Californication

di Rowena
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Io ***
Capitolo 2: *** La migliore amica ***
Capitolo 3: *** Lui ***
Capitolo 4: *** Il miglior... ehm, Nakatsu! ***
Capitolo 5: *** 4. La mamma migliore del mondo... o quasi ***
Capitolo 6: *** La cena per farli conoscere (prima parte) ***
Capitolo 7: *** La cena per farli conoscere (seconda parte) ***
Capitolo 8: *** L'arrivo degli Unni ***
Capitolo 9: *** Interrogatorio ***
Capitolo 10: *** Sempre in pullman ***
Capitolo 11: *** Hamburger... e infarti ***
Capitolo 12: *** 11. Dormire, sognare, oppure... UMEDAAA! ***



Capitolo 1
*** Prologo: Io ***


Iniziamo dicendo che non dovete prendervela con me. Se volete cercare dei responsabili, vi posso indicare due polle che rientrano benissimo nei requisiti per il linciaggio.
Loro mi passano queste brutte cose e io sono una personcina impressionabile, abbiate pazienza...
Questa è per Ale e per Robi, le due che mi hanno fatto conoscere la nuova droga. Se ne volete un assaggio, andate QUI e iniziate a prendervene un assaggio; vi avviso che provoca dipendenza, perciò poi non lamentatevi con me.
Seconda cosa: se capitasse qualche fan accanito del manga, premetto che la storia è ispirata al telefilm linkato più su e che non ho ancora letto il manga. Ho iniziato il primo numero online, a dire la verità, ma preferisco rimanere fedele alla versione in carne e ossa giapponese (Sano-kun è più figo, abbiate pazienza, anche l'occhio vuole la sua parte).
Buona lettura!


La gita scolastica di quest’anno dell’Osaka High sarà in California.
Oh no. No no no, non può essere!
Ci deve essere un errore: questa giornata sembrava così promettente, il tempo splendido e una giornata a caccia di saldi con la mia migliore amica in programma, quindi perché si deve abbattere su di me questa disgrazia?
Non è giusto, non me lo merito.
Prendi fiato, Mizuki, respira… Ma come diavolo faccio?
Potrei vantarmi di aver appena stabilito un nuovo record, se la corsa nel vialetto di casa fosse eletta a sport olimpico. La mia reazione vi sembra esagerata?
Beh, vi sbagliate! Possibile che di quegli idioti neanche uno si sia lasciato scappare una sola parola su questa iniziativa? Eppure il mio computer sta per implodere per il numero esagerato di mail che ricevo ogni giorno dagli studenti dell’Osaka High…
Il telefono, dove diavolo è finito il telefono?
“Mizuki? Ma non stavi uscendo?” La voce della mamma mi raggiunge dalla cucina, dove è intenta a preparare una gustosa cenetta per questa sera. Accidenti, e ora che le dico?
“Sì, ma mi ero dimenticata che ho un’altra cosa da fare qui. Hai visto il telefono per caso?”
Fai che non chieda altro, fai che non chieda altro…
Mamma si tranquillizza e risponde con tranquillità. “È qui in cucina, vieni.”
Penserà che sia passato un ciclone in cucina, vista la velocità con cui sono andata a recuperare il cordless e sono di nuovo scomparsa. Non importa, ora non ho il tempo di fornirle una spiegazione sensata… Ci penserò più tardi.
Papà mi fissa con aria sconvolta, non è abituato a vedermi agire così. Non mi vedeva tanto strana dalla sua visita in Giappone, commenta, per poi rituffarsi nelle pagine del suo quotidiano. Meno male, perché non saprei proprio come spiegargli che gli studenti della scuola maschile che ho frequentato verranno tutti qui in gita.
Le parole scuola maschile potrebbero stroncarlo e non voglio ancora dargli un dispiacere. E non ho tempo adesso!
Via, nella mia stanza a parlare, mi serve una persona che comprenda il mio sconforto. Con il giornale dell’Osaka ancora stretto in mano, compongo un numero a memoria, disperata.
Julia, Julia, Julia: rispondi, avanti!
Voce seccata e sorpresa, ovviamente. “Mizuki, che succede? Pensavo che fossimo d’accordo di vederci al centro commerciale tra mezzora.”
Perdonami, amica mia, niente caccia ai saldi più vantaggiosi per oggi. “Cambio di programma, Julia: raggiungimi qui a casa, ti prego. È una vera emergenza!”





Che ne dite? Un commentino sarebbe gradito davvero tanto tanto!

Rowi

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Capitolo 2
*** La migliore amica ***


Dovevo sembrare davvero abbattuta, perché nel giro di tre minuti di orologio Julia ha suonato alla mia porta: questa è davvero la giornata dei record, se ci fossero Sekime e Nakatsu potremmo davvero divertirci.
Presto saranno qui… Ah, non ci voglio neanche pensare!
La mia amica mi fissa mentre riprende fiato accanto alla porta della mia camera da letto. Qui è ancora tutto come l’avevo lasciato, le pareti coperte dai poster e dagli articoli su Sano… Dovrò far sparire tutto per tempo, nel caso i ragazzi vogliano fare un giro turistico anche in casa mia!
“Allora, si può sapere che ti è preso? Al telefono sembrava una questione di vita o di morte!”
Quando mi sono tagliata i capelli c’era solo lei, solo a lei avevo confidato in che genere di scuola mi preparavo a entrare. La mia confidente americana: quanto mi è mancata durante i mesi trascorsi in Giappone!
Le passo la copia dell’Osaka Sports che ho trovato in giardino per spiegarle, incapace di rendere a voce la drammaticità del momento; drammaticità che Julia non ha colto per niente!
“E allora? Dovresti essere contenta, o sbaglio?”
Come immaginavo, non ha capito. Del resto, lei non era laggiù, non ha visto cosa sono in grado di fare.
“Hai letto bene o no? Vengono qui! Tutti quanti!”
Mi guarda con occhi sgranati, come a chiedersi che mi sia preso. “Ti hanno dato un colpo in testa o cosa? È da quando sei tornata che non fai altro che parlare dei tuoi amici in Giappone, e ora ti disperi perché i tuoi amici ti vogliono così bene da usare la loro gita scolastica per venire a trovarti? Tu sei tutta matta, Mizuki, lasciatelo dire.”
“Non è che non ho voglia di vederli, anzi…” Non è semplice da spiegare: abituata alle attività assurde dell’Osaka High e ai ragazzi, tornare qui alle vecchie abitudini è stato difficile. Per non parlare del fatto che non riesco a perdere le vecchie abitudini: indossare una gonna è ancora fuori luogo, mi sentirei troppo a disagio.
Il problema è che non li voglio qui: mi andrebbe più che bene se facessero una gita in Giappone o in qualunque altra parte del mondo e mi invitassero ad andare con loro, ovunque ma non la California.
“Non ho ancora spiegato a mio padre cos’è successo in questi mesi in cui sono stata via e non voglio che né lui né nessuno di qui venga a saperlo a causa loro.”
“Se questi idioti, come li chiami tu, hanno saputo accettare i motivi che ti hanno portata ad agire in quel modo, perché non dovrebbe fare altrettanto la persona che più ti ama al mondo, o i tuoi amici di sempre? Ti stai facendo delle paranoie assurde, credi a me.”
Ha ragione, però… Bisogna conoscerli per capire: non avrei dubbi a rivederli all’interno dei confini della scuola sono adorabili e si possono quasi tenere sotto controllo, in un certo senso, ma così la cosa mi terrorizza invece che farmi contenta.
Julia ricomincia a fissarmi con il suo sguardo indagatore, tanto da inquietarmi un po’.
“Che c’è?” Domando brusca: del conforto che mi aspettavo non si vede neanche l’ombra, accidenti. Rivoglio Umeda, lui sì che sapeva tirarmi su!
“Verrà tutta la scuola a questa gita?”
“Sì, immagino di sì: perché me lo chiedi? Anche se probabilmente si accoderà molta altra gente, se le cose andranno come mi aspetto” e inizio a contare sulle dita, “il dottor Umeda, per esempio, e la sua fidanzata appassionata di fotografia, Akiha, che sicuramente non vorrà perdersi questa occasione per fare qualche scatto interessante agli studenti. E poi Hibara-sama e le sue quattro amiche, e forse perfino Kagurazaka…”
“E Sano-kun dove lo metti?”
Oh, è vero. La mia amica ridacchia in modo irritante.
“Sei diventata tutta rossa, Mizuki: non mi dirai che davvero non ci avevi pensato, ti prego!”
Sano. In effetti no, non ci avevo proprio pensato.
È passato un mese da quando sono tornata in America, e non c’è giorno in cui si dimentichi di scrivermi. D’accordo, forse potrebbe sembrare strano che mi mandi una sola mail al giorno in confronto alla decina di Nakatsu o a tutte quelle che ricevo dagli altri, eppure in quell’unico messaggio mi racconta tutto quello che voglio sapere.
Tanto per cominciare, mi tiene aggiornata sui suoi progressi in pista: si sta rimettendo in fretta in forma e, ora che ha ripreso ad allenarsi con suo padre, sente che presto potrà sfidare di nuovo Kagurazaka.
Sono molto contenta di questo: vederlo saltare di nuovo per me è già stato un onore e una grande gioia, ma so che ora punta a fare di meglio. Il salto in alto è tornato a renderlo felice, e io non potrei essere più fiera di me.
Come dice Umeda, il mio essere insopportabile lo ha portato a tornare ad allenarsi e a saltare.
Allora Sano verrà qui. Come mi aveva promesso all’aeroporto…
“Terra chiama Mizuki: sei ancora qui o devo considerarti perduta per sempre?” “Uh?” Non l’ho sentita, accidenti. Che stava dicendo?
Julia scoppia a ridere, divertita.
“Sei proprio buffa, amica mia, lasciatelo dire. Però direi che il pensiero del tuo ragazzo ti ha tranquillizzata” aggiunge maliziosa.
Il mio ragazzo. Ancora non riesco a crederci che Sano Izumi è il mio ragazzo. Sempre sghignazzando, Julia fa un commento sul sorriso ebete che ho in faccia, ma non importa; se questo è l’effetto che fa la felicità, che sia.
Qualcuno bussa alla porta: “Tesoro, c’è una visita per te”.
Mamma fa capolino sulla soglia, socchiudendo la porta quanto basta perché possa infilare la testa nello spiraglio.
“Non ora, mamma, è una situazione d’emergenza”.
Lei si lascia scappare un risolino, tutta contenta. Ma che le è preso?
“Sei sicura di non voler neanche sapere chi è?”
Il carattere di mamma è sempre stato un po’ enigmatico, riesce sempre a spiazzarmi; con quel suo sorriso soddisfatto e l’aria di chi ne sa una più del diavolo, mi lascia ogni volta di stucco.
“No, non importa; chiunque sia, digli di ripassare un altro giorno”. Rispondo secca, credendo di non lasciare spazio ad altre repliche.
Poi, l’impossibile.
“È questo il modo di salutare chi ha attraversato il Pacifico per venire a trovarti, tappetta?”
Questa voce, possibile che sia…
Mamma apre la porta, rivelando la presenza di Sano accanto a sé.
Oh, accidenti.


Salve a tutti, eccomi di nuovo qui! Questa Julia me la sono inventata sapendo che nel manga esiste... Non so se ho centrato la caratterizzazione, però mi piaceva dare un'amica e un sostegno alla povera Mizuki... Quante gliene faccio passare, poverina!

