mi riservava il domani.
“non più del solito” risposi mentre osservavo Elisabeth e Kathleen schizzare su per le scale lungo la scia di Angeline. Ben presto sentii la porta della camera di Angeline sbattere e capii che si erano rintanate la dentro, probabilmente per sparlare allegramente la strega, alias me. Prima che potessimo iniziare qualsiasi altro discorso, fummo raggiunte da Rachel. Ci fissò incerta per un istante, timorosa di disturbare e di farsi notare. Sorrisi anche a lei e le feci cenno di unirsi a noi.
Ormai che la “festa” si stava popolando tanto valeva estendere l’invito anche a lei. E poi Rachel mi piaceva. La sua timidezza era l’esatto opposto della mia spavalderia, la sua innocenza qualcosa che io probabilmente non avevo mai avuto. Anche io apparivo fragile ma la mia tempra morale era del tutto diversa dalla sua. Lei era fragile davvero, e aveva davvero bisogno che io mi prendessi cura di lei.
La serata passò così, tra risate imbarazzate, prese in giro e cuscini in faccia. La classica serata tra amiche. Mi erano mancati quei momenti così unici, quei momenti solo per noi ragazze. Nessun ragazzo poteva capire la complicità che si instaurava in momenti come questi. Persino Rachel, che guardava a me e ad Athena con una sorta di timore reverenziale si sentì parte di qualcosa e riuscì a comportarsi con naturalezza. Senza neanche accorgercene finimmo la pizza e pian piano scivolammo nel mondo dei sogni abbracciate l’una all’alta.
Il sole era sorto da poco quando mi svegliai. Mi stiracchiai, distendendo i muscoli indolenziti. Allungando il braccio colpiiì con un pugno Athena che si lamentò con un brontolio.
“Elena! dannazione sta attenta” protestò con la voce impastata di sonno mentre sbatteva le palpebre e si massaggiava la guancia. Lentamente anche Rachel e Savannah aprirono gli occhi. Una delle mie gambe era allungata sul tavolino mentre l’altra era attorcigliata intorno alle gambe di Athena, il cui braccio pesava sul mio petto. La testa di Rachel era posata sulla mia spalla e quella di Athena sulla mia testa. Oltre i capelli rossi di Rachel potevo intravedere la testa scura di Savannah poggiata contro la schiena di Rachel. Insomma eravamo tutte ammassate e tutte doloranti. Sbadigliai e mi districai dalle mie compagne e amiche. Recuperato il possesso del mio corpo ci misi un po’ per sgranchire i muscoli anchilosati. Aiutai Rachel ad alzarsi e in breve tempo eravamo tutte in piedi, se non perfettamente in ordine quanto meno completamente sveglie.
A terra giacevano i resti delle pizze e i cartoni che dovevo accidentalmente urtato con la gamba mentre dormivo. Will avrebbe avuto un bel po’ da fare quella mattina. E mentre mi lambiccavo il cervello pensando al maggiordomo di famiglia mi resi conto che rischiavamo di fare tardi a scuola. Uno sguardo di intesa con le altre bastò a sintonizzarci sulla stessa lunghezza d’onda e tutte e quattro schizzammo su perle scale, ognuna diretta alla propria stanza.
Quando spalancai la porta della mia quasi tornai indietro, convinta di aver sbagliato. Quella non poteva essere la mia stanza! Ma no era proprio la mia…i muri blu ne erano la prova. Eppure io stessa faticai a convincermene. La cassettiera era rovesciata e spaccata, l’armadio era stato privato di una delle ante, che giaceva in pezzi sul pavimento. L’altra anta pendeva dai cardini, attaccata ad essi come per miracolo. I miei vestiti erano sparsi ovunque, il baldacchino del letto era stato in parte strappato mentre in parte penzolava tristemente fino a sfiorare il pavimento. Schegge di legno e vetro si confondevano ai miei vestiti, la specchiera era stata rovesciata e presa a calci. I vestiti pendevano persino del lampadario. Sembrava che un piccolo uragano fosse esploso in camera mia. Restai ammutolita a fissare tutto quel casino senza sapere bene cosa fare. Ad entrare non ci pensavo neanche. Ben presto alla sorpresa si sostituì la rabbia. A mio avviso c’era solo una persona capace di fare una cosa simile, una sola persona ad avere un motivo per distruggere con tanta rabbia le mie cose. Angeline. Doveva essere furiosa per via di Michael, lei lo aveva adocchiato fin da subito e ancora una volta io avevo vinto, mi ero presa ciò che lei voleva. Doveva essere incredibilmente frustrata e incredibilmente furiosa. Bene!io potevo essere più furiosa di lei.
A passo di marcia, con i capelli scompigliati che mi svolazzavano alle spalle e gli occhi fiammeggianti di collera mi diressi in camera sua. La porta della stanza rosa era ancora chiusa. Non persi tempo a bussare. Sfondai la porta con un calcio. Più tardi avrei pianto le conseguenze del mio gesto perché ero sicura che il piede mi avrebbe fatto male al pari dei muscoli ancora indolenziti a causa della mia battuta di caccia illecita finita male. Entrai come una furia e mi arrestai giusto un secondo per valutare la situazione. Angeline era distesa languidamente nel suo letto, avvolta nelle coperte e placidamente addormentata. Il suo volto sereno e rilassato nella pace del sonno mi fece fremere di rabbia. Sicuramente aveva avuto sogni beati dopo la sua bravata a miei spese. Senza esitare afferrai un vaso di fiori posato sul suo comodino, tolsi i fiori gettandoli per terra….e la innaffiai dritto in faccia con l’acqua gelida e non esattamente pulita del vaso. Dalle labbra le uscì una sorta di squittio mentre saltava su e rotolava dalla parte opposta del letto rispetto a me, grondante, confusa e agitata. Impiegò circa cinque secondi per rendersi conto di essere bagnata fradicia e collegare il fatto a me che stringevo il vaso tra le mani. I suoi occhi si accesero della stessa rabbia che ardeva i miei. Si mise in posizione d’attacco e subito la imitai, pronte ad una lite in piena regola. Sul tavolino accanto a lei vidi baluginare il pugnale da custode e subito rimpiansi di non aver portato con me qualche arma. Beh pazienza, ero sicura di poterla stendere anche a mani nude. Mi sarebbe soltanto costato più fatica.
“che cazzo ti prende? Sei ammattita per caso?” gridò scostandosi i capelli dal viso.
“è il minimo che ti meriti per ciò che hai combinato in camera mia. Se vieni qui provvederò a farti scontare anche il resto” avrei distrutto la sua camera e dato fuoco ai suoi vestiti. E se avesse provato a fermarmi avrei dato fuoco anche ai suoi capelli!
