Dike&Themis di esmeralda92 (/viewuser.php?uid=71176)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 1 *** Capitolo I ***
Erano anni che si era
assentata
all'Olimpo. Era stata a Efeso, dove si trovava il suo tempio. Aveva
vissuto lì, dove aveva appreso le arti mediche e guerresche.
E dove
aveva scoperto la sua vera origine. Era figlia di Zeus e di una
mortale, una certa Latona. Allontanata dalla Regina degli dei.
Strappata alla madre che non aveva mai conosciuto per mano di una
serpe. E suo padre che non l'aveva mai riconosciuta, mai cercata. E
che considerava Marte, quel borioso principe senza alcun grano salis,
unico erede al trono. Aveva lasciato che i suoi figli si burlassero
di lei, che fosse considerata la figlia che nessuno avrebbe mai
voluto, abbandonata da tutti. Nessuno aveva mai detto niente. Nessuno
tra gli zii aveva mai intercesso per lei. E Zeus, con il potere che
aveva, si era creato una corte di burattini che muoveva a proprio
piacimento.
Fece un grande respiro.
Calò sul capo
il cappuccio e spalancò le porte che facevano accedere all'
Olimpo.
Il pavimento marmoreo, coperto da un sottile strato di cirri, fece
riecheggiare il passo della divina. Zeus, seduto sul suo trono
guardò
la ragazza dall'alto della sua posizione.
“Chi sei? Cosa
vuoi da me?” Sono
tua figlia. E voglio la tua rovina. Pensò. Poi
sorrise.
“Ti sembra questo
il modo di
accogliere un ospite, divino Zeus?” il sovrano sorrise, anche
se il
tono con cui gli si era appellato non gli iaceva per niente.
“Artemide!”
fece sorridendo e
andandole incontro con le braccia spalancate. Che ipocrita! E
io
non sono da meno. In questo ho preso da lui. Pensò.
Gli andò
incontro sorridendo e lo abbracciò. Fingendo
felicità. Anche Era,
che si trovava lì, le sorrise e la abbracciò come
se avesse da poco
ritrovato una cara amica. Artemide finse anche con lei.
“Fatti
vedere!” fece la serpe
travestita da dea. Lei la accontentò. Occhi color del mare.
Capelli
ricci castani. Pelle ambrata, denti bianchi come perle. Che lei non
tardò a mostrare in uno dei suoi sorrisi più
smaglianti.
“Sei davvero
bellissima!” continuò
la regina.
“Grazie, mia
signora.” mormorò lei
con una sottile velatura ironica nella voce.
“Chiamami pure
Era, tesoro. Sono
tanto felice che tu sia tornata. Ben tornata a casa.” in quel
momento la porta si aprì.
“Oh, tesoro!
Vieni a vedere chi ha
fatto ritorno dopo tanto tempo.” fece il re andando incontro
a suo
figlio e alla dea dell'amore. Artemide si staccò dalla
matrigna. E
si voltò lentamente verso Marte.
“Salve
Marte.” mormorò lei per poi
sorridere. Un sorriso pieno di tutta la buona educazione e
falsità
che ci si poteva immaginare. E lui corrispose pienamente. Per
rispettare le buone usanze.
“Salve a te,
Artemide.” rispose
altrettanto cordialmente. D'altronde tutti erano a conoscenza del
buon sangue che NON scorreva tra i due.
“Afrodite!”
“Artemide! Visto?
Ci siamo
fidanzati!” disse lei mostrandole l'anello che portava al
dito. La
ragazza sorrise. Bene. Non potevo chiedere di meglio. Ecco svelato il
punto debole di Marte. Afrodite è proprio una stupida.
“È
meraviglioso! Sono tanto felice
per voi due!” lei guardò il suo ragazzo con uno
sguardo da
innamorata persa. E lo baciò. Cui lui corrispose. Per poi
staccarsi.
Afrodite incontrò lo sguardo della regina che
annuì. Afrodite le
sorrise di rimando.
“Vieni! Ti mostro
le tue stanze!”
fece la giovane con entusiasmo prendendola per mano. Artemide sorrise
e la seguì, non prima di aver lanciato uno sguardo agli
altri tre
nella sala.
“Stasera ci
sarà un banchetto in tuo
onore. Nostro padre ci tiene molto a te.”
“E io sono molto
affezionata a lui,
anche se non sono sua figlia.”
“Oh, tesoro
scusa. È passato tanto
temo da quando eravamo così immaturi, e ci sei mancata
così tanto,
che ormai ti consideriamo una di noi.” Non male la
ragazza come
attrice, ma io sono più brava. Fece mentre
percorrevano ampi
corridoii illuminati.
“Oh, tranquilla,
sorella.. Posso
chiamarti sorella vero? Ho dimenticato. È vero, ho sofferto
molto,
ma era anche mia la colpa. Ero stupida e immatura come tutti i
ragazzi di quell' età. Credevo di essere superiore, e
facendo così
mi sono alieniata a voi. Che ne dici di ricominciare?”
chiese.
“Certo,
sorella.” fece sorridendo.
E la abbracciò. Poi si fermò davanti a una porta.
E la aprì con
una chiave dorata. Che poi le consegnò. Aprì le
porte e entrò.
Seguita dall'ospite.
“Spero che siano
di tuo gradimento.
Ti abbiamo dato una camera che desse sull' Oriente, così da
poter
vedere casa tua ogni volta che lo desideri.” le disse
fermandosi al
centro della stanza e voltandosi verso di lei.
“Grazie,
è molto gentile da parte
vostra.”
“Pensavamo che
potesse essere un modo
per.. sancire la nostra pace.”
“Oh, è
perfetto! Avete trovato un
modo stupendo!” fece lei commossa.
“Ne sono felice.
Il banchetto avrà
luogo nella sala di oggi. Alle otto e mezza!”
“Bene! A dopo,
allora.” fece
sorridendo. E quando fu sola un ghigno le si dipinse sul volto.
Sicuramente lei e Era le avrebbero reso la vita dura. Impossibile. Ma
il piano che lei aveva in mente era ancora più crudele. Li
avrebbe
portati tutti alla rovina.
Senza alcuna via di scampo.
Era aveva già
tentato una volta di
rovesciare il regno di Zeus. E aveva fallito. Ora lei avrebbe fatto
la stessa cosa, ma con una differenza. Lei ci sarebbe riuscita.
Le ampie stanze avevano il
pavimento
mamoreo bianco. Quasi immacolato se non per qualche venatura nera. Il
letto era a baldaccino. Bianco. Le ampie finestre davano sul mare. E
in lontananza, potendo vedere oltre, il suo mare, la sua
città.
Efeso. Il mobilio consisteva in un ampio cassettone nella parete di
fronte a quella del letto. Vi era anche un bagno privato e un
salotto. Con divani. Non era per niente male come camera, bella
ampia. E molto luminosa. E per questo avrebbe apportato alcune
modifiche. Tutto quel bianco la infastidiva. Era eccessivo.
Iniziò a
sistemare le proprie cose. Si fece un bel bagno. E poi si
vestì. Un
vestito blu notte. Lungo. E un velo che partiva dietro il vestito,
blu chiaro, cosparso di polvere argentata. Una collana d'argento
elaborata, orecchini pendenti. Chioma raccolta. E poi andò.
Per gli
ampi corridoi incontrò Apollo. Suo fratello.
“Ciao
fratellino!”
“Artemide!”
fece questo voltandosi
e guardandola ammirato. “Sei stupenda.”
“Grazie!”
rispose lei fingendosi un
po' imbarazzata. Lui le porse il braccio.
“Posso avere
l'onore di accompagnare
mia sorella al banchetto?”
“Certamente, Apollo.” ribattè
lei accettando il braccio. E lo guardò. “Sai,
anche tu sei molto
migliorato.” in effetti il fratello era il più
bello, a detta sua,
di tutti gli dei dell'Olimpo. Biondo con occhi scuri e un fisico
molto prestante, aveva conquistato fin da piccolo il cuore di molte
ninfe. E lei ne era andata sempre orgogliosa in cuor suo. Soprattutto
quando aveva tentato di rovesciare il potere del tiranno, un po' di
tempo fa, quando ancora era un ragazzino. Ora invece era diventato il
protetto di Zeus, insieme a Marte, ovviamente.
Ormai era diventato uguale
a loro.
Quando entrò
nella sala, tutti
rimasero grandemente sorpresi. Sia dalla beltà della
divinità, sia
dal fatto che ad accompagnarla fosse Apollo. Tutti si aspettavano che
venisse da sola.
“A quanto pare,
Era, ha già trovato
i favori di qualcuno.” commentò Afrodite.
“Già.
Non dobbiamo permetterle di
ottenerne altri.”
“Consideralo
già fatto.”fece la
dea. Sorridendo. Poi le andò incontro e la
abbracciò.
“Tesoro!”
Artemide sorrise
falsamente, come d'altronde stava facendo anche la dea dell'amore.
“Sorella!”
fece fingendo di
strigerla commossa. Gli occhi ritirarono velocemente le lacrime. E
poi prese le mani di Zeus sorridendo.
“Non dovevi fare
tanto per il mio
arrivo. Mi lusinghi.”
“Sei la nostra
ospite, meriti tutti
gli onori. Oltre al fatto che è il nostro modo per
dimostrarti il
nostro affetto nei tuoi confronti.” lei sorrise.
“Grazie di cuore,
Zeus.” poi
sorrise a Era.
“E anche a te,
grazie di cuore.”
“Oh,
di niente, tesoro. Lo facciamo con molto piacere. Non è
vero,
Marte?” il figlio si riscosse sorridendo.
“Certo, con molto
piacere.” ripetè.
Cercando di sorriderle. C'era qualcosa nel suo modo di fare che non
gli piaceva. Bella, era bella. Ma aveva qualcosa che non lo
convinceva. Tuttavia non poteva mancarle di rispetto di fronte a
Zeus, suo padre, proprio in quel giorno. Era una cattivissima idea.
Che infatti non ascoltò.
“Marte.”
“Artemide.”
fece Marte. Poi,
vedendo lol sguardo ammonitore di suo padre, aggiunse. “Sono
felice
di riaverti con noi. Spero che il tuo soggiorno qui sull' Olimpo sia
ottimo.” lei sorrise sapendo che quello era il solito
discorso di
circostanza che se avesse voluto, si sarebbe evitato di pronunciare.
“Lo
sarà di sicuro. Non ne dubito.”
fece lei. Sorridente. E prese posto tra Afrodite e Mercurio.
“Buona sera,
Artemide.” fece egli
sorridendo “Sono felice di riaverti a casa. Si è
sentita la tua
mancanza”
“Grazie,
Mercurio. Mi siete mancati
molto anche voi. Sul serio.” fece lei sorridendo.
“E quali novità
ci sono?”
“Oh, niente di
che.. Marte e Afrodite
si sono ufficialmente fidanzati l'anno scorso. Anche se sinceramente
non capisco cosa ci trovi in lei.”
“I gusti..” commentò
Artemide.
“Ma andate
d'accordo ora.”
“Non
per questo però mi trovo in disaccordo con te.”
Mercurio sorrise.
“Sei sempre la
stessa. Bentornata.”
innalzando il suo calice. Lei lo imitò sorridendo. Non sai
quanto ti
sbagli, Mercurio. Non sai quanto ti sbagli. Ma non mi aspetto che tu
capisca.
“Grazie,
Mercurio.” rispose poi.
Le portate furono squisite
e anche
l'intrattenimento. Le ninfe danzarono e cantarono per lei. Artemide
commossa davvero, al termine delle feste non sapeva più come
ringraziarli. Ebbe modo di osservare durante il banchetto come
Afrodite parlasse del suo fidanzamento e come se ne vantasse. Non era
occhi innamorati i suoi, ma quelli di una vincitrice trionfante.
