Ritratto di signora

di Keiko
(/viewuser.php?uid=3742)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non chiamatemi Ninfadora! ***
Capitolo 2: *** La scelta della regina nera ***
Capitolo 3: *** Il principe e la principessa ***
Capitolo 4: *** Il fascino del serpente ***
Capitolo 5: *** Oro, arsenico e mercurio ***
Capitolo 6: *** La ninfa distratta ***



Capitolo 1
*** Non chiamatemi Ninfadora! ***


A Sweet Revenge © 2011 (23/11/2006 - 17/01/2007)
Disclaimer. Tutti i personaggi di Harry Potter appartengono a J. K. Rowling, agli editori inglesi e ai distributori internazionali che detengono i diritti sull'opera. Questa storia è stata redatta per mero diletto personale e per quello di chi vorrà leggerla, ma non ha alcun fine lucrativo, né tenta di stravolgere in alcun modo il profilo dei caratteri noti. Nessun copyright si ritiene leso.


Ninfadora Tonks aveva dieci anni quando Sirius, l’altra mosca bianca della famiglia Black, le aveva presentato Remus Lupin, James Potter e Peter Minus. Per lei si avvicinava il momento di entrare a far parte del Mondo Magico a tutti gli effetti con l’imminente ingresso ad Hogwarts che avrebbe coronato l’estate dei suoi undici anni e al contempo avrebbe sancito la conclusione dell’epoca dei Malandrini che lasciava il posto ad una ben più terribile piaga purulenta: l’avanzata delle schiere di Lord Voldemort.
Ninfadora, quando ancora era una bambina, aveva assistito di nascosto alle furenti discussioni che si erano tenute a tarda ora nella grande ed accogliente tenuta in cui vivevano, in quelle sporadiche sere in cui Bellatrix e Rodolphus si aprivano uno spiraglio nella vita di Andromeda cercando per un’ultima volta la sua redenzione o informazioni utili alla loro causa, alzando spesso la voce verso sua madre trasformando successivamente quelle sfuriate in anni di silenzio che avevano decretato la fine di un legame sancito esclusivamente dal sangue e non più da quell’amore fraterno che aveva inevitabilmente diviso sua madre e Bellatrix.
Andromeda non aveva ereditato la bellezza selvaggia di Bella né quella aristocratica di Narcissa, bensì quella grazia interiore che l’aveva portata ad essere una madre premurosa e al contempo la moglie di un mago nato da babbani spezzando così l’idillio della purezza del sangue nella progenie dei Black, un affronto troppo grave per Bellatrix Lanstrange, purosangue e Mangiamorte.
A ciò si aggiungeva l’infamia di Sirius che aveva vissuto i suoi sette anni ad Hogwarts nella stupida casa di Grifondoro, interrompendo così una fiorente dinastia legata alla Casa di Salazar sin dalla sua fondazione eppure per Ninfadora, che passava le sue giornate tra noiose lezioni di pianoforte e incantesimi che l’erede di una nobile famiglia avrebbe dovuto conoscere alla perfezione all’interno del maniero di una nobiltà in disgrazia che ospitava solo adulti, le visite di Sirius erano una valvola di sfogo alla sua vitale personalità.
Composta e rispettosa durante i pasti con i genitori, aveva ben presto imparato a condurre una duplice vita, accentuando quelli che sua madre chiamava bonariamente “capricci adolescenziali” e che suo padre appellava, molto più accortamente di Andromeda, come “ribellioni alla famiglia e alle tradizioni dei Black sulla scia dei racconti delle prodezze di Sirius”.
Lei che all’età di undici anni aveva scoperto di essere una metamorfomagus e si era guadagnata un posto di tutto rispetto nel dormitorio di Grifondoro per le sue indiscutibili imitazioni di Vitious e Nick-quasi-senza-testa dei quali assumeva le sembianze costringendosi in buffi siparietti comici, andava fiera del ramo cancellato della famiglia Black al quale apparteneva.
Aveva ereditato la spavalderia di Sirius e anche una buona dose della sua incoscienza. Di certo, Ninfadora era però una ragazza e di conseguenza tendente al coraggio martirizzato se non fosse stata così terribilmente distratta da dimenticare qualsiasi cosa e di conseguenza assumere quell’aria trasognata e buffa che l’avrebbe contraddistinta anche in futuro che non intimoriva ma strappava un sorriso a chi aveva di fronte.
Era una delle giornate più fredde degli ultimi anni nonostante fosse solo Samhain e a Hogwarts vi era un frenetico via vai concitato di estranei accompagnato pure da una fitta corrispondenza via gufo che riguardava le alte sfere della scuola.
Il mattino seguente la Gazzetta del Profeta recava la fotografia di Sirius in prima pagina, con allegata la dettagliata cronaca della sanguinosa strage di dodici babbani in cui aveva trovato la morte il mago Peter Minus, amico di Black. Le mani di Ninfadora avevano iniziato a tremare mentre i suoi occhi si velavano di quelle lacrime che non aveva mai versato pubblicamente osservando atterrita il foglio di pergamena solcato da caratteri gotici.
In un solo istante la festa di Samhain della sera precedente con la Sala Grande adorna di lanterne che emanavano luce calda e rassicurante, il ballo tra le braccia di Bill Weasley e sentirsi confusa con il tipico cipiglio di quando si avverte il primo batticuore e si crede che sia panico invece è amore, sembravano appartenere ad una realtà non sua, troppo distante dalla sua vera esistenza che ora le si dipanava dinnanzi in tutta la sua crudeltà.
Se c’era una cosa di cui non aveva mai dubitato era la certezza che Sirius non potesse mai aver commesso un attentato di quella portata né tanto meno fosse in grado di uccidere Peter Minus, uno dei suoi migliori amici per di più, e chi sarebbe stato in grado di un gesto simile, poi?
Si era sollevata dalla sedia che occupava al tavolo di Grifondoro con un impeto di rabbia, stringendo tra le mani la propria copia della Gazzetta del Profeta correndo a perdifiato all’esterno dell’edificio sotto gli sguardi attoniti dei presenti e quello più premuroso ed attento di Bill a cui non era sfuggito l’impercettibile tremolio del labbro inferiore stretto tra i denti per non cedere all’impulso delle lacrime, sino ad un albero che anni prima aveva accolto le confidenze di sua madre e delle sue zie e che in un futuro non troppo lontano, avrebbe accolto quelle del trio più famoso di Hogwarts.
Aveva scorto più e più volte le lettere stampate sulla pergamena e la foto di Sirius che riportava il suo numero di detenuto di Azkaban. Sirius non l’avrebbe mai fatto e non poteva averlo fatto. Era diventato un animago, era riuscito a strapparle sorrisi quando nella sua vita tutto pareva una farsa a cui dover prendere parte, gli aveva fatto capire che poteva fare ciò che desiderava e volare via dal nido d’oro che le avevano costruito attorno, come aveva fatto lui. Sirius la stimava e lei si rendeva conto che quel sentimento che la univa al cugino di sua madre era un qualcosa che somigliava molto all’adorazione adolescenziale per un mito irraggiungibile e vederlo su quelle pagine aveva incrinato ogni più elementare certezza della sua vita.
Saperlo in quel luogo di disperazione con l’assoluta convinzione che fosse innocente era quanto di più terribile potesse provare in quel momento.
“Ninfadora…Sirius è….”
“E’ innocente! E voi che siete stati i suoi insegnati dovreste conoscerlo. Non avrebbe mai fatto una cosa simile! Era un Grifondoro, adorava Potter e Lupin…non avrebbe mai ucciso!”
La ragazza stava gridando davanti ad una rammaricata McGrannit incapace di discolparsi come di discolpare, accusando i colpi che quelle parole producevano. Ninfadora non era mai stata aggressiva o esuberante come Sirius e tuttavia quell’episodio drammatico decretò la nascita della nuova Ninfadora.
Nei mesi successivi aveva palesato di essere una metamorfomagus presentandosi con un’eccentrica acconciatura composta da fiori e foglie d’edera che la faceva somigliare ad un putto greco, non fosse stato per la coda e le orecchie da felino che facevano capolino dalla divisa scolastica.
“Ninfadora Tonks, sei immediatamente convocata nel mio ufficio!”
Minerva McGrannit aveva iniziato a inseguire la ragazzina lungo i corridoi della scuola che rapidamente si confondeva tra la folla assumendo l’aspetto di qualsiasi studente potesse passarle per la testa e aveva persino assunto le sembianze di Pix fomentando alcune risse tra Grifondoro e Serpeverde.
Lei, Ninfadora Tonks, sarebbe diventata l’erede di Sirius Black ripercorrendo le epiche gesta che furono motivo di vanto dei Malandrini inconsapevolmente imitata negli anni a venire da Harry Potter.
“Ninfadora non ci siamo…lo sai vero che non possiamo fare nulla per Sirius? Anche cercando di farlo, anche cercando di…”
“Non chiamatemi Ninfadora! Tonks! Io sono Tonks soltanto!”
Era sbottata all’improvviso davanti a Silente con una cerchia di ritratti di presidi a borbottare sommessamente quando la ragazza indicò uno di loro facendogli una boccaccia.
“E zitto tu! Se fossi realmente un antenato dei Black difenderesti Sirius, sangue del tuo sangue!”
“Quella mosca bianca difesa da me? Che ragazzina impertinente, Albus. Dovresti avere più polso con gli studenti. Ai miei tempi…”
“Mi hai già raccontato cosa accadeva ai tuoi tempi, Phineas. Tonks, Azkaban è guardata a vista dai Dissennatori. Quello che possiamo fare è avere fiducia in lui come stai facendo tu.”
“Perché è stato incolpato lui, professor Silente?”
L’uomo la fissò senza risponderle, i profondi occhi azzurri a studiare il suo viso irato.
“Sai cosa sono gli Auror, Ninfadora? Tonks, perdonami…”
Si era sporto in avanti senza staccare lo sguardo da quello della ragazza aspettando una risposta.
“Ne ho sentito parlare vagamente…cacciano i maghi oscuri no?”
“Cercano i Mangiamorte, per l’esattezza. I seguaci di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato.”
Erano i tempi in cui Silente aveva contrastato Voldemort ma anche tempi bui in cui invocare il suo nome per esteso poteva insinuare una morsa di puro terrore in chi lo udiva, come se solo sentire le secche tonalità delle lettere che lo componevano potesse materializzarlo ove era stato richiamato. La guerra contro Voldemort era ancora viva e violenta nel ricordo degli abitanti del Mondo Magico e tuttavia la nascita del Prescelto aveva dato nuova speranza ad una popolazione tormentata da una dittatura fantasma basata sui dettami della paura e della morte. Silente aveva così preferito parlare di Tom Riddle menzionandolo con quell’appellativo tanto stupido da sembrare una filastrocca babbana contro un inesistente uomo nero.
“E cosa c’entrano?”
“I più grandi amici di Sirius erano Auror…James per esempio. Persino Lily, per quanto questo possa sembrare assurdo. Ma lei aveva un cuore di fiera e mai si sarebbe sottratta da una lotta che era nata quasi inconsapevolmente tra i banchi di scuola.”
Tonks aveva visto Lupin e Potter solo in un paio di occasioni nella sua vita qualche anno prima ed aveva udito parlare ovunque di Lily Evans e James Potter, la coppia di Auror trucidata da Voldemort solo qualche mese prima e che aveva dato vita al Prescelto, “colui che avrebbe potuto salvare il Mondo Magico”, recitava La Gazzetta del Profeta in quei giorni di lutto e speranza. Per Ninfadora erano solo tante belle parole. Che un moccioso si fosse salvato dal Signore Oscuro era cosa poco probabile e poteva essere una di quelle leggende o storie che i giornali inventano per vendere più copie della propria testata.
“Cosa vuole raccontarmi, professore?”
“Vedi, hanno combattuto immolando la loro vita. Anche Sirius era come loro…d’altro canto conosci meglio di me le gesta dei Malandrini, o sbaglio? Ad ogni modo, dicevo. Quando tua madre era una studentessa qui ad Hogwarts erano gli anni in cui i Mangiamorte stavano costruendo le proprie schiere, più forti e indomiti che mai. Molti dei Serpeverde di allora, come Bellatrix e Rodolphus, abbracciarono la causa del Signore Oscuro diventando quelle che definirei le punte di diamante dei Mangiamorte. Bellatrix in particolare ha sempre manifestato un grandissimo odio ed una devozione senza pari per la causa di Tu-Sai-Chi e tuttavia non ho mai compreso il perché sia avvenuto ciò. Non Narcissa e nemmeno Andromeda…solo lei è diventata ciò che è.”
“Bellatrix ha sempre accusato mia madre di essere una patetica codarda e che da una Black che dopotutto aveva sposato un mezzosangue, non poteva aspettarsi nulla di più. Ha fatto solo sporadiche visite notturne a casa nostra ma le sue grida mi svegliavano ugualmente. Mamma una sera l’ha cacciata di casa in malo modo intimandole di attuare la sua propaganda altrove e non a casa nostra, non sotto i suoi occhi e quelli di mio padre. Ed i miei. Perché è diventata così? Ha sempre manifestato astio e dispetto nei confronti miei e di mio padre e trattava con sufficienza mia madre. Credo che a mamma sia costato molto tutto ciò. Lei ha sempre adorato le sue sorelle e mi ha raccontato spesso di quanto erano unite in gioventù, prima che Bellatrix si votasse alla causa dei Mangiamorte e zia Narcissa sposasse Malfoy.”
Silente si era sollevato in piedi voltandole le spalle ed aveva estratto dal mobile posto dietro la scrivania un calderone fumante. Ninfadora si chiese se non fosse pericoloso tenere un simile oggetto racchiuso in un semplice armadio e al contempo era incuriosita dai vapori densi ed incolori che si alzavano da esso, simili a nebbie temporali che tutto avvolgono e tutto nascondono.
“Questo è il mio Pensatoio, Tonks. Sono raccolti qui i miei ricordi e anche i ricordi di qualcun altro. Alcuni mi sono costati molta fatica altri sono semplici ricordi di poco conto. Ma sai, con l’avanzare degli anni temo sempre di dimenticare qualcosa di importante e così metto tutto qui dentro. E’ un oggetto molto utile e forse sarà utile anche quello che vedremo insieme.”
“Io…cosa…”
“Vuoi capire cosa c’è di strano nella famiglia Black, Ninfadora? Io ti risponderei nulla. Ci sono solo tante scelte fatte e strade che hanno diviso persone legate dallo stesso sangue, questo si. Di sbagliato credo non ci sia nulla ma tu potrai trarre una conclusione differente dalla mia dopo aver visto tutto quel che voglio mostrarti.”
Aveva poi estratto dal mobile un’ampolla contenente un liquido grigiastro, denso e al contempo evanescente come se all’interno vi fossero contenuti strappi di nubi, e con fare solenne aveva stappato la bottiglia inserendo all’interno del Pensatoio quei ricordi custoditi in un’ampolla uguale ad altre centinaia, tutte meticolosamente custodite all’interno di quel bizzarro archivio.
“Ora possiamo andare, sei pronta?”
Le aveva intimato di scrutare all’interno del calderone con un gesto della mano e la ragazza si sporse sino a cadervi all’interno. Una discesa che le metteva freddo come se stesse attraversando nubi cariche di pioggia, gli occhi che le lacrimavano per la velocità e lo stomaco che le sobbalzava nel petto reclamando la sua attenzione e pietà.
“Eccoci qui Ninfadora. Loro non possono vederci ma noi possiamo tranquillamente osservare questo ricordo da spettatori. Le vedi laggiù? Sono tua madre, Narcissa e Bellatrix. Avviciniamoci.”
Silente si avviò a passo spedito verso un imponente albero che costeggiava da un lato il lago di Hogwarts e dall’altro delimitava la Foresta Proibita. Sotto di esso, del tutto simili alle donne dei ritratti di Monet, sedevano le tre sorelle Black che rispecchiavano la bellezza purosangue che lei, Ninfadora Tonks fieramente appartenente al ramo cancellato della famiglia Black, non aveva affatto ereditato.