“tu sei pazza! non ho fatto un bel niente in camera tua. E se credi che abbia paura ti sbagli. Sono pronta a gonfiarti la faccia a forza di schiaffoni” sbottò mentre allungava la mano per prendere il pugnale. Bene, era ora di passare alle maniere forti. Con una capriola volai attraverso il letto e le piombai addosso, allontanandola dall’arma. Furono le mie dita a stringere il pugnale e a scagliarlo dall’altra parte della stanza. Si infisse nell’armadio con un lieve tonfo. Nel frattempo le dita di Angeline si serrarono intorno ai miei cappelli, strappandomi una manciata di ciocche bionde. Strinsi la mano a pugno e la colpii alla mascella, furiosa. Le sue gambe si strinsero intorno alla mia vita, riempiendomi la schiena di calci. Ricambiai con un altro pugno ben assestato e anche io mi aggrappai saldamente ai suoi capelli, strappandone una manciata. Angeline riuscì a capovolgere le nostre posizioni e tentò di sferrarmi un colpo al viso come io avevo fatto con lei, ma il suo pugno fu intercettato dal mio braccio. Approfittati del movimento per assestarle una gomitata allo stomaco, cosa che la fece piegare in due e allentò la presa delle sue gambe intorno ai miei fianchi. Riuscii a sgusciare via dalla sua presa e le sferrai un calcio sulla coscia con tutta la rabbia del momento. Ma Angeline non era una novellina ed era stata ben addestrata. Si morse le labbra a sangue nel tentativo di sopportare il dolore e poi si lanciò a testa bassa contro di me. Riuscii a schivarla ma un pugno mi colpì allo stomaco. Ne approfittò per colpirmi con una gomitata alla schiena. Caddi su un ginocchio e riuscii ad alzarmi appena in tempo per evitare una ginocchiata diretta al mio viso. Afferrai la sua gamba e la morsi, costringendola ad indietreggiare.
Questa volta fui io ad andare all’attacco. Sfruttando tutta la mia agilità mi scagliai su di lei e avvolsi le mie gambe intorno alla sua vita. barcollò per un istante nel tentativo di restare in piedi ma cadde a terra, seguita da me. Cercò di rotolarmi addosso ma scattai in piedi e la colpii con un calcio in piena pancia. Angeline strinse la presa intorno alla mia gamba,tirandomi giù. Cadendo sbattei la nuca contro il piede del letto e ansimai dal dolore. Lei cercò di rialzarsi ma le assestai un calciò nella spalla. Sfruttando la forza del calcio sollevai le gambe in alto, piegai le ginocchia e un istante dopo ero accovacciata accanto a lei. Il suo pugno mi colpì sulla spalla, il mio poco sotto lo sterno. Avremmo continuato a picchiarci per chissà quanto tempo se Athena ed Elisabeth  richiamate dal rumore, non fossero intervenute. Athena strinse le braccia intorno a me, aiutata da Elisabeth, ed entrambe mi sollevarono cercando di separarmi da Angeline. Scalciai per liberarmi e quasi ci riuscii quando Elisabeth fu costretta a mollarmi per aiutare Angeline ad alzarsi. Sarei riuscita a sfuggire dalla presa di Athena se Savannah non fosse accorsa ad aiutarla. Insieme riuscirono a tenermi ferma fino a quando non mi calmai.
Anche Elisabeth non dovette faticare molto prima di calmare Angeline. Mentre ce ne stavamo in piedi, trattenute a forza delle nostre amiche, in disordine e piene di lividi, mia nonna entrò trafelata nella stanza. Aveva i capelli raccolti in una crocchia e una camicia da notte lunga fino ai piedi. Nella mano sinistra stringeva però un pugnale e nella destra una spada. Osservò la stanza in cerca di un nemico da abbattere, poi il suo sguardo di posò su di noi. In pochi istanti registrò tutta la scena e ci mise poco per venire a capo della situazione. Ci scoccò uno sguardo furioso, a cui rispondemmo con uno lievemente imbarazzato, ma per niente pentito. Angeline si sistemò i capelli bagnati dietro le orecchie e io con un gesto brusco allontanai le braccia che mi tenevano. Sotto lo sguardo gelido di mia nonna un silenzio glaciale era sceso nella stanza. Mia nonna ci fece un brusco e secco cenno con la mano, poi si girò e senza proferire parola se ne andò dalla stanza. Lentamente, con riluttanza, io Angeline la seguimmo. Guidate dal fruscio della sua camicia da notte, arrivammo nello studio. La porta era aperta e mia nonna sedeva rigida dietro la scrivania. Entrammo e ci chiudemmo la porta alle spalle. Sia io che Angeline restammo in piedi, guardandoci i piedi nudi. Il silenzio teso regnò per una manciata di minuti, una manciata di minuti nella quale non mi pentii affatto di quello che avevo fatto. Anzi mi sentivo estremamente fiera di me stessa.
“vorrei dire che non credo a quello che avete fatto e invece ci credo. Voi invece vi rendete conto di quanto sia infantile tutto ciò? C’è sempre stata della rivalità tra voi due e io spesso l’ho accettata e incoraggiata perché un po’ di sana rivalità spinge ogni custode a fare del suo meglio. Ma voi siete andate troppo oltre. Per prima cosa intendo chiarire che non ho mai tollerato atti del genere in casa mia, men che meno dal momento che casa mia è il quartier generale delle custodi. Ho quindi una doppia autorità su voi due. L’autorità di una padrona di casa e quella di leader delle custodi. E mi aspetto da voi rispetto e obbedienza. Vi ho sempre lasciato la massima libertà perché vi ho reputate ragazze sagge, degne di amministrare liberamente la propria vita. non vi è stata imposta alcuna restrizione. Ed è così che mi ripagate? Azzuffandovi e distruggendo casa mia? Ma cosa più importante…vi rendete conto che questo è un periodo particolarmente delicato? Una vostra compagna è stata da poco seppellita e chi l’ha uccisa si aggira ancora in libertà. Chi l’ha uccisa è pericoloso e c’è una buona probabilità che sia nelle vicinanze. La cosa principale da fare sarebbe mantenere l’armonia all’interno del gruppo perché se un nemico del genere verrà a bussare alle nostre porte non avremo altra scelta che combatterlo. E nessuna di noi può riuscirci da sola. Per secoli le custodi hanno prosperato e sono riuscite a combattere e arginare la furia dei Mutati. E sapete perché ci sono riuscite? Perché al contrario di quei mostri, di quegli abomini, noi custodi lavoriamo in gruppo. Siamo capaci di cooperare in armonia. Oggi voi avete creato una spaccatura nella corazza di difesa delle custodi. Se il gruppo non sarà unito verrete annientate. Le vostre famiglie verranno uccise e la furia dei Mutati dilagherà come una pestilenza. È questo quello che volete?” mia nonna aveva parlato con voce piatta, fredda ma carica di collera. Capii il suo punto di vista, capii cosa intendeva e capii che le nostre azioni non giovavano certo al bene comune. Eppure se avessi potuto tornare indietro avrei rifatto ogni singola cosa. Angeline rifiutò di sollevare lo sguardo, mostrando un atteggiamento remissivo e pentito totalmente falso. La osservai con gli occhi socchiusi. Lei poteva fingere quanto voleva, io sarei stata sincera. Sollevai lo sguardo carico di orgoglio e ressi lo sguardo adirato di mia nonna fino a quando non trovai le parole adatte per interrompere il silenzio.
