The promise

di Padme86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo ***
Capitolo 3: *** Terzo capitolo ***



Capitolo 1
*** Primo capitolo ***


Nuova pagina 1
*** The promise ***

 


 

Vi è sempre speranza anche nel buio più fitto.
Quando tutto sembra perduto una luce appare ad illuminare la via.
Una speranza con le sembianze di un semplice, giovane, uomo.

 


1^ Capitolo   

Era arrivata, finalmente… Dopo tante ore di viaggio era giunta in quella che sarebbe stata la sua nuova casa, seppur contro voglia. Ma le scelte erano poche visto la situazione in cui si trovava…
Colui che credeva essere l’amore della sua vita l’aveva sbattuta fuori di casa senza pensarci due volte, dopo aver scoperto una verità che li riguardava entrambi. Ma lui aveva preferito lavarsene le mani, scaricandola fuori dalla porta per scoparsi un’altra…
Era salita sul primo pullman, senza un soldo e senza la minima idea di dove andare… Faceva molto freddo, dopo tutto era inverno inoltrato e la prima neve cadeva dal cielo. Ma non riusciva a rassicurarla come tutte le altre volte…
Aveva urgente bisogno di andare in bagno, cercò un posto dove potesse essercene uno ma ormai era mezzanotte e tutti negozi erano chiusi. Ma dopo un po’ vide l’insegna di un bar accesa di una bella luce rossa e vi era scritto “Hope”: nome strano per un bar, ma tanto valeva chiedere aiuto a loro, sperando che poi non le chiedessero di ordinare qualcosa.
Entrò piano, quasi con paura, e vide che il locale era semivuoto: vista l’ora e il giorno, ovvero giovedì, era normale che in tarda serata molti fossero a casa.
Era ben tenuto, i tavoli e il banco erano in legno massiccio scuro, quasi in stile western, vi era un jukebox e sulle pareti diversi ritratti e fotografie di vari luoghi.
«Ti serve qualcosa, bella?», fù una voce femminile a chiamarla e vide al banco una ragazza di vent’anni, bionda e con gli occhi celesti, vestita in modo provocante e sportivo allo stesso tempo. Canotta nera con una scritta bianca sopra e pantaloni di pelle. Il viso era bello, liscio e diafano, come quello di una bellissima statua, le labbra piene e carnose le donavano un aspetto provocante e naturale.
«Ehm… Posso usare il bagno?»
«Certo. In fondo, la prima porta a sinistra.», le indicò la giovane bionda con un sorriso. Corse verso la porta indicatagli, chiudendola e facendo la pipì. Si sistemò, dandosi un’occhiata allo specchio: aveva un aspetto terribile. Profonde occhiaie le circondavano gli occhi, era pallida e si sentiva stanchissima… Ma dopo tutto nel suo stato era normale. Aveva fame, ma come si sarebbe procurata da mangiare? Non poteva nemmeno lavorare… Era disperata.
Si lasciò andare a terra, tenendosi al lavandino e piangendo ininterrottamente: non che servisse a qualcosa, ma in quel momento le sembrava l’unica cosa da fare.
Si allacciò le gambe al petto, continuando a piangere, quando la porta del bagno si aprì. Pensò che fosse qualcuno che aveva bisogno, ma quando alzò lo sguardo vide ciò che pensò fosse un angelo…
Capelli argentei come i raggi lunari, occhi viola ametista, un viso pressoché perfetto e il fisico degno di una scultura greca. La fissava preoccupato, si chinò su di lei e le chiese che cosa le succedeva…
«Ehi, va tutto bene?»
«No, per niente…»
«Andiamo, qualunque cosa sia vi sarà rimedio.»
«No, sta andando tutto di merda!», le lacrime e il tono di voce aumentarono, per fortuna il locale era deserto o avrebbe rischiato di dare spettacolo.
Il giovane le si sedette vicino, cercando un modo per consolare quella ragazza in lacrime: lui era un gentiluomo e detestava vedere una ragazza piangere… E lei doveva avere degli ottimi motivi per farlo dato che sembrava disperata.
«Si può sapere perché sei così disperata? Andiamo, non riesco a vedere una ragazza piangere così tanto.», quelle parole le fecero piacere, anche se non ne capì il motivo.
Cercò di calmarsi, asciugandosi gli occhi e accettando di buon grado il fazzoletto che quel ragazzo così gentile le porse.
«Va meglio?»
«Un po’, grazie.»
«Ora mi dici che cosa succede? Sembri nei guai.»
«Il mio ragazzo… Mi ha sbattuta fuori di casa per scoparsi un’altra…», il ragazzo scosse il capo: il mondo era pieno di bastardi, lo sapeva bene. Se avesse avuto tra le mani quel maledetto lo avrebbe sistemato a dovere per aver lasciato in mezzo alla strada quella poverina. Come si poteva lasciare una ragazza tanto carina?
I capelli lunghi e biondo cenere le incorniciavano il viso, gli occhi verde smeraldo erano grandi e dolci, il viso liscio e delicato e labbra rosee e piccole al punto giusto. Era bassa, lo si notava anche da seduta, ma tutte le curve erano al posto giusto.
«Un maiale, come la maggior parte degli uomini. Dimenticalo, sono sicuro che incontrerai qualcun altro, sei così carina e poi…»
«Sono incinta…», il ragazzo sgranò gli occhi: quello si che era un bel problema. Adesso si spiegava la sua disperazione e la paura nel suo sguardo. Rimanere da sola e con un figlio in grembo non era cosa che doveva succedere ad una ragazza… 
E adesso che cosa doveva fare? Non poteva certo fregarsene e lasciarla vagare senza meta, senza un soldo e per giunta in pieno inverno! Lui sapeva bene cosa voleva dire essere abbandonato in mezzo alla strada…
«Vieni con me.»
«Come?»
«Non posso certo lasciarti da sola in queste condizioni, sarei il peggiore dei bastardi e non lo sono.»
«Ma non sei obbligato, nemmeno mi conosci. Magari ti sto prendendo in giro per approfittarmi di te!»
«Non mi sembri il tipo e comunque riconosco una persona incinta quando la vedo: mia zia ha avuto due figlie dopo che mi ha adottato. E tu hai il suo stesso sguardo, la sua stessa tensione mista a felicità.», la giovane non credeva alle sue orecchie. Che quel giovane fosse davvero un angelo venutole in soccorso?
«Non so cosa dire, davvero… Grazie…»
«Su andiamo, so già che mi farai sudare!», disse allegramente il ragazzo, porgendole la mano ed aiutandola ad alzarsi. Quel breve contatto bastò per provocare una leggera scarica elettrica ad entrambi, fu una sensazione strana e dolce per tutti e due.
«A proposito, non ti ho chiesto come ti chiami.»
«Sara Letrovia e tu?»
«Kei Hiwatari, piacere di conoscerti.», i due si strinsero le mani e il giovane la condusse di nuovo al banco, dove la ragazza bionda di prima stava finendo di mettere in ordine le ultime bottiglie del bar.
«Ehi, tu sei la ragazza di prima. Va tutto bene, bella?»
«Non troppo. Lena, ti devo parlare, andiamo nel tuo ufficio.»
«Va bene, come vuoi.», la giovane sembrava confusa, ma era abituata alle sue stranezze quindi non fece domande, vedendolo però rivolgere un sorriso confortante alla ragazza che non gli aveva mai visto fare con nessuna.
«Aspetta qui, ok? Non fare cavolate, torno subito.»
«Va bene, tranquillo.», le prese il mento tra il pollice e l’indice in un gesto affettuoso e seguì la giovane barista nell’ufficio appena accanto all’entrata del bancone, mentre Sara contemplava il locale toccandosi il ventre: il suo piccolo. Voleva tenerlo al sicuro, proteggerlo e dargli una vita serena… Ma come poteva in quelle condizioni? Se solo non il suo ragazzo non fosse stato un bastardo….
«Sei incinta?! Come cazzo è successo?!»
«Senza che ce ne accorgessimo, ma non è una cosa brutta… E’ nostro figlio.»
«Io non voglio essere padre, cazzo! Ho solo vent’anni e tu sei minorenne, non ho intenzione di finire nei guai per colpa tua!».
Due ragazzi discutevano a voce molto alta, soprattutto lui: alto, capelli azzurri tenuti in ordine da un codino, occhi color cobalto e fisico ben strutturato, segno di chi fa sport.
«Garland, non ti metterò nei guai, non voglio farlo. Io ti amo e voglio questo bambino…»
«Io no, quindi i casi sono due : o te ne sbarazzi o puoi uscire dalla mia vita, Sara!»
«Non voglio abortire! Perché mi metti di fronte a delle scelte così crudeli?», ormai gli occhi della giovane Sara erano ormai inondati di lacrime, mentre il suo ragazzo la fissava impassibile. Non vi era nessuna emozione o amore in quegli occhi che credeva l’amassero.
«Allora puoi andartene, tu e quel marmocchio!»
«Non puoi farmi questo, è anche tuo figlio, cazzo!»
«Tanto ti avrei cacciata lo stesso di casa, che cosa credi?», Sara lo fissò incredula: che cosa stava dicendo? Perché avrebbe dovuto farlo? Lei era senza nessuno, viveva in un piccolo appartamento prima di conoscere lui e trasferirsi, dopo sei mesi di relazione, a casa sua. Cacciarla equivaleva a sbatterla in mezzo alla strada.
«Che cosa dici?»
«Sto dicendo che non ti amo più e forse non ti ho mai amata. Eri solo un passatempo, tutto qui.»
«Allora perché mi hai invitata a vivere insieme a te?!»
«Per divertirmi con te ogni volta che volevo. Ma ora sei solo tu ad essere nei guai, io me ne fotto. Il marmocchio è tuo e voglio che te ne vai entro stasera, visto che la mia nuova ragazza sta per arrivare.», il cuore di Sara si frantumò in mille pezzi: l’aveva messa incinta, usata e tradita… E adesso la stava sbattendo in mezzo alla strada, senza un soldo e una casa.
Gli tirò uno schiaffo più forte che poteva e andò in quella che era stata la loro camera. Prese un borsone e vi mise dentro tutti i suoi vestiti, che erano relativamente pochi. Garland non era solito farle regali o portarla a rinnovare il guardaroba.
Prese il borsone e si diresse verso l’uscita, fissando per l’ultima volta il ragazzo che tanto aveva amato e che ora le stava spezzando il cuore come mai nessuno… E la stava abbandonando con un figlio in grembo.
«Ne porterai il peso, Garland.»
«L’unico peso nella mia vita sei tu e me ne sto liberando. Addio Sara e non tornare mai più, intesi?»
«Ci puoi giurare, bastardo! Preferisco morire con mio figlio in grembo piuttosto che dagli un padre bastardo e pezzo di merda come te!», Sara uscì da quella casa, sbattendo la porta ed uscendo in strada. La neve cadeva copiosa e la temperatura era molto bassa… Dove sarebbe andata adesso? Cosa poteva fare?
Non conosceva nessuno e quei pochi amici che aveva erano tutti di Garland: nessuno l’avrebbe accolta, erano tutti della sua stessa pasta.
Decise di andare alla stazione dei pullman, salendo sul primo in partenza a testa basta e sedendosi in fondo: se fosse salito il controllore sarebbe stato un bel problema: era senza un soldo.
Il pullman partì e la giovane, col cuore in gola e una mano sul suo ventre caldo, chiuse gli occhi sperando che qualcuno la salvasse…
 
