Before The Worst di __Di (/viewuser.php?uid=108341)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01. Bad Morning ***
Capitolo 2: *** 02. Art's Sake ***
Capitolo 3: *** 03. Room Match ***
Capitolo 1 *** 01. Bad Morning ***
bah
BEFORE THE WORST—
CAPITOLO1
Bad Morning
La giornata di Kurogane era iniziata decisamente male, tanto male che ora
scarabocchiava borbottando la data di quel giorno su tutta la pagina
dell’agenda, con tanto di sopracciglioni aggrottati e smorfia di sufficienza in
allegato. Ma no, non era la vita in ufficio ad averlo reso decisamente più
scorbutico del solito, anche se effettivamente voleva proprio smetterla col
doversi continuamente limitare in una routine noiosa e grigia, ma ormai si era
abituato anche a questo, pertanto non si sentiva nemmeno tanto oppresso
ormai. Più che altro era l'ingiunzione di sfratto che gli aveva notificato
quella mattina la nuova moglie del proprietario dell'appartamento ad avergli
abbuiato di più il suo umore già normalmente nero. E ora scriveva la data del
venti dicembre ovunque sulla sua agenda, come se non fosse già presente. E
quindi qualunque cosa, anche la più infinitesimale gli dava fastidio. Dal fatto
che quel dannato stagista della scrivania accanto —del quale non gli fregava
nemmeno di sapere il nome— tamburellava nervosamente sulla tastiera del pc con
troppa insistenza, arrivando anche a quel verme viscido di Fuuma, che sedeva
alla scrivania di fronte che aveva già venduto più di sedici assicurazioni
inconcludenti a chissà quale assonnato e rincoglionito vecchietto nel giro di
una mattinata, e ora stava tranquillo con i piedi sul tavolo e la tastiera sulle
ginocchia, mentre ciarlava con un’altra vecchia sui vantaggi, inesistenti, di
adottare un’altra opzione assicurativa. Anche la sola esistenza di
quell’essere lì davanti gli urtava il sistema nervoso e più di ogni altra cosa
gli faceva impazzire il sangue al cervello e tanto per cambiare gli veniva
voglia di menare le mani. «Kurogane?» il suo capo, una donna piuttosto
risoluta e dispotica, che comunque continuava ad essere molto cordiale quando si
ricordava di farlo, lo scosse da quel flusso di pensieri che a lungo andare gli
avrebbe intimato di colpire in viso quell'idiota che picchiava sulla
tastiera. «Mh?» trasalì alzando la testa dalla sua agenda. «Senti
Kurogane, io ho una riunione con quelli del personale stasera, dovresti
accompagnare mia sorella e i suoi amici a una galleria d'arte.» sorrise. «Mi
prendi in giro?» brontolò il moro senza nemmeno rispettare lontanamente le
gerarchie. «Amaterasu! Io odio andare in giro coi mocciosi amici di tua
sorella!» borbottò. «Inoltre quella Sakura o come si chiama lei non ha un
fratello più grande?» aggiunse brontolando ancora. «Su, Kurogane! Prometto di
lasciarti il weekend libero!» sussurrò lei giungendo le mani come in
preghiera. Kurogane strinse le labbra e affilò lo sguardo. «Devo ricordarti
l'ultima volta che io sono stato costretto a uscire con quei mocciosi? Ho dovuto
accompagnarli per vedere quel maledetto film stucchevole!». «Beh loro
volevano andarsi a vedere i Transformers, peccato che la sala era piena e siete
dovuti andare per forza a vedere Ghost!l» replicò lei. «Su, non vorrai mica
che faccia vedere le foto dello scorso carnevale ai tuoi colleghi?» sogghignò
lei. Una vena sulla fronte del moro si gonfiò all'improvviso. «Non vale se
minacci, però!» sibilò. «Dai vacci, per favore! Fallo per Tomoyo!»
ripeté. «Dannata strega!» bofonchiò appena, avrebbe fatto qualunque cosa per
quella mocciosa. «Ngh! D'accordo!» cedette infine. «Dai che esci anche in
anticipo, oggi! Se fossi sposato, tua moglie sarebbe contenta!» sorrise lei con
un ammiccamento decisamente agghiacciante. «Devo passare a prendere i
mocciosi a scuola o il fratello di Sakura si degna almeno di accompagnarli?»
borbottò ancora alzandosi e recuperando la giacca. Era abbastanza innaturale
portarsi tre mocciosi su una moto. «Nemmeno avessi un sidecar io!». «Sarà ora
che ti compri una macchina, Kurogane?» replicò lei. «Vorrei vedere te
attraversare la città per venire a lavorare! Io devo star qui di mattina presto!
Tu puoi fare con calma! Io devo per forza avere una moto!» continuò a dire
inalberandosi procedendo verso il corridoio. «Esiste la metro...» gli fece
notare lei sogghignando ancora mentre elegantemente ancheggiava verso il suo
ufficio. «Sai? Siamo in Giappone, Kurogane, esistono dei mezzi pubblici
incredibilmente efficienti!». «Guarda quante storie fai! Bada che non
accompagno tua sorella a quella stramaledetta mostra!» grugnì fermandosi proprio
davanti alla porta che recava il nome della donna in chiare lettere laccate su
una . Lei non sembrò tanto toccata da quella specie di minaccia e tornò
sull‘argomento. «Comunque sì, alla galleria li accompagna Touya!». «Mh e
cos'avrà di tanto interessante da fare da non poter restare lui coi tre
mocciosi?» brontolò ancora. «Secondo te?» gli rivolse un‘occhiatina strana
d‘intesa. «Dovrà uscire con Yukito, che vuoi che ne sappia io?» mugugnò lei
tirando fuori un depliant dalla tasca del tailleur bordeaux. «Comunque la
galleria è questa, ci sono tutte le informazioni che ti servono e ti ho anche
scritto a che ora devi incontrarti con loro». «Mh. Fantastico!» bofonchiò
sarcastico mentre notava con un certo dispiacere che si trattava di una mostra
d'arte contemporanea di un artista noto in tutto il mondo dal nome
impronunciabile! Per giunta cadeva proprio quel giorno l'apertura ufficiale! E
per non finire, visto che ci mancava giusto quello, aveva appena un'ora di tempo
per raggiungere quel posto e quindi gli toccava pure andarci col completo grigio
smorto che doveva necessariamente usare per il lavoro, non avendone
altri! Lei ridacchiò. «Dai, che magari ti diverti!». «Kendappa io giuro
che me la pagherai!» ringhiò minaccioso, anche se lei, non curante, gli chiuse
la porta a un millimetro dal naso. Kendappa, per tutti i suoi dipendenti
signorina Amaterasu, aveva ereditato l'azienda di famiglia —una specie di
società medico-politico-qualcosa che Kurogane non aveva mai capito a che
servisse, ma probabilmente anche gli altri se lo domandavano— era una giovane e
bella donna, malgrado l'aspetto altezzoso e vagamente spocchioso. Kurogane la
conosceva dalla notte dei tempi, tant'è che era stata lei ad assumerlo appena
era diventata il capo, probabilmente solo per il gusto sadico di torturarlo
psicologicamente. Non che la loro amicizia avesse facilitato le cose. La routine
era sempre assopente, lo stipendio orribilmente da fame, ma almeno aveva finito
di pagare la moto. La casa di campagna della famiglia Amaterasu era adiacente
ai possedimenti della sua famiglia, ricordò Kurogane mentre si avvolgeva la
sciarpa attorno al collo. Si infilò la giubbotto di pelle, col rischio di
sgualcire ulteriormente la giacca del completo e montò in sella. La galleria
d’arte Mitaka, si trovava nella zona della Stazione di Mitaka, che congiungeva
una delle tante città conurbate alla metropoli di Tokyo, alla capitale. Oltre
all’originalità del nome che lasciava molto a desiderare, era decisamente troppo
lontano da Nihonbashi, il quartiere finanziario dove si trovava a lavorare, ci
avrebbe messo sì e no quaranta minuti, calcolando il traffico, ad arrivare lì.
Avrebbe dovuto attraversare ben tre dei ventitrè municipi per arrivare a quella
stramaledetta galleria d’arte e questo lo faceva imbestialire più dell’esistenza
di Fuuma. In effetti Amaterasu approfittava un po' troppo del fatto che Kurogane
aveva un ottimo rapporto con sua sorella più piccola Tomoyo, la mocciosetta che
a breve ormai sarebbe andata alle superiori, ed evidentemente si divertiva fin
troppo a metterlo in situazioni del genere, non era mica la prima volta che si
trovava a uscire dall’ufficio in anticipo per andare a fare il fratello
maggiore.
Quando scese dalla moto, la macchina del fratello di Sakura era parcheggiata
dall'altra parte della strada. Quello lì se la rideva con quello che
continuava a spacciare come amico —come se il resto del mondo non sapesse che
c'era del tenero!—, seduti sui gradoni di un grosso ed elegante palazzo e i due
mocciosi erano alla mercè della telecamera di Tomoyo. L'ultima volta che era
stato costretto ad accompagnare quei tre rompiscatole gli avevano fatto vedere
un film idiota, banale e decisamente inutile all'economia del mondo, in realtà
aveva rivisto Tomoyo anche ultimamente, ma non si aspettava mica fossero così
cresciuti tutti e tre, pure quel cinese dal nome cretino! La moretta lasciò
per un momento in pace gli altri due mocciosi e raggiunse Kurogane minacciando
di abbracciarlo a breve. «Sei arrivato!» gli sorrise. «Tsk, di' la verità,
Kendappa non aveva affatto una riunione!» grugnì lui. «Sì, invece!» cinguettò
lei. «Ma sapevo da parecchio che aveva questa riunione, per questo ho preso
i biglietti proprio per oggi!». Queste parole erano decisamente le stesse di
quando l'avevano fregato ehm... convinto ad andare a vedere al cinema
Ghost! Maledizione! Quella mocciosa era davvero troppo sveglia, oppure come al
solito Kendappa si faceva facilmente raggirare. «Dovevo aspettarmelo!». «Sei
più scontroso del solito!» notò lei sorridendo. «Mia sorella è la solita
despota?». «Mh... Tra una settimana devo lasciare l'appartamento in cui abito
ora.» borbottò. «Uh! Potresti venire a stare da noi! Un uomo in casa non ci
farebbe mica schifo!» replicò lei. «E vedere quella rompiscatole di tua
sorella ventiquattro ore al giorno? Ma meglio andare sotto un ponte!» ringhiò
incrociando le braccia. Intanto, in mezzo a tutto questo sbraitare, Sakura,
il cinese dal nome stupido e quei due che continuavano a definirsi amici,
raggiunsero Tomoyo e il suo gioco preferito. «Kurogane,» fece Touya
porgendogli la mano «ti affido mia sorella e il poppante». «Mh.» mugugnò
ricambiando il saluto. «Passeremo a prenderli verso le nove.» aggiunse
Yukito salutandoli. COSA?! Vale a dire che devo stare qui QUATTRO
ORE?! «Ah. Bene!». Kurogane stava cominciando a rimpiangere di essersi
alzato quella mattina. «Grazie, Kurogane, sei sempre molto gentile!» gli
sorrise Sakura. «Mh, sì.» annuì mentre amaramente notava che al Giappone
intero a quanto pareva l'arte di quel tizio piaceva davvero parecchio a
giudicare dalla fila che girava tutt'intorno alla galleria. «Ma se tipo vi
aspettassi qui fuori mentre voi vi guardate i quadri?». «Guarda che noi i
biglietti ce li abbiamo già, dobbiamo solo entrare!» sogghignò Tomoyo. Come
minimo questa, quella strega di Amaterasu me la deve pagare con tremila yen!
