Our Galaxy Is Still Glittering

di Sakurina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Filament ***
Capitolo 2: *** Adult Bank ***
Capitolo 3: *** Bougainvilleae ***
Capitolo 4: *** Science Guild ***



Capitolo 1
*** Filament ***


Prologo

« Prologo «

Mau yuki wa, hoshi no kakera.

[The fluttering snowflakes are pieces of the stars.]

tentai ni te wo nobashite

[If you reach out to the skies.]

ikigau negai kanjiteiru ne

[You feel wishes come and go.]

subete wa ima monocrome no naka.

[All caught in a Monochrome.]

 

Le note di quella canzone si disperdevano nel cielo, bruciando nel rossore del tramonto, annegando nel mare tinto del color del sangue, confondendosi fra le risate risonanti della gioventù risplendente della scuola.

Ma che cos’era una semplice canzone, cantata al vento, coperta dal frastuono delle onde, in una piccola isola accesa a festa? A chi sarebbe potuto importare di quel canto malinconico che si innalzava dal porticciolo dell’isola? Chi si sarebbe fermato a prestare attenzione a quell’umile voce che cercava di farsi spazio nel cuore egoistico della gente?

Eppure un pittore su un promontorio fermò la sua mano dal dipingere la sua opera.

Eppure un giovane sprizzante di vita sospese la sua attiva voglia di aiutare per la festa.

Eppure una silenziosa studentessa seduta fra le colonne di un antico santuario abbandonò il suo libro.

Eppure una ragazza dai lunghi capelli rosati appena scesa dal battello arrestò la sua camminata leggiadra per voltarsi verso quella graziosa signorina che, seduta sul molo, intonava con grazia quella canzone che in quella calda sera primaverile riusciva a toccare il cuore di alcuni eletti che vivevano la loro giovinezza su quell’isola illuminata dalle stelle.

 

«««

 

«Filament«

 

Certo era che quel grazioso canto non riuscì a giungere alle orecchie dell’ormai ex-rappresentante degli studenti. Del resto come avrebbe potuto?

Quella sera, la sua ultima sera, Benio Shinada era troppo presa dal suo mondo, dai suoi pensieri, dalle sue mille cose da organizzare per poter sprecare preziosi minuti di vitalità nel fermarsi ad ascoltare una stupida canzone cantata da chissà chi.

Quella era la sua dannatissima ultima sera.

Un anno era passato dallo scioglimento della Brigata Kiraboshi Juuji.

E lei – che non sapeva che farsene del tempo morto nella sua vita – aveva cercato in ogni modo di colmare quel vuoto creato dall’assenza di missioni segrete extrascolastiche impegnandosi al massimo e dedicando tutta se stessa al ruoto di rappresentante – diventando il peggior incubo di tutti gli studenti – e al club di kendo.

E quel dannato anno era passato più in fretta di quanto potesse rendersene conto.

La primavera era arrivata, portando con sé la festa dei diplomi.

Festa dei diplomi. Niente più scuola. Niente più posto al dormitorio. Iniziare a vivere una vita adulta al di fuori del contesto scolastico.

Ergo, iniziare una nuova vita.

Benio trasse un lungo sospiro, nascondendosi nella penombra degli alberi creata dal tramonto.

Si appoggiò ad un tronco con la schiena, lasciandosi scivolare verso il basso con aria esausta. E in effetti, lo era per davvero.

Aveva organizzato tutto alla perfezione: tutti gli studenti dell’ultimo anno sarebbero stati entusiasti di quel party d’addio. Addio. Come suonava male, quella parola.

Tutti ne sarebbero stati entusiasti, tranne lei. Ecco cosa le diceva il suo cuore, che le palpitava debole in petto, e ogni battito non era altro che una spina che le si ficcava sempre più in profondità, spezzandole il respiro e lasciandole uno strano senso di bruciore negli occhi.

Avrebbe voluto piangere. Ma a che scopo?

Fare la bambina per sempre non le sarebbe servito a nulla.

Doveva crescere, lasciarsi alle spalle i dolci ricordi scolastici e affacciarsi ad una nuova avventura.

Ma quanto era doloroso abbandonare quella vecchia.

Era la fine, l’ora degli addii, l’inizio di una nuova vita.

Chiamatela come volete…

“…ma per me è solo un grande vuoto senza senso.” Singhiozzò infine Benio, liberandosi ad un pianto solitario in quel buio angolino di giardino dimenticato da tutti.

Forse non proprio tutti.

“E io che credevo che volessi completare la tua collezione di baci in gran bellezza, questa sera.

All’udire quella voce roca, profonda, canzonarla all’improvviso alle sue spalle, la ragazzina balzò in piedi di scatto, senza però voltarsi.

“Che cavolo vuoi, Tetsuya?!”

“Mi scusi rappresentante, non volevo irritarla. Cantilenò lui, appoggiandosi al tronco di profilo e incrociando le braccia al petto, gli occhi chiusi quasi a finger indifferenza.

“Non dovresti esser ad aiutare George con i preparativi per la festa?”

“Sai benissimo anche tu che è tutto pronto in ogni minimo particolare. Al massimo io e George potremmo aver piazzato qualche scherzetto in giro per rovinare la tua festa a dir poco maniacale.”

Mpf, fate come vi pare. Se poi rischierete di morire per mano mia… beh, siete coscienti di esservela cercata. Benio ringhiò contrariata, tornando a sedersi ai piedi dell’albero, percependo la rassicurante presenza dell’amico d’infanzia alle sue spalle.

“In realtà George è andato a parlare a quella ragazza del primo anno con cui usciva recentemente per salutarla… visto che abbiamo fissato la partenza per domani pomeriggio, sai. Le spiegò il ragazzo, e l’iniziale ironia dalla sua voce svanì per lasciar spazio ad una serietà velata da una leggera malinconia.

“Oh, capisco.”

“Sai… essendo l’ultimo giorno di scuola per noi… pensavo fossi andata a cercare il tuo amato Sugata-kun per strappargli un ultimo bacio per la lunga collezione di Scarlet Kiss.

Un sorrisino amaro si spaziò sulle labbra di Benio.

“Ormai la collezione di Scarlet Kiss è finita da molto tempo. E credo che da oggi, finirà per sempre. Non posso certo continuare a baciare ragazzi come hobby per tutta la mia vita. Potrei perdere credibilità…!”ridacchiò la ragazza, eppure non riusciva a mascherare la sua voce ancora un po’ tremante.

“Capisco.” Sussurrò Tetsuya, impassibile.

A quel punto, un pesante silenzio calò fra i due. Cosa che accadeva assai raramente, soprattutto fra loro due, la cui loquacità non lasciava mai spazio a momenti vuoti. Eppure, ora… era chiaramente la fine. Era anche la loro fine.

