Ricordati di me di Aurelia major (/viewuser.php?uid=20934)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Ricordati
di me
Capitolo
1
Era
una tranquilla domenica
mattina all’inizio dell’Estate e, come sempre del
resto, Alice Asatani si
sentiva un tantino fuori luogo con quello che considerava un
artificioso
abbigliamento borghese . Non che normalmente indossasse una divisa
intendiamoci, ma il severo tailleur che adoperava quand’era
in servizio le
sembrava fosse più consono alla sua personalità,
mentre così vestita provava un
certo impaccio. Il fatto era che si considerava una persona quadrata
e
di conseguenza le piaceva esprimerlo anche attraverso il modo di
vestirsi . In
ogni caso, al di là delle mere spiegazioni psicologiche e
delle considerazioni
inerenti alla moda, con indosso quella t-shirt e quei ridicoli
pantaloni alla
caprese, non stava affatto comoda.
"Ma
che ti si è
allagata casa?"
Molto
probabilmente Matthew
l’avrebbe apostrofata in questo modo vedendola in quella
mise. O perlomeno fino
a qualche mese fa sicuramente le avrebbe detto così, ora
piuttosto le veniva il
sospetto che non se ne sarebbe neppure accorto. In fin dei conti
infatti non
era in grado di fare la differenza tra il prima e il dopo, purtroppo...
Alice
si accigliò
contrariata, se non fosse stato per lui ora non si sarebbe trovata su
questa
strada, sotto il sole cocente, ostacolata dalla folla del weekend e in
procinto
di incontrare delle persone che francamente non ci teneva affatto a
rivedere.
Già, se ne sarebbe rimasta nel suo
bell’appartamento climatizzato a leggere un
libro e bersi una soda ghiacciata. E invece no, eccola tutta acchitata
nello
stile vigente quell’estate (cosa che normalmente le sarebbe
importata meno di
zero, ma visto che stava per incontrare delle fashion victims,
al
momento gliene fregava abbastanza) a fare da ambasciatore per via di
della
situazione alquanto preoccupante in cui era invischiato colui che da un
bel
pezzo aveva smesso di considerare solo un semplice collega.
Certo
che, pensandoci e per
l’ennesima volta, tutta quella storia era così
assurda che si stentava a
crederla.
Ecco
cos’era l’affetto: assolvere,
per un amico a cui tieni, un compito che in altri frangenti avresti
rifuggito
come la peste.
Eh
già , in passato c’era
stato un momento in cui si era sentita parecchio attratta dal suo
compagno di
lavoro, anche se al di là della prestanza di
quest’ultimo, giocava come fattore
determinante il fatto che la di lui fidanzata ne era molto, ma molto
indispettita. Poi, col passare delle stagioni, e con la consapevolezza
che lui
non avrebbe mai ricambiato i suoi sentimenti, l’iniziale
infatuazione si era
trasformata in una solida amicizia che il tempo e gli avvenimenti,
nonostante
tutto, avevano lasciato inalterata. Ma l’antipatia per le
sorelle Tashikel e
per Sheila in particolare, era rimasta immutata.
Come
i sospetti del resto,
che purtroppo non aveva potuto suffragare, giacché non aveva
mai trovate le
prove per poter incastrare quella maledette, anche se aveva smosso mari
e monti
per farlo. Dentro di sé sapeva, al di là di ogni
ragionevole dubbio, che quelle
tre erano Occhi di Gatto, quella dannata banda di
ladre che tanto aveva
fatto penare tutto lo staff del dipartimento di polizia di Inunari. E
soprattutto era convinta che lo stesso Matthew le avesse smascherate,
anche se
si era chiuso in un silenzio di tomba su tutta la faccenda e che, ora
più che mai,
non ne avrebbe parlato.
In
effetti si era decisa a
fare ciò che stava facendo anche in virtù di quel
particolare, se quest’ultimo
infatti si fosse sbloccato forse avrebbe cambiato
atteggiamento e quella
ridicola farsa, in barba alla giustizia, sarebbe finalmente terminata.
Pia
speranza la sua, ma
questa, unita alla prospettiva della salute minacciata
dell’uomo, l’avevano
convinta ad affrontare quell’incontro oltremodo molesto.
Ed
eccola lì, finalmente
giunta a destinazione. Non c’era che dire, davvero
impressionante la facciata
del condominio che le tre grazie avevano eletto a
loro residenza. Ma
figurarsi se le iper sorelle (iper tecnologiche,
iper efficienti, iper
eleganti e iper bone accidenti a loro!) non
abitassero in un
appartamento da sogno nel più bel grattacielo di Shinjuku!
Piccata
entrò nella
costruzione a vetri, si diresse verso l’ascensore e durante
il tragitto fino
all’ultimo piano si chiese come avrebbero potuto riceverla.
Con beffarda
acrimonia si augurò perlomeno che se la sarebbero fatta
addosso quando sarebbe
piombata loro tra capo e collo. In fin dei conti lei era ancora un
detective
della polizia, sebbene attualmente non fosse più di stanza
alla criminale, ma
alla omicidi, quindi c’era la possibilità. Del
resto, se era come pensava, ed
era così, la sua visitina non poteva che metterle in
allarme!
Sorrise
sprezzante e anche
piuttosto allettata all’idea del panico che avrebbe scatenato
e arrivata
davanti alla loro porta non si stupì affatto nel constatare
che il piano era
tutto di loro proprietà. Quindi, senza darsi tempo di
ripensarci, diede
un’energica scampanellata.
Pochi
minuti di attesa e la
porta le fu aperta nientedimeno che da Tati, ancora in pigiamino rosa,
che non
appena la vide proruppe in un sonoro: "Accidentaccio,
Asatani!!"
N.d.A.
Dunque,
mi sento in dovere
innanzitutto di fare le mie scuse a quanti ancora stanno attendendo il
prosieguo delle mie precedenti fanfiction. Sì avete ragione
se mi state
riempiendo di accidenti, ma purtroppo per una serie di eventi fortuiti
e
imprevisti di svariata natura, non mi è stato possibile
metterci mano nei mesi
appena trascorsi. Chiedo venia, sappiate che ci sto lavorando e quanto
di più
l’attesa si protrae, tanto più è
sintomo che lo sto facendo con scrupolo, okay?
Per
quanto riguarda questa
storia invece, la considero una sorta di tributo a quella vecchia
guardia, alla
quale io appartengo, dei gloriosi anime anni 80. Magari i
più considerano ormai
superate queste produzioni e giustamente sono attratti dalle storie
più recenti
che ci giungono dal sollevante. Però io ho amato moltissimo
la vicenda di Occhi
di Gatto e insomma, mi è preso lo sfizio di dargli voce,
visto che, purtroppo,
nessuno fin ora se n’è preso la briga.
Per
quanto riguarda invece
le innumerevoli licenze poetiche, le forzature, la goliardia eccessiva
di
alcuni passaggi e qualche riferimento piccante buttato qua e
là, che
successivamente si leggeranno, me ne scusino i puristi e chi se ne
dovesse
sentire offeso. Anch’io sono un’estimatrice
dell’opera di Tsukasa Hojo e questa
mia non vuole essere altro che un omaggio al maestro e un atto di
affettuoso
ossequio all’opera che ha fatto sognare la mia generazione e
quanti
successivamente l’hanno apprezzata.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Kelly
se ne stava placidamente
adagiata sul
morbido sofà dell’ampio salotto sfogliando una
rivista d’arte nella quale c’era
un articolo che parlava in toni entusiastici della loro galleria. Sorrise compiaciuta
sorseggiando il suo tè al
gelsomino.
Sembrava
proprio che l’ultima esposizione presentata avesse colpito il
pubblico e addetti
ai lavori, cosa che la fece sentire oltremodo fiera di quello che lei e
le sue sorelle
erano riuscite a creare. Effettivamente quell’enorme open
space, illuminato in
modo che le luci non sembrassero affatto artificiali e perennemente
investito
da musica chill out
e ambient
lounge stava rapidamente diventando un luogo alla moda, un
punto di ritrovo
per la gente in. Dai giovani artisti
a quelli affermati, dalle modelle, ai fotografi di grido, dai bohemien
in
genere e coloro i quali amavano definirsi
cool , tutti prima o poi transitavano per la
loro galleria. E non tanto per ammirarne le
opere, quanto per goderne l’atmosfera e poter affermare di
essere degli habituè.
Stringi,
stringi, pensò Kelly sorniona, non avevano fatto altro che
modificare un po’ la
concezione del caffé che gestivano prima. Anche
lì c’era gente che andava,
veniva e si fermava, solo che nella versione attuale i quadri e le
installazioni sostituivano i tramezzini e il caffé. Senza contare che lì
non c’erano tazze da lavare in
grembiulino!
A
questo pensiero non poté trattenere una risatina, non
rinnegava affatto il
passato, ma doveva ammettere che, almeno sotto questo punto di vista,
la loro
vita era migliorata di gran lunga.
Anche
se... Beh, bisognava ammettere che negli ultimi tre anni di traumi ne
avevano
avuti abbastanza, anzi, qualcuno di troppo. Innanzitutto
c’era stata la quantomai
frettolosa partenza per l’Europa, il cui cruento antipasto
era stato il casino
successo tra Sheila e Matthew, una tremenda cagnara culminata con il
tempestoso
distacco dei due. Separazione che ancor oggi faceva sentire i suoi
effetti.
Dopodichè
avevano girato in lungo e in largo attraverso il nord Europa alla
ricerca della
benché minima traccia le potesse portare a trovare qualche
indizio inerente
loro padre. Tempo perso, tutte le piste avevano portato ad un nulla di
fatto, per
quanto lei, le ragazze e l’immancabile signor Marloss si
fossero sforzati in
ogni direzione. Sembrava che di Heinz si fosse perduta del tutto la
memoria. La
delusione era stata enorme e persisteva tutt’ora, anche se
ormai ne parlavano
di rado, giacché l’amarezza era davvero troppa.
Restava loro l’intera collezione
del padre ormai riunita, ma che senso aveva, visto che quella che
sembrava la
chiave di volta per ritrovarlo alla fine non era servita ?
Oltre
a ciò Kelly trovava che fosse un vero peccato il doverla
tenere occultata in un
deposito sotterraneo, con tutto il cuore avrebbe voluto esporla al
pubblico per
far finalmente ammirare il genio di Heinz, suo padre. Ma come fare? Si
trattava
del frutto di tutte le imprese di Occhi di Gatto, quindi agli occhi
della legge
un corpo del reato e di certo lei, né le sue sorelle,
potevano costituirsi. O
perlomeno non ancora, in effetti Marloss si stava muovendo in tal
senso. Attraverso
le sue conoscenze infatti, stava cercando un cavillo, un modo legale
per
rendere la loro situazione costituzionale. La collezione Heinz era
stata rubata
e dispersa dai nazisti e loro che erano le figlie del legittimo
proprietario
non avevano fatto altro che riappropriarsi dei beni appartenuti al
padre, anche
se naturalmente il metodo usato non era stato dei più
ortodossi… Comunque alla
controversia stava lavorando un nutrito pool di avvocati sulla cui
riservatezza
si poteva contare, ma i tempi previsti andavano sul lungo e quindi non
potevano
far altro che aspettare e aver fiducia.
“Fosse
facile.” Pensò sospirando, quando
all’improvviso fece capolino nella stanza Sheila.
“Allora,
che dice l’articolo del nostro vernissage?” Chiese
tamponandosi la fronte con
una salvietta.
Veniva
direttamente da quella che soleva definire “la mia sala
fitness personale”, infatti,
nella loro nuova casa, aveva preteso ci fosse un’ampia stanza
che aveva
arredato con tutte le moderne tecnologie da palestra e dove passava
parecchio
tempo quando non era alla galleria. Kelly non si era mai presa la briga
di
chiederle il perché di questa originalità, anche se ne sospettava il
motivo, tutto il
contrario di Tati alla quale la cosa non piaceva affatto. Sheila era
sempre
stata delle tre la più introversa e quella dal carattere
decisamente ermetico,
ma da quando lei e Matthew avevano rotto era andata via, via
peggiorando.
Si
era buttata a capofitto prima nella ricerca del padre e poi nella nuova
vita
che avevano intrapreso al loro ritorno in Giappone.
All’apparenza sembrava che
andasse tutto bene, il lavoro le piaceva, faceva tutte quelle cose
normali che
ci si aspetta da una giovane single avvenente ed era persino uscita
qualche
volta con alcuni interessanti giovanotti conosciuti a qua e
là. Eppure rimaneva
come distaccata da tutto ciò, era come un divertimento fine
a sé stesso, finché
durava sembrava appagarla, ma poi le lasciava dentro un gran vuoto. E
quelle
rare volte che Kelly si era risolta a tentare di parlarle si era
trovata
davanti un muro. Poteva darsi però che il suo modo pacato di
farlo forse non
era quello giusto, anche se neppure quello molto meno diplomatico di
Tati aveva
prodotto dei risultati. La loro ultima litigata in proposito era
avvenuta circa
un paio di mesi prima.
“Accidenti a te, hai la testa più dura di
un
mulo!” L’aveva apostrofata la loro
sorellina davanti all’ennesimo rifiuto
da parte di Sheila di uscire di nuovo con
un designer molto carino sulla trentina.
“Perché non ti fai gli affari tuoi?”
Le
aveva risposto oltremodo arrabbiata quest’ultima lasciando la
stanza dove
l’alterco stava avvenendo.
“Perché stai sprecando la tua vita idiota!”
Aveva replicato la più piccola
seguendola dappresso e, non paga, aveva rincarato la dose: “E se, nonostante tutto, con la testa stai
ancora appresso a quel cretino senza spina dorsale, allora sai che ti
dico?
Tira fuori il coraggio e vallo a cercare!”
L’aveva
sfidata iniziando ad alterarsi oltremodo, era stufa di vederla svagata
e
oppressa e, soprattutto, era ora che la piantasse di nascondersi dietro
ad un
dito. E se sua sorella non si decideva da sola, ebbene gliele avrebbe
cantate
chiare! Inoltre, anche se Tati non l’avrebbe mai ammesso,
neppure sotto tortura,
Matthew mancava da
morire anche a lei. Sebbene
fosse sempre stata convinta che
non
fosse per nulla
l’uomo adatto a Sheila,
ciò nonostante però
nel corso degli anni
gli si era affezionata, quasi fosse diventato una sorta di fratello
maggiore
per lei. Anche se a volte dimostrava meno anni di lei quanto a
maturità.
“Tu stai dando i numeri Tati! Il fatto che io
non voglia uscire di nuovo con quel presuntuoso non ha motivi reconditi.“
“Tutte balle e se pensi che ci creda stai
fresca! Ma perché non ammetti una volta per tutte che vuoi
rivederlo?”
“Ma di chi diavolo parli?”
Domandò Sheila
al culmine della malafede, giacché sapeva benissimo a chi si
stavano riferendo.
“Del fantasma di quel cretino! Che come un
ectoplasma malefico
si aggira nella tua
testa ed esce solo per farti fare delle grandissime cavolate! Non puoi
negarlo,
accidenti, ogni volta, ogni maledettissima volta che ti dai uno
spiraglio di
vita, risorge dalle sue ceneri e ti riacchiappa!”
“Ma che ti sei data all’alcool ?!” Aveva replicato ostentando
un misto di
stupore ed esasperazione. In effetti, volendo mantenere
quell’apparenza
distaccata, non avrebbe potuto comportarsi diversamente. Sebbene
sapesse in
cuor suo quanto la piccola avesse colto
nel segno.
“No, io no, ma tu dovresti farlo... esci,
svagati, tocca il culo agli uomini insomma! E se non ti va e pensi
proprio che
lo rivuoi, allora vattelo a pigliare ovunque si sia cacciato!”
“Questa discussione non ha affatto senso.”
Aveva ribattuto Sheila girando sui tacchi e chiudendo il discorso. E
che poteva
risponderle? Che ci aveva già provato e che di Matthew
pareva non fosse rimasta
traccia? Invero, con molta discrezione, da quando erano rientrate in
patria,
aveva tentato di rintracciarlo per parlargli, quantomeno, si era detta,
per
chiarire definitivamente la situazione tra loro e poi ognuno per la sua
strada
. Il che naturalmente era tutta una scusa per non ammettere che la sua
speranza
era di tutt’altro tipo. Ma in ogni caso sembrava che si fosse
volatilizzato.
Dagli archivi computerizzati della polizia risultava solo che aveva
lasciato la
sua precedente sede e altro non c’era. Non era dato sapere se
facesse ancora parte
delle forze dell’ordine o se si fosse dimesso, per queste
informazioni sarebbe
occorsa una userid e una password, o meglio ancora, le doti di hacker
della sua
sorellina. Ma sarebbe morta piuttosto che chiederglielo!
Così
la sua mossa successiva era stata quella di recarsi presso il complesso
dove
c’era il suo appartamento, ma anche là
l’unica informazione che aveva reperito non
le era servita un granché. Dai vicini infatti aveva appreso
che erano mesi che
non viveva più nessuno in quel locale, anche se la casa non
era stata riaffittata.
In
sostanza qualunque strada tentasse di prendere finiva continuamente in
un
vicolo cieco, anche perché Matthew aveva pochi amici,
nessuno dei quali
veramente intimo, ai quali poter porre domande. L’unica era
Alice Asatani e,
sebbene quella lì sapesse dove trovarla, non
ne aveva affatto
voglia. Senza contare che era pressoché certa che se pure
quell’arpia fosse
stata a conoscenza di qualcosa, a lei non
l’avrebbe di certo detto. Inoltre non voleva dare alla
detective un nuovo
pretesto per rimettere il naso nelle sue faccende. Chi restava ?
Tolto
il Capo, il diretto superiore di entrambi i detective, il quale nel
frattempo
era andato in pensione e si era ritrasferito nella natale Fukuoka, i
pochi
parenti di Matthew che vivevano a Kyushu non lo vedevano da un pezzo. E
non era
solo una supposizione questa, giacché aveva telefonato a
tutti gli abbonati che
facevano di cognome Isman di quel distretto, finché non
aveva beccato in modo
del tutto fortuito una zia . Al che, omettendo la sua
identità e spacciandosi
come organizzatrice di una riunione tra ex compagni di scuola,
l’aveva
interrogata in tal proposito. La donna, sebbene disponibile, non aveva
saputo
dirle molto, salvo precisare che non aveva notizie di suo nipote.
Possibile che
non ne sapesse niente? Ma proprio niente, niente?
Aveva
insistito molto, ma per quanto ci avesse provato non le era riuscito di
farla
sbottonare, l’unica cosa che le aveva detto era che in ogni
caso, conoscendolo,
pensava non sarebbe intervenuto, dopodichè aveva buttato
giù. E così si era ritrovata
nell’ennesimo impasse, tanto che le sembrava la seconda
edizione della
scomparsa del padre, con l’aggravante però che il
suo ex fidanzato non aveva
lasciato opere d’arte dietro di sé!
Tutto
questo era successo nei due mesi precedenti e nel frattempo lei aveva
realizzato appieno che aveva assolutamente bisogno di rivederlo. Alla
fine
aveva dovuto ammettere con sé stessa di amarlo ancora e che
aveva sperato
durante tutti gli anni trascorsi dal loro distacco che lui fosse ancora
lì ad
aspettarla e che niente fosse cambiato.
Intanto
tuttavia il tempo passava e nonostante tutto non le riusciva di sapere
dove
fosse, benché avesse messo in moto persino Marloss,
pregandolo però di
mantenere un’assoluta segretezza sulla cosa.
Ad
ogni modo quella domenica mattina una volta tanto non ci stava
pensando, si era
svegliata presto e si era messa a fare dello step tanto per passare il
tempo
prima di recarsi in centro. Aveva fatto una doccia e si era diretta in
salotto
per fare quattro chiacchiere con le sorelle. Tati si era alzata poco
prima,
l’aveva incrociata in corridoio mentre si dirigeva verso il
bagno, per cui
quando bussarono alla porta fu quest’ultima ad aprire e le
sorelle dal
salotto udirono
chiaramente la sua
esclamazione di stupore...
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Capitolo
3
“Esattamente
l’accoglienza che mi aspettavo, non c’è
che dire!” Affermò Alice schernendola con
evidente sarcasmo e quindi, facendosi avanti decisa,
continuò: “Non mi fai
entrare ragazzina?”
“Ragazzina
a chi, brutta befana!?” Replicò incollerita Tati,
un po’ perché le seccava
abbastanza di essere additata con quell’appellativo e un
altro po’ allo scopo
di prendere tempo. Infatti, alla vista della donna, una ridda di
pensieri
negativi aveva preso ad affollarle la testa. Le pareva quasi di vedere
il
palazzo che veniva accerchiato, la successiva incursione delle forze
dell’ordine e loro infine costrette a scappare attraverso i
tetti ancora in
tenuta da notte!
Scosse
il capo cercando di darsi una calmata, cos’altro poteva fare
se non farla accomodare
e stare a vedere ? Tantopiù che Sheila le arrivò
alle spalle d’improvviso e le
due sorelle non riuscirono a fare altro che fissarsi incredule con uno
scambio
di sguardi oltremodo eloquente.
Alice,
visto che la cosa andava per le lunghe, e volendo evitare di perdere
altro
tempo appresso a quelle, varcò l’uscio e se lo
richiuse alle spalle sfidandole
silenziosamente alla prossima mossa.
“Asatani!”
Finalmente Sheila parve ritrovare la favella e la prontezza di spirito,
mentre
si chiedeva che cosa rappresentasse quel raid mattutino. La sua
reazione
primaria in verità sarebbe stata quella di mettere alla
porta quella
seccatrice, ma riuscì a fermarsi in tempo e a provare
quantomeno ad essere
formalmente civile. “Sei proprio l’ultima persona
al mondo che mi aspettavo di
vedere oggi.”
“Già
me l’immagino, così come sono sicura che il
piacere di rivedersi sia reciproco.”
Ribatté l’investigatrice
ironicamente, stroncando sul nascere qualsiasi base di comune
tolleranza. Una
cosa era aiutare un amico in difficoltà, ben altra era
ostentare un’ipocrita
disponibilità con quelle tre vanesie! Quindi venne subito al
sodo.
“Sappi
comunque che non sono venuta qui per fare salotto e neppure per
un’inutile
conversazione sulle nostre rispettive vite.”
Precisò asciutta.
“Beh
allora te ne puoi andare subito!” S’intromise Tati
stizzita, non aveva mai
avuto troppo rispetto, né simpatia, per quella donna e, ora
che si era presa addirittura
la briga di venirle ad insultarle
fin
dentro casa, meno
che mai.
“Bando
alle ciance, vostra sorella c’è ?”
Replicò Alice ignorandola totalmente,
togliendosi gli occhiali da sole ed infilandosi quelli da vista.
“Sì
è di là.” Fece Sheila meditabonda
stringendo gli occhi, questa storia non le
piaceva proprio per niente. Del resto conveniva darle spago
finché non avesse
capito esattamente il motivo che l’aveva portata
lì. E se Asatani avesse scoperto una
prova concreta del
loro passato di ladre?
Era improbabile, ma non impossibile, considerata pure la presa ferrea
da
mastino con la quale le aveva strette fin dal primo incontro. Eppure,
nel qual
caso, se davvero era in possesso d’un minimo dato di
colpevolezza, perché era
venuta da sola? Non sapeva cosa pensare esattamente, ma il suo sesto
senso le
diceva a gran voce che c’erano problemi in vista.
“Perfetto,
se non vi dispiace portatemi da lei. Ho qualcosa di molto importante da
dire a
tutte e tre.“ Annunciò l’altra lasciando
che le facessero strada e seguendole
all’interno dell’enorme abitazione. Naturalmente
l’interno della casa era più o
meno come se l’era figurata dall’esterno, come
sempre non c’era nulla da eccepire,
tutto era splendido splendente là dentro! Allo stesso modo
delle proprietarie
del resto, pensò inacidita. In effetti gli
anni trascorsi non sembravano aver affatto scalfito la
bellezza delle
sorelle Tashikel, ma sotto la superficie chissà? Kelly
quanti anni aveva ora?
Più di trenta sicuramente e, mortacci
suoi, se li portava alla grande! Stesso discorso per la marmocchia, che non aveva un
filo di grasso
addosso e neppure i problemi alla vista che generalmente affliggono una
studentessa
universitaria quale ormai doveva essere. Presumibilmente passava
pochissimo
tempo sui libri, magari fidando sulla propria avvenenza
per far colpo sui professori in sede
d’esame… giustamente, zoccole le sorelle maggiori,
zoccola anche lei, ché il
frutto non cade mai troppo lontano dall’albero!
Quanto
a Sheila, appariva così in forma e avvenente che non poteva
far altro che
associarla al termine automobilistico fuoriserie.
Stavano da dio, accidenti a loro!
Tali
considerazioni estetiche occuparono Alice intanto che non furono sedute
tutte innanzi a
lei, con la tazza di tè di
prammatica davanti, in attesa che palesasse la causa misteriosa che
l’aveva
spinta ad andarle a trovare.
La
piccola era protesa in avanti con un fare aggressivo e desideroso di
sapere, Sheila
mostrava maggior compostezza, anche se l’ansia che la rodeva
era manifestata da
un piede che faceva oscillare ritmicamente. Solo Kelly sembrava
impassibile,
così come lo era stata quando se l’era ritrovata
davanti.
“D’accordo“,
esordì infine Alice iniziando il discorso su quale spesso
aveva riflettuto nei
giorni precedenti, “se oggi sono qui non è per
motivi personali, ci tengo a sottolinearlo.
Tra noi non c’è mai stata eccessiva simpatia, per
cui se si fosse trattato di
me, di certo non sarei ricorsa a voi.” Affermò
perentoria volendo togliergli
qualsivoglia velleità d’essere lì per
una supplica che la riguardasse.
Figurarsi! Quelle già si comportavano come se tutto gli
fosse dovuto, ci
sarebbe mancato solo che intendessero una cosa simile! Nel qual caso
non osava
immaginare la loro superbia fin dove sarebbe arrivata! Già
adesso avevano
l’aria di chi le stava facendo una gran concessione, anche se
pestar loro i
piedi in quel modo le stava irritando di brutto. Altroché,
stavano
letteralmente fremendo d’amor proprio offeso!
Però… però ora doveva darsi una
calmata e tentare di frenare la sua avversione, altrimenti come niente
avrebbero cominciato a discutere e lei non voleva mandare tutto a
puttane.
“Accidenti a te,
perché mi hai messa in
questo casino?!” Berciò
mentalmente all’indirizzo della chiave
di volta di tutta quella faccenda. Quindi sospirando riprese il filo da
dove si
era interrotta.
“Si tratta di un
amico ed è per lui che vengo
a chiedere la vostra collaborazione.“ Fece una pausa per
dargli modo
d’intendere, mentre i volti davanti a
lei passavano dalla perplessità ad un interesse
immediato. Bene, tanto
valeva farla breve allora, così mise le sue carte in tavola.
“Dalle
vostre facce mi rendo conto che non occorrerebbe che fossi
più specifica, credo
proprio che abbiate capito a chi mi stia riferendo, ma ve lo dico
chiaro e
tondo: Matthew è in difficoltà e
noi dobbiamo aiutarlo.”
“Che
cosa è accaduto ?” Chiese calmissima Kelly posando
prontamente una mano su
quelle di Sheila che stava lì , lì per balzare in
piedi.
“Beh
voi non potete sapere.” Rispose Alice. Già, dal
momento che di quelle tre erano
sparite dalla circolazione, molte cose erano cambiate e probabilmente le tre grazie neppure si erano
preoccupate d’informarsi su quanto era accaduto durante la
loro assenza. Evidentemente
avevano ritenuto che quanti si erano lasciati dietro non fossero
più utili ai
loro scopi!
Sentì
nuovamente la rabbia montare dentro di sé, ma la represse
subito e sospirando riprese
a raccontare.
“Sei
mesi dopo la vostra partenza Matthew decise di chiedere il
trasferimento
dall’investigativa all’unità
anti-yakuza. In quel lasso di tempo infatti si era
scatenata una vera e propria guerra tra clan, il boss Tanaka era stato
assassinato e tutti i suoi gregari ambivano al posto di capo supremo,
il che
significa che le sparatorie e la guerriglia tra i vari gruppi erano
all’ordine
del giorno ormai. In pratica non c’era zona della
città che non ne fosse
coinvolta. Tutto questo mentre nella nostra sezione continuavamo ad
occuparci
d’ordinaria amministrazione. Così, su due piedi, con la sua solita
impulsività, Matthew decise
d’andarsene in un’unità dove ci fosse
davvero bisogno di lui. Oddio, non che il
suo stato di servizio fosse propriamente adeguato, ma siccome il fronte
era
caldo, anzi bollente, negli uffici della questura non gli fecero certo
difficoltà. A quanto pare chiunque si offrisse era ben
accetto.
Cercai
in tutti i modi di convincerlo a cambiare idea, ma fu irremovibile. Non
l’ho
mai visto così furibondo e neppure tanto frustrato. Ce
l’aveva con tutto e
tutti, diceva di sentirsi inutile ed era fermamente determinato a
cambiare
vita. Da capo a piedi.“
Sottolineò
l’ultima frase fissando le tre con un’occhiata
accigliata, ma non ricevette
repliche. Ché forse pensassero di non c’entrare
nulla con quella decisione
repentina? Buon per loro, ma ancora non aveva finito, hai visto mai che
dopo
avrebbero cambiato idea?!
“Quindi
si dimise e in che modo passò i giorni che precedettero
l’assunzione della sua
carica nel commissariato del Kanto, sinceramente non saprei dirvelo. Probabile che si sia
rintanato in qualche
bettola ad ubriacarsi, ché
ultimamente ci stava dando sotto mica male con gli alcolici. Ad ogni
modo, quando
finalmente dopo tempo riuscii a trovarlo a casa , stava imballando
tutto e
facendo le valigie. Forse non ci crederete, ma i
vari pool incaricati di scendere in campo
contro la yakuza furono organizzati come una sorta di milizie armate,
tant’è
vero che erano alloggiati in apposite caserme. Per una questione di
sicurezza a
quanto pare, giacché si temeva l’inevitabile
ondata di ritorsioni e vendette
trasversali.
Ancora
una volta tentai di farlo ragionare, gli dissi persino che in questo
modo
andava incontro ad una vita da recluso e che oltre al suo lavoro non
avrebbe avuto
altro, ovvero: zero svaghi, nessuna pausa prolungata, nessun pisolino
in
servizio. E sapete che mi rispose? Che andava benissimo
così, che non chiedeva
di meglio e che se ne stava andando volutamente nel refugium
peccatorum delle
pecore nere, dei cornuti e dei falliti. Insomma, a suo dire era proprio
il
posto adatto a lui. A questi ragionamenti non potei ribattere, ma
comunque argomentai
e discussi con lui per ore, solo per sentirmi rispondere a conclusione
di tutte
quelle chiacchiere, che era stufo, che voleva fare qualcosa di
costruttivo, che
in quel modo avrebbe fatto esperienza. Senza contare che alla fin fine
mi
beccai pure della ficcanaso scocciatrice. E a proposito, mi sono
dimenticata di
dirvi che quel grandissimo stupido si fece reclutare tra i volontari,
dando una
totale reperibilità, 24 ore su 24.”
“Porca
vacca!” Esclamò, non riuscendo più a
trattenersi, Tati voltandosi a fissare
Sheila che stava ascoltando con gli occhi sbarrati mentre si
attorcigliava senza
posa una ciocca di
capelli.
“Continua
Alice, ti prego.” L’esortò gravemente
Kelly mentre metteva un braccio attorno
alle spalle della sorella con aria protettiva.
“Lo
conoscete no? Potete immaginarvelo allora con quale foga e
testardaggine si
buttò anima e corpo in questa missione. E più
s’inaspriva la lotta armata, più
aumentava lo slancio che ci metteva. Rimasi allibita quando lessi i
rapporti in
merito, proprio non riuscivo ad immaginarmelo impegnato in una
sparatoria con
la pistola in pugno. Non era stato mai un poliziotto di quel tipo.
Eppure
dovetti ricredermi e, quando c’incontrammo per caso alla sede
centrale del
ministero degli interni, stentai a riconoscerlo. Magro come un chiodo,
i
capelli cortissimi e gli occhi completamente allucinati. Quella vita
stava
facendo di lui un automa. Ebbi giusto il tempo di salutarlo, parlammo
sì, ma
troppo poco purtroppo, e mi promise che ci saremmo sentiti
telefonicamente.
Poi, molti mesi dopo, quando ormai la contesa tra i gruppi criminali
finalmente
aveva preso a scemare, un giorno mi venne a trovare in ufficio. Aveva
ancora
quell’aria esaltata, ma al contempo era stranamente
tranquillo. Restammo quasi
due ore a parlare, ma sapete? Di tutto quel che mi disse non
c’era un solo particolare
rilevante, nulla che mi facesse capire davvero come si sentisse o se
quello che
stava facendo gli dava davvero l’appagamento che ostentava.
Poi, dopo mesi di
silenzio, ci rincontrammo al poligono di tiro e fu in
quell’occasione che mi
confidò d’avere una patata bollente per le mani,
senza però specificare di che
si trattasse. Alluse a dei documenti riservati e ad una gola profonda
che gli
aveva cantato dei particolari molto interessanti su una
personalità molto in
vista. In sostanza, è probabile che avesse scoperto una
grave collusione tra
politica e mafia, ma questo invece di metterlo sul chi vive, lo faceva
inorgoglire piuttosto. Onestamente non so dire se fosse così
disteso perché
davvero non si sentiva minacciato, o perché non realizzava
quanto potesse
essere pericolosa la situazione in cui si trovava.“
“E’
stato vittima di un attentato.” Sheila fece sentire per la
prima volta la sua
voce dacché quel dialogo era cominciato. La sua non era una
domanda, ma una
dichiarazione. Un’affermazione fatta da chi ha inteso
perfettamente di cosa si
sta parlando, anche se nell’ammetterlo si sente di morire.
“Non
proprio.” Replicò Alice turbata. “Il
fatto è che né questi fantomatici
documenti, né i nomi delle persone su cui stava indagando
sono venuti fuori nei
mesi susseguenti alla confidenza che mi fece. Forse stava lavorando
sottobanco,
forse contava sul fatto che giocando di sponda non si sarebbero accorti
delle
sue manovre, oppure quello è stato davvero un incidente
automobilistico. La
scientifica ha smontato la macchina pezzo per pezzo e il motore
è risultato
integro, non c’era alcuna manomissione. Né nel suo
sangue c’erano tracce
d’alcolici o altre sostanze ottenebranti che potessero
spiegare un incidente
simile. Ma c’è una testimonianza di un altro
automobilista e pare che la notte
che uscì fuori strada due auto si siano accostate alla sua
ed abbiano manovrato
finché non gli fecero perdere
il
controllo dell’auto su cui viaggiava.
E’
stato un miracolo che non ci abbia rimesso le penne, giacché
la macchina era
ridotta ad un groviglio di lamiere e che per tirarlo fuori sono
dovettero intervenire
i pompieri. Ma rimase ferito e gravemente.
Ora
sta abbastanza bene tutto sommato, è uscito dal coma e i
medici sono ottimisti.
Ad ogni modo quando sono andata a fargli visita ultimamente il capo
dello staff
che lo ha in cura mi ha pregato di seguirlo perché voleva
parlarmi. Quanto mi
ha detto non ve lo ripeto giacché probabilmente lo
riesporrà anche
a voi, casomai decideste di andarci
ovviamente. Ma un dettaglio fondamentale non posso fare a meno di
riferirvelo,
e in fondo è anche il motivo per cui ora mi trovo qui.
Matthew a causa del trauma
cranico ha perso la memoria e a quanto pare solo noi possiamo fare
qualcosa.”
Finalmente
Alice tacque e si mise ad osservarle con intenzione. Provò
quasi un empito di
simpatia notando quanto apparissero scosse, ma del resto era una
reazione normale,
chiunque avrebbe reagito in quel modo. Se ne stavano là
pietrificate, come se
il peso delle sue rivelazioni fosse troppo oneroso per le loro spalle,
e
suppose, per le loro coscienze. Soprattutto Sheila, appariva
frastornata e se
ne stava a capo chino.
Già
Sheila, descrivere quel che le stava passando per la testa in quel
momento
sarebbe stato pressoché impossibile, ma il senso di colpa lo
riconosceva
eccome. Non avrebbe potuto altrimenti del resto, poiché
sentiva che la causa
scatenante di tutte quelle decisioni avventate e di quel disastroso
epilogo,
non era altri che lei. Il medesimo stato d’animo aleggiava sul capo delle sue
sorelle, poiché,
in tempi e modi differenti, quelle rivelazioni le avevano sconvolte.
Ma
Alice non aveva tempo, né voglia d’assistere alla
pantomima del dolore che ne
sarebbe seguita. Inoltre si augurava che non avessero
l’impudenza d’esternarla
davanti a lei. Quel che voleva era solo d’essere certa di
aver raggiunto il suo
scopo e poi se ne sarebbe andata per la sua strada. Quanto a Matthew,
da lui
sarebbe andata quando non ci fossero state loro, a meno che i dottori
non
avessero predisposto il contrario e non le chiedessero di farlo. Per
cui
afferrò la borsetta alzandosi e le fissò mentre
ancora se ne stavano basite in
preda alle loro emozioni.
“Ci
posso contare allora ?” Chiese apprestandosi ad accomiatarsi.
“Dicci
il nome dell’ospedale e ci andiamo immediatamente.“
Replicò Kelly con un tono
talmente abbattuto che non le sembrò neppure lei.
“Sta
all’ospedale centrale di Tokyo, reparto di medicina
chirurgica. E se volete un
consiglio, non aspettatevi di trovare la stessa persona che
conoscevate.”
Concluse spiccia avviandosi verso l’uscita.
Il
suono della porta che si chiudeva era ancora nell’aria quando
Tati e Kelly, con
molta delicatezza, sollecitarono la sorella ad alzarsi dal divano.
“Andiamo
cara“, l’esortò la maggiore spingendola
gentilmente in direzione della sua camera,
“mettiti qualcosa addosso e andiamo a vedere come stanno
realmente le cose.”
Completamente
abulica Sheila prese a vestirsi, intanto che una miriade di riflessioni
spiacevoli le si affacciavano alla mente. Più le idee le si
confondevano e più
andava veloce a prepararsi e, quando finalmente fu pronta, fu con
estrema
gratitudine che trovò le ragazze ad aspettarla davanti alla
porta di casa.
Durante
il tragitto in macchina nessuna delle tre parlò molto,
ognuna di loro aveva il
suo gravoso carico di pensieri a cui fare fronte, poiché,
seppure in modi
diversi, erano tutte molto attaccate a quel ragazzone un po’
goffo ma dalla
straripante vivacità che era stato Matthew. Non volevano
pensare al peggio, ma
la sola idea che potesse star male o addirittura che morisse le
tormentava.
Fortunatamente
non trovarono traffico e in breve furono al banco
dell’accettazione dell’immenso
plesso ospedaliero. Kelly, prendendo in mano le redini della
situazione, decise
che era il caso di parlare prima con il dottore e poi di recarsi dal
paziente,
per cui trepidanti si diressero al reparto e furono immediatamente
ricevute dal
luminare.
Costui
era un signore sulla sessantina, molto conscio della sua
autorità, ma dall’aria
abbastanza benevola, il quale non mancò comunque di
rivolgere un discreto
sguardo d’apprezzamento alla bellezza delle nuove arrivate.
In effetti se le
rimirò ben bene mentre
le faceva accomodare
nel suo studio accanto all’ambulatorio. Anzi, si
premurò persino di chiedere
loro se gradissero un caffè e infine, chiamato un altro
medico, una occhialuta
donna sulla quarantina , si decise a parlare.
“Nel
mio ultimo colloquio con la signorina Asatani le chiesi di raccogliere
quanti
più amici e conoscenti del signor Isman, allo scopo di
favorire la sua
guarigione. Quindi, posso chiedervi che tipo di rapporti intrattenevate
con lui?”
“Sono la sua fidanzata.”
Replicò
fermamente Sheila precedendo Kelly che stava per rispondere. Non si
rese
neppure conto di aver abbandonato il passato remoto e di aver usato il
presente
indicativo, cosa però che non sfuggì affatto agli
atri presenti.
“Questa
mi giunge nuova.” Fece il medico stupito. Quindi prese
un’espressione severa e
continuò: “Il paziente è allettato qui
da mesi ormai, com’è che si fa vedere
solo adesso? Da come è rimasto abbandonato a sé
avevo supposto che non avesse
simili legami.”
A
questa molto poco velata reprimenda Sheila stava per rispondere
malissimo, ma
stavolta Kelly fu più rapida di lei.
“Il
fatto è che fino a ieri dottore eravamo ignare
dell’accaduto, in quanto a causa
d’impegni lavorativi e di studio eravamo in
Europa.” Affermò seria, ma
protendendosi in avanti, tanto che l’esimio medico
chirurgico, allungando
appena, appena il collo, poteva tranquillamente sbirciarle nella
scollatura. Kelly
gli lasciò ancora una frazione di
secondo per godersi lo spettacolo, quindi continuò:
“All’inizio non ci siamo
preoccupate del fatto che non telefonasse più,
giacché nell’ultimo periodo lui
e mia sorella erano un po’ ai ferri corti, in effetti
litigavano abbastanza
spesso.”
A
quest’affermazione Sheila si voltò a guardare
basita la sorella, e sarebbe
intervenuta se non fosse stato per il calcione che Kelly le
tirò sotto la
scrivania, che la zittì sul nascere.
“Inoltre Matthew,
il signor Isman, ci aveva
detto che per un lungo periodo avrebbe lavorato sotto copertura, per
cui
avevamo immaginato che fosse impossibilitato a contattarci. Magari
siamo state
un tantino superficiali, ma le posso assicurare che non appena la
signorina
Asatani ha potuto avvertirci, ci siamo precipitate qui.”
Praticamente,
con estremo garbo, Kelly aveva appena creato un plausibile mix di balle
e
verità che ebbero il potere di rabbonire il medico, il quale
riprese il suo
colloquio senza più ritenere che sua sorella fosse una
donnaccia dal cuore di
pietra. Anche se, da quel momento, evitò di porre le sue
domande a Sheila,
rivolgendosi direttamente lei.
“Da
quanto tempo lo conoscete?”
“Parecchio,
ha frequentato per anni casa nostra ed essendo orfano si può
dire, senza tema
di smentita, che per lui eravamo una seconda famiglia.”
“Bene,
è un ottimo inizio. Persone importanti nella sua sfera
affettiva sono
esattamente ciò
di cui ha bisogno.
Vedete è fondamentale che si riesca a stimolare tutto quanto
è sepolto nel suo
io più profondo. Ma su questo ci torneremo tra un attimo.
