Abhorring the dull routine of existence di ardenteurophile (/viewuser.php?uid=125141)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 1 *** 1. ***
Disclaimer. Sherlock e i suoi personaggi sono
di proprietà degli aventi diritto, BBC e duo Moffat-Gatiss in primis.
L’autrice del racconto qui sotto non li possiede in alcun modo, la
traduttrice idem. Sono certa che siamo entrambe molto tristi per
questo. *annuisce sconsolata*
Note dell'autrice. Oddio, che
c'è di sbagliato in me? Ok, questo è l'inizio di una spin-off
umoristica ambientata prima degli eventi di "You can imagine the
Christmas dinners". [Vedi nota
della traduttrice a fondo pagina]
(Traduzione a cura di Madame Butterfly
- link al permesso di traduzione qui
- la storia originale la potete trovare a questo
indirizzo.
E ricordatevi che l'originale è sempre la versione migliore quindi, se
sapete l'inglese, siete caldamente invitati a leggerla =D)
ABHORRING
THE DULL ROUTINE OF EXISTENCE
or A Week Spent on Artificial
Stimulants [*]
1.
LUNEDÌ
“Mi annoio,” disse Sherlock con voce strascicata dall’altro capo della
stanza dove, come al solito, occupava l’intero divano. John sospirò e
sollevò lo sguardo dal libro che stava leggendo.
“Mi annoio,” ripeté Sherlock, con più insistenza. Poteva andare peggio,
pensò John; almeno oggi non stava sforacchiando i muri. Mrs. Hudson ne
sarebbe stata felice.
“Guarda la tv. Leggi un libro. Onestamente, sei come un bambino alle
volte, Sherlock.”
Sherlock sbuffò, affondando ancora di più nel divano e voltando le
gambe fin sopra lo schienale così da trovarsi mezzo capovolto.
Era trascorsa una settimana e mezza da quando il loro ultimo caso si
era concluso e da allora era diventato sempre più insopportabile, al
punto che John quasi non vedeva l’ora di andare al lavoro solo per
poter scappare dalla casa.
“Intrattienimi,” pretese Sherlock. John ridacchiò.
“Intrattieniti da solo. Dubito che qualunque cosa io possa fare abbia
un qualche interesse per te.”
Sherlock voltò la testa di scatto verso John, il suo viso reso più
spigoloso e strano da quella sua posizione capovolta.
“Sei decisamente in errore.”
John rise e scosse la testa. Non aveva idea di cosa Sherlock avesse in
mente ma lui era piuttosto contento lì con un buon libro e un tazza di
tè, e aveva deciso di non muoversi per il resto della serata.
D’altronde, lui non era una scimmia ammaestrata. Alcune volte sembrava
quasi che tutti loro fossero semplicemente degli attori sul
palcoscenico di Sherlock.
“Non ci sarebbe alcun problema se Lestrade non mi avesse confiscato la
droga,” gemette Sherlock, fissando il soffitto. John si accigliò e
abbassò il libro; sapeva che Sherlock aveva un passato di
tossicodipendenza ma non avevano mai davvero parlato dell’argomento,
non da quella prima settimana in cui tornando a casa avevano trovato la
polizia che conduceva una retata antidroga nelle loro stanze.
“Di che si trattava, comunque?” chiese, con curiosità. Sherlock gli
rivolse uno sguardo tagliente, poi si strinse nelle spalle.
“Cocaina, per lo più. Ma è passato del tempo ormai; Lestrade si è
rifiutato di lavorare con me finché non ho smesso. Scelsi il lavoro,
naturalmente.”
“Pensavo eroina,” disse John, anche se non era del tutto sicuro del
perché – in Sherlock solo la corporatura esile e gli occhi
intensi davano l’impressione del drogato. Sherlock scosse la testa.
“Provata. Mi rallenta. Non voglio essere lento, John; questo mondo si
trascina avanti ad un ritmo tedioso. Non so come riusciate a
sopportarlo. Io ho bisogno di stimoli,” disse con enfasi, gesticolando
verso il soffitto. John alzò gli occhi al cielo.
“Ma perché non puoi semplicemente... che so, bere della Red Bull come
una persona normale?!” disse.
Sherlock si voltò e lo osservò con interesse.
Quelle erano parole di cui John si sarebbe presto pentito.
MARTEDÌ
Il giorno seguente John era intento a sfogliare una pila di cartelle
cliniche nel suo ufficio, cercando di concentrarsi sul suo lavoro e di
non pensare al cataclisma che un consulente investigativo molto
annoiato poteva scatenare sul loro appartamento. Non aveva avuto
notizie di Sherlock per tutto il giorno e non era sicuro si trattasse
di una cosa buona o di una molto, molto cattiva.
“Tutto bene?” chiese Sarah, facendo capolino dalla porta. Dai loro
primi, disastrosi appuntamenti erano riusciti a stabilizzare i loro
rapporti in una tranquilla amicizia; Sarah aveva fissato un limite
quando il loro terzo appuntamento si era concluso, non nel suo letto
come John si era aspettato, ma incollata alla parete di un edificio in
una di quelle impalcature con le carrucole che si usano per lavare i
vetri esterni dei palazzi. Non aveva davvero capito dove fosse il
problema – non era che Sherlock non li avesse salvati – ma supponeva di
non poterla biasimare.
Sospirò, strofinandosi gli occhi.
“Bene, grazie, sì. Sono solo preoccupato per Sherlock..."
Sarah sussultò leggermente e poi atteggiò la sua espressione in quella
che pensava fosse una di educata curiosità.
“Non è una novità. Che sta combinando stavolta?” chiese.
“Non lo so, è questo che mi preoccupa,” disse John, scuotendo la testa
e poi guardandola con sguardo eloquente. “Si annoia.”
Sarah deglutì nervosamente e gettò un’occhiata alla finestra dietro
John come aspettandosi di vedere il detective piombare su di loro
mentre stavano lì.
“Ah. E l’ultima volta che era annoiato...“
“Ha riempito il bagno di uccelli morti, già. Penso stesse misurando
l’andamento della decomposizione.”
“E la volta prima...”
“Si è messo a sparare al muro.”
Sarah lo fissava, apparendo allarmata quanto lui. John sospirò, temendo
il momento in cui sarebbe tornato a casa e la vista che lo avrebbe
atteso una volta lì. Neanche a dirlo, il suo cellulare emise un bip
nella sua tasca.
MESSAGGI RICEVUTI
QUAL’E’ IL CONSUMO MASSIMO CONSENTITO PER TAURINA/CAFFEINA? RICHIESTA
OPINIONE MEDICA. SH
John deglutì appena, ricordando il suo commento sulla Red Bull, la sera
precedente. Si voltò verso Sarah.
“Sai dirmi al volo qual è il livello massimo consentito per taurina e
caffeina?” chiese. Lei scosse la testa con forza.
“È Sherlock? Sta bevendo... pensi sia una buona idea?”
“No, e sfortunatamente credo sia mia. Non pensavo che l’avrebbe fatto
veramente...” disse John, premendo freneticamente i tasti del suo
cellulare.
A: SHERLOCK
NON SONO SICURO. FARO’ UNA RICERCA – NON FARE NIENTE NEL FRATTEMPO. J
Aveva appena inviato il messaggio che il cellulare emise un altro bip
di risposta.