La mattina seguente George e Tetsuya se ne sarebbero andati – anche loro – su quel maledetto battello, alla conquista di una vita indipendente e del successo sulla terraferma. Lontano dall’isola. Lontano da lei.

Addio.

“E tu non avevi niente di meglio da fare che venir qui? Non hai nessuna cara ragazza del tuo cuore da andare a salutare nel tuo ultimo giorno sull’isola?!” sbottò Benio improvvisamente, straziata da quella situazione che la tormentava dentro.

Tetsuya aprì finalmente gli occhi, per posarli sulla piccola sagoma della ragazzina rannicchiata ai suoi piedi. Piccola, graziosa, tremante, risplendente di vita e di luce proprie. Come il primo giorno, sebbene quello fosse l’ultimo.

“Beh, ma è quello che sto facendo.”

Il cuore di Benio, avvolto dalle tenebre solitarie, ebbe un sussulto. E i suoi occhi ripresero a piangere, come se non lo facessero da molti anni anziché pochi minuti. Quell’idiota patentato aveva davvero intenzione di abbindolarla sfoderando le sue migliori frasi da cascamorto?!

“Tetsuya, razza di idiota, si può sapere cosa vai dic—“

Ma le parole non riuscirono più ad uscire dalle sue labbra tinte di rosa dal lucidalabbra alla – Tetsuya lo stava ben scoprendo – ciliegia.

Benio rimase paralizzata, trovandosi inaspettatamente tra le braccia del suo amico, rapita in un bacio che era quanto di più elettrizzante e travolgente avesse provato prima di allora – anche più della loro prima volta.

Avrebbe voluto picchiarlo, sfondarlo di sberle e calci, torturarlo in ogni maniera possibile. Ma in realtà non fece altro che abbandonarsi completamente a lui, e lasciare che quella strana passione le bruciasse da dentro, infiammando come il tramonto ogni sentimento negativo che la pervadeva in quell’ultima notte.

Fu quasi agghiacciante interrompere quel contatto così intenso che aveva creato una specie di connessione fra le loro due anime – entrambe sofferenti, malinconiche, sole.

“Tetsuya, ma che cavolo hai…”

Sai qual è il tuo problema, Benio? Che hai sempre voluto far tutto tu: decidere tu, scegliere tu, fare come volevi tu. Ma è ora che Scarlet Kiss impari a farsi baciare, piuttosto che continuare a prendere l’iniziativa da sola.

“Tu sei scemo. Perché diavolo tiri fuori queste cose l’ultimo giorno?!” ringhiò Benio, sollevandosi e tirando su Tetsuya per il colletto, sbattendolo contro il tronco “A te mancano le due ruote motrici del cervello. Tu… tu sei un maledetto egoista! Domani te ne andrai, ve ne andrete e mi lascerete qui da sola… e io sto facendo di tutto per non farvi pesare la vostra scelta, eppure voi… tu… che diavolo ti passa per il cervello, eh, Tetsuya?! Perché vuoi distruggermi in questo modo?!

“Strano, non avevi mai fatto tutte queste storie per un bacio. La punzecchiò lui, ricevendo per risposta un bello schiaffo in volto, senza troppa cortesia. 

“Vai al diavolo, cretino!” sbottò Benio con voce rotta dall’ennesima crisi di pianto nervoso in arrivo.

Si voltò di scatto, allontanandosi dall’amico d’infanzia senza dire una parola in più.

“Benio… lo sai che se solo volessi potresti venire via con noi.”

“Non mi pare di esser stata invitata da nessuno dei due. E comunque non se ne parla nemmeno, cosa verrei a fare sulla terraferma?!”

E perché, restando sull’isola che cosa faresti?”

Benio non rispose. Lanciò un ultimo sguardo ricolmo di un triste risentimento verso l’amico, per poi voltarsi e correre via verso l’interno della scuola.

Mpf, stavolta sapeva di ciliegia e lacrime.

 

«««

 

 

« Coming next: Adult Bank «

 

 

 

Grazie a tutti coloro che vorranno commentare o che semplicemente leggeranno ^.^

La passione per Star Driver è stata veloce, intensa e sconvolgente, e dopo l’ultima puntata lasciata così in sospeso la mia mente non è riuscita a star tranquilla e ha dovuto elaborare una fine integrativa per la vita dei nostri adorati personaggi sull’isola. ç_ç

E non potevo non dedicare il primo capitolo di questa breve raccolta alla mia coppia preferita – anche se non molto considerata, ahimè ç_ç - la BenioxTetsuya <3

Al prossimo capitolo!

Luly

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Capitolo 2
*** Adult Bank ***


Mau yuki wa, hoshi no kakera

Mau yuki wahoshi no kakera.

[The fluttering snowflakes are pieces of the stars.]

tentai ni te wo nobashite

[If you reach out to the skies.]

ikigau negai kanjiteiru ne

[You feel wishes come and go.]

subete wa ima monocrome no naka.

[All caught in a Monochrome.]

 

«Adult Bank«

 

La ragazza si fermò, scostando lo sguardo dalla valigia ancora aperta sul letto alla finestra che si affacciava direttamente sul mare, illuminato a fuoco dal sole che si inabissava nel suo sonno quotidiano.

Che succede, Simone?” le domandò la donna, mal celando una vena di malinconia.

“Nulla, Signora. Mi era parso di sentire qualcuno cantare, ma probabilmente mi sbagliavo.

“Capisco. Hai solo quel bagaglio per il viaggio?” le chiese Kanako, avvicinandosi a lei e fissando quasi scioccata quel misero trolley che non avrebbe contenuto neppure un decimo dei suoi abiti.

“Sì, Signora, è tutto qui.” Rispose pacatamente la ragazza dal volto angelico, fissando con espressione enigmatica il suo bagaglio.

Kanako divise il suo sguardo perplesso fra la valigia e la ragazza per un paio di volte, prima di sospirare e lasciarsi cadere sul letto.

“Hai ancora molta roba nell’armadio.

Simone lanciò un’occhiata fulminea e intensa alla ragazza che sedeva al suo fianco, scrutandola sottecchi.

Quella frase era chiaramente da interpretare come un non hai preso abbastanza roba per levarti dai piedi.

“Non mi serve più di questo per una settimana in Francia.

Quella frase era chiaramente da interpretare come un la mia roba resta qui perché non ho intenzione di levarmi dai piedi.

“Certo che sei proprio testarda, Simone…”

Se lo dice lei, Signora. Ma questo è ciò che desidero. Se intende cacciarmi dalla nave mi cercherò una sistemazione altrove.” Ribatté la biondina, dandole le spalle per avvicinarsi alla porta.