“Capisco perfettamente ciò che vuoi dire e capisco anche che abbiamo agito in maniera egoistica, lasciandoci trascinare dai nostri dissapori personali. Ma come io cerco di capire il tuo punto di vista ti prego di capire il mio. C’è sempre stato disaccordo tra me ed Angeline e questo non è un mistero. Ma non avrei mai compiuto un’azione minatoria a sue spese se lei non ne avesse in principio compiuta una alle mie. Mi rendo conto che una custode non dovrebbe parlare così ma stamattina non sono state due custodi a venire alle mani. Sono state due ragazze. Così come tu hai un duplice ruolo, quella di padrona di casa e quello di leader delle custodi, così noi abbiamo una doppia identità. Quella di ragazze e quella di custodi. Le custodi non c’entrano niente con questa storia, la lite tra me ed Angeline riguardava solamente questioni private e sono sicura che il nostro lavoro di custodi non ne risentirà perché entrambe avremo il buon senso di lasciare le dispute private lontano dalle missioni. Il nostro scopo è troppo importante perché una di noi permetta a dissapori futili della vita di tutti giorni di corromperne la riuscita. detto questo, sono più che soddisfatta della maniera in cui ho agito e se mi trovassi nuovamente in questa situazione agirei nella stessa maniera.”
Per qualche altro minuto nessuno parlò, poi mia nonna sbuffò e incrociò le braccia al petto. Il peggio era passato, ma io ed Angeline non eravamo ancora fuori pericolo.
“ovviamente sarete punite e ovviamente provvederò a cercare una punizione adeguata in tempi brevi. Ma si può sapere per quale motivo avete lasciato che succedesse tutto questo?”
A queste parole la professionalità e la soggezione mie e di Angeline andarono a farsi benedire e iniziammo a parlare contemporaneamente, quasi fossimo due bambine che si accusano l’un l’altra davanti alla maestra. Mia nonna sollevò una mano facendoci cenno di tacere, poi con un ulteriore cenno diede ad Angeline il permesso di cominciare.
“Afrodite, non ho la minima idea del perché sia cominciata. Dormivo tranquillamente nel mio letto quando sono stata svegliata da una secchiata di acqua gelida e putrida in piena faccia. Piacerebbe sapere anche a me cosa ho fatto per meritare un così brusco risveglio. E dopo la secchiata mi è saltata addosso e ammetto che a quel punto ho smesso di ragionare con lucidità. Ma difendermi era la mia priorità.” Incrociò le braccia, tentando di sfoggiare un’espressione debole e angelica. Mia nonna scosse il capo, valutandola con la solita freddezza.
“se veramente non era tua intenzione scontrarti con Elena avresti semplicemente potuto allontanarla, ma a giudicare dai lividi che vedo sul corpo di entrambe anche tu non hai esitato a colpire.” Osservò mia nonna scrutandoci con attenzione, catalogando i danni, comunque superficiali, che ci eravamo reciprocamente inflitte.  Fui soddisfatta nel vedere Angeline arrossire.
“ma adesso sentiamo la versione di Elena” continuò la nonna con un lieve cenno della mano, dandomi il permesso di parlare così come prima aveva fatto con Angeline.
“detta così sembra quasi che io sia una pazza furiosa dedita ad attaccare nel sonno fanciulle innocenti. Ma Angeline sa bene perché ho fatto quello che ho fatto. Si è vero, le ho buttato addosso dell’acqua mentre dormiva. E ne vado anche piuttosto fiera, devo ammettere. Ma credo che la mia reazione sia comprensibile se si tiene conto del fatto che stamattina, appena sveglia, sono corsa in camera mia per vestirmi e ho trovato tutto nel più completo caos. I miei mobili sono stai rotti, i cuscini squartati e le piume disperse nella stanza. I vestiti sono stati fatti a brandelli e rovesciati ovunque, le coperte tagliuzzate, il baldacchino rotto, i vetri infranti…non è rimasto niente di intatto. Angeline è la sola persona della casa che ha motivi di rancore nei miei confronti, quindi è logico che sia stata lei. Rachel, Savannah e Athena erano con me, posso testimoniare la loro innocenza. Tu o Will non fareste mai un simile casino in camera mia e Kathleen ed Elisabeth non muovono un passo senza aver ricevuto il permesso di Angeline. I motivi che l’hanno spinta a devastare la mia camera sono di natura squisitamente personale, quindi ho agito sulla base del mio carattere, reagendo in modo personale e accantonando per un attimo il mio ruolo di custode. E ci tengo precisare che non mi sarei lanciata su di lei se non le avessi visto allungare la mano verso il pugnale. A quel punto ho pensato bene di togliere le armi dalle sue mani furiose. Angeline non potrà negare che, dopo averla spinta lontano dal pugnale io l’abbia preso e lanciato dall’altra parte della stanza, lontano da entrambe. Se avessi realmente voluto farle del male lo avrei usato” detto questo incrociai le braccia al petto e fissai mia nonna con la migliore espressione da testarda che riuscissi a trovare nel mio repertorio.
Mia nonna di guardò severamente, tamburellando le dita bianche e affusolate sul legno scuro della sua scrivania. Sembrava nervosa e tesa, indecisa e per la prima volta da che la conoscevo, fragile. Notai con sgomento le occhiaie scure che circondavano i suoi occhi stanchi e gonfi e non mi fu difficile intuire che aveva passato la notte senza dormire, china sui libri delle custodi, cercando una risposta ai dubbi che assalivano anche me. Cosa dovevamo fare? Chi era il misterioso nemico che andava facendosi sempre più vicino? E come sconfiggerlo? Non avevo risposte da darle, ne potevo aiutarla in alcun modo. La situazione mi era ormai sfuggita di mano. Avevo passato troppo tempo dietro alle mie vicende personali e avevo perso di vista il mio ruolo di custode.
“ragazze sono profondamente delusa di voi. Le argomentazioni di entrambe sono state convincenti ma entrambe meritate una punizione. Per una settimana nessuna delle due parteciperà alle riunioni informative. Consegnerete le vostre armi, tranne il vostro pugnale. Per una settimana non sarete custodi. Così imparerete il valore di ciò che siete. Ora potete andare” con un gesto della mano ci indicò la porta e si passò stancamente una mano sugli occhi. Se non fosse stato per qual gesto di stanchezza avrei protestato. Essere una custode era tutta la mia vita. Le mie armi erano la mia vita. Una settimana senza di esse, una settimana con la consapevolezza di non poter essere ciò che faceva parte della più intima essenza del mio essere, mi terrorizzava. Prima di essere Elena Atwood io ero una Custode. Adesso sarei stata soltanto Elena per una settimana. Mi sembrava un tempo infinito. Strinsi con forza la maniglia della porta. Prima che la girassi la voce di mia nonna ci raggiunse.
