Dolce e delicata come il miele

di irene862
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Capitolo ***
Capitolo 2: *** II Capitolo ***
Capitolo 3: *** IIIcapitolo ***
Capitolo 4: *** IV Capitolo ***
Capitolo 5: *** V e VI capitolo ***
Capitolo 6: *** VII Capitolo ***
Capitolo 7: *** VIII Capitolo ***
Capitolo 8: *** IX Capitolo ***
Capitolo 9: *** X Capitolo ***
Capitolo 10: *** XI Capitolo ***
Capitolo 11: *** XII Capitolo ***
Capitolo 12: *** XIII Capitolo ***
Capitolo 13: *** XIV capitolo ***
Capitolo 14: *** XV Capitolo ***
Capitolo 15: *** XVI Capitolo ***
Capitolo 16: *** XVII Capitolo ***
Capitolo 17: *** XVIII capitolo ***
Capitolo 18: *** XIX Capitolo ***
Capitolo 19: *** XX Capitolo ***
Capitolo 20: *** XXI Capitolo ***
Capitolo 21: *** Red Line ***
Capitolo 22: *** XXII CAPITOLO ***
Capitolo 23: *** XXIII Capitolo ***
Capitolo 24: *** XXIV Capitolo ***
Capitolo 25: *** XXV Capitolo ***
Capitolo 26: *** XXVI Capitolo ***
Capitolo 27: *** XXVII Capitolo - prima parte ***
Capitolo 28: *** XXVII capitolo - seconda parte ***
Capitolo 29: *** XXVIII Capitolo - prima parte ***
Capitolo 30: *** XXVIII Capitolo - seconda parte ***
Capitolo 31: *** XXIX Capitolo ***
Capitolo 32: *** XXX Capitolo ***
Capitolo 33: *** XXXI Capitolo ***
Capitolo 34: *** XXXII Capitolo (prima parte) ***
Capitolo 35: *** XXXII Capitolo (seconda parte) ***
Capitolo 36: *** XXXIII Capitolo ***
Capitolo 37: *** XXXIV Capitolo ***
Capitolo 38: *** XXXV Capitolo ***
Capitolo 39: *** XXXVI Capitolo ***
Capitolo 40: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** I Capitolo ***


Cap. 1

Dolce e delicata come il miele

 

 

I Capitolo

 

 

 

 

Refoli di nebbia velano l’orizzonte mentre una cortina di spettrale pallore avvolge ogni cosa, persino la luce. Le fronde degli alberi frusciano leggere riproducendo quasi esattamente il suono di dolci sospiri.

E’ notte inoltrata, fa freddo perché ottobre ormai è alle porte, mentre passeggio fuori in giardino.

Sollevo lo sguardo da terra e rimango incantata. Il cielo è una distesa di blu chiazzato di piccole lucciole dorate. La terra è scura ma l’erba fresca, di un verde foresta, assomiglia ad un folto e morbido tappeto. L’aria, satura di magia ed elettricità, tende le sue fragili braccia incorporee e stringe a se ogni cosa.

La notte stellata di Vincent Van Gogh.

Sembra d’osservare una distesa di colori che una mano sapiente ha miscelato insieme. Il verde scuro dei prati, il delicato chiarore delle stelle, il blu della notte si mischiano assieme.

Poi, d’improvviso, calde braccia mi avvolgono stretta ed il suo respiro caldo mi arriva come un soffio sul collo. Sorrido e mi stringo a lui. Il profumo della sua pelle mi circonda subito e completamente.

 “Hey ” sussurra al mio orecchio

“Ciao” risposi sorridendo

“Cosa fai?” domanda a bassa voce

“Niente in realtà … stavo solo godendomi la luna”

La sua sola presenza ha da sempre il potere di far perdere il filo ai miei pensieri. Lui è questo. Serenità e dolcezza. Desiderio e passione. Ho compreso l’amore grazie a lui ed ora non posso farne a meno.

 “Sai, proprio ieri pensavo a come è iniziato tutto“ sussurro voltandomi verso di lui

“Parli di noi?”

Annuisco per timore di rompere questa strana e calda elettricità che ci avvolge.

Il vento spira bramoso, come a voler ascoltare le nostre parole per poi portarle lontano. Mi frusta il viso. E’ freddo ma non fastidioso. Ho sempre amato il vento, le sue carezze, il suo alito fresco e vagabondo.

Siamo uno di fronte all’altro e le sue braccia mi avvolgono di nuovo, più stretta come a volermi proteggere dalle carezze fredde del vento. Toccarmi, accarezzarmi, sfiorarmi sembra quasi un bisogno per lui. Deve farlo. E’ strano ma avermi vicino sembra rasserenarlo, in qualche modo. Siamo indispensabili l’uno per l’altro.

“Hai freddo? Vuoi rientrare?”

Scuoto la testa in un diniego. Ormai sono abituata a questo clima, più freddo di quello mediterraneo in Italia.

 “Ripensandoci ora, mi viene da ridere. Come eravamo sciocchi. Tutto quello che abbiamo passato, tutte le persone incontrate e conosciute, tutti i sorrisi e le lacrime. Tutti i malintesi, i tuoi dispetti e quelle assurde discussioni”

Le sue dita mi accarezzano amorevoli i capelli sfiorandomi delicate il viso

“Il passato mi abbia aiutato ad apprezzare il presente. A non dare mai niente per scontato.”

Con la punta del naso comincia ad accarezzarmi la guancia, l’arco della mascella per poi scendere sul collo. Le sue dita s’intrecciano e accarezzano i miei capelli, ormai lunghi fino alla vita.

“E a che conclusione sei arrivata?” domanda senza distogliere lo sguardo dal mio, né smettendo di accarezzarmi

“Al fatto che ti amo e che non potrei vivere senza di te. Ora lo so” rispondo sospirando felice

Le sue calde labbra sfiorano delicate le mie, fredde.

Un bacio. Un tocco che ha il potere di accendermi. Sempre.

 

 

Sorrido riflettendo sul fatto che non avrei mai pensato di incontrarlo, di innamorarmi, di viverlo. Eppure ora sono qui avvinghiata a lui, col suo sguardo incatenato al mio e con la precisa consapevolezza di non voler essere altrove.

Ora lo so, il passato è passato.

Ora vivo il presente senza sprecare tempo ed energie angosciandomi per il futuro.

Il mio futuro è lui. Siamo noi, insieme.

 

 

 

 

 

All’inizio se me lo avessero raccontato non ci avrei creduto.

Io e lei. Insieme.

Innamorati e felici. No, decisamente non ci avrei creduto.

Ma tutte le storie hanno un inizio e … questa è la nostra!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

***

 

 

“Buuuhhh! “

Mi portai una mano sul cuore spaventata.

Il solito vecchio scherzo idiota. Si divertiva da sempre a farmi spaventare. Lo trovava uno spassoso passatempo.

 “Buon pomeriggio, Soph” mi salutò mio fratello con sorrisino beffardo sulla faccia

“John, ti detesto quando fai così!” singhiozzai in risposta riprendendomi dallo spavento.

“Scusa ma non ho potuto evitarlo. Eri così concentrata che non ho resistito”

Era completamente a suo agio e per nulla preoccupato dello stato in cui versavo dopo la sua idiozia.

“E’ sempre uno spasso farti spaventare!” aggiunse

“Non vedo dove sia il divertimento, John! Prima o poi morirò di infarto e la colpa sarà solo tua!” risposi piccata e senza degnarlo ulteriormente della mia attenzione, tornai al mio disegno mentre lui entrava in casa sghignazzando.                                

Mio fratello, John.

Il tipico ragazzo sicuro di sé, allegro, divertente, belloccio ma estremamente infantile. Si divertiva così pur essendo alla soglia dei trent’anni. Corti capelli castano, grandi occhi azzurri e un sorriso seducente, di cui si serviva per affascinare ignare donzelle.

Chissà quando raggiungerà la maturità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Qualche ora dopo, guidata da un profumino invitante rientrai in casa. In cucina trovai mia madre intenta a preparare uno dei suoi speciali manicaretti. Mia madre, Annalisa, o Lisa come la chiamano tutti, è un asso ai fornelli.

Fisicamente piuttosto minuta, snella, capelli scuri che porta perennemente cortissimi e con occhi azzurro cielo. Un piccolo concentrato di energia e dolcezza.  Il giardinaggio e la cucina sono la sua passione. Estremamente aggraziata, con un carattere molto solare e socievole, esattamente come John.

Io, al contrario, amo la solitudine, sono timida e faccio fatica a socializzare. Ho pochi amici, Ilaria e Luca sono i migliori e più fidati.                                                          

Mio padre è morto quando ero molto piccola e mia madre ha cresciuto me e mio fratello da sola. Dicono che somiglio moltissimo a lui, a Paul, mio padre. Non solo a livello fisico ma soprattutto caratterialmente. L’amore per il disegno e la riservatezza credo di averli ereditati da lui.

Adoro passare il mio tempo in giardino o in camera mia a disegnare ed, ora che ho appena concluso gli studi universitari, ho tutto il tempo che voglio per dedicarmi ai miei hobby preferiti. Almeno fino alla fine dell’estate poi dovrò cercare lavoro.

Sono Sophie ho 24 anni, lunghi capelli bruni e occhi chiari. Ascolto moltissima musica, amo leggere e andare al cinema. I miei film preferiti? Le commedie, naturalmente.

E come in ogni commedia che si rispetti c’è sempre il protagonista maschile. Il mio lui? Gerard Butler e se vi state chiedendo cosa ci fa il bellissimo e sexy attore hollywoodiano nella mia piccola vita di provincia… beh, me lo sto chiedendo tutt’ora anche io!!   

Ma bando alle ciance, io sono Sophie e questa è la mia storia.

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Capitolo 2
*** II Capitolo ***


Cap. 2

II Capitolo











 “Soph, abbiamo una sorpresa per te! Farai un viaggio insieme alla mamma e passerai delle bellissime vacanze in Scozia. Sei contenta?” annunciò John tutto d’un fiato e con uno strano entusiasmo nella voce

“Cosa?” replicai spalancando la bocca scioccata.

Dovevo partire? Vacanze? Scozia? Ma che diavolo andava blaterando mio fratello?

“Il fatto è questo Soph. Ti ricordi la mia cara amica Margaret?” domandò mia madre

Perplessa mi sedetti sul divano, annuendo solamente.

Margaret, quella signora che vive in Scozia e vecchissima amica di mia madre?   

“Beh, vedi ha da poco perso il marito e mi ha chiesto se potevo andare a trovarla. Lei soffre da sempre di solitudine e quest’ultima batosta non le ci voleva proprio. Amava moltissimo suo marito. Io ne ho parlato con John… e … ehm … ho accettato. Glielo devo, Soph. Lei e la sua famiglia ci furono molto vicini quando morì papà.“

“Va bene mamma. Capisco e sono d’accordo con te ma cosa c’entro io in tutto questo?”

 “Beh, mi piacerebbe che mi accompagnassi tesoro. Hai appena finito di studiare perciò …”

Non la lasciai finire e la interruppi. Sapevo cosa stava per dire.

Io non volevo partire. Non ora. Volevo organizzare qualcosa con i miei migliori amici e andare in vacanza con loro. Cercai di spiegarglielo.

“Il punto è questo Soph …” si intromise John “Ti potrai rilassare e riposare quanto vuoi. La Scozia è un paese bellissimo, con luoghi incredibili. E poi, se non ricordo male, la casa della signora Butler è enorme. E soprattutto farai stare tranquilli me e la mamma. Lo sai che ci preoccupiamo per te.” continuò imperterrito.

Pezzo di … subdolo manipolatore di giovani ed innocenti coscienze!

“Si, lo so. Mah..” cominciai io

“Tesoro, se non vuoi venire non importa. Dirò a Margaret che adesso non posso proprio andare a trovarla e…” disse mia madre con voce triste

“Oh, Soph! Non vorrai farle una cosa del genere, vero?“ mi provocò nuovamente John fissandomi con sguardo indignato.

“Merda! E va bene … verrò in Scozia” risposi arrendendomi definitivamente.

Preoccuparsi per me… Tsz, che faccia tosta! Era sempre la stessa storia. Entrambi usavano la stessa tattica quando volevano che facessi qualcosa, fin da bambina. Si appellavano alla mia coscienza, mia madre con fare remissivo e mio fratello le dava manforte puntando sul senso di colpa. Mi intortavano per bene e riuscivano ad ottenere quello che volevano. Dannata coscienza!!!

“Oh, grazie tesoro. Vedrai sarà bellissimo” sorrise mia madre

 “Già” borbottai cupa

Poco dopo mi alzai dal divano dirigendomi in camera mia. Ero troppo stanca per cenare. Mi sarei sdraiata sul letto e con l’mp3 nelle orecchie mi sarei addormentata. Diedi la buonanotte ad entrambi e salì le scale.

Continuavo a pensarci. Misi il pigiama e mi infilai sotto le coperte. Ero stanchissima e sicuramente non avrei tardato ad addormentarmi. Il pensiero che da lì a qualche giorno sarei partita per la Scozia continuava a frullarmi in testa. E proprio con quel pensiero mi abbandonai alle dolci e calde braccia di morfeo.

 

 

 

 

 

 

Note autrice:

Ho “accorciato” l’età di Gerard Butler, nella realtà ha 46 anni mentre nella storia ne avrà solo 30. (Maschietto fortunato!!!!)

Le notizie disponibili in rete sulla vita privata del nostro attore  sono relativamente poche, così mi sono presa la libertà di inventare spezzoni di vita, momenti e particolari caratteristiche a livello fisico o caratteriali su di lui e la sua famiglia. (Spero non me ne vogliate).

Noterete delle frasi o delle singole parole in corsivo… beh sono i pensieri dei protagonisti! J

Fatemi sapere cosa ne pensate… Iry

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Capitolo 3
*** IIIcapitolo ***


Cap. 3

III Capitolo

 

 

 

 

 

Il giorno della partenza arrivò.

Salutammo entrambe John e ci dirigemmo in aeroporto. Un’ora dopo, cullata dal ronzio del motore cominciai a pensare al nostro arrivo e alle relative conseguenze che tutto ciò avrebbe comportato.

 

La mamma e Margaret erano amiche di lunga data. Si erano incontrate grazie a papà e ad Edward, il marito di Margaret, che erano amici d’infanzia. Mio padre, infatti, era nato in Scozia e viveva a pochi isolati dalla casa del signor Butler. Conobbe mia madre, di origini italiane, durante una vacanza studio e si piacquero all’istante. Lisa tornò in Scozia, durante le vacanze estive, per i successivi sei anni e mio padre quell’anno le chiese di sposarlo.

Insieme si trasferirono a Glasgow, cominciarono ad uscire assieme ad Edward e Margaret. Tra i quattro nacque una profonda amicizia che si rafforzò con la nascita dei gemelli, Philip e Paul, dei coniugi Butler e successivamente con la nascita di John, mio fratello. Lo stesso anno nacque anche Gerard, ultimo figlio della coppia di amici.

Nonostante tutto però, mia madre sentiva molto la mancanza delle sue origini, dell’Italia e della sua famiglia. Così, per amor suo, mio padre decise di trasferirsi in Italia quando John aveva solo tre anni. Qualche anno dopo nacqui io. Poi, inaspettatamente, Mio padre si ammalò e non poté godere a lungo di quell’armonia. Aveva problemi di cuore e, colto da infarto, nonostante l’arrivo tempestivo dei soccorsi morì prima di arrivare in ospedale. Mia madre ne fu distrutta, il dolore e la sua assenza la segnarono profondamente e fu solo grazie alla presenza mia e di John, che continuò a vivere.

 

 

Aprì gli occhi e puntai lo sguardo su mia madre, seduta accanto a me. Solo in quel momento compresi, più che mai, la malinconia che aleggiava, da qualche giorno, su di lei. Tutta questa situazione aveva riportato a galla ricordi e sensazioni molto dolorosi per lei. John prima di partire mi confidò che quando papà morì, entrambi i coniugi Butler ci furono molto vicino sia a livello economico sia dal punto di vista psicologico e che questo era solo un modo per ricambiare l’aiuto ricevuto. 

 

 

 

Mi persi nuovamente tra pensieri e riflessioni così non mi accorsi neppure che eravamo in dirittura d’arrivo; fu la voce del comandante, annunciando l’imminente atterraggio a Glasgow, a risvegliarmi del tutto.      

Ritirammo i bagagli e salendo su un taxi, mia madre diede istruzioni per casa Butler, in un impeccabile inglese. A differenza di mia madre, io non avevo la stessa scioltezza con la lingua, quindi lasciai a lei il compito di fare conversazione con l’autista. Eravamo entrambe piuttosto stanche e mentre il taxi sfrecciava fra le trafficate strade mi guardavo attorno affascinata.

All’improvviso, seguendo un sentiero piuttosto stretto, un alto e nero cancello apparve davanti alla nostra auto che, lentamente, si aprì per lasciarci passare.

A causa del buio riuscì a cogliere molto poco della costruzione che ci avrebbe ospitato. Ma in vita mia non avevo visto una villa così grande e maestosa.  Bussammo al portone e pochi minuti dopo una donna, fisicamente molto simile alla mamma, venne ad aprirci.

Eravamo arrivate a destinazione finalmente. 

 

 

 

Note autrice:

Eccovi il terzo capitolo!. Pur essendo introduttivo e parecchio esplicativo, spero non lo troviate noioso. Era fondamentale, ai fini della storia, spiegare e chiarire fatti accaduti nel passato. Come annunciato, ho cominciato ad apportare “modifiche” alla vita del nostro Gerard… cominciando dai suoi fratelli-gemelli. Ho pensato che inserirli come gemelli avrebbe alleggerito la spiegazione e facilitato i loro interventi durante il corso della storia. Al prossimo capitolo! 

Iry

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Capitolo 4
*** IV Capitolo ***


Cap. 4

IV Capitolo

 

“Dio, che giornata orribile! Meeting di tre ore con quel rompicoglioni del produttore esecutivo. Sono esausto!”

Ero rientrato da poco nel mio piccolo ufficio. Un rifugio per quando non dovevo partecipare a stupide riunioni organizzative.

“Non dovresti parlare così Gerard!” mi rabbonì Susy, la mia assistente personale entrata subito dopo di me

“Beh, l’ho detto con tutto il rispetto, Susy” un ghigno ironico mi aleggiava sul viso

“Comunque hai ragione, non dovrei“ ammisi annuendo “Cosa farei senza di te!” la presi in giro

“Ti ritroveresti ad affondare nella cacca fin sopra i capelli” ammise candidamente con un sorriso

“Ma che boccuccia di rose!” esclamai allegramente, accomodandomi sulla poltrona in pelle nera

“Beh, con tutto il rispetto…” continuò lei sorridendo

Annuì con una luce divertita negli occhi. “Quindi prossimo passo, mia inflessibile assistente?” chiesi

“Dovresti tornare a casa, Gerard” tornò di colpo seria

“Susy, ne abbiamo già parlato. E la mia presenza è…”

“La tua presenza, qui, non è necessaria Gerard mentre a casa lo è e tu lo sai!” mi interruppe guardandomi fisso

Sbuffai sonoramente.

Abbassai lo sguardo e cominciai a massaggiarmi le tempie con le dite. Sospirai e allungando le gambe sotto la piccola scrivania, lasciai cadere la testa all’indietro.

Tornare a casa… E se anche fossi tornato? Le cose non sarebbero cambiate. Volevo veramente far finta che non fosse accaduto nulla? Avrei resistito a mentire non solo agli altri ma anche a me stesso, giorno dopo giorno?

“Posso solo immaginare come ti senti. Ma buttarti a capofitto nel lavoro non risolverà le cose, credimi” mi disse allungando una mano in cerca della mia.

Sapeva leggermi in viso qualsiasi cosa. Ci conoscevano da una vita. Eravamo quasi come fratello e sorella. Ci capivano senza parlare, solo con uno sguardo.

“Beh se non ricordo male è esattamente quello che hai fatto tu, un anno fa, quando quello stronzo del tuo ex ti ha mollato e non penso…” le risposi sollevando un sopracciglio

Ma lei m’interruppe con un gesto della mano e mi guardò con occhi severi

“E’ esattamente per quello che te lo sto dicendo! Ci sono passata, Gerard, e so cosa vuol dire cercare di dimenticare, di nascondere, di sembrare forte, di non pensarci, di far finta di nulla. So cosa vuol dire fingere di stare bene quando in realtà l’unica cosa che vorresti fare è gridare … e credimi non funziona”

“Ho superato la cosa solo quando ho cominciato ad affrontarla, dopo il consiglio di un buon amico” aggiunse poco dopo accarezzandomi una guancia

Alzai la testa e la fissai. I suoi occhi erano seri, il suo sguardo intenso.

“L’ho fatto per te, Susy”

“Lo so” annuì lei “Ed è per questo che ora ti dico tutto questo. Mi sei stato vicino quando ne avevo bisogno come hai sempre fatto ed io ora faccio la stessa cosa per te!”

“Andiamo Susy, lo sai benissimo. Non sei solo la mia assistente, sei la mia migliore amica, la mia confidente, il mio faro nella notte” le confidai scherzosamente

“Non buttarla sul galante cercando di distrarmi, mio caro” ribatté lei sorridendo

“Bah, valle a capire le donne… ” sbuffai fintamente offeso

Volevo cercare di sdrammatizzare la situazione, di cambiare discorso. Lei però non sorrideva, mi fissava seria. Dopo qualche minuto di silenzio mi alzai e dando le spalle a Susy volsi lo sguardo alla finestra e mi ci appoggiai con una mano.

“Come sempre hai ragione, dolcezza”

 “Organizzerò tutto oggi stesso in modo che tu possa partire domani o al massimo fra due giorni.”

“Grazie” risposi voltandomi verso di lei

“Ti voglio bene, Gerard. E ti sono vicina, qualsiasi cosa tu abbia bisogno. Sempre.”

“Lo so. Ti voglio bene anche io” girai intorno alla scrivania e avvicinandomi l’abbracciai con forza.

Lei rispose con slancio e appena ci staccammo si asciugò una lacrima con le dita.

“Ora vado, prima di diventare una fontana umana” rivelò sorridendo teneramente

Rimasto solo, cominciai a guardare intorno a me senza però vedere nulla. Avevo gli occhi colmi di lacrime e la vista era sfocata.

Mio padre se n’è  andato. E’ morto.

Non riuscivo ancora a crederci. Semplicemente non avevo mai pensato che se ne sarebbe andato. Così di punto in bianco. In silenzio e in punta di piedi.

Le parole di mia madre ancora mi risuonavano in testa. Papà non c’è più. E poi silenzio.

Sarei tornato a casa. Ormai avevo deciso.

Raccolsi le mie poche cose e uscì dal minuscolo ufficio. Con lo sguardo cercai Susy e la vidi intenta a parlare al telefono. I nostri sguardi s’incontrarono, le avrei telefonato più tardi per concordare orari ed altro. La salutai con la mano e con poche falcate raggiunsi l’ascensore. Diretto verso il mio albergo. Dovevo sistemare alcune cose.

La mia mente era già in volo verso casa. La mia amata Scozia.

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Capitolo 5
*** V e VI capitolo ***


Cap. 5 e Cap. 6



V capitolo

 

“Benvenute, mie care. Benvenute in Scozia” annunciò sorridendo. La sua voce era bassa ma chiara.

Abbracciò la mamma salutandola con calore, per poi rivolgere la sua attenzione su di me.

“Buona sera. Tu devi essere la piccola Sophie” cominciò a dire per poi stringermi la mano

“Buonasera sig.ra Butler, è un piacere conoscerla.” risposi un poco a disagio

“Chiamami Margaret, cara. Signora Butler mi fa sentire più vecchia di quella che sono. Tua madre è come una sorella e mi ha parlato molto di te, perciò è come se ti conoscessi fin da piccola” replicò lei.

“Ma prego accomodatevi. Dovete essere esauste a causa del viaggio” riprese, facendoci strada verso il soggiorno.

“Come sono contenta che tua sia qui, Lisa.” cominciò a dire Margaret, una volta entrate in salotto e spogliateci delle giacche.

Eravamo comodamente sedute su poltroncine di velluto verde.

“Questa casa è diventata eccessivamente grande da quando, parecchi anni fa, prima Phil e Paul poi Gerard sono andati a vivere per conto loro. Vengono a trovarmi raramente, purtroppo. Gerard viene un po’ più spesso” annunciò orgogliosa ”Non vedevo l’ora che arrivaste” aggiunse poi sorridendo

“Dobbiamo ringraziarti per l’ospitalità Maggie” cominciò mia madre

“Oh, non pensarci neppure. Sono io a dover ringraziare voi per essere qui“  la interruppe Margaret sorridendo

“Come ho detto prima siete entrambe le benvenute. Anzi più che benvenute. Non voglio assolutamente che vi sentiate a disagio durante il vostro soggiorno qui. Voi non siete ospiti, chiaro? Siete parte della famiglia. Quindi sentitevi libere di fare tutto quello che vi passa per la testa come meglio vi aggrada” continuò Margaret alternando lo sguardo da me alla mamma.

“Ma non vorremmo disturbare, signora But… Margaret” mi corressi subito

“Nessun disturbo, cara. Qui siete a casa vostra. Comunque sarete stanche e non voglio costringervi ad ascoltare ancora le mie chiacchiere” dichiarò alzandosi.

Uscimmo dal soggiorno e la seguimmo attraverso un lungo corridoio.

“Le stanze da letto sono tutte al piano di sopra. Le vostre camere sono entrambe dotate di un piccolo bagno personale” chiarì subito, cominciando a salire l’imponente scala diretta al piano superiore.

“Oh, Maggie. Non dovevi disturbarti tanto. Io e Soph potevamo benissimo dormire nella stessa stanza. Non siamo abituate a tutto questo, tu ci vizi.” replicò mia madre allegramente.

“Beh, meglio così allora!” ribatté altrettanto allegra Margaret.

Eravamo arrivate alla fine della scala e davanti a noi vi era un buio e stretto corridoio.  

“Sophie, tua madre ti ha detto che qui da noi l’ospitalità è molto sentita?” mi domandò voltandosi per azionare l’interruttore che illuminava il corridoio.

“No, in effetti no” risposi accompagnando le mie parole con un diniego del capo.

“In realtà Maggie, Soph sa pochissimo della Scozia e dei suoi luoghi meravigliosi” chiarì mia madre un poco triste                                           

“Beh, preparati allora ad essere incantata da questi luoghi signorina! Dalla sua storia, dalle sue leggende … e dai suoi fantasmi! “

 Avvicinatasi ad una porta, l’aprì, accese la luce e mi invitò ad entrare.

“Questa sarà la tua camera Sophie. Spero che ti piaccia”

“Andrà benissimo” risposi sorridendo

Diedi ad entrambe un bacio e augurando loro una buona notte, richiudendo la porta dietro di me.

Sentì aprirsi la porta della stanza accanto e capì che quella sarebbe stata la camera della mamma. Ero troppo stanca per notare i particolari della camera assegnatami. Misi il pigiama e mi infilai sotto le lenzuola. Profumavano di bucato, fiori di campo o qualcosa del genere. Troppo stanca per elaborare altri pensieri, mi abbandonai al sonno.             

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi svegliai colpita dalla luce che filtrava nella stanza attraverso i pesanti tendaggi. Avevo dormito come un sasso e mi sentivo decisamente bene.

Dormire a volte fa miracoli e un morbido letto con calde coperte aiuta notevolmente!

Mi stiracchiai per bene e mi alzai. La sera precedente non avevo notato i dettagli che decoravano quella che sarebbe stata la mia camera da letto. Era bellissima, spaziosa ed arredata con gusto.

Le pareti erano di un leggero color pastello e il pavimento ricoperto da soffice moquette color crema. La stanza era luminosa e una volta tirate le tende notai con stupore che erano due grandi finestre ad inondare di luce la stanza. Il letto era posizionato contro il muro. L’armadio era posizionato contro la parete di fianco, era di legno scuro e accanto ad esso una scrivania dello stesso colore. Completavano l’arredamento due poltroncine di velluto color pesca. Spalancai la finestra per far entrare un poco d’aria e godere della calda carezza del sole. Ma avevo dimenticato il bagno.

Mi allontanai dalla finestra per avvicinarmi alla porta del bagno e la aprì. Il pavimento era costituito da piastrelle color verde-acqua, il colore era riportato anche sulle pareti. Sorrisi e chiudendo la porta del bagno, vi avvicinai ai miei bagagli. Era arrivato il momento di disfare tutto e mettersi comodi.

”Questo soggiorno comincia proprio a piacermi. Si, decisamente si!” commentai ad alta voce.













VI Capitolo

 

Il pranzo fu delizioso.

Margaret ci spiegò che la cuoca, Grace, era una persona squisita, molto creativa e decisamente brava nel suo lavoro. Grace lavorava per loro solo tre volte alla settimana. Ci chiarì, inoltre, che vi era anche una domestica, Louise, che si occupava delle faccende di casa. Era una ragazza piuttosto giovane, appena ventenne, molto carina e disponibile. E infine c’era Malcom, il giardiniere. Un tipo tosto e alquanto robusto. Ma molto abile nel suo lavoro. Uno dei più bravi in tutto il paese ci confidò con orgoglio la padrona di casa.                                                       

Dopo essere rimasta un po’ a chiacchierare con loro decisi di uscire a fare una passeggiata. Con quel pretesto avrei potuto dare un’occhiata in giro e farmi un’idea precisa del posto.

La villa era enorme, imponente oserei dire. All’esterno, era bianca con persiane verdi. Vi erano due box ai lati della proprietà ed il portone sorgeva al centro della facciata principale. Il tetto, costituito da grosse mattonelle rosso scuro, era caratterizzato da due grossi comignoli. All’interno era riccamente ammobiliata. Tutti i mobili erano di legno pregiatissimo e tutte le camere erano contraddistinte da magnifici tappeti dai suggestivi disegni. La proprietà era davvero grande, il giardino era costituito da un fitto tappeto d’erba verde acceso con fiori di diversi colori e dimensioni. Il prato un insieme di profumi, una visione spettacolare.

Uscì dall’enorme cancello che delimitava la proprietà e seguendo il sentiero cominciai ad incamminarmi. Mi guardavo intorno ed ammiravo lo stupendo spettacolo che mi si presentava attorno. Colline lussureggianti e sentieri infiniti si addentravano tra quelle splendide valli, infine uno splendido lago apparve davanti ai miei occhi.

Con un sospiro felice mi affrettai per il sentiero. Volevo raggiungere il lago dove, sicuramente mi sarei potuta rilassare. Quando finalmente lo raggiunsi ne rimasi incantata.

Da vicino era ancora più grande. Le sue acque erano chiare e tranquille. Mi lasciai scivolare a terra, cullata da una sensazione di pace e rilassatezza, sedendomi sulle sue rive. Mi persi nella contemplazione di quella visione godendomi il caldo sole pomeridiano, sdraiandomi poi sull’erba asciutta. Sollevai un braccio e lo appoggiai sul viso in corrispondenza della fronte, in modo da proteggere gli occhi dal sole.

Nuvole bianche sembravano correre veloci, il cielo era azzurro limpido. Cominciai a fantasticare di rincorrere e cavalcare quelle soffici nuvole e quasi senza rendermene conto mi appisolai.

 

Riaprì gli occhi solo quando qualcosa mi sovrastò facendomi ombra. Un uomo enorme mi era di fronte, in piedi, con uno sguardo decisamente accigliato.

Mi alzai in fretta, spaventata, ma barcollai leggermente. L’uomo protese le sue mani e mi impedì di cadere.

“Non volevo spaventarti” mormorò in tono grave.

Le sue braccia erano calde, forti e m’imprigionarono. Leggermente imbarazzata mi allontanai cercando di ricompormi. Lo sconosciuto sorrise impercettibilmente, sembrava vagamente divertito.

Alzai una mano per riparare lo sguardo dai raggi del sole e lo fissai negli occhi.

“Bu.. buongiorno” salutai cercando di non far capire al mio interlocutore quanto fossi scombussolata.

“Buongiorno” mi rispose con voce chiara.

Era un gran bel pezzo d’uomo.

Aveva un volto decisamente affascinante, mascella squadrata, naso dritto e labbra carnose. I capelli erano corti e scuri e sembravano leggermente ondulati. Portava un berretto con visiera, ma riuscì ugualmente ad intravedere il colore dei suoi occhi: erano di un bellissimo color verde-grigio. Robusto e muscoloso, con spalle larghe, e petto ampio. La pelle leggermente abbronzata. Portava una polo rossa e jeans piuttosto aderenti. Le gambe erano lunghe e le sue cosce sembravano atletiche e muscolose.

Sicuramente si accorse che continuavo a fissarlo con insistenza e per di più a bocca aperta, quasi a prendergli le misure, perché alzando un sopracciglio si sistemò meglio il berretto in testa e si schiarì la voce dicendo

“Tutto a posto signorina?”

Con le guance rosse di vergogna balbettai incerta  “Si, si… Ehm, si. Tutto bene grazie” continuando ancora imbarazzata  “Grazie per avermi aiutato prima, mi ero alzata decisamente troppo in fretta” aggiunsi sorridendo.

“E’ stato un piacere “ mormorò con voce calda  ”Si è persa? Non mi pare di averla mai vista”

“No, non sono del luogo. Sono italiana. Sono Sophie” risposi allungando la mano e porgendogliela per presentarmi

“Lieto di conoscerla, Sophie” replicò con un sorriso.

Sembrava decisamente affabile.

Il sole stava quasi calando. Probabilmente mi ero appisolata più di qualche minuto. Mi spazzolai lentamente il vestito pulendomi dall’erba e con lo sguardo cominciai a cercare il sentiero per ritornare verso casa.

“Cerca qualcuno?” mi chiese notando il mio sguardo concentrato

“In effetti sto cercando di orientarmi per poter ritrovare la strada di casa”

“Forse posso aiutarla. Sono nato e cresciuto in questa zona. Dove è diretta?” il suo sguardo si era acceso di curiosità mista a qualcos’altro, che però non riuscì ad identificare

“Devo andare in quella villa laggiù” indicai l’enorme cancello nero che segnava l’inizio della proprietà dei Butler

“Davvero? E a chi appartiene quella villa?” domandò curioso

“Beh, alla famiglia Butler” replicai decisa.

Avevo la sensazione di conoscere il suo volto, come quando si ha a che fare con un deja-vù, ma non ricordavo dove lo avessi visto.

“Esatto” annuì lui.

Mi stava mettendo alla prova?

Cominciai ad essere in apprensione. Accantonai quindi l’idea di scavare nel mio cervello per cercare l’identità dell’uomo e mi concentrai sul mio imminente problema.

Come faccio a tornare a casa, se non ricordo la strada che ho percorso?

“Guarda caso è esattamente dove sto andando anche io…” continuò l’uomo

“Ma certo! Lei deve essere Malcom, il giardiniere dei Butler. La signora Margaret mi ha detto che probabilmente l’avrei incontrata. Che piacere conoscerla! In effetti volevo farle i complimenti. Lei è davvero un artista eccezionale. Il giardino è spettacolare! I tulipani, le splendide rose, le ortensie… e poi i narcisi e i giacinti, i vasi di dalie e quelli con i girasoli … è tutto stupendo”

“Ehm … grazie, credo” rispose un poco perplesso.

Forse lo avevo confuso con tutte le mie chiacchiere e sicuramente avevo sbagliato un paio di verbi. Quando ero nervosa tendevo a parlare a macchinetta e a pensare ancora più rapidamente.

“Non deve essere modesto” continuai imperterrita  “Il giardinaggio è come l’arte, come dipingere o scolpire! E’ arte, pura e semplice arte” conclusi sorridendo allegra

“Se lo dice lei…”

Il suo viso però restava ancora perplesso e forse un poco confuso. Magari non aveva capito un fico secco di quello che gli avevo detto.

“Lei si intende d’arte, Sophie?” domandò guardandomi

Finalmente eravamo arrivati di fronte al cancello, e stavo per rispondere, quando sentì mia madre chiamarmi.

“Beh, mi piace molto l’arte. Ora però, mi scusi, devo andare. Arrivederci” con un sorriso mi allontanai e svelta entrai in casa.

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Capitolo 6
*** VII Capitolo ***


Cap. 7

VII Capitolo

 

Dopo essere tornato al mio hotel, avevo deciso di fare una doccia. Ora me ne stavo bellamente sdraiato sul letto, con le mani dietro la testa guardando il soffitto senza però vederlo veramente.

Avevo finalmente deciso di tornare a casa, alle mie radici. Avrei rivisto un sacco di vecchi amici e conoscenti. Avrei rivisto e riabbracciato mia madre. Da quando papà aveva cominciato a sentirsi poco bene mi ero ripromesso di ritornare spesso. Purtroppo in quegli ultimi mesi avevo lavorato moltissimo e d’improvviso era arrivata la notizia che aveva spazzato ogni altra cosa.

Dopo un fatto del genere, la maggior parte delle persone avrebbe reagito in qualche maniera, magari piangendo o gridando. Avrebbe rotto oggetti, avrebbe parlato con parenti o amici sfogando il proprio dolore.

Io non avevo fatto nulla del genere. Avevo eretto un muro ed avevo continuato a lavorare, forse in modo più assennato del normale, come se non fosse accaduto nulla. Come se la notizia non riguardasse me ma qualcun altro. Avevo velato la mia mente, arginato i miei pensieri e le mie emozioni dietro quel muro. Chiusi gli occhi lentamente e cercando di svuotare la mente, mi rilassai.                                                                                                                                                     

 

 

Il cellulare cominciò a vibrare e, senza nemmeno guardare chi fosse, risposi

“Gerard?” domandò una voce femminile. Una voce chiara ma debole, quasi appartenesse ad una persona stanca.

“Ciao tesoro. Aspettavo la tua chiamata“

Era Susy, l’avevo riconosciuta subito.

“Ciao, allora è tutto organizzato. Il tuo volo partirà domani, nel primo pomeriggio. Ho pensato che avessi voglia di dormire un po’ per non risentire troppo del lungo viaggio”

“Hai fatto benissimo, come al solito” risposi orgoglioso.

Avevo cieca fiducia in quella donna, mi affidavo a lei senza neanche riflettere. Mi consigliava su tutto e il fatto che fosse sempre all’altezza della situazione, mi riempiva d’orgoglio.

“Dovrai solo recarti al check-in per i documenti e successivamente imbarcarti”

“Bene” commentai asciutto

“Andrà tutto bene, vedrai. Tua madre sarà felicissima di vederti“ continuò Susy.

“Già” risposi

“Le farai una sorpresa o l’hai già avvisata?” domandò curiosa

“Una sorpresa” borbottai con voce atona

“Come siamo loquaci questa sera!” esclamò con tono canzonatorio.

“Già” borbottai ancora

“Gerard cosa c’è?”

“Niente. Perché?”

“A me non la racconti. Forza sputa il rospo. Cosa ti turba?”

“Davvero. Nulla. Non preoccuparti ”  la mia voce era un borbottio soffuso

“Gerard!!!” esclamò irritata

“E va bene, va bene … dannato intuito femminile! Stavo solo pensando a cosa dirò o farò quando sarò lì, tutto qua. Una cosa stupida, insomma.”

“Non è una stupidaggine” rispose in tono dolce “E’ comprensibile che tu ci stia pensando. Andrà benissimo, credimi” mi rassicurò lei.

Erano parole semplici, ma io non ero fatto per discorsi troppo mielati.

“Già”

“Già” ripetè lei  ”Beh, ora me ne vado a dormire. Buonanotte campione”

“Buonanotte, Susy. E grazie, per tutto” mormorai

“Fai buon viaggio domani e, come al solito…” cominciò lei soffocando uno sbadiglio

“Come al solito ti chiamo quando arrivo. Si, lo so” annuì con un sorriso sulle labbra  ”Ora vai a dormire, Susy. Sarai stanchissima. Sogni d’oro tesoro. Ci sentiamo domani”

“Si, va bene. ‘Notte!” annuì lei, poi aggiunse “Eh, Gerard?”

“Si?” risposi

“Non fare strage di cuori, mi raccomando” concluse interrompendo la telefonata con una risata allegra.

Regolai la sveglia e stancamente mi infilai sotto le coperte. Forse Susy aveva ragione. Avevo bisogno di una lunga dormita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il viaggio in aereo trascorse tranquillamente, e nonostante avessi dormito a sufficienza la notte precedente mi accorsi di essermi appisolato un paio di volte anche durante il volo. Atterrai a Glasgow in perfetto orario. Uscito dall’aeroporto, mi infilai in un taxi e diedi istruzioni all’autista per Paisley.

Arrivato in paese, gli chiesi di fermarsi ai piedi della collina che portava al sentiero per casa mia. Volevo passeggiare. Presi i miei bagagli e pagato l’autista mi avviai verso casa.

Ero sereno e percorrevo lo stretto sentiero che portava al cancello della proprietà quando notai una figura, un corpo steso a terra. Con passi lenti mi avvicinai e mi resi conto che era una ragazza.

Una bella ragazza.

Aveva capelli lunghi ed ondulati castano-rosso.

La sua pelle era molto chiara, le gote leggermente rosate ed il volto sereno. Era bella e davvero ben fatta da quel poco che potevo scorgere.

Scesi con lo sguardo per poterla osservare meglio e cercando di non fare rumore, mi avvicinai di più. Doveva essersi appisolata. Fortunatamente il sole non era affatto alto, anzi era nascosto tra due vallate, altrimenti si sarebbe scottata. Ormai il tramonto si avvicinava.

Il suo corpo era fasciato in un lungo abito da passeggio color viola chiaro. Mi resi conto che aveva un corpo piuttosto formoso, molto sensuale e con mio grande stupore questa constatazione mi costrinse a deglutire. Aveva un collo delicato ed il seno era alto e sodo.

Grazie a Dio, non è troppo magra. Era perfetta!

Per distrarre i miei pensieri continuai ad accarezzarla con lo sguardo, soffermandomi su punti più sicuri. Le braccia erano piegate, una accanto al viso e l’altro poggiato sulla pancia.

Era deliziosa.

Così distesa sembrava una delle protagoniste dei quadri di Monet o magari una delle ballerine di Renoir.

Le gambe, piuttosto lunghe, erano toniche e ai piedi calzava scarpe basse. Mi avvicinai ancora, spinto da un irrefrenabile curiosità. Volevo osservare meglio il suo viso.

Probabilmente feci rumore perché notai che si stava svegliando.

Forse l’avevo spaventata.

Decisamente, l’avevo spaventata.

Non appena mi mise a fuoco cercò di alzarsi e di allontanarsi. Ma, lo fece troppo in fretta, barcollò in avanti ed io allungai le braccia e la sostenni. Era leggerissima e profumava di fiori.

“Non volevo spaventarti” le dissi per cercare di rimediare. Aveva lo sguardo impaurito

Beh, come ti saresti comportato tu trovandoti a poche spanne dal naso un uomo grande e grosso?!

Con delicatezza si allontanò dal mio abbraccio. Il suo volto era leggermente arrossato, forse oltre a spaventarla l’avevo pure messa a disagio. Cercai di sorridere per rassicurarla, lei mi salutò ed io le risposi

“Buongiorno” diedi alla mia voce un’intonazione chiara e continuai a sorridere perché notai che il suo imbarazzo non era passato. Era quasi divertente la situazione.

Chissà chi è? Magari è del posto…

La ragazzina continuava a fissarmi, tra l’altro a bocca aperta.

Quanti anni avrà?

Non mi riuscì di staccarle gli occhi di dosso. Era terribilmente graziosa ed intrigante, in maniera del tutto naturale. Mi attraeva.

Le chiesi se era tutto a posto e lei mi rispose affermativamente. Volevo saperne di più. Volevo sentire ancora la sua voce e così le chiesi

“E’ del posto? Perché non mi pare di averla mai vista”. Ero curioso in maniera davvero poco rispettosa.

E la privacy dov’è finita? Chi sei, un investigatore privato?

“No, non sono del luogo. Sono italiana. Sono Sophie” la sua voce suonò decisamente più chiara.

Sophie, che nome particolare. Bello ma non molto diffuso. Era italiana, questo spiegava un po’ di cose. A cominciare dall’inflessione della lingua.

Questo però non placò la mia voglia di conoscerla meglio. Volevo saperne ancora. Notai che il suo voltò cambiò espressione e che i suoi occhi sembravano cercare qualcuno.

“Cerca qualcuno?” non riuscì a frenare la domanda. Con ogni probabilità avevo temporaneamente disattivato il filtro tra il cervello e la bocca.

Ora mi manderà al diavolo!

“In effetti sto cercando di orientarmi per poter ritrovare la strada di casa” si voltò a guardarmi per rispondere ed i suoi occhi si incatenarono ai miei.

Finalmente riuscì a scorgerne con chiarezza il colore. Erano azzurri. Come il colore del cielo quando il vento spazza via le nubi. Un azzurro chiaro, splendidamente intenso. Erano bellissimi.

Contieniti amico e cerca di darti un contegno!

“Forse posso aiutarla allora. Sono nato e cresciuto in questa zona. Dove è diretta?”

Volevo che anche lei sapesse qualcosa di me. E poi ero interessato a sapere dove fosse diretta. Pretendevo di sapere dove alloggiasse. Mi indicò il cancello di casa mia e quando riportai lo sguardo su di lei non riuscì a trattenermi dal domandarle nuovamente e anche questa volta con ben poca delicatezza

“Davvero? E a chi appartiene quella villa?”

Magari aveva sbagliato. Certo, forse aveva confuso le case. Capita. Era impossibile che fosse davvero diretta a casa mia. E poi nessuno mi aveva detto nulla al riguardo.

“Beh, alla famiglia Butler” il suo tono era deciso, quasi imperioso. Inarcò un sopracciglio e questo mi fece capire che l’avevo irritata.

Era arrivato il momento di vederci chiaro in questa storia, quindi presi le mie valige in mano e gli dissi che quella era anche la mia destinazione.

Volevo spiegazioni e le avrei ottenute!

“Ma certo! Lei deve essere Malcom, il giardiniere dei Butler. La signora Margaret mi ha detto che probabilmente l’avrei incontrata. Che piacere conoscerla. In effetti volevo farle i miei complimenti. Lei è davvero un artista eccezionale. Il giardino è spettacolare! I tulipani, le splendide rose, le ortensie… e poi i narcisi e i giacinti, i vasi di dalie o di girasoli è tutto stupendo.”

Parlava a raffica, sbagliando la pronuncia della maggior parte delle parole e con quella strana inflessione. Non riuscivo quasi a starle dietro.

Malcom? E chi diavolo era Malcom? Ah, si il giardiniere. E quando diavolo era stato assunto?

Questo argomento le aveva acceso uno strano luccichio negli occhi e ne rimasi piacevolmente colpito. Le risposi affermativamente, ma in maniera pacata, annuendo. Poi, continuò imperterrita

“Non deve essere modesto, sa. Il giardinaggio è come l’arte, come dipingere o scolpire! E’ arte, pura e semplice arte.” risposi annuendo anche questa volta ma sempre più confuso.

Arte, aveva ripetuto più volte questa parola. Magari le piace l’arte…

“Lei si intende d’arte, Sophie?”

Mi rispose positivamente accompagnando il tutto con un leggero sorriso. E li, mi bloccai. Era un sorriso dolcissimo. Le labbra rosate e carnose erano stirate a mostrare i denti bianchi. Bellissimo.

Una voce la fece però allontanare da me e senza rendermene conto mi ritrovai davanti al portone di casa. Posai i bagagli all’entrata e come prima cosa cercai mia madre.

Volevo venire a capo di questa storia e scoprire al più presto chi era quella bella ragazza italiana che alloggiava a casa mia.

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Capitolo 7
*** VIII Capitolo ***


Cap. 8

 

VIII Capitolo

 

L’orologio a pendolo all’entrata segnò le sette e trenta. Avevo una fame da lupo e se non avessi messo subito sotto i denti qualcosa mi sarei mangiato le gambe del tavolino che avevo di fronte.

Girai la testa prima a destra e poi a sinistra. No, l’arredamento non era cambiato.

Menomale, almeno quello!

Camminai lentamente verso il salotto e scorsi mia madre seduta sul piccolo sofà.

Quello era il posto che occupava sempre papà…

Amava quella stanza, i moltissimi libri e volumi che correvano lungo tutte le pareti. Erano il suo orgoglio e la sua gioia…

Scossi la testa come a voler scacciare quei pensieri tristi.

Mi avvicinai. Aveva gli occhi chiusi, si era appisolata. Così con tenerezza mi accovacciai sulle ginocchia e le toccai con dolcezza la mano. Lei li riaprì subito e quando mi mise a fuoco proruppe in un urlo di gioia

“Gerard? Oh, Gerard sei qui” mi abbracciò con forza e sentì calde lacrime scendere a bagnarmi il collo.

La scostai da me con infinita premura

“Ciao mamma. Si, sono tornato. Come stai?” la mia voce era tesa in maniera impalpabile. Mi accorsi così che calde lacrime solcavano anche il mio viso.

“Oh, Gerard! Sono così felice che tu sia qui. Mi sei mancato tanto!”

“Anche tu mi sei mancata”  le asciugai le lacrime passando due dita sul suo viso.

“Ti voglio bene” mi disse abbracciandomi nuovamente.

Questa volta non ci pensai neppure ad interrompere quella dimostrazione di amore. Ne aveva bisogno, lo sentivo. In effetti ne abbiamo bisogno entrambi.

“Non sapevo che saresti tornato a casa, tesoro. Perché non mi hai avvisato?” mi domandò guardandomi

 “Lo so, avrei dovuto. Ma è stata una decisione improvvisa. Il lavoro si è concluso prima del previsto” una mezza verità lo sapevo.

Ma cosa avrei dovuto dirle? Che ero spaventato? Che non sapevo come avrebbe reagito? Che avevo paura?

“Sono contenta che tu sia qui. Davvero.”

La sua mano cercò la mia. Io quasi senza rendermene conto mi avvicinai e gliela presi tra le mie.

“Sarei dovuto arrivare prima. Non avrei dovuto lasciarti da sola. Non dopo tutto quello che è successo.”

I suoi occhi si riempirono improvvisamente di lacrime e qualcuna sfuggì al suo controllo per tornare ad allungarsi sulle sue guance. Non appena lei se ne rese conto, scosse la testa e le asciugò con l’altra mano. Ora un sorriso faceva capolino sul suo viso.

Si alzò e con voce che tradiva contentezza annunciò

“Ho una sorpresa per te. Anzi in realtà non è per te ... beh … sono arrivate solo ieri e si stanno ancora ambientando. E’ ancora presto lo so, ma averle qui mi rende più serena. Non sopportavo più tutto quel silenzio”  il suo tono era dolce e un debole sorriso albeggiò nuovamente sulle sue labbra

“Mamma, ma di cosa stai parlando? Chi è arrivato?”

Ma lentamente, molto lentamente una consapevolezza si fece largo dentro me …

Che fosse lei?

“Oh, scusami tesoro. Tu non puoi certo saperlo. Ricordi la mia migliore amica Lisa?” si voltò verso di me e cercò i miei occhi

“Lisa? No, non mi dice nulla… Chi è?”  

Forse avrei dovuto ricordarmi di lei, ma il nome non mi diceva nulla.

“Lisa, la mia amica italiana… oh, andiamo Gerard non puoi essertene dimenticato. Tuo padre ne parla in continuazione… cioè ne parlava” tacque improvvisamente e il suo labbro inferiore ebbe un fremito.

Non volevo assolutamente farla piangere ancora così mi sforzai di ricordare …

Italia … italia … italia.

L’immagine di una ragazza dal viso dolce prese corpo nella mia mente.

Lei è italiana.

“Il sig. St. Louis?” risposi con voce esitante cercando conferma

“Si, esattamente” annuì tornando a sorridere “Beh, devi sapere che qualche settimana fa ho telefonato a Lisa. Ti ricorderai sicuramente che perse il marito diverso tempo fa, poverina”

Annuì. In realtà non me lo ricordavo affatto ma non volevo dare a mia madre l’impressione di fare fatica a mettere a fuoco l’intera faccenda. Perciò non proferì parola e la invitai tacitamente a continuare.

Lasciammo il salotto per dirigerci, attraverso il corridoio, in sala da pranzo.

“Naturalmente è stata molto dura. Ha dovuto rimboccarsi le maniche e tirare avanti con le sue sole forze. Ha dovuto crescere John e Sophie, i suoi figli, da sola“ quel nome ebbe il potere di scombussolarmi.

Così il cerchio si chiude … ecco spiegata la presenza della ragazza.

Non rivelai nulla a mia madre e il mio sguardo non tradì alcun cambiamento.

“Io e tuo padre abbiamo cercato di starle vicino. Beh, comunque ti dicevo l’ho chiamata e l’ho invitata qui da noi. Abbiamo parlato tanto di tutto quello che è successo ed esattamente come mi aspettavo mi ha tirato un po’ su. E’ una buona amica, la migliore che abbia mai avuto. Sono arrivate ieri lei e la sua bella bimba Sophie. Anche se bimba è, ora, solo un modo di dire. E’ una splendida ragazza di ventiquattro anni. Uno splendore.”

Il suo sorriso si allargò quando notò qualcosa alle mie spalle.

Non feci in tempo a chiedermi perché mai stesse sorridendo che la sua voce limpida e chiara mi annunciò

“Ecco, infatti. Lascia che vi presenti” e con delicatezza mi spinse a voltarmi verso le scale.

Una donna, non molto alta, dai corti capelli biondo scuro stava scendendo le scale. Il viso acceso da un bel sorriso, gli occhi chiari ed un’espressione solare mista a curiosità. Finì di scendere con un portamento da far invidia a moltissime modelle. Era fiero ed estremamente aggraziato. Si avvicinò a noi con passo sicuro e a testa alta.

