Eleftherìa

di claws
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Klouvì ***
Capitolo 2: *** Caravanserai ***
Capitolo 3: *** Eleftherìa ke Thànatos ***



Capitolo 1
*** Klouvì ***


I:Eleftherìa


Heracles non si sentiva spesso così irrequieto.
Di norma solo Turchia poteva disturbarlo davvero, e solo in alcuni casi anche altre situazioni o persone - escludendo il momento di crisi e tutte le sue conseguenze, che lo coinvolgevano più di qualunque altra faccenda politica.
No, non era solo inquietudine, era la certezza che sarebbe finita male - ma pregava perchè non fosse la fine di quella palla di pelo, il suo Tanas, che, fino a qualche giorno prima, torturava i divani e le poltrone di casa Karpusi.

Il veterinario, dopo aver esaminato con cura la radiografia dell'animale, tornò nello studio, dove Heracles accarezzava con delicatezza la testolina del micio. «Niente di buono, kýrio
Tanas respirava a malapena, le narici si avvicinavano e allontanavano come quelle di un coniglio spaventato. Mugolava per la paura e per il dolore, con gli occhi appena riparati da una zampina nocciola.
Heracles aveva gli occhi inumiditi per le lacrime che, lo sapeva, di lì a poco gli avrebbero macchiato la pelle ambrata.
«Ha avuto un versamento di sangue. Tra la pleura, la membrana che riveste i polmoni, e i polmoni stessi c'è un liquido che stringe gli organi in una morsa» e gliela mostrò, gesticolando, quella dannata infezione «il che gli rende difficile respirare.»
«Come... Come è possibile che ci sia quel liquido?»
Il medico scosse la testa. «Den ksero. Per drenare il liquido dovrò sedarlo. Ma, con la febbre che ha» e in quel momento Heracles sfiorò le orecchie di Tanas, bollenti come l'acqua per il riso, «non so se riuscirà a cavarsela.»
Grecia osservò con affetto il micio, sorridendo amareggiato.
Perderlo?
Oh, non riusciva a non sorridere, perchè altrimenti sarebbe scoppiato a piangere, e Tanas avrebbe avuto un ricordo triste del suo umano. No, Heracles voleva che lo ricordasse come una persona forte, che sorride anche nelle avversità.
E per quello sorrideva, solo per il suo gatto.
«Va bene. Torni stasera, per le sette.»
Heracles annuì. Si voltò per aprire la porta, lanciò un ultimo sguardo a Tanas, che lo osservò di rimando con due occhi pieni d'affetto e sofferenti insieme.
La porta venne richiusa, e quello che sarebbe accaduto Heracles poteva solo immaginarlo.
Non si accorse nemmeno di aver sbattuto con violenza la porta.
Non si preoccupò di essere tornato a casa a piedi, in un pomeriggio di pioggia.
Perchè in quel momento, l'unico di cui si curava, in cuore e nella testa, era quella dolce e sbruffona palla di pelo.



Note Autrice:
Sto male. Sto male perchè non so che succederà al mio micione.
Sì, è un pezzetto di storia del mio gatto e un pezzo della mia. E dopo è stata di Heracles e Tanas, e ora, se volete, anche la vostra.
Non ce la faccio a rispondere nè a commenti nè a mail fino a stasera. E, nel caso, non ce la farò per i prossimi giorni.
Grazie per aver letto. Quando ne avrò le forze inserirò le varie note. Perdonatemi, se vi lascio così, su due piedi. Saprete la risposta stasera.
Grazie, grazie infinite per aver letto.
claws_Jo

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Capitolo 2
*** Caravanserai ***