Rowi

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Capitolo 3
*** Lui ***


Va bene, Mizuki, ragioniamo con calma.
Sano Izumi è qui. In California. Più precisamente in casa mia. Sulla soglia della mia camera, la mia bella stanzetta che sembra un tempio a lui consacrato. Per di più in compagnia di mia madre e della mia migliore amica, con la quale ho appena finito di parlare di lui.
No, questo è decisamente troppo: trenta secondi per cacciare tutti fuori e lanciarmi a rinnovare la camera per rendere la situazione meno imbarazzante. Posso farcela solo per la forza della disperazione. Ventinove, vent’otto, ventisette…
Quando riapro la porta, tre paia d’occhi mi osservano con aria stranita; non stento a crederlo, sono sudata e ho il fiatone come se avessi corso la maratona!
Sono sfinita, ma per lo meno la grande opera è compiuta.
“Sano-kun” comincio, ma ancora non va bene: troppa gente a guardarci, mi sento osservata. Lui stesso sembra imbarazzato, come se il pubblico lo mettesse a disagio: per uno che è abituato a saltare davanti a centinaia di persone è strano, no?
Mamma lo capisce, ci vede annaspare e decide di venirci in aiuto. Ti voglio tanto bene, non so se te lo dico abbastanza spesso ma è così.
Ora più che mai, almeno. E dire che pensavo di non poter provare ancora la gratitudine che ho sentito al momento della loro partenza in Giappone.
“Io torno in cucina, Mizuki: se avete bisogno di qualcosa datemi un chiamo, va bene?” Sorride ancora, tutta fiera di sé, e si rivolge direttamente a Sano. “È stato un piacere conoscerti finalmente, Sano-kun. Mi auguro di vederti spesso nei prossimi giorni”.
Lui sorride e s’inchina appena per rispondere a mia madre. “La ringrazio, signora; è stato un piacere anche per me, sebbene non abbia capito per quale motivo abbiamo evitato suo marito”.
Lo so io, il perché: se papà l’avesse visto, l’avrebbe tenuto sotto torchio per ore tanto per sapere cosa è successo davvero in Giappone. Ho idea che la mia versione non l’abbia convinto molto, chissà poi per quale ragione…
Sorridendo, mamma risponde all’inchino e se ne va: rimaniamo in tre.
“Che ci fai qui, Sano?” chiedo ancora dubbiosa. Non ci credo che sia davvero qui.
Julia sembra sul punto di darmi un pugno in testa. Che c’è, che ho detto?
Non mi sembra che sia tanto normale la materializzazione improvvisa di Sano sulla soglia della mia stanza, no?
Infatti, Sano stesso si limita a sorridere prima di rispondere, per nulla sorpreso dalla mia domanda. “Mio padre mi ha portato a un meeting a porte chiuse per i migliori saltatori del mondo. Dice che mi aiuterà a recuperare i miei vecchi standard”.
Vorrei dirgli che per me già quel giorno d’autunno, quando ha saltato ai nazionali, era ai suoi vecchi standard, però mi limito ad annuire. Ne abbiamo già parlato, nella camera che dividevamo all’Osaka High; sentir dire dal ragazzo di cui mi sono innamorata che grazie a me è riuscito a diventare una persona migliore…
Beh, è uno dei tanti aspetti che non avevo preventivato quando ho deciso di entrare in una scuola maschile per incontrarlo e aiutarlo a tornare in pista. Non che mi lamenti, anzi!
“Potevi scrivermelo, sarei venuta a prenderti in aeroporto a saperlo”.
Lui si avvicina e mi scompiglia i capelli, come ai vecchi tempi. “Volevo farti una sorpresa”.
“Oh”.
Julia sta trattenendo un attacco di risa, me lo sento; ma che ha da divertirsi così? Proprio non capisco.
Sarà meglio fare le presentazioni, prima che la situazione degeneri.
“Dopo aver sentito questa qui idolatrarti per anni, sono contenta d’incontrarti di persona, Sano-kun. Mizuki è davvero la tua fan numero uno, sai?”
Terra, inghiottimi.
Sano, controllato come sempre, non fa una piega. “Altrettanto. E sì, la sua ostinazione perché tornassi a saltare me l’ha fatto pensare”.
“Ehi, come sarebbe?” Mi prendi in giro, Sano?
“Con tutta quella robaccia ritagliata dai giornali che ti sei portata in Giappone, oseresti negarlo?”
“Ma è stato un incidente…” biascico a malapena sentendo le guance in fiamme. “Ho rischiato di farmi scoprire subito. Piuttosto, come hai fatto ad arrivare qui?”
Lui allarga le braccia e le incrocia dietro la schiena, ricordando molto Nakatsu, sempre ridacchiando. “Ho chiesto l’indirizzo a tuo fratello”.
Semplice, conciso, furbo. Da quando lui e Shizuki si scrivono? Mi sento un po’ accerchiata da questa famiglia di complici che agiscono alle mie spalle!
Ora che ci penso, mio fratello aveva chiesto a Sano di tenermi d’occhio… Probabilmente si sono tenuti in contatto fin da allora. Sarà meglio tenerlo a mente d’ora in poi.
Sospirando, faccio per dire qualcosa a Julia, quando mi accorgo che non c’è più.
“Uh? Se ne è andata?”
“Sì, eri così presa a pensare che non te ne sei accorta. Allora”, attacca poi con un sorrisetto che non mi ispira nulla di buono, “cos’è che hai nascosto in tutta fretta quando siamo arrivati?”
Oh mamma. “Niente che ti possa interessare!” sbotto imbarazzata.
Fai che non abbia visto nulla, fai che non abbia visto nulla…
Ma, ovviamente, Sano si avvicina sicuro all’armadio dove ho infilato tutti i manifesti compromettenti e ne recupera uno, lo srotola per poi fermarsi a guardarlo, quasi stupito. “Non pensavo che mi avessero messo su tanti poster: hai l’intera collezione, o sbaglio?”
Terra, riapriti e inghiottimi di nuovo. Voglio morire per la vergogna!
“È tutta roba vecchia, la tengo lì appesa da anni; quando sono tornata non li ho tolti perché…” Come faccio a dirti che ho preferito lasciarli alle pareti per avere l’illusione di dividere ancora la stanza con lui? È davvero troppo, anche per me.
“Akiha mi ha portato una foto di noi due quasi subito dopo la tua partenza. È molto bella; ne ho fatto fare una copia anche per te, così puoi tenere quella invece di tutte quelle gigantografie”.
Mi guarda fisso e sorride in quel modo speciale, tutto per me. Sembra che questo mese non sia passato, sembra di essere tornati a quel momento unico in aeroporto.
“Mi sei mancata, Mizuki”. Il suo abbraccio, forte e improvviso.
Ora sì, che sono tornata a casa.



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Capitolo 4
*** Il miglior... ehm, Nakatsu! ***


Oggi si recupera il pomeriggio di shopping annullato ieri, per ringraziare la pazienza della mia amica.
Dopo due ore di caccia ai saldi, finalmente ci fermiamo su una panchina nel parco, cariche di sacchetti di ogni misura.
“Wow, che cosa romantica!” Julia saltella di gioia, mentre le racconto cosa si è persa ieri pomeriggio. “E poi cos’è successo?”
Alzo le spalle. “Nulla, siamo rimasti in camera mia a parlare e poi l’ho fatto uscire dal retro prima di cena, così che papà non si accorgesse di lui. Mi sarebbe piaciuto che restasse, però suo padre, suo fratello Shin e Kagurazaka lo aspettavano in albergo e doveva andare”.
È stato un pomeriggio così piacevole… Mi mancavano le nostre chiacchiere!
“Vorresti dire che non vi siete neanche baciati?” chiede una delusissima Julia.
Non era il momento, provo a spiegarle, ma so già che nulla servirà a convincerla che abbiamo fatto bene e che lei si sbaglia nel considerarci una coppia di idioti.
“Non esiste, Mizuki, non c’è scusa che tenga: capisco che quello in aeroporto è stato il tuo primo bacio e che probabilmente è stato imbarazzante, ma non hai motivo di rimandare il secondo tentativo. Te l’assicuro, non puoi che migliorare”.
Ehi, un momento! Il bacio in aeroporto non è stato assolutamente imbarazzante, è stato perfetto: chi ha mai detto il contrario?
La mia amica si sta facendo un castello immaginario non da poco, temo… E meno male che non c’è Nakatsu a darle corda, per fortuna. Lo adoro, ma a volte perfino lui supera i limiti.
“Non ho affatto paura, se è questo che intendi, e poi quello non è stato il mio primo bacio!”
Oh, no. Qualcuno mi dica che non l’ho detto ad alta voce… Maledetta la mia boccaccia.
Ma sono la stessa Mizuki che è riuscita a mantenere segreta la propria identità per mesi e mesi in una scuola maschile? Al momento mi viene da domandarmi come ho fatto a resistere così a lungo.
Ovviamente, nel caso mi stessi illudendo che fosse possibile, Julia non lascia cadere nel nulla l’allusione che mi è sfuggita e mi aggredisce con un turbine di domande. “Cosa cosa cosa? Come è successo? E soprattutto, con chi? È stato Sano? E perché non hai detto nulla alla zia Julia?”
Sì, aggredire è il verbo giusto, visto che mi ha addirittura acchiappata per la maglietta con una presa da lottatore. Ho tanta paura, e non sto scherzando.
Zia Julia? Non ti starai montando un po’ troppo la testa?” bofonchio cercando di liberarmi da questa morsa; accidenti che grinta, spero di non trovarmi mai a litigare con lei, o potrei non uscirne viva. “Comunque, è successo con Sano; non te l’ho detto… Perché mi vergognavo”.
“Ma dai, Mizuki: nessuno nasce già maestro. Posso assicurarti che il primo bacio è un disastro per tutti, perciò bando alla timidezza!”
Avrai anche ragione, amica mia, però sono pronta a scommettere che non tutti si ubriacano mangiando un dolcetto al liquore e perdono il controllo al punto di baciare la prima persona che capiti a tiro.
Insomma, Sano ha colpito perfino Kagurazaka!
Ahi ahi, la storia del lato oscuro e astemio del mio ragazzo doveva rimanere un segreto: quanto mi prenderà in giro Julia dopo questa rivelazione?
Parecchio, direi, visto che è appena crollata a terra dalle risate, in lacrime. E dire che non sono neanche a metà della storia…
“Oh my God, non posso crederci: chi l’avrebbe mai detto che il pacato e controllato Sano Izumi fosse un Baciomane? Pensa se lo sapessero quei giornaletti per teenager che ogni tanto pubblicano foto e poster di lui…”
Pensavo che la vergogna provata nel raccontare questa cosa sarebbe stata sufficiente, ora che devo sentire?
“Non penserai mica di vendere la notizia o qualcosa del genere! Sano non sa cosa gli succede, anzi: in genere dopo aver baciato la sua vittima crolla addormentato e non si sveglia fino a che non ha smaltito la sbornia. Non gli rimane alcun ricordo di quello che ha fatto”.
“E tu vorresti dirmi che nessuna di voi vittime ha mai pensato di spiegargli che dovrebbe tenersi a un chilometro di distanza da ogni genere di alcolico?”
Domanda più che lecita, quella posta dalla mia amica; in effetti, ci sarebbe da chiedersi perché né io né gli altri abbiamo mai detto la verità a Sano. Cerco di giustificarmi, pur sapendo che l’opinione di Julia su di me sta precipitando a tempo di record.
“Beh, la prima volta che è successo non eravamo abbastanza in confidenza, poi ci ha provato di nuovo ma Nakatsu si è messo in mezzo. È successo ancora, ma lui stava male e non mi è sembrato il momento adatto”.
Lei sospira scuotendo il capo. Chissà perché ho la sensazione che non le sembriamo più così romantici. “Contenta tu che il tuo ragazzo sia un Baciomane inconsapevole…”
Qualcuno mi mette una mano sulla spalla, distraendomi dalla conversazione.
“Scusate signorine, sapreste indicarmi dove abita la famiglia Ashiya? È imbarazzante da ammettere, ma mi sono perso”.
“Uh?” No, non è possibile. Ma è la settimana degli ospiti a sorpresa? “Nakatsu? Ma cosa ci fai qui?” È proprio lui, il mio miglior amico, l’inconfondibile campione di calcio dell’Osaka High. Arienai…
Nakatsu fa un salto mortale nel riconoscermi, sconvolto. Idiota, basta un vestito femminile e una borsa a tracolla per rendermi una sconosciuta?
“Mizuki? Ma sei proprio tu?”
In carne e ossa, baby. Che c’è, sono così diversa da quando frequentavo l’Osaka? Mi sembra impossibile, anche là mi hai vista vestita da ragazza, e in più occasioni. Cosa è cambiato da allora?
Però, a pensarci meglio, da quando sono tornata mi comporto in modo più libero; non devo più fingere di essere qualcosa che non sono, né mantenere un segreto così grande con tutte le persone che mi circondano.
Mi torna in mente Sano che mi confida di essere cresciuto dal mio arrivo in Giappone; beh, non è l’unico ad essere cambiato, anche io sono diversa. In meglio, spero.
Il mio amico è ancora imbambolato a fissarmi, sotto lo sguardo di una sempre più confusa Julia.
“Hai un amico veramente strano, Mizuki”, commenta, aspettando che faccia le presentazioni.
Credo che stia iniziando a capire perché fossi tanto sconvolta alla notizia che presto tutti i miei ex-compagni arriveranno qui.
“Si può sapere che ci fai in America, allora? Da quel che ne sapevo io, la gita dell’Osaka inizierà soltanto la settimana prossima!”
“Sì”, esclama Nakatsu con aria fiera di sé, “ma ho pensato che sarebbe stato carino presentarmi un po’ in anticipo per passare un po’ di tempo tra amici senza tutti gli altri. Che dici, non sono stato geniale? Scommetto che neanche il grande Sano Izumi è riuscito a fare altrettanto!”
Poverino, ci resterà malissimo. “Veramente…”
“Veramente sono arrivato ieri, idiota”.
Sano? Oh sì, eccolo lì alle spalle del mio amico, con la sacca sportiva sulla spalla; sembra essere apparso dal nulla, come richiamato per magia.
Nakatsu si volta lentamente, incredulo. “Non è possibile…”
“Già finiti gli allenamenti?” chiedo così per confermare.
Lui annuisce, si avvicina e mi schiocca un bacio sulla guancia. “Sì, per oggi basta saltare”.
Sono sicura di essere arrossita come un peperone, ma non importa.
Julia si alza, stanca di fare da tappezzeria. “Beh, dato che siamo tutti qui, che ne dite di prendere un gelato?”