*
 
«E’ incinta?»
«A quanto pare si. E no: non sono stato io, nemmeno la conosco!»
«Guarda che non l’ho mai pensato, cugino.»
«Sì, come se non ti conoscessi. Comunque mi ha detto che il tipo di cui è incinta l’ha sbattuta fuori di casa e non aveva nessuno da cui andare, così è venuta qui senza nemmeno rendersene conto.», Kei stava spiegando a Lena, sua cugina con la quale viveva da due anni, la situazione di Sara. La giovane bionda era schifata per ciò che era accaduto a quella povera ragazza e non potevano certo lavarsene le mani: erano brave persone che avevano conosciuto tante difficoltà nella vita senza ricevere aiuto da nessuno.
«Che bastardo, come tutti gli uomini. Senti, ma tu cosa proponi esattamente?»
«Di portarla a casa nostra. I rifugi per i senza tetto e le case famiglia nel suo caso sono sconsigliate, non credi? E poi sappiamo come lavorano qui quei posti: da schifo.»
«Sì, hai ragione. Va bene, portiamola con noi, in fondo abbiamo già accolto te, perché non farlo con lei?»
«Quanto sei stronza! Bisognerà anche portarla da un medico, non credo che ci sia stata.»
«Chiederemo a mio padre, sarà felice di farlo. Andiamo a darle la lieta novella, comunque è molto carina.»
«Sì, abbastanza.»
«Ti piace?», ammiccò Lena, facendo incavolare il cugino: quella trovava sempre il modo di farlo innervosire, non c’era niente da fare!
«Ma che dici! E’ solo che mi fa tenerezza: una ragazza così carina, lasciata in mezzo alla strada e incinta.»
«Se lo dici tu.», Lena lo fissò con un sorriso furbo dipinto sul viso, per poi uscire insieme a lui dall’ufficio e raggiungere Sara, che però si era addormentata sul bancone. I due la fissarono con dolcezza: doveva essere davvero stanca e viste le sue condizioni era normale.
«La prendo io, tu raccogli il suo borsone e vai a prendere la macchina.», sussurrò Kei alla cugina che annuì sorridendo, mentre il giovane prese la ragazza in braccio cercando di non svegliarla.
Uscì dal locale, raggiungendo la macchina della cugina e posando Sara sul sedile posteriore. Mentre Lena finiva di chiudere si sedette dalla parte opposta del sedile, facendo appoggiare la testa della ragazza sulle sue gambe. 
Le accarezzò i capelli, pensando a quanto fosse carina mentre dormiva… Come si poteva abbandonare una creatura tanto dolce in maniera così orribile?
«Mi prenderò io cura di te.», lo sussurrò piano, quasi fosse un segreto prezioso.
Vide Lena entrare in macchina e mettersi al posto di guida, sorridendogli e mettendo in moto: casa loro non era distante dal bar, ci volle un quarto d’ora per arrivare. 
Poco dopo che la bionda ebbe fermato la macchina, Sara mugugnò qualcosa per poi aprire gli occhi e trovarsi il dolce sorriso di Kei come risveglio. Aveva avuto timore che fosse stato tutto un sogno…
«Mh… Ho dormito tanto?»
«No tranquilla, siamo arrivati.»
«Arrivati dove?»
«A casa nostra, bella. Resterai da noi, almeno finchè il piccolo non sarà nato, e potrai stare anche oltre se lo vorrai.»
«Non… Non so cosa dire, davvero.», Sara era allibita: mai nella vita aveva conosciuto delle persone tanto generose. Quei perfetti estranei stavano salvando lei e il suo bambino senza volere niente in cambio, erano meravigliosi.
Vide Kei sorriderle, prenderle la mano e aiutarla a scendere dalla macchina: era una villetta piccola ma molto ben tenuta. Bianco candido e con un piccolo giardino, una casa accogliente e che le ispirava calore.
Il ragazzo prese il suo borsone e, sempre tenendola per mano, la condusse all’interno della casa. La prima cosa che vide fu la sala, dove vi erano un divano, un paio di poltrone, un tavolino e un televisore. Subito sulla destra si intravedeva una cucina grande e spaziosa, mentre le altre porte dovevano essere le camere e il bagno, suppose.
«Vieni, ti faccio vedere la tua stanza.», Kei la accompagnò per il piccolo corridoio che divideva la sala dal resto della casa, conducendola verso una porta bianca. La aprì e vide che era davvero spaziosa! Vi era un letto a due piazze in ferro battuto, una scrivania e un bell’armadio in legno… La finestra dava proprio sul giardino, era l’ideale per lei.
«Ti piace? E' la camera degli ospiti, un tempo la usava una delle mie cugine che adesso studia all'estero.»
«Sì, moltissimo! Grazie Kei, davvero!», Sara abbracciò Kei di impeto, immersa nella gratitudine per quel ragazzo che le aveva aperto la porta di casa senza pensarci due volte.
Il ragazzo, sorpreso ma felice di quel gesto, ricambiò l’abbraccio, inebriandosi del profumo che emanava… Anche se aveva tutta l’aria di doversi fare una doccia.
«Vuoi rinfrescarti un po’?»
«Si sente che ho bisogno di un bagno, vero?», i due risero, per poi staccarsi, mentre il ragazzo le spostava una ciocca di capelli dal viso. Sara sorrise: quel giovane era gentile in ogni suo gesto, forse gli veniva naturale.
«Un pochino. Il bagno è la seconda porta a sinistra, lo trovi facilmente, se hai fame Lena sta preparando delle pizze surgelate. Lo facciamo sempre quando chiudiamo tardi.»
«Mi va benissimo, grazie.»
«Domani chiameremo mio zio, è un medico così almeno vedremo se va tutto bene.»
«Kei… Non so davvero che cosa dire.»
«Qualcosa tipo ‘Oh grazie Kei, sei il mio eroe!’», Sara rise di gusto, seguita dal giovane che le diede un buffetto sulla guancia e si accinse ad uscire, in modo che potesse andare a lavarsi.
«Andrà tutto bene, piccola. Penso io a te, adesso.»