II: Caravanserai


Quando era ritornato, alla sera, nello studio del veterinario, Tanas sembrava aver recuperato un briciolo di energia. Se non altro, era più vispo. Ma perfino un bambino avrebbe notato i movimenti della cassa toracica, rapidi e irregolari, come se qualcuno gli stesse stringendo la pancia color crema, che in alcuni punti era stata rasata per poter procedere col drenaggio del liquido.
Il medico prese una provetta e la mostrò a Heracles. Sul fondo di essa era depositata la parte densa del liquido che era stato drenato - poi il dottore aveva aggiunto, per spiegarsi meglio, che si trattava di pus -, di un giallo paglierino, mentre la parte rossa della sostanza galleggiava.
«Centrifugandolo, il pus si è diviso.» Grecia osservava quella provetta con estrema attenzione. Per quanto si sentisse più tranquillo, sapeva che quella malattia era tutt'altro che finita.
Rimessa a posto la fiala, il medico prese posto alla sua scrivania. Staccò un foglio dal blocco che riposava sulla superficie lignea e impugnò la stilografica. «Dovrà prendere un antibiotico per dieci giorni. Lo terrò comunque sotto controllo, e soprattutto dovrà rimanere in casa.»
Heracles annuì - lo avrebbe tenuto tranquillo, in casa, anche se non glielo avesse raccomandato.
Figuriamoci se lo lasciava uscire!
Tanas lo guardava, mogio e spaventato. Gli occhi verdi erano chiarissimi, e le pupille strette. La terza palpebra, nonostante la febbre, non era comparsa.
«La maggior parte del pus è stato drenato. Tuttavia i polmoni sono rimasti compromessi e parte della pleura è rimasta attaccata alla gabbia toracica: non tornerà a respirare come prima.»
Una zampetta del micio grattò le sbarre della gabbietta.
«Tranquillo, Tanas.» Heracles, parlando più per calmare se stesso, sfiorò il musetto preoccupato del gatto - la distanza tra le sbarre gli impediva di accarezzarlo davvero -, ma quello non faceva fusa.
Il micio si acquietò, chiudendo gli occhi. Udì Heracles e il dottore discutere per qualche altro minuto, poi avvertì le mani del greco sulla gabbietta e si sentì dondolare, lentamente, a destra e sinistra.
Torno a casa, pensò il micio, con una sensazione piacevole che tranquillizzò per qualche minuto il respiro affannato.

Tutto era in disordine come se non se ne fosse mai andato. I libri di mitologia sparsi sul pavimento accanto al divano, altri volumi di storia antica incolonnati come luogo di riposo per i mici più piccoli, vari plaid sulle poltrone e sui tappeti per i gatti bisognosi di spazio, e una bottiglia di liquore ouzo che troneggiava sul tavolino del soggiorno.
Insomma, tutto come prima, disse tra sè Tanas.
Heracles appoggiò la gabbietta per terra con estrema delicatezza, aprendo lo sportellino. Tanas, dopo un primo momento di titubanza, mosse qualche passo fuori da quella che era stata la sua scomoda e misera carrozza.
Solo allora si accorse dei micetti che gli stavano correndo incontro, per vedere come stava, per chiedergli perchè era stato portato via, per farsi raccontare cos'era successo nelle ore precedenti.
«Mentre voi discutete» sussurrò Heracles, raccogliendo da terra un fazzoletto «vi preparerò la cena.»
Si sentiva ancora parecchio scombussolato, come se avesse corso attorno a una fontana circolare per ore e ore, sempre nella stessa direzione. Era sudato, affaticato, e soprattutto la testa vorticava all'impazzata.
Appena si sedette, respirò profondamente, chiudendo gli occhi.
Potrebbe deperire nel corso della cura, questo aveva aggiunto il veterinario. É un'infezione probabilmente batterica, ma glielo saprò dire giovedí, quando avranno finito le analisi del liquido in laboratorio.
La paura e la preoccupazione per Tanas si aggiungevano a tutti i problemi del suo Paese, in una miscela che gli avrebbe assorbito tutte le energie in poco tempo.
Ma, guardando la compagnia felina del soggiorno, sicuramente un gran lavoro sarebbe toccato a tutti i mici che condividevano con lui quella casa, attenti com'erano all'infermo e alle sue necessità.
Proprio in quel momento Tanas si era sdraiato sul pavimento dietro lo schienale obliquo del divano; accanto a lui riposavano Dario, il gatto dalla pelliccia nera, e Milziade, dal pelo ambrato, i due rivali di sempre. Eppure, uniti dall'inquietudine per Tanas, tentavano di proteggerlo da qualsiasi predatore esterno, in un moto istintivo e antico quanto la specie felina.
L'ammalato respirava con più facilità, ora.
Ad Heracles quei tre sembravano stanchi mercanti del deserto che, alla notte, si addormentano attorno a un fuoco, la carovana ormai già assopita - infatti gli altri gatti, chi vicino al capezzale, chi meno, avevano chiuso gli occhietti verdi, azzurri e viola, simili a pietre dure, quelle stesse pietre dei carovanieri della notte deserta.



