Cherryblossom 2

di Sparrowhawk
(/viewuser.php?uid=128208)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Aren't we lost? ***
Capitolo 2: *** New Reunion. ***
Capitolo 3: *** Questions & Invitations. ***
Capitolo 4: *** And now it's time to let it through ***
Capitolo 5: *** Long time no see! ***
Capitolo 6: *** Follow my lead. ***
Capitolo 7: *** The Call ***
Capitolo 8: *** Silly Destiny ***
Capitolo 9: *** What's wrong & what's right ***
Capitolo 10: *** Just when you think that you won't succeed ***
Capitolo 11: *** All those bad things and now, finally, a happy ending. ***



Capitolo 1
*** Aren't we lost? ***


Titolo: Cherryblossom 2
Fandom: Kuroshitsuji - Pandora Hearts
Personaggi Principali - Secondari: Elliot Nightray, Ciel Phantomhive (ver. femminile) - Ciel Phantomhive (ver. maschile), Sebastian Michaelis, Glen Baskerville, Jack Bezarius, Oz Bezarius, I cavalieri di Glen
Rating: Verde
Genere: Romantico, Fluff, Sovrannaturale
Altro: Cross-over, Gender Bender



N.B: questa è la continuazione di Cherryblossom

Photobucket

Ok.
Elliot non era mai stato abbastanza sciocco da credere veramente che, nella sua vita, non ci sarebbero stati più brutti momenti dopo che aveva incontrato la sua piccola, adorabile Célie. Aveva sempre saputo che qualcosa immancabilmente doveva andare a rotoli quando si trattava di lui, eppure non poteva non ammettere che, per un secondo solo, aveva davvero sperato che questa volta fosse diverso. Che, questa volta, avrebbe potuto finalmente tirare un sospiro di puro sollievo.
Ma no, non vi erano eccezioni per lui. La sua vita, no anzi, la sua così detta buona stella avrebbe ricominciato a brillare nel senso sbagliato portandogli una orribile sfortuna.
Da manuale insomma.
«Hai quindi intenzione di trasferirti?»
Dean lo fece rinsavire a poco a poco, complici la sua voce decisa e quella pacca che era solito dargli a mò di saluto da che si erano visti la prima volta. Quella era una delle tante abitudini che Elliot, in quanto a brontolone gentiluomo, non poteva proprio soffrire, ma siccome non gli andava di mettere in piedi uno dei suoi ennesimi spettacolini in compagnia di quel ragazzo -che il più delle volte lo faceva apposta a farlo innervosire- si astenne dal rivolgergli qualsiasi provocazione, limitandosi a guardarlo storto.
Alzò le spalle, tornando poi a fissare il vuoto di fronte a sè, il luccichio del sole che si rifletteva nello stagno del parco che lo abbagliava leggermente.
Dean sbuffò. «Andiamo, sei ancora depresso?»
«Dean, vivi un solo giorno nei miei panni e poi potrai venirmi a dire che non ho nessun diritto di essere sempre così giù.» disse il ragazzo, lanciando uno dei sassolini bianchi che aveva raccolto lungo il cammino prima di mettersi seduto sull'erba nell'acqua «Uno solo, e solo dopo potrai lamentarti.»
«Ne deduco che non hai intenzione di venirne fuori.»
«Fuori da cosa?»
«Non puoi avere paura di tuo zio per sempre.»
Elliot non lo guardò neanche tanto era preso dal suo nuovo passatempo: oh sì che poteva farlo, poteva temere suo zio all'infinito per quello che lo riguardava o, quanto meno, poteva covare nei suoi confronti ogni più subdolo ed infimo sentimento. Non ricordava nemmeno quando era stata l'ultima volta che lo aveva dovuto vedere, ma sapeva per certo che non era stata una bella esperienza, anzi, forse una di quelle che avrebbe preferito seppellire sotto a chilometri di terra.
«Non ti puoi mica permettere di essere tanto schizzinoso bello mio, sopratutto se si tratta di avere la possibilità di vivere a Londra.»
Lui se ne rimase zitto.
«Londra...» continuò Dean, fissandolo pieno di stizza «...ovvero la città dove Célie si trova ora. Luogo in cui suo fratello l'ha convinta a tornare. Casa del Fish and Chips, del Tower Bridge e della Regina d'Inghilterra.»
«So cos'è Londra!»
«E allora perchè tutta questa cavolo di esitazione!?»
«Sto esitando perchè, per quanto lei mi manchi, il solo pensiero di rivedere mio zio mi fa venire...il mal di stomaco.»
«Quanto malaccio può essere?»
Il giovane dai capelli marrone chiaro sospirò, socchiudendo gli occhi. Dopo la vicenda di Angelina si era spesso ripetuto che suo zio in fin dei conti non era così male, però non era mai stato davvero molto certo. Più che altro c'erano alcuni lati di lui che davvero non capiva. Era come se un alone oscuro lo circondasse, un qualcosa che lo scacciava e che impauriva chiunque gli si avvicinasse.
Anche se possedevano lo stesso sangue, nemmeno Elliot poteva dire di essere immune al suo effetto negativo.
«Lui è...complicato.» esordì, scompigliandosi i capelli «Non gli va mai bene niente, è austero, autoritario, non appena lo guardi ti si gela il sangue nelle vene... Io...io non credo di averlo mai visto sorridere poi.»
«Wow. Mi ricorda qualcuno!»
Dean scoppiò a ridere, mollandogli un'altra accidenti di pacca sulla schiena. Per poco Elliot non cadde in avanti, ma per fortuna ebbe la prontezza di piantere le mani a terra, lasciando andare in un colpo solo tutti i sassolini che gli erano rimasti.
Ancora uno sguardo pieno di rimprovero e poi si alzò, nervoso.
«Non è neanche venuto al funerale di mio padre e dei miei fratelli.»
Il suo amico la smise di sogghignare e, ricordando il giorno in cui aveva presenziato alla funzione a fianco di Elliot, ogni desiderio di sdrammatizzare sembrò morire così come era affiorato. Ancora non aveva dimenticato lo sguardo del suo compagno, ancora non poteva dire di essersi lasciato alle spalle la totale desolazione che gli aveva letto negli occhi. Lui, da solo, aveva dovuto caricarsi sulle spalle ogni peso della famiglia e all'epoca non aveva che soli quattordici anni.
Adesso ne aveva diciasette, era cresciuto e per quanto dura potesse essere la sua vita aveva stretto i denti ed era andato avanti come meglio poteva, contando solo sulle sue forze.
«Tuo padre...ha sposato sua sorella...no?» chiese allora, seguendo il suo esempio ed alzandosi.
Era una domanda sciocca da fare, la risposta doveva essere ovvia, ma chissà come mai non si aspettava che la cosa valesse anche per quel caso specifico.
«Già. Ma questo non è bastato per scomodarlo a venire fino a qui.»
«Non scorreva buon sangue fra i due?»
«Qualcosa del genere...mio padre non si sbottonava mai molto su questo argomento o...beh, o su qualunque altro a dire il vero.»
Ci fu un attimo di silenzio, il quale venne usato da entrambi i ragazzi per ponderare per bene le parole che sarebbero scaturite in seguito dalle loro bocche. L'aria si era fatta pesante, l'inverno ormai era alle porte, e un leggero venticello scuoteva i lembi dei loro cappotti di qua e di là, facendoli sbattere molte volte contro le loro coscie. Non era ancora arrivato il momento di prendersi pena per accendere i riscaldamenti o tirare fuori i piumoni, eppure, in una giornata come quella, con il sole alto che illuminava tutto attorno a loro, non si sentiva voci nel parco a quell'ora pomeridiana. Nessun bambino giocava a rincorrersi con l'amico, nessuno portava a spasso il cane dopo il pranzo.
C'era tanta calma, troppa forse.
Sembrava quasi che all'improvviso gli unici due esseri viventi sulla faccia della Terra fossero Elliot e Dean.
Fu quest'ultimo a rompere quel magico attimo, carico di tensione e phatos.
«Per quanto lui ti stia antipatico» mormorò «andare a vivere sotto al suo stesso tetto è l'unica maniera che hai per poterla rivedere.»
«Ci sono sempre gli Hotel.»
«Oh sì, bell'idea. Un diciasettenne che vive solo in un Hotel a Londra. Non darai nell'occhio di sicuro.»
«Potrei usare un nome falso.»
«Elliot, il tuo cognome è Nightray.» continuò Dean, alzando un sopraciglio «Come pensi di poter passare inosservato, anche volendo?
I tuoi doveri ti seguiranno fino a là, che credi? I londinesi sono stupidi, è vero, ma abbiamo avuto modo di conoscerne uno che dimostra di essere alquanto furbo. Non gli ci vorrà molto per capire che sei là per un unico motivo e, una volta che ci sarà arrivato, vedrai che avere dalla tua parte Glen Baskerville non sarà tanto malaccio.»
Glen Baskerville. Sentire quel nome gli dava la nausea in un certo senso.
Certo, mai quanto glielo dava il pensiero di dover affrontare un altro parente poco ragionevole di Célie.
Si chiese ancora una volta se valesse davvero la pena di passare oltre a tutte quelle pene per una sola ragazza, poi però si apostrofò nuovamente come stupido e capì che ormai, senza di lei, valeva poco più di niente. La amava, e qualsiasi ostacolo gli si fosse parato di fronte lui lo avrebbe superato tornando al suo fianco di volata.
Ciel non la avrebbe avuta vinta, non gli avrebbe permesso di rovinare la loro storia.
«Non ho scelta allora.» disse in un sussurro «Andrò a vivere...da mio zio.»
I suoi occhi si rabbuiarono e, in un secondo, si accucciò a terra con le ginocchia la petto massaggiandosi le tempie pieno di incredulità.
«Andrò a vivere...da mio zio! Santo cielo devo essere pazzo, malato, completamente ammattito!»
«Chiaro che lo sei.» gli rispose l'amico, alzando le spalle e mettendosi le mani in tasca «L'amore ormai è una malattia riconosciuta persino dai medici, dottori o psichiatri che siano, non lo sapevi?»

Cèlie guardò fuori dal finestrino dell'automobile, contemplando il triste paesaggio Inglese, sempre così monotono e grigio rispetto a quello caldo e colorato che aveva imparato ad amare a Parigi.
Lei ormai che aveva in comune con l'Inghilterra?
Cosa la legava esattamente a quella terra dalla storia antica e ricca, dai modi raffinati ed eleganti invidiati da tutto il resto del mondo, madrepatria di grandi pensatori e filosofi?
Beh, forse non poteva più considerarsi una cittadina Inglese a tutti gli effetti, ma aveva comunque qualcosa a cui dover tornare, anzi era meglio dire qualcuno. Quel qualcuno era la persona più importante per lei, la più importante in assoluto, in quanto unico componente che le era rimasto della sua famiglia: Ciel, il suo fratello gemello, era il solo assieme ad Elliot a cui lei avesse sempre pensato con costanza, fino a sentirsi quasi male.
Gli voleva bene, un bene dell'anima, ed era per questo che aveva deciso di tornare a vivere assieme a lui, assecondando il suo desiderio di rivederla tornare a Londra ora che Angelina era morta e non vi era più nessuno a tenerli divisi.
A dire il vero, Célie non avrebbe voluto prendere una decisione drastica come quella -e se qualcuno stava pensando che il dover scegliere fra l'amore della sua vita e ciò che rimaneva della sua famiglia era stato facile allora si doveva ricredere per forza- ma quando la piccina aveva notato la totale mancanza di bontà nelle azioni del fratello non aveva potuto fare altro che salire sul primo aereo e tornare di filata al suo fianco.
Il suo caro gemello aveva perso di vista qualcosa nel corso degli anni, una cosa molto importante che un tempo, anni addietro, lei gli aveva sempre invidiato: Ciel era sempre stato quello forte, quallo tenace certo, ma era anche stato capace di atti semplice magnanimità, di una purezza e di una dolcezza indicibili.
Adesso invece non rimaneva che un involucro vuoto. Un essere umano che di umano aveva ben poco se non un labile sprazzo di ciò che era stato in passato. Di ciò che lei aveva amato con tutta sè stessa.
Doveva aiutarlo, assolutamente, e per farlo aveva dovuto dire addio ad Elliot fingendo di non provare più per lui tutto l'amore che chiunque invece le avrebbe letto negli occhi. Lo aveva giurato perfino, di fronte al diretto interessato, maledicendosi per il dolore che gli stava procurando dicendo quelle cose.
Gli aveva chiesto di essere sempre sincera con lei, di permetterle di diventare il suo scudo contro i brutti pensieri, di condividere i suoi patimenti, ma quando lui aveva avuto maggiore bisogno del suo sostegno lei gli aveva voltato le spalle e lo aveva abbandonato a sè stesso. Si sarebbe odiata per sempre per ciò che aveva fatto, lo sapeva bene, però dentro di sè non poteva fare altro che sperare che Elliot un giorno avrebbe capito cosa la aveva spinta a comportarsi così male. Sperava che si sarebbe reso conto di quanto, nel suo cuore, non potesse che esserci spazio per lui e lui soltanto.
D'altro canto Célie pensava che, se fosse stato als uo posto, anche Elliot avrebbe fatto lo stesso per un componente della sua famiglia. Suo fratello adesso aveva bisogno del suo aiuto e niente e nessuno la avrebbe distratta da questo obbiettivo. Nemmeno il grande amore della sua vita.
«Quanto manca ancora, Signor Backster?» domandò la ragazza, sporgendosi un poco verso il conducente dell'auto che Ciel le aveva messo a disposizione.
L'uomo la guardo dallo specchietto, con occhi pieni di indulgenza e quasi commozione vista la riverenza con cui lei aveva preso a rivolgersi nei suoi confronti. Non era di certo cosa da tutti i giorni che un padrone parlasse così ad una persona che lo serviva e che, poco ma sicuro, non era abituata a sentirsi quasi alla sua pari.
«Siamo praticamente arrivati signorina.» le rispose, sorridendo «Ancora non si è abituata alla vita mondana, non è vero?»
Célie annuì, sospirando mentre se ne tornava al suo posto. Si sistemò per bene l'abito di un rosa pastello chiaro che indossava e, guardando ancora una volta fuori dal finestrino, alzò semplicemente le spalle quando di sentì pronta a rispondere a quella domanda.
«Ho smesso di fare queste cose...quando sono morti i miei genitori.» mormorò «E anche allora ho presenziato sì e no al massimo a tre feste importanti in compagnia di mio padre e di Ciel. Ero spesso malata da bambina e perciò non mi era permesso uscire troppo. Non sono avvezza a certe cose credo.»
«Anche oggi le hanno chiesto cose che lei non sapeva?»
«Già. A volte mi sento una stupida...più del solito.»
«Non lo è, signorina. Ha solo bisogno di farci l'abitudine.»
«Sì, e di studiare a fondo il lavoro di mio fratello!»
Entrambi si misero a ridere, ben consci che la cosa poteva apparire più facile di quello che era in realtà. Le cose che faceva Ciel ogni giorno non solo erano del tutto fuori dal mondo della piccola Célie, ma risultavano astruse persino agli adulti che lo circondavano, dandogli man forte per portare avanti i possedimenti della famiglia Phantomhive. Erano gli ultimi della loro famiglia, il peso di quelle ricchezze non poteva che ricadere su loro due e, per quanto sino a quel momento Ciel si fosse sobbarcato tale incarico sulle proprie esili spalle, da adesso in poi lei avrebbe fatto tutto quello che era in suo potere per potergli tornare un minimo utile.
Per ora si occupava di presenziare a feste a cui lui non aveva nè il tempo nè la voglia di andare, rispondendo non solo a domande che riguardavano sua zia Angelina -eh sì, i pettegoli ci sono ovunque purtroppo-, ma anche ad altre che avevano a che fare con gli affari di cui Ciel non le parlava mai e poi mai.
C'era qualcosa di strano in tutto questo, Célie lo sapeva bene, ma per il momento aveva deciso di lasciar correre, prendendosi la briga di chiedere che stesse succedendo solo quando fosse stato veramente necessario.
Si fidava di suo fratello, si fidava ciecamente, e quindi non trovava giusto dubitare del suo operato per quanto misterioso fosse il fatto che lui solo, all'età di sedici anni, fosse stato in grado di portare avanti un'impero come quello.
Improvvisamente le venne in mente una cosa, una cosa che aveva voluto chiedere da un sacco ma che mai aveva avuto il coraggio di fare.
Deglutì piano, quasi inconsciamente. «Signor Backster...mi sa dire da quanto...da quanto lavora qui, il Signor Michaelis?»
L'altro se ne rimase zitto per un pò, come intimorito da quella piccola questione. Ci aveva visto giusto, le persone appartenenti alla servitù non vedevano tutte di buon occhio la presenza di quell'uomo, di quella persona così strana eppure così dotata ed eccezionale. Lo si poteva ammirare da molti punti di vista, era praticamente capace di fare qualsiasi cosa, ma stargli attorno era strano, anormale.
«Lo abbiamo visto comparire tutti assieme al padroncino.» ammise infine Backster, senza più staccare gli occhi dalla strada ora che stavano oltrepassando il cancello della villa Phantomhive, la voce priva della sfumatura allegra di poco prima «Vi avevamo ritrovata da poco, eravate tornata esanime dal rifugio dei vostri rapitori, ma quando la polizia arrivò sul posto non trovò nessuno. Eravamo tutti disperati, in ansia sopratutto, e pensavamo che ormai non ci fosse più nulla da fare per il signorino...ma poi eccolo riapparire portato in braccio da Sebastian.»
Cèlie non poteva ricordare quel giorno, quando Ciel era ricomparso sua zia la aveva già portata lontano con la scusa che non voleva darle altro tormento lasciandola in un luogo che le avrebbe ricordato solamente la perdita dei genitori e dell'adorato fratello. In più, allora, per via delle prigionia era stata spesso a letto, addormentata.
Come se però avesse vissuto anche lei quell'epico attimo, il suo respiro si fece più pesante ed il battito del cuore si velocizzò. Chissà cosa doveva aver significato per gli altri quella visione. Chissà cosa avevano pensato tutti, vedendoli all'orizzonte.
«Da quel giorno non se ne è più andato, anzi, è rimasto costantemente al fianco del padroncino.»

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** New Reunion. ***


Era già stato a Londra, e dall'ultima volta che ci aveva messo piede non era passato poi neanche tanto tempo, eppure quella città non gli era mai sembrata più diversa, caotica ed assurda di allora.
Elliot si guardò attorno perplesso, con gli occhi leggermente sgranati, seguendo con sguardo sconvolto ogni persona che gli passava davanti e che, ovviamente, non sembrava nemmeno vederlo. Era circondato da una tale valanga di gente che lui, là in mezzo, sembrava proprio il tipico pesce fuor d'acqua: tutti quanti parevano avere un posto preciso in cui andare, un qualcosa di assolutamente importante da fare prima che scattasse l'ora X, mentre lui invece non sapeva nemmeno da dove cominciare per ripartire alla stra grande in quella nuova vita.
Una vita che, comunque, non si era per niente scelto.
La verità era che ci era andato a sbattere contro.
«Signorino Nightray?»
Una voce totalmente sconosciuta lo riscosse dai suoi pensieri e, voltandosi, Elliot si ritrovò dinanzi un omaccione enorme, dalle spalle larghe, lo sguardo vitreo, ed un enorme tatuaggio a campare sulla guancia. Indietreggiò di un passo, cercando di non apparire atterrito più del dovuto.
«Sono qui per scortarla sino alla villa Baskerville, signorino.» continuò l'altro, prendendo subito le sue uniche due valigie e trascinandosele dietro senza neanche chiedere il permesso.
«A-Aspetta un attimo!» esclamò lui, cercando di fermarlo afferrandolo per un braccio «Chi sei tu? Non ti sembra il caso di presentarti?»
«Non è necessario che io mi presenti.»
«Beh, a me hanno sempre insegnato che...»
«Il padrone non ama i ritardatari e noi, purtroppo, siamo già indietro sulla tabella di marcia.»
Detto questo, senza lasciargli il beneficio del dubbio, l'omone ricominciò a camminare nella speranza forse che Elliot avrebbe fatto lo stesso, magari smettendola di fare domande.
Poveraccio, non sapeva proprio con chi aveva a che fare...

Quando arrivò alle porte dell'enorme villa, Elliot se ne rimase un secondo davanti al portone d'ingresso, crogiolandosi per l'ennesima volta nei suoi numerosi dubbi. Ancora si chiedeva come mai, alla fine, aveva veramente deciso di andare da lui, da suo zio. Non ricordava nemmeno l'ultima volta che si erano visti o, cosa ben peggiore, non sapeva nemmeno se si erano mai effettivamente parlati: le uniche volte che era venuto a casa si era chiuso nelle stanze che gli erano state gentilmente offerte e, una volta uscito, dialogava solamente con sua madre, in segreto, in posti della casa a cui lui ed i suoi fratelli non potevano accedere.
Quell'uomo era quanto di più misterioso conoscesse a quel mondo ma, per uno strano scherzo del destino, era anche quanto di più vicino ci fosse al momento ad una famiglia per Elliot.
Prese un profondo respiro e, aprendo lentamente una delle ante della grande porta, si ritrovò immediatamente immerso nel buio più totale.
Si guardò in giro, preoccupato che fosse partita la luce o qualcosa di simile, e mentre avanzava piano in uno spazio vuoto in cui lui distingueva poco o niente -aveva visto qualcuno svanire dietro all'angolo o se l'era immaginato?- udì i passi di Doug, l'uomo che lo aveva portato sino a lì, alle sue spalle.
«Ma non avete l'elettricità qui a Londra?» domandò allora, girandosi su se stesso e fissando i suoi occhi in un punto imprecisato del salone d'entrata, dove immaginava che Doug stesse «Mi sembra ben strano che teniate tutto spento...sopratutto a quest'ora di sera.»
«Il padrone non ama molto sprecare denaro...» rispose l'altro «...e converrete con me che illuminare una dimora di queste dimensioni anche in luoghi in cui non ve ne sta alcun bisogno potrebbe essere quanto mai costoso.»
«Ok, ma così mi sembra esagerato...non si vede niente!»
Detto questo andò a sbattere contro qualcosa, o meglio, contro qualcuno.
In un breve lasso di tempo si ritrovò a terra e, massaggiandosi il sedere con una mano, maledisse almeno cento volte suo zio per quelle sue idee balzane ed insensate. Stava aspettando il suo arrivo quindi, seguendo l sua logica astrusa, avrebbe come minimo dovuto accendere le luci nell'entrata santo cielo!
«Accidenti!» mugugnò, alzandosi in piedi «A riprova di ciò che ho detto, sono inciampato dannazione!»
«Doug...accendi le luci.»
Una terza voce raggiunse le orecchi del giovane che, scattando sull'attenti, si maledì da solo per essere stato così scortese.
«A quanto pare mio nipote non apprezza molto i miei modi di condurre questa casa...»
Finalmente i grandi lampadari di cristallo sopra le loro teste si accesero e quando Elliot si fu riabituato al bagliore delle lampadine si ritrovò di fronte il viso pallido e contratto dal solito muso di suo zio: Glen Baskerville se ne stava là, con le braccia conserte dietro alla schiena, a fissarlo con occhi cupi e pieni di pregiudizi. Erano viola, come quelli di sua madre, ma decisamente di un coloro più intenso rispetto al suo.
«Ehm...chiedo scusa per le mie parole.» si affrettò a dire, facendo come un piccolo inchino.
Si sentiva un povero imbecille...
«Dovresti avere il coraggio di sostenere le tue idee, Elliot. Se pensi che dovrei tenere le luci accese in ogni stanza della casa, ebbene, dillo apertamente, senza nasconderti dietro ad inutili scuse.»
«Non intendevo dire di farlo in tutte le stanze della casa veramente.»
«Volevi forse lasciare intendere che ci sono stanze in cui vale la pena lasciare accesa la luce tutta la sera ed altre invece che, grazie al cielo, posso lasciar perdere?» chiese ancora Glen, girandogli attorno come un'avvoltoio «E quali sarebbero?»
«...non volevo dire neanche questo.»
«Cosa volevi dire allora, di grazia?»
Elliot rimase zitto e prese a guardarlo a sua volta negli occhi, sfidandolo.
Capiva molte cose ora che lo vedeva per bene e, anche se ci aveva parlato per soli due secondi, già sentiva crescere dentro di sè un irrefrenabile senso di disprezzo nei suoi confronti: di certo suo padre non era un santo, ciò che aveva fatto a sua madre era la prova che nessuno poteva dirsi del tutto immacolato, ma non ricordava si fosse mai permesso di trattare a quella maniera nessuno, men che meno i suoi ospiti.
Digrignò i denti, stringendo forte i pugni lungo i fianchi.
«...niente.» mormorò «Non volevo dire niente. Sono solo stanco.»
Il Signor Baskerville se ne restò là, fermo in mezzo al salone, a guardarlo dall'alto come se lo stesse ancora studiando per bene. Si soffermò a studiare il volto del nipote, i caratteri ereditari che aveva preso dalla sorella, come ad esempio il piccolo neo che aveva sotto all'occhio sinistro, o le iridi azzurro ghiaccio che invece aveva preso dal padre. Il suo portamento era fiero, deciso, e dal suo sguardo non traspariva la minima paura...
In quello, forse, un pò assomigliava a lui.
«Molto bene.» disse, in un soffio «Doug ti farà vedere la tua stanza. Ti riferirà le varie regole di questa casa.»
«Regole?»
Glen annuì, dandogli le spalle e cominciando a camminare verso una porta infondo al corridoio che passava vicino al grande scalone di marmo.
«Non ne hai mai sentito parlare? Non mi stupisce...in fondo tuo padre non è mai stato tipo abbastanza sveglio da crearne di intelligenti.»
Elliot si trattenne dal seguirlo e mollargli un pugno in faccia. Si limitò a prendere dei lunghi e profondi respiri, chiudendo gli occhi con così tanta forza che per poco non gli sembrò che potessero in qualche modo scoppiargli nelle orbite. Quello là era il peggio del peggio, assolutamente.
E Dean aveva avuto il coraggio di paragornarlo a lui!
Fece per allontanarsi anche lui quando, improvvisamente, gli vennero in mente le parole di sua madre.
«Si da sempre la buonanotte prima di salire nella propria stanza, Elliot.»
Sospirò e, con una mano già sul corrimano ed un piede posto sul primo gradino, abbassò lo sguardo.
«Beh...Buonanotte...» sussurrò «...zio.»
Nel momento stesso in cui ebbe finito corse su per le scale e non si voltò neanche una volta, tutto rosso in volto: che razza di figure doveva fare solo per essere politicamente ed eticamente coretto, santo cielo!
Glen rimase immobile di fronte alla porta, contemplando il pomello d'ottone che stringeva ancora fra le mani.
«Buonanotte...Elliot.»