«Promesso?»
«Promesso.», Kei le fece l’occhiolino e un sorriso, mentre Sara sentiva il cuore batterle forte. 
Il ragazzo uscì, mentre lei prese il suo borsone e cominciò a tirare fuori il cambio che le occorreva per farsi una doccia calda: ne aveva proprio bisogno.
Prese una canotta, un paio di slip e dei pantaloncini, recandosi in bagno. Aprì il getto d’acqua della doccia e non appena fu calda vi entrò, lasciando che quel tepore lavasse via anche tutta la stanchezza accumulata. 
Si toccò il ventre: il suo piccolo cresceva dentro di lei… Ce l’avrebbe fatta davvero? Ora non era più sola, ma poteva davvero fidarsi di Kei? Si sarebbe preso davvero cura di loro? Solo il tempo poteva dirglielo.
Ora doveva pensare al bene del piccolo che presto sarebbe venuto al mondo e quelle persone erano la sua unica ancora di salvezza, sperava solo di aver agito per il meglio.
Uscì dalla doccia, asciugandosi e mettendosi gli indumenti che si era portata in bagno. Lasciò i capelli umidi, frizionandoli con l’asciugamano. Non sapeva dove fosse il phon e poi non aveva voglia di stirarseli, ci avrebbe pensato la mattina dopo.
Andò in camera, mettendosi il pigiama che aveva precedentemente preparato giusto in tempo prima che Lena la chiamasse per avvisarla che la cena era pronta. 
Finì di vestirsi e raggiunse i due ragazzi in cucina, notando che era già tutto pronto.
«Spero che ti piaccia la Margherita, ho preferito andare sul classico non conoscendo i tuoi gusti.»
«Tranquilla Lena, grazie. E poi con l’aiuto che mi state dando non avrei mai fatto la pretenziosa sul mangiare.», i tre risero, sedendosi a tavola e cominciando a mangiare le loro pizze fumanti. 
Per Sara era molto inusuale mangiare a quell’ora tarda ma Kei la rassicurò che capitava di rado e che di solito cenavano prima di aprire il locale, verso le otto di sera.
«A proposito, ho mandato un messaggio a mio padre e ti aspetta domani al suo studio. Kei, te la senti di accompagnarla tu? Io devo ricevere della merce al locale.»
«Certo e poi è un po’ che non vedo lo zio. Per te va bene, Sara?»
«Certamente, grazie mille.»
«Vedrai, è una brava persona e ti metterà a posto come si deve. Dovremmo anche cominciare a pensare alle altre cose, tipo vestitini e altra roba utile per il piccolo.»
«Lena, non posso permettermi nulla, te l’ho detto.», disse Sara avvilita, mentre i suoi due amici le sorrisero allegramente: quella piccola sciocchina non aveva ancora capito di essere in buona mani e soprattutto generose.
«Senti, vuoi davvero ripagarci dell’aiuto? Io un modo ce l’ho.»
«E quale, Lena? Non può certo lavorare nelle sue condizioni.», Kei non capiva cosa aveva in mente sua cugina: sapeva essere tanto dolce quanto diabolica, lui lo sapeva bene. Anche Sara era molto confusa… In che modo poteva aiutarli se nelle sue condizioni non poteva fare quasi niente?
«Di cosa si tratta?»
«Ho bisogno di qualcuno che mi aiuti con le scartoffie del locale. Sai, ricevute e cose simili. Io sono una tale disordinata che mi perdo tutto e Kei non ne ha il tempo tra l’università e il lavoro che svolge lì. Penso che tu possa aiutarmi e ti pagherei, naturalmente.», Sara sembrò rifletterci e pensò che non era male come proposta: lei era una persona molto ordinata, lo era stata anche a scuola con gli appunti e cose simili… E almeno avrebbe ripagato in parte la generosità che le era stata offerta.
«Va bene, lo farò volentieri.»
«Perfetto, direi che siamo a posto con tutto, allora!», i tre risero di gusto, finendo di cenare. Né Lena e nemmeno Kei avevano più domandato qualcosa a Sara sul bastardo che l’aveva abbandonata: non avevano voglia di farla stare male e forse un giorno ne avrebbe parlato lei liberamente.
Kei non faceva che osservarla: era così carina che non riusciva a toglierle gli occhi di dosso… Mai aveva provato qualcosa di così intenso fissando semplicemente una ragazza.
Sara aiutò Lena a sparecchiare, nonostante le proteste di quest’ultima sul fatto che dovesse andare a riposare, dopo di che i tre si prepararono per andare a dormire, dandosi la buona notte.
«A domani ragazzi, lo zio vi aspetta per le undici.»
«D’accordo cugina, svegliami tu quando sarà ora!»
«Il solito pigrone! Povera Sara, che bell’esempio di maschio affidabile le stai dando.»
«Pensa un po’ agli affari tuoi!», la giovane rise leggermente nel vedere quei due battibeccare: si punzecchiavano di continuo, ma si vedeva che si volevano bene.
Lena entrò nella sua stanza facendo la linguaccia al cugino, mentre quest’ultimo accompagnò Sara alla porta della sua camera, dandole la buonanotte.
«Mi raccomando, dormi bene.»
«Anche tu. Kei, dici che ce la farò?»
«Ne sono convinto, non preoccuparti… Non sei sola, ok?», Sara si poggiò al suo petto, mentre Kei la cingeva in un tiepido abbraccio. Le baciò la fronte, salutandola in modo che potesse andare a riposare.
«Buonanotte, Kei.»
«Buonanotte, Sara e fai bei sogni.», le fece l’occhiolino e si allontanò, entrando nella sua stanza che era praticamente accanto alla sua. Sara entrò e si sedette sul letto, legandosi i capelli in un paio di trecce basse. Si mise sotto le coperte calde, chiudendo gli occhi: il suo cuore era fiducioso.
Lei e il suo piccolo sarebbero stati bene con loro.
Forse finalmente aveva trovato la famiglia che non aveva mai avuto.
E non voleva perderli per nessuna ragione al mondo.
 