Note Autrice:
Oggi va meglio. Sid - questo il nome del nostro coinquilino - respira un po' meno affannosamente. Di certo, questo mio sollievo si nota dalla scrittura, un po' più poetica rispetto al precedente capitolo. Cavoli, tra tutti e due in casa si sta davvero meglio. Per quanto gli antibiotici e la cura ci farà penare, voglio cominciare a credere che tutto finirà bene.
E poi voglio ringraziare voi, che avete letto e recensito, perchè avete avuto il coraggio di leggere un mio sfogo che, rispetto a tante altre storie, è confuso e mescolato. Voglio dire, è stata una follia pubblicare questa storia. Non avrei mai dovuto farvela leggere e rovinare un attimo della vostra giornata - o il resto del giorno, ecco. Ma la frittata è fatta, e quindi eccomi qua un'altra volta.
Ora spazio alle varie note - anche del precedente capitolo:
«Eleftherìa» significa «Libertà» in greco, così come «Klouvì» vuol dire «Gabbia».
«Caravanserai» è una parola persiana che significa luogo dove riposare, per le carovane che attraversavano terre e deserti in tempi antichi.
«Den ksero» sarebbe «Non so», sempre in greco. «Kýrio» è il vocativo di kýrios, «signore».
Tanas fu il fondatore mitologico della colonia greca di Taranto, che portò con le navi i gatti nella penisola italiana.
Dario fu il comandante persiano della prima guerra persiana. Milziade fu invece il generale greco della stessa guerra.
Grazie per aver ascoltato e letto questo sfogo. Lo dedico a tutte le persone che, al contrario di me, hanno sofferto per la morte di un loro amico animale, in particolare a Lyn91, vorrei che questa storia e sfogo ti facesse sorridere anche solo per un attimo, che ti alleviasse, anche per poco, il dolore.
Ringrazio con un abbraccio virtuale ma forte _Ayame_ e tappanasina michaelis per il loro supporto, efcharistò polý.
Grazie a tutti. :)
claws_Jo

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Capitolo 3
*** Eleftherìa ke Thànatos ***


III: Eleftherìa ke Thànatos


Ad Heracles i miagolii acuti non avevano mai dato troppo fastidio. Da quando i gatti vivevano in casa sua - da sempre, a sua memoria -, erano parte integrante della sua giornata.
Ma c'era una differenza abissale tra i miagolii di altri mici e quelli di Tanas.
Il gatto dalla pelliccia nocciola era disperato, miagolava sofferente fino all'affanno, e grattava la porta di casa perché desiderava come non mai uscire all'aperto.
Heracles non poteva certo lasciarlo andare in giro, per di più l'animale non voleva saperne né di bere, né di assaggiare del cibo, né soprattutto di ingoiare le medicine necessarie - ma lo guariranno davvero?, si domandò un giorno Grecia.
Dovette portarlo un'altra volta dal veterinario perché l'antibiotico gli venisse iniettato sottopelle tramite una flebo, prima di poter notare un piccolo positivo cambiamento. Ora Tanas si avvicinava alle ciotole e annusava per bene i croccantini prima di metterli in bocca, e beveva tanta acqua, oh, se ne beveva.
Nei due giorni seguenti tutto sembrava prendere una piega migliore, anche Heracles era più rilassato e riusciva a pensare con più lucidità rispetto alle tribolazioni delle giornate precedenti. Sdraiato sul divano, con il viso affondato nel cuscino, sperava con tutta l'anima che arrivasse presto la fine di quel tormento.

Quel martedì sera, tuttavia, la situazione precipitò.
Mentre il resto della famiglia felina dormicchiava lungo i tappeti e nelle varie scatole del soggiorno, un miagolio intenso ruppe il silenzio della notte, seguito da altri versi meno stentorei ma inzuppati della stessa inquietudine.
Heracles si svegliò di soprassalto, spaventando un paio di micetti che dormivano accoccolati accanto a lui.
Tanas non era più nelle condizioni di restare relegato dietro il divano. Doveva tornare una volta ancora dal dottore, o il giorno seguente non avrebbe visto la luce del sole attraverso lo spiraglio tra le tende del soggiorno.

Il pronto soccorso li accolse immediatamente. Lo stesso veterinario che aveva visitato Tanas il sabato pomeriggio, quel maledetto giorno in cui Heracles aveva capito che qualcosa non andava, lo visitò e capì che doveva assolutamente drenare una volta ancora il pus tra le pleure dei polmoni; aveva congedato Grecia velocemente, prima di scomparire dietro una porta bianca come la pelle d'alabastro di un cadavere.

