Sette raggi intorno a un cerchio di crimsontriforce (/viewuser.php?uid=1320)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In differenza ***
Capitolo 2: *** Vacuo in blu ***
Capitolo 3: *** Nessuna uscita fuorché sotto le tue mani ***
Capitolo 1 *** In differenza ***
Sette raggi intorno a un cerchio
Come potrebbe risultare evidente
dall'introduzione (ma anche no, in effetti, essendo questa stata
scritta sotto l'ebbrezza della prosa di Yeesha, che fa male),
trattasi di una raccolta di What if con l'intento di esplorare
svariati finali negativi. Alcuni riprenderanno quelli mostrati dai
giochi, ad esempio una prospettiva su Catherine nel primo negativo di
Riven; più spesso, invece, proverò ad indagare il
quasi-accaduto,
il temuto, lo sventato dal mirabile tempismo di un'anima buona. E
se... Saavedro si fosse collegato un giorno prima? E se... e se,
tanto per cominciare sul classico, Gehn fosse riuscito ad aprirsi una
strada per D'ni?
Questa prima ipotesi è sponsored by Fanworld.it, nella persona di
Graffias, col suo concorso “Il trionfo
dell'antagonista”. Prompt
come da titolo, con limitazione aggiuntiva che l'antagonista non deve
fare il cretino. Non c'è problema: Gehn? Gehn è
serious business...
al massimo gorgheggia un poco.
Frallaltro, è
l'idea che volevo già usare sia per il prompt sul momento
del
piacere che poi è diventato 'Ricoperta di fiori blu' sia per
la
coppia Grotta-sangue che è diventata 'Terra tradisce, cuore
non
vede'. Così invece non posso proprio svicolare: i due
scassamaroni
scassino maroni lontano dalle mie fanfic, Saavedro non conta del
tutto come antagonista (mezzo antagonista, mezzo damsel in distress,
mezzo Mario, per un totale di 150% pure win) e Esher... aaaaah,
Esher.
Disclaimer: Gli
avvenimenti narrati sono frutto di fantasia. Non intendo dare
rappresentazione veritiera del carattere delle persone descritte
né
offenderle in alcun modo. Se possibile, anzi, il tutto è da
intendersi come tributo di affettuosa stima.
In differenza
Perché aveva esitato?
Gehn soppesò il libro. Qualcosa aveva
portato quell'abitante di superficie a prendere tempo e il gesto
poteva nascondere più di una semplice ritrosia a condurlo di
fronte
ad Atrus.
Accese il cannen e, di lì a
poco, la pipa. Mentre le note profonde della sua ultima registrazione
si innalzavano come sbuffi di fumo, si sedette alla scrivania e
aprì
il volume alla pagina della finestra di collegamento, in cerca di
risposte.
Quell'immagine sembrava, era
D'ni - K'veer, la sua casa, nella sua patria, nel suo mondo.
Gehn lasciò che il fumo e la musica
portassero con sé una chiarezza di pensiero di cui aveva
bisogno, ma
che non riusciva a trattenere in quel momento che si era d'un tratto
rivelato così vicino al ritorno.
Inspirò a fondo, gustando il sapore
pungente dell'ytram, e si preparò ad un rigoroso lavoro di
revisione.
Le frasi scorrevano naturali sotto i
suoi occhi. Trent'anni di assenza si annullavano in poche ore nel
ripensare a ogni dettaglio della stanza cui il libro conduceva e a
tutte le volte in cui lui per primo aveva scritto quelle identiche
parole.
Senonché, verso la fine...
Non sei mai stato sottile, Atrus,
mormorò Gehn raggiungendo la boccetta dell'inchiostro con un
gesto
trionfante. In questo, come nel resto, hai ancora molto...
molto
da imparare.
*
Le correzioni sembravano complete,
restaurata la stabilità del legame.
Era sera. Appropriato, si disse, che la
distesa sotto i suoi occhi si facesse rosso cupo al calar del sole.
Un dolce invito, presagio di vittoria.
Gehn si alzò, distendendo la schiena
indolenzita dal lungo studio, e come officiando un rito
allineò sul
banco il libro chiuso, la penna, l'inchiostro. Ad essi aggiunse,
ordinatamente appoggiati sulla sedia, il mantello, i diari, la
memoria del proiettore, una sacca, il fucile, la lente cristallina
sottratta ai ribelli. Tutto era pronto.
Prese d'impulso uno dei libri per Riven
custoditi nello studio, per avere certezza di una via d'uscita, ma
prima ancora di impilarlo sul resto si rese conto che nello stato
degradato delle isole sarebbe stata una scappatoia ben fragile.
Così
si collegò lui stesso alla Quinta Era tramite quel libro,
prese con
sé il volume di ritorno custodito nella cupoletta e si
concesse
un'ultima passeggiata sul suolo della sua prigione, ormai forzata.
Anche quello, rifletté appoggiandosi
ad osservare il mare dal lungo ponte di legno fra le isole, era parte
del rito. Addii, ricordi da incasellare nella memoria. Passaggi.
Ancora stanotte mi attardo
sull'uscio di questa gabbia ostile, scrisse prima di
addormentarsi, ma la porta è aperta e il sentiero
ha il profumo
di casa. Che i fantasmi cullino il mio sogno. Domani renderò
loro
onore.
Sognò suo padre che gli sorrideva.
*
Avrebbe voluto terminare l'esilio con
la mano aperta e tesa, certo che la patria l'avrebbe accolto con
uguale benevolenza. Non aveva però idea di cosa, o chi,
l'avrebbe
atteso all'altro estremo del legame: da qualche parte, suo figlio
stava scrivendo per salvare Catherine, forse anche l'Era, forse anche
chi gli aveva donato la vita. Quella era una certezza, seppur vaga.