Vorrei
precisare che attualmente il paziente è stato del tutto
dichiarato fuori
pericolo. Certo il decorso assistenziale sarà lungo, ma non
è più in pericolo
di vita.” Affermò, per poi sorridere paterno
innanzi alle espressioni sollevate
che suscitò. “Ha una lesione al piatto tibiale
della gamba sinistra e il
braccio destro fratturato, oltre al fatto che gli abbiamo estratto dal
corpo
innumerevoli schegge e frammenti di lamiera. Gli hanno lasciato
abbastanza cicatrici,
ma oggi con la chirurgia estetica si fanno miracoli, quindi di questo
non mi
preoccuperei. Oltre a ciò ha subito un trauma cranico, che
però è in fase di
riassorbimento e per sua fortuna la faccia e gli organi vitali non
hanno
sofferto danni. Concludendo, posso affermare senz’ombra di
dubbio che
fisicamente deve solo guarire e riabilitarsi. La
mia preoccupazione piuttosto riguarda la
sua amnesia. Non è raro che dopo
una
lesione all’occipite e ad un coma
si
manifesti, ma in genere si tratta comunque di una cosa temporanea. Nel
caso del
signor Isman invece pare sia di
un tipo
particolarmente persistente. Sono perplesso lo ammetto,
giacché, e dopo ve ne
renderete conto di persona , il paziente non sembra troppo risentire di
questo
suo stato. Ah certo
è afflitto da tremende
emicranie, che di solito si accompagnano a questo tipo di shock , ma
per il
resto sta affrontando il tutto con una vitalità davvero
sorprendente. Forse la
qui presente dottoressa Shinobu, la nostra psicologa, può
farvi capire meglio.”
“Per
quanto mi riguarda dottor Mishima preferirei che le signore
conferissero prima
con il paziente e
poi magari potremmo
avere uno scambio d’idee.” Replicò la
donna fissando abbastanza freddamente il
suo interlocutore. Quindi voltò il capo verso le tre donne e
continuò: “Se voi
signore infatti avevate un rapporto così intimo con Isman,
allora potrete dirmi
le impressioni e le differenze che ne ricaverete. Nel qual caso per me sarà
più facile farmi capire all’interno
di un quadro d’insieme.”
“Bene
dottoressa possiamo andare ora ?” Chiese Sheila, sempre
più agitata, alzandosi.
“Naturalmente,
solo un consiglio signorina, non si stupisca troppo
dell’esuberanza del suo
fidanzato. Ormai qui dentro l’abbiamo capito tutti che gli
piace parecchio
scherzare, nonostante tutto.”
A
quest’affermazione le tre si guardarono confuse, ignare di
cosa esattamente
volesse dire, e sollecite si diressero verso le camerate.
Così fu che , mentre
avanzavano nella corsia, già
da una
trentina di metri di distanza dalla camera di Matthew iniziarono ad
udire
chiaramente una voce familiare che cantava allegramente le prime strofe
della
canzone “La visone della figa da
vicino”.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Capitolo
4
L’autore
di questo melodico canto altri non era che Matthew.
E,
mentre ignaro che l’ora del parziale ricongiungimento col suo
passato si stesse
avvicinando, era momentaneamente occupato ad ammazzare il tedio
standosene scompostamente
adagiato sul letto.
Anzi
si poteva dire che vi era assiso nel medesimo modo in cui se ne sarebbe
stato
un pascià nel suo gineceo, piuttosto che come un infermo
conciato nelle sue
condizioni. In effetti era atipico, soprattutto non il tipo di
comportamento
che ci si aspetti da un paziente in via di riabilitazione. Ma ormai tutto quanto gli
era strettamente
correlato aveva preso ad essere singolare, giacché, proprio
come il progredire
dello stato della sua salute, allo stesso modo il suo aspetto e quella
della camera
dov’era allettato, avevano assunto sempre
di più i connotati perfetti d’un indolente
single incallito e scombinato.
Quella
stanza non solo era una fonte perenne di casino, giacché la
tv spesso e
volentieri era accesa a tutto volume, ma aveva pure
l’apparenza d’una edicola
mal tenuta. Infatti, per quanto gl’inservienti pulissero e
tentassero di darle
una parvenza d’ordine, ciò nonostante in ogni
angolo o ripiano disponibile giacevano
sparsi fumetti, riviste e libri. Per non menzionare che una delle
bottiglie
d’acqua era stata manomessa e abilmente camuffata, in realtà infatti
conteneva del sakè
contrabbandato dallo spaccio che fungeva da bar e tavola calda a piano
terra
dell’ospedale. Del resto, si era detto l’infermo
con una compiaciuta scrollata
di spalle, un uomo che si rispetti ha il diritto di farsi un cicchetto
a tarda
sera con qualche altro malato o con gl’infermieri che
facevano il turno di
notte, o no?
Il
sopraccitato degente inoltre
rifiutava
categoricamente di tagliarsi i
capelli e aveva su una criniera, basette comprese,
che avrebbe fatto l’invidia di molti gruppi
rock degli anni 70. E
come se non
bastasse, essendo ormai estate piena,
siccome il degente soffriva maledettamente il caldo,
nonostante le
finestre fossero sempre aperte e l’aria climatizzata, di
norma era abbigliato
con un paio di pantaloncini da corsa e una canottiera.
Il
che, se non fosse stato per il gesso agli arti e le fasciature
all’addome, Matthew
avrebbe corso il rischio d’essere scambiato per un borghese
qualunque beccato
nel suo momento di riposo e finito chissà come in quel posto!
Un
atteggiamento volutamente indolente il suo, ma ne aveva le tasche
piene, così
usava questi espedienti quale passatempi accessori. Inoltre, visto il
suo stato
e l’entità della sua patologia, i sanitari lo
lasciavano fare, chiudendo
benevolmente un occhio su quei comportamenti da adolescente cocciuto.
Addirittura le giovani infermiere si divertivano ai suoi blandi e
scherzosi
tentativi di corteggiamento, persino quando lasciava cadere una avance
quando
non avrebbe dovuto. Ma il più delle volte se la cavava con
un, neanche troppo
convinto, rimprovero
o una tirata
d’orecchi, giacché la maggioranza delle operatrici
ospedaliere, riteneva che in
fin dei conti era un bel ragazzo, quindi perché
risentirsene? Insomma Matthew
riusciva simpatico e che male c’era se tentava di spezzare un
po’ la monotonia
di quell’interminabile ricovero?
Più
o meno la pensavano tutti così lì dentro, tranne
che per la caposala, un
donnone sui cinquanta, dal cipiglio caporalesco e la forza di una
impastatrice
edile. Lei era l’unica a non fargliela passare liscia, mai.
Soprattutto, era la
sola a non farsi abbindolare dal sorriso ruffiano e l’aria
fanciullesca che
esibiva quando ne combinava qualcuna di troppo.
E
la canzoncina che Matthew stava cantando nel momento in cui le sorelle
Tashikel
si apprestavano, era solo uno dei tanti modi da lui adoperati per far
perdere
le staffe alla sua nemesi. In
effetti era
un giochetto col quale si trastullavano spesso lui e
l’infermiera capo, tanto
che, da quando era stato passato nel reparto dell’irascibile
ras della corsia, la
povera donna non aveva più un attimo di pace. Infatti da vero impunito prendeva
in giro chiunque
gli capitasse a tiro, ma per lei aveva una predilezione.
E
ora, stimò la matrona posandogli sul portavivande il vassoio
col pranzo, si era
prevedibilmente al momento in cui
avrebbe iniziato a romperle le scatole sul cibo. E
infatti, come aveva immaginato, la manfrina
ebbe inizio.
“Infermiera
la minestrina che sciacqua gli intestini non la voglio.”
Dichiarò incrociando
le braccia e alzando il mento come un bambino viziato. Quindi, visto che quella non
gli dava spago,
badando solo al controllo della cartella clinica, fece un ghigno
malizioso e
continuò: “Capisce, liquida
com’è mi farebbe andare alla toilette in
continuazione . E con una gamba e un braccio rotti ci vuole qualcuno
che mi ci
porti... e allora che si fa? Viene lei?“
“Possiamo
usare sempre il pappagallo.” Replicò
l’infermiera sarcastica tirando fuori l’ennesimo
ago e preparandosi ad iniettargli una flebo integrativa. Se solo avesse
potuto
gli avrebbe fatto un’endovenosa di bromuro!
“Macché,
mica ce l’avete per le mie misure sproporzionate!“
La contraddisse Matthew ridendo
maliziosamente e beccandosi un’occhiata
riprovevole. Ma non era abbastanza, per cui riprese a stuzzicarla.
“E poi ,
vediamo che c’è... mhmhm una fettina di carne...
infermiera me la taglia? Me la
sminuzza? Me la trita? Infermiera è vitella ?“
“Adesso
basta !” Sbottò una volta per tutte la donna e fu
solo la provvidenziale
entrata delle tre sorelle che la frenò da tirargli appresso
il primo oggetto
contundente che s’era ritrovata a portata di mano.
Così
fu che Kelly, Tati e Sheila, facendo il loro ingresso, rimasero
alquanto
stupite nel trovarsi davanti alla scena di una distinta operatrice di
mezz’età
nell’atto di levare il braccio, non si sa per quale scopo,
alle prese con
Matthew, che da suo letto di dolore ridacchiava tutto soddisfatto.
Effettivamente
rimasero a bocca aperta, tanto che la caposala arrossì
malamente, riprendendo
ad affaccendarsi attorno al malato, mentre quest’ultimo si
limitò invece a voltarsi
e fissarle con uno sguardo vacuo che piano, piano si
trasformò in un interesse
palese. Ma improvvisamente, senza nessun segnale apparante, il suo volto si
trasfigurò, spalancò gli
occhi e una manifesta gioia esaltata gli fece schizzare le sopracciglia
in
fronte. Tanto che furono istanti di panico per le tre.
“Non
ci posso credere! Mamma, mammina!!! Finalmente sei tornata da me! ... e
hai
portato anche le ziette!“ Esclamò agitandosi
scompostamente sul letto e tendendo
loro le braccia.
“Che?!”
Fece Tati urlando.
Kelly
fece un passo indietro scombussolata.
Sheila
sconvolta cercò con gli occhi le sorelle.
“Mio
dio“, pensò veramente preoccupata,
“quest’amnesia
è molto peggio di quel che
pensassi!”
A
frenare le sue fosche previsioni però ci pensò
subito l’infermiera che
sbuffando notevolmente
spazientita, e
stufa di quella sceneggiata già vista, chiarì
loro le cose.
“Isman,
la piantiamo di fare questo
teatrino ogniqualvolta entra qui dentro una femmina che non
conosci?“ Lo sgridò
sputacchiando, e poi, volgendosi
verso
di loro, scosse la testa esasperata. “Questo tizio
è impossibile e io non lo
sopporto più!“
Si
girò nuovamente verso il paziente che sghignazzava
mantenendosi lo stomaco e si
raccomandò: “Passo dopo per ritirare il
portavivande, vedi di non fare troppo
il cretino con queste ragazze, chiaro?”
“Sissignore,
signora Generalessa!” Replicò facendosi
un’altra risata alla faccia sua. Tanto
l’aveva capito benissimo che quelle
mansioni le avrebbe potute, anzi avrebbe dovuto svolgerle, una delle
infermiere
che facevano il praticantato. Ma siccome a suo
modo, pesino quel dinosauro si era
affezionata a lui, anche se non l’avrebbe mai ammesso
apertamente, era disposta
finanche ad accollarsi dei compiti inferiori al suo grado
professionale.
Ridacchiò
sommesso a questa riflessione, dopodiché rivolse tutta la
sua attenzione, parecchio
incuriosito, alle sconosciute che
gli stavano innanzi. Le quali, a prescindere da Tati, che nonostante
tutto si
stava divertendo anche lei a quella messinscena, apparivano un pochino
sconcertate.
Va
da sé che per loro era un sollievo trovarlo in quello stato,
anziché in preda
ad un delirio o, peggio ancora, straziato dalla sofferenza fisica. Ma onestamente tutto si
erano aspettate
entrando, tranne che
un siparietto
comico di quella levatura.
Comunque,
ad un più attento esame, il volto di Matthew, sebbene ilare,
appariva scavato,
con profonde depressioni
sotto gli occhi. Senza contare che aveva bende dappertutto, il braccio
appeso
al collo e la gamba rigidamente sistemata sul letto. Il guaio era che
adesso
veniva il difficile, almeno per Sheila, insomma in che modo gli si
doveva
presentare? Come qualificarsi? Matthew continuava a contemplarle
spostando gli
occhi alternativamente
dall’una
all’altra, finché non seppe trattenere oltre la
curiosità.
“Beh,
siete dame di carità o cosa?
Purtroppo
ultimamente pare che la memoria mi faccia difetto, quindi se non mi
dite chi
siete, che facciamo? Ce ne stiamo qui a rigirarci i pollici
finchè non termina
l’orario di visite?”
Kelly
finalmente si concesse un sorriso sollevato, invero, adesso che era
là e aveva
toccato con mano la situazione, si stava abbastanza tranquillizzando.
Meglio,
l’atteggiamento di Matthew la stava mettendo addirittura di
buonumore.
“Allora
signorino, io mi chiamo Kelly,
questa
qui è Tati e lei è Sheila.”
Rimarcò mettendo le braccia sulle spalle della
sorella e spingendola in avanti più vicino a letto.
“Ci conosciamo piuttosto
bene noialtri, anche se adesso non te ne ricordi. Il resto, se lo vuoi
sapere,
te lo fai raccontare da lei.” Aggiunse indicando Sheila e
facendo segno alla
piccola di sgombrare. “Ora vi lasciamo soli così
vi fate una bella
chiacchierata okay ? Noi verremo a trovarti un altro giorno.“
Concluse
facendo l’occhiolino alla sorella e prendendo commiato.
Quanto a Tati, lei gli
fece un sorriso a trentadue denti
e si
accodò silenziosamente alla sorella, ma non prima d aver
buttato lì un allegro:
“E fate i bravi mi raccomando!”
“Guarda
che così conciato solo il bravo posso fare.”
Replicò lamentoso Matthew ghignando.
Simpatiche
quelle due, chissà chi
diavolo erano?
Rimasti
soli si mise ad ammirare la ragazza rimasta e che, impettita
rigidamente,
ancora se ne stava davanti al suo letto. Appariva piuttosto indecisa
sul da
farsi in effetti, anche se, si disse grattandosi la testa, irresoluta o
no, era
decisamente una bella figliola.
“Senti,
perché non ti siedi?” Le chiese impaziente
indicandole la sedia posta vicino
alla sponda. “Magari ti stai stufando da morire, per cui per
passare un po’ di
tempo, potresti raccontarmi
qualcosa
d’interessante, che ne dici?“
“Va
bene.” Assentì Sheila, era piuttosto dubbiosa sul
da farsi e, facendo un gran
sospiro, si sedette al suo fianco. “Non mangi?“
Domandò per iniziare una
parvenza di conversazione.
“No
figurati, questa roba non mi piace per niente! Certo ho una fame da
lupi, ma
più tardi passerà qui quella
talpa a portarmi qualcosa di
commestibile,
e non mi preoccupo.“
“E
chi sarebbe questa talpa?” Si informò
l’altra non troppo sicura d’aver
afferrato bene con chi ce l’avesse.
“Si
chiama Alice.” Rispose tirando fuori un sacchetto di
noccioline dal cassetto e
aprendolo in modo da produrre un discreto botto. “Viene a
trovarmi praticamente
tutti i giorni e le ho chiesto se mi poteva portare qualcosa di
più appetitoso.
Pare che abbiamo lavorato per molto tempo insieme e che fossimo amici.
Boh, io
non lo so, ma è una fortuna, almeno mi evita di mangiare
questa roba insipida.
Vuoi?” Chiese candidamente porgendole il pacchetto e ignaro
di ciò che quella spiegazione
stava provocando nella mente della sua interlocutrice.
“No,
grazie.” Fece Sheila distrattamente e poi alquanto
contrariata pensò: “E
brava Asatani, ma che ci stai ancora
provando?”
“Senti
un po’ Sheila“, riprese
l’altro richiamando
la sua attenzione, “invece noi che tipo di rapporti abbiamo
?”
“Beh
noi...noi ...” balbettò esitante innanzi a quella
domanda diretta. Che dirgli?
Se gli avesse raccontato di loro partendo dal punto in cui erano
rimasti,
probabilmente l’avrebbe confuso e basta. Per di
più, si disse mentre i pensieri
le correvano in svariate ed imprevedibili direzioni, forse questa
poteva essere
davvero un’occasione propizia per
ricominciare
da zero tra loro due. E stavolta senza compromettersi in sotterfugi e
patemi
d’animo per di più. Però, come diavolo
doveva comportarsi? Doveva andarci con
i piedi di piombo? Sì, ma anche essere
sincera al massimo delle sue possibilità. Per cui era tenuta
ad usare la
massima cautela certo, ma al contempo doveva pure avere
l’abilità di saper gestire
il tutto senza prendere una direzione univoca che non
complicasse ulteriormente le idee del suo ex…
Ex? Lo era o no lo era più? Maledizione che casino!
Calma
Sheila, calma. La situazione non
richiede altro che una soluzione repentina. Quindi di che hai paura?
Salta il
fosso, avanti!
“Io
sono la tua fidanzata.” Affermò infine arrossendo
un pochino e sorridendogli
per la prima volta da quando si erano rincontrati.
“Ah!”
Esclamò lui meravigliato e facendo tanto d’occhi.
Colpito si diede una pacca in
fronte. “Devo proprio essere grave per non ricordarmene,
porca miseria! Però, ti
credo, eccome se ti credo!“ Assicurò valutandola
di sotto in su con aperto apprezzamento.
In effetti quale idiota al posto suo si sarebbe azzardato a muovere
delle
obiezioni davanti ad una prospettiva simile?
“E
dimmi, le due ragazze che stavano con te chi sono?”
“Sono
le mie sorelle.” Ripose Sheila iniziando a rilassarsi, nessun
fraintendimento,
né domande imbarazzanti da parte sua. Senza contare che
tutto si poteva dire
tranne che Matthew avesse perso la sua propensione
all’apprezzamento delle sue
beltà.
“Peccato.”
Fece quest’ultimo inalberando un espressione un po’
delusa, quindi ridacchiò e
aggiunse: “Per un meraviglioso istante avevo pensato di avere
un harem!“
“E
invece no, a quanto pare ti devi accontentare!” Fu la replica
alquanto piccata
che ne ricevette. Ma Sheila non ebbe il tempo di dire altro
ché Matthew riprese
a parlare.
“Beh,
che dire? Complimenti vivissimi a mamma e papà, hanno fatto
proprio un buon
lavoro. Dalla prima all’ultima praticamente siete una
matrioska di bonazze!”
“Dovresti
piantarla sai?” L’ammonì severa,
benché quelle battutine le stessero facendo
piacere. “Ti pare questo il modo di parlare davanti a una
signora?”
“Chiedo
scusa, solo che qui dentro capita di rado di vedere passare qualcuno
che non
sia un medico o un tizio che ci lavora. Uff, i giorni non passano mai e
devo
confessarti che mi scoccio da morire. Ma verrai a farmi compagnia
spesso,
vero?” Le chiese tutto speranzoso, dopodiché,
senza attendere risposta, si fece
perplesso e sparò la successiva domanda.
“Che poi, com’è che arrivi
solo adesso?”
“Ho
saputo solo stamattina quello che ti è successo.”
Ammise, giustificandosi per
la seconda volta nel giro di qualche ora, un comportamento che
raramente
assumeva. Generalmente era lei quella reattiva e gli altri a doversi
discolpare,
Matthew poi era stato un vero primatista in questa particolare
specialità.
Però,
ragionò incupendosi, se questa sorta di riconciliazione
stava avvenendo in una
corsia ospedaliera, invece che in un contesto romantico, o con scene
madri
susseguenti giuramenti d’eterno amore, era
accaduto anche in virtù delle sue azioni.
Se
non fossi stata un membro della
banda Occhi di Gatto, se Matthew nel saperlo non fosse rimasto a tal
punto
sconvolto da mollare baracca e burattini, decidendo di punto in bianco
di cambiare
divisione, sarebbe potuto essere tutto diverso? Non lo so, ma non
volevo che
finisse così...
“E
dimmi Sheila”, le chiese improvvisamente Matthew
richiamandola alla realtà
circostante con un
preciso movimento
della mano, “noi abbiamo... abbiamo mai...“
La
ragazza rimase interdetta, visto che lui faticava a concludere la
frase, poi
afferrato il gesto e
comprendendo
fulminea il riferimento sconcio, vide rosso.
“Ma
come ti passa per la testa un’idea simile?!”
Reagì sbalordita arrabbiandosi e
levando istintivamente la mano per una delle classiche, e dolorose,
pizze con
le quali spesso l’aveva omaggiato in passato.
“Scusa
“, fece lui prendendole al volo la mano sorridendo
innocentemente, “ma credo
che fosse una domanda legittima. E poi”, aggiunse togliendole
ancora una volta
il tempo di rispondergli, “ad un certo punto hai fatto una
faccia così triste,
che ho pensato che solo dicendo qualche
scemenza potevo
farti passare il
malumore.” Concluse sorprendendola vivamente. Come diavolo
aveva fatto a capire
che dietro la facciata di distensione che stava ostentando si
nascondevano
pensieri tutt’altro che lieti?
“Lo
faccio sempre.” Si premurò di chiarirle
impacciato. “Quando mi sento depresso
cerco di pensare alle cose più cretine che mi vengono in
mente. Strano, non
trovi?”
“No,
per niente.“ Rispose affettuosamente, molto toccata
nell’intimo. “Ma ora dimmi,
come ti senti?”
“Non
alla grande, questo è sicuro. Mi fa un male cane
dappertutto, però in questi
casi mi sparano un antidolorifico in vena e dopo un po’ sto
meglio. A quanto
dice il dottore ci sarà da divertirsi durante la
riabilitazione. Mi ha promesso
che mi girerà e rivolterà come un guanto, e io
gli ho risposto che sarà allora
che dovrà portarmi sua sorella... uh scusa!”
“Non
fa niente, però adesso piantala,
d’accordo?” Ribatté dandogli un colpetto
d’avvertimento al braccio sano, dopodiché si
rifece seria: “E con la memoria?
Non ricordi proprio niente?”
“Non
lo so.” Ammise perdendo la leggerezza che aveva mantenuto
fino a quel momento. “La
psicanalista me la fa spesso questa domanda e non so proprio che risponderle. Mi hanno
sottoposto ad analisi,
tac, risonanza magnetica e tanti di quei test, che alla fine ero
più rintronato
di prima.“ Sorrise un po’ scoraggiato e si
voltò verso la parete. “Non lo so,
qualche volta mi capita di sognare qualcosa di molto simile a dei
bagliori e mi
sveglio agitato, in un bagno di sudore. Sono incubi dei quali mi resta
molto
poco, immagini di gente che scappa, oppure sono io, reso
incapace da
qualcuno o qualcosa.”
Sbuffò
sentendo di non essere riuscito a spiegarsi adeguatamente e a
mo’ di attenuante
aggiunse: “E’ tutto molto caotico e non ci capisco
un granché. La dottoressa
dice che è su questo che possiamo iniziare a lavorare per
recuperare la memoria.
Ma se devo essere sincero non è una premessa invitante,
anche se spesso mi
chiedo chi cavolo sono e da dove maledizione sono sbucato fuori.
Però, ora che
ti ho conosciuto, come dire? Sono più invogliato a mettere
il cervello in moto!”
Concluse riaffacciandosi al buonumore e facendole
l’occhiolino.
“Sono
contenta Matthew, devi essere tu il primo a volerlo e non preoccuparti
io ti
aiuterò.”
Gli
promise rassicurandolo, ma conscia che non sarebbe stata affatto una
passeggiata. Però poi si disse che per quel giorno la vena
di melanconia che
gli era presa era sufficiente, per cui s’impegnò
anch’essa per stemperarla.
“Sai
cosa? Questa è un’occasione d’oro per
rimetterti a nuovo. Una vera fortuna per
me, finalmente ho la possibilità di eliminare dal tuo
carattere ciò che
detesto, lasciando solo quello che più
m’aggrada!” Rispose facendogli
l’occhietto di rimando.
“Mm.”
Mugugnò Matthew serio, serio grattandosi il mento e
fissandola intensamente,
talmente tanto che lei iniziò ad inquietarsi.
“Eppure sai che prima, quando
siete entrate tutte e tre, ho avuto come l’impressione
d’avervi visto già da
qualche altra parte? Forse in tv, sì mi pare proprio
d’avervi visto là e sui
giornali.”
Affermò
mettendola in allarme, tanto che Sheila cominciò ad
imprecare contro la sua
buona stella, ché ultimamente pareva si divertisse a tirarle
solo bidoni.
No,
non è possibile! E che cavolo, che
si sia ricordato di noi in relazione a qualche articolo o inchiesta
televisiva
su Occhi di Gatto?E’ troppo presto, non può,
accidenti a lui!
“Ma
sì, certo, che cretino!” Esclamò
compiaciuto per aver finalmente trovato il
nesso. “Siete le copie sputate delle Las
Ketkup! Me lo fai il balletto di Ajerejè?”
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Capitolo
5
Erano
quasi le undici di sera quando Sheila finalmente rientrò a
casa.
Dopo
la fine dell’orario di visita infatti, era andata a fare una
lunga passeggiata in
macchina in modo da mettere un po’ d’ordine nei
suoi pensieri.
Effettivamente aveva
trascorso almeno un
paio d’ore al volante, immersa com’era nel tortuoso
giochetto del senno di poi
e dei se fosse, per cui non si era
resa conto dell’ora. Tant’è vero che trovò le sorelle
in ansiosa attesa, poiché era
strano da parte sua che non avesse telefonato per avvertirle, senza
contare che
erano decisamente curiose di sapere che tipo di conversazione avesse
avuto con
Matthew. Sì, in effetti si erano abbastanza tranquillizzate
nel vederlo, però parevano
ancora un po’ scosse da quella sequela di avvenimenti.
Sheila
dal suo canto, dopo aver lasciato l’ospedale, aveva faticato
quanto basta a
dare una definizione precisa di come si sentisse in quel momento. Da un
punto
di vista strettamente egoistico, e tralasciando lo stato di salute in
cui
versava, c’era da ammettere che fosse una fortuna che ora
Matthew fosse così a
sua disposizione. L’aveva finalmente ritrovato, sebbene fosse
stato necessario
un evento di tale drammatico impatto per far sì che
ciò avvenisse. Inoltre, il
fatto che al momento non potesse recriminare nei suoi confronti, era un
vantaggio prezioso, tanto, che con l’andare del tempo forse
avrebbero potuto addirittura recuperare in pieno il loro
rapporto. Però
aveva delle remore, avvertiva chiaramente una
voce dentro di lei che urlava forte che ciò che
si proponeva di fare,
era estremamente ingiusto.
Lo
trovava inconcepibile, no, non poteva approfittarsi in quel modo del
suo stato
di vulnerabilità. Matthew era terribilmente indifeso in
questo momento, troppo suscettibile
a qualsiasi sollecitazione da parte sua e lei avrebbe potuto farne quel
che
voleva. Non le piaceva affatto l’idea di poterlo manipolare
in quel modo.
L’aveva già fatto in precedenza e non intendeva
ripetersi.
Il
punto era proprio questo, a dare retta al suo senso di
lealtà, avrebbe dovuto
lasciarlo stare e al massimo aiutarlo a recuperare i ricordi perduti.
Certo, se
non ci fosse stato di mezzo l’amore, sarebbe
stato tutto molto più semplice. Ma
siccome quel pomeriggio aveva afferrato realmente la portata di quanto
ancora
ne fosse innamorata, o per meglio dire, finalmente l’aveva
accettato appieno
senza più sottrarsi, c’era da fare i conti con i
suoi sentimenti.
Si
sentiva agitata, un attimo esaltata e quello successivo tremendamente
triste,
una combinazione disordinata di sensazioni che culminavano nella
consapevolezza
di non sapere proprio come comportarsi. Rimuginò amaramente
sul fatto che gli
avvenimenti or ora accorsi non erano altro che l’edizione
aggiornata di quel
che era stato li loro fidanzamento. E cioè, che si era nuovamente trovata, non
volendo stavolta, in
una condizione di ambiguità. Con
una
sola differenza: adesso la verità, oltre che essere un
opzione che lei avrebbe
potuto dichiarare o no, era anche un’alternativa che giaceva
sepolta da qualche
parte nell’inconscio di Matthew.
E
volendo cavillare ancora, spingendosi ai limiti estremi delle varie
eventualità, seppure lei gli avesse raccontato tutta la
storia del loro passato
comune, non tralasciando nulla, specialmente il suo ruolo di ladra, lui
in
questo momento quanto ne avrebbe capito?
Ne
concluse che questa possibilità era solo un modo come un
altro per sgravarsi la
coscienza. Ora come ora, l’unica cosa che poteva fare era di
stargli vicino e,
solo una volta che avesse superato l’amnesia, avrebbe potuto
parlargli a cuore
aperto di quanto era successo. Ma per il momento, a partire da oggi,
l’imperativo era quello di pensare solo al suo benessere,
mettendo in secondo
piano quello che era successo e quelli che potevano essere i suoi
dilemmi in
proposito.
Ancora
assorta fece il suo ingresso nel soggiorno dove Tati e Kelly la stavano
aspettando per cenare. Quella piccola attenzione la toccò
profondamente, ancora
una volta, in sordina, le sue sorelle avevano capito che non era il
caso di
fare tante chiacchiere attorno alla questione, quanto, piuttosto,
semplicemente
farle capire che le erano vicine e che comunque sarebbero state sempre
dalla
sua parte. Così, mentre mangiavano, si limitarono a parlare
del più e del meno,
attendendo che fosse lei ad aprire il discorso. Ma, visto che pareva
non ne
avesse affatto l’intenzione, una
volta finito
e sedute sul divano,
Tati non seppe più
trattenersi.
“Allora
Sheila, cosa pensi di fare?”
“Quello
che posso.” Replicò debolmente dopo alcuni istanti
di prolungato silenzio. “L’avete
visto anche voi, no? Sotto alcuni
punti di vista non sembra affatto cambiato, anzi, ad un certo punto mi
è
sembrato addirittura che avessimo
fatto
un balzo indietro nel passato e che da
un momento all’altro mi avrebbe chiesto un
caffè.”
“E’
vero.” Annuì Kelly, ché innanzi
all’aria affitta di Sheila stava iniziando a
preoccuparsi per i risvolti imprevisti di quelle circostanze.
”Eppure non
dobbiamo dimenticarci il motivo per cui è in quel luogo.
Certo meglio così che
trovarlo in preda alla depressione, questo è sicuro. Ma non
dobbiamo farci
ingannare da questo trucco.”
“Che
cosa intendi dire?” Chiese Tati, visto che Sheila stava
deliberatamente facendo cadere
l’allusione, avendo intuito dove volesse
andare a parare sua sorella.
“Sai
sorellina, capita che a volte si rida per non piangere. E credo che non
ci sia
niente di più brutto che perdere i propri ricordi. Il
passato di una persona è
in un certo senso il proprio patrimonio personale e non sapere chi sei
e da dove
vieni, deve essere terribile.“ Spiegò pacata a
beneficio d’entrambe, quindi fece
una pausa e guardò Sheila.
“Credo
di capire come ti senti cara, ma questo è esattamente il
momento meno adatto
per farti il processo alle intenzioni. Ora puoi solo fare quello che ti
dice il
cuore e stare a vedere. E se senti tutto ciò come un obbligo
e pensi di non
farcela, lascia stare. Oppure, se intendi andare avanti ad oltranza,
ricordati
solo che noi ti appoggeremo in ogni caso.”
L’assicurò
comprensiva con fare premuroso.
“Grazie
ragazze, non so cosa farei senza di voi.” Fu tutto quello che
Sheila riuscì a
dire con un filo di
voce. Poi, per
superare quel momento di commozione, la più piccola ritenne
che fosse opportuno
stuzzicarla un po’, altrimenti non sarebbero uscite
facilmente da
quell’impasse.
“Mio
dio, non oso pensare alle cretinate che ti avrà detto quello
scemo! Voglio
dire, se da sano come un pesce riusciva ad essere così
stupido, mi posso solo
immaginare che sarà stato capace di combinare
stavolta!”
“Tati!”
Protestò la sorella urtata, solo per vedersi rispondere con
una smorfia
divertita e una linguaccia.
“L’ho
detto apposta! Bah, figuriamoci
se non
lo difendevi a spada tratta. Bene, è un sollievo sapere
finalmente perché hai
continuato a fare la zitellona acida per tutto questo tempo!”
Affermò ghignando
impertinente.
“Sai
che quando dici certe scemenze mi pento amaramente di non averti
sculacciata
quando era il momento?” Ribatté ricambiandole la
boccaccia.
“Di
che avete parlato?” Le interruppe Kelly sperando di sedarle, buttando lì
quella domanda come se niente
fosse.
“Di
tutto e di niente, per fortuna Matthew non ha perso
l’abilità alla chiacchiera
facile. Potrebbe portare una conversazione avanti da solo
volendo.” Rispose
sorridendo al pensiero delle confidenze spontanee cui era stata fatta
oggetto
fin da subito. Tanto che fu in grado di raccontare loro molti
particolari, ivi
compreso quello riguardante la povera Alice, che ormai era praticamente
obbligata a
portargli del cibo da fuori,
giacché al
signorino non risultava
gradita la cucina dell’ospedale.
“E’
proprio per questo che tu da domani in poi sei in vacanza.”
Le annunciò Tati
con fare lezioso e ironico. “Non vorrai mica che Asatani si
prenda più spazio
del dovuto? Sei o non sei la sua fidanzatina? Quindi da oggi in poi il
pranzo glielo
prepari tu con le tue mani di fata.”
“Ma
mica posso mollare tutto all’improvviso per fare la
crocerossina?” Obiettò
punta sul vivo irrigidendosi. Per la verità ci aveva
pensato, altroché se
l’aveva fatto, fantasticandoci sopra mentre tornava a casa e
immaginandosi,
come se ce le avesse avute innanzi agli occhi alla stregua di un
filmaccio
romantico di serie B, le scene del loro progressivo e tenace
reinnamoramento. Ed
esattamente per
questo si era imposta di metterci un freno, quella galoppata di
fantasia era
sintomo che stava correndo troppo, col rischio di accelerare a
dismisura gli
eventi fino a che tutto non si sarebbe irrimediabilmente ingarbugliato
come
nelle peggiori farse. Dopotutto, fino a ieri versava in uno stato
d’ignoranza
intonsa, per quel che ne avrebbe potuto sapere infatti, Matthew avrebbe
potuto
persino essere diventato un fioraio con le mèches e la
parlata blesa! E, ad un solo giorno di distanza, tutti
quei vaneggiamenti erano il chiaro segno che doveva restare con i piedi
per
terra. No, non era
ancora pronta
accidenti, né sentimentalmente, né
psicologicamente!
Ma
sua sorella non la pensava allo stesso modo.
“Oh
sì che puoi, ché tanto lo sappiamo benissimo che
non vedi l’ora! Questa è
proprio una situazione da Addio alle armi,
che cosa melodrammatica!”
“Piantala
Tati, non ho nessuna intenzione di fare la sua ancella.
Andrò a trovarlo sì,
sicuramente, ma da qui a mettermi di pianta stabile al suo capezzale,
ce ne
passa.” Fece
sbrigativa, ma senza
riuscire a guardare direttamente in
faccia
nessuna delle due.
“Sai
Sheila.” Proruppe Kelly picchiettando con le unghie laccate
di rosso sul bracciolo
della poltrona. “Guarda che non ci sarebbe nulla di male. A
me questo tuo
atteggiamento mi sa tanto di partito preso, non ti vergognerai
mica?” Chiese
sapendo benissimo che in quel modo l’avrebbe chiusa in un
vicolo cieco.
“Ci
mancherebbe altro!” Sbottò spontaneamente,
talmente tanto, che subito si rese
conto di essersi data la zappa sui piedi.
“Perfetto! Allora
vai e costringilo a compiere
atti di disperata passione per te, con e senza stampelle!”
L’esortò Tati
irriverente, beccandosi
una cuscinata.
A
dispetto di sé stessa Sheila si sentì molto
sollevata, l’avevano fregata, non
c’era che dire, però adesso non aveva
più scuse. In un certo senso era proprio
quel che ci voleva, visto
che era
tremendamente orgogliosa e che da sola appariva piuttosto restia a
lanciarsi.
Costringendola invece, il risultato era garantito. Ad ogni modo
cercò comunque
di darsi un tono.
“Spiritosa,
parli solo perché non sai di essere l’ultima
bambolina di una matrioska di
bonazze!” Le riferì scoppiando a ridere,
immediatamente seguita a ruota dalle
sorelle.
“Sono
contenta che alla fine Matthew sia rispuntato fuori“, fece
Kelly quando si fu
ripresa da quell’attacco estemporaneo
d’ilarità, “sembra quasi di essere
tornati ai vecchi tempi e
non vi
nascondo che avevo nostalgia di quest’atmosfera. Per non
menzionare il fatto che
il signor Marloss stava letteralmente impazzendo per stare appresso
alle tue
pretese.”
“Che
cosa?! Tu lo sapevi?” Si sbalordì Sheila
fissandola con tanto d’occhi e arrossendo
visibilmente.
“Ma
ti pare? Quando mai sei stata brava a tenere un segreto? Le tue
emozioni ti si
leggono in faccia sorellina.” Fu
la
replica sorniona che ne ricevette, alla quale si aggiunsero subito gli
sberleffi di Tati.
“Come
si sa che ormai sei più che pronta a travestirti da
infermiera e far capire al
tuo bello che l’amore platonico è una fase da
superare quanto prima!”
“Ora
piantatela tutte e due, chiaro?” Proruppe impacciata,
irrigidendosi per la
vergogna. Ma che diavolo, pareva avessero frugato tra i suoi pensieri
più
nascosti!
“Povero
Matthew, deve essere terrificante chiedersi se sei stata viuuulentemente
sua e non
ricordarsene!”
“Time
out!” Esclamò Kelly tentando di non scoppiare a
ridere dinnanzi all’espressione
completamente scandalizzata di Sheila.
“Per
stasera penso che sia sufficiente signorine.“
Così
fu che l’indomani a metà mattina Sheila si
recò in ospedale portando con sé un gran
quantitativo di cose appetitose preparate apposta per
quell’incontentabile buona
forchetta. Nonostante tutto si sentiva allegra ed era impaziente di
rivederlo,
ma nel momento in cui stava
per entrare
nella sua stanza, si bloccò all’improvviso
accorgendosi che Alice Asatani era
all’interno. Contrariata si arrestò sulla porta in
attesa, origliando la loro
conversazione.
“Cosicché
sarei originario dell’isola di Kyushu?” Le stava
chiedendo Matthew sorpreso e
la replica mordace della poliziotta non si fece attendere.
“Già,
altrimenti come te lo spieghi quell’accento terribile che ti
ritrovi?”
“Beh
a questo proprio non ci avevo pensato. Sono un isolano allora, un
figlio del
mare. Spero solo di saper nuotare, altrimenti sai che figura di
merda?”
“Non
ti preoccupare oh figlio di Nettuno, non sei un campione olimpico, ma
non fai
neanche tanto schifo come nuotatore.” Replicò
sarcastica Alice pensando per un
attimo a tutti i bagni involontari che s’era fatto quando
prestavano servizio
insieme.
“Ha
parlato l’esperta, sai come dice la canzone? Nettuno
mi può giudicare, nemmeno tu!“
“Sì,
e la verità ti fa male lo so! Stai guardando troppa tv
idiota in questo periodo
vecchio mio.”
“E
diversamente? Seppure volessi uscire, dovrei ficcami su una sedia a
rotelle e
pretendere che qualcuno mi porti in giro. Sai che spasso...” Fece sarcastico.
“Vorrà
dire che domani ti porterò qualcosa di nuovo da leggere,
magari qualche giallo,
ad un piedipiatti come te dovrebbero piacere.”
“Se
lo dici tu. Anzi volevo chiederti un'altra cosa. Spesso ho una voglia
matta di
fare qualcosa, ma precisamente non saprei dirti di che si tratta. Un
bisogno
di... Non so, come mangiare, ma non si tratta di cibo.”
Sbuffò incapace di
esprimersi adeguatamente e di farsi capire come avrebbe voluto. “E’
come se volessi ficcarmi una caramella in
bocca, ma non è neppure quello. Insomma, quel che voglio
chiederti è: c’era
qualcosa che prima facevo spesso e ora no?”
“Probabilmente
si tratta di queste. “ Replicò avendo
un’intuizione improvvisa e tirando fuori un
pacchetto di sigarette. “Sei un fumatore accanito e, anche se
per un certo
lasso di tempo hai smesso, l’ultima volta che ci siamo visti
avevi ripreso alla
grande. Te ne svampavi una dietro l’altra.”
“Addirittura?
Allora non c’è dubbio, è voglia di
fumare. Me ne dai una?”
“Ma
non so...” Fece
Alice incerta, mentre
lui la guardava con gli occhioni sbarrati come la piccola fiammiferaia.
“Io
direi proprio di no!” Esclamò Sheila facendo il
suo ingesso e fulminandoli
entrambi con un’occhiataccia.
“Buongiorno
tesoro mio!“ Esclamò Matthew non celando affatto
l’ammirazione con cui la
guardava. “Alice, tu già
conosci la mia
fidanzata, vero?” Domandò
tutto allegro.
“Oh,
oh! “ Replicò Asatani guardando Sheila beffarda.
“Altrochè se la conosco. Bene,
bene ragazzi, a quanto pare mi sono persa un passaggio!”
“Qualcosa
da dire?” Reagì Sheila
molto fredda e,
se fosse stato possibile, ancora più ostile.
“Ma
figurati, devo ammettere che ci stai dentro alla grande. Complimenti,
bel modo
di comportarsi, stai dando il meglio di te!”
Prima
che Sheila potesse ribattere a quella frecciata sprezzante, Matthew
s’intromise
abbastanza perplesso.
“Qui
c’è un atmosfera che non mi piace affatto, che sta
succedendo?”
“Lascia
stare, questa è una questione tra me e lei.”
Rispose l’investigatrice furente.
“Porca
miseria, non mi pare proprio il caso.“ Fece lui disorientato,
poi, come se uno
spiraglio di comprensione gli fosse balenato alla ragione, chiese
all’improvviso: “Dì un po’
Alice, ma non è che io e te abbiamo...
ehm... l’abbiamo fatto?”
“Ma
è un chiodo fisso?!” Sbraitò Sheila
infuriata dirottando tutta la sua rabbia da
lei a lui.
“E
ti pare che se pure fosse stato, te l’avrei detto davanti a
lei!?” Rispose
contemporaneamente Asatani furibonda al pari dell’altra.
Spaventato
da quelle reazioni in contemporanea Matthew, se avesse potuto, se la
sarebbe
squagliata all’istante. Ma visto che non poteva,
provò ad arginare il disastro
a cui aveva appena dato vita.