«Ah».
Anche la giornata di Fay non era cominciata sotto i migliori
auspici. Appena sveglio, vale a dire intorno alle due del pomeriggio, aveva
avuto la brillante idea di aprire le tende e aveva trovato il giardino invaso da
fotografi e giornalisti. Si era trascinato giù per le scale, badando bene a
stare il più lontano possibile dalle finestre, soprattutto perché non era
affatto presentabile, il senso di nausea che lo accompagnava da un paio di
giorni non aveva ancora intenzione di abbandonarlo, e l’aveva fatto dormire solo
un paio d’ore quella notte. Per non passare davanti alla porta d’ingresso
dovette passare per la sala da pranzo, e filò fiaccamente in cucina. Ancora
particolarmente assonnato, cercò qualcosa di commestibile da mangiare, e solo
allora si ricordò con orrore che non aveva fatto la spesa, e quello che c'era in
dispensa non avrebbe fatto altro che incrementare il senso di nausea, in effetti
il preparato per la pappa d'avena non aveva questo aspetto appetitoso nella
magnificenza del suo colorito marrone sbiadito. Un quadro che lui aveva
reputato orribile, proprio perché ispirato alla pappa d'avena
aveva riscosso un successo tanto grande da imbarazzarlo, e ne aveva venduto una
copia a un prezzo talmente alto che con quei soldi aveva comprato la casa dove
viveva ora e un magazzino, per non parlare della macchina che aveva fatto sì e
no dieci miglia e ora giaceva coperta da un panno pesante in garage. Versò
due cucchiai di farina d’avena in una scodella celeste con gli orsetti bianchi e
la bagnò con due dita di latte tiepido e ingurgitò in fretta il tutto, senza
badare neanche tanto a quel colorito marroncino che macchiava il
cucchiaio. Prima di riuscire a carburare l’idea di andare a farsi una doccia,
la più allettante smania di guardarsi un filmaccio di bassa lega di quelli
strappalacrime solo perché la recitazione era decisamente da cani, si fece
strada nella sua mente bacata. Ma bastò guardare con desolazione l'enorme
soggiorno della sua decisamente troppo grande casa occupato quasi esclusivamente
da un divano gigantesco ancora coperto dalla pellicola, a fargli passare la
voglia, inoltre non era mica la prima volta che si ritrovava a pensare che
nemmeno raggomitolato avrebbe mai occupato uno di quei cuscini bianco
fluorescente. Pazientemente filò a farsi una doccia nel bagno che dava sulla
sua stanza da letto. Ovviamente proprio perché la giornata era cominciata non
poi così bene, non sperò nemmeno che uscisse l'acqua calda, doveva lamentarsi
con chi aveva risistemato i tubi di quella casa, ma non era un tipo litigioso e
conosceva ancora poche imprecazioni in giapponese, malgrado fosse cresciuto
lì. Quando uscì dalla doccia, plausibilmente infreddolito, con un capogiro si
ricordò che —dannazione— quel giorno cadeva la data d'apertura della
mostra nella Mitaka City Gallery of Art. Lui odiava profondamente questo
genere di autocelebrazioni in abito-lungo-prego, preferiva di gran
lunga una piccola galleria a ingresso libero dove poter servire pasticcini
stracarichi di zucchero e cioccolata calda al posto di tartine al caviale e
champagne —anche perché quale persona sana di mente vuole mangiare
sperma di storione?!—, ma non c'era modo. In effetti aveva provato a
parlarne con quella dispotica della sua agente, ma lei non ne aveva voluto
sapere, e a nulla erano valse le centinaia di "Ti preeego
Yuuuuko-sama!" o le minacce del tipo "Guarda che mi ammazzo", alle
prime lei rispondeva con un "No, fila a dipingere" alle altre invece
aggiungeva un ghigno e bofonchiava un "Meglio! I tuoi quadri
acquisiranno un valore aggiunto!". Non c'era scampo, tanto valeva
assecondarla e ordire dei piani audaci per rivoltarla sul palmo della mano nel
frattempo. Con un sospiro si infilò un dolcevita nero e un paio di pantaloni
grigi. Sicuramente Yūko avrebbe avuto a che ridire, anche perché aveva scelto
per lui uno smoking con la giacca verde, ma era decisamente inappropriato, e per
dirlo lui che era quello che portava dei boxer con gli orsetti di un celebre
cartone animato, era davvero brutto, così le avrebbe detto che
sfortunatamente s'era spiegazzato e non aveva ancora tolto
dall'imballaggio degli scatoloni del trasloco il ferro da stiro, cosa peraltro
vera.
Proprio mentre usciva sull'ingresso della villetta, lo squillo del suo
cellulare gli titillò i timpani. «Hyuuu~ Yuuuko-saaamaaa! Sono pronto e sto
per uscire.» pigolò prima ancora che lei potesse redarguirlo. «Ci sono diecimila
giornalisti qui fuori!». «Lasciati intervistare.» gli rispose lei
lapidaria. «Che cattiveria, Yūko-sama!» sbuffò Fay, mentre sceglieva in tutta
calma una sciarpa dal colore allucinante che si abbinasse bene coll'imbarazzante
cappello di lana col pon-pon giallo canarino. «Sii presentabile, tu sei il
mio fiore all'occhiello, devi essere come minimo perfetto!» continuò lei. «Ci
vediamo lì». A malincuore si sfilò il cappello e lo lasciò lì, dove l’aveva
trovato, recuperò il trench grigio e pregiato che sicuramente in quella ressa lì
fuori si sarebbe sgualcito e aprì la porta fiaccamente. Appena l’uscio si fu
richiuso, ma probabilmente anche prima, si ritrovò letteralmente sommerso da
microfoni e telecamere. Ma non si scoraggiò più di tanto, in fondo ormai
c'era abituato, chiuse in tutta calma la porta, sistemò attorno al collo la
sciarpa e si voltò verso quella mandria di giornalisti. «Fay! Fay! Dicci
qualcosa della mostra!» urlava qualcuno alla sua destra. «Se venite alla
galleria sarò più che contento di rispondere con calma a tutte le vostre
domande.» sorrise lui. «Ma ho tempo per qualcuna di esse già ora,
prego». Qualcuno alzò una penna laccata in rosso, che attirò la sua
attenzione in quel fiume di penne nere e anonime. «Come si trova qui in
Giappone?» gli chiese una voce femminile. «Come vi trovate tutti voi, è bello
tornare a casa.» sfoderò un sorriso sfavillante. «Pensa di restare qui?» fece
qualcun altro. «Sì, mi ispira molto il vostro paese. Come ho detto è come
essere a casa, anche perché effettivamente io sono cresciuto qui...»
sorrise. «Però poi è andato in Europa e quindi in America...» gli fece notare
un uomo. «Sì, è vero. Ho visto opere di grandi maestri, dagli affreschi di
Michelangelo alle tavole di Goya, dagli studi di Andy Whorol alle forme di
Renoir. Ne sono rimasto affascinato, ma anche qui c'è qualcosa di unico: la
magia dei paesaggi, la poesia dell'antico impero... Per non parlare dei samurai
e dei ninja...» enumerò, come a memoria, quasi gli avessero scritto un discorso
simile. «Ora perdonatemi, sarò molto lieto di rispondere ad ulteriori domande,
durante la conferenza stampa che precederà la mostra, devo proprio andare.»
annuì appena, cominciando a farsi strada tra tutta quella gente.
Pur avendo una costosissima e pressoché nuova automobile in garage, Fay
preferiva di gran lunga sfruttare i mezzi pubblici, fondamentalmente era per
questo che aveva preso quella casa a Shibuya, a pochi isolati della stazione,
proprio quella dove c‘era la statua intitolata a quel cane. Si fidava ciecamente
del ministero dei trasporti Giapponese, non era mai capitato, da che si
ricordava, che un treno fosse arrivato in ritardo. Per cui si avviò alla
stazione con calma, passando del tutto inosservato anche se un biondo naturale
in Giappone è raro più del Santo Graal, fermandosi di tanto in tanto a parlare
coi gattini che incontrava per strada o salutando qualche passante che aveva già
visto in quella zona. In meno di un quarto d’ora sarebbe arrivato alla
stazione di Mitaka.
Volevo dire solo due o tre cose,
- Sì, mi sono fermato prima del dovuto, semplicemente per pura smania di proporvi l'ennesima schifezza v__v
- Volevo dedicare questa storia a due persone molto molto pazienti con me, tale MaleficaGgggì e tale yua, v__v sì ci ho messo un pochettino, ma boh? Auguri xD!
In realtà vi ringrazio di ascoltare a oltranza le mie pare mentali e i miei cambiamenti di idea repentini v__v per cui grazie mille! So che potrei sdebitarmi in un modo migliore, ma questo è il più immediato che conosca! - Mh la storia è un AU, come avrete notato, e spero di migliorarla con l'andare del tempo, non vi aspettate grandi cose xD!
- Per ora il genere è impostato su Generale, mi premurerò di cambiarlo in futuro, quando la storia prenderà una piega decente v__v
Direi che ho finito, vi ringrazio se avete letto e non vi ha fatto tanto schifo, vi ringrazio se commenterete v__v Bonne nuit.
D.