Non riusciva invece a spiegarsi quella presenza straniera
così
cocciutamente devota ad aiutare Atrus e, prudente com'era sempre
stato, a malincuore si trovò a caricare il fucile prima di
porre –
infine! – la mano guantata sull'immagine e svanire con un
malcelato
brivido.
*
Al suo arrivo, D'ni lo accolse con un carico di ricordi.
Il mosaico rotondo ai suoi piedi, l'aria stagnante che soffocava la
luce delle lampade: tutto in quella stanza era impregnato dal
passato. Quello che aveva iscritto nella sua memoria con la
fissità
della pietra riacquistava la dimensione del reale.
Nel tavolo rozzamente accomodato fra una colonna e una nicchia, Gehn
poteva rivedere se stesso chino a lavorare su un libro.
Atrus sollevò la testa, incuriosito dal rumore improvviso
che aveva
scosso la tranquillità di K'veer e che, per assurdo,
sembrava quello
di un collegamento.
Col pennino immobile sull'ultima parola scritta, ora rovinata da una
macchia crescente d'inchiostro, guardò per lunghi attimi attraverso
Gehn, incapace di distinguere la sua sagoma rigida e severa
dall'atmosfera di una stanza che da mezzo secolo era satura del tocco
del padre.
Si sistemò gli occhiali, incerto.
La penna gli cadde di mano e rotolò giù dal libro.
Gehn assisté a quel tormento con interesse: seppe
osservandolo in
pochi gesti costretti, se mai ne aveva dubitato, che Atrus era ancora
cosa sua.
Suo figlio era inerme: una pallottola sarebbe stata il giusto
compenso per le umiliazioni che gli aveva causato. Questo gli
suggeriva l'istinto e questo era il metro che avrebbe usato per
giudicare un qualunque selvaggio, in qualunque Era. Ma suo figlio era
anche intento a praticare l'Arte seduto nel cuore di D'ni, nella casa
che era stata sua, come aveva tentato d'inculcargli anni addietro. In
allora il ragazzo era stato sordo ai suoi insegnamenti, con le
orecchie imbottite del sentimentalismo di Anna. Eppure, adulto, era
lì. E per due mani capaci ad aiutarlo nella ricostruzione,
per uno
spirito che comprendesse il peso del loro destino, molti peccati
potevano essere perdonati.
Esitò. Suo figlio era inerme e senza via d'uscita, tranne il
vicolo
cieco che era il libro descrittivo della Quinta Era. Il suo trionfo
era già compiuto: forse che l'esilio l'aveva indurito
così tanto da
non permettergli di condividerlo, magnanimo, con chi sembrava
finalmente dimostrarsene degno? Fece un passo in avanti e
incontrò
il suo sguardo perso, rassicurandolo sulla realtà della sua
presenza.
“Sono tornato a prenderti, Atrus”, lo
apostrofò. “È così che
saluti tuo padre?”
Atrus fermò la penna nel suo lento percorso verso terra, ma
nel
farlo il suo braccio tremava. Si strinse nella casacca.
“Eri atteso”, rispose. Si resse la fronte con la
mano sinistra:
gli era calato sulle spalle un peso insostenibile.
Suonava falso, poco convincente. Gehn si avvide però che non
era
tanto una menzogna – non Atrus, no, come
aveva commentato
solo un giorno prima – quanto una possibilità fra
le più remote,
accettata per scrupolo nel congegnare il suo piccolo piano ma mai
seriamente considerata. Stolto. Inesperto, fiducioso e stolto.
E, per una volta, l'altra serpe traditrice non sarebbe giunta a
coprire le evidenti falle del suo pensiero.
“Catherine?”, mormorò Atrus, come a fare
da contrappunto a
quelle riflessioni.
Gehn scosse la testa e fece qualche passo senza meta nella stanza,
come preparando un discorso grave che però non venne. Gli
avrebbe
potuto dire molto di quello che aveva visto di lei negli ultimi mesi:
mezze verità, parole scelte con cura, una prigionia
necessaria alla
luce della precarietà del suo stato.
Ma il silenzio di orrori inenarrabili era un'arma più forte
e lasciò
che lavorasse a suo vantaggio, legandolo a lui, vanificando ogni
giorno e ogni notte passati a scrivere per potersi permettere ogni
volta poco più che due o tre ore di riposo in cui sognare di
salvarla.
“Dov'è?”, chiese. Guardava lui e il
libro di Riven e un altro
diario che teneva sul banco, poi ancora Riven, ancora lui.
Era un animale in trappola. Ma perché il diario?
Gehn s'irrigidì, paonazzo in volto. Strinse le labbra in una
linea
sottile, girandosi verso il figlio senza più traccia del
compatimento che aveva inscenato fino ad attimi prima.
Diario?
“Alza le mani!”, intimò. Si
avvicinò al tavolo, imbracciò il
fucile e lo puntò.
Quello non era un diario.
“Cos'è questo?” chiese con disprezzo
prendendo con sé il libro,
la cui copertina scarna recitava semplicemente
“MYST”.
Aveva rischiato di perderli, suo figlio e un'Era preziosa. Mentre lui
si concedeva la calma del vincitore, Atrus sarebbe potuto svanire in
ogni istante su Riven col libro in mano e, da lì, collegarsi
ancora
lasciandolo cadere in acqua: la più classica delle fughe.
L'avrebbe
fatto, se non avesse avuto a cuore la moglie adorata più
della sua
stessa vita.
“Padre, devo tornare a scrivere.”
“No.”
