Il destino di Achille

di CowgirlSara
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** II° parte ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***


Fanfiction partecipante alla 20

Fanfiction partecipante alla 20° edizione del concorso di EFP

 

NOTA DELL'AUTRICE: sono perfettamente a conoscenza che questa storia si discosta dal canonico incontro tra Achille e Patroclo e che il linguaggio usato risulta troppo moderno e semplificato per i personaggi e l'epoca in cui si svolge,ma la cosa è voluta allo scopo di rendere più potabile la storia. Anche la scoperta dell'omosessualità da parte dei due protagonisti può sembrare "leggera", in realtà volevo solo che fosse naturale, poiché si parla sempre di due persone destinate a stare insieme e ad amarsi per tutta la vita.

Questi personaggi appartengo al Mito (ed a vari grandi autori che li hanno utilizzati), la mia storia è scritta senza scopo di lucro e chiedo perdono per aver utilizzato caratteri tanto conosciuti e amati.

Grazie per la pazienza, buona lettura.

 

 

Il destino di Achille

 

L’alba aveva appena schiarito il cielo ad oriente, una nebbiolina rosa vagava a pelo d’acqua, mentre il vento li spingeva verso l’isola. Un uomo dai corti capelli neri e dai lucenti occhi verdi osservava la costa che si avvicinava, posando le mani sul parapetto della nave; un’altra figura, avvolta in una coperta, gli si avvicinò sbadigliando.

“Mi ripeti perché siamo qui?” Affermò il ragazzo avvolto nella coperta, con voce ancora impastata.

“Per il volere di Atena.” Rispose quello più anziano.

“Fa un freddo cane.”

“Ti passerà appena sorgerà il sole.” Dichiarò l’uomo dai capelli neri. “Piuttosto, Patroclo, ricordi tutto della nostra copertura, vero?” Gli domandò poi, girandosi verso di lui; il ragazzo roteò i grandi occhi castani.

“Sì, sì che ricordo, me lo hai ripetuto almeno un centinaio di volte!” Rispose esasperato, allontanandosi dal compagno di viaggio. “Siamo dei mercanti ateniesi…” Borbottò, mentre scendeva le scalette della prua; Ulisse lo guardò sorridendo divertito.

“Sei troppo giovane…” Mormorò il sovrano di Itaca.

 

Scesi dalla nave si recarono, come da piano di Ulisse, alla dimora di Licomede: una grande casa bianca in cima ad una collina, circondata da un bellissimo giardino. I due uomini si fermarono all’inizio del sentiero che conduceva al palazzo; Ulisse lanciò un eloquente sguardo a Patroclo.

“Mercanti ateniesi, sì!” Sbottò il ragazzo, ancor prima che l’altro gli facesse la domanda; Ulisse sorrise. “Ascolta, ma sei sicuro che sia lì?”

“Perché chiedi questo, ragazzo? Atena in persona mi ha rivelato dove trovarlo.” Rispose l’uomo, mentre camminavano lentamente verso la casa.

“Dovrebbe essere un potente guerriero, ma, a quanto dici tu, vive qui travestito da donna…” Affermò incerto il ragazzo dai capelli castani.

“Solo per volere di sua madre.” Spiegò Ulisse.

“Sì, ma che razza di guerriero accetterebbe una situazione simile… per quanto possa non dispiacermi l’idea di vivere in mezzo a tutte queste fanciulle in fiore…” Dichiarò Patroclo, concludendo la frase con uno sguardo malizioso.

“Dammi retta, figliolo, tu non ti preoccupare, segui le mie indicazioni e tutto andrà come previsto dalla dea.” Lo rassicurò l’uomo, dandogli una pacca sulla schiena; nel frattempo erano arrivati al portone della casa.

Un grande cancello di legno scuro si apriva sul candido muro di cinta e consentiva l’accesso ad un lussureggiante cortile interno, dove crescevano piante e fiori di ogni tipo. Il portone era aperto, così i due visitatori lo attraversarono tranquillamente; qualcuno stava annaffiando le piante.

Patroclo si guardava intorno, cercando inutilmente di riconoscere qualcuno di quegli arbusti misteriosi, mentre Ulisse pareva sapere dove dirigersi; il ragazzo non aveva proprio notato il rumore della carrucola del pozzo, finché non ci furono più vicini, distratto dagli abbacinanti colori dei fiori del giardino.

C’era una fanciulla di spalle, vicino al pozzo; aveva capelli lunghi fin oltre la schiena, lucidi, morbidi come onde di un mare calmo, intrecciati semplicemente, indossava un abito con le maniche lunghe, candido. La ragazza si girò veloce, quando avvertì i loro passi, e Patroclo rimase folgorato dalla sua bellezza.

Il suo viso era di una nobiltà severa, con gli zigomi e la mascella ben disegnati, la pelle era bianca come madreperla, le labbra imbronciate erano splendidamente morbide e di un color rosa pesca, ma la cosa che lo colpì di più furono i suoi occhi: sotto i riccioli ribellatosi alla treccia spuntavano due specchi di mare aperto, blu, e verdi, e d’oro, del colore scuro e meraviglioso del mare all’orizzonte, come se qualcuno ne avesse preso una parte, la più lucente, e l’avesse travasata in quelle iridi di liquida fiamma.

Il suo sguardo, però, era diffidente.

“Chi siete?” La sua voce era profonda, severa come il suo aspetto.

“Non temere, fanciulla.” Le disse Ulisse, mentre il ragazzo si sentiva incapace di pronunciare parola. “Siamo dei mercanti ateniesi, vorremmo parlare con il padrone di casa.” Aggiunse; lei li squadrò ben bene, prima di rispondere.

“Mio padre Licomede è in casa, ve lo chiamo.” Lei e Ulisse si scrutavano negl’occhi, ma Patroclo era totalmente rapito dalla sua voce. Erotica, ecco com’era quella voce; il ragazzo non ricordava un’altra donna che gli avesse provocato un tale sommovimento emozionale.

La fanciulla, dopo un ultimo, altezzoso, sguardo ad Ulisse, si voltò salendo gli scalini che portavano all’interno della casa. In quel momento, Patroclo desiderò afferrarla, abbracciarla, baciarla, possederla, sposarla… e tutto nel tempo dei suoi prossimi due passi. Lei scomparve oltre la porta.

“Oh Dei! Ulisse l’hai vista?!” Esclamò il ragazzo entusiasta.

“Eccome se l’ho vista…” Rispose l’uomo con un tono indefinibile.

“E’… è… stupenda…” Mormorò Patroclo; nella sua mente la missione di Ulisse era già passata in secondo piano.

In quel momento, però, un rumore di passi numerosi lo distrasse dai suoi nuovi pensieri; rialzò lo sguardo in tempo per vedere arrivare un uomo dal nobile portamento, seguito da un’orda di fanciulle di età diverse, ma tutte dalla bellezza leggiadra, che cominciarono a lanciargli occhiatine maliziose. Tutte, tranne quella che gli interessava, la quale ricominciò a pulire il cortile, senza degnarli più di un’occhiata.

 

La sera, dopo che Ulisse ebbe ottenuto di essere ospite di Licomede, e dopo che Patroclo ebbe risposto a più sguardi di fanciulla possibile, i due si sistemarono; L’uomo ripeté ancora una volta il piano, sembrava che lui sapesse già tutto, mentre il ragazzo aveva decisamente la testa altrove.

Durante la cena cercò in ogni modo d’incrociare quegl’occhi di mare, ma fu inutile: lei era abilissima ad evitare l’attenzione; al contrario, le sue sorelle, si arrangiarono in tutti i modi per essere carine con lui. Patroclo, però, non si arrendeva tanto facilmente.

Era notte, ormai, ed il ragazzo notò un’ombra nell’orto dietro la casa, non fu difficile riconoscere Altea (questo era il suo nome); la raggiunse immediatamente.

“Cogli le spezie?” Le domandò avvicinandosi; lei si voltò facendo balenare il coltello affilato alla luce della lanterna; Patroclo spalancò gli occhi, sbalordito dai suoi riflessi.

“Sei fortunato, mi sono accorta che eri tu, altrimenti saresti già morto.” Rispose calma la leggiadra fanciulla, tornando a piegarsi sul cespuglio di rosmarino.

“Mamma mia, come sei cattiva!” Esclamò il ragazzo ridendo e alzando le mani.

“Sì, scherza pure, ma hai rischiato la vita.” Affermò Altea senza ironia, rialzando su di lui il profondo sguardo.

E Patroclo si sentì travolgere dalla marea; fino a quella mattina credeva impossibile provare tanta attrazione per una persona, ed ora era lì, a fremere, a bramare un contatto anche minimo con la pelle di lei. La fanciulla lo fissava, come se il suo sguardo lo potesse tagliare in due, e lui sentiva un calore crescere nelle sue viscere, e quella sensazione conosciuta al basso ventre… Eccitarsi per uno sguardo freddo era proprio da scemi, ma avvertiva, percepiva il fuoco in fondo a quegl’occhi…

“Sei coraggiosa.” Riuscì soltanto a dire, mentre cercava di controllare le reazioni del proprio corpo; lei roteò gli occhi, poi sbuffò annoiata.

“Mettiti una cosa in testa, presunto ateniese.” Gli disse continuando a fissarlo. “Io non sono come le mie sorelle, perciò ti conviene cambiare aria.” Aggiunse minacciosa, scotendosi i capelli dalla fronte con alterigia. Patroclo le sorrise dolcemente.

Ci mancava soltanto questo finto ateniese impertinente! La sua vita era già abbastanza complicata così, cercando di mantenere sempre il controllo, soffocando gli istinti e la sua natura, senza poter soddisfare i desideri, sfogare le inclinazioni. Ma che cosa voleva? Perché quello sguardo… quello sguardo pieno di desiderio? Era qui per farle la corte? Non aveva idea di cosa l’aspettava…

“Presunto ateniese?” Chiese il ragazzo dopo un po’, cambiando espressione all’improvviso.

“Sì, e secondo me non siete neanche mercanti.” Rispose Altea; lo sguardo di Patroclo si fece leggermente preoccupato.

“E cosa te lo fa pensare?”

“Basta guardarti, non indossi abiti sfarzosi, com’è in uso ai mercanti, sei magro e muscoloso, di solito sono grassi, e poi… né tu né il tuo compare avete un accento ateniese.” Spiegò serissima; il ragazzo trasse un profondo sospiro: aveva ragione.

“Sei attenta ai particolari…” Mormorò.

“Hm…” Sospirò lei, stringendosi nelle spalle, poi si piegò e raccolse il cesto con le spezie. Patroclo, riprendendosi improvvisamente dallo stupore, le si avvicinò subito. Quale occasione migliore?

“Posso aiutarti?” Si offrì, mettendo le mani sulle sue, intorno al bordo del cesto; lei gli lanciò un’occhiata di rabbia incendiaria, strappando violentemente il canestro e le mani dalla presa del giovane.

“Non credo.” Rispose, cercando di non far capire la sua rabbia; dopo un ultimo sguardo offeso si allontanò, rientrando in casa.

Patroclo rimase immobile nell’orto, ancora sbalordito da quella donna, dal suo carattere, dalla sua decisione, dalle sensazioni inspiegabili che gli faceva provare, dall’attrazione incontrollabile che provava per lei, e preda dei battiti accelerati del suo cuore, che gli pulsava in gola. Il ragazzo si guardò le mani; riusciva ancora a sentire la morbidezza della sua pelle di madreperla…

 

“Ehm…” Sospirò Patroclo appoggiato allo stipite della finestra da cui si vedeva anche il mare; Ulisse gli lanciò un’occhiata d’ironico sospetto, mentre l’altro perdeva lo sguardo nell’orizzonte.

“Perché sospiri?” Gli chiese poi.

“Sono stato nell’orto, e ho parlato con Altea…” Terminò la risposta con un altro sospiro.

“Spero per te che non ti abbia lanciato qualche ortaggio andato a male!” Affermò ridendo l’uomo.

“Oh, Ulisse non scherzare!” Ribatté il ragazzo buttandosi sul letto. “Lei è così… così…”

“Corazzata!” Patroclo gli rivolse un’occhiata tra il divertito e l’offeso.

“Smettila! È vero che non ha un carattere proprio malleabile, ma è molto intelligente.” Rispose l’altro, rialzandosi in piedi e dandogli le spalle. “Ha capito che non siamo ateniesi…” Non vide il volto di Ulisse, mentre pronunciava quelle parole.

“Cosa?!” Esclamò l’uomo, facendolo voltare di scatto. “Come ha fatto?” Domandò poi; il giovane lo osservava stupito.

“Mi sono meravigliato anch’io.” Rispose dopo un attimo di smarrimento. “Sostiene che non abbiamo l’accento ateniese, e poi ha anche capito che non siamo mercanti, perché non siamo grassi, pensa!” Ulisse non seguiva più le parole intrise d’entusiasmo di Patroclo, ora era assorto nei suoi pensieri e si reggeva il mento, misurando la stanza con i passi. “Qualcosa non va?” Chiese timidamente il ragazzo, vedendolo così assorto; Ulisse rialzò lo sguardo sull’amico, con aria seria.