Note dell'autrice. Questa storia fu scritta nel 2006 e, come tale, ovviamente tiene in considerazione ciò che si sapeva all'epoca della pubblicazione del 4° romanzo della serie.
Partendo dal 1981, la fanfiction ripercorre a ritroso la storia delle sorelle Black, cercando di darne un ritratto psicologico evolutivo toccando salienti episodi della loro adolescenza. Come per "La notte degli inganni" ho liberamente giocato con la cronologia rowlinghiana, prendendomi diverse libertà interpretative dei "tempi morti" della serie.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La scelta della regina nera ***


Avevano sempre sfilato per Hogwarts con la spavalderia che la casta purosangue conferiva loro o meglio, era una spavalderia che assumeva particolari connotati a seconda che appartenesse a Narcissa, Andromeda o Bellatrix.
Narcissa aveva ammaliato con la sua bellezza tipicamente nordica Lucius Malfoy al loro primo incontro, dopo essere stata smistata nella casa di Salazar da un Cappello Parlante in vena di raccomandazioni ed avevano vissuto il quotidiano di Hogwarts coronandolo dell’aristocrazia raffinata che avrebbe contraddistinto la loro futura vita coniugale. Bellatrix, già donna a sedici anni, aveva deciso che in fondo per lei il vero destino era legato non ad un uomo, bensì ad una causa che doveva ancora trovare tra le mille strade che si snodavano innanzi a lei, a cui il destino non aveva negato nulla. E poi c’era Andromeda, sempre china sui libri della biblioteca ignorando che si sarebbe innamorata del figlio di due babbani sfuggendo al destino che la famiglia Black le aveva riservato divenendo l’unica signora Black realmente libera dalla sua stessa famiglia.
All’ombra di uno dei secolari alberi che separavano la Foresta Proibita dal resto di Hogwarts, le tre sorelle Black avevano preso l’abitudine di scambiare le proprie confidenze come erano solite fare nell’imponente castello di famiglia sedute su comodi divani barocchi ormai consunti.
Narcissa sedeva al lato destro di Bellatrix e Andromeda a quello sinistro con i loro tre modi di essere donna. Narcissa aveva ereditato i lunghi boccoli biondi e l’intenso azzurro degli occhi di sua madre mentre Bellatrix e Andromeda possedevano i tratti tipici dei Black, riconoscibili dai folti capelli corvini e gli occhi dello stesso cupo colore che avevano contraddistinto anche il giovane Sirius e suo fratello Regulus.
Andromeda e Bellatrix sembravano decisamente sangue dello stesso sangue e tuttavia Andromeda amava passare le proprie giornate in compagnia di Narcissa che possedeva l’amore per lo studio che aveva spinto Andromeda verso la casa di Corvonero. Bellatrix era indomita e appassionata, una donna già a diciassette anni quando Narcissa si perdeva dietro mille cavilli sui sentimenti che andavano via via delineandosi nei confronti di Malfoy e quando Andromeda non riusciva a confessare nemmeno a sé stessa di essersi invaghita di quel taciturno e talentuoso pozionista che la casa di Salazar possedeva e che aveva occhi solo per i propri libri, tutt’al più qualche acida occhiata diretta ai Malandrini o qualche sguardo altrettanto fuggevole indirizzato alla fulva chioma della Evans.
Ed era stato proprio in quel luogo, un pomeriggio di aprile ancora freddo per il ritardo con cui la primavera accennava a risvegliare la scuola, che Bellatrix aveva deciso di rendere alle due sorelle minori la confidenza che avrebbe inevitabilmente scisso un trio pressoché compatto.
Si era meticolosamente riposta dietro l’orecchio una ciocca di lunghi capelli corvini in un gesto consueto che spesso tradiva una certa emozione.
“Bellatrix di cosa dovevi parlarci?”
“Narcissa era agitata, sorella. Non tenerci sulle spine.”
Bellatrix aveva sorriso sollevando la manica del pesante maglione di lana e con essa quella della camicia sottostante. Narcissa e Andromeda si avvicinarono ulteriormente a Bellatrix per scrutare ciò che aveva da mostrare loro e la minore delle tre si ritrasse con una smorfia di terrore dipinta sul viso mentre su quello della secondogenita si era dipinta l’espressione interrogativa tipica dello studioso che non riesce a rendersi conto di un’evidenza troppo palese perché possa essere veritiera.
“Cos’hai fatto, Bellatrix?”
“Quello che abbiamo fatto tutti. Il Signore Oscuro ci ha chiamati, noi gli eredi di Salazar, la purezza del sangue. Dobbiamo lottare e mondare Hogwarts dall’immondizia che Silente ha portato qui.”
La voce della ragazza era un sibilo sottile mentre il serpente tatuato sul suo avambraccio sinistro si muoveva sinuosamente all’interno delle orbite incavate del teschio che andavano a formare il Marchio Nero.
“In quanti Bellatrix?”
“Solo alcuni dei Serpeverde. Il Signore Oscuro ritiene che non sia ancora tempo per aprire le porte a chiunque.”
Andromeda aveva scosso il capo con fare rassegnato per poi tornare a posare lo sguardo in quello della sorella. Vi era una nuova luce, più cupa e sinistra che le dava una rinnovata bellezza più selvaggia e spietata di quanto non la ricordasse.
Bellatrix si era sollevata di scatto lasciando le due sorelle minori sedute a terra avvolte nei pesanti mantelli di lana e tuttavia continuavano a tremare tanto era il gelo che spirava attorno alla maggiore di loro.

Quando Nixtor Bartle li aveva avvicinati nei vicoli di Nocturne Alley, lei e Rabastan erano diretti in uno dei piccoli negozietti che vendevano per lo più cianfrusaglie e reliquie di antichi signori ormai caduti. Negozi che spesso non avevano nulla di così potente da indurre due Serpeverde come loro a muoversi così rapidamente e attentamente tra vicoli che conoscevano alla perfezione dopo anni di ricerche e studi nel reparto proibito della biblioteca di Hogwarts e in quelle delle loro imponenti magioni, ma erano i fiorenti tempi in cui Lord Voldemort andava a rinfoltire le proprie schiere e per i giovani ambiziosi della Casa di Salazar nulla era più allentate se non fare qualcosa che potesse renderli qualcuno agli occhi del Signore Oscuro. Bellatrix poteva vantare sangue puro, superbia e quell’intrinseca vena di devozione che le tre sorelle Black avevano sviluppato seppur indirizzandoloaa lati diametralmente opposti di una stessa scala. Se Narcissa aveva votato tutto all’uomo della sua vita e alla famiglia aristocratica che aveva deciso di condurre con la perizia vittoriana dei Malfoy, parallelamente Andromeda aveva investito tutto su un marito mezzosangue ed una figlia che poteva vantare di essere l’onta dei Black dopo sua madre e Sirius. Bellatrix invece, aveva votato sé stessa ad una causa e conseguentemente, all’uomo che la guidava prima ancora di ammettere a sé stessa che un cuore lo possedeva anche lei e batteva da tempo per Rodolphus.
“Lestrange?”
La voce dell’uomo che li aveva avvicinati era bassa e profonda, una di quelle voci che non si dimenticano facilmente a causa della lenta inflessione maligna. Bellatrix si era voltata a fissare il volto del suo interlocutore mentre Rabastan era intento ad osservare antichi cimeli per valutarne l’effettivo valore al bancone della bettola in cui erano entrati furtivamente.
Signora Lestrange.”
Stava giocando con un Mago Oscuro probabilmente. Un uomo che sapeva chi era e cosa faceva meglio di quanto non lo sapesse lei stessa e che sotto il lungo mantello di un malevolo color verde muschio poteva avere una bacchetta puntata su di lei pronta a schiantarla od ucciderla con una maledizione senza perdono.
“Già signora alla sua età, miss?”
“Fa differenza forse?”
“Mi chiedo solo se Silente accetti di avere all’interno della sua scuola due giovani sposi…evidentemente la sua sciocca apertura mentale che si manifesta in un patetico buonismo filo-babbano gli ha fatto perdere completamente il senno. Siete studenti di Hogwarts, no? I colori delle vostre sciarpe non danno adito a dubbi: due degni eredi di Salazar. Bellatrix Black e Rabastan Lestrange. Rodolphus ci ha parlato molto di voi.”
Bellatrix aveva lanciato una rapida occhiata alle proprie spalle, osservando le pallide dita di Rabastan tenere sollevate alla fioca luce di alcune lampade ad olio vecchi monili.
“Cosa le ha detto Rodo? E lei chi è?”
“Nixtor Bartle, miss Black. Per servirla...”
L’uomo tarchiato si prodigò in un buffo quanto inadatto inchino e sollevò gli occhi sul viso di Bellatrix come se cercasse di carpirne una vaga forma di paura che non possedeva o che dissimulava perfettamente.
“…e per condurla al cospetto del Signore Oscuro.”
“Cosa significa?”
“Il Signore Oscuro si è interessato a voi miss…e ai signori Lestrange. Rodolphus già da qualche tempo milita tra le nostre schiere e ora è tempo di nuove leve tra le fila di noi Mangiamorte.”
“Attendetemi.”
Bellatrix si era portata al fianco di Rabastan sussurrandogli qualcosa all’orecchio e lasciando una sacca di zellini sul bancone aveva infilato nella tasca interna del proprio mantello di raffinata fattura un piccolo pacchetto avvolto in sudicia carta.
“Andiamo.”
Bellatrix aveva preceduto il Mangiamorte con fare arrogante e supponente. “Il tipico atteggiamento da purosangue” constatò Bartle con un leggero sorriso ad increspargli le labbra sottili, unito al regale portamento e alla selvaggia bellezza che la differenziava dalle sorelle. Non a caso Rodolphus aveva chiesto la mano della ragazza a Cygnus l’estate che aveva sancito l’inizio del loro ultimo anno ad Hogwarts e che aveva visto nascere una rinnovata complicità tra i due grazie a lunghe giornate trascorse nella tenuta di famiglia dei Lestrange affondati in antichi tomi a cui solo Andromeda avrebbe fatto la corte in tempi normali. Ma quelli non erano tempi comuni e il richiamo dell’Oscuro Signore era sempre più forte, un’eco che dirompente sovrastava la voce accorata di Albus Silente e di tutti coloro che un giorno sarebbero stati gli Auror che l’avrebbero contrastato. Rodolphus aveva scacciato ogni dubbio e aveva chiesto la mano di Bellatrix a patto che questa apprendesse la notizia solo una volta ottenuti i M.A.G.O. nonostante in cuor suo Cygnus avesse già acconsentito a cedere la figlia maggiore alla casata dei Lestrange, complice la netta convinzione che alla ragazza tutto sommato, Rodolphus piacesse per ciò che era: un giovane affabile dalla bellezza mediterranea che a ben vedere non aveva nulla in comune con l’emaciato Lucius che in più di un’occasione aveva strappato sospiri alla piccola Narcissa.
Era stato facile smaterializzarsi e riapparire in un sotterraneo buio e umido in cui la luce della luna non entrava affatto. Bellatrix si strinse nelle spalle, la bacchetta puntata innanzi a sé a rischiare un corridoio gelido e dalla puzza fetida che conduceva ad un’ampia sala che avrebbe imparato a conoscere alla perfezione negli anni a venire.
Un uomo sedeva su di un ampio scranno di pietra, un re d’altri tempi avvolto in vesti smeraldine ai cui piedi era acciambellato un basilisco, terrificante e splendido avvolto in quell’aura di malignità selvaggia e concreta tangibile da ognuno dei cinque sensi.
La ragazza dopo il primo attimo di smarrimento, accentuato dalle maschere di teschio che le giravano attorno senza che potesse distinguere un qualsiasi volto familiare che potesse rassicurarla, si era inginocchiata ai piedi del Signore Oscuro a pochi centimetri da Nagiri tenendo innalzato il pacchetto che aveva recuperato poco prima.
“Io Bellatrix Black porto in dono a voi, Lord Voldemort, il bracciale in opali appartenuto a Cosetta Corvonero come pegno per la mia devozione e quella di Rabastan Lestrange.”
Voldemort aveva spalancato i profondi occhi rubicondi alzandosi dal seggio e prendendo l’involucro dalle mani della ragazza.
“Alzati Bella. Era tanto tempo che cercavo queste reliquie…anni spesi dietro ad esse e tu mi hai portato un così grande dono.”
“La devozione la si misura con i fatti, mio Signore. Non con le parole. Gli oratori sono bravi ad impastarsi la bocca con stucchevoli perifrasi ma chiunque è in grado di farlo. Ma nei fatti quanti dei qui presenti uccideranno e monderanno il Mondo Magico? Quanti davvero lo faranno?”
Nella stanza si era sollevato un mormorio di disappunto e Lord Voldemort aveva sollevato una mano scheletrica con un gesto secco che aveva riportato all’istante la quiete nella sala.
“Bella e Rabastan. Venite avanti.”
Bellatrix aveva dovuto semplicemente alzarsi in piedi mentre Rabastan era avanzato di qualche passo uscendo dal capannello circolare di maghi oscuri che attorniava il Signore della Morte.
L’uomo aveva mantenuto inalterata la bellezza che un tempo era appartenuta all’ambizioso Tom Riddle e tuttavia il suo viso si deformava in pantomime di orrore e morte, come se tutti gli studi che andava intraprendendo lo stessero portando ad un particolare, quanto desiderato, stato di trascendenza.
Aveva alzato la mano destra impugnando la bacchetta e l’aveva puntata contro Bellatrix e successivamente contro Rabastan salmodiando un incantesimo che nessuno di loro aveva mai udito prima, sentendo la pelle dell’avambraccio destro bruciare ardentemente. Rabastan emise un singulto di dolore e Bellatrix non poté fare a meno di tremare mordendosi il labbro inferiore sino a farlo sanguinare, il sapore ferroso che le inondava la gola ma senza grida e senza lacrime, solo tremito e sangue uniti ad un dolore indicibile che l’aveva strappata alla sua adolescenza per non restituirgliela mai più. Il dolore che causava quel tatuaggio impresso a fuoco che bruciava e faceva male pizzicando la pelle che andava a cicatrizzarsi rapidamente attorno ad esso uniformandolo con il corpo stesso dell’ospitante in un tutt’uno tra marchio e padrone, era nulla in confronto alla bellezza perversa che emanava sul suo braccio candido ora sporco di un qualcosa che l’avrebbe accompagnata per sempre e si ritrovò a lanciare a quel soffitto umido una risata quasi isterica, il capo a ricaderle all’indietro lasciando che la folta chioma corvina le scivolasse lungo la schiena scoprendole completamente il volto facendo risaltare la sua selvaggia bellezza di nobildonna.
“Da oggi, Bellatrix Black e Rabastan Lestrange sono Mangiamorte. Da tempo vi stavamo studiando, da tempo attendevamo un momento propizio per avvicinarvi. Rodolphus, Lucius…e tu, Severus. Fatevi avanti.”
Bellatrix aveva spostato lo sguardo sorpreso sulle tre figure di cui non distingueva i lineamenti del viso e nemmeno la corporatura ma che riconosceva dalle movenze che aveva imparato a distinguere in ognuno di loro negli anni che avevano vissuto ad Hogwarts, una scuola che presto avrebbero lasciato per dare spazio ad un progetto grande in cui credevano davvero.
I tre giovani si inginocchiarono dinnanzi a Lord Voldemort in un rinnovato tacito giuramento di fedeltà, ognuno nascosto dietro maschere che non lasciavano trapelare alcun sentimento ma solo una sudditanza eterna che traspariva dai loro capi chini quasi a sfiorare il pavimento di marmo scuro in un totale segno di sottomissione e devozione.
Rodolphus le si era poi avvicinato senza parlare ma con la consapevolezza assoluta che quel marchio li avrebbe indissolubilmente legati senza lasciarli liberi, senza renderli puri ma macchiandoli del sangue di innocenti che loro ritenevano la feccia del Mondo Magico, compagni di scuola che si sarebbero poi rivelati abili Auror e che per una Profezia avrebbero assassinato.
Senza più cuore, senza più amore e solo devozione che avrebbe spezzato ogni legame di sangue, che avrebbe reso più saldo l’amore che sfociava su entrambi i fronti e più forte l’ardore di combattenti.
Solo morte che sarebbe stata dispensata ed accolta con la violenza degli aguzzini ed il martirio dei santi.
Un solo inizio per due guerre che avrebbero calcato il suolo del mondo intero.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Il principe e la principessa ***