MESSAGGIO RICEVUTO
NON IMPORTA, SPERIMENTERO’. SH
John gemette e crollò la testa fra le mani, guardando Sarah attraverso
gli spazi tra le dita.
“Posso stare a casa tua stanotte?” chiese, per un momento senza
preoccuparsi del fatto non si stessero più frequentando e che fosse
decisamente una cosa poco appropriata da chiedere. Sarah ovviamente la
pensò così e gli rivolse un’espressione accigliata che rispondeva da
sola alla domanda.
“Se sei stato tu a dargli l’idea, devi vedertela tu con lui,” disse
severamente, poi indicò l'enorme pila di documenti. "Farai meglio a
darti una mossa con quelli, Mrs. Richards sarà presto qui per il suo
appuntamento."
Uscì dalla stanza, chiudendo la porta dietro di lei con decisione,
quindi John sospirò e si rivolse ai suoi documenti. Almeno avere a che
fare con le minuzie dei pazienti avrebbe distolto la sua mente dal suo
coinquilino e da qualunque cosa stesse architettando.
Per diverse ore, John riuscì a non pensarci affatto; l'eterno
caleidoscopio di persone e malattie che passò attraverso il suo ufficio
lo mantenne più che occupato, e se qualche volta il suo sguardo
saettava verso il telefono era solo perché stava aspettando una
chiamata dall'ospedale riguardante un caso piuttosto complicato.
Era metà pomeriggio quando ci fu un colpo improvviso e la porta del suo
ufficio venne sbattuta contro il muro. John alzò gli occhi, allarmato
dall'improvvisa intrusione.
Sherlock Holmes stava fermo nell'ingresso, i capelli completamente
scompigliati intorno al viso e gli occhi fissi e spalancati. La sciarpa
era buttata all'indietro.
John deglutì e guardò in su verso il suo amico, ansiosamente. Sembrava
vibrare leggermente.
"Sherlock... che stai fa-"
"Sono venuto ad assisterti," annunciò Sherlock pomposamente, scivolando
nella stanza e marciando dritto verso la scrivania di John, dove
incombette su di lui lanciandogli uno sguardo penetrante.
"Sherlock, quanta Red Bull hai bevuto?" chiese John, temendo la
risposta. Sherlock fece ondeggiare la mano come accantonando la domanda
e iniziò a camminare a passi misurati per il piccolo ufficio.
"Non è importante. Un po'. Troppa, sospetto. Non abbastanza. Chi è il
tuo prossimo paziente? Leggimi la sua cartella clinica," disse tutto
d'un fiato, tanto che John poté a malapena distinguere le parole.
"Non posso, sono confidenziali - perché vuoi la cartella clinica del
mio paziente?"
"Te l'ho detto, sono venuto per assisterti. È la sola soluzione al
problema che ho in mente da qualche tempo; tu sei stanco quando arrivi
a casa dal lavoro, e incapace di raccogliere l'energia o l'entusiasmo
per intrattenermi. La mia mente si ribella all'inattività, John, devo
essere intrattenuto. Quest'idea della Red Bull è buona, mi congratulo
con te, ma test preliminari suggeriscono che non sarei in grado di
mantenere questo stile di vita per più di una settimana senza rischiare
una tachicardia; un metodo alternativo deve essere trovato, quindi. Se
ti assisto, puoi finire in tuo lavoro in metà del tempo - probabilmente
anche meno. In più, sarai molto più vigile quando avremo un caso, visto
che ho notato che in diverse occasioni ti sei addormentato di colpo. Il
fatto tu non sia cosciente avrebbe un effetto nocivo sull'esito di un
caso, la qual cosa si rifletterebbe negativamente su entrambi di noi.
Conclusione, hai bisogno della mia assistenza."
Si fermò per riprendere fiato.
"Non posso, Sherlock, non posso davvero, e non mi puoi aiutare, è
illegale. E anche se tu potessi, non sei in condizioni. Va' a casa e
aspetta che l'effetto della Red Bull si esaurisca," disse, con il tono
più fermo che riuscì a racimolare.
"Non posso, mi annoierei," disse Sherlock, smettendo improvvisamente di
passeggiare su e giù per sbattere le mani sulla scrivania di John. Lo
guardò al di sopra del tavolo, con sguardo folle, "E poi ne ho ancora
diverse casse da finire nell'appartamento. Hai avuto un'eccellente
idea, John, posso vedere tutto molto chiaramente adesso. Ogni cosa
sembra molto... emozionante."
Si raddrizzò all'improvviso e si tolse il cappotto, lo lanciò su un
armadietto porta-documenti e si buttò sul lettino. Si sedette sul
bordo, pieno di energia nervosa, le gambe che dondolavano avanti e
indietro.
John decise di provare una nuova tattica e lo ignorò, tornando alla
tabella che stava riempiendo. Sherlock era silenzioso, come in attesa
di qualcosa, ma la stanza era piena dei suoi movimenti nervosi:
tamburellava con le dita sul lettino, giocherellava con un filo scucito dei
pantaloni, strascicava i piedi sul pavimento. John strinse i denti.
"Hai una mascella molto decisa," disse Sherlock all'improvviso,
"Proprio da soldato. Mi chiedo, sono le persone con mascelle forti ad
essere più predisposte a diventare dei militari o la mascella si
sviluppa durante il tempo trascorso a fare i soldati? Potrei condurre
uno studio sul soggetto, un saggio. Una monografia sulla tua mascella!
Hai letto la mia monografia sui sigari, John? Be', dubito che ne
seguiresti il ragionamento. Però segui me, no, John? Moriarty non ha
un... È per questo che lui... Naturalmente. Anche se forse sono stato
un incauto a permettere che accadesse, crea soltanto debolezza. Quand'è
il tuo prossimo appuntamento con un paziente, John? John?"
John si accigliò, non provando nemmeno a seguire i processi mentali di
Sherlock, gravemente poveri della sua solita chiarezza e coerenza. Un
sintomo dell'intossicazione da caffeina, pensò: pensieri e dizione
sconnessi. Oh signore.
"Erm. Lascia che ti prenda le pulsazioni, per sicurezza. Siediti
fermo," disse, girando intorno alla scrivania e controllando il suo
amico. Sherlock non lo guardò ma continuò a lanciare occhiate alla
stanza e gli occhi gli si illuminarono all’improvviso.
"Non hai effetti personali nel tuo ufficio, niente che ti rammenti casa
o famiglia. Famiglia posso capirlo; imbarazzo, o vergogna.
Difficilmente si vorrebbe tenere la fotografia di una sorella
alcolizzata sulla scrivania di un ambulatorio, un ricordo continuo del
fatto che nonostante tu possa aiutare i tuoi pazienti non sempre puoi
aiutare quelli a te più vicini. Perché niente di Baker Street, allora?
Nemmeno una tazza e nessuno degli appunti scarabocchiati pertinenti ai
nostri casi che lasci dappertutto nel salotto. Perché?"
Sherlock stette zitto per un momento. John lo ignorò e gli puntò una
luce negli occhi, continuando il suo check-up. Le pulsazioni erano
rapide ma non aritmiche; la pelle leggermente accaldata, le pupille
dilatate. Niente di cui preoccuparsi troppo, ma si preparò mentalmente
a tenere d'occhio il suo amico per tutta la durata del suo
'esperimento'.
"Va bene," disse, "Assicurati di rimanere idratato. Bevi molta acqua."