*
   
Il mattino dopo.

«Benvenuta Sara, mia figlia mi ha spiegato tutto.», Sara e Kei erano arrivati allo studio dello zio del ragazzo nonché padre di Lena: il dottor Ivan Tersikov. Un uomo sulla quarantina, con i capelli neri e gli occhi verde smeraldo, fisico robusto ma non eccessivo e viso dai lineamenti marcati ma non troppo duri per un uomo di quell’età. «Sei ancora minorenne, giusto?»
«Faccio diciotto anni tra due mesi.»
«Oh bene, così quando il piccolo nascerà non ci saranno problemi. Bene, se vuoi metterti sul lettino cominciamo.»
Sara fissò Kei un po’ impaurita, che le sorrise dolcemente accompagnandola al lettino. Il medico le disse come stendersi in modo da poter fare la visita.
«Stai rilassata, non ci vorrà molto.», le disse gentilmente il medico. Sara annuì mentre Kei le teneva la mano durante la visita, che durò relativamente poco… Il dottor Ivan era una persona molto delicata e competente, non sentì nessun tipo di dolore.
Una volta finita la visita ginecologica, la fece stendere completamente sul lettino, alzandole la maglietta e premendo delicatamente sulla pancia per vedere come procedeva la gravidanza.
Kei continuava a tenerle la mano, sorridendole dolcemente: era così bello averlo accanto, altro che quel bastardo di Garland!
«Tutto procede bene, Sara, sei esattamente alla fine del secondo mese di gravidanza. Vorrei che tornassi qui tra un paio di settimane per fare la prima ecografia, va bene?»
«D’accordo, la ringrazio molto.», Kei la aiutò ad alzarsi e mentre si sistemava, il dottor Ivan ne approfittò per fare due chiacchiere col nipote che purtroppo non vedeva più tanto spesso.
«Allora nipote, come va l’università?»
«Non mi lamento, tra tre mesi dovrei dare un esame.», Sara li ascoltò, incuriosita: non sapeva ancora che cosa studiasse Kei, era timida e non le piaceva impicciarsi.
«Vedi di passarlo che la testa ce l’hai.»
«Sì zio, c’è già Lena che mi fa sempre predicozzi, non temere.», Sara si ritrovò a ridere, sedendosi accanto a lui, che le sorrise. Ivan notò che suo nipote sorrideva spesso a quella ragazza e ne fu contento.
Gli voleva bene come un figlio, gli augurava ogni bene per il futuro e forse quella ragazza era ciò che gli ci voleva per crearsi una vita tutta sua. E avere la famiglia che non aveva mai avuto…
«Allora Sara, noi ci vediamo tra due settimane. Nel frattempo stai a riposo e non fare sforzi che non siano necessari. I primi mesi di gravidanza sono quelli in cui si deve stare più attenti, capito?»
«Va bene, la ringrazio molto.»
«Ora è meglio andare, dobbiamo ancora fare la spesa. Ci vediamo zio e grazie.»
«Passate qualche volta tu e Lena, ci mancate.»
«Promesso, alla prossima.»
«Grazie dottor Ivan, ci vediamo tra due settimane.»
«Riguardati e dammi del tu: ormai sei di famiglia.», Ivan le fece l’occhiolino e i due ragazzi uscirono dallo studio medico, dirigendosi verso il centro.
«Tuo zio è proprio una brava persona, molto simpatico.»
«Sì è vero, è come un padre per me. Praticamente mi hanno allevato lui e sua moglie, sono a loro molto grato per ciò che hanno fatto per crescermi.»
«Ma la tua famiglia?», Kei si irrigidì a tali parole e Sara capì di essere stata inopportuna: doveva scusarsi subito, non voleva turbarlo dopo ciò che stava facendo per lei e il suo bambino.
«Scusami, non avrei dovuto.»
«No piccola, non preoccuparti. Diciamo che i miei non avevano tanta voglia di fare i genitori e così sono spariti, lasciandomi a mio zio. Avevo tre anni e da allora non ho più saputo nulla di loro e non mi importa nemmeno. Possono anche essere morti, non me ne frega.»
«Davvero?»
«Certo. Considero famiglia i miei zii, che mi hanno allevato come se fossi davvero figlio loro, Lena e le mie cugine. Sono stato fortunato perché ho trovato una bella famiglia ad accogliermi e crescermi.»
«E’ per questo che… Mi hai accolto con te?»
«Esattamente, Sara. Io so cosa vuol dire venire abbandonati ed ho avuto chi mi ha salvato… Perché non posso farlo anch’io con te?», Kei le sorrise, cingendole le spalle con un braccio, mentre Sara aveva gli occhi lucidi e il cuore che batteva forte: sì, quel ragazzo doveva essere un angelo mandatole per salvarla.
«Allora grazie per avermi salvato, mio eroe!»
«Scema!», i due risero, per poi arrivare in centro e fare le commissioni che dovevano, ridendo e scherzando.
Quello era solo il primo giorno della vita insieme che li attendeva: loro due e la piccola creatura nel grembo di Sara.
Sarebbero stati davvero felici?
Sarebbe nato l’amore o semplice amicizia?
Solo il tempo poteva dirlo.
Avevano nove mesi di tempo, dopo tutto!
 


 
 
 
 
 




Salve a tutti!
Come vedete la cara Pad non smette mai di rompere le scatole ed eccola qui con l’ennesimo esperimento xD Una storia semplice, come potete notare, e che sarà relativamente breve: due o tre capitoli al massimo v.v
Mi piace scrivere di questo genere, tutti ormai conoscono la mia debolezza per il genere romantico xD
Qui abbiamo il primo capitolo, spero tanto che vi piaccia e che mi farete sapere che cosa ne pensate, in positivo e in negativo, ovviamente v.v
Il titolo della storia è dovuto sopratutto alla traccia che ha accompagnato la stesura: The Promise di Micheal Nyman. Mi sembra doveroso ringraziare la mia stellina Halley_Silver_Comet perchè grazie a lei ho trovato questa melodia stupenda che mi ha aiutato a scrivere questa storia ^-^
 


Un bacio forte a tutti^^
 
 
La cara Pad

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Capitolo 2
*** Secondo capitolo ***