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Capitolo 2 *** 02. Art's Sake ***
Ehm, salve, sono Dì. Per prima cosa volevo scusarmi:
visto che ero un po’ ristretto coi tempi la sera che ho posato la storia, mi
sono un po’ facilitato la scelta del genere infilandoci a caso un bel
“generale”, pertanto, no, la storia, per chi l’ha detto non è poi così tanto
allegra-carina-e-coccolosa. Insomma, sono le CLAMP e io non sono proprio in
grado di staccare i personaggi dalla sfortuna assoluta alla quale sono legati
per nascita... Pertanto, no, non sarà una commedia, sì, certe volte qualcosa di
divertente ci sarà, anche per smorzare un po’ la tensione, però,
fondamentalmente, dovreste essere abituati ai momenti di angst col quale abbiamo
imparato a convivere leggendo una qualsiasi opera di quelle pazze v___v. Per cui
ora corro a cambiare il genere, se vorrete continuare a leggere fatelo pure,
anche senza recensire, la storia sarà qui, però preparatevi a momenti poco
allegri, in un futuro prossimo. Mh, poi? Ah, sì... Commenterò le recensioni a
piè di pagina, quindi, senza alcun indugio vi mollo il Capitolo, permettetemi di
augurarvi buona lettura.
bah
BEFORE THE WORST—
CAPITOLO2
Art's F
Sake
Il vagone bianco con le strisce blu si fermò alla
stazione con uno stridio metallico. Ovviamente Fay era in perfetto ritardo,
aveva sfidato la sua sorte, che non era mai stata tanto buona, pur sapendo
benissimo che quella strega della sua agente gli avrebbe tagliato la gola, per
essere arrivato tardi a controllare la disposizione delle sue opere nella
galleria. Però, in effetti aveva un buon motivo per quel ritardo di più di
quaranta minuti, soprattutto perché sicuramente Yūko avrebbe avuto a che ridire
in merito, ma si era fermato a fare foto. Sì, si era fermato a fotografare un
mucchio di sciocchezze. Era una cosa che faceva da qualche anno ormai, portava
sempre con sé la macchina fotografica da quando era stato per la prima volta New
York e non aveva avuto modo di fotografare Saint Patrick Cathedral, che gli
avevano descritto come un cuore di marmo tra i vetri e l’asfalto, ma quella
volta Yūko gli aveva appioppato una specie di bodyguard, che altri non era che
il suo assistente Dōmeki, che non gli aveva permesso di perdere tempo. Quel tipo
l’aveva prelevato dall’Hotel in cui alloggiava, nelle immediate vicinanze di
Rockefeller Center, e l’aveva trascinato fino al Guggenehim dove teneva una
mostra, attraversando tutta Fifth Avenue, senza nemmeno dargli il tempo di
lavarsi i denti appena sveglio, figurarsi se avrebbe avuto tempo di prendere, o
meglio cercare in quel marasma della stanza, la sua macchinetta fotografica usa
e getta. E quindi, quando era tornato in quello Stato per un’altra mostra, s’era
armato di cavalletto, con obiettivo grandangolo e annessi e connessi,
semplicemente per fotografare tutto ciò che gli passava davanti. E questa
specie di deformazione era rimasta in lui, certo, ora girava con una piccola
macchinetta fotografica digitale che teneva sempre in tasca, e aveva
sperimentato un modo per rendere la cosa anche utile per il suo lavoro, quindi
ingrandiva la fotografia con un proiettore perché avesse le dimensioni della
tela, seguiva solamente i contorni delle figure e poi ci costruiva un
quadro. Stavolta aveva incontrato una bimba con un cappellone rosa che
abbracciava un pupazzo bianco che ricordava un po’ la forma di un onigiri con le
orecchie lunghe, più grosso di lei, e l’aveva fotografata con la sua mamma, poi
aveva regalato loro due biglietti omaggio per la sua mostra e si era fermato a
chiacchierare con la bimba. Quando si era accorto che ora fosse, si era
spinto in una corsa a perdifiato per la stazione, ma poi aveva incontrato dei
gattini che giocavano con un gomitolo rosso, in un cortile e si era fermato,
mezzo folgorato da tale vista, a fare qualche scatto. Arrivato in stazione,
aveva visto le porte del treno chiudersi davanti al suo naso, allora si era
fermato, s’era seduto su una panchina e aveva aspettato pazientemente il
prossimo treno per Mitaka. E con un buon ritardo di quaranta minuti era
arrivato nelle vicinanze della galleria. Inutile dire che avrebbe voluto
trasferirsi lì, gli appartamenti erano più appropriati per un tipo come lui, in
una zona, proprio nelle vicinanze della galleria, c’erano dei palazzi
residenziali, coloratissimi, tanto che s’era fermato a guardarli per dieci
minuti, la prima volta che s’era trovato in quel quartiere, fotografandoli
ovviamente, e notando che i colori su ogni stabile non si ripetevano più
di due volte. Aveva cercato di convincere Yūko a fargli prendere un
appartamento proprio lì, soprattutto perché era un luogo eccentrico quasi quanto
lui, ma lei aveva ringhiato che la casa che gli aveva scelto era perfetta,
soprattutto perché avrebbe potuto tenerci anche dei rinfreschi, delle feste e
anche delle aste, eventualmente. Eppure ogni volta che lui passava lì davanti,
si sentiva come a casa, presto o tardi si sarebbe trasferito lì, anche perché
quel posto dove viveva era davvero troppo grande per una persona sola. Con
un sospiro, si diresse in fondo alla strada e proseguì fino a ritrovarsi sul
boulevard principale, attraversando la strada, a testa bassa, proprio di fronte
al Kentucky Fried Chicken. Era troppo impegnato a pensare a quello che Yūko
gli aveva detto di dire, perché si rendesse conto che davanti alla galleria
d’arte c’era una quantità enorme di gente. Quando alzò lo sguardo e vide tutta
quella folla, rabbrividì alla sola idea di dover passare lì in mezzo. Per cui,
decise che era necessario cambiare strada, magari entrare dal retro. Si
sistemò la sciarpa davanti al naso, perché nessuno si accorgesse di lui, e si
avviò verso un elegante palazzo con dei gradini di marmo, prima ancora che
svoltasse, per entrare dalla porta di servizio, incontrò la fila per quelli che
avevano già il loro biglietto, poco importava che l’avessero acquistato o
ottenuto come invito, erano altre potenziali beghe. Il sangue, alla sola idea
di dover incontrare quelle persone, gli si gelò nelle vene. «Oh, sei arrivato
finalmente!» grugnì qualcuno alle sue spalle. Sperò che non fosse nessuno che
potenzialmente potesse avercela con lui. Così si voltò e vide una donna con le
braccia conserte che batteva la punta del piede sinistro a terra. «Perdonami
Yūko-sama... È che mi sono messo a pensare a un mucchio di cose, ho fatto tante
foto e...» cercò di addurre una scusa decente, ma con scarso successo «Hai
perso tempo come al solito!» ringhiò la donna preparandosi a dargli una botta in
testa col suo hiogi. «Sì, lo so... Ma sicuramente sarà tutto bellissimo anche
senza il mio contributo!» cinguettò. «Dovresti fare come ti dico io!»
continuò a dire lei. L‘espressione sul volto del pittore sembrò abbuiarsi per
un istante, ma poi sfoderò un sorrisone a tutto tondo. «Uffa! Te l‘ho detto che
a me non piace stare qui! Detesto questo genere di cose!». «Sicuramente ci
sarà qui qualcuno che non è venuto di sua spontanea volontà... Tu sei la star,
devi necessariamente essere contento di tutto questo! Quindi su, sorridi ed
entra! Prometto che dopo la conferenza stampa potrai fare quello che vuoi!»
mugugnò la donna continuando a fissarlo altezzosa. «Tutto tutto?» sfoderò un
tono supplicante. «Anche ingozzarmi di gelato fino ad ingrassare, mentre guardo
film deprimenti francesi?!». «No, questo no. Però puoi farti un giro per la
galleria e socializzare con qualcuno, ti sei appena trasferito e non hai molti
amici...» mugugnò. «Ohhh! Ma allora ti preoccupi per me!» pigolò di
nuovo. Yūko sbuffò. «Te l‘ho già detto, sei la mia gallina dalle uova d‘oro,
se non stessi bene psicologicamente sarebbe un problema per me... Anche se
potresti fare come Van Gogh e creare opere ancora più incredibili...» cominciò a
rimuginare. «Mh... Beh, potrebbe essere un‘idea...». Fay impallidì alla sola
idea, doveva smetterla di parlare con quella donna il prima possibile, ma le
rivolse un sorriso ancora più sfavillante del precedente. «Sì, ma Van Gogh è
arrivato al massimo del suo splendore quando ha conosciuto Gauguin... Forse è
meglio che mi trovi qualche amico...». «Oh, sì, in effetti non hai tutti i
torti...» annuì lei. «Dai, ora fila dentro, che tra meno di mezz‘ora hai una
conferenza stampa!» fece agitando per aria il suo ventaglio, e prendendo a
spingerlo in direzione della fila. Fay sbuffò
profondamente mentre quella donna gli faceva superare bellamente tutto quel mucchio di
gente in attesa di entrare, era un comportamento profondamente inappropriato e poco educato, se n’era
reso conto soprattutto perché metà di quella gente aveva ringhiato contro di
loro.
Una volta arrivati nelle vicinanze immediate della sala conferenze della
galleria, si sfilò il soprabito affidandolo a quell’assistente di Yūko, quello
lì con gli occhiali, del quale ora non gli sovveniva proprio il nome. «Su,
hai qualche minuto, fa‘ un giro per la galleria e guarda se è tutto a posto,
come volevi tu.» gli sussurrò il ragazzo. «Sicuramente va bene così, anche
perché hanno già aperto le porte, non credo che potremmo spostare qualcosa,
comunque.» gli fece notare Dōmeki mentre Yūko ringhiava qualcosa di
irragionevole ed irripetibile ai danni del pittore. «Che hai fatto stavolta,
Fay?». «Non ti sei messo lo smoking che ti avevo raccomandato!» ringhiò la
donna agitando per aria l’hiogi prima che sbattesse sulla testa
bionda. «Evidentemente era sgualcito, no? Vero, Fay-san?» sussurrò
l’occhialuto dandogli una mezza gomitata nel fianco per fargli dire qualcosa.
Watanuki! Ecco come si chiamava quel tizio! Fay annuì. «Già, e non ho trovato
il ferro da stiro... E poi quel verde era decisamente inappropriato, meglio così,
no?». «Guarda, sta‘ lontano dalla mia vista e fila a fare quel giro di
ricognizione!» brontolò lei agitando, stavolta davanti al suo naso, il
ventaglio. Fay, con aria decisamente sommessa, si trascinò nel corridoio, a
testa bassa.
