Ricordati di me

di Aurelia major
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Ricordati di me

 

 

 

 

Capitolo 1

Era una tranquilla domenica mattina all’inizio dell’Estate e, come sempre del resto, Alice Asatani si sentiva un tantino fuori luogo con quello che considerava un artificioso abbigliamento borghese . Non che normalmente indossasse una divisa intendiamoci, ma il severo tailleur che adoperava quand’era in servizio le sembrava fosse più consono alla sua personalità, mentre così vestita provava un certo impaccio. Il fatto era che si considerava una persona quadrata e di conseguenza le piaceva esprimerlo anche attraverso il modo di vestirsi . In ogni caso, al di là delle mere spiegazioni psicologiche e delle considerazioni inerenti alla moda, con indosso quella t-shirt e quei ridicoli pantaloni alla caprese, non stava affatto comoda.

"Ma che ti si è allagata casa?"

Molto probabilmente Matthew l’avrebbe apostrofata in questo modo vedendola in quella mise. O perlomeno fino a qualche mese fa sicuramente le avrebbe detto così, ora piuttosto le veniva il sospetto che non se ne sarebbe neppure accorto. In fin dei conti infatti non era in grado di fare la differenza tra il prima e il dopo, purtroppo...

Alice si accigliò contrariata, se non fosse stato per lui ora non si sarebbe trovata su questa strada, sotto il sole cocente, ostacolata dalla folla del weekend e in procinto di incontrare delle persone che francamente non ci teneva affatto a rivedere. Già, se ne sarebbe rimasta nel suo bell’appartamento climatizzato a leggere un libro e bersi una soda ghiacciata. E invece no, eccola tutta acchitata nello stile vigente quell’estate (cosa che normalmente le sarebbe importata meno di zero, ma visto che stava per incontrare delle fashion victims, al momento gliene fregava abbastanza) a fare da ambasciatore per via di della situazione alquanto preoccupante in cui era invischiato colui che da un bel pezzo aveva smesso di considerare solo un semplice collega.

Certo che, pensandoci e per l’ennesima volta, tutta quella storia era così assurda che si stentava a crederla.

Ecco cos’era l’affetto: assolvere, per un amico a cui tieni, un compito che in altri frangenti avresti rifuggito come la peste.

Eh già , in passato c’era stato un momento in cui si era sentita parecchio attratta dal suo compagno di lavoro, anche se al di là della prestanza di quest’ultimo, giocava come fattore determinante il fatto che la di lui fidanzata ne era molto, ma molto indispettita. Poi, col passare delle stagioni, e con la consapevolezza che lui non avrebbe mai ricambiato i suoi sentimenti, l’iniziale infatuazione si era trasformata in una solida amicizia che il tempo e gli avvenimenti, nonostante tutto, avevano lasciato inalterata. Ma l’antipatia per le sorelle Tashikel e per Sheila in particolare, era rimasta immutata.

Come i sospetti del resto, che purtroppo non aveva potuto suffragare, giacché non aveva mai trovate le prove per poter incastrare quella maledette, anche se aveva smosso mari e monti per farlo. Dentro di sé sapeva, al di là di ogni ragionevole dubbio, che quelle tre erano Occhi di Gatto, quella dannata banda di ladre che tanto aveva fatto penare tutto lo staff del dipartimento di polizia di Inunari. E soprattutto era convinta che lo stesso Matthew le avesse smascherate, anche se si era chiuso in un silenzio di tomba su tutta la faccenda e che, ora più che mai, non ne avrebbe parlato.

In effetti si era decisa a fare ciò che stava facendo anche in virtù di quel particolare, se quest’ultimo infatti si fosse sbloccato forse avrebbe cambiato atteggiamento e quella ridicola farsa, in barba alla giustizia, sarebbe finalmente terminata.

Pia speranza la sua, ma questa, unita alla prospettiva della salute minacciata dell’uomo, l’avevano convinta ad affrontare quell’incontro oltremodo molesto.

Ed eccola lì, finalmente giunta a destinazione. Non c’era che dire, davvero impressionante la facciata del condominio che le tre grazie avevano eletto a loro residenza. Ma figurarsi se le iper sorelle (iper tecnologiche, iper efficienti, iper eleganti e iper bone accidenti a loro!) non abitassero in un appartamento da sogno nel più bel grattacielo di Shinjuku!

Piccata entrò nella costruzione a vetri, si diresse verso l’ascensore e durante il tragitto fino all’ultimo piano si chiese come avrebbero potuto riceverla. Con beffarda acrimonia si augurò perlomeno che se la sarebbero fatta addosso quando sarebbe piombata loro tra capo e collo. In fin dei conti lei era ancora un detective della polizia, sebbene attualmente non fosse più di stanza alla criminale, ma alla omicidi, quindi c’era la possibilità. Del resto, se era come pensava, ed era così, la sua visitina non poteva che metterle in allarme!

Sorrise sprezzante e anche piuttosto allettata all’idea del panico che avrebbe scatenato e arrivata davanti alla loro porta non si stupì affatto nel constatare che il piano era tutto di loro proprietà. Quindi, senza darsi tempo di ripensarci, diede un’energica scampanellata.

Pochi minuti di attesa e la porta le fu aperta nientedimeno che da Tati, ancora in pigiamino rosa, che non appena la vide proruppe in un sonoro: "Accidentaccio, Asatani!!"

 

 

 

 

 

 

N.d.A.

Dunque, mi sento in dovere innanzitutto di fare le mie scuse a quanti ancora stanno attendendo il prosieguo delle mie precedenti fanfiction. Sì avete ragione se mi state riempiendo di accidenti, ma purtroppo per una serie di eventi fortuiti e imprevisti di svariata natura, non mi è stato possibile metterci mano nei mesi appena trascorsi. Chiedo venia, sappiate che ci sto lavorando e quanto di più l’attesa si protrae, tanto più è sintomo che lo sto facendo con scrupolo, okay?

Per quanto riguarda questa storia invece, la considero una sorta di tributo a quella vecchia guardia, alla quale io appartengo, dei gloriosi anime anni 80. Magari i più considerano ormai superate queste produzioni e giustamente sono attratti dalle storie più recenti che ci giungono dal sollevante. Però io ho amato moltissimo la vicenda di Occhi di Gatto e insomma, mi è preso lo sfizio di dargli voce, visto che, purtroppo, nessuno fin ora se n’è preso la briga.

Per quanto riguarda invece le innumerevoli licenze poetiche, le forzature, la goliardia eccessiva di alcuni passaggi e qualche riferimento piccante buttato qua e là, che successivamente si leggeranno, me ne scusino i puristi e chi se ne dovesse sentire offeso. Anch’io sono un’estimatrice dell’opera di Tsukasa Hojo e questa mia non vuole essere altro che un omaggio al maestro e un atto di affettuoso ossequio all’opera che ha fatto sognare la mia generazione e quanti successivamente l’hanno apprezzata.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Kelly se ne stava  placidamente adagiata sul morbido sofà dell’ampio salotto sfogliando una rivista d’arte nella quale c’era un articolo che parlava in toni entusiastici della loro galleria.  Sorrise compiaciuta sorseggiando il suo tè al gelsomino.

Sembrava proprio che l’ultima esposizione presentata avesse colpito il pubblico e addetti ai lavori, cosa che la fece sentire oltremodo fiera di quello che lei e le sue sorelle erano riuscite a creare. Effettivamente quell’enorme open space, illuminato in modo che le luci non sembrassero affatto artificiali e perennemente investito da musica chill out  e ambient lounge stava rapidamente diventando un luogo alla moda, un punto di ritrovo per la gente in. Dai giovani artisti a quelli affermati, dalle modelle, ai fotografi di grido, dai bohemien in genere e coloro i quali amavano definirsi cool , tutti prima o poi transitavano per la  loro galleria. E non tanto per ammirarne le opere, quanto per goderne l’atmosfera e poter affermare di essere degli habituè.

Stringi, stringi, pensò Kelly sorniona, non avevano fatto altro che modificare un po’ la concezione del caffé che gestivano prima. Anche lì c’era gente che andava, veniva e si fermava, solo che nella versione attuale i quadri e le installazioni sostituivano i tramezzini e il caffé. Senza  contare che lì non c’erano tazze da lavare in grembiulino!

A questo pensiero non poté trattenere una risatina, non rinnegava affatto il passato, ma doveva ammettere che, almeno sotto questo punto di vista, la loro vita era migliorata di gran lunga.

Anche se... Beh, bisognava ammettere che negli ultimi tre anni di traumi ne avevano avuti abbastanza, anzi, qualcuno di troppo. Innanzitutto c’era stata la quantomai frettolosa partenza per l’Europa, il cui cruento antipasto era stato il casino successo tra Sheila e Matthew, una tremenda cagnara culminata con il tempestoso distacco dei due. Separazione che ancor oggi faceva sentire i suoi effetti.  

Dopodichè avevano girato in lungo e in largo attraverso il nord Europa alla ricerca della benché minima traccia le potesse portare a trovare qualche indizio inerente loro padre. Tempo perso, tutte le piste avevano portato ad un nulla di fatto, per quanto lei, le ragazze e l’immancabile signor Marloss si fossero sforzati in ogni direzione. Sembrava che di Heinz si fosse perduta del tutto la memoria. La delusione era stata enorme e persisteva tutt’ora, anche se ormai ne parlavano di rado, giacché l’amarezza era davvero troppa. Restava loro l’intera collezione del padre ormai riunita, ma che senso aveva, visto che quella che sembrava la chiave di volta per ritrovarlo alla fine non era servita ?

Oltre a ciò Kelly trovava che fosse un vero peccato il doverla tenere occultata in un deposito sotterraneo, con tutto il cuore avrebbe voluto esporla al pubblico per far finalmente ammirare il genio di Heinz, suo padre. Ma come fare? Si trattava del frutto di tutte le imprese di Occhi di Gatto, quindi agli occhi della legge un corpo del reato e di certo lei, né le sue sorelle, potevano costituirsi. O perlomeno non ancora, in effetti Marloss si stava muovendo in tal senso. Attraverso le sue conoscenze infatti, stava cercando un cavillo, un modo legale per rendere la loro situazione costituzionale. La collezione Heinz era stata rubata e dispersa dai nazisti e loro che erano le figlie del legittimo proprietario non avevano fatto altro che riappropriarsi dei beni appartenuti al padre, anche se naturalmente il metodo usato non era stato dei più ortodossi… Comunque alla controversia stava lavorando un nutrito pool di avvocati sulla cui riservatezza si poteva contare, ma i tempi previsti andavano sul lungo e quindi non potevano far altro che aspettare e aver fiducia.

“Fosse facile.” Pensò sospirando, quando all’improvviso fece capolino nella stanza Sheila.

“Allora, che dice l’articolo del nostro vernissage?” Chiese tamponandosi la fronte con una salvietta.

Veniva direttamente da quella che soleva definire “la mia sala fitness personale”, infatti, nella loro nuova casa, aveva preteso ci fosse un’ampia stanza che aveva arredato con tutte le moderne tecnologie da palestra e dove passava parecchio tempo quando non era alla galleria. Kelly non si era mai presa la briga di chiederle il perché di questa originalità,  anche se ne sospettava il motivo, tutto il contrario di Tati alla quale la cosa non piaceva affatto. Sheila era sempre stata delle tre la più introversa e quella dal carattere decisamente ermetico, ma da quando lei e Matthew avevano rotto era andata via, via peggiorando.

Si era buttata a capofitto prima nella ricerca del padre e poi nella nuova vita che avevano intrapreso al loro ritorno in Giappone. All’apparenza sembrava che andasse tutto bene, il lavoro le piaceva, faceva tutte quelle cose normali che ci si aspetta da una giovane single avvenente ed era persino uscita qualche volta con alcuni interessanti giovanotti conosciuti a qua e là. Eppure rimaneva come distaccata da tutto ciò, era come un divertimento fine a sé stesso, finché durava sembrava appagarla, ma poi le lasciava dentro un gran vuoto. E quelle rare volte che Kelly si era risolta a tentare di parlarle si era trovata davanti un muro. Poteva darsi però che il suo modo pacato di farlo forse non era quello giusto, anche se neppure quello molto meno diplomatico di Tati aveva prodotto dei risultati. La loro ultima litigata in proposito era avvenuta circa un paio di mesi prima.

Accidenti a te, hai la testa più dura di un mulo!” L’aveva apostrofata la loro sorellina davanti all’ennesimo rifiuto da parte di Sheila di uscire di nuovo con  un designer molto carino sulla trentina.

Perché non ti fai gli affari tuoi?” Le aveva risposto oltremodo arrabbiata quest’ultima lasciando la stanza dove l’alterco stava avvenendo.

Perché stai sprecando la tua vita  idiota!” Aveva replicato la più piccola seguendola dappresso e, non paga, aveva rincarato la dose: “E se, nonostante tutto, con la testa stai ancora appresso a quel cretino senza spina dorsale, allora sai che ti dico? Tira fuori il coraggio e vallo a cercare!

L’aveva sfidata iniziando ad alterarsi oltremodo, era stufa di vederla svagata e oppressa e, soprattutto, era ora che la piantasse di nascondersi dietro ad un dito. E se sua sorella non si decideva da sola, ebbene gliele avrebbe cantate chiare! Inoltre, anche se Tati non l’avrebbe mai ammesso, neppure sotto tortura, Matthew  mancava da morire anche a lei. Sebbene fosse sempre stata convinta  che non fosse  per nulla l’uomo adatto a Sheila, ciò nonostante  però nel corso degli anni gli si era affezionata, quasi fosse diventato una sorta di fratello maggiore per lei. Anche se a volte dimostrava meno anni di lei quanto a maturità.

Tu stai dando i numeri Tati! Il fatto che io non voglia uscire di nuovo con quel presuntuoso non ha motivi reconditi.“

Tutte balle e se pensi che ci creda stai fresca! Ma perché non ammetti una volta per tutte che vuoi rivederlo?

Ma di chi diavolo parli?” Domandò Sheila al culmine della malafede, giacché sapeva benissimo a chi si stavano riferendo.

Del fantasma di quel cretino! Che come un ectoplasma  malefico si aggira nella tua testa ed esce solo per farti fare delle grandissime cavolate! Non puoi negarlo, accidenti, ogni volta, ogni maledettissima volta che ti dai uno spiraglio di vita, risorge dalle sue ceneri e ti riacchiappa!

Ma che ti sei data all’alcool ?!  Aveva replicato ostentando un misto di stupore ed esasperazione. In effetti, volendo mantenere quell’apparenza distaccata, non avrebbe potuto comportarsi diversamente. Sebbene sapesse in cuor suo quanto la piccola avesse  colto nel segno.

No, io no, ma tu dovresti farlo... esci, svagati, tocca il culo agli uomini insomma! E se non ti va e pensi proprio che lo rivuoi, allora vattelo a pigliare ovunque si sia cacciato!

Questa discussione non ha affatto senso.” Aveva ribattuto Sheila girando sui tacchi e chiudendo il discorso. E che poteva risponderle? Che ci aveva già provato e che di Matthew pareva non fosse rimasta traccia? Invero, con molta discrezione, da quando erano rientrate in patria, aveva tentato di rintracciarlo per parlargli, quantomeno, si era detta, per chiarire definitivamente la situazione tra loro e poi ognuno per la sua strada . Il che naturalmente era tutta una scusa per non ammettere che la sua speranza era di tutt’altro tipo. Ma in ogni caso sembrava che si fosse volatilizzato. Dagli archivi computerizzati della polizia risultava solo che aveva lasciato la sua precedente sede e altro non c’era. Non era dato sapere se facesse ancora parte delle forze dell’ordine o se si fosse dimesso, per queste informazioni sarebbe occorsa una userid e una password, o meglio ancora, le doti di hacker della sua sorellina. Ma sarebbe morta piuttosto che chiederglielo!

Così la sua mossa successiva era stata quella di recarsi presso il complesso dove c’era il suo appartamento, ma anche là l’unica informazione che aveva reperito non le era servita un granché. Dai vicini infatti aveva appreso che erano mesi che non viveva più nessuno in quel locale, anche se la casa non era stata riaffittata.

In sostanza qualunque strada tentasse di prendere finiva continuamente in un vicolo cieco, anche perché Matthew aveva pochi amici, nessuno dei quali veramente intimo, ai quali poter porre domande. L’unica era Alice Asatani e, sebbene quella lì  sapesse dove trovarla, non ne aveva affatto voglia. Senza contare che era pressoché certa che se pure quell’arpia fosse stata a conoscenza di qualcosa, a lei non l’avrebbe di certo detto. Inoltre non voleva dare alla detective un nuovo pretesto per rimettere il naso nelle sue faccende. Chi restava ?

Tolto il Capo, il diretto superiore di entrambi i detective, il quale nel frattempo era andato in pensione e si era ritrasferito nella natale Fukuoka, i pochi parenti di Matthew che vivevano a Kyushu non lo vedevano da un pezzo. E non era solo una supposizione questa, giacché aveva telefonato a tutti gli abbonati che facevano di cognome Isman di quel distretto, finché non aveva beccato in modo del tutto fortuito una zia . Al che, omettendo la sua identità e spacciandosi come organizzatrice di una riunione tra ex compagni di scuola, l’aveva interrogata in tal proposito. La donna, sebbene disponibile, non aveva saputo dirle molto, salvo precisare che non aveva notizie di suo nipote. Possibile che non ne sapesse niente? Ma proprio niente, niente?

Aveva insistito molto, ma per quanto ci avesse provato non le era riuscito di farla sbottonare, l’unica cosa che le aveva detto era che in ogni caso, conoscendolo, pensava non sarebbe intervenuto, dopodichè aveva buttato giù. E così si era ritrovata nell’ennesimo impasse, tanto che le sembrava la seconda edizione della scomparsa del padre, con l’aggravante però che il suo ex fidanzato non aveva lasciato opere d’arte dietro di sé!

Tutto questo era successo nei due mesi precedenti e nel frattempo lei aveva realizzato appieno che aveva assolutamente bisogno di rivederlo. Alla fine aveva dovuto ammettere con sé stessa di amarlo ancora e che aveva sperato durante tutti gli anni trascorsi dal loro distacco che lui fosse ancora lì ad aspettarla e che niente fosse cambiato.

Intanto tuttavia il tempo passava e nonostante tutto non le riusciva di sapere dove fosse, benché avesse messo in moto persino Marloss, pregandolo però di mantenere un’assoluta segretezza sulla cosa. 

Ad ogni modo quella domenica mattina una volta tanto non ci stava pensando, si era svegliata presto e si era messa a fare dello step tanto per passare il tempo prima di recarsi in centro. Aveva fatto una doccia e si era diretta in salotto per fare quattro chiacchiere con le sorelle. Tati si era alzata poco prima, l’aveva incrociata in corridoio mentre si dirigeva verso il bagno, per cui quando bussarono alla porta fu quest’ultima ad aprire e le sorelle dal salotto  udirono chiaramente la sua esclamazione di stupore...

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 

 

 

“Esattamente l’accoglienza che mi aspettavo, non c’è che dire!” Affermò Alice schernendola con evidente sarcasmo e quindi, facendosi avanti decisa, continuò: “Non mi fai entrare ragazzina?” 

“Ragazzina a chi, brutta befana!?” Replicò incollerita Tati, un po’ perché le seccava abbastanza di essere additata con quell’appellativo e un altro po’ allo scopo di prendere tempo. Infatti, alla vista della donna, una ridda di pensieri negativi aveva preso ad affollarle la testa. Le pareva quasi di vedere il palazzo che veniva accerchiato, la successiva incursione delle forze dell’ordine e loro infine costrette a scappare attraverso i tetti ancora in tenuta da notte! 

Scosse il capo cercando di darsi una calmata, cos’altro poteva fare se non farla accomodare e stare a vedere ? Tantopiù che Sheila le arrivò alle spalle d’improvviso e le due sorelle non riuscirono a fare altro che fissarsi incredule con uno scambio di sguardi oltremodo eloquente.

Alice, visto che la cosa andava per le lunghe, e volendo evitare di perdere altro tempo appresso a quelle, varcò l’uscio e se lo richiuse alle spalle sfidandole silenziosamente alla prossima mossa.

“Asatani!” Finalmente Sheila parve ritrovare la favella e la prontezza di spirito, mentre si chiedeva che cosa rappresentasse quel raid mattutino. La sua reazione primaria in verità sarebbe stata quella di mettere alla porta quella seccatrice, ma riuscì a fermarsi in tempo e a provare quantomeno ad essere formalmente civile. “Sei proprio l’ultima persona al mondo che mi aspettavo di vedere oggi.”

“Già me l’immagino, così come sono sicura che il piacere di rivedersi sia  reciproco.” Ribatté l’investigatrice ironicamente, stroncando sul nascere qualsiasi base di comune tolleranza. Una cosa era aiutare un amico in difficoltà, ben altra era ostentare un’ipocrita disponibilità con quelle tre vanesie! Quindi venne subito al sodo.

“Sappi comunque che non sono venuta qui per fare salotto e neppure per un’inutile conversazione sulle nostre rispettive vite.” Precisò asciutta.

“Beh allora te ne puoi andare subito!” S’intromise Tati stizzita, non aveva mai avuto troppo rispetto, né simpatia, per quella donna e, ora che si era presa addirittura la briga di venirle ad  insultarle fin dentro  casa, meno che mai.

“Bando alle ciance, vostra sorella c’è ?” Replicò Alice ignorandola totalmente, togliendosi gli occhiali da sole ed infilandosi quelli da vista.

“Sì è di là.” Fece Sheila meditabonda stringendo gli occhi, questa storia non le piaceva proprio per niente. Del resto conveniva darle spago finché non avesse capito esattamente il motivo che l’aveva  portata lì. E se Asatani avesse scoperto una prova concreta  del loro passato di ladre? Era improbabile, ma non impossibile, considerata pure la presa ferrea da mastino con la quale le aveva strette fin dal primo incontro. Eppure, nel qual caso, se davvero era in possesso d’un minimo dato di colpevolezza, perché era venuta da sola? Non sapeva cosa pensare esattamente, ma il suo sesto senso le diceva a gran voce che c’erano problemi in vista.

“Perfetto, se non vi dispiace portatemi da lei. Ho qualcosa di molto importante da dire a tutte e tre.“ Annunciò l’altra lasciando che le facessero strada e seguendole all’interno dell’enorme abitazione. Naturalmente l’interno della casa era più o meno come se l’era figurata dall’esterno, come sempre non c’era nulla da eccepire, tutto era splendido splendente là dentro! Allo stesso modo delle proprietarie del resto, pensò inacidita. In effetti gli  anni trascorsi non sembravano aver affatto scalfito la bellezza delle sorelle Tashikel, ma sotto la superficie chissà? Kelly quanti anni aveva ora? Più di trenta sicuramente e, mortacci suoi, se li portava alla grande! Stesso discorso per la  marmocchia, che non aveva un filo di grasso addosso e neppure i problemi alla vista che generalmente affliggono una studentessa universitaria quale ormai doveva essere. Presumibilmente passava pochissimo tempo sui libri, magari fidando sulla propria  avvenenza per far colpo sui professori in sede d’esame… giustamente, zoccole le sorelle maggiori, zoccola anche lei, ché il frutto non cade mai troppo lontano dall’albero!

Quanto a Sheila, appariva così in forma e avvenente che non poteva far altro che associarla al termine automobilistico fuoriserie. Stavano da dio, accidenti a loro!

Tali considerazioni estetiche occuparono Alice intanto che non furono sedute tutte  innanzi a lei, con la tazza di tè di prammatica davanti, in attesa che palesasse la causa misteriosa che l’aveva spinta ad andarle a trovare.

La piccola era protesa in avanti con un fare aggressivo e desideroso di sapere, Sheila mostrava maggior compostezza, anche se l’ansia che la rodeva era manifestata da un piede che faceva oscillare ritmicamente. Solo Kelly sembrava impassibile, così come lo era stata quando se l’era ritrovata davanti.

“D’accordo“, esordì infine Alice iniziando il discorso su quale spesso aveva riflettuto nei giorni precedenti, “se oggi sono qui non è per motivi personali, ci tengo a sottolinearlo. Tra noi non c’è mai stata eccessiva simpatia, per cui se si fosse trattato di me, di certo non sarei ricorsa a voi.” Affermò perentoria volendo togliergli qualsivoglia velleità d’essere lì per una supplica che la riguardasse. Figurarsi! Quelle già si comportavano come se tutto gli fosse dovuto, ci sarebbe mancato solo che intendessero una cosa simile! Nel qual caso non osava immaginare la loro superbia fin dove sarebbe arrivata! Già adesso avevano l’aria di chi le stava facendo una gran concessione, anche se pestar loro i piedi in quel modo le stava irritando di brutto. Altroché, stavano letteralmente fremendo d’amor proprio offeso! Però… però ora doveva darsi una calmata e tentare di frenare la sua avversione, altrimenti come niente avrebbero cominciato a discutere e lei non voleva mandare tutto a puttane.

“Accidenti a te, perché mi hai messa in questo casino?!”  Berciò mentalmente all’indirizzo della chiave di volta di tutta quella faccenda. Quindi sospirando riprese il filo da dove si era interrotta.

 “Si tratta di un amico ed è per lui che vengo a chiedere la vostra collaborazione.“ Fece una pausa per dargli modo d’intendere, mentre i volti davanti a  lei passavano dalla perplessità ad un interesse immediato. Bene, tanto valeva farla breve allora, così mise le sue carte in tavola.

“Dalle vostre facce mi rendo conto che non occorrerebbe che fossi più specifica, credo proprio che abbiate capito a chi mi stia riferendo, ma ve lo dico chiaro e tondo: Matthew  è  in difficoltà e noi dobbiamo aiutarlo.”

“Che cosa è accaduto ?” Chiese calmissima Kelly posando prontamente una mano su quelle di Sheila che stava lì , lì per balzare in piedi.

“Beh voi non potete sapere.” Rispose Alice. Già, dal momento che di quelle tre erano sparite dalla circolazione, molte cose erano cambiate e probabilmente le tre grazie neppure si erano preoccupate d’informarsi su quanto era accaduto durante la loro assenza. Evidentemente avevano ritenuto che quanti si erano lasciati dietro non fossero più utili ai loro scopi!

Sentì nuovamente la rabbia montare dentro di sé, ma la represse subito e sospirando  riprese a raccontare.

“Sei mesi dopo la vostra partenza Matthew decise di chiedere il trasferimento dall’investigativa all’unità anti-yakuza. In quel lasso di tempo infatti si era scatenata una vera e propria guerra tra clan, il boss Tanaka era stato assassinato e tutti i suoi gregari ambivano al posto di capo supremo, il che significa che le sparatorie e la guerriglia tra i vari gruppi erano all’ordine del giorno ormai. In pratica non c’era zona della città che non ne fosse coinvolta. Tutto questo mentre nella nostra sezione continuavamo ad occuparci d’ordinaria amministrazione. Così, su due piedi,  con la sua solita impulsività, Matthew decise d’andarsene in un’unità dove ci fosse davvero bisogno di lui. Oddio, non che il suo stato di servizio fosse propriamente adeguato, ma siccome il fronte era caldo, anzi bollente, negli uffici della questura non gli fecero certo difficoltà. A quanto pare chiunque si offrisse era ben accetto.

Cercai in tutti i modi di convincerlo a cambiare idea, ma fu irremovibile. Non l’ho mai visto così furibondo e neppure tanto frustrato. Ce l’aveva con tutto e tutti, diceva di sentirsi inutile ed era fermamente determinato a cambiare vita. Da capo a piedi.“

Sottolineò l’ultima frase fissando le tre con un’occhiata accigliata, ma non ricevette repliche. Ché forse pensassero di non c’entrare nulla con quella decisione repentina? Buon per loro, ma ancora non aveva finito, hai visto mai che dopo avrebbero cambiato idea?!

“Quindi si dimise e in che modo passò i giorni che precedettero l’assunzione della sua carica nel commissariato del Kanto, sinceramente non saprei dirvelo.  Probabile che si sia rintanato in  qualche bettola ad ubriacarsi, ché ultimamente ci stava dando sotto mica male con gli alcolici. Ad ogni modo, quando finalmente dopo tempo riuscii a trovarlo a casa , stava imballando tutto e facendo le valigie. Forse non ci crederete, ma   i vari pool incaricati di scendere in campo contro la yakuza furono organizzati come una sorta di milizie armate, tant’è vero che erano alloggiati in apposite caserme. Per una questione di sicurezza a quanto pare, giacché si temeva l’inevitabile ondata di ritorsioni e vendette trasversali.

Ancora una volta tentai di farlo ragionare, gli dissi persino che in questo modo andava incontro ad una vita da recluso e che oltre al suo lavoro non avrebbe avuto altro, ovvero: zero svaghi, nessuna pausa prolungata, nessun pisolino in servizio. E sapete che mi rispose? Che andava benissimo così, che non chiedeva di meglio e che se ne stava andando volutamente nel refugium peccatorum  delle pecore nere, dei cornuti e dei falliti. Insomma, a suo dire era proprio il posto adatto a lui. A questi ragionamenti non potei ribattere, ma comunque argomentai e discussi con lui per ore, solo per sentirmi rispondere a conclusione di tutte quelle chiacchiere, che era stufo, che voleva fare qualcosa di costruttivo, che in quel modo avrebbe fatto esperienza. Senza contare che alla fin fine mi beccai pure della ficcanaso scocciatrice. E a proposito, mi sono dimenticata di dirvi che quel grandissimo stupido si fece reclutare tra i volontari, dando una totale reperibilità, 24 ore su 24.”

“Porca vacca!” Esclamò, non riuscendo più a trattenersi, Tati voltandosi a fissare Sheila che stava ascoltando con gli occhi sbarrati mentre si attorcigliava senza posa  una ciocca di capelli.

“Continua Alice, ti prego.” L’esortò gravemente Kelly mentre metteva un braccio attorno alle spalle della sorella con aria protettiva.

“Lo conoscete no? Potete immaginarvelo allora con quale foga e testardaggine si buttò anima e corpo in questa missione. E più s’inaspriva la lotta armata, più aumentava lo slancio che ci metteva. Rimasi allibita quando lessi i rapporti in merito, proprio non riuscivo ad immaginarmelo impegnato in una sparatoria con la pistola in pugno. Non era stato mai un poliziotto di quel tipo. Eppure dovetti ricredermi e, quando c’incontrammo per caso alla sede centrale del ministero degli interni, stentai a riconoscerlo. Magro come un chiodo, i capelli cortissimi e gli occhi completamente allucinati. Quella vita stava facendo di lui un automa. Ebbi giusto il tempo di salutarlo, parlammo sì, ma troppo poco purtroppo, e mi promise che ci saremmo sentiti telefonicamente. Poi, molti mesi dopo, quando ormai la contesa tra i gruppi criminali finalmente aveva preso a scemare, un giorno mi venne a trovare in ufficio. Aveva ancora quell’aria esaltata, ma al contempo era stranamente tranquillo. Restammo quasi due ore a parlare, ma sapete? Di tutto quel che mi disse non c’era un solo particolare rilevante, nulla che mi facesse capire davvero come si sentisse o se quello che stava facendo gli dava davvero l’appagamento che ostentava. Poi, dopo mesi di silenzio, ci rincontrammo al poligono di tiro e fu in quell’occasione che mi confidò d’avere una patata bollente per le mani, senza però specificare di che si trattasse. Alluse a dei documenti riservati e ad una gola profonda che gli aveva cantato dei particolari molto interessanti su una personalità molto in vista. In sostanza, è probabile che avesse scoperto una grave collusione tra politica e mafia, ma questo invece di metterlo sul chi vive, lo faceva inorgoglire piuttosto. Onestamente non so dire se fosse così disteso perché davvero non si sentiva minacciato, o perché non realizzava quanto potesse essere pericolosa la situazione in cui si trovava.“

“E’ stato vittima di un attentato.” Sheila fece sentire per la prima volta la sua voce dacché quel dialogo era cominciato. La sua non era una domanda, ma una dichiarazione. Un’affermazione fatta da chi ha inteso perfettamente di cosa si sta parlando, anche se nell’ammetterlo si sente di morire.

“Non proprio.” Replicò Alice turbata. “Il fatto è che né questi fantomatici documenti, né i nomi delle persone su cui stava indagando sono venuti fuori nei mesi susseguenti alla confidenza che mi fece. Forse stava lavorando sottobanco, forse contava sul fatto che giocando di sponda non si sarebbero accorti delle sue manovre, oppure quello è stato davvero un incidente automobilistico. La scientifica ha smontato la macchina pezzo per pezzo e il motore è risultato integro, non c’era alcuna manomissione. Né nel suo sangue c’erano tracce d’alcolici o altre sostanze ottenebranti che potessero spiegare un incidente simile. Ma c’è una testimonianza di un altro automobilista e pare che la notte che uscì fuori strada due auto si siano accostate alla sua ed abbiano manovrato finché non gli fecero  perdere il controllo dell’auto su cui viaggiava.    

E’ stato un miracolo che non ci abbia rimesso le penne, giacché la macchina era ridotta ad un groviglio di lamiere e che per tirarlo fuori sono dovettero intervenire i pompieri. Ma rimase ferito e gravemente.

Ora sta abbastanza bene tutto sommato, è uscito dal coma e i medici sono ottimisti. Ad ogni modo quando sono andata a fargli visita ultimamente il capo dello staff che lo ha in cura mi ha pregato di seguirlo perché voleva parlarmi. Quanto mi ha detto non ve lo ripeto giacché probabilmente lo riesporrà  anche a voi, casomai decideste di andarci ovviamente. Ma un dettaglio fondamentale non posso fare a meno di riferirvelo, e in fondo è anche il motivo per cui ora mi trovo qui. Matthew a causa del trauma cranico ha perso la memoria e a quanto pare solo noi possiamo fare qualcosa.”

Finalmente Alice tacque e si mise ad osservarle con intenzione. Provò quasi un empito di simpatia notando quanto apparissero scosse, ma del resto era una reazione normale, chiunque avrebbe reagito in quel modo. Se ne stavano là pietrificate, come se il peso delle sue rivelazioni fosse troppo oneroso per le loro spalle, e suppose, per le loro coscienze. Soprattutto Sheila, appariva frastornata e se ne stava a capo chino.

Già Sheila, descrivere quel che le stava passando per la testa in quel momento sarebbe stato pressoché impossibile, ma il senso di colpa lo riconosceva eccome. Non avrebbe potuto altrimenti del resto, poiché sentiva che la causa scatenante di tutte quelle decisioni avventate e di quel disastroso epilogo, non era altri che lei. Il medesimo stato d’animo  aleggiava sul capo delle sue sorelle, poiché, in tempi e modi differenti, quelle rivelazioni le avevano sconvolte.

Ma Alice non aveva tempo, né voglia d’assistere alla pantomima del dolore che ne sarebbe seguita. Inoltre si augurava che non avessero l’impudenza d’esternarla davanti a lei. Quel che voleva era solo d’essere certa di aver raggiunto il suo scopo e poi se ne sarebbe andata per la sua strada. Quanto a Matthew, da lui sarebbe andata quando non ci fossero state loro, a meno che i dottori non avessero predisposto il contrario e non le chiedessero di farlo. Per cui afferrò la borsetta alzandosi e le fissò mentre ancora se ne stavano basite in preda alle loro emozioni.

“Ci posso contare allora ?” Chiese apprestandosi ad accomiatarsi.

“Dicci il nome dell’ospedale e ci andiamo immediatamente.“ Replicò Kelly con un tono talmente abbattuto che non le sembrò neppure lei.

“Sta all’ospedale centrale di Tokyo, reparto di medicina chirurgica. E se volete un consiglio, non aspettatevi di trovare la stessa persona che conoscevate.” Concluse spiccia avviandosi verso l’uscita.

Il suono della porta che si chiudeva era ancora nell’aria quando Tati e Kelly, con molta delicatezza, sollecitarono la sorella ad alzarsi dal divano.

“Andiamo cara“, l’esortò la maggiore spingendola gentilmente in direzione della sua camera, “mettiti qualcosa addosso e andiamo a vedere come stanno realmente le cose.”

Completamente abulica Sheila prese a vestirsi, intanto che una miriade di riflessioni spiacevoli le si affacciavano alla mente. Più le idee le si confondevano e più andava veloce a prepararsi e, quando finalmente fu pronta, fu con estrema gratitudine che trovò le ragazze ad aspettarla davanti alla porta di casa.

Durante il tragitto in macchina nessuna delle tre parlò molto, ognuna di loro aveva il suo gravoso carico di pensieri a cui fare fronte, poiché, seppure in modi diversi, erano tutte molto attaccate a quel ragazzone un po’ goffo ma dalla straripante vivacità che era stato Matthew. Non volevano pensare al peggio, ma la sola idea che potesse star male o addirittura che morisse le tormentava.

Fortunatamente non trovarono traffico e in breve furono al banco dell’accettazione dell’immenso plesso ospedaliero. Kelly, prendendo in mano le redini della situazione, decise che era il caso di parlare prima con il dottore e poi di recarsi dal paziente, per cui trepidanti si diressero al reparto e furono immediatamente ricevute dal luminare.

Costui era un signore sulla sessantina, molto conscio della sua autorità, ma dall’aria abbastanza benevola, il quale non mancò comunque di rivolgere un discreto sguardo d’apprezzamento alla bellezza delle nuove arrivate. In effetti se le rimirò ben bene mentre  le faceva accomodare nel suo studio accanto all’ambulatorio. Anzi, si premurò persino di chiedere loro se gradissero un caffè e infine, chiamato un altro medico, una occhialuta donna sulla quarantina , si decise a parlare.

“Nel mio ultimo colloquio con la signorina Asatani le chiesi di raccogliere quanti più amici e conoscenti del signor Isman, allo scopo di favorire la sua guarigione. Quindi, posso chiedervi che tipo di rapporti intrattenevate con lui?”

Sono la sua fidanzata.” Replicò fermamente Sheila precedendo Kelly che stava per rispondere. Non si rese neppure conto di aver abbandonato il passato remoto e di aver usato il presente indicativo, cosa però che non sfuggì affatto agli atri presenti.

“Questa mi giunge nuova.” Fece il medico stupito. Quindi prese un’espressione severa e continuò: “Il paziente è allettato qui da mesi ormai, com’è che si fa vedere solo adesso? Da come è rimasto abbandonato a sé avevo supposto che non avesse simili legami.”

A questa molto poco velata reprimenda Sheila stava per rispondere malissimo, ma stavolta Kelly fu più rapida di lei.

“Il fatto è che fino a ieri dottore eravamo ignare dell’accaduto, in quanto a causa d’impegni lavorativi e di studio eravamo in Europa.” Affermò seria, ma protendendosi in avanti, tanto che l’esimio medico chirurgico, allungando appena, appena il collo, poteva tranquillamente sbirciarle nella scollatura.  Kelly gli lasciò ancora una frazione di secondo per godersi lo spettacolo, quindi continuò: “All’inizio non ci siamo preoccupate del fatto che non telefonasse più, giacché nell’ultimo periodo lui e mia sorella erano un po’ ai ferri corti, in effetti litigavano abbastanza spesso.”

A quest’affermazione Sheila si voltò a guardare basita la sorella, e sarebbe intervenuta se non fosse stato per il calcione che Kelly le tirò sotto la scrivania, che la zittì sul nascere.

 “Inoltre Matthew, il signor Isman, ci aveva detto che per un lungo periodo avrebbe lavorato sotto copertura, per cui avevamo immaginato che fosse impossibilitato a contattarci. Magari siamo state un tantino superficiali, ma le posso assicurare che non appena la signorina Asatani ha potuto avvertirci, ci siamo precipitate qui.”

Praticamente, con estremo garbo, Kelly aveva appena creato un plausibile mix di balle e verità che ebbero il potere di rabbonire il medico, il quale riprese il suo colloquio senza più ritenere che sua sorella fosse una donnaccia dal cuore di pietra. Anche se, da quel momento, evitò di porre le sue domande a Sheila, rivolgendosi direttamente  lei.

“Da quanto tempo lo conoscete?”

“Parecchio, ha frequentato per anni casa nostra ed essendo orfano si può dire, senza tema di smentita, che per lui eravamo una seconda famiglia.”  

“Bene, è un ottimo inizio. Persone importanti nella sua sfera affettiva sono esattamente  ciò di cui ha bisogno. Vedete è fondamentale che si riesca a stimolare tutto quanto è sepolto nel suo io più profondo. Ma su questo ci torneremo tra un attimo.