“Non voglio che tu vada ad occupare la tua stanza…passerò a controllarla più tardi. Per il momento ti sistemerai nella stanza rossa.” Annuii distrattamente e poi uscii in silenzio dalla stanza. Angeline mi seguì, fissando la mia schiena con uno sguardo rovente. Più dello sguardo di Angeline però sentivo la forza di quello di mia nonna.
Fui felice quando finalmente riuscii a chiudermi la porta alle spalle e a tirare un sospiro di sollievo e stanchezza. La mia vita, che qualche settimana fa appariva perfetta e ordinata, scandita dal ritmo delle missioni, stava andando a rotoli. Tutto era cambiato. Io ero cambiata. Improvvisamente fui assalita da un forte e irrazionale istinto di abbracciare Michael, di lasciarmi stringere da lui per dimenticare tutto il resto. Non che Michael mi sembrasse il tipo adatto per consolare o proteggere qualcuno. Il suo sorriso impudente e la sua faccia da schiaffi mi suggerivano che ciò in cui era più bravo era fare incazzare le persone. Soprattutto le persone facilmente irritabili come la sottoscritta. Eppure, dando retta a quell’impulso momentaneo e inspiegabile presi il cellulare e lo chiamai. Segreteria telefonica. In fretta come era arrivato il desiderio di vederlo, arrivò qualcosa di totalmente inaspettato. Una fitta di gelosia. Mi affrettai a scacciarla, vergognandomi profondamente di me stessa. Non ero mai stata gelosa di qualcuno e adesso, neanche dopo un giorno da che era ufficialmente iniziato il mio rapporto con Michael, mi ritrovavo a provare rabbia e timore soltanto perché aveva il telefono spento. Stupida,  stupida Elena.
Con un sospiro posai il telefono nella tasca posteriore dei jeans e andai a cercare Athena e Savannah. Le trovai in camera di quest’ultima. Si vestivano in tutta fretta, consapevoli del fatto che eravamo tutte in un eclatante ritardo. La preside probabilmente ci avrebbe uccise. Athena sollevò lo sguardo dalle scarpe che stava tentando di allacciarsi in tempo di record e i suoi occhi indagatori si appuntarono su di me. Lo sguardo di Athena riusciva sempre a mettermi a disagio perché sembrava intuire molto più di quello che io ero disposta a raccontare. Fui la prima a distogliere lo sguardo e un sospiro di sollievo mi sfuggì dalle labbra quando Savannah si alzò e in un impeto di preoccupazione si affaccendò intorno a me, cercando di prendere nota dei pochi lividi che avevo riportato. Il profluvio di parole che accompagnò quell’accurato esame mi sfuggì completamente ma sorrisi alle mie amiche con aria rassicurante. Poi afferrai la mia borsa dal tavolo dove Athena l’aveva posata e filai fuori dalla porta. L’unica cosa a cui pensavo mentre schizzavo giù per le scale senza fermarmi a spiegare qualcosa alle mie amiche, era rivedere Michael.

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Capitolo 22
*** Contatti ***


La giornata a scuola si rivelò una vera tortura. Michael non si presentò a lezione e quando provai a chiamarlo attaccò la segreteria telefonica.
Un misto di rabbia e frustrazione si impadronì di me con una velocità impressionante. Io e Angeline mantenemmo le distanze in mensa e questo fu un bene. Rosa da una rabbia esasperat dagli eventi della mattina preferii evitare anche la compagnia di quelli che erano senza dubbio i miei unici amici. Lasciai Athena e Savannah al solito tavolo con la mia piccola corte di lecchini. Improvvisamente essere la regina del liceo non mi interessava. Volevo solo vedere Michael. Lo sguardo smarrito che Rachel mi rivolse mentre mi alzavo da tavolo senza una parola e li abbandonavo senza fornire spiegazioni mi fece sentire un po’ in colpa ma io ero fatta così. I
mpulsiva e indipendente, mi piaceva starmene per conto mio. La solitudine mi indusse a riflettere su quanto poco gli altri mi conoscessero. Persino Athena e Savannah sapevano di me ciò che io volevo fare sapere loro. E tra l’altro non ero stata molto aperta con loro negli ultimi tempi. Non avevo detto niente della mia storia con Michael, ne della mia intenzione di dare la caccia al Mutato che aveva ucciso Juliet. Dei miei sentimenti sapevano ancora meno. Eppure loro mi erano rimaste accanto senza lamentarsi del mio distacco, cosa che mi fece arrossire di imbarazzo. Che pessima amica ero!
Anche con Michael non ero del tutto sincera. Lui conosceva una parte soltanto della mia vita, per lui esisteva soltanto Elena Atwood, la regina di Bremerton. Elena Ismene non esisteva per Michael, non conosceva la ragazza che maneggiava spada e pistola e che uccideva mostri. Del mio carattere però era riuscito a capirne più di chiunque altro e con lui stranamente mi sentivo…completa. Quasi fosse la parte mancante della mia personalità.
Rimasi in quello stato d’animo pensieroso e indolente per tutta la mattinata e quasi mi sorpresi nel constatare che la gente non sembrava notare in me alcun cambiamento. Possibile che io fossi sempre così distaccata? Si era possibilissimo. Quello che mi sorprese invece fu trovare una Ferrari nera e scintillante nel parcheggio quando la giornata scolastica finì. Il misto di emozioni che mi assalì fu talmente forte da lasciarmi stordita. Sollievo, gioia, sospetto, rabbia, gelosia, desiderio…
Tentando di apparire impassibile e congelando la mia faccia in un’espressione neutra mi avvicinai alla ferrari e aprii lo sportello. Michael sedeva con il viso rivolto vero di me, le mani e le braccia parzialmente nascoste dal giubbotto di pelle nera che aveva poggiato sulle gambe. Mi guardava con quel sorriso sornione e sghembo, accattivante e seducente, che non mancava mai di farmi perdere un paio di battiti del cuore.
Entrai in macchina e mi sedetti, ma rifiutai di incrociare il suo sguardo. Avrei voluto chiedergli dove era stato e perché non mi aveva avvisato della sua assenza ma avrei rischiato di passare per una fidanzata gelosa, ossessiva. una stalker pazza che già dopo un paio di giorni inizia a monitorare ogni passo del suo fidanzato. Così fissai il parcheggio fuori dal finestrino. Non lo uii muoversi ma improvvisamente le sue labbra calde trovarono la pelle fredda del mio collo. La lenta carezza sulla mia pelle sembrava seta. Chiusi gli occhi con un sospiro, consapevole che tutto il mio corpo mi urlava di girarmi e incontrare quella morbidezza con le mie labbra. Mi trattenni. Sentii un sorriso contro la mia pelle mentre lui continuava a carezzarmi il collo con le labbra, pigramente. Con una mano scostò il mio maglioncino, librando la mia spalla sinistra. Anche quel nuovo lembo di pelle fu sfiorato dalle sue labbra lievi come farfalle che però lasciavano sulla mia pelle marchi di fuoco. Sapevo di essere arrabbiata con lui, lo sapevo con ogni fibra del mio essere ma il mio corpo rifiutava di allontanarsi dal suo, quasi lui fosse padrone stesso della mia volontà.