Il telefono di casa Karpusi aveva squillato nel cuore della notte - le quattro, cinque del mattino. La voce del medico, tuttavia, non poteva dirsi altrettanto vivace.
«Venga immediatamente.»
E cosa poteva aspettarsi, se non il peggio?

Le ciglia del castano si erano imbevute leggermente nell'acqua salata delle lacrime.
Tanas era steso sul tavolino dello studio, gli occhietti chiusi, una zampetta color crema sotto il mento, come se fosse addormentato.
Ma lui, nel sonno, si agitava spesso. E ora era immobile, racchiuso in un sarcofago trasparente e leggero.
Appena si sentì in grado di accarezzarlo, sorrise, amaro. Il pelo era morbido come la seta che sua madre gli portava dall'Oriente, lungo l'antica via terrestre che portava alla Cina, e i cuscinetti delle zampine erano rosa come il sorriso di una bambina.
«Lipame, Tanas.» Sussurrò, abbassando gli occhi, mentre la sua mano scorreva avanti e indietro sulla testolina. «Sinchorìste mu.»
Il medico attese qualche minuto. «Se fosse riuscito a superare questa infezione, in ogni caso le sue funzioni non avrebbero ripreso come prima. Non avrebbe più potuto correre o saltare, insomma.»
Quindi forse è stato meglio così.
«Cosa gli è successo?»
«Mentre drenavo il pus, ha avuto un collasso, e non si è ripreso. E' deceduto per insufficienza respiratoria, ci sono voluti pochi secondi.»
Non hai sofferto molto, eh, Tanas? Meno male.
Tiche li aveva assistiti troppo tardi per rimediare alla morte, ma in tempo perchè questa non fosse terribile.

Le ceneri furono sparse nel giardino dove Tanas era solito giocare con altri mici e dove adorava riposare, durante l'estate.
Heracles aveva trascorso molti giorni chiuso in casa, in compagnia della schiera felina che sembrava accudirlo con miagolii sconsolati e strofinii d'affetto. Aveva parlato a lungo con loro, con la voce roca per il dolore e uno pseudo-raffreddore che non voleva saperne di passare.
La libertà aveva superato la morte?
Sua madre gli aveva raccontato tante storie riguardo l'Oltretomba. Per quanto fosse cristiano, Heracles continuava a credere che quei miti avessero un misterioso fondo di verità.
E gli bastava chiudere gli occhi, per immaginare i campi verdi irrorati dall'acqua di un fiume e uno scricciolo nocciola riposare lungo la riva di esso, magari all'ombra di un albero, assieme a una piccola combriccola di felini che rumoreggiavano facendo delle dolci fusa.



Note Autrice:
Si concluse, quindici giorni fa, la vita terrena del mio micione adorabilmente idiota, ma inspiegalmente furbo.
Grazie al supporto della mia famiglia e di alcune mie amiche - ringrazio Ayame-chan, Nemeryal-san e Kya-chan, per la vostra grandissima disponibilità ad ascoltare i miei sfoghi -, ora va decisamente meglio. Grazie anche a tappy, spero che Gatto si sia ripreso dall'influenza.
Dedico questo ultimo capitolo a tutti coloro che, nella vita, hanno perso un amico, che fosse un gatto, un cane, un ornitorinco, o un essere umano.
Note linguistiche: «Lipame» significa «Mi dispiace». «Sinchorìste mu», invece, è «Perdonami».
Tiche è
la dea del destino, identificata dai Romani con Fortuna.
Le ultime righe sono un voluto accenno ai Campi Elisi. Certo, gli antichi Greci e Romani (o almeno Virgilio) - lo ritenevano il luogo dove gli eroi morti trascorrevano una vita migliore della precedente. Ma perché non pensare che anche i nostri co-abitanti possano avere un loro luogo meraviglioso? E' un'idea che mi piace tantissimo, e che fin da piccola ho sostenuto. Inoltre, Virgilio è il primo a chiamarli Eliseo, o Campi Elisi: Omero accenna "alla vita di pace e serenità che vi si conduce, all'eterna primavera che vi regna e alla fiorente vegetazione" (dal mio fidato libro di mitologia greca e romana). Virgilio li descrive a lungo, invece. Ma adoro questa idea di gioia dopo la morte.
Un grazie a voi che avete letto, alle persone che hanno deciso di seguire la storia mettendola tra i preferiti o seguiti, a tutti i mici che nella nostra vita ci fanno compagnia e che ci regalano, con un musetto dolce e una zampata, un miagolio e delle fusa, tanti sorrisi e serenità.
Adìo, gàto mu.
claws_Jo

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