“Non è quello che intendevo e lo sai.” Si alzò in piedi Kanako, perentoria. “Solo che Simone, ora che i Cybodies sono stati distrutti… non ha più senso restare qui. Soprattutto per te. Tu hai la possibilità di riprendere i tuoi studi in Francia e di accedere così ad una prestigiosa università francese… questo ti assicurerebbe un futuro radioso e di successo. Cosa pensi di ottenere restando a fare la segretaria su una nave attraccata in un’isola sperduta?!

“Non saprei, Signora. Non mi sono mai posta il problema finora. Rispose pacatamente Simone, come se la dissertazione sul suo futuro non le appartenesse o non le interessasse minimamente.

“Dovresti pensare un po’ più a te stessa e al tuo futuro, Simone.

“Lo stesso vale per lei, Signora. Con permesso.

Non riuscendo a trattenere quell’ultima frecciatina, Simone preferì defilarsi immediatamente fuori dalla sua stanza, sperando che quella donna avesse finalmente recepito il messaggio.

 

«««

 

Era bizzarro il tempismo col quale era stata organizzata quella festa d’addio a scuola. Era chiaramente per i senpai, ma Simone non riusciva a sentirsi chiamata in causa, almeno in piccola parte.

Questo non è un addio, tornerò sicuramente dalla Francia.

Chissà perché, sentiva la necessità di ripeterselo più e più volte.

L’idea di quel viaggio nella sua mente era chiara e delineata: andare, passare un po’ di tempo con la madre e la sorella, ritornare. Una settimana per un tuffo nel passato, prima di rincasare in quella nave che ormai sentiva più sua della sua vera casa, persa in un magnetico sentimento conflittuale di amore-odio che non sarebbe mai riuscita a spiegarsi.

“Ciao, Simone-chan.”

Una voce soave, calda, fin troppo conosciuta, la richiamò dai suoi pensieri.

“Salve Takuto-san.”

Si inchinò lievemente la ragazza, cercando di nascondere un lieve rossore nato d’istinto sulle sue gote.

“Mi fa particolarmente piacere incontrarti. Sai prima ho parlato con Takashi e mi ha detto che domattina partirai col primo battello. Ritorni in Francia?” le chiese il ragazzo, con tono piuttosto dispiaciuto.

Mh, sì, ma solo per poco tempo.” Lo rassicurò la biondina, felice di sentirsi rivolgere quelle parole.

“Capisco… scusa se ho pensato subito male, ma sai, dopo quello che è successo un anno fa… ormai non mi sono ancora abituato alle partenze.” Sorrise amaramente Takuto, grattandosi la nuca imbarazzato “E sinceramente Takashi mi sembrava un po’ giù di morale e non ho potuto fare a meno di ritrovarmi in lui. Quindi devo aver dedotto male, mi spiace.”

A quelle parole, il cuore di Simone perse un battito.

“Oh capisco, mi spiace per l’equivoco. Sai per caso dove è andato Takashi?” gli domandò lei, mostrando una certa apprensione.

Mh… no, mi spiace, non saprei… ad ogni modo sono sicuro che ci raggiungerà alla festa! Dai, sbrighiamoci che sta per iniziare! Sarà un’occasione anche per salutarti, anche se partirai per poco tempo!” detto questo, Takuto sfoderò uno dei suoi sorrisi più irresistibili – ormai stava imparando anche da solo a catalogarli – e prese per la mano la ragazza che, arrossendo, non riuscì ad opporre resistenza e si fece trascinare al party senza protestare.

 

«««

 

“Non credi che sia triste restare qui da solo?”

Chissà perché, sentire quella voce fin troppo conosciuta sbucare dalle tenebre non lo sorprese per niente.

“No, la luna stanotte è incantevole, Signora.

“Ma non batte la bellezza di Simone alla festa di stasera, te lo posso garantire, Takashi. Sorrise la ragazza, ravvivandosi la folta chioma con un gesto ricolmo di grazia.

Takashi sospirò, piegando le labbra in una smorfia triste, senza però distogliere lo sguardo dal riflesso argentato dell’astro che si specchiava nelle acque marine di fronte a lui. Era rimasto tutta la sera lì, su quella spiaggia solitaria, a contemplare il morire del sole e il sorgere della luna, accompagnato da un grazioso canto lontano e dal fremere del suo cuore dolorante.

“Non tornerà più, vero?” chiese improvvisamente il ragazzo, con un tono che lo fece apparire più un sospiro che una domanda.

“Tornerà per te, se glielo permetterai. Ma è davvero questo ciò che vuoi per lei, Takashi?” sorrise Kanako, regalandogli uno sguardo che aveva più del materno che del consolatorio “Per quanto mi riguarda, di uomini egoisti… ne ho già conosciuti abbastanza, e sinceramente non penso di aver mai rivisto in te questa tipologia di uomo. Però so che hai bisogno di Simone, tanto quanto lei ha bisogno di te. E forse è proprio in un momento come questo che devi dimostrare di essere tu l’uomo.”

Fin troppo chiaro e semplice. Come tutto, visto dalla parte di Kanako.

E lui la conosceva, la sua padrona, fin troppo bene. E dopo la vicenda dei Cybodies, aveva imparato a capirla più a fondo e a motivare molte delle sue stravaganti decisioni, ammettendo oramai di trovarla sempre nel giusto.

Se diceva che Simone doveva restare in Francia, così doveva essere.

Ma il suo cuore si frantumava istante dopo istante solo accarezzandolo, quel pensiero.

 

«««

 

Takuto-kun, perché non andiamo a farci una nuotata in piscina?”

Eccola che riattaccava. Era impressionante come in un anno la tenacia di Kanako non fosse diminuita minimamente.

Mh… non so se è una buona idea… insomma… Simone, dille qualcosa anche tu…”

Cercò di aggrapparsi agli specchi Takuto – che a causa della scomparsa di Takashi dalla festa, nel nome della cavalleria, si era offerto di accompagnare le donzelle al loro vascello – ma venne allegramente ignorato da Simone, che nulla poteva contro la volontà della sua padrona.

“Sono sicura che Simone dovrà andare a sistemare le sue ultime cose in camera prima della partenza, non è vero?” le ammiccò Kanako, trascinando per un braccio il malcapitato Bel Ragazzo Galattico verso le acque della sua piscina infestata dall’alligatore.

“Sì, Signora.” Si congedò la biondina, lasciando un po’ a malincuore – doveva ammetterlo – il povero Takuto nelle mani della sua padrona.

Si diresse molto lentamente verso la sua stanza, ma non poté negare a se stessa lo sfizio di sbirciare in quella di Takashi: vuota.

Il cuore della ragazza si strinse in una morsa di ghiaccio: aveva deciso di ignorarla la notte prima della partenza? Per quale motivo? Non era affatto da lui. Che la padrona gli avesse detto qualcosa? Anche se fosse, Takashi non era tipo da farsi abbindolare così facilmente.

