No song unheard

di neme_
(/viewuser.php?uid=105600)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Complication - Tomorrow; [GrimmIchi] ***
Capitolo 2: *** In un giorno di pioggia - Maybe, one day... [RenRuki] ***
Capitolo 3: *** Innocent sorrow - Please, explain; [IchiRuki] ***
Capitolo 4: *** Hitori no yoru - I just wanna help you!; [GrimmIchi] ***
Capitolo 5: *** Thank you for the venom - Hi, babe; [GrimmNel] ***
Capitolo 6: *** Ho perso le parole - I can't do it; [GrimmHime] ***
Capitolo 7: *** Head over feet - Happy birthday; [IchiHime] ***
Capitolo 8: *** Nei giardini che nessuno sa - Sweet like this pink; [ByaHisa] ***
Capitolo 9: *** She's a rebel - Your name is catchy [GrimmTatsu]; ***



Capitolo 1
*** Complication - Tomorrow; [GrimmIchi] ***


Author's note; di nuovo ciaaao, è Neme che vi scrive. Sono tornata! Stavolta con una raccolta! :applausi registrati:
L'idea di scrivere proprio non mi veniva, ma ecco che una graziosa donzella è giunta ad aiutarmi con due parole a caso: vecchia radio. E boom! Mi sono subito venute in mente un sacco di cose! Una raccolta di one shot dei pairing più disparati (spesso ci sarà
Grimmjow. Lui c'è sempre che volete farci...) e dei più svariati generi, brevi e non. Inoltre, oltre alla vecchia radio, ci faranno compagnia delle canzoni. Il titolo della raccolta, infatti, è una canzone degli Hellacopters, e tutte le one shot avranno per titolo la canzone che le accompagna. Ascoltarle mentre leggete può aiutarvi a entrare meglio in sintonia con le storie, o almeno lo spero!
Cominciamo con la prima: una yaoi. Oh mio dio, l'ho scritta davvero! È la primissima che scrivo, ma prima davvero, quindi vi prego clemenza. Ho ancora tanto da imparare! E da fan sfegatata della
GrimmIchi quale sono, non ho potuto fare a meno di aprire la raccolta con loro. Però, ecco, è la prima yaoi che scrivo, c'è poco contesto, e non so... lascio giudicare voi! :rossore imbarazzato:
La canzone che accompagna la one shot è la seconda opening di Durarara!!. Amo la canzone in sé, e ho trovato il testo perfetto.
Buona lettura! Spero di vedervi anche con le altre storie della raccolta!
E un grazie specialissimo a
Sakurassj che mi ha dato le paroline magiche! Questa raccolta gliela dedico, doveroso.

[GrimmIchi] [One shot] [Slash] [AU]



Complication

Temendo che un domani abbraccerò l'ansia che si frantumi tutto,
e guardando solo il domani non avrò delle risposte, lo so.
[ Complication – ROOKiEZ is Punk'D ]


È complicato.
Solo queste due parole gli frullano in testa, mentre osserva il soffitto celato dal buio della notte senza stelle.
È complicato, pensa con le labbra socchiuse.

Non sa come sia arrivato a quella situazione. Senza rendersene conto, è rimasto intrappolato in una situazione da cui non può uscire, non vuole uscire. Ma pensare di desiderarlo così tanto lo ferisce nell'orgoglio.

È vicino a lui, sta dormendo, ogni tanto mormora qualcosa, chissà cosa sta sognando. Sente le sue dita, quelle dita lunghe e artigliate che gli sfiorano il petto nudo. Quelle dita violente che per fin troppe volte lo ha toccato troppo in profondità.

Ichigo non sa perché è rimasto in quella casa a dormire. Non sa perché è rimasto nel suo letto, a vedere la sua pelle riflettersi al chiarore della luna piena. È una notte strana, senza stelle, unico punto di riferimento la luna, così limpida ma che, con discrezione, trapassa la finestra aperta.

Perché cedeva così facilmente di fronte a lui? Perché non riusciva a sottrarsi più di tanto a quelle mani che con violenza lo gettavano sul letto? Non lo sa. Non sa esattamente cosa lo faccia capitolare fino a quel punto.

Ricorda fin troppo bene, però, la sua voce roca, che gli ringhia contro tutto ciò che gli passa per la testa. Come un ronzio continua a frullare nella sua testa, senza permettergli di dormire. Mentre lui si fa sogni d'oro. Che ingiustizia.

Grimmjow è crollato quasi subito dopo il lungo rapporto morboso che hanno avuto. Il tempo di fumarsi una sigaretta, poi si è rigirato e ciao, arrivederci a domani. Già, domani.

Perché ci sarà un domani. Grimmjow ne è sicuro al cento per cento, perché sa che Ichigo non riesce a stare troppo lontano da lui, che lo voglia o no. E poi adora metterlo alle strette, sapere che solo sfiorarlo lo fa rabbrividire, sentirlo stringersi, irrigidirsi, imporsi un autocontrollo che non durerà a molto. Perché Grimmjow vince sempre.

È questo che a Ichigo dà fastidio. Perdere ogni volta con lui. Si alza dal letto, non riesce proprio a dormire. Va in cucina a prendere da bere, col caldo che fa opta per un succo di frutta pescato dal fondo del frigorifero. C'è un silenzio inquietante che non lo aiuta, come se Grimmjow neanche ci fosse. Lo spaventa quella calma. Fino a pochi minuti prima c'era il caos. Lui lo chiama così, Grimmjow lo definisce con un semplice “sesso”, ma la sostanza non cambia. È rumoroso, quasi assordante, lui non ha mai via di scampo e a stento riesce a trattenere quei sospiri acuti di cui Grimmjow va letteralmente pazzo. Fa di tutto per farlo urlare, fargli perdere la voce con le sue spinte violente. E Ichigo non lo sopporta, perché non riesce a resistergli. È violento, ma a lui dopotutto... non dispiace.

Beve tutto d'un fiato il succo. Poi si guarda intorno, cercando qualcosa da fare. All'una di notte non ci sono molti passatempi. C'è però una vecchia radio. Avrà circa quindici anni, è piena di polvere, Grimmjow ormai non la usa più se non come soprammobile. A Ichigo è sempre piaciuta quella vecchia radio, ha sempre desiderato usarla. Fissa la porta che dà alla camera da letto, dove il ragazzo con cui ha fatto sesso sta ancora dormendo e non sembra volersi svegliare. Solo per cinque minuti, a volume basso, non se ne accorgerà mai.

La accende, mette una frequenza qualsiasi e si accomoda sul divanetto grigio, testimone di innumerevoli amplessi tra i due. Effettivamente, ovunque giri il capo, Ichigo non ricorda un posto in quella casa dove non l'abbia fatto. Sul tavolo, sul divano, in bagno prima o dopo la doccia, sul letto... se Grimmjow aveva voglia, non c'era scusa che reggeva.

Non ha mai capito perché sia desiderato così tanto. Ormai va avanti così da mesi. Lui non ne voleva proprio sapere all'inizio.

« Figurati se posso fare certe cose con te! » si metteva a gridare.

Ma Grimmjow non lo ascoltava mai. E alla fine aveva vinto, aveva ottenuto il suo corpo, e forse il suo cuore.

« Ma perché dovremmo farlo?! » grida sempre Ichigo confuso.

« Perché lo vogliamo, e gli istinti non si possono ignorare a lungo. »

Dice sempre così. Come se fosse solo una questione di istinto e di voglia. Come se fosse la cosa più naturale del mondo.

È complicato. Già è assurdo ritrovarsi così spesso a casa sua e ritrovarsi dopo neanche cinque minuti mezzo nudo a farsi toccare ovunque, ma poi... con Grimmjow! Un uomo, una persona del suo stesso sesso! E dire che all'inizio neanche si sopportavano, e sinceramente non si sopportano tutt'ora. Ichigo è sempre riservato, non vuole farsi trasportare troppo, sa che è sbagliato, non hanno senso questo tipo di relazioni, fanno male sia fisicamente che spiritualmente. Non c'è futuro in una storia simile. Non ci può essere, non ci deve essere. Non con lui, non con Grimmjow.

« Domani però dobbiamo parlarne seriamente. Non possiamo andare avanti così. »

« Certo, domani. Domani parliamo quanto vuoi. »

Eppure non accade mai che ne parlino. Grimmjow rimanda sempre a domani. Per lui vale il detto fantasioso “non fare oggi quello che potresti fare domani”, mentre Ichigo è più da “chi ha tempo non aspetti tempo”. Ma ora che senso ha il tempo per lui, se in ogni domani che lo vede finisce per farci sesso?

È complicato. Perché ormai il cuore ha seguito il corpo, e si sente colmo solo quando il ragazzo dai capelli azzurri entra dentro di lui con quella violenza disgustosamente piacevole e lo fa urlare. Quando lo fanno lo chiama fin troppe volte, cerca fin troppe volte i suoi baci o il suo corpo, troppo spesso inspira a pieni polmoni il suo profumo acerbo.

Doveva pensarci prima. Doveva dirlo chiaro e tondo che non voleva continuare. Ma ormai, anche volendo, non riesce a dirglielo. Per due semplici ragioni. La prima è che Grimmjow non lo lascerebbe andare così facilmente. La seconda è che ormai non riesce a farne a meno. Ha bisogno di vederlo e spera continuamente che quel domani arrivi presto.

Domani sarà troppo tardi, domani ci sarà sempre più dentro. E non ci può fare niente.

Le canzoni alla radio continuano a fare da sottofondo ai suoi pensieri, non riuscendo a trovare una soluzione, solo la certezza che domani sarà sempre più complicato.

Sente dei movimenti. La figura intera di Grimmjow si staglia davanti ai suoi occhi, con un enorme sbadiglio.

« Che stai facendo? » gli chiede stropicciandosi un occhio.

« Scusa, ti ho svegliato? »

« No, ho sete. » detto ciò si dirige con passo sicuro e svelto davanti al frigorifero e tira fuori lo stesso succo che aveva scelto Ichigo. Si versa un bicchiere e lo beve con noncuranza, sotto gli sguardi attenti dell'altro. Gli dà fastidio trovarlo così bello, lo manda in bestia sentire i suoi passi così nitidi o il suo profumo anche a due metri di distanza. Non lo sopporta, ma non può farne a meno.

Lo vede avvicinarsi, si sente afferrare il mento da quelle dita lunghe e violente, ancora calde. Lo stringono forte, non vogliono lasciarlo andare. Non riesce a replicare alcunché, le sue labbra si sono scontrate con quelle dell'altro ed è iniziata una guerra. Si sente la lingua sanguinare, in fiamme, le labbra intrappolate in un gioco violento che solo Grimmjow sa condurre. Lui è fatto così. Più che baci i suoi sembrano veri e propri attentati. A Ichigo non dispiacerebbe un po' più di delicatezza, ma chiederla a lui è impossibile. Non ne è in grado e, se anche lo facesse, dopo non lo riconoscerebbe più.

« Torna a letto. » gli sussurra Grimmjow. Si dirige da solo in camera, lasciandolo nuovamente solo, ma non è preoccupato. Sa che lo seguirà fedelmente, anche se ciò lo ferisce nell'orgoglio.

E infatti Ichigo spegne la vecchia radio che gli ha tenuto per così poco compagnia. Gli dispiace spegnerla, gli dispiace non sentire la musica a quell'ora tarda, ma torna in camera, e vede l'altro già sdraiato, intento a guardare la luna piena.

Non si scompone quando sente il letto muoversi per i movimenti di Ichigo che di infila nuovamente sotto le coperte. La luna è così bella, e affascinante, è una notte perfetta. Come perfetto era stato quell'ennesimo appuntamento tra loro. Grimmjow è diverso da lui, non lo trova sbagliato, né innaturale. Lo trova solo bello e fin troppo stimolante, non può farne a meno. Soddisfa l'istinto, e se l'istinto gli dice di portarsi a letto quel ragazzo, lo fa. È un istinto poco a poco sempre più grande e incontrollabile.

È complicato, perché non sa bene neanche lui a cosa sia dovuta quell'attrazione. Ma gli piace.
Si accende una sigaretta, nel tentativo di riprendere sonno.

Ichigo lo guarda, abbracciato al cuscino. Non vorrebbe disturbarlo, così occupato ad ammirare quel panorama, ma è costretto a farlo.
« Grimmjow... non ti sembra che stiamo esagerando? »
« No. » è la risposta secca.
« Prima o poi dovremmo smettere. »
« Non chiedere l'impossibile. Non riesci a smettere tu, figurati io. »
« Non è... così impossibile... » tuttavia non è sicuro di quel che dice. Per niente.
« Non prendermi per il culo, Ichigo. »
L'altro sospira. Accenna un sorriso quasi speranzoso. « Ne parliamo domani? »
Il sorriso viene ricambiato. « Certo. Domani parliamo quanto vuoi. »

Ora è più tranquillo, Ichigo. Ci sarà un altro domani.
Sarà complicato, ma ci sarà.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** In un giorno di pioggia - Maybe, one day... [RenRuki] ***


Author's note: e di nuovo eccomi qua! Contenti, vero? È pure venerdì 17, qual fortuna rivedermi qui, eh? *-* bando alle ciance, la nuova one shot è piuttosto breve, ed è la mia primissima RenRuki. 'Sta raccolta è il trampolino d'esordio per un sacco di pairing che sì mi piacciono, ma di cui non avevo mai scritto. Bè, mentre quasi tutto il fandom ama l'IchiRuki, io tifo per quello sfigato di Renji che sbava su Rukia da più di quarant'anni. Immagino quanto soffra. E lo faccio soffrire pure qua, tò. Mettendoci in mezzo quel gran pezzo di figliolo di Kaien Shiba. Vi avverto che come shot mette abbastanza depressione. Ma la RenRuki è anche questo. E insomma, sinceramente non mi piace molto com'è venuta. Mi sono lasciata andare alle parole di questa bellissima canzone dei Modena city ramblers. Mi dispiace anche aver appena accennato la tanto amata veccia radio. :patta radio: Bè, io la posto, incoraggiata daSakuraSsj e Terry. Buona lettura, cattiva lettura, come volete, nel caso sia stata cattiva in omaggio avrete una bella scatola di pomodori. 8D




In un giorno di pioggia.

E in un giorno di pioggia ti rivedrò ancora,
e saprò consolare i tuoi occhi bagnati.
In un giorno di pioggia saremo vicini,
balleremo leggeri sull'aria di un Reel.
[ In un giorno di pioggia – Modena city ramblers ]


Renji camminava da solo, col capo chino. Stava piovendo a dirotto, ma lui non aveva l'ombrello, e ormai era fradicio. Parlando in tutta onestà, non gli importava niente di coprirsi da qualche parte. Se le cose dovevano andare male, tanto valeva andare fino in fondo.

Non gli era rimasto altro da fare che tornarsene a casa così, senza poter fare nulla per Rukia. Era stato con lei tutta la giornata, certo, ma concretamente non aveva fatto niente per la ragazza, che piangeva a dirotto. Piangeva da due giorni, concedendosi solo pochi minuti di pausa. Era distrutta, e lui non poteva fare niente.

La vita sapeva essere davvero ingiusta, imprevedibile. Il destino, deciso da qualcuno di tremendamente cattivo, aveva fatto abbattere sul loro piccolo angolo di felicità una tragedia che Renji non aveva mai contemplato.

Kaien era morto. Era morto davvero. In quella maniera così banale come un incidente d'auto. Attraversava tranquillo e un pirata... la solita storia.

Erano tutti tristi, straziati. Kaien era l'idolo di tutti, benvoluto, alla mano. Era soprattutto una persona importantissima per Rukia. Non era solo un senpai che l'aiutava coi compiti, per la ragazza era qualcosa di infinitamente superiore. Sapere della sua morte le aveva lasciato un nodo alla gola che non si poteva sciogliere. Di colpo le era crollato il mondo addosso, e Renji... sì, era triste anche lui. Considerava Kaien un buon amico.

Tuttavia, non si sentiva lacerare dentro per il lutto. Cioè, anche.

Sedendosi davanti al bancone del bar poco distante da casa sua, con lo sguardo vuoto sul bicchiere di birra appena ordinato, aveva capito molte cose. E si sentiva un mostro.

Kaien era un bravo ragazzo, un gran lavoratore. Non si rifiutava mai di aiutare qualcuno. Era una persona molto eccentrica, ma a modo suo era saggio. Aveva molte qualità, insomma.

Con Rukia però c'era un rapporto speciale, nel quale Renji non si sarebbe mai potuto intromettere.

Kaien era il centro del suo mondo. Era più di un amico, era un ideale. Era per lei un maestro, un confidente, un modello di perfezione. Ma anche il ragazzo che avrebbe voluto accanto per la vita. Non lo aveva mai detto, ma Renji ne era sicuro. Bastava vedere come lo guardava, e come invece i suoi occhi blu erano così spenti.

Voleva starle accanto, ovviamente, senza nessuna pretesa. Se Kaien era il mondo di Rukia, lei era l'universo di Renji, anzi. Lei era il sole, quella stella così luminosa e fonte di vita per così tanti pianeti. E lui era Plutone, che le girava attorno da così lontano, senza farsi vedere. Era patetico riconoscersi in quello sputo di pianeta, ma era inevitabile. Rukia meritava il meglio, ma quel posto era già stato occupato da Kaien, che non c'era più.

E nessuno poteva sostituirlo. Nemmeno lui.

Era... geloso. Mostruoso. Semplicemente subdolo scoprirsi così invidiosi di una persona da sempre ritenuta amica. Non poteva neanche permettersi di confidarlo a qualcuno. Avrebbe fatto soffrire Rukia.

Ironico, no? Pensare che l'unico modo per stare vicino a una persona così cara è starle alla larga e continuare a osservarla da lontano.

Forse un giorno sarebbe riuscito a occupare qualche posto nel suo cuore, come Kaien. Magari un giorno Rukia si sarebbe accorta del suo gravitare attorno a lei.

Probabilmente, continuando a girarci così intorno, sarebbe riuscito ad avvicinarcisi di più.

Voleva essere più di un pianeta minuscolo per lei. Un'altra stella, ecco, per farle compagnia. O una piccola luna che, ogni tanto, eclissa quell'enorme stella chiamata sole per tenere la sua luce tutta per sé anche solo per un po'.

Un giorno, sì.

Fino ad allora non poteva fare altro che scappare da quel viso gonfio e bagnato di lacrime, e alzare il bicchiere ancora pieno di birra, oscurando la piccola lampada, accompagnato da una radio di circa vent'anni ma ancora funzionante, che gli copriva quegli orribili pensieri di gelosia e ossessione con le sue note.

« A te, Kaien. » si era detto. Bevve tutto d'un fiato, come per forzare i suoi sentimenti così sporchi ad andare giù, in fondo, nel baratro, e non farsi più vedere.

Accasciò la testa sul bancone, senza ordinare nient'altro. Non aveva voglia di niente, solo di starsene da solo, a pensare a lei.