“Scusatemi,
solo che a quanto vedo alla tv e da come sento parlare la gente qui
dentro,
questo è un evento cardine nella vita della gente. In
definitiva, è il primo
motivo plausibile che mi è venuto in mente vedendovi
così incazzate.“
“Sentimi
bene macho man, togliti certe idee
dalla testa, che io non ci penso proprio.”
Strepitò Alice scattando in piedi
esasperata. “Quanto a te“, aggiunse voltandosi
verso l’altra, “stai molto
attenta a quello che fai, chiaro?”
Detto
questo se ne andò senza neppure salutare.
“Beato
chi ci capisce qualcosa.” Borbottò Matthew
grattandosi il capo tentennante, poi
guardò Sheila e la sua palese collera
lo
fece rattrappire sul cuscino. Stava sperimentando una situazione che in
precedentemente
aveva vissuto spessissimo e, ora come allora, non sapeva come andare
avanti.
“
Ehi... “ cominciò un po’ intimorito.
“Silenzio!”
Sheila gli voltava
le spalle con
ostentazione.
“E
dai, non l’ho fatto apposta, che ne potevo sapere?”
Provò nuovamente con tono
da penitente.
“Tutte
scuse, ieri era per non farmi intristire, oggi per
cos’altro?“ Inveì girandosi
di scatto e puntando l’indice accusatore.
“Mammamia!
Perdonami, ho detto la cosa sbagliata al momento sbagliato.”
Dichiarò con
umiltà sperando che potesse essere sufficiente.
“Sei
sempre stato un artista in questo!“ Sheila non aveva nessuna
intenzione di
mollare l’osso.
“Okay,
hai ragione, ma ti ho chiesto scusa.” Fece ragionevole, ma
cominciando ad
innervosirsi visibilmente.
“E
pensi che questo sia abbastanza?” Chiese altera esigendo
istantanee genuflessioni
e capo cosparso di cenere.
“E
che dovrei fare, ammazzarmi?!” Diede in escandescenze
incredulo e
definitivamente spazientito.
“Sai
che c’è di nuovo? Visto che sembri gradire
così tanto la compagnia di quella
gallina, io me ne vado!”
Et voilà, la frittata era
irrevocabilmente fatta, solo che
stavolta l’esito non fu quello che Sheila aveva sempre
sperimentato.
“Ehi
bella adesso stai esagerando! Se vuoi restare, mi fa piacere. Ma se hai
intenzione di continuare con questo tono, t’avverto che mi
stai rompendo le
palle!” Scattò seccato, era la prima volta che
aveva a che fare con la
smisurata gelosia di Sheila, ma a differenza che nel passato, stavolta
le stava
rispondendo per le rime.
“Ma
bene, di meglio in meglio! Io me ne vado e non azzardarti a seguirmi,
chiaro? imbecille!”
Strepitò lasciando la stanza, più
sorpresa dalla presa di posizione, che
dal tono e dal linguaggio.
E
mentre si allontanava rapida non riusciva a capacitarsi di come la
situazione
potesse esserle sfuggita di mano in quel modo. Non era andata
là col proposito
di litigare, eppure avevano aperto e chiuso quella zuffa nel loro modo
consueto,
poiché, quanto alle discussioni e ai litigi, erano stati dei
veri
professionisti del settore. Salvo che per il particolare che non era
mai stata
mandata a quel paese in quel modo diretto e repentino.
Matthew,
per parte sua, era rimasto di stucco. Non si aspettava affatto una
veemenza
simile da un’apparenza tanto femminea, ad ogni modo, non
aveva nessuna
intenzione di rimanere come un baccalà a prendersi tutte
quelle offese senza
reagire. Così prese dal comodino le sigarette che Alice
aveva dimenticato e ne
se le ficcò in una tasca,
avendo cura di
mettersene una sull’orecchio.
Dopodichè
fece forza sul braccio e la gamba sana e si sollevò sul
letto. Fortunatamente
gli arti lesionati erano il destro e la sinistra, per cui con
l’aiuto di una stampella
poteva fare dei piccoli spostamenti. In questo modo, anche se con molta
fatica,
riuscì ad arrivare fuori al balcone,
s’appoggiò alla balaustra e si accese la
cicca in attesa che Sheila facesse la sua comparsa davanti allo spiazzo
dell’ospedale.
Appena la vide la chiamò a gran voce e, quando questa si
voltò, facendole fece
ciao, ciao con la mano, aspirò un voluttuoso tiro e
urlò:
“Come accidenti vuoi
che ti segua
conciato così, eh? Cretina!”
Davanti
a questo show a Sheila andò definitivamente il sangue agli
occhi, rapidamente fece
dietrofront e come se avesse avuto il diavolo alle calcagna corse di
nuovo su.
Uscì fuori al balcone come una furia
e, davanti
al sogghigno indolente col quale fui accolta, perse completamente
quell’ultimo
residuo di tolleranza che ancora albergava in lei. Fu un gesto quasi obbligato quello di
assestargli un sonoro
ceffone. Manrovescio
che compromise il
già precario equilibrio sul quale l’uomo si
sosteneva, e fu solo la prontezza
di riflessi della ragazza che gli evitò di finire
rovinosamente a gambe
all’aria.
“Bene,
uno a uno, palla al centro.” Annunciò Matthew
muovendo la mascella dolorante. “Mi
dispiace, ok? Cercherò di non dire altre
scemenze.” Aggiunse a disagio mentre
cercava un modo qualsiasi per reggersi a lei, ma contemporaneamente,
che gli
evitasse di toccarla. Una cosa impossibile, ma con quegli sganassoni
che tirava
era meglio fare un tentativo!
“Anche
a me.“ Rispose l’altra già pentita di
avergli mollato quella sventola e all'oscuro
di quel che volesse fare Matthew contorcendosi a quel modo.
“Mi prometti che
d’ora in poi modererai il linguaggio?”
“Lo
giuro. Guarda, potessi mettermi la mano sul cuore lo farei.”
Rispose solenne e
poi si azzittì nel timore di compromettersi
un’altra volta.
“Senti
ho un’idea.” Annunciò
infine Sheila
decidendo di piantarla lì, almeno per il momento,
giacché in quel modo non
sarebbero arrivati da nessuna parte. “Adesso ti appoggi al
muro per un attimo
mentre vado dentro a prendere un paio di sedie. Ci sediamo qui fuori,
ché un
po’ di sole non può farti altro che bene.
E se mi assicuri che te ne starai buono, buono, ti
racconto
qualcosa sul tuo
passato, in modo da
evitare altri exploit come quelli di oggi, intesi?”
“Va
bene.“ Replicò sollevato.
Quando
Sheila tornò con le sedie, di cui una imbottita destinata
giustappunto ai
malati, e notò che s’era acceso un’altra
sigaretta, lo apostrofò in malo modo.
“Una
volta sono riuscita a farti togliere il vizio, lo sai?”
“Sul
serio? A suon di mazzate sul capoccione scommetto!”
Affermò esplodendo in una
fragorosa risata. Poi guardandola interessato diede voce alla
curiosità che fin
dal giorno prima aveva preso a punzecchiarlo. “Piuttosto, ma
io dove diavolo ti
ho pescata?”
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Capitolo 6
“Pescata?
Non è esatto, sono io ad aver fatto sei centri consecutivi
al baraccone del tiro
al segno a luna park, solo, che invece di regalarmi un bambolotto, mi
hanno
dato te!” Esclamò Sheila giocosa, facendolo ridere
di cuore.
Aveva
deciso di dargli una tregua, anzi, sarebbe stato più
corretto dire, di dare una
tregua ad entrambi. Così si predispose a comportarsi di modo
che potessero trascorrere
il tempo restante di buonumore, e quando Sheila decideva di fare la
brillante,
era difficile resisterle. Volendo,
sapeva
essere persino più ridanciana ed impertinente di sua sorella
minore. Il che era
tutto dire.
“Certo,
e sai come mi chiamo? Ingessato, il
pupazzo stroppiato!” Aumentò il carico Matthew,
deliziato da quello scoppio
estemporaneo d’ilarità.
“Venghino signore e signori! Siamo lieti di presentarvi
oggi… Stroppiato! Se gli
premi il nasino fa un
ruttino, se gli tocchi le manine fa la corte alle bambine e se gli
tocchi il
piedone lo ricoverano in sala rianimazione!”
Enunciò
tutto allegro, finché non si rese conto di quanto appena
detto ed esclamò un
succinto Oh merda! mettendosi
una mano
davanti alla bocca, come a rimangiarsi le ultime parole. A quel
riferimento
infatti, Sheila si era improvvisamente incupita e afflosciata come un
soufflé
mal cotto.
“Non
me lo dire, ho detto qualcos’altro che non dovevo,
vero?”
“Non
esattamente.” Fu la risposta esitante che ne ebbe, la ragazza
intuiva infatti
che quello era un argomento parecchio delicato. Ma piuttosto che
permettergli
di giocarci sopra come uno stupido, come se il fatto che fosse stato
inchiodato
a quel letto in fin di vita fosse una bazzecola, forse era meglio
affrontarlo
subito. Magari chissà, incalzandolo l’avrebbe in
un certo senso costretto a
parlarle a cuore aperto di quanto si celava dietro quella fittizia
esuberanza.
“Sai
Matthew, ogniqualvolta
fai qualche
riferimento al fatto che sei qui, o capita per caso, oppure tendi
esclusivamente a scherzarci sopra. Non capisco perché non ti
riesca di parlarne
seriamente. Forse è anche per questo
che non riesci a superare il tuo blocco.”
Affermò
risoluta, e aveva un’aria talmente preoccupata, che
quest’ultimo non se la
sentì di
risponderle con l’ennesima
amenità, né di mandarla al diavolo come faceva
con la psichiatra quando lo
prendeva così a brutto muso. Ma anche se l’ansia
che Sheila lasciava
intravedere poteva essere autentica, semplicemente non poteva. Non
ancora
almeno.
“Senti,
non mi va.” Dichiarò infine chiudendosi a riccio.
“Non prendertela, ma per il
momento preferirei che non me lo chiedessi.”
“Vale
solo per me?” Non poté far a meno di chiedere lei,
anche se temeva quanto
avrebbe potuto uscirgli dalle labbra. A tal punto contrariato raramente
l’aveva
visto, e se quel rifiuto fosse dipeso esclusivamente da lei, beh,
allora che
avrebbe fatto?
“No.”
Negò risoluto, poi, ammorbidendosi un pochino davanti al
palese disagio che le
stava provocando, aggiunse vivacemente:
“E
poi non dovevi essere tu a narrarmi la cronaca del nostro travolgente
incontro?
Avanti parla. Dai, dai, dai, dai, dai!”
“D’accordo.”
Sheila raccolse il manifesto invito a cambiare argomento e
cominciò: “Dunque,
mi sei capitato tra capo e collo al secondo anno delle superiori. Ti
eri da
poco trasferito a Tokyo e quando arrivasti in classe non conoscevi
nessuno.”
“Come
mai me ne venni qui?” Domandò tirato su dal fatto
che la ragazza pareva aver
accettato di buon
grado le sue offerte
di pace.
“Uhm,
bella domanda. Per cavartelo di bocca all’epoca ci misi mesi.
Dimmi, Alice ti ha
mai detto niente in merito ai
tuoi genitori ?” S’informò con tatto.
“Più
o meno, mi ha riferito che sono morti quand’ero piccolo e che
abitavo con la
sorella di mia madre.” Rispose cauto. In fondo, a che pro
manifestare una
tristezza che non sentiva affatto?
“Ecco,
venisti qui perché i tuoi zii stavano per avere un figlio
loro e siccome non
volevi essere di peso, decidesti di cambiare scuola e
città.“ Spiegò
concisa, onde superare quanto prima
questa delicata digressione.
“Visto
che bravo ragazzo giudizioso?” Fece ridacchiando.
“Come
no, tanto assennato che avevi dei voti pessimi in tutte le materie,
tranne che
in educazione fisica!” Lo sbugiardò subito stando
allo scherzo.
E
intanto ripensava a quel periodo e al dispetto crescente che
inizialmente
Matthew aveva suscitato in lei. Eh sì, perché per
quanto la riguardava, era sempre
stata una studentessa modello, portata come esempio davanti a tutti, e
la
pigrizia di cui aveva dato sfoggio quello che allora era solo uno
sconosciuto
ragazzo di provincia, le
era risultata
addirittura come un qualcosa d’offensivo. Questo
perché fin dal primo incontro quel
ragazzone impacciato l’aveva molto colpita, e questo le era
sembrato inammissibile,
giacché l’irritava che a farsi notare fosse stato
un lavativo simile. Altri, ben
più di validi di quello spilungone sfaticato, facevano la
ruota attorno a lei,
lasciandola completamente indifferente. E si trattava di bei ragazzi
dalle
prospettive brillanti, quindi che cosa ci trovava di tanto speciale in
quello
scioperato da guardarlo, sia pure
involontariamente,
con occhio affascinato?
Sheila
sorrise al ricordo di quella forte ostilità e alle
contraddizioni cui aveva
dovuto far fronte fin da primo momento in cui se l’era
ritrovato davanti. Certo
che se avesse dato retta all’iniziale impressione, sarebbe
stato oltremodo
difficile per Matthew, nonostante il suo aspetto gradevole, abbattere
le sue
difese!
“Ahi,
ho paura di dove ci porterà questa conversazione.”
Stava dicendo intanto
quest’ultimo per invitarla ad andare avanti, visto che era un
bel pezzo che
taceva e pareva essersi persa nei suoi pensieri.
“Non
temere, anzi devo dire che impiegasti profittevolmente la tua carenza
scolastica.“ Rispose continuando a cavalcare l’onda
delle memorie e
ridacchiando al ricordo dell’insistenza inaspettata cui era
stata fatta oggetto,
non appena si era mostrata un po’ più disponibile
nei suoi confronti.
“In
che senso?”
“La
usavi come scusa per starmi sempre
appresso.”
“Tu
stai sottovalutando quella che era la mia voglia di apprendere! Se
domani mi
porti un libro di
grammatica ci facciamo
un ripasso e ti faccio vedere!”
“Lascia
stare i ricorsi storici, che è meglio.” Rispose
cominciando ad avvertire una
sorta di rimpianto per il tempo che fu. Com’erano ingenui
allora, due ragazzini
completamente privi di malizia, tanto che era bastato appena un salto
generazionale per trasformarli in un anacronismo vivente.
Ché se due
adolescenti attuali, coinvolti com’erano loro, fossero
rimasti chiusi da soli e
fino a tarda sera in biblioteca, col cavolo che avrebbero passato tutto
il
tempo studiare!
A
questo pensiero avvampò vergognosa e preferì
continuare nel suo racconto.
“Comunque
il chiedermi di darti una mano è venuto molto dopo,
all’inizio infatti te ne
stavi sempre sulle tue. E siccome eri il ragazzo più alto
della classe e,
soprattutto, visto che poi entrasti nella squadra kendo e non di rado
capitava
che facessi a botte con qualcuno, era opinione comune che fossi solo un
pallone
gonfiato. Invece eri
un timidone.”
A
quest’aggettivo, maggiorato anche da un superlativo, Matthew
ebbe un cenno di
diniego spontaneo, come se proprio non credesse al fatto di essere
stato uno
sbarbatello riservato. Insomma, a guardarsi ora, non
l’avrebbe mai detto. Senza
contare che si era figurato d’aver fatto il rubacuori fin da
subito al cospetto
della ragazza. Quindi fu con incredulità manifesta che
chiese: “Ma davvero?”
“Già.
Pensa che stavo nel banco davanti al tuo e, se capitava che mi voltassi
e i
nostri sguardi s’incrociassero, anche perché stavi
sempre lì a fissarmi come un
pesce lesso, arrossivi come un peperone e subito ti voltavi
dall’altra parte!”
Confermò annuendo, oltremodo divertita all’aria
dubbiosa del suo fidanzato.
Appariva molto deluso, chissà che diavolo si era immaginato!
“Mammamia.
Vai avanti, anche se mi stai facendo un quadro di un pivello fatto e
finito.”
L’esortò scoraggiato e facendola scoppiare a
ridere nuovamente. Però non era il
caso di buttarlo giù a quel modo, in fondo non era stato
mica tanto male, anzi quel
che era stato il suo comportamento timoroso l’aveva spronata
a darsi una mossa.
In effetti, benché la sua venisse scambiata per alterigia,
neppure lei era
stata una ragazza che nei rapporti interpersonali potesse definirsi
audace,
tutt’altro.
“M’incuriosivi,
eri un po’ diverso dagli altri ragazzi del nostro corso. Non
partecipavi a
nessuna attività extra scolastica e non riuscivo a
spiegarmelo, finché io e
Kelly non t’incontrammo che eri in giro per
consegne.” Spiegò ripensando a quel
pomeriggio che l’aveva beccato su una bici carica fino
all’inverosimile di
cassette di birra. Era fermo fuori ad un locale intento a scaricare i
contenitori e non si era accorto di lei finché non le era
stata che ad un
passo. Nel vederla aveva fatto una faccia indimenticabile, un misto di
sorpresa
e costernazione, che l’avevano spinto a concludere con furia
quanto stava
facendo, allo scopo di allontanarsi quanto più in fretta
possibile dal suo
cospetto. Quella reazione l’aveva lasciata con
l’amaro in bocca e anche molto
adirata, per fortuna che c’era Kelly con lei! Infatti col suo
solito garbo, sua
sorella aveva avanzato una serie d’ipotesi circa il
comportamento del ragazzo
che l’avevano portata presto a più miti consigli.
Ma
questo a Matthew non intendeva dirlo, continuò nel suo
narrare come se a quelle
conclusioni fosse arrivata da sola. Una licenza poetica certo, ma era
un
peccatuccio veniale. Inoltre non voleva assolutamente che considerasse
lei
un’irragionevole e sua sorella quella assennata e
più piacevole con cui avere a
che fare, e che diamine!
Quindi
continuò senza specificare chi o cosa.
“In
quel momento capii uno dei motivi cui imputare il tuo lassismo e pure
perché spesso
sonnecchiavi durante
le lezioni. Solo
allora compresi che eri uno studente lavoratore e che la situazione per
te non
doveva essere affatto semplice. In sostanza mi resi conto del come mai
apparivi
sempre in imbarazzo rispetto ai nostri compagni di classe, loro
perlopiù
venivano da un ambiente medio-alto e non dovevano certo
mantenersi.” Sottintese
ad arte provocandogli un chiaro moto di autocompiacimento. Si vedeva
che
quell’allusione alla vita dura lo rendeva piuttosto
orgoglioso.
Oh Matthew, non cambierai mai!
Rifletté
deliziata dal fiorire dell’espressione Uomo
che non deve chiedere mai che aveva immediatamente scalzato
quella de Uomo che deve chiedere sempre e si
piglia il
2 di picche che
aveva avuta fino ad
un secondo prima!
Ma,
non era il caso che si esaltasse troppo, quindi gli
spiattellò anche il resto.
“Guarda
che non è il caso che di gloriarsi tanto bello mio, visto
che anche in
quell’occasione vigliaccamente ti tirasti indietro! Non ebbi
neppure il tempo
di salutarti che già te n’eri scappato nel vicolo
appresso.” Precisò simulando
un accentuato e parodistico sconforto a quel che era stato il suo
comportamento.
Davanti
a questa caricatura Matthew rise fino alle lacrime e quando finalmente
riuscì a
riprendersi, poiché ad intermittenza la ridarella gli
tornava, affermò: “A
questo punto non mi spiego com’è che siamo finiti
insieme. Dì un po’, non mi
avrai mica dato una botta in testa con una clava e poi trascinato per i
capelli
fino alla tua caverna?”
“Beh
una specie.” Ribatté Sheila che pure stava
partecipando attivamente all’ilarità
generale e che, al ricordo di come gli imprevisti infine avessero fatto
in modo
da metterli faccia a faccia, ricominciò a sghignazzare.
“La professoressa di
educazione fisica organizzò una partita di pallavolo ragazze
contro ragazzi e
purtroppo per te ti beccai in pieno con una schiacciata alla Mimi Ayuhara. Fu talmente
forte che per poco non ti
rompevo il setto nasale.“
“Ehi,
non l’avrai mica fatto apposta?” Domandò
sospettoso.
“Chissà.”
Fece Sheila evasiva, ma con un che di malizioso, che lo
mandò completamente in
sollucchero.
Quanto è carina
quando fa la spigliata! Pensò tutto
contento, tanto che capì di doversi dare
una veloce calmata, altrimenti, se avesse dato corso al suo stato
d’animo
attuale, nonché alle prurigini che lo stavano tentando, come
niente si sarebbe
ritrovato con un altro osso fratturato…
“Immagino
che mi spalmasti per terra, ergo quella volta non potei
filarmela.“ Dichiarò
mettendosi la mano sana dietro la testa, in modo da togliersi la
tentazione
d’usarla altrimenti.
“Esatto,
e una volta tramortito a dovere, riuscii seguirti in infermeria senza
che
potessi opporti. E, intanto che ti mettevano a posto il naso, iniziammo
a
chiacchierare. Con mia grande sorpresa scoprii che eri simpatico e che
avevamo
molte cose in comune.”
“Senza
contare che già ti
piacevo di brutto
eh?” Buttò lì punzecchiandola
provocatorio. “Del resto guarda qua che fisico,
come potevi dirmi di no?”
“Scemo,
non ci pensavo per niente!” Ribatté molto
dignitosamente. Del resto questa
chiacchierata si stava via, via trasformando davanti ai suoi occhi in
un
corteggiamento in piena regola, per cui un po’ di spocchia da
parte sua non
guastava affatto. Anche perché raramente si era trovata
così al centro delle
sue attenzioni, o per meglio dire, mai per sé stessa e
sempre nelle vesti del
suo alter ego. Per cui ci stava sguazzando dentro fino in fondo.
“Ahà!
E allora perché sei arrossita?” La
provocò di nuovo Matthew intuendo il suo
gioco e spingendosi un po’ più in là di
quanto non avesse fatto fino a quel
momento. Del resto appurare fin dove sarebbe potuto arrivare era un
dato che
poteva tornargli utile.
“Hai
una faccia tosta tu, che neanche le pietre del monte Fuji, lo
sai?” Deviò
Sheila eludendo quelle lusinghe, ma aveva un sorriso che le andava da
un
orecchio all’altro.
Sì,
domani... okay, come vuoi. Poi che è successo?”
“Incredibile
ma vero, prendesti talmente coraggio che m’accompagnasti a
casa, facendo pure
tardi al lavoro.” Affermò meravigliata, come se a
distanza di tanti anni ancora
non riuscisse a crederci. Del resto era stata proprio questa la
reazione che
aveva avuto in quel momento, grande stupore. Ma
una cosa era certa: non era stato quello che
l’aveva spinta a dirgli
graziosamente di sì!
“E
probabilmente hai avuto sulla coscienza un altro disoccupato,
vero?”
“No,
ma da quella volta abbiamo iniziato a fare amicizia, il che non
giovò mica
tanto al tasso di apprezzamento che riscuotevi presso i ragazzi della
classe.”
Ammise andando a ruota libera, meglio che sapesse che non era stato,
né era a
tutt’oggi, l’unico a ronzare attorno a quei lidi.
In fondo l’apprendere d’avere
un’agguerrita concorrenza non poteva che fargli bene. Magari
in questo modo
l’avrebbe piantata di fare lo scemo con ogni sottana che gli
capitava a tiro!
“Ne avevo parecchi
dietro e vedendoti riuscire
dove loro avevano fallito ti creò molte inimicizie. In
effetti parecchie
scazzottate in cui ti sei trovato coinvolto erano generate dal fatto che mi stavi sempre
appiccicato.” Concluse
esplicativa, aspettando incuriosita la reazione che quelle parole
avrebbero
suscitato. Sarebbe stato geloso? Avrebbe capito dove voleva andare a
parare?
Purtroppo
per lei questi erano interrogativi destinati a restare senza risposta,
se non
altro per quel giorno, giacché Matthew si limitò
a canticchiare: “Uno su mille
ce la fa!!!”.
Il
che, sebbene la lasciasse inappagata, destò comunque una
condivisa allegria che
li accompagnò fino a sera. Mentre Sheila
s’impegnava a tirare fuori dal
cilindro altri eventi pregnanti, ma anche piacevoli, di quel che
avevano
condiviso, nella speranza che qualcuno potesse risvegliare una
scintilla, se
pur minima, nella
sua memoria.
Matthew
si dimostrò molto reattivo ai suoi racconti, commentandoli
spesso e volentieri
in modo salace e soprattutto inalberando una serie di espressioni
facciali
infinite. In effetti per Sheila fu un vero spasso osservarne le
reazioni
davanti alle gesta degli eventi accaduti,
andava dallo sbalordito allo sconfortato,
dall’ironico al dispiaciuto e
proprio non riusciva a capacitarsi di essersi comportato il
più delle volte,
parole sue, come un perfetto idiota.
Purtroppo
però era troppo sperare, e lo sapeva bene, che potesse avere
sul momento qualche
reazione positiva. Ad ogni modo Matthew apprezzava molto la sua
vicinanza, come
ebbe modo di ripeterle più volte, e parve molto dispiaciuto
quando alla fine
lei dovette andarsene.
Dell’episodio
spiacevole di quel pomeriggio sembrava essersene completamente scordato
e, a
differenza del suo comportamento degli anni addietro, ora sapeva essere
molto
più rilassato e del tutto libero dalle inibizioni che sempre
lo avevano
bloccato.
Sheila
ci pensava in effetti quella notte mentre inquieta si rigirava nel
letto. Come
al solito lei e le ragazze a cena avevano conversato di tanti
argomenti, finché
non le aveva
aggiornate su come aveva
trascorso la giornata al capezzale di quello che ormai
anch’esse avevano
ricominciato a considerare nuovamente il suo ragazzo.
Un
dato di fatto compiutosi in modo molto naturale, a dispetto della
rapidità con
cui era maturato. Però, sebbene quel pomeriggio avesse
trascorso più di un
momento felice in sua compagnia, non poteva far a meno di chiedersi se
questa
non fosse una palese forzatura. In fin dei conti non le riusciva di
sorvolare
su alcuni interrogativi, e seguitava a chiedersi quanto ci fosse di
effettivamente
spontaneo nel comportamento di Matthew.
Che
avrebbe potuto fare poverino? Lei gli si era presentata, anzi imposta,
in
qualità di sua fidanzata e lui si era adeguato di
conseguenza. Certo la
trattava molto confidenzialmente, ma a quanto aveva potuto constatare,
lo
faceva praticamente con tutti. Era
avido
della sua compagnia e dei suoi racconti, d’accordo, tuttavia
altrettanto poteva
essere con Asatani e con chiunque altro gli si fosse presentato nelle
medesime
vesti. E quanto ai complimenti
e alle
illazioni fatte sul loro rapporto, non c’era troppo da
sperare da questi.
Insomma, chiunque al suo posto avrebbe fatto lo stesso, no?
Era normale! Obiettò
riprendendo ad arrovellarsi senza trovare la bussola in
quell’oceano di
incertezze.
Una
volta aveva letto da qualche parte che chi è ardito in
amore, non arde in
amore. E ora si chiedeva se lo stesso non valesse per Matthew. Fintanto
che era
rimasto un imbranato preda delle sue fisime infatti, lei era in ogni
caso stata
certa che l’amasse, mentre adesso, da stupita testimone della
sua novella nochalance,
si poteva dire lo stesso?
La
sua amnesia in tutto ciò giocava un ruolo determinante e non
doveva certo
trascurarlo, eppure aspettava con ansia che dalle nebbie del suo
inconscio egli
scovasse per lei un frammento autentico dell’antico
sentimento che li aveva
uniti.
Scosse
il capo esasperata dai suoi stessi ragionamenti inconcludenti.
Eh
sì, Matthew già in condizioni normali era sempre
stato restio ad esternare i
propri trasporti, figuriamoci adesso che non ne rammentava neppure
l’esistenza!
Sapeva
di doverlo sostenere, ma questa situazione non stava facendo altro che
tirare
fuori tutte le sue insicurezze. E non era neppure certa che il
parlargli sinceramente
avrebbe migliorato lo stato di quella situazione transitoria. Inoltre,
se non
avesse fatto dei progressi, sarebbero
in
ogni caso rimasti a questo punto morto. Ma non era già
sufficiente che fosse
sopravvissuto ad un attentato? Doveva per forza recriminare ad ogni
costo?
Per
un momento indugiò nella macabra fantasia di trovarselo
davanti in fin di vita,
ma consapevole, e che prima di esalare l’ultimo respiro, le
confessava amore
imperituro, nonostante tutto. Sarebbe stata più contenta
così?
Alquanto
nauseata diede un vigoroso pugno nel cuscino.
Certo
che no! Maledizione e ancora maledizione! Era tremendo non aver la
minima idea
di cosa lui avesse nel cuore prima di finire vittima degli eventi! Se
solo lei
l’avesse saputo, persino nel caso in cui l’avesse
odiata a morte, ora sarebbe
stata più tranquilla. Ciò nonostante, combattere
contro tutte quelle incognite
era snervante.
Improvvisamente
la luce nella sua stanza si accese e fece il suo ingresso Kelly, la
quale
recava con sé una tazza ricolma di camomilla.
Senza
parlare si sedette sul letto e gliela porse. Sheila si tirò
su e con uno
sguardo di chiara riconoscenza prese a sorseggiarla aspettando. Era un
bene che
fosse venuta, se c’era qualcuno in grado di chiarirle le idee
e di
rassicurarla, questi non era altri che sua sorella maggiore.
“Allora
che succede?” Chiese pacata,
intuendo che
qualcosa di morboso si agitava nella mente di quella irrimediabile
testa dura.
Fu una delle rare occasioni in cui Sheila le parlò di tutto
quello che
l’angosciava. Generalmente infatti tendeva a dare dei
dettagli marginali e un
riassunto superficiale di quanto sentiva dentro, e poi toccava a sua
sorella
completare il puzzle. Ma stavolta, segno inequivocabile di quanto fosse
sotto
stress, vuotò completamente il sacco.
Aveva
appena finito di sfogarsi che fece capolino anche Tati, la quale, senza
tanti
complimenti, si
unì alla conversazione.
Kelly ci pensò ancora un po’ su prima di proporre
alla sorella quanto riteneva
necessario per fugare le sue paure.
“Se
la pensi così, domani dovresti prenderti una pausa. Magari
ci vado io. Innanzi
tutto in questo modo scopriremo se con me si comporta diversamente, e
in
secondo luogo, con un altro interlocutore potrebbe avere degli stimoli
differenti, non credi?”
“Non
lo so, pensi che sia il caso?” Fece un po' titubante.
“E
andiamo!” L’interruppe Tati dandole una botta
affettuosa sulla spalla. “Se
proprio non ce la facessi a stargli lontana, ci vai nel
pomeriggio!”
“D’accordo.”
Assentì finalmente persuasa che Kelly avesse ragione, poi,
come se ci avesse
pensato solo in quel momento, chiese: “Ma voi cosa ne
sapevate che non riuscivo
a dormire?”
“Avanti
Sheila, anche se tenti di nasconderlo, sei sempre stata la
più emotiva tra noi.
Soprattutto quando si tratta di una certa persona.”
Replicò comprensiva.
“
Oh sì “, rincarò la dose ridendo Tati,
“e poi stavi facendo un casino
d’inferno!”
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Capitolo 7 *** 7 ***
7
E
così l’indomani fu Kelly a recarsi in ospedale,
cosa che non le pesava affatto
e che faceva con palese buonumore, ma quand’entrò
nella camera di Matthew trovò
ad aspettarla una brutta sorpresa.
Appariva
pallido, sofferente e la donna notò che in numerosi punti le
bende lasciavano
intravedere delle macchie
brune, segno inequivocabile che dovevano aver filtrato del sangue di
recente. Quanto
a Matthew, giaceva ad occhi chiusi e stancamente le fece un fiacco
cenno di
saluto quando s’accorse che c’era qualcuno accanto
a lui.
“Ah
ciao, Kelly giusto?” Chiese tentando di tirarsi su.
“Sì
e stai comodo.”
Gli
ordinò perentoria, celando la preoccupazione. Ma che
accidenti poteva essere
successo? Giorni prima non le era sembrato stesse così male,
inoltre, a quanto
le aveva detto Sheila, la sera precedente, al momento di accomiatarsi,
l’aveva
lasciato in condizioni normali. Che avesse avuto un aggravamento
improvviso
durante la notte? Improbabile, molto più facile invece che
fosse caduto, ma meglio
chiederglielo direttamente, anche perché in giro non
c’era traccia di medici né
d’infermiere.
“Ma
che hai combinato?” Chiese, andando diretta al sodo, dopo
essersi accomodata.
“Niente
di grave.”
Replicò
questi sbuffando palesemente contrariato.
“Stanotte
ho cercato d’alzarmi e ovviamente sono cascato come una pera
cotta. E’ tanto
ero rincoglionito che mi sono dimenticato di non essere in grado di
camminare,
e senza stampelle per di più. Ho fatto un bel volo e ora mi
fa un male caino, soprattutto
per la figuraccia. Insomma, è la terza volta che vado col
culo per terra!”
“Su,
sono cose che succedono, prima o poi capita a tutti. Ma dimmi, hai
avuto
degl’incubi?”
Lo
consolò pacata nel tentativo di stemperare l’aria
abbattuta che mostrava.
“Mah,
magari potrei essermi agitato per quello. Però ripensandoci
di una cosa sono
sicuro, stavo cavalcando l’onda gialla.” Ammise
convinto con uno sguardo
piuttosto esplicativo. Ma tale non doveva essere perché
Kelly a tutta prima
proprio non riuscì a capire a che alludesse.
“L’onda
gialla?“
“Sì,
quella. In sostanza, per farla breve… e dai è
facile, non farmelo dire!”
“Dovevi
andare al bagno?”
Lo
sollecitò reprimendo a stento una risata, ché
realizzando quanto intendesse, per
un attimo la donna se l’era visto come un surfista che
cavalcasse degli
imponenti marosi color paglino, con tanto rotoli di carta igienica che
svolazzavano tutt’intorno a mo’ di gabbiani. Con
invidiabile fermezza si
ricompose ed assunse un tono assolutamente paternalistico.
Giacché, come
sempre, le toccava far l’adulto della situazione, anche se i
lazzi erano
irresistibili.
“Dovresti
starci più attento Matthew, guarda qua che casino hai
combinato. Come minimo ti
si saranno aperti i punti.”
L’ammonì
con cipiglio fermo, allo stesso modo cui era solita fare quando si
vedevano
tutti i giorni, come se non fosse passato tutto quel tempo e se
stessero ancora
ai due lati del bancone del bar.
“Uh,
grazie di avermelo detto mamma. Ci mancavi solo tu stamattina a farmi
la predica.
Fai una cosa va’, appendi pure un bel cartello con la scritta
completo fuori la porta! Hai visto
mai
che a qualche altro geniaccio venisse in mente di venirmi a dire quel
che devo
fare o non fare?”
Sbottò
con una rabbia a stento repressa, e giusto perché la sua
interlocutrice stava
saggiamente evitando di rispondergli per le rime. Infatti Kelly non si
lasciò
minimamente impressionare da quello sfoggio di sarcasmo
nient’affatto velato,
anzi decise di punto in bianco di aizzarlo ancora di più.
“E
qual è il problema cocco bello? In fin dei conti sei servito
e riverito.”
“Io
non ne posso più, altro che servito! Sono stufo di dover
chiedere aiuto anche
per le cose più elementari, mi scoccia da morire non potermi
muovere ed essere
trattato come un poppante. A sto punto, perché non mi
mettete il pannolone? Vorrei
vedere te al mio posto, l’altro giorno avevo una barba lunga
così in faccia, mi
prudeva da morire, ma non riesco a radermi da solo. E tu hai il
coraggio di
chiedermi pure qual’è il problema?
Te lo dico io qual è, ma solo dopo che avrai
girato per Tokyo con le gambe piene di peli sorella! Allora
sì che potrò
risponderti.“
“Hai
ragione, ma stai calmo, oppure credi che urlando si risolva
qualcosa?” Tentò di
rabbonirlo sulle prime, sebbene, nonostante la complessità
del discorso,
l’esempio delle sue gambe intonse fosse un’altra
difficile sfida a restare
seria.
“Calmo?
Sono confinato su questo letto da mesi e ce l’ho fin sopra i
capelli! Mi sono rotto
le palle, ho letto tutti i giornali del mondo, tutti i maledetti
thriller che
mi ha portato Alice e la tv mi è venuta letteralmente a
schifo!”
“Beh”,
pensò Kelly meditabonda, “forse è un
bene che si stia arrabbiando, può darsi
fin’ora non abbia avuto la possibilità di sfogarsi
come si deve.” Per cui decise
di aizzarlo ancora di più.
“D’accordo,
ha ragione, però la compagnia non ti manca. Voglio dire, in
questi giorni ti
stanno venendo a trovare tante persone...”
“E
capirai!“ Inveì prontamente interrompendola.
“Che accidenti ne sapete voialtri?
Una volta usciti da quella porta sono solo cavoli miei! Venite qua, mi
dite
tutto quello che credete sia opportuno per farmi ricordare, per poi
andarvene tutti
contenti per aver fatto la vostra buon azione quotidiana! Nessuno mi
chiede
quello che penso davvero, nessuno! E’ frustrante starsene qui
come un babbeo ad
ascoltare. Facevi questo,
dicevi quello, ti comportavi in
questo modo, ma che
cavoli di discorsi sono? Per quanto ne so, potrebbero essere tutte
balle!“
“E
secondo te perché ci prenderemmo la briga di
farlo?” Chiese quieta, per nulla
intimidita dalla veemente causticità cui erano intrise
quelle parole.
Matthew,
a quest’interrogativo, ebbe una battuta d’arresto,
per poi sospirare pesantemente
davanti all’incongruenza della cosa. Scosse la testa
esasperato incapace di
risponderle.
“Senti“,
riprese con voce più calma, “non ha senso che me
la stia prendendo con te. In
fin dei conti non sono affari tuoi, purtroppo ti ci sei trovata. Mi
dispiace e
me ne scuso, ma ti ripeto sono talmente stanco di questa storia che
vorrei
spaccare le montagne a testate!”
“Sì,
così dovrebbero suturarti anche la testa.”
Replicò ragionevole, ora che aveva
perso giri e appariva più tranquillo, se non addirittura
abbattuto da quella
serie di rivelazioni buttate lì a casaccio.
“E
ci mancherebbe solo questa, giusto?”
“Esatto.
Naturalmente tutto quel che dici è innegabile, ma devi avere
pazienza, per
quanto ti possa costare. Inoltre penso che, al di là di
statiche distrazioni,
non hai considerato altro che si potesse fare al di fuori del letto.
Magari
potresti chiedere al medico se sia possibile spostarti. Nel qual caso
potresti
farti accompagnare in giardino da Sheila più tardi.
Effettivamente questa
stanza la conoscerai a memoria ormai.”
“Su
una sedia a rotelle?” Chiese sdegnato. Porco mondo, ma che
razza di consiglio
era mai quello? Poteva esserci un’umiliazione peggiore?
“O
così o ciccia bello.”
L’ammonì dura. A fare troppo la comprensiva non
l’avrebbe
mai smosso, ed era opportuno metterlo davanti alla realtà
senza troppe
perifrasi, sennò sarebbe rimasto a piangersi addosso per
sempre. “Deciditi, se
ti fa tanto schifo, continua pure a startene qui dentro. Oppure,
inghiotti
l’orgoglio, e avrai la possibilità di andartene
per qualche ora all’aperto. E considera
che fuori puoi anche fumare a tuo piacimento.“ Aggiunse a
mo’ di ulteriore
allettamento.
“Tu
piano, piano te ne vai, eh?“
Replicò
fissandola complice dopo averci pensato un po’ su.
“Mi stai infinocchiando alla
grande, al posto tuo qualcun altro, vedi Sheila per esempio, mi avrebbe fatto una
scenata. E probabilmente
afferrato per un orecchio, tu invece zitta, zitta mi hai portato dove
volevi.”
“E’
una tua impressione.” Replicò sorniona, senza
palesare quanto fosse azzeccata
quella constatazione.
“A
proposito, dov’è?”
“Stamattina
aveva un impegno improrogabile, perciò sono venuta io. Ma
l’ho fatto con piacere,
un tempo eravamo piuttosto amici io
e te.”
Aggiunse
per portare la conversazione ad un altro livello, poi memore di quello
che prima
aveva udito, aggiunse: “Però se vuoi di questo ne
parliamo più tardi. Ora dimmi
un po’ di te, facciamo finta che non ci conosciamo
affatto.”
“E
che dovrei dirti?” Chiese stranito completamente preso alla
sprovvista. Che
voleva un resoconto completo del suo quadro clinico?
“Prima
ti sei lamentato che non ti fanno mai aprire bocca e ti sommergono di
dettagli
sulla tua vita passata.” Si spiegò persuasa che
farlo parlare fosse la medicina
migliore. “Ebbene ora tocca a te, dimmi tutto quello che ti
passa per la testa.
Guarda, ti metto per strada, come ti sei sentito quando hai preso
coscienza
della tua situazione?”
Davanti
all’inevitabile Matthew serrò le mascelle
pensieroso, in effetti non aveva mai
espresso a parole come si sentiva sul serio. Né ne aveva
voglia adesso, ma si
era dato da sé la zappa sui piedi e purtroppo non poteva
negarsi. A meno che di
fare una clamorosa figura di cacca. A allora, effettivamente come si
poneva
davanti a quel casino smisurato? Certo con la psicologa e gli altri
medici ne
parlava spesso, talmente tanto che s’era stufato di sentirsi
ripetere sempre le
stesse cose. Ma era
tutt’altro paio di
maniche era il doverne paralare con qualcuno che t’ascolta
solo perché quella è
la sua professione. In effetti sto gran pezzo di figliola sembrava
davvero
interessata a quel che aveva da dire.
“Mm.”
Cominciò perplesso. “Per quanto ne so
all’inizio non ho fatto altro che
dormire, dopo essere uscito dal coma intendo. Ero così pieno
di sedativi, che
suppongo non potessi fare altrimenti. Dopo, quando ho iniziato a stare
meglio,
naturalmente non sapevo dove sbattere la testa. Vedevo sconosciuti
ovunque e
ogni santissimo giorno che scendeva su questa terra mi sottoponevano ad
esami e
controlli. Più volte i medici mi hanno spiegato lo stato
della mia condizione
mentale, ma questo non è che mi abbia tranquillizzato
più di tanto. Non sapere
chi sei, da dove vieni... e non credere, anche quando è
iniziata a venire qui
Alice non che sia stato meglio. Davanti a quello che andava via, via
dicendomi
ero incredulo. E non per le informazioni in sé per
sé, quanto perché il dato di
fatto è che davvero non so.
Qui tutti
pensano che me la stia prendendo alla grande, poiché non
faccio altro che dire
cavolate e prendere per il sedere chiunque mi capiti a tiro. Ma la
verità è che
riesco ad esistere solo attraverso questa caricatura che sto creando.
