La vendetta di Nightcrawler

di Duir
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ed è successo ***
Capitolo 2: *** qualcuno nelle tenebre ***
Capitolo 3: *** Toccata e fuga ***
Capitolo 4: *** Angeli e demoni ***
Capitolo 5: *** voglia di casa (parte prima) ***
Capitolo 6: *** voglia di casa (parte seconda) ***
Capitolo 7: *** Padre crudele, madre traditrice (parte prima) ***
Capitolo 8: *** “Padre crudele, madre traditrice” (seconda parte) ***
Capitolo 9: *** Tuoni e fulmini ***
Capitolo 10: *** Tuoni e fulmini (parte seconda) ***
Capitolo 11: *** Presenze ***
Capitolo 12: *** Quando qualcuno ti ascolta ***
Capitolo 13: *** Tra la terra e il cielo ***



Capitolo 1
*** Ed è successo ***


-Ich liebe dich……..- -I don’t understand you....- -Ich liebe dich!- -I’m sorry but I have to go now! I’ll come back tomorrow!- -Nein! Aspetta! Ich liebe dich!!!!!-. Queste le uniche parole rimaste sulle sue labbra, mentre dopo una notte tormentata ecco arrivare il nuovo giorno, freddo del sospiro di un vento insensibile, livido di luci invernali, vuoto, privo di tenerezza, di compassione. Tutto ciò gli era da subito entrato nella mente, nemmeno dandogli il tempo di capire, di chiedersi ancora una volta il perché egli fosse ora lì, in catene, pronto ad essere ancora il servo di quell’uomo che fingeva approvazione, fingeva amicizia e dietro una falsa gloria lo aveva intrappolato in una orrenda schiavitù. Da lontano, provenivano già i tonfi del bastone che il guardiano usava per svegliare le bestie; avanzava sordo, come un cuore vuoto, il cuore della mano che lo brandiva e lo rovesciava colmo di disprezzo sulle sbarre di ferro. In quel mentre si rese conto della sua vita, fulgido come l’aurora il pensiero di come da lì non sarebbe mai più fuggito, la disperazione per la solitudine in cui quel suo Dio lo aveva costretto…..Mentre i passi si avvicinavano il suo cuore batteva di terrore sapendo cosa sarebbe avvenuto dopo; tonfo dopo tonfo il bastone si avvicinava e presto sarebbe approdato come un colpo d’uragano sulla sua cella, anticipando nella sua mente l’angoscia delle frustate, l’umiliazione degli insulti e dei calci, il dolore per non avere una libertà di vita. Ormai il guardiano era a pochi passi dalla sua gabbia e già si udiva la sua rauca voce da fumatore incallito di sigari urlare sguaiatamente il suo nome. Come un colpo d’ascia, il bastone di ferro si schiantò sulle sbarre arrugginite facendolo sussultare. Seguì una grassa risata di disprezzo e un –Alzati bestia! Cosa vuoi? La colazione a letto?- mentre la cella veniva scoperta dal suo telo sudicio. Egli non rispose, ma rimase accoccolato in un angolo, troppo addolorato per reagire, troppo triste per domandare ancora a quel suo Dio che cosa fare. Un’ondata d’acqua gelata lo colse improvvisamente come una morsa, facendolo tremare da capo a piedi. Strinse i denti, mentre gli occhi gli bruciavano dallo sforzo di non piangere. –Non devo…..non devo…..Fluch! Non devo!!- si ripeteva, mentre alle sue spalle gli insulti dell’uomo si facevano sempre più prepotenti. Una seconda secchiata d’acqua, questa volta ancor più gelata e sudicia lo investì nuovamente, seguita dal rumore della grata che si apriva. Udì l’uomo imprecare ancora contro di lui, contro il suo lavoro, contro tutti gli esseri disgraziati come lui, che potevano far altro che crepare e lasciare lo spazio a chi lavora onestamente e paga le tasse, poi qualcosa lo afferrò per il collo: un filo tagliente gli stringeva la carotide, impedendogli di respirare, mentre due paia di braccia forzute lo trascinavano fuori dalla gabbia e lo sbattevano sul terreno fangoso e gelato. Un calcio ben assestato allo stomaco gli tolse anche la poca energia che aveva per dibattersi. Sporco di fango e soffocante non potè schivare il ceffone che dall’alto gli piombò pesantemente per ben due volte sul magro viso; poi, riconobbe in quella colossale presenza il volto e le fattezze di chi,diciannove anni prima, lo aveva salvato dalla strada, con la promessa di una sfolgorante carriera al Magnifico Circo di Monaco. Due labbra carnose si storsero in uno sprezzante sorriso, mentre una voce odiosamente melliflua si faceva udire. –Allora…..è così che ci comportiamo dopo gli aiuti ricevuti?-. La mastodontica figura si chinò su di lui tanto che egli potè sentirne lo sgradevole lezzo di dopobarba di seconda scelta, misto a tabacco e alcol. Storse il naso, voltando il capo di poco e questo gli rimediò un terzo ceffone che calò sulla sua testa come una bastonata. Irato della sua riluttanza il padrone del circo ora era paonazzo nella sua divisa da giorno, mentre urlava sputacchiando saliva dappertutto e imprecando. Mentre si apprestava a togliersi la stretta giacca di broccato e ad agguantare la frusta, qualcosa accadde…..non qualcosa di tangibile o di osservabile, qualcosa che solo una mente aperta a molte miglia di distanza poteva comprendere. -Aspetta…..aspetta…- gli ripeteva la voce che ora si era svegliata nella sua mente. I due uomini lo liberarono dal cappio, ma lo tennero ugualmente stretto per impedirgli movimento alcuno; da quella posizione poteva solo vedere gli enormi stivali lucidi del padrone del circo muoversi freneticamente, mentre provava alcuni colpi di gatto a nove code. –Aspetta…..- gli disse nuovamente la voce interiore. La stretta si fece più serrata mentre i due individui lo costringevano a porsi di schiena. Deglutì mentre i grossi piedi gli si avvicinavano inesorabilmente e la frusta fendeva l’aria, minacciosa. –Aspetta……non ancora….- ripetè la voce. Chiuse gli occhi. Poi, mentre le strisce di cuoio calavano sul suo corpo, una forza straordinaria scaturì dalle sue membra apparentemente inermi. Ci fu un clamore di lotta; più volte i suoi denti affondarono nelle carni, le sue unghie lacerarono pelle e vestiti, la sua coda arrestò i battiti dei loro cuori avvizziti, mentre le sue labbra assaporavano per la prima volta il gusto amaro del sangue. Ansimante e ferito, rimase a guardare per un attimo quanto rimaneva ora sul terreno di quelli che solo pochi minuti prima erano stati i suoi aguzzini. Pochi istanti dopo, una figura coperta da un lungo pastrano nero si allontanava dal Magnifico Circo di Monaco.

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Capitolo 2
*** qualcuno nelle tenebre ***


Era una fredda sera di novembre quando Kurt fuggi dal Magnifico Circo di Monaco. La pioggia bagnava imperturbabile la città, rendendola ancor più malinconica e non certo aiutandolo nella fuga. Sebbene avesse cercato di usare i suoi poteri aveva spesso rischiato di trovarsi improvvisamente in luoghi impervi o troppo frequentati tanto da essere visto. Ora che non era più un’attrazione da circo, sapeva che la gente avrebbe avuto serie ragioni per tenerselo alla larga e un inizio era il suo aspetto; si sorprese come pensarci ora, che finalmente aveva conquistato la sua libertà, avere un aspetto così orrendo gli avrebbe creato tanti problemi con la gente “normale”. Quando essi venivano al circo per assistere ai vergognosi numeri cui lo obbligavano il massimo era qualche frase di macabra sorpresa, mista al ribrezzo di chi nella sua piccolezza si trova in fondo contento e rinfrancato nel vedere coi suoi occhi che esistesse qualcuno messo peggio di lui. Quegli umani riuscivano a rasserenarsi anche di fronte all’orrore, alla prigionia, alla violenza……gli venne spontaneo giudicarli con pietà. Perché provava pietà per loro? Perché non approfittava dei suoi poteri da mutante per ucciderli tutti? Per vendicarsi di quanto loro gli avevano fatto sopportare in tutto questo tempo? Un gabbiano si posò nei pressi della tettoia dove ora Kurt si era fermato per riprendere fiato. Non aveva mai visto una creatura tanto leggera e nel contempo così forte. I suoi occhi neri erano fieri di quella felicità che solo chi è dotato di ali può permettersi. Le sue penne bianche macchiate di cenere si arruffavano al vento che per lui era un alleato. In quel momento desiderò ardentemente essere come quel gabbiano, per poter volare via, in alto, lontano dagli occhi falsi degli umani. Un tuono roboante squarciò il silenzio, spaventando il gabbiano che s’involò via con uno stridio. Kurt rabbrividì, fradicio ormai com’era di pioggia e poi si accinse a proseguire, procedendo a salti e tenendosi sempre rasente i muri, con l’ansia che qualche umano potesse vederlo dalla strada. Infine, trovò rifugio in un sudicio viottolo dove il pattume si ammucchiava dappertutto e scheletrici gatti cercavano cibo tra le immondizie; c’era una crepa nel muro corroso dallo smog e dalla colla di innumerevoli manifesti pubblicitari, abbastanza profonda da poterlo ospitare per quella notte. Lesto vi balzò dentro e vi si raggomitolò, triste e affamato. Non potè far altro che abbandonarsi alla stanchezza che come un pesante mantello lo avvolse, costringendolo nuovamente a chiudere gli occhi. Ma questa volta fu diverso, non più come al circo, poiché una luce argentea avvolgeva i suoi sogni di giovane mutante……-Ich…..liebe…..dich…….- Nello stesso momento, servendosi delle tenebre, qualcuno stava errando alla ricerca di chi aveva fatto quella strage al Magnifico Circo di Monaco. Dopo aver visto con gli occhi feroci i corpi dilaniati ed aver fiutato l’odore del sangue che ancora scorreva in rivoli mescolato alla pioggia, si era slanciato in una corsa pazza per trovare chi era degno di tanta crudeltà. Attraversò con l’impeto di un uragano i campi incolti, sorvolò senza tregua fiumi e case, annusando l’aria, famelico, e più percepiva il suo odore più i suoi occhi brillavano di diabolico piacere. Oramai la brama di scovarlo lo faceva fremere di una malsana impazienza, tanto da non controllarsi quando dinanzi a lui si pararono due uomini in divisa, che gli intimarono di fermarsi. Sordo ai loro avvertimenti di sparare se non avesse obbedito, avanzò fiero e impassibile. Un ultimo urlo d’avvertimento e poi le sue fauci scattarono alla gola del malcapitato, mentre gli artigli lo sventravano. Ridendo in preda oramai alla frenesia si slanciò in una folle rincorsa del secondo uomo che tentava la salvezza. Metro dopo metro l’uomo guadagnava terreno verso l’automobile parcheggiata poco distante, la raggiungeva, apriva la portiera……..ci fu un clangore seguito da un urlo. Dopo poco il suo cadavere giaceva in una pozza di sangue, ai piedi dell’auto, mentre la pioggia cancellava ogni traccia, ogni odore, ogni pensiero.

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Capitolo 3
*** Toccata e fuga ***


Luce. Purezza. Candore. Tutto ciò ora regnava attorno a lui ed egli si sentiva bene, percepiva una leggerezza ed una calma interiore di una insolita naturalezza. Il perché non lo sapeva o forse non voleva saperlo. Ma la domanda rodeva il suo cuore , lottando per emergere. Che sia la Morte, che sia venuta a prendermi? La Morte…….non sarebbe certo così piacevole, d’altro canto chi mai è riuscito ad incontrarla e raccontare quanto ha percepito. Luce, ancora luce, sempre più chiara, più indistinta. Occhi, occhi rossi, gialli, blu, grida e stridii, suoni dapprima confusi, poi sempre più forti. Voci, voci concitate, terrorizzate, ancora stridii, acuti e ridondanti, rumori, panico, sgomento….. Kurt aprì di colpo gli occhi. Non sapeva per quanto tempo aveva dormito, forse ore, forse giorni, forse solo pochi istanti, ma una cosa era certa: qualcosa stava accadendo attorno a lui. Scrollandosi di dosso gli ultimi brandelli di sonno si mise in ascolto, poi capì: quelle che gli erano parse urla erano sirene spiegate che provenivano dalla strada parallela e quelli che lui aveva preso per occhi erano luci lampeggianti. Un’intera squadra di poliziotti con tanto di elmetti e scudi di plexiglass perlustravano la strada, parlando nei loro ricevitori. Ogni tanto poteva udire qualcuno di loro dare ordini o imprecare sul lavoro svolto da un altro. L’agitazione e il panico erano tali che presto anche lui ne fu colto; sicuramente ciò che aveva fatto al circo era ora stato scoperto e quella gente era lì per cercare lui! Si sentì gelare e si rintanò come un coniglio nel buco del muro. Non sapeva che fare e l’atrocità di quello che aveva compiuto la mattina gli bruciava ancora nel cuore. Aveva ucciso degli umani! Aveva dilaniato i loro corpi! Ed ora se qui poliziotti erano lì era causa sua….Un improvviso motto di razionalità gli si propagò nella mente. Come era possibile che sapessero dove si trovava….come potevano aver appreso del suo nascondiglio? Deglutì, nuovamente in ansia, ma si costrinse a ragionare. L’unica spiegazione era che qualcuno fosse sopravvissuto e avesse rivelato della sua fuga, ma come? Lui ne aveva fatto scempio e quella mattina non c’era nessun altro a parte i guardiani e il proprietario del circo. Si passò una mano tra i corti capelli, sospirando, agitatissimo. Troppo spaventato per ragionare si abbandonò all’angoscia che gli serrava la gola d’un pianto irrefrenabile. Nascose il volto tra le mani e lasciò che le lacrime uscissero per l’ennesima volta. –Dumm! Du bist Dumm! Perché piangi? Sei un uomo ormai! I bambini piangono!- ma non servì a nulla. Gli venne in mente una scena di un libro che era riuscito a leggere di nascosto, dove una bambina aveva pianto talmente tanto da allagare una intera stanza e poi per magia si era rimpicciolita e quasi stava affogando nelle sue lacrime. Trasalì. In quel mentre un uomo dalla divisa blu con una pistola in mano si era fermato all’imbocco del sudicio vicolo dove egli era rintanato; -Shaisse!-. Kurt fissava con terrore l’uomo che, coprendosi il volto col braccio per affrontare l’odore di pattume, avanzava minaccioso e guardingo verso il suo nascondiglio. Un passo, un altro ancora l’umano si avvicinava sempre più finche giunse sotto di lui……il cuore di Kurt ebbe uno stallo. –Non guardare quassù……..non guardare quassù……- si ripeteva mentre il sudore gli scorreva giù per la schiena ed il respiro si faceva sempre più sottile nel disperato tentativo di rendersi invisibile. L’uomo guardò prima a destra poi a sinistra, esaminando il terreno ed il muro di fronte a lui con una torcia elettrica, passò in rassegna i bidoni dell’immondizia e poi si volse per tornare sui suoi passi; ma si era appena girato che un rumore alle sue spalle lo fece voltare di scatto. Il cuore di Kurt fece un salto. L’uomo avanzò nuovamente con la luce spianata a illuminare i bidoni. Se avesse alzato la torcia solo di pochi metri lo avrebbe visto nella pienezza della sua persona! –Gott! No ti prego!-. Improvvisamente, mentre il poliziotto era vicino ad un bidone scoperchiato, balzo fuori un gatto spelacchiato e privo di un occhio, che prima soffiò impaurito e poi corse via. L’uomo rise tra sé e Kurt poté rasserenarsi per pochi attimi. Soddisfatto e stufo allo stesso tempo l’uomo si allontanò. Kurt allora si lasciò scivolare dalla parete sino a terra. Stava ancora pensando a quello che gli sarebbe potuto accadere quando le sue acute orecchie captarono un brandello di discorso tra due poliziotti, che gesticolavano nel mezzo della strada. -……..un animale, forse una tigre che si era liberata, hai visto come le tenevano no?- -Le tigri non uccidono a quel modo e comunque se fosse stato un animale ne avrebbe in parte divorato i corpi, quei poveri disgraziati erano con le budella di fuori, ma i corpi erano interi- - Che si fa capo?- -Aspettiamo il resoconto della scientifica, al momento non abbiamo sufficienti dettagli per proseguire-. I due si mossero verso le auto. Il capo pattuglia rimase in mezzo alla strada, poi però anche lui scomparve dietro l’angolo del viottolo. Kurt trasse un sospiro di agitazione. Allora era stato scoperto! Sapeva che era rischioso uscire di lì, ma doveva, doveva scoprire di che stavano parlando quei poliziotti. Si spinse furtivo sino all’angolo e fu allora che vide qualcosa di insolito: dall’altra parte della strada, in un altro vicolo scuro e sporco quanto il suo, un’ombra nera guizzò fugace. Kurt rimase a fissarla sbalordito, mentre la figura saltava e balzava con un’agilità fuori dal comune, facendosi strada nella notte. D’improvviso, come se avesse percepito qualcosa, l’ombra si fermò di botto, arretrando di qualche passo. A quella vista gli venne istintivo indietreggiare e quando la figura alzò la testa per fiutare l’aria non poté controllare un improvviso fremito della coda, la quale si impigliò nel coperchio di uno dei bottini, provocando un clangore di ferraglia che venne amplificato nello stretto vicolo. A Kurt si gelò il sangue nelle vene. Udì le voci dei poliziotti farsi sempre più vicine, il rumore dei loro passi veloci rimbombargli nella testa che ora era assolutamente bloccata dal panico. Ormai almeno una quindicina di uomini lo stava accerchiando, tenendo le pistole pronte a sparare, gridandosi ordini l’un l’altro e intimazioni di uscire allo scoperto chiunque egli fosse; ma Kurt non sentì né vide nulla di quanto stava succedendo poiché ora i suoi occhi erano fissi sull’ombra dall’altro lato della strada: diritta, minacciosa e fiera poteva vedere ben distinta l’ombra di una coda dalla punta acuminata che sinuosamente costeggiava il muro diroccato. Allo sparo di una pistola l’ombra sparì senza esitare, ma Kurt sconcertato e sgomento com’era non fece in tempo a muoversi. Un fascio di luce lo illuminò completamente, mentre le intimazioni di restare fermo e mettere le mani sopra la testa giungevano alle sue orecchie da ogni lato. La confusione creatasi bastò a fargli girare la testa, ma si costrinse a resistere per non crollare. Attorno le urla si facevano sempre più selvagge e le minacce di andarlo a prendere si ripetevano veloci e schiette come frustate. Ancora una volta gli fu intimato di arrendersi, ma egli non capiva o forse non voleva capire il perché lo stessero minacciando a quel modo. Nella sua mente ora c’era solo l’immagine di quell’ombra misteriosa che fuggiva via, dimenando una coda uguale alla sua. Finalmente l’urlo secco del caposquadriglia, amplificato da un grosso megafono lo riportò alla realtà. –Sei in arresto! Non muoverti o saremo costretti a sparare! Ora vieni lentamente avanti con le mani alzate sopra la testa e non tentare la fuga perché saresti freddato all’istante!-. Il cuore gli batteva forte, sentiva la rabbia ribollirgli dentro, percepiva il fremito di una sanguinaria vendetta scorrergli attraverso il corpo, come se stesse impugnando un cavo dell’alta tensione. Strinse i pugni, deglutì, ma non si mosse. Non era disposto a prendere più ordini dagli umani, basta! A questo pensiero gli occhi gli scintillarono di una vena malefica, poteva percepire una strana sensazione serpeggiargli nelle vene, un odio verso quegli umani che non aveva mai provato prima. Si rese subito conto che non avrebbe potuto tener loro testa da solo, ma era l’unica via di scampo. Senza por tempo in mezzo fece un passo deciso in avanti, provocando l’immediata reazione dei poliziotti che svuotarono i loro caricatori su di lui; ma Kurt era veloce ed agile e di lì a poco aveva già scavalcato la prima fila di uomini, schivando le innumerevoli pallottole. Sibili e spari impregnavano l’aria densa di fumogeni che erano stati lanciati per stordirlo. Con una notevole agilità e perfezione di movimenti si mise fuori dalla portata degli altri poliziotti che chiudevano il cerchio. Ormai era fatta, ancora pochi metri e sarebbe potuto saltare sul cornicione più basso e fuggire via. Ma all’ultimo minuto, quando già stava per spiccare il salto, un uomo, lo stesso che all’inizio stava per scoprirlo, comparve da dietro l’angolo della strada e lo colpì ad una spalla. Il dolore fu indicibile; un fiotto di sangue blu schizzò fuori dalla ferita, facendolo cadere al suolo. La squadra approfittò del suo cedimento per correre a catturarlo e in pochi istanti gli furono addosso; ma proprio nel momento in cui le manette scattavano ai suoi polsi, BANF! Kurt svanì nel nulla in una nuvola di fumo color malva. Il panico e la sorpresa avvolsero i poliziotti che increduli stavano a fissare il punto in cui un attimo prima si trovava l’essere blu.