A Kurogane stava cominciando a venire il mal di testa, ed erano appena
dieci minuti che si trovava in quella maledetta galleria d’arte. Mpf! Che razza
di posto! brontolò tra sé mentre schivava l'ennesimo palloncino di quel colore
così inquietante! Rosa. Quei tre mocciosi giravano intorno a lui indicando
qualsiasi cosa anche quelle che a lui sembravano semplicemente delle macchie,
delle grosse macchie di colore. Come se qualcuno fosse inciampato sulla vernice
e avesse sporcato una tela. Non che Kurogane avesse mai capito l’arte, per
lui era l’ennesima cretinata perché della gente guadagnasse senza un vero
lavoro, senza uscire di casa. E poi a che serviva?! Se l’era chiesto centinaia
di volte! Secondo lui, era più produttivo un pesce rosso in
un’ampolla. All'improvviso, mentre borbottava un‘altra mezza imprecazione tra
sé e sé, qualcuno gli venne addosso. «Mi scusi!» sussurrò un tizio biondo,
innaturalmente magro. Indossava un dolcevita nero e un paio di pantaloni grigi
scuri che facevano risaltare il pallore del viso e le occhiaie marcate, e poi a
colonare il tutto portava una giacca, dello stesso colore dei pantaloni, che gli
cadeva a pennello eh, ma lo facevano sembrare ancora più magro. «Ma stai
attento, tu!» brontolò lui, coi nervi a fior di pelle che si ritrovava, ci
mancava solo che gli venissero addosso, anche se evidentemente quello che aveva
risentito di più di quella specie di colpo era stato quel tizio. «Ma guarda tu
questo! Non guarda nemmeno dove mette i piedi, che imbecille!» continuava a
brontolare, noncurante delle miriadi di scuse che gli domandava. Quel tale
aveva preso a fare dei mezzi inchini in avanti.«Mi scusi, davvero, non
volevo!». «Mpf!» sbuffò il moro. «Va bene». «Se vuole, le faccio avere dei
biglietti gratuiti per tornare a vedere la mostra...» continuò a dire. Che? Dei biglietti gratuiti per uno strazio simile? Ma
nemmeno morto! «E che ti fa pensare che io
voglia tornare qui un'altra volta?» ruggì ancora. A quel punto il biondo alzò
la testa e gli rivolse un sorriso strano, tanto che gli diede una brutta
sensazione che gli percorse tutta la schiena. «Dovrò trovare un modo per
scusarmi con lei.» continuò a dire quello. «Soprattutto perché non sembra
apprezzare questa roba, quindi debbo scusarmi doppiamente...». «Ma non mi dare
fastidio, girami alla larga, imbecille!» ringhiò ancora Kurogane,
aggrottando ancora di più le sopracciglia. Ma prima
ancora che quel tale continuasse ad importunarlo, un altro tizio alto che pareva
anche piuttosto irritante, gli si fece vicino. «È ora, sai?». «Mh, ma io stavo facendo
amicizia, come ha detto lei!» puntò i piedi il biondo prima di porgere la mano a
Kurogane. «Io sono Fay e tu?». Con quella manina così ossuta a penzolargli
davanti Kurogane, rabbrividì di colpo. Quel tipo aveva davvero detto che stava
facendo amicizia? E chi voleva essere amico suo? Allungò solo la mano perché,
malgrado tutto, i suoi gli avevano dato un'educazione. «Kurogane». Quel tale
dalla faccia insopportabile che aveva raggiunto il biondino, grugnì. «Fay io non
voglio vedermi ridotta la paga perché tu hai deciso di non darti una
mossa». «Io ora devo andare
signore-tutto-nero1... Poi ci vediamo dopo!» disse
quel tale dal nome strano. Un attimo? Com'è che l'aveva chiamato? La voglia
di sferrare un pugno sulla testa, presumibilmente vuota di quel tizio, si fece
strada in ogni cellula del suo corpo. «Yoo, stai digrignando i denti, lo
sai?» bisbigliò Tomoyo facendosi vicino a lui. «Mpf! Avete visto tutto?
Possiamo andarcene?» brontolò. «Ma no, Yoo! Ho i biglietti anche per la conferenza stampa
e poi ci sono molti altri quadri da vedere, all'interno!»
cinguettò lei. «All'interno?» fece il moro prendendo a gesticolare. Aveva
appena scoperto, con immenso orrore peraltro, che la situazione era peggio di
quanto pensasse e che quello in cui si trovava ora, evidentemente, non era altro
che un corridoio. «Perché? C'è pure un interno?» bofonchiò con la voce appena
più strozzata in gola. «Sì, certo, queste sono solo opere della collezione
permanente...» continuò a dire lei, mentre lo spingeva a seguirla verso una
porta di legno col vetro traslucido. Per non farsi proprio mancare niente,
visto e considerato che per ora era ancora troppo accettabile la situazione, in
quella stramaledetta saletta c'erano almeno duecento persone, più della metà dei
quali brandiva un taccuino, altri invece avevano delle telecamere o delle
macchine fotografiche, e quella mocciosa rompiscatole aveva riservato per loro,
non si sa nemmeno in che modo, quattro posti in prima fila. Kurogane ora, più
di tutto, stava rimpiangendo di essersi svegliato, soprattutto perché, malgrado
la sedia fosse comoda, i giornalisti alle sue spalle gli stavano intimando di
abbassarsi. Proprio mentre stava per desistere e decidere di aspettarli
fuori, si spensero le luci in sala, e si accesero quelle in prossimità di un
palco bianco.
Quando Shizuka lo spinse sul palco nella sala delle conferenze, un
inappropriato capogiro di vergogna ed inadeguatezza si arpionò alla sua testa,
provocandogli un leggero senso di nausea e facendogli ribollire il sangue nelle
vene. Si schiarì la voce e ripensò a quello che gli avevano detto tanti e
tanti oratori coi quali aveva parlato prima di alcune conferenze stampa alle
quali era stato costretto, in America o in Europa, doveva immaginarsi tutta
quella gente con delle grosse galline in testa. Non appena in testa di tutti
quei giornalisti si palesò una grossa gallina grassoccia, sfoderò un sorrisone a
settantadue denti, degno di uno squalo. Sistemò due cartoncini bianchi con
poche righe scritte a penna sul lèggio e inspirò profondamente, avvicinandosi al
microfono.
A quella vista, Kurogane rabbrividì di botto, più di quanto non avesse fatto
negli ultimi minuti. C’era quel tizio su quel palco, proprio quel tizio biondo
col quale aveva avuto quella specie di incontro-scontro poco
prima. «Buonasera a tutti.» cominciò a dire quello passandosi nervosamente la
mano tra i capelli. «Sono molto lieto di vedere tutta questa partecipazione dei
mass media... Mh... La parte più difficile è ricordarmi quello che vi dovevo
dire, in fondo avrei tante tante cose da dire e... non mi ricordo niente,
scusatemi l‘emozione è troppo forte». A Kurogane, ogni parola che usciva
dalla bocca di quel tizio sembrava una menzogna, anche il modo in cui si poneva
davanti ai riflettori, i gesti. A forza di fare quel lavoro, a forza di vendere
assicurazioni, sapeva come interpretare un tono o un altro, anche senza
necessariamente avere un contatto visivo con la persona in questione. Il modo in
cui quello era chinato in avanti, come si aggrappava al leggio di vetro nero e
opaco, come ridacchiava e le pause che faceva, sembrava un discorso costruito,
uno strazio di un attore anche abbastanza competente. Il tizio biondo, il
pittore, afferrò il mucchio di foglietti e li accartocciò buttandoli alle sue
spalle. «Per me è un po‘ complicato, perdonatemi... Non sono ancora abituato
a tutta questa inspiegabile notorietà... Io dipingo per passione, ho cominciato
da quando ero piccolo e...» la sua espressione si fece per un momento cupa, ma
la maggior parte dei presenti probabilmente non se ne accorse. «Beh, in sintesi
sono tornato qui e conto di restare nel mio paese... Essendo la prima
esposizione che faccio qui, sono davvero molto emozionato, non pensavo di
riscuotere tutto questo successo!». Quel tipo è un giapponese? Ma a chi voleva darla a
bere?! I veri giapponesi mica sono biondi! mentre ringhiava
questo, Kurogane non si rese nemmeno conto che qualcuno faceva una
domanda. «Io ho sempre preso l‘ispirazione dalle piccole cose quotidiane ad
esempio dai colori che ho visto durante la mia infanzia, la casa nella quale
abitavo allora dava sul monte Fuji e all‘alba e al tramonto la sua cima brillava
di tonalità incredibili, per non parlare delle varietà di vegetazione che si
possono trovare qui... Avendo viaggiato molto, posso dirlo con certezza, questo
Paese è sicuramente al primo posto in tale ambito... Non ho visto colori simili
a quello dei ciliegi o dei mandorli in fiore in altra Nazione...» stiracchiò un
sorriso strano, che quasi percorreva tutto il volto. «Quindi, per rispondere
alla sua domanda, sì. Sono rimasto molto legato alla mia infanzia. Prossima
domanda?» incitò qualcun altro a rispondere. Qualcuno alzò la mano più in
alto degli altri e si aggiudicò la possibilità di fare una domanda. «Ci parli
del ciclo di cinque tele invernali...». A Kurogane parve che l‘espressione del
biondo diventasse cupa, malgrado il sorriso stampato in faccia che arrivava
fino a dietro le orecchie. «Non è ancora concluso. Sto lavorando
sull‘ultimo... Quando sarà pronto anche quello ne riparleremo. Mi dispiace non
poter dare ulteriori informazioni, ma sarà il primo che contatterò in futuro,
una volta completata la serie.» il modo magistrale in cui liquidò quella domanda
evidentemente scomoda, lasciò la platea completamente basita. «Abbiamo tempo per
un‘ultima domanda... Intanto vi informo che alcuni potranno chiedere delle
interviste esclusive alla mia agente, la signora Yūko Ichihara, con la quale
potrete prendere accordi anche adesso...» sorrise indicando qualcuno che aveva
la mano alzata. Secondo Kurogane, l’espressione di quel tipo strano era
decisamente fastidiosa, così tanto falsa da far saltare i nervi, quei pochi
rimasti al loro posto; tanto che non si curò nemmeno di ascoltare la domanda
posta da qualcuno alle sue spalle, piuttosto guardò con attenzione la reazione
di quel biondo. «Sì, mi sono appena trasferito qui dopo molti anni di
lontananza... Ho avuto modo di visitare moltissimi musei nel Vecchio Continente,
e ho anche conosciuto molti artisti eclettici in America... Ma sono tornato qui
per restare, non c‘è niente di meglio che sentirsi a casa per migliorare la
propria produttività...» continuò a dire. Perché?
Dipingere è produttivo? Da quando?! grugnì Kurogane redarguendo l’unico neurone interessato alla pittura
che evidentemente era sfuggito alle rappresaglie dei neuroni più
seri. Intanto quel tizio concludeva la sua risposta chilometrica. «Viaggiando
molto, ho avuto modo di conoscere molte sfaccettature della popolazione mondiale
ma, senza che nessuno me ne voglia, questa è casa mia, sono cresciuto qui ed è
qui che voglio continuare a dipingere.» mugugnò confusamente. «Beh, a quanto
pare non posso rubarvi altro tempo, spero vi piaccia ciò che vedrete oltre
quella porta,» farfugliò indicando una porta di legno laccato alla sua sinistra.