Nuova pagina 1
*** The promise ***
 
2^ Capitolo
 
Erano passati ormai quattro mesi da quando Sara era stata accolta da Kei e sua cugina Lena. 
La sua gravidanza procedeva in maniera ottimale, come diceva il dottor Ivan che la visitava ogni due o tre settimane per tenerla sotto controllo al meglio: ormai era arrivata al settimo mese.
Come promesso aiutava Lena al locale mettendole in ordine le varie fatture e scartoffie necessarie per l’andamento del locale, cosa di cui la giovane barista fu molto soddisfatta: il suo ufficio non era mai stato tanto in ordine da quando c’era quella ragazza talmente ordinata da fare quasi paura.
Il rapporto tra Sara e Kei maturava ogni giorno che passava… I due ormai erano legati da un affetto profondo e sincero. 
Il ragazzo si stava prendendo seriamente cura di lei, accompagnandola a fare tutti i controlli e le spese necessarie per l’arrivo del bambino. Naturalmente Sara stava attenta che non trascurasse i suoi studi… L’esame di tre mesi prima era andato bene e presto avrebbe dovuto darne un altro: alla fine la giovane aveva scoperto che il suo benefattore studiava Giurisprudenza e che voleva aprire uno studio civile per poter aiutare la gente, ricca o meno.
Ormai era Aprile e il sole era caldo e confortante… Sara stava riposando nella sua stanza: schiacciava sempre pisolini nelle ore più improbabili, non era una novità.
Lui invece stava finendo di studiare:gli esami erano vicini, non poteva adagiarsi sugli allori. Quando però sentì il suo cellulare vibrare, segno che gli era arrivato un SMS; prese l’apparecchio e lesse il messaggio.
Ciao Kei, sono davanti casa tua. Perché non mi apri? Ho voglia di vederti e stare un po’ con te… Camille.
Non sapeva che cosa fare: da una parte non gli sarebbe dispiaciuto, non stava con nessuna da parecchio tempo e l’astinenza era una cosa brutta. 
Ma dall’altra non se la sentiva dopo la promessa fatta a Sara. Da un po’ di tempo sentiva che ciò che lo legava a quella giovane non era semplice affetto e voglia di aiutarla… Anche se ancora non capiva bene di cosa si trattasse.
Le aveva giurato che si sarebbe preso cura di lei e del bambino in arrivo e l’ultima cosa che voleva era darle un dispiacere. 
Però in fondo non gli costava nulla salutarla, che male c’era? L’importante era non turbare Sara e visto che dormiva non si sarebbe accorta di nulla.
Si alzò e decise andare ad aprirle: sulla soglia lo aspettava una bella mora dagli occhi nocciola, il fisico longilineo e tonico, il viso liscio e delicato e le labbra piene e sensuali: la classica bellezza.
«Ciao Kei, è da molto che non ci vediamo», mormorò lei con voce suadente, entrando in casa e cingendogli il collo con le braccia. 
Kei si sentì un po’ a disagio, probabilmente per via della giovane ragazza incinta che dormiva a pochi passi da loro...
«Sono stato occupato.»
«E chi è che ha preso pieno possesso del tuo tempo? E' da più di tre mesi che non ti fai sentire, te ne rendi conto? E in università non parli nemmeno più con me.»
«Mi dispiace davvero, Camille. La mia vita è un po’ incasinata in questo periodo, con gli esami e tutto il resto, e poi…»
«Povero caro, ci penso io ora ad alleviarti un po’ di tensione…», disse maliziosa, poggiando le sue labbra su quelle del ragazzo. 
Kei si irrigidì, per poi lasciarsi andare pian piano… In fondo non c’era nulla di male nel concedersi un po’ di svago con una ragazza che gli piaceva da un certo punto di vista.
Si diressero verso la camera da letto del ragazzo, chiudendo la porta e buttandosi sul letto, dando libero sfogo alla passione.
Dopo circa una mezz’oretta si ritrovarono sotto le lenzuola abbracciati, ancora caldi e sudati per l’atto fisico appena compiuto.
«Ci voleva proprio, non è vero?»
«Oh si, sono contento che sei venuta a trovarmi!», i due risero, baciandosi a stampo e continuando a rilassarsi, quando si sentì bussare alla porta. Kei, allarmato dal fatto che potesse essere Sara, si alzò di scatto, mettendosi i jeans.
Andò ad aprire e sulla soglia vi era proprio la ragazza: il pancione di sette mesi era molto evidente attraverso il vestito largo che lui stesso le aveva regalato. I capelli erano legati in una coda e il suo viso era più dolce rispetto a quando l’aveva conosciuta: sembrava proprio una mamma.
«Sara, cosa c’è? Non ti senti bene?»
«No tranquillo, solo che volevo chiederti se mi accompagnavi in centro, mi servono alcune cose per la cena di stasera visto che non lavoriamo.»
«Ah, va bene, se aspetti…»
«Amore, c’è tua cugina per caso?», Camille si era alzata dal letto avvolta nel lenzuolo, mettendosi alle spalle di Kei. 
Non appena la vide negli occhi di Sara vi fu una luce strana: era stupita e delusa… Kei ormai la conosceva bene e sapeva che in quel momento le stava dando una bella delusione. Per uno stupido desiderio carnale aveva tradito la fiducia della ragazza che lui stesso aveva accolto sotto il suo tetto.
«E tu chi sei?», chiese Camille alla giovane, ancora leggermente shockata per ciò che aveva scoperto, mentre Kei cercava le parole giuste per scusarsi con lei…
«Io sono un’ospite, mi dispiace aver disturbato. Andrò da sola in centro, non preoccuparti.»
«Aspetta Sara, io non…»
«Non ti preoccupare, davvero. Torno presto, se ho bisogno ti chiamo. A dopo.», era fredda, lo sentiva chiaramente.
Sara si voltò, andando verso la porta ed uscendo dall’abitazione, senza dare a Kei il tempo di replicare.
Il giovane la vide andare via, sentendosi uno stupido: Sara aveva già sofferto tanto e adesso ci si metteva anche lui a darle l’ennesima delusione in fatto di uomini.
Chiuse la porta, fissando Camille impassibile e intimandole di andarsene il prima possibile…
«Ma perché, scusa? Chi era quella? La tua ragazza?»
«No, non proprio…»
«E allora perché te la prendi tanto e mi cacci via dopo avermi scopata? Sei davvero un cretino, Hiwatari! Se non è la tua ragazza fregatene.»
«Le ho fatto una promessa e oggi l’ho delusa. Per favore Camille: vai via e non cercarmi più.»
«Lo sai che ti dico? Va bene, fai come ti pare! Sei tu che ci rimetti!», Camille si rivestì di corsa, uscendo sbattendo la porta, quando anche il ragazzo si rivestì.
Si buttò sul letto, dandosi dell’imbecille: ma cosa gli era saltato in mente? Non voleva che Sara lo vedesse con Camille. Chissà adesso cosa pensava di lui… Sicuramente che era un porco di cui non poteva più fidarsi.
E questo non poteva permetterlo. Appena sarebbe tornata a casa le avrebbe chiesto perdono e chiarito ogni cosa. 
Perché desiderava davvero con tutto se stesso prendersi cura di lei e del piccolo che stava per arrivare.
 