Vorrei precisare che attualmente il paziente è stato del tutto dichiarato fuori pericolo. Certo il decorso assistenziale sarà lungo, ma non è più in pericolo di vita.” Affermò, per poi sorridere paterno innanzi alle espressioni sollevate che suscitò. “Ha una lesione al piatto tibiale della gamba sinistra e il braccio destro fratturato, oltre al fatto che gli abbiamo estratto dal corpo innumerevoli schegge e frammenti di lamiera. Gli hanno lasciato abbastanza cicatrici, ma oggi con la chirurgia estetica si fanno miracoli, quindi di questo non mi preoccuperei. Oltre a ciò ha subito un trauma cranico, che però è in fase di riassorbimento e per sua fortuna la faccia e gli organi vitali non hanno sofferto danni. Concludendo, posso affermare senz’ombra di dubbio che fisicamente deve solo guarire e riabilitarsi.  La mia preoccupazione piuttosto riguarda la sua amnesia. Non è raro che dopo  una lesione all’occipite e ad un coma  si manifesti, ma in genere si tratta comunque di una cosa temporanea. Nel caso del signor Isman invece pare sia  di un tipo particolarmente persistente. Sono perplesso lo ammetto, giacché, e dopo ve ne renderete conto di persona , il paziente non sembra troppo risentire di questo suo stato.  Ah certo è afflitto da tremende emicranie, che di solito si accompagnano a questo tipo di shock , ma per il resto sta affrontando il tutto con una vitalità davvero sorprendente. Forse la qui presente dottoressa Shinobu, la nostra psicologa, può farvi capire meglio.”

“Per quanto mi riguarda dottor Mishima preferirei che le signore conferissero prima con il paziente  e poi magari potremmo avere uno scambio d’idee.” Replicò la donna fissando abbastanza freddamente il suo interlocutore. Quindi voltò il capo verso le tre donne e continuò: “Se voi signore infatti avevate un rapporto così intimo con Isman, allora potrete dirmi le impressioni e le differenze che ne ricaverete. Nel qual caso  per me sarà più facile farmi capire all’interno di un quadro d’insieme.”

“Bene dottoressa possiamo andare ora ?” Chiese Sheila, sempre più agitata, alzandosi.

“Naturalmente, solo un consiglio signorina, non si stupisca troppo dell’esuberanza del suo fidanzato. Ormai qui dentro l’abbiamo capito tutti che gli piace parecchio scherzare, nonostante tutto.”

A quest’affermazione le tre si guardarono confuse, ignare di cosa esattamente volesse dire, e sollecite si diressero verso le camerate. Così fu che , mentre avanzavano nella corsia, già  da una trentina di metri di distanza dalla camera di Matthew iniziarono ad udire chiaramente una voce familiare che cantava allegramente le prime strofe della canzone “La visone della figa da vicino”.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

 

 

 

 

L’autore di questo melodico canto altri non era che Matthew.

E, mentre ignaro che l’ora del parziale ricongiungimento col suo passato si stesse avvicinando, era momentaneamente occupato ad ammazzare il tedio standosene scompostamente adagiato sul letto.

Anzi si poteva dire che vi era assiso nel medesimo modo in cui se ne sarebbe stato un pascià nel suo gineceo, piuttosto che come un infermo conciato nelle sue condizioni. In effetti era atipico, soprattutto non il tipo di comportamento che ci si aspetti da un paziente in via di riabilitazione.  Ma ormai tutto quanto gli era strettamente correlato aveva preso ad essere singolare, giacché, proprio come il progredire dello stato della sua salute, allo stesso modo il suo aspetto e quella della camera dov’era allettato, avevano assunto  sempre di più i connotati perfetti d’un indolente single incallito e scombinato.

Quella stanza non solo era una fonte perenne di casino, giacché la tv spesso e volentieri era accesa a tutto volume, ma aveva pure l’apparenza d’una edicola mal tenuta. Infatti, per quanto gl’inservienti pulissero e tentassero di darle una parvenza d’ordine, ciò nonostante in ogni angolo o ripiano disponibile giacevano sparsi fumetti, riviste e libri. Per non menzionare che una delle bottiglie d’acqua era stata manomessa e abilmente camuffata,  in realtà infatti conteneva del sakè contrabbandato dallo spaccio che fungeva da bar e tavola calda a piano terra dell’ospedale. Del resto, si era detto l’infermo con una compiaciuta scrollata di spalle, un uomo che si rispetti ha il diritto di farsi un cicchetto a tarda sera con qualche altro malato o con gl’infermieri che facevano il turno di notte, o no?

Il sopraccitato degente  inoltre  rifiutava categoricamente di tagliarsi i capelli e aveva su una criniera, basette comprese,  che avrebbe fatto l’invidia di molti gruppi rock degli anni 70.  E come se non bastasse, essendo ormai estate piena,  siccome il degente soffriva maledettamente il caldo, nonostante le finestre fossero sempre aperte e l’aria climatizzata, di norma era abbigliato con un paio di pantaloncini da corsa e una canottiera.

Il che, se non fosse stato per il gesso agli arti e le fasciature all’addome, Matthew avrebbe corso il rischio d’essere scambiato per un borghese qualunque beccato nel suo momento di riposo e finito chissà come in quel posto!

Un atteggiamento volutamente indolente il suo, ma ne aveva le tasche piene, così usava questi espedienti quale passatempi accessori. Inoltre, visto il suo stato e l’entità della sua patologia, i sanitari lo lasciavano fare, chiudendo benevolmente un occhio su quei comportamenti da adolescente cocciuto. Addirittura le giovani infermiere si divertivano ai suoi blandi e scherzosi tentativi di corteggiamento, persino quando lasciava cadere una avance quando non avrebbe dovuto. Ma il più delle volte se la cavava con un, neanche troppo convinto,  rimprovero o una tirata d’orecchi, giacché la maggioranza delle operatrici ospedaliere, riteneva che in fin dei conti era un bel ragazzo, quindi perché risentirsene? Insomma Matthew riusciva simpatico e che male c’era se tentava di spezzare un po’ la monotonia di quell’interminabile ricovero?

Più o meno la pensavano tutti così lì dentro, tranne che per la caposala, un donnone sui cinquanta, dal cipiglio caporalesco e la forza di una impastatrice edile. Lei era l’unica a non fargliela passare liscia, mai. Soprattutto, era la sola a non farsi abbindolare dal sorriso ruffiano e l’aria fanciullesca che esibiva quando ne combinava qualcuna di troppo. 

E la canzoncina che Matthew stava cantando nel momento in cui le sorelle Tashikel si apprestavano, era solo uno dei tanti modi da lui adoperati per far perdere le staffe alla sua nemesi.  In effetti era un giochetto col quale si trastullavano spesso lui e l’infermiera capo, tanto che, da quando era stato passato nel reparto dell’irascibile ras della corsia, la povera donna non aveva più un attimo di pace. Infatti  da vero impunito prendeva in giro chiunque gli capitasse a tiro, ma per lei aveva una predilezione.

E ora, stimò la matrona posandogli sul portavivande il vassoio col pranzo,  si era prevedibilmente al momento in cui avrebbe iniziato a romperle le scatole sul cibo.  E infatti, come aveva immaginato, la manfrina ebbe inizio.

“Infermiera la minestrina che sciacqua gli intestini non la voglio.” Dichiarò incrociando le braccia e alzando il mento come un bambino viziato.  Quindi, visto che quella non gli dava spago, badando solo al controllo della cartella clinica, fece un ghigno malizioso e continuò: “Capisce, liquida com’è mi farebbe andare alla toilette in continuazione . E con una gamba e un braccio rotti ci vuole qualcuno che mi ci porti... e allora che si fa? Viene lei?“

“Possiamo usare sempre il pappagallo.” Replicò l’infermiera sarcastica tirando fuori l’ennesimo ago e preparandosi ad iniettargli una flebo integrativa. Se solo avesse potuto gli avrebbe fatto un’endovenosa di bromuro!

“Macché, mica ce l’avete per le mie misure sproporzionate!“ La contraddisse Matthew  ridendo maliziosamente e beccandosi un’occhiata riprovevole. Ma non era abbastanza, per cui riprese a stuzzicarla. “E poi , vediamo che c’è... mhmhm una fettina di carne... infermiera me la taglia? Me la sminuzza? Me la trita? Infermiera è vitella ?“

“Adesso basta !” Sbottò una volta per tutte la donna e fu solo la provvidenziale entrata delle tre sorelle che la frenò da tirargli appresso il primo oggetto contundente che s’era ritrovata a portata di mano.

Così fu che Kelly, Tati e Sheila, facendo il loro ingresso, rimasero alquanto stupite nel trovarsi davanti alla scena di una distinta operatrice di mezz’età nell’atto di levare il braccio, non si sa per quale scopo, alle prese con Matthew, che da suo letto di dolore ridacchiava tutto soddisfatto. Effettivamente rimasero a bocca aperta, tanto che la caposala arrossì malamente, riprendendo ad affaccendarsi attorno al malato, mentre quest’ultimo si limitò invece a voltarsi e fissarle con uno sguardo vacuo che piano, piano si trasformò in un interesse palese. Ma improvvisamente, senza nessun segnale apparante,  il suo volto si trasfigurò, spalancò gli occhi e una manifesta gioia esaltata gli fece schizzare le sopracciglia in fronte. Tanto che furono istanti di panico per le tre.

“Non ci posso credere! Mamma, mammina!!! Finalmente sei tornata da me! ... e hai portato anche le ziette!“ Esclamò agitandosi scompostamente sul letto e tendendo loro le braccia.

“Che?!” Fece Tati urlando.

Kelly fece un passo indietro scombussolata.

Sheila sconvolta cercò con gli occhi le sorelle.

Mio dio“, pensò veramente preoccupata, “quest’amnesia è molto peggio di quel che pensassi!

A frenare le sue fosche previsioni però ci pensò subito l’infermiera che sbuffando  notevolmente spazientita, e stufa di quella sceneggiata già vista, chiarì loro le cose.

Isman, la piantiamo di fare questo teatrino ogniqualvolta entra qui dentro una femmina che non conosci?“ Lo sgridò sputacchiando, e poi,  volgendosi verso di loro, scosse la testa esasperata. “Questo tizio è impossibile e io non lo sopporto più!“

Si girò nuovamente verso il paziente che sghignazzava mantenendosi lo stomaco e si raccomandò: “Passo dopo per ritirare il portavivande, vedi di non fare troppo il cretino con queste ragazze, chiaro?”

“Sissignore, signora Generalessa!” Replicò facendosi un’altra risata alla faccia sua.  Tanto l’aveva capito benissimo che quelle mansioni le avrebbe potute, anzi avrebbe dovuto svolgerle, una delle infermiere che facevano il praticantato. Ma siccome a  suo modo, pesino quel dinosauro si era affezionata a lui, anche se non l’avrebbe mai ammesso apertamente, era disposta finanche ad accollarsi dei compiti inferiori al suo grado professionale.

Ridacchiò sommesso a questa riflessione, dopodiché rivolse tutta la sua attenzione,  parecchio incuriosito, alle sconosciute che gli stavano innanzi. Le quali, a prescindere da Tati, che nonostante tutto si stava divertendo anche lei a quella messinscena, apparivano un pochino sconcertate.

Va da sé che per loro era un sollievo trovarlo in quello stato, anziché in preda ad un delirio o, peggio ancora, straziato dalla sofferenza fisica.  Ma onestamente tutto si erano aspettate entrando, tranne  che un siparietto comico di quella levatura.

Comunque, ad un più attento esame, il volto di Matthew, sebbene ilare,  appariva scavato, con profonde depressioni sotto gli occhi. Senza contare che aveva bende dappertutto, il braccio appeso al collo e la gamba rigidamente sistemata sul letto. Il guaio era che adesso veniva il difficile, almeno per Sheila, insomma in che modo gli si doveva presentare? Come qualificarsi? Matthew continuava a contemplarle spostando gli occhi  alternativamente dall’una all’altra, finché non seppe trattenere oltre la curiosità.

“Beh, siete dame di carità o cosa?  Purtroppo ultimamente pare che la memoria mi faccia difetto, quindi se non mi dite chi siete, che facciamo? Ce ne stiamo qui a rigirarci i pollici finchè non termina l’orario di visite?”

Kelly finalmente si concesse un sorriso sollevato, invero, adesso che era là e aveva toccato con mano la situazione, si stava abbastanza tranquillizzando. Meglio, l’atteggiamento di Matthew la stava mettendo addirittura di buonumore.

“Allora signorino, io mi chiamo Kelly, questa qui è Tati e lei è Sheila.” Rimarcò mettendo le braccia sulle spalle della sorella e spingendola in avanti più vicino a letto. “Ci conosciamo piuttosto bene noialtri, anche se adesso non te ne ricordi. Il resto, se lo vuoi sapere, te lo fai raccontare da lei.” Aggiunse indicando Sheila e facendo segno alla piccola di sgombrare. “Ora vi lasciamo soli così vi fate una bella chiacchierata okay ? Noi verremo a trovarti un altro giorno.“

Concluse facendo l’occhiolino alla sorella e prendendo commiato. Quanto a Tati, lei gli fece un sorriso a trentadue denti  e si accodò silenziosamente alla sorella, ma non prima d aver buttato lì un allegro: “E fate i bravi mi raccomando!”

“Guarda che così conciato solo il bravo posso fare.” Replicò lamentoso Matthew ghignando.

Simpatiche quelle due, chissà chi diavolo erano?

Rimasti soli si mise ad ammirare la ragazza rimasta e che, impettita rigidamente, ancora se ne stava davanti al suo letto. Appariva piuttosto indecisa sul da farsi in effetti, anche se, si disse grattandosi la testa, irresoluta o no, era decisamente una bella figliola.

“Senti, perché non ti siedi?” Le chiese impaziente indicandole la sedia posta vicino alla sponda. “Magari ti stai stufando da morire, per cui per passare un po’ di tempo, potresti  raccontarmi qualcosa d’interessante, che ne dici?“

“Va bene.” Assentì Sheila, era piuttosto dubbiosa sul da farsi e, facendo un gran sospiro, si sedette al suo fianco. “Non mangi?“ Domandò per iniziare una parvenza di conversazione.

“No figurati, questa roba non mi piace per niente! Certo ho una fame da lupi, ma più tardi passerà qui quella talpa a portarmi qualcosa di commestibile, e non mi preoccupo.“

“E chi sarebbe questa talpa?” Si informò l’altra non troppo sicura d’aver afferrato bene con chi ce l’avesse.

“Si chiama Alice.” Rispose tirando fuori un sacchetto di noccioline dal cassetto e aprendolo in modo da produrre un discreto botto. “Viene a trovarmi praticamente tutti i giorni e le ho chiesto se mi poteva portare qualcosa di più appetitoso. Pare che abbiamo lavorato per molto tempo insieme e che fossimo amici. Boh, io non lo so, ma è una fortuna, almeno mi evita di mangiare questa roba insipida. Vuoi?” Chiese candidamente porgendole il pacchetto e ignaro di ciò che quella spiegazione stava provocando nella mente della sua interlocutrice.

“No, grazie.” Fece Sheila distrattamente e poi alquanto contrariata pensò: “E brava Asatani, ma che ci stai ancora provando?

“Senti un po’ Sheila“,  riprese l’altro richiamando la sua attenzione, “invece noi che tipo di rapporti abbiamo ?”

“Beh noi...noi ...” balbettò esitante innanzi a quella domanda diretta. Che dirgli? Se gli avesse raccontato di loro partendo dal punto in cui erano rimasti, probabilmente l’avrebbe confuso e basta. Per di più, si disse mentre i pensieri le correvano in svariate ed imprevedibili direzioni, forse questa poteva essere davvero un’occasione propizia  per ricominciare da zero tra loro due. E stavolta senza compromettersi in sotterfugi e patemi d’animo per di più. Però, come diavolo doveva comportarsi? Doveva andarci  con i piedi di piombo? Sì, ma anche essere sincera al massimo delle sue possibilità. Per cui era tenuta ad usare la massima cautela certo, ma al contempo doveva pure avere l’abilità di saper gestire il tutto senza prendere una direzione univoca che non  complicasse ulteriormente le idee del suo ex… Ex? Lo era o no lo era più? Maledizione che casino!

Calma Sheila, calma. La situazione non richiede altro che una soluzione repentina. Quindi di che hai paura? Salta il fosso, avanti!

“Io sono la tua fidanzata.” Affermò infine arrossendo un pochino e sorridendogli per la prima volta da quando si erano rincontrati.

“Ah!” Esclamò lui meravigliato e facendo tanto d’occhi. Colpito si diede una pacca in fronte. “Devo proprio essere grave per non ricordarmene, porca miseria! Però, ti credo, eccome se ti credo!“ Assicurò valutandola di sotto in su con aperto apprezzamento. In effetti quale idiota al posto suo si sarebbe azzardato a muovere delle obiezioni davanti ad una prospettiva simile?

“E dimmi, le due ragazze che stavano con te chi sono?”

“Sono le mie sorelle.” Ripose Sheila iniziando a rilassarsi, nessun fraintendimento, né domande imbarazzanti da parte sua. Senza contare che tutto si poteva dire tranne che Matthew avesse perso la sua propensione all’apprezzamento delle sue beltà.

“Peccato.” Fece quest’ultimo inalberando un espressione un po’ delusa, quindi ridacchiò e aggiunse: “Per un meraviglioso istante avevo pensato di avere un harem!“

“E invece no, a quanto pare ti devi accontentare!” Fu la replica alquanto piccata che ne ricevette. Ma Sheila non ebbe il tempo di dire altro ché Matthew riprese a parlare.

“Beh, che dire? Complimenti vivissimi a mamma e papà, hanno fatto proprio un buon lavoro. Dalla prima all’ultima praticamente siete una matrioska di bonazze!”

“Dovresti piantarla sai?” L’ammonì severa, benché quelle battutine le stessero facendo piacere. “Ti pare questo il modo di parlare davanti a una signora?”

“Chiedo scusa, solo che qui dentro capita di rado di vedere passare qualcuno che non sia un medico o un tizio che ci lavora. Uff, i giorni non passano mai e devo confessarti che mi scoccio da morire. Ma verrai a farmi compagnia spesso, vero?” Le chiese tutto speranzoso, dopodiché, senza attendere risposta, si fece perplesso e sparò la successiva domanda.  “Che poi, com’è che arrivi solo adesso?”  

“Ho saputo solo stamattina quello che ti è successo.” Ammise, giustificandosi per la seconda volta nel giro di qualche ora, un comportamento che raramente assumeva. Generalmente era lei quella reattiva e gli altri a doversi discolpare, Matthew poi era stato un vero primatista in questa particolare specialità.

Però, ragionò incupendosi, se questa sorta di riconciliazione stava avvenendo in una corsia ospedaliera, invece che in un contesto romantico, o con scene madri susseguenti giuramenti d’eterno amore,  era accaduto anche in virtù delle sue azioni.

Se non fossi stata un membro della banda Occhi di Gatto, se Matthew nel saperlo non fosse rimasto a tal punto sconvolto da mollare baracca e burattini, decidendo di punto in bianco di cambiare divisione, sarebbe potuto essere tutto diverso? Non lo so, ma non volevo che finisse così...

“E dimmi Sheila”, le chiese improvvisamente Matthew richiamandola alla realtà circostante  con un preciso movimento della mano, “noi abbiamo... abbiamo mai...“

La ragazza rimase interdetta, visto che lui faticava a concludere la frase, poi afferrato il gesto  e comprendendo fulminea il riferimento sconcio, vide rosso.

“Ma come ti passa per la testa un’idea simile?!” Reagì sbalordita arrabbiandosi e levando istintivamente la mano per una delle classiche, e dolorose, pizze con le quali spesso l’aveva omaggiato in passato.

“Scusa “, fece lui prendendole al volo la mano sorridendo innocentemente, “ma credo che fosse una domanda legittima. E poi”, aggiunse togliendole ancora una volta il tempo di rispondergli, “ad un certo punto hai fatto una faccia così triste, che ho pensato che solo dicendo qualche  scemenza  potevo farti passare il malumore.” Concluse sorprendendola vivamente. Come diavolo aveva fatto a capire che dietro la facciata di distensione che stava ostentando si nascondevano pensieri tutt’altro che lieti?

“Lo faccio sempre.” Si premurò di chiarirle impacciato. “Quando mi sento depresso cerco di pensare alle cose più cretine che mi vengono in mente. Strano, non trovi?”

“No, per niente.“ Rispose affettuosamente, molto toccata nell’intimo. “Ma ora dimmi, come ti senti?”

“Non alla grande, questo è sicuro. Mi fa un male cane dappertutto, però in questi casi mi sparano un antidolorifico in vena e dopo un po’ sto meglio. A quanto dice il dottore ci sarà da divertirsi durante la riabilitazione. Mi ha promesso che mi girerà e rivolterà come un guanto, e io gli ho risposto che sarà allora che dovrà portarmi sua sorella... uh scusa!”

“Non fa niente, però adesso piantala, d’accordo?” Ribatté dandogli un colpetto d’avvertimento al braccio sano, dopodiché si rifece seria: “E con la memoria? Non ricordi proprio niente?”

“Non lo so.” Ammise perdendo la leggerezza che aveva mantenuto fino a quel momento. “La psicanalista me la fa spesso questa domanda e non so proprio che  risponderle. Mi hanno sottoposto ad analisi, tac, risonanza magnetica e tanti di quei test, che alla fine ero più rintronato di prima.“ Sorrise un po’ scoraggiato e si voltò verso la parete. “Non lo so, qualche volta mi capita di sognare qualcosa di molto simile a dei bagliori e mi sveglio agitato, in un bagno di sudore. Sono incubi dei quali mi resta molto poco, immagini di gente che scappa, oppure sono io,  reso incapace  da qualcuno o qualcosa.”

Sbuffò sentendo di non essere riuscito a spiegarsi adeguatamente e a mo’ di attenuante aggiunse: “E’ tutto molto caotico e non ci capisco un granché. La dottoressa dice che è su questo che possiamo iniziare a lavorare per recuperare la memoria. Ma se devo essere sincero non è una premessa invitante, anche se spesso mi chiedo chi cavolo sono e da dove maledizione sono sbucato fuori. Però, ora che ti ho conosciuto, come dire? Sono più invogliato a mettere il cervello in moto!” Concluse riaffacciandosi al buonumore e facendole l’occhiolino.

“Sono contenta Matthew, devi essere tu il primo a volerlo e non preoccuparti io ti aiuterò.”

Gli promise rassicurandolo, ma conscia che non sarebbe stata affatto una passeggiata. Però poi si disse che per quel giorno la vena di melanconia che gli era presa era sufficiente, per cui s’impegnò anch’essa per stemperarla.

“Sai cosa? Questa è un’occasione d’oro per rimetterti a nuovo. Una vera fortuna per me, finalmente ho la possibilità di eliminare dal tuo carattere ciò che detesto, lasciando solo quello che più m’aggrada!” Rispose facendogli l’occhietto di rimando.

“Mm.” Mugugnò Matthew serio, serio grattandosi il mento e fissandola intensamente, talmente tanto che lei iniziò ad inquietarsi. “Eppure sai che prima, quando siete entrate tutte e tre, ho avuto come l’impressione d’avervi visto già da qualche altra parte? Forse in tv, sì mi pare proprio d’avervi visto là e sui giornali.”

Affermò mettendola in allarme, tanto che Sheila cominciò ad imprecare contro la sua buona stella, ché ultimamente pareva si divertisse a tirarle solo bidoni.   

No, non è possibile! E che cavolo, che si sia ricordato di noi in relazione a qualche articolo o inchiesta televisiva su Occhi di Gatto?E’ troppo presto, non può, accidenti a lui!

“Ma sì, certo, che cretino!” Esclamò compiaciuto per aver finalmente trovato il nesso. “Siete le copie sputate delle Las Ketkup! Me lo fai il balletto di Ajerejè?”

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

 

 

 

 

Erano quasi le undici di sera quando Sheila finalmente rientrò a casa.

Dopo la fine dell’orario di visita infatti, era andata a fare una lunga passeggiata in macchina in modo da mettere un po’ d’ordine nei suoi pensieri. Effettivamente  aveva trascorso almeno un paio d’ore al volante, immersa com’era nel tortuoso giochetto del senno di poi e dei se fosse, per cui non si era resa conto dell’ora. Tant’è vero che  trovò le sorelle in ansiosa attesa, poiché era strano da parte sua che non avesse telefonato per avvertirle, senza contare che erano decisamente curiose di sapere che tipo di conversazione avesse avuto con Matthew. Sì, in effetti si erano abbastanza tranquillizzate nel vederlo, però parevano ancora un po’ scosse da quella sequela di avvenimenti.

Sheila dal suo canto, dopo aver lasciato l’ospedale, aveva faticato quanto basta a dare una definizione precisa di come si sentisse in quel momento. Da un punto di vista strettamente egoistico, e tralasciando lo stato di salute in cui versava, c’era da ammettere che fosse una fortuna che ora Matthew fosse così a sua disposizione. L’aveva finalmente ritrovato, sebbene fosse stato necessario un evento di tale drammatico impatto per far sì che ciò avvenisse. Inoltre, il fatto che al momento non potesse recriminare nei suoi confronti, era un vantaggio prezioso, tanto, che con l’andare del tempo  forse  avrebbero potuto addirittura recuperare in pieno il loro rapporto. Però aveva delle remore, avvertiva chiaramente  una  voce dentro di lei che urlava forte che ciò che si proponeva di fare, era estremamente ingiusto.

Lo trovava inconcepibile, no, non poteva approfittarsi in quel modo del suo stato di vulnerabilità. Matthew era terribilmente indifeso in questo momento, troppo suscettibile a qualsiasi sollecitazione da parte sua e lei avrebbe potuto farne quel che voleva. Non le piaceva affatto l’idea di poterlo manipolare in quel modo. L’aveva già fatto in precedenza e non intendeva ripetersi.

Il punto era proprio questo, a dare retta al suo senso di lealtà, avrebbe dovuto lasciarlo stare e al massimo aiutarlo a recuperare i ricordi perduti. Certo, se non ci fosse stato di mezzo l’amore,  sarebbe stato tutto molto più semplice. Ma siccome quel pomeriggio aveva afferrato realmente la portata di quanto ancora ne fosse innamorata, o per meglio dire, finalmente l’aveva accettato appieno senza più sottrarsi, c’era da fare i conti con i suoi sentimenti.

Si sentiva agitata, un attimo esaltata e quello successivo tremendamente triste, una combinazione disordinata di sensazioni che culminavano nella consapevolezza di non sapere proprio come comportarsi. Rimuginò amaramente sul fatto che gli avvenimenti or ora accorsi non erano altro che l’edizione aggiornata di quel che era stato li loro fidanzamento. E cioè, che si era  nuovamente trovata, non volendo stavolta, in una condizione di ambiguità.  Con una sola differenza: adesso la verità, oltre che essere un opzione che lei avrebbe potuto dichiarare o no, era anche un’alternativa che giaceva sepolta da qualche parte nell’inconscio di Matthew.

E volendo cavillare ancora, spingendosi ai limiti estremi delle varie eventualità, seppure lei gli avesse raccontato tutta la storia del loro passato comune, non tralasciando nulla, specialmente il suo ruolo di ladra, lui in questo momento quanto ne avrebbe capito?

Ne concluse che questa possibilità era solo un modo come un altro per sgravarsi la coscienza. Ora come ora, l’unica cosa che poteva fare era di stargli vicino e, solo una volta che avesse superato l’amnesia, avrebbe potuto parlargli a cuore aperto di quanto era successo. Ma per il momento, a partire da oggi, l’imperativo era quello di pensare solo al suo benessere, mettendo in secondo piano quello che era successo e quelli che potevano essere i suoi dilemmi in proposito.

Ancora assorta fece il suo ingresso nel soggiorno dove Tati e Kelly la stavano aspettando per cenare. Quella piccola attenzione la toccò profondamente, ancora una volta, in sordina, le sue sorelle avevano capito che non era il caso di fare tante chiacchiere attorno alla questione, quanto, piuttosto, semplicemente farle capire che le erano vicine e che comunque sarebbero state sempre dalla sua parte. Così, mentre mangiavano, si limitarono a parlare del più e del meno, attendendo che fosse lei ad aprire il discorso. Ma, visto che pareva non ne avesse affatto l’intenzione,  una volta finito  e sedute sul divano, Tati non seppe più trattenersi.

“Allora Sheila, cosa pensi di fare?”

“Quello che posso.” Replicò debolmente dopo alcuni istanti di prolungato silenzio.  “L’avete visto anche voi, no? Sotto alcuni punti di vista non sembra affatto cambiato, anzi, ad un certo punto mi è sembrato addirittura che avessimo  fatto un balzo indietro nel passato e che  da un momento all’altro mi avrebbe chiesto un caffè.”

“E’ vero.” Annuì Kelly, ché innanzi all’aria affitta di Sheila stava iniziando a preoccuparsi per i risvolti imprevisti di quelle circostanze. ”Eppure non dobbiamo dimenticarci il motivo per cui è in quel luogo. Certo meglio così che trovarlo in preda alla depressione, questo è sicuro. Ma non dobbiamo farci ingannare da questo trucco.”

“Che cosa intendi dire?” Chiese Tati, visto che Sheila stava deliberatamente facendo  cadere l’allusione, avendo intuito dove volesse andare a parare sua sorella.

“Sai sorellina, capita che a volte si rida per non piangere. E credo che non ci sia niente di più brutto che perdere i propri ricordi. Il passato di una persona è in un certo senso il proprio patrimonio personale e non sapere chi sei e da dove vieni, deve essere terribile.“ Spiegò pacata a beneficio d’entrambe, quindi fece una pausa e guardò Sheila.

“Credo di capire come ti senti cara, ma questo è esattamente il momento meno adatto per farti il processo alle intenzioni. Ora puoi solo fare quello che ti dice il cuore e stare a vedere. E se senti tutto ciò come un obbligo e pensi di non farcela, lascia stare. Oppure, se intendi andare avanti ad oltranza, ricordati solo che noi ti appoggeremo in ogni caso.”

L’assicurò comprensiva con fare premuroso.

“Grazie ragazze, non so cosa farei senza di voi.” Fu tutto quello che Sheila riuscì a dire  con un filo di voce. Poi, per superare quel momento di commozione, la più piccola ritenne che fosse opportuno stuzzicarla un po’, altrimenti non sarebbero uscite facilmente da quell’impasse.

“Mio dio, non oso pensare alle cretinate che ti avrà detto quello scemo! Voglio dire, se da sano come un pesce riusciva ad essere così stupido, mi posso solo immaginare che sarà stato capace di combinare stavolta!”

“Tati!” Protestò la sorella urtata, solo per vedersi rispondere con una smorfia divertita e una linguaccia.

“L’ho detto apposta! Bah,  figuriamoci se non lo difendevi a spada tratta. Bene, è un sollievo sapere finalmente perché hai continuato a fare la zitellona acida per tutto questo tempo!” Affermò ghignando impertinente.

“Sai che quando dici certe scemenze mi pento amaramente di non averti sculacciata quando era il momento?” Ribatté ricambiandole la boccaccia.

“Di che avete parlato?” Le interruppe Kelly sperando di sedarle,  buttando lì quella domanda come se niente fosse.

“Di tutto e di niente, per fortuna Matthew non ha perso l’abilità alla chiacchiera facile. Potrebbe portare una conversazione avanti da solo volendo.” Rispose sorridendo al pensiero delle confidenze spontanee cui era stata fatta oggetto fin da subito. Tanto che fu in grado di raccontare loro molti particolari, ivi compreso quello riguardante la povera Alice, che ormai era praticamente obbligata  a portargli del cibo da fuori, giacché  al signorino non risultava gradita la cucina dell’ospedale.

“E’ proprio per questo che tu da domani in poi sei in vacanza.” Le annunciò Tati con fare lezioso e ironico. “Non vorrai mica che Asatani si prenda più spazio del dovuto? Sei o non sei la sua fidanzatina? Quindi da oggi in poi il pranzo glielo prepari tu con le tue mani di fata.”

“Ma mica posso mollare tutto all’improvviso per fare la crocerossina?” Obiettò punta sul vivo irrigidendosi. Per la verità ci aveva pensato, altroché se l’aveva fatto, fantasticandoci sopra mentre tornava a casa e immaginandosi, come se ce le avesse avute innanzi agli occhi alla stregua di un filmaccio romantico di serie B, le scene del loro progressivo e tenace reinnamoramento.   Ed esattamente per questo si era imposta di metterci un freno, quella galoppata di fantasia era sintomo che stava correndo troppo, col rischio di accelerare a dismisura gli eventi fino a che tutto non si sarebbe irrimediabilmente ingarbugliato come nelle peggiori farse. Dopotutto, fino a ieri versava in uno stato d’ignoranza intonsa, per quel che ne avrebbe potuto sapere infatti, Matthew avrebbe potuto persino essere diventato un fioraio con le mèches e la parlata blesa! E, ad un solo giorno di distanza, tutti quei vaneggiamenti erano il chiaro segno che doveva restare con i piedi per terra. No,  non era ancora pronta accidenti, né sentimentalmente, né psicologicamente!

Ma sua sorella non la pensava allo stesso modo.

“Oh sì che puoi, ché tanto lo sappiamo benissimo che non vedi l’ora! Questa è proprio una situazione da Addio alle armi, che cosa melodrammatica!”

“Piantala Tati, non ho nessuna intenzione di fare la sua ancella. Andrò a trovarlo sì, sicuramente, ma da qui a mettermi di pianta stabile al suo capezzale, ce ne passa.”  Fece sbrigativa, ma senza riuscire a guardare direttamente  in faccia nessuna delle due.

“Sai Sheila.” Proruppe Kelly picchiettando con le unghie laccate di rosso sul bracciolo della poltrona. “Guarda che non ci sarebbe nulla di male. A me questo tuo atteggiamento mi sa tanto di partito preso, non ti vergognerai mica?” Chiese sapendo benissimo che in quel modo l’avrebbe chiusa in un vicolo cieco.

“Ci mancherebbe altro!” Sbottò spontaneamente, talmente tanto, che subito si rese conto di essersi data la zappa sui piedi.

 “Perfetto! Allora vai e costringilo a compiere atti di disperata passione per te, con e senza stampelle!” L’esortò Tati irriverente,  beccandosi una cuscinata.

A dispetto di sé stessa Sheila si sentì molto sollevata, l’avevano fregata, non c’era che dire, però adesso non aveva più scuse. In un certo senso era proprio quel che ci voleva,  visto che era tremendamente orgogliosa e che da sola appariva piuttosto restia a lanciarsi. Costringendola invece, il risultato era garantito. Ad ogni modo cercò comunque di darsi un tono. 

“Spiritosa, parli solo perché non sai di essere l’ultima bambolina di una matrioska di bonazze!” Le riferì scoppiando a ridere, immediatamente seguita a ruota dalle sorelle.

“Sono contenta che alla fine Matthew sia rispuntato fuori“, fece Kelly quando si fu ripresa da quell’attacco estemporaneo d’ilarità, “sembra quasi di essere tornati ai vecchi tempi  e non vi nascondo che avevo nostalgia di quest’atmosfera. Per non menzionare il fatto che il signor Marloss stava letteralmente impazzendo per stare appresso alle tue pretese.”

“Che cosa?! Tu lo sapevi?” Si sbalordì Sheila fissandola con tanto d’occhi e arrossendo visibilmente.

“Ma ti pare? Quando mai sei stata brava a tenere un segreto? Le tue emozioni ti si leggono in faccia sorellina.”  Fu la replica sorniona che ne ricevette, alla quale si aggiunsero subito gli sberleffi di Tati.

“Come si sa che ormai sei più che pronta a travestirti da infermiera e far capire al tuo bello che l’amore platonico è una fase da superare quanto prima!”

“Ora piantatela tutte e due, chiaro?” Proruppe impacciata, irrigidendosi per la vergogna. Ma che diavolo, pareva avessero frugato tra i suoi pensieri più nascosti!

“Povero Matthew, deve essere terrificante chiedersi se sei stata viuuulentemente sua  e non ricordarsene!”

“Time out!” Esclamò Kelly tentando di non scoppiare a ridere dinnanzi all’espressione completamente scandalizzata di Sheila.  “Per stasera penso che sia sufficiente signorine.“

Così fu che l’indomani a metà mattina Sheila si recò in ospedale portando con sé un gran quantitativo di cose appetitose preparate apposta per quell’incontentabile buona forchetta. Nonostante tutto si sentiva allegra ed era impaziente di rivederlo, ma nel momento in cui  stava per entrare nella sua stanza, si bloccò all’improvviso accorgendosi che Alice Asatani era all’interno. Contrariata si arrestò sulla porta in attesa, origliando la loro conversazione.

“Cosicché sarei originario dell’isola di Kyushu?” Le stava chiedendo Matthew sorpreso e la replica mordace della poliziotta non si fece attendere.

“Già, altrimenti come te lo spieghi quell’accento terribile che ti ritrovi?”

“Beh a questo proprio non ci avevo pensato. Sono un isolano allora, un figlio del mare. Spero solo di saper nuotare, altrimenti sai che figura di merda?”

“Non ti preoccupare oh figlio di Nettuno, non sei un campione olimpico, ma non fai neanche tanto schifo come nuotatore.” Replicò sarcastica Alice pensando per un attimo a tutti i bagni involontari che s’era fatto quando prestavano servizio insieme.

“Ha parlato l’esperta, sai come dice la canzone? Nettuno mi può giudicare, nemmeno tu!

“Sì, e la verità ti fa male lo so! Stai guardando troppa tv idiota in questo periodo vecchio mio.”

“E diversamente? Seppure volessi uscire, dovrei ficcami su una sedia a rotelle e pretendere che qualcuno mi porti in giro. Sai che spasso...”  Fece sarcastico.

“Vorrà dire che domani ti porterò qualcosa di nuovo da leggere, magari qualche giallo, ad un piedipiatti come te dovrebbero piacere.”

“Se lo dici tu. Anzi volevo chiederti un'altra cosa. Spesso ho una voglia matta di fare qualcosa, ma precisamente non saprei dirti di che si tratta. Un bisogno di... Non so, come mangiare, ma non si tratta di cibo.” Sbuffò incapace di esprimersi adeguatamente e di farsi capire come avrebbe voluto.  “E’ come se volessi ficcarmi una caramella in bocca, ma non è neppure quello. Insomma, quel che voglio chiederti è: c’era qualcosa che prima facevo spesso e ora no?”

“Probabilmente si tratta di queste. “ Replicò avendo un’intuizione improvvisa e tirando fuori un pacchetto di sigarette. “Sei un fumatore accanito e, anche se per un certo lasso di tempo hai smesso, l’ultima volta che ci siamo visti avevi ripreso alla grande. Te ne svampavi una dietro l’altra.”

“Addirittura? Allora non c’è dubbio, è voglia di fumare. Me ne dai una?”

“Ma non so...”  Fece Alice incerta, mentre lui la guardava con gli occhioni sbarrati come la piccola fiammiferaia.

“Io direi proprio di no!” Esclamò Sheila facendo il suo ingesso e fulminandoli entrambi con un’occhiataccia.

“Buongiorno tesoro mio!“ Esclamò Matthew non celando affatto l’ammirazione con cui la guardava. “Alice, tu già  conosci la mia fidanzata, vero?”  Domandò tutto allegro.

“Oh, oh! “ Replicò Asatani guardando Sheila beffarda. “Altrochè se la conosco. Bene, bene ragazzi, a quanto pare mi sono persa un passaggio!”

“Qualcosa da dire?” Reagì  Sheila molto fredda e, se fosse stato possibile, ancora più ostile.

“Ma figurati, devo ammettere che ci stai dentro alla grande. Complimenti, bel modo di comportarsi, stai dando il meglio di te!”

Prima che Sheila potesse ribattere a quella frecciata sprezzante, Matthew s’intromise abbastanza perplesso.

“Qui c’è un atmosfera che non mi piace affatto, che sta succedendo?”

“Lascia stare, questa è una questione tra me e lei.” Rispose l’investigatrice furente.

“Porca miseria, non mi pare proprio il caso.“ Fece lui disorientato, poi, come se uno spiraglio di comprensione gli fosse balenato alla ragione, chiese all’improvviso: “Dì un po’ Alice, ma non è che io e te  abbiamo... ehm... l’abbiamo fatto?”

“Ma è un chiodo fisso?!” Sbraitò Sheila infuriata dirottando tutta la sua rabbia da lei a lui.

“E ti pare che se pure fosse stato, te l’avrei detto davanti a lei!?” Rispose contemporaneamente Asatani furibonda al pari dell’altra.

Spaventato da quelle reazioni in contemporanea Matthew, se avesse potuto, se la sarebbe squagliata all’istante. Ma visto che non poteva, provò ad arginare il disastro a cui aveva appena dato vita.

