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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Una Pasqua insolita *** Capitolo 2: *** Una visita inaspettata *** Capitolo 3: *** Il racconto di Alberto ***
“Signori se non avete altro da
aggiungere la riunione è conclusa. Ogni cosa è stata stabilita, non resta altro
che seguire i piani”-disse una fredda voce calcolatrice-“il nuovo incontro è
previsto tra pochi giorni a villa Pascoli. Non ammetto errori. Abbiamo le ore
contate”. Detto questo, la persona seduta a capotavola si alzò, avvicinò il suo
socio più fidato, dicendogli: “Sei tu il responsabile di questa operazione, che
ti darà grandi benefici”. Abbandonata la sala, si diresse alla sua limousine,
parcheggiata davanti all’ingresso della casa dove si era appena tenuta la
riunione, pronta a condurlo all’aeroporto.
Cascina nelle Langhe, 28 aprile
Alessia si era appena svegliata.
Quella notte non aveva avuto incubi, aveva riposato di un sonno tranquillo e
sereno. Era l’alba. Se ne accorse dal (verso del grillo) dei grilli, o più
precisamente, dal “gracchiare” dei grilli, come lo definiva lei. Il verso di
questi insetti le dava particolarmente fastidio, dal momento che tutte le mattine,
svegliandola, le ricordava che l’avrebbe attesa una lunga giornata di scuola e
di studio, ma quella mattina era speciale. Nonostante fossero solo le sei non
si sentiva stanca e, almeno per un giorno, decise di non innervosirsi per
“l’insopportabile gracchiare di quelle orride bestiacce”. Era il venerdì santo,
secondo giorno di vacanza. Per quell’anno si sarebbe festeggiata una Pasqua del
tutto insolita e speciale: tutta la famiglia si sarebbe riunita a Menaggio,
paesino affacciato sul lago di Como, dove i nonni paterni di Alessia avevano
comprato una casa. La ragazza rimase per un po’ distesa sotto le coperte a
pensare e a chiedersi come mai i suoi nonni avessero avanzato tale proposta, e
la lasciava ancora più stupita il fatto che tutti quanti avessero accettato.
Alessia sorrise, ricordando il detto “parenti serpenti”, che era proprio adatto
per quella situazione; non era cosa estranea a nessuno che i suoi familiari
paterni non andassero per niente d’accordo con quelli materni, nonostante
provassero a dimostrare il contrario. Aveva cercato per un mese, cioè da quando
i suoi nonni avevano fatto la proposta durante una delle temute riunioni
familiari in occasione del compleanno di Stefano, fratello di suo papà, di
arrivare alla soluzione e alla fine si convinse che i suoi nonni volessero dare
una dimostrazione di falsa magnanimità e cortesia solo come gesto di sfida. A
quel pensiero prima sorrise, dopo scoppiò decisamente a ridere, come se le
avessero raccontato la più buffa delle barzellette. “Ma quale competizione?!”,
pensò. Era pienamente convinta del fatto che i suoi parenti materni avrebbero
vinto qualsiasi sfida. Era sempre stata più legata a loro, fin da bambina; si
sentiva più protetta in loro compagnia, nonostante avesse occasione di vederli
raramente, dal momento che abitavano a Milano ed erano poche le occasioni in
cui potevano riunirsi tutti insieme. Alessia guardò l’ora sul cellulare. Erano
le 7.00. Scrisse un breve messaggio…“Sarà già sveglio a quest’ora, scommetto”-
disse a bassa voce, riflettendo con lo sguardo rivolto verso il suo gatto, che,
in segno di risposta, incominciò a fare le fusa, acciambellandosi nelle coperte
calde del letto.
Milano, appartamento sul Naviglio grande, 28 aprile
Giacomo vide illuminarsi lo
schermo del cellulare. Lesse il messaggio: “Buongiorno Momo! JJ pronto per il grande
evento? ;-)”. Sorrise divertito e rispose. Era Alessia, o meglio Ale, la sua
cuginetta preferita. Tra di loro c’era sempre stato un legame particolarmente
speciale. Si volevano bene come se fossero fratelli, o forse anche di più. Si sentivano
sempre e, quando potevano, passavano delle ore a raccontarsi le novità o a
confidarsi. Oltre al carattere molto simile, praticamente uguale, anche la loro
breve differenza di età li aveva uniti. Giacomo aveva 22 anni, Alessia 18.