«vi saranno offerte delle ottime tartine e delle bibite... Parlate bene di me,
eh, mi raccomando!» ridacchiò prima di scendere dal palco e dirigersi
spaventosamente proprio verso la prima fila di sedie. Il sangue si congelò
nelle vene del moro, quel tipo gli era parso un pericolo dal primo istante che
l’aveva visto, e ora si stava avvicinando troppo, davvero troppo.
Era stato più difficile di quanto pensasse. Malgrado le galline si fossero
materializzate sulle teste di tutte quelle persone, non era stato più facile per
lui, affatto. Il senso di nausea si era riproposto all’improvviso proprio
quando aveva cominciato a guardare quei cartoncini, aveva sentito la gola
raschiargli, riarsa e poi la testa aveva cominciato inspiegabilmente a girare,
la vista gli si era appannata non permettendogli di mettere a fuoco nemmeno una
parola, per non parlare del sudore freddo. Ma tanto ormai era finita, era
sceso da quel palco bianco, abbacinato ad ogni passo dai flash e rintontito da
degli applausi decisamente inspiegabili, tanto che si trovò un po‘ disorientato
all‘inizio. Perché la gente continuava ad acclamarlo a quel modo? Mica era una
rockstar! Yūko gli si fece accanto, gli ringhiò qualcosa che aveva l’aria
di essere un complimento e poi lo spinse dietro quella specie di sipario scuro,
prima che potesse raggiungere la sala per mangiare qualcosa di almeno vagamente
commestibile. «Sei stato formidabile! L‘idea di accantonare il discorso che
ti avevo scritto è stata geniale! È parso come se parlassi con loro in tutta
sincerità... Bravissimo!» ammiccò quella donna, sembrava che avesse il simbolo
dello yen al posto degli occhi, probabilmente aveva visto la situazione come una
trovata pubblicitaria più che come un malore. «Sono libero adesso?» mugugnò
allungandosi a cercare una bottiglietta d’acqua. Lei annuì. «Sì, fa‘ un giro
per la galleria, chiacchiera con qualcuno, fa‘ vedere che ti piace stare qui in
mezzo ai tuoi fan...». «Non mi sembra che io sia tanto libero quindi...»
mugugnò. «Dai che da domani potrai stare a casa quanto ti pare a vedere i
tuoi maledetti film melensi!» ringhiò la donna. «No, in realtà se tu
prendessi accordi per un‘eventuale intervista... Dovrei prepararmi...» sbuffò
fiaccamente. Watanuki, che non poteva fare a meno di interferire quando quel
pittore da strapazzo puntava i piedi, gli diede una pacca sulla spalla. «Ma se
sei stato bravissimo così! Improvvisando si ottengono i risultati
migliori!». Fay stiracchiò un sorriso, cercando di renderlo il meno falso
possibile. «Sì, hai ragione... Cerca di controllarla tu, fa‘ in modo che non mi
metta tre interviste al giorno, sennò mi ucciderà e io non dipingerò mai...»
bisbigliò prima di sparire dietro alla pesante tenda di velluto nero.
Ovviamente, Tomoyo aveva trascinato Kurogane nella sala
delle esposizioni, dove c’erano troppi, decisamente troppi, quadri. Certo, erano
un po’ meglio di quelle chiazze di colore che aveva visto nel corridoio prima di
quella specie di intervista, ma continuava comunque a pensare che non fossero
tanto meglio anche quelli. Per non parlare del fatto che c’erano ancora i
palloncini in giro o dei camerieri che sventolavano sotto i nasi altrui delle
strane tartine imburrate con delle uova di pesce. I tre marmocchi si fermavano
ad ogni teca, ad ogni quadro, a leggere addirittura le didascalie e lui
ringhiava qualche imprecazione non ben definita. Ma tanto, presto, molto
molto presto sarebbe scappato di lì, in fondo, lo aspettavano due giorni a base
inscatolamento dei propri effetti personali e di ricerca di una casa quantomeno
decente nella quale trasferirsi.
1. [cfr TRC chapt. 3 pg. 14]
Salve gente v__v
Prima di abbandonarvi ai commenti alle vostre recensioni,
mi sento di dire che questo capitolo è quanto di più squallido ed inutile io
abbia mai scritto fino ad ora, ma tanto non c'è limite al peggio, per cui
vedremo come andrà avanti la storia! Ringrazio tutti per essere arrivati fin
qui.
-
Herit, Sono molto felice che ti sia imbattuta
in questa storia, e anche di aver incontrato i tuoi gusti. Inoltre spero di
rendere la coppia Touya-Yukito più presente in questa storia, non hanno tanto
spazio *scuote la testa affranto* beh, visto che era il primo capitolo ti
ringrazio per i complimenti e per aver recensito, e ora ti liquido brevemente
grazie ancora! *ride malefico*
-
Rebychan, Nuuu *O* esponimi le tue teorie signorina
*O* sarei proprio contento di sapere che ne pensi, magari mi dai qualche idea
v__v boh secondo me questa è solo la prima di una delle tante pessime giornate
che si troveranno a vivere, soprattutto Kuro-pon v__v Ti ringrazio di aver letto
e recensito.
-
yua, Salve cara v__v e anche se mi divertissi a
torturarli tu continueresti a leggere, non è molto sano lo sai? Comunque sono
molto contento che la situazione ti piaccia, e poi sì sfruttare Kendappa per
torturare Kuro-ron e Yuko per tenere al guinzaglio Fay-pittore... beh è utile
insomma, potrebbe servirmi anche in futuro questa cosa xD mh no, come ho detto
ho una voglia incredibile di tenere Touya e Yukito e farli riapparire ogni
tanto, no? Bah dai visto che anche per te è una recensione al primo capitolo
direi che ti liquido brevemente così v__v Grazie mille perché continui a
seguirmi.
-
Shatzy, Lietissimo che ti sia trovata per caso tra le
mani questa storia, purtroppo non è una bella commedia come credi... su, insomma
ci abbiamo tutti fatto il callo: le CLAMP ci hanno abituato a momenti ben poco
felici, pertanto è semplice farli trovare in situazioni nelle quali sanno già
muoversi bene, non vorrei mai perdessero l'abitudine di trovarsi in momenti
truci/tristi/turpi/grotteschi, è molto meglio così v__v *Dio Buono, che ho
scritto?!* bah, comunque ti ringrazio molto!
-
MaleficaGgggì, *O* grazie, non pensavo davvero avresti
mai commentato, sono proprio lieto che ti sia fermata a "perdere tempo" in
questo modo T^T grazie mille per tutto.
Mi sa che ho detto tutto, scusate se vi liquido così.
Arrivederci
D.
|
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Capitolo 3 *** 03. Room Match ***
BEFORE THE — WORST
CAPITOLO3
Room Match
Kurogane varcò la soglia del minuscolo bilocale nel
quale abitava a due anni, più tardi del previsto quella sera. Si era dovuto sorbire quei tre mocciosi più del dovuto,
perché Touya e Yukito, che si erano presentati uno strafottente come al solito
l'altro con un imbarazzante sorriso sornione, erano arrivati con più di un'ora
di ritardo. Ovviamente quei due avevano cercato di scusarsi in qualche modo, ma
pareva che ogni frase, che si completavano a vicenda, lasciasse il tempo che
trovava. Roba che davvero bastava dire "Non partiva la macchina" o
"C'era traffico", ma loro avevano cercato in
tutti i modi di arrampicarsi sugli specchi con successo a dir poco
scarso. Per cui gli era toccata un'ora in più di
strazio—emh, visita in
quella stramaledetta galleria d'arte. Per lo meno non aveva incontrato ancora
quel tipo strano. In fine, per aggiungere un carico da novanta alla sua
giornatina, si era trovato un cumulo di scatoloni vuoti davanti alla porta con
in allegato un mucchio di riviste e giornali vecchi, per non parlare poi del
bigliettino che gli aveva lasciato la moglie del padrone di casa, che gli
intimava di usare quella roba per imballare la sua di roba entro la fine della
settimana.
Sfinito, dopo aver trasportato le diciannove scatole in casa, anche se gliene sarebbero bastate
e avanzate quattro, si lasciò cadere sul letto praticamente subito dopo essersi
spogliato.
Fay era tornato a casa in anticipo tremendo. Tanto
che per un bel po' s'era ritrovato a osservare la porta laccata in bianco della
sua casa senza nemmeno infilare le chiavi nella toppa. Aveva firmato una
montagna di autografi mentre raggiungeva il KFC di fronte alla galleria, per
prendere qualcosa per cena. La confezione di pollo fritto che aveva comperato
era enorme, troppa per una persona, ma visto che plausibilmente sarebbe
avanzata, aveva risolto il problema cibo per l'intero weekend! Con tra le
mani quel cilindro sghembo, entrò in quella casa ancora troppo intonsa e
ordinata per definirsi tale. Poggiò il suo pollo fritto sul pavimento del
soggiorno insieme alla confezione da sei birre che teneva in equilibrio con due
dita, si spogliò nell'antibagno e si infilò il pigiama che aveva mollato lì
quella mattina. Tornò in soggiorno dopo aver tirato fuori un dvd squallido di
quelli dalla trama banale, incentrato quasi completamente su una donna
insoddisfatta e facilmente abbindolabile che si innamora del primo che capita,
rigorosamente e stupidamente a lieto fine. Altro che film francese! Una classica
americanata! Non era tipo da lamentarsi di questa o quella tipologia di film, ma
nemmeno impazziva di gioia all‘idea di passare un‘altra serata in solitudine a
guardare delle quarantenni accapigliarsi per un compagno. Era solo che gli
facevano compagnia, e qualunque cosa, anche la più squallida, fondamentalmente
per novanta o centoventi minuti lo faceva allontanare dai suoi
pensieri. Appena sullo schermo del pc, visto che ancora doveva collegare la
scart del lettore dvd al televisore, apparve il titolo del film, ma prima ancora
che si concludesse la panoramica sulla città di Los Angeles, aveva aperto una
pagina web di annunci per gli affitti e senza nemmeno pensare digitò la via e
una breve descrizione della stanza che metteva a disposizione di chiunque fosse
interessato. Era una camera da letto molto spaziosa con un bagno tutto suo,
un balcone e una bella rete matrimoniale, un armadio a ponte su misura e una
libreria con lo spazio necessario, al centro, per un televisore. L'unico
inconveniente, ci tenne a precisarlo, era che la cucina era in comune con lui e
pertanto l'eventuale inquilino avrebbe trovato spesso e volentieri in giro per
casa anche lui. Tutto sommato, però, quella casa era talmente grande che poteva
anche non vedere mai il suo o la sua convivente. A coronare la presentazione,
caricò un paio di foto della stanza, mentre trangugiava, tra un sorso e l'altro
di birra, due alette di pollo. Segnalò la possibilità di utilizzare il garage,
tanto era spazioso, e poi digitò il prezzo. Davvero irrisorio per essere un
affitto, tanto da far sembrare che stesse scherzando. Cinquemila yen alla settimana.