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Capitolo 4
*** Angeli e demoni ***


“Tutto accade così in fretta che spesso non capisci se stai sognando o se stai vivendo una realtà solo un po’ diversa dal solito…oppure se il sogno sta diventando realtà o se la realtà è stata solo un sogno….o un incubo….ma se è un incubo bisognerebbe non paventare la veglia…..vero? La mia vita non è un sogno, ma nemmeno un incubo….cosa sono io? Perché sono qui e non altrove? Cosa vuoi da me? Mi hai creato affinché io possa servirti o vuoi fare di me il tuo giullare? Se tu sei il mio pastore perché io sono la tua pecora nera? Una cosa è certa: la mia strada ormai la conosco.” La paura si faceva sempre più intensa mentre attorno a lui luci e bagliori spettrali guizzavano per ogni dove, sfiorando il suo corpo sospeso in quell’aura irreale. Sebbene ci fosse la luce egli non riusciva vedere altro che ombre: era come se i suoi occhi fossero stati appannati da un sottile velo bluastro; inoltre la terribile atmosfera di vuoto rendeva i suoi movimenti lenti e limitati, come gli accadeva spesso nei sogni. Il problema era che di un sogno non si trattava; questa che stava vivendo era la reale conseguenza di una decisione presa senza razionalità alcuna: si era smaterializzato senza sapere dove andare. Ora si trovava a fluttuare in un limbo senza confini, immerso in un mondo irreale, snervante, in cui strane presenze si lasciavano percepire, quasi ansiose di essere scoperte. Luci brillanti gli passavano accanto, danzando, guizzando, saettando e scontrandosi e dissolvendosi in inquietanti crepitii. Gli pareva di essere in un improbabile fondale marino, colmo di pace, ma al contempo freddo e sconfinato. In lontananza, una nebbia biancastra iniziava ad avanzare, coprendo le luci e le ombre col suo manto trasparente e avvolgendo di lì a poco il suo corpo in spire lattee. Rabbrividì al contatto poiché sembrava polvere di ghiaccio e presto ne fu praticamente avvolto. La poca visibilità che già possedeva, ora si stava totalmente annullando a causa di quella cortina mortifera, che fuoriusciva apparentemente dal nulla, mentre l’angoscia di poter rimanere per sempre confinato in quel posto gli iniziava a serrare di nuovo la mente. Nebbia, ancora nebbia, bruma, gelido ed incorporeo vapore spettrale, impalpabile e sottile. Si sentì mancare l’aria e annaspò per respirare; la fredda sostanza gli penetrò dentro, gli entrò nel naso, gli serrò la gola, la percepì nei polmoni, nello stomaco, in ogni singola cellula che pareva si stesse tramutando in una massa di giaccio. Chiuse gli occhi, strinse i pugni, costringendosi a respirare mentre i brividi lo animavano di un tremito incontrollabile. Con un ultimo disperato sforzo tentò di scuotersi da quel torpore, fece appello a tutto il suo coraggio, controllando il respiro com’era solito fare quando l’emozione da palcoscenico lo prendeva al circo. Piano piano, molto lentamente riacquistò padronanza del suo corpo. Mosse la coda, arrotolandola attorno ai fianchi, stiracchiò le dita delle mani e dei piedi, scosse la testa e finalmente sentì il freddo progressivamente diradarsi. Ora poteva nuovamente muoversi anche se non in totale libertà, ma tuttavia il ribrezzo creatogli da quelle strane creature di luce attorno a lui gli toglieva il coraggio di riaprire gli occhi. Sapeva che erano là, tutte attorno a lui, vibranti di vita e forse non del tutto inconsapevoli della sua venuta. Non sarebbe riuscito a sopportare quella perenne luce blu, screziata ora del verde e del rosso di centinaia di aure differenti. Tutto era assolutamente terrificante, troppo per un animo già provato come il suo. Improvvisamente un fugace movimento alle sue spalle lo costrinse suo malgrado ad aprire gli occhi; l’orrido ambiente bluastro lo colpì ancora una volta, gettando su di lui tutta la sua irrealtà. E nel mezzo di quel nulla poté chiaramente percepire che non era solo: qualcun altro era lì con lui e ciò che lo abbrancava nell’anima era la consapevolezza di sapere di chi si trattasse e di essere assurdamente certo che, chiunque egli fosse, era venuto per lui. La presenza rimase immobile, quasi attendesse l’inevitabile domanda del primo incontro “Chi sei?“, ma Kurt non trovava le forze sufficienti tanto grande era il suo sconcerto; inoltre la pallottola bruciava ancora come lava incandescente, conficcata in profondità nelle sue carni. La mano destra andò d’istinto a premere la ferita, da cui sgorgava copioso il sangue ed una scarica di dolore gli vibrò per tutto il corpo. Alle sue spalle la creatura rimase immobile, fiutando l’odore del plasma, assaporando gli spasmi ed i fremiti del suo respiro, fissando l’intera persona di Kurt con sguardo famelico e feroce. La lingua scarlatta umettò le labbra frementi di un empio desiderio di attaccare per primo, mentre egli faceva scivolare lentamente via dai fianchi la coda acuminata. Attorno il silenzio. L’eccitazione che la paura e l’orrore di Kurt generavano in lui bastarono a farlo scattare in avanti; ormai ne era sicuro! Era lui! Lo aveva trovato e questo lo rendeva ebbro di una spietata eccitazione. Mentre si proiettava in avanti con la coda protesa una diabolica e delirante risata risuonò ovunque, trovando misteriosamente eco in quello spazio infinito. Kurt era ancora immobile in preda al panico, attanagliato dal dolore che la profonda ferita gli provocava, paralizzato da mille perché. Una voce sibilante ruppe infine il silenzio spettrale –E così sei giunto di tua spontanea volontà! Potevi almeno lasciarmi il tempo di venirti a cercare!-. Quelle parole crudeli e provocatorie lo riempirono dell’energia sufficiente per potersi voltare…..e quale non fu il suo orrore nel vedere dinnanzi a sé, fluttuante tra spire di fumo viola la creatura che aveva scorto fuggire via nel vicolo: se poco prima gli era sembrata un’assurdità, ora lo poteva constatare coi suoi stessi occhi. Il cuore di Kurt iniziò a battere sempre più velocemente mentre una smorfia di agghiacciante disappunto si palesava sul suo volto: di fronte a lui, come in un incubo, si stagliava in tutta la sua statura quello che poteva essere il suo clone. Lo sgomento ora era incontrollabile e come una febbre gli scuoteva le membra. Allora ebbe la forza per porre infine la fatidica domanda: - Chi….chi sei?- riuscì a sussurrare. Due occhi verdi brillarono colmi di velenoso compiacimento, mentre le venefiche labbra si schiudevano per dare l’atroce risposta: - Sono colui che non avresti mai voluto incontrare sul tuo cammino, sono l’angoscia di un incubo senza fine, sono l’essenza della guerra, sono l’odio per il diverso che giace sepolto nel cuore degli uomini e che li rende così tremendamente facili da assoggettare! Sono qui per portarti da Lui! Sei pronto?-. Kurt ascoltava pietrificato, mentre le luci ed i bagliori attorno si facevano più freddi e sinistri; nel silenzio che seguì gli unici suoni udibili erano il respiro spasmodico di Kurt ed il battito eccitato del cuore dell’altro essere, che tradiva la sua bramosia di passare ai fatti. La creatura rimase in attesa di una qualsiasi risposta, poi constatando con piacere la completa inibizione di Kurt rise ancora più forte, schernendolo: –Ma che risposta eloquente! Dunque non sei poi così ansioso di conoscerlo dopotutto, eppure lo invochi così spesso è un comportamento alquanto scorretto non trovi?-. Queste parole bastarono ad infiammare il cuore di Kurt di una rabbia prorompente; gli occhi gli si illuminarono di una gelida luce, mentre un sordo ruggito gli saliva dalla gola. Il suo alter-ego continuò a provocarlo con aspri apprezzamenti e più egli parlava più la rabbia ed il rancore si facevano strada nell’anima di Kurt. – Cosa c’è? Sei ansioso di dirgli di persona quanto sia grande il tuo rammarico per aver scoperto solo ora che non è esattamente come lo hai sempre immaginato? Oppure devo dedurre che sei leggermente arrabbiato per non essere l’unico a questo mondo?-. Le parole dello sconosciuto giungevano come sferzate alle orecchie di Kurt, che tuttavia strinse i pugni, cercando di trattenere la collera, la quale ormai gli stava offuscando la mente. Quella reazione parve compiacere il suo rivale, che concluse con animosità -…allora la tua compassione si esaurisce presto vedo! Lo sapevo che eri un misero, un rammollito, uno schifoso residuo di bontà……-. Quest’ultima affermazione bastò per farlo reagire: colmo di una rabbia incontrollabile, dimentico della ferita e del dolore, Kurt si slanciò verso la diabolica presenza con le fauci spalancate. Uno dopo l’altro egli sferrò i suoi micidiali pugni, assestò calci, fendette sciabolate con la coda, colpendo l’avversario prima al torace e poi alle costole, ma altrettanto prontamente l’altro riuscì a schivarlo. I due ben presto si ritrovarono in un serrato corpo a corpo, avvinghiati l’uno all’altro in quello che pareva un letale abbraccio; un pugno gli arrivò diretto allo stomaco, mentre zanne taglienti come rasoi gli laceravano una spalla. Infiammato di atroci sentimenti, stordito dal dolore insopportabile, Kurt lanciò un urlo agghiacciante, prima di restituire il morso: sentì il sangue caldo scivolare tra i denti, bagnarli la lingua e di lì a poco un disgustoso sapore di ferro gli riempì la bocca. In risposta, il demonio fece saettare la coda, sfoderando i velenosi aculei per poi conficcarla nella schiena di Kurt, che boccheggiò, mentre tossiva fiotti di sangue. Gli acuminati aculei penetravano sempre più in profondità, stillando veleno, la morsa diventava sempre più stretta, costringendolo a fissare il nemico negli occhi; ora erano a soli pochi centimetri l’uno dall’altro, tanto che Kurt ne poteva percepire il fiato caldo ed il respiro spasmodico. L’essere diabolico rise ancora nel vedere l’espressione di dolore stampata sul viso di Kurt: - Non preoccuparti- disse infine – Non ti sto uccidendo. È solo il mio modo per dirti bentornato…..- ma le sue parole si persero nel vento….si, poiché ora un tiepido vento soffiava d’intorno, ridando calore all’aura sterile ed immobile. Una luce argentea sfavillò, mentre due grandi ali si aprivano ad oscurare il male. La creatura lanciò l’ennesimo urlo di rabbia, prima di estrarre con un colpo secco la coda dal corpo di Kurt. Poi, fissando l’aura benefica le sibilò contro orrende parole e imprecazioni, prima di sparire in una nube color ametista. Debole e intorpidito dal veleno, Kurt volse lentamente il capo alla volta della nuova presenza e solo allora potè scorgere due profondi occhi blu che scintillavano d’una dolcezza irresistibile. La luce chiara ora dilagava, avvolgendolo in un gentile abbraccio, rassicurandolo, alleviando la sua angoscia, facendo scomparire la rabbia e l’ira. Si sentì sollevare in alto, sempre più su e poi scendere sempre più in basso, fluttuando dolcemente attraverso lo spazio. E poi fu come se qualcuno lo baciasse sulla fronte, sentì dolci parole e vide le nuvole, il cielo, gli alberi, la luna.