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Capitolo 5
*** 4. La mamma migliore del mondo... o quasi ***


Quattro giorni.
Tra quattro giorni si scatenerà l’inferno.
Tra quattro giorni un aereo atterrerà qui vicino portando con sé tutto il corpo studentesco dell’Osaka High.
Ecco tutto ciò a cui riesco a pensare mentre mi rigiro tra le coperte, insonne. E come potrei addormentarmi in un momento del genere?
Sono contenta che Sano e Nakatsu siano qui, la loro compagnia mi mancava davvero: Julia li sta ancora mettendo a fuoco, sebbene sia bastata mezza giornata per convincerla che a entrambi manca qualche rotella.
Mi sono divertita molto in quest’ultima settimana, a mostrare ai ragazzi il mio mondo e anticipare qualche tappa della gita scolastica. Ovviamente ho pregato la mia migliore amica di non abbandonarci mai, anche per un solo istante, perché Nakatsu non si sentisse isolato.
Non so bene come comportarmi con Sano davanti a lui: mi ha assicurato di non provare niente per me, tempo fa, però quella sua dichiarazione sembrava così sincera…
Scommetto che mi ha mentito per non mettermi in difficoltà; se avessi ragione, sarebbe una prova che è ben più maturo di quello che appare. Forse teneva troppo alla nostra amicizia per lasciarla sfiorire.
Sia come sia, sono stata fortunata a incontrare una persona così.
Ieri Julia ha fatto un’osservazione strana, la sconvolge il fatto che chiami ancora il mio ragazzo per cognome. A me sembra normalissimo, ho sempre fatto così da quando sono arrivata all’Osaka!
Dice che è assurdo, anche perché da come mi comporto le sembra che abbia più confidenza con Nakatsu. In realtà non è così, amica mia, ma so bene che non riuscirei mai a spiegartelo a parole. Il legame tra me e Sano è speciale, ma penso che sia difficile da intendere dal di fuori.
Ad ogni modo, lui non si è mai lamentato perché non lo chiamo Izumi. Conoscendolo, non ci fa neanche caso. Non è mica come me, che sono andata in un brodo di giuggiole quando ha usato per la prima volta il mio nome!
“Mizuki, sei ancora sveglia?”
Mamma? Che cosa vuole a quest’ora?
Mi siedo sul letto e allungo una mano a cercare l’interruttore della lampada sul comodino, prima di risponderle.
“Posso entrare? Dovrei parlarti di una cosa ed è meglio approfittare del sonno pesante di tuo padre”.
Ci credo che ha il sonno pesante, altrimenti da come russa si sveglierebbe da solo!
“Accomodati”, le dico. Non so perché, ma non prevedo nulla di buono.
“La preside dell’Osaka High mi ha scritto una mail per invitarti a unirti ai suoi studenti per tutta la durata della loro gita scolastica qui in California, come ex-alunno dell’istituto”.
Non ci credo! “Stai scherzando?”
Lei mi fissa seria, allargando le braccia e agitando le mani come per convincermi. “No, perché dovrei? Mi ha spiegato che, anche se ha trovato sensata la tua decisione di lasciare la scuola, lei e il suo vice hanno preferito non rivelare il tuo segreto agli insegnanti e ai membri del consiglio di amministrazione, perciò se tu ti aggregassi alla comitiva nessuno avrebbe da contestare alcunché”.
La preside è una donna eccezionale, ecco perché tutti a scuola le vogliono così bene. Sono terrorizzata all’idea dei miei amici all’opera qui, e tuttavia avere la possibilità di sentirmi di nuovo uno di loro mi piace tantissimo.
Mi ha fatto un regalo strepitoso!
“Dovrò vestirmi di nuovo da ragazzo, allora”.
Lei annuisce. “Ovviamente”.
“E per te andrebbe bene?” chiedo quasi sorpresa. In effetti, non ha fatto scene di nessun genere neanche quando le ho rivelato in che tipo d’istituto ho studiato nell’ultimo anno, perciò non so bene che reazione mi aspettavo.
“Se hai resistito quasi sei mesi da sola, perciò perché dovrei impedirti di farlo di nuovo per qualche giorno? Pensarti a divertirti con i tuoi amici mi rende felice, figlia mia” risponde lei con un sorriso.
Ho una mamma straordinaria, non mi stancherò mai di ripeterlo.
Faccio per abbracciarla, ma lei mi ferma; le sorprese sembrano non essere finite, visto che s’illumina prima di aggiungere qualcosa.
“Ah, inoltre la preside mi ha detto che hanno già prenotato anche per te in tutti gli alberghi in cui pernotteranno. Dividerai di nuovo la camera con Sano-kun”.
Dannazione, mi sento la faccia caldissima. Che imbarazzo…
Ora capisco perché è venuta a dirmelo in piena notte: se avesse fatto un simile discorso davanti a lui, papà mi avrebbe messo la cintura di castità!
“Mamma, ma questo non è possibile”.
“E perché no? Certo, è sottinteso che dovrete comportarvi come due compagni di scuola e nulla più; il dottore di cui mi hai parlato… com’è che si chiama?”
“Umeda?” Arienai, quello ci starà col fiato sul collo!
“Sì, proprio lui. Il dottor Umeda, dicevo, accompagnerà gli studenti in gita e vi terrà d’occhio. Ti avviso, però, che se succederà qualcosa di sconveniente tra voi Sano perderà per sempre il posto nella squadra di atletica della scuola”.
Cosa? No, non potrei mai permetterlo, non dopo tutta la fatica che ho fatto perché ricominciasse a saltare!
“Allora sarebbe meglio che io dividessi la camera con qualcun altro”.
“Non dire sciocchezze, Mizuki; oltre al fatto che mi fiderei a lasciarti dormire soltanto con lui, non credo che al tuo ragazzo farebbe piacere farti stare in camera con un altro”.
No, non lo permetterebbe mai. Nemmeno se si trattasse di Nakatsu, scommetto…
A pensarci bene, non lo permetterebbe soprattutto se si trattasse di Nakatsu!
Mamma mi guarda con attenzione, sapendo bene che non permetterò a Sano di avvicinarsi a me a meno di un metro di distanza nei confini della camera che divideremo.
“D’accordo, mamma, come volete tu e la signora preside. Allora tra quattro giorni parto!” ripeto per assicurarmi della cosa.
“Eh già: ho solo un’altra condizione da porti per lasciarti andare in gita”.
Chissà perché so già che non mi piacerà neanche un po’. “E sarebbe?”
“Devi dire tutta la verità a tuo padre, Mizuki. Sulla scuola che hai frequentato, su quello che è successo, sul tuo rapporto con Sano… Non è giusto tenerlo ancora all’oscuro”.
Papà, posso andare via per una settimana con i miei ex-compagni di scuola? Ovviamente nei panni di un ragazzo, perché l’istituto è rigorosamente maschile e io dovrò travestirmi come ho fatto per tutto il periodo in cui sono rimasta in Giappone.
Suona bene, sì sì… Se volessi porre fine alla mia vita, sarebbe un ottimo sistema per lasciare a mio padre il lavoro sporco.
“Sei pazza? Come minimo mi richiuderà in casa per un anno o due!”
“Ma che dici? Andrà tutto bene, vedrai: ho anche invitato a cena Sano-kun e quel tuo amico strano, come si chiama?”
È davvero un disastro coi nomi…
“Nakatsu” suggerisco senza riflettere.
Un attimo che m’immagino la scena di noi tre più Sano e il mio migliore amico intorno a un tavolo a discutere del mio soggiorno all’estero.
Momento di panico.
Senza accorgersi di nulla, mamma batte le mani. “Sì, ecco! Verranno domani sera per aiutarti a spiegare tutto a papà”.
Si può sapere cosa ho fatto di male in vita mia? E soprattutto, perché quei due non mi hanno detto niente oggi pomeriggio? Ma questa me la pagano, oh sì.
“Oh” aggiungo con tono rassegnato.
Devo accettare la notizia e iniziare a studiare un piano per confessare la verità senza guadagnarmi un posto a vita in un convento di clausura.
“Bene, ti ho detto tutto. Buonanotte Mizuki” mi augura la mamma prima di schioccarmi un bacio e sparire in fretta, così com’è apparsa.
Ora sì che dormirò bene, rilassata e senza preoccupazioni…


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Capitolo 6
*** La cena per farli conoscere (prima parte) ***


Una lunga notte insonne, una giornata di preoccupazioni e castelli in aria su quanto potrebbe accadere tra poco.
L’ora di cena si avvicina inesorabile, senza che io sia riuscita a prepararmi un qualche tipo di discorso. Non ho sentito Julia, Nakatsu o tanto meno Sano, che sapevo impegnato tutto il giorno con gli allenamenti. Sono rimasta sola, a pensare, senza risultati.
Quando, finalmente, il campanello annuncia l’arrivo degli ospiti di questa serata, schizzo ad aprire la porta prima ancora che mamma possa offrirsi di andare al posto mio.
Oh no, accogliere quei due sarà un mio personalissimo piacere: devo tirare per bene le orecchie a entrambi, così impareranno a tenermi all’oscuro dei malvagi piani di mia madre! “Ben arrivati” esclamo cercando di sembrare il più minacciosa possibile.
Sto per cominciare la ramanzina, se non che… Ma perché diavolo mi guardano in quel modo?
Sano e Nakatsu sono arrivati insieme, ed entrambi sembrano imbambolati alla mia vista. Il secondo perde addirittura sangue dal naso, anche se non mi spiego perché.
“Ehm, va tutto bene?” domando già dimentica dei miei progetti di vendetta.
Silenzio. Nakatsu riesce dopo qualche secondo a indicarmi a bocca aperta, sempre sconvolto.
Ho qualcosa che non va? Forse mi sono vestita troppo elegante: ho scelto l’abito che avevo comprato in Giappone nel tentativo di non far capire a mio fratello in che razza di scuola fossi finita.
È imbarazzante, però ho pensato che questa potrebbe essere la mia ultima occasione di vedere Sano… Mio padre potrebbe davvero decidere di tenermi a vita sotto chiave, perciò mi sembrava giusto mostrarmi un po’ più carina del solito. Non voglio che lui o Nakatsu mi ricordino nei miei vestiti di maschiaccio! Il mio ragazzo mi fissa e riesce finalmente a parlare. “Sei bellissima”.
Ecco, se potevo ancora avere qualche chance per lo meno di sgridarli per aver accettato di partecipare a questa cena bislacca ora tutto è andato a rotoli.
Sano, Sano, Sano… Ma com’è possibile che con così poche parole tu riesca a sciogliermi?
Sospiro, prima di lasciare loro spazio per entrare. “Avanti, non ha senso evitare ancora il momento tanto temuto. Solo, mi spiace che siate stati coinvolti in questa faccenda di famiglia”.
Nakatsu strabuzza gli occhi. “Scherzi? In tre sarà più facile spiegargli che non è successo niente di male. E poi chi meglio di noi potrebbe aiutarti, noi che conoscevamo il tuo segreto e l’abbiamo mantenuto senza chiedere niente?”
Se ci fosse Umeda a dir la verità sarei molto più tranquilla, ma lasciamo perdere.
Speriamo che tu abbia ragione, amico mio. Chiudo la porta di casa e indico il corridoio che porta alla sala da pranzo, ma Sano mi ferma non appena il nostro compagno di disavventure s’incammina per primo.
È serio, eppure con quell’aria complice che conosco bene. “Non devi scusarti: sei venuta in Giappone per me, perciò aiutarti in questa situazione mi sembra il minimo che possa fare”.
Oh, Sano. Mi vengono in mente le condizioni della preside che mamma mi ha riportato ieri notte e arrossisco fino alla punta dei capelli.
Non sei in debito con me, affatto: la sola cosa che avevo chiesto era poterti vedere saltare di nuovo, e l’hai fatto. Semmai sono io a doverti ancora qualcosa per avermi salvata quella notte e per avermi protetta per tutto il tempo che sono stata in Giappone.
“E poi, avremmo dovuto affrontare comunque tuo padre prima o poi” aggiunge con un mezzo sorriso. “Non abbiamo niente da nascondere”.
Andiamo, allora. Gli prendo la mano. “Vorrei avere io un po’ del tuo coraggio” mormoro piano.
“Perché, cosa ti ha spinta a trasferirti da sola in un paese straniero e a travestirti pur di aiutare un testone pieno di sé come il sottoscritto?”
“Follia… o amore” concludo arrossendo. È così, io ti amo.
Sano sorride e mi scompiglia i capelli come al solito, approfittando della sua altezza. “Sarà meglio assicurarci che Nakatsu sia ancora vivo, lo abbiamo lasciato andare da solo!”
Accidenti, ha ragione: solo con mio padre? Povero, dobbiamo salvarlo.
Quando arriviamo in sala da pranzo, il nostro amico è ancora sulla soglia, come pietrificato. Seduto a capotavola, mio padre lo fissa con aria minacciosa.
“Mizuki, chi è questo idiota?”
“Ehm…” comincio, cercando di non ridere; com’è possibile che in trenta secondi sia già riuscito a farsi inquadrare? “Lui è Nakatsu Shuichi, papà, era un mio compagno di scuola in Giappone: è venuto a trovarmi per vedere come me la passavo”.
Verità con qualche piccola omissione; aspetto ancora, almeno dobbiamo sederci tutti a tavola prima di cominciare con le rivelazioni.
Papà lo snobba, senza concedergli un minimo di tregua. “Molto gentile da parte sua, per essere un idiota”.
Mi chiedo cosa sia riuscito a combinare per farsi trattare così… ma forse è meglio che io non lo sappia, oh sì.
Mamma sceglie di entrare proprio adesso, togliendoci tutti dall’impiccio, e dopo aver posato sulla tavola l’insalatiera assesta senza troppa forza una bella gomitata a papà. “Non essere scortese con i nostri ospiti, caro”.
Sono quasi sul punto di ringraziarla, ma poi mi ricordo a chi devo questa bella serata e decido di soprassedere. Meglio riprendere con le presentazioni.
“Papà, ti ricordi di quell’atleta che seguivo sempre in televisione?”
“Quel Sano? Quello che idolatravi come il tuo più grande eroe?”
Ma non l’ha riconosciuto o lo fa apposta? Arienai, questa non è più casa mia, è il circo degli imbarazzi!
Faccio finta di nulla, riprendendo a parlare. “Esatto, proprio lui: beh, ti presento Sano Izumi in carne e ossa”.
Sano fa un passo avanti per stringere la mano a mio padre, che non perde l’occasione per squadrarlo da capo a piedi.
“Come mai ti trovi anche tu in America, ragazzo?”
Quando si dice la cortesia! Per fortuna che il mio ragazzo è abituato a trattare con la maleducazione degli Ashiya, visto che io non gli ho mai dato tregua con le domande personali.
Da qualcuno dovevo aver preso la testardaggine e la capacità d’impicciarmi nelle faccende altrui, no?
L’interpellato, tuttavia, non si lascia sorprendere. Aver passato mesi e mesi con me deve averlo reso più intoccabile di prima. “Sto seguendo una sorta di allenamento speciale a porte chiuse poco distante da qui, ma soprattutto sono venuto per vedere sua figlia: la scuola non è più la stessa senza di lei”.
Prevedo una serata molto, molto, molto lunga: ero preparata a mio padre e ai suoi interrogatori, ma non credevo che Sano avrebbe risposto così, senza problemi o esitazioni, né che fosse tanto deciso ad affrontare la mia famiglia.
In parte è meglio così, tanto avevo messo in conto una situazione simile già da qualche tempo, anche se non credevo che ci saremmo trovati a parlare del Giappone e, soprattutto, di me e di Sano così presto.
Via il dente via il dolore, si dice. Speriamo che sia così anche questa volta!
Papà fissa Sano con stupore e io scuoto Nakatsu, che finora è rimasto immobile, come sotto shock, per invitarlo a sedersi.
Forse almeno riusciremo a gustarci l’insalata, prima di cominciare a vuotare il sacco.