“Scusatemi, solo che a quanto vedo alla tv e da come sento parlare la gente qui dentro, questo è un evento cardine nella vita della gente. In definitiva, è il primo motivo plausibile che mi è venuto in mente vedendovi così incazzate.“

“Sentimi bene macho man, togliti certe idee dalla testa, che io non ci penso proprio.” Strepitò Alice scattando in piedi esasperata. “Quanto a te“, aggiunse voltandosi verso l’altra, “stai molto attenta a quello che fai, chiaro?”

Detto questo se ne andò senza neppure salutare.

“Beato chi ci capisce qualcosa.” Borbottò Matthew grattandosi il capo tentennante, poi guardò Sheila e la sua palese collera  lo fece rattrappire sul cuscino. Stava sperimentando una situazione che in precedentemente aveva vissuto spessissimo e, ora come allora, non sapeva come andare avanti.

“ Ehi... “ cominciò un po’ intimorito.

“Silenzio!”  Sheila gli voltava le spalle con ostentazione.

“E dai, non l’ho fatto apposta, che ne potevo sapere?” Provò nuovamente con tono da penitente.

“Tutte scuse, ieri era per non farmi intristire, oggi per cos’altro?“ Inveì girandosi di scatto e puntando l’indice accusatore.

“Mammamia! Perdonami, ho detto la cosa sbagliata al momento sbagliato.” Dichiarò con umiltà sperando che potesse essere sufficiente.

“Sei sempre stato un artista in questo!“ Sheila non aveva nessuna intenzione di mollare l’osso.

“Okay, hai ragione, ma ti ho chiesto scusa.” Fece ragionevole, ma cominciando ad innervosirsi visibilmente.

“E pensi che questo sia abbastanza?” Chiese altera esigendo istantanee genuflessioni e capo cosparso di cenere.

“E che dovrei fare, ammazzarmi?!” Diede in escandescenze incredulo e definitivamente spazientito.

“Sai che c’è di nuovo? Visto che sembri gradire così tanto la compagnia di quella gallina, io me ne vado!”

Et voilà, la frittata era irrevocabilmente fatta, solo che stavolta l’esito non fu quello che Sheila aveva sempre sperimentato.

“Ehi bella adesso stai esagerando! Se vuoi restare, mi fa piacere. Ma se hai intenzione di continuare con questo tono, t’avverto che mi stai rompendo le palle!” Scattò seccato, era la prima volta che aveva a che fare con la smisurata gelosia di Sheila, ma a differenza che nel passato, stavolta le stava rispondendo per le rime.

“Ma bene, di meglio in meglio! Io me ne vado e non azzardarti a seguirmi, chiaro?   imbecille!”  Strepitò lasciando la stanza, più sorpresa dalla presa di posizione, che dal tono e dal linguaggio.

E mentre si allontanava rapida non riusciva a capacitarsi di come la situazione potesse esserle sfuggita di mano in quel modo. Non era andata là col proposito di litigare, eppure avevano aperto e chiuso quella zuffa nel loro modo consueto, poiché, quanto alle discussioni e ai litigi, erano stati dei veri professionisti del settore. Salvo che per il particolare che non era mai stata mandata a quel paese in quel modo diretto e repentino.

Matthew, per parte sua, era rimasto di stucco. Non si aspettava affatto una veemenza simile da un’apparenza tanto femminea, ad ogni modo, non aveva nessuna intenzione di rimanere come un baccalà a prendersi tutte quelle offese senza reagire. Così prese dal comodino le sigarette che Alice aveva dimenticato e ne se le ficcò in una tasca,  avendo cura di mettersene una  sull’orecchio. Dopodichè fece forza sul braccio e la gamba sana e si sollevò sul letto. Fortunatamente gli arti lesionati erano il destro e la sinistra, per cui con l’aiuto di una stampella poteva fare dei piccoli spostamenti. In questo modo, anche se con molta fatica, riuscì ad arrivare fuori al balcone, s’appoggiò alla balaustra e si accese la cicca in attesa che Sheila facesse la sua comparsa davanti allo spiazzo dell’ospedale. Appena la vide la chiamò a gran voce e, quando questa si voltò, facendole fece ciao, ciao con la mano, aspirò un voluttuoso tiro e urlò:

“Come accidenti vuoi che ti segua conciato così, eh?  Cretina!”

Davanti a questo show a Sheila andò definitivamente il sangue agli occhi, rapidamente fece dietrofront e come se avesse avuto il diavolo alle calcagna corse di nuovo su. Uscì fuori al balcone come una furia  e, davanti al sogghigno indolente col quale fui accolta, perse completamente quell’ultimo residuo di tolleranza che ancora albergava in lei. Fu un gesto quasi  obbligato quello di assestargli un sonoro ceffone.  Manrovescio che compromise il già precario equilibrio sul quale l’uomo si sosteneva, e fu solo la prontezza di riflessi della ragazza che gli evitò di finire rovinosamente a gambe all’aria.

“Bene, uno a uno, palla al centro.” Annunciò Matthew muovendo la mascella dolorante. “Mi dispiace, ok? Cercherò di non dire altre scemenze.” Aggiunse a disagio mentre cercava un modo qualsiasi per reggersi a lei, ma contemporaneamente, che gli evitasse di toccarla. Una cosa impossibile, ma con quegli sganassoni che tirava era meglio fare un tentativo!

“Anche a me.“ Rispose l’altra già pentita di avergli mollato quella sventola e all'oscuro di quel che volesse fare Matthew contorcendosi a quel modo. “Mi prometti che d’ora in poi modererai il linguaggio?”

“Lo giuro. Guarda, potessi mettermi la mano sul cuore lo farei.” Rispose solenne e poi si azzittì nel timore di compromettersi un’altra volta.

“Senti ho un’idea.”  Annunciò infine Sheila decidendo di piantarla lì, almeno per il momento, giacché in quel modo non sarebbero arrivati da nessuna parte. “Adesso ti appoggi al muro per un attimo mentre vado dentro a prendere un paio di sedie. Ci sediamo qui fuori, ché un po’ di sole non può farti altro che bene.  E se mi assicuri che te ne starai buono, buono, ti racconto qualcosa  sul tuo passato, in modo da evitare altri exploit come quelli di oggi, intesi?”

“Va bene.“ Replicò sollevato.

Quando Sheila tornò con le sedie, di cui una imbottita destinata giustappunto ai malati, e notò che s’era acceso un’altra sigaretta, lo apostrofò in malo modo.

“Una volta sono riuscita a farti togliere il vizio, lo sai?”

“Sul serio? A suon di mazzate sul capoccione scommetto!” Affermò esplodendo in una fragorosa risata. Poi guardandola interessato diede voce alla curiosità che fin dal giorno prima aveva preso a punzecchiarlo. “Piuttosto, ma io dove diavolo ti ho pescata?”

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

 

 

 

 

 

“Pescata? Non è esatto, sono io ad aver fatto sei centri consecutivi al baraccone del tiro al segno a luna park, solo, che invece di regalarmi un bambolotto, mi hanno dato te!” Esclamò Sheila giocosa, facendolo ridere di cuore.

Aveva deciso di dargli una tregua, anzi, sarebbe stato più corretto dire, di dare una tregua ad entrambi. Così si predispose a comportarsi di modo che potessero trascorrere il tempo restante di buonumore, e quando Sheila decideva di fare la brillante, era difficile resisterle.  Volendo, sapeva essere persino più ridanciana ed impertinente di sua sorella minore. Il che era tutto dire.

“Certo, e sai come mi chiamo? Ingessato, il pupazzo stroppiato!” Aumentò il carico Matthew, deliziato da quello scoppio estemporaneo d’ilarità.

Venghino signore e signori!  Siamo lieti di presentarvi oggi… Stroppiato! Se gli premi il nasino fa un ruttino, se gli tocchi le manine fa la corte alle bambine e se gli tocchi il piedone lo ricoverano in sala rianimazione!”

Enunciò tutto allegro, finché non si rese conto di quanto appena detto ed esclamò un succinto  Oh merda!  mettendosi una mano davanti alla bocca, come a rimangiarsi le ultime parole. A quel riferimento infatti, Sheila si era improvvisamente incupita e afflosciata come un soufflé mal cotto.  

“Non me lo dire, ho detto qualcos’altro che non dovevo, vero?”

“Non esattamente.” Fu la risposta esitante che ne ebbe, la ragazza intuiva infatti che quello era un argomento parecchio delicato. Ma piuttosto che permettergli di giocarci sopra come uno stupido, come se il fatto che fosse stato inchiodato a quel letto in fin di vita fosse una bazzecola, forse era meglio affrontarlo subito. Magari chissà, incalzandolo l’avrebbe in un certo senso costretto a parlarle a cuore aperto di quanto si celava dietro quella fittizia esuberanza.

“Sai Matthew,  ogniqualvolta fai qualche riferimento al fatto che sei qui, o capita per caso, oppure tendi esclusivamente a scherzarci sopra. Non capisco perché non ti riesca di  parlarne seriamente. Forse è anche per questo che non riesci a superare il tuo blocco.”

Affermò risoluta, e aveva un’aria talmente preoccupata, che quest’ultimo non se la sentì  di risponderle con l’ennesima amenità, né di mandarla al diavolo come faceva con la psichiatra quando lo prendeva così a brutto muso. Ma anche se l’ansia che Sheila lasciava intravedere poteva essere autentica, semplicemente non poteva. Non ancora almeno.   

“Senti, non mi va.” Dichiarò infine chiudendosi a riccio. “Non prendertela, ma per il momento preferirei che non me lo chiedessi.”

“Vale solo per me?” Non poté far a meno di chiedere lei, anche se temeva quanto avrebbe potuto uscirgli dalle labbra. A tal punto contrariato raramente l’aveva visto, e se quel rifiuto fosse dipeso esclusivamente da lei, beh, allora che avrebbe fatto?

“No.” Negò risoluto, poi, ammorbidendosi un pochino davanti al palese disagio che le stava provocando, aggiunse vivacemente:  “E poi non dovevi essere tu a narrarmi la cronaca del nostro travolgente incontro? Avanti parla. Dai, dai, dai, dai, dai!”

“D’accordo.” Sheila raccolse il manifesto invito a cambiare argomento e cominciò: “Dunque, mi sei capitato tra capo e collo al secondo anno delle superiori. Ti eri da poco trasferito a Tokyo e quando arrivasti in classe non conoscevi nessuno.”

“Come mai me ne venni qui?” Domandò tirato su dal fatto che la ragazza pareva aver accettato  di buon grado le sue offerte di pace.

“Uhm, bella domanda. Per cavartelo di bocca all’epoca ci misi mesi. Dimmi,  Alice ti ha mai detto niente in merito ai tuoi genitori ?” S’informò con tatto.

“Più o meno, mi ha riferito che sono morti quand’ero piccolo e che abitavo con la sorella di mia madre.” Rispose cauto. In fondo, a che pro manifestare una tristezza che non sentiva affatto?

“Ecco, venisti qui perché i tuoi zii stavano per avere un figlio loro e siccome non volevi essere di peso, decidesti di cambiare scuola e città.“  Spiegò concisa, onde superare quanto prima questa delicata digressione.

“Visto che bravo ragazzo giudizioso?” Fece ridacchiando.

“Come no, tanto assennato che avevi dei voti pessimi in tutte le materie, tranne che in educazione fisica!” Lo sbugiardò subito stando allo scherzo.

E intanto ripensava a quel periodo e al dispetto crescente che inizialmente Matthew aveva suscitato in lei. Eh sì, perché per quanto la riguardava, era sempre stata una studentessa modello, portata come esempio davanti a tutti, e la pigrizia di cui aveva dato sfoggio quello che allora era solo uno sconosciuto ragazzo di provincia,  le era risultata addirittura come un qualcosa d’offensivo. Questo perché fin dal primo incontro quel ragazzone impacciato l’aveva molto colpita, e questo le era sembrato inammissibile, giacché l’irritava che a farsi notare fosse stato un lavativo simile. Altri, ben più di validi di quello spilungone sfaticato, facevano la ruota attorno a lei, lasciandola completamente indifferente. E si trattava di bei ragazzi dalle prospettive brillanti, quindi che cosa ci trovava di tanto speciale in quello scioperato da guardarlo, sia pure  involontariamente, con occhio affascinato?

Sheila sorrise al ricordo di quella forte ostilità e alle contraddizioni cui aveva dovuto far fronte fin da primo momento in cui se l’era ritrovato davanti. Certo che se avesse dato retta all’iniziale impressione, sarebbe stato oltremodo difficile per Matthew, nonostante il suo aspetto gradevole, abbattere le sue difese!  

“Ahi, ho paura di dove ci porterà questa conversazione.” Stava dicendo intanto quest’ultimo per invitarla ad andare avanti, visto che era un bel pezzo che taceva e pareva essersi persa nei suoi pensieri.

“Non temere, anzi devo dire che impiegasti profittevolmente la tua carenza scolastica.“ Rispose continuando a cavalcare l’onda delle memorie e ridacchiando al ricordo dell’insistenza inaspettata cui era stata fatta oggetto, non appena si era mostrata un po’ più disponibile nei suoi confronti.

“In che senso?”

“La usavi come  scusa  per starmi sempre appresso.”

“Tu stai sottovalutando quella che era la mia voglia di apprendere! Se domani mi porti  un libro di grammatica ci facciamo un ripasso e ti faccio vedere!”

“Lascia stare i ricorsi storici, che è meglio.” Rispose cominciando ad avvertire una sorta di rimpianto per il tempo che fu. Com’erano ingenui allora, due ragazzini completamente privi di malizia, tanto che era bastato appena un salto generazionale per trasformarli in un anacronismo vivente. Ché se due adolescenti attuali, coinvolti com’erano loro, fossero rimasti chiusi da soli e fino a tarda sera in biblioteca, col cavolo che avrebbero passato tutto il tempo studiare!

A questo pensiero avvampò vergognosa e preferì continuare nel suo racconto.

“Comunque il chiedermi di darti una mano è venuto molto dopo, all’inizio infatti te ne stavi sempre sulle tue. E siccome eri il ragazzo più alto della classe e, soprattutto, visto che poi entrasti nella squadra kendo e non di rado capitava che facessi a botte con qualcuno, era opinione comune che fossi solo un pallone gonfiato. Invece  eri un timidone.”

A quest’aggettivo, maggiorato anche da un superlativo, Matthew ebbe un cenno di diniego spontaneo, come se proprio non credesse al fatto di essere stato uno sbarbatello riservato. Insomma, a guardarsi ora, non l’avrebbe mai detto. Senza contare che si era figurato d’aver fatto il rubacuori fin da subito al cospetto della ragazza. Quindi fu con incredulità manifesta che chiese: “Ma davvero?”

“Già. Pensa che stavo nel banco davanti al tuo e, se capitava che mi voltassi e i nostri sguardi s’incrociassero, anche perché stavi sempre lì a fissarmi come un pesce lesso, arrossivi come un peperone e subito ti voltavi dall’altra parte!” Confermò annuendo, oltremodo divertita all’aria dubbiosa del suo fidanzato. Appariva molto deluso, chissà che diavolo si era immaginato!

“Mammamia. Vai avanti, anche se mi stai facendo un quadro di un pivello fatto e finito.” L’esortò scoraggiato e facendola scoppiare a ridere nuovamente. Però non era il caso di buttarlo giù a quel modo, in fondo non era stato mica tanto male, anzi quel che era stato il suo comportamento timoroso l’aveva spronata a darsi una mossa. In effetti, benché la sua venisse scambiata per alterigia, neppure lei era stata una ragazza che nei rapporti interpersonali potesse definirsi audace, tutt’altro.

“M’incuriosivi, eri un po’ diverso dagli altri ragazzi del nostro corso. Non partecipavi a nessuna attività extra scolastica e non riuscivo a spiegarmelo, finché io e Kelly non t’incontrammo che eri in giro per consegne.” Spiegò ripensando a quel pomeriggio che l’aveva beccato su una bici carica fino all’inverosimile di cassette di birra. Era fermo fuori ad un locale intento a scaricare i contenitori e non si era accorto di lei finché non le era stata che ad un passo. Nel vederla aveva fatto una faccia indimenticabile, un misto di sorpresa e costernazione, che l’avevano spinto a concludere con furia quanto stava facendo, allo scopo di allontanarsi quanto più in fretta possibile dal suo cospetto. Quella reazione l’aveva lasciata con l’amaro in bocca e anche molto adirata, per fortuna che c’era Kelly con lei! Infatti col suo solito garbo, sua sorella aveva avanzato una serie d’ipotesi circa il comportamento del ragazzo che l’avevano portata presto a più miti consigli.

Ma questo a Matthew non intendeva dirlo, continuò nel suo narrare come se a quelle conclusioni fosse arrivata da sola. Una licenza poetica certo, ma era un peccatuccio veniale. Inoltre non voleva assolutamente che considerasse lei un’irragionevole e sua sorella quella assennata e più piacevole con cui avere a che fare, e che diamine!

Quindi continuò senza specificare chi o cosa.

“In quel momento capii uno dei motivi cui imputare il tuo lassismo e pure perché spesso  sonnecchiavi durante le lezioni. Solo allora compresi che eri uno studente lavoratore e che la situazione per te non doveva essere affatto semplice. In sostanza mi resi conto del come mai apparivi sempre in imbarazzo rispetto ai nostri compagni di classe, loro perlopiù venivano da un ambiente medio-alto e non dovevano certo mantenersi.” Sottintese ad arte provocandogli un chiaro moto di autocompiacimento. Si vedeva che quell’allusione alla vita dura lo rendeva piuttosto orgoglioso.

Oh Matthew, non cambierai mai!  

Rifletté deliziata dal fiorire dell’espressione Uomo che non deve chiedere mai che aveva immediatamente scalzato quella de Uomo che deve chiedere sempre e si piglia il 2 di picche  che aveva avuta fino ad un secondo prima!

Ma, non era il caso che si esaltasse troppo, quindi gli spiattellò anche il resto.

“Guarda che non è il caso che di gloriarsi tanto bello mio, visto che anche in quell’occasione vigliaccamente ti tirasti indietro! Non ebbi neppure il tempo di salutarti che già te n’eri scappato nel vicolo appresso.” Precisò simulando un accentuato e parodistico sconforto a quel che era stato il suo comportamento.

Davanti a questa caricatura Matthew rise fino alle lacrime e quando finalmente riuscì a riprendersi, poiché ad intermittenza la ridarella gli tornava, affermò: “A questo punto non mi spiego com’è che siamo finiti insieme. Dì un po’, non mi avrai mica dato una botta in testa con una clava e poi trascinato per i capelli fino alla tua caverna?”

“Beh una specie.” Ribatté Sheila che pure stava partecipando attivamente all’ilarità generale e che, al ricordo di come gli imprevisti infine avessero fatto in modo da metterli faccia a faccia, ricominciò a sghignazzare. “La professoressa di educazione fisica organizzò una partita di pallavolo ragazze contro ragazzi e purtroppo per te ti beccai in pieno con una schiacciata alla Mimi Ayuhara. Fu talmente forte che per poco non ti rompevo il setto nasale.“

“Ehi, non l’avrai mica fatto apposta?” Domandò sospettoso.

“Chissà.” Fece Sheila evasiva, ma con un che di malizioso, che lo mandò completamente in sollucchero.

Quanto è carina quando fa la spigliata! Pensò tutto contento, tanto che capì di doversi dare una veloce calmata, altrimenti, se avesse dato corso al suo stato d’animo attuale, nonché alle prurigini che lo stavano tentando, come niente si sarebbe ritrovato con un altro osso fratturato…

“Immagino che mi spalmasti per terra, ergo quella volta non potei filarmela.“ Dichiarò mettendosi la mano sana dietro la testa, in modo da togliersi la tentazione d’usarla altrimenti.

“Esatto, e una volta tramortito a dovere, riuscii seguirti in infermeria senza che potessi opporti. E, intanto che ti mettevano a posto il naso, iniziammo a chiacchierare. Con mia grande sorpresa scoprii che eri simpatico e che avevamo molte cose in comune.”

“Senza contare che già  ti piacevo di brutto eh?” Buttò lì punzecchiandola provocatorio. “Del resto guarda qua che fisico, come potevi dirmi di no?”

“Scemo, non ci pensavo per niente!” Ribatté molto dignitosamente. Del resto questa chiacchierata si stava via, via trasformando davanti ai suoi occhi in un corteggiamento in piena regola, per cui un po’ di spocchia da parte sua non guastava affatto. Anche perché raramente si era trovata così al centro delle sue attenzioni, o per meglio dire, mai per sé stessa e sempre nelle vesti del suo alter ego. Per cui ci stava sguazzando dentro fino in fondo.

“Ahà! E allora perché sei arrossita?” La provocò di nuovo Matthew intuendo il suo gioco e spingendosi un po’ più in là di quanto non avesse fatto fino a quel momento. Del resto appurare fin dove sarebbe potuto arrivare era un dato che poteva tornargli utile.

“Hai una faccia tosta tu, che neanche le pietre del monte Fuji, lo sai?” Deviò Sheila eludendo quelle lusinghe, ma aveva un sorriso che le andava da un orecchio all’altro.

Sì, domani... okay, come vuoi. Poi che è successo?”

“Incredibile ma vero, prendesti talmente coraggio che m’accompagnasti a casa, facendo pure tardi al lavoro.” Affermò meravigliata, come se a distanza di tanti anni ancora non riuscisse a crederci. Del resto era stata proprio questa la reazione che aveva avuto in quel momento, grande stupore. Ma  una cosa era certa: non era stato quello che l’aveva spinta a dirgli graziosamente di sì!

“E probabilmente hai avuto sulla coscienza un altro disoccupato, vero?”

“No, ma da quella volta abbiamo iniziato a fare amicizia, il che non giovò mica tanto al tasso di apprezzamento che riscuotevi presso i ragazzi della classe.” Ammise andando a ruota libera, meglio che sapesse che non era stato, né era a tutt’oggi, l’unico a ronzare attorno a quei lidi. In fondo l’apprendere d’avere un’agguerrita concorrenza non poteva che fargli bene. Magari in questo modo l’avrebbe piantata di fare lo scemo con ogni sottana che gli capitava a tiro!

 “Ne avevo parecchi dietro e vedendoti riuscire dove loro avevano fallito ti creò molte inimicizie. In effetti parecchie scazzottate in cui ti sei trovato coinvolto erano generate dal fatto  che mi stavi sempre appiccicato.” Concluse esplicativa, aspettando incuriosita la reazione che quelle parole avrebbero suscitato. Sarebbe stato geloso? Avrebbe capito dove voleva andare a parare?

Purtroppo per lei questi erano interrogativi destinati a restare senza risposta, se non altro per quel giorno, giacché Matthew si limitò a canticchiare: “Uno su mille ce la fa!!!”.

Il che, sebbene la lasciasse inappagata, destò comunque una condivisa allegria che li accompagnò fino a sera. Mentre Sheila s’impegnava a tirare fuori dal cilindro altri eventi pregnanti, ma anche piacevoli, di quel che avevano condiviso, nella speranza che qualcuno potesse risvegliare una scintilla, se pur minima,  nella sua memoria.

Matthew si dimostrò molto reattivo ai suoi racconti, commentandoli spesso e volentieri in modo salace e soprattutto inalberando una serie di espressioni facciali infinite. In effetti per Sheila fu un vero spasso osservarne le reazioni davanti alle gesta degli eventi accaduti,  andava dallo sbalordito allo sconfortato, dall’ironico al dispiaciuto e proprio non riusciva a capacitarsi di essersi comportato il più delle volte, parole sue, come un perfetto idiota.

Purtroppo però era troppo sperare, e lo sapeva bene, che potesse avere sul momento qualche reazione positiva. Ad ogni modo Matthew apprezzava molto la sua vicinanza, come ebbe modo di ripeterle più volte, e parve molto dispiaciuto quando alla fine lei dovette andarsene.

Dell’episodio spiacevole di quel pomeriggio sembrava essersene completamente scordato e, a differenza del suo comportamento degli anni addietro, ora sapeva essere molto più rilassato e del tutto libero dalle inibizioni che sempre lo avevano bloccato.

Sheila ci pensava in effetti quella notte mentre inquieta si rigirava nel letto. Come al solito lei e le ragazze a cena avevano conversato di tanti argomenti, finché non  le aveva aggiornate su come aveva trascorso la giornata al capezzale di quello che ormai anch’esse avevano ricominciato a considerare nuovamente il suo ragazzo.

Un dato di fatto compiutosi in modo molto naturale, a dispetto della rapidità con cui era maturato. Però, sebbene quel pomeriggio avesse trascorso più di un momento felice in sua compagnia, non poteva far a meno di chiedersi se questa non fosse una palese forzatura. In fin dei conti non le riusciva di sorvolare su alcuni interrogativi, e seguitava a chiedersi quanto ci fosse di effettivamente spontaneo nel comportamento di Matthew.

Che avrebbe potuto fare poverino? Lei gli si era presentata, anzi imposta, in qualità di sua fidanzata e lui si era adeguato di conseguenza. Certo la trattava molto confidenzialmente, ma a quanto aveva potuto constatare, lo faceva praticamente con tutti.  Era avido della sua compagnia e dei suoi racconti, d’accordo, tuttavia altrettanto poteva essere con Asatani e con chiunque altro gli si fosse presentato nelle medesime vesti. E quanto ai  complimenti e alle illazioni fatte sul loro rapporto, non c’era troppo da sperare da questi. Insomma, chiunque al suo posto avrebbe fatto lo stesso, no?

Era normale!  Obiettò riprendendo ad arrovellarsi senza trovare la bussola in quell’oceano di incertezze.

Una volta aveva letto da qualche parte che chi è ardito in amore, non arde in amore. E ora si chiedeva se lo stesso non valesse per Matthew. Fintanto che era rimasto un imbranato preda delle sue fisime infatti, lei era in ogni caso stata certa che l’amasse, mentre adesso, da stupita testimone della sua novella nochalance, si poteva dire lo stesso?

La sua amnesia in tutto ciò giocava un ruolo determinante e non doveva certo trascurarlo, eppure aspettava con ansia che dalle nebbie del suo inconscio egli scovasse per lei un frammento autentico dell’antico sentimento che li aveva uniti.

Scosse il capo esasperata dai suoi stessi ragionamenti inconcludenti.

Eh sì, Matthew già in condizioni normali era sempre stato restio ad esternare i propri trasporti, figuriamoci adesso che non ne rammentava neppure l’esistenza!

Sapeva di doverlo sostenere, ma questa situazione non stava facendo altro che tirare fuori tutte le sue insicurezze. E non era neppure certa che il parlargli sinceramente avrebbe migliorato lo stato di quella situazione transitoria. Inoltre, se non avesse fatto dei progressi,  sarebbero in ogni caso rimasti a questo punto morto. Ma non era già sufficiente che fosse sopravvissuto ad un attentato? Doveva per forza recriminare ad ogni costo?

Per un momento indugiò nella macabra fantasia di trovarselo davanti in fin di vita, ma consapevole, e che prima di esalare l’ultimo respiro, le confessava amore imperituro, nonostante tutto. Sarebbe stata più contenta così?

Alquanto nauseata diede un vigoroso pugno nel cuscino.

Certo che no! Maledizione e ancora maledizione! Era tremendo non aver la minima idea di cosa lui avesse nel cuore prima di finire vittima degli eventi! Se solo lei l’avesse saputo, persino nel caso in cui l’avesse odiata a morte, ora sarebbe stata più tranquilla. Ciò nonostante, combattere contro tutte quelle incognite era snervante.

Improvvisamente la luce nella sua stanza si accese e fece il suo ingresso Kelly, la quale recava con sé una tazza ricolma di camomilla.

Senza parlare si sedette sul letto e gliela porse. Sheila si tirò su e con uno sguardo di chiara riconoscenza prese a sorseggiarla aspettando. Era un bene che fosse venuta, se c’era qualcuno in grado di chiarirle le idee e di rassicurarla, questi non era altri che sua sorella maggiore.

“Allora che succede?” Chiese pacata,  intuendo che qualcosa di morboso si agitava nella mente di quella irrimediabile testa dura. Fu una delle rare occasioni in cui Sheila le parlò di tutto quello che l’angosciava. Generalmente infatti tendeva a dare dei dettagli marginali e un riassunto superficiale di quanto sentiva dentro, e poi toccava a sua sorella completare il puzzle. Ma stavolta, segno inequivocabile di quanto fosse sotto stress, vuotò completamente il sacco.

Aveva appena finito di sfogarsi che fece capolino anche Tati, la quale, senza tanti complimenti,  si unì alla conversazione. Kelly ci pensò ancora un po’ su prima di proporre alla sorella quanto riteneva necessario per fugare le sue paure.

“Se la pensi così, domani dovresti prenderti una pausa. Magari ci vado io. Innanzi tutto in questo modo scopriremo se con me si comporta diversamente, e in secondo luogo, con un altro interlocutore potrebbe avere degli stimoli differenti, non credi?”

“Non lo so, pensi che sia il caso?” Fece un po' titubante.

“E andiamo!” L’interruppe Tati dandole una botta affettuosa sulla spalla. “Se proprio non ce la facessi a stargli lontana, ci vai nel pomeriggio!”

“D’accordo.” Assentì finalmente persuasa che Kelly avesse ragione, poi, come se ci avesse pensato solo in quel momento, chiese: “Ma voi cosa ne sapevate che non riuscivo a dormire?”

“Avanti Sheila, anche se tenti di nasconderlo, sei sempre stata la più emotiva tra noi. Soprattutto quando si tratta di una certa persona.” Replicò comprensiva.

“ Oh sì “, rincarò la dose ridendo Tati, “e poi stavi facendo un casino d’inferno!”

 

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Capitolo 7
*** 7 ***


7

 

 

 

 

E così l’indomani fu Kelly a recarsi in ospedale, cosa che non le pesava affatto e che faceva con palese buonumore, ma quand’entrò nella camera di Matthew trovò ad aspettarla una brutta sorpresa.

Appariva pallido, sofferente e la donna notò che in numerosi punti le  bende lasciavano intravedere delle macchie brune, segno inequivocabile che dovevano aver filtrato del sangue di recente. Quanto a Matthew, giaceva ad occhi chiusi e stancamente le fece un fiacco cenno di saluto quando s’accorse che c’era qualcuno accanto a lui.

“Ah ciao, Kelly giusto?” Chiese tentando di tirarsi su.

“Sì e stai comodo.”

Gli ordinò perentoria, celando la preoccupazione. Ma che accidenti poteva essere successo? Giorni prima non le era sembrato stesse così male, inoltre, a quanto le aveva detto Sheila, la sera precedente, al momento di accomiatarsi, l’aveva lasciato in condizioni normali. Che avesse avuto un aggravamento improvviso durante la notte? Improbabile, molto più facile invece che fosse caduto, ma meglio chiederglielo direttamente, anche perché in giro non c’era traccia di medici né d’infermiere.

“Ma che hai combinato?” Chiese, andando diretta al sodo, dopo essersi accomodata.

“Niente di grave.”

Replicò questi sbuffando palesemente contrariato.

“Stanotte ho cercato d’alzarmi e ovviamente sono cascato come una pera cotta. E’ tanto ero rincoglionito che mi sono dimenticato di non essere in grado di camminare, e senza stampelle per di più. Ho fatto un bel volo e ora mi fa un male caino, soprattutto per la figuraccia. Insomma, è la terza volta che vado col culo per terra!”

“Su, sono cose che succedono, prima o poi capita a tutti. Ma dimmi, hai avuto degl’incubi?”

Lo consolò pacata nel tentativo di stemperare l’aria abbattuta che mostrava.

“Mah, magari potrei essermi agitato per quello. Però ripensandoci di una cosa sono sicuro, stavo cavalcando l’onda gialla.” Ammise convinto con uno sguardo piuttosto esplicativo. Ma tale non doveva essere perché Kelly a tutta prima proprio non riuscì a capire a che alludesse.

“L’onda gialla?“

“Sì, quella. In sostanza, per farla breve… e dai è facile, non farmelo dire!”

“Dovevi andare al bagno?”

Lo sollecitò reprimendo a stento una risata, ché realizzando quanto intendesse, per un attimo la donna se l’era visto come un surfista che cavalcasse degli imponenti marosi color paglino, con tanto rotoli di carta igienica che svolazzavano tutt’intorno a mo’ di gabbiani. Con invidiabile fermezza si ricompose ed assunse un tono assolutamente paternalistico. Giacché, come sempre, le toccava far l’adulto della situazione, anche se i lazzi erano irresistibili.

“Dovresti starci più attento Matthew, guarda qua che casino hai combinato. Come minimo  ti si saranno aperti i punti.”

L’ammonì con cipiglio fermo, allo stesso modo cui era solita fare quando si vedevano tutti i giorni, come se non fosse passato tutto quel tempo e se stessero ancora ai due lati del bancone del bar.

“Uh, grazie di avermelo detto mamma. Ci mancavi solo tu stamattina a farmi la predica. Fai una cosa va’, appendi pure un bel cartello con la scritta completo fuori la porta! Hai visto mai che a qualche altro geniaccio venisse in mente di venirmi a dire quel che devo fare o non fare?”

Sbottò con una rabbia a stento repressa, e giusto perché la sua interlocutrice stava saggiamente evitando di rispondergli per le rime. Infatti Kelly non si lasciò minimamente impressionare da quello sfoggio di sarcasmo nient’affatto velato, anzi decise di punto in bianco di aizzarlo ancora di più.

“E qual è il problema cocco bello? In fin dei conti sei servito e riverito.”

“Io non ne posso più, altro che servito! Sono stufo di dover chiedere aiuto anche per le cose più elementari, mi scoccia da morire non potermi muovere ed essere trattato come un poppante. A sto punto, perché non mi mettete il pannolone? Vorrei vedere te al mio posto, l’altro giorno avevo una barba lunga così in faccia, mi prudeva da morire, ma non riesco a radermi da solo. E tu hai il coraggio di chiedermi pure  qual’è il problema? Te lo dico io qual è, ma solo dopo che avrai girato per Tokyo con le gambe piene di peli sorella! Allora sì che potrò risponderti.“

“Hai ragione, ma stai calmo, oppure credi che urlando si risolva qualcosa?” Tentò di rabbonirlo sulle prime, sebbene, nonostante la complessità del discorso, l’esempio delle sue gambe intonse fosse un’altra difficile sfida a restare seria.

“Calmo? Sono confinato su questo letto da mesi e ce l’ho fin sopra i capelli! Mi sono rotto le palle, ho letto tutti i giornali del mondo, tutti i maledetti thriller che mi ha portato Alice e la tv mi è venuta letteralmente a schifo!”

“Beh”, pensò Kelly meditabonda, “forse è un bene che si stia arrabbiando, può darsi fin’ora non abbia avuto la possibilità di sfogarsi come si deve.” Per cui  decise di aizzarlo ancora di più.

“D’accordo, ha ragione, però la compagnia non ti manca. Voglio dire, in questi giorni ti stanno venendo a trovare tante persone...”

“E capirai!“ Inveì prontamente interrompendola. “Che accidenti ne sapete voialtri? Una volta usciti da quella porta sono solo cavoli miei! Venite qua, mi dite tutto quello che credete sia opportuno per farmi ricordare, per poi andarvene tutti contenti per aver fatto la vostra buon azione quotidiana! Nessuno mi chiede quello che penso davvero, nessuno! E’ frustrante starsene qui come un babbeo ad ascoltare. Facevi questo, dicevi quello, ti comportavi in questo modo, ma che cavoli di discorsi sono? Per quanto ne so, potrebbero essere tutte balle!“

“E secondo te perché ci prenderemmo la briga di farlo?” Chiese quieta, per nulla intimidita dalla veemente causticità cui erano intrise quelle parole.

Matthew, a quest’interrogativo, ebbe una battuta d’arresto, per poi sospirare pesantemente davanti all’incongruenza della cosa. Scosse la testa esasperato incapace di risponderle.

“Senti“, riprese con voce più calma, “non ha senso che me la stia prendendo con te. In fin dei conti non sono affari tuoi, purtroppo ti ci sei trovata. Mi dispiace e me ne scuso, ma ti ripeto sono talmente stanco di questa storia che vorrei spaccare le montagne a testate!”

“Sì, così dovrebbero suturarti anche la testa.” Replicò ragionevole, ora che aveva perso giri e appariva più tranquillo, se non addirittura abbattuto da quella serie di rivelazioni buttate lì a casaccio.

“E ci mancherebbe solo questa, giusto?”

“Esatto. Naturalmente tutto quel che dici è innegabile, ma devi avere pazienza, per quanto ti possa costare. Inoltre penso che, al di là di statiche distrazioni, non hai considerato altro che si potesse fare al di fuori del letto. Magari potresti chiedere al medico se sia possibile spostarti. Nel qual caso potresti farti accompagnare in giardino da Sheila più tardi. Effettivamente questa stanza la conoscerai a memoria ormai.”

“Su una sedia a rotelle?” Chiese sdegnato. Porco mondo, ma che razza di consiglio era mai quello? Poteva esserci un’umiliazione peggiore?

“O così o ciccia bello.” L’ammonì dura. A fare troppo la comprensiva non l’avrebbe mai smosso, ed era opportuno metterlo davanti alla realtà senza troppe perifrasi, sennò sarebbe rimasto a piangersi addosso per sempre. “Deciditi, se ti fa tanto schifo, continua pure a startene qui dentro. Oppure, inghiotti l’orgoglio, e avrai la possibilità di andartene per qualche ora all’aperto. E considera che fuori puoi anche fumare a tuo piacimento.“ Aggiunse a mo’ di ulteriore allettamento.

“Tu piano, piano te ne vai, eh?“  Replicò fissandola complice dopo averci pensato un po’ su. “Mi stai infinocchiando alla grande, al posto tuo qualcun altro, vedi Sheila per esempio,  mi avrebbe fatto una scenata. E probabilmente afferrato per un orecchio, tu invece zitta, zitta mi hai portato dove volevi.”

“E’ una tua impressione.” Replicò sorniona, senza palesare quanto fosse azzeccata quella constatazione.

“A proposito, dov’è?”

“Stamattina aveva un impegno improrogabile, perciò sono venuta io. Ma l’ho fatto con  piacere, un tempo eravamo piuttosto amici io e te.”

Aggiunse per portare la conversazione ad un altro livello, poi memore di quello che prima aveva udito, aggiunse: “Però se vuoi di questo ne parliamo più tardi. Ora dimmi un po’ di te, facciamo finta che non ci conosciamo affatto.”

“E che dovrei dirti?” Chiese stranito completamente preso alla sprovvista. Che voleva un resoconto completo del suo quadro clinico?

“Prima ti sei lamentato che non ti fanno mai aprire bocca e ti sommergono di dettagli sulla tua vita passata.” Si spiegò persuasa che farlo parlare fosse la medicina migliore. “Ebbene ora tocca a te, dimmi tutto quello che ti passa per la testa. Guarda, ti metto per strada, come ti sei sentito quando hai preso coscienza della tua situazione?”

Davanti all’inevitabile Matthew serrò le mascelle pensieroso, in effetti non aveva mai espresso a parole come si sentiva sul serio. Né ne aveva voglia adesso, ma si era dato da sé la zappa sui piedi e purtroppo non poteva negarsi. A meno che di fare una clamorosa figura di cacca. A allora, effettivamente come si poneva davanti a quel casino smisurato? Certo con la psicologa e gli altri medici ne parlava spesso, talmente tanto che s’era stufato di sentirsi ripetere sempre le stesse cose.  Ma era tutt’altro paio di maniche era il doverne paralare con qualcuno che t’ascolta solo perché quella è la sua professione. In effetti sto gran pezzo di figliola sembrava davvero interessata a quel che aveva da dire.

“Mm.” Cominciò perplesso. “Per quanto ne so all’inizio non ho fatto altro che dormire, dopo essere uscito dal coma intendo. Ero così pieno di sedativi, che suppongo non potessi fare altrimenti. Dopo, quando ho iniziato a stare meglio, naturalmente non sapevo dove sbattere la testa. Vedevo sconosciuti ovunque e ogni santissimo giorno che scendeva su questa terra mi sottoponevano ad esami e controlli. Più volte i medici mi hanno spiegato lo stato della mia condizione mentale, ma questo non è che mi abbia tranquillizzato più di tanto. Non sapere chi sei, da dove vieni... e non credere, anche quando è iniziata a venire qui Alice non che sia stato meglio. Davanti a quello che andava via, via dicendomi ero incredulo. E non per le informazioni in sé per sé, quanto perché il dato di fatto è che davvero non so. Qui tutti pensano che me la stia prendendo alla grande, poiché non faccio altro che dire cavolate e prendere per il sedere chiunque mi capiti a tiro. Ma la verità è che riesco ad esistere solo attraverso questa caricatura che sto creando. Perché solo facendo qualcosa d’inconfondibile finalmente ho un’identità, anche se piccola. Ti sembrerà ridicolo lo so, ma aiuta. Non so se mi spiego.“

Concluse di botto, trovandosi a corto di parole.

