Tre uomini

di Ramiza
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'investitura di Lancillotto ***
Capitolo 2: *** La magia di Merlino ***
Capitolo 3: *** La corona di Artù ***



Capitolo 1
*** L'investitura di Lancillotto ***


L'investitura di Lancillotto

 

Non è che non capisse di aver realizzato un sogno,

né che improvvisamente, quel sogno, avesse perduto la sua importanza.

Non era questo, no. Una vita passata ad aspettarlo,

a immaginare quella spada sfiorargli il volto e le spalle

e quella voce pronunciare una parola: cavaliere.

Soltanto, adesso sapeva.

Aveva impiegato anni, e dolori, e morti, ma adesso sapeva.

Gli era occorsa una vita, quella che ora si lasciava dietro alle spalle,

ma quel dubbio lieve che portava prima insinuato nella mente,

e che guardava talvolta con ironico distacco, come un insolente peccato di superbia,

era divenuto quel giorno la certezza di cui non si sarebbe più liberato.

Non erano state quelle mani, né quella spada o quella voce a fare di lui un cavaliere,

che le sue mani, lo sapeva, erano più forti di quelle del Re,

e il suo braccio più saldo,

e la sua spada, come dire, non aveva importanza quale spada portasse,

non gli occorreva Excalibur,

il suo braccio e la sua mano facevano la sua spada

e lui era era – ed era sempre stato – il miglior cavaliere del mondo.

Camelot, forse, non sarebbe esistita senza Artù,

ma che cos'era Camelot, in fondo?

Per questo aveva lottato e sofferto, per questo giovane sovrano che si credeva onnipotente?

Per questa parola pronunciata dalle sue labbra, come un dono divino?

Per la concessione di un ragazzo baciato dal Fato, che non sapeva vedere al di là del proprio naso,

che conosceva solo la propria grandezza,

che amava il proprio destino, e s'illudeva d'essere lui a costruirlo.

Così guardò Ginevra, e seppe che un giorno – non importa quando – avrebbe tradito.



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Capitolo 2
*** La magia di Merlino ***


La magia di Merlino

 

Non è che non capisse che loro erano due facce di una stessa medaglia,

o che non lo amasse – e dal profondo del suo cuore.

Né avrebbe potuto dire di non essere orgoglioso di lui, e di ciò che aveva fatto.

Solo, talvolta, gli balenava nella testa quel pensiero,

sfuggente, tagliente, affilato,

il pensiero della sua magia e di una vita passata a servirlo.

Allora, tra i ricordi felici che divideva con lui,

si affacciavano le ore passate a lucidare la sua armatura,

e la gogna,

e le punizioni,

e sempre, sempre quel rispetto che lui pretendeva.

Così, improvvisamente, gli sembrava di capire chi fosse

e riascoltava le parole di Taliesin - Emrys, Emrys -

e si chiedeva come potesse sopportare una vita da servo.

Perché – ripeteva – gli uomini dovrebbero essere tutti uguali,

ma se così non fosse, la sua magia non lo innalzava forse nei cieli,

al di sopra degli altri,

di Camelot,

di Uther,

e persino di Artù?

Allora il futuro si era schiuso davanti ai suoi occhi

e aveva veduto ogni cosa.

Se stesso, molto più vecchio, e il tradimento di Ginevra

                - e non poteva dire di capirla, in fondo? -

e la voce di Artù che lo chiama con disperazione,

mentre lui, lui, che buffo futuro era quello,

non propriamente felice, a dirla tutta,

ma come non gustare quel momento,

Artù inginocchiato ai suoi piedi

a implorare il suo perdono e la sua saggezza?

 

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Capitolo 3
*** La corona di Artù ***


La corona di Artù

 

Non è che non capisse i loro pensieri, né poteva davvero dire

che non avessero ragione.

Tutt'altro. Li guardava, il suo miglior cavaliere e quel servo così strano,

persone che il suo cuore aveva sempre chiamato “amici”,

ma per cui la sua mano e la sua bocca avevano fatto – sempre -

troppo poco.

Soltanto, li guardava in quel momento

e provava invidia per la complicità che gli leggeva sul volto,

per quella strana sensazione che condividessero un segreto

che a lui era precluso.

Soltanto, non portava poi tutte le colpe

sulle sue giovani giovani spalle

se non aveva chiesto lui quella corona e quella vita,

se Uther era suo padre e se una parte di lui lo amava e desiderava compiacerlo

- cosa c'era di sbagliato in fondo, nel volergli vedere orgoglio nello sguardo? -,

né avrebbero potuto rimproverargli di non aver fatto sforzi per cambiare.

Così una rabbia sottile gli cresceva dentro, un sentimento cattivo che non s'addice ad un re,

e capiva, capiva,

che qualunque fosse quel segreto – e se davvero esisteva -

era solo lì che giaceva,

nella distanza che sempre li avrebbe divisi,

nel motivo per cui loro potevano darsi pacche sulle spalle

e non portavano corone sul capo.

Lì, in alto, dove il destino e nient'altro lo avevano posto

- che sapeva bene non esserci nessun merito personale in questo, cosa credevano? -

lì in alto sarebbe sempre stato da solo,

e non capivano, nessuno dei due, che questa era la sua condanna,

che già questo bastava a punirlo

per tutta la sua arroganza e quella superbia da contratto.

E avrebbe pagato, pagato tutto l'oro di Camelot,

per potersi inginocchiare davanti a loro

e distruggere finalmente quella distanza.



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