Accompagnato da quella vecchia radio che con delicatezza si insinuava nella sua testa.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Innocent sorrow - Please, explain; [IchiRuki] ***


Author's note: salve, carissimi. Benvenuti alla terza one shot di questa raccolta a “sfondo musicale”. Stavolta la vecchia radio c'è, oh, se c'è! In un ambito... :rullo di tamburi: IchiRuki! :al che tutti si alzarono gridando “olèèè!”: Ve l'avevo detto io che quando ci stanno i pairing più disparati, no? E niente, ho scritto la mia prima IchiRuki, spero che vi piaccia. Inizialmente doveva essere comica dall'inizio alla fine, ma con la canzone che ho scelto per loro non poteva ingranare un risvolto comico. La canzone scelta è Innocent sorrow, la prima opening di D.Gray-man. I giapponesi sono davvero forti in ambito musicale! :occhi a cuoricino: Leggendo il testo, soprattutto quello che ho citato, mi sono venuti in mente 'sti due. Perciò inserirla è stato “inevitabile”. Spero che l'ascolterete mentre leggete, e che vi immerga meglio nella shot.
Approfitto di questo minuscolo spazio per ringraziare tutti coloro che stanno dedicando il proprio tempo a leggere le mie storie, a chi mi ha seguito finora e ai nuovi arrivati. Ringrazio profondamente tutti quelli che hanno recensito, rispondo personalmente alle recensioni stavolta ma non posso smettere di ringraziarvi ripetutamente.
Ringrazio
LadyCharlotte, Rose1487, shooting s t a r, Sky_Writer e mimi098 per aver inserito la raccolta tra le storie preferite.
Ringrazio
Akkichan, CHOCMyself_, Kumiko_ Walker, LindaJSixx, Ookami san, Sky_Writer e Ucha per aver inserito la raccolta tra le storie seguite.
Ho anche notato che la lista dei lettori che mi hanno aggiunto tra i loro preferiti è aumentata, ma perdonatemi non ricordo più chi mi ha aggiunto di recente. Pertanto rinnovo i ringraziamenti per tutti.

Akkichan, asia94, Blastvampire, dragon ball z, Dragon Girl31, Edhelwen, Elessary, FediHime, Hime89, Kia chan 93, Kuchiki Chan, Kumiko_Walker, LadyCharlotte, NEMU, NunuMemeLulu, Rose1487, shooting s t a r, Sky_Writer, Ucha, Valentyn e mimi098. Grazie di cuore per avermi aggiunto tra i vostri autori preferiti!
Ora la smetto coi miei monologhi e vi lascio alla one shot. Buona lettura!

[IchiRuki] [Missing moments] [One shot]


Innocent sorrow


Quante volte mi hai salvato dal dolore e dalla tristezza senza fine?
Toccami di più coi palmi delle mani, mostramele e non smettere mai, fino alla fine.

Ho cercato un miracolo chiamato “te”.
Toccami di più coi palmi delle mani, mostramele e non smettere mai, fino alla fine.
[ Innocent sorrow – Abingdon boys school ]



Si trova in casa sua da troppo tempo, pensa Ichigo.
È piccola di statura, sembra una bambina. E a volte si comporta proprio come una bambina, nonostante il tono adulto che si impone. Vederla alle prese con il mondo terreno, così diverso dal suo, ha un che di esilarante. A volte Ichigo si sente un maestro che insegna alla studentessa di turno come conoscere il mondo, come non mettersi nei guai con le piccole cose. Insegnarle a bere il succo di frutta, ad accendere un fornello, a farle capire che, anche parlando ai presentatori in tv, questi non possono rispondere.

Rukia è mostruosamente più grande di lui, nonostante le apparenze. Gli shinigami si portano straordinariamente bene gli anni. Trovarsela come compagna di classe ogni giorno, percorrere sempre la strada di casa con lei, e combattere spalla contro spalla ad ogni duello con gli hollow gli ha fatto dimenticare completamente che la ragazza ha superato i cinquant'anni.

Eppure Rukia spesso sembra una bambina che del mondo, del suo mondo, non sa niente. Non comprende le tecnologie, sono troppo diverse da quelle sfornate dal dipartimento ricerca e sviluppo. Non sa che le scuole umane sono completamente diverse dall'accademia per gli shinigami. Non sa neanche a cosa serva la benzina, anzi, non sa nemmeno cosa sia.

Ma Rukia è curiosa per natura, quel mondo strano in cui si è infiltrata per ordini della Soul Society l'affascina. È divertente stare nel mondo terreno, e dormire nell'armadio di Ichigo. Rovistare nella sua stanza, trovare gli oggetti più disparati e chiedergli con ingenuità di cosa si tratti.

Anche oggi ha trovato un oggetto molto curioso. Lo tiene tranquillamente in mano, è di colore nero e ha degli strani pulsanti. Premendone a caso uno, è riuscita ad aprire una specie di cassetto che non contiene niente. Da sola non riesce a scoprire di cosa si tratti, quindi esce dall'armadio e disturba con noncuranza la lettura di Ichigo, seduto sul letto, che sbuffa sin da subito.

« Ichigo! » lo chiama a gran voce, mostrando eccitata l'oggetto misterioso. « Cos'è questo? »

Il ragazzo spalanca di poco gli occhi. Aveva sempre pensato che il vecchio lo avesse buttato, e invece è sempre stato nel suo armadio. Quando era bambino perdeva tempo sempre e solo con quello. Poi il tempo passa, è così per tutti.

Ichigo però fa l'indifferente, come sempre, e sbuffando risponde. « È una radio. »

« Una radio questa? » insiste Rukia agitando l'oggetto.

« Conosci radio di altre forme, per caso? »

« Certo! Sono molto più grandi, non hanno questi sportelli e gli altoparlanti sono grandi quanto una parete! L'ho visto nel laboratorio del capitano Kurotsuchi! E l'associazione femminile degli shinigami ha prodotto anche delle varianti colorate, ce n'è una coi coniglietti stampati sopra. Non sono fatte così! » si dà un tono, da donna nobile qual è. Già, Ichigo spesso e volentieri dimentica anche quel particolare. Rukia è arrivata alla Soul Society come una popolana, per poi diventare una delle nobili più importanti. E lui, misero mortale, la ospita a casa. Sono molto diversi in tutto, addirittura conducono una fase d'esistenza diversa, ma per il ragazzo non ha importanza. Rukia ai suoi occhi è solo la ragazza che gli ha salvato la vita rischiando la propria, che gli ha dato la possibilità di proteggere chi ama, e che quasi ogni giorno gli fa perdere la pazienza con scenate come quelle.

« Da noi sono fatte così. » dice secco, volendo chiudere la conversazione e dedicarsi al libro. Ma niente, Rukia non ci sta, continua a far domande.

« E come funziona? »

« In che senso “come”? La accendi, no? »

Per lui è una cosa molto ovvia, già. Ma per Rukia no. Si sente offesa perché Ichigo non le presta la dovuta attenzione e la tratta con quel solito tono sufficiente. Va bene, ci penserà da sola. Lo capirà da sola quale bottone premere. A vederlo sembra facile, e lei può farcela, se l'è sempre cavata, ce la farà sicuramente, alla faccia di quello stolto di Ichigo.

Posa sul pavimento la vecchia radio, scrutandola con attenzione. Si inginocchia davanti a lei e posa una mano sul mento, come un detective che sta per cogliere in flagranza di reato il colpevole. Un bottone l'ha già premuto e non era quello di accensione. Va bene, si va per esclusione, che ci vuole?

Ichigo osserva tutto quatto quatto, fingendo di leggere. In realtà ha perso il segno e ormai è totalmente preso dalle mani piccole e affusolate della ragazza che toccano con delicatezza la radio. Ha un'espressione fin troppo seria per una circostanza del genere, i suoi occhi di un blu così profondo sono concentrati. È come circondata da un'aria di nobiltà degna di una Kuchiki, il cognome che le è stato concesso. Quando la vede così seria, Ichigo si ricorda di chi è, e ha paura. Paura che le sue continue lotte finiscano da un momento all'altro e che per loro giunga il momento dell'addio.

Rukia soggiorna da diverso tempo a casa sua. Talmente tanto tempo che il ragazzo si è abituato alla sua presenza e per lui è automatico bussare all'armadio ogni mattina per portarle la colazione. Si è abituato a quella sensazione di avere le spalle coperte durante i combattimenti, anche se Rukia è talmente piccola da sembrare una bambina indifesa. Si è... sì, va bene, affezionato. Vincere la guerra, di qualsiasi tipo si tratti, significherebbe il loro addio. Finché lui non morirà, arriverà alla Soul Society e magari diventerà un vero shinigami. Pensare di dover aspettare tutto quel tempo lo innervosisce.

Certo, dover combattere così strenuamente non gli piace molto. Lui vuole solo assicurarsi che le persone a cui vuole bene stiano in salute e lontane dai pericoli. Ma anche Rukia rientra in quella cerchia di persone, e per assicurarsi che stia bene non può far altro che continuare a combattere. Le strane leggi della vita lo portano a immergersi in un turbinio di ragionamenti senza soluzione per sentirsi sicuro, di nuovo con le spalle coperte.

Perché Rukia deve appartenere a quel mondo? Perché ha potuto incontrarla solo grazie alla sua capacità di vedere ciò che le persone normali non vedono? Perché deve sporcarsi le mani di sangue per continuare a ospitarla a casa ogni giorno?

È tutto strano, la sua intera esistenza è strana, e nessuno può rispondergli. Tantomeno la ragazza ancora intenta a capire come funziona quella strana radio.

Ichigo si alza dal letto, si inginocchia accanto a lei e afferra l'oggetto, premendo un pulsante con noncuranza. Non succede comunque niente.

« Mi sa che sono scariche le batterie. » dice con la sua solita espressione corrucciata.

Rukia ha un'espressione sempre più curiosa, quasi buffa. « Batterie? Cosa sono? »

Il ragazzo fa un sono sbuffo snervato. « Non usate neanche le batterie?! Ma come vivete, alla Soul Society?! »

« Guarda che viviamo benissimo! Nell'ottanta per cento dei casi si vive meglio alla Soul Society che nel mondo terreno! »

« E il restante venti per cento? »

Rukia gli rivolge uno sguardo scontroso. Gli mette il broncio. Non le piacciono quei discorsi, perché le ricordano la sua vita a Rukongai. Ma non ne fa una colpa a Ichigo, lui non può saperlo. È ancora... vivo. Non può toccare con mano la realtà in cui è vissuta lei, e non le piace parlarne. Le dà fastidio. Ecco perché si chiude a riccio e risponde. « … non ha importanza. »

Ichigo sospira, grattandosi la testa. È così testarda... come lui. Decide di cambiare discorso. « Comunque, senza batterie questo affare non funziona. »

« Perché continui a tenerlo allora? »

« ... è un regalo. » risponde mesto Ichigo, sperando che Rukia non chieda altro. Ma ecco che lo guarda con quel suo modo unico, indagatore, profondo. Ha degli occhi grandi, brillanti, di un blu strano. Non aveva mai visto degli occhi del genere, e odia che lo guardino in quel modo, perché sono forti, fieri. Sono gli occhi di Rukia, a cui lui non può sottrarsi.

« È un regalo di mia madre, va bene? » svia lo sguardo, per evitare che quelle iridi blu lo scrutino ancora. « Me l'aveva regalata quando avevo sette anni. »

Rukia china di poco il capo, con un sorriso amaro. « Capisco... »

« E non fare quella faccia. Ormai sono sei anni che è morta. »

Ichigo odia che si parli di sua madre. Lui non vuole ricordare quel giorno. Non vuole rivedere il viso di sua madre ormai priva di vita, sporca di sangue, gettatasi davanti a lui, ancora bambino, per salvarlo da un hollow. Era morta per proteggere lui, per salvargli la vita. Era colpa sua. Non vuole ricordare. L'ultima volta che Rukia ha cercato di sfiorare l'argomento per capire le cause della morte, l'ha attaccata, le ha gridato contro che non deve intromettersi. Però, che lo voglia o no, sua madre se ne era andata a causa di un essere che rientra nella giurisdizione della Soul Society. Non è arrabbiato con gli shinigami, Ichigo, sa che non è colpa loro se quell'hollow se ne girava tranquillo per la città. Ma gli fa male che se ne parli.

Gli fa male pensare a come ha trattato Rukia quella volta. Sì, aveva esagerato. Ora che guarda Rukia capisce che le dispiace. Comprende fin troppo bene il suo dolore.

« Sei anni... » sibila Rukia abbassando lo sguardo. « Davvero molto tempo... »

« Già... » il ragazzo sfiora la radio con noncuranza, sentendo un calore piacevole, come se sua madre fosse ancora presente. « Quel giorno pioveva a dirotto. »

« Pioveva, eh? Anche quando... » si blocca di colpo, la ragazza. Si ferma a chiedersi perché il discorso abbia preso quella piega. Lei voleva solo sapere come funzionava una radio...

« Cosa? » le chiede l'altro, di rimando.

Lei scuote il capo, sorridendo amaramente. « No, niente. »

Riesce a sorridere nonostante tutto. Ichigo la invidia molto. È forte, nobile, coraggiosa. Anche se ha il corpo di una bambina.
Sono persone diverse, loro due, che percorrono addirittura una fase d'esistenza diversa. Lei è una nobile, una shinigami, lui un essere umano, un sostituto shinigami. Ma hanno entrambi sofferto, e hanno percorso insieme una strada così irta di difficoltà, superandole tutte. Lei gli ha salvato la vita quando neanche lo conosceva. Come può dimenticarlo? Dimenticare quella figura così piccola che si getta tra le fauci di un mostro per salvarlo, come la donna che lo ha messo al mondo?

Era così debole, all'epoca. Ed è debole tutt'ora, Ichigo. Si rende conto di quanto sia ancora debole, incapace di proteggere chi ama. Non è affatto diventato più forte, altrimenti si metterebbe l'animo in pace e capirebbe che la sua vita da shinigami non può durare in eterno. Prima o poi dovrà dire addio a Rukia.

Ma si è talmente abituato alla sua presenza che ormai ne è dipendente. Non riuscirebbe a fare a meno dei suoi ripetuti “stolto”, o di quando lo incita a dare il meglio di sé nei suoi doveri. E anche quando chiede cosa sia un microonde.

Gli piacciono quei momenti di tranquillità che ha con lei. È divertente passare del tempo con Rukia. Si è affezionato a lei, non è più il semplice rapporto “shinigami-umano che l'assiste”, niente di tutto ciò. Non lo è mai stato, dall'inizio, anche dopo essersi sdebitato con lei, sente di dover fare qualcosa. Pensa che quello che fa per lei non sia mai abbastanza, non le ha ancora insegnato tutto sul mondo terreno, e lei non gli ha spiegato tutto sulla Soul Society. Ichigo vorrebbe che restasse e imparare ogni giorno, insegnandole qualcosa in cambio.

Ma il cellulare di Rukia squilla. Non lo usa mai per chiamare, né per mandare messaggi. Le arrivano gli ordini dall'alto con quell'affare. È l'unico oggetto tecnologico, molto simile a un comune cellulare del mondo terreno, che le è stato dato dai superiori. Con quello l'avvertono quando un hollow sta arrivando.

E Rukia, ligia al dovere, si alza di scatto, pronta a partire. « Un ordine! » dice, seria in viso, come se fino ad ora non avesse fatto nessun discorso importante. « Andiamo! »

Anche Ichigo si alza, deciso. In verità, nel profondo, sta maledicendo il cellulare.
Perché la batteria di quell'aggeggio non si scarica mai? Perché interrompere tutto così?

Tuttavia non può lamentarsi più di tanto. È questa vita che lo tiene legato a lei. Non vuole proprio abbandonarla.
Gli piace molto la vita da sostituto shinigami, è felice che il suo destino sia cambiato.

È felice che Rukia sia piombata nel suo mondo e lo abbia stravolto in quel modo, insegnandogli che lui può dare molto al mondo. Che può proteggere e insegnare qualcosa a qualcuno, senza mai smettere di imparare.

Rukia è la persona che gli ha cambiato il destino. Ha sostituito le batterie del suo cuore e l'ha ricaricato a nuova vita.
E Ichigo continua a impazzire, è una vecchia radio dalla batteria ricaricabile, che si trova costantemente vicino alla sua fonte di ricarica.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Hitori no yoru - I just wanna help you!; [GrimmIchi] ***


Author's note; tra la la laaa, rieccomi qua! Contenti? *-* Sono tornata con una GrimmIchi AU. Ed è necessario spiegare da dove è nata l'idea. Me ne stavo tranquilla su tumblr ad adorare una fan art di quella dea di Blackstorm, dove Grimmjow è in acqua, e quella mitica e pazza ragazza di SakuraSsj mi ha fatto notare che i gatti odiano l'acqua. E, che ci crediate o no, dopo una serie di deduzioni senza senso, è spuntato l'ordine “ti prego, scrivila! E che sia ceretta! Grimmjow deve provare dolore!”. E non ho potuto ignorarlo! Perché sinceramente l'idea di costringere Grimmjow a farsi una ceretta era troppo appetitosa, talmente tanto che ho accantonato l'altra che stavo scrivendo per fiondarmi su questa, con la bella dose di angst che mi piace tanto tanto tanto. E spero piaccia pure a voi. La canzone scelta questa volta è la seconda opening di GTO, ha un bel ritmo adatto all'atmosfera e il testo, bè, lo leggete nella citazione che introduce la shot. La vecchia radio non ha avuto molto spazio purtroppo, ma l'importante è che ci sia (!). Spero che vi piaccia! Questa shot la dedico ancora una volta a SakuraSsj, perchè senza le sue conversazioni esilaranti non sarebbe nato niente di tutto ciò!
Ah, ho ingrandito la scrittura, come richiesto da Elder e Ucha. Perdonatemi, effettivamente quella che usavo prima era davvero minuscola! xD
Ringrazio
Senna_ e carcar93 per aver aggiunto la raccolta nelle loro storie preferite!

[GrimmIchi] [AU] [Angst] [!Linguaggio] [Slash]



Hitori no yoru.

Solo, solo, tu sei l'unico
che era in grado di trafiggermi il cuore col tuo amore originale.
È l'unico che accende in me la voglia sessuale.
Voglio dimenticare.
Amami, amami, ama tanto il mio debole amore.
Baciami, baciami, baciami in questa frustrante notte solitaria.
[ Hitori no yoru – Porno graffiti ]


Per Grimmjow sarebbe stata tranquillamente una giornata come tante. Era una sera di dicembre, Natale si stava avvicinando e le strade erano piene di luci colorate, sembrava giorno anche se erano già le otto di sera. Notò le luci accese in casa, Ichigo doveva essere già arrivato. Inserì le chiavi nella toppa e con un rumore repentino entrò in casa propria.

Si aspettava di trovare il ragazzo dai capelli arancioni intento a preparare la cena o ad apparecchiare, o al massimo a farsi gli affari propri seduto sul divano, mai avrebbe pensato di trovare sul tavolo della cucina quelle... robacce. E invece no.

Certo, Grimmjow non poteva certo immaginare che Ichigo sarebbe stato di parola. Aveva detto di sì per scherzo, figurati se lo avrebbe davvero fatto. E invece Ichigo aveva sistemato tutte quelle cianfrusaglie sul tavolo e, sbattendo un pugno sul tavolo, gridò.
« Io te l'avevo detto che avresti dovuto fare la ceretta. »
Grimmjow avrebbe voluto sgozzarlo seduta stante.

Era già tanto se aveva concesso al ragazzo l'opportunità di farsi un duplicato delle chiavi di casa sua così che potesse venire quando desiderava, ma permettersi di portare cose così... tipicamente femminili in casa sua perché a quel deficiente davano fastidio i peli, era decisamente troppo. Grimmjow Jaegerjaques non si sarebbe mai abbassato di fronte a una cosa del genere, e glielo aveva pure ribadito, nel corso di una delle loro solite litigate.