Fu uno sforzo titanico scostarlo da me, ma quando la sua pelle smise di sfiorare la mia potei riconquistare parte di lucidità e con la lucidità ritorno l’irritazione.
“dannazione non puoi uscirtene sempre così facilmente. Michael pensavo avessi capito che non sono una stupida. Non pretendo di avere un resoconto di ogni tuo spostamento ma qualche vaga informazione me la devi…se stiamo insieme…” faticai a pronunciare quell’ultima frase perché per la prima volta mi resi conto che consideravo la mia relazione con Michael diversa da qualsiasi altra avessi mai avuto. Per la prima volta avevo desideri, pretese e aspettative.
“se stiamo insieme devo potermi fidare” borbottai alla fine. Michael si allontanò da me seccato e innervosito. Probabilmente come me non era abituato ad un rapporto paritario, a far parte di una coppia. Michael agiva d’impulso, ascoltando soltanto se stesso. Ma se voleva condividere la sua vita con me intendevo davvero farne parte. Non sarei stata solo un marginale elemento di contorno, io volevo farne parte.
“Michael non capisci? non è una scenata di gelosia, assolutamente! Cioè, si sono gelosa ma non è questo il punto. Il punto è che io voglio che tu mi renda partecipe delle tue idee, delle tue decisioni. Non voglio essere una delle tante ragazze ininfluenti. Voglio che tu possa parlare con me, confrontarti. “ cercai di spiegare. Ero sicura che Michael non cercasse neanche di capire quello che stavo dicendo. Era testardo e orgoglioso ma proprio questo mi affascinava. A parte la sua incredibile bellezza. Il suo fascino magnetico, i suoi occhi profondi e blu….ok stavo divagando!
“voglio essere una tua compagna ok? Se non sei disposto a questo tipo di relazione dillo subito, non c’è problema. Guarda anche per me è complicato, non ho mai provato per qualcuno cose simili, ne ho mai desiderato fare parte della vita di qualcuno…non crede di essere il solo ad essere confuso…dio solo sa il casino che ho nella mente in questo momento” terminai con un sospiro.
“quindi adesso ti comporterai come una madre iperprotettiva? Dannazione ho soltanto marinato la scuola mica sono sparito per un paio di mesi” protestò arrogante e seccato.
“si sei mancato a scuola e mi hai lasciato da sola ad affrontare il casino che tu hai scatenato. Quelle persone sono amiche mie e adesso la maggior parte pensa che io sia una puttana. Avrei voluto che fossi al mio fianco oggi ma non c’eri. E non ti sei neanche preoccupato di avvisarmi. E adesso non pensi neanche a chiedermi come diamine sia andata la mia giornata. Beh te lo dico lo stesso. Uno schifo! Mi mancavi, ed è una cosa che detesto, dipendere così tanto dalla presenza di qualcuno. E ho fatto a botte con Angeline. E qualcuno ha devastato la mia camera e quella camera era la camera di mia madre…e si, magari è sciocco è infantile ma per me quel luogo rappresentava qualcosa. L’unico legame che avevo con lei. Ma adesso è tutto distrutto. Tutto! e non so neanche perché! Ho litigato con mia nonna, l’ho delusa e ho fatto un casino…quindi scusami, Michael, se sono un po’ nervosa” la mia arringa era iniziata con un tono di voce furioso e non era certo stata mia intenzione raccontargli tutta la mia disastrosa giornata, in particolare l’incidente della camera. Eppure durante il mio discorso l’argine si era rotto e gli avevo riversato addosso parte dei miei problemi nella speranza inconscia che alleggerisse il peso che gravava sulle mie spalle. Non mi sorpresi quando passandomi una mano sulla guancia la trovai umida. Ultimamente stava diventando una costante per me, lasciarmi travolgere dalle emozioni.
Michael restò in silenzio per qualche istante considerando il mio stato d’animo decisamente altalenante. Alla fine optò per una resa. Sorridendo mi sfiorò la guancia con il dorso della mano. Era il massimo che potessi aspettarmi da lui quindi mi arresi e mi lasciai pervadere dalle sensazioni del suo tocco. Non che avessi accettato quel suo comportamento leggermente egoistico…stavo semplicemente rimandando la conversazione ad un momento in cui sarei stata più lucida e meno emotiva. Dio, quanto odiavo essere sopraffatta dalle emozioni!
Michael tornò ad allontanarsi da me con un sorriso sornione e rilassato. Sembrava non aver dato peso al mio discorso e in quel momento lo stomaco mi si contorse dalla rabbia. Per la prima volta ebbi veramente la percezione di quanto poco ci conoscessimo io e lui. Entrambi ci eravamo buttati in quella relazione senza pensarci troppo, seguendo l’istinto e quella potente attrazione che c’era tra noi. Il problema era che quando eravamo vicini sentivamo una corrente elettrica percorrerci la pelle. O almeno così era per me. Scuotendo la testa mi rifiutai di incrociare il suo sguardo e reclinai il capo all’indietro, abbandonandomi contro il sedile e chiudendo gli occhi.
“beh se può servire a migliorare il tuo umore ti comunico che ti ho portato un regalo” continuò divertito e per niente preoccupato. Detestavo sinceramente quel suo modo di prendere tutto alla leggera. Era snervante. Apr un occhio e lo fissai con un sopracciglio inarcato, per tornare subito dopo alla mia espressione impassibile. Qualunque cosa stesse per piombarmi addosso l’avrei affrontata con calma stoica, decisi. Anche se la calma non era esattamente la mia virtù.
Michael non lasciò che la mia freddezza rovinasse il suo buon umore e lo sentì frugare sotto al giubbotto. Il mio orecchio ben allenato percepiva i più lievi fruscii che accompagnavano i suoi movimenti e rimasi in ascolto, ancora ad occhi chiusi, immaginando il lieve contrarsi dei suoi muscoli perfetti. Poi qualcosa di caldo e soffice mi premette contro una guancia. Spalancai gli occhi e mi voltai. E improvvisamente mi ritrovai a fissare due occhi rotondi, color ambra. I lunghi bassi di un gatto mi solleticarono il naso e l’animale piegò il muso di lato, osservandomi con qualcosa di simile alla perplessità. Incantata da quel musino delicato e da quegli occhi bellissimi allungai una mano per sfiorare la sommità del capo del gatto. Aveva il pelo folto, morbidissimo, di un grigio perla, screziato di un denso color fumo. Incantata continuai ad accarezzare quella creaturina incantevole e sospirai di piacere quando Michael me la depose in grembo. Era la cosa più bella che avessi mai visto. A parte Michael s’intende!