Vale a dire, in termini pratici, meno di quanto non si paghino dieci confezioni
di pollo precotto del peggior discount del Giappone. Sicuramente Yūko avrebbe
avuto a che ridire su tale scelta, ma tanto la casa era la sua! Una volta
premuto invio, tornò a guardarsi quello squallido film, e probabilmente altri
due o tre, fino a notte inoltrata.
A una cert'ora, intorno alle quattro del mattino, lasciò il suo
bel posto a sedere lì in terra, e se ne andò a
dormire.
Kurogane si svegliò di buon
mattino, intorno alle cinque e trenta, affamato e con una certa
impellenza fisiologica. Mentre si
scaldava un paio di fette di pane in padella, pensò che fosse bene cominciare ad
imballare almeno una parte delle sue cose, anche se, fondamentalmente era
davvero poca la roba che si era portato dalla casa dove viveva coi suoi
genitori. Un paio di libri, una tazza rossa col manico nero sbeccata in due
punti, e dei cimeli di famiglia che non avrebbe mai lasciato in quel posto ad
ammuffire. Ed erano ancora meno le cose che aveva acquistato una volta
trasferitosi lì, del tipo un paio di padelle, due scodelle e qualche
coltello. Trangugiò la sua colazione in fretta, ingoiando a forza il toast
con due sorsate di caffé, per poi cominciare a sistemare la sua roba negli
scatoloni. Si infilò un paio di pantaloni di una tuta, che erano spuntati
all'improvviso sotto al letto. Abitava in quel posto da cinque anni, non
aveva mai tardato a pagare quei sedicimila yen settimanali, era quello che
qualunque padrone di casa avrebbe voluto in un suo appartamento, non si era mai
lamentato nemmeno quando quel rimbambito gli staccava la corrente, e ora lo
costringevano a lasciare quella casa! Sicuramente avrebbe pure fatto la fame,
non si trovavano più appartamenti in affitto a mille yen a settimana,
soprattutto non troppo lontano da Nihonbashi1! Sciacquò accuratamente la
tazza e la asciugò prima di incartarla in due fogli di giornale. Era da così
tanto tempo che viveva da solo che ormai non faceva più caso a quanto sapone
bisognasse versare per lavare quella tazza. All'inizio era stato un po' un
problema, ne usava talmente tanto che certe volte gli sembrava di bere caffé
macchiato al sapone, cosa peraltro non troppo salutare. Abitava solo da così
tanto tempo che ormai qualunque cosa mangiasse aveva sapore di pollo precotto
scandente e pane tostato, anche quando nel piatto c'erano dei noodles istantanei
o del ramen da asporto. Certo, ogni tanto, si ritrovava a cena a casa Amaterasu,
e il più delle volte Tomoyo gli riempiva il piatto di strani alimenti e Kendappa
se la rideva di gusto, trovando un certo gusto sadico nel metterlo nella
situazione di debitore. Mentre
ringhiava contro una pagina di giornale che non accennava a staccarsi dalle
graffette, vide la pubblicità di un sito di affitti on-line e lo ritagliò accuratamente prima
di usare quel foglio di carta malconcio come imbottitura per la sua
tazza.
Fay sbuffò un sospiro quando il
suo stomaco si rivoltò al trillo del telefono che per un momento lo fece
sobbalzare. Normalmente il telefono era l'ultima cosa che faceva collegare a
casa sua. Ma Yūko, come al solito, aveva deciso di testa sua di attaccarlo,
adducendo come scusa "Beh, se qualche modella che hai conosciuto volesse
farsi ritrarre, dovresti essere sempre reperibile
". Restò a letto, con la faccia sprofondata
nel cuscino aspettando che quel suono impudente smettesse di tamburellare nelle
sue orecchie. “Fay-san, Chii vuole rivederti, ma non sa
che ore sono. Fay-san probabilmente avrà da fare, ma Chii sarà in Giappone
presto
”. Il pittore che
era in lui sembrò risvegliarsi, ma evidentemente addosso a questa parte di lui
si erano accanite le ire del suo io pelandrone, che si ricordava di esistere
solo in determinate occasioni. Fay aveva conosciuto Chii in un museo, faceva
tipo la ragazza immagine e dispensava guide elettroniche ai visitatori. Madre Natura -aveva commentato Shizuka con la sua solita
espressione appena-sufficiente- era stata fin troppo indulgente con lei: era
davvero molto bella, ma era assai palese che avesse dovuto toglierle qualcosa da
qualche altra parte ed evidentemente si era accanita sul suo cervello, che
pareva essersi frapposto tra le due parti di un'accanita lotta tra una noce e un
martello, e si sa chi vince in questo genere di confronti. Fay non era di
questo avviso, o meglio aveva ammesso che la ragazza fosse davvero molto bella
-anche se tutto sommato gli interessava poco- ma sicuramente era anche piuttosto
intelligente, a modo suo. Le aveva anche domandato di fargli da modella per un
paio di quadri, ed uno di questi, malgrado fosse pericolosamente squallido ai
suoi occhi ipercritici, l'aveva acquistato un tizio dal nome strano, Hideki
Motosuwa, implorando di fargli un enorme sconto, roba che se solo Yūko avesse
saputo una cosa del genere, la mostra che ora si teneva a Mitaka sarebbe stata
postuma. Mentre si ricordava
che praticamente quel tale, Hideki, gli aveva sì e no dato una somma in grado
di coprire a malapena il prezzo dei colori, Fay si appisolò di
nuovo.
Kurogane era arrivato ad infilare l'ultimo volume
dell'enciclopedia nello scatolone e sentì il bisogno impellente di andare a fare
una passeggiata, magari fino all'internet point per visitare quel sito
web. Si infilò le scarpe sulla porta ed afferrò la giacca e la sciarpa,
recuperò le chiavi della moto e uscì di casa. Scese in fretta le scale e
raggiunse la sua motocicletta. Per quanto l'avesse presa usata, detestava
fortemente doverla lasciare all'aperto, soprattutto perché un paio di volte
l'aveva trovata tutta graffiata, una volta gli avevano pure staccato lo
specchietto e se l'era ritrovato attaccato con lo scotch! Si infilò il casco
e montò in sella. L'internet point vicino a casa sua era a una
decina di miglia, certe volte si faceva a piedi quel tratto di strada, ma poteva
trovare un appartamento quel giorno stesso. Pure una stanza andava bene, non è
che avesse questi standard così alti, anche perché, semmai avesse avuto simili
mire, di certo non sarebbe andato ad abitare in casa di Sayaka Okiura2. La prima
volta che era entrato in quel bilocale -che di bi
aveva proprio poco o niente-
aveva sentito il soffitto gocciargli sulla testa e non si era affatto meravigliato
di trovare due topi che somigliavano più che altro a delle enormi pantegane,
mentre erano intenti ad accoppiarsi su una chiazza di quella che aveva tutta l'aria
di essere muffa. Ovviamente con quello che spendeva di affitto il caro
signor Okiura gli aveva almeno ripulito il pavimento dalla muffa e sistemato la
perdita al piano di sopra, ma comunque non sperava di certo di trovare di meglio
per sedicimila yen a settimana. Si sedette in fondo all'internet cafè, ormai, da
quando aveva dovuto disdire la connessione visto che il piano tariffario del suo
numero di cellulare era inspiegabilmente lievitato all'improvviso, gli
riservavano quel posto lì, in fondo, con le spalle al muro e vistosamente
lontano dalla vetrina, soprattutto perché con l’alone di rabbia che si portava
dietro normalmente poteva far accapponare la pelle a chiunque. Cominciò a
navigare per quel sito cercando un maledetto appartamento che costasse meno di
centotrentamila yen al mese e più o meno un'ora e cinquecentottanta yen dopo
trovò un qualcosa che definire bizzarro sarebbe stato un gran complimento. Un
tizio, probabilmente folle, aveva messo un annuncio per l'affitto di una stanza
di una metratura più che buona, fin qui nulla di strano, ma chiedeva in cambio
solo cinquemila yen la settimana. Probabilmente aveva sbagliato a digitare la
cifra, soprattutto perché non è che si trovasse in qualche sobborgo suburbano,
ma nel bel mezzo di Shibuya! Però tanto valeva provare. Si scrisse su un
post-it il numero di telefono e l'indirizzo e recuperò
la sua roba, se anche ci fosse stato un uno davanti a
quel cinque, avrebbe avuto quattromila yen in più al mese e il tutto si sarebbe
accumulato in modo da permettergli di acquistare anche qualche bottiglia di saké
semidecente.
Fay venne svegliato dal campanello, sicuramente
qualche forza cosmica cominciava ad avercela con lui, scivolò giù dal letto e
raggiunse la porta di casa in pigiama. Quando aprì la porta si ritrovò davanti l'espressione
assonnata-ma-non-troppo di Dômeki. «Yūko mi ha detto
di dirti di attaccare il telefono, o per lo meno smettere di ignorarlo e poi
devi passare in agenzia!» fece senza nemmeno salutarlo. «Ma è mattina!»
protestò Fay sfoderando la tipica espressione dei bambini piccoli appena
svegli. «Ma se è l'ora di pranzo!» brontolò. Il pittore puntò i piedi.