“Certo che sì.“

Rispose toccata la donna. Provava una certa commozione in effetti, poiché  tutto quel discorso le mostrava una parte interiore ancora sconosciuta e, fino a quel momento,  tenuta accuratamente nascosta.

Forse non è un caso che si riveli a me. Pensò guardandolo con affetto, da sempre infatti avevano avuto tra loro una specie di rapporto privilegiato. In passato spesso avevano parlato di cose che lui non si sarebbe mai sognato di dire ad altri e forse, anche adesso, inconsciamente sentiva che ancora una volta poteva fidarsi di lei.  In fondo emotivamente era molto meno coinvolta rispetto ad Sheila, per cui, data anche la sua maggiore esperienza, era la persona più adatta a gestire quel lato del problema.

“E ora dimmi“ l’esortò cambiando repentina argomento, giacché non voleva si deprimesse troppo, “che hai pensato l’altro giorno quando ci hai conosciuto?”

“Vuoi la verità?” L’ammonì fissandola sottecchi, poco persuaso che dirglielo fosse una buona idea. Da uomo a uomo avrebbe potuto commentare tranquillamente, ma così? Del resto un commento diplomatico sarebbe stato insincero e, tutto sommato, decise seduta stante,  un apprezzamento restava sempre tale, anche se espresso in modo cialtrone.

“Sì, anche se ho paura di quello che sto per sentire.” Lo incoraggiò Kelly ridendosela apertamente.

“Il mio primo pensiero è stato ammazza che fighe!” Confessò con entusiasmo, poi prese un’espressione piuttosto perplessa e aggiunse: “E dopo sul serio non riuscivo a capacitarmi che Sheila fosse la mia ragazza.“

“E perché mai?” Lo spronò ben sapendo dove sarebbe andato a parare.

“Perché è troppo bon... bella. Poi, visto quello che mi ha detto a proposito del mio comportamento, mi stupisco ancor di più che lo sia.”

“Bene, presumo potrebbe essere lusingata di sapere che la reputi a tal punto affascinante. D’altro canto Matthew, non credo che le farebbe piacere anche il fatto che pensi di non esserne all’altezza. Non credi ?”

“Che vuoi che ti dica?” Domandò incapace di penetrare l’intricata questione. Donne! Beato chi ci capiva qualcosa! Sbuffò indeciso scuotendo il capo. “Non ci faccio una bella figura ovviamente. Perché a quanto mi raccontato, spesso mi sono comportato come un cretino. E allora, insomma, è inevitabile credere che potrebbe trovare molto di meglio, no?”

“Sei sempre il solito Matthew e quest’amnesia non ti ha cambiato di una virgola.” Esclamò esasperata dal quel ripetersi della stessa storia, nonostante fossero passati anni. Ma possibile mai che gli riuscisse così complicato capire? Forza, s’ingiunse per il bene di sua sorella e la tranquillità di questo bietolone a cui tanto era affezionata, provaci ancora una volta Kelly! Quindi continuò:

“Lei  è innamorata di te vecchio mio, e cosa vuoi che gl’importi di trovare di meglio?”

“Se lo dici tu...” Capitolò non troppo convinto. Belle parole quelle, ma poco attinenti alla prova dei fatti. E poi non si trovava in condizioni da poter adeguatamente replicare, era una sensazione la sua, e come si fa a spiegare con chiarezza  un presentimento?

“E tu invece che mi dici? Al di là della bellezza, come ti ci trovi?” L’incalzò ancora una volta per stabilire quanto il prima e il dopo collimassero.

“Beh mi piace molto, te l’ho detto. Sa essere divertente, mi pare una persona decisa e sa farsi valere.“ Aggiunse massaggiandosi sovrappensiero la guancia colpita dal manrovescio il giorno prima. “E resti tra noi, però qualche volta non la capisco e mi rende piuttosto confuso.”

“Non preoccuparti Matthew, tutto normale, non è cambiato niente. Anche prima era così. Vedrai che standole accanto presto te ne renderai conto e anche dei tuoi sentimenti appariranno per quel che sono veramente. Speriamo solo che nel frattempo non ti gonfi la faccia tutti i giorni!”

Concluse lasciandosi andare all’ilarità, immediatamente seguita da quest’ultimo che, al pensiero di quanto accaduto e davanti a quello scoppio di risa, non poté fare altro che riderne con lei.

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Capitolo 8
*** 8 ***


A seguito di questa conversazione due infermieri vennero a prelevare Matthew per portarlo nell’ambulatorio di chirurgia, ché dopo la rovinosa caduta della notte il medico voleva assicurarsi che non avesse subito ulteriori danni.

Oltretutto dovevano fargli pure delle radiografie supplementari, il che diede a Kelly l’opportunità di attuare immediatamente un’idea che le aveva iniziato a ronzarle per la testa dacché Matthew aveva lamentato la sua scarsa mobilità. Pertanto, approfittando di quella che poteva essere una prolungata assenza del paziente, che tale non tanto si era mostrato al suo accomiatarsi verso i reparti, senza perdere tempo telefonò a sua sorella minore.

“Tati“, esordì tutta presa dal suo lampo di genio, “puoi staccarti un’oretta dai libri?“

“Non c’è problema.” Replicò questa con evidente sollievo, effettivamente da un bel pezzo era alla ricerca di un qualche pretesto per allontanarsi dai pesanti tomi di fisica che stava studiando.

“Di che si tratta?“

“Di un’opera buona, quanto ti senti pia oggi?”

“Dipende, fino a fare cip, cip o pio, pio, ci posso arrivare. Ma di ninnare quello scimunito cantando passerotto non andare via non se ne parla proprio!”

Ribatté beffarda, ridacchiando al solo immaginare la scena, neppure Kelly poté esimersene, ma badò immediatamente a riportare la conversazione entro i margini del suo scopo originario.

“No cara, non è delle tue doti canterine che ho bisogno, piuttosto vieni subito in ospedale e portati appresso la tua cassetta degli attrezzi. Senza dimenticarti della saldatrice, mi raccomando.“

“E dimmi un po’ “, chiese Tati cogliendo al volo l’ennesima occasione per fare dello spirito,  “aspettiamo che faccia buio o un temporale con tanti fulmini per ridare vita a Matthew come il mostro di Frankenstein?“

“L’idea non sarebbe male sorellina, magari io potrei essere la donna lupo, Sheila il vampiro e tu la principessa dei mostri!” La stuzzicò provocandone l’ennesima sghignazzata, dopodiché proseguì spedita, altrimenti quella telefonata sarebbe continuata all’infinito. “Ah, porta pure un radiocomando, ti aspetto, fai presto.”

Sistemata questa faccenda appese e senza indugio chiamò alla galleria per mettere anche Sheila nella giusta disposizione delle cose.

“Come vanno le cose lì?” Le chiese preoccupata quest’ultima non appena udì la voce della sorella. In effetti era stata abbastanza in ansia, tanto che fin lì non aveva combinato un granché lavorativamente parlando. Per la verità aveva trascorso tutto il mattino immersa nei propri pensieri, ignorando i potenziali clienti, sbarazzandosi in fretta di qualsiasi interlocutore e filtrando drasticamente le telefonate.

“Tutto bene.”

La rassicurò pronta, ma restando comunque evasiva, giacché ora veniva il difficile, sperava solo che Sheila non la prendesse nel modo sbagliato. Il che era più che probabile, quindi esordì con molta leggerezza.

“Senti , penso che per oggi sarebbe meglio se non venissi...”

“Oddio, cos’è successo?”

Ribatté allarmata, figurandosi ogni sorta di complicazioni e sciagure, la cui totalità drammaticamente ne vedevano protagonista il suo fidanzato. Partì dal coma profondo, passando per l’invalidità permanente, soffermandosi sull’infezione letale, su, su fino all’estemporaneo sospetto di una sua fedifraga fuga con una procace infermiera. E tutto nel ridotto lasso di un nanosecondo.  

“No, assolutamente, te l’ho detto, va tutto bene. Stasera ti racconto per filo e per segno, senza contare che domani potrai verificarlo di persona, ma per il momento non posso dirti nulla. Fidati, lascia fare a me e Tati, d’accordo?”

“Ma che diavolo stai architettando Kelly?” Ribatté stranita e resa più che diffidente innanzi alla menzione della piccola. Che stavano creando? E soprattutto, perché estrometterla a quel modo?

“Vedrai, a stasera, ciao!“

E questo era quanto e a Sheila non restò che adeguarsi, ma tutto quel mistero la lasciò talmente indispettita che per tutto il pomeriggio non fu in grado di fare un accidenti, tanto che la sua produttività, al pari di quella mattutina, si limitò ad una particolareggiata manicure, nonché alla minuziosa estirpazione di qualsiasi sopracciglio in eccesso. Praticamente se quel giorno non avesse aperto affatto e se ne fosse andata in  una bella beauty farm, sarebbe stato di gran lunga preferibile sia per l’esercizio che per il suo umore.

Nel frattempo Tati era giunta all’ospedale carica degli strumenti che le erano stati richiesti e, con sua somma sorpresa, Kelly le mostrò un paio di carrozzine che aveva provveduto a requisire. Dopodiché, come se niente fosse, sorvolando sull’espressione basita che aveva innanzi, le chiese quale a suo avviso fosse più adatta ad una modifica.

“Che hai in mente?“

Tati si prese la briga di chiederglielo giusto per accertarsene al di là di ogni ragionevole dubbio, in quanto, ora che aveva avuto modo di rifletterci, appariva chiaro di che si potesse trattare. Tant’è, si stava progressivamente elettrizzando alla prospettiva di quanto poteva progettare e delle relative conseguenze comiche che ne sarebbero potute derivare.

“E’ presto detto.”

Spiegò Kelly con un certo sussiego, anche perché non voleva correre il rischio di essere fraintesa, visto che le sue premure cominciavano a sfiorare l’eccesso e Tati da sempre la prendeva in giro su questo particolare attaccamento.

“Matthew sta facendo la muffa in questa stanza, rasenta l’isteria in effetti, per cui ho pensato che starsene un po’ all’aria aperta non potrebbe che giovargli. Sfortunatamente, per via del braccio rotto, non può servirsi da solo di una sedia a rotelle. Oddio, volendo  potrebbe chiedere a qualcuno di farsi portare in giro, ma è evidente che si vergogna. Penso che piuttosto preferirebbe farsi ammazzare, di conseguenza, che ne dici di ritoccarne una in modo che la possa usare senza farsi troppi problemi?”

“Per me sarà un gioco da ragazzi, figurati.”

Celiò pronta, anche per mascherare tutta la tristezza che quel discorsetto le stava mettendo addosso. Del resto, pensò sempre di più persuasa che sua sorella avesse ragioni da vendere a farle una simile proposta, a parità di condizione anche lei si sarebbe comportata così, se non peggio. Quindi era suo dovere, anzi piacere nel compiere una buona azione, far in modo di alleviare un po’ il disagio del poverino. Non se le meritava tutte quelle sfighe accidenti!

E forte di questo proposito, riprendendosi dall’impasse emotivo che le stavano provocando queste riflessioni, ghignò maliziosa e sparò l’ennesima facezia.

“Ma non pensi che sarebbe molto più romantico se nostra sorella lo portasse a spasso? Pensa quante occasioni languide si perderebbe dopo il nostro intervento!”

“Non credo, piuttosto sono convinta che sarebbe avvilente per entrambi. Inoltre Matthew ha davvero bisogno di distrarsi da quest’atmosfera claustrofobica, oltre al fatto che voi due non avete ancora approfondito la conoscenza.”

Rispose Kelly abbandonando il tono serioso a favore di uno più ameno e, strizzandole l’occhio, proseguì: “Ergo, se modifichi la sedia progettandola all’uso di un comando a distanza, che tu stessa movimenterai, si eviterà il rischio che possa schiantarsi accidentalmente in un muro. Cosa che potrebbe accadere, visto che andrete a fare una passeggiata insieme in giardino. Dovete socializzare Tati, è o non è il tuo cognato preferito?”

“All’opera allora!” Esclamò per tutta risposta Tati.

Aprì la cassetta e cominciò a trafficare vicino alla sedia dall’aspetto più robusto. Non le ci volle molto per ideare e mettere in atto le modifiche più idonee, ma il fatto che Matthew rimase lungamente alle prese con aghi, bende e tintura di iodio, le permise di creare un vero capolavoro. Ad ogni modo, considerata la peculiarità dell’operazione cui stavano dando corso, opportunamente si chiusero in una camera vuota, onde evitare il rischio di complicazioni, nel caso in cui qualcuno avesse chiesto loro che accidenti stavano combinando.

Sul finire poi il piccolo genio a lavoro deliberò che, vista la portata e la potenza cui aveva dotato quell’aggeggio, occorrevano un paio di ruote più forti. Non palesò alla sorella la sua intenzione di sperimentarne le potenziali evoluzioni solo in seguito al fatto che Matthew ne fosse in arcione, giacché quello che Kelly non sapeva, di certo non la poteva allarmare.  Piuttosto si limitò a mandarla a comprare un paio di copertoni da mountain bike, adatte alla bisogna perché più basse e con i copertoni di spessore diverso, nonché un sedile avvolgente che avrebbe impedito al mezzo di ribaltarsi. Successivamente, per ultimare il capolavoro,  rinforzò con dei giunti e delle saldature addizionali la struttura in alluminio, applicò i congegni elettrici che avrebbero fatto muovere le ruote e terminò collegandoli alla pulsantiera per i comandi manuali.

Infine, entusiasta del risultato e complimentandosi con sé stessa per la sua perizia, programmò l’apposito radiocomando, suo personale scettro del potere, constatando quanto fosse simile ad uno normalmente usato per le automobiline telecomandate. Con la sola differenza, si disse soppesandolo, che un comune giocattolo non avrebbe implorato pietà come avrebbe indotto Matthew di lì a breve!

Ridacchiò al pensiero e tutta fiera mostrò alla sorella il perfetto funzionamento di quella formula 1 dell’ortopedia.

“E lo è davvero!” Pensò Kelly, in effetti quel trabiccolo potenziato avanzava, svoltava ad angoli stretti, girava su tutto il suo asse e aveva addirittura la retromarcia. “Dì Tati, ma non va un po’ troppo veloce?“ Chiese perplessa. Forse tutto sommato non era stata una così buona idea, già si vedeva davanti agli occhi Matthew che volava oltre le siepi smadonnando, mentre quest’ultima si sbellicava sullo sfondo.

“Non preoccuparti sorellina”, fece la piccola iena mandando bagliori di santità, effetto completamente sciupato dal ghigno che non le riusciva proprio di reprimere, “vedrai che una volta che l’avrà provata non ne vorrà scendere più.”

Presagio questo soggetto a molteplici supposizioni da parte di Kelly, ma ad un certo punto non ci fu più tempo per discuterne, poiché l’oggetto di tanto ipotizzare tornò al suo letto e le trovò entrambe ad attenderlo.

Fremevano tutte e due, ma per motivazioni alquanto contrastanti, ché Tati non vedeva l’ora di piazzarlo sopra quel bolide, mentre sua sorella stava chiedendosi come e quanto poteva ritardare l’inevitabile, semmai scongiurarlo, in quanto ormai prevedeva guai grossi.

Ad ogni modo, notando l’aria oltremodo abbattuta dell’uomo, decise che forse era il caso di dare una chance a quella trappola infernale. Quindi, fingendo una leggerezza che non provava affatto, gli domandò com’era andata giù in ambulatorio.

“Neanche troppo male, tutto considerato.” Fece Matthew sbuffando, seccato da tutta quella maledetta trafila di rogne e dal fatto che le due se ne stavano piantate davanti al suo letto impedendogliene l’accesso, e sbottò: “Ma dovresti vedermi senza le bende, sembro un dannato puntaspilli!”

“Non ci pensare adesso.” Provò a sviarlo ostentando comprensione, quindi indicò sua sorella e continuò: “Hai visto chi ti è venuto a trovare? Tati non vedeva l’ora di fare quattro chiacchiere con te.”

Concluse lanciandole una significativa ed eloquente occhiata.

“Ciao rottame!” Esordì questa cogliendo al volo. “Che muso lungo, sembra quasi che il Capo ti abbia fatto una ramanzina!”

“Cosa?”

Matthew restò interdetto, e anche un po’ infastidito da quel manifesto sfottò, ma poi, considerato che magari stava scherzando, per alleggerire l’atmosfera, replicò tentando d’essere altrettanto faceto.

“Sentimi bene bamboccia, ti pare questo il modo di rivolgerti a un infermo?”

“Andiamo lumacone, fino ad ora tra le mie sorelle e quella papera di Alice ti hanno trattato fin troppo bene per i miei gusti. Ritengo che sia arrivato il momento di fare una bella terapia d’urto!”

Affermò decisa, tanto che non era chiaro se stesse facendo ancora dello spirito o meno, e Matthew, che a questo punto davvero non sapeva che pesci pigliare, preferì andare sul sicuro.

“Ehi Kelly, ma che ha in mente questa pazza?” Domandò dubbioso, ma non gliene venne risposta giacché Tati velocemente uscì e rientrò, piazzandogli davanti la sua sbalorditiva creazione.

“Tadaaannn, modello Mach III, modificata ad hoc per il signor lamentoso numero uno! Avanti, sali su.”

L’esortò impaziente dopo quella mirabolante presentazione e, visto che non si muoveva, pensò d’accelerare i tempi prendendolo per un braccio trascinandocelo. Prontamente Kelly intervenne prima che gli spezzasse qualche vertebra e, unendo gli sforzi, l’aiutarono a montarci. Ma l’espressione riottosa di Matthew parve intensificarsi viepiù ora che ci stava assiso sopra.

“Beh?” Fece perplesso, accigliandosi per camuffare quanto si sentisse ridicolo.

“Bene cognatino, ascolta con attenzione. Quella è la leva per dargli i cambi direzionali, posizionala su power.” Gli spiegò con fare lezioso in attesa che il paventato entusiasmo si manifestasse. “ E ora spingi un po’ quella leva e sta a vedere!”

“Che mi prenda un accidenti, sto risciò si muove!”

Esclamò Matthew stupito, dopodiché esplose in una sonora risata e, quando finalmente ne capì il meccanismo, cominciò a familiarizzare con quella specie di trono a motore. Cosa che rasserenò non poco le sue interlocutrici, le quali se ne stavano a guardare allietate le sue prime timide evoluzioni in giro per la stanza. Certo, prima di impratichirsi a sufficienza, buttò giù il comodino e sbatté nella testata del letto, però questi piccoli contrattempi non gl’impedirono di dichiararsene compiaciuto.

“Ti piace eh? Lo sapevo!”

Dichiarò Tati inalberando un’espressione di trionfo che fece levare le mani in segno di resa alla sorella e, senza perdere tempo, passò subito alla fase successiva del coronamento della sua gloria.

“Andiamo a collaudarla in giardino!”

“E di corsa.” Approvò Matthew, entrando appieno nello spirito ridanciano dell’impresa, tanto che ritenne fosse giunto il momento di fare una battutaccia ad hoc.

“E brava Tati, è veramente un gioiellino, peccato che ti sia dimenticata del vano per il catetere!“

A questa sortita Kelly sorrise soddisfatta, le cose si stavano mettendo esattamente come aveva inteso si disponessero. Le sue precedenti preoccupazioni sembravano essersi volatilizzate, esattamente come il malumore del degente innervosito, oltre al fatto che era palese quanto se la stessero spassando un mondo. Ragion per cui non le restò che seguirli per i corridoi, piacevolmente compiaciuta nel constatare come quei due, con una naturalezza davvero sorprendente, dopo l’inevitabile esitazione iniziale, avevano preso  confidenza e si prendevano in giro.

Proprio come ai vecchi tempi, si disse tutta contenta. Ma il meglio doveva ancora venire. Infatti, quando finalmente furono nei vialetti del parco dell’ospedale, Tati tirò fuori il telecomando e contemporaneamente bloccò la pulsantiera dei comandi manuali. Matthew non ci fece caso, ma dopo i primi movimenti autonomi della sedia, cominciò a guardarsi intorno per intendere cosa diavolo stesse succedendo. Stava per interrogare a proposito una delle due, poi però cooptò Tati nel suo campo visivo e notò l’asso nella manica che questa teneva tra le mani, quindi un’espressione di comico terrore s’impadronì del suo viso.

“Non sarai mica tanto infame vero?”  

Domanda inutile, ché per tutta risposta la piccola carogna gli rise sarcasticamente in faccia, per poi aggiungere tutta giuliva: “Ora ti faccio tornare in mente le montagne russe!” E senza indugio fece fare un mezzo giro circolare alla sedia, per poi dare tutto gas.

“Porca vaccahhhhaaaàààààààààà!!!!!”

Fu tutto quello che Matthew poté dire mentre partiva spedito verso destinazione ignota. Anche se, per localizzarlo, oltre che sul monitor al quarzo del quale il radiocomando era dotato, se ne poteva seguire il percorso individuando il punto dal quale provenivano gli improperi che urlava.

“Bastarda, ferma questo trabiccolo... fermalo adesso!” Le intimò quando transitò a velocità sostenuta davanti a loro per la seconda volta.

“La  prossima volta che passi vicino a quella alzale la gonna!“

L’esortò Tati per tutta risposta, ridendo a più riprese. Si stava divertendo da morire e non avrebbe rinunciato a quello spasso per nulla al mondo, purtroppo per lei però, Matthew, che si teneva ai braccioli come un disperato, non seguì il suo consiglio e le sottane della sconosciuta donzella rimasero al loro posto.

Alla successiva circonvoluzione tuttavia decise di dare al poveraccio un po’ di tregua e rallentò progressivamente la sua corsa facendolo avvicinare.

“Se riesco a scendere da qui sopra, giuro su dio che ti stacco un braccio e ti picchio con quello!” Le promise non appena fu in grado d riprendere fiato, quindi facendole gli occhi dolci supplichevolmente aggiunse: “Per pietà, dammi almeno il tempo di farmi una sigaretta.”

“Okay lamentoso.” Concesse, frenandone la corsa accanto alla panchina dove si era accomodata, quindi si peritò persino d’informarsi. “Dì la verità, ti stai divertendo da morire!”

“Che faccia di culo che hai!”

Proruppe questi inalberando un’aria molto offesa, poi non ce la fece più a reggere la parte e scoppiò a ridere, contagiando entrambe che lo seguirono a ruota.

“Accidenti a te“, continuò asciugandosi gli occhi, “sì mi sto proprio divertendo da morire. Talmente, che se continuo così tra un po’ dovranno inserire anche la voce infarto alla mia cartella clinica!”

“Guarda che volendo la posso anche farla impennare...” Lo minacciò Tati alzando in modo intimidatorio il radiocomando. 

“No porca miseria!” Strepitò atterrito, quindi, davvero ammirato e con tono di lusinga, chiese: “Ma dimmi , davvero l’hai costruito tu quest’arnese?”  

“Ovvio, con chi credi di aver a che fare bello? Io sono un gran genio della meccanica.”

“Mm, che modestia... Però brava, i miei complimenti.“ Fece un pausa , la fissò pensieroso da capo a piedi e ghignando aggiunse: “Sei carina la metà delle tue sorelle, ma con un cacciavite in mano fai miracoli. Chissà, forse un metalmeccanico che ti si piglia lo trovi!”

“Brutto figlio di... okay te la sei voluta, vatti a fare un altro giro!”

Scherzosamente adirata Tati innestò la retro e, con un repentino testacoda, lo spedì a rotta di collo nella direzione opposta alla quale si trovavano, forse ci mise fin troppo impeto, tanto che Kelly fece appena in tempo a strapparle il telecomando dalle mani per scongiurare che finisse chissà dove. Intanto l’eco di un non dicevo sul serioooohhh riecheggiava tra gli alberi del parco facendone volare via i passerotti.

Quella sera non erano neppure le nove quando Matthew crollò spossato dalla stanchezza e, una volta tanto, era grato del fatto di non doversi muovere dal letto, oltre d’avere qualche ora da trascorrere da solo per poter riflettere in tutta libertà.

Le ragazze se n’erano andate da poco, ma solo dopo averlo spompato ben bene all’aperto, dopodiché erano tornati su e Kelly aveva tirato fuori tanta di quella roba da mangiare, che alla fine il frugale pasto s’era rapidamente trasformato in un merendone al quale avevano attivamente partecipato tutti e tre.

Davvero una giornata spensierata questa appena trascorsa, la prima che avesse vissuto in effetti dacché si era risvegliato tra queste quattro mura. E, a prescindere dalla discussione che aveva avuto con Kelly quel mattino, una volta tanto aveva passato parecchie ore di fila senza farsi, né ascoltare, alcuna domanda o riferimento al suo passato. Certo che quelle tre erano proprio imprevedibili e ognuna stava tentando d’aiutarlo a modo suo, col risultato che oggi si era proprio svagato e, soprattutto, rilassato. Anche se doveva ammettere che la presenza di Sheila gli era mancata, chissà quale impegno aveva avuto?

Possibile mai che fosse qualcosa di tanto impegnativo da impedirle di venir lì? L’indomani gliel’avrebbe chiesto senz’altro, nella speranza, ovviamente, che la sua assenza non fosse dipesa dal doversi incontrare con qualche bellimbusto…

“Ma che razza d’idee mi sto facendo?” Si chiese sorpreso.

Sì, d’accordo, diceva di essere la sua fidanzata e di conseguenza ci si sarebbe aspettati che si comportasse come tale, in condizioni normali però. E, siccome la sua non era per niente una condizione ordinaria, non gli andava d’imporle un compito simile, ché doveva essere davvero un impegno gravoso, oltre che barboso, quello di stargli appresso tutto il santo giorno.

Non poteva mica pretenderlo, oppure sì?  Inoltre, seppure si fosse vista con qualcun altro, lui che avrebbe fatto? Anzi, per meglio dire, che avrebbe potuto fare? Nulla, poiché praticamente era in balia delle sue decisioni e dei suoi umori.

Sbuffò contrariato, troppo la sua assenza gli stava pesando e dirglielo non era sicuro, perché non poteva sapere come avrebbe reagito, oltre al fatto che poteva sbattersene bellamente alla faccia sua. E a quel briciolo di dignità che gli era rimasto ci teneva, porco mondo!

“Che gran casino...” Pensò, e si disse svariate volte, prima di cadere in un sonno profondo.

 

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Capitolo 9
*** 9 ***


 

 

L’indomani mattina Sheila, non riuscendo più a trattenere l’impazienza, si recò molto presto in ospedale. Addirittura prima che scattasse l’ordinario orario di visita, giacché la concreta possibilità che qualcuno, o qualcosa, le vietasse l’accesso, le sarebbe stata oltremodo gradita. Che ben venisse un piantagrane qualsiasi, pensò innestando rabbiosa la retromarcia mentre usciva dal garage, l’avrebbe accolto come una vera manna. Accidenti, aveva i nervi talmente tesi che, al minimo segno d’ostilità da parte di chiunque, a furia di unghiate gli avrebbe ridotto la faccia a coriandoli!

Certo, pensò perplessa, se qualcuno l’avesse vista in quell’ipotetico frangente davvero avrebbe stentato a crederci, ché di norma non era affatto un’attaccabrighe. Ma andava detto a sua discolpa che questa bellicosità era il risultato dell’incessante rimescolio cui era stata soggetta fin dal giorno prima. Esattamente dal momento in cui aveva realizzato che pensare per tutto il tempo al suo fidanzato, non solo era un’attività alla quale normalmente stava indulgendo molto più del dovuto, ma che soprattutto non aggradava affatto la sua autostima.

Il colmo poi l’aveva raggiunto quando si era resa conto che se lo stava pure giustificando razionalmente, motivandolo col dato che, non vedendolo da ventiquatt’ore, era pure normale!

Riflessione questa che già da sol bastava e avanzava.  

Ovviamente il suo scazzo mattutino non aveva le sue basi solo su questo, ché il carico da cento lo avevano aggiunto la sera prima le pie dame di san Vincenzo le quali, tornate all’ovile, avevano mandato definitivamente al diavolo quel poco di ragionevolezza che era riuscita ad imbastire nel frattempo.

Durante la cena infatti le avevano raccontato incessanti, e senza nessuna pietà, di quanto si fossero divertite quel pomeriggio e, a neppure a metà dell’allegra narrazione, con una repentina ed inaspettata consapevolezza, Sheila aveva chiaramente avvertito elevarsi dentro di lei, dai recessi dove normalmente l’occultava, una tal stizza e gelosia che restò sgomenta. Quindi, considerati i picchi himalayani che stavano raggiungendo, ben si era guardata dal palesarlo. Innanzitutto perché se ne vergognava, in secondo luogo perché proprio non avrebbe sopportato gli sfottò di Tati in merito e non ultimo perché in fondo, molto in fondo, tentò di persuadersi che doveva essere davvero contenta per il fatto che quei tre avessero instaurato un buon rapporto. Senza contare che Matthew finalmente pareva avesse passato delle ore autenticamente liete.

Per cui, dove stava il problema?

Da nessuna parte sembrava, anche se una vocina dentro di lei, parecchio molesta ed insistente, continuava a ripeterle che sarebbe stata molto più felice se la fonte di quella gioia fosse stata solo ed esclusivamente lei.

Insomma, si disse accelerando pericolosamente in una zona dove il limite di velocità era fissato sui 40 km/h, tutto questo calderone emotivo la stava logorando. Soprattutto perché smussava pericolosamente i contorni dei pilastri cui sempre tentava d’aspirare e  sentimenti quali egoismo, competitività e cruccio dai quali stava venendo pervasa, nulla avevano a che fare con la triade di beltà, bontà e comprensione cui le piaceva fregiarsi.

Da qui in suo desiderio neanche troppo nascosto di sfogare la frustrazione con una sacrosanta litigata con chicchessia, ma fortuna volle che a causa di un provvidenziale sciopero dei trasporti, la tangenziale, nonché tutto il raccordo che conduceva all’ospedale, fosse intasata da un bell’ingorgo a croce uncinata. Il che le diede l’opportunità di venir a più miti consigli e di ripromettersi che da quel momento in poi tutte le ore che avrebbe trascorso insieme a Matthew sarebbero state altrettanto memorabili di quelle da lui trascorse in sua assenza il giorno prima.  Risoluzione questa che rianimò il suo buonumore latitante e che la portò fino al suo reparto vivacizzata da una smania che proprio non sapeva spiegarsi. Peccato però che quando arrivò nella sua camera di lui non ci fosse traccia.

Indecisa sul da farsi, stava per andare a chiederlo al medico di turno, ma sull’uscio s’imbatté nella psichiatra e, dalla faccia che questa fece, fu evidente che sperava proprio d’incontrarla.

“E’ col fisioterapista.” Esordì subito la donna, ancor prima che Sheila potesse farle qualsiasi domanda. “Ma, visto che siamo qui, vorrei approfittare di qualche minuto del suo tempo per farle qualche domanda. Le dispiacerebbe seguirmi?“

Sheila annuì e silenziosamente le andò dietro, chiedendosi nel frattempo perché costei le ispirasse antipatia. Magari era per via dell’apparenza impersonale che ostentava, oppure si trattava di una avversione spontanea, cosa che in genere le succedeva, anche se si augurava vivamente di no, poiché, quando a pelle provava insofferenza verso una persona, non c’era niente da fare, e, visto che in questo caso c’entrava strettamente la salute di Matthew, sarebbe stato infinitamente meglio che si fosse data una veloce regolata in merito.

Sospirando sperò di riuscirci, ma era dettaglio significativo che costei le ricordava molto Alice Asatani, dagli identici occhiali da miope, fino alla medesima sufficienza con cui le parlava.

Eppure, con sua grande sorpresa, la dottoressa la condusse nell’ultimo posto in cui si sarebbe aspettata, non il suo ambulatorio infatti, bensì nel parco, verso le panchine che si affacciavano sul laghetto artificiale. Dopodiché si sedette, le fece segno d’accomodarsi e,  dopo alcuni minuti di silenzio, durante i quali la tentazione di Sheila di mandarla al diavolo aumentava sempre di più, si accese una sigaretta, la fissò indagativa e finalmente diede il via alle danze.

“Questa è una chiacchierata informale signorina, sebbene sia nell’interesse del paziente. Ma ci tengo a sottolinearlo, sa la normativa sulla privacy.” Esordì, mentre per effetto della luce gli occhiali le mandarono un barbaglio metallico, quasi a sottolineare quanto aveva appena affermato. 

Naturalmente.” Assentì Sheila, per nulla impressionata, sentendo la sua avversione crescere e prosperare.  

“Come le dissi qualche giorno fa, conoscere le impressioni altrui su questo caso  aiuterebbe parecchio il mio lavoro. Purtroppo infatti le basi su cui attualmente opero sono piuttosto scarne, malgrado a giorni alterni veda il signor Isman e abbia con lui dei lunghi colloqui. Sfortunatamente le sedute a cui lo sottopongo per il momento non hanno portato ad alcun risultato concreto, anche se, com’è ovvio, ne sto traendo delle conclusioni. Per questo motivo avrei delle cose da chiederle. Innanzi tutto, tenendo ben presente il tipo di persona prima dell’amnesia, lo trova cambiato?”

Bella domanda!

Pensò Sheila abbondando quanto a sarcasmo, in effetti era proprio quanto s’aspettava, per cui non aveva bisogno di rifletterci più di tanto per risponderle. Oltre al fatto che, a prescindere dalla banalità del quesito, non stava facendo altro che pensarci da quando aveva messo piede la prima volta lì dentro giorni prima. Restava il fatto comunque che costei fosse la sua terapista e quindi doveva mettere da parte, almeno per il momento, i suoi sentimenti e badare ad essere quanto più sincera possibile.

“Sì, notevolmente.” Fece meditabonda e tentò di spiegarsi meglio. “A prescindere dal fatto che non ricorda assolutamente nulla, in alcuni atteggiamenti è differente, senza contare tutti quei dettagli marginali che altri non noterebbero, ma che per me che lo conoscevo così bene, sono lampanti.”

“Potrebbe essere più specifica?”

“E’ molto più disinibito, meno impacciato nei gesti e nelle parole, come se volesse nascondersi dietro all’ironia… è diffidente, prima potevo leggergli dentro come in un libro aperto, ora difficilmente ci riuscirei.”  

Ammise tutto ad un tratto sentendosi triste, ma non ebbe il tempo di indugiarci più di tanto perché la donna riprese ad incalzarla.

“Senta, lo so che non sono affari miei, ma sfortunatamente le vostre faccende personali hanno il loro peso, per cui devo chiederglielo. Se ho inteso bene, al nostro primo incontro lei specificò di esserne la fidanzata, quantunque per un lungo periodo non vi siate visti. Presumo quindi che tra voi ci sia stato un distacco .”

“Vada avanti.” Replicò Sheila laconica.

“Ora, perdoni l’indiscrezione, è stato un allontanamento doloroso?” 

“Ne conosce qualcuno che non lo sia?” Chiese di rimando in modo abbastanza brusco. Certo quella donna stava facendo il suo lavoro, ma richiamare alla memoria quei momenti non era piacevole, specialmente davanti ad un’estranea. Ad ogni modo si rese conto che comportandosi in quel modo non sarebbero arrivate da nessuna parte, quindi le rispose esplicita.

“Sì è stato estremamente doloroso, per entrambi, ci tengo a sottolinearlo. E mi permetta di aggiungere un’altra cosa, lo fu soprattutto perché estemporaneo, non voluto e soprattutto perché eravamo ancora molto legati.“

“Creda signorina“, si giustificò la dottoressa, che per la prima volta appariva a disagio davanti alla dura reazione suscitata, “non sono qui per pescare nel torbido, tanto meno per impacciarmi della sua vita. Ma si da il caso che in qualche modo debba tentare di capire da dove scaturisca l’ermetica chiusura che attanaglia il paziente. Fisicamente quest’amnesia prolungata non si spiega, la lesione alla testa che avrebbe potuto provocarla si è riassorbita . Quindi è mia opinione che questo vuoto mentale abbia la sua causa in un trauma di natura psicologica piuttosto che fisiologica.

Vede, quando fu chiaro che stentava a recuperare la memoria, richiesi al comando generale cui faceva capo di mandarmi i suoi attestati di servizio. Ne è risultato che da quando entrò in quell’unità, salvo il periodo di addestramento e alcune brevi licenze, il signor Isman è stato ininterrottamente al lavoro. Carte alla mano ho notato che spesso e volentieri si faceva mettere di servizio, saltando i turni di riposo e le feste comandate. Capisce? Per tutto il tempo si è volutamente negato una tregua, passando da un incarico all’altro senza stacco, il che non è normale. Tutto ciò, sommato a quanto mi ha detto poc’anzi, non fa altro che rafforzare la mia impressione generale, ovvero che il paziente ha fatto di tutto per non avere il tempo materiale per pensare. E’ come se si fosse impegnato su tutti i fronti per dare un colpo di spugna, sottoponendosi a periodi di servizio massacranti e che oserei definire quasi punitivi.

Dopodiché avviene l’attentato e  a causa delle ferite si trova in un stato di amnesia che, da qualunque lato la si guardi, non può essere che temporanea. Ne concludo quindi che potrebbe darsi egli alimenti inconsciamente questa sua condizione. Ci rifletta, è il presupposto ideale per chi, come lui, pare voglia lasciarsi alle spalle passato.

Naturalmente posso sbagliarmi, ma il fatto che sembri essere diventato più disinvolto, che si celi dietro a comportamenti lontani della sua precedente indole, non fanno altro che convincermi che potrei avere ragione.“

“Spero di no.“ Fu tutto quello che riuscì a dire Sheila con un filo di voce, prima che il groppo che aveva alla gola prendesse il sopravvento. “Altrimenti se così fosse, non guarirà, non vorrà mai guarirne.”

“Faccio delle ipotesi signorina, questa branca della medicina non da certezze. Posso dirle però che siamo ad una fase iniziale, in fondo sono solo pochi giorni che lei e il paziente state interagendo e chissà che la sua presenza non lo smuova. Ed è per questo motivo che le chiedo, davanti a qualsiasi cambiamento o fatto insolito che dovesse notare, che me ne riferisca tempestivamente. Quanto a lei, cerchi di non abbattersi e qualora volesse parlarmi non esiti a farlo.”

“E’ molto gentile da parte sua, ma ora se non le dispiace, vorrei restare un po’ da sola.”

Replicò alzandosi in piedi e andandosene prima che le si riempissero gli occhi di lacrime.

Certo apprezzava il parlar franco, non meno della palese preoccupazione della donna e dell’umanità che celava sotto l’aspetto austero, ma aveva da fare i conti con quanto le supposizioni che le aveva esternato avevano scatenato. Ché ora a tormentarla non era più un mero senso di colpa, bensì la certezza che tutte le azioni sconsiderate che avevano portato Matthew ad un passo dalla fine, avevano come chiave di volta lei.

Il ragionamento della psichiatra non faceva una grinza, Matthew aveva voluto dimenticare e ancora lo voleva, e lei sapeva con certezza di cosa volesse scordarsi. Non faceva nessuna fatica ad immaginarselo furente e scoraggiato, desideroso di obliarsi di tutto quel che considerava il fallimento di una vita. E non solo, giacché era sicura che la sua partenza gli aveva fatto crollare il mondo addosso, non ultimo perché nel frattempo aveva scoperto tutti gl’inganni di cui era stato vittima.

Poteva dargli torto se allora l’aveva considerata una traditrice? No, non poteva. Così come giustificava ampiamente la sua sfiducia nel credere al fatto che lei l’amava davvero e che aveva sofferto molto più di lui nell’ingannarlo. E beffa delle beffe, Matthew, pur sapendolo, non  le aveva rinfacciato di essere anche l’artefice dei suoi striminziti successi lavorativi. In un soprassalto d’orgoglio ferito le aveva voltato le spalle, andandosene in un dignitoso silenzio, sordo alle sue parole, incurante di quanto lo stava implorando di capire. Sì, era più che comprensibile che volesse dimenticare, cancellare del tutto l’onta, l’amore ingannato e la delusione tremenda che ne scaturiva.

Si sentiva impotente davanti a tutto questo e ancora una volta si chiese che diritto aveva avuto di sacrificarlo sull’altare della sua venerazione per il padre. Prima gli aveva distrutto la vita e poi aveva scelto di abbandonarlo, decisione questa solo sua, per niente imposta. L’amava allora e l’amava adesso, ma al dunque aveva scelto suo padre.

Che il cercarlo invano per tanto tempo fosse stata la giusta punizione per questa sua colpa? No! Non era possibile, decisamente non sarebbe stato abbastanza, ché alla fine era stato comunque Matthew a pagarne le pene più grandi.