Célie corse giù per le scale tutta sorridente, il bel vestito leggero di un azzurro chiaro a svolazzare di quà e di là ad ogni sua mossa. Saltellò per i corridoi come una sciocca, salutando chiunque le capitasse sotto tiro, proprio come faceva un tempo quando era ancora una bambina di soli cinque o sei anni.
La servitù, rispetto ad un tempo, era decisamente poca ed alcuni dei volti che vedeva ogni giorno da quando si era trasferita nemmeno li riconosceva, ma ciò non importava. La cosa che davvero contava era che, finalmente, dopo tutto il tempo che erano riusciti a non pasare insieme nonostante vivessero sotto allo stesso tetto, Ciel aveva trovato una giornata da poter usare solo per stare con lei.
Ancora una rampa o due e voilà, si ritrovò nei pressi della sala da pranzo dove, suo fratello, stava certamente consumando la sua colazione: Célie si mise a posto l'abito, controllò che il fiocco che aveva fra i capelli fosse esattamente al suo posto, e poi spalancò la porta esibendo un sorriso che avrebbe illuminato anche la notte più buia.
«Buongiorno fratellone!» esclamò, camminando con eleganza verso l'enorme tavolo.
Ciel alzò gli occhi dal suo giornale e la guardò, rasserenandosi all'istante.
«Buongiorno.»
Lasciò che lei si mettesse comoda al suo fianco e, mentre alcune cameriere si occupavano di servirla come si conveniva, mise da parte i fogli che aveva in mano pronto ad immergersi in una nuova conversazione mattutina con la gemella.
«Mi sembri allegra oggi...è successo qualcosa di particolare?» domandò, facendo il finto tonto.
«Non prendermi in giro Ciel, so che tu sai!»
«So cosa?»
«Che oggi sei tuuuuutto per me.»
Ciel fece una pausa, corrugando la fronte, serio.
«Davvero?»
«Ma sì, me lo hai...detto tu.»
«Oh...scusami Célie, ma temo proprio che...»
La giovane si rabbuiò, guardando a terra.
«Non...non preoccuparti io posso...noi possiamo anche...»
«Scherzavo, sciocchina.»
Le scompigliò i capelli amorevolmente e le sorrise, sornione come suo solito, in qualche modo felice nel constatare che, pur avendone passate di tutti i colori proprio come lui, a sua differenza Célie era riuscita a mantenere tutta la sua ingenuità.
«Stupido!» sibilò lei, mettendo il muso anche se solo per un breve lasso di tempo.
«Allora, cosa facciamo oggi?»
«Non lo so. A me basta anche andare semplicemente al parco.»
Ciel si mise in bocca un pezzetto di pane e quando lo ebbe masticato per bene, buttandolo giù, tornò a fissarla negli occhi.
«Kensington Gardens?»
«Sì!»
«E figuriamoci...sono i tuoi giardini preferiti da sempre.»
Célie stava per rispondere a quella constatazione quando, alle sue spalle, apparì Sebastian.
Si zittò all'istante e lo squadrò per un poco, rabbuiata. Era inutile dire che quell'uomo, per quanto li avesse enormemente aiutati contro Angelina, non le andasse molto a genio. C'era qualcosa in lui che non la convinceva, qualcosa che sapeva stava avvelenando l'animo di suo fratello nel profondo, irrimediabilmente.
Girò il capo e si concentrò sulla sua porzione di uova e bacon, giocherellando con il cibo usando la punta della forchetta.
«Signorino, mi duole informarla che sono arrivate delle missive per lei.» gli sentì dire.
In un minuto i suoi sogni riguardo alla loro splendida giornata andarono in mille pezzi.
«Sono cose importanti?» domandò suo fratello.
«Sì, padroncino.»
«...posso aspettare. Ho altro da fare quest'oggi.»
Il ragazzo strinse forte la mano della gemella e sorrise.
«Una cosa che non può più aspettare.»

La loro giornata speciale passò in totale allegria e serenità. Lo stesso Ciel se ne stupì visto e considerato che, uno come lui, non si concedeva quel genere di lussi da molto, ma molto tempo.
In un primo momento aveva pretesto il ritorno di sua sorella più per mettere i bastoni fra le ruote di quel ragazzotto, quell'Elliot, e per quanto si fosse sentito enormemente geloso per il semplice fatto che voleva portarle via sua sorella ora che la aveva ritrovata, non riusciva proprio a ricordare quel genere di sentimento ostile e pessimo che aveva sentito quando li aveva visti così affiatati.
L'unica cosa che sapeva, l'unica cosa che sentiva adesso, era che la voleva al suo fianco per sempre, ogni giorno della sua vita. La luce che Célie portava con sè era qualcosa che lui aveva completamente dimenticato, un genere di dono che si era lasciato alle spalle nell'attimo stesso in cui aveva perso i genitori in quel fatidico incendio. Aveva venduto la sua anima al diavolo, nel verso senso della parola, ed ora avere accanto una persona come lei era decisamente indispensabile.
Ciel la guardò con attenzione da sopra alla coperta che avevano stesso sul prato, sotto all'albero più grande di tutto Kensington. Stava inseguendo uno scoiattolo senza preoccuparsi troppo del suo ceto sociale o del fatto che erano in molte le persone che la stavano guardando.
Sorrise mestamente prima di rendersi conto di essere a sua volta tenuto d'occhio.
«Sebastian...» disse, fra i denti «...cosa c'è?»
«Ho una brutta notizia per voi, signorino.» rispose l'altro, uscendo dall'ombra.
«Altre missive per caso? Mi sembra di averti già detto chiaramente che per oggi io non...»
«Elliot Nightray è arrivato a Londra.»
Il giovane si voltò di scatto, gli occhi ridotti a due fessure dalla rabbia.
«A quanto pare al momento sta da suo zio, il conte di Baskerville.»
«Glen Baskerville...» si lasciò sfuggire lui, stringendo un pugno sull'erba e strappandone alcuni fili «...questo può diventare un problema.»

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Questions & Invitations. ***


Célie uscì dal suo bagno canticchiando dolcemente, i capelli zuppi d'acqua ma profumati di fragola, così come la sua pelle: si era goduta un bagno lungo e stupendo, aveva giocato con la schiuma bianca presente nella vasca, si era divertita a fare le bolle con il sapone e poi, di sfuggita, aveva posato uno sguardo incerto oltre la finestra sopra la sua testa.
Il cielo, stranamente, era rimasto sereno per tutta la giornata permettendo a dei timidi fasci di luce di posarsi tutto intorno a villa Phantomhive, illuminando il grande parco che circondava la sua dimora. Solo piccole nuvole paffute passavano, di tanto in tanto, di fronte al sole incandescente, come a voler dimostrare che in Inghilterra il brutto tempo poteva essere sempre dietro all'angolo.
Fissando quello spettacolo ed udendo gli uccellini che cantavano allegri, Cèlie si era scordata per un pò il posto in cui si trovava e, risucchiata dai suoi sogni e dai suoi sentimenti, si era riscoperta a credere di essere ancora a Parigi, nella casa della zia, ad aspettare di godersi un bel pomeriggio in compagnia del suo Elliot. Insieme avrebbero fatto un bel giro all'aperto, mano nella mano, avrebbero riso felici e si sarebbero scambiati anedotti circa la loro giornata che, per quanto noiosa potesse essere, non avrebbe mai incrinato i loro sorrisi.
Tutto sarebbe stato perfetto, come ogni volta che stava con lui, e lei si sarebbe sentita ad un palmo dal paradiso, pronta a trascorrere la sua vita in un posto pieno solo di amore e perfezione.
Si era come dimenticata di ciò che aveva fatto, della decisione che aveva preso, ma ben presto aveva dovuto riportare i piedi per terra.
La voce sicura e pacata di Sebastian, all'altro capo della porta che conduceva, dal bagno, alla sua stanza, la aveva colta alla sprovvista mandando in mille pezzi il mondo fantastico che, ancora una volta, era riuscita a crearsi. Tutta la calma riaquistata pensando al suo amore se ne andò via, sciaquata dalla consapevolezza di avergli spezzato senza tanti complimenti il cuore.
Non la avrebbe mai perdonata. Mai.
«Signorina, le ho preparato i vestiti per stasera.»
Al suono di quelle parole, Célie si era perciò costretta ad uscire dalla vasca piena di acqua calda e, coprendosi con l'asciugamano azzurro pastello che era stato appoggiato poco distante da essa, si diresse versò la sua camera. Alcune goccie d'acqua scivolarono lungo tutto il suo corpicino indifeso, fragile, ed i capelli bagnati le si erano attaccati alle spalle, pesanti, facendola sembrare proprio come un piccolo pulcino zuppo. Con gli occhi un poco stanchi ed il viso pieno di disappunto e dispiacere, la ragazzina non fece neanche caso al fatto che non era sola.
Fu solo quando si chinò sul materasso del suo grande letto a baldacchino, il quale era stato opportunamente rifatto dalla servitù, che si rese conto della presenza di fidato maggiordomo di Ciel: Sebastian, sorridente come al solito, la stava guardando con aria quasi divertita dall'altro capo della stanza, le braccia incrociate al petto ed uno sguardo fin troppo calcolatore ed interessato.
Lei si irrigidì, indietreggiando di un passo e finendo contro allo sgabello che stava di fronte al ripiano con lo specchio ove, la sera e la mattina, si pettinava con cura i lunghi capelli blu. Il piccolo sedile cadde a terra, facendo un rumore sordo che aleggio fra di loro per un tempo indefinito, quasi troppo lungo.
«S-Sebastian...» balbettò Célie, cercando di sembrare autoritaria come suo fratello -cosa ben difficile per una con il suo carattere- «Cosa...cosa ci fai ancora qui?»
L'uomo dai magnetici occhi rossi fece un'altro sorriso beffardo, canzonatorio perfino, come se la risposta dovesse essere in qualche modo ovvia.
Ma non lo era o, comunque, non per lei.
«Mi stavo solo assicurando che non le mancasse niente...Miss Phantomhive.»
Célie deglutì. «Sono a posto, grazie.»
«Oh, lo vedo da me, mi creda...»
Fece una pausa qui, squadrandola da capo a piedi e avvicinandosi a lei con passo deciso, le sue movenze eleganti sempre e comunque, quasi che ne andasse della sua vita se, magari, si fosse concesso di tanto in tanto di non sembrare così dannatamente perfetto in ogni cosa che faceva.
Sebastian prese fra le mani un piccolo asciugamano, quello che lui stesso aveva posato vicino agli abiti della sorella del conte solo qualche istante prima, e senza farsi troppi complimenti glielo posò sul capo cominciando ad asciugarle con tocco gentile la testa. Le sorrise, buono e gentile come avrebbe potuto esserlo un padre con la figlia o semmai, vista anche il leggero sbalzo di età che li divideva, più semplicemente come un fratello maggiore con la sorella più piccola. Célie rimase incantata da quell'espressione, ben conscia che da che lo aveva visto non era di certo la prima volta che le offriva un qualcosa di simile.
Prese un profondo respiro e distolse lo sguardo, arrossendo.
«N-Non serve che tu faccia questo...» riuscì a dire, pur tenendo le labbra assai serrate «Sono in grado di farlo da me.»
«Mmm, allora sarà meglio che non la importuni oltre.» le rispose l'altro, allontanandosi quel tanto che bastava per permetterle di occuparsi dei suoi capelli anche da sola.
Cèlie non disse niente e, imbarazzata più che mai, cercò di non pensare al fatto che nessun uomo per bene si sarebbe fermato così tanto nella stanza di una ragazzina, che per giunta non aveva indosso praticamente nulla di consistente, a guardarla come se fosse la cosa più normale del mondo.
Stava appunte per esternare questi suoi dubbi quando, d'improvviso, sentì la breve e tagliente risata del maggiordomo. Gli crebbe a fior di labbra, ma alle orecchie della giovane non aveva nulla che poteva invitarla in qualche modo ad unirsi a lui.
«Siete proprio diversi...» disse infine, portandosi una mano vicina al mento «...lei ed il signorino intendo.»
La piccina lo fissò, muta come una tomba.
«Esternamente potrete anche sembrare identici, l'uno il riflesso dell'altra, ma quando vi si conosce meglio le vostre differenze saltano subito agli occhi.»
«Ti stai forse riferendo a qualcosa di particolare o...o stai solo dando fiato alla bocca?»
Sebastian rimase sorpreso di fronte a quella risposta e, a dirla tutta, la stessa Célie sembrò non capacitarsi di ciò che era stata capace di dire a quell'uomo. Lo stupore però finì e, di nuovo, l'altro le sorrise, più audace e sensuale di prima.
«Il signorino sarebbe orgoglioso di ciò che ha appena detto.»
«Come potrebbe essere orgoglioso di una cosa simile?»
«Diciamo che di recente, suo fratello ha avuto modo di capire che le vere virtù dell'animo sono la perseveranza, la durezza dello spirito, il coraggio sì e, poi...la lungimiranza.» continuò lui «Niente a che vedere con quello che lei sembra pensare.»
«Non nego che coraggio e perseveranza siano due belle doti...ma quanto alla durezza dello spirito non sarei poi così convinta. S-Senza contare che...che il modo in cui hai pronunciato lungimiranza mi lascia solo presagire cose brutte.»
«E fa bene a pensarle.» le rispose «Non ci sono cose belle nella vita del conte e lei, miss Phantomhive, lei dovrebbe saperlo meglio di chiunque altro. In fondo avete patito gli stessi orrori o qualcosa di molto simile.»
Si fece nuovamente avanti e, allungando una mano guantata, le sfiorò una guancia con le dita afusolate, delicato come avrebbe potuto esserlo un petalo caduto per puro caso sulla sua pelle.
Fu un contatto breve, capace di farle venire i brividi sì...ma non di piacere.
«La cosa che mi incuriosisce è come lei sia riuscita a mantenere questo genere di comportamento, questa assurda visione tutta trine e fiori della vita, mentre invece suo fratello sembra annegare nella disperazione più nera. Non si dice che i gemelli sono la stessa anima che vive, divisa, in due corpi? Come potete allora, voi due, avere due anime così differenti?»
Célie si ritrasse bruscamente e, guardandolo storto per quanto le era possibile, scosse energicamente il capo.
«E cosa ne sai tu delle nostre anime?!»
Lui sembrò pensarci e lasciando passare qualche attimo prima di risponderle, si girò diretto verso la porta, pronto ad uscire di scena una volta per tutte. Quando raggiunse l'uscio, girò solo di poco la testa per poterla vedere anche se di sfuggita.
«Io, mia cara, ne so più di quanto non vorresti.»
E detto questo svanì nel corridoio, richiudendosi la porta alle spalle.

Elliot non ne poteva già più della sua nuova vita a villa Baskerville.
Non solo i modi dello zio erano fin troppo assurdi a suo avviso, doveva anche sottostare a regole che non stavano nè in cielo nè in terra e, nel caso avesse sgarrato anche se di poco, venire punito duramente. Ora, non si trattava di punizioni che comportavano l'uso della verga o altre sciocchezze simili, ai limiti dell'indecenza e della disumanità, ma piuttosto erano cose che avevano a che vedere con compiti scolastici senza fine, trattare di temi che erano al livello di un universitario, destreggiarsi fra problemi che solo uno scienziato della nasa poteva risolvere e persino tenere tre secchi d'acqua fredda -ma gelata eh!- uno in equlibrio sulla testa e gli altri due fra le mani, a braccia tese.
Era lì da quanto? Due giorni, massimo tre, eppure aveva già dovuto affrontare più vole cose del genere senza vederne la benchè minima utilità. E tutto perchè non aveva voluto presentarsi alle lezioni private a cui suo zio, senza dirgli nulla, lo aveva iscritto: lezioni di pianoforte -che non gli servivano visto che era già piuttosto bravo da solo-, di violino, di scherma, approfondimenti di storia, letteratura, matematica...
Bastava nominare una materia e lui, neanche fosse un povero scemo che aveva l'assoluto bisogno di tutti i tutor possibili, li doveva seguire.
Adesso, per esempio, si ritrovava di nuovo chiuso in quella stramaledettissima tuta bianca aderente, bardato con una maschera enorme che lo faceva sembrare il cattivo di un film splatter di terzordine, intento a schivare colpi su colpi che la maggior parte delle volte non vedeva neanche arrivare.
«Devi essere più concentrato, Elliot.» disse Fang, avanzando senza sosta verso il ragazzo con l'arma tesa. Elliot girò di lato, facendo una giravolta molto buffa, quasi perdendo l'equilibrio.
«Ci sto...provando!» esclamò lui, cercando di mettere a segno almeno un colpo.
Scattò in avanti, deciso, ma Fang non fece una piega e, invece di indietreggiare, si girò appena scansandolo e colpendolo in velocità all'avanbraccio.
Ecco un altro punto per lui.
Il giovane cadde a terra, di sedere -sembrava che non facesse altro ormai in quel postaccio!- e quando ebbe finito di maledire ogni santo esistente si tolse di dosso la grande maschera che gli copriva il volto. La buttò di lato, senza curarsi del fatto che quel suo gesto poteva essere male interpretato e che, molto probabilmente, lo avrebbe fatto vedere agli occhi del maestro come un bambino troppo poco paziente.
«Ripetimi ancora perchè lo sto facendo.» disse, portandosi una mano sulla faccia, scacciando alcune perle di sudore che gli colavano dalla fronte in mezzo agli occhi, scendendo per la linea del naso.
«Perchè te lo ha ordinato il Padrone.»
«Si, ma oltre a questo.»
«Perchè hai capito che non hai vie di scampo da uno come lui...o fai quello che ti dice...»
«...o fai quello che ti dice.»
Fang sorrise mestamente, offrendogli una mano per rialzarsi.
«Esatto.»
Quando ebbero messo tutta l'attrezzatura a posto e si furono cambiati, sia Elliot che Fang si diressero verso l'uscita più vicina che portava al grande giardino che costeggiava l'intera villa, inspirando a pieni polmoni l'aria fresca e piena di umidità inglese. Elliot trasse un lungo respiro, liberandosi di tutta la carica negativa che aveva accumulato nel corso della giornata...anzi, delle giornate. Ancora non credeva al fatto che non era stato capace di parlare con Cèlie per tutto quel tempo.
Non era andato lì per fare una specie di addestramento forzato sotto gli occhi di Glen Baskerville, dannazione!
Era lì per...beh, per lei.
Guardò a terra, un poco triste. Di fronte a lui non facevano che apparire muri invalicabili, sempre più alti, e ogni volta che riusciva in qualche modo a scavalcarne uno nella speranza di raggiungere finalmente la felicità ecco che ne compariva un secondo, più spaventoso del precedente.
Certo, rispetto ad Angelina Durless, suo zio era decisamente meglio, però rimaneva lo stesso una grossa spina nel fianco al momento.
«Non dovresti fare tutto di malavoglia, sai?» esordì Fang, grattandosi il mento, l'asciugamano bianco appoggiato alle spalle che sembrava in procinto di cadere a terra «Sei piuttosto portato per la scherma...o per qualsiasi sport che preveda l'uso di una spada.»
Elliot, per un secondo, rimase a fissare il tatuaggio che l'uomo aveva sulla guancia, proprio come Doug anche se dalla parte opposta. Era nero e del tutto uguale a quello dell'altro, eppure in qualche modo sembrava voler dire una cosa tutta diversa.
Forse, ai suoi occhi, a Fang donava di più quel genere di cosa.
«Quanti sport esistono in cui si usano le spade...?» chiese, curioso.
«Non lo so. Ma il punto è che potresti farli tutti, se solo lo volessi.»
Il ragazzo corrugò la fronte, un poco deluso dalla risposta.
«Il problema è che non sono qui per diventare il campione spadaccino del secolo.»
«E per che cosa sei venuto allora?»
Esitò nel sentirsi porre proprio quella domanda.
A dirla tutta neanche lui sapeva bene perchè era partito alla volta di Londra. Cèlie lo aveva lasciato no? Quindi chi glielo faceva fare di dover sopportare tutto quel tran tran ogni sacrosanto giorno solo per poterla rivedere? Non era nemmeno certo che lei lo avrebbe rivoluto fra i piedi.
«...volevo solo...» cominciò a dire, sentendosi uno sciocco subito dopo «Volevo solo cambiare aria immagino.»
Fang non fece ulteriori domande e, sgranchendosi un poco la schiena, esibì un pacato e calmo sorriso. Si girò verso il suo allievo e lo guardò con attenzione, alla ricerca di un qualsivoglia motivo per dubitare anche solo un pò delle sue poche parole. Sapeva, anzi, sentiva che stava omettendo di dirgli qualcosa di importante ma, per quanto il suo istinto non avesse mai sbagliato, non poteva in alcun modo obbligarlo a parlare se non voleva.
Magari più avanti lo avrebbe fatto e non necessariamente con lui.
«Rientriamo?»
Elliot annuì e lo seguì dentro, standogli a qualche passo di distanza mentre, insieme, percorrevano uno dei tanti corridoi della dimora di Glen: stavano per andare a depositare gli asciugamani impregnati del loro sudore nella stanza adibita a lavanderia prima di farsi una sana e meritata doccia quando, in un secondo, una piccola bambina dai capelli castano chiari corse loro incontro.
Si fermò di fronte a loro, prendendo a saltare da un piede all'altro tutta contenta, un sorrisone così bello da poter sciogliere il cuore a chiunque. Stava battendo le manine candide di fronte al petto, dando ben chiare avvisaglie del suo essere totalmente ed esasperatamente agitata.
Elliot le piazzò le mani sulle spalle, nervoso, e la fermò a terra inchiodandola là dove stava.
«Cosa c'è Lily?» domandò, scuotendo il capo.
«Siamo stati invitati al ballo! Al ballo!»
Lui si alzò del tutto e la guardò dall'alto.
«A che...?»
«Insomma, siamo stati invitati al ballo in maschera del migliore amico di Glen!»
Fang le mollò un piccolo ed affettuoso pugno sulla testa, costringendola a tenersela fra le mani in silenzio per un secondo.
«Ti ho detto cento volte di non chiamarlo per nome.» mormorò lui, sempre tranquillo, mentre gli occhioni di Lily lo fissavano un poco risentiti «Non è mica il tuo compagno di giochi.»
«Uffaaaaaaa!»
«Chi sarebbe...l'amico di mio zio?»
A parte il fatto che stentava a credere che, uno come Glen, avesse anche solo dei conoscenti o dei servitori fedeli come si erano dimostrati Fang, Doug e Lily, Elliot si sentiva davvero incuriosito di fronte alla possibilità di essere stato in qualche modo invitato ad un ballo lì, a Londra.
Sbagliava o non lo conosceva nessuno?
«Il conte Jack Bezarius.» gli rispose Fang, alzando le spalle «Lui e tuo zio si conoscono da molto tempo. Possiamo dire che sono...migliori amici?»
«...migliori amici.»
«Già.»
Stava per ribadire il suo concetto ad alta voce, ovvero stava per dire che era impossibile che proprio suo zio avesse amici, ma poi gli venne in mente Dean e si zittì: anche lui era spesso burbero ed intrattabile, anche lui esibiva il suo intelletto ostentando una sicurezza che ai più faceva venire i nervi, eppure anche lui era riuscito a trovare un amico importante come Dean.
«...ok.»
«Comunque cosa vuol dire che siamo stati invitati al ballo?»
Fang parlò ancora, accucciandosi vicino alla piccola Lily.
«Vuol dire quello che ho detto no?»
«Vorrai dire che loro sono stati invitati, Elliot ed il Padrone. Non noi.»
«No, no, no, no!» strillò Lily, riprendendo il suo balletto «Dico quello che dico, Glen ha detto che anche noi siamo stati invitati!»
«Chiamalo Padrone o Signore, testona.»
Elliot non badò più a quei due e, vedendo in lontananza suo zio che li guardava, cercò di capire come mai anche lui era stato invitato. Fissò le sue iridi azzurre come il ghiaccio in quelle viola di Glen e, in silenzio, lo interrogò con la mente aspettandosi quasi che l'altro fosse in grado di rispondere.
Ma non fu così. Il conte di Baskerville si girò e se ne andò, svanendo così come era venuto.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** And now it's time to let it through ***