*
 
Metteva le cose in lista nel carrello quasi fosse un peso, anche se non capiva il motivo di tanto malessere: in fondo lui non era il suo ragazzo. Le aveva promesso di prendersi cura di lei e lo stava facendo, questo non implicava che non potesse avere una ragazza.
Ma la pensava davvero così? O era solo per auto convincersi che ciò che provava per Kei era solo amicizia? Che cos’erano loro due? Amici o qualcosa di più? Troppe domande per una persona che doveva evitare ogni tipo di stress.
Il suo bambino continuava a crescere dentro di lei e presto sarebbe venuto al mondo: avrebbe avuto una madre che lo avrebbe amato con tutte le sue forze e una famiglia pronta ad accoglierlo… Ma non un padre.
Finì di riempire il carrello, andando alla cassa e mettendo tutto nei sacchetti, aiutata dalla commessa che ormai conosceva bene.
«Manca poco, eh Sara.»
«Eh già, ancora un paio di mesi.»
«Sei nervosa?»
«Un pochino, più che altro temo per il dolore…»
«Oh, sono sicura che Kei sarà lì a darti tutto il sostegno necessario e anche a prendersi gli insulti!», Sara rise, cercando di immaginarsi la scena: chissà se sarebbe andata davvero così…
Pagò il conto ed uscì dal supermercato, prendendosi un po’ di tempo per fare due passi: camminare le faceva riattivare la circolazione e con quella bella giornata era l’ideale. Anche se in fondo non aveva voglia di tornare a casa e trovare Kei con quella ragazza… Le faceva male e non ne capiva il motivo.
Alzò lo sguardo verso il cielo: era limpido, azzurro, quasi come il mare… Bellissimo alla vista, riusciva a rilassarla.
Si toccò il pancione, massaggiandolo: un gesto ordinario, lo faceva sempre.
«Staremo sempre insieme, tu ed io. Non ci serve un uomo, in fondo… Bastiamo io e te.», mormorò alla sua pancia, immaginando che il piccolo potesse sentirla. Magari era davvero così, aveva letto molti libri e dicevano che i piccoli nel grembo assorbono voci e melodie che percepiscono dall’esterno.
Fece altri quattro passi per il centro, prima di decidere di tornare a casa: tanto prima o poi avrebbe dovuto affrontarlo… Che si sentisse così perché ciò che sentiva per Kei era amore? Che si fosse davvero innamorata di lui? Sarebbe stato bello ma anche un problema se il ragazzo stava davvero con la giovane che aveva visto.
Era bella, elegante, raffinata e sexy… Mentre lei era solo una grassa ragazzina appena maggiorenne, per lui non sarebbe stato difficile scegliere.
Arrivò a casa e quando aprì la porta sentì distintamente la voce di Lena gridare contro quello che doveva essere Kei.
«Sei impazzito ad averla lasciata sola?! Lo sapevo, alla fine non sei cambiato!»
»Senti, mi dispiace! Sto già male di mio per averla delusa, ti ci metti anche tu! Credi che non sia preoccupato e che non mi faccia schifo sa solo?!», Sara sorrise, per poi entrare in casa e dirigersi in cucina, dove i due stavano discutendo. Lena, appena la vide, le andò incontro prendendole le borse e fissandola con fare preoccupato: sarebbe stata un’ottima zia.
«Sara, sei impazzita ad andare in giro da sola e portare pesi come questi? Lo sai che devi stare riguardata!»
«Tranquilla Lena, fare due passi mi fa solo bene e poi non sono malata.», disse Sara con un sorriso, facendo tranquillizzare la cugina acquisita: Lena sapeva di essere apprensiva, ma tutto era dovuto al fatto che ormai voleva tanto bene a quella ragazza e al piccolo che stava per arrivare.
«D’accordo, scusami. E’ che lo sai che non voglio che vi capiti nulla… Dovrebbe essere qualcun altro a scusarsi.», Lena fissò truce Kei, che la guardò torvo: sapeva bene di doversi scusare, non c’era bisogno che glielo ricordasse lei.
Si avvicinò a Sara, che lo fissava con un lieve sorriso sul volto: lo amava, ormai ne era sicura. Sperava solo di non prendere un’altra scottatura…
«Vorrei parlarti, possiamo andare in camera tua?»
«Certo.», Kei la prese per mano e i due andarono in camera dalla ragazza sotto il sorriso di Lena.
La ragazza aprì la porta e lo fece accomodare, sedendosi sul letto e intimandolo a sedersi accanto a lei. Kei lo fece e cercò le parole più adatte per potersi scusare con lei per quanto era avvenuto quella mattina…
«Ecco io… Voglio dirti che ciò che hai visto oggi, me e Camille, non era nulla.»
«Ah, davvero? Eppure sembrate molto intimi.»
»Bhe, ecco… Per così dire…», Kei si grattò dietro la nuca, cercando di spiegare alla ragazza cosa provasse. Ma per quanto si sforzasse non riusciva a trovare le parole adatte. «E’ una mia ex, oggi è venuta qui e… Non so che cosa mi sia preso. Tutto ciò che so è che non voglio perderti e soprattutto che tu perda la fiducia in me. Non voglio che tu soffra ancora per causa mia…»
«Kei, tu mi vuoi bene?», il giovane rimase basito da tale domanda: se le voleva bene? Molto di più… Ciò che provava per lei andava oltre il semplice affetto e ciò lo spaventava. Forse era per tale ragione che quella mattina aveva ceduto ed era stato con Camille…
Ma cosa doveva fare? Dirglielo? Probabilmente dopo la sua bella prova di immaturità lei adesso non si fidava più di lui, come poteva affidargli ancora se stessa e il suo piccolo?
«Sara, certo che ti voglio bene. Anzi, di più…»
«Che cosa intendi?», la giovane si stava divertendo a provocare colui che ormai aveva compreso di amare: voleva fargli pagare una piccola penitenza per ciò che aveva fatto con Camille, anche se tecnicamente era successo quando loro non avevano nessun legame ufficiale.
«Lo sai, andiamo non fare la furba.»
«Non sto facendo la furba, voglio solo sentirtelo dire…», era la verità, tutto ciò che desiderava era che Kei dicesse chiaramente cosa provava per lei e che il suo sentimento fosse corrisposto.
Il cuore le batté forte come un tamburo quando il giovane intrecciò la sua mano con la propria, avvicinando i loro visi.
Le loro labbra si toccarono per un momento… Un unico interminabile momento che creò grandi emozioni nei cuori di entrambi.
Quando si staccarono le loro fronti erano ancora unite e le loro mani intrecciate. 
 Kei mise una mano sul pancione di Sara, sentendo il piccolo muoversi. Provò un’emozione immensa: all’idea che presto quel piccolo sarebbe venuto al mondo e lo avrebbe cresciuto si sentiva come ad un metro da terra.
Lui, che mai aveva avuto una vera famiglia, adesso se ne stava costruendo una con quella meravigliosa ragazza che mai al mondo avrebbe voluto ferire.
«Kei, io…»
«Ti amo, Sara. E l’ho capito proprio nel momento in cui ti ho delusa e rischiato di perdere… Mi dispiace che tu abbia visto quel lato di me. Camille è una ragazza con cui sono stato tempo fa e oggi, spinto dalla paura dei miei sentimenti per te, ho ceduto.»
«E’ umano, sarebbe potuto succedere anche a me.»
«So solo che quando mi hai visto con lei mi sono sentito un verme, perché anch’io ti avevo tradita. E mi dispiace… Spero solo che tu voglia ancora dividere con me il piccolo che sta per arrivare. Anzi la piccola, perché sarà di sicuro una bambina!», Sara si ritrovò a ridere, saltandogli al collo e baciandolo ripetutamente sulla guancia. Quando si fermò non riuscì ad lasciarlo andare: non sarebbe stata una squallida scappatella a dividerla dall’amore che provava per lui: il suo angelo custode.
«Dici che è una femmina?»
«Deve esserlo, perché altrimenti assomiglierà tutto al padre e non mi va molto.»
«Dai scemo! Comunque hai ragione, anch’io voglio una bambina.»
«Due ragazze che mi amano, è il sogno di ogni uomo!»
«Kei…»
«Dimmi, piccola.»
«Ti amo anch’io e non potrei desiderare padre migliore per lui o lei.», i due risero, baciandosi con più passione e restando a parlare sdraiati sul letto. Stretti in un abbraccio pieno d’amore, finché non si addormentarono a causa del troppo parlare.
Lena aprì lentamente la porta della camera, vedendoli addormentati e abbracciati: sorrise, pensando a quanto fossero perfetti insieme, e richiuse la porta. Prese il cellulare e compose il numero di suo padre…
«Papà avevi ragione! Ci sono voluti quattro mesi perché si decidessero, ti devo una birra!»
 