“Non innamorarti di quella ragazza, Patroclo.” Gli consigliò; l’altro gli rivolse un grosso sorriso, poi si gettò supino sul letto, alzando lo sguardo sognante sul soffitto.

“Troppo tardi, sono già innamorato…” Mormorò rapito da un’immagine che vedeva solo lui.

Non dovevo portarlo con me, spero che non sia un errore irreparabile. Atena guidami tu, mia dea… si disse il re di Itaca.

 

Il mattino era splendente, ma non c’era nessuno in giro, quando Patroclo uscì nel cortile; era stupido negare che si era alzato così presto solo nella speranza di vederla, ma il giardino era vuoto. Il ragazzo uscì allora nel parco esterno alla casa, dominato da grandi pini; poiché lei non c’era, sarebbe stato meglio fare un po’ d’esercizio, o magari una nuotata. La sua attenzione fu però attirata da un piccolo particolare.

Uno dei pini, molto frondoso, formava con i rami una specie di culla; lì, tra le fronde verdeggianti, stava accoccolata una figura vestita d’azzurro: era sicuramente lei; chi altro avrebbe potuto nascondersi in un posto simile? Patroclo ringraziò i suoi sensi sviluppati da soldato, per essere riuscito a notare quel lembo di stoffa azzurra tra i rami del grosso pino. Decise immediatamente di raggiungerla.

Era decisamente il rumore di qualcuno che saliva, che violava il suo posto preferito; addio alla riflessione quotidiana, alla pausa della mente, erano riusciti a disturbare anche lì. Roteò gli occhi, quando vide spuntare la testa dai bei capelli castani del suo spasimante. Eppure era carino, ma perché non andava a cercarsi una ragazza come si deve?!

Il ragazzo si issò su un ramo dirimpetto a quello su cui stava lei, ma decisamente meno robusto, facendo scuotere tutta la pianta. Altea sospirò esasperata: che doveva fare con questo tizio? Lui le sorrideva soddisfatto.

“Scendi di lì, non vedi che quel ramo è troppo fragile per reggere il tuo peso?” Fu la prima cosa che gli disse.

“Ma no.” Rispose lui, mentre valutava al tatto la consistenza del suo sedile. “Regge benissimo.”

“Fai un po’ come ti pare.” Sbottò la ragazza, voltando il capo dall’altra parte.

“Ti disturbo?” Le chiese.

“Sì!” Rispose subito Altea, tornando a guardarlo.

“Dai, sono sicuro che non è vero! Te ne stai sempre per conto tuo, avrai voglia di scambiare quattro parole…”

“Ma tu non sei esattamente ciò che sceglierei.”

“Certo che hai la risposta pronta!”

“Più pronta del tuo cervello, comunque, che non ha ancora capito che non è aria.” Patroclo adorava come gli rispondeva per le rime, con quella sua voce che risvegliava istinti e appetiti inconfessabili.

“Eh sai, non sono molto sveglio in certe cose…” Ribatté malizioso.

“Questo lo avevo capito.” Uno scricchiolio preoccupante li distrasse dalla loro discussione, facendogli portare gli occhi sul ramo di Patroclo. “Io te lo avevo detto…” Non fece in tempo a finire la frase che il ramo si spezzò, facendo cadere nel vuoto il giovane, sotto lo sguardo divertito della fanciulla.

Quando Altea scese dal pino trovò Patroclo ancora a terra, dolorante. Cominciò a ridergli in faccia, incurante dei lamenti di dolore del ragazzo, che tentava invano di alzarsi.

“Aiutami…” La supplicò, con quello sguardo da cucciolo indifeso che piaceva tanto alle donne; per tutta risposta lei gli sorrise malignamente.

“Ma non ci penso neanche… Ahahahah!” Ricominciò invece a ridere, con le mani sui fianchi. Gli faceva rabbia, quella sua risata crudele, ma il suo volto… quando rideva era come se s’illuminasse. Meravigliosa e distaccata come una dea; il cuore di Patroclo ricominciò a battere più veloce, e non a causa della caduta.

“Ci vediamo… ateniese!” Lo salutò ironica, e sempre ridendo prese ad allontanarsi.

“Sei crudele!” Le gridò il ragazzo.

“Oh, sì, lo sono.” Rispose soddisfatta Altea, girandosi solo per guardarlo negl’occhi mentre glielo diceva.

Patroclo sbuffò deluso, preparandosi ad alzarsi da solo, e continuando a seguire l’andatura elegante della fanciulla che rientrava nel cortile interno.

“Oh, Patroclo ti sei fatto male?!” Un coro di voci preoccupate lo circondò in un attimo, mentre era ancora concentrato su Altea; si ritrovo accerchiato dalle sue sorelle, con sguardi e sorrisi apprensivi sui volti.

“No, grazie, sto bene…” Mormorò il ragazzo, massaggiandosi il sedere. “Ho solo un po’ male alla schiena, sapete la caduta…”

“Non preoccuparti di nulla, ora ci pensiamo noi a te…” Lo interruppe una voce, mentre le ragazze lo aiutavano a sollevarsi.

“Ora ti facciamo un bel massaggio…” Disse un’altra voce. “…così la smetti di pensare a quella strega di Altea…” Le figlie di Licomede lo trascinarono con sé.

 

La scoperta che nella casa c’era un bagno termale fu interessante; soprattutto per come passò il tempo in quella particolare stanza della dimora. L’aria era impregnata di vapore, i marmi candidi rendevano tutto limpido e le fanciulle, con i fini abiti aderenti al corpo per l’umidità, erano uno spettacolo veramente educativo.

Lo spogliarono completamente e lo fecero stendere su un giaciglio, evidentemente fatto apposta per i massaggi; poi cominciarono a frizionargli la schiena con oli profumati

“Hmmm…” Patroclo socchiuse gli occhi, sospirando al piacere di quei movimenti di mani sul suo corpo; le dita delle ragazze erano fresche, delicate e… ardite… non temevano, infatti, di avventurarsi nei punti più nascosti del suo corpo, ed erano particolarmente “stimolanti” quando raggiungevano l’interno delle cosce, l’incavo alla fine della schiena, le natiche…

Lo stavano toccando in una maniera che non lasciava adito a dubbi sulle loro intenzioni; gli ultimi sparirono quando cominciò a sentire anche delle labbra, che si aggiungevano alle mani.

“Perché non ti volti?” Gli suggerì una voce melodiosa e maliziosa. “Il massaggio non ti farà male nemmeno lì.” Anzi! Pensò il giovane. È proprio lì che mi farà bene! E si voltò, riaprendo gli occhi solo per vedersi sovrastato da decine di fanciulle dagl’occhi vogliosi, con i capelli madidi ed i vestiti resi trasparenti dall’umidità appiccicati ai seni turgidi. Convinto di essere, ormai, nei campi elisi, Patroclo rilasciò la testa dai lunghi capelli castani all’indietro, rilassandosi e riabbassando le palpebre.

Le mani delle ragazze ricominciarono subito ad esplorare il suo corpo: il collo, il torace, l’addome muscoloso, le gambe… e il resto…

La situazione cominciava a farsi notevolmente eccitante: mani, bocche, dita su di lui, il calore del vapore, il profumo degl’oli e delle fanciulle… Non riuscì a capire mai se fossero state più di una, a toccare, baciare, addirittura mordicchiare la sua intimità, ma ricordava bene di aver emesso più di un gemito di piacere.

Perse totalmente la cognizione del tempo, visse quei momenti in uno stato di limbo; quando uscì dalla sauna gli si leggeva la beatitudine sul volto. Pensò che gli ci sarebbe voluto tutti i giorni un “massaggio” simile.

Ulisse lo incontrò nel cortile, mentre usciva di casa e gli rivolse un’occhiata curiosa, sorridendo, divertito dall’espressione del compagno di viaggio.

“Che ti è successo, sembri molto rilassato.” Gli chiese.

“Le figlie di Licomede mi hanno fatto un massaggio…” L’altro alzò le sopracciglia, trattenendo un sorriso.

“Anche la tua Altea?” Ipotizzò Ulisse.

“No, lei no.” Rispose serio il ragazzo, ma tornò subito all’espressione beata.

“Tanto mi sa che sono bastate le altre…” Patroclo annuì profondamente sorridendo.

“A proposito, sai lei dov’è?” Domandò poi all’amico.

“Mi hanno detto che nel pomeriggio va ad assistere una vecchia zia…” Dichiarò dubbioso Ulisse.

“Oh! E’ anche generosa!” Esclamò il fortunato giovane, tornando a pensare al suo prezioso bene. “E’ stupenda!”

“Ascoltami, cerca di tornare con i piedi per terra, io mi devo assentare per qualche ora, non voglio che combini qualcosa.” Lo mise in guardia l’uomo.

“Sta tranquillo, per oggi ho già fatto troppo.”

“Sembra anche a me, perciò occhi aperti.” Patroclo annuì con aria responsabile, ma una vocina raccomandava ad Ulisse di essere prudente.

 

Il tramonto infiammava già il cielo d’occidente, facendo baluginare il mare all’orizzonte; il colore del cielo e della terra si confondevano, mentre si rilassava tra le onde.

Nuotare era una cosa meravigliosa, quella che amava di più; immergersi nell’acqua trasparente e calda della sera riconciliava la mente col corpo. Nuotare, sforzare i muscoli nell’acqua fino a sentirsi scomparire tra la schiuma, fino a perdere il contatto con la realtà, riportava alla pace come nient’altro. La vita era una frustrazione continua, mai si poteva realizzare i desideri, essere se stessi, essere accettati per ciò che si è, non assecondare la necessità di altri di trasformati in ciò che non sei. Il mare era un’altra cosa, nel mare tutto è più puro, semplice, solo il tuo corpo nudo e l’acqua, e la sensazione di pace.

Quella nuotata solitaria era il momento più bello delle sue giornate, con la libertà di pensare a nulla; anche se quel giorno non riusciva a vuotare del tutto la mente. Il pensiero tornava su quel ragazzo impertinente, che l’osservava con una sfrontatezza infantile ed un sorriso disarmante, nonostante le sue risposte sprezzanti; era testardo, molto testardo, ma era innegabile che fosse anche simpatico. Che stupido! Si ritrovò a ridere, ed a bere, quando un’onda gli colpì la faccia.

I suoi vestiti erano ormai asciutti quando raggiunse il sentiero che portava alla casa di Licomede; portava con sé un cesto, che alla partenza era pieno di dolci, lasciati all’ospite. Non lo vide subito, era appoggiato ad un pino lungo il vialetto; se lo trovò davanti all’improvviso.

“Ciao!” La salutò allegro; Altea prese un lungo respiro.

“Non mi avrai aspettato?” Chiese la fanciulla, con tono adirato.

“Non ti arrabbiare subito…” La blandì Patroclo.

“Non sono arrabbiata, solo non riesco a comprendere come tu non capisca che con me non hai speranze.” Rispose lei.

“E perché non dovrei averne?” Lui continuava a sorriderle; aveva un bel volto, dalle linee morbide, pelle olivastra, lunghi e corposi capelli castani, e due grandi e vellutati occhi scuri.

“Sei caparbio, eh?” Sbottò Altea, superandolo. “Lasciami stare, io non faccio per te, credimi.” Aggiunse senza guardarlo, mentre procedeva verso la casa.

“Secondo me, invece, un po’ ti piaccio…” Ipotizzò Patroclo, serio.

“Illuditi pure, se ti fa piacere.” Dichiarò lei, senza fermarsi, con tono spietato. Riusciva a fargli perdere il controllo, ma stavolta non lo avrebbe mollato lì, come le altre volte. La raggiunse in pochi passi.

Successe tutto in pochi istanti: una stretta forte che la fece girare, il cesto per terra, una mano sul suo collo, due labbra sulle sue… un bacio estremamente sensuale… una lingua che si fece spazio nella sua bocca, piccoli morsi e saliva sulle labbra. Gli occhi rimasero spalancati dallo stupore, era il suo primo bacio…

La fanciulla spinse via Patroclo con forza, mandandolo a sbattere contro un albero, poi gli rivolse uno sguardo offeso, stupito e… impaurito. Il ragazzo stava per scusarsi, ma lei fuggì veloce verso casa, e lui si rese conto di essersi dato la zappa sui piedi.

 

“Temo di aver fatto una cosa molto stupida.” Affermò Patroclo; Ulisse si girò subito verso il ragazzo, maledicendo la sua voce interiore.

“Non può essere più stupida di quella di stamattina…” Si augurò l’uomo, rivolto più a se stesso che all’amico.

“Lo è, credimi.” Rispose mesto il giovane.

“Sentiamo che cosa hai combinato.” Affermò rassegnato Ulisse, mentre Patroclo gli sedeva di fronte.

“Ho baciato Altea.” Dichiarò senza preamboli il ragazzo; l’espressione dell’altro rimase fissa, imperscrutabile, per un lungo momento.

“Hai fatto una cosa davvero molto, molto, stupida.” Gli confermò poi sicuro.