Avevano frequentato lo stesso tipo di liceo e Giacomo stava per affrontare
l’ultimo anno di giurisprudenza all’università “La Cattolica” di Milano. Anche
per lui era cominciato un breve periodo di vacanza e quella mattina si era
svegliato presto per preparare le valigie. Era uno dei “famosi parenti materni”
invitati dai nonni di Alessia. Nonostante avesse molto tempo per prepararsi, si
era svegliato presto. Era felice di vedere la sua cuginetta e non vedeva l’ora
che arrivasse. In più era una delle poche occasioni che avevano per divertirsi
e farsi delle sane risate “dal vivo”, ironizzando sulla vita di campagna, che
Ale proprio non sopportava.
Cascina delle Langhe
Appena Alessia vide lo schermo
del cellulare illuminarsi, sorrise trionfante e sempre rivolgendo lo sguardo
verso il suo gatto disse: “Lo sapevo io che era sveglio!”. Lesse la risposta:
“Ciao cuginettaJ
diciamo che sono quasi pronto dai. Sto preparando le armi… per sicurezza porto
anche qualche antidoto nel caso mi avvelenassero;-) dici che basta? :-)”. La
ragazza rise e pensò: “Forse servirebbe anche qualche bomba a mano”. Rispose a
suo cugino e scese a fare colazione. Nel frattempo anche i suoi genitori,
Veronica e Luca, si erano svegliati. Alessia stava prendendo il suo the con
tranquillità, quando li vide arrivare. Non fece in tempo a salutarli che subito
sua mamma incominciò a strillare. “Cosa ci fai qui? Non sei ancora pronta?? E’
tardi!! Sono le 7e mezza e dobbiamo essere a Milano alle 12, SBRIGATI!” La
ragazza provò a replicare: “Ma veramente io…”. “Ma veramente tu cosa? Non
discutere e fai come dice la mamma” disse secco il padre. Alessia lasciò il suo
the a metà e andò a preparare la valigia. Mentre saliva le scale sentiva il
calore addensarsi sul suo viso: erano già riusciti ad innervosirla. Nn
sopportava di essere trattata così. “In fondo, se proprio stiamo a guardare
sono IO quella che alle sei di mattina era già sveglia, mentre loro dormivano,
o meglio, russavano con la delicatezza di un rinoceronte! E poi per andare a
Milano ci vuole un’ora e mezza…vogliono partire alle 8 per essere da Momo a
mezzogiorno? Alla fine intanto aspetto sempre io!”. Passati i cinque minuti di rabbia, la ragazza
decise che non si sarebbe lasciata rovinare la giornata da loro e con tutta
serenità prese la valigia, aprì le ante dell’armadio e mise tutti i suoi
vestiti più belli.
Torino, 28 aprile
“Tesoro dai andiamo o perderemo
il treno”-disse la voce gentile della zia di Alessia, Carolina, rivolta al
marito Giancarlo -“sempre immerso nel lavoro, eh? Almeno per questi giorni mi
avevi promesso che ti saresti riposato”. “Hai ragione, cara, ho finito.
Prendiamo i bambini e avviamoci” le rispose accennando un sorriso, dopo averle
dato un bacio affettuoso. I due sposi erano le persone privilegiate nella
famiglia di Alessia. Primogenito, fratello di Luca, Giancarlo era sempre stato
il figlio preferito e più fortunato, quello che, secondo i nonni paterni della
ragazza, aveva dato grandi soddisfazioni. Dopo aver frequentato l’università
migliore di Torino, era stato assunto come architetto in un’azienda ed ora era
il braccio destro del direttore della compagnia. Carolina, invece, proveniva da
una famiglia dell’alta società di Torino, aveva ereditato dal padre uno studio
notarile, e questi due elementi erano bastati alla donna per farsi ammirare dai
suoi suoceri. Il rumore del motore della macchina di Giancarlo davanti al
cancello segnalò alla moglie che le valigie erano state caricate e che era
arrivato il momento di andare. Sistemò comodamente i tre bambini sul sedile e
si sedette a fianco del marito. Arrivarono alla stazione giusto in tempo per
convalidare i biglietti, fatti il giorno precedente, e per salire sul treno.