Tonks aveva assistito alla scena senza proferire parola, restando a contemplare la figura di Lord Voldemort che andava sfocandosi dinnanzi a lei, risucchiata dal vortice nebuloso dei ricordi che stavano scomparendo attorno a loro e tuttavia quel volto dagli occhi rubicondi da rettile non accennava a scomparire dalla sua mente. Silente le aveva posato una mano sulla spalla e quel contatto poté solo ricordarle che non stava impazzendo e che quelle che aveva avuto davanti erano proprio sua madre e le sue zie, e che la catacomba in cui era stata scaraventata era vera come l’umidità ed il gelo che le avevano perforato le ossa e la intirizzivano.
“Hai freddo Tonks?”
“Perché mi mostra tutto questo, professor Silente?”
“Lo capirai alla fine del viaggio.”
Le offrì il suo sorriso paterno e non poté fare a meno di contemplare quel volto che le donava sicurezza e al contempo sapeva metterla a disagio scavando a fondo nel suo animo e leggendovi paura, timore, sorpresa, delusione e persino vergogna per avere alle spalle una dinastia di succubi di un sogno di follia e morte.
Si ritrovarono di nuovo nell’ufficio di Silente e Fanny emise un basso gorgoglio in segno di saluto, attirando l’attenzione di Ninfandora.
“Cos’ha detto?”
“Oh, ci ha salutati. Vogliamo proseguire o sei stanca?”
“Vorrei solo capire perché. Perché Bellatrix ha scelto quella strada, perché mamma ha sposato papà e si è ribellata alla famiglia Black. Siamo una famiglia disgraziata, professore. Come se tutti coloro che si allontanano da essa siano costretti a vivere un destino nefasto e crudele.”
“Sei davvero sicura di quello che dici? Tua madre ha avuto un grande cuore e ha amato anche qui, tra i banchi di scuola. A modo suo, nel modo tipico di voi adolescenti ma forse quella sua spensieratezza timida e impacciata che contraddistingue anche te, ha salvato un uomo.”
“E chi sarebbe quest’uomo? Non è papà, vero?”
“Ci sono uomini che amano donne senza dichiararlo e donne che amano uomini senza rivelarlo. E’ il caso di tua madre e di questo uomo. Andiamo?”
Aveva preso la seconda ampolla che si trovava sul piano della cattedra e si chiese quando Silente l’avesse tolta dal suo armadietto, considerando che non lo ricordava. Titubante aveva posato le mani sul bordo gelido del calderone e si immerse in quelle volute di fumo candido sino a cadervi dentro, sempre più a fondo attorniata da gelida condensa, gli occhi che le bruciavano per il freddo e lo stomaco che le saliva in gola con vigore sempre maggiore.
Si dipanò dinnanzi a loro la biblioteca di Hogwarts e un’Andromeda adolescente studiava meticolosamente un libro di “Pozioni avanzante”, a poca distanza da lei un silenzioso ragazzo un po’ gobbo, chino sul proprio libro sino quasi a sfiorare le pagine con il proprio naso ed i capelli un po’ unti e lunghi sin sotto le orecchie a coprirgli parte del viso.
“Cosa dovrei vedere qui?”
“Tua madre.”
Restò ad osservare le movenze della secondogenita delle figlie di Cygnus, bella in quella postura composta che un’educazione nobile le aveva insegnato a portare, i lunghi capelli corvini legati in una semplice coda di cavallo raccolta sulla nuca e la spilla di Prefetto Corvonero che brillava orgogliosa sul suo petto.
”Mamma era Prefetto?”
“Era un’ottima studentessa ed aveva un grande potenziale ma ha scelto una strada del tutto singolare. Ha scelto la pace domestica, una quiete quotidiana fatta di piccole cose piuttosto che gettarsi in una Guerra sanguinosa che non le avrebbe dato nulla. Non ha seguito quell’istinto furioso di diventare eroe, sia da un lato che dall’altro della medaglia, che ha colpito gran parte dei suoi compagni di scuola. James, Lily, Remus, Sirius, Bellatrix, Lucius, Rodolphus. Tutti, indistintamente e a modo loro, hanno tentato di essere eroi in una guerra che ha mietuto solo vittime e non ci ha lasciato nulla se non morti da piangere. Eppure Andromeda ha scelto la vita comune, rinnegando la propria famiglia e tutto il mondo che la circondava. Era sembrata a tutti quanti una pazzia ed in realtà si è rivelato l’azzardo vincente per lei.”
Ninfadora si rendeva conto di non conoscere affatto sua madre ma di averla sempre vista nella veste di donna che le aveva sempre voluto mostrare: premurosa e devota, affettuosa sino quasi all’eccesso.
Le era costato un grandissimo dolore cacciare Bellatrix da casa propria, interdirle quell’ultimo straccio di rapporto che le legava ancora nonostante fosse costruito sulla base di violente liti, insulti e minacce, perché era pur sempre un vincolo di qualche tipo a tenerle unite ma gli occhi impauriti di Ninfadora che osservavano Bellatrix come se fosse un mostro le avevano fatto capire che l’amata sorella poteva essere un pericolo attentante alla sua pace familiare. E non le avrebbe permesso di distruggere ciò che aveva desiderato ed ottenuto con enormi sacrifici, con quella lotta muta contro un mondo che stava cambiando troppo rapidamente che non le piaceva e in cui le sembrava di essere un pesce fuor d’acqua.
Perché tutti i suoi compagni avevano deciso che il futuro sarebbe stato grande e avrebbe inciso sulla storia, un’unica pennellata nera o bianca, e lei che viveva di grigi non poteva appartenere a quel mondo sull’orlo della guerra che non conosceva mezze misure e che tagliava nettamente due parti che a ben vedere erano perfettamente le due facce di una stessa medaglia.
Mangiamorte e Auror, un rincorrersi di luce e tenebra e l’una mai esiste senza che esista l’altra.
Così Andromeda Black sedeva a quel lungo tavolo a vergare pergamene con calligrafia tondeggiante e piegata leggermente verso destra, intenta a ricopiare appunti presi frettolosamente durante le lezioni della mattina.
“Severus, posso farti una domanda?”
A poca distanza da lei il ragazzo non sollevò il capo dal proprio tomo sul quale prendeva appunti agli angoli delle pagine alle lezioni di Lumacorno ma si limitò a bofonchiare qualcosa che doveva somigliare ad una risposta di assenso.
“E’ vero che hai ideato un nuovo incantesimo? Me l’ha detto Bella…non so se sia il caso di utilizzarlo. Deve essere il Ministero a vagliare gli incantesimi e…”
“Non sono cose che ti riguardano Andromeda.”
L’aveva bisbigliato in modo sinistro, parole che odoravano di minaccia quasi come se qualsiasi parola proferita dalla ragazza potesse essere a priori errata.
Ma lei non si scoraggiò e si limitò a sospirare lanciando l’ennesima occhiata furtiva alla figura di Piton.
“Sirius non è cattivo Severus, ma possiede questo entusiasmo goliardico che sfrutta in malo modo.”
“Andromeda non mi serve la paternale. Sirius è Sirius così come lo vedi tu e così come lo vedono tutti. Il fatto che quei quattro siano al centro delle chiacchiere di tutta Hogwarts non giustifica di certo i loro comportamenti.”
Andromeda si morse il labbro inferiore, visibilmente presa in contropiede. Lei avrebbe davvero voluto fare qualcosa per lui e far capire a Sirius che i loro scherzi erano crudeli e cattivi, che così non avrebbero fatto altro che peggiorare una situazione che inevitabilmente stava già precipitando.
Solo Lily prendeva le difese di Piton pubblicamente, senza paura né di Potter né di Sirius mentre lei si limitava con la grazia conferitale dai meccanici gesti nobiliari a far notare con disappunto al solo Sirius quanto fosse sciocco ed immaturo.
Lui inevitabilmente le sorrideva ogni volta allo stesso modo – uno di quei sorrisi che facevano innamorare il resto delle ragazze di Hogwarts – e l’abbracciava con trasporto affondando il proprio viso tra le onde dei suoi capelli corvini.
“Suvvia, Andromeda! E’ Mocciosus, dopotutto…a chi mai può importare di lui? Solo Lily si ostina a prendere le sue difese ma lei è la condottiera delle cause perse, si vota automaticamente alla difesa di ciò che il mondo palesemente ignora o evita.”
Avrebbe voluto dirgli che a lei importava di lui e che ammirava il coraggio di Lily che mai avrebbe posseduto perché lei, Andromeda Black, doveva sottostare alle leggi di una casata nobiliare che le imponeva un modo di vivere del tutto distorto che non le si confaceva, che le andava stretto soffocandola.
Ma si limitava a scostarsi da lui rabbuiata, fissandolo in malo modo.
“Sei uno stupido, Sirius. E sei come Bella…te ne rendi conto almeno, che sei un maledetto purosangue come lei, con questa tua assoluta certezza di essere migliore di qualcosa o qualcuno! Sei penoso, Sirius.”
“Non ti azzardare a paragonarmi di nuovo a Bella. Siamo diversi e lo sai.”
“No che non lo so. Quando ti comporti così con Severus non ti riconosco e non capisco quale sia il vero Sirius Black. Sei un Serpeverde Sirius. Con Severus di comporti come si comporterebbe un erede di Salazar.”
“Si può sapere perché ti sta tanto a cuore la sua sorte, Andromeda? Avanti, tutta Hogwarts ride di lui!”
“Questo non significa che tutta Hogwarts sia nel giusto.”
Ninfadora osservava quei ricordi scorrerle davanti incredula.
Quello che amava di Sirius ora le appariva sotto una luce differente, tratteggiata dalla crudeltà incosciente che solo gli adolescenti ed i bambini possono mettere nei propri gesti e continuava a fissare il sorriso di Sirius e la risata spensierata di Potter raggiungerli sino in biblioteca, preludendo l’ennesima plateale entrata in scena dei Malandrini.
Si erano così seduti attorno a Piton, Sirius appoggiando il viso sul mento fissandolo come avrebbe potuto guardare un molliccio e James si era portato all’altro lato del Serpeverde, le gambe incrociate in un atto di superiorità quasi scontata.
“Mocciosus oggi che studi?”
Sirius gli aveva strappato da sotto il naso il libro di pozioni iniziando a sfogliarne le pagine incartapecorite con malavoglia mentre James aveva iniziato a far volteggiare per la stanza calamaio e penna attraverso un Wingardium Leviosa.
E Piton subiva in silenzio, il capo chino su quel tavolo che non aveva più parole da offrirgli e le mani conserte in grembo. Andromeda fissava la scena incredula, la spilla recante la “P” di Prefetto a darle un coraggio che non aveva mai manifestato.
“Oh, Mocciosus credo che quest’oggi dovrai fare un bel bagno per lavare quei tuoi capelli luridi ti pare?”
“Ora basta Potter! Black!”
Sirius alzò lo sguardo verso Andromeda sorpreso da quell’improvvisa reazione che palesemente lo osteggiava, mentre la ragazza si era alzata in piedi dirigendosi verso i tre giovani annullando la breve distanza che vi era stata sino a poco prima tra loro.
“Questa è una biblioteca e qui si studia. Se siete venuti per creare scompiglio uscite di qui immediatamente.”
“Avanti Andromeda non fare così. Mocciosus si diverte in nostra compagnia, non è vero?”
James aveva indirizzato il calamaio in direzione di Piton, lasciandolo in sospeso sulla sua testa pericolosamente in bilico e pronto a schiantarsi sopra di lui.
“Black io sono un Prefetto ed io esigo che usciate di qui senza creare ulteriore scompiglio. E voi, tornate a studiare!”
Aveva liquidato con tono severo il capannello di studenti che li aveva raggiunti senza cessare di studiare Sirius e quella spavalderia che non accennava a scrollarsi di dosso.
“Andromeda parlerai con Remus dopo, va bene?”
“No che non va bene, Potter. E sistema quel calamaio sul tavolo senza sporcare in giro. Ora.”
James fece un gesto frettoloso con il polso della mano destra con il preciso intento di rovesciare il calamaio sulla testa di Severus ma Andromeda con un rapido tocco di bacchetta aveva fatto in modo di tenere il calamaio sospeso ed adagiarlo di nuovo sul lungo tavolo della biblioteca.
“Cinquanta punti in meno a Grifondoro per non aver ascoltato gli ordini di un Prefetto. E riferirò l’accaduto alla professoressa McGrannit.”
“Andromeda non dirai sul serio vero? Così rischiamo di non vincere la Coppa della Case.”
“Dovreste pensare prima di agire, James. A me non importa se non riuscirete a vincere la Coppa. Vuol dire che vincerà Serpeverde.”
“Sei ingiusta, Andromeda. Cos’abbiamo fatto io e James ora?”
“Siete entrati in biblioteca schiamazzando, avete disubbidito ad un mio ordine e avete importunato un vostro compagno.”
“Sei ingiusta, Andromeda.”
“Hai ragione Sirius. Altri cinquanta punti in meno a Grifondoro, considerando che solo cinquanta sono pochi per tutto quello che avete fatto. Ed ora o restate qui a studiare o uscite di qui immediatamente.”
“Che strega che sei.”
“Di ottima classe, Sirius.”
Black aveva richiuso con un tonfo secco il tomo di Severus gettandoglielo davanti in malo modo e uscì dalla biblioteca seguito da James. Andromeda era rimasta ad osservare le movenze di Piton che con perizia aveva controllato le pagine toccate da Sirius per poi riporre il tomo, il calamaio e la penna d’oca nella propria borsa sollevandola da terra per issarla sulla propria spalla.
Andromeda fissò il Serpeverde allontanarsi, la sua schiena che si stagliava contro la luce morente del giorno. Sospirò sedendosi sulla sedia poco prima occupata dal ragazzo restando a fissare l’ultimo punto in cui l’aveva scorto allontanarsi.
La sua non era né pietà né compassione e nemmeno uno di quei sentimenti nobili che muovono gli eroi come Lily e nemmeno un atto di supremazia che avrebbe di certo mosso Bellatrix in una situazione simile.
Era qualcosa che poteva vagamente definire come una similitudine di infatuazione.
Come aveva fatto ad innamorarsi di lui?
Severus non era bello tutt’al più poteva avere un certo fascino dovuto alla malinconia che traspariva dal suo sguardo. Non aveva lo scintillio degli occhi di Rodolphus o l’ambizione che si leggeva sul volto di Lucius e nemmeno la spavalderia di Sirius o l’arroganza di James.
Severus era un uomo mite.
Amava studiare e altrettanto devotamente amava rifugiarsi in biblioteca appena le occasioni glielo consentivano e nonostante ciò era riuscito ad entrare nel ristretto e selettivo circuito di amicizie di Lucius, semplicemente perché era dotato di due peculiarità innate: l’ambizione tipica degli eredi di Salazar ed un grande acume. Doti che non erano sfuggite al giovane Malfoy tanto più che il giovane Severus possedeva anche una buona dose di pazienza, dettata dalla sensibilità acquisita grazie all’acume stesso, che non gli conferiva certo l’animosità e nemmeno l’irruenza dei Malandrini quanto invece la consapevolezza che la vendetta andasse ampiamente studiata ed attesa, un piatto da servire lentamente.
Allora, consumata nel modo più consono e nel momento più propizio, sarebbe risultata un’eccellente soddisfazione per tutte le umiliazioni subite.
Una vendetta infinita sarebbe stata l’ideale e se vi era un modo perché questa potesse consumarsi come desiderava era prendere perennemente la strada diametralmente opposta a quella di Potter e soci, solo perché il destino potesse offrirgli su di un piatto d’argento l’occasione perfetta per una vittoria a basso costo di fatiche.
Severus Piton avvolto dai fumi delle pozioni continuava a studiare incessantemente sul proprio tomo ormai logoro, salvato da Andromeda Black, simili nella loro mitezza caratteriale e nel loro perenne ruolo di sudditanza a tiranni minuscoli come formiche o possenti come giganti.
Quell’atto di amore innocente aveva temporaneamente salvato una vita dalle tenebre e al contempo aveva spezzato il primo giogo che la famiglia Black aveva posto al collo della sua secondogenita: quello della sudditanza ad una tradizione destinata a crollare sotto il peso dell’innovazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Il fascino del serpente ***