Un altro ballo.
Célie non poteva credere di essere stata invitata ad un altro, sfarzoso ed importante ballo.
Non che non le andasse di andarci, sia chiaro, ma rimaneva comunque basita di fronte al fatto che a Londra la gente di un certo rango si prestasse ancora a presenziare ad infinite feste, proprio come i vecchi nobili inglesi di fine Ottocento, i quali sembravano non pensare ad altro che a frivolezze simili.
In Francia, da che ricordava, non le era mai capitato di dover tirare fuori così spesso i vestiti buoni, anche se a dirla tutta quando ancora abitava a Parigi non godeva poi di molto rispetto fra i giovani dell'alta società. Era quindi impossibile che qualcuno la chiamasse per uscire a fare cose simili...senza contare che la stessa Angelina, quando c'erano grandi occasioni così, era la prima a rinchiuderla in casa minacciandola di non uscire e di non mettere nemmeno il naso fuori di casa.
Era quindi normale, da un certo punto di vista, che adesso la piccola Célie si sentisse del tutto spiazzata. A cose del genere forse non ci avrebbe mai fatto l'abitudine per quanto, lo sapeva bene, era praticamente nata per quel genere di avvenimenti. Che altro doveva fare una signorina di buona famiglia se non rendere bene a scuola e mostrarsi sempre sorridente e perfetta alle feste mondane dell'alta società?
La giovane si passò ancora una volta il pettine fra i capelli, guardando il riflesso del suo viso pallido ed affaticato che la fissava dallo specchio: sotto agli occhi aveva due grandi occhiaie scure, che difficilmente avrebbe potuto coprire anche se avesse avuto in suo aiuto tutto in fondotinta del mondo, e anche il resto della sua faccia sembrava in qualche modo un semplice spettro di quello che era stato in precedenza, solo qualche settimana prima, subito dopo essersi liberata dell'ombra della zia.
Non era stata felice di averla persa, non aveva riso quando si era uccisa e anzi aveva pianto, e tanto anche, ma comunque dentro un pò si era sentita rasserenata. Aveva pensato che da lì in poi niente e nessuno la avrebbe più potuta far sentire totalmente ed irrimediabilmente fuori posto.
E invece...
«Io, mia cara, ne so più di quanto non vorresti.»
Célie si riscosse risentendo quella singola, semplice frase nella testa. Abbassò la mano sul vano laccato di bianco e poggiò la spazzola delicatamente sul legno duro.
Quel Sebastian non gliela diceva giusta, lo sentiva che c'era qualcosa di sbagliato in lui, qualcosa di fuori posto, eppure non poteva dire niente perchè non aveva fra le mani niente di concreto. Se solo avesse provato a dire a Ciel dei suoi dubbi circa l'uomo che lo seguiva sempre ovunque, quasi fosse una protesi del suo braccio, probabilmente il fratello non le avrebbe creduto e, pur con tutto il bene che poteva volerle, le avrebbe detto di non dare troppo peso a certe infantili supposizioni. Le avrebbe fatto presente che, prima di puntare il dito contro qualcuno, chiunque esso fosse, bisognava essere sicuri al cento per cento di ciò che si diceva.
Era quello che il loro papà, Vincent Nightray, aveva sempre ripetuto loro.
«Vuole che la aiuti a mettere il vestito, padroncina?»
La voce gentile di Meirin la colse alla sprovvista e, girandosi velocemente, Célie sbattè più volte le palpebre per riaversi dai suoi cupi pensieri. Ancora seduta sullo sgabello, le sorrise e si alzò, sentendo un leggero capogiro coglierla un poco impreparata. Portandosi una mano alla tempia fissò il suo sguardo a terra e, dopo pochi secondi, cadde in ginocchio svenuta.
Non dovette stare in quelle condizioni visto che, nel giro di poco, aveva già riaperto gli occhi, puntandoli immediatamente sul viso di Ciel che, tutto preoccupato, le stava stringendo le spalle con le mani, scuotendola.
«Cosa...cosa è successo?» domandò, pur sapendolo da sola.
Ciel sembrò tirare un sospiro di sollievo nel sentirla parlare e, lanciando uno sguardo chiaro a Sebastian -che se ne stava in silenzio alle sue spalle-, lasciò il posto al suo fianco per far sì che il maggiordomo la prendesse fra le braccia. Lei non disse niente, limitandosi a guardare ovunque meno che negli occhi rosso sangue dell'uomo, e quando venne adagiata sul suo grande letto cercò di alzarsi nuovamente.
«No Cèlie, stai giù.» le ordinò il gemello, avvicinandosi e tenendola ferma «Sei appena svenuta, non voglio che succeda di nuovo.»
«Ma io devo prepararmi, devo andare al ballo...con te!»
«Non è necessario che tu venga, per una volta posso presenziare da me ad una festa.»
Célie sgranò gli occhioni eterocromatici, stringendo forte i pugni abbandonati lungo il corpo.
«Credo che ti sia venuta la febbre a forza di uscire...non avrei dovuto darti tutti quegli incarichi.»
«Ciel, non dire assurdità!»
La ragazza scatto in piedi, con un grande muso stampato addosso, neanche le avessero fatto un torto davvero orribile. Lo passò via e si diresse verso la sua cabina armadio, entrandovi dentro senza fare tanti complimenti ed ignorando il leggero giramento che ancora la colse.
«Sono stufa di essere trattata come una bambina!» sentenziò, lanciando i suoi abiti fuori dalla stanzetta adibita a guardaroba quando ne incontrava uno che non la aggradava abbastanza «Tu ti sei preso cura degli affari di famiglia quando...quando eri un bambino per davvero e lo stai continuando a fare! E allora perchè io non posso fare lo stesso? Perchè accidenti non posso essere come te?!»
Meirin si affrettò a raccogliere ogni vestito che volava a terra mentre Ciel, con la bocca aperta, rimaneva fermo dov'era, sconvolto. Non aveva mai sentito sua sorella parlare così, con tutto quel risentimento impresso nella voce.
«Credo che sua sorella abbia ragione, padroncino.» disse il maggiordomo «Dovrebbe darle più fiducia, non crede anche lei?»
Alzò gli occhi su Sebastian e, incontrando quel sardonico sorrisetto, anche lui si irrigidì riaquisendo tutta la sua solita sicurezza: mise le mani sui fianchi, chiuse a pugno, ed alzò il mento tutto indispettito.
«Lei ha tutta la mia fiducia.» sbottò lui «...e va bene Cèlie, puoi venire, ma se ti senti male durante la serata torniamo subito a casa.»

Ancora faticava a capire perchè, in nome del cielo, era dovuta andare anche lui a quella dannata festa ma, a forza di dai, non aveva trovato nessun modo per tirarsi fuori da quell'assurdo, breve viaggio in compagnia dello zio e dell'allegra compriccola dei suoi seguaci. Erano stati invitati anche loro sì, tutti quanti, Fang, Doug, Lily e anche quell'antipatica di Charlotte che, ogni volta che lo vedeva, non perdeva mai occasione di prenderli in giro per un qualsivoglia motivo. E il bello era che non doveva neanche pensarci su apparentemente, le bastava guardarlo e via, sparava a zero su una cosa a caso ben sapendo che non ci voleva poi molto a farlo andare fuori di testa dal rabbia.
Ad ogni modo, se il problema principale fosse stato quello, forse Elliot non si sarebbe sentito così fuori luogo in quel momento: se ne stava in silenzio sul sedile della macchina, con gli occhi incollati sul finestrino intento a scorgere ogni cosa pur di non dover in qualche modo guardare in faccia suo zio, che se ne stava muto come un pesce al suo fianco.
Elliot deglutì, considerando che visto che andavano tutti dalla stessa parte sarebbe stato decisamente meglio usare una sola macchina. Aveva anche pensato di dirlo, ricordando poi quando lo zio amasse risparmiare -ancora rammentava la loro primissima conversazione-, ma alla fine si era trattenuto immginando che forse c'era un motivo se si era ritrovato solo con lui. Glen Baskerville non era tipo da lasciare qualcosa al caso.
No, lui pianificava sempre tutto. «Devo elencare tutte le regole dell'alta società o, almeno quelle, te le hanno insegnate da piccolo?» domandò poi, improvvisamente, l'uomo dagli occhi severi e violetti.
Il giovane sbuffò, appoggiando la guancia al palmo della mano.
«No, non serve.» rispose, un poco risentito «Me la so cavare come si deve, grazie.»
«Non ringraziarmi. Non te l'ho chiesto certo per evitare una brutta figura a te.»
"Eh no, sarebbe stato troppo umano zio..." si disse Elliot, posando lo sguardo sulla maschera nera e blu che teneva ancora in grembo. La prese in mano e la scrutò, scuotendo il capo.
«Che razza di persona è il tuo amico?» chiese, innocentemente.
Glen rimase zitto ma poi, vedendo l'esempio del nipote, si mise anche lui a guardare la propria maschera. Era viola e nera, più o meno simile a quella del ragazzo.
Cercò di non sospirare visto che, ancora oggi, gli veniva difficile capire cosa diavolo passasse per la mente di Jack di tanto in tanto: erano nati nello stesso mondo, un solo anno li separava in quanto a vecchiaia, avevano frequentato le stesse scuole e, più o meno, avevano vissuto le stesse difficoltà prendendo le redini di due grandi imperi, eppure lui era totalmente diverso da ciò che Jack era riuscito a diventare.
Certo, diversi lo erano sempre stati, senza dubbio, però si chiedeva ancora come mai quell'uomo riuscisse sempre a sorridere a viso aperto mentre lui non ci era praticamente mai riuscito.
«...un tipo strano.» osò dire, omettendo di spiegare gli episodi che gli stavano balenando in mente, quelli in cui l'amico aveva dato il peggio di sè in quanto ad idiozia «Allegro, spensierato...decisamente intelligente, anche se poco propenso a dimostrarlo.»
«Conosco...una persona identica.» Glen si girò e lo vide sorridere, piano, debolmente.
«...non so come si svolgono le feste da voi a Parigi, ma qui a Londra tutto deve essere perfettamente dignitoso.»
«Dignitoso.»
«Esatto. Non dovrai avere un capello fuori posto, dovrai essere perfetto sotto ogni punto di vista e, sopratutto, sempre inattaccabile. Ho cominciato ad istruirti come si deve da poco, ma credo che qualcosa sia riuscita ad entrare in quella tua piccola testolina vuota...»
La macchina si fermò e, mentre Elliot lo fissava leggermente arrabbiato, Glen se ne uscì dalla portiera e si mise addosso la propria maschera. In un batter d'occhio anche i quattro compagni che li avevano seguiti con un'altra vettura furono al suo fianco e, quando pure il ragazzo riuscì ad armeggiare correttamente con i nastri della mascherina e se la mise in volto, il piccolo gruppetto si diresse verso il grande portone d'entrata che se ne stava tutto illuminato poco più su di una grande e bellissima scalinata. C'era persino il tappeto rosso ad accoglierli, oltre che ad una miriade di valletti posti ovunque.
Elliot aprì la bocca, sconvolto, e si fermò in mezzo alla strada come un povero ebete.
«E fortuna che conosceva le buone maniere...» mugugnò Glen.

Célie stava sorridendo come una bambina e, con quella sola espressione, sembrava essere in grado di ammagliare ogni giovane gentiluomo presente quella sera alla festa indetta dal conte Bezarius.
Era davvero bella immersa in quel perfetto abito di un bel blu intenso, decorato con un sacco di nastri bianchi proprio sul corpetto e, sul petto, con una deliziosa rosa azzurra a completarne l'insieme. Ogni volta che si muoveva le sbalze della gonna seguivano la sua andatura ed oscillavano dolcemente, come le onde del mare, dando l'illusione a chi la guardava che, quella piccola visione, non fosse altro che una sirenetta vestita dello stesso oceano. Fra i capelli teneva un grande giocco bianco, che stava da una parte della nuca, e sul viso c'era una bellissima maschera tutta decorata e pitturata di argento vivo, scintillante.
Ciel la guardò rapito, senza proferire parola.
Non aveva detto praticamente niente da che la aveva vista uscire dalla sua stanza, pronta per dirigersi con lui al ballo, e ora che la aveva affianco non riusciva a non sentirti un poco a disagio se non poi pieno di gelosia visti gli sguardi indiscreti di certe persone. Se avesse potuto avrebbe cancellato tutti i presenti, tenendosi poi quel piccolo angelo solo per sè.
«Ti stai divertendo Ciel?»
La sua voce cristallina lo strappo a quei gelidi pensieri e, annuendo, cercò la sua mano stringendola con forza.
«Dopo possiamo ballare, io e te.» disse ancora la gemellina, sorridendo.
«Certo che possiamo.» rispose lui «Possiamo fare tutto quello che vuoi stasera.»
Célie scoppiò a ridere cristallina come sempre e si aggrappò con più decisione al braccio del fratellone: si sentiva veramente felice ora, così vicina a Ciel, senza il bruciante dubbio di essersi persa un pezzo di lui per strada, uno davvero importante. Le pareva di essere tornata indietro nel tempo e di aver recuperato tutta la sua serenità ed ogni frammento della sua anima perduta, la stessa che Sebastian aveva definito praticamente perduta per sempre.
No, non erano proprio quelle le parole che aveva usato il maggiordomo, però da come ne aveva parlato a Célie era parso che non ci fosse proprio più niente da fare per Ciel. Un pò come se anche il minimo tentativo di salvarlo dal baratro oscuro in cui si stava lanciando di sua spontanea volontà fosse inutile.
Per questo, di recente, aveva dormito davvero poco. Erano bastate una manciata di parole per far crollare ogni sua buona intenzione.
Di certo, quel Sebastian, sapeva giocare bene le sue carte.
Lei lo cercò con lo sguardo, trovandolo poco distante, intendo a dialogare con una bella donna dell'alta società: era accerchiato, come sempre, da mille fan e, per quanto non volesse dargliene neanche una vinta, Célie sapeva bene che se così era c'era sicuramente un motivo. Era così bello da mozzare il fiato in quel completo nero, con la sua maschera bianca e rossa che faceva pandant con il cravattino e la camicia che stava indossando. Sembrava un adone, un dio...o forse qualcosa che a si avvicinava sì al primo paragone ma si allontanava del tutto dal secondo.
"Un demone..." pensò la piccola, stringendo senza volere il braccio di Ciel.
«Così mi blocchi la circolazione Célie...» bisbigliò l'altro, esibendo un'espressione alquanto dolorosa «Mi stai piantando anche le unghie.»
«Scusa!»
La piccola principessa indietreggiò di qualche passo e, dimostrando ancora una volta al mondo intero tutta la sua incapacità e la sua sbadataggine, finì addosso ad un altro ragazzino poco distante da loro. La cosa fu un pò confusionaria e a dire il vero la stessa Célie non sapeva come si era evitata di finire a terra, ma quando riuscì a vedere per bene chi o che cosa aveva di fronte si ritrovò a specchiarsi in due occhioni verde intenso.
Rimase basita, osservando il giovane che la stava stringendo fra le braccia con una forza che mai si sarebbe aspettata visto il suo fisico non proprio muscoloso. Aveva uno sguardo gentile, preoccupato al momento, ed i suoi capelli erano di un biondo accesso, simile al colore del grano.
Tentò di metterla in piedi, in modo stabile, tenendole la mano anche quando non furono più vicini l'uno all'altra.
«Stai bene?»
Célie divenne rossa e staccò la mano dalla sua.
«S-Sì! Sto benissimo!» esclamò, imbarazzata oltre ogni modo «Scusami davvero per esserti venuta addoso, te ne prego!»
«Ma no, ma no, ero io che non stavo prestando molta attenzione a dove mettevo i piedi.»
«Su questo posso concordare.» sbottò allora Ciel, venendo fuori da dietro la sorella.
Si interpose fra i due e squadrò il giovanotto con tanto d'occhi.
«Sei sempre fra i piedi tu.»
«Ciel, Ciel, come al solito vederti è una gioia!»
Il ragazzo dai capelli blu sbuffò sonoramente, le mani stretta al petto.
«E...posso osar chiedere chi è la deliziosa figura che ti sta a fianco?»
«No.»
«Andiamo! Perchè diamine sei sempre così freddo Cielluccio carooooo??»
Il buondino fece una strana espressione, che fece ridere Célie, e quando ebbe terminato di dare spettacolo di sè le si avvicinò di nuovo facendo apparire una bella rosa rossa dal nulla.
Gliela porse, inclinando il capo da un lato, uno sguardo da conquistatore impresso nelle iridi verdi.
«Un dono per la dama più bella di stasera.»
«E smettila di fare avances a mia sorella!» strillò Ciel, prendendo la rosa in mano e picchiandolo con quella sulla testa «Scommetto che ne hai data una ad ogni ragazza che hai visto stasera, maledetto!»
«Ma non è vero! ...solo ad alcune!»
«Già basta per impedirti anche solo di guardarla Cèlie!»
L'altro rise, facendo finta di difendersi dai "poderosi" attacchi dell'amico.
«Ah, così ti chiami Célie!» continuò «Io sono Oz Bezarius, piacere!»

Una volta dentro, fu facile per Elliot dissimulare del tutto il suo grande stupore. Se ne rimase, passo dopo passo, vicino allo zio e agli altri, lasciando vagare solo di tanto in tanto il proprio sguardo per il grande, bellissimo stra decorato salone.
Al centro certe persone già stavano ballando, tutte con una maschera decorata in modi differenti appostata sul volto, mentre dalle parti c'erano chi parlava di affarri, chi del più e del meno, chi che stringendo un calice di buonissimo vino o di spumante rideva sguaiatamente al centro di piccoli cerchi di sole amici.
Là si conoscevano tutti, l'unico che non sapeva neanche dove cavolo stava era lui.
«Ehi, faccia da pesce lesso...»
Elliot si rabbuiò subito quando, Lotti, rallentò il passo giusto per dargli ancora sui nervi, seguito poi a ruota dalla piccola Lily che considerava l'altra una sorta di sorella maggiore o, peggio ancora, un esempio da seguire per poter crescere meglio. Almeno la piccola però, tutto sommato, poteva avere ancora un pò del suo affetto -un pò eh, non esageriamo!- visto che a differenza di Charlotte sembrava avere una vera a propria passione nei suoi confronti.
Le sue manine si strinsero intorno alla sua, calde e minuscole in confronto a quelle che aveva lui. Elliot, di tutta risposta, strinse a sua volta, sentendo dentro di sè il solito moto di rammarico che lo assaliva ogni volta che quella bambina gli dimostrava la sua naturale ingenuità o lo avvolgeva in dolci, dolorosissimi abbracci.
Inconsapevolmente, Lily stava facendo di tutto per non fargli dimenticare la sua Célie.
«Cosa vuoi Lotti...?» sibilò, riducendo gli occhi a due fessure.
«Niente, solo mi chiedevo coma mai fossi così assente oggi.» borbottò lei «Cosa c'è? Nemmeno qui sei abbastanza felice da poter sorridere per mezzo secondo?»
«Ma se tu sei la prima che non sorride mai, brutta strega che non sei altro!»
Lily rise, dondolando la testa.
Almeno qualcuno si stava divertendo.
«Non sorrido a te, semmai...piccolo sbarbatello.»
«Mi stai sfidando per caso?»
«Tesoro mio, non hai nemmeno i peli sul petto e pensi che una donna come me potrebbe abbassarsi a battibeccare con te?»
Charlotte si allontanò gongolando. Stava sventolando il ventaglio rosa e rosso di fronte al viso, a mò di imitare le grandi signore di un tempo, quelle che abitavano alla grande Versailles ai tempi di Maria Antonietta e dei suoi famosissimi balli, gli stessi per cui aveva letteralmente perso la testa.
«Mio dio, questo sarebbe il piccolo Elliot?» Una voce sconosciuta lo colse alla sprovvista e, girandosi di scatto, si ritrovò di fronte un uomo dall'aspetto gioviale, biondo e dagli occhi verde intenso, che gli stava donando un sorriso del tutto inaspettato. Una lunga treccia si stava muovendo all'unisono con lui mentre, con passo deciso e seguito a ruota da Glen, gli stava andando incontro a braccia aperte.
Elliot tentò di scappare da quel tizio, immaginando cosa avesse intenzione di fare, ma visto e considerato che non appena si voltò per farlo Lily gli stava fra i piedi, il povero ragazzo si dovette sorbire un abbraccio mozzafiato. Nel senso che gli mancò il fiato quando quelle braccia, che all'apparenza non avevano l'aspetto di essere così forti, gli si strinsero attorno al corpo.
«N-Non...non respiro!» cercò di dire, mezzo stritolato dallo sconosciuto «M-Mi...metta giù!»
«Mio dio, scusami.»
L'altro non smise di ridere e gli picchiettò la testa quando, in un soffio, ebbe la decenza di metterlo giù sul serio.
«Ma quanto sei cresciuto!» esclamò ancora «Glen, ma non è cresciuto?»
Glen alzò gli occhi al cielo. «Sì, lo è.»
«Lo sei sì!»
«Ok, abbiamo constatato che sono cresciuto...» esplose Elliot «Ma lei chi è, si può sapere?»
«Non ti ricordi di me?!»
Il biondo si portò le mani alla bocca, tutto sconvolto.
«Jack...ragiona per una volta. Ti avrà visto sì e no quando non aveva che tre, forse quattro anni.»
«Vero.»
«Io ti ho visto...da piccolo?»
Jack battè forte le mani.
«Già, per quello ti ho invitato qui.» ribatté «Appena Glen mi ha detto che eri arrivato a Londra non ho resistito.»
Quindi, alla fine, un motivo c'era se era stato invitato anche lui.
A quanto pareva Elliot e Jack si erano già incontrati in precedenza, in un momento della sua vita che sembrava così lontano da lasciargli quasi l'amaro in bocca.
«Assomigli molto...a tua madre.» commentò l'uomo allegro, sospirando di nostalgia «O almeno...assomigli alla donna che conoscevo un tempo.»
Già, per ora sua madre non era altro che lo spettro di ciò che era stata in passato.
Non c'era più nulla che ricordasse la donna fiera, bellissima e stupendamente dolce che era una volta. No, adesso era un qualcosa di più selvaggio, più pazzo e orribile di quanto non fosse mai stata prima.
Il suo volto si incupì all'istante dinanzi a quel pensiero.
«Ma lasciamo da parte i discorsi tristi!»
«Sì, lasciamoli da parte! Jack balli con me?»
La piccola Lily si staccò dalla mano penzolante di Elliot e, tendendo le mani in alto, camminò verso Jack. Lui si inchinò e la prese in braccio, annuendo da solo.
«Certo che ballerò con te, e vedrai che faremo ingelosire tuuuuuuutto il salone per quanto saremo bravi.»
«Yeeeeee!»
Fece per andarsene, ma si bloccò subito.
«Ah, Elliot...dubito che tu te lo possa ricordare, ma là infondo c'è il mio nipotino Oz.»
Elliot guardò verso il punto in cui Jack stava indicando, cercando di passare oltre con lo sguardo alle persone che stavano bellamente di mezzo. Si alzò perfino sulle punte, tanto la cosa sembrava impossibile.
«Da piccoli vi rincorrevate nudi per il mio giardi-!»
Glen gli mollò un pugno in testa «Ma piantala!»
«Oooooh...»
Tutti si voltarono verso Lily ancora una volta e, notando il suo sguardo accigliato e sorpreso, tentarono di guardare ove i suoi occhi si erano posati.
«Chi è quella ragazza?» mormorò «Sembra una principessa!»
Nessuno disse niente, sopratutto Elliot che, non appena ebbe modo di capire di chi Lily stesse parlando, sembrò sul punto di svenire.
Glen lo osservò bene e, se solo non fosse stato troppo con i piedi per terra per poterlo anche solo immaginare e se lo avesse guardato davvero, ma davvero bene, probabilmente avrebbe visto distintamente la mente, l'anima e il cuore del nipote andare in pezzi.
«C-Célie...» riuscì a dire, con gli occhi sgranati «Célie!»
Lo urlò con tutta la voce che aveva in gola e, anche se erano in molti a non averlo sentito, lei lo udì perfettamente. La vide mentre si girava e lo guardava, allibita.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Long time no see! ***