Ritirò fra sé e sé l'aggettivo
'preziosa' mentre sfogliava il
libro di collegamento: il testo parlava di una modesta stanza in
legno, con un caminetto e nuvole affrescate a decorare il soffitto.
Dalla porta s'intravedeva un praticello, qualche pino. Aria
salmastra. Una piccola isola.
“Cos'è?”, chiese ancora.
Atrus esitò.
“Casa”, rivelò con un sospiro.
“E questo?”, ribatté Gehn irato.
“Cos'è per te questo,
allora?, disse indicando lo spazio attorno a sé col braccio
armato.
“Questa è una prigione, che tu costruisti. Quella
è casa, che
Anna creò.”
Gehn non amava sperare: le azioni di chi gli era stato vicino avevano
eroso da anni il sentimento, lasciandone solo tracce da cui si teneva
bene in guardia. Né era solito fidarsi, tranne che di se
stesso. Non
si era fatto illusioni di poter veramente parlare con Atrus, non
subito almeno, non prima di aver cancellato da quell'animo semplice
ogni sciocchezza che si portasse ancora dietro dagli anni in
superficie. Ma se la risposta era quella, no, non c'era salvezza nel
cambiamento. Solo distruzioni e rinascite.
“Era una prova, Atrus!”, disse gettando il libro
per terra, nella
polvere. Polvere e rovine, certo. Decadenza. Nessuno aveva
più
onorato quel luogo. Gehn scosse la testa. “Ti stavo mettendo
alla
prova. Come puoi pretendere di giungere alla grandezza se non
attraverso difficoltà, sacrifici? Se non agisci?”
Lo guardò
dritto negli occhi. “Non mentirmi. Non hai fatto nulla per la
Città, vero?”
Tentò di restare calmo, ma Atrus sembrava esserlo abbastanza
per
entrambi e non lasciargliene modo, immobile tranne che per le mani
alzate, che iniziavano a risentire della stanchezza. Senza tradire le
sue emozioni, sosteneva il suo sguardo da oltre uno spesso schermo di
cui gli occhiali erano solo una minima manifestazione materiale.
Provava emozioni? Tutto il suo conflitto si era
risolto in un
tremito, un'espressione smarrita, poi triste, stanca, poi
più nulla.
Restava passivo a custodire chissà cosa, dopo essere stato
sconfitto
in tutto.
“Com'è possibile? Non lo senti, Atrus?
È il tuo sangue... il tuo
nome.”
Non lo capiva, non l'aveva mai capito.
“Invece”, incalzò, “invece ti
sei rintanato in quest'isola...
questo buco senza orgoglio?”
“Si chiama Myst, padre. Ha un nome, come ogni Era ne ha uno,
scelto
dal suo popolo o risiedente in un'intima essenza che sta allo
scrittore cogliere.”
“E per questo l'hai chiamata Myst?” Diede sfogo a
una risata
amara. “Missed, perduto? Come opportunità perdute,
come il buon
senso che hai perduto che eri ancora in culla? Ho provato a credere
in te, Atrus, ad andare oltre le parole grevi con cui ci salutammo.
Cosa pensi che mi trattenga il dito sul grilletto? Mi hai fatto
perdere trent'anni. Trent'anni di stenti, passati giocando a fare il
dio minore. Eppure vivi. Perché sei mio figlio, e il sangue
lega te,
me e il ricordo di tua madre più di quanto ti abbia mai
unito a
quell'esterna. Ma posso ancora ripudiarti.”
“L'hai già fatto, padre. Due volte.”
Avrebbe voluto farlo ancora, di fronte a quell'insolenza. Cosa doveva
fare di quel figlio emotivamente storpio, senz'altre aspirazioni
fuorché dare vita artificiale ad un'Era morta?
Alzò nuovamente il fucile e si appoggiò sul
tavolo, premendogli la
baionetta alla gola fino a ferirlo. Atrus si ritrasse, ma Gehn
incalzò e gli parve di sentire il battito accelerato del suo
cuore
trasmettersi attraverso la canna metallica.
“Dimmi, Atrus. Non hai ambizione. Non hai aiutato la
ricostruzione.
Non hai... Cosa hai fatto nella tua vita? Cosa fai qui?”
Atrus deglutì e chiuse gli occhi per il dolore.
“Ho osservato un cielo grigio”, rispose dopo aver
riflettuto. “Ho
imparato a distinguere le sue nuvole e a dare loro nomi. Ho ammirato
tutte le sue tonalità, più di quante immaginassi,
e quando infine è
tornato azzurro ho festeggiato sul tetto di una fortezza che aveva
perso il suo scopo. Ho studiato le stelle del cielo sopra Myst e le
ho radunate in costellazioni: riconosco l'occhio, il serpente, la
freccia, l'ancora... Ho camminato sul mare circondato da un tappeto
di foglie. Ho scritto un galeone, ma ho visto che è meglio
costruirlo con assi e pece. Ho vissuto, padre, sotto molti
soli.”
“E poi?”
“E poi l'ho condiviso e mi è stata donata
saggezza.”
“E poi? Rispondi, quando ti viene posta una
domanda.”
Atrus cercò con lo sguardo il libro di Myst.
“E poi”, disse, facendosi piccolo e sconfitto,
“poi ho commesso
un errore.”
E infine era lì, solo, prigioniero, umano nei suoi rimorsi e
nella
sua paura, e Gehn credette di capirlo e compatirlo.
“Due”, si corresse, ma non tradì altro.
“E ora, se vuoi
scusarmi, devo tornare a scrivere.”
Premette dolcemente la mano sulla canna del fucile.
Lo sparò riecheggiò per sale e corridoi franati
fino a disperdersi
nella calma accogliente del lago.