Perché
solo facendo qualcosa d’inconfondibile finalmente ho
un’identità, anche se
piccola. Ti sembrerà ridicolo lo so, ma aiuta. Non so se mi
spiego.“
Concluse
di botto, trovandosi a corto di parole.
“Certo
che sì.“
Rispose
toccata la donna. Provava una certa commozione in effetti,
poiché tutto
quel discorso le mostrava una parte
interiore ancora sconosciuta e, fino a quel momento, tenuta
accuratamente nascosta.
Forse
non è un caso che si riveli a me. Pensò guardandolo
con affetto, da sempre infatti
avevano avuto tra loro una specie di rapporto privilegiato. In passato
spesso
avevano parlato di cose che lui non si sarebbe mai sognato di dire ad
altri e
forse, anche adesso, inconsciamente sentiva che ancora una volta poteva
fidarsi
di lei. In fondo
emotivamente era molto meno
coinvolta rispetto ad Sheila, per cui, data anche la sua maggiore
esperienza,
era la persona più adatta a gestire quel lato del problema.
“E
ora dimmi“ l’esortò cambiando repentina
argomento, giacché non voleva si
deprimesse troppo, “che hai pensato l’altro giorno
quando ci hai conosciuto?”
“Vuoi
la verità?” L’ammonì
fissandola sottecchi, poco persuaso che dirglielo fosse
una buona idea. Da uomo a uomo avrebbe potuto commentare
tranquillamente, ma
così? Del resto un commento diplomatico sarebbe stato
insincero e, tutto
sommato, decise seduta stante, un
apprezzamento restava sempre tale, anche se espresso in modo cialtrone.
“Sì,
anche se ho paura di quello che sto per sentire.” Lo
incoraggiò Kelly
ridendosela apertamente.
“Il
mio primo pensiero è stato ammazza
che
fighe!” Confessò con entusiasmo, poi
prese un’espressione piuttosto
perplessa e aggiunse: “E dopo sul serio non riuscivo a
capacitarmi che Sheila
fosse la mia ragazza.“
“E
perché mai?” Lo spronò ben sapendo dove
sarebbe andato a parare.
“Perché
è troppo bon... bella. Poi, visto quello che mi ha detto
a proposito del mio
comportamento, mi stupisco ancor di più che lo
sia.”
“Bene,
presumo potrebbe essere lusingata di sapere che la reputi a tal punto
affascinante. D’altro canto Matthew, non credo che le farebbe
piacere anche il
fatto che pensi di non esserne all’altezza. Non credi
?”
“Che
vuoi che ti dica?” Domandò incapace di penetrare
l’intricata questione. Donne!
Beato chi ci capiva qualcosa! Sbuffò indeciso scuotendo il
capo. “Non ci faccio
una bella figura ovviamente. Perché a quanto mi raccontato,
spesso mi sono
comportato come un cretino. E allora, insomma, è inevitabile
credere che potrebbe
trovare molto di meglio, no?”
“Sei
sempre il solito Matthew e quest’amnesia non ti ha cambiato
di una virgola.”
Esclamò esasperata dal quel ripetersi della stessa storia,
nonostante fossero
passati anni. Ma possibile mai che gli riuscisse così
complicato capire? Forza,
s’ingiunse per il bene di sua
sorella e la tranquillità di questo bietolone a cui tanto
era affezionata, provaci ancora una volta
Kelly! Quindi
continuò:
“Lei
è innamorata di te vecchio mio, e cosa vuoi
che gl’importi di trovare di meglio?”
“Se
lo dici tu...” Capitolò non troppo convinto. Belle
parole quelle, ma poco
attinenti alla prova dei fatti. E poi non si trovava in condizioni da
poter
adeguatamente replicare, era una sensazione la sua, e come si fa a
spiegare con
chiarezza un
presentimento?
“E
tu invece che mi dici? Al di là della bellezza, come ti ci
trovi?” L’incalzò
ancora una volta per stabilire quanto il prima e il dopo collimassero.
“Beh
mi piace molto, te l’ho detto. Sa essere divertente, mi pare
una persona decisa
e sa farsi valere.“ Aggiunse massaggiandosi sovrappensiero la
guancia colpita dal
manrovescio il giorno prima. “E resti tra noi,
però qualche volta non la capisco
e mi rende piuttosto confuso.”
“Non
preoccuparti Matthew, tutto normale, non è cambiato niente.
Anche prima era
così. Vedrai che standole accanto presto te ne renderai
conto e anche dei tuoi
sentimenti appariranno per quel che sono veramente. Speriamo solo che
nel
frattempo non ti gonfi la faccia tutti i giorni!”
Concluse lasciandosi andare
all’ilarità, immediatamente seguita da
quest’ultimo che, al pensiero di quanto
accaduto e davanti a quello scoppio di risa, non poté fare
altro che riderne
con lei.
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Capitolo 8 *** 8 ***
A
seguito di questa conversazione due infermieri vennero a prelevare
Matthew per
portarlo nell’ambulatorio di chirurgia, ché dopo
la rovinosa caduta della notte
il medico voleva assicurarsi che non avesse subito ulteriori danni.
Oltretutto
dovevano fargli pure delle radiografie supplementari, il che diede a
Kelly
l’opportunità di attuare immediatamente
un’idea che le aveva iniziato a ronzarle
per la testa dacché Matthew aveva lamentato la sua scarsa
mobilità. Pertanto,
approfittando di quella che poteva essere una prolungata assenza del
paziente,
che tale non tanto si era mostrato al suo accomiatarsi verso i reparti,
senza
perdere tempo telefonò a sua sorella minore.
“Tati“,
esordì tutta presa dal suo lampo di genio, “puoi
staccarti un’oretta dai libri?“
“Non
c’è problema.” Replicò questa
con evidente sollievo, effettivamente da un bel
pezzo era alla ricerca di un qualche pretesto per allontanarsi dai
pesanti tomi
di fisica che stava studiando.
“Di
che si tratta?“
“Di
un’opera buona, quanto ti senti pia oggi?”
“Dipende,
fino a fare cip, cip o pio, pio, ci posso arrivare. Ma di
ninnare quello scimunito cantando passerotto
non andare via non se ne parla proprio!”
Ribatté
beffarda, ridacchiando al solo immaginare la scena, neppure Kelly
poté
esimersene, ma badò immediatamente a riportare la
conversazione entro i margini
del suo scopo originario.
“No
cara, non è delle tue doti canterine che ho bisogno,
piuttosto vieni subito in
ospedale e portati appresso la tua cassetta degli attrezzi. Senza
dimenticarti della
saldatrice, mi raccomando.“
“E
dimmi un po’ “, chiese Tati cogliendo al volo
l’ennesima occasione per fare
dello spirito, “aspettiamo
che faccia
buio o un temporale con tanti fulmini per ridare vita a Matthew come il
mostro
di Frankenstein?“
“L’idea
non sarebbe male sorellina, magari io potrei essere la donna lupo,
Sheila il
vampiro e tu la principessa dei mostri!” La
stuzzicò provocandone l’ennesima
sghignazzata, dopodiché proseguì spedita,
altrimenti quella telefonata sarebbe
continuata all’infinito. “Ah, porta pure un
radiocomando, ti aspetto, fai
presto.”
Sistemata
questa faccenda appese e senza indugio chiamò alla galleria
per mettere anche
Sheila nella giusta disposizione delle cose.
“Come
vanno le cose lì?” Le chiese preoccupata
quest’ultima non appena udì la voce
della sorella. In effetti era stata abbastanza in ansia, tanto che fin
lì non
aveva combinato un granché lavorativamente parlando. Per la
verità aveva
trascorso tutto il mattino immersa nei propri pensieri, ignorando i
potenziali
clienti, sbarazzandosi in fretta di qualsiasi interlocutore e filtrando
drasticamente
le telefonate.
“Tutto
bene.”
La
rassicurò pronta, ma restando comunque evasiva,
giacché ora veniva il difficile,
sperava solo che Sheila non la prendesse nel modo sbagliato. Il che era
più che
probabile, quindi esordì con molta leggerezza.
“Senti
, penso che per oggi sarebbe meglio se non venissi...”
“Oddio,
cos’è successo?”
Ribatté
allarmata, figurandosi ogni sorta di complicazioni e sciagure, la cui
totalità
drammaticamente ne vedevano protagonista il suo fidanzato.
Partì dal coma
profondo, passando per l’invalidità permanente,
soffermandosi sull’infezione letale,
su, su fino all’estemporaneo sospetto di una sua fedifraga
fuga con una procace
infermiera. E tutto nel ridotto lasso di un nanosecondo.
“No,
assolutamente, te l’ho detto, va tutto bene. Stasera ti
racconto per filo e per
segno, senza contare che domani potrai verificarlo di persona, ma per
il
momento non posso dirti nulla. Fidati, lascia fare a me e Tati,
d’accordo?”
“Ma
che diavolo stai architettando Kelly?” Ribatté
stranita e resa più che diffidente
innanzi alla menzione della piccola. Che stavano creando? E
soprattutto, perché
estrometterla a quel modo?
“Vedrai,
a stasera, ciao!“
E
questo era quanto e a Sheila non restò che adeguarsi, ma
tutto quel mistero la
lasciò talmente indispettita che per tutto il pomeriggio non
fu in grado di
fare un accidenti, tanto che la sua produttività, al pari di
quella mattutina,
si limitò ad una particolareggiata manicure,
nonché alla minuziosa estirpazione
di qualsiasi sopracciglio in eccesso. Praticamente se quel giorno non
avesse
aperto affatto e se ne fosse andata in
una bella beauty farm, sarebbe stato di gran lunga
preferibile sia per
l’esercizio che per il suo umore.
Nel
frattempo Tati era giunta all’ospedale carica degli strumenti
che le erano
stati richiesti e, con sua somma sorpresa, Kelly le mostrò
un paio di
carrozzine che aveva provveduto a requisire. Dopodiché, come
se niente fosse, sorvolando
sull’espressione basita che aveva innanzi, le chiese quale a
suo avviso fosse
più adatta ad una modifica.
“Che
hai in mente?“
Tati
si prese la briga di chiederglielo giusto per accertarsene al di
là di ogni
ragionevole dubbio, in quanto, ora che aveva avuto modo di rifletterci,
appariva
chiaro di che si potesse trattare. Tant’è, si
stava progressivamente elettrizzando
alla prospettiva di quanto poteva progettare e delle relative
conseguenze comiche
che ne sarebbero potute derivare.
“E’
presto detto.”
Spiegò
Kelly con un certo sussiego, anche perché non voleva correre
il rischio di
essere fraintesa, visto che le sue premure cominciavano a sfiorare
l’eccesso e
Tati da sempre la prendeva in giro su questo particolare attaccamento.
“Matthew
sta facendo la muffa in questa stanza, rasenta l’isteria in
effetti, per cui ho
pensato che starsene un po’ all’aria aperta non
potrebbe che giovargli. Sfortunatamente,
per via del braccio rotto, non può servirsi da solo di una
sedia a rotelle.
Oddio, volendo potrebbe
chiedere a qualcuno
di farsi portare in giro, ma è evidente che si vergogna.
Penso che piuttosto
preferirebbe farsi ammazzare, di conseguenza, che ne dici di ritoccarne
una in
modo che la possa usare senza farsi troppi problemi?”
“Per
me sarà un gioco da ragazzi, figurati.”
Celiò
pronta, anche per mascherare tutta la tristezza che quel discorsetto le
stava
mettendo addosso. Del resto, pensò sempre di più
persuasa che sua sorella
avesse ragioni da vendere a farle una simile proposta, a
parità di condizione
anche lei si sarebbe comportata così, se non peggio. Quindi
era suo dovere,
anzi piacere nel compiere una buona azione, far in modo di alleviare un
po’ il
disagio del poverino. Non se le meritava tutte quelle sfighe accidenti!
E
forte di questo proposito, riprendendosi dall’impasse emotivo
che le stavano
provocando queste riflessioni, ghignò maliziosa e
sparò l’ennesima facezia.
“Ma
non pensi che sarebbe molto più romantico se nostra sorella
lo portasse a
spasso? Pensa quante occasioni languide si perderebbe dopo il nostro
intervento!”
“Non
credo, piuttosto sono convinta che sarebbe avvilente per entrambi.
Inoltre Matthew
ha davvero bisogno di distrarsi da quest’atmosfera
claustrofobica, oltre al
fatto che voi due non avete ancora approfondito la
conoscenza.”
Rispose
Kelly abbandonando il tono serioso a favore di uno più ameno
e, strizzandole
l’occhio, proseguì: “Ergo, se modifichi
la sedia progettandola all’uso di un comando
a distanza, che tu stessa movimenterai, si eviterà il
rischio che possa
schiantarsi accidentalmente in un muro. Cosa che potrebbe accadere,
visto che
andrete a fare una passeggiata insieme in giardino. Dovete socializzare
Tati, è
o non è il tuo cognato preferito?”
“All’opera
allora!” Esclamò per tutta risposta Tati.
Aprì
la cassetta e cominciò a trafficare vicino alla sedia
dall’aspetto più robusto.
Non le ci volle molto per ideare e mettere in atto le modifiche
più idonee, ma
il fatto che Matthew rimase lungamente alle prese con aghi, bende e
tintura di
iodio, le permise di creare un vero capolavoro. Ad ogni modo,
considerata la
peculiarità dell’operazione cui stavano dando
corso, opportunamente si chiusero
in una camera vuota, onde evitare il rischio di complicazioni, nel caso
in cui qualcuno
avesse chiesto loro che accidenti stavano combinando.
Sul
finire poi il piccolo genio a lavoro deliberò che, vista la
portata e la
potenza cui aveva dotato quell’aggeggio, occorrevano un paio
di ruote più forti.
Non palesò alla sorella la sua intenzione di sperimentarne
le potenziali
evoluzioni solo in seguito al fatto che Matthew ne fosse in arcione,
giacché
quello che Kelly non sapeva, di certo non la poteva allarmare. Piuttosto si
limitò a mandarla a comprare un
paio di copertoni da mountain bike, adatte alla bisogna
perché più basse e con i
copertoni di spessore diverso, nonché un sedile avvolgente
che avrebbe impedito
al mezzo di ribaltarsi. Successivamente, per ultimare il capolavoro, rinforzò con
dei giunti e delle saldature
addizionali la struttura in alluminio, applicò i congegni
elettrici che
avrebbero fatto muovere le ruote e terminò collegandoli alla
pulsantiera per i
comandi manuali.
Infine,
entusiasta del risultato e complimentandosi con sé stessa
per la sua perizia,
programmò l’apposito radiocomando, suo personale
scettro del potere,
constatando quanto fosse simile ad uno normalmente usato per le
automobiline
telecomandate. Con la sola differenza, si disse soppesandolo, che un
comune
giocattolo non avrebbe implorato pietà come avrebbe indotto
Matthew di lì a
breve!
Ridacchiò
al pensiero e tutta fiera mostrò alla sorella il perfetto
funzionamento di
quella formula 1 dell’ortopedia.
“E
lo è davvero!” Pensò Kelly, in effetti
quel trabiccolo potenziato avanzava, svoltava
ad angoli stretti, girava su tutto il suo asse e aveva addirittura la
retromarcia. “Dì Tati, ma non va un po’
troppo veloce?“ Chiese perplessa. Forse
tutto sommato non era stata una così buona idea,
già si vedeva davanti agli
occhi Matthew che volava oltre le siepi smadonnando, mentre
quest’ultima si
sbellicava sullo sfondo.
“Non
preoccuparti sorellina”, fece la piccola iena mandando
bagliori di santità,
effetto completamente sciupato dal ghigno che non le riusciva proprio
di
reprimere, “vedrai che una volta che
l’avrà provata non ne vorrà scendere
più.”
Presagio
questo soggetto a molteplici supposizioni da parte di Kelly, ma ad un
certo
punto non ci fu più tempo per discuterne, poiché
l’oggetto di tanto ipotizzare
tornò al suo letto e le trovò entrambe ad
attenderlo.
Fremevano
tutte e due, ma per motivazioni alquanto contrastanti, ché
Tati non vedeva
l’ora di piazzarlo sopra quel bolide, mentre sua sorella
stava chiedendosi come
e quanto poteva ritardare l’inevitabile, semmai scongiurarlo,
in quanto ormai prevedeva
guai grossi.
Ad
ogni modo, notando l’aria oltremodo abbattuta
dell’uomo, decise che forse era
il caso di dare una chance a quella trappola infernale. Quindi,
fingendo una
leggerezza che non provava affatto, gli domandò
com’era andata giù in
ambulatorio.
“Neanche
troppo male, tutto considerato.” Fece Matthew sbuffando,
seccato da tutta quella
maledetta trafila di rogne e dal fatto che le due se ne stavano
piantate
davanti al suo letto impedendogliene l’accesso, e
sbottò: “Ma dovresti vedermi
senza le bende, sembro un dannato puntaspilli!”
“Non
ci pensare adesso.” Provò a sviarlo ostentando
comprensione, quindi indicò sua
sorella e continuò: “Hai visto chi ti è
venuto a trovare? Tati non vedeva l’ora
di fare quattro chiacchiere con te.”
Concluse
lanciandole una significativa ed eloquente occhiata.
“Ciao
rottame!” Esordì questa cogliendo al volo.
“Che muso lungo, sembra quasi che il
Capo ti abbia fatto una ramanzina!”
“Cosa?”
Matthew
restò interdetto, e anche un po’ infastidito da
quel manifesto sfottò, ma poi,
considerato che magari stava scherzando, per alleggerire
l’atmosfera, replicò tentando
d’essere altrettanto faceto.
“Sentimi
bene bamboccia, ti pare questo il modo di rivolgerti a un
infermo?”
“Andiamo
lumacone, fino ad ora tra le mie sorelle e quella papera di Alice ti
hanno
trattato fin troppo bene per i miei gusti. Ritengo che sia arrivato il
momento
di fare una bella terapia d’urto!”
Affermò
decisa, tanto che non era chiaro se stesse facendo ancora dello spirito
o meno,
e Matthew, che a questo punto davvero non sapeva che pesci pigliare,
preferì
andare sul sicuro.
“Ehi
Kelly, ma che ha in mente questa pazza?” Domandò
dubbioso, ma non gliene venne
risposta giacché Tati velocemente uscì e
rientrò, piazzandogli davanti la sua sbalorditiva
creazione.
“Tadaaannn,
modello Mach III, modificata ad hoc per il signor lamentoso numero uno!
Avanti,
sali su.”
L’esortò
impaziente dopo quella mirabolante presentazione e, visto che non si
muoveva, pensò
d’accelerare i tempi prendendolo per un braccio
trascinandocelo. Prontamente Kelly
intervenne prima che gli spezzasse qualche vertebra e, unendo gli
sforzi, l’aiutarono
a montarci. Ma l’espressione riottosa di Matthew parve
intensificarsi viepiù
ora che ci stava assiso sopra.
“Beh?”
Fece perplesso, accigliandosi per camuffare quanto si sentisse
ridicolo.
“Bene
cognatino, ascolta con attenzione. Quella è la leva per
dargli i cambi
direzionali, posizionala su power.” Gli spiegò con
fare lezioso in attesa che
il paventato entusiasmo si manifestasse. “ E ora spingi un
po’ quella leva e
sta a vedere!”
“Che
mi prenda un accidenti, sto risciò si muove!”
Esclamò
Matthew stupito, dopodiché esplose in una sonora risata e,
quando finalmente ne
capì il meccanismo, cominciò a familiarizzare con
quella specie di trono a
motore. Cosa che rasserenò non poco le sue interlocutrici,
le quali se ne stavano
a guardare allietate le sue prime timide evoluzioni in giro per la
stanza.
Certo, prima di impratichirsi a sufficienza, buttò
giù il comodino e sbatté
nella testata del letto, però questi piccoli contrattempi
non gl’impedirono di
dichiararsene compiaciuto.
“Ti
piace eh? Lo sapevo!”
Dichiarò
Tati inalberando un’espressione di trionfo che fece levare le
mani in segno di
resa alla sorella e, senza perdere tempo, passò subito alla
fase successiva del
coronamento della sua gloria.
“Andiamo
a collaudarla in giardino!”
“E
di corsa.” Approvò Matthew, entrando appieno nello
spirito ridanciano
dell’impresa, tanto che ritenne fosse giunto il momento di
fare una battutaccia
ad hoc.
“E
brava Tati, è veramente un gioiellino, peccato che ti sia
dimenticata del vano
per il catetere!“
A
questa sortita Kelly sorrise soddisfatta, le cose si stavano mettendo
esattamente come aveva inteso si disponessero. Le sue precedenti
preoccupazioni
sembravano essersi volatilizzate, esattamente come il malumore del
degente
innervosito, oltre al fatto che era palese quanto se la stessero
spassando un
mondo. Ragion per cui non le restò che seguirli per i
corridoi, piacevolmente
compiaciuta nel constatare come quei due, con una naturalezza davvero
sorprendente, dopo l’inevitabile esitazione iniziale, avevano
preso confidenza e
si prendevano in giro.
Proprio
come ai vecchi tempi, si disse tutta contenta. Ma il meglio doveva
ancora
venire. Infatti, quando finalmente furono nei vialetti del parco
dell’ospedale,
Tati tirò fuori il telecomando e contemporaneamente
bloccò la pulsantiera dei comandi
manuali. Matthew non ci fece caso, ma dopo i primi movimenti autonomi
della
sedia, cominciò a guardarsi intorno per intendere cosa
diavolo stesse
succedendo. Stava per interrogare a proposito una delle due, poi
però cooptò
Tati nel suo campo visivo e notò l’asso nella
manica che questa teneva tra le
mani, quindi un’espressione di comico terrore
s’impadronì del suo viso.
“Non
sarai mica tanto infame vero?”
Domanda
inutile, ché per tutta risposta la piccola carogna gli rise
sarcasticamente in
faccia, per poi aggiungere tutta giuliva: “Ora ti faccio
tornare in mente le
montagne russe!” E senza indugio fece fare un mezzo giro
circolare alla sedia,
per poi dare tutto gas.
“Porca
vaccahhhhaaaàààààààààà!!!!!”
Fu
tutto quello che Matthew poté dire mentre partiva spedito
verso destinazione
ignota. Anche se, per localizzarlo, oltre che sul monitor al quarzo del
quale
il radiocomando era dotato, se ne poteva seguire il percorso
individuando il
punto dal quale provenivano gli improperi che urlava.
“Bastarda,
ferma questo trabiccolo... fermalo adesso!” Le
intimò quando transitò a
velocità sostenuta davanti a loro per la seconda volta.
“La
prossima volta che passi vicino a quella alzale
la gonna!“
L’esortò
Tati per tutta risposta, ridendo a più riprese. Si stava
divertendo da morire e
non avrebbe rinunciato a quello spasso per nulla al mondo, purtroppo
per lei però,
Matthew, che si teneva ai braccioli come un disperato, non
seguì il suo consiglio
e le sottane della sconosciuta donzella rimasero al loro posto.
Alla
successiva circonvoluzione tuttavia decise di dare al poveraccio un
po’ di
tregua e rallentò progressivamente la sua corsa facendolo
avvicinare.
“Se
riesco a scendere da qui sopra, giuro su dio che ti stacco un braccio e
ti
picchio con quello!” Le promise non appena fu in grado d
riprendere fiato,
quindi facendole gli occhi dolci supplichevolmente aggiunse:
“Per pietà, dammi
almeno il tempo di farmi una sigaretta.”
“Okay
lamentoso.” Concesse, frenandone la corsa accanto alla
panchina dove si era accomodata,
quindi si peritò persino d’informarsi.
“Dì la verità, ti stai divertendo da
morire!”
“Che
faccia di culo che hai!”
Proruppe
questi inalberando un’aria molto offesa, poi non ce la fece
più a reggere la
parte e scoppiò a ridere, contagiando entrambe che lo
seguirono a ruota.
“Accidenti
a te“, continuò asciugandosi gli occhi,
“sì mi sto proprio divertendo da
morire. Talmente, che se continuo così tra un po’
dovranno inserire anche la
voce infarto alla mia cartella
clinica!”
“Guarda
che volendo la posso anche farla impennare...” Lo
minacciò Tati alzando in modo
intimidatorio il radiocomando.
“No
porca miseria!” Strepitò atterrito, quindi,
davvero ammirato e con tono di
lusinga, chiese: “Ma dimmi , davvero l’hai
costruito tu quest’arnese?”
“Ovvio,
con chi credi di aver a che fare bello? Io sono un gran genio della
meccanica.”
“Mm,
che modestia... Però brava, i miei complimenti.“
Fece un pausa , la fissò
pensieroso da capo a piedi e ghignando aggiunse: “Sei carina
la metà delle tue
sorelle, ma con un cacciavite in mano fai miracoli. Chissà,
forse un metalmeccanico
che ti si piglia lo trovi!”
“Brutto
figlio di... okay te la sei voluta, vatti a fare un altro
giro!”
Scherzosamente
adirata Tati innestò la retro e, con un repentino testacoda,
lo spedì a rotta
di collo nella direzione opposta alla quale si trovavano, forse ci mise
fin
troppo impeto, tanto che Kelly fece appena in tempo a strapparle il
telecomando
dalle mani per scongiurare che finisse chissà dove. Intanto
l’eco di un non dicevo sul
serioooohhh riecheggiava
tra gli alberi del parco facendone volare via i passerotti.
Quella
sera non erano neppure le nove quando Matthew crollò
spossato dalla stanchezza
e, una volta tanto, era grato del fatto di non doversi muovere dal
letto, oltre
d’avere qualche ora da trascorrere da solo per poter
riflettere in tutta
libertà.
Le
ragazze se n’erano andate da poco, ma solo dopo averlo
spompato ben bene
all’aperto, dopodiché erano tornati su e Kelly
aveva tirato fuori tanta di
quella roba da mangiare, che alla fine il frugale pasto s’era
rapidamente
trasformato in un merendone al quale avevano attivamente partecipato
tutti e
tre.
Davvero
una giornata spensierata questa appena trascorsa, la prima che avesse
vissuto in
effetti dacché si era risvegliato tra queste quattro mura.
E, a prescindere
dalla discussione che aveva avuto con Kelly quel mattino, una volta
tanto aveva
passato parecchie ore di fila senza farsi, né ascoltare,
alcuna domanda o
riferimento al suo passato. Certo che quelle tre erano proprio
imprevedibili e
ognuna stava tentando d’aiutarlo a modo suo, col risultato
che oggi si era
proprio svagato e, soprattutto, rilassato. Anche se doveva ammettere
che la
presenza di Sheila gli era mancata, chissà quale impegno
aveva avuto?
Possibile
mai che fosse qualcosa di tanto impegnativo da impedirle di venir
lì?
L’indomani gliel’avrebbe chiesto
senz’altro, nella speranza, ovviamente, che la
sua assenza non fosse dipesa dal doversi incontrare con qualche
bellimbusto…
“Ma
che razza d’idee mi sto facendo?” Si chiese
sorpreso.
Sì,
d’accordo, diceva di essere la sua fidanzata e di conseguenza
ci si sarebbe
aspettati che si comportasse come tale, in condizioni normali
però. E, siccome
la sua non era per niente una condizione ordinaria, non gli andava
d’imporle un
compito simile, ché doveva essere davvero un impegno
gravoso, oltre che
barboso, quello di stargli appresso tutto il santo giorno.
Non
poteva mica pretenderlo, oppure sì?
Inoltre, seppure si fosse vista con qualcun altro, lui che
avrebbe fatto?
Anzi, per meglio dire, che avrebbe potuto fare? Nulla,
poiché praticamente era
in balia delle sue decisioni e dei suoi umori.
Sbuffò
contrariato, troppo la sua assenza gli stava pesando e dirglielo non
era
sicuro, perché non poteva sapere come avrebbe reagito, oltre
al fatto che
poteva sbattersene bellamente alla faccia sua. E a quel briciolo di
dignità che
gli era rimasto ci teneva, porco mondo!
“Che
gran casino...” Pensò, e si disse svariate volte,
prima di cadere in un sonno
profondo.
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Capitolo 9 *** 9 ***
L’indomani
mattina Sheila, non riuscendo più a trattenere
l’impazienza, si recò molto
presto in ospedale. Addirittura prima che scattasse
l’ordinario orario di
visita, giacché la concreta possibilità che
qualcuno, o qualcosa, le vietasse l’accesso,
le sarebbe stata oltremodo gradita. Che ben venisse un piantagrane
qualsiasi, pensò
innestando rabbiosa la retromarcia mentre usciva dal garage,
l’avrebbe accolto
come una vera manna. Accidenti, aveva i nervi talmente tesi che, al
minimo
segno d’ostilità da parte di chiunque, a furia di
unghiate gli avrebbe ridotto
la faccia a coriandoli!
Certo,
pensò perplessa, se qualcuno l’avesse vista in
quell’ipotetico frangente
davvero avrebbe stentato a crederci, ché di norma non era
affatto un’attaccabrighe.
Ma andava detto a sua discolpa che questa bellicosità era il
risultato
dell’incessante rimescolio cui era stata soggetta fin dal
giorno prima. Esattamente
dal momento in cui aveva realizzato che pensare per tutto il tempo al
suo
fidanzato, non solo era un’attività alla quale
normalmente stava indulgendo
molto più del dovuto, ma che soprattutto non aggradava
affatto la sua autostima.
Il
colmo poi l’aveva raggiunto quando si era resa conto che se
lo stava pure
giustificando razionalmente, motivandolo col dato che, non vedendolo da
ventiquatt’ore, era pure normale!
Riflessione
questa che già da sol bastava e avanzava.
Ovviamente
il suo scazzo mattutino non aveva le sue basi solo su questo,
ché il carico da
cento lo avevano aggiunto la sera prima le pie dame di san Vincenzo le
quali, tornate
all’ovile, avevano mandato definitivamente al diavolo quel
poco di ragionevolezza
che era riuscita ad imbastire nel frattempo.
Durante
la cena infatti le avevano raccontato incessanti, e senza nessuna
pietà, di
quanto si fossero divertite quel pomeriggio e, a neppure a
metà dell’allegra
narrazione, con una repentina ed inaspettata consapevolezza, Sheila
aveva
chiaramente avvertito elevarsi dentro di lei, dai recessi dove
normalmente l’occultava,
una tal stizza e gelosia che restò sgomenta. Quindi,
considerati i picchi himalayani
che stavano raggiungendo, ben si era
guardata dal palesarlo. Innanzitutto perché se ne
vergognava, in secondo luogo
perché proprio non avrebbe sopportato gli sfottò
di Tati in merito e non ultimo
perché in fondo, molto in fondo, tentò di
persuadersi che doveva essere davvero contenta per il fatto
che quei tre avessero instaurato un buon rapporto.
Senza contare che Matthew finalmente pareva avesse passato delle ore
autenticamente
liete.
Per
cui, dove stava il problema?
Da
nessuna parte sembrava, anche se una vocina dentro di lei, parecchio
molesta ed
insistente, continuava a ripeterle che sarebbe stata molto
più felice se la
fonte di quella gioia fosse stata solo ed esclusivamente lei.
Insomma,
si disse accelerando pericolosamente in una zona dove il limite di
velocità era
fissato sui 40 km/h,
tutto questo calderone emotivo la stava logorando. Soprattutto
perché smussava
pericolosamente i contorni dei pilastri cui sempre tentava
d’aspirare e sentimenti
quali egoismo, competitività e
cruccio dai quali stava venendo pervasa, nulla avevano a che fare con
la triade
di beltà, bontà e comprensione cui le piaceva
fregiarsi.
Da
qui in suo desiderio neanche troppo nascosto di sfogare la frustrazione
con una
sacrosanta litigata con chicchessia, ma fortuna volle che a causa di un
provvidenziale sciopero dei trasporti, la tangenziale,
nonché tutto il raccordo
che conduceva all’ospedale, fosse intasata da un
bell’ingorgo a croce uncinata.
Il che le diede l’opportunità di venir a
più miti consigli e di ripromettersi
che da quel momento in poi tutte le ore che avrebbe trascorso insieme a
Matthew
sarebbero state altrettanto memorabili di quelle da lui trascorse in
sua
assenza il giorno prima. Risoluzione
questa che rianimò il suo buonumore latitante e che la
portò fino al suo
reparto vivacizzata da una smania che proprio non sapeva spiegarsi.
Peccato
però che quando arrivò nella sua camera di lui
non ci fosse traccia.
Indecisa
sul da farsi, stava per andare a chiederlo al medico di turno, ma
sull’uscio s’imbatté
nella psichiatra e, dalla faccia che questa fece, fu evidente che
sperava
proprio d’incontrarla.
“E’
col fisioterapista.” Esordì subito la donna, ancor
prima che Sheila potesse
farle qualsiasi domanda. “Ma, visto che siamo qui, vorrei
approfittare di
qualche minuto del suo tempo per farle qualche domanda. Le
dispiacerebbe
seguirmi?“
Sheila
annuì e silenziosamente le andò dietro,
chiedendosi nel frattempo perché costei
le ispirasse antipatia. Magari era per via dell’apparenza
impersonale che
ostentava, oppure si trattava di una avversione spontanea, cosa che in
genere
le succedeva, anche se si augurava vivamente di no, poiché,
quando a pelle
provava insofferenza verso una persona, non c’era niente da
fare, e, visto che
in questo caso c’entrava strettamente la salute di Matthew,
sarebbe stato
infinitamente meglio che si fosse data una veloce regolata in merito.
Sospirando
sperò di riuscirci, ma era dettaglio significativo che
costei le ricordava molto
Alice Asatani, dagli identici occhiali da miope, fino alla medesima
sufficienza
con cui le parlava.
Eppure,
con sua grande sorpresa, la dottoressa la condusse
nell’ultimo posto in cui si
sarebbe aspettata, non il suo ambulatorio infatti, bensì nel
parco, verso le
panchine che si affacciavano sul laghetto artificiale.
Dopodiché si sedette, le
fece segno d’accomodarsi e, dopo
alcuni
minuti di silenzio, durante i quali la tentazione di Sheila di mandarla
al
diavolo aumentava sempre di più, si accese una sigaretta, la
fissò indagativa e
finalmente diede il via alle danze.
“Questa
è una chiacchierata informale signorina, sebbene sia
nell’interesse del
paziente. Ma ci tengo a sottolinearlo, sa la normativa sulla
privacy.” Esordì,
mentre per effetto della luce gli occhiali le mandarono un barbaglio
metallico,
quasi a sottolineare quanto aveva appena affermato.
“Naturalmente.”
Assentì Sheila, per nulla
impressionata, sentendo la sua avversione crescere e prosperare.
“Come
le dissi qualche giorno fa, conoscere le impressioni altrui su questo
caso aiuterebbe
parecchio il mio lavoro. Purtroppo
infatti le basi su cui attualmente opero sono piuttosto scarne,
malgrado a giorni
alterni veda il signor Isman e abbia con lui dei lunghi colloqui.
Sfortunatamente le sedute a cui lo sottopongo per il momento non hanno
portato
ad alcun risultato concreto, anche se, com’è
ovvio, ne sto traendo delle
conclusioni. Per questo motivo avrei delle cose da chiederle. Innanzi
tutto,
tenendo ben presente il tipo di persona prima dell’amnesia,
lo trova cambiato?”
Bella
domanda!
Pensò
Sheila abbondando quanto a sarcasmo, in effetti era proprio quanto
s’aspettava,
per cui non aveva bisogno di rifletterci più di tanto per
risponderle. Oltre al
fatto che, a prescindere dalla banalità del quesito, non
stava facendo altro
che pensarci da quando aveva messo piede la prima volta lì
dentro giorni prima.
Restava il fatto comunque che costei fosse la sua terapista e quindi
doveva
mettere da parte, almeno per il momento, i suoi sentimenti e badare ad
essere
quanto più sincera possibile.
“Sì,
notevolmente.” Fece meditabonda e tentò di
spiegarsi meglio. “A prescindere dal
fatto che non ricorda assolutamente nulla, in alcuni atteggiamenti
è differente,
senza contare tutti quei dettagli marginali che altri non noterebbero,
ma che
per me che lo conoscevo così bene, sono lampanti.”
“Potrebbe
essere più specifica?”
“E’
molto più disinibito, meno impacciato nei gesti e nelle
parole, come se volesse
nascondersi dietro all’ironia… è
diffidente, prima potevo leggergli dentro come
in un libro aperto, ora difficilmente ci riuscirei.”
Ammise
tutto ad un tratto sentendosi triste, ma non ebbe il tempo di
indugiarci più di
tanto perché la donna riprese ad incalzarla.
“Senta,
lo so che non sono affari miei, ma sfortunatamente le vostre faccende
personali
hanno il loro peso, per cui devo chiederglielo. Se ho inteso bene, al
nostro
primo incontro lei specificò di esserne la fidanzata,
quantunque per un lungo
periodo non vi siate visti. Presumo quindi che tra voi ci sia stato un
distacco
.”
“Vada
avanti.” Replicò Sheila laconica.
“Ora,
perdoni l’indiscrezione, è stato un allontanamento
doloroso?”
“Ne
conosce qualcuno che non lo sia?” Chiese di rimando in modo
abbastanza brusco.
Certo quella donna stava facendo il suo lavoro, ma richiamare alla
memoria quei
momenti non era piacevole, specialmente davanti ad
un’estranea. Ad ogni modo si
rese conto che comportandosi in quel modo non sarebbero arrivate da
nessuna
parte, quindi le rispose esplicita.
“Sì
è stato estremamente doloroso, per entrambi, ci tengo a
sottolinearlo. E mi
permetta di aggiungere un’altra cosa, lo fu soprattutto
perché estemporaneo,
non voluto e soprattutto perché eravamo ancora molto
legati.“
“Creda
signorina“, si giustificò la dottoressa, che per
la prima volta appariva a disagio
davanti alla dura reazione suscitata, “non sono qui per
pescare nel torbido,
tanto meno per impacciarmi della sua vita. Ma si da il caso che in
qualche modo
debba tentare di capire da dove scaturisca l’ermetica
chiusura che attanaglia
il paziente. Fisicamente quest’amnesia prolungata non si
spiega, la lesione
alla testa che avrebbe potuto provocarla si è riassorbita .
Quindi è mia
opinione che questo vuoto mentale abbia la sua causa in un trauma di
natura
psicologica piuttosto che fisiologica.
Vede,
quando fu chiaro che stentava a recuperare la memoria, richiesi al
comando
generale cui faceva capo di mandarmi i suoi attestati di servizio. Ne
è
risultato che da quando entrò in
quell’unità, salvo il periodo di addestramento
e alcune brevi licenze, il signor Isman è stato
ininterrottamente al lavoro.
Carte alla mano ho notato che spesso e volentieri si faceva mettere di
servizio,
saltando i turni di riposo e le feste comandate. Capisce? Per tutto il
tempo si
è volutamente negato una tregua, passando da un incarico
all’altro senza
stacco, il che non è normale. Tutto ciò, sommato
a quanto mi ha detto poc’anzi,
non fa altro che rafforzare la mia impressione generale, ovvero che il
paziente
ha fatto di tutto per non avere il tempo materiale per pensare.
E’ come se si
fosse impegnato su tutti i fronti per dare un colpo di spugna,
sottoponendosi a
periodi di servizio massacranti e che oserei definire quasi punitivi.
Dopodiché
avviene l’attentato e a
causa delle
ferite si trova in un stato di amnesia che, da qualunque lato la si
guardi, non
può essere che temporanea. Ne concludo quindi che potrebbe
darsi egli alimenti inconsciamente
questa sua condizione. Ci rifletta, è il presupposto ideale
per chi, come lui,
pare voglia lasciarsi alle spalle passato.
Naturalmente
posso sbagliarmi, ma il fatto che sembri essere diventato
più disinvolto, che
si celi dietro a comportamenti lontani della sua precedente indole, non
fanno
altro che convincermi che potrei avere ragione.“
“Spero
di no.“ Fu tutto quello che riuscì a dire Sheila
con un filo di voce, prima che
il groppo che aveva alla gola prendesse il sopravvento.
“Altrimenti se così
fosse, non guarirà, non vorrà mai
guarirne.”
“Faccio
delle ipotesi signorina, questa branca della medicina non da certezze.
Posso
dirle però che siamo ad una fase iniziale, in fondo sono
solo pochi giorni che
lei e il paziente state interagendo e chissà che la sua
presenza non lo smuova.
Ed è per questo motivo che le chiedo, davanti a qualsiasi
cambiamento o fatto
insolito che dovesse notare, che me ne riferisca tempestivamente.
Quanto a lei,
cerchi di non abbattersi e qualora volesse parlarmi non esiti a
farlo.”
“E’
molto gentile da parte sua, ma ora se non le dispiace, vorrei restare
un po’ da
sola.”
Replicò
alzandosi in piedi e andandosene prima che le si riempissero gli occhi
di
lacrime.
Certo
apprezzava il parlar franco, non meno della palese preoccupazione della
donna e
dell’umanità che celava sotto l’aspetto
austero, ma aveva da fare i conti con
quanto le supposizioni che le aveva esternato avevano scatenato.
Ché ora a
tormentarla non era più un mero senso di colpa,
bensì la certezza che tutte le
azioni sconsiderate che avevano portato Matthew ad un passo dalla fine,
avevano
come chiave di volta lei.
Il
ragionamento della psichiatra non faceva una grinza, Matthew aveva
voluto dimenticare
e ancora lo voleva, e lei sapeva con certezza di cosa volesse
scordarsi. Non
faceva nessuna fatica ad immaginarselo furente e scoraggiato,
desideroso di obliarsi
di tutto quel che considerava il fallimento di una vita. E non solo,
giacché
era sicura che la sua partenza gli aveva fatto crollare il mondo
addosso, non
ultimo perché nel frattempo aveva scoperto tutti
gl’inganni di cui era stato
vittima.
Poteva
dargli torto se allora l’aveva considerata una traditrice?
No, non poteva. Così
come giustificava ampiamente la sua sfiducia nel credere al fatto che
lei
l’amava davvero e che aveva sofferto molto più di
lui nell’ingannarlo. E beffa
delle beffe, Matthew, pur sapendolo, non le
aveva rinfacciato di essere anche
l’artefice dei suoi striminziti successi lavorativi. In un
soprassalto
d’orgoglio ferito le aveva voltato le spalle, andandosene in
un dignitoso
silenzio, sordo alle sue parole, incurante di quanto lo stava
implorando di
capire. Sì, era più che comprensibile che volesse
dimenticare, cancellare del
tutto l’onta, l’amore ingannato e la delusione
tremenda che ne scaturiva.
Si
sentiva impotente davanti a tutto questo e ancora una volta si chiese
che
diritto aveva avuto di sacrificarlo sull’altare della sua
venerazione per il
padre. Prima gli aveva distrutto la vita e poi aveva scelto di
abbandonarlo, decisione
questa solo sua, per niente imposta. L’amava allora e
l’amava adesso, ma al
dunque aveva scelto suo padre.
Che
il cercarlo invano per tanto tempo fosse stata la giusta punizione per
questa
sua colpa? No! Non era possibile, decisamente non sarebbe stato
abbastanza, ché
alla fine era stato comunque Matthew a pagarne le pene più
grandi.