“si chiama Kitty. L’ho vista e ho subito pensato che avreste fatto amicizia” spiegò sfiorandomi il collo con il suo respiro. Mi girai verso di lui e premetti le mie labbra sule sue, completamente dimentica delle mie frustrazioni.
“è stupenda.” Mormorai incantata mentre accarezzavo quel manto soffice. La gattina si stiracchiò, cominciando a fare le fusa. Con una mano sulla sua pancia di un grigio che tendeva quasi al bianco, ascoltai incantata quel sommesso ronron. Michael nel frattempo prese a baciarmi il collo, baci caldi e esigenti, lievi eppure intensi. La combinazione tra la meraviglia per il piccolo animale che tenevo in braccio e l’emozione per i baci di Michael si combinarono a tradirmi e lentamente dimenticai di essere arrabbiata con lui, di avere un casino di problemi ad aspettarmi a casa e di essere tremendamente insicura sulla nostra relazione. Lo allontanai con dolcezza, sorridendogli con un calore che sorprese persino me. La gatta si stiracchiò, accoccolandosi meglio sulle mie gambe.
“vedo che ti piace” mormorò compiaciuto, osservando divertito l’espressione estatica dipinta sul mio viso. Non mi ero mai accorta di quanto i gatti mi affascinassero. Forse perché avevo sempre amato ciò che era elegante ed aggraziato e i gatti ne erano l’emblema stesso. O forse avevo iniziato ad amarli nell’istante in cui avevo visto Kitty, per il semplice fatto che quella meravigliosa gattina fosse un dono di Michael. In quel momento le motivazioni che mi spingevano ad apprezzare così tanto quel cucciolo tra le mie braccia non mi interessavano.
“già la adoro” risposi incapace di concentrarmi su una conversazione, troppo assorbita dai movimenti lievi della piccola creatura. Scoppiando a ridere Michael mise in moto, allontanandosi in fretta dal parcheggio degli studenti. Quasi non mi accorsi che ci stavamo muovendo e rimasi perplessa quando sollevando lo sguardo mi ritrovai davanti la facciata di villa Temple. Michael venne ad aprirmi lo sportello e scesi dalla macchina senza neanche incrociare il suo sguardo, la mia attenzione completamente concentrata sulla piccola Kitty. Era semplicemente adorabile il modo in cui poggiava il suo musino nel palmo della mia mano. Michael rideva mentre poggiava una mano nell’incavo della mia schiena e mi guidava fino al portone d’ingresso.
“le chiavi sono nella tasca dei jeans” borbottai rifiutando di allontanare lo sguardo dalla mia piccola incantatrice. Quegli occhi profondi color ambra mi avevano stregato. Non avevo mai visto niente di più bello e perfetto di quel cucciolo accoccolato tra le mie braccia. Abbassai il viso, affondandolo nel grigio pelo morbido e annusando il profumo di sole che sembrava emanare. Un lieve ansito di sorpresa mi sfuggì dalle labbra quando la mano di Michael mi scivolò nella tasca posteriore dei jeans, soffermandosi nella ricerca delle chiavi abbastanza a lungo da darmi la netta impressione che avesse apprezzato appieno la manovra. Non che io ne fosse dispiaciuta ad essere sincera. Mi voltai a guardarlo con un sopracciglio inarcato a cui fece eco con un sorrisetto malizioso.
Ecco, quel sorriso era assolutamente irresistibile. Nella mia mente iniziò a formarsi l’idea di trascinarlo in camera mia a baciarlo per un’ora o due. “Elena!” rimproverai me stessa quasi sconvolta “queste cose non sono da te” ero davvero sbalordita dai miei stessi pensieri. Avevano quasi bisogno di essere sottoposti a censura! Decisamente Michael aveva una cattiva influenza su di me. Strano, dal momento che io non ero mai stata una persona facilmente influenzabile.
Scuotendo la testa diedi un calcio al portone, entrando nella mia adorata seconda casa. Mi venne subito incontro Will, con aria impassibile ed elegante cortesia.
“signorina, la signora Temple mi ha raccomandato di ricordarle che la sua stanza è tutt’ora inagibile. La signora la prega di considerare la stanza rossa come la sua stanza a tempo indeterminato. Inoltre la signorina Rachel è arrivata poco fa e si è sistemata nella sua camera, ha chiesto di vederla. Cosa le devo dire signorina?” nonostante Will mi avesse più o meno cresciuta, in presenza di estranei si ostinava a fare sfoggio di elegante riserbo, quasi che dandomi del tuo potesse mettere in discussione la mia rispettabilità. Con un sorriso presi la mano di Michael e lo guidai su per le scale, verso la stanza rossa, non prima di aver detto a Will che poteva invitare Rachel a raggiungermi nella mia camera. Appena mi chiusi la porta alle spalle Michael mi strinse le braccia intorno alla vita e mi schiacciò contro il legno scuro della porta. Le sue labbra furono sulle mie in meno di un secondo. Quel ragazzo era un vero artista della pomiciata! Riusciva a rubarmi un bacio con la stessa velocità con cui respirava. Non che fossi contraria alla piega che stavano prendendo gli avvenimenti. Allentai le braccia, lasciando che Kitty scivolasse a terra. La sentì strofinarsi contro le mie gambe e mi sarei chinata ad accarezzarne la testa triangolare se Michael non avesse richiesto tutta la mia attenzione con un bacio più esigente degli altri. sentì la sua mano calda scivolare sotto il mio maglioncino, giocherellare con l’elastico del reggiseno. Immediatamente portai la mia mano sulle sue, fermandolo. Ok, lui era estremamente attraente, ma da quanto tempo ci conoscevamo? Due settimane o poco più? Si, potevo anche essere una cacciatrice spietata, una combattente dal sangue freddo, ma avevo delle regole morali. Che comprendevano il non fare sesso con un tizio quasi sconosciuto. La mia prima volta sarebbe stata speciale, sarebbe stata con qualcuno che conoscevo affondo, di cui avevo totale e incondizionata fiducia. Non mi sarei lasciata guidare dal semplice desiderio fisico. In me la voce della ragione era più forte del richiamo degli ormoni. O almeno così speravo, perché se avessi ascoltato i miei ormoni di adolescente anche solo per un attimo, probabilmente io e Michael ci saremmo ritrovati svestiti nel giro di qualche secondo.  