Vi è piaciuto? Me lo lasciate un commentino? ^^

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Capitolo 7
*** La cena per farli conoscere (seconda parte) ***


Stranamente, la cena si sta svolgendo con molta più tranquillità di quanto mi ero aspettata. Non so se esserne felice o preoccuparmene, a dire la verità.
Mamma di fronte a me di tanto in tanto mi guarda con aria complice, come a invitarmi a cominciare, ma non me la sento di cominciare io il discorso. Accanto a lei siede Nakatsu, mentre Sano è alla mia sinistra.
“Allora, ragazzi, perché non mi raccontate qualcosa su questo anno scolastico? Mizuki è stata molto vaga a riguardo, sì” comincia papà. È ovvio che sia rimasta sul vago, non riesco a ricordarmi un singolo episodio che non tradisca il mio travestimento da ragazzo!
“Davvero?” chiede Nakatsu cadendo dalle nuvole. “Strano, sono successe così tante cose… volendo potremmo anche scriverci un romanzo, no, Mizuki?”
Certo, oppure che ne so, una sceneggiatura per la televisione! In effetti è vero, sono successe un sacco di avvenimenti incredibili per una semplice scuola.
“Soprattutto da te, Sano-kun… Dev’essere successo qualcosa d’importante, perché mia figlia quasi non ti ha nominato. È strano, prima non faceva che parlare di te”.
Ecco, fammi pure passare da maniaca ossessiva… Non è ancora troppo tardi per quella famosa buca in giardino dove seppellirmi, lo sento.
“Mizuki mi è stata vicina e mi ha letteralmente costretto a riprendere a saltare”.
Sano non si lascia tradire, ripetendo una cosa che papà sapeva fin da prima di sedersi a tavola. Gli avevo promesso che sarei rimasta in Giappone soltanto finché lui non sarebbe tornato a saltare ancora, perciò…
Mio padre sembra curioso di saperne di più. “Mizuki non mi ha spiegato bene nemmeno in che scuola è andata, sapete? Almeno, a me non è molto chiaro: i caratteri sul diploma che ha portato a casa sono quelli dell’Osaka High, ma ai miei tempi quella scuola era esclusivamente maschile”.
Mi sento come se stessi per salire al patibolo, eppure so che ora è il mio turno di parlare. Deglutisco e prendo fiato, mentre sotto il tavolo cerco la mano di Sano.
“Lo è ancora, papà, ed è proprio nella scuola che dici tu che ho studiato in questi ultimi mesi”.
Non so bene come, non so bene perché, ma mio padre non sembra essere sconvolto a questa rivelazione. Sogghigna tra sé e sé, come se non avesse afferrato.
Forse è proprio così… Sarà meglio ripetere.
“Papà, sto dicendo che ho ingannato tutti gli studenti e gli insegnanti dell’Osaka High facendomi passare per un maschio, hai capito?”
“Sì, certo che ho capito, non sono mica sordo!” Va bene, sto seriamente iniziando ad avere paura. “Ma vedi, Mizuki, non sto dando in escandescenze… perché lo sapevo già”.
Oh My God, per citare Julia. E questa novità ora che significa?
“Come sarebbe a dire che lo sapevi già?” domando con filo di voce.
Mio padre scrolla le spalle, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. “Beh, quando tua madre ed io siamo tornati dal Giappone, volevo capire per quale motivo mi fossi sembrata così strana” comincia; beh, in effetti durante la loro visita mi sono comportata un po’ come una pazza, ma mi hanno preso alla sprovvista.
Papà riprende la sua spiegazione. “Ho chiesto a tuo fratello, che aveva passato più tempo con te, e lui sentendosi un pochino sotto pressione ha deciso di rivelarmi la verità a patto che mantenessi la mia promessa di non interferire. Non ho detto nulla solo per vedere per quanto ancora mi avresti tenuto all’oscuro di tutto”.
Qualcuno mi aiuti a cercare la mia mascella, per favore, perché credo che per lo shock sia caduta sotto al tavolo. Cerco con lo sguardo i miei ospiti: Nakatsu è sconvolto quanto me e anche Sano, sebbene come sempre non lasci trasparire molto delle sue emozioni, sembra piuttosto sorpreso.
“Io aspettavo soltanto il momento giusto” mormoro nel tentativo di riprendermi. “E non ti sei arrabbiato nemmeno un po’?”
“All’inizio sì, come poteva essere altrimenti? Ma Shizuki mi ha spiegato con chiarezza quali motivi ti hanno spinta ad agire così e con quale decisione l’hai affrontato per impedire che ti riportasse in America. Mi secca molto che tu mi abbia mentito, ma per il resto sono fiero di te”.
Credo di avere gli occhi lucidi per la commozione; papà è riuscito a stupirmi ancora una volta, proprio come aveva predetto Julia. La mia amica ha sempre ragione, devo ricordarmelo più spesso.
Dato che l’argomento più spinoso in programma è stato subito accantonato, l’atmosfera a tavola si rilassa di colpo e Nakatsu comincia a parlare con entusiasmo dell’imminente gita scolastica dell’Osaka High.
“Sai, papà, la preside mi ha generosamente offerto la possibilità di viaggiare con i miei amici: reciterei la parte del ragazzo, proprio come in Giappone”.
Sento le dita di Sano stringersi con più forza intorno alla mia mano per la sorpresa e anche per la felicità.
Dovremo parlare di alcune cose, tu e io, e non so come prenderai le imposizioni… Ci penserò più tardi.
“Davvero, Mizuki?” chiede Nakatsu, anche lui preso alla sprovvista: la preside non ha detto niente a nessuno, allora. “Pensa a quanto potremmo divertirci, proprio come a scuola!”
“Ovviamente Mizuki non potrà venire con voi senza il nostro permesso”, commenta placidamente mamma sorseggiando un bicchiere d’acqua. “Tu che dici, caro?”
Mi volto a guardare mio padre, in attesa della sua risposta. Lui prende tempo a pulirsi gli occhiali, facendomi tribolare ad ogni secondo che passa, poi finalmente: “Mizuki ha dimostrato di avere la testa sulle spalle, anche se a modo suo, perciò non vedo perché non dovremmo fidarci di lei. Potrà divertirsi in gita con i suoi amici, prima di ricominciare la scuola qui in America a ottobre”.
Evviva, evviva, evviva! L’occasione meriterebbe un ballettino come ai vecchi tempi, per la felicità.
Mamma sorride compiaciuta. “Hai ragione, tesoro, e poi ci sarà Sano-kun a tenerla d’occhio: con un simile angelo custode, possiamo stare tranquilli”.
Quanto si diverte a prenderci beatamente in giro? E giurerei, da come guarda Sano, che nello stesso tempo lo sta anche minacciando con gli occhi perché si comporti bene. Ma perché non ho ereditato i suoi poteri oscuri?
Con simili capacità, potrei conquistare il mondo…
“Certamente, mi assicurerò io che a Mizuki non capiti nulla di male” replica con calma Sano mettendomi un braccio intorno alle spalle. Se comincio a levitare di gioia non è colpa mia, eh!
Dovevo immaginare che sarebbe stata la mamma a dare battaglia, anche se in modo più calmo e calcolato di quanto potrebbe fare papà: ora lei e Sano stanno ingaggiando una battaglia silenziosa, senza che gli altri due a tavola con noi si siano accorti di nulla.
La cena passa rapida e tranquilla, e in men che non si dica siamo già al dolce e al caffé. Rimane una questione da affrontare, però…
Come se mi avesse letto nel pensiero, papà pone l’ultima domanda a cui devo ancora rispondere. “Scusa se sono sfacciato, Sano-kun, ma posso chiedere in che rapporti siete rimasti tu e mia figlia?”
Sano rimane impassibile, mentre io al suo fianco mi preparo all’esplosione di una nuova bomba atomica. “Mizuki è la mia ragazza. Io sono innamorato di lei e lei di me, ed è così che stanno le cose”.
Alla faccia della schiettezza! Non ci credo, non ci posso credere che gliel’abbia detto così: sulla testa di mio padre cade un enorme affare dorato, forse per lo shock. Giurerei che si tratta del catino che usano a scuola i ragazzi per prendere in giro dei nuovi arrivati, ma mi sembra così impossibile…
Mamma scoppia a ridere e si lancia a soccorrerlo, dandomi così la possibilità di salutare in privato Nakatsu e Sano. Il mio migliore amico sembra essersi immusonito: che sia rimasto male alla dichiarazione di poco fa?
Quanto al mio ragazzo, invece, si attarda un po’ sulla soglia senza smettere di sorridere. “Sono stato un po’ troppo diretto?”
Scuoto la testa, felice: mi ha confessato il suo amore, per la prima volta. Non l’aveva fatto nemmeno in aeroporto, quel giorno…
“È vero?” domando piano, senza osare guardarlo in viso.
“Che cosa?”
“Quello che hai detto, che mi ami”. Devo sempre spiegarti tutto, Sano?
“Certo” risponde alla mia richiesta di una conferma.
Ma come fa a essere così? Però… però lo adoro, questa è la verità.
“Oh”, aggiungo; non potrei dire altro in questo momento.
“Ti amo, Mizuki” ed ecco il bacio che Julia tanto aspettava. Domani dovrò farle un resoconto preciso, conoscendola.
Domani, però: ora voglio gustarmi questo momento meraviglioso prima che mio padre si riprenda.