“Andiamo Tonks, ci sono ancora due cose che voglio mostrarti. Ed una è parte di questo stesso ricordo.”
Ninfadora era ancora stordita dalla visione di sua madre intenta a lasciare memorie su di un diario che lei ricordava di aver visto tra gli scaffali impolverati di casa senza mai prestargli particolare attenzione più di quanta non la prestasse ai tomi di “Storia del mondo magico” che Andromeda collezionava avidamente. Iniziava lentamente a capire quello che Silente voleva mostrarle eppure quel tuffo in ricordi non propri le dava un malessere intrinseco perché le certezze su cui aveva fondato la sua vita si stavano sgretolando e lei non poteva fare nulla per ripararle e trattenerle, tutt’al più versare qualche lacrima silenziosa nel rendersi conto di essere terribilmente stupida ed immatura.
“Avanti, non abbiamo molto tempo ancora.”
Attraversarono corridoi e poi scale a chiocciola che scendevano verso il basso sino ad incunearsi sotto il livello del terreno, forse persino sotto il lago di Hogwarts.
Il dormitorio Serpeverde.
Narcissa era seduta mestamente a terra accanto al camino in una posizione tipicamente nobiliare, intenta ad ascoltare Rabastan e Regulus discutere animatamente.
“Regulus sei pazzo! Se quello sciocco di tuo fratello lo scoprisse cosa faremmo? Perduti e funestati dal tuo stesso sangue.”
“E’ rinnegato, Rabastan. Tra di noi non ci sono legami ormai.”
Sul volto di Narcissa parve apparire un’ombra buia e rammaricata, le mani strette in petto l’una nell’altra a farsi forza.
“Regulus non parlare così di Sirius. E’ pur sempre tuo fratello.”
“Cissy, andiamo. Ti comporteresti allo stesso modo se una delle tue sorelle fosse così pazza da rifiutare il proprio sangue, o sbaglio?”
“Non sbagli, cugino mio.”
Narcissa aveva abbassato lo sguardo distogliendolo da quello di Regulus. Quella follia dilagante che si stava impossessando di loro era opprimente come una cappa di fumo di belladonna stordente e letale. Era come se potesse toccare con mano il viscido marmo di una catacomba o vedersi sfilare dinnanzi il basilisco, quel terrore disgustoso che le saliva dallo stomaco desideroso di farsi strada e gridare il suo disprezzo e che inevitabilmente la lasciava pietrificata a ripetere sempre risposte che assecondavano Bellatrix, Rabastan o Lucius. Le avevano insegnato che una nobile non deve mai avere eccessi e lasciare sempre che coloro che la circondano credano che lei sia donna mite ma più passavano gli anni, più si rendeva conto che solo lei era rimasta ancorata a quegli insegnamenti infantili. Bella aveva fatto sfoggio di una sensualità quasi stonata su di lei per non parlare della decisione e della follia che albergavano nei suoi discorsi e Andromeda aveva dal canto suo preso poco alla volta le distanza da Bella e inconsciamente, anche da lei. Aveva sempre discussioni con Sirius ma alla fine riuscivano sempre a trovare un compromesso e in un certo senso, le faceva invidia quella complicità che lei aveva perduto e che invece Andromeda aveva indirizzato altrove. Aveva Bellatrix e Regulus ma sua sorella stava costruendo la sua vita su eccessi e gli eccessi non portano mai il bene. Era buffo avere certi pensieri per un figlio di Salazar, ma la sua ambizione era quella di essere la moglie di un grande uomo e la madre di un figlio importante. Non voleva una vita di studio o una vita votata ad una causa fosse essa giusta o sbagliata, ma desiderava semplicemente una vita da donna. Solo essere una donna, non l’ago di una bilancia politica. Poteva aspirare al mesto ruolo di madre, moglie e amante? Se lo chiedeva ogni volta che incontrava lo sguardo sfuggente di Lucius o quando si trovava a pensare a lui. Sarebbe stata una buona moglie per un uomo che serviva già il Signore Oscuro? Lei che non voleva comparire su di una scacchiera politica che sarebbe passata alla storia era costretta a fare da spettatore e vedere la regina nera divorata forse dalla regina bianca. Avrebbe mai sopportato la morte di Bella o quella di Regulus? Si chiedeva quanto avrebbe giovato ad ognuno di loro la decisione di portare un marchio che con la vecchiaia avrebbe iniziato a pesare come un macigno sul cuore. Quando si è giovani e si ha una vita davanti si crede sempre che si abbia tutto il tempo a disposizione per fare progetti, per riparare agli errori e per poter ripartire di punto in bianco da zero voltando una semplice pagina e ricominciare a scrivere la vita, ma quello che stavano vivendo era un periodo cruciale della storia e vincitori e vinti non avrebbero comunque avuto la possibilità di ripartire e tornare sui propri passi, come se il prezzo da pagare per l’avventatezza della gioventù fosse quello di convivere con l’eterna condanna di rimpiangere le scelte passate. Narcissa che aveva deciso di fare da spettatore a quella condanna che li avrebbe indistintamente coinvolti, viveva con quell’opprimente sensazione di perdita ed impotenza che si sarebbe trascinata appresso per gli anni a venire.
“Narcissa sai dov’è Lucius?”
Bellatrix le era arrivata furtivamente alle spalle scostandola bruscamente dai propri pensieri.
“Non so dove sia, Bellatrix. Sarà con Severus o Rodolphus. Hai bisogno di lui?”
La voce l’aveva tradita, stonando con una leggera inflessione ansiosa che la sorella colse con un sorriso malevolo.
“Ho bisogno di lui. E’ così difficile riuscire a parlare in privato di questi tempi.”
Narcissa accusò il colpo in silenzio. Non poteva permettersi di essere gelosa della complicità tra Bellatrix e Lucius, scaturita per altro da una causa comune che lei si era rifiutata di accogliere, tuttavia l’ambiguità con la quale giocava Bellatrix la metteva profondamente a disagio. Non dubitava dell’affetto di Lucius bensì era costretta nel timore di non essere all’altezza di sua sorella. Cosa sarebbe mai costato a Lucius fare un paragone e scoprire che Bellatrix era migliore di lei? Poteva passare dalla sua dedizione alla Arti Oscure al servizio di Lord Voldemort, passando per l’ambizione che divorava entrambi. Lei cosa ci faceva ancora lì, nella Casa di Serpeverde? Forse il cappello parlante si era sbagliato a smistarla in quella casa e magari era destinata a Tassorosso e…
”Vado a cercare Lucius. Se lo vedete ditegli che lo sto cercando.”
Si era sollevata in piedi lasciando Rabastan e Regulus a parlare nuovamente del progetto del Signore Oscuro e Narcissa ancora lì, seduta ai loro piedi ad ascoltare solo di sfuggita quei discorsi che non la toccavano minimamente, non fosse che era invischiata in quel tradimento alla stregua di tutti gli altri.
Anche i complici muti sono colpevoli, è l’omertà che non viene perdonata e lei, Narcissa Black, con composto silenzio si faceva carico di paure, domande ed ansie che i suoi compagni celavano persino a sé stessi. Era diventata il catalizzatore dei loro timori sopiti, confidente riservata e mite. Regulus le aveva raccontato nei dettagli le riunioni dei Mangiamorte, i loro desideri e i loro progetti e Narcissa li aveva raccolti uno ad uno ed incastonati in un’unica collana di terrore come se fossero rubini insanguinati. Lucius invece non le aveva mai confidato nulla come se renderla partecipe o meno della sua vita fosse del tutto irrilevante. Probabilmente aveva fatto di Bellatrix la sua confidente fidata e a lei non restava che fare da spettatrice ad una partita che si era rifiutata di giocare e dalla quale non poteva comunque sottrarsi. Che condividesse o meno ciò che stavano facendo non era importante. Lei avrebbe continuato a portare alto il nome dei Black e ad assecondare ognuno di loro, premurandosi di farsi carico delle pene di chi non era in grado di sostenerle. Le pene che avrebbe accolto e trattenuto a costo della vita con il sollievo e la leggerezza dell’incoscienza dettata dal primo amore, non le erano però concesse. Lucius evitava di parlare dei Mangiamorte, di Lord Voldemort, di Arti Oscure e di tutto ciò che in qualche modo poteva avere a che fare con il Marchio Nero. Le loro conversazioni vertevano sulla politica e sulle frivolezze tipiche della nobiltà fosse essa in decadenza o nel fiore della sua ricchezza perpetuamente proiettati in progetti futuri. Balli, battute di caccia, cavalcate, serate letterarie, cene e incontri politici. Stentava a comprendere il mondo di Lucius. Lei, ultimogenita di una casata prossima alla rovina non aveva mai creduto davvero di dover mai condurre la propria famiglia lungo i sentieri della politica del Mondo Magico, tutt’al più quel compito sarebbe passato a Bella e si ritrovava a vedersi sfilare dinnanzi nomi di gente importante o che sarebbe diventata tale a detta di Lucius. Indispensabile era dunque creare un forte legame che all’occorrenza sarebbe diventato utile alla loro causa. Ma per Narcissa non c’era una causa utopistica e distorta per cui combattere ma semplicemente il proprio egoistico desiderio di condurre una vita felice con l’uomo che amava.
“Cissy qualcosa non va?”
Regulus si era abbassato su di lei baciandole la fronte e premendo successivamente la mano sulla stessa per constatarne la temperatura.
“Non sembra tu abbia la febbre, ma sei molto pallida. Va’ a riposare.”
Aveva scosso la cascata di boccoli biondi corrucciando le labbra in un’espressione che si trascinava appresso sin dall’infanzia e che non aveva ancora perso ogni qualvolta sentiva il desiderio di manifestare un tormento interiore troppo grande da essere trattenuto dal suo minuto corpo.
“Aspetto Lucius.”
Era stata la risposta di una ragazzina innamorata che già era moglie di un uomo che non riusciva a cogliere nelle sue mille sfumature.
Stette a contemplare il fuoco sino a quando non udì il canto delle civette. Cantavano sempre a mezzanotte. Era tardi e né Lucius né Bella erano ancora rientrati. Irrequieta e con il cuore pesante si era sollevata dal pavimento ed avvoltasi nel pesante mantello di lana era uscita dal dormitorio in cerca dell’unico conforto le fosse concesso.
“Andromeda, mi senti?”
La voce di Narcissa era un bisbiglio simile al soffio del vento ed attraversava rapida le tubature che collegavano il bagno del terzo piano con il dormitorio di Corvonero. Avevano scoperto quel metodo di comunicazione casualmente, quando Andromeda aveva iniziato ad udire nel cuore della notte bisbigli sommessi al di sotto del proprio letto. All’inizio convinta si trattasse di qualche fantasma particolarmente dispettoso ed ironico si era poi costretta a ricredersi quando alle voci poté iniziare ad associare volti noti. Scoprì la falla che aveva trasformato quel lungo tubo per il trasporto dell’acqua calda per il riscaldamento dai bagni ai dormitori costringendo Mirtilla Malcontenta a passarvi attraverso, piegandola offrendole alcune fotografie di Sirius. Mirtilla si era così fatta scivolare lungo le tubature, cosa che non le era costata comunque fatica considerando fosse una delle sue occupazioni principali nel quotidiano, sino a quando non era riuscita a trovarvi uno spiraglio e fuggirvi attraverso. Identificato il punto in cui la voce fuoriusciva era stato facile per Andromeda fare in modo che i suoni venissero indirizzati verso di lei e non dispersi altrove. Era stato il modo più semplice per potersi mettere in contatto in ogni momento con Narcissa e Bellatrix, quando a dividerle c’erano piani e scale che continuamente andavano modificandosi.
“Andromeda!”
La ragazza si sollevò a sedere infilando le scarpe di vernice e recuperando alla rinfusa la sciarpa. Gli studenti erano quasi tutti in Sala Comune e solo alcuni si erano già ritirati a letto complice le giornate ricche di impegni dei Prefetti e dei Capiscuola.
“Prefetto Black, dove andate così di fretta?”
Andromeda non si voltò nemmeno a guardare in faccia chi stava cercando di metterla in difficoltà ed attraversò il ritratto dormiente per dirigersi al bagno del terzo piano.
“Narcissa?”
La maggiore tra le due sorelle era a malapena riuscita a scorgere un guizzo dorato e due occhi di un profondo azzurro martoriati da una malinconia stonata su quel viso ancora di bambina, prima che la ragazza affondasse il proprio volto nel petto di Andromeda cingendole la vita con le braccia esili, in cerca di consolazione.
Le carezzò la nuca ammirando i riflessi color platino di quella cascata di morbidi boccoli dal profumo di vaniglia e restarono a lungo in silenzio sino a quando Narcissa riuscì a trovare il coraggio di parlare, riacquistata la padronanza di sé.
“Lucius. E’ da quest’oggi che lo aspetto e ancora non è rientrato…dove può essere andato, Andromeda?”
“Dovresti chiederlo a lui, non posso saperlo.”
“Quando non c’è, il mio sguardo vaga alla ricerca del guizzo di un fil di seta di un pallido oro e di occhi perfetti.”
Andromeda scoppiò nella sua risata allegra, non ironica come quella di Bellatrix ma la risata segnata dalla complicità che la rincuorava sin da quando era una bambina.
“I serpenti albini ipnotizzano le proprie prede, lo sai Cissy?”
“E poi cosa fanno?”
“Le ipnotizzano e non le lasciano andare. Le divorano. Sono rari persino nel Mondo Magico eppure qualcuno esiste e ha già colpito la propria vittima. Parla con Lucius, parlare a me dei tuoi timori può risollevarti il morale ma le paure non passeranno con le mie parole. E Bella è innamorata di Rodolphus, lo sai.”
Andromeda era speciale perché non serviva parlarle per farsi capire. Le scavava dentro e rispondeva a domande che non osava porre nemmeno a sé stessa.
“Si ma…”
“Bellatrix è volubile, dispettosa, ironica, crudele. Ma non tradirebbe mai il suo stesso sangue, Narcissa. Le piace giocare al gatto e al topo ma si tira indietro prima di agguantare la preda. Io credo che questo suo interessamento sia dovuto al progetto che stanno costruendo insieme. Lei crede realmente in quello che dice Tu-Sai-Chi e si adopera perché il suo Regno possa giungere presto.”
“Credi sia giusto?”
“E’ giusto forse per gli eredi di Salazar per la tradizione a cui sono vincolati. Ma per gli altri…chi può dirlo quale sia la giusta via? Solo il tempo potrà darci una risposta.”
Andromeda si era sorpresa della domanda di Narcissa. Non chiedeva mai nulla e assecondava chiunque perché era quella l’educazione che era stata loro impartita e se lei e Bellatrix l’avevano abbandonata con il loro ingresso ad Hogwarts, Narcissa non accennava a staccarsi da quell’indole imposta dai loro genitori e proprio per questo motivo sarebbe probabilmente rimasta l’unica a potersi concedere un futuro sereno.
Perché chi non fa domande non rischia di sbagliare o di conoscere qualcosa che potrebbe persino uccidere.
“Perché questa domanda?”
Andromeda aveva incalzato Narcissa volutamente: l’evoluzione di Bellatrix che allo stato attuale delle cose le pareva inevitabile volgesse ad unica drammatica scelta sembrava aver spronato la più giovane delle sue sorelle a confrontarsi con sé stessa e staccarsi forse, da quei dettami che ormai erano superati e che non le avrebbero giovato nella vita ma tutt’al più l’avrebbero rilegata al margine della partita, ultima tra gli spettatori.
“Regulus…ecco, sono convinti capisci? Tutti quanti. Mi basta vedere te o Sirius e capire che quella convinzione è solo loro. Nessun altro reclama la Sua venuta e molti la temono. E’ giusto decidere l’avvento della Fine per un intero mondo?”
“Dipende da chi lo decide. Segui la tua strada, Narcissa.”
“E’ legata a Lucius e anch’io cadrò in questa rete tessuta ad arte da un famelico divoratore di vita. Perché seguirei Lucius in capo al mondo se solo lui me lo chiedesse.”
Avrebbe voluto non udire quelle parole ma erano inevitabili. Dopotutto Narcissa era nata per amare e fare dell’amore il fulcro della sua intera esistenza. Era giusto seguisse il suo cuore anche se questo stava sbagliando rotta?
“Che tu sia felice, Cissy. Lo meriti davvero.”
“E’ un addio, Andromeda?”
Le aveva stretto la mano nella propria, uno sguardo implorante a chiedere spiegazione ma ebbe solo un sorriso in risposta e la figura della sorella che si liberava della sua stretta per tornare alla casa di Corvonero e a Narcissa Black non restò che ritornare sui propri passi, di nuovo circondata dalla tenebra alla ricerca di una flebile luce.