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Capitolo 5
*** voglia di casa (parte prima) ***


Dall’alto del cielo trapuntato di stelle la luna lo osservava silente, con il suo dolce occhio velato di setose nuvole. Attorno la calma di una notte d’autunno inoltrato, il terreno un tappeto di foglie bagnate di fredda brina. Il vento soffiava delicato su di lui, come una interminabile carezza ed egli si sentiva bene, al sicuro da ogni turbamento. Gli alberi, sebbene ormai spogli, tendevano i loro rami verso l’alto, fieri e risoluti nella loro preghiera autunnale di rincontrare la primavera il più presto possibile. La canzone lieve e fugace del vento intanto s’intesseva attraverso la foresta e ad egli parve di udire voci chiare e serene che lo incitavano, lo chiamavano, sussurravano il suo nome….-Kurt!……Wake up!……Kurt……I’m here! Don’t worry Kurt! I love you!-. Sorrise nel sonno che si stava lentamente tramutando in veglia ed ancora qualcuno lo sfiorò delicatamente sul volto, avvolse il suo corpo in un morbido abbraccio, gli diede calore tanto quanto gli bastava per aprire finalmente gli occhi. Attorno c’era solo la foresta, silenziosa e sognante nella notte, animata dei bubbolii di placidi gufi, dello scorrere di un fiume, dello scalpiccio di minuscole zampe che si avvicinavano a lui, incuriosite. Volse il capo, respirando finalmente l’aria fresca e frizzante, affondando le mani nel terreno muschioso e la tenerezza lo colse nel vedersi accanto il piccolo comitato di benvenuto che la foresta gli aveva riservato. Curiosi, soffici e increduli più di lui tre scoiattoli fulvi si erano avvicinati, probabilmente alla ricerca di provviste per l’inverno. L’emozione e la dolcezza trovarono nuovamente dimora nel cuore oppresso del giovane, mentre tendeva la mano per tentare di accarezzare il più piccolo. La bestiola ebbe un attimo di esitazione e si ritrasse, poi piuttosto guardingo saltellò verso la mano sconosciuta; i sottili baffi gli fecero il solletico, mentre lo scoiattolo annusava interessato. Sicuro di non essere in pericolo il piccolo roditore infine saltellò tranquillo sulla mano di Kurt e di lì sulla sua spalla; allora prendendo coraggio, anche gli altri due scoiattolini si avvicinarono e andarono a salutare il nuovo amico, saltellandogli dappertutto. Infine si fermarono, fissandolo con i loro dolci occhietti d’un nero brillante. Kurt sorrise e se li fece salire tutti e tre su un braccio; accarezzando il loro pelo setoso e morbido si sentì rinfrancato per tutto il male patito e alzò lo sguardo, mormorando un -Danke- alla volta del cielo stellato. In quel mentre il suo stomaco ebbe un sonoro gorgoglio e i tre scoiattolini balzarono a terra, correndo via verso il folto del bosco; Kurt rimase a guardarli con un po’ di delusione. Anche gli animali percepivano quello che egli era in realtà……dunque il suo destino era di rimanere solo? Di vagare nascosto nell’ombra per sempre? Non poté sopportare quel pensiero e le lacrime che ora offuscavano i suoi occhi gli impedirono di vedere che i tre piccoli roditori erano tornati e portavano ciascuno una noce tra le minuscole zampette. Uno squittio gli fece alzare il capo e nel vederli nuovamente lì con dei doni per lui, enorme fu la sua gioia nel comprendere che dunque non era solo. Rosicchiando e mordicchiando i piccoli scoiattoli si misero alacremente al lavoro per aprire i gusci coriacei, poi estratti i gherigli li deposero ai piedi di Kurt. Quando egli ebbe finito di cibarsi, soddisfatti, i tre roditori gli rivolsero un eloquente sguardo d’addio per poi correre verso le loro tane. Kurt, felice e stanco stette a fissarli finche non li perse di vista, con un dolce sorriso sul volto. Ancora non capiva se stesse sognando o se fosse la realtà, ma il vento novembrino fece scomparire ogni suo dubbio, portando alle sue narici l’odore di un improvviso temporale. Di lì a poco un tuono echeggiò minaccioso, mentre una fredda e sottile pioggia iniziava a bagnare la foresta, ticchettando sul tappeto di foglie morte. Kurt allora iniziò a correre alla ricerca di un riparo, inoltrandosi nella macchia. Correndo sotto la pioggia battente, fradicio e spoglio dell’unico mantello di cui era riuscito ad appropriarsi, frugò alberi, cespugli, giacigli di foglie, ma pareva che nessuno di quei luoghi fosse abbastanza adatto a nasconderlo da occhi indiscreti. Sebbene la notte fosse profonda non sarebbe durata per sempre e il mattino lo avrebbe colto di lì a poche ore, costringendolo ad un’ennesima fuga per non essere visto…..no! Non voleva scappare ancora! Basta! Dalla mattina precedente non aveva fatto altro che fuggire, correre, lottare ed ora una tremenda stanchezza lo stava cogliendo, gli pesava sugli occhi, gli cerchiava il capo. Il temporale seguitava, tra il rimbombo d’un tuono maestoso e la luce intensa d’un lampo fugace. Il buio ora era costantemente lacerato da luci inquietanti, la pioggia cadeva senza tregua, intensificandosi minuto dopo minuto. Kurt continuava la sua corsa attraverso la foresta addormentata, lottando contro il sonno ed il pensiero assillante di vedersi costretto a fuggire per tutta la notte. - Fluch! Perché a me! Gott! So che ci sei! Se davvero mi puoi sentire fai cessare tutto questo! Sono stanco! MI senti?! Aiutami!-. Come in risposta un assordante tuono si fece udire e fu allora che la foresta si diradò ed apparve una radura dove s’intravedeva un piccolo accampamento; un’altra saetta squarciò le nubi dense e plumbee e d altra pioggia lo investì. Fradicio, tremante di freddo e della febbre che ora sentiva indolenzirgli tutto il corpo, Kurt avanzò guardingo, attento a non fare il minimo rumore acquattandosi dietro i cespugli, in ascolto; da sotto una tenda grigia provenivano le voci serene di alcune persone intente a cucinare della carne su una griglia. Il profumo del cibo pervadeva tutto l’ambiente circostante, giungendo inevitabilmente alle narici del povero Kurt, che moriva di fame. Deglutì per soffocare la voglia di potersi unire all’allegra compagnia, mentre istintivamente la lingua sfiorava le labbra. Una voce femminile quindi sovrastò l’esuberanza generale: -Hei Logan e le nostre salsicce?- - Le vostre salsicce si stanno rosolando sulla griglia……- fu l’ironica risposta. –Quanto ci mettono a cucinarsi? Io sto crepando di fame!- esclamò una terza voce maschile, che lasciava trasparire la giovane età del suo proprietario. – Ho detto che ci vogliono ancora alcuni minuti e poi Bobby come fai ad avere fame? Ti sei fatto fuori un sacchetto gigante di patatine fritte!-. Come risposta si udì una risatina d’imbarazzo, mentre una figura dai capelli lunghi si spostava per apparecchiare la tavola. –Mi passi la bottiglia dell’acqua per favore? E smettila di ridere Bobby! Logan ha ragione! Se continui di questo passo le provviste non ci basteranno per tutti i tre giorni!-. Il delicato profilo del giovane si fece intravedere da dietro la tenda illuminata. – È solo colpa vostra! Sapete che adoro quel tipo di chips! A vostro rischio e pericolo se le lasciate in giro!- - Ma le avevo comprate per il viaggio di ritorno! Possibile che ultimamente non fai altro che mangiare?!-. La ragazza pareva particolarmente stizzita per l’accaduto e Kurt non poté fare a meno di pensare a come gli avrebbero fatto comodo in quel momento quelle prelibatezze di cui stavano tanto discutendo. Infine un – È pronto!- tramutò la loro lite in grida di giubilo e lesto si affrettarono a sedersi per cenare. A malincuore Kurt non poté fare a meno di fissare il trio banchettare con la sugosa grigliata il cui profumo si spandeva tutto attorno; ma egli non era il solo ad averlo percepito. Poco distante, nella macchia profonda, un branco di lupi affamati stava fiutando l’aria con decisione e già si stavano dirigendo nei pressi del piccolo accampamento. Il loro naso umido e freddo fendevano l’aria mentre correvano, mentre la saliva gocciolava copiosa e densa dalle loro avide fauci. Ancora intento ad osservare il luculliano spettacolo, Kurt non si era accorto dei numerosi occhi gialli che lo stavano progressivamente circondando. Uno scalpiccio nervoso interruppe la sua contemplazione, ma scrutando nell’oscurità non vide altro che le fronde scheletriche degli alberi. Pensò fosse solo la fame che gli faceva intendere stranezze, ma poi gli udì: lunghi e lamentosi ululati si alzavano dal buio, tradendo la presenza dei sei grossi lupi grigi, i cui occhi gialli erano poco più di fessure. Erano talmente grossi che uno di loro avrebbe comodamente potuto sbranarlo in pochi attimi; ma dopo quello che aveva passato non gli mancavano certo il coraggio e la prontezza per difendersi……se almeno avesse potuto placare i morsi della fame. Un fruscio lo fece trasalire e lesto balzò sull’albero più vicino; saltando di ramo in ramo presto fu sopra la piccola tenda canadese e si sporse quel tanto che gli permise una chiara veduta del terzetto che cenava indisturbato ed ignaro del pericolo. Ora poteva comprendere meglio quello che aveva veduto solo come uno spettacolo di ombre cinesi: erano tre ragazzi, riunitisi probabilmente per un campeggio. Tutti ridevano e scherzavano, incuranti del temporale, avvolti nei loro sacchi a pelo grigi. Kurt li fissava dalla cima del suo albero e mai come allora desiderò poter avere anch’egli una famiglia, dei fratelli, una madre, un padre o solamente degli amici con cui condividere le vittorie e le sconfitte della vita. I suoi grandi e dolci occhi brillavano d’emozione mentre, come se si trattasse d’un commovente film, ascoltava le loro risate, percepiva la felicità e l’allegria dei loro discorsi, udiva i loro sussurri più intimi e segreti, fissava i loro sguardi d’intesa e non capiva il significato del gesto più volte ripetuto dalla giovane donna dai lunghi capelli castani, di portare le sue labbra su quelle del ragazzo biondo che le stava seduto accanto. Ma chi veramente lo rendeva colmo di curiosità era il maggiore dei tre, un uomo dai lineamenti marcati, i cui folti e spettinati capelli neri richiamavano vagamente la pelliccia di un animale. Aveva lunghe basette che gli incorniciavano il volto maturo e due occhi penetranti, il cui sguardo richiamava quello di un lupo…..-I lupi!-. Improvvisamente si ricordò il perché si era spinto tanto in là: doveva proteggere quella gente dalle feroci belve che si stavano avvicinando. Nella sua smisurata bontà tuttavia aveva dimenticato la prudenza e fu così che il ramo su cui era seduto si spezzò con un secco “ciack”. Kurt si sentì cadere verso il basso, ma riuscì prontamente ad aggrapparsi al ramo sottostante con la coda, mentre dalla tenda provenivano voci allarmate e il maggiore dei tre usciva sotto la pioggia battente. Lo vide guardarsi attorno con circospezione, fiutare l’aria e quel gesto lo pietrificò……dove lo aveva già veduto? Da sotto la tenda qualcuno esclamò: -Logan? Che c’è? Tutto bene?-. L’uomo si portò un dito alle labbra, mentre guardava a destra e a sinistra, notevolmente allarmato. Intanto Kurt penzolava sopra la sua testa, in una posizione alquanto scomoda; non c’erano altri appigli cui potersi aggrappare e l’unica via d’uscita era saltare alla cieca tra i fitti cespugli…..ma sapeva bene che acquattati tra quelle fronde scure c’erano i lupi e che presto sarebbero usciti allo scoperto per rivendicare il loro pasto quotidiano. Nuovamente qualcuno chiamò dalla tenda il nome di Logan. – Silenzio! Spegnete subito la lanterna!- fu la risposta diretta. Immediatamente rimasero al buio. Le uniche luci ora visibili erano le miriadi di stelle che scintillavano sul manto scuro del cielo e…..le molteplici paia di occhi dei lupi che ora si palesavano nella piccola radura. Logan trasalì colto alla sprovvista, mentre si portava in posizione d’attacco. –Bobby! Rogue! Quando ve lo dico io fuggite!-. La voce roca e risoluta lasciava trasparire tensione e nervosismo, mentre gli altri due giovani si apprestavano a prepararsi per la fuga. –Ora!- echeggiò la profonda voce nell’oscurità ed essi si slanciarono fuori dalla tenda, correndo verso la macchia. La ragazza si voltò, rivolgendo uno sguardo terrorizzato a all’amico rimasto indietro, ma l’altro ragazzo la prese per un braccio, costringendola a seguirlo. –Logan!- -Non preoccupatevi per me! Scappate maledizione!!! Avanti bestiacce, prendetevela con uno come voi!- ringhiò Logan, storcendo la bocca in un sorriso di disprezzo. Intanto Bobby e Rogue fuggivano ed erano quasi giunti al limitare della foresta quando altri quattro grossi lupi neri uscirono da dietro gli alberi, ringhiando e sbavando. Le loro zanne scintillavano alla luce pallida della luna ed i loro occhi erano braci ardenti nella notte. [continua…]

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Capitolo 6
*** voglia di casa (parte seconda) ***


I due ragazzi rimasero pietrificati per la paura e lo sbigottimento, mentre l’orda canina avanzava inesorabilmente, costringendoli a retrocedere verso il centro dello spiazzo erboso. I sordi brontolii si facevano sempre più vicini, le zampe poderose calpestavano il terreno umido, il respiro famelico si mescolava a quello spasmodico dei due giovani; improvvisamente il più grosso e ben piazzato del branco spiccò un saltò alla gola del ragazzo, deciso a sbranarlo. Bobby incespicò e cadde all’indietro, mentre Rogue terrorizzata non capiva ne vedeva nulla. Si udì un colpo sordo, un tonfo, il rumore di ossa che si spezzavano e un guaito di terrore e poi altri due occhi, molto più grandi, luminosi e terrificanti si spalancarono dinanzi a loro. I due ragazzi videro Logan alle prese con l’ultimo del branco, il più grosso e feroce, ma nel punto in cui erano la luce della luna non era sufficiente a chiarire quanto stava accadendo. Tutto ciò che potevano percepire erano tonfi sordi, guaiti, le urla concitate di Logan ed il sibilo dei suoi artigli d’adamantio, ma di ciò che stava accadendo lì accanto non potevano scorgerne nemmeno un tratto, salvo due fessure gialle scintillanti che saettavano a destra e a sinistra con una velocità straordinaria. Presto i cadaveri dei lupi iniziarono ad ammassarsi attorno a loro e l’odore del sangue a farsi sempre più intenso e penetrante; nella foga della battaglia Logan era stato più volte colpito alle braccia e al corpo, tanto che la canottiera bianca era intrisa di sangue vermiglio. Indebolito, ma non per questo meno efficace Logan continuava imperterrito la sua lotta serrata con la bestia che ora ferita era ancora più feroce e priva di controllo. Una, due, tre volte i suoi affilati artigli squarciarono il ventre della bestia, ma questa sembrava essere indistruttibile. Infine, sotto lo sguardo inorridito di Bobby e Rogue, Logan venne messo alle strette: con un balzo il lupo fu su di lui e già spalancava le fauci per finirlo con un colpo delle sue zanne, quando una velocissima figura nera apparve come dal nulla. Ci fu un sibilo, un colpo secco e poi il lupo giaceva esanime al suolo. Pochi istanti bastarono a generare il confronto tra Nightcrawler e i tre x-men: essi rimasero a fissarsi increduli, scossi e sconcertati o forse rasserenati di non essere del tutto soli, di notte, al buio. Gli occhi scuri di Logan frugarono attoniti la persona che si parava a pochi metri da lui e così fece di rimando lo sconosciuto. I loro sguardi si incrociarono e fu come se qualcosa dicesse ad entrambi di essersi già incontrati, di avere qualcosa in comune. Logan si mosse faticosamente sul suolo umido ed il suo movimento provocò un motto d’esitazione nello straniero, che fece alcuni passi indietro, spaventato. Senza togliergli lo sguardo di dosso, Logan si rimise in piedi e già stava avanzando con tutte le sue più buone intenzioni che Kurt si rimise in posizione d’attacco. Allora Logan alzò la mano destra, in segno di pace, sperando che l’altro potesse capire le sue buone intenzioni. Vendo che il gesto non sortiva l’effetto desiderato decise che era il caso di parlargli…..se solo avesse trovato le parole giuste. Non era mai stato un gran parlatore, tutto quello che comunicava lo faceva il più delle volte in modo brusco e scorbutico e ciò non lo rendeva poi così amichevole alla vista. Trasse un profondo respiro e si decise a parlare. –A-hem…..salve! Io mi chiamo Logan…ecco, non voglio farti del male, voglio ringraziarti per avermi….hem….aiutato….non devi avere paura…..di me-. In cuor suo già stava sentendosi un emerito cretino, come tutte le volte che toccava a lui fare la prima mossa in una presentazione. Nel frattempo erano giunti anche Bobby e Rogue, affannati dalla folle corsa. -Logan! Logan tutto ok?- esclamò Rogue, ma non riuscì a finire la frase poiché la vista dell’essere che stava a pochi metri da loro l’aveva paralizzata dalla sorpresa. Anche Bobby era stato preso dallo sconcerto ed ora collegava le due fessure abbaglianti alla creatura che avevano di fronte: erano i suoi occhi! Due enormi occhi luminosi nella penombra, incastonati in un volto dai tratti demoniaci. Aveva corti capelli scuri, tutti sporchi ed arruffati per la battaglia e l’intero corpo era di un profondo color blu scuro. Anche lui era lacerato da numerose ferite da cui scendeva copioso il sangue. Di rimando, Kurt rispose ai loro volti attoniti, fissando più volte lo sguardo nei loro occhi, specialmente in quelli di Logan; più che mai in quel momento era sicuro di aver già incontrato quello sguardo. Notando Logan in particolare difficoltà nel comunicare col nuovo giunto, Rogue avanzò di qualche metro e la sua voce argentina ruppe il silenzio, esclamando semplicemente un –Grazie!-. Quella parola colpì Kurt al cuore come una freccia: nessuno mai gli aveva detto “grazie”, nessuno di sua spontanea volontà lo aveva avvicinato se non per fargli pesare la sua bruttezza, per ridere di lui, per gettargli addosso verdure andate a male con la frase: -Eccoti la cena sanguisuga!-. Quella parola era pregna di delicate e forti vibrazioni, era……magica! Questi pensieri dipinsero sul suo volto un mezzo sorriso, che presto diventò un’espressione di reciproca gratitudine. Gli occhi di Logan, Bobby e Rogue scintillarono allora di una specie di affetto e un tepore dilagò nei loro cuori poiché avevano capito di aver trovato un nuovo amico. Più sicuro di sé Kurt avanzò di qualche passo mentre Logan gli tendeva una mano in segno di pace. Allora la loro pelle si sfiorò, le emozioni si mescolarono a frasi gioiose ed al sapore gustoso d’un cibo sano e agognato, lacrime di dolore e commozione scorsero al racconto di una vita vissuta nella paura e nell’orrore che ogni giorno fosse l’ultimo. Infine, laddove prima c’era un piccolo campeggio rimanevano solo i ciocchi inceneriti, mentre un jet si levava in alto nella notte stellata.