Se ne andò sconsolata, pronta a passare una notte insonne, preda di dubbi e rimorsi.

Solo un lieve bagliore lunare illuminava la sua camera quella sera. Sussultò quando vide una sagoma nera in controluce seduta sul suo letto.

Takashi… mi hai fatto paura.”

Ma lui non le rispose.

Turbata, Simone allungò la mano intenzionata ad accendere la luce, ma con uno scatto fulmineo il ragazzo la anticipò, bloccandole entrambe le mani e sbattendola con forza contro il muro.

T-Takashi…”

Zitta, Simone, lasciami parlare. Io penso… che tu debba restare in Francia.

“Te l’ha detto la padrona?”

“Me lo dice il mio… cuore.”

“Tutto questo non ha senso. Ora lasciami andare.

“Non posso.”

“Sarò io e solamente io a decidere della mia vita.

“Io non ti voglio più, Simone.”

E allora lasciami andare.”

“Giurami che resterai in Francia.”

“Giurami che non mi ami.”

All’udire quella risposta, Takashi strinse di più la presa sui polsi della ragazza e la schiacciò al muro col suo corpo, unendo le loro labbra in un bacio di passione e disperazione quasi violento. L’intensità di quella unione li portò a spezzarla quasi subito, alla ricerca di aria, e i due si fissarono, boccheggianti.

“Non si risponde ad un giuramento con un altro giuramento, Simone.

“Tanto meno con un bacio, Takashi.”

“Voglio che tu viva una vita felice laggiù, al tuo posto.

“Il mio posto ora è qui, e vorrei che fosse al tuo fianco… lo vorrei davvero.

“Sei un’egoista, Simone.”

“Vorrei che lo fossi anche tu…” sussurrò la ragazza, prima lanciarsi in avanti alla bramosa ricerca delle labbra del compagno, che non ebbero obiezioni a riguardo.

Takashi sciolse la presa ai polsi della biondina, e lasciò che le sue braccia le cingessero la sottile vita, attirandola a sé con una forza sorprendente per un tipetto sottile come lui.

Percepì le lacrime di Simone scivolare sul suo volto, bagnando anche il suo, e si premurò di asciugargliele dolcemente col dorso della mano non appena la ebbe stesa sul letto, sotto di lui.

Quella era la risposta, quella che nessuno dei due voleva, ma che a quanto pare era necessario prendere.

Perché era ora di crescere e di cambiare vita, perché quell’isola di felicità e prigionia non era nient’altro che un vicolo cieco per il futuro.

E in quella ultima notte d’amore rinchiusero tutto lo strazio, la rabbia, la sofferenza in un angolo di cuore, per tramutarli in passione e amore che sarebbero serviti ad alleviare – o forse solo a peggiorare – il dolore dell’imminente separazione.

 

E Kanako poté sorridere amaramente soddisfatta, quando la mattina seguente Simone lasciò la nave, carica di tre valigie e abbandonando la sua stanza – e il cuore di chi vi restava – nella vacuità più totale.

 

«««

 

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Grazie infinite a Tynuccia per la recensione, e al mio lama e al mio Ginga Bishounen preferito per il support *___*

È tutta dedicata a voi <3

Alla prossima <3

Luly

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Capitolo 3
*** Bougainvilleae ***


Bougainvillae

Mau yuki wahoshi no kakera.

[The fluttering snowflakes are pieces of the stars.]

tentai ni te wo nobashite

[If you reach out to the skies.]

ikigau negai kanjiteiru ne

[You feel wishes come and go.]

subete wa ima monocrome no naka.

[All caught in a Monochrome.]

 

« Bougainvilleae«

 

Chiuse gli occhi e sorrise.

Quel canto lontano, che si perdeva nella dolcezza delle nubi infuocate del tramonto… non le era affatto nuovo.

L’aveva già sentito, tanto tempo fa. Ed era sinceramente sorpresa nel sentirlo riecheggiare nuovamente per le frastagliate coste e le deserte spiagge di quell’isola. Della sua amata isola…?

La voce della sacerdotessa che udiva cantare il suo ritorno non era quella che si aspettava.

Non era la canzone del Sud, bensì quella del Nord.

Come al solito, le mie previsioni si sono rivelate errate.

Sospirò profondamente fra sé e sé la ragazza dalla lunga coda corvina, sistemandosi gli occhiali sul naso, lanciando uno sguardo malinconico al mare di fronte a sé, quella frazione d’isola che trovandosi più a est veniva inghiottita per prima dalle tenebre notturne in arrivo.

Quel luogo dove un tempo sorgeva il tempio dell’Est, il suo tempio.

Forse dovrei smetterla di farmi strane idee, presupponendo che la vita altrui sia così scontata.

Rimuginò ancora nella sua mente, lasciando dondolare mollemente le lunghe bianche candide giù per quella sottospecie di penisola che era rimasta al ricordare l’antico santuario.

Restò in silenzio per molto tempo, imponendo al suo cervello di zittirsi, e in effetto per un po’ vi riuscì. Dimenticò i pensieri, i ricordi, i rancori, le paure, le speranze, le gioie.

Lasciò scivolare via tutto dalla sua testa, riempiendola solo con la risacca del mare e il canto dei gabbiani.

E l’avvicinarsi di passi, dei suoi passi, una camminata così ben distinta e riconoscibile per lei.

…come aveva fatto la Sacerdotessa del Sud a lasciarsi alle spalle quei passi?

E quando udì quella voce – la sua voce, bella, calda, profonda – pensò di odiare ancora di più la Sacerdotessa del Sud. Perché lei poteva avere quella voce, l’avrebbe avuta se solo avesse voluto, ma l’aveva rifiutata e abbandonata.

E lei, che si era illusa di averla ma che in realtà non le era mai appartenuta, viveva perduta in un limbo desolato fra sogno e realtà che da un anno a quella parte faticava a lasciarsi alle spalle.

“Ti stavo cercando, Keito.”

La ragazza aprì gli occhi, strappandosi a fatica dal silenzio sovrumano in cui si era calata durante quelle lunghe ore di meditazione.

“Davvero, Sugata-kun?” gli sorrise lei, voltandosi verso il bel ragazzo che sostava alle sue spalle, mani in tasca, volto sorridente.

“Certo. Non vorrai saltare la festa di addio ai senpai, vero?” le domandò Sugata, accomodandosi sul molo di pietra a fianco dell’amica d’infanzia.

“No. Non mi perderei l’addio di Benio-senpai per nulla al mondo. Mi domandavo già quale scenata assurda avrebbe fatto. Asserì impassibile Keito, sistemandosi meglio la montatura degli occhiali.