Se Célie avesse dovuto stillare una lista delle cose impossibili, che proprio non potevano mai accadere, ebbene, Elliot che appariva dal nulla a quella festa chiamandola dall'altra parte del salone con addosso quell'espressione fra il sollevato ed il distrutto probabilmente sarebbe stata in cima alla lista.
Non aveva mai pensato di essere una persona davvero, ma davvero sfortunata eppure, la sua vita, non faceva altro che metterla di fronte a situazioni che enfatizzavano solamente quel piccolo dato di fatto.
Lei era sfortunata, lo era per forza altrimenti il fato non si sarebbe mai messo di mezzo tutte quelle volte, mandando contemporaneamente all'aria i suoi piani.
Lo aveva lasciato per andare da Ciel, per aiutarlo a ritrovare la retta via e per convincerlo a sbarazzarsi di quel maggiordomo che, su di lui, aveva un ascendente davvero troppo forte. Si era allontanata dalla persona che più amava al mondo per quel semplice motivo, giusto per non anteporre sempre la sua felicità prima di quella degli altri, e ora Elliot ricompariva al suo cospetto, forse più bello ed elegante di quanto non lo ricordasse.
Il suo cuore perse un battito non appena ebbe modo di vederlo mentre si avvicinava, veloce e deciso come non mai, quasi come la morte.
Non lo voleva ammettere ma, in fondo in fondo, era estremamente grata al cielo di averlo fatto arrivare là, in Inghilterra, dove le cose stavano cominciando a peggiorare a vista d'occhio e dove lei, piccola e fragile com'era, non sembrava neanche in grado di portare a termine il suo buon proposito. Da sola era un'inetta, se lo era sempre ripetuto, e solo i momenti passati con quel ragazzo dai capelli marrone chiaro e dagli occhi azzurro cielo le avevano permesso di conoscere una parte di sè più decisa, più combattiva, che non aveva avuto paura di lottare per ciò che credeva essere giusto.
Di lottare per il suo amore.
Le era mancato terribilmente, se ne rendeva conto ora come non mai, come se nei giorni passati, alla fin fine, non avesse sentito quell'immenso vuoto a premerle nel profondo del cuore.
«E-Elliot...?» mormorò, ancora sconvolta, i piedi che si muovevano da soli di qualche passo ma che, subito, lei si costringeva a bloccare.
Non poteva, non poteva abbandonare tutto ora!
Lei aveva un compito, accidenti. Doveva salvare suo fratello no? Se lo era ripromesso, aveva fatto una sorta di giuramento e i genitori le avevano sempre insegnato a mantenere le promesse che faceva, anche se era rivolte a sè stessa.
Però...però lui era lì, adesso, e non era un sogno o una visione.
Elliot c'era e poteva abbracciarlo, stringerlo fino a fargli perdere il respiro, guardarlo arrossire dall'imbarazzo e poi scoppiare a ridere per il semplice fatto che lo trovava adorabile quando si comportava così.
Poteva fare tutte queste cose e davvero non avrebbe colto l'occasione?
Davvero si sarebbe impedita di agguantare, ancora una volta, la felicità che quel ragazzo le sapeva donare?
«Cosa ci fai, tu, qui?»
Fu la voce seccata di Ciel a riportarla con i piedi per terra. Cèlie si voltò verso di lui, le guance ancora rosse per aver osato guardare Elliot anche solo per quel breve lasso di tempo, e quando vide quanta furia era impressa nel suo sguardo comprese che sì, se necessario avrebbe spezzato nuovamente il cuore al ragazzo che amava pur di salvare il fratello dal baratro di solo orrore ed odio in cui rischiava di cadere. Si sarebbe privata di tutto per lui, si sarebbe sacrificata...e si sarebbe anche dannata per ciò che avrebbe dovuto dire, ancora una volta, ad Elliot.
«Sono venuto per Célie, piccolo nanetto malefico!» sibilò Elliot, attirando l'attenzione di molti curiosi su di lui.
I maggiori esponenti della nobiltà londinese li stavano fissando con tanto d'occhi, avendo ben intuito che, in quella serata di svaghi e divertimenti, loro erano appena divenuti la maggiore attrazione.
«Voglio sapere...perchè l'hai portata via!»
Ciel scoppiò a ridere mentre la gemella, sorpresa da quella domanda, abbassava lo sguardo.
Glielo aveva detto perchè si trasferiva, mentendo ovviamente, ma lui forse non aveva capito.
O, forse, non aveva voluto capire.
«Pensi che sia stato io a portarla via da Parigi?» chiese il ragazzino dai capelli blu scuro, mettendosi le mani sui fianchi «Lo pensi sul serio?»
«No, non lo penso. Io ne sono sicuro!»
«Ma davvero...»
«Non posso credere che Cèlie mi abbia lasciato là, solo come un povero idiota, per i motivi assurdi che mi ha elencato...è semplicemente impossibile!»
«Ah! Questa poi! Guarda che mia sorella sa pensare da sola, non ha certo bisogno che io le dica cosa deve o non deve fare.»
Elliot strinse i pugni, così forte da rendere bianche le nocche.
Lo sapeva anche lui che Célie non era una stupida, lo sapeva meglio di chiunque altro, ma come poteva pensare alla possibilità che lei avesse inteso lasciarlo per sempre per davvero? No, preferiva dare la colpa a suo fratello per l'eternità piuttosto che perdersi in congetture così atipiche, così dannatamente dolorose.
«Smettila di fare il finto tonto!» strillò, cominciando ad agitare le mani come suo solito quando si innervosiva «So bene che non ti è mai andato a genio il nostro rapporto!»
Fu il turno di Ciel di rimanere zitto, immerso nei suoi pensieri.
Certo, l'affetto che sua sorella nutriva per quel bigotto proprio non gli andava giù, ma per quanto avrebbe potuto ammettere apertamente il fatto di averle offerto la possibilità di tornare a casa con lui, a Londra, Ciel sapeva di non aver in nessun modo pressato Célie affinchè scegliesse la famiglia invece dell'amore. Per quanto la rivolesse al suo fianco, per quanto la sua presenza fosse necessaria per non rischiare di dimenticare chi era e che cosa era stato in passato, non sarebbe mai arrivato a costringerla con la forza a prendere una decisione così difficile.
Perchè sapeva che era una cosa ardua quella, ancora riconosceva certe cose sebbene il suo cuore ed il suo animo si fossero così induriti nel corso del tempo.
«Tu non mi stai di certo simpatico, non lo nego...»
«Scusa Ciel ma chi, a questo mondo, ti sta simpatico?»
Sia Ciel che Elliot, e perfino la piccola Célie si voltarono all'unisono verso Oz che, tutto sorridente -manco stesse assistendo ad una commedia tutta per lui- si era intromesso nella loro quanto mai importante conversazione. Una conversazione che, da privata che era, si era trasformata nella soap opera dell'intera sala da ballo.
Rimasero allibiti di fronte a lui, con gli occhi sgranati.
«E tu chi diavolo saresti?» domandò allora Elliot, sbloccando la staticità del momento. Era troppo nervoso per poter essere politicamente corretto con qualcuno, anche se si fosse trattato della Regina d'Inghilterra stessa.
L'altro lo guardo e fece un piccolo inchino, esibendo un sorrisetto che, lui, era sicuro di aver già visto di recente quella sera.
«Il mio nome è Oz Bezarius, piacere!»
Ah ecco, era lui il nipote di Jack.
...ma non era importante adesso, accidenti!
«Beh, Oz, fatti da parte e fammi sistemare questa faccenda una volta per tutte!»
Prima che Elliot potesse avanzare minacciosamente verso Ciel, che già lo aspettava a braccia aperte -e senza la minima idea di chiamare al suo fianco Sebastian per una volta nella vita-, Oz lo afferrò per un braccio facendo lo stesso con il giovane amico che conosceva da tempo. Fece finta di niente e cominciò a camminare verso l'uscita del salone, così speditamente da far quasi perdere l'equilibrio ai due più di una volta.
Si girò solo una volta indietro, ignorando bellamente sia i commenti poco felici dei compagni che teneva a braccietto sia le loro maledizioni.
«Tu non vieni, Célie?»
La giovane si riscosse dalla paralisi che la aveva colta nel vedere litigare le due persone che tanto amava e, tentennando un poco, sembrò saltellare sul posto prima di decidersi a seguirli fuori da lì.
Non si chiese neanche per un secondo dove fossero diretti e anzi ringraziò mentalmente Oz per avere avuto la prontezza di spirito di intervenire laddove lei aveva fatto completa cilecca, come sempre.

«Mi sembra di capire che non andate molto d'accordo voi due...» disse pacatamente Oz, mettendo i piedi sulla scrivania dello zio e spaparanzandosi sulla sua grande sedia imbottita come se tutto quello che stava là dentro gli appartenesse in prima persona.
Li guardò sempre ridendo sotto ai baffi, come suo solito troppo scimunito o menefreghista -o tutti e due insieme eh- per rendersi conto degli sguardi assassini che gli altri gli stavano riservando, pieni di mal celato disprezzo e dissenso.
Alzò le spalle, guardando in alto verso il grande lampadario appeso sopra alle loro teste.
Quella stanza gli era sempre piaciuta in fondo, sebbene non fosse mai stato un grande fan dei doveri che comportava il suo futuro, ovvero quelli che Jack portava a termine costantemente, giorno dopo giorno, in quello studio. Ogni mobile era ricercato ed elegante, senza troppe pretese e senza troppi sfarzi. Le pareti poi, avevano quella carta da parati un poco scontata, di un verde scuro, il colore preferito di suo zio.
Si dondolò sulla sedia, avanti ed indietro, posando infine gli occhi sulla figura esile vicino alla porta. Célie, fissando prima il gemello e poi Elliot, si stava tormentando le mani evidentemente in alto mare. A suo avviso non sapeva proprio che pesci prendere al momento.
«Cèlie, siediti e prendi un respiro profondo.» sentenziò, mettendosi seduto meglio e allungandosi sulla scrivania in mogano, indicando con un dito il divanetto più vicino a lei «Non voglio di certo che mi svieni sul pavimento. Se proprio devi farlo, ti pregherei di scegliere un punto più comodo.»
Lei fissò il divanetto con occhi grandi prima di prendere la decisione di stare in piedi.
Scosse forte il capo e si portò fra i due contendenti che, adesso, si stavano guardando in cagnesco.
Non doveva più prendere le strade più facili, doveva assolutamente farsi valere anche perchè, se ora si ritrovavano tutti lì, non era che colpa sua. Se solo si fosse spiegata meglio, se solo avesse detto ad Elliot qualcosa di più pur sapendo di ferirlo anche più profondamente di quanto già non avesse fatto prima, allora forse si sarebbero risparmiati di diventare la barzeletta della festa del conte Bezarius.
Alzò le mani guantate in aria, posandole sui petti dei ragazzi, e poi prese un profondo respiro prima di dire qualsiasi cosa.
«Smettetela.» mormorò, fra i denti, gli occhi eterocromatici decisamente più decisi «Siamo abbastanza grandi da comportarci con più senno, dico bene?»
Gli altri rimasero taciturni, senza staccarsi gli occhi di dosso.
«Dico bene?» ripetè lei.
Ottenne solo dei cenni di assenso al secondo sollecito, ma considerà la cosa già migliore di un laconico ed ostinato silenzio.
«Forza, forza...» intervenne ancora Oz, posando il mento sulle mani unite «...sedete. Per essere calmi bisogna stare seduti no?»
«E questa da dove l'hai presa? È un'altro dei tuoi consigli del cavolo Oz?»
Ciel si gettò sulla poltrona alle sue spalle e, accavallando elegantemente le gambe, sbuffò come una locomotiva.
«No, questa me l'ha detta mio zio.»
«Oh, si vede che vi somigliate molto...»
Questa volta toccò ad Elliot prendersela con il buondino, rincarando la sua dose giornaliera di insulti velati.
Oz sgranò gli occhi e poi, aggrottando la fronte, parlò a Célie.
«Sono tutti tuoi, non mi piace la piega che stanno prendendo le cose...sembra quasi che ce l'abbiano con me adesso!»
La giovane strinse le mani sulla gonna azzurro cielo e rifletté ancora a fondo sui concetti che doveva esprimere. Prima di tutto c'era una domanda che le premeva fare, anche se credeva di conoscerne fin troppo bene la risposta.
«Elliot...» cominciò, guardando a terra «Perchè sei qui? ...ti avevo detto di non cercarmi più o sbaglio?»
«Sì, lo hai fatto.»
«E quindi...»
«E quindi sei sordo.»
Célie fulminò il fratello, pericolosamente simile a lui ora che sembrava un minimo arrabbiata.
«...è che non potevo accettare quell'addio, Célie.»
Lui si alzò nuovamente e le andò incontro, prendendole le mani e avvicinandosi sempre di più a lei.
Cèlie deglutì.
«Come potevi anche solo pensare che mi sarei bevuto quella scusa?» sussurrò, guardandola con tanto di quell'amore impresso nelle iridi chiare da spiazzarla del tutto «Un dovere che dovevi assolvere...da sola? Qualcosa che non poteva più essere rimandato? Cosa...cosa vuoi che volesse dire per me?!»
«Voleva essere un modo per far sì che tu mi dimenticassi più velocemente...»
«Adesso cominci a mentire anche tu?»
«N-Non sto mentendo!»
Elliot la prese per le spalle, ora con viso contratto dall'ira.
«Mi ami?» chiese, come se fosse la cosa più semplice del mondo «Cèlie, tu mi ami?»
Come poteva porle quella domanda...come?
Era ovvio che lo amava. Chiaro come la luce del sole.
Impossibile non rendersi conto di come lei lo guardava, di come si agitava se le stava attorno, di quanto gli volesse bene anche solo per il semplice fatto che era sempre e costantemente sè stesso. Lo amava da morire e non poteva negarlo, quello no.
Avrebbe potuto dire mille altre bugie, e con scarso successo probabilmente, ma per quanti riguardava i suoi sentimenti non ne sarebbe mai stata capace. Mai.
Perchè Elliot era luce. Perchè Elliot era perfezione.
Perchè lo amava!
«I-Io...io...» balbettò, senza sapere dove guardare.
Le sue guance divennero rosse come due peperoni.
«Ti ricordi cosa mi hai detto quel giorno, davanti alla tomba di Angelina?»
A sentire quel nome i cuori dei due innamorati, così come quello di Ciel stesso, sobbalzarono un secondo, incapaci di dimenticare gli orrori vissuti solo qualche mese prima. Sembrava tutto così lontano ora, di fronte a quella nuova catastrofe.
«Mi hai chiesto...di dividere il peso che porto con te.» continuò «Tu me lo hai chiesto e ora io faccio lo stesso perchè so, io lo so, che se stai facendo così è perchè mi vuoi difendere da qualcosa... Ma cosa?»
Difenderlo. Non aveva mai pensato ad una cosa simile. Non aveva mai creduto che, oltre alla propria volontà di proteggere Ciel da un futuro troppo brutto per essere anche solo descritto od immaginato, ci fosse anche il desiderio di difendere Elliot da una qualcosa che nemmeno lei conosceva appieno.
Pensandoci bene poteva essere possibile, forse il suo animo era così puro e buono che la spingeva ad aiutare il prossimo anche inconsciamente. Ecco una cosa che avrebbe potuto far venire a Ciel l'esasperazione. Dubitava che apprezzasse poi così tanto quel suo lato dolce, sopratutto se rivolto a persone che non approvava poi tanto pienamente.
«L'ho detto.» asserì alla fine, staccandosi dal ragazzo che tanto amava e indietreggiando sino a raggiungere Ciel, che dal canto suo si era alzato in piedi dopo averli visti alla distanza di un bacio «L'ho detto e...e non mi pento minimamente di averlo fatto Elliot, però devi capire che adesso ho delle altre priorità. Devo...devo fare una cosa importante e tu non puoi essere coinvolto.»
«Sai bene che se non mi spiegherai di che si tratta non ti lascerò mai andare.» gli rispose l'altro «Tu lo sai.»
«D'ora in poi ogni tuo tentativo di avvicinarmi...di avvicinarci, verrà considerato come un attacco personale. Chiederò alla servitù di casa e...a Sebastian di tenerti a debita distanza.»
Elliot non poteva credere di stare sentendo una simile affermazione uscire dalla bocca piena e perfetta della sua Célie, dalla bocca della persona più dolce dell'intero universo.
Eppure stava dicendo tutto con una tale sicurezza. Con una tale schiacciante sicurezza.
Fece per fermarla di nuovo, nella speranza di farla rinsavire, ma quando fece tanto di muovere un passo la porta dello studio si aprì e il maggiordomo a lui ben noto del conte Phantomhive venne a rompere le uova nel paniere. Lui lo fissò con astio, incapace di trattenere quell'odio rovente che lo pervadeva da dentro fino a dipanarsi per tutto il suo corpo.
Quel sorrisetto beffardo non lo aveva scordato, no, però rivederlo dal vivo era qualcosa di estremamente diverso. Sembrava che lo stesse prendendo in giro sebbene, lo sapeva, era arrivato solo da pochi secondi e di certo non poteva sapere su che genere di punti era vertito il loro arduo discorso.
«Signorini, la carrozza vi sta aspettando.» disse l'uomo, facendo cenno ai due fratelli di seguirlo.
«Puntuale come sempre Sebastian.»
Ciel prese per mano Cèlie e la condusse via, vicino al maggiordomo, ma prima di lasciare definitivamente la festa si sentì come in dovere di concludere con una delle sue piccole perle, giusto per rimarcare il fatto che sì, per quella sera era stato lui a vincere l'incontro per il possesso della giovane che gli stava stringendo quasi ossessivamente il braccio, tremando.
«A mai più rivederci...Elliot.» disse, sghignazzando, prima di mettere piede fuori dallo studio.
Cèlie si girò ancora una volta e lo pregò mentalmente di capirla, ma quando incontrò il suo sguardo Elliot lo distolse all'istante, incapace di comprendere tutto quell'accanimento contro di lui: se si stava prendendo gioco del suo affetto...se per lei non era stato altro che un passatempo allora avrebbe preferito saperlo molto tempo prima di aver messo in gioco la sua vita per ritrovarla.
"Perdonami Elliot, ti prego." pensò, uscendo anche lei, seguita a ruota da Sebastian che chiuse la fila.

Quando se ne furono andati, Oz si alzò dalla sedia ed andò al centro della stanza ponendosi di fronte ad uno dei ragazzi che aveva costituito gran parte del suo spettacolo personale per l'intera serata.
Uno spettacolo alquanto triste a dirla tutta, nulla a che vedere con quelli che di solito lo facevano spanzare dalle risate e che guardava spesso e volentieri con lo zio.
Sospirò, scuotendo il capo, cercando un modo per poterlo tirare su di morale in qualche modo.
Non sapeva come mai ma si sentiva quasi in obbligo di farlo.
«Senti...non ho capito molto ma, per quello che vale, io credo che...»
«Il tuo parere non mi interessa minimamente...Oz Bezarius.» esclamò Elliot, con tono distaccato «Al momento mi importa poco o niente.»
«Sei serio?»
Alzò gli occhi azzurri su quelli verdi del ragazzino che aveva di fronte e, rendendosi al contempo conto del fatto che era più alto di lui di qualche centimetro e che, di conseguenza, doveva abbassare il volto per poterlo vedere bene, esibì uno sguardo perplesso.
Cosa cavolo voleva dire "Sei sicuro"? Certo che lo era, porca miseria!
«Il fatto è che non mi sembra il caso di essere tanto tristi per Célie e per ciò che ti ha detto.» rispose Oz, alzando le braccia «Non mi sembra tanto grave!»
Elliot lo afferrò per il bavero del vestito e lo alzò di qualche spanna da terra.
«Non è grave?! Mi ha detto chiaro e tondo che non mi vuole!»
«Forse è quello che hanno detto le sue parole, ma non era di certo quello che diceva il suo cuore, dai, era così ovvio!»
Ancora una volta se ne rimase immobile, allucinato.
«Cos'è?» chiese «La tua psicologia spiccia questa...?»
«No, ne sono sicuro! Célie in pratica ti ha chiesto di restare sino a che non avrà sistemato le cose...oppure di restare e ficcare il naso...»
Silenzio.
«Beh, il fatto è che non ne sono sicuro.»
«Ma tu sei scemo o cosa?»
«Ehi, questa scena mi ricorda i momenti migliori che abbia passato insieme Glen!»
I due giovani si voltarono verso la porta e, vedendo i rispettivi zii fissarli -uno impassibile e l'altro tutto giulivo-, si staccarono l'uno dall'altro cercando nuovo contegno.
E la sua pessima figura, anche per quel giorno, la aveva fatta.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Follow my lead. ***


Ne aveva passati di momenti bui nel corso dei suoi diciasette anni, ma come quello che stava vivendo da che aveva conosciuto la piccola e bellissima Célie non ne ricordava assolutamente.
Il giorno in cui la aveva salvata da quelle bisbetiche bulle della loro scuola, l'istituto che entrambi avevano frequentato a Parigi solo qualche settimana prima, non aveva di certo pensato che, in seguito, sarebbe addirittura arrivato a rimpiangere una simile azione. Lui, che non sopportava i bugiardi e chi si comportava ingiustamente con il prossimo, si ritrovava ora a desiderare di non aver agito a quel modo, di non essersi comportato, come suo solito, come il paladino della giusitiza più bisbetico e saccente del mondo intero.
La desolazione che sentiva dentro adesso, così potente e distruttiva, lo faceva precipitare nella disperazione più nera. Una sentimento simile, per quanto corrosivo, veniva battuto solamente dalla rabbia. Quell'ira bruciante che sperava di aver dimenticato tempo addietro, quando si era detto colpevole di ogni disgrazia successa alla sua famiglia e quando il suo unico pensiero era espiare ogni errore che sentiva di aver commesso.
Proprio come allora, se non di più perfino, Elliot avrebbe voluto cancellare con un colpo di gomma o di spugna tutti gli eventi catastrofici che aveva dovuto affrontare e che, evidentemente, non era stato in grado di superare bene come aveva pensato.
Se così fosse stato, ora, non si sarebbe ritrovato in quella situazione.
Probabilmente sarebbe stato ancora a casa sua, a leggere un buon libro o ad esercitarsi con il pianoforte. Forse si sarebbe dovuto sorbire uno dei dettagliatissimi racconti di Dean, il suo caro amico, che ancora sembrava non aver compreso la sua riluttanza nell'udire certe storie circa le sue avventure notturne -e, perchè no?, persino diurne- con la sua ennesima preda.
Sarebbe stato circondato da persone fidate che, sebbene in poche, non lo avrebbero mai trattato con quella dannata noncuranza anche se forse solo per il semplice fatto che avevano timore di lui.
Non avrebbe mai dovuto patire le pene dell'inferno per via di una ragazzina qualunque. Per via di una persona per cui lui aveva lottato strenuamente senza mai arrendersi ma che, purtroppo, non aveva avuto la prontezza di spirito di fare lo stesso per lui, per la loro storia.
"Ma quale storia..." pensò Elliot, affacciandosi alla finestra con viso cupo, una gamba accavallata sull'altra mentre stava seduto su quel ripiano imbottito "Comincio a pensare di essermi invetato tutto...".
Sapeva di stare dicendo un'idiozia, nel profondo lo sapeva bene che ciò che c'era stato fra lui e Célie era stato più vero ed intenso che mai, però lo stesso non poteva fare a meno di lasciar vagare quella stupida frase nell'anticamera del suo cervello, ripetendosi all'infinito quanto era stato sciocco nel fidarsi così di una persona.
"Se qui ci fosse Dean mi avrebbe già picchiato..." commentò poi mentalmente, sospirando.
«Allora, hai finito di autocommiserarti o vuoi che ti lascio un altra ora o due per terminare definitivamente...?»
Elliot sgranò gli occhi udendo quella frase.
Solo una persona avrebbe potuto...o meglio, avrebbe osato dirgli tanto.
Si girò, immaginando di ritrovarsi di fronte l'amico di sempre, colui che nel bene e nel male lo aveva sempre aiutato a risolvere gli intricati rompicapo che era solito crearsi da solo, paranoico com'era.
Si era aspettato di vedere Dean là, con quel viso impreziosito da un sorriso pieno di scherno e quei capelli biondi e mossi ad incorniciarlo, ma quando i suoi occhi azzurri si ritrovarono a fissare quelli verdi di Oz una fitta di disappunto lo colse alla sprovvista.
Rimase zitto, con gli occhi sgranati, la mano ancora nella stessa posizione di prima, quando aveva appoggiato il mento al palmo.
«Beh?» esclamò Oz, avanzando nella stanza e chiudendosi la porta alle spalle «Non si saluta?»
L'altro si irrigidì, perplesso.
«Ciao.» mormorò, laconico come non mai prima di rigirarsi verso la finestra da cui stava ammirando il panorama del giardino di villa Baskerville.
Sentì il ragazzino muoversi verso di lui ma, nonostante ciò, non si degnò nemmeno di voltarsi per vedere che aveva intenzione di fare. Come gli aveva detto solo qualche sera prima, non aveva alcuna intenzione di preoccuparsi per ciò che aveva da dire visto e considerato che, Elliot, non lo conosceva nemmeno.
«Vedo dunque che vuoi ancora crogiolarti nella tua depressione.»
«Esattamente.» rispose.
«Non sei stufo di startene qui...da solo...al buio?»
«Mica è buio.» commentò Elliot, sbirciandolo un poco «E comunque mi sta bene stare solo. Non trovo conversatore più apprezzabile di me stesso per fare quattro chiacchiere decenti.»
Oz gonfiò le guance, mettendosi le mani sui fianchi.
«E io chi sono, di grazia? Sono capacissimo di sostenere una conversazione con te sai?»
«Mpfh. Dubito seriamente.»
«Ah, la mettiamo così?!» strillò il biondino, battendo un piede sulla moquette scura, i suoi tipici occhioni da cerbiatto ridotti a due spilli «E io che ero venuto per darti qualche informazione importante su Célie!»
Per quanto avesse voluto seppellire sotto chilometri di disprezzo l'infinito amore che provava per lei, Elliot non poté fare a meno di sentire il proprio cuore battere come un matto almeno un centinaio di volte in quel solo attimo mentre, Oz, pronunciava il suo nome.
Informazioni su Célie? E di che genere?
«Credi che mi importi qualcosa...?» disse, già pronto a mentire spudoratamente circa ciò che sentiva «Ormai abbiamo chiuso. Mi è sembrato abbastanza palese direi.»
«Ancora con questa storia...»
Oz si lasciò cadere sul divano, tutto scomposto, alzando gli occhi al cielo.
Aveva la tremenda sensazione che non sarebbero mai valse a nulla tutte le sue belle parole che, con chiunque altro meno che con Elliot, avevano sempre fatto faville.
Avrebbe dovuto lasciar perdere tutto e farsi i fatti suoi, ma in qualche modo sentiva di doversi impegnare per salvare il magnifico rapporto che, il compagno che aveva di fronte e la dolce Célie, avevano instaurato. Se ne era accorto perfino lui, che non li aveva mai visti prima di allora -per quanto suo zio dicesse che conosceva Elliot da un pezzo, lui non lo ricordava proprio-, che si amavano alla follia quei due!
Come accidenti si faceva ad essere così ciechi e, sopratutto, così svogliati di riprendere il controllo della situazione?!
«Senti Elliot...io non ti conosco bene.» asserì, poggiando le mani sui manici sul divanetto e facendole rimbalzare più volte «Ma conosco bene Ciel. In pratica ci conosciamo da quando avevano si e no sei anni...»
«Complimenti a te per averlo sopportato così a lungo.»
«Grazie.» rispose «Ma non è questo il punto.»
Prese un profondo respiro, cercando dentro di sè le parole che si era tenute strette fino a quel momento.
Non aveva mai fatto presente a nessuno di ciò che pensava per davvero sull'amico d'infanzia anche perchè, diciamocelo, sapeva fin troppo bene di non essere il solo a pensare che qualcosa non andasse nella vita che Ciel stava conducendo. Era come il giochetto delle scimmiette: ogni persona che gli girava attorno sapeva, vedeva e sentiva, ma faceva finta di niente, comprendosi gli occhi, le orecchie e la bocca con le mani.
«Credo di sapere come mai Célie si comporta così...e sinceramente non posso che darle ragione.»
Elliot divenne or ora tutto attento. Si mise più comodo sul ripiano ove era seduto e, girandosi con tutto il corpo, fissò Oz dalla sua posizione.
Dal primo istante in cui lo aveva visto aveva pensato che quello là non fosse altro che un ragazzino nobile al livello cerebrale di un'ameba, totalmente incapace di fare discorsi seri con qualcuno e fin troppo fissato nel fare la corte alle donne, ma ora che gli sentiva quel tono preoccupato e conciso si accorse di aver preso un enorme abbaglio.
"Mai giudicare un libro dalla copertina, eh Elliot?" pensò.
«Vedi, appunto perchè lo conosco da tanto non ho potuto fare a meno di notare alcuni suoi evidenti cambiamenti. Un tempo Ciel era la persona più buona del mondo. Non credo di aver mai conosciuto qualcuno di più altruista e...simpatico di lui.»
«Mi viene difficile crederlo, senza offesa.»
«Oh, credimi, capisco la tua perplessità.» gli rispose Oz, ridendo sotto ai baffi «Quello che tu hai conosciuto non è che l'ombra di ciò che era un tempo. Il conte di Phantomhive che tu hai avuto la sfortuna di dover riconoscere come nemico è forse la persona più scaltra, impassibile e leggermente crudele che si possa immaginare di incotrare.»
Elliot si levò in piedi, camminando poi verso la poltrona che stava di fronte all'altro ragazzo.
Quando vi si mise seduto lo incitò a proseguire.
«Dopo ciò che è successo ai suoi...qualcosa è cambiato. Qualcosa di grosso.»
«Intendi dire...dopo che la polizia lo ritrovò e lo riportò a casa?»
Oz alzò lo sguardo su Elliot e, scuotendo il capo, sospirò lievemente.
«Ciel non è mai stato ritrovato...» disse, con voce seria «Lui è...beh, è semplicemente tornato da solo.»
«...intendi dire che è riuscito a fuggire?»
«Ah-ah, niente affatto. Intendo dire che, magicamente, lui è tornato a casa mentre i suoi aguzzini sono stati ritrovati tutti morti, ognuno in modi impensabili. Ho sentito che uno era appeso al soffitto della capanna in cui si nascondevano...in pessime condizioni per di più.»
«Quindi Ciel è impazzito e ha fatto fuori tutti? E ti aspetti che ci creda?»
«Ma va la! Figurati se quel ragazzino rachitico può fare una del genere andiamo!» esclamò Oz, muovendo le mani di fronte alla faccia come a voler enfatizzare il fatto che quella cosa non era proprio possibile e facendo sogghignare Elliot per via del fatto che anche Dean, a suo tempo, aveva definito Ciel alla stessa maniera «Quando è tornato Ciel non era solo.»
«Fammi indovinare...» commentò allora il moro, intrecciando le mani sul petto «Fu lì che Sebastian fece la sua comparsa.»
Oz annuì.
«...perciò assumo che sia stato lui ad uccidere quella gente.»
«Diciamo che è quello che pensano tutti. Peccato che nessuno abbia mai avuto le prove di tutto ciò.»
«Andiamo, ci saranno state delle impronte!»
«Niente di questo genere, mi dispiace.»
Elliot si massaggiò le tempie, svincolando le dita dall'intreccio di poco prima.
Lo aveva sempre detto che quel Sebastian aveva poco di umano viste le sue doti in praticamente qualsiasi cosa che riuscisse a balenarti in mente, ma addirittura essere l'assassino migliore del mondo, capace di non lasciarsi alle spalle neanche una prova, una piccola piccola...
Non riusciva a capire come una cosa del genere fosse possibile.
C'era qualcosa dietro, se lo sentiva, e ora che riusciva a pensare a mente lucida e poteva collegare gli eventi uno all'altro, cominciava anche a capire come mai Cèlie avesse intrapreso quel lungo viaggio alla volta dell'Europa, lasciandolo indietro con meno spiegazioni possibili.
Alla fine aveva avuto ragione, lo voleva proteggere da ciò che sentiva essere un grave pericolo, ma chi avrebbe protetto lei?
«Capisci ora?» domandò Oz, capendo al volo ciò che gli stava passando per la testolina bacata che si ritrovava «Non è vero che non ti ama e, se si comporta così, è perchè non vuole che degli innocenti vengano coinvolti in un qualcosa che nemmeno lei conosce appieno. Bisogna capirla infondo...»
E certo, anche Elliot la pensava come Oz. Trovava che Cèlie fosse stata estremamente coraggiosa nel caricarsi addosso tutte quelle cose terribili e spaventose, ma lo stesso non voleva che soffrisse da sola.
O, peggio, che patisse nuovamente le pene dell'inferno senza che qualcuno la capisse.
Non dubitava che Ciel le volesse bene, però era palese che non comprendesse il suo animo puro e gentile. Non poteva, neanche se in passato era stato esattamente identico e lei.
Ormai aveva scordato cosa significasse amare una persona o, tutt'al più, cosa volesse dire sentirsi in empatia con qualcun'altro che non fosse sè stesso.
«Capirla la capisco» esclamò infine Elliot, tutto trafelato «...ma non mi spiego come le sia venuto in mente di fare tutto da sola. Lei!»
«Sei proprio un maschilista.»
Il moretto fissò stranito Oz che, dal canto suo, lo stava fissando a sua volta con velato disappunto.
«Come scusa?»
«Solo perchè una ragazza non vuol dire che non possa essere in grado di sbrogliare questa faccenda.» continuò lui, alzando le spalle «Ok, è minuta, tanto dolce, carina e coccolosa...gentilissima...timida...»
Fece una pausa, abbassando lo sguardo sul pavimento e rabbuiandosi tutto d'un colpo.
«D'accordo, dobbiamo aiutarla.»