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Capitolo 7
*** Padre crudele, madre traditrice (parte prima) ***


Buio. Voci, un pianto disperato e poi freddo, tanto freddo. L’urlo di un uomo, un grido di donna che si perde in lontananza. Il rombo sordo d’un tuono…..forse. E la terra trema, freme d’un palpito regolare, un suono sordo, cadenzato che si avvicina sempre di più, inesorabilmente. Ancora voci, eccitate, inorridite, che tradiscono stupore, orrore, compassione…….Un clangore, il cigolio di catene arrugginite e poi, nuovamente il buio. Il jet sfrecciava sopra il mare verde dei boschi, in un cielo che minacciava un ennesimo temporale. Già le prime gocce iniziavano a bagnare il parabrezza, venendo poi trascinate via dalla velocità, andando a formare dei sottili rivoli, simili a centinaia di lacrime. Logan guidava silenzioso e ancora stordito da tutto ciò che era successo quella notte. Bobby, colto da un sonno improvviso giaceva rannicchiato su una delle poltrone posteriori e Rogue sedeva sul pavimento, stringendo la mano di Kurt. Il ragazzo ebbe un fremito nel sonno, scosse più volte il capo in preda alla tensione di chissà quale incubo, mentre la febbre affannava il suo respiro. Accanto a se poteva percepire il dolce profumo della ragazza e la forte presa della sua mano guantata, soffice e setosa; le dita affusolate andarono a scostare una ciocca di capelli dalla fronte riarsa, per poi scendere lungo la guancia in una mite e delicata carezza. Kurt aprì gli occhi e sorrise debolmente a Rogue, il cui sguardo ora brillava dell’emozione di chi è prossimo alle lacrime. La ragazza sorrise a sua volta, per nascondere la tristezza che piano piano si stava trasformando in un fraterno pianto e voltò gli occhi alla volta della luna, che splendeva nel cielo nero. –Non devi piangere per me Mädchen…..- sussurrò Kurt. A quelle parole Rogue si voltò, con un piccolo sorriso di sollievo, incapace tuttavia di reprimere le lacrime e lo sforzo per trattenersi era così arduo, che alla fine la ragazza si lasciò andare in un pianto sommesso. Il suo cuore era ancora scosso dalla brutta avventura con i lupi e la vista del nuovo amico in pessime condizioni la rendeva ancora più infelice. Colmo di compassione, Kurt le sorrise, nel debole tentativo di darle un po’ di conforto, poi tese una mano per accarezzarle il volto. I loro sguardi si incrociarono ed entrambi poterono sentire un dolce tepore in fondo all’anima, il calore di quella che sarebbe diventata un splendida amicizia. Infine ella sussurrò dolcemente: -Sono contenta di averti incontrato. Sei stato davvero coraggioso Kurt. Ci hai salvato la vita e te ne siamo tutti grati! Vedrai che andrà tutto bene!-. Kurt sorrise nuovamente, prima che il suo corpo venisse scosso da prorompenti colpi di tosse e da ulteriori brividi. Stretta nella mano di Rogue quella di Kurt tremava, mentre la sua presa si faceva sempre più debole. Un rivolo di sangue e saliva gli scorse lungo la bocca, andando a macchiare il guanto candido. Quella vista rese Rogue molto nervosa, tanto ch’ella senza pensare gridò: -Logan! Per favore fa presto, Kurt ha bisogno di cure!-. La sua voce era rotta dai singhiozzi e lì accanto Bobby aprì gli occhi, strappato ai suoi sogni tormentati dall’improvviso tramestio. Tuttavia, la vista della mano del nuovo arrivato sul volto della sua ragazza e di lei che gli stava accanto non gli piacque un gran che; anzi, quasi ne fu geloso, tanto che la mano che stringeva il bracciolo della poltrona ora lo aveva completamente congelato. – Hei Bobby! Piantala con gli sfoghi ormonali altrimenti ti faccio scendere qui, mi sono spiegato?- esordì Logan, notando come alcune delle gocce sul parabrezza fossero diventate dei cristalli di brina. Il ragazzo respirò nervosamente, poi si slacciò la cintura e si avvicinò a Rogue, circondandole le spalle con un braccio. Kurt dormiva nuovamente e Rogue ne approfittò per far scivolare via la presa e abbracciare con forza Bobby, che la strinse a sé, baciandole i capelli. Sprofondata sul petto di lui, Rogue poteva sentire i battiti calmi del cuore di Bobby e se ne lasciò cullare, mentre egli le sussurrava parole gentili all’orecchio. – Va tutto bene Rogue! Siamo quasi arrivati alla scuola, Logan ce la sta mettendo tutta- - Bobby, sono preoccupata per Kurt! Gli esce del sangue dalla bocca!-. A quelle parole Bobby lasciò andare la gelosia e si chinò per osservare Kurt più da vicino, ma un suo ennesimo attacco di tosse lo costrinse a ritrarsi immediatamente; Kurt aprì gli occhi, portandosi una mano alla gola, poi fece per alzarsi, mentre fiotti di sangue blu schizzavano dalla sua bocca e dal naso; Bobby non si lasciò intimorire e lesto, ricordandosi delle lezioni di pronto soccorso di Jaean, posò una mano sulla fronte di Kurt. – Speriamo funzioni-, pensò e un respiro nervoso tradì la sua calma. Rogue intanto sorreggeva il capo del ragazzo, avendo intuito ciò che Bobby stava per fare. Il freddo lentamente frenò l’emorragia ed il sangue progressivamente si fermò. Kurt trasse un debole e ansimante respiro, tentando di aprire gli occhi per ringraziare nuovamente gli amici per l’aiuto, ma non ci riuscì. Ora si sentiva nuovamente leggero, come se stesse volando sospeso in un’aura argentea e luminosa. Davanti a sé vedeva luci soffuse, dai teneri colori rosa, gialli e bianchi e sentiva un delicato aroma di fiori. Tutto era tranquillo ed ovattato ed egli già aveva deciso che sarebbe rimasto lì per sempre. [continua…..]

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Capitolo 8
*** “Padre crudele, madre traditrice” (seconda parte) ***


La neve scendeva silenziosa e fredda, adagiandosi un po’ dappertutto. Sovente un vento freddo e tagliente spirava, facendo mulinare i candidi fiocchi, che prendevano strane vie, salendo nel cielo notturno e coperto per poi scendere nuovamente sul manto candido che già copriva i tetti delle case, le automobili, i marciapiedi. Nulla si udiva in quella bianca quiete, nemmeno i passi di qualcuno che, approfittando delle tenebre, si addentrava nel viale fiancheggiato da alti platani, spogli e scheletrici. Le nuvole correvano veloci nel cielo invernale, spruzzando la loro bianca polvere magica sull’erba dei giardini ben curati delle piccole ville, sulle colonnine dei cancelli, sulle siepi potate di fresco, coprendo la sua avanzata. Quanto era accaduto solo poche ore prima lo rendeva cieco d’una furia irrefrenabile e le ferite ancora bruciavano, stillando gli ultimi residui di sangue. Quel maledetto! Era riuscito a scamparla! Gliela aveva fatta ed ora avrebbe dovuto sciupare energie preziose per ritrovarlo! Colto da un improvviso scatto d’ira, assegnò un pugno al tronco dell’albero più vicino, mentre la coda fendeva l’aria, in uno spasimo violento. L’idea che quel cialtrone fosse ancora in vita lo devastava nella mente, lo rendeva colmo d’una pazzia incontrollabile, che gli serrava la mascella in una smorfia di disgusto e vendetta. Procedendo in quello stato, non si era reso conto che intanto si era inoltrato nel vialetto e rischiava di essere visto da occhi indiscreti; o meglio se ne era accorto, ma la cosa a quanto pare non lo disturbava più che tanto, poiché avrebbe sfidato chiunque a tenergli testa in quel momento. Un sordo ruggito gli salì dalla gola, mentre s’apprestava ad assestare un destro al muro di fronte a lui: l’impatto provocò uno colpo sordo, che destò un cane probabilmente di guardia dall’altra parte del muro. Profondi latrati echeggiarono amplificati tra le pareti delle case, facendolo inaspettatamente sobbalzare. –Maledizione a te, bestia rognosa!- sibilò, mentre già la sua mente perversa gli suggeriva cosa farne di quella scomoda creatura; lentamente si avvicinò all’alto cancello di rame cesellato, scrutando attraverso il fitto motivo floreale. Di dentro si levò un ringhio sordo e basso, seguito da un ennesimo profondo latrato, mentre il cane correva verso il cancello nell’istinto di difendere il suo territorio. Due sguardi si incrociarono e la notte fu squarciata da un sibilo, seguito da uno schiocco e da un uggiolio pietoso. Un corvo venne a posarsi sulla cancellata di fronte, lanciando il suo lugubre richiamo alla volta del cielo novembrino; riflesso nei suoi occhi scintillanti, l’uccello lo fissava tranquillamente, scevro da qualsiasi presentimento e si limitò a spiccare il volo in risposta ad un suo ennesimo fremito di stizza. Respirò pesantemente, appoggiandosi al tronco umido di un albero; quello che aveva compiuto poco prima lo aveva rinfrancato, ma ancora non riusciva a sopportare l’affronto subito! Come era riuscito quel pivello a difendersi! Come aveva fatto a sopravvivere al suo micidiale veleno! –Dannazione!- ruggì e già s’apprestava ad assestare l’ennesimo pugno al platano più vicino, quando qualcosa attirò la sua attenzione: nel centro di un piccolo patio di fronte a lui, un mandorlo, prima secco e avvizzito, ora risplendeva di una fulgida candida chioma, mentre l’aria attorno era pregna di una nebbia bianca e spessa, che lo avvolgeva in lunghe spire. In quell’istante tutta la sua spavalderia e arroganza crollarono, di fronte alla vastità di quell’apparizione; l’intero giardino, prima incolto e spoglio, ora risplendeva dei colori di mille fiori diversi, del verde di foglie ed erba novella, sprigionava tenere e delicate fragranze di una inverosimile primavera. La nebbia avanzava imperterrita, penetrandogli dentro, nelle ossa, nelle viscere, stringendoglisi attorno, gelando ogni molecola del suo corpo. Ora non vedeva altro che una spessa coltre opalescente attorno a sé, in cui strane luci iniziavano a baluginare di lontano. Spire contorte gli salivano alla volta del torace, gli si avviluppavano intorno al collo e alle caviglie, simili a centinaia di braccia, coperte da biancastri panneggi, stringendo la presa ogni attimo che passava. Improvvisamente fu come se veramente una mano lo prendesse per la gola, la vide distinta e chiara, il braccio posato sul suo petto, le lunghe dita diafane strette attorno al suo collo. –Piantala di fare l’imbecille, maledetta!- riuscì infine a gridare con fare isterico, mettendosi con un balzo fuori dalla portata di quella letale foschia. Detestava ammetterlo, ma tra le cose che realmente lo mettevano a disagio, il sentirsi costretto e braccato era al primo posto e forse era l’unica sua vera paura, soprattutto se a farlo era una donna. Il cuore gli pulsava nelle tempie, mentre con respiro affannato scrutava attraverso la spessa cortina fuligginosa; attorno le ortensie e gli oleandri scintillavano di incredibili colori, ma neanche un’ape e una farfalla vi si posavano, a prova che era tutto un affascinante incubo. I platani si ricoprivano di tenere foglie, ma nemmeno il canto di un uccello ad allietare l’aria. Era sempre inverno, nonostante le note di una inquietante primavera ora risuonassero tutt’attorno. Immerso in quella scena raccapricciante, si sentì improvvisamente mancare. –Allora la smetti?!- riuscì a strillare infine, obbligandosi a non perdere il controllo. Lentamente la gelida bruma si diradò, sciogliendosi in lattiginose volute; contemporaneamente lo splendore dei fiori e delle foglie si spense, come se tutto fosse stato solo una perversa allucinazione. Là, dove prima si stendeva il niveo mare diaccio, ora una giovane alta e sottile rimaneva immobile, le scure iridi fisse dinnanzi a sé. I lunghi capelli corvini fluttuavano nella fredda aria invernale, così come i lembi del suo mantello argenteo. –Allora siamo un po’ nervosi, Himsa? Non è consigliabile farsi prendere dal panico, non ti pare?-. Il tono beffardo di quella voce lo colpì come una rovente stoccata e con un movimento fulmineo mise la nuova arrivata con le spalle al muro. La donna non si scompose, ma si limitò a fissarlo negli occhi: nell’intensità di quello sguardo glaciale egli vide l’irrazionalità dei suoi incubi più spasmodici concretizzarsi, vide le sue paure più inconfessate tramutarsi in concrete apparizioni, mentre ogni sua aspettativa veniva spazzata via come un mucchio di foglie morte: una donna ora correva nell’oscurità di una strada dissestata, guardandosi indietro con occhi sbarrati dal terrore; il volto era straziato da un pianto convulso, le braccia serrate sul giovane petto a stringere un fagotto da cui proveniva un pianto disperato. L’immagine lentamente lasciò il posto al buio e a voci fredde e controllate, impegnate in complicati discorsi e poi ci fu freddo, tanto freddo, gelo e il dolore iniziò a farsi sentire, bruciante come mille tizzoni ardenti a contatto con la pelle. Rumori metallici, odore pungente, penetrante, che annebbia il cervello, ghiaccia lo stomaco, comprimendolo in uno spasimo. La fine del tempo, il blocco totale di ogni funzione vitale, il respiro si attenua, il cuore si ferma, l’anima lotta per restare in quel corpo che è suo dal primo raggio di luce……-Smettila dannata!-. Himsa riscossosi da quelle visioni agghiaccianti cadde bocconi sulle ginocchia, con gli occhi ancora sbarrati a fissare un punto indistinto dinnanzi a sé. Sebbene tentasse disperatamente non gli riusciva di trattenere il fremito che ora si era impossessato del suo corpo come se un filo dell’alta tensione vi si fosse radicato. La donna rise beffarda, notando il rapido cambiamento che si era generato in lui in soli così pochi attimi, poi avanzò di alcuni passi e inginocchiatasi lo sollevò di peso con ambo le mani, costringendolo a rimettersi in piedi. –Avanti moccioso! Non c’è tempo per tergiversare, entrambi abbiamo una missione da compiere e siamo già in svantaggio!- disse con velenosa dolcezza la giovane donna. Nei modi con cui trattava il ragazzo traspariva, attraverso le maniere fredde e scostanti, una nota di strana ed insolita delicatezza e quasi si poteva pensare che un ancestrale ed arcano legame congiungesse le loro esistenze. Le melliflue e venefiche parole lo riportarono alla sua malsana razionalità. –Moccioso?!- sbottò, liberandosi con uno strattone dalla presa – Come ti permetti stupida donna! Tu sei al mio diretto servizio Kala, ricordatelo o devo provvedere a rammentartelo?- sibilò furente, levando alta la coda sopra la testa. Kala fu sul punto di ribattere, ma si limitò ad un profondo sospiro di resa, che parve accomodare momentaneamente le cose. I due rimasero l’uno di fronte all’altro, in un forzato e rancoroso silenzio, squadrandosi a vicenda; infine, il demone stufo di sprecare energie utili tagliò corto: - La prossima volta che ti viene in mente di rammentarmi il passato pensaci su due volte farabutta, perché potrebbe essere l’ultima!-. Kala scostò un ciuffo corvino dal volto eburneo, mentre i suoi occhi color dell’ambra si illuminavano di una luce sinistra. –Ti credi tanto potente Himsa, non è così?- il demone le diede per tutta risposta le spalle, incrociando le braccia; la donna continuò con tono serio: - Forse te lo sei dimenticato nella tua incontenibile smania di potere, ma devi a me la tua esistenza su questo pianeta!-. Il volto di Himsa si storse in una smorfia di scherno – Tu? Tu non sei nulla confronto a me, solo una spina nel fianco!-. Kala non poté sopportare oltre: scattò in avanti afferrandolo per la gola e sollevandolo da terra – Fai attenzione a come mi parli ragazzino! Tua madre mi ha implorato di badare a te in punto di morte e così io ho fatto. Io ho fermato il tempo quando tu e quel peso di tuo fratello siete stati abbandonati, io ti ho cresciuto facendoti assorbire l’energia negativa che ti serviva per svilupparti! Credi che me la spassassi a strappare cuori umani dalle loro cavità, a rubare il passato più crudele e feroce per vederti giorno dopo giorno diventare così…..orrendo! Eri tu la spina nel fianco, viscido ranocchio!-. Silenzio. Il vento ora soffiava più forte e la neve aveva cessato di cadere. Intorno gli spenti occhi delle massicce case li fissavano assenti. La donna lo costrinse a fissarla ancora una volta negli occhi e di nuovo i loro sguardi si fusero assieme, sguardi così diversi e tuttavia uguali a modo loro. Infine, lo posò con malagrazia al suolo e questi si allontanò imprecando e massaggiandosi il collo. Stette a fissarlo a lungo, con profondo rancore e disgusto, ma al contempo con una inesplicabile amorevolezza che sentiva uscire da qualche anfratto del suo logoro cuore. Percorse i suoi tratti grotteschi ma delicati allo stesso tempo, risalì le gambe flessuose, il torace asciutto e slanciato, il profilo stranamente nobile. In sé odiava e amava quella figura, sopportava le maldicenze, le angherie, poiché strani sentimenti percorrevano la sua mente dopotutto ancora giovane ogni qualvolta si soffermava a guardarlo. – Piantala di fissarmi, lo sai che non lo sopporto!- - E chi ti dice che lo sto facendo! Mi stai dando le spalle! Inoltre hai violato una delle regole fondamentali del combattimento: mai dare le spalle all’avversario….anche se questi è una donna!-. A quelle parole Himsa parve nuovamente allarmato e temendo il peggio si voltò verso di lei, non riuscendo a nascondere l’espressione da principiante. Kala lo guardò seria, poi storse la bocca in un sorriso divertito in cui scemò la breve tensione che si era già impadronita del cuore di Himsa. – Ci caschi presto! Lo avevo detto io che sei solo un moccioso vile e viziato!- - Tu mi hai cresciuto! Sei tu che mi hai viziato! Potevi lasciarmi crepare nel punto in cui mi aveva lasciato mia madre!- - Sei un ingrato Himsa! Un moccioso e anche un ingrato!- - La sola gratitudine la devo a chi mi ha generato e non si tratta di mia madre! Allora perché non rispondi, ti ho fatto una domanda!-. Un ennesimo silenzio fu la risposta, poi la sguaiata risata del demone risuonò nell’aria gelida.- Vedi? Tu non puoi fare a meno di me! Sei la mia schiava!- sbottò. – A proposito…è fuggita!- concluse la donna, dandogli per un attimo le spalle, nascondendo lo scintillio di lacrime che balenava nei suoi occhi dorati. Himsa non batté ciglio e si limitò a ringhiarle contro un – Ritrovala!-, poi aggiunse – e procurami anche un esercito, in fondo lo hai detto tu: non c’è tempo da perdere!-. Senza voltarsi Kala avanzò dinanzi a lei e di nuovo la nebbia avvolse ogni cosa, finché della giovane non c’era più traccia. Rimasto solo, Himsa non poté trattenersi dal sospirare di sollievo; conosceva Kala, ma non abbastanza da tenerle ancora testa. Il come ella riuscisse a dominare il tempo gli era cosa oscura e così pareva dovesse rimanere, almeno per il momento. Ora doveva trovare il modo per scoprire dove si nascondeva colui che stava cercando e soprattutto il modo con cui lo avrebbe stanato. Uscendo da viale alberato si ritrovò nuovamente di fronte il vicolo da cui poco prima era uscito; il vento soffiava forte, infilandosi nella stretta apertura, facendo volare i sacchi delle immondizie e i coperchi dei bidoni, investendolo con la sua gelida morsa….ma egli non percepiva alcunché, poiché ora i suoi occhi stavano fissando il muro imbrattato e nero di smog. Tra le macchie di calce scrostata svolazzava l’ultimo brandello di quello che poco tempo prima doveva essere stato il magnifico manifesto pubblicitario di un circo. Sopra, dipinta con cura, c’era una scritta che ora si stentava a leggere, ma che una figura nera, dai grandi occhi luminosi e dalla coda forcuta faceva ben intendere. Poco dopo una risata di dileggio riecheggiava nel vicolo e solo un occhio attento avrebbe notato la nube bluastra che aleggiava nell’aria.