Era strano. Davvero strano. Quella sensazione di tranquillità che ora provava al fianco di Sugata… la turbava più di quanto non la turbasse un anno fa lo stato emozionale di batticuore e confusione causati dalla sua sola presenza.

“Certo che le persone cambiano davvero velocemente. Asserì Keito, esprimendo il suo pensiero ad alta voce.

“Immagino che tu non ti riferisca a Benio-senpai, o sbaglio?” sorrise lievemente lui.

“Sai bene a chi mi riferivo. Lei… non è tornata.

Mh… no. L’ho sentita per telefono e pare che durante questo periodo facciano delle audizioni molto importanti all’Accademia di Musica, e non ha proprio potuto saltarle.”

“Capisco.”

“Mi ha detto di averti scritto, sai?”

Mpf. Già, lo ha fatto. E immagino che l’idea di invitarmi a Tokyo a studiare all’Accademia di Musica non sia stata partorita solo dalla sua testolina bacata.

Cosa le risponderai?”

Keito non gli rispose. Dall’altronde, cosa poteva dirgli? Non era di certo il caso di sputar fuori gli insulti velenosi rivolti a Wako che in quel momento le tempestavano la mente.

“Vuoi davvero che me ne vada via dall’isola, Sugata-kun? Non sei stanco di esser abbandonato in continuazione? O forse sei più stanco della mia presenza?” sussurrò allora la ragazza, stringendosi le ginocchia al petto e affondandovi parzialmente il viso in un momento di debolezza psicologica.

“Non è questo, Keito. Mi mancherai, tanto quanto mi manca Wako. Però sai io… vorrei davvero che anche tu possa essere felice.” Le disse Sugata, lasciando scivolare il dorso della mano sulla guancia di porcellana della ragazza, che al solo contatto arrossì violentemente.

“Pensiamo tutti che la vera felicità sia qui, su quest’isola dove il destino ci ha posto per farci incontrare, imponendoci una vita da topi in trappola. Ma ora non è più così. I sigilli sono stati spezzati, i Cybodies distrutti. E il mondo esterno ci ha aperto le sue porte. Ora dobbiamo trovare il coraggio di varcare la soglia di quel mondo e di cercare la felicità in uno spazio più vasto, senza esser cullati dalle dolci radici del passato.

“Non sono certa di volerlo… davvero.”

“Io penso… anzi, io so che la tua voglia di cantare è tanta, Keito. E so che la tua voce può portare tanti sentimenti altrove, sentimenti che solo noi su quest’isola abbiamo avuto modo di conoscere e che sono accessibili agli altri là fuori solo attraverso i racconti e le canzoni.

Poteva udire chiaramente le lacrime di Keito far da sottofondo alle sue parole a tratti felici e a tratti malinconiche.

“Tutte le sacerdotesse se ne sono andate, Keito, e hanno trovato la felicità. Desidero che anche tu possa liberarti dalle catene che ti legano a questo santuario e fare ciò che più ti piace. Vorrei che tu non fossi più né la Sacerdotessa dell’Est, né Ivrogne. Vorrei che tu fossi solo Keito.

“Perché mi dici queste cose, Sugata-kun?! Le hai dette anche a Wako o è stata lei a dirle a te?! Perché ti preoccupi per me proprio ora, quando preferirei che mi ignorassi e non mi parlassi più?! Se tu cercassi di spezzare le catene che mi tengono legate a te e a quest’isola io… ti odierei per sempre…”

“E io ti amerei di più se tu ne fossi libera.

“Bugiardo!” singhiozzò la ragazza, straziata.

“…anche tu.” Le sorrise Sugata, baciandole dolcemente la fronte, prima di alzarsi e dirigersi verso il boschetto alle spalle del molo di pietra, svanendo senza dire nulla.

Sugata-kun…” singhiozzò Keito, raggomitolandosi su di sé e abbandonandosi alle lacrime, nell’abbraccio della notte che silenziosa calava intorno a lei.

 

«««

 

Cosa ci fai qui?”

Quella voce seria e profonda alle sue spalle la fece sussultare.

Nessuno, da quando aveva messo piede sull’isola nemmeno un’ora prima, le aveva rivolto la parola.

Nessuno si ricordava minimamente di lei, probabilmente. In pochi l’avevano mai conosciuta.

Tranne lei.

Ma tu… sei…”

“Io sono Ivrogne. O meglio, lo ero quando Head ti portò nel nostro nascondiglio per rompere il tuo sigillo… Sacerdotessa del Nord.”

Sistemandosi gli occhiali sul nasino a punta, Keito si avvicinò alla ragazza dai lunghi capelli azzurri che ricordava di aver visto al rituale.

Gli esseri umani erano davvero imprevedibili. Una  sacerdotessa che medita di fuggire e una che torna sui suoi passi.

“Ah… io mi ricordo di averti conosciuta sul pullman… il giorno della mia partenza. Arrossì lievemente l’altra, regalandole un sorrisino enigmatico.

Keito la fissò per qualche secondo perplessa, per poi realizzare di ricordare alla perfezione quel loro incontro; non aveva realizzato che quella fosse la Sacerdotessa del Nord.

“Giusto… il destino vuole farci incontrare più spesso di quanto ricordi.” Ammise Keito, regalandole un lieve sorriso. “Sei venuta qui per la festa?”

“No, sto cercando qualcosa.”

“Capisco. E questa cosa non c’è nel vasto mondo là fuori?”

“No. Il mondo là fuori è immenso e meraviglioso… ma questa cosa sono riuscita a trovarla solo qua. Ora torno a cercarla.”

Ma è notte ormai… potrebbe essere pericoloso!” protestò Keito.

“Non m’importa. Sento che è vicina. Non riesco a fermarmi.” Le sorrise dolcemente Sakana-chan, dirigendosi dalla parte opposta alla scuola, non prima di averla salutata con un lieve inchino. “Spero di incontrarti ancora. Qui o là fuori.

“Non credo ci andrò mai… là fuori.”

“Dovresti invece. Sai un’isola… è difficile da lasciare. Ma tornarci è più facile di quanto si pensi. E il periodo che vivrai fra i due è quanto di più importante ti possa offrire la vita. Arrivederci, Sacerdotessa.”

E così dicendo, Sakana-chan la salutò, senza voltarsi mai indietro.

Come avesse intuito che anche lei era una sacerdotessa, questo Keito non lo seppe mai.

Così come decise di non sapere mai se Sugata l’amasse veramente o no.

Ma ciò che sapeva per certo è che presto o tardi, avrebbe preso una nave dal porto dell’isola, e l’avrebbe abbandonata senza voltarsi mai indietro, proprio come avevano fatto poco prima Sakana-chan salutandola.