"Ma certo," mormorò Sherlock, ignorandolo del tutto, "Sarah. Non vuoi ricordarle l'altra
tua vita, quella che lei disapprova così tanto. È per la sua comodità o
per la tua? O stai ancora coltivando la speranza di una
riconciliazione?"
John sospirò.
"Magari voglio solo tenere separate la mia vita lavorativa e quella
privata, Sherlock. Molte persone lo fanno."
"Io no."
"Tu non hai una vita privata!"
Sherlock sembrò un po' preso in contropiede e aprì la bocca per
replicare, ma non riuscì a dire niente; ci fu un bussare alla
porta - il suo appuntamento delle 15, pensò John. Mr. Turner.
"Venga," chiamò, pensando che era troppo chiedere che il suo paziente
non notasse la presenza di Sherlock. Non si poteva davvero non notare
Sherlock. Sembrava un enorme corvo, appollaiato su un angolo del
lettino.
Un grosso uomo in t-shirt e pantaloncini entrò ansando nella stanza,
sul volto un espressione dolorante.
"Prenda una sedia, per favore," disse John, indicando con un gesto la
sedia al lato opposto della scrivania. L'uomo lo fece, poi lanciò uno
sguardo a Sherlock.
"Questo è il mio collega," continuò John, rapidamente. "Lui è, erm.
Be', è un consulente, in realtà. È un... diagnosta."
Sherlock stava fissando l'uomo con aria concentrata, ma non disse
niente. I suoi occhi sembrarono leggermente troppo grandi per la sua
faccia.
"Sta... bene?" chiese l'uomo. John annuì vagamente in un tentativo di
rassicurare il suo paziente, poi richiamò sullo schermo la cartella
clinica di Mr. Turner per iniziare la visita. Se avesse agito come se
quel pazzo del suo coinquilino non fosse stato lì, magari sarebbe
andato tutto bene.
“Claudicatio intermittens," annunciò Sherlock alla stanza, sorridendo
trionfante, "Sta avendo difficoltà a camminare, vero, Mr. Turner?
Crampo al polpaccio dopo aver percorso una certa distanza ma che se ne
va dopo un po' di riposo? Mutamento della pelle sulla parte bassa della
gamba? Origine venosa, direi."
L'uomo batté le palpebre e si voltò sorpreso verso John.
"Be', è molto bravo," disse, gentile. John gemette. Permettere a
Sherlock di essere migliore di lui nel suo lavoro. Non era neanche
sicuro di come avesse fatto a scoprire il nome dell'uomo; era certo di non
averlo menzionato.
"Sta anche tradendo sua moglie - e con qualcuno con cui lavora. Posso
vedere la striscia di pelle più chiara dove ha rimosso la sua fede
nuziale. Quindi era al lavoro oggi, ma in abbigliamento informale;
comunque, la sua considerevole stazza, insieme al problema di
circolazione, suggerisce che non si muove molto nel suo lavoro. C'è una
leggera macchia d'olio sulla sua maglietta, quindi direi autista,
probabilmente camionista a giudicare dalla consistenza dell'olio. Un
ruolo in gran parte solitario, dunque, a parte quando incontra altri
autisti, ergo molto probabilmente sta tradendo sua moglie con un altro
camionista. Ci sono andato vicino?"
La faccia dell'uomo si contorse dall'ira e gettò un'occhiata a
Sherlock, poi a John, aprendo la bocca per chiedere una spiegazione.
John scosse la testa, rassegnato.
"Sarebbe meglio ripassare tutti i suoi sintomi, Mr. Turner, giusto per
stare tranquilli," disse stancamente.
Sarebbe stata una lunga giornata.
---
[*] "Aborrendo la monotona
routine dell'esistenza, o Una settimana trascorsa sugli stimolanti
artificiali": la prima parte del titolo riprende una frase detta da
Sherlock Holmes all'inizio del romanzo "Il segno dei quattro".
Note della traduttrice. Eccovi
in pasto un’altra delle mie fanfiction preferite di una delle prime
autrici che ho conosciuto in questo fandom. Io l’ho trovata decisamente
divertente e spero che già da questo primo capitolo vi abbia strappato
almeno un sorriso :D
La fanfic conta tre capitoli e, come dice l’autrice all’inizio, è il
prequel di un’altra sua fic di nove capitoli, altrettanto divertente,
se non di più, che per ora non penso di tradurre, ma mai dire mai! ;D
In ogni caso questa fic che state leggendo si può leggere benissimo a
sé stante, quindi tranquilli.
Contiene alcuni riferimenti al canone, come piace a me (non penso
tradurrò mai niente che non tenga conto del canone letterario, li amo
troppo i Nostri in versione vittoriana <3) quindi divertitevi a
trovarli, o voi amanti di Doyle!
Come al solito, se trovate errori ditemelo, se avete suggerimenti
ditemelo, se mi amate e volete sposarmi ditemelo. Insomma, parlate, non
statevene zitti! XDD
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** 2. ***
Disclaimer. Sherlock e i suoi personaggi sono
di proprietà degli aventi diritto, BBC e duo Moffat-Gatiss in primis.
L’autrice del racconto qui sotto non li possiede in alcun modo, la
traduttrice idem. Sono certa che siamo entrambe molto tristi per
questo. *annuisce sconsolata*
(Traduzione a cura di Madame Butterfly
- link al permesso di traduzione qui
- la storia originale la potete trovare a questo
indirizzo.
E ricordatevi che l'originale è sempre la versione migliore quindi, se
sapete l'inglese, siete caldamente invitati a leggerla =D)
Nota della traduttrice. Solo
una piccola annotazione iniziale sul nome di Lestrade: in realtà mi
risulta che non si sappia il suo nome di battesimo, ma Greg è – non
chiedetemi perché – una delle opzioni che si legge più spesso. In
tutte le fic di ardenteurophile viene usato questo nome e personalmente
lo trovo molto carino :D
... Ah, approfitto delle note anche per ringraziare con tutto il cuore
chi ha commentato o messo in una lista questa fic. *inchino*
2.
MERCOLEDÌ
A: G LESTRADE
HAI VISTO SHERLOCK?? STAMATTINA NON RIESCO A TROVARLO. J
MESSAGGIO RICEVUTO
E' QUI. CHE DIAVOLO HA CHE NON VA?? GREG
A: G LESTRADE
GRAZIE A DIO. POTRESTI TENERLO D'OCCHIO? J
MESSAGGIO RICEVUTO
DONOVAN L'HA TROVATO SEDUTO FUORI SUL BORDO DEL MARCIAPIEDE. NON HO
IDEA DA QUANTO TEMPO FOSSE LI'. SPIEGAMI. GREG
A: G LESTRADE
STA BENE, E' SOLO UN PO' DI MALUMORE. J
MESSAGGIO RICEVUTO
HA PRESO QUALCOSA. PENSAVO FOSSE PULITO! GREG
A: G LESTRADE
E' PULITO. J
MESSAGGIO RICEVUTO
HA PRESO TUTTI I FOGLI A1 DALL'ARMADIO DELLA CENTRALE E CI STA
DISEGNANDO SOPRA IL LONDON A-Z A MEMORIA. COL CAVOLO E' PULITO! GREG
A: G LESTRADE
E' SOLO RED BULL. E' UN "ESPERIMENTO", A QUANTO PARE. J
MESSAGGIO RICEVUTO
RED BULL?! GREG
A: G LESTRADE
UN SACCO DI RED BULL. ASSICURATI CHE BEVA ACQUA O SI DISIDRATERA'. J
MESSAGGIO RICEVUTO
OH, MALEDIZIONE.