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Capitolo 9
*** Tuoni e fulmini ***


“Cos’è una tempesta, se non l’estremo tentativo di un angelo per rivelarti il suo dolore per non poterti aiutare a cambiare il mondo? Cosa sono quei lampi scarlatti se non silenti e penetranti spasimi d’un cuore puro, che si sfalda di fronte alla crudeltà umana? E poi il tuono ti porta la rabbia di una voce che vuol gridarti cosa fare, ma le cui parole non sono date a comprendere ad orecchio mortale. Giunge il vento a sigillare in te il terrore di un abbraccio tanto sublime quanto fatale e in quella pioggia ritrovi tutte le lacrime che hai perduto nella tua vita” Ororo alzò lo sguardo dalle pagine scolorite del piccolo libro. L’intensità di quelle parole l’aveva stranamente stordita: la storia narrata possedeva una tale enfasi da lasciarla completamente senza fiato. Improvvisamente la ragazza trasalì: un tuono aveva appena lacerato il silenzio e ancora trovava eco tra le colonne del patio e sotto le grondaie, quando un secondo tuono, ancora più forte scosse i vetri dell’intero edificio, facendole cadere il libro di mano. La ragazza chiuse gli occhi, ricordando per un attimo le ultime righe che aveva letto, quasi intendendo in quei tuoni una misteriosa affinità con le mistiche parole. Prese un profondo respiro, chiudendo gli occhi per far fronte all’inquietudine che si stava impossessando di lei. “…il tuono ti porta la rabbia di una voce che vuol gridarti cosa fare, ma le cui parole non sono date a comprendere ad orecchio mortale”… -Suvvia Ororo è solo un racconto…- pensò cercando di convincersi che fosse solo il frutto del caso. Fuori, gli alberi erano scossi da raffiche gelide e violente e la pioggia di già iniziava a cadere copiosamente dal cielo denso di nubi. “Giunge il vento a sigillare in te il terrore di un abbraccio tanto sublime quanto fatale e in quella pioggia ritrovi tutte le lacrime che hai perduto nella tua vita”. Le terribili parole risuonarono ancora nella sua mente, quasi qualcuno le stesse pronunciando per obbligarla ad ascoltare. Ancora una volta un tuono abbatté la sua rabbia sul mondo, ramificandola in una saetta scarlatta. “Cosa sono quei lampi scarlatti se non silenti e penetranti spasimi d’un cuore puro, che si sfalda di fronte alla crudeltà umana?”. Nuovamente le parole si fecero udire e questa volta fu davvero come se qualcuno gliele avesse sussurrate all’orecchio. Ororo si portò le mani alla fronte, scuotendo la testa, confusa, spaventata, inorridita da quel susseguirsi di tuoni e lampi; ormai le era chiaro che quella tempesta non era il semplice frutto di una perturbazione. Il rintocco del grande orologio a pendolo la costrinse a tornare alla realtà: attorno a lei c’era solo il piccolo salotto, con la massiccia libreria di mogano, la madia ingentilita dal centrino di pizzo leggermente ingiallito, che aveva comprato a Boston qualche anno prima, le due poltrone di elegante velluto rosso. Alla fioca luce della piccola abatjour vide che erano già le nove e mezzo di sera e con inquieto stupore constatò che era rimasta la dentro per almeno due ore. Fu allora che come chiamata da qualcosa decise di lasciare la stanzetta; prendendo lo scialle, dette un ultimo sguardo fuori dell’ampia finestra, dove le fronde degli alti sicomori stormivano scosse dalla pioggia battente. Senza dar retta al brivido che le solleticava la schiena, uscì nell’ampio e scuro corridoio, dirigendosi verso lo studio del professor Xavier. La sala rimase avvolta nel buio di una silenziosa e fredda serata autunnale. A terra, solo un libro giaceva a prova della venuta di qualcuno: nessuno infatti, a parte gli occhi sgranati dei cherubini stilizzati sul bordo della pagina, poteva vedere il demone dalle ali artigliate e dalla coda a lancia combattere con una lucente figura dalle maestose ali piumate. Sotto la figura c’era una scritta in contorti caratteri gotici e solo un occhio attento avrebbe distinto che si trattava di due nomi: “Himsa et Harin” e che la figura angelica possedeva anch’essa una coda forcuta. In un luogo lontano, al di fuori del mortale pensiero, subdoli piani si stavano intessendo di crudele realtà. Dalle caligini più profonde degli inferi, due creature, risvegliatisi grazie alla malvagità ed alla paura umana, scrutavano il mondo intero attraverso la traslucida superficie di uno specchio nero. “È giunta l’ora padre, il momento atteso finalmente è arrivato” “Si, devo convenire con te, figliolo, è giunto il momento. Mettili a tacere, dimostra a quelle mezze creature di cosa siamo capaci…”. Silenzio. Buio. Poi un battito d’ali e un sordo crepitio in lontananza…unica fonte di luce lo scintillio di un paio d’occhi vermigli spalancati nelle tenebre. Più in alto, nell’opaco riverbero dello stretto passaggio, una densa nebbia bianca avvolgeva ogni cosa, si stringeva attorno ad entità e spiriti, nascondendo le inconsistenti membra di Kala. Sempre più velocemente ella slittava nel cunicolo fatto di tempo e di spazio, travolgendo fuochi fatui, presenze che non riuscivano a scansarsi in tempo; ad ogni metro guadagnato sentiva la rabbia crescere, ad ogni minuto trascorso, più tenace si faceva il desiderio di giungere alla meta e più intensa saliva la bruma colma di crudeli energie. Nei suoi occhi diafani brillava la fiamma di vendetta sopita per eterni istanti, il desiderio di scontro giaceva concentrato nel suo cuore trasparente. Ora nulla importava più di quel pensiero di rivalsa su colei che aveva sin dalle origini, forse inconsapevolmente o forse no, mandato a monte i suoi piani. Il passaggio si fece via via più ampio, mentre una luce blu molto più intensa di quella che regnava incontrastata in quel luogo, iniziava a farsi percepire in lontananza. Kala rallentò l’incedere, portandosi in posizione verticale. Il suo corpo ora pareva ancora più inconsistente di quanto non lo fosse mai stato, i capelli avevano perduto il normale color ebano e fluttuavano come tentacoli trasparenti dietro le sue spalle. Improvvisamente, dinanzi a lei si palesò un’enorme arcata, che pareva intagliata in un massiccio blocco di cristallo color ametista. Dentro vi era incastonato uno specchio argenteo, cui riflessi si scioglievano nella cupa luce turchese, attraversando il corpo inconsistente della donna. -Eccoti qui finalmente- sibilò e un malvagio sorriso le storse le sottili labbra. Come se avesse percepito le sue intenzioni, lo specchio le rimandò in un acuto bagliore argenteo la silenziosa preghiera di fermarsi. Impassibile, Kala restituì alla superficie uno sguardo gelido e vuoto, poi alzò lentamente il braccio destro, puntando l’indice alla volta dello specchio. Al procedere di quel gesto la luce divenne sempre più forte, come se qualcosa o qualcuno dall’altra parte volesse contrastarla. La donna portò il braccio teso di fronte e sé, poi, stringendo la mano a pugno, lo ritrasse verso il petto: ci fu uno scoppio, mentre lo specchio andava in frantumi, scoprendo il varco verso la Sfera Lucente. Quando Ororo giunse allo studio, trovò il professor Xavier impegnato in una seria conversazione con Jean. Entrando, provò quasi imbarazzo nel sentirsi il loro sguardo addosso, sebbene sapesse che la sua presenza era attesa e desiderata. Silenziosamente entrò nell’accogliente stanza, accomodandosi ad un cenno della mano di Xavier su una delle poltrone di pelle scura. L’uomo la fissò con un’espressione grave dipinta sul volto e i suoi occhi azzurri divennero ancora più glaciali. Non riuscendo a sostenere il suo sguardo, la ragazza abbassò gli occhi, perdendosi nel fitto mosaico del tappeto persiano. Fuori, incessanti e sempre più vicini i tuoni si facevano sentire, come l’inarrestabile battito di un cuore….o forse erano veramente i battiti dei loro cuori, ansiosi di una qualche risposta. Lo scatto della porta li fece trasalire, sciogliendosi quindi in una debole risata di sollievo alla vista di Scott. –Buona sera- pronunciò quindi il ragazzo ed il tono serio lasciò trasparire le cattive notizie che portava. –Buona serata a te Scott, accomodati- si ripeté il garbato invito. Tutti gli occhi erano puntati ora sul nuovo giunto e sguardi fugaci saettavano dalla sua figura a quella degli altri presenti, in una specie di danza colma di esasperante tensione. Ancora nessun contatto?- sussurrò pacata Ororo, non riuscendo più a trattenersi; da dietro gli occhiali scuri il ragazzo la fissò con apparente calma, poi scosse la testa e un ciuffo di capelli castani andò a posarsi su una delle lenti squadrate. Ororo abbassò lo sguardo, preoccupata, sul punto ormai di cedere alle lacrime che sempre più le stringevano il petto. Dalla poltrona di fronte Jean aggrottò la fronte, portandosi la destra alla tempia, massaggiandola per cancellare i pensieri che percepiva nella sua amica. In quelle situazioni la cosa peggiore era lasciarsi andare alla tristezza, specialmente se già la si percepiva forte e chiara nelle menti degli altri. Preso un sospiro disse infine nel tentativo di tranquillizzare Ororo e forse anche gli altri: -Con tempeste come queste i contatti radio sono molto difficili da stabilire, anche apparecchiature sofisticate come quelle che possediamo non riescono a far fronte alle interferenze-. Ci fu un ennesimo silenzio, poi la ragazza fece per riprendere il discorso, anche se non le serviva la telepatia per capire che quanto stava per dire sarebbe servito a poco. Tuttavia fu Xavier a continuare per lei: -Se abbiamo perduto i contatti radio, ciò non significa che siano morti. Scott ha fatto il possibile e l’impossibile per accedere alla radio di bordo, dunque non possiamo dire di non averci provato e guai a chi pensa….- qui gli occhi si volsero verso Ororo che rimaneva con gli occhi bassi, strofinandosi di tanto in tanto gli occhi con il dorso della mano -…che tutto è perduto. Sicuramente i nostri calcoli erano sbagliati in merito all’arrivo di questo uragano. Un errore non da poco, ma non per ciò irrimediabile-. Le parole dell’uomo si susseguivano lente e pacate, scandite dalla sua voce profonda e presto una lieve sensazione di tranquillità e sicurezza ritornò a pulsare nei loro cuori provati. Xavier continuò, scrutando ognuno di loro con i suoi occhi di ghiaccio: -Ho intenzione di servirmi di Cerebro per localizzare Logan, Bobby e Rogue, dato che le nostre risorse sono oramai esaurite. Tuttavia prima sento la necessità di chiedervi una cosa-. Allora l’ansia del fornire una risposta corretta s’insinuò nelle loro menti, mentre cercavano già le parole più adatte alla risposta. I pensieri volarono dalla mattinata in cui avevano salutato i ragazzi a quando li avevano visti scomparire, carichi di bagagli e provviste tra le nuvole sull’ X- Jet, pilotato dalle abili mani di Logan, al primo pomeriggio in cui, più o meno verso le due, qualcosa di strano era accaduto: nel cielo azzurro e terso si era addensata una grande e spessa nube, in cui pulsavano ad un ritmo serrato e regolare dei bagliori azzurri e rossastri. Poi, solamente qualche ora più tardi, il cielo da azzurro e cristallino era diventato una spessa coltre di nubi nere, screziate di venature violacee. Quindi i primi tuoni, le saette scarlatte, la pioggia scrosciante. A Xavier non servivano risposte: tutto ciò di cui aveva bisogno lo aveva già percepito da questi fugaci e schietti ricordi. –La tempesta!- esclamò improvvisamente Ororo, fissando negli occhi Xavier con lo sguardo eccitato di chi ha appena scoperto qualcosa di terrificante. –È inspiegabilmente forte! Ero nella biblioteca e stavo finendo di leggere un libro, quando sono stata interrotta da quelle saette…- Queste parole generarono negli altri interesse e sconvolgimento, che fu abilmente domato dalla tranquillità perseverante del professore. –Continua Ororo- la incitò l’uomo con un dolce sorriso. Gli occhi di Ororo saettarono dal volto di Jean a quello di Scott, per poi fissare un punto oltre le spalle di Xavier, in direzione dell’ampia finestra; fuori, l’oscurità avvolgeva ogni cosa, facendo delle ombre inquietanti e sinistri giochi di forme affusolate come serpenti. Saette scarlatte si susseguivano, pulsanti di un furore indescrivibile, quasi esso aumentasse ad ogni parola detta. Con lo sguardo fisso nel punto in cui lo aveva lasciato, Ororo riprese a parlare, come ipnotizzata: -….c’era qualcosa, qualcosa d’inspiegabile, di strano nel….in come si manifestavano nel cielo…- e qui il suo sguardo spaventato tornò ai presenti -…quasi avessero un ritmo…e i tuoni…erano così incredibilmente….- -…vivi- concluse Jean. Per un attimo le due ragazze rimasero a fissarsi negli occhi, spaventate e inquiete. Fuori, la tempesta imperversava, dando mostra delle sue energie, scuotendo e piegando le chiome degli alberi, spazzando il suolo con raffiche glaciali, sferzando i vetri con la pioggia. Ci fu un tuono, la cui potenza fece tintinnare le gocce di cristallo del grande lampadario. Le giovani portarono allora nuovamente l’attenzione su Xavier, aspettando la sua decisione finale; L’uomo seguitò ad osservarle come di consueto, calmo e perfettamente consapevole al contempo della gravità della cosa. La sua attenzione si spostò quindi verso Scott, il quale per tutto il tempo non era riuscito a parlare, troppo sconvolto da quanto aveva raccontato Ororo. Sentendosi indirettamente interpellato, ebbe come un sussulto e mascherando la sua totale impreparazione dietro ad una specie di sorriso, aprì la bocca per rispondere. Tuttavia, le parole gli rimasero come bloccate dentro, serrate nel petto, in cui il suo cuore batteva forte per la tensione. Profondamente imbarazzato per non essere stato capace di reagire, tossicchiò nervosamente e poi, preso un respiro, finalmente disse: -….anch’io ho notato molte cose strane e inspiegabili. Prima, mentre mi accingevo a contattare l’ X- Jet via radio, improvvisamente ho percepito un’interferenza del tutto insolita-. Quest’affermazione generò un tale interesse che per un attimo il ragazzo si sentì come inspiegabilmente seccato da tutti quegli occhi. Non gli piaceva che troppe persone lo osservassero nello stesso istante e fu ancor più sorpreso dal fatto che quella era la stessa sensazione che provava spesso quando si recava assieme a Jean tra la gente comune. -…ecco, ho udito qualcosa, Ho pensato si trattasse di un rumore di fondo, succede a volte, ma poi…- Scott riportò una mano al colletto della camicia -…ho chiaramente percepito che si trattava di un grido, ma assolutamente al di fuori di ogni normalità-. Silenzio. Il rumore dei tuoni riempiva il vuoto che si era improvvisamente creato nella stanza. La pioggia batteva stizzosa sui vetri spessi. Sovente il sinistro mugolio del vento s’insinuava in qualche fessura, facendo sollevare le leggere tende di seta. Scott guardò Jean, che ricambiò sbattendo più volte le palpebre, mentre Ororo, sconvolta ancor più si premeva le mani sulla bocca. Infine Xavier concluse –Proverò a mettermi in contatto con loro attraverso Cerebro, mi pare sia l’unico modo al momento-. Tutti annuirono. Lentamente e con religioso silenzio i giovani mutanti lo seguirono verso la porta dello studio. Una volta fuori, il professore dette loro istruzione di non far nulla nel caso in cui egli non fosse riuscito nel suo scopo. Poi, adagio si diresse verso la sala ove era custodita la preziosa macchina. Mentre lo guardavano allontanarsi, Scott, Jean e Ororo non poterono far a meno di pensare a cosa fosse accaduto ai loro amici. –Cosa accadrà adesso?- chiese atona Ororo, mentre la voce si colmava del tremore d’un pianto trattenuto troppo a lungo. Un lungo silenzio le venne in risposta, poi la mano forte e sicura di Scott le si posò sulla spalla, mentre la sinistra andava a cingere i fianchi di Jean. –Non lo so- fu infine la risposta.