“Lisa, sono felice di presentarti il mio Gerard. E’ appena arrivato, in effetti, ma non aveva avvisato quindi ci ha colti un po’ di sorpresa”

Il suo sorriso era radioso, quindi abbandonai il viso di mia madre per volgere lo sguardo alla donna che mi stava davanti. Allungai una mano e lei la prese tra le sue e dopo qualche secondo mi ritrovai in un caldo abbraccio

“Oh, mamma mia. Il piccolo Gerard, avevo dimenticato il tuo aspetto. Non ti vedo da una vita. Ma lasciati guardare… Sei diventato un uomo molto bello e affascinante, se mi permetti il complimento” i suoi occhi tradivano una certa emozione.

Sembrava davvero felice di vedermi.

“La ringrazio molto. E’ un piacere. In realtà devo confessarle di non ricordare perfettamente …”

“Ma certo, come potresti. Io e Paul lasciammo la Scozia quando John aveva solo tre anni. Dovevi avere la stessa età, quindi non ti angustiare. Eri molto piccolo“ mi interruppe lei  con un sorriso indulgente

“Beh, ma dov’è Sophie?” chiese mia madre a Lisa

“Dovrebbe scendere a momenti. Era sotto la doccia quando ho bussato alla sua camera. Arriverà sicuramente… Oh, eccola!” si girò completamente nella sua direzione ed anche io alzai lo sguardo su di lei.

Era esattamente come la ricordavo. Bella. Molto bella.

Si era cambiata ed ora indossava pantaloni corti al ginocchio di colore nero, scarpe alte e un’elegante camicia blu. Era un incanto. I suoi capelli erano legati con un fiocco alla base del collo, anche se qualche ciocca era sfuggita.

I nostri occhi s’incontrarono, finalmente, e appena mi vide si fermò. Una mano sul corrimano e l’altra lungo il fianco. Un’espressione sorpresa e confusa aleggiava sul suo viso.

“Coraggio, tesoro. Scendi ” la incoraggiò sua madre con un braccio levato nella sua direzione.

Riprese a scendere e arrivata in fondo alle scale notai che il suo sguardo era sempre più confuso. Sua madre le si affiancò e il suo braccio le circondò le spalle.

“Sophie, cara, sei molto carina questa sera” affermò mia madre andandole vicino e baciandole una guancia.

Ero assolutamente d’accordo con lei. Il mio sguardo non la lasciava. Andava dal suo viso e percorreva il suo corpo per poi tornare nuovamente al suo viso.

 Avevo dannatamente ragione. Ha un corpo da urlo!

“Lascia che ti presenti mio figlio. Sophie questo è Gerard. Tesoro lei è Sophie” mia madre concluse le presentazioni con un sorriso

“Gerard? Tuo figlio? Ma non era il giardiniere?” la domanda sfuggì alle sue labbra

“Il giardiniere?” domandarono mia madre e Lisa assieme.

Scoppiai in una fragorosa risata quando realizzai a cosa si riferiva. Avevo dimenticato il fatto di essere stato scambiato per il giardiniere. Nel frattempo entrambe le donne chiedevano spiegazioni

“Sophie, ma cosa dici? Quale giardiniere?” domandò la madre alla figlia

“Non capisco” esclamò mia madre al colmo della confusione.

La situazione andava chiarita così presi sottobraccio entrambe le donne e con fare deciso le accompagnai in sala da pranzo. Oltretutto ero affamato. Con un’occhiata alle mie spalle mi assicurai che Sophie ci seguisse. Sembrava piuttosto innervosita ma non disse nulla e ci seguì in silenzio, fino ad accomodarsi al grande tavolo.

Io nel frattempo scostata una sedia feci sedere a tavola prima mia madre e poi lo stesso con Lisa. Infine dopo aver guardato ancora una volta quella bella ragazza italiana mi sedetti accanto a lei.

Il suo volto era rosso ma i suoi occhi lanciavano saette. Era irritata, non vi erano dubbi al riguardo. Con un sorrisino birichino sulle labbra volsi la mia attenzione alle due donne ancora in attesa. Spiegai interamente l’accaduto e alla fine scoppiammo tutti e tre a ridere. L’unica che ancora rimaneva seria era lei, la protagonista del piccolo racconto. Mi lanciava sguardi di sfida, tra l’ira e l’odio.

Senza rendermene conto, spinto dal desiderio di cancellare quell’ espressione troppo rabbiosa dal suo viso e rasserenare i suoi occhi, le afferrai una delle mani e me la portai alle labbra. La baciai e la guardai intensamente.

Ora il suo sguardo tradiva sorpresa ed un certo imbarazzo. La sua mano rimase sulle mie labbra per qualche secondo. Profumava di buono, di dolce.  Quando mi resi conto delle mie azioni la lasciai immediatamente.

Cosa diavolo mi è saltato in mente?

A parte l’episodio iniziale, la cena trascorse piacevolmente. Mia madre raccontò loro alcune birbonate mie e dei miei fratelli e altri aneddoti divertenti. Poi volle sapere su cosa stavo lavorando al momento. Ed io, con un’alzata di spalle, raccontai a grandi linee la trama.

“Sei un attore, quindi?” domandò Lisa improvvisamente

“Si” risposi con un sorriso. Lei mi sorrise di rimando continuando “Ecco, dove ti ho già visto. Sophie è una tua grande fan, non è vero tesoro?” Lisa si girò per incontrare conferma nelle parole della figlia

“C-cosa?“ era impreparata

Era arrossita ed ora guardava con sguardo omicida prima sua madre e poi impaurita la mia. Mi ritrovai a sorridere anche io, ma di un sorriso sornione.

“E’ così Sophie? Sei una mia fan?” domandai con tono derisorio

 Il fatto che mi conoscesse o che conoscesse i miei film e il mio lavoro mi riempiva di orgoglio. Per tutta la sera era rimasta in silenzio senza proferir parola se non con cenni di assenso o di diniego quando le si poneva una domanda diretta. Ed io volevo sentire la sua voce, volevo sapere cosa pensasse delle mie interpretazioni.

“Cosa? Certo che no!”

“Non essere modesta tesoro. E’ lui il protagonista della tua collezione di film, vero? Quelli che tieni in camera tua e non permetti di guardare a nessun’altro…” continuò Lisa imperterrita

Il volto di Sophie era in fiamme, i suoi occhi sembravano voler incenerire la madre, il corpo immobile. Scoppiai a ridere di nuovo, questa volta per la sua reazione. Era uno spettacolo, un assoluto spasso.

La cosa però dovette darle fastidio perché voltandosi a guardarmi, puntò i suoi occhi nei miei. Erano accesi, di un blu intenso.

Ho forse esagerato?

Non feci a tempo ad elaborare una risposta al riguardo, che allontanò la sedia dal tavolo, si alzò e guardando mia madre e Lisa disse semplicemente

“Scusate, non ho più fame” il corpo era rigido

Si, avevo decisamente esagerato … Dannazione!

Il mio sguardo la seguì finché non si chiuse la porta del salottino alle sue spalle.

“Oh, Gerard l’hai offesa!” si lamentò mia madre

“Non ne avevo l’intenzione, lo giuro” dissi cercando di scusarmi.

“Oh, non preoccuparti Gerard. Le passerà. Sophie è una ragazza orgogliosa e piuttosto impulsiva. Ma non serba rancore. Vedrai che domani le sarà già passato” s’intromise Lisa per rassicurarmi

“Dovresti andare di là a chiederle scusa. Subito, Gerard!” mi rimproverò mia madre

Il suo tono non ammetteva repliche. Così mi alzai e mi diressi in salotto.

In poche falcate mi trovai davanti al salotto. Ero esitante.

Bussai alla porta ed attesi.

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Capitolo 8
*** IX Capitolo ***


Cap. 9

IX Capitolo

 

Ero livida di rabbia.

Ma come si era permesso??!!

Certo, sotto la doccia avevo ripensato a quel bellissimo uomo che avevo incontrato ma non riuscendo ancora a ricordare dove lo avessi visto, uscì e mi vestì in fretta per non fare tardi a cena.

 

 

 

 

Mi vestì in maniera accurata, non troppo elegante ma nemmeno troppo casual. Facevo sempre molto attenzione al mio abbigliamento, fin da bambina. Ero attenta all’accostamento dei colori cosicché tra abiti ed accessori che indossavo ci fosse sempre armonia.

Arrivata alla scala, avevo sentito le voci della mamma e di Margaret. Serenamente avevo cominciato a scendere fino ad incontrare i suoi occhi. Gli occhi dell’uomo che avevo incontrato fuori nel pomeriggio. Era in corridoio accanto a mia madre e un suo braccio cingeva Margaret.

Il giardiniere?

La voce di mia madre che mi incitava a scendere mi risvegliò dai miei pensieri. Senza nemmeno riflettere mi fermai a metà scala così continuai a scendere arrivando ai piedi delle scale sana e salva.

Poco dopo Margaret mi si avvicinò e si complimentò con me per l’abbigliamento. La ringraziai con un sorriso radioso e lei mi salutò baciandomi su una guancia.

“Lascia che ti presenti mio figlio. Sophie questo è Gerard. Tesoro lei è Sophie” disse Margaret sorridendo felice.

Lui poco dopo si avvicinò a me. I suoi occhi agganciati ai miei.

Suo figlio? Ma cosa dice?

E che fine ha fatto Malcom?

“Tuo figlio? Ma non era il giardiniere?” non riuscì a tenere per me la domanda e quando finalmente capì chi avevo di fronte la mia mano corse a coprire la mia bocca.

Oh mio Dio.

Oh mio Dio. Non ci posso credere … come ho fatto a non riconoscerlo subito?

Gerard Butler è davanti a me!  

Beh, lo schermo non gli rendeva giustizia. Affatto.

Ora che aveva tolto il cappellino mi risultava impossibile non riconoscerlo.

Oh mio Dio, è Gerard! Oh mio Dio, il mio attore preferito!

Stavo ancora cercando di riprendermi dalla bella, anzi fantastica notizia, quando lui scoppiò a ridere. Una risata solare ma roca. Una risata davvero irresistibile. Così coinvolgente, così fascinosa.

Mi accorsi solo distrattamente che sia mia madre che Margaret era rimaste interdette e cercavano spiegazioni.

 “Non capisco” esclamò Margaret guardando prima me e poi suo figlio con sguardo confuso.

Beh, lui non si diede la briga di aiutarmi a sciogliere l’inghippo, affatto! Anzi con fare altezzoso si posizionò tra mia madre e la sua e deciso le scortò verso la sala da pranzo per la cena.

Avrebbe potuto almeno chiarire l’accaduto…

Con occhi bassi li seguì in silenzio. Ero imbarazzata ma anche decisamente irritata.

Chi diavolo si crede di essere?!  

Va bene che è un attore stra-famoso, bellissimo e tutto il resto … ma che modi!

Appena entrata notai che la tavola era apparecchiata e con passo deciso mi allontanai dai tre e presi posto a tavola. Per qualche minuto ancora tenni lo sguardo basso, ma quando lo alzai incontrai subito i suoi occhi. Erano sorridenti.

Rideva di me!

Poco dopo il signorino cominciò a raccontare tutta la storia con tono decisamente canzonatorio.

E dal suo punto di vista forse, e dico forse, l’intera faccenda poteva anche essere divertente ma dal mio no di certo. Mi faceva sembrare una perfetta cretina! Finito di parlare si lasciò andare ad un’altra fragorosa risata seguito anche da Margaret e Lisa.

Stupido pallone gonfiato!  Non ci trovo assolutamente nulla da ridere. Niente di niente!

Lo fissai al colmo dell’ira. Ero furibonda.

Un perfetto zimbello, ecco cosa sembro ai suoi occhi!

Ero sul punto di rispondergli per le rime, ma non lo feci per rispetto di Margaret. Per resistere all’impulso mi torcevo con forza le dita delle mani sotto il tavolo, quando all’improvviso lui ne prese una e l’avvicinò alle sue labbra.

Ma che cosa … ?

Mi bacia … la mano!

Mi sentivo le guance in fiamme, ero in imbarazzo ma non so come riuscì a non abbassare lo sguardo. Dopo qualche secondo o minuto - (e chi lo sa!) -  lasciò la mia mano e il suo sguardo mutò. Voltò la testa e si concentrò a guardare altro che non fossi io.

Durante tutta la cena non riuscì a proferir parola.

Non sapevo cosa dire. Il mio cervello sembrava fosse ibernato. Anche a semplici domande risposi solo con vaghi cenni del capo. Per fortuna nessuno vi fece caso o almeno nessuno disse nulla al riguardo. Non vedevo l’ora che tutto finisse. Volevo chiudermi in camera mia e tirare finalmente un sospiro di sollievo. E seppellirmi dopo questa figura imbarazzante.

“Sei un attore, quindi?” la domanda di mia madre mi colse impreparata.

Non riuscì ad evitare di far cadere la forchetta sulla tovaglia.

Dannazione, forse la mamma non ha ancora capito chi è …

Raccolsi la forchetta ed infilzai una piccola patata al forno. L’avevo appena infilata in bocca quando le parole di mia madre mi fecero gelare il sangue

“Ecco, dove ti ho già visto! Sophie è una tua grande fan, non è vero tesoro?” mia madre si volse nella mia direzione.

Oh cavoli… Si aspetta che le risponda?

“Cosa? “ non riuscì a formulare nulla di meglio.

Le mie preghiere rimasero decisamente inascoltate.

Puntai lo sguardo su qualsiasi cosa che non fosse lui. Non volevo vedere i suoi occhi ridere ancora di me. Non l’avrei sopportato.

“E’ così Sophie? Sei una mia fan?” la sua domanda mi mandò di traverso la patata e quasi rischiai di soffocare.

Voleva ridicolizzarmi di nuovo.Presi il mio bicchiere colmo d’acqua e lo vuotai d’un fiato, poi con tutto il coraggio che riuscì a trovare risposi decisa

“Cosa? Certo che no!”

Ma quella sera la fortuna non era dalla mia, anzi mi girava bellamente le spalle e rideva gongolando.

“Non essere modesta tesoro. E’ lui il protagonista della tua collezione di film, vero? Quelli che tieni in camera tua e che non permetti di guardare a nessun’altro?” 

Ti prego mondo crudele fa che il pavimento si apra e mi ingoi completamente … ti prego, solo per questa volta!                                          

Le parole di mia madre mi pietrificarono. Ma quello che mi fece più male, fu la sua risata. La risata di lui.  Mi ferì oltremodo e non sapevo nemmeno il perché.

Ero sicuramente impallidita.

Mi voltai a guardarlo notando che lui continuava a ridere. Mi fermai a fissarlo con sguardo glaciale per qualche secondo e poi senza dargli ulteriori motivi per ridere di me, volsi lo sguardo alle altre commensali. Mi era passata la fame.

Con tutto l’orgoglio che mi era rimasto alzai la testa, allontanai la sedia dal tavolo con un gesto di stizza e sempre diretta verso le due donne dissi

“Scusate, non ho più fame” con passo deciso mi diressi verso il salotto.

Avevo voglia di stare da sola e di riflettere.

Andai a sedermi sulla piccola poltrona vicino al camino e non mi resi conto di piangere finché non riuscì a vedere più nulla.

Che stronzo!

Allora è proprio vero… un po’ di notorietà e questi attori si credono dèi scesi in terra!

Al diavolo! Non sono venuta fin qui per farmi trattare come un idiota dal primo che passa.

Mi alzai di botto e scacciai le lacrime con una mano. Non valeva la pena piangere!

Gli avrei reso pan per focaccia, quando un leggero bussare alla porta fece allontanare quei pensieri.

“Avanti” dissi quasi senza rendermene conto.

Entrò l’ultima persona che mi aspettavo ma quella che più di tutte desideravo vedere.

“Disturbo?” domandò con voce esitante.

I suoi occhi corsero subito a cercare i miei e quando si rese conto che avevo pianto si avvicinò esclamando “Cazzo! Ti ho fatto piangere. Scusa, non era mia intenzione. Non volevo”.

Le sue parole mi colpirono e mi lasciarono un poco stupita. Era esattamente quello che volevo che dicesse. Ma non gli avrei dato la vittoria così presto.

“Cosa vuoi?” il mio tono fu teso e serio e me ne rallegrai.

Probabilmente non si aspettava questa mia reazione perché esitò per diversi secondi. Poi una cascata di parole mi sommersero.

“Sono venuto per chiederti scusa. Non avrei dovuto esagerare a quel modo e mi rendo conto che così facendo ti ho ferito e messo in ridicolo. Non era mia intenzione Di solito non sono così stronzo!”

Una cascata di scuse e sembravano sentite. Poi però mi ricordai chi era e che lavoro facesse. Così mi avvicinai per rispondere alle sue scuse come meritava.

“Hai perfettamente ragione, sei stato uno stronzo. Un emerito e grandissimo stronzo! Non ti permettere mai più di rifare o ridire quello che hai detto e fatto. Perché te ne pentiresti!“

Non so dove presi il coraggio di minacciarlo. Ma fui contenta di avercelo ficcato da qualche parte dentro di me. In realtà era impensabile che una piccoletta come me cercasse di intimidire un uomo grande e grosso come lui. Ma non per questo desistetti.          

“Non so con chi hai a che fare quotidianamente, nel tuo mondo patinato di super divi miliardari, ma qui è diverso. Siamo nel mondo reale e la gente merita rispetto!”

Eravamo talmente vicini che i nostri abiti si sfioravano. Gli puntai un dito sul petto e lo pungolai.  

”E non mi importa un fico secco se sei un attore Hollywodiano o che altro. Non credo ad una sola parola delle scuse di poco fa quindi non starmi tra i piedi ed andremo d’accordo! Non sono venuta fin qui, da casa mia, per farmi insultare da un maledetto borioso come te” conclusi con decisione

Ero soddisfatta di me stessa. Completamente, assolutam…

Ma non riuscì a finire di complimentarmi con me stessa che lui con uno scatto veloce mi strinse forte e mi baciò. Catturò le mie labbra inizialmente con delicatezza, le sue mani aggrappate ai miei fianchi, e poco dopo intensificò il bacio. Le sue labbra erano soffici ma decise. La sua bocca morbida e dolce. Sapeva di buono.

Iniziò ad accarezzarmi silenziosamente la schiena e non riuscendo a resistere mi lasciai andare, rispondendo al bacio. Le mie labbra ebbero un fremito che probabilmente lui percepì. Approfondì ulteriormente il bacio, mi leccò le labbra saggiandone il contorno, prese tra i denti il labbro inferiore e con fare malizioso lo mordicchiò e lo succhiò dolcemente. Un sospiro di piacere proruppe dalla mia gola e mi rilassai ulteriormente.

“Hai finito, di urlarmi addosso?” mi allontanò da sé giusto per guardarmi in faccia

“Prima dicevo sul serio. Mi dispiace di essermi comportato così, non volevo e non avrei dovuto provocarti in quel modo. Sono sinceramente dispiaciuto”

Finalmente riuscì a ritrovare la strada per tornare sul pianeta terra. I suoi occhi non si allontanarono dai miei. Il suo sguardo saettò dagli occhi alle labbra e sembrava attendesse una mia risposta. Da parte mia, non ero decisamente in grado di dire nulla di logico o pertinente, perciò scelsi una via di mezzo. Annuì. 

Un lieve bussare alla porta ridestò entrambi. Ci allontanammo in fretta ed io cercai di rassettarmi.

La sua voce era incolore quando pronunciò “Avanti”

Sbucò la testa della signora Margaret e con un’occhiata prima al figlio e poi a me domandò  “Tutto bene ragazzi?”

“Benissimo, grazie”

Ero stata io a pronunciare quelle parole. Ma il mio corpo non era della stessa idea. Mi sentivo ancora tutta scombussolata a causa del bacio. Gerard annuì solamente.

“Bene” e si congedò sorridendo richiudendo la porta dietro di sé.

“Dove eravamo rimasti?”

Si volse nella mia direzione con un sorriso sghembo e lo sguardo malizioso. Solo in quel momento capì le sue vere intenzioni.

Mi aveva distratta.

Piacevolmente distratta mi suggerì una vocina dentro la mia testa.

Vero, ma il succo della storia non cambiava.

Mi aveva rabbonita con un bacio, come se questo sistemasse la faccenda. Come se io fossi una delle tante ragazzine stupidotte e follemente innamorate dei propri idoli. Magari si aspettava pure che mi gettassi ai suoi piedi per chiedere il bis.

Maledetto! Ma aveva capito male, proprio male!

Infatti con sguardo glaciale mi avvicinai e senza la minima esitazione lo schiaffeggiai.

“Non ti permettere mai più di fare una cosa del genere. Almeno non senza il mio consenso! Io non sono una delle tante fan che si gettano ai tuoi piedi e si lasciano calpestare come degli zerbini”

Lo superai ancora rigida per la rabbia. Non mi voltai nemmeno una volta, risalii le scale e rientrai in camera chiudendo la porta dietro di me. 

Oh cavolo… quello si che era un bacio!

Mi lasciai cadere sul letto ancora completamente vestita. Portai due dita sulle labbra con fare pensieroso.

Avevo reagito in maniera eccessiva?

Non mi andava che mi vedesse come una sciocca ragazzina che si abbandona nelle braccia del primo arrivato.

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Capitolo 9
*** X Capitolo ***


Cap. 10

X Capitolo

 

E adesso che diavolo le è preso? 

Forse le aveva dato fastidio il fatto di essere baciata.

Bacio così male?

Era stato un impulso del momento e non ne ero affatto pentito. Le sue labbra erano così vellutate così arrendevoli.

Il telefono dentro la tasca dei miei jeans cominciò a vibrare. Tirai fuori il cellulare e lo appoggiai all’orecchio.

“Pronto?”

Non avevo nemmeno visto chi fosse.

“Gerard!”

La voce dall’altra parte dell’apparecchio era infuriata.

Cazzo, ho dimenticato di chiamarla!

“Gerard, rispondi!”

“Ciao Susy…” le risposi in tono colpevole

Era incazzata nera e a ragione. Le avevo promesso che l’avrei chiamata appena arrivato a casa. E invece me ne ero dimenticato!

“Niente ciao! Avevi promesso che mi avresti chiamato Gerard!”

“Hai ragione Susy, ma…”

“Niente ma… Sei un idiota Gerard Butler”

Aveva tutte le ragioni del mondo.

“Ero preoccupata” riprese ancora

“Mi dispiace tesoro”

Era la serata delle scuse?

“Non ho avuto nemmeno il tempo di pensare. Davvero.”

“Perché cosa è successo?”

“Beh, di tutto di più” esclamai sedendomi sul divano e sorridendo decisi di raccontarle tutto  “Sono arrivato nel tardo pomeriggio e mentre percorrevo a piedi il sentiero che dalla strada principale porta verso casa mia mi sono imbattuto in una ragazzina sdraiata a terra”

“Sdraiata a terra? Sul sentiero?”

“No, non sul sentiero. Hai presente le piccole colline dietro casa? Quelle che portano al lago? Beh, lei era sdraiata sull’erba, vicino al lago”

“Ma stava male? Era ferita o altro?” domandò Susy curiosa

“No, no. Si era solo addormentata” risposi ridendo “Comunque, mi sono avvicinato per assicurarmi che fosse tutto a posto. E abbiamo parlato un po’ mentre l’accompagnavo a casa”

“Beh, sei stato gentile. Ma questo cosa c’entra con il fatto che non mi hai chiamato?”

“Aspetta, lasciami finire” la interruppi per proseguire “Poi sono entrato a casa ed ho trovato mia madre. Naturalmente era sorpresa e felice del fatto che fossi lì; mi ha salutato, abbracciato e abbiamo parlato un poco. Sai com’è fatta mia madre”

“Si, certo” asserì lei

“Beh, mi ha detto di aver invitato una sua vecchia amica italiana di nome Lisa”

“E chi è?”

“Non ti ho mai parlato di lei, né della sua famiglia, in effetti. Per riassumere erano dei nostri vicini lei e suo marito. Lisa, è di origini italiane mentre il marito Paul St. Louis era il migliore amico di mio padre, si conoscevano da una vita. Comunque, i due si sposarono ed ebbero un figlio, John se non ricordo male, che dovrebbe avere la mia età, ma dopo qualche anno ritornarono in Italia. E mia madre è rimasta in contatto con Lisa, sono amiche”

“E poi?”

Sorrisi e mi sdraiai sul divano con le gambe distese e la testa poggiata sul bracciolo.

“L’ha invitata, come ti dicevo, qui a casa per farle compagnia. Devi sapere che la signora St. Louis, Lisa, ha perso il marito diverso tempo fa e può capire bene la nostra situazione”

Ero ridiventato serio di colpo

“Oh, poverina mi spiace” la voce di Susy suonò triste e delicata e lo apprezzai molto.

“Già” dissi tirando su con il naso “Abbiamo cenato insieme stasera”

“Come è andata? Come sta tua madre?” domandò in pensiero per lei

“Credo proprio che la vicinanza di Lisa l’aiuterà parecchio”

“Beh, menomale” mi consolò lei

“A cena c’era anche sua figlia, Sophie”

“Sua figlia? Ma non avevi detto che aveva un figlio?“

“I coniugi St. Louis ebbero due figli. John nacque qui in Scozia mentre Sophie è nata in Italia” spiegai pazientemente. Lei giustamente non poteva sapere.

“E com’è questa Sophie?” era curiosissima ed io cominciai a ridacchiare da solo. 

“Perché ridi? E’ brutta?”

“Affatto” risposi sincero “Anzi … è molto bella” aggiunsi subito dopo “E’ alta e slanciata. Porta i capelli lunghi ed ha un viso davvero grazioso” descrissi Sophie sperando di risultare oggettivo. “Sembra essere riservata ma è molto orgogliosa. Arrossisce spesso. E’ la ragazza che era distesa sull’erba”

“Mhmhm”

Ridacchiai di nuovo al ricordo del nostro incontro-scontro.

“Non mi dire che ti sei comportato come tuo solito?” chiese con una nota di rimprovero nella voce

“E sarebbe?”

“In maniera arrogante e presuntuosa, ovvio! Un vero scassa palle! Ti diverti a mettere in soggezione le persone. In più, grazie al tuo aspetto, sei un diavolo seduttore. Lo sai e ti comporti di conseguenza” rispose divertita.

 “Non è vero!”

“Si, invece. Lo sai, non fare lo gnorri!” ribatté ridendo

“Beh, allora sarai contenta di sapere che mi ha rimesso in riga in pochi minuti”

“Perché? Cosa hai combinato?”

“L’ho baciata” risposi sogghignando

“Come l’hai baciata? A cena?”

“No, Susy non a cena. All’inizio non mi aveva riconosciuto, quando ci siamo incontrati fuori intendo. Poi mia madre ha chiarito le cose presentandoci”

“E lei? Come ha reagito?” domandò ancora

“Beh, credo di averla messa in soggezione, a tavola, perché si è alzata di punto in bianco ed è uscita senza finire di mangiare”

“Sei sempre il solito, Gerard” esclamò ridendo “Ti conosco. Sicuramente ti sarai comportato in maniera insolente e derisoria. L’avrai importunata o offesa. Sicuro!” affermò decisa

“E’ quello che pensa mia madre”

“Già, lo immaginavo. E allora il bacio?”

“Beh, mi sono alzato anche io e l’ho rincorsa per scusarmi”

“E l’hai baciata!” m’interruppe lei

“No, non subito. Mi sono scusato ma lei mi ha fatto una tirata che non finiva più. Mi ha accusato di essere pomposo e altezzoso, non ricordo molto bene le parole esatte.”

Alle mie parole scoppiò a ridere.

“Ha fatto bene!” disse ancora ridendo “Mi piacerebbe conoscerla. Andremo sicuramente d’accordo” esclamò ancora ridendo

“Beh, io per zittirla l’ho baciata”

“E lei? Non mi dire che ti è cascata ai piedi ”

“Affatto! Anzi mi ha schiaffeggiato”

“Giustamente!” Susy non aveva ancora smesso di ridere e la reazione di Sophie l’aveva accesa di più.

“Mica puoi baciare tutte quelle che ti pare e aspettarti che non reagiscano, Casanova!” continuò lei ostinata “Comunque, non ti ho chiamato solo per farti la ramanzina. Ho sentito Bob … e dovrebbe chiamarti domani perché ha due nuove sceneggiature da proporti”

“Mhmhhm”

“No, tranquillo. Dice che sembrano buone, molto buone“  anticipò lei

“Mmh, vedremo” commentai io

“Beh, ti saluto. Buona notte. Comportati bene!”

“Ciao Susy.” La salutai e riagganciai.

Salì le scale e attraversando il corridoio arrivai davanti alla porta della mia camera ed entrai. Mi spogliai, feci una doccia e m’infilai sotto le coperte. L’orologio a muro segnava l’una di notte. Misi una mano dietro la nuca e mi predisposi per addormentarmi. 

Non vedo l’ora di conoscere meglio questa Sophie!

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Capitolo 10
*** XI Capitolo ***


Cap. 11

XI Capitolo

 

Il mattino seguente mi alzai riposato e di buon umore. Dopo una veloce doccia, mi vestì e scesi per la colazione.

Un buon profumino di brioches, appena sfornate, solleticò il mio naso e con due falcate raggiunsi la cucina. Tornai in sala da pranzo con in mano un vassoio stracolmo di brioches, succo di frutta, caffè, zucchero, cereali, frutta ed un piatto di uova e bacon fritti ancora fumanti. Mi leccai le labbra al pensiero di tutte quelle delizie. Poggiai il vassoio sul lungo tavolo e mi accomodai.

Diedi uno sguardo al grande orologio che decorava la parete di fronte. Era presto, erano appena le otto.

“Gerard, tesoro…” cominciò a parlare mia madre.

Lei e Lisa mi sedevano di fronte.

Alzai la testa ma non dissi nulla, anche perché avevo la bocca piena e non mi sembrava una buona idea spargere pezzi di uova nel raggio di un paio di metri.

“Io e Lisa stavamo pensando di andare a Glasgow. Vorrei andare al cimitero a trovare papà”

“Volete che vi accompagni?” chiesi loro deglutendo.

L’idea di andare al cimitero non mi entusiasmava. Avrei preferito aspettare.

“No, caro. Non è necessario. Farò compagnia io a tua madre” rispose Lisa.

Il suo volto era sereno e mi sorrideva leggermente. Nonostante l’età era una bella donna.

“Va bene”acconsentì annuendo

Mia madre sorrise e dopo qualche secondo si alzarono entrambe andando a prepararsi. Sarebbero tornate in tarda serata.

Finì di fare colazione con calma. Qualche giorno di vacanza ci voleva proprio. Mi sarei rilassato e riposato. Da tempo non trovavo del tempo da dedicare a me stesso e ai miei interessi. Amavo leggere, fare sport ed uscire con gli amici. Ma, in assoluto, amavo dormire.

Avendo assolto quello, mi avvicinai alla fornita libreria, in salotto, e ne presi un volume. Mi accomodai sulla poltrona e dando le spalle alla porta concentrai la mia attenzione sul testo che avevo fra le mani.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Buon giorno” una voce mi distrasse e mi fece voltare la testa.

Sophie era alla porta con una mano sulla maniglia. Indossava una lunga maglietta a maniche corte che le copriva le gambe fino a metà coscia. Aveva i capelli in disordine e il viso ancora assonnato, tuttavia la trovai bellissima.

Era semplice, senza trucco. Molto naturale.

“Ti disturbo?” chiese notando il libro che ancora tenevo in mano

Probabilmente avevo ancora la bocca aperta come un baccalà, così cercando di riprendermi la invitai ad entrare.

“No, certo che no. Accomodati. Ben svegliata”

Seguì i suoi passi con lo sguardo finché non si accomodò sul divano. Solo allora notai che non aveva ciabatte né calze. Era a piedi nudi.

“Scusa, ma non sopporto le ciabatte e le calze le utilizzo solo in inverno o quando fa troppo freddo” spiegò con un sorriso.

“Hai fame?” le chiesi

“Hai visto mia madre?”

Parlammo entrambi nello stesso momento e dopo un’occhiata sorridemmo tutti e due.

“Lisa e mia madre sono uscite circa quaranta minuti fa”  dichiarai guardando l’orologio che avevo al polso “Sono andate a Glasgow, al cimitero. Torneranno in tarda serata” conclusi.

 Lei attenta annuì con la testa e lentamente si alzò

“Dove vai?” chiesi senza neanche pensare

“Ho fame. Vado a fare colazione”

Era seria ed evitò di guardarmi. Era alla porta quando mi alzai anche io e feci per seguirla

“Aspetta … ti accompagno”

“Grazie ma non è necessario. So dov’è la cucina” aveva usato un tono freddo.

Forse è ancora arrabbiata per quello che è successo ieri sera.

La seguì ugualmente mentre un ghigno apparve sul mio viso

Susy aveva ragione … ero uno scassapalle!

Si muoveva senza fretta con passi brevi. Aveva la schiena dritta ed un buon portamento. Ancheggiava leggermente ma non in maniera volgare.

Possibile che qualsiasi cosa faccia questa ragazza mi tiri a sé come una falena alla sua luce?

Non la seguì fino in cucina ma rimasi in sala da pranzo apparecchiando un angolino solo per lei.

La vidi ritornare con una strana espressione sul viso.

“Cosa c’è?” domandai candidamente

“Non c’è nulla da mangiare” rispose sbuffando scocciata  “Strano perchè Lisa mi aveva promesso di preparare le brioches. Sa che le adoro, soprattutto per colazione” continuò pensierosa. 

A quelle parole un brivido di panico mi attraversò.

Avevo mangiato io tutte le brioches!

Naturalmente non ne feci parola e con indifferenza dissi “Beh, poco male. Usciamo! Ti offro la colazione”

“No, grazie. Non importa” guardò l’orologio e sbuffò di nuovo.

In pochi passi raggiunse la porta, ma non gli permisi di uscire perché la bloccai per un braccio.

“Hai fame … ed è ancora presto, qui vicino c’è un posticino molto carino dove fanno delle brioches al cioccolato favolose” tentai di convincerla

“Non importa. Grazie” provò a liberarsi dalla mia stretta ma io non mollai

“Perché no?” domandai curioso

“Perché non mi sei particolarmente simpatico e preferisco non essere in debito con chi mi è antipatico”

La guardai negli occhi per qualche istante per poi scoppiare a ridere

“Sei sempre così esplicita?”

“Sono sincera e dico sempre quello che penso, si! ” ribatté alzando il mento.

Con uno strattone liberò il braccio dalla mia presa.

“Potresti risultare acida e sgradita con questo atteggiamento, lo sai?”

Scrollò le spalle “Sono fatta così!” si stava accingendo a salire le scale quando la mia voce la bloccò

“Mi piace come sei fatta” ribattei accarezzando il suo corpo con lo sguardo

Lei si girò verso di me. Incrociò lo sguardo con il mio, arrossì ma non proferì parola.

Si girò nuovamente e s’incamminò su per le scale, probabilmente verso la sua camera.

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Capitolo 11
*** XII Capitolo ***


Cap. 12

XII Capitolo

 

Diavolo! Quell’uomo mi manderà in fumo il cervello!

 

Ero affamata. Probabilmente Margaret aveva dimenticato le brioches. Avrei fatto altro per non pensare al buco che avevo nello stomaco.

Mi lavai e mi vestì in fretta. Jeans chiari strappati abbinati ad una maglia vecchia e larga. Avrei disegnato e lo avrei fatto fuori. Era una bella giornata e non mi andava di rimanere dentro con quell’impiastro di Gerard.

 Un bell’impiastro …

un impiastro affascinante …

un impiastro molto sexy e … basta!

Mi imposi di tenere a bada gli ormoni e preso tutto l’occorrente scesi le scale e uscii. Una veloce occhiata mi permise di tirare un sospiro. Lui non si vedeva, probabilmente era in salotto e continuava a leggere. Prima lo avevo interrotto. Non avrei mai pensato fosse uno che legge o che gli piacesse farlo.

Ed io che pensavo che i tipi Hollywoodiani come lui passassero tutto il proprio tempo davanti uno specchio a farsi belli o a congratularsi con madre natura per quanto fossero affascinanti!

Adesso stai esagerando mi ammonì una vocina interna.

Forse in questo modo potevo tenerlo a distanza di sicurezza.

 

 

 

 

Erano passati tre giorni da quando eravamo arrivate in Scozia e il posto mi aveva piacevolmente colpito. Quella terra era spettacolare, i colori così accesi e gli odori così autentici. Bianche nuvole spumose decoravano il cielo limpido. Odore di erba e fiori di campo si levava nell’aria. Ieri avevo fatto un giro all’esterno dell’enorme proprietà dei Butler ed ero rimasta incantata dal giardino. Era ricco di colori, di minuscoli insetti e vivacissime farfalle.

Mi accomodai su una delle panche da giardino con l’album da disegno sulle ginocchia. Ogni volta che disegnavo o dipingevo svuotavo la mente da tutto e mi rilassavo. Mi concentrai sui fiori, sul paesaggio che mi circondava, sui suoni che sentivo. Sorridendo mi lasciai andare e cominciai a far vagare la mano sul foglio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ero alla finestra ad osservarla. Era seduta in giardino, tra fiori e farfalle e aveva in mano un quaderno su cui era chinata.

Si, avevo visto giusto. Era un artista. Ne aveva l’animo. Delicata ma tenace.

Il cellulare nella mia tasca prese a vibrare distogliendomi da lei. Era Bob, il mio manager.

“Hey, Bob”

“Ciao Gerard. Tutto ok?” mi domandò

“Si, tutto bene. Sono in Scozia da mia madre ora”

In realtà non penso gliene importasse molto.

Bob era un uomo simpatico ed intelligente ma, come tutti i manager, pensava prima agli affari e poi al resto, persone comprese.

“Si, ok. Ascolta ho due proposte molto interessanti, due sceneggiature. Entrambi i registi non vedono l’ora di lavorare con te” aveva un tono spiccio

Bob oltre ad avere fiuto per gli affari, era un grande appassionato e conoscitore di film, quindi diverso tempo fa, in accordo, decidemmo che si sarebbe occupato anche delle mie scelte professionali.

Chiaramente l’ultima parola spettava a me, ma lui mi aiutava a “cestinare” le proposte scadenti. Perciò mi fidavo del suo parere.

“Si. Però vorrei valutarle attentamente prima di firmare il contratto” chiarì.

“Ma certo Gerard, come sempre. Abbiamo appuntamento per la prossima settimana a Londra. Parleremo con entrambi e valuteremo le loro proposte”

“Merda, Bob! Sono in vacanza. Non te lo ha detto Susy?!” mi lamentai a gran voce.

“Deve avermelo accennato, si, ma Gerard sono proposte importanti. Devi esserci!” continuò implacabile

Lo sapevo, l’ho sempre saputo. Per fare il mio lavoro si è costretti a fare delle scelte. Si arriva ad un punto in cui anche le cose importanti, come la famiglia, la propria privacy o la propria vita, vengono messe in secondo piano. Ora però mia madre aveva bisogno di me ed io sinceramente avevo bisogno di prendermi una pausa. Fino ad un paio di giorni fa ero convinto del contrario ma Susy mi aveva fatto ragionare.

“Bob, dobbiamo rinviare l’incontro” affermai deciso

“Impossibile Gerard! Hanno a disposizione poco tempo, anzi addirittura volevano vederti questa settimana” chiarì lui “Sono riuscito a organizzare il tutto per settimana prossima a fatica” spiegò quasi gongolando

In effetti Bob, era capace di intortarne parecchi. Anche per questo l’avevo scelto.

Imprecai ad alta voce, furioso con Bob.

“Lo so, lo so Gerard! Ma credimi se fossi riuscito a fare diversamente lo avrei fatto ben volentieri”

“E va bene, va bene. Mi devi due mesi di ferie, Bob!” ringhiai contrariato

“Benissimo! Chiamo subito Susy in modo che organizzi tutto. Ci risentiamo a fine settimana. Ciao Gerard”

“Ciao Bob”

Bella rottura di palle!

Sarei partito di nuovo fra tre giorni. Ed io che avevo intenzione di rilassarmi in po’. Tornai alla finestra e notai che Sophie era ancora lì, intenta e concentrata. Era al sole ma il suo viso rimaneva in ombra perché leggermente piegato verso il basso.

Ero curioso di sapere cosa stesse disegnando. Riposi il libro al suo posto e a grandi passi uscì di casa per raggiungerla in giardino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Mi copri la luce” si lamentò infastidita

In effetti volevo farlo. Era divertente farla arrabbiare o semplicemente farla innervosire.

“Oh, scusami” Non ero  dispiaciuto per nulla

 “Allora? Cosa fai? Ti sposti oppure rimani lì tutto il giorno?”

“Se non stai attenta potresti darmi l’impressione di non essere interessata alla mia compagnia” replicai fintamente offeso

“Ed io che credevo che non fossi intelligente … beh mi sbagliavo!”

Il suo sorriso era così luminoso che ci misi un po’ a capire che mi aveva appena insultato

“Comunque, credo che rimarrò qui” ribattei ghignando

Se pensava di allontanarmi … beh, si sbagliava di grosso!

Lei sbuffò spazientita  “Cosa vuoi Gerard? Non hai nessun’altro da infastidire?”

“No, in realtà no“ ammisi candidamente

“Ma come?! Nessuna modella o attrice dietro cui sbavare? Vai ad infastidire loro e lasciami in pace!”

“Ouch… che acidità! Era sarcasmo?“ continuai malefico “Sicuramente sei curiosa … come tutte le fan, vorrai sicuramente sapere delle mie innumerevoli conquiste amorose!”

“Guarda non me ne può fregare di meno, delle tue conquiste! E poi non sono una tua fan” ribattè lei risoluta

“Non dire bugie Soph … altrimenti lo dico alla tua mamma!” la stavo prendendo in giro

“Gerard, levati dai piedi! Mi copri la luce e non riesco a lavorare” chiarì decisa

Continuai a rimanere lì fermo sfidandola con lo sguardo.

Lei sbuffò di nuovo alzando gli occhi al cielo. “Sei una piaga Gerard Butler!” ammise spostandosi poco lontano.

“Cosa disegni?” domandai curioso avvicinandomi e abbassandomi per sbirciare

“Niente di chè … Mr. Ficcanaso!”

Ora i nostri volti erano vicinissimi. Aveva un odore buonissimo, fresco e dolce. I nostri sguardi rimasero incatenati e dopo pochi secondi lei, arrossendo, si allontanò.

Ancora ghignando le sedetti accanto.

“Cosa diavolo vuoi Gerard?”

Non le risposi subito così tornò a disegnare. Guardavo la sua mano che decisa si muoveva sul foglio. Era brava, molto brava.

“Ho voglia di fare una passeggiata”

“E come mai sei ancora qui?”

La guardai accigliato “Sei troppo scortese e scorbutica per essere così carina!”

“Indovina un po’ di chi è la colpa?” replicò acida

 

Continuavo a guardarla. Era bella. Anche quando era arrabbiata. E farla innervosire era maledettamente divertente.

“Cos’è … hai bisogno del permesso per uscire dal cancello?”

Io non le avevo ancora detto nulla e continuavo a fissarla.

 “Va bene. Fai il bravo e ascolta le maestre. Non litigare e non fare a botte con gli alti bambini” aggiunse sempre più sarcastica

Mi stava deridendo e nemmeno tanto velatamente!

“No, non hai capito. Ho voglia di fare una passeggiata e voglio che tu venga con me”

Lei alzò lo sguardo “Voglio che tu venga con me!” ripeté scimmiottandomi  “Cos’è? Un ordine?”

“Non è un ordine. E’ solo un invito”

“Beh, ora sto disegnando, quindi ho altro da fare. Grazie ma no!”

Aveva un sorrisino furbo sulla faccia. Era stata gentile al contrario di me e forse credeva che le avrei usato la stessa cortesia.

Quanto si sbaglia!!!!

“Sophie, voglio che tu venga con me. In caso contrario continuerò a stare qui e a tormentarti finché non sbaglierai qualcosa. Non vorrai mica rovinare quel bel disegno, vero?”

Mi stavo comportando come uno stronzo e lo sapevo, ma la telefonata di Bob mi aveva fatto infuriare parecchio. Lei mi avrebbe aiutato a pensare ad altro e poi, in verità, volevo la sua compagnia. Volevo conoscerla meglio.

“E’ una minaccia, per caso?” ringhiò a denti stretti

Aveva appoggiato l’album al suo fianco e si era alzata per sovrastarmi. Ora mi guardava dall’alto verso il basso con i pugni sui fianchi. Gli occhi ridotti a due fessure.

Con un sorriso mi alzai anche io  “E’ un consiglio” replicai con finta dolcezza

Adesso la sovrastavo di una decina di centimetri. Avevo ribaltato la posizione e lei sembrò notare la cosa perché indietreggiò di un passo ma senza abbassare lo sguardo.

Adoro le donne decise!!!

“A me non pare proprio, Hollywood!” replicò infervorata

“Allora? Cosa hai deciso?”

“Non c’è molto da decidere. Mi stai ricattando per obbligarmi ad accompagnarti a fare questa dannatissima passeggiata!” rispose sbuffando come un toro.

Guardò il suo album e poi nuovamente me annuendo, infine, con la testa.

Sorrisi per la vittoria ottenuta.

“Togliti quel sorriso idiota dalla faccia, Hollywood! Non lo faccio per te, sia chiaro. Lo faccio solo per non vederti rovinare il mio lavoro!” ribatté infuriata

“Sapevo che avresti fatto la scelta giusta” ammisi ridendo.

Lei sbuffò ancora. Si diresse verso casa a grandi passi ignorandomi completamente.

“Vado a cambiarmi” annunciò ad alta voce quando ormai era rientrata.

L’avevo seguita ancora sogghignando.

“Bene. Ti aspetto qui ma non metterci molto. Sono impaziente e non sopporto i ritardatari!”

Lei sbuffò di nuovo borbottando qualcosa in un’altra lingua. In italiano, sicuramente. Mi piaceva l’inflessione e il suono delle loro parole.

Forse dovrei farmi insegnare qualche parola … così avrei capito quando mi insultava.

Dieci minuti dopo era di nuovo in cima alle scale. Indossava un paio di jeans scuri, molto stretti, stivali al ginocchio ed una camicetta a maniche corte, scura anche quella. Nonostante l’abbigliamento non fosse né appariscente né sexy, il suo corpo mi sembrò comunque molto provocante. Forse dipendeva dal modo in cui camminava o forse erano quei jeans che le fasciavano le cosce e il sedere. Appena giunta alla fine delle scale, notai che la camicetta le tirava un poco in corrispondenza del seno.

No, non mi ero sbagliato. Era decisamente abbondante. Avrei tanto voluto spogliarla tutta per guardare e magari accarezzare il suo corpo.

Lei mi guardava accigliata. Se avesse saputo cosa mi passava per la mente mi avrebbe di sicuro schiaffeggiato. Sorrisi al pensiero, scossi la testa e aprì la porta in modo da permetterle di uscire.

Mi affiancai a lei e, percorrendo il vialetto davanti casa, uscimmo dal cancello.

“Allora? Dove siamo diretti?” domandò ancora seccata.

“Non lontano, non preoccuparti.  Fortuna che hai indossato scarpe basse perché il terreno non è molto regolare.”

“Lo immaginavo. Per quanto io adori i tacchi non li avrei mai messi per una passeggiata in campagna. Sono estremamente goffa e avrei rischiato di inciampare e cadere più volte” ammise

“Ti avrei sorretto io”

“Magari l’ho fatto proprio per questo. Per non dover dipendere da te, Hollywood!” ammise con un sorriso beffardo  “E comunque mi piace essere autonoma ed indipendente”

“Chissà perché lo immaginavo”  risposi con un sorriso indulgente

Si era fermata e mi guardava seria con le mani sui fianchi.

 “Comunque, ora non preoccupartene. Piuttosto parlami un po’ di te”

“Perché?”

“Che domanda sciocca … perché mi interessa ragazzina!”

“Cosa vuoi sapere?” mi domandò sbuffando e distogliendo lo sguardo in modo da poter riprendere a camminare

“Qualsiasi cosa. Dove vivi? Studi o lavori? Cosa ti piace fare nel tempo libero?” le ero di nuovo di fianco e di tanto in tanto distoglievo lo sguardo dal sentiero per guardarla

“La mia vita è molto semplice e per nulla affascinante come la tua Hollywood”

“Questo lascialo giudicare a me. Forza, raccontami un po’ di te. Sono curioso”

Non volevo mollare, volevo conoscerla e ci sarei riuscito.

Lei sbuffò, si girò a guardarmi con il viso serio. Io la incitai con lo sguardo e finalmente la convinsi.

“Sono nata e cresciuta in Italia. Vivo insieme a mia madre e John, mio fratello. Ho da poco finito di studiare e mi sono laureata solo qualche settimana fa. Ora che ho tempo libero mi piacerebbe fare qualche viaggio e migliorare il mio inglese. Come hai sicuramente notato non è molto buono” disse tutto velocemente e con tono svogliato

“Beh, te la cavi piuttosto bene mi sembra. E comunque potrei aiutarti io” proposi

“Oh, ma che gentile … grazie ma preferisco di no” rispose acidamente

La afferrai per un braccio e mi fermai trattenendola

“Senti forse abbiamo iniziato con il piede sbagliato. E magari ho sbagliato a comportarmi in quella maniera… entrambe le volte e …”

“Forse … magari … dì pure sicuramente! Ascolta, non m’interessano i tuoi sensi di colpa” m’interruppe  “Sinceramente pensavo fossi diverso ma mi sono sbagliata! Ho conosciuto tua madre e mi sarei aspettata altro da te, ma suppongo che i soldi diano alla testa alle volte e …”

 “Tu non mi conosci quindi evita di giudicarmi! Ora …” sospirai pesantemente

Era davvero difficile. Lei era difficile, avere a che fare con lei.

“Vorrei sistemare le cose con te perché sembri essere una ragazza intelligente e parecchio interessante. Posso solo dirti che mi dispiace” dichiarai risoluto

Lei rimase a bocca aperta, sicuramente stupita delle mie parole.

“Ti stai scusando?” domandò colpita

“Si, esatto. Questa è la seconda volta che lo faccio per te ma non ti ci abituare. Ora, vogliamo metterci una pietra sopra e ricominciare dall’inizio?”

Lei mi guardò per qualche secondo. Forse non credeva alle mie parole. Dopo poco annuì e con gesti lenti si liberò dalla mia presa.

Continuammo a passeggiare per qualche minuto in silenzio

“Ti potrei aiutare veramente con l’inglese, se ci tieni. Sono piuttosto bravo con la lingua” le proposi nuovamente

M’interruppi perché mi accorsi del piccolo lapsus. Il mio tono non voleva essere malizioso ma lei non se ne accorse. Mi guardò e poi scoppiò a ridere.

“Dimmi un po’…  ma fai sempre così?”  domandò ridendo

“Così come?”

“Sei sempre così malizioso? Fai battute con doppi sensi a tutte le ragazze?”

“No, affatto, e non volevo esserlo! Voglio aiutarti davvero” ammisi.

Lei mi guardò intensamente per diverso tempo per poi annuire positivamente. Tornando seria cambiò discorso.

“Disegnare e dipingere mi rilassa, per questo lo faccio spesso. Adoro leggere, uscire con gli amici, ballare e andare al cinema o guardare film sdraiata sul divano di casa” continuò lei

“Film, eh? Che genere di film ti piacciono?” domandai curioso e divertito

“Adoro le commedie, i film romantici ma anche quelli d’azione. Un po’ meno invece i film d’horror o i thriller”

“E quali sono i tuoi attori preferiti? “ domandai ancora

“Mi piace molto Johnny Depp e Matt Damon. La mia attrice preferita è Sandra Bullock. Mi piace moltissimo anche Katherine Heigl” affermò

“E il tuo attore preferito?” ora volevo proprio provocarla

“Boh, non saprei” rispose con tono vago. Stava tergiversando e guardava ostinatamente a terra.

“E di me cosa ne pensi? Ti piacciono i miei film?” domandai andando al sodo

“S-si, un po’ ” borbottò senza guardarmi.

Così le presi un braccio per fermarla. Volevo che mi guardasse.

“Cosa c’è?”

Io alzai entrambe le sopracciglia senza dire nulla. Volevo che rispondesse alla mia domanda, ero curioso. Lei sbuffò e con gentile fermezza si liberò dalla mia presa.

“Si, mi piacciono molto i tuoi film. Sei uno degli attori che preferisco” ammise riprendendo a camminare. Sorrisi contento e in poche falcate la affiancai

“Davvero?” domandai con un sorriso sincero

“Si, davvero Hollywood. Ora però non ti montare la testa”

Risi apertamente ma proseguì domandando ancora

“Continua … dimmi qualcos’altro di te.”

Volevo sapere tutto di lei. Sembrava una ragazza singolare ed intrigante. La curiosità mi divorava.

“Beh, mi piace cucinare e il mio piatto preferito è la pizza”

“Piace molto anche a me, la pizza” le confidai allegro

Sophie alzò un sopracciglio come se fosse stupita.  “Dove l’hai mangiata?” chiese

“A New York” risposi sicuro.

Lei sorrise e scosse il capo “Allora non è vera pizza. La pizza devi mangiarla in Italia e se proprio sei un intenditore, a Napoli la fanno super” annunciò solare.

Il suo sorriso era bellissimo. Aperto e luminoso.

Ora che eravamo fuori, all’aria aperta, mi soffermai a guardarla con attenzione.

Aveva la pelle chiara e luminosa, lucenti capelli dorati con riflessi rossi e un sorriso incantevole. I suoi occhi erano chiari, brillanti e scintillavano ogni volta che sorrideva.