MESSAGGIO RICEVUTO
POTREBBE VENIRE QUI & TENERE SOTTO CONTROLLO LO STRAMBO?! MI STA
FACENDO PASSARE LA VOGLIA DI BERE IL MIO CAFFE'. SAL X
MESSAGGIO RICEVUTO
PASSI QUI, WATSON. LESTRADE CI HA MESSI A FARE I BABYSITTER MENTRE LUI
SI NASCONDE NELLE CELLE. ANDERSON
MESSAGGIO RICEVUTO
SE INSULTA LA MIA FACCIA ANCORA UNA VOLTA GLI PRENDO A PUGNI LA SUA.
NON SONO IO A SEMBRARE UN CAVALLO VESTITO DA UOMO. ANDERSON
A: SHERLOCK
SMETTILA DI INFASTIDIRE LA POLIZIA, SHERLOCK. J
MESSAGGIO RICEVUTO
SE HAI BISOGNO DI UNA MANO ANCHE OGGI POSSO AIUTARTI. SH
MESSAGGIO RICEVUTO
E' IL MODO PIU' VELOCE PER RAGGIUNGERE LE NOSTRE RISPETTIVE METE. SH
MESSAGGIO RICEVUTO
FAMMI SAPERE SE HAI BISOGNO D'AIUTO. NON SO PERCHE' QUELLA DONNA MI HA
DATO UNO SCHIAFFO IERI, MA PROMETTO CHE NON SUCCEDERA' MAI PIU'. SH
MESSAGGIO RICEVUTO
TI ASSISTERO' VOLENTIERI SE TI TRATTERRAI DAL CHIAMARE LA SICUREZZA,
STAVOLTA. SH
A: SHERLOCK
NO NO, VA TUTTO BENE. RESTA ALLA STAZIONE DI POLIZIA. LESTRADE HA
BISOGNO DI TE. E' GIU' NELLE CELLE. J
MESSAGGIO RICEVUTO
GLI HAI DETTO DOV'ERO?! GREG
MESSAGGIO RICEVUTO
TI ODIO. GREG
A: SARAH S
POSSO STARE A CASA TUA? J
MESSAGGIO RICEVUTO
MI STAI MANDANDO MESSAGGI DALLA STANZA ACCANTO?! COMUNQUE, NO.
GIOVEDÌ
John si svegliò nel silenzio, per il secondo giorno di fila. Tese
l'orecchio, cercando di raccogliere ogni indizio che gli facesse capire
se il suo coinquilino era nell'appartamento e, in quel caso, che stava
facendo.
Era tornato a casa dal lavoro la sera prima per trovare Sherlock
sommerso da lattine vuote che cercava di convincere Lestrade e Donovan
(che a quanto pareva l'avevano trasportato a casa in un'auto della
polizia, contro la sua volontà) a giocare a Twister. Apparentemente,
uno Sherlock strafatto di caffeina era decisamente più tattile e
frivolo rispetto al suo solito essere freddo e schivo. John passò un
po' di tempo a chiacchierare con i poliziotti sopra una tazza di tè
(deteinato) mentre Sherlock balzava da una stanza all'altra,
borbottando a tutto spiano e occasionalmente interrompendoli con
proposte ridicole. Qualche volta si dirigeva verso John, lo agguantava
ai lati del viso, fissandolo intensamente e mormorando in uno stato che
era quasi di trance, e nessuna domanda da parte di John riusciva a
scuoterlo. Alla fine Lestrade ne ebbe abbastanza dell'agitazione di
Sherlock e lo ammanettò al bracciolo di una sedia, dal quale passò un
po' di tempo cercando di liberarsi con l'aiuto di un cucchiaino - la
sola cosa a portata di mano - prima di essere sopraffatto da
un'improvvisa crisi di astinenza da caffeina e svenire a faccia in giù
sul pavimento.
Secondo Lestrade, sul serio non c'erano dei casi che Sherlock potesse
prendere al momento - neanche casi minori - quindi non avevano
nient'altro che lo potesse distrarre. A quanto pareva avrebbero
semplicemente atteso che si stancasse di quel particolare esperimento,
in ogni caso avevano rimosso dalla casa gli energy drink rimasti mentre
lui dormiva sul pavimento. John non credeva che sarebbe servito a
qualcosa; non potevano certo impedirgli di uscire semplicemente a
comprarne degli altri.
Almeno sembrava si stesse divertendo, pensò.
John si vestì e scese le scale con cautela. Il soggiorno sembrava fosse
stato colpito da un bomba; era coperto di pezzetti di carta strappata,
tazze vuote e quella che sembrava lana di pecora. Pareva che alla fine
Sherlock avesse terminato la carta e avesse quindi iniziato a scrivere
sulla sezione di muro più vicina alla sua stanza. John gemette e
raccolse una delle tazze vuote, dandole una prudente annusata. Caffè.
Sherlock doveva aver scoperto la sparizione della sua Red Bull ed
essersi servito della cosa che ci somigliava di più.
Si diresse con trepidazione in cucina. Il vaso del caffè era vuoto, ma
(fu grato di constatare) Sherlock non l'aveva ingerito tutto visto che
metà del pavimento appariva coperto di grani di caffè.
Emise un sospiro di rassegnazione e tirò fuori il telefono dalla tasca.
Aveva trentasette chiamate perse, tutte da parte di Sherlock.
A: SHERLOCK
DOVE SEI? J
A: G LESTRADE
LO HAI VISTO? J
Raccogliendo tutti i pezzi di carta e le tazze vuote, cercò di rendere
la stanza un po' più presentabile. Più tardi avrebbe dovuto affrontare
i grani di caffè rovesciati e la scritta sul muro; Mrs. Hudson non ne
sarebbe stata molto contenta.
MESSAGGIO RICEVUTO
NO. NON E' A CASA? GREG
A: G LESTRADE
NO, E A QUANTO PARE HA TROVATO IL CAFFE'.
MESSAGGIO RICEVUTO
ODDIO. COME FAI A ESSERNE SICURO?
A: G LESTRADE
DICIAMO CHE L'HO DEDOTTO.
Dando un'ultima occhiata a quel relitto che era casa sua, John mise la
giacca e si diresse al lavoro, una pungente sensazione di nervosismo
che gli saliva su per la schiena. Sherlock era in libertà in un mondo
imprevedibile, e lui non aveva idea dove.
La mattinata passò lentamente, e quando arrivò l'ora di pranzo e John
non aveva ancora sentito Sherlock, cominciò a preoccuparsi. Tirò fuori
nuovamente il telefono e fissò le trentasette chiamate perse,
chiedendosi se magari non ci fosse sotto qualcosa di più sinistro;
dopotutto, Sherlock telefonava raramente, preferendo mandare messaggi a
meno che non si trattasse di un'emergenza. E se fosse stata
un'emergenza? Compose il suo numero, sentendo il proprio cuore fermarsi
nel petto quando finì dritto nella segreteria telefonica. Il suo amico
non era mai uscito con il cellulare scarico.
Dopo essersi assicurato che Lestrade e il resto della polizia non
avevano ancora traccia di Sherlock, John decise che c'era solo una
persona che poteva aiutarlo. Quello di cui davvero aveva bisogno in una
situazione simile era un Holmes. E se Sherlock non era disponibile,
be', allora c'era solo un'altra ipotesi praticabile.