Era già l'ora di cena a villa Phantomhive quando, d'improvviso, il conte Ciel scoppiò in urli di totale disapprovazione all'interno del suo ufficio.
Cèlie, dalla sala da pranzo in cui ora si trovava per consumare il proprio cibo, sola come era solita fare nei giorni in cui il fratello doveva lavorare sino a tardi, trasalì lievemente nel sentirlo persino a quella distanza. Alzò gli occhi verso il soffitto e poi, muovendosi un poco sulla grande sedia che stava occupando, spostò lo sguardo sulla porta da cui poco prima era entrata e dove, oltre quell'uscio di legno solido e massiccio, sapeva trovarsi uno dei tanti scaloni che portavano al piano superiore.
Sospirò, incapace di fare altro. Quella era come minimo la terza volta che suo fratello urlava a quella maniera.
Non aveva idea di che cosa si trattasse e men che meno poteva determinare quale fosse l'entità del danno che il gemello poteva aver subito, però poteva immaginare che non fosse nulla di buono per loro direttamente.
Dubitava quindi che fossero notizie poco felici circa il mondo del lavoro.
Era successo certamente qualcos'altro.
La giovane si alzò e mise sul tavolo, vicino al piatto in porcellana finissima ancora ricolmo di cibarie, il suo grande fazzoletto color panna che solo un attimo fa aveva coricato sul suo grembo. Prese un respiro profondo e si diresse verso l'uscita, decisa come non mai ad andare a vedere di persona cosa diamine stesse accadendo di sopra. Aveva potuto lasciar correre un poco, una o due volte, ma qui adesso si trattava di un non si sapeva che di serio. Non poteva più ignorare e dare per scontato che Ciel la risolvesse da solo, come d'altro canto era abituato a fare.
Se era arrivata a Londra era anche se non solo per dargli una mano, no?
Arrivata di fronte alla porta del suo studio, Célie bussò delicatamente, attendendo che l'altro la chiamasse dentro.
Non udì neanche un gemito e quindi, preoccupata più di prima, si azzardò a mettere piede dentro senza che nessuno l'avesse invitata: spostò con la mano a palmo aperto la porta, piano, sentendola cigolare solo un pochino prima di cedere completamente di fronte alla sua quasi totalmente inesistente forza. Introducendo prima il capo e poi il resto del corpo, Célie si dovette abituare alla parziale oscurità di quella stanza prima di rendersi conto dell'enorme caos che vi regnava all'interno.
Sgranò gli occhioni bicolore all'istante, fin troppo sconvolta per dire alcun che: Ciel non era di certo conosciuto per amare il disordine, anzi, era tutto il contrario. A lui piacevano le cose ben fatte, l'ordine, la pulizia. Detestava chi era sciatto e mal controllato.
«Ciel...?»
La sua voce rimbalzò sulle pareti come una eco, tornando al mittende seppure sotto forma di un flebile sussurro.
«Ciel sei...sei qui?»
Mosse un altro passo in avanti, rischiando di inciampare nel tappeto che era stato tutto spostato.
Ancora nessuno le rispose.
«N-Non mi piacciono gli scherzi, lo sai...»
No, lei odiava quel genere di giochi pessimi in cui una persona, ignara della malvagia idea di un amico, camminava al buio chiamando il suo nome prima di beccarsi un enorme spavento da parte sua. Sapeva che Ciel non era il tipo, ma lo stesso sperava vivamente di non vederlo sbucare fuori dal nulla urlando un BUH! fin troppo potente.
Quando capì di essere completamente sola, là dentro, si avvicinò piano piano alla scrivania del gemello e la scrutò da vicino, cercando a tastoni l'interruttore della piccola abatjour posta su di essa. Una volta trovato lo schiacciò più volte, ma senza risultato. A quanto pareva la lampadina si era fulminata e ciò le avrebbe impedito di mettere le mani su una di quelle carte sparse a terra e sul tavolo.
Si sentiva una specie di ladra ora, a pensare di ficcare così spudoratamente il naso negli affari di Ciel, però da qualche parte avrebbe pur dovuto cominciare se non voleva che il suo piano di salvataggio fallissi ancora prima di entrare veramente nel vivo.
Già l'arrivo di Elliot aveva decisamente obbligato la piccina a darsi una mossa.
A proposito di Elliot, quella che vedeva era per caso una sua foto?
Célie alzò le sopraciglia, sorpresa, e quando ebbe fra le mani quel documento tanto strano si ritrovò di fronte un'intera busta piena di foto scattate di nascosto al suo Elliot, accompagnate poi da vari dati di cui, a quella poca luce, non capiva assolutamente il senso.
In un'immagine stava duellando con un uomo alto e dal viso ricoperto con un tatuaggio nero, in un'altra stava bisticciando animatamente con una procace donna dal bellissimo aspetto e dai lunghi capelli rosa...in un'altra ancora stava passeggiando con l'ennesimo uomo, questa volta vestito tutto elegante e con un'espressione che, a dio piacendo, sembrava la sua stessa.
"Cosa...cosa sono queste?" si domandò, ben intuendo però nel profondo la risposta.
Ciel stava tenendo d'occhio Elliot o, forse, aveva dato questo ingrato compito a Sebastian. Ce lo vedeva anche il maggiordomo a compiere il lavoro dell'investigatore o meglio in quel caso del pedinatore.
"A quale scopo farlo...?" disse Célie a sè stessa, spostando carte su carte e notando solo alcuni orari e certi commenti a fianco. Che avesse perfino annotato i suoi spostamenti?
Si, quello sembrava proprio il lavoro di un professionista a dire il vero. Forse alla fin fine Sebastian non c'entrava niente.
«Potrei chiederle come mai si trova qui, Miss Phantomhive?»
La voce serena e quasi divertita del maggiordomo la costrinse ad abbandonare alcune carte e delle foto a terra, lasciandole cadere seza posa ai suoi piedi.
Si irrigidì tutta, preoccupata e imbarazzata nell'essere stata colta con le mani nel vasetto del miele.
«I-Io...io ho sentito Ciel urlare e...» balbettò lei, le mani dietro alla schiena, come se fossero sporche di chissà quale prova «...e sono venuta a vedere se stava male ecco.»
«Ho portato suo fratello in camera sua, signorina.» le rispose l'altro, entrando completamente nello studio «Quella di oggi è stata una giornata molto dura, gli ho consigliato di riposarsi.»
«Hai fatto bene...»
Calò il silenzio fra i due, il solito imbarazzante, orribile silenzio.
Célie si chiese se, il suo nuovo nemico fosse proprio lui, proprio Sebastian e, quando alzò gli occhi da terra per poterlo guardare in quei suoi occhi rossi come il sangue, capì che sì, non aveva altra scelta che combattere contro di lui se voleva riprendersi in qualche modo il fratellone.
Una lotta senza esclusione di colpi.
Una lotta per l'anima di Ciel.
"Per l'anima?" domandò a sè stessa, dopo aver formulato quel piccolo pensiero.
Come le era venuto?
Scosse il capo e corse verso Sebastian, cercando di uscire il più velocemente dalla stanza.
«Aspetti un secondo...»
Il maggiordomo la prese per un braccio e la riportò davanti a lui, guardandola serio in volto.
«Devo assolutamente chiederle una cosa prima che lei se ne vada.»
«Non...non credo che tu sia nella posizione di ordinarmi qualcosa...»
«Forse no, ma mi ci vedo comunque costretto mia dolce, dolcissima contessina.»
Célie non disse niente e si lasciò avvicinare da lui, i loro visi non così distanti come avrebbero dovuto essere.
«Lei si è messa in testa che Ciel...ha bisogno d'aiuto, dico bene?»
Annuì, in silenzio, iridi eterocromatiche contro iridi rosse.
«Cosa le fa credere che lui in primis voglia essere salvato...?»
Di fronte alla domanda da lui posta, ogni convinzione della ragazza andò in frantumi. Tutto le crollò addosso come un castello di carte e lei, schiacciata dal pensiero che effettivamente Ciel non le aveva mai chiesto qualcosa di simile al suo intervento, si ritrovò al contempo a pensare che forse a lui piaceva essere diventato così.
Era più forte e più potente di quanto non avrebbe mai potuto desiderare, questo era vero, e la sua influenza nel mondo aristocratico di Londra non era da sottovalutare in alcun modo, e poi possedeva un impero che rendeva annualmente un patrimonio di sterline.
E tutto questo lo doveva alla sua furbizia, alla sua mancanza di pietà e alla vicinanza di un braccio destro come Sebastian Michaelis.
Cosa poteva desiderare di più dalla vita?
Non di certo la redenzione.
Gli occhi le si riempirono di lacrime e, scansando la mano dell'uomo dal suo braccio, Célie si fiondò nel corridoio scappando verso la sua camera da letto.
"Come ho potuto essere così sciocca!" pensò, incredula "Io da sola cosa posso fare?!"

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** The Call ***


Da quando si erano parlati e avevano convenuto sul fatto che, una come Célie, così poco propensa nel fare del male per davvero a qualcuno, non poteva assolutamente vincere contro due individui come Ciel Phantomhive e Sebastian Michaelis, Elliot e Oz avevano passato parecchio tempo assieme.
Non importava dove o come, i due ragazzi si incontravano praticamente ogni giorno dopo aver rispettato i rispettivi obblighi sociali e non impisti dai rispettivi zii: insieme parlavano di come avrebbero fatto a dare una mano alla loro comune amica -anche se per Oz era più una sorta di conoscente- senza dare l'impressione di stare ficcando il naso in faccende che non li riguardavano neanche di striscio.
Il fatto era che non potevano lasciare le cose così come stavano, non potevano permettere che una ragazzina come lei si ritrovasse da sola di fronte ad un mondo che, per quanto avesse imparato a conoscere, era sicuro le avrebbe riservato nuove pessime sorprese.
Elliot aveva raccontato al biondino di Angelina e di come era solita trattare la nipote, aveva anche descritto con ampi gesti delle braccia e gesticolazioni varie accompagnate da parole assai dure gli avventimenti che lui in primis aveva dovuto affrontare per colpa di quella vecchia e dannatissima megera. In un certo senso ancora la sentiva là, fra loro due, a pesare sulle sue spalle con la sua crudeltà mal celata e quella vena di pazzia non del tutto invidiabile.
«Mi chiedo se non sia di famiglia...» cominciò d'improvviso Oz stesso, guardando il cielo dalla sua posizione supina sulla panchina del parco di villa Baskerville.
L'altro smise di fare avanti ed indietro al suo fianco e, fermandosi, posò su di lui lo sguardo con fare interrogativo.
«...sì, la pazzia intendo.»
«Perchè, anche i genitori di Célie erano pazzi che tu sappia?»
«No.»
«E allora come fai a dirlo...?»
«Di recente ho sentito delle storie...»
Elliot alzò un sopraciglio, sbuffando.
«Si chiacchiera parecchio da queste parti, eh?»
«Siamo nobili noi, che altro dovremmo fare se non spettegolare gli uni sugli altri lanciandoci fango a vicenda?»
«...lavorare per esempio.»
«Comunque» mormorò Oz, tossicchiando un poco, giusto per sviare il discorso e portarlo nuovamente sul punto essenziale della cosa «ho sentito che Ciel sta sbroccando un pò di recente.»
Nessuno dei due era stupito nel sentire una cosa del genere e, sebbene non lo conoscesse poi tanto bene, Elliot stesso poteva dire di non essere sconvolto da una tale notizia. Aveva sempre visto Ciel un pò strano e, ora che poi Oz gli aveva raccontanto quelle cose sul suo misterioso ritrovamento, non poteva fare altro che constatare che sì, ancora una volta aveva avuto palesemente ragione nel giudicare una persona.
Si preoccupava solo che quel suo comportamento non avesse cominciato ad influenzare anche Cèlie...
Alzò anche lui gli occhi verso il cielo, che quel giorno era stranamente limpido e sereno come non mai, quasi dello stesso azzurro delle sue iridi chiare e splendenti. Non c'era neanche una nuvola a rovinare l'insieme di quella calda giornata, neanche una piccola piccola, però sia Oz che Elliot sapevano che quell'evento non era altro che la calma prima della tempesta.
Purtroppo non erano così stupidi da credere che, con tutte le indagini che stavano facendo segretamente e con il loro impicciarsi di affari altrui, le cose sarebbero rimaste così tranquille ancora per molto.
Probabilmente non erano i soli a preparare la prossima mossa per fare scacco matto all'avversario.
«Pensi che ci stia tenendo d'occhio?» domandò allora il moretto, chiudendo gli occhi ed assaporando un ultimo, fragile pezzo di serenità «Ciel intendo.»
Oz non rispose, però lui capì che sì, Ciel li stava tenendo sotto tiro.
Ed il brutto della cosa era che, qualsiasi azione avessero compiuto loro, quel ragazzino sarebbe stato sempre un passo avanti a loro. Aveva quel maledetto Sebastian al proprio fianco in fondo, con uno così era chiaro al mondo intero chi, fra i contendenti, fosse in vantaggio.
«Dobbiamo fare in fretta allora.»
«Già.»
Il suono lontano del telefono di casa li colse impreparati e, uno girandosi di scatto e l'altro tirandosi su velocemente, entrambi si misero a guardare la porta che dava all'interno con occhioni spaesati.
Quella era la millesima volta che suonava, ne erano sicuri, e ogni volta che Lotti o Lily o perfino Fang tentavano di rispondere alla chiamata tirando su la cornetta colui o colei che chiamava riattaccava.
Qualcosa non andava.
Rimasero con il fiato sospeso per alcuni minuti, il tempo che ci volle alla piccola Lily per raggiungere -ancora una volta- il telofono elegante posto su un tavolino nell'ingresso vicino alla porta a vetri del giardino, prendere in mano la cornetta ed esordire con un "Insomma, si può sapere chi diamine è?!".
Oz se la rise sotto ai baffi, piano, senza dare fastidio a nessuno: quella bambina era la cosa più dolce del mondo nonostante fosse anche la persona più strana che lui avesse mai incontrato. Alternava momenti di pura e semplice innocenza ad altri di una cattiveria inaudita, e questo quasi del tutto inconsciamente, mantenendo una parvenza di bambineria anche mentre compiva o diceva cose orribili.
Aveva il dubbio che, una come lei, sarebbe stata in grado di uccidere con il sorriso di un bimbo a natale stampato sulle labbra.
«Come?»
La vocetta stridula della piccina tornò a catturare la sua attenzione e tornando a guardarla con attenzione, percepì al contempo l'ansia che sentiva provenire da Elliot.
«Credi che sia lei...?» gli chiese, stringendo le mani sullo schienale della panchina.
«Non lo so...io...io mi sento strano.»
«Allora è lei.»
Lily alzò le spalle e li guardò a sua volta, facendo segno ad Elliot di raggiungerla.
Lui, i pugni strettissimi ai fianchi, si mosse quasi come un robot. Mise un piede di fronte all'altro per inerzia, tutto legnoso, l'amico che già sentiva alzarsi e venirgli dietro passo dopo passo alle sue spalle.
Non sapeva che pensare: non sapeva se era giusto per lui sperare di risentire la voce cristallina e forse spaventata della sua adorabile Célie o, tutt'al più, immaginare che lo stesse cercando solo per rinfiorire il concetto di starle lontano. Magari aveva scoperto tutto quanto, sia il piano che aveva creato con Oz, sia del suo desiderio di non arrendersi di fronte alle continue peripezie del loro amore.
Eppure, anche così, non si sarebbe dovuta stupire poi molto visto che glielo aveva detto chiaro e tondo, lui non si sarebbe mai arreso.
Prima di prendere fra le mani il telefono si voltò alla ricerca dello sguardo sicuro del compagno e, trovando due grandi occhi verdi pronti a sostenerlo senza alcuna remora, ritrovò all'istante tutto il coraggio che aveva sempre posseduto e si dedicò completamente a quella telefonata, il cuore che sembrava stretto in un morsa di terrore e preoccupazione.
«...pronto?» riuscì a dire, dopo qualche minuto «Chi parla?»
«E-Elliot?»
Quella voce, quella voce cristallina e rotta dal pianto...dio, come gli era mancata quella voce!
«Célie!» esclamò lui, come se non avesse saputo dal principio con chi avrebbe avuto modo di parlare.
Per quanto se lo fosse sentito nel profondo ancora trovava impossibile che, proprio la prima fra i due che aveva proclamato la fine della loro storia, si fosse poi arrischiata a chiamarlo a casa.
«Cèlie, grazie a dio...»
«Scusami Elliot, scusami!» le sentì urlare, in totale preda dell'affanno «Ti prego...scusami. Pensavo di poter fare tutto da sola, pensavo che sarei riuscita a risolvere tutto. Non volevo che tu...che tu dovressi portare anche questo mio peso sulle tue spalle!»
«Ti avrei aiutato subito se mi avessi detto cosa non andava, lo sai.»
«Proprio per questo non potevo! ...tu...E-Elliot tu sei già così stanco, così afflitto...non volevo doverti dare altre delusioni. Non volevo che perdessi totalmente la voglia di lottare per le cose belle...»
«Eri tu l'unica cosa bella della mia vita.»
A sentire quella frase il cuoricino di Cèlie scoppiò una volta per tutte o, molto più probabilmente, venne distrutto in mille pezzi. Il tono di voce di Elliot non ammetteva repliche, era adirato con lei per ciò che aveva fatto e, per quanto le volesse bene, ora come ora forse nemmeno si fidava più di ciò che diceva. Lo aveva sempre saputo che comportandosi come aveva deciso di fare sarebbe successo, sapeva che non lo avrebbe più riavuto indietro una volta compiuto quel dannato passo, ma che avrebbe dovuto fare altrimenti?
Avrebbe davvero dovuto lasciar perdere suo fratello, l'unico componente della famiglia che le era rimasto?
Sarebbe stato giusto rinunciare alla famiglia anche se per amore...?
Célie sorrise tristemente là, nel buio della sua stanza, nascosta nella camera armadio con il telefono cordless attaccato all'orecchio sinistro.
«Ti devo chiedere perdono per averti lasciato a quel modo...» cercò di continuare il discorso, nella speranza di non sembrare troppo patetica «...e sappi che non ti ho chiamato per...per chiederti di tornare assieme...»
Lo stomaco di entrambi, con quelle parole, si chiuse nel giro di mezzo secondo.
«...è mio fratello. Ha bisogno di aiuto Elliot, e io non sono in grado di darglielo, non da sola.»
«Lo so, non preoccuparti. Io e Oz ci stiamo già muovendo.»
«Tu ed Oz...Bezarius?»
Elliot capiva lo scetticismo che poteva provare Célie. Il ragazzo guardò di soppiatto colui che era stato preso in causa e, vedendolo tutto sorridente come un povero imbecille, scosse violentemente il capo tornando a fissare il vuoto di fronte a sè, no anzi, tornando a fissare i particolari del muro pur di non doversi soffermare su quell'ebete un solo attimo di più.
«Sì, per quanto strano possa sembrare ci siamo...alleati.»
«Neanche tanto.» rise Célie, scacciando una lacrima solitaria che le stava scendendo dall'occhio violetto «Infondo Oz e Dean si somigliano molto, non mi stupisco che tu ti sia affezionato a lui.»
Anche lui lo aveva pensato, non poteva di certo non dirlo, però avrebbe forse preferito l'effettiva presenza di Dean al posto di quella di Oz per quanto, lo ammetteva, cominciasse a diventargli davvero simpatico. In fin dei conti conosceva Dean da una vita e, essendo il suo migliore amico, era normale che gli mancasse il potersi confidare con lui, il poter sentire quelle rassicuranti e taltvolta saccenti parole uscire dalla sua bocca, accompagnate da quello sguardo sicuro immancabile.
«Se anche Oz è lì allora metti il vivavoce perfavore. Devo parlare con entrambi.»
Obbedì, facendo un cenno con il capo al biondo poco distante.
Quando furono tutti pronti attorno al telefono, Célie parlo: «L'altro giorno sono entrata nello studio di Ciel, pensando di trovarlo lì a lavorare, come sempre...» esordì, sentendosi di nuovo in imbarazzo per avuto l'ardore di ficcare così spudoratamente il naso negli affari del gemello seppure con sole buone intenzioni «...non l'ho trovato ma invece di andarmene sono entrata e ho trovato la stanza in totale subbuglio. Il tappeto era tutto smosso e...le carte, alcuni libri, persino una lampada giaceva a terra...»
«Cosa?!» scattò Oz, trattenendo una risatina isterica «Ciel non sopporta neanche di avere un capello fuori posto, come cavolo ha fatto a fare tutto quel casino? Non è che ci è scoppiata una bomba là dentro...?»
«L'ho pensato anche io ma...ma ieri non era in sè. L'ho sentito urlare parecchie volte, urla di rabbia pura...»
Le stesse che sentiva fare, a suo tempo, anche ad Angelina.
Ancora rammentava come si sentiva quando, nel buio della notte, nascosta sotto alle coperte, la sentiva urlare di rabbia e di dolore nella camera adiacente. In quei momenti pregava sempre che lei non si ricordasse di avere una nipote poco distante, una persona con cui era facile prendersela per scaricare la tensione accumulata. Aveva pregato tutti gli dei conosciuti affinchè non andasse da lei, ma puntualmente veniva ignorata.
«Célie?»
Elliot la riportò con i piedi per terra. Che avesse intuito a che cosa stava pensando pur non avendola davanti agli occhi?
«S-Sto bene, stavo solo pensando...»
«Cosa hai trovato nello studio?»
«Delle fotografie. Tue Elliot, delle tue fotografie...» gli rispose «...e anche delle carte con sopra annotati tutti i suoi spostamenti. Ho visto anche il tuo nome Oz, quindi credo che in giro ci fossero anche delle tue foto...»
«Dunque avevamo ragione...ci sta controllando.»
«E chissà da quanto...»
Per un secondo cadde il silenzio fra i tre, nessuno sapeva più che cosa dire e, sinceramente, nessuno aveva poi molta voglia di parlare.
Erano arrivati sino a quel punto con in testa l'idea di salvare un amico, ma ora che ci riflettevano bene sopra capivano di non avere assolutamente niente di niente su cui lavorare, niente per cui valesse la pena di rischiare la vita comunque. Volevano aiutare Ciel, era vero, però non sapevano neanche da che parte cominciare.
E Sebastian...lui era il punto più oscuro di tutti, egli rappresentava un'entità che poteva chiaramente essere definita come nemica ma non si sapeva esattamente sino a che punto. Fin dove si sarebbe spinto per mettere loro i bastoni fra le ruote? Cosa voleva dal conte Phantomhive e perchè gli faceva comodo che continuasse a percorrere quel pericoloso sentiero?
«CÉLIE!»
Quello strillo tonante non mancò di far rabbrividire perfino i due ragazzi all'altro capo del telefono che, saltando sull'attenti, fissarono increduli la cornetta lasciata appoggiata in malo modo sul tavolino del corridoio: quella era la voce di Ciel, senza dubbio alcuno, però appariva così distorta da fare spavento!
La giovane si alzò in piedi e, tremando, alzò gli occhi verso le ante della sua cabina armadio. Ogni parte di lei, ogni singola parte perfino le punte dei capelli stavano tremando.
«D-Devo andare.» sussurrò, riattaccando senza nemmeno permettere ad Elliot o anche solo ad Oz di dire un alcun che.
I due si guardarono, ancora scossi e stupiti, incapaci di proferire parole.
Se quello che avevano sentito era Ciel, allora avevano avuto ragione, stava impazzendo o comunque non era più ragazzo spocchioso e ancora leggermente sopportabile che avevano entrambi incontrato e conosciuto. Dovevano fare in fretta, darsi una mossa, perchè ora la loro compagna si ritrovava in casa da sola con qualcuno che, forse, non si sarebbe fatto poi molto scrupoli nel farle del male...
«Cosa facciamo adesso?» domandò Oz, avvicinandosi all'altro ragazzo e posandogli una mano sulla spalla, come a voler attirare la sua attenzione «Direi che di tempo non ne abbiamo più molto.»
«Infatti. Dobbiamo andare da lei...subito.»
«Elliot, fermo dove sei.»
Glen si fece avanti e, accompagnato da Fang e Doug, raggiunse il nipote con passo cadenzato ed elegante. Aveva le mani unite dietro alla schiena, come sempre, e lo stava guardando con occhi pieni di rimprovero, cosa che dal giorno del ballo non aveva mancato di mettere a disagio il povero giovane. Era chiaro che il suo comportamento in quell'occasione non era stato dei migliori, evidentemente lo aveva messo in imbarazzo di fronte a dei suoi conoscenti e dio solo poteva sapere quanto lui stesso si fosse poi pentito di ciò che aveva detto -o meglio urlato- e fatto, però davvero non comprendeva perchè Glen se la prendesse così tanto.
Si mosse in avanti, per fronteggiarlo, prendendo già a gesticolare come un matto.
«Zio, adesso non posso stare a qui ad occuparmi dei miei corsi, ok?»
«Al momento i corsi sono l'ultimo dei tuoi problemi.» rispose lui «Non posso permetterti di andare dalla giovane Célie. Lei e suo fratello sono nostri nemici.»
Elliot si drizzò.
«C-Come?»