Gehn osservò la scena come se stesse accadendo a qualcun
altro, in
un altro tempo, in un'altra Era.
Era sereno e deluso.
Sereno perché infine lo sentiva. Il silenzio di D'ni, la sua
profondità benedetta, al cuore dei mondi; promesse,
aspettative e
segreti. Era quello il ritorno che aveva atteso e lo sentiva sulla
pelle, un sentimento già forte acuito dalla lunga cerca.
Deluso da se stesso. Aveva sempre saputo che l'unica persona degna di
fiducia si era consumata sotto i suoi occhi cinquant'anni prima, in
un torrido buco nel terreno. O vent'anni prima ancora, come un eroe
ma senza salutarlo, senza un ultimo abbraccio al figlio che stava
lasciando solo, e quel nome proprio non poteva andare perso...
così,
nel profondo, al di là della ragione, aveva sperato un poco.
Si chinò sul corpo riverso, studiandolo, cercando di capire
allora
quello che non aveva compreso quand'era in vita.
Voleva solo essere orgoglioso di suo figlio.
Sfogliò il libro descrittivo della Quinta Era fino a tornare
all'inizio di tutto, alla pagina dell'immagine porta, e vi
appoggiò
la mano di Atrus senza distogliere lo sguardo finché non fu
svanito.
Cos'altro avrebbe dovuto fare? Forse nulla. Forse la Storia voleva
che tagliasse del tutto i legami col passato prima di donare un vero
nuovo inizio alla sua civiltà.
In pace, sentendo gli echi di quella stessa Storia sussurrare
nell'immobilità di K'veer, si sedette al suo posto con
lentezza
rituale, raccolse la penna e la intinse nel calamaio.
Era tornato a casa.
***
In quel momento, Riven: Catherine si alzò dal giaciglio
della sua
prigione. Silenziosa e compunta, quasi temesse di disturbare il legno
su cui poggiava i piedi, si vestì e si affacciò
sul camminatoio che
dava sul mare. Aprì le braccia e tenne alta la testa,
fissando
l'orizzonte: avrebbe assistito il suo mondo morente fino all'ultimo
respiro.
Nuoteremo fra
le stelle, amore mio,
disse
ancora salda e immobile al vento nero quando sentì la terra
aprirsi
sotto di lei.
*
In quel momento, 233: il suo cuore impazzito sovrastò il
boato del
collegamento. Con i nervi tesi, si preparò ad accettare la
proposta
di Gehn.
E la prima
persona sarebbe rilasciata nel mondo,
recitava il diario: il libro era una trappola pensata per un solo
uomo. Aveva letto quella pagina fino ad averne nausea prima di
trovare il coraggio di tornare. Ebbene. Era lì.
Ma lo studio era vuoto.
Si cullò nell'osservazione di quello spazio intimo e rosso
mentre la
sua mente si arrovellava sul nuovo enigma e non capiva, non capiva,
non capiva.
Quando tornò su Riven l'aria era scura e densa e l'isola
irriconoscibile, piagata da una ragnatela di nuove ferite
incandescenti. Con gli occhi arrossati e fissi sulla devastazione
causata dal suo fallimento, che ancora non comprendeva, non
cercò
scampo dal miasma.
*
Cinquemila anni prima, Windring: nel centoventiseiesimo giorno
l'Osservatore si preparò al riposo, poiché
l'opera era terminata ed
ogni sua riga era bella e giusta e piena di speranza . Ma giunse
allora al suo orecchio una voce immensamente triste che gli chiese di
tornare ad impugnare la penna, perché delle correzioni erano
diventate necessarie, e per cinque giorni egli cancellò e
trascrisse
seguendo l'altrui sapienza, che trascendeva il tempo e le Ere. Nel
centotrentunesimo giorno dacché aveva riacquistato la vista
il
lavoro fu compiuto e l'Osservatore, stanco, lesse per la prima volta
nella loro interezza le parole trasmessegli dal Creatore. E il suo
cuore divenne pietra.
Cosa crescerà?
L'albero con
rami di orgoglio.
Chi lo farà
crescere?
Il
ricostruttore.
Un
ricostruttore che rifiuterà il dolore.
Un
ricostruttore che terminerà l'esilio.
Un
ricostruttore che si volgerà al passato.
Un
ricostruttore che seccherà le radici.
Un
ricostruttore che restaurerà i primi.
Un nuovo uno
regna.
Per dominarli;
Per svuotarli;
In solitudine.
...sì, mi sento un verme ignobile. Appronterò al
più presto un cartello con su scritto "Kick me". Nel mentre,
nerdaggine & credits:
@ introduzione alla raccolta: la faccenda del simbolo di negazione
non è 'wingrovismo', ve'? *guarda santino di RAWA con
occhioni
supplicanti*
@ titolo: indifferenza formale di Atrus, indifferenza emotiva di
Gehn, 'nella differenza' fra i due.
@ fanfic: la pianificazione è stata un amore. Cinque punti
di
scaletta tematica da sviluppare in dialogo sarebbero semplici, non
fosse che metà delle parti in causa aderisce strettamente
all'approccio 'shoot first, ask later' e l'altra si appella al quinto
emendamento, già che siamo negli USA... o sotto gli USA...
whatever.
u_u 'na meraviglia proprio.
Alla fine non sono riuscita né a ridare il Gehn che volevo
(cioè la
meraviglia trasmessaci dal signor Keston <3) né
l'Atrus che
volevo (*glomp*)... non credo (spero...) sia una questione di OOC
quanto di situazione in cui li ho piazzati. Gehn in quella posizione
lì si rifà infatti più al Gehn del
libro; Atrus può fare proprio
pochino. Per vendicare la scintillante caratterizzazione del secondo
mi sto già attrezzando; per il primo non ho idee, ma la BDT
è
lunga!