*
 
Due mesi dopo.
 
«Kei, credo di avere le contrazioni.»
«Da quanto le hai?»
«Sono cominciate ieri sera e sono sempre più vicine. Dici che dobbiamo andare in ospedale? Non vorrei che sia un falso allarme come quello della scorsa settimana.», Sara e Kei erano ufficialmente una coppia da due mesi, dal giorno in cui tutti i sentimenti erano venuti a galla.
La ragazza aveva deciso che avrebbe dato al bambino il cognome del ragazzo e lui stesso si era reso disponibile ad adottarlo legalmente.
Da qualche giorno la giovane soffriva di false contrazioni, le cosiddette ‘Contrazioni di Braxton Hicks’ e già due volte erano corsi in ospedale pensando che fosse il momento del parto.
Ma in quel momento, non sembravano davvero false contrazioni…
«Piccola, io penso che sia meglio non correre rischi. Prendo la tua borsa, al limite ci prenderemo dei rompiscatole dallo zio!», sarebbe stato Ivan a farla partorire, difatti tutte e due le volte era stato lui a visitarla. Andare nell’ospedale dove lavorava e partorire con il proprio medico era la cosa migliore per Sara.
Kei si alzò dal letto, seguito a fatica dalla ragazza e mentre si accinse a prendere la borsa della sua metà, quest’ultima sembrò improvvisamente presa dal panico…
«Oh cavolo, mi sono rotte le acque!»
Senza dubbio quella sarebbe stata una giornata da ricordare!
 
Il viaggio in ospedale fu da manuale: Kei alla guida ad una velocità decisamente eccessiva e Sara seduta al posto di dietro con Lena che le intimava di respirare e tenere le gambe chiuse fino all’arrivo in ospedale.
Una volta arrivati furono accolti dai paramedici, che misero la ragazza su una barella e la condussero nella stanza di preparazione al parto. Kei fu preso da un infermiere e accessoriato di un camice e una mascherina per poter entrare con lei in sala parto.
Le stette vicino tutto il tempo, dalla preparazione fino al momento del parto, dove il dottor Ivan intimava la ragazza di impegnarsi per far uscire il piccolo.
La giovane Sara urlava di dolore e respirava contemporaneamente, mentre stringeva sempre più forte la mano del suo amato Kei che temeva di ritrovarsela rotta una volta finito tutto.
«Coraggio Sara, ancora un piccolo sforzo! Un’altra bella spinta, forza!», Ivan cercava di fare forza alla sua giovane paziente e ormai nipote acquisita e Sara ce la stava mettendo davvero tutta, sebbene le sue urla fossero strazianti per le orecchie del povero Kei.
«Forza piccola, ci siamo quasi!»
«Kei, scusami se dovessi romperti la mano!», al ragazzo sfuggì un sorriso: lei era lì in preda ai dolori più assurdi che si possano avere e si preoccupava della sua mano.
«Tranquilla amore, rompila pure, tanto torna a posto!», le diede un bacio sulla tempia, mentre Ivan la informò che mancava un’ultima spinta per far uscire totalmente il piccolo.
Sara urlò con quanto fiato aveva in corpo e spinse più forte che poteva, quando il pianto di un neonato fece eco nella stanza.
«Eccola qui, è una bella bambina!», annunciò con felicità Ivan, mentre gli occhi di Kei si illuminarono di gioia: se lo era sempre sentito e ci aveva azzeccato.
«Lo sapevo! Lo sapevo che era una bambina, hai visto amore?»
«Sì, posso prenderla?»
«Tra un attimo cara, Kei vuoi tagliare il cordone ombelicale?»
«Posso davvero?», il ragazzo vide il sorriso rassicurante dello zio e prese delicatamente le forbici che gli porse una delle infermiere. Seguendo le indicazioni di Ivan tagliò il cordone di quella che sarebbe stata sua figlia.
Le infermiere la presero e la pulirono, avvolgendola poi in un bell’asciugamano rosa e porgendola alla sua mamma. Sara piangeva di gioia: la sua bambina era finalmente arrivata e lei l’amava già da morire. Kei le osservava insieme: erano la sua famiglia.
La donna che amava con tutto il cuore e la loro piccola, che avrebbero cresciuto con amore e valori morali reciproci.
«Avete deciso come chiamarla?», Kei e Sara si rivolsero uno sguardo confuso: non ci avevano ancora pensato, non avendo voluto sapere in anticipo il sesso. Ma la giovane aveva già in mente un nome… Sperava solo che piacesse al suo compagno.
«Veramente… Io un nome lo avrei.»
«Sara, il lavoro lo hai fatto tu: qualunque nome sceglierai mi andrà benissimo.»
«Vorrei chiamarla Lily, ti piace?», Kei parve rifletterci, per poi accogliere benissimo l’idea.
Baciò la fronte della sua donna, dando la sua piena approvazione, e baciando la testolina di sua figlia: assomigliava tutta a sua madre il che per i suoi occhi era solo un bene,
«Moltissimo. Allora benvenuta al mondo Lily Hiwatari.», i due giovani baciarono la loro piccola, finché un’infermiera non la prese per portarla in osservazione.
Sistemarono Sara, mettendole i punti e aiutandola a pulirsi, mentre Kei tornava da Lena per annunciarle che avevano avuto una femmina. Vi erano anche sua zia Irina e le sue due cugine Rose, tornata dai suoi studi esteri per l'occasione, e Mina; tutte entusiaste del fatto che il loro caro cugino e nipote fosse diventato padre. Ovviamente tutte erano al corrente della situazione di Sara ma non importava: a conti fatti era stato Kei a prendersi cura di lei, le avrebbe amate e protette ed è ciò che deve fare un vero marito e padre: parole della zia Irina al nipote.
Dopo circa una mezz’oretta andarono tutti a trovare la piccola Lily in osservazione, vedendo che era il ritratto di sua madre, con grande gioia di tutti. 
Ivan scattò anche qualche fotografia, giurando che le avrebbe gelosamente conservate nell’album di famiglia sotto le risate di tutti.
In quell’atmosfera di festa Kei si sentiva felice e appagato, osservando la sua piccola: vedere il suo cognome accanto a quello di Lily gli riempiva il cuore di felicità mista a paura. Sarebbe stato davvero un buon padre? Bhe, la risposta era ovvia: si sarebbe impegnato con tutte le sue forze, diventando un bravo avvocato e dare a lei e Sara una vita serena.
 