 

«««

 

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Grazie ancora una volta a Tynuccia che mi lascia della recensioni incredibili, e a Monochrome – amo il tuo nick ù_ù – per aver recensito con tanto impegno *___*

Purtroppo ho trovato descrivere Keito più difficile di quanto immaginassi, spero di non aver deluso nessuno y_y

Peraltro ne ho approfittato per chiarire un po’ le idee su Wako e Sakana-chan, giusto per non rendere il capitolo troppo breve. <3

Ja nee,

Luly <3

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Capitolo 4
*** Science Guild ***


Science Guild

Mau yuki wa, hoshi no kakera.

[The fluttering snowflakes are pieces of the stars.]

tentai ni te wo nobashite

[If you reach out to the skies.]

ikigau negai kanjiteiru ne

[You feel wishes come and go.]

subete wa ima monocrome no naka.

[All caught in a Monochrome.]

 

«Science Guild«

 

Respirò a fondo la brezza marina che le rinfrescava il volto, portando con sé il canto malinconico di una ragazza in lontananza. Il sole si stava tuffando in mare, e l’orizzonte era immerso nel rosso di in una fiammata ardente che tingeva tutte le isole dell’arcipelago.

Si lasciò trasportare da quella dolce melodia per qualche  minuto, poi aprì gli occhi, e mentre si sistemava la montatura degli occhiali sul naso, un ghigno malefico le si spaziava sul volto: l’inizio della festa era vicino.

E una volta finita… la Brigata Kiraboshi Juuji… si sarebbe finalmente riunita.

 

«««

 

10 ore prima.

Era incredibile. Quel giorno proprio il destino non voleva collaborare.

Da quando i preparativi della festa erano iniziati, la sua infermeria era sempre stata piena di povere vittime cadute nel nome della rappresentante Shinada che li obbligava alle peripezie più stravaganti pur di abbellire la scuola e di preparare la festa al meglio.

La professoressa Midori Okamoto uscì in corridoio per affacciarsi a una delle finestre che davano sul cortile interno. Arrossì e sospirò trasognata, fissando con sguardo rapito il bel Tsubasa che, vivace e atletico come sempre, dava il meglio di sé per sistemare le casse audio e quanto necessario per l’impianto stereo.

“Okamoto-sensei, che cosa sta guardando?!”

All’udire quella voce squillante ma al contempo accusatoria, la donna sobbalzò spaventata, arretrando di alcuni passi dalla finestra e sistemandosi gli occhiali nervosamente, in un vano tentativo di nascondere l’imbarazzo.

Alzò timidamente gli occhi verso la minuta rappresentante davanti a lei, che la scrutava con sguardo guardingo e indagatore.

“Ah… Scarlet Ki—“

“Benio. Shinada. Okamoto-sensei, è bene che ricordi anche i nomi delle ragazze, non solo quelli dei bei ragazzi.” La riprese la ragazzina, prima di superarla e chiudersi in infermeria.

La professoressa fissò allibita la porta della stanza chiudersi senza il suo consenso; si voltò per lanciare un ultimo sguardo a Tsubasa, ma con suo grande disappunto era già sparito. Infine sospirò rassegnata, rientrando in quello che era il suo habitat quotidiano.

Vide che Benio era bellamente stesa sul lettino, faccia rivolta verso il basso, sprofondata nel cuscino.

“C-che cosa succede… Scarl… ehm… mhh… rappresentante?”

“SHI-NA-DA.”

“Ah sì, giusto. Shinada-san?” rise nervosamente la professoressa, sedendosi sulla sua sedia e fissando in lontananza la sagoma della ragazza stesa.

La sua ex compagna di brigata mugugnò qualcosa di incomprensibile, più simile a un verso animale che ad un lamento.

Ma in quel  momento, qualcuno bussò lievemente alla porta. Poi… parlò.

“Sensei? C’è? Sono Tsubasa…”

“Ah… AH! T-T-T-Tsubasa-kun…!” trasalì Midori, balzando in piedi e lanciandosi violentemente verso la porta.

La socchiuse, mostrando il suo volto rosso e imbarazzato.

“T-Tsubasa-kun… ora ho una studentessa in infermeria… torna dopo, o-okay?” gli disse sottovoce la professoressa, scoccandogli uno sguardo d’intesa.

“Non si preoccupi, buon lavoro!” le ammiccò il ragazzo, correndo via.

La donna sospirò nuovamente, voltandosi verso la stanza, ma si trovò con Benio a nemmeno due centimetri di distanza dal naso, che la fissava con sguardo malizioso e provocatorio.

Midori urlò spaventata, appiccicandosi alla porta, mentre Benio si allontanava incrociando le braccia al petto, contrariata.

“Mi scusi se ho interrotto il suo appuntamento galante col suo spasimante.” La canzonò la ragazzina.

“M-ma… Shinada-san, cosa dici…?” ridacchiò nervosamente l’insegnante, arrossendo vistosamente.

“Oh suvvia, non faccia così. Tutti sanno di voi due.” Sospirò Benio, lasciandosi nuovamente cadere sul lettino con aria stanca.

“Ah… davvero?” mugugnò imbarazzata la professoressa, giocherellando nervosamente con un ciuffo di capelli ribelli.

Posò il suo sguardo sulla figura mingherlina che giaceva inerte sul letto, fissando la finestra con occhi vitrei.

“Cosa ti succede Shinada-san?”

“Nulla. Ho mal di testa. Volevo riposare.” Borbottò lei, dandole le spalle e rannicchiandosi sul lettino.

“Hai deciso… cosa farai ora che è finita la scuola?”

“Non sono affari che la riguardano.”

“Ah… giusto…”

Benio si morse il labbro inferiore, rammaricata. Non aveva senso risponderle in malo modo solo per via del suo nervosismo. In fondo era gentile ad ospitarla lì nonostante avesse di meglio da fare.

“In realtà… non ne ho la più pallida idea. Domattina i miei amici se ne andranno. Tanti miei amici se ne andranno. E io resterò qui. Come un’imbecille a guardare il traghetto svanire all’orizzonte.”

“E… perché non provi ad andare con loro… sul continente?” le domando sorridendo timidamente la professoressa.

La ragazza non rispose.

Stette per lunghi, infiniti attimi in silenzio.

Infine si alzò di scatto dal lettino e con un balzo felino raggiunse la porta, aprendola con un potente strattone.

“Se non so cosa fare qui, figuriamoci sul continente!!!” sbottò Benio furibonda, prima di richiudersi la porta con forza alle spalle.

La professoressa sospirò profondamente, massaggiandosi lievemente le tempie.

Anche lei a quell’età era così frustrata e testarda?

 

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7 ore prima.