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Capitolo 10
*** Tuoni e fulmini (parte seconda) ***


Nello stesso istante, in alto, tra le nuvole tempestose, un jet cercava la sua rotta rollando e beccheggiando in balia delle forti correnti d’aria. Per quanto si sforzasse, Logan non riusciva a scorgere nulla al di fuori di saette minacciose, pioggia e tenebre; nemmeno i quattro potenti tergicristalli potevano liberare il parabrezza dai refoli di pioggia scrosciante, che colpivano il veicolo con una furia selvaggia, quasi a volerlo disarcionare di proposito. Improvvisamente, una folgore scarlatta illuminò il cielo a giorno: in quel bagliore infernale egli allora capì che si trovavano pochi kilometri sopra le cime degli alberi e che se non si inventava al più presto qualcosa si sarebbero schiantati. Facendo appello a tutta la sua razionalità strinse la cloche, dominando la paura e l’angoscia al sentire che strane forze ora dominavano il veicolo. -Andiamo maledetta carretta!- sibilò tra i denti e un tramestio si levò alle sue spalle; di lì a poco Rogue fece capolino da dietro i sedili posteriori. -Cosa succede Logan?- risuonò allarmata la voce della ragazza. Logan non rispose subito; i suoi occhi rimasero fissi in un punto di fronte a loro, sgranati dall’orrore di quanto era costretto a vedere: il bagliore che poco prima aveva illuminato il cielo ora sembrava averlo inghiottito del tutto, ovunque spostasse gli occhi era come se un fuoco divampasse per lo spazio circostante, diventando progressivamente più grande. Laddove un attimo prima c’era la distesa di nuvole scure, ora pulsava una luce rubinea, in cui le terribili saette si ramificavano con una sconcertante regolarità, come se tutta la zona fosse viva e quello ne fosse il cuore. Quella abominevole visione li stordì al punto che solo l’acuto richiamo dell’allarme riuscì a far loro capire che stavano perdendo quota. -Merda! Rouge Bobby! Allacciatevi le cinture di sicurezza!- urlò con impeto Logan, facendo trasalire entrambi. -Perché?!- fu l’inutile domanda del ragazzo, che l’uomo stroncò con un -Fallo!-. Il jet iniziò a precipitare, completamente fuori controllo, mentre Logan dava fondo alle sue ultime energie per cercare di fare l’impossibile. Il sibilo del vento divenne sempre più forte, mentre sfrecciavano in caduta libera verso il basso. Incespicando a causa degli scossoni, Rogue tornò indietro, ma non si diresse verso il suo sedile: andò verso Kurt e con fatica tentò di sollevarlo, per trascinarlo verso la poltrona più vicina. Allorchè il suo corpo fu mosso egli aprì gli occhi a causa della fitta di dolore che si era rianimata nel suo torace; -Aiutami Bobby!- esclamò la ragazza, fissandolo con aria stanca e stravolta, ma il ragazzo non si mosse e rimase a fissare entrambi, con un’espressione quasi di sconcerto sul volto. Le lunghe e magre braccia di Rogue cingevano le spalle del nuovo giunto, in un atteggiamento così materno che egli si sentì come oltraggiato o addirittura tradito, tanto da non stupirsi della gelosia che ora si stava insinuando nel suo animo. Per di più, soltanto egli si era accorto nella foga, che lei non portava in lunghi guanti protettivi e che la sua pelle era a diretto contatto con il corpo del giovane mutante. Il cuore di Bobby ebbe un fremito tanto che fu sul punto di ignorare la sua richiesta d’aiuto. -Bobby! Andiamo! Hai sentito Logan? Stiamo precipitando!- la voce terrorizzata di Rogue infine lo scosse da quella riluttanza, mentre dal posto di comando si levava una serie di imprecazioni, miste a ordini concitati. Bobby afferrò velocemente Kurt per i fianchi ed insieme lo adagiarono sul sedile più vicino, assicurandolo con le cinture; poi, lottando contro gli interminabili scossoni, si buttarono anche loro sui sedili lì accanto, ancorandosi come potevano con le braccia e le gambe. Per un attimo fu come se il tempo si fermasse: tutto rimase immobile; poi, lo schianto. I vetri del jet si polverizzarono, spargendosi dappertutto, ferendo le loro braccia, i loro volti, impigliandosi tra i loro capelli. Un alettone schizzò via, tranciato di netto dal ramo di un albero, che poi penetrò attraverso la cavità che ora c’era al posto del parabrezza. Sentirono l’urlo di Logan, mente anch’essi urlavano per far fronte al terrore che li bloccava. Giù, sempre più giù, quello che restava del jet precipitava verso il suolo: una distesa di rocce acuminate. Con un colpo secco infine rovinò al suolo e lì giacque. Dentro non un fiato, non un lamento, niente che potesse far credere che tra quelle lamiere contorte pulsasse ancora un alito di vita.

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Capitolo 11
*** Presenze ***