Tremante
si accasciò sulla panchina e prendendosi il volto tra le
mani diede sfogo
a tutto il suo
dolore, piangendo tutte
quelle lacrime a cui non aveva mai voluto dare sbocco. Aveva cercato di
essere
sempre forte, puntellandosi nella convinzione di essere nel giusto, invece adesso scopriva di
aver sbagliato tutto
e che i suoi errori li stava pagando sulla sua pelle esattamente
l’ultima
persona cui avrebbe voluto.
Nel
suo dolore non si accorse affatto del rumore prodotto dal motorino
elettrico
della sedia a rotelle che s’avvicinava. Matthew infatti
l’aveva vista da una
finestra e, invece di attendere che fosse lei a salire, aveva deciso di
raggiungerla dabbasso. Tanto ormai si sentiva abbastanza autonomo con
quella
specie di carriola all’avanguardia e se ne fregava altamente
se con quella
suscitava l’ilarità dei più, anzi
doveva proprio metterci un’antenna con su
una bandierina,
alla faccia loro, tié!
Silenziosamente
si era accostato, come per farle una sorpresa, ma ad una decina di
metri di
distanza cambiò idea, si era accorto infatti che
c’era qualcosa che non andava.
Era chiaro che Sheila stava piangendo, ne ignorava il motivo, ma
ciò non significava
che non gli dispiacesse. Quella vista avrebbe toccato il cuore di
chiunque e,
nel suo caso, si sentiva a maggior ragione coinvolto.
Avvertì dentro di sé un
gran turbamento, non era affatto giusto che una ragazza come lei
dovesse
dolersi e, nonostante gli arti immobilizzati, si sentì
pronto a riempire di
botte l’eventuale cagione di tanta angoscia.
“Ehi,
ma che succede?“ Le chiese, dopo qualche minuto
d’indecisione, quando fu
abbastanza vicino.
“Non
è niente.” Replicò l’altra
scuotendosi e tentando di pulirsi gli occhi
furtivamente.
“Ah
no?“ Fece lui grattandosi
il mento pensieroso.
“Vabbé se non vuoi dirmelo sei libera di farlo e
hai tutte le tue ragioni. Però“,
aggiunse mettendole fraternamente una mano sulla spalla, “non
pensare di
potermi prendere per il sedere. E’ chiaro come il sole che
stavi frignando e,
a meno che non ti
diverti a passare i
momenti liberi in questo modo, qualcosa deve essere accaduto.”
Davanti
a quella logica stringente Sheila si limitò a guardarlo
vacua, chiedendosi se
davvero potesse parlargli, per la prima volta, a cuore aperto e senza
nessun
timore. Se avesse provato, lui avrebbe fatto altrettanto in futuro? In
fin dei
conti tra loro qualcuno doveva pur cominciare e forse era il caso di
farlo, una
volta per tutte.
“Sai
la psichiatra mi ha parlato un po’ di te”,
cominciò esitante mentre lui la
fissava attento, “ e mi ha detto cose che mi hanno fatto
sentire in colpa in un
certo senso. Vedi quando sono partita tra noi non andava troppo bene,
anzi per
niente. Ce l’avevi a morte con me e io non posso far a meno
di pensare che se
non fosse stato per le mie azioni ora non ti troveresti in questa
situazione.
Se avessi...”
“Stop
, basta così! “ L’interruppe
fulmineamente Matthew, dopodiché tranquillo le
prese la mano e continuò. “Sentimi
bene,
se avessi, se fossi e se potessi, sono tre verbi fessi! Lo dice sempre
anche
l’infermiere che mi accompagna alla toilette!”
Esclamò
sperando, come al solito che con una battuta di spirito potessero
uscire da
quell’empasse. Ma visto che quel gioco di parole pareva non
sortire l’effetto
voluto, si fece serio e tentò di dar voce a quel che
sentiva.
“Ora
ascolta, io non lo voglio sapere perché ce l’avevo
con te, davvero. O perlomeno
non ancora. Non sono in grado di avere una reazione come si deve
adesso,
capisci? Direi o farei comunque la cosa sbagliata e credimi, per quanto
cretino
potessi essere, e lo dovevo essere abbastanza a quanto mi dici, non
voglio
pensare che abbia fatto tutte le mie scelte solo a causa tua. E poi,
sai che ti
dico? Se pure fosse, vuol dire che era destino.
E
non fare quella faccia, se c’è una cosa che ho
imparato da tutta questa storia
è che a volte le cose succedono e che non
c’è niente da fare. In fin dei conti
anche tu mi sei arrivata per caso, no ? E, siccome non
smetterò mai di
ringraziare abbastanza il cielo per questo, direi che è
inutile incimurrirsi
troppo sul resto, fidati.”
“Matthew
sei molto gentile a dirmi queste parole...”
“E
immagino che pensi che lo faccia solo per farti passare i cinque
minuti, vero?
Beh sì, anche, ma non del tutto. Sai tu mi piaci proprio, al
di là di quello
che può essere accaduto precedentemente tra noi. E penso che
se una come te,
che potrebbe far rincitrullire chiunque, in una giornata
d’estate bella come
questa, invece di starsene a mare, sta qui a perdere tempo appresso a
me,
allora vuol dire che tutto quanto è accaduto ha comunque un
senso. E poi che
cavolo, tutto ciò fa di me un cavaliere splendido splendente
e ne devo
approfittare, hai visto mai che ti smuovi abbastanza da farti dare un
bacetto?!”
Concluse
ridendo soddisfatto, stava facendo dello spirito ovviamente e non
s’aspettava
nulla di più a questa battuta, ma Sheila, per tutta replica,
di slancio si
protese in avanti e lo abbracciò strettamente.
In
quel momento gli si sentiva vicina come non mai, quel che le aveva
detto
infatti erano state un balsamo per il suo cuore afflitto e la
gentilezza che
dimostravano non poteva essere fittizia. E anche il fatto che avesse
mischiato
serietà e facezie dimostrava ancora una volta che stava
facendo del suo meglio
per tirarle su il morale. Poteva sembrare un atteggiamento da
superficiale il
suo, eppure era riuscito laddove un discorso solenne avrebbe fallito
intristendola
ancora di più.
Forse,
pensò, Matthew adesso era sospeso tra questo suo nuovo modo
di essere e quello
precedente, pur tuttavia la sua dolcezza d’animo era rimasta
intatta. E davanti
a questa palese dimostrazione d’affetto disinteressato
spontaneamente gli si
strinse addosso come per volergli comunicare che per lei era lo stesso.
Ma con
un soprassalto di sorpresa si costrinse ad allentare progressivamente
il suo
abbraccio, ché per la prima volta stava toccando con mano la
reale situazione
della sua debolezza. Tanto era deabilitato che le ossa gli si potevano
contare
una ad una e temeva di avergli fatto male con quell’impeto.
Preoccupazione
superflua la sua, giacché questi non aveva intenzione alcuna
di mollarla, né di
farle abbandonare la presa, in quanto quel semplice gesto non solo gli
dava
quiete, ma anche un benessere fin lì ignorato.
D’altro canto però non poteva
imporsi a quel modo e soprattutto non finché non avesse
saputo esattamente dove
finiva la commiserazione e cominciavano i sentimenti veri.
“A
proposito“, fece quando infine Sheila si staccò,
molto imbarazzata per quella
che considerava un’audacia, “volevo chiederti una
cosa, hai mai portato i
capelli corti?”
“Perché?”
Chiese stupita mentre una lievissima speranza iniziava a farsi strada
nella sua
ansia.
“Stanotte
ti ho sognato e avevi i capelli corti.” Replicò
con fare casuale, ma era
evidente che aspettava la risposta con manifesta apprensione.
“Quando
ci siamo conosciuti li avevo corti.”
“Mm,
mm.” Mugugnò meditabondo senza saperne dare un
significato o a quanto potesse
sottintendere. Una coincidenza o forse un progresso? Chissà,
non voleva darci
troppo peso, per cui passò all’altra notizia che
aveva da darle.
“Ah,
quasi mi dimenticavo, lo sai che alla fine della settimana cominceranno
a
togliermi i punti? E mi hanno pure detto che, se non mi lancio
più dal letto,
tra una decina di giorni possono togliermi il gesso alla gamba, che ne
dici?”
“Ma è
meraviglioso tesoro!”
Oh, oh, tesoro eh?
Pensò Matthew
ghignando, ma
senza osare altro, ché per quel giorno poteva ritenersi
abbastanza soddisfatto.
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Capitolo 10 *** 10 ***
Non
ne riparlarono più in seguito, sia del cedimento emotivo di
Sheila, che della fugace
rimembranza avuta da Matthew.
Chiaramente
metteva in imbarazzo entrambi, senza contare che, nelle settimane che
seguirono,
purtroppo la sua memoria, esattamente come d’improvviso aveva
elargito
quell’occasionale sprazzo, parve riaddormentarsi di nuovo.
Nel
frattempo iniziarono a scucirlo, come amabilmente egli stesso soleva
definire
l’operazione del togliergli i punti, e, sebbene i medici si
prendessero la briga
di rassicurarlo sul fatto che stava guarendo con una
velocità sorprendente,
risultava sempre più difficile ignorare
le cicatrici che gli deturpavano buona parte dell’addome e
delle gambe.
Certo,
come al solito faceva dell’ironia in proposito, argomentando
quanto fosse una vera
fortuna che la faccia gli fosse rimasta integra. Ciò,
chiariva ironico, non
tanto per una questione di mera estetica, quanto perché era
stato succintamente
informato che in genere la sede epidermica preferita della chirurgia
plastica era
il sedere, e francamente non ci teneva a ritrovarsi la faccia come il
culo.
Questi
i ragionamenti con i quali tentava di convincere quanti gli stavano
intorno e
costoro, considerando che non era mai stato uno troppo fissato col
proprio
aspetto, in linea di massima non si preoccupavano troppo in merito.
Indubbiamente
non si trattava di superficialità, più che altro
ritenevano che, rispetto
all’amnesi, quello fosse un problema secondario, quindi non potevano sapere che
quand’era da solo spesso
si sbirciava quegli odiosi sfregi e si chiedeva se avrebbe avuto mai il
coraggio di mostrarsi privo d’indumenti a chicchessia. Ora
come ora, in effetti,
pensava non sarebbe riuscito neppure a mettersi in costume da bagno,
poiché se
a lui, legittimo proprietario di quel corpo e di conseguenza quello a
cui meno
conveniva far lo schizzinoso, faceva impressione guardarsi, figuriamoci
che bello
spettacolo poteva essere per chiunque altro.
“Per
ricoprirli mi dovrei far tatuare da capo a piedi.” Pensava
avvilito. “Praticamente
come tappezzare una catapecchia con una carta da parati a fiori
viola.” Ne
concludeva, per ritrovarsi immediatamente dopo a scandagliare il
misterioso
abisso della psiche femminile. Già, perché
più la sua conoscenza della
fidanzata s’approfondiva e più si ritrovava a non
capirci nulla. Nel caso
specifico si trattava di un commento casuale fatto da Sheila qualche
giorno
prima alla vista d’un servizio di moda che stavano dando in
tv. Tra l’altro,
com’è che, qualunque cosa stesse facendo, come
partiva quella roba si paralizzava
innanzi allo schermo? Per quanto
lo riguardava infatti trovava noioso da morire quel cianciare in merito
all’abbigliamento e in genere, al di là di rifarsi
gli occhi con le modelle,
cambiava subito canale. Sheila no, anzi pareva proprio interessata a
quelle
boiate e anzi, la volta in cui era venuta accompagnata da Kelly, ed era
partito
l’ennesimo servizio fashion al tg, poco ci era mancato che
facessero notte là
davanti.
Stupito
gli era toccato assistere ad un controversia, serrata accidenti, mentre
la voce
blesa del cronista illustrava quegli abiti ridicoli e loro si
accapigliavano
riguardo a questo o quel particolare. Come se plissé,
lamé, macramè, e altra
roba che finiva accentata sul finale, facesse poi sta gran differenza.
Quanto
a lui si era detto che magari avessero discusso
sull’opportunità d’indossare la
sottoveste oppure il baby doll, quello sì che sarebbe stato
un quesito
interessante e volentieri avrebbe partecipato con slancio alla
conversazione,
ma visto come stavano i fatti, si
era
ben guardato dall’aprir bocca davanti a simili professioniste
del settore.
“Donne!”
Mugugnò innervosito.
Eh
sì, perché dopo avergli fatto due palle
così con discorsi inerenti
l’opportunità
o meno di un ritorno del vintage, costringendolo il giorno successivo a
domandare ad un infermiera ( e non ad un medico o, che so io, ad un
altro
paziente, poiché, ormai questo l’aveva ben inteso,
solo un’altra donna poteva
capire il ragionamento di una sua simile) che accidenti fosse sto
vintage, le
due, alla vista delle sfilate maschili, gli avevano donato
l’ennesima perla di
saggezza. Ovvero, che l’uomo glabro era decisamente
più bello e seducente.
Ecco,
a tale affermazione, infatuazione o no per una e rispetto o meno per
l’altra,
ne aveva concluso che nonostante tutto anche quelle dee di perfezione
ed avvenenza
potevano talvolta dimostrarsi delle emerite cretine.
Ma
che accidenti andavano cianciando? Porca miseria avrebbe pagato oro per
ritrovarsi peloso come uno yeti! Sarebbe stata la soluzione ideale,
infatti
cos’altro se non un bel vello ricciuto avrebbe potuto
occultare quello schifo
che si ritrovava addosso? E quelle deficienti avevano pure il coraggio
di
parlare?
Naturalmente
evitò d’esporre questa sua tesi, altrimenti come
minimo si sarebbe beccato una
sequela d’insulti. Forse gli avrebbero dato dello zotico,
chissà, ma del demodé
sicuramente.
Buon
per lui comunque che gli eventi presero un’ottima piega
poiché, quando
finalmente gli tolsero il gesso dallo stinco, il
suo umore migliorò di molto e non pensò
più
ad altro. Del resto, visto che a quel punto gli si prospettò
che, una volta
riacquistata la mobilità, l’avrebbero presto
dimesso, che gliene fregava della
scarsa peluria che si ritrovava? E neppure la prospettiva di dover
tornare
spesso in ospedale per i controlli e per le fisioterapie poteva
deprimerlo, poiché
sarebbe stato libero di andare e venire. Davvero non vedeva
l’ora di esserne
fuori e, la notizia tanto lo esaltava, che persino le cicatrici per un
po’ gli
parvero meno vistose.
Una
volta esauritasi l’ebbrezza iniziale però
cominciò a riflettere su tutta una
serie d’incognite che il suo ritorno alla vita civile avrebbe
comportato. Tipo,
ma lui ce l’aveva una casa? E soprattutto, con quale reddito
si sarebbe
mantenuto? Orpo, finché se n’era stato mummificato
lì dentro il problema non si
era posto, in fondo gli servivano i regolamentari tre pasti al giorno,
indossava un bel pigiamino a strisce col logo
dell’unità sanitaria e girava in
carrozzina come un pascià, ma una volta fuori come diavolo
avrebbe fatto?
“Porca
puttana”, pensò in preda
all’apprensione, inquadrando appieno la sua totale
incapacità concernente il vissuto pratico, “quasi,
quasi mi butto dal terrazzino
e mi rompo entrambe le gambe stavolta!”
Ad
interrompere questo suo bel pensierino fu la quotidiana visita di
Sheila, la
quale se ne stava da un bel pezzo sulla porta ad ascoltare
gl’incomprensibili
brontolii del suo uomo. In effetti Matthew dapprima le era parso assai
perplesso, ma in ultima analisi addirittura atterrito e davvero non
riusciva ad
immaginarsi che diavolo gli fosse preso da agitarsi tanto. In fondo
negli
ultimi tempi si era di molto tranquillizzato.
“Che
succede?” Chiese quindi con fare solo apparentemente leggero.
“Non
so cos’è il vintage e sono pure poco peloso, ecco
che succede!” Fu la risposta
criptica che ne ebbe, al che cominciò davvero a
preoccuparsi.
“Mio
Dio”, s’allarmò correndo al suo
capezzale per sincerarsi del reale stato delle
cose, “è in preda al delirio!”
Detto
fatto gli passò una mano sulla testa per constatare se
avesse la febbre alta ma,
visto che al tatto la temperatura le sembrava assolutamente normale,
stava per
chiamare un medico, nel caso servisse un calmante. Nel mentre tuttavia
notò un
particolare che precedentemente non le era saltato all’occhio
e che adesso
invece le brillava davanti agli occhi come se fosse stato inciso a
caratteri
catarifrangenti.
Col
senno di poi entrambi poterono dirsi che forse sarebbe stato meglio se
gli
avessero sparato una bella dose di prozac, o più esattamente
di bromuro, ché l’incidente
diplomatico che ne seguì poco mancò mandasse
nuovamente al pronto soccorso il
degente in uscita. Come tra l’altro fino a pochi istanti
prima si era augurato,
anche se, innanzi all’ira funesta che scatenò,
Matthew si disse che probabilmente
sarebbe stato meglio affrontare la realtà esterna, con tutte
le problematiche
sconosciute che poteva comportare, piuttosto che quell’erinni
della sua dolce
metà.
Quanto
a Sheila davvero si sorprese dell’altarino che credette di
star scoprendo, da
parecchio infatti Matthew non aveva commesso spropositi, anzi il suo
agire era
stato a tal punto irreprensibile, che persino la sua
irritabilità, così facile
a suscitarsi, era rimasta doma.
Tutto
questo, appunto, finché non notò che nella parte
interna dell’ingessatura al
braccio, scampolo che probabilmente quel farabutto del suo fidanzato
aveva badato
bene a mantenere occultato, c’era qualcosa che in precedenza
non compariva e
che a vederlo rendeva lei necessitante di un sedativo. Magari di quelli
che
davano alle bestie feroci in cattività.
In
pratica si trattava del segno di un bacio lasciato da un rossetto rosso
acceso e
sotto c’era perfino la postilla Al
bel
maschione!.
Abbastanza
insomma perché succedesse il finimondo, anche se a tutta
prima Matthew non notò
affatto il cipiglio truce che gli venne lanciato,
tant’è vero che stava
tentando di spiegarle dell’esclamazione con la quale
l’aveva accolta e soprattutto
dell’ingarbugliato ragionamento dal quale deduceva che dal
tosone carente
sarebbero derivate le sue difficoltà nella routine di tutti
i giorni.
Fiato
sprecato, perché lei manco lo stava ad ascoltare,
recriminando piuttosto tra sé
e sé sulla cafonaggine intonsa di quella battona che usava
un rossetto così
vistoso. Senza contare l’idiozia imperante di quel pappagallo
del suo fidanzato
che si era fatto irretire da una simile donnaccia.
In
breve, Sheila aveva un’espressione talmente acida che quando
Matthew si rese
conto che si era azzittita da un bel pezzo e si voltò a
guardarla, gli bastò
uno sguardo per capire che erano finiti sul sentiero di guerra.
“Allora,
maschione”, fece calando
pesantemente
l’accento sulla l’ultima parola, “se
è lecito sapere, chi è
l’autrice?” Aggiunse
cominciando a battere il piede al suolo e portandosi le mani ai
fianchi.
Innanzi
ad una simile icona della virago tradita al maschione venne quasi da
ridere, ma
per sua fortuna capì in tempo che non era affatto il caso di
fare lo spiritoso.
“Oh
andiamo, non ti arrabbierai mica per una cretinata simile?”
Chiese ragionevole
ed ostentando stupore ma, visto che il cipiglio della donna si faceva
sempre
più truce, s’affrettò a chiarirle i
fatti.
“Me
l’ha fatto una ragazza che se è possibile
è arrivata qui dentro più scassata di
me. Poverina è stata investita mentre attraversava la strada
e le hanno fatto
una bella ingessatura pure a lei. Ci siamo incontrati qualche settimana
fa
mentre aspettavamo entrambi di andare dal segaossa e abbiamo iniziato a
chiacchierare, tutto qui.”
“E
quello?”
Insisté per niente convinta
da quella spiegazione da santarellino.
“L’altra
sera sono andato nell’area comune e ci siamo presi un
caffè insieme.” Aggiunse
esitante vedendola incupirsi sempre di più, in effetti le
parole sera e insieme
per Sheila erano già abbastanza.
“E…?”
Lo spronò gelida al suo tentennare.
“E
quando ha saputo che di qui a breve mi avrebbero dimesso, ha voluto
lasciarmi
un ricordino.“ Concluse con aria innocente, sperando, ma
senza esserne neanche
troppo convinto, che quella spiegazione potesse buttare acqua sul fuoco.
“E
dimmi”, fece Sheila con calma simulata, talmente ostentata
che al compimento
della frase già aveva preso un notevole numero di giri
quanto a pressione
interna, “com’è che fino ad ora non ne
hai mai fatto cenno? E’ strano”,
continuò
sarcastica facendo il verso al medesimo stupore cui era stata fatto
oggetto
fino a pochi istanti prima, “mi metti a parte di qualsiasi
aspetto della tua
vita ospedaliera, ivi comprese tutte le tue difficoltose soste alla
toilette,
cosa di cui ne farei volentieri a meno, e su questo neppure una
parola?”
“Ed
è una colpevole omissione?” Fece Matthew sentendo
affievolirsi, fino allo
spegnimento completo, i bagliori della sua aureola di
santità. Già, ormai
conosceva quanto basta la pollastra che aveva innanzi, tanto che
all’istante ebbe
la conferma di essere in un mare di guai. Ciò nonostante non
si diede per
vinto, ché davvero stava dicendole la sacrosanta
verità.
“Mi
sarà sfuggito, sai quando capita di incontrarci è
sempre per caso. Andiamo
Sheila, ma che ti viene in mente? Capirai, abbiamo entrambi la
scioltezza di un
soprammobile e mica possiamo andare dove ci pare.” Aggiunse
conciliate per
rendersi prontamente conto che neppure la via della logica sortiva
effetto e che
la donna pareva proprio non voler mollare l’osso.
Più
amabile, blandiscila porca vacca! Gli suggerì una
vocina sollecita, quindi facendole un
sorriso, che sperò essergli uscito suadente,
continuò: “Inoltre trascorro le
giornate con te, quindi che bisogno avrei di cercare altra compagnia?
Sì, di
tanto in tanto c’incrociamo nella sala ricreativa a notte
fonda, beh cioè...
non di proposito ed assolutamente non in quel senso, succede,
ma mica ci diamo appuntamento…” Concluse
di botto rendendosi conto dei lapsus terrificanti che aveva esternato e
di star
paurosamente tartagliando. Tutti indizi di conclamata colpevolezza.
“E
che ne so? Di certo ti stai comportando come uno che ha la coscienza
sporca.”
Ribatté a questo punto Sheila la quale, sebbene sotto, sotto
si rendesse conto
che quella discussione fosse assurda, ciò nonostante era
furiosa. E come
avrebbe potuto altrimenti? Matthew aveva sempre avuta una malsana
propensione a
fare il casanova da strapazzo, vezzo che, nonostante il più
delle volte si
risolvesse in ripetuti e clamorosi due di picche, non le era mai andato
giù.
Inoltre solo il fatto che ci provasse per lei era già
più che sufficiente.
“E
dai, non c’è proprio nessun motivo
perché
tu mi tenga il muso per una sciocchezza simile.”
Continuò l’altro con fare convincente,
talmente tanto, che per un meraviglioso istante pensò di
averla persuasa. Ma
poi, volendo strafare, firmò la sua definitiva condanna a
morte, giacché non
trovò nulla di meglio da dire che: “E poi
cerchiamo di essere pratici, niente
di male ho fatto e se pure ne avessi avuta l’intenzione, che
accidenti avrei
potuto combinare conciato così?”
Udita
questa chiosa a Sheila andò definitivamente il sangue alla
testa e, afferrandolo
per il bavero del pigiama, con
un impeto
incurante dello stato già confusionale della sua capoccia,
si diede a scuoterlo
con violenza tellurica.
“Cosicché
se avessi potuto, l’avresti fatto!”
Esclamò sbatacchiandolo.
“No,
ma che hai capito e fatto cosa poi?” Riuscì ad
articolare tra l’ondulatorio ed
il sussultorio. Poi, quando finalmente il turbine parve arrestarsi,
sebbene non
fosse stato ancora mollato e il sisma minacciasse di ricominciare da un
momento
all’altro, si giustificò. “Ma porca
miseria, è mai possibile che prendi tutto
alla rovescia? Intendevo dire che questo è un dato di fatto
in più, atto a
dimostrare che non è successo niente, chiaro?”
“Ma
che bravo, arringa perfetta...” Ribatté la donna,
con tutta l’intenzione di
fargli una predica coi fiocchi, quando sbalordita s’accorse
che, approfittando
della sua posizione ravvicinata, l’incompreso martire del
fraintendimento le
aveva passato il braccio sano attorno alla vita e la stava decisamente
tirando
a sé.
“Che
diavolo stai combinando?” Chiese intimidatoria con un
sussurro che, se non
fosse stato per il particolare che Matthew fosse perso nella
contemplazione
attenta del suo decolleté, avrebbe potuto paralizzarlo
all’istante.
“Sai
stavo pensando che è quasi un mese che ti vedo tutti i
giorni e neppure un
bacino? Dai accontenta un malato!”
L’esortò protendendosi in avanti e
portandosi in traiettoria, peccato per lui però che la
parabola labiale che
stava percorrendo coincidesse perfettamente con l’accelerato
che partiva da
sud. Ovvero, per
dirla in termini
ferroviari, il diretto delle 11.30 transitò puntualissimo
sui binari della sua
faccia e l’eco del suo passaggio risuonò
chiaramente tra le pareti della stanza.
“Che
accidenti credi di fare?!” Gridò furibonda,
allontanandosi repentinamente. “Mi
credi una così facile!?”
Matthew
scosse il capo, non si sa se per diniego o per schiarirsi le idee, dal
momento
che aveva piuttosto intontite dopo quel colpo da campione dei pesi
massimi. Era
l’ennesimo ceffone che si prendeva e, concludendo che
l’origine da cui
partivano le botte era sempre la stessa, decise di togliersi dal gozzo
quel che
pensava in proposito una volta per tutte. Ché magari Sheila
poteva pure essere
parecchio pudica e con un senso della morigeratezza sviluppato
all’eccesso, però
tutto ciò era frustrante. In fin dei conti non le aveva
chiesto nulla di strano,
né aveva fatto alcunché di male e che cavolo!
“Facile?”
Proruppe stridulo. “Porca Eva, ora capisco
com’è che dai tuoi racconti ne esco
sempre come un coglione fatto e finito! Ché se per un
fetentissimo bacio fai
sta’ tragedia è ovvio che me ne debba andare a
puttane o verso un convento di
bonzi!”
“Ma
che razza di bastardo!” Esclamò fremente davanti a
quel linguaggio da caserma. Cosicché
quel bifolco allupato era lì che voleva arrivare? Bene, l’avrebbe
illuminato in proposito una
volta per tutte. “Se è questo che vuoi da me, te
lo puoi scordare Matthew. Io
me ne vado e tu arrangiati!” Strepitò al colmo
della rabbia, uscendosene prima
di cedere all’irrefrenabile impulso di prenderlo a bastonate
con le sue stesse
stampelle.
“Fai
come cazzo ti pare!“ Si sentì urlare di rimando,
dopodiché, a seguire il rumore
della porta violentemente sbattuta, calò un silenzio di
tomba.
Nel
frattempo, all’altro capo della città, Kelly era
alle prese con i capricci e le
borie telefoniche dell’inafferrabile pittore russo che aveva
avuto la malsana
idea d’ingaggiare. Quella era la decima telefonata che gli
faceva e mettere a
punto tutti i dettagli per la sua ormai prossima mostra alla galleria,
aveva
assai provato la sua conclamata pazienza. Per cui, quando vide Sheila
entrare
come un fulmine e andare a chiudersi nel suo ufficio, si chiese quante
ancora
ne poteva sopportare per quel giorno.
Esortandosi
ad essere forte, e sapendo di dover intervenire, si accinse ad
affrontare la
buriana. Solo non poteva far a meno d’interrogarsi, intanto
che ascoltava con
un orecchio solo le lamentele di Misha Sgravroj,
sull’accidenti che stavolta era
intercorso trai fidanzatini litighini.
Già,
si disse ridendo maliziosamente, pareva strano che per alcune settimane
tutto
fosse filato liscio. Comunque era del tutto inutile perdersi in
illazioni, meglio
andare direttamente alla fonte, pensò varcando la soglia
dello studio di sua sorella
e trovandola che pestava con impeto la tastiera del computer.
Rifletté un
attimo studiandone l’espressione assolutamente iraconda e ne
dedusse che la
situazione era molto peggio di quanto si fosse figurata. Stava per
chiederle
cosa fosse accaduto, quando venne investita da una scarica di
recriminazioni.
“Guarda
qua che casino! Basta che mi assenti un giorno e non si capisce
più niente qua
dentro!”
“Andiamo
sorellina.” La sollecitò un po’ piccata,
tutto era in ordine come al solito e
meno che mai aveva alterato i dati del suo computer. Sospirò
e si diede a
dipanare quella che prometteva d’essere una matassa assai
ingarbugliata. “Sheila
sai benissimo che tutto è rimasto come l’hai
lasciato. E’ evidente che sei
arrabbiata, però non rivalertela su di me.”
“Non
direi!” Replicò quest’ultima ignorando
le offerte di pace che le venivano
porte. “Altrimenti perché la mostra del fotografo
australiano su cui ho
lavorato tanto è stata sostituita da questo tizio dal nome
impronunciabile? Non
so neppure chi accidenti è!”
“Allora”,
Kelly si sedette di fronte a lei ed accavallò le gambe, la
cosa prometteva di
andare per le lunghe, per cui tanto valeva mettersi comoda,
“mi rendo conto che
hai fatto molti sforzi per organizzare quel vernissage, ma si da il
caso che l’autore
per il quale tanto ti sei data da fare sia un buzzurro a caccia di
notorietà e
denaro facile. Oltre al fatto che mentre eri impegnata altrove mi ha
letteralmente
reso la vita impossibile. Di conseguenza ho deciso
d’accantonarlo momentaneamente,
almeno finché non cala le penne, e di dedicarci alle
installazioni del russo.
Sgravrokj pure ha un sacco di pretese, ma è molto
più interessante te
l’assicuro.” Le spiegò, quindi
l’invitò a visionare i file inerenti le opere
che più l’avevano colpita, in modo che si rendesse
conto di che cosa stava parlando.
“Te l’ho anche accennato l’altro giorno,
ma quanto pare non mi stavi neppure
ascoltando, anche se hai annuito.”
“Non
me ne ricordo affatto.” Ammise Sheila sbuffando e iniziando a
calmarsi.
“Scusami per prima, davvero. Ultimamente sono così
stanca, che non mi
meraviglia stia cadendo dalle nuvole . E tutto questo per cosa
poi?”
S’infervorò nuovamente, facendo intuire alla sua
perspicace sorella che si
stavano avvicinando al nocciolo del problema. “Trascuro il
mio lavoro, i miei
interessi e non ultima la mia famiglia, per cosa? Maledetto maniaco
ingrato!”
“Presumo
stia parlando di Matthew, che ha combinato?”
“Quell’animale,
se solo ci penso!” Inveì, evitando di rispondere
alla domanda ed incrociando
le braccia risoluta. “Adesso però
basta, gli ho dedicato perfino troppo tempo, la pacchia è
finita!“
“Okay,
non me lo vuoi dire.” Fece Kelly levando gli occhi al cielo
e, anche se non era
persona informata dei fatti, bastava notare come fosse arrossita in
malo modo
la sorella per capire. La solita storia, quei due non sarebbero
cambiati
proprio mai, neppure a ottant’anni. Comunque cercò
di darsi un contegno, visto
che Sheila fissava in un modo che non le faceva prevedere nulla di
buono il
sorrisetto che le era salito spontaneo alle labbra, e decise che era il
caso di
partire in missione di salvezza. Ché a lasciarli fare,
sarebbero stati capaci
di trascinarla all’infinito.
“Facciamo
così sorellina, ti lascio alle prese con il fascicolo su
Sgravrokj , che tra
l’altro dovrebbe essere qui tra circa un paio
d’ore. Studiatelo con calma, così
al suo arrivo potrai spupazzartelo in modo che gli sembrerà
che si faccia come
vuole lui, mentre invece si fa come dal progetto che da brava ti
leggerai.
Eventualmente volessi apportare delle migliorie al mio piano di lavoro,
fa’
pure, non c’è problema.”
“Ma
come, te ne vai e mi lasci con questa patata bollente?”
Chiese stupefatta.
“Guarda
cara che sto andando a togliertele le castagne dal fuoco.”
Replicò prendendo
gli occhiali da sole dalla borsetta e soffermandosi sulla porta a darsi
un’occhiata
veloce allo specchio. “E credimi, questo ti
costerà perlomeno un turno in più
ai fornelli questa settimana.”
“No
Kelly, non mi piace questa storia. So benissimo che stai andando da
quell’invasato e ti posso assicurare che è
assolutamente inutile, perché non lo
voglio più vedere.”
“Davvero?”
Fece con aria sorniona prima d’infilare l’uscio.
“D’accordo come vuoi, ma si da
il caso che questo non valga anche per me. E siccome mi è
venuta una gran
voglia di farci due chiacchiere, vado.” Concluse avviandosi
di buon passo
mentre scuoteva garbatamente la testa.
Una
volta in macchina cercò di pensare a come affrontare
quell’altro zuccone, anche
perché non sapeva affatto cosa aspettarsi. Già,
di regola Matthew dopo
un’iniziale irragionevolezza, la stava ad ascoltare e poi
tentava di seguire i
suoi consigli, presentandosi a Sheila con aria tragica da penitente. Ma
adesso
quale sarebbe stata la sua reazione? Difficile dirlo, tanto poteva
essere una
scheggia impazzita, quanto abbattuto dallo scambio salace che
certamente aveva
avuto con sua sorella. Perciò Kelly si preparò
mentalmente alcune strategie
psicologicamente ad effetto che potessero occorrere nell’uno
o nell’altro caso.
Una Freud in gonnella praticamente, peccato che il suo cogitare
risultò essere
assolutamente vano, poiché, con sua grande sorpresa, ad
attenderla c’era una
persona visibilmente serafica e che tra l’altro
s’aspettava la sua venuta. Tant’è
fu accolta sul balcone, dove se ne stava stravaccato a torso nudo sulla
straio,
come se fosse in riva al mare, da un: “Già
qui?”
Alla
sua faccia sbalordita Matthew chiarì sia che aveva
immaginato sarebbe giunta in
missione diplomatica, sia che gli occorreva abbronzarsi
perché aveva il
colorito del latte scaduto.
Beh,
pensò Kelly presa di contropiede, meglio trovarlo disteso
che collerico.
Quindi, accomodandosi
sulla sedia
accanto alla sua e mantenendosi inizialmente sul generico,
esordì: “Allora,
come andiamo?”
“Tua
sorella è assolutamente fuori di testa.” Rispose,
andando diritto al cuore
della situazione, senza neppure prendersi la briga di perdersi in
convenevoli.
“Non
perdi tempo eh? Meglio così, in questo modo possiamo evitare
inutili giri di
parole. Allora cognato, che le hai fatto? Non ti nascondo che Sheila
è arrivata
in galleria con tutta l’aria di chi ti passerebbe volentieri
sopra con un tir.”
“Non
ce ne sarebbe bisogno.“ Affermò impermalito,
voltando la faccia, in modo che la
donna potesse vedere il segno cremisi che gli spiccava sulla sua
guancia.
“Ahi!”
Rise, pur senza volerlo. “Mammamia , allora è
proprio come penso?”
“Senti,
non lo so. Ma questo è il secondo scapaccione che mi becco
senza un motivo accettabile.
Fossi arrivato dove volevo, magari ne sarebbe valsa almeno la
pena.” Si lamentò
fregandosene altamente del decoro, del resto, Kelly voleva far sempre
la
salvatrice della patria? Ebbene, che sapesse allora.
“Non
stavo facendo nulla d’anormale, era una semplice effusione,
il che dovrebbe
essere abituale tra due che stanno insieme, tu che dici? A saperlo che
finivo
preso a mazzate, ci avrei provato molto prima, così mi
toglievo il pensiero
subito.”
“Sei
troppo pragmatico, è questo il problema.” Rispose
compassata, in effetti capiva
il suo punto di vista, ma non poteva certo dargli ragione. Quindi con
espressione e voce ricche d’enfasi aggiunse:
“Matthew tu dai per scontate cose che forse non
lo sono.”
“Ma
fammi il piacere Kelly, eppure ti credevo una donna di
mondo!” Sbottò punto sul
vivo. Poteva essere mai che alla loro età ancora dovevano
arrivare al dunque?
Era questo che stava tentando di fargli intendere? Ecco il punto
dolente, lei,
in quanto sorella e confidente, di sicuro ne doveva sapere qualcosa. Ma
lui era
pronto a sentirsi spiattellare la verità? Forse no, per cui
preferì chiarire
bene il concetto: “Mettiamo i puntini sulle i, ho tentato di
darle un bacio,
mica di farle il servizio completo.”
“Ci
credo, altrimenti a quest’ora staresti molto peggio vecchio
mio!” Replicò l’altra
senza riuscire a trattenere oltre l’ilarità e,
nonostante tutto, Matthew si
ritrovò a sghignazzare insieme a lei.
“Guarda,
e ti prego di non dirglielo, ma tra me e me la chiamo la Tigra!“
“Appropriato”,
annuì, poi, inalberando una serietà improvvisa
continuò, “ma converrai con me
che abbiamo un caso difficile da risolvere. Sai, a quanto mi ha detto,
temo dovrai
farti un periodo di purgatorio, non so fino a che punto
precisato.”
“Figuriamoci,
sarebbe stato troppo bello se me la fossi cavata solo con quel diretto
alla
faccia. Comunque, se ha deciso di non venire più qui, faccia
pure.“ Replicò
cocciuto barricandosi nella convinzione della legittimità
delle proprie azioni.
Sconsolata
Kelly si chiese perché dovesse sempre trovarsi, suo
malgrado, a dover appianare
le questioni tra qui due immani duri di testa.
“Mi
deludi sai?” Cominciò con aria alquanto severa,
tanto che lui per la prima
volta sembrò assumere un contegno meno indolente.
“Innanzitutto perché Sheila ti
si sta dedicando anima
e corpo...”
“Corpo
non direi proprio!” L’interruppe salace.
“Non
fare il cretino e ascoltami fino in fondo.”
L’ammonì, seccata come non l’aveva
mai vista, al punto che, contrito, non fiatò più.
Del resto il sangue non era
acqua e quelle due si somigliavano più di quanto
supponessero.
“E’
stata molto in ansia per te e lo è tutt’ora. Sta
ignorando le sue occupazioni
per mettere te in
cima alla lista delle
sue priorità. E ritieni che questo sia una prova di
freddezza? Oppure credi che
lo faccia per una forma di contorta abnegazione verso un passato che
non c’è
più? Ritengo non ci sia bisogno di rispondere a queste
domande, il motivo è
chiaro come il sole e anche tu lo sai bene.“
“Mah,
mica tanto.” Bofonchiò con espressione colpevole,
tutto quel discorso lo stava
mettendo terribilmente in imbarazzo, facendolo sentire un autentico
pezzo di
merda.
“Ora,
mi rendo conto che al momento è come se ti trovassi davanti
una persona che non
conosci affatto e che il bagaglio dell’esperienza acquisita
sul suo carattere
ti venga meno. Ciononostante
potresti
usare un po’ di buon senso, ormai avresti dovuto capire che
mia sorella è una
persona a cui piace che le cose avvengano in una certa maniera, o
è troppo
chiedere un minimo di romanticismo da parte tua?”
“Che
Sheila fosse fuori dalla norma l’avevo afferrato,
eccome.” Ammise pacato, poi
scrollò le spalle e diede uno sguardo circolare
all’ambiente circostante, per
appuntarlo infine sulla sua interlocutrice, come a dire che in quel
contesto
sarebbe stato piuttosto difficile radunare rose e violini.
“Che vuoi che ti
dica? Forse, sarò stato troppo precipitoso, ma mettiti nei
miei panni. Insomma
Kelly, sei sua sorella e certi discorsi non dovrei farli con te,
però quando la
natura chiama, non sempre si può resistere.”
Sbuffò impacciato, ma con
determinazione andò avanti.
“E questo
discorso non vale solo per quel che riguarda i sensi, te
l’assicuro. Credimi
non è che quando sto con lei penso a quello per tutto il
tempo. Però capita e
dopo non posso far a meno di rifletterci. A
me parrebbe una cosa naturale tra due persone che, a quanto
mi si dice,
stanno insieme da un sacco...”
“Te
lo ripeto, tu dai per ovvi troppi particolari Matthew.”
Replicò con toni da
sfinge sebbene, quanto alla questione ne sapesse forse ancor meno di
lui. Ma
visto che entrambi c’avevano girato intorno senza essere
espliciti, poteva
permettersi di fare l’edotta, sebbene ci fosse ben altro che
le premesse
sapere. Tant’è, lasciò cadere
l’argomento e sparò la bordata.
“Piuttosto
permettimi di chiedertelo, ma tu ne sei innamorato?”
“Direi
di sì, visto che è la mia ragazza.”
“Eh
no cocco, risposta sbagliata. Non ti ho chiesto propriamente questo,
rifletti
bene. Sto parlando dei tuoi sentimenti attuali e quello che
è successo prima
non conta. La domanda verte indipendentemente da quello che
è stato.”
“Allora
non saprei che dirti, come si fa a capire quando si è
innamorati? Mi stai
chiedendo qualcosa di cui non ho cognizione.”
“Se
la metti così, non ti resta che rifletterci e molto
attentamente. Nei prossimi
giorni infatti ne avrai di tempo per farlo, tempo che passerai da solo
vecchio
mio. Pensaci e, quando avrai trovato le risposte, agisci di
conseguenza. Se ne
concluderai che lo sei, allora la prossima volta invece di saltarle
addosso,
prova prima a dirle quello che provi.
Solo dopo averlo fatto, eventualmente potresti lamentarti.
E non è
neppure detto. Dovresti avere più rispetto per i sentimenti
di Sheila, sai?
Bene ti saluto, ti lascio alla tua prolungata meditazione.“
Concluse
infilando la porta e lasciandolo lì, come un
baccalà, a grattarsi la testa e
chiedersi perché mai non si fosse risvegliato dal coma con
un sano istinto di
castità.
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Capitolo 11 *** 11 ***
“Che
palle.”
Affermazione
che riassumeva in sé, precisa e concisa, l’andazzo
degli ultimi tempi. In
effetti quest’espressione era diventata per Matthew un
intercalare ricorrente
e, come una cantilena, scandiva il trascorrere lento delle sue ore.
Tanto che al
segnale orario si poteva udire chiaramente il bip della sveglia, il
tocco della
pendola nell’atrio dell’ospedale e il suo sbuffo
scocciato seguito
immancabilmente da un che palle
declinato
con sfumature di noia sempre maggiori.