“Grazie, questo lo sapevo…” Mormorò Patroclo reggendosi la fronte.

“Ma non per il motivo che credi tu.” Continuò Ulisse; il ragazzo gli rivolse un’occhiata interrogativa. “Sarà meglio che non ci giri tanto intorno, tanto se devi sconvolgerti.”

“Aspetta un momento, che cosa stai cercando di dirmi?” Domandò preoccupato Patroclo.

“Sto cercando di dirti che se tu avessi ragionato di più con la mente, e meno con il basso ventre, ti saresti reso conto da solo che quella ragazza non era da corteggiare.” Gli rispose ironico Ulisse.

“Ulisse…” Sussurrò sempre più preoccupato il giovane.

“Patroclo, quella ragazza non è una ragazza, bensì il guerriero che stavamo cercando, Altea è il Pelide Achille!” Gli urlò in faccia. “E sarebbe bastata un po’ di logica per capirlo, visto come vive, sempre isolata, senza condividere le scorribande erotiche delle sorelle.” Patroclo si guardava intorno, con aria smarrita.

“Tu come… lo hai…”

“L’ho osservata, ascoltata, ho guardato bene il suo corpo… Non l’hai abbracciata, vero?” Il ragazzo negò col capo. “Sennò ti saresti accorto che non ha il seno, né la vita sottile.” Patroclo si passava nervosamente una mano sulla nuca. “Poi mi sono informato. Sai chi vive dall’altra parte dell’isola, dove lei va il pomeriggio?” Il ragazzo negò di nuovo. “Non la sua vecchia zia, ma bensì suo padre Peleo, colui che lo ha addestrato alle armi, come previsto da Atena.” Le parole di Ulisse lo stavano turbando, ma riusciva ancora a sentire il sapore delle sue labbra, morbide labbra.

“Io… io…” I suoi occhi, i suoi capelli, la sua pelle, il suo bacio… Gli girava un po’ la testa.

“E’ ora che io riprenda in mano le cose.” Affermò Ulisse, poi si avvicinò e prese il ragazzo per le spalle, scuotendolo. “Tu, domani lo seguirai, senza farti vedere, e mi riferirai tutto. Capito? CAPITO?!” Patroclo annuì, ancora un po’ stranito. “Bene, ora fattici una dormita sopra.” Gli ordinò, indicandogli il letto.

 

Dormire quella notte fu impossibile, e anche passare quella mattinata; non vide Altea… non vide Achille per tutta la mattina, e nemmeno a pranzo, come svanito nel nulla. La fortuna lo assisté nel primo pomeriggio; lo vide uscire di soppiatto dal portoncino laterale, e lo seguì con prudenza.

Era strano come, ora che sapeva la verità, riuscisse a notare particolari che la sua infatuazione gli aveva impedito di scoprire prima: le spalle larghe, la mascella volitiva, le mani decisamente troppo grandi per una donna, ma non c’era nulla da fare, la sua bellezza restava immutata, e anzi, acquistava un fascino particolare.

Achille raggiunse una casa isolata, situata su uno strapiombo sul mare, protetta da fitti arbusti; Patroclo rimase nascosto tra i cespugli mentre l’altro salutava un uomo robusto e affascinante, probabilmente suo padre, avevano lo stesso profilo.

Il giovane si spogliò dei suoi abiti femminili, togliendo a Patroclo l’ultimo dubbio sul suo sesso, lasciandosi solo un peplo a coprire i genitali. Era decisamente un uomo, oltretutto dotato di una muscolatura di tutto rispetto. Ecco spiegata la facilità con cui lo aveva sbattuto contro l’albero.

Il resto del pomeriggio passò tra allenamenti con la spada, con la lancia, esercizi per potenziare le gambe, corsa; il Pelide s’impegnava con costanza, ed era bravo, specialmente con la spada.

Patroclo, osservando i suoi muscoli imperlati di sudore, si rese conto che il fatto di sapere che era un maschio non attenuava minimamente l’attrazione provata nei suoi confronti; così, nella sua vera veste, impegnato in attività consone a se, era ancora più bello, si leggeva l’entusiasmo nei suoi meravigliosi occhi di mare, sorrideva soddisfatto. Sorrise, vedendolo così, anche colui che lo spiava.

C’era mai stato qualcosa, o qualcuno, che gli avesse fatto battere il cuore più forte? Si trovò ad incitarlo silenziosamente, mentre il padre ordinava ai suoi uomini di attaccarlo tutti insieme; avrebbe voluto gridare e saltare di gioia, quando Achille se ne liberò in pochi istanti.

Ora capiva cos’era quel fuoco nel suo sguardo, era la virtù guerriera, la voglia di combattere, la passione di chi era stato costretto a rinunciare alla sua natura, alle sue attitudini.

Non gli interessava, non gli importava un accidente, se era un uomo; aveva gli stessi occhi, lo stesso volto, la stessa voce, di cui si era infatuato, era la stessa persona, che differenza faceva qual’era il suo sesso?

L’addestramento finì, Achille salutò suo padre e gli altri uomini che lo avevano aiutato, poi raccolse le sue cose e lasciò la casa; naturalmente Patroclo lo seguì.

Seguì un’altra strada per il ritorno, e si fermò ad una spiaggetta isolata, circondata da aguzzi scogli scuri; lì si spogliò completamente e si gettò in acqua, cominciando a nuotare con foga.

Ha ancora parecchia energia, per aver affrontato quel duro allenamento. Pensò l’altro giovane, che l’osservava da dietro gli scogli. Patroclo era titubante, aveva promesso ad Ulisse di non farsi vedere, ma qualcosa gli diceva che doveva essere sincero con Achille, o avrebbe compromesso l’amicizia che poteva nascere. E quell’amicizia contava molto per lui. Scese lentamente dagli scogli e camminò sulla spiaggia, fino agli abiti di Achille, fermandosi accanto ad essi.

Il ragazzo in acqua si accorse di lui solo quando decise di uscirne, mentre il tramonto già infuocava la spiaggia; venne fuori dalle onde con estrema naturalezza. Patroclo non aveva mai visto niente di più bello: i lunghi capelli bagnati aderivano come alghe alla sua pelle candida, il fisico magro ed i muscoli perfetti erano imperlati di piccole gocce d’acqua, che il sole faceva brillare come gioielli. Le divinità marine dovevano essere così. Achille lo guardò con espressione seria.

“Beh?” Gli disse; Patroclo era immobile davanti a lui, davanti al suo corpo nudo.

“Cosa?” Riuscì solo a rispondere, distogliendo gli occhi di scatto da quello splendido spettacolo.

“Ora sarai pentito di avermi baciato.” Dichiarò risoluto Achille, con la sua bella voce bassa.

“No.” Rispose l’altro, ed era la verità.

“Sapevi che ero un uomo?” Gli chiese, mentre si toglieva i capelli bagnati dal petto.

“No, te lo giuro, l’ho saputo solo ieri notte.”

“E non sei pentito…” Achille evitava di guardarlo negl’occhi, stava cercando di valutare la sua sincerità dal tono di voce.

“Mentirei se lo dicessi, ma mi dispiace, sono dispiaciuto di quello che ho fatto, ma non sono pentito.” Rispose ancora una volta Patroclo; l’altro lo guardò negl’occhi e lo giudicò sincero.

“Perché siete qui?” Altra domanda.

“Non posso dirtelo…” Lo sguardo del Pelide divenne freddo, poi cominciò ad avanzare verso il ragazzo.

“Che cosa fai? Aspetta un attimo…” Lo aveva praticamente addosso, e quegl’occhi cominciavano a fargli paura; si ritrovò con le spalle contro gli scogli. Achille lo afferrò per la veste, sollevandolo con entrambe le mani, lo spinse contro le rocce. “Lasciami…” Implorò il ragazzo.

“Dimmi perché siete qui.” Insisté l’altro, con aria truce; faceva veramente paura, Patroclo cominciava a pensare di avere davanti davvero un guerriero.

“Cercavamo te, Ulisse dice che lo ha mandato Atena…” Affermò il giovane in un sussurro.

“Atena?” Patroclo annuì, reggendosi ai polsi di Achille; il Pelide lo lasciò andare e lui cadde sulla sabbia, tossendo violentemente. “Ho capito, lui sa della predizione delle Moire.” Dichiarò Achille, dandogli le spalle.

“La… predizione delle… Moire?” Balbettò allibito Patroclo.

“Sì.” Rispose Achille, iniziando a raccontare. “Le Moire predissero a mia madre che sarei divenuto un guerriero più forte di mio padre, ma che se avessi scelto la vita dell’eroe sarei morto presto. Le davano un’alternativa, però…” Continuò. “Sarei vissuto a lungo, e in pace, se avessi scelto di condurre una vita anonima, lontana dai clamori della gloria…” Patroclo cominciava a capire perché la madre aveva costretto Achille a nascondersi tra le figlie di Licomede.

“Per questo ti nascondi?” Domandò il ragazzo; l’altro si voltò con espressione rabbiosa.

“Io non mi nascondo, lo faccio solo per mia madre, essa teme per la mia vita!” Gli rispose gridando.

“Ma ti infiammi subito, accidenti a te.” Ribatté Patroclo massaggiandosi il collo. “Non volevo insultarti, è solo che ti ho visto combattere oggi, e non mi sembra che il tuo stile di vita ti piaccia troppo… o non saresti sempre di cattivo umore…” Achille lo fulminò con gli occhi, ma lui non si spaventò, anzi gli sorrise.

“Cosa ne vuoi sapere tu…” Provò a protestare, indebolito dal sorriso disarmante di Patroclo. “A mia madre si spezzerebbe il cuore, se decidessi di seguirvi.” Aggiunse, abbassando lo sguardo.

“E’ una dea, non morirebbe certo per quello…” Achille rialzò gli occhi e stavolta Patroclo si spaventò davvero.

Il pugno che gli arrivò sulla faccia fu violento e lo fece cadere a terra; Patroclo si pulì il sangue che gli era uscito dal labbro col dorso della mano, poi reagì. Si alzò e si gettò addosso ad Achille, sbattendolo a terra e colpendolo con un paio di pugni sul volto; l’altro lo fermò, afferrandogli le braccia lo spinse, scansandolo da se, poi gli mollò una ginocchiata nello stomaco. Patroclo ruzzolò sulla sabbia, ma non ebbe il tempo di riprendersi, perché Achille gli era già sopra e gli mollava altri pugni al viso; il ragazzo dovette fare un grosso sforzo per toglierselo di dosso. Cominciarono a rotolare sulla sabbia, continuando a picchiarsi; arrivarono fino al bagnasciuga, l’acqua salata faceva bruciare le ferite. Non dissero una parola, si picchiarono fino al crepuscolo, sulla riva del mare.

 

Arrivarono a casa a notte fonda, doloranti e stanchissimi, sostenendosi a vicenda; fortunatamente non li vide nessuno, dormivano già tutti. Entrambi si sentivano stranamente leggeri, come se si fossero tolti un peso dalla coscienza; si salutarono e, appena toccato il letto, si addormentarono pesantemente.

 

“Patroclo!” Una voce si ostinava a chiamarlo ed una mano a scuoterlo, provocandogli dei dolori lancinanti; c’era luce nella stanza, ma lui si ostinava a non voler sollevare le palpebre.

“Mh…” Mugolò il ragazzo, stentando ad aprire gli occhi. “Cosa c’è…”

“Svegliati.” Era decisamente la voce di Ulisse; Patroclo si voltò, sollevandosi leggermente su un gomito. “Santi Numi! Ma che t’è successo?!” Domandò allibito l’uomo, trovandosi davanti la faccia pesta del giovane.

“Non è niente, ma non toccarmi che mi duole tutto.” Rispose biascicando il giovane.

“Ascolta, cosa hai scoperto ieri?” Gli chiese allora, in fondo era quello che gli premeva.

“Avevi ragione tu, va da suo padre ad allenarsi, ci passa tutto il pomeriggio, poi si fa una nuotata in mare e torna a casa.” Gli raccontò Patroclo.

“Ti ha picchiato lui?” Domandò insospettito Ulisse; il ragazzo lo scrutò pensoso.

“No, lungo la strada mi hanno aggredito, mi sono saltati addosso in tre, mi hanno pestato, poi siccome non avevo denaro se ne sono andati.” Gli parve di essere stato convincente, ma con Ulisse non si poteva essere mai sicuri; dal suo viso non si poteva dedurre cosa pensasse.

“Hum…” Rispose soltanto l’amico. “Presto lo faremo scoprire, non abbiamo più molto tempo.” Dichiarò poi risoluto.

“Ulisse, non possiamo andare contro la sua volontà…” Mormorò incerto Patroclo.

“Non ho detto questo, e tu cerca di farti passare l’infatuazione, è controproducente.” Ribatté prontamente l’altro, alzandosi ed uscendo dalla stanza.