“Molto bene. Allora mi porterai a mangiare la pizza quando verrò a trovarti in Italia”

“Ok.”

“Il tuo colore preferito?”

“Il nero. In assoluto.” rispose subito  “Mi piace moltissimo lo stile dark-gothic. Ah, dimenticavo … adoro fare shopping!”

“Chissà perché me lo aspettavo” dichiarai con un sorriso

“Il tuo colore preferito?”  

“Il blu, direi. Ma dipende molto dall’occasione, anche il grigio non mi dispiace”

 

 

 

 

 

 

 

 

Eravamo arrivati a destinazione. Mi fermai e lei, che in quel momento mi guardava, si voltò e rimase a bocca aperta per lo stupore.

L’avevo portata davanti l’abbazia di Paisley. Uno dei luoghi più interessanti e affascinanti della città.

“Mio Dio ma … è bellissima” esclamò stupita

“Ti piace?”

Sapevo già quale sarebbe stata la sua risposta. Glielo si leggeva in faccia.

“Se mi piace … certo! E’ una costruzione stupefacente. Ti prego raccontami la sua storia.”

La presi per mano e, con finta disinvoltura, cominciai ad avvicinarmi per farle fare un giro all’esterno. Sophie, docile, mi guardava con occhi scintillanti di aspettativa.

E in quel momento, appena le strinsi la mano, una strana sensazione s’impossessò di me. Un calore, un tepore così piacevole che ne fui deliziato. Si dilatò dalla mano al braccio, fino a raggiungere il petto e poi più in basso sino alle gambe. Ne fui investito in pieno.

La condussi verso il sentiero che segnava il perimetro della costruzione

“Questa è l’abbazia della città ed è la diocesi della chiesa di Scozia. In precedenza è stata luogo di sepoltura di parecchi re dal XIII al XV secolo. Come puoi vedere è situata nel centro della città ed è una dei posti che preferisco, qui”  spiegai cercando di ricordare ogni particolare della sua storia

“Parli troppo veloce. Non ti capisco. Ti prego, potresti ripetere?”

“Se me lo chiedi così dolcemente” sussurrai divertito

Lei arrossì subito. Ripetei tutto piano e usando parole più semplici. Alla fine mi sorrise e m’incitò a continuare.

“Secondo la tradizione il primo a fondare una comunità in questa zona, fu il monaco irlandese Mirren nel VII secolo. Devi sapere che Mirren, il monaco, amava suonare un piccolo flauto e si racconta che lo facesse in maniera davvero meravigliosa. Componeva da se musica e parole. Di notte molti raccontano che passando da qui si riesca a sentire il suono di quel flauto. Una musica bellissima e così dolce che incanta chiunque l’ascolti“

“Davvero?” domandò Sophie.

Gli occhi le scintillavano di curiosità ed allegria. E per un momento mi persi in quello sguardo così puro e dolce

“Così dicono”

“Non sai quanto mi piacerebbe assistere e vederlo di persona” mi confidò guardando ancora verso l’edificio

“Sei una patita di fantasmi?”

“No, affatto. Però sarebbe un’esperienza unica assistere ad eventi del genere”

“Beh, se ti piacciono le leggende qui ne troverai moltissime. La Scozia è un posto magico e leggendario“ la guardavo ancora “La stessa aria che respiri è intrisa di storie e racconti popolari, antiche poesie e vecchi miti”

“Tu ne conosci qualcuna? Di storie, miti o magari solo poesie? Mi piacerebbe tanto sentirne qualcuna”

“Si, si può fare” annuì sorridendo

Lei si avvicinò a me e m’incitò a continuare.

“Comunque, il monastero fu fondato nel 1163 ed acquisì lo status di abbazia nel 1245. Una serie di incendi e crolli durante il XV ed il XVI secolo lasciò l'abbazia in stato di rovina. In stile neogotico vi sono la porta settentrionale e il campanile, lassù” ed indicai il punto più alto.

“E poi?”

Sorrisi  “Beh, non c’è molto altro da dire. La parte occidentale dell’edificio è in stile gotico e risale al XII secolo. L'organo è datato al 1872, fu costruito dal francese Cavaillé-Coll. L'abbazia è il luogo di sepoltura dei primi Stuart ed ospita oggi anche la Barochan Cross, una croce celtica che risalente al X secolo. Basta, non so nient’altro.” conclusi

“Beh, ne sai moltissimo. Sembri quasi una guida turistica” ridacchiò Sophie

“E’ un complimento, questo?“

“Direi proprio di no … ma ti ho dato dell’acculturato Hollywood!”  rise ancora

“Mmm … mi piace! Ma ti assicuro che non sono poi così erudito. Il fatto è che crescendo qui non si può fare a meno di venire a conoscenza di una piccola parte di storia di questi monumenti così  vecchi.”  

“Si può entrare? Mi piacerebbe tanto vederla dentro” domandò con occhi dolci

La guardai e annuì soddisfatto

“Certo. Vieni”  e ci accingemmo ad entrare dal portone centrale.

Lo sapevo. Sapevo che in sua compagnia la rabbia sarebbe sfumata. Ora ero sereno e averla così vicina mi faceva sentire strano.

Visitammo l’interno in religioso silenzio. Lei guardava ad occhi sgranati a destra e a sinistra. Aveva lo sguardo luminoso e curioso dei bambini. Sembrava voler registrare ogni cosa vedesse. Quando uscimmo era ormai ora di pranzo.

“Ti va di mangiare fuori, oggi?” domandai guardandola.

La vidi tastarsi le tasche dei jeans e poi voltarsi voltò verso di me

“Non ho portato soldi con me. Non lo avevo previsto” sembrava quasi dispiaciuta.

“Oh che peccato! Vorrà dire che dovrai farti offrire il pranzo dal sottoscritto” ghignai divertito

“Oh, no!!!” esclamò con finto orrore portandosi una mano davanti alla bocca

“Sarai in debito con me, ragazzina!” esclamai divertito

“Guarda che mi tocca fare per poter mangiare! Questi si che sono veri e propri sacrifici” replicò sempre sorridendo

“Dove andiamo?” domandò dopo qualche passo

“Un mio vecchissimo amico gestisce una piccola taverna, qui vicino. E’ un posto minuscolo ma si mangia bene ed è riservato. Ti piacerà, vedrai”

“Perfetto” era stranamente accondiscendente e la cosa non mi dispiaceva affatto

 

Arrivammo in pochi minuti ed entrammo.

“Gerard? Sei proprio tu?”

“Ciao George. Come stai?” gli tesi la mano e lui la strinse con forza abbracciandomi subito dopo

“Quanto tempo è passato? E’ tanto che non ti fai vedere …  cos’è, il successo ti ha dato alla testa?” mi chiese tirandomi un pugno sulla spalla

Soph era rimasta un passo indietro.

“Niente di tutto questo, ti assicuro. Oggi sono in dolce compagnia”

Posai una mano sulla schiena di Sophie e la invitai gentilmente ad affiancarmi

“Buongiorno” salutò educata tendendogli una mano

“Buongiorno a te dolcezza”

George posò lo sguardo su di lei, poi su di me e poi nuovamente su lei soffermandosi sulla sua figura. Le fece il baciamano facendola arrossire sino alla radice dei capelli

Aveva lo sguardo da marpione!

“Vacci piano George” lo avvertii

Posai il braccio intorno alla vita di Sophie, sul suo fianco e alzando un sopracciglio lo guardai con aria di sfida. Era un gesto di possesso e sperai che lo interpretasse così.

“Ho capito, è proprietà tua. Cazzo, amico come fai ad avere sempre donne bellissime al tuo fianco?” aveva alzato le mani in segno di resa e scuoteva la testa

“Sarà per il mio bel faccino!”  risposi sorridendo allegro

Sophie guardava prima l’uno e poi l’altro con un sopracciglio alzato. Forse non aveva capito bene le nostre battute. In effetti dovevo riconoscere che George aveva un accento molto forte, a volte incomprensibile persino per me. Tipicamente scozzese.

“Non dire stronzate perché tanto ci credi solo tu!” ribatté ancora ridendo

“Venite, vi faccio strada” continuò e lo seguimmo verso un tavolo.

Stavo per sedermi quando mi voltai verso Sophie. George le scostò la sedia e la fece accomodare come un perfetto gentiluomo.

E questa novità cos’era?

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Capitolo 12
*** XIII Capitolo ***


Cap. 13

XIII Capitolo

 

 

“Cos’è questa novità?” chiesi spiegazioni ma lui non mi degnò di risposta e avvicinatosi all’orecchio di Sophie sussurrò

“Lo perdoni signorina. A quanto pare non ha ancora imparato le buone maniere a tavola“

“Sei rimasto lo stesso pecorone bifolco di una volta!” continuò poi rivolto a me, con tono disgustato “Ma a voi ricconi non insegnano le buone maniere a tavola, soprattutto in compagnie di belle ragazze?” e strizzò l’occhio a Sophie che sorrise imbarazzata

“George smettila di fare l’idiota e portaci da mangiare!” ringhiai in risposta

“Gerard!” mi riprese Sophie con sguardo severo

“Oh, non si preoccupi signorin …”

“Sophie” disse lei sorridendo  “il mio nome è Sophie”

Lui sorrise talmente tanto che credevo che la faccia gli sarebbe caduta da un momento all’altro. Il suo sorriso partiva da un orecchio e arrivava all’altro. Sembrava Joker, il nemico di Batman.

Ci stava provando, il bastardo! E spudoratamente anche …

“Sophie è un nome bellissimo e mi permetta … le sta d’incanto!”

“George” ringhiai ancora

“Cosa vi porto signori?” cambiò discorso.

“Portaci del salmone al cartoccio con contorno di patate al forno” dichiarai deciso a liquidarlo

“Per me no, per favore” s’intromise Sophie

“Perchè?” domandai

“Lascia che Sophie scelga da sola Gerard. Non fare il prepotente come al solito!” si intromise George maligno

 Lo guardai con sguardo omicida, ma naturalmente lui non vi badò.

“Non mi piace il salmone. Mi può portare delle verdure alla griglia e lo stesso contorno, per favore?” chiese educatamente

 “Tutto quello che vuoi” rispose scarabocchiando qualcosa sul suo taccuino e dopo un altro sorriso si dileguò in cucina.

“Non sapevo che non ti piacesse il salmone” mi scusai

“Non importa. In realtà non mangio nessun tipo di pesce o crostaceo, nemmeno il tonno in scatola”

“Davvero? Che strano … sei allergica?”

“No, nessuna allergia. E’ solo che non mi piace”

George ci portò dell’acqua e del vino bianco in una brocca.

“Grazie” ringraziò Soph

“Se desideri qualcos’altro dimmi pure. Sono a tua disposizione” continuò con la faccia da pesce lesso

“Tranquilli, fate come se io non ci fossi” esclamai tra i denti

“Oh, Gerard non fare il geloso!” ghignò George

“Sparisci, George” sibilai tra i denti e lui obbedì, ancora ghignando

“Ti comporti sempre così?” mi domandò Sophie arrabbiata

“Lo sta facendo apposta. Mi provoca di proposito!”

“Cos’è che t’infastidisce? Che sia cortese?“ domandò ancora

“Non è affatto cortese … è un farabutto. E fa finta di essere gentile solo perché ci sei tu!”

Avrei dovuto fare quattro chiacchiere con quell’idiota di George prima di andare via.

“Non dire sciocchezze. Perché dovrebbe farlo solo con me?”

Che ingenua!

“Perché sei molto bella, Sophie! E tu lo stai incoraggiando con tutti quei sorrisini ” ringhiai guardandola negli occhi

“Non lo sto affatto incoraggiando!” ribatté lei infervorandosi  “E poi io sorrido e rido molto. Mi viene naturale e assolutamente spontaneo”

“Lo so, lo so” borbottai distogliendo lo sguardo

“Non capisco perché ti comporti così. Sembri … sembri quasi geloso”

Ero geloso? Beh … forse un pochino.

Fortunatamente arrivò George, con i nostri piatti proprio in quel momento, risparmiandomi la fatica di indugiare in quei pensieri.

“Ecco a voi! Spero sia di vostro gradimento” annunciò posando sul tavolo i piatti

Lo ringraziammo entrambi. Lui sorrise e tornò in cucina.

“Buon appetito” esclamò Sophie di punto in bianco

“Come? Cosa hai detto?”

“Scusa, è l’abitudine. Ti ho augurato buon appetito ma l’ho fatto in italiano” sorrise

“Ha un bel suono la vostra lingua, mi piace” annunciai, felice di poter cambiare discorso

“Grazie. In realtà è una lingua piuttosto complicata, soprattutto a livello grammaticale. E’ molto diversa dall’inglese”

“Parlami ancora in italiano. Mi piacerebbe imparare qualche parola. Però qualcosa di semplice, mi raccomando”

“Beh, parole semplici … fammi pensare”

E cominciò a dire qualche termine che io ripetevo subito dopo. Ad ogni nuova parola mi spiegava il significato e mi correggeva se sbagliavo a pronunciarle.

A fine pranzo sapevo già qualche parole di italiano e tutti i numeri da 1 a 10. Mi disse di continuare a ripeterle di tanto in tanto per non dimenticarle.

“Sei bravo” annunciò solare

“Facciamo così… Io ti aiuto con l’inglese e tu m’insegni un po’ di italiano. Ci stai?” le proposi nella speranza di farle abbassare i muri difensivi che aveva costruito

“Beh, si può fare.”

Ci alzammo dopo qualche minuto. Pagai George e lo ringraziai.

 “Ciao George. Ci vediamo”  lo abbracciai salutandolo.

“Alla prossima! Se sento gli altri ti chiamo così organizziamo un’uscita tutti insieme. E porta anche questa bella bambolina la prossima volta … magari avrà voglia di uscire con un gentiluomo invece che con un bifolco”

“Piacere di averti conosciuto Sophie” la salutò George

“Piacere mio George” rispose lei tendendo la mano per stringergliela

Lui non solo gliela strinse ma la salutò baciandola sulla guancia e facendola arrossire.

Indispettito da quel comportamento un po’ troppo libertino, la presi per un braccio e la avvicinai a me, poi guardai George con un sopracciglio alzato.

Lui lo notò e ridendo si congedò. Uscimmo insieme e ci immettemmo subito sulla strada principale.

“Che simpatico, il tuo amico George” annunciò Sophie dopo pochi passi

“Già. Un vero spasso” bofonchiai seccato

“Come vi siete conosciuti?” domandò curiosa

“Eravamo compagni a scuola. Ci conosciamo fin da piccoli”

“Quindi ha la tua età … è un bel ragazzo”

“Ti piace George?” avevo alzato la voce senza nemmeno accorgermene

 “Ed ora perché stai urlando?”

Ops, forse avevo esagerato un tantino.

“Quindi ti piace George?” domandai nuovamente con voce più bassa

“Beh, non direi che mi piace. Ma ammetterai anche tu che è un bel ragazzo”

Ero seccato e non volevo continuare a parlare di George.

“Non saprei. Non mi sono mai interessati i bei ragazzi. Preferisco le belle ragazze”

Scoppiò a ridere di gusto.

Il suono della sua voce e della sua risata. Erano unici.

“Ti va di continuare a passeggiare?”

“Con te?” domandò allarmata

“Si, certo con me. Con chi credevi?”

“Beh, magari potevamo chiedere a George di farci compagnia …”

“Sophie” la ammonì subito serio.

Lei scoppiò di nuovo a ridere.

“Stavo solo scherzando, Hollywood. Stai calmo” fece lei “Cavoli dai davvero l’impressione di essere geloso. Comunque si, certo che mi andrebbe di passeggiare ... anche se devo farlo con te” mi guardò con una luce scherzosa negli occhi

Sorrisi e le strinsi la mano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Passeggiammo per tutto il pomeriggio, parlando soprattutto di lei. Ci misi un bel po’ prima di indurla ad aprirsi un pochino perché notai da subito quanto fosse timida e riservata. Ero curioso di sapere com’era, quali erano i suoi interessi, cosa le piacesse e cosa no, quali fossero le sue aspirazioni. Parlammo e scherzammo per diverse ore, prima di essere interrotti dal rumore di un tuono potente. Un temporale era in arrivo; saremmo dovuti tornare a casa in fretta prima che iniziasse a piovere.

“Oh, guarda. Sta cominciando a piovere”

“Già. Dobbiamo tornare a casa prima che peggiori” ammisi imbronciato.

Affrettammo il passo in direzione casa.

Quando arrivammo al cancello della tenuta eravamo comunque entrambi fradici dalla testa ai piedi. Sophie sorrideva allegra mentre io ero abbacchiato e speravo non ci saremmo ammalati. Entrando in casa, si tolse subito le scarpe ed io feci lo stesso lasciandole in corridoio.

“Ho bisogno di fare una doccia” annunciò sempre sorridendo

“Già, anche io ma perché sorridi?”

“Per la pioggia. Mi piace molto”

“A me no invece. E’ triste! ” ammisi seccato

“Io l’adoro! Il tintinnio che produce quando cade, il profumo che rilascia sulle foglie, sull’erba, nel terreno e nell’aria stessa che si respira, le sensazioni che suscita quando la guardi cadere … è tutto così rilassante”

Rilassante?

Forse la mia espressione rifletteva i miei pensieri perché lei se ne accorse e mi sorrise indulgente.

“Ora ti mostro una cosa. Chiudi gli occhi e rilassati”

Eravamo in salotto, mi prese per mano fino a portarmi davanti alla finestra.

“Non sbirciare, mi raccomando. Fai un respiro profondo, svuota la mente e cerca di non pensare” m’istruì per poi aprire una finestra

“Fai qualche respiro a bocca chiusa. Inspira ed espira col naso più volte e dimmi cosa senti” aggiunse continuando pacatamente “Non usare il cervello. Concentrati solo sui tuoi sensi. Cosa senti?” chiese con voce bassa vicino al mio orecchio.

Cosa sento?

Sento che mi piacerebbe stringerti tra le braccia e sdraiarmi con te per sentire il suono del tuo cuore vicino l’orecchio.

Sento che mi piacerebbe accarezzare i tuoi capelli e sentirne la consistenza. Avvicinarne una ciocca al naso e scoprirne il profumo.

“Sento lo scrosciare della pioggia, il suo picchiettare sul tetto e odore di erba bagnata”

“Bene, ma non ti stai concentrando. Cosa provi?”

“In questo momento? Ho freddo ma sono rilassato e mi sembra di avere la testa leggera … probabilmente ho la febbre” conclusi aprendo gli occhi

Scuoteva la testa ma sorrideva

“Non credo tu ti sia concentrato a sufficienza mio caro Sig. Butler. Comunque non importa. Forse sono solo io la strana a cui piace la pioggia, ovunque si trovi”

“Perché ti piace così tanto?” la domanda mi sfuggì dalle labbra

“Non so dirlo con certezza. Mi piace da sempre, fin da quando ero piccola. Mio fratello mi prende sempre in giro, mi chiama la signora della pioggia, e ogni volta che piove mi racconta sempre la stessa storia, arricchendola ogni volta di nuovi particolari”

S’interruppe improvvisamente percependo di essersi lasciata andare a troppe confidenze. Mi sorrise e riprese il discorso di prima

“La pioggia mi piace perché mi rimette in contatto con la natura, mi rimette in pace con me stessa! Mi piace moltissimo guardarla scendere, alla finestra o magari a letto sotto le coperte. Mi rilassa e poi il suono ritmico di quando cade concilia il sonno” concluse con un sorriso

“Già, ora però dovremmo andare a cambiarci prima di ammalarci sul serio”

                                                                 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Entrando in camera e chiusa la porta, mi spogliai veloce lasciando gli abiti sul pavimento e mi fiondai in bagno per una doccia calda. Sotto il getto bollente mi rilassai completamente, mi stiracchiai e mi lavai con cura. Uscì subito dopo aver finito e con un accappatoio intorno ai fianchi rientrai in camera. Mi misi un paio di boxer blu e mi sdraiai sul letto. Chiusi gli occhi.

Ora mi rilasso qualche minuto e poi scendo per la cena…

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Capitolo 13
*** XIV capitolo ***


Cap. 14

 

 

 

 


XIV CAPITOLO

 

 

Sentì dei colpi alla porta, un lieve bussare, ma non vi badai. Mi girai dall’altra parte e mi rimisi a dormire.

“Gerard? “

Riconobbi la voce di Sophie così, stropicciandomi gli occhi, andai ad aprire.

“Gerard … stai bene?”

La prima cosa che notai fu il suo sguardo preoccupato.

“Tutto ok?” domandò ancora

Io non risposi subito ma notai il suo sguardo scendere verso il basso; quando si accorse che indossavo solo i boxer arrossì fino alla radice dei capelli.

Sorrisi di quella reazione

“Ciao Sophie”

Lei rialzò lo sguardo e mi fissò  “Scusa … non volevo disturbarti …  ma pensavo avessi fame … e … ehm … ho preparato dei tramezzini, in cucina”

“Che ore sono?” domandai spostandomi ed  invitandola ad entrare

“Sono le otto”

Annuì e m’infilai una maglietta a maniche corte e pantaloni di una tuta.

Era rimasta sulla porta e si era voltata dall’altra parte mentre mi vestivo.

Che pudica!

“Mi spiace, non sapevo stessi dormendo altrimenti non sarei venuta a svegliarti”

“Hai fatto benissimo” le andai vicino, le toccai la spalla e si voltò.

“Come ti dicevo ho preparato dei panini. Non ho trovato nient’altro in cucina”

“Andranno benissimo. Vieni scendiamo” la precedetti fuori e scendemmo le scale assieme

Lei però si diresse verso il salotto.

“Non vieni a mangiare?”

“No, grazie. Non ho molta fame. E poi stavo guardando un film in sala”  mi sorrise ed entrò lasciando la porta socchiusa.

Io, annuendo, mi diressi in cucina. Sul tavolo c’era un piatto con cinque tramezzini. Sorrisi e, col piatto, la raggiunsi in salotto.

Quando mi sentì entrare e chiudere la porta si voltò

“Non mi andava di mangiare da solo” spiegai  “Posso farti compagnia?”

“Certo” annuì e si spostò per farmi posto

Era acciambellata sul divano con una coperta accanto così mi sedetti vicino ed addentai uno dei sandwich

 “Mmm, buono” dissi dopo aver deglutito  “E’ gustoso, brava!”

Lei sorrise e solo in quel momento mi accorsi che aveva il viso bagnato.

“Soph, perché piangi?” domandai posandole un dito sotto il mento e guardandola negli occhi.

“Oh, non ti preoccupare. Piango sempre quando mi commuovo”

Solo allora mi accorsi che la causa era il film. Era Ghost con  Patrick Swayzie e Demi Moore.

“Soph, ma se ti fa piangere perché lo guardi?” le asciugai le lacrime che continuavano a scendere copiose dai suoi begli occhi

“Beh, perché mi piace. E’ un così bel film, triste è vero ma anche dolcissimo”

Chissà perché le donne s’intestardiscono a vedere film che le fanno diventare delle fontane umane… Bah!

Mi alzai e presi dall’armadio due confezioni di fazzolettini di carta, una la posai sul basso tavolino ed una la diedi a lei.

“Grazie”

Si asciugò le lacrime e si soffiò il naso. Io continuai a mangiare quei deliziosi panini ed in poco tempo finì tutto.

Beh, ci volevano proprio…

Sospirai soddisfatto e mi voltai a guardarla.

Se ne stava rannicchiata su se stessa con in mano un angolo della coperta e con un fazzolettino nell’altra.

Era dolcissima e mi trasmise una sensazione di tenerezza assoluta

Senza fretta la presi tra le braccia e le cinsi un fianco con un braccio.

Era calda e leggera

Lei appoggiò la testa alla mia spalla e si rilassò.

Aveva un odore buonissimo

I suoi capelli profumavano e serrandola ancora di più tra le braccia, le posai un bacio leggero sul capo.

Averla così vicina mi dava una strana sensazione. Mi sentivo rilassato e con uno strano senso di completezza. Non so nemmeno come spiegarlo. Non lo avevo mai provato prima.

Forse perché non mi era capitato di avvicinarmi a nessuna così tanto. O forse è a causa sua … forse è lei. Il suo profumo, la sua dolcezza, il suo sembrare così ingenua e bisognosa di protezione e conforto …

Verso la fine del film la vidi socchiudere leggermente gli occhi, sembrava stanca o forse aveva solo sonno. Con un filo di voce diedi via libera ad un pensiero che da quando ero sveglio mi incuriosiva e assillava.

“Sophie?”

“Mhm?” rispose senza però aprire del tutto gli occhi

“Posso chiederti qual è il racconto riguardo la pioggia?”

La vidi sorridere leggermente ed annuire

“John dice che quando ero piccola ogni volta che con la mamma andavamo al parco a giocare molte volte mi isolavo e giocavo da sola. Una volta, quasi verso il tramonto, ci accompagnò invece papà. Era tardi perciò non c’erano molti bambini e una decina di minuti dopo cominciò a piovere. John voleva tornare a casa io invece non volevo. Disse che m’impuntai così tanto che papà cedette e alla fine restammo. Papà aveva portato un ombrello e vi si rifugiò sotto assieme a John, io invece cominciai a sorridere e ridere allegra. Disse che sembravo divertirmi da matti, giravo, correvo, saltavo tra una pozzanghera e l’altra ridendo a crepapelle. Disse di non avermi mai visto ridere così felice fino a quel momento e che gli occhi mi brillavano così tanto che sembravo risplendere, proprio come un raggio di sole” concluse chiudendo definitivamente gli occhi e accoccolandosi al mio corpo.

Sorrisi di quell’aneddoto e chiudendo gli occhi m’immaginai una bambina piccola con cappottino e stivaletti correre e saltare da una parte all’altra; riuscì persino a sentire l’eco della sua risata allegra.

Quando li riaprì quella stessa bambina la vidi cresciuta, in un corpo di donna, rannicchiato sereno tra le mie braccia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sentì la porta di casa aprirsi e poco dopo richiudersi con delle voci in corridoio.

“Hey, tesoro” la testa di mia madre si affacciò in salotto e quando notò la scena le spuntò un sorriso sulle labbra. Poco dopo apparve anche Lisa.

La luce era spenta perciò non so se notarono Sophie addormentata tra le mie braccia. Mia madre entrò in salotto, senza fare rumore né accendere nessuna luce, spense il televisore e tolse il film dal lettore dvd. Entrambe mi sorrisero e chiesero se avessi bisogno di qualcosa. Io scossi la testa e diedi ad entrambe la buonanotte. Chiusero la porta ed in silenzio andarono a dormire.

“Hai visto? Che carini che sono insieme” sentì dire da mia madre a Lisa

Sorrisi non so bene nemmeno io il perché. Non volevo pensarci, stavo troppo bene in quel momento per lambiccarmi il cervello con strani pensieri.

 

 

 

La pioggia continuava a scendere ed io rimasi ad ascoltarla cadere con Sophie accanto che riposava serena. Le diedi un altro bacio e mi accoccolai meglio sul divano. Lei si agitò un poco ma dopo un lungo sospiro tornò a dormire senza svegliarsi.

Averla addosso mi piace da matti

L’accarezzai lentamente e chiudendo gli occhi mi concentrai sul suo respiro lento e regolare. Restai così, con Sophie su di me, per non so quanto tempo.

Riaprì gli occhi quando lei si mosse ancora. Pensai si fosse svegliata ma sbagliavo. Avevo le gambe leggermente aperte così si accoccolò meglio, posò la testa sul mio petto e mi abbracciò. Inconsapevolmente cercava calore e comodità.

La guardai dormire; sembrava così piccola, così delicata.

 

Più tardi, con garbo, la sollevai tra le braccia e salì le scale. Arrivai alla sua camera e per fortuna la porta era semi-aperta. La scostai con la spalla, per aprirla del tutto, ed entrai.

Il letto era sfatto così ve la poggiai delicatamente, la coprì e sedendomi sul suo letto le scostai i capelli dal viso.

Non averla più vicino mi fece sentire di nuovo strano.

La guardai dormire ancora per qualche minuto. Quando mi alzai per andarmene a letto le posai un bacio sfiorandole le labbra.

Sorrise, nel sonno.

Le chiusi la porta ed entrai in camera mia.


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Capitolo 14
*** XV Capitolo ***


Cap. 15

XV Capitolo

 

 

Quel mattino mi svegliai irritata, molto irritata!

Gerard entrò in camera mia, allegro e pimpante, e quasi mi buttò giù dal letto.

“Sophie? Sophie … Soph?”

Mugugnai qualche parolaccia nella sua direzione. In italiano, naturalmente.

Andò verso la finestra e con vigore ne aprì le tende. Il sole irruppe nella stanza e mi infastidì gli occhi. Ormai completamente sveglia mi sollevai a sedere.

“Stavi dormendo per caso?”

Gli lanciai un’occhiataccia assassina e mi girai a guardare la sveglia sul piccolo comodino.

Imprecai mentalmente.

Erano appena le sette di mattino, accidenti!

Lo freddai con un’altra occhiataccia “No, ma ti pare. Adoro essere svegliata da un omone gigante che piombando in camera mia mi butta giù dal letto!”

Lui scoppiò a ridere

“Su coraggio che il mattino ha l’oro in bocca!”

“Beh, menomale allora … non sono avida e l’oro non mi interessa. Buonanotte!” mi rintanai nuovamente sotto le coperte tentando di riaddormentarmi.

Lui però non volle saperne e si accomodò sul letto, vicinissimo al mio fianco.

Riaprì gli occhi infastidita e notai che mi stava fissando.

Aveva lo sguardo frizzante e il viso riposato. Era sicuramente di ottimo umore.

“Che diavolo vuoi di prima mattina? E perché sei entrato in camera mia, senza nemmeno bussare o preoccuparti di svegliarmi?” domandai rabbiosa

“Voglio portarti in un posto. Su, coraggio, alzati e vestiti”

“E non potevi aspettare un altro paio d’ore? Non ne ho voglia! Lasciami dormire in pace. Ne riparliamo nel pomeriggio”

Lui non me lo permise. Andò ad aprire le finestre e mi strappò via le coperte.

“Non voglio sentire no come risposta!”

“Vattene al diavolo, Gerard Butler e lasciami dormire!” gli intimai furiosa

Misi la testa sotto il cuscino e mi rannicchiai in posizione fetale.

“Sophie, alzati subito da quel dannato letto. Ti do cinque minuti di tempo” concluse uscendo dalla stanza

Grazie al cielo! Finalmente se n’è andato.

Ripresi le coperte e mi ricacciai sotto, chiudendo gli occhi. Mi rilassai e cercai di riprendere sonno.

 

Delicate dita mi accarezzavano i fianchi e la schiena. Erano calde e piacevoli.

Quel tocco era così delicato che sorrisi…

“Sophie?” un soffio caldo sull’orecchio

Che bel sogno … la voce … e le carezze

“Non so se sia il caso di continuare. Se persisti a sospirare così dolcemente credo che non sarò in grado di allontanarmi”

Solo in quel momento la sua voce roca raggiunse la parte conscia e sveglia del mio cervello.

Non stavo sognando! Per niente!

Spalancai gli occhi di botto e cercai di riconnettere mentalmente.

Era lui…

Con una mossa fulminea, scattai in piedi e mi allontanai da quel suo tocco maledettamente invitante ed ipnotico.

“Che diavolo stavi facendo?” ringhiai

“Ti stavo accarezzando mi sembra ovvio”

Era sdraiato sul letto, incrociò le braccia dietro la testa e si mise più comodo. Sul volto un’espressione rilassata e divertita. Sembrava l’innocenza fatta persona.

“Questo l’ho notato. Volevo saperne il perché”

Ero arrabbiata ma anche tremendamente imbarazzata.

“Beh, visto che i normali metodi di risveglio con te non funzionano, ho deciso di provare questo. E devo dire di aver raggiunto lo scopo” sorrise maliziosamente

“Tu non sei normale, lo sai vero? Come diavolo ti è saltato in mente di infilarmi le mani sotto … dove non devi metterle? Eh?”

“Non fare quella faccia da incazzosa, adesso. Non è stato spiacevole! Dai tuoi sospiri di apprezzamento oserei dire che ti è piaciuto parecchio. Ed è piaciuto molto anche a me”

“Smettila di sorridere come un idiota, Hollywood! Non mi è piaciuto per nulla!”

“Che bugiarda!”

Nel frattempo si era alzato dal letto e si stava accingendo ad uscire dalla stanza.

“Ora preparati. Qualcosa di comodo, andiamo in campagna. Ti aspetto fra mezz’ora in salotto” era uscito dalla porta ma dopo pochi secondi vi rientrò

“E Comunque … hai la pelle più morbida e setosa che io abbia mai accarezzato”

 

 

Mi precipitai in bagno, sotto la doccia. Non tanto per dargliela vinta quanto piuttosto per lavarmi via la seducente sensazione delle sue dita sul mio corpo.

Mi lavai con cura ed uscendo mi avvolsi in un grande telo bianco. M’infilai un paio di jeans chiari, scarpe da tennis ed una maglietta leggera con maniche a sbuffo di colore rosso. Legai i capelli in una coda alta. In borsa ficcai occhiali da sole, fazzoletti, cellulare e burro cacao.

“Era ora!” mi accolse appena varcai la porta del salotto

Risposi alzando un sopracciglio e guardandolo accigliata.

“Forza, siamo già in ritardo. Ho preparato il pranzo al sacco“ chiarì prendendomi per un braccio e trascinandomi di peso verso la porta.

 

 

 

Eravamo in auto da parecchio tempo in religioso silenzio. Ero ancora di cattivo umore e non avevo proprio voglia di fare conversazione.

“Stai benissimo con i cappelli legati così. Ti valorizzano il viso” proruppe scrutandomi da capo a piedi, rompendo quell’ostinato silenzio.

 “Grazie” risposi senza voltarmi

“Ti ho preso queste. Tieni” e mi porse un sacchettino di carta

Lo aprì e dentro vi trovai due brioches al cioccolato. Per la fretta non avevo fatto colazione e lui aveva provveduto.

“Le ho comprate stamattina. Spero siano ancora calde”

“Sei uscito a comprarle per me?” chiesi colpita

“Già, a volte anche io riesco ad essere gentile”

Il mio malumore era svanito. “Sono buonissime”

Le mangiai con gusto.

“Bene, sono contento che ti siano piaciute” sorrideva allegro

“Allora dove siamo diretti?” domandai curiosa quando finì di mangiare

“Vicino Glasgow c’è un piccolo maneggio. Vedrai ti piacerà. Hanno dei cavalli stupendi”

“Un maneggio? Cavalcherai?” domandai

“No, lo faremo entrambi”

“Ma Gerard … io non sono capace … non so andare a cavallo!”

“Beh, vuol dire che imparerai oggi” rispose allegro “Sarà divertente” aggiunse

Non ne ero così sicura. Non avevo mai cavalcato in vita mia. In realtà non avevo mai visto un cavallo da vicino, non sapevo neppure come avrei dovuto comportarmi.

E se avessi sbagliato qualcosa? E se gli avessi fatto male? E se lui ne avesse fatto a me?

Gerard sembrò notare l’espressione del mio viso, si girò verso di me e mi fissò a lungo.

“Non avere paura. Sono solo cavalli”

Già come se la cosa potesse tranquillizzarmi.

Maledizione! Lui e le sue idee strampalate.

 

 

 

 

 

Avevo paura e tremavo come una foglia. Sebbene i cavalli siano dei bellissimi animali, le loro dimensioni incutono timore.

Cercai di spiegarglielo, di fargli capire come mi sentivo ma lui non se ne curò. Mi obbligò a salire sul cavallo assieme a lui.

Cavalcava con maestria guidando l’animale con scioltezza. Lo sentivo ridere felice. Io invece non lo ero affatto. Volevo scendere.

Non aprì gli occhi finché non sentì il cavallo diminuire l’andatura e finalmente fermarsi.

“Dammi la mano così ti aiuto a smontare”

Feci come mi disse e con un balzo fece lo stesso.

Ci trovavamo in un piccolo boschetto. Giganteschi alberi facevano ombra ad un’enorme distesa d’erba verde. L’aria profumava di pulito e di fiori. Il posto era bellissimo.

“Stai piangendo?” mi domandò avvicinandosi.

Il cavallo era placidamente impegnato a mangiare qualche filo d’erba a pochi metri di distanza

Con un gesto stizzito della mano mi asciugai le poche lacrime cadute.

“Beh, cosa ti aspettavi? Che mi mettessi a ridere?” ribattei acida

“Beh, magari non subito. Ma sicuramente non mi aspettavo ti mettessi a piangere!”

“Ho avuto paura Gerard. E ne ho ancora adesso. Te l’ho detto ma tu non ascolti”

“Come pretendi di imparare se nemmeno ci provi? Guardalo Sophie, è un cavallo non uno squalo!” ribattè adirato

Tsz! Adesso era lui l’arrabbiato?

Ed io allora? Io sarei dovuta essere furibonda!

Alzai le mani al cielo in segno di resa. Non volevo continuare a sprecare fiato. Non avrebbe capito. Mi voltai e m’incamminai verso il cuore di quella boscaglia.

Cosa c’era di difficile da capire?

Ho paura. Chiaro e semplice!

Uno scrosciare d’acqua mi ridestò da quei pensieri. M’incamminai verso la fonte di quel lieve rumore e un piccolo ruscello mi apparve davanti. Le sue acque cristalline correvano veloci e scroscianti.

Sorridendo mi avvicinai, tolsi le scarpe e immersi i piedi. Sentivo il vento che attraversava le fronde degli alberi producendo leggeri fruscii.

 

 

Non mi accorsi di lui finché non si avvicinò e rimase a fissarmi. Alzò una mano e con le nocche mi accarezzò lentamente la guancia. Il suo tocco era così delicato che istintivamente chiusi gli occhi.

Quando li riaprì lo guardai e andai a coprire la sua mano con la mia. Mi sorrise e senza dire una parola mi prese per mano. Ritornammo alla radura dove avevamo lasciato il suo cavallo che non era più solo. Era affiancato da un altro bellissimo esemplare.

 

 

 

 

 

 

L’ora successiva la passai ascoltando attentamente le sue istruzioni.

Facevamo teoria da maneggio. Pazzesco!

Mi spiegò come avvicinarlo senza impaurirlo, come salirgli in groppa e via dicendo. Per tutto il tempo ero rimasta in silenzio, annuivo solamente.

Lo ascoltavo prestando attenzione ma continuavo ad aver paura. Non volevo farlo. Non ero ancora pronta.

Finita la lezione mi scaraventò di getto nella pratica. Dandomi le spalle s’incamminò verso il recinto.

“Ora sta a te decidere” disse serio

Non mi mossi fino a quando non lo vidi superare la staccionata e dirigersi verso il cavallo. Era come se non riuscissi a credere che lo avrebbe fatto davvero.

Mi avrebbe lasciata li così? Da sola?

Si issò in sella e con un colpo di talloni spronò il cavallo allontanandosi velocemente senza guardarsi indietro.

Attraversai di corsa il giardino fino al recinto per cercare di fermarlo ma lui era già lontano.

 

L’animale, che teoricamente avrei dovuto cavalcare, era bianco con chiazze marroni. Sul dorso aveva una lucida sella nera. Osservandolo da lontano sembrava relativamente tranquillo.

Mi avvicinai con lentezza e cercai di accarezzarlo. Subito il cavallo percepì la mia paura e scuotendo la testa si allontanò.

Dannazione! Sarei dovuta tornare da sola. E per di più con un cavallo!

Dovevo calmarmi. Respirare a fondo.

Calmarsi e respirare a fondo.

Tremavo. Avevo paura e a breve sarei scoppiata a piangere.

Quello zoticone di Gerard trova la situazione divertente!

Ma era matto? Come pensa che si possa salire su quella montagna di cavallo?

Idiota! Come ha potuto lasciarmi da sola?

Io non sapevo cavalcare.

La teoria era diversa dalla pratica. Avevo paura di sbagliare. Avevo paura di farmi male e di farne al cavallo.

Lente e calde, le lacrime scesero fino ad annebbiarmi la vista. Stavo piangendo.

Guardai ancora il cavallo. Con un gesto nervoso mi asciugai le lacrime e mi avvicinai.

Alzai con lenta fermezza una mano e con attenzione cominciai ad accarezzargli il muso.

Niente paura.

Il cavallo non doveva sentire che avevo paura. Dovevo cercare di controllarmi.

Non so come riuscì a salirgli in groppa ma me ne rallegrai. Con gesti decisi lo invitai ad andare. Il cavallo si mosse e cominciò a “camminare”.

Tenevo le redini in mano. Le guardai per un momento e poi con un colpo risoluto le mossi. Il cavallo aumentò subito l’andatura.

Sorrisi.

Pian piano la paura scivolò via; più il cavallo correva più io ridevo. Lo conducevo decisa, svoltava a destra o a sinistra seguendo le mie istruzioni.

Mi sentivo felice. Ci ero riuscita. Stavo cavalcando e non avevo paura. Scoppiai a ridere.

 

Arrivai a destinazione euforica.

Smontare da cavallo richiese qualche minuto e parecchi tentativi.

Caddi a terra con un piccolo tonfo e battei il sedere sulla terra dura.

“Ti sei fatta male?” domandò una voce ansiosa, alle mie spalle

Mi voltai e lo vidi.

Veniva verso di me con un’espressione preoccupata sul viso. Mi aiutò ad alzarmi e mi sfiorò il volto con dita leggere

“Sei caduta. Ti sei fatta male?”

“Si. No. Non lo so…”

No, non mi ero fatta male.

Lui sorrise ed io di slancio mi fiondai tra le sue braccia. Mi sentii stringere con forza. Cominciai a ridere e piangere insieme. Ero contenta e arrabbiata insieme.

“Sapevo che ci saresti riuscita. Ne ero certo” mi sussurrò all’orecchio

Alzai lo sguardo e lo fissai perplessa.

“Era l’unico modo! Metterti di fronte al problema senza altre vie d’uscita. E così ho fatto. Sei orgogliosa e sapevo che non avresti gettato la spugna, soprattutto per darla vinta a me”

Come sapeva come avrei reagito?

“Il solito arrogante” borbottai

Lui sorrise.

Mi strinse di più e senza preavviso abbassò le sue labbra sulle mie.

Erano calde e morbide. Smisi di pensare ricambiando il bacio.

 

Pranzammo seduti sull’erba vicino al ruscello. Gerard aveva portato succo di frutta, pane, uova strapazzate e pancetta, pomodori fritti, salsicce e verdure grigliate. C’era cibo sufficiente a sfamare un esercito.

“Serviti pure” disse sedendosi accanto a me

“Grazie” e mi riempì il piatto

Feci lo stesso con il suo ed iniziammo a mangiare. Il cibo era squisito, degno del suo delizioso aspetto.

Finalmente sazia, poggiai a terra piatto e posate, e mi accorsi che Gerard mi stava fissando palesemente affascinato.

“Sono contento ti sia piaciuto”

“Scusa … dev’essere sicuramente l’aria di campagna … di solito non mangio così tanto” mi giustificai imbarazzata

“Guarda che la mia non era una critica” la sua voce era colma di divertimento ed io non potei fare a meno di arrossire.

 “Sai, non sopporto le donne che mangiucchiano foglie d’insalata, come conigli, per tutto il giorno. Sono irritanti. E causa il mio lavoro, credimi, ne vedo a dozzine”

Eppure scommetto quello che vuoi sono proprio splendide ragazze con un fisico da modella, strepitose con qualunque cosa indossino. Eleganti e raffinate che mangiano appunto solo foglie di insalata.

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Capitolo 15
*** XVI Capitolo ***


Cap. 16

XVI CAPITOLO

 

Aprì gli occhi con lentezza, mi stiracchiai e con un sospiro sollevai le coperte lanciandole ai piedi del letto. Sorrisi e con agilità balzai fuori dal letto.

Aprì le tende e spalancai le finestre. Respirai a pieni polmoni l’aria frizzantina del mattino. Sorridendo mi stiracchiai nuovamente e in fretta mi vestì per correre giù a far colazione.

Scendendo le scale sentì le voci di Maggie e di Gerard. Quella voce così profonda mi provocò uno strano sfarfallio allo stomaco.

“Buongiorno a tutti” salutai entrando

“Buongiorno Sophie. Dormito bene?” ricambiò Margaret con un sorriso

“Si, benissimo grazie. Se non fosse stato per la fame sarei rimasta ancora un po’ sotto le coperte”

“Ben svegliata” mi salutò Gerard con voce calda voltandosi verso di me. Stava leggendo il Paisley Daily Express*.

Ero imbarazzata quindi risposi sorridendo

Perché quando mi guarda mi sento sciogliere?

Ieri era stata una giornata divertentissima. Nonostante la discussione iniziale mi ero trovata bene. Avevamo passeggiato, cavalcato e parlato di cose differenti.

E’ un uomo davvero contraddittorio. Di primo impatto mi era sembrato scontroso, burbero, particolarmente arrogante e pieno di se. Mentre ora non so … lo vedo più interessante!

 “Hai fame?” domandò avvicinandomi un piatto con due frittate

La tavola era stracolma di cibo ed entrambi i padroni di casa stavano ancora finendo.

“Si, molto. Ma non riuscirei proprio a mangiare così tanto. Mi sono sempre chiesta come facciate a mangiare tutta quella roba, la mattina appena svegli”

Mi riempì la tazza di latte e cereali.

“Abitudine immagino” lui alzò le spalle continuando a mangiare la sua porzione

“Sapete dov’è mia madre?”

“E’ in giardino cara. Sta trafficando, con entusiasmo direi, con non so quale pianta”

Sorrisi alla sua frase. Mia madre era una fissata del giardinaggio mentre, notando l’occhiata stranita di Margaret, lei forse un po’ meno.

“Cosa avete in programma per oggi, ragazzi?” chiese lei d’improvviso

“Io non saprei. Domenica pomeriggio, tra l’altro, devo tornare a Londra, per lavoro.” Rispose Gerard scocciato

“Tu avevi qualcosa in mente, Sophie?” mi domandò poco dopo

Deglutii prima di rispondergli  “In realtà volevo disegnare” lo vidi annuire pensieroso

Mia madre entrò proprio in quel momento

“Ben svegliata, tesoro” mi salutò baciandomi sulla guancia

“Ciao mamy. Voi invece cosa fate?”

“Oggi abbiamo deciso di rimanere a casa. Ne approfitteremo per parlare un po’ tra noi” rispose mia madre accostandosi a Margaret che annuì.

Gerard, appena finito, si alzò e disse di dover chiamare la sua assistente per organizzare la sua partenza. Uscì dalla stanza con lo sguardo corrucciato ed il cellulare in mano.

Il fatto che da lì a due giorni dovesse ripartire mi provocò un poco di tristezza.

Era vero che la maggior parte delle volte mi irritava ed infastidiva da morire ma ieri era stato così gentile.

Qualche minuto dopo mi alzai anche io, sparecchiai la tavola infilando tutto in lavastoviglie. Stavo salendo le scale diretta in camera mia quando sentì la voce di Gerard

“Susy, tesoro, come stai?”

Tesoro? Chi era Susy?

Beh, di certo un uomo come lui aveva sicuramente la fidanzata!

Magari ne ha un paio…  una per il giorno ed una per la notte!            

Magari ne aveva una anche per i weekend fuori porta…

La porta della sua camera si chiuse con un click due secondi dopo. Non mi aveva vista.

Sospirai di sollievo. Sarebbe stato imbarazzante perché avrebbe pensato che lo stessi spiando.

In silenzio e ancora pensierosa rientrai in camera mia. Mi cambiai in fretta e, siccome fino a tarda notte aveva piovuto, indossai Jeans scuri e stivali lunghi fino al ginocchio, sopra misi un maglioncino in cotone a maniche lunghe. Non volevo beccarmi l’influenza e la prudenza non era mai troppa. Presi album, matita, gomma e scesi le scale diretta in giardino.           

 L’aria profumava di erba bagnata e il cielo era limpido e senza nuvole. Mi sistemai sulla medesima panchina del giorno prima e mi rimisi all’opera.

 

 

Non notai lo scorrere del tempo finché un’ombra mi oscurò la visuale. Alzai gli occhi e lo vidi di fronte a me.

“Il pranzo è in tavola, picasso!” esclamò sorridendo

“Il pranzo? Di già? Ma che ore sono?” domandai stupita chiudendo l’album e alzandomi

Ero scioccata. Non pensavo di essere rimasta lì così a lungo.

“Sono le tredici, Sophie”

“Oh, cavolo! Non mi sono resa conto che fosse così tardi. Sai quando sono concentrata mi estraneo completamente” mormorai per scusarmi.

Lui sorrise e mi prese sottobraccio “L’ho notato! Ero lì in attesa da almeno dieci minuti. Ho dovuto farti ombra per richiamare la tua attenzione”

“Disegni in maniera superba e mi piacerebbe vedere qualche altro tuo disegno” aggiunse poco dopo rientrando in casa

 

 

“Come te la cavi con i ritratti?” domandò mentre ci sistemavamo a tavola

“Con i ritratti? Beh, non saprei … non ne faccio molti” ammisi

In realtà ne avevo fatti meno di cinque in tutta la mia vita.

Non amavo i ritratti perché in tutti gli schizzi che facevo mi piaceva inserire qualcosa di mio. Non solo ricopiare o riportare la realtà su carta. E nei ritratti tutto questo non era possibile.

“Mi piacerebbe comunque avere qualche disegno. Potresti farne qualcuno per me?”

Ero spiazzata e incredula

“Perché? Ascolta … io non sono molto brava e non pens-”

“Questo lascialo giudicare a me” mi interruppe lui sorridendo appena

“Se ci tieni tanto” risposi con un’alzata di spalle

Non mi sentivo all’altezza. Non ero brava e non mi consideravo nemmeno tale. Non disegnavo per gli altri. Io disegnavo e dipingevo solo per me, per passatempo. Era un hobby il mio, nient’altro.

“Si, grazie. Lo apprezzerei molto”

 

Il pranzo passò velocemente. Le portate erano leggere e le chiacchiere tante. Margaret ci raccontò, infatti, altri episodi dell’infanzia di Gerard e dei suoi fratelli. A fine pasto avevo le lacrime agli occhi dal troppo ridere mentre lui sembrava piuttosto abbacchiato.

Sparecchiai con l’aiuto di Gerard mentre sia mia madre sia la sua si ritiravano in salotto. Dopotutto loro avevano cucinato.

“Ti andrebbe di farmi un ritratto, Soph?”

“Come?” la sua richiesta mi aveva sorpreso

“Hai da fare adesso?”

“No, non ho nulla da fare” ammisi esitante

“Benissimo. Allora vieni con me” mi prese per mano e mi trascinò su per le scale

“Dove hai il tuo quaderno?”

“L’album?  è in camera mia … ma … perché? ” risposi esitante

“Bene. Prendilo e vieni in camera mia”

Perché in camera sua?

Annuì e a passo svelto mi diressi in camera mia.

 

                            

La porta era aperta così entrai sicura. Lui era alla finestra, aveva scostato le tende e aperto le finestre.

Sentì i miei passi e si voltò. Sorrideva sereno.

Aveva posizionato due poltroncine una di fronte all’altra. Mi invitò a sedermi e lui si sistemò su quella di fronte.

“Voglio che tu mi faccia un ritratto” esordì

Io non risposi subito e lo guardai un poco perplessa “Posso chiederti il perché della tua richiesta?”

“Non c’è un perché. Voglio che tu mi ritragga. Punto e basta”

Aveva usato un tono secco e duro.

Alzai un sopracciglio “Sai, non mi piace quando usi quel tono. Per ottenere le cose che vuoi, forse, dovresti porti in maniera diversa”

Credeva di potermi intimidire con quel tono, ma aveva fatto male i suoi conti.

Infatti incrociai le braccia e lo guardai fisso.

“Tu parli troppo. Fai quello che ti ho chiesto senza tante storie”

“Se credi di potermi comandare a bacchetta ti sbagli di grosso, Hollywood” mi alzai di scatto tentando di allontanarmi. Lui balzò in piedi altrettanto velocemente e mi bloccò il polso con una mano.

Mi guardò dall’alto in basso e poi sospirò “Cosa devo fare con te? Eh Sophie?“

“Imparare a comportanti meglio, magari?!”

Ero stata sarcastica ma anche tremendamente seria. Mi faceva infuriare quando usava quel suo tono prepotente.

“Cosa vuoi in cambio?”

Voleva offrirmi dei soldi? Una ricompensa?

Quelle parole avevano il sapore di uno schiaffo. Uno schiaffo morale.

“A differenza di te, non ho bisogno di un corrispettivo per fare qualcosa” replicai con tono disgustato.

Pensava davvero di potermi comprare? 

Cercai di allontanarmi nuovamente da lui ma me lo impedì

“Non sto parlando di soldi, Soph. Non mi insultare” era arrossito ma non per l’imbarazzo. Era arrabbiato.

“Lasciami subito. Tu credi di poter continuare a fare il prepotente ogni volta che vuoi ma ti sbag …”

Non riuscì a finire perché la sua presa si fece ferrea e le sue braccia mi circondarono come una morsa d’acciaio.

“Non so proprio come comportarmi con te. Un momento sei dolce ed accondiscendente e quello dopo sei acida e scontrosa! Quando sono con te non riesco a pensare in maniera logica” le sue parole erano come un fresco alito di vento.

Mi aveva stupito.

Davvero ero io la causa? Ero io a provocarlo?

“Sei così bella … mi piaci molto!”

Stava per baciarmi lo sapevo. Ma non lo avrei permesso. Non poteva pensare che cedessi dopo tutto quello che aveva detto.

Mi scostai e voltai il viso. Le sue braccia però mi intrappolavano a lui.