Era
trascorsa più di una settimana da quella maledetta scenata e
da quel momento in
poi la monotonia era diventata sua costante compagna, al punto che
progressivamente
aveva allungato i suoi tentacoli fino a togliergli il gusto per
qualsiasi
attività. Addirittura del sonno,
ecco
perché alle quattro del mattino, invece di dormire col
sedere per aria, stava a
sorbirsi come un coglione il fuoco e fila di menate che incessanti si
susseguivano sullo schermo.
Sospirò
nel buio della camera, spense la tv e si accucciò sotto il
lenzuolo nonostante
la canicola. Dio che silenzio, avrebbe dato qualsiasi cosa per avere
qualcuno
con cui parlare, ma i corridoi erano deserti e non gli andava neppure
di
chiacchierare con quel pivello di primo pelo che avevano messo di
guardia
quella notte. Anche per questo s’era ridotto a guardare le
televendite dei vibromassaggiatori
anticellulite, i sermoni religiosi della chiesa presbiteriana, urlati
da due
americani completamente fuori di testa e addirittura le lezioni di
astrofisica
comparata che un barbuto professore garantiva portassero alla laurea in
sole
diecimila lezioni. Praticamente tutta roba della quale non capiva un
accidenti,
ché cellulite non ne aveva, probabilmente era scintoista e
degli astri non
gliene fregava assolutamente nulla, salvo la lettura mattutina
dell’oroscopo.
Certo
a quell’ora il palinsesto notturno offriva ben altro, ma
saggiamente non
v’indulgeva giacché, supponeva a giusta ragione,
la visione d’un porno gli
avrebbe fatto più male che bene. Del resto i suoi guai erano
partiti tutti da quell’impulso,
senza contare che, col progredire della guarigione, la bestia gli si
stava
risvegliando in modo incontrollabile e non gli pareva assolutamente il
caso di
buttare ulteriore benzina sul fuoco. Già, ultimamente non
passava giorno senza che
facesse una figura di merda. Sconsolato guardò in direzione
della zona
incriminata pensando alle rassicurazioni ricevute in proposito dal suo
medico curante.
Non erano affatto riuscite a placarlo, del resto che poteva aspettarsi
da un
ultrasessantenne? Chiaro che per lui non si trattasse d’altro
che d’un segno di
buona salute e che considerasse quanto gli accadeva al risveglio una
semplice
questione idraulica.
Sarà, si disse perplesso. Intanto,
idraulica o no, le turbine del suo
acquedotto continuavano a girare ventiquattrore su ventiquattro ed era
teso
come una corda di violino. Persino con quella cozza
dell’assistente
dell’ortopedico si era ritrovato con un imbarazzante bozzo
sul davanti e
d’accordo che gli stava manipolando proprio i muscoli in
prossimità della zona
critica, ma possibile che fosse disperato fino a tal punto? Oltre al
danno poi
c’era stata pure la beffa, dal momento che, alla vista della
suo improvvido
irrigidimento, quella l’aveva esortato spiccia a non
imbarazzarsi, con un’indifferenza
che gli aveva fatto a brandelli l’amor proprio. In pratica,
l’aveva rassicurato
la donna, quello era un fenomeno del tutto normale in certe
circostanze, quindi
che la piantasse di agitarsi costernato, perché
non c’era assolutamente nulla di
straordinario. Bontà
sua che la vede
così, s’era detto allora tentando disperatamente
di non badare a quanto gli
stava succedendo al di sotto dell’addome. Fermo restante che
comunque aveva
usata proprio la parola adatta, perché, brutta
com’era, per provocargli quell’alzabandiera
si doveva assolutamente trattare di un fenomeno. Paranormale
presumibilmente.
Ma,
considerazioni estetiche a parte, non era stato affatto un bel momento
e per di
più gli aveva fatto suonare un preoccupante campanello
d’allarme, giacché una
domanda gli era sorta spontanea: com’era possibile infatti
che quello scorfano
la prendesse con tanta filosofia mentre la sua ragazza, a
parità di situazioni,
immancabilmente l’aveva legnato? Dipendeva forse dal fattore
avvenenza? In caso
affermativo poteva essere plausibile solo perché una
racchia, avendo meno
chance, di sicuro era più propensa a prendere qualsiasi cosa
passasse il
convento. Ma in caso negativo? Beh, qui si era arenato e ancora
continuava a
chiederselo. Alla fine era giunto alla conclusione che chi
poco ha, caro tiene, eppure, nonostante la saggezza di fondo,
c’era qualcosa che non tornava. Ché parimenti
poteva anche essere tutto il
contrario, in quanto il ritrovarsi in fregola per qualcuna, era
incontestabilmente un atto di gratificazione alla bellezza. Ergo Sheila
avrebbe
dovuto essere quantomeno lusingata dai suoi slanci, piuttosto che
reagire come
una bertuccia chiusa in un baule. Quanto a quella befana poi, come
minimo
avrebbe dovuto fare salti di gioia. Invece la prima aveva tentato di
staccargli
la testa e la seconda non ci aveva dato granché importanza. Quindi?
Io
le donne non le capirò mai, pensò sconfortato e
chiuse gli occhi nella speranza
che il sonno finalmente lo sopraffacesse. Ma aveva il sistema nervoso
talmente sovraccarico
che i pensieri continuavano ad andarsene per i fatti loro, incuranti
della sua
stanchezza. Si tirò su, incrociò le mani dietro
il capo e li lasciò liberi di
vagare a briglia sciolta.
“Forse
ha ragione il dottore”, si disse ad un certo punto,
“dovrei piantarla di farmi
domande e lasciar fare semplicemente alla natura.”
Lodevole
proposito, però non risolveva affatto i suoi problemi e,
quanto alla natura fattiva,
doveva aver incrociato le braccia in uno sciopero a tempo
indeterminato,
giacché Sheila si era data alla lunga latitanza e lui non
sapeva che pesci
prendere. Telefonarle? Come? E per dirle cosa poi? Le mancava da morire
certo,
però non gli piaceva affatto il modo altezzoso con cui lo
stava trattando. In
fondo lei poteva permettersi di fare il bello e cattivo tempo, ma lui
che
scelta aveva? Oltre al fatto che l’impressione generale era
quella che se ne
sbattesse altamente delle sue condizioni a fronte di quelle che
riteneva
motivazioni molto più importanti. E aveva un bel dire Kelly
con tutti i suoi
discorsi sull’amore, ma intanto la realtà era
questa e continuare a farsi
trattare da bamboccio di certo non l’avrebbe migliorata.
“Un
po’ di dignità e che cavolo!” Si disse e
si riaccomodò sul materasso, assolutamente
determinato ad addormentarsi stavolta. Ma non gli riusciva e ogni
espediente, dal
mettersi a pancia in giù, allo stringere il cuscino tra le
braccia, aveva
l’unico risultato d’innervosirlo ancora di
più. Anzi, quest’ultimo escamotage si
stava rivelando essere il peggiore poiché, non appena
cingeva quella forma
vagamente muliebre e morbida, all’istante si ritrovava
involontariamente a pescare
nel torbido delle sue fantasie.
“Ma
porca Eva!” Imprecò spazientito mollando la presa.
Incrociò le braccia al
petto, chiuse nuovamente gli occhi, ma invece di rilassarsi,
ripensò a quanto
gli aveva intimato la sua bella in proposito. E anzi, per meglio
sottolinearsi
il concetto, si mise pure a farle il verso, imitandola con toni
striduli e
broncio offeso. Il che provocò, nel il medico di turno che
di là passava di ritorno
dalla toilette, una certa apprensione. Infatti l’uomo,
transitando a portata
d’orecchio, udì chiaramente una voce assai
equivoca affermare: “Se è questo che
vuoi da me, te lo puoi scordare Matthew. Io me ne vado e tu arrangiati!
Anzi,
sai che ti dico?
Neanche le pippe puoi farti pensando a
me!”
E su
quest’ultima frase il dottorino cacciò la testa
all’interno
scrutando con attenzione l’ambiente. In effetti si aspettava
di trovarci di
tutto, l’occupante di quella stanza infatti aveva pessima
fama, si diceva in
giro che fumasse e bestemmiasse come un turco, oltre al fatto che
facesse il
gallo con qualsiasi gonnella. Di conseguenza, si era detto il
giovincello
preoccupato, era il caso di accertarsi al di là di ogni
dubbio con chi o cosa
stesse parlando. Anche perché, ne aveva concluso accendendo
tutte le luci, un
individuo del genere non si sarebbe fatto scrupolo alcuno di far salire
di
sopra un travestito. Pure pareva non ci fosse nessuno e i due si
fissarono per
mezzo minuto senza emettere suono. Matthew aveva davanti a
sé uno sbarbato alle
prime armi che aveva tutta l’aria di essere assai ansioso e
di non sapere
assolutamente che fare. Per contro, l’altro si ritrovava di
fronte un
marcantonio, non si sa fino a che punto inoffensivo, nonostante gli
arti
ingessati, dagli occhi iniettati di sangue, la chioma arruffata, il
pallore
diffuso ed in un manifesto stato d’irrequietezza.
“Tutto
bene?” Chiese cauto, sperando che il camice potesse
proteggerlo e tastando il muro alla ricerca del campanello
d’emergenza per
averlo a portata di mano in caso estremo.
Per tutta risposta, e con suo gran sollievo, tutto quello
che ne
ricevette fu un cenno che chiaramente l’invitava ad andarsene
e svelto se la
filò.
“Ora
sì che ho fatto il pieno”, pensò
Matthew spegnendo le luci e raggomitolandosi
fin dove gli era possibile, “dopo essermi beccato del
maniaco, ci mancava solo
che mi prendessero per pazzo!”
Nonostante
tutto però gli venne da ridere, tanto che rilassò
i muscoli e restò addirittura
per un intero minuto nella stessa posizione. Ma non poteva durare, il
tarlo che
lo rodeva infatti riprese immediatamente possesso dei suoi pensieri e
arrivederci
alle cullanti braccia di Morfeo. Si voltò, si
rivoltò, sbuffando si tirò il
lenzuolo sul capo e subito dopo lo buttò all’aria,
infine aprì un occhio e
guardò ferocemente le cifre in rosso che la sveglia digitale
continuava a
sbattergli in faccia senza alcun rispetto per la sua insonnia.
“Porca miseria”,
brontolò tirando un pugno nel guanciale, “ma
quando viene mattina?”
Ma
se pure avesse fatto giorno subito, si disse arrendendosi e riaprendo
gli occhi,
che sarebbe cambiato? Niente di niente, sarebbero state solo altre
ventiquattrore da riempire bivaccando dal letto alla sedia, ciondolando
dalla
tv alla radio, dal distributore di caffè ai controlli giornalieri. Senza contare che,
ogniqualvolta sentiva il
suono degli stramaledetti tacchi di qualcuno in corridoio, non poteva
evitare
di protendersi verso la porta tutto speranzoso e con
un’espressione che si
poteva immaginare uguale a quella d’un coglione.
“Merda!”
Fece ribaltandosi supino. Com’era che, pur ritenendosi nel
giusto, si ritrovava
preda ad una frustrazione cui avrebbe potuto dare non solo nome, ma
pure
cognome, nonché forma, voce e profumo?
“Bello
schifo.” Ne concluse sfiduciato e faticosamente si
tirò su, raccattò la
stampella e a passi strascinati si portò sul balcone. Una
volta lì continuò nel
suo soliloquio, rifiutando di concedersi qualsiasi ammissione potesse
dargli
pace ed attribuendo testardamente il suo abbattimento alla calura che
persisteva
persino sulle soglie dell’alba. Da qualche parte
sotto la massa
scapigliata di capelli una voce insistentemente gli suggeriva di
lasciar
perdere, ma decise d’ignorarla e, poggiandosi alla balaustra,
si accese una
sigaretta. Al secondo tiro un’espressione disgustata gli
deformò le labbra.
“Porco mondo”, inveì, lieto che per
qualche momento potesse finalmente
indirizzare il malumore su qualcos’altro, “sembra
mi sia ciucciato l’intero
posacenere.”
Quante
ne aveva fumate quel giorno? E quante dacché… non
da quella lite, ci
mancherebbe, come se poi gliene fosse fregato qualcosa. No, no, semmai,
se
proprio si voleva cercare il pelo nell’uovo, ecco, quante ne
aveva fumate
dacché aveva persuaso uno degli infermieri a
comprargliele?
“Mm.”
Mugugnò accarezzandosi il mento ispido nel tentativo di
farne un approssimativo
conto. Ma la matematica non era mai stata il suo forte,
perciò, a dispetto
d’ogni intenzione, finì dritto, dritto a valutare
per l’ennesima volta il
discorsetto che Kelly gli aveva fatto l’ultima volta che
s’erano visti. Certo
doveva avere le sue buone ragioni per parlare a quel modo, pure,
nonostante ci
stesse mettendo tutta la sua buona volontà, né
volesse volutamente ignorare gli
spunti che gli aveva graziosamente porto, proprio non gli riusciva di
venirne a
capo. Sapeva solo
che, al di là delle
incomprensioni sentimentali,
restava il
fatto che presto l’avrebbero dimesso e che era chiaro quanto
avesse bisogno
d’una mano per districarsi in tutte quelle circostanze. Un
dettaglio che a
quanto pareva non tangeva più di tanto la sua amorevole
fidanzata, altrimenti
non l’avrebbe fatta tanto lunga. E okay, magari col suo
comportamento le aveva
potuto mancare di rispetto, ma com’è che quando
lei assumeva un atteggiamento
insensibile aveva dalla sua tutte le attenuanti del caso e lui manco
mezza? Voleva
metterla su quel piano? Beh, allora che facesse pure, ché
non aveva nessuna
voglia di mendicarne l’aiuto. Né a lei,
né a nessun’altra componente della
famiglia Punti Perfetti, che parevano agire sempre in modo da farlo
apparire
come un individuo di mezza tacca. Era stufo e non intendeva mandare a
puttane quel
po’ di dignità che ancora gli restava. Anche a
costo di rompersi le corna a
furia di cazzate.
“Kelly
può dire quel che accidenti le pare.” Ne concluse
rientrando e ingollando due
pastiglie di sonnifero. “Ma con le pezze al culo ci sto io e
se Sheila ha
scelto di fregarsene, io faccio altrettanto.”
Una
risoluzione questa che, unita all’azione dei barbiturici,
finalmente lo fece
cadere in uno stato di catalessi dalla quale emerse a mattino inoltrato
e con
le idee molto più chiare. Tanto
che,
appena sveglio, attese pazientemente che si facesse ora di pranzo e
telefonò ad
Alice. L’unica persona, si disse mentre ascoltava impaziente
gli squilli, cui
poteva rivolgersi e sulla quale ancora
poteva contare. O perlomeno lo sperava, giacché, e se ne
rendeva conto soltanto
adesso, cosa che gli dava un vago senso di colpevolezza, anche se non
sapeva
proprio spiegarsene il motivo, era da un bel pezzo che non si vedevano,
né lui
se n’era preoccupato. Chissà forse era stata
troppo occupata col lavoro per
andarlo a trovare. E quando glielo chiese, dopo i saluti ed i
convenevoli di
rito, Alice, che non era affatto rimasta colpita dal
quell’improvvisa chiamata,
gli rispose chiaro e tondo che l’aveva volontariamente
evitato perché non le
garbava affatto l’eventualità di potersi
incontrare con una qualunque delle tre
sorelle. Ma, aveva continuato senza dargli la possibilità di
aggiungere altro,
visto che da quella telefonata era facile evincere che
nell’attuale non ne corresse
il pericolo, sarebbe passata a trovarlo quello stesso pomeriggio.
“Allora,
ti sei stufato di fare l’amorevole piccioncino?” Lo
apostrofò, per
l’appunto, varcando la soglia qualche ora dopo. Matthew si
rattrappì contrito nel
suo letto di dolore, entrando Alice l’aveva squadrato da
sopra agli occhiali in
modo che tutto era, tranne che promettente. Ciononostante aveva le
braccia
cariche di generi di prima necessità quali sigarette,
stuzzichini assortiti e
prodotti vari d’editoria, cosa che gli ridiede un
po’ di fiducia riguardo a
quanto poteva dirle. Effettivamente si aspettava una paternale senza
fine, tuttavia
quelle erano chiare offerte di pace, quindi fu facendole un premuroso
gesto di
benvenuto che le rispose, ma non prima di averle scoccato un ruffiano
sorriso.
“Tu
sì che hai la vista lunga e mi sa che lo sapevi fin dal
primo momento come
sarebbe finita.”
Pur
segretamente compiaciuta da quella chiara attestazione di merito, la
donna
comunque non si fece fregare, ché non era proprio il tipo da
cedere a certe
moine, per cui ci tenne a mettere immediatamente i puntini sulle i.
“Sentimi
bene vecchio mio”, cominciò con tono di
rimprovero, “non m’interessa quello che
è successo tra te e quella,
ma come
ti stai comportando con me non mi piace affatto. Prima mi scarichi di
brutto e
poi, quando la tua amichetta ti manda a spasso, mi richiami disperato?
Questo
si chiama sfruttamento, sai?”
“Alice”,
ribatté pungente, nonostante quell’accusa
contenesse molto di più che un
fondamento di verità, “se la pensavi
così, potevi anche dirmelo a telefono.
Ora”, continuò con calma, ma in modo da essere
inequivocabile, ché davvero ne
aveva fin sopra la cima dei capelli, “se vuoi darmi una mano
te ne sarò
eternamente grato. In caso contrario, evitati la predica,
ché non ne posso più di
femmine che mi criticano per qualsiasi cosa faccia.”
“Ma
che faccia tosta!” Ribatté incurante di quelle
lamentele e perlopiù maldisposta
verso quel maldestro tentativo di rivalsa. Ma poi, considerato che
Matthew non
ce l’aveva con lei e che, anzi, le stava implicitamente
chiedendo venia quale
sua ultima ancora di salvezza, decise di tagliar corto.
“Veniamo a noi,
d’accordo?”
“Sì
che è meglio.” Rispose l’altro
soffocando a stento un sospiro di sollievo per
lo scampato pericolo.
“Dopo
che ci siamo sentiti mi sono attivata per verificare lo stato attuale
delle tue
finanze. Fortunatamente negli archivi di polizia sono ancora
consultabili le
copie dei tuoi documenti, altrimenti sarebbe stato un processo
parecchio
difficoltoso. Inoltre mi avevi dato delega quale esecutore
bancario in tua
assenza, perciò non ho avuto problemi ad accedere ai dati
del fondo di
previdenza.”
“Molto
bene.” Fece compito, per la verità non ci aveva
capito più di tanto e non sapeva
che altro dire, ma davanti ad una simile efficienza era quantomeno
doveroso
mostrarsi impressionato.
“Dunque”,
continuò Alice come se non l’avesse affatto
interrotta, “ufficialmente fai
ancora parte del corpo di polizia, anche se per il momento risulti in
congedo
per malattia. Il che vuol dire che per tutto il tempo hai continuato a
percepire lo stipendio, più
un’indennità mensile per incidente sul
lavoro.”
Detto ciò fece una pausa e gli mostrò una
distinta dei relativi conti. Matthew,
per farla contenta, finse di studiarseli attento, dopodiché
la fissò
interrogativo.
“Detto
in parole povere?”
Alice
levò gli occhi al cielo e s’ingiunse, per
l’ennesima volta dacché s’erano
conosciuti ai tempi lontani del commissariato, a portare pazienza.
“Significa che depositata sul tuo
conto corrente c’è una
somma considerevole e che per il momento non hai di che preoccuparti
per il tuo
mantenimento.”
“Menomale.”
Ripose sollevato, ma Alice, che detestava sovra ogni cosa il lassismo e
che
trovava la sua propensione alla fannullaggine detestabile,
frenò subito quei
moti.
“Non
credo mio caro, certo al momento rientri ancora nei tempi previsti per
il
congedo sanitario, ma se il tuo stato dovesse prolungarsi, saresti
costretto a
lasciare l’incarico. Questo significa che devi darti da fare
non solo per
guarire, ma anche per trovarti un’altra
occupazione.”
A
fronte di questa eventualità Matthew
s’accigliò e mugugnò qualcosa
d’intelligibile, tanto che la donna ritenne opportuno non
insistere oltre
sull’argomento. Del resto il male da cui era affetto era
talmente imprevedibile
che nessuno, lui per primo, avrebbe potuto dargli una definizione
temporale. E
se era inutile pretendere in questo momento una qualsivoglia iniziativa
da
parte sua, in ogni caso riteneva suo dovere fargli notare
l’inutilità dello
starsene con le mani in mano, ché vivacchiare in attesa di
tempi migliori era
un giochetto cui si era già prestato e gli esiti erano stati
pessimi. Ad ogni
modo ora che gliel’aveva detto, potevano passare al punto
successivo.
“Per
quanto riguarda il domicilio, come ebbi a dirti tempo fa, possiedi un
appartamento. Certo non è una reggia, ma è
comunque un tetto.”
“Una
casa piccina picciò. Chissà perché, ma
me l’immagino un buco maleodorante,
disordinato e pieno di scarafaggi.” Replicò
disfattista, quella conversazione tutto
stava facendo, tranne che metterlo di buonumore .
“Oh,
è stata maleodorante e disordinata finché ci sei
vissuto. Topi e scarafaggi ne
hanno preso possesso dopo.” Precisò Alice con
tagliente ironia. Poi, onde evitare
di dargli ulteriore modo per crogiolarsi nelle sue inquietudini,
continuò:
“Comunque piantala di fare il frignone e pensa ai vantaggi.
Hai vissuto là per
tanti anni ed è probabile che tornandoci qualcosa si smuova.
Che ne sai che il
contatto con i tuoi oggetti quotidiani non ti possa aiutare?”
“Sei
sprecata come poliziotta, secondo me dovresti vendere pentole e
materassi in tv.”
Affermò per tutta risposta, ma Alice non era affatto il tipo
di donna da lasciarsi
intimidire da un po’ di sarcasmo.
“Quanto
al fatto che è stata abbandonata per tanto tempo”,
insisté imperturbabile, “basta
che mi dica quando sei fuori di qui e nel frattempo manderò
un’impresa di
pulizie a fare lo sporco lavoro.”
“Hai
ragione scusami.” Ammise infine dopo che averci pensato un
po’ su. In fondo Alice
non poteva farci nulla se gli si prospettava un eremo spoglio e triste.
Piuttosto
si stava prodigando in tutti i modi, nonostante l’avesse
trattata come una
pezza da piedi. “Mah, credo che per il weekend potrei
già essere là. Hai anche
le chiavi?”
“No,
ma so dove procurarmele.”
“Bene.“
Fece fissandola riconoscente, poi prese il coraggio a due mani e disse
quanto
andava detto. “Sai forse me ne rendo conto solo adesso, ma
stai facendo davvero
molto per me e sono certo che l’abbia fatto spesso in
passato. Insomma, quel
che intendo dire è che non basterebbe a ringraziarti neanche
un milione di
volte, soprattutto perché nulla ti obbliga.”
“Siamo
amici no?” Lo interruppe lei arrossendo visibilmente,
ché certe manifestazioni
la mettevano molto a disagio e peggio che mai quando provenivano
dall’unico che
era stato capace di far breccia nella sua inespugnabile corazza.
“Certo,
i migliori amici che ci possano essere.” Replicò
Matthew sorridendole amabile e
del tutto ignaro degli altarini d’un tempo, per non parlare
del possibile fuoco
che ancora poteva covare sotto la cenere. Ma Alice era stata molto
attenta a
non tradirsi e non c’era ragione che qualcuno potesse
sospettare. “Mi
piacerebbe ricambiare in qualche modo. C’è
qualcosa che posso fare per te?”
“In
un certo senso.“ Fu la risposta ambigua che ne ebbe. Alice
Asatani infatti
prima di pensare come una donna badava particolarmente a ragionare da
detective
e da tempo si stava chiedendo se fosse il caso di azzardare una
determinata mossa.
Non si trattava solo di decidere se
quello che stava per fare fosse giusto, giacché non aveva
nessun dubbio quanto
a quello e non solo per una questione di etica professionale ed umana.
Fermo
restante che era convinta che quanto si proponeva avrebbe potuto
aiutarlo a
ricordare. In ogni caso il vago timore che fino a quel momento
l’aveva sempre
indotta a fermarsi ormai era superato e ora si trattava solo di farlo,
smettendola
di cincischiare e rimandare all’infinito. Pure, ancora si
chiese se se la sentiva
di rischiare l’apparente tranquillità di un amico
perché la legge potesse
seguire il suo corso.
“Dopotutto,
se decido di sì, non ne uscirei meglio di quella sfacciata
ipocrita.” Pensò riferendosi
a quelle che in cuor suo aveva da anni appurato essere le
falsità di Sheila.
Irrigidendosi se la rivide davanti, compiaciuta e tronfia
com’era sempre stata
e come seguitava ad essere, e risoluta si decise.
“E’ mio dovere ed è giusto
che anche lui scopra la verità.”
Quindi
frugò nella borsetta e ne estrasse una delle tante prove
indiziarie che insieme
avevano raccolto e catalogato. Da tempo l’aveva prelevata
dall’archivio della
sezione criminale ed oggi finalmente gliela mostrava. Era un rettangolo
di
carta rigida, bianco e lucido, sul quale spiccava il disegno stilizzato
di una
testa felina. Ovvero uno dei singolari biglietti di preavviso che Occhi
di
Gatto aveva l’abitudine di recapitare al loro distretto prima
d’ogni azione
criminosa.
“Ti
ricorda niente?” Gli domandò piazzandoglielo sotto
il naso e ripensando
a tutte le volte
che ne avevano avuto tra le
mani uno. Matthew lo prese o lo soppesò con espressione
blanda. Era palese che
Alice ci teneva molto, tanto che subito si rimangiò quanto
stava per dirle, ché
se avesse potuto parlare senza urtare la sua suscettibilità,
le avrebbe chiesto
senza remore che accidenti fosse quella stronzata. Pure, mentre
osservava quel
coso solo per compiacerla e senza alcun reale interesse, man a mano che
gl’istanti
passavano, si ritrovò seriamente concentrato. Avvertiva
infatti il destarsi improvviso
dell’attenzione e non era una sensazione ingannevole come le
altre volte, no,
stavolta percepiva chiaramente un qualcosa agitarsi nel fondo della sua
mente e
si sentiva esattamente come qualcuno che abbia una parola sulla punta
della
lingua, ma incapace di pronunciarla. Non fece un gesto né
articolò parola,
continuava semplicemente a fissare insistente quell’oggetto,
quasi a volerne
spremere con la sola forza di volontà, tutte le risposte che
disperatamente
stava cercando. Non poteva sbagliarsi, quel curioso biglietto lo
rapportava a
qualcosa che non poteva definire, ma che dentro la testa gli stava
scatenando
un tumulto. Per timore che quella fugace percezione potesse
interrompersi
continuò insistito a fissarlo finché presero a
dolergli gli occhi, ma non ci
badò, né distolse lo sguardo. Non aveva nessuna
intenzione di mancare il momento
in cui, ne era certissimo, una traccia qualsiasi della sua
vita ne
sarebbe emersa.
Tremante
socchiuse le labbra come a voler parlare, ma tutto quello che ne
uscì fu un
singulto strozzato. Improvvisamente una fitta tremenda gli
trapassò le tempie e
quanto aveva preavvertito in precedenza si mutò in una
pulsazione martellante che
pareva volesse spaccargli il cranio in mille pezzi. Pazzo di dolore e
frustrazione
si portò le mani al capo e prese a gemere.
A
questa vista Alice balzò in piedi preoccupata e a gran voce
chiamò aiuto.
Subito accorse un’infermiera che, innanzi allo spettacolo del
paziente che si
teneva la testa lamentandosi e scuotendosi, senza indugio gli
somministrò
un forte sedativo. L’effetto fu immediato, ma per sicurezza
fu fatto stendere e
gli fu applicata una flebo supplementare che a poco a poco lo
calmò fino a
farlo assopire.
Durante
tutto quel trambusto Alice se n’era rimasta in disparte per
non intralciare il
lavoro dei sanitari, intanto però il suo abituale raziocinio
ne stava uscendo
piuttosto scosso, ché mai avrebbe immaginato le sue azioni
avessero potuto scatenare
una reazione tanto forte, oltre che repentina. Concitatamente
scansò quelli che
suppose essere sensi di colpa e si concentrò su quella che
doveva essere la sua
mossa successiva. Ché ormai era fatta, aveva piantato un
cuneo indelebile in
quella terra di nessuno e non aveva più senso chiedersi se
la necessità
giustificava i mezzi. Solo voleva rassicurarsi che stesse bene, almeno
questo.
Perciò parlò a lungo col medico che
l’aveva in cura e restò lì a vegliarlo
mentre scivolava in uno stato d’incoscienza che tanto torpida
non doveva
essere, giacché di tanto in tanto continuava a dimenarsi,
stringeva i denti e sembrava
in balia di un’agitazione che lei stessa aveva
volontariamente provocata. Sì,
non c’erano dubbi, gli stava facendo del male e ne era
responsabile. Ma, cosa
che riteneva molto più importante, finalmente nella
coscienza di Matthew qualcosa
stava sedimentando, presto sarebbe uscita allo scoperto e lei era certa
di non
avere nulla di cui rimproverarsi.
In
quegli stessi giorni a casa
Tashikel, e nell’omonima
galleria, tutto pareva andare avanti
come al solito. Nondimeno, andando al di là delle mere
apparenze, era palese
che Sheila stava facendo finta di nulla e che le sorelle la stavano
pazientemente
assecondando, allo scopo neanche troppo occultato, di non forzarle la
mano. Ché
entrambe conoscevano fin troppo bene la testardaggine asinina da cui
Sheila era
affetta. Di conseguenza, prendendo
debito
spunto dalle precedenti esperienze, Kelly e Tati di comune accordo
avevano deciso
che sarebbe stato preferibile lasciarla cuocere nel suo brodo fintanto
ne
avesse avuta voglia.
In
un certo senso ignoravano a quanto ammontasse la somma dei giorni
necessari
perché ciò avvenisse, ma nel frattempo stavano
portando avanti una serie
d’insistite e sibilline intromissioni che, a tempo debito,
speravano avrebbero
dato frutto. Comunque la stessa Sheila pareva quasi matura per essere
colta. Ah
certo, davanti a loro badava a mostrarsi efficiente e piena di vita
come al
solito, peccato però che, quando si credeva inosservata,
tirasse dei frequenti
sospironi ed assumesse un’aria a tal punto depressa che alle
sorelle veniva
un’irresistibile voglia di prenderla e scuoterla come un
tappetino da bagno. Un
nonnulla poi era sufficiente a farle perdere le staffe, per cui
ultimamente le
liti erano state parecchio frequenti tra quelle mura. Non ultimo,
appena pochi
giorni prima e sempre a causa dei ghiribizzi dell’artista
russo, per poco non era
successo l’irreparabile. Tuttavia aveva minacciato
l’uomo di prenderlo per la pelle
delle ginocchia e di lanciarlo fuori dalla sala esposizioni, per poi
ripetere
la medesima operazione con le sue pompose installazioni, se non
l’avesse piantata
immediatamente di darle il tormento con le sue pretese assurde. Col
solo risultato
che il russo adesso faceva l’offeso, nonché il
prezioso, e che il vernissage
che avevano programmato da tempo, e che si sarebbe dovuto tenere di
lì a poco,
poteva saltare da un momento all’altro.
Era
chiaro come il sole quindi che ormai l’irritazione per il
gesto improvvido di Matthew,
a furia di nostalgia e rimpianto, le era quasi passata. Quel che le
sorelle ignoravano
però, era che invece che dileguarsi la sua rabbia si era
diversificata e aveva
preso tutt’altra direzione. E quel che le stava rodendo il
fegato a posteriori
era la riflessione sul fatto che il suo sedicente fidanzato, nonostante
quel
che andava millantando, la stava bellamente e apertamente ignorando. Oh
certo, ammetteva
con sé stessa che gli sarebbe stato alquanto difficile
rintracciarla, in quanto
non sapeva il suo indirizzo né il numero di telefono.
Tuttavia, stando a quanto
le aveva detto Kelly (che ad arte aveva lasciato cadere con falsa
noncuranza
quella bomba inesplosa) riferendosi all’ultima volta che si
erano visti, pareva
che Matthew alla prospettiva della sua devastante furia non si fosse
agitato
più di tanto. Dettaglio questo che aveva dato la stura a
tutta una serie
d’incertezze cui Sheila faticava a star dietro, al punto che
successivamente avrebbe
voluto chiedere alla sorella spiegazioni meglio particolareggiate in
proposito.
Di più, le sarebbe bastato pure la ripetizione dei soli
fatti parola per
parola, giusto in modo d’appurare d’aver capito
senza nessuna possibilità d’equivoco.
Ma, naturalmente, l’orgoglio gliel’aveva impedito e
non aveva avuto il nerbo di
cedere a quella tentazione, con il solo risultato di non far altro che
macerarsi nell’incertezza per giorni e giorni.
Cosicché,
il mattino successivo al pomeriggio in cui Asatani si era recata in
ospedale e
aveva provocato quel casino, lei se ne stava accoccolata sul divano,
stringendo
un cuscino tra le braccia e con un’espressione talmente
afflitta, che Tati
vedendola decise fosse giunto il momento di farla finita.
“Senti
Kelly“, fece entrando a passo di carica nella camera della
sorella maggiore, “non
ti pare che dovremmo parlarle?”
“Non
mi piace veder soffrire Sheila, Tati.” Affermò la
più grande meditabonda. “Ma
ti confesso che per la prima volta in vita mia non so come gestire la
situazione.”
“Beh,
allora lascia fare a me.” Rispose risoluta. Fino a quel
momento infatti Kelly le
aveva sistematicamente impedito di metterci bocca, esortandola a
rimandare ed
avere pazienza. Ma Tati era un carattere impulsivo, non conosceva
ponderatezza
e soprattutto si era stufata di camminare sulle uova. Quindi non attese
risposta e ritornò in salotto, seguita a ruota da una Kelly
lieta, perché una
volta tanto le veniva demandato l’onere e il bastone del
comando passava in
mano altrui.
Una
volta là, senza tanti complimenti, la piccola si
parò davanti alla sorella, che
ancora stazionava sul divano, anche se al suono dei loro passi aveva
dissimulato l’espressione affranta e nel frattempo aveva
preso a sfogliare una
rivista con fittizio interesse, e iniziò il discorso che da
tempo aveva nel
gozzo.
“Ehi
Madama Butterfly è ora di piantarla con questo
strazio!” L’apostrofò con le
mani sui fianchi. Sorpresa dal tono contrariato della ragazza Sheila
fece tanto
d’occhi, ma Tati non se lo diede per inteso e
continuò: “Dico a te Cio-Cio-san!”
“Ma
che stai dicendo?” Esclamò a questo punto
alzandosi ed assumendo a bella
posta un’aria indifferente.
“Sto
dicendo che stare qui ad aspettare come una geisha disperata
è tempo perso! E aggiungo
pure che l’unico fil di fumo che vedrai levarsi un bel
dì, sarà quello che
s’alzerà dal tuo cervello per il troppo pensarci.
Datti una svegliata!”
“Tati”,
rispose sarcastica, con una calma più ostentata che altro,
“se sei stata al
teatro dell’opera e vuoi farmelo sapere, non è
questo il modo.”
“Oh
no, altro che opera. Quello che volevo dirti, anche se ormai
l’avresti dovuto
capire da un bel pezzo, è che sarà alquanto
improbabile vedere Matthew arrivare
qui strisciando sulle braccia come un vietcong. Quindi sorella cara,
perché non
la pianti e vedi quello che devi fare?” Concluse pestando un
piede atterra. E
fu una specie di segnale, giacché Sheila perse completamente
la compostezza e
cominciò finalmente a risponderle per le rime.
“Oh,
ma davvero? E dall’alto della tua vastissima esperienza nelle
questioni di cuore,
che cosa mi consiglieresti di fare?”
Domandò con evidente ironia inarcando
un sopracciglio. Ma le reazione che si era aspettata a quella
provocazione non
venne, anzi, la piccola di casa riuscì a spiazzarla ancora
una volta in quanto,
mentre pareva che fosse lì, lì per risponderle
con impertinenza e cominciare
una discussione con tutti i crismi, assunse un tono assennato e
provò a farla
ragionare.
“Avanti,
non è la prima volta, né sarà
l’ultima, che tu e quell’altra testa di
legno andate a scontro. Va bene ti sei arrabbiata, ma di tutta questa
faccenda
non hai considerato i lati positivi.”
“Ma
davvero?” Motteggiò Sheila la quale,
più che irritata, a questo punto cominciava
a sentirsi parecchio incuriosita.
“Certamente.”
Replicò Tati annuendo, quindi gettò
un’occhiata a Kelly e, ricevutone il tacito
assenso, continuò: “Hai mai pensato al fatto che
la totale mancanza di
sdolcinatezza da parte del tuo fidanzatino è corrispondente
ad un’altrettanta
scarsità d’esperienza?”
In
effetti Sheila non ci aveva mai pensato, ma ora che la sorella glielo
stava
chiedendo in modo così convincente, forse era il caso di
cominciare a
rifletterci. Per la verità non sapeva che risponderle,
perciò Tati si senti
spronata ad andare avanti. “Questo secondo me non fa altro
che confermare che
dopo di te c’è stato il nulla.”
“Non
esserne troppo sicura”, buttò lì
beffarda per il solo gusto della polemica, “ho
il sospetto che Matthew sarebbe un impedito anche dopo essersene uscito
da un
corso intensivo di sei anni in un gineceo!”
“Balle,
si tratta proprio di questo. E poi se ci pensi”, aggiunse
cominciando a
ridacchiare, “saltarti addosso è una
dimostrazione di carenza prolungata.
Fai due più due sorellina che non è
difficile!”
“Forse
Tati non ha tutti i torti.” S’intromise Kelly prima
che quest’ultima sciupasse del
tutto l’effetto del suo discorso a suon di battutine
spudorate. “E non mi
meraviglierebbe più di tanto neppure sapere che sul serio
abbia continuato a
pensare a te durante tutto il tempo in cui siete stati separati. E poi
renditi
conto che maldestro era prima, figuriamoci adesso che è
più confuso che mai.”
“Ecco
che ricominci a difendertelo neanche fosse un dono dal
cielo!” Ribatté Sheila
non ancora disposta a cedere. Per la verità avrebbe voluto,
ma perché ne uscisse
con la dignità intatta, occorreva che insistessero un altro
po’. E Kelly, che
conosceva bene i suoi polli, murò a rete
quell’obiezione ribattendogliela
all’istante.
“Dovresti
perdonarlo e passarci sopra una volta per tutte Sheila.”
Consigliò giudiziosamente,
dopodiché le scoccò uno sguardo malizioso e
aggiunse: “Naturalmente non in quel
senso, anche se di sicuro taciterebbe per sempre ogni
lamentela!”
“Che
fai, ti ci metti anche tu adesso?” Inveì stizzita
per nascondere l’imbarazzo,
intanto che Tati cantava a gola spiegata Sono
una donna, non sono una santa, non tentarmi, non sono una santa. Kelly
eroicamente riuscì a mantenere un contegno serio, ma la voce
aveva forti tracce
d’ilarità quando le domandò:
“Non intendi riconciliartici?”
“Sì,
certo.” Ammise infine sospirando. Lo stesso sospiro di
sollievo che non
poterono impedirsi di tirare entrambe le sue sorelle. Ovviamente se ne
accorse,
ma, visto che le premeva di più sapere quanto fino a quel
momento si era negata
di chiedere, finse di non averci fatto caso. “Ma a te
precisamente cosa ha
detto?”
“Molte
sciocchezze e qualche verità.” Affermò
Kelly incoraggiante, poi le passò un
braccio rassicurante attorno alle spalle e aggiunse: “Ma mi
ci gioco quel che
vuoi che in questo preciso istante muore dalla voglia di vederti e si
sta
dannando l’anima per trovare un modo per farlo.”
E
c’è di più “,
esclamò Tati con aria saputa, “chi ti dice che
Asatani non gli
stia girando intorno a cerchi sempre più stretti peggio di
uno squalo? Senza
contare quella dell’impronta di rossetto. Fossi in te, mi
darei una mossa.”
Concluse allusiva rimettendosi a cantare quel motivetto evocativo.
“Ma
figuriamoci, hai fatto due esempi pessimi.”
Replicò Sheila alzando il mento e
mettendosi involontariamente in posa, come a dire che rispetto a lei si
trattava di due nullità.
“Già,
ma intanto loro sono là e chissà che sta
succedendo.” Insinuò Tati con ironica
malafede, per poi assestarle la botta finale: “Inoltre, se ho
fatto bene i miei
calcoli, tra un po’ dovrebbe esserne fuori. Dì,
come la metti se una volta
uscito se ne va di nuovo per la sua strada?”
“Va
bene, va bene!” Sbottò capitolando e levando le
mani in segno di resa. “Ci vado
e spero tanto che adesso sarete contente!” Affermò
enfatica evitando
d’incrociarne gli sguardi dopodiché, senza
aspettare risposta, se ne andò in
camera sua a cambiarsi. A ques’uscita da tragica primadonna
Kelly e Tati si
guardarono sogghignando e cominciarono a ridere senza
riuscire a fermarsi
per un bel pezzo.
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Capitolo 12 *** 12 ***
Così
fu che, tutta trepidante e piena di buoni propositi, tra cui
principalmente
quello di fumare il calumet della pace, l’indomani Sheila di
buon’ora e
acchitata di tutto punto si recò in ospedale.
Per
la verità ci aveva messo più del suo solito per
prepararsi e, considerato che
il suo solito già normalmente consisteva in un tempo
considerevole, diciamo
pure che ci aveva impiegato quasi tutta la mattina. Poco male, tanto
prima
delle 11 ogni accesso era proibito.
Ad
ogni buon conto, visto che aveva letto da qualche parte che il senso
più primitivo
e più facile alla ricezione degli stimoli esterni
è l’olfatto, per meglio
predisporre il suo uomo ad una tregua e a non fare il difficile, si era
cosparsa a due mani di profumo francese. Inutile aggiungere che ogni
boccetta ne
conteneva un quantitativo minimo, perciò ne aveva usate
parecchie e che a conti
fatti olezzava come il boudoir di una cortigiana.
Cosa
questa che veniva viepiù confermata
dall’abbigliamento scelto per l’occasione,
poiché,
al momento di aprire l’armadio s’era chiesta: quale
stagione consentiva di
essere audaci come l’estate? Indi aveva messo la gonna
più mini che aveva,
quella ai limiti estremi della decenza, e una tunica che pareva
abbastanza
casta, sebbene le avesse uno spacco vertiginoso che le scopriva tutta
la
schiena.
Insomma,
per farla breve, aveva buttato alle ortiche parte del suo atteggiamento
pudico
e si era a bella posta predisposta a stordire e disorientare Matthew.