«Uffa ma è pure sabato!». «Puoi passarci anche lunedì in agenzia, Yūko deve
solo darti le tue percentuali sugli incassi della galleria e la vendita dei
calendari... Dei gadjets...» cominciò ad elencare. «Ho capito.» biascicò Fay
sbadigliando. «Posso offrirti qualcosa, Shizuka-san?» fece ma poi si ricordò che
il suo frigorifero piangeva miseria. «Probabilmente dovrei andare a fare la
spesa prima». «Ovviamente Yūko ti ha preceduto, mi ha dato una lista e
sono anche passato a farti la spesa!» annuì il moro indicando le buste accanto
alla porta. «Ovviamente tutto verrà detratto dalla tua busta paga». E come ti sbagli! «E hai comperato qualche dolcetto?» domandò. «No, però c'è della
pappa d'avena, del tofu e un mucchio di alimenti biologici...» lo disse come se
fosse un punto a favore. «Oh che schifo!» sospirò Fay. «Per cui, conoscendo
Yūko, mi troverò sì e no dieci yen nella busta paga... E poi perché dovrei
mangiare pappa d'avena e frutta biologica?». «Perché devi apparire sano e
forte!» probabilmente anche Yūko lo diceva così. «Appaio solamente
denutrito, te lo dico io!» farfugliò. «Se ti ricordassi di mangiare saresti
meno magro!» replicò il moro recuperando le buste. «Forza, fammi strada che
Yūko pretende che ti controlli quando metti in ordine il
frigorifero...». «Beh ma tu non mi hai comprato nemmeno un dolcetto! Mi
toccherà vestirmi e fare da solo!» bofonchiò infilandosi nella sala da pranzo
dove c’erano gli scatoloni e le valigie che ancora non aveva disfatto. «Mh,
posso fare qualcos'altro per te?» domandò Shizuka cominciando a invadere il
frigorifero e la dispensa. «Possibile che telefoni qualcuno per la stanza che
ho messo in affitto... Tanto ci metterò poco, Shizuka-san...» mugugnò Fay mentre
si cambiava in fretta e furia la biancheria con una mano, una volta tornato si
sarebbe fatto una doccia, e con l’altra rovistava in una valigia di un viola
inquietante in cerca di un paio di pantaloni o di una maglietta non troppo
stropicciati. «Hai messo in affitto una stanza senza
parlarne con Yūko?»
borbottò sconcertato il moro impelagato fino ai gomiti coi surgelati. «Beh, lei mi ha detto una
volta di cercarmi un coinquilino...» replicò Fay brandendo in mano una
maglietta celeste che per un’assurda associazione di idee era anche accettabile
accoppiare con un paio di pantaloni grigi, anche perché erano gli unici ridotti
più o meno bene. Dômeki mugugnò qualcosa che era molto simile ad un qualche
insulto, ma poi sospirò «Oh, beh, come ti pare! Se qualcuno si presentasse
qui?». «Se è interessato gli dici di aspettarmi in soggiorno, tanto starò via
per pochi minuti!» aggiunse infilandosi le scarpe e la giacca aprendo la
porta. «Ohi, se incontri dei giornalisti sii cordiale!» si raccomandò.
«Ma figurati se incontro dei giornalisti!» borbottò il biondo infilandosi
il ridicolo cappello col pon pon che aveva dovuto accantonare il giorno
prima.
Kurogane capì subito che doveva esserci un errore:
primo quel quartiere era davvero troppo elegante, pure se si fosse trattato di
uno sgabuzzino o di un sottoscala, quasi sicuramente avrebbe pagato decine di
migliaia di yen per aver anche solo pensato che lì avrebbe trovato casa! Secondo, la
zona in cui era situata presumibilmente quella stanza era molto elegante. C'erano
parchi e boutique di classe, perfino la strada aveva poche buche! Arrivò in
fondo alla via temendo di essere stato gabbato, eppure era proprio lì. Il numero
1-2-7 di Shoto, a Shibuya, era una bella villa molto grande ed elegante su due
piani, circondata da un muretto di cemento laccato in bianco con degli inserti
in ferro battuto, che si interrompeva, in prossimità del cancello, in due
colonnine che culminavano con due lanterne per esterni. Già solo dall’esterno
era intuibile che doveva avere un valore non inferiore a una cifra a otto zeri,
tanto che pensò che non poteva mica presentarsi nello splendore dei suoi capelli
scompigliati dal casco e nella sua meravigliosa tuta rossa e nera. Ma si fece
forza, accavallò la moto e si avviò verso il cancello. Suonò una volta al
citofono e gli aprirono senza nemmeno domandare chi fosse. Attraversò curvo e
a testa bassa il cortile raggiungendo in appena quattro passi la scala che
conduceva alla porta di ingresso, non badando neppure un pochinino
all’architettura del giardino. C'era un tizio sulla porta che gli pareva
d'aver già visto, ma non se ne curò più di tanto. «Salve, è qui che affittate
una stanza?» domandò. «Il padrone di casa al momento non c'è, ma sarà qui a
minuti, se ha tempo, potrebbe aspettarlo dentro.» mugugnò quello con un
fare assonnato da dargli i nervi. «D'accordo.» sospirò Kurogane prendendo a
seguirlo all'interno. Percorse il corridoio dalle pareti di un bianco
agghiacciante, ogni tanto colorato da un quadro, fino ad arrivare al soggiorno.
Quel tizio che non si era ancora presentato, lo fece accomodare su un divano
ancora incartato nella pellicola del rivenditore e se ne andò senza neppure offrirgli da
bere! Nel complesso la casa che già da fuori appariva decisamente enorme, era
assai più grande di quanto si aspettasse! Ad esempio la stanza dove si trovava
ora -col legno a terra e alle pareti!- era grossa quanto l'appartamento in cui
viveva prima. Sicuramente, si ricordava dalla descrizione che aveva letto sul
sito internet, doveva esserci da qualche parte anche il garage, ma probabilmente
era nel piano seminterrato, visto che aveva dovuto salire circa sette scalini
per arrivare alla porta, e procedendo verso il soggiorno aveva visto di sfuggita
la scala interna continuare al piano sottostante. C’era uno strano odore di
nuovo, quasi inquietante, come se tutto ciò che era lì dentro fosse stato
acquistato da poco, e ciò lo faceva anche presagire il divano ancora decisamente
troppo intonso e i ripiani della libreria ancora scevri di volumi di qualunque
tipo. Pensandoci, aveva anche notato che c’erano una serie di scatoloni nella
grande stanza adiacente a quella in cui si trovava ora. Ripercorse a mente,
brevemente, le notizie che aveva trovato su quella pagina web. In sintesi si
trattava di condividere la casa con qualcuno, magari un’intera famiglia vista e
considerata la portata mastodontica di quel posto, però avrebbe avuto un bagno
tutto suo e probabilmente anche un posticino nel garage, avrebbe solo dovuto
condividere la cucina ed eventualmente la sala da pranzo. Però da quello che
aveva potuto vedere dall’esterno, c’era anche una zona giorno non indifferente
della quale evidentemente chi si era occupato dell’annuncio non si era curato
granché. Aveva visto, infatti, mentre arrivava, una specie di veranda serrata in
vetri tutti colorati, disegnati e smerigliati, che sicuramente a una seconda
occhiata gli sarebbero parsi decisamente pacchiani, anche quello gli fece temere
di essere decisamente un pesce fuor d’acqua, ma tanto era un uomo grande e
grosso, giusto il suo portafogli poteva risentire di un colpo simile. Mentre rimuginava su quanto potessero essere fallaci le
informazioni che aveva, sentì la porta aprirsi e quel tipo parlottare con
qualcuno.
Appena entrato -inutile dire che sembrava avesse
razziato la zona dolciumi del supermercato date le nove buste stracolme di
caramelle, cioccolato e bevande analcoliche o meno decisamente troppo dolci per
un qualunque essere umano normale-, Fay si era trovato davanti Dômeki
accigliato. «Vorrei proprio sapere a quanto hai messo l'affitto...»
bofonchiò. «Oh, Shizuka-san, sei interessato?» domandò. «Eppure pensavo che
ormai vivessi con Kimihiro-kun!». «Io e Watanuki non conviviamo affatto!»
replicò quasi stizzito, tanto che le sue guance si imporporarono appena. «Oh, ma se
sono più le volte che arrivate assieme all'agenzia che altro!» ridacchiò Fay.
«Comunque, l'affitto è modesto, in fondo vivere con me non credo sia
facile...». «Te lo sei detto
da solo!» borbottò Dômeki memore di un weekend nella casa che Fay aveva
affittato in montagna, in Colorado. Ebbene quella casa aveva solo due bagni e
ovviamente uno era di Yūko, per non parlare del fatto che sia il pittore che la
sua agente facessero bagordi fino a notte inoltrata bevendo e cantando -soprattutto cantando- a lungo
(troppo a lungo). Di certo vivere con Fay non sarebbe mica stato noioso,
anzi... Solo che, probabilmente, la gente sarebbe fuggita a
gambe levate una volta scoperto che tendeva a non separare i panni colorati dai
delicati o magari che faceva esperimenti coi coloranti alimentari nelle sue
ricette. «Comunque c'è un tizio di là che mi pare interessato...». «Gli hai
offerto qualcosa?» domandò Fay mentre gli appioppava letteralmente le buste
piene di cibo ipercalorico e decisamente troppo zuccherino. «Mentre io mi occupo
del mio prossimo inquilino, tu metteresti a posto anche questi?» domandò
sorridendo, mentre si infilava un paio di agghiaccianti pantofole rosa, notando
un paio di scarpe da ginnastica un po’ malandate accanto ai mocassini di
Shizuka. Probabilmente Dômeki masticò una specie di insulto, ma tanto Fay non
vi badò più di tanto e procedette verso il soggiorno. Appena vi entrò notò
che qualcuno riempiva perfettamente un cuscino del divano. Era decisamente il
suo inquilino! «Salve io so—» si fermò appena inquadrò il signore seduto lì,
era il tizio della mostra, ne era certo, anche perché lo guardò agghiacciato!
«Beh, sono Fay, e se vuoi puoi direttamente trasferirti oggi, qui». Stessi
capelli scompigliati, stessi occhi vermigli e stessa espressione contrita. Era
decisamente lui. «Tu sei il
pittore ?» brontolò Kurogane. Beh di certo un
biondo in Giappone mica si dimentica facilmente! «Già, vuoi vedere la tua
stanza? Sei liberissimo di cercarti un altro alloggio, non è necessario fare
tanti complimenti, comunque ti faccio fare un giro.» disse
confusamente. Kurogane si alzò goffamente da quel divano decisamente troppo
comodo per il suo ehm-fondoschiena. Deve essere uno scherzo! Io vivere con
questo qui? Ma manco morto! «Il prezzo...». «È troppo
alto? Non lo so, magari puoi contribuire con quello che ti resta alla fine del
mese, oppure, boh— ogni
tanto puoi pagare la spesa...» ridacchiò. «No, io chiedevo se il prezzo è
davvero cinquemila yen a settimana...» mugugnò. Fay sorrise. «Sì, se vuoi lo
abbassiamo ulteriormente, io affitto questa stanza semplicemente perché questa
casa è troppo grande per una persona da sola». «Cioè tu affitti una stanza in
questa casa, a ventimila yen al mese e secondo te è tanto?» continuò a dire
dubitando ogni secondo di più della sanità mentale di quel tizio che si trovava
davanti. Beh, certo, per fare il pittore doveva pur avere qualche rotella fuori
posto. Quel tizio non rispose, mentre scendevano le scale per il
seminterrato, ma poi gli sorrise. «Hai una macchina? O un qualunque altro mezzo
di trasporto? Qui c'è un garage abbastanza grande per tutti e due...» cinguettò
tranquillamente mentre gli mostrava il garage, per poi passare a una zona che
dava su un giardinetto sul retro, dove, oltre ad esserci un idromassaggio
rotondo e rialzato su due scalini, c'era una piscina e una zona con un mucchio
di attrezzi ginnici evidentemente nuovi. «Puoi venire qui quando ti pare, dietro
quella porta,» indicò con un sospiro. «C'è la sauna, e lì accanto,» spostò il
dito su un'altra lastra di ebano chiaro. «C'è il bagno, con la doccia. Poi,
magari dopo possiamo anche visitare il giardino... C'è una piscina più grande
fuori e un laghetto... Non è proprio periodo per stare fuori a sguazzare, ma
comunque...». Kurogane si trattenne dal ringhiare un qualche insulto nella
direzione di quel tizio che ora lo stava guidando verso il secondo piano della
sua villa. «La mia stanza è quella in fondo, qui c'è un bagno.» indicava
rapidamente e svogliatamente, ma guardava Kurogane fisso negli occhi come a
ostentare una specie di sicurezza che non aveva3. «Fay, io ho finito, vado a
casa. Ricordati di passare in agenzia settimana prossima!» vociò Dômeki.
