Il cacciatore di eroi di macchese (/viewuser.php?uid=120197)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Punto Zero ***
Capitolo 2: *** Timeo danaos et dona ferentes ***
Capitolo 3: *** Sufficit diei malitia sua ***
Capitolo 4: *** Una legge degli eroi e... ***
Capitolo 5: *** ...una legge degli uomini ***
Capitolo 6: *** Giudizi e colpe ***
Capitolo 7: *** Il piano A ***
Capitolo 8: *** Il quarto giorno ***
Capitolo 9: *** Che il gioco cominci ***
Capitolo 10: *** Il solito piano B ***
Capitolo 11: *** L'ottavo giorno ***
Capitolo 1 *** Il Punto Zero ***
Il cacciatore di eroi
Prologo - In
un mondo dove gli eroi esistono, essi sono usciti allo scoperto. E le
persone cosiddette "normali" lo hanno accettato. In parte
approvando, in parte rassegnandosi. Il surreale ed il sovrannaturale
erano fin allora decisamente sopravvalutati. Gli eroi non sono solo
relegati al bidimensionale ruolo commerciale tanto caro ai venditori di
leggende cartacee. Essi vivono. Camminano tra le altre persone ed altri eroi. Perennemente
in bilico su di un cuneo, questa circostanza vive un periodo di stallo.
I comuni hanno accettato i sovrannaturali. Accontentandosi di non
essere eroi. Di non poter esser più eroi. Di dover guardare gli
eroi. Io odio gli eroi -
Il punto Zero
Un
bambino sta giocando felice sul tappeto di fronte alla televisione
accesa. Guarda i cartoni. E' mattina. Quel giorno non è andato a
scuola. Qualche linea di febbre ha convinto la madre a tenerlo a casa,
a prestargli le sue amorevoli cure. A coccolarlo, accudirlo. Lei ora gli prepara
un'abbondante colazione in cucina. Si sente chiamare dalla sala, sente
il suo bambino attirare la sua attenzione. Calmo, arriva. E lei arriva,
con un vassoio imbandito di molteplici pietanze. In sala, scopre che alla
televisione non ci sono più i cartoni. No. Ma un uomo ne ha
preso il posto. Un uomo, scuro in volto, un anchorman. Un'uomo che
parla allo schermo e a chi c'è davanti. Quella è un'edizione
straordinaria del telegiornale. L'anchorman è piuttosto cupo.
Cupo in volto.
"Telespettatori
del mondo intero... devo informarvi di una notizia terribile. Forse la
più terribile della storia dell'umanità. Il corpo di
Clark Kent è stato ritrovato senza vita all'interno del fienile sito
nella sua proprietà. A trovare il corpo è stata la
compagna, di rientro dal lavoro. Le cause sono ancora sconosciute.
Ripeto. Il corpo di Clark Kent è stato ritrovato senza
vita. Abitanti del mondo intero; Superman... è morto."
Il silenzio viene rotto dal rumore del vassoio che cade, rovesciandosi
e ridistribuendosi in svariati pezzi per tutta la stanza. Questo
sarà successo in molti luoghi. Un'immediato senso di stupore e
milioni di oggetti che vanno in frantumi. Adesso il mondo avrà di cosa
parlare.
Ma le cause non sono sconosciute. Lo dicono, ma non lo sono. Come lo so? Sono stato io.
Il
mondo ha bisogno di eroi. E gli eroi hanno bisogno del mondo. Non lo
dicono, ma lo vogliono. Gli eroi sono belli, sono forti. Sono bravi
ragazzi. Non dicono parolacce. Sorridono sempre. Non bevono mentre
guidano. O mentre volano. O mentre corrono alla velocità di
quella cazzo di luce. Cazzo, scommetto che non scaricano nemmeno
musica da internet! Però, c'è una cosa di cui l'eroe
non può fare a meno. Un dettaglio che lo classifica appunto come
eroe: una nemesi. Il
perdente. Di quello che non scrive la storia. Gli eroi lo sono per
il fine e non per i mezzi. E'
lapalissiano che un cattivo sia cattivo, ne converrete. Ma se
c'è una cosa che i cattivi, i nemici, o perdenti che dir si
voglia sanno, non è la storia, è la verità. E io
vi dico che le cause, non sono sconosciute.
"Signore
e signori di tutto il mondo, si presume che le cause della dipartita
siano di
natura natural... Scusate. Comprenderete il mio stato di shock. Ehm. Si
sospetta che la dipartita possa essere avvenuta per cause
naturali. Naturali, in una natura che
putroppo noi, non possiamo comprendere."
No no. Non ci siamo. Ma è ovvio che non sbandiereranno mai la
verità. Qualcuno ha ucciso l'uomo più forte del mondo.
Qualcuno ha ucciso Superman. Quali sarebbero le conseguenze di una tale
notizia? Posso dirvi che le mie azioni sono salite parecchio dopo
questo avvenimento. E' chiaro che io non sono quotato in borsa, ma
potete aver inteso il senso. Perciò, vi dirò io come sono
andate le cose. Sarò io a dirvi la verità.
Non è stato facile. Non è stato breve. E non è
stato privo di dolore. Ma è stato. E' stato quando io ho deciso
che doveva essere. Due mesi. Per due mesi ho controllato la casa, gli amici, la fidanzata
giornalista, nella ricerca di una ruotine, di comportamenti abituali. E
c'era solo una cosa che si ripeteva: quel fienile. Dove lui forse si
rilassava, guardava le stelle, lavorava. Mi chiedo perchè lo
facesse. Ehi! Sei un eroe! Sei Superman! Cosa diavolo lavori a fare? Fai
l'eroe, prendi i cattivi, dormi. Poi fotti. Poi rassicura il popolo,
prendi ancora un po' di cattivi. Fotti un altro po'. Assicurati che la
tua parte di mondo sia in ordine. Ovviamente prima e dopo aver fottuto.
Quel fienile, dove forse trovava anche un po' di pace. E dove io gli avrei dato la pace eterna.
Superman lo
ha un punto debole, si sa. Quella roccia verde, quel
fottuto meteorite chiamato kryptonite che i suoi genitori hanno
responsabilmente deciso di spedire sul mio pianeta insieme al loro
figlio. Dieci punti ai genitori. Ottima idea. Il fatto fu che dopo
il suo
"outing" di eroe, i governi del mondo decisero di bandire,
eliminare e
sostanzialmente annichilire ogni pezzo di "oro verde" dalla faccia
della terra. Poichè sarebbe stato ovvio garantire la
sicurezza del paladino della pace nonchè deterrente nucleare.
Quello che non fu, non è, e penso che non sarà mai ovvio,
è che il genere umano è popolato, e qui vi stupirò
nel dirlo, da esseri umani. Pessimi e fallibili esseri umani.
Corruttibili ed insignificanti scarafaggi che badano solo ai propri interessi. Ed agli
interessi di chi bada ai loro interessi. Ed agli interessi, degli
interessi di chi bada ai loro interessi. E così via. Ed allora,
l'impossibile aveva assunto tinte d'opportunità. Perché non era vero che quel prezioso
elemento verdastro si era estinto, no. Qualcuno aveva ben pensato che
data la scarsità dell'offerta, la domanda sarebbe salita e
salita. E dopo una pausa, sarebbe salita. Facendo salire anche il
prezzo al kg. O al pezzo. O qualunque unità di misura vi
aggrada. Qualcuno che ora riposa orizzontale, in un sacco di plastica, non molti metri sotto la
crosta terrestre. Non sono stato io se ve lo stavate chiedendo.
Però era inevitabile che, ritenuto il prezzo eccessivo, la
domanda avrebbe trovato metodi alternativi per entrare in possesso
dell'offerta. Alternativi e meno costosi. Costringendo l'offerente
nelle condizioni sopracitate. Io riuscii infine a mettere le mani su
quel prezioso elemento tanto allergico al supereroe blu e rosso senza
pochi problemi. Mi costò, e vero, ma anche questo era
inevitabile. A questo punto
però, sorsero delle difficoltà.
Avevo un amico che faceva al caso mio. Anzi, a dire il vero ne avevo
due. Il primo si chiamava 47, ed era il migliore in quello che faceva.
L'altro si chiamava Stryker, nome di battesimo William, ed era il
migliore in quello che faceva. Quindi avevo con me quel
materiale, ma non la possibilità di lavorarlo. 47 mi portò
da William. Lui era in grado di lavorare un metallo che nessun altro
era in grado di manipolare. L'adamantio. Pensai che magari poteva lavorare anche altre cose. Portai il mio elemento da lui.
Dopo averlo analizzato mi disse che si, poteva lavorarlo, ma in cambio
ne voleva una parte. La cosa si poteva fare.
Dopo svariati fallimenti riuscimmo a plasmare un tipo di proiettile
particolare, dato dalla miscela di roccia verde ed adamantio. Un
proiettile leggero ma incredibilemente compatto, più devastante
di qualsiasi altro che mente umana avesse mai partorito. Praticamente
indistruttibile e teoricamente riutilizzabile. Gliene commissionai
sette. Mi chiese cosa volessi fare con il materiale rimanente e, dopo
averci pensato un po', gli chiesi se potesse forgiarmi una spada.
Perché una spada? Perché ne ho sempre desiderata una. E
fu una scelta azzeccata, perché ne risultò un'arma
eccezionale. Sul modello di una katana, dalla fusione risultò avere una lama d'adamantio nera sul
quale risaltavano le verdi venature di quel meteorite a me caro. Un
attrezzo letale nelle mani di chiunque. Ed era nelle mie.
Ora rimaneva una sola cosa da fare.
Con me avevo la katana comodamente
adagiata sulla mia schiena, i proiettili, ed un fucile che 47 mi aveva
gentilmente procurato. Un fucile che definirei "multi-tasking".
Creato sulla base della fusione tra un LM308MWS ed un AK-47, era
sommariamente un fucile d'assalto convertibile in uno da cecchino. Un
progetto di 47, quindi creato, ma mai creato. Se mi capite. Difficilmente se ne
sarebbe trovata copia all'ufficio brevetti. Lui lo chiamava ALWK-47,
non perché fosse stato costruito nel 47, ma da 47. Io lo
chiamavo il "mio fucile". Non sono mai stato un tipo originale.
L'altra
particolarità del mio fucile è che non necessita di cartucce
per esplodere i colpi. Bensì i colpi vengono
sparati dall'anima grazie ad una piccola esplosione derivata in un
alloggiamento posteriore alla canna. Perciò il percussore non
agisce direttamente sul proiettile, che per questo motivo non possiamo
chiamare cartuccia. Immaginatelo come un "fucile a benzina", o "fucile
a due tempi". La spinta necessaria generata dai gas avviene grazie ad
un meccanismo separato e ricaricabile. Possiamo dire che il cane
è all'interno del fucile. E come ultima cosa, non faceva rumore. Per il resto era simile a quei fucili
che vanno di moda nella serie Call of Duty.
Avevo
la katana ed il fucile. Ed ero posizionato a circa duecento metri dal mio
obiettivo. Distanza che avrei percorso in poco più di venti
secondi. Clark era solo. Incredibilmente ed insolitamente solo. Lo
guardavo dal mirino telescopico del fucile passare avanti e indietro
dall'enorme finestra del fienile in attesa di piantargli un proiettile
in corpo. Avevo i sette proiettili già comodamente sdraiati nel
caricatore, ma sapevo che uno sarebbe stato sufficiente. Avrebbe dovuto
esserlo. Anche perché se avessi mancato il bersaglio, mi sarebbe piombato
addosso ancora prima di staccare l'occhio dal mirino. Clark aveva la
vista di fuoco, l'orecchio fino, sapeva volare e gli profumava anche l'alito. Tra le altre cose.
Perciò avrei dovuto creare un po' di trambusto. Il giorno prima,
approfittando di un suo momentaneo periodo di assenza, ero
riuscito ad infiltrarmi nel fienile ed a piazzare un paio di diversivi.
Avevo posto una mini carica esplosiva su una trave che sorreggeva un
mucchio di balle di fieno. Poi avevo occultato dietro alle pareti e
sotto la copertura delle trombette da stadio. Avete presente quelle con
il tubo rosso? Quelle. Sapevo che non sarebbe servito ad un cazzo,
però speravo, come già detto in precedenza, di fare un
po' di casino. Abbastanza da fargli esclamare qualche espressione di
sorpresa. Sapevo anche che non gli avrebbe impedito di evitare il
proiettile, dato il fatto che normalmente non ne avrebbe avuto nemmeno
bisogno. Ma questo mi poteva tornare utile. In caso contrario, avevo la
katana.
Dunque, mi bastava schiacciare un tasto del mio cronografo per mandare
il segnale ed attivare i diversivi al grido di -GO!- e quindi fare tanto rumore a soli duecento metri.
GO! Bang....
"Bene bene... allora anche il sangue di Superman
è rosso." dissi. Clark era sdraiato a terra, con la schiena
appoggiata alla parete del fienile scrutandosi la ferita. Spaesato e
ancora non consapevole di cosa fosse successo. In quei trenta secondi
che avevo impiegato a raggiungerlo, aveva strisciato di un paio di
metri. Lo si poteva dedurre dalla scia di sangue sul pavimento. Lo
avevo colpito al pettorale destro. E non fu un errore. Non volevo
ucciderlo, non subito. Il proiettile gli era rimasto in corpo,
privandolo così della sua forza e di qualsiasi iniziativa. Per
sicurezza però, avevo conficcato la mia katana nero-verde nel ligneo
pavimento molto vicino a lui.
"Che ingiustizia" continuai "un potere così
grande, annullato da un oggetto così piccolo. E' proprio
un'ingiustizia." Clark soffriva. Molto. Però non gridava, non si
dimenava. Deve essere il codice dell'eroe. Onore nella sconfitta.
Semplicemente, mi parlava.
"Chi sei?" chiese a fatica.
"Mi son sempre chiesto come mai un potere
così grande è stato creato vicino ad un veleno più
potente."
"Aah... che vuoi da me, chi sei?" insisteva.
Cercò di muovere il braccio destro, ma questo lo fece soffrire di
più.
"Fermo, fermo. Se sei anatomicamente come noi
normali esseri di questo pianeta... ed ammettiamolo, un po' lo sei, quel
proiettile ti ha attraversato il grande pettorale e lacerato
l'articolazione. Allora? Cosa si prova? Fa male, vero? Eh? Lo sai
come si chiama?"
"Cosa..."
"Dolore. E si, non è piacevole. Beh, non
l'avrebbero chiamato così altrimenti! Allora che mi dici... Ti
piace il dolore?"
"Chi sei e cosa vuoi da me?"
"Ve l'hanno mai detto che voi supereroi siete
ripetitivi?". Clark cercò ancora di muoversi. Presi la spada e
gliela puntai alla gola. Il solo contatto lacerò la pelle. Ora i
nostri sguardi erano a pochi centimetri.
"Ho capito" disse "sei un fanatico. Una vittima. Il
mondo è sbagliato, il mondo è cattivo solo con te. Bella
mossa." mi mostrava i denti.
"Chi sei tu per parlarmi del mondo? Non farlo..."
"Questo mondo è mio quanto tuo."
"Sbagli amico supereroe."
"Ho capito. Vuoi farmela pagare per via delle mie capacità." Clark stava diventando sarcastico.
"L'orgoglio, è una prerogativa degli esseri umani."
"Allora cosa cerchi di insegnarmi? E' una lezione
questa? Credi che io non provi dolore? Guardami... sanguino... come te."
"No. Sanguini, ma molto meno. E le tue ferite
guariscono più in fretta. Non cercare paragoni, non serve a
niente."
"Arriva al punto." Clark ostentava una sicurezza che
non mi aspettavo. "Sei qui per i miei poteri. Cerchi un modo per
rubarli? Non esiste un modo per trasferirli, non me li puoi prendere. E
non ti piacerebbe, credimi. La cosa è sopravvalutata. Ed io non
voglio sentire di come tu li useresti meglio. Perciò vattene, ed
io mi dimenticherò di te." ora era addirittura calmo.
"Non posso crederci." risi. "Io non voglio i tuoi
poteri, non voglio insegnarti un cazzo. E tu pensi di convincermi? Sai,
ammiro la faccia tosta di voi eroi sempre sicuri di quello che dite.
Vattene, e mi dimenticherò di te?" risi ancora. "Ma
almeno tu ci credi nelle stronzate che dici? Voi eroi. Sempre calmi e
sicuri. Forse sei sotto schock e non ragioni bene. Non ti è
molto chiaro quello che
succederà oggi?"
"Me lo dirai tu cosa succederà?" mi guardava fisso negli occhi con una sicurezza a dir poco fastidiosa.
"Tu morirai."
Potevo alzarmi infine. Conciso e diretto. Intelligibile. Ci furono
parecchi secondi di silenzio. Seguiti da altri secondi, parecchi.
Non mi guardava più in faccia. Ora guardava a terra. O nel
vuoto. Probabilmente ripensava ad un sacco di cose. Avevano cercato di
picchiarlo, di rubargli i poteri, avevano attentato ai suoi cari per
colpire lui. Lo avevano pugnalato. Ma non avevano mai tentato di
ucciderlo. Così, premeditato e spietato. Diretto.
"La mia paura aspettava questo giorno." era improvvisamente diventato poco loquace.
"Sicchè anche gli eroi tremano. Prima
però c'è una cosa che volevo dirti. A dire il vero, in un
lontano passato, ti guardavo come si guardano gli eroi. Però le
cose cambiano. Cambiano quando..."