“Non vuoi baciarmi, Sophie?” mi chiese un poco risentito

“Pensi davvero che …” ricominciai io furibonda

“Te l’ho detto. Non riesco a pensare quando mi sei vicina. Mi distrai” e con voracità scese sulle mia labbra.

Mi ero preparata ad un bacio avido, forte e magari impaziente ma rimasi stupita quando lo sentì delicato e dolce. Le sue labbra lambivano le mie come una tenera carezza. Erano calde e morbide.

Fu impossibile non cedere.

 

Gli intrecciai le mani dietro la nuca e lo avvicinai di più a me. Lui sospirò e approfondì il bacio. Mi lasciai andare contenta di essere lì con lui.

Mi accarezzò la schiena per poi salire verso il collo a sfiorarmi i capelli. Sentì la sua mano sulla mia guancia e pigramente mi separai da lui.

“Mi fai perdere il controllo” mi soffiò sulle labbra poco dopo.

Gerard mi guardava con desiderio. Continuava a lasciare scie di piccoli baci sul mio viso. Sugli occhi, sul naso, sulle guance per poi tornare sulla mia bocca. Chiusi gli occhi e assaporai quella sensazione di benessere che avevo nel petto.

“Chi è Susy?” la domanda mi sfuggì dalla bocca.

Lo stavo solo pensando…

“Susy è la mia assistente ma … ”

Si era allontanato un poco ed ora mi guardava perplesso “Come sai di Susy?”

Non risposi. Scossi solo la testa.

Mi avvicinai a lui sporgendo un poco le labbra. Volevo che ricominciasse a baciarmi. Lui esitò un poco ma poi mi accontentò ed io chiusi nuovamente gli occhi. Mi sentivo leggera e volevo approfittare di quella meravigliosa sensazione che sentivo dentro di me.

“Hai il ragazzo, Sophie?” mi chiese lui interrompendo di colpo il bacio

“Cosa? N-no, non sono fidanzata” risposi spiazzata dalla domanda e confusa per quei baci

“Ti vedi con qualcuno?”  chiese nuovamente

Io scossi la testa negativamente

“Meglio così” sospirò tornando a baciarmi come prima.

Poco dopo lo scostai e gli feci la stessa domanda. Lui sorrise e scosse la testa.

In quel momento il suo cellulare prese a vibrare e lui lo recuperò subito dalla tasca.

Forse è una chiamata di lavoro…

Seguendo quel pensiero feci per allontanarmi ma non me lo permise. Anzi mi strinse a sé. Magari era qualcuno che conosceva, ma non riuscì a capire se fosse un uomo o una donna.

Parlava molto velocemente, poi improvvisamente scoppiò a ridere

“Mi hai interrotto, rompiballe! Si, è qui con me. George ti saluta”

“Oh, ricambia”

E’ solo George…

“Hey, attento a non esagerare, George” rispose alzando un pochino la voce

Sentì la risata gioiosa di George.

Chissà di cosa stavano parlando …

Continuarono a parlare tra di loro ancora un poco “Si, penso di si. Aspetta un momento, glielo chiedo subito” aggiunse

“Soph, ti piacerebbe andare a vedere una partita di basket? Stasera giocano gli Scottish Rocks!”

Non avevo idea di chi fossero questi Rocks ma annuì allegra

Avremmo passato la serata insieme!

“Si, ci saremo. A che ora? Perfetto. Ci vediamo stasera, allora. Ciao rompipalle!” chiuse la conversazione gettando il cellulare sul letto.

“Cosa succede?”

“Succede che stasera andremo al palazzo dello sport a vedere I Rocks giocare” spiegò guardandomi

“Io però non capisco nulla di pallacanestro” ammisi

“Non ti preoccupare, è un gioco e ci sono poche regole da seguire. Sarà facile vedrai e comunque ci saranno George, sua sorella, altri vecchi amici e con le loro fidanzate” aggiunse prendendomi per mano e baciandomi l’interno del polso.

Annuì appena, concentrata com’ero a godermi la carezza di quel bacio.

Mi baciò di nuovo e con voce allegra domandò “Allora? Me lo fai o no questo ritratto?”

Lo fissai ad occhi stretti, accigliata, e lui vedendo la mia reazione si affrettò ad aggiungere un debole per favore.

Sorrisi soddisfatta e mi andai a sedere sulla poltroncina. Appoggiai sulle gambe il blocco e lo aprì mentre lui prendeva posto.

Come di propria volontà, la matita che tenevo in mano prese a muoversi sulla carta.

Presto cominciarono ad apparire le linee del suo volto. Non avevo bisogno di guardarlo se non di sfuggita. Ricordavo ogni dettaglio del suo volto. Il sole creava sul suo viso punti di luce e di ombra che mi soffermai ad osservare. Riprodurli sul foglio fu difficile ma non impossibile. Sollevai lo sguardo su di lui non più di quattro o cinque volte.

Il ritratto richiese più di un’ora. 

Quando sollevai il volto posando a terra gomma e matita ero stupita. Era sicuramente il disegno migliore che avessi mai fatto. Sembrava una fotocopia, anzi una fotografia.

“Hai già finito?” domandò alzandosi e avvicinandosi

Con gentilezza mi prese l’album dalle mani sollevandolo per osservare il mio lavoro.

Io rimasi seduta, in attesa, alzando però gli occhi verso il suo viso.

Cominciai a temere che non gli piacesse quando d’improvviso, accovacciandosi per essere alla mia stessa altezza, mi prese il volto tra le mani e mi baciò.

“E’ bellissimo. E’ davvero bellissimo, grazie”

Tirai un sospiro di sollievo

“Ti piace?” chiesi a conferma

“Certo! Si, mi piace molto. Sei molto brava!” mi assicurò sfiorandomi ancora le labbra

 

 

 

 

 

Ero sdraiata supina sul letto e leggevo un libro. Ero così concentrata che al suo bussare alla porta trasalii un poco.

“Pronta tra un’ora” annunciò allegro

“Agli ordini, signore!” risposi scattando sull’attenti

Rise divertito e a grandi passi raggiunse di nuovo la sua camera

Cavoli, ho un’ora per farmi la doccia, acconciare i capelli, vestirmi e truccarmi. Non ce la farò mai...

Con uno scatto veloce mi fiondai sotto la doccia. Quaranta minuti dopo, ero ancora davanti all’armadio indecisa su cosa indossare.

Per fortuna avevo già sistemato i capelli; quella sera erano gonfi e ricci e profumavano leggermente di cocco.

Decisi di indossare leggins color viola ed una maglia nera lunga. Ai piedi stivali neri alti fino al ginocchio. Mi truccai velocemente, niente fondotinta o cipria; mi concentrai solo sullo sguardo.

Stavo per scendere le scale quando la porta della sua camera si aprì e ne uscì lui.

I jeans blu scuro gli fasciavano le cosce in maniera davvero invitante. Aveva una giacca in pelle nera e sotto una maglietta bianca in cotone.

E’ bellissimo!

Mi sorrise e avvicinandosi mi passò un braccio intorno alla vita.

“Mhm” sussurrò guardandomi dalla testa ai piedi

“Cosa?”

“Sei appetitosa stasera. Molto appetitosa” rispose baciandomi sulla tempia e infilando una mano tra i miei capelli

“Mi piacciono molto così” aggiunse portandone una ciocca al naso

Ispirò ed espirò ad occhi chiusi  “Sai di buono … è dolce. Cos’è?”

“E’ coc … cocco … il mio shampoo è al cocco” balbettai imbarazzata

Averlo così vicino mi faceva battere forte il cuore.

Mi prese per mano e percorremmo la scalinata velocemente. Salutai Margaret e mia madre ed uscimmo diretti alla sua macchina.

Si prospetta una serata … interessante!

 

 

Arrivammo a destinazione e appena scesa dalla macchina George mi venne incontro abbracciandomi. Risi subito.

“Almeno lasciala scendere dall’auto” disse Gerard colpendo l’amico con un pugno sulla spalla.

George mi sorrise e mi diede un bacio sulla guancia “Sono contento che tu ci sia. Vedrai ci sarà da divertirsi”

Si avvicinò a noi una ragazza minuta e piuttosto bassa. Sorrise allegra e mi tese la mano

“Ciao Sophie. Io sono Chris, la sorella di George”

Lui l’abbracciò subito e le scompigliò i capelli neri e cortissimi  “Ecco la mia sorellina. Ci assomigliamo vero?” domandò strizzandomi l’occhio

“Grazie a Dio no! Ed è una fortuna per Chris” Gerard era intervenuto al momento giusto

Ora mi era di fianco e si affrettò ad abbracciare Chris per salutarla. George prese la palla al balzo e, prendendomi a braccetto, mi allontanò da lui

“Ragazzi… lei è Sophie!” mi presentò George ad un gruppo di ragazzi li vicino.

Erano il resto degli amici di Gerard. Notai altri quattro ragazzi e solo due ragazze. Quest’ultime si avvicinarono subito e mi salutarono sorridendo. Ricambiai abbracciandole.

Salutai poi i ragazzi, in ordine, Colin, Mark, James fidanzato con Sarah e Jack che stava insieme ad Anna.

George mi appoggiò un braccio sulle spalle dicendo “Hey state sciupando la mia ragazza!” ad alta voce tentando di allontanarmi dagli altri

“Non contarci George!” era Gerard

Tolse malamente il braccio di George e mi avvicinò al suo fianco posandomi un braccio intorno alla vita  “Tutto bene?” mi soffiò all’orecchio

Annuì sorridendo

Appoggiò le sue labbra ai miei capelli, inspirò a fondo catturandone, forse, il profumo. Era una cosa strana da fare ma a me piaceva un sacco.

“Sei il solito guastafeste!” dichiarò George sbuffando infastidito e facendo scoppiare tutti a ridere

Chris mi prese a braccetto “Posso portartela via, Gerard?” chiese gridando

Lo stadio era quasi al completo e il rumore di fischi, urla ed altro sovrastava ogni cosa.

“Mi raccomando, tienila lontano da tuo fratello. Altrimenti sarò costretto a fargli male e senza denti sono sicuro che non sarebbe un bello spettacolo!” ribatté Gerard ridendo

“Promesso!” ci allontanammo seguite subito da Sarah ed Anna

Diedi una veloce occhiata dietro di me e vidi i ragazzi seduti su grandi gradini in pietra. Quello infatti era il posto riservato agli spettatori.

“Tranquilla, starà bene” mi rassicurò Chris notando il mio sguardo

“Si, penso di si” risposi annuendo

“Allora parlaci di te. Sei molto carina ed e’ la prima volta che ti vediamo con Gerard. Da quanto state insieme?” domandò subito Anna

Rimasi come pietrificata per qualche secondo.

 Loro pensano che io e Gerard stiamo assieme…

“In realtà noi non stiamo assieme. Siamo amici, credo. Siamo amici ed è …”

“Una situazione complicata” finì per me Anna.

Chris e Sarah annuirono comprensive. “Da dove vieni? Sei di queste parti? Hai uno strano accento” domandò curiosa Sarah

“In realtà no. Sono italiana.”

In breve, raccontai loro del mio arrivo e un po’ della mia vita. Loro fecero altrettanto. Scoprì così che Sarah e James stavano insieme. Sarah era l’unica ad avere la mia età e lavorava come indossatrice e modella. Chris ne aveva ventidue studiava all’università per diventare infermiera mentre Anna aveva ventotto anni e lavorava in banca come impiegata.

Erano tutte simpaticissime e tanto gentili. Restammo a parlare al bar per più di mezz’ora, poi cariche di panini, birre, patatine e salse varie ritornammo alle gradinate dai ragazzi.

“Grazie dolcezza” mi ringraziò George quando gli consegnai un panino ed una birra.

Io sorrisi e proseguì verso Gerard, che appena mi vide si aprì in un sorriso raggiante e mi fece spazio accanto a lui.

Gli consegnai l’altro panino, le patatine e la birra.

“E per te?”

“Ti va di dividerci le patatine?”

“Certo” rispose porgendomele “Ketchup o maionese?”

“Maionese, la preferisco”

“Anche io”  era felice e gli occhi gli brillavano

Mi avvicinai e lui mi cinse con un braccio baciandomi la guancia. Era dolcissimo in quei momenti.

“Chi vince?” domandai guardando verso il campo dove si sfidavano i giocatori

“Siamo in vantaggio di dieci punti” rispose mordendo il panino e concentrandosi sulla partita

Io non capivo molto. In realtà non mi ero mai interessata al Basket e non ne conoscevo le regole. Sapevo solo che bisognava fare canestro e vinceva chi faceva più punti, ma quanto al resto tabula rasa. Restavo comunque attenta ai movimenti dei giocatori e di tanto in tanto addentavo una patatina spalmata di maionese.

Ad ogni canestro noi del pubblico urlavamo, gridavamo o li incitavamo a fare meglio. Tutto sommato era divertente e di tanto in tanto Gerard mi spiegava regole di gioco o il perché di un’azione.

La partita finì alle undici e trenta in pareggio, con grande disappunto di George e James che avevano scommesso, sicuri in una vittoria dei Rocks.

Ci avviammo all’uscita, una piccola e stretta porta di vetro, in fila indiana.

“Ora dove andiamo?” domandarono Colin e Mark

“Io domani devo lavorare fuori città e devo alzarmi presto. Mi accompagna James, perciò noi passiamo” dichiarò Sarah

James stava già sbadigliando. Cominciarono a salutare finché giunsero a noi            “E’ stato un vero piacere conoscerti, Sophie. Spero di rivederti presto” mi salutò Sarah

“Comportati bene Gerard” aggiunse James salutando l’amico

“Come sempre!” rispose lui sicuro

“Non ci contare, James. Avresti dovuto vederlo ieri a pranzo. Il solito buzzurro campagnolo” commentò George scuotendo la testa

Io scoppiai a ridere mentre Gerard sbuffò alzando gli occhi al cielo.

 

 

 

* Il Paisley Daily Express esiste veramente ed è uno dei quotidiani locali di Paisley.

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Capitolo 16
*** XVII Capitolo ***


Cap. 17

XVII Capitolo

 

“Io conosco un pub qui vicino” propose Mark

“Si, il Goonie’s e tra l’altro ci si arriva a piedi” aggiunse Colin

“Bene, andiamoci” esclamarono in coro George e Jack

“Ve la sentite o preferite tornare a casa?” domandò Gerard a me e Chris

“Va benissimo” dichiarai guardando Chris che annuì positivamente

 

L’aria della sera era fredda e sapeva di pioggia. Mi strinsi le braccia cercando di riscaldarmi. Poi sentì una giacca cadermi sulle spalle. Gerard mi aveva ceduto la sua e mi poggiava un braccio sulle spalle.

Lo ringraziai appoggiandomi a lui.

 

L’insegna del locale divenne finalmente visibile e vi arrivammo in pochi minuti.  Appena entrati una cameriera ci si parò di fronte, accompagnandoci ad un lungo tavolo rettangolare e facendoci sedere tutti.

“Bene Sophie. Parlaci un po’ di te” esordì Jack guardandomi

Due secondi dopo tutti gli sguardi di quel tavolo si posarono su di me … arrossì imbarazzata.

“Ehm … cosa posso dire? Sono arrivata da poco e sto a casa di Gerard. Mi sono appena laureata ed ora sono in vacanza” raccontai in breve

“Anna ci ha detto che sei italiana”

Sorrisi   “Si, è vero. Sono nata e cresciuta in Italia”

“E come hai conosciuto Gerard?” domandò Mark

Fortunatamente il diretto interessato prese la parola risparmiandomi una lunga e complicata spiegazione

“E’ la figlia della migliore amica di mia madre. Entrambe sono ospiti a casa nostra”

Aveva tralasciato il perché. Margaret aveva chiamato mia madre in seguito alla morte del marito, il padre di Gerard. Gli presi la mano e lo guardai. Lui rispose stringendomela e avvicinandola al volto.

“Da quanto state insieme?” chiese Mark, notando il nostro gesto

“Non stanno assieme. Sono solo amici!” esclamò quasi gridando George

Forse aveva bevuto un pò troppo…

“Sophie è la mia ragazza. Vero Sophie?” aggiunse poco dopo meritandosi una gomitata nello stomaco da parte di sua sorella Chris e un’occhiataccia di Gerard

“Non ti piacciono proprio i denti che hai, vero George?” ringhiò lui in direzione dell’amico che rispose con un ghigno beffardo

La cameriera si avvicinò a noi e finalmente potemmo ordinare da bere. Presero tutti una birra mentre io puntai su un analcolico alla frutta.

“Non mi piace la birra” dichiarai in risposta alla muta domanda di tutti gli sguardi perplessi

Gerard scosse la testa sconsolato. “Qui siamo in Scozia, Sophie. La birra è un must come da voi lo è la pizza”

Io alzai le spalle e ringraziai in silenzio quando la cameriera mi porse il mio bicchiere.

“E voi invece? Da quanto tempo vi conoscete?” domandai dopo un lungo sorso del mio cocktail. Era squisito, delicato e al sapore di pesca.

“Jack, Colin, Gerard e George si conoscono fin da piccoli. Andavano a scuola assieme” spiegò Anna con un sorriso

“Mentre Mark lo abbiamo incontrato dopo. Al gruppo due anni fa si è aggiunta anche la piccola Chris” aggiunse Jack abbracciando la fidanzata e scompigliando i capelli all’amica

“Anche se Gerard ci fa l’onore della sua presenza solo quando torna a casa. Vero, G-boy?” aggiunse George con un sorriso ironico rivolto un po’ a tutti.

G-boy? Era un diminutivo?

“Forse non ti conviene tirare troppo la corda, George. In caso contrario ti ritroveresti presto a dover prenotare una visita dal dentista!”  lo provocò Jack facendo ridere tutti

“E non ci andresti sulle tue gambe. Ci andresti in barella! O magari ti faccio risparmiare e te li faccio raccogliere da terra seduta stante!” aggiunse Gerard con un ghigno

“Ma fanno sempre così?” domandai a bassa voce a Chris che subito scoppiò a ridere

“Oh, ma stasera non è niente” si intromise Anna “Avresti dovuto vederli a scuola. Saresti morta dalle risate” continuò ridendo

“Perche?”

“Litigavano sempre e per delle sciocchezze, sembravano cane e gatto. E la maggior parte delle volte arrivavano alle mani. A noi toccava il compito di intervenire per dividerli. Come se non bastasse dovevamo pure stare attenti a non prenderle pure noi… sai calci e pugni volanti sono dolorosi!” continuò a raccontare Jack

“Si esatto. Peccato che quello che le prendeva era sempre George” aggiunse Chris sghignazzando

“Certo, perché Gerard è sempre stato grosso come una montagna, anche da bambino! E poi era un prepotente. Voleva decidere sempre tutto lui. Si era auto-eletto a capo e paladino di tutti! O facevi come diceva lui o ti ritrovavi con un occhio nero!” esclamò indignato George

“Questo non mi stupisce affatto! Fa il prepotente e l’arrogante anche adesso cercando di obbligarmi a fare come vuole lui” dichiarai annuendo partecipe

“Ma non mi riesce molto bene a quanto pare” aggiunse Gerard guardandomi

“Solo perché io non cedo” aggiunsi sollevando un sopracciglio

“Allora, vuol dire che dovrò impegnarmi di più “ continuò con un sorriso sghembo

“L’importante è crederci!”

“Ecco, visto?!? Che vi avevo detto? E’ la ragazza più cocciuta che abbia mai conosciuto! Qualsiasi cosa dico lei deve controbattere. Se non lo fa non è contenta ” disse tornando a guardare gli altri ma parlando di me

“Che bugiardo patentato! Non è assolutamente vero” ribattei  “Sei tu che ti poni sempre in maniera autoritaria e pretenziosa. Non è mica colpa mia se abbiamo opinioni diverse! Dovresti imparare ad essere un po’ più cortese con le persone e forse, e dico forse, riusciresti a risultare meno arrogante. La colpa è solo tua”

“Visto? Cerca di intortarmi con le sue chiacchiere”

“Non cerco di intortarti … ma solo di farti capire … dovrei forse evitare di dirti come la penso? Beh, non ci contare perché…”

Faceva finta di non sentirmi.

“Oh sei impossibile!” mi arresi alzando le mani

“Amen, sorella!” esclamò George alzando il suo boccale al cielo e provocando l’ilarità della tavolata

“Beh, si direbbe che tu abbia trovato qualcuna capace di tenerti testa, amico!” aggiunse Jack ridacchiando

“Pare proprio anche a me. Pane per i tuoi denti!” rincarò la dose Anna

Io e Gerard ci guardavamo negli occhi come a sfidarci.

“Io tifo per Sophie. Spero che ti metta al tappeto una volta per tutte” mi spalleggiò George

“Noi pure” dichiararono insieme Anna e Chris.

Alzai un sopracciglio, lo guardai e sorrisi divertita

“Mmm, vedremo” affermò lui distogliendo lo sguardo

Pochi secondi dopo tornò a cingermi la vita e sia Anna sia Chris sorrisero in segno di incoraggiamento. Guardai il telefono e notai che erano quasi le due di notte.  

 

Avevo ricevuto un messaggio. Era di Luca, il mio migliore amico. Voleva sapere come stavo e cosa facevo. Il messaggio l’aveva inviato pochi minuti prima così decisi di chiamarlo.

“Ciao Luca” lo salutai

Parlavo in italiano ma nonostante questo mi alzai dal tavolo e mi allontanai

Non è educato parlare al telefono quando si è in presenza di altre persone.

“Ciao tesoro come stai?” aveva una voce squillante che mi faceva sempre sorridere.

Avevo conosciuto Luca, quasi per caso, al primo anno di università e avevamo subito stretto amicizia. Un ragazzo simpaticissimo e intelligente, acuto anche se tremendamente sensibile. Molto più della sottoscritta che da sempre era soprannominata la fontana umana! Andare a fare shopping con lui e farmi consigliare su abbigliamento e scarpe era stupendo, oppure passare giornate intere a leggere romanzi o andare al cinema. Al secondo anno mi confidò di essere omosessuale ma questo lo avevo già intuito molto tempo prima.

Era il mio migliore amico in assoluto.

“Oh, Luca. Sono così contenta di sentirti. Ho un sacco di novità da raccontarti. Sei seduto?”

“In realtà sono sdraiato sul divano. Va bene lo stesso?”

“Non ci crederai mai. Indovina dove sono?”

Non avevo detto a nessun’altro dove sarei andata. Primo perché era stata una decisione improvvisa, secondo perché non ne avevo avuto il tempo e terzo … beh, non ci credevo ancora neppure io.

“Non lo so. Dove sei?”

“Sono in Scozia” risposi tutto d’un fiato.

Ero uscita dal pub e l’aria fredda mi colpì in pieno viso. Rabbrividì ma continuai a sorridere

“Palle!”

“Ti giuro, Luca”

“Davvero? Sei davvero in Scozia? Perché non me lo hai detto? Sei una stronza … avresti dovuto dirmelo! Ci eravamo promessi di andarci insieme!”

In effetti aveva ragione. La promessa risaliva all’anno precedente. Ci eravamo promessi che appena laureati avremmo fatto un viaggio in Scozia assieme. Una terra magica che affascinava entrambi.

“Hai ragione, ma è stata una cosa improvvisa e credimi fino ad ora ho avuto pochissimo tempo anche solo per riuscire a rielaborare la cosa”

Gli spiegai brevemente tutta la storia tralasciando di parlargli di Gerard.

“Oh, poveri. Mi spiace”

Ve l’ho detto che è anche piuttosto empatico?

“Si, infatti. Beh, ho un’altra sorpresa” continuai tornando a sorridere.

“Racconta bella, sono tutto orecchi”

“Sono ospite a casa dei Butler. La loro famiglia conosce la mia da anni”

“Butler? Cazzo hanno lo stesso cognome del nostro attore preferito … Butler deve essere un nome comune lì. Strano non lo avrei pensato” parlava in tono leggero.

“No, Luca. E’ la stessa famiglia” gli svelai sorridendo. Non vedevo l’ora di sentire la sua reazione

“Ma … ma come? Che accidenti stai cercando di dirmi?” ora la sua voce si era alzata di due ottave.

Sicuramente era scattato a sedere.

Forse sta iniziando a capire…

“Adesso non ti arrabbiare e resta calmo, ok? Vedi io e la mamma siamo ospiti a casa sua. Anzi stasera sono uscita con lui e con alcuni suoi amici”

Silenzio all’altro capo del telefono

“Luca? Luca ci sei?”

Che fosse svenuto dalla sorpresa?

“Mi stai prendendo per il culo?“ la sua voce era tesa

“No, Luca te lo giuro. E’ tutto vero! Ho conosciuto Gerard Butler, sono uscita con lui e sono ospite in casa sua” detta così poteva sembrare davvero una barzelletta, ma era la verità.

Lui era ancora silenzioso.

Dopo parecchi secondi che mi sembrarono ore finalmente la sua reazione arrivò. Cominciò a gridare come un forsennato. Senza rendermene conto cominciai ad urlare anche io e ridere da sola come una pazza.

“Oh mio Dio! Oh mio Dio! Non ci posso credere! Non ci posso credere … Oh mio Dio!” io continuavo a ridere ed urlare     “Oh mio Dio! Sei la stronza più fortunata di questo mondo. Di questa fottutissima galassia! Oh mio Dio, Gerard Butler. Non ci posso credere!”  urlava a crepapelle.

 

 

 

 

“Tutto bene?” Gerard scrutava il mio viso. Aveva corrugato la fronte.

Non lo avevo sentito arrivare e non potei evitare di sobbalzare.

“Aspetta un secondo Luca” mi voltai completamente verso di lui per incontrare i suoi occhi.

“Si tutto bene” annuì sorridendo

Passare dall’italiano all’inglese mi richiese qualche secondo.

“Ti ho sentita gridare … e sono venuto a controllare” ammise accarezzandomi il viso

Oh, che dolce!

“Scusa, non volevo farti preoccupare. Stavo parlando con Luca e mi sono messa a gridare. Ma sto bene, tranquillo”

Lui si accigliò qualche secondo poi annuì e rientrò dentro. Lo seguì con lo sguardo per poi riavvicinare il cellulare all’orecchio.

“Luca?” chiesi tornando a parlare con quel matto del mio migliore amico

“Non mi dire che stavi parlando con lui…” mi domandò con voce acuta

“Si, era lui.” ammisi con un sorriso

“Oh mio Dio. Ma allora è vero! E’ tutto vero. Oh mio Dio. Ti invidio, sono verde d’invidia Soph!” scoppiai a ridere.

Parlammo ancora per qualche minuto. Volevo sapere come stava e cosa faceva. Riagganciai dopo non so quanto tempo promettendogli che l’avrei richiamato presto.                                                  

 

 

Quando rientrai sorridevo ancora. Mi avvicinai al tavolo e con calma tornai a sedermi al mio posto.

“Tutto a posto?” s’informò Gerard abbracciandomi

“Si, tutto bene” risposi annuendo

“Sei gelata” commentò sfregandomi le braccia cercando di scaldarmi.

“Ho freddo infatti”

Sbadigliai e lui mi posò un lieve bacio sulla tempia “Hai sonno?”

“Ah- ah” annuì sbadigliando ancora

Anna e Jack in quel momento si alzarono e salutarono tutti dicendo che era tardi e volevano andare a dormire. Li salutai con calore e poco dopo ci alzammo anche noi.

“George, Chris noi andiamo. Volete un passaggio?” chiese Gerard obbligandomi a mettere la sua giacca. Ero stanca e avevo sonno perciò non feci storie, anzi lo apprezzai.

“Si, grazie” annuirono entrambi alzandosi

“Andate via?”  domandò Mark

“Si, amico.  Soph ha sonno ed io sono un po’ stanco” ammise Gerard

Salutammo anche Mark e Colin ed uscimmo.

George abbracciò la sorella e ci precedettero. Per fortuna la macchina non era lontana.

 

Salendo all’interno rabbrividì; eravamo in estate ma sembrava autunno.

“Allora Soph, ti sei divertita?” mi chiese Chris allegra

“Si, molto. Siete stati tutti gentilissimi e divertenti. Soprattutto tu George: sei il mio preferito!”

“Oh, cavolo. E adesso chi lo sopporta più!” ribatté Gerard ridendo assieme a Chris

“Sei solo geloso, mio caro” ribattè George a tono “Sentito? Sono il suo preferito!”

Ridacchiai felice. Erano un gruppo davvero forte.

Accompagnammo i due fratelli fin sotto casa e scendendo salutai entrambi abbracciandoli.

Li salutammo con la mano e risalimmo in auto partendo.

“Oh, sto morendo di sonno” dichiarai tra uno sbadiglio e l’altro

“Ti sei divertita?”

“Moltissimo. I tuoi amici sono fantastici. Rumorosi ma divertenti. Molto divertenti”

Scoppiò a ridere “Beh, anche tu sei piaciuta loro. Non dicevano altro quando sei uscita”

“Davvero?” chiesi

“Si, davvero. Continuavano a ripetere quanto fossi carina e simpatica e gentile. Sei piaciuta a tutti, soprattutto a Chris ed Anna. E George ormai è cotto!”

Il cancello d’ingresso si aprì lasciandoci passare.

 

La casa era buia e silenziosa. Sicuramente la mamma e Margaret erano già a letto.

“Ho sete. Prendo un bicchiere d’acqua” annunciai sbadigliando

“Ti faccio compagnia”

Si appoggiò al lavello mentre riempivo due bicchieri di acqua.

“Chi è Luca?” chiese prendendo in mano il bicchiere e guardandomi.

La sua domanda mi spiazzò.

“Luca è un amico dell’università. Il mio migliore amico” risposi portandomi il bicchiere alle labbra e bevendone un altro sorso

“Capisco” asserì annuendo  “Ed è solo un amico?”

Io sorrisi e strinsi gli occhi a fessura. Aveva parlato veloce e forse avevo capito male.

“Come mai tutto questo interesse, Gerard?” domandai inarcando un sopracciglio.

Lui si accigliò e rimase a fissarmi per qualche minuto. Ormai aveva finito di bere, quindi posò il bicchiere nel lavandino. Sembrava sveglio, molto più di me, e il suo sguardo era vigile.

“Rispondi alla domanda Sophie” aveva usato di nuovo quel suo tono arrogante.

Ora però … non sembra essere solo curiosità la sua!

Un sorriso malizioso fece capolino sul mio viso “Come mai ti interessa?” domandai ancora senza rispondergli.

Lui si avvicinò, mi prese il bicchiere dalle mani e lo appoggiò sul tavolo. “Tutto ciò che ti riguarda mi interessa. Ora rispondi alla mia domanda”

Tutto ciò che ti riguarda mi interessa???? E questo che diavolo vuol dire?

“Qual’era la domanda?” ricordavo perfettamente quale fosse la sua domanda

“Questo tuo amico, questo Luca. E’ solo questo? E’ solo un amico?” mi studiava con uno sguardo strano. Sembrava come in attesa di qualcosa.

Il suo aroma mi confondeva così non riuscì a rimanere impassibile o a negare.

“Si, è solo un amico” risposi annuendo

“Sei sicura?” ora mi accarezzava la guancia con il pollice

Si era avvicinato ancora di più. Ora i nostri corpi si sfioravano.

“Assolutamente, visto che gli piacciono i ragazzi” affermai.

Lui poco dopo sollevò entrambe le sopracciglia. Non aveva capito…

“E’ gay!” gli spiegai. Ora non ci sarebbero più stati dubbi.

Mi lasciò andare e le sue mani tornarono lungo i suoi fianchi. Aveva voltato la testa ed ora quasi sembrava non ci fossi.

Si è comportato così solo per ottenere l’informazione che voleva.

Lo sorpassai e salì le scale. Ero arrabbiata. Arrabbiata con me stessa.

Perché diavolo non riuscivo a tenerlo lontano? Odiavo l’effetto che aveva sul mio corpo.

Poco dopo sentì dei passi dietro di me.

“Buonanotte” annunciai fredda senza voltarmi.

Avevo quasi afferrato la maniglia della mia stanza quando mi prese un braccio bloccandomi e dopo una veloce giravolta mi obbligò a guardarlo “Niente bacio?” domandò malizioso

“No, niente bacio! Non te lo meriti”

“Perché? Cosa ho fatto?” sembrava il ritratto dell’innocenza il maledetto.

“Qual’era il motivo del terzo grado di poco fa?” domandai incrociando le braccia al petto

“Ero curioso” rispose sollevando le spalle con noncuranza.

La faceva facile lui. Si abbassò e avvicinò le sue labbra alle mie.

“Solo curioso?”

“Curioso e un pizzico geloso” dichiarò in un soffio prima di prendermi il mento e baciarmi.

Non avrei mai immaginato di sentirglielo dire. E forse fu proprio quello che mi permise, quella sera, di lasciarmi andare. Di arrendermi ai suoi modi.

 

Le sue labbra erano soffici, leggere. Si muovevano con maestria, quasi sapessero già quale fosse il loro compito. Mi prese il labbro inferiore tra i denti tirandolo un poco e mordicchiandolo.

Mi faceva impazzire. Tutto in lui mi dava alla testa, il suo corpo, il suo tocco, il suo profumo, persino i suoi modi. Con la lingua ne seguì il contorno più volte finché con un gemito le dischiusi completamente. Ne approfittò subito e con voracità la sua lingua cominciò ad esplorare la mia bocca per poi unirsi ed intrecciarsi con la mia.

Mi alzai sulle punte e gli cinsi il collo con le braccia.

Cominciai ad accarezzargli la nuca per poi intrecciare le dita ai suoi capelli. Lui con un gemito mi spinse con forza contro la porta.

Battei la schiena contro lo stipite della porta ma non vi badai anzi mi aggrappai a lui con ancora più forza. Il bacio s’intensificò e divenne quasi famelico. Il mio corpo desiderava di più ma la mia mente remava in senso contrario.

Magari c’è qualcuna che lo aspetta a Londra… non ci hai pensato?            

Poco dopo si allontanò per riprendere fiato. Quando però tentò di riavvicinarsi mi scostai, allontanandolo.

Inizialmente sembrò indispettito da quel rifiuto ma dopo qualche minuto annuì.

“Buonanotte” mi sussurrò all’orecchio.

Avevo il fiato corto. Mi baciò ancora, più delicatamente.

Rientrai in camera e mi lasciai scivolare sul letto.

Voglio davvero continuare questa cosa con lui? Non so nemmeno cosa ci sia … abbiamo caratteri ed opinioni completamente differenti!

Beh, certo ci conosciamo da nemmeno una settimana!

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Capitolo 17
*** XVIII capitolo ***


Cap. 18

XVIII Capitolo

 

Non voglio andarmene. Non voglio tornare a Londra!

Voglio restare qui.

Mi ero svegliato con questi pensieri che mi vorticavano in testa. Era tardissimo, ero di pessimo umore e la prima persona che avrei voluto vedere era lei. Sophie stava ancora dormendo, però.

Seduto sul divano con una tazza di the in mano e il giornale nell’altra cercai di concentrarmi e di leggere. Fare la mia solita colazione alle undici e trenta del mattino non era il caso.

Avevo chiamato Susy per tutti i ragguagli del viaggio. Sarei partito alle cinque del pomeriggio.

Appena quattro ore da passare con lei.

Ero ancora di pessimo umore così non mi accorsi della sua presenza. Entrò in punta di piedi, ancora una volta scalza. Aveva i capelli gonfi e arruffati, una maglietta a maniche corte lunga fino a mezza coscia e un sorriso dolcissimo ad incorniciarle il viso.

 “Buondì” esordì guardandomi ed entrando in sala.

La seguì con lo sguardo finché non si rannicchiò vicino a me. Esattamente come un gattino lasciò cadere la testa sulla mia spalla.

“Ben svegliata dormigliona” le baciai il capo sospirando deliziato

Anche appena sveglia profumava di cocco?

“Margaret e la mamma?” chiese sbadigliando assonnata

“Sono andate al mercato presto questa mattina. Dovrebbero tornare a momenti” guardai l’orologio per accertarmene

“Ho fame”

“A chi lo dici! Mi sto trattenendo ma potrei cominciare a mordere i cuscini del divano da un momento all’altro!”  

“A che ora parti oggi?” domandò tornando di colpo seria

Eccola la domanda che temevo…

“Prendo l’aereo alle sei, perciò partirò da qui un’ora prima”

Lei annuì senza dire nulla. Sospirò e si accoccolò meglio raccogliendo le gambe al petto. Buttai da parte il giornale e posai la tazza sul basso tavolino di fianco. La circondai con un braccio e l’avvicinai di più a me.

“Ti potrò chiamare? Quando sarò a Londra, intendo”

“Mhm … ci devo pensare ” un sorriso traspariva dai suoi occhi

“Il tuo numero” reclamai deciso allungandole una penna ed un blocco di post-it. 

Lei si sporse, solo con la penna, mi prese una mano e cominciò a scriverci sopra. Guardai la mano e sorrisi. Avevo il suo numero.

 

“Quanto resterai via?” domandò in un sussurro

“In realtà non ne ho la minima idea. Credo e spero non più di qualche giorno. Voglio tornare qui al più presto”

“Perché?”

“Beh, perché dovrei essere in vacanza … almeno in teoria. Ho solo uno stupido incontro con un paio di registi per delle proposte cinematografiche”

“E poi ho una promessa da mantenere … devo aiutare un’ostinata ragazza italiana a migliorare il suo inglese” aggiunsi poco dopo guardandola con la coda dell’occhio

“Tsz! Se è solo per questo non c’è bisogno della tua presenza. Tua madre andrà benone” rispose piccata

“Ma non è la stessa cosa! Vuoi mettere una come lei contro un bel fustaccio come me? Dai, non c’è confronto! ” ribattei assumendo una posa da modello

“Che esibizionista! Hai un ego smisurato, lo sai?” mi tirò un leggero pugno sulla spalla.

Ridacchiai.

Ad interromperci fu il rumore della porta d’ingresso. Si aprì e si chiuse poco dopo.

Le voci concitate delle nostre madri erano inconfondibili. Mi alzai per vedere se avevano bisogno di aiuto e Sophie mi seguì.

 

 

Gerard partì qualche ora dopo salutandomi con un bacio frettoloso sulla guancia.

 

 

Erano trascorsi cinque giorni dalla sua partenza.

Riuscì a chiamarmi solo un paio di volte e le telefonate durarono pochi minuti. Mi disse che le cose si erano complicate e che forse si sarebbe trattenuto più del previsto. Entrambe le volte era di corsa ma mi disse di voler sentire la mia voce.

Quello stesso giorno pranzammo in cucina e sia la mamma che Margaret, nel pomeriggio, uscirono per le ultime compere. Fra pochi giorni saremmo tornate in Italia, a casa nostra. Margaret era un poco triste e tentò di convincerci a rimanere.

 

 

 

Quello stesso pomeriggio stanca di rimanere in casa da sola, buttai l’album sul letto e mi preparai. Volevo uscire. Avevo bisogno di aria. Mi ci voleva una passeggiata. Guardai dalla finestra e notai che il tempo era nuvoloso. Mossi le spalle incurante ed uscì.

Ero triste … e il perché lo sapevo bene!

Mi mancava averlo per casa. Mi mancava la sua presenza. Mi mancavano i nostri battibecchi e le sue prese in giro.

E non lo avrei rivisto prima di partire…

Ero triste e con il morale a terra. Mi scrollai di dosso quei pensieri e solo allora mi accorsi che stava piovendo.

Mi guardai intorno ma non vidi né riconobbi niente di familiare. Con tutti quei pensieri mi ero allontanata più del previsto o magari avevo sbagliato strada. Feci un giro su me stessa ma la situazione non cambiò.

Non avevo la minima idea di dove mi trovavo.

Sospirai.

Mi ero persa.

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Capitolo 18
*** XIX Capitolo ***


Cap. 19

XIX Capitolo

 

Ero così contento di essere di nuovo a casa.

Quell’incontro non era andato molto bene e i tempi si erano allungati. Altro che un paio di giorni … solo alla fine di un’intera settimana riuscimmo a trovare un accordo soddisfacente per entrambi e qualche ora dopo ero già in aeroporto.

 

Avevo parlato a Susy, sommergendola d’informazioni, pensieri e impressioni su Sophie.

Mi ero affezionato a lei.

In quei giorni ne avevo sentito la mancanza.

Ed ora non vedevo l’ora di rivederla.

 

Attraversai il cancello di corsa e mi fiondai dentro casa. Pioveva a dirotto.

E’ in arrivo un temporale con i fiocchi … maledetto tempaccio!

In casa non trovai nessuno, ma sul tavolo della cucina notai un biglietto scritto da mia madre. Erano uscite per fare le ultime compere.

Sophie non me lo aveva detto ma mia madre si.

Sarebbero tornate a casa tra qualche giorno. E questo mi turbava parecchio. Non volevo che andasse via. Avevo pensato a questo durante tutto il volo ed avevo avuto una strabiliante idea.

L’avrei convinta a rimanere. Dopotutto era in vacanza, si era laureata da poco ed aveva bisogno di riposo. E poi c’era sempre la lingua. Era una carta da giocare.

Rimanendo sarebbe riuscita sicuramente a migliorare il suo inglese, la pronuncia e avrebbe imparato tantissimi vocaboli nuovi.

Non le avrei permesso di tornare in Italia. La volevo lì.

Con quei pensieri mi lasciai cadere sul letto. Ero spossato e il viaggio mi aveva stancato più del previsto.

Mi addormentai vestito.

 

 

 

“Gerard, svegliati” la voce di mia madre raggiunse il mio orecchio svegliandomi

“Mamma. Ciao” mugugnai ancora intontito. Mi stropicciai gli occhi e mi sollevai sui gomiti

“Tesoro, dov’è Sophie?”

“Sophie?”  non capivo perché mi chiedessero di lei. Non era in casa?

“Si, Gerard. Dov’è?” domandò ancora

“Perché lo chiedi a me? Non è in camera sua?”

“No, non è in camera. Non è in casa” aveva un tono ansioso

“Ma non era con voi?” domandai alzandomi dal letto e tornando lucido di colpo

“No, è rimasta a casa. Sono preoccupata. E’ tardi, fa freddo. E’ buio e piove a dirotto. Dove potrebbe essere?”

“E sua madre? Lisa dov’è?” chiesi avvicinandomi alla finestra e tirando le tende.

 

Pioveva abbondantemente. Il temporale era peggiorato dal mio arrivo. Lampi e fulmini scuotevano il cielo e lo illuminavano a giorno.

 

“Che ore sono? Da quanto non è in casa?”

“Sono quasi le dieci. Lisa è fuori, qui intorno. La sta cercando. Io sono salita a chiamarti”

“Prendi una torcia e falla rientrare. Piove troppo. Andrò io a cercarla” dichiarai risoluto abbottonandomi la camicia che avevo addosso.

 

Dove cazzo era finita? E perché diavolo era uscita con un tempo del genere? Le era successo qualcosa?

Era caduta o si era persa? Era ferita? Qualcuno le aveva fatto del male?

 

Quest’ultimo pensiero fece schizzare alle stelle rabbia e preoccupazione.

“Avete provato a chiamarla sul cellulare?” chiesi scendendo di corsa le scale

“Si certo ma risulta sempre non raggiungibile” rispose mia madre passandomi la torcia elettrica

In quel momento Lisa rientrò in casa. Aveva i vestiti incollati addosso, i capelli bagnati e il viso arrossato dal freddo.

“Ti prego trovala. Riportala a casa” mi supplicò

Riuscì a scorgere le sue lacrime nonostante le gocce di pioggia. Annuì con un cenno deciso ed uscì.

 

 

 

Non riuscivo a capire dove fossi. La pioggia cadeva con più forza e rapidità. Un’occhiata al cielo mi confermò che il temporale stava peggiorando e intorno a me non vedevo rifugi o ripari di nessun tipo.

Lo sconforto mi sopraffece e l’ansia e il panico cominciarono ad afferrarmi. Non volevo disturbare la mamma e Margaret ma la situazione stava precipitando velocemente. Non volevo ammalarmi o addirittura continuare a vagare alla cieca all’infinito.

“Dannazione! Stupido cellulare…” lo rimisi in tasca sbuffando.

Non c’era segnale in zona.

Voltai il busto a destra e a sinistra aguzzando la vista nella remota possibilità di scorgere qualcuno.

Nulla, niente, nada!  Vuoto assoluto!

“Beh, se Maometto non va alla montagna … la montagna andrà da Maometto!” dichiarai decisa.

Non potevo rimanere sotto la pioggia, nel bel mezzo del nulla, così mi decisi a proseguire.

Non ho idea di dove sto andando ma a volte l’ignoto è più confortante dell’infelice certezza!

Passo dopo passo, seguendo piccoli e stretti sentieri ripensai alla strada percorsa. Volevo tornare a casa ma avrei dovuto anzitutto ricordare la strada fatta, in caso contrario mi sarei persa ancora di più.

Il vento cominciò a farsi sentire, mi schiaffeggiava il viso con forza portandovi anche gocce di pioggia. Mi guardai per un momento e sospirai sconsolata. I vestiti che avevo indosso erano impregnati d’acqua, le leggere calze fradice. Mi sfregai le braccia nel vano tentativo di riscaldarmi. Continuavo a camminare e camminare, ma all’orizzonte nulla di nuovo. Nessun segno di civiltà.

“Maledetta solitudine da montanari…” biascicai prima di starnutire con forza un paio di volte “Spero solo di non ammalarmi!”

Procedetti ancora finché non persi la nozione del tempo rifiutandomi di continuare a guardare il telefono per cercare il segnale.

Questi dannati sentieri dovranno pur portarmi da qualche parte!

 

 

 

 

Continuavo a chiamare il suo cellulare senza alcun risultato. Era sempre irraggiungibile.

Il maltempo non dava tregua. Ero in auto da circa una decina di minuti quando mi ricordai che Sophie amava passeggiare soprattutto nella parte alta di Paisley, non lontano da casa. Purtroppo però quei posti non erano raggiungibili in auto. Tornai subito verso casa, parcheggiai e cominciai a correre a piedi.

Che fosse proprio lì?

Stupida ragazzina … che cosa ti è saltato in mente? Appena ti trovo ti faccio una lavata di capo che ricorderai per il resto della vita!

 

Annuì deciso a quell’ultimo pensiero.

Ma la realtà era un’altra. Ero tremendamente ansioso. Preoccupato per lei, per la sua salute o che le fosse successo qualcosa. Fortunatamente avevo preso un ombrello ma nonostante quello la pioggia mi raggiunse in poco tempo. Le prime a farne le spese furono le mie scarpe.

Duecento dollari di scarpe buttati nel cesso!

Camminavo veloce e a grandi passi, guardando ovunque nella speranza di scorgere la sua figura. Chiamarla ad voce alta era fuori discussione perché se anche avessi gridato a squarciagola il suo nome, il vento, i tuoni e la pioggia avrebbero sovrastato tutto.

 

 

 

Iniziavo ad avere paura.

Non solo per il fatto di essermi persa ma anche perché il temporale non accennava a placarsi anzi peggiorava di minuto in minuto. Lampi e tuoni continuavano a farmi sobbalzare.

Andarsene in giro con un tempo del genere, senza protezioni o difese era pericoloso. Alcune lacrime sfuggirono al mio controllo ma non vi badai. Volevo trovare un riparo, chiamare casa e farmi venire a prendere.

Ero sempre più stanca. Piccole nuvolette di fumo uscivano dalla mia bocca ad ogni respiro. Tremavo dal freddo e starnutivo di continuo.  Mi passai, per l’ennesima volta, le dita sul viso cercando di eliminare le gocce di pioggia che m’impedivano di vedere attorno. Mi sfregavo le braccia e a volte le gambe, sebbene fosse quasi del tutto inutile.

Mi sentivo debolissima, non riuscivo a vedere bene intorno e con stanchezza sollevai di nuovo la mano verso il viso. Avevo le gambe molli e pesanti mentre le braccia erano irrigidite dal freddo. Le forze mi stavano abbandonando, dannazione.

 

Saranno almeno un paio d’ore che cammino … senza fermarmi.

Non so per quanto ancora avrei resistito. Voltai di nuovo il viso verso destra quando notai una fioca fiammella dorata e del fumo.

Mi fermai all’istante. Senza nemmeno pensarci mi diressi velocemente verso quel chiarore. Era una piccola casa, una baita.

Avevo sete, mi bruciavano la gola e avevo il naso e le orecchie tappate. Ero distrutta dalla stanchezza e dal freddo.

Arrivata davanti alla porta cominciai a bussare inizialmente piano poi sempre con maggiore insistenza. Dopo qualche minuto un vecchio signore venne ad aprire.

Ero in salvo e al sicuro, finalmente!

Le gambe mi cedettero improvvisamente e per evitare di cadere a terra mi aggrappai all’anziano signore. Cercai di parlare ma la gola mi faceva male. Riuscì solo a gracchiare

“La prego, devo chiamare … aiuto”

In lontananza sentì la voce del poverino chiamare qualcuno …  Jared … poi il buio.

 

 

 

Avevo il fiatone così rallentai il passo. Era da più di mezz’ora che camminavo per quella dannata campagna senza scorgere nulla e nessuno. Provai di nuovo a chiamare Sophie. Stavo già per desistere quando lo sentì suonare. Finalmente si trovava in una zona dove c’era campo.

 “Soph?! Dove diavolo sei? Siamo tutti preoccupati! Cosa ti è saltato in mente di uscire con questo tempo? Dimmi subito dove ti trovi! Verrò a prenderti. Rispondi dannazione! Dove sei?” parlai tutto d’un fiato e con tono rabbioso. In realtà ero molto preoccupato.

“Gerard? Sei tu?”

“Chi parla?” domandai

Questa non è la voce di Sophie.

“Sono Stein McKenzie” si presentò l’uomo

“Oh, buonasera Sig. McKenzie. Ha visto per caso una ragazza che …”

“Si, Gerard, è qua da noi. Jared sta cercando di aiutarla” mi interruppe con voce tenue

“Aiutarla? Perché? Che cos’ha?” domandai cauto

“E’ svenuta, Gerard.”

Quelle parole mi bloccarono sul posto.

Misi fine alla conversazione e cominciai a correre a perdifiato fino a casa McKenzie.

Arrivato davanti alla porta bussai con forza. Alla porta apparve Jared, lo salutai velocemente con un cenno del capo

“Dov’è?” chiesi trattenendo il panico

“E’ di là. Nella mia stanza. Non si è ancora ripresa”  Jared mi condusse nella camera.

Vidi Sophie sdraiata sul letto. Il volto pallido, i capelli bagnati incollati al viso.

In due falcate la raggiunsi.

“Oh, Soph” sospirai accarezzandole la fronte

“Ha i vestiti tutti bagnati. Le ho tolto le scarpe e le calze. L’ho coperta ma credo abbia la febbre”

Ascoltai solo in parte ciò che Jared mi stava dicendo. Ora la mia mente era occupata da un solo pensiero.

Volevo che la mia Sophie aprisse gli occhi e che mi rassicurasse di star bene.

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Capitolo 19
*** XX Capitolo ***


Cap. 20

XX Capitolo

 

“Credo che … mmh … forse dovremmo spogliarla” la voce di Jared era esitante

“Cosa?”  lo guardai con sguardo truce

“Hey, sta calmo. Dico solo che secondo me dovremmo toglierle i vestiti. Sono completamente bagnati! Non vuoi che si ammali, vero?”

“No, certo che no!” risposi riflettendoci meglio “Tu però esci” aggiunsi

Jared uscì in silenzio dalla stanza.

Non gli avrei permesso di vedere Soph nuda. Scostai la pesante coperta che la copriva e cominciai a sbottonarle la leggera camicia. Riuscì a togliergliela a fatica e non so quanto tempo dopo. Non volevo farle male, ero lento e delicato. Non aveva ancora ripreso conoscenza e la cosa mi preoccupava parecchio.

Le calze e le scarpe le aveva già tolte Jared, così mi accinsi a sfilarle i jeans. Averla tra le braccia quasi nuda era strano.

Beh, mi ero immaginato la scena diversamente … soprattutto con una Sophie cosciente e consenziente!

Aprì la porta della camera e con un cenno del capo richiamai Jared nella stanza.

“Mi devi aiutare”

Lui alzò entrambe le sopracciglia confuso.

“Non riesco a spogliarla … a levarle i jeans, intendo”

“Cosa? E come mai?” domandò con voce divertita

Jared si era portato una mano davanti alla bocca. Si stava trattenendo dallo scoppiare a ridere, lo sapevo!

“I jeans sono fradici … e … devi aiutarmi!” continuai irritato

“Cioè, fammi capire ... mi stai dicendo che hai bisogno del mio aiuto per togliere i vestiti ad una donna? Che tra l’altro è pure incosciente? Cazzo, amico hai bisogno di rivedere un po’ le basi!”

Senza replicare mi limitai a lanciargli un’occhiataccia.

“Ed io che pensavo che in situazioni del genere te la sapessi cavare da solo” aggiunse con un sorriso furbo

“Non fare l’idiota ed avvicinati!“

Ci accostammo entrambi al letto e con gesti delicati le scostai nuovamente la coperta di dosso.

Jared proruppe in un fischio di ammirazione  “Però… mica male la bambolina”

“Jared, falla finita!” ringhiai a denti stretti

“Perché? Che ho detto? Aspetta almeno che l’abbia toccata prima di … abbaiare!” Imprecai ad alta voce e minacciai di castrarlo se non mi avesse aiutato subito.

“Ok, ok. Hai chiarito il concetto. Come ci organizziamo? Chi sta sopra? Chi la prende da sotto?” continuò con un ghigno

“Jared, maledetto idiota, vuoi farla finita? Concentrati! Dobbiamo fare in fretta perché non voglio che si ammali!”