Grazie a chi ha commentato e a chi ha meso questa storia nei sui preferiti! Tentennina, se vuoi ho un link al drama giapponese con i sottotitoli in inglese. Si segue bene...

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Capitolo 8
*** L'arrivo degli Unni ***


E così, dopo tante ansie e preoccupazioni, eccoci sulla strada per l’aeroporto ad attendere l’arrivo degli altri.
Mi sento molto più tranquilla rispetto a quando ho ricevuto la notizia della gita, forse perché posso essere ancora una volta Ashiya Mizuki, lo studente straniero arrivato in Giappone la scorsa primavera.
Sano e Nakatsu sono con me, ovviamente, e così Julia, che non vede l’ora di conoscere tutta la truppa. Le ho raccontato della serata che si è persa soltanto oggi, sebbene siano passati già tre giorni, e la poverina, così si è definita, ha dovuto accontentarsi di un riassunto breve e senza troppi particolari; non le voglio nascondere niente, ma non potevo certo farle un resoconto dettagliato fino alle più piccole stupidaggini davanti ai miei amici, no?
Non importa, lei ora guarda di tanto in tanto Sano con aria ammirata, ha cambiato idea su di lui non appena le ho detto del bacio (era ora, ha commentato poco fa), compiaciuta come se la storia fosse sua e non mia.
Io scuoto il capo, di nuovo nei miei panni maschili: per fortuna che ho conservato tutta la roba che ho preso in Giappone, mi sarebbe scocciato comprare altri vestiti per la vacanza.
La mia migliore amica mi osserva, un po’ stranita da quello che lei considera un ottimo travestimento, per quanto le risulti improbabile questo abbigliamento addosso a me. Ci credo, sono sempre stata un maschiaccio, ma prima della mia permanenza in Giappone non mi è mai venuto in mente di infagottarmi in questo modo! “Sai, Mizuki, questi vestiti da maschio non ti si addicono molto; ti è andata bene che sei piatta come una tavola da surf, altrimenti ti avrebbero scoperto subito!”
Peccato che neanche la mia scarsa taglia di reggiseno sia servita per ingannare il dottor Umeda, rispondo io prima di scoppiare a ridere, per nulla offesa. Nakatsu se l’è presa molto più di me, a giudicare dalla filippica che ha cominciato a difesa del mio petto e delle mie forme inesistenti, mentre Sano…
Sano ne approfitta per sussurrarmi all’orecchio che io gli piaccio proprio così, personificazione di un asse da stiro, facendomi arrossire come un pomodoro. Maledizione, ma perché fa così? Non si nota neanche un po’ quanto si diverte da matti a mettermi in imbarazzo! Ma lo sistemo io, vedrà al momento giusto, mi riprometto cercando di tornare a un colorito umano.
Siamo arrivati all’aeroporto, finalmente, e siamo giusto in tempo per veder atterrare il volo da Tokyo.
Julia mi chiede come voglio organizzarmi: “Che dici, posso fermarmi qui per conoscere tutta la banda o è meglio se levo le tende?”
Ci vorranno almeno altri quindici minuti perché i ragazzi scendano dall’aereo, recuperino i bagagli e passino, la dogana, immagino, perciò le chiedo di rimanere con noi ad aspettare. La mia amica sembrava non aspettare altro, noto: una strana luce le brilla negli occhi e la cosa non mi piace per niente.
Come temevo, infatti, Julia non perde subito l’occasione e acchiappa Sano e Nakatsu per un orecchio ciascuno. “Ora ascoltatemi bene, voi due: Mizuki è la mia migliore amica e pretendo che torni a casa felice e serena com’è adesso; soprattutto tu, spilungone” rincara in modo particolare rivolta al mio ragazzo. “Prova anche solo a pensare di farla soffrire e le pene dell’inferno ti sembreranno piacevoli in confronto a quello che ti farò io con le mie mani”.
Ma ma ma…
Sono allibita: povero Sano, non bastavano le minacce molto più velate, per quanto intimidatorie, di mia madre? Mi dà fastidio tutto questo accanimento per proteggermi: da cosa, poi, non lo so. Io e Izumi abbiamo diviso la stanza per più di un anno ed è andato tutto bene, mi ha sempre rispettato e pur conoscendo la mia vera identità non ha mai cercato di approfittarne.
Certo, allora non eravamo una coppia, ma non vedo come questo cambiamento possa influenzare più di tanto le sue maniere. E in ogni caso, io so difendermi, per la miseria!
Faccio per ribattere al posto di Sano, quando una specie di onda d’urto investe tutti e quattro all’improvviso. Ok, non c’è dubbio che siano arrivati.
Julia lascia andare i due ragazzi, confusa: “Ma… Cosa diavolo è successo?”
Lo so io, eccome se lo so: era un baby gridato tanto forte da rischiare di abbattere la barriera del suono, ma non faccio in tempo a spiegarle che tutto il corpo studentesco dell’Osaka High si riversa nell’atrio e corre verso di noi. L’obiettivo, neanche a dirlo, sono io! I ragazzi mi circondano e fanno a gara per abbracciarmi e salutarmi prima degli altri. Strette di mano, pacche sulla schiena, Nanba mi stringe fino a togliermi il fiato.
“Mizuki, come stai?”
“Che si dice in America?”
“Ti siamo mancati?”
Queste ed altre mille domande mi vengono poste a raffica, mentre ancora fatico a respirare. Che cari, così affettuosi… Ma finiranno per uccidermi, dannazione!
Sul caos che si è scatenato in un battito di ciglia, una voce femminile si fa sentire allegra e chiocciante: “Ashiya-kun, sorridi!” Akiha gesticola verso di me e impugna la sua macchina fotografica, pronta a immortalarmi come al solito.
Dovrà recuperare questo periodo per rimpinguare la scorta di mie immagini da vendere alle studentesse del St. Blossom, suppongo.
“Ma riesci ancora a vendere le mie fotografie?” Chiedo imbarazzata liberandomi da Nakao che, prendendo come esempio Nanba, stava cercando di stritolarmi.
La donna annuisce esibendo un sorriso a trentadue denti. “Certo: al St. Blossom nessuno sa chi sei in realtà, perciò non vi è alcun motivo che la popolarità di Ashiya-kun, lo studente tenero e carino tornato in America, crolli in breve tempo; anzi, il fatto che tu non studi più all’Osaka High non ha fatto altro che aumentare le tue vendite! Se andiamo avanti così, ti manderò una percentuale: ora stai fermo” e detto questo si rimette a scattare, almeno finché un dottore fin troppo conosciuto non la spinge via.
“Questa è una gita scolastica, non un set fotografico, stupida” commenta Umeda irritato. Non riesco a trattenere una risata: sono sempre gli stessi, per fortuna, sebbene lui non sembri più tanto disgustato dalla presenza di Akiha. Anzi, la tocca perfino volontariamente e senza farsi venire attacchi di nausea: che sia tornato su questa sponda mentre non c’ero?
Per quanto sia irritante e scortese, mi rendo conto di essere ormai commossa per la felicità nell’averlo rivisto: senza di lui sarei crollata molto prima e addio ai tanti mesi in Giappone.
Come se avesse captato i miei pensieri, Umeda si volta e, per un attimo, abbandona i suoi soliti atteggiamenti; addirittura, forse a dimostrare che il contatto con il genere femminile non lo sconvolge come prima, mi sorride e mi abbraccia forte.
“Sei mancata a tutti, piccola pazza” sussurra con dolcezza perché solo io lo senta, facendomi capire quanto anche lui mi sia mancato: ha coperto l’assenza di Julia là in Giappone, trovandosi a farmi da confidente che lo volesse o no, e ora mi sembra strano confrontarmi solo con la mia amica, senza più ascoltare i suoi pareri.
Tuttavia, Umeda rimane Umeda, e per ricordarmelo torna subito a essere insopportabile; si scosta un poco da me e mi fissa con quell’aria strana, seria e diabolica allo stesso tempo. “Tuttavia, non credere che per questo sarò più indulgente con te; sai quali sono le regole!”
“Sissignore” esclamo scherzosamente mettendomi sull’attenti.
Il dottore sta per aggiungere qualcosa, soprattutto notando Sano che, pur nel marasma di poco fa, non si è mai allontanato da me, ma un rumore strano e gli urli di sfida di Tennōji lo richiamano all’istante. “Arienai, ora che diavolo succede? Torno subito!”
Approfittandone, il mio ragazzo mi chiede cosa intendeva dire Umeda.
Salto su come se mi fossi seduta su uno spillo. “Ehm… È meglio se ne parliamo una volta arrivati in albergo, credimi”.
Sento una mano arpionarmi una spalla e mi giro di scatto, stupita: non so se ridere o preoccuparmi nel vedere Julia in condizioni terribili, spettinata e tutta sporca, come se tutti i miei amici l’avessero calpestata.
Lei mi fissa con aria disperata: “Questi sono senza cervello! Pensavo che Nakatsu fosse un caso clinico, ma in confronto a questa gente sembra perfino intelligente. Io me ne vado prima che sia troppo tardi, Mizuki: fatti sentire, mi raccomando”.
E fugge via come un fulmine prima ancora che possa replicare qualsiasi cosa. Poverina, non era preparata all’Osaka High e ai suoi studenti!
Sano ed io ci guardiamo, entrambi un po’ sottosopra, poi scoppiamo a ridere insieme. La chiamerò più tardi, quando ci saremo sistemati all’hotel, tanto per sapere se si è ripresa; volevo anche invitarla ad accompagnarci a qualche visita, ma a questo punto mi sa che non si farà niente. Peccato, mi sarebbe piaciuto che lei e Nakatsu…
Umeda, già esasperato, si arma di megafono e sale su una poltroncina per richiamare l’attenzione della scolaresca. “Avanti, stupidi, dobbiamo andare: fuori ci aspettano i pullman, uno per dormitorio. Ashiya, tu riprendi il tuo posto con i tuoi vecchi compagni”.
Allora eccoci, si parte in questa nuova avventura.




Le risposte della svampitissima autrice:

@sushiprecotto_chan: Wow, la tua recensione è stata davvero una manna. Davvero, è bellissima. Come mi ha detto una mia socia, essere scemi e geniali come i giapponesi non è possibile, però si fa quel che si può! ^_^
Hana Kimi poi ha uno stile particolarissimo, senza quello secondo me si perde buona parte delle gag e delle situazioni comiche. Sono contenta che ti piaccia come ho cercato di restituire quello stile!
Ho iniziato da poco a prendere il manga, quindi sono un po' indietro, però lo adoro...

@tentennina: non so se hai visto anche l'episodio speciale del drama... Mi spiace perché hanno liquidato la gita in America con tre battute (geniali, per altro), però in fondo io sto scrivendo la mia versione della storia... E mi sto divertendo un sacco. Spero di continuare a far ridere anche te e chi altri continua a leggere la mia storia!

Ciao ciao, Rowi!