Di
conseguenza la delusione fu ancora più cocente quando al suo
arrivo trionfale ad
attenderla non trovò altri che la stanza vuota e un ordine
tale in giro, a
partire dal letto fatto, su, su fino ai vari manga, libri e vestiti,
che
normalmente l’ingolfavano, sistematicamente impilati, che
subito si sentì
pervasa da un moto di genuina apprensione.
Dove
s’era ficcato Matthew? E soprattutto, chi aveva messo mano in
quel caos fino a
rendere il suo antro tutto lindo ed asettico? Due domande queste che
non
promettevano nulla di buono. Ciononostante, pur irrigidendosi e
iniziando ad
inquietarsi, tentò di essere ragionevole, dicendosi che le
opzioni tra cui
scegliere erano due. O restava lì ad aspettare macerandosi
nei suoi
interrogativi irrisolti, oppure si dava da fare per svelare quegli
arcani.
Quindi,
da donna d’azione quale era, non perse tempo a gingillarsi
oltre e, ritornando
su i suoi passi, si diresse spedita in sala infermieri. Ciò
non per chiedere
delucidazioni a chicchessia, quanto per introdursi lesta e non vista
nel
guardaroba ed appropriarsi della prima uniforme a portata di mano. E le
disse
male perché l’atavica fantasia che poteva
incarnare nel travestimento da
infermiera succinta non poté compiersi, in quanto
trovò solo divise da uomo.
Pure, mentre s’infilava gli ampi pantaloni e la casacca,
d’un verde che non esaltavano
affatto la sua carnagione, si consolò dicendosi che tutto
sommato era una
fortuna aver trovato solo quelli. In effetti celavano ad hoc le sue
forme e, tra
mascherina e cuffia
per i capelli,
nessuno avrebbe potuto riconoscerla. Pertanto le probabilità
di agire
indisturbata sarebbero aumentate.
L’unico
problema semmai erano i sabot che lasciavano intravedere il posteriore
dei suoi
piedi freschi di pedicure. Sebbene, si domandò sbrigativa,
chi mai in un
ospedale avrebbe badato alla tornitura perfetta dei suoi talloni?
Probabilmente
nessuno, si rispose e perciò ostentando sicurezza,
uscì dalla stanza, agguantò
un carrello porta-medicine e lentamente si avviò lungo i
corridoi, gettando
occhiate penetranti tutt’intorno e oltre le porte aperte.
Cercò
in radiologia, ortopedia e finanche al pronto soccorso, ma del suo
fidanzato
non c’era traccia. Quindi, indifferente alle occhiate curiose
di chi osservava
quello strano individuo all’apparenza maschio, ma con gli
occhi truccati e
dall’andatura ancheggiante, peregrinare per i reparti
accompagnato dal cigolio
delle ruote e dai tonfi degli zoccoli sanitari, restava leggermente
interdetto.
Anche perché, nonostante Sheila ne avesse tirati i lacci
fino alle massime
estremità, spesso doveva tirarsi su i calzoni della divisa
che chiaramente le
stavano larghi. Tolto
ciò, era evidente
l’impasse in cui era finita e meditabonda si fermò
a considerare la situazione.
Se
non erano state le ossa rotte o un improvviso malore ad allontanare
Matthew dal
suo giaciglio, cos’altro poteva essere successo? Fece
rapidamente mente locale
e colta da un lampo d’intuizione, capì dove doveva
cercare.
“Ma
certo.” Pensò tornando sui suo passi, dirigendosi
verso gli ascensori e infine
al piano terra, dove, nelle ampie stanze che davano sul giardino e
dalle cui
finestre entrava luce e calore, c’era il reparto di
psicopatologia e il
gabinetto della dottoressa che settimane prima l’aveva
torchiata con le sue
domande.
Non
aveva le chiavi per accedere e difficilmente l’avrebbero
fatta entrare se
avesse bussato, ciononostante introdursi non le fu difficile, in quanto
la
serratura della porta non presentava particolari difficoltà
e per farla saltare
le bastò una semplice forcina. Il problema casomai,
pensò fissando la targhetta
sulla porta che cercava, era capire se effettivamente Matthew era
all’interno e
con quale scusa avrebbe potuto entrare. Chiaramente nello studio dove
avvenivano i colloqui la sua presenza sarebbe stata del tutto
incongrua, né
poteva spacciarsi per un luminare in visita conciata a quel modo. Cosa
inventarsi?
Ancora
una volta si fermò per valutare attentamente le
possibilità. E, mentre si
spremeva le meningi, facendo vagare lo sguardo tutt’intorno,
improvvisamente s’accorse
che ad una distanza irrisoria dall’uscio che stava rimirando
c’era una sospetta
porta dal telaio reso quasi invisibile dall’intonaco. Per
cui, guidata dal suo
istinto ladresco, che raramente falliva, senza pensarci una volta di
troppo, forzò
anche quella ed entrò. Con sua sorpresa si
ritrovò in una specie di cubicolo
stretto e lungo, dove, posizionato faccia a muro, era disposto un
tavolo con
alcune sedie. Inoltre di primo acchito la parete sembrava cieca, ma a
guardarla
meglio ci si accorgeva che così non era, dal momento che si
trattava di uno
specchio oltre il quale si poteva vedere e soprattutto sentire tutto
ciò che
avveniva nell’altra stanza.
“Risalirà
agli anni 70.”
Rifletté la ragazza, ripensando ai vari documentari dedicati
al quel decennio neanche
troppo lontano, quand’ancora i pazienti di psichiatria
venivano trattati come
cavie da laboratorio e ad assistere agli elettroshock c’era
tanta di quella
gente che mancava solo passasse il bibitaro come allo stadio.
In
ogni caso, al di là di ogni considerazione postuma, era un
fatto che c’era
tanta di quella polvere depositata sugli arredi, che era evidente quel
vano
fosse inutilizzato da tempo e che l’ultima delle classi di
praticanti portata ad
osservare le reazioni di un paziente in seduta fosse passata da un bel
pezzo. Comunque
sia quell’anfratto le andava proprio a puntino, non fosse per
il fatto che l’istitutrice
prussiana, che talvolta si affacciava ai margini della sua coscienza,
non era
affatto d’accordo con i suoi intenti. Già, il
dilemma che le si poneva in quel
momento era assai spinoso e a disagio si bloccò, chiedendosi
se fosse corretto origliare
le confidenze di un individuo al proprio terapeuta. Specialmente se
questa
persona era il suo fidanzato.
“Mi
accerto solo che sia lui e poi me ne vado.” Si ripromise con
fermezza, ma poi, in
barba a tutti i suoi virtuosi propositi, quando effettivamente si fu
sincerata
che era proprio Matthew quello che stava facendo il suo ingresso e che
si stava
accomodando sul lettino, non le riuscì proprio di
allontanarsi.
“Metti
che parli di me”, sostenne tentando di venire a patti con
l’etica, “ e anche in
considerazione del nostro ultimo litigio, sarebbe importante sapere
cosa dice.”
Argomento questo che ebbe il potere di tacitare quasi del tutto ogni
scrupolo
di coscienza, benché sotto,
sotto,
mentre lo stava a guardare che si stendeva, rigido e palesemente
impacciato, si
sentisse una vera manipolatrice.
Al
di là del vetro invece tutto sembrava pervaso da una calma
apparente, rotta
solo dai respiri di entrambi e dallo sfogliare del libretto di appunti
che la donna
stava consultando. Il che portò Sheila a chiedersi
imbarazzata se di solito fosse
quella la prassi. Anche perché, pensò un
po’ scocciata e sempre più
recalcitrante verso i suoi montanti sensi di colpa, visto che stava
palesemente
trasgredendo la privacy del suo compagno e che la qual cosa infastidiva
alquanto
il suo amor proprio, volevano decidersi a venire al punto quei due?
Un
pensiero questo che parve passare da una stanza all’altra
fino a scuotere la dottoressa,
la quale improvvisamente aprì le danze, ponendogli un
interrogativo. Parlava a
voce talmente bassa che Sheila si protese verso lo specchio per meglio
carpire
le voci, ma anche gli atteggiamenti e le espressioni.
“A
cosa sta pensando?” Aveva chiesto il medico a Matthew per
sollecitare il suo
recalcitrante paziente a parlare, giacché questi se ne stava
disteso immobile
ad occhi chiusi, apparentemente intenzionato a non aprire bocca.
“Detesto
questa domanda.” Replicò infine visibilmente
contrariato. Come ogni volta, due
giorni a settimana, soleva fare dacché era uscito dal coma.
E davvero la odiava
accidenti. Cazzo, pensò innervosito, ma perché
volevano costringerlo per forza
a parlare? E poi, si chiese impermalendosi via, via sempre di
più, che
accidenti c’era da dire? Chi gliela dava a quella gallina la
certezza che stesse
pensando a chissà quale profondo interrogativo? Porca
puttana, rifletté
sarcastico, magari proprio in quel momento a tutto stava pensando,
fuorché ad
una cosa seria. E allora che sarebbe successo se le avesse detto che
gli stavano
passando per la testa un sacco di stronzate? Come minimo, ne concluse,
mi
metterebbe a pane e valium, ecco cosa.
Una
prospettiva questa che comprensibilmente poco gli sorrideva e
perciò ne dedusse
che gli conveniva starsene zitto, ché in tal caso non solo
si salvava dal
capestro, ma evitava pure delle figure di merda.
Porco
mondo! Continuò ad imprecare tra sé e
sé. Accidenti a lei e al suo insopportabile
lettino di velluto, che ogniqualvolta ci si sedeva, ci scivolava
finché non si
trovava quasi col culo per terra. Ma accidenti soprattutto,
pensò fissando
ostile la parete innanzi a lui, a
quei quadri
di merda che aveva appesi! Di sicuro ce li aveva messi apposta,
perché non si
capiva mai, da qualunque angolazione li si guardasse, che cazzo
rappresentavano!
E poi, soggiunse ritornando al cruccio di partenza, ma come diavolo si
fa a
parlare con qualcuno che non ti guarda manco in faccia? Eh
già, facile mettersi
alle spalle di una persona e scribacchiare chissà cosa
facendo la faccia saputa.
Ma chi glielo diceva a lui che magari manco lo stesse ad ascoltare e
che sul
quel cazzo di taccuino ci scrivesse la lista della spesa?
Perciò,
considerato quanto sopra, ma anche per via delle chiusure ermetiche cui
l’amnesia lo aveva costretto, ne dedusse che era meglio
restarsene muto e
amen.
“Perché
la odia signor Isman?” Chiese la donna, che fin lì
l’aveva lasciato riflettere
in santa pace, ma che adesso ne interrompeva il rosario di contumelie,
richiamando nuovamente la sua attenzione. “Forse
perché la mette innanzi a
domande che vorrebbe eludere?” Aggiunse, tornando a battere
sul tasto di sempre
e facendolo sbuffare come una vaporiera.
“La
odio perché è una tipica domanda di voialtre
femmine!” Replicò Matthew con
impeto, facendo sobbalzare, allo stesso tempo, Sheila nella stanza di
fianco e
sorridere sotto i baffi la terapeuta accanto a lui. Chiaramente non
poteva
saperlo, ché se l’avesse saputo avrebbe risposto
in modo differente, per cui
continuò con la medesima veemenza: “Ma porca
vacca, mi chieda piuttosto che
accidenti m’è preso ieri e perché! Ho
dato i numeri no? E allora parliamo di
quello che almeno so che dire. Invece no, lei mi domanda che sto
pensando… Embé,
lo vuole proprio sapere?”
Posta
innanzi a quel tono di intimidazione la donna non ne perse di
placidità e, non
senza una punta di sottile ironia nella voce, asserì che non
aspettava altro
dacché avevano cominciato la terapia.
“Sta
bene allora!” Esclamò accettandone il tacito
confronto. “Sto pensando che Alice
avrebbe potuto evitare di mettermi quella cosa sotto il
naso.” Sbottò tirandosi
su e voltandosi, non senza una certa difficoltà, verso di
lei, pur sapendo che
così stava trasgredendo
una delle prime regole
che gli aveva enunciate. Quindi, quando le fu ad un palmo di naso,
continuò:
”Sto pensando che molto probabilmente l’ha fatto
apposta, fregandosene se nel
frattempo a me veniva un coccolone!”
“In
effetti so che ha passato una nottataccia
e che hanno dovuto somministrarle un bel po’ di
tranquillanti.” Replicò il
medico senza scomporsi innanzi a quel livore mal represso e lasciando
che
assumesse la posizione che più gli aggradava sul lettino.
Tanto, e aveva avuto
già modo di constatarlo, su quel tizio non aveva nessun tipo
di autorità. Per
cui che si mettesse pure come più gli piaceva,
purché parlasse.
Discorso
diverso invece per quel che riguardava Sheila, che dall’altro
lato della
parete, si stava decisamente allarmando. Maledizione, che aveva fatto
quella
serpe di Asatani? Cosa aveva mostrato a Matthew di tanto sconvolgente
da
provocare quella buriana? Non era difficile immaginarlo, certo che no!
Ma ora
doveva restare calma ed ascoltare attentamente, perché forse
così l’avrebbe
saputo al di là di ogni sua illazione.
Pure,
come si faceva a rimanere calma e composta quando un allarme rosso
dentro di te
suona a distesa? Ché l’istinto le stava gridando a
chiare lettere che
s’approssimava una situazione pericolosa per sé e
per le sue sorelle. E proprio
per questo si costrinse ad uno sforzo di volontà, cassando
ogni suo pensiero e
concentrando tutta la sua attenzione sul dialogo sibillino che stava
continuando dall’altra parte.
“Questo
non deve spaventarla”, stava infatti dicendo la dottoressa
con tono conciliante
al fine di tranquillizzarlo, “si tratta di un semplice
episodio, quand’anche
significativo e forse addirittura in grado di smuoverla fino a
cominciare a
ricordare.” Aggiunse cauta, pur consapevole che in quel modo
stava giocando con
il fuoco. In effetti le era palese ormai che l’uomo tutto
voleva, tranne che
quello. E infatti la reazione di Matthew a quelle parole le parve quasi
scontata.
“Cazzate!
Non mi sono ricordato una cippa! E quel coso mi ha solo provocato un
sacco di
incubi e un’altra notte all’addiaccio a
fumare!” Ribatté lasciandosi scivolare
sullo schienale, fino a tornarsene nella sua posizione originaria,
poiché
proprio non gliene teneva più di guardare quel pezzo di
ghiaccio. E dire, pensò
valutandola per la prima volta, che tutto sommato non era niente male.
“Perché
non me ne parla?” Gli stava chiedendo nel frattempo questa,
inconsapevole della
stima spassionata cui le sue curve stavano venendo valutate.
“Non ha idea di
quante e quali cose si possa estrapolare dai sogni.” Lo
incalzò con voce
rassicurante, provando ad attaccarlo su di un lato assai vulnerabile,
giacché
di solito parlare di sé aveva il potere di smuovere sempre e
comunque una parte
narcisistica cui è difficile resistere. Ma vuoi per
l’antipatia, vuoi perché si
stava chiedendo che taglia di reggiseno avesse, vuoi per un insito
istinto di
autoconservazione e di difesa, Matthew non abboccò.
“Non
posso, non me ne ricordo.” Affermò lapidario.
Quindi, incurante del divieto, pescò
nella tasca del pigiama sigarette e accendino e se ne accese una,
sperando che
l’evidente fastidio che la donna aveva per il fumo la
portasse a buttarlo fuori.
Ma quella, purtroppo per lui, non se lo diede per inteso. Con grande
soddisfazione
da parte di Sheila che stava letteralmente friggendo in attesa che
l’arcano in
qualche modo, attraverso sia pure un piccolo dettaglio, le si potesse
svelare e
che continuava ad ascoltare trepidante con una bruttissima sensazione
che le
serpeggiava su e giù per la schiena.
“Allora
mi dica cos’ha provato.” Insisté il
medico resistendo stoica sia al depistaggio
che alle zaffate di fumo.
“Mi
sono svegliato per pisciare.” Bissò
l’elusione Matthew usando a bella posta
quell’espressione volgare. “Poi mi facevano male e
ferite e… mm vediamo… sì,
avevo anche fame.” Concluse continuando a far
l’indiano, tanto che parve infine
che la donna avesse capito l’antifona e lo
congedò. Tuttavia, mentre raccattava
le stampelle e si preparava ad andarsene, fissandolo da dietro agli
occhiali,
sparò inaspettata un’ultima cartuccia.
“Dopodomani
lei uscirà da qui, per quanto crede che potrà
continuare a fare lo gnorri
signor Isman?”
A
quella domanda Matthew la guardò di sotto in su
dall’alto della sua
considerevole statura e si limitò a grattarsi il mento
ispido. “E chi lo sa
doc.” Rispose evasivo, dopodiché, prima di
prendere la porta, le fece un
sorriso talmente franco e disarmante che a lungo questa si chiese
quanto ci
fosse e quanto ci facesse quel tizio. Ché lei, nonostante
tutti i suoi attestati,
ancora non l’aveva capito.
Quanto
a Sheila non ebbe il tempo materiale per riflettere su quello scambio
di battute,
né su tutto quanto lo aveva preceduto, poiché
aveva pochissimo tempo per
filarsela, nonostante l’andatura claudicante di Matthew. Di
conseguenza,
rapidamente lasciò quel cantuccio e mollando lì i
sabot che ne impacciavano il
passo, scalza corse di sopra a recuperare le sue cose. Indi, sempre
volando
come se avesse il fuoco alle calcagna, tornò indietro fino
ad intercettarlo
mentre lentamente transitava diretto alla sua stanza. E non aveva
neppure il
fiatone quando finalmente si accorse di lei, anzi sembrava una appena
uscita da
una seduta dal visagista.
“Ehilà!”
Fece Matthew colto alla sprovvista, sfoderando un’espressione
ad un tempo
sorpresa e contenta, ma che soprattutto voleva ostinatamente celare i
travagli
di cui lui non sapeva lei fosse al corrente. Tanto che di primo
acchito, ora
che lo vedeva da vicino, Sheila si accorse di tanti piccoli dettagli
che in
precedenza non aveva potuto notare.
Già,
appariva provato e non solo per via della barba lunga, quanto per gli
occhi
pesti e l’incavo delle guance, che il sorriso che le stava
rivolgendo a stento
dissimulava. Sheila lo guardò e capì che per
giorni doveva aver covato una
smorfia contrita e che ancora gli deformava il volto, sebbene stesse
facendo di
tutto perché non se ne accorgesse.
E
allora, forse per la prima volta da quando avevano litigato,
pensò al suo
benessere piuttosto che al proprio e preoccupata si chiese se tutto
ciò fosse
la conseguenza del dolore fisico o di quegli incubi di cui aveva
parlato prima.
Ma, quale che fosse il motivo, ora le appariva molto vulnerabile e le
fece una
tenerezza infinita, tanto che sentì un moto spontaneo
venirle dentro e, prima
che potesse impedirselo, con affetto gli carezzò il viso. Un
gesto che lo turbò
e disorientò al punto che fece alcuni passi indietro incerto.
Invero
Matthew voleva dire qualcosa, porca boia, pensò, doveva dire
qualcosa! Eppure
non riusciva e lo stesso discorso per valeva per Sheila. Chiaramente
avevano
entrambi una coda di paglia grossa così, anche se per motivi
diametralmente
opposti e del tutto sconosciuti l’una all’altro. E
chissà come sarebbe finita
se nel frattempo non fosse passata a prelevarlo la terribile caposala,
la
quale, senza perdersi troppo in chiacchiere, li trascinò
ambedue verso
l’ortopedia.
A
quanto pareva infatti, considerato che il paziente era lì,
lì dall’essere
dimesso e che le lastre erano promettenti, il fisiatra
aveva deciso di alleggerirlo dal gesso che
gl’imprigionava la gamba. Pertanto, nella concitazione del
momento, non
poterono dirsi alcunché. Cosa questa che andava benissimo ad
entrambi e finì
che quando Matthew entrò nell’ambulatorio,
preferì andarci da solo, lasciandola
in corridoio ad attendere. E fu meglio, giacché diede loro
il tempo di
ricomporsi e prepararsi adeguatamente a parlarsi, nella pia speranza di
non
incappare in passi falsi e soprattutto di non accapigliarsi nuovamente.
Dopo
un po’ Sheila, che aveva trascorso quell’attesa
così immersa nei propri
pensieri da non accorgersi del tempo che passava, se lo vide venire
incontro
zoppicante ma finalmente sulle sue gambe. Avanzava un po’
incerto, ma più le si
avvicinava, più sembrava acquistare sicurezza e, almeno
nell’espressione,
sembrava non serbare traccia della precedente spossatezza.
“Allora“,
esordì quando le fu a pochi passi, “ci diamo la
stretta di mano dei pugili sul
ring prima di
suonarsele o mi permetti
di prostrarmi ai tuoi piedi chiedendoti umilmente scusa?”
“Non
sarebbe male come idea.” Replicò lei ilare, anche
se quel repentino mutamento
di registro la confondeva. In ogni caso tentò di stemperare
quella sensazione, lo
prese sottobraccio e aiutandolo a camminare, lo condusse fin sul
balcone della
sua camera. Il discorso che dovevano affrontare infatti preferiva farlo
lontano
da orecchie indiscrete. “Mentre ti aspettavo”,
mentì intanto che lui grato si
sedeva, “ho parlato col medico che era di turno stanotte. Mi
ha detto che sei
stato male, cos’è successo?”
“Nulla.”
Rispose lapidario e visto che lei lo guardò in un certo
modo, ovvero con quell’espressione
esigente che da poco aveva cominciato a capire e temere, aggiunse:
“Niente di
cui debba preoccuparti credimi.”
“Sei
sicuro?” Insisté cercando di celare la delusione,
ché Matthew nonostante tutti
i suoi difetti, in passato non era stato mai diffidente con lei. Anzi
l’aveva
sempre potuto leggere come un libro aperto, per questo adesso quel suo
fare
circospetto, non solo le risultava nuovo, ma anche inaspettatamente
penoso. Al
punto che non poté far a meno di chiedersi com’era
stato possibile che
finissero così. Stava per aggiungere
qualcos’altro, ma questi la bloccò
sollevando una mano, quasi a chiedere il permesso di parlare.
“Piuttosto”,
disse interrompendola sul nascere, “parliamo un po’
di cose importanti.” Quindi
fece un sospiro come chi stia per immergersi nell’acqua
gelata e continuò: “E
credimi sulla parola se ti dico che una volta tanto non sto facendo lo
scemo,
davvero. Insomma, per farla corta, volevo chiederti scusa. Per
l’altra volta e
per tutto il resto.” Buttò fuori precipitosamente
e tutto d’un fiato, prima di
avere il tempo di ripensarci.
“Bel
modo di riassumere il tutto, senza dire niente.”
Ribatté Sheila scoppiando a
ridere di cuore.
“Ehi
ma io mi sto scusando!” Protestò incurante del
fatto evidente che si stessero
riferendo a due episodi completamente diversi.
“Non
è questa la parola che userei io, sai?” Lo
provocò per vedere fin dove si
sarebbe spinto.
“Beh
bellezza”, celiò ma senza scherzare poi tanto,
“neanche tu sei stata proprio un
angelo.”
Affermazione
questa che avrebbe potuto dare nuovamente fuoco alle polveri, ma
siccome non
era quello lo scopo per cui era tornata in ospedale, stavolta fu il suo
turno
di salvarsi in zona cesarini.
“D’accordo”,
esclamò ostentando pazienza e ragionevolezza, tecnica questa
che non mancava
mai di dar frutto, “mettiamoci una pietra sopra e speriamo di
non doverci
tornare più.”
“Un’ultima
cosa”, aggiunse un po’ titubante, ignaro dei celati
altarini, “per caso Kelly
ti ha detto qualcosa in proposito della nostra conversazione?”
“Puoi
stare tranquillo.” Lo rassicurò non senza una
punta di sarcasmo nella voce. “Ha
mantenuto un silenzio di tomba sull’argomento. I vostri
soliti segretucci sono
al sicuro. Non li direbbe a nessuno, meno che mai a me.”
“Uh
meno male!” Gli scappò prima di cominciare a
sghignazzare con evidente sollievo.
Ora veniva il difficile però, come si doveva comportare?
Come suggellare questa
ripartenza? Prenderle le mani e fissarla dritto negli occhi? Abbracciarla per palesare
tutto il suo
trasporto? Darle un bacio hollywoodiano magari? Accidentaccio, dopo
quanto
successo l’ultima volta forse era meglio evitare qualsiasi
contatto epidermico,
senza contare che doveva badare bene a quel che diceva e come lo
diceva. Cristo
santo che fatica! Pensò e quindi, sperando di riuscire ad
evocare un tono che
fosse accorato, ma non tanto da sembrare uno smidollato, caloroso
abbastanza da
apparire coinvolto, ma senza scadere nel torbido, prese coraggio e
vergognandosi da morire le disse con un filo di voce: “Mi sei
mancata sai?”
“Anche
tu scemo.“ Fu la risposta che sentì e solo allora
levò gli occhi a guardarla, giacché
mentre lo diceva si era ben assicurato di non farlo, tanta era la paura
di fare
un errore madornale. Ma, aveva udito bene oppure gli stavano andando in
pappa
pure le orecchie? Con la coda dell’occhio la
contemplò e quello che vide lo
fece sentire tutto ad un tratto un gigante, tanto che per un momento di
sembrò
di comprendere appieno quanto aveva tentato di dirgli Kelly riguardo
alla
natura dei suoi sentimenti. Ché quella semplice affermazione
da parte di Sheila
gli stava spalancando le porte della conoscenza.
Già,
tutto ad un tratto pareva non gliene fregasse più nulla di
quel che era stato
in passato, di quanto era potuto accadere in precedenza e se davvero
negli anni
che avevano trascorso assieme l’aveva amata tanto o poco. Ora
parevano solo dettagli
davanti a quel che sentiva, giacché stava
realizzando consapevolmente di esserne di nuovo innamorato. Impaziente
e allo
stesso tempo euforico stava per dirglielo, quando la medesima fitta
lancinante
della sera prima prese a martellargli la testa. Ammutolito
sbiancò e si prese
il capo tra le mani. Non voleva spaventarla, ma la voce impaurita di
Sheila che
gli chiedeva cosa stesse accadendo non fece che aumentare il suo senso
di
straniamento. Serrò le palpebre, tentò di domare
il respiro che gli si stava
strozzando in gola e un dolore acuto gli serrò il petto,
mentre in una specie
di déjà
vu prolungato vide profilarsi
davanti a sé, come nella scena di un film,
una sagoma ondeggiante che attraversava il buio. Era la schiena di una
donna quella?
Forse, ma di certo correva agilmente davanti a lui e sapeva di non
essere
capace di raggiungerla.
“Dottore!
Dottore!” Urlò Sheila in preda al panico, ma prima
che potesse fare o dire
altro, una mano afferrò con una presa spasmodica le sue.
“Le
gocce!” Fece concitato indicandole con un cenno del capo il
comodino, poi cercò
di mettere a fuoco la vista concentrandosi su di lei. Neanche si prese
la briga
di contarle, si attaccò alla boccetta come un avvinazzato
all’alcool e ad occhi
chiusi aspettò che producessero il loro effetto.
Quando
si fu quietato un po’ e il respiro gli tornò
normale si rese conto che le aveva
fatto prendere uno spavento terribile e quindi cercò di
rassicurarla. “Sto bene
adesso.” Affermò, ma constatato che non aveva
affatto placata l’ansia che le si
poteva leggere sul viso, aggiunse:
“Capita quando sono molto agitato e oggi ne ho avute di
emozioni no? Arrivi tu,
poi mi ritrovo con la zampetta libera…” Disse
provando a fare dello spirito, ma
visto che neppure questo pareva fare effetto, tentò di
spiegarsi meglio. “Non
so come dirlo, ma credo di aver visto qualcosa. Come se mi fossi
ricordato di
qualcuno. Ma non ne sono sicuro.” Ammise incerto.
“Cosa
hai visto?” Chiese Sheila preoccupata e sgomenta da quanto
aveva visto.
Accidenti, fin lì aveva preso quella cosa quasi come un
gioco, ma oggi si era
resa conto che un gioco non era. E pure l’origliare in cui si
era prodotta quel
mattino assunse tutt’altra valenza. Maledizione,
pensò per l’ennesima volta, perché
era sempre costretta ad assumere questi
atteggiamenti ambivalenti con lui? Pareva quasi che il destino si
stesse
divertendo con loro come due marionette inerti.
“Una
donna.” Disse piano dopo averci riflettuto sopra.
“Correva davanti a me e poi è
scomparsa . E dire che in quel momento stavo pensando a
tutt’altro.” Concluse
con lo sbuffo scocciato di chi non sta capendo nulla e si sta davvero
rompendo
le scatole.
Sheila
si morse il labbro incerta, era palese a cosa si potesse riferire
quell’immagine e ora non sapeva proprio che fare. Certo, se
fosse stata sicura
che parlagli di Occhi di Gatto l’avrebbe aiutato ad evitare
quella sorta di
stato di trance, per quanto momentanea, non avrebbe avuto indugi a
farlo. Ma
l’antica paura legata alla rivelazione della sua molteplice
identità era ancora
viva in lei, per non parlare del fatto che era all’oscuro
delle subdole manovre
di Alice Asatani. Perché adesso ne era certa, la detective
non si era fatta
scrupolo di mettergli sotto al naso una delle loro card, a caccia
com’era della
verità. Cos’altro aveva fatto e cosa ancora
tramava?
“Che
stronza!” Pensò e inaspettatamente fu proprio
Matthew a darle la piena
conferma.
“Comunque
non c’è da preoccuparsi sai?” Stava
dicendo appunto, provando a minimizzare
l’accaduto. “E’ successo anche ieri e
probabilmente sarà stato a causa di
quella specie di biglietto da visita che mi ha mostrato Alice.
E’ stato da quel
momento che ha preso a scoppiarmi la testa.”
“Un
biglietto di Occhi di Gatto.” Mormorò lei
voltandosi repentinamente a dargli le
spalle, poi si fece forza e, tornando di fronte a lui, che la fissava
incerto,
sparò la domanda che non poteva più eludere a
bruciapelo . “Sai chi sono?”
“No.”
Rispose lapidario. E per un lungo istante si fissarono come due
contendenti ai
lati opposti di una barricata. Lo sguardo di Sheila gli scavava nel
profondo
per capire se le dicesse tutta la verità, mentre quello di
lui per una frazione
di secondo le parve sfuggente. Ma durò talmente poco, che si
chiese se non
fosse stata un’impressione provocata dai suoi stessi sensi di
colpa. In caso
contrario, perché Matthew avrebbe detto ciò che
le disse? Infatti sembrava
quello di sempre mentre con aria dubbiosa, ma assolutamente benevola
aggiungeva: “Anche se e a questo punto muoio dalla voglia di saperlo. Sembra che siano
una parte
importante del mio passato.”
“Non
te lo immagini neppure quanto.” Ammise la ragazza, mentre
all’improvviso una
piena di tristezza la travolgeva. E doveva essere stato evidente,
giacché
Matthew ne richiamò l’attenzione battendole una
mano sulla spalla.
“Sai
che ti dico? Chi se ne frega!” Dichiarò
perentorio. “E’ una vita che non ci si
vede e noi stiamo qua a perdere tempo appresso a questa storia? Se
è davvero importante
mi verrà in mente, sennò ciccia. E’ ora
che la pianti di starmene qui a peso
morto ad aspettare che gli altri facciano tutto il lavoro per me,
giusto?”
Chiese strizzandole l’occhio e, visto che Sheila pareva non
sapere cosa
rispondergli, continuò allegro: “Dopodomani mi
buttano fuori e c’è
un’infinità
di cose che devo fare. Ad esempio, vedere se tra queste quattro pezze
c’è
qualcosa di decente da mettermi addosso. Mi ci gioco quel che vuoi che
è tutta
roba fuori moda.”
Innanzi
a quella poco velata presa in giro Sheila ci mise tutta la sua buona
volontà
per cercare di tirarsi su.
“Se
avessi saputo che il gran giorno era domani ci avrei pensato io a
portarti
qualcosa. Temo che non troverai granché nella tua
sacca.” Rispose lanciando
un’occhiata alla borsa che giaceva afflosciata accanto
all’armadio. Gli era
grata per quel tentativo di lasciar cadere l’argomento
precedente, eppure c’era
qualcosa che non le tornava. Ma forse era meglio riparlarne in un
momento e un
luogo più opportuni.
“Di
certo non posso uscire da qui in pigiama e onestamente quando sono
arrivato non
che l’abbigliamento fosse una delle mie
priorità.” Ribatté
faceto, dopodiché le lanciò l’esca
che sperava potesse farle tornare un po’
d’entusiasmo. “Magari potremmo andare
a fare shopping.” Propose con falsa noncuranza. Al che il
miracolo avvenne, giacché
Sheila ghignò malefica al solo pensiero. Ché
Matthew aveva sempre detestato andare
in giro per negozi con lei. La considerava una maratona estenuante,
mentre adesso
non solo gliel’aveva proposto, ma non aveva nessuna scusa per
sottrarsi e in
più le aveva porto su di un piatto d’argento
l’irripetibile occasione di convincerlo
ad abbigliarsi come piaceva a lei.
“Volentieri.”
Condiscese con grazia. “Però non voglio sentire un
fiato!” Lo avvertì cominciando
a ridacchiare.
“Okay,
come tu vuoi.” Rispose soddisfatto dall’esito del
suo tentativo, ma senza
riuscire a spiegarsi cosa accidenti ci fosse da essere tanto contenti a
quella
prospettiva . Femmine! Pensò per la centesima volta da
quando se l’era
ritrovata davanti. “In
ogni caso”,
aggiunse tanto per dire qualcosa, “per prima cosa Alice deve
portarmi le chiavi
di casa. A quanto ne so, attualmente c’è una
squadra di eroi impegnata a darle
una pulita.”
“Ho
capito bene?“ Chiese Sheila sorpresa, ma
soprattutto, gli parve, sdegnata. “Vorresti farmi intendere
che con un braccio
ancora appeso al collo, senza alcun senso dell’orientamento e
privo di
qualsiasi nozione di sopravvivenza tu pensi seriamente di potertela
cavare?”
Domanda
questa che gli fece leggermente girare le palle, non gli piaceva che la
sua presunta
incapacità nel gestirsi gli venisse spiattellata tanto alla
leggera e
stava per risponderle male. Poi si rese conto che di
sicuro avrebbero ricominciato
a litigare e tenne a freno la lingua.
“Mi
pare esagerato parlare di sopravvivenza, non vado mica in
Amazzonia.” Rispose
con appena un filo d’ironia. “Ci riflettevo
l’altro giorno e sono sicuro che
tra lavanderie,
tavole calde, bagni
pubblici e imprese di pulizia, non dovrebbe essere troppo difficile.
Inoltre
non credo di avere molta scelta.” Aggiunse, come a voler
chiudere l’argomento.
“Una
scelta ce l’hai invece”, fece la ragazza quasi con
aria di sfida, “potresti
venire a casa mia.” Propose, pensando una frazione di secondo
dopo che non solo
sarebbe stata una specie di riedizione postuma, quanto, così
come in
precedenza, in tal caso avrebbe potuto tenerlo d’occhio.
Pensiero questo che le
sovvenne suo malgrado e quasi si odiò per averlo formulato.
Pure era
indispensabile, doveva tenerlo sott’occhio e vigilare,
perché non si poteva
sapere quando e cosa gli sarebbe tornato alla memoria e
perciò era
indispensabile che gli fosse sempre vicino. Dettaglio che tutto sommato
le
faceva piacere anche per altri motivi, i quali però era
troppo orgogliosa per
ammettere, quindi preferì accantonarli e pensare piuttosto a
quelle che
riteneva necessità più impellenti. “E’
fuori
discussione che in questo momento pensi anche lontanamente di poter
stare da
solo.” Dichiarò infine con autorità.
“Beh
, l’idea di avere tre bandanti è allettante lo
ammetto.” Replicò Matthew sghignazzando.
“Ma sai,
a quanto mi è stato riferito,
questa è un’esperienza che abbiamo già
fatto e non mi pare che sia andata molto
bene.” Aggiunse perplesso mentre lei lo fissava allibita. Chi
diavolo glielo
aveva detto?
“Tati
mi ha raccontato un paio di episodi che sul momento mi hanno fatto
sbellicare,
però a riguardarli adesso, suppongo che se ritentassimo
sarebbe un disastro.”
Fece guardandola costernato e, visto che pareva non capire a cosa
alludesse,
tentò di spiegarsi meglio. “Io non ho ancora
capito da me cosa cerchi
precisamente. Se un amico o un fidanzato. E non so come
comportarmi.” Confessò
sbuffando per celare la vergogna poi, già che
c’era, andò fino in fondo. “Insomma,
prima lo sapevo a cosa sarei potuto andare incontro e stavo in campana,
ma ora
che altro potrei combinare nella mia ignoranza? Non è che ci
tengo a farmi
menare mattina e sera eh?”
“Ferma
il gioco.” Lo bloccò completamente scorata Sheila,
ché, a parte quella
legittima pretesa da parte sua, doveva anche fare i conti con le
indiscrezioni
di quella peste di sua sorella. E non osava neppure immaginare quanto e
cosa
gli avesse spifferato. “Dimmi che ti ha detto
precisamente.”
“Uhm
vediamo”, cominciò ad enumerare contando sulle
dita, “che io e te abbiamo
dormito nella stessa stanza, ma che ho preteso una tenda divisoria,
anche se
poi c’ho provato lo stesso e le ho prese di
brutto.” Esordì facendola arrossire
come un peperone . “Poi pare che mi sia preso un secchio
d’acqua gelata e una
bacinella in fronte da lei quando ho provato ad entrare in bagno. Mi ha
anche detto
che praticamente
divoravo tutto
quanto ci fosse di commestibile in casa
peggio di un cane affamato e che per mettere fine alla mia
voracità avete preso
a cucinare solo verdura cruda...”
S’interruppe
un momento grattandosi pensosamente il mento, tentando di far mente
locale per riferirle
quella messe abbondante d’informazioni esattamente
nell’ordine preciso in cui
gli era stato riferito, in modo che fosse inconfutabile.
“Ah
sì, pare che il gran finale ci sia stato quando, per
mettermi in imbarazzo allo
scopo di buttarmi fuori, Tati abbia tentato di fare la seducente e che
a quel
punto le avrei buscate ancora, perché non l’avrei
trovata affatto concupibile.”
“Sì,
va bene, è chiaro.” Lo interruppe Sheila sperando
che non continuasse, ma Matthew
imperterrito andò avanti.
“Dopodiché
sembra che Kelly si sia fatta trovare discinta e che io sia scappato
con gli
ormoni a mille e che successivamente, addirittura si sia intrufolata
seminuda in
bagno e mi abbia fatto delle proposte oscene, davanti alle quali sarei
andato
definitivamente in bambola svenendo...“
Concluse esibendo la sua completa incredulità
innanzi a quelle storie
che gli parevano davvero assurde. Poi facendo spallucce
continuò: “Grosso modo
penso di averti fatto un riassunto esauriente. Ora, sono convinto che
tua
sorella abbia senz’altro esagerato e che per prendermi in
giro abbia gonfiato a
dismisura la realtà, però un minimo di
verità ci deve pur essere. E, anche se
ti sono riconoscente per avermelo proposto, credo che tu per prima non
vorrai
sottoporti di nuovo a questo strazio.”
Inutile
sottolineare che Sheila, durante tutta l’esposizione dei
fatti, non aveva fatto
altro che pensare a come fargliela pagare a sua sorella una volta
tornata a
casa. Prima però doveva convincere quel testone e
soprattutto togliersi una
pungente curiosità riguardo ad un altro particolare.
“Ti
sbagli sai?” Fece con innocenza, frammista giusto a quel poco
di malizia che
poteva invogliare un uomo a fare le cose più assurde per
lei. “Dopo ti spiego
anche il perché, ma prima dimmi, Tati ti ha detto anche
perché volevamo
metterti alla porta?”
“No
e quando gliel’ho chiesto ha replicato che potevo
immaginarmelo. Per cui ne ho
dedotto che tra mutande e calzini sporchi, molestie e assalti notturni,
probabilmente non sono il coinquilino ideale.”
Chiarì con aria noncurante, come
a dire che se gli si fosse ripresentata l’occasione molto
probabilmente avrebbe
fatto lo stesso.
“Bene”,
rispose la ragazza con fare pratico, “ora se mi lasci parlare
posso correggere questa
nomea da camionista che ti ha affibbiato quella spudorata. Non sei
un’educanda,
questo è sicuro, ma neppure una piaga come ti ha dato ad
intendere Tati. E tra
l’altro si da’ il caso che sei in
difficoltà e che a me, ma anche alle mie
sorelle, farebbe molto piacere darti una mano. Detto questo, ci tengo
ad
informarti che, voglia o no, verrai. E’ chiaro?”
Concluse minacciosa.
“Se
insisti...” Bofonchiò e poi tra sé e
sé pensò che probabilmente quella
ragazzina si era divertita ad enfatizzare per farsi due risate alle sue
spalle.
Eppure all’idea di quel che sarebbe potuto succedere una
volta capitato tra
quelle quattro mura, si sentiva leggermente sopraffatto.
Già, quante mazzate
sulla testa avrebbe preso stavolta?
Interrogativo
questo che non poteva certo porgere alla sua bella, perciò
passarono a
differenti faccende e a parlare di tutto quanto era accaduto mentre
erano
separati. E sembrò che non facessero altro per tutto il
tempo finché non arrivò
il sospirato giorno in cui poté lasciare quel luogo che
tanto aveva detestato
durante quegli interminabili mesi. E il giorno fatidico si
svegliò
contentissimo e si sentiva pieno d’energie mentre riempiva la
borsa con le
poche cose che possedeva. Lasciò fuori solo un paio di jeans
e una t-shirt, che
indossò con qualche difficoltà. In ogni caso si
sentiva molto meglio con quei
semplici indumenti addosso. Chissà, pensò
ghignando, se avrò mai più voglia
d’indossare
un pigiama! E così, tutto allegro, si recò dal
dottore per fissare gli appuntamenti
successivi per le sue fisioterapie, dopodiché dovette
compilare tutti moduli
che la burocrazia esigeva e da ultimo salutò quanti aveva
conosciuto durante il
lungo periodo di degenza, badando bene a non dimenticarsi di nessuno.
In fin
dei conti, pensò, chi più chi meno, gli erano
stati di compagnia e aiuto. Perciò
passò a fargli un salutino e uno sfottò,
lasciandosi per ultima la caposala,
che era stata la sua vittima preferita. Infine gli consegnarono quanto
gli
avevano tolto di dosso al momento del ricovero. Questa gli giungeva
nuova, in
effetti non si era mai chiesto se avesse documenti o altri oggetti
personali e meditabondo
soppesò la busta, tuttavia non ebbe il tempo di dargli
un’occhiata giacché
Sheila già lo stava aspettando.