«Sì, non preoccuparti Shizuka-san!» cinguettò il pittore, mentre si
accostava a una grande porta sulla parete sinistra del corridoio. «Bene, questa,
se lo vorrai sarà la tua camera». Quando il biondino spinse l'uscio, Kurogane
sgranò gli occhi. Quella stanza aveva perfino un balcone tutto suo oltre a una
grande finestra che prendeva completamente tutta la parete di fronte alla porta.
Non c'era muffa, anzi c'era un gradevole odore di qualche combinazione floreale,
il letto era rialzato e sotto -volle controllare- non c‘era nascosto nessun
grumo di polvere semovente, per non parlare del fatto che aveva una scrivania e
un divano tutti suoi! Quella camera era probabilmente troppo grande anche per
due persone, ma decisamente accogliente. «Okay, quando posso venire qui?»
bofonchiò Kurogane senza nemmeno accorgersene.
1-Nihonbashi: è il quartiere economico/aziendale del distretto di Chūō, a Tokyo. Il distretto di Chūō sarebbe il cuore storico-commerciale di Tokyo.
2-Sayaka Okiura: è il celeberrimo strozzino di Kobato, direi che un personaggio simile non poteva non essere il proprietario della vecchia casa di Kurogane xD!
3-: Sociologicamente parlando, i Giapponesi tendono a non guardare negli occhi le persone con le quali parlano o con le quali concludono i contratti, seppure le ascoltino puntualmente, è un segno di reverenza, qui ho usato l'opposto semplicemente perché Kurogane è un ottimo osservatore e ha capito subito che quella di Fay è una facciata.
Beh, purtroppo non sono molto fiero di questo capitolo,
sono serio. Questo capitolo è decisamente brutto, non inutile perché un minimo
la storia prosegue, ma è solo brutto. Pertanto mi scuso con tutto il cuore di
non aver reso giustizia alle vostre aspettative, sarei davvero lieto di vedere
altre recensioni e di sapere cosa ne pensate. Ma il mio lavoro qui non è
ancora finito! Un grazie a tutti quelli che hanno letto e a tutti quelli che
hanno recensito! In particolare:
-
Herit, xD grazie, mi piace
molto come hai analizzato Fay, ma attenta a non spupazzarlo troppo! Poi appare
Kuro-tan che agita una katana sulla tua testa, eh... donna avvisata, mezza
salvata! Comunque *sta dicendo una serie di cavolate, ma su perdonatelo, è
stanco poverino -nd. neurone gentile* Tanto non ci saranno più associazioni
incontro-scontro, però magari poi appaiono Andrea e Giuliano (come li
conoscete voi italiani) che incontrano un Fay versione Licia per caso v_v *le
dà corda -nd. neurone saccente*. Sì in fondo nel loro primo incontro non è che
Kurogane si comporti così, anche se comunque è un tipo mooooohlto delicato
*sta mentendo! -nd. neurone attento*, fondamentalmente passatemelo, Kurogane
di per sé è una persona educata a modo suo, anche se lo stavano sottoponendo a
una tortura cinese in piena regola xD.
Sono molto contento che il capitolo ti sia piaciuto! E ti
ringrazio ancora, spero che questo non ti faccia troppo schifo v__v *ma farà
sicuramente schifo-nd. neurone ipercritico*
-
Shatzy, azitutto grazie per
la recensione! Senza indugiare sull'analisi che hai fatto del capitolo, che ho
molto apprezzato, rispondo subito alle tue domande. Allora manca solamente un
quadro della serie delle tele invernali, pertanto e credo che ne parleremo nel
prossimo capitolo a grandi linee, e poi in futuro, ovviamente! Tomoyo chiama
Kurogane Yoo perché Kurogane come tutti credo ha un nome di battesimo, ed è
"il nome che solo la sua padrona conosce" infatti quando in Tsubasa ripartono
da Nihon e Kurogane ripete il suo giuramento, Tomoyo lo chiama proprio Yoo; e
quindi proprio perché Kurogane ha un ottimo rapporto con la nostra cara Tomoyo
anche qui, lei ha il sacrosanto diritto di chiamare per nome Kurogane (penso
di essermi spiegato adeguatamente). Mh poi, lo hiogi è un tipo di ventaglio
-ora mi picchieranno- piuttosto pesante, utilizzato all'inizio nei
combattimenti per dare ordine di attaccare xD ma potrei sbagliarmi, comunque è
un ventaglio pesante... Poi per la parte descrittiva -mi scuso se ha
rallentato un po' il capitolo- la prima parte dove si parla di New York è
molto facile da reperire, la prima volta che sono stato a New York ero molto
piccolo, quando ci tornai mi trovai in una situazione simile a quella di Fay,
uno dei miei zii non mi permise di fotografare in pace Saint Patrick xD ma
tanto da americano sono andato dozzine e dozzine di volte per Fifth Avenue
quindi ho recuperato xD per quanto riguarda il quartiere di Mitaka è molto
carino, ho molte fotografie di questi Reversible Destiny Lofts, sono carini xD
divertenti, assurdi anche all'interno mi dicono xD se li cerchi su internet
vedi, anche io pensavo fossero perfetti per Fay, ma pensate un po' a Kurogane in
un posto simile xD Io non ci sono mai stato, ma il mio coinquilino
sì. Spero di averti chiarito qualche cosa, se hai altre domande chiedi pure! Sono molto
lieto che il capitolo ti sia piaciuto e che abbia deciso di continuare
a leggere!
-
Rebychan,
anche a te grazie mille! Sì, Kuro-run e Fay si sono
incontrati! E comunque ci hai pure azzeccato, fondamentalmente il povero Fay era
tutto solo soletto e sconsolato nel suo megavillone, come già detto, si saprà presto
qualcosa -non tutto- sulle tele invernali! La giornata non può peggiorare perché ormai
è finita, anzi, questa a quanto pare è abbastanza decente xD Sono molto lieto che
il capitolo ti sia piaciuto, e spero che anche questo capitolo sia
accettabile!
-
yua, beh, ti ho già
ringraziato abbastanza, e sono proprio contento che il capitolo seppure di
passaggio ti sia piaciuto! E spero vivamente che anche questo schifo ti
risulti leggibile. Ovviamente le tue magiche recensioni, per le quali non
smetterò di sorridere xD comunque secondo me Yūko e Tomoyo in realtà sono
imparentante v__v sicuramente v__v *si fa film mentali* boh, in realtà visto che tu hai detto
poco anche io dovrei dire poco xD mh boh a me piace molto
il tuo sproloquio sul destino, ma più che ammazzare Yūko, secondo me sarà Fay a
suicidarsi xD boh dio santo non so che dire, in fondo ti
ho già ringraziato taaante e taaante volte xD per cui spero
vivamente che il capitolo ti piaccia come ti è piaciuto
il precedente T^T grazie mille ancora
-
MaleficaGgggì, Giggia, so
già cosa pensi di questo capitolo e spero di averlo migliorato un po' rispetto
alla stesura iniziale, sono molto lieto che tu stia facendo questo enorme
sacrificio per me T^T mica mi merito tutto questo! Anche perché so quanta
fatica fai a recensire quindi mi fai
sentire potente. Manie di onnipotenza a parte, grazie mille v__v se ti va
fammi sapere se ho migliorato qualcosa xD
-
harinezumi Salve carissima!
Ti ringrazio molto per entrambe le recensioni! Partiamo dalla prima: sono
molto contento di averti sorpreso, ma ho cercato ovunque dove doveva esserci
quel numero "1" e non lo trovo xD comunque grazie che me l'hai fatto notare,
poi se lo troverò lo modificherò. La storia comunque è tragica come ti ho
detto, forse peggio di Overleven perché qui siamo in un'alternativa reale, in
un modo poco magico con meno animaletti strani. Sì, mi piace rendere
Kendappa in versione più dispotica del solito, e poi fondamentalmente hanno
una specie di strano rapporto anche in Tsubasa xD sono cresciuti insieme e
sono contento che ti sia piaciuto il fatto che sia quasi sparito del tutto il
povero Shaoran v__v ma purtroppo stavolta mi serve di più che in Overleven,
quindi tra un po, tra un bel po' riapparirà. Hai visto che anche qui
riappaiono Yukito e Touya? xD sono contento di averli rinominati, anche loro
riappariranno in seguito... Però stavolta Yūko non c'è, mi spiace, in compenso
c'è Shizuka xD e sono molto felice di aver reso i personaggi decentemente *W*
grazie per questa recensione! Passiamo alla seconda: Sì, in Giappone i
trasporti funzionano perfettamente! Arrivano sempre in orario, dice il mio
coinquilino, e la gente ti spinge dentro per stiparti, c'è gente proprio
pagata per questo! Comunque presto o tardi comincerà anche a sfornare
manicaretti, visto e considerato che finora il suo frigorifero era decisamente
vuoto. Hai visto la bimba col cappellone rosa (Sumomo xD) col peluche-Mokona!
Eh già, Yūko è decisamente malvagia, tranquilla io non tel a farò mancare,
starà spesso in giro, ricopre un ruolo importante! Sì, ho cercato di rendere
onore al manga in questa storia (per quanto mi sarà possibile... soprattutto
per l'angst che presto mooolto presto -ride sadicamente- la farà da padrone)
per cui bisognava pure rendere giustizia al loro incontro. Sono contento di
aver reso il discorso di Fay come pensavo, cioé volevo proprio vederlo
imbarazzato, fondamentalmente sottoporre una persona a uno stress simile è
interessante, oltretutto Fay ha una facciata che si sgretola come un blocco di
sale con un goccino d'acqua, tiene bene la faccia da poker, ma comunque ha
carpito l'attenzione di Kurogane! (che cavolo ho detto?!) Boh, comunque Yūko
sa benissimo che Fay non è stato affatto sincero, ma it's her business,
insomma a lei interessa che lui si creda tale v__v -tanto conoscete Yūko,
no?
Sono contentissimo che la storia ti piaccia e spero vivamente che anche questo
capitolo sia stato minimamente di tuo gradimento!
Sono piuttosto prolisso, eh? Mi scuso per eventuali errori e per questo capitolo orripilante ancora una volta.
Arrivederci
D.
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