« Grimmjow, cazzo! » gridò Ichigo con un espressione disgustata. « Ti ho detto mille volte che il pelo mi dà fastidio! Devo baciare un petto o un bosco?! »

L'altro dai capelli azzurri si risistemò alla buona il colletto della camicia stropicciato dal compagno, cercando di ignorare l'imbarazzo per quel''affermazione. Che c'era di male ad avere un po' di peli sul petto e sulle gambe? Ichigo era un caso a parte, il suo corpo doveva avere per forza qualcosa che non andava perché, a parte un posto che solo lui aveva osato esplorare, non gli spuntava nessun pelo neanche a pagarlo oro. Grimmjow però era diverso, un uomo normale a cui crescevano i peli. Che pretendeva?

« Che cazzo vuoi che faccia allora? » gli chiese con un ringhio.

« Fatti una ceretta! »

Avrebbe voluto credere che scherzasse, davvero, ma conosceva bene quell'espressione corrucciata di Ichigo. Addirittura i suoi occhi castani si stavano infiammando.

Lui però sbuffò. « Ma fottiti. »

Il ragazzo dai capelli arancioni però non voleva sentire ragioni. « Mettiti nei miei panni! Hai idea di quanto faccia schifo ritrovarsi con un pelo in bocca? »

« Non ti obbligo mica a farlo! La prossima volta baciami il culo, allora, che lì di peli non ce ne sono! »

« Guarda che non è niente di terribile! Rukia riesce a farsela, perché tu non dovresti? »

Grimmjow inarcò un sopracciglio. « Che c'entra Kuchiki? »

« Era per fare un esempio. Mi ha detto che poi uno si abitua. »

« Cioè, aspetta, tu avresti chiesto consiglio a Kuchiki per fare una ceretta a me?! »

« Bè, no, le ho solo chiesto cosa si prova a farsela. »

« Scordatelo. »

« Hai paura? »

Il discorso stava prendendo una stranissima piega. Insomma, Ichigo voleva che Grimmjow si comportasse come una donnicciola qualunque e si facesse una ceretta, una fottuta ceretta sulle gambe, sul petto, e se gli girava a quello là chissà in che altro posto. Purtroppo sapeva quanto testardo fosse il suo compagno -entrambi facevano a gara su chi fosse più cocciuto- e vederlo così convinto lo costrinse a usare la tecnica del “sorridi e annuisci”, tanto per levarselo di torno.

Peccato che Ichigo lo avesse preso di parola. Fece un sorriso sghembo, a detta di Grimmjow da presa in giro, e lo fece sedere.

« Tu sei pazzo. » disse il padrone di casa. « Tu hai davvero qualcosa che non va. »

« Ma se ieri mi hai detto di sì! » replicò lui, con un sorriso sempre più beffardo.

« Lo sai benissimo che scherzavo! » si mise a braccia conserte e tentò di non guardare il suo tavolo stravolto da cose di cui ignorava addirittura l'esistenza.

« Dai, non fare così. Sarà una passeggiata. Poi tu non hai neanche tutti 'sti peli, sarà una cosa velocissima. Non fa male. »

« Il punto non è se faccia male o no, il punto è che io non posso abbassarmi a certi livelli. 'Ste cose lasciale alle donne, perché devo farlo io, porca puttana?! »

Ichigo si ammutolì per qualche istante, sviando lo sguardo alla propria destra per trovare una risposta soddisfacente. Finché rispose. « Perché a me i peli danno fastidio. Fallo per me, no? »

« Col cazzo. »

« Allora mettiamola così. » si afferrò la maglietta, levandosela con un gesto veloce, mostrando il suo fisico piuttosto maturo per un sedicenne. Grimmjow lo guardò con una certa dose di desiderio, ma non era quello il momento adatto, si disse.

« A me non me ne cresce nessuno, neanche sulle gambe. Quindi tu non puoi capire cosa si prova quando ci metti la lingua sopra, ma ammetterai che piacevole. »

« Tsk, figurarsi. » gli rivolse un sorriso beffardo. « A me non importerebbe niente. »

Ichigo era sicuro all'ottanta per cento che stesse mentendo per quel suo fottuto orgoglio. E comunque, a prescindere, non sopportava che Grimmjow facesse tanto il prezioso. Perché pensava che solo a lui fosse tutto concesso? Qualche cosa se la meritava anche Ichigo e ora, cascasse il mondo, avrebbe ottenuto ciò che voleva.

« Va bene. Niente sesso per un mese allora. »

« Che fai, ricatti come una mocciosa ora? »

« Ho deciso. Niente sesso finché non acconsentirai a una ceretta. »

Grimmjow in tutta risposta fece scoppiare una delle sue risate fragorose, seriamente divertito da quell'affermazione. Si alzò poi dalla sedia, afferrando il ragazzo per i fianchi e sussurrandogli di non prenderlo in giro. Come se Ichigo avesse avuto davvero la capacità di resistergli. Grimmjow sapeva bene che gli bastava qualche carezza dove sapeva lui, un po' di morsi qua e là, e Ichigo cadeva ai suoi piedi. Peccato che non si trattasse di quel caso.

Ichigo infatti gli afferrò saldamente i polsi e lo spinse via, con uno strano sorrisetto sarcastico dipinto sul viso. E più Grimmjow tentava di afferrarlo e di dimostrargli che al sesso non sapeva rinunciarci, più lui rispondeva violentemente. Sembrava stessero lottando per chissà cosa.

« Ho detto “niente sesso finché non acconsentirai”. » ribadì Ichigo. « Io so farne a meno, tu invece? »

Effettivamente, a vederlo infervorarsi così, sembrava Grimmjow il disperato. Certo che sapeva resistere anche lui, cosa credeva? Erano stati anche tre settimane senza fare un fico secco, poteva benissimo farcela. Tuttavia si ritrovò a pensare che fosse assurdo rinunciare a un tale piacere per un tempo indefinitamente lungo per una cazzo di ceretta. Che poi, ripensandoci, effettivamente non ritrovarsi dei peli in bocca era molto più comodo. Osservò per l'ultima volta gli oggetti posti sul tavolo, con fare sinistro. Avrebbe dimostrato ancora una volta di essere il più forte.

« E va bene. » disse alla fine.

Ichigo sorrise, si rimise la maglietta e lo fece tornare a sedere, iniziando subito ad armeggiare con ciò si era procurato con tanta fatica. Quasi per tranquillizzarlo -ma Grimmjow avrebbe detto per “per prenderlo i giro”- gli disse. « Metto su un po' di musica, okay? Così ti rilassi. » e corse ad accendere quella vecchia radio, pezzo d'antiquariato di cui Grimmjow andava fiero, talmente vecchia che le casse non funzionavano neanche a dovere, ma poco importava.

Poter mettere le mani sul corpo invitante di Grimmjow per togliere quei fastidiosi peli era per lui una cosa spaventosamente favolosa. Raramente, anzi, quasi mai, il suo compagno si metteva alla sua mercé, e invece, alla faccia sua, stavolta gli toccava starsene immobile mentre Ichigo gli avrebbe fatto qualunque cosa gli passasse per la testa.

Certo, vederlo mezzo nudo, praticamente indossando solo dei boxer, non lo aiutava a concentrarsi molto. Tentò di desistere, afferrandogli una gamba e spalmando sopra la cera.

« Ma scotta! » esclamò l'altro, irritandosi di poco.

« Ti ci abitui subito. »

« Senti, ma devo proprio farlo? È molto, ma molto imbarazzante. E non venirmi a dire che Kuchiki lo fa. Lei è una donna, sai com'è. »

« Quante storie! » sbottò l'altro, continuando a spalmare. « Guarda che è il metodo più efficace, anche del rasoio, non hai problemi per un mesetto. »

Il padrone di casa sbuffò. « Allora muoviti, non vedo l'ora che finisca. »

Certo, Ichigo gli aveva volutamente omesso alcuni particolari. Ad esempio che negli uomini la sensazione di dolore aumentava. Erano tutte cose che gli aveva spiegato la sua amica Rukia, e lo aveva anche messo al corrente di ogni cosa. Bè, non che a Ichigo importasse, non era certo lui a spalmarsi la cera addosso per togliersi dei peli. Lo avrebbe testato su Grimmjow, se faceva così male.

Dopo aver posto la striscia sulla gamba, guardò negli occhi il compagno. « Sei pronto? »

« Sì, diamine! Vai! »

Dopo quell'affermazione Grimmjow cercò di trattenersi con tutte le sue forze di cacciare un urlo agghiacciante che avrebbe fatto preoccupare tutto il vicinato. E comunque, non voleva far vedere a quello stronzo di Ichigo quanto dolore effettivamente provasse.

Si ritrovò a pensare a quanti film avesse visto, casualmente, di donne che si facevano la ceretta. E quelle nei film se ne stavano zitte zitte. Ma come cazzo facevano?

« Allora, fa tanto male? » Ichigo sembrava beffarsi di lui, 'sto grandissimo infame. E con un sorrisetto compiaciuto gli mostrò la striscia rimossa. Grimmjow si guardò la gamba, e trovarsi davanti agli occhi quel che gli era appena stato fatto lo fece sentire quasi violato. Maledetto l'istante in cui aveva detto di sì, anche a costo di non scopare per un mese o due.

« Nooo... »rispose lui. « Posso resistere... » tentò di sfoggiare uno dei suoi sorrisi a trentadue denti, sperando di risultare credibile.

« Allora continuo. E meno male che tu non hai tutta 'sta peluria, Rukia mi ha detto che più sono numerosi i peli da rimuovere, più fa male. »

Grimmjow guardò il soffitto per qualche istante. Figurarsi, c'era anche un dolore più atroce di quello che stava provando? Se gli avessero conficcato una spada nello stomaco al confronto se la sarebbe risa e cantata di gusto. E Ichigo, quel grandissimo bastardo, che continuava imperterrito ad applicargli e rimuovergli con un fare insolitamente insensibile quelle strisce, quasi a volerlo sentire soffrire. Lui. Grimmjow Jaegerjaques. Ma col cavolo che si sarebbe dimostrato così debole.

Stringeva le mani sulla sedia, durante quella faticosa e angosciante operazione, e cercò di trattenersi con tutte le forze di gridare. Purtroppo i nervi non si dimostravano poi così forti e qualche lamento gli scappava. Più che imprecazioni trattenute a stento, i suoi sembravano i soffi di un gatto arrabbiatissimo.

« Okay, le gambe sono a posto. » disse Ichigo soddisfatto. Passò la mano sopra quelle gambe ora lisce sentendosi fiero di sé stesso. E poi, era decisamente tutt'altra cosa toccarle libere da quei piccoli impicci. Fece risalire la mano lungo un fianco, sfiorando l'ombelico.

« Ora passiamo al petto. » concluse.

« Pure?! » Grimmjow tentò di allontanarsi, incredulo che la sua agonia non fosse ancora finita.

« Su, su. Sei stato bravissimo finora, non hai neanche urlato. Sarà una passeggiata anche qua. Sdraiati, dai. »

Si sentì spalmarsi addosso quella disgustosa cera anche sui pettorali, fino a sentirsi sfiorare il capezzolo. Certo, c'era del piacere in quei tocchi di Ichigo, ma non era la stessa cosa, diamine!

« Lascia stare il capezzolo, eh! » gli gridò contro.

« Figurati se te lo strappo! Allora vado, eh! »

Se quello sulla gamba era un dolore quantomeno sopportabile, lo strappo che sentì subito dopo sul petto non poté trattenere un imprecazione che avrebbe fatto rizzare i capelli a qualunque persona dedita anche solo di poco alla religione. Non solo insultò a gran voce il creatore, ma anche tutti i santi che conosceva, e una buona dose di insulti se li beccò anche Ichigo, che a stento trattenne una risata di fronte a tale reazione.

« E fa' più piano, porca puttana! »

« Se facessi più piano ti farebbe più male! Non lamentarti! Vado con la prossima! »

« Fermo! Aaaaaaaaaaah, cazzoooo! »

Ichigo non solo non poteva capire, ma si stava anche divertendo a vederlo così. Dopo lo avrebbe gonfiato di botte e fatto pentire di essere venuto al mondo, poco ma sicuro. Grimmjow si vide tutto il petto arrossato, e ciò servì solo ad aumentare il dolore. Ma perché doveva sottoporsi a quella tortura, perché?! Ichigo poteva pure accontentarsi, e per come gli giravano in quel momento glieli avrebbe fatti ingoiare tutti i peli, altroché.

« Quante storie! » continuò il ragazzo dai capelli arancioni. « Quando lo racconterò a Rukia sai che risate! »

« Chi cazzo se ne frega di Kuchiki, dannazione?! Smettila subito, ne ho abbastanza! »

« Manca solo l'ultima striscia, non fare storie! »

« Non ti azzardare o ti rompo il culo, fosse l'ultima cosa che faccio! Ichigo, dannazione, fermatiii! » urlava così tanto, con una foga tale da eclissare i suoni della radio, che continuava imperterrita a svolgere il compito gravoso di rilassare, o quantomeno coprire le lamentele del padrone, con scarsi risultati. Era troppo vecchia per poter tenere a bada quello là.

Ma era finita. Con petto e gambe arrossate e grida assordanti, ma era finita. Dovette sorbirsi un'altra spalmatura d'olio, ma era finita. Aveva accontentato Ichigo, finalmente non aveva più neanche un pelo sul corpo. O almeno, così credeva. Perché Ichigo, che evidentemente aveva voglia di morire, gli afferrò l'elastico dei boxer e li fece calare fino a mostrare la sua intimità, con un sorriso beffardo.

« E se depiliamo anche qui? »

« Vaffanculo, Ichigo. Col cuore. » si alzò senza dargli il tempo di mettere sopra qualcosa di strano sul suo “migliore amico”, e lo circondò con le braccia, in maniera possessiva. Dal suo viso sparì qualunque espressione furente per far spazio invece a un sorriso sinistro.

« Eccoti accontentato. Soddisfatto? »

Ichigo non sentiva più dei fastidiosi sul petto dell'uomo, bensì una sensazione più piacevole. Era davvero tutta un'altra cosa e, sì, poteva ritenersi più che soddisfatto. Non solo perché Grimmjow aveva deciso di esaudire una sua richiesta, sia pur dopo essersi fatto pregare, ma soprattutto perché l'aveva visto al suo peggio e l'aveva messo in condizioni di gridare come un bambino che stava ricevendo la prima puntura, cosa che neanche si sarebbe sognato in situazioni normali.

« G-Grimmjow...! » si irrigidì nel momento in cui sentì le mani dell'altro entrare con fin troppa disinvoltura nei pantaloni.

« Avevi detto niente sesso se non acconsentivo, mi pare. Ora non hai nessun motivo per respingermi. E visto che ci tenevi così tanto, ora puoi baciarmi dove vuoi senza nessun fastidio. »

« Ma avrai un sapore schifoso, con la roba che ti ho messo addosso! »

« Uhm, dici? C'è una parte che ha sempre quel sapore che ti piace tanto... »

Non riuscì a replicare, sopraffatto da un bacio affamato dell'altro. In effetti era stata dura resistere a quel corpo muscoloso, spalmargli addosso creme e oli senza farsi sopraffare dal desiderio. E poi arrivava lui con quel cazzo di sorriso a tentarlo... no, col cavolo. Quella serata era sua, col cavolo che gliela dava vinta.

« É inutile, Ichigo. » sussurrò Grimmjow. « Hai voluto la bicicletta? Ora pedali. »

Bè, in fondo un piccolo premio glielo poteva concedere per la fatica superata.
Tanto il mese prossimo si sarebbe fatto altre grasse risate.

Con questo pensiero si lasciò definitivamente andare, mentre Grimmjow metteva a tacere la vecchia radio, dal momento che voleva sentire ben altri suoni.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Thank you for the venom - Hi, babe; [GrimmNel] ***


Author's note; vi dico subito che sono giorni duri per una serie di motivi. Ho pure la febbre, evviva. Possibile che mi debba ammalare in piena estate?! Con questo caldo, poi! Oh, bè, passiamo oltre, evitiamo di pensarci. Eccoci a una nuova one shot. Una GrimmNel. Un'AU che avevo pensato settimane fa ma non riuscivo a darle forma. In realtà all'inizio Grimmjow e Neliel dovevano lavorare in coppia, lui addirittura come membro della scientifica. Ma ce lo vedete Grimmjow in camice? Nooo! Così ho pensato di renderli rivali, poliziotta e criminale. Con quella dose di angst che adoro. Spero che vi piaccia. La canzone scelta questa volta è dei miei tanto amati My chemical romance, anche se la canzone doveva essere un'altra, ma il testo di questa si addice perfettamente all'atmosfera della shot e al rapporto poliziotta-criminale che ho affidato a Grimmjow e Neliel. Mi piacciono molto come coppia. Qui noterete che Grimmjow si diverte molto a prendere in giro la povera Nel. Mentre scrivevo mi sono ricordata dell'episodio in cui va a salvare Orihime da Loly e Menoly. Nel manga questa scena non c'è, ma nell'anime Grimmjow le prende in giro in una maniera assurda che ho adorato, ho riso come una scema tutto il tempo! Così ho pensato di riversare questa sua sottigliezza ironica nella one shot, attenuando un po', comunque, senza trascurare il suo lato “distruttivo”. Cioè, spero di esserci riuscita. Perchè in realtà con 'sta febbre non è che mi sia potuta concentrare granché, per non parlare degli altri problemi sorti in questi giorni, ma la voglia di scrivere era talmente forte! Anche se, rileggendo, mi rendo conto che è una di quelle storie da long fiction, in modo da approfondire molto di più tutto quanto, ma pazienza. Bè, ecco a voi. Spero che vi piaccia!
Ringrazio
NEMU per aver aggiunto la raccolta tra le storie preferite, e DevilCupCake (che nome appetitoso! <3 ) per aver aggiunto la raccolta tra le storie seguite!

[GrimmNel] [AU] [Angst]


Thank you for the venom


Quindi dammi tutto il tuo veleno,
e dammi tutte le tue pillole,
e dammi tutti i tuoi cuori privi di speranza,
e fammi male.
Stai correndo verso qualcosa che non potrai uccidere.
Ma se è questo ciò che vuoi,
allora fuoco a volontà.
[ Thank you for the venom – My chemical romance ]


Nonostante le apparenze, Neliel era una donna affidabile, nonché dedita al lavoro. Fin da piccola aveva sempre pensato che tutte le azioni, buone o cattive che fossero, necessitavano di una ragione. Non per giustificare tali atti, ma per dare un senso al proprio essere. Lei aveva deciso di lavorare come agente speciale del neo dipartimento di polizia nazionale per fermare chi, al contrario di lei, commetteva crimini senza nessuna ragione. Così giovane, eppure era diventata il nemico giurato dei fuorilegge e nel suo curriculum poteva vantare innumerevoli criminali ormai alle sbarre.

Amava il suo lavoro e le persone che facevano parte della sua squadra.

Tuttavia, le sue capacità come agente speciale si stavano rivelando vane. Erano già passati tre mesi dal primo caso di una nuova serie di omicidi e lei se ne stava ancora in alto mare a cercare un minuscolo indizio insieme alla sua squadra, la quale l'aveva chiamata anche quel giorno per il nuovo assassinio. Certo, svegliarsi alle sei di mattina per andare vedere l'ennesimo cadavere mutilato non era l'ideale per una ragazza di soli ventitré anni, ma era il suo dovere e non si tirava certo indietro. Doveva fermare quello squilibrato ancora senza nome.

« Buongiorno, signorina Nel. » un uomo molto magro, poco più alto della donna, accenno un sorriso, porgendole un bicchiere di plastica contenente il cappuccino tanto amato dal suo capo. L'avrebbe aiutata ad affrontare meglio il caso.