A: MYCROFT HOLMES
URGENTE. AIUTO PER FAVORE. J WATSON
Il suo telefono suonò immediatamente, con un numero che non riconobbe.
"Pronto?"
"Dottor Watson. Come posso esserle d'aiuto?" disse la voce dai toni
vellutati di Mycroft, ogni parola rivestita di calmo potere e sicurezza
di sé. John sentì che si stava rilassando leggermente al suono della
sua voce.
"È Sherlock," iniziò, all'istante conscio che praticamente ogni
conversazione telefonica che aveva avuto con il maggiore dei fratelli
Holmes era iniziata con quelle due parole.
"E da quanto tempo è scomparso?" disse Mycroft, con il suo inquietante
dono di prevedere cosa John stesse per dire.
"Come fa a... no, non importa," disse John, decidendo che la
spiegazione poteva attendere, "Non lo vedo da l'altra sera, suppongo si
sia alzato presto a qualche ora stamattina. Non risponde a nessuno dei
miei messaggi e le telefonate vengono deviate alla segreteria..."
"Non è passato molto tempo, dottor Watson, quindi dev'esserci un'altra
ragione per temere per la sua incolumità. Ho ragione? Cosa stava
facendo quando l'ha visto per l'ultima volta?"
"Era ammanettato ad una sedia nel soggiorno, poi si è addormentato lì,"
disse John, chiedendosi vagamente come cavolo Sherlock fosse riuscito a
togliersi le manette. Ma c'erano un sacco di cose che Sherlock faceva e
che John non riusciva a capire. Dall'altro capo del telefono giunse una
risatina secca.
"Per favore, mi risparmi gli ulteriori dettagli," disse Mycroft,
facendo sussultare John appena si rese conto esattamente di come fosse
suonato quello che aveva appena detto.
"No, non intendevo... no, non è che..."
"Naturalmente, per uno che confida così tanto nella sua autorità e nel
suo self-control, non è affatto una sorpresa che Sherlock chieda di
essere dominato all'interno di un ambito più privato; avrei potuto
dedurlo facilmente - comunque, preferirei non proseguire questa linea
d'indagine," continuò Mycroft, una nota di disgusto nella sua voce.
John scosse la testa freneticamente al telefono, consapevole che
Mycroft non avrebbe potuto vederlo ma sentendo la necessità di farlo
comunque.
"No, Mycroft, no, non è come... comunque lo ha ammanettato Lestrade,
non io..."
"Quel Ispettore Lestrade?"
disse la voce di Mycroft, suonando un po' scioccata stavolta,
"Perbacco, lei mi sorprende, dottor Watson. Non ero al corrente che voi
due lo vedeste fuori da un ambito professionale."
"Fuori da un...?"
"A scopo ricreativo."
John sembrò stordito per un momento, aprendo e chiudendo la bocca come
un pesce, poi rammentò a sé stesso il motivo per cui, in primo luogo,
aveva chiamato.
"No, ascolti," disse fermamente, "Lestrade lo ha ammanettato perché era
il solo modo per tenerlo fermo. È fuori come un balcone e adesso è
scappato da qualche parte e non risponde al cellulare, quindi se
potesse semplicemente..."
"Oddio, la sta usando di nuovo?" disse Mycroft con voce strascicata,
suonando annoiato, "Mamma sarà così delusa. Avevamo davvero sperato che
se lo fosse lasciato alle spalle. Questa volta di che si tratta?"
"Red Bull."
Ci fu una pausa all'altro capo della linea telefonica.
"Scusi?"
"Red Bull. E tanta."
"Signore benedetto."
"Senta, se potesse tenerlo d'occhio - farmi sapere se salta fuori?"
chiese John, fin troppo consapevole che suonava come una preghiera.
"Naturalmente," disse Mycroft, sembrando un po' ansioso ora. "Farò
controllare le telecamere di sorveglianza alla mia assistente per
vedere se possiamo accertarci di dove sia. Mi tenga informato se ci
sono sviluppi."
"Ok. Grazie. Uhh... saluti la sua assistente da parte mia," disse John,
pensando all'attraente donna che aveva incontrato appena in un paio di
occasioni. Pensava ancora a lei come 'Anthea', nonostante sapesse che
quello non era il suo vero nome.
"Naturalmente," rispose Mycroft.
"Non lo farà, vero?"
"No. Arrivederci, dottor Watson."
E riattaccò.
John sospirò di sollievo, sentendosi meglio al solo pensiero che anche
Mycroft - e le sue centinaia di telecamere - stavano cercando Sherlock.
Con le vaste risorse del governo britannico al suo servizio,
sicuramente non sarebbe passato molto tempo prima che riuscissero a
rintracciare Sherlock e a riportarlo sano e salvo a casa in Baker
Street.
Trascorse il resto della sua giornata lavorativa autoconvincendosi di
questo, al punto da aspettarsi che Sherlock fosse lì quando tornò a
casa. Non c'era.
Trascorse il resto della serata sulle spine, attendendo un bussare alla
porta o uno squillo del cellulare che non arrivava mai, aspettandosi
che entrasse in ogni momento. Non lo fece.
Mycroft telefonò a mezzanotte in punto.
"Non trovo tracce di delitti e ho diverse testimonianze non confermate
di persone che l'hanno visto in città oggi, ma niente di concreto. Se
non possiamo trovarlo, dottor Watson, allora temo significhi che non
vuole essere trovato. La terrò informato."
Andò a letto irrequieto e con i nervi tesi, tentando di capire dove
potesse essere Sherlock e chiedendosi in quale momento la sua vita
aveva iniziato a ruotare intorno a quest'uomo assurdo. Si sentiva fuori
uso, come non sapendo dove fosse, come si trovasse ancora nell'orbita
di qualcosa che non era più lì - come se Sherlock fosse il sole, pensò;
o magari qualcosa di più bizzarro, tipo un buco nero.
Si addormentò pensando vagamente al sistema solare e alla completa
ignoranza di Sherlock sull'argomento. Gli avrebbe comprato un libro,
decise, presumendo che sarebbe tornato e che nel frattempo non gli
fosse accaduta una disgrazia. Sì, un libro sul sistema solare. Magari
per Natale.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** 3. ***
Disclaimer. Sherlock e i suoi personaggi sono
di proprietà degli aventi diritto, BBC e duo Moffat-Gatiss in primis.
L’autrice del racconto qui sotto non li possiede in alcun modo, la
traduttrice idem. Sono certa che siamo entrambe molto tristi per
questo. *annuisce sconsolata*
(Traduzione a cura di Madame Butterfly
- link al permesso di traduzione qui
- la storia originale la potete trovare a questo
indirizzo.
E ricordatevi che l'originale è sempre la versione migliore quindi, se
sapete l'inglese, siete caldamente invitati a leggerla =D)
3.
VENERDI'
Fu necessario attendere fino alle 11 del mattino successivo perché
Sherlock finalmente ricomparisse. John era stato multitasking per tutta
la mattina: un occhio lo teneva sul paziente di fronte a lui e il resto
della sua attenzione era focalizzato sul navigare ossessivamente tra i
notiziari per trovare una traccia che gli permettesse di scoprire dove
fosse andato Sherlock. Non ce n'erano, e non c'erano neanche
aggiornamenti sul suo blog. Aveva appena ricaricato la pagina per
quella che doveva essere la quinta volta quando arrivò un gradito bip
dal suo telefono.