Trovò Lucius seduto accanto al camino della Sala Comune intento a scrutare le fiamme scoppiettanti. Narcissa si sedette ai suoi piedi ancora avvolta nel proprio mantello, in attesa che lui le dicesse qualcosa.
“Dove sei stata, Cissy?”
“Da Andromeda. Volevo augurarle la buona notte e tu dove sei stato? Bella ti ha cercato tutto il giorno ed io ti ho atteso sino a poco fa.”
Aveva soppresso un guizzo di orgoglio ed una violenta protesta che aveva assunto, nel ricordo, la tonalità severa della voce di sua madre nel rimproverarla per tanta audacia, ma era stanca di ubbidire ciecamente ad un’imposizione familiare quando voleva solo conoscere i sentimenti di Lucius.
“Ero con Severus, stavamo studiando alcune pozioni.”
“Non mi mentiresti mai, vero Lucius?”
Gli occhi di Narcissa sfidavano i suoi in quel momento. Non era più lui a fare da padrone nel rapporto che avevano costruito e la ragazza che aveva dinnanzi si era trasformata in poche ore soltanto in una donna. Occhi color del cielo a sfidare occhi mercuriali, entrambi freddi e profondi alla ricerca di una risposta ultima.
Lucius inaspettatamente si trovava a dover fronteggiare Narcissa per la prima volta e la temeva, consapevole di non poter prevedere l’esito di quella muta battaglia. Lei non aveva mai alzato lo sguardo e forse era l’occasione primaria con la quale concedersi di perdersi in quelle due gemme di cobalto e fissare il suo viso coronato di boccoli d’oro senza che questi si nascondesse a lui.
Narcissa era bellissima.
Una bambola aristocratica, delicata e discreta, mite e devota. La nemesi di Bellatrix, adatta ad uno come Rodolphus amante degli eccessi piuttosto che ad un giovane ancora di belle speranze come lui. E per lui c’era Narcissa, che attendeva un suo sguardo ad ogni ora del giorno.
“Non ti nascondo nulla, Narcissa.”
“Non mi rendi mai partecipe di ciò che fate. Io mi sento una parte marginale della tua vita, Lucius.”
Aveva parlato in fretta senza porre pause tra quelle parole ansiose, mentre gli stringeva la mano per posarvi sul palmo un lieve bacio.
“Voglio sapere cosa provi, Lucius. Io non possiedo il Marchio Nero né lo vorrò mai. Ma non ostacolerò le tue ambizioni né i tuoi desideri. Ma vorrei solo capirti.”
“Non voglio che la tua candida pelle venga insozzata, Cissy. A me basta averti al mio fianco e sapere di poter vedere il tuo sguardo seguirmi ogni istante del giorno. E presto, anche nella notte. Un giorno questo marchio ci renderà grandi.”
Si era chinato su di lei carezzandole il viso con moti delicati sino a schiudere le proprie labbra su quelle di lei. Era ardito, bramoso di sfiorare quella bocca perfetta con la propria per suggellare un’eterna promessa di amore. Narcissa non si sottrasse a quel contatto improvviso eppure tanto atteso, permettendo ad entrambi di appagare il desiderio di concedersi per la prima volta l’uno all’altra.
Un serpente albino e splendente l’aveva avvolta nelle proprie spire, ipnotizzandola con occhi mercuriali dal taglio allungato incorniciati da lunghe ciglia quasi bianche e lei aveva anelato ad un morso di quell’ambiziosa creatura sino a quando il destino non aveva concesso loro un caldo camino e il coraggio della sfrontatezza. Chi fosse dei due la preda e chi il cacciatore, non lo compresero mai.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Oro, arsenico e mercurio ***