« Buongiorno, Pesche. » rispose pacata lei. « Chi è questa volta il poveretto? »

« Le spiegherà tutto il signor Starrk. »

Starrk era suo coetaneo, nonché compagno di tutta la sua carriera. Avevano iniziato a lavorare insieme e la ragazza lo aveva voluto a tutti i costi come membro della sua squadra, viste le sue capacità. Purtroppo, loro due messi insieme non bastavano a catturare quel nuovo criminale in circolazione, senza volto, senza nome, senza nessun indizio, neanche il più piccolo. Il suo amico avrebbe osato dire che le vittime si fossero mutilate da sole o che fosse stato un mietitore, un fantasma, un classico dio della morte con falce e mantello scuro.

« Ti consiglio di bere il cappuccino dopo aver visto il corpo, potresti vomitare. » le aveva consigliato.

« Ne ho già visti tanti, per la precisione venti in neanche tre mesi. » fu la risposta, accompagnata da un sorriso di circostanza. « E poi tu come la metti col caffè? »

« Lo sai benissimo che senza caffè non riesco a reggermi in piedi. Ho fatto le ore piccole anche stavolta per colpa di questo scemo e sto morendo di sonno. » Starrk si stropicciò un occhio, incurante di darsi un contegno come imponeva la sua professione.

« Allora facciamo in fretta e dimmi tutto. »

L'uomo tolse con delicatezza il velo che copriva la povera vittima, una donna di circa vent'anni. L'età si era venuta a sapere solo grazie al documento d'identità trovato nei vestiti, altrimenti, per com'era ridotta, sarebbe stato impossibile saperlo. A Neliel, soprannominata da tutti Nel o “signorina Nel”, basto vederle il viso squarciato per sviare di poco il capo. Sì, ne aveva visti di cadaveri, di omicidi, ma le faceva sempre impressione. Era semplicemente orribile che un essere umano potesse fare certe cose, per cosa, poi? Non riusciva a capirlo. Era questo che non sopportava, non vedeva un movente, un obiettivo dietro quelle torture. Non erano umani, erano bestie.

« Il modus operandi è sempre lo stesso. » iniziò a spiegare il collega. « L'ha pugnalata al collo per poi tagliarla ovunque, mentre questa poveretta non riusciva neanche a urlare per il dolore con le corde vocali tagliate. Le ha tagliato le mani e gettate nel cestino, abbiamo dovuto ricucirgliele per avere delle impronte. L'unica differenza è che non l'ha sorpresa in un vicolo buio come fa di solito, l'ha aspettata a casa. La porta era sfondata, deve aver pensato che fossero entrati i ladri e invece si è trovata un coltello nella gola. Una volta finito il lavoro, ha preso il documento d'identità dalla tasca e, come al solito, ci ha messo su una goccia di sangue. È come la sua firma. »

« Vuole pavoneggiarsi del lavoro fatto? »

« È un po' come il libretto delle vittime dei servizi segreti, si segna una x sull'obiettivo una volta che questi è morto. Però le sue vittime non sono bersagli politici o criminali pericolosi, sono persone normalissime. La sua prima vittima è stata un avvocato dei quartieri alti, ricordi? Questa qui era un'impiegata. È raro che prenda di mira le donne, e questo mi ha aiutato. »

« Cioè, hai scoperto finalmente qualcosa? »

« Non ci sono segni di stupro, quindi escludiamo a priori il delitto passionale. Però, quando si attacca alle spalle una persona bisogna fare i conti con la differenza d'altezza. A seconda di quanto sono alti aggressore e vittima si cambia l'impugnatura del coltello. Il taglio sulla gola... qui, scende un po' verso il basso. Ho notato questo particolare in tutte le donne uccise finora, cinque, e su quindici uomini ammazzati, quattro avevano lo stesso tipo di taglio. Forse è un po' azzardato... ma potrebbe essere un uomo alto più di un metro e ottanta. »

« Non ci sono segni di lotta? La vittima non ha tentato di difendersi? »

« Pare di no. È questa la cosa strana. Tutte le vittime non hanno segni di lotta. Come se fossero rimaste lì impalate a farsi ammazzare. Certo, con un buco in gola è difficile muoversi, ma sulle scene del delitto non ci sono, che ne so, sangue trascinato a terra. Le vittime non si muovono da lì. È come se qualcosa le spingesse a restare... non so se mi spiego. » detto questo Starrk fece uno sbadiglio, ricoprendo il corpo della malcapitata e lasciando a Neliel il tempo di pensare. Tutti i criminali che aveva catturato avevano un motivo ben preciso di fare quello che facevano, e ciò si riversava anche sul modo di uccidere. Eppure non riusciva a capire niente di un uomo come quello che commetteva quelle crudeltà. Era come se nelle sue mani ci fosse un enorme scatola con dentro tutti i nomi dei cittadini della sua zona, ne pescasse uno a caso e andasse a uccidere come gli capitava. Chi era, quel maledetto? Perché fare del male così ad altra gente? E perché questa povera gente non sembrava opporsi?

« Non si è portato via niente, vero? » chiese lei. « Nessun segno di furto, immagino. »

« Come sempre. Non gli interessano soldi o casseforti. Uccide e basta, lasciando la sua “firma” sui documenti. »

« E dopo tre mesi abbiamo finalmente scoperto che è alto un metro e ottanta... » disse con un tono sarcastico.

« Nel, è già tanto tenere a bada la gente per non scatenare il panico in questi tre mesi. Il governo continua a farci pressioni, ormai ci definiscono degli incompetenti. »

« Stiamo facendo del nostro meglio! Credono che noi non abbiamo paura di uno psicotico a piede libero? Se solo capissi perché fa una cosa simile potrei tracciare un qualche profilo, ma... » si tenne la tempia dolorante. Erano passati solo venti minuti, ed era già stanca, nauseata dall'odore di morte che sentiva, infastidita dalle voci che, nella sua testa, la pregavano di darsi una mossa. Una volta beccato quell'infame lo avrebbe preso a calci e fatto pentire di essere nato, si era detta. Qualunque fosse stata la ragione, non c'erano scusanti per un atto simile. Togliere la vita a qualcuno, per divertimento, tra l'altro... andava al di là della sua comprensione. Poteva capire un tossico che rubava soldi per procurarsi la droga, o un disoccupato che minacciava con una pistole chicchessia. Ma quello? Quelle venti persone così orrendamente mutilate? Cosa frullava in testa a quello là? Non si sentiva in colpa, non si immedesimava nelle persone, nei cari di quei poveretti?

« Bevi il tuo cappuccino, anche se sarà freddo ormai. » le consigliò Starrk, sbadigliando ancora una volta.

Lei però non seguì il consiglio. Con uno sguardo deciso -Starrk avrebbe osato dire “furente”- diede degli ordini ai due agenti che la seguivano sempre, come un'ombra.

« Pesche, Dondochakka. Voglio sulla mia scrivania una lista di nomi di persone alte dal metro e ottanta in su. Voglio anche i nomi dei cittadini di altre zone, degli stranieri giunti qui, di tutti. Cercate di farlo in giornata, per favore. »

« Sissignore! » i due uscirono subito dalla stanza, mentre il collega della ragazza le rivolse uno sguardo torvo, grattandosi la testa.

« Hai idea di quante persone ci siano con quella statura? Potremmo già includere i membri dei circoli sportivi, e sono già... più di cinquanta persone, per la miseria! »

« Allora cercheremo di restringere il campo. » disse Neliel. Bevve il suo cappuccino tutto d'un fiato, accennando un sorriso. « Grazie per quanto stai facendo, Starrk. Ora vai a casa e fatti una dormita. »

« Ne avrei proprio bisogno... ma tu dove vai? »

« Vado sul luogo del delitto e poi a casa, ad analizzare la lista di Pesche e Dondochakka. »

Era stata una giornata pesante, colorata di rosso. Rosso era il pavimento, rossi erano i cadaveri in cui si imbatteva quasi quotidianamente, rossa era la follia di un uomo che la stava facendo dannare da tre mesi, come se ce l'avesse con lei. E se pensava che per colpa sua ci stavano rimettendo tutte quelle persone, non poteva che sentirsi male. Non era vedere omicidi, non era fare interrogatori a pazzi assassini, erano i sensi di colpa che spesso non la facevano dormire. La consapevolezza che poteva fare qualcosa prima. Purtroppo non poteva prevedere il futuro, ma aveva sempre fatto del suo meglio per evitare il peggio. Per quella ragione aveva scelto di lavorare nel dipartimento, aveva scelto di difendere la giustizia, di fermare il male nel mondo. Eppure i suoi sforzi sembravano vani e le toglievano le forze.

Il suo unico desiderio, alla fine di quella giornata, era di farsi un bagno caldo e lavorare nel silenzio della sua stanza. Da sola, senza nessuno, senza infastidire chicchessia.

Neliel non possedeva il dono della chiaroveggenza, né aveva mai contemplato l'idea di finire nel mirino di qualcuno. Era un'eccellente agente, ma così ingenua a volte, così dedita a far del bene agli altri che trascurava completamente il fatto di essere lei per prima in pericolo a causa della sua professione.

Entrare in casa non risultò un problema. Era tutto come sempre. Ma la televisione non l'aveva lasciata accesa, lo ricordava benissimo. Né ricordava di avere ospiti in casa, parenti, viveva da sola. Ma in quel momento qualcuno l'aspettava. Seduto sulla sua poltrona come se nulla fosse, celato dal buio della casa.

Neliel restò impalata davanti all'ingresso, stringendo subito a sé la borsa. Chiunque fosse, aveva sbagliato persona cui andare a rompere le scatole.

Una voce maschile, roca, interruppe con delicatezza l'alone di mistero di quell'uomo.

« Bentornata a casa, Neliel. » accese la luce della lampada accanto a sé, illuminandolo parzialmente, ma rendendo ben definiti i suoi lineamenti. A vederlo sembrava un suo coetaneo, con degli insoliti occhi azzurri e capelli dello stesso colore. Stringeva tra le mani una tazza fumante di caffè, seduto come se niente fosse sulla poltrona della donna. Sorrideva in modo sinistro, esponendo dei canini acuminati. « Non essere maleducata, chiudi la porta. »

La ragazza fece come consigliato, ma restò lì senza osare dire nulla. Continuava a tenere stretta a sé la borsa, pronta a intervenire.

« Mi dispiace doverti dire che la pistola che porti sempre con te non servirà a un bel niente. » disse bruscamente lui.

Lei spalancò di poco gli occhi. « Come sai che... »

« Andiamo, te lo impone il tuo lavoro di girare armata, no? Che peccato. Una ragazza graziosa come te non dovrebbe portare quelle brutture in una bellissima borsa di Louise Vuitton. Quanto ti è costata, tutto il tuo primo stipendio? »

« Chi diavolo sei tu...? Che ci fai in casa mia...? »

« Perché presentarsi quando ci conosciamo già? » si ostinava a sorridere, come se fosse del tutto normale piombarle in casa e accomodarsi sulla sua poltrona. « Ah, mi sono permesso di farmi il caffè e guardarmi la tv, mentre ti aspettavo. Te lo dico subito, è inutile che controlli impronte e mandi 'sta roba ad analizzare. Mi muovo con un minimo di criterio, cosa credi? »

Un brivido percorse la schiena della ragazza, fino ad arrivargli al cervello e sconvolgerle i sensi. Sgranò gli occhi inorridita al solo pensiero di aver capito chi si trovasse in casa sua. Trovò strano che non tentasse di fare nulla, sembrava si stesse beffando di lei. Era davvero difficile capire qualcosa di lui, ecco perché per tre mesi non era riuscita a scovare niente.

« Ma che fai lì in piedi? Non ti fanno male i tacchi? » riprese lui indicandole il divano posto davanti a lui. « Su, accomodati, fai come se fossi a casa tua. Oh, ma questa è casta tua! »

Neliel si mosse con calma, senza staccare gli occhi di dosso da quell'uomo ancora senza nome. Aveva una strana luce negli occhi, da un lato addirittura affascinante, ma... erano pur sempre gli occhi di un criminale. Che si beffavano di lei e bevevano il suo caffè sulla sua tazza. Un individuo di un'arroganza e di una maleducazione senza pari.

Si ritrovò infine faccia a faccia con lui. A vederlo, anche se era seduto, sembrava alto un metro e ottanta, come aveva detto Starrk. Indossava vestiti puliti e dall'aria costosa, addirittura un anello al pollice destro e all'anulare. Non sembrava affatto un disadattato, né un morto di fame o un malato di mente. Poteva essere benissimo uno studente universitario, un commesso, un ragazzo come tanti. Ma purtroppo non era così e Neliel non riusciva a spiegarsi il perché.

« Non sei felice della mia visita? » le chiese con lo stesso tono roco.

« Dovrei esserlo? » chiese.

« Sì, cazzo! Non hai idea della fatica che ho fatto per venire fin qui senza destare sospetti. Però aprire la porta è stato uno scherzo. Non temi i furti? Qualcuno potrebbe rubarti la borsa che coccoli come una poppante, neanche fosse tua figlia. »

« Che cosa vuoi? »

« Volevo vederti. Volevo conoscere il volto della donna che mi sta col fiato sul collo da tre mesi. Non sono mai stato corteggiato tanto, sai? E non sei niente male. Potrei addirittura innamorarmi. »

« Fa' meno lo spiritoso. Tu vuoi uccidermi, no? »

« Perché dovrei? » inarcò un sopracciglio, come se davvero non avesse capito la domanda.

« Allora per quale motivo uccidere venti persone in quel modo? »

Stavolta si sbalordì. « Venti? Così pochi? »

Neliel si tirò leggermente indietro disgustata. No, improvvisamente non le quadrava niente, tutto il lavoro fatto stava andando a monte. La lista che si era fatta compilare divenne improvvisamente inutile. Aveva già dato una sbirciatina ai nominativi ma non ricordava nessuna foto con quei connotati. Chi diavolo era quell'uomo?

Lui continuava a sorridere e a parlare di quei poveretti come se fossero stati moscerini fastidiosi da eliminare. « Ah, ho capito di chi parli... bè, non posso ricordare quanti ne ho ammazzati, ma tu pensi davvero che siano solo quei venti? Sarei poco fantasioso, non ti pare? Il senzatetto di cinquant'anni di due settimane fa, ad esempio. Avete chiuso il caso con uno stupido suicidio, si era gettato nel fiume, avete detto. O di quella modella trovata morta nel suo appartamento con una scatola di medicine vicino, overdose, avete concluso. E quell'incendio al supermercato in pieno giorno dove sono morte tre o quattro persone? Un incidente, eh? È divertente vedere come ci ricamate su per sviare lo sguardo da me. »

« Ma allora... quanti ne hai uccisi...? »

« È il tuo lavoro scoprirlo, no? »

Lo vide alzarsi con noncuranza dalla poltrona, mettendo a tacere la tv. I suoi passi rimbombavano prepotenti sul pavimento, mentre Neliel, angosciata, pensava a tutto il male che quello aveva fatto e a come si dimostrava calmissimo. Evidentemente ignorava del tutto il “rispetto per la vita umana”.

« Mi sembri un po' tesa. » disse lui voltandosi di spalle. « Accendiamo un po' la radio e balliamo, che te ne pare? Così ti rilassi. Guarda che bel gioiellino... » accarezzò con cura una vecchia radio , mettendola subito in funzione senza chiedere il permesso. A volume discreto, la musica cominciò a intrufolarsi in casa, mentre il ragazzo si voltava e Neliel aveva approfittato di quell'attimo di distrazione per metterlo con le mani nel sacco. O almeno così credeva.

La mano sinistra teneva il cellulare cui aveva segnato un numero sopra, pronta a far partire la chiamata, mentre la mano destra teneva la pistola, pronta a premere il grilletto. Tuttavia, quell'altro rideva di gusto.

« È meglio se tieni quell'arnese con due mani. » disse con sarcasmo. « Ti trema la mano. E poi cos'è quello sguardo, piccola? Tu non puoi uccidermi. »

« Non sono come te, maledetto. » replicò tetra lei. « Possibilmente non ammazzo nessuno. Ma potrei comunque farti molto male, arrestarti e darti il ben servito. Un pluriomicida come te come minimo si becca la pena di morte per iniezione letale. »

Lui si avvicinò alla ragazza con passo calmo e tranquillo, mentre lei si allontanava di poco tenendolo sotto tiro. « Se davvero fossi in grado di uccidermi non starei ancora qua e respirare. »

« Non. Ti. Muovere. » fece lei. « Altrimenti ti riempio le gambe di buchi. Così proverai almeno una decimillesima parte del dolore delle persone che sono morte a causa tua, bestia. »

Una risata fragorose coprì le note emanate dalla vecchia radio. Come se avesse appena sentito una barzelletta, rideva a gran voce, noncurante della faccia sconvolta di Nel.

« È ammirevole il tuo senso della giustizia, davvero, ma non ti scomodare per dei perfetti sconosciuti. Non hai nessun obbligo verso di loro, verso gente che per te non farebbe altrettanto. Prima o poi tutti muoiono, chi se ne frega in che modo? Pensi che il tuo ego nutrito dai ringraziamenti dei parenti di quelli là varrà una volta che sei morta? »

« Non hai capito proprio niente di me. Non è per l'ego che lo faccio. »

« C'è un detto che trovo molto vero. “Per far del bene bisogna continuare a sperare che ci sia il male”. In un certo senso, Neliel, dovresti essermi grata. Sono io che ti do il lavoro, è grazie a me se puoi ribadire i tuoi concetti di giustizia. Sono io che ti permetto di comprare le borse di Vuitton che ti piacciono tanto. »

« Non ti avvicinare o premo il grilletto! »

Il ragazzo era ormai di fronte a lei, a pochi millimetri dalla pistola. La guardava in una strana maniera sinistra, accennando quel sorriso maligno che Nel non sapeva come interpretare. « Posa questi affari. Tu non puoi uccidermi, non puoi, piccola Nel... così come io non posso uccidere te. »

« Posso far partire la chiamata al mio collega quando voglio. »

« Scapperò prima che quel dormiglione arrivi, e tu lo sai. Per questo non hai ancora chiamato. Tu non puoi fare a meno di me, piccola. Tu hai bisogno di me. » allungò una mano verso il suo viso, ma la ragazza si scostò bruscamente.

« Non vedo una ragione dietro le tue azioni. Chiunque con un minimo di sale in zucca, con una coscienza degna di tale nome avrebbe una ragione. Tu invece... cosa sei, una belva? »

Stavolta le mise quasi il broncio, come se avesse detto una bestemmia. « Da quando c'è bisogno di una ragione per morire? Qualunque siano i motivi, la morte è uguale per tutti, e lo stesso vale per le motivazioni. Conosco la legge, cercate sempre delle motivazioni per dare una senso alla... “mostruosità” delle persone. Non agisco forse come un disperato che ammazza la moglie per gelosia? Non sono forse come qualcuno che uccide per rapina? A questa gente gli date vent'anni, dieci se sono incensurati, e con la buona condotta sono liberi dopo due mesi per tornare a fare quello che hanno fatto. Uccidere, essere uccisi... il mondo è fatto così, e lo sai meglio di chiunque altro, piccola Nel. Non c'è scelta. »

« Sì che c'è. » rispose lei. « Innanzi tutto mi dici come ti chiami, ti costituisci e ti fai mettere le manette. »

« Dici che mi donano? Sarebbe divertente metterle... ma non per andare in cella. » fece qualche altro passo, facendosi accompagnare dalla musica, dolce ed elegante, della vecchia radio.