Gli dissi quello che dovevo dire. Lui ascoltava. Non mi guardava, ma in
silenzio assorbiva ogni frase. Forse perché sentiva la fine
incalzare, parola dopo parola. Arrivai alla conclusione. Stette qualche
secondo in silenzio, ingoiò il "rospo" ed infine parlò.
"Per quanto possa correre veloce, arriva sempre il
momento di fare i conti. Non si scappa." guardai bene. Dal suo occhio
sinistro, una lacrima scendeva sulla guancia.
"Nessuno può."
Presi la katana, caricai il colpo. Lui mi guardava negli occhi.
Percepiva lo scorrere dei secondi, cercando di pensare a tutto e non
pensando a niente. Mormorò qualcosa di soffocato. Vidi le sue
labbra dare vita ad un pensiero. Prima che la mia lama discese nel suo
petto.
"Dicono che il male trionfa perchè i buoni
non fanno nulla." mi accovacciai davanti al suo corpo, recuperai il proiettile. "La verità è che il male trionfa
comunque." Abbassai le sue palpebre. Sentivo il cuore bussare forte nel mio petto. Era finita.
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Capitolo 2 *** Timeo danaos et dona ferentes ***
Timeo danaos et dona ferentes
- Le prime pagine dei giornali non
parlavano d'altro. Così come le televisioni e le radio. La sua
morte stava monopolizzando i media. E mi rendo conto di quanto sia triste.
Faceva più notizia da morto di quanto ne avesse fatta da vivo.
Ormai la gente si era abituata.-
Timeo danaos et dona ferentes
Stavo
cercando di sbronzarmi, devo dire con discreto successo, nella
prima bettola trovata sulla mia strada. Un posto abbastanza squallido.
Buio, triste, forse sapientemente arredato per chi cercasse quel tipo
di sensazioni. Un posto in cui non devi guardare in faccia chi ti
parla, se mai si avesse avuta la fortuna di parlare con qualcuno. O la
sfortuna. La luce è davvero bassa. Forse un'altra geniale
trovata diventata alternativa alla pulizia delle superfici,
giacchè
entrando, per un attimo ho temuto che le suole delle mie
scarpe si potessero staccare dai miei piedi, ormai incollatesi al
pavimento.
La televisione gracchia del supereroe mentre io ordino un altro
superalcolico. Come si vede di solito nei film, chiedo al barman di
lasciare la bottiglia, ma lui mi manda affanculo. Non come nei film. Un
posto davvero ospitale. Un ritrovo per famiglie. Chiedo allora di poter
cambiare canale. Altro fallimento. Dunque prometto un pagamento extra
al prossimo giro. Pago il giro "doppio" e lui cambia canale. Tutti i
canali parlano della stessa cosa. Mi aveva inculato. Mi rassegno e mi
faccio portare qualcosa da sgranocchiare. Rimango così per
una mezz'ora buona. Sono triste, e ciò che ho intorno non aiuta.
E' passata quasi una settimana. E' tutto così assurdo che
quasi non credo che possa essere successo veramente. Penso alle sue
ultime parole soffocate. Al movimento della sua bocca. ......pace?
Rapace? Capace? Il movimento è finito assondando qualcosa di
simile.
Mi rendo conto di stare ancora pensando, quando sento entrare delle
persone. Me ne accorgo perché quelli già dentro, sembrano
abbandonare i propri tavoli quasi fuggendo fuori. Sono in tre. Volevo ordinare
ancora ma il barman era sparito. Però c'era la bottiglia. Uno
si avvicina e prende posto al bancone, alla mia sinistra. Mi guarda, io no. Alle mie sinapsi
gira la testa.
"Io,so,chi,sei. Io...So,chi,sei..." dice il tizio, buttando giù un bicchiere del mio presiozo antidepressivo liquido. Io non lo guardo. Lui continua. "Mmm, sei stato più bravo degli altri. Ok. Devo dire che mi hai fatto... un favore. Un bel fa...vo...re." Il tipo continua. "Sai chi sono io?".
Ahimè, l'avevo riconosciuto. Chi altro poteva andare in giro
truccato così? E poi, quelle cicatrici erano inconfondibili.
"Certo. Tu sei la carta del mazzo...". Joker. Un elemento infimo tra quelli pessimi.
"Ah,eeh,oh,ah... aaaaa. Hai indovinato. Sono,la,carta,del,mazzo. A-haa. Non sei curioso di sapere perché stai
parlando con me?"
"Non mi sembra di stare parlando con te. Anzi, il contrario. E comunque, non so di che parli."
"O-ooooh.... no." Joker mi sottopone la prima pagina
di un giornale.
"Ferire l'intelligenza è segno di stupidità. Volevo
solo conoscere di persona l'autore di questo spettacolo. Un grazie... è dovuto." Brutto bastardo. In quel mondo le voci girano
più veloci dei proiettili. E ne girano di proiettili. Inutile cercare una scappatoia.
Troppo il rischio e troppa l'ubriachezza. Ora non sono in grado
di combattere contro gente così pericolosa.
"E tu che ne sai? Ci conosciamo forse? Non credo... Sono solo l'ennesimo estraneo che
passerà sulla nostra strada e finirà dimenticato..."
"Ho, una proposta... per te."
"No grazie! E' stato un piacere." rispondo immediatamente. Comincio a sentire la mancanza di un'arma da fuoco.
"Mmm. Non dire così. No-o. Io posso esserti utile. In un momento così." Joker batte l'indice sul giornale. "Io,
conosco un sacco diii... persone. Tante persone. Ascolta quello che ho
da dirti. Ritengo di poterti essere... utile. U-ti-le. Se tu sarai
utile a me."
"Ah
si? Ma tu non sai un cazzo. Vieni qui, come se fossimo vecchi amici,
con una proposta per me addirittura. Pensi davvero che sia uno
sprovveduto? Credi davvero che mi fiderò di un... pagliaccio?" Ok. Forse stavo esagerando. Uno dei due tizi si avvicina a me. Dietro la mia spalla destra. Ma lui prosegue.
"Joker...
prego. Conosco le persone come te. E le persone come te, hanno bisogno
delle persone come me. Sei appena entrato nel mondo dei cattivi! Aah..."
"Allora come sai che non ti piazzerò un coltello nella schiena? Sai, ne sono quasi tentato." A queste parole, il tizio di destra mi afferra la spalla e mi urla:
"Ah si? E come farai dopo che io..."
BANG!..
"Ops! Uh-ha-ha-aaa!".
Spaventoso. Velocissimo. Joker aveva tirato fuori un revolver
da chissà dove ed aveva centrato al collo il tizio che mi minacciava violenza.
"Nessuno fa mai quello che gli viene chiesto!"
prosegue. Ops?! Ora il tizio stava morendo a meno di un metro da me ed
io non capivo un cazzo. E cosa voleva dire ops? Mi ero pisciato addosso. Non troppo. Giusto una
goccia. "Tornando a noi... ti vorrei parlare di questa piccola... co-sa."
"Hai intenzione di convincermi con quella?" non ho più saliva.
"Oh-hooo, noo." Joker da la pistola all'altro e gli ordina di portare via il cadavere. Poi continua: "Ascolta.
Ora facciamo un giro. Ti dico quello che ho da dire, tu ascolti, mi
dici cosa ne pensi e... ci dormi su. Poi mi dirai cosa hai deciso.
Se non ti va bene, te ne vai."
"Si? Come se niente fosse? E magari con la promessa che mi lascierai in pace?"
"Posso darti la mia parola. Tanto io non mantengo le promesse. Se non
c'èèèè... convenien-za."
"Tu credi davvero di conoscermi..."
"Io so chi sei... Maggiore Brutal."
Direi che sono abbastanza fottuto. Uno dei criminali più
pericolosi del pianeta vuole parlarmi. Ha ammazzato un suo subordinato
di fronte a me solo per dimostrare chi comanda. Tuttavia è
tutt'altro che insistente. La saggezza mi suggerirebbe di accettare la
sua proposta ed io mi sento molto saggio al momento.
Lo
seguo in macchina fino ad un edificio abbastanza isolato dal resto
della vita. Approposito; Joker ha indovinato. Io sono il Maggiore
Brutal. Maggiore, per la mia lunga carriera militare, terminata
appunto col grado di "Maggiore". Congedato con onore. Inevitabilmente.
Questo spiega la mia abilità non hobbystica con le armi. Brutal
è invece frutto di una semplice assonanza con il mio cognome,
che comunque non vi dirò. Joker aveva fatto i compiti su di
me.
Entriamo e subito il suo sottoposto rimanente sparisce in una scala
che porta nel sotterraneo. Joker si siede ed inzia a parlare. Io mi
siedo il più vicino possibile alla porta.
"Allora.
Come tu ben sai, questo mondo è
popolato di persone che vivono per rendere la vita difficile... ad
altre persone. Grazie a te, ne abbiamo una di meno. Queste persone...
si sono elette come tutori della legge senza che nessuno si potesse...
opporre. Tuttavia, la felicità di qualcuno è
l'infelicità di un'altro. Parecchio tempo fa, quella che
chiameremo simpaticamente come "lega della giustizia" ha deciso per
un'azione drastica. Quello che non sai è che prima che questo
succedesse, esisteva un uomo molto famoso nel nostro... "mondo". Noto
come il "Presidente". Un vero esempio per noi onesti criminali. Ed
anche un amico. L'azione drastica di cui ti parlavo fu quella di farlo
sparire dalla scena. Toglierlo... di mezzo. Brutto affare. Molti di noi
credevano che l'avessero eliminato. Ma io no. Io... no. Quegli stupidi
supereroi sono tanto forti quanto prevedibili. Perché vedi, il
Presidente è una mente davvero... geniale. E non volevano che la
sua genialità andasse sprecata. Molti credevano che
le sue creazioni erano malvage. Ma questo è un punto di vista. Una pistola in un cassetto, non fa male
a nessuno. Ora; mentre tutti si erano rassegnati, io l'ho cercato. Ed
infine, l'ho trovato. Mi segui?"
"Quindi? Non vedo come possa esserti d'aiuto. Se
è davvero pericoloso come dici, sarà sotto stretta
sorveglianza in un caveau, dentro ad un caveau situato nel posto più
sperduto della terra."
"Ci hai preso per metà. Anche io lo pensavo.
Poi mi sono accorto di pensare come un banale criminale. E questo
poteva scoraggiare anche il più testardo dei malviventi."
"La mia domanda rimane..."
"Vedi, non è così nascosto come volevano farci credere."
"A cosa ti servo io allora?"
"Uno con la tua esperienza può essermi utile.
Immagino che... dopo il polverone che hai alzato, anche i tuoi -amici-
superpotenti saranno in stato di allerta. Ed uno come me ti potrebbe
servire. Oppure non riuscirai a finire il tuo capolavoro."
"Ah si? Quindi tu pensi davvero di conoscermi? E cosa credi che voglia fare?"
"Amico...
A-mi-co. Non mentire a te stesso
più di quanto stai facendo a me. Io lo so cosa vuoi. Una persona
normale non rischierebbe tanto se non avesse in mente un'idea
precisa. Vuoi
ucciderli tutti..." Non rispondo. Lui continua.
"Aa-ha... ci ho preso."
"Credi che abbia bisogno di te?"
"Vedi, qui... non c'è molto rispetto per la
vita... umana. E circondarti di persone come 47... no no. Credimi se ti
dico che potresti trovarti una bomba in macchina o un proiettile nel
cranio molto presto, a dare le spalle a certi individui. Stanne certo."
"Credi di essere diverso?"
"Io sono un signore. E finché avrò
bisogno di te e tu di me e non farai niente di stupido, non avrai
problemi. Consideralo come... un segno di riconoscenza per quanto sei
riuscito a fare fin qui. Mi hai levato un bel problema. Ora scusami, ma ho... un impegno." Joker si alza.
"Dimenticavo.
Di sotto c'è... un piccolo regalo per te. Fanne quello che vuoi.
Consideralo... un incentivo alla nostra collaborazione...." Poi
mi invita a seguirlo. Mi dirigo verso il sotterraneo. L'alcool in me
è stato metabolizzato e questo mi permette di procedere con
più
attenzione. Terminate le scale metto mano sulla maniglia e apro. Appena
la serratura scatta sento un urlo. Dentro c'è il sottoposto di
Joker in piedi di fronte ad una sagoma femminile. Ha le mani legate
dietro la schiena ed è sdraiata su un fianco. Spogliata di tutti
i vestiti tranne che per un paio di mutandine. Deve aver subito ore di
maltrattamenti fisici e
morali. Ma questo non mi impedisce di riconoscerla. E' Lois, la
compagna dell'ex uomo d'acciaio. Joker ferma il tirapiedi e fa
ricomporre Lois su una sedia. Lei si dimena, lui la blocca. Cerca di
nascondersi dietro le nude braccia, diventando piccolissima.
"Ecco... la moglie dell'uomo che hai ucciso! E' tutta tua." mi dice. Lois urla:
"Lasciami andare mostro!"
"Mostro?" Joker all'improvviso tira fuori un coltello a farfalla e glielo infila in bocca, premendo su una guancia. "Vuoi
sapere come mi sono fatto queste cicatrici? Mio fratello, era, davvero... un bastardo. Un giorno,
quando eravamo piccoli, stavamo giocando insieme. Io gli facevo delle
smorfie e lui si arrabbiava. Sempre... di... più. Io continuavo. Ad
un certo punto disse: -Basta!-. Io continuavo. -Smettila di fare le
boccacce, altrimenti così ci resti!-. -Non è vero!- ed io
continua-vo. Allora disse: -Vuoi vedere?!-. Prese il coltello del pane,
me lo infilò in bocca e... Zac! -Vuoi vedere?!- ripeteva,
dilaniandomi la faccia."
"Ora basta." dico. Lui mi guarda e la scaraventa a terra.
"E' tutta tua. Hai preso la vita del suo uomo? Ora prendi anche la sua." mi risponde. Fa per andarsene ma lo blocco.
"Io non voglio averci a che fare... dovresti lasciarla andare."
"Fa come vuoi. Ti ha visto in faccia. E comunque... o ci pensi tu, o ci pensa lui." e indicando il suo tirapiedi, sparisce.
Il tirapiedi la picchia ancora un po'. Lo fermo. Nella collutazione lei
sbatte la testa violentemente a terra, svenendo. Il tirapiedi mi guarda:
"Scopiamocela!". Sta per slacciarsi i pantaloni, ma lo spingo via. Lui ride: "Ok ok... è tutta tua. Goditi questa puttana. Sei una stupida puttana vero?"
"Fai il duro con una donna? Una donna svenuta?!" mi sto incazzando.
"Ti sei prostituita con un supereroe eh? Troppo facile..."
sferra un calcio che le avrebbe centrato l'addome, se non lo avessi
fermato. Lo atterro. Gli metto il piede sulla gola. Lui si dimena,
urla, prova a colpirmi con un calcio, ma io sono troppo incazzato per
permetterglielo. Spingo il piede sulla sua gola con forza,
finché non smette di muoversi. Poi lo tengo premuto ancora un po'. Non so se è ancora in
vita, non mi importa. Di certo non chiamerò aiuto. Aiuterò lei.
La sollevo da terra, la porto al piano superiore. La avvolgo con una coperta e mi dirigo in macchina.
"Adesso vieni via con me. Poi si vedrà..."
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Capitolo 3 *** Sufficit diei malitia sua ***
Sufficit diei malitia sua
Quella volta avevo ricevuto della posta. Della posta assurda.
Sufficit diei malitia sua
Ho
portato Lois nell'attrezzatissimo appartamento di Stryker.
Sdraiata su di un letto ora riposa, attaccata ad una flebo di soluzione
salina dentro una stanza che ho comunque chiuso dall'esterno. Per la
sicurezza di entrambi. Non eravamo a casa mia per due motivi: il
secondo, perchè il "covo" di Stryker era un posto sicuro,
relativamente fuori dai
radar e ben fornito di beni di qualsivoglia necessità. Era il
secondo motivo perché lo avevo scoperto solo dopo esserci
entrato. Il primo motivo, era perché avevo ricevuto della posta.
Quel tipo di posta che non credevo possibile. Che avevano molto
invadentemente lasciato su di un tavolo del soggiorno di casa mia,
costringendomi ad una lunghissima e minuziosa perlustrazione degli
interni seguita da una fuga improvvisata. Ed immotivata. Il messaggio
era di Stryker, che mi invitava senza mezzi termini al suo
appartamento. E che mi aveva condotto ad altra posta... quella assurda.
Non pensavo mi potesse succedere. In generale, che potesse succedere
veramente. Però le prime righe erano tanto chiare quanto
improbabili. Eppure vere. E pesanti. E ridicole. E tante altre cose. E
facevano così:
-Quando leggerai questa lettera, probabilmente sarò morto.-
E ci sono un sacco di cose che non hanno senso. Perché, vi confesso, non l'ho mai capito.
Quando qualcuno si prende la briga di lasciare un messaggio del genere
mi lascia sempre basito. Perché si aspetta quanto scrive. Ma
allora perché non fa qualcosa? Qualsiasi cosa? Scappare,
nascondersi. Aspettare in una stanza senza finestre e con una sola
porta, seduto dentro un carro armato pronto a fare fuoco al minimo
presagio di pericolo. Perché no? Eppure quando sento una
cosa del genere, mi aspetto sempre che non menta. Il mittente sa che quando il
destinatario leggerà, la profezia si sarà avverata.
Eppure, niente colpevole, niente movente. Che so: è stato il
Reverendo Green, in biblioteca con la spranga di ferro. No. Solo un
-probabilmente- che suona come un garbato eufemismo di -certo-.