@ implicazioni dell'introduzione alla raccolta che cozzano con le
implicazioni della parte finale: in realtà l'intro
è così solo
perché suona bene, so che cozza con le basi esplicite della
serie
fin dal più tenero 1997. Mi sembra che la parte finale
invece salvi
benino il tema di profezie + libero arbitrio... e la presenza dei
finali multipli.
@ mare rosso cupo: this.
@ Gehn che esita: lo so che nel finale negativo
#5468ter
gli spara a vista, come fa in più o meno tutti i finali con
più o
meno qualunque bersaglio abbia a tiro. Un campioncino a Duck Hunt,
quell'uomo. Ma la sua 'magnanimità selettiva', passatemi la
definizione, nei confronti dei Rivenesi (case in point: 234th)
mi fa pensare che si compiaccia nel dimostrare la sua divina
benevolenza, quando può. Cioè, insomma, il Gehn
col fuoco sotto le
chiappe è molto diverso dal Gehn che può
permettersi di prendere le
cose con calma.
Inoltre, se avesse sparato a vista la fanfic dove sarebbe andata a
finire, eh? EH?
Credo che il 'parto armato perché sai mai'
possa essere
applicabile al gioco stesso, anche a parte le necessità di
sceneggiatura qui: Gehn esce pure di casa armato, non so se mi
spiego... 233rd! Piena così di
pericoli... soprattutto il
sabato sera...
@ rimembranze: Mechanical (quant'è bello quel diario?
ç_ç), Myst,
Channelwood, Stoneship. I due errori da non tradire sono l'unica cosa
che lo sa buttar giù così: i figli. E guai se
Gehn li avesse
scoperti!
@ emotivamente storpio: emotionally crippled, of course: 'invalido'
mi sembrava un termine troppo moderno. Diversamente emotivo,
asd. Si vede che qui c'è uno Straniero generico anche
perché la
mia, dopo aver letto un insulto del genere, appena
incontrato
Gehn l'avrebbe steso con un montante attraverso le sbarre. Non
s'insulta Atrus in sua presenza e nemmeno in sua assenza. u_u Questo
vale anche per te, Achenar, ha occhi ovunque, Haven
inclusa
è_é
@
nuotare fra le stelle: Book of Atrus. Riprende
uno dei
suoi primi momenti dolci con Atrus, quello sul pianetino di Mario
Galaxy, ripreso poi al confronto alla Fessura.
"Did you ever
wonder what it would be like to go swimming among the stars?",
chiede Catherine ridendo a un attonito Atrus che sta ancora cercano
di mettere insieme come quella roba lì possa
esistere
(evidentemente non aveva giocato a Mario Galaxy). "If it is my
dream, we could fall into the night and be cradled by the stars and
still return to the place where we began." *sniff*
@ assenza di declinazioni: l'ho fatto di nuovo. Mi odio, è
la morte
civile e sintattica. Ma quando non è protagonista voglio che
rimanga
il più possibile neutro.
@ Windring: ...o Rolep? Ma con 'as I waited near the cavern of Rolep'
ho inteso che ci fosse una caverna chiamata Rolep nell'Era di
Windring citata nella pagina prima. O su D'ni nel posto dove sta
l'Albero, se poi è la prima cosa che vede... o quello
è metaforico?
X_x Beh insomma, delle tre l'una, resti valido il concetto. '_'
@ violenza fatta a Words: 'Ricostruttore' as in
'Rebuilder of
pride', come lo definisce Yeesha. E anche come differenza fra restore
e rebuild nel senso inteso da Phil. Fra me e me la traduco come
ristorare VS restaurare, ma restauratore suonava buffo. In originale:
What will grow?
The tree of all things.
Who will grow it?
The grower.
[...]
A grower to learn of the death.
A
grower to see new life.
A grower to bring the gathered.
A
grower to restore the least.
A grower to move through time.
A
grower to link at will.
A grower to follow the shell.
A grower
to banish the darkness.
A grower to graft the branches.
A
grower to join the paths.
[...]
A new one reigns.
To send
them away;
to push away;
to divide.
[...]
A new one
reigns.
To send them away to what is good;
To return them to
what is right;
To unite them to what is true.
...amen. Torno ai miei tiny enemy quabs.
|
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Capitolo 2 *** Vacuo in blu ***
Ehm, rieccomi sulla raccolta, dopo
giusto quell'anno o due... come cianciavo EONI FA
nell'introduzione alla serie, qui siamo nel primo negativo di Riven,
con Gehn intrappolato e Catherine non liberata al momento di aprire
la Fessura. Tanto il primo finale negativo di Myst mi fa rotolare
dalle risate e non riesco a prenderlo sul serio per più di
trenta
secondi consecutivi, tanto il primo negativo di Riven mi affascina e
questa fanfic potrebbe non essere l'ultima cosa che scrivo ambientata
in quella timeline.
O su Tay!
Vacuo in blu
La mia fine è un punto di luce fioca e
calda in un'Era blu. È una stanza carica di oggetti
familiari, molti
dei quali ricordo dall'infanzia, mentre dal corridoio riecheggiano
scoppi di risa e della lingua che mi ha cresciuta e torna a
commuovermi con i suoi suoni aspri. Le geometrie tonde, le ceramiche,
i muri sabbiosi narrano di casa mentre il cielo al di fuori, brumoso
e freddo, cala una coltre di pace.
Perché non riesco a esserne felice?