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Capitolo 9
*** Interrogatorio ***


Tempo dieci minuti e il mio entusiasmo si è già smorzato di parecchio: non avrei mai pensato che spostarsi tutti in gruppo richiedesse tanto impegno, né tanta pazienza. Ogni cosa da fare diventa un’impresa, come raggiungere i pullman, mettere nel bagagliaio tutte le valigie, salire sui mezzi, fare l’appello.
Non c’è da stupirsi che Umeda sembri già distrutto, una simile responsabilità deve pesargli un sacco; devo indagare su quali sistemi abbia usato la preside per convincerlo ad accompagnare la scolaresca, quella donna ha un che di demoniaco, come mia madre. Oltre ad Akiha ci sono anche due insegnanti a dargli manforte, uno per il dormitorio uno e l’altro per il numero tre, che però conosco soltanto di vista e che hanno la stessa aria afflitta del dottore.
Sta di fatto che dopo più di tre quarti d’ora tutti gli studenti sono a bordo e si riesce a partire, finalmente: io e Sano siamo seduti in fondo al nostro pullman, lui accanto al finestrino e io alla sua destra. Accanto a me si è accomodato Nanba, con gran disappunto di Nakatsu che si è visto costretto a mettersi davanti a noi. Gli altri posti ancora liberi sono presto occupati dai miei più cari amici, quelli con cui ho stretto i legami più saldi.
L’autista mette in moto, ma conoscendo il traffico californiano è folle anche solo pensare di fare più di dieci metri per volta. Peccato che, però, per ingannare l’attesa è stato deciso all’unanimità di interrogarmi a fondo su cosa ho fatto in quest’ultimo mese.
Comincia il nostro responsabile di dormitorio, che esibisce un sorriso piuttosto preoccupante. Chissà perché sento già che non me la caverò bene…
“Allora, Mizuki, com’è la vita lontana dall’Osaka? Scommetto che ti annoi un sacco senza di noi!”
“Beh, in parte è vero, però è stato bello ritrovare le mie amiche e le persone che conosco da una vita: mi mancavano molto in Giappone, in particolare Julia, che…”
“Julia? Si chiama così quella bionda da favola che era con te poco fa?”, m’interrompe subito il senpai, che non riesce nemmeno a fare finta di mostrarsi disinteressato. Le pessime abitudini non si perdono mai, non è vero? Tuttavia, Nanba non è il solo a essere interessato ala mia amica e in meno di un minuto tutti sembrano più interessati a lei che a sapere come se la passa la sottoscritta. E io che pensavo che non si fossero neanche accorti della sua presenza in aeroporto!
“Beh, sì, lei è la mia migliore amica in assoluto. La mia migliore amica femmina!” aggiungo al volo notando il muso ferito che mi sta mettendo Nakatsu. Accidenti come siamo permalosi…
Namba comincia una delle sue solite scenette, portandomi a chiedere perché mai non si sia iscritto al club di teatro: “Julia è un nome divino, degno della sua bellezza celestiale! Pensi che potrei incontrarla, Mizuki?”
Chi, lui incontrare Julia? Sarebbe meglio ammazzarlo direttamente, oh sì. No, non scherzo, la fanciulla sembra candida e ingenua ma potrebbe mandare un ragazzo alto e muscoloso come Sano con un pugno. Lo dico perché è già successo, non esagero neanche un po’!
“Beh”, tento di sviare, “al momento non cerca compagnia, ha avuto una brutta storia con un ragazzo che poi l’ha tradita… Ha deciso di restare sola per un po’, prima di fidanzarsi di nuovo”.
Mezza bugia non mi farà dannare, no? Forse, ma è sufficiente per aizzare Nanba, voglio dire, Nanba!, a paladino delle fanciulle indifese.
“Chi è l’essere miserabile che ha osato tanto? Non è possibile che esista un simile demente!” tuona infatti il senpai, alzandosi in piedi con fare drammatico. Siamo ai limiti dell’assurdo, e non è ancora finito il primo giorno…
“Beh, esisti tu, il cui solo passaggio rende pregne le ragazze”, commenta annoiato Nakatsu, spuntando da dietro il suo sedile. “A proposito, Mizuki, non stargli troppo vicina, mi raccomando”.
Minami tace, la sua fama di playboy è troppo grande per poter negare di essere un farfallone, e io ridacchio. “Sono stata più di un anno all’Osaka e ancora non è successo niente, direi quindi che non c’è bisogno di preoccuparsi in questo senso”.
E neanche in questa gita ci sarà da preoccuparsi, cara Mizuki… La mia coscienza si diverte a massacrarmi in questi giorni, forse deve riprendersi dal fatto che per tutto il tempo del soggiorno in Giappone non le ho dato retta. “Ma lasciamo perdere Julia, tanto ha un brutto carattere” aggiungo al volo, mentre Nakatsu annuisce per darmi ragione, sperando di riuscire così a cambiare una buona volta argomento.
Amica mia, mi ringrazierai per averti tenuto lontano questi soggetti!
“Hai altre novità da raccontarci, Mizuki?” domanda Noe, curioso.
“Vediamo… Ho ripreso ad allenarmi in pista, presto ci saranno le prime gare della stagione e mi piacerebbe tornare a correre seriamente, magari perfino qualificarmi per le nazionali”.
Sono sempre stata veloce, in fondo, e secondo il mio vecchio mister potrei centrare anche obiettivi discreti; e poi, gli appuntamenti internazionali d’atletica potrebbero erre un’occasione in più per vedere Sano…
Sano, che non dice nulla qui accanto a me ma che sicuramente sta pensando la stessa cosa, il suo sorriso parla per lui.
“Peccato, però: sarai praticamente una nemica di Sano, così”.
Eh? Sgrano gli occhi aspettando una spiegazione, mentre Sekime si aggiusta gli occhiali e mi guarda con aria da saputello. “È ovvio, no? Tu sei americana, perciò gareggerai contro il Giappone”.
“Certo che sarebbe un peccato…”
“Ho un’idea”, esclama Nakao in modo assolutamente terrificante, “perché tu e Sano non vi sposate prima dei prossimi mondiali?”
Due mascelle cadono a terra, e sono la mia e quella di Nakatsu, mentre il mio ragazzo si limita a guardare fuori, imbarazzato. Come è ovvio, tutto il pullman comincia ad applaudire, congratulandosi e augurando figli maschi.
Figli? No, un momento, chi ne vuole?
“Branco di stupidi” urlo imbarazzata a morte “io sono giapponese, sono nata in Giappone e ho la cittadinanza giapponese, capito?” Spero di essere stata abbastanza chiara, ecco!
I miei amici brontolano delusi, Nakao è quasi sul punto di piangere. “Oh… E io che ero già pronto a farti da damigella: guarda, ho anche l’abito adatto!”
Non ci credo, ma sotto il mio sguardo attonito ha già tirato fuori dal suo bagaglio a mano un vaporoso vestitino frou frou, bianco e pieno di pizzi. Certo, quale ragazzo non si porterebbe in gita scolastica un capo del genere?
Inizio a chiedermi cos’hanno bevuto in aereo… Per fortuna Sano è venuto fin qui per conto suo, o prima di atterrare avrebbe sbaciucchiato tutta la comitiva. Meglio non pensarci.
“Nakao… Anche se decidessi di sposarmi, e ti posso assicurare che quel giorno è ancora molto lontano, credo che il piacere spetterebbe a Julia, sai, per anzianità”.
“Ma come? Io non aspetto altro!” esclama deluso l’Osaka Idol. “Va da sé che lo farei solo per lanciare la giarrettiera al mio senpai, ovviamente”.
“Zio, come? Hai bisogno di me là davanti?” Come un fulmine, Minami si svincola da una situazione potenzialmente inquietante: niente da fare, quello è proprio votato alle donne. Un po’ mi dispiace per il mio amico, però che ci si potrebbe fare?
Rabbrividisco, seppure un po’ in ritardo, all’idea di Nakao: l’idea di lui vestito in quel modo pronto a sfilarsi e a lanciare una strisciolina di tulle mi sembra un po’ inquietante, e da come hanno reagito gli altri sono la sola di questo parere.
“Comunque non c’è bisogno che vi sposiate, no? Se tu volessi, Mizuki, potresti tornare lo stesso a vivere in Giappone!” Nakatsu è preoccupatissimo, non vuole abbandonare l’argomento senza avere una conferma. Che c’è, paura?
“No, certo che no”, torno a ripetere agitando freneticamente le mani.
Accidenti, sono troppo giovane per simili pensieri. Anche se, un giorno…
A che pensi, Mizuki? Torna con i piedi per terra!
“Ehi, che hai? Sei tutta rossa”.
Sano si sveglia solo ora, per nulla toccato da questi discorsi, per commentare il mio imbarazzo.
“Niente, assolutamente niente” ribadisco anche a lui sapendo già di non essere affatto credibile. Ma bene, se neanche lui mi aiuta sono proprio finita.
E per un istante, un istante solo ma lo stesso infinito, mi pento di aver accettato la proposta della preside. Cosa mai potrà venire fuori di buono da questa gita?




Eccomi qua, di nuovo a voi con un nuovo capitolo! Come, non ci speravate più? Ma che cattivi! Scusate, io cerco di dividermi tra le duecento storie che cerco di portare avanti (*non sa aspettare di aver accumulato un po' di capitoli prima di pubblicare*, sigh), e ogni tanto mi perdo. Comunque, eccoci di nuovo qua. Il prossimo arriverà prima, giuro, e le disavventure di Mizuki in compagnia dei suoi amici sono appena cominciate!

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Capitolo 10
*** Sempre in pullman ***


Lo so, chi leggeva questa storia, chi l'ha letta da poco, chi magari l'ha messa nelle seguite speranzoso... Non ci crederà. Eppure sì, sono riuscita a finire il capitolo su cui mi ero incartata: in realtà, ho capito cosa cominciava a infastidirmi e per cui non riuscivo a proseguire. Grazie ad Alektos che mi ha aiutata a riprendere (o minacciata, ma per lei sono sinonimi...), questo cap è per te!

Rowi




“Mizuki, pensi che potremo andare in spiaggia?”, domanda qualcuno da un paio di sedili più avanti. “Ci piacerebbe conoscere le bagnine di Baywatch!”A sentire la parola bagnine, anche Nanba torna tra noi, soprattutto visto che Nakao ha smesso da un po’ di parlare di giarrettiere e vestiti da sposa, e si dimostra subito interessato; non so come spiegare che quelle sono attrici e che non stanno in spiaggia a controllare davvero i bagnanti, ma prima che possa rispondere qualcosa di particolarmente grosso e pesante si abbatte sulla testa del senpai. “E come la metti con il programma della gita, nipote degenere che non sei altro?”, commenta freddamente Umeda alle spalle di Minami.
Eppure il senpai dovrebbe sapere che suo zio ha un orecchio particolarmente sensibile quando si tratta di vanificare i piani degli studenti…
“Ma perché sempre a me, maledizione? Non sono neanche stato io a proporre la cosa!” si lamenta Nanba massaggiandosi la testa.
“Perché tu sei l’unico con cui posso prendermela senza rischiare una denuncia; non che gli altri siano esentati dal mantenere un comportamento ineccepibile, ovviamente”, risponde serafico il dottore.
La risata collettiva che accompagna gli strepiti di Nanba si spegne in pochi secondi, quando i ragazzi cominciano a rendersi conto della velata minaccia nelle parole di Umeda. Sarà davvero una vacanza divertente, oh sì.
“Ma cos’è quel mattone, ti sei dato alla letteratura russa per caso?” domando io notando con più attenzione che razza di tomo sia finito sulla testa del povero senpai. “È veramente gigantesco! E sei riuscito a leggere in aereo?”
“No, sciocchina, è il programma della gita”.
Cosa? Ma se è più spesso di un volume dell’enciclopedia di mio padre! Ed è rilegato, come un libro vero… Non dovrebbe essere un semplice pieghevole informativo? Mi spiego perché i bagagli dei miei amici fossero così pesanti e voluminosi, ora.
Prendo il libro che ancora pesa su Nanba, e Nakatsu si rende conto che da sola non ce la faccio a tenerlo, così mi aiuta; quando inizio a sfogliarlo, rimango basita: c’è tutto, qualunque attrazione turistica e culturale nel raggio di duecento chilometri! Musei, monumenti, teatri, gallerie d’arte… Ce n’è per tutti i gusti, ma soprattutto basta un’occhiata per rendersi conto che non basterebbero tre mesi per vedere tutto. “Questi devono essere semplici consigli per la gita, non può essere l’intero programma!”
Umeda sorride con quella sua aria diabolica, inizia a sfogliare le pagine della guida fino a tornare all’introduzione: una fotografia della preside sovrasta una nota. Questa non è una lista di suggerimenti, è il programma intero. Così ha deciso la direttrice.
“Beh, se l’ha deciso lei… Vorrà dire che faremo visite brevi e molto molto veloci”, commento io, ancora sconvolta; probabilmente questa gita mi servirà più dei normali allenamenti per la corsa, se questa è l’organizzazione. “Niente spiaggia allora, mi dispiace”.
Tutto il pullman sospira deluso e il viaggio prosegue in silenzio, il che è abbastanza anormale; sorpassiamo tutti gli alberghi della zona dell’aeroporto, diretti verso Downtown, sugli svincoli affollati dell’autostrada.
Il tempo passa e i ragazzi sono stanchi, è evidente; evidentemente dieci ore d’aereo sono troppe anche per loro e chissà quante ne hanno combinate in volo per passare il tempo… È un miracolo che non siano caduti in mezzo al Pacifico, a pensarci bene!
“Nei prossimi giorni sarà meglio muoversi con i mezzi”, dico io dieci minuti più tardi, notando il traffico, “specie se dobbiamo vedere tutte quelle cose, altrimenti ogni spostamento sarà un dramma”.
Nessuno mi risponde, non che mi aspettassi il contrario: molti si sono addormentati o ascoltano la musica con le loro cuffie. Alla mia sinistra, Nakatsu russa sonoramente, a bocca aperta.
 “E quanti vuoi perderne al giorno? Qui non è come a Tokyo, lo sai meglio di me”. Sano.
Teneva già da un po’ gli occhi chiusi, il mio ragazzo, e credevo dormisse. Non mi ha detto molto sugli allenamenti che ha seguito negli ultimi giorni, ma immagino che siano stati davvero spossanti, visto che suo padre non è uno che ci va leggero; in ogni caso sono contenta che sia tornato a lavorare con lui, solo fino a poco tempo fa era semplicemente impensabile una cosa del genere.
Chissà se Shin e Kagurazaka ci raggiungeranno, nei prossimi giorni…
Riguardo alla stanchezza di Sano, devo ammettere che non mi dispiace più di tanto, almeno per questa sera rispettare le regole che ci sono state date non sarà poi così difficile.
Qualcosa, nella mia testolina, continua a ripetere che mi sto preoccupando troppo, che Sano è un gentiluomo, che non mi metterebbe mai le mani addosso senza il mio esplicito consenso e molte altre cose, ad esempio che ha vissuto con me per mesi conoscendo la mia vera identità senza però uscire mai dal rapporto tra compagni di stanza, eppure non riesco a stare tranquilla.
Ho visto tanti dei ragazzi di Julia cambiare faccia all’improvviso, rivelandosi molto diversi dalle persone di cui si era innamorata la mia amica… Sano è speciale, lo so, ma preferirei non trovarmi in una situazione tanto complicata. Di nuovo.
Meno male che gli alberghi americani hanno letti gemelli in tutte le camere doppie!
Come se mi leggesse nel pensiero, Sano socchiude gli occhi e mi fissa, serio: “Ho sentito Umeda parlare di regole speciali per te, che intendeva?”
Accidenti. Perché sono così imbarazzata? Mi sento le guance arrossire, mentre cerco di formulare una risposta che vada oltre il grugnito; accidenti alla Preside: se lei non avesse posto quella regola probabilmente a me non sarebbe neanche venuto in mente che io e il mio ragazzo ci saremmo trovati in una situazione tanto ambigua e facile a risvolti così… No, non riesco neanche a pensarlo!
Perché prima non eravate una coppia, Mizuki, è così ovvio. Sento la voce della mia amica che ride al mio disagio.
Sarò anche assurdamente ingenua come dice Julia, eppure vivo così bene e rilassata nel mio mondo fatto di margherite e cieli azzurri…
“La Preside ci lascia dividere la stanza, come prima, ma dobbiamo mantenere un comportamento ineccepibile, il che vuol dire comportarsi solo come compagni di stanza”, dico lentamente con un sospiro, per spiegare e dare la notizia al mio ragazzo.
Strano che la Preside o Umeda non abbiano parlato con lui, ma in effetti è partito prima degli altri, ha tenuto il telefono spento da quando è negli States e non ha più controllato le mail; probabilmente hanno pensato che fosse più semplice parlare con me, anche perché sanno quanto io tenga ad aiutare Sano nella sua carriera di atleta. Non farei mai niente che potrebbe costargli l’espulsione dalla squadra, mai.
Spero solo di non essere arrossita troppo, perché il mio rilevatore d’imbarazzo è davvero alle stelle.
“Ah”, commenta semplicemente Sano, distogliendo lo sguardo. Tutto qua, penso io? Mi aspettavo una reazione vagamente più marcata, ecco. “Ecco perché ha mandato Umeda, per tenerci d’occhio”.
“Tenervi d’occhio in cosa?”, domanda un assonnato Nakatsu, con la voce impastata.
“Torniamo a dividere la camera, Sano ed io”, rispondo molto più in fretta, prima di diventare tanto rossa da poter cuocere due uova sulle mie guance. La notizia basta per risvegliarlo del tutto.
“ Come?” esclama, sconvolto. “Ma tu, e lui, e voi… Ma potete davvero?”
“Abbiamo il permesso della Preside, perciò direi proprio di sì”, ribatto io, ora meno imbarazzata, senza capire perché Nakatsu sia così stranito. No, va bene, lo so, ma… È strano, tutto qua.
Nakatsu sgrana gli occhi e si prepara a dire qualcos’altro, quando un crepitio metallico lo anticipa: “Ragazzi, siamo quasi arrivati: quando il pullman si ferma, fate in modo di scendere alla svelta, recuperare i vostri bagagli ed entrare nella hall; ripeto, velocemente”.
Umeda. Umeda che per l’ennesima volta mi salva da conversazioni assurde e scene senza vie di fuga.
Finalmente, l’albergo compare all’orizzonte, e io tiro un sospiro di sollievo. Tregua.