Aveva portato per ciascuno dei regali, sorridendo vedendo che
risultavano essere alquanto azzeccati.
Molte divinità
le si fecero intorno e
lei rispose con entusiasmo raccontando la sua vita a Efeso.
“Ti ha voluta
qualcuna?” chiese una
delle grazie.
“Oh
sì, ma non ho mai ceduto
totalmente.”
“Perché?” chiese la voce di Marte dietro
di
lei.
“Perché
non me la sono sentita. Tu
perché sei tanto interessato?”
“Niente, se non
curiosità.” fece
lui.
“Effettivamente
non c'è da stupirsi
se sei interessato a quel tipo di aspetto.”
ribattè provocando il
riso delle altre.
“Non ci penso da
un anno.” fece
guardando Afrodite negli occhi che sorrise. E lo baciò.
Artemide sorrise. Dei
quanto li odiava.
Falsi e stronzi come loro ne aveva incontrati pochi ed effettivamente
formavano una coppia splendida.
“Meglio per te.
Non vorrei essere nei
tuoi panni se dovesse essere diversamente.”
“Non
accadrà mai, tranquilla.”
fece lui. “So quanto ti piaccio, ma..”
“Sempre meno, stanne
certo.” fece lei sorridendo. Poi si rivolse a Afrodite.
“Tutto
tuo, tranquilla. Non ho alcuna intenzione di soffiartelo. Lascio
questo privilegio a altre, sempre che qualcun'altra ci
riesca.”
fece sorridendo.
“Spero proprio di
no. Ma è vero che
non accadrà mai?” fece lei.
“Mai, amore.
Mai.” fece baciandolo.
Era innamorato di lei. Davvero molto. E lei se ne stava servendo per
chissà quale scopo. Calcolatrice quanto lei. Sarebbe stata
una bella
sfida. Molto presto tutto quello che essi conoscevano, sarebbe
finito. Non ci sarebbe stato più un monte Olimpo, Zeus non
avrebbe
regnato più su niente se non su una landa deserta. Il
tiranno
sarebbe caduto. Lui, lui che non riconosceva la figlia. Che fingeva
di aver avuto da Latona soltanto Apollo. Che l'aveva trattata come
una straniera, come qualcuno estraneo alla famiglia. Aveva lasciato
che l'erede al trono si gioisse delle sue sofferenze. Che la
trattassero a loro piacimento soltanto perché era diversa da
loro. O
almeno credevano ciò. Zeus aveva salvato il regno
dell'Olimpo dalla
tirannia di Crono, suo padre. Ma non si era dimostrato molto migliore
di lui. E se nessuno era in grado di accorgersene, beh, l'avrebbe
fatto lei. Suo fratello da quando aveva provato non aveva
più osato
contraddirlo, e di certo lei non poteva ormai più contare
sul suo
aiuto. Avrebbe tentennato, avrebbe avuto paura. E lei aveva bisogno
di alleati veri, senza scupoli, per riuscire nel suo intento.
Verso la fine della terza
veglia, la
dea si scusò e si avviò verso le sue stanze.
Sotto lo sguardo di
suo padre, Marte si propose di accompagnarla.
“Non è
necessario.” fece lei
garbatamente.
“Sì
che lo è.” la divinità notò
lo sguardo del dio che le stava di fronte. E poi quello del padre.
“D'accordo.”
e prese il braccio che
lui le offrì. Quando furono lontani dalla sala, lei
delicatamente
tolse la mano. Lui la guardò sorpreso.
“Perché?”
“Credevo l'avessi
fatto solo perché
tuo padre ci stava guardando.”
“No... Non l'ho
fatto per questo, ma
perché lo volevo.” rispose lui. Questa volta a
essere sorpresa fu
Artemide, che si ricompose subito. “Sbaglio o quello era uno
sguardo sorpreso?”
“Non sbagli. Ma la motivazione non è
quella che credi.”
“E quale sarebbe allora la
“motivazione”?”
“Mi sembrava di
aver capito che tu
amassi Afrodite.”
“La amo
infatti.”
“Già, ma
non perdi occasione di soffermare il tuo sguardo sulle gonnelle
troppo corte delle ninfe, o le loro scollature troppo
profonde?”
“Gelosa perché nessuno ti ha ancora avuta o
desiderata davvero?”
“Non sono gelosa
di nessuno. Se sono
arrivata a quest'età vergine è solo ed
esclusivamente per la mia
volontà.” lui scoppiò a ridere.
“Cos'è'
ti brucia il fatto che sarei
potuta andare a letto con altri e non con te?”
“Oh, ci
verrai.”
“Non credo proprio: per ora tutto ciò che provo
per
te è disprezzo e disgusto, come è sempre
stato.” lui sorrse
arrogantemente.
“Hai detto bene,
Artemide: per ora.”
e se ne andò. Lei rimase davanti alla porta della sua camera
imponendosi do calmarsi. Aveva dimenticato quanto Marte sapesse
essere dannatamente irritante.
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Capitolo 2 *** Capitolo II ***
Il mattino seguente si
svegliò poco
dopo l'alba. I raggi del sole filtravano dalle tende bianche
illuminando ancora di più la stanza. Si alzò e
dopo essersi
preparata, iniziò a preparare le proprie cose, donando un
tocco
personale alla stanza. E sorrise. Ora si sentiva molto più a
suo
agio. Attraversò i corridoi diretta fuori dagli
appartamenti. Doveva
andare a fare una bella cavalcata. Lontana da lì. Lontana da
loro.
Lontana da tutta quell'ipocrisia. Era appena uscita quando una voce
la fermò.
“Dove
vai?”
“Lontano da qui
per un po'”
“Non è
un po' presto per essersi
annoiata.” ribattè Marte.
“Non sai neanche
riconoscere un tono
ironico? Stavo semplicemente andando a fare una cavalcata, se
permetti.” Lui sorrise.
“Ricordati della
nostra
scommessa.”
“Oh, stai certo che me ne ricorderò. Preparati a
perderla.” fece sorridendo.
“Vedremo.”
“Oh,
sì..” e lo superò. E andò
alle stalle. Prese il primo cavallo che trovò e lo
montò. Poi
spronò. E cavalcò per buona parte della giornata.
Studiando ogni
luogo. Cercando di memorizzarli. E pensò. Di sicuro avrebbe
dovuto
far passare qualche mese prima di agire. Doveva agire in quel periodo
di tempo in modo tale che nessuno potesse sospettare di lei, in modo
da poter passare inosservata.
Era da poco iniziata la
primavera. Gli
alberi erano tutti in fiore, i ruscelli zampillavano di acqua limpida
e fresca. Gli uccellini cinguettavano. Il sole splendeva. Era una
bellissima giornata, e lei sorrise. Peccato fosse sola pensò
con una
piccola fitta al cuore. Poi le tornò alla memoria tutto il
dolore
che aveva provato in tutti quegli anni. E scosse la testa come per
rimuovere dalla testa quel pensiero. Nessuno di loro si meritava il
suo amore. Né pietà o compassione. Nessuno era
mai entrato in sua
difesa, in tutti quegli anni. E per questo avrebbero pagato. Dal
primo all'ultimo.
Quando tornò
alla reggia, Athena la
raggiunse nelle stalle.
“È
stata una bella cavalcata?” le
domandò.
“Sì,
grazie.” rispose. “Mi ha
aiutata a pensare.” rispose lei.
“Ne sono
lieta.” ribattè lei
sorridendo.
“Tu invece come
hai passato la
giornata?”
“Oh, niente di
che, mi sono un po'
allenata..”
“Zeus ti permette
di allenarti?”
“Certo! Da un po'
di anni a questa
parte posso allenarmi anche io, anche se non con i ragazzi.”
“Posso allenarmi
qualche volta con
te?” chiese allora fingendosi entusiasta. Qualcuno aveva
detto che
per sconfiggere un nemico bisogna conoscerlo a fondo. Ed ella
concordava.
“Certo! Anche
subito se vuoi!”
“Magnifico!”
ribattè. Aveva ormai
imparato a fingere, si era preparata a quell' evenienza talmente
bene, che ora le risultava quasi naturale. E con la stratega si
diresse verso il campo di allenamento.
Quando arrivarono si
allenarono fino al
tramonto. Artemide sorrise e la osservò attentamente mentre
combattevano. Aveva una buona tecnica. Ma utilizzava sempre la
stessa.
“Tra un po' si
cena, tesoro.”
pronunciò Afrodite una volta arrivata al campo.
“Arriviamo
subito.” rispose Athena.
Sospirando. E poi si diresse verso l'uscita imitata dalla dea.
Quella sera al banchetto la
ragazza si
annoiò da morire. Quell'euforia che aveva mostrato durante
il
banchetto per il suo arrivo ora era finto. Afrodite non faceva altro
che sparlare di chiunque. In tutti quegli anni non era cambiata di
una virgola. Invece di risponderle, questa volta la assecondava,
fingendosi ammaliata dalle sue parole, quando in realtà era
lei a
condurre il gioco. E quella ragazzina che voleva improvvisarsi grande
attrice, si stava lasciando condurre senza neanche accorgersene.
Artemide era in grado di fingere con lei così tanto bene che
Afrodite, così tanto esaltata, non si rendeva neanche conto
di star
giocando a un gioco che non era il suo. Raccontandole qualsiasi cosa
riguardo a chiunque, stava fornendo così tante informazioni
alla
divinità per le quali, altrimenti, avrebbe dovuto impiegare
mesi per
raccogliere.
Marte, ben presto,
raggiunse le due
“amiche”. E si sedette vicino a Afrodite.
“Un po' di
nettare, tesoro?” le
chiese dolcemente porgendole una coppa.
“Sei magnifico
tesoro.” rispose lei
prendendola e dare un bacio al dio che la tenne stretta a
sé.
“Allora, tesoro, nessun amore in vista?” chiese poi
rivolta alla
ragazza.
“Non
ancora.”
“Oh, beh.. Allora
bisogna provvedere
all'istante!”
“No, grazie.. non
è il
caso.”
“Concordo con la tua amica, amore.. Non è il caso
che
spendi tante energie in questo modo.. Per lei non ne vale la
pena.”
“Non dire così.”
“E poi... Chi mai la vorrebbe
una come lei? Il fatto che non abbia avuto nessuno dovrebbe esserti
da aiuto.”
“Se non ho avuto nessuno è solo perché
non ho
voluto.”
“Difficile da dimostrare, visto che non mi pare ci
sia la coda per averti.”
“Non tutte hanno
la fortuna di essere
belle come la tua ragazza, ma non per questo valgono meno.”
“Non ho detto
questo.”
“No, lo
so. Ma non è mia intenzione avere la schiera di ragazzi
fuori dalla
mia porta.”
“Non è neanche tua intenzione avere un
ragazzo.”
“E anche se
avessi questa intenzione,
stai certo che non saresti tu il mio obiettivo.”
“Tanto
meglio, dato che le tue parole risuonano insopportabili.”
“Allora non
rivolgermi la parola.”
“E
come faresti poi senza di me?”
“Oh non è il caso che ti
preoccupi per me. Tranquillo.. Sopravviverò.” lui
sorrise.
“Se ne sei
sicura..” e si
allontanò. Afrodite lo seguì. Raggiungendolo. E
lo baciò una volta
constatato che non se ne era andato a causa sua.
In quel momento alla
divinità che era
rimasta a osservarli, venne in mente un'idea. Doveva conquistarsi la
fiducia di Afrodite, diventare sua intima amica. Doveva usarla per
arrivare a Marte. E farlo cadere nelle sue mani. Con ogni mezzo.
Allora Marte si sarebbe opposto al padre e l'impero che Zeus si era
creato si sarebbe sgretolato. E lei avrebbe avuto la sua
vendetta. E sarebbe
riuscita nel suo
intento. Dopo un bel po' di tempo sentì una voce dietro di
sé.