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Silly Destiny ***


Célie non ci aveva poi messo molto a lasciar perdere ogni cosa, persino il suo buon nascondiglio, per dirigersi di corsa verso la camera da letto del fratello.
L'urlo di poco prima, per quanto in principio la avesse spaventata a morte, aveva avuto uno strano effetto collaterale su di lei e, alla fine, le aveva fatto comprendere che cosa stava succedendo in quel momento in casa. Il tono di voce usato da Ciel, per quanto improvviso potesse essere stato, non aveva assolutamente nulla a che spartire con gli strilli cui si era abituata di Angelina.
No, ciò che aveva udito era una supplica di aiuto, un richiamo disperato del fratello.
Per questo, correndo come una matta, la giovane Célie si era fiondata dal gemello sperando di non aver impiegato troppo tempo a riflettere se le sue azioni fossero giuste o sbagliate.
Le mani le stavano già sudando ed il cuore, per via del solito legame indissolubile che li aveva sempre tenuti uniti, stava facendo i salti mortali come se nel profondo sapesse che stava accadendo qualcosa di estremamente brutto a Ciel.
Corse, corse così veloce che per un attimo buono le parve di stare quasi volando per quei corridoi, gli stessi che conosceva come le sue tasche da che era piccola: un tempo aveva speso le sue giornate a rincorrere il fratellone ovunque andasse, sia per gioco sia perchè era sempre stata totalmente affascinata da qualsiasi sua azione. Il desiderio di diventare un giorno come lui, di crescere ed essere la persona buona e giusta insomma, era divenuto così grande per Cèlie che non si era mai resa nemmeno conto di quanto asfissiante alle volte era stata in grado di divenire. Lo seguiva, tentava di imitarlo, e qualsiasi cosa avesse fatto lui anche lei doveva provarla. Non si era mai vista una tale idolatrazione, nemmeno fra fratelli gemelli.
Quello che li aveva uniti non era semplicemente il destino, no perché per quanto Sebastian potesse dire il contrario, loro due possedevano la stessa anima e ciò li rendeva inseparabili ed unici. Lo aveva detto anche lui: Non si dice che i gemelli sono la stessa anima che vive, divisa, in due corpi?
Il punto era che l'anima di Ciel era rimasta imprigionata nel buio troppo a lungo e adesso aveva bisogno di un pò di luce, della stessa che lei aveva ritrovato grazie all'amore e all'amicizia. Se non avesse avuto al proprio fianco due personaggi come Elliot e Dean allora dove sarebbe stata, ora? Probabilmente si sarebbe uccisa da sola, precedendo la zia di qualche settimana se non perfino di qualche mese.
Perciò adesso Ciel aveva bisogno del suo affetto, dell'amore indissolubile che ci poteva essere fra due componenti della stessa famiglia, dell'amicizia strana e divertente che possedeva con Oz e, poi, perché no, anche della rivalità che aveva sviluppato nei confronti di Elliot.
«Ciel, cosa succede?!» esclamò, svoltando a destra nell'ultimo intricato susseguirsi di porte e scale «Ciel!»
Andò quasi a sbattere contro l'uscio della sua stanza per poterlo aprire prima di mettervi dentro anche solo un piede. Quando fu al suo interno, gli occhioni eterocromatici di Célie ci misero come al solito un pò di tempo prima di riuscire ad abituarsi al buio presente nella camera. Prese a guardarsi attorno con così tanta apprensione che, alla fine, i suoi occhi si posarono su una figura esile poco distante da lei, che se ne stava adagiata contro al muro più lontano dall'entrata, seduta per terra.
Immobile.
Immobile come nessuna persona viva avrebbe potuto essere.
La piccina si portò una mano al petto, laddove c'era il cuore, e, nella speranza di non vederlo uscire dalla sua gabbia toracica perchè troppo preso a battere con inaudita velocità, gli si avvicinò con fare titubante assai spaventata. Le tremava il corpo, il fiatone non accennava a diminuire, e provava un'ansia così intensa da lasciarla del tutto basita, senza la possibilità di calmarsi per anche solo un istante.
Raggiungendolo si chinò di fronte a lui, posando le mani candide sulle esili spalle del fratello, così simili alle sue.
«C-ciel!» disse, con voce rotta dal pianto «Che è successo? Cosa...perchè sei qui seduto?»
Gli sfiorò i capelli, spostando quei ciuffi ribelli identici ai suoi da davanti ai quei begli occhi senza dare il minimo peso a quella benda che gliene copriva uno. Voleva solo capire, scoprire cosa lo aveva ridotto in quello stato e risolvere il problema. Risolverlo al più presto possibile.
Piegò il capo e prese un respiro pronfondo, cercando di non pensare al fatto che sebbene lei lo stesse guardando con enorme insistenza dritto negli occhi, Ciel non la stava ricambiando e sembrava persino non averla vista. Era come se il suo sguardo andasse oltre, privo della solita sicurezza che era solita leggere in quelle iridi stupende e a lei così familiari.
«Andrà tutto bene, io lo so.» sentenziò poi, ostentando una sicurezza che non le apparteneva per niente «...Elliot e Oz, loro ci daranno una mano e insieme...n-noi ce ne andremo, io lo so.»
No che non lo sapeva, Célie non sapeva proprio nulla.
Per lei da un pò di tempo niente era andato bene e tutto le si era rivoltato contro, lasciandola allibita di fronte alla crudeltà a cui la vita, quel suo destino infame, poteva ancora sottoporla.
Lei era la gemella di Ciel e, per quanto non avesse voluto sentire una cosa del genere, percepiva la vita che se ne andava dal corpo del fratello, lasciandolo vuoto completamente ed in modo irreversibile. Non vi era scampo da quel destino, anche il fratello stava morendo e lei, per l'ennessima volta, non avrebbe potuto fare nulla per il suo caro, dovendo solo stare lì a guardare mentre tutto andava nuovamente e dolorosamente in fumo.
Strinse forte la sua mano, scoppiando in un pianto liberatorio mentre si appoggiava al petto del gemello: non voleva lasciarlo andare, non voleva perdere anche lui, non voleva stare ancora sola senza potergli dire che...
«...ti voglio bene Ciel.» sussurrò, continuando a singhiozzare e alzando però lo sguardo per incontrare l'occhio del ragazzo, forse di un blu più scuro del suo «Te ne voglio così tanto...fratellone. Ero tornata perchè avevo capito che qualcosa non andava, ma mai avrei pensato di trovarti...»
Socchiuse un poco gli occhi, facendo si che alcune lacrime percorressero ancora una volta la linea tracciata da quelle precedenti, come delle ferite profonde sulla pelle del suo candido ed angelico viso. Non riusciva dire una parolo come quella, non riusciva nemmeno a pensare a ciò a cui egli si stava lentamente avvicinando.
La mano adunca e scarna della morte stessa lo stava già attirando a sè e lei ancora non era capace di formulare quel singolo, stupido, orribile pensiero.
Era davvero coraggiosa, non c'era che dire.
«Se solo fossi arrivata prima, se mi fossi decisa a venire da te subito invece di aspettare. È solo colpa mia, solo mia, ti prego perdonami!» esordì, portando la mano di Ciel alla bocca e baciandola piano «Ero tornata per stare con te, per ricominciare...ma come faccio se adesso tu stai andando dove io non posso seguirti?!»
Ora era arrabbiata, era furiosa, risentita contro suo fratello per non averla aspettata, per essere stato zitto dandole modo di ignorare ancora di più il suo urlo silenzioso. Ciel aveva sempre implorato aiuto a modo suo, ma lei, che era la sorella, non lo aveva mai e poi mai ascoltato.
Dio come si odiava in quel preciso istante, cosa avrebbe dato per poter essere al suo posto: Ciel non meritava quella fine, non lui che aveva sempre fatto del suo meglio per lei e per la famiglia. No, lui no.
«...fratellone, ti prego non te ne andare...ti prego...ti prego ti prego ti prego...» bisbigliò con la poca voce che le era rimasta in gola «Io ho un disperato bisogno di te.»
Improvvisamente, l'occhio di Ciel si chiuse definitivamente e anche quel barlume di vita che sembrava averlo animato per quel breve lasso di tempo, lo abbandonò del tutto e per sempre. Da quello non vi era ritorno, lei lo sapeva meglio di tutti.
Lo fissò per alcuni istanti, attimi davvero interminabili in cui il suo cervello sembrò non elaborare subito quello che gli occhi stavano vedendo.
Una miriade di ricordi la travolsero in quel preciso momento: erano nati assieme, più o meno nello stesso momento; si erano voluti bene sin dall'inizio e avevano visto la luce di una nuova vita l'una al fianco dell'altro; avevano giocato, erano cresciuti vicini; avevano vissuto momenti duri senza separarsi...
E adesso...
Adesso non sarebbe più stato così perchè lei era sola, stavolta per davvero.
«Non avrei mai voluto che tu assistessi a questo spettacolo...»
Quella voce.
Quella dannata voce.
«O cielo, quale imperdonabile atto irrispettoso ho appena commesso.» mormorò Sebastian, uscendo dall'ombra in cui era rimasto sino a quel momento «...avrei dovuto usare la forma di cortesia, come ho sempre fatto da che ci siamo conosciuti, dico bene?»
Colui che aveva conosciuto come il maggiordomo di Ciel, ma che ora sapeva essere la causa di tutti i suoi mali le si avvicinò piano, passo dopo passo, fermandosi proprio alle sue spalle a guardarla con degli occhi che erano tutto un programma.
Lei si girò piano, sempre tenendo ben salda la mano del gemello, e guardandolo le parve assai compiaciuto, quasi...sazio.
Eppure, nonostante ciò, c'era ancora un barlume di interesse in lui.
«Che cosa gli hai fatto?» domandò, l'ennesima lacrima a scenderle lungo il volto cinereo «Che cosa...vuoi?»
«Ho voluto la stessa cosa per anni. L'anima di tuo fratello era così invitante che non ho potuto fare a meno di intromettermi della sua vita, di stringere con lui un patto e di abbassarmi a soddisfare ogni suo più piccolo capriccio per poterla avere...»
Célie deglutì, incredula.
«Sono un demone mia giovane, incauta ed ingenua Cèlie.»
«Non...non può essere vero.»
«Sì, in effetti c'è già abbastanza cattiveria a questo mondo senza che quelli come il sottoscritto vengano a metterci il proprio zampino...e tu di certo lo sai meglio di me, questo.»
Fece ancora un passo, accucciandosi di fronte a lei e sorridendole.
«Ridagliela.» supplicò lei, piangendo «Ti prego...ti prego ridagliela.»
Sebastian assunse un'espressione un poco triste, quasi addolorata di fronte alla sua disperazione enorme. Allungò una mano e la posò sul suo volto, avvicinandola a sè con tutta la delicatezza di cui disponeva: i loro occhi si incontrarono ancora una volta e lei, per quanto odio o terrore stesse provando ora, non poté fare a meno di sentire un'enorme attrazione per quell'uomo. Di nuovo, come sempre.
«Vorrei poterlo fare.» ammise l'altro «Ma un patto è un patto, e nemmeno io ho il potere di scioglierlo.»
«E allora cosa dovrei fare...? Arrendermi?»
Lui sorrise, il pollice che piano piano le sfiorava una guancia come quel giorno in camera sua, qualche giorno prima del grande ballo dove aveva potuto rivedere il suo adorato Elliot. Non poté fare a meno di rabbrividire ora che aveva compreso di possedere qualcosa che quel demone voleva.
Aveva avuto ragione, dunque. Sebastian non era ancora del tutto appagato dal bottino che aveva appena ottenuto.
«Possiamo sempre stringere...un accordo.»
Gli occhi di Célie si riempirono di nuova speranza, ben accostata però da una vena di dubbio.
«Che genere...di accordo?»

Elliot aveva opposto una grande resistenza di fronte agli incitamenti dello zio a seguirlo fin nel suo studio.
Per quanto la presenza di Doug e persino del suo insegnante, di Fang, fosse per lui alquanto spaventosa non aveva alcuna intenzione di cedere di un solo passo, sopratutto se Glen non era disposto a dargli qualcosa in cambio.
Da che lo aveva conosciuto aveva sempre preteso, preteso e preteso ancora. La sua idea di equità era un qualcosa di totalmente astratto, una definizione che il resto del mondo non poteva proprio condividere per quanto, a guardarlo, obbligare le altre persone a fare solo ed unicamente ciò che lui voleva era forse la miglior dimostrazione di parità che gli veniva in mente. Non che ci godesse o che altro, non lo aveva mai visto sorridere nemmeno una volta e perfino quando era in compagnia del suo così detto amico Jack Bezarius quel muso sembrava deciso a non voler mai svanire, però lo stesso vederlo dare ordini a destra e a manca non era il massimo della vita.
«Cosa vuol dire che Célie è nostra nemica, si può sapere?» chiese, ponendo quella sua domanda con un tono di voce alto ed imperioso, come suo solito quando raggiungeva il livello massimo di sopportazione e non ci vedeva più dalla rabbia «Dimmi cosa vuol dire questa faccenda!»
Doug gli andò incontro e, prendendolo per le spalle, cominciò a trascinarlo verso lo zio con forza, senza curarsi dei suoi piedi piantati a terra o del suo agitarsi come un povero ossesso.
«Lasciami andare, bestione!»
«Vorrei davvero che lei non opponesse resistenza, signorino.» replicò l'altro, fissando dritto di fronte a sè, le manone ancora strette attorno alle sue braccia.
La sua forza era sconcertante, certo, ma essendo così enorme Elliot non si stupì poi molto di tale dimostrazione.
«Col cavolo che non la oppongo, maledettissimo omone strafatto di steroidi!»
Glen sospirò, guardando stancamente Oz che, per altro, non si stava comportando in modo poi tanto diverso rispetto all'amico. Fang stava cercando di portarlo nello studio, come da ordine, ma la cosa non sembrava riuscire troppo bene.
L'uomo di portò una mano sulla fronte, scuotendo forte il capo.
«La gioventù d'oggi...» mormorò, camminando tranquillo verso il secondo piano, dove il beneamato studio li stava attendendo tutti.
Venne seguito a ruota da Doug, con Elliot caricato sulle spalle, e da Fang, che praticamente stava trascinando per le braccia il povero Oz, del tutto deciso ad interpretare la parte del peso morto.
Quando i presenti furono ai propri posti e i due ragazzini furono fatti accomodare nelle poltrone di fronte alla sua scrivania, Glen si decise a cominciare a parlare.
O meglio, a porre le sue domande.
«Da quanto conosci Célie Phantomhive?»
Elliot se ne rimase zitto, il viso estremamente contrariato per come era stato trattato solo qualche secondo prima. Incrociò le braccia, adirato come non mai.
«Vi siete conosciuti a Parigi se non erro...» continuò suo zio, camminando avanti ed indietro davanti a loro «...perchè non mi hai detto che conoscevi perfino Sebastian Michaelis?»
Ancora silenzio.
«Hai deciso di non rispondermi? Guarda che le mie sono domande importanti.»
«Oh beh, tu non rispondi a nessuna delle mie quindi...»
«Elliot, non stiamo giocando.»
«Appunto, non stiamo giocando!» strillò lui, alzandosi in piedi di scatto e sbattendo le mani sul tavolo in mogano pesante «C'è in gioco la vita di una persona che amo qui, di una persona che non posso e che non voglio perdere, ok? E tu stai qui a dirmi cose a metà, ad interrogarmi senza alcun motivo...a rapirmi con un'amico per non si sa quale assurda, allucinante ragione!»
I presenti non staccarono gli occhi da lui, neanche per un attimo, mentre parlava esprimendo tutta la sua crescente agitazione.
Non vedeva davvero il perchè di ciò che stava accadendo: uno zio come si doveva avrebbe dovuto aiutare e sostenere sempre il proprio nipote, sopratutto se questo era l'unico sopravvissuto ad una strage che aveva visto scomparire il resto della sua famiglia e che, alla fine, aveva portato via la sanità mentale della sorella. Uno zio, o almeno quello ideale che Elliot ancora si figurava nella mente, non avrebbe mai costretto il nipote a fare cose che non voleva, nascondendosi dietro alla scusa di volergli dare un'istruzione che i suoi genitori sembravano non avergli offerto.
Uno zio, quello perfetto, non avrebbe trattato il proprio unico nipote peggio di uno straccio, neanche fosse un peso del tutto indesiderato. Qualcuno così avrebbe capito le priorità, si sarebbe comportato di conseguenza e, ora, lo avrebbe già portato a villa Phantomhive per mettere la parola fine alla catastrofe che si stava consumando là dentro.
«Cosa cavolo ti passa nella testa, si può sapere?» disse, abbassando lo sguardo, sconvolto «...sei sempre stato così freddo? Da quanto tempo hai perso la facoltà di amare?»
«Più o meno dal momento in cui mi hanno portato via mia sorella con l'inganno.»
Il ragazzo sgranò gli occhi azzurri, lo sguardo fisso sul pavimento nonistante tutto.
«Come?»
«Hai capito bene.» rispose Glen, mettendosi seduto sulla sua grande sedia «Dal giorno in cui mi hanno strappato Lacie dalle braccia, io ho semplicemente smesso di ragionare con il cuore. È una lezione che si impara quando si viene traditi, presi in giro.»
Oz afferrò la manica della camicia di Elliot e, tirandolo giù, lo incitò a mettersi seduto prevedendo forse l'arrivo di nuove, scioccanti verità.
Non faceva parte di quella famiglia e sinceramente stava cominciando a pensare che ciò era un bene, ma siccome ormai lo avevano tirato dentro a quella situazione come avrebbe potuto non stare lì ad ascoltare, cercando di farsi un'idea del perchè i Baskerville fossero conosciuti come il lato oscuro della nobiltà londinese?
«Siamo cacciatori noi, da generazioni.» cominciò allora l'altro, fissando un punto nel vuoto fra il nipote del suo migliore amico ed il suo stesso «I Baskerville si occupano dei problemi che la corona, Scotland Yard ed il Parlamento non possono risolvere. Ci sono cose a questo mondo che voi due probabilmente avete conosciuto solo attraverso le leggende...o le fiabe.»
Chiuse gli occhi, vedendo dinanzi a sè immagini che avrebbe voluto scordare ma che, ahimè, non avrebbe mai più potuto cancellare dalla mente.
«Peccato però che sia tutto vero.» disse «Il male esiste sotto varie forme e sebbene noi umani ne costituiamo gran parte ci sono altre creature, perfino peggiori, che contribuiscono a rendere questo mondo un vero e proprio inferno.»
Ad un suo cenno, Fang lasciò cadere sulla scrivania plichi e plichi di carte nello stesso attimo in cui Doug mollò qualche libro sulle gambe dei due giovani. Erano scritti sui vampiri, tomi antichi che trattavano di magia nera, di vodoo, di esorcismi. Descrizioni accurate su licantropi, sul piccolo popolo, strategie di cattura per esseri di cui, proprio come aveva detto il conte, loro due avevano sentito parlare solo per via dei racconti che i loro genitori gli narravano prima di andare a dormire.
Elliot prese in mano un piccolo libricino, tutto consumato ed usurato dal tempo, con le pagine ingiallite e mezze strappate. La copertina era mal messa, proprio come tutto il resto, però poteva leggerci a chiare lettere, in stampatello, una singola parola: «...Demoni.»
Lo disse a fior di labbra, in un sussurro, facendo sì che solo chi era più vicino a lui lo avrebbe potuto sentire.
«Sì, demoni.» esordì Glen, le mani intrecciate sul grembo «...come il tuo amico Sebastian per esempio.»
«Lui è...?»
Glen annuì.
«Non ci posso credere...»
«Devi farlo, Elliot.»
«E perché dovrei?»
«Perchè è tuo dovere ereditare il mio posto. Un giorno sarai tu il capo della famiglia Baskerville, un giorno sarai tu a dover rincorrere queste creature sin nelle loro tane per ucciderle...» rispose «...e anche perchè se è vero che tieni così tanto a questa Célie, allora sarà compito tuo e di nessun altro salvarla.»
«Se Sebastian è un demone, come hai detto tu, allora avrà già fatto la sua mossa.»
«No, un demone non uccide indiscriminatamente. Si nutre di anime e lotta per quelle...ma non le può avere senza formare un contratto con un essere umano.»
Oz si drizzò sulla propria poltroncina, un libro che cadde dalle sue gambe per via di quel movimento brusco ed improvviso.
«E Ciel?!» proruppe poi, tutto agitato «Mi sta dicendo che lui ha stretto un patto con un demone? E per cosa?!»
Glen alzò le spalle, poco interessato a quel punto a dirla tutta.
«Non conosco abbastanza bene quel ragazzino per poterlo dire, mi dispiace...ma ad ogni modo temo che per lui non ci sia più niente da fare.»
Gli occhi verdi ed intensi di Oz persero di intensità nell'attimo stesso in cui gli sentì pronunciare quelle parole.
Ciel era suo amico, lo era sempre stato, e per quanto alle volte lui stesso avrebbe desiderato di strozzarlo con le sue stesse mani, non poteva neanche pensare all'idea che fosse stato ucciso da un demone.
Aveva sempre saputo che nel mondo c'erano più cose di quante l'occhio umano poteva coglierne, però arrivare a credere all'esistenza di mostri simili...
Mostri capace di portare via le anime delle persone care.
«Hai detto che i Phantomhive sono nostri nemici...» disse ancora Elliot, con una tale freddezza da far rabbuiare ancora di più il povero Oz «...perchè?»
Suo zio si alzò in piedi e, girandosi verso la grande finestra posta alle sue spalle, si mise a contemplare l'esterno. La strada chiara che conduceva all'entrata della sua magione era immacolata come al solito, senza neanche un segno di sterzature o di che altro. La servitù compiva un lavoro impeccabile, senza che lui neanche se ne accorgesse.
Il fatto era che aveva così poco tempo da dedicare a quelle cose.
Alzò lo sguardo al cielo e poi, voltandosi di poco per guardare Elliot, impresse nelle sue parole quanta più chiarezza poteva.
«Ogni persona che stabilisce un patto con un demone o con una creatura oscura è nostra nemica.» spiegò «Quelle persone si macchiano di un grave reato e vendono la propria anima per un proprio tornaconto. Persone così non sono degne della nostra fiducia, nè della nostra pietà. Loro distruggono semplicemente la loro vita e quella delle persone che hanno attorno.»
«...come puoi essere così inflessibile, zio?»
«Te l'ho detto, lo sono perchè ho perso mia sorella per via di una persona così debole.»
Tornò a guardare di fuori, perso nei ricordi.
«Tuo padre ha venduto la sua anima per ottenere l'amore di Lacie, l'amore di mia sorella.»