Patroclo scese dalla sua stanza sul tardi, quella mattina; era ancora molto indolenzito. Mangiò un po’ di pane e latte in cucina, evitando le dolci padroncine di casa, non si sentiva in animo quel giorno; poi uscì in giardino. Achille stava annaffiando le piante, come tutte le mattine; il giovane si avvicinò, l’altro si voltò quando lo sentì. Patroclo spalancò gli occhi sbalordito vedendolo: solo pochi sbiaditi segni sul suo viso, niente ferite ancora brucianti o grossi lividi sulla sua pelle bianca.

“Cosa… Dove sono finiti i pugni che ti ho dato?!” Gli chiese poi allibito.

“Non conosci il mito?” Gli rispose noncurante lui, tornando ad occuparsi dei fiori. “Io sono invulnerabile, le ferite sul mio corpo non durano che poche ore, specie se le bagno con l’acqua di mare.” Aggiunse.

“Bella storia, io battuto come un tamburo e tu fresco come una rosa!” Sbottò il giovane. “Senza contare che ne hai prese almeno quanto me.” Precisò; Achille si voltò con un sorrisetto sarcastico.

“Scusa, ma non mi pare proprio…” Insinuò.

“E invece sì!” Esclamò l’altro offeso.

“Io te ne ho date almeno il doppio!” Sbottò allora la falsa fanciulla.

“Sì, come no…” Replicò ironico Patroclo. “Ma se ti ho fatto nero!”

“Non mi sembra…” Affermò Achille, carezzandosi il bel volto, su cui era visibile appena un’ombra vicino all’occhio sinistro.

“Grazie! Semidio dei miei calzari!” Gridò arrabbiato Patroclo.

“Non offendere!” Ma, a stento tratteneva le risate, davanti alla faccia impermalita del ragazzo; il sorriso gli stava già increspando le labbra. Quando l’altro se ne accorse smise di lamentarsi e lo fissò negl’occhi, poi entrambi scoppiarono a ridere.

Ulisse si fermò sul porticato, aguzzando la vista, la scena era alquanto preoccupante: sotto un oleandro dai fiori cremisi, Patroclo ed Achille ridevano come bambini, tenendosi per le spalle… Allora, il suo compagno di viaggio non gliela aveva raccontata giusta…

 

Il pentimento era uno stato d’animo interessante, decisamente; in special modo quando ti trovi davanti allo sguardo truce che non avresti mai immaginato su un volto tanto angelico. Lui era pentito di aver accettato di seguirlo al suo addestramento quotidiano, pur immaginando che gli avrebbe chiesto di affrontarsi con la spada o altro; ogni colpo che parava con lo scudo era come una martellata sulle costole, ancora contuse dalla scazzottata del giorno prima. Il dolore lo stava facendo piangere, fortunatamente il copioso sudore copriva le lacrime.

Achille era una furia, potente, preciso, furbo, impossibile riuscire ad evitare tutti i suoi colpi; lo costringeva ad espedienti da codardi o a mosse non troppo ortodosse, ma era comunque difficile. Faceva sul serio, e lui che aveva pensato sarebbe stato solo uno scontro amichevole…

Il clangore delle spade che si scontravano con gli scudi stava aumentando, Achille, da qualche momento, aveva intensificato la sua azione, e Patroclo si rendeva conto di non poter resistere a lungo. Gli occhi dell’avversario erano straniati, pareva che non lo vedessero nemmeno, annebbiati dalla foga della lotta; il ragazzo cominciava ad avere paura. Peleo li osservava da un angolo, con aria severa e assorta.

Ora combattevano tra gli alberi, Patroclo sperava che attirandolo lì avrebbe avuto un vantaggio, proteggendosi tra i rami bassi, ma non era stato sufficiente a frenare l’impeto dell’avversario. Achille lo spingeva con i suoi colpi, facendolo indietreggiare sempre più, finché Patroclo non cadde all’indietro, inciampando in una radice. L’altro ragazzo, però, non si fermò, continuando a colpire con veemenza il suo scudo.

Paura, terrore allo stato puro; che cosa poteva diventare Achille con una spada in mano? Come poteva dimenticare quello che erano diventati? Erano amici… Ma non era in se, e poteva ucciderlo ora.

“Basta! Fermati!” Tentò il ragazzo, ma niente. “Fermati! Basta, BASTA!!” Finalmente il suo grido sortì un qualche effetto: Achille si bloccò con la spada sollevata in aria.

Patroclo rimase fermo a terra, con lo scudo sul petto, respirando affannosamente; altrettanto faceva Achille, in piedi sopra di lui. Gli occhi del Pelide ritornarono normali, sembrava stesse recuperando il controllo; dopo qualche istante, infatti, gli rivolse uno sguardo sorpreso e imbarazzato, poi si allontanò di qualche metro, dandogli le spalle. Il ragazzo a terra lo seguì con gli occhi, poi rivolse un’occhiata offesa a Peleo, che lo aveva convinto ad affrontare il figlio, in seguito si alzò, sfilandosi lo scudo dal braccio e scaraventandolo a terra e, reggendosi l’addome, s’incamminò nel bosco.

 

Non sapeva quanto tempo potesse essere passato, sapeva solo di aver vomitato vicino ad un leccio; aveva dolori ovunque, era stata l'esperienza più traumatica della sua vita.

Adesso era in piedi, con la spalla appoggiata ad un vecchio pino dal tronco contorto, e pensava che probabilmente la storia di Achille era troppo più grande di lui, perché riuscisse a capirla in pieno; certo capire come si poteva sentire un semidio invulnerabile, destinato a diventare un eroe, ma costretto a vivere travestito da donna, non era un'impresa semplice…

Sentì qualcosa di morbido sfiorargli la schiena nuda, si voltò e vide Achille con uno sguardo dispiaciuto; Patroclo sospirò, poi serrò la mascella. Non sapeva se provava rabbia o delusione, sicuramente un brivido gli percorse la pelle, quando la mano dell'altro si spostò sulle sue spalle.

"Stai bene?" Gli domandò Achille.

"No." Rispose secco lui, senza guardarlo.

"Mi dispiace… io…" Tentò di giustificarsi il Pelide.

"Lascia stare, non dire nulla." Lo interruppe bruscamente Patroclo. "Credo che non riuscirei a capire, quindi è meglio che… Comunque..." Si girò verso di lui e lo guardò negli occhi. "Promettimi una cosa." Achille annuì. "Se mai dovessimo scontrarci ancora, ti prego, cerca di non perdere il controllo, va bene?"

"D'accordo." Rispose il ragazzo dagli occhi blu oceano, chinando il capo. "Scusami di nuovo."

"Ti scuso." Patroclo tornò a scrutare l'orizzonte.

"Vieni con me, ho qualcosa che ti può far diminuire il dolore." Il ragazzo gli lanciò un'occhiata poco convinta. "Eddai, non fare il sospettoso!" Lo rimproverò Achille sorridendo.

"Mi posso fidare?"

"Ma sì!" Dichiarò l'altro dandogli una pacca sulla spalla.

"Ahhhhhhh! Ma sei impazzito!" Gridò Patroclo, piegandosi in due dal dolore, mentre si teneva la spalla.

"Ora non esagerare..."

"Non sto esagerando, parli bene tu..."

"Dai, andiamo." Achille gli porse la mano, per aiutarlo; una volta che Patroclo si fu alzato, l'altro gli fece passare un braccio intorno alle sue spalle e lo sostenne per la vita, aiutandolo a camminare.

 

Mai avrebbe pensato di guardare un uomo come guardava lui adesso; la causa non era certo il vapore che emanava dalla vasca di acqua calda in cui stava languendo. Achille era seduto sul largo bordo di marmo bianco, fissando chissà cosa, con i gomiti posati sulle ginocchia piegate; il suo corpo perfetto era, in quel momento, l'unico paesaggio interessante. Magnifico corpo, e pensare che mai avrebbe immaginato di usare tale aggettivo per un corpo che non fosse di donna... effettivamente, ancora, lui pensava che le donne fossero magnifiche, ma non come lui...

"Perché mi hai fatto fare il bagno?" Gli domandò; quel silenzio gli faceva venire troppi pensieri contrastanti.

"Così la tua pelle si ammorbidisce, e l'unguento si assorbirà più velocemente." Rispose Achille, voltandosi verso di lui.

"Ah..."

"Adesso esci e siediti sul bordo." Gli ordinò poi, mentre lui prendeva qualcosa da una credenza; Patroclo ubbidì. "Ecco qua." Achille gli mostrò un piccolo vaso decorato.

"Puzza?" Chiese il ragazzo storcendo il naso.

"No, anzi." Rispose l'altro.

"Allora... dove devo darmela?" Domandò poi, rassegnandosi.

"E' meglio se faccio io." Dichiarò Achille, mentre apriva il vasetto; Patroclo cominciò immediatamente a preoccuparsi.

Guardò le bianche, lunghe dita di Achille, prelevare un po' di unguento dal vaso, poi le seguì nel loro spostamento, finché non toccarono, calde, la sua pelle e cominciarono un delicato movimento rotatorio sulla sua spalla dolorante. I battiti del suo cuore subirono una leggera accelerazione, mentre le mani di Achille percorrevano la sua schiena e le braccia, gli era talmente vicino da sentirne il respiro. Che mi succede? Credevo fosse passato...

"Potresti spostare il braccio? Così non posso raggiungere l'addome."

"S... sì... ecco, forse se mi sposto in questo modo..." Balbettò Patroclo in preda ai brividi; poi passò il braccio destro oltre la testa di Achille, il quale alzò il capo. Si ritrovarono con i volti a pochi centimetri l'uno dall'altro, in una posizione decisamente compromettente...

Si fissarono negli occhi per qualche secondo, poi Patroclo prese un respiro e Achille chinò nuovamente gli occhi, come per riprendere il suo lavoro.

"E' meglio se continui da solo." Disse però, all'improvviso, alzandosi. "Tanto hai capito come si fa." Aggiunse allontanandosi e lasciando il vasetto dell'unguento vicino al ragazzo.

Patroclo sospirò intensamente, poi abbassò gli occhi, e si accorse del motivo per cui Achille se ne era andato tanto di fretta... Se avesse potuto, in quel momento, sarebbe morto dall'imbarazzo...

 

"Qualcosa non va?" Domandò Peleo al figlio, che aveva raggiunto sulla scogliera.

"No." Rispose ermetico Achille, guardando il mare.

"Non mentirmi, vieni sempre qui quando sei turbato, quel ragazzo ti ha detto qualcosa..."

"Non è successo nulla, padre." Lo interruppe lui senza guardarlo; l'uomo gli posò una mano sulle spalle.

"Non temere." Gli disse poi. "E' normale avere dei dubbi, quando si è giovani, col tempo passerà. Presto riuscirai a vederlo solo come un amico." Achille alzò sul padre uno sguardo sorpreso: lui aveva capito veramente il suo turbamento. L'uomo annuì sorridendo, poi si allontanò, lasciandolo solo.

Ciò che lo preoccupava non era tanto il sapere che Patroclo provava dell'attrazione per lui, del resto non glielo aveva certo tenuto nascosto, ma il fatto che lui stesso fosse attratto dal giovane; fatto accertato dal piacere provato nello spalmargli sulla pelle l'unguento curativo, ma soprattutto dal suo repentino allontanamento, quando si era accorto che, con i suoi movimenti sensuali, non aveva risvegliato solo l'eccitazione dell'amico, ma anche la sua...

Aveva avuto paura, per la prima volta nella sua vita. Paura di un desiderio sconosciuto, terrore del baratro rappresentato da quelle labbra leggermente aperte... Lui non aveva mai desiderato una donna, ma nemmeno un uomo, se era per quello... semplicemente certe cose non lo interessavano, le riteneva un fardello inutile, assegnato dagli dei all'umanità solo per renderla più simile a loro, adatte soltanto a distrarre da problemi molto più importanti. Ma ora... era apparso lui...

Forse era vero, quel mito in cui si dice che un tempo gli uomini erano creature formate da due esseri, che furono divisi, e da allora si cercano, ma spesso non si trovano; chissà, forse lui e Patroclo...

Scosse la testa, poi diede un ultimo sguardo al mare, accorgendosi che era ora di tornare a casa; diede le spalle all'orizzonte e s'incamminò verso la costruzione.

 

CONTINUA

 

Ho diviso la storia in due capitoli per comodità, ma pubblicherò il resto a giorni. Fatemi sapere cosa ne pensate!

 

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Capitolo 2
*** II° parte ***


Seconda e ultima parte della storia

Seconda e ultima parte della storia. Ho visto che l’avete letta in tanti, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, anche solo per sapere com’è andato il mio primo esperimento yaoi (infatti, le ff su Alexander le ho scritte dopo). Spero che la conclusione non vi deluda.

Buona lettura.

 

- II parte -

 

Era una sera quieta e la luce di una grande luna piena frugava tra gli ulivi; Patroclo non si sentiva molto di compagnia, per quello aveva deciso di sgattaiolare dalla casa per andare a sedersi sulla riva del limpido ruscello, che scorreva tra gli alberi. Ora sgranocchiava svogliatamente una mela, concentrandosi sull'allegro scorrere dell'acqua. La giornata non era stata delle migliori, in senso fisico e morale, per questo si sentiva stanco. Era riuscito a farsi prendere da un senso d’inadeguatezza che, di solito, provava solo alla presenza di suo padre; non sapere minimamente che cosa fare era opprimente. Staccò l'ultimo pezzo di mela, poi gettò il torsolo nel ruscello.