“S-sensei forse noi non dovremmo…” balbettò Tsubasa imbarazzato, mentre la penombra degli alberi del cortile scolastico nascondevano quell’abbraccio proibito fra di lui e la professoressa Okamoto.

“Oh avanti Tsubasa-kun, non fare il timido... non ci vedrà nessuno!” sussurrò con voce suadente la donna, avvicinando di più il volto a quello del ragazzo in cerca del tanto bramato bacio del giorno.

Ma, ovviamente, aveva parlato troppo presto.

Due colpetti di tosse secchi alle sue spalle la interruppero bruscamente.

Con un balzo all’indietro, Midori si staccò da Tsubasa rossa in volto, mentre questo si grattava il capo imbarazzato.

La donna si volse lentamente per incontrare il riflesso dei raggi del sole brillare sugli occhiali di Keito Nichi, che la fissava con un sorrisetto indefinito stampato sulle labbra.

“T-T-TSUBASA-KUN… S-spero che il mal di testa ti sia passato!!!” ridacchiò nervosamente la donna, per ricevere solo un timido cenno dall’imbarazzato ragazzino.

“Okamoto-sensei… la stanno cercando in infermeria.” La informò Keito, coincisa, ignorando deliberatamente le sue tristi e alquanto comiche giustificazioni.

“Oh… oh c-certo… ehm… Ivr… cioè…”

“Nichi. Nichi Keito. È bene che ricordi anche i nomi delle sue studentesse, e non esclusivamente quelli degli allievi maschi.” La rimbeccò Keito, afferrandola per un braccio e trascinandola di forza verso l’edificio scolastico, ignorando le fievoli proteste dell’insegnante.

Tsubasa sbuffò e fece spallucce, appoggiandosi con aria stanca contro il tronco alle sue spalle: quella giornata si stava rivelando insolitamente lunga.

 

“Ci resta poco tempo per ultimare i preparativi, e lei è in giro ad amoreggiare frivolamente come una ragazzina. Dovrebbe vergognarsi. Non è cambiata davvero per nulla da… da… da un anno fa, Professor Green.” La riprese con tono vagamente irritato Keito, precedendo l’ex compagna di brigata lungo i corridoi della scuola.

La professoressa restò in un silenzio meditativo, persa a contemplare la sagoma di Ivrogne da dietro: lei più di ogni altro aveva “perso” la sua dignità durante quell’ultimo scontro fatale, giocandosi il tutto per tutto in un amore non corrisposto nei confronti di Sugata. Chissà come aveva convissuto con quella colpa e quel dolore durante quell’anno…

“Keito-san… sei l’unica sacerdotessa ad essere rimasta sull’isola… cosa pensi di fare il prossimo anno?” azzardò la professoressa, fermandosi all’improvviso, in attesa di una risposta.

La ragazza di fronte a lei si fermò, senza però voltarsi verso l’insegnante. Quella domanda sparata così a bruciapelo l’aveva presa alla sprovvista, affondando il coltello in una piaga ancora non completamente guarita.

“Ovviamente finirò gli studi.”

“Da una studentessa brillante come te non potevo aspettarmi di meglio. E poi? Hai intenzione di andare all’università sul continente? Sai, io l’ho fatto, è un’esperienza davvero meritevole, e per una in gamba come te non sarà per nulla problematica…”

“Non intendo scappare dai miei doveri come le altre tre. Se il mio posto è  qui, qui resterò.” Ribatté perentoria Keito.

L’espressione sul volto di Midori si piegò in una smorfia severa di rimprovero, una novità sul viso sempre pacato e rilassato della donna.

“Non so se te ne sei accorta, ma non hai più doveri su quest’isola. Nasconderti dietro pretese inesistenti non ti aiuterà a crescere, pensaci bene. Il mondo continuerà a girare, con o senza Cybodies. Sta solo a te decidere quale percorso intraprendere. Ma non aggrapparti al passato disperatamente… come si dovrebbe dire, Head insegna.”

Quelle parole fredde e sincere la perforarono come una serie di lame sulla schiena.

Keito si sistemò gli occhiali sul naso e, senza rispondere, riprese a camminare davanti alla professoressa, che silenziosamente prese a seguirla.

Non si dissero più nulla fino alla porta dell’infermeria, dove Midori la invitò ad entrare, sorridente.

“Io… penso che andrò… in un posto.” Si congedò Keito, allontanandosi a grandi passi; direzione: il Tempio dell’Est.

La professoressa Okamoto sospirò, aprendo la porta dell’infermeria e sussultando quando la vide piena di feriti sopravvissuti ai preparativi della festa. Esasperata, si fiondò ad aiutarli, pregando che Benio la piantasse quanto prima di causare tutte quelle vittime innocenti.

 

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Un’ora prima.

Finalmente ritornò alla festa.

Non che la riguardasse direttamente, ma l’assenza della sua persona non poteva non essere notata.

Non appena Kanako rimise piede nel cortile scolastico, i volti della maggior parte della popolazione maschile si illuminarono come fossero mille brillanti stelline.

Kanako si ravvivò la chioma, passando in mezzo alla folla senza degnar nessuno della propria attenzione – insolitamente. Che fosse la mancanza del vetro?

No, non era quello, e la professoressa Okamoto lo sapeva bene.

Apparve come un’ombra al fianco della ragazza, che la scrutò di sottecchi, senza scomporsi, mentre si riempiva il bicchiere di succo di frutta – Benio era stata intransigente riguardo l’uso d’alcol a scuola. Per sua sfortuna, visto che un po’ di alcol era proprio ciò che più bramava quella sera.

“Okamoto-sensei…” accennò con la testa la bella ragazza. “Cosa la porta a dedicare la sua attenzione a me anziché al suo bel mocciosetto?”

“Dovresti chiamarmi Professor Green… questa sera in particolare.” Sogghignò la donna, sistemandosi gli occhiali sul naso e tradendo un ghigno maliziosamente compiaciuto.

Kanako sussultò, fissandola esterrefatta.

“Cosa intende dire?”

“Nulla in particolare. Dove sei stata? Ti vedo scossa.” Continuò con nonchalance Midori.

La ragazza dai capelli smeraldini si morse un labbro, non riuscendo a nascondere quel spiacevole senso di inquietudine che le parole della donna avevano suscitato in lei.

“A parlare con Takashi.”

“Capisco. Ho sentito che Secretary domani partirà. La cosa ti turba?” la provocò la professoressa, senza nascondere un ghigno maligno.

“Per nulla. Anzi, mi rende felice.”

“Solo le partenze altrui riescono a renderti felice?” sibilò Midori, velenosa.

“Qual è il suo problema stasera, Professor Green?”

“Oh, vedo che siamo tornate ai vecchi soprannomi. Che nostalgia.” Commentò una voce fortemente ironica alle loro spalle.