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** What's wrong & what's right ***


 

Per quanto le parole di Glen sembrassero del tutto vere, ma sopratutto terribilmente annichilenti, Elliot non riusciva ancora a trovare la forza di credere a ciò che lo zio gli aveva appena detto.

Aveva sempre saputo che a quel mondo c'erano tante cose che ancora non sapeva, non si era mai detto abbastanza dotto per essere in grado di asserire a cuor leggero di conoscere ogni mistero della vita, ed era perfino conscio che c'erano misteri ancora irrisolti non del tutto da sottovalutare...ma da lì a dare per scontato che creature come demoni, vampiri e chissà che altro, beh, il passo non era forse un pò troppo lungo?

Il ragazzo si sdraiò sul materasso del suo grande letto, lasciando le braccia bene aperte ai suoi fianchi, lo sguardo puntato sul soffitto dove piccole e quasi invisibili crepe si intromettevano nell'intonaco bianco dei muri. Aveva lasciato l'allegra compagnia di Cacciatori, più Oz, di sotto, nello studio di Glen, e con un passo così veloce ed un'espressione assai turbata stampata in volto, si era infine assicurato che nessuno lo seguisse. Al momento le chiacchiere stavano a zero per quello che lo riguardava: l'unica cosa che gli era rimasta da fare, dopo essere venuto a conoscenza del background della sua famiglia e di tanti altri piccoli particolari che, a dirla tutta, avrebbe preferito non sapere, era solo riflettere.

Doveva decidere la sua prossima mossa, mettendo bene in chiaro sin dal principio che, qualunque fosse stata la sua decisione, avrebbe rischiato di perdere due cose assai importanti. Aveva infatti due vie e, in entrambe, rischiava di rimanere a bocca asciutta.

Poteva decidere di andare da Célie, irrompendo in casa sua e fregandosene bellamente della servitù che gli si sarebbe parata di fronte e cercando al contempo di salvarla ad ogni costo dalle grinfie di Sebastian ma, purtroppo, se avesse osato tanto nessuno gli diceva che sarebbe tornato vincitore da un possibile scontro con quel demone. Aveva cominciato da poco il suo addestramento -ebbene sì, Glen aveva infine ammesso che tutti quei corsi servivano a prepararlo alla sua vita di Cacciatore- e di certo non era ancora arrivato al livello necessario che gli avrebbe permesso di sostenere uno scontro, non diceva ad armi pari ma almeno accettabile, contro Sebastian.

In pratica, lo dava per scontato, sarebbe morto contro uno come lui e ciò rendeva la seconda alternativa, ovvero la fuga, decisamente più interessante anche se non del tutto desiderata.

Era vero, nessuno voleva morire, ma al solo pensiero di perdere definitivamente Célie lasciandola alla mercè di un maggiordomo come il suo perfino il timore della morte diventava sopportabile. Lei, così dolce ed indifesa, tutta sola in quella casa ormai vuota con alle calcagna un mostro interessato solo a divorarle l'anima...

Elliot non avrebbe mai trovato il coraggio di abbandonarla al suo destino. Neanche se non avesse provato nulla nei suoi confronti lo avrebbe fatto, figurarsi quando era chiaro che la amava anche più della sua stessa vita.

Sospirò, chiudendo gli occhi azzurro ghiaccio per un solo istante prima di trovare la forza di rialzarsi.

E quindi, seguendo come sempre il suo istinto combattivo e fin troppo cavalleresco, avrebbe galoppato in groppa al suo destriero per salvare la damigella in pericolo di turno. La stessa di sempre, l'unica che era stata in grado di stregargli il cuore.

«Sono i sentimenti che conducono le persone a comportarsi in modi sciocchi.» gli aveva detto lo zio non più di qualche minuto prima «Il cuore non è affidabile tanto quanto la mente, ricordarlo sempre Elliot. Se decidi di andare a salvare quella ragazza non farlo solo perché è il primo pensiero che ti balena in testa. Agisci ponderando bene ogni pro ed ogni contro. Solo così, alla fine, quando e se sarai caduto a terra dopo aver perso, sarai certo di non aver combatutto invano e per un motivo futile.»

Ebbene, Elliot ci aveva pensato. Aveva riflettuto bene su ciò che era giusto fare e, sebbene dal principio aveva deciso di andare alla volta di villa Phantomhive per suonarle di santa ragione a Sebastian e riprendersi Célie, adesso aveva anche una certa idea su come risolvere il problema.

Un tempo, forse neanche molto in fin dei conti, avrebbe lottato da solo, contando unicamente sulla sua forza. Oggi invece, in quel giorno preciso ed importante, quello che avrebbe deciso la fine della sua vita o l'inizio di una nuova esistenza per lui, sapeva che doveva contare sull'aiuto di tutti chiedendo supporto non solo ai Cacciatori della famiglia Basckerville ma anche a suo zio e...al suo nuovo amico.

Si diresse perciò verso la porta della sua stanza, carico come non mai, e quando poggiò una mano sul pomello aprendola si ritrovò Oz ai piedi.

Alzò un sopraciglio, leggermente innervosito dalla sua totale mancanza di buon senso. Aveva avuto il coraggio di origliare?! Per caso non conosceva la parola "privacy"?!

Lo prese per il bavero della camicia -azione che era divenuta abbastanza frequente fra loro due a dirla tutta- e lo tirò a sè con tutta la forza che aveva mentre, il povero malcapitato, alzava le mani a mò di difesa sorridendogli come un povero ebete.

«Cosa cavolo stavi facendo, idiota!?»

«M-Ma niente...volevo solo essere sicuro che non scappassi dalla finestra senza di me!»

Elliot lo scrollò per bene. «Se anche fosse stato il caso non erano affari tuoi, ok?!»

«Sì che lo sono!» ribattè Oz, ora arrabbiato tanto quanto lui «Qui non si parla solo di te, Elliot, si parla anche di Célie e di...di Ciel. Non so se te lo ricordi ma a quanto pare per lui non c'è più nienta da fare.»

Oz guardò a terra, scosso dalle sue stesse parole.

Glen non aveva usato mezzi termini per dirgli che era abbastanza plausibile credere che Ciel ormai fosse morto. Nessuno di loro poteva sapere da quanto avesse stabilito un contratto con Sebastian ne quali fossero i termini di tale patto, ma se davvero il ragazzo aveva cominciato a comportarsi in modo diverso e persino più chiuso del solito allora...

«Ho già perso un'amico, Elliot.» disse ancora, tornando a guardarlo negli occhi «Non ho nessuna intenzione di perderne un'altro.»

Ciel non lo aveva aiutato, ma con Elliot sarebbe stato diverso. E anche con Célie.

*** *** *** *** ***
 

La cosa era semplice. Molto. Forse anche più di quanto si era aspettata.

Le bastava formare un singolo patto con lui e, allora, Célie avrebbe potuto rivedere vivo suo fratello. Un pò di parole e tutto il dolore che sentiva, la totale ed innegabile mancanza che percepiva nelle profondità del suo essero, sarebbe svanito nel nulla. Sarebbe stato come se niente fosse successo, come se nella realtà dei fatti la loro vita avesse continuato a scorrere immutata rispetto a prima, quando ancora riuscivano entrambi a sorridere e l'unico rammarico per entrambi era quello di non aver trascorso assieme gli anni più difficili della loro crescita, quelli in cui la perdita dei genitori si era fatta più pesante ed orribile.

Cèlie lo avrebbe riabbracciato, Sebastian lo aveva promesso, però poi avrebbe dovuto dargli la sua anima e, di conseguenza, sarebbe toccato a lei morire.

Di certo non era un bel quadretto, e ancora le sfuggiva la maniera per dire definitivamente addio al suo adorato fratello nonchè ad Elliot, ma che altro poteva fare per Ciel se non quello? Non vedeva altri modi per riportarlo in vita, niente e nessuno glielo avrebbe potuto ridare come invece il demone aveva assicurato di fare.

E quindi non c'era motivo di tentennare. Le sarebbe bastato inventare qualcosa di convincente -di estremamente convincente se voleva mettere nel sacco due personaggi come Elliot e Ciel- e tutto sarebbe filato liscio, per una volta.

«Sei dunque disposta a morire per tuo fratello, mia piccola Cèlie?»

La piccina alzò gli occhi verso Sebastian, ancora stretta al corpo gelido e senza vita del gemello. Le sue braccia lo attirarono ancora di più a se e, poggiando la testa sulla spalla di lui, Célie annuì piano come in trance.

Lei aveva vissuto abbastanza e, sebbene con i suoi alti e bassi, aveva conosciuto gioie che solo qualche anno prima non credeva nemmeno possibili per una della sua risma. Aveva sempre pensato di non meritare niente, nulla di più di ciò che sua zia Angelina le dava quotidianamente, ed era sempre stata certa che se solo avesse vissuto abbastanza da raggiungere una veneranda età allora molto probabilmente sarebbe restata sola, rinnegata dalla sua famiglia e dalle altre persone che abitavano quel mondo.

Poi però, come un bellissimo sogno, era comparso Elliot. Lui solo, con la sua forza e quell'innata sicurezza, era stato capace di rischiarare il buio della sua esistenza donandogli un nuovo, bellissimo ed importante significato. L'amore che aveva conosciuto standogli accanto, i bei momenti vissuti assieme, le svolte che aveva portato nelle sue giornate prive di ogni stimolo, il fatto che le aveva fatto capire che c'erano cose che anche lei poteva fare senza sentirsi costantemente in colpa con chicchesia...

Célie non poteva dire di sentirsi insodisfatta dopo averlo conosciuto.

Se davvero doveva morire, allora sarebbe morta con il sorriso sulle labbra: avrebbe donato la sua vita per quella di Ciel e, nell'ultimo attimo, avrebbe dedicato tutto il suo tempo al ragazzo di cui era follemente innamorata.

«Molto bene allora» disse l'ex maggiordomo, sorridendole con velata ironia «vuoi per cortesia avvicinarti a me?»

Le porse la mano guantata ma lei, esitando, nel momento stesso in cui ebbe allungato la sua la ritrasse all'istante.

Aveva paura. Tanta.

«Cosa c'è?» chiese allora l'altro, allargando quel sorriso ora fin troppo canzonatorio «Ci ha già ripensato? Non vuoi più rinunciare al tuo futuro per Ciel?»

Lo sentì ridere.

«N-Non è questo, io...»

«Oh, ma guarda che ti capisco. Nessuno è così buono da cedere una cosa così importante per il bene altrui. Sai perchè tuo fratello ha stretto un patto con me?»

Célie scosse il capo. Come avrebbe potuto saperlo?

«Lo ha fatto per vendetta.»

Lei sgranò gli occhi.

«Voleva a tutti i costi scoprire chi stava dietro all'omicidio dei vostri genitori e, pur di riuscirci, ha venduto la parte più importante di un essere umano, ovvero la sua anima. Non era animato da buoni sentimenti o giusti ideali quando abbiamo stretto quel patto...solo da risentimento. Odio. Disprezzo.»

«M-Mi stai forse dicendo che...che se lo riportassi in vita tornerebbe ad essere così?»

Sebastian alzò le spalle, guardandola dritto negli occhi. «No, questo no. Ti assicuro che ciò non succederà.»

«Me lo giuri?»

«Ti do la mia parola, dolce Célie.»

Persino un bambino avrebbe capito che, la sua parola, poteva valere tanto quanto un calzino usato. Almeno quando si parlava fuori dai termini di un contratto, Célie era certa che non bisognava assolutamente prendere per oro colato tutto quello che usciva dalla bocca di un demone.

Eppure, pur sapendolo, allungò una mano lentamente, tremando, il cuore che le batteva nel petto con un tale impeto da farle davvero male.

Già in precedenza aveva sentito il cuore battere così, con quella stessa foga, ma proprio come un tempo era sicura che battesse per amore o affetto, o anche gioia, la giovane sapeva che adesso, se batteva, era solo ed unicamente per il puro e semplice terrore che stava provando. Come per suo fratello, anche se in modo diverso, il suo animo non era mosso da buoni sentimenti mentre si apprestava a stringere un patto con lui.

Prima di raggiungere quel palmo aperto, per poi stringerlo con la poca forza che sentiva di avere, Cèlie si permise di pensare ad Elliot: quanto la avrebbe sgridata una volta scoperto quello che stava per fare? Con che parole la avrebbe accolta e con che sguardo la avrebbe guardata?

Gli sarebbe rimasto abbastanza affetto nei suoi confronti da spingerlo a darle un ultimo, ultimissimo abbraccio?

Sfiorò con le dita la mano di Sebastian e lui, gongolando, si avvicinò un poco sorridendo come sempre.

«Sei pronta...?» le chiese.

Célie fissò il vuoto, senza rispondere.

 

*** *** *** *** ***
 

«Beh, non mi aspettavo così poche armi per combattere contro un demone...»

Oz stava fissando senza alcun ritegno Fang che, silenzioso e posato come suo solito, stringeva con le mani la propria inseparabile spada. Aveva una fodera nera e decorata con strani disegni argentati, i quali sembravano identici a quelli impressi sull'elsa dell'arma. Era una spada interessante, dalla lama nerissima tanto quanto la pece, ma per quanto sia Elliot che Oz la trovassero stupenda entrambi faticavano a credere che sarebbe bastata contro ad un mostro come Sebastian.

O, per meglio dire, con a qualsiasi mostro che veniva loro in mente.

Fang si girò verso il ragazzino biondo e, passando gli occhi da lui alla spada, alzò semplicemente le spalle.

«Non si può uccidere un demone.» asserì, calmo come non mai.

«Cosa vuol dire "non si può uccidere un demone"? E noi cosa stiamo andando a fare allora?!»

Elliot cominciò ad agitarsi, muovendo le braccia avanti ed indietro mentre col corpo sembrava del tutto incapace di stare fermo. Lo spazio nella macchina era poco eppure lui riusciva lo stesso a farlo sembrare abbastanza.

Abbastanza da permettergli di dare di matto.

«Il massimo che possiamo fare è esorcizzarlo.»

«E...la spada quindi a che serve?» chiese ancora Oz, leggermente sconcertato «Se non lo possiamo uccidere non credi si-»

«Pensi che lui non ci attaccherà una volta che avrà compreso ciò che abbiamo intenzione di fare?» Glen lo interruppe senza farsi troppi problemi. Al solito aveva lasciato la buona educazione, o almeno quella consona, a casa «Sei ingenuo come tuo zio se lo credi possibile.»

«Non intendevo dire una cosa del genere. Solo mi sembra strano. Se già sappiamo di non avere speranze non è assurdo pensare di poter combattere contro di lui?»

«In parte lo è, ma dovremo almeno cercare di tenerlo occupato mentre Elliot va a prendere Célie.»

Il ragazzo preso in causa ritrovò la tranquillità una volta che ebbe udito quella frase. Come sempre, non era molto d'accordo con ciò che suo zio stava dicendo.

«Io non vi lascerò indietro, da soli contro quella...quella cosa.» esordì, guardando Glen con tutta la sicurezza e la serietà di cui era capace «Mi sentirei un vigliacco a farlo.»

«Devi cominciare a capire quali sono le tue priorità, Elliot. Non puoi avere sempre tutto.»

«Ma posso provarci.»

«Mai sentito il detto "chi troppo vuole nulla stringe"?»

«Certo, però sono abbastanza megalomane da credermi superiore perfino a regole del genere.»

Glen gli sorrise, ironico come non mai.

Cominciava ad apprezzare quel cipiglio in suo nipote. Rivedeva molto di sè stesso in lui ma, tutto sommato, sperava che la sua vita sarebbe stata differente da quella che aveva dovuto sopportare lui. A cominciare dalla perdita di una persona assai cara: non avrebbe permesso che Elliot patisse le sue stesse pene e, quindi, non avrebbe lasciato Célie nelle mani di Sebastian. Sapeva fin troppo bene cosa voleva dire sentirsi del tutto soli ed abbandonati, conosceva l'oscurità che ti assaliva l'animo una volta che ogni luce era scomparsa.

Elliot non doveva prendere il suo stesso sentiero.

 

Una volta che furono arrivati di fronte al portone d'entrata di villa Phantomhive non gli ci volle poi molto tempo per fare irruzione e rendersi spiacevolmente conto che nessuno era presente fra quelle mura.

Non c'era vita là dentro. Tutto sembrava morto. Tutto era decadente.

Elliot non ci pensò su neanche mezzo secondo e, correndo come un matto con Oz e lo zio alle spalle mentre Fang e Doug si occupavano di una piccola ricognizione al piano terra prima di raggiungerli, raggiunse il secondo piano. Dopo vari tentativi avevano praticamente sfondato la porta della stanza di Cèlie, senza però trovarla al suo interno.

«E adesso?» domandò il giovane, perplesso, il fiatone a fargli da compagno.

«La camera di Ciel!» disse Oz, urlando e ritornando sui suoi passi solo per fiondarsi ancora una volta nel corridoio ala disperata ricerca della nuova meta.

Quella situazione ricordava tanto ad Elliot la volta in cui, a villa Durless, aveva dovuto cercare la sua piccola principessina senza avere la minima idea di come fossero disposte le stanze in quella dannata casa. Ora era assolutamente uguale la cosa, se non perfino peggiore. In fondo, le ville parigine avevano ben poco a che fare con quelle londinesi per quanto lo spazio in cui venivano costruite era più o meno lo stesso.

Queste erano più grandi, più lussuose, e di certo nascondevano passaggi segreti di cui lui ignorava completamente l'esistenza.

Seguì l'amico senza esitazione, dando per scontato che almeno lui sapesse dove andare. Quando però ebbero trovato la porta, che era pure spalancata, ed Elliot si ritrovò di fronte quel triste spettacolo il suo cuore non poté fare a meno di fermarsi per la tensione.

Ciel morto, Sebastian che sorrideva, la sua Cèlie in procinto di compiere un passo che la avrebbe condotto in un luogo da cui non la avrebbe mai potuta salvare...

Perchè riusciva ad arrivare sempre e solo quando le cose avevano già preso una piega irreversibile?

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Just when you think that you won't succeed ***