"Sei triste?" Gli domandò una voce bassa e profonda, ben conosciuta; si voltò sorridendo stentatamente, come diavolo faceva a comparirgli sempre alle spalle senza farsi sentire?

Achille gli sedette accanto e prese ad osservare anche lui il ruscello; il ragazzo gli rivolse un'occhiata che doveva essere fuggevole, ma i suoi occhi rimasero incatenati alla sua figura illuminata dalla luna... Santi numi, la sua bellezza a volte è veramente sconvolgente... La sua pelle serica, illuminata dai lattei raggi della luna, diveniva quasi opalescente, i suoi capelli chiari ricadevano in morbidi ricci argentei e risplendevano nell'ombra, gli occhi di mare rilucevano come stelle.

In quell'istante, però, Achille si voltò verso di lui con sguardo interrogativo, e Patroclo ricordò di non aver ancora risposto alla sua domanda. Chinò gli occhi, imbarazzato.

"Non sono triste, sono solo stanco." Mormorò.

"Bene, mi sarebbe dispiaciuto molto trovarti triste..." Ribatté l'altro con estrema dolcezza; Patroclo lo guardò, piacevolmente stupito dal tono usato.

"Scusa." Affermò il ragazzo, dopo alcuni attimi di silenzio; Achille l'osservò aggrottando le sopracciglia, non capiva perché si scusasse.

"Perché?" Gli chiese.

"Beh, oggi pomeriggio ti ho messo in imbarazzo..."

"No, sono io che.." Si affrettò ad intervenire lui, mettendosi in ginocchio vicino all'amico seduto sull'erba.

"Non hai nemmeno nuotato." Dichiarò sconsolato Patroclo. "Mi pare di aver capito che ti piace molto farlo, scusami anche per quello..." Continuava a parlare guardandosi i calzari.

"Non è un problema, davvero." Lo interruppe sereno Achille. "Lo farò domani." Aggiunse posandogli le mani sulle spalle; Patroclo alzò lo sguardo su di lui, si guardarono un attimo negl'occhi, poi entrambi sorrisero.

"La prossima volta che decido di affrontarti, ti prego, riportami alla ragione prima che sia tardi." Disse Patroclo, dopo che si furono rimessi in piedi.

"Come vuoi." Rispose l'amico, sorridendo divertito.

I due ragazzi s'incamminarono verso la casa, si stava facendo tardi; fatti alcuni passi lungo il ruscello, però, vista l'oscurità dovuta ad una nuvola che passava davanti alla luna, Patroclo mise un piede in fallo e cadde seduto nell'acqua bassa.

"Cazzo!" Imprecò, passandosi una mano bagnata tra i capelli.

"Ahahahahaha!!" Achille, invece, era scoppiato a ridere, osservando la sua ridicola posizione alla luce di una luna di nuovo splendente.

"E tu aiutami, invece di ridere come un idiota!" Gli urlò indignato.

Con ancora le lacrime agli occhi per le risate, Achille si avvicinò e gli porse la mano.

"Scusami, ma è stato troppo divertente!" Gli disse, mentre Patroclo afferrava il suo polso per tirarsi su; ma, quando fu a metà della risalita, invece di spingersi con le gambe per rialzarsi del tutto, fece leva sul braccio sbilanciando Achille, che perse l'equilibrio e cadde a pancia in giù nell'acqua.

"Ahahahah! Adesso rido io!" Esclamò il ragazzo soddisfatto, pur essendo ricaduto anche lui; nel frattempo Achille aveva risollevato il viso dall'acqua e lo guardava con occhi che non promettevano nulla di buono.

"Se ti prendo..." Minacciò ringhiando.

"Uh, sei anche permaloso! Mamma mia!" Ribatté divertito l'altro, cominciando a scappare verso la riva; Achille lo inseguì.

Lo afferrò per le ginocchia, facendolo cadere con la faccia sull'erba, Patroclo si girò e gli schizzò la faccia, ormai era chiaro che il gioco si faceva duro. Achille lo tirò per le gambe e lo fece andare con la testa sott'acqua, lui tornò subito su, tirandogli una grossa manata d'acqua. Continuarono a schizzarsi per un po', ridendo e divertendosi come bambini, finché non crollarono esausti sull'erba.

Solo dopo qualche minuto Patroclo si accorse di avere la mano di Achille ferma sull'addome; lo guardò: era a faccia in giù e con il capo voltato dall'altra parte. Il ragazzo prese un sospiro più profondo e poi mise la sua mano su quella dell'amico, stringendola delicatamente.

"Che fai?" Gli domandò Achille, senza girarsi.

"Niente..." Rispose Patroclo leggermente imbarazzato; l'altro ragazzo si alzò sui gomiti e, finalmente lo guardò.

"Che ci sta succedendo?" Era maledettamente serio.

"Non lo so, vorrei capire, ma non ci riesco." Ammise con sincerità Patroclo.

"Ma noi siamo amici, o cosa?" Chiese il ragazzo dagl'occhi di mare, sembrava rivolto più a se stesso che all'altro, fissava chissà cosa davanti a se.

"In questo momento sarei più propenso per il cosa..." Rispose poco seriamente Patroclo.

"Smettila di fare lo scemo!" Sbottò il Pelide.

"Ascolta..." Gli mormorò, avvicinando la testa alla sua. "Io penso che siamo solo due ragazzi un po' confusi, so soltanto che quando sono con te sto bene, anche se mi fai venire dei dubbi che mai avevo avuto prima. Cosa c'è tanto da pensare? Staremo a vedere cosa ne verrà fuori." Concluse il discorso con un sorriso dolce; Achille lo fissò per alcuni istanti.

"Dunque sostieni che dovremmo seguire il nostro istinto?" Gli domandò poi.

"Uhum." Annuì Patroclo.

"Seguire i propri desideri a volte può essere pericoloso..." Mormorò allora Achille, scostandogli delicatamente i capelli bagnati dal viso, quasi con una carezza, mentre lo guardava serio.

"Non questa volta, credimi." Sussurrò il ragazzo castano, fissandolo negli occhi.

Si guardarono per alcuni, infiniti, attimi, complice la luce argentata della luna piena, entrambi preda di confuse emozioni, ancora più confuse pulsioni, e dei battiti accelerati dei loro cuori; poi Achille, che aveva fermato la sua mano sul collo di Patroclo, lo attirò a se, senza incontrare resistenza, e posò le proprie labbra sulle sue.

Fu un bacio piuttosto lungo e appassionato; si abbracciarono, stesi sull'erba della riva, passando le mani l'uno nei capelli dell'altro, mentre le reciproche lingue esploravano bocche assetate di emozioni. Il momento era dilatato come un’eco.

Quando si separarono, Patroclo si sollevò sulle braccia per guardarlo in faccia; si scambiarono uno sguardo imbarazzato, poi il ragazzo distolse gli occhi, non riuscendo però a trattenere una risata divertita.

"Perché ridi?" Domandò stupito Achille.

"No, è che... è assurda questa cosa! Ahahah!" Rise ancora Patroclo. "Io, che venendo qua mi chiedevo cosa avrei fatto al posto tuo, con tutte queste donne intorno, mi ritrovo a baciare proprio l'unico uomo! Troppo divertente! Ahahahah!"

"Non ci trovo nulla di divertente..." Replicò imbarazzato Achille, voltando il capo.

"Non hai senso dell'umorismo, tu." Disse l'altro, mentre posava la testa sul suo addome; il Pelide sgranò gli occhi, dandogli un'occhiata imbarazzata. "Se dovessi prenderla sul serio, sarebbe un bel problema..." Sussurrò poi, socchiudendo gli occhi; Achille sorrise dolcemente, poi abbracciò la sua testa e gli carezzò i lunghi capelli castani. Rimasero così, stesi sull'erba, illuminati dalla luna.  

 

La luce del sole ferì gli occhi di Patroclo, appena la tenda fu scostata; il ragazzo sollevò lentamente le palpebre, e la prima cosa che vide, nella luce chiara e fresca del mattino, fu Achille, con le braccia appoggiate sul davanzale della finestra, nudo. Sorrise, stropicciandosi il naso.

"Buongiorno." Mormorò poi; Achille si voltò con un sorriso. "Questa non è camera mia." Aggiunse Patroclo, accorgendosi del grande letto e dell'arredamento prezioso della stanza.

"No, è la mia." Rispose l'amico, sedendosi sul bordo del letto; e ancora una volta, Patroclo si trovò ad ammirare il suo corpo perfetto.

"Non ho fatto qualcosa di cui mi possa pentire, vero?" Gli domandò, distogliendo l'attenzione da quella pelle liscia e candida.

"Assolutamente no, e comunque non te lo avrei permesso." Ribatté Achille, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio; ogni più piccolo gesto lo rendeva desiderabile, era un capolavoro.

"Bah, il fatto è che non mi ricordo di essermi addormentato qui..." Guardò sotto il lenzuolo. "...nudo." Aggiunse alzando gli occhi sull'altro ragazzo.

"Sarà perché già dormivi, quando ti ci ho portato." Replicò retorico Achille, con un mezzo sorriso; Patroclo rispose sbuffando e coprendosi il viso con l'avambraccio. "Hai fame?" Gli chiese allora; lui tolse il braccio, i suoi vivi occhi nocciola brillarono.

"Da morire!" Rispose allegramente.

"Allora vestiti." Gli consigliò Achille, che, dopo essersi messo in piedi, stava indossando un lungo abito bianco panna.

"Ma che fai?" Disse Patroclo, sollevandosi a sedere sul materasso. "Ti vesti ancora da donna?"

"Per favore." Replicò serio l'altro, girandosi verso di lui. "Sai che non posso farne a meno."

"E' solo tua la scelta." Dichiarò Patroclo, fissandolo negl'occhi; Achille chinò il capo, continuando a vestirsi.

Scesero a fare colazione, recandosi direttamente nella cucina; le figlie di Licomede li osservavano stupite scambiarsi sorrisi complici, mentre Achille mangiava come una fanciulla non dovrebbe mai fare, sotto lo sguardo divertito di Patroclo. Durante la mattinata vennero anche a sapere che Ulisse era sceso al porto; Patroclo si meravigliò che non lo avesse avvertito, ma Achille replicò che, forse, semplicemente non lo aveva trovato, visto che dormiva in camera sua. Il ragazzo rimase perplesso.

 

La risposta ai suoi dubbi, Patroclo l'ebbe quella sera: Ulisse rientrò a casa di Licomede con due carri carichi di merci. Il ragazzo e Achille osservarono la scena dalla balconata che dava sul cortile interno; il falso mercante annunciò l'arrivo delle sue mercanzie, quella sera le avrebbe mostrate agli abitanti della casa. Patroclo s'insospettì, non era uno stupido e conosceva Ulisse abbastanza bene da sapere che il re di Itaca aveva in mente qualcosa; si voltò verso Achille, ma sembrava che l'altro non si fosse curato molto delle novità. Avrebbe scoperto tutto solo dopo cena.

Il grande salone era illuminato riccamente ed invaso da stoffe, casse di gioielli, oggetti rari e preziosi; il padrone di casa era disteso sul suo lungo sedile, circondato dalle figlie. Un po' in disparte, appoggiata ad una colonna c'era Altea, vicino a lei Patroclo.

"Guardate!" Annunciò Ulisse, indicando la mercanzia. "Guardate, che meraviglie vi ho portato!" Continuò con fervore. "Sete e lini, intessuti di perle e d'oro, come usa sulla sponda orientale del Ponto Eusino, legni profumati e incensi dal sud, gioielli tanto belli che nemmeno la regina di Argo ne possiede!" Continuò, ma non gli era sfuggito lo sguardo scettico della *fanciulla* dagli occhi color oceano e il suo sorrisetto sardonico. "Non ti piacciono queste stoffe... Altea?" Domandò, sottolineando il nome; lei rispose solo increspando leggermente un lato delle sue perfette labbra. "Eppure questo colore ti dona..." Riprese, posandogli sulla spalla un panno dai cangianti colori rosa; lei lo spinse via piano, facendolo cadere a terra, sempre con la stessa espressione indecifrabile. Patroclo li guardava preoccupato. "Preferisci forse il verde mare, Altea? Ho anche quello..." Ma lei lo ignorò, scostandosi con eleganza, mentre le altre fanciulle si assiepavano intorno ai prodotti con risolini entusiasti.

Percorse alcuni passi, con aria distratta, come se nulla di quello che vedeva la interessasse; Patroclo ne seguiva ogni spostamento, cominciava ad intuire dove voleva arrivare Ulisse, ma quello che lo preoccupava di più era pensare che Achille, invece, lo aveva capito benissimo e lo stesse assecondando.

Un ultimo sensuale passo avvicinò Altea ad un grosso baule aperto; lanciò uno sguardo e un sorriso retorico ad Ulisse, poi chinò gli occhi sul contenuto dello scrigno. Vi erano gioielli, bracciali, collane e orecchini, ed altri oggetti preziosi, come pugnali intarsiati, scacciamosche finemente decorati, fibbie d'oro.