MESSAGGIO RICEVUTO
E’ APPENA COMPARSO DAVANTI ALLA MIA PORTA. M
A: MYCROFT HOLMES
GRAZIE A DIO. STA BENE? JW
MESSAGGIO RICEVUTO
STA ANCORA RONZANDO COME LA PROVERBIALE VUVUZELA. NIENTE CHE NON POSSA
GESTIRE, LE ASSICURO. M
A: MYCROFT HOLMES
OTTIMO. GLI DICA CHE E’ NEI GUAI PER ESSERE SCOMPARSO! JW (PS BUONA
FORTUNA)
John si risedette sulla sua sedia e sorrise, un po' per il sollievo e
un po' divertito dal pensiero di Mycroft costretto ad avere a che fare
con Sherlock nel suo stato caffeinoso. D'altro canto, se Mycroft era
tutto quello che Sherlock diceva di lui - il Governo Britannico, i
Servizi Segreti Britannici e la CIA - era certo che potesse farcela con
suo fratello minore e un semplice eccesso di Red Bull.
Passò circa mezz'ora prima che il suo telefono squillasse.
John lanciò uno sguardo di scuse alla sua attuale paziente al di là
della scrivania, guardando giù verso il suo cellulare e sollevando un
sopracciglio all'ID del chiamante.
IN ARRIVO: MYCROFT HOLMES
Cancellò la chiamata, decidendo che qualunque cosa fosse poteva
attendere per dieci minuti finché fosse finito il colloquio con la sua
paziente; aveva sempre pensato che fosse maleducazione ignorare le
persone che gli stavano vicino per rispondere ad un telefono che suona;
odiava particolarmente quando era in fila e la commessa tirava su il
telefono invece di servire. Avrebbe richiamato Mycroft in un secondo
momento, pensò, prendendo una penna e iniziando a buttar giù sintomi
sul blocco di fronte a lui.
Tutti i telefoni della clinica iniziarono a squillare simultaneamente.
John fissò il telefono sulla sua scrivania, inorridito dalla cacofonia
prodotta dai differenti squilli provenienti da ogni direzione. La sua
paziente - Mrs. Higgins, che era un'adorabile vecchietta e non si
meritava un simile disturbo – iniziò ad agitarsi, nervosa. Aveva appena
allungato una mano ad afferrare il telefono quando tutti si zittirono
bruscamente e, circa trenta secondi più tardi, Sarah fece irruzione
dalla porta.
"John, devi andare," disse con urgenza, aggiungendo un rapido, "Mi
spiace molto, Mrs. Higgins," quando notò che era con un paziente.
"Che c'è?"
"C'è un certo Mr. Mycroft Holmes," disse lei, sollevando un
sopracciglio. "Un tuo amico? Dice che devi andare a casa sua
immediatamente, per ordine del Governo Britannico."
"Oh, non dirà sul serio..." iniziò John.
"L'ho pensato anch'io, all'inizio, ma ha faxato tutta la relativa
documentazione," disse lei, sembrando scoraggiata, "Ad ogni fax
dell'edificio, in realtà. È definitivamente una cosa ufficiale. John,
chi è quel tipo?"
La povera Mrs. Higgins sembrava terrorizzata. John si strofinò gli
occhi, stancamente.
"Il fratello di Sherlock, lui è - be', una rottura di scatole, ad
essere sinceri, ma sembra sia un tratto di famiglia."
Sarah sorrise leggermente, apparendo ancora un po' preoccupata. John
sbatté il pugno sulla scrivania, sentendosi improvvisamente arrabbiato.
"Dannazione, Sarah, sono al lavoro, non posso scapparmene via ogni
volta che lo dice uno dei fratelli Holmes."
"Non sembra che tu abbia scelta..." disse lei, dubbiosa.
"Non puoi far funzionare l'ambulatorio con un dottore in meno! Non
posso piantare tutti in asso, è ridicolo. Gli telefonerò e gli farò
sapere che non sto andando da lui, e-"
La porta si aprì all'improvviso e un uomo in completo scivolò dentro,
con una valigetta in mano. John e Sarah si voltarono a guardarlo e lui
diede ad entrambi uno sguardo di apprezzamento.
"Dottor Watson," disse, consultando un piccolo notepad che teneva in
mano, "E dottoressa Sawyer."
Si girò a guardare l'anziana signora seduta dall'altra parte della
scrivania rispetto a John, e consultò nuovamente il suo notepad.
"Mrs. Emelia Higgins, nata nel 1934, 47 Lower Inhedge, vedova. Un
gatto, Bess."
John batté le palpebre.
"Chi diavolo è lei?" chiese, quasi temendo la risposta. L'uomo sorrise
all'istante.
"Il suo sostituto, dottor Watson," disse, offrendo la mano a Sarah,
"Dottor Mark Dryer, guardia medica. Le darò una mano nella clinica con
le persone che rimangono mentre il qui presente dottor Watson è
occupato con... affari di stato."
"Affari di stato!" esclamò John, alzandosi dalla sedia, "È solo
Sherlock che fa l'idiota come al solito e Mycroft che non è capace di-"
"Attento," disse l'uomo, assottigliando gli occhi. John si bloccò e
prese un respiro profondo. Sarah lo stava osservando, dubbiosa. Capì di
essere stato sconfitto.
"Ok, ok," disse, alzando le mani in segno di resa, "Sto andando.
Presumo ci sia una macchina orribilmente sinistra che mi aspetta fuori."
L'uomo gli rivolse quello che sembrava la traccia di un sorrisetto, e
fece un gesto verso la porta, congedando John dal suo stesso ufficio.
Lui sospirò e si incamminò verso l'uscita della clinica - colleghi e
pazienti che lo guardavano incuriositi - fino all'inevitabile limousine
nera posteggiata boriosamente fuori dalla porta.
Il viaggio non durò molto; la casa di Mycroft era nel centro di Londra,
da qualche parte vicino all'Embankment, ma non fece caso al nome della
strada. Appena a un tiro di schioppo da Westminster, gli parve, quindi
poteva trovarsi tra quei due posti. Era una casa signorile ma compatta
- John ricordò che Sherlock gli aveva menzionato che Mycroft aveva
residenze sia in città che fuori - con un ordinato prato all'inglese
sul davanti. John notò che un paio di alberelli del viale erano stati
sradicati, quasi come se un piccolo tornado fosse passato in quella
zona. Sospettò di non essere troppo lontano dalla verità.
Il maggiore dei fratelli Holmes lo salutò sulla porta, tenendo stretta
una tazza di tè in entrambe le mani con un'espressione stravolta sul
volto.
"Dottor Watson," disse, suadente, "Entri. Grazie per essere venuto con
così poco preavviso."
"Non è che avessi scelta," borbottò John, togliendosi il cappotto, "Io
ho un lavoro, lo sa? Ho dei doveri."
"Ah, ma il suo primo dovere è verso il suo paese, naturalmente," disse
Mycroft, "Come militare, sono certo che comprende."
"Non sono sicuro che questo sia davvero-"
"Lo è," disse Mycroft con fermezza, guidando John lungo uno spazioso
corridoio, "Il paese ha bisogno di me e io ho bisogno- be’, quello di
cui certamente non ho bisogno, dottor Watson, è questo."