Invece no. Una lettera. Tutto qui. Che parla più di me che
d'altro. Già. Perchè il fu William Striker mi aveva
lasciato qualcosa.
-Ultimamente mi sono dedicato ad un lavoro. Un
lavoro di cui nessuno sa niente. Nella cassaforte al primo livello
interrato ho lasciato una cosa per te. La combinazione è "l'anno
più bello della vostra vita". Scusa se mi sono permesso, ma
è della massima importanza. Dentro troverai una cosa che sono
certo ti aiuterà. Segui alla lettera le istruzioni. E forse ne
uscirà qualcosa di buono in tutto questo.-
Ne dubito vecchio amico. Non è nei piani di nessuno.
Lois dorme ancora. La stanza è chiusa. Il perimetro sotto
controllo, il frigorifero pieno e l'allarme inserito. Ora cerchiamo la cassaforte. Cosa
potrà avermi lasciato? Una rendita immobiliare? Titoli al
portatore? Lingotti d'oro? Che cosa? Un'altra arma tecnologicamente
avanzata? Dovevo crederci se diceva che poteva essermi d'aiuto. La
domanda era: in che modo? A fare cosa?
Sono davanti alla cassaforte. Digito i quattro numeri sul tastierino numerico che spicca sulla cassaforte e
subito qualcosa al suo interno si da da fare. Dei meccanismi lavorano,
qualcosa gira su se stesso ed infine, la pesante anta di metallo
si apre.
Al suo interno, una cartelletta delle dimensioni di un A4 riposa sopra
ad uno strano contenitore metallico. La cartelletta contiene un
solo foglio. Lo leggo. Breve, ma conciso. Fa così:
Ti troverai di fronte ad un contenitore di metallo nero, diviso in tre
alloggiamenti. Si tratta di un farmaco sperimentale dell'esercito,
studiato per aumentare le prestazioni dei soldati sul campo. E' un
esperimento portato avanti con la massima segretezza. Il farmaco si
trova dentro tre recipienti chiusi ermeticamente in un
liquido refrigerante e così dovrà rimanere fino al suo utilizzo.
Segui le mie istruzioni alla lettera, qualora tu voglia usufruirne. E'
molto importante, al fine di non compromettere la tua salute fisica.
Tuttavia, il procedimento è relativamente semplice.
I coperchi sono contrassegnati da numeri romani indicanti l'ordine da
seguire nella somministrazione. Il farmaco si trova stipato in fiale
dentro siringhe a pistola, immerse in un liquido che ne conserva le
proprietà.
Importante: Procedi all'estrazione SOLO nel momento immediatamente
precedente alla somministrazione. Una volta aperti i vani, hai solo un
minuto per l'iniezione, trascorso il quale il siero perderà la
sua efficacia. I benefici superano di gran lunga gli svantaggi e credo
ti potrà servire ad affrontare il percorso che hai davanti.
Siero 96X402 "Essere umano 2.0. -Homo Bellator-"
-Istruzioni per l'uso- Somministrare in ambiente controllato.
_Fase 1:
Aprire il primo coperchio (numero romano I). Estrarre la siringa ed
iniettare il farmaco nel braccio all'altezza di un tricipite (intramuscolare).
Accertarsi che la fiala sia completamente vuota. La fase 1 agisce sul
sistema muscolo-scheletrico, incrementando la massa muscolare tramite
sollecitazione dei tessuti ed irrobustendo la compatezza ossea del
soggetto. Durata trattamento: 96 ore (quattro giorni). Trascorsi i
quattro giorni è obbligatorio passare alla fase 2.
_Fase 2:
Aprire il secondo coperchio (numero romano II). Estrarre
la
siringa ed iniettare il farmaco nel braccio all'altezza di
un tricipite (intramuscolare). Accertarsi che la fiala sia completamente vuota. La
fase 2 implementa la fase 1 agendo sul sistema nervoso centrale e
periferico, aumentando la velocità della conduzione nervosa e la
risposta agli stimoli. Significativo intervento sul sistema immunitario. Durata
trattamento: minimo 96 ore (quattro giorni). Trascorsi i quattro giorni è necessario passare alla fase 3
_Fase 3:
Aprire il terzo coperchio (numero romano III). Estrarre
la
siringa ed iniettare il farmaco nel braccio all'altezza di
un tricipite (intramuscolare). Accertarsi che la fiala sia completamente vuota. La
fase 3 equilibra i sintomi manifestatisi in seguito alle
somministrazioni precedenti. Conclusione trattamento. La fase 3
determina l'assoluta cessazione degli effetti collaterali senza
compromettere in alcun modo gli effetti benefici finali del
trattamento.
_Benefici ed effetti collaterali:
n.b: i seguenti effetti collaterali sono da intendersi come soggettivi.
Fase 1: aumento della forza fisica, incremento agilità,
resistenza allo sforzo. Migliorata capacità di recupero e
resistenza agli urti.
Fase 2: Incremento delle capacità cognitive, riflessi, percezione
dello spazio. Rigenerazione dei tessuti migliorata. Immunità dalle malattie conosciute.
Bene bene, ecco svelato il mistero. Qualunque cosa sia, credo possa
essermi d'aiuto. E se è come descritto, non credo che
avrò problemi a seguire il procedimento. Nel complesso, non
dovrebbe portarmi via più di otto giorni. Perciò è
meglio iniziare subito. Ci ho pensato, mi fidavo di Stryker. E poi,
questa è "roba" destinata all'esercito, ed io ero nell'esercito.
Potrei avere a che fare con gente discutibile e, tutto sommato, i
benefici elencati mi torneranno utili.
Numero romano I, apro il coperchio. Subito esce del fumo, prodotto dal
liquido refrigerante. Immersa c'è una piccola fiala
inserita in una siringa. Inserisco l'ago nel mio braccio sinistro,
all'altezza del tricipite, come da istruzioni. Premo l'equivalente dello
stantuffo e la fiala si svuota velocemente. Fase 1, completata.
E passata un'ora e per il momento nulla è cambiato. Nessun
sintomo, nessun effetto, desiderato o meno. Sono esattamente come
un'ora fa. Ma Lois si è svegliata. Si è strappata la
flebo ed ha iniziato a picchiare contro la porta, cercando invano di
aprirla. Non ho pensato di legarla, quindi dovrò farlo adesso.
Non appena apro la porta lei cerca di scappare. L'afferro. Lei
scalcia, si dimena, urla. Non la sentirà nessuno, siamo
sottoterra in un ambiente pressochè insonorizzato. Riesco
finalmente a rimetterla sul letto senza farle più male del
dovuto e per evitare altre complicazioni, le ammanetto il polso
sinistro alla testiera. Il letto è imbullonato al pavimento.
Forse qualcuno lo aveva già usato per scopi uguali o simili. Le
dico che le dovrei rimettere la flebo, ma lei risponde in modo poco
cortese. Allora le spiego che le sarebbe d'aiuto e lei mi risponde di
nuovo a tono, dicendomi di infilarmela dove di solito è uso
chiedere a coloro che non ci stanno troppo simpatici. In effetti,
l'ultima cosa che mi renderebbe credibile dopo averla ammanettata, e
preoccuparmi di porgerle aiuto. Avvicino un tavolino al suo letto per
poterci appoggiare qualcosa da mangiare, in modo che lei possa
arrivarci con il braccio libero.
-Dovresti mangiare qualcosa, devi recuperare
energie.- Lei non risponde, non fa niente e non mi guarda. Provo ad
insistere. -E' meglio se mangi qualcosa, ti rimetterai più in
fretta.- Niente. Altro fallimento. Non demordo. -Senti, mangia pure.
Non pensare di dovermi qualcosa, approfittane e basta. Puoi mangiare davanti a me
anche senza parlare... i miei lo facevano sempre.-
Lois finalmente addenta un boccone. E' affamata e stremata. Beve un bicchiere e poi mi guarda.
-Mi rimetterò più in fretta dici?! E
per andare dove?! So benissimo che non andrò più da nessuna parte.-
-Io non c'entro niente con quello che ti è successo.-
-Come no. Pensi che io ti creda?!-
-Si. Io sono quello che ti ha portato via da quell'inferno...-
-Immagino per finire l'opera.-
-Tu non eri prevista. E mi dispiace che sia andata
diversamente. Ma ripeto: non è stata una mia decisione. E non ho
intenzione di finire nessun opera. Non sei mia prigionera.-
-E queste manette? Come le spieghi?-
-Per la tua incolumità. Sapevo che avresti
reagito male e non volevo complicazioni. Sei libera di andare. Ti
consiglio di aspettare qualche giorno, quando ti sarai ripresa. Hai
bisogno di essere in forze, ti servirà.-
-Mi servirà?-
-Per scappare. Lontano. E senza voltarti indietro. Non sei più al sicuro qui.-
-Adesso mi dai anche consigli?-
-Io non voglio farti del male...-
Lois improvvisamente si blocca. Appoggia il gomito destro sul tavolo e prima di prendersi la fronte mi dice: -Troppo tardi.-
Già. Troppo tardi. Se lo ricorda. Lo ha capito. Glielo hanno
detto. Sono responsabile, e parecchio. Clark. Eppure non so, non
piange. Cioè, si, piange. Ma non come ci si aspetterebbe da
colei che ha appena perso ciò che aveva di più
importante nella vita. Non urla, non maledice il mio nome. Non ha aperto i
rubinetti in un pianto fragoroso, no. E' più che altro un
singhiozzo.
-Hai ragione,- dico -te ne ho già fatto. Non ho intenzione di fartene dell'altro. Non fisico almeno. Mi dispiace
che tu soffra, ma non per tuo marito.-
Lois si asciuga le lacrime e con voce ancora temolante: -Non era mio
marito.- Ora addenta un nuovo boccone. -Perchè l'hai fatto...-
-E' complicato. Ma andava fatto.-
-Immagino cosa ci possa essere di complicato nella follia...-
-Mi chiedo da cosa scaturisca questa deduzione.-
-Ma dico, scherziamo? La cosa non è in discussione...-
-Ah si? E cos'è la follia?-
-La follia è quando un pazzo decide di
togliere la vita alla persona più amata di questo mondo.-
-Quello è omicidio. No... te lo dico io
cos'è la follia. La follia è ripetere sempre la stessa
azione ed aspettarsi un risultato diverso. E questo, è
il motivo per cui ci troviamo in questa situazione.-
-Immagino che il mondo ti ringrazierà.-
-Il mondo fa schifo. E scommetto che lo sapeva anche
lui. E la gente non può sempre contare sugli altri per risolvere
i propri problemi. Non funziona così il "mondo" che tanto vi va
a genio. Pensando che le cose si sistemeranno, da sole... forse, prima o poi. Se non fai
parte della soluzione, fai parte del problema.-
-E tu giudicavi Clark, un problema?-
-Non lui. La sua immagine. La sua e quella di tutti
i suoi "amici". Ora dormi. Non mi va più di parlarne.-
-No no aspetta- continua lei -Cosa sarebbe questa? Invidia, gelosia?-
-Non ci siamo capiti. La guardi dal punto sbagliato. Ora dormi.-
-Sei patetico. Tutto perchè ti sei svegliato ed hai capito di non essere alla sua altezza.-
Questa donna è ostinata e non sente ragione. Provo di nuovo a farglielo capire.
-Cosa si prova ad essere la fidanzata di Superman?-
Lei ammutolisce. Finalmente. Smette di mangiare, di parlare... di fare
qualsiasi cosa. L'ha capita. Mi avvicino, le ripeto di dormire. Le levo
le manette e lei rimane sul letto. Sembra stordita. Me ne vado,
chiudendo la porta a chiave dietro di me.
Immagino che sia difficile
condividere una relazione con il resto del
mondo. Ma a differenza di ogni relazione, lui era di tutti, non solo di
lei. All'inizio potrà sembrare uno spasso, poteva farla
camminare fiera. "Ehi, quella si porta a letto Superman!" Ma a me non
sembra divertente. Sei a cena e c'è un incendio? Lui deve
correre a salvare il mondo. E' il vostro anniversario è
c'è una rapina? Lui deve correre a salvare il mondo. Cazzo ma
pompieri e polizia?!
State
facendo sesso e un aereo viene dirottato? Non so se il mondo se lo
meriti davvero. Non si può amare con tutta questa incostanza. La
cosa che aveva maggior bisogno di essere salvata era proprio sotto ai
suoi occhi.
Sono nel letto, ma non riesco a
dormire. L'orologio mi dice che sono quasi due ore che ci provo. La
cosa mi sta facendo incazzare, così mi alzo. Viaggio per il
piano, ispeziono l'appartamento. Sembra un bunker addolcito ad
abitazione, anche se per certi versi ne conservava l'aspetto. Come
una stanza adibita a prigione per la detenzione di ospiti, ed una
sala ben fornita di armi. Dove riposano il mio fucile e la mia spada.
Vago ancora un po', finendo per passare davanti alla "stanza" di Lois.
Sento uno strano rumore provenire dall'interno. Un verso. Apro la
feritoia per sbiriciare cosa stesse succedendo. E ne ho la conferma:
quel verso era un conato di vomito. Lois sta rigettando dentro la tazza
di metallo in un angolo della cella. Decido di entrare per farle una
domanda del cazzo.
-Stai bene?-
-Secondo te?- mi risponde.
-So che è una domanda inutile, ma intendevo se hai qualche dolore.-
-Sto bene...- sibila, prima di voltarsi e prodursi in un'altra "gettata"
-Lo vedo.- mi avvicino. Prendo un fazzoletto e glielo porgo. Lei lo accetta come se non gli importasse molto da chi venisse. -Hai bisogno di qualche medicina in particolare?- continuo.
-No. Ti è tornata la voglia di parlare? Non avevi sonno?-
-Non riesco a dormire.-
-I sensi di colpa fanno quest'effetto. Ormai devi conviverci.-
-Fanno anche vomitare, a volte...-
Lei d'un tratto si rannichia su se
stessa, per terra, nell'angolo della stanza. E' seduta con le ginocchia
vicino al petto, chiudendo le braccia davanti e facendo affondare la
testa nel ventre, coperta dalla folta chioma castana. Dentro a
quell'angusto spazio che si è creata come unica difesa da
me, piano, comincia a piangere. Singhiozza piano, come se non volesse
farsi sentire da me, o come se non volesse attribuire verità a
tutto quello che le era successo, e che le stava ancora succedendo.
Provo a stabilre una conversazione, ma non c'è verso. Non
risponde e non parla più di niente. Rimane solo lì,
ferma, nel suo guscio. Non posso fare niente. Me ne vado.
Ritorno nel
letto, cerco di rimettere la testa sul cuscino ma qualcosa inizia a
squillare. Arriva dal mio cappotto. Sembra un cellulare, ma devo dire
che è assurdo, perchè io non ho un cellulare. Me ne sono
sbarazzato da tempo. Eppure, il mio cappotto squilla. Mi avvicino e
dalla sua tasca sinistra, con sommo stupore, ne estraggo un cellulare.
Un piccolo smart-phone che si illumina e che sullo schermo riflette
l'immagine di un Jolly, tipico del mazzo di carte.
-Sei un esaltato del cazzo.- dico rispondendo prima dell'interlocutore.
-Teatrale, ami-co...-
Quell'esaltato di Joker mi aveva piazzato addosso un cellulare chissà come, ed ora mi chiamava.
-Hai pensato alla mia, offerta?-
-A dire il vero, avrei bisogno di pìù dettagli.-
-Tra mezz'ora, al segnale.- e conclude la comunicazione.
Quale cazzo di segnale, sto pensando,
quando sul cellulare si attiva una sorta di navigatore che mi indica le
coordinare da seguire. Ho solo una parola: Esaltato.
Vado dove mi porta il segnale. Ovviamente, non disarmato. Con me ho una
pistola, una M9 nascosta in una fondina sotto il cappotto e la mia
spada, non nascosta, in un fodero cucito nel cappotto che poggia sulla
mia schiena. Sapete com'è: fidarsi è bene, non fidarsi,
può farti tornare a casa. Il posto non è nè vicino
nè lontano, decido di andarci in moto. Anche se più
pericolosa, può rendere anche più veloce un'eventuale fuga.
In un attimo percorro la distanza che mi separa dal luogo di ritrovo, in cui trovo ad attendermi, tra altra gente, Joker.
-Giusto in tempo...- mi accoglie -ma, e quella?- chiede, indicando la mia schiena.
-Teatrale, ami-co...- cerco di ricordargli.
-Oooh... Non siamo qui per combattere. Non ancora-
-Casomai a qualcuno venissero strane idee...-
-Stasera non ce le facciamo venire strane idee. Ma, proprio, no.-
-Allora? Che ci faccio qui?-
Joker mi spiega. Mi spiega che tra otto giorni ci sarà il
funerale pubblico di Clark. E che questo attirerà, ed in gran numero,
tutta la forza che la legge ha dalla sua parte.
-Quindi? Li vuoi colpire tutti insieme quel giorno? Ti vuoi suicidare per caso?- chiedo.
Joker, dopo avermi guardato storto, (o forse è il suo sguardo naturale, non saprei) mi confida invece che quello
è il giorno perfetto per agire su un altro fronte. Il fronte
"Presidente". Tutta l'attenzione rivolta alle ventuno salve di saluto in memoria di
Clark, permetteva di agire con maggiore discrezione.