"Preferisci forse i gioielli, Altea?" Le chiese Ulisse; Patroclo fece un passo verso di loro, mentre lei sollevava dal baule un fodero di cuoio decorato da fili d'oro e pietre preziose, in cui era riposta una spada.

Achille guardò di nuovo Ulisse, e ancora increspò le labbra, mentre gli occhi chiari dell'uomo ebbero un luccichio soddisfatto; Patroclo scosse la testa, abbassando il capo, in quel momento sentiva come se l'inevitabile fosse già successo e l'eco di tutto un destino già piombato su di loro, tutti loro.

Fu allora che Achille sfoderò la spada, con un sibilo metallico inquietante; le figlie di Licomede sobbalzarono, alcune gridarono, il padrone di casa balzò in piedi. Il giovane puntò la lama alla gola di Ulisse.

"Tu lo sai chi sono io, vero?" Gli domandò minaccioso, ma senza perdere il suo sorrisetto.

"Santi Numi del cielo, che cosa stai facendo!" Gridò Licomede, avvicinandosi; il ragazzo si girò e indirizzò la spada verso di lui, che spalancò gli occhi allibito.

"Taci tu, codardo, non sto parlando con te!" Ribatté deciso Achille, con nella voce tutto il disprezzo represso per anni; le fanciulle urlarono. "Zitte!" Gli ordinò il ragazzo, loro si ritirarono impaurite in un angolo.

Ulisse, nel frattempo, al contrario di Patroclo, sorrideva, non troppo sorpreso dalla personalità che il giovane semidio stava dimostrando in quel salone; quando Achille si voltò di nuovo verso di lui, lo trovò impassibile, con un sorriso furbo e gli occhi scintillanti.

"Tu sai chi sono io." Gli disse.

"Io lo so." Rispose Ulisse. "Ma sei tu che ti devi dichiarare." Aggiunse con calma.

Il ragazzo afferrò la spalla del suo vestito e la strappò con forza, mostrando un torace decisamente maschile; Patroclo si passò una mano sul viso, Ulisse sorrideva soddisfatto e Licomede diventava sempre più paonazzo.

"Io sono Achille, figlio di Peleo." Affermò poi, con sicurezza.

"Tu, tu, stolto!" Cominciò ad urlare il padrone di casa, brandendo l'indice verso Achille. "Non hai il diritto di fare questo, non puoi condannare me e la mia famiglia alle maledizioni di tua madre! Io ti ho ospitato nella mia casa, ti ho campato per anni!" Continuò con espressione isterica.

"Smettila, inutile omuncolo, credi che non sappia il motivo che ti ha spinto ad accogliermi?" Replicò il Pelide, osservandolo con malcelato disgusto. "Mi hai tenuto qui solo per paura, solo il timore dell'ira di mia madre e le sue promesse di prosperità per la tua casa, mi hanno dato un tetto." Aggiunse. "Fosse stato per te, sarei cresciuto per la strada, come un cane randagio."

"Queste accuse sono gratuite!" Protestò Licomede. "Ti ho curato come farebbe un padre!" A quelle parole, Achille prese un lungo respiro, poi si girò verso di l'uomo, con uno sguardo raggelante.

"Non hai idea di quanto false siano le tue dichiarazioni!" Gli gridò con rabbia. "Un padre non mi è mai mancato, e lo sai, tu non sei degno nemmeno di pulirgli i calzari, coniglio!" Licomede tremò, tirandosi indietro; le sue figlie piagnucolarono, nell'angolo dove si erano rifugiate. 

Ulisse e Patroclo si scambiarono un'occhiata, entrambi non erano stupiti da questa dimostrazione di carattere del Pelide, sapevano che lui era come un fuoco sopito, e sarebbe bastato attizzarlo per far esplodere la fiamma che era celata sotto la cenere; adesso il colpo era dato, nessuno lo avrebbe fermato più.

"Fuori da qui, donne!" Gridò Achille, rivolto alle fanciulle, torvo. "Non sopporto più le vostre voci, le vostre frivole risate, le inutili lacrime, USCITE!" Piangendo spaventate, le ragazze si ritirarono nelle stanze interne della casa; lui si girò verso i due falsi mercanti, soddisfatto. "Erano anni che sognavo di farlo." Poi spostò gli occhi sul solo Ulisse. "E ora dimmi, Re di Itaca, che cosa vuoi da me?"

"Anche tu sai chi sono, allora." Affermò l'uomo dai capelli neri.

"Non è stato difficile scoprirlo, mio padre ti conosce." Spiegò Achille. "Adesso parla." Lo incitò poi; Ulisse si mosse, cominciando a spostarsi per la stanza.

"In questi anni ci sono state molte battaglie, che per lo più, ogni regno della Grecia ha combattuto da solo, ora, un simposio dei principi greci, ha firmato un'alleanza." Cominciò a spiegare l'uomo. "Certo, i combattimenti non sono finiti, ma i regni principali sono in pace." Affermò allargando le braccia. "Adesso si prospetta una guerra contro Troia, e abbiamo bisogno di nuove leve, nuovi condottieri per gli eserciti..." Achille ne seguiva i passi, ascoltandolo. "...la leggenda afferma che tu, saresti diventato un guerriero più grande di tuo padre... e lui ha vinto molte battaglie..."

"Dove vuoi arrivare?" Fece il giovane, con un cenno del capo, osservandolo a braccia conserte.

"La domanda giusta è dove vuoi arrivare tu." Replicò Ulisse. "Quanta gloria sei disposto a conquistare, su un campo di battaglia? Questa sarà la più grande guerra mai vista, tutti i più valenti guerrieri di questa generazione vi parteciperanno, è la tua occasione." Rincarò l'uomo, aveva notato l'espressione del ragazzo. "E' il tuo destino, se lasci questa vita, l'alternativa è la guerra, e potresti diventare il più grande eroe che la Grecia abbia mai avuto." Aggiunse, fermandosi ad un passo da lui.

"Il più grande?" Domandò Achille; Ulisse annuì. "Più grande di Perseo?"

"Nemmeno lontanamente paragonabile." Rispose l'uomo.

"Più di Giasone?"

"Molto, molto di più."

"E più di... Eracle?" Stavolta la risposta ci mise un po' di più ad arrivare, sotto lo sguardo incuriosito di Patroclo.

"A quel livello almeno." Precisò Ulisse; Achille fece un sorrisino divertito.

"Bada, che ancora non ho deciso se accettare." Dichiarò il ragazzo.

"La scelta è tua." Affermò l'uomo, allontanandosi e allargando le braccia. "Hai davanti le alternative, ma a questo punto, sappi che rimanere qui sarebbe un peccato nonché uno spreco." Aggiunse tranquillo.

"La mia decisione non dipende solo da me." Precisò Achille, tornando serio. "E sappi che, se decido di accettare, non sarò disposto ad essere comandato, io non sono un cane e non ho padroni." Aggiunse, fissando i suoi occhi verdeblu in quelli trasparenti del suo interlocutore.

"Mah, per quanto mi riguarda..." Ribatté Ulisse, stringendosi nelle spalle. "...da quel punto di vista non ci sono problemi." Concluse allargando le mani; così aveva scaricato la famigerata patata bollente nelle mani di qualcun altro. E gli hai dato una bella gattina da pelare, a quella boriosa vescica di vacca di Agamennone... Pensò Patroclo, sorridendo sotto i baffi.

"Avrai la mia risposta domani al tramonto." Dichiarò Achille, interrompendo i pensieri dell'altro ragazzo, che lo guardò.

"L'aspetterò." Rispose Ulisse; il Pelide annuì, poi gli diede le spalle, allontanandosi.

Patroclo fece per seguirlo, ma fu fermato dalla mano dell'uomo, che si strinse sulla sua spalla; si scambiarono un lungo sguardo, Ulisse scosse il capo, come a volergli dire di non andare.

"Sei sicuro che abbiamo fatto bene?" Domandò il ragazzo, incerto.

"Questa scelta è il suo destino, ma per noi è una necessità." Replicò Ulisse, posando una mano sulla sua spalla. "Il bene di molti viene prima di quello di uno." Aggiunse, poi se ne andò.

Il problema, però, per Patroclo, era che quell'uno fosse Achille, che fosse la sua vita il prezzo da pagare per vincere una guerra, e questo no, non lo poteva accettare.

 

Achille era fermo sulla sabbia, dove l'acqua limpida lambiva i suoi piedi; aveva appena finito di nuotare e si era portato i lunghi capelli bagnati dietro la schiena, ora sembrava in attesa di qualcosa. Pochi istanti dopo, lo specchio di mare davanti a lui, cominciò ad incresparsi, poi a schiumare, finché, lentamente, sorse una figura fatta d'acqua, che si trasformò infine in una persona. Era una donna, molto giovane all'apparenza; conchiglie, coralli e perle le adornavano i capelli, in tutta la loro lunghezza, e anche l'abito, una semplice tunica bianca. Aprì gli occhi, che avevano il colore dell'oceano, e si prese le mani.

"Tu hai già deciso." Affermò poi, guardandolo negl'occhi.

"Sai sempre tutto, tu." Replicò il ragazzo, chinando il capo.

"Mi hai tradito, Achille." Continuò la donna, restando impassibile; lui rialzò gli occhi e la guardò.

"No, non l'ho fatto, madre!" Gridò indignato. "Ho solo preso una decisione da solo, per la prima volta in vita mia non dipendo dal volere degli altri."

"Tutto ciò che ho fatto, è stato per proteggerti Achille." Ribatté Teti.

"La scelta che mi è stata posta davanti, madre, solo io posso farla." Riprese il ragazzo. "La mia vita non ti appartiene."

"Io, ti ho dato quella vita che denigri tanto!" Esclamò la dea, portandosi una mano al petto.

"Non lo faccio, madre!" La sua voce era accorata. "Credimi, sull'amore che ti porto, io ho solo bisogno di dimostrare a me stesso che valgo qualcosa!"

"Con la morte, lo vuoi dimostrare? Perché lo sai, questo è scritto, se combatti morrai, il filo sarà reciso..." Teti lo prese per le braccia.

"Che lo sia." Dichiarò serio lui. "Io non tornerò a fare una vita che mi umilia e degrada, il mio orgoglio non è più disposto ad accettarla."

"Le scelte che ho fatto sono state per il tuo bene." Insisté lei.

"Quante? Quante scelte hai fatto al posto mio?!" Gridò Achille adirato. "Dimmelo, madre! Come hai cambiato la mia vita?!"

"Tu non puoi capire..." Mormorò la dea, scuotendo il capo. "Io volevo portarti con me sull'Olimpo."

"Ma non hai potuto." Disse il ragazzo. "E allora perché non mi hai affidato a mio padre?! Perché mi hai tenuto lontano da lui per anni, affidandomi a gente estranea?! Ha dovuto cercarmi!"

"Non capisci..." Fece ancora Teti, tenendo gli occhi bassi. "...il tuo amore per Peleo ti acceca lo sguardo..."

"E' il tuo odio per lui, che io non capisco." Affermò il ragazzo, interrompendola; la dea rialzò gli occhi su di lui, colta di sorpresa.

"E' un mortale, Achille."

"Anch'io lo sono." Replicò il giovane. "Odi forse anche me?"

"Ma che cosa dici!" Ribatté con veemenza lei, prendendogli il viso tra le mani. "Io ti amo, tu sei mio figlio!"

"E allora, lasciami andare." Rispose lui. "Sciogli quest'ultima catena che mi lega a te, e lasciami vivere la mia vita, lunga o breve che sia, gloriosa o inutile, ma lascia che sia io a sceglierla."

"Come faccio a lasciarti, sei tutto ciò che ho." Sussurrò la dea, abbracciandolo; Achille la strinse a se.

"Lo so, per una dea immortale è arduo rassegnarsi al fatto che suo figlio non lo sia." Mormorò poi, carezzandole i capelli. "Ma non devi avere rimpianti, poiché mi hai dato tutto l'amore che una madre può dare, e so che non mi lascerai, fino alla fine." Aggiunse dolcemente; Teti si scostò leggermente.

"Il mio conforto e il mio consiglio non ti mancheranno mai." Dichiarò, carezzandogli il viso.

"Grazie, madre mia." Disse il ragazzo; lei lo fissò ancora per qualche attimo, poi gli baciò la fronte, infine si allontanò di qualche passo e scomparve come era venuta.

Achille respirò intensamente il profumo del mare; non sperava che Teti avrebbe accettato la sua decisione, ma forse lei già sapeva che lo avrebbe fatto e, conoscendolo, sapeva che l'opposizione sarebbe stata controproducente. Fece un sorriso amaro, poi si voltò; c'era Patroclo, a qualche passo da lui, sulla spiaggia.

"Con chi parlavi?" Gli domandò l'amico, con una strana espressione.

"Non prendermi per pazzo." Rispose Achille. "Era mia madre, tu non puoi vederla." Aggiunse; allora Patroclo sorrise. "Sei qui da molto?" Gli chiese poi.