“Una dracma per i
tuoi pensieri.”
“Oh, non valgono così tanto. Sono
futili.”
“Credevo non volessi più rivolgermi
la parola.”
“Sei stato tu a iniziare. E non sia
mai che una bastarda come me osi negare il saluto e la parola al
figlio di Zeus, all'erede al trono.” fece lei sorridendo. Lui
sorrise.
“Quindi l'hai fatto per
educazione.”
“Certamente.” lui annuì fingendo di
crederci.
“Se solo fossi brava a mentire..”
fece con un ghigno. A lei venne freddo. Temette che lui sapesse.
“Cosa intendi?”
“Semplicemente
che non sei affatto brava a mentire. Non con me. Puoi
ammetterlo.”
“Cosa?”
“Che ti piaccio. È evidente.”
“Sempre meno stanne certo.” ribattè lei
guardandolo finalmente. lui rise.
“È già qualcosa. Ma puoi fare di
meglio.”
“Lo stesso vale
per te. A Efeso ho
tanto sentito parlare di te e della tua bravura nel sedurre le
ragazze povere e indifese. Ma se questo è tutto
ciò che riesci a
fare, ahimè, temo non ne valga neanche la pena.”
fece lei
sorridendo fingendosi dispiaciuta. E fece come per allontanarsi. Ma
il dio, ferito nell'orgoglio la fermò prendendola per un
polso.
Senza farle male.
“Non ho neanche
iniziato. Sicura di
voler vedere fino a che punto posso spingermi?”
“Se non sapessi
che tu sei fidanzato
e prossimo alle nozze con una mia amica per di più,
acconsentirei
molto volentieri. E ti garantisco che la tua offerta mi interessi
molto, mi vedo costretta a rifiutare. Sai.. amicizia.”
“Certo.. Se
dovessi cambiare
idea..”
“Sarai il primo a saperlo.” fece lei per poi
allontanarsi. E andare in camera sua. E mettersi a dormire.
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Capitolo 3 *** Capitolo III ***
Passarono le settimane e
l'idea che
aveva avuto della vita sull'Olimpo e dei suoi abitanti andava mano a
mano radicandosi sempre di più in lei. Infatti se nei primi
giorni
non vi aveva badato più di tanto, ora era inevitabile non
accorgersi
di ciò che stava accadendo. L'entusiasmo di avere una nuova
ospite
andò pian piano scemando, cosa molto gradita alla dea,
poiché
quell'essere sempre al centro dell'attenzione la metteva
particolarmente a disagio, non essendoci abituata; oltre al fatto che
ciò avrebbe portato al non interessarsi più di
tanto delle sue
faccende, e le avrebbe quindi consentito di agire da sola. Inoltre,
stando alla reggia si era accorta che se le ragazze, eccetto Athena,
si perdevano nei passatempi più oziosi, e in particolare
Afrodite.
Sembrava che vivesse di quello, che quello fosse la sua linfa vitale.
Un giorno, trovando una
scusa
qualsiasi, si allontanò dall'Olimpo e iniziò a
cavalcare verso il
Peloponneso. Vivere la vita di corte le sembrava più arduo
di quanto
non avesse mai pensato. Come aveva potuto davvero credere di poter
tornare lì, dove tutti l'avevano umiliata e presa in giro, e
uscire
vincitrice da quello scontro? Erano tutti cresciuti, questo era vero,
ma ciò non significava che fossero anche maturati. La
crescita
purtroppo non sempre si accompagna alla maturità.
Cavalcò
finché il cavallo non giunse
alla riva del mare e si fermò, schiumante di sudore e
stanco. La
giovane smontò e lasciò che riposasse. Bagnandolo
con l'acqua di
mare, anche se forse non gli avrebbe fatto bene, ma almeno lo avrebbe
sollevato un poco. Poi si sedette accanto al cavallo, in riva al
mare.
“Ti ho fatto
correre troppo, eh?
Scusa, non accadrà più. Ero talmente bisognosa di
allontanarmi da
lì che non ho tenuto conto dei tuoi limiti.” fece
carezzando il
muso. Il destriero nitrì. “Comunque sei
velocissimo, davvero.
Strano che quegli sbruffoni dei miei coinquilini non ti abbiano mai
cavalcato..”.
Il cavallo non disse
niente. E come
avrebbe potuto?
“È tuo
il destriero?”
“No, l'ho preso
in prestito da un mio
fratellastro.” rispose.
“Non sei di
queste parti... Ti sei
persa?”
“Se siamo nei
pressi di Sparta no.”
“Sì.
Sei nei pressi di
Sparta.”
“Bene.” ribattè lei dolcemente.
“Scusa, non mi
sono ancora
presentato. Ero da queste parti e ti ho vista montare questo
destriero e... ti ho seguita.” ammise “Il mio nome
è Orione.”
lei inizialmente non rispose. Era incerta se dirgli il suo nome. Era
pur sempre una divinità. Non poteva rivelarsi.
“Io non ho un
nome.” mentì lei,
ovvero fece ciò che da quattro settimane faceva con tutti.
“Perché?”
“Appena sono nata
sono stata
strappata a mia madre e abbandonata sui gradini del tempio di Efeso.
Le sacerdotesse mi hanno tenuta con loro finché non mi
dissero la
verità sulle mie origini. E da allora non tornai
più a Efeso.”
fece lei con le lacrime agli occhi che però si
affrettò ad
asciugare.
“Mi.. dispiace.
Davvero.”
“Anche a me
dispiace.” rispose lei.
“Ti va di venire
a fare un giro a
Sparta?”
“No, grazie.
È tardi. Devo tornare
dal mio fratellastro. L'ho ritrovato da poco. E sarà
preoccupato per
me.”
“Capito. Ti
rivedrò uno di questi
giorni?”
“Non lo so. Se
riesco torno, ma non è
detto che riesca.”
“Nel caso io
sarò qui ad
aspettarti.” la fanciulla gli sorrise guardandolo negli occhi
verdi
smeraldo. I capelli mori ricci incorniciavano un volto dai tratti
duri, da guerriero. Il fisico era stupendo. Era il fisico di un
ragazzo che si allena tutta la vita per combattere una guerra che
forse non vedrà mai.
Gli sorrise sincera e
montò sul
cavallo. Per poi spronare verso l'Olimpo. Marte si sarebbe incazzato
non poco per aver cavalcato il suo cavallo. E aveva ragione. Ma cosa
ci poteva fare? Aveva avuto bisogno di correre più veloce
del vento
e sapendo che i suoi cavalli erano i più veloci, non aveva
resistito. Quando tornò sull'Olimpo andò alle
stalle. E mise il
cavallo al suo posto, vicino all'altro. La luce era fioca, la paglia
era color dell'oro e soffice. Le immense scuderie terminavano con una
scaletta di legno che portava a un piccolo soppalco in legno cosparso
di paglia. Lei vi salì per posare il vestiario da
cavallerizza e
cambiarsi. E scese la scaletta. Quando toccò terra
sentì due
braccia possenti prenderla e voltarla, facendo appoggiare la schiena
alla scaletta. E Artremide si ritrovò gli occhi scuri di
Marte fissi
nei suoi.
“Dannazione
Marte! Vuoi farmi venire
un attacco di cuore?”
“In effetti non
sarebbe male.” fece
ironico per poi tornare serio. “Si può sapere dove
sei stata? Sei
sparita prendendo il mio cavallo e te ne sei andata senza dire niente
a nessuno!”
“Ora il tuo
cavallo è tornato sano e
salvo. Puoi anche smettere di preoccuparti per me.” fece lei
dura.
E liberandosi dalla presa che però si rivelò
pronta a riprenderla.
“Non me ne
importa del cavallo,
voglio solo sapere dove sei stata.”
“Se non l'ho detto a
nessuno evidentemente era perché non volevo lo
sapeste.” fece
lei.lui stava per ribattere ma lei lo anticipò. “E
non venirmi a
dire che siete stati in pensiero per me. Credi davvero che io ci sia
cascata? So perfettamente che stavate meglio prima del mio arrivo,
che per voi non è cambiato niente e che i primi giorni di
entusiasmo
era solo per farmi credere che foste cambiati e illudermi. Lo so
perfettamente. L'unica cosa di cui tu eri preoccupato era di non
rivedere più il tuo destriero. E ora che ce l'hai puoi anche
togliere la presa dal mio braccio. Inizi a farmi male. Il teatrino ha
continuato a esistere dopo la mia partenza e continuerà
anche dopo
questa. Non ti rendi conto che è diventato un tiranno e che
voi non
lo contestate per paura di far scatenare la sua ira? Non te ne rendi
conto?”
“Non so di che cosa tu stia parlando. Mio padre non
è
un tiranno e se tu sei così differente da noi da crederlo,
forse
dovresti andartene.”
“Ti ha fatto
persino il lavaggio del
cervello. La situazione è più grave di quanto
credessi.” fece
lei.
“Ora smettila.
Non è per niente
divertente. Io rispetto mio padre. E anche tu dovresti farlo.”
“Come
posso rispettare mio padre, se non so chi è? Sono una
bastarda,
ricordi? Quella che nessuno vorrebbe mai con sé. Non
facevate altro
che ripetermi questo da bambina. E avevate ragione. Sono nata
bastarda e bastarda resterò. Ora lasciami andare. Per
favore.”
“Ma... Come
è possibile che tu non
abbia..?”
“Dei genitori? Non tutti sono fortunati come te, al
mondo. E non ti critico perché sei più fortunato
di me, ma perché
tu, esattamente come tutti gli altri, non hai mai fatto altro che
rinfacciarmelo. Fin da quando eravamo piccoli. Tu non ti immagini
nemmeno quanto faccia male non aver nessuno. Nessuno che ti consoli
quando ti fai male, che ti incoraggia quando fai bene. Che ti
rimprovera perché crede in te e sa che puoi dare di
iù. Nessuno che
ti rimbocchi le coperte la sera, che ti chiami
“tesoro”...” poi
si fermò. Perché gli stava dicendo tutte quelle
cose? Incontrò i
suoi occhi. La guardavano. Non più con rabbia. La stava
ascoltando.
Forse per la prima volta nella sua vita qualcuno la stava ascoltando.
Distolse lo sguardo subito. “Ti sto annoiando con tutti
queste
storie strappalacrime di cui non ti importa niente.”
“Mi piace
ascoltarti.”
“Anche se non
parlo di guerre e
battaglie?”
“Di certo ciò che dici è molto
più interessante
dei pettegolezzi che dice Afrodite.”
“Occhio a quello che
dici, la tua ragazza potrebbe sentirti.” lui sorrise.
“Giusto. Ti sei
divertita almeno
oggi?”
“Sì.”
“Bene.”
poi si tolse e lasciò la
presa. “Libera.” fece sorridendo. Lei lo
guardò un po' sorpresa,
poi si diresse verso l'uscita della scuderia. E uscì.
Tornò in
camera.
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Capitolo 4 *** Capitolo IV ***
Il mattino seguente si
svegliò con il
sorriso. La giornata precedente era stata molto bella, in fin dei
conti. Si era allontanata dall'Olimpo, aveva incontrato quel ragazzo,
Orione, per altro gentilissimo con lei come non lo era mai stato
nessun ragazzo, e per concludere aveva avuto un battibecco con Marte,
cosa che la divertiva molto, in fin dei conti; battibecco che era
terminato in modo alquanto bizzarro. Forse il fatto che lei si fosse
aperta con lui aveva cambiato un po' le cose. Ora bisognava soltanto
capire in che senso le avrebbe cambiate. E perché lei si
fosse
sfogata con lui. Perché tra tutte le divinità
presenti si era
andata a sfogare proprio con il dio più vicino ai suoi
acerrimi
nemici? Doveva rifletterci.