Tremante si accasciò sulla panchina e prendendosi il volto tra le mani diede sfogo a  tutto il suo dolore, piangendo tutte quelle lacrime a cui non aveva mai voluto dare sbocco. Aveva cercato di essere sempre forte, puntellandosi nella convinzione di essere nel giusto,  invece adesso scopriva di aver sbagliato tutto e che i suoi errori li stava pagando sulla sua pelle esattamente l’ultima persona cui avrebbe voluto. 

Nel suo dolore non si accorse affatto del rumore prodotto dal motorino elettrico della sedia a rotelle che s’avvicinava. Matthew infatti l’aveva vista da una finestra e, invece di attendere che fosse lei a salire, aveva deciso di raggiungerla dabbasso. Tanto ormai si sentiva abbastanza autonomo con quella specie di carriola all’avanguardia e se ne fregava altamente se con quella suscitava l’ilarità dei più, anzi doveva proprio metterci un’antenna con su una  bandierina, alla faccia loro, tié!

Silenziosamente si era accostato, come per farle una sorpresa, ma ad una decina di metri di distanza cambiò idea, si era accorto infatti che c’era qualcosa che non andava. Era chiaro che Sheila stava piangendo, ne ignorava il motivo, ma ciò non significava che non gli dispiacesse. Quella vista avrebbe toccato il cuore di chiunque e, nel suo caso, si sentiva a maggior ragione coinvolto. Avvertì dentro di sé un gran turbamento, non era affatto giusto che una ragazza come lei dovesse dolersi e, nonostante gli arti immobilizzati, si sentì pronto a riempire di botte l’eventuale cagione di tanta angoscia.

“Ehi, ma che succede?“ Le chiese, dopo qualche minuto d’indecisione, quando fu abbastanza vicino.

“Non è niente.” Replicò l’altra scuotendosi e tentando di pulirsi gli occhi furtivamente.

“Ah no?“ Fece lui  grattandosi il mento pensieroso. “Vabbé se non vuoi dirmelo sei libera di farlo e hai tutte le tue ragioni. Però“, aggiunse mettendole fraternamente una mano sulla spalla, “non pensare di potermi prendere per il sedere. E’ chiaro come il sole che stavi frignando e, a  meno che non ti diverti a passare i momenti liberi in questo modo, qualcosa deve essere accaduto.”

Davanti a quella logica stringente Sheila si limitò a guardarlo vacua, chiedendosi se davvero potesse parlargli, per la prima volta, a cuore aperto e senza nessun timore. Se avesse provato, lui avrebbe fatto altrettanto in futuro? In fin dei conti tra loro qualcuno doveva pur cominciare e forse era il caso di farlo, una volta per tutte.

“Sai la psichiatra mi ha parlato un po’ di te”, cominciò esitante mentre lui la fissava attento, “ e mi ha detto cose che mi hanno fatto sentire in colpa in un certo senso. Vedi quando sono partita tra noi non andava troppo bene, anzi per niente. Ce l’avevi a morte con me e io non posso far a meno di pensare che se non fosse stato per le mie azioni ora non ti troveresti in questa situazione. Se avessi...”

“Stop , basta così! “ L’interruppe fulmineamente Matthew, dopodiché tranquillo le prese la mano e continuò.  “Sentimi bene, se avessi, se fossi e se potessi, sono tre verbi fessi! Lo dice sempre anche l’infermiere che mi accompagna alla toilette!”

Esclamò sperando, come al solito che con una battuta di spirito potessero uscire da quell’empasse. Ma visto che quel gioco di parole pareva non sortire l’effetto voluto, si fece serio e tentò di dar voce a quel che sentiva.

“Ora ascolta, io non lo voglio sapere perché ce l’avevo con te, davvero. O perlomeno non ancora. Non sono in grado di avere una reazione come si deve adesso, capisci? Direi o farei comunque la cosa sbagliata e credimi, per quanto cretino potessi essere, e lo dovevo essere abbastanza a quanto mi dici, non voglio pensare che abbia fatto tutte le mie scelte solo a causa tua. E poi, sai che ti dico? Se pure fosse, vuol dire che era destino.

E non fare quella faccia, se c’è una cosa che ho imparato da tutta questa storia è che a volte le cose succedono e che non c’è niente da fare. In fin dei conti anche tu mi sei arrivata per caso, no ? E, siccome non smetterò mai di ringraziare abbastanza il cielo per questo, direi che è inutile incimurrirsi troppo sul resto, fidati.”

“Matthew sei molto gentile a dirmi queste parole...”

“E immagino che pensi che lo faccia solo per farti passare i cinque minuti, vero? Beh sì, anche, ma non del tutto. Sai tu mi piaci proprio, al di là di quello che può essere accaduto precedentemente tra noi. E penso che se una come te, che potrebbe far rincitrullire chiunque, in una giornata d’estate bella come questa, invece di starsene a mare, sta qui a perdere tempo appresso a me, allora vuol dire che tutto quanto è accaduto ha comunque un senso. E poi che cavolo, tutto ciò fa di me un cavaliere splendido splendente e ne devo approfittare, hai visto mai che ti smuovi abbastanza da farti dare un bacetto?!”

Concluse ridendo soddisfatto, stava facendo dello spirito ovviamente e non s’aspettava nulla di più a questa battuta, ma Sheila, per tutta replica, di slancio si protese in avanti e lo abbracciò strettamente.

In quel momento gli si sentiva vicina come non mai, quel che le aveva detto infatti erano state un balsamo per il suo cuore afflitto e la gentilezza che dimostravano non poteva essere fittizia. E anche il fatto che avesse mischiato serietà e facezie dimostrava ancora una volta che stava facendo del suo meglio per tirarle su il morale. Poteva sembrare un atteggiamento da superficiale il suo, eppure era riuscito laddove un discorso solenne avrebbe fallito intristendola ancora di più.

Forse, pensò, Matthew adesso era sospeso tra questo suo nuovo modo di essere e quello precedente, pur tuttavia la sua dolcezza d’animo era rimasta intatta. E davanti a questa palese dimostrazione d’affetto disinteressato spontaneamente gli si strinse addosso come per volergli comunicare che per lei era lo stesso. Ma con un soprassalto di sorpresa si costrinse ad allentare progressivamente il suo abbraccio, ché per la prima volta stava toccando con mano la reale situazione della sua debolezza. Tanto era deabilitato che le ossa gli si potevano contare una ad una e temeva di avergli fatto male con quell’impeto.

Preoccupazione superflua la sua, giacché questi non aveva intenzione alcuna di mollarla, né di farle abbandonare la presa, in quanto quel semplice gesto non solo gli dava quiete, ma anche un benessere fin lì ignorato. D’altro canto però non poteva imporsi a quel modo e soprattutto non finché non avesse saputo esattamente dove finiva la commiserazione e cominciavano i sentimenti veri.

“A proposito“, fece quando infine Sheila si staccò, molto imbarazzata per quella che considerava un’audacia, “volevo chiederti una cosa, hai mai portato i capelli corti?”

“Perché?” Chiese stupita mentre una lievissima speranza iniziava a farsi strada nella sua ansia.

“Stanotte ti ho sognato e avevi i capelli corti.” Replicò con fare casuale, ma era evidente che aspettava la risposta con manifesta apprensione.

“Quando ci siamo conosciuti li avevo corti.”

“Mm, mm.” Mugugnò meditabondo senza saperne dare un significato o a quanto potesse sottintendere. Una coincidenza o forse un progresso? Chissà, non voleva darci troppo peso, per cui passò all’altra notizia che aveva da darle.

“Ah, quasi mi dimenticavo, lo sai che alla fine della settimana cominceranno a togliermi i punti? E mi hanno pure detto che, se non mi lancio più dal letto, tra una decina di giorni possono togliermi il gesso alla gamba, che ne dici?”

“Ma è meraviglioso tesoro!”

Oh, oh, tesoro eh?

Pensò Matthew ghignando, ma senza osare altro, ché per quel giorno poteva ritenersi abbastanza soddisfatto.

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Capitolo 10
*** 10 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

Non ne riparlarono più in seguito, sia del cedimento emotivo di Sheila, che della fugace rimembranza avuta da Matthew.

Chiaramente metteva in imbarazzo entrambi, senza contare che, nelle settimane che seguirono, purtroppo la sua memoria, esattamente come d’improvviso aveva elargito quell’occasionale sprazzo, parve riaddormentarsi di nuovo.

Nel frattempo iniziarono a scucirlo, come amabilmente egli stesso soleva definire l’operazione del togliergli i punti, e, sebbene i medici si prendessero la briga di rassicurarlo sul fatto che stava guarendo con una velocità sorprendente, risultava sempre più difficile   ignorare le cicatrici che gli deturpavano buona parte dell’addome e delle gambe.

Certo, come al solito faceva dell’ironia in proposito, argomentando quanto fosse una vera fortuna che la faccia gli fosse rimasta integra. Ciò, chiariva ironico, non tanto per una questione di mera estetica, quanto perché era stato succintamente informato che in genere la sede epidermica preferita della chirurgia plastica era il sedere, e francamente non ci teneva a ritrovarsi la faccia come il culo.

Questi i ragionamenti con i quali tentava di convincere quanti gli stavano intorno e costoro, considerando che non era mai stato uno troppo fissato col proprio aspetto, in linea di massima non si preoccupavano troppo in merito. Indubbiamente non si trattava di superficialità, più che altro ritenevano che, rispetto all’amnesi, quello fosse un problema secondario, quindi  non potevano sapere che quand’era da solo spesso si sbirciava quegli odiosi sfregi e si chiedeva se avrebbe avuto mai il coraggio di mostrarsi privo d’indumenti a chicchessia. Ora come ora, in effetti, pensava non sarebbe riuscito neppure a mettersi in costume da bagno, poiché se a lui, legittimo proprietario di quel corpo e di conseguenza quello a cui meno conveniva far lo schizzinoso, faceva impressione guardarsi, figuriamoci che bello spettacolo poteva essere per chiunque altro.

“Per ricoprirli mi dovrei far tatuare da capo a piedi.” Pensava avvilito. “Praticamente come tappezzare una catapecchia con una carta da parati a fiori viola.” Ne concludeva, per ritrovarsi immediatamente dopo a scandagliare il misterioso abisso della psiche femminile. Già, perché più la sua conoscenza della fidanzata s’approfondiva e più si ritrovava a non capirci nulla. Nel caso specifico si trattava di un commento casuale fatto da Sheila qualche giorno prima alla vista d’un servizio di moda che stavano dando in tv. Tra l’altro, com’è che, qualunque cosa stesse facendo, come partiva quella roba si  paralizzava innanzi allo schermo? Per quanto lo riguardava infatti trovava noioso da morire quel cianciare in merito all’abbigliamento e in genere, al di là di rifarsi gli occhi con le modelle, cambiava subito canale. Sheila no, anzi pareva proprio interessata a quelle boiate e anzi, la volta in cui era venuta accompagnata da Kelly, ed era partito l’ennesimo servizio fashion al tg, poco ci era mancato che facessero notte là davanti.

Stupito gli era toccato assistere ad un controversia, serrata accidenti, mentre la voce blesa del cronista illustrava quegli abiti ridicoli e loro si accapigliavano riguardo a questo o quel particolare. Come se plissé, lamé, macramè, e altra roba che finiva accentata sul finale, facesse poi sta gran differenza.

Quanto a lui si era detto che magari avessero discusso sull’opportunità d’indossare la sottoveste oppure il baby doll, quello sì che sarebbe stato un quesito interessante e volentieri avrebbe partecipato con slancio alla conversazione, ma visto come stavano i fatti,  si era ben guardato dall’aprir bocca davanti a simili professioniste del settore.

 “Donne!” Mugugnò innervosito.

Eh sì, perché dopo avergli fatto due palle così con discorsi inerenti l’opportunità o meno di un ritorno del vintage, costringendolo il giorno successivo a domandare ad un infermiera ( e non ad un medico o, che so io, ad un altro paziente, poiché, ormai questo l’aveva ben inteso, solo un’altra donna poteva capire il ragionamento di una sua simile) che accidenti fosse sto vintage, le due, alla vista delle sfilate maschili, gli avevano donato l’ennesima perla di saggezza. Ovvero, che l’uomo glabro era decisamente più bello e seducente.

Ecco, a tale affermazione, infatuazione o no per una e rispetto o meno per l’altra, ne aveva concluso che nonostante tutto anche quelle dee di perfezione ed avvenenza potevano talvolta dimostrarsi delle emerite cretine.

Ma che accidenti andavano cianciando? Porca miseria avrebbe pagato oro per ritrovarsi peloso come uno yeti! Sarebbe stata la soluzione ideale, infatti cos’altro se non un bel vello ricciuto avrebbe potuto occultare quello schifo che si ritrovava addosso? E quelle deficienti avevano pure il coraggio di parlare?

Naturalmente evitò d’esporre questa sua tesi, altrimenti come minimo si sarebbe beccato una sequela d’insulti. Forse gli avrebbero dato dello zotico, chissà, ma del demodé sicuramente.

Buon per lui comunque che gli eventi presero un’ottima piega poiché, quando finalmente gli tolsero il gesso dallo stinco,  il suo umore migliorò di molto e non pensò più ad altro. Del resto, visto che a quel punto gli si prospettò che, una volta riacquistata la mobilità, l’avrebbero presto dimesso, che gliene fregava della scarsa peluria che si ritrovava? E neppure la prospettiva di dover tornare spesso in ospedale per i controlli e per le fisioterapie poteva deprimerlo, poiché sarebbe stato libero di andare e venire. Davvero non vedeva l’ora di esserne fuori e, la notizia tanto lo esaltava, che persino le cicatrici per un po’ gli parvero meno vistose.

Una volta esauritasi l’ebbrezza iniziale però cominciò a riflettere su tutta una serie d’incognite che il suo ritorno alla vita civile avrebbe comportato. Tipo, ma lui ce l’aveva una casa? E soprattutto, con quale reddito si sarebbe mantenuto? Orpo, finché se n’era stato mummificato lì dentro il problema non si era posto, in fondo gli servivano i regolamentari tre pasti al giorno, indossava un bel pigiamino a strisce col logo dell’unità sanitaria e girava in carrozzina come un pascià, ma una volta fuori come diavolo avrebbe fatto?

“Porca puttana”, pensò in preda all’apprensione, inquadrando appieno la sua totale incapacità concernente il vissuto pratico, “quasi, quasi mi butto dal terrazzino e mi rompo entrambe le gambe stavolta!”

Ad interrompere questo suo bel pensierino fu la quotidiana visita di Sheila, la quale se ne stava da un bel pezzo sulla porta ad ascoltare gl’incomprensibili brontolii del suo uomo. In effetti Matthew dapprima le era parso assai perplesso, ma in ultima analisi addirittura atterrito e davvero non riusciva ad immaginarsi che diavolo gli fosse preso da agitarsi tanto. In fondo negli ultimi tempi si era di molto tranquillizzato.

“Che succede?” Chiese quindi con fare solo apparentemente leggero.

“Non so cos’è il vintage e sono pure poco peloso, ecco che succede!” Fu la risposta criptica che ne ebbe, al che cominciò davvero a preoccuparsi.

“Mio Dio”, s’allarmò correndo al suo capezzale per sincerarsi del reale stato delle cose, “è in preda al delirio!”

Detto fatto gli passò una mano sulla testa per constatare se avesse la febbre alta ma, visto che al tatto la temperatura le sembrava assolutamente normale, stava per chiamare un medico, nel caso servisse un calmante. Nel mentre tuttavia notò un particolare che precedentemente non le era saltato all’occhio e che adesso invece le brillava davanti agli occhi come se fosse stato inciso a caratteri catarifrangenti.

Col senno di poi entrambi poterono dirsi che forse sarebbe stato meglio se gli avessero sparato una bella dose di prozac, o più esattamente di bromuro, ché l’incidente diplomatico che ne seguì poco mancò mandasse nuovamente al pronto soccorso il degente in uscita. Come tra l’altro fino a pochi istanti prima si era augurato, anche se, innanzi all’ira funesta che scatenò, Matthew si disse che probabilmente sarebbe stato meglio affrontare la realtà esterna, con tutte le problematiche sconosciute che poteva comportare, piuttosto che quell’erinni della sua dolce metà.

Quanto a Sheila davvero si sorprese dell’altarino che credette di star scoprendo, da parecchio infatti Matthew non aveva commesso spropositi, anzi il suo agire era stato a tal punto irreprensibile, che persino la sua irritabilità, così facile a suscitarsi, era rimasta doma.

Tutto questo, appunto, finché non notò che nella parte interna dell’ingessatura al braccio, scampolo che probabilmente quel farabutto del suo fidanzato aveva badato bene a mantenere occultato, c’era qualcosa che in precedenza non compariva e che a vederlo rendeva lei necessitante di un sedativo. Magari di quelli che davano alle bestie feroci in cattività.

In pratica si trattava del segno di un bacio lasciato da un rossetto rosso acceso e sotto c’era perfino la postilla Al bel maschione!.

Abbastanza insomma perché succedesse il finimondo, anche se a tutta prima Matthew non notò affatto il cipiglio truce che gli venne lanciato, tant’è vero che stava tentando di spiegarle dell’esclamazione con la quale l’aveva accolta e soprattutto dell’ingarbugliato ragionamento dal quale deduceva che dal tosone carente sarebbero derivate le sue difficoltà nella routine di tutti i giorni.

Fiato sprecato, perché lei manco lo stava ad ascoltare, recriminando piuttosto tra sé e sé sulla cafonaggine intonsa di quella battona che usava un rossetto così vistoso. Senza contare l’idiozia imperante di quel pappagallo del suo fidanzato che si era fatto irretire da una simile donnaccia.

In breve, Sheila aveva un’espressione talmente acida che quando Matthew si rese conto che si era azzittita da un bel pezzo e si voltò a guardarla, gli bastò uno sguardo per capire che erano finiti sul sentiero di guerra.

“Allora, maschione”, fece calando pesantemente l’accento sulla l’ultima parola, “se è lecito sapere, chi è l’autrice?” Aggiunse cominciando a battere il piede al suolo e portandosi le mani ai fianchi.

Innanzi ad una simile icona della virago tradita al maschione venne quasi da ridere, ma per sua fortuna capì in tempo che non era affatto il caso di fare lo spiritoso.

“Oh andiamo, non ti arrabbierai mica per una cretinata simile?” Chiese ragionevole ed ostentando stupore ma, visto che il cipiglio della donna si faceva sempre più truce, s’affrettò a chiarirle i fatti.

“Me l’ha fatto una ragazza che se è possibile è arrivata qui dentro più scassata di me. Poverina è stata investita mentre attraversava la strada e le hanno fatto una bella ingessatura pure a lei. Ci siamo incontrati qualche settimana fa mentre aspettavamo entrambi di andare dal segaossa e abbiamo iniziato a chiacchierare, tutto qui.”

“E quello?” Insisté per niente convinta da quella spiegazione da santarellino.

“L’altra sera sono andato nell’area comune e ci siamo presi un caffè insieme.” Aggiunse esitante vedendola incupirsi sempre di più, in effetti le parole sera e insieme per Sheila erano già abbastanza.

“E…?” Lo spronò gelida al suo tentennare.  

“E quando ha saputo che di qui a breve mi avrebbero dimesso, ha voluto lasciarmi un ricordino.“ Concluse con aria innocente, sperando, ma senza esserne neanche troppo convinto, che quella spiegazione potesse buttare acqua sul fuoco.

“E dimmi”, fece Sheila con calma simulata, talmente ostentata che al compimento della frase già aveva preso un notevole numero di giri quanto a pressione interna, “com’è che fino ad ora non ne hai mai fatto cenno? E’ strano”, continuò sarcastica facendo il verso al medesimo stupore cui era stata fatto oggetto fino a pochi istanti prima, “mi metti a parte di qualsiasi aspetto della tua vita ospedaliera, ivi comprese tutte le tue difficoltose soste alla toilette, cosa di cui ne farei volentieri a meno, e su questo neppure una parola?”

“Ed è una colpevole omissione?” Fece Matthew sentendo affievolirsi, fino allo spegnimento completo, i bagliori della sua aureola di santità. Già, ormai conosceva quanto basta la pollastra che aveva innanzi, tanto che all’istante ebbe la conferma di essere in un mare di guai. Ciò nonostante non si diede per vinto, ché davvero stava dicendole la sacrosanta verità.

“Mi sarà sfuggito, sai quando capita di incontrarci è sempre per caso. Andiamo Sheila, ma che ti viene in mente? Capirai, abbiamo entrambi la scioltezza di un soprammobile e mica possiamo andare dove ci pare.” Aggiunse conciliate per rendersi prontamente conto che neppure la via della logica sortiva effetto e che la donna pareva proprio non voler mollare l’osso.

Più amabile, blandiscila porca vacca! Gli suggerì una vocina sollecita, quindi facendole un sorriso, che sperò essergli uscito suadente, continuò: “Inoltre trascorro le giornate con te, quindi che bisogno avrei di cercare altra compagnia? Sì, di tanto in tanto c’incrociamo nella sala ricreativa a notte fonda, beh cioè... non di proposito ed assolutamente non in quel senso,  succede, ma mica ci diamo appuntamento…” Concluse di botto rendendosi conto dei lapsus terrificanti che aveva esternato e di star paurosamente tartagliando. Tutti indizi di conclamata colpevolezza.

“E che ne so? Di certo ti stai comportando come uno che ha la coscienza sporca.” Ribatté a questo punto Sheila la quale, sebbene sotto, sotto si rendesse conto che quella discussione fosse assurda, ciò nonostante era furiosa. E come avrebbe potuto altrimenti? Matthew aveva sempre avuta una malsana propensione a fare il casanova da strapazzo, vezzo che, nonostante il più delle volte si risolvesse in ripetuti e clamorosi due di picche, non le era mai andato giù. Inoltre solo il fatto che ci provasse per lei era già più che sufficiente.

 “E dai, non c’è proprio nessun motivo perché tu mi tenga il muso per una sciocchezza simile.” Continuò l’altro con fare convincente, talmente tanto, che per un meraviglioso istante pensò di averla persuasa. Ma poi, volendo strafare, firmò la sua definitiva condanna a morte, giacché non trovò nulla di meglio da dire che: “E poi cerchiamo di essere pratici, niente di male ho fatto e se pure ne avessi avuta l’intenzione, che accidenti avrei potuto combinare conciato così?”

Udita questa chiosa a Sheila andò definitivamente il sangue alla testa e, afferrandolo per il bavero del pigiama,  con un impeto incurante dello stato già confusionale della sua capoccia, si diede a scuoterlo con violenza tellurica.

 “Cosicché se avessi potuto, l’avresti fatto!” Esclamò sbatacchiandolo.

“No, ma che hai capito e fatto cosa poi?” Riuscì ad articolare tra l’ondulatorio ed il sussultorio. Poi, quando finalmente il turbine parve arrestarsi, sebbene non fosse stato ancora mollato e il sisma minacciasse di ricominciare da un momento all’altro, si giustificò. “Ma porca miseria, è mai possibile che prendi tutto alla rovescia? Intendevo dire che questo è un dato di fatto in più, atto a dimostrare che non è successo niente, chiaro?”

“Ma che bravo, arringa perfetta...” Ribatté la donna, con tutta l’intenzione di fargli una predica coi fiocchi, quando sbalordita s’accorse che, approfittando della sua posizione ravvicinata, l’incompreso martire del fraintendimento le aveva passato il braccio sano attorno alla vita e la stava decisamente tirando a sé.

“Che diavolo stai combinando?” Chiese intimidatoria con un sussurro che, se non fosse stato per il particolare che Matthew fosse perso nella contemplazione attenta del suo decolleté, avrebbe potuto paralizzarlo all’istante.  

“Sai stavo pensando che è quasi un mese che ti vedo tutti i giorni e neppure un bacino? Dai accontenta un malato!” L’esortò protendendosi in avanti e portandosi in traiettoria, peccato per lui però che la parabola labiale che stava percorrendo coincidesse perfettamente con l’accelerato che partiva da sud.  Ovvero, per dirla in termini ferroviari, il diretto delle 11.30 transitò puntualissimo sui binari della sua faccia e l’eco del suo passaggio risuonò chiaramente tra le pareti della stanza. 

“Che accidenti credi di fare?!” Gridò furibonda, allontanandosi repentinamente. “Mi credi una così facile!?” 

Matthew scosse il capo, non si sa se per diniego o per schiarirsi le idee, dal momento che aveva piuttosto intontite dopo quel colpo da campione dei pesi massimi. Era l’ennesimo ceffone che si prendeva e, concludendo che l’origine da cui partivano le botte era sempre la stessa, decise di togliersi dal gozzo quel che pensava in proposito una volta per tutte. Ché magari Sheila poteva pure essere parecchio pudica e con un senso della morigeratezza sviluppato all’eccesso, però tutto ciò era frustrante. In fin dei conti non le aveva chiesto nulla di strano, né aveva fatto alcunché di male e che cavolo!

“Facile?” Proruppe stridulo. “Porca Eva, ora capisco com’è che dai tuoi racconti ne esco sempre come un coglione fatto e finito! Ché se per un fetentissimo bacio fai sta’ tragedia è ovvio che me ne debba andare a puttane o verso un convento di bonzi!”

“Ma che razza di bastardo!” Esclamò fremente davanti a quel linguaggio da caserma. Cosicché quel bifolco allupato era lì che voleva arrivare?  Bene, l’avrebbe illuminato in proposito una volta per tutte. “Se è questo che vuoi da me, te lo puoi scordare Matthew. Io me ne vado e tu arrangiati!” Strepitò al colmo della rabbia, uscendosene prima di cedere all’irrefrenabile impulso di prenderlo a bastonate con le sue stesse stampelle.

“Fai come cazzo ti pare!“ Si sentì urlare di rimando, dopodiché, a seguire il rumore della porta violentemente sbattuta, calò un silenzio di tomba.  

Nel frattempo, all’altro capo della città, Kelly era alle prese con i capricci e le borie telefoniche dell’inafferrabile pittore russo che aveva avuto la malsana idea d’ingaggiare. Quella era la decima telefonata che gli faceva e mettere a punto tutti i dettagli per la sua ormai prossima mostra alla galleria, aveva assai provato la sua conclamata pazienza. Per cui, quando vide Sheila entrare come un fulmine e andare a chiudersi nel suo ufficio, si chiese quante ancora ne poteva sopportare per quel giorno.

Esortandosi ad essere forte, e sapendo di dover intervenire, si accinse ad affrontare la buriana. Solo non poteva far a meno d’interrogarsi, intanto che ascoltava con un orecchio solo le lamentele di Misha Sgravroj, sull’accidenti che stavolta era intercorso trai fidanzatini litighini.

Già, si disse ridendo maliziosamente, pareva strano che per alcune settimane tutto fosse filato liscio. Comunque era del tutto inutile perdersi in illazioni, meglio andare direttamente alla fonte, pensò varcando la soglia dello studio di sua sorella e trovandola che pestava con impeto la tastiera del computer. Rifletté un attimo studiandone l’espressione assolutamente iraconda e ne dedusse che la situazione era molto peggio di quanto si fosse figurata. Stava per chiederle cosa fosse accaduto, quando venne investita da una scarica di recriminazioni.

“Guarda qua che casino! Basta che mi assenti un giorno e non si capisce più niente qua dentro!”

“Andiamo sorellina.” La sollecitò un po’ piccata, tutto era in ordine come al solito e meno che mai aveva alterato i dati del suo computer. Sospirò e si diede a dipanare quella che prometteva d’essere una matassa assai ingarbugliata. “Sheila sai benissimo che tutto è rimasto come l’hai lasciato. E’ evidente che sei arrabbiata, però non rivalertela su di me.”

“Non direi!” Replicò quest’ultima ignorando le offerte di pace che le venivano porte. “Altrimenti perché la mostra del fotografo australiano su cui ho lavorato tanto è stata sostituita da questo tizio dal nome impronunciabile? Non so neppure chi accidenti è!”

“Allora”, Kelly si sedette di fronte a lei ed accavallò le gambe, la cosa prometteva di andare per le lunghe, per cui tanto valeva mettersi comoda, “mi rendo conto che hai fatto molti sforzi per organizzare quel vernissage, ma si da il caso che l’autore per il quale tanto ti sei data da fare sia un buzzurro a caccia di notorietà e denaro facile. Oltre al fatto che mentre eri impegnata altrove mi ha letteralmente reso la vita impossibile. Di conseguenza ho deciso d’accantonarlo momentaneamente, almeno finché non cala le penne, e di dedicarci alle installazioni del russo. Sgravrokj pure ha un sacco di pretese, ma è molto più interessante te l’assicuro.” Le spiegò, quindi l’invitò a visionare i file inerenti le opere che più l’avevano colpita, in modo che si rendesse conto di che cosa stava parlando. “Te l’ho anche accennato l’altro giorno, ma quanto pare non mi stavi neppure ascoltando, anche se hai annuito.”

“Non me ne ricordo affatto.” Ammise Sheila sbuffando e iniziando a calmarsi. “Scusami per prima, davvero. Ultimamente sono così stanca, che non mi meraviglia stia cadendo dalle nuvole . E tutto questo per cosa poi?” S’infervorò nuovamente, facendo intuire alla sua perspicace sorella che si stavano avvicinando al nocciolo del problema. “Trascuro il mio lavoro, i miei interessi e non ultima la mia famiglia, per cosa? Maledetto maniaco ingrato!”

“Presumo stia parlando di Matthew, che ha combinato?”

“Quell’animale, se solo ci penso!” Inveì, evitando di rispondere alla domanda ed  incrociando le braccia risoluta. “Adesso però basta, gli ho dedicato perfino troppo tempo, la pacchia è finita!“

“Okay, non me lo vuoi dire.” Fece Kelly levando gli occhi al cielo e, anche se non era persona informata dei fatti, bastava notare come fosse arrossita in malo modo la sorella per capire. La solita storia, quei due non sarebbero cambiati proprio mai, neppure a ottant’anni. Comunque cercò di darsi un contegno, visto che Sheila fissava in un modo che non le faceva prevedere nulla di buono il sorrisetto che le era salito spontaneo alle labbra, e decise che era il caso di partire in missione di salvezza. Ché a lasciarli fare, sarebbero stati capaci di trascinarla all’infinito.

“Facciamo così sorellina, ti lascio alle prese con il fascicolo su Sgravrokj , che tra l’altro dovrebbe essere qui tra circa un paio d’ore. Studiatelo con calma, così al suo arrivo potrai spupazzartelo in modo che gli sembrerà che si faccia come vuole lui, mentre invece si fa come dal progetto che da brava ti leggerai. Eventualmente volessi apportare delle migliorie al mio piano di lavoro, fa’ pure, non c’è problema.” 

“Ma come, te ne vai e mi lasci con questa patata bollente?” Chiese stupefatta.

“Guarda cara che sto andando a togliertele le castagne dal fuoco.” Replicò prendendo gli occhiali da sole dalla borsetta e soffermandosi sulla porta a darsi un’occhiata veloce allo specchio. “E credimi, questo ti costerà perlomeno un turno in più ai fornelli questa settimana.”

“No Kelly, non mi piace questa storia. So benissimo che stai andando da quell’invasato e ti posso assicurare che è assolutamente inutile, perché non lo voglio più vedere.”

“Davvero?” Fece con aria sorniona prima d’infilare l’uscio. “D’accordo come vuoi, ma si da il caso che questo non valga anche per me. E siccome mi è venuta una gran voglia di farci due chiacchiere, vado.” Concluse avviandosi di buon passo mentre scuoteva garbatamente la testa.

Una volta in macchina cercò di pensare a come affrontare quell’altro zuccone, anche perché non sapeva affatto cosa aspettarsi. Già, di regola Matthew dopo un’iniziale irragionevolezza, la stava ad ascoltare e poi tentava di seguire i suoi consigli, presentandosi a Sheila con aria tragica da penitente. Ma adesso quale sarebbe stata la sua reazione? Difficile dirlo, tanto poteva essere una scheggia impazzita, quanto abbattuto dallo scambio salace che certamente aveva avuto con sua sorella. Perciò Kelly si preparò mentalmente alcune strategie psicologicamente ad effetto che potessero occorrere nell’uno o nell’altro caso. Una Freud in gonnella praticamente, peccato che il suo cogitare risultò essere assolutamente vano, poiché, con sua grande sorpresa, ad attenderla c’era una persona visibilmente serafica e che tra l’altro s’aspettava la sua venuta. Tant’è fu accolta sul balcone, dove se ne stava stravaccato a torso nudo sulla straio, come se fosse in riva al mare, da un: “Già qui?”  

Alla sua faccia sbalordita Matthew chiarì sia che aveva immaginato sarebbe giunta in missione diplomatica, sia che gli occorreva abbronzarsi perché aveva il colorito del latte scaduto.  

Beh, pensò Kelly presa di contropiede, meglio trovarlo disteso che collerico. Quindi,  accomodandosi sulla sedia accanto alla sua e mantenendosi inizialmente sul generico, esordì:  “Allora, come andiamo?”

“Tua sorella è assolutamente fuori di testa.” Rispose, andando diritto al cuore della situazione, senza neppure prendersi la briga di perdersi in convenevoli.

“Non perdi tempo eh? Meglio così, in questo modo possiamo evitare inutili giri di parole. Allora cognato, che le hai fatto? Non ti nascondo che Sheila è arrivata in galleria con tutta l’aria di chi ti passerebbe volentieri sopra con un tir.”

“Non ce ne sarebbe bisogno.“ Affermò impermalito, voltando la faccia, in modo che la donna potesse vedere il segno cremisi che gli spiccava sulla sua guancia.

“Ahi!” Rise, pur senza volerlo. “Mammamia , allora è proprio come penso?”

“Senti, non lo so. Ma questo è il secondo scapaccione che mi becco senza un motivo accettabile. Fossi arrivato dove volevo, magari ne sarebbe valsa almeno la pena.” Si lamentò fregandosene altamente del decoro, del resto, Kelly voleva far sempre la salvatrice della patria? Ebbene, che sapesse allora.

“Non stavo facendo nulla d’anormale, era una semplice effusione, il che dovrebbe essere abituale tra due che stanno insieme, tu che dici? A saperlo che finivo preso a mazzate, ci avrei provato molto prima, così mi toglievo il pensiero subito.”

“Sei troppo pragmatico, è questo il problema.” Rispose compassata, in effetti capiva il suo punto di vista, ma non poteva certo dargli ragione. Quindi con espressione e voce ricche d’enfasi aggiunse:  “Matthew tu dai per scontate cose che forse non lo sono.”

“Ma fammi il piacere Kelly, eppure ti credevo una donna di mondo!” Sbottò punto sul vivo. Poteva essere mai che alla loro età ancora dovevano arrivare al dunque? Era questo che stava tentando di fargli intendere? Ecco il punto dolente, lei, in quanto sorella e confidente, di sicuro ne doveva sapere qualcosa. Ma lui era pronto a sentirsi spiattellare la verità? Forse no, per cui preferì chiarire bene il concetto: “Mettiamo i puntini sulle i, ho tentato di darle un bacio, mica di farle il servizio completo.”

“Ci credo, altrimenti a quest’ora staresti molto peggio vecchio mio!” Replicò l’altra senza riuscire a trattenere oltre l’ilarità e, nonostante tutto, Matthew si ritrovò a sghignazzare insieme a lei.

“Guarda, e ti prego di non dirglielo, ma tra me e me la chiamo la Tigra!“

“Appropriato”, annuì, poi, inalberando una serietà improvvisa continuò, “ma converrai con me che abbiamo un caso difficile da risolvere. Sai, a quanto mi ha detto, temo dovrai farti un periodo di purgatorio, non so fino a che punto precisato.”

“Figuriamoci, sarebbe stato troppo bello se me la fossi cavata solo con quel diretto alla faccia. Comunque, se ha deciso di non venire più qui, faccia pure.“ Replicò cocciuto barricandosi nella convinzione della legittimità delle proprie azioni.

Sconsolata Kelly si chiese perché dovesse sempre trovarsi, suo malgrado, a dover appianare le questioni tra qui due immani duri di testa. 

“Mi deludi sai?” Cominciò con aria alquanto severa, tanto che lui per la prima volta sembrò assumere un contegno meno indolente. “Innanzitutto perché Sheila ti si sta dedicando  anima e corpo...”

“Corpo non direi proprio!” L’interruppe salace.

“Non fare il cretino e ascoltami fino in fondo.” L’ammonì, seccata come non l’aveva mai vista, al punto che, contrito, non fiatò più. Del resto il sangue non era acqua e quelle due si somigliavano più di quanto supponessero.

“E’ stata molto in ansia per te e lo è tutt’ora. Sta ignorando le sue occupazioni per mettere  te in cima alla lista delle sue priorità. E ritieni che questo sia una prova di freddezza? Oppure credi che lo faccia per una forma di contorta abnegazione verso un passato che non c’è più? Ritengo non ci sia bisogno di rispondere a queste domande, il motivo è chiaro come il sole e anche tu lo sai bene.“

“Mah, mica tanto.” Bofonchiò con espressione colpevole, tutto quel discorso lo stava mettendo terribilmente in imbarazzo, facendolo sentire un autentico pezzo di merda.

“Ora, mi rendo conto che al momento è come se ti trovassi davanti una persona che non conosci affatto e che il bagaglio dell’esperienza acquisita sul suo carattere ti venga meno.  Ciononostante potresti usare un po’ di buon senso, ormai avresti dovuto capire che mia sorella è una persona a cui piace che le cose avvengano in una certa maniera, o è troppo chiedere un minimo di romanticismo da parte tua?”

“Che Sheila fosse fuori dalla norma l’avevo afferrato, eccome.” Ammise pacato, poi scrollò le spalle e diede uno sguardo circolare all’ambiente circostante, per appuntarlo infine sulla sua interlocutrice, come a dire che in quel contesto sarebbe stato piuttosto difficile radunare rose e violini. “Che vuoi che ti dica? Forse, sarò stato troppo precipitoso, ma mettiti nei miei panni. Insomma Kelly, sei sua sorella e certi discorsi non dovrei farli con te, però quando la natura chiama, non sempre si può resistere.” Sbuffò impacciato, ma con determinazione andò avanti.  “E questo discorso non vale solo per quel che riguarda i sensi, te l’assicuro. Credimi non è che quando sto con lei penso a quello per tutto il tempo. Però capita e dopo non posso far a meno di rifletterci. A me parrebbe una cosa naturale tra due persone che, a quanto mi si dice, stanno insieme da un sacco...”

“Te lo ripeto, tu dai per ovvi troppi particolari Matthew.” Replicò con toni da sfinge sebbene, quanto alla questione ne sapesse forse ancor meno di lui. Ma visto che entrambi c’avevano girato intorno senza essere espliciti, poteva permettersi di fare l’edotta, sebbene ci fosse ben altro che le premesse sapere. Tant’è, lasciò cadere l’argomento e sparò la bordata.  

“Piuttosto permettimi di chiedertelo, ma tu ne sei innamorato?”

“Direi di sì, visto che è la mia ragazza.”

“Eh no cocco, risposta sbagliata. Non ti ho chiesto propriamente questo, rifletti bene. Sto parlando dei tuoi sentimenti attuali e quello che è successo prima non conta. La domanda verte indipendentemente da quello che è stato.”

“Allora non saprei che dirti, come si fa a capire quando si è innamorati? Mi stai chiedendo qualcosa di cui non ho cognizione.”

“Se la metti così, non ti resta che rifletterci e molto attentamente. Nei prossimi giorni infatti ne avrai di tempo per farlo, tempo che passerai da solo vecchio mio. Pensaci e, quando avrai trovato le risposte, agisci di conseguenza. Se ne concluderai che lo sei, allora la prossima volta invece di saltarle addosso, prova prima a dirle quello che provi.  Solo dopo averlo fatto, eventualmente potresti lamentarti. E non è neppure detto. Dovresti avere più rispetto per i sentimenti di Sheila, sai? Bene ti saluto, ti lascio alla tua prolungata meditazione.“

Concluse infilando la porta e lasciandolo lì, come un baccalà, a grattarsi la testa e chiedersi perché mai non si fosse risvegliato dal coma con un sano istinto di castità.

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Capitolo 11
*** 11 ***


“Che palle.”

Affermazione che riassumeva in sé, precisa e concisa, l’andazzo degli ultimi tempi. In effetti quest’espressione era diventata per Matthew un intercalare ricorrente e, come una cantilena, scandiva il trascorrere lento delle sue ore. Tanto che al segnale orario si poteva udire chiaramente il bip della sveglia, il tocco della pendola nell’atrio dell’ospedale e il suo sbuffo scocciato seguito immancabilmente da un che palle declinato con sfumature di noia sempre maggiori.   