Ubicazione? Sorveglianza? Dettagli dell'edificio? Joker stava
rispondendo a tutte le domande che gli ponevo. Sembrava aver studiato
il tutto con molta attenzione. Sapeva dove. Sapeva che la
sorveglianza sarebbe stata affidata a normali esseri umani, coadiuvati
però, da un paio di droni delle Stark Industries. E questo non era bene. Per quanto riguardava la
conformazione dell'edificio mi aveva detto che avrebbe aspettato
più tempo possibile. Alla mia richiesta di spiegazioni, risponde:
-Se non vuoi attirare pesci più grossi, non agitare le acque.-
-E come farai ad ottenere quel tipo d'informazioni?-
A questa domanda, Joker fa segno ad una persona di venirci incontro.
-Vedi, so chi è una delle guardie. E le ho
messo una persona... alle, costole. Se così possiamo chiamarle. Una persona che non definirei...
ordinaria.-
Dal fitto buio di quello scorcio d'isolato esce una ragazza. E subito capisco cosa intendeva con "non ordinaria".
-Wow...- dico. Perchè i miei occhi si posano
sopra qualcosa di straordinariamente attraente. Qualche decina di metri
fuori dal comune. Facciamo anche qualche centinaia. Se mi chiedessero
di descriverla in poche parole, non ce la farei. Ci proverò.
Carnagione olivastra, lunghi capelli scuri, occhi di ghiaccio, un metro
e settantacinque molto ben proporzionato, lineamenti docili, ma sguardo deciso, tanto da
chiedermi se non dovessi salvarla dall'essere abietto che le sta
accanto, oppure viceversa. Lei invece mi sorride, nonostante Joker,
facendomi capire in
che modo avrebbe persuaso la guardia a farsi dare delle informazioni.
Lei forse poteva anche badare alle sue costole, ma di certo lui si
sarebbe concentrato altrove.
-Terrorismo... del futuro. Colpiamo dove
l'uomo è più... vulnerabile. Permettimi di presentarti... Katrin.-
Katrin. In buona fede, pochi le avrebbero resistito.
Ed infine, la preda si sarebbe convinta che quella che si stava mettendo al collo, era solamente una cravatta.
Come diavoli... vestiti da angeli.
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Capitolo 4 *** Una legge degli eroi e... ***
Quarto
Credo che il tempo sia utile solo a farci capire quanto siamo arrivati tardi.
Una legge degli Eroi e...
Terrorismo del futuro. Colpiamo l'uomo dove è più vulnerabile.
Joker... Che figlio di madre nubile. In un'altra circostanza, l'avrei
anche potuto definire un genio. Ma non c'è un'altra
circostanza. Quindi...
Sono appena tornato nell'appartamento di Stryker, che per
comodità da ora chiamerò "casa mia". Penso a quel gran pezzo d'arte umana
di Katrin, e di come mi sono incazzato quando, in seconda media, quella
stronza della mia "fidanzatina" mi ha mentito, lasciandomi per un amico. Ora che ci penso, ci sono menzogne peggiori. La
cosa mi da da pensare: Fiducia non è altro che il nome che diamo all'illusione che ci sta rendendo felici.
Lois è ancora nella sua "cella". Ha appena finito di mangiare ed
io, sto facendo un po' di zapping giornalistico. In tv, la solita litania, come su
internet. Il mondo ha preso un revolver e se lo è messo in
bocca. Prima o poi, uscirà il numero giusto sulla "roulette".
E' tempo di fare piani. Bisogna pensare ad un sacco di cose. Ma prima, devo
aspettare che Joker si faccia sentire con qualche informazione che possa definirsi decente.
Prenderò parte alla liberazione di questo "Presidente"
perché la cosa ormai, mi ha incuriosito. Se è veramente
così bravo, non vedo l'ora di sapere cosa sa fare.
Passeggio
per la casa, pulisco qualche arma. Ho intenzione di fare un
po' di pratica nel piccolo poligono presente un piano più sotto.
Sto pulendo un grosso revolver, quando vengo interrotto da uno strano
rumore. Lo seguo. Arrivo davanti alla cella di Lois, proviene dal suo
interno. Non mi è nuovo. L'avevo già sentito in
precedenza. Guardo dentro.
Cazzo. Lois sta vomitando. Ancora. Entro nella cella per mettere un po'
d'ordine e vedere come sta.
-Tu non stai bene.-
-Che spirito d'osservazione...- risponde seccata.
-E non credo che non sia niente. Che ti succede?-
-Vattene.- Cerco di tirarla in piedi e accomodarla sul letto ma lei mi urla addosso -Non toccarmi! Vattene!-
Si accascia a
terra e sfocia in un altro pianto, stavolta più forte...
più rabbioso. Ma che succede? Faccio due calcoli, e realizzo.
-Mio Dio... non può essere...-
Lei
piange, ed io
sono uno stronzo. Siamo in due in questa stanza, ed io sono quello che
ci è arrivato per secondo. Ed ora, lei vede i miei meccanismi
mentali mettersi in moto come un vecchio trattore. Due indizi. Ne
voglio un terzo. Mi avvicino e le
metto una mano sulla fronte, poi sulla guancia. In quel momento, lei mi
fissa negli occhi.
E' molto calda, più del normale. E capisce che ho capito. Ma
quando?
Quando è stato? La risposta è ovvia, ed io ho paura che
sia proprio quella. Ma lo devo fare. Lo devo chiedere. Ed il suo
silenzio, pesa ogni secondo di più. Figli di puttana.
-Devi andartene da qui. Appena ti sentirai un po'
meglio, ti porterò via.- le dico, facendola sedere sul letto.
-E per andare dove?- Le note della sua voce suonano ancora di lacrime.
-A casa tua, da un amica. Dove vuoi. Ovunque, ma non
qui. Non puoi più stare, non ti ci voglio.- Lei fissa il fazzoletto che tiene tra le mani.
-Mi hai sentito?!-
-Sai benissimo che non ce la farò la fuori.-
-Non ce la farai?! E perché? La gente ti conosce, troverai chi può darti una mano.-
-Non può.-
-Non può? Non capisco. E le tue amicizie?- dico, enfatizzando l'ultima parola.
-Chi può aiutarmi, non sarà
abbastanza. E chi lo sarebbe, non può farlo. E' così.-
-E così? Cosa?-
-Fa parte della loro legge.-
-Legge?!- ora sono confuso.
-La chiamano legge dello "Scacco Matto"-
Legge dello Scacco Matto. O legge di Banner, da cui ha origine. Cazzo, questi
hanno anche uno statuto adesso? Un eroe non può intervenire
nelle questioni personali di un altro eroe. Questo per mantenere
un profilo oggettivo, evitando falle nel sistema. Non sia mai che qualcuno possa sentirsi eticamente impugnabile...
Detta anche legge di
Banner, per via di Bruce Banner. Il primo ad aver evidenziato, suo
malgrado, il rischio delle relazioni personali, quali familiari e,
soprattutto, fidanzate. Lois, rassettatasi il necessario, inizia a raccontare.
-Anni fa, la ragazza di Bruce, Betty, venne rapita. Lo scopo era quello di usarla come polizza
nella buona riuscita di una rapina in una banca, da parte di
un
gruppo di ladri principianti. Dato il "noto" caratteraccio di Bruce, fu
deciso, di comune accordo, che ad intervenire dovesse essere una
squadra speciale supervisionata da Tony Stark, che mise a disposizione
due delle sue armature speciali. La prima, l'avrebbe pilota lui stesso, che
sarebbe intervenuto direttamente nello scambio mentre l'altra, un
membro della sua squadra, Mike. Doveva essere una passeggiata. Inutile
dire
che le cose non andarono come previsto. Nel momento in cui si sarebbe
dovuto fare lo scambio denaro/Betty, uno dei criminali...- Lois si
ferma. Probabilmente le stanno tornando in mente delle immagini, e questo
la fa titubare. Si porta una mano alla bocca, chiude per qualche istante gli occhi e poi prosegue - uno dei criminali decise che
Mike si era avvicinato troppo. Vedendolo, imbracciò un
lanciarazzi e fece fuoco. Il proiettile centrò in pieno
l'armatura, che venne scaraventata violentemente...- altra pausa, deglutisce
-violentemente verso Betty. Venne centrata in pieno,
finendo schiacciata contro un muro. Per un momento, il mondo si era
fermato. Mike, quando fu in grado di rialzarsi, capì subito la
gravità della situazione. Ma era tropppo tardi. Perché
nel frattempo, Bruce, che si era
sistemato all'esterno del cordone, era già diventato verde. Fu
un
disastro. Se la prese con tutto e tutti. Sbriciolò completamente
l'atrio, sotterrando due dei criminali. Si avvicinò a Betty,
esanime. Con un dito, cercò di smuoverla. Cercò un segno
di vita. Tutto con una dolcezza... innaturale. Ma non c'era più
niente da fare, ed era solo questione di tempo. Poi comprese. Comprese il fatto e si girò nella
direzione di Mike,
a sua volta fermo, impotente. Si guardavano. Bruce, o quello che ne rimaneva sepolto sotto
rabbia e muscoli, allungò un braccio e...- Lois stringe un pugno - lo schiacciò.
Come una lattina. Ne rimase un grumo di metallo e sangue, in un
silenzio surreale. Poi ci fu un urlo terrificante. Ira. Pura. Il terzo
criminale fu investito da un calcinaccio. Penso che non se ne accorse
nemmeno. Infine venne la volta di Tony. Appena capì che era il
prossimo, si levò in volo, allontanando Bruce da vittime
collaterali. Ritrovarono Bruce molti
giorni
dopo, su un'isola molte miglia al largo della costa, disidratato, in fin di
vita. Ci era andato
a morire.-
Ora il silenzio surreale è nella cella. Detto in parole povere, è la legge
"sono cazzi tuoi". A volerlo trovare, un senso lo aveva. Ma era una vera
porcata. Se la regina era sotto scacco, solo il suo re poteva mettersi in
mezzo. La legge dello Scacco Matto.
Passano parecchi secondi di silenzio. Oppure mesi. Non so. Forse era
veramente fottuta. Anche se non è certo che dovessero andare a
cercarla, era comunque un bel sassolino nella scarpa.
-Ti servono cure mediche, un letto decente e anche
cibo decente. Per la prima non posso fare molto, ma posso fornirti le
altre due.-
La sollevo dal letto e la porto fuori dal quel tugurio. Lei mi
guarda. In un'altro frangente avrei detto che fosse stupore, ma
poteva essere qualsiasi cosa. La faccio accomodare in una stanza degna
di tale nome, con un bagno che non sia solo un eufemismo di "buco
nel pavimento". Comincia a farmi pena. Non si merita questo. Nessuno si
merita questo. E la cosa mi fa incazzare. Poi mi ricordo che anche io sono
parte del suo dolore, almeno, fino ad adesso.
Perciò, coinvolgimento ridotto al minimo indispensabile.
La lascio nella sua nuova camera, da sola. Siamo sotto terra, non ci
sono finestre ed ogni accesso all'esterno è subordinato a
tastierini elettronici, sicché nessuna serratura può
muoversi di un millimetro senza una combinazione numerica. E poi, non
sembra aver molta voglia di scappare.
Non so se è per educazione o abitudine, ma le è scappato
anche un grazie. Ridicolo. Forse vuole solo fottermi il cervello.
Il tempo passa. I minuti diventano ore, il sole ha ormai
completato la sua discesa, intenzionato ad atterrare dietro
l'orizzonte. Mi sono fatto una doccia e riflessi nello specchio, non ho visto
grossi cambiamenti nella mia struttura fisica. Nessun effetto
collaterale, buono o cattivo che sia. A parte la stanchezza, dovuta in
gran parte da una giornata al quanto pesante. Mi sdraio nel grande letto a due piazze,
sperando che il sonno possa prendersi un po' cura di me.
Proiettili, proiettili ovunque. Piove metallo, in tutte le direzioni.
L'elicottero sopra di me sta pisciando bossoli sulle nostre teste.
"Andiamo" urlo. La mia squadra si infila nel riparo offerto da un alto
edificio vicino. "Tenente, due uomini. Ripulite il piano".
Il tenente sale le scale. I soldati si sporgono dal riparo
offerto dall'angolo. Seguono spari. "Libero, maggiore". Prendiamo il
controllo del piano. "Voi qui. Supporto. Johnson, Barry, con me." I
soldati mi seguono al piano superiore. Pulito. Sto per ordinare di
ricongiursi al resto della squadra ma un soffitto crolla. Di colpo mi
ritrovo solo. Un tizio mi corre incontro, brandendo una spranga di ferro
come arma impropria. Cerca di colpirmi. Mi difendo. Evito i fendenti,
mi riparo con una sedia che va in pezzi. Il tizio sferra un calcio.
Barcollo. Mi appende al muro con quel ferro, cerca di strozzarmi. Lo
sento, sotto il collo, mi da fastidio. E'... è freddo. Cerco di levarlo, ma
cos'è? Cerco di toccarmi la gola, poi sento una voce:
-Fermo.-
Sussulto, non poco. Ma vengo bloccato. C'è la canna di una 357
sotto il mio mento, che prosegue nel calcio, stretto forte in una mano
delicata. Il mio sguardo segue il braccio fino ad arrivare ad un volto.
Lois. Mi sembrava già tutto assurdo, ma ora capisco di non stare
più sognando. La sensazione è reale, il metallo, freddo.
E' sdraiata accanto a me, sul fianco sinistro e con la mano destra
tiene saldamente la pistola sotto il mio mento. Il suo dito è
solamente appoggiato, al grilletto. Per ora.
-Cosa si prova?- mi sussurra.
-Cosa vuoi fare?- le chiedo, come se servisse
chiedere le intenzioni a qualcuno che ti ha spianato una pistola sotto il mento.
-Voglio liberare il mondo dall'erba cattiva. Come fai tu.-
-Molto nobile. Ma sei sicura che quella pistola sia carica?-
-Credi che non sappia usare una pistola?-
-Non è così facile come sembra. Non basta vederlo fare...-
-Allora pensi sia una messa in scena...-
-Beh, potrebbe ess...-
Lois esplode un colpo. A farne le spese, il cuscino sotto la mia testa. E' decisamente carica.
-Cazzo...- piano
piano, il silenzio torna a
sostituirsi all'unico fischio che mi aveva trapanato l'orecchio per
qualche secondo. Lei riporta la canna sulla mia gola, ustionandomi la
pelle. Ed io sono pazzo. Al mio fianco c'è una donna che ha
tutte le ragioni per odiarmi. Ed ha una pistola. Da quella distanza
potrebbe tranquillamente trasformare la mia faccia in un Picasso. Ed io
penso a tutto,
tranne che a quello che mi potrebbe succedere. C'è una donna al
mio fianco. Non un soldato, nemmeno un sicario. Una donna. Una bella
donna, ammettiamolo. Una bella donna che non dovrebbe pensare quello a
cui sta pensando. Non dovrebbe fare quello che sta facendo. Una bella
donna, a cui il caso ha fatto un bello sgambetto. E' incredibile vedere
fino a dove ci si può spingere, quando si è costretti in
un angolo.
-Ora mi credi?-
-Hai vinto. Allora... Facciamola finita.-
-Come?-
-Premi il grilletto. La pistola farà il resto.-
-Vuoi farmi credere di non aver paura di morire?- Lois spinge ancora un po' contro la mia trachea. La sua voce vibra di rabbia.
-Tutti hanno
paura di morire. Per quanto possano fare i duri, dentro saranno sempre
come bambini sperduti nella notte. Differentemente, io non ti faccio
perdere tempo. Mi sono già guadagnato un posto all'inferno. Andiamo. Non è facile come uccidere un sacchetto
di piume, ma la vendetta è l'unico movente che sappiamo
perdonarci.-
-Prima voglio sapere come hai fatto.- il mio sguardo chiede cosa -Come lo hai ucciso.-
-Ma come, non lo hai visto?-
-Sarei
così sadica? Non mi hanno fatto avvicinare. L'ho guardato solo mentre
lo portavano via, da dietro una transenna...-
-Ma... credev...-
-Dimmelo!- urla. Dal suo occhio sinistro scende una lacrima. -Dimmelo...- ora quasi sottovoce.
-Gli ho sparato. Un proiettile fatto di roccia verde. Nella spalla. Poi...- lei mi guarda. Vuole il resto. -...poi, una spada, nel petto.- La lacrima le solca lo zigomo, giù per la guancia, cadendo sul mio collo.
-Perché lo hai fatto.-
-Perché dovevo.-
-Non è un motivo.-
-Lo è. E' la mia guerra.- Lois
mi guarda ancora. Con il pollice alza il cane. Sembra volermi dare
un'altra possibiltà per rispondere. Poi stringe con forza la
pistola. Appoggia l'indice sul grilletto. E si... lo preme.
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Capitolo 5 *** ...una legge degli uomini ***
una legge degli uomini
Dicono
che quando stai per morire, all'improvviso ti passa tutta la vita
davanti. Ma non credo sia vero. O meglio, potrebbe essere, ma io penso
che sia più o meno simile allo svegliarsi da un sogno. Ti
passano davanti una serie di fatti allucinanti, sensa senso, casuali.
Momenti, che finirai per dimenticare molto presto. Per quanto ci
provi. Ed allora, forse, non te ne accorgi nemmeno.
...una legge degli uomini.
C'è una pistola sotto al mio mento. Sotto la testa, sotto
rabbia, sotto cause ed effetti. Sotto tante cose. E c'è un dito
sopra ad un grilletto, che si fa sempre più pesante. Un dito
sopra la vita. Sopra ad un proiettile che sa di vendetta, che ha tutta
l'intenzione di incontrarsi con l'aria aperta appena fuori dalla canna,
e magari oltre. Magari sotto al mio mento.
Il grilletto cede sotto la pressione di un indice impalpabile, ed un
clac sinistro spacca quel silenzio lasciato in eredità da una
serie di circostanze che vede due persone unite solo dalle
estremità opposte di una pistola.