Spalancò la porta della stanza di fronte a loro. John batté le
palpebre. Sembrava essere un ufficio, pensò, tranne che gli uffici di
solito non erano completamente coperti di fili di lana incrociati.
Dalla stanza proveniva anche uno strano rumore di qualcosa di
trascinato, e John fece un passo avanti per fare cautamente capolino
con la testa dalla porta.
L'intera camera era stata arrangiata con qualche sorta di spago, teso
attraverso la stanza come un'enorme ragnatela e attorcigliato intorno
ad ogni centimetro di mobile che poteva vedere: gambe di sedie, lampade
da tavolo, serrature delle finestre. Nel bel mezzo di tutto questo
stava Sherlock, che piroettava stranamente e si contorceva tra i fili,
facendosi largo attraverso la stanza. John diede un leggero colpo di
tosse e Sherlock si bloccò a metà mentre faceva il limbo sotto un filo,
riconoscendolo.
"John!" disse, con il volume della voce troppo alto per l'aspetto tetro
della stanza in cui si trovava, "Dottore, Dottore, Dottore, così tanti
dottori, un solo John, stavo pensando - entra."
Gli occhi di Sherlock erano scuri e sembrava costantemente allarmato,
come se le cose nella stanza si stessero lanciando verso di lui tutte
in una volta. Continuò a muoversi tra le corde, i suoi movimenti
aggraziati ma frenetici, più coordinati di quanto avessero il diritto
di essere, con così tanta Red Bull in corpo e così poco sonno. John si
voltò impotente verso Mycroft, che scosse la testa.
"È così da quando è arrivato qui, temo. E non ho idea di dove sia
stato, quando glielo chiesto ha solo detto che stava 'pensando'. Non
sono convinto che lui stesso lo sappia. Dottor Watson, ho davvero
bisogno di riavere indietro il mio ufficio."
John annuì, facendosi forza e avanzando un poco nella stanza,
piegandosi per evitare una corda.
"Che stai facendo, Sherlock?" chiese, con una leggera trepidazione
nella voce.
"Allenandomi. Laser," disse Sherlock, "In caso serva. Dovresti far
pratica anche tu, mi aspetto che sarai lì."
"Sarò lì - scusa, quando sarò lì?"
Sherlock si voltò, evitando per un pelo di attorcigliarsi con le gambe,
e guardò fisso John.
"Sempre, John, ovviamente, e specialmente
se ci saranno dei laser. Sarà particolarmente pericoloso, cosa che
entrambi sappiamo ti diverte. Non hai dormito bene, perché? Potrei fare
delle ipotesi ma temo che le mie conclusioni sarebbero errate; molti
dei miei schemi mentali sembrano un po'... contorti, al momento, hanno
perso eleganza. Come te - è la camicia di ieri, quella?"
"Come sai che - Non ti ho mai visto ieri, Sherlock," disse John,
accigliandosi.
Sherlock emise una bassa risatina.
"Cieco come una talpa e le tue deduzioni non sono migliori. Perché
credi che semplicemente perché non hai visto qualcuno, quel qualcuno
non abbia visto te?"
John aprì la bocca, poi il significato delle parole di Sherlock lo
colpirono, insieme ad una discreta quantità di rabbia.
"Tu mi hai visto ieri?! Sherlock, ero preoccupato per te, eri
scomparso! Il tuo cellulare era morto! Se mi hai visto, potevi almeno
farmi sapere che stavi bene, che diavolo stavi-"
"No, no no, fartelo sapere avrebbe invalidato l'intero esperimento;
così è stato un discreto successo, anche se è ambiguo in certe aree;
dannazione. Nessun gruppo di controllo, capisci, nessun controllo, oh,
nessun controllo per niente, temo," fece una pausa per ridacchiare
maniacalmente, passandosi una mano fra i capelli ispidi, "Non hai
dormito, perché non hai dormito?"
"Senti, vieni fin qui così posso controllarti le pulsazioni," disse
John, nel tono più fermo che riuscì a raccogliere, "Ho intenzione di
tenerti sotto controllo tutti i giorni di questo tuo stupidissimo
esperimento; la devi piantare di andare a spasso - vieni qui."
Sherlock gli rivolse uno sguardo per un momento, poi eseguì una serie
di improvvisi piegamenti, salti e giravolte, in qualche modo evitando
tutti i fili e approdando di fronte a John.
"Eccomi qui, John. John. Salve," disse, incombendo su di lui con ancor
meno riguardo del solito per lo spazio personale. C'erano delle
occhiaie sotto i suoi occhi, che lucevano stranamente, e benché il suo
corpo sembrasse scoppiare di energia, John pensò che non sarebbe andato
avanti molto prima di crollare di nuovo.
"Erm, sì. Salve."
Iniziò controllando nuovamente i segni vitali del suo amico, che
sembravano più o meno gli stessi dell'ultima volta, nonostante fosse
possibile che le sue pupille apparissero anche più scure e più
dilatate, il suo respiro un po' più rapido. Condussero un qualche tipo
di mutuo esame molto strano, fermi lì sulla porta dell'ufficio di
Mycroft; gli occhi di Sherlock vagavano su di lui e catalogavano ogni
cambiamento dall'ultima volta che l'aveva visto, mormorando in
continuazione tra il respiro. John premette le dita sul suo collo,
testando le sue pulsazioni, e fu sorpreso quando lui inspirò con un
sibilo e si tirò indietro.
"Scusa," disse John automaticamente, "Scusa, io- probabilmente senti un
po' di sovraccarico sensoriale al momento, giusto?"
Sherlock si limitò a guardarlo stranamente, socchiudendo gli occhi.
Piegò la testa di lato.
"È normale?"
"Va tutto bene," disse John, rassicurante, mentre ricordava a se stesso
che nessuno di loro sapeva più cosa significava la parola 'normale',
"Hai solo bisogno di calmarti e di concederti un po' di riposo.
Andiamo, torniamo a Baker Street, ci facciamo una bella tazza di- be',
magari per te solo latte."
Sherlock annuì, e con un balzo improvviso lo oltrepassò e si trovò
nell'anticamera, dove Mycroft stava ancora aspettando, guardandoli con
attenzione.
"Adesso John mi porta a casa, Mycroft,"
disse, nella voce una spruzzata di pesante sarcasmo che era presente
ogni volta che i due fratelli si vedevano, "Saluta Mamma da parte mia
quando la vedi."
"Lo farò," disse Mycroft, esaminandosi le unghie, "Sarà molto lieta di
sentire che hai finalmente trovato una balia.”
Sherlock gli rivolse un'occhiataccia.
"Lui non è la mia balia, lui è..." iniziò, prima di lasciar cadere la
frase mentre cercava di aprire il portone d'ingresso e lo trovava
chiuso. Lo fissò con furia e poi iniziò a raspare freneticamente i vari
catenacci e serrature sulla porta nel vano tentativo di aprirli. Si
voltò verso John, il viso scioccato.
"John, c'è un problema con questa porta."
Quindi si girò verso Mycroft, sospettosamente.
"Che cosa gli hai fatto?"
Mycroft fece un passo avanti e fece slittare un catenaccio, senza
fatica, poi aprì facilmente la porta. Sherlock la fissò, sembrando
totalmente disorientato.