“Lo specchio oramai è stato infranto. Il male infine è riuscito a penetrare anche l’ultimo serraglio di purezza in cui il mondo potesse sperare. D’ora in poi, nulla sarà più come prima, nessun’anima potrà più essere sicura d’un riscatto finale. Anche gli angeli soccomberanno per mano dei Figli delle tenebre! Uno per uno cederanno e la loro castità sarà plagiata dalle nere ombre, che come serpi inietteranno il veleno dell’odio e della guerra nei loro cuori. Voi umani temete l’avvento del Giudizio Universale? Stolti, perché averne paura se lo avete alimentato voi, con le vostre paure e la smania di potere che serbate nei vostri cuori! Perché temere la morte se voi stessi uccidete gli altri uomini per il colore della loro pelle o per i possedimenti che hanno? Lo specchio è stato infranto ed ora le tenebre caleranno su di voi!” Queste le parole celate nel piccolo volume, che da qualche ora se ne stava chiuso sul tavolino di cristallo della piccola biblioteca. Sigillate nel silenzio composto di una stanza vuota, odorosa di pioggia e della muffa dei vecchi volumi che la circondavano tutta; parole tanto vere quanto menzognere, colme di risposte e di bugie. Solo un piccolo libro, che forse avrebbe potuto svelare e in tal modo far accadere molto prima gli eventi, oramai impressi nel futuro di tutti quanti loro. Nel frattempo la tempesta ora era diventata qualcosa di agghiacciante: non più soltanto acqua scrosciava dalle cateratte dei cieli, ma strali di fuoco scendevano dalle nubi rossastre e sibilando colpivano le torrette della villa, spegnendosi nei rigagnoli che scendevano copiosi dalle grondaie. Tuttavia, nulla in questo momento poteva distrarre la mente di chi con calma ed estremo controllo sondava le vite di umani e mutanti, in cerca di risposte. Nei sotterranei, accomodato alla sua postazione, Xavier perlustrava ogni centimetro della zona, alla ricerca di un debole segno che gli indicasse dove ora giacevano Logan, Bobby e Rogue. Tuttavia, sapeva bene che solo se essi fossero stati ancora vivi sarebbe riuscito a localizzarli e magari anche a mettersi in contatto telepatico. Uno dopo l’altro, gli spettri luminosi delle auree scarlatte dei mutanti presenti nella zona scorrevano sotto i suoi occhi, mentre nella sua mentre si susseguivano le immagini di tutti possibili luoghi in cui i tre ragazzi avevano o potevano aver fatto una sosta. Una stazione di servizio si aprì dinanzi ai suoi occhi, colma del rumore delle automobili, delle imprecazioni degli automobilisti accaldati e nevrotici, dell’odore pregnante della benzina. Una ragazza dai lunghi capelli castani corse verso la toilette delle donne, per poi sparire alla vista. Lentamente l’immagine sbiadì e diede il passo ad una seconda, una valle, nel cui mezzo giaceva un lago dalle acque placide e cristalline. Una diga visibilmente danneggiata nella sua imponente struttura, circondava le sponde alberate, dando alla zona un’aria malinconica di struttura in degrado. Poi, com’era venuta anche quest’immagine scomparve. Xavier prese un profondo respiro e si tolse l’elmetto per un istante. Nonostante fosse a parecchi metri sotto terra, anche lì poteva sentire il rombo sordo dei tuoni e lo scrosciare della pioggia, accompagnata dagli sferzanti fischi delle meteore, che come stelle cadenti scendevano da un cielo surreale. Ma non vi erano desideri questa volta, solo tanta paura e una debole speranza di poter ritrovare quei ragazzi in tempo. Approfittando della sua solitudine, Xavier si abbandonò per un attimo a quel sentimento di rimprovero che giaceva nel suo cuore sin da quando aveva ceduto alle parole di Logan. Quel “si” gli rincresceva attimo dopo attimo, mentre la voce argentina di Rogue risplendeva ancora vivida. “Non si preoccupi professor Xavier! Logan è insuperabile quando si tratta di sopravvivenza nei boschi!”, queste le ultime parole d’ella, seguite dall’"è vero!” concitato di Bobby e dai loro sguardi colmi di speranza, per quel permesso tanto agognato alla fine della scuola; al che, di lì a pochi istanti era arrivato Logan, che come al solito aveva già programmato tutto da solo, con in spalla il suo sacco, rivolgendo loro una frase provocatoria: “Allora i vostri bagagli dove sono?” e poi guardando in tralice Xavier aveva continuato “Se non vi sbrigate me ne vado da solo, capito sfaticati! E badate di prendere tutto, che non vi presto nulla, ok?”. Quindi era entrato nello studio e con la solita noncuranza aveva mollato lo zaino dall’aria vissuta su una delle impeccabili poltrone, aspettandosi probabilmente un “buona fortuna” o qualcosa di simile. Poi, notando l’aria contrariata del professore aveva tirato la solita boccata di sigaro, alzando gli occhi al cielo, con fare infantile, per rimanere poi di stucco quand’egli aveva accettato a dar loro il permesso, con l’ultima raccomandazione di stare molto attenti e di ritornare indietro al minimo accenno di temporale. Per tutto il tempo, Logan aveva disperatamente lottato contro la sua mente, per non far pensieri traditori e c’era pienamente riuscito. Con un’ultima sbuffata di fumo dolciastro, il ragazzo si era infine congedato, biascicando un “grazie” e condendo il saluto con l’atto di portare due dita alla fronte, in tipico stile marines. L’ultimo suono che ristagnava ora nella mente di Xavier era quello dei potenti motori dell’x-Jet e i saluti spensierati di allievi e insegnanti. Non si sorprese al che una lacrima iniziò a solcargli il volto magro e incavato, ma non era quello il momento di farsi confondere dalle emozioni e dal rimorso. Prendendo un ennesimo profondo respiro, si rimise in testa l’elmetto, chiudendo gli occhi e cercando di ritrovare il contatto, perduto qualche minuto prima. Nuovamente le sagome rossastre dei mutanti scorsero dinnanzi a lui, riempiendo la stanza, che ora si era fatta enorme e sconfinata. Si concentrò sul ricordo dell’ultima immagine che aveva visto, Alkali Lake e lasciò che la sua mente si estraniasse dai tediosi sentimenti che quella vista rievocava; ed ecco che, un bosco, con gigantesche conifere invase tutta la stanza: le pareti ora erano una distesa di alberi verdi e palpitanti, il pavimento un suolo muscoso e odoroso d’erba bagnata, tipico delle foreste lì attorno. Il grido di un’aquila risuonò alto, tra le nuvole bianche e morbide, seguito dalle risate di qualcuno. Ma certo! Erano loro! Era sulla strada giusta, solamente ancora non poteva vederli. Ma era sicuro che quelle energie positive appartenevano a loro tre e per di più erano anche molto vicini. Ma all’improvviso, qualcosa si interpose tra la visione e la sua mente: una presenza estranea, racchiusa in un’aura fortissima lo colse alla sprovvista. Non era un mutante, questo era certo, si trattava di qualcos’altro, di un’entità superiore, la cui energia cresceva a dismisura. Lottando per non perdere il contatto telepatico, Xavier si vide trasportato in quella che pareva un’enorme bolla rossa, la cui superficie era solcata da innumerevoli diramazioni, che davano al tutto l’aspetto irrazionale di un tessuto percorso da capillari vivi e pulsanti. In mezzo a quella specie di enorme cuore, la vide, i lunghi capelli neri sciolti sulle spalle, il vestito rosso macchiato d’argento. Avvinghiata a lei c’era una creatura bianca come un fior di loto, le cui enormi ali piumate vibravano nel tentativo di liberarsi da quell’abbraccio mortale. Il suo corpo evanescente, pareva divenir ancor più inconsistente man mano che subiva i colpi della rivale, che, come un ragno con la preda, la serrava sempre più stretta; la creatura angelica si dibatteva disperatamente, scalciando, lanciando acuti stridii, ma nulla pareva arrestare le malvagie intenzioni dell’altra donna, evidentemente decisa a farne giustizia sommaria. Alla fine l’angelo cedette e fu scaraventato via con gran disgusto, privo completamente di energie e forze vitali. Ma immediatamente, veloce come il pensiero una seconda creatura angelica si era ora materializzata ed aveva iniziato un’ennesima lotta costellata di lampi azzurri e scarlatti, di urla terrificanti e stridii furibondi, di sangue celeste e dannato, che schizzava ad ogni colpo andato a segno. Fu così che Xavier apprese il perché, quella sera, alle nove esatte, il tempo si era fermato, chi fossero le due creature che a molti chilometri di distanza tramavano un disegno subdolo e spietato e come il Male volesse ancora una volta impossessarsi della terra e dei suoi abitanti. Tuttavia, sta volta non si sarebbe trattato della solita battaglia fra forze mutanti, coalizzate alla meno peggio contro gli umani: ora tutte le razze e le etnie del mondo correvano un unico pericolo, quello di scomparire per rinascere a loro volta generatori di morte. Xavier rimase ancorato al sedile, troppo scosso per procedere oltre: mai nella sua vita aveva percepito pensieri che l’avessero basito al punto, da provocargli un simile orrore. Quella con cui era entrato in contatto non era nemmeno concepibile come una serie di pensieri, era energia negativa allo stato puro, che cresceva percettibilmente dentro quel bozzolo sanguigno. Improvvisamente, la donna dai capelli corvini si fermò e voltandosi di scatto verso Xavier gli rivolse uno sguardo feroce. In quegli occhi di giada egli allora vide schiere di persone cadere sotto la violenza di demoni e diavoli, vide fiamme nere cingere i loro corpi e tramutarsi quindi in striscianti tentacoli irti di spine, che penetravano dentro di loro, sigillandoli in bozzoli neri, mentre ovunque echeggiavano urla e inutili preghiere. Infine, fu la volta di una creatura dai luminosi occhi e dalle grandi ali scure, che si levò al di sopra di tutto quell’inferno, per poi oscurare col suo volo l’abominevole visione. Perduti i contatti, Xavier rimase nella penombra della stanza, tremando ancora per quanto aveva visto, per quello che aveva udito, fissando ancora il punto in cui poco prima c’erano le due creature che lottavano; sentiva il cuore pulsargli nelle tempie, mentre esausto seguitava a cedere e ad avviarsi verso l’ascensore. Giunto al piano superiore, si diresse verso la piccola cucina dove altri tre cuori battevano frenetici, vogliosi di risposte, della verità su tutto quanto stava succedendo. Un tuono, simile più ad un grido di battaglia li fece trasalire e le loro menti allora slittarono all’unico pensiero che in quel momento era importante: -Dove sei Logan-, sussurrò tra sé Ororo, stringendo la tazza di caffè fumante. Mai come in quel momento si era resa conto di quanto importante fosse per lei quel ragazzo: in tutti i litigi, gli attriti e gli scontri che aveva sempre avuto con lui, solo ora che egli era lontano, sperduto chissà dove, poteva comprendere che quei modi bruschi e spesso arroganti erano il suo modo di dirle “ti amo”, “non ti lascerò mai”, “perdonami!”. Una lacrima iniziò a solcarle il volto, al pensiero che forse non lo avrebbe rivisto mai più, che mai più nella sua vita avrebbe potuto scontrarsi con quegli occhi scuri, intrisi della crudele passione di una mente priva di memoria, colmi di un passato ermetico e doloroso. L’intensità dei suoi pensieri fu tale, che anche Jean ad un tratto, non sopportando più il dolore dell’amica, si sciolse in un pianto inconsolabile. Ancora una volta Scott intervenne con la sua dolcezza di amante e amico fidato, abbracciando Jean e porgendo un cenno di conforto ad Ororo, la quale gli sorrise tra le lacrime, nonostante la convinzione che Logan fosse ormai spacciato, diventasse sempre più forte. -Non dobbiamo cedere! Il professor Xavier ce la sta mettendo tutta! Vedrete che con l’ausilio di Cerebro li troverà!- Esclamò Scott, ostentando fiducia, nonostante la voce tradisse la sua ansia ed il suo dolore. Anch’egli, infatti, nonostante le costanti contese soprattutto per Jean, voleva bene a Logan e il solo pensiero di non rivederlo lo paralizzava. In quanto a Bobby e Rogue, tutti e tre condividevano ora il rimorso per aver loro concesso di andare in campeggio con l’avvicinarsi di una tempesta. Alle parole di Scott seguì un lungo e insopportabile silenzio, finchè Ororo, colta da un improvviso attacco di rabbia non iniziò a disperarsi e a piangere in preda ad un forte attacco d’ansia. –Ororo! Non fare così! Non è il momento di cedere al panico!- intervenne pronta Jean, ritrovando improvvisamente il suo controllo. Ororo seguitò a urlare, come colta da un irragionevole terrore, tanto da costringere Scott a tenerla ferma per non ferirsi con i frammenti della tazza che, nell’impeto le era esplosa tra le mani. –Ororo! Rilassati! Va tutto bene!- La calda voce di Jean le rimbombò nella testa ed ella la sentì scendere nel petto, per poi diffondersi in tutto il corpo. Infine, dopo un’ultima convulsione, Ororo si lasciò andare tra le braccia di Scott. In quel mentre un altro tuono, preceduto da una folgore, esplose fuori nel giardino oramai devastato. Sconcertati i due ragazzi la portarono nel salottino accanto alla cucina, coricandola sul divano. –Ha solo perso i sensi, nulla di grave- si affrettò a dire Jean, mentre faceva cenno a Scott di alzarle le gambe. Lentamente, Ororo riaprì gli occhi, riacquistando sensibilità del suo corpo, delle braccia, delle gambe, della testa, riguadagnandosi la quotidianità del luogo, la familiarità dei volti. –Jean… Scott…ma cosa…chi…- -Va tutto bene, sei solo svenuta. Evidentemente questa tempesta è molto più forte delle altre e questo ti ha creato uno scompenso-. Ororo si portò una mano alla fronte, scostando un ciuffo di capelli dagli occhi e fu allora che la sentì: la stessa voce che aveva percepito quando era in quella sala a leggere, lo stesso grido malvagio, gli stessi pensieri crudeli e taglienti come la lama di una spada. Ancora un tuono, ancora una folgore, ancora strali infuocate e sibili malefici al di fuori della casa. -“…nessuno si salverà! Voi mortali non potete nulla contro quello che vi aspetta! L’inizio della fine è cominciato, non avrete nessuna via di scampo! Il destino del mondo si compirà sta notte!”-. Paralizzati dalla paura, Jean e Scott rimasero a guardare Ororo, che ora, ridestatasi, li fissava con i suoi occhi bianchi, mentre le venefiche parole erano scandite dalle sue labbra sottili. –Quale destino?!- riuscì infine a spiccicare Scott, sconvolto; la donna volse rigidamente il capo verso di lui, sibilando: -“Il vostro! Ogni essere vivente vedrà il suo vero destino, il vero compito per cui è stato creato su questa terra miserevole!”- disse Ororo a denti stretti. –Qual è questo destino?!- urlò allora Scott, scotendola, nel vano tentativo di farla rinsavire. Con un movimento fulmineo, Ororo lo prese per la gola, stringendogli il collo con forza. Il ragazzo emise un gemito soffocato, mentre la vista gli si annebbiava. –Lascialo andare, maledetta!- gridò Jean, scagliandosi contro di lei e premendole i palmi delle mani sulla testa; nei pochi istanti che seguirono vide un mare di fuoco, celato da una nebbia sulfurea. In lontananza, accerchiata da alte fiamme scure, si ergeva una fortezza dalle imponenti torri contorte, comunicanti tra loro per mezzo di scale di pietra, innumerevoli ponti e ballatoi, su cui centinaia di orrende creature facevano una ronda spietata. Dietro, sul culmine di una montagna di ossa umane, si ergeva un immenso castello, scavato in un gigantesco blocco di roccia nera, il cui ponte levatoio era custodito da colossali demoni con la testa di serpe, muniti di falci corrose dal sangue di chissà quante vittime. –“Sei tanto ansiosa di conoscere quanto vi aspetta, donna? Il fatto di essere una mutante non ti salverà, non ne uscirai viva, nessuno di voi resisterà!”- -No! Tu menti! Vattene dalla mente di Ororo!- -“Stolta! Neghi l’evidenza? Non sai cosa vi aspetta! Potrete pure combattere, ma non vincerete mai! Noi siamo troppo potenti!”- -Noi? Siete più di uno allora?- -“Siamo talmente tanti che non potete nemmeno immaginarlo! Non potete fare nulla per contrastarci!!”-. L’orrida voce scandiva le atroci parole con una calma ed una convinzione tale, che Jean quasi si vide sul punto di cedere. –Non è possibile! Se c’è qualcosa che possiamo fare, noi lo attueremo!-. Ororo la fissò ancora, con quegli occhi allucinanti e la bocca le si storse in un sogghigno: - “…si, effettivamente c’è una cosa che potete fare…”- -… e di che si tratta?! Parla dannazione!-. La voce ebbe un attimo d’esitazione e poi esplose in una lacerante risata di scherno: -“Morire!”-. Quindi com’era venuta si sciolse. Mentre la mano sinistra lasciava andare Scott, la fanciulla cadde nuovamente riversa sul divano rosso cardinale. Jean si portò le mani alla fronte, ansimando per lo sforzo e l’angoscia di quanto aveva visto. Il tossire di Scott la fece voltare e con sollievo lo vide alzarsi. –Che… che diavolo…- iniziò il ragazzo, ma venne interrotto dalla voce profonda che proveniva dalla soglia. -Esatto Scott -: Xavier era giunto con estrema velocità dalla stanza di Cerebro ed ora se ne stava sulla porta con fare più perplesso che scosso, fissandoli entrambi con i suoi occhi di ghiaccio. Lasciando che Jean si prendesse cura di Ororo, Scott gli si avvicinò, massaggiandosi il collo ancora dolente. –Cosa vuol dire professore?- -Che sta volta Magneto non c’entra-, rispose pacato l’uomo. –Venite, portiamo Ororo nella sua camera. Poi vi narrerò quanto mi è accaduto nella stanza di Cerebro-. Presa delicatamente la ragazza dal divano, i quattro si diressero ai piani superiori, verso gli appartamenti di Xavier.

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Capitolo 12
*** Quando qualcuno ti ascolta ***


Mentre qualcuno cerca di capire il complicato intrico di quanto sta succedendo, in alto, al di fuori di ogni razionale concezi

Antefatto

 

Lo specchio era stato infranto. Kala era riuscita a penetrare nell’alcova benefica, nell’ultimo serraglio di purezza a cui il mondo potesse ancora aggrapparsi. Ora, avrebbe infuso i suoi fluidi malvagi, eliminando qualsiasi creatura avesse cercato di contrastarla. Sicura della vittoria, colma di un’insana esaltazione, ella sfrecciava attraverso la Sfera Lucente, pregustando già i frutti del suo lavoro. Il suo signore sarebbe stato fiero di lei e l’avrebbe premiata, le avrebbe donato quanto più desiderava al mondo: un corpo umano in cui incarnarsi, per confondersi con la razza umana e far proliferare i figli delle tenebre.

Questi i suoi pensieri, ricolmi di atroce spregevolezza, pura essenza di cattiveria, che ora si sarebbe riversata ovunque, soffocando tutte le entità benefiche. Ebbra di così tanta crudeltà non si era accorta della forte aura benefica che incombeva ora su di lei, fino a quando le sue membra non avevano iniziato a fremere di innaturali convulsioni, sintomo di una presenza angelica nei paraggi. Facendo appello a tutte le sue forze e decisa a non demordere, era riuscita a tener testa alla forza positiva ed ora iniziava a prepararsi ad agire. Lentamente aveva estratto da sotto il mantello una lunga spina ricurva, che scintillava quasi fosse fatta di vetro. Al suo interno pulsava una luce rossastra, che a tratti lasciava intravedere qualcosa di orribile attorcigliato su se stesso.

La forza benefica pareva esser sparita e quindi quello era il momento propizio per entrare in azione; il suo incedere l’aveva portata sino al cuore della Sfera Lucente, una massa traslucida di un pallido blu, la cui superficie era venata da sottili strisce argentee. Là dentro, scorreva la linfa vitale di tutte le creature eteree, il nutrimento a cui attingevano gli angeli, gli spiriti bianchi e tutte le entità positive. Kala vi si avvicinò e come un cuore in preda al panico essa iniziò a pulsare sempre più velocemente, mentre i capillari diventavano traslucidi e una forte energia positiva si sprigionava tutt’attorno. Il demone non si lasciò contaminare dall’aura benefica: resistendo al dolore ed al disgusto che tutto quel bene le provocava, avanzò sino a che non fu abbastanza vicina da poterla toccare e infisse l’aculeo infetto di male un punto preciso.

Mentre ogni cosa attorno veniva avvolta in un enorme bozzolo scarlatto, da una fenditura proprio sopra la testa del demone compariva una creatura talmente candida da sembrar fatta di nuvola. Con grandi colpi d’ala le si avventò contro ed ebbe così inizio il primo dei molti combattimenti che d’ora innanzi avrebbero turbato la quiete del mondo intero. Così, mentre qualcuno cercava di capire il complicato intrico di quanto stava succedendo, in alto, al di fuori di ogni razionale concezione, in una dimensione dove si congiungono il bene ed il male, una lotta iniziava il suo corso, uno scontro all’ultimo sangue, il cui esito avrebbe potuto cambiare il destino di tutte le creature viventi sul pianeta Terra.

 

Il demone pareva avere la meglio: l’energia positiva si stava vistosamente riducendo, permettendole di padroneggiare la situazione, mandando a segno gran parte dei suoi attacchi. Uno dopo l’altro l’angelo incassava i colpi, gemendo, urlando di dolore, mentre la sua luce diventava sempre più debole. Ancora poco e sarebbe riuscita ad accedere all’ultimo livello, quello dove risiedevano le energie supreme, la sede del sommo signore di tutte le creature di luce. Il solo pensiero le diede il voltastomaco e la rabbia sufficiente per assestare un’artigliata al ventre dell’angelo, che si piegò su se stesso, in preda ad atroci dolori. Le unghie affilate e nere trapassarono le evanescenti carni, rimanendo invischiate nell’argenteo fluido, infliggendogli atroci sofferenze e provocando un estremo dileggio nel demone sempre più infervorato.

L’angelo cercava in tutti i modi di liberarsi, di estrarre quell’artiglio dal suo torace, ma più si contorceva, più le unghie aguzze rimanevano conficcate in profondità. Poi improvvisamente il demone estrasse la mano dal petto dell’angelo, con uno schiocco secco. Un fiotto argenteo le investì il volto, macchiandole la veste rossa. Senza scomporsi afferrò l’angelo per il collo, avvicinandosi al suo volto pallido e sofferente. –E così è questa la resistenza che manda il vostro “grande capo”? Uno sparuto angioletto, fresco di tirocinio a combattere contro la regina del tempo?-.

La voce risuonò aspra e lontana, mentre il giovane angelo sentiva le energie scorrere via, sempre più inesorabilmente, risucchiate dall’enorme bozzolo rosso che oramai aveva avvolto tutto. Quando anche l’ultima spira di vita fu inglobata dal guscio scarlatto, Kala lasciò andare la presa, gettando in un angolo quanto rimaneva del giovane cherubino. Lanciandogli un ultimo sguardo colmo di disprezzo, non si risparmiò un ultimo scherno alla volta di chi aveva preteso di difendere un’intera dimensione con l’ausilio di un singolo soldato. Presa dal compiacimento di quanto aveva fatto, non si accorse della possente figura alata che si era silenziosamente materializzata alle sue spalle e grande fu il suo sconcerto quando voltandosi ne incrociò lo sguardo d’agata blu oltremare.