Era un Eurostar, rapido e veloce, con posti prenotati. Era stata di Carolina
l’idea di viaggiare in treno, Giancarlo avrebbe preferito di gran lunga
l’automobile, ma aveva acconsentito a soddisfare la richiesta della moglie, che
gli aveva fatto notare che si sarebbero sicuramente risparmiati interminabili
ore di coda e la cantilena di sottofondo dei bambini, che avrebbero
insistentemente chiesto: “Mamma, papà siamo arrivati?”.Dopo una breve ricerca, la famiglia si
sedette nei posti assegnati e il fischio del capotreno annunciò la partenza. Lo
sguardo di Giancarlo si posò su un uomo seduto sul sedile accanto a quello
della moglie. Lo trovava strano. Di certo era ricco; lo si capiva dal completo
di Armani che indossava, ma l’aspetto fisico non era per niente curato: capelli
arruffati, carnagione pallidissima, profonde occhiaie. Giancarlo cercò lo
sguardo della moglie e, indicando la particolare figura con un cenno, cercò di
comunicarle: “Stai attenta”.
Alessia aveva finito di preparare
le valigie ed ora era distesa sul divano del suo salotto a guardare il
soffitto. Dalla camera dei suoi genitori
la mamma le disse ad alta voce per farsi
sentire: “Ale per favore spegni il gas…e dai una mano a papà a portare le valigie in macchina!”.
“Già fatto mamma, tranquilla”, rispose la ragazza. Era abituata a sentirsi dire
le stesse cose da una vita ormai. Tutte le volte che dovevano partire per
andare in vacanza era sempre la solita storia. “Devo imparare a svegliarmi alle
nove. Non ci fossero questi maledetti grilli! Almeno ora avrei qualcosa da
fare, non restare qui a “vegetare”. Incomincerò a cercare le chiavi della
macchina dai…visto che, come ogni anno, spariranno
misteriosamente e la mamma mi chiederà tra poco di prenderle”.Il problema di trovare quel maledetto mazzo
di chiavi era un’ossessione ricorrente in casa sua. Alessia non era per niente
ordinata, ma almeno nel suo disordine si orientava e, alla fine, trovava sempre
tutto. Ma quando era sua mamma a mettere a posto, allora era una vera sfida. Un
braccialetto appoggiato sul comodino poteva essere riposto in un portagioie
creato apposta, di cui nessuno conoscesse l’esistenza. Come Alessia aveva
previsto, Veronica dopo poco le chiese di cercare le chiavi e la ragazza, con più
costanza di un’indagine di Sherlock Holmes o Poirot,
si mise sulle loro tracce e finì per trovarle in una scatolina minuscola,
collocata sul tavolino vicino all’ingresso. “Ecco perché compra questi
contenitori inutili”, pensò. Le afferrò con fare orgoglioso e trionfante, prese
le ultime valigie, aspettò la mamma e salirono in macchina.
Milano, appartamento sul Naviglio grande, 28 aprile
Giacomo stava aspettando i suoi
genitori, Ale, Veronica e Luca. Si erano dati
appuntamento a casa sua. Avevano deciso di andare a Menaggio
con due macchine. I genitori di Alessia e i suoi avrebbero utilizzato un’automobile,
mentre Ale
sarebbe andata con Momo sulla sua nuova Lamborghini, anche se il papà della
ragazza non era d’accordo perché considerava Giacomo un ragazzo poco
affidabile. Ogni mossa era stata calcolata dai due giovani con la massima cura
e attenzione. Sapevano che si sarebbero annoiati o che ci sarebbero potuti essere
scontri familiari alla “Beautiful” e
quindi avevano preparato un efficace piano di fuga: avere la macchina di Momo
sarebbe stato molto utile. In più i nonni paterni di Alessia avevano un’ossessione
maniacale per le marche, per le alte cariche…e la
ragazza aveva detto scherzando al cugino: “Forse è meglio che vieni con il
gioiellino(così avevano soprannominato la macchina), potresti evitare l’avvelenamento!”.
DlinDlon
Il campanello di Giacomo suonò
una volta. I suoi genitori erano arrivati. Li fece accomodare, salutò con un
bacio sulla guancia la madre e con un affettuoso abbraccio il padre, prese il
cellulare e inviò un messaggio: “Sperando che tu abbia trovato le chiavi;) dove
sei?:)”. Dopo un attimo la risposta: “ Ricerca più facile del previsto;) mezz’oretta
e arriviamoJ”.