"Un trucco ingegnoso!" esclamò, poi si precipitò fuori dalla casa e giù
per i gradini, John che gli correva dietro. Lo raggiunse al cancello
del giardino, ma solo perché Sherlock si fermò bruscamente e si voltò a
guardarlo in faccia.
"Dove stiamo andando?" disse, il volto confuso.
"A casa, Sherlock. Ricordi?"
"Oh!"
John voltò il suo amico e lo spinse fuori attraverso il cancello,
diretti all'enorme macchina che stava ancora attendendo per riportarli
entrambi a Baker Street. Avevano fatto un paio di metri quando Sherlock
si bloccò di nuovo.
"Che c'è adesso?" chiese John. Sherlock lo guardò con curiosità, come
avesse notato solo in quel momento che era lì.
"Dove sono stato?"
John emise un gemito e lo spinse nella macchina, chiedendosi se la
perdita di memoria fosse un normale effetto collaterale di un eccesso
di Red Bull o solo uno sherlockiano, e se avrebbe mai capito
esattamente dove fosse stato il suo coinquilino negli ultimi due giorni.
"Siediti e basta, Sherlock. Avrai un sacco di tempo per dedurre dove
sei stato nelle ultime 48 ore dopo che ti sarai fatto una buona, lunga
dormita. E molta acqua. E assolutamente niente stimolanti di nessun
genere."
"Oh, noioso."
"Sì, be', a dire il vero ad alcuni di noi piace un po' di tedio nella
vita, ad alcuni di noi non piace dover ammanettare il proprio
coinquilino alla sedia solo per tenerlo fermo - non ho intenzione di
chiederti come hai fatto a liberarti, comunque - alcuni di noi vogliono
poter trascorrere almeno un giorno
di lavoro senza dover spendere metà della giornata agitandosi o
lasciando tutto a metà, ad alcuni di noi piace avere soggiorni che non
sono coperti di grani di caffè e giochi in scatola e lana di pecora -
che comunque vedrai di pulire domani, Sherlock, mi stai ascolt-"
Cambiò posizione sul sedile della macchina per guardare il suo amico,
che si era allungato con braccia e gambe divaricate sul sedile opposto,
come al solito sembrando come se si fosse messo di proposito in una
posa il più drammatico possibile.
Sherlock si era addormentato in fretta, sbavando piano sulla sciarpa.
SABATO
John si svegliò nel silenzio, e immediatamente andò nel panico al
pensiero che Sherlock se ne fosse scappato via di nuovo. Lo aveva
lasciato svenuto sul divano la notte prima, dopo aver arrancato su per
le scale con il suo corpo inconscio; il suo amico sembrava a pezzi,
pensò, con occhiaie sotto gli occhi e la pelle grigiastra. Era riuscito
a svegliarlo abbastanza da costringerlo a bere dell'acqua, poi aveva
trascinato via il piumino dalla camera di Sherlock e glielo aveva
rimboccato addosso, sul divano.
Sembrava perfettamente fermo, ed era certo che avesse semplicemente
bisogno di dormire, ma John sentì ugualmente un leggero senso di colpa
nell’andarsene di sopra a dormire nella propria camera; contemplò
perfino l'idea di sistemarsi sul divano al fianco di Sherlock, giusto
per poterlo tenere d'occhio durante la notte. Alla fine, comunque, il
conforto del suo letto lo chiamò e lui salì stancamente le scale, mai
così grato che l'indomani iniziasse il fine settimana.
Ora si trascinò giù dal sopraccitato letto e gettò un'occhiata alla
sveglia sul comodino. Era passato mezzogiorno, notò con sorpresa;
normalmente sarebbe stato svegliato ore prima dallo stridio del violino
di Sherlock o dal rumore di una qualche non identificabile esplosione.
Ad essere onesti, normalmente di suo si svegliava più presto di così,
ma era stata una settimana sfibrante.
Scese quatto quatto le scale, preoccupato di quanto poteva trovare. Si
era ricordato di nascondere il caffè rimasto? Era abbastanza sicuro che
Sherlock fosse alla fine del suo esperimento ma magari sperava troppo.
Sherlock era esattamente dove lo aveva lasciato, disteso sul divano,
addormentato. John emise un sospiro di sollievo e si lasciò cadere
sulla sedia che aveva di fronte.
Sherlock aprì un occhio.
"Mi annoio."
John sbuffò.
"Di già? Ti sei appena svegliato! Come è possibile che ti annoi?"
Sherlock sorrise e si inclinò nella sua posizione preferita, mezzo
capovolto. John sentì uno strano senso di déjà-vu.
"Ho fatto dei sogni davvero insoliti, sai," disse Sherlock, torcendosi
per guardarlo, "C'eri anche tu."
John annuì vagamente al suo coinquilino e accese la tivù.
"Allora presumo che l'esperimento sia finito?" chiese con tono
noncurante.
"Quale?" chiese Sherlock, pigramente, appoggiandosi in grembo il
violino e pizzicando le corde senza guardarle.
"Be', quello con la - quello con la Red Bull, Sherlock, c'era più di
esperimento?!"
Sherlock fece spallucce e si tirò dritto sul divano.
"Sempre, John," mormorò, fissandolo con quello sguardo intento e
curioso che John aveva sempre trovato sia esasperante che emozionante,
"Necessito di qualcosa con cui occupare il tempo, dopotutto."
John sospirò e cambiò canale. Odiava la tivù del sabato pomeriggio.
"Perché non puoi occupare il tuo tempo come una persona normale?" brontolò.
Sherlock inclinò la testa da un lato e tirò fuori una lunga nota dal
violino.
"E cosa fanno le persone normali?"
"Cose normali," disse John, stringendosi nelle spalle, "Non so.
Jogging. Lavorare a maglia. Cucinare."
Sherlock sollevò lo sguardo all'ultima, un lampo di interesse in fondo
agli occhi.
"Ah, cucinare," disse, gustando quel termine sulla lingua, con
curiosità, "Questo è interessante."
Si alzò all'improvviso della sua postazione e agguantò il cappotto,
legandosi intorno la sciarpa, mentre prendeva la strada per la porta.
"Vado al negozio, vuoi qualcosa?"
"Latte. Cornetti. Aspetta, tu
stai andando a fare la spesa?! Non vai mai a fare la spesa, perché vai
a fare la spesa?"
Sherlock spalancò la porta e rivolse a John un enorme, spaventoso
sorriso.
"Ingredienti," disse, e sparì giù per le scale.
John sentì il proprio stomaco stringersi dal nervosismo.
Avrebbe finito per pentirsene.
FINE.
---
Note della traduttrice. Ho
postato questo ultimo capitolo con un ritardo spaventoso e per questo
chiedo scusa a tutti, ci sono stati degli imprevisti :\ Ringrazio
infinitamente l'autrice per avermi concesso di tradurre questa sua
divertentissima fic, ringrazio tutti coloro che hanno
letto/commentato/inserito questa storia in una lista. Grazie mille
*inchino*.
Inoltre ringrazio enormemente Francesca, alias sailor_jup88 per aver tradotto i vostri commenti e avermi così permesso di spedirli all'autrice, visto che ho un periodo assurdo e non trovavo il tempo di farlo io. Ti amo, Fra! <3
(P.S. Uno dei fattori che mi ha spinto ad amare questa fic è il
capitolo finale, che trovo sì divertente ma anche tenero: l'avete
capito, vero, qual'era il secondo esperimento di Sherlock? ;D)
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=668848
|