Quegli occhi penetranti, bastarono ad infonderle abbastanza sconcerto da farla quasi desistere dal suo intento. Quando infine ella parlò, il coraggio e la spavalderia che poco prima la animavano vennero a mancarle. –Dunque la tua arroganza ti fa confondere al punto tale da commettere simili errori…chi sei e chi ti manda!- a quelle parole chiare e precise, il demone vacillò. Non poteva sopportare quello sguardo glaciale, che ricordava un oceano in tempesta, screziato di grigie brume e candidi soffi di brina. Lo sentiva su di sé, pesante e affilato come la lama di una spada di cristallo azzurro, avvolgente come una spessa coltre di nubi.

Colto da un’inspiegabile sensazione di sconcerto, il demone iniziò ad indietreggiare, avvicinandosi sempre più alla superficie rossastra, mentre l’angelo prontamente avanzava, deciso ad attaccare. Un passo dopo l’altro Kala retrocedeva verso il bozzolo scarlatto, messa alle strette dalla nuova venuta. Sentiva quegli occhi puntati su di lei trapassarla da parte a parte, mentre l’insostenibile sensazione di essere braccata le impediva di concentrarsi e di reagire. Improvvisamente la sua schiena sbatté contro qualcosa di caldo e pulsante: era giunta al capolinea, dietro di lei c’era solo l’involucro di quella enorme massa che ella stessa aveva creato e che ora probabilmente sarebbe stata la sua fine.

-Non ti sarà così facile eliminarmi! Ho contaminato il nucleo positivo che nutre il vostro regno, vi ho portati alla distruzione!- sibilò infine Kala, sul punto di gettare la spugna, nel vano tentativo di far desistere la rivale ad attaccare. L’angelo non si scompose, seguitò a procedere di qualche altro passo, fermandosi a pochi metri dal demone, fissandolo continuamente con i suoi occhi feroci. …cosa mi sta succedendo maledizione! Perché non riesco a reagire! Si ripeteva Kala, ormai in preda alla più totale impotenza. Sentiva il corpo scivolare in un insano torpore, percepiva uno strano calore salire dalle gambe e dalle braccia, che si diffondeva inesorabilmente attraverso il suo involucro astrale. Come un’insana febbre, l’energia positiva emanata dall’angelo la paralizzava, la bloccava e serrava, rendendola prigioniera delle sue stesse azioni.

Stremata, il volto rigato da lacrime scure, Kala si lasciò scivolare a terra, mentre le ultime energie la abbandonavano. Chiuse gli occhi e si preparò alla fine, che non sarebbe stata tanto diversa da quella di tutte le creature malefiche che tentavano di attaccare il Mondo Etereo: dissolversi per divenire qualcosa di simile a poco più di un sussurro nella tempesta. –Allora esiste ancora qualcuno a protezione di questo luogo malefico- biascicò, mentre progressivamente le forze la abbandonavano. –Si, c’è ancora qualcuno che ha fede nella vita e ha speranza nel futuro dell’umanità- fu l’inevitabile risposta, chiara e leggera come l’aria, ma che al demone morente parve il clamore di un esercito lanciato in battaglia.

Un singulto sordo uscì dalla gola della donna, mentre cercava di replicare, ma quegli occhi spietati non le diedero modo di emetter verbo: erano lì, puntati sul suo corpo, che oramai era poco più di un pallido ologramma, schiacciato contro la parete scarlatta. L’angelo allora iniziò ad avvicinarsi e pochi istanti dopo le era sopra, orgoglioso e superbo con le grandi ali aperte a dimostrar tutta la sua superiorità sul male, mentre a tratti alle sue spalle si mostravano evanescenti e determinate le figure lucenti di almeno un centinaio di creature celesti, armate di lance di luce e archi d’argento, bardati d’armature d’oro e tutte parevano fuoriuscire direttamente dal corpo della creatura celeste.

Con un ultimo debole sorriso, Kala lo fissò e riuscì allora a porre la tanto stentata domanda: - C’è una speranza per i demoni che vogliono tornare indietro?-. Quelle parole provocarono un’ impercettibile compassione nella creatura angelica, la quale ebbe quasi un motto di esitazione, mentre tendeva il braccio a toccar il volto del demone. –Una scelta non è revocabile, quanto si è compiuto non si può trasformare, soprattutto per le creature di spirito. Il libero arbitrio ci è concesso a nostro rischio e pericolo. Il posto di ora te lo sei guadagnato e sarà solo grazie a quanto hai deciso che finirai di esistere. Mi dispiace Kala, ormai è troppo tardi-.

La voce pacata e severa le martellava dentro, ogni pausa, ogni ripresa erano stoccate roventi per la sua anima, ormai condannata all’oblio. Fu allora che nella mente le si insinuò un pensiero, una traccia evanescente che, mentre il discorso dell’angelo seguitava, prendeva la forma di una orrenda vendetta. Poco distante, accanto a lei, giaceva ancora il corpo senza vita del guerriero che pochi minuti prima, aveva cercato di contrastarla. Kala iniziò allora a fissare lo sguardo su quelle gelide membra, sorda alle prediche che dall’alto rimbombavano verso di lei, travolgendola di parole come “onestà”, “giustizia”, “pietà divina” e via di seguito. Se avesse mantenuto il controllo, quanto aveva fatto si sarebbe rivelato di estrema importanza. Il discorso si stava concludendo ed ella sapeva che se non si fosse sbrigata ad agire, avrebbe sul serio fatto la fine di quei predicozzi.

…concentrati, concentrati, pensa al corpo che ti spetta, fallo per.. ma i suoi pensieri furono infranti dalla voce dell’angelo, pronto a darle l’addio eterno. –Puoi solo pentirti Kala. A chi rinnega la via del bene non rimane altro che implorare perdono e sperare di essere ammesso alle sfere più esterne degli inferi. Non hai molta scelta, pentiti e pregherò affinchè il tuo trapasso non sia così doloroso- …maledetta, te lo do io il trapasso, ora vedremo chi delle due è la vera forza sovrumana qui! Fingendo contrizione, il demone la fissò allora in volto e di colpo rivide quegli occhi gelidi fissarla senza pietà alcuna. –Io mi pento, signora divina…possa il tuo perdono addolcire le mie sofferenze…- iniziò allora a lamentarsi, mentre la mano destra andava a posarsi sulla membrana rossa. Ancora qualche minuto di finzione e tutto sarebbe stato risolto, ancora un paio di parole e poi la sua vendetta avrebbe avuto il suo esordio, sarebbe stata libera da quel giogo e avrebbe attuato i suoi piani.

-…accogli dunque questa mia supplica e risparmiami dalle atrocità che mi attendono…- le ultime parole si susseguirono in un sussurro, ricolme di una così grande amarezza che per un attimo l’angelo parve come toccato; allungando poi le palme verso la fronte di Kala, iniziò a recitare una complicata litania, senza distogliere gli occhi da quelli della rivale. Fu quello il momento propizio: intenta a pregare, la creatura celeste non si era accorta che l’aura negativa si stava via via facendo nuovamente più forte e che l’involucro era diventato almeno due volte più grande e spesso. Inoltre, la strana mutazione che stava subendo il corpo del giovane cherubino morto, le era sfuggita completamente. -…ebbene possa la volta celeste avere pietà della tua anima dannata e possano i corpi celesti accompagnarti fin dove ti sarà consentito andare. Pentiti ora e potrai ancora sperare in un’esistenza migliore-.

Stanca di tutte quelle chiacchiere Kala era ormai pronta a sferrare il suo contrattacco, ma ebbe lo stesso l’eleganza di non bruciarsi l’ultimo istante. Con simulata costernazione infine rispose: -…ebbene io mi pento, signora celeste e spero…che tu possa crepare nelle fiamme da cui sei stata generata maledetta!-. Con un urlo da far gelare il sangue, il demone si riscosse come per magia dal suo torpore, avventandosi sull’angelo con i neri e ricurvi artigli sguainati. –Ebbene cosa speravi di fare, Ayusya? Volevi tapparmi in uno di quei maleodoranti buchi che voi chiamate “sorgenti di trapasso”? Magari con una pergamena e una piuma per mandare qualche notizia di tanto in tanto? Beh, hai sbagliato di grosso mia cara ed ora preparati perché la mia vendetta sarà molto più terrificante di tutte le benedizioni che tu hai in quella bella testolina!-. Con un altro ruggito il demone le si slanciò contro, decisa a farla fuori. Ne seguì una lotta serrata, costellata di preghiere ed imprecazioni, macchiata del sangue di due creature così simili eppure tanto diverse, che ora si confrontavano in un combattimento senza esclusione di colpi.

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Tra la terra e il cielo ***


tra la terra e il cielo1 Tra la terra e il cielo

Dalla coltre densa e scura, la pioggia cadeva copiosa e tagliente. I boschi stormivano e fremevano in balia del vento impetuoso, che in spire trasparenti cingeva le cime, piegandole al suo volere, per poi scendere giù, sempre più giù, a sferzar gli arbusti e i cespugli ed infine insinuarsi tra l’erba e divenir spira sottile e spettrale, come piede di fantasma. Ma come esse poterono generare la distruzione e l’oblio, così come distrussero persino umano manufatto, furono anche la salvezza, il soffio che estingue la fiamma, la sferzata che attutisce la febbre, il dolce cullare che ti risveglia con il suo gelido bacio e ti riporta alla vita.


Sul fondo di un profondo canalone, ai piedi di una grossa roccia, giacevano i resti di quello che una volta era stato l’x-jet. Lamiere contorte e taglienti, vetri rotti sparsi ovunque, frammenti di alettoni e parti di motore erano sparsi ovunque, dando l’idea di una bolla di cristallo infranta su un pavimento di marmo. Rocce acuminate come lame squarciavano la cupola d’acciaio, come si fosse trattato di un coltello nel burro, svettando poi verso l’alto, fiere e spietate nella loro incorruttibilità.
Sul terreno e sulle pareti circostanti, a testimoniare presenza umana si poteva vedere il sangue, rosso e vivo, che macchiava la giallastra roccia in schizzi irregolari e i resti di abiti strappati e bagagli da campeggio disseminati a perdita d’occhio. Sembrava quasi che una forza sovrumana avesse sbattuto il mezzo in quella gola inaccessibile e scura, con un odio ed un disgusto indecifrabili. Attorno il silenzio più assoluto, non un sospiro, non un sussurro, solo il persistente ticchettio della pioggia e l’ululato del vento che si insinuava nelle crepe delle rocce.
Ma l’apparenza a volte inganna. Infatti fu proprio in quelle crepe buie e inesplorate che si accesero via via centinaia di luci, tutte rivolte inspiegabilmente alla volta di quello spettacolo raccapricciante. Luminosi, sempre più scintillanti gli sfavillii si accendevano per ogni dove, mentre l’ululato cresceva, sino a riempire l’intero dirupo. Fu allora che le nubi si diradarono per un istante e come in un motto di compassione ecco apparire la luna, pallida e rotonda, avvolta nella su luce malinconica.
Ora l’ululato era qualcosa che andava al di là di qualsiasi suono: non era solo un richiamo lanciato alla volta celeste, ma una preghiera colma di compassione, che centinaia di lupi bianchi come la neve rivolgevano al Paradiso, per quelle anime sospese tra la vita e la morte.
E in quell’atmosfera surreale ecco che qualcosa si mosse. Una forma scura e malferma sul terreno dissestato e polveroso iniziò ad avanzare strisciando. Le centinaia di occhi la fissarono e quand’ella si alzò faticosamente in piedi allora scattarono tutti in avanti, sprezzanti del pericolo che rappresentavano quelle rocce taglienti come lame, scattando agili ed eleganti. Giunti a pochi metri dalla presenza si fermarono e tutti chinarono il capo in segno di reverenza, portando le zampe indietro a simulare un inchino. E l’ululato si alzò nuovamente, mentre Logan ancora stravolto e dolorante si guardava attorno con fare alquanto perplesso. Poi capì: quelle creature avevano sentito le sue preghiere, quelle che lui aveva lanciato più simili a imprecazioni, mentre il jet precipitava dal cielo ed ora erano lì, al suo cospetto per aiutarlo.
Mai come in quel momento si sentì onorato e completamente inerme allo stesso tempo, di fronte alla potenza della sua stessa natura. Preso da un profondo sentimento verso quei benevoli animali, pensò a loro come fratelli, compagni forse di una vita passata e irraggiungibile, tanto che presto si era già dimenticato del dolore e della spossatezza che logoravano il suo corpo. Fu una profonda ferita al fianco sinistro che lo fece vacillare e cadere sulle ginocchia, riportandolo per un attimo alla condizione in cui si trovava. Volse il capo in direzione del mezzo, stringendo in pugni, mordendosi le labbra, maledicendosi per la sua prepotenza e insensibilità ai consigli di chi lo aveva cresciuto come un figlio.
Uno scalpiccio lo fece voltare di scatto: di fronte a lui, fiero e maestoso, si stagliava il più grande e bello di tutti i lupi. La sua pelliccia candida fluttuava nel vento ed il suo sguardo incuteva timore. Ma non per Logan. Egli sapeva che quella creatura era lì per aiutarlo e non per fargli del male. Istintivamente avanzò, sempre faticosamente, scosso dalle scariche di dolore, finchè non cadde nuovamente a terra, il volto contratto dal dolore insopportabile. Sentendo le forze venirgli meno tese un braccio alla volta del lupo, che prontamente gli fu vicino e già si apprestava a leccargli le ferite. Il ragazzo affondò il volto nella morbida pelliccia e lì diede sfogo a tutta la sua frustrazione. Anche i lupi si unirono al suo dolore e di nuovo quella preghiera si levò al cielo ancora sgombro da nubi.
Improvvisamente il lupo che gli aveva fatto da spalla si alzò e lo fissò con i suoi occhi verdi e scintillanti. In quello sguardo fu come rivedere qualcosa di inaccessibile eppure così quotidiano, come gli occhi di un padre o un maestro sapiente. Logan allora capì e a fatica si rimise in piedi, per poi sospirare un’ultima volta, prima di dirigersi verso i resti del jet. Come attratti dai suoi pensieri i lupi lo seguirono e poco alla volta estrassero dalle macerie i corpi di Rogue, Bobby e Kurt, depositandoli in una grotta asciutta e pulita. Poi indicarono a Logan il luogo in cui sgorgava una sorgente d’acqua cristallina, che egli usò per detergere i loro volti dal sangue e dai resti di vetri che si erano raggrumati. Nel passare la mano sul volto della ragazzina provò una stretta al cuore notando che nessuna energia veniva risucchiata dal suo corpo e una smorfia di dolore gli si dipinse su volto provato, mentre si scioglieva nuovamente in lacrime.
Fu ancora il Grande Lupo Bianco che gli venne in soccorso, ringhiando questa volta, come a volergli rammentare la sua natura ed allo sguardo interrogativo del ragazzo su cosa potesse fare, volse il capo verso Kurt, che giaceva poco distante. Logan questa volta non recepì subito le intenzioni dell’animale, finchè egli non si diresse verso Kurt e tornò stringendo tra i denti il piccolo rosario di legno che il ragazzo teneva ancora nella mano. Allora ancora una volta Logan capì che doveva avere fede, la stessa che aveva avuto quando erano precipitati, quella stessa sensazione di fine e di risoluzione che aveva sentito pulsargli dentro quando aveva ormai capito che era giunta la loro ora.
Portandosi il rosario al petto lo strinse, mormorando poi stentate parole sotto lo sguardo benevolo dei lupi, che silenti lo osservavano dall’alto delle rocce circostanti. Sta volta solo il suo sussurro si udiva, mentre gli animali tacevano e la luna brillava ancora nel cielo, ora più splendente di prima; e fu in quel raggio di luna che la vide: gli occhi blu, i capelli biondi sciolti sulle spalle, il corpo tutt’uno con la luce argentea, le grandi ali aperte sul dorso. Avanzava lieve, a qualche centimetro da terra, fluttuante come un nembo dorato, soave come un soffio di brezza, il capo coronato d’alloro, la veste turchese e il sorriso radioso. Quando gli sfiorò il volto si sentì rinfrancato da tutti i patimenti subiti e la forza tornò a scorrere nelle sue membra. Poi, un dolcissimo sonno lo colse ed egli si abbandonò, lasciandosi cullare da tiepide e sconosciute melodie.

Nella Sfera Lucente Ayusya aveva avuto la meglio. Kala infine aveva desistito e si era arresa, ma non senza apportare danni cospicui alla Sfera stessa ed ai suoi abitanti. Infatti, gli angeli al cospetto di  Ayusya erano infine stati trasformati in demoni ed erano fuggiti, per far tappa nella Sfera Oscura, trasformati ora in servitori del male ed ella sapeva che per ora, anche se le forze del Bene avevano vinto una battaglia importante, la guerra era appena cominciata.












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