"Beh, no, sono appena sceso..." Indicò la scogliera. "Ti ho visto ringraziare l'aria e... ho pensato di raggiungerti, ecco." Spiegò.

"Capisco." Annuì il Pelide sorridendo con una punta di tristezza; Patroclo lo guardò negl'occhi.

"Ti ha accordato il suo permesso?" Chiese poi, indicando col capo il mare.

"Sì." Confermò Achille. "Adesso dovrò parlare con mio padre, e sarà più difficile, lei mi potrà seguire, lui no." Aggiunse mesto.

"Vuoi che venga con te?" Si offrì Patroclo; l'amico gli sorrise dolcemente, ed era stupendo quando lo faceva.

"Non è necessario, comunque grazie." Gli rispose, poi gli diede un tenero bacio sulla guancia.

Il ragazzo lo guardò andar via, come sempre turbato dalla sua contraddittoria presenza, da quel contatto così spontaneo eppure strano; da una parte sentiva così naturale, ciò che lo spingeva verso Achille, come se lo avesse sempre cercato, e dall'altra gli sembrava di andare contro le convinzioni che lo avevano animato per anni. Una cosa era certa, più passava il tempo, e meno sapeva fare a meno di lui, il solo pensiero di poter essere presente, il giorno della sua caduta, gli lacerava il cuore. 

 

"Lo sapevo." Affermò Peleo, quando il figlio ebbe finito di esporgli la situazione e comunicato la propria decisione. "L'ho saputo fin da quando ho conosciuto Patroclo, che era arrivato il momento."

"Non lo faccio per lui, ma per me stesso." Replicò Achille.

"So anche questo." Annuì il padre. "E' probabile che sarebbe successo comunque, non possiamo sottrarci al nostro destino, la vita è un percorso che qualcuno ha deciso prima di noi." Aggiunse. "Tu sei stato privilegiato, ti è stata data la possibilità di scegliere il tuo fato, ma io ero consapevole che la scelta sarebbe stata questa, perché tu sei nato per combattere."

Achille ascoltava la parole di suo padre standogli al fianco, col capo chino e gli occhi persi nel luccichio delle onde sotto la scogliera; non sapeva cosa rispondergli, in quel momento aveva solo voglia di piangere, non si era mai sentito così fragile.

"Io ti ho insegnato tutto quello che so." Continuò Peleo, osservando l'orizzonte. "Non ti resta che dimostrare di essere più grande di quanto io sia stato mai, e so che lo farai..." Lo interruppe l'impetuoso abbraccio del figlio; lui lo strinse a se, carezzandogli il capo.

"Non avrò mai parole, per ringraziarti di ciò che ho imparato da te, ma soprattutto..." Mormorò, cercando di trattenere le lacrime. "...per l'amore che mi hai dato, il tuo insegnamento più grande."

"Figlio mio..." Disse l'uomo, commosso. "...io ho combattuto a lungo per te, ma non sono pentito, perché tu mi hai reso orgoglioso, anche con la tua scelta di oggi." Lo scostò da se, tenendolo per le spalle, e gli baciò la fronte.

"Grazie, padre..." Achille si passò una mano sugl'occhi e gli fece un breve sorriso. "...io sono orgoglioso di essere tuo figlio." Anche Peleo sorrise.

"Non ho più lezioni da farti." Affermò allora l'uomo. "Ma un dono invece sì." Il figlio lo guardò incuriosito. "Seguimi."

Andarono in una rimessa a lato della casa, dentro la piccola costruzione c'era un bellissimo carro da guerra; era costruito in legno pregiato e cuoio decorato, i raggi delle grandi ruote sembravano il disegno di punte di stella.

"Questo carro..." Esordì Peleo. "...mi ha portato a molte vittorie, in passato." Achille lo osservava, girandoci intorno, i suoi occhi splendevano. "E' robusto, ma leggero, molto maneggevole, e bene armato..." Si era accorto che il figlio osservava le lame poste sui perni delle ruote. "Ma, soprattutto, è imbattibile se trainato da loro." Il ragazzo alzò gli occhi e vide suo padre indicare due cavalli ricoverati nella stalla ricavata dall'altra metà della rimessa.

"Mi dai Balio e Xanto?!" Chiese incredulo ed entusiasta; l'uomo annuì.

"Conosci la storia di quei due cavalli, vero?" Gli domandò poi.

"Sì, me la narrasti anni fa." Annuì il figlio. "Te li donò Poseidone il giorno delle tue nozze."

"E' così." Confermò il padre. "E da allora non sono invecchiati un giorno." Aggiunse, avvicinandosi alle bestie e carezzando il muso di entrambi. "I magici cavalli del dio dei mari, capaci della stessa velocità nell'acqua, sulla sabbia e sulla roccia..." Annunciò, poi si girò verso Achille, guardandolo negl'occhi. "Fai che ti riportino sempre indietro sano."

"E' un dono troppo grande, non so che dire..." Ammise timidamente il ragazzo.

"E non devi farlo." Ribatté Peleo. "Io sono tuo padre, questa è la mia eredità." Si guardarono negl'occhi, sorridendo.

"Ora devo tornare." Dichiarò infine Achille; il padre lo strinse per le spalle.

"Torna quando sarà il momento di partire, ti darò il carro e ci saluteremo." Affermò l'uomo; il ragazzo annuì, poi, dopo un ultimo sguardo al dono del padre, se ne andò.

 

Un tramonto particolarmente infuocato arrossava l'orizzonte, affascinando lo sguardo di Ulisse, che lo osservava dal balcone della casa di Licomede; Patroclo lo raggiunse.

"E' tornato?" Gli domandò il ragazzo; Ulisse non si girò, ma scosse il capo.

"Lo sto aspettando." Rispose poi.

"Sei deciso..." Commentò Patroclo.

"E' lui che deve esserlo, non sono autorizzato ad intervenire." Affermò l'uomo, continuando a guardare il panorama.

"Ma lo hai fatto." Replicò l'altro; lui si strinse nelle spalle.

"Non mi sembra più di tanto."

"Io non credo che Achille sia del tutto consapevole del fatto che se combatterà perderà la vita." Dichiarò Patroclo, posando le mani sul parapetto del balcone.

"Oh, ti sbagli." Ribatté Ulisse, voltandosi verso di lui. "Lui lo sa perfettamente, e comunque, probabilmente, moriremo tutti, questa è la guerra." Aggiunse calmo.

"Ma lui..." Mormorò il ragazzo; l'uomo gli posò una mano sulla spalla.

"Patroclo..." Esordì. "...so quanto è difficile pensare alla morte di qualcuno che si ama, io ho una moglie e un figlio, che mi aspettano a casa."

"Non capisco cosa vuoi dire..." Disse Patroclo, evitando il suo sguardo; per un qualche misterioso motivo si sentiva in imbarazzo.

"Vi ho visti ieri mattina..." Il ragazzo continuava a guardare altrove, ma si era irrigidito. "Quando ho trovato il tuo letto vuoto, sono venuto a cercarti, in camera sua..." Il cuore di Patroclo subì un'accelerazione. "...dormivate, non abbracciati, ma tu gli tenevi la mano." Questo non lo ricordava, era quasi sicuro di essere arrossito in quel momento.

"Non è successo niente di quello che puoi pensare!" Replicò con veemeza, alzando gli occhi su Ulisse.

"Io non penso nulla." Affermò l'uomo, allargando le mani.

"E invece sì, perché ci hai visti insieme, nudi a letto, e..." Protestò il ragazzo, sollevando le mani strette a pugno. "Noi siamo solo amici!"

"E calmati!" Lo blandì il re di Itaca. "Io non contesto la vostra amicizia, l'affetto, o qualsiasi cosa vi unisca, è solo che il tuo attaccamento a lui ti ha portato perfino a rinnegare la missione che ci ha portati qui." Spiegò poi. "Per salvarlo saresti disposto a sacrificare una causa in cui credevi."

"Forse non ci credevo poi così tanto..." Commentò Patroclo, col capo chino.

"Forse hai trovato qualcosa che vale più di un ideale." Ribatté tranquillamente Ulisse; lui lo guardò, sorpreso dalla verità di quelle parole. "Ad ogni modo, Achille verrà con noi, perciò sembra che rimarrete insieme, anche se in battaglia." Aggiunse, dandogli una pacca sulla spalla, poi tornò a girarsi verso il balcone. "Sta arrivando." Annunciò.

Patroclo voltò a sua volta lo sguardo verso l'esterno, vide subito l'elegante figura di Achille incedere decisa verso la casa; il ragazzo era confuso, preoccupato e anche un po' imbarazzato, era veramente così palese quello che provava? Si sentì indifeso.

Seguì Ulisse, dopo qualche attimo di smarrimento, e quando arrivarono di sotto, Achille stava entrando nel cortile; li guardò, poi si avvicinò al re di Itaca.

"Togliti dalla faccia quel sorrisino soddisfatto." Gli disse. "Tanto lo sapevi che alla fine avrei accettato." Aggiunse tranquillamente.

"Ho idea che la schiettezza sarà il tuo peggior problema, Achille." Rispose Ulisse, mentre il ragazzo gli passava accanto, camminando verso la casa.

"Tu non ti preoccupare." Ribatté lui, alzando una mano. "I miei problemi li risolvo da solo." Dichiarò salendo le scale.

"Salpiamo domani, prima di mezzogiorno." Gli annunciò Ulisse, girandosi verso di lui.

"Così presto?" Intervenne Patroclo, che fino ad allora era rimasto in silenzio; gli altri due lo guardarono.

"La situazione in Grecia sta precipitando, non abbiamo più tempo." Gli rispose Ulisse.

"Sarò pronto." Annuì Achille, deciso come un generale navigato di fronte alle truppe, poi gli diede di nuovo le spalle e scomparve dentro la casa.

 

Era inutile, quella sera Patroclo non aveva voglia di dormire, benché si sentisse abbastanza stanco; la luna era alta, e lui non sapeva far altro che vagare tra le piante di salvia, rosmarino e alloro, nell'orto di Licomede. Si fermò sbuffando, appoggiato ad un ulivo.

"Non riesci a dormire?" Gli domandò Achille; lo aveva visto arrivare, e come sempre il cuore ora gli batteva più forte.

"A dire il vero, non ci ho nemmeno provato." Rispose il ragazzo.

"Che cosa ti preoccupa?" Gli chiese dolcemente l'amico. "Non sei felice che venga con voi?" Patroclo si girò, posando la fronte contro il tronco dell'albero.

"Sono felice, ma allo stesso tempo non lo sono." Confessò. "Tu mi confondi, io voglio stare con te, ma temo di vederti in una battaglia." Aggiunse, socchiudendo gli occhi.

"Purtroppo credo che sia la mia stessa natura a causare queste contraddizioni, io sono un paradosso vivente." Affermò Achille, poggiando la schiena allo stesso ulivo. "Sono un semidio invulnerabile, i comuni mortali non potranno mai accettarmi del tutto..." Continuò chinando il capo. "...e comunque resto un uomo, che prima o poi morrà, perciò troppo poco per gli dei, non degno di essere accolto nell'Olimpo." Patroclo lo guardò, stupendosi di trovare un'espressione serena. "Per tutti questi motivi, mi sono costruito una specie di mondo mio, dove solo io decido le regole."

"A volte mi fa un po' paura, questo tuo mondo." Mormorò l'altro ragazzo, guardandolo negl'occhi.

"Sei stato tu a decidere di metterci piede, Patroclo." Gli ricordò; lui sbuffò sorridendo, e tornò a posare la fronte contro l'albero. "Oh, su!" Esclamò Achille, abbracciandogli le spalle e posando il mento sulla sua spalla, Patroclo lo guardò. "Lascia i timori, e ti assicuro che insieme conquisteremo il mondo!" Sembrava tranquillo ed entusiasta, sorrideva.

"Se lo dici così, finirò per crederci..." Disse Patroclo.

"Perché? Cosa ci manca?" Chiese Achille, allegro, non lo aveva mai visto così. "Abbiamo ardore, gioventù e forza, e siamo favoriti dagli dei." Aggiunse stringendolo di più, poi rise. "Almeno per il momento, lo siamo." Precisò divertito.

Patroclo lo osservava in silenzio, gli sembrava trasformato, ora era veramente se stesso, senza doversi più preoccupare di mantenere un segreto che di sicuro gli pesava; ed era bello, come non lo aveva mai visto, dolce e deciso, luminoso, con un sorriso irresistibile. Troppo tardi si accorse di essere rimasto imbambolato a fissarlo, senza accorgersi che non parlava più ed ora lo osservava incuriosito; si scambiarono uno sguardo, sorridendo, ma Patroclo voleva di più. Allungò il collo e gli posò un fuggevole bacio sulle labbra; Achille non rimase stupito, e replicò allo stesso modo.

Patroclo si girò nelle sue braccia, e cominciarono a baciarsi lentamente; non fu una cosa passionale come l'altra volta, piuttosto un reciproco e paritario scambio di tenerezza. Con le mani di Achille sul viso, Patroclo stava bene, se fosse morto in quel momento, sarebbe morto felice.