Kanako e Midori si voltarono, per trovarsi davanti Keito e Benio che le osservavano con espressioni che sostavano fra la perplessità e la curiosità.

“Bene, vedo che siete venute.” Sogghignò la professoressa, appoggiandosi al tavolo con aria soddisfatta.

“Non sapevo avessimo una riunione…” commentò Kanako, ironica.

“Bene, ora lo sapete. Fra un’ora, al cancello della miniera. Vedete di non tardare.”

“E perché mai dovremmo venire fin lì?!” sbottò Benio, che non aveva intenzione di lasciare la festa per cui si era tanto prodigata.

“Perché la Brigata Kiraboshi… rivedrà la luce, questa sera.” Sorrise sadicamente la professoressa Okamoto, fissandole con uno sguardo intenso, prima di allontanarsi senza aggiungere altro.

 

«««

Il ritrovo della Brigata Kiraboshi. [?]

Le reazioni a quelle parole erano state molteplici.

Benio voleva correre a chiamare Tetsuya e George; ma poi capì che era meglio non tirarli in ballo, visto che l’indomani avrebbero iniziato una nuova vita e inchiodarli all’isola con antiche preoccupazioni non le sembrava la migliore delle idee.

Keito era corsa da Sugata, ma non appena l’aveva intravisto si era limitata a regalargli un breve saluto, per poi allontanarsi nuovamente, demoralizzata.

Kanako aveva trovato gli spacciatori di alcol e li aveva semplicemente svaligiati di tutta la loro merce. No. Non era possibile. Non in quel momento.

Eppure tutte e tre erano in marcia verso la miniera, i volti pallidi, i musi imbronciati, le bocche tappate, i nervi a fior di pelle e il cuore in gola.

Cosa diavolo stava succedendo?

“Non ha senso… tutto questo non ha senso.” Borbottò Keito, una volta che la cancellata della miniera apparì a bloccare il loro cammino.

“Riformare la Brigata, dopo tutto quello che è successo, che senso può avere? È ovvio che non ne ha, Keito.” Convenne placidamente Kanako, guardinga.

“Ma che poi, dico io, di chi sarà stata l’idea?! Di Professor Green? Di Head?! E se così fosse, come può pensare quel brutto demente che gli daremo ancora retta?!” sbottò Benio, tirando un potente calcio alla cancellata, in un raptus di rabbia. “Mai… MAI. Non gli permetterò mai di riportare in vita la Brigata, di toccare i Cybodies e di rovinare il destino di quest’isola. Ha distrutto tutto quel… quel… e proprio ora che stavamo ricominciando a vivere lui… AL DIAVOLO LA BRIGATA! Se ha davvero intenzione di ricomporla, la distruggerò pezzo per pezzo, con le mie mani, fosse l’ultima cosa che faccio!”

“Sono con te.” Sorrise Kanako, annuendo soddisfatta.

“Anche io. Se c’è una cosa da evitare è proprio riformare una Brigata. A quale scopo ormai, sarebbe del tutto inutile… queste isole ormai ci hanno dato tutto quello che potevamo darci, e noi l’abbiamo sprecato.”

In quel preciso istante, un lieve ma intenso applauso interruppe le parole di Ivrogne.

Dalle tenebre del boschetto ai lati della strada, avanzò la sinuosa ombra della professoressa Okamoto: si avvicinava sorridente, mentre le mani continuavano ad applaudire.

“Ben detto Keito. Queste isole vi hanno dato tutto, e voi avete vissuto tutto, nessuno può dire se ciò che avete fatto è stato giusto o sbagliato, ma avete seguito il vostro scopo fino alla fine, con tutte voi stesse… ma ora, non c’è più nulla per voi, qui.” asserì Midori, incrociando le braccia al petto.

“Cosa sta dicendo…?” sussurrò Keito, confusa.

“Non c’è nessun ritorno della Brigata Kiraboshi, non è vero?” domandò Kanako, scuotendo la testa rassegnata.

“Esatto. Era solo una scusa per riuscire a farvi riflettere. E, a sentire le vostre parole, direi di esserci riuscita in pieno. La Brigata Kiraboshi non vi serve più. Non serve alle vostre vite, né al vostro futuro. Negli ultimi anni, vi siete dedicate anima e corpo al raggiungimento di un sogno, proprio come me. Ma io non ero altro che una scienziata che inseguiva l’utopia di un sogno, mentre voi… eravate ragazzine che vivevano nell’utopia di poter avere un sogno. Head vi ha fatto credere che un mondo dominato dai Cybodies fosse un sogno degno di essere vissuto e perseguito. E una volta crollato quel mondo, vi siete perse, avete smarrito la bussola della vostra vita. Ma non voglio più vedervi così. Distruggete gli ultimi rimasugli dorati delle maschere che vi sono rimasti incollati al volto, e imparate a vedere il mondo senza di esse. E il mondo, quello vero, non è quest’isola. Questo luogo ne è solo un briciolo piccolo, smarrito, pieno di rancori. Il vero mondo è quello là fuori, al di là del mare che ammirate, al di là del cielo stellato che conoscete. Visitate nuove terre, guardate nuove stelle, vivete un’altra vita. Lasciate che Scarlet Kiss, Ivrogne e President restino dietro questa grata di ferro insieme ai fantasmi dei Cybodies, lasciatele qui e promettetegli di tornare a trovarle solo quando saprete di esser diventate persone diverse da loro, delle donne fatte e finite capaci di sopportare i ricordi, vivere al meglio il presente e sognare il futuro senza paura. Abbandonate le maschere e i sigilli, e guardate il tramonto con occhi nuovi: da domani, vorrei che tutto per voi possa essere diverso. Così come lo fu per me quando me ne andai dall’isola finita la scuola, per vivere un’altra vita. E ricordatevi una cosa: noi saremo sempre qui ad aspettare il vostro ritorno, un giorno.”

 

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COOOOOOOOOOOOOOOOOOFF.

Sì, okay, insultatemi pure. Ci ho messo un sacco di tempo, imploro perdono ç_ç

Ma la Prof. Okamoto mi ha messo un po’ in difficoltà °__° in effetti è quella che alla fine sull’isola se la passava alla grande, quindi non vedevo alcun motivo per potesse spingerla a cambiar vita xD

Quindi ho preso quest’occasione per farle interpretare il ruolo dell’adulta saggia dispensatrice di consigli, per una volta ù__ù

È venuto un capitolo un po’ diverso, spero non vi dispiaccia. Il fatto che finisca così aperto è funzionale agli ultimi capitoli ù__ù/

Ora ne mancano solo due, per i quali mi impegnerò al massimo *ççç*/

Alla prossima <3

KIRABOSHI! «««  è__é7

 

Luly

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