“Ciao.“
La salutò felice mentre lei faceva il gesto di togliergli la
tracolla dalla
mano.
“Non
è il caso che faccia degli sforzi.” Rispose lei
alla sua occhiata interrogativa
.
“Ma
andiamo, per quello che pesa.” Protestò
sottraendosi. “Sai, mi piacerebbe che
non mi trattassi come un maledetto invalido. Vorrei lasciarmela quanto
prima
alle spalle questa fase.” Affermò vivace, voltando
ostentatamente le spalle
all’edificio.
“Okay
portatela da solo, volevo solo essere gentile!”
Replicò un po’ piccata suo
malgrado, poi, guardandolo meglio, la sua attenzione fu attirata da
altro e
subito inquisì. “Dì un po’
signorino, quella roba dove la tenevi nascosta?”
“Ieri,
dopo che sei andata via, ho telefonato ad Alice chiedendole se mi
poteva
comprare qualcosa.” Chiarì seguendola verso il
parcheggio.
“Ma
non eravamo rimasti che ci andavamo insieme a fare compere?”
Ribatté risentita.
Accidenti a quella papera, ché oltre i suoi sporchi
giochetti, continuava ad
intromettersi tra loro a sproposito.
“Certo,
ma qualcosa dovevo pur mettere e lei già doveva venire a
portarmi le chiavi di
casa. Inoltre saresti dovuta tornare indietro, giusto?” Le
spiegò affabile, poi
vide la macchina, un maggiolino rosso fiammante decappottabile, e
scoppiò a
ridere sonoramente.
“Beh?”
Sheila si voltò a fissarlo, incuriosita da
quell’inaspettato scoppio d’ilarità.
“E’
che la trovo alquanto adeguata.” Si spiegò
continuando a ridacchiare.“Voglio
dire, ho i capelli così lunghi che posso benissimo passare
per un hippy, ci
mancava solo il maggiolone yèyè
per
completare il quadro.”
“Effettivamente.”
Constatò sorridendo suo malgrado. “Però
se fossi in te non li taglierei, ti
stanno bene, al contrario di quella barbaccia. Non sognare ti fartela
ricrescere!” L’ammonì intimidatoria.
Infatti c’era voluto il bello e il buono
per convincerlo a tagliarsela e, malgrado le sue veementi proteste,
aveva
comunque lasciato fuori dalla tonsura le basette, che sfoggiava tutto
fiero. Erano
così lunghe e piene da far invidia ad Elvis.
“Va
bene mammina, che proponi adesso? Ho la vaga impressione che tu abbia
fin d’ora
un programma definito.”
“Certamente.”
Replicò entrando in macchina e tirando giù la
capote. Matthew scosse il capo
sogghignando e si accomodò schermandosi gli occhi con una
mano. C’era un sole
accecante.
Ah,
pensò soddisfatto, davvero una
giornata
fantastica per la sua scarcerazione!
“Allora
vediamo”, fece Sheila richiamandone l’attenzione
mentre s’immetteva nel
traffico, “ho fatto un elenco di quello che
approssimativamente ti dovrebbe
servire. Pantaloni, maglie, qualcosa di più pesante, scarpe,
pantofole ...”
“Una
stecca di sigarette.” L’interruppe accendendosene
una. “Questa è l’ultima.”
Chiarì tirando una voluttuosa boccata.
“Sto
parlando di generi di prima necessità, non di
vizi.” Lo sgridò e già che
c’era
colse la palla al balzo. “Visto che siamo in argomento
t’avverto, fuma pure, ma
non in casa. Non mi va che il mio tinello puzzi come un
posacenere.”
“Va
bene, va bene.” Assentì mugugnando.
“Accidenti Sheila, sei peggio della
caposala!” Fece con tono lamentoso, pur tuttavia continuando
a godersela. Era
libero, il sole splendeva alto nel cielo e stava filando a tutto gas
con una
bella bonona accanto, che cosa poteva chiedere di più?
“Dicevamo?
Ah sì, uno spazzolino da denti, accappatoio, bagnoschiuma e
shampoo neutri, ché
sei allergico ...” Continuò ad elencare ignara del
fatto che gli occhi
dell’altro le stavano facendo su e giù dalle gambe
alla scollatura.
“Questo
non lo sapevo.” Disse tanto per dire Matthew strizzando gli
occhi. Orca boia,
pensò tentando di darsi un contegno, se già in
macchina cominciava così sarebbe
stata dura! In ogni caso, meglio non distrarsi. Per cui ci tenne a
sottolineare
una cosa. “Mm senti Sheila, fermo restante che apprezzo molto
quello che fai,
ma alcune cose se non ti dispiace vorrei comprarle da solo.”
Annunciò senza
chiarire cosa intendesse .
“Sarebbe?”
Chiese un tantino sospettosa, già stava pensando ad una
serie di riviste sconce.
Già in passato infatti aveva scoperto che ne possedeva una
fornita collezione, accuratamente
nascosta nell’armadio a muro.
“E
dai, cerca di capire, le mutande mi vergogno di comprarle davanti a
te!” Sbottò
abbastanza impacciato facendo imbarazzare anche lei, tanto che non vide
la
macchina ferma allo stop davanti a loro e poco ci mancò che
la tamponassero.
“D’accordo.”
Replicò senza rispondere al gesto di stizza del conducente
davanti. “Vorrà dire
che ci fermeremo in un centro commerciale, dove potrai fare i tuoi
acquisti anche
da solo.”
E
detto fatto si diressero nella zona dei negozi dove Sheila gli fece
provare
l’ebbrezza della corsa allo shopping selvaggio. Per quanto lo
riguardava, non
che lui avesse delle esigenze particolari o dei gusti troppo
sofisticati, anzi gli
sarebbe andata bene qualsiasi cosa, ma pareva la sua fidanzata non
fosse dello
stesso parere. Quindi, visto che una cosa valeva l’altra a
suo giudizio, per
farla contenta lasciò che scegliesse per lui quello che
più le garbava. Anche
se ne nacque una mezza lite riguardo alle magliette senza maniche.
“E’
da tamarri.” Sentenziò infatti inflessibile alla
vista di quest’ultime che lui
aveva scelte.
“E
non esagerare, sono carine. E poi mi piacciono, oltre al fatto che con
questo
braccio sono più facili da mettere.”
Tentò di ragionare, ma visto che quella
continuava a guardarle con astio, accese le micce
all’artiglieria. “Vogliamo
parlare di quella maglia di nylon aderente che mi fa sembrare un
fru-fru che mi
hai costretto comprare?” Domandò provocatorio
mentre il commesso stava tra loro
come l’arbitro di una partita di tennis.
“Quella
è alla moda, stesso non si può dire di queste. Se
poi vuoi sembrare uno
scaricatore di porto, fatti tuoi.” Buttò
lì come se non gliene fregasse nulla.
Ma naturalmente era ben lontana dal mollare l’osso.
“Ma
signorina, questa è la collezione primavera –
estate di quest’anno!” Protestò il
commesso offeso.
“Visto?
Le prendo!” Affermò Matthew perentorio
approfittandone. Che poi non gli
fregasse nulla della moda corrente era un particolare secondario.
“Prima
hai fatto un’ora di storie perché volevi le
t-shirt a maniche lunghe,
affermando che ti vergognavi delle cicatrici e ora che fai, ti rimangi
tutto?”
L’accusò quand’ormai
l’attenzione di tutti i clienti era concentrata sul loro
battibecco.
“Uffa!”
Sbottò spazientito davanti a tanta insistenza.
Dopodiché cercò di pensare ad un
modo per ammorbidirla o, per meglio dire, distrarla.
“Facciamo così, tu ci passi
sopra e io comprerò quel costume che tanto t’ha
mandato in solluchero, okay?“
“Bel
tentativo cocco, almeno puoi dire di averci provato!”
Replicò ghignando. “Ma
non basta, sai? Devi anche promettere che verrai in spiaggia. Troppo
facile
prenderlo e poi rifiutarti con scuse patetiche come quella di prima.
Perché se
ti vergognassi sul serio eviteresti di metterti quelle,
ma visto che insisti tanto, a mare ci vieni. Che dici?”
“D’accordo.”
Assentì stremato dalle invettive logoranti della ragazza.
Accidenti che testa
dura, pensò un po’ spaventato, però gli
sovvenne pure che da quando passava
tutte le sue giornate con lui, probabilmente
di mare ne aveva visto ben poco.
Era giusto che a causa sua fino a quel momento avesse dovuto
rinunciarci? Era
estate, faceva caldo e certamente l’ospedale non era il luogo
più piacevole
dove passare il proprio tempo. Per cui, a fronte di questa
considerazione,
amabilmente inghiottì il rospo. Tanto che quando passarono
dal reparto
calzature, prodotti per il corpo e biancheria, la lasciò
fare senza dire altro
e si ritrovò con una serie d’indumenti ed orpelli
che da solo non si sarebbe
mai sognato di comprare.
Dopo
un paio d’ore di quest’andazzo serrato propose una
pausa, perché la battitura a
tappeto cui avevano dato la stura lo aveva caricato talmente di pacchi
e pacchetti
da sembrare un facchino. Quindi la portò al bar, la fece
sedere, si assicurò
che avesse ciò che più desiderava e lasciandole
il malloppo, si diresse a passo
deciso verso il pannello che recitava Intimo
Maschile.
Una
volta sola Sheila sorseggiò lentamente il suo
caffè assaporandone l’aroma con
palato da intenditrice. Pure la sua degustazione s’interruppe
quando notò una
busta che sporgeva dai sacchetti e che nulla pareva avesse a che fare
con le
loro spese. Si protese incuriosita a prenderla. Ricordava di averla
vista in
mano a Matthew fin dal mattino e meditabonda la esaminò,
facendo tintinnare
quello che c’era all’interno. La tentazione era
forte e si rendeva conto che
quello che stava per fare era un’ennesima violazione alla
privacy, ma proprio
non poteva trattenersi, anche perché il contenuto di quel
pacchetto poteva
dirle molto sullo stato di Matthew prima dell’amnesia.
Poteva? Doveva?
“Accidenti!”
Pensò e velocemente l’aprì, vuotandone
il contenuto sul piano del tavolino,
prima che potesse pentirsene. Con attenzione valutò
l’insieme e per prima cosa scartabellò
un ordine di servizio che giaceva ripiegato in cima al mucchio. Doveva
essere l’ultimo
ad essergli stato consegnato dal comando generale e cercò di
memorizzarlo
rapidamente, ripromettendosi di tornarci sopra appena possibile. Infine
tra le
monetine e altre cianfrusaglie da tasca rilevò una collana
col pendente, oggetto
questo che mai si sarebbe aspettata di trovare, giacché
altro non era che uno
degli ultimi regali che gli aveva fatto in occasione del suo
compleanno. Sicura
di non sbagliarsi controllò la data che vi aveva fatto
incidere e tenendola in
pugno ripensò a quei giorni.
Dopo
poche settimane da quel giorno la sua copertura era miseramente saltata
e si
erano separati definitivamente. Lei in partenza per gli Stati Uniti e
lui
chissà dove, perciò era facile supporre che
quell’oggetto non dovesse evocargli
momenti piacevoli. Eppure pareva che Matthew l’avesse addosso
al momento del
ricovero. Cosa voleva significare? Lo portava sempre con sé
perché non riusciva
a separarsene?
Sospirò
inquieta, tentando di non cullarsi in fantasie illusorie, sarebbe stato
troppo
bello infatti se fosse stato così. Tuttavia voleva crederci,
perché se così era,
allora c’era ancora una possibilità e
poteva
sperare che non tutto fosse perduto. Ciononostante badò a
continuare a ripetersi
che non era il caso di darci troppo peso, giacché poteva
essere una semplice
coincidenza o addirittura che Matthew, pazzo di rabbia verso lei,
usasse quella
collana per farci dei riti voodoo.
Lasciamo
perdere per il momento, s’ingiunse e la mise da parte per
passare ad esaminare
il portadocumenti, dal quale fuoriusciva un bordo di carta lucida. Una
foto? Trepidante
lo prese con due dita e la tirò fuori.
Non
posso crederci, pensò allibita. Era una sua istantanea
quella e si ricordava
persino il giorno e il luogo di quand’era stata scattata. E
se in quel momento
avesse dato peso ad uno qualsiasi dei motivi che le passavano per la
testa atti
a spiegare la presenza di quella fotografia tra gli oggetti che Matthew
teneva
sempre in tasca, come minimo avrebbe fatto una piroetta e si sarebbe
messa a
ballare. Invece cercò di restare con i piedi per terra,
avendo cura di
mantenersi tranquilla, onde non cullare troppe illusioni tutte insieme.
Ciononostante,
quando quest’ultimo fu di ritorno con una busta piena
all’inverosimile di boxer
e le si sedette di fronte, non poté reprimere il sorriso
radioso che
gl’indirizzò.
“Che
c’è, ne ho presi troppi ?”
Domandò inconsapevole, supponendo che fosse quello
il motivo per cui rideva. Sheila scosse la testa e senza rispondergli
gli prese
affettuosamente la mano tenendola tra le sue. Meravigliato non seppe
che fare e
si limitò a lasciarla inerte tra le sue, come se fosse un
pesce morto.
Che
le piglia adesso? Si chiese circospetto. I repentini cambi
d’umore di lei erano
talmente imprevedibili, da prenderlo continuamente di contropiede.
Doveva fare
qualcosa? Certamente starsene fermo e immobile come un
baccalà non era il
massimo, per cui tentò di darsi un tono comunicandole quanto
aveva pensato
mentre era immerso nella scelta delle mutande .
“Senti
un po’, ti spiacerebbe portarmi al mio
appartamento?” Chiese con fare casuale.
“Certo,
ma a fare che?” Replicò senza mollargli la mano e
aggravando viepiù la sua
perplessità.
“Innanzitutto
perché non so dov’è e credo che dovrei
saperlo. E in secondo luogo perché
voglio controllare se c’è qualcosa che possa
essermi utile.” Buttò lì
distrattamente e poi aggiunse: “Però poi filiamo
subito a casa e non ti fai
vedere almeno per un paio d’ore.”
A
questa uscita la ragazza rimase sconcertata, gli mollò
immediatamente la mano e
iniziò ad arrabbiarsi sul serio. Ma prima che potesse
replicare sferzandolo con
la sua indignazione, Matthew le fece l’occhietto e
chiarì: “Ho intenzione
d’invitarti a cena stasera, quindi suppongo dovresti
prepararti. E non so
perché, ma m’immagino che come minimo ti ci
vorrà mezza giornata.”
Aggiunse prima di beccarsi una scherzosa botta
sulla testa.
E
ancora stava ridendo quando arrivarono nella strada dove Sheila
abitava, anche
se, alla vista
dell’opulento grattacielo
e della magione che le sorelle chiamavano riduttivamente appartamento,
la
giocondità cominciò a venirgli un tantino meno.
Vero è che non ostentavano il
loro status sociale o i fondi illimitati di cui probabilmente
disponevano, però,
si disse guardandosi attorno a bocca aperta, quel posto immenso
trasudava soldi
a palate. Inoltre, per quanto ne sapeva lui, fino a poco tempo prima
erano
state proprietarie d’un bar. Ora, si disse, considerato pure
che gli affari
potevano essergli andati bene, anzi meravigliosamente bene, ma quanti
accidenti
di soldi ci si poteva fare con un semplice caffè?
Domanda
la sua ch’era destinata a restare senza risposta, anche
perché, quando stava
lì, lì per chiederglielo, Sheila lo
portò in un’altra ala di quell’immensa
casa
e lo introdusse a quelle che sarebbero state le sue stanze.
“Eccoci,
questa sarà la tua camera.” Gli
annunciò appunto mostrandogli un ampio locale,
che più che una stanza pareva un loft, arredato con gusto e
con le finestre che
si affacciavano su di un panorama da paura. Matthew sgranò
gli occhi ancora una
volta e rimase come un fesso per lo stupore. Porca puttana,
pensò, già dabbasso
quando si erano fermati davanti all’edificio era rimasto
secco, quando poi era
entrato nell’appartamento di nuovo si era meravigliato e
infine, davanti a
tutto questo spazio destinato a lui solo, stava avendo il colpo di
grazia.
Anche perché Kelly e Tati non solo avevano fatto festa al
suo arrivo, ma
avevano anche provveduto a piazzare proprio sopra alla parete adiacente
al
letto un’enorme ghirlanda su cui capeggiava la scherzosa
scritta Benvenuto
Cognatino.
Senza
parole esitò restando in scia alle tre, era troppo, sentiva
assolutamente fuori
luogo. Cazzo, pensò sentendosi uno spiantato, prima era
entrato giusto cinque
minuti nella sua abitazione ed era, nel complesso, pressappoco la
metà della
stanza in cui l’avrebbero ospitato!
“Che
ne dici?” Gli chiese Sheila notando il suo evidente
smarrimento.
“Che
se mi lamentassi, dovresti buttarmi fuori di qui.”
Esclamò preda dell’imbarazzo.
“E c’è di più”, aggiunse nel tentativo
di fare dello spirito per superare l’impasse,
“qualora avessi voglia di giocare
a baseball, lo posso fare tranquillamente qua dentro.”
“Sentimi
bene spiritosone”, s’intromise Tati portandolo
accanto alle vetrate, “le
finestre di fronte sono quelle della mia stanza e se ti becco a fare il
guardone ti spezzo le braccine!”
A
quella minaccia la guardò con spassionato disinteresse.
“A prescindere che uno
già ce l’ho rotto”, rispose valutandola
di sotto in su, memore dell’episodio
dell’aerobica durante la prima e disastrosa convivenza fatta,
“ti posso assicurare
che non ci penso proprio.”
“Ottimo,
anche perché la stanza di Sheila è quella
appresso, quindi adesso sai dove guardare!”
Gli suggerì ridacchiando e beccandosi
un’occhiataccia dalla sorella, mentre per tutta risposta
Matthew trasaliva.
“Piantatela
voi due.” Impermalita Sheila, ignorando ostentatamente la
sorella, continuò: “Io
vado a prepararmi Matthew. Quella è la porta del tuo bagno,
usalo pure a tuo
piacimento, così eviteremo confusione negli
altri.” Chiarì prendendo la porta, non
prima però di aver addolcito i toni per lanciargli un ultimo
monito: “Nel
frattempo mettiti comodo, sistema pure la tua roba se vuoi e fatti
trovare
pronto per le otto, che hai da onorare una promessa.”
“Okay.”
Fu tutto quello che riuscì a dire prima che il terzetto si
fu allontanato.
Una
volta solo gironzolò un po’ intorno e si
fermò a guardare la veduta, anche se
quando si accorse che stava errando nella direzione delle camere della
ragazza,
risolutamente fece dietrofront e cominciò ad impilare i suoi
vestiti nell’armadio.
Non ci volle molto, ma siccome faceva caldo, si ritrovò
talmente sudato che,
ringraziando il cielo per il fatto di avere una toilette tutta per lui,
immediatamente
andò a buttarsi nella vasca. Così,
mentre si pasceva tra le bolle, rifletté sul fatto che
quella era la prima vera
abluzione che si era goduto da quando si era risvegliato dal coma.
Quindi,
facendo estrema attenzione a non bagnare il braccio ancora ricoperto di gesso, si
rilassò e si godette
quella sensazione dimenticata. Dopo quel prolungato lavacro
indugiò davanti
allo specchio ad osservarsi e spassionatamente prese a giudicarsi.
Tutto
sommato, stimò, nell’insieme non era poi tanto
male. Forse un po’ magrolino, ma
evidentemente era stato un tipo che si teneva in forma,
giacché era abbastanza
muscoloso e aveva l’addome piatto. Forse non era un adone, si
disse, ma neanche
tanto da buttare via. Poi però guardò le numerose
cicatrici che lo decoravano
dal ventre in giù e la gamba che fino al giorno prima era
stata ingessata e sospirò
sconsolato. Appariva molto più piccola di quella sana e gli
sfregi sulle
braccia, se paragonati agli altri, erano graffi a confronto. Certo era
stato
fortunato, ma quei segnacci violacei
erano
uno spettacolo inguardabile.
Pieno
di risentimento si coprì con l’accappatoio e
sbuffando di malumore tornò verso
l’armadio per tirarne fuori qualcosa da mettersi. E solo in
quel momento si
accorse che probabilmente il commesso giù al negozio doveva
essersi confuso con
le scatole poiché gli aveva
appioppato
un bel paio di boxer rosa shocking.
Cerchiamo
di cogliere il lato umoristico della situazione, pensò e tra
tanti mise proprio
quelli. Già che c’era poi optò anche
per la maglietta senza maniche che Sheila
aveva tanto vituperato. Non che lo facesse apposta per indispettirla,
ma gli era
molto più facile da infilare, oltre al fatto che con quel
caldo meno si copriva
e meglio era. Per concludere prese un paio di scarpe da ginnastica e le
andò a
mettere nell’apposito vano davanti alla porta
d’entrata. Dopodiché, intuendo
che per la toletta della sua ragazza avrebbe richiesto ancora tempo,
andò nel
tinello e si mise a chiacchierare con Kelly, che pareva quasi lo stesse
aspettando.
“Allora,
stasera c’è il primo appuntamento
ufficiale?” Lo stuzzicò appena si sedette.
“Così
pare. Spero solo di non combinare qualche grosso casino anche
stavolta.”
Rispose pensoso provocando un sorriso affettuoso nella sua
interlocutrice.
“Se
cominci buttandoti giù in questo modo, è
probabile.” Lo rassicurò prontamente.
“Ricordati
del discorso che ci siamo fatti l’altra volta in ospedale e
vedrai che andrà
tutto bene.”
“Vedrò
di fare il bravo...” Promise, ma proprio in quel momento
entrò Sheila e non
riuscì ad aggiungere altro. Effettivamente stava una
meraviglia, era la prima
volta che la vedeva versione gran sera e gli stavano letteralmente
schizzando gli
occhi fuori dalle orbite. Con aria rassegnata si voltò verso
Kelly per
lanciarle un’occhiata eloquente, come a dire che sarebbe
stato quanto mai
difficile starsene calmo vicino a quel tocco di figliola, e
quest’ultima, innanzi
a quello sguardo che valeva più di mille parole, non
riuscì a reprimere la
ridarella. Quanto a Sheila per l’ennesima volta si stava
chiedendo quali
altarini nascondessero quei due.
“Allora
si va?” Lo esortò notando l’odiata
t-shirt, ma evitando di menzionarla,
onde scansare
l’ennesima discussione.
Con un cenno del capo Matthew la precedette sulla porta, intanto che le
due
sorelle si scambiavano uno sguardo carico di sottintesi. Ed erano
già sul
pianerottolo quando Sheila tornò sui suoi passi per chiedere
a Kelly sottovoce:
“E’ il mio turno per le occhiate
significative?”
“Volevo
solo essere sicura che sarai indulgente.” Fu la replica e
Sheila non rispose, un
po’ seccata dal sempiterno istinto di protezione che sua
sorella aveva verso
Matthew. Sta diventando
esagerato, oltre
che ridicolo, pensò testarda.
“E’
successo qualcosa?” Chiese questi quando davanti alla
macchina gli sembrò
d’accorgersi che la ragazza praticamente ancora non aveva
aperto bocca.
“No,
figurati. Allora, c’è qualche posto dove ti
piacerebbe andare?” Deviò
prontamente, poiché non era affatto il caso di rovinarsi
l’umore.
“Mah,
a me va bene qualsiasi cosa, a prescindere che non saprei neppure
scegliere. E
poi questa è la tua serata, quindi ti lascio volentieri il
potere.” Affermò incerto
sul da farsi, ripromettendosi di leggersi quanto prima un manuale di
galateo.
“Perfetto,
ma attento a te, potrei abituarmici!” Lo prese in giro mentre
metteva in moto.
Il
posto che scelse era un po’ fuori mano così,
mentre attraversavano la città, il
tragitto fu costellato dalle esclamazioni di stupore di Matthew, il
quale proprio
non riusciva a capacitarsi di quanto stava vedendo. Tutto gli sembrava
straordinario e osservava la gente, gli edifici, le insegne e il
traffico con un
interesse genuino e incredulo. Praticamente Sheila non
riuscì a spiccicare una sola
parola, limitandosi a girarsi sorridente dalla sua parte quando questi
reclamava la sua attenzione davanti all’ennesimo particolare
che lo colpiva. Infine
arrivarono a destinazione e il posto si rivelò essere un
ristorante all’aperto,
di menù rigorosamente occidentale, dal quale si godeva un
discreto panorama del
lago artificiale e del parco che lo circondava. E sebbene fosse un
locale abbastanza
alla moda, riuscirono comunque ad avere un tavolo accanto alla
balaustra.
Al
momento di accomodarsi Matthew inanellò la prima figuraccia
della serata. In
pratica si sedette lasciandola in piedi accanto alla sedia mentre
aspettava che
gliela scostasse. Anzi la squadrò pure interrogativo vedendo
che si attardava.
“Allora?”
Fece con un sorriso che a Sheila parve da beota.
“Niente.”
Ribatté senza fare una piega, sedendosi e abbuonandogli
quella gaffe come un
peccato veniale. In fondo, si disse tentando di essere ragionevole, in
ospedale
non è che gli avessero insegnato le buone maniere, quindi
non poteva fargliene
una colpa, né pretendere che la trattasse come una regina.
Lodevole
proposito, peccato che sotto, sotto era esattamente così che
voleva facesse. In
ogni caso, come poteva pensare di covare del risentimento nei suoi
confronti,
quando si rese conto che col menù in mano brancolava nel
buio assoluto? Aveva
lo stesso sguardo disorientato e implorante di Bambi, tanto che si vide
costretta a soccorrerlo.
“Faccio
io.“ Gli comunicò per toglierlo dalle ambasce
quando il cameriere si avvicinò
per la comanda e Matthew tirò un sospiro di sollievo, anche
se cominciava a
sentirsi un completo idiota.
Forse,
pensò perplesso, prima di azzardarsi ad invitarla fuori
avrebbe dovuto
informasi un po’ di più
su certe
situazioni. Però ormai erano lì e non gli restava
che far buon viso a cattivo
gioco con quanta più grazia possibile. Riteneva
però di aver bisogno di un aiuto
tangibile, per cui, memore di tutta la tv guardata durante il ricovero,
si
ordinò una pinta di birra.
“Questa
poi, non credi ti farà male?” Chiese Sheila
contrariata, ché quella roba poteva
seriamente compromettere l’andamento della serata
così come lei aveva sperato
che andasse.
“Dici?”
Domandò tanto per chiedere, ma senza nessuna intenzione di
mollare il
boccalone. “Ma a dar retta a quanto mi dicono, pare che fossi
un grande
estimatore di questo prodotto e sono curioso di assaggiarlo. Inoltre ho
letto
che una quantità minima di alcool in corpo rilassi e ti
confesso che ne sento
proprio il bisogno.” Ammise senza riuscire a celare un certo
disagio. In
effetti si sentiva fuori luogo, imbarazzato, ma soprattutto infastidito
da
tutti quelli che in quel momento stavano occhieggiando la sua
accompagnatrice. Inoltre
si stava chiedendo anche perché l’avesse portato
in un ristornate occidentale.
Porca vacca, imprecò
tra sé e sé, se lo doveva
immaginare che si sarebbe trovato in difficoltà con le
posate, no?
“Adori
gli spaghetti ”, gli comunicò con tempismo,
neanche gli avesse letto nel
pensiero, “e poi ho pensato che con una mano sola sarebbe
stato molto più
semplice usare la forchetta che non le bacchette.”
A
quest’uscita Matthew si rattrappì sulla sedia
sentendosi un vero disgraziato
per quello che aveva appena pensato. Accidenti, ne avrebbe mai fatta
una giusta?
E menomale che non aveva dato voce a quella rimostranza,
pensò illividendosi, sennò
come minimo quella dolce fanciulla gli avrebbe tirato un piatto da
portata sul
muso e anche a giusta ragione. Riflessione
questa che lo innervosì ancora di più,
perciò, ritenendo che all’aperto non
avrebbe potuto darle fastidio, si accese una sigaretta tentando di
darsi una
calmata. Certo più la guardava e più si
convinceva che in assoluto stava
mandando in bambola il suo già labile sistema cognitivo. Per
cui tentò d’ignorare
la scollatura che esibiva e che aumentava in modo esponenziale la
calura estiva,
almeno a giudicare dai bollori che gli stava causando, e riprese a
parlare
badando bene a piantarle gli occhi in faccia e non altrove.
“Sei
stata molto
gentile, non ci avrei mai
pensato.” Buttò lì sperando che fosse
quanto voleva sentire. “Però
riflettendoci sono stato un bell’egoista fino a questo
momento.” Affermò tutto
ad un tratto sorprendendola. “Non ho fatto altro che romperti
le scatole con le
mie domande su tutto e non ti ho mai chiesto nulla su di te che non mi
riguardasse
strettamente.”
“Ehi
non c’è mica bisogno che ti scusi.”
Rispose impacciata da quella singolare
arrendevolezza. D’accordo era andata così, ma per
la verità non c’aveva neppure
fatto caso finché non gliel’aveva fatto notare.
“Invece
sì.” Affermò convinto.
“Allora, che ne dici di cominciare
dall’inizio?” L’invitò
appoggiandosi allo schienale con manifesta aria d’aspettativa.
“Mi
prendi alla sprovvista.” Fece Sheila per guadagnare tempo,
giacché non sapeva effettivamente
da dove cominciare. Cosa e quanto doveva omettere?
“Che
ne dici di una biografia completa di data di nascita, gruppo sanguigno,
preferenze, gusti e
soprattutto cose non
gradite?” Propose cordiale, intanto che pensava che in tal
modo avrebbe potuto
farsi una cultura atta a scansare futuri comportamenti molesti e di
risparmiarsi le sue furibonde reazioni.
“D’accordo.”
Assentì con la stessa cautela di chi s’appresta a
camminare sulle uova, quantunque
in fondo ne fosse compiaciuta. Del resto quell’interesse
palese era gradevole
ed essere l’oggetto di tutta la sua attenzione era una
condizione che raramente
aveva potuto assaporare. “Dunque”,
esordì concedendogli il suo sorriso più
affascinante, “il mio compleanno è il nove
settembre, ma che ti dica l’anno te
lo puoi scordare. Non si chiede mica l’età ad una
signora!” Motteggiò
cominciando a prenderci gusto.
“E
ci mancherebbe.” L’interruppe prima di levare il
bicchiere a mo’ di brindisi e
prendere un’altra abbondante sorsata.
“Però, visto che andavamo a scuola
insieme, si suppone che siamo coetanei. A meno che non mi sia fatto
bocciare.” Ne
concluse facendo il brillante. Mm, pensò nel
frattempo, chissà se il suo segno
zodiacale è della vergine! Ridacchiò e
rifletté che forse era meglio non
chiederglielo.
“Questo
non te lo dirò mai”, stava dicendogli intanto la
sua bella, “altrimenti faresti
due più due. Ti tocca restare col dubbio mio caro. Vediamo,
adoro il mare, me
la cavo con molti sport, tra cui l’equitazione, lo sci e il
windsurf. Mi piace
la musica, adoro la moda e di conseguenza mi diverte molto girare per
negozi.”
“Ma
non mi dire...” La sfotté con sussiego facendola
scoppiare a ridere. “E che mi
dici dell’opposto? Cos’è che non ti
piace?” Domandò pensando che in quel campo
poteva vantare svariate eccellenze .
“La
presunzione soprattutto, nel senso che proprio non sopporto quando
qualcuno si
sente eccessivamente sicuro di sé.”
Affermò dopo averci riflettuto un attimo.
“E
su questo
sto a posto!”
Esclamò mostrandole
con le dita la
V di
vittoria . Era una sua impressione o cominciava ad essere un
po’ brillo?
Probabilmente no, però pareva essersene accorta anche lei,
giacché la sua
risposta risuonò un tantino seccata.
“Forse
su questo particolare no di certo. Ma sembri abbastanza convinto di
poter
reggere tutto quest’alcool in una volta sola e questo non
è che mi faccia fare
salti di gioia.” Dichiarò quando con un cenno
chiamò il cameriere e si fece
portare un’altra pinta.
“Ne
terrò conto per il futuro.” Rispose sentendosi
improvvisamente molto più disinvolto,
quindi levò nuovamente il calice in suo onore.
“Vai avanti, sento che siamo
in un terreno fertile, nelle avversioni
ti vedo più spigliata!” Aggiunse provocandola, ma
inconsapevole di star
giocando con una tigre in gabbia.
“Direi
Matthew, inoltre nessuno dovrebbe saperlo meglio di te.”
Ribatté infatti punta
sul vivo. “Ma sai qual’è il
comportamento che
più mi fa arrabbiare?” Gli chiese
guardandolo con un cipiglio truce. “E’
la propensione di certuni a fare gl’idioti, ma pure i
casanova da strapazzo. E in
entrambi tu sei sempre stato un maestro!” Affermò
provocandolo di rimando
mentre lui, non si sa se per dileggiarla o perché davvero
non aveva afferrato
la sua frecciata, si voltava da una parte e poi dall’altra,
chiedendole infine
se ce l’avesse con lui.
Ah
non hai capito? Pensò la ragazza impermalita. E allora
vediamo se capisci
adesso!
“Di
conseguenza”, continuò con un sorrisetto che
contemporaneamente grondava miele
e mostrava le zanne, “detesto quel povero scemo che pensa di
potermi prendere
in giro. Anche perché ti avverto, è difficile
riuscirci.”
“Mi
rendo conto.” Matthew annuì compunto come se
avesse capito, quand’invece
l’unica cosa chiara era che quello era terreno pericoloso.
Per sua fortuna
arrivò il cameriere con i piatti a toglierlo da quel
ginepraio.
Fissò
interrogativo la ragazza, ma visto che pareva non dargli retta, si
arrangiò da
solo, arrotolando spaghetti così come gli veniva e
risucchiandoli
rumorosamente. Quindi, con la bocca completamente sporca di sugo,
incauto tornò
sull’argomento precedente.
“Però
ad essere sincero, al di là di qualche particolare
frammentario e di una velata
minaccia, non mi hai detto molto.” Obiettò critico
e poi, guardandosi intorno,
si chiese come mai i rumori gli arrivassero così attutiti.
“Questo
è tutto ciò che ti occorre sapere.”
Replicò criptica. Del resto mica poteva
dirgli che di particolari su di sé ne aveva a bizzeffe e di
rilevanza assai
maggiore rispetto a quanto gli aveva detto fino a quel momento?
“Uh,
allora non mi resta che farti delle domande.” Concluse
fermamente deciso a sapere
quanto si era prefisso, nonostante la ciucca colossale che gli stava
salendo e
l’impressione che lei non ne fosse tanto più
contenta. Inoltre ebbe la pessima
idea di fare un esempio poco opportuno. “Allora, vediamo,
metti che abbiamo un appuntamento,
proprio come stasera. E diciamo che arrivo in ritardo o che mi vesta in
modo
poco consono, come la prendi?”
“Dipende
dai motivi che ti farebbero incappare in questi spropositi.”
Rispose prendendo
tempo, in quando il dubbio di stare esagerando un pochino
l’aveva colta, per
cui pensò che un po’ di diplomazia avrebbe
giovato.
“Ehi,
guarda che se te lo chiedo è perché vorrei
capire, quindi cerca di essere
onesta.” La rintuzzò scolandosi il fondo del
boccale e chiamandone ad ampi
gesti un altro.
“E
va bene”, proruppe Sheila ormai stufa della sua strafottenza,
“un ritardo già mi
farebbe incavolare di brutto, ma un cafone mal abbigliato sarebbe
assolutamente
inammissibile!” Confermò con arroganza e il mento
levato in su.
“Ah
e in caso contrario come funziona?” Con aria di sfida si
protese in avanti a
fissarla. Era lui o era l’alcool a parlare? Non si sa, ma
quel suo
atteggiamento altezzoso cominciava sul serio a dargli sui nervi.
“A
parte che, per quanto mi riguarda, sarebbe alquanto difficile cogliermi
in atteggiamenti
inopportuni, sappi che comunque ad una donna è concesso un
minimo ritardo. Oppure
sei così zotico da ignorare che ad una signora è
concesso tutto?” Lo provocò di
proposito. Com’è che tutto ad un tratto gli
sembrava così ostile? E soprattutto
perché lei stava reagendo come un toro davanti al drappo
rosso? Non avrebbe
saputo spiegarselo. Quanto a Matthew non rispose subito, provvide prima
a dare
fondo al bicchiere e poi annuì come se avesse avuto la
conferma che aspettava.
“Sarà”
le dondolò l’indice davanti al naso e
continuò, “non che non ti creda
attenzione, però ho i miei dubbi.”
Affermò tentando di concentrarsi su quando
andava dicendo, ché tutto ad un tratto si sentiva
leggermente sconnesso.
Scrollò il capo e continuò. “ Insomma pare
che tu ne esca sempre come Miss Puntini Perfetti e che, se anche fai
una
cazzata, hai una scusa plausibile. E io? Come la mettiamo? Sto qua che
me la
faccio addosso ogni due minuti per timore di contrariarti e adesso mi
dici pure
che già in partenza sto pieno di sbagli!”
“Matthew”,
rispose la ragazza con una calma che era lontanissima dal provare,
“hai tutti i
sintomi di una sbronza con i fiocchi e stai straparlando.” Lo
ammonì infastidita,
soprattutto perché quelle parole avevano erano andate tutte
minuziosamente a
segno. Davvero pensava quello di lei? E inviperita decise di mettere
fine a
quella serata disastrosa. “Penso proprio che sia giunto il
momento di tacere.
Anzi sai che ti dico? Voglio tornare a casa.”
“Se
insisti.” Si limitò a dire alzandosi, ma,
rendendosi immediatamente conto che le
gambe gli facevano giacomo, giacomo, rapidamente si aggrappò
alla sedia con la
mano sana. Mamma che botta! Pensò mentre il mondo gli
appariva alla rovescia e
il discorso che andava avanti già da un bel po’
solo nella sua testa si rendeva
palese alla sua accompagnatrice.
“Sheila
se mi devi picchiare, fallo domani.” Propose lamentoso, ma
indubbiamente
approdato ormai alla fase allegra dell’ubriacatura, tanto che
quando lei si
voltò a fissarlo disgustata continuò: “
Da femmina rompipalle hai tutti i motivi
per non essere soddisfatta di me e se intendi suonarmele hai tutta la
mia
comprensione... però, facciamo un altro giorno? Sii buona,
ora non mi reggo
neppure in piedi!”
“Andiamo
imbecille!” Gli sibilò trascinandolo via, prima
che potesse metterla ancora di
più in imbarazzo.
“Andiamo!”
Assentì incespicando nei passi e franandole quasi addosso.
“Arrivederci a
tutti!” Urlò allegro sbracciandosi in saluti,
mentre gli astanti lo guardavano
allibiti. Il suggello finale poi lo mise chiamando bella
gioia la cassiera e tentando di baciarla.
A
questo punto Sheila, al colmo della vergogna, ma principalmente della
rabbia,
si vide costretta a prenderlo per i capelli e a trascinarlo velocemente
verso
la macchina, mentre lui strepitava che gli stava facendo male. Una
volta in strada
poi lo show di Matthew non si esaurì affatto. Prima la
omaggiò con una serie di
canti da osteria uno più sconcio dell’altro,
accompagnati da battimani,
schiocchi di dita e ululati mannari, per poi concludere con quello che
credeva
essere un comportamento cerimonioso. In fondo non era un cicisbeo
quello che
lei voleva?
“Ah
Sheila”, esclamò teatrale portandosi la mano alla
fronte, incurante del
cipiglio di lei che si faceva sempre più cupo,
“quando ti ho vista stasera ho
pensato che ci fosse il sole dietro di te.”
“Ma
davvero?” Chiese quest’ultima meditando di
scaricarlo al primo stop e di
lasciarcelo per non tornare a riprenderlo mai più.
“E
certo! Metti tutto quel ben di dio a vista e pretendi che uno non si
asciughi?
Sei meglio di una sauna tesoro!” E qui scoppiò in
una risata fragorosa, ma
immediatamente dopo si zittì e serissimo si girò
sul sedile per guardarla. “Ma
non ti chiederò di darmi un bacio, normale o con tanta
lingua, no! Nada de nada!”
Enfatico si portò la mano
al petto e con grande dignità confessò:
“Giurin, giuretta, ho
promesso a Kelly che facevo il bravo.”
“Come
vorrei che quell’altra ficcanaso t’avesse fatto
promettere anche di chiudere il
becco!” Ringhiò con ferocia meditando di
sopprimerli entrambi. Grazie al cielo
erano quasi sotto casa, non restava altro che imboccare la rampa che
portava ai
garage sotterranei e quello strazio sarebbe finito. O almeno
così credeva.
“Ma
figurati se abbiamo parlato di cose così inutili.”
Le stava dicendo per
l’appunto Matthew facendo un gesto di noncuranza .
“No, no, mi ha detto
semplicemente che me ne sarei accorto da solo di essere innamorato di
te... e
accidenti se aveva ragione!” Ululò intanto che la
sua voce si moltiplicava in
tanti beffardi echi grazie all’acustica del sotterraneo.
“Sono proprio fuso per
te Sheila! Cotto e stracotto come una porchetta!”
Vociò completando il
capolavoro.
“Chiudi
quella bocca maledetto imbecille!” Urlò
anch’essa, ormai trasformata
definitivamente in un’erinni vendicatrice. Quanto era
successo era esattamente il
contrario di ciò che desiderava. Ad occhi aperti aveva
spesso sognato il
momento topico in cui le avrebbe detto che l’amava e cosa
aveva avuto invece?
Una dichiarazione da avvinazzato? E se fino a quel momento era riuscita
a
mantenere i nervi saldi, tentando di giustificarlo in tutti i modi, ora
esplose
in tutta la virulenza della sua furia.
“Zì
padrona!” Buttò ulteriore benzina sul fuoco lui,
facendole il saluto militare e
qui, finalmente, Sheila non riuscì a trattenersi oltre e
prese a tempestarlo
con una copiosa gragnola di mazzate. I colpi arrivavano da ogni dove e,
anche
se non erano forti, comunque facevano male. Ma non fu questo a
smuoverlo a
chiedere pietà, giacché ad un certo punto,
bloccandole i polsi e facendola
morire di paura, sbarrò
gli occhi a
guardarla come un folle. Poi, deglutendo affannosamente e sbiancando,
con un
filo di voce annunciò: “Amore, credo di
dover vomitare!”
N.d.A.
Sì
lo so, un anno per aggiornare è tanto, assolutamente troppo.
Perciò chiedo
venia a tutti quelli che l’aspettavano, se ancora ci sono
naturalmente. Non
accampo scuse, semplicemente ammetto che nei mesi trascorsi non ho
avuto testa,
né voglia, di mettermi a scrivere e francamente in questi
frangenti preferisco
soprassedere, attendendo tempi migliori. Spero solo di riuscire a farmi
perdonare con questo copioso capitolo e con la promessa solenne che il
prossimo
arriverà in tempi decisamente più brevi. J
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