Si vestì e
presentò nella sala dei
banchetti dove al mattino si consumava la colazione.
“Sei di buon
umore oggi.” notò
Athena con il sorriso.
“Sì.”
“Posso sapere il perché
se non sono troppo indiscreta?” artemide sorrise
“La
verità è che non lo so neanche
io. Oggi mi sembra una giornata positiva.”
“Oh,
bene...” rispose lei a sua
volta con un sorriso. Le due ragazze iniziarono a mangiare
tranquillamente, finchè nella sala non entrò
Marte seguito da altre
due guardie.
“Mi
dispiace.” le sussurrò mentre
una guardia cercava di agguantarla per un braccio.
“Che cosa
significa?” chiese lei.
“Ordine di Zeus,
devi venire con noi
nella sala del trono.”
“So
dov'è. Posso andarci da sola.”
fece lei in risposta. E furente si avviò verso la sala.
Spalancò le
porte e si diresse verso il padre di tutti gli dei.
“Si
può sapere cosa significa?!
Perché si presentano due guardie a dirmi che devo
presentarmi qui,
neanche fossi una criminale?”
“Non usare quel
tono con me! Non hai
alcun diritto di parlarmi così!”
“E tu non hai alcun diritto
di mandarmi delle guardie per farmi venire fin qui. Non ho commesso
alcuna colpa!”
“Non è ciò che mi è giunto.
Mi è giunta
voce che tu abbia idee ribelli che hai confidato a mio figlio
Marte.”
lei chinò la testa. Ecco. Sapeva di aver sbagliato a
rispondergli a
tono la sera prima. E a confidargli alcune cose. Non aveva fatto
altro che prendersi gioco di lei, e ora doveva pagarne le
conseguenze.
“Riguardo a
cosa?”
“A ciò che
pensi di noi.”
“Ah, sì. Del teatrino che avete allestito nei
primi giorni del mio soggiorno per farmi credere che sarei stata
bene, che non mi sarei pentita di essere tornata nel luogo in cui ho
trascorso gli anni perggiori della mia infanzia. Sì
perché voi non
avete mai fatto altro che rinfacciarmi ciò che sono. Fin da
quando
ero bambina. Credevate che fossi così stupida da credervi,
vero?
Beh, miei cari, non ci siete riusciti. E non ci riuscirete mai.
Perché ormai questa convinzione è troppo radicata
in me.”
“Ti
sei presa gioco di noi.”
“Vi ho fatti giocare al mio gioco
senza neanche che voi ve ne accorgeste. E ci siete cascati. Volete
davvero sapere ciò che penso? Che vostro padre non sia altro
che un
tiranno cui obbedite per paura di contrastarlo. Lo temete
così tanto
che assentite a ogni sua parola, incapaci di distinguere le vere da
quelle false.”
“Ora basta! Sei pazza!”
“O forse chi mi
accusa di pazzia è lui il folle.”
“Parli come una
traditrice!”
“Solo
un folle scambia la verità per tradimento. La
verità è che le cose
stanno come dico io, e tu, figlio di Crono non puoi permetterti di
darmi ragione e mi accusi di follia e tradimento. Ma hai commesso un
passo falso. E sai perché? Perché se tu non fossi
davvero un
tiranno non avresti fatto chiamare le guardie, non mi puniresti solo
perché ho idee differenti dalle tue!”
“Guardie!
Prendetela. E portatela nel
posto più remoto della terra.” Artemide scosse la
testa
rassegnata.
“L'ira ti
accecca, possente Zeus. Un
giorno te ne renderai conto, e allora sarà troppo tardi. La
verità
verrà fuori un giorno o l'altro. E allora tutto
ciò che conosci,
sarà destinato a crollare.” pronunciò
guardandolo negli occhi.
Per poi lasciare che le guardie la prendessero e la conducessero dove
era stato loro ordinato.
Fu portata sulla Terra. E
dopo aver
camminato a lungo, si avviarono nelle profondità di una
grotta.
Scesero le scale verdi che si disponevano a chiocciola e che
scendevano lungo quel tunnel che sembrava non aver mai fine. A un
tratto toccò finalmente il suolo, costeggiato da un fiume
nero dove
scorrevano le anime. E vide accanto a sé una folla di anime
impaziente di essere traghettata sull'altra sponda.
Poi, dalle nebbie comparve
una chiatta
a fondo piatto. Lunga e stretta. Condotta da un uomo vecchio, la
pelle tanto tirata che si potevano scorgere le ossa sotto di essa.
Una delle due guardie lanciò un fischio e il vecchio si
voltò dalla
sua parte. “Da questa parte, vecchio. Ordine del signore che
governa l'Olimpo.” disse.
“Io rendo conto
solo al signore degli
inferi. Ciò che governa il tuo padrone non lo valuto neanche
mezza
dracma.” rispose il vecchio scorbutico. Artemide
notò la borsa
piena di denari al fianco delle tue guadie.
“Abbiamo
più soldi di quanto possano
darti queste anime in una giornata. Traghettaci sull'altra riva del
fiume.” egli allora si avvicinò con la barca e
fece salire i tre
più altre anime. Il fiume era stracolmo di anime che
fluivano
seguendo la corrente. Le pareti alte e rocciose, cavernose, nere
incutevano ancora più terrore e umide contribuivano a
rendere l'aria
fredda e umida. Il fiume scorreva calmo, e le anime che si trovavano
sull'imbarcazione con lei respingevano in malo modo le poche anime
che tentavano in un gesto disperato di salire sulla barca. E con urla
di dolore tornavano a fluire immobili nel fiume. Si giunse a un
cancello immenso di ferro nero. Alto. L'inferriata permetteva
all'acqua di scorrere attraverso di esso.Il vecchio Caronte
battè
una volta il remo sul fondo della barca e il cancello iniziò
ad
aprirsi con un romore stridente e dovette muovere molto la terra
perché le acque torbide iniziarono ad agitarsi minacciando
la barca
del vecchio. Tutte le anime si tennero per non cadere. E Artemide e
le due guardie fecero altrettanto. Poi il cancello fu aperto e le
acque si distesero nuovamente. Come se niente fosse successo. La
barca lentamente riprese il proprio corso e superò il
cacello. A
guardia del quale si trovava un cane gigantesco, più grande
di
quanto uno potesse immaginare. Ma la cosa che la colpì di
più fu
che aveva tre teste e fauci fameliche. Caronte lo superò
mentre
quello ringhiava. Il vecchio gli lanciò il pasto e
continuò il
percorso. Fece scendere su una riva le altre anime e andò a
riscuotere da ciascuna anima la ricompensa. Poi risalì sulla
barca
e continuò ancora per un tratto di strada. Fino ad arrivare
su un
litorale dove si trovava un teschio gigantesco. E li fece scendere.
Artemide prese da ciascuna borsa delle guardie due manciate di
dracme.
“Sono
sufficienti, mio vecchio
amico?” chiese lei.
“Più
che sufficienti.” poi si
voltò verso le guardie. “Proviene davvero
dall'Olimpo?”
“Il
tuo compito è quello di traghettare le anime, non di fare
domande,
vecchio!”
“Sì.”
rispose lei per loro.
Caronte non rispose. Risalì sulla barca, infilò
le ricompense in
una sacca logora di pelle e ripartì. Le guardie la
incatenarono per
evitare che fuggisse e si diressero dentro il teschio dove trovarono
due troni. Di ferro nero. Due troni regali su cui siedevano i Sovrani
degli Inferi. Ade si alzò.
“Bene, cosa
abbiamo qui?”
“Un
dono da parte del signore dell'Olimpo.”
“Io non sono un dono.”
ribattè la giovane pestando un piede alla guardia che aveva
parlato.
“E che cosa sei,
allora?”
“Solo
una ragazza che la pensa in maniera differente da lui. Mi definisce
ribelle, lui.”
“Sei la benvenuta, allora.”
“Ha dato
ordine che venga rinchiusa nel luogo più profondo della
terra.”
“Dite al vostro signore che non si preoccupi. Di lei
mi occupo io. E ora via.” le guardie si inchinarono e
sparirono.
Ora lei era sola di fronte al signore dell'Oltretomba. E per quanto
non fosse tanto facile da impressionare, la situazione la metteva a
disagio un po'.
“Bene. E
così mio fratello ti ha
affidata a me.”
“Non è esatto. Mi devi rinchiudere. Non
è
proprio un affidamento.”
“Se sei così impaziente di essere
rinchiusa, lo farò subito.” e chiamò
una Erinne. “Alletto!”
“Sì,
mio signore?” chiese lei arrivando. Era sicuramente una
guardiana.
Vestita da uomo aveva una catena in mano che probabilmente usava per
punire i dannati. Aveva il viso e le parti scoperte del corpo sporche
di cenere e aveva alcuni tagli sulle braccia, gambe e viso. I capelli
erano una massa di ricci tra i quali v'erano serpenti.
“Accompagna la
nostra ospite nei
profondi recessi dell'Erebo. E fai in modo che non le venga a mancare
niente.”
“Sarà
fatto, mio signore.” rispose
lei per poi guardarmi con un ghigno. Prese la dea per le catene e
iniziò a trascinarla per dei corridoii buii. La giovane
inciampò
più volte.
“Non camminare
come un peso morto.
Non ho il tempo e la pazienza di raccoglierti.”
“Non ci vedo
niente.” rispose lei.
Non frignava. Il tono era quello di chi fa una semplice
constatazione.
“Non è
un mio problema, signorina.”
disse marcando l'ultima parola di una forte nota di disprezzo.
“Ehi, guarda che
non hai bisogno di
trascinarmi come un cagnolino. So camminare da sola.” riprese
la
giovane senza demordere. La guardiana si voltò e la
guardò dritta
negli occhi. Neri fiammeggianti d'ira.
“Non osare questo
tono con me. Non
sono la tua servetta cui puoi dire tutto ciò che vuoi. Qui
io sono
il capo e tu la ribelle. Qui IO do gli ordini e tu ubbidisci. Qui io
faccio le domande e tu rispondi. Tu non hai alcun diritto e hai solo
il dovere di eseguire qualsiasi ordine io ti dica. Non hai alcun
potere su di me. Sono stata chiara?”
“Cristallina.”
rispose lei senza
staccare gli occhi dai suoi. Alletto annuì. Poi si
voltò e con uno
strattone la fece camminare di nuovo lunghi cunicoli buie e scale
ripide e strette. Finché non arrivò a un portone
di bronzo molto
pesante e tutto istoriato. Nonostante le mura fossero molto spesse,
Artremide poteva distinguere benissimo le grida e urla di dolore dei
dannati alzarsi sempre più in alto.
“Eccoci. Siamo
arrvate.” sibilò. E
poi con una mano aprì il pesante portone. All'improvviso si
fece
silenzio. Con un piccolo strattone alla catena portò la
giovane al
proprio fianco. Lo spettacolo che le si presentò fu
orribile. Fiumi
di lava bollente scorrevano per questa distesa immensa di cui si
riuscivano a intravedere le pareti solo in lontananza. Le stesse che
aveva visto all'entrata. L'umidità, la muffa si mischiavano
al
calore atroce che proveniva da quei corsi di lava. V'era della terra
nera, costituita da braceri ardenti sulle quali si trovavano le anime
che sembravano quasi danzare per evitare di scottarsi le piante dei
piedi. E poi v'erano immense rocce che si stagliavano ai lati e una
centrale. Alta in modo da avere una completa visuale di ciò
che
accadeva lì.
“Chi vi ha dato
il permesso di
sospendere? Forse io o una delle mie sorelle? Riprendete,
sfaticati!!” urlò furibonda lei. Poi prese a
costeggiare la parete
rocciosa grazie a un passaggio stretto ma abbastanza largo da poter
mettere un piede dietro l'altro e stare abbastanza in equilibrio. Poi
aprì una porticina inferriata. E la rinchiuse.