Un piccolo sospiro mi sfuggì dalle labbra quando la bocca di Michael mi accarezzò il collo. Una scia calda, infuocata, che marchiava la mia pelle. sussultai quando la sua lingua assaporò la mia pelle e le sue dita si strinsero con forza tra i miei capelli, tirandoli quasi con violenza. Socchiusi gli occhi, per la prima volta rapita dalle sensazioni del mio corpo. Ecco che tutta la mia razionalità andava a farsi friggere! La lingua di Michael tracciava una lenta scia lungo la mia gola, facendomi sussultare stranamente agitata. Nessuno mi aveva mai toccata così, con forza, con decisione. La mano libera di Michael si strinse nell’incavo della mia schiena, premendo il mio corpo contro il suo. Le sue labbra scesero, sfiorandomi la spalla appena coperta dal lieve tessuto del maglioncino.
Le mie mani erano immobili sul suo petto, riposavano, quasi senza sapere cosa fare.
Quasi senza accorgermene mi ritrovai sdraiata sul mio letto, con Michael sopra di me. I suoi occhi erano più scuri del solito, ardenti di desiderio. Riuscii a fissarli solo per qualche secondo prima che  lui tornasse ad immergersi nel mio collo. Le sue dita si insinuarono tra i miei capelli, reclinandomi la testa all’indietro mentre l’altra sua mano mi accarezzava la schiena, in fondo, molto in fondo. La sua bocca calda mordicchiava la pelle del mio collo e un gemito involontario mi sfuggì dalle labbra quando la sua mano si spostò sulla mia pancia, accarezzando il mio addome piatto. Michael tornò a baciarmi, questa volta con più foga, succhiando le mie labbra e assaporando la mia bocca. Sentivo il suo corpo premere contro il mio ed ero acutamente consapevole di quanto fosse “felice” della situazione. Non che io ne fossi dispiaciuta. Ma quel contatto così intimo, così fisico, mi imbarazzava notevolmente. Non ero mai arrivata così in la con Jake, ne con nessun altro dei miei ragazzi. Nonostante giocassi a fare la famme fatale, in quel momento mi sentivo una verginella ingenua. E sicuramente lo ero. Sussultai quando improvvisamente mi ritrovai senza maglioncino. Mi strinsi le braccia al petto nel tentativo di coprirmi il seno.
“lasciati guardare” mi sussurrò Michael all’orecchio. La sua voce era roca, più tesa di quanto fossi abituata a sentirla. Accompagnò quelle parole con una carezza lieve sul mio ventre, leggera, che sfiorava appena l’orlo dei jeans. In quel momento riacquistai lucidità.
“ma non ci penso neanche!” scattai tirandomi a sedere e stringendomi al petto un cuscino.
Lo vidi accigliarsi e fissarmi con uno sguardo tale da trapassarmi. Sembrava intenzionato ad incenerirmi. Ricambiai il suo sguardo con un’espressione di sfida nella migliore tradizione “Elena Atwood” sollevando un sopracciglio e rifiutando di dargliela vinta.
“che cazzo di problema hai adesso?” sbottò dopo qualche minuto di confronto silenzioso. Il suo tono di voce mi fece risentire. Come si permetteva di parlarmi così?
“non ho assolutamente niente” sbottai altera, distogliendo lo sguardo dal suo viso troppo perfetto.
Mi sistemai distrattamente il maglioncino, sentendo il suo sguardo rovente che mi perforava il viso. Dire che l’interruzione non gli era andata a genio sarebbe stato un eufemismo.
“se non hai assolutamente niente perché stai facendo di nuovo la regina offesa?” sibilò a pochi centimetri da me. Mi voltai e lo trovai fin troppo vicino. Mi fissava con gli occhi socchiusi, osservando la mia espressione scocciata e colpevole al tempo stesso.
“non sto facendo l’offesa! Anzi, sono offesa, ma lo sono adesso…per come mi hai risposto.” Precisai evitando l’argomento. Il solo parlarne mi imbarazzava. Sentivo le guance andare a fuoco e ancora non aveva capito dove volevo andare a parare…figuriamoci quando avesse compreso…
“se non eri offesa perché mi hai fermato?” mi fissò ancora incazzato, con un sopracciglio inarcato. Risposi con una smorfia. Possibile che, nonostante tutte le sue arie da seduttore incallito, non riuscisse a capire un concetto così semplice? E pensare che avevo sempre considerato Jake scemo!
Rimanemmo a fissarci con espressione ebete e furente per qualche istante, poi finalmente lo vidi sgranare gli occhi. Riuscii addirittura a vedere la lampadina che si accendeva nel micro neurone che gli era rimasto! Alleluja, Michael recupera il cervello!
“stai forse dicendo che sei vergine?” mormorò con tono fin troppo ironico. Nonostante la mia spavalderia e i miei pensieri degni di un istrice incazzata, non potei fare a meno di arrossire.
“non ho detto niente io!” borbottai distogliendo lo sguardo. dio, perché mi sentivo andare a fuoco?
La sua risata fastidiosa mi penetrò nelle orecchie. Ok, la sua risata era meravigliosa, ma era fastidioso che lui ridesse in un momento come quello!
“perché non lo hai detto prima?” domandò divertito, mentre la rabbia cedeva il posto alla sua ironia. Ma certo, magari dovevo anche portare in giro per la città un cartellone con luci al neon e la scritta “Vergine”. dio, quanto odiavo i ragazzi in certe situazioni. Il tatto e la delicatezza decisamente non facevano parte della loro natura!
“vai a quel paese” sibilai imbronciata mentre stringevo le braccia intorno alle mie ginocchia. Lui rimase a ridere per qualche altro momento prima di accorgersi quanto poco incline fossi ad accettare il suo umorismo.
“dai Elena, che ci posso fare io! Nessuno si aspetterebbe una cosa simile da te…non mi starai mica prendendo per il culo vero?” sghignazzava ancora il cretino! E mi aveva velatamente dato della ragazza facile. Per Michael Ashton si stava velocemente avvicinando il giorno del giudizio.
Se avessi avuto anche una sola delle mie armi a portata di mano probabilmente avrei provveduto a riparare al gigantesco errore che madre natura aveva commesso dotandolo della capacità di procreare. Ma ci avrei pensato io, oh se ci avrei pensato io, a sistemare le cose!
“pensavo di essere stata fidanzata con un coglione fino a questo momento…ora mi accorgo che tendo ad essere ripetitiva nella scelta dei fidanzati. Anche tu sei un coglione” soffiai alzandomi dal letto e andando a raggiungere Kitty, che allegramente saltava da una poltrona all’altra. la strinsi tra le braccia e per un istante valutai l’ipotesi di lanciarla in faccia a Michael. No, probabilmente l’avrebbe lanciata fuori dalla finestra, e tanti cari saluti alla mia gatta.
Michael non sembrò prendere la mia offesa molto sul serio. Si stiracchiò meglio sul mio letto, incrociando le caviglie e sistemandosi comodamente le braccia sotto la testa.
“io direi che con me hai fatto il salto di qualità” ridacchiò alla fine osservando attentamente una delle proprie preziose mani, perfettamente curate.