~/~
L'ultima immagine che ho del mio mondo
è un cammino uniforme di distruzione. Trent'anni fa ho
potuto
abbandonare Riven con l'unica consolazione di saperla viva, pur sotto
il dominio di Gehn, e l'eco dei suoi colori vibranti mi ha sorretta
da allora; sotto i miei passi recenti invece la terra si crepa e mi
lacera. L'ho visto accadere con i miei occhi, l'ho sentito nell'aria
dalla finestra della prigione costruita sulle rovine dell'Albero
–
l'altro albero, l'altra prigione,
non questa che ho
scritto con le mie mani. Ho visto Riven morire e fermarsi a un
battito dalla distruzione totale, sospesa su un filo – su una
riga
d'inchiostro? – per permettere a Eti di scardinare la porta
della
mia cella e portarmi in salvo. Se solo avesse potuto chiudermi gli
occhi mentre mi scortava al villaggio. Chiudermi il cuore. Questa
distruzione entra sotto la pelle.
Ho dovuto parlare di fronte alla mia
gente riunita, ma erano parole vuote. Parlava Katran, la dea, che si
era dimostrata superiore a un altro dio tiranno e conduceva l'intero
villaggio verso la salvezza di un mondo sicuro. Io restavo in
disparte. La terra tremava.
~/~
Una frattura attraversa i miei sogni,
come se la vera realtà fosse rimasta separata da una cortina
e mi
trovassi in un nulla confuso, ovattato e prima di tutto sbagliato. So
che è anche la Fessura, lo squarcio fra
i mondi, e che la
linfa di Riven cola nelle sue profondità. Il mio sangue
pulsa nelle
tempie e frantuma i pensieri – a volte sento che, se
riuscissi a
svuotarmi del tutto, colerei anch'io oltre le sue labbra fino a
disperdermi in un campo di stelle e il dolore finirebbe in
quell'immensità. Sarei parte di tutti i mondi e tutte le
storie e un
frammento di me potrebbe discendere a posarsi con fermezza sulla mano
di Atrus e scostarla dalla pagina scritta. Non posso pensare che
tutto sia perduto.
Posso ammetterlo, ora che non corre
pericolo? Mi manca. Scrivo in inglese per non dimenticare. Il ricordo
vacilla come una fiamma, vorrei poter
Ho dei doveri. Resto. Eti è vicina.
Parlo con lei di perdite e riunioni.
Prende una mano fra le sue, circondandola, proteggendola. Mi rivolge
un sorriso tenue.
Parlo con lei del vuoto che mi divora.
Mi rivolge lo stesso sorriso, tinto da una nota leggera di timore, e
dice che il tempo lenisce le ferite. Che ho perso molto, che
passerà.
Eti, mi sto perdendo. Taccio.
~/~
I lavori di
scavo nella nuova ala sono quasi finiti ma, per mia fortuna,
riordinare richiede più tempo e non è difficile
trovare una stanza
silenziosa che dia sull'esterno e che, in mezzo alle masserizie,
nasconda una scrivania. Accatasto ai suoi margini fogli e scatole e
vi libero uno spazio che per il momento chiamo mio, illuminato da una
lampada a olio e da una finestrella di cielo.
Se ripenso
all'anno passato (e non è qualcosa che vorrei fare, ma lo
definirei
una necessità), mi convinco sempre più di aver
sentito fin da
principio una forza contrastare il disgregarsi di Riven. La mia testa
era occupata da mille altri pensieri, allora, ma poter covare in
fondo a tutti la certezza che lui stesse bene e vegliasse su
quell'Era a me cara mi dava coraggio, nonostante tutto. Ora, pensarlo
chino su un Libro vuoto mi lacera. So, perché lo conosco,
che non
smetterà finché riuscirà a tenere gli
occhi aperti – è quello
che amo in lui. Ma non può sapere di questo rifugio.
Più di ogni
altro dolore, in questi tempi in cui ogni passo recide un ponte alle
mie spalle, mi strazia la consapevolezza che si stia sacrificando per
salvare un'Era abbandonata, quando tutte le persone verso cui sente
una responsabilità sono da tempo al sicuro sotto questo
nostro nuovo
cielo.
Stanno sorgendo
le stelle. Cerco di vedere al di là, ma l'azzurro della sera
è
offuscato.
C'è un vetro
doppio a separarci, che non dovrebbe essere sufficiente a impedirmi
di battervi con tutta la forza che mi rimane in corpo e far sentire i
miei colpi che ti implorano di smettere, se non fossero in
realtà
due universi a separarci. Credo che sia troppo anche per me.
Atrus, non
devi salvarmi.
~/~
Abbiamo
sbagliato tutto. I nostri figli...
non riesco a
scrivere i loro nomi
Ho pianto, nel
distruggere l'ultimo Libro di Collegamento per Riven, ma a quel gesto
terribile si è accompagnato un senso di completezza, come
una
coperta che si distendesse infine sulle incertezze degli anni
passati.
Altre ferite
restano aperte e mi consumano. Non so quanto di solido resti ancora
in me.
~/~
Il primo rumore di cui ho
avuto coscienza oggi è stato lo sciabordio delle onde. Ma il
blu
denso che lo accompagnava non era lo stesso di casa: mi trovavo
accucciata sulla riva di un lago sconosciuto, lontano dall'albero che
è la nostra nuova casa.
Non ho memoria di aver
camminato fino a lì.
È stata Nelah a tracciare
i miei passi e, raggiuntami sul promontorio, mi ha avvolta in una
coperta ruvida che graffiava quanto tutte le parole che non mi stava
rivolgendo. Altri soccorritori l'hanno seguita e suppongo di dover
essere loro grata, ma confondendomi nelle rive di quel lago avevo
trovato, per una notte, un'oncia di completezza.