Lo so, è breve, ma ho preferito rimanere coerente con i capitoli scritti... Due anni fa e più? Mannaggia! E non cambiare stile della storia. Al prossimo aggiornamento che avverrà a breve (certo meno che due anni, giuro! XD)!

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Capitolo 11
*** Hamburger... e infarti ***


Mentre scendiamo dal pullman, recuperiamo le nostre valigie – quel tirchio di Umeda non ha intenzione di pagare anche un solo cent di mancia ai facchini, ecco la verità, ma preferisce giustificarsi ricordandoci che siamo tutti giovani e forti – valigie che sono poi state ammucchiate accanto alle lunghe tavolate apparecchiate per noi, mi sono resa conto di essere un po’ meno nervosa.
Forse perché alla fine aveva ragione Julia e non vedevo l’ora di stare di nuovo con i miei amici, forse perché Sano ha reagito in maniera assolutamente normale alla notizia delle regole che ci ha dato la Preside. Non so neanche perché mi sono preoccupata così tanto, alla fine, basterà assicurarsi che stia lontano da qualunque genere di alcolici – che sono comunque vietati in gita scolastica! – e non dovrebbe esserci il minimo problema.
La cena è anche il primo momento che abbiamo per rilassarci: all’aeroporto è stata una bolgia generale e il pullman non è l’ambiente ideale perché i ragazzi si esprimano al loro peggio. Questa volta, tuttavia, mi sento di nuovo davvero parte del gruppo; come se non fossi stata via neanche un giorno, mi ritrovo a sedere accanto a Nakatsu e Nanba, mentre i due brindano con la coca-cola alla mia salute e intonano una canzoncina per la quale fortunatamente non conoscono la traduzione in inglese. In un altro momento sarebbe comparso il nostro dottore dal nulla per punirli per bene, specie a fronte di certe rime, ma a quanto pare i pasti sono sacri anche per Umeda.
E io mi ritrovo a ridere come non mi capitava da un pezzo, fino a tenermi la pancia dolente, mentre Sano mi osserva dall’altra parte del tavolo con un mezzo sorriso divertito. È bello essere a casa, può sembrare una banalità ma è così che mi sento, ora che finalmente ho smesso di preoccuparmi.
“Ehi, Mizuki, ma non c’è niente di giapponese sul menu”, esclama Sekime notando che i piatti sono tutti americani.
“Più che altro non c’è niente d’ipocalorico!” si lamenta invece Nakao, orripilato. “Che c’è, avete deciso di attentare alla mia linea?”
“Beh, la cucina di questo paese non è certo famosa per il controllo delle calorie”, rispondo io ridendo, specie alla faccia del mio amico che sembra appena aver scoperto di essere all’inferno. “Consiglio un bell’hamburger per tutti, però, è il mio piatto preferito!”
I ragazzi si guardano l’un l’altro e approvano, ovviamente raccomandandosi col cameriere di abbondare con le patatine fritte e i condimenti. Questa volta non dico niente, ridendo sotto i baffi: la prima lezione da imparare negli Stati Uniti è che le porzioni saranno comunque esagerate, quindi non è necessario farle ingigantire. Anche se conoscendo l’appetito di alcuni dei ragazzi, non mi stupirei se chiedessero perfino il bis…
“Ma sono enormi!” pigola Nakao quando gli viene messa davanti la sua cena. “Mi verrà la cellulite solo a guardare questo piatto, figuriamoci a ingerirlo…”
La risata collettiva è immediata, ma gli altri si fanno meno problemi e cominciano a mangiare di gusto. In aereo hanno mangiato malissimo, scopro, e hanno davvero voglia di rifarsi.
“E quanti giri di pista saranno necessari per riprendersi, domani mattina?” mi dice Sano, addentando una patatina.
“Cosa?”
“Abbiamo il permesso della scuola per allenarci anche durante la gita”, mi spiega Sekime con la faccia sporca di senape “e abbiamo intenzione di andare a correre ogni mattina presto”.
“Vieni anche tu?”
“Io?” domando ancora, sempre più stranita ma, allo stesso tempo, contenta.
“Hai detto che hai ricominciato a correre, no?” mi chiede Sano, tranquillo. “Non ti conviene spezzare subito gli allenamenti, proprio ora che sei tornata in pista”.
Il mio sorriso si fa più largo: ci sarà anche Sekime, certo, ma sarà meglio lui che tutta la truppa. E poi mi è sempre piaciuto correre con loro, sebbene non sia riuscita a farlo spesso visto che non ero nel club di atletica, a scuola. Umeda mi avrebbe ucciso se mi fossi esposta con allenamenti e gare interscolastiche. “Certo, mi farebbe molto piacere”.
Accanto a me, Nakatsu borbotta qualcosa, ma non aggiunge altro. Forse le questioni che più avrebbero dovuto preoccuparmi sono proprio quelle che ho messo da parte con più facilità: il mio amico ha sempre detto che si sarebbe comunque comportato come tale, nonostante i suoi sentimenti… Spero che le cose non siano cambiate, nel periodo in cui siamo stati lontani.
Quando abbiamo finito la cena, passiamo per la reception dove è possibile recuperare le chiavi delle proprie stanze e, bagagli al seguito, ci dirigiamo verso gli ascensori.
Dobbiamo aspettare un po’, perché ormai i ragazzi hanno formato una vera e propria coda, e con le valigie occupare lo spazio delle cabine è un attimo.
“Allora, stanza 3014”, leggo dal cartoncino in cui hanno inserito le nostre chiavi magnetiche. Siamo soli, quando riusciamo a prendere un ascensore. Un ascensore tutto per noi.
Sano mi fissa, ma non riesco a capire a cosa sta pensando. Non che ci sia mai riuscita, sia chiaro: conosceva la mia vera identità da un pezzo, eppure me l’ha saputo nascondere per così a lungo…
Non che tu sia poi così perspicace, giapponesina. Julia.
La mia testa ha deciso che la voce della mia migliore amica è la migliore su cui settare la mia coscienza. Fantastico.
Per lo meno so riconoscere l’espressione di Sano-baciatore-killer, e questo non è il caso. Gli sorrido, soddisfatta della serata.
Peccato che tale sensazione non possa durare a lungo, ovviamente: non appena faccio strisciare la chiave nella serratura elettronica e apro la porta, infatti, mi sento morire. “Ma è uno scherzo?” domando sgomenta.
Abbiamo una doppia, certo, ma non la classica doppia da hotel, con i letti gemelli, oh no: un candido, unico, immenso letto king size sembra quasi ridere di noi, al centro della stanza.
Ma perché non una suite matrimoniale con un enorme cuore dalle lenzuola rosse di seta e petali di rosa ovunque, già che ci siamo?
Questa è tutta colpa di Umeda, sono pronta a scommetterci tutto quel poco che ho. Lo ha fatto apposta, il sadico, per torturarci il più possibile nel mantenere il patto: ma mi sentirà, oh se mi sentirà!
Mi fiondo di nuovo in corridoio senza degnare neanche di una parola Sano, che è rimasto immobile sulla soglia, e comincio a premere il pulsante per chiamare l’ascensore con un certo tic isterico.
Scendendo fino al piano terra, cammino in tondo, squadrata male dalla sola altra persona presente, una signora anziana con un cagnolino dal muso un po’ storto, senza trovare pace: così non si può, già condividere uno spazio ristretto con il ragazzo che amo è imbarazzante, ora che io so che lui sa che io sono una ragazza e che lui mi piace e che ci siamo baciati, ma quel letto è veramente una presa in giro!
Quando finalmente riesco a tornare nella sala da pranzo, individuare il dottore non è certo un problema: è ancora a tavola, quell’essere crudele, e sta pulendo la coppetta del suo dessert con una pazienza e una cura che hanno un qualcosa di maniacale. Basta dare un’occhiata al tavolo per vedere che non è il primo dolce che mangia. Il sesto, forse.
“Sensei, senta…” m’interrompo, incapace di non chiedere cosa stia facendo “ma quanti bis di dessert ha preso, si può sapere?”
Lui alza le spalle e continua a fare scarpetta, imperturbabile: “Con la linea perfetta che mi ritrovo, posso anche eccedere ogni tanto” risponde pulendosi lentamente la bocca col tovagliolo. “Inoltre, essere tornato su questa sponda, effettivamente, porta un sacco di vantaggi; non essere più obbligato a incarnare un ideale di bellezza è uno di questi, ad esempio”.
Sì, certo, perché quando mai l’avrebbe fatto? Se riuscisse a gonfiarsi ancora un po’ volerebbe via, questo è certo, vanesio com’è…
Umeda mi fissa. “Allora, perché sei qui invece che nella tua stanza a disfare la valigia?”
“In quella stanza?” Replico io, sconvolta. “Non è possibile, non io e Sano, non con quel letto, non insieme, almeno!”
“Prendi fiato, Mizuki, sei diventata bordeaux”, dice lui con un sorrisetto antipatico. “Spiacente, ma alla reception hanno fatto confusione con le stanze e non ci sono altre doppie coi letti gemelli disponibili per noi”.
“Ho capito, ma perché dobbiamo starci noi?”, domando, distrutta.
“Quali altri studenti dividerebbero un letto del genere? Voi avete già dormito insieme, non credere che non lo sappia: fate finta di essere a scuola, nel dormitorio, e ignoratevi. C’è così tanto spazio in quel letto che non dovreste neanche accorgervi della presenza reciproca”.
“Cos’è, uno scherzo? Non potreste prenderla lei e Akiha-san?”
Lo sguardo che mi tocca a quest’ultima domanda è odio. Odio puro. “Cosa ti fa credere che io e quella pazza condividiamo la stanza?”
“Ma da quello che ha scritto Sano… Io credevo che voi foste tornati insieme”, biascico lentamente sentendo una morsa di gelo intorno a me. Il dottore non si ammorbidisce neanche un po’.
“Il che non implica condividere un letto, meno che mai mentre IO sto lavorando”.
Come richiamata da un incantesimo, la sorella della Preside compare alle sue spalle e gli mette le mani sugli occhi, prendendolo in giro. Inutile dire che, nonostante sia tornato su questa sponda, Umeda si lancia in uno scatto degno dei centometristi a livello mondiale.
Ed è inutile dire la questione si chiude qui: lascio che Akiha-san mi scatti un’altra foto, l’ennesima della giornata, quindi decido di tornare in camera.
Il nervosismo di prima ricompare: non ho mai dormito con un ragazzo, almeno non in veste di fidanzata dello stesso. E se Sano…
Sano. Lo stesso che quando rientro in stanza si sta asciugando i capelli col phon, indossando solo i pantaloni della tuta.
“Ma che fai?” chiedo sconvolta.
“Che fai tu, tappetta: avevo bisogno di una doccia, così ho approfittato della tua assenza”, risponde come se fosse totalmente normale. “Perché?”
“Niente”, rispondo sentendomi le guance in fiamme. “Ho provato a convincere Umeda perché parlasse con la reception, così da cambiarci camera, ma non mi ha ascoltato”.
“Nulla di sorprendente”, commenta lui avvicinandosi e scompigliandomi i capelli. “Avanti, smetti di crucciarti in questo modo, ti stai preoccupando senza motivo: fatti un bel bagno caldo e lavati i denti, con questa giornata lunghissima abbiamo entrambi bisogno di dormire”.