Neliel sudava freddo, senza trovare una via d'uscita. Quell'uomo doveva aver fatto ricerche su di lei o quantomeno spiata, così da sapere che non era in grado di uccidere così a sangue freddo una persona, per quanto orribile fosse. Era rimasta come incantata dalla strana luce azzurra dei suoi occhi. La sua casa era poco illuminata, vi era solo una lampada accanto alla poltrona, ma gli occhi di quel ragazzo brillavano. Si muoveva con tranquillità, con fare silenzioso. Non poté che ricordargli un felino predatore che si avvicinava con calma alla preda, ignara di tutto, per poi abbatterla con un solo morso.

Neliel non si rese conto di avere ormai poggiato la schiena al muro, e che l'altro, sempre col sorriso, aveva preso la pistola in mano. Tremava, aveva paura. Non riusciva a muovere un dito per chiamare aiuto, né a combattere con quell'uomo più robusto di lei. In un corpo a corpo non avrebbe mai vinto.

Lui invece si grattò il collo con la punta della canna, incurante di tutto, e la fece cadere a terra dopo aver tolto i proiettili. Le tolse di mano anche il telefono, levandogli la batteria senza pensarci due volte.

« Così va meglio. » disse infine.

La donna tentò di sembrare calma e impassibile. « Perché venire qui da me a volto scoperto? »

« Te l'ho detto, volevo vederti. »

« Ora conosco a tua faccia... se anche scappi adesso, domani sarai braccato senza sosta. »

« Fa' pure. Esponi la mia faccia a tutti, non mi troverai comunque. Ti diranno che hai visto un fantasma. O, ancora peggio, sospetteranno di te, perché mi hai lasciato andare. Però non sono così pessimista. Anzi, penso proprio che ci rivedremo di nuovo. »

« Non... mi uccidi? » era quello che temeva. Fino a quel momento non vi era stato istante in cui aveva temuto per la sua vita. Bisognava trovarsi in quella situazione per capire l'angoscia di morire da un momento all'altro per mano di un uomo affascinante, d'accordo, ma totalmente privo di buon senso, di nessun senso. E che si prendeva gioco di lei in quel modo... come si permetteva?

« Io non posso ucciderti. » fu la risposta. « Sei l'unica che non posso ammazzare. »

Neliel sgranò gli occhi. « Ma che stai... »

« C'è un bel filo rosso su questo collo. » sentirsi sfiorare la pelle da quell'uomo le provocò dei brividi atroci, che facevano più male di mille lance sulla schiena. « Un filo rosso che parte da questo collo e finisce sul mio indice. Tu sei... troppo interessante, piccola Nel... come potrei ucciderti? Mi mancheresti. E tu, allo stesso modo, non ammazzi me, perché provi la stessa identica cosa. Senza di me tu non saresti nessuno. Ti mancherebbe sentire la mia voce, sapere che sono in giro... ti mancherebbe sentire... la mia bocca così vicino alla tua, ad esempio. »

Effettivamente era troppo vicino, e non poteva permetterglielo. Lo spintonò via con foga, tentando di buttare fuori quanta più forza possedeva in corpo.

Continuava a ridere, mandandola nel pallone. Continuava a guardarla con quella luce divertita negli occhi blu, facendola capitolare nel panico.

« Sei una gran donna, Nel, ma così ingenua! Questo è un mondo spietato e per combatterlo devi essere spietato. Non riuscirai mai a prendermi se non desideri la mia morte. Non devi permettere che sia la legge e darmi l'iniezione letale. Avvelenami tu. Voglio sentire il tuo veleno scorrermi nelle vene, voglio che mi guardi con odio, voglio sentire in te il desiderio di farmi a pezzi. Quando per te sarà così... allora morirò per mano tua. Ma non sei ancora pronta Neliel. Ci vorrà un bel po', forse non ce la farai mai, ma è proprio questo il bello, non è vero? »

Si avvicinò alla ragazza, accarezzandole la guancia. « Facciamo una prova, ti va? »

Riprese la pistola ricaricando i proiettili. Con delicatezza la porse alla ragazza, voltandosi poi ti spalle.

« Adesso me ne vado. Sparami pure se vuoi. »

La lentezza con cui camminava era esasperante. Il modo in cui lo guardava Neliel era disperato e combattuto. Puntò più volte la pistola sulla schiena del ragazzo, ma non riusciva a fare niente. Non poteva attaccare un uomo alle spalle disarmato -ammesso che lo fosse sul serio- e non poteva morti inutili sulla coscienza. Nonostante la crudeltà, voleva capire le sue motivazioni, cercare di trovarci della giustizia, un senso. Ucciderlo in quel momento avrebbe significato sprecare un'occasione. Non riusciva... non poteva ucciderlo. Le faceva male ammettere una sconfitta del genere.

Lui invece sorrise, voltandosi una volta aperta la porta.

« Ci vediamo, Neliel. » prima di chiudere, però, si voltò ancora una volta. « Ah, già... il mio nome è Grimmjow. Non voglio che pensi a me chiamandomi “bestia”. Te lo ricorderai, vero? »

« Grimmjow... »

« Buonanotte. »

Si ritrovò sola in casa, con una pistola del tutto inutile e una vecchia radio che aveva fatto da testimone alla sua debolezza di fronte a quegli occhi felini, limpidi come un cielo calmo e sereno poco prima della tempesta impetuosa provocata dalle sue azioni. Sarebbe tornato, ne era sicura. Ma non avrebbe vinto, mai più. Lo avrebbe superato, senza dargliela vinta, senza ucciderlo. Lei non era come lui, come Grimmjow. Sicuramente per lui non c'era umiliazione più grande di farsi prendere e finire in galera senza essere ucciso dal lei.

Fino ad allora, caccia senza sosta. Chi fossero effettivamente la preda e il predatore Neliel non sapeva dirlo. L'unica cosa di cui si sentiva preda, erano quegli occhi azzurri che incutevano timore, che brillavano di luce propria. Ma avrebbe sconfitto anche quelli.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Ho perso le parole - I can't do it; [GrimmHime] ***


Author's note; e rieccoci qua! Neme è tornata! Una nuova AU, e un nuovo pairing: GrimmHime. Lo so, molti di voi potrebbero storcere il naso a immaginarseli insieme. Ma io li trovo molto carini. Hanno un risvolto molto comico insieme, sono totalmente opposti, talmente diversi da riuscire ad equilibrarsi. Però in questa one shot ho deciso di provare a mostrare un risvolto GrimmHime molto più “duro”. Insomma, l'amore non è tutto rose e fiori, e i caratteri così diversi di Grimmjow e Orihime mi porta a pensare che ne debbano passare proprio tante... così ecco qua. Colpa anche della canzone scelta. Ho notato che diversi testi di Ligabue li associo inconsciamente a questi due. ò.ò
Ah, già. I lavori di Grimmjow non li saprete mai. :trolla: Mi dispiace, ma questa one shot è fatta così. :trolla ancora:
Spero davvero che vi piaccia e di aver reso bene i personaggi, soprattutto Grimmjow. È un personaggio così interessante e pieno di sfaccettature che non posso fare a meno di scrivere su di lui e tentare di muoverlo in ogni situazione possibile. Poi amo il modo in cui tiene al rispetto e coe ci tenga a chiudere ogni conto in sospeso, ogni debito. È una parte di lui che amo talmente tanto che non ho potuto fare a meno di inserirla nella one shot!
Ringrazio
asia94 per aver inserito la fan fiction tra le preferite e le seguite, e ringrazio Hime89 e Himepm avermi aggiunto tra gli autori preferiti!
P.s.: 'sta one shot è un po' lunghetta... spero comunque che la troviate interessante! *-*

[GrimmHime] [AU] [Het] [Angst] [POV]



Ho perso le parole


Ho perso le parole.
Può darsi che abbia perso solo le mie bugie.
Si son nascoste bene.
Forse però, semplicemente, non eran mie.
[ Ho perso le parole – Ligabue ]



Orihime è sola in casa, come sempre. È tardi per lei, ma non ha sonno. Vuole aspettare.
È seduta sul divano e aspetta. Aspetta che lui torni dal lavoro.

Grimmjow vive con lei da un paio di mesi. È il suo uomo, il suo ragazzo, e lo aiuta come può. Non poteva certo lasciarlo su una strada nel momento più difficoltoso per lui. E poi lei è sempre sola a casa, avere qualcuno accanto per così tanto tempo, così vicino, le fa piacere, perché Orihime odia sentirsi sola. Grimmjow le tiene compagnia, per sdebitarsi ha anche deciso di fare alcuni lavoretti, nonostante la ragazza dica sempre che non è necessario. Ma a lui non piace avere conti in sospeso, soprattutto con la propria fidanzata.

« Non preoccuparti per me. Non mi va di stare qui e grattarmi le palle. Voglio sdebitarmi, quindi non fare storie e lasciami fare. »

Grimmjow è sempre un po' burbero con lei, con tutti in generale. Orihime non riesce a capire cosa gli passi per la testa. Nonostante i modi bruschi, il ragazzo le fa compagnia, non la fa sentire sola, e la rispetta, anche se la sgrida sempre per la sua gentilezza. Dice sempre che dovrebbe “essere più stronza”, ma niente, lei non ce la fa. Così come lui non riesce a essere un po' più delicato nei confronti del prossimo.

E non riesce nemmeno a rincasare a un'ora decente. Sono le tre del mattino, Orihime ne è consapevole. Ma Grimmjow ancora non torna a casa.

Non sa che genere di lavori faccia. Lui dice sempre che vive alla giornata, fa lavoretti qua e là, ma gli portano via molto tempo. Rientra sempre a notte fonda, e quando torna prima è così stanco che si mette subito a dormire. Raramente riesce a stare con Orihime come qualunque coppia farebbe.

Lei non lo ha mai rimproverato per quello, sa che, anche dicendogli che non è necessario raggranellare soldi per lei, non riuscirà mai a convincerlo. Perché Grimmjow non ascolta nessuno, e anche se ascolta fa sempre quello che gli va di fare. Per lui è un'umiliazione farsi ospitare da Orihime senza ricambiare in qualche modo. Lei lo sa, lo ferirebbe nell'orgoglio se insistesse. Per questo tace, si rassegna all'idea che anche quel giorno Grimmjow tornerà tardi e si corica.

Di solito è così.

Oggi però ha deciso di aspettarlo. Anche lei può fare qualcosa per lui, non è giusto che lui si dia tanta pena mentre lei non fa niente. Sa già cosa le dirà vedendola ancora in piedi. “Fila a letto, non ti ho mica chiesto di aspettarmi”, direbbe così. Direbbe che lui non ha bisogno di niente, che gli altri dovrebbero farsi gli affari propri. È burbero con tutti, anche con lei, ma Orihime è sicura che non lo faccia apposta. È solo stressato, si dice, lavora troppo, rientra troppo tardi e dorme troppo poco. Ne è convinta.

Non sa che genere di lavori faccia, lui non si sbottona. Dice sempre che è andata bene, ma Orihime non ha mai idea di dove vada e con chi. Ha paura che un giorno possa mettersi nei guai, che entri in qualcosa di più grande di lui. È preoccupata e poi... si sente sola.

Non glielo dice perché si vergogna. È un sentimento egoista, lui fa tanto solo per sdebitarsi e lei si sente sola. Non dovrebbe sentirsi così, dopotutto ha la certezza che Grimmjow torna sempre, perché quella ormai è casa sua.

Eppure si sente sola. Perché Grimmjow, alla fin fine, è poco presente in quella casa. Si affanna tanto per preparare qualcosa di buono per lui, ma tanto a cena non torna, non ce la farà mai. Glielo lascia sul tavolo e gli scrive sempre “buon appetito” sul tovagliolo. Ma Grimmjow non usa mai quel tovagliolo, e mangia poco. Non la ringrazia mai per il bucato fatto, o per la cena pronta, o per gli abbracci che riceve mentre dorme. Per lui è sufficiente lavorare per ringraziarla. È così che funziona.

Però Orihime si sente sola. Il silenzio della notte è opprimente, fa freddo. Si guarda intorno, in cerca di compagnia. Si alza, afferra Enraku, il suo peluche preferito, e lo abbraccia con amore. Poi nota una vecchia radio, posta vicino alla televisione. È l'unico oggetto che Grimmjow si è portato con sé, deve tenerci molto. Sembra davvero antica. Orihime non si è mai azzardata ad accenderla, e non vuole farlo nemmeno ora. Forse neanche funziona, vecchia com'è. Ci passa la mano sopra, è piena di polvere. Il suo ragazzo è stato categorico, quella radio non va toccata neanche con un dito. È roba sua, dice sempre, e la roba degli altri non si tocca.

Sfiorandola, però, Orihime sente un calore piacevole. È lo stesso che sente quando sfiora il corpo di Grimmjow addormentato, appena rientrato dal lavoro, o quando è lui a farsi avanti, quelle rare volte che il lavoro non lo porta via, e la bacia, la tenta, fa l'amore con lei. Quello che la radio le trasmette è il calore del suo ragazzo, ora chissà dove.

Orihime ha le lacrime agli occhi. Quella radio le trasmette il suo calore, ma non è lui. Grimmjow è poco presente, questa è la realtà, e lei si sente sola. Lo vorrebbe sempre accanto. Vorrebbe svegliarlo tutte le mattine, vederlo sempre a casa, fare passeggiate con lui ovunque. Ma non si può. Lui lavora per lei, per sdebitarsi. È convinto che così vada bene, che questa sia la maniera giusta. Orihime vorrebbe contraddirlo, le fa male saperlo via e fare chissà quale fatica per un semplice conto in sospeso. È il suo ragazzo, come può venirgli in mente di avere qualcosa da ricambiare? Lei non ne ha bisogno, le basta la sua presenza. Ma per Grimmjow non è lo stesso. Forse lavora apposta per stare il più lontano possibile da quella casa, da lei.

Si asciuga una lacrima nel momento in cui sente la porta aprirsi. Si volta, sorride, vedendo che finalmente è arrivato.

« Bentornato... » dice, cercando di sembrare allegra.

Grimmjow la guarda sorpreso, sgrana gli occhi più e più volte. Senza dire nulla, posa sul tavolo una busta. C'è il silenzio per qualche secondo, finché non si decide a dire qualcosa. « Che fai in piedi a quest'ora? »

« Non... non riuscivo a dormire... »

Mente. Non è vero. Orihime ha la faccia tosta di raccontargli frottole. Grimmjow non lo sopporta.

« Vai a letto. » taglia corto lui. « Se no a scuola non ti reggerai in piedi. »

La ragazza scuote appena il capo, accennando un sorriso. « Non è un problema per me... »

« Non devi fare tutto questo per me. » sembra quasi ringhiarle contro tali parole. Non lo fa con cattiveria, Orihime ne è sicura. È solo stanco. Deve aver lavorato sodo. Chissà dove è stato, cos'ha fatto, se sono stati gentili con lui.

Lo vede dirigersi in cucina, pronto a prepararsi da mangiare. Forse ha saltato i pasti anche quel giorno. Eppure agli occhi della ragazza sembra essere sempre in forma. Finché i suoi occhi azzurri continuano a infiammarsi in quel modo, è sicura di non avere niente da temere.

« Com'è... com'è andata oggi... al lavoro...? » spera di non innervosirlo con quella domanda di circostanza. Ma Orihime è stata sola per tutto quel tempo, non ce la fa a stare nel silenzio assoluto.

« Bene. » resta in piedi, taglia la carne frettolosamente e la mangia così, senza averla scaldata a dovere. A lui non piace aspettare. Ma la ragazza lo sa, e per questo si è preparata in tempo. Apre il frigorifero e tira fuori quello che ha cucinato per lui, abbastanza da tenerlo pieno per due giorni.

Grimmjow spalanca gli occhi sorpreso. Orihime è sempre la solita, si preoccupa troppo per lui. Gli piacciono quelle attenzioni, non lo nega, ma in quei momenti, quando lui torna a casa e vorrebbe solo osservarla dormire, assicurarsi che stia bene, quei gesti li vede come dei... rimproveri. Dei castighi perché lui tenta solo di sdebitarsi, ma l'idea che lei si preoccupi e faccia tanto per lui lo sminuisce. Si sente umiliato. Orihime è talmente gentile da rasentare la nevrosi. Se non le piace l'idea che lui stia via così a lungo, dovrebbe scrollarlo, sgridarlo, gridargli che lo odia, minacciare di lasciarlo. E invece sorride, gli fa il bucato, gli lascia la cena pronta, si affanna e lo aspetta. E questo non è giusto. Orihime ha solo sedici anni, studia. Vive da sola in quell'appartamento da quando aveva undici anni. Sua zia è anche la vicina di casa, le passa dei soldi mensilmente, ma non viene mai a trovarla. Orihime ha solo lui, ha accettato volentieri di ospitarlo a casa, ma Grimmjow si sente eternamente in debito. Non vuole dipendere da lei, quindi lavora sodo, anche se ne farebbe volentieri a meno. Orihime è comprensiva, ma vede benissimo nei suoi occhi quanto si senta sola. Però tace. E lui che può fare, come può consolarla se lei non dice niente? Si sente umiliato, se Orihime lo sgridasse sarebbe addirittura contento. Ma non succederà mai. La sua ragazza continuerà ad aspettarlo.

Ha cucinato talmente tanta roba che non riesce a finire tutto. Orihime continua a sorridergli e va a preparare il letto. Andranno a dormire insieme, come non succedeva da tanto.

Grimmjow la osserva, ma non fa nulla. Afferra il tovagliolo su cui la ragazza ha scritto, come sempre, “buon appetito”. Non lo tocca mai, perché sporcarlo?

« Grazie. » glielo vorrebbe dire, ma lo trova inutile. Non riesce a dirle un sacco di cose. Non riesce a ringraziarla per tutto quello che fa, ma non perché non lo sente veramente. Non ci riesce, e non sa perché.

Decide di andare a dormire. Orihime sta sistemando le coperte. È frustrante vederla così, ha solo sedici anni, non dovrebbe perdere tanto tempo a fare la brava donnina di casa. Più si affanna per lui, più lui tenterà di sdebitarsi, continuando ad assentarsi. Perché non lo lascia fare? Perché non vuole che ricambi il favore? Perché pensa che solo lei debba sentirsi in dovere di preoccuparsi?

Grimmjow si sbottona la camicia e si avvicina alla ragazza, afferrandole la spalla. La bacia così, su due piedi. È un bacio strano, Orihime lo capisce subito. È sì possessivo come sempre, quasi violento, a volte si sente addirittura soffocare da lui. Ma c'è qualcosa di malinconico nelle sue labbra. Anche il modo in cui la guarda è strano. Sembra rimproverarla e non capisce perché. Forse non fa abbastanza per lui?

Il ragazzo la guarda per dei lunghi attimi. Ha sempre quel viso da bambina e i suoi occhi hanno sempre il loro luccichio, questo è un bene. Non si sta sciupando. Ma continuando così succederà, perché Orihime fa troppo per tutti, sminuendo così i suoi sforzi.

Continua a baciarla, la trascina sul letto. Orihime sin da subito sospira, le piacciono quelle carezze, anche se la sua timidezza non vuole darlo a vedere. Nel giro di poco tempo è nuda, di fronte a lui, e senza quasi rendersene conto Grimmjow la possiede. Ma c'è qualcosa di strano in lui.

Solitamente durante quegli amplessi si muove con foga costantemente rinnovata, come se avesse un'energia inesauribile. È frenetico, la stritola negli abbracci. Ma questa volta è leggermente diverso. Si muove con più accortezza, con lentezza, sembra esasperato. Dev'essere stanco morto, eppure ha deciso di dedicarle il suo tempo. Grimmjow è burbero, ma lo trova un ragazzo d'oro.