E ora si alternano veglie
di fronte alla porta della mia stanza. Mai nessuno che entri e mi
parli.
~/~
Nei miei sogni
trovo solo il vuoto di una voragine di stelle. Ha perso ogni calore.
~/~
Oggi è calata
la nebbia. Seduta sulle radici più basse del nuovo albero,
sfiorando
l'acqua con la punta delle dita, ho guardato il mondo al di fuori
confondersi: gli strapiombi di roccia perdevano i loro confini,
diventando tutt'uno con il cielo al di sopra e la superficie del
lago, mentre le finestrelle sopra la mia testa si facevano lumi
indistinti, da fiaba, in una coltre blu.
Ho lasciato che
la foschia mi riempisse. Ogni chiarezza è perduta.
Ma ho colto lo sguardo di
Eti mentre rientravo: ha dato addio alla Katran che conosceva e che
ai suoi occhi sta smettendo di comportarsi come una donna di carne e
sangue per diventare... un fantasma? La divinità che i miei
Moiety
ancora pregano? Non ha importanza. Sono nata sola fra questa gente.
Tornerò sola.
~/~
Dormiamo, amore mio.
~/~
Li vedo uniti sotto un cielo libero.
Nessun prezzo è troppo alto per quella felicità,
sono fiera di
loro. Solo, sono
Non sono Katran né mai più Catherine,
sono
Il tempo lenisce le ferite, diceva Eti.
Il tempo ricopre e forma.
Ho chiesto a mio padre di darmi un
nome. Un punto fermo che mi ha bisbigliato nell'orecchio e ha
risuonato nel vuoto. Oggi sono...
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Capitolo 3 *** Nessuna uscita fuorché sotto le tue mani ***
IL DIALOGO, BUON UOMO. IL DIALOGO.
“Attesa” @COW-T, terza settimana,
nonché la spiegazione spiegata del motivo per cui, col senno
di poi,
ritengo ridicolo il finale melodrammatico emo
negativo senza la
pagina bianca.
Nessuna uscita fuorché sotto le tue
mani
Scrive. Scrivo pur'io, finché non
terminerò le pagine di questo taccuino.
Non ho ancora trovato il coraggio di
porgergli le mie scuse: mi dico che ormai non fa differenza che
spieghi o meno come fu un gesto sciocco e liberatorio, quel mio
toccare il libro dopo che l'ebbi sentito parlare. Ero solo sollevata
e lo consideravo la cosa più preziosa che avessi trovato
sull'isola,
così accadde che, nel gesticolare... Non fa più
differenza quanto
rivanghi l'errore, ma il mio tacere resta un atto di codardia. Mi
dico che tacendo non lo disturbo, ma la verità resta meno
nobile.
La stanza in cui siamo reclusi è alta
e buia, con un soffitto che va perdendosi nella roccia viva di una
caverna. Non ci troviamo sull'isola di Myst – tanto almeno ho
imparato – e mi sorprendo spesso a chiedermi che genere di
mondo
circondi questa prigione. Alle risposte cui non so giungere
provvedono i miei sogni.
Una serie di lampade delimita oasi di
luce in quest'antro, ravvivando il rosso di ogni serie di colonne e i
gradini che le dividono. Ciononostante, capita di rado che io mi
allontani dalla pila di detriti che gli fa da scrittoio: la luce
aggiunta della sua lampada da tavolo è rassicurante e,
più ancora,
la Sua stessa presenza è l'unico sostegno che mi abbia
ancora
permesso di conservare il senno.
Vorrei, solo, poterlo chiamare amico,
come fece quando si rivolse a me la prima volta. Temo di averne perso
il diritto. È gentile quando mi si rivolge –
giungo a dubitare che
sia capace del contrario – ma la delusione che gli ho causato
è
troppo grande. Resta
curvo e
fragile sul suo tomo, un pallido ricordo dell'uomo che doveva essere
prima della reclusione, e tutto quel che ho fatto è stato
privarlo
dell'unica speranza di tornare a casa. Continua a scrivere. Lo vedo
nutrire le pagine di una devozione incessante che mi spaventa. Dice
di essere intrappolato da mesi e mi trovo incapace di immaginare una
concentrazione sì duratura. Lo consuma.
Dal canto mio, attendo. Sembrerà
sciocco, ma non voglio accettare del tutto l'idea che un singolo
errore (un atto di gioia! Una carezza a quel maledetto libro!) ci
condanni entrambi senza possibilità di redenzione. Dopo le
meraviglie che ho vissuto, devo forse credere che non esista uscita?
Mantengo viva la speranza, se lui sembra averla abbandonata del
tutto.
Non è un'attesa passiva. Ricordo
distintamente ogni momento di risoluzione, da quando sono giunta su
Myst fino allo strisciare dentro al caminetto. Ricordo che
l'impressione era quella di un'idea perfettamente formata che
dall'alto mi aprisse la testa e vi entrasse, e si può dire
che sia
questo l'attimo che aspetto, ma la realtà era fatta di
piccoli
indizi che andavano a sommarsi fino a quell'unica combinazione
plausibile. Così, da due giorni, osservo.
Mi ha sconsigliato di perdere tempo con
porte: le ha già forzate trentatré anni addietro,
senza trarne
benefici. Dev'essere stato poco più che un bambino, in
allora, e
nell'immaginarlo il mistero delle origini di questa prigione
s'infittisce, ma ogni domanda sul suo passato mi muore in gola quando
alzo lo sguardo a incontrare quello di un uomo sconfitto.
“Troveremo un'uscita”, gli dico a
volte. Annuisce triste, ma non mi crede.
“Che cos'è quello?”