“Una sveltina … ottima idea! Mi piacciono i mordi e fuggi!”

Digrignai i denti e lo guardai con sguardo furioso.

“Giusto, scusa. Ok. Come ci disponiamo?”

“Io la tengo dalle braccia e tu le sfili i jeans. Sii delicato, per cortesia”

“Sicuro, non ti preoccupare. E poi, fidati … nessuna donna si è mai lamentata del sottoscritto. Ho le mani d’oro dicono!” continuò sorridendo malizioso

Imprecai ancora a mezza voce ma mi accinsi a fare la mia parte.

“Le mutandine … gliele lascio?”

“Cristo Jared … ti giuro che se non la fai finita ti faccio male davvero! E datti una mossa! Faccio sul serio!” intimai ormai al limite della sopportazione

Cominciò a sfilarle i jeans molto lentamente. Erano incollati alle cosce di Soph.

“Sai che se si svegliasse in questo momento … sarebbero cazzi, vero?”

“Continua senza parlare ”

“Pensa, invece, se entrasse adesso il nonno … la frase non è come pensi non basterebbe a salvarci sai? Soprattutto non ci eviterebbe una legnata sui denti col suo caro vecchio bastone da passeggio!”

Jared finì di sfilarglieli, li appoggiò ad una sedia e li avvicinò alla stufetta, presente in camera. Nel frattempo avevo lasciato il busto di Sophie e l’avevo coperta.

“E’ proprio carina! Dove l’hai pescata?”

“E’ la figlia della migliore amica di mia madre e …”

Ma in quel momento lei aprì gli occhi e biascicò qualche parola.

Non riesco a capire un accidenti!

Si agitò per qualche secondo nel letto e poi si addormentò.

Perlomeno ha ripreso conoscenza … ora ha solo bisogno di riposare.

“Cosa ha detto?” chiese Jared

“Ha parlato in italiano, sicuramente”

“Italiana, eh? Questo spiega tutto”

“Non voglio nemmeno sapere a cosa stai pensando …”

“E fai bene caro mio. Perché non credo ti piacerebbe sapere quello che mi passa per la testa, in questo momento!”

“Sei un idiota, Jared Leto! Ora devo chiamare mia madre e la sua per avvisarle che sta bene”

“Tranquillo, fai con calma. Ci penso io a tenerla d’occhio!” dichiarò ghignando

Scossi la testa. Era incorreggibile. Non sarebbe mai cambiato.

Ero alla porta quando si girò verso di me con un gran sorriso stampato in faccia “Hey, Gerard … felice di rivederti amico!”

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Capitolo 20
*** XXI Capitolo ***


Cap. 21

XXI Capitolo

 

“Si, mamma, sta bene. E’ solo un po’ stanca. Siamo a casa del nonno di Jared ora”

“A casa del Sig. McKenzie? Ma è lontanissimo … che diavolo ci fate lassù?” domandò meravigliata

“Sophie è arrivata quassù da sola. Non so ancora bene come, comunque ora sta riposando”

“Ma sta bene, vero? E’ ferita o altro?”

“Ma no mamma. Ti ho detto che sta bene, non preoccuparti. Si era persa e si è un po’ spaventata, tutto qui”

Non volevo dirle le reali condizioni di Soph perché non volevo spaventare né lei né sua madre.

“Oh, menomale. Non sai quanto eravamo in pena per lei. E anche per te dopo che sei uscito. A proposito, tu come stai?”

“Tutto bene, mamma. Stai tranquilla. Sono bagnato dalla testa ai piedi ma sto bene. Resteremo qui finché il temporale non finisce”

“Si, forse è la scelta migliore! Meglio che restiate entrambi al caldo. Mangia qualcosa e fa mangiare anche Sophie. E poi riposati. Saluta Jared e suo nonno e ringraziali. Buonanotte tesoro. Ti voglio bene”

“Si, non preoccupatevi. Buonanotte” salutai mettendo fine alla conversazione.

 

 

Jared era in cucina e stava mescolando qualcosa in un grosso pentolone.

“Ho pensato avessi fame …”

“Hai pensato bene!”

Mi mise davanti un piatto fumante di zuppa di verdure e del pane. La mangiai volentieri. Era calda e molto saporita.

“Dici che è il caso di svegliare Sophie per farla mangiare? Oppure è meglio lasciarla dormire?” domandai finendo di mangiare

“Lasciala dormire. Era stremata e non penso voglia essere svegliata per mangiare”

“Forse hai ragione … con il carattere che si ritrova comincerebbe a strillare come un’aquila!” ribattei sorridendo

Ripensai a quel giorno quando ero piombato in camera sua e l’avevo buttata giù dal letto!

“Mmh … ti piace!”

“Cosa?” domandai confuso

“Non fare il finto tonto con me, Gerard! Ti conosco da una vita … ed tu hai la tipica faccia da pesce lesso di chi è stato preso in trappola!” rispose sicuro

“Faccia da pesce lesso? Io non ho la faccia da pesce lesso!”

“Eccome se ce l’hai. Guarda lì … occhi vacui, rossore e sorriso idiota sulla faccia!” aggiunse annuendo a se stesso

“Qui l’unico pesce lesso è quello che mi siede di fronte!”

“Comunque, se vuoi il mio parere, è molto carina. Come vi siete conosciuti?”

“E’ successo un mesetto fa, più o meno. La sua famiglia e la mia sono amiche da anni ma lei non l’avevo mai vista“ borbottai distogliendo lo sguardo dal suo

“Mmh… abbassi lo sguardo, borbotti … altro che. Caro mio ti ha preso al lazzo!” esclamò Jared divertito

“Tu sei matto! Nessuno ha preso al lazzo nessuno. Fine della storia”

“Se lo dici tu…”

“Già. Lo dico io!” risposi scocciato

“Ti lascio andare a dormire. E’ tardi e il temporale non accenna a smettere. Prendo un altro cuscino”

“Si grazie” risposi “Ma dove dormo visto che c’è un solo divano?” aggiunsi poco dopo

“Beh, mi pareva scontato dormissi con Sophie... ma se preferisci dormire tu sul divano mentre io riscaldo la nostra giovane donzella, per me va più che bene!” fece malizioso tornando con in mano un cuscino

“Non ci pensare neppure! Se qualcuno deve dormire con Sophie quello sarò io e non tu!” chiarì deciso

“Ci avrei scommesso! Beh, mi è andata male … buonanotte” disse ridacchiando

“Notte!” risposi ancora seccato

Con in mano il cuscino mi diressi verso la camera di Jared. Entrai piano cercando di non fare rumore. Sophie era supina e dormiva tranquillamente.

Con gesti silenziosi mi spogliai, posando i vestiti vicino la stufa e stancamente mi infilai sotto le coperte. Pochi secondi dopo caddi in un sonno profondo.

 

 

Mi svegliai qualche ora più tardi perché sentì Sophie muoversi. Senza rendermene conto, nel sonno, mi ero avvicinato a lei ed ora la tenevo tra le braccia.

Lei mugugnò qualcosa che non riuscì a capire. Sembrava sofferente per qualcosa.

Magari ha fame … o forse sete.

Mi alzai dal letto, andai in cucina e le presi dell’acqua. La bevve tutta d’un sorso. Sorrise e ritornò sotto le coperte. Dopo pochi secondi la sentì avvicinarsi e stringersi a me.

Sorrisi anch’io e l’abbracciai. M’immersi nuovamente tra le braccia di morfeo questa volta più soddisfatto.

 

 

 

“Buongiorno dormiglioni”

Aprì gli occhi lentamente. Avrei preferito rimanere a dormire ma la vista del mio amico mi riportò alla realtà. Aveva un sopracciglio alzato ed una mano sotto il mento in atteggiamento pensieroso.

“Ma … che ore sono?“ biascicai con la bocca ancora impastata dal sonno

“E’ quasi mezzogiorno, mio caro. Dormito bene?”

“Avrei preferito continuare a dormire“  risposi sbadigliando rumorosamente

“Già, lo immagino” aggiunse con un sorrisone

Sentì un mugugno provenire dalla mia destra e voltandomi presi nota della posizione in cui ero e soprattutto chi avevo accanto.

Sophie era semi sdraiata su di me, poggiava la testa sul mio petto, un suo braccio mi cingeva la vita mentre una gamba era incrociata alla mia. Arrossì un poco nel constatare che non mi ero assolutamente accorto di nulla.

Quasi … fosse naturale.

Immediatamente tolsi la mano arpionata al suo fondoschiena.

Non riuscì però a muovermi né a spostarmi. Non volevo scrollarmela di dosso ma non volevo nemmeno rischiare di prendermi uno schiaffone. Guardai Jared per chiedere aiuto ma lui se la rideva bellamente. Scosse la testa ed uscì silenziosamente chiudendo la porta dietro di se.

 

 

 

 

Riaprì gli occhi a fatica. Sentivo la gola secca e gli occhi un po’ pesanti.

Quando mi voltai lo vidi. Era lui ed era tornato.

“Buongiorno” lo salutai stiracchiandomi

Solo un momento dopo realizzai dove mi trovavo, in che posizione e con chi.  

“Oh, mamma! Scusami, non volevo… è che… beh, non credo di … “ mi scostai subito

Praticamente gli ero avvinghiata come un polipo.

“Tranquilla, va tutto bene” mi rassicurò delicato “Come ti senti?”

Mi stiracchiai un po’ e sentì le ossa dolermi e scricchiolare leggermente. Mi sentivo uno straccio ma nonostante questo stavo bene. Glielo dissi.

Lui annuì soltanto e alzandosi andò in bagno.

Sentì l’acqua scorrere, probabilmente si stava lavando la faccia.

Non avevo il coraggio di guardarmi allo specchio. Avrei visto un mostro ne ero sicura.

Così mi alzai e cominciai a vestirmi.

Non sapevo dove mi trovavo di preciso, ma volevo tornare a casa di Gerard e lavarmi, vestirmi, mangiare e poi dormire fino alla fine dei tempi.

Beh, mica male come piano…

Ero del tutto vestita quando Gerard uscì dal bagno con sguardo minaccioso e mi si rivolse come una furia.

“Voglio una spiegazione, Sophie!“

“Una spiegazione? Su che cosa?“ ero confusa e il suo sguardo non mi piaceva affatto

“Che diavolo ti è saltato in testa di scappare in quella maniera? Esigo subito una spiegazione!”

Scappare?

“Scappare? Ma cosa stai dicendo? Io non sono scappata da nessuna parte … perché avrei dovuto farlo?”

“Questo non lo so. Sei tu che, incurante del pericolo come una novella Indiana Jones, hai deciso di fare una scarpinata su queste montagne. Non ti sei accorta del tempo? “

“Si, avevo notato che fosse nuvoloso, ma avevo bisogno d’aria e sono uscita a fare una passeggiata. L’ho fatto anche altre volte … solo che questa volta mi sono accidentalmente persa. Dato che continuava a piovere a dirotto, ho pensato di proseguire nella speranza di trovare un rifugio per ripararmi. Non capisco dove sia il problema, Gerard” risposi ancora turbata

Che cosa gli è preso? Per quale ragione sta reagendo così?

“Certo, tu non vedi il problema ... ci hai fatto preoccupare, maledizione! Tua madre e la mia erano spaventate a morte pensandoti chissà dove … ferita o peggio! Ma tu non ci hai pensato vero?”

Nel frattempo si era avvicinato e con la sua figura mi sovrastava. Aveva il volto arrossato e mi puntava un dito contro.

“Cosa vuoi fare? Eh? Picchiarmi?“ domandai rabbiosa  “Dai, forza. Coraggio. Fai come i cavernicoli, sfogati!” continuai sempre più arrabbiata

“Picchiarti? Non potrei mai farlo. Non voglio farti del male”

Non solo il suo tono era cambiato ma anche il suo sguardo. Ora non vi leggevo più rabbia ma solo tanta preoccupazione.

“Stronzate! Perché è esattamente quello che stai facendo. Che cazzo stai dicendo, si può sapere?” ribattei

Non riuscivo a capire la sua reazione. Stava esagerando e le cose che mi stava dicendo mi ferivano.

“Se solo mi lasciassi spiegare…”

Eccolo di nuovo il suo sguardo cupo e rabbioso.

“Certo … non capisci. Perché, probabilmente, non t’importa degli altri. Sono dovuto uscire a cercarti perché tu eviti di pensare! Dovresti ragionare sul fatto che non siamo tutti a tua disposizione signorina. E a tua madre non pensi? Era preoccupatissima per te. Lo eravamo tutti. Stava piangendo quando mi ha pregato di trovarti e di riportarti a casa. E se non fossi arrivato in tempo? Eh? Che fine avresti fatto? Se ti fossi ferita o fossi caduta? Tu non conosci questi luoghi, Sophie e anche se non sembra possono diventare pericolosi. Pensa la prossima volta che ti viene in mente di fare cazzate!”

“Vaffanculo! “ mi avventai su di lui con forza e rabbia. Cercai di schiaffeggiarlo ma bloccò le mie mani con le sue.

“Sei uno stronzo! Hai capito? Sei tu l’egoista e non io. Sei tu quello che prende e parte senza curarsi di chi o cosa si lascia dietro. Tu che hai sempre ragione su tutto e non sbagli mai! Tu che non ascolti e vuoi avere sempre l’ultima parola. Tu che parli e comandi, perché la tua parola è legge! Tu e i tuoi modi di merda … andate a farvi fottere!”

Le mie parole lo spiazzarono o forse furono le mie lacrime, che copiose mi scendevano dagli occhi. 

“Tu non sai un cazzo di me, non mi conosci! Tu credi di sapere ma non è così. Sei uno stronzo, un arrogante e un prepotente! E pensare che non vedevo l’ora che tornassi”

“Davvero?” era colpito

“Si, ma ora mi è passata! Ora non vogli-” non riuscì a finire di insultarlo perché le sue braccia mi avvolsero stretta.

La sua voce mi arrivò all’orecchio come un soffio di vento

“Mi sei mancata anche tu. Tanto.”

Lo guardai. Le sue dita mi accarezzarono il viso e alcune andarono ad asciugare le mie lacrime.

Il suo sguardo era di nuovo cambiato. Ora era disteso quasi sereno.

“Non ti credo”

“Devi! Non ho fatto altro che parlare di te a Susy“

“Allora perché hai reagito così? Perché tutta quella rabbia? Mi hai ferita!” cercai di allontanarmi ma mi strinse di più.

“Non volevo ferirti ma la tua avventatezza e il tuo non riflettere attentament-”

“Basta! Smettila, non ricominciare! Ho capito. Credi pure a tutto quello che ti pare non me ne importa più nulla. Ho chiuso!”

“Hai chiuso?” domandò confuso

“Si, ho chiuso con te! Tra un paio di giorni me ne torno a casa mia, in Italia, e ti dimenticherò!”

Mi prese il viso tra le sue mani e mi avvicinò alla sua bocca. Le nostre fronti si toccavano. Il suo respiro era caldo e profumava di fresco. E con una dolcezza inaspettata mi baciò.

“Non voglio! Non te lo permetterò!”

Il bacio, da tenero e delicato, divenne appassionato e insistente.

“Ero preoccupato … da morire! Non farmi prendere uno spavento del genere mai più”

Con un mugolio di sollievo mi lasciai andare al suo tocco. Mi lasciai andare e spensi il cervello.

“Mi sei mancata ragazzina” mi sussurrò a fior di labbra

“Mi sei mancato anche tu, Hollywood”

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Capitolo 21
*** Red Line ***


Red line

Ciao ragazze...
un piccolo avviso! Non spaventatevi però nulla di allarmante.
Sapete già che la storia era finita, nel senso che avevo finito di scrivere tutti i capitoli ma dopo avere pubblicato il XXI capitolo e letto le vostre splendide recensioni ho capito. C’era bisogno di qualcosa in più…
Ho capito che c'era bisogno di un capitolo supplementare, un capitolo che ho finito di scrivere solo questa mattina presto (alle 3.20 XD) e che pubblicherò a parte.
Se vi state chiedendo il perché di questa scelta ebbene, ho convenuto che avendo dato alla storia un rating arancione sarebbe stato meglio pubblicare questo capitolo, total red a parte. In modo da non andare a turbare lo scorrere degli eventi per i lettori/lettrici. E così ho fatto.
Si chiamerà Dolce e delicata come il miele - Red Line e spero tanto che incontri il vostro favore.
Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando.

Baci baci
Iry

 

Vi metto il link della pagina a cui potete trovare il capitolo (Grazie Kayla Blake!)

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=804992&i=1

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Capitolo 22
*** XXII CAPITOLO ***


Cap. 22

XXII CAPITOLO

 

Era passata una settimana dalla mia piccola e goffa vicenda. E di tutto quello che era accaduto, dopo aver lasciato la casa del nonno di Jared, tra me e Gerard non ne avevamo più parlato. Lui aveva preferito così ed io, triste e arrabbiata, avevo esaudito il suo desiderio.

 

Valevo davvero così poco per lui?

Di cosa aveva timore? O vergogna?

Perché non voleva parlarne?

 

Gerard, dopo molti sforzi, mi aveva convinta a rimanere ed io, di conseguenza, avevo convinto la mamma a partire per tornare a casa da John.

Partita il giorno precedente, tutti e tre l’avevamo accompagnata in aeroporto.

Per cena, decisi di prendere in mano la situazione, cucinai italiano per tutti, Margaret e Gerard apprezzarono moltissimo. Quella sera stessa, in salotto lo trovai comodamente seduto sulla poltrona a leggere un libro.

Ormai eravamo agli inizi di giugno e fra poco sarebbe stato il mio compleanno. Avrei compiuto 25 anni ed ero contentissima. Nonostante la laurea, nonostante gli amici, nonostante la mamma e John … sentivo però che mi mancava qualcosa.

Ho già le crisi di mezz’età?

Sentivo di volere qualcosa, ne sentivo il bisogno. Per essere completa avevo bisogno di altro.

Peccato non sapere cosa….

In silenzio mi avvicinai alla fornitissima libreria di casa Butler e cominciai a scorrere i titoli dei volumi presenti.

“Cerchi qualcosa di particolare?”

La sua calda voce mi fece sussultare.

“Si, un libro. Nonostante adori leggere non ho portato moltissimi libri con me. In realtà non pensavo di trattenermi così a lungo“

“Mmh… per quanto mi riguarda, sono felicissimo che tu abbia deciso di rimanere”

Sorrisi alle sue parole e lo guardai. Lui con gesti lenti si avvicinò e mi baciò la fronte.

“Profumi sempre di buono”  con le labbra ancora sulla mia fronte  “Allora cosa stai cercando?” domandò allontanandosi

“Vorrei qualcosa di romantico e fantasioso” risposi pensandoci

“Mmh … romantico e fantasioso. Fammi pensare … “

“Voglio anche un pizzico di avventura”

“Avventura? Non ti è bastata quella di settimana scorsa?” domandò ironico

“Che palle che sei! Ma perché continui a prendermi in giro? Lo so di essere goffa e magari anche un po’ ingenua, ma non puoi continuare a tirare fuori questa storia all’infinito!”

“Certo che posso. E continuerò a farlo, anche perché è tremendamente divertente!”

Gli risposi con una linguaccia e mi voltai. Volevo continuare la mia ricerca da sola ma lui mi bloccò prendendomi e avvinandomi al suo petto

“Dai non ti arrabbiare” avvicinando il suo viso alla mia spalla vi posò un bacio veloce

“Riflettendoci meglio hai notato che la tua avventura è stata proprio come un romanzo?”

“Un romanzo? Non direi proprio!” risposi alzando entrambe le sopracciglia

“Una giovane e attraente ragazza si perde nei meandri di una inaccessibile montagna … le terribili condizioni atmosferiche remano contro di lei. Il tempo si abbatte sul suo piccolo e fragile corpo con tutta la sua furia”

Mentre diceva queste parole mimava la scena muovendosi tutto. Le sue facce erano buffissime così mi misi a ridacchiare.

“Piccolo e fragile … non direi proprio. Ho resistito per non so quanto tempo sotto quel dannatissimo temporale!” borbottai sbuffando

Lui proseguì senza badare al mio commento.

“Ma proprio nel momento in cui la dolce e sperduta donzella sta per perdere le forze … ecco che arriva il suo principe azzurro a salvarla!”

“Chi?” domando curiosa  “Jared?”

“Ma quale Jared e Jared … sono io! Un giovane uomo coraggioso, di bell’aspetto, pieno di intelletto e ricco nei modi”

“Tu, ricco nei modi? Sei prepotente con tutti!” replicai  “Jared invece … lui si che lo vedrei bene nei panni del principe azzurro! Coraggioso e con sguardo impavido che accorre in mio aiuto, incurante del pericolo!”

“Jared? Impavido? Stai sbagliando di grosso mia cara … e poi cos’è questo continuo parlare di lui?”

Cominciò a farmi il solletico facendomi ridere fin da subito.

“No … Ahahah … dai, smettila … Ahahahahah … Fermati …Ahahah … va bene!”

Continuavo a contorcermi dal ridere mentre lui non smetteva di solleticarmi i fianchi e la pancia. Sorrideva della mia reazione

“Okay. Allora? Sei ancora convinta di quello che hai detto?”

Mi lasciò per qualche secondo guardandomi e sorridendo in attesa. Lungi da me dichiararmi sconfitta feci finta di riprendere fiato.

“Si, certo. Ho capito. Ti darò ragione … solo quando nevicherà all’inferno!” dichiarai lanciandomi lontano da lui e cominciai a correre

Mi inseguì subito.

“Vieni un po’ qui, piccola manipolatrice!” rispose ridendo

“Prendimi se ci riesci!”

Gli avevo fatto un’altra linguaccia ed avevo cominciato a correre più veloce per non farmi prendere.

Uscì dal salotto e corsi a perdifiato su per le scale. Lui mi seguiva a brevissima distanza.

Ridevamo come due pazzi.

“Appena ti prendo …”  minacciava scherzosamente

Ridevo ma continuavo a correre.

“Sogna … continua a sognare!”

“Adesso … sei mia!” aveva gridato afferrandomi per la maglietta

Mi aveva in pugno.

Eravamo in camera sua anche se non ricordavo neppure che ci fossi entrata ed entrambi avevamo il fiatone.

“Ti ho beccata!” rideva allegro.

“Non hai vinto. Mi hai presa … solo perché sono inciampata!“ risposi ancora col fiatone

Lui sorrise e mi strinse a se con delicatezza

“A quanto pare devo ringraziare la tua goffaggine … comunque ho vinto, non importa il come! Sei in debito e devi pagare pegno!” aggiunse con una luce maliziosa negli occhi

“E da quando? Non si era stabilito…”

“Non dovresti sfidare chi è più veloce di te! Allora fammi pensare … la tua punizione … cosa ti faccio fare?”

“Niente di faticoso né di troppo imbarazzante!” replicai sbuffando

Eravamo ancora in mezzo alla stanza e ci guardavamo negli occhi. Lui mi aveva imprigionato i polsi dietro la schiena. Mi teneva in pugno senza però forzarmi o farmi male.

I suoi occhi divennero improvvisamente più scuri.

“Cos’ hai in mente?”

“Poca luce, candele, lenzuola fresche … abbracci, baci e … altri pensieri licenziosi” rispose in un sussurro

Ancora con le mani dietro la schiena mi ritrovai premuta contro il suo petto.

Riuscivo a sentire il suo alito sul mio viso e profumava di menta.

“Sei così bella … che mi riesce difficile continuare a resisterti”  sussurrò prima di abbassarsi per posare le sue labbra sulle mie.

Mi baciò con forza. La passione a stento trattenuta … come se non avesse avuto voglia di fare altro da una vita.

Non mi resi subito conto di voler rispondere. Stavo cercando di liberarmi dalla sua presa ma era forte. Strattonai violentemente e lui mugugnò qualcosa senza staccarsi dalle mie labbra.

Finalmente riuscì a liberarmi le mani, lui se ne accorse e si allontanò da me.

“Scusa, Soph … io …”

“Baciami … e stai zitto” risposi sorridendo.

Non se lo fece ripetere due volte e mi arpionò i fianchi stringendomi più di prima. Sorrise e mi accarezzò il viso con gesti delicati. Con le dita mi sfiorò la nuca e il collo.

Mi aggrappai alle sue braccia muscolose e mi affidai al suo tocco.

Gerard approfondì il bacio e cominciò a giocare con la mia lingua, ad intrecciarla alla sua, ad esplorarmi la bocca.

Mi risucchiò le labbra in un altro bacio famelico e mozzafiato. Ora che avevo le mani libere quasi rimpiangevo la sua stretta. Gli accarezzai le spalle, larghe e forti, e mi aggrappai ai suoi capelli stringendoli delicatamente tra le dita. Continuava a baciarmi con foga, liberando forse quella passione che si era scatenata con il giocare a rincorrersi di poco prima.

Mi piaceva così tanto provocarlo scherzosamente.

Se poi le conseguenze sono queste …!

 

Il suono del campanello della porta di casa interruppe il nostro bacio.

Il bacio … e quello che sicuramente sarebbe seguito!

“Gerard … dovremmo andare … a vedere”

“No, non importa. Si stancheranno e se ne andranno”

Parlammo entrambi quasi senza staccare le labbra. Il risultato era stato un mugugnare indistinto.

Incuranti di tutto, continuammo a baciarci e Gerard, nel frattempo, mi aveva sospinto verso il suo letto. Mi aveva indotta a sdraiarmi, salendo sul letto subito dopo e sovrastandomi completamente.

Il suono del campanello non accennava ad interrompersi, anzi sembrava che qualcuno vi avesse lasciato il dito attaccato.

“Gerard … forse è una cosa seria”

“Non preoccuparti, si rassegneranno. Lascia il resto del mondo fuori“

La sua risposta aveva avuto il potere di provocarmi uno strano sfarfallio allo stomaco.

Con gesti febbrili cominciai a sbottonargli la camicia. Lui in risposta mugugnò qualcosa e si liberò delle scarpe, le sue e poi anche le mie. In pochi secondi riuscì a togliermi la leggera t-shirt che indossavo gettandola chissà dove. Mancavano solo i miei pantaloncini.

“Mi piaci, Sophie. Il tuo corpo … la risata … i tuoi occhi … la tua voce. Mi piaci tutta!”

Riprese possesso dei miei polsi e li intrappolò, con una sola mano, entrambi sopra la mia testa.

Cominciò a baciarmi il collo con piccoli baci leggeri, creando una scia di delicato piacere. Voltai il viso dalla parte opposta per garantirgli più accesso.

Aveva la camicia sbottonata e con la coda dell’occhio riuscivo a intravedere il suo corpo. Il ventre piatto, gli addominali scolpiti, il petto ampio e proporzionato.

Era a cavalcioni su di me e il suo torace sfiorava il mio seno. Divenne uno sfregamento così delizioso da farmi perdere la testa. Esattamente come aveva detto lui … non sentivo nient’altro se non i nostri corpi e i nostri respiri.

“Dannazione, che rottura!” esclamò d’improvviso

Solo in quel momento riuscì a sentire che il suono del campanello persisteva.

Mi sono isolata acusticamente?

“Scendo un minuto per vedere chi è che rompe”

Io mi sollevai un pochino e annuì soltanto.

“Lo mando via e torno subito da te. Aspettami qui” aggiunse sorridendo e baciandomi sulle labbra

Si riabbottonò la camicia velocemente ed uscì dalla stanza. Mi lasciai andare all’indietro atterrando sui cuscini.

Oh mamma mia …

Sentì delle voci maschili parlare così mi alzai, mi sistemai e uscì anche io. Ero in cima alle scale quando un caldo sorriso mi raggiunse.

“Jared!” esclamai sorridendo

Scesi di corsa le scale e mi fiondai ad abbracciarlo.

“Ciao bambolina, che bello rivederti. Come stai?” mi salutò con un sorriso sghembo

“Bene, grazie. Tu?”

“Qui, il tuo proprietario di casa vuole cacciarmi via!”

Io mi voltai verso Gerard che aveva uno sguardo parecchio scocciato

“E’ tardi, Jared. Non dovresti essere a casa tua? Cosa ci fai qui?” gli domandò rabbioso

“Gerard! Che modi…” ero basita

Perché diavolo si ostinava ad usare quel tono arrogante e assolutamente scortese?

“Ho per caso interrotto qualcosa?” domandò Jared malizioso

“No, certo che no!”

“Si, esatto!” rispose Gerard nello stesso momento

Entrambi ci voltammo a guardarci.

Io arrossì mentre lui alzava un sopracciglio come a dire Ci ha interrotti eccome!

“Si o no?” continuò Jared sorridendo

“Non dargli retta, Jared. Hai già cenato? Possiamo offrirti qualcosa?”

“Una birra fredda, la accetto volentieri“  rispose annuendo

Gerard ci guardava basito, passava lo sguardo dall’uno all’altro come se stesse guardando una partita a tennis.

“Certo, vado subito a prendertela” e mi voltai per andare a recuperarla in cucina

Con la coda dell’occhio vidi Gerard spintonare sgarbatamente Jared fino al salotto.

 

 

 

 

“Che cazzo sei venuto a fare, qui, Jared?” domandai

Lo invitai bruscamente a sedersi sul divano mentre lui continuava a ridere come un idiota.

“Certo che sei proprio un pessimo padrone di casa, Gerard.”

“Fottiti!”

Sophie entrò in salotto con la birra per Jared ed una per me, pochi secondi dopo.

“Ho pensato volessi unirti al tuo amico”

Che dolce! Ma perché cazzo Jared era arrivato proprio in quel momento?

“Grazie” risposi

Ero spaparanzato sulla mia poltrona preferita così lei andò a sedersi accanto a Jared che subito le posò un braccio attorno alle spalle con gesto indifferente.

“Allora, ragazzi, cosa stavate facendo prima che io arrivassi?” chiese Jared curioso

Subito Sophie arrossì mentre io gli lanciai un’occhiata omicida.

Che faccia da culo!

“Niente di che … parlavamo” risposi tentando di suonare calmo e indifferente

“Ah, parlavate … certo. E di che cosa?”

“Un po’ di questo, un po’ di quello” risposi vago

Lui annuì  “Ho capito … la stavi annoiando!”

“No … tutt’altro!” rispose Soph velocemente subito dopo però arrossì ancora più di prima

Io sorrisi ma fortunatamente Jared non se ne accorse.

“Vedi, Jared, in realtà Gerard mi stava raccontando un po’ delle vostre abitudini. Di cosa vi piace fare. Un po’ della vostra storia e delle vecchissime leggende. Ed io adoro le storie”

E’ riuscita ad intortare Jared! Ben fatto Soph!

“Si,esatto. Niente di noioso!” ribadì in direzione del mio amico

“Non sapevo che fossi interessata ai vecchi racconti popolari o alle nostre leggende. Non avresti dovuto chiedere a Gerard, lui non ne sa un accidenti! Credimi, pur essendo americano ne so più io che il tuo brutto e sgarbato padrone di casa!” esclamò pavoneggiandosi

Sophie scoppiò a ridere e lo abbracciò di getto. E lui non si tirò indietro.

Troppi abbracci, troppi contatti!!!!

 “Mi è venuta fame. Voi?” chiesi per interrompere quel seccante contatto tra i due

“In effetti … avrei un certo languorino” mi fece eco Jared toccandosi la pancia

“Se volete posso preparare qualche tost” propose Sophie alzandosi

“Grazie, tesoro. Il mio fallo grande e ben farcito!” rispose l’idiota

“Grazie Soph. Se hai bisogno chiama pure” dissi ringraziandola con un sorriso

Lei annuì e con calma uscì chiudendosi la porta alle spalle.

In un nano secondo mi alzai e mi fiondai su Jared.

“Dannato idiota. Che diavolo pensi di fare? Smettila di fare il cascamorto altrimenti ti gonfio la faccia!” esclamai scuotendolo per il bavero della giacca

Lui rideva a crepapelle

“Lo sapevo che avresti reagito così. L’ho fatto apposta! E’ così divertente provocarti. Ci sei cascato come un pollo!” e giù altre risate

“Sei un idiota. E comunque dov’è tuo nonno?”

“E chi lo sa ... magari è dal suo amico Thobias, alla locanda. Si sarà dimenticato di avere un nipote, boh. E’ per questo che sono qui da te. Devi ospitarmi per la notte!”

COSA??!!!??

“Non ci pensare neppure! Toglitelo dalla testa Jared, non ti voglio qui. Soprattutto perché c’è Soph!”

“Non ho un altro posto, Gerard. Davvero. Cercherò di fare il bravo e di darti poco fastidio.”

“Troppo tardi” borbottai a bassa voce “Che palle che sei Jared”

In realtà Jared è sempre stato uno dei miei migliori amici, quindi non mi sognavo neppure di lasciarlo fuori casa. Volevo fare un po’ il difficile e farlo rosolare. Era anche vero che ero incazzatissimo con lui per il fatto che avesse interrotto me e Soph, prima.

“ E va bene … ma stai lontano dalla camera di Soph, chiaro?”

“Altrimenti?”

“Altrimenti ti castro! Sono stato chiaro?” ribadì feroce

“Agli ordini ” ghignò lui

“Eccomi di ritorno” disse Sophie entrando con un sorriso

Portava un vassoio stracolmo di sandwiches e del succo d’arancia per lei. Si era anche cambiata, nel frattempo. Ora indossava pantaloni lunghi da tuta ed una maglietta in cotone. I capelli li aveva fermati in una treccia.

“Grazie tesoro!”

Ci avvicinammo al vassoio e ne prendemmo uno a testa. Tornai a sedermi sulla poltrona e lei sul divano accanto a Jared. Raccolse i piedini, come al solito scalzi, e si accoccolò vicino al bracciolo.

“Ok. Adesso è arrivato il momento delle storie. Chi inizia?”  fece lei con un sorriso

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Capitolo 23
*** XXIII Capitolo ***


Cap. 23

XXIII Capitolo

 

 

“Siccome Jared si sta abbuffando come un tipico rappresentate della razza suina inizio io” cominciai “Questa leggenda proviene da una ballata delle Isole Orkney e si chiama La foca di Sule Skerry”

Sophie si mise più comoda sul divano, il suo sguardo divenne attento mentre Jared sorrise e prese un altro panino.

“Una giovane donna giaceva in lacrime con un bambino tra le braccia perché il padre di suo figlio le era sconosciuto. Il padre del piccolo era in realtà una foca che era tornata al mare subito dopo l'incontro amoroso con la donna”

“Non capisco perché piangesse … diamine era una facile! Ma dico io … con una foca!” m’interruppe Jared

“Chiudi il becco Jared” lo tacitai

Soph sorrise e gli tirò un pacca affettuosa sul braccio

“Comunque, un giorno, mentre la donna era intenta a cullare il suo bambino, una foca le apparve e disse << Sono il padre di tuo figlio ma non posso sposarti. Fornirò il necessario per provvedere a lui ma quando il bimbo raggiungerà il settimo anno di età, tornerò e lo porterò via con me al mondo a cui appartiene>>. La foca gettò vicino alla donna un sacchetto pieno di monete e scomparve subito dopo nel mare. Fu così che la donna crebbe e curò il piccolo da sola, dall'infanzia alla fanciullezza. Il bambino crebbe forte, felice e in salute ma la madre sapeva che più cresceva più s’accorciava il tempo che rimaneva ad entrambi.

Alla fine il giorno tanto temuto arrivò: si trovavano in riva al mare, intenti a giocare, quando la foca apparve di nuovo. << Per me è giunto il tempo di reclamare mio figlio - disse la foca - Prendi questo denaro come ricompensa per averlo curato fino ad oggi>>. E mise nelle mani della donna un altro sacchetto di monete; poi prese il bambino e gli mise una catena d'oro attorno al collo. << Se ti dovessi trovare qui sulla spiaggia e vedere un gruppo di foche, guarda quella che avrà questo collare: sarà il segno che tuo figlio sta bene >>.

<< Ma cosa ne sarà di me? >> Domandò la donna << Non ho un marito ed ora nemmeno più un figlio. Cosa farò? >>

<< Troverai un altro da amare - rispose la foca - un uomo buono verrà, un soldato, e passerai molti anni felici assieme a lui. Ma una mattina d’estate, quando tuo marito scenderà sulla spiaggia, ucciderà due foche. Una sarà tuo figlio e l'altra sarò io>>. Detto ciò, la foca e il piccolo si tuffarono in mare e scomparvero.

Gli anni passarono e proprio come aveva predetto la foca, la donna trovò un soldato da amare, un uomo onesto e leale, ma non dimenticò mai la foca e suo figlio. Trascorse anni felici con il suo compagno ma una mattina il soldato uscì da casa con la sua pistola e al ritorno raccontò di avere ucciso due foche; una di esse aveva al collo una catena d'oro. Quando la donna vide il gioiello il suo cuore si spezzò: aveva capito che anche le ultime parole della profezia della foca si erano avverate.”

 

 

“Oh, che storia triste. Povere foche“ fece Sophie tristemente

“Io non ho ancora capito quale sia la morale di questa storia. E’ non uccidere le foche o per le donne, non darla via al primo che passa?” ghignò Jared

Scossi la testa mentre Sophie ridacchiò allegra  “Io dico che è contro la caccia”

“Non tutte le storie devono avere una morale. Questa è solo una leggenda, tutto qui!” risposi

“Secondo me è invece un monito per noi uomini: usate il preservativo altrimenti vi faranno la pelle!”

Scoppiammo tutti a ridere. Jared era sempre il solito. Trovava il lato divertente in tutte le situazioni.

“Va bene. Ora tocca a me” disse il mio amico alzandosi in piedi

Si mise al centro della stanza e cominciò a fare il buffone mimando la storia.

Io ne approfittai e mi sedetti accanto a Soph che mi accolse con un sorriso luminoso.

“Sophie, questa è la storia di come Eilean Donan fu costruito. Meglio nota con il nome de Il cinguettio degli uccelli“

 

 

 

“Il castello di Eilean Donan è uno dei castelli più conosciuti e amati della Scozia.  Secondo la leggenda, vi era un condottiero che viveva a Kintail, padre orgoglioso di un bel bambino. L'uomo soffriva di un borioso senso d’importanza, proprio come Gerard!”

 

Sophie scoppiò a ridere mentre io guardai male lui e con sguardo offeso lei.

 

“Si sentiva come su un piedistallo ben al di sopra delle classi inferiori, che liquidava come gente stupida e superstiziosa. Avendo sentito di una credenza popolare, secondo la quale se un bambino avesse bevuto la sua prima volta dal teschio di un corvo avrebbe sviluppato poteri sovrumani, il comandante decise, per divertimento, di testare la leggenda su suo figlio, per dimostrarne la falsità. Non appena il fanciullo fu in grado di essere allontanato dal seno materno, la nutrice venne provvista di un teschio di corvo e le fu ordinato di farlo bere da quel macabro calice. Una volta preso il primo sorso, il figlio del comandante divenne subito capace di capire il linguaggio degli uccelli e di conversare con loro. Essendo il bambino ancora molto piccolo, il padre non si accorse subito del cambiamento. Il bimbo crebbe fino a diventare adulto. Un giorno il comandante domandò al figlio come mai tanti uccelli stavano cinguettando intorno alla loro casa e di che cosa stavano parlando. Il figlio rispose che lo stormo parlava di un giorno che doveva venire, quando il padre avrebbe servito suo figlio a tavola. Il comandante, offeso da un tale insulto, bandì il figlio da casa e dalla sua terra, condannandolo a vita vagabonda.

Così egli s’imbarcò e dopo diversi giorni sbarcò in Francia. Lì venne a sapere che la pace del palazzo reale era disturbata da uno stormo di passeri che causava un rumore continuo alle finestre degli appartamenti reali. Il giovane decise di offrire i suoi servigi al re, vista la sua capacità di comunicare con gli uccelli. Si scoprì allora che il motivo di tanto baccano era una disputa scoppiata all'interno dello stormo. Il giovane, dopo vari tentativi, riuscì a negoziare la pace tra gli uccelli. Il sovrano fu talmente grato al ragazzo che lo ricompensò con una nave e una ciurma per la navigazione; il giovane continuò così la sua vita vagabonda in mare, facendo ogni giorno nuove esperienze. Ovunque andava la sua abilità suscitava meraviglia e la sua fama percorreva città e nazioni. Il figlio del comandante veniva ricoperto di doni in tutti i posti che visitava. Dopo molti anni venne il giorno in cui, avendo visitato abbastanza luoghi del mondo, il figlio del condottiero desiderò rivedere la sua terra natale. Partì perciò alla volta della Scozia e attraccò presso Loch Alsh. La vista di una nave così grande suscitò la sorpresa generale nella regione e il vanitoso, vecchio re deciso a fare bella figura, offrì ospitalità al capitano della nave e al suo equipaggio. E così il figlio del comandante e i suoi uomini sedettero alla tavola con l’anziano re; così come lo stormo aveva profetizzato molti anni prima, il padre servì il proprio figlio a tavola. Una volta rivelatasi la verità, mancò poco che il comandante impazzisse dallo shock. L'abilità del giovane, unita all'esperienza acquisita con i suoi numerosi viaggi, lo rese unico in tutto il territorio, tanto che lo stesso Re Alessandro gli concesse l'onore di essere uno dei supervisori della costruzione del castello di Eilean Donan, a difesa di Kintail e delle terre intorno dagli attacchi dei Norvegesi” concluse Jared

 

 

“Oh, che bella. Questa storia mi è piaciuta molto più della prima” ammise Sophie colpita

“Naturale! Non è la storia in sé ad essere bella ma è chi la racconta a fare la differenza” ammise compiaciuto l’idiota

“Io non sono d’accordo. Comunque, in questa storia quale sarebbe la morale?” chiesi alzando un sopracciglio

Vediamo ora che diavolo si inventa …

“Secondo me, la storia è un monito agli altezzosi e ai i superbi. L’umiltà è base di ogni cosa” disse Sophie guardandoci

“Io la penso diversamente”

“Sarebbe?” chiesi curioso

“Beh, la morale è: ognuno pensi agli uccelli propri!” chiarì Jared con un’alzata di spalle

Scoppiammo di nuovo a ridere tutti assieme.

“Jared sei incorreggibile!” esclamò Sophie tra le risate

Stavamo ancora ridendo quando, all’improvviso, un rombo di tuono fece tremare i vetri delle finestre. Sussultammo di sorpresa e Soph, un po’ intimorita, si avvicinò di più a me mentre, di riflesso, l’abbracciavo.

Avevo scoperto, solo da poco, che i temporali forti la spaventavano. Ci scherzammo su, quando me lo disse, ed io la presi in giro. In Scozia avrebbe dovuto farci l’abitudine.

“Oh, Sophie che fifona … hai paura del temporale?”

“Jared, smettila!” lo rimproverai

“Non importa Gerard”  

Si sollevò un poco dal mio abbraccio per guardarlo in faccia e con voce serena rispose

“Ebbene si, Jared. Nonostante i miei ventiquattro anni, i temporali mi spaventano ancora. Lo facevano quando ero piccola e lo fanno anche ora. Non mi vergogno ad ammetterlo e non m’infastidisco quando mi prendono in giro per questo. John lo fa sempre. Tutti noi abbiamo paura di qualcosa, credo. Anche tu, sicuramente. Mi spaventano i temporali, soprattutto dopo l’esperienza di una settimana fa. Non mi importa di quello che pensi. Mi ritieni una fifona? Bene. Non lo pensi? Bene ugualmente“ e con un’alzata di spalle concluse sempre guardandolo fisso

“Ora vado a dormire. E’ tardi ed ho sonno. Buonanotte”

L’augurò ad entrambi e con passo fiero uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.

“Bravo! Ben fatto…” mi congratulai ironicamente

“Cazzo!”

“Sei un idiota ma questo lo sapevamo già!”

“Ah-ah” rise ironico ma il suo sguardo era ancora fermo sulla porta da cui Soph era appena uscita

Notai che i suoi occhi parevano dispiaciuti. Conoscevo Sophie da un po’ e sapevo che non se la fosse presa poi molto. In caso contrario avrebbe tirato fuori le unghie invece di incassare come aveva fatto questa volta.

“Stai tranquillo, domattina le sarà passato e sarà bella pimpante e sorridente come la conosciamo. Sophie non è capace di portare rancore”

“Davvero?”

“Si, stai tranquillo” lo rassicurai con un sorriso

“Ci tieni davvero molto a lei”

“Si, direi di si” ammisi

“E ti piace? Sul serio intendo!”

“Credo di si ” ammisi nuovamente

“Bene, mi fa piacere. Hai bisogno di una come lei”

“Una come lei, In che senso?”

“Una ragazza sveglia e simpatica. Sempre sorridente e gentile. Sembra non avere peli sulla lingua ed è testarda … per questo è adatta a te. Sei molto testardo anche tu. E poi è anche molto bella!” mi fece l’occhiolino

“Non è questo il punto”

“Oh, tranquillo … anche tu le piaci” sorrideva sornione.

Come diavolo fa a sapere cosa ho in testa?

“Ti conosco” aggiunse come se avesse letto nei miei pensieri “Ti conosco e so cosa ti passa per la testa. Tu sembri tanto spavaldo ed arrogante ma dentro sei un’ insicuro e un tenerone!”

“Ah, davvero?”

“Si, esatto. E fidati quando ti dico che le piaci molto”

“Come fai ad esserne così sicuro?” 

“Beh, mi sembra chiaro, ha scelto te quando poteva avere lo strafigo qui presente” annunciò indicandosi vanitosamente

“Vai al diavolo!”esclamai irritato

Ed io che pensavo di poter fare un discorso serio e sensato…

“Scherzi?! Sono un ragazzo d’oro … bello come il sole, anzi bellissimo! Alto, affascinante, interessante, bello, intelligente. Disponibile, divertente … e potrei continuare all’infinito ma non voglio vantarmi. Lo sai no? Sono modesto…”

“Ma certo! Beh, ti saluto modesto!”

Jared scoppiò a ridere. “Ti seguo allora“

Salimmo le scale e gli indicai la porta di camera sua.

“Buonanotte, amico”

“Buonanotte idiota” borbottai

 

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Capitolo 24
*** XXIV Capitolo ***


Cap. 24

  

XXIV Capitolo

 

 

“E’ la tradizione, Gerard, non puoi rifiutarti!”

“Oh, certo che posso George. Quest’anno passo“ dichiarai deciso

“Sei un guastafeste! La notte dell’orrore è d’obbligo. Avanti, non fare il codardo!”

“Non si tratta di esser codardo, George perchè non ho paura. Quest’anno c’è Sophie … non posso lasciarla a casa da sola”

In realtà non sarebbe rimasta da sola dato che Jared e mia madre erano in casa ma la cosa non mi andava.

Non l’avrei lasciata da sola con lui!

“Beh, porta anche lei, più siamo più ci divertiamo” continuò George tentando di convincermi

Ero steso sul divano del salotto ed era quasi ora di pranzo. 

“Allora? Ci sei ancora?” chiese George all’altro capo dell’apparecchio

“Si, ci sono. Stavo pensando.”

In quel momento Jared entrò nella stanza, con una tazza di the in mano e si accomodò sulla poltrona accanto al divano. Diede uno sguardo in giro e mi fece un cenno di saluto.

“E per quando sarebbe?” domandai

“E’ per stasera bello. Chris ha pescato e … si tratta del castello” rispose tutto d’un fiato

“Il castello? Quale cast… non dirmi … si tratta del vostro?”

“Si” pigolò con voce bassissima

Mi alzai di botto dal divano e saltai in piedi.

“Te lo scordi. Non pensarci proprio … dopo questa cosa io sono fuori! Non contatemi ragazzi” dichiarai risoluto

“Ti prego Gerard. Ti prego, ti prego” sentì dire da Chris

Sicuramente aveva udito la nostra conversazione e mi pregava di acconsentire.

Pochi secondi dopo la testa di Sophie fece capolino in salotto, così la invitai con un gesto della mano ad entrare.

Jared le andò incontro e li vidi scambiarsi qualche parole.

La vidi annuire e poi sorridere. Lo abbracciò e lo salutò con un bacio sulla guancia.

 

Non le tolsi gli occhi di dosso. Indossava shorts cortissimi ed una canotta bianca. Aveva i capelli gonfi di sonno e il viso disteso.

Quando incontrò il mio sguardo si aprì in un sorriso radioso. Mi raggiunse e mi abbracciò. Ero ancora al telefono con George che tentava di convincermi così, le cinsi la vita con un braccio e mi chinai per posarle un lieve bacio sul capo.

“Va bene, George. Ci penso e ti faccio sapere” con quelle parole misi fine alla telefonata.

“Ma buongiorno mio caro” salutò Jared.

Aveva in mano il giornale e lo stava sfogliando, Sophie invece era seduta sul divano e con occhi divertiti passava lo sguardo da me a Jared.

“Buongiorno. Avete fatto pace?” domandai sedendomi accanto a lei

“Si, la tua bambolina mi ha perdonato la stronzata di ieri sera” rispose guardandola

“Che facciamo oggi?” domandò Sophie sorridendo

“Beh, ecco … veramente dovrei parlarti di una cosa. Tu cosa fai oggi Jared?” chiesi

“Boh, non ne ho idea“  alzò le spalle indifferente

“Potremmo passare la giornata assieme. Vi va?” propose Soph guardando entrambi

“Jared, Sophie … ho una proposta da farvi” cominciai

“Oh, una cosa a tre? Mi piace! ”

Sophie scoppiò a ridere mentre io gli lanciai un’occhiataccia

“Stavo dicendo. Mi ha appena chiamato George, un amico” precisai per Jared  “Mi ha proposto di passare la notte tutti insieme in un castello”

“Oh, non dirmi così ti prego… io credevo di essere l’unico ad occupare un posto nel tuo cuoricino! Che colpo mi hai dato!”

Sophie ridacchiò ancora mentre io feci finta di non sentirlo

“In realtà si tratta di una scommessa. Da ragazzini io ed alcuni amici passavamo le serate invernali in casa a raccontarci storie di fantasmi. Una volta, per scommessa trascorremmo la nottata in un cimitero. La notte dell’orrore è poi diventata una tradizione. Ogni anno passiamo una notte in un posto macabro per scommessa. Quest’anno è stato sorteggiato il castello“

“Scusa l’interruzione ma stiamo parlando di quel castello? Quello circondato da quell’aura spettrale che al solo avvicinarsi ti si accappona la pelle?” domandò Jared con un sopracciglio alzato

“Si, proprio quello” annuì io

“Voi siete pazzi! Sapete le storie che si raccontano di quel posto?”

“Si, Jared, ecco perché sono un poco titubante. Saremo in tanti ma il luogo è quel che è!”

“Beh, io ci sto” dichiarò Sophie decisa

“Cosa? Soph non penso tu ti renda conto del …”

“Gerard ha detto che saremo in tanti, giusto?” chiese conferma guardandomi

Io annuì solamente mentre Jared scuoteva la testa.

“Beh, allora ci sto!”

“Sophie ragiona! Tu hai paura del temporale figurati in un posto come quello” continuò Jared serio

Sentì Sophie irrigidirsi a quelle parole così le presi la mano e la strinsi.

Lei mi guardò e mi sorrise

“Voglio farlo, Gerard. Morirò sicuramente di paura ma voglio andare in quel castello” annunciò decisa senza distogliere gli occhi dai miei

Io ero ancora dubbioso ma non avevo mai visto quella luce nel suo sguardo.

Era decisa. Era seria e determinata, senza alcuna traccia di paura.

“Bene. Sei dei nostri Jared?”

 “Voi non vi rendete conto. Mio nonno mi ha raccontato storie terribili su quel posto. Dio, c’è morta così tanta gente in quel luogo che non ho alcun dubbio sul fatto che sia infestato! Ma non sono un codardo … quindi si, ci sto anche io!” dichiarò annuendo

Chiamai George e gli comunicai tutto. Lui tirò un sospiro di sollievo e mi aggiornò sui particolari.  Saremmo stati in tutto nove. Colin, Mark, Jack ed Anna, George e Chris, Jared, Sophie ed io. Jack ed Anna avrebbero portato da mangiare mentre Colin, Mark e George avrebbero pensato agli zaini con tutto il necessario.

Avrei solo dovuto portare i sacchi a pelo per noi tre.

 

 

La giornata trascorse velocemente e il buio bussò alla nostra porta prima del previsto. Indossammo abiti comodi e pratici. Mia madre ci aspettava alla fine delle scale con un’espressione preoccupata sul viso.

“Fate attenzione, mi raccomando”

Sorrisi e la rassicurai  “Non preoccuparti. Saremo di ritorno domani mattina. Ti voglio bene. Buonanotte” e la bacia sulla guancia

Lei sorrise e abbracciò Jared, che sorrise impacciato e Sophie che ricambiò con dolcezza.

 

 

Il castello era situato nella parte nord di Paisley.

Era una struttura imponente e vasta. Costruito centinaia di anni prima era poi passato in eredità di figlio in figlio. Era disabitato e in stato di abbandono, tuttavia ogni nuovo proprietario aveva contribuito con opere di restauro a perfezionare e modernizzare la struttura e gli interni.

Il maniero si presentava ai nostri occhi come un intricato insieme di stili ed epoche che lo rendevano particolare e affascinante. Le storie che si narravano sui suoi proprietari non erano però così attraenti come quelle della sua costruzione.

 

Erano racconti di dolore e sofferenza. Uomini che uccidevano le mogli per reali o presunti tradimenti, fanciulli che morivano in seguito a strani incidenti, cadute o ferite mal curate. Esistenze corrotte dall’avidità e dal potere, giovani conducevano vite decadenti abbandonandosi ai piaceri della carne e a depravazioni d’ogni genere.

Ogni proprietario e ogni membro della sua famiglia aveva lasciato un pezzetto di sé … in ogni senso!