Era trascorsa più di una settimana da quella maledetta scenata e da quel momento in poi la monotonia era diventata sua costante compagna, al punto che progressivamente aveva allungato i suoi tentacoli fino a togliergli il gusto per qualsiasi attività. Addirittura del  sonno, ecco perché alle quattro del mattino, invece di dormire col sedere per aria, stava a sorbirsi come un coglione il fuoco e fila di menate che incessanti si susseguivano sullo schermo.

Sospirò nel buio della camera, spense la tv e si accucciò sotto il lenzuolo nonostante la canicola. Dio che silenzio, avrebbe dato qualsiasi cosa per avere qualcuno con cui parlare, ma i corridoi erano deserti e non gli andava neppure di chiacchierare con quel pivello di primo pelo che avevano messo di guardia quella notte. Anche per questo s’era ridotto a guardare le televendite dei vibromassaggiatori anticellulite, i sermoni religiosi della chiesa presbiteriana, urlati da due americani completamente fuori di testa e addirittura le lezioni di astrofisica comparata che un barbuto professore garantiva portassero alla laurea in sole diecimila lezioni. Praticamente tutta roba della quale non capiva un accidenti, ché cellulite non ne aveva, probabilmente era scintoista e degli astri non gliene fregava assolutamente nulla, salvo la lettura mattutina dell’oroscopo.    

Certo a quell’ora il palinsesto notturno offriva ben altro, ma saggiamente non v’indulgeva giacché, supponeva a giusta ragione, la visione d’un porno gli avrebbe fatto più male che bene. Del resto i suoi guai erano partiti tutti da quell’impulso, senza contare che, col progredire della guarigione, la bestia gli si stava risvegliando in modo incontrollabile e non gli pareva assolutamente il caso di buttare ulteriore benzina sul fuoco. Già, ultimamente non passava giorno senza che facesse una figura di merda. Sconsolato guardò in direzione della zona incriminata pensando alle rassicurazioni ricevute in proposito dal suo medico curante. Non erano affatto riuscite a placarlo, del resto che poteva aspettarsi da un ultrasessantenne? Chiaro che per lui non si trattasse d’altro che d’un segno di buona salute e che considerasse quanto gli accadeva al risveglio una semplice questione idraulica.  

Sarà, si disse perplesso. Intanto, idraulica o no, le turbine del suo acquedotto continuavano a girare ventiquattrore su ventiquattro ed era teso come una corda di violino. Persino con quella cozza dell’assistente dell’ortopedico si era ritrovato con un imbarazzante bozzo sul davanti e d’accordo che gli stava manipolando proprio i muscoli in prossimità della zona critica, ma possibile che fosse disperato fino a tal punto? Oltre al danno poi c’era stata pure la beffa, dal momento che, alla vista della suo improvvido irrigidimento, quella l’aveva esortato spiccia a non imbarazzarsi, con un’indifferenza che gli aveva fatto a brandelli l’amor proprio. In pratica, l’aveva rassicurato la donna, quello era un fenomeno del tutto normale in certe circostanze, quindi che la piantasse di agitarsi costernato,  perché non c’era assolutamente nulla di straordinario.  Bontà sua che la vede così, s’era detto allora tentando disperatamente di non badare a quanto gli stava succedendo al di sotto dell’addome. Fermo restante che comunque aveva usata proprio la parola adatta, perché, brutta com’era, per provocargli quell’alzabandiera si doveva assolutamente trattare di un fenomeno. Paranormale presumibilmente.

Ma, considerazioni estetiche a parte, non era stato affatto un bel momento e per di più gli aveva fatto suonare un preoccupante campanello d’allarme, giacché una domanda gli era sorta spontanea: com’era possibile infatti che quello scorfano la prendesse con tanta filosofia mentre la sua ragazza, a parità di situazioni, immancabilmente l’aveva legnato? Dipendeva forse dal fattore avvenenza? In caso affermativo poteva essere plausibile solo perché una racchia, avendo meno chance, di sicuro era più propensa a prendere qualsiasi cosa passasse il convento. Ma in caso negativo? Beh, qui si era arenato e ancora continuava a chiederselo. Alla fine era giunto alla conclusione che chi poco ha, caro tiene, eppure, nonostante la saggezza di fondo, c’era qualcosa che non tornava. Ché parimenti poteva anche essere tutto il contrario, in quanto il ritrovarsi in fregola per qualcuna, era incontestabilmente un atto di gratificazione alla bellezza. Ergo Sheila avrebbe dovuto essere quantomeno lusingata dai suoi slanci, piuttosto che reagire come una bertuccia chiusa in un baule. Quanto a quella befana poi, come minimo avrebbe dovuto fare salti di gioia. Invece la prima aveva tentato di staccargli la testa e la seconda non ci aveva dato granché importanza.  Quindi?  

Io le donne non le capirò mai, pensò sconfortato e chiuse gli occhi nella speranza che il sonno finalmente lo sopraffacesse. Ma aveva il sistema nervoso talmente sovraccarico che i pensieri continuavano ad andarsene per i fatti loro, incuranti della sua stanchezza. Si tirò su, incrociò le mani dietro il capo e li lasciò liberi di vagare a briglia sciolta.

“Forse ha ragione il dottore”, si disse ad un certo punto, “dovrei piantarla di farmi domande e lasciar fare semplicemente alla natura.”

Lodevole proposito, però non risolveva affatto i suoi problemi e, quanto alla natura fattiva, doveva aver incrociato le braccia in uno sciopero a tempo indeterminato, giacché Sheila si era data alla lunga latitanza e lui non sapeva che pesci prendere. Telefonarle? Come? E per dirle cosa poi? Le mancava da morire certo, però non gli piaceva affatto il modo altezzoso con cui lo stava trattando. In fondo lei poteva permettersi di fare il bello e cattivo tempo, ma lui che scelta aveva? Oltre al fatto che l’impressione generale era quella che se ne sbattesse altamente delle sue condizioni a fronte di quelle che riteneva motivazioni molto più importanti. E aveva un bel dire Kelly con tutti i suoi discorsi sull’amore, ma intanto la realtà era questa e continuare a farsi trattare da bamboccio di certo non l’avrebbe migliorata.  

“Un po’ di dignità e che cavolo!” Si disse e si riaccomodò sul materasso, assolutamente determinato ad addormentarsi stavolta. Ma non gli riusciva e ogni espediente, dal mettersi a pancia in giù, allo stringere il cuscino tra le braccia, aveva l’unico risultato d’innervosirlo ancora di più. Anzi, quest’ultimo escamotage si stava rivelando essere il peggiore poiché, non appena cingeva quella forma vagamente muliebre e morbida, all’istante si ritrovava involontariamente a pescare nel torbido delle sue fantasie.  

“Ma porca Eva!” Imprecò spazientito mollando la presa. Incrociò le braccia al petto, chiuse nuovamente gli occhi, ma invece di rilassarsi, ripensò a quanto gli aveva intimato la sua bella in proposito. E anzi, per meglio sottolinearsi il concetto, si mise pure a farle il verso, imitandola con toni striduli e broncio offeso. Il che provocò, nel il medico di turno che di là passava di ritorno dalla toilette, una certa apprensione. Infatti l’uomo, transitando a portata d’orecchio, udì chiaramente una voce assai equivoca affermare: “Se è questo che vuoi da me, te lo puoi scordare Matthew. Io me ne vado e tu arrangiati! Anzi, sai che ti dico? Neanche le pippe puoi farti pensando a me!”

E su quest’ultima frase il dottorino cacciò la testa all’interno scrutando con attenzione l’ambiente. In effetti si aspettava di trovarci di tutto, l’occupante di quella stanza infatti aveva pessima fama, si diceva in giro che fumasse e bestemmiasse come un turco, oltre al fatto che facesse il gallo con qualsiasi gonnella. Di conseguenza, si era detto il giovincello preoccupato, era il caso di accertarsi al di là di ogni dubbio con chi o cosa stesse parlando. Anche perché, ne aveva concluso accendendo tutte le luci, un individuo del genere non si sarebbe fatto scrupolo alcuno di far salire di sopra un travestito. Pure pareva non ci fosse nessuno e i due si fissarono per mezzo minuto senza emettere suono. Matthew aveva davanti a sé uno sbarbato alle prime armi che aveva tutta l’aria di essere assai ansioso e di non sapere assolutamente che fare. Per contro, l’altro si ritrovava di fronte un marcantonio, non si sa fino a che punto inoffensivo, nonostante gli arti ingessati, dagli occhi iniettati di sangue, la chioma arruffata, il pallore diffuso ed in un manifesto stato d’irrequietezza.

“Tutto bene?” Chiese cauto, sperando che il camice potesse proteggerlo e tastando il muro alla ricerca del campanello d’emergenza per averlo a portata di mano in caso estremo.  Per tutta risposta, e con suo gran sollievo, tutto quello che ne ricevette fu un cenno che chiaramente l’invitava ad andarsene e svelto se la filò.

“Ora sì che ho fatto il pieno”, pensò Matthew spegnendo le luci e raggomitolandosi fin dove gli era possibile, “dopo essermi beccato del maniaco, ci mancava solo che mi prendessero per pazzo!” 

Nonostante tutto però gli venne da ridere, tanto che rilassò i muscoli e restò addirittura per un intero minuto nella stessa posizione. Ma non poteva durare, il tarlo che lo rodeva infatti riprese immediatamente possesso dei suoi pensieri e arrivederci alle cullanti braccia di Morfeo. Si voltò, si rivoltò, sbuffando si tirò il lenzuolo sul capo e subito dopo lo buttò all’aria, infine aprì un occhio e guardò ferocemente le cifre in rosso che la sveglia digitale continuava a sbattergli in faccia senza alcun rispetto per la sua insonnia. “Porca miseria”, brontolò tirando un pugno nel guanciale, “ma quando viene mattina?”

Ma se pure avesse fatto giorno subito, si disse arrendendosi e riaprendo gli occhi, che sarebbe cambiato? Niente di niente, sarebbero state solo altre ventiquattrore da riempire bivaccando dal letto alla sedia, ciondolando dalla tv alla radio, dal distributore di caffè ai controlli  giornalieri.  Senza contare che, ogniqualvolta sentiva il suono degli stramaledetti tacchi di qualcuno in corridoio, non poteva evitare di protendersi verso la porta tutto speranzoso e con un’espressione che si poteva immaginare uguale a quella d’un coglione.  

“Merda!” Fece ribaltandosi supino. Com’era che, pur ritenendosi nel giusto, si ritrovava preda ad una frustrazione cui avrebbe potuto dare non solo nome, ma pure cognome, nonché forma, voce e profumo?

“Bello schifo.” Ne concluse sfiduciato e faticosamente si tirò su, raccattò la stampella e a passi strascinati si portò sul balcone. Una volta lì continuò nel suo soliloquio, rifiutando di concedersi qualsiasi ammissione potesse dargli pace ed attribuendo testardamente il suo abbattimento alla calura che persisteva persino sulle soglie dell’alba.  Da qualche parte sotto la massa scapigliata di capelli una voce insistentemente gli suggeriva di lasciar perdere, ma decise d’ignorarla e, poggiandosi alla balaustra, si accese una sigaretta. Al secondo tiro un’espressione disgustata gli deformò le labbra. “Porco mondo”, inveì, lieto che per qualche momento potesse finalmente indirizzare il malumore su qualcos’altro, “sembra mi sia ciucciato l’intero posacenere.”

Quante ne aveva fumate quel giorno? E quante dacché… non da quella lite, ci mancherebbe, come se poi gliene fosse fregato qualcosa. No, no, semmai, se proprio si voleva cercare il pelo nell’uovo, ecco, quante ne aveva fumate dacché aveva  persuaso uno degli infermieri a comprargliele?

“Mm.” Mugugnò accarezzandosi il mento ispido nel tentativo di farne un approssimativo conto. Ma la matematica non era mai stata il suo forte, perciò, a dispetto d’ogni intenzione, finì dritto, dritto a valutare per l’ennesima volta il discorsetto che Kelly gli aveva fatto l’ultima volta che s’erano visti. Certo doveva avere le sue buone ragioni per parlare a quel modo, pure, nonostante ci stesse mettendo tutta la sua buona volontà, né volesse volutamente ignorare gli spunti che gli aveva graziosamente porto, proprio non gli riusciva di venirne a capo.  Sapeva solo che, al di là delle incomprensioni  sentimentali, restava il fatto che presto l’avrebbero dimesso e che era chiaro quanto avesse bisogno d’una mano per districarsi in tutte quelle circostanze. Un dettaglio che a quanto pareva non tangeva più di tanto la sua amorevole fidanzata, altrimenti non l’avrebbe fatta tanto lunga. E okay, magari col suo comportamento le aveva potuto mancare di rispetto, ma com’è che quando lei assumeva un atteggiamento insensibile aveva dalla sua tutte le attenuanti del caso e lui manco mezza? Voleva metterla su quel piano? Beh, allora che facesse pure, ché non aveva nessuna voglia di mendicarne l’aiuto. Né a lei, né a nessun’altra componente della famiglia Punti Perfetti, che parevano agire sempre in modo da farlo apparire come un individuo di mezza tacca. Era stufo e non intendeva mandare a puttane quel po’ di dignità che ancora gli restava. Anche a costo di rompersi le corna a furia di cazzate.

“Kelly può dire quel che accidenti le pare.” Ne concluse rientrando e ingollando due pastiglie di sonnifero. “Ma con le pezze al culo ci sto io e se Sheila ha scelto di fregarsene, io faccio altrettanto.”

Una risoluzione questa che, unita all’azione dei barbiturici, finalmente lo fece cadere in uno stato di catalessi dalla quale emerse a mattino inoltrato e con le idee molto più chiare.  Tanto che, appena sveglio, attese pazientemente che si facesse ora di pranzo e telefonò ad Alice. L’unica persona, si disse mentre ascoltava impaziente gli squilli,  cui poteva rivolgersi e sulla quale ancora poteva contare. O perlomeno lo sperava, giacché, e se ne rendeva conto soltanto adesso, cosa che gli dava un vago senso di colpevolezza, anche se non sapeva proprio spiegarsene il motivo, era da un bel pezzo che non si vedevano, né lui se n’era preoccupato. Chissà forse era stata troppo occupata col lavoro per andarlo a trovare. E quando glielo chiese, dopo i saluti ed i convenevoli di rito, Alice, che non era affatto rimasta colpita dal quell’improvvisa chiamata, gli rispose chiaro e tondo che l’aveva volontariamente evitato perché non le garbava affatto l’eventualità di potersi incontrare con una qualunque delle tre sorelle. Ma, aveva continuato senza dargli la possibilità di aggiungere altro, visto che da quella telefonata era facile evincere che nell’attuale non ne corresse il pericolo, sarebbe passata a trovarlo quello stesso pomeriggio.

“Allora, ti sei stufato di fare l’amorevole piccioncino?” Lo  apostrofò, per l’appunto, varcando la soglia qualche ora dopo. Matthew si rattrappì contrito nel suo letto di dolore, entrando Alice l’aveva squadrato da sopra agli occhiali in modo che tutto era, tranne che promettente. Ciononostante aveva le braccia cariche di generi di prima necessità quali sigarette, stuzzichini assortiti e prodotti vari d’editoria, cosa che gli ridiede un po’ di fiducia riguardo a quanto poteva dirle. Effettivamente si aspettava una paternale senza fine, tuttavia quelle erano chiare offerte di pace, quindi fu facendole un premuroso gesto di benvenuto che le rispose, ma non prima di averle scoccato un ruffiano sorriso.  

“Tu sì che hai la vista lunga e mi sa che lo sapevi fin dal primo momento come sarebbe finita.”

Pur segretamente compiaciuta da quella chiara attestazione di merito, la donna comunque non si fece fregare, ché non era proprio il tipo da cedere a certe moine, per cui ci tenne a mettere immediatamente i puntini sulle i.

“Sentimi bene vecchio mio”, cominciò con tono di rimprovero, “non m’interessa quello che è successo tra te e quella, ma come ti stai comportando con me non mi piace affatto. Prima mi scarichi di brutto e poi, quando la tua amichetta ti manda a spasso, mi richiami disperato? Questo si chiama sfruttamento, sai?”

“Alice”, ribatté pungente, nonostante quell’accusa contenesse molto di più che un fondamento di verità, “se la pensavi così, potevi anche dirmelo a telefono. Ora”, continuò con calma, ma in modo da essere inequivocabile, ché davvero ne aveva fin sopra la cima dei capelli, “se vuoi darmi una mano te ne sarò eternamente grato. In caso contrario, evitati la predica, ché non ne posso più di femmine che mi criticano per qualsiasi cosa faccia.”

“Ma che faccia tosta!” Ribatté incurante di quelle lamentele e perlopiù maldisposta verso quel maldestro tentativo di rivalsa. Ma poi, considerato che Matthew non ce l’aveva con lei e che, anzi, le stava implicitamente chiedendo venia quale sua ultima ancora di salvezza, decise di tagliar corto. “Veniamo a noi, d’accordo?”

“Sì che è meglio.” Rispose l’altro soffocando a stento un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo.

“Dopo che ci siamo sentiti mi sono attivata per verificare lo stato attuale delle tue finanze. Fortunatamente negli archivi di polizia sono ancora consultabili le copie dei tuoi documenti, altrimenti sarebbe stato un processo parecchio difficoltoso. Inoltre mi avevi dato delega quale esecutore bancario in tua assenza, perciò non ho avuto problemi ad accedere ai dati del fondo di previdenza.”

“Molto bene.” Fece compito, per la verità non ci aveva capito più di tanto e non sapeva che altro dire, ma davanti ad una simile efficienza era quantomeno doveroso mostrarsi impressionato.

“Dunque”, continuò Alice come se non l’avesse affatto interrotta, “ufficialmente fai ancora parte del corpo di polizia, anche se per il momento risulti in congedo per malattia. Il che vuol dire che per tutto il tempo hai continuato a percepire lo stipendio, più un’indennità mensile per incidente sul lavoro.” Detto ciò fece una pausa e gli mostrò una distinta dei relativi conti. Matthew, per farla contenta, finse di studiarseli attento, dopodiché la fissò interrogativo.

“Detto in parole povere?”

Alice levò gli occhi al cielo e s’ingiunse, per l’ennesima volta dacché s’erano conosciuti ai tempi lontani del commissariato, a portare pazienza.

“Significa  che depositata sul tuo conto corrente c’è una somma considerevole e che per il momento non hai di che preoccuparti per il tuo mantenimento.”

“Menomale.” Ripose sollevato, ma Alice, che detestava sovra ogni cosa il lassismo e che trovava la sua propensione alla fannullaggine detestabile, frenò subito quei moti. 

“Non credo mio caro, certo al momento rientri ancora nei tempi previsti per il congedo sanitario, ma se il tuo stato dovesse prolungarsi, saresti costretto a lasciare l’incarico. Questo significa che devi darti da fare non solo per guarire, ma anche per trovarti un’altra occupazione.”

A fronte di questa eventualità Matthew s’accigliò e mugugnò qualcosa d’intelligibile, tanto che la donna ritenne opportuno non insistere oltre sull’argomento. Del resto il male da cui era affetto era talmente imprevedibile che nessuno, lui per primo, avrebbe potuto dargli una definizione temporale. E se era inutile pretendere in questo momento una qualsivoglia iniziativa da parte sua, in ogni caso riteneva suo dovere fargli notare l’inutilità dello starsene con le mani in mano, ché vivacchiare in attesa di tempi migliori era un giochetto cui si era già prestato e gli esiti erano stati pessimi. Ad ogni modo ora che gliel’aveva detto, potevano passare al punto successivo.

“Per quanto riguarda il domicilio, come ebbi a dirti tempo fa, possiedi un appartamento. Certo non è una reggia, ma è comunque un tetto.”

“Una casa piccina picciò. Chissà perché, ma me l’immagino un buco maleodorante, disordinato e pieno di scarafaggi.” Replicò disfattista, quella conversazione tutto stava facendo, tranne che metterlo di buonumore .

“Oh, è stata maleodorante e disordinata finché ci sei vissuto. Topi e scarafaggi ne hanno preso possesso dopo.” Precisò Alice con tagliente ironia. Poi, onde evitare di dargli ulteriore modo per crogiolarsi nelle sue inquietudini, continuò: “Comunque piantala di fare il frignone e pensa ai vantaggi. Hai vissuto là per tanti anni ed è probabile che tornandoci qualcosa si smuova. Che ne sai che il contatto con i tuoi oggetti quotidiani non ti possa aiutare?”

“Sei sprecata come poliziotta, secondo me dovresti vendere pentole e materassi in tv.” Affermò per tutta risposta, ma Alice non era affatto il tipo di donna da lasciarsi intimidire da un po’ di sarcasmo.

“Quanto al fatto che è stata abbandonata per tanto tempo”, insisté imperturbabile, “basta che mi dica quando sei fuori di qui e nel frattempo manderò un’impresa di pulizie a fare lo sporco lavoro.”

“Hai ragione scusami.” Ammise infine dopo che averci pensato un po’ su. In fondo Alice non poteva farci nulla se gli si prospettava un eremo spoglio e triste. Piuttosto si stava prodigando in tutti i modi, nonostante l’avesse trattata come una pezza da piedi. “Mah, credo che per il weekend potrei già essere là. Hai anche le chiavi?”

“No, ma so dove procurarmele.”

“Bene.“  Fece fissandola riconoscente, poi prese il coraggio a due mani e disse quanto andava detto. “Sai forse me ne rendo conto solo adesso, ma stai facendo davvero molto per me e sono certo che l’abbia fatto spesso in passato. Insomma, quel che intendo dire è che non basterebbe a ringraziarti neanche un milione di volte, soprattutto perché nulla ti obbliga.”

“Siamo amici no?” Lo interruppe lei arrossendo visibilmente, ché certe manifestazioni la mettevano molto a disagio e peggio che mai quando provenivano dall’unico che era stato capace di far breccia nella sua inespugnabile corazza.

“Certo, i migliori amici che ci possano essere.” Replicò Matthew sorridendole amabile e del tutto ignaro degli altarini d’un tempo, per non parlare del possibile fuoco che ancora poteva covare sotto la cenere. Ma Alice era stata molto attenta a non tradirsi e non c’era ragione che qualcuno potesse sospettare. “Mi piacerebbe ricambiare in qualche modo. C’è qualcosa che posso fare per te?”

“In un certo senso.“ Fu la risposta ambigua che ne ebbe. Alice Asatani infatti prima di pensare come una donna badava particolarmente a ragionare da detective e da tempo si stava chiedendo se fosse il caso di azzardare una determinata  mossa. Non si trattava solo di decidere se quello che stava per fare fosse giusto, giacché non aveva nessun dubbio quanto a quello e non solo per una questione di etica professionale ed umana. Fermo restante che era convinta che quanto si proponeva avrebbe potuto aiutarlo a ricordare. In ogni caso il vago timore che fino a quel momento l’aveva sempre indotta a fermarsi ormai era superato e ora si trattava solo di farlo, smettendola di cincischiare e rimandare all’infinito. Pure, ancora si chiese se se la sentiva di rischiare l’apparente tranquillità di un amico perché la legge potesse seguire il suo corso.  

“Dopotutto, se decido di sì, non ne uscirei meglio di quella sfacciata ipocrita.” Pensò riferendosi a quelle che in cuor suo aveva da anni appurato essere le falsità di Sheila. Irrigidendosi se la rivide davanti, compiaciuta e tronfia com’era sempre stata e come seguitava ad essere, e risoluta si decise. “E’ mio dovere ed è giusto che anche lui scopra la verità.”

Quindi frugò nella borsetta e ne estrasse una delle tante prove indiziarie che insieme avevano raccolto e catalogato. Da tempo l’aveva prelevata dall’archivio della sezione criminale ed oggi finalmente gliela mostrava. Era un rettangolo di carta rigida, bianco e lucido, sul quale spiccava il disegno stilizzato di una testa felina. Ovvero uno dei singolari biglietti di preavviso che Occhi di Gatto aveva l’abitudine di recapitare al loro distretto prima d’ogni azione criminosa.

“Ti ricorda niente?” Gli domandò piazzandoglielo sotto il naso e  ripensando a  tutte le volte che ne avevano avuto tra le mani uno. Matthew lo prese o lo soppesò con espressione blanda. Era palese che Alice ci teneva molto, tanto che subito si rimangiò quanto stava per dirle, ché se avesse potuto parlare senza urtare la sua suscettibilità, le avrebbe chiesto senza remore che accidenti fosse quella stronzata. Pure, mentre osservava quel coso solo per compiacerla e senza alcun reale interesse, man a mano che gl’istanti passavano, si ritrovò seriamente concentrato. Avvertiva infatti il destarsi improvviso dell’attenzione e non era una sensazione ingannevole come le altre volte, no, stavolta percepiva chiaramente un qualcosa agitarsi nel fondo della sua mente e si sentiva esattamente come qualcuno che abbia una parola sulla punta della lingua, ma incapace di pronunciarla. Non fece un gesto né articolò parola, continuava semplicemente a fissare insistente quell’oggetto, quasi a volerne spremere con la sola forza di volontà, tutte le risposte che disperatamente stava cercando. Non poteva sbagliarsi, quel curioso biglietto lo rapportava a qualcosa che non poteva definire, ma che dentro la testa gli stava scatenando un tumulto. Per timore che quella fugace percezione potesse interrompersi continuò insistito a fissarlo finché presero a dolergli gli occhi, ma non ci badò, né distolse lo sguardo. Non aveva nessuna intenzione di mancare il momento in cui, ne era certissimo,  una traccia qualsiasi della sua vita ne sarebbe emersa.

Tremante socchiuse le labbra come a voler parlare, ma tutto quello che ne uscì fu un singulto strozzato. Improvvisamente una fitta tremenda gli trapassò le tempie e quanto aveva preavvertito in precedenza si mutò in una pulsazione martellante che pareva volesse spaccargli il cranio in mille pezzi. Pazzo di dolore e frustrazione si portò le mani al capo e prese a gemere.

A questa vista Alice balzò in piedi preoccupata e a gran voce chiamò aiuto. Subito accorse un’infermiera che, innanzi allo spettacolo del paziente che si teneva la testa  lamentandosi e scuotendosi, senza indugio gli somministrò un forte sedativo. L’effetto fu immediato, ma per sicurezza fu fatto stendere e gli fu applicata una flebo supplementare che a poco a poco lo calmò fino a farlo assopire.

Durante tutto quel trambusto Alice se n’era rimasta in disparte per non intralciare il lavoro dei sanitari, intanto però il suo abituale raziocinio ne stava uscendo piuttosto scosso, ché mai avrebbe immaginato le sue azioni avessero potuto scatenare una reazione tanto forte, oltre che repentina. Concitatamente scansò quelli che suppose essere sensi di colpa e si concentrò su quella che doveva essere la sua mossa successiva. Ché ormai era fatta, aveva piantato un cuneo indelebile in quella terra di nessuno e non aveva più senso chiedersi se la necessità giustificava i mezzi. Solo voleva rassicurarsi che stesse bene, almeno questo. Perciò parlò a lungo col medico che l’aveva in cura e restò lì a vegliarlo mentre scivolava in uno stato d’incoscienza che tanto torpida non doveva essere, giacché di tanto in tanto continuava a dimenarsi, stringeva i denti e sembrava in balia di un’agitazione che lei stessa aveva volontariamente provocata. Sì, non c’erano dubbi, gli stava facendo del male e ne era responsabile. Ma, cosa che riteneva molto più importante, finalmente nella coscienza di Matthew qualcosa stava sedimentando, presto sarebbe uscita allo scoperto e lei era certa di non avere nulla di cui rimproverarsi.

 

In quegli stessi giorni a casa Tashikel, e nell’omonima galleria, tutto pareva andare avanti come al solito. Nondimeno, andando al di là delle mere apparenze, era palese che Sheila stava facendo finta di nulla e che le sorelle la stavano pazientemente assecondando, allo scopo neanche troppo occultato, di non forzarle la mano. Ché entrambe conoscevano fin troppo bene la testardaggine asinina da cui Sheila era affetta. Di conseguenza,  prendendo debito spunto dalle precedenti esperienze, Kelly e Tati di comune accordo avevano deciso che sarebbe stato preferibile lasciarla cuocere nel suo brodo fintanto ne avesse avuta voglia.

In un certo senso ignoravano a quanto ammontasse la somma dei giorni necessari perché ciò avvenisse, ma nel frattempo stavano portando avanti una serie d’insistite e sibilline intromissioni che, a tempo debito, speravano avrebbero dato frutto. Comunque la stessa Sheila pareva quasi matura per essere colta. Ah certo, davanti a loro badava a mostrarsi efficiente e piena di vita come al solito, peccato però che, quando si credeva inosservata, tirasse dei frequenti sospironi ed assumesse un’aria a tal punto depressa che alle sorelle veniva un’irresistibile voglia di prenderla e scuoterla come un tappetino da bagno. Un nonnulla poi era sufficiente a farle perdere le staffe, per cui ultimamente le liti erano state parecchio frequenti tra quelle mura. Non ultimo, appena pochi giorni prima e sempre a causa dei ghiribizzi dell’artista russo, per poco non era successo l’irreparabile. Tuttavia aveva minacciato l’uomo di prenderlo per la pelle delle ginocchia e di lanciarlo fuori dalla sala esposizioni, per poi ripetere la medesima operazione con le sue pompose installazioni, se non l’avesse piantata immediatamente di darle il tormento con le sue pretese assurde. Col solo risultato che il russo adesso faceva l’offeso, nonché il prezioso, e che il vernissage che avevano programmato da tempo, e che si sarebbe dovuto tenere di lì a poco, poteva saltare da un momento all’altro.

Era chiaro come il sole quindi che ormai l’irritazione per il gesto improvvido di Matthew, a furia di nostalgia e rimpianto, le era quasi passata. Quel che le sorelle ignoravano però, era che invece che dileguarsi la sua rabbia si era diversificata e aveva preso tutt’altra direzione. E quel che le stava rodendo il fegato a posteriori era la riflessione sul fatto che il suo sedicente fidanzato, nonostante quel che andava millantando, la stava bellamente e apertamente ignorando. Oh certo, ammetteva con sé stessa che gli sarebbe stato alquanto difficile rintracciarla, in quanto non sapeva il suo indirizzo né il numero di telefono. Tuttavia, stando a quanto le aveva detto Kelly (che ad arte aveva lasciato cadere con falsa noncuranza quella bomba inesplosa) riferendosi all’ultima volta che si erano visti, pareva che Matthew alla prospettiva della sua devastante furia non si fosse agitato più di tanto. Dettaglio questo che aveva dato la stura a tutta una serie d’incertezze cui Sheila faticava a star dietro, al punto che successivamente avrebbe voluto chiedere alla sorella spiegazioni meglio particolareggiate in proposito. Di più, le sarebbe bastato pure la ripetizione dei soli fatti parola per parola, giusto in modo d’appurare d’aver capito senza nessuna possibilità d’equivoco. Ma, naturalmente, l’orgoglio gliel’aveva impedito e non aveva avuto il nerbo di cedere a quella tentazione, con il solo risultato di non far altro che macerarsi nell’incertezza per giorni e giorni.

Cosicché, il mattino successivo al pomeriggio in cui Asatani si era recata in ospedale e aveva provocato quel casino, lei se ne stava accoccolata sul divano, stringendo un cuscino tra le braccia e con un’espressione talmente afflitta, che Tati vedendola decise fosse giunto il momento di farla finita.

“Senti Kelly“, fece entrando a passo di carica nella camera della sorella maggiore, “non ti pare che dovremmo parlarle?”

“Non mi piace veder soffrire Sheila, Tati.” Affermò la più grande meditabonda. “Ma ti confesso che per la prima volta in vita mia non so come gestire la situazione.”

“Beh, allora lascia fare a me.” Rispose risoluta. Fino a quel momento infatti Kelly le aveva sistematicamente impedito di metterci bocca, esortandola a rimandare ed avere pazienza. Ma Tati era un carattere impulsivo, non conosceva ponderatezza e soprattutto si era stufata di camminare sulle uova. Quindi non attese risposta e ritornò in salotto, seguita a ruota da una Kelly lieta, perché una volta tanto le veniva demandato l’onere e il bastone del comando passava in mano altrui.

Una volta là, senza tanti complimenti, la piccola si parò davanti alla sorella, che ancora stazionava sul divano, anche se al suono dei loro passi aveva dissimulato l’espressione affranta e nel frattempo aveva preso a sfogliare una rivista con fittizio interesse, e iniziò il discorso che da tempo aveva nel gozzo.

“Ehi Madama Butterfly è ora di piantarla con questo strazio!” L’apostrofò con le mani sui fianchi. Sorpresa dal tono contrariato della ragazza Sheila fece tanto d’occhi, ma Tati non se lo diede per inteso e continuò: “Dico a te Cio-Cio-san!”

“Ma che stai dicendo?” Esclamò a questo punto alzandosi ed assumendo a bella posta un’aria indifferente.

“Sto dicendo che stare qui ad aspettare come una geisha disperata è tempo perso! E aggiungo pure che l’unico fil di fumo che vedrai levarsi un bel dì, sarà quello che s’alzerà dal tuo cervello per il troppo pensarci. Datti una svegliata!” 

“Tati”, rispose sarcastica, con una calma più ostentata che altro, “se sei stata al teatro dell’opera e vuoi farmelo sapere, non è questo il modo.”

“Oh no, altro che opera. Quello che volevo dirti, anche se ormai l’avresti dovuto capire da un bel pezzo, è che sarà alquanto improbabile vedere Matthew arrivare qui strisciando sulle braccia come un vietcong. Quindi sorella cara, perché non la pianti e vedi quello che devi fare?” Concluse pestando un piede atterra. E fu una specie di segnale, giacché Sheila perse completamente la compostezza e cominciò finalmente a risponderle per le rime.

“Oh, ma davvero? E dall’alto della tua vastissima esperienza nelle questioni di cuore, che cosa mi consiglieresti di fare?” Domandò con evidente ironia inarcando un sopracciglio. Ma le reazione che si era aspettata a quella provocazione non venne, anzi, la piccola di casa riuscì a spiazzarla ancora una volta in quanto, mentre pareva che fosse lì, lì per risponderle con impertinenza e cominciare una discussione con tutti i crismi, assunse un tono assennato e provò a farla ragionare.

“Avanti, non è la prima volta, né sarà l’ultima, che tu e quell’altra testa di legno andate a scontro. Va bene ti sei arrabbiata, ma di tutta questa faccenda non hai considerato i lati positivi.”

“Ma davvero?” Motteggiò Sheila la quale, più che irritata, a questo punto cominciava a sentirsi parecchio incuriosita.  

“Certamente.” Replicò Tati annuendo, quindi gettò un’occhiata a Kelly e, ricevutone il tacito assenso, continuò: “Hai mai pensato al fatto che la totale mancanza di sdolcinatezza da parte del tuo fidanzatino è corrispondente ad un’altrettanta scarsità d’esperienza?”

In effetti Sheila non ci aveva mai pensato, ma ora che la sorella glielo stava chiedendo in modo così convincente, forse era il caso di cominciare a rifletterci. Per la verità non sapeva che risponderle, perciò Tati si senti spronata ad andare avanti. “Questo secondo me non fa altro che confermare che dopo di te c’è stato il nulla.”

“Non esserne troppo sicura”, buttò lì beffarda per il solo gusto della polemica, “ho il sospetto che Matthew sarebbe un impedito anche dopo essersene uscito da un corso intensivo di sei anni in un gineceo!” 

“Balle, si tratta proprio di questo. E poi se ci pensi”, aggiunse cominciando a ridacchiare, “saltarti addosso è una dimostrazione di carenza prolungata. Fai due più due sorellina che non è difficile!”

“Forse Tati non ha tutti i torti.” S’intromise Kelly prima che quest’ultima sciupasse del tutto l’effetto del suo discorso a suon di battutine spudorate. “E non mi meraviglierebbe più di tanto neppure sapere che sul serio abbia continuato a pensare a te durante tutto il tempo in cui siete stati separati. E poi renditi conto che maldestro era prima, figuriamoci adesso che è più confuso che mai.”

“Ecco che ricominci a difendertelo neanche fosse un dono dal cielo!” Ribatté Sheila non ancora disposta a cedere. Per la verità avrebbe voluto, ma perché ne uscisse con la dignità intatta, occorreva che insistessero un altro po’. E Kelly, che conosceva bene i suoi polli, murò a rete quell’obiezione ribattendogliela all’istante.

“Dovresti perdonarlo e passarci sopra una volta per tutte Sheila.” Consigliò giudiziosamente, dopodiché le scoccò uno sguardo malizioso e aggiunse: “Naturalmente non in quel senso, anche se di sicuro taciterebbe per sempre ogni lamentela!”

“Che fai, ti ci metti anche tu adesso?” Inveì stizzita per nascondere l’imbarazzo, intanto che Tati cantava a gola spiegata Sono una donna, non sono una santa, non tentarmi, non sono una santa. Kelly eroicamente riuscì a mantenere un contegno serio, ma la voce aveva forti tracce d’ilarità quando le domandò: “Non intendi riconciliartici?”

“Sì, certo.” Ammise infine sospirando. Lo stesso sospiro di sollievo che non poterono impedirsi di tirare entrambe le sue sorelle. Ovviamente se ne accorse, ma, visto che le premeva di più sapere quanto fino a quel momento si era negata di chiedere, finse di non averci fatto caso. “Ma a te precisamente cosa ha detto?”

“Molte sciocchezze e qualche verità.” Affermò Kelly incoraggiante, poi le passò un braccio rassicurante attorno alle spalle e aggiunse: “Ma mi ci gioco quel che vuoi che in questo preciso istante muore dalla voglia di vederti e si sta dannando l’anima per trovare un modo per farlo.”

E c’è di più “, esclamò Tati con aria saputa, “chi ti dice che Asatani non gli stia girando intorno a cerchi sempre più stretti peggio di uno squalo? Senza contare quella dell’impronta di rossetto. Fossi in te, mi darei una mossa.” Concluse allusiva rimettendosi a cantare quel motivetto evocativo.

“Ma figuriamoci, hai fatto due esempi pessimi.” Replicò Sheila alzando il mento e mettendosi involontariamente in posa, come a dire che rispetto a lei si trattava di due nullità.

“Già, ma intanto loro sono là e chissà che sta succedendo.” Insinuò Tati con ironica malafede, per poi assestarle la botta finale: “Inoltre, se ho fatto bene i miei calcoli, tra un po’ dovrebbe esserne fuori. Dì, come la metti se una volta uscito se ne va di nuovo per la sua strada?”

“Va bene, va bene!” Sbottò capitolando e levando le mani in segno di resa. “Ci vado e spero tanto che adesso sarete contente!” Affermò enfatica evitando d’incrociarne gli sguardi dopodiché, senza aspettare risposta, se ne andò in camera sua a cambiarsi. A ques’uscita da tragica primadonna Kelly e Tati si guardarono sogghignando  e cominciarono a ridere senza riuscire a fermarsi per un bel pezzo.

 

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Capitolo 12
*** 12 ***


Così fu che, tutta trepidante e piena di buoni propositi, tra cui principalmente quello di fumare il calumet della pace, l’indomani Sheila di buon’ora e acchitata di tutto punto si recò in ospedale.

Per la verità ci aveva messo più del suo solito per prepararsi e, considerato che il suo solito già normalmente consisteva in un tempo considerevole, diciamo pure che ci aveva impiegato quasi tutta la mattina. Poco male, tanto prima delle 11 ogni accesso era proibito.

Ad ogni buon conto, visto che aveva letto da qualche parte che il senso più primitivo e più facile alla ricezione degli stimoli esterni è l’olfatto, per meglio predisporre il suo uomo ad una tregua e a non fare il difficile, si era cosparsa a due mani di profumo francese. Inutile aggiungere che ogni boccetta ne conteneva un quantitativo minimo, perciò ne aveva usate parecchie e che a conti fatti olezzava come il boudoir di una cortigiana.

Cosa questa che veniva viepiù confermata dall’abbigliamento scelto per l’occasione, poiché, al momento di aprire l’armadio s’era chiesta: quale stagione consentiva di essere audaci come l’estate? Indi aveva messo la gonna più mini che aveva, quella ai limiti estremi della decenza, e una tunica che pareva abbastanza casta, sebbene le avesse uno spacco vertiginoso che le scopriva tutta la schiena.