Effettivamente è esasperato. Esasperato dalla voglia di parlarle, ma non ci riesce. È una sensazione strana. Con lei è in grado di parlare di qualunque fesseria, di scrollarla quando vede che è troppo remissiva, eppure certe cose non riescono a uscire dalla sua bocca.

Quello che non riesce a dirle lo comunica coi gesti. I suoi “grazie” li dice lavorando, portando soldi a casa e sperando che Orihime li spenda tutti, fino all'ultimo centesimo, comprandosi vestiti, gioielli, riviste, tutto quello che desidera, tutto quello che una ragazza normale dovrebbe meritarsi. Ma non lo fa. Li tiene sempre tutti da parte e raramente si concede qualche spesa extra. Dovrebbe viziarsi, ma non lo fa.

Lui tiene a lei, seriamente. La ama. Ma non riesce mai a dirglielo. Spera che facendo l'amore con lei lo capisca. Spera che in quelle spinte senta ciò che prova. Orihime è perspicace, sicuramente se ne è accorta, altrimenti non starebbe con lui da quasi un anno.

Orihime capisce i suoi sforzi, ma non capisce che deve stare al suo posto, che non deve scomodarsi per lui, che dovrebbe sgridarlo a volte, non coccolarlo preparandogli la cena tutte le sere. Dovrebbe arrabbiarsi e pregarlo di rientrare per cena, anche sapendo che non rispetterà la parola data.

Ma Orihime è troppo gentile per farlo. Mentre lui è troppo orgoglioso per ringraziarla di tutto quello che fa. È una cosa umiliante. Non riesce a parlarle, certe volte. Come in quegli istanti.

Ha perso le parole e non riesce a trovarle. Dicono che se certe cose non si pensano davvero non si riuscirà mai a dirle, ma Grimmjow trova che sia la cazzata del secolo. Lui sa cosa prova per Orihime, è convinto di ricambiare il suo affetto. Il resto del mondo non sa un cazzo di quello che c'è nella sua testa. Sarebbe tutto più facile se riuscisse a dirlo... ma ha perso le parole.

Non può che continuare a sdebitarsi lavorando. Oppure sforzarsi.

« Orihime... » sono sdraiati sul letto, ancora coi respiri affannosi dovuti al lungo rapporto. Lei lo guarda, accennando un sorriso.

« Grazie per la cena, era buonissima. » dillo, Grimmjow. È facilissimo.

« Grazie per quello che fai, ma ogni tanto riposati. » non ti costa niente dirlo.

Ma non ce la fa.

« Salta la scuola oggi. » ecco quello che dice.

« Perché...? » chiede ingenuamente lei.

« Ti porto a fare un giro. »

« Non devi... lavorare? »

« Oggi pomeriggio no. Forse la sera. » è una sensazione strana. Com'è possibile che lui, Grimmjow Jaegerjaques, possa trovarsi in difficoltà a dirle certe cose? La guarda negli occhi, pensa di farsi forza, di essere forte, ma poi le parole scappano, si perdono e non voglio essere ritrovate. È umiliante. Pensava di essere invincibile.

« Va bene... » la ragazza annuisce. Lui non aveva neanche contemplato l'idea che rifiutasse. Orihime è così permissiva nei suoi confronti. A lui piace questo modo di fare, fino a un certo punto. Vorrebbe vederla più combattiva qualche volta. Standoci insieme forse un giorno riuscirà a ricevere una sgridata, a vederla davvero arrabbiata.

La ragazza lo guarda. È felice. Grimmjow ha deciso di stare con lei per quanto può. Non dubita del fatto che sia un bravo ragazzo, non la fa sentire sola. Si dà da fare per lei, ed è infinitamente grata per quello. Lo vede che è stanco morto ora, eppure non le stacca gli occhi di dosso.

Non sa che genere di lavori faccia, con chi e dove. Ma per lei l'importante è che torni a casa. È felice di avere qualcuno cui preparare la cena. È felice di non essere sola, anche se a Grimmjow sembra non importare molto di tornare.

« Io ti amo... » gli dice sottovoce, con una tale timidezza da nascondere il volto con le mani.

A Grimmjow fa piacere sentirselo dire. Vorrebbe ricambiare quelle semplici parole.

« Anch'io. Non immagini quanto. » è facile, Grimmjow. Basta pochissimo, non ti taglieranno la gola per quello.

Eppure non ci riesce, si sente la gola secca. Alcune parole per lui non esistono. Le perde e non sa come ritrovarle. Non sa che fare quand'è così, a parte rimediare con i gesti. Non può farci niente, è fatto così, e anche sforzandosi con tutto sé stesso non riesce a cambiare quella parte di lui.

« Lo so. » risponde. È una risposta del cazzo, se ne rende conto, ma è l'unica cosa che riesce a dire. Orihime lo abbraccia, e lentamente si addormenta tra le sue braccia.

Prima o poi riuscirà a dirle davvero tutto.
Fino ad allora, Grimmjow non può che continuare a sdebitarsi.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Head over feet - Happy birthday; [IchiHime] ***


Author's note; ce l'ho fattaaa! Finalmente sono riuscita a scrivere la nuova one shot della raccolta! Mi sembra di non scrivere da una vita! :disperata: Prima di questa versione ce ne sono state altre due, e non vi dico lo schifo. Ma non c'è due senza tre, e al terzo tentativo mi sono finalmente convinta. Ora mi metto nelle vostre mani, lettori cari. Dunque, abbiamo avuto la GrimmIchi, la RenRuki, l'IchiRuki, La GrimmHime, la GrimmNel, ora tocca all'IchiHime in un AU. Prima o poi tocca a tutti, ve l'ho detto, è par condicio. ù_u Dunque, dunque, dunque, l'unica cosa rimasta invariata in questa one shot, tra le tre versioni, è il compleanno di Ichigo. Sarà che ci stiamo avvicinando alla fatidica data... e niente, ecco qua. Spero di aver reso bene questi due, coi loro pensieri e i loro complessi. :risata ironica: Buona lettura, spero che vi piaccia!
Piccola nota; sapete tutti chi è l'Orihime che ha dato vita alla festa del Tanabata, vero? Festa che si festeggia il sette luglio, quando la stella Altair (nella leggenda il pastore Hikoboshi) e la stella Vega (la dea Orihime) si incontrano. La leggenda narra di questi due poveri innamorati costretti per punizione a incontrarsi solo una volta all'anno. Per tradizione i giapponesi scrivono un desiderio e lo appendono a un rametto di bambù.

[IchiHime] [AU] [POV]



Head over feet


E non stupirti se ti amo per quello che sei,
non potevo farne a meno,
è tutta colpa tua.
[ Head over feet – Alanis Morisette ]



Ichigo sta dormendo col sorriso sulle labbra. Orihime sente il suo respiro sul fianco, rilassato, mentre lei gli accarezza le ciocche arancioni con delicatezza, per non farlo svegliare. Ormai si è abituata all'idea di passare del tempo a casa sua. Si frequentano da poche settimane, ma lei è sempre la benvenuta in casa Kurosaki, va molto d'accordo sia col padre che con le sorelline. Le fa piacere trovarsi così spesso in una casa così caotica, perché lei vive da sola e non ha nessuno con cui chiacchierare o divertirsi.

Ichigo si è addormentato accanto a lei, era molto stanco. La festa si è rivelata più stancante del previsto, forse perché era stata proprio lei a organizzarla. Voleva che per il compleanno del suo Ichigo fosse tutto perfetto, e così è stato. Ichigo non ha smesso di sorridere neppure un secondo, dopo aver spalancato gli occhi nel trovarsi in casa tutti i suoi amici che gridavano “sorpresa!”.

È perché Ichigo non si aspetta mai niente da nessuno. Non gli piacciono molto le feste, a dir la verità, per questo Orihime aveva organizzato una cosa “alla buona”, solo famiglia e amici.

Certo, era stata dura non farsi vedere per alcuni giorni, in vista della festa, senza dare nell'occhio. Sia perché non doveva farsi scoprire dal suo ragazzo, sia perché in realtà voleva stare quanto più tempo possibile con lui. Ma per quel regalo ne era valsa la pena.

Ichigo non esprime mai appieno le proprie emozioni, a detta di Orihime perché si impone una forza esagerata. Ai suoi occhi lui è invincibile già così com'è, e secondo lei sbaglia quando non si concede qualche capriccio.

Per questo si è sentita in dovere di fargli una festa a sorpresa. Vedere la sua faccia così buffa di fronte alla festa organizzata appositamente per i suoi diciotto anni, è stato il massimo.

E Orihime ha fatto molto di più. Gli ha regalato una radio. Sa che Ichigo ha un debole per la musica e ogni tanto si lamentava del suo stereo ormai prossimo alla rottamazione. La radio che gli ha regalato ora fa il suo figurone sul comò, proprio dietro il letto. A Ichigo basterebbe allungare la mano soltanto di poco per ascoltare quello che preferisce, conoscendolo rock per ore e ore. Sembra molto antico, sembra proprio un grammofono, ma Orihime ha chiesto di modificarlo, così può leggere anche gli mp3. Ichigo era rimasto senza parole quando gliel'ha mostrato, appartandolo un momento durante la festa. Gli brillavano gli occhi e non riusciva a dire alcunché. E poi, oltre alla radio, ha trovato un altro regalo, un cd che desiderava da tanto, dentro una busta.

« Ma quanti regali mi hai fatto, Orihime? » aveva chiesto sorpreso.

« Quello nella busta è il pezzo forte! Dai, aprilo! » lo aveva pregato. Non vedeva l'ora di vedere la sua espressione. Era un regalo talmente piccolo da entrare in una busta, ma per Ichigo valeva molto, molto di più. Un biglietto, niente di che agli occhi degli altri, per un normalissimo concerto. Del suo gruppo preferito in quell'unica data che avrebbero fatto in Giappone, quando in teoria doveva essere tutto esaurito da mesi.

« Ma... come hai fatto...?! »

« Segreeeto! »

« Cioè, questo è... è... »

« Allora ti piace? »

« Se mi piace?! Orihime, è il regalo più bello che potessi farmi! » l'aveva abbracciata e baciata, ringraziandola di cuore.

Si frequentano da poche settimane, dopo un lungo periodo passato come semplici compagni di classe. In realtà Orihime ha sempre avuto un debole per Ichigo, e il pensiero che sia finalmente la sua ragazza la travolge in pieno ogni mattina, quando si sveglia. In realtà pensava di non essere affatto il suo tipo, perché uno come Ichigo, così perfetto, non va certo a guardare una goffa come lei.

Orihime è immensamente grata al suo ragazzo per averle concesso una possibilità, così cerca di farlo stare bene ogni giorno, e Ichigo ricambia. La fa sentire importante, le sorride sempre più spesso, e le sue reazioni di fronte al suo regalo sono quanto di meglio di potesse aspettare.

Si frequentano da poche settimane, ma Ichigo ha deciso di fare sul serio con lei, tant'è che non la chiama più per cognome. È una sensazione strana sentirsi chiamare Orihime da lui. Ha una bella voce, Ichigo, le vengono i brividi ogni volta che la chiama, soprattutto quando, su quello stesso letto, lui è sopra di lei e invoca il suo nome sospirando.

Lei però non riesce, a chiamarlo per nome. Non le riesce proprio.

Ichigo non l'ha mai costretta a chiamarlo per nome, non glielo fa pesare. Lui è gentile, non gli verrebbe mai in mente di costringere qualcuno a fare qualcosa se non se la sente. Anzi, lui la fa passare per una sciocchezza, per lui non ha importanza come viene chiamato. Che sia “Kurosaki”, “Ichigo” o “amore”, lui rimane il ragazzo di Orihime Inoue.

Per Orihime però è diverso. Per lei i nomi sono importanti.

Il suo nome significa “principessa tessitrice”, come quella principessa della leggenda. È un nome importante, il suo, che non trova adatto. Lei è goffa, imbranata, ha sempre la testa tra le nuvole. Non si sente una principessa, anche se Ichigo la tratta come tale.

Ichigo invece significa “colui che protegge”, con altri ideogrammi significa “fragola”. È un nome che gli calza a pennello. Perché lui la protegge da qualunque cosa, ed è buono come la fragola. Ichigo è un ragazzo splendido, e ha avuto la grande fortuna di diventare la sua donna. Grazie a lui non si sente sola e ultimamente è anche un po' più sicura di sé stessa. Così a volte prova a chiamarlo per nome. Ma non ci riesce. All'improvviso si tira indietro, balbetta qualcosa e poi torna a chiamarlo Kurosaki. Il ragazzo non glielo fa pesare, ma Orihime è certa che vorrebbe lo stesso trattamento. Lo capisce dai leggeri sospiri che fa -lui è convinto di non farsi sentire- dopo che lo chiama.

È perché lui vorrebbe un rapporto paritario. Orihime lo capisce perfettamente, ma non riesce proprio a chiamarlo per nome.

Continua ad accarezzare la testa di Ichigo, addormentato sul suo letto. La festa lo ha stancato molto e, quasi senza accorgersene, come si è sdraiato i suoi occhi si sono chiusi. Lei resta a fissarlo per un po', le piace vederlo dormire, poi se ne andrà a casa, felice e contenta di essere riuscita a sorprenderlo, una volta tanto. Anche senza chiamarlo col suo nome di battesimo, con quella sorpresa è riuscita a dimostrare di poter fare qualcosa anche lei.

Ichigo apre di poco gli occhi, intontito. Sente delle lievi carezze sulla testa. Mette a fuoco e scorge la figura della sua fidanzata che lo coccola, come una mamma che canta la ninna nanna al figlio. In effetti lì per lì, quando non era riuscito a mettere bene a fuoco la chioma castana, stava per chiamarla “mamma”. Ma non poteva essere lei. Ha i modi di fare materni, ma non è sua madre.

Orihime è gentile e premurosa con lui, è stato facile affezionarsi a lei. Gli piacciono le sue attenzioni e non vuole disturbarla in quel momento. Tiene gli occhi socchiusi e ripensa alla festa che gli ha organizzato. Di solito è suo padre a svegliarlo in malo modo, per poi fargli trovare la torta al cioccolato che tanto adora. Dice sempre di non volere regali, così il padre gli dà dei soldi e gli dice di comprarsi ciò che vuole.

Ma la sua ragazza ha voluto ignorare tutto questo, stravolgendo il quindici luglio dei suoi diciotto anni. È una data strana per lui, perché se la ritrova anche nel nome, se scritto con ideogrammi diversi. Ichigo vorrebbe tener fede al suo nome, vorrebbe proteggere una montagna di gente, prima fra tutti la ragazza che adesso lo accarezza, convinta che stia dormendo. Perché ne ha bisogno, ha bisogno di protezione, di sentirsi sicura, e lui ha bisogno di proteggere qualcuno. È un pensiero un po' egoista, ma è così che si sente Ichigo. Vorrebbe difenderla a spada tratta da chiunque. Vicino a lei si sente forte e protetto a sua volta. Per lui è stato quasi naturale affezionarsi a lei, così indifesa ai suoi occhi, gentile e sorridente. Gli mette il buonumore e lo fa sentire importante.

C'è solo una cosa che gli dispiace: non sentirsi chiamare per nome da lei. Non vuole forzarla, ma lo vorrebbe tanto. Perché per lui è come sentirsi chiamare “eroe”, o come sentirsi dire “grazie”. Lui vorrebbe proteggere una casino di persone, vuole essere importante per Orihime, ma a quanto pare non lo è abbastanza da farsi chiamare per nome.

Orihime si è accorta che lui è sveglio. Sospira e sorride. « Ti ho svegliato io? Scusa... »

« No, scusami tu. Mi sono addormentato come un sasso mentre eri qui. »

« Non è affatto un disturbo per me, Kurosaki. »

Chissà com'è essere chiamati per nome da quella voce da bambina. Sicuramente proverebbe tutt'altre cose. Il ragazzo è curiosissimo, vorrebbe togliersi il dubbio, ma non vuole costringerla. Orihime lo avrebbe chiamato già da molto tempo se lo avesse voluto davvero. Evidentemente non vuole.

Però Ichigo è troppo curioso, vuole sentire la sua voce, ancora per un po'. È un pensiero egoista, ma non può farne a meno. Dopotutto è il suo compleanno, no? Non ha mai chiesto regali, ma ora ne vorrebbe uno, uno soltanto.

« Grazie per la festa... e per i regali. » le dice, allungando il braccio per accarezzarle il fianco.

« Non c'è bisogno che mi ringrazi, Kurosaki. » risponde lei col sorriso. « Questo è il tuo giorno, puoi avere quello che vuoi. »

« Ah, sì? Allora... avrei un favore da chiederti. »

Orihime è tutta orecchie. Sarebbe felicissima di esaudire qualunque suo desiderio.
Anche se la richiesta che le giunge non se l'aspettava proprio.

« Potresti chiamarmi per nome? Non “Kurosaki”... ma “Ichigo”. »

La ragazza arrossisce e spalanca gli occhi. In fondo doveva aspettarsi una cosa simile, anzi, doveva pensarci prima e sfondare quell'ennesima barriera di timidezza da molto tempo. Ora si sente la gola secca, ma è una richiesta del suo ragazzo e non vuole deluderlo.

Ichigo la guarda speranzoso. Alza il capo e issandosi sui gomiti si siede accanto a lei, stringendole la mano. Lui non parla, ma i suoi occhi la supplicano.

« Anche solo per una volta. » continua lui. « Ormai mi chiamano tutti così... voglio sentirlo dalla tua voce. Solo per oggi, poi non ti scoccio più. »

Quella frase le fa male. “Poi non ti scoccio più”. Ma lui non la stressa affatto, anzi. Lui la fa sentire importante, è magnifico nei suoi confronti. Come gli salta in mente di dire una frase del genere? Anzi, avrebbe tutto il diritto di pretendere qualcosa da lei, può chiederle quello che vuole.

Orihime si rende conto solo ora che il suo rapporto con Ichigo è qualcosa di più profondo di quanto si aspettava. Sono stati amici per tanto tempo, ora sono insieme, hanno raggiunto una confidenza tale che dovrebbe sentirsi obbligata a chiamarlo per nome. Non c'è niente di male, eppure le sembra difficile. Le sembra irrispettoso nei confronti dell'uomo che la protegge da qualunque pericolo, è come mettersi sul suo stesso piano, quando lui è ben più importante.

Però lui, al contrario, non si fa scrupoli a chiamarla per nome.

« Orihime...? »

Lo trova irresistibile. La chiama con dolcezza. È una persona meravigliosa, e ogni giorno glielo conferma. Deve farcela, per lui.

« C-certo... se è questo ciò che vuoi... » abbassa di poco lo sguardo, tirando giù un bel magone.

« I... Ic... I... »

Lui sorride comprensivo. « Non è difficile. I-chi-go. Fa ridere, no? Pensa... pensa ad altro mentre lo dici. Invece della mia faccia vedi una... una fragola gigante, okay? »

L'immaginazione di Orihime è pericolosa, per certi versi. Non si dovrebbe darle l'ispirazione, altrimenti è in grado di catapultarsi in un universo parallelo da cui è difficile uscirne. Però Ichigo le ha dato l'idea, e la ragazza vede già al posto di una chioma arancione una fragola grande quanto la sua testa, di un bel rosso vivace. Soffoca a stento una risata e svia lo sguardo, per poi scoppiare a ridere.

« Ma che paragoni fai, Ichigo?! » si blocca di colpo. Che ha detto?