“Goditi lo
spettacolo. Spero che ti
piaccia anche se non è quello cui siete abituati voi
dell'Olimpo.”
e detto ciò, senza lasciarle il tempo di rispondere,
tornò ad
assumere il suo ruolo di guardiana.
Artemide osservò
tutto. Ma a un tratto
quella violenza divenne troppa anche per lei. Si allontanò
dall'inferriata e si sedette sul pagliericcio sporco a piangere. Per
ciò che stava vedendo, per il non vedere la luce, per essere
stata
tradita. Tradita dall'unica persona cui non aveva mai mentito in
tutto quel tempo, con la quale era sempre stata se stessa.
Le cose sarebbero cambiate,
da allora.
Avrebbe trovato validi alleati per la sua impresa al di fuori del
palazzo, sarebbe riuscita nel proprio intento e poi si sarebbe
vendicata. Sui due regnanti e sull'erede. Nulla oramai l'avrebbe
fermata.
Una volta uscita da
lì, avrebbe potuto
farlo. Avrebbe raggiunto il proprio obiettivo, e non sarebbero state
solo parole.
Vuoi la guerra, Zeus? E
guerra sia! Vi
distruggerò. Uno per uno. Vi priverò di
ciò che vi è più caro.
Vi farò cadere uno alla volta. Dal primo all'ultimo. Questa
è una
promessa.
Dopo ore di pianto e di
rabbia, l'ira
si trasformò in odio. Odio verso tutti e tutto. E si
coricò.
Addormentandosi all'istante.
Si risvegliò di
soprassalto. Urlando.
Si guardò intornò. Il buio più
completo. Da fuori poteva scorgere
il rosso della lava e il calore che si mischiava al freddo umido
della roccia. Si toccò lafronte, imperlata di sudore. Ade,
le
torture imposte ai dannati, il sorriso che ogni volta si dipingeva
sul volto di Alletto anche quando le sue sorelle chiudevanogli occhi
per il terrore. E invece lei guardava. Soddisfatta. Come se la
sofferenza altrui la facesse rinascere, le desse nuova energia.
Quegli occhi mai sazi di agonia si godevano lo spettacolo di tortura
ogni volta le venisse offerta la possibilità.
E tutto ciò le
si era affollato nella
mente. Tutto con una disperata voglia di andare via.
Notò vicino a
sé dell'acqua e una
pagnotta di pane raffermo. Fosse stata sull'Olimpo non avrebbe mai
osato mangiare ciò. Ma lì non era il caso di
atteggiarsi da
schizzinosa. Le avevano sempre detto che il cibo da mortale non le
avrebbe mai fatto bene, anzi, che l'avrebbe avvelenata a lungo
andare. Perché l'unico cibo commestibile per gli dei era il
nettare
e il vino o l'acqua. Nient'altro. Sarebbe stata male, molto
probabilmente, ma non poteva permettersi di non mangiare. Sarebbe
stato ancora peggio.
Finì di mangiare
e nelle prime ore non
sentì niente. E si coricò. Cercando di non
sentire ciò che
avveniva al di fuori di quella porta. Ma ben presto sentì
bruciori
allo stomaco, e iniziò a contorcersi dal dolore. Sembrava
non voler
finire mai. Urlò, gridò ma nessuno accorse. Anzi,
poteva immaginare
il ghigno sorridente sulle labbra di Alletto prendere forma piano
piano. Per poi scoppiare in una risata maligna.
Poi tutto si
calmò. All'improvviso. E
approfittò di quella pausa per prendere un po' di fiato.
Andò a guardare
fuori dall'inferriata.
E quando il suo sguardo si incontrò con quello di Alletto,
non lo
distolse ma le lanciò uno sguardo duro. Lei dapprima la
guardò
sorpresa, poi non si ritrasse dallo sguardo.
Artemide guardò
di nuovo la scena
pietosa che si svolgeva sotto i suoi occhi. Era peggiore di quanto
già non ricordasse. Di nuovo sentì i bruciori di
stomaco e conati
di vomito salire. Che poi gettò fuori mentre sentiva la
situazione
peggiorava sempre più. Avrebbe dato qualsiasi cosa per non
dover
sopportare tutto ciò.
Le Erinni instancabili
giorno e notte
svolgevano quella tortura, mai stanche e mai sazie. Soprattutto
Alletto. Giorno dopo giorno, notte dopo notte, settimana dopo
settimana, mese dopo mese; loro erano sempre lì. E Artemide
ogni
giorno stava sempre peggio. Dopo aver vomitato l'anima, ora stava
aveva la febbre alta, vomitava sangue e pur di non rischiare di
morire di inedia mangiava ciò che poi le recava quei dolori
lancinanti.
Ogni volta piangeva dal
dolore. Quel
dolore che si causava ogni giorno per rimanere in vita.
Perché
essendo mezzosangue, metà mortale e metà divina,
poteva provare
tutti i dolori dei mortali, eccetto la morte, tutte le malattie e i
dolori che gli altri, essendo divinità, non potevano
provare. Ma il
lato peggiore era che l'unico alimento possibile per lei era
l'ambrosia, il nettare degli dei. Così si mostrava la sua
natura
divina.
Ormai aveva perso il senso
del tempo
quando sentì le porte di bronzo pesanti aprirsi scaturendo
l'ira
delle Erinni.
“Non potete
venire qui!”
“Questo non
è il vostro
territorio.”
“Aria, pivelli. Questo non è il posto per
voi.”
fece Alletto.
“Questo non sei
tu a deciderlo,
Alletto. Ordini del tuo sovrano. Siamo venuti a riprenderci la
prigioniera.”
“Chi me lo
garantisce.”
“Io.”
“Non
mi fido.”
“Affari tuoi, non miei.” Mercurio le porse la
carta sigillata. Lei gliela strappò di mano e la lesse. Per
poi
bruciarla.
“Bene.”
fece lei per poi condurli
davanti alla cella. Aprì la porta.
“Tuttta
vostra.” affermò per poi
scoppiare in una risata fragorosa che risuonò per tutto
l'Erebo.
Le due divinità
rabbrividirono al
usono di quella voce. Poi Mercurio aprì leggermente la
porta,
provocando un rantolo di agonia a Artemide, ormai non più
abituata
alla luce. Entrarono con una fiaccola e e lo spettacolo che videro fu
orribile. La paglia umida era sporca di tutto ciò che la
povera
ragazza aveva rigettato in quei mesi. Un lezzo di putridità
si
levava da quella stanza. Mercurio le si avvicnò con la
torcia per
individuarla. E l'altro lo seguiva. Ciò che videro fu una
ragazza
nelle peggiori condizioni che potessero mai pensare. Dimagrita a
vista d'occhio ora sembrava un fuscello, pallida giallastra in viso,
i capelli sporchi e scompigliati, i polsi e le caviglie piegate dai
segni delle catene.
“Artemide..”
“M..Mar..”
“Non parlare.. ti
riportiamo a
casa.”
“Quella non è casa mia! Io non ci torno con te a
'casa
mia'.. scordatelo..” lui le si avvicinò.
“Stammi lontano lurido
figlio di puttana! Lasciami!” Artemide stessa si sorprese di
quanta
energia avesse tirato fuori in quel momento. Ma in fin dei conti
l'odio e l'ira erano due sentimenti incontrollabili, che davano alla
persona che li possedeva un'energia incredibile. Marte
aspettò che
si calmasse. E poi le si avvicinò.
“Non ti voglio
far del male..”
“Anche se volessi
non sono nelle
condizioni di opporre resistenza.” fece lei. Lui sorrise
beffardo.
“Sono certo che
se ti facessi del
male, poi troveresti comunque il modo di farmela pagare.”
“Oh,
beh.. su questo mi trovo in accordo con te.” rispose lei.
Temendo
che potesse farle del male chiuse gli occhi e si
raggomitolò. Poi
sentì degli scatti meccanici e quando sentì la
sua pelle libera,
seppur segnata, lo guardò con le lacrime agli occhi.
“Siamo venuti a
liberarti.” rispose
Mercurio per l'altro.
“Oh. Immagino mi
vogliate riportare a
casa a tutti i costi.” nessuno dei due rispose. Lei si
alzò.
“Riesci a
camminare?” le chiese
Mercurio.
“Sì,
grazie.” rispose con un
sorriso che però si tramutò in una smorfia. Ma
dopo aver fatto
pochi passi dovette ricredersi. Inciampò e certamente
sarebbe caduta
se non ci fossero state le braccia di Marte a prenderla.
“Sì..
tu riesci a camminare quanto è
vero che siamo a casa...” lei sorrise. E lo guardò
negli occhi.
Quegli stessi occhi che un po' di tempo fal'avevano guardata quasi
con tenerezza, le braccia che la sostenevano ora erano le stesse che
l'avevano tenuta salda contro la scala nella scuderia. Così
vicina a
lui; e quelle parole che ora cercavano di rassicurarla e farla
sorridere di nuovo, provenivano dalla stessa bocca che qualche mese
prima l'aveva denunciata a Zeus e che le avevano provocato tutte
quelle sofferenze. In un momento di rabbia si alzò e lo
allontanò
da sé per poi uscire dalla porta. Con i due dietro che
cercavano di
aiutarla, arrivò fino all'ingresso. Guardò acora
quella voragine. E
vide Alletto che la guardava. E mostrò uno sguardo fiero,
deciso
determinato di sfida. Poi Mercurio la riscosse e la portò
fuori da
lì. Ripercorse le scale guidato dalla luce della torcia e
lei si
teneva per mano a lui per evitare di perdersi. Tornarono nella sala
del trono. E poi da lì tornarono sul fime Stige, dove c'era
Caronte
ad aspettarli.
“Salite. Non ho
tutta la giornata per
voi.”
“Arriviamo
Caronte.” fece Mercurio.
Salirono e si sedettero. Artemide battè i denti dal freddo.
E quando
Marte le posò il mantello sulle spalle lei sorridendo lo
ringraziò.
“Non rischi di
subire una scenata di
gelosia dalla tua fidanzata stasera se mi vede tornare con indosso il
tuo mantello?” rise.
“Non credo
proprio. È talmente
innamorata quella ragazza che non si accorgerebbe di un tradimento
neanche se la tradissi sotto gli occhi.”
“Io parlavo di
gelosia, non di tradimento.”
“No.. non corriamo il rischio di
scatenare la sua ira.” fece alzando le spalle.
“E tu? Nessuna
avventura?” chiese
lei a Mercurio.
“Per il momento
no.” fece
sorridendo.
“Peccato.”
“Se vuoi
però sono libero.. ahi!”
fece dopo essersi beccato una remata sulla testa da parte di Caronte
e una pacca sulla nuca da Marte, provocando il riso di Artemide.
“Non si dicono
queste cose a una
ragazza!”
“E poi.. lei
è occupata.” disse
Marte.
“Ah
sì? Non lo sapevo..” ribattè
Artemide.
“Il nome Orione
ti dice niente?”lei
chinò il capo arrossendo.
“Perché
le migliori se le prendono
sempre gli altri?”
“Forse perché sei lento, nonostante i tuoi
calzari alati!” fece ridendo il dio della guerra.
“In
realtà, comunque, non mi sembra
di aver detto che sono fidanzata. Io sono ancora libera.”
“Sentito,
guastafeste?” disse lui
facendo la linguaccia all'amico.
Arrivarono all'altra
sponda. E
sbarcarono. Prima Mercurio. Poi Marte che aiutò Artemide a
scendere.
“Te la senti di
tornare all'Olimpo?”
le chiese. Lei negò.
“Non voglio
tornare. Non è per voi.