Torna il silenzio, le immagini restano. E' l'inferno questo? Forse il
diavolo mi vuole costringere a rivivere l'istante della mia morte
in un'eterna tortura senza fiamme. O forse, la pistola non ha sparato.
Le immagini tornano a scorrere. Un braccio si ritrae ed il revolver
sparisce. Lois si lascia cadere distesa sulla schiena, al mio fianco.
-Volevo farti capire cosa si prova.-
Mi sollevo su un lato. Mi allungo abbastanza da raggiungere la pistola e
levargliela di mano. Non oppone resistenza. Apro il tamburo e osservo: non
ci sono proiettili. C'è solo il bossolo di quel colpo esploso intenzionalmente oltre
le mie orecchie, ruotato ad est nord/est rispetto all'orizzonte del mirino. Ma
nient'altro. Chiudo e riprendo posto nel letto. Con un
leggero sospiro di sollievo ed una valanga di dubbi.
-Cos'era questo?- siamo sdraiati uno a fianco dell'altra, guardando l'ossigeno di fronte a noi.
-Volevo solo farti capire...- lasciando sfumare il concetto
-Cosa? Cosa si prova quando uno pensa di morire? Io sono un soldato...-
-Capire cosa si prova quando qualcuno sta per portarti via tutto quello che hai.-
Rifletto un attimo. Forse vuole farmela pagare, forse ha voluto solo
spaventarmi. Forse nella speranza che io possa redimermi. Ma c'è
sempre questo grosso "forse" davanti.
-Dovevi andare fino in fondo...-
-Ancora con questa retorica dell'uomo senza paura?-
-No. Ma solo in quel modo avresti cambiato le cose.-
-Te l'ho detto. Volevo solo che vedessi la cosa dal mio punto di vista.-
-Credimi, io lo so bene. E non quando provano a
farlo...- la guardo, aspetto di avere la sua attenzione -ma quando
qualcuno lo fa e basta.-
Vola qualche attimo di silenzio in una stanza pressochè buia. C'è
una specie di lampadario rettangolare sul soffitto. Brilla di una fosforescenza
sbiadita, dando alla stanza un'illuminazione soffusa che permette
appena di distinguere sagome e contorni. Siamo sempre
sdraiati nello stesso letto, in una situazione abbastanza surreale.
Prima ha cercato di uccidermi, poi di spaventarmi ed ora, sta
lì. Come se non gliene importasse niente.
-Parli di quando hai perso il tuo migliore amico in battaglia? O la tua squadra?- è un tono che punisce banalità, quello che sento.
Rifletto per pochi secondi, che sanno di ore nella mia mente. Non erano
migliori amici, ma erano amici. Qualcuno se ne è andato,
qualcuno non così in fretta come per chi gli stringeva la mano
sepolto sotto fango e sangue. E' la guerra. Non c'è gioia. Ma
Lois sottointende che sia un fanatico. Uno schizzoide da manuale del
piccolo psichiatra, che leso da qualche violenza cerca di "farsi
suicidare". Io non sono questo. Ed allora le dico di cosa parlo.
-No. Parlo di quando ti viene portata via la persona che hai giurato di amare per tutta la vita di fronte a Dio.-
Voglio alzarmi, ma lei mi blocca. Mi afferra per un braccio
-Mi vuoi dire che eri sposato?- nella sua voce ora, incredulità.
-Oh... molto di più.- sottolineo.
-Dovrei crederti?-
Lois passa dall'indifferenza all'interesse. A quanto pare però, non
vuole credermi. Allora, metto una mano dentro il collo della mia maglietta, scorro
lungo la catenina che porto al collo e afferro una cosa. Quella cosa
che dopo anni, mi fa ancora battere forte il cuore di un vicino dolore e di una
gioia lontana. Dunque, esco dalla maglietta e gliela mostro.
-Quella è...- dice Lois, scrutando il palmo della mia mano -una fede?- la sfiora con un dito.
-Già. Vedi, io so bene cosa vuol dire.
Più di molta gente.- il ricordo dentro di me ritorna nitido.
Non so dirvi perché, o in che modo, ma Lois cambia. Parla.
-Quanto è passato?-
-Non abbastanza.-
-Cosa è successo?- Lois vuole sapere.
-Hai già capito cosa è successo.-
-Mi stai solo raccontando balle...-
-E' la verita!- urlo. Lei si spaventa. Dopo un istante di agitazione mi calmo. Riprendo posizione nel letto, mi sdraio,
con lei accanto, in questo panorama davvero surreale.
-Mia moglie, Laura, era una donna fantastica. Era tutto
ciò che potessi desiderare. Vedi, amava la vita. Sorrideva
sempre. Era una persona buona, dolcissima, ben voluta da tutti.
Insegnava in una scuola materna, adorava i bambini. Ma soprattutto, non
c'era cosa che amava più del suo bambino... del nostro bambino.-
Lois intuisce a cosa mi riferivo con quel "molto di più". -Martin. Ed era la madre
migliore al mondo. L'ho sempre saputo. Mi aveva detto subito che non poteva vedere il suo futuro
realizzarsi senza un figlio. Per lei c'era solo questo. E vedi, il suo
entusiasmo, questa sua voglia di vivere, aveva convertito anche a me,
uno che non è mai stato fortunato in questo. Tanto che non avevo più paura di dirlo: ero
felice. Ed è stato magnifico. Il nostro bambino cresceva, forte.
E come tutti, era innamorato di questi supereroi, che guardava con
occhi pieni di ammirazione. Uno in particolare... ti lascio indovinare
chi era.- Lois capisce -E che anche io guardavo, così. Uno
come me, che sapeva quanto fosse doloroso quel mondo, era stato
abbagliato dalla luce di questi esseri sovraumani. Aveva nove anni.-
faccio una pausa. Dal mio sguardo Lois capisce che il discorso sta
cambiando. -In
quel periodo ero d'istanza in una base militare, col compito di istruire
delle reclute. Io, una persona qualunque. Uno che non ha mai chiesto
più di quanto avesse già. Poi arriva una telefonata.
"Un'elicottero sta venendo a prenderti". E' uno scherzo questo? Ma
l'elicottero arriva veramente, mi carica. Nessuno parla. Un tizio mi
dice "Tuo figlio, ha avuto un incidente". Non ricordo nemmeno che
faccia avesse. Mi lasciano davanti ad un ospedale, mi fanno correre verso
una stanza. Davanti trovo mia moglie avvolta in una statua di sale. Un
altro tizio esce dalla sala, si leva la cuffia. Abbassa la testa. Mi
dicono che mio figlio non ce l'ha fatta. Ehi, che cosa non ha fatto? Poi
mi trascinano davanti ad un tavolo, come un burattino. Mia moglie versa
abbastanza lacrime per quattro vite su un corpo che non appartiene
più a mio figlio. Vivere, ecco cosa non ha fatto. La testa comincia ad andarsene dove vuole.
Vomito. Questa è la realtà: prendere o cazzi tuoi. Un momento. Mi
guadagno da vivere facendomi il culo per il mio paese, ho sempre
rispettato i limiti. Cos'è questa storia che mi ammazzano il
figlio? Conducono mia moglie fuori. Non parla. La guardo, ma il suo
sguardo è vuoto. E' basso, distrutto, sfregato. Mi
ritrovo a casa, in una casa che parla solo di dolore. Una
moglie fatta di pietra. L'abbraccio, ma è come abbracciare
un manichino senza vita. Dice una parola, "perché". Poi,
sconfitta dalla realtà, piange. Piange sul mio petto. La mia
mano sulla sua testa le dice che ci sono. Ma dice anche che quello che
ci hanno tolto non ritornerà. Va nella stanza di Martin,
sul suo letto, si sdraia. E lì rimane.-
Il ricordo mi ha sconfitto. Ha vinto. Ma non è stato uno scontro
leale. Nessuno scontro è leale. I ricordi vincono sempre. La
voce di Lois defibrilla la mia mente, riportandomi nel presente.
-Come?- chiedo
-Non è tutto, vero?-
-Cosa intendi...-
-Tua moglie...- quasi mangiandosi le parole.
-Diceva sempre "Lo sai, vero?". Mi guardava e
ripeteva. "Lo sai?". Non c'era bisogno di dirlo. Mi amava, lo sapevo.
Ma alla fine non ce l'ha fatta.-
-Mio Dio... non dirai che...- Lois forse capisce.
-Si è suicidata.-
Lois aveva capito. Il dolore era troppo forte. Ed a mio avviso, il
suicidio non è voglia di morire, ma impossibilità di
vivere.
Il silenzio è di piombo ora. Ed ha colori scuri, come la sagoma
di lei che mi è accanto, in una sorta di stallo emotivo, in una
malriposta sindrome di Stoccolma.
Non mi piace. Da quando era successo, non ne avevo mai parlato. E forse non dovevo. Ma è quanto. Il mio dolore ha
scacciato il suo dolore.
-Non ne ho mai sentito parlare. E' strano.-
-Si che ne hai sentito parlare. Molto di più.-
-Come?- Lois si mette seduta.
-Non solo ne hai sentito parlare. Ne hai parlato.-
-Non capisco.-
-Il tuo articolo. "Quattro ruote, una follia".-
Lois ci pensa un po'. Rimugina, fino all'episodio giusto. E' abbastanza incredula, ma ricorda.
-L'attentato a Superman? Vuoi dire che quel
bambino... era tuo figlio?- Lois torna cerebralmente a quei giorni.
Ricostruisce i fatti.
-Già. Era.-
-Un momento, ora ricordo. Ne hanno parlato, eccome. Eran... tre anni fa? E' stata una tragedia ma...-
-Ma...?- Ma, cosa.
-Ci sono state delle indagini. Si, ora ricordo. Il figlio, poi la madre. Terribile. Un momento.- Lois pensa ad alta voce -Suicidio. Una ferita compatibile. C'era l'arma. Ma, c'era anche qualcosa di anomalo. Residui di polvere? Impronte?- Lois scatta in piedi -Un sospettato... Il coniuge...- Ora mi guarda -Tu?-
-Io?- Io, cosa.
-Tu... L'hai uccisa tu...-
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Capitolo 6 *** Giudizi e colpe ***
Giustizia
Una volta che la giustizia ha deciso, a nessuno importa veramente più se sei colpevole o innocente.
Giudizi e colpe
-Tu...-
-Io?-
-Tu... l'hai uccisa tu...-
Ha paura Lois. Paura, di me. Mi avvicino a lei. Inciampa nel letto e
cade. Come in un film dell'orrore, indietreggia strisciando sul
fondoschiena, aiutandosi goffamente con palmi e talloni. Maglietta e
pantaloni eccessivamente fuori misura la fanno sembrare ancora
più piccola. Io mi avvicino, di più, con calma. Con quella pistola in mano. Finchè
lei sbatte contro la cassettiera di una scrivania, finendo la sua corsa.
-Io? L'ho uccisa io?-
-Io... io so chi sei...-
-Chiariamo subito un punto. Tu non sai un cazzo.-
-Mi ricordo di te. E di cosa è successo.-
-Ah si? Tu c'eri? Eri presente?-
-Ti cerca mezzo mondo... lo sai questo? Ti dichiari ancora innocente?-
-Questo dovrebbe significare qualcosa?-
-La giustizia si è pronunciata.-
-Giustizia...- mi fermo. Questa parola mi dà da
pensare. Suona così ridicola, tanto più ci penso. -Giustizia?- ripeto.
-Si, giustizia.- Per giustizia intende l'insieme
delle forze dell'ordine sovraumane e non, che disciplinano questo
mondo.
-Ti dico una cosa sulla giustizia. Non esiste. E'
ciò che vi sbattono sotto gli occhi per farvi dormire sonni
tranqulli.-
-Tu sei pazzo...-
-E' proprio questo il punto. Sono io il pazzo. Ma
alla giustizia che tanto stimi, non frega un cazzo di niente. Basta
puntare un dito e poi? Non importa più a nessuno. Pazzo...-
-Ci sono delle prove!-
-Tu non eri presente! Come fai a dire questo? Hai scritto un articolo su un giornale... e poi?-
-Ti hanno dichiarato colpevole.-
-Ah si? E chi?-
Lois ha paura di ripeterlo. Ma vede che attendo solo quello.
-Giust...-
All'improvviso mi fiondo vicino a lei. Faccia a faccia.
-E per mio figlio? E' stata giustizia?- Lois
gira la testa, spaventata. Con sguardo basso e voce
terrorizzata.
-Tuo figlio... è... un eroe...-
-Eroe?! Aveva nove anni! Nove!-
-Ha salvato la vita a Clark quel giorno. Se non si fosse messo in mezzo...-
-Non si è messo in mezzo. E' stato messo in
mezzo. Anzi, messo sotto. Da quel pazzo- sottolineo -che puntava a
Clark.-
-Tanto cosa importa. Hai finito il lavoro.- Lois non
riesce ancora a guardarmi. Ha gli occhi socchiusi dal terrore. Decido di allontarmi. Rimango
seduto a mezz'aria, con gli avambracci appoggiati sulle ginocchia, poco
meno di un metro davanti a lei. Che ritrova il coraggio di guardarmi.
-Che doveva essere il contrario, nessuno lo dice però. Doveva essere lui a salvare mio figlio, non viceversa.-
-Credi che non ci abbia provato?-
-Già. Ma non ci è riuscito.-
Un attimo di silenzio. C'è una pausa che fa riflettere sul dolore di entrambi.
-Quella era come un'autobomba... un'autobomba carica di roccia verde.-
-Come se non avesse avuto le capacità per
intervenire. Sai, mi hanno sempre detto che era in grado di correre
abbastanza veloce.-
-Credi che non abbia sofferto per questo?-
-E come credi che mi sia sentito io?-
-Come mi sento io!- mi urla. -Solo che non mi sento autorizzata a vendicarmi su qualcuno che non ha colpe.-
-Tutti abbiamo delle colpe.-
Lois mi guarda. Vuole dire qualcosa, forse no. Infine, parla.
-Come tu con tua moglie...-
Ok. La cosa mi ha irritato. Prendo saldamente in mano la pistola, la punto genericamente nella sua direzione.
-Cosa vorresti fare?- dice -sappiamo entrambi che è scarica.-
-Non c'è bisogno di uccidere una persona, per porre fine alla sua vita.-
Afferro la pistola con l'altra mano e l'appoggio sul tavolo dietro alla sua testa.
E' sollevata nel constatare che non ho cattive intenzioni ma, non si
sente ancora fuori pericolo. Provo a chiarire un concetto.
-Tu... non vedi le cose, o forse non vuoi vederle. Mi
parli di giustizia come se fosse un antiveleno da somministrare a
richiesta. Ma guarda questo mondo. Ascolta le sue lacrime. La
gente che soffre vive di illusioni.- le metto una
mano sul ventre. Lei non si muove. -Non mi interessa che tu sia in
grado di capire. Ma cerca di farti una idea. Ed ora, non scambiare la
mia pietà per debolezza. Sei in una brutta situazione.
Ti ho detto che non hai motivo di temermi, ed è vero. Ma, un
consiglio: stai attenta a quello che dici. Tirarti fuori da quello
scantinato è stato solo... un caso.-
Mi rialzo sulle gambe. Rialzo anche lei. Con lo sguardo, le chiedo se
è tutto chiaro. Lei tira su col naso ed annuisce con la testa.
-Ora va a dormire. Il tuo soggiorno qui è quasi scaduto.-
Riordino il letto, riordino la camera, riordino le idee. Forse ho dato
una spallata sufficentemente decisa all'indole di Lois da tenerla calma
quanto basta.
Mi cerca mezzo mondo. Ne dubito, ma
che qualcuno mi stia cercando, beh... non lo posso escludere. E
non per darmi belle notizie. No. Per chiudermi in una stanza fatta di
sbarre e sentirsi contento. Goderne. Tornare a casa convinto che il
mondo sia un posto migliore. Come se gliene importasse veramente
qualcosa di migliorarlo. Non mi troveranno. Come tutti in questo mondo, non sanno cosa stanno cercando.
Sono ormai al terzo giorno del
"trattamento". Dovrei iniziare a vedere qualche effetto. Mi rimetto
sdraiato nel tentativo di riposare ma... il mio telefono. Eccolo,
squillare. Sul led lampeggia un giullare. Devo ricordarmi di cancellare
quest'obrobrio.
Parlo con Joker. M'invita in quel
cacatoio di bar dove ci siamo
incontrati la prima volta. Non che sia un giorno da cerchiare di rosso
sul
calendario. Non proprio. Il motivo? Ahimé dovrò
scoprirlo una volta
arrivato lì. Suppongo per discutere del nostro prossimo futuro .
Anche se, con gente del genere, è sempre pericoloso
supporre. Quando una verità è supposta, qualcuno
finirà per prendersela nel culo.
Ecco perché, il mio equipaggiamento è sempre
devoto alla prudenza, ed a una violenza preventiva. Un paio di pistole
e la mia spada. Nel caso finissi le munizioni.
Cavalco la mia F4, facendo urlare gli scarichi un paio di volte prima
di sparire in una nuvola di polvere e ghiaia. Perchè una moto? Mi piacciono le moto. Procedo a gran
velocità
sulla diroccata strada che separa ruderi da altri ruderi. Luci spente.
Non è consigliato farsi notare troppo in queste zone. C'è
molto pericolo nascosto fra queste rovine. Come suono, sono
difficilmente intercettabile con precisone. Come faccio a vedere
allora? Il mio casco è stato modificato in modo tale da rendere la visiera un visore notturno. Ne
avrò per poco comunque. La luce del sole comincia ad affacciarsi
timidamente dall'orizzonte, fondendosi con l'oscurità di una
notte che si sta gradualmente colorando di vita.
Mi fermo a destinazione. Mi levo il casco. Guardo in cielo, sopra di
me. Sole da una parte, buio dall'altra. In mezzo, le stelle
combattono per l'ultimo bagliore. In mezzo, io.
Entro nel bar vuoto. Non è un bar, non lo è mai stato per
Joker. Non lo sarà più per me. Lui c'è, insieme ad
altri due più la ragazza. Ed uno, l'ho già visto. Anche lui mi ha già visto. Ma dove? Non a scuola... non al battesimo di mio nipote... Lo scantinato, Lois. Il bastardo. L'amico
del figlio di puttana che ho steso su quel pavimento.
Mi ha riconosciuto. Ne sono sicuro.
Ha già scavalcato una
transenna fatta di tavoli, ha decisamente cattive
intenzioni. Posso dirlo con chiarezza. Quello che stringe nella
mano destra, e che sta correndo verso la mia faccia, è proprio
un bel coltello.
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Capitolo 7 *** Il piano A ***
Il piano A2
E' l'attimo. L'istante. La velocità della decisone.
Il piano A
Un
coltello corre verso di me, minacciandomi di violenza. Ovviamente
non è il coltello, ma la persona che c'è attaccata,
quella che lo fa correre, ad essere il problema. Il coltello. è
un bel coltello. Ma riposto nel suo fodero, non è pericoloso.
Non è questo il caso. Da qui non vedo il manico, ma la lama
sembra saper fare il suo dovere. Venti, venticinque centimetri di
solido ed affilato metallo, molto cattiva con decisi attacchi in
affondo. Affilata su entrambi i
fili, noto avere una punta più perforante di quanto preferirei
non voler scoprire. Più si avvicina e più mi rendo
conto che chiamarlo coltello è forse riduttivo. E' un pugnale.
Il tizio sarà ormai a meno di tre metri da me. Ed io voglio dire un paio di cose su questo mondo.
E'
giusto che sappiate cosa pensare, prima di immaginarmi sopra
queste terre chiedendovi se c'è qualcosa che sta bruciando e che
nessuno ha intenzione di spegnere. Il mondo, questo mondo, vive di
strane connotazioni. Per metà temuto, e per metà
dimenticato. Immaginatelo come un moderno impero romano. Al centro,
Roma. Grande architettura, grandi palazzi, grandi idee. Grandi
possibilità di poter dimenticare aperta la porta di casa e di
ritrovare tutto com'era al nostro ritorno. Dove vive chi fa la legge,
con muscoli forti e altrettanto senso civico. Dove chi si è
tolto la maschera può stare tranquillo. Roma, l'epicentro.
Allontandosi, le cose cambiano. La qualità difetta. L'efficenza
scema ed il pericolo si fa più reale. Le provincie. Un'area che
lambisce costante i confini dell'impero, dove la legge c'è, ma con
sentimento
riluttante e fallibile. Quella zona che io chiamo linea di Scrimmage.
Ovviamente, non si chiama così, ma se avete minima
dimestichezza col football, può rendere l'idea. Dove sto io,
dove c'è il mio "bunker". Geograficamente al limite, ancora
più lontano. E poi? Oltre? Cosa c'è? Nessuno può
dirlo con certezza. Se parliamo di legge beh, la sua
amministrazione
è perennemente soggettiva. Il potere cambia da zona a zona e
senza
una decorrenza specifica. Potrebbe essere già cambiata un paio
di volte in questo momento. Quello che si sa, quello che dovrebbe essere chiaro, è che va evitata.
E' dove vivono i cattivi più noti. Ed anche quelli meno noti, ma
non per questo meno cattivi. Un impero al contrario. Altri luoghi,
altri paesaggi. Diverse
zone intervallate da chilometri di niente. Vi parlerei della mia in
particolare, ma dovrete aspettare. C'è un coltello davanti ai
miei occhi.
Il tizio, il bastardo per
intenderci, mi corre incontro brandendo quel bel
pugnale nella mano destra. Come diversivo mi lancia contro una urlante
Katrin, che finisce innocua tra le mie braccia. Quando riesco a
rimetterla in piedi, mi accorgo di essere a tiro. Mentre lei scappa,
lui disegna un paio di traiettorie
che evito indietreggiando. Faccio un altro passo indietro, ma finisco
per mettere il piede nell'angolo tra pavimento e muro. E' finito lo
spazio. Se proprio dovete combattere, ricordate di farlo liberi di
muovervi. Potrei estrarre una pistola, ma non mi va di
rischiare di essere affettato prima di portare a compimento l'azione,
perciò calma. Lui sorride e ansima, come se avesse segnato un
grande punto a suo favore. Allora decide di fendere un altro colpo,
frontalmente. Con un balzo, evito l'affondo portandomi all'esterno,
oltre la sua spalla. Questo mi permette di afferrargli polso e gomito.
Con
violenza gli assesto un paio di ginocchiate nello spazio tra le mie
mani, fino a disarmarlo. Gli ruoto il polso e faccio leva sul suo
gomito con la mia sinistra. Questo provoca un sacco di dolore, ma
soprattutto, gli fa assecondare il movimento. Così, riesco
a sbatterlo contro il muro, ribaltando il pronostico. Ora sorrido io.
Con la
destra gli tengo ruotato il polso e per non farlo muovere, lo
schiaccio
contro il muro premendogli il mio braccio sinistro poco sotto
la nuca.
-Bel coltello...- gli confesso -non ti dispiace se me lo tengo, vero?-
Lui impreca e mi insulta in differenti modi che ritengo piuttosto
banali e abusati. Riguardo al lavoro di mia madre, cosa le farebbe col
pugnale, cosa farebbe a me. Robetta standard. Nella collutazione
però, quell'utilissima arma bianca è finita troppo
lontano. Sto pensando a come coprire l'abbondante distanza che mi separa, quando una
sensazione spiacevole mi colpisce. Per la seconda volta in poche ore,
mi sento premere contro la testa un'arma da fuoco. Penso a Joker, ma
voltandomi dietro la mia destra, trovo l'altro scagnozzo. Calca un
po', per poi allontanarsi di un paio di spanne. Mi toglie l'arma di
dosso, tendendomela puntata dietro l'orecchio.
-Io lo lascerei, se fossi in te.- mi intima. E la
cosa mi fa ridere. Tutta queste persone che vorrebbero essere in me per
dirmi cosa fare. Potrebbero risparmiarsi tanto imbarazzo e dispiacere.
-Se fossi in me...?-
Con tutta la velocità che mi
è concessa dalla situazione,
tolgo la testa dalla traiettoria e afferro con forza la pistola
per la canna. Parte un colpo. Con efficacia lancio il piede destro
verso l'alto, centrando alla bocca dello stomaco lo scagnozzo che
allenta la presa sull'arma, afflosciandosi a terra. Mi giro. Il
proiettile ha ferito di striscio il tizio al collo, che ora si tiene la
ferita sanguinante. Gli afferro il braccio che prima gli volevo
rompere, facendo ruotare tutta la figura verso di me. Una gradita
smorfia di dolore accompagna il movimento. Appena il suo volto è
a tiro, gli scaravento il calcio della pistola in mezzo agli
occhi. Due
a zero.
E' successo tutto abbastanza in
fretta, devo dire. Due persone mi muovevano
violenza. Ora, uno ansima a terra col fiato spezzato e l'altro,
sanguina copiosamente. La ragazza invece mi guarda, percepisce la mia
sete di violenza. E quando mi vede procedere armato di pugnale nella
direzione dei due, mi afferra per un braccio, stringendolo. Sempre
guardandomi scuote la testa, come a voler dire "ti prego... no".
-Abbiamo finito?- sento alle mie spalle. Joker si è deciso ad intervenire. -C'è del lavoro da fare.- Ma non ce l'ha con me. Nel parlare, guarda gli altri due. -Fatevi un giro...- ordina.
I due si rialzano, barcollando. Infilo il pugnale nei
pantaloni. Estraggo il caricatore dalla pistola e solo dopo, la restituisco. Il caricatore lo tengo io, per il momento.
Tutto
questo sotto gli occhi di due persone desiderose di riscattare la
figuraccia. Buoni belli. Con una pesante coda tra le gambe, escono. Il
bastardo mi guarda fisso per tutto il tragitto. Come a volermi
dire che questa era solo una battaglia, la guerra vera deve ancora
venire. Non vedo l'ora.
Mi dirigo verso Joker. Sopra un tavolo ci sono dei fogli. Disegni.
Progetti dettagliati dell'edificio dove è rinchiuso il gran
genio del male. Presidente. Mi spiega il suo piano. Il piano A. Mi dice
cosa va fatto, quando va fatto, ed il modo in cui farlo. Non ammette
modifiche. Non vuole ritardi, nè deviazioni dal programma. Ha le
idee molto chiare se non altro, e se fosse un metodo per salvare il
gattino intrappolato sull'albero nella situazione 7 dell'addestramento dei pompieri, mi sentirei anche sollevato. Ma
putroppo, non è questo il caso. E quest'approccio non molto
lontano dall'entriamo-arraffiamo-usciamo, lascia adito a qualche
dubbio. Ma per quanto sia pazzo, Joker avrà qualche asso. Tutto
sommato.
Dunque, me ne posso andare. Ho
già picchiato e intimidito e incassato
abbastanza per oggi, ed è da poco comparso il sole. Quelli dentro mi seguono fuori. Lascio
cadere quel caricatore ai miei piedi e salgo sulla moto. Parto, senza
troppe
preoccupazioni, lanciando terra e sassi dalla ruota posteriore che
tenta di guadagnare aderenza. Lo scagnozzo di Joker, quello che non sanguina, punta l'arma verso di me mentre mi
allontano.
-Potrei finirlo adesso.- dice -non avrei problemi.-
-Io... non lo farei.- risponde Joker. Ma il mirino rimane fisso sulle mie spalle.
-I proiettili? Ce n'è uno in canna...-
Joker non parla. Rimane fisso,
scrutando il foglio che tiene tra le mani. Lo scagnozzo lo guarda, aspetta, in
attesa di un veto che non arriva. Riallinea lo sguardo sul
mirino, facendolo combaciare con la mia figura. Click, bang.
Joker scuote la testa, rassegnato.
-Principiante.- sbuffa.
-Ma che cazzo è successo?- urla
il bastardo, accorrendo e chinandosi. Un magnifico paio di occhi
cerulei sono quelli che Katrin serra con sconcerto. Lo scagnozzo
è a
terra, disteso, soffocante. Ha Il carrello della pistola conficcato
dove una volta
aveva l'occhio destro, ed un pezzo di metallo gli ha lacerato la gola.
Sdraiato sulla schiena, affoga nei suoi stessi liquidi.
-Che cazzo è successo!-
ripete, tamponando le ferite dello scagnozzo. Cosa che poteva anche
essere utile, fino a quando Joker si china ed estrae i pezzi di metallo dalla sua
faccia. -Ma che fai...- Lo scagnozzo esala i suoi ultimi respiri annegati, gorgogliando negli ultimi versi di dolore.
Joker ricompone come può la
pistola. Poi, con improvvisa violenza, afferra per i
capelli quello sopravvissuto. Il bastardo, sempre per intenderci.
-Guarda!- gli urla. E lui guarda. Rigira la visuale. La canna della pistola è deformata, come se fosse stata schiacciata. -Vedi?-
-Ma... ma quella è... dita... l'impronta di una mano?-
-Ohooo... dovete imparare a guardare. Non potete sparare... alla cieca! Ah... haaaaa...-
-Il proiettile ha fatto...- è incredulo -...da tappo? Ed il carrello...-
-Già. Bene bene. Il nostro Brutal ha... delle qualità.-
Ecco. Ora, posso parlarvi della mia zona.
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Capitolo 8 *** Il quarto giorno ***
Il quarto giorno
Basta una scintilla.
Il quarto giorno
Cenere,
desolazione e resti di qualcosa che aveva un nome, si materializzano
davanti al mio sguardo, sulla strada, calvacata a velocità
costante. Il sole alle mie spalle proietta raggi ed ombre sull'asfalto
sconnesso. Il cielo azzurro contrasta una magnificenza avvilita
attraverso un paesaggio distrutto dall'incontrastato fine ultimo
dell'umanità: la guerra. L'annientamento reciproco.
L'estinzione. Tutto intorno è polvere combusta. I pochi edifici
sopravvissuti sono diroccati, guasti, disossati in modo innaturale.
Privati delle parti importanti, sembrano volersi lasciare andare da un
momento all'altro, crollando inesorabilmente in un mucchio informe di
calcinacci. Il sole illumina ancora di più il
cemento cupo. Tutto qui è stato annerito e consumato dalle
fiamme. Alte, roventi fiamme del più grande incendio che la
storia ricordi. E tutto brucia.
Sono rimasti solo
precari resti carbonizzati di abitazioni infestate da cumuli di
sciacalli. Un bel posto dove nascondersi, ma bello per nient'altro. La
città fantasma. Così la chiamano coloro che lambiscono la
zona, e chi ha paura vedendo di aver sbagliato strada, mentre inserisce la
retromarcia e cerca di aggirare il problema. Il pericolo è
dietro ogni angolo, vero, ma il pericolo si nasconde sempre dietro gli
angoli. E quello maggiore sono i "fantasmi". Piccoli gruppi di
predatori nascosti tra le rovine, pronti a tutto. Rari da incontrare,
ma nemici terribili una volta trovati sulla strada.
Ed ai confini di tutta quest'aria
che sa ancora di fuoco e lamento,
casa mia. Bunker di
Stryker, ricavato dalle fondamenta di un villino superstite, sotto la
superficie, inosservato. Davanti ad un complesso di
edifici aggrappati fra loro, devastati e sostenuti dal loro stesso
crollo, in attesa del colpo di grazia che
ponga fine alla loro sofferenza. Accedo tramite un capiente
montacarichi nascosto in un fabbricato accanto, finendo con l'imboccare
un breve corridoio che mi porta all'ingresso di un ascensore.
Appartemento, poligono/laboratorio, ed un terzo livello. Numero uno, appartamento. Mi svesto,
depongo spada, pistole, pugnale. Una rinfrescata è tutto
quello che desidero. Mi getto sotto la doccia, lavando via sudore e
violenza,
rilassando muscoli e pensiero. Mi guardo allo specchio. Nella testa
rimbalzano folli ragionamenti, treni impazziti senza una destinazione, senza
una
stazione in cui riposare. Una barba spessa comincia a coprire il mio
viso. Un rasoio elettrico mi permette di livellarla, una volta legati i
capelli sopra la testa. Guardo in un paio di occhi stanchi,
imploranti riposo. Sotto il mio mento brilla ancora la bruciatura
provocata da Lois. La trovo fuori dal mio bagno. Sta in
silenzio, mi osserva. Addosso ho solo un paio di pantaloni e quando mi
giro, nota il tatuaggio sulla mia schiena.
-Quelle sono...- chiede -...ali?- Mi sposto. Una lampada illumina la mia schiena. -Ali... strappate?-
-Più o meno...- le rispondo. Lei si avvicina. -Non vorrai aggredirmi vero?-
-Cosa significano?-
-Tante cose. Ognuno finisce col vederci quello che vuole.-
La sua attenzione si sposta su un modesto assortimento di cicatrici che
si azzuffano sul resto della mia schiena. Proiettili, scheggie, e
quant'altro.
-E questa?- chiede, riferendosi ad una piuttosto
marcata sul mio fianco, a metà strada tra spalla e vita.
-Una scheggia di metallo mi ha trapassato da
parte a parte, durante un'esplosione. Grazioso ricordo di un inverno di
tanti anni fa.- Lei ci passa sopra le dita, facendomi scorrere un
brivido sul fianco. -Ah... ma, che fai?-
-Scusa.- Ritorna nella
realtà. Mi guarda un'ultima volta e scappa via. Non capisco
questa donna. Ho solo voglia di dormire.
Quando mi sveglio è il quarto
giorno. Ho dormito parecchio ed
è quasi mattina, di nuovo. E' ora di prendere il mio drink al
gusto "homo bellator". Quattro giorni sono passati, quattro ne
restano. Al
prossimo e conclusivo cocktail ed all'operazione "piano A". Tra quattro
giorni celebreranno anche la dipartita di Clark Kent, ed è forse
il caso di parlarne a Lois. Se non altro, è un buon motivo per
levarsela di torno. Mi toccherà anche trovare un modo per non farle
ritrovare la strada di casa, in questo caso la mia. Magari accompagnata
ad un esercito. Non sarà difficile, questa città è
un labirinto fatto di cenere. Ammesso che voglia tornare. Non ci
si tuffa in piscina il giorno dopo essere quasi affogati.
La cerco nella sua prigione di legno e tessuto. Apro la porta e lei
sobbalza, avvolta in un lenzuolo bianco che, lo ammetto, sta molto
meglio a lei di quanto stesse al materasso. Devo parlarle, ma alla
domanda di un po' di privacy per ricomporsi, mi fa cenno di entrare.
-Devi sapere...- esordisco, seduto
all'estremità del letto -che tra quattro giorni ci sarà
il funerale... di Clark.- E mi accorgo di quanto suoni improbabile parlare
del funerale di un uomo che ho spedito personalmente nella bara.
-Ah...- dice. Solo questo.
-Ah... Dici. Solo questo?- Questa donna è un vero casino.
-Cosa dovrei dire? Piuttosto, perché me lo dici?-
-Perché è giusto che tu lo sappia.-
-Detto da uno che non sa la differenza tra giusto e sbagliato...-
-Ecco. Di nuovo. Come al solito, dimostri di non aver capito.- Lei sussulta, come offesa.
-Io?-
-Tipico.
Qualcuno pensa che una cosa è sbagliata solo perché non
coincide con la propria opinione. Facile.-
-Tu giustifichi... un omicidio?-
-Visto che ti piace rispondere alle domande con un'altra domanda, dimmi: quanta gente hai visto morire?-
-Io...-
-Quanta?!-
Lei sta in silenzio, con lo sguado basso, abbracciandosi avvolta in quel lenzuolo.
-Già...- proseguo -Un sacco di gente rischia
la vita e la maggior parte non ce la fa. Nessuno piange per loro.-
-E questo cosa vuol dire?-
-Nessuno merita di morire. Quasi nessuno.- mi correggo -Ma a nessuno importa.-
-Non si può piangerli tutti...- risponde.
Ora mi segue. Poi, continua -Ma allora perché non mi hai ancora
ucciso?-
-Non voglio farti del male. Non mi hai dato motivi.
Non ancora.- puntualizzo. Si volta, cambia radicalmente discorso.
-Come sta il mento?-
-Bene.- si avvicina per controllarmi la ferita.
-Quello era un buon motivo. Eppure, niente.- si chiede.
-E' solo un graffio...-
-Si...?- ancora scrutando la ferita.
E qui, mi accorgo di quanto
fosse sbagliata la mia concezione del termine "folle". In un istante.
Con la mano mi spinge sul letto,
sdraiandomi sulla schiena. Si libera del lenzuolo, facendolo scomparire
dietro le spalle mentre si siede a
cavalcioni su di me. Nuda. Completamente nuda, mi offre la sua
prospettiva migliore. Mi appoggia le mani sui pettorali e si
avvicina a me. Le sue dita scorrono fin sopra i miei addominali. Arriva a pochi centimetri dalle mie labbra. Che
cazzo succede? Sento il suo respiro sulla faccia, e questo mi risveglia dall'assurdo. La afferro per le spalle e la ribalto sul letto. In un istante, si ricopre nuovamente sotto il lenzuolo. Folle.
-Ma che stai facendo?!-
-Perché sono ancora viva?!-
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Capitolo 9 *** Che il gioco cominci ***
Che il gioco cominci
La menzogna è un peccato recidivo.
Che il gioco cominci
"Buonasera
a tutti. Questa è l'edizione delle diciannove.
Poteva finire in
tragedia oggi, durante l'ultimo saluto al nostro caro estinto Clark
Kent, quando un pazzo con una maschera da clown, ha sfondato il cordone
di
sicurezza posto attorno alla bara. Il folle è riuscito ad
avvicinarsi al feretro, forse con l'intenzione di danneggiare le esequie del povero Clark. Tempestivamente, le
più
alte cariche del Governo e della Giustizia, alcune impegnate a
trasportare la
bara, sono intervenute impedendo qualsiasi gesto sconsiderato avesse in
mente lo squilibrato, arrestato e subito portato in prigione.
Nemmeno la morte ti ha dato la pace che meriti. Addio uomo d'acciaio. Che tu possa riposare lontano dal dolore.
Ora, le altre notizie. Oggi, un'esplosione ha devastato un edificio
nella periferia della zona Giardini. Per gli aggiornamenti, siamo
collegati con il nostro inviato, Mike. Mike? Mi senti? A te la linea.
---
Si, grazie Walter. Come avete avuto modo di sapere dal mio collega, un
edificio è crollato nella periferia, non molto lontano dal
distretto Giardini. Fortunatamente non ci sono vittime.
L'edificio, vuoto nel momento del crollo, è stato sventrato
da un'esplosione. Le cause possono ricondursi ad una fuga di
gas. Per il momento è tutto. Walter, a te la linea."
Illudere, è un diritto degli
uomini. Illudersi, è
stupidità. Ancora una volta, qualcuno ha mentito. E' vero, un
edificio
è crollato. E' sparito dalla geografia del posto, dalle carte,
da qualche tavola catastale, se mai vi fosse stato registrato prima.
Probabilmente ci è stato sbattuto sopra dopo, per far credere al
mondo
che è veramente crollato uno stabile qualsiasi, vuoto.
Perché quello che ho visto, quello che ho sentito uscire dalle
bocche di quel Walter e del suo inviato, è solo una
menzogna
lucidata al punto da sembrare vera. Perché quell'edificio non
è crollato a caso. E' stato abbattuto, di proposito. Da chi,
fallito il suo compito, ha terminato il lavoro. Cancellato. Me
l'aspettavo.
Spenta la televisione, ora mi sto
ricucendo la carne. Fa parecchio male. Comincia a duolermi tutto il
corpo. E' il siero. Ma la mia attenzione ora va al mio braccio
sinistro. Una bella ferita. Quel genere di ferita che, in una gara di
ferite, ti garantirebbe un piazzamento sul podio. La fa da
protagonista, poco sotto il
gomito, per circa quindici centimetri in direzione del polso. E questo
dimostra una cosa: è stato un disastro. L'obiettivo è
stato
raggiunto, ma quel piano, il piano A, è andato. In ogni sua
più rosea speranza.
5 ore prima...
Sulla mia moto, mi dirigo all'appuntamento con Joker. Niente fiori, solo armi.
Sfreccio a velocità sostenuta, cercando di seminare un pensiero
che è sempre davanti ai miei occhi. Lois. La sua ultima follia.
Sono passati quattro giorni, finalmente me ne sono liberato eppure, lei
è lì. Quel gesto disperato, quella domanda assurda e sì,
il suo corpo nudo che mi sovrasta. E' tutto condensato qui, due dita
sopra i miei occhi, in un attraente misto di disperazione e coraggio.
L'ho lasciata andare, portandola più al sicuro che potessi,
assicurandomi che non possa ritrovare la strada verso il mio bunker.
Consigliandole di stare attenta ai limiti, di smettere di cercare
risposte, di nascondersi, il più a lungo che la solitudine
avrebbe
permesso. Spiegandole per l'ultima volta come stavano le cose.
Concentriamoci.
Joker mi aspetta poco fuori da quella zona che chiamano distretto
Giardini. Non aspettatevi di trovare piante o campi curati, o
qualcosa di verde che non sia il bagliore di un semaforo che ti autorizza ad andare. Il
distretto Giardini è un agglomerato urbano, fatto di
calcestruzzo e metallo. Si chiama così perché è
stato costruito da zero, cresciuto nel tempo e nell'ordine. Un posto
tanto ordinario da sembrare sospetto. Trovo Joker ad attendermi,
con una sacca sulle spalle e
oltre, altri due suoi "schiavi", mai visti prima. Non so come faccia a
disporre
di tutta questa manovalanza a basso costo. Oggi sarà comunque un
affare a due.
Siamo finalmente di fronte all'obiettivo. Un edificio con un ampio e
solo ingresso, poche finestre, struttura solida. Pianta rettangolare.
L'entrata è sul lato corto, molto ben controllabile. Potrebbe
anche sembrare quello che è: un edificio comune, finché
un particolare non ne tradisce l'uso. Un dettaglio. Anzi due. Un
paio di droni dall'aspetto cattivo sorvegliano l'ingresso,
costantemente. Mi è difficile credere che sia una scuola. La
zona è stranamente deserta. In pieno giorno. C'è il funerale di Clark, ma non è solo questo.
-Immagino tu abbia un modo per passare senza finire in un sacco di plastica.- Non mi piace la plastica. Più che una richiesta, la mia è
una speranza.
-Abbiamo un modo per eludere la sicurezza
all'ingresso.- dice, portando la mia attenzione su della strumentazione
in mano allo schiavo numero uno -Lui si occuperà di individuare
il segnale che li controlla e di inserirsi in remoto. Questa è
la buona notizia.-
-La buona? Ce n'è già una cattiva?-
-Questo ci dà una finestra di venti minuti.-
-E per il resto?-
-Abbiamo i tesserini elettronici procurati da Katrin, te la ricordi?-
-Come no.-
-Quelli dovrebbero aprirci tutte le porte che ci servono. Altrimenti, c'è il piano B.-
-Il piano B? Sarebbe?-
-Ogni cosa al suo tempo. Abbiamo venti minuti. Lui
ci avviserà nel caso di imprevisti.- indicando l'altro schiavo,
il palo.
-E la sicurezza interna?-
-Ogni, cosa, al, suo, tempo... Siamo pronti?- Lo
schiavo "hacker" conferma con un cenno della testa -Bene. Allora pronti... partenza... via...-
Lo schiavo hacker neutralizza i droni mentre lo schiavo palo ci dà l'ok.
20:00... 19:59... 19:58...
Ci avviciniamo all'ingresso. Passo vicino a quelle bestie di metallo
e circuiti sperando che siano spente veramente. Poco più di due
metri per qualche quintale di ferro che dorme ibernato in un
sonno informatico. La differenza non è poi così lampante. Joker fa slittare un tesserino nell'apposita
fessura, sbloccando le porte davanti a noi. Entriamo. E' tutto bianco e
saturo di luce. Un corridoio interrotto da una decina di porte, si
conclude ai piedi di un ascensore. Una specie di gabbiotto
precede il tutto, riempiendo l'atrio. Due persone all'interno, ci osservano
avvicinarci. Infine, un metal detector. Carichi di metallo come siamo,
la vedo dura. Sarà difficile far passare per un phon carico di
pile una M9 pronta a fare fuoco. Ma Joker procede. Entra, facendo
strillare la sirena. Una guardia esce, con uno sguardo carico di
sospetti ed una mitraglietta carica e basta.
-Prego, svuoti le tasche di tutti gli oggetti di met...- ma
non finisce la frase. Non ha potuto. Joker ha estratto da
dentro la manica un rasoio e lo ha sgozzato all'istante. Oggetti di metallo... in fondo, glielo ha chiesto lui.
L'altro tizio accorre svelto,
spianandogli il mitra alle spalle.
-Fermo!- urla. La sua voce riecheggia, rimbalzando
sulle pareti. -Fermo! Non ti muovere o...- ma il colpo che esplode
dalla mia pistola riecheggia più forte, attraversando il vetro
del gabbiotto e centrandolo ad una spalla. Tocca a me. Il
detector strilla ancora. Joker recupera un mazzo di chiavi dal corpo
del primo, dissanguato, mentre io mi avvio verso l'ascensore. La
seconda guardia, da terra, mi afferra per una gamba.
-Chi siete...- non rispondo. Lui rantola a fatica e
sofferente, continua -Quel vetro era antiproiettile. Come...-
Mi abbasso, avvicinandomi alla sua figura tremolante e sottovoce, confesso: -I miei proiettili sono antivetro.-
Passo oltre, seguito da Joker che si ferma anche lui sulla guardia. Lo guarda perplesso.
-O...?- dice, prima di abbassarsi e terminare il lavoro con la sua lama.
Mi raggiunge all'ascensore, attivando il comando con una chiave rubata alle guardie. Guardandomi, strizza un occhio.
14:33... 14:32... 14:31
Saliamo al secondo piano, dove Joker
sistema un altro paio di guardie
senza il mio aiuto. Il resto è deserto. Tante stanze chiuse da
porte spesse, bianche, con un rettangolo di vetro dal quale guardare
all'interno. Una prigione o forse, un manicomio. Lo sapevo che non era
una
scuola. Joker passa in rassegna tutte le stanze, fino a trovare quello
che cerca.
-Ci siamo.-
Afferra di nuovo il mazzo di chiavi ed apre. All'interno, un uomo
è disteso su una lettiga, attaccato a dei macchinari,
sedato pesantemente. Allora è questo, il Presidente.
-Dovrebbe cominciare a riprendersi.- sostiene.
Stiamo pensando a come trascinarlo fuori, quando un trasmettitore si fa vivo.
-Capo... abbiamo un grosso problema.-
-Che succede?-
-I droni... si sono riattivati! Qualcuno ci ha scavalcato.-
-Merda...-
-E non è tutto. Sta arrivando qualcosa... Qualcosa di grosso.-
-Qualcosa cosa? Stark?-
-No capo. E' diverso. E' un ve...-
-Cosa?! Pronto! Ma che sta...- ma
niente. Joker non ottiene più risposta. Allora si dirige verso
una delle poche finestre e guarda fuori. -Uh,uh... arriva la cavalleria...-
-Cavalleria? E quei venti minuti del cazzo?- chiedo, fiondandomi alla finestra. C'è qualcosa di
grosso fuori. Un veicolo e delle persone intorno.
-Non è così.- mi dice, come se avesse
appena scoperto di aver sbagliato l'orario di un treno. -Andiamo. Uno di quei
droni starà già salendo. E non sarà solo.-
Joker si sposta verso l'ascesore, trascinandosi un cesto della
spazzatura dietro. Arrivato davanti, mi mette in mano un pezzo di
metallo rettangolare. Sul suo dorso, in stampatello svetta la scritta "Front Towards
Enemy".
-Le mine sono da codardi.- gli dico.
-Ed i droni per chi ce l'ha piccolo.- Poi riprende
la mina, nascondendola nel cestino. Dall'innesco tira un filo di nylon,
o di qualsiasi altro materiale. Ma che ha il medesimo ed unico scopo: non
essere immediatamente visibile. Percorre la larghezza di tutta la porta e lo blocca
all'altra estremità. Oggi, qualcuno inciamperà per
l'ultima volta.
-Non male- dico -Ma se non sbaglio quella era l'unica uscita.-
-Ah... amico. Quello... era il piano A.-
-Piano B?-
Joker appoggia a terra la sua borsa, estraendone un Rpg. Caricato, lo punta verso il muro perimetrale.
-Ecco, il piano B!-
Fuoco. Un missile detona, ed è
una cosa orribilmente rumorosa da questa distanza. Joker
ammortizza il rinculo indietreggiando, mentre il missile percorre
la lunghezza del corridoio. Impatto. Ancora peggio. Il muro si
sbriciola, sparando frammenti di pietra ovunque, lasciando uno squarcio
d'aria fresca. Sento la pressione dell'aria sbattermi contro
l'avambraccio usato come riparo. Poi, il mondo smette di tremare.
Mi avvicino al muro demolito. La
polvere comincia a diradarsi, permettendomi di guardarvi oltre. E' un
bel salto da qui. L'esplosione ha lasciato una fessura spettacolare,
portandosi via buona parte dell'ultima stanza. Ed è stato un
caso. Un evento. Altrimenti, non avrei deciso di guardare dentro,
trovandomi ancora un po' più sorpreso. L'ospite, il paziente, il
malato. Joker si avvicina. Insieme, osserviamo stupefatti.
-Ma... ma quello è...?-
-Incredibile... vero?-
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Capitolo 10 *** Il solito piano B ***
Il piano B
Il solito piano B
-Ma... ma quello è...?-
-Incredibile... vero?-
Joker ha aperto
un'altra finestra nel muro davanti a noi, portandosi via buona parte
della struttura. Non che l'avesse calcolato, nemmeno pensato
lontanamente, ma è successo. Nell'esplosione è crollata
anche la parete dell'ultima stanza, in un cumulo di detriti. Mi abbasso
per evitare i calcinacci, parti di muro malamente appese tra loro.
Entro nella stanza, controllo meglio, mi avvicino. Il paziente, il
malato, l'ospite. L'inquilino. L' incredibile.
-Bruce...?-
Banner. Di tutte le persone in questo
mondo, lui? E perché? Poi ripenso a Lois. A quello che aveva
raccontato. Betty e la rabbia. A quello psuedo esaurimento nervoso e distruttivo. Che
sia possibile? Nasconderlo qui e poi? Dimenticarlo?
-Oh,hooo... ma,guarda,chi,c'è,qui...- Joker non poteva essere più contento.
Lo libera. Lo "scollega" dalle macchine, una delle quali sicuramente lo
stava tenendo in quel sonno precauzionale. Lo trasciniamo fuori,
appoggiandolo contro la parete di fronte, nel corridoio. E qui, inizia a
piovere. Ma non è acqua. E' metallo. Piccoli e affusolati
cilindri di metallo entrano con violenza, dal basso verso l'alto, dalla
nuova finestra senza vetri. Poco fuori, poco in basso, era partito
l'attacco. Ed ora, ci sparano addosso.
Joker inizia a scuotere Bruce, strattonandolo con violenza ed imbarazzo.
-Forza...-
Io mi riparo dietro lo squarcio e con molta attenzione, mi sporgo.
Guardo in basso. Il drone numero Uno sta facendo fuoco contro di
noi con molto impegno, carteggiando ad arte la facciata. Spara in direzione dell'apertura,
senza preoccuparsi di mirare troppo. Drone Uno del cazzo. Con le sue armi e la sua indolente anima di metallo. Un momento,
ragioniamo. Dov'è il drone numero Due? Torno immediatamente da Joker.
-Sveglialo!-
-Ci sto provando!- ma Bruce rimane schiavo del suo torpore. E non è tempo per nessuno di dormire.
-Prendilo a schiaffi!- gli consiglio.
-Cosa?! Io non prendo a schiaffi Banner!-
-Muoviti...-
poi mi abbasso di fronte a Bruce, tirandogli uno schiaffo. Ed in
effetti, qualcuno potrebbe avere da ridire sulla sicurezza di questo
gesto.
-Poi sono io... il pazzo...- sbuffa Joker.
-Non abbiamo tempo! Non senti? Ci sparano addosso!-
-Ci mancano...-
-E non ti sembra strano? Un robot spara e ci manca?
Non ci sta nemmeno provando. Non vuole colpirci. Vuole tenerci qui.-
-Oh... - Joker intuisce qualcosa -...merda. Merda!-
Continuo
a schiaffeggiare Bruce, sperando e rischiando di svegliarlo.
Finché la mia previsione si avvera. Tra il frastuono dei
proiettili,
riusciamo a sentire le porte dell'ascensore aprirsi. E poi, sentiamo la
mina. Enorme, sorda. Volano altri pezzi di muro, ed un corpo
umano atterra tra le macerie. Mi fischiano le orecchie, mentre cerco di
capire che succede. Ma trema tutto. Infine, il fischio si estingue,
permettendomi di sentire qualcosa di strano. Qualcosa di meccanico che
tenta di rialzarsi. Drone numero Due. Mi accorgo che Joker sta
stringendo un paio di granate nelle mani, alle quali leva l'innesco.
Sorride.
-Benvenuti nella casa dei pazzi!-
Le lancia. Verso l'ascensore, verso chi o cosa c'è davanti. E di
nuovo il pavimento trema sotto ai miei piedi. Non distinguo le due
esplosioni, ma l'effetto è quello descritto nelle istruzioni. Il caos. Joker
ride ed urla. Io sono ancora alle prese con Bruce. Lì, sentiamo
una voce.
-Ma... che cazzo succede?- E' lui. Il Presidente. Si
è svegliato nel peggior momento possibile. Svarionato, ancora
annebbiato dalla sedazione.
Joker lo recupera, sorreggendolo. Quando ancora quel rumore sinistro si
fa vivo. Quel rumore meccanico, che si è rialzato. C'è
una fitta nebbia di polvere di fronte all'ascensore. Ma quella cosa non
sembra muoversi. Guardiamo tutti e tre, cercando di carpire qualcosa
attraverso la nube di pietra. Siamo bloccati a metà corridoio.
Ne esce qualcosa, infine. Non cammina, ma è veloce. Qualcosa
di piccolo, scuro, che si conficca nel soffitto sopra di noi. Qualcosa tipo...
-Un... razzo?!-
Joker si tuffa nella stanza di fronte a sè, tirandosi dietro il
Presidente. Io mi appendo ad una di quelle massiccie porte,
improvvisando un riparo. Dunque aspetto. Aspetto il botto. Aspetto di essere scaraventato
qualche metro più lontano, insieme alla porta, che si strappa
dalle cerniere.
Ora sono a terra, ma sembra di essere sott'acqua. Per qualche
momento tutto si muove a rallentatore. Riesco a rimettermi sulle
gambe. Torna anche l'audio. La mia prontezza di riflessi e quella
porta, mi hanno evitato conseguenze peggiori. Peggiori dell'enorme
scheggia di vetro che mi trovo nel braccio sinistro, poco sotto il gomito.
Andando contro ogni manuale di sopravvivenza, la estraggo. Non si
dovrebbe fare, ma sarà solo d'impiccio. Un po' di sangue cola fino al
palmo della mia mano. Non va bene. Per niente. Da una parte, il drone
numero Uno sta ristrutturando la più comoda delle vie di fuga dall'edificio, dall'altra, il
secondo ci sbarra la strada. Ed ora sembra volersi avvicinare. Joker
ritorna in corridoio. Siamo in tre, fermi a guardarci, ad aspettare che
qualcuno decida per noi.
-Non hai un altro razzo in quella sacca?- chiedo.
Joker
si getta a recuperarla, ma c'è un problema. Non si trova.
Ed il drone due si avvicina. Si cerca invano, si sollevano i resti
delle pareti, ma niente. Estraggo la pistola. Sarà come lanciare
sassi contro un treno in corsa, ma potrei ritardare l'esecuzione. O
dare abbastanza tempo a Joker per trovare l'arma. Oppure farlo solo
arrabbiare di più. Svuoto il caricatore nella nebbia, verso
quel rumore che procede verso di me. Ma la ferraglia avanza. Mi volto
indietro, Joker non è ancora riuscito a trovare niente. Non
ho scelta. Sfodero la spada. Attendo. Acuisco l'udito, cerco di
misurare la distanza. Provo a scorgere qualche ombra. Niente. Infine,
Joker si fa sentire.
-Il mio bambino!-
Trovato. Ora bisogna stendere la minaccia di metallo. Ed in fretta. Poi
penseremo al resto. Sto rinfoderando la spada, quando lo sento. Ancora
quel rumore, terribilmente fuori luogo, meccanico e vicino. Troppo vicino. Mi volto.
E' qui, davanti a me. In un modo dannatamente sbagliato. E mi trovo preso in un dilemma etico-bellico. Se Joker
spara, sono fottuto. Se non spara, sono fottuto. Anzi, siamo fottuti.
Per questo motivo, sono portato a pensare che farà fuoco.
Aspetto la mia esecuzione. Quando lo sento.
Succede qualcosa. Qualcosa che spaventa. Un urlo. Forte, esagerato. Mi
scuote, riesce quasi a sollevarci da terra. Ma non è paura, non
è dolore. E' rabbia. Un urlo di rabbia, forte, esagerato.
Incredibile.
La porta che mi ha appena salvato la vita vola davanti ai miei occhi.
Ad una velocità assurda abbatte il drone Due, scaraventandolo
lontano da me. Poi, una chiazza verde la segue, atterrandole addosso.
Bruce. Si è svegliato. E non è di buon umore. Uomo verde... la nostra speranza. Ora a
volare è il drone Due, giù per il corridoio ed infine
fuori, dalla ex via di fuga. Bruce spicca un balzo e sparisce, portandosi via
buona parte del tetto. Il pavimento torna a tremare. L'edificio ormai è
irrimediabilmente compromesso, ed ha tutta l'intenzione di voler
crollare. Non c'è tempo per pensare, dobbiamo fuggire. E l'unica
via è la tromba dell'ascensore. Un altro metodo fortemente
sconsigliato, ma estremamente necessario.
Non ci sono opzioni da vagliare, perciò agiamo. Si tratta di
calarsi giù nel pozzo, entrare nella carcassa dell'ascensore e
tentare la fuga. Le operazioni vanno a buon fine. Percorriamo il
corridoio mentre il soffito comincia a sfaldarsi. Tutta la struttura si
lamenta, guaisce. Il Presidente recupera una mitraglietta dalle guardie
e si dirige verso l'uscita. Quando lo raggiungo, si volta verso di me.
-Victor...-
Come ci fa notare Joker, non c'è tempo da perdere. Banner
starà boxando con i droni, lasciandoci in un non intenzionale stato di vantaggio, ma non ci vorrà molto prima
che altra gente con cattive intenzioni ci si sbarri davanti. Victor
apre una delle ante dell'ingresso, piano, creandosi uno spiraglio per
controllare la visuale. Una, due volte. Infine battezza libera la zona.
Joker apre completamente, mentre Victor mi copre. Siamo pronti.
Sembra tutto tranquillo, stiamo per muoverci, ma qualcosa cade, rimbalza e
sbatte contro la porta. Rotolando infine ai nostri piedi. Un cilindretto grigio, metallizzato, lampeggiante. Davanti a
noi, è appena atterrata una granata.
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Capitolo 11 *** L'ottavo giorno ***
Contenitore
L'OTTAVO GIORNO
Sono a terra.
Mi
tengo la testa, le mani sulle orecchie. Sono volato a qualche metro
da quella che una volta era la porta, da quella che è
stata l'esplosione. Era una specie di granata stordente, e
devo dire che il suo lavoro l'ha fatto. Stordirmi. Stordirci. Uno
stordente spostamento d'aria.
Ora,
stanno entrando delle persone, uomini. Uno mi punta addosso un fucile
automatico, mentre l'altro mi solleva. Urlano qualcosa, ma è
tutto
troppo ovattato per capire. Sono me stesso in terza persona. Posso solo
sentire i detriti sotto di me, ed una spiacevole sensazione d'impotenza
temporanea. Stessa
sorte tocca a Joker e Victor. Ci trascinano fuori, e nessuno è in
grado di opporre resistenza. Sono i buoni. I cattivi per noi
cattivi.
Tornano udito e vista.
C'è un grosso elicottero
fuori. Le pale spaccano l'aria, facendo rimbombare il suono dentro alle
mie orecchie. Il buono che mi trasporta, mi trascina senza troppe
cerimonie, indietreggiando tendendomi una mano stretta sul bavero del
cappotto e l'altra sotto la mia ascella sinistra. La posizione della
mia spada non gli sta offrendo la presa migliore, facendolo accontentare
di questa. Non sembra un problema.
Tornano gambe e braccia.
Sollevo
il braccio sinistro e gli stringo quella mano sul mio bavero. Non deve mollare
la presa. Punto i piedi e lancio all'indietro il gomito destro, dal basso verso
l'alto. Centro. Il buono cade a terra. Mi rimetto in piedi e cerco di
capire la situazione. L'elicottero di fronte a me è acceso e pronto al decollo.
Joker e Victor procedono in quella direzione, accompagnati da
alcune persone, soldati, a giudicare dall'equipaggiamento. Lo stesso di quello che ho steso. Victor
sembra quello messo peggio. Il buono di fronte a me si tiene il naso.
Sto
per voltarmi. Qualcosa mi colpisce sulla nuca, facendomi crollare a
terra. Eccolo. Il calcio del fucile dell'altro buono. Ora si porta di fronte a me,
tenendomi sotto tiro. Lo fisso. Mi portano vicino agli altri. Ci
mettono in ginocchio, uno fianco all'altro, non lontano dal
velivolo.
-Ce ne sono altri?!-
Urla il buono di fronte a
Joker. Lui ride. Il buono lo colpisce con un pugno. Lui sputa via
del sangue e ride ancora. Adesso tocca a quello davanti a me. Stessa
domanda. Stesso risultato, stesso pugno. Sono di nuovo a terra. Si
allontana per un attimo, spazientito. Poi torna verso di me.
Lo vedo avvicinarsi, piano. Io sono a gattoni, e lui sta puntando
alla mia spada. Un rivolo di sangue corre sulla mia guancia. C'è
tanto rumore intorno a me e tante altre cose sbagliate. Il buono col mitra
è tornato da me, ed allunga una mano. Ma l'altro, quello a cui ho rotto il naso, lo
afferra per il braccio.
-No!-
Succede qualcosa d'inaspettato. Un rumore. L'elicottero. I rotori sembrano
perdere di potenza. Ed il pilota non sembra avere idea del
perché. Nessuno sembra averne idea. Nessuno tranne Joker.
-Ci siamo...-
Il pilota armeggia furiosamente con la strumentazione, ma le pale
rallentano inesorabilmente. Il capo di quei buoni, che sembra proprio esser quello a cui ho rotto il naso, ordina
agli altri tre soldati di badare a noi. Si guarda intorno. Fende l'aria col
mirino della sua arma in cerca di un bersaglio, di una causa che non
sembra esserci. Le pale si fermano. Poi si ode uno strano lamento. Un
gemito che proviene dall'elicottero. Il telaio comincia a guaire,
trema. La struttura vibra. Il capo urla al pilota di scendere, ma la
cabina è bloccata. Sbatte violentemente contro il vetro, si
dimena. Il capo corre incontro, nel tentativo di liberarlo, ma è
un istante. Un attimo. Il metallo torna a stridere, a piegarsi, ed
all'improvviso l'intero velivolo si accartoccia su se stesso in un
rottame informe. Uno spettacolare scultura di ferro compresso.
Nella confusione, chi doveva tenerci sotto controllo si distrae,
voltandosi verso il velivolo. Nel mentre, ne
approfitto per spezzare il collo ad uno dei tre. Un altro se ne
accorge, ma prima di poter reagire si ritrova il coltello di Joker
sotto al mento. Sotto e poi dentro. Stessa fine tocca al terzo. Ora teniamo il capo sotto tiro con
le loro armi. Sta ancora rovistando tra i
rottami, nel tentativo di salvare l'amico pilota, ma non c'è
niente da fare. Mi avvicino. Lo sollevo e lo sbatto contro l'ammasso di
fronte a lui. Cade, appoggiandosi con la schiena contro ciò che
rimane dell'elicottero. Victor lo tiene sotto tiro. Lui volta la testa,
cercando ancora l'amico.
-Fermo...- dico -...lascia perdere. Non ce la
faresti nemmeno con la spugna.-
L'occhio cade su una pozza rossa che si
espande sotto il blocco di metallo. Joker si avvicina al capo buono. Lo
guarda, guarda la pozza.
-Carne in scatola...- dice.
Lo guarda di nuovo e poi
scoppia in una risata quasi isterica. Il buono si discosta
schifato e consapevole. Non c'è più niente da fare.
Scarica e depone l'arma che aveva a tracolla, lanciandola via.
-Chi, sei...- continua Joker, con calma.
-Cosa avete fatto all'elicottero...- risponde lui.
-Ehm... non ci siamo capiti. Allora... adesso sono
io quello che fa le domande. Questa cosa non è mai chiara come
vorresti!-
alla fine, rivolgendosi a me. Accenno una risata. Il buono
non risponde stavolta. Rimane fermo, in attesa della nostra prossima
mossa. Quella che vede Joker colpirlo al volto, e porre nuovamente la
stessa domanda.
-No... non parla.- mi dice Joker.
-Non abbiamo tempo per queste cose.-
-Ma se non parla, lo devo togliere di mezzo...- indicandolo col coltello.
-Lascialo a me. Ora andiamo, prima che altri si
accorgano di noi.-
Lo convinco. Joker sbuffa, ma si rialza.
Approfittando di questa manovra però, il buono estrae una
piccola pistola da una fondina alla caviglia. La punta verso Victor e fa
fuoco. Click, bang, veloce.
Ci guardiamo. Increduli. La pallottola
galleggia ferma nell'aria, sotto lo sguardo esterrefatto del buono.
Prova a premere nuovamente il grilletto, ma non ci riesce. Joker
si avvicina alla pallottola che ancora fluttua nell'aria, bloccandone
la rotazione tra pollice ed indice della sua mano.
-Pensavi davvero che sarei venuto fin qui senza una... assicurazione?-
Sentiamo dei passi. Ed una persona appare da dietro il cumulo di
rottami. Il buono lo guarda, cerca di identificarlo. Chi può
aver fatto tutto questo? Poi capisce.
-Tu... sei...-
-Buongiorno Eric...- saluta Victor.
-Magneto...-
-Indovinato...- conclude Joker, colpendolo abbastanza forte da fargli perdere i sensi.
-Abbiamo un mezzo?- chiedo.
Eric ci fa segno di
seguirlo. C'è un altro velivolo, integro e funzionante, che ci
aspetta non lontano, insieme ad un ragazzino che da fuoco a tutto
quello che abbiamo intorno poco prima del nostro decollo. Assicurazione.
Mi faccio scaricare in un punto della città fantasma, non
lontano e non vicino a "casa" mia. Giusto per stare tranquilli. Mi
carico sulla spalla il buono svenuto ed aspetto il decollo del mezzo. Lo
guardo allontanarsi, dunque mi metto in marcia verso casa. Giusto per stare ancora più tranquilli. Sta
diventando sera, ma c'è ancora un sole abbastanza forte da non
farmi rischiare spiacevoli agguati. Gli sciacalli sono più
attivi la notte. Cammino. La ferità sul mio braccio fa
discretamente male, ma non sanguina poi così tanto. Meno di
quanto mi aspettassi. Meno di quanto abbiano sanguinato altre ferite
simili. Forse è una di quelle migliorie del siero, che mi
inietterò una volta arrivato. E' l'ottavo giorno, ed è il
momento di concludere il trattamento. Per cominciare a riflettere.
Non
mi piace come è andata oggi. Per niente. C'è stata
un'importante mancanza di provvedimenti questo pomeriggio. Sono ancora
vivo, nonostante tutte le occasioni. Siamo sopravvisuti. Tutti. E non
mi riferisco al pianificato e tempestivo ingresso del signor Leshner,
ma di quanto è accaduto prima. Ci sono leciti dubbi sospesi a mezz'aria. Ma
fortunatamente, ho un buono sulle spalle che suo malgrado dovrà
dare delle risposte.
Arrivo al bunker. Entro e subito sbatto il buono nella cella che fu di
Lois. Lo assicuro saldamente alla branda, così che non possa
liberarsi. Poi mi disarmo, e mi concentro quanto basta su di me.
Diagnosi: graffi superficiali su viso e mani, qualche livido, un taglio
interessante sul braccio, ma nessun osso rotto. I miei organi interni
sono nel medesimo ordine di quando sono uscito. Ora, la ferita.
Completo le normali procedure e mi accingo alla sua medicazione. Stryker era fornito di un gran numero di beni atti
all'auto soccorso. Un comodo kit, putroppo sfornito di un sedativo
abbastanza potente da calmare il dolore. Stringendo i denti, mi medico.
Il dolore è chiaro, ogni volta che l'ago buca la carne è
uno sfavillante momento di auto analisi e consapevolezza. Il dolore ha
sempre avuto il merito di mantenermi vigile nella realtà. Ogni
spillata è un'emozione che pulsa e si attenua fino a quella
successiva. Che mi ricorda quello che ho passato.
Fine. Una garza bianca copre un'altra probabile futura cicatrice.
Rimetto tutto in ordine, compreso me stesso. Giunge l'ora del
mio cocktail personale. Il terzo ed ultimo pezzo del puzzle. Mi dirigo
verso il contenitore ermetico, sollevo la manica. Sblocco il coperchio
e lo apro. Guardo dentro. Faccio scorrere le mie mani all'interno,
perlustro tutta la superficie con le dita. Infine, devo fermarmi.
E' vuoto.
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