*
 
Passò qualche giorno e Sara sembrava non volersi staccare mai dalla sua piccola. La allattava e la cullava come una vera mamma e le infermiere le davano un aiuto notevole, vista la sua giovane età era totalmente inesperta.
Kei andava a trovarle tutti i giorni e la cosa che la giovane aveva notato era che tutte le volte non riusciva a togliere gli occhi di dosso a Lily.
Ormai ne aveva la conferma: ne era perdutamente innamorato e la cosa le riempì il cuore di felicità. Sarebbe stato un ottimo compagno e un padre premuroso, ne era certa.
Sentì bussare alla porta, mentre allattava Lily, invitando ad entrare chi aveva bussato immaginando che fosse Kei o Lena.
«Avanti.»
Ma quando la porta si aprì il suo cuore perse un paio di battiti…
«Ciao Sara, sono riuscito a trovarti finalmente.»
«Garland?!», la giovane non poteva credere ai suoi occhi: che diavolo ci faceva quel bastardo lì?! E soprattutto come aveva fatto a trovarla?! Le aveva detto chiaramente di essere un peso e che non l’amava, sbattendola fuori di casa mentre era incinta.
E adesso si presentava davanti a lei con un’espressione talmente calma da far saltare i nervi alla novella mamma: se sperava di ottenere perdono o di toccare anche solo con un dito Lily si sbagliava di grosso. Lei era sua e di Kei, ormai era una cosa scontata.
«Ciao, lo so che non mi vuoi qui.»
«Ci hai azzeccato, vattene! Come osi presentarti qui dopo quello che mi hai fatto?!», Garland abbassò lo sguardo, prendendo una sedia e sedendosi. Sara non sapeva cosa fare, presto sarebbe arrivato Kei e non voleva che si incontrassero… Il suo ragazzo avrebbe reagito molto male.
«Sono stato un bastardo, me ne rendo conto, e non sono venuto in cerca di perdono.»
«Non lo meriti. Mi hai cacciata di casa e sbattuta in mezzo alla strada con una bambina nella pancia, sei da galera!»
«E’ lei la tua piccola?», Garland posò gli occhi su Lily e Sara, istintivamente, cerco di nasconderla alla sua vista.
«Ho visto il nome sul cartellino: si chiama Lily Hiwatari. Ma chi è questo Hiwatari?»
«Non sarebbero affari tuoi, comunque è il mio compagno e sarà il padre di Lily.», Sara fissò il suo ex dritto negli occhi, decisa a fargli capire che per lui, nella sua vita e quella di Lily, non vi era posto e mai ce ne sarebbe stato.«Lui mi ha accolto nella sua vita, nella sua casa, senza nemmeno conoscermi. Si è preso cura di me, dandomi l’amore che avresti dovuto darmi tu e vuole bene a Lily come se fosse veramente sua figlia.»
«Il compagno perfetto, insomma.»
«Sì, lui lo è davvero. Garland, tu mi hai fatto troppo male e non so nemmeno perché sei qui, ma se pensi di ottenere il mio perdono o far parte della nostra vita potevi risparmiarti la fatica.», Garland la fissò negli occhi e le vide una luce che mai le aveva visto: forza e speranza. Lei credeva fermamente nel ragazzo che amava e nel prosperare nel suo futuro. Non avrebbe avuto perdono da lei e in fondo sapeva di non meritarlo.
L’aveva cercata per via del senso di colpa che si era fatto strada in lui e sperava, in fondo al cuore, che Sara lo perdonasse. Ma non sarebbe successo: si era costruita la sua vita, aveva trovato qualcuno che amava sinceramente lei e sua figlia.
«Sono venuto qui perché mi sono sentito in colpa, non chiedermi come. Non mi aspetto il tuo perdono, so di non meritarlo. Volevo solo vedere se stavate bene, tutto qui.»
«Come vedi stiamo benissimo e staremo sempre bene.»
«Ti somiglia, sembra il tuo ritratto.», mormorò dolcemente Garland, fissando la piccola Lily: non aveva niente di suo. Gli occhi e i capelli erano gli stessi della mamma, così come i lineamenti del viso e il naso: sarebbe stata la sua fotocopia una volta cresciuta.
«Grazie, sei gentile.»
«Bhe, allora me ne vado. Ti auguro di essere felice, Sara. Chissà, magari un giorno sarai disposta a perdonarmi…»
«Non credo che succederà, ma ti ringrazio dell’augurio.»
«Allora addio, Sara.»
«Addio Garland.», il ragazzo uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle e sospirando: in fondo era meglio così, lui non era adatto a fare il padre e il marito.
Si incamminò verso l’uscita, quando incrociò un dottore che parlava con un ragazzo che doveva avere la sua età. Quando lo sentì chiamarlo ‘signor Hiwatari’, si voltò, mettendogli una mano sulla spalla.
«Scusa, ci conosciamo?», gli domandò Kei, confuso.
«Abbine cura e amale come meritano, non fare il mio stesso errore.», Garland gli sorrise e Kei spalancò gli occhi sorpreso, mentre lo vedeva andarsene. Doveva essere lui…
Il desiderio di andargli incontro e prenderlo a pugni era forte, ma era meglio trattenersi: adesso era un padre, non poteva fare certe cazzate.
Salutò il medico e si diresse verso la camera di Sara. Entrò e la vide turbata, cosa che dissipò totalmente i suoi dubbi: quello che gli aveva parlato era di sicuro l’ex che l’aveva sbattuta in mezzo alla strada e padre biologico di Lily.
«Ciao amore.», Kei si chinò su di lei, baciandola a stampo e dando un bacino alla testolina di Lily. Sara lo fissò, incapace di trovare le parole per confessargli che il suo ex era stato lì da lei in cerca di perdono. Ma fu proprio il ragazzo ad aiutarla…
«Credo di aver visto il tuo ex, venendo qui.», gli occhi di Sara diventarono grandi come due palline da tennis, ma l’espressione tranquilla di Kei le fece capire che non era arrabbiato. Gli raccontò tutto ciò che si erano detti e lo stesso fece il ragazzo, dicendole le parole che Garland gli aveva rivolto.
«Lui è il mio passato, Kei… Tu sei il mio presente e il mio futuro, insieme a Lily.»
«E voi siete il mio, piccola. Ti amo.»
«Ti amo anch’io.»
I due si abbracciarono, mentre Lily cominciò a piangere. Kei si alzò dal letto e la prese in braccio, cullandola. La piccola si calmò quasi subito, mentre Sara li osservava: era felice come mai prima d’ora.
Aveva un compagno meraviglioso.
Aveva una bambina stupenda.
E un futuro insieme a loro tutto da vivere.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Eccoci qua gente, questo è l’ultimo capitolo prima dell’epilogo xD Visto che lungo? Spero che vi soddisfi xD Sono felice di vedere che questa mia semplice storia nata per caso abbia riscosso così tanta approvazione, sono proprio felice ^*^ 
Qui come vedete abbiamo avuto un capitolo diviso a tre: casini amorosi e confessioni d’amore, la nascita della piccola Lily (adoro questo nome, non vedevo l’ora di usarlo *_*) e il confronto finale tra Sara e Garland! E avrete visto che la nostra cara ragazza lo mandato delicatamente a quel paese X3
Kei e Sara sono felici insieme, con una bambina e un futuro tutto da vivere, come giusto che sia ^-^
 

Ci vediamo all’epilogo, gente ^-^
 
 

Un bacio forte a tutti^^
 
 
La cara Pad
 
 
 

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Capitolo 3
*** Terzo capitolo ***


Nuova pagina 1
*** The promise ***
 
Epilogo
 
Sei anni dopo
 
 
«Lily, la colazione è pronta! Sbrigati o faremo tardi!»
«Arrivo, mamma!», erano passati ormai sei anni dalla nascita della piccola Lily. Ormai era una bimba allegra e vivace, con tanta gioia di vivere. Solare e socievole, come si era augurata sua madre, conservando sempre però un velo di timidezza.
«