All’esterno una fitta nebbia ammantava ogni cosa ed oscurava tutto ciò che riusciva ad abbracciare. Il buio, l’assenza di rumori o suoni ed il furioso battito dei nostri cuori. Ogni cosa era come nei film dell’orrore … metteva i brividi addosso!

 

“Bene, direi che ci siamo” annunciò George accingendosi ad aprire i grandi cancelli della proprietà

“Come fa George ad avere le chiavi?” chiese innocentemente Sophie

“Beh … il castello appartiene alla sua famiglia” spiegai

“Che cosa?”

“Si, questo castello appartiene alla mia famiglia da alcune generazioni e ci è stato lasciato in eredità” aggiunse Chris avvicinandosi

“Ma … come?” domandò ancora

“La famiglia di mia madre discende dai primi proprietari del maniero. L’immobile viene tramandato di padre in figlio ma mia madre è figlia unica perciò mio nonno lo lasciò in eredità ai suoi figli cioè a me e George. Lo erediterà George e lo tramanderà ai suoi figli” spiegò ancora Chris

Vi era una nota di panico nella sua voce. Aveva parlato piano e con tono triste.

Potevo capirla … ereditare una cosa del genere con tutto ciò che ne comportava poteva risultare difficile oltre che emotivamente pesante.

“Purtroppo non possiamo farne a meno. Per fortuna sono decenni che nessuno vi abita più“ concluse lei

Sophie notò l’ombra che persisteva sul volto della mia amica e l’abbracciò teneramente.

Che dolce la mia Sophie!

Distolsi lo sguardo e mi voltai per cercare Jared, che nel frattempo aveva fatto conoscenza con tutti.

 

Il portone d’ingresso s’aprì con un rumore sinistro e senza spalancarlo completamente entrammo seguendo George.

La nostra serata ha inizio!

“Chi ha le torce?” domandai con voce roca

“Io. Eccole” rispose Mark consegnandone una a tutti

“Bene. Come ci organizziamo? Da dove iniziamo?” domandò Anna rivolgendosi ai due fratelli

“Non guardate me. E’ la prima volta che metto piede in questo posto” annunciò Chris scrollando le spalle

Con un colpo di tosse, George attirò l’attenzione di tutti su di se. Aveva un’espressione seria sul volto. Il tono di voce fu autorevole e tremendamente serio. In pochissime occasioni lo avevo visto così.

“Da quel che ricordo, la struttura è composta di quattro piani, più cantine oltre ad un svariato numero di stanze segrete. Io l’ho perlustrato solo una volta, circa due anni fa, mentre non ho permesso di farlo a Chris, per ovvie ragioni. Direi di sistemare il punto di ritrovo su un unico piano, questo o il primo. Abbiamo tutto quello che ci occorre: provviste, pile elettriche, sacchi a pelo e corde. Spero per voi che abbiate il cellulare carico. Sapete, esattamente come me, cosa si racconta di questo posto. Non voglio spaventarvi ma pretendo che ognuno di voi faccia molta attenzione. Ho preparato delle piantine dell’intero edificio.  Il castello non viene restaurato da molto tempo e grazie a Dio non è abitato da ancora più tempo. Ci saranno sicuramente mobili corrosi dalle tarme e qualche topo. Sentiremo di certo qualche rumore o scricchiolio sinistro, ma non preoccupatevi, è normale essendo una costruzione così vecchia.“

“Hey, non volevi spaventarci … ma ti assicuro che ci stai andando vicino, George!” esclamò Jared ad alta voce

Ridemmo tutti della sua battuta e questo ci aiutò a smorzare un poco la tensione.

Forse Jared aveva ragione, le parole di George per quanto pacate avevano messo apprensione in tutti.

“Scusate non volevo spaventarvi ma solo essere chiaro. Ora, dovremmo dividerci in due gruppi suppongo. Cosa ne pensate? Preferite rimanere uniti?”

“La scommessa consiste nel perlustrare l’intero maniero e passare la notte qui, giusto?” domandai

“Si, esatto” confermò Chris seguita da cenni affermativi da parte degli altri

“Siamo in nove e il castello è enorme, forse dovremmo dividerci” fece Colin

“Bene, come pensavo. Allora il primo gruppo sarà formato da Colin, Mark, Jack e Anna. Il secondo da me, Chris, Soph, Gerard e Jared“ annunciò George

Il nostro gruppo era il più numeroso, tre ragazzi e due ragazze. Certo la decisione di dividerci aveva riscontri positivi ma ne aveva altrettanti negativi.

Ovviamente non avrei permesso di essere smistato in un gruppo diverso da quello di Sophie.  

“Perfetto, allora, credo si possa iniziare. Non ci sono limiti di tempo o altro. Fate attenzione a dove mettete i piedi e alle scale. Incominceremo tutti da questo piano. Poi noi andremo in basso, verso le cucine e le cantine e voi andrete in alto. Buon divertimento a tutti” concluse George consegnando una piantina a Mark “L’avventura ha inizio” disse Jared ridendo.

Con in mano la piantina George cominciò a camminare davanti, come guida del gruppo. Lo seguivano Jared e Chris, dietro io e Sophie. Ci guardammo e lo stesso fecero Jared e Chris. Il suo viso era un poco pensieroso e lo stesso valeva per Sophie.

Pile elettriche alla mano ci incamminando verso le cantine.


 

Angolino:

Ciao a tutti! Ecco il nuovo capitolo, il 24°!

Spero perdonerete questo goffo tentativo di scrittura giallo/noir o come la chiamo io “un brutto abbozzo di racconto pauroso”! Fortunatamente c’è Jared che alleggerisce un po’ la tensione! Eheheheheh

Bene, eccolo a voi. Vi avverto che anche il prossimo capitolo, esattamente come questo, avrà sullo sfondo della nostra storia qualcosa di brividoso. Perciò, vi prego, sopportate i miei vaneggiamenti!

Beh, che cosa ne dite? Come lo trovate?

Fatemi sapere…

Baci baci Iry

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Capitolo 25
*** XXV Capitolo ***


Cap. 25

XXV Capitolo

 

 

Le parole di George mi avevano fatto accapponare la pelle. 

Forse non era stata una buona idea fare un giro nel castello degli orrori.

Già … beh, ormai siamo in ballo, balliamo!

Dopo essermi schiarita la voce con un breve colpo di tosse chiesi a George di raccontarci qualcosa su quella casa.

Raccontò che gli ultimi proprietari sembravano una famigliola molto felice.

 

Una coppia, la donna innamoratissima del marito e lui altrettanto di lei. Dopo appena un paio d’anni di matrimonio lei rimase incinta e i due furono felicissimi della cosa. Pensarono che un bambino, un figlio, sarebbe andato a completare e ad arricchire il loro amore.  I bambini nati furono due, due gemelli, un maschio ed una femmina. Il marito però qualche mese dopo in seguito ad una ferita infetta curata malamente morì e la donna rimase sola con i figli. I bambini speravano di riuscire a riempire il buco che la morte del loro amato padre aveva lasciato nel cuore della loro mamma.

Il castello era enorme e per loro ogni piccolo dettaglio era motivo di risa, allegria e gioco. La donna però era ben lontana dalla felicità e la sua tristezza si tramutò in pochi anni in profonda depressione. Non riusciva proprio a capacitarsi della scomparsa del marito e nonostante i figli non si riprese mai.

Un giorno un urlo di donna squarciò l’aria.

La donna era morta e con lei i bambini, affogati entrambi nella vasca da bagno. La madre aveva ucciso, in un raptus di follia, i figli e poi resasi conto di cosa aveva fatto si sparò un colpo di pistola alle tempie.

Si racconta che i loro spiriti abitino ancora qui e che non si siano resi conto di essere morti.

 

“Come nel film The Others con Nicole Kidman?” domandai esitante

“Già, credo che la trama del film sia stato ispirato proprio da questa storia” replicò asciutto Gerard.

Solo allora notai la rigidità nel suo volto e nei suoi movimenti.

Era teso e per nulla contento del luogo. E non potevo dargli torto. Con un’occhiata mi accorsi che anche per tutti gli altri era lo stesso. 

“Beh, sarà pur successo qualcosa di felice in questo posto” replicai esasperata

“Forse, ma non contarci troppo!” mi rispose Chris seria

Forse non era stata una buona idea venire … mancava solo la scritta “Benvenuti all’inferno” alla porta!

 

 

 

Nonostante i racconti sempre più macabri di cui ci deliziava il nostro cicerone George, riuscimmo a visitare interamente le cantine e le cucine poi, passando per una porta secondaria, uscimmo in giardino, sul retro della casa.

L’erba era bassa ed umida e la nebbia offuscava ancora tutto. Cominciai a rilassare le membra, a sciogliere i muscoli perché, senza nemmeno accorgermene, ero rimasta in tensione tutto il tempo.

Stavo massaggiandomi la base del collo quando d’improvviso sentì delle deboli grida … quasi fosse un’eco.

Girai la testa a destra e a sinistra ma non vidi nessuno a parte i miei compagni. Stavano parlottando poco lontano, Gerard si voltò un secondo nella mia direzione, come a volersi accertare che fossi ancora li con lui, mi sorrise e si riconcentrò sulle parole di George. Scossi la testa pensando di essermelo solo immaginato.

Solo suggestione! Troppe brutte storie … troppa tristezza e dolore tra queste mura.

Stavo per unirmi agli altri quando risentì quell’eco di dolore. Sembravano urla intrise d’angoscia e di paura. Il solo sentirle era straziante.

Le stavo solo immaginando?

Sembravano così reali ed ora … così vicine. Decisi di verificare.

Tesi l’orecchio per ascoltare meglio e identificare con esattezza da dove provenissero.

Finalmente captai qualcosa. Sulla destra, non molto distante.

Dovevo controllare. Con uno sguardo agli altri mi accertai che fossero concentrati sulla conversazione e non su di me.

Mi allontanai velocemente finché la nebbia mi inghiottì oscurando la mia immagine agli altri e la loro a me. Non camminai per molto. Sentivo che le urla si facevano più flebili diventando però più penose.

La nebbia si diradò e mi  permise di scorgere un vecchio e diroccato pozzo non molto distante da dove mi trovavo.

Più mi avvicinavo più le sentivo nitide. Quelle urla divennero chiare e comprensibili.

Chiedevano aiuto e sembravano … no, non era possibile … eppure … le grida erano quelle di un bambino. Piangeva e chiamava la sua mamma.

Sentì una fitta dolorosa al petto e arrivata al pozzo allungai le mani. Mi appoggiai al bordo per sporgermi.

Volevo aiutarlo … magari era ferito. Dalla sua voce sentivo quanto fosse impaurito.

Mi sporsi ancora di più e a gran voce lo chiamai

“Hey … ti ho sentito. Stai bene? Sei ferito?“ domandai preoccupata

In risposta ricevetti solo mugolii di sofferenza

“Non preoccuparti ti tiro fuori da lì … fra poco sarai a casa con la tua mamma, non temere” ripresi con voce più dolce per cercare di tranquillizzarlo

 

Una mano bianca e forte si poggiò alla mia spalla e un braccio mi cinse la vita. Cacciai un urlo di spavento e tentai di liberarmi.

“Sophie … Sophie calmati, sono io. Ma che diavolo … cosa fai qui?“

Non lo avevo sentito avvicinarsi ed ora la sua voce sembrava preoccupata. Alzai lo sguardo verso di lui e vidi il suo volto teso

“Cosa hai fatto al viso? Perché sei ferita? E perché stai piangendo?” domandò ancora

Le sue parole sembravano avere poco senso così mi portai le mani al viso, per verificare.

Stavo piangendo e non me ne ero accorta?

Gerard mi prese le mani come per abbracciarmi ma anche quelle erano ricoperte da graffi ed escoriazioni. In alcuni punti usciva addirittura del sangue come se le avessi lacerate.

“Dio, sei gelata … ma cosa hai fatto? Dove te li sei fatta tutti questi graffi?”

Mi guardai le mani e poi guardai di nuovo verso il pozzo a pochi centimetri da noi.

 

“L’hai trovata? Sta bene?” le voci di Chris e degli altri mi raggiunsero

Sollevai gli occhi verso di loro e li vidi a qualche metro di distanza con le torce in mano

“Si, è qui” rispose Gerard abbracciandomi e allontanandomi dal pozzo

Mi voltai ancora verso quel punto … le grida erano scomparse.

Mi strinsi più forte a Gerard e accoccolai la testa contro il suo braccio.

D’improvviso mi sentì stanca, debole. Priva di energie. Confusa e spaventatissima.

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Capitolo 26
*** XXVI Capitolo ***


Cap. 26

XXVI Capitolo

 

 

Averla trovata in quelle condizioni mi aveva impensierito parecchio.

Lo ero stato prima, quando voltandomi non l’avevo più vista, e anche dopo quando l’avevo ritrovata. Io e Chris avevamo cercato di medicarle quei graffi che aveva sulle mani e sul viso. Graffi che nessuno si spiegava.

Mi aveva raccontato di aver sentito delle grida e che seguendole si era ritrovata a quel pozzo. Disse che parevano appartenere ad un bambino, che le sembrava fosse spaventato e così si era sporta un poco per cercare di vederlo e rassicurarlo.

 

Non ricordava altro.

Non ricordava di aver visto né sentito altro.

 

Io l’avevo trovata esageratamente oltre il bordo del pozzo, quasi sul punto di caderci dentro. Le braccia, le mani e il viso freddi come il ghiaccio e ricoperta di tagli. Aveva gli occhi arrossati e copiose lacrime le scendevano sulle gote.

Aveva lo sguardo spaventato e tremava leggermente.

Da quel momento, fino alla fine della nostra esplorazione, non la persi di vista un attimo e per tutta la notte la tenni per mano senza mai lasciarla. Non volevo rischiare che si facesse male sul serio.

Finimmo di visionare la mansarda, all’ultimo piano, verso le sette di mattina e, raggiungendo gli altri, uscimmo da quel luogo così pericolosamente sinistro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mia madre ci aspettava sulla soglia di casa con un sorriso di sollievo in volto. Entrando un dolce profumo di brioches appena sfornate ci invase le narici.

Tenevo ancora per mano Soph e guardandola mi accorsi che sembrava essere sul punto di crollare. Occhiaie, graffi ed ematomi spiccavano molto più di prima sul suo volto pallido.

Con un sorriso tirato, abbracciò mia madre e guardandomi disse

“Io preferisco andare a sciacquarmi mani e viso e infilarmi sotto le coperte. Ho bisogno di dormire e comunque non ho fame”

“Si, per me è lo stesso” dichiarò Chris sbadigliando e seguendo Soph su per le scale

Seguì entrambe con lo sguardo fino a quando la voce di mia madre mi costrinse a voltarmi

“Cosa diavolo è successo? Perché Sophie è ferita in quella maniera?” domandò preoccupata

Con un gesto mi avvicinai e la spinsi verso la cucina.

Avevo bisogno di mangiare e di schiarirmi un po’ le idee.

Insieme a Jared e George, gli unici rimasti per la colazione, spiegammo in breve l’accaduto e l’intera nottata.

“Sai più ci penso e più credo di aver capito perché Sophie si trovasse vicino quel posso e il perché di tutti quei graffi”

“Beh, rendici partecipi” borbottò Jared mordendo il quinto muffin al cioccolato

“Credo proprio che si tratti del piccolo Thobias” continuò George con tono meditabondo

“Oh si ricordo … ma il fatto avvenne più di novant’anni fa … è impossibile che…” lo interruppe mia madre portandosi una mano alla bocca e sgranando gli occhi

“Beh, non poi così impossibile se pensiamo a quel posto” convenne lui annuendo

“Allora? Di che si tratta?” ero seccato

Che cos’era quel dire e non dire???!!!

“Beh, è la storia del piccolo Thobias McGee, il figlio della governante di uno dei miei antenati. Si racconta che il bambino amasse giocare in giardino, in particolar modo vicino a quel pozzo, e che un giorno vi cadde dentro.  All’epoca quella cavità era usata quasi quotidianamente perché forniva acqua per lavarsi e fare il bucato, quindi era colma d’acqua. I racconti sulla sua morte sono molto confusi. Alcuni dicono che il bambino morì annegato quasi subito mentre altre storie raccontano che l’eco delle sue urla si udì per ore. Secondo loro il bambino non morì subito annegato ma fu semplicemente … dimenticato”

“E sua madre?” domandò Jared colpito

“La nonna, mia madre, mi raccontò questa storia una volta quando ero molto piccola. Mi disse che la madre del piccolo, la governante, a fine giornata non trovandolo in giardino si spaventò. Lo cercò per tutta la notte tra i boschi, che all’epoca circondavano il maniero, ma che non lo ritrovò mai. Ormai rimasta sola con un dolore troppo grande da sopportare si lasciò cullare dalla follia e poco tempo dopo s’impiccò” concluse mia madre in un sussurro.

In quel momento, riportai alla mente le parole di Soph.

Davvero aveva sentito quei lamenti? I lamenti del piccolo Thobias?

E se si, perché solo lei? Perché non li avevo sentiti anche io o qualcun altro del gruppo?

 

Finito di mangiare ci alzammo e, insieme a Jared e George, mi diressi su per le scale. Avevo bisogno di dormire e di riposare e lo stesso valeva per i miei compagni.  Stavo per entrare in camera quando volli controllare le condizioni di Sophie.

A passo svelto ma silenzioso mi avvicinai alla porta della sua camera e facendo attenzione a non fare rumore, l’aprì.

Lei e Chris stavano dormendo vicine, nello stesso letto, una accanto all’altra.

Il viso di entrambe sembrava sereno e disteso. Si erano lavate e cambiate ed ora dormivano profondamente.

Sentendo dei passi dietro di me, mi voltai. George e Jared si sporsero per controllare.

“Abbiamo avuto la stessa idea” dissi sorridendo ad entrambi

“Già” bisbigliarono

Volevo entrare nella sua stanza, sollevarla tra le braccia e portarla nella mia così da averla vicina e fare in modo che fosse al sicuro, accanto a me.

Ma la lasciai lì, a riposare, e augurandole buon riposo richiusi la porta senza fare rumore.

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Capitolo 27
*** XXVII Capitolo - prima parte ***


Cap. 27A

XXVII Capitolo

 

 

Pov Susy

 

Ero arrivata solo da pochi giorni, ma con Soph avevo già legato.

Fin da subito, mi era stato chiaro che tra Gerard e Sophie, ci fosse qualcosa … un legame. Una strana affinità fisica e, solo a tratti, caratteriale. C’erano momenti in cui non si potevano sopportare, altri in cui litigavano come una vecchia coppia sposata ma nella maggior parte dei casi, e quasi senza rendersene conto, si cercavano e si desideravano. Lo avevo capito subito … quei due erano come le calamite: si attiravano e si respingevano.

Parlando con lei avevo scoperto che amasse la musica e ancor di più ballare; così avevo deciso di organizzare una serata fuori. Io, lei, Gerard, Philip e Paul, i due gemelli.

La maggior parte dei locali scozzesi serviva prevalentemente birra, erano pub piuttosto rustici. Per quella serata ci serviva qualcosa di un pochino più chic e con l’aiuto di Sophie, dopo un’ora di ricerche, riuscimmo a trovare il posto giusto, un graziosissimo disco-pub. Era a trenta minuti d’auto ma la cosa era irrilevante.

I ragazzi esattamente un’ora dopo aver finito di cenare erano giù in salotto tutti pronti.

Noi femminucce abbiamo bisogno di almeno un paio d’ore, tra trucco, parrucco e vestiti!

Fui la prima a scendere. Indossavo pantaloni lunghi di pelle nera e un top bianco, parecchio scollato e che mi lasciava quasi completamente scoperta la schiena.

Solitamente non amavo vestire in maniera provocante ma uno strappo alla regola per una volta non mi avrebbe fatto male!

Le scarpe ai piedi, decolleté nere dal tacco vertiginoso, erano nuove ma per fortuna non facevano male. Il trucco era leggero e i capelli erano raccolti in una coda alta. Alle scale mi attendeva Paul con un braccio proteso ed un sorriso malizioso.

“Sei uno schianto Susy!” dichiarò ad alta voce attirando l’attenzione dei fratelli.

“Anche tu non sei niente male” risposi sorridendo.

Gerard mi baciò una guancia sussurrando

“Dovrai stare attenta questa sera. Sei un bocconcino niente male”

Un fischio d’ammirazione proruppe anche dalle labbra di Paul. Entrambi i gemelli indossavano jeans chiari a cavallo basso con un maglioncino a collo alto, uno nero l’altro bianco. Erano uno spettacolo per gli occhi, entrambi piuttosto alti ma non eccessivamente robusti.

Gerard indossava, invece, jeans piuttosto stretti di colore scuro ed una camicia che cadeva perfetta sulle spalle ampie e che lasciava intravedere il petto e gli addominali scolpiti.

Ero imbarazzata, ma anche piuttosto contenta. Una donna adora essere riempita di complimenti.

“Grazie, ragazzi. Ma se siete così in fibrillazione adesso non oso immaginare come reagirete quando vedr…”  m’interruppi senza riuscire a finire perché mi accorsi che i loro occhi erano puntati verso le scale. Così mi girai anch’io e la vidi scendere.

Era raggiante e semplicemente bellissima. I capelli erano morbide onde sciolte sulle spalle mentre un corto vestitino nero le fasciava il corpo come una seconda pelle. Portava due grossi bracciali ai polsi e cerchi alle orecchie. Il trucco le illuminava il viso donandole un’area sensuale ed esotica. Ai piedi portava sandali neri con lacci legati intorno alle gambe.

Sorridendo delle loro buffe espressioni esclamai “Chiudete la bocca ragazzi altrimenti vi entreranno le mosche!”

Siccome sembravano tutti imbambolati come allochi, mi avvicinai alle scale e con una mano aiutai Sophie a finire di scendere, la quale mi ringraziò con un luminoso sorriso.

“Cavoli, Sophie… non ho parole” esclamò Paul riprendendosi un poco

“Si, infatti” gli fece eco il gemello

“Sei… sei… “ ma non finì la frase che una voce cavernosa si levò nell’aria

“Semplicemente stupenda”

Gerard la guardava con adorazione e una strana luce gli illuminava il volto. 

Lei sorrise e una vampata di calore salì ad imporporarle le guance. Abbassò lo sguardo e ringraziò tutti.

“Coraggio! Andiamo a divertirci” la presi sotto braccio e ci affrettammo ad uscire.

“Sei favolosa, stasera. Avrai una fila di spasimanti giù al locale. Dovremo tenerli alla larga coi bastoni!” esclamai ridendo

“Oh, non esagerare Susy. Non è niente di speciale”

“Niente di speciale dici? E le reazioni dei fratelli Butler, allora? Come me la spieghi? ”

sorrise imbarazzata “Di uno in particolare …” continuai

“Basta bisbigliare e ridere tra di voi. Rendeteci partecipi, vogliamo ridere anche noi!” i gemelli ci affiancarono e ci presero a braccetto cominciando a fare battute

Mi stavo divertendo e non vedevo l’ora di arrivare al locale. Salimmo tutti sulla macchina di Paul, che era omologata per cinque, e partimmo sfrecciando.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vederla scendere da quella scala mi aveva tolto il fiato. Era bellissima, stupenda e … e … ed io senza parole.

Quel vestito le copriva appena l’essenziale e una fitta di possesso m’invase. Non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso ma, invece, di avvicinarmi ed aiutarla a finire di scendere le scale rimasi immobile come un perfetto idiota. La situazione per fortuna venne risolta da Susy.

Le voci e i complimenti dei miei fratelli mi riportarono alla realtà di botto. Le loro parole mi infastidirono.

Lei è mia!

Quel pensiero mi confuse e mi fece riflettere. Istinto di protezione e possesso schizzarono alle stelle.

Avevo bisogno di toccarla, di averla vicina.

Sentivo il bisogno di averla di nuovo.

E così le parole che solo qualche secondo prima avevo pensato uscirono dalla mia bocca senza che io potessi fermarle o ritirarle.

In quel locale speravo non ci fosse anima viva o che almeno si trattasse di donne e uomini al di sopra degli ottant’anni.

“Hey, Paul hai visto? E’ da paura stasera!” esclamò Phil sottovoce cercando di attirare l’attenzione del gemello.

Non riuscì a frenarmi. Gli tirai una gomitata in pieno stomaco tanto forte da farlo piegare dal dolore.

“Attento a come parli” intimai rabbioso.

I miei fratelli dopo avermi guardato male, con un’alzata di spalle proseguirono avanti affiancandosi alle ragazze. Rimasto indietro cercai di calmarmi e di mettere un freno alle mie emozioni ma l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era lei, il suo corpo, il suo profumo, alla sua pelle così morbida e fresca.

A lei.

Salimmo in macchina ed io mi posizionai di fianco a Paul, che era alla guida.

Sentivo la sua risata così frizzante e contagiosa, dovuta alle cagate che la mente bacata di mio fratello le sussurrava all’orecchio.

La sua risata la volevo rivolta a me. Il suo sorriso per me.

Il suo sguardo, il suo tocco, tenero e delicato, solo per me.

Rimasi in silenzio, perso nei miei pensieri, per tutto il tragitto e una volta parcheggiato, scendendo dall’auto, ci avviammo all’entrata.

Il locale era pieno e la pista affollata di corpi in movimento. Faceva caldo e la musica era oltremodo assordante.  Con la coda dell’occhio notai che Sophie scambiò un cenno d’intesa con quella pazza della mia assistente. Un nano-secondo dopo erano già in pista a scatenarsi e non le vidi più. Persi di vista anche i gemelli, così con passo sicuro mi diressi al bar.

Ho bisogno di bere.

“Una birra” ordinai alla barista dietro il bancone

Con un sorriso che andava da un orecchio all’altro mi porse la birra e si fermò a chiacchierare per qualche minuto.

Le sue parole erano vuote e la conversazione ben poco interessante. Era carina ma niente a che vedere con … lei. Riconobbe in me il celebre attore e cominciò a fare moine e a lanciare sguardi maliziosi, che però caddero nel vuoto perché non ero assolutamente interessato. Probabilmente lo intuì perché con una scusa si allontanò qualche minuto dopo.

Mi girai per cercare di scorgere le ragazze ma inutilmente, in compenso trovai i miei fratelli e con la birra in mano mi avvicinai a loro. Erano riusciti a trovare un tavolo libero ed ora se ne stavano seduti comodi con un bicchiere davanti.

“Dov’eri finito?” gridò Paul cercando di sovrastare la musica assordante

“Ero al bar a prendere da bere” esclamai a voce alta e alzai la bottiglia di birra che avevo in mano.

Mi sedetti tra i due  “Avete visto le ragazze?”

 “Si, stanno ballando in pista” mi rispose Phil

Ora finalmente riuscì a scorgere Susy ma solo di schiena. Di fronte aveva Sophie. 

Diavolo si muove in maniera favolosa!

Le sue movenze erano lente e sensuali ma si alternavano ad altre veloci e frenetiche. Il mio sguardo rimase incollato al suo corpo e al modo in cui si muoveva. Quel vestito le metteva in risalto il corpo armonioso. Teneva le braccia leggermente piegate e sollevate sopra la testa mentre i capelli oscillavano molleggiando da una parte all’altra seguendo i suoi movimenti. Ancheggiava e muoveva il bacino quasi meglio di Shakira.

I jeans cominciarono a diventare dolorosamente stretti, così mi mossi sulla sedia cercando di allentare la tensione che premeva tra le cosce. Abbassai lo sguardo e cercai di concentrarmi su altro ma le sue movenze e l’ondeggiare dei suoi fianchi sembravano ormai scolpiti dentro il mio cervello.

Dannazione!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Ciao ragazzi, come va?” la voce di Susy mi obbligò ad alzare la testa di scatto

“Vi state divertendo?” chiese con un sorriso. Aveva il fiatone “Ho una sete … avete preso qualcosa anche per me e Soph?” domandò con curiosità guardandoci ad uno ad uno

 Rispondemmo tutti negativamente.

“Beh, vado a prendere qualcosa al bar, allora” e con passi veloci si allontanò raggiungendo il bar

Ora potevo scorgere perfettamente la figura di Sophie. Continuava a ballare da sola a ritmo di musica e sembrava divertirsi parecchio.

Susy ci raggiunse poco dopo con due bicchieroni colmi e con un cenno richiamò l’attenzione dell’amica che si unì a noi.  

Erano passate un paio d’ore dal nostro arrivo e la pista era ancora strapiena.

Si avvicinò quasi correndo, aveva lo sguardo acceso e il petto si alzava ed abbassava velocemente. Aveva anche lei il fiatone ma questo non le impedì di sorridere apertamente. Agguantò il suo bicchiere e ne vuotò quasi la metà.

“Che caldo! Stavo morendo in pista” esclamò rivolta a Susy che annuì mentre vuotava il suo. Subito le sue guance di entrambe si tinsero di rosso.

“Che c’è dentro quei bicchieri?” domandai curioso

“Oh, niente di pesante. Almeno credo” rispose Susy dubbiosa

Il mio sopracciglio s’inarcò leggermente

“E’ fruttato” concluse con un’alzata di spalle come se il fatto che contenesse accenni di frutta mettesse un punto alla questione

“Beh, questo sistema la faccenda” dichiarai ironico

Anche Soph svuotò il suo e, tirando per il braccio la compagna, tornarono in pista. Io lanciai ad entrambe uno sguardo seccato che però cadde nel vuoto anzi che venne deriso da entrambe: Susy mi lanciò un bacio e Soph scoppiò a ridere.

Scossi la testa sorridendo e solo allora notai che sia Paul che Phil si erano dileguati. Mi guardai in giro e li trovai ai lati della pista a parlare all’orecchio con due ragazze.

Beh, buon per loro!

Forse dovrei fare lo stesso…

Ma poi il viso di Soph sbucò tra i miei pensieri e desistetti.

Meglio di no.

Tornai alla mia birra. Almeno uno su cinque doveva rimanere sobrio per riportare a casa sano e salvo il resto della truppa.

Sorrisi e scossi la testa.

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Capitolo 28
*** XXVII capitolo - seconda parte ***


Cap. 27B

XXVII Capitolo

 

Circa, mezz’ora dopo venni raggiunto da Susy che si afflosciò sulla sedia accanto alla mia, sfinita.

“Sono distrutta” esclamò a mezza voce “Non so come faccia Soph … sembra instancabile”

Entrambi alzammo la testa per cercarla nella ressa. Stava ancora ballando, sembrava ansante ma non accennava a fermarsi.

“Ti piace davvero molto, vero?” volsi lo sguardo e trovai Susy a fissarmi

“Forse … non sono ancora riuscito a capirlo al 100%” dichiarai volgendo lo sguardo ancora all’oggetto della nostra conversazione.

“E’ una ragazza davvero sorprendente. Mi piace molto. Sembra avere mille personalità diverse dentro di sé.”

“Beh, non sembra una cosa positiva quest’ultima”  esclamai ridendo

“Che scemo! Non intendevo darle della schizofrenica … volevo solo dire che racchiude moltissimo dentro di sé. E’ sensibile e generosa, sveglia ma ingenua, intelligente ma a volte impulsiva. Tremendamente orgogliosa e testarda” concluse

“Oh, lo so credimi. Quando si mette in testa qualcosa non la smuove più nessuno“

Ero ancora intento a guardarla ballare quando un vociare al tavolo di fianco destò la mia attenzione

“Si, è quella strafiga col vestito nero che balla in pista. Si quella” e seguendo il suo dito mi accorsi che puntava a Sophie.

“Ha un corpo da urlo”

“Beh, buttati. Provaci e vedi se ci sta” aggiunse un altro.

A quelle parole cominciai a vederci rosso. Li fissavo con sguardi di fuoco.

“Ci ho già provato. Fa la ritrosa. Dice che non è interessata. Cazzo me la scoperei in tutte le posizioni!” concluse con una risata sguaiata seguito dal resto dei suoi amici.

Mi stavo già alzando per rispondere per le rime a quel dannato branco d’idioti quando una mano mi trattenne. Era Susy  

“Stai calmo! Sono solo degli stupidi. Soph è stata chiara con loro, c’ero anche io. Non preoccuparti”

Ero ancora in piedi e fremevo per dare una lezione a quei bastardi ma con un altro strattone Susy mi convinse a mettermi nuovamente seduto.

Avrebbero meritato di essere “istruiti” a dovere ed li avrei aiutati io a raggiungere lo scopo. Dannati bastardi!

Con la mente occupata a elaborare piani immaginari su come fargliela pagare, non mi accorsi subito della lite che si era scatenata in pista.

“Gerard” mi richiamò Susy

 Io la guardai e lei alzandosi mi afferrò per un braccio incitandomi a seguirla. Volsi lo sguardo alla pista alla ricerca di Soph quando una strana scena mi si parò davanti.                                               

Soph era circondata da due ragazzi che, tenendola per un braccio, la stavano obbligando a seguirli. La vidi tirarsi indietro e opporsi facendo cenni negativi con la testa. Ad un certo punto uno dei due la prese per la vita, e stringendola al suo corpo la baciò.

 

Fu come vedere la scena al rallentatore.

Lei continuava ad opporre resistenza cercando di divincolarsi ma, probabilmente, non era abbastanza forte. Con due mosse il secondo, ridendo, da dietro cominciò a strusciarsi su di lei in modo volgare. Erano al margine della pista quando Soph riuscì a liberarsi e mollò un ceffone a quello che le stava di fronte tentando poi di spingere lontano quello accostatosi dietro.

Ero quasi arrivato. Ancora poco e l’avrei raggiunta.

“Troia!” esclamò il primo e, prendendola per un braccio prima che lei scappasse, la schiaffeggiò sul viso con forza.

A quel punto non resistetti oltre. Con un balzo mi misi di fronte a Soph e la allontanai bruscamente, spingendola dietro di me.

La rabbia ormai mi annebbiava la mente e non mi permise di mantenere il controllo. Il mio pugno si abbatté sulla faccia del primo maiale mentre il secondo pugno andò a colpire l’altro idiota direttamente allo stomaco, che si accasciò con un ululato di dolore.

Stavo per rincarare la dose ancora quando due braccia mi strinsero da dietro.

“Gerard, basta. Penso che abbiano capito!”

Era Paul ed era pallido come uno spettro, dietro di lui c’era Phil che annuì nella mia direzione.

Volevo continuare a dargli una lezione ma la forza congiunta di entrambi i miei fratelli arginarono la situazione e la mia rabbia. Con uno strattone mi allontanarono dalla pista.

 

 

Mi ritrovai fuori dal locale, vicino al parcheggio, senza sapere come. L’aria fredda della notte mi aiutò a calmarmi: sentivo la rabbia scemare lentamente. Respirai a fondo e cominciai a fare qualche passo per rilassarmi maggiormente quando mi accorsi di sentire dei singhiozzi poco lontano.

Vicino alla nostra macchina c’era Sophie che piangeva e Susy che, abbracciandola, cercava di consolarla.

“Shh, tesoro. E’ passato, è tutto finito. Rilassati, non potranno più farti del male” la cullava dolcemente mentre diceva queste cose e quando si accorse che ero lì alzò il viso.

“Come sta?” mimai con le sole labbra a Susy

Soph alzò la testa e, vedendo che ero lì, si avvicinò esitante e mi abbracciò. Io la strinsi a me con forza. Sentirla, toccarla, abbracciarla … mi calmò.

 “Sapevo che sarebbe andata a finire così” mormorai accarezzandole i lunghi capelli sciolti sulle spalle

“Cosa?” singhiozzò ancora scossa

“Ho detto che sapevo che sarebbe successo” ripetei con voce un poco più alta

Si allontanò da me giusto per guardarmi in viso. Era confusa, stanca e decisamente sofferente.

“Non guardarmi così Soph. E’ vero … avresti dovuto tenerlo in conto!”

E la mia rabbia si accese nuovamente.

“Cosa dici?” rispose scuotendo la testa

“Cazzo, Soph cosa credevi?! Che vestendoti in questa maniera non avresti attirato l’attenzione?”

L’avevo allontanata ancora un poco ed ora la tenevo saldamente per le spalle.

“Cristo, è già qualcosa che non ti abbiano violentato!”

“Gerard!” mi ammonì l’indignata voce di Susy

Ma non mi fermai e Soph tentò di divincolarsi dalla mia presa.

“Lasciami mi fai male” la sua voce era appena un sussurro

Aveva ricominciato a piangere. La scuotevo per le sue spalle con forza.

Volevo che mi guardasse.

Volevo che capisse … che comprendesse cosa aveva rischiato.

Che percepisse la mia paura...

“Gerard” sempre Susy, anche lei cercava di liberare Sophie dalle mie mani

“Non capisci?! Cosa sarebbe accaduto se non ci fossi stato? Eh?!” continuavo a scuoterla con forza  “Ti avrebbero fatto del male … lo capisci?!”

“Gerard, lasciami. Mi fai male!” la sua voce era acuta e dai suoi occhi continuavano a scendere abbondanti lacrime

Piangeva ma a me non importava.

Era così difficile da capire? Le avrebbero fatto male, l’avrebbero ferita ed umiliata, insultata.

E quei pensieri mi fecero impazzire.

“Ti avrebbero sicuramente … Dio!” la scossi ancora una volta in modo rude

“Non voglio vederti lontana da me!” aggiunsi poi in un sussurro che solo lei sentì

Smise di lottare e mi fissò ad occhi sgranati, sorpresa.

Le lacrime però non accennavano a fermarsi.

“Gerard, lasciala” la voce determinata di Paul mi ridestò.

Chiusi gli occhi e con un lento sospiro lasciai la presa su di lei.

Respirare,respirare, respirare, respirare. Uno, due, tre, quattro …

Li riaprì poco dopo e vidi che non si era mossa, che continuava a fissarmi. In silenzio si avvicinò a me e mi buttò le braccia al collo.

“Ho avuto così tanta paura”

“Anche io ho avuto paura. Temevo che ti avrebbero fatto del male” continuavo a tenerla stretta tra le braccia.

 

 

 

“Sei ancora insicuro su di lei?” mimò con le labbra Susy, poco lontano da noi

Ero ancora insicuro?

Lo ero davvero mai stato?

Insicuro di Sophie? No, non lo ero.

Sapevo cosa sentivo. Sapevo cosa volevo.

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Capitolo 29
*** XXVIII Capitolo - prima parte ***


Cap. 28A

XXVIII Capitolo

 

Ero così comoda, raggomitolata in un caldo abbraccio.

Aprii gli occhi lentamente. La luce non era fastidiosa ma li richiusi ugualmente. Non volevo svegliarmi, né tantomeno abbandonare quel caldo tepore così presto. Mossi leggermente gambe e braccia, cercando di accostarmi meglio alla fonte di calore.

Un alito caldo mi solleticò l’orecchio e subito spalancai gli occhi.

Che cavolo … oh, oh!

Appoggiata ad un gomito mi sollevai un poco e mi stropicciai gli occhi, ancora incredula.

Accanto a me, nel mio letto, c’era Gerard. Stava dormendo con un braccio lungo il busto e con l’altro mi cingeva la vita.

I miei movimenti non lo avevano svegliato. Condividevamo il cuscino, la sua testa poggiata su di esso e il viso rivolto verso di me. Sollevai con cautela la coperta e mi resi conto che le nostre gambe erano intrecciate. Avevo sempre pensato che dormire così con qualcuno sarebbe stato oltremodo scomodo, invece dovetti ricredermi.

Comodo e oltremodo piacevole!

Un leggero calore raggiunse le mie guance quando, con gesto pigro, Gerard allungò il braccio che andò a posarsi sulla mia coscia. Sempre dormendo, cominciò ad accarezzarla. Sentivo la sua calda mano percorrerla tutta, dalla tenera carne dietro al ginocchio salire a sfiorarmi lentamente la curva della natica e tornare poi di nuovo verso il basso.

Ho passato la notte abbracciata a lui!

Una parte di me voleva rimanere lì, stretta a lui e godere di quell’imponente corpo caldo. La notte scorsa era stata traumatica per me.

* Avevamo fatto il viaggio di ritorno seduti uno accanto all’altro, mano nella mano senza però rivolgerci la parola. In silenzio mi aveva accompagnata in casa, fino alla porta della mia camera. Stava per congedarsi quando mi ero aggrappata al suo braccio e l’avevo pregato di farmi compagnia fino a che non mi fossi addormentata. Accortosi del mio turbamento, mi aveva guardata e annuito semplicemente. Non avevamo parlato di nulla, lui si era limitato ad accarezzarmi dolcemente i capelli finché non mi ero addormentata.*

 

L’altra parte di me però voleva alzarsi ed allontanarsi.

Era vero, mi aveva consolato ed era rimasto accanto a me ma non lo aveva fatto per i giusti motivi. Non per il motivo che mi avrebbe spinta a rimanere lì e ad accoccolarmi nuovamente a lui.

Lo desideravo, ormai ne ero certa. Ero innamorata ed ero legata a lui. Ma Gerard? Non volevo essere e non sarei stata una delle tante tacche sul muro.

Io non volevo solo il suo corpo, non mi sarebbe bastato.  Volevo soprattutto il resto. Volevo avere tutto da lui, volevo il suo cuore.

 

Scossi la testa, cercando di far tacere quei pensieri e con cautela mi alzai dal letto, dirigendomi verso il bagno.

Ho bisogno di una doccia per schiarirmi le idee.

Mi spogliai in silenzio attenta ad ogni minimo rumore e mi infilai nel box-doccia. L’acqua era fredda e scivolava veloce sul mio corpo; chiusi gli occhi e cercai di svuotare la mente, rilassando anche i muscoli.

Magari ho frainteso…

Magari lui è interessato…

Forse la scenata che mi aveva fatto ieri sera era il suo modo di dirmi che teneva a me come io tenevo a lui. Sbuffai e chiusi l’acqua, mi strizzai i capelli e uscendo mi avvolsi in un morbido asciugamano bianco. Mi avvicinai allo specchio e fissai il mio riflesso.

Occhi chiari, pelle pallida ma liscia. Una ragazza. Una normalissima ragazza.

Niente a che vedere con le donne cui è abituato!

Sbuffai nuovamente e avvolsi i miei lunghi capelli in un altro asciugamano frizionandoli. Indossai la biancheria intima, mutande e reggiseno in cotone nero.

Con in mano il phon cominciai ad asciugarmi i capelli a testa in giù. Quando finì lo rimisi al proprio posto e volsi nuovamente il viso verso lo specchio. I capelli erano mossi in modo disordinato ma non me ne preoccupai. Presi un bel respiro, strinsi gli occhi per qualche secondo e riaprendoli uscì dal bagno. Sbirciai attraverso la porta, lui era ancora lì addormentato e sdraiato a pancia sotto. Svelta filai verso l’armadio e aprì uno dei cassetti. Con gesti veloci presi i primi indumenti che trovai. Un abito corto senza maniche di colore viola scuro.

 

 

“Buongiorno” la sua voce roca, molto più del solito, mi fece sobbalzare.

“B-buongiorno a te” risposi voltandomi nella sua direzione.

Ero in imbarazzo e speravo di non avere le guance in fiamme.

“E’ tanto che sei sveglia?” chiese alzandosi per mettersi seduto e poggiando la schiena alla spalliera del letto

“Da un po’ ” andai ad aprire le finestre senza però spalancare del tutto le pesanti tende.

“Mmh ... perché non mi hai svegliato?”

“Oh, beh. Sembravi dormire così serenamente”

Continuavo a fingere di sistemare le tende per prendere tempo. Non avevo ancora il coraggio di guardarlo negli occhi.

“In effetti ho dormito benissimo. Mi sento riposato. Tu come hai dormito?”

Finalmente trovai il coraggio e mi voltai verso di lui, dopotutto non potevo continuare ad ignorarlo a quel modo.

“Ho dormito molto bene, grazie” alzai lo sguardo nella sua direzione e notai che mi fissava.

“Sei deliziosa con quel vestitino. Davvero deliziosa”

Aveva lasciato vagare lo sguardo su di me a lungo. Ora si stava stiracchiando e scompigliando i capelli. I muscoli delle braccia si tesero e guizzarono veloci.

 

“Ehm, grazie…”

Ero in imbarazzo e mi sentivo il viso in fiamme. Urgeva prendere una decisione e parlare apertamente. Mi schiarì la voce con un colpo di tosse

“Forse dovremmo parlare”

Avevo parlato con lo sguardo basso, intenta a fissare i miei piedi nudi, in attesa di una sua risposta.

“Si, forse dovremmo”

Scostò parzialmente le coperte per invitarmi a sedermi accanto a lui. Le mie gambe, di propria volontà, si mossero e mi avvicinai. Si fece da parte per farmi posto ed io gli sedetti vicinissima, appoggiando la schiena al cuscino.

“Beh …” dovetti subito schiarirmi la voce per non balbettare.

Mi prese una mano e cominciò a giocare con le mie dita.

“Si?” riuscivo a sentire il suo respiro sulla pelle.

Alzò una mano e cominciò ad accarezzarmi i capelli. Amavo il modo in cui mi toccava, lo faceva in maniera così delicata che senza volerlo chiusi gli occhi e mi concentrai su quelle carezze.

“Soph?” la sua voce mi parve un sussurro e per quanto mi dispiacesse dovetti riaprire gli occhi.

“Ieri sera mi sono spaventato”

“Anche io, davvero”

“L-lasciami finire per cortesia perché ho bisogno di dirtelo. Con te ogni volta che apro bocca sembra essere quella sbagliata, quindi per favore non interrompermi”  

“Come dicevo, ieri sera mi sono spaventato. E molto. Mi dispiace per come mi sono comportato, per la mia reazione intendo. Non avrei dovuto urlare in quella maniera, soprattutto con te. Ora a mente lucida mi rendo conto di aver esagerato” sospirò e allontanò la mano dai miei capelli. “Il fatto è che il modo in cui ti ha parlato quell’animale e poi quello che ti hanno fatto mi ha mandato in bestia e non sono riuscito a controllarmi. Avrei dovuto farli a pezzi. Volevo farlo!”

“Gerard…” volevo cercare di rassicurarlo e ringraziarlo ma ancora una volta mi zittì

“Ti prego … devi sapere” si passò una mano tra i capelli e ne tirò nervosamente una ciocca.

Sembrava in difficoltà ma non sapevo come aiutarlo. Non volevo interromperlo di nuovo così rimasi in silenzio e posai lo sguardo nel suo per incitarlo a continuare.

“Mi sono innamorato di te, Soph!

Il tuo profumo mi fa impazzire e adoro il modo in cui ti muovi. Sei così bella. Quando ti guardo mi sento strano … felice. Vederti sorridere fa sorridere anche me e quando ti faccio arrossire ho uno strano sfarfallio allo stomaco. Ti voglio, ti desidero con un’intensità mai provata prima per nessun’altra. Quando sei con me, vicina a me, non posso evitare di toccarti, di sfiorarti. Non riesco a farne a meno”

Mi accarezzava con un dito la guancia

“E questo se da una parte mi piace da impazzire dall’altra mi spaventa perché non mi è mai successo. Quando sei lontana bramo di sentire la tua voce, la tua risata e solo in quel momento qualcosa si calma dentro di me. Quando ti stringo fra le braccia e sento il tuo respiro caldo sul mio viso, solo allora riesco a respirare”

Prese la mia mano e cominciò ad accarezzarmi con il pollice l’interno del polso

”Mi piace accarezzarti, così come sto facendo ora”

Il suo sguardo andò veloce sulla mia mano e tornò altrettanto veloce verso il mio viso.

“Impazzisco di desiderio, quando i tuoi occhi diventano più grandi e si velano di passione, proprio come adesso”

Non sapevo cosa dire. Ero senza parole. Era una dichiarazione così … così diversa! Era speciale.

Lui.

Le sue parole.

Il suo tocco.

Senza pensare gli buttai le braccia al collo e lo baciai. Dopo un attimo di sorpresa lui rise e ricambiò il bacio. Mi strinse a sé con slancio, rotolammo sul letto continuando a ridere. Eravamo in un groviglio di lenzuola e coperte, lui sopra di me e continuammo a baciarci senza più alcun freno.

 

Angolino:

Vi lascio il link del capitolo red che segue questo capitolo… Baci baci

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=836364

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Capitolo 30
*** XXVIII Capitolo - seconda parte ***


Cap. 28B

XXVIII Capitolo

 

Era stato fantastico. Il migliore sesso di sempre.

In assoluto!

Era stata passionale ed ingenua: ragazzina timorosa ed insicura poi donna intrigante e lussuriosa.

Mi ha fatto impazzire di desiderio.

Ora la stringevo tra le braccia. Eravamo entrambi appagati e soddisfatti.

Mi aveva provocato ed eccitato fin quasi tramortirmi. Il suo corpo, la sua voce con quel suo profumo e l’odore della sua pelle mi avevano fatto perdere la testa. Era stato bellissimo e non vedevo l’ora di rifarlo.

Guardai di nuovo l’incanto che stringevo tra le braccia. Il suo corpo era caldo e un poco sudato. Il solo guardarla mi accendeva nuovamente di desiderio. La volevo ancora. Avrei voluto passare tutta la giornata a perdermi in lei. A muovermi e spingermi dentro di lei.

Non abbiamo usato protezioni…

Stranamente la cosa non mi turbò più di tanto.

In realtà nemmeno la prima volta avevamo badato a proteggerci. In quell’occasione era stato più un seguire istinti e bisogni. Un bisogno di entrambi.

E subito dopo, proprio come un perfetto idiota, sono scappato!

Avevo sbagliato. Ma questa volta avrei agito diversamente.

Finalmente mi ero reso conto di amarla e non avrei sbagliato ancora.

Continuavo a guardarla e lentamente l’accarezzavo tutta. Lei aveva gli occhi chiusi perciò chiusi anche i miei continuando però a tenerla stretta.

Cominciai ad immaginarla incinta e con in braccio un bambino.          

Un figlio.

Mio figlio e questo mi diede una strana sensazione. Una sensazione come di possesso e di traguardo. Una sensazione di orgoglio che mi scaldò il petto. Non avevo mai pensato di mettere su famiglia.

Mai prima d’ora.

Forse perché sarebbe stato complicato con lo stile di vita che conducevo e il mio lavoro. Ma immaginare di farlo con lei … creare con lei la mia famiglia … sembrava …  giusto.

 

Riaprì gli occhi e risi di me stesso.

Di una cosa però ero certo … ero innamorato. Innamorato perso di una dolce ragazzina italiana!

Notai che si era appisolata e con delicatezza, le sfiorai la fronte con un bacio. Si accoccolò meglio al mio corpo, con un braccio sul mio petto e l’altro lungo il busto. Le sue gambe sfioravano le mie. Aveva la pelle bianca come la neve e altrettanto morbida.

Era liscia e calda, ovunque.

La volevo.

Volevo proteggerla e farla felice.

La voglio con me!

Sempre e non solo nel mio letto. Volevo vederla sorridere e ridere in giro per casa. Una casa nostra, solo nostra.

La volevo al mio fianco.

Scossi la testa e sospirai. Era vicino a me, abbracciata al mio corpo. Solo questo ora importava. Mi allungai verso il letto e coprì entrambi con un lenzuolo. Non volevo che prendesse freddo e si ammalasse.

Perché il mio istinto di protezione va a mille quando si tratta di lei?

La guardai di nuovo. Era bellissima. Le guance rosee, la bocca socchiusa, le labbra carnose sembravano distese in un sorriso. La baciai sulla bocca e chiudendo gli occhi mi rilassai completamente.

 

 

Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie

Dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via

Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo

Dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai

Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore

Dalle ossessioni delle tue manie

Supererò le correnti gravitazionali

Lo spazio e la luce per non farti invecchiare

Perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te!

(La Cura di F. Battiato)

 

 

 

Riaprì gli occhi circa un’ora dopo.

Ero ancora a letto con Gerard. Lui era sveglio e, col suo sguardo posato su di me, mi accarezzava con gesti lenti la schiena.

Avevamo fatto l’amore per la seconda volta. Era stato così energico e passionale. Con i suoi baci e le sue carezze, con le sue parole sussurrate e i suoi gemiti mi aveva fatto perdere la testa.

Mi alzai in fretta e mi precipitai in bagno. Chiusi la porta e mi avvicinai al lavandino. Davanti lo specchio, fissai il mio riflesso.

Che cosa ho fatto?

Ed ora?

E poi mia madre e la sua famiglia come la prenderanno?

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Capitolo 31
*** XXIX Capitolo ***


Cap. 29

XXIX Capitolo

 

Quando la vedo silenziosa, accanto alla finestra, a guardare la gente che passa, mi chiedo quali siano i suoi pensieri. E' come se fosse passata dall'altra parte di un ponte, dove non so come arrivare...

[Carlos Ruiz Zafon, Le luci di settembre]

 

Ok, ok. L’unica cosa è chiarire.

Allontanarsi prima di farsi male sul serio.

Io lo amavo. lo amavo da impazzire e lui aveva appena detto di essersi innamorato ma la cosa non finiva qui, anzi!

Lui era un attore.

Un attore di Hollywood dannazione … ed io?

Lui è Gerard Butler …

Io, invece, chi sono?

Nessuno sussurrò una vocina nella mia testa.

Avrei dovuto allontanarlo … prima di rimanerci con tutte le scarpe.

Devo allontanarmi da lui!

Non c’era altra soluzione. L’avrei allontanato fingendo indifferenza, fingendomi fredda e distaccata. Mi sarei dimostrata non interessata … avrei mentito!        

Non gli avrei permesso di rovinarsi la vita o la carriera per me. Una che in confronto a lui non valeva niente!

Che non era nessuno!                                                              

 

 

“Tesoro stai bene?” la sua voce calda mi fece sobbalzare.

Aveva aperto la porta del bagno lentamente ed ora mi guardava con sguardo dolce.