Ninfadora era tornata la sera successiva nell’ufficio di Silente accolta dal grido di Fanny a cui aveva lisciato le piume vermiglie del petto fiero in risposta al saluto dell’animale.
“Tonks avvicinati. Quest’oggi voglio mostrarti forse l’ultimo istante sereno della vita di tua madre e le sue sorelle.”
“Di chi è questo ricordo?”
“E’ un ricordo neutrale, per così dire. Non appartiene a nessuno della tua famiglia. Possiamo andare quando vuoi.”
La ragazza si limitò ad avvicinarsi al Pensatoio e fissare il vapore lattiginoso che si sollevava da esso, sino a sentirsi precipitare avvolta da una spirale di gelo sino a cadere su di un pavimento ricoperto di pregiati tappeti circondata da maghi in vesti sontuose e sfarzose, eccessive nella ricercata opulenza vittoriana che li distingueva.
“Dove siamo professor Silente?”
“Al maniero dei Lestrange.”
La ragazza aveva sollevato lo sguardo sorpreso oltre le spalle di Silente, diretto alla figura aggraziata di sua madre che sedeva su di una comoda poltrona intenta a parlare con Rabastan.
“Andromeda hai un’espressione così triste! Ed è un giorno così lieto per noi che annunceremo il nostro fidanzamento…guarda Bella e Rodo come sono raggianti. Ancora una volta sono costretto a cedere loro la scena madre, ma presto potremo anche noi sfilare con sguardo fiero tra queste persone.”
La ragazza aveva sollevato lo sguardo su Rabastan studiando con il suo cipiglio curioso i lineamenti eleganti del suo viso, gli occhi smeraldini perfettamente incorniciati da folte ciglia scure. La somiglianza con Rodolphus era evidente e tuttavia c’era una sottile differenza tra i due che con gli anni si era accentuata. Rabastan aveva un volto disteso, persino dolce in certe espressioni che assumeva e il sorriso che si stendeva sul suo viso scavando sulle sue guance due piccole fossette lo rendevano attraente nonostante non avesse il fascino corrotto del fratello maggiore.
“Rabastan io voglio sposarmi per amore, non per denaro. Guarda Bella e Rodolphus. Loro si amano e in fondo si sono sempre amati ma io non voglio il giogo della mia famiglia stretto al collo. Io voglio essere libera.”
“Con me la sarai, Andromeda.”
Scosse il capo in un delicato gesto di diniego sorridendo malinconicamente al ragazzo che stringeva le sue mani nelle proprie.
“Lo sai anche tu che non sarebbe così. Sei il secondogenito della famiglia Lestrange credi che non dovremmo vivere in modo consono a quanto ci viene richiesto? Io sono stanca di un mondo all’apparenza perfetto e putrefatto all’interno.”
Rabastan allentò la stretta rabbuiandosi d’improvviso, accusando nelle parole di Andromeda il dissenso per ciò che loro stavano costruendo su sangue e terrore.
“Non lo capisci vero? Bellatrix è stata l’unica a fare questo passo e voi dove eravate mentre noi ricevevamo il Marchio Nero?”
Il viso di Rabastan era a pochi centimetri dal suo e poteva avvertire il profumo forte della sua acqua di colonia investirla con violenza, gli occhi smeraldini fissi nei suoi come se tentasse di leggerle nella mente.
“Rabastan non posso condividere ogni singola decisione delle mie sorelle. Le rispetto, ma ho il diritto di non condividerle grazie a Merlino! E se ti dico che non ti sposerò, così sarà. Non ho bisogno del vostro Signore Oscuro o di qualche causa crudele e sanguinaria per continuare a vivere. Perché io so apprezzare le piccole cose Rabastan, quando a te non bastano mai gli zellini che hai in tasca o i manieri che arredi con fasto quasi nauseante. Tu sei ricco e vivi da ricco, io sono una nobile in disgrazia e non mi resta che vivere la vita come più mi aggrada. E quello che voglio è vivere.”
“Sei pazza Andromeda! Ed io sono più pazzo di te perché ti amo.”
Era scoppiato in una risata forte che aveva attirato alcuni sguardi su di loro, tra cui quello di Severus che parlava sommessamente con Lucius e quello di Malfoy stesso, per poi strapparle un bacio e abbandonarla su quella poltrona come un giocattolo che aveva perso ogni attrattiva su di lui incurante del netto rifiuto che gli aveva palesato.
Lo odiava, ecco cosa provava ora per lui.
L’amore si era inevitabilmente trasformato in odio con il passare dei mesi e il dilagare di un morbo chiamato Lord Voldemort.
Se era stato Severus a strapparle i primi sospiri, Rabastan era stato quello che per primo le aveva fatto battere il cuore all’impazzata sin al loro ultimo anno ad Hogwarts.
Senza Rodolphus, Bellatrix e Lucius avevano condiviso la quotidianità scolastica insieme a Narcissa che avvertiva tra la sorella e il compagno di casa una complicità dalla quale a volte era esclusa e a cui guardava con invidia perché Lucius non l’aveva mai corteggiata così spudoratamente come Rabastan faceva con l’amata sorella.
Andromeda aveva curato le ferite di Rabastan nelle notti in cui furtivamente sgusciava fuori da Hogwarts per prestare i suoi servigi al Signore Oscuro e le narrava le gesta e i risultati delle maledizioni senza perdono che utilizzava, descrivendo divertito l’agonia della tortura o l’ingenuità della condanna alla possessione.
La ragazza si limitava a non dirgli nulla, a sospirare e scuotere la testa e lui l’attirava dolcemente a sé giocando affettuosamente con ciocche ribelli dei suoi capelli ridacchiando maliziosamente.
“Perché ti comporti così?”
“E’ divertente vederli tremare e piangere, implorare perdono. Ti senti un dio, Andromeda e puoi giocare con la loro vita come meglio ti aggrada: umiliandoli, torturandoli o uccidendoli semplicemente.”
“Sei crudele, Rabastan.”
In quei momenti lui la baciava sempre con dolcezza come se quel contatto potesse liberarla dal disgusto e dall’orrore, come se l’amore fosse più grande della razionalità in una donna come Andromeda. Aveva così sopportato in silenzio le notti passate ad attenderlo ritornare vivo ad Hogwarts tra il sollievo per averlo ancora accanto a sé e la rabbia per vederselo portare via da ondate sempre più forti di follia. A poco a poco l’amore si era trasformato in pietà e poi in disprezzo ed infine in qualcosa di vagamente simile all’odio. Rabastan non era come Bella, riusciva ancora ad amare qualcuno che non fosse un Mangiamorte e riusciva ancora a vedere il mondo con la spensieratezza dei suoi vent’anni cadendo inevitabilmente con l’emulare Rodolphus così come Regulus aveva seguito la strada della perdizione nonostante le grida quasi isteriche di Andromeda e le lacrime silenziose di Narcissa coronassero l’ennesimo tassello familiare annientato dai vortici della vita, nel disperato tentativo di trattenerlo cercando di non perderlo come già avevano perso Sirius e Bellatrix già apertamente schierati su due fronti opposti. Ma era accaduto anche a Regulus di cedere alle lusinghe dell’Oscuro Signore che li adulava ed avvolgeva con sensualità tra le proprie spire le loro brevi vite, annichilendoli con parole carismatiche e rendendoli schiavi di un marchio che mai si sarebbero lavati via.
Andromeda era rimasta al proprio posto osservando con la fierezza di una madre Narcissa, perfetta nel suo abito di fine organza al fianco di Lucius stretto in un elegante smoking bianco che gli conferiva un aspetto ultraterreno in contrasto con la sua natura cinica e calcolatrice. Accanto a loro vi erano poi Bellatrix e Rodolphus di una bellezza che faceva male tanto era opprimente il carisma che la sola presenza di entrambi emanava. Lei non c’entrava nulla in quel posto. Avrebbe dovuto festeggiare il proprio fidanzamento ufficiale con Rabastan ma la cosa più naturale che le riuscisse in quel momento era piangere.
Versare lacrime salate per Bella e Rodo, per Narcissa e Lucius, per Rabastan e Regulus e Severus e persino per sé stessa, circondata da purosangue sprezzanti che disprezzavano ciò che non ritenevano alla loro altezza disposti a sacrificare ed immolare qualsiasi innocente si parasse sulla loro strada in nome di un dio chiamato sogno. Severus si sera staccato silenziosamente dal gruppo e le si era avvicinato sedendosi accanto a lei.
“Sei così felice da dover piangere, Andromeda?”
“Se fossi felice danzerei a piedi nudi sull’erba intrisa di rugiada, Severus. Vedo solo un destino funestato da morte e disperazione per noi tutti…quale disgraziata generazione siamo diventati?”
“Tu puoi ancora fuggire, lo sai. Niente ti lega a Serpeverde e ai Mangiamorte e ancora puoi scegliere cosa fare della tua vita.”
Lo sguardo di Severus vagava per l’ampio salone senza posarsi mai su di lei. Doveva essergli costato un grande sforzo sedersi al suo fianco e parlarle in quel modo.
“Perché mi parli così?”
“Puoi essere felice anche per loro. Siete come la pozione del Requiem…esso è un potente veleno, per questo possiede questo nome. Ha come composti, tra gli altri, oro, arsenico e mercurio. Così siete anche voi, Andromeda. L’innocenza di Narcissa, la fierezza venefica di Bellatrix e la tua saggezza unite possono uccidere qualsiasi uomo. Anche prese singolarmente siete riuscite a soggiogare i rampolli della nobiltà senza dover fare nulla. Bellatrix e Narcissa hanno assecondato il proprio cuore e vostro padre. E tu?”
Andromeda aveva stretto convulsamente le balze dell’ampia gonna tra le mani sino a renderne livide le nocche sforzandosi di trattenere le lacrime che non avrebbe mai voluto versare davanti a Severus.
“Ho amato Rabastan con la devozione di una moglie e tuttavia con la stessa intensità ho iniziato a guardarlo con disprezzo. Io amo la vita e desidero amare un uomo che non sia un latore di morte. Io voglio essere Andromeda senza più cognomi importanti a cui essere vincolata.”
“Al mondo c’è un posto per ognuno di noi, Andromeda. Cercherai il tuo?”
Severus aveva le mani strette in grembo poggiate sulle ginocchia assumendo una posizione leggermente ricurva in avanti e aveva deciso di guardare Andromeda negli occhi per la prima volta dopo anni di sfuggevoli conversazioni.
“Lo troverò Severus. Ti ringrazio.”
Gli aveva stretto la mano nella propria in un sincero gesto d’affetto e si era avviata verso Rabastan con una regalità che Ninfadora non ricordava di averle mai visto.
“Rabastan tu hai scelto il tuo destino, ora desidero andare incontro al mio.”
“Cosa vorresti dire? Diventerai la signora Lestrange e…”
“Bella sarà un’ottima signora Lestrange. Il mio posto non è in una tenuta a contemplare orizzonti sconfinati né a trattenere il fiato ogni notte in attesa del ritorno di mio marito. Il mio posto è in un luogo ove sentirmi a casa.”
“Andromeda hai passato qui le tue estati, i tuoi inverni e ogni attimo che potessimo trascorrere insieme!”
“Rabastan io ti ho amato senza pari ma quell’amore sconfinato è scivolato via da me e non è rimasto nulla di ciò che c’era prima. Solo una grande tristezza.”
“Riesci a fare la saputella anche in una situazione del genere?”
“E’ facile perdersi, Rabastan. Tu ritroverai la strada verso casa?”
“Sei pazza, Andromeda. Sei completamente uscita di senno.”
Le aveva stretto la mano destra nella propria strattonandola a sé ed attirando l’attenzione dei presenti su di loro, ma ormai era troppo tardi per fermarla poiché Severus aveva reciso le corde che la tenevano prigioniera ed ora Andromeda esigeva di poter librarsi in volo nel cielo della vita.
“Cosa succede Rabastan? Andromeda?”
La voce di Bella era acuta e quasi stridula, priva del controllo che era solita manifestare.
“E’ finita Bella. Io non sposerò un uomo che voi ritenete adatto a me. Sposerò un uomo che mi ami per quello che sono.”
“Una povera illusa?”
Bellatrix le si stava avvicinando minacciosamente a grandi passi, mentre Narcissa si era aggrappata convulsamente al braccio di Lucius trattenendo il respiro e Rabastan aveva inavvertitamente allentato la presa sulla donna che amava, intimorito dalla furia che si era dipinta sul volto di Bellatrix e che avrebbe imparato a riconoscere in futuro come un chiaro segno della sete di sangue che si sarebbe impossessata di lei facendola apparire come una novella Erinne pronta a perseguitare ogni nemico di Lord Voldemort.
“Non sono un burattino nelle tue mani, sorella ed io il mio posto non è al maniero dei Lestrange. Io qui sono una pedina posta a caso sulla vostra scacchiera ma non sono sacrificabile.”
“Sei una stupida, Andromeda. Sei sempre stata una mocciosa di belle speranze ma la vita è quella che hai davanti non una copia di qualche stupida leggenda romantica!”
“Sono io a decidere cosa fare della mia vita. E se volessi passare il resto dei miei giorni nella foresta dei Giganti lo farei.”
L’attenzione degli invitati era calamitata sulle splendide donne che, in piedi l’una di fronte all’altra, si fronteggiavano in un duello che avevano rimandato in anni di adolescenza vissuta all’ombra di una precaria pace dettata dal legame di sangue e non da un vero ed effettivo amore.
“Disprezzi così tanto ciò che siamo? Nelle tue vene scorre il mio stesso sangue, Andromeda! Non potrai lavartelo via di dosso e resterai legata alla famiglia Black sino alla tua morte.”
“Sei patetica Bella. Continui a vivere la tua vita immolandoti ad un sogno! Questa è la vita non una realtà che puoi plasmare a tuo piacimento.”
Bellatrix era scoppiata nella sua alta risata, ricacciando indietro la folta chioma corvina libera da nastri ed acconciature complesse e ricercate.
“Parli tu di sogni? Parli tu di vita, quando nemmeno sei riconoscente ad un uomo come Rabastan? Chi mai potrebbe averti voluto per moglie?”
Andromeda aveva stretto i pugni lungo i fianchi inspirando profondamente cercando di mantenere un contegno che sua sorella aveva già perso.
“Quale differenza potrà mai fare essere una Lestrange o non esserlo, Bellatrix?”
“Se tu non la diventerai sarai alla stregua di una bastarda mezzosangue per me, Andromeda. Rifiutare Rabastan significa rifiutare Rodolphus e quindi, me.”
“E sia Bellatrix. Vivi la tua aristocratica vita come sacrificio di Lord Voldemort, io vivrò a modo mio.”
“Come osi!”
Bellatrix le si era avventata addosso ma Andromeda aveva velocemente estratto la propria bacchetta dalle balze dell’ampia gonna a ruota schiantadola poco lontano.
“Bada bene, Bella. Il marchio che ostenti con tanta fierezza è uno stupido marchio sacrificale. E quando ad uno ad uno verrete immolati ad una causa che non sentirete più vostra, io sarò a piangere per ognuno di voi. Addio.”
Narcissa aveva emesso un grido stridulo accasciandosi a terra mentre Bellatrix batteva i pugni a terra come una bambina a cui hanno strappato una bambola. Severus era rimasto impassibile alla scena mentre Rodolphus e Lucius tentavano di salvare una festa inevitabilmente compromessa. Rabastan era stato l’unico ad uscire nella notte invernale ad osservare la neve cadere fitta dal cielo plumbeo. Andromeda adorava la neve, gli aveva confidato che sotto ad essa si sentiva protetta perché i suoni venivano attutiti e tutti desideravano fare silenzio per udire il suono dei fiocchi di neve che cadono al suolo. L’unico silenzio che avvertiva ora Rabastan era quello del proprio cuore che aveva cessato di battere, a cui aveva risposto con un grido innalzato ad un cielo muto e spietato che continuava a piangere lacrime di cristallo.
Andromeda aveva salvato Severus ma inevitabilmente condannato Rabastan all’inferno fuggendo da una società che già l’aveva ripudiata come una reietta alla stregua di Sirius.