Rientrarono a casa quando la notte era già alta, sereni, camminando affiancati e scambiandosi ogni tanto un sorriso; quando furono sulle scale, Patroclo fermò Achille, lui lo guardò interrogativo.

"Sai una cosa?" Gli disse con dolcezza. "Tu devi essere proprio un grande condottiero." L'altro ragazzo lo ascoltava incuriosito, reclinando il capo di lato. "Anche senza armi, qualcosa lo hai già conquistato..." Achille sorrise, con quel misto d'innocenza e decisione che lo rendeva unico, poi lo prese per il collo, avvicinandolo a se, e gli baciò la guancia.

 

Peleo era seduto sul bordo del pozzo, stava pulendo un piccolo scudo, ma era inutile negare che aspettava suo figlio; nel suo animo si agitava un misto di consapevolezza, orgoglio e malinconia che gli attanagliava il cuore. Sarebbe stata l'ultima volta che lo vedeva.

E Achille arrivò, correndo su per la collina; il padre lo accolse alzandosi e incrociando le braccia, ma quando si fermò davanti a lui, le sciolse subito. Il ragazzo aveva il viso arrossato e gli occhi lucidi, il fiatone non gli permetteva ancora di parlare.

"Che succede?" Gli domandò preoccupato Peleo.

"Ho pianto per tutta la strada." Rispose Achille, senza trattenere le lacrime che arrivavano di nuovo; il padre sorrise tristemente e gli posò le mani sulle spalle.

"Sono felice di averti insegnato anche a non nascondere i tuoi sentimenti." Stavolta fu il figlio a fare uno stentato sorriso. "Vieni qui." Gli disse abbracciandolo.

"Non volevo che tu mi vedessi così, ho cercato di smettere..." Mormorò il ragazzo.

"Non temere, il tuo nobile cuore non è una debolezza." Affermò Peleo; Achille lo guardò, con una smorfia e tirando su col naso. "Ora basta lacrime, oggi festeggiamo." Gli diede una pacca sulle spalle e s'incamminò verso la casa.

Il figlio lo guardò allontanarsi, preso ancora una volta dall'immensa ammirazione che aveva per lui e dal magone che gli suscitava il pensiero che quello era il loro ultimo incontro. Stava per seguirlo, ma l'uomo si fermò, posando una mano sulla staccionata che costeggiava il vialetto.

"E' venuta tua madre, ieri sera." Gli riferì; Achille spalancò gli occhi stupito e lo raggiunse correndo.

"Veramente?" Gli chiese. "Che cosa ti ha detto?" Nonostante gli anni passati e la perfetta conoscenza della situazione, lui continuava a sperare in una loro riappacificazione.

"Questa è per lui." Disse Peleo, imitando il tono imperioso della moglie. "Solo questo, nient'altro, poi è andata." Continuava a guardare davanti a se. "E' ancora bella come allora..." Commentò.

"Io... io non capisco..." Mormorò invece Achille.

"Ha portato qualcosa per te." Spiegò allora il padre, ed entrò in casa; il figlio lo seguì.

Peleo si spostò su un lato, vicino al tavolo; al centro della stanza, sopra un tappeto di canapa intrecciata, c'era un'armatura: stava eretta, come se dentro avesse un sostegno, le maglie del gonnellino erano disposte intorno, a cerchio. Era un vero capolavoro, sicuramente di bronzo puro, decorata con smalto bianco e lamine d'oro, splendeva anche in penombra; l'elmo era sovrastato da un cresta di pregiate piume rosse, il fodero e la spada avevano gli stessi disegni del pettorale e dei coprispalle. Achille si avvicinò quasi timoroso, e completamente stupito.

"E' bella, vero?" Gli fece il padre; lui lo guardò, incapace di proferire parola. "L'ho osservata bene, quella corazza non è stata forgiata da mano d'uomo." Dichiarò l'uomo; altro sguardo sorpreso del ragazzo.

"Vuoi dire che..." Suggerì Achille.

"Tu lo sai, tua madre è stata la balia di Efesto." Replicò il padre. "Non credo che lui le avrebbe negato un'armatura preziosa per proteggere suo figlio in battaglia." Il ragazzo tornò a guardare ammirato la corazza.

"Oh, Dei, è bellissima..." Mormorò, sfiorandola appena con le dita; poi sentì la mano di suo padre sulla spalla e si girò a guardarlo.

"Indossala." L'incitò Peleo con un sorriso; il figlio annuì entusiasta.

"Aiutami." Gli chiese poi.

L'armatura forgiata nella fucina degli Dei gli calzava a pennello, nemmeno se gliela avessero costruita addosso gli sarebbe stata meglio; la sentiva leggera, pratica, non impediva i suoi movimenti. Provò a maneggiare la spada, ci riusciva come se il suo corpo fosse libero, e si sentiva potente, un vero condottiero di eserciti; con quella corazza non avrebbe temuto nulla. Lui ed il padre si scambiarono un'occhiata soddisfatta.

"Adesso andiamo fuori." Dissi allora Peleo. "Ho fatto preparare una tavola, sotto i pini." Il figlio annuì e si fece precedere oltre la porta.

Arrivati fuori, si trovarono di fronte, schierati, i guerrieri di Peleo; Achille, sorpreso per l'ennesima volta, si sfilò velocemente l'elmo e sorrise. Considerava molti di quegl'uomini, che avevano contribuito al suo addestramento, come amici, ed era felice di poterli rivedere.

"Siete venuti per salutarmi?" Domandò allegro; il luogotenente di suo padre si fece avanti.

"Noi ti seguiremo, mio signore." Dichiarò deciso, con un sorriso; incredulo, il ragazzo guardò il padre.

"Io non c'entro nulla." Affermò l'uomo stringendosi nelle spalle. "Hanno deciso da soli." Achille tornò a guardare il soldato.

"Chi, meglio di noi, che ti abbiamo istruito, può conoscere il tuo valore Pelide." Riprese orgoglioso. "Gli ultimi guerrieri Mirmidoni sono pronti a tutto per il loro principe."

"Grazie." Disse a quel punto Achille, già fiero di quegl'uomini; il padre attirò la sua attenzione toccandogli il braccio, lui lo guardò.

"Mettili al comando dei reggimenti che ti daranno, e avrai un esercito devoto e implacabile." Gli suggerì saggiamente, il ragazzo annuì. "E ora, brindiamo." Tutti i presenti si riunirono intorno al grande tavolo, e fu versato vino, si levarono canti d'incitamento e risate.

Achille passò tutta la mattinata nella casa di suo padre; quando il sole era già alto, i due si allontanarono dalla casa, facendo una passeggiata lungo la scogliera. Quasi non si parlarono, solo camminarono, affiancati, o tenendosi per le spalle, decisi a godersi per l'ultima volta la reciproca compagnia; Peleo guardava con orgoglio il suo unico figlio, che aveva lottato per veder crescere, Achille osservava un padre che era stato tenero e severo, che gli aveva insegnato tutto ciò che sapeva, e che lui amava sopra ogni cosa. Infine si abbracciarono, rimanendo così per un lungo momento, per imprimere il loro affetto in maniera indelebile nel cuore, come se ce ne fosse bisogno; era arrivato il momento.

Achille rimise l'armatura, infilò l'elmo e salì sul carro, che era già stato preparato; strinse le redini e guardò il padre, che era in piedi, di lato al mezzo. L'uomo sospirò.

"Ricorda sempre i miei insegnamenti." Gli disse infine. "Ascolta il tuo cuore, non accettare compromessi con la tua coscienza, combatti solo se credi in quel che fai... e non ti guardare mai indietro." Aggiunse fissandolo negl'occhi. "Questi sono i miei ultimi consigli."

"Li ascolterò, padre." Annuì il ragazzo; i suoi occhi erano di nuovo lucidi.

"Addio figlio." Salutò infine Peleo; il ragazzo esitò per un momento, prima di rispondere.

"Addio." Mormorò infine, con voce tremante, poi girò il capo, guardando davanti a se, ed incitò i cavalli a partire.

L'uomo seguì con lo sguardo il carro che si allontanava, mentre il vento di mare dalla scogliera gli scompigliava i capelli. Guardava suo figlio scomparire all'orizzonte, uscire dalla sua vita; non si era mai sentito in colpa, per averlo addestrato alle armi, fino a quel giorno...

"Sei contento, ora?" Gli domandò una triste voce di donna, dalle sue spalle; lui si voltò e vide Teti, immobile e splendida come una statua.

"No." Rispose mestamente; avevano negl'occhi le stesse lacrime.

 

"E' in ritardo." Commentò Ulisse che, fermo sulla banchina del porto, guardava il sole con le mani sui fianchi. "Gli avevo detto prima di mezzogiorno..."

"Oh, per tutti i fulmini di Zeus!" Esclamò ridendo Patroclo, che invece stava già sul ponte della nave; l'altro, prima gli lanciò un'occhiata insospettita, poi girò gli occhi nella direzione in cui guardava lui e li spalancò sbalordito.

Un carro da guerra scendeva la collina, diretto verso il porto e, più si avvicinava, più si distingueva la figura che lo conduceva; l'armatura che indossava riluceva investita dai raggi del sole, infastidendo la visione, i cavalli galoppavano come se non ci fosse domani, a breve distanza lo seguivano molti uomini di corsa. Ad Ulisse venne da ridere, doveva immaginarselo che li avrebbe stupiti ancora; scambiò una risata con il ragazzo sulla nave.

Achille fermò il suo carro a pochi metri dalla banchina e discese, affidando le redini ad uno dei marinai di Ulisse, poi si avvicinò al re di Itaca, sfilandosi l'elmo; l'uomo l'osservava con un sorrisetto sardonico.

"Beh, che c'è?" Fece Achille, sorridendo a sua volta. "Credevi che un condottiero non avesse una corazza?" Aggiunse ironico; Ulisse scosse il capo.

"Alla faccia della corazza!" Intervenne Patroclo, sporgendosi dalla prua. "Nessuno ne ha una come quella!" Il Pelide rise, poi gli lanciò l'elmo, che l'altro prese al volo; Patroclo lo osservò compiaciuto per un attimo, infine se lo provò. "Mi va perfetto!" Achille sorrise.

"Ah..." Riprese, tornando a girarsi verso Ulisse. "...non ti preoccupare per i miei uomini e i cavalli, mio padre ha già fatto preparare un'altra nave." Gli annunciò, indicando l'imbarcazione ancorata all'altra banchina, e detto questo, gli diede una pacca sulla spalla e raggiunse Patroclo.

"Ma tu resti qui con noi, vero?" Gli domandò subito l'amico, con lo stesso tono di un bambino, quando gli arrivò accanto; Achille gli sfilò delicatamente l'elmo e sorrise.

"Certo." Annuì con dolcezza; anche Patroclo sorrise. "Allora, non si parte?" Domandò poi ad Ulisse, che era ancora sul pontile.

Il re di Itaca guardò il suo capitano e disse: "Devo rassegnarmi al fatto che questa nave non è più quella di Ulisse, ma ormai quella di Achille principe dei Tessali Mirmidoni." E, con divertita rassegnazione, salì la passerella, l'altro uomo rise.

 

Era quasi il tramonto quando, a remi, si staccarono dal pontile, navigando verso il centro della baia del porto; i marinai stavano ultimando i preparativi per la navigazione. Achille e Patroclo guardavano verso terra.

"Ti mancherà, casa tua?" Domandò il ragazzo castano, accorgendosi dell'espressione indecifrabile dell'altro; l'amico lo guardò, interrogativo.

"No." Negò poi. "Casa è il posto che tuo cuore chiama così. Io non ho una casa, non l'ho mai avuta." Aggiunse Achille. "Io dimoro solo nell'animo delle persone che mi amano." Disse poi, tornando a guardare l'orizzonte.

"Ognuno di noi ha un luogo cui è legato, che gli ha dato le origini." Replicò pacato Patroclo; Achille sollevò le sopracciglia.

"Se è così, quel posto per me è il mare." Rispose poi; l'amico sospirò.

"Non si può vivere senza radici, Achille." Gli disse infine; lui lo guardò di nuovo, con la determinazione negl'occhi.

"Allora me le costruirò." Affermò sicuro. "Adesso basta guardarsi alle spalle..." Aggiunse, prendendo per un braccio Patroclo e facendolo girare su se stesso. "...è venuto il momento di rivolgersi al futuro." Continuò, indicandogli il mare aperto davanti a loro; poi spostò la mano sul suo collo, stringendolo in un gesto affettuoso, e gli sorrise.

Patroclo non aveva davvero più bisogno d'altro, radici e legami erano dimenticati, era pronto a vagare senza mai fermarsi, pur di seguirlo ovunque; gli strinse la spalla, sorridendo a sua volta.

"Alzate le vele!" Ordinò Ulisse alle loro spalle. "Rotta su Argo." 

Achille sentì il vento, che spingeva le vele, accarezzare il suo viso e far muovere i suoi capelli; quel che lasciava era perduto, ma non aveva rimpianti, la sua vita cominciava quel giorno.

 

FINE

 

 

 

 

 

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