Insomma, per farla breve, aveva buttato alle ortiche parte del suo atteggiamento pudico e si era a bella posta predisposta a stordire e disorientare Matthew. Di conseguenza la delusione fu ancora più cocente quando al suo arrivo trionfale ad attenderla non trovò altri che la stanza vuota e un ordine tale in giro, a partire dal letto fatto, su, su fino ai vari manga, libri e vestiti, che normalmente l’ingolfavano, sistematicamente impilati, che subito si sentì pervasa da un moto di genuina apprensione.

Dove s’era ficcato Matthew? E soprattutto, chi aveva messo mano in quel caos fino a rendere il suo antro tutto lindo ed asettico? Due domande queste che non promettevano nulla di buono. Ciononostante, pur irrigidendosi e iniziando ad inquietarsi, tentò di essere ragionevole, dicendosi che le opzioni tra cui scegliere erano due. O restava lì ad aspettare macerandosi nei suoi interrogativi irrisolti, oppure si dava da fare per svelare quegli arcani.

Quindi, da donna d’azione quale era, non perse tempo a gingillarsi oltre e, ritornando su i suoi passi, si diresse spedita in sala infermieri. Ciò non per chiedere delucidazioni a chicchessia, quanto per introdursi lesta e non vista nel guardaroba ed appropriarsi della prima uniforme a portata di mano. E le disse male perché l’atavica fantasia che poteva incarnare nel travestimento da infermiera succinta non poté compiersi, in quanto trovò solo divise da uomo. Pure, mentre s’infilava gli ampi pantaloni e la casacca, d’un verde che non esaltavano affatto la sua carnagione, si consolò dicendosi che tutto sommato era una fortuna aver trovato solo quelli. In effetti celavano ad hoc le sue forme e, tra mascherina  e cuffia per i capelli, nessuno avrebbe potuto riconoscerla. Pertanto le probabilità di agire indisturbata sarebbero aumentate.

L’unico problema semmai erano i sabot che lasciavano intravedere il posteriore dei suoi piedi freschi di pedicure. Sebbene, si domandò sbrigativa, chi mai in un ospedale avrebbe badato alla tornitura perfetta dei suoi talloni? Probabilmente nessuno, si rispose e perciò ostentando sicurezza, uscì dalla stanza, agguantò un carrello porta-medicine e lentamente si avviò lungo i corridoi, gettando occhiate penetranti tutt’intorno e oltre le porte aperte.

Cercò in radiologia, ortopedia e finanche al pronto soccorso, ma del suo fidanzato non c’era traccia. Quindi, indifferente alle occhiate curiose di chi osservava quello strano individuo all’apparenza maschio, ma con gli occhi truccati e dall’andatura ancheggiante, peregrinare per i reparti accompagnato dal cigolio delle ruote e dai tonfi degli zoccoli sanitari, restava leggermente interdetto. Anche perché, nonostante Sheila ne avesse tirati i lacci fino alle massime estremità, spesso doveva tirarsi su i calzoni della divisa che chiaramente le stavano larghi.  Tolto ciò, era evidente l’impasse in cui era finita e meditabonda si fermò a considerare la situazione.

Se non erano state le ossa rotte o un improvviso malore ad allontanare Matthew dal suo giaciglio, cos’altro poteva essere successo? Fece rapidamente mente locale e colta da un lampo d’intuizione, capì dove doveva cercare.

“Ma certo.” Pensò tornando sui suo passi, dirigendosi verso gli ascensori e infine al piano terra, dove, nelle ampie stanze che davano sul giardino e dalle cui finestre entrava luce e calore, c’era il reparto di psicopatologia e il gabinetto della dottoressa che settimane prima l’aveva torchiata con le sue domande.

Non aveva le chiavi per accedere e difficilmente l’avrebbero fatta entrare se avesse bussato, ciononostante introdursi non le fu difficile, in quanto la serratura della porta non presentava particolari difficoltà e per farla saltare le bastò una semplice forcina. Il problema casomai, pensò fissando la targhetta sulla porta che cercava, era capire se effettivamente Matthew era all’interno e con quale scusa avrebbe potuto entrare. Chiaramente nello studio dove avvenivano i colloqui la sua presenza sarebbe stata del tutto incongrua, né poteva spacciarsi per un luminare in visita conciata a quel modo. Cosa inventarsi?

Ancora una volta si fermò per valutare attentamente le possibilità. E, mentre si spremeva le meningi, facendo vagare lo sguardo tutt’intorno, improvvisamente s’accorse che ad una distanza irrisoria dall’uscio che stava rimirando c’era una sospetta porta dal telaio reso quasi invisibile dall’intonaco. Per cui, guidata dal suo istinto ladresco, che raramente falliva, senza pensarci una volta di troppo, forzò anche quella ed entrò. Con sua sorpresa si ritrovò in una specie di cubicolo stretto e lungo, dove, posizionato faccia a muro, era disposto un tavolo con alcune sedie. Inoltre di primo acchito la parete sembrava cieca, ma a guardarla meglio ci si accorgeva che così non era, dal momento che si trattava di uno specchio oltre il quale si poteva vedere e soprattutto sentire tutto ciò che avveniva nell’altra  stanza.

“Risalirà agli anni 70.” Rifletté la ragazza, ripensando ai vari documentari dedicati al quel decennio neanche troppo lontano, quand’ancora i pazienti di psichiatria venivano trattati come cavie da laboratorio e ad assistere agli elettroshock c’era tanta di quella gente che mancava solo passasse il bibitaro come allo stadio.

In ogni caso, al di là di ogni considerazione postuma, era un fatto che c’era tanta di quella polvere depositata sugli arredi, che era evidente quel vano fosse inutilizzato da tempo e che l’ultima delle classi di praticanti portata ad osservare le reazioni di un paziente in seduta fosse passata da un bel pezzo. Comunque sia quell’anfratto le andava proprio a puntino, non fosse per il fatto che l’istitutrice prussiana, che talvolta si affacciava ai margini della sua coscienza, non era affatto d’accordo con i suoi intenti. Già, il dilemma che le si poneva in quel momento era assai spinoso e a disagio si bloccò, chiedendosi se fosse corretto origliare le confidenze di un individuo al proprio terapeuta. Specialmente se questa persona era il suo fidanzato.

“Mi accerto solo che sia lui e poi me ne vado.” Si ripromise con fermezza, ma poi, in barba a tutti i suoi virtuosi propositi, quando effettivamente si fu sincerata che era proprio Matthew quello che stava facendo il suo ingresso e che si stava accomodando sul lettino, non le riuscì proprio di allontanarsi.

“Metti che parli di me”, sostenne tentando di venire a patti con l’etica, “ e anche in considerazione del nostro ultimo litigio, sarebbe importante sapere cosa dice.” Argomento questo che ebbe il potere di tacitare quasi del tutto ogni scrupolo di coscienza, benché  sotto, sotto, mentre lo stava a guardare che si stendeva, rigido e palesemente impacciato, si sentisse una vera manipolatrice.

Al di là del vetro invece tutto sembrava pervaso da una calma apparente, rotta solo dai respiri di entrambi e dallo sfogliare del libretto di appunti che la donna stava consultando. Il che portò Sheila a chiedersi imbarazzata se di solito fosse quella la prassi. Anche perché, pensò un po’ scocciata e sempre più recalcitrante verso i suoi montanti sensi di colpa, visto che stava palesemente trasgredendo la privacy del suo compagno e che la qual cosa infastidiva alquanto il suo amor proprio, volevano decidersi a venire al punto quei due?

Un pensiero questo che parve passare da una stanza all’altra fino a scuotere la dottoressa, la quale improvvisamente aprì le danze, ponendogli un interrogativo. Parlava a voce talmente bassa che Sheila si protese verso lo specchio per meglio carpire le voci, ma anche gli atteggiamenti e le espressioni.  

“A cosa sta pensando?” Aveva chiesto il medico a Matthew per sollecitare il suo recalcitrante paziente a parlare, giacché questi se ne stava disteso immobile ad occhi chiusi, apparentemente intenzionato a non aprire bocca.

“Detesto questa domanda.” Replicò infine visibilmente contrariato. Come ogni volta, due giorni a settimana, soleva fare dacché era uscito dal coma. E davvero la odiava accidenti. Cazzo, pensò innervosito, ma perché volevano costringerlo per forza a parlare? E poi, si chiese impermalendosi via, via sempre di più, che accidenti c’era da dire? Chi gliela dava a quella gallina la certezza che stesse pensando a chissà quale profondo interrogativo? Porca puttana, rifletté sarcastico, magari proprio in quel momento a tutto stava pensando, fuorché ad una cosa seria. E allora che sarebbe successo se le avesse detto che gli stavano passando per la testa un sacco di stronzate? Come minimo, ne concluse, mi metterebbe a pane e valium, ecco cosa.

Una prospettiva questa che comprensibilmente poco gli sorrideva e perciò ne dedusse che gli conveniva starsene zitto, ché in tal caso non solo si salvava dal capestro, ma evitava pure delle figure di merda.

Porco mondo! Continuò ad imprecare tra sé e sé. Accidenti a lei e al suo insopportabile lettino di velluto, che ogniqualvolta ci si sedeva, ci scivolava finché non si trovava quasi col culo per terra. Ma accidenti soprattutto, pensò fissando ostile la parete innanzi a lui,  a quei quadri di merda che aveva appesi! Di sicuro ce li aveva messi apposta, perché non si capiva mai, da qualunque angolazione li si guardasse, che cazzo rappresentavano! E poi, soggiunse ritornando al cruccio di partenza, ma come diavolo si fa a parlare con qualcuno che non ti guarda manco in faccia? Eh già, facile mettersi alle spalle di una persona e scribacchiare chissà cosa facendo la faccia saputa. Ma chi glielo diceva a lui che magari manco lo stesse ad ascoltare e che sul quel cazzo di taccuino ci scrivesse la lista della spesa?

Perciò, considerato quanto sopra, ma anche per via delle chiusure ermetiche cui l’amnesia lo aveva costretto, ne dedusse che era meglio restarsene muto e amen.   

“Perché la odia signor Isman?” Chiese la donna, che fin lì l’aveva lasciato riflettere in santa pace, ma che adesso ne interrompeva il rosario di contumelie, richiamando nuovamente la sua attenzione. “Forse perché la mette innanzi a domande che vorrebbe eludere?” Aggiunse, tornando a battere sul tasto di sempre e facendolo sbuffare come una vaporiera.

“La odio perché è una tipica domanda di voialtre femmine!” Replicò Matthew con impeto, facendo sobbalzare, allo stesso tempo, Sheila nella stanza di fianco e sorridere sotto i baffi la terapeuta accanto a lui. Chiaramente non poteva saperlo, ché se l’avesse saputo avrebbe risposto in modo differente, per cui continuò con la medesima veemenza: “Ma porca vacca, mi chieda piuttosto che accidenti m’è preso ieri e perché! Ho dato i numeri no? E allora parliamo di quello che almeno so che dire. Invece no, lei mi domanda che sto pensando… Embé, lo vuole proprio sapere?”

Posta innanzi a quel tono di intimidazione la donna non ne perse di placidità e, non senza una punta di sottile ironia nella voce, asserì che non aspettava altro dacché avevano cominciato la terapia.

“Sta bene allora!” Esclamò accettandone il tacito confronto. “Sto pensando che Alice avrebbe potuto evitare di mettermi quella cosa sotto il naso.” Sbottò tirandosi su e voltandosi, non senza una certa difficoltà, verso di lei, pur sapendo che così stava  trasgredendo una delle prime regole che gli aveva enunciate. Quindi, quando le fu ad un palmo di naso, continuò: ”Sto pensando che molto probabilmente l’ha fatto apposta, fregandosene se nel frattempo a me veniva un coccolone!”            

 “In effetti so che ha passato una nottataccia e che hanno dovuto somministrarle un bel po’ di tranquillanti.” Replicò il medico senza scomporsi innanzi a quel livore mal represso e lasciando che assumesse la posizione che più gli aggradava sul lettino. Tanto, e aveva avuto già modo di constatarlo, su quel tizio non aveva nessun tipo di autorità. Per cui che si mettesse pure come più gli piaceva, purché parlasse.

Discorso diverso invece per quel che riguardava Sheila, che dall’altro lato della parete, si stava decisamente allarmando. Maledizione, che aveva fatto quella serpe di Asatani? Cosa aveva mostrato a Matthew di tanto sconvolgente da provocare quella buriana? Non era difficile immaginarlo, certo che no! Ma ora doveva restare calma ed ascoltare attentamente, perché forse così l’avrebbe saputo al di là di ogni sua illazione.

Pure, come si faceva a rimanere calma e composta quando un allarme rosso dentro di te suona a distesa? Ché l’istinto le stava gridando a chiare lettere che s’approssimava una situazione pericolosa per sé e per le sue sorelle. E proprio per questo si costrinse ad uno sforzo di volontà, cassando ogni suo pensiero e concentrando tutta la sua attenzione sul dialogo sibillino che stava continuando dall’altra parte.

“Questo non deve spaventarla”, stava infatti dicendo la dottoressa con tono conciliante al fine di tranquillizzarlo, “si tratta di un semplice episodio, quand’anche significativo e forse addirittura in grado di smuoverla fino a cominciare a ricordare.” Aggiunse cauta, pur consapevole che in quel modo stava giocando con il fuoco. In effetti le era palese ormai che l’uomo tutto voleva, tranne che quello. E infatti la reazione di Matthew a quelle parole le parve quasi scontata.

“Cazzate! Non mi sono ricordato una cippa! E quel coso mi ha solo provocato un sacco di incubi e un’altra notte all’addiaccio a fumare!” Ribatté lasciandosi scivolare sullo schienale, fino a tornarsene nella sua posizione originaria, poiché proprio non gliene teneva più di guardare quel pezzo di ghiaccio. E dire, pensò valutandola per la prima volta, che tutto sommato non era niente male.

“Perché non me ne parla?” Gli stava chiedendo nel frattempo questa, inconsapevole della stima spassionata cui le sue curve stavano venendo valutate. “Non ha idea di quante e quali cose si possa estrapolare dai sogni.” Lo incalzò con voce rassicurante, provando ad attaccarlo su di un lato assai vulnerabile, giacché di solito parlare di sé aveva il potere di smuovere sempre e comunque una parte narcisistica cui è difficile resistere. Ma vuoi per l’antipatia, vuoi perché si stava chiedendo che taglia di reggiseno avesse, vuoi per un insito istinto di autoconservazione e di difesa, Matthew non abboccò.

“Non posso, non me ne ricordo.” Affermò lapidario. Quindi, incurante del divieto, pescò nella tasca del pigiama sigarette e accendino e se ne accese una, sperando che l’evidente fastidio che la donna aveva per il fumo la portasse a buttarlo fuori. Ma quella, purtroppo per lui, non se lo diede per inteso. Con grande soddisfazione da parte di Sheila che stava letteralmente friggendo in attesa che l’arcano in qualche modo, attraverso sia pure un piccolo dettaglio, le si potesse svelare e che continuava ad ascoltare trepidante con una bruttissima sensazione che le serpeggiava su e giù per la schiena.  

“Allora mi dica cos’ha provato.” Insisté il medico resistendo stoica sia al depistaggio che alle zaffate di fumo.

“Mi sono svegliato per pisciare.” Bissò l’elusione Matthew usando a bella posta quell’espressione volgare. “Poi mi facevano male e ferite e… mm vediamo… sì, avevo anche fame.” Concluse continuando a far l’indiano, tanto che parve infine che la donna avesse capito l’antifona e lo congedò. Tuttavia, mentre raccattava le stampelle e si preparava ad andarsene, fissandolo da dietro agli occhiali, sparò inaspettata un’ultima cartuccia.     

“Dopodomani lei uscirà da qui, per quanto crede che potrà continuare a fare lo gnorri signor Isman?”  

A quella domanda Matthew la guardò di sotto in su dall’alto della sua considerevole statura e si limitò a grattarsi il mento ispido. “E chi lo sa doc.” Rispose evasivo, dopodiché, prima di prendere la porta, le fece un sorriso talmente franco e disarmante che a lungo questa si chiese quanto ci fosse e quanto ci facesse quel tizio. Ché lei, nonostante tutti i suoi attestati, ancora non l’aveva capito.

Quanto a Sheila non ebbe il tempo materiale per riflettere su quello scambio di battute, né su tutto quanto lo aveva preceduto, poiché aveva pochissimo tempo per filarsela, nonostante l’andatura claudicante di Matthew. Di conseguenza, rapidamente lasciò quel cantuccio e mollando lì i sabot che ne impacciavano il passo, scalza corse di sopra a recuperare le sue cose. Indi, sempre volando come se avesse il fuoco alle calcagna, tornò indietro fino ad intercettarlo mentre lentamente transitava diretto alla sua stanza. E non aveva neppure il fiatone quando finalmente si accorse di lei, anzi sembrava una appena uscita da una seduta dal visagista.

“Ehilà!” Fece Matthew colto alla sprovvista, sfoderando un’espressione ad un tempo sorpresa e contenta, ma che soprattutto voleva ostinatamente celare i travagli di cui lui non sapeva lei fosse al corrente. Tanto che di primo acchito, ora che lo vedeva da vicino, Sheila si accorse di tanti piccoli dettagli che in precedenza non aveva potuto notare.

Già, appariva provato e non solo per via della barba lunga, quanto per gli occhi pesti e l’incavo delle guance, che il sorriso che le stava rivolgendo a stento dissimulava. Sheila lo guardò e capì che per giorni doveva aver covato una smorfia contrita e che ancora gli deformava il volto, sebbene stesse facendo di tutto perché non se ne accorgesse.

E allora, forse per la prima volta da quando avevano litigato, pensò al suo benessere piuttosto che al proprio e preoccupata si chiese se tutto ciò fosse la conseguenza del dolore fisico o di quegli incubi di cui aveva parlato prima. Ma, quale che fosse il motivo, ora le appariva molto vulnerabile e le fece una tenerezza infinita, tanto che sentì un moto spontaneo venirle dentro e, prima che potesse impedirselo, con affetto gli carezzò il viso. Un gesto che lo turbò e disorientò al punto che fece alcuni passi indietro incerto. 

Invero Matthew voleva dire qualcosa, porca boia, pensò, doveva dire qualcosa! Eppure non riusciva e lo stesso discorso per valeva per Sheila. Chiaramente avevano entrambi una coda di paglia grossa così, anche se per motivi diametralmente opposti e del tutto sconosciuti l’una all’altro. E chissà come sarebbe finita se nel frattempo non fosse passata a prelevarlo la terribile caposala, la quale, senza perdersi troppo in chiacchiere, li trascinò ambedue verso l’ortopedia.

A quanto pareva infatti, considerato che il paziente era lì, lì dall’essere dimesso e che le lastre erano promettenti, il fisiatra  aveva deciso di alleggerirlo dal gesso che gl’imprigionava la gamba. Pertanto, nella concitazione del momento, non poterono dirsi alcunché. Cosa questa che andava benissimo ad entrambi e finì che quando Matthew entrò nell’ambulatorio, preferì andarci da solo, lasciandola in corridoio ad attendere. E fu meglio, giacché diede loro il tempo di ricomporsi e prepararsi adeguatamente a parlarsi, nella pia speranza di non incappare in passi falsi e soprattutto di non accapigliarsi nuovamente.

Dopo un po’ Sheila, che aveva trascorso quell’attesa così immersa nei propri pensieri da non accorgersi del tempo che passava, se lo vide venire incontro zoppicante ma finalmente sulle sue gambe. Avanzava un po’ incerto, ma più le si avvicinava, più sembrava acquistare sicurezza e, almeno nell’espressione, sembrava non serbare traccia della precedente spossatezza.

“Allora“, esordì quando le fu a pochi passi, “ci diamo la stretta di mano dei pugili sul ring  prima di suonarsele o mi permetti di prostrarmi ai tuoi piedi chiedendoti umilmente scusa?”

“Non sarebbe male come idea.” Replicò lei ilare, anche se quel repentino mutamento di registro la confondeva. In ogni caso tentò di stemperare quella sensazione, lo prese sottobraccio e aiutandolo a camminare, lo condusse fin sul balcone della sua camera. Il discorso che dovevano affrontare infatti preferiva farlo lontano da orecchie indiscrete. “Mentre ti aspettavo”, mentì intanto che lui grato si sedeva, “ho parlato col medico che era di turno stanotte. Mi ha detto che sei stato male, cos’è successo?”

“Nulla.” Rispose lapidario e visto che lei lo guardò in un certo modo, ovvero con quell’espressione esigente che da poco aveva cominciato a capire e temere, aggiunse: “Niente di cui debba preoccuparti credimi.”

“Sei sicuro?” Insisté cercando di celare la delusione, ché Matthew nonostante tutti i suoi difetti, in passato non era stato mai diffidente con lei. Anzi l’aveva sempre potuto leggere come un libro aperto, per questo adesso quel suo fare circospetto, non solo le risultava nuovo, ma anche inaspettatamente penoso. Al punto che non poté far a meno di chiedersi com’era stato possibile che finissero così. Stava per aggiungere qualcos’altro, ma questi la bloccò sollevando una mano, quasi a chiedere il permesso di parlare.

“Piuttosto”, disse interrompendola sul nascere, “parliamo un po’ di cose importanti.” Quindi fece un sospiro come chi stia per immergersi nell’acqua gelata e continuò: “E credimi sulla parola se ti dico che una volta tanto non sto facendo lo scemo, davvero. Insomma, per farla corta, volevo chiederti scusa. Per l’altra volta e per tutto il resto.” Buttò fuori precipitosamente e tutto d’un fiato, prima di avere il tempo di ripensarci.

“Bel modo di riassumere il tutto, senza dire niente.” Ribatté Sheila scoppiando a ridere di cuore.  

“Ehi ma io mi sto scusando!” Protestò incurante del fatto evidente che si stessero riferendo a due episodi completamente diversi.

“Non è questa la parola che userei io, sai?” Lo provocò per vedere fin dove si sarebbe spinto.

“Beh bellezza”, celiò ma senza scherzare poi tanto, “neanche tu sei stata proprio un angelo.”

Affermazione questa che avrebbe potuto dare nuovamente fuoco alle polveri, ma siccome non era quello lo scopo per cui era tornata in ospedale, stavolta fu il suo turno di salvarsi in zona cesarini.

“D’accordo”, esclamò ostentando pazienza e ragionevolezza, tecnica questa che non mancava mai di dar frutto, “mettiamoci una pietra sopra e speriamo di non doverci tornare più.”  

“Un’ultima cosa”, aggiunse un po’ titubante, ignaro dei celati altarini, “per caso Kelly ti ha detto qualcosa in proposito della nostra conversazione?”

“Puoi stare tranquillo.” Lo rassicurò non senza una punta di sarcasmo nella voce. “Ha mantenuto un silenzio di tomba sull’argomento. I vostri soliti segretucci sono al sicuro. Non li direbbe a nessuno, meno che mai a me.”

“Uh meno male!” Gli scappò prima di cominciare a sghignazzare con evidente sollievo. Ora veniva il difficile però, come si doveva comportare? Come suggellare questa ripartenza? Prenderle le mani e fissarla dritto negli occhi?  Abbracciarla per palesare tutto il suo trasporto? Darle un bacio hollywoodiano magari? Accidentaccio, dopo quanto successo l’ultima volta forse era meglio evitare qualsiasi contatto epidermico, senza contare che doveva badare bene a quel che diceva e come lo diceva. Cristo santo che fatica! Pensò e quindi, sperando di riuscire ad evocare un tono che fosse accorato, ma non tanto da sembrare uno smidollato, caloroso abbastanza da apparire coinvolto, ma senza scadere nel torbido, prese coraggio e vergognandosi da morire le disse con un filo di voce: “Mi sei mancata sai?”

“Anche tu scemo.“ Fu la risposta che sentì e solo allora levò gli occhi a guardarla, giacché mentre lo diceva si era ben assicurato di non farlo, tanta era la paura di fare un errore madornale. Ma, aveva udito bene oppure gli stavano andando in pappa pure le orecchie? Con la coda dell’occhio la contemplò e quello che vide lo fece sentire tutto ad un tratto un gigante, tanto che per un momento di sembrò di comprendere appieno quanto aveva tentato di dirgli Kelly riguardo alla natura dei suoi sentimenti. Ché quella semplice affermazione da parte di Sheila gli stava spalancando le porte della conoscenza.

Già, tutto ad un tratto pareva non gliene fregasse più nulla di quel che era stato in passato, di quanto era potuto accadere in precedenza e se davvero negli anni che avevano trascorso assieme l’aveva amata tanto o poco. Ora parevano solo dettagli davanti a quel che sentiva, giacché  stava realizzando consapevolmente di esserne di nuovo innamorato. Impaziente e allo stesso tempo euforico stava per dirglielo, quando la medesima fitta lancinante della sera prima prese a martellargli la testa. Ammutolito sbiancò e si prese il capo tra le mani. Non voleva spaventarla, ma la voce impaurita di Sheila che gli chiedeva cosa stesse accadendo non fece che aumentare il suo senso di straniamento. Serrò le palpebre, tentò di domare il respiro che gli si stava strozzando in gola e un dolore acuto gli serrò il petto, mentre in una specie di déjà vu prolungato vide profilarsi davanti a sé, come nella scena di un film, una sagoma ondeggiante che attraversava il buio. Era la schiena di una donna quella? Forse, ma di certo correva agilmente davanti a lui e sapeva di non essere capace di raggiungerla.  

“Dottore! Dottore!” Urlò Sheila in preda al panico, ma prima che potesse fare o dire altro, una mano afferrò con una presa spasmodica le sue. 

“Le gocce!” Fece concitato indicandole con un cenno del capo il comodino, poi cercò di mettere a fuoco la vista concentrandosi su di lei. Neanche si prese la briga di contarle, si attaccò alla boccetta come un avvinazzato all’alcool e ad occhi chiusi aspettò che producessero il loro effetto.

Quando si fu quietato un po’ e il respiro gli tornò normale si rese conto che le aveva fatto prendere uno spavento terribile e quindi cercò di rassicurarla. “Sto bene adesso.” Affermò, ma constatato che non aveva affatto placata l’ansia che le si poteva leggere sul viso,  aggiunse: “Capita quando sono molto agitato e oggi ne ho avute di emozioni no? Arrivi tu, poi mi ritrovo con la zampetta libera…” Disse provando a fare dello spirito, ma visto che neppure questo pareva fare effetto, tentò di spiegarsi meglio. “Non so come dirlo, ma credo di aver visto qualcosa. Come se mi fossi ricordato  di qualcuno. Ma non ne sono sicuro.” Ammise incerto.

“Cosa hai visto?” Chiese Sheila preoccupata e sgomenta da quanto aveva visto. Accidenti, fin lì aveva preso quella cosa quasi come un gioco, ma oggi si era resa conto che un gioco non era. E pure l’origliare in cui si era prodotta quel mattino assunse tutt’altra valenza. Maledizione, pensò per l’ennesima volta,  perché era sempre costretta ad assumere questi atteggiamenti ambivalenti con lui? Pareva quasi che il destino si stesse divertendo con loro come due marionette inerti.

“Una donna.” Disse piano dopo averci riflettuto sopra. “Correva davanti a me e poi è scomparsa . E dire che in quel momento stavo pensando a tutt’altro.” Concluse con lo sbuffo scocciato di chi non sta capendo nulla e si sta davvero rompendo le scatole.

Sheila si morse il labbro incerta, era palese a cosa si potesse riferire quell’immagine e ora non sapeva proprio che fare. Certo, se fosse stata sicura che parlagli di Occhi di Gatto l’avrebbe aiutato ad evitare quella sorta di stato di trance, per quanto momentanea, non avrebbe avuto indugi a farlo. Ma l’antica paura legata alla rivelazione della sua molteplice identità era ancora viva in lei, per non parlare del fatto che era all’oscuro delle subdole manovre di Alice Asatani. Perché adesso ne era certa, la detective non si era fatta scrupolo di mettergli sotto al naso una delle loro card, a caccia com’era della verità. Cos’altro aveva fatto e cosa ancora tramava?

“Che stronza!” Pensò e inaspettatamente fu proprio Matthew a darle la piena conferma.

“Comunque non c’è da preoccuparsi sai?” Stava dicendo appunto, provando a minimizzare l’accaduto. “E’ successo anche ieri e probabilmente sarà stato a causa di quella specie di biglietto da visita che mi ha mostrato Alice. E’ stato da quel momento che ha preso a scoppiarmi la testa.”

“Un biglietto di Occhi di Gatto.” Mormorò lei voltandosi repentinamente a dargli le spalle, poi si fece forza e, tornando di fronte a lui, che la fissava incerto, sparò la domanda che non poteva più eludere a bruciapelo . “Sai chi sono?”

“No.” Rispose lapidario. E per un lungo istante si fissarono come due contendenti ai lati opposti di una barricata. Lo sguardo di Sheila gli scavava nel profondo per capire se le dicesse tutta la verità, mentre quello di lui per una frazione di secondo le parve sfuggente. Ma durò talmente poco, che si chiese se non fosse stata un’impressione provocata dai suoi stessi sensi di colpa. In caso contrario, perché Matthew avrebbe detto ciò che le disse? Infatti sembrava quello di sempre mentre con aria dubbiosa, ma assolutamente benevola aggiungeva: “Anche se e a questo punto muoio dalla voglia di  saperlo. Sembra che siano una parte importante del mio passato.”

“Non te lo immagini neppure quanto.” Ammise la ragazza, mentre all’improvviso una piena di tristezza la travolgeva. E doveva essere stato evidente, giacché Matthew ne richiamò l’attenzione battendole una mano sulla spalla.

“Sai che ti dico? Chi se ne frega!” Dichiarò perentorio. “E’ una vita che non ci si vede e noi stiamo qua a perdere tempo appresso a questa storia? Se è davvero importante mi verrà in mente, sennò ciccia. E’ ora che la pianti di starmene qui a peso morto ad aspettare che gli altri facciano tutto il lavoro per me, giusto?” Chiese strizzandole l’occhio e, visto che Sheila pareva non sapere cosa rispondergli, continuò allegro: “Dopodomani mi buttano fuori e c’è un’infinità di cose che devo fare. Ad esempio, vedere se tra queste quattro pezze c’è qualcosa di decente da mettermi addosso. Mi ci gioco quel che vuoi che è tutta roba fuori moda.”

Innanzi a quella poco velata presa in giro Sheila ci mise tutta la sua buona volontà per cercare di tirarsi su.

“Se avessi saputo che il gran giorno era domani ci avrei pensato io a portarti qualcosa. Temo che non troverai granché nella tua sacca.” Rispose lanciando un’occhiata alla borsa che giaceva afflosciata accanto all’armadio. Gli era grata per quel tentativo di lasciar cadere l’argomento precedente, eppure c’era qualcosa che non le tornava. Ma forse era meglio riparlarne in un momento e un luogo più opportuni.

“Di certo non posso uscire da qui in pigiama e onestamente quando sono arrivato non che l’abbigliamento fosse una delle mie priorità.”  Ribatté faceto, dopodiché le lanciò l’esca che sperava potesse farle tornare un po’ d’entusiasmo. “Magari potremmo andare a fare shopping.” Propose con falsa noncuranza. Al che il miracolo avvenne, giacché Sheila ghignò malefica al solo pensiero. Ché Matthew aveva sempre detestato andare in giro per negozi con lei. La considerava una maratona estenuante, mentre adesso non solo gliel’aveva proposto, ma non aveva nessuna scusa per sottrarsi e in più le aveva porto su di un piatto d’argento l’irripetibile occasione di convincerlo ad abbigliarsi come piaceva a lei.

“Volentieri.” Condiscese con grazia. “Però non voglio sentire un fiato!” Lo avvertì cominciando a ridacchiare.

“Okay, come tu vuoi.” Rispose soddisfatto dall’esito del suo tentativo, ma senza riuscire a spiegarsi cosa accidenti ci fosse da essere tanto contenti a quella prospettiva . Femmine! Pensò per la centesima volta da quando se l’era ritrovata davanti.  “In ogni caso”, aggiunse tanto per dire qualcosa, “per prima cosa Alice deve portarmi le chiavi di casa. A quanto ne so, attualmente c’è una squadra di eroi impegnata a darle una pulita.”

 “Ho capito bene?“ Chiese Sheila sorpresa, ma soprattutto, gli parve, sdegnata. “Vorresti farmi intendere che con un braccio ancora appeso al collo, senza alcun senso dell’orientamento e privo di qualsiasi nozione di sopravvivenza tu pensi seriamente di potertela cavare?”

Domanda questa che gli fece leggermente girare le palle, non gli piaceva che la sua presunta incapacità nel gestirsi gli venisse spiattellata tanto alla leggera  e  stava per risponderle male. Poi si rese conto che di sicuro avrebbero ricominciato a litigare e tenne a freno la lingua.

“Mi pare esagerato parlare di sopravvivenza, non vado mica in Amazzonia.” Rispose con appena un filo d’ironia. “Ci riflettevo l’altro giorno e sono sicuro che tra  lavanderie, tavole calde, bagni pubblici e imprese di pulizia, non dovrebbe essere troppo difficile. Inoltre non credo di avere molta scelta.” Aggiunse, come a voler chiudere l’argomento.

“Una scelta ce l’hai invece”, fece la ragazza quasi con aria di sfida, “potresti venire a casa mia.” Propose, pensando una frazione di secondo dopo che non solo sarebbe stata una specie di riedizione postuma, quanto, così come in precedenza, in tal caso avrebbe potuto tenerlo d’occhio. Pensiero questo che le sovvenne suo malgrado e quasi si odiò per averlo formulato. Pure era indispensabile, doveva tenerlo sott’occhio e vigilare, perché non si poteva sapere quando e cosa gli sarebbe tornato alla memoria e perciò era indispensabile che gli fosse sempre vicino. Dettaglio che tutto sommato le faceva piacere anche per altri motivi, i quali però era troppo orgogliosa per ammettere, quindi preferì accantonarli e pensare piuttosto a quelle che riteneva necessità più impellenti.  “E’ fuori discussione che in questo momento pensi anche lontanamente di poter stare da solo.” Dichiarò infine con autorità.

“Beh , l’idea di avere tre bandanti è allettante lo ammetto.” Replicò Matthew sghignazzando. “Ma  sai, a quanto mi è stato riferito, questa è un’esperienza che abbiamo già fatto e non mi pare che sia andata molto bene.” Aggiunse perplesso mentre lei lo fissava allibita. Chi diavolo glielo aveva detto?

“Tati mi ha raccontato un paio di episodi che sul momento mi hanno fatto sbellicare, però a riguardarli adesso, suppongo che se ritentassimo sarebbe un disastro.” Fece guardandola costernato e, visto che pareva non capire a cosa alludesse, tentò di spiegarsi meglio. “Io non ho ancora capito da me cosa cerchi precisamente. Se un amico o un fidanzato. E non so come comportarmi.” Confessò sbuffando per celare la vergogna poi, già che c’era, andò fino in fondo. “Insomma, prima lo sapevo a cosa sarei potuto andare incontro e stavo in campana, ma ora che altro potrei combinare nella mia ignoranza? Non è che ci tengo a farmi menare mattina e sera eh?”

“Ferma il gioco.” Lo bloccò completamente scorata Sheila, ché, a parte quella legittima pretesa da parte sua, doveva anche fare i conti con le indiscrezioni di quella peste di sua sorella. E non osava neppure immaginare quanto e cosa gli avesse spifferato. “Dimmi che ti ha detto precisamente.”

“Uhm vediamo”, cominciò ad enumerare contando sulle dita, “che io e te abbiamo dormito nella stessa stanza, ma che ho preteso una tenda divisoria, anche se poi c’ho provato lo stesso e le ho prese di brutto.” Esordì facendola arrossire come un peperone . “Poi pare che mi sia preso un secchio d’acqua gelata e una bacinella in fronte da lei quando ho provato ad entrare in bagno. Mi ha anche detto che  praticamente divoravo  tutto quanto ci fosse di commestibile in casa peggio di un cane affamato e che per mettere fine alla mia voracità avete preso a cucinare solo verdura cruda...”

S’interruppe un momento grattandosi pensosamente il mento, tentando di far mente locale per riferirle quella messe abbondante d’informazioni esattamente nell’ordine preciso in cui gli era stato riferito, in modo che fosse inconfutabile.

“Ah sì, pare che il gran finale ci sia stato quando, per mettermi in imbarazzo allo scopo di buttarmi fuori, Tati abbia tentato di fare la seducente e che a quel punto le avrei buscate ancora, perché non l’avrei trovata affatto concupibile.”  

“Sì, va bene, è chiaro.” Lo interruppe Sheila sperando che non continuasse, ma Matthew imperterrito andò avanti.

“Dopodiché sembra che Kelly si sia fatta trovare discinta e che io sia scappato con gli ormoni a mille e che successivamente, addirittura si sia intrufolata seminuda in bagno e mi abbia fatto delle proposte oscene, davanti alle quali sarei andato definitivamente in bambola svenendo...“  Concluse esibendo la sua completa incredulità innanzi a quelle storie che gli parevano davvero assurde. Poi facendo spallucce continuò: “Grosso modo penso di averti fatto un riassunto esauriente. Ora, sono convinto che tua sorella abbia senz’altro esagerato e che per prendermi in giro abbia gonfiato a dismisura la realtà, però un minimo di verità ci deve pur essere. E, anche se ti sono riconoscente per avermelo proposto, credo che tu per prima non vorrai sottoporti di nuovo a questo strazio.”

Inutile sottolineare che Sheila, durante tutta l’esposizione dei fatti, non aveva fatto altro che pensare a come fargliela pagare a sua sorella una volta tornata a casa. Prima però doveva convincere quel testone e soprattutto togliersi una pungente curiosità riguardo ad un altro particolare.

“Ti sbagli sai?” Fece con innocenza, frammista giusto a quel poco di malizia che poteva invogliare un uomo a fare le cose più assurde per lei. “Dopo ti spiego anche il perché, ma prima dimmi, Tati ti ha detto anche perché volevamo metterti alla porta?”

“No e quando gliel’ho chiesto ha replicato che potevo immaginarmelo. Per cui ne ho dedotto che tra mutande e calzini sporchi, molestie e assalti notturni, probabilmente non sono il coinquilino ideale.” Chiarì con aria noncurante, come a dire che se gli si fosse ripresentata l’occasione molto probabilmente avrebbe fatto lo stesso.  

“Bene”, rispose la ragazza con fare pratico, “ora se mi lasci parlare posso correggere questa nomea da camionista che ti ha affibbiato quella spudorata. Non sei un’educanda, questo è sicuro, ma neppure una piaga come ti ha dato ad intendere Tati. E tra l’altro si da’ il caso che sei in difficoltà e che a me, ma anche alle mie sorelle, farebbe molto piacere darti una mano. Detto questo, ci tengo ad informarti che, voglia o no, verrai. E’ chiaro?” Concluse minacciosa.

“Se insisti...” Bofonchiò e poi tra sé e sé pensò che probabilmente quella ragazzina si era divertita ad enfatizzare per farsi due risate alle sue spalle. Eppure all’idea di quel che sarebbe potuto succedere una volta capitato tra quelle quattro mura, si sentiva leggermente sopraffatto. Già, quante mazzate sulla testa avrebbe preso stavolta?

Interrogativo questo che non poteva certo porgere alla sua bella, perciò passarono a differenti faccende e a parlare di tutto quanto era accaduto mentre erano separati. E sembrò che non facessero altro per tutto il tempo finché non arrivò il sospirato giorno in cui poté lasciare quel luogo che tanto aveva detestato durante quegli interminabili mesi. E il giorno fatidico si svegliò contentissimo e si sentiva pieno d’energie mentre riempiva la borsa con le poche cose che possedeva. Lasciò fuori solo un paio di jeans e una t-shirt, che indossò con qualche difficoltà. In ogni caso si sentiva molto meglio con quei semplici indumenti addosso. Chissà, pensò ghignando, se avrò mai più voglia d’indossare un pigiama! E così, tutto allegro, si recò dal dottore per fissare gli appuntamenti successivi per le sue fisioterapie, dopodiché dovette compilare tutti moduli che la burocrazia esigeva e da ultimo salutò quanti aveva conosciuto durante il lungo periodo di degenza, badando bene a non dimenticarsi di nessuno. In fin dei conti, pensò, chi più chi meno, gli erano stati di compagnia e aiuto. Perciò passò a fargli un salutino e uno sfottò, lasciandosi per ultima la caposala, che era stata la sua vittima preferita. Infine gli consegnarono quanto gli avevano tolto di dosso al momento del ricovero. Questa gli giungeva nuova, in effetti non si era mai chiesto se avesse documenti o altri oggetti personali e meditabondo soppesò la busta, tuttavia non ebbe il tempo di dargli un’occhiata giacché Sheila già lo stava aspettando.

“Ciao.“ La salutò felice mentre lei faceva il gesto di togliergli la tracolla dalla mano.