Ninfadora si rese conto di piangere solo quando le lacrime avevano iniziato a gelarsi sulle sue gote per poi asciugarsi con il calore dello studio di Silente.
“Perché è accaduto tutto questo?”
“E’ stato l’inizio di tutto e dove tutto prima o poi si concluderà.”
“Io…vorrei riposare ora.”
Silente aveva annuito e l’aveva lasciata andare verso la propria casa. I pensieri le si accavallavano nella mente, affollandola di volti e grida e disperazione di adulti che in quei ricordi erano suoi coetanei.
Mai avrebbe immaginato un simile destino per coloro che amava o aveva amato. Conoscere il lato crudele di Sirius o la dolcezza di Narcissa l’avevano turbata. Lei era la consacrazione vivente della libertà di Andromeda e più rifletteva più si faceva opprimente il desiderio di abbracciare sua madre e manifestarle tutto il suo affetto come se non fossero mai bastati i taciti consensi a lezioni noiose e le passeggiate mano nella mano per le strade babbane alla scoperta di un mondo sconosciuto che aveva imparato ad apprezzare per le sue stranezze.
Si sentiva stupida e gli occhi pesanti le bruciavano fastidiosamente ma era sua madre che voleva in quel momento come una bambina timorosa di qualche notturno mostro, maturando inconsapevolmente il senso di ribellione che aveva contraddistinto Andromeda e gli anni che d’improvviso l’avevano separata dall’età dell’adolescenza a quella adulta, segnando inevitabilmente la nascita della nuova Ninfandora. Quella che si era manifestata negli ultimi tempi ora brillava e richiamava la sua attenzione con insistenza, circondata da un’aura dorata che sarebbe diventato il vessillo sotto cui avrebbe combattuto.

“E’ giusto Albus?”
Minerva McGrannit sedeva di fronte al canuto preside di Hogwarts, le mani strette tra loro e lo sguardo acuto che non abbandonava mai la figura dell’uomo che le dava le spalle scrutando il cielo ricolmo di stelle.
“E’ comprendendo il proprio posto all’interno del Mondo che si forgia un mago, Minerva.”
“Le hai mostrato l’adolescenza di sua madre…a cosa può servirle?”
“Ad esorcizzare il mito di Sirius e vedere al di là della semplice apparenza, cogliere la sottile linea che separa il bene dal male, l’eroe dal semplice combattente. Ninfadora è distratta, allegra, spensierata e terribilmente goffa. Ma ha un cuore puro ed una grande intelligenza. Comprenderà il valore di tutto questo tra qualche anno forse, ma lo comprenderà prima o poi. E quando otterrà le risposte che cerca forse nemmeno sarò più su questa terra. Ma è giusto che lei sappia cosa ha distrutto la famiglia Black.”
“Mi fido delle tue decisioni, Albus.”
“Ti ringrazio Minerva.”
Silente giocava con un’ampolla di liquido nebuloso dondolandola stancamente dinnanzi a sé. Era solo l’inizio di una tregua, non una pace duratura. Presto o tardi Lord Voldemort sarebbe tornato e allora sarebbe stata di nuovo guerra. Sangue dello stesso sangue a distruggere vicendevolmente la vita di chi un tempo era amico, dolore e disperazione, rabbia e rancore. Ci sarebbe stato spazio anche per l’amore ma non avrebbe mai compensato il piatto della bilancia che oscillava fiaccamente all’estremo più alto della libbra della vita, mentre il peso schiacciava prepotentemente verso il basso dal lato che raggruppava i sentimenti che spingevano alla Guerra. Eppure, per un istante risultato fatale, in quella notte funestata da inganni e morte, l’amore aveva spinto con furia cieca verso il basso il piatto della Pace facendo volteggiare nell’aria gli opprimenti pesi adagiati sul piatto della Guerra facendo si che occorressero di nuovo anni per fomentare malevoli sentimenti.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** La ninfa distratta ***


“Tonks! Tonks!”
Hermione aveva fatto capolino da dietro la porta dello studiolo situato al piano terra scrutandovi all’interno per poi richiuderla alle proprie spalle. Batté con fare stizzito il piede destro a terra, le braccia conserte sul petto ed una ciocca di riccioli ribelli che non accennava a restare al proprio posto unita a tutte le altre nel semplice raccolto sulla nuca.
“Hermione l’hai trovata?”
“Tu Ron?”
“Nemmeno io. Forse Harry o Ginny hanno avuto più fortuna di noi.”
I due si incamminarono alla ricerca della ragazza o di qualche indizio che potesse condurli a lei, fermo restando che la tenuta di campagna in cui vivevano i coniugi Tonks era quanto di più simile ad un maniero, non fosse per la bassa altezza della struttura e i mattoni di nuda pietra ricoperti di rampicanti traboccanti grappoli di glicine che emanavano tutt’attorno il proprio caratteristico profumo.
“Ron l’avete trovata?”
Ginny era sbucata correndo da oltre un cespuglio ricco di spine tenendo ben sollevata la gonna dell’abito da cerimonia – gemello di quello indossato da Hermione - attenta a non ferirsi.
“Non può essersi smaterializzata!”
In risposta a quell’affermazione Ginny ed Hermione si erano lanciate un’occhiata complice per poi tornare a fissare Ron con fare supponente.
“Cos’avete da guardarmi così, ora?”
“Se fosse scappata? Sai com’è fatta Tonks…”
Era difficile credere che Ninfadora fosse fuggita dalla propria cerimonia di nozze e tuttavia l’evidenza non lasciava adito a dubbi: era scomparsa. Si erano svegliati presto per sistemare gli ultimi preparativi aiutati da Andromeda, mentre Ninfadora e Lupin avrebbero dovuto prepararsi. A conti fatti Remus si trovava seduto nell’ampio salone dell’abitazione attorniato dalla famiglia Weasley e rassicurato dalla vecchia compagna di studi, contorcendosi convulsamente le dita delle mani in grembo e guardandosi attorno con aria smarrita e Ninfadora, scomparsa. Avevano tutti quanti imparato ad apprezzare la discreta e delicata presenza di Andromeda, madre affettuosa e perfetta signora di casa, ospitale e protettiva sino quasi alla nausea. Niente a che vedere con Bellatrix e se era stata la cugina preferita di Sirius, i motivi erano quelli palesati a tutti gli ospiti della tenuta, giunti lì già da qualche giorno per le nozze di Tonks.
Il problema era sorto quando tutto era pronto tranne Ninfadora ed anzi, di lei era scomparsa ogni traccia.
“L’avete trovata?”
I gemelli avevano studiato uno dei loro cori perfetti per accogliere Ginny, Ron ed Hermione che per tutta risposta erano riusciti ad esibire un sorriso tirato per poi non poter nascondere l’evidenza.
“Che disastro! Dove può essere andata a finire?”
Molly aveva rivolto la domanda a tutti e a nessuno in particolare e Ginny aveva sollevato gli occhi al cielo dando una leggera gomitata ad Hermione per attirarne l’attenzione.
“Che vergogna…non capirà mai quando è il momento di tacere?”
“Sai com’è fatta, Ginny…”
Molly aveva così puntato lo sguardo sulle due ragazze, pronte per il loro ruolo di damigelle senza sposa.
“Non avete davvero idea di dove possa essere? Insomma, Remus…”
“Mamma, taci!”
Il sibilo di Ginny era quasi inumano tanto era basso e sottile e Molly l’aveva guardata con aria accusatoria.
“Bambina mia il vestito…ma dove sei stata?”
“A cercare Tonks, dove vuoi che sia andata?”
In quella frase vi era anche il sottinteso incontro con Harry, un bacio appassionato e di nuovo la corsa alla ricerca dell’Auror.
“Vado a cercarla anch’io.”
Bill si era sollevato dal proprio posto svincolandosi delicatamente dall’avvolgente abbraccio di un’incantevole Fleur già moglie, i capelli sciolti sulle spalle che la facevano apparire sempre più somigliante ad una Veela. Della Fleur che aveva partecipato al Torneo Tremaghi non era rimasta che una pallida immagine, sostituita da quella devota di una moglie fedele ed innamorata che era riuscita a entrare nelle grazie di una suocera del tutto singolare.
“Torni presto, vero?”
La voce vellutata poteva ipnotizzare chiunque ma non il primogenito di casa Weasley che aveva imparato ad arginare il magnetico fascino di una ninfa diabolica e bellissima già dal loro primo incontro, quando Fleur aveva rischiato di capitolare lungo le scale della Gringott per i troppi documenti stretti tra le braccia. Quell’incontro gli aveva rivelato una donna dagli occhi bellissimi, occhi che un tempo in una situazione analoga, erano appartenuti a Tonks. Quella che in quell’esatto istante era fuggita dal suo matrimonio gettando scompiglio tra gli invitati, sconforto su Remus e un sorriso benevolo sul volto di Andromeda come se si fosse attesa qualcosa di ben peggiore che non la semplice fuga dalla propria figlia.
“Bill sai dove può essere andata?”
Il tono inquisitorio di Molly era riuscito a strappare dai propri pensieri persino Remus che aveva mormorato qualcosa che verosimilmente poteva essere tradotto come “Lui lo saprà per certo”.
Il ragazzo era così uscito dalla stanza, il volto solcato da una profonda cicatrice ove Fenrir l’aveva colpito e non accennava tuttavia a rovinare la sua bellezza, quanto piuttosto dargli un’aria più adulta e mascolina. Era il segno di una battaglia, indelebile monito di una storia che non aveva ancora visto la parola fine e che avrebbe perdurato negli anni a venire forse ricordata dai loro figli come una delle tante leggende del Mondo Magico o invece come – ancora una volta – un tumore da combattere ed estirpare.
Remus aveva osservato la schiena vigorosa di Bill scomparire oltre la porta del salone confrontandosi inevitabilmente con quella neonata creatura figlia della notte che ancora non portava sulle proprie spalle il peso di una maledizione che non lasciava porte aperte ad un’ipotetica felicità. Eppure era realmente così o era semplicemente lui a crogiolarsi nei tormenti di un’esistenza che Bill riusciva a vivere serenamente? Remus aveva anni di notti di sangue ed ululati gridati ad una luna maligna e colpevole, non solo una manciata di mesi. Ninfadora era riuscita a cogliere la sua debolezza interiore, quel senso opprimente di inadeguatezza che negli anni della sua adolescenza aveva permesso a James, Sirius e Peter di diventare animagus solo per tenergli compagnia in notti altrimenti troppo solitarie e disperate da poter vivere singolarmente. Non tutto quel dolore era venuto per nuocere: Felpato si era salvato da Azkaban proprio grazie alla sua peculiarità animalesca e persino Ramoso proteggeva Harry attraverso l’evocazione del suo Patronus.
Il destino era stato un abile giocoliere nelle loro esistenze: Ninfadora aveva amato Bill e ora si ritrovava a sposare Remus, due licantropi accomunati da una donna dai capelli rosa acceso e da una battaglia contro il tempo e la morte, quotidiana ed inevitabile.
Forse Ninfadora era fuggita da lui dopo essersi resa conto che non era adatta al matrimonio o forse perché si era resa conto di non poter sopportare la sua dualità bestiale o ancora perché era giovane e non aveva alcuna intenzione di legare la sua vita ad un uomo che aveva l’età di sua madre.
Non ancora almeno o comunque non con uno come lui che viveva cercando di salvare un’anima che lentamente scemava alla deriva della vendetta a soli diciassette anni.
Si passò la mano sul viso in un gesto di totale disperazione ed Hermione si sedette accanto a lui sistemandosi accuratamente l’ampia gonna a balze tutt’attorno, perdendosi in una nuvola color azzurro cielo.
Andromeda la scrutava di sottecchi e si rispecchiava in quella ragazzina che sua figlia trovava terribilmente intelligente, ora seduta con espressione seria eppure mite accanto a Remus. Non avrebbe mai creduto che quello che un tempo fu compagno di studi sarebbe diventato un giorno il marito di sua figlia. A quei tempi, non pensava nemmeno di sposarsi con un mezzosangue né tanto meno di chiudere ogni rapporto con Bellatrix e di conseguenza, con Narcissa.
Le mancava la minore delle sue sorelle, una mancanza tinta di quella malinconia dolce e amara al contempo e tuttavia non era privata dalle fitte lettere intrise di pensieri e parole e timori mai rivelati. Narcissa era costretta sotto il giogo di Bella, chiusa in una prigione di vetro che comunque amava perché al suo interno si trovavano suo figlio e l’uomo con cui aveva deciso di condividere la propria esistenza. Si era chiesta spesso quanto avrebbe resistito quella trasparente barriera alla tortura e alla follia cosciente, quanto sarebbe rimasta pulita senza macchiarsi di sangue innocente e quanto avrebbe resistito lei, Narcissa, alle pressioni di una sorella che la dominava.
Sospirò uscendo dall’accogliente stanza per immergersi nel tepore del sole di quella mattinata primaverile, intenta ad assaporare la fragranza dei glicini. Non si sarebbe mai aspettata che Ninfadora approdasse a casa annunciandole un imminente matrimonio. Quando poi era riuscita a strappare alla figlia il nome del futuro marito, Ted aveva rischiato di schiantare a tre metri di profondità l’albero di pesco che stava piantando in giardino riuscendo invece a strapparle una risata fanciullesca accompagnata da un abbraccio caloroso ed un sonoro bacio sulla guancia.
L’aveva così staccata da sé studiandola con cipiglio materno, come quando da bambina la vestiva per uscire e poi la strinse di nuovo, euforica.
“Non me lo sarei mai aspettata, cara! Remus…era così dolce anche quando frequentava Hogwarts sai? L’unico dei Malandrini a cui poter parlare senza desiderare di schiantarlo.”
“Mamma…”
“Non essere tesa. E’ naturale sentirsi smarriti prima del matrimonio ma di certo non ti mancherà questa casa. Sei sempre così impegnata con l’Ordine che è un miracolo vederti per le feste tradizionali!”
“Mamma…”
“Dovremo preparare il pranzo, pensare al tuo vestito, agli invitati…chi vuoi invitare tesoro? Qualcuno di particolare?”
“I ragazzi dell’Ordine e…”
Tonks era confusa più dalla leggerezza con la quale sua madre aveva accolto la notizia che non dalla concretezza di un matrimonio imminente.
“Mamma…mamma!”
Andromeda stava già prendendo le misure per ordinare festoni traboccanti fiori cangianti, putti che ospitavano in cornucopie di paglia frutti succulenti e prelibati e il proprio abito da cerimonia, naturalmente.
“Devi dirmi qualcosa che ignoro, per caso?”
D’improvviso aveva acquistato l’espressione di rimprovero che sfruttava quando da bambina doveva sgridarla per l’ennesima trovata assurda e Ninfadora si costrinse a non ridere schiarendosi la voce e facendole cenno di avvicinarsi sussurrandole all’orecchio.
“E’ un lupo mannaro.”
“Lo so che Grayback è un mannaro, Ninfadora! E questo cosa c’entra con il tuo matrimonio? Hai deciso forse di invitare anche i tuoi nemici, per caso? L’amore deve averti dato alla testa!”
“Mamma…Remus è un licantropo!”
Aveva puntato i piedi a terra con fare stizzito ricacciando dietro alle orecchie una lunga ciocca di capelli rosa, continuando a studiare la propria madre in attesa di qualche cenno di sorpresa o di stizza. Ma non ricevette né l’uno né l’altro.
“Ne avevo il sospetto. Sirius si era lasciato sfuggire qualche dettaglio sulla sua trasformazione in Felpato e avevo dedotto non fosse l’unico a nascondere un piccolo segreto. Questo ti preoccupa, Ninfadora?”
“Ho fatto la mia scelta. Non ha importanza che sia un mannaro o un umano. Mi sarei innamorata di lui ugualmente, immagino.”
“Quando sposai tuo padre avevo abbandonato già da tempo la famiglia Black e mai avrei immaginato che mia figlia sarebbe riuscita a fare peggio di me. In senso buono, naturalmente.”
Le aveva sorriso sedendosi sull’altalena che anni addietro Ted aveva costruito per Ninfadora, dondolandosi stancamente.
“C’è stato un periodo della mia vita in cui l’amore mi aveva fatto perdere di vista me stessa. Quando Bella, Rodo e Lucius conclusero il loro ultimo anno ad Hogwarts ci ritrovammo a condividere il quotidiano scolastico Severus, Cissy, Rabastan e io. Non appartenevo alla Casa di Serpeverde, come ben sai, tuttavia era naturale per noi purosangue restare insieme. Dopotutto grazie all’amicizia, sfociata poi in amore, tra Rodolphus e Bellatrix ci siamo ritrovati a fare da satelliti alla loro figura e a formare un gruppo unito ed affiatato. Narcissa ed io essendo le sorelle minori di Bellatrix eravamo guardate con grande ammirazione dagli altri discendenti di Salazar e fu inevitabile per me condividere il mio tempo libero con loro. Seguire Bella e starle morbosamente attaccata era naturale come quando eravamo sole nell’imponente magione di famiglia. Poco alla volta tuttavia mi staccai da mia sorella. Aveva manifestato una crudeltà spietata, accentuando quella vena malevola che l’aveva sempre accompagnata. Era capitato spesso che tentasse di mettere in difficoltà me o Narcissa durante impegni mondani, come se lo sminuire noi potesse far risaltare sé stessa. Diventare la punta di diamante dell’esercito di Voldemort ha coronato il suo desiderio di sentirsi unica. E’ devota, crudele, spietata. Distruggerebbe il suo stesso sangue se il Signore Oscuro glielo chiedesse e tutto ciò viene ripagato con la fiducia e la stima. Cose che forse noi non siamo mai riuscite a darle, in fondo. Se è diventata ciò che è ora la colpa è anche mia e di Cissy che in un certo qual modo l’abbiamo isolata dal nostro rapporto. Avevamo paura di lei perché era irruente, focosa e passionale senza porsi mai limiti o freni. Amava Rodolphus e glielo dimostrava. Disprezzava Sirius e glielo rinfacciava ogni qualvolta ne avesse la possibilità. Noi eravamo molto più salde alle tradizioni che la nostra famiglia ci aveva imposto e tuttavia Bellatrix ha smosso qualcosa di profondo sia in me che in Narcissa. Io e Bella eravamo molto diverse ma c’era una cosa che ci accomunava: la voglia di libertà. Per lei essere libera è stato ricevere il Marchio Nero e poter manifestare apertamente il suo odio verso i mezzosangue e i babbani, per me è stato potermi liberare delle imposizioni della famiglia Black che comunque ti ho ugualmente conferito seppur in misura minore e differente rispetto a quella che ricevetti io da mia madre. Bellatrix è stata il fulcro della nostra crescita e il nucleo del nostro ciclone familiare. Guardavamo a lei con paura ma anche con ammirazione perché sapeva sempre trovare una soluzione brillante a tutti i problemi senza farsi piegare mai dagli eventi o dalle chiacchiere che la circondavano. Io e Narcissa non abbiamo mai avuto la sua forza d’animo e tuttavia non ci siamo fatte corrompere dalla Magia Oscura. Sto divagando, vero?”
“Il professor Silente…mi ha fatto vedere qualcosa su di voi durante il mio primo anno ad Hogwarts.”
“E’ riuscito a tirare fuori la parte più bella di te, Ninfadora. E non ti ho mai detto di quanto sono orgogliosa di averti come figlia.”
Tonks le si era gettata tra le braccia come era solita fare da bambina. Sentirsi vicine più che mai, così simili nella concezione dell’amore e della devozione.
“Mamma non hai finito di raccontarmi la tua storia…quella dell’amore.”
“Mi sono lasciata trasportare dai ricordi. E’ difficile guardare al passato senza accusarmi di averli abbandonati tutti a sé stessi egoisticamente. Ma non ho una così grande concezione di me stessa da pensare di avere la capacità di impedire loro di seguire la strada che poi hanno intrapreso. Eppure non potrò mai dimenticare quanto avrei desiderato fuggire portando con me Rabastan, strappandolo dalla sua scelta suicida. Ma non l’ho fatto perché l’amore si era trasformato in pietà, passando per il disprezzo e l’odio. Ho amato Rabastan a tal punto da curare le sue ferite nel cuore della notte senza obiettare concretamente alle sue parole crudeli. L’ho amato a tal punto da negare a me stessa il Marchio Nero inciso sulla sua pelle serica e vellutata, ignorando le grida della mia testa e ascoltando esclusivamente i sussulti del mio cuore. Alla fine ho ceduto alle grida, Ninfadora. Se avessi accolto in silenzio la festa di fidanzamento con Rabastan come fece Narcissa con Lucius o se avessi deciso di immolarmi all’amore come una martire senza pormi nessuna domanda o ignorando quelle che si presentavano con sempre maggior frequenza volendo una risposta ad ogni costo, non sarei mai diventata ciò che sono ora. Ci sarebbe sempre stata l’Andromeda diligente e scrupolosa, quella che aveva alzato la voce solo poche volte nella sua vita e sempre pentendosene. Non sono una donna coraggiosa ma la sono diventata inconsciamente. A diciotto anni, quando fuggii dal maniero dei Lastrange nel cuore della notte, divenni una donna coraggiosa. L’ennesimo ramo strappato all’albero possente e rigoglioso dei Black.”
“Papà la conosce questa storia?”
“Gliene ho accennato. Quando ci incontrammo per la prima volta vagavo per Hogsmade con ancora indosso le vesti della festa al maniero di Rabastan e Rodolphus. Smaterializzata da quel luogo in preda alla rabbia non feci troppo caso a dove voler effettivamente andare e il luogo più accogliente che ricordavo dopo Hogwarts era Hogsmade, quel piccolo paese in cui avevo vissuto giorni felici con Rabastan. Ted lavorava in uno dei numerosi pub della cittadina come inserviente e quando mi vide entrare nel locale ricoperta da fiocchi di neve ghiacciati mi offrì una burrobirra per riscaldarmi. Non riflettei particolarmente su chi potessi avere dinnanzi, in fondo. Gli raccontai vagamente la mia storia e iniziai a recarmi al pub quasi quotidianamente per scambiare quattro parole con quel confidente che avevo imparato ad apprezzare per la sua mitezza e per il fervore con il quale accoglieva i miei piccoli drammi quotidiani. Bellatrix tornò ben presto a cercarmi dopo il fallimento del fidanzamento con Rabastan dimostrando di essere stata sconfitta nel nostro confronto. Quando le rivelai di essere innamorata di tuo padre e di volermi sposare con lui, il tentativo di recuperare il nostro legame andò miseramente alla deriva. Bella iniziò a gridare e a insultarmi con veemenza, stizzita per quell’ennesimo tradimento. E fu così che tradii definitivamente il mio stesso sangue, senza troppo rammarico. Ero felice senza la famiglia Black, ero riuscita a ritagliarmi un posto nel Mondo Magico senza l’assillante presenza di un cognome importante ma ormai consunto come un libro troppo vecchio.”
“Io voglio poter essere come te, mamma. Dimostrare la tua stessa forza quando per me e Remus ci sarà dolore.”
“Le donne sono forti, indipendentemente che siano portate o meno a versare lacrime. E’ genetico, tesoro mio. E sarai una moglie splendida.”
“Andromeda non trovo Tonks…Ninfadora.”
Harry si corresse bruscamente sbucando da dietro l’angolo dell’edificio avvertendo su di sé lo sguardo malinconico della donna.
“Arriverà Harry. E’ sempre così mia figlia. Fugge davanti a tutto per poi prendere tutto di petto.”