“Assolutamente!” avevo indossato la maschera

In fretta mi defilai ma la sua mano mi bloccò prima di uscire.

“Cosa c’è, Soph?”

“Assolutamente niente! Perché?”

Non riuscivo a guardarlo in viso per più di qualche secondo. Abbassavo lo sguardo e poi lo rialzavo, ma sempre per pochi secondi.

“Guardami. Guardami negli occhi Sophie” il suo tono era cambiato e il timbro della sua voce si era fatto più insistente.

Feci come richiesto e lo guardai in viso. Rimanemmo così per diversi minuti senza parlare, con lui che mi fissava come se cercasse di leggermi dentro.

“Ora scusami, ma devo scendere. Ho delle cose da fare” la tensione mi stava uccidendo e se non fossi uscita subito di li non avrei resistito.

Scappare dal profumo della sua pelle, dal suo viso, da quel corpo che mi fa tremare di piacere. Robusto, estremamente virile e attraente. Incredibilmente attraente!

“Aspetta”

Mi lasciò uscire dal bagno ed io rindossai la biancheria intima in fretta e furia.

Mi voltai a guardarlo.

Indossava solamente un paio di boxer. I fianchi stretti esaltavano ancora di più le sue spalle larghe e gli conferivano un’aura di mascolinità assolutamente irresistibile.

Nel suo volto, però, lessi qualcosa. Incredulità, rammarico e in parte rabbia.

“Ti sei pentita?”

Come puoi anche solo pensare che possa pentirmi … Io ti amo!

Non mi ero pentita affatto. Anzi, avrei voluto rifarlo. Una, due, tre volte o finché non avessi avuto muscoli e tendini doloranti. Ma non potevo permettere al mio corpo e al mio cuore di avere la meglio.

Dovevo ragionare. Dovevo far prevalere la logica.

Dovevo farlo per lui perché lui valeva molto più di quanto potessi valere io.

“Allora? Ti sei pentita di aver fatto l’amore con me?”

Lo guardavo ma ancora non rispondevo, così si avvicinò, mi prese le braccia e le strinse avvicinandomi ancora di più a lui, al suo corpo.

“Rispondimi, Soph! Ti sei pentita? E’ stato così brutto per te?”

Scossi il capo senza però parlare.

“E la volta precedente? Cos’è? Non sono stato bravo abbastanza?” le sue parole mi colpirono.

L’avevo ferito!

“No, non è così” riuscì a dire qualche minuto dopo

“E allora com’è? Spiegami, Sophie! Perché io non ci arrivo … pensavo lo volessimo entrambi”

Le sue parole erano pungenti. Stava quasi gridandole.

“Si, infatti” risposi annuendo

“E allora come mai ora fai così? Come mai non mi guardi? Perché stai scappando?”

Voleva avere delle risposte. Ma non potevo aprirgli il mio cuore. Non potevo dirgli che avevo paura.

Paura per lui… paura di quello che gli altri avessero pensato… paura di quello che radio, televisione e giornali avrebbero detto o scritto.

Non posso fargli questo!

 

 

 

 

Agii d’istinto e lo allontanai bruscamente

“Te lo spiego subito. E’ stato bello ma finisce qui! Non puoi pretendere che ti rimanga attaccata come un cagnolino per sempre. E’ stato un delizioso ma momentaneo intervallo. Questa e anche le altre volte, tutto qui!”

Ero stata fredda, scostante e del tutto indifferente. Ero stata cattiva, quasi perfida. Avevo rindossato la maschera ed ora speravo proprio che le mie parole servissero ad allontanarlo.

Indietreggiò di qualche passo colpito e ferito. Mi guardò a lungo cercando di capire cosa stessi dicendo e perché.

“Bugiarda … sei una bugiarda!” sussurrò dopo avermi guardato negli occhi per qualche altro istante ancora.

“Cosa?”

“Ti ho dato della bugiarda” un ghigno si formò sul suo volto “Stai dicendo un mucchio di cazzate … e lo sai”

Le mie parole non avevano sortito l’effetto desiderato. Non lo avevo convinto.

Si avvicinò a me e con lentezza si abbassò un poco per raggiungere il mio orecchio. Lo sentivo sfiorarmi il collo e il cuore cominciò a battermi a mille. Con una mano mi circondò il collo, proprio sotto la mascella. La strinse un poco senza però farmi male.

“Sei una terribile bugiarda! Stai cercando di ferirmi non so bene per quale motivo ma, purtroppo per te, non sai mentire”

Mi allontanai da lui e riuscì a sgusciare lontano.

“Non capisco di cosa tu stia parlando”

Mi stavo arrampicando sugli specchi e lo sapevo.

“Oh, si che lo sai” il suo ghigno aleggiava ancora agli angoli della bocca “Lo sai eccome”

“Adesso basta. Ho delle cose da fare. Non ho tempo da perdere …”

“TEMPO DA PERDERE?”   

Il suo viso era passato dal ghigno ad una maschera di rabbia.

“E’ QUESTO CHE STAIFACENDO? STAI PERDENDO TEMPO?” gridò

Non lo avevo mai visto così arrabbiato e per un momento ne fui spaventata. Tutta quella rabbia l’avevo scatenata io, le mie parole, il mio tono.

Come l’ avrei placato?

Lentamente, cominciai ad avvicinarmi per tentare di calmarlo. Avevo paura che mi respingesse ma tentai. Alzai con calma una mano e gliela posai sul viso. Il mio gesto sembrò calmarlo e respirando a fondo si preparò a parlare.

“Ti faccio perdere tempo, Soph?” la sua voce era tornata un sussurro

La sua mano andò a posarsi sulla mia guancia e le sue dita cominciarono ad accarezzarmi le labbra.           

“Dimmelo! Dimmi che non vuoi che ti accarezzi, che non vuoi che ti tocchi! Dimmi che non vuoi le mie labbra sulle tue! Dimmi che non vuoi sentirmi sussurrare il tuo nome! Dimmi che non mi vuoi dentro di te. Dimmi che non vuoi che ti ami!”

Era a pochi millimetri dal mio volto.

“Non vogli-”

“Bugiarda!” m’interruppe alzando di nuovo la voce  “Lo sento … l’ho sentito, dannazione! L’ho visto! Ma perché fai così?”

“Spiegami perché diavolo stai dicendo questo mucchio di stronzate. Tu mi vuoi! Esattamente come io voglio te. Voglio il tuo tocco, voglio le tue labbra e la tua lingua su di me. Voglio perdermi in te una volta, un’altra e poi ancora fino a non avere più la forza per fare altro. Voglio passare le mie giornate con te. Voglio sentire la tua voce e la tua risata. Ti voglio accanto a me. Io ti amo” 

Anche questa volta non risposi. Vidi i suoi occhi percorrere interamente il mio viso per poi tornare ad incatenarsi ai miei.

“Tu … tu non puoi volere questo!”  le parole mi uscirono a tratti.

Ero stordita e non riuscivo a capire nulla. Non volevo dirglielo ma non riuscì a frenarmi.

“Perché no? So che anche tu lo vuoi. Perché non lo ammetti?“

“Non è facile!” continuai oramai singhiozzando

“Certo che lo è. Sono solo tre parole”

“Smettila! Tu non puoi … tu non puoi volerlo davvero!”

“Cosa? Non posso cosa, Sophie? Desiderarti? Eppure lo voglio. Amarti? Eppure lo faccio. Lo sto sentendo, lo sto provando … Ti amo. Ti amo e non voglio smettere di farlo. Voglio proteggerti e amarti. Non desidero nient’altro se non te!”

Le sue parole m’incatenarono a lui e il mio cervello si bloccò. Non riuscivo a pensare, continuavo a rimanere ferma mentre lacrime di gioia mi facevano singhiozzare

Lui sorrise e si chinò a sfiorarmi le labbra.

“Mi sono innamorato di te, Soph! Sono follemente innamorato di te” ripeté ancora

“Non puoi essere davvero innamorato di me” avevo portato le mani in avanti come per smentire le sue parole

“Perché no?”

“Perché sei circondato da donne bellissime. Sempre! Piene di talento, di fascino e magari anche simpaticissime e intelligenti. Attrici, modelle, showgirl e non puoi volere me, quando potresti avere … loro“

Non mi fermai, continuai. Continuai a sbattergli in faccia tutte le mie paure, tutti i miei timori.

“Hai pensato a come reagiranno i tuoi amici o i tuoi colleghi a questo? Come reagirà la tua famiglia a tutto questo? E al tuo lavoro non pensi? Credi che mi lasceranno entrare nel tuo mondo? Come … come se nulla fosse?“  

Lui mi fissava senza parlare come se non riuscisse a capacitarsi delle cose che gli stavo dicendo.

 “Non puoi essere innamorato di me, Gerard!” aggiunsi in un sussurro

“E invece lo sono quindi fattene una ragione” replicò con forza

“Perché proprio io?”

“Che domanda … perché sei tu e non un’altra che voglio, sciocca! Perché sei dolce e generosa. Perché sei altruista e tenace. Perché sei sexy e maliziosa senza essere volgare. Perché sei orgogliosa e testarda. Sophie sei una donna intelligente e indipendente. Mi piaci, ti amo! Adoro parlare con te perché hai un parere su tutto ed ogni cosa ti incuriosisce. Adoro guardarti leggere o semplicemente disegnare, passerei ore a non fare altro. Adoro sentirti ridere o semplicemente vederti sorridere. Mi basta guardarti per capire cosa ti passa per la testa. Riesco sempre, non so come, a notare quando i tuoi occhi si fanno più scuri perché sei arrabbiata o indispettita. Qualcosa si accende dentro di me quando si velano di piacere. Ti amo perché hai mille interessi e sei piena di vita. Adoro stuzzicarti e provocarti; mi diverto a litigare con te perché facciamo pace facendo l’amore. Quando sorridi il tuo viso risplende ed io non posso farne a meno. Non posso fare a meno di te!  Sei tu quella che voglio ... nessun’altra”

Il suo naso sfiorava il mio e con voce bassa sussurrò

“Non m’importa un accidenti di quello che penseranno o diranno gli altri. Ti basta come spiegazione?”

“Ti importerà in futuro, credimi” dissi a fil di voce

“L’unica persona di cui ora m’importa veramente sei tu! Né degli amici, né dei colleghi, né del lavoro. Di nessuno tranne che di te. Soph, io voglio stare con te!”

Con le lacrime agli occhi mi avvicinai e stringendomi lo baciai con amore.

 

Angolino:

Vi lascio il link del capitolo total red che segue a questo… Baci baci

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=847798&i=1

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Capitolo 32
*** XXX Capitolo ***


Cap. 30

XXX Capitolo

 

“Soph?”

“Mmm?”

“Spero tu non abbia ancora dubbi” mi guardava serio. “Ti amo. Semplicemente, ti amo. Sei dolce e naturale in ogni tuo gesto. Sei pura nell’animo. Mi importa solo di renderti felice”

I miei occhi si riempirono di lacrime, di nuovo. Nessuno mi aveva mai detto parole così dolci. Tutti i muri che avevo creato per allontanarlo crollarono definitivamente. Mi strinsi a lui e lo baciai con amore.

“Ti amo anche io. Sei l’amore che ho sempre cercato”     

Lui mi baciò così intensamente che mi sentì sciogliere. Mi accoccolai al suo corpo poggiando la testa nell’incavo tra il suo collo e la sua spalla.

 

 

 

 

 

Stavamo ancora baciandoci sdraiati l’uno sull’altro quando il mio stomaco cominciò a brontolare per la fame. Ci guardammo ed insieme scoppiammo a ridere.

Non volevo alzarmi né tantomeno smettere di baciarlo. E non volevo farlo per una cosa come mangiare. Con dolcezza infinita mi prese il viso tra le mani e mi baciò teneramente e per molto molto tempo.

Quando riaprì gli occhi lo vidi in procinto di alzarsi e camminare per la stanza completamente nudo. Lo guardavo muoversi con sicurezza e senza pudore. I muscoli di cosce, gambe e schiena si muovevano seguendo i suoi movimenti.

“Ti piace quello che vedi?”

“Può darsi” ribattei distogliendo lo sguardo

“Mmm … solo può darsi?” 

Io ero ancora sdraiata a letto, lui avvicinandosi, si abbassò un poco e m’intrappolò le labbra in un bacio che mi mandò a fuoco corpo e cervello. Aprì gli occhi, che non sapevo di aver chiuso, solo quando non sentì più il suo tocco; lo vidi sorridere di nuovo e lentamente rivestirsi.

Scuotendo la testa, mi alzai e lo raggiunsi sorridendo. Indossai di nuovo la biancheria e il corto vestito viola.

“Sei affamata. Solo per questo ti permetto di alzarti dal letto e uscire da questa stanza, capito? Ti avrei legato al letto e … ci saremmo applicati di più”

“Dopo mangiato sarò tutta tua” sussurrai baciandolo ancora.

Mi guardò per un po’ e poi posandomi un braccio intorno alla vita possessivo annuì soddisfatto.

Uscendo dalla mia stanza e scendendo le scale, arrivammo in sala da pranzo. Guardai l’orologio e mi accorsi che era ora di pranzo. Apparecchiai per entrambi ma quando mi girai scoprì che Gerard non era dietro di me come pensavo.

Lo trovai, in cucina, intento a mescolare qualcosa dentro un recipiente.

“Cosa stai facendo?” domandai avvicinandomi

“Pancakes” rispose con un sorriso

“Pancakes? Ma è ora di pranzo, ormai”  

“Beh, potremo mangiarli per dessert” mi rispose alzando leggermente le spalle

“E poi? Non so tu ma io sono affamata”

“Io non so cucinare molto bene. Anzi in realtà è l’unica cosa che so fare”

“Beh, per tua fortuna … cucino bene”

Ero allegra e decisamente di buon umore.

Lui rispose con un sorriso raggiante e mi baciò veloce sulle labbra  “Mettiti all’opera allora … sto morendo di fame!”

Svelta cominciai a preparare qualcosa di appetitoso. Io e la mamma avevamo portato un po’ di pasta così aprì qualche sportello finché non la trovai.

“Cosa prepari?”

Stava cuocendo i pancake in una padella e li impilava ad uno ad uno in un piatto grande. Finì velocemente, così mi si affiancò. Nel frattempo avevo messo a soffriggere cipolla, sedano e carote con un po’ d’olio.

“Allora, cosa stai cucinando?”  domandò curioso

“La pasta … sono italiana“ risposi sorridendogli

“Mmm, buona. Mi piace la paste!” 

“Si dice pasta” scandì bene

Sentirlo parlare italiano mi provocò un sorriso. Il suo accento era divertentissimo. Lui annuì e continuò a ripetere la parola a bassa voce, come per memorizzarla.

Aggiunsi della pancetta tagliata a tocchetti e mescolai adagio.

“Posso aiutarti?” si offrì lui  “Sono bravo in cucina … come aiutante” mi strizzò l’occhio

“Certo!” Sarebbe stato divertente cucinare assieme

“Prendi una pentola e riempila per tre quarti d’acqua fredda. Dopo aggiungi un pizzico di sale e mettile un coperchio” lo istruì pazientemente

Lui annuì e fece come dettogli. Io aggiunsi del pomodoro fresco, anche questo tagliato a pezzetti. Aggiunsi un pizzico di sale e coprì con un coperchio il tutto.

Amavo cucinare. E mi divertivo a creare piatti sempre nuovi. Gerard mi guardava ad occhi socchiusi, con un sopracciglio alzato.

“Che c’è?”

“Niente. Ti guardo. Sembra che tu ti stia divertendo”  disse lui

“Infatti è così … adoro cucinare. Fin da piccola aiutavo mia madre a fare dolci oppure li facevo da me” risposi spensierata

Da dietro, mi cinse con le braccia e mi baciò sul collo.

“Mi piace questa cosa. Mi piace da matti” sussurrò soffiandomi sul collo

“Cosa? Che sappia cucinare?”

“Si” ammise

“E perché?” mescolai il sugo con gesti lenti.

“Beh, non tutte le donne lo sanno fare. E solo un uomo su cinque sa cucinare.  La trovo una cosa molto sensuale. Tu lo sei... sei sensuale quando cucini. E mi piace” scoppiai a ridere e mi girai a guardarlo

“Sei incorreggibile” esclamai ridendo

Ci baciammo ancora.

“Mi piaci da matti. Ti amo” sussurrò poggiando la fronte contro la mia

“Anche io” risposi con un sospiro soddisfatto.

Il suo stomaco brontolò

“Ho fame”

“Anche io” ribattei sorridendo

“Bene ed ora cosa faccio?” chiese avvicinandosi alla pentola che oramai bolliva

“Ora cuciniamo la pasta. Apri il sacchetto e vuotane metà nella pentola”

“Ok”

Assaggiai il sugo. Ancora qualche minuto e sarebbe stato pronto. Gerard aveva fatto esattamente come gli avevo detto. Sciacquai il cucchiaio in legno che avevo usato per il sugo e vi mescolai la pasta. Lui seguiva tutto con attenzione, come a voler registrare ogni azione. Sorrisi impercettibilmente.

Appena pronta scolai la pasta e con il suo aiuto la condì con il sugo preparato. Riempì due piatti, il suo più del mio ed insieme sedemmo a tavola.

“Mmm, che buona!” esclamò dopo aver inghiottito il primo boccone  “E’ deliziosa! Avevo provato la pasta solo una volta, in un ristorante. Ma non era buona come questa” dichiarò sorridendo “Sei stata brava!”

“Siamo stati bravi” ammisi allegramente “Sei il mio assistente, il merito è anche tuo”

Lui allungò una mano fino a sfiorare la mia ed io gliela strinsi. Finimmo di mangiare con calma, provando anche qualche pancake. Sparecchiando in fretta, ficcai tutto nella lavastoviglie.

Lui mi aspettava in salotto con una bella sorpresa.

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Capitolo 33
*** XXXI Capitolo ***


Cap. 31

XXXI Capitolo

 

Quando entrai in salotto lo vidi armeggiare con una borsa da viaggio.

Doveva partire?

“Devi partire?” gli chiesi avvicinandomi

“Noi dobbiamo partire” rispose infilando due grandi asciugamani nella borsa

“Ah si? E dove andiamo?” domandai curiosa ed elettrizzata

Gerard si girò e mi abbracciò  “Ti va di andare al mare?”

“Davvero? Andiamo al mare?” gli occhi mi s’illuminarono

“Si, se ti va” sorrise della mia reazione

“Certo che mi va. Adoro il mare! Oh Gerard … ti amo” gli buttai le braccia al collo ridendo allegra

“Anche a me piace moltissimo. Su, allora coraggio. Vatti a preparare. Si parte tra venti minuti!” dandomi una pacca sul sedere, spingendomi così verso la porta.

Veloce schizzai su per le scale, diretta verso la mia stanza. Mi cambiai in pochissimo tempo. Indossai un vestitino bianco molto corto, in cotone leggero, e sotto un bikini blu elettrico. Fortunatamente avevo infilato in valigia un paio di costumi. Presi un largo cappello di paglia e me lo infilai in testa. Sentendo la sua voce che m’incitava a scendere mi fiondai alla porta e in fretta scesi le scale.

Saltellavo dalla gioia. Ero contentissima.

“Hai preso tutto?” domandò stringendomi

Anche lui si era cambiato. Indossava pantaloni corti, infradito nere,una maglietta rossa a maniche corte e occhiali da sole.

“Si, penso di si” In mano avevo il mio mp3, occhiali da sole ed le infradito

“In borsa ho messo asciugamani, due bottigliette d’acqua e la crema solare” annunciò  

“Abbiamo tutto, allora” insieme uscimmo di casa per salire in auto.

 

“E’ distante la spiaggia?” domandai

“In realtà non molto. Dovremmo impiegarci trenta minuti, non di più”

“Non vedo l’ora di arrivare. Ci saranno molte persone?”

Il vento scompigliava i miei capelli. Lo sentivo fresco sulla mia pelle. Alzai le braccia e lanciai un urletto che lo fece ridere.

“Mmm, non credo. Il posto che ho in mente non è molto conosciuto. Io vado sempre lì”

“Oh, no!  Non ci avevo pensato. Come faremo con giornalisti e paparazzi?” domandai tornando di colpo seria

Il pensiero di creare scandalo e metterlo in ridicolo mi terrorizzava.

“Stai tranquilla. In questi luoghi sono sempre al sicuro. La gente di qui non gradisce la pubblicità, i flash o la notorietà in generale. Quindi non ho mai avuto problemi in questo senso” era sereno

“E se ti riconoscessero? Se cominciassero ad assediarti? A farti domande o che altro? Non hai portato un cappellino o qualcosa per nasconderti o mimetizzarti?“

“Soph, non voglio nascondermi. Non l’ho mai fatto e non comincerò ora. Stai calma e sii serena. Nessuno ci disturberà” chiarì guardandomi

“Ma se lo facessero? Se mi circondassero o ci seguissero fino in spiaggia? Se cominciassero a scattare foto?”

“Amore, ti prego. Non lo faranno. E poi se, e dico se, qualcuno si avvicinasse basta non dire nulla e andare via. Tutto qui. Non spaventarti” mi rassicurò prendendomi una mano e portandosela alle labbra

“Mmm …” nonostante le sue rassicurazioni non ero molto convinta

“Cosa ti spaventa?” mi domandò dopo una veloce occhiata

Non distoglieva mai lo sguardo dalla strada se non per qualche secondo.

“Non voglio metterti in imbarazzo. Non voglio farti fare brutta figura … non lo sopporterei” abbassai lo sguardo mentre lo dicevo

“Sophie guardami” mi incitò  “Non mi metterai in imbarazzo. Mai. Non dartene pensiero. Ora basta essere triste. Prima sprizzavi gioia da ogni poro … su fammi un sorriso!” e lo accontentai.

Sorrisi e mi rilassai. Aveva ragione. Dovevamo goderci quella giornata e pensare solo a noi. Scossi la testa e non ci pensai più.                             

 

 

 

 

Quando arrivammo, la spiaggia era deserta.

“Oh mio Dio! E’ un paradiso” gridai uscendo dall’auto e fiondandomi in spiaggia di corsa. La sua risata mi seguì come un’eco. Stavo ammirando il mare quando mi raggiunse e mi abbracciò da dietro.

“Sei contenta?”

“Molto di più!” mi girai e lo abbracciai forte. Lui ridacchiò felice.

Mi staccai ed iniziai subito a spogliarmi. La sabbia era fine e bianchissima; solleticava i miei piedi nudi. Tirai fuori gli asciugamani e li distesi a terra, uno accanto all’altro. Anche lui si svestì e tirò fuori la crema dalla borsa.

“Ti spalmo la crema, Soph?”

Non potei fare a meno di rimanere imbambolata.

In costume da bagno era semplicemente divino.

Nonostante lo avessi visto nudo …  beh, averlo lì … accanto a me, con addosso solo il costume … senza l’ombra di un’anima, per metri e metri … completamente da soli su quella spiaggia. Mi balenarono nella mente pensieri lascivi e assolutamente poco casti.

Una scossa elettrica mi trapassò il corpo facendomi rabbrividire di piacere.

 

Lui mi accarezzò ancora il viso e sollevandosi in piedi “Che ne dici di entrare in acqua?” domandò allegro

“Prendimi se ci riesci” e con quelle parole mi lanciai verso il mare

Mi tuffai veloce e nuotai sott’acqua per alcuni minuti.

“Hey, non vale…” sbuffò ridendo e schizzandomi d’acqua in viso  

 

 

 

La giornata proseguì allegra e veloce. Ci divertimmo un sacco giocando, ridendo e scherzando.

L’acqua era azzurra, trasparente. Pulitissima. Nuotare era divertente e in effetti mi era sempre piaciuto. Un po’ meno prendere il sole. Anche lui amava stare in acqua e quel giorno scoprì che oltre a saper nuotare come un vero pesce, praticava surf, adorava andare su moto d’acqua ed era un provetto subacqueo.  

Entrambi passammo più tempo in acqua che al sole e sulla spiaggia. La giornata era splendida, il cielo limpido e chiaro. Il sole scaldava ogni cosa.

Il sole, con i suoi riflessi rossi e arancioni, stava ormai tramontando quando recuperando le nostre cose, tornammo a casa. Non capì di essere sfinita finché non salì in macchina.

Misi la crema tre volte ma nonostante questo mi scottai ugualmente.

“Sono stanchissima” dichiarai stiracchiandomi

“Tra poco saremo a casa e potrai stenderti e riposarti quanto ti pare”

“Prima però voglio fare una doccia. Il sale pizzica e mi tira la pelle”

“Io sono più preoccupato per le tue scottature. Non pensavo avessi una pelle così delicata”

 

In poche manovre uscì dal minuscolo parcheggio e ci infilammo sulla strada principale.

“Già. Ho la pelle chiara e delicata. Adesso che mi ci fai pensare comincia a farmi male tutta la schiena”

“Avremmo dovuto portare una crema a più alta protezione” Il suo tono era preoccupato ma anche di rimprovero

“Questa era protezione quaranta!” esclamai

“Beh, vorrà dire che compreremo quella che usano i bambini” rispose con un’alzata di spalle

“Ridicolo…” borbottai sbuffando

Gerard aveva perfettamente ragione. La mia pelle era sempre stata un problema e in realtà avevo sempre usato solari ad altissima protezione in Italia. Ma non credevo che il sole in Scozia fosse così caldo.

“Adesso passiamo in farmacia e prendiamo qualcosa per darti sollievo” aggiunse accarezzandomi la mano e intrecciando le dita con le mie.

Annuì solamente.

 

L’addetta in farmacia, una dottoressa probabilmente, ci rimproverò e mi strapazzò per bene. Disse che con la pelle chiara che mi ritrovavo avrei dovuto evitare di prendere così tanto sole, soprattutto nelle ore più calde. Mi diede una lozione all’aloe da spalmare su tutto il corpo, dopo la doccia, per almeno tre giorni. E vi aggiunse un doposole rinfrescante e una crema solare a protezione massima. Mi consigliò di fare con frequenza degli impacchi freddi e di evitare tessuti irritanti.

“Anzi le suggerisco vivamente di evitarli del tutto. Torni a casa, faccia una doccia gelata, metta il gel all’aloe e rimanga sdraiata a letto completamente nuda”  disse pacata.

“Seguiremo il consiglio” le rispose Gerard facendomi l’occhiolino

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Capitolo 34
*** XXXII Capitolo (prima parte) ***


Cap. 32A

 

XXXII Capitolo (prima parte)

 

 

Mi sdraiai sul suo letto nell’attesa che finisse di fare la doccia.

Avrei dovuto pensarci prima e stare più attento. Avevo dovuto aiutarla a spogliarsi perché la pelle le bruciava e le doleva molto.

“Mi sento meglio” annunciò con un sorriso tirato uscendo dal bagno. Aveva legato i capelli sul capo ed era avvolta in un asciugamano azzurro.

“Sdraiati e togliti quell’asciugamano. Ricorda cosa ha detto la dottoressa. Niente tessuti” mi alzai e presi il gel appena comprato.

“Prometti di comportarti bene?”

“Farò il bravo, giuro” risposi scoccandole un sorriso biricchino.

A quelle parole lasciò cadere l’asciugamano ai suoi piedi ed io mi ritrovai a dover deglutire rumorosamente; non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso e, senza nemmeno pensarci, mi avvicinai. Mi chinai a baciarla ed accarezzarla ma dovetti mettere da parte ogni pensiero licenzioso quando notai lo stato in cui versava la sua pelle. Era arrossata e screpolata, quasi gonfia, soprattutto sulle gambe e sulla schiena. Il viso e la pancia un po’ meno.

“Ti prego amore fai piano. Mi fa male da morire” disse vedendomi avvicinare col gel

“Sarò il più delicato possibile, Soph” risposi versando una generosa dose di gel sulle mani.

Cominciai dal viso ma appena arrivai alle spalle lei si scansò … le avevo fatto male. Sospirai e mi diedi mentalmente dell’idiota. La sfiorai appena, lei sussultò ma tenne duro.

Le sfiorai appena la schiena, dovetti inginocchiarmi, e con altrettanta attenzione le passai il gel su gambe e cosce, sia davanti sia dietro. Era una tortura doverla solo sfiorare e non poterla toccare, baciare, stringere come invece desideravo fare. L’unica cosa che feci, non riuscì a controllarmi, fu baciarle e mordicchiarle delicatamente il fondoschiena per tutto il tempo che rimasi inginocchiato dietro di lei.

Impiegai molto tempo a spalmargliela su tutto il corpo e quando finì aveva la pelle lucida ed un poco oliata.

Si sdraiò a pancia in giù sul lenzuolo ed io assieme a lei. Non poterla stringerla tra le braccia mi infastidì parecchio, infatti l’unica cosa che potei fare fu prenderle la mano e intrecciare le mie dita alle sue. Chiusi gli occhi e con un respiro profondo mi rilassai completamente.

 

 

 

 

 

Sentì la vibrazione del cellulare di Soph. Voltai il viso e guardai irritato l’orologio: avevo dormito poco più di un ora. Mi sporsi oltre il letto e con la mano raggiunsi il cellulare. Sophie stava ancora riposando accoccolata al mio petto, non volevo svegliarla ma ero curioso di sapere chi fosse.

Guardai e il nome di Luca brillò sullo schermo. Con un moto di stizza rifiutai la chiamata. Non volevo che si svegliasse, soprattutto non per lui.

Non sapevo come fosse fatto fisicamente questo Luca e neppure lo conoscevo, ma Sophie mi aveva detto che erano molto amici, migliori amici. E il fatto che fossero così uniti m’irritava.

Voltai il viso per poterla guardare. Era nuda, completamente nuda. Bellissima.

Con delicatezza le scostai i capelli dal viso. Cominciai ad accarezzarla con gesti lenti e lei, forse a causa del mio tocco, si mosse posizionandosi di lato. Aveva le gote leggermente arrossate. Il suo corpo mi faceva fremere di desiderio ma anche d’amore. Mi fidavo di lei ma sapere che qualcun altro la conosceva come o forse più di me mi faceva impensierire.

Continuai ad accarezzarla beandomi di quello splendore, ma ancora una volta il cellulare prese a vibrare e con uno sbuffo lo afferrai di nuovo. Era sempre lui. Sempre Luca.

“Gerard? Cos’è?” domandò Sophie ancora assonnata

Il rumore l’aveva svegliata e la cosa m’infastidì.

“E’ solo il cellulare, Soph. Non preoccuparti richiameranno” la rassicurai continuando a toccarla dolcemente

“Mmh” mugolò

Le piaceva quando l’accarezzavo. Si stiracchiò ma poco dopo gemette di dolore

“Mi tira la pelle e mi brucia” aggiunse con una smorfia

“Dovremmo fare degli impacchi, amore, oppure dovresti rinfrescarti sotto la doccia”  asserì alzandomi dal letto e con una mano l’aiutai a fare altrettanto.

Qualche secondo dopo sentì lo scrosciare dell’acqua della doccia. Presi nuovamente in mano la crema e mi preparai ad una seconda applicazione. Il telefono vibrò ancora e alzando gli occhi al cielo lo lasciai dov’era.

“Gerard mi porteresti l’asciugamano. Ho dimenticato di recuperarlo” la sua voce mi giunse lontana

Aprì la porta ed entrando l’avvolsi con delicatezza. Non strofinai ma glielo tamponai sul corpo facendo attenzione. Uscimmo dal bagno e il cellulare riprese a vibrare.

“Oh, che palle” esclamai spazientito “E’ insistente!”

“Chi?” domandò avanzando verso il comodino e prendendo il cellulare

“Pronto? Luca!”

Un sorriso le nacque all’istante il volto, io mi rabbuiai senza però darlo a vedere. Si voltò a guardarmi e una muta domanda riempì i suoi occhi.

Luca aveva già chiamato?

Annuì con la testa e con in mano il gel le indicai di sdraiarsi sul letto. Lei annuì ma continuò a parlare con Luca … sfortunatamente in italiano.

Mi versai sul palmo una generosa dose di gel e cominciai dalle gambe, ma con un mugolio Soph si ritirò. Forse ero stato poco delicato.

“Gerard, per favore. Mi fai male” si lamentò guardandomi

“Scusa” le sussurrai sollevandomi a baciarla  “Non l’ho fatto di proposito” aggiunsi tornando a spalmarle la crema con più delicatezza

All’improvviso lei proruppe in un gridolino di gioia. Alzai il capo e la vidi sorridere raggiante.

“Gerard, vengono a trovarmi!” esclamò ridendo felice

“Chi?” domandai confuso

“Luca e Ilaria. Possono, vero? Possono venirmi a trovare? ” domandò ancora sorridente

Non volevo rifiutare ma il pensiero di averlo per casa non mi faceva saltare di gioia.

“Mah, non saprei…” risposi cercando di temporeggiare

“Ti prego! Sono i miei migliori amici. Ti prego, ti prego” mi supplicò

“E va bene” acconsentì sorridendo dell’espressione del suo viso

Lei urlò di gioia e mi abbracciò con forza. Quando si staccò continuò a parlare in Italiano con Luca. Era felice, almeno questo lo capivo. Quando concluse la conversazione si rilassò e mi sorrise.

“Arriveranno domani” annunciò allegra

“Domani??!!” domandai quasi scioccato.

Avrei tanto voluto ritirare l’invito ma oramai era troppo tardi. La vedevo raggiante ed ero felice. Ma il pensiero di avere quel Luca tra i piedi non prometteva niente di buono. Non per me!

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Capitolo 35
*** XXXII Capitolo (seconda parte) ***


Cap. 32B

XXXII Capitolo (seconda parte)

 

Passammo la notte assieme ma, causa le sue scottature, non potei toccarla. Dormimmo comunque serenamente, tenendoci per mano.

“Sophie … svegliati dormigliona!”

La sua risposta fu un mugolio indistinto ed un accoccolarsi più vicino al mio corpo. Non avevo potuto evitare di toccarla, con dolci e lenti carezze diverse però da quelle che solitamente ci scambiavamo al mattino, causa l’ipersensibilità dovuta alla sua brutta scottatura. Aveva dormito tutta la notte a pancia sotto nuda, senza nemmeno un lenzuolo a coprirla e per me era stata davvero dura resistere dal farla mia.

Solo il pensiero di farle male mi ha fatto desistere!

Guardai la sveglia sul comodino e vidi che erano le nove passate così decisi di alzarmi e, date le alte temperature estive, di correre in bagno per una doccia rinfrescante.

Quando tornai in camera, Sophie era ancora a letto e dormiva profondamente. La guardai per qualche istante beandomi di quel meraviglioso spettacolo di donna, che placidamente dormiva nel mio letto; uno spettacolo che mi apparteneva in tutto e per tutto. Mi avvicinai e la baciai dolcemente sulle labbra poi, con un sorriso appagato e possessivo, uscì dalla stanza senza far rumore.

Ero arrivato alle scale quando il campanello di casa suonò rumorosamente.

Chi diavolo è a quest’ora?

Che siano già arrivati gli amici di Soph?

La faccia che mi sorrideva quando aprì la porta non era sicuramente né Ilaria, migliore amica di Sophie né tantomeno Luca.

Era uno scocciatore conosciuto!

“Jared… che diavolo ci fai qui?”

“Mi sei mancato anche tu, Gerard. E sto benissimo ora che me lo chiedi” ribatté sarcastico

Arrossì un poco e con un timido sorriso di scuse aprì la porta invitandolo ad entrare e ad accomodarsi in salotto.

“Mi fa piacere vederti Jared, lo sai. Ma a quest’ora del mattino, chi o cosa ti ha spinto a bussare alla mia porta?”

Sorrise in risposta e cominciò a ciarlare del più e del meno

“Dov’è Sophie?” domandò poi di punto in bianco

“Sta ancora dormendo. Non sta molto bene” e in poche parole gli raccontai della scottatura di Soph e delle indicazioni della dottoressa

“Completamente nuda?” come al solito aveva colto l’aspetto meno rilevante dell’intera vicenda

“Già. Niente vestiti e dosi massicce di gel all’aloe” chiarì cercando di suonare indifferente.

“Una donna senza vestiti, ferita, bisognosa di cure e affetto per di più da oliare e massaggiare. Amico, la domanda sorge spontanea … perché sei ancora qui a parlare con me? Pensavo avessimo superato questa fase!“ mi ricordò riferendosi all’episodio di quando Soph si era persa per poi trovarci tutti e due a doverla spogliare da svenuta

“Perché a differenza di te, amico, non sono un caprone in calore!” replicai sdegnoso

Ci voleva lui a dirmi cosa avrei potuto e voluto fare con Sophie!

“Ha la pelle ipersensibile e qualsiasi tipo di contatto le provoca dolore. Anche il solo spalmarle il gel le crea sofferenza” spiegai

“Certo, con le tue manone da muratore le avrai sicuramente fatto male. Io, al contrario, ho le mani da pianista dicono!” buttò lì Jared

Risposi con un’occhiataccia e lui saggiamente decise di cambiare discorso “Beh, menomale che sono passato a trovarti, con Soph fuori uso sarò io a farti compagnia!” continuò sorridendo

Ero contento di vedere Jared  “Se non hai altro da fare …” risposi alzando le spalle

“Nulla. Che programmi avevi per oggi?” e per rispondere alla sua domanda raccontai anche dell’arrivo dei due amici di Soph.

 

 

“Dalle tue parole e dal tono usato percepisco una sorta di animosità verso questo Luca”

“Animosità? No, non mi pare” negai scuotendo il capo

Avevo forse lasciato trasparire le mie impressioni su Luca?

“No eh? Lo hai definito pesce lesso, mummia rattrappita e non ricordo cos’altro”

Stavo per rispondergli per le rime quando sentì i suoi passi. Sophie si era svegliata.

“Buongiorno a tutti” esordì entrando in salotto con un sorrisone. Indossava un corto vestitino di cotone bianco senza spalline

Balzai in piedi e le andai vicino “Ben svegliata amore mio” sussurrai baciandola dolcemente sulle labbra

Il bacio era durato a lungo e quando mi allontanai, notai nei suoi occhi scaglie di dolcezza tutte per me. Sorrisi e la invitai ad unirsi a noi. Salutato Jared con un bacio sulla guancia ed un sorriso allegro si sedette sul bracciolo del divano, accanto a me.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luca e Ilaria arrivarono in tarda mattinata. La seconda mi fece subito una buonissima impressione; fisicamente somigliava molto alla mia Sophie, lunghi capelli castani, allegra e sorridente, occhi scuri e corpo formoso. Sembravano quasi sorelle. Luca invece era... un ragazzo alto, qualche centimetro in meno di me, biondo, occhi verdi con fisico asciutto e muscoloso. Sorrideva molto anche lui e si guardava in giro curioso. Incontrava spesso lo sguardo di Sophie ed insieme sembravano poter comunicare solo con il pensiero.

Mi presentai e presentai loro Jared e assieme a lui mi rifugiai in cucina, lasciando i nuovi arrivati con Soph. Sicuramente avevano un sacco di cose da dirsi.

“Non mi piace!” dichiarai non appena Jared ebbe chiuso la porta della cucina.

“Credo di sapere a chi ti riferisci” rispose sorridendo malignamente

“Cioè dico … ma l’hai visto?”

“Mhm … non so. Un ragazzo alto, biondo con un fisico niente male?”

“Fisico niente male?!?!? Ma non dire cazzate! Comunque sarà meglio tenerlo d’occhio. Non mi fido … ha una faccia da furbetto che non mi piace!” dichiarai risoluto

“Non sarà perché sembrava felicissimo di vedere Soph, vero? O magari è per come l’ha salutata?”

Sbuffai in risposta. Non mi piaceva e lo avrei tenuto d’occhio!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Li sentivo ridere e parlare in italiano e per l’ennesima volta quel giorno mi diedi dell’idiota per non aver approfittato di Sophie per imparare un po’ quella stramba lingua.

Non puoi mica rimanere in disparte da associale per tutto il giorno … dopotutto, modestia a parte, sei Gerard Butler!

Ormai Jared sen’era andato da una buona mezz’ora e rimanere in cucina da solo non aveva senso ed era oltremodo inospitale, così m’incamminai verso il salotto.

Aprì la porta ed entrai.

I due sedevano sul divano mentre lei, la mia Soph, se ne stava in piedi accanto a loro. Mi notò subito e mi venne incontro sorridendo felice.

“Tesoro, ti unisci a noi?” domandò con tono dolce

Guardandola annuì e mi diressi verso la poltrona mentre lei rimase ancora in piedi.

“Dovremmo fare gli impacchi e rimettere il gel Soph … lo vedo che soffri”

“Già” annuì lei “La pelle mi brucia molto” continuò

Luca s’intromise nella discussione chiedendo spiegazioni. Soph chiarì tutto in italiano e spiegò loro l’intera vicenda. Capì subito che Luca parlava fluentemente l’inglese mentre Ilaria poco o niente.

Anche se non riuscì a capire nulla o quasi della loro conversazione vedevo le loro espressioni dispiaciute e i loro occhi erano sinceri.

Parlammo di tante cose, tutti assieme, con Soph e Luca a fare da traduttori per me ed Ilaria.

Per tutto il tempo quei due non fecero altro che sorridersi, guardarsi e sorridersi ancora in perfetta sintonia. E la cosa m’innervosì oltremodo.

Pranzammo assieme e il pomeriggio lo passammo in piscina.

 

 

 

 

Stavamo parlando e ridendo in piscina quando il mio cellulare prese a suonare. Era Bob perciò mi alzai e mi allontanai dai tre per non tediarli più del dovuto. La telefonata non durò molto ma al mio ritorno trovai una brutta sorpresa.

Soph e Luca insieme.

Rabbia e gelosia m’invasero. Li vedevo assieme, li vedevo ridere e scherzare e giocare. Erano entrambi a bordo piscina quando d’improvviso Luca la sollevò tra le braccia ed insieme si buttarono in acqua.

Aprì la bocca per protestare ma nemmeno un suono ne uscì. Tentai nuovamente ma le parole pensate dal mio cervello sembravano non voler arrivare e uscire dalla mia bocca.

Continuavo a guardarli. Ridevano e si abbracciavano.

La visuale mi si oscurò solo quando la sua figura mi fece ombra.

L’ombra di Ilaria.

Con un sorriso si accomodò vicino a me, mi guardò e mi toccò un braccio con fare rassicurante

“Gerard … come avrai sicuramente notato, io non parlo inglese molto bene ma ho capito cosa ti passa per la testa. Sembri fuori di te e i tuoi occhi non dicono altro” Il suo viso sembrava sincero e un sorriso le aleggiava sul volto.

Il suo inglese era pessimo ma aveva buone intenzioni e rimasi ad ascoltarla concentrandomi su quello che diceva.

“Tranquillizzati perché non è come pensi. Luca e Soph si conoscono da diversi anni mentre io e lei ci conosciamo fin da bambine, perciò ti posso assicurare che fra quei due non c’è nulla se non una grande e fraterna amicizia. Amicizia tutto qui. Si vogliono un gran bene ma come amici. Lei ama te.” concluse il tutto con un’altra pacca consolatrice e alzandosi si unì a quei due.

 

 

 

 

 

Eravamo rientrati a casa nel tardo pomeriggio ma avevo notato che Gerard era un poco sulle sue.

Lo avevo forse trascurato?

Così mi venne un’idea…

Avrei rimediato. Quella sera stessa. Gli avrei fatto una sorpresa e Luca mi avrebbe aiutato.

Luca! Avevo bisogno di Luca!

“Luca mi devi aiutare” esordì entrando nella sua camera senza neppure bussare

Di lui non c’era traccia ma sentì lo scrosciare dell’acqua della doccia perciò decisi di aspettarlo seduta sul letto. Se ne sarebbero andati fra solo un paio di giorni e la cosa mi rattristava parecchio. Ero così felice di averli, di poter parlare con loro.

Parlavo italiano finalmente!

“Hey, Soph che ci fai qui?” mi salutò uscendo dal bagno. Aveva un asciugamano intorno ai fianchi ma per il resto era nudo.

Il suo fisico muscoloso mi faceva sempre un certo effetto, soprattutto quando era senza maglietta … ma a pensarci bene nessuno era come il Gerard.

Lui era tutto quello che più desideravo. Molto, molto, ma molto più di quello che avrei mai chiesto!

Riscuotendomi da quei pensieri mi alzai precipitosamente e quasi mi fiondai su di lui

“Luca, mi devi aiutare … per favore” cominciai a dire prendendogli le mani

“Certo, Sophie … tutto quello che vuoi, ma … aspetta cosa dovrei fare?”domandò cauto

Gli raccontai brevemente la mia idea e lui si dichiarò d’accordo. Corsi in camera mia e vi trascinai anche lui, con ancora indosso solo l’asciugamano, dove recuperai tutto quello che mi serviva.

Profumo e biancheria intima sexy.

“Soph, non potrei almeno cambiarmi? Perchè a parte l’asciugamano sono nudo come un verme” protestò per l’ennesima volta

“Te l’ho già detto Luca, non abbiamo tempo” risposi esasperata

Era una situazione strana ma non imbarazzante, almeno per noi. Ero di fronte a lui con addosso solo uno striminzito completo intimo bianco.

“Allora … che ne pensi?” domandai facendo una giravolta per farmi ammirare meglio

“Se vuoi dargli l’impressione di una suora … stai alla grande!”

“Oh, ma dai! Non starai esagerando?! Una suora… guarda che l’ho pagato un sacco di soldi!” risposi sbuffando

Era il secondo completo che bocciava. Due dei miei migliori completi intimi.

“Non hai qualcosa di più … provocante?” domandò esasperato per poi correre a frugare nel mio cassetto. Incrociai le braccia al petto irritata.

Forse non era stata una buona idea chiedere aiuto a Luca … avrei dovuto chiedere ad Ilaria!

All’improvviso lanciò un fischio acuto che mi riscosse dalle mie riflessioni e m’indusse a guardarlo. Tra le mani reggeva una striminzita brasiliana con reggiseno a balconcino abbinato. Erano entrambi neri.

“Questo … prova questo!”

Corsi in bagno a provarlo, eccitata e nervosa. Volevo fare in modo che Gerard non potesse resistermi, volevo scusarmi e lo volevo tutto per me quella sera.

“Allora che te ne pare?” domandai uscendo dal bagno

Lui mi guardò a lungo, a bocca aperta e con occhi sgranati.

“Soph stai una favola! Se fossi etero ti sarei già saltato addosso e ti avrei incatenato al letto!”

Sorrisi grata di quel complimento e lo abbracciai. Gli volevo un gran bene.

“Il merito è tutto tuo e del tuo buon gusto! Grazie Luca” dissi

“Beh, con questo completino lo farai impazzire… poco ma sicuro! Chiamo Ilaria deve assolutamente vederti!”  prese il cellulare e le mandò un messaggio

Mi diressi con passo lento di nuovo in bagno, volevo profumarmi e truccarmi un minimo quando sentimmo bussare alla porta.

“Cavoli, Ila, hai fatto in fretta” lo sentì dire  “Ila … devi vederla … è una strafiga assurda!” disse aprendo la porta

Uscì in fretta dal bagno ma non era Ilaria quella che ci trovammo di fronte…

Gerard rimase sulla porta come pietrificato. Passava lo sguardo da me a Luca senza dire una parola.

Sapevo cosa stava pensando … glielo si leggeva in faccia.

Cercai di avvicinarmi perché volevo spiegargli ma lui me lo impedì agendo prima.

Non mi resi nemmeno conto di quel che stava accadendo finché non sentì i gemiti di dolore di Luca. Gerard era entrato come una furia in camera e, preso Luca per la gola, lo aveva sollevato da terra per spiaccicarlo al muro. Il viso contorto dalla rabbia era quasi irriconoscibile. Continuava a gridare ma io non riuscì a cogliere nulla. Vedevo solo l’espressione sofferente di Luca.

“Gerard! Lascialo subito!” urlai perentoria

Ero di fianco a entrambi quindi era impossibile che non mi avesse sentito. Mi guardò per qualche secondo per poi lasciarlo andare. Luca scivolò a terra e tenendosi una mano sulla gola alzò lo sguardo prima su Gerard e poi su di me. Ma entrambi non lo notammo: Gerard fissava me ed io lui, i nostri sguardi rabbiosi legati l’uno all’altro.

“Come ti sei permesso di fare una cosa del genere!?” urlai mentre cercavo di aiutare Luca a rialzarsi da terra. Guardai con attenzione il suo collo ma non sembrava avere lividi o arrossamenti.

Menomale …

“Cosa avrei dovuto fare? Perché sei in biancheria intima? E cosa diavolo ci fa in camera tua?” domandò furibondo riferendosi al mio migliore amico

Luca si era ripreso ed ora mi guardava con aria triste. Ricambiai lo sguardo per poi rivolgerlo a Gerard

“Sei un idiota Gerard Butler … non hai capito proprio niente!” risposi in lacrime

Luca si avvicinò e, tentando di consolarmi, si allungò come per abbracciarmi ma Gerard con una spinta glielo impedì

“Sta’ lontano da lei!” ringhiò arrabbiato

“Stai calmo Gerard perché non è come pensi. Sono qui solo perché Sophie mi ha chiesto aiuto. Voleva farti una sorpresa e mi ha chiesto di aiutarla a scegliere un bel completo intimo. Voleva passare la serata con te dato che le è sembrato di trascurarti un po’ oggi, forse a causa nostra” spiegò calmo

La spiegazione sembrò calmarlo. Non accennò a dire una sola parola a Luca ma il suo sguardo si concentrò su di me, sul mio viso, come a chiedere conferma

“Mi eri sembrato triste oggi così avevo pensato di farti una sorpresa e di farmi trovare in camera tua ” chiarì indicandomi

Avevo le guance rigate di lacrime ma non me ne curai

“Perché indossi solo un asciugamano?” domandò a Luca con voce tesa

Il mio migliore amico sorrise e mi guardò

“E’ colpa mia, non gli ho lasciato il tempo di cambiarsi. Non volevo perdere tempo … e non gli ho permesso di cambiarsi” spiegai

Le mie parole erano frammentate da piccoli singhiozzi e forse fu proprio questo a fare breccia nel suo cuore

“Oh, Sophie scusami. Ti ho vista così … con lui e non ho capito più nulla” disse abbracciandomi delicato

“Non è con me che ti devi scusare ma con Luca” feci avvicinandomi al mio migliore amico e abbracciandolo

Luca ricambiò con affetto; mi allontanò da sé dolcemente per poi girarsi verso Gerard

“Mi dispiace Luca. Sono veramente mortificato per il mio comportamento … ma vederti con lei mi ha …”

“Tranquillo, lo capisco. Ora vi lascio soli… così potrete parlare da soli”

L’ultima cosa che vidi fu Luca chiudere la porta perché poi chiusi gli occhi e mi lasciai andare al dolce sapore delle labbra del mio uomo. Un sapore ed una morbidezza irresistibili.

 

 

 

 

Luca ed Ilaria rimasero, proprio come nei piani, per altri due giorni. Ed io passai tutto il mio tempo con loro. Gerard, la sera del nostro piccolo scontro, mi confessò di essere stato terribilmente geloso di Luca e solo per questo si era comportato in quella maniera. Tuttavia aveva capito la situazione e si era fatto, in qualche modo, da parte per divertirmi con i miei amici da sola. Lui ne aveva approfittato per una rimpatriata con alcuni vecchi amici che non vedeva da tempo.

Quei due giorni passarono troppo in fretta ma mi lasciarono dentro una sensazione di allegria, contentezza e felicità che portai con me anche i giorni seguenti. Gerard disse che sembravo splendere dalla contentezza, molto più del solito.

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Capitolo 36
*** XXXIII Capitolo ***


Cap. 33

XXXIII Capitolo

 

 

“Amore, mi manchi” il tono di voce era dolce ma malinconico.

Ogni nostra conversazione iniziava sempre così. Lui mi ripeteva quelle parole tutte le volte, da quando ci eravamo separati. Parole che mi scaldavano il cuore ma che inevitabilmente riportavano a galla la mia tristezza nell’averlo così lontano.

Sentire la sua voce era piacevole. Sempre. Ma anche triste.

Mi manca.

Ero tornata in Italia, a casa.

Non potevo mica rimanere in Scozia per sempre … vi ero rimasta sei mesi.

Lasciare quei luoghi incantati, con i suoi profumi, la musica e quei colori mozzafiato era stato devastante. Ma lasciare lui lo era stato ancora di più.

Dividerci era stata la cosa più difficile, non avrei voluto farlo, ma non vi era altra soluzione. Avevamo passato tanti bellissimi momenti insieme, condiviso così tanto che, adesso, solo a pensarci avevo le lacrime agli occhi.

“Ciao tesoro, anche tu mi manchi. Tantissimo”

Ero tornata da poco più di due settimane ma sembravano decenni. Non poterlo vedere, non poterlo toccare e baciare mi faceva impazzire.

“Cosa stai facendo?”

Era curioso, interessato a cosa facevo, dove andavo o con chi fossi. Voleva condividere con me la mia vita anche da lontano come io facevo con lui.

“Non ci crederai, amore. Ho una notiziona … ti avrei chiamato io a breve per fartelo sapere” ero emozionata

Si trattava di una notizia che mi aveva sbigottito ma anche entusiasmato.

Avevo iniziato un tirocinio, appena rientrata in Italia, in una società pubblicitaria molto importante e proprio oggi mi avevano dato la notizia. Erano intenzionati ad assumermi presso di loro. Con un contratto a termine di diversi mesi, dandomi anche buone prospettive future.

“Che notizia? Dal tuo tono sembra una notizia positiva”

“Lo è, infatti. Mi hanno proposto un contratto di lavoro” lo dissi tutto d’un fiato.

Silenzio dall’altra parte.

“Amore, ci sei?” domandai incerta

“In che senso?”  la sua voce aveva cambiato tono

“Nel senso che oggi mi hanno proposto un contratto a tempo di alcuni mesi. Ed io avrei intenzione di accettare. Che ne pensi?”