Sono ben strane conversazioni, queste
che intratteniamo. Dilatate. Minuti interi di silenzio fra una frase
e l'altra, giacché tutto passa per la scrittura cui
è incatenato e
di cui non riesco a desumere il motivo. Se solo sapessi___
Ecco, pochi istanti fa mi ha risposto.
Ma quel che offre è solo una domanda improvvisa, come
pescata
dall'aria: “Dove hai trovato la via per Myst?”
Mi ha dedicato d'un tratto l'attenzione
più assoluta. Cosa l'abbia portato a una tale sequenza di
pensieri,
però, mi resta ignoto. Che speri che qualcun altro trovi il
Libro e
sia meno stolto? Ah, ma i fratelli sono quasi liberi: se
così è, ci
resta da confidare in un giudizio ben fine.
Per terra, gli dico, vicino al campo
dove conducevamo degli scavi. Ma il libro già reclama le sue
cure.
Non passa molto prima che ceda alla
stanchezza e crolli sulle braccia conserte, trovando appena la forza
di levarsi gli occhiali dal naso. Chiede di non lasciarlo dormire
più
di un'ora: che almeno sia un buon riposo, mi dico, così mi
alzo ad
accostargli sulle spalle la coperta ripiegata sul vicino scaffale.
L'hanno mai fatto, i suoi figli? Sento un impulso a proteggere
quest'uomo riservato, tanto indeciso nel parlare quanto garbato in
punta di penna.
“Raccontami di casa”, chiede con
gli occhi già chiusi, strascicando le parole. Casa sua,
Myst? No, la
mia. E potrei fargli mille nomi, quello della patria lontana, poi il
viaggio, Nueva
España, i compagni, i viaggi, le ricerche, ma temo che non
direbbero
nulla a un alieno,
di un altro mondo. Così gli parlo del deserto che sento
essere la
mia vera casa e, se i suoi mondi hanno mai contemplato anche un solo
deserto, capirà perché. Gli parlo della linea
azzurra delle
montagne e dei dipinti di crepe sul terreno, del vulcano che domina
sul paesaggio piatto, punteggiato da arbusti, e dei fiori effimeri
sorti la mattina dopo l'unico temporale che io abbia visto graziare
quella terra assetata.
Non so
cosa ho toccato con il mio racconto, ma nel dormiveglia ha accennato
un sorriso.
Ho svegliato un uomo nuovo, pare.
Ancora non si confida, ma ha scoperto
in sé una forza nascosta. Chiedo se c'è un'uscita
(mi chiedo cosa
l'abbia portata, se non il mio racconto e, se sì, in quale
imperscrutabile modo, ma non oso ancora valicare il suo riserbo).
Annuisce.
“Un tempo”, dice, ponderando ogni
parola fra un guizzo d'inchiostro e il successivo, “solevo
dire che
la fine non è ancora stata scritta.”
Sento un peso scivolare dal cuore. Mi
rimetto al suo inaspettato ottimismo e attendo.
Solo: chiedo conferma delle mie
speranze. Quello che sta scrivendo
“È un Libro. E, nel Libro, una
voragine di stelle...”
...e oltre le stelle, casa. Senza il
Libro di Myst, imho Riven può accadere uguale con l'unica
differenza
che, alla fine, si buttano tutti e tre giù per la Star
Fissure.
Arrivano nella Cleft con un dieci anni di anticipo, Myst ancora
raggiungibile (il Libro è lì nel deserto da
qualche parte) e
D'ni... pure, se Atrus si ricorda la strada. A smenarci probabilmente
è solo Saavedro, che alla fine s'è salvato per
una certa serie di
coincidenze. E Chroma'agana non verrà mai scritta, ma dubito
che
all'Era freghi molto. Gli altri avvenimenti importanti dovrebbero
poter proseguire con aggiustamenti minimali...
“Siamo rinchiusi qui per
seeeeeempreeeeeeeeee!!!11!”, sì Atrus, certo
Atrus. Hai un Libro
di Collegamento in mano, Atrus.
E io scriverei di scene a K'veer in cui
lui e la mia Straniera scoprono di venire dallo stesso mondo da qui a
fine tabella.
Note:
@ titolo:
“Nessuna uscita fuorché sotto le tue mani, imbecille”,
a dirla tutta. Sotto le sue mani chiaramente c'è il Libro di
Riven.
@ bad ending
ottenuto per caso: la mia Straniera non è cretina, se l'uomo
dice
“porta la pagina bianca o gtfo” lei porta la pagina
bianca o gtfo
fino a nuovo ordine. Ma è anche una gran smanacciona. Mi
sembra
l'unico modo plausibile per farla finire a K'veer senza pagina...
@ senso dello
scambio “Cos'è quello” / “Dove
hai trovato la via per Myst”:
il passaggio mentale di Atrus è stata la Star Fissure.
Più in
dettaglio, qualcosa come: “Cos'è questo? Che
domande idiote, è un
Libro di Collegament... oh wait. Bah, ma è un Libro di
Collegamento
inutile, porta a un'Era prigione in dissoluzione: rimarremmo sempre
senza una via d'uscita. Ah no, c'è la Star Fissure. Che
però non so
dove porti. Ma c'è finito dentro il mio Libro di Myst ed
è sbucato
in qualunque Era abbia dato i natali a 'sta tizia, quindi porta in un
posto abitabile e abitato. Tizia, dove hai trovato il mio
libro?”
Solo dopo approfondisce la domanda chiedendole di casa. Qualunque
mondo lei avesse descritto avrebbe costituito comunque una via
d'uscita e un modo per tornare a Myst... ovviamente il fatto che sia
la Terra facilita molto la questione!
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