Si era assopita con il sole del meriggio che filtrava dalle leggere tende della stanza in cui aveva vissuto la sua infanzia e parte della propria adolescenza. Sognava, o ricordava, viaggi trascorsi in esistenze che non le appartenevano e in anni in cui non era nemmeno nata. Riviveva momenti a cui aveva fatto da spettatrice per poter fare una scelta definitiva di ciò che voleva essere a soli undici anni, quando ancora si è bambini e non si dovrebbe pensare al domani ma solo al presente, quando lei ad undici anni già era innamorata e aveva conosciuto il sapore dell’odio. Era semplicemente cresciuta troppo in fretta e per una come lei, abituata ad una solitudine quasi obbligata, scoprire di risultare interessante nonostante il suo essere goffa ed impacciata, nonostante quell’aria perennemente distratta che la contraddistingueva era stato piacevole. Come sentirsi bene nella propria pelle senza che questa risultasse troppo abbondante per lei. Bill l’aveva accudita amorevolmente offrendole devozione e dolcezza, una mano a cui aggrapparsi nei momenti di sconforto ed un abbraccio accogliente in cui tuffarsi dopo una giornata di studi e lezioni. Era stato tutto naturale e perfetto con lui sino a quando non aveva deciso di diventare Auror compilando l’apposito modulo di richiesta divulgato dal Ministero della Magia. Bill diceva che non era in grado di sostenere una simile responsabilità e lei di rimando lo accusava di non avere fiducia in lei. Così si erano ritrovati a fronteggiare il loro ultimo anno ad Hogwarts privati del loro amore adolescenziale, decisi entrambi a proseguire sulla strada dei sogni sacrificando quello che era sembrato più giusto abbandonare: il tepore di un abbraccio sincero, il sapore di un bacio scambiato frettolosamente tra una lezione e l’altra, le gite mano nella mano ad Hogsmade.
Tutta la felicità di sei anni per due stupidi sogni che a entrambi, alla fine, avevano portato una rinnovata felicità.
“Tonks, ehi! Ti sembra il momento di dormire?”
Bill le aveva scostato dal viso una ciocca di lunghi capelli di un vivacissimo rosa, il velo a coprirle il capo e l’abito candido ad avvolgerla in una morbida nuvola di seta.
“Hai ceduto alla tradizione?”
Si era sollevata a sedere cercando di focalizzare l’orologio a pendolo che si trovava oltre le spalle di Bill portandosi una mano alla bocca emettendo un gridolino disperato.
“E’ tardissimo! Come sta Remus?”
“E’ agitato. Lo sarebbe chiunque al suo posto. Ti sei nascosta nella stanza sopra la soffitta, Tonks!”
Il suo rifugio segreto. La stanza in cui aveva pianto e sorriso ed amato.
“Dobbiamo andare, è tardi! Che stupida che sono…”
Si sollevò in piedi incespicando nel lungo strascico del vestito imprecando sommessamente.
“Accidenti a questo affare…”
“Sarai felice, vero?”
“Quanto te almeno.”
“Non avrei mai immaginato fossi così tradizionalista.”
“E’ mia madre che ha voluto tutto questo…non io!”
L’espressione sul suo viso era raggiante, intinta in una pozza di felicità che finalmente le era stata concessa.
“Che desiderio hai espresso quella notte, Bill?”
Glielo poteva chiedere ora che inevitabilmente le loro vite erano unite da un affetto quasi fraterno, nonostante lei non avesse mai avuto modo di sperimentarlo con fratelli di sangue un affetto simile. Ma a ben pensarci il sangue poteva poco quando le idee erano diametralmente opposte e le persone troppo differenti. Sua madre e Bellatrix erano la prova lampante di quanto il sangue potesse essere traditore e ingannatore, costringendo a rapporti forzati persone che nulla avevano da spartire tra loro.
“Di poterti vedere felice. E tu?”
Era scoppiata a ridere gettandogli d’improvviso le braccia al collo per poi staccarsi da lui continuando ad incespicare nella gonna.
“Forse è meglio smaterializzarsi che fare tutte quelle scale. Ho chiesto di vederti felice.”
Un tocco di bacchetta e già era scomparsa.
Bill sorrise per poi imitarla, trattenendo a stento un impeto di ilarità.

Tonks si era materializzata al fianco di Remus sorridendogli e passandosi nervosamente una mano tra i capelli.
“Scusami…mi ero addormentata.”
Lupin aveva ingoiato a vuoto ondate d’aria per recuperare il respiro quando questo era venuto meno a causa della vista di una donna che non aveva mai completamente considerato tale.
Ninfadora per lui era stata la nipote di Sirius, la figlia di Andromeda, l’Auror, la compagna di avventure, la confidente, l’amica. Ed ora era donna. Quando gli strinse le mani nelle proprie costringendolo ad alzarsi e conducendolo all’aperto, nell’ampio giardino che andava trasformandosi in campi coltivati verso l’orizzonte, Remus le aveva semplicemente sorriso.
“Sarà per sempre?”
Gli aveva porto quella domanda con un tremito nella voce e di rimando strinse più forte la mano di Tonks nella propria.
“Per sempre. A patto che tu non sparisca.”
Di nuovo una risata cristallina verso un cielo plumbeo da cui cadevano petali di candida rosa, sotto lo sguardo festante di amici e parenti.
Ninfadora Tonks poteva permettersi ora anche le lacrime in pubblico.
Quelle che non aveva mai versato ora scorrevano con fierezza sul suo volto raggiante.
A tutti quelli che le chiesero perché piangesse lei sorrise sempre, senza proferir parola alcuna.
Basta un sorriso per giustificare lacrime dettate da una felicità inaspettata, colta con timore da un campo in cui essa è l’unico fiore con mille spine attorniata da piccoli fiori di campo sterili e sbiaditi. La felicità – il fiore più brillante e doloroso, il più difficile da cogliere – ora era stretto nelle sue mani di sposa.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=676181