Elliot si morse un labbro quasi a sangue, imprimendo nel suo sguardo tutto il disappunto che fino a quel momento aveva tenuto ben nascosto sotto alla sua maschera di falsa calma e pacatezza.
Sì, per quanto assurdo fosse, sino a quel momento si era trattenuto. Aveva lottato contro se stesso per giorni, forse perfino settimane per non dover dare letteralmente di matto. Alle volte era persino stato sull'orlo di rinunciare. Si era detto che non aveva alcun senso comportarsi giustamento quando, intorno a lui, tutti facevano bellamente di testa loro, ignorando le regole che qualunque persona normale avrebbe invece rispettato.
Anche ora, ora che era a tanto così dal mettere la parola fine a tutto quel caos, si sentiva come preso in giro.
Non aveva mai la fortuna di arrivare prima del suo nemico. Non era mai capace di essere un passo avanti al suo opponente, giusto per evitarsi alla fine di dover vedere scene che altrimenti si sarebbe risparmiato.
Per quanto infatti le cose non fossero proprio allo scatafascio, adesso Elliot non poteva fare a meno di sentire una grande rabbia a montargli dentro.
Aveva sempre saputo che Cèlie era debole, remissiva, così dolce da non riuscire mai a dire di no ad una persona per quanto cattiva si fosse dimostrata nei suoi confronti. Lui lo sapeva e lo aveva semplicemente accettato, immaginando di poter diventare per lei una sorta di ancora di salvezza per i momenti bui della sua vita. Si era caricato sulle spalle quell'onere e non si era mai tirato indietro di fronte alle difficoltà perché, il suo amore, era sempre bastato per tirarla fuori d'impaccio. Certo, non sempre poteva dire di non aver faticato, però il gioco valeva la candela e alla fine, lui, aveva comunque il suo bellissimo ed angelico sorriso come premio.
Ma ora, le cose erano decisamente diverse.
Come al solito Célie aveva pensato per sè, senza interpellarlo, e aveva teso la mano all'unica persona a cui invece avrebbe dovuto girare solo alla larga. Sebastian, pur sorridendo amabilmente, era la peggior serpe che Elliot avesse mai visto e si rifiutava di credere che perfino questo le fosse sfuggito.
Si poteva essere buoni, certo, e Dio solo sapeva quanto Elliot amasse l'innocenza e la purezza della sua giovane compagna, ma non si doveva per forza di cose essere buoni e stupidi.
«Cèlie» disse «allontanati da lui. Adesso.»
Sebastian guardò entrambi i ragazzini che erano apparsi alla porta e, sollevandosi in piedi, non mancò di lanciare loro il suo solito, enigmatico ed attraente sorriso.
«Elliot, Oz, non credevo che sareste arrivati così presto.»
«Ci stavi forse aspettando?» chiese il biondino, facendo un passo avanti, le mani strette in due pugni.
«Diciamo che non sono così sciocco da credere che due personaggi come voi non avrebbero fatto la loro comparsa. Dopotutto è risaputo che voi giovani d'oggi non sapete mai stare al vostro posto.»
L'uomo, ora del tutto spogliatosi del ruolo di semplice maggiordomo, si mosse sinuoso e veloce come sempre, comparendo loro alle spalle e spingendoli nella stanza. Chiuse poi la porta, con uno scatto secco e quasi fin troppo repentino, causando un tale tonfo che molto probabilmente anche gli altri Cacciatori nella casa avrebbero sentito.
Quando i due amici si ritrovarono con il rispettivo nemico alle spalle, presero la comune decisione di correre di filato da Cèlie girandosi poi in velocità per evitare di non vedere dove Sebastian si sarebbe andato a cacciare. Sapevano di non avere possibilità contro di lui ma, forse, non avevano ancora perso del tutto. Infondo non erano soli.
«Ehi, Célie, stai bene?» esclamò Elliot, accucciandosi vicino alla ragazza.
Le posò le mani sulle spalle esili, cominciando a scuoterla con forza prima di rendersi conto di chi le giaceva alle spalle. Una volta che i suoi occhi chiari si posarono sul corpo immobile di Ciel, qualcosa si ruppe definitivamente dentro di lui: non gli era mai stato molto simpatico ma, ora che suo fratello era morto, nulla avrebbe impedito a Cèlie dal compiere l'ennesima sciocchezza. Lui non aveva abbastanza forza ormai e, il tempo passato l'uno lontano dall'altra, non aveva di certo contribuito a mantenere ben saldo il bel rapporto che avevano posseduto solo qualche mese prima.
Sospriò, tornando a guardare la sua piccola principessa in volta, Oz che intanto scuoteva il capo rassegnato di fronte al cadavere dell'amico. Poteva capire il suo stato d'animo, poteva capire lo stato d'animo di entrambi, però si sentiva comunque costretto nel rammentare loro contro chi stavano combattendo.
O meglio, contro chi stavano cercando di combattere. Forse avrebbero potuto rimandare la tristezza a dopo.
«...Célie, rispondimi.» tentò ancora, avvicinando il viso a quello di lei «Dimmi se...se stai bene.»
Che cosa sciocca da domandare. Era ovvio, quanto mai palese il fatto che no, Cèlie non stava bene. Dopo gli anni passati rinchiusa in una gabbia di cristallo dove veniva trattata peggio di uno straccio e dopo la morte della zia che non solo la aveva sempre picchiata e mortificata, ma che per di più aveva anche confessato di essere la mente dietro all'uccisione dei suoi genitori, ecco che ora si ritrovava a dover far fronte perfino alla morte del fratello.
Quella piccola, fragile creatura, la stessa che per bontà avrebbe dovuto avere solo cose belle dalla vita, non aveva mai avuto un attimo di respiro da che la conosceva e così nemmeno lui. Era bastato incontrarla che anche nella sua, di esistenza, era calato l'eterno buio. Raramente vedeva sorgere qualche nuova stella in quella notte senza fine, e se in passato la sua luce era stata la presenza di Célie, ora poteva dire con certezza che ciò non sarebbe più stato possibile. La sua Cèlie se ne era andata ormai, seguendo a ruota l'anima di Ciel.
I suoi occhi eterocromatici, sebbene non del tutto spenti, non lasciavano più trasparire tutta la vitalità di un tempo. La sua pelle era fredda più del ghiaccio ed il suo respiro era quasi inesistente, tanto era lieve ed appena accennato. Sebastian aveva dunque ottenuto ciò che voleva. Si era preso entrambi i gemelli, lasciado chi li aveva amati a bocca asciutta, con due gusci vuoti stretti fra le braccia.
Elliot posò un bacio sulla fronte di Célie prima di adagiarla, con grande delicatezza, al fianco del fratello. Sentiva dietro di sè gli occhi vigili del demone e, al contempo, percepiva il peso di quel suo stupido sorriso.
«Siamo arrivati tardi...?» gli domandò Oz, guardandolo di sottecchi, gli occhi lucidi.
Lui annuì, semplicemente.
«E adesso cosa prevede il tuo piano?»
«...lo hai detto tu stesso. Siamo arrivati tardi.» esordì Elliot, senza smettere di fissare la sua piccola Célie. Sembrava una bambola ora, immobile, bellissima. «Cosa vorresti che facessi?»
«Beh, per esempio potresti vendicarti.»
I due si guardarono, iridi celesti incontrarono iridi verdi.
«Vendicarmi?» chiese il moro, senza capire «Perché tu pensi davvero che siamo in grado di combattere contro...quello là?»
«No.»
«Ah, bene.»
«Però possiamo sempre provarci non credi? Insomma, siamo venuti qui per salvare i nostri amici, questo è vero, ma tuo zio ci ha detto dal principio che saremmo potuti arrivare qui troppo tardi. Eppure abbiamo deciso di venire lo stesso. E lo sai perché?»
«Perché siamo due idioti?»
«No! Perché avevamo già messo in conto di non vedere l'alba di domani. Saremmo morti comunque, non dirmi che non lo hai pensato pure tu...»
Oz gli sorrise mestamente, con fare complice. Aveva esattamente ragione, Elliot era stato il primo a credere che quella sarebbe stata la sua ultima crociata contro al male del mondo. Per quanto Glen e gli altri gli avessero insegnato molto, non era decisamente in grado di esorcizzare un demone nè tanto meno di affrontarlo a campo aperto, in un luogo a lui conosciuto. Aveva solo diciasette anni, non c'era verso che avrebbe vinto contro una creatura millenaria come Sebastian. Provava dubbi perfino nella vittoria di suo zio contro di lui!
«Ammetto di non essere partito con il piede giusto.»
«Ci si presente l'opportunità di morire vendicando i nostri amici.» continuò Oz «La vogliamo buttare nel cesso così, senza neanche provarci? Che ci cambia, infondo.»
Niente. Ecco qual'era l'unica risposta plausibile. L'unica risposta esatta.
I due amici si alzarono insieme, uniti ormai più dalla disperazione che da altro. La loro percentuale di vittoria era circa sullo 0,001 % eppure, contro ogni diagnostica, non si stavano tirando minimamente indietro. Avevano perso già così tanto, quel giorno, cosa volete che fosse per loro perdere anche la vita.
Tanto, uno senza la ragazza amata e l'altro senza l'amico di sempre, si sentivano già un pò morti dentro. Una parte importante di loro era stata strappata via, così come le anime dei due giovani che giacevano alle loro spalle erano state strappate dai rispettivi corpi.
Sebastian incrociò le braccia al petto, divertito e allo stesso tempo stupito. Era già raro che un uomo fatto e finito tentasse di contrastarlo, figurarsi che lo facessero due ragazzini. Scosse il capo, ridendo, e poi puntò su di loro lo sguardo.
«Siete coraggiosi, ve ne do atto.» asserì «Temo però che abbiate preso la decisione sbagliata.»
Fece una pausa, fissandoli.
«Ora, non voglio dire che le armi abbiano su di me un qualsivoglia rilevante effetto, ma avevate intenzione di lottare contro di me completamente disarmati sin dal principio?»
«Veramente...la nostra speranza era quella di essere salvati da chi, a nostra differenza, è armato sino ai denti.» commentò Oz, cercando di ritrovare il suo lato scherzoso persino in un momento teso come quello.
Il demone rise di fronte a quella piccola battuta, ma per quanto bella fosse la sua risata, nessuno si unì a lui.
«Ebbene...volete attendere l'arrivo dei vostri salvatori o...?»
«Vorrei che rispondessi ad una domanda.»
Sia Oz che Sebastian si voltarono verso Elliot, senza capire.
«Ho bisogno di sapere una cosa, prima di passare a miglior vita.»
«E se io non volessi rispondere?»
«Dubito che ti manchi il tempo. Sei immortale e, anche ammesso che mio zio e gli altri riescano a trovarci qui, a mio avviso ci metteresti poco a toglierli di mezzo. Una domanda non ti ucciderà.»
«No, immagino di no.» rispose l'altro, abbassando il capo come a dargli il permesso di parlare. «Cosa vuoi sapere, o mio giovane amico?»
Elliot si prese un attimo per riflettere. Era così teso e così pieno dubbi che, ora come ora, avrebbe potuto chiedere qualsiasi cosa. Purtroppo aveva detto di avere una sola domanda e non se la sentiva proprio di stare là a barattare altri minuti per prolungare quella loro tremenda agonia. Stava solamente facendo il suo gioco. Sebastian era un demone capriccioso che si divertiva con la preda prima di ucciderla, proprio come un gatto quando ha voglia di giocare con un topo. Gli sarebbe bastato poco per porre fine alle loro sofferenze e invece niente, aveva deciso di stare a vedere cosa sarebbe successo.
Deglutì. «Le loro anime...adesso dove sono?»
L'ex maggiordomo sospirò.
Non poteva esserci domanda più strana.
«Le ho divorate, dove pensi che siano?»
«No, intendo dire...sono perse per sempre o è possibile salvarle?»
«Diciamo che non le ho ancora digerite.»
Elliot strinse i pugni, fra il sollevato ed il cauto. Avevano una possibilità di salvarli ancora, dunque, ma prima bisognava vedere come sconfiggere il Boss finale, cosa già abbastanza difficile.
«Se vuoi, posso concedere una domanda anche a te, Oz.»
L'altro si riscosse. «N-Non saprei che chiedere.»
«Oh, andiamo. So bene che c'è una domanda che ti urge porre.»
«...perché proprio loro?» sputò Oz, stringendo gli occhioni verdi in due fessure «Cosa ti ha attratto delle anime di Ciel e di Célie.»
Sebastian inclinò leggermente il capo da un lato. Quella sì che era un bel quesito. C'erano così tante cose nelle anime dei due gemelli Phantomhive che nemmeno lui, che era una sorta di veterano in quel senso, sapeva dare una risposta chiara e tonda. Avrebbe potuto definirli semplicemente appetibili, il che era vero, ma non sarebbe mai bastato. No, c'era decisamente di più. Dove uno lo attraeva per l'oscurità, l'altra lo portava a smaniare per la sua assoluta purezza.
Da che aveva convissuto sotto al loro stesso tetto, tutti e tre insieme, si era sentito sempre e costantemente combattuto fra una fragranza e l'altra.
«Se fossi anche tu un demone capiresti ciò che ho provato io in questi mesi.» cominciò «Non ho mai provato niente di simile, e io, lo sapete, ho vissuto molto a lungo.»
«Tutto qui?»
«Non vedo come due semplici umani possano comprendere il mio punto di vista. Sprecherei fiato nell'andare avanti.»
«Ciel e Cèlie sono morti solo perché tu ti eri invaghito delle loro anime?! E ti aspetti che una risposta del genere mi soddisfi?»
«In realtà solo Célie è definitivamente morta.»
Elliot ed Oz trasalirono.
«Il nostro patto era semplice. Io riportavo in vita Ciel e lei mi donava la sua anima. Da un momento all'altro dovrebbe riaprire gli occhi.»
Oz si girò di scatto e si chinò verso l'amico, scrollandolo con forza.
«Ciel!» urlò «Ciel, svegliati, forza!»
«Oz, aspetta...non credo che quello che vedremo sarà il vecchio Ciel.»
Il biondino alzò gli occhi su di lui. «Che intendi dire?»
«Ciel...sarà senza l'anima vero, Sebastian?»
«Qualcosa del genere, sì.» rispose il demone.
«...proprio come mio padre.»
Sebastian donò loro un ultimo sorriso prima di svanire per rimaterializzarsi poco dopo di fronte ad Elliot. Lo afferrò per il collo e lo sollevò in aria, le gambe esili del ragazzo che si dimenvano colpendo distrattamente le sue. Gli afferrò il polso con le mani, cercando di lottare per liberarsi, conscio della completa inutilità di quel gesto. La fine era vicina, pensava Sebastian, a che serviva lottare contro l'inevitabile? Non esisteva che un semplice umano potesse qualcosa contro di lui.
Il suo compagno tentò di sorprenderlo saltandogli addosso, aggrappandosi alla sua schiena, ma anche quello fu decisamente fuori luogo. Lo scacciò con un solo colpo, lanciandolo oltre il letto e contro la piccola libreria che il Conte di Phantomhive teneva nella sua stanza.
«Ho paura che il gioco sia finito.» sussurrò, avvicinando a sè il giovane Nightray «Mi sono divertito, davvero, ma adesso è il momento di porre fine a tutto questo.»
Stava per stringere ancora di più la presa sul suo collo, nel tentativo di rompergli l'osso in tutta fretta, però qualcosa lo bloccò all'istante. Sebastian urlò di dolore, lasciando la presa ed indietreggiando di qualche passo. Si strinse la mano completamente bruciata al petto prima di rialzare lo sguardo su Elliot, il quale se ne stava abbandonato a terra a massaggiardi il collo.
«Ma che...?!»
Non fece in tempo a finire, che una scarica elettrica gli percorse tutto il corpo: Sebastian inarcò la schiena, gli occhi sbarrati, la bocca aperta in uno strillo muto. Si illuminò per un breve lasso di tempo, come una stella, e dalle sue labbra schiuse uscìrono due fiotti di luce, una bluastra e l'altra rosata, che corsero infine dentro ai corpi dei due fratelli.
Elliot osservò la scena senza capire che stesse succedendo. Il suo nemico ora era inginocchiato sul pavimento, ansimante, mentre Ciel e Cèlie parvero riprendere conoscenza. Fra i due, solamente la ragazza si alzò in piedi, titubante, gli occhi coperti dalla lunga frangetta blu.
«L-Li...potreggerò...tutti.» le sentì dire, in quella voce appena udibile «...io...Li proteggerò tutti...io!»
Quando finalmente sia Elliot che Sebastian -e perfino Oz poco distante, che lentamente si era rimesso in piedi- furono in grado di vederla bene in faccia, rimasero giustamente attoniti.
L'occhio del Conte brillava solo quando evocava il potere del suo maggiordomo, del suo demone personale, e sebbene quello di sua sorella fosse del medesimo colore il suo splendeva per ben altri motivi.
La porta della stanza si spalancò e irrupperò Glen e Fang, tutti trafelati.
Ad entrambi bastò uno sguardo per capire cosa le stesse succedendo.
«...una strega.» disse, sicuro, il Capofamiglia dei Baskerville.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** All those bad things and now, finally, a happy ending. ***


«Deus caeli, deus terrae,
humiliter majestati gloriae tuae supplicamus »

Ecco come aveva cominciato Glen, muovendosi verso Sebastian mentre il demone ancora era confuso da ciò che stava accadendo. Ovviamente, l'altro, aveva tentato di alzarsi e di resistere all'esorcismo ma, veloce come non mai, Fang si era intromesso fra lui ed il suo padrone. L'uomo aveva estratto la sua grande spada, ostentando una sicurezza che, al posto suo, Elliot non avrebbe mai potuto avere.

«Ut ab omni infernalium spirituum potestate,
laqueo, deceptione et nequitia,»

Le parole di suo zio venivano sovrastate dal clangore delle armi di Fang contro al forte corpo di Sebastian. La lotta era stata dura, anche se non più del tutto impari. L'esorcismo aveva avuto il suo effetto e, lentamente, il demone che da principio sembrava così potente, era apparso via via più debole ed affaticato.

«omnis fallaciae, libera nos, domine.»

*** *** *** *** ***

Elliot aprì gli occhi lentamente, stranito, i ricordi della giornata precedente a riempirgli la mente con infinita prepotenza. Avrebbe voluto -e dovuto- dimenticare tutto, lo sapeva, ma temeva che sarebbe stato impossibile cancellare ciò che era successo solo poche ore prima.

Non sapeva quando aveva appoggiato la testa al cuscino del suo letto ne, tanto meno, quando si era deciso ad entrare nel mondo di Morfeo senza più opporre resistenza. Aveva passato una nottata movimentata, certo, glielo si leggeva in faccia, però lo stesso era stato felice di aver dormito almeno un pò. Suo zio gli aveva detto che, nel suo caso, non c'era nessun rimedio meglio di una bella -e non sana- dormita. Per quanto tormentato avrebbe potuto essere da incubi vari.

Il ragazzo si portò una mano fra i capelli, scompigliandoseli un poco. Il respiro era calmo, più di quanto avesse immaginato, e addosso non aveva neanche una goccia di sudore. Quella non era la prima volta che faceva brutti sogni, eppure, a differenza delle sue altre esperienze, ecco che era totalmente ed innegabilmente a suo agio. Ciò che aveva visto non era di certo piacevole, ma lo stesso stava bene.

"Forse è la consapevolezza di aver messo la parola fine alle mie disgrazie..." pensò, alzando le spalle, le gambe che già andavano oltre la sponde del letto "Sebastian è morto. O comunque non ci darà fastidio per un bel pò...meglio di così."

Si alzò in piedi ed evitò con grande prontezza di spirito i vari cuscini che, forse, aveva lanciato a terra nel corso della notte. La luce della luna filtrava dalle tende tirate e, di tanto in tanto, il giovane doveva chiudere gli occhi di colpo accecato dalla sua intensità. Anche il tempo era migliorato dopo che la grande minaccia era stata debellata. Infantile da parte sua crederlo, non diceva di no, però era sempre bello pensarlo. Per quanto il resto del mondo non sapesse che genere di lotta si era svolta a villa Phantomhive, lui e gli altri ne erano consci e ciò bastava a rallegrarlo di fronte al bel risultato ottenuto.

Scalzo, con addosso solo i pantaloni del pigiama nero -la maglia se la era tolta per il caldo-, uscì dalla sua stanza e camminò tranquillo sino alle scale, scendendo ogni gradino con estrema cautela. I corridoi a quell'ora di notte di certo non erano illuminati ed era abbastanza difficile determinare quanto lontano fosse il prossimo scalino. Fortunatamente la rivestitura faceva sì che i suoi passi non fossero udibili e perciò nessuno lo avrebbe sentito se avesse continuato a quella maniera. Se invece fosse caduto -dio non volendo-, probabilmente l'intero maniero si sarebbe svegliato: le sue imprecazioni avrebbero avuto lo stesso effetto del canto del gallo, urlando come era solito fare.

Fermandosi un secondo di fronte alla grande vetrata posta a metà della gradinata, Elliot si mise in silenzio a contemplare il paesaggio notturno che si godeva dalla sua postazione. C'erano tante stelle quella sera, ma come già prima aveva notato, l'unica luce veramente rilevante era quella dell'astro più bello di tutti.
Quella luminescenza gli ricordava un pò l'immensa fonte di luce che li aveva investiti quando Sebastian era stato esorcizzato del tutto.

*** *** *** *** ***

«Vade, Satana, inventor et magister
omnis fallaciae, hostis humanae salutis.»

La fatica che Sebastian sentiva, parola dopo parola, era deventata ormai visibile a tutti quanti. In quel momento nessuno aveva più dubitato della loro vittoria e, consci dell'imminente fine del loro comune nemico, i più avevano già cominciato ad esultare.
Oz, che raggiunto il suo amico stava sorridendo tutto giulivo, si era lasciato sfuggire alcuni versi ti consenso vedendo il demone messo alle strette.
Elliot, dal canto suo, non aveva smesso di guardare la scena, sbigottito. Dentro di sè ancora aveva immaginato di finire stecchito quella sera.

«Humiliare sub potenti manu dei.»

Glen aveva continuato imperterrito, così come anche Fang stava facendo di tutto per controllare che Sebastian non trovasse un modo per fuggire.

«Exorcizamus te, omnis immundus spiritus
omnis satanica potestas, omnis incursio»

Célie si era avvicinata al gemello e lo aveva aiutato ad alzarsi. Insieme, stretti l'uno alla mano dell'altra, si erano apprestati a guardare negli occhi un'ultima volta il loro "assassino". Sì, in un certo senso lui li aveva uccisi, ma non era riuscito nel suo intento. La giovane Phantomhive aveva scoperto di possedere abbastanza potere da riuscire nell'intento di riportare indietro sia la sua anima che quella del fratello.

Una bella fortuna, avrebbero convenuto più avanti tutti gli altri.

«infernalis adversarii, omnis legio,
omnis congregatio et secta diabolica.»

E con quelle ultime parole, Sebastian aveva semplicemente aperto gli occhi, sgranandoli appieno, una strana espressione impressa in volto. Aveva sofferto, Elliot lo sentiva, però non si era lasciato sfuggire neanche un urlo seppure soffocato.
Una grande luce lo aveva avvolto e poi, dove prima il demone se ne stava ritto in piedi, improvvisamente non c'era che il nulla.

*** *** *** *** ***

«Ma dai, anche tu sei sveglio?»
Elliot puntò lo sguardo sui suoi amici, tutti raccolti vicino al caminetto che, con il fuoco acceso e scoppiettante al suo interno, fondeva calore tutto attorno a loro.
Sorrise poi, chiudendosi la porta alle spalle e raggiungendoli. Per poco si era scordato che, per comodità, Glen aveva deciso di far dormire Ciel, Célie ed Oz a casa loro.
«Sta diventando affollato qui.» disse scherzosamente Oz, sdraiato com'era sul tappeto proprio di fronte alla grande bocca del camino.
«Se non ti va la nostra presenza puoi sempre andartene tu, non credi?» gli rispose Ciel, guardandolo dall'alto della sua poltrona rosso magenta «Non mi sembra che ti abbiamo obbligato noi a seguirci qui.»
«Andiamo, Ciel, non essere così scontroso...»
Célie rise sotto ai baffi dopo aver parlato, arrossendo poi un poco una volta che ebbe modo di guardare Elliot. I suoi begli occhioni bicolore rimasero per alcuni secondi a fissare i particolari del petto, ora muscoloso, del ragazzo prima di spostarsi velocemente su dell'altro. Adesso che tutto era finito, come era ovvio che fosse, la sua timidezza aveva tornato a fare capolino come nulla fosse impedendole di interagire con lui come avrebbe voluto.

Questa volta però, lo sapeva, c'era anche dell'altro ad impedirle di abbracciarlo con tutta la forza che aveva.

«Non riuscivate a dormire neanche voi?» domandò allora il padrone di casa -o comunque il secondo in comando-, sedendosi sul divanetto che stava di fronte a quello scelto da Célie, vicino alla poltrona di Ciel.
I compagni annuirono all'unisono, neanche fossero stati telecomandati da una mente superiore.
«Sono successe troppe cose, oggi.» continuò lui, chinandosi in avanti, i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani giunte di fronte al corpo «Di certo non ce le dimenticheremo molto velocemente.»
Lo aveva detto anche prima, no?, che era impossibile scordare una cosa come quella che aveva vissuto nel giro di poche ore.

«Io dico che non ce le dimenticheremo proprio!» esclamò il biondo, perso fra le fiamme che divampavano di fronte al suo naso.
Elliot si accigliò. Sì, anche quella era un'opzione in fin dei conti. Era orribile, ma era una possibilità.

«E...voi due come state?»
I due gemelli si guardarono un istante prima di rispondere.
Era difficile dire come si sentissero, se spossati o sollevati. Forse entrambi. Forse nessuno dei due. Qualcosa sentivano, nel profondo di loro stessi, ciò era certo, ma era complicato che cosa esattamente.

Per loro, sopratutto per Ciel, non si era trattato di condividere una sola giornata con un demone. Avevano passato giorni, mesi, anni a braccetto con una persona che, pur essendo al loro completo servizio, aveva un potere decisionale capace di schiacciare ogni loro decisione. Sebastian era sempre stato più di un maggiordomo, e per quanto costretto ad ubbidire per via del contratto stipulato con il giovane conte, c'era sempre stato qualcosa di tremendamente terrificante in lui.

«Io mi sento un pò...svuotato.» rivelò infine Ciel, accavallando le gambe, calmo come sempre «...ma immagino che questa sensazione svanirà prima o poi. Così come il totale spaesamento che provo.»

La sua villa era andata mezza distrutta dopo l'esplosione che si era portata via Sebastian, e perciò da quel momento in poi avrebbe passato molto tempo a casa Baskerville per quanto, era ovvio, la cosa non gli andasse poi molto a genio. Aveva perso in un colpo solo la sua miglior pedina e la sua casa, nonchè un considerevol ammontare di denare...ma almeno aveva ancora la sorella e, molto più importante, la sua anima.

«Guarda il lato positivo, Cielluccio» mormorò Oz, girandosi a pancia in giù ed appoggiando il mento ai palmi aperti «almeno sei ancora vivo.»
Ciel lo guardò storto. Oltre ad avergli letto nel pensiero lo aveva pure chiamato a quella maniera. Quante vole doveva dirgli di smettere?
«Il mio nome è Ciel, Oz, Ciel.» sibilò «Non Cielluccio, ne Ciellino. Solo Ciel.»
«Ok ok.»

«E tu invece, Célie?» continuò Elliot, ignorando i due «...come stai tu?»
Inutile dire che avrebbe voluto porre quella domanda da principio. Ormai aveva capito che anche con Ciel condivideva una stranissima amicizia, ma per quel che riguardava la sua gemella, beh, lì valeva un discorso ben diverso.
La amava, la amava tanto, e la distanza che si era creata fra di loro nel giro di così poche settimane lo stava distruggendo perfino ora che ogni sua agonia sarebbe dovuta svanire.

Eccolo là, l'ultimo grande nemico di Elliot. L'imprevedibilità del destino. Solo il fato avrebbe deciso l'esito della sua storia d'amore con lei.

Célie sembrò capire cosa stava passando nella sua mente e, cercando di sorridere dolcemente, si fece coraggio per parlare anche di fronte agli altri due. Cosa ben ardua per una che, certe cose, faceva già fatica a dirle al diretto interessato.

«Ora che stiamo tutti bene...» cominciò «Ora che sono...c-con te...» e qui Ciel cominciò a muoversi sulla poltrona. «...tutto va bene. Mi sento...bene. Mi sento felice.»
Elliot avvampò al suono di quelle parole. Le sue gote divennero così rosse che furono in grado di rivaleggiare con quelle di Célie stessa.
«Beh? Non vi baciate?»

I due innamorati si alzarono contemporaneamente in piedi e fissarono sbigottiti Oz che, sdravaccato come prima, stava semplicemente ridendo come un povero beota.

«Ma sei scemo o cosa?!» esclamò Elliot, stringendo i pugni.
«I-Io non avevo...neanche pensato a..a...» disse Célie, le mani strette ai lembi della sua bella camicia da notte azzurro cielo.
«Oh, andiamo, a chi volete darla a bere. È evidente che non vedete l'ora di sbaciucchiarvi!»
«N-No invece!»
«Bugiardo! So per certo che hai un bisogno di baciarla che ti urge dal di dentro!»
«Non...non la voglio baciare, invece!»
Célie fissò Elliot, gli occhioni lucidi. «Ah...no?»
«A-aspetta, non è come pensi, sì che voglio m-ma...» Elliot guardò altrove, grattandosi distrattamente una guancia «...ma non davanti a loro due...»
«Bacio, bacio, bacio.» Oz cominciò a battere le mani e, di fronte allo sguardo supplicante dei due, perfino Ciel dovette mettere becco in quella discussione.
«Su, Oz, se Elliot non se la sente di fare una cosa da uomo non possiamo mica obbligarlo...»

A quel punto, le guance dell'erede della famiglia Nightray, non furono più rosse solo ed esclusivamente per l'imbarazzo.
«Come scusa?!»
Ciel ghignò. «Se non hai il coraggio lascia perdere, sono giusto contento se lo fai.»
«Io ho il coraggio!»
«E allora buttati, ti concedo perfino il mio benestare.»

Elliot si morse un labbro e, voltandosi piano verso la sua Célie, si specchiò un secondo in quelle iridi eterocromatiche. Se avesse potuto si sarebbe lasciato cadere a terra, seguendo il messaggio che le sue gambe gli stavano mandando. Non lo avrebbero retto ancora per molto, lo sapeva. Forse stava per svenire. E il suo battito cardiaco poi? Che stesse per avere un infarto?!

«Allora?»
«Un attimo, santo cie-»

Fu Célie a baciarlo, tagliando i preamboli e facendo ciò che, Oz aveva ragione, aveva desiderato fare da che erano arrivati a villa Baskerville.

Gli era mancato così tanto. Giorno dopo giorno aveva sognato di sentire ancora una volta le sue carezze sulla pelle, i suoi occhi a scrutarla con amore e dolcezza, quasi con timore di poterla sciupare. Erano stati quei pensieri a mandarla avanti in quella follia che era diventata la sua vita. Quei pensiero a darle il coraggio per sperare sempre e comunque in qualcosa di migliore, sia per sè che per Ciel.

Staccandosi da lui sorrise, timidamente. «Ho ancora...il diritto di dirti che ti amo, Elliot?»

Lo sentì sospirare mentre, con una mano, le carezzava i capelli.

«Certo schiocchina.» le rispose «Certo. E d'ora in poi staremo-»

«STAREMO SEMPRE INSIEME!» strillò Oz, saltando loro addosso e tirandosi dietro Ciel.

Il quartetto di amici caddero rovinosamente a terra ma, ridendo, nessuno di loro sentì veramente male.
Sì, sarebbero stati insieme per sempre.
Erano una grande, strana, impossibile famiglia felice.

Ed Elliot e Célie, stavolta, non avrebbero permesso a nessuno di portare loro via quella bella prospettiva.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=705543