“No! Non lo so... non sono contento. Perché hai accettato?” era arrabbiato.

“Cosa c’è che non va? Non capisco”

“Come fai a non capire? Che ne sarà di noi? Eh? Ci hai pensato? Come faremo a vederci se vivremo e lavoreremo lontanissimi l’uno dall’altro? Cristo Soph! Lo sai che non riesco a stare per troppo tempo senza di te. Non voglio. Voglio averti vicino. Sempre”

Era arrabbiato ed era saltata fuori ancora questa storia.

Dannazione!

“Gerard, è solo per qualche mese. Non sarebbe per sempre“

Anche se le sue parole mi avevano innervosito avevo mantenuto il mio tono di voce calmo. Volevo rimanere serena ed essere gentile, per cercare di rimanere lucidi e ragionevoli. Non volevo arrivare a litigare. Avevamo discusso, sullo stesso argomento, poche settimane prima della mia partenza. Pensavo di aver chiarito il mio punto di vista ma evidentemente lui non aveva capito.

“Ci risiamo, Sophie! Io non riesco a capirti. Cosa c’è di difficile o di complicato nel rimanere accanto alla persona che si ama? Pensavo che il tuo ritorno a casa fosse temporaneo ma ora non lo so più. Perché non vuoi stare dove sono io? Perché non vuoi vivere qui?”

Sempre le solite domande. Sempre i soliti quesiti.

Io riuscivo a capire lui, il suo lavoro, i suoi impegni, i suoi momenti da soli uomini e tutto il resto mentre lui non riusciva a fare altrettanto nei miei confronti.

“Non è così, lo sai. E’ solo che…” non riuscì a terminare il mio pensiero che mi interruppe.

“No, non lo so! Non so più niente ormai. Non so più cosa siamo! Siamo distanti. Tu sei lontana! Ed io soffro!”

“Ed io? Sto soffrendo anche io, cosa credi?”

Le sue parole mi avevano ferito.         

“Io ti amo. Ti amo moltissimo. Anche io soffro a non vederti, a non toccarti. Vorrei essere lì con te ma non posso rinunciare a me stessa. Non lo voglio fare! Voglio rendermi utile, voglio aiutare e lavorare. Non me ne starò attaccata a te come un’ombra, come un orrendo parassita che ti succhia via tutto. Non voglio fare la mantenuta, Gerard! Non è nella mia natura e non lo farò. L'orgoglio si può mettere da parte ma la dignità non si perde per nessuno

Mi ero ripromessa di non discutere, di non urlare, di mantenere la calma e rimanere lucidi ed obbiettivi … avevo decisamente fallito.

Lui mi aveva lasciato parlare senza intervenire o interrompermi. Volevo sapere se le mie parole erano state comprese. Se aveva capito.

Certo, non sarei rimasta per sempre in Italia e lo sapevo. Lo amavo troppo. Ma volevo almeno fare un’esperienza lavorativa valida. Lo dovevo a me stessa! Dovevo ripagare tutti i sacrifici che avevo fatto, i miei e quelli della mia famiglia.

Sicuramente avrei trovato un lavoro simile anche all’estero, magari migliore. Volevo guadagnare un po’ di soldi e iniziare con lui la mia vita, alla pari.

Volevamo comprare casa insieme anche se lui, causa lavoro, si spostava e viaggiava frequentemente.

Lui faceva l’attore, aveva moltissimi amici, era ricco, bello e famoso. Io invece nulla di tutto quello. Ero in soggezione per questa cosa ed era anche per questo che volevo farlo.

Volevo costruire qualcosa insieme ma senza pesare su di lui. Avremmo fatto progetti e condiviso eventuali sacrifici; lo avremmo fatto assieme, non lui da solo. Ero sempre stata una ragazza indipendente ed autonoma. Dipendere dagli altri, soprattutto economicamente, mi avrebbe distrutto a lungo andare. E lui lo sapeva. Ne avevamo già parlato.

“Non senti ragioni, vero?” sospirò pesantemente

Mi presi la testa fra le mani perché non riuscivo a farmi capire.

“Fai come vuoi. Non voglio discutere ancora con te. Buonanotte Sophie” e mise fine alla conversazione.

Ero incredula. Fissavo il telefono nelle mie mani senza dire una parola.

Cominciai a piangere in silenzio.

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Capitolo 37
*** XXXIV Capitolo ***


Cap. 34

XXXIV CAPITOLO

 

Chiusi la conversazione con Soph e per la rabbia gettai il telefono contro la parete, di fronte. L’apparecchio si frantumò in mille pezzi per poi cadere a terra.

Ma non bastò perchè ero ancora arrabbiatissimo.

Mi alzai velocemente avvicinandomi ad un tavolino basso, sopra vi era un piccolo vaso colmo di fiori freschi, e con un gesto rabbioso della mano lo scaraventai a terra. Questo si infranse a terra e schizzò acqua ovunque.

Mi avvicinai alla finestra e con un gesto di stizza mi presi la testa fra le mani. Detestavo litigare con lei. Sentire le sue parole e le sue urla mi aveva sorpreso ma anche fatto infuriare di più.

Presi in mano il cellulare e stavo per richiamarla quando ricevetti una chiamata e cominciò a squillare.

“Gerard, amico mio. Come va?”

“Ciao Jared” mi avvicinai di nuovo alla finestra e scostai le tende con un gesto secco

“Che voce tetra ... problemi in paradiso?”

Jared era un buon amico. Conosceva Soph e, nonostante non ci vedessimo molto spesso, parlavamo parecchio. Così, forse per sfogarmi o forse per avere un consiglio, gli raccontai tutto. L’intera conversazione.

“Merda, mi spiace Gerard“

“Già”

Parlare con lui era confortante perchè qualsiasi cosa dicessi, su qualunque argomento, non giudicava mai. Tendeva ad esprimere la sua opinione senza criticare, analizzando il problema in maniera razionale.

“Non so proprio cosa dire. Perché fa così? Non capisco”

“A chi lo dici. Non riesco a capire perché faccia tutte queste storie. Non lo so proprio”

Avevo smesso di passeggiare per la stanza.

“Beh, sai cosa ti ci vuole? Devi uscire anzi dobbiamo uscire!”

“No, Jared non me la sento. Non stasera” risposi scuotendo la testa

“Oh andiamo, non fare il guastafeste! Usciamo e andiamo a bere qualcosa in qualche locale”

Il suo tono era allegro ma anche pressante. Sapevo che quando faceva così non c’era modo di dissuaderlo. Perciò tentennai ancora un po’ finchè non mi convinse definitivamente.

“Bravo, così si fa. Vedrai che domani avrai le idee più chiare sul da farsi. Ci vediamo tra un’ora al tuo albergo. A dopo”

Ero a New York da un paio di giorni. Le riprese sarebbero iniziate solo fra qualche giorno, ma avevo preferito partire in anticipo. Senza Soph, quella casa era troppo silenziosa e la cosa mi angosciava più del dovuto.

Forse uscire e svagarmi un po’ mi avrebbe fatto bene. Mi avrebbe aiutato a schiarirmi le idee.

Il mio pensiero tornò a lei. Mettere fine in maniera così brusca alla conversazione era stata un’esigenza. Non avrei sopportato di litigare con lei ancora per molto.

La chiamerò domani, le chiederò scusa e sistemeremo la faccenda. La amo così tanto. Non voglio lasciare che questa cosa ci allontani. Che ci possa separare. Non lo permetterò.

Scossi la testa e mi fiondai in bagno per una doccia veloce. Jared aveva la dannata abitudine ad essere puntuale.

 

 

 

 

Scesi nella hall in jeans e camicia nera.

“Dove siamo diretti?”

“Non lontano. Ti porto in un localino da sballo, vedrai!” rispose sorridendo.

Non disse nient’altro. Dopo dieci minuti eravamo davanti al locale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Aprì gli occhi lentamente. Un rumore continuo e assordante mi aveva svegliato. Mi sentivo la testa pesante. Le tende non erano tirate e la luce mi colpiva gli occhi. Alzai le braccia per cercare di coprirmi dal sole. Mi girai e caddi pesantemente per terra.

Rumore, ancora quel rumore. Come un battito. Un continuo, incessante battito. Riecheggiava per tutta la stanza, non mi dava pace.

 

 

 

 

 

 

Quando riaprì nuovamente gli occhi, vidi che ero ai piedi del letto. Mi sollevai un poco e mi guardai attorno. Ero nella mia stanza, al mio hotel.

Mi alzai a fatica. Le gambe mi cedettero. Riprovai e aggrappandomi al letto riuscì ad alzarmi in piedi. Avevo ancora le idee confuse. L’unica cosa che ricordavo era che la sera prima io e Jared avevamo fatto un po’ di baldoria, avevamo bevuto e parlato.

Il rumore non era cessato e mi dava alla testa. Era assordante.

Riuscì a capire da dove proveniva solo in quel momento quando sentì anche una voce. Era una voce femminile e proveniva dalla porta.

Qualcuno stava bussando.

Arrancai fino alla porta e a fatica riuscì ad aprirla. Pochi secondi dopo un uragano mi investì.

Susy.

Entrò come una furia e, chiusa la porta, cominciò ad urlarmi addosso.

“Susy, ti prego parla piano. Ho un mal di testa cane” ero seduto ai piedi del letto e mi tenevo la testa fra le mani

“Ci avrei giurato” rispose acida.

Si avvicinò alla finestra e chiuse le tende. Poi poggiata la borsetta sul tavolino ne tirò fuori una scatolina. Si avvicinò al frigobar e prese una bottiglietta d’acqua.

“Bevi” disse con tono che non ammetteva repliche

“Cos’è?” domandai intontito avvicinando il naso al bicchiere per sentirne l’odore

“Ti aiuterà a stare meglio”

Bevvi tutto d’un sorso. Aveva un sapore orrendo. 

“Allora, idiota che non sei altro … raccontami … che cazzo hai combinato ieri sera?” chiese senza preamboli

Alzai un sopracciglio e la guardai seccato.

Lei imperterrita mi fissava con sguardo di rimprovero, come una madre che pesca il proprio bambino a fare qualche marachella.

“Io e Jared siamo usciti. Siamo andati in un locale qui vicino”

Lei sospirò.

Momento … momento … momento …

“Come sai di ieri sera?”

Il mal di testa non era ancora passato.

“In realtà lo sanno tutti. Tutta la città sa cosa hai fatto ieri sera … anzi tutto lo Stato!“

Non ci capivo niente.

“Ma cosa dici, Susy? Tutto lo stato? Non capisco … senti ho mal di testa. Non riesco a connettere … potremmo parlarne più tardi?”

Avevo bisogno di riposo. Infatti dopo appena pochi secondi mi lasciai cadere sul letto a peso morto.

“Non credo sia il caso di rimandare, Gerard. E’ su tutti i giornali” esclamò lanciandomi addosso un paio di giornali

“Aprili” m’incitò con decisione

Dopo qualche secondo mi poggiai alle braccia e preso in mano il primo giornale vi posai lo sguardo sopra.

Ero in copertina. La foto mi ritraeva tra le braccia di una donna, una donna decisamente poco vestita. Il mio sguardo era vuoto. Annebbiato dall’alcool sicuramente.

Le mie mani erano su di lei, la mia bocca sulla sua. La foto non era la sola. Sembrava un intero servizio con varie didascalie e accompagnato da un lungo articolo.

Non mi soffermai a leggerlo. Alzai lo sguardo su Susy e rimasi in attesa.

Lei ricambiò il mio sguardo con uno altrettanto strano e, presa una sedia, si sedette.

“Susy... che è ‘sta roba?”

Non ricordavo neppure la donna, non ricordavo di averci parlato. Non ricordavo nulla. Niente di niente.

“E’ la tua bravata di ieri sera, Gerard. Ecco che cos’è. C’è un altro piccolo articolo su Jared, ma a quanto pare la star sei tu! Le dichiarazioni che hai rilasciato li hanno fatti impazzire” Il suo tono era duro e accusatorio

“Dichiarazioni? Non ricordo un accidenti di niente. E Jared? Ci hai parlato? Che dichiarazioni ho fatto?”

La guardavo in attesa e in preda del panico.

Nel mio lavoro la cattiva pubblicità può rovinarti. Stroncare la carriera e allontanarti da tutti.

“Ho cercato Jared al cellulare ma non risponde. Sarà sicuramente nelle tue stesse condizioni, suppongo. Ma ora dobbiamo preoccuparci solo di te”

Annuì solamente e la invitai a continuare

“I paparazzi non si sono limitati a pubblicare gli scatti all’esterno del locale. Hanno pubblicato anche le foto all’interno. Dici di aver trovato la donna giusta. La donna della tua vita e che intendi sposarla”

Il suo tono era serio mentre m’indicava le foto che mi ritraevano imbambolato come un perfetto idiota appiccicato a questa sconosciuta. Il suo viso mentre parlava, chiarendomi tutto, recava tracce di palese disgusto.

“Sophie? Sanno di Sophie?” domandai confuso

“Non è Sophie la donna a cui ti riferisci, a quanto pare! E’ la tua amica nella foto” indicò i giornali che avevo ancora in mano, ma che non avevo degnato di uno sguardo.

Mi alzai di scatto.

Oh mio Dio… che cazzo era successo?

“Non mi ricordo nulla Susy. Te lo giuro. Non so neanche chi sia quella donna” esclamai con le mani tra i capelli

“A quanto ha dichiarato lei avete fatto sesso all’interno del locale, Gerard”

Quelle parole ebbero il potere di congelarmi. Freddato all’istante.

Oh mio Dio … Oh mio Dio … Oh mio Dio … Oh mio Dio …

E’ impossibile!

Assolutamente impossibile!

“Stronzate! Non posso aver fatto l’amore con quella … manco me la ricordo! E’impossibile!”

“Questa mattina ho subito chiamato Bob per cercare di arginare la situazione. Dovrebbe richiamarmi oggi e farmi sapere per il nuovo contratto. Sai come vanno queste cose. Hollywood ama la pubblicità, ma solo quella che crea lui. Non certo di questo genere” continuò lei

Ero immobile. Avevo sentito a malapena le sue parole.

“Non può essere. E’ impossibile! Io amo Sophie e … e non le farei mai una cosa del genere!”

Le parole uscirono dalla mia bocca in deboli frammenti

“Ho parlato con quella donna, Gerard. Ha confermato tutto! A luci spente, senza telecamere. Avete fatto sesso. Anche se…” s’interruppe vedendo l’espressione del mio viso.

Quel tentennamento mi fece ben sperare.

“Anche se…?”

“N-non importa…” rispose alzandosi e raggiungendomi in mezzo alla stanza

“Ti prego ho bisogno di sapere cosa ti ha detto. E’ impossibile che abbia fatto una cosa del genere. Me lo ricorderei, accidenti!”

Volevo e dovevo sapere.

“Mi ha detto che continuavi a chiamarla Sophie”

Le sue parole mi colpirono in pieno petto. Mi accasciai perché le gambe cedettero e lei prontamente mi afferrò. Mi aiutò a sedermi e per qualche minuto attese in silenzio che mi riprendessi.

“Mi ha detto che nonostante ti ripetesse il suo nome, tu continuavi a chiamarla con quel nome. La chiamavi Sophie e hai detto di amarla” concluse lei in un sussurrò.

Mi veniva da vomitare.

Mi sentivo male. Malissimo.

Non era il mal di testa e non c’entrava nulla con la sbornia.

Era un dolore acuto al petto. Una sensazione di soffocamento. Una sofferenza atroce. Mi mancava l’aria e faticavo a respirare.

L’avevo tradita… l’avevo tradita con un’altra donna di cui non ricordavo neppure il nome. Di cui non ricordavo nulla … e di cui non mi importava assolutamente niente!

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Capitolo 38
*** XXXV Capitolo ***


Cap. 35

XXXV Capitolo

 

 

 

 

 

Notice me, take my hand
Why are we strangers when
Our love is strong
Why carry on without me

Everytime I try to fly, I fall
Without my wings, I feel so small
I guess I need you, baby
And everytime I see you in my dreams
I see your face, it's haunting me
I guess I need you, baby

 

 

 

 

 

Non ci potevo credere.

No, assolutamente no.

Lui mi voleva bene.

Mi ama.

Non riusciva a stare lontano da me … così mi aveva detto! Lui era legato a me. Semplicemente mi amava.

Ormai eravamo una coppia.

Forse l’amore … forse l’amore non bastava. Forse, a lui, tutto questo non era sufficiente.

Magari aveva bisogno di una persona che dividesse con lui il suo lavoro e non, come me, che gli restasse solo a fianco.

Non potevo crederci.

Magari Gerard aveva bisogno di avere una donna al suo fianco, sempre. In ogni momento. Che fosse la sua ombra e che lo seguisse in ogni suo spostamento. Ed io non potevo farlo. Volevo e dovevo essere indipendente. Con un mio lavoro e non solo essere la compagna-mantenuta di qualcuno. Lui sapeva cosa pensassi della faccenda.

No, non può avermi fatto una cosa del genere… Magari è solo uno sbaglio … è spazzatura mediatica!

Eppure … una donna alta e bionda era abbracciata a lui. Si guardavano negli occhi e le loro labbra si sfioravano.

Le foto erano tante e insieme all’articolo parlavano chiaro.

Era in prima pagina. E ritraeva i due intenti a baciarsi in maniera appassionata. Lui le cingeva la schiena con una mano e l’altra era a sostegno del suo collo. Lei invece lo abbracciava, sollevata sulla punta dei piedi. Sembravano entrambi molto coinvolti.

Gli scatti non ritraevano scene di film. No. Erano semplici scatti rubati dal fotografo, nella vita privata dei due. Infatti erano entrambi vestiti normalmente, con abiti casual. E non erano forzatamente in posa.

L’articolo era piuttosto lungo. Lo avevo letto un paio di volte, perché non avevo realizzato subito la cosa. Il pezzo si poteva riassumere in una riga.

“Finalmente ho trovato la donna giusta, la donna della mia vita. Intendo sposarla al più presto.”

Poi un piccolo paragrafo delle dichiarazioni di lei, del sesso che avevano fatto e altro ancora.

Sconvolta. Scioccata.

Incredula. E senza parole.

Avevo un groppo allo stomaco e mi veniva da vomitare.

Mi alzai dal divano sul quale ero stesa e cominciai a camminare avanti e indietro per il salotto.

 

Oh mio dio!

Ci sono cascata! Come ho potuto credere alle sue parole? Alle parole di un attore, che recita dalla mattina alla sera!

Non ci sono paragoni da fare! Quella lì aveva tutto. Quella donna era tutto. Tutto ciò che un uomo vuole, tutto ciò che desidera.E’ alta, bella, magra, bionda… magari ricca, simpatica e pure intelligente.

Non avrei mai potuto competere.

Era logico, quasi scontato! E dire che mi ero pure illusa. Che sciocca.

Povera, stupida sciocca!

Ero nauseata. Disgustata. Completamente disgustata!

Non riuscivo a capire se più fossi schifata da me stessa, per aver creduto alle sue parole o se a disgustarmi fosse lui. Le sue parole, le sue carezze, i suoi baci.

Calde lacrime cominciarono a scendere copiose dai miei occhi fino ad offuscarmi la vista. Cercando a tentoni il divano, mi sedette e con le mani a coprirmi il viso, diedi libero sfogo al mio dolore. Fortunatamente la mamma e John erano fuori e non sarebbero rientrati prima di sera.

Tempo dopo, sfinita dal troppo pianto, mi diresse in camera mia. Avevo bisogno di riposare. Riposare e smettere di pensare. Solo dormire e arginare i pensieri. Mi sdraiai sul letto e con la testa sul cuscino mi rilassai sforzandomi di non pensare più a nulla.

Di non pensare a lui. E al male che mi aveva fatto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non lo sentì entrare fino a quando il suo respiro caldo mi soffiò sul viso. Quel profumo di menta, quello della sua bocca.

Fu proprio quello che mi risvegliò. Aprì gli occhi e ancora confusa mi tirai a sedere, sul letto. Lui era lì, vicinissimo. Accovacciato accanto al mio letto e mi guardava. I suoi occhi sembravano volermi accarezzare.

Una carezza lenta e sconvolgente. Carezze che avevo già provato, già sentito e per le quali ero impazzita dal desiderio. Carezze per le quali ancora smaniavo, nonostante tutto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lui passava il suo sguardo su di lei, sul suo viso per poi tornare sempre a cercarle gli occhi.

Quegli occhi che fin dal loro primo incontro lo avevano ammaliato, quasi ipnotizzato. Così chiari, così limpidi.

E il suo dolcissimo viso. Lo stesso viso che cercava come prima cosa tutte le mattine e che sempre ritrovava accanto a se tutte le notti. E di cui, ne era certo, ora non avrebbe più potuto fare a meno. Il suo viso le era mancato da morire. Quel viso che rimaneva incantato ad osservare la notte, quando lei dormiva, o di giorno solo quando lei non lo vedeva. Di quel viso aveva imparato tutto a memoria. Ogni sua linea, ogni sua smorfia e singola espressione, ogni sua più piccola imperfezione.

Di quel viso e di quegli occhi si era innamorato. Delle sensazioni ed emozioni che vi si riflettevano.

Il rossore che la pervadeva quando era arrabbiata o in imbarazzo, il bianco pallore di dolore o di paura. La luminosità che la pervadeva quando sorrideva gioiosa o semplicemente felice, il dispiacere e il desiderio.

Il suo viso rifletteva tutto questo. E lui lo sapeva. Il viso di lei era lo specchio della sua anima. Non riusciva a smettere di guardarla, quasi non potesse farne a meno.

La voleva, la desiderava.

Desiderava toccare la sua pelle, sentire e accarezzare quel corpo che era stato suo. E che sarebbe rimasto solo suo. Quel corpo che lo faceva impazzire dal desiderio. Sempre, notte e giorno. Quel corpo che amava.

Eppure non parlava. Non voleva rovinare quel momento. Si limitava ad osservarla incantato.

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi mancò il respiro.

Lo amavo. Lo desideravo. Immensamente. Era diventato come l’aria che respiravo, non potevo farne a meno.

I suoi occhi, i dolci occhi di lui, sembravano voler chiedere scusa. Volevano essere guidati ed accarezzati. Imbrigliati in un abbraccio eterno e senza via di fuga.

 

 

 

 

 

 

 

And everytime I try to fly, I fall
Without my wings, I feel so small
I guess I need you, baby
And everytime I see you in my dreams
I see your face, you're haunting me
I guess I need you, baby

I may have made it rain
Please forgive me
My weakness caused you pain
And this song's my sorry

 

 

 

 

 

 

 

Ma poi qualcosa si fece largo nella mia mente.

Un ricordo. Il ricordo di un dolore forte, un dolore straziante e cocente. Il ricordo di una donna. Il ricordo di un abbraccio. Il ricordo di baci rubati. Ed improvvisamente una rabbia cieca si impossessò di me. Della mia mente e del mio corpo.

“Cosa ci fai qui?” domandai con tono rabbioso, allontanandomi da lui.

“Volevo vederti”

Aveva un aspetto terribilmente trascurato ed enormi occhiaie scavavano il suo sguardo.

“Ah-ah! Questa si che è bella! Davvero divertente … e per quale ragione?” replicai con un sorriso acido sulle labbra  “Anzi, sai che c’è?!? Non voglio saperlo, non voglio sapere niente. Esci fuori da qui. Subito!” ingiunsi con rabbia

Ora le labbra erano strette e tirate. Mi sentivo gelida.

“Ho bisogno di parlarti … e di spiegarti” scuoteva il capo in senso di diniego.

Lo sguardo ancorato al mio.

“Non essere ridicolo!” lo interruppi determinata  “Non abbiamo nulla da dirci. Le foto e gli articoli parlano già da soli!”

“No, tu non capisci…” cominciò lui con tono dolce avvicinandosi ancora di più a me.

Il fuoco mi divampò dentro accendendo la mia rabbia

“Io non capisco??? COME OSI? Io capisco molto bene, invece! Non voglio ascoltare nulla di quello che hai da dire. Sei un bugiardo! Tu mi hai tradito!!! Ti rendi conto? Mi hai ingannata e mi hai offesa, mi hai illusa e ferita in maniera imperdonabile! Tu dici che io non capisco mentre sei tu quello che non capisce. Ti ho donato tutto di me! Ti ho dato il mio corpo e la mia anima, ti ho donato il mio cuore aprendolo per te. E tu ci hai sputato dentro! Senza, senza … senza alcun rimorso! Come hai potuto? Come hai potuto farmi questo? Ora voglio solo che mi lasci in pace!” replicai con forza alzandomi per andare ad aprire la porta della mia stanza, in modo da farlo uscire.

Le mie spalle tremavano visibilmente, il petto si alzava e si abbassava furiosamente. Il volto era sicuramente acceso e contorto dalla rabbia. Copiose lacrime mi rigavano il viso ma con un gesto imperioso, del braccio, le cancellai.

Non vale la pena piangere per uno come lui!

“Non dire così, Soph. Ti prego… io ti amo. Ti amo come non ho mai amato nessuna. Ti desidero e voglio che tu stia con me, che tu sia mia per sempre. Ti prego”

Le sue parole erano quasi una supplica. La sua voce un soffio caldo ed avvolgente. Allungò le braccia in modo da cercare un contatto. Io però mi ritrassi immediatamente, come se mi fossi scottata.

“Non toccarmi! Non osare avvicinarti!” mi scansai risentita  “Tu non devi toccarmi mai più. Voglio che tu esca da questa stanza. Ora! Non voglio vederti mai più! Mi fai schifo! Non voglio più avere niente a che fare con te. Mai più”

“Ti prego … tu non sai quello che dici … se solo mi lasciassi spiegare”

I suoi occhi erano dolci ma anche esitanti. Non voleva arrendersi e cercava di affascinarmi.

“Te l’ho già detto. Non m’interessa nulla! Non voglio ascoltare niente di quello che hai da dire. Hai fatto una cosa inammissibile. Mi disgusti! Ed ora esci!”

Il mio viso era sicuramente rosso e gonfio dal pianto. I capelli legati malamente con un elastico. I piedi scalzi ed indosso solo una canottiera nera e degli short dello stesso colore. Il seno continuava a gonfiarsi e sgonfiarsi ritmicamente. Avevo il fiatone come se avessi corso per decine e decine di metri.

Ero stanca, stravolta.

Ero arrabbiata e il mio sguardo era infiammato dall’ira.

Eppure nonostante tutto non potevo fare a meno di guardarlo. Di guardare i suoi occhi, di guardare il suo corpo. Nonostante tutto lui era ancora la cosa più bella che avessi mai visto. L’uomo più bello che avessi mai avuto.

Ero stata sua. Gli avevo donato tutto l’amore umanamente possibile e lui aveva gettato tutto!

“Soph, non ho intenzione di andare via. Voglio parlare con te. Ti prego … voglio spiegarti” avvicinandosi lentamente

“Stai zitto. Zitto ho detto! Esci e non tornare mai più!” e così dicendo mi tappai le orecchie e, allontanandomi, barcollai come ubriaca fino a raggiungere l’angolo più buio della camera.

“Tesoro, ti prego”

La sua voce era quasi un sussurro. Il suo sguardo era addolorato, i suoi occhi quasi colmi di lacrime. Si avvicinò con lentezza fino a sfiorarmi la spalla.

“Amore ti supplico…”

“Non toccarmi!”

Lui fece un passo indietro, poi un altro ancora, come respinto e andò a sedersi sul letto. Si passò le mani sul volto. Sembrava esausto.

Il mio cuore era a pezzi. Letteralmente a pezzi. Ci eravamo amati così tanto e così intensamente ed ora ci saremmo feriti fino a sanguinare. Entrambi. L’ uno contro l’altro.

“Allora, raccontami un po’… com’è lei? Ti piace? Che progetti avete? La ami?” dissi “Allora ti è piaciuto? E’ stato bello scopartela? Su avanti, raccontami un po’… ”

Stavo diventando volgare ma non m’importava. Ero inondata dalla rabbia e la mia voce suonava velenosa.

“Quindi è questo che vuoi sapere? Se è stata brava?” rispose alzando il volto e incrociando i miei occhi “Sei sicura? Sicura di volerlo sapere, di voler conoscere i dettagli Soph? ” aggiunse alzandosi e avvicinandosi a me con fare minaccioso. La sua voce tesa e chiara.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le avevo mentito… non ricordavo un accidenti di niente di quella notte e se anche me lo avesse chiesto non avrei saputo dirle nulla.

Ero stanco. Ma non come dopo una corsa di molti e molti kilometri. Ero stanco mentalmente.

La volevo ancora. Volevo che rientrasse nel mio mondo anche perché per me, il me sobrio, non ne era mai uscita. La volevo al mio fianco.

Volevo la sua risata dolce e cristallina. Volevo il suo sguardo addosso.

Volevo i suoi occhi gonfi d’amore per me. Solo e soltanto per me.

Volevo la sua fresca intelligenza, la sua mente aperta e vivace.

Volevo il suo corpo, quel corpo così caldo e arrendevole.

L’avevo tradita. L’avevo ferita e disgustosamente messa in ridicolo.

Avevo sbagliato. Uno stupido, tremendo sbaglio. Di cui mi ero pentito subito dopo perché non ne era valsa assolutamente la pena, poco ma sicuro!

Sono un idiota, uno stronzo! Un lurido bastardo. Un bastardo della peggior specie! 

Volevo rimediare e avrei fatto di tutto. Mi sarei prostrato in mille modi, l’avrei servita e lusingata. L’avrei amata ed onorata, rispettata e protetta.

 

 

 

 

 

“Oh, mio Dio! Esci di qui, vattene!” dissi piegando il capo  ”Vattene via e non tornare più”

Ero rannicchiata su me stessa, con le gambe al petto, le braccia sulle ginocchia e la testa appoggiata alle braccia. La testa mi pulsava, mi faceva un male tremendo. Avevo la bocca arida e le labbra bagnate dalle lacrime cadute.

 

 

 

 

 

 

 

 

At night I pray
That soon your face will fade away

And everytime I try to fly, I fall
Without my wings, I feel so small
I guess I need you, baby
And everytime I see you in my dreams
I see your face, you're haunting me
I guess I need you, baby

 

 

 

 

 

 

 

“Sophie, guardami“  fece lui con voce bassa

Lei non rispose né alzò gli occhi.

Era così piccola rispetto a lui, sembrava quasi una bambina.

Lui si avvicinò ancora e abbassandosi la sollevò da terra afferrandola per le braccia e tenendola stretta per la vita.

“Amore guardami … per favore” la supplicò ancora  “Lo so che sei arrabbiata, delusa e offesa. Ma voglio spiegarti, ti prego”

In quel momento dei passi risuonarono per le scale e dopo qualche secondo la porta si aprì e John entrò.

Sophie era tra le braccia di Gerard scossa dai singhiozzi. La testa reclinata mollemente di lato, come a volerlo scansare.

John si fermò subito, alquanto scombussolato. E quando i due si voltarono verso di lui, Sophie tirò un sospiro di sollievo. Liberandosi dalle forti braccia del suo uomo, che amava ancora più di se stessa, corse a fiondarsi in quelle sicure di suo fratello John.

“Ma che diavolo sta succedendo qui?” domandò dopo aver abbracciato la sorella

“Ti prego John, mandalo via. Non voglio più vederlo. Fai uscire Gerard da casa nostra” anche pronunciare il suo nome era doloroso.

Era distrutta, a livello fisico ed emotivo. Non poteva sopportare altro.

“John, io e tua sorella abbiamo bisogno di chiarire delle cose. Potresti lasciarci soli, per cortesia?” chiese Gerard avvicinandosi a John e cercando di prendere Sophie dalle braccia del fratello.

Ma lui la strinse ancora di più a sé e nonostante Gerard fosse più grosso di lui e almeno cinque centimetri più alto, allontanò Sophie e con voce chiara e decisa disse  “Gerard, sarebbe meglio te ne andassi“ il tono piatto e incolore

“Ascolta John, ho davvero bisogno di parlare con Soph. Non intendo…”

“Esci da casa nostra. Subito!” replicò John interrompendolo

Lei si voltò un solo momento a guardarlo e quello che disse gelò il sangue a entrambi.

“Tu non sei l’uomo che amo! Il mio Gerard non è così … lui … non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Non mi avrebbe fatto soffrire così. Lui mi amava … tu non sei lui! Ed ora esci di qui perché la tua sola vista mi disgusta!”

Non lo guardò più.

Gerard fissò prima John e poi abbassando lo sguardo cercò gli occhi della sorella. Di quella ragazza, anzi di quella donna, che amava da morire.  

“Pensa pure quello che vuoi. Offendimi e feriscimi come meglio credi ma scordati che io ti lasci andare. Non permetterò a nessuno di farti uscire dalla mia vita. Mai. Ti amo troppo per farlo!”

Gli occhi di lei non si alzarono dal pavimento finché la porta non si chiuse alle spalle di Gerard.

Solo allora si afflosciò, piangendo, tra le braccia del fratello. Lui senza chiedere spiegazioni di alcun tipo aiutò la sorella a sdraiarsi a letto e con dolcezza la coprì con un plaid.

Silenziosamente uscì e chiuse la porta, lasciandola sola.

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Capitolo 39
*** XXXVI Capitolo ***


Cap. 36

XXXVI Capitolo

 

 

 

 

Remember those walls I built
Well, baby they’re tumbling down
And they didn’t even make up a sound
… I got my angel now
Every rule I had you breakin’

Everywhere I’m looking now
I’m surrounded by your embrace
Baby I can see your halo
You know you’re my saving grace

You’re everything I need and more
It’s written all over your face
Baby I can feel your halo
Pray it won’t fade away

I can feel your halo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Secondi….

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Minuti…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giorni…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Settimane…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Un Mese…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Due mesi…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tre mesi…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quattro mesi…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cinque mesi…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Affrontavo ogni minuto, ogni ora, ogni giorno, ogni maledettissima settimana in un inferno … nella continua e folle speranza di poterla riavere ancora nella mia vita. Nonostante i tentativi che avevo fatto per riavvicinarmi a lei, tutto era stato inutile. Ogni volta che chiamavo il cellulare risultava spento, mentre a casa parlavo alternativamente con John o con Lisa senza riuscire mai a sentire la sua voce. Avevo provato non so quante volte ad andare a trovarla a casa ma si era fatta negare.

La mia disperazione e la mia colpa salivano raggiungendo picchi impensabili … e giorno dopo giorno annegavo in un mare di dolore. Un dolore di cui ero il solo artefice e che avevo inflitto non solo a me stesso ma anche a lei.

Avevo spiegato brevemente l’intera faccenda prima a John e poi a Lisa ma non era cambiato nulla. John era arrabbiatissimo, a ragione, mentre un po’ di compassione mi veniva offerta da Lisa che, seppur distrutta dall’infelicità della figlia, usava sempre parole gentili.

Non c’era da stupirsi che reagissero così, visto che il carico da cento lo avevano lanciato stampa e media pubblicando su ogni dannatissimo blog, tabloid o programma televisivo l’intera faccenda. Sul mio sito decine, anzi centinaia di fan avevano lasciato messaggi negativi di tutti i tipi. La maggior parte delusi dal mio comportamento.

Ero disgustato da me stesso.

Ma cosa cazzo mi era saltato in mente? Dio, che bastardo!

E dopo tutto quello che avevo combinato mi aspettavo pure che lei tornasse da me e mi perdonasse? No, lo sapevo bene.

Ma era quello che sognavo e che desideravo in ogni singolo momento della giornata!

Mi passai una mano sul viso stanco. Sentivo la barba pizzicarmi e solleticarmi le dita. Non mi radevo da non so quanti giorni. Mi ero preso una pausa dal lavoro.

Anche perché lavorare in queste condizioni non è proprio possibile!

Erano passati quasi sei mesi da quel maledetto giorno. Dal giorno in cui lei mi aveva cacciato da casa sua, da quando mi aveva allontanato da tutto ciò che la riguardava.

Il dolore quasi m’impediva di respirare, straziava il mio cuore e annullava tutto il resto. Non riuscivo a fare altro se non sopravvivere giorno dopo giorno. Vivevo in un limbo senza fine.

Il trillo acuto ed improvviso del cellulare mi riportò alla realtà. Mi fiondai sul comodino con un’unica speranza nel cuore. Speravo fosse lei perché avevo un assoluto bisogno di sentire la sua voce.

Mi illudevo.

Era Susy che, ogni giorno, chiamava per sapere come stavo.

“Susy” la voce solo un flebile sussurro

“Gerard”

Iniziavamo sempre così, solo i nostri nomi e poi qualche minuto in silenzio.

Questa volta, però, la voce di Susy era diversa. Strana, quasi esitante.

“L’ho sentita … sono riuscita a parlare con lei”.

Socchiusi gli occhi per concentrarmi meglio, mi misi a sedere di scatto sul letto. Ora aveva tutta la mia attenzione.

“Davvero? Come sta? Cosa ti ha detto?”

“Non sta bene, Gerard. E’ giù di brutto. Dorme e mangia poco. Sua madre mi ha detto che hanno dovuto portarla in ospedale per la seconda volta in sei giorni”

 

 

 

 

 

 

 

Pov Susy

Mi ero affezionata molto a Sophie, eravamo diventate amiche. E questa situazione tra lei e il mio migliore amico mi logorava.

Erano così uniti e felici quando erano assieme. Innamoratissimi. Entrambi.

Ma poi lui aveva fatto la stronzata!

Da parte mia, l’avevo offeso in tutti i modi possibili, fregandomene del fatto che fosse il mio capo. Era stato un insensibile bastardo! Solo dopo essermi sfogata avevo capito che si era già distrutto da solo. Era scoppiato a piangere e mi aveva abbracciata stretta.

Chissà che cosa gli era passato per la mente … quella sera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“C-cosa? In ospedale? Che cazzo dici, Susy? Quando? In quale? Perchè?”

La notizia mi aveva sconvolto.

In ospedale? Perché in ospedale? E quanto era grave? Oh mio Dio!

“Si, è in ospedale. L’hanno ricoverata perché rischia il collasso. Non si alimenta abbastanza e le funzioni vitali ne risentono. E’ dimagrita e sua madre è sicurissima sia depressa. Non esce più da casa, non parla quasi più. Non si lava autonomamente e non si alza dal letto se non quando obbligata a farlo e comunque sempre sostenuta da qualcuno. Non provvede a se stessa … si è lasciata andare, Gerard! Lisa mi ha detto che qualche volta, di notte, farfuglia il tuo nome”

“Oh mio Dio, oh mio Dio … è tutta colpa mia!” copiose lacrime scendevano senza sosta dai miei occhi stanchi

La paura e lo sgomento mi attanagliavano lo stomaco.

Non ci posso credere … non è possibile … 

Avevo preso una stanza in un albergo, non lontano da casa sua. Volevo restare in Italia, vicino a Sophie, nel caso in cui lei avesse cambiato idea. E per di più non volevo tornare a casa. Naturalmente Susy si era occupata di tutto. L’hotel era di piccole dimensioni, il personale gentile e il posto silenzioso. Per ora la stampa non aveva idea di dove mi fossi rifugiato.

Devo vederla!

“In che ospedale è? Come ci arrivo?” ero in fibrillazione. Avrei fatto una doccia veloce, indossato qualcosa e sarei andato da lei.

“Gerard, non credo sia il caso…”

“Susy, in che ospedale è?“ la mia voce si alzò e il tono divenne più teso

“Davvero, non penso…”

“Cazzo, Susy! Devi ascoltarmi. Devo andare da lei. Lei … è la mia Sophie! E niente di tutto quello che dirai mi farà cambiare idea. Aiutami, per favore … io devo vederla!”

Ma perché nessuno riesce a capire? Io devo andare. Si tratta di lei... Non posso rimanere!

“Allora verrò con te!”

“Niente da fare, Susy”

“Io so dov’è. Non ci arriverai mai senza di me!” era decisa ad accompagnarmi

Imprecai mentalmente ma poi mi rassegnai

“E va bene. Ma sbrigati. Dove ci vediamo?”

“Passo a prenderti io. Fatti trovare nella hall tra venti minuti” e riattaccò.

Venti minuti. Il tempo per una doccia e per cambiarmi. Sarei stato puntuale.

 

 

 

 

 

 

 

Susy, mi attendeva nella hall. Indossava t-short, jeans e scarpe sportive. Ero vestito alla stessa maniera anche se, in più, avevo un cappellino con visiera. Uscimmo di gran carriera dall’albergo e ci infilammo subito in auto. Sfrecciava tra quelle strette stradine come una pazza, ma questo non era proprio il momento di farglielo notare.

“Hai un aspetto orribile!” con questa frase voleva solo rompere il ghiaccio

La guardai pensosamente prima di rispondere “Grazie tante!”

Ero dimagrito e lo sapevo. Sempre triste e stanco; dormivo poco e male.

Avevo capito le sue intenzioni, era in pensiero per me. Ma lo era ancora di più per Soph. Mi sentivo perso, devastato. Mi sentivo così colpevole!

E’ colpa mia. Solo colpa mia!

La macchina inchiodò all’improvviso e per poco non rimasi incastrato con la testa nel cruscotto.

“Merda, Susy! Stai più attenta. Dove hai imparato a guidare?”

“Siamo arrivati” fece tesa

Il mio sguardo si affilò e mi concentrai sull’edificio che ci stava di fronte. Ero nervoso ma anche determinato. Nessuno mi avrebbe tenuto lontano. Volevo vederla e per Dio ci sarei riuscito!

 

 

 

La struttura era piccola, l’odore di disinfettante forte soffocava tutti gli altri odori, impregnandone l’aria.

Susy si avvicinò al bancone per chiedere informazioni. Al centralino sedeva una vecchina dal viso gentile. Controllò sul computer “Camera 53” annunciò con voce gracchiante.

Seguendo i numeri delle stanze, guardavamo a destra e a sinistra sulle targhette di ogni singola stanza. Finché la voce della mia assistente non mi bloccò

“Eccola” sussurrò

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Capitolo 40
*** Epilogo ***


Epilogo

 

XXXVII Capitolo

 

 

“Ok” respirai a fondo, la guardai esitante e lei per rassicurarmi bisbigliò  “Io aspetto qui fuori”.

Mi tolsi il cappello, mi passai una mano tra i capelli per spettinarli. Respirai di nuovo ed abbassai lentamente la maniglia per aprire la porta.

All’interno la luce filtrava dalle grosse tende che coprivano tre grandi finestre. La stanza era occupata, quasi interamente, da quattro letti su cui erano sdraiati altrettante persone.

La cercai con gli occhi.

Vidi Lisa, seduta su una sedia accanto ad un letto, in fondo alla stanza. Avanzai con esitazione, cercando di fare meno rumore possibile finché finalmente non alzò il volto verso il mio.

Il suo sguardo fu attraversato dapprima dallo stupore, poi dalla curiosità infine dalla consapevolezza. Si alzò, lasciando cadere la mano della figlia che teneva tra le sue. Mi venne incontro, mi si parò davanti come a volermi impedirmi di vederla.

Ero decisissimo a non sentire ragioni. Niente mi avrebbe fermato. Così mi preparai a controbattere ad ogni sua opposizione. Un sorriso però si fece largo lentamente, molto lentamente, sul suo viso. E la cosa mi stupì

“Sono contenta di vederti” e con queste parole mi abbracciò forte.

Ero stupito ma dopo pochi secondi ricambiai con forza

“Mi dispiace” era l’unica cosa che mi sentivo in grado di dirle.

“Lo so”

Mi guardò negli occhi per qualche secondo poi mi prese per un braccio e con dolcezza mi accompagnò fino al suo letto.

“Le farà piacere sapere che sei qui. Ora sta dormendo ma tra non molto si dovrebbe svegliare” annuì senza capire bene le sue parole.

Non staccavo gli occhi dalla ragazza stesa sul quel letto. Non sembrava nemmeno più lei.

Era irriconoscibile. Dimagrita, pallidissima e così debole quasi potesse scivolare via nel vento da un momento all’altro.

“Io esco per qualche minuto” con passi leggeri arrivò alla porta, l’aprì e la richiuse subito dopo.

 

 

 

 

 

Hit me like a ray of sun
Burning through my darkest night
You’re the only one that I want
Think I’m addicted to your light

I swore I’d never fall again
But this don’t even feel like falling
Gravity can’t forget
To pull me back to the ground again

I can see your halo

 

 

 

 

 

 

Mi avvicinai al letto. Volevo vederla meglio, volevo toccarla. Assicurarmi che stesse bene. Una flebo era attaccata al suo braccio, un altro macchinario le rilevava le funzioni vitali.

Era triste. Una scena terribilmente triste.

Il suo respiro era quasi un soffio inudibile. Sembrava soffrisse quando espirava. Il petto si alzava e riabbassava impercettibilmente sotto la leggera camiciola. Il volto era emaciato e spento mentre i capelli erano lucidi ed incollati alla fronte. Con delicatezza glieli tolsi dal viso e sedendomi sulla piccola sedia, occupata prima da Lisa, continuai ad osservarla. Gli occhi erano chiusi, le labbra secche.

Mi accorsi che avevo iniziato ad accarezzarle il viso. Lo avevo fatto inconsapevolmente ed ora non riuscivo né volevo smettere.

 

Oh mio Dio. Amore mio, cosa ti ho fatto? Come abbiamo potuto ridurci così?

E’ colpa mia. Tutta colpa mia.

Non voglio lasciarti. Mai più. Ti amo troppo per riuscire a farlo di nuovo. Soffro così tanto… non posso stare senza di te, lontano da te.

Amore mio, ti prego guarisci presto.

Rimettiti e ti giuro che farò qualsiasi cosa per farmi perdonare. Ti prego. Ti prego non mi lasciare…

 

 

 

 

 

 

 

 

La vista mi si annebbiò improvvisamente.

Stavo piangendo e le mie lacrime si rovesciavano lungo il mio viso fino a bagnare quello di Sophie. Non mi ero accorto di esserle così vicino. Chiusi gli occhi perché volevo far cessare quelle lacrime quando qualcosa mi toccò la mano.

Sophie si era svegliata e lentamente si stava svegliando. Mi affrettai ad asciugarmi le lacrime e a posare il mio sguardo nel suo cercando di sorriderle. Sembrava confusa e decisamente affaticata.

Aspettai che dicesse qualcosa. Lei però alzò la testa verso di me, passò in rassegna il mio viso, volse lentamente lo sguardo attorno per poi riportarlo su di me. Non disse nulla ed io le accarezzai dolcemente la fronte.

Ancora silenzio.

Sospirò e chiuse piano gli occhi. Espirò di nuovo e di nuovo li aprì per posarli su di me. Continuai ad accarezzarla scendendo a toccare prima le sopracciglia, poi le palpebre ed infine il naso. Mi soffermai sulle guance. Gli zigomi erano più sporgenti di come li ricordavo. Arrivai alle labbra e lì mi fermai.

Lei non aveva smesso di fissarmi. Il suo sguardo era attento, quasi concentrato ad assaporare ogni minima carezza. Le passai con tenerezza il pollice sulle labbra percorrendone il contorno. Erano asciutte e secche ma ancora rossissime e carnose.

Un lento sospirò proruppe dalla sua gola e inconsapevolmente questo la spinse a dischiudere le labbra. Non resistetti oltre e spinto da un istinto ancestrale, un cieco bisogno, mi avvicinai e la baciai.

Un bacio casto e dolce.

Le sfiorai le guance con entrambe le mani. Attirai il suo viso verso il mio e concentrai in quel bacio tutto l’amore che provavo.

Chiusi gli occhi godendo del suo respiro. Lei non si ritrasse ma neppure rispose. Interruppi il bacio perché volevo vedere la sua espressione, i suoi occhi.

Li trovai chiusi come a godere della sensazione del bacio. La mia mano scese con lenta determinazione ad accarezzarle la mascella e il collo. Teneva ancora gli occhi chiusi e le labbra dischiuse. Alzò il braccio magrissimo e lentamente posò la sua mano sulla mia guancia. Guidato dall’istinto e da una spasmodica urgenza di contatto, appoggiai la guancia alla mano che lei muoveva dolcemente sul mio viso.

Nessuno dei due parlava. Avevamo bisogno del solo contatto fisico. Questo bastava ad entrambi.

Percorse con esasperante lentezza tutto il mio viso. Dalla fronte passò alle palpebre, poi gli zigomi e il naso. Infine scese sul mento per poi risalire a toccare le labbra. Mi resi conto che anche le mie erano secche e d’istinto vi passai sopra la lingua con la quale sfiorò le dita di Sophie.

Subito il mio sguardo si incupì, non volevo spaventarla perciò la ritrassi subito. Lei aveva chiuso nuovamente gli occhi e dopo averli riaperti fece un profondo respiro.

Le baciai le dita con esasperante lentezza finché non intravidi la prima goccia di desiderio. Le sue dita si soffermarono ancora a lambire il contorno delle mie labbra finché, spinta forse dal desiderio, introdusse l’indice dentro la mia bocca.

Ancora scioccato, confuso e insieme affascinato colsi al volo l’invito. Cominciai a baciarlo e a leccarlo, finché al colmo del desiderio cominciai a succhiarlo avidamente. Lei chiuse subito gli occhi e così feci anche io.

Assaporammo entrambi quel momento. Un dolce momento con solo il silenzio a fare da sottofondo.

Quando riaprì gli occhi, potei notare che mi fissava con sguardo mite. Allontanò il dito dalla mia bocca lentamente, ma io le bloccai la mano e la portai ancora al mio viso.

Era venuto il momento di parlare. Lo sapevo, ma la cosa mi spaventava ugualmente.

 

 

 

 

Everywhere I’m looking now
I’m surrounded by your embrace
Baby I can see your halo
You know you’re my saving grace

You’re everything I need and more
It’s written all over your face
Baby I can feel your halo
Pray it won’t fade away

I can see your halo halo halo

 

 

 

 

 

“Ti amo, Sophie” sussurrai accarezzandole dolcemente il volto

Lei a quelle parole chiuse gli occhi ed un lungo brivido scese a gelarmi la schiena.

“Soph?” la mia voce risultò più bassa di un sussurro tanto che pensai non mi avesse sentito

Aprì gli occhi e una lacrima le si rovesciò dagli occhi

“Ti amo anche io Gerard. Più di quanto tu possa immaginare” 

Le sue parole erano esitanti ed intervallate da lenti respiri. Soffici lacrime cominciarono poi a bagnarle il volto.

“Non ho mai smesso di farlo. Mi crogiolavo nel pensiero di poterti lasciare, di poterti dimenticare ma il mio cuore, la mia anima persino il mio corpo anelava a te. Non ho mai smesso di amarti e non credo di poterlo fare”

“Oh, amore mio. Ti prego perdonami. Ti amo così tanto. Sono stato un vero idiota, un gran bastardo. Non volevo, mi dispiace … non era mia intenzione.

Dio, ancora oggi di quella notte non ricordo un accidenti. Non ricordo niente di quella donna. Sono stato un lurido bastardo e lo so. Perdonami, ti prego. So che ti chiedo molto ma ti scongiuro … fallo. Non posso vivere senza di te! Questi mesi senza di te sono stati un inferno. Ti prego perdonami. Ti amo, ti amo più della mia stessa vita. Ti amo da morire, Soph!” mi alzai e la strinsi forte a me.

La strinsi a me, ancora di più finché un gemito di dolore le sfuggì.

“Scusami, amore mio“ veloce mi allontanai da lei. L’avevo stretta troppo e le avevo fatto male.

Sophie però sorrideva. Un sorriso dolce e mite. E il mio cuore andò in fibrillazione.

“Soph, ora voglio solo che tu guarisca e sia felice. Ti prometto che farò l’impossibile perché questo accada. Te lo giuro. Ti amo tanto, Sophie”

Amavo quel sorriso e vederlo dopo così tanto tempo e per di più rivolto a me mi scombussolò non poco.

 

 

 

 

I got a pocket, got a pocketful of sunshine.
I got a love, and I know that it’s all mine.
Take me away: A secret place.
A sweet escape: Take me away.

Take me away to better days.
Take me away: A higher place.

I got a pocket, got a pocketful of sunshine.
I got a love, and I know that it’s all mine.
There’s a place that I go,
But nobody knows.
Where the rivers flow,
And I call it home.

And there’s no more lies.
In the darkness, there’s light.
And nobody cries.
There’s only butterflies.

The sun is on my side.
Take me for a ride.
I smile up to the sky.
I know I’ll be all right.

The sun is on my side.
Take me for a ride.
I smile up to the sky.
I know I’ll be all right.



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ero felice.

Avevo finalmente trovato e riavuto il mio angelo. La persona per la quale mi sarei sacrificato fino a morire. La ragazza che mi riempiva il cuore e che mi completava. La donna senza la quale non potevo vivere, senza la quale sarei rimasto solo.

 

Lei, la mia Sophie … dolce e delicata come una goccia di miele.

 

 

Angolino:

Ebbene si, siamo arrivati alla fine di questa storia. Che dire… sono triste perché salutare Sophie e Gerard per sempre è un po’ come dire addio a due vecchi amici d’infanzia. Sarà dura non scrivere più di loro, della loro storia. Sarà dura non poter sbirciare nella loro quotidianità, assistendo magari a qualche loro litigata o a qualche momento di tenerezze. Eppure è proprio così… Sigh, sigh, sigh!

Ma non disperiamo, nulla è ancora perduto. Rincontreremo i nostri “eroi”, per l’ultimissima volta, tra poco. Ho infatti scritto un paio di shot con loro protagonisti e le pubblicherò a breve. Sono piccoli scorci della loro vita futura e spero tanto che possano piacervi.

A presto allora!

Baci baci

Iry

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