È che... Non ho cambiato idea su ciò che ho
detto. Sarebbe inutile.
E ora non voglio farmi vedere debole. Non da loro. Tornerò
quando
sarò più in forze. Per il momento...”
“Hai dove
andare?”
“Credevo mi volessi portare a casa.”
“Sì lo
voglio ma... non posso obbligarti. Se non vuoi tornare... libera di
farlo per quanto mi riguarda.”
“Ma tuo padre..”
“Ci
penso io a mio padre. Tu non preoccuparti. Va da lui.
Passerò a
prenderti quando ti sentirai pronta.” e distogliedo lo
sguardo si
voltò. “An...”
“Grazie.”
fece lei. Lui sorrise.
“A
presto.” e seguito da un
Mercurio più che confuso, si allontanò tornando
all'Olimpo.
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Capitolo 5 *** Capitolo V ***
Aprì gli occhi il giorno seguente, poco dopo il tramonto.
Percepì un calore avvolgerla, come in un abbraccio. Un
profumo di zuppa calda proveniente da un'altra stanza. Mura color
pietra, una finestra alla sua sinistra era chiusa da due ante di legno.
La stanza, ampia, era riscaldata da un camino acceso e da braceri di
ferro disposti vicino al letto in modo che le giungesse meglio in
calore. V'era una cassapanca di ciliegio semplice al termine del letto
e qualche affresco sbiadito dal tempo che doveva rappresentare gesta
eroiche di qualche antenato. Cosa abbastanza comune nelle famiglie
altolocate greche. Poi vide la porta aprirsi un poco e un filo di luce
penetrò in quell'ambiente chiuso e tenebroso. Lentamente
voltò lo sguardo in quella direzione. E incontrò
lo sguardò di Orione. Che le sorrise.
“Sono felice che tu ti sia svegliata.”
susurrò. “Quando il tuo fratellastro ti ha portato
da me eri in pessime condizioni.”
“Sì.. Ho avuto una vita abbastanza avventurosa in
questi ultimi mesi. Ma non piacevoli.”
“L'importante è che tu ora stia bene.”
“Già.”
“Tranquilla, ci ha pensato tuo fratello a dirmi il tuo nome,
Febe.” Artemide sorrise.
“Scusa... è che ho imparato dalla vita a non
fidarmi troppo degli estranei, e non sapevo ancora se potevo
fidarmi.”
“Come ti senti?”
“Ancora un po' debole.”
“È normale. Intanto bevi questo. Mi hanno
raccomandato di farti bere questo e questo soltanto.” disse
lui. E le porse un corno concavo con dentro la medicina. Era d'argento
tutto intarsiato con la storia degli dei. V'erano rappresentate tutte
le imprese di Zeus da giovane. E al centro era raffigurato assiso sul
trono olimpio e con una folgore nella mano destra una folgore, simbolo
del suo potere. E questo cos'è, uno scherzo? Volete farmi
credere che questo mi aiuterà a guarire? Un corno con
raffigurato mio padre? Quello s*****o che non vuole riconoscermi?
Pensò lei. Aprì la boccetta e bevve quel
contenuto dorato e dolce come il miele, almeno così si
diceva. Anche se lei preferiva pensare all'ambrosia dolce come il succo
di qualche frutto estivo. Bevve con sodisfazione e quando
finì sorrise.
“Ho.. problemi con il cibo. Non posso mangiare quasi niente.
Tranne questo.” spiegò poi.
“Capito.”poi, visto il caldo che faceva fuori,
essendo già primavera inoltrata, tolse i braceri che erano
vicini a lei.
“Oh tesoro ti sei svegliata!! eravamo tanto in
pensiero!” fece una donna sui quarantacinque anni
avvicinandosi al letto.
“Sì... signora.” rispose lei.
“Oh, chiamami pure ! Qual è il tuo nome,
tesoro?”
“Febe.” rispose lei.
“Bene, Febe... te la senti di camminare un poco? Fino alla
bacinella, che ti preparo un bel bagno fresco così ti puoi
pulire e cambiare d'abito.”
“Grazie. Lo farei molto volentieri.” rispose con un
sorriso. La donna uscì e andò a prendere
dell'acqua fresca che poi versò nella vasca. Acqua fresca.
La dea sorrise e tenendosi al braccio del ragazzo che la teneva salda,
si diresse pian piano fino alla vasca.
“Ora puoi anche andare.” gli disse dolcemente
Artemide.
“D'accordo.” ribattè lui con un sorriso.
E uscì lasciando le due donne sole.
La donna la aiutò a spogliarsi e la fece entrare nell'acqua.
“Ora rilassati, cara. Mi prenderò io cura di
te.” la dea chiuse gli occhi sorridendo. E si
lasciò avvolgere da quella sensazione. Di fresco e di
affetto, come una bambina felice di ricevere le cure e l'attenzione di
una madre. Madre che non aveva mai avuto.
La donna la lavò con cura. E quando la fece uscire
avvolgendola in un panno pulito l'acqua era nera come la pece.
“Tranquilla, cara. Ci penso io.”
“Oh no... lasci... le do una mano.”
“Ce la faccio, se ho bisogno di una mano te la
chiederò.” rispose la donna con un sorriso. E
uscì dalla stanza.
La dea prese il primo vestito che vide nella cassapanca e lo
indossò. Poi uscì dalla stanza ritrovandosi in un
ampio salone con affreschi su tutte le pareti. E si fermò a
osservarli. Erano rappresentati gli dei dell'Olimpo al banchetto per la
nascita di Athena. Marte aveva quattro o cinque anni, non di
più. E chiunque fosse l'artista, era riuscito a dipingerlo
abbastanza verosimilmente rispetto a quello reale.
“Abbastanza realistico, vero?” disse la voce di
Orione dietro di lei facendola sussultare. “Scusa, non volevo
spaventarti.”
“Non mi hai spaventata, è solo che non me
l'aspettavo.” fece con voce flebile.
“Non hai ancora risposto alla domanda...”
“Sì... lo è. Come la rappresentazione
di tutti gli altri.” fece lei allontanandosi dalla parete.
“Sai che.. puoi fermarti qui da noi tutto il tempo che
desideri, vero?”
“Sì, lo so.. grazie... ma non mi
fermerò più di qualche giorno... devo tornare a
casa.”
“Sanno che sei qui.. se vogliono venire a trovarti possono
farlo quando vogliono.”
“Grazie Orione, ma forse... è meglio che
torni.” fece lei un po' spaventata. Lui chinò il
capo.
“Scusa.. Io... Non pensare che voglia... tenerti qui...
solo... sono preoccupato per te.. Stavi.. così male quando
ti hanno portata qui.. E.. desidero solo che tu ti rimetta presto...
Scusa.” Artemide sentì come se una freccia
l'avesse scalfita. E provò tanta tenerezza e affetto verso
quel ragazzo che si preoccupava tanto per lei. Nessuno prima d'ora si
era comportato così nei suoi confronti. Come ho potuto
davvero pensare che Orione mi volesse tenere con sé per
altri fini che non fossero il prendersi cura di me? Sono stata
così stupida a pensarlo... Lui.. è
così gentile con me. E non ha motivo per fingere.. sapevo
che prima o poi avrei trovato qualcuno che tenesse a me.
Pensò. E fece apparire un sorriso sul suo viso.
“Non è colpa tua, Orione. È che.. non
sono abituata a stare in compagnia di uomini... che non sia il mio
fratellastro.”
“Capito. Non accadrà mai più.
Promesso.” la divinità sorrise.
“D'accordo.. Eri venuto.. per qualcosa?” chiese poi
ricordandosi di essere stata raggiunta da lui.
“Sì, scusa, quasi me ne dimenticavo: è
pronta la cena... te la senti di mangiare con noi o preferisci restare
in camera?”
“Cenerei volentieri in vostra compagnia.”
ò il giovane sorridendo. “Vuoi una mano per
camminare?”
“No, grazie, faccio da sola.” rispose lei.
Sorridendo.
Quando arrivaro“Bene!” esclamno, la cena era
davvero pronta. E alla ragazza venne in mente che non poteva assumere
cibo umano. Orione sorrise notando il suo sguardo.
“Tranquilla, me ne sono ricordato del tuo problema... per
questo per te abbiamo preparato dei piatti speciali.” lei
sorrise.
“Grazie.” fece sorridendo felice. Sedendosi a
tavola.
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Capitolo 6 *** Capitolo VI ***
Intanto Marte e Mercurio
erano tornati
all'Olimpo. Zeus di certo aspettava. Voleva rivedere Artemide, e di
certo non perché gli fosse mancata. Semplicemente per
ribadire la
sua autorità e farle capire che aveva sbagliato.
Quando il re degli dei si
avvicinò a
loro, lo sguardo fu molto contrariato.
“Vi avevo detto
di riportarla a
casa.” disse duro guardando Marte negli occhi. “Mi
hai
disobbedito.”
“Non era in
forze, padre. Non si
reggeva neanche in piedi. Ha detto che sarebbe stata via giusto il
tempo di riprendersi.”
“Ha detto
altro?”
“Sì. Che
quando tornerà sarà ben lieta di chiederti
perdono. Implorarlo se è
necessario. Si è resa conto di aver sbagliato. E vuole
rimediare.”
mentì lui. Mercurio, senza che il padre se ne accorgesse,
guardò
l'erede al trono meravigliato. Perché stava mentendo a suo
padre?
Per difendere lei? Non aveva mai fatto niente di simile neanche per
Afrodite.
“Dice la
verità?” chiese Zeus al
messaggero. Lui si riscosse. Ecco... perché alla fine doveva
essere
sempre tirato in mezzo? Che aveva fatto lui di male? Non poteva
mentire al signore di tutti gli dei, ma neanche smascherare Marte, il
suo migliore amico. Sospirò e poi annuì.
“Sì,
è la verità.” confermò.
“Bene, sia
decretato allora che il
giorno in cui Artemide tornerà, sia indetto un banchetto
durante il
quale chiederà perdono.” Marte annuì.
“Sarà
fatto, padre.” fece per poi
uscire dalla sala del trono ove erano stati ricevuti.
Mercurio lo
seguì. E dato il passo
veloce di Marte dovette servirsi dei suoi sandali alati per
raggiungerlo. Lo prese per un braccio e lo fece voltare.
“Ora mi devi dire
perché.”
“Cosa?”
“Perché hai mentito a tuo padre.”
“Tu
perché l'hai fatto?”
“Non
hai risposto.” lui alzò le spalle.
“Mi
andava.”
“Non è vero. Non
“ti andava”. Non hai mai mentito a tuo padre.
Neanche per
salvarti la pelle nelle situazioni più compromettenti.
Perché l'hai
fatto per salvare Artemide?”
“Non sono affari
tuoi.”
“Sì
che lo sono, dato che ho mentito
anche io.”
“Nessuno te l'ha chiesto.”
“Vero. Ma per
amicizia si fa.”
“Grazie.”
fece per poi andarsene
senza dirgli niente, lasciando Mercurio confuso più che mai.
Aveva trascorso con loro
pochi giorni,
poi era tornata sull'Olimpo. Erano stati tutti molto felici di
rivederla. Si erano comportati come se non fosse successo niente,
come se ignorassero i tre mesi che aveva trascorso nell'Erebo.
Fingevano
che andasse tutto bene. E
questo solo
perché il re de
gli dei lo aveva ordinato.
“Artemide...”
“Vattene
via.”
“Ti devo parlare.”
“Non voglio ascoltarti”
“E invece lo
farai.” disse lui con
voce ferma. Artemide cercò di trattenersi, ma l'ira, l'odio
e il
rancore nei suoi confronti era decisamente ancora troppo forte per
starlo ad ascoltare. L'aveva tradita. L'aveva condannata a
quell'Inferno. E ora aveva anche la presunzione che lei l'avrebbe
ascoltato solo perché aveva qualcosa da dire?!