Il ragazzo sorride. « Visto? Non è difficile. Prova di nuovo. » in effetti l'ha detto così velocemente che non si è potuto godere l'attimo, la sua voce che finalmente lo chiama col suo nome.

La ragazza arrossisce, incredula di ciò che ha fatto. Tuttavia lui non si mostra deluso, né arrabbiato, anzi, le stringe le mani e sorride. Sembra felice. Davvero le concede il diritto di chiamarlo in quel modo? In quel modo così dolce e buono come la fragola?

Ripensa a come è scritto il suo nome. “Colui che protegge”. Niente di più azzeccato. Ora, al posto della fragola, vede lui, splendido come lo ha sempre visto. Splendido come l'uomo che l'ha sempre protetta.

« Ichi... go... I... chigo... » sospira, facendosi forza. « Ichigo... »

Orihime ha una bella voce. Così chiara e cristallina che il suo nome, detto da lei, sembra qualcosa di diverso. Non è come essere chiamato da Chad o da Tatsuki, non è neanche lontanamente paragonabile. È Orihime che lo chiama. Ed è bello farsi chiamare da lei.

« Grazie per il regalo, Orihime... »

Non pretende che lo chiami così tutti i giorni. Lui si accontenta davvero del suo compleanno. La voce di Orihime è delicata, non vorrebbe che a forza di chiamarlo si rovini.

Ora è solo in camera, la ragazza è tornata a casa.
Fissa la radio che gli è stata regalata. Cavolo, solo adesso ci pensa. Avrebbe potuto registrare la voce di Orihime che lo chiama e ascoltarla giorno e notte, ogni volta, per sentirsi l'eroe che vorrebbe essere per lei.

Ichigo... dopotutto non fa così schifo come nome.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Nei giardini che nessuno sa - Sweet like this pink; [ByaHisa] ***


Author's note; ma quanto ci ho messo per scrivere questa one shot?! D: Davvero, è stato difficilissimo! E non sono neanche sicura fino in fondo del lavoro fatto... man mano che proseguo la raccolta, il lavoro diventa più arduo... ma ce l'ho messa tutta, spero vivamente che vi piaccia.
Il pairing di questa volta è una canon:
ByaHisa. Volevo da tempo parlare di questi due che non hanno per niente avuto vita facile. Mettono una tristezza, ma sono così belli insieme... e niente, ho provato a descrivere il loro giorno prima del fatidico sì. È stato abbastanza strano perché loro sono così formali, si danno addirittura del voi e sono pieni di riguardi! Poi è la nobiltà, mica una bazzecola. Spero di essere riuscita a renderla bene...
In realtà dubito che ai tempi del matrimonio di Byakuya la radio esistesse, ma quando si descrive il mondo della Soul Society e non un AU tutto diventa più difficile. E poi, Shinji si ascoltava il jazz quando come genere neanche esisteva, posso prendermi anch'io delle libertà, no? *-*
La canzone scelta è di Renato Zero. Quell'uomo è un genio, e alcuni dei suoi testi li associo con tranquillità alla ByaHisa. Perché c'è poesia... non so se mi spiego. xD
Oh, bè. Ecco qui, dunque. Ringrazio tutti coloro che su facebook mi hanno segnalato dei pairing su cui scribacchiare. Vedrete che con un lavoro più accurato riuscirò a scrivere qualcosa anche su di loro! *-*
Ringrazio
Akisan per aver inserito la fan fiction tra le preferite e per avermi aggiunto tra gli autori preferiti, e Kia_chan_93 per aver inserito la raccolta tra le preferite! Buona lettura, gente, alla prossima!

[ByaHisa] [Canon] [Het] [Missing moments]



Nei giardini che nessuno sa


Ti darei gli occhi miei per vedere ciò che non vedi,
l'energia, l'allegria per strapparti ancora sorrisi,
dirti sì, sempre sì, e riuscire a farti volare,
dove vuoi, come sai, senza più quel peso sul cuore,
nasconderti le nuvole, quell'inverno che ti fa male,
curarti le ferite e poi qualche dente in più per mangiare,
e poi vederti ridere, e poi vederti correre ancora.
[ Nei giardini che nessuno sa – Renato Zero ]



Per Byakuya il risveglio è sempre improvviso. Non riesce a dormire con serenità.

Si è sempre impegnato al massimo per divenire quel capofamiglia che il nonno e il padre si aspettano che sia. Fin da piccolo non ha visto che doveri nella sua vita. Il dovere di avere un contegno, l'obbligo di far rispettare il suo casato, uno dei più importanti. L'onere di diventare sempre più forte, perché i Kuchiki non hanno nulla da invidiare a nessuno, anzi, devono essere un esempio per tutta la Soul Society.

Ora si sono accavallati altri impegni per Byakuya. Si è preso l'impegno di prendersi cura della donna che dorme nella stanza accanto. Di amarla e proteggerla, e soprattutto rispettarla.

È stato difficile all'inizio. È un nobile, Byakuya, e non uno qualunque. Il cognome Kuchiki a prima vista è comodo, ma deve mantenere un contegno. Non vuole cadere nell'errore fatale degli Shihoin, che hanno gettato il proprio orgoglio di aristocratici al vento per i propri interessi.

Ora Byakuya sta mettendo a rischio la credibilità del casato, per amore. Se si fosse trattato di una nobile come lui, forse la sua famiglia non avrebbe sollevato polemiche.

Ma Hisana è una popolana. Non scorre sangue blu nelle sue vene. Anzi, è sporca e squattrinata, per quanto bella e graziosa possa essere. Non è nobile, e non può permettersi nemmeno di avvicinarsi a dei nobili come loro.

Però Byakuya ne è innamorato. Vuole farne la sua sposa. La ama, e di fronte a Hisana dimentica completamente la differenza tra classi sociali. Perché Hisana è nobile dentro, e anche se indossa vesti di seconda, terza, anche quarta mano, li porta con grazia e semplicità. È una donna che sa come comportarsi in ogni situazione, si ambienterà bene a palazzo. Ha tutte le qualità per stare al suo fianco.

« Un Kuchiki che sposa una popolana? Non è ammissibile! » con queste parole si sono opposti al suo amore. « Anni di sforzi per diventare il capofamiglia splendido e potente che hai sempre sognato... per una donna! E non proviene nemmeno da un distretto civile! È un avvoltoio, Byakuya, una persona intelligente come te dovrebbe avere l'accortezza di rendersi conto che le popolane non sposano mai i nobili per amore! Ci manderà alla rovina! Non ti importa della tua famiglia?! »

Byakuya ha dei doveri, e intende rispettarli. Ma vuole anche prendersi la libertà di scegliere qualcuno con cui alleggerire il peso sulle spalle e proseguire il cammino insieme. Si è innamorato, il nobile futuro capo dei Kuchiki. Nemmeno la più prestigiosa delle famiglie riesce a resistere a un potere così immenso, ora se ne rende conto.

Per questo si è sforzato. Ha cercato di far accogliere Hisana in famiglia. Sembra che le cose siano andate come sperate. La sua futura moglie ha fatto uno splendido lavoro, sa stare al suo posto, non manca di rispetto a nessuno, ha imparato molto bene come ci si comporta a palazzo Kuchiki e ignora col sorriso le cattiverie che le vengono dette alle spalle.

« Finché voi riponete fiducia in me, non ho bisogno di prestare importanza ad altre opinioni, nobile Byakuya. » così dice spesso Hisana, tendendogli la mano. Ha la carnagione molto chiara, ha un temperamento tranquillo, ma le sue mani trasmettono un calore piacevole, comparabile al sole primaverile che si alza al mattino presto.

Così è deciso, Byakuya Kuchiki si sposerà con Hisana. Domani è il gran giorno, tutta la nobiltà è stata invitata. In realtà il futuro capofamiglia sperava in una cosa più riservata, ma la nobiltà è anche questo. Non è il matrimonio di chiunque, tutti devono assistere.

Hisana sicuramente è nervosa ma non lo dà a vedere. Sorride, come fa sempre.

Però, forse, in questo momento nell'altra stanza non sorride. Forse si sente sola... come lui.

Non possono ancora dormire insieme. Sono le regole, i futuri sposi non possono dormire nello stesso letto finché non avranno pronunciato il fatidico “sì”.

Un altro peso sulle spalle del giovane Kuchiki. Non sente altro che pesi, e non riesce a trovare un posto dove riposarsi, se non nel cuore, dove c'è anche Hisana. Il pensiero che da domani la potrà finalmente presentare come “sua moglie” lo rasserena, ma non del tutto. È preoccupato per lei, perché sa meglio di chiunque altro quanto sia difficile condurre una vita da perfetto aristocratico, e vuole per la donna che ama solo il meglio. Non vuole pressioni su di lui, quindi è pronto a farsi carico anche dei suoi pesi, onde evitare che il suo corpo gracile ne risenta. Non ha importanza se le sue spalle sono deboli. Il capofamiglia ha l'obbligo di portare avanti con orgoglio qualunque avversità, superandola con classe.

Byakuya non vede l'ora che sia domani. Finalmente si sposa. Come un nobile che si rispetti, tenta di mantenere il contegno. Inoltre, sinceramente parlando, non vuole fare la figura dell'inetto di fronte alla sua futura sposa.

Si alza, si veste velocemente e si dirige nella sala da pranzo, trovando la tavola ancora vuota. Gli annunciano che Hisana si è svegliata ma ha preferito rimandare la colazione. Voleva prendere aria fresca. Gli dicono che è andata ad ammirare i pruni in fiore, visto che è stagione.

Lo shinigami la raggiunge, dubbioso. Hisana di solito non salta la colazione, rispetta con zelo le regole di casa Kuchiki e, anzi, spesso è la prima a sedersi a tavola. È evidente che sia nervosa per il gran giorno, ormai imminente. Ha bisogno dell'appoggio del suo futuro sposo.

La trova inginocchiata sul pavimento in legno tirato a lucido dalla servitù. Indossa l'haori rosa ornato con fiori di ren. Un regalo di Byakuya che custodisce con amore e indossa in quasi ogni occasione. Su di lei ha un buon profumo, non è semplice stoffa. È un odore che nemmeno la più nobile delle principesse ha. Incanta il futuro capofamiglia, la figura di quell'esile donna è un'incantatrice. Come la musica che sta ascoltando. L'uomo però non riesce a capire da dove provenga. Si avvicina, con un tenue sorriso.

« Oh! Buongiorno, nobile Byakuya. » la donna sorride, arrossando di poco le guance perennemente pallide.

« Buongiorno. » si inginocchia accanto a lei, ammirando gli alberi colorati di un tenue rosa. « Ho saputo che non avete fatto colazione. Qualcosa vi turba, Hisana? »

« Nulla, davvero. È solo che... quando mi sono svegliata sono rimasta affascinata da questo splendido colore. E ho trovato un regalo nelle mie stanze. Sentite questa musica? »

Byakuya si volta verso la porta aperta, che dà alla camera da letto della futura consorte. C'è un oggetto strano, molto particolare, posto sul mobile di fronte al letto. Sembra una scatola su cui è posato un oggetto sottile e a cerchio, che gira ininterrottamente facendosi grattare da un bastone ricurvo. La melodia fuoriesce da uno strano corno, troppo enorme perché quella scatola possa sorreggerne il peso.

« Cos'è mai quel curioso oggetto? » chiese lui con aria incuriosita.

« L'ha realizzato il nobile capitano Kurotsuchi con la preziosa collaborazione del dipartimento ricerca e sviluppo. Può riprodurre i suoni, dopo averli registrati con un altro apparecchio. Ha detto di essersi basato su alcuni prototipi visti nel mondo terreno qualche tempo fa, e in vista delle nozze ha voluto regalarmi il primo modello. È stato molto gentile, appena mi sarà possibile andrò a ringraziarlo di persona. »

Byakuya sospira lievemente, mostrandosi calmo. « Mayuri Kurotsuchi è smanioso di esporre le sue invenzioni a chicchessia. Ha solo trovato il pretesto del nostro matrimonio per mostrare a tutti il frutto della sua “genialità”, come la chiama lui. Ammetto però che è stata una cortesia che difficilmente gli avrei attribuito. Domani, dopo le nozze, lo ringrazierò. »

« Già, domani... » Hisana sorrise, ma non è lo stesso di prima, serafico. È nostalgico. « Non mi sembra ancora vero, nobile Byakuya... vi ricordate il nostro primo incontro? »

« Come potrei dimenticarlo? » fu la risposta. « Se quel giorno non ci fossimo incontrati, io... non so se sarei diventato l'uomo che sono oggi. »

« Voi mi attribuite meriti che non mi appartengono... ma non posso negare che ciò mi riempie di gioia. Io mi auguro... dal profondo del cuore... che i giorni che trascorreremo insieme saranno fonte di sollievo per voi. Io sono cagionevole di salute e, come se non bastasse, sono una popolana di Rukongai. Mi rendo perfettamente conto di non essere la donna che meritate, ma... »

Byakuya posa una mano su quella bianca e piccolina della donna, stringendola lievemente. Le accenna un sorriso. « Non vi sminuite così. Voi avete una nobiltà ben diversa da quelle di tutti i casati. Presto lo potranno vedere tutti, potranno ammirare la donna meravigliosa che condividerà con me la vita. Non dovete sminuirvi, Hisana. Voi siete delicata quanto i fiori di pruni che fioriscono adesso. Guardate. » indica con tranquillità l'albero di fronte a loro, rimane in silenzio, lasciando che le note leggiadre, adatte a quella mattinata, si insinuino nelle loro orecchie, trasmesse da quello strano apparecchio frutto della mente tanto brillante quanto distorta del capitano della dodicesima compagnia.

« Che incantevole visione... tutti ammirano questi colori, questi fiori. E vedrete che tutti vi ammireranno allo stesso modo. Come io ammiro voi, Hisana. »

La donna arrossisce ancora. Lei ama intensamente l'uomo che siede accanto a lei, ma non si sente degna. Per quanto possa vivere secondo gli usi e i costumi della nobiltà, lei non è aristocratica. Viene da uno dei quartieri più malfamati, viene dal peggio del peggio, dove adulti e bambini non esitano a farsi guerra per un po' di pane o dell'acqua, anche sporca. Proprio da uno di quei distretti Hisana ha lasciato dietro di sé una colpa che non le dà pace. Nemmeno in quei giorni che dovrebbero farla felice.

« Siete quanto più di meraviglioso avessi potuto sperare, nobile Byakuya... mi impegnerò a fondo per continuare a essere quella donna che ammirate, e potervi accompagnare nel percorso della vita con dignità. »

Byakuya però è un uomo attento. Non gli sfuggono certi particolari, soprattutto le espressioni della sua futura moglie, della donna che ama.

« Dalla vostra espressione intuisco che non siete del tutto tranquilla. Cosa vi tormenta, Hisana? »

« Domani sarà un giorno lieto per noi... eppure... sento un vuoto dentro di me. Che lacera il mio cuore già debole... è ciò che chiamano “senso di colpa”, una colpa di cui non mi libererò nemmeno dopo la morte. »

Sa di cosa parla. È stata una delle prime confidenze che Hisana gli ha fatto, e in parte, è ciò che gli ha permesso di capire che è una donna eccezionale.

« Vi riferite a vostra sorella? » Byakuya aumenta la presa attorno alla sua mano, cercando di trasmettergli tranquillità e sicurezza. « Stiamo facendo il possibile, la troveremo sicuramente. Mi rincresce non essere riuscito a trovarla prima di oggi... »

« Voi non avete colpa, nobile Byakuya. Se solo fossi stata più forte... non l'avrei mai abbandonata quando era ancora in fasce. Vorrei che fosse qui anche lei, a gioire con me per la splendida unione che ci attende. Però, forse... è inutile... forse è morta da tempo... per colpa mia ha dovuto affrontare da sola tutte quelle avversità... »

« Non è stata colpa vostra. » insiste lui. Per come la vede, non riesce ad attribuirle nessuna colpa, ma non si azzarda a sbilanciarsi più di tanto con le opinioni personali. Lui è un nobile, non può capire fino in fondo i sentimenti di persone come Hisana. Può solo lontanamente immaginare quanto sia stata dura sopravvivere, e non riesce proprio a fargliene una colpa per aver abbandonato la sorella.

« Sono sicuro che sia ancora viva. Se ha ereditato la vostra forza d'animo, posso stare sicuro che sia ancora tra noi. Probabilmente in questo momento sta giocando da qualche parte... e domani sentirà del nostro matrimonio. Saprà che ci siamo sposati per amore, e gioirà con noi. E quando la troveremo, la accoglieremo immediatamente, così che possa avere anche lei la vita splendida che merita. »

Hisana sorride. « Vi ringrazio infinitamente, nobile Byakuya... » si avvicina di poco, con cautela, eludendo la distanza e posando le labbra sulle guance dello shinigami, provocando in lui un brivido. È cagionevole di salute, ma non manca mai di dedicargli quelle attenzioni di cui ha bisogno, che gli permettono di affrontare i propri doveri a testa alta.

Domani si sposano. Cercheranno di andare avanti insieme, condividendo tutto, anche il senso di colpa che attanaglia la sua futura moglie.

Byakuya non sa niente di questa sorella, sa solo che si chiama Rukia. È ansioso di conoscerla, l'ha più volte immaginata. Forse somiglia alla sorella in tutto e per tutto, forse è più ribelle, o più timida. Magari anche lei ama il rosa che circonda casa Kuchiki, o ama ascoltare la musica che esce da quell'oggetto così strano.

« A proposito, Hisana... » chiede Byakuya tornando ad osservare quello strano marchingegno. « Quel curioso regalo ha un nome? »

« Il nobile capitano Kurotsuchi ha detto che gli esseri umani la chiamano radio. In realtà usano dei termini assai curiosi, ma questo è il più diffuso. »

Radio. È un nome davvero strano. Byakuya ha l'impressione che non renda giustizia alla dolce musica che produce. Non rende giustizia alla figura esile e aggraziata della sua futura moglie.

Ma del resto non ha importanza. Ama talmente tanto Hisana che è pronto a sopportare un altro peso. Quello di chiamare un oggetto così bello in una maniera così... sgraziata.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** She's a rebel - Your name is catchy [GrimmTatsu]; ***


Author's note; e rieccomi qua, gente! Sono tornata! È da un po' che non ci vediamo, eh? Mi sa più di una settimana... dannato blocco dello scrittore! L'estate mi fonde il cervello, anche se qui tira un'arietta fredda niente male. Oh, bè, bando alle ciance. Ecco una nuova one shot con un crack pairing coi fiocchi in ambito AU: GrimmTatsu. Eh? Cosa? La Neme è fusa? Bè, sì, quello si sapeva. Però ecco, coi crack pairing ci vado a braccetto, adoro Grimmjow, adoro Tatsuki, e grazie ai salotti al limite dell'assurdo -e dell'indecenza, coff coff- che faccio con le mitiche Angy e Megamiko, questo crack ha preso sempre più sostanza. Insomma, Grimmjow ha un carattere che è tutto fuorché calmo e razionale, e Tatsuki... non è da meno. Ecco, l'espada ha trovato pane per i proprio denti. E quindi niente, mi piacciono e leggendo con attenzione il testo della canzone dei Green day che ho scelto per questa one shot, mi sono convinta che sia una specie di “inno” della GrimmTatsu. Cioè, diciamo che la mia mente deviata ne ha fatto l'inno. È che vedete, l'ho trovata fin troppo azzeccata per loro due, vedete... no, vabbè, basta. Sto rompendo decisamente troppo con 'sti monologhi, poi vi stufate a leggere. Quindi vi lascio alla lettura. Spero che vi piaccia nonostante il pairing un po' “assurdo”! Ma i crack sono anche questo, d'altronde, ecco perché mi piacciono.
Questa one shot è un po' strana. È stato difficilissimo scriverla e sono stata incerta fino all'ultimo sul pubblicarla. Però ci tenevo a pubblicare qualcosa di scandalosamente crack... e dopo innumerevoli correzioni, ecco qua. Spero di aver fatto un buon lavoro. Inoltre è scritta dal punto di vista di Tatsuki, personaggio che mi piace molto, e ho voluto provare a immaginare come si senta lei ad essere apprezzata per il suo essere donna, nonostante il modo di fare da maschiaccio. Perché alla fine lei è una donna, è stupenda così com'è e non ha nulla da invidiare alle altre, anche se stende i ragazzi in un secondo, no? Ecco, così l'ho messa in una situazione un po' strana, un po' banale, un po' sconclusionata, un po' col finale che dice tutto e niente. Da un Grimmjow che, come al solito, fa un po' tanto il coglione. Ma che ci vogliamo fare, lui è così...
Leggendo il terzo volume, la scheda di Tatsuki, Kubo lascia detto che alla ragazza non piacciono gli ideogrammi del suo nome, così ho approfittato di questo particolare per esaltare la sua femminilità. Spero comunque che, nel complesso, la one shot vi piaccia, e non preoccupatevi, sono già al lavoro per i prossimi pairing! (mamma mia, che nota lunga...)