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Capitolo 12
*** 11. Dormire, sognare, oppure... UMEDAAA! ***


Dedicato a Erin, che si è appena laureata e si merita un po' di Umeda! XDDDD




“Ahia!” grido quando il mio didietro frana rovinosamente a terra. Sono stata buttata fuori dal letto, dal mio letto, il lettone gigante che dovrei, accidenti, dividere con Sano.
E che al momento è stato preso d’assalto.
“Oh, scusa, Mizuki”, esclama Noe notando la mia improvvisa assenza, “Sekime mi ha dato un calcio”.
“Nanba ha spinto per primo!”
“Scusa, Mizuki, ma dovevo salvarmi da un abbraccio mortale di Nakao”, esclama il senpai con tutta calma.
“La gamba di un altro mi ha sfiorato e io mi sono ritratto”, spiega lui, tutto vergognoso. “Non ti dà fastidio che altri uomini mi tocchino?”, domanda poi direttamente al suo vicino.
Nanba sospira e risponde che per lui chiunque può fare ciò che desidera con quel baka, e dopo questa dichiarazione si sente un tonfo dall’altra parte del letto, seguito da un gemito soffocato. Sano.
“Nakatsu, non intendevo mica qui e ora, non c’è bisogno di saltare via in quel modo!” dice ridacchiando il ragazzo più grande, come se lui non avesse appena fatto lo stesso nell’altra direzione.
Bisogna capirlo, povero Nakatsu, dopo aver passato quasi un anno a tormentarsi per i sentimenti che credeva di provare per un ragazzo…
“Va bene, abbiamo appurato che no, sette persone non ci stanno in un king size”, commento io con una voce che dovrebbe far capire loro che è il caso di andarsene. L’idea è stata di Nakatsu: quando ha visto come Sano ed io siamo stati sistemati in albergo, soprattutto notando le dimensioni del nostro letto, ha chiamato gli altri per fare questo esperimento.
E io nel frattempo mi chiedo di cosa, esattamente, fossi preoccupata.
Mi rialzo e mi siedo in fondo al letto, senza schiacciare i piedi a nessuno, quando qualcuno bussa alla porta.
“Sento che in questa stanza ci sono un po’ troppe aure”, annuncia Kayashima tenendo le mani avanti a sé. Ma dai?
“Infatti”, rispondo io sempre più seccata, “infatti sarebbe il caso di salutarsi e andare a dormire, non trovate?”
“Quanta fretta di rimanere soli, Mizuki!”
“Cos’hai in mente come dopocena speciale?”
E tutta un’altra serie di insinuazioni che fanno arrossire la sottoscritta come un’idiota e… Boh, Sano, è ancora seduto per terra, credo stia cercando di sprofondare nel pavimento e sparire.
“Andate via!” tuono, ormai disperata, e Nakatsu ha l’accortezza di darmi una mano a far sloggiare gli altri dalla stanza. Quando tocca a lui, però, il mio amico rimane in attesa, come se a lui fosse concesso un permesso speciale per rimanere.
Ha un’aria da cane bastonato, poverino, come se costringerlo ad andarsene fosse il torto peggiore che potrei fargli in tutta la vita.
“Allora buonanotte, Nakatsu”, lo saluto con più convinzione cercando di non badarvi troppo. Kayashima accenna a un sorriso, come se volesse dirvi che ci penserà lui a riportarlo nella camera che hanno assegnato loro. Meno male che qualcuno è dalla nostra parte!
Finalmente riesco a chiudere la porta e mi volto: Sano per fortuna è riemerso e si è seduto sul letto, ancora un po’ imbarazzato. Perfetto, ci mancava giusto questa.
“Vuoi vedere un film?” propongo per rompere il ghiaccio. “Probabilmente i canali belli sono tutti a pagamento, ma magari possiamo beccare qualche reality…”
 Della pay-tv neanche a pensarci, Umeda è stato chiaro: un solo centesimo di servizio in camera o nota spese, specialmente per quanto riguarda certi canali a luci rosse, e farà la pelle ai responsabili.
Sano annuisce e si accomoda, mentre io recupero il telecomando. Ho immaginato bene: dopo i canali delle notizie, due commedie romantiche che non sono per niente adatte all’occasione, finalmente becco un programma televisivo sulla cucina, dieci cuochi che si sfidano a creare le ricette più strane e stravaganti.
Sembra che aspettassero giusto noi, perché la sfida di questa sera riguarda la fusion con la cucina giapponese. Sano ridacchia e commenta che il misoshiru non si prepara così.
Si è subito rilassato, penso felice, andando a sistemarmi accanto a lui. Siamo sdraiati vicini, lui mi passa un cuscino e mi cinge la vita con un braccio, con una naturalezza che quasi sconvolge.
E come accadeva a scuola, mi si abbassano le palpebre molto prima di quanto avessi immaginato. È bello piombare nel mondo dei sogni, in questo modo…
 
 
 
Il mio risveglio, però è quanto meno traumatico. Mi sento toccare una spalla, come se qualcuno mi stesse studiando, e mi fa il solletico. “Sano, smettila…”
“Sano dorme ancora, non vorrai svegliarlo, spero”.
Umeda?! Dire che ho fatto un salto di tre metri è un eufemismo, giuro, ma se non altro so di avere delle potenzialità in altre specialità olimpiche, se dovesse stancarmi della corsa.
“Sensei, cosa ci fa qui?” sibilo terrorizzata spalancando gli occhi di scatto. Umeda ha il camice addosso e sembra tutto preso dalle sue osservazioni. Volto leggermente il capo e vedo che Sano dorme ancora della grossa accanto a me, il braccio ancora passato intorno alla mia vita.
Oh no, no no no.
“Non è successo niente, ci siamo addormentati guardando la tv…”
“Lo so, l’ho spenta io, si sentiva dal fondo del corridoio”, ribatte lui serafico senza dare peso alle mie parole. “Stanotte dormivate così bene che non mi avete nemmeno sentito entrare. Mi auguro che fosse soltanto per il sonno arretrato e la stanchezza del pullman, vero?”
Mi chiedo quando, esattamente, tutti siano diventati così maliziosi nei nostri confronti: sono una banda di maniaci – Nakatsu in testa, mi hanno raccontato di un certo balletto con un paio di mutandine da donna in testa – e questo lo sapevo già, ma che fossero così attenti a quello che facciamo io e Sano… Non me l’aspettavo.
Vado a lavarmi i denti cercando di non dare troppa attenzione a Umeda, che nel frattempo si concentra su Sano, riflettendo su diverse cose. Ieri sera mi sentivo di nuovo come a scuola, ma non sono più semplicemente Ashiya-kun, sono diventata qualcosa di diverso.
Anche quando mi hanno scoperta, all’Osaka ero comunque un compagno di classe e di dormitorio da proteggere, non stavo ancora con Sano. Ora è tutto diverso.
Chissà se gli danno il tormento sempre, a scuola… Non avevo proprio pensato a questa possibilità.
“Baka di un dottore maniaco!”
Sento gridare dall’altra stanza: fantastico, Sano si è svegliato. Mi sciacquo la bocca. “Buongiorno”, lo saluto affacciandomi sulla porta, mestamente, tanto per fargli sapere che ci sono.
Il mio ragazzo è saltato sulla poltrona e mi fissa con aria abbastanza preoccupata. Sposto l’attenzione sul dottore, che invece mi guarda come se la sua giornata fosse iniziata nel migliore dei modi.
“Che ci fa lui qui?”
“Te l’ho detto che ci avrebbero tenuto d’occhio, no? Controlla… Che stanotte non sia successo niente di sconveniente”, mormoro con voce sempre più sottile e acuta. “Non guardarmi così, non l’ho mica fatto entrare io”.
“La direttrice è stata molto chiara, Sano-kun, e chi sono io per contraddirla?”, ribadisce con aria da martire Umeda. Certo che come se lo facesse solo per senso del dovere!
“Dottore, le ho mai detto che per molti versi ricorda davvero Akiha-san?”
Flash. Comparsa dal nulla esattamente come ieri sera, come richiamata per magia.
“Oh sì, abbiamo molti più punti in comune di quanto voglia ammettere”, mi risponde con un sorriso la diretta interessata. “Oh, che scena interessante! Queste foto saranno il masterpiece della gita… Sempre che non vogliate concedermi qualche esclusiva più piccante”.
Oh, al dottore pulsano le vene sulla fronte. “Ragazzi, avete mai assistito alla distruzione di una macchina fotografica professionale? È uno spettacolo molto divertente”.
Akiha sembra cogliere l’allusione, perché saluta e fugge con la stessa rapidità con cui è comparsa nella nostra stanza, ma non prima di aver lanciato una frecciatina al dottore.
Per un attimo, proprio come ieri con Kayashima, ho la sensazione che almeno qualcuno stia dalla nostra parte.
Vado a sedermi accanto a Sano, che sembra ancora abbastanza scosso. Non sono sicura di voler sapere cosa gli ha fatto il dottore, esattamente.
“Va tutto bene?”, domando e lui scuote la testa, ma non dice nulla. “Dai, non avevi detto che dovevamo andare a correre, stamattina? Vestiti”.
L’idea sembra tirarlo un pochino su di morale, infatti si alza e si dirige in bagno per cambiarsi. Meno male… Mi sembrava davvero turbato, e ho come la sensazione che il dottore sia molto più avanti di me parlando dell’esplorazione del corpo di Sano.
Arrossisco: ma cosa mi viene in mente? Sto diventando maniaca come i miei amici!
Mi sfilo il pigiama e cerco la tuta, ma con tristezza mi rendo conto di non averla portata: che ne sapevo che avremmo fatto allenamento, tra uno spostamento in pullman e l’altro? Ho qualche pantalone sportivo, me ne infilo subito un paio, ma sopra la maglietta non so cosa mettermi…
Come se qualcuno mi avesse letto nel pensiero, una grossa felpa di nylon mi arriva in testa.
“Ti starà un po’ grande, ma ti servirà. Anche se qui fa un caldo terribile”, commenta Sano alle mie spalle.
Me la infilo di corsa e sorrido, mentre tiro su le maniche. Non importa come siano i rapporti con gli altri, o cosa pensino di noi.
“Andiamo?” propongo alzandomi.
Importa quello che siamo noi.

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