“Ti ho detto di
andartene!!! vattene
via! Lasciami in pace!!! Non voglio più avere niente a che
fare con
te! VATTENE VIA!!!” disse lei quasi strillando, mentre
sentiva
lacrime di rabbia salirle agli occhi.
“Artemide io...
mi dispiace!!”
“Vai a farti
fottere! Te e le tue
insulse scuse. Sparisci dalla mia vista, non ti voglio più
vedere.”
continuò lei interrompendolo. Con un tono più
pacato, che si alzò
nuovamente quando lo sentì avvicinarsi.
“Non ti
avvicinare. Lasciami sola. Ho
bisogno di stare da sola.”
“Come
preferisci.” diss'egli
chinando il capo. Le spalle di lei, ancora inginocchiata per terra
con il viso appoggiata al letto, si muovevano a scatti veloci, ancora
scosse dai singhiozzi silenziosi del pianto. Ce l'aveva con lui,
questo era ovvio, ma ancora non sapeva il perché, ma non era
quello
il momento di indagare. Si avviò alla porta e si
fermò. Quando si
voltò verso di lei, ella lo guardava. Gli occhi azzurri,
gonfi per
il pianto e le guance rigate dalle lacrime strinsero il cuore di lui
in una morsa. E la guardò con tenerezza.
“Vattene. Non ho
bisogno della tua
compassione e nemmeno della tua pietà. Sparisci. Sei
l'ultima
persona al mondo che voglio vedere in questo momento.”
“Già,
ma l'unica di cui hai bisogno.”
“No. Non sei tu
la persona di cui ho
bisogno. Rasserenati pure. Va dalla tua bella. E restaci.”
ribattè
dura e acida.
“D'accordo,
signorina
nonhobisognodinessuno. Tolgo il disturbo.” fece uscendo e
sbattendo
la porta, con talmente tanta forza che si riaprì.
“È DI
TE che non ho bisogno. È
diverso.” Marte non rispose e si allontanò per poi
recarsi nelle
stanze della sua promessa sposa.
“Tesoro, cosa
è successo?” chiese
la fanciulla preoccupata quando lo vide entrare.
“Siamo sempre
alle solite. Ero andato
a scusarmi per quanto è successo e lei mi ha cacciato in
malo modo
senza neanche darmi la possibilità di parlare. Ha iniziato a
urlare
come una pazza dicendo che mi voleva fuori dalla sua vita. Che non
vuole più vedermi.”Afrodite, che era rimasta sul
suo triclinio
intenta ad ascoltarlo, si alzò e lo raggiunse da dietro.
“Non
mi sembra una grave perdita, dopotutto.” gli
sussurrò
all'orecchio. Lui sospirò.
“Sì,
ho capito. Ma io non ho fatto
niente. Non ha alcun motivo di prendersela con me.”
“E quindi oltre a
essere una ribelle,
è anche folle. Marte, lasciala perdere. Sinceramente non
capisco il
motivo di tutto questo attaccamento nei suoi confronti. Soprattutto
considerando il fatto che hai tutto ciò che qualsiasi altro
desidera.” fece lei per poi mettersi davanti a lui e tirargli
su il
viso con le mani.
“Sì..
hai ragione..” fece lui
sorridendo. E lei, ricambiando lo baciò a fior di labbra.
Lui la
attrasse a sé e sorrise mentre approfondiva il bacio.
Artemide, intanto, nelle
sue stanze,
piangeva. Per rabbia. Rabbia nei propri confronti. Per essersi fidata
di uno come lui. Per non aver dubitato della sua falsità.
Per essere
stata se stessa e aver trascurato i suoi doveri. Non aver pensato
alla propria missione. Per aver fatto sì di essere rinchiusa
per tre
mesi negli inferi. Per aver perso tempo prezioso. Per aver dato alla
tirannia di Zeus tre mesi di vita in più.
Doveva cambiare strategia.
Se avesse
continuato così non ci sarebbe mai riuscita.
La realtà era
che però non aveva un
piano. Sapeva solo che ciò che avrebbe causato la loro
rovina
sarebbe stato il chaos, ma non sapeva come arrvare lì. La
sua
titubanza, dovuta fino ad allora al sospetto che di lei a qualcuno
importasse, dopo quei tre mesi confinata nell'Erebo era totalmente
svanita. Ora voleva solo distruzione. E l'avrebbe ottenuta. E in
tempi anche abbastanza brevi.
La dea si andò a
lavare e rese
presentabile al banchetto, ove si recò quando fu giunto il
momento
della cena. Indossando i suoi soliti abiti, si presentò
puntuale.
Tutti la guardarono non appena lei fece la sua comparsa. Ma non con
sguardi severi. Con il timore che potesse dire qualcosa di
compromettente o che le facesse guadagnare l'Erebo un'altra volta.
Zeus le sorrideva. Mio padre può sorridere? Quante cose che
si
imparano...
“Artemide, ben
tornata!!” le disse
felice. Lei sorrise a sua volta non sapendo bene cosa dire.
“Grazie
Zeus.” rispose comunque.
“Sono felice di essere tornata a casa.” disse
sentendosi venire
il voltastomaco a quelle parole. Era tornata solo per la distruzione
di quel luogo. Non per altro. Poi incrociò gli sguardi di
Afrodite,
Mercurio e Marte. Questi ultimi due la guardarono come se volessero
dirle qualcosa. Il suo sguardo comunque tornò su Zeus.
“Ti trovo in
forma..”
“Grazie.
Scusa se non ti ho avvisato ma avevo bisogno di qualche giorno per
riprendere un po' le forze.”
“Tranquilla,
Marte mi ha detto
tutto.” fece sorridendo. Lei guardò Marte sorpresa.
“Non me lo sarei
mai aspettata..”
disse lei.
“Dovere.”
rispose lui. Lei sorrise.
Un sorriso smagliante.
“Prego cara...
accomodati..” disse
il padre indicandoole un seggio accanto al suo. Lei sorrise e vi
prese posto.
Ed ebbe inizio il
banchetto.
“Allora, sei
riuscita a riprenderti
in questi cinque giorni?” lei, istintivamente,
pensò a Orione. E
sorrise.
“Sì.
Ci sono riuscita.”
“Beh,
non so se hai notato, padre. Ma la nostra ospite ha l'aria
sognante...” la provocò Apollo.
“Beh, che
c'è di male?”
“Ma
sai.. questa è una grande famglia... non hai motivo di
tenere
segreti con noi.” Una Grande Famiglia, eh? Vedremo
quanto lo
sarete tra qualche mese.... pensò diabolicamente.
“Sono
affari privati...”
“Proprio non vuoi
renderci
partecipi??” chiese lui.
“No.”
fece rispondendo con lo
stesso tono.
“”Perché?”
“Perchè
la verità è che lei non ha
alcun affare privato.” intervenne Marte con un sorriso
sornione.
“O forse non ti include...” ribattè lei.
“Forse.”
“Di sicuro.”
“Non si cambiano
le carte in
tavola.”
“E tu devi pagare per la scommessa perduta.”
“E
come vorresti che pagassi?”
“Niente di tutto
ciò che sta
passando per quella tua mente perversa.” Marte stava per
ribattere
quando Zeus li zittì.
“Ora basta,
ragazzi. Godetevi questo
banchetto e smettetela di litigare.” Artemide
annuì.
“Chiedo perdono,
divino Zeus.”
disse lei pronunciando queste parole a capo chino.
“Per le scuse vi
sarà tempo dopo,
ora pensiamo a mangiare.” lei annuì poi
guardò interrogativa
Marte e Mercurio.
“Ti spiega tutto
lui dopo.” fece
quest'ultimo a bassa voce.
Il banchetto
durò a lungo, più del
solito, o fu così per la dea, che ogni istante voleva che il
banchetto avesse fine per poter andare dal dio e chiedergli che cosa
avesse inteso prima il tiranno.
I piatti, tutti a base di
ambrosia,
erano interminabili. Sembrava che non finissero più. Quando
finalmente le portate furono terminate, gli dei ripresero i discorsi
da in piedi, per far digerire meglio tutto il cibo ingerito. Ma
proprio mentre lei stava raggiungendo il dio della guerra, Zeus
richiese silenzio. E l'erede la guardò sogghignando.
“Miei cari
adorati figli e figlie, ho
indetto questo lussuoso banchetto per festeggiare il ritorno della
nostra cara prediletta. Che come ci aveva già anticipato
Marte, ha
un discorso di scuse da farci.” lei lo fulminò. E
lui sorrise con
arroganza.
“Ne vedo delle
belle..” sussurrò
Apollo a Mercurio ridacchiando.
“Sì....”
fece quest'ultimo un po'
preoccupato. Aveva confermato la tesi dell'erede. E si prevedeva una
bella ramanzina.
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Capitolo 7 *** Capitolo VII ***
Artemide rimase qualche
secondo a
guardarlo. Poi si ricompose, e si voltò verso Zeus.
“Effettivamente,
vostro figlio vi ha
detto la verità. Io... Vi devo delle scuse per come mi sono
comportata. Con te, mio signore, e con tutti voi.” fece
riferendosi
agli altri presenti. “Voi, mi avete accolta con amore e
calore e
io.... Come vi ho ripagato, ribellandomi e fingendo con tutti voi.
Senza alcun motivo, oltretutto. So che le parole non possono
sostituire il dolore che ho causato.... ma vi imploro comunque il
perdono. Sperando che serva a qualcosa.” finì lei
chinando la
testa e bagnandosi le guance, come per far capire di essere davvero
pentita. Zeus sorrise. E allargò le braccia.
“Per quanto mi
riguarda, tesoro...
sei perdonata.” la dea si gettò tra le braccia del
signore di
tutti gli dei, e le ragazze presenti tirarono un sospiro di sollievo
credendo al pentimento tanto ottimamente messo in scena dalla dea
della caccia. Artemide finse ancora qualche singhiozzo e Zeus
cercò
di consolarla.
“Stai
meglio?” le chiese poi.
“Sì....
Grazie... Ora sto meglio...”
fece sorridendo tra le false lacrime. Lo vide sorridente e lei
sorrise. Ci sei cascato... come tutti gli altri... benissimo.
Non
potevo chiedere di meglio. Vedrai in quanto poco tempo tu e il tuo
teatrino starete in piedi...
“Che
le danze
allora abbiano inizio!!” Artemide sorrise e iniziò
a ballare con
le altre ragazze. E poi come volevano le danze, i ragazzi iniziarono
a ballare con le ragazze, a coppie. Athena ballò con
Mercurio,
Artemide con Apollo, Afrodite con Marte, Persefone con Ade, Era con
Zeus, Demetra con Poseidone, Eos con Elios, Estia con Eolo.
“Sono
contento
che tu ci abbia ripensato, Artemide.” Come
pensavo... ve la
siete bevuta tutti.
“Ho
capito in
quei tre orribili mesi che avevo sbagliato, ed era mio dovere
chiedervi perdono.” lui le sorrise.
“Bentornata
a
casa, allora.” le mormorò all'orecchio per poi
baciarla sulla
guancia. Artemide ringraziò di sapere chi fosse il ragazzo
che aveva
davanti, altrimenti come qualunque altra fanciulla sarebbe caduta ai
suoi piedi. Suo fratello era davvero bellissimo; lui e Marte facevano
a gara in quanto a bellezza, ma in carattere di sicuro il fratello
era migliore. Lei gli sorrise.
“Grazie,
Apollo.”
“Prego.”
rispose lei.
Poi,
come previsto
dal ballo, ci fu il cambio coppie. Una, due, tre volte.
Finchè lei
non si ritrovò LUI di fronte.
“Perché
l'hai
fatto?”