Ah, stavolta al posto della vecchia radio ci sono... lettori mp3, vecchi e nuovi. Dato che le scene in cui i due si incontrano sono in pieno movimento non ho potuto fare altrimenti, vogliate perdonarmi.

[GrimmTatsu] [AU] [Fluff] [Slices of life]




She's a rebel



Lei è una ribelle, lei è una santa,
lei è il sale della vita ed è pericolosa.
Lei è una ribelle, una vigilante,
l'anello mancante sull'orlo della distruzione.
Lei sta sognando quel che sto pensando,
è la madre di tutte le bombe che stanno per esplodere.
Lei è nei guai, come lo sono io,
è un doppio scherzo del destino di questa melodia.
[ She's a rebel – Green day ]



La sveglia non ha suonato e Tatsuki è mostruosamente in ritardo. Non ha tempo da sprecare per insultare qualcuno, né di darsi della cretina, pertanto si precipita fuori dal letto e fila a prepararsi. È una fortuna che le scuole impongano di indossare le divise scolastiche, così non deve stare ore a decidere cosa mettersi di prima mattina.

Già, anche se non si direbbe, Tatsuki è una ragazza. Non le piacciono le gonne, preferisce i pantaloncini corti, non pratica uno sport femminile come la danza o la ginnastica ritmica, fa karate da quando aveva quattro anni. Preferisce le sale giochi o i cinema ai ritrovi in un locale chic ed esclusivo, preferisce un taglio corto e spettinato a un'acconciatura graziosa come quella della sua migliore amica Orihime. Spesso la scambiano per un uomo. Ma Tatsuki la sua femminilità la vive a modo suo, non le importa di cosa ne pensino gli altri. E comunque ora è in ritardo, non può permettersi certi pensieri.

Il fisico ben allenato grazie al karate le permettono di correre freneticamente senza stancarsi dopo due minuti. Forse riesce a prendere il treno per un pelo. Con questa speranza Tatsuki aumenta la velocità, portandosi la borsa sulla spalla per non avere impacci. Si sistema le cuffie del suo lettore mp3, onde evitare fili penzolanti mentre corre a perdifiato. Svolta diverse curve, senza guardare in faccia nessuno. Proprio questa disattenzione la porta a scontrarsi con qualcuno.

« Ma sì, dai! Tanto mi va già abbastanza di merda! » pensa lei a denti stretti. Il suo compagno di sventura sembra anche più furioso, ha dato una bella botta al sedere e la sua borsa è caduta a terra, come quella di Tatsuki, e si è creata una gran confusione di quaderni e penne. E di lettori mp3. Si differenziano solo per il colore, quindi Tatsuki riesce a riconoscere il suo. Cazzo, nella caduta si è un po' graffiato. Anche se quello del tizio con cui si è scontrata non sembra stare tanto meglio. È addirittura imballato con lo scotch. Povero aggeggio, chissà quante gliene ha fatte passare. Anzi, è straordinario che funzioni ancora, dopo tutti quei graffi.

« E fa' più attenzione quando corri, ragazzina! » le urla contro. E certo, ora è colpa di Tatsuki, no? Tanto per cominciare poteva stare attento lui.

La studentessa si alza in piedi frettolosamente sibilando qualche parola di scuse, giusto per non sembrare maleducata, mentre all'altro non importa nulla delle cortesie. Raccoglie le sue cose e si sistema alla buona i capelli tinti di un azzurro cielo, passandoci una mano sopra.

« Come se non fossi già abbastanza in ritardo... cazzo! » ha una voce roca e possente, che ringhia al vento ogni imprecazione che gli passa per la testa.

« E ti lamenti tu? » dice Tatsuki, sentendosi punta sul vivo. « Grazie a te ho perso il treno! »

« “Grazie a te”?! Certo che hai una bella faccia tosta! Sbuchi dagli angoli come una furia e pretendi pure di avere ragione?! »

« Cos...?! guarda che anche tu correvi come un pazzo! »

« Scusami tanto se sono in ritardo! » grida con forza il ragazzo, sovrastandola con la sua corporatura robusta e ben più alta. A occhio e croce i due hanno circa trenta centimetri di differenza, ma a Tatsuki non gliene importa un fico secco. Ha steso gente ben più enorme di questo tizio, sa cavarsela benissimo.

« Anche io sono in ritardo, idiota! » con queste grida la ragazza gli dà una spinta, decidendo di chiudere lì una litigata che neanche i bambini dell'asilo si permettono più, facendole perdere inutilmente tempo.

L'altro la guarda furibondo. Nessuna si era mai sognata di trattarlo in quel modo. Adesso arrivava una mocciosa qualunque a spintonarlo e sgridarlo. Ha una voglia irrefrenabile di fermarla e farle una ramanzina di quelle che si ricordano per tutta la vita, ma vedendola allontanarsi di corsa si ricorda del perché di tanto trambusto. È in ritardo. Mostruosamente in ritardo.

Si volta, senza salutarla o insultarla, e riprende la sua strada, correndo a perdifiato e sperando di non dover mai più avere la sfortuna di fare un incontro ravvicinato come quello.

Anche Tatsuki lo spera vivamente. Col cavolo che si faceva mettere i piedi in testa da un uomo, lei, ci voleva ben altro. Riusciva a mettere k.o. Un energumeno come Oshima della sua classe, per non parlare di come sconfiggeva in un nanosecondo il suo amico d'infanzia Ichigo. Che pure lui quella mattina non aveva niente di meglio da fare che chiederle che fine avesse fatto, notando il suo ritardo di due ore.

« Chiudi il becco! » sbotta lei, sedendosi al proprio posto. « Non è giornata! »

« Ah, e quand'è giornata per te, scusa? » fa di rimando l'amico, inarcando un sopracciglio. Gli basta però uno sguardo più che eloquente da parte della ragazza per metterlo a tacere, offendersi e pensare ai fatti proprio.

Tatsuki certe volte è impossibile. Per un motivo o per un altro si ficca in un guaio dopo l'altro, spesso finendo coinvolta in qualche rissa. Che sia per difendere la sua migliore amica, o perché qualcuno la infastidisce con cose di poco conto, qualche graffio lo riceve sempre, ma ricambia con gli interessi. Per questo motivo a scuola la ritengono un maschiaccio, nonostante indossi l'uniforme femminile. Pensano che sia un demone, che non abbia nessuna grazia, che non sia una vera donna, senza curve né comportamenti meritevoli di una signorina. Tatsuki è stufa di queste dicerie, cerca di non dargli importanza ma è stufa. Lei è una donna. È diversa da Orihime, questo non lo mette in dubbio, ma è una ragazza. Anche a lei piace fare shopping, ogni tanto. Anche lei ha avuto le sue prime cotte per un ragazzo, anche lei è in grado di fare discorsi tipicamente femminili. Solo che sa farsi rispettare a suon di pugni, se necessario, e questo ai ragazzi non piace. Non vogliono competere con una donna, quindi la snobbano e la evitano.

O la prendono a insulti come il tipo con cui si è scontrata.

Ripensarci la innervosisce. Decide di andare al bar della scuola, comprarsi un succo di frutta e dimenticare l'accaduto. Ma c'è un imprevisto: non trova il portafogli. Lo aveva sicuramente portato, se lo ricorda benissimo, è la prima cosa che mette nella cartella. Ma non c'è.

« Non ditemelo, non ditemelo, non ditemelo... » è inutile ripeterselo, l'amara verità è che il portafogli non c'è. E lei sa anche dove si trovi. Quantomeno con chi.

« Dio, no... deve averlo preso per sbaglio nella confusione... e io come faccio? Non so niente di lui! Non so il suo nome, né che scuola frequenti... cazzo! Vediamo, pensiamo... l'uniforme della sua scuola mi è familiare, però... »

È decisamente una giornata no per Tatsuki. È arrivata in ritardo a scuola, ha litigato con un perfetto sconosciuto e ha perso il treno anche al ritorno perché, non avendo il portafogli, non ha neanche l'abbonamento del treno con sé. Non può andare neanche ad un distributore automatico, non ha neanche un centesimo. Unica consolazione il suo lettore mp3, che nonostante la caduta nello scontro funziona ancora a meraviglia, trasmettendole nelle orecchie la musica che preferisce.

Vuole solo mettersi a dormire e non pensare più a nulla.

Il caso però vuole che, se una giornata inizia male, deve finire altrettanto male, se non peggio. Ed è di fronte alla porta di casa che la ragazza si vede una sorpresa del tutto inaspettata e anche sgradita. C'è di nuovo quel ragazzo, anche lui sta ascoltando la musica con quell'aggeggio che sembra vecchissimo e superstite di migliaia di attentati ai suoi circuiti. Non appena si accorge di lei, gli fa un sorriso, come se non fosse arrabbiato con lei, spegne il lettore e lo ripone in borsa.

« Che cosa vuoi? » chiede lei con un tono a dir poco funereo. Quel tipo ha proprio sbagliato persona cui andare a rompere le scatole.

« Giornata nera? »

« Secondo te? »

« Tanto meglio. » è la risposta. Come “tanto meglio”? Vuole le botte, vuole morire, decisamente se le cerca, questo pensa Tatsuki. Eppure lui continua a sorridere, estrae qualcosa dalla tasca tutto contento e glielo porge. Il suo portafogli.

« Allora ce l'avevi tu! » esclama lei profondamente commossa.

« L'ho preso per sbaglio nella confusione. Solo che me ne sono accorto a scuola e non avevo idea di come ridartelo, così ci ho frugato dentro e ho visto la tua carta d'identità. Ho letto l'indirizzo e sono venuto qua, però non rispondeva nessuno, così ti ho aspettato. Per circa... » estrae dalla stessa tasca il cellulare, guardandolo di sfuggita. « … due ore. »

« Tu hai fatto... cosa?! » subito controlla ogni cosa, ogni tasca, ogni centimetro del suo portafogli.

Il ragazzo sbuffa, seriamente offeso, e incrocia le braccia. « Non ti ho rubato niente! Figurati se perdo tempo in queste cazzate. »

« Però il mio documento l'hai guardato volentieri, eh! »

« Se no come facevo a rintracciarti, genio?! Cazzo, che modo di ringraziare qualcuno che ti ha aspettata due ore per ridarti un portafogli! Che con quello che è successo stamattina, avevo tutte le ragioni per tenermelo! »

Tatsuki spalanca gli occhi, incredula di ciò che sta ascoltando. Ha una faccia tosta non indifferente. Ha una faccia da schiaffi.

« Ti ricordo che sei tu che mi sei venuto addosso! »

« Cosa?! E che interesse avrei ad andare addosso a una che evidentemente ha seri problemi di socializzazione?! »

« C-che cosa c'entra questo?! E poi tu non sei da meno! »

L'altro, al limite del nervosismo, l'afferra per le guance e gliele tira, con un sorriso sadico stampato in viso.

« Sto aspettando che tu mi ringrazi e che ti scusi per questo comportamento da isterica! Su, un bel sorriso! Ripeti dopo di me! G, r, a, z, i, e. »

La ragazza resta lì per lì interdetta. Le guance le fanno male, lui sta tirando decisamente troppo. E comunque, anche il solo fatto che si permette di toccarla non le va affatto giù. Porta la mano davanti al viso di lui e tenta di dargli uno schiaffo, ma il massimo che riesce a fare è spintonarlo via.

Quel gesto costringe il ragazzo a spalancare gli occhi, e vedendoli illuminati dal lampione, Tatsuki riesce a distinguerli bene. Sono dello stesso colore dei capelli, a detta della ragazza addirittura più accessi. Sono sottili e allungati. Non ha mai visto degli occhi del genere, stenta a credere che vendano lenti a contatto simili. Forse ha origini straniere.

Sono dei begli occhi, lo deve ammettere.

« Che razza di tipa... » mormora il ragazzo.

La ragazza ha cambiato espressione, ora sembra dispiaciuta. Ha un po'... sì, ha esagerato.

« Mi... mi dispiace... » dice a bassa voce, vergognandosi di sé stessa. « Non avrei dovuto colpirti in faccia... »

Lui la guarda di sottecchi. Da una parte vorrebbe risparmiarle quella madornale figura, ma la soddisfazione di vederla così mortificata è troppo stuzzicante per i suoi gusti. E lui alle tentazioni non riesce a resistere.

« E poi? » chiede con un tono falsamente severo, a braccia conserte. Si appoggia allo stipite della porta, come fosse casa sua.

« … e mi dispiace anche per stamattina. » continua lei, stavolta guardandolo in faccia.

« Mh. E poi? »

Tatsuki sospira. « E grazie mille per avermi restituito il portafogli... »

Sorride nuovamente lui, pienamente soddisfatto. Fa spallucce, ridacchiando. « Scuse accettate. È stato un piacere riportarti il portafogli. »

Quella frase sembrava una presa in giro. Ma Tatsuki non ha più voglia di discutere. È stanca, vorrebbe solo mangiare e dormire. Così si volta verso la porta e fa per inserire le chiavi nella toppa, quando si sente bloccare la mano. Si rende conto in quel momento che ha incontrato un ragazzo stranissimo, unico nel suo genere. Le afferra la mano e la sposta dalla maniglia, con noncuranza.

« Vuoi andare già via? » le chiede con lo stesso tono roco che le ha rivolto la mattina, solo che non grida, è bassa e sembra si stia sforzando di essere amichevole. Anche se a detta della ragazza è provocante. « Tanto mi sa che a casa tua adesso non c'è nessuno, no? E starai morendo di fame, immagino. Ti offro la cena. »

« Eh...? » la ragazza non crede alle proprie orecchie. Cosa credeva, che si metteva a uscire con un perfetto sconosciuto solo perché le aveva fatto una cortesia? Oltretutto indossava ancora la divisa e non aveva per niente voglia di cambiarsi o gironzolare da qualche altra parte.

« No, senti... sono stanca e voglio riposarmi. » cerca di essere più gentile possibile, ma lui taglia corto.

« Anche mangiare fa parte del riposo. Guarda che non sono un maniaco. »

« Ah, tanto se lo fossi ti stenderei in men che non si dica. »

Lui sghignazza davvero divertito. « Oh oooh, sei una ribelle, eh? Allora lo devo prendere come un sì? »

« Non puoi semplicemente prendere la frase “sono stanca” per quello che è, e cioè che sono davvero stanca? »

« Ma io la vedo per quello che è, e cioè che tu sei solo una ribelle che sta facendo la preziosa per non so quale motivo. »

« Tanto per cominciare non so nulla di te. »

Il ragazzo le porse la mano con fare risoluto. « Mi chiamo Grimmjow, frequento l'ultimo anno delle superiori e voglio offrirti da mangiare. Tu invece chi sei? »

« Non hai letto il mio nome sul documento? »

« Non so leggere gli ideogrammi. »

« … mi chiamo Tatsuki. »

« Tatsuki...? È un bel nome. Però sarebbe ancora più bello scritto in hiragana. »

La ragazza gli rivolge un'occhiata sorpresa. Pensava di essere l'unica a pensare una cosa del genere. In verità, gli ideogrammi del suo nome non le sono mai piaciuti, per cui scrive sempre il suo nome in hiragana. A parte sul documento, ma lì per forza di cose lo scrivono con gli ideogrammi.

Ecco, ora quel Grimmjow la guarda divertito, come se la sua reazione lo divertisse. Sembra che si aspettasse una faccia come quella di Tatsuki in quell'istante. E questo alla ragazza non piace. Odia quando qualcuno crede di conoscerla a fondo, specie uno che non sa leggere gli ideogrammi.

« Anch'io penso che sia più carino in hiragana. » dice alla fine, tornando a fissare la porta.

« Lo so. È più femminile. È molto più adatto a una ribelle come te. »

« La smetti di darmi della ribelle? Non mi conosci neanche! »

« Classica risposta da ribelle. » conclude lui con un sorriso eloquente. « E poi, non ti devi mica offendere. È un complimento. Non ce ne sono molte di donne divertenti come te. »

Tatsuki torna a fissare quel paio di occhi azzurri. Sono strani, ma davvero strani. La fissano come se volessero cacciarle fuori un “sì” con la forza. Cosa vogliano esattamente da lei non sa dirlo, ma l'espressione che hanno assunto nel formulare quell'ultima frase è fin troppo seria. È seriamente convinto di ciò che sta dicendo. E questo un po' la imbarazza, perché per la prima volta un ragazzo sembra apprezzarla come donna. Ecco, Tatsuki si sente donna al fianco di un uomo. È una sensazione strana. Tutta quella situazione è strana. Sente dei brividi lungo le braccia e la schiena, mentre Grimmjow rimane appoggiato allo stipite della porta, in attesa della risposta che vorrebbe sentire.

« Ehilà? C'è ancora qualcuno? »

« Eh? Ehm, sì... stavo pensando. »

« Sei un tipetto sensibile, anche se ribelle, eh. »

« Piantala. » dice la ragazza con una risata ironica. « E comunque accetto, voglio mangiare al Kentucky Fried Chicken. »

« Agli ordini, signorina. » le afferra il braccio e la trascina via, senza chiederle niente. È un ragazzo senza un briciolo di pudore, pensa Tatsuki, sorride sempre ed è davvero insolito come tipo.

Parlano di un sacco di cose, dalle più stupide alle più serie, parlano di sport, parlano di karate, parlano di risse, ma Grimmjow non manca mai di far risaltare la sua femminilità.

Non immaginavo che una ragazza gracile come te potesse stendere gli uomini a karate”, “Mai pensato di fare la modella? Perché hai un fisico niente male”. Ha un modo molto contorto -la ragazza direbbe sfacciato- di fare complimenti, ma a lei dopotutto non dispiace. Perché si sente donna. Quel tipo che fino a pochi minuti prima voleva vedere a terra dolorante per le botte si stava dimostrando insolitamente... piacevole.

Anche se certe battutine sul suo seno se le può tranquillamente risparmiare. Però dopotutto non è male. È un tipo intraprendente, sembra non volerle lasciare via di scampo.

Tant'è che le chiede. « Mi lasci il tuo numero? Però il nome scrivilo in hiragana, eh? »

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=735608