“io direi che sono precipitata nel baratro della dipendenza da cretini” sibilai ancora scocciata.
“o in quello della dipendenza sessuale? Ammettilo che è stato il mio aspetto incredibilmente sensuale e affascinante a farti mollare il salame.” Mi spronò il presuntuoso individuo stravaccato sul mio letto. Mi girai di tre quarti, appioppandogli una manata poco sopra il ginocchio, desiderando, e non per la prima volta, fargli del male fisico.
“adesso tocchi anche?” provocò ancora, tranquillo come se io non fossi una persona da prendere sul serio. Assottigliai lo sguardo, accarezzando con la mente l’idea di esibirmi in un secondo round di lotta libera. Prima Angeline, adesso Michael…sarebbe stato il perfetto inizio per la mia carriera da pugile. Mi ci vedevo bene, con guantoni ai polsi e qualche faccia da pestare proprio fi fronte a me. E no, non sono assolutamente una persona violenta.
“ti piacerebbe” sbuffai mentre recuperavo la distanza di sicurezza e mi accoccolavo imbronciata sul bordo del mio letto, che Michael non si faceva alcuno scrupolo ad occupare per intero.
“eccome se mi piacerebbe” rispose in modo estremamente serio, sollevandosi a sedere e soffiandomi quelle parole a pochi centimetri dalla pelle del collo.
“smettila” lo rimproverai reprimendo brivido. Maledetto corpo adolescente imbottito di ormoni.
“non lo vuoi davvero, che io setta” continuò mentre la sua mano sinistra iniziava ad accarezzarmi i capelli.  Era una cosa che avevo sempre amato, aver toccati i capelli. E la sua mano era calda, incredibilmente leggera sulla mia duca, delicata e al tempio stesso pressante, tanto presente che era impossibile ignorarla. Reclinai appena il capo, seguendo il movimento della sua mano.
“invece voglio” mormori chiudendo gli occhi. Non rispose e si tirò impercettibilmente indietro. Il mio corpo, come attirato da una calamità, lo seguì in quel lieve spostamento. Ero un kamikaze, pronta a farmi esplodere pur di avere le sue carezze. Ero patetica.
Ancora una volta fu l’orgoglio a salvarmi, a farmi raddrizzare la spina dorsale e tornare a qualche centimetro di distanza. Quando mi voltai a guardarlo, Michael era estremamente bello, sardonico e arrogante, ma i suoi muscoli sembravano tesi, irrigiditi. Anche lui sembrava avvertire la tensione di quello sfiorarsi, quel conoscersi così strano tra noi due.
Forse non ero l’unica, ad essere inesperta nel contatto fisico. Forse lui non era mai stato vicino ad una ragazza in questo modo. Così diverso, così delicato ed impacciato.
“credo che per oggi possiamo smetterla con gli strusciamenti” esordii schiarendomi la voce.
“già, non mettiamo a dura prova la tua resistenza.” Concordò tornando arrogante e divertito.
“e della tua che mi dici? Nemmeno un po’ turbato” soffia un tantino indispettita.
Ah, quindi lui non era per niente tentato di continuare? Gli facevo così poco effetto? Bene, poteva scordarsi un replay allora!
“la mia resistenza è abbastanza allenata, non preoccuparti per me” rispose serafico, tamburellando con le dita sulla stoffa del piumone.
“ti sorprenderesti di sapere quanto è allenata la mia allora” lo apostrofai piccata, incrociando le braccia al petto. Ecco, lo sapevo, stavamo per sfiorare l’ennesimo battibecco. Non saremmo durati neanche una settimana.
In quel momento Kitty scelse di saltare sulle mie ginocchia. Le sue zampine morbide, con quei cuscinetti rosa e adorabili, iniziarono a sprimacciare delicatamente le mie gambe. Le accarezzai il pelo, incantata dai giochi di luce su quel manto estremamente folto e lucido.
“sta facendo la pasta” osservò divertito Michael tornato di nuovo alle mie spalle.
“le piaci molto. Ti piace eh Kitty?” domandò portando il viso vicino a quello della mia adorabile gatta. Lei si voltò a guardarlo con una certa aria di sufficienza, guadagnando improvvisamente il mio amore. Ecco un’esponente del genere femminile a cui Michael sembrava non piacere nemmeno un pochino. Brava ragazza!
“non fartela piacere troppo. Lo dico per il tuo bene. Questa qui è una vera stronza” continuò poggiandomi una mano sui capelli. Mi divincolai piano, cercando di non disturbare la gattina accoccolata sulle mie gambe.
“io non sono una stronza” precisai ancora con la mano sul dorso di Kitty.
“non sempre” mi concesse lui
“mai” lo corressi impuntandomi. Questa volta l’avrei spuntata io, anche a costo di continuare per ore. non poteva darmi della stronza impunemente.
“il 90% delle volte”
“soltanto raramente”
“ogni tanto” sussurrò ala fine con un sorriso, sfiorando con un bacio le mie labbra.
“ogni tanto” concordai improvvisamente molto meno lucida. Lui sorrise ancora, posando la sua mano sulla mia mentre accarezzavo Kitty.
“è un compromesso” domandai sollevando gli occhi su di lui. Mi persi nel blu del suo sguardo. Amavo quel colore così intenso e profondo, talmente scuro da apparire a volte nero. Era qualcosa di unico, un colore che mai avevo visto negli occhi di qualcun altro. Se fossi stata poetica avrei detto che era il colore della sua anima. Scura profonda e bellissima. Ma io non ero una poetessa ero una guerriera, una custode. Un’assassina e una bugiarda.
“mi piacciono i compromessi.” Le sue labbra erano ad un centimetro dalle mie. Mi lascia baciare. In fondo i compromessi funzionavano. Quindi perché non cercarne insieme un altro?



Note:

Come sempre sono talmente in ritardo che mi vergogno persino a farmi nuovamente sentire. Alle persone che leggono questa storia faccio le mie più sentite scuse. Potrei elencare i mille motivi che hanno rimandato la stesura del capitolo, ma lo trovo inutile. Sono in clamoroso ritardo. Spero che non vi siate dimenticati di Elena e Michael e che vorrete ancora ascoltare quello che hanno da dire.
Sul capitolo ho poco da dire. È abbastanza privo di eventi, ma prezioso per me e non sono proprio riuscita ad ometterlo perché questi primi impacciati momenti tra Elena e Michael sono così speciali per me…
So che la storia sta andando un po’ per le lunghe, ma presto arriverà l’azione vera e proprio e molte cose cambieranno. Spero vogliate continuare a leggere di loro.
Mi scuso per le mostruosità sicuramente presenti in questo testo, non ho avuto assolutamente tempo per rileggere. se qualcuno avesse qualche domanda sulla storia o sui personaggi può trovarmi qui: http://www.facebook.com/home.php?ref=wizard#!/profile.php?id=100004925861192  A presto!
 








 

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