“Perché...
devo
ammettere che è stato molto divertente... vederti chiedere
scusa. O
meglio... vederti fingere. Puoi ingannare gli altri ma non
me.”
“Sono
alla tua
mercé, puoi denunciarmi, che aspetti?”
“Il
momento
giusto, Febe.” lei lo guardò sorpresa per poi
accennare a un lieve
inchino quando la musica terminò.
“Eri...
tu?”
fece lei.
“A
far cosa?”
chiese lui.
“A...
avermi
portato da lui... a … avergli dato l'ambrosia per
guarirmi... Eri
tu...” lui sorrise ma poi scosse il capo.
“E
cosa me ne
veniva dal salvarti la vita?”
“E cosa te ne è venuto mentendo
a tuo padre?” chiese lei quasi ferita di rimando. Cosa
ti
aspettavi? Che lui si preoccupasse per te, e sprecasse tempo e
energie per salvarti invece di stare con la sua bella Afrodite?
Che... Nonostante il vostro rapporto... Stesse in pena per te?
Povera illusa!!! Nessuno ti ha mai voluta di loro... e nessuno ti
vorrà mai. Disse tra sé e sé.
“Niente.
Ma non
devo sempre avere un secondo fine per agire. L'ho fatto...
Perché lo
ritenevo giusto in quel momento”. Poi si fermò.
“Tutto bene?”
domandò lui vedendola con lo sguardo perso nel vuoto.
Probabilmente
non aveva neanche sentito la risposta...
“Sì.
Tutto
bene.” rispose meccanicamente riscuotendosi dai suoi
pensieri. E
sorridendo. “Ora devo andare... sono stanca. A
domani.” fece per
poi allontanarsi, una volta che ebbe salutato gli altri presenti.
La
risposta
effettivamente non era stata udita dalla divinità, che in
realtà,
al termine del banchetto, si avviò alle stalle per andare a
Sparta.
Galoppò finché la Luna non sorse in cielo. I
cavalli del dio della
guerra erano assai più veloci del suo. Arrivò
nella radura poco
lontana dalla città dove il ragazzo sarebbe dovuto
presentarsi. Era
il luogo dove l'aveva portata appena lei aveva recuperato le forze, e
dove l'aveva baciata.
***
Erano passati due
giorni dal
risveglio della ragazza e grazie alla misteriosa pozione che aveva
bevuto, ora la ragazza era totalmente in grado di camminare da sola,
senza il sostegno del bello spartano.
Quel mattino si
sentiva
particolarmente in forze. Si lavò, vestì e si
presentò in sala per
la colazione.
“Oh, ti
stavo aspettando... Come
stai?” le aveva chiesto Orione sorridente.
“Bene,
grazie. Oggi mi sento in
forze..” rispose chinando il capo un po' imbarazzata.
“Fantastico!!!
allora che ne
diresti se ti portassi a fare un giro in città... O magari
al fiume,
così non ti stanchi troppo...”
“Direi
che sarebbe meraviglioso!
Mi piace l'idea.” ribattè raggiante.
“Vedi di
non farla stancare
troppo.” lo ammonì la madre di lui.
“Tranquilla,
madre. Non ci
stancheremo...” rispose lui ancora.
“Bene...
Deve guarire. Quei tre
mesi devono essere stati terribili, per averla ridotta in questo
stato.” pronunciò la madre con compassione. Non ti
immagini
quanto,mortale. Pensò Artemide.
“Beh,
allora noi andiamo...”
affermò lui.
“D'accordo.”
fece la madre per
poi lasciarsi scappare un sorriso mentre li vedeva uscire.
Mai aveva avuto
qualcuno che si
preoccupasse così tanto per lei. Mai nella sua vita. Era
cresciuta a
Efeso, questo era vero. Ma nessuno per quanto si fosse comportato
gentilmente nei suoi confronti, l'aveva fatta sentire parte di una
famiglia. C'era sempre stato un velo, tanto trasparente quanto vero,
che l'aveva sempre tenuta distante, qualcosa incapace di sentirsi
totalmente a proprio agio con quelle persone, mortali o divine che
fossero.
E con Orione
sentiva quel velo piano
piano perdere consistenza.
Solo Orione la
faceva sentire amata,
in un certo senso. O forse si sentiva così perché
lei se ne era
innamorata. O se non altro si era presa una gran bella cotta.
Arrivarono alla
riva di un fiume.
L'acqua limpida e cristallina zampillava allegramente, i sassi
bianchi e la sabbia non facevano altro che risaltare la trasparenza
dell'acqua. I prati verdi erano rigogliosi e cosparsi di fiori. Un
salice faceva da tramite tra terra e acqua. E tutt'attorno si
sentiva il cinguettìo degli usignoli. Eppure si sentiva un
po'
sorvegliata. Come se qualcuno la stesse osservando. Ma non voleva
turbare Orione, così sorrise entusiasta, decisa a non far
trapelare
il suo umore.
“È..
stupendo questo luogo... mi
trasmette.. tantissima pace..”
“Già...
è stupenda...” fece
guardandola e facendola arrossire. Poi distolse lo sguardo. E
guardò
il fiume. “Scusa non volevo... metterti in soggezione,
Febe.”
“No...
tranquillo.. non fa..
niente..” rispose lei per poi guardarlo negli occhi. Scuri.
Caldi.
Orione la guardò. E sorrise. Per poi sporgersi e lasciarle
un tenero
bacio sulle labbra. Bacio cui lei corrispose.
“Non
stiamo.. correndo troppo?”
chiese lei staccandosi quanto bastava per guardarlo negli occhi. Con
il respiro caldo, il corpo pervaso da brividi e calore.
“Non
so.. se vuoi... smetto.”fece
lui.lei timidamente scosse la testa.
“Non ho
detto questo.” lui
sorrise. E la baciò. E lei corrispose felice. Il cuore era
come se
esplodesse di gioia. Era una sensazione stupenda, mai provata prima.
E sorrise.
“Tutto...
Bene?” le chiese lui
dolcemente.
“Sì..
magnificamente.” fece
lei.
“Bene.”
fece per poi stringerla.
E baciandole i capelli. Artemide felice si strinse a lui chiudendo
gli occhi e sorridendo. Non le sembrava vero di poter essere
innamorata e che qualcuno fosse innamorato di lei. Aveva alzato lo
sguardo appena oltre la spalla poi e aveva incontrato un'ombra, poco
lontano, che la guardava, senza però riuscire a
identificarla.
Appena i loro occhi si incontrarono l'ombra scomparve e per qualche
istante lei credette di essersela solo immaginata.
***
“Una dracma per i
tuoi pensieri.”
disse una voce dietro di lei. La dea sorrise al ricordo di quella
frase che mesi prima aveva sentito pronunciare dal dio della guerra e
si voltò sorridente. Il suo sorriso non mutò
quando vide Orione e
non il dio, ma forse per la frase che era identica a quella
dell'immortale, rimase un po' contrariata.
“Stavo pensando..
a questo luogo. A
cosa... È successo qui...”
“Erano pensieri
belli?” chiese lui.
“Oh
sì..” rispose lei sorridendo
anche se un po' imbarazzata.
“Che ne diresti
allora se... ti
proponessi di riconfermare il ricordo?” chiese lui con una
luce
negli occhi.
“Che sono
d'accordo.” rispose lei,
questa volta più sicura. Lui le carezzò il viso
con dolcezza. E poi
si sporse per baciarla. Lei sorrise e lo baciò
contraccambiando
serena e felice come non era mai stata.
“Come hai
trascorso questi giorni
senza di me? Ti sei trovata bene a casa?”
“Abbastanza bene,
grazie. Tu? Tutto
bene? Come sta tua madre?”
“Bene, grazie..
Stiamo tutti bene. Ci
manchi. Ma per il resto stiamo bene.” rispose con un sorriso.
E la
strinse a sé.
“Sono solo due
giorni che non ti vedo
e mi sembra di impazzire..”
“Anche tu mi sei
mancato molto..”
rispose lei per poi abbandonarsi al suo abbraccio. Lui dolcemente si
sedette all'ombra dell'albero. Tenendola sempre stretta a
sé. E lei
sorridendo si strinse a lui baciandolo.
Rimase stretta a lui tutta
la notte,
finchè i raggi rosei, tenui e pallidi dell'alba non
illuminarono la
radura. Lei alzò lo sguardo e sorrise vedendo che la
guardava.
“Come
stai?” le mormorò dolcemente
all'orecchio.
“Benissimo. Credo
però che ora io
debba andare, prima che tutti si accorgano della mia assenza.”
“Non
sapevo che non potessi uscire.”
“Infatti non
è che non posso. Solo..
non sapevano uscissi ieri sera.”
“Ah..”
fece per poi prenderla per i
fianchi e baciarla con dolcezza. “Allora è meglio
che tu vada..”
“Sì..
Immagino di sì.” fece
baciandolo dolcemente. Poi si staccò.
“Allora..
vai.” fece lui.
“ci vediamo
presto.” rispose ancora
lei. Poi prese il cavallo e montò. Gli sorrise e poi
partì alla
volta del monte Olimpo. Quando arrivò alle porte
smontò da cavallo
prendendolo per le briglie. Aprì la porta giusto quanto
bastava per
far passare lei e il cavallo. E la richiuse silenziosamente dietro di
sé. Cercando di non far rumore e raggiunse e stalle dove
ripose il
destriero. Uscì dall'uscita posteriore e si avviò
ai propri
appartamenti sn fare il minimo rumore.
Entrò in camera
e si sdraiò sul
letto. Giusto in tempo per sentir bussare alla porta.
Aspettò
qualche secondo e poi rispose.
“Chi
è?”
“Sono Apollo!!
Svegliati! È l'alba di un nuovo giorno!” e
che giorno!!
pensò sorridendo. Poi si vestì, o meglio.. fece
finta, e andò ad
aprire.
“Afferrato,
grazie, Apollo.”
sorrise lei. Fece una volta che ebbe aperto la porta.
“Sei...
Stupenda...” lei chinò il
capo e sorrise.
“Grazie.... Anche
tu” fratello.
Disse a sé.
“Andiamo a
colazione?” le chiese
lui.
“Sì.
Con molto piacere.” rispose
prendendo il braccio che lui le offriva.
“Bene.”
“Ma che carini
che siete.” fece
Marte vedendoli entrare. Lei lo guardò sfoderando uno dei
più
meravigliosi sorrisi che avevo.
“Vorrei poter
dire lo stesso di te,
ma non vedo la tua fidanzata, quindi temo che dovrò tenere
questo
complimento per quando la vedrò apparire al tuo fianco per
illuminarti.”
“Ringrazia di essere una
fanciulla.”
“Altrimenti?” chiese lei staccandosi dal
fratello e andando di fronte a lui. Il suo viso a pochi centimetri da
quello del dio.
“Ricordati la
scommessa.”
“Oh,
me la ricordo, tranquillo. E ho già la vittoria in
mano.” lui aprì
bocca per ribattere. Ma lei sorridendo gli pose l'indice sulle
labbra. “Sht, non parlare. Sei molto più bello
quando taci.” e continuando a sorridere, si
allontanò da lui e raggiungendo Athena.
Lasciando un Marte più che sorpreso.
“Ma... Come hai
fatto?” le chiese
Athena.
“Mi riesce..
naturale... spontaneo. È
più forte di me..” rispose sorridendo.
“Beh.... ti
riesce molto bene.
Continua così.” ribattè la dea della
sapienza.
“Lo
farò.” fece alzando il calice
sorridendo a Marte Apollo e Mercurio. Che le sorrisero.
“Attenta.
Afrodite è tanto dolce
quanto cattiva se gli tocchi il suo amore.”
“E io non sono da
meno.” fece lei.
Questo è solo l'inizio. Pensò.
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