“Non è il caso che faccia degli sforzi.” Rispose lei alla sua occhiata interrogativa .

“Ma andiamo, per quello che pesa.” Protestò sottraendosi. “Sai, mi piacerebbe che non mi trattassi come un maledetto invalido. Vorrei lasciarmela quanto prima alle spalle questa fase.” Affermò vivace, voltando ostentatamente le spalle all’edificio.

“Okay portatela da solo, volevo solo essere gentile!” Replicò un po’ piccata suo malgrado, poi, guardandolo meglio, la sua attenzione fu attirata da altro e subito inquisì. “Dì un po’ signorino, quella roba dove la tenevi nascosta?”

“Ieri, dopo che sei andata via, ho telefonato ad Alice chiedendole se mi poteva comprare qualcosa.” Chiarì seguendola verso il parcheggio.

“Ma non eravamo rimasti che ci andavamo insieme a fare compere?” Ribatté risentita. Accidenti a quella papera, ché oltre i suoi sporchi giochetti, continuava ad intromettersi tra loro a sproposito.

“Certo, ma qualcosa dovevo pur mettere e lei già doveva venire a portarmi le chiavi di casa. Inoltre saresti dovuta tornare indietro, giusto?” Le spiegò affabile, poi vide la macchina, un maggiolino rosso fiammante decappottabile, e scoppiò a ridere sonoramente.

“Beh?” Sheila si voltò a fissarlo, incuriosita da quell’inaspettato scoppio d’ilarità.

“E’ che la trovo alquanto adeguata.” Si spiegò continuando a ridacchiare.“Voglio dire, ho i capelli così lunghi che posso benissimo passare per un hippy, ci mancava solo il maggiolone yèyè per completare il quadro.”

“Effettivamente.” Constatò sorridendo suo malgrado. “Però se fossi in te non li taglierei, ti stanno bene, al contrario di quella barbaccia. Non sognare ti fartela ricrescere!” L’ammonì intimidatoria. Infatti c’era voluto il bello e il buono per convincerlo a tagliarsela e, malgrado le sue veementi proteste, aveva comunque lasciato fuori dalla tonsura le basette, che sfoggiava tutto fiero. Erano così lunghe e piene da far invidia ad Elvis.

“Va bene mammina, che proponi adesso? Ho la vaga impressione che tu abbia fin d’ora un programma definito.”

“Certamente.” Replicò entrando in macchina e tirando giù la capote. Matthew scosse il capo sogghignando e si accomodò schermandosi gli occhi con una mano. C’era un sole accecante.

Ah, pensò soddisfatto, davvero una  giornata fantastica per la sua scarcerazione! 

“Allora vediamo”, fece Sheila richiamandone l’attenzione mentre s’immetteva nel traffico, “ho fatto un elenco di quello che approssimativamente ti dovrebbe servire. Pantaloni, maglie, qualcosa di più pesante, scarpe, pantofole ...”

“Una stecca di sigarette.” L’interruppe accendendosene una. “Questa è l’ultima.” Chiarì tirando una voluttuosa boccata.

“Sto parlando di generi di prima necessità, non di vizi.” Lo sgridò e già che c’era colse la palla al balzo. “Visto che siamo in argomento t’avverto, fuma pure, ma non in casa. Non mi va che il mio tinello puzzi come un posacenere.”

“Va bene, va bene.” Assentì mugugnando. “Accidenti Sheila, sei peggio della caposala!” Fece con tono lamentoso, pur tuttavia continuando a godersela. Era libero, il sole splendeva alto nel cielo e stava filando a tutto gas con una bella bonona accanto, che cosa poteva chiedere di più?

“Dicevamo? Ah sì, uno spazzolino da denti, accappatoio, bagnoschiuma e shampoo neutri, ché sei allergico ...” Continuò ad elencare ignara del fatto che gli occhi dell’altro le stavano facendo su e giù dalle gambe alla scollatura.

“Questo non lo sapevo.” Disse tanto per dire Matthew strizzando gli occhi. Orca boia, pensò tentando di darsi un contegno, se già in macchina cominciava così sarebbe stata dura! In ogni caso, meglio non distrarsi. Per cui ci tenne a sottolineare una cosa. “Mm senti Sheila, fermo restante che apprezzo molto quello che fai, ma alcune cose se non ti dispiace vorrei comprarle da solo.” Annunciò senza chiarire cosa intendesse .

“Sarebbe?” Chiese un tantino sospettosa, già stava pensando ad una serie di riviste sconce. Già in passato infatti aveva scoperto che ne possedeva una fornita collezione,  accuratamente nascosta nell’armadio a muro.

“E dai, cerca di capire, le mutande mi vergogno di comprarle davanti a te!” Sbottò abbastanza impacciato facendo imbarazzare anche lei, tanto che non vide la macchina ferma allo stop davanti a loro e poco ci mancò che la tamponassero.   

“D’accordo.” Replicò senza rispondere al gesto di stizza del conducente davanti. “Vorrà dire che ci fermeremo in un centro commerciale, dove potrai fare i tuoi acquisti anche da solo.”

E detto fatto si diressero nella zona dei negozi dove Sheila gli fece provare l’ebbrezza della corsa allo shopping selvaggio. Per quanto lo riguardava, non che lui avesse delle esigenze particolari o dei gusti troppo sofisticati, anzi gli sarebbe andata bene qualsiasi cosa, ma pareva la sua fidanzata non fosse dello stesso parere. Quindi, visto che una cosa valeva l’altra a suo giudizio, per farla contenta lasciò che scegliesse per lui quello che più le garbava. Anche se ne nacque una mezza lite riguardo alle magliette senza maniche.

“E’ da tamarri.” Sentenziò infatti inflessibile alla vista di quest’ultime che lui aveva scelte.

“E non esagerare, sono carine. E poi mi piacciono, oltre al fatto che con questo braccio sono più facili da mettere.” Tentò di ragionare, ma visto che quella continuava a guardarle con astio, accese le micce all’artiglieria. “Vogliamo parlare di quella maglia di nylon aderente che mi fa sembrare un fru-fru che mi hai costretto comprare?” Domandò provocatorio mentre il commesso stava tra loro come l’arbitro di una partita di tennis.

“Quella è alla moda, stesso non si può dire di queste. Se poi vuoi sembrare uno scaricatore di porto, fatti tuoi.” Buttò lì come se non gliene fregasse nulla. Ma naturalmente era ben lontana dal mollare l’osso.

“Ma signorina, questa è la collezione primavera – estate di quest’anno!” Protestò il commesso  offeso.

“Visto? Le prendo!” Affermò Matthew perentorio approfittandone. Che poi non gli fregasse nulla della moda corrente era un particolare secondario.

“Prima hai fatto un’ora di storie perché volevi le t-shirt a maniche lunghe, affermando che ti vergognavi delle cicatrici e ora che fai, ti rimangi tutto?” L’accusò quand’ormai l’attenzione di tutti i clienti era concentrata sul loro battibecco.

“Uffa!” Sbottò spazientito davanti a tanta insistenza. Dopodiché cercò di pensare ad un modo per ammorbidirla o, per meglio dire, distrarla. “Facciamo così, tu ci passi sopra e io comprerò quel costume che tanto t’ha mandato in solluchero, okay?“

“Bel tentativo cocco, almeno puoi dire di averci provato!” Replicò ghignando. “Ma non basta, sai? Devi anche promettere che verrai in spiaggia. Troppo facile prenderlo e poi rifiutarti con scuse patetiche come quella di prima. Perché se ti vergognassi sul serio eviteresti di metterti quelle, ma visto che insisti tanto, a mare ci vieni. Che dici?”

“D’accordo.” Assentì stremato dalle invettive logoranti della ragazza. Accidenti che testa dura, pensò un po’ spaventato, però gli sovvenne pure che da quando passava tutte le sue giornate con lui,  probabilmente di mare ne aveva visto ben poco. Era giusto che a causa sua fino a quel momento avesse dovuto rinunciarci? Era estate, faceva caldo e certamente l’ospedale non era il luogo più piacevole dove passare il proprio tempo. Per cui, a fronte di questa considerazione, amabilmente inghiottì il rospo. Tanto che quando passarono dal reparto calzature, prodotti per il corpo e biancheria, la lasciò fare senza dire altro e si ritrovò con una serie d’indumenti ed orpelli che da solo non si sarebbe mai sognato di comprare.

Dopo un paio d’ore di quest’andazzo serrato propose una pausa, perché la battitura a tappeto cui avevano dato la stura lo aveva caricato talmente di pacchi e pacchetti da sembrare un facchino. Quindi la portò al bar, la fece sedere, si assicurò che avesse ciò che più desiderava e lasciandole il malloppo, si diresse a passo deciso verso il pannello che recitava Intimo Maschile.

Una volta sola Sheila sorseggiò lentamente il suo caffè assaporandone l’aroma con palato da intenditrice. Pure la sua degustazione s’interruppe quando notò una busta che sporgeva dai sacchetti e che nulla pareva avesse a che fare con le loro spese. Si protese incuriosita a prenderla. Ricordava di averla vista in mano a Matthew fin dal mattino e meditabonda la esaminò, facendo tintinnare quello che c’era all’interno. La tentazione era forte e si rendeva conto che quello che stava per fare era un’ennesima violazione alla privacy, ma proprio non poteva trattenersi, anche perché il contenuto di quel pacchetto poteva dirle molto sullo stato di Matthew prima dell’amnesia. Poteva? Doveva?

“Accidenti!” Pensò e velocemente l’aprì, vuotandone il contenuto sul piano del tavolino, prima che potesse pentirsene. Con attenzione valutò l’insieme e per prima cosa scartabellò un ordine di servizio che giaceva ripiegato in cima al mucchio. Doveva essere l’ultimo ad essergli stato consegnato dal comando generale e cercò di memorizzarlo rapidamente, ripromettendosi di tornarci sopra appena possibile. Infine tra le monetine e altre cianfrusaglie da tasca rilevò una collana col pendente, oggetto questo che mai si sarebbe aspettata di trovare, giacché altro non era che uno degli ultimi regali che gli aveva fatto in occasione del suo compleanno. Sicura di non sbagliarsi controllò la data che vi aveva fatto incidere e tenendola in pugno ripensò a quei giorni.  

Dopo poche settimane da quel giorno la sua copertura era miseramente saltata e si erano separati definitivamente. Lei in partenza per gli Stati Uniti e lui chissà dove, perciò era facile supporre che quell’oggetto non dovesse evocargli momenti piacevoli. Eppure pareva che Matthew l’avesse addosso al momento del ricovero. Cosa voleva significare? Lo portava sempre con sé perché non riusciva a separarsene?

Sospirò inquieta, tentando di non cullarsi in fantasie illusorie, sarebbe stato troppo bello infatti se fosse stato così. Tuttavia voleva crederci, perché se così era,  allora c’era ancora una possibilità e poteva sperare che non tutto fosse perduto. Ciononostante badò a continuare a ripetersi che non era il caso di darci troppo peso, giacché poteva essere una semplice coincidenza o addirittura che Matthew, pazzo di rabbia verso lei, usasse quella collana per farci dei riti voodoo.

Lasciamo perdere per il momento, s’ingiunse e la mise da parte per passare ad esaminare il portadocumenti, dal quale fuoriusciva un bordo di carta lucida. Una foto? Trepidante lo prese con due dita e la tirò fuori.

Non posso crederci, pensò allibita. Era una sua istantanea quella e si ricordava persino il giorno e il luogo di quand’era stata scattata. E se in quel momento avesse dato peso ad uno qualsiasi dei motivi che le passavano per la testa atti a spiegare la presenza di quella fotografia tra gli oggetti che Matthew teneva sempre in tasca, come minimo avrebbe fatto una piroetta e si sarebbe messa a ballare. Invece cercò di restare con i piedi per terra, avendo cura di mantenersi tranquilla, onde non cullare troppe illusioni tutte insieme. Ciononostante, quando quest’ultimo fu di ritorno con una busta piena all’inverosimile di boxer e le si sedette di fronte, non poté reprimere il sorriso radioso che gl’indirizzò.

“Che c’è, ne ho presi troppi ?” Domandò inconsapevole, supponendo che fosse quello il motivo per cui rideva. Sheila scosse la testa e senza rispondergli gli prese affettuosamente la mano tenendola tra le sue. Meravigliato non seppe che fare e si limitò a lasciarla inerte tra le sue, come se fosse un pesce morto.

Che le piglia adesso? Si chiese circospetto. I repentini cambi d’umore di lei erano talmente imprevedibili, da prenderlo continuamente di contropiede. Doveva fare qualcosa? Certamente starsene fermo e immobile come un baccalà non era il massimo, per cui tentò di darsi un tono comunicandole quanto aveva pensato mentre era immerso nella scelta delle mutande .

“Senti un po’, ti spiacerebbe portarmi al mio appartamento?” Chiese con fare casuale.

“Certo, ma a fare che?” Replicò senza mollargli la mano e aggravando viepiù la sua perplessità.

“Innanzitutto perché non so dov’è e credo che dovrei saperlo. E in secondo luogo perché voglio controllare se c’è qualcosa che possa essermi utile.” Buttò lì distrattamente e poi aggiunse: “Però poi filiamo subito a casa e non ti fai vedere almeno per un paio d’ore.”

A questa uscita la ragazza rimase sconcertata, gli mollò immediatamente la mano e iniziò ad arrabbiarsi sul serio. Ma prima che potesse replicare sferzandolo con la sua indignazione, Matthew le fece l’occhietto e chiarì: “Ho intenzione d’invitarti a cena stasera, quindi suppongo dovresti prepararti. E non so perché, ma m’immagino che come minimo ti ci vorrà mezza giornata.”  Aggiunse prima di beccarsi una scherzosa botta sulla testa. 

E ancora stava ridendo quando arrivarono nella strada dove Sheila abitava, anche se,  alla vista dell’opulento grattacielo e della magione che le sorelle chiamavano riduttivamente appartamento, la giocondità cominciò a venirgli un tantino meno. Vero è che non ostentavano il loro status sociale o i fondi illimitati di cui probabilmente disponevano, però, si disse guardandosi attorno a bocca aperta, quel posto immenso trasudava soldi a palate. Inoltre, per quanto ne sapeva lui, fino a poco tempo prima erano state proprietarie d’un bar. Ora, si disse, considerato pure che gli affari potevano essergli andati bene, anzi meravigliosamente bene, ma quanti accidenti di soldi ci si poteva fare con un semplice caffè?

Domanda la sua ch’era destinata a restare senza risposta, anche perché, quando stava lì, lì per chiederglielo, Sheila lo portò in un’altra ala di quell’immensa casa e lo introdusse a quelle che sarebbero state le sue stanze.

“Eccoci, questa sarà la tua camera.” Gli annunciò appunto mostrandogli un ampio locale, che più che una stanza pareva un loft, arredato con gusto e con le finestre che si affacciavano su di un panorama da paura. Matthew sgranò gli occhi ancora una volta e rimase come un fesso per lo stupore. Porca puttana, pensò, già dabbasso quando si erano fermati davanti all’edificio era rimasto secco, quando poi era entrato nell’appartamento di nuovo si era meravigliato e infine, davanti a tutto questo spazio destinato a lui solo, stava avendo il colpo di grazia. Anche perché Kelly e Tati non solo avevano fatto festa al suo arrivo, ma avevano anche provveduto a piazzare proprio sopra alla parete adiacente al letto un’enorme ghirlanda su cui capeggiava la scherzosa scritta  Benvenuto Cognatino. 

Senza parole esitò restando in scia alle tre, era troppo, sentiva assolutamente fuori luogo. Cazzo, pensò sentendosi uno spiantato, prima era entrato giusto cinque minuti nella sua abitazione ed era, nel complesso, pressappoco la metà della stanza in cui l’avrebbero ospitato!

“Che ne dici?” Gli chiese Sheila notando il suo evidente smarrimento.

“Che se mi lamentassi, dovresti buttarmi fuori di qui.” Esclamò preda dell’imbarazzo. “E c’è di più”,  aggiunse nel tentativo di fare dello spirito per superare l’impasse, “qualora avessi voglia di giocare a baseball, lo posso fare tranquillamente qua dentro.”

“Sentimi bene spiritosone”, s’intromise Tati portandolo accanto alle vetrate, “le finestre di fronte sono quelle della mia stanza e se ti becco a fare il guardone ti spezzo le braccine!”  

A quella minaccia la guardò con spassionato disinteresse. “A prescindere che uno già ce l’ho rotto”, rispose valutandola di sotto in su, memore dell’episodio dell’aerobica durante la prima e disastrosa convivenza fatta, “ti posso assicurare che non ci penso proprio.” 

“Ottimo, anche perché la stanza di Sheila è quella appresso, quindi adesso sai dove guardare!”  Gli suggerì ridacchiando e beccandosi un’occhiataccia dalla sorella, mentre per tutta risposta Matthew trasaliva.  

“Piantatela voi due.” Impermalita Sheila, ignorando ostentatamente la sorella, continuò: “Io vado a prepararmi Matthew. Quella è la porta del tuo bagno, usalo pure a tuo piacimento, così eviteremo confusione negli altri.” Chiarì prendendo la porta, non prima però di aver addolcito i toni per lanciargli un ultimo monito: “Nel frattempo mettiti comodo, sistema pure la tua roba se vuoi e fatti trovare pronto per le otto, che hai da onorare una promessa.”

“Okay.” Fu tutto quello che riuscì a dire prima che il terzetto si fu allontanato.

Una volta solo gironzolò un po’ intorno e si fermò a guardare la veduta, anche se quando si accorse che stava errando nella direzione delle camere della ragazza, risolutamente fece dietrofront e cominciò ad impilare i suoi vestiti nell’armadio. Non ci volle molto, ma siccome faceva caldo, si ritrovò talmente sudato che, ringraziando il cielo per il fatto di avere una toilette tutta per lui,  immediatamente andò a buttarsi nella vasca. Così, mentre si pasceva tra le bolle, rifletté sul fatto che quella era la prima vera abluzione che si era goduto da quando si era risvegliato dal coma. Quindi, facendo estrema attenzione a non bagnare il braccio ancora  ricoperto di gesso, si rilassò e si godette quella sensazione dimenticata. Dopo quel prolungato lavacro indugiò davanti allo specchio ad osservarsi e spassionatamente prese a giudicarsi. Tutto sommato, stimò, nell’insieme non era poi tanto male. Forse un po’ magrolino, ma evidentemente era stato un tipo che si teneva in forma, giacché era abbastanza muscoloso e aveva l’addome piatto. Forse non era un adone, si disse, ma neanche tanto da buttare via. Poi però guardò le numerose cicatrici che lo decoravano dal ventre in giù e la gamba che fino al giorno prima era stata ingessata e sospirò sconsolato. Appariva molto più piccola di quella sana e gli sfregi sulle braccia, se paragonati agli altri, erano graffi a confronto. Certo era stato fortunato, ma quei segnacci  violacei erano uno spettacolo inguardabile.  

Pieno di risentimento si coprì con l’accappatoio e sbuffando di malumore tornò verso l’armadio per tirarne fuori qualcosa da mettersi. E solo in quel momento si accorse che probabilmente il commesso giù al negozio doveva essersi confuso con le scatole poiché gli aveva  appioppato un bel paio di boxer rosa shocking.

Cerchiamo di cogliere il lato umoristico della situazione, pensò e tra tanti mise proprio quelli. Già che c’era poi optò anche per la maglietta senza maniche che Sheila aveva tanto vituperato. Non che lo facesse apposta per indispettirla, ma gli era molto più facile da infilare, oltre al fatto che con quel caldo meno si copriva e meglio era. Per concludere prese un paio di scarpe da ginnastica e le andò a mettere nell’apposito vano davanti alla porta d’entrata. Dopodiché, intuendo che per la toletta della sua ragazza avrebbe richiesto ancora tempo, andò nel tinello e si mise a chiacchierare con Kelly, che pareva quasi lo stesse aspettando.

“Allora, stasera c’è il primo appuntamento ufficiale?” Lo stuzzicò appena si sedette.

“Così pare. Spero solo di non combinare qualche grosso casino anche stavolta.” Rispose pensoso provocando un sorriso affettuoso nella sua interlocutrice.

“Se cominci buttandoti giù in questo modo, è probabile.” Lo rassicurò prontamente. “Ricordati del discorso che ci siamo fatti l’altra volta in ospedale e vedrai che andrà tutto bene.”

“Vedrò di fare il bravo...” Promise, ma proprio in quel momento entrò Sheila e non riuscì ad aggiungere altro. Effettivamente stava una meraviglia, era la prima volta che la vedeva versione gran sera e gli stavano letteralmente schizzando gli occhi fuori dalle orbite. Con aria rassegnata si voltò verso Kelly per lanciarle un’occhiata eloquente, come a dire che sarebbe stato quanto mai difficile starsene calmo vicino a quel tocco di figliola, e quest’ultima, innanzi a quello sguardo che valeva più di mille parole, non riuscì a reprimere la ridarella. Quanto a Sheila per l’ennesima volta si stava chiedendo quali altarini nascondessero quei due.  

“Allora si va?” Lo esortò notando l’odiata t-shirt, ma evitando di menzionarla, onde  scansare l’ennesima discussione. Con un cenno del capo Matthew la precedette sulla porta, intanto che le due sorelle si scambiavano uno sguardo carico di sottintesi. Ed erano già sul pianerottolo quando Sheila tornò sui suoi passi per chiedere a Kelly sottovoce: “E’ il mio turno per le occhiate significative?”

“Volevo solo essere sicura che sarai indulgente.” Fu la replica e Sheila non rispose, un po’ seccata dal sempiterno istinto di protezione che sua sorella aveva verso Matthew. Sta  diventando esagerato, oltre che ridicolo, pensò testarda.

“E’ successo qualcosa?” Chiese questi quando davanti alla macchina gli sembrò d’accorgersi che la ragazza praticamente ancora non aveva aperto bocca.

“No, figurati. Allora, c’è qualche posto dove ti piacerebbe andare?” Deviò prontamente, poiché non era affatto il caso di rovinarsi l’umore.

“Mah, a me va bene qualsiasi cosa, a prescindere che non saprei neppure scegliere. E poi questa è la tua serata, quindi ti lascio volentieri il potere.” Affermò incerto sul da farsi, ripromettendosi di leggersi quanto prima un manuale di galateo.  

“Perfetto, ma attento a te, potrei abituarmici!” Lo prese in giro mentre metteva in moto.

Il posto che scelse era un po’ fuori mano così, mentre attraversavano la città, il tragitto fu costellato dalle esclamazioni di stupore di Matthew, il quale proprio non riusciva a capacitarsi di quanto stava vedendo. Tutto gli sembrava straordinario e osservava la gente, gli edifici, le insegne e il traffico con un interesse genuino e incredulo. Praticamente Sheila non riuscì a spiccicare una sola parola, limitandosi a girarsi sorridente dalla sua parte quando questi reclamava la sua attenzione davanti all’ennesimo particolare che lo colpiva. Infine arrivarono a destinazione e il posto si rivelò essere un ristorante all’aperto, di menù rigorosamente occidentale, dal quale si godeva un discreto panorama del lago artificiale e del parco che lo circondava. E sebbene fosse un locale abbastanza alla moda, riuscirono comunque ad avere un tavolo accanto alla balaustra.

Al momento di accomodarsi Matthew inanellò la prima figuraccia della serata. In pratica si sedette lasciandola in piedi accanto alla sedia mentre aspettava che gliela scostasse. Anzi la squadrò pure interrogativo vedendo che si attardava.

“Allora?” Fece con un sorriso che a Sheila parve da beota.

“Niente.” Ribatté senza fare una piega, sedendosi e abbuonandogli quella gaffe come un peccato veniale. In fondo, si disse tentando di essere ragionevole, in ospedale non è che gli avessero insegnato le buone maniere, quindi non poteva fargliene una colpa, né pretendere che la trattasse come una regina.

Lodevole proposito, peccato che sotto, sotto era esattamente così che voleva facesse. In ogni caso, come poteva pensare di covare del risentimento nei suoi confronti, quando si rese conto che col menù in mano brancolava nel buio assoluto? Aveva lo stesso sguardo disorientato e implorante di Bambi, tanto che si vide costretta a soccorrerlo.  

“Faccio io.“ Gli comunicò per toglierlo dalle ambasce quando il cameriere si avvicinò per la comanda e Matthew tirò un sospiro di sollievo, anche se cominciava a sentirsi un completo idiota.

Forse, pensò perplesso, prima di azzardarsi ad invitarla fuori avrebbe dovuto informasi un po’ di più  su certe situazioni. Però ormai erano lì e non gli restava che far buon viso a cattivo gioco con quanta più grazia possibile. Riteneva però di aver bisogno di un aiuto tangibile, per cui, memore di tutta la tv guardata durante il ricovero, si ordinò una pinta di birra.

“Questa poi, non credi ti farà male?” Chiese Sheila contrariata, ché quella roba poteva seriamente compromettere l’andamento della serata così come lei aveva sperato che andasse.

“Dici?” Domandò tanto per chiedere, ma senza nessuna intenzione di mollare il boccalone. “Ma a dar retta a quanto mi dicono, pare che fossi un grande estimatore di questo prodotto e sono curioso di assaggiarlo. Inoltre ho letto che una quantità minima di alcool in corpo rilassi e ti confesso che ne sento proprio il bisogno.” Ammise senza riuscire a celare un certo disagio. In effetti si sentiva fuori luogo, imbarazzato, ma soprattutto infastidito da tutti quelli che in quel momento stavano occhieggiando la sua accompagnatrice. Inoltre si stava chiedendo anche perché l’avesse portato in un ristornate occidentale. Porca vacca,  imprecò tra sé e sé, se lo doveva immaginare che si sarebbe trovato in difficoltà con le posate, no?

“Adori gli spaghetti ”, gli comunicò con tempismo, neanche gli avesse letto nel pensiero, “e poi ho pensato che con una mano sola sarebbe stato molto più semplice usare la forchetta che non le bacchette.”

A quest’uscita Matthew si rattrappì sulla sedia sentendosi un vero disgraziato per quello che aveva appena pensato. Accidenti, ne avrebbe mai fatta una giusta? E menomale che non aveva dato voce a quella rimostranza, pensò illividendosi, sennò come minimo quella dolce fanciulla gli avrebbe tirato un piatto da portata sul muso e anche a giusta ragione.  Riflessione questa che lo innervosì ancora di più, perciò, ritenendo che all’aperto non avrebbe potuto darle fastidio, si accese una sigaretta tentando di darsi una calmata. Certo più la guardava e più si convinceva che in assoluto stava mandando in bambola il suo già labile sistema cognitivo. Per cui tentò d’ignorare la scollatura che esibiva e che aumentava in modo esponenziale la calura estiva, almeno a giudicare dai bollori che gli stava causando, e riprese a parlare badando bene a piantarle gli occhi in faccia e non altrove.

“Sei stata  molto gentile, non ci avrei mai pensato.” Buttò lì sperando che fosse quanto voleva sentire. “Però riflettendoci sono stato un bell’egoista fino a questo momento.” Affermò tutto ad un tratto sorprendendola. “Non ho fatto altro che romperti le scatole con le mie domande su tutto e non ti ho mai chiesto nulla su di te che non mi riguardasse strettamente.”

“Ehi non c’è mica bisogno che ti scusi.” Rispose impacciata da quella singolare arrendevolezza. D’accordo era andata così, ma per la verità non c’aveva neppure fatto caso finché non gliel’aveva fatto notare.

“Invece sì.” Affermò convinto. “Allora, che ne dici di cominciare dall’inizio?” L’invitò appoggiandosi allo schienale con manifesta aria d’aspettativa.

“Mi prendi alla sprovvista.” Fece Sheila per guadagnare tempo, giacché non sapeva effettivamente da dove cominciare. Cosa e quanto doveva omettere?  

“Che ne dici di una biografia completa di data di nascita, gruppo sanguigno, preferenze,  gusti e soprattutto cose non gradite?” Propose cordiale, intanto che pensava che in tal modo avrebbe potuto farsi una cultura atta a scansare futuri comportamenti molesti e di risparmiarsi le sue furibonde reazioni.  

“D’accordo.” Assentì con la stessa cautela di chi s’appresta a camminare sulle uova, quantunque in fondo ne fosse compiaciuta. Del resto quell’interesse palese era gradevole ed essere l’oggetto di tutta la sua attenzione era una condizione che raramente aveva potuto assaporare. “Dunque”, esordì concedendogli il suo sorriso più affascinante, “il mio compleanno è il nove settembre, ma che ti dica l’anno te lo puoi scordare. Non si chiede mica l’età ad una signora!” Motteggiò cominciando a prenderci gusto.

“E ci mancherebbe.” L’interruppe prima di levare il bicchiere a mo’ di brindisi e prendere un’altra abbondante sorsata. “Però, visto che andavamo a scuola insieme, si suppone che siamo coetanei. A meno che non mi sia fatto bocciare.” Ne concluse facendo il brillante.   Mm, pensò nel frattempo, chissà se il suo segno zodiacale è della vergine! Ridacchiò e rifletté che forse era meglio non chiederglielo.  

“Questo non te lo dirò mai”, stava dicendogli intanto la sua bella, “altrimenti faresti due più due. Ti tocca restare col dubbio mio caro. Vediamo, adoro il mare, me la cavo con molti sport, tra cui l’equitazione, lo sci e il windsurf. Mi piace la musica, adoro la moda e di conseguenza mi diverte molto girare per negozi.”

“Ma non mi dire...” La sfotté con sussiego facendola scoppiare a ridere. “E che mi dici dell’opposto? Cos’è che non ti piace?” Domandò pensando che in quel campo poteva vantare svariate eccellenze .

“La presunzione soprattutto, nel senso che proprio non sopporto quando qualcuno si sente eccessivamente sicuro di sé.” Affermò dopo averci riflettuto un attimo.

 “E su questo  sto a posto!”  Esclamò mostrandole con le dita la V di vittoria . Era una sua impressione o cominciava ad essere un po’ brillo? Probabilmente no, però pareva essersene accorta anche lei, giacché la sua risposta risuonò un tantino seccata.

“Forse su questo particolare no di certo. Ma sembri abbastanza convinto di poter reggere tutto quest’alcool in una volta sola e questo non è che mi faccia fare salti di gioia.” Dichiarò quando con un cenno chiamò il cameriere e si fece portare un’altra pinta.  

“Ne terrò conto per il futuro.” Rispose sentendosi improvvisamente molto più disinvolto, quindi levò nuovamente il calice in suo onore. “Vai avanti, sento che  siamo in un terreno fertile, nelle avversioni ti vedo più spigliata!” Aggiunse provocandola, ma inconsapevole di star giocando con una tigre in gabbia.

“Direi Matthew, inoltre nessuno dovrebbe saperlo meglio di te.” Ribatté infatti punta sul vivo. “Ma sai qual’è il comportamento che  più mi fa arrabbiare?” Gli chiese guardandolo con un cipiglio truce. “E’ la propensione di certuni a fare gl’idioti, ma pure i casanova da strapazzo. E in entrambi tu sei sempre stato un maestro!” Affermò provocandolo di rimando mentre lui, non si sa se per dileggiarla o perché davvero non aveva afferrato la sua frecciata, si voltava da una parte e poi dall’altra, chiedendole infine se ce l’avesse con lui.

Ah non hai capito? Pensò la ragazza impermalita. E allora vediamo se capisci adesso!

“Di conseguenza”, continuò con un sorrisetto che contemporaneamente grondava miele e mostrava le zanne, “detesto quel povero scemo che pensa di potermi prendere in giro. Anche perché ti avverto, è difficile riuscirci.”

“Mi rendo conto.” Matthew annuì compunto come se avesse capito, quand’invece l’unica cosa chiara era che quello era terreno pericoloso. Per sua fortuna arrivò il cameriere con i piatti a toglierlo da quel ginepraio.

Fissò interrogativo la ragazza, ma visto che pareva non dargli retta, si arrangiò da solo, arrotolando spaghetti così come gli veniva e risucchiandoli rumorosamente. Quindi, con la bocca completamente sporca di sugo, incauto tornò sull’argomento precedente.

“Però ad essere sincero, al di là di qualche particolare frammentario e di una velata minaccia, non mi hai detto molto.” Obiettò critico e poi, guardandosi intorno, si chiese come mai i rumori gli arrivassero così attutiti.  

“Questo è tutto ciò che ti occorre sapere.” Replicò criptica. Del resto mica poteva dirgli che di particolari su di sé ne aveva a bizzeffe e di rilevanza assai maggiore rispetto a quanto gli aveva detto fino a quel momento?

“Uh, allora non mi resta che farti delle domande.” Concluse fermamente deciso a sapere quanto si era prefisso, nonostante la ciucca colossale che gli stava salendo e l’impressione che lei non ne fosse tanto più contenta. Inoltre ebbe la pessima idea di fare un esempio poco opportuno. “Allora, vediamo, metti che abbiamo un appuntamento, proprio come stasera. E diciamo che arrivo in ritardo o che mi vesta in modo poco consono, come la prendi?”

“Dipende dai motivi che ti farebbero incappare in questi spropositi.” Rispose prendendo tempo, in quando il dubbio di stare esagerando un pochino l’aveva colta, per cui pensò che un po’ di diplomazia avrebbe giovato.

“Ehi, guarda che se te lo chiedo è perché vorrei capire, quindi cerca di essere onesta.” La rintuzzò scolandosi il fondo del boccale e chiamandone ad ampi gesti un altro.

“E va bene”, proruppe Sheila ormai stufa della sua strafottenza, “un ritardo già mi farebbe incavolare di brutto, ma un cafone mal abbigliato sarebbe assolutamente inammissibile!” Confermò con arroganza e il mento levato in su.

“Ah e in caso contrario come funziona?” Con aria di sfida si protese in avanti a fissarla. Era lui o era l’alcool a parlare? Non si sa, ma quel suo atteggiamento altezzoso cominciava sul serio a dargli sui nervi.

“A parte che, per quanto mi riguarda, sarebbe alquanto difficile cogliermi in atteggiamenti inopportuni, sappi che comunque ad una donna è concesso un minimo ritardo. Oppure sei così zotico da ignorare che ad una signora è concesso tutto?” Lo provocò di proposito. Com’è che tutto ad un tratto gli sembrava così ostile? E soprattutto perché lei stava reagendo come un toro davanti al drappo rosso? Non avrebbe saputo spiegarselo. Quanto a Matthew non rispose subito, provvide prima a dare fondo al bicchiere e poi annuì come se avesse avuto la conferma che aspettava.

“Sarà” le dondolò l’indice davanti al naso e continuò, “non che non ti creda attenzione, però ho i miei dubbi.” Affermò tentando di concentrarsi su quando andava dicendo, ché tutto ad un tratto si sentiva leggermente sconnesso. Scrollò il capo e continuò. “ Insomma  pare che tu ne esca sempre come Miss Puntini Perfetti e che, se anche fai una cazzata, hai una scusa plausibile. E io? Come la mettiamo? Sto qua che me la faccio addosso ogni due minuti per timore di contrariarti e adesso mi dici pure che già in partenza sto pieno di sbagli!”

“Matthew”, rispose la ragazza con una calma che era lontanissima dal provare, “hai tutti i sintomi di una sbronza con i fiocchi e stai straparlando.” Lo ammonì infastidita, soprattutto perché quelle parole avevano erano andate tutte minuziosamente a segno. Davvero pensava quello di lei? E inviperita decise di mettere fine a quella serata disastrosa. “Penso proprio che sia giunto il momento di tacere. Anzi sai che ti dico? Voglio tornare a casa.”

“Se insisti.” Si limitò a dire alzandosi, ma, rendendosi immediatamente conto che le gambe gli facevano giacomo, giacomo, rapidamente si aggrappò alla sedia con la mano sana. Mamma che botta! Pensò mentre il mondo gli appariva alla rovescia e il discorso che andava avanti già da un bel po’ solo nella sua testa si rendeva palese alla sua accompagnatrice.

“Sheila se mi devi picchiare, fallo domani.” Propose lamentoso, ma indubbiamente approdato ormai alla fase allegra dell’ubriacatura, tanto che quando lei si voltò a fissarlo disgustata continuò: “ Da femmina rompipalle hai tutti i motivi per non essere soddisfatta di me e se intendi suonarmele hai tutta la mia comprensione... però, facciamo un altro giorno? Sii buona, ora non mi reggo neppure in piedi!”

“Andiamo imbecille!” Gli sibilò trascinandolo via, prima che potesse metterla ancora di più in imbarazzo.

“Andiamo!” Assentì incespicando nei passi e franandole quasi addosso. “Arrivederci a tutti!” Urlò allegro sbracciandosi in saluti, mentre gli astanti lo guardavano allibiti. Il suggello finale poi lo mise chiamando bella gioia la cassiera e tentando di baciarla.

A questo punto Sheila, al colmo della vergogna, ma principalmente della rabbia, si vide costretta a prenderlo per i capelli e a trascinarlo velocemente verso la macchina, mentre lui strepitava che gli stava facendo male. Una volta in strada poi lo show di Matthew non si esaurì affatto. Prima la omaggiò con una serie di canti da osteria uno più sconcio dell’altro, accompagnati da battimani, schiocchi di dita e ululati mannari, per poi concludere con quello che credeva essere un comportamento cerimonioso. In fondo non era un cicisbeo quello che lei voleva?

“Ah Sheila”, esclamò teatrale portandosi la mano alla fronte, incurante del cipiglio di lei che si faceva sempre più cupo, “quando ti ho vista stasera ho pensato che ci fosse il sole dietro di te.”  

“Ma davvero?” Chiese quest’ultima meditando di scaricarlo al primo stop e di lasciarcelo per non tornare a riprenderlo mai più.

“E certo! Metti tutto quel ben di dio a vista e pretendi che uno non si asciughi? Sei meglio di una sauna tesoro!” E qui scoppiò in una risata fragorosa, ma immediatamente dopo si zittì e serissimo si girò sul sedile per guardarla. “Ma non ti chiederò di darmi un bacio, normale o con tanta lingua, no! Nada de nada!” Enfatico si portò la mano al petto e con grande dignità confessò: “Giurin, giuretta,  ho promesso a Kelly che facevo il bravo.”

“Come vorrei che quell’altra ficcanaso t’avesse fatto promettere anche di chiudere il becco!” Ringhiò con ferocia meditando di sopprimerli entrambi. Grazie al cielo erano quasi sotto casa, non restava altro che imboccare la rampa che portava ai garage sotterranei e quello strazio sarebbe finito. O almeno così credeva. 

“Ma figurati se abbiamo parlato di cose così inutili.” Le stava dicendo per l’appunto Matthew facendo un gesto di noncuranza . “No, no, mi ha detto semplicemente che me ne sarei accorto da solo di essere innamorato di te... e accidenti se aveva ragione!” Ululò intanto che la sua voce si moltiplicava in tanti beffardi echi grazie all’acustica del sotterraneo. “Sono proprio fuso per te Sheila! Cotto e stracotto come una porchetta!” Vociò completando il capolavoro.

“Chiudi quella bocca maledetto imbecille!” Urlò anch’essa, ormai trasformata definitivamente in un’erinni vendicatrice. Quanto era successo era esattamente il contrario di ciò che desiderava. Ad occhi aperti aveva spesso sognato il momento topico in cui le avrebbe detto che l’amava e cosa aveva avuto invece? Una dichiarazione da avvinazzato? E se fino a quel momento era riuscita a mantenere i nervi saldi, tentando di giustificarlo in tutti i modi, ora esplose in tutta la virulenza della sua furia.  

“Zì padrona!” Buttò ulteriore benzina sul fuoco lui, facendole il saluto militare e qui, finalmente, Sheila non riuscì a trattenersi oltre e prese a tempestarlo con una copiosa gragnola di mazzate. I colpi arrivavano da ogni dove e, anche se non erano forti, comunque facevano male. Ma non fu questo a smuoverlo a chiedere pietà, giacché ad un certo punto, bloccandole i polsi e facendola morire di paura,  sbarrò gli occhi a guardarla come un folle. Poi, deglutendo affannosamente e sbiancando, con un filo di voce annunciò: “Amore, credo  di dover vomitare!”

 

 

 

 

 

 

 

N.d.A.

 

Sì lo so, un anno per aggiornare è tanto, assolutamente troppo. Perciò chiedo venia a tutti quelli che l’aspettavano, se ancora ci sono naturalmente. Non accampo scuse, semplicemente ammetto che nei mesi trascorsi non ho avuto testa, né voglia, di mettermi a scrivere e francamente in questi frangenti preferisco soprassedere, attendendo tempi migliori. Spero solo di riuscire a farmi perdonare con questo copioso capitolo e con la promessa solenne che il prossimo arriverà in tempi decisamente più brevi. J

 

 

 

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