Eurostar, 28 Aprile
Terza fermata. Lo strano
personaggio scese con una velocità paragonabile a quella di un fuggiasco
braccato dalla polizia. I muscoli di Giancarlo diventarono tesi per un ultimo,
interminabile attimo, quando l’uomo gli passò accanto. Basta, era tutto finito.
Ora poteva rilassarsi, anche se un senso di inquietudine gli rimaneva, piantato
come un seme nello stomaco. Era rimasto muto per tutto il periodo del viaggio,
soffermandosi a guardare quella bizzarra figura, che non si era mossa, era
rimasta lì, con gli occhi persi nel vuoto. “E’ sicuramente un drogato”, aveva
pensato Giancarlo e, temendo per la moglie e i bambini, aveva cercato più volte
lo sguardo della donna, per infonderle un senso di protezione, e allo stesso
tempo per perdersi in quegli occhi azzurro profondo, capaci di donargli un senso
di tranquillità e sicurezza, che lo avevano fatto innamorare fin dalla prima
volta che li aveva visti. Carolina cercava di rispondere alle occhiate del
marito; lo vedeva pallido e agitato, non voleva che si preoccupasse, ma sapeva
che era impossibile. Quando l’uomo scese dal treno sorrise al marito, come per
dirgli: “Siamo salvi”, ma notò in lui che qualcosa non andava.
“Tesoro , ti senti bene?” .
“Sì, cara, stai tranquilla…solo…il suo sguardo…”.
“Il suo sguardo? Cosa vuoi dire?”.
“Quell’uomo…prima
di scendere dal treno…mi ha guardato in modo strano…è stato un attimo, uno sguardo sfuggente…ma
i suoi occhi erano gelidi….ho avuto paura”.
“Stai tranquillo adesso. Se n’è
andato. E poi sono sicura che è stata un’allucinazione. Eri talmente
preoccupato”, gli disse infine Carolina con una voce così gentile, che
Giancarlo abbandonò ogni pensiero ngativo e si lasciò
convincere. “Sì, hai ragione tu. E’ stata solo la mia immaginazione”. Si
sistemò comodamente sul sedile e si godette il resto del viaggio.
Milano, appartamento sul Naviglio grande, 28 Aprile
DlinDlon, DlinDlon
Il campanello della casa di Momo
suonò due volte. Era passato un quarto d’ora da quando la sua cuginetta gli aveva
risposto. Possibile che fosse già arrivata? Guardò fuori dalla finestra e vide
Alberto. Era un amico di famiglia,abitava a Milano, molto legato ad Edoardo,
padre di Giacomo, ma ammirava moltissimo anche Momo, dal momento che aveva
intrapreso la carriera di giurisprudenza, che suo figlio aveva rinnegato.
Giacomo si voltò verso il padre: “C’è Alberto”, gli disse. Il padre lo guardò
stupito, anche la madre accennò uno sguardo interrogativo. Il ragazzo, rivolto
ai suoi genitori, espresse il pensiero, che affollava la mente di tutti in quel
preciso istante: “Cosa può volere Alberto di così urgente da piombare qui?”. Ma
Alberto un motivo l’aveva, ed era un buonissimo e validissimo motivo.
Giancarlo, Carolina e i bambini
erano arrivati alla stazione di Como e, come da programma, i nonni paterni di
Alessia, Paolo e Maria, erano andati a prenderli. Non c’era infatti una linea
ferroviaria che arrivasse a Menaggio e i due anziani
non volevano che i piccoli viaggiassero sul pullman fino al paesino. “C’è della
brutta gente al giorno d’oggi” – dicevano – “ e visto che sono ancora bambini,
meritano di essere trattati con tutte le comodità. Ci sono tanti turisti che visitano
Menaggio. I nostri nipotini non possono di certo fare
il viaggio in pullman in piedi!”. Avevano pronunciato queste esatte parole
durante una cena di famiglia. Alessia era rimasta stupita e intenerita da quel
gesto d’affetto, dal momento che, quando era piccola lei, non l’avevano mai
fatto, anzi nemmeno proposto; però era felice che di quell’amore potesse godere
qualcun altro. “Che abbiano un cuore?”, aveva pensato ironicamente, dal momento
che si era posta una domanda retorica, sicuramente con risposta negativa,
almeno per lei. Giacomo, dopo aver ascoltato il racconto della cugina
sull’accaduto, aveva sbarrato gli occhi, inarcando i sopraccigli e facendo una
smorfia. “Affetto, eh?” aveva detto, ridendo, condividendo gli stessi dubbi di Ale. “Se Paolo e Maria sono capaci di provare amore verso
qualcuno o qualcosa, a parte loro stessi e il denaro, cambio facoltà e vado a
studiare filosofia, promesso!”. E dal momento che Momo odiava, o meglio
disgustava profondamente quella materia, doveva proprio essere sicuro di quello
che stava dicendo. “Ma come siete cattivi, ragazzi!”, aveva detto Delia, la
mamma del ragazzo, con un tono di finto rimprovero.“Cattivi,eh?”- rispose Momo, mantenendo il
tono ironico- “voglio vedere se cambierai idea dopo che ci avranno spediti a
dormire nella stalla e avvelenati!”. E la discussione si era conclusa con una
sonora risata.
Milano, appartamento sul naviglio grande, 28 Aprile
In un baleno, Alberto era
piombato sulla soglia della casa di Giacomo. Il ragazzo non fece in tempo a fargli
segno di accomodarsi, che l’uomo era già entrato e si era accasciato sulla poltrona del
soggiorno, ansimando. “Giacomo per favore chiudi la porta, in fretta!”, lo
pregò sottovoce. Il ragazzo non se lo fece ripetere e offrì un bicchiere
d’acqua ad Alberto, aspettando che si calmasse. “Scusate … lo so che vi sembro
matto …. non volevo ….”, ma si interruppe, il viso coperto dalle mani.
“Tranquillo Alby, rilassati … forza, dicci che cosa
sta succedendo”, disse Edoardo, mettendo il suo braccio intorno alle spalle
dell’amico. “Qualcuno mi perseguita. Mi hanno trovato …. hanno scoperto ….”, ma
non riuscì ad aggiungere altro, la sua voce fu spezzata dalle lacrime. “Chi ti
ha trovato? Chi ti perseguita?” chiese insistentemente Edoardo con l’intento di
far parlare l’amico. Dopo pochi minuti Alberto riprese il discorso; ora
sembrava lucido e tranquillo, la voce ferma e sicura. Si alzò in piedi e
pronunciò le sue parole mentre con passi veloci, che rivelavano il suo reale
stato d’animo e d’inquietudine, nonostante l’uomo si fosse imposto di
controllarsi, percorreva il perimetro del salotto di Momo. “Due anni fa, come
sapete, mio padre è mancato. I medici sostengono che si tratti di morte
naturale, infarto, ma onestamente non ci credo. Non ha mai sofferto di cuore, è
sempre stato un uomo che scoppiava di salute. In più il caso ha voluto, che
dopo la sua morte, l’azienda che dirigeva sia completamente entrata in crisi,
abbia dichiarato il fallimento e questo
ha permesso ad una nuova compagnia di ricomprarla a basso prezzo … non una
compagnia qualunque … ma quella che faceva maggior concorrenza a quella di mio
padre, la “Blue Marine”. Pur facendo un lavoro
completamente diverso, ho pensato di interessarmi di nascosto alla vicenda e,
grazie ad alcune mie conoscenze, sono riuscito a scoprire che la “Blue Marine” non aveva denaro sufficiente per acquistarla e
non ha chiesto unprestito ad una banca… ma un’altra associazione l’ha comprata e ceduta alla
concorrenza. Ho deciso di arrivare al nome dell’associazione, avevo già un
valido motivo, ma sono diventato ancora più deciso nel mio proposito quando…”, qui si interruppe per un momento e arrossì
leggermente, poi riprese “fino a quando ho incontrato Angelica. E’ successo
tutto per caso. E’… o forse dovrei dire era …”- fece una breve pausa, come se
cercasse di chiarire bene la cosa a se stesso, prima di rivelarla agli altri-
“va beh continuiamo… è un’amica di mia moglie,
frequentano gli stessi corsi in palestra. Un giorno è venuta a pranzo, io ero
appena tornato dal cimitero, non sapevo che ci fosse. Non ero molto allegro, mi
manca molto mio padre e ogni volta che vado a “fargli visita” rimango ancora
molto turbato e scosso. Angelica si è subito preoccupata e mi ha chiesto come mai
ero così triste. E così dopo veloci presentazioni, le ho raccontato brevemente la
mia storia…ovviamente ho omesso i particolari. Mi
sono limitato a dirle che ero distrutto per la morte di mio padre ed ero
amareggiato per il fatto che la “Blue Marine” fosse
riuscita ad acquistare l’azienda. Il giorno seguente è venuta nel mio ufficio e
mi ha raccontato che suo padre lavorava nella stessa azienda del mio e aveva
talmente sofferto per il crollo della compagnia e il suo conseguente
licenziamento, che era morto dal dolore, il suo cuore non aveva retto. Sonorimasto particolarmente colpito dalla
vicenda, Angelica era distrutta. Ricordare il recente passato non le aveva
fatto bene, aveva appoggiato il capo sulle sue braccia, quasi per voler
nascondere le lacrime che le rigavano il viso, pronunciava parole intrise di
dolore e rabbia. Voleva vendetta. Ho deciso di raccontarle quello che sapevo ….
Oh quanto me ne pento ora!! Le ho detto che avevo intenzione di andare fino in
fondo alla storia e che avrei trovato il modo di denunciare e incastrare i membri
di quell’associazione e Angelica si è offerta di aiutarmi. Grazie al suo aiuto
sono riuscito a entrare nella “Blue Marine” e ho
investigato. Ho trovato dei file e dei documenti che mettono chiaramente in
evidenza il fatto che l’azienda sia spalleggiata da un’altra associazione,
illegale direi; si è spacciata con il nome di “West Coast”,
ma ho provato a ottenere informazioni e nonho ottenuto nessun risultato. Oltre al computer, ho deciso di dare
un’occhiata in tutto l’ufficio del capo e ho trovato una busta, era stata
aperta e riposta con cura, riportava un messaggio breve, ma freddo e preciso:
“Domani riceverai nuove informazioni. West Coast”.
Sono tornato a casa e ho raccontato tutto ad Angelica il giorno seguente,
accennandole il fatto che vi avrei chiesto aiuto in caso avessi ottenuto prove
più sicure. Era evidentemente molto preoccupata per me, sembrava spaventata, mi
ha pregato di desistere dall’impresa perché non era un gioco avere a che fare
con un’associazione di quel tipo, potevo essere in pericolo. Ma non è riuscita
a convincermi e quello stesso giorno sono ritornato alla “Blue
Marine”. L’orario era lo stesso della volta precedente e, sperando di avere
fortuna, ho cercato la nuova busta nel posto in cui avevo trovato la
precedente. Doveva essere un’abitudine dell’amministratore riporre i messaggi nello
stesso luogo: infatti la lettera era là, dove mi aspettavo di trovarla. Anche
questa volta era già stata aperta. L’ho letta: “Perletti(cognome
di Alberto) sta investigando, vuole scoprire tutto. Sta diventando pericoloso. Non
è solo, un’altra persona lo sta aiutando. Trovala ed eliminala. A lui penseremo
dopo.”. Ho chiamato subito Angelica,
dicendole che sarei corso da voi per chiedere aiuto,perché la situazione sta
peggiorando, perché ha ragione lei, questo non è un gioco, perché ora è in
pericolo, per colpa mia, e non potrei mai permettere che le accada qualcosa di
male. Non le ho rivelato le esatte parole della lettera, non ne ho avuto la
forza, le ho solo detto che deve rimanere fuori da questa storia e che non
voglio più nemmeno il suo sostegno, perché voglio portare a termine la
questione da solo. Sono venuto da voi appena ho potuto, ma devo scappare ora;
ho tenuto mia moglie all’oscuro di tutto, non voglio che cominci a sospettare
qualcosa. Vi prego aiutatemi. Lo so che vi chiedo moltissimo, ma andare alla
polizia non serve a niente. Aiutatemi a investigare. Per favore, vi imploro.
Sono disperato. Dobbiamo prenderli prima che la trovino. Dovete aiutarla. Non
so quanto servirà non vederla più. Per fortuna non la conoscono, non sanno dove
abita, non sanno dove si trova ora. Ma se la trovassero? Aiutatemi. Mi ha detto
che in questi giorni soggiornerà a Menaggio, con la
sua famiglia, perché è il luogo d’origine di suo papà e festeggiare in quel
luogo la Pasqua è come se la sua famiglia fosse ancora tutta riunita insieme,
come faceva una volta. Edoardo, Delia, Giacomo, so che vi chiedo l’impossibile,
ma siete le uniche persone di cui mi fido veramente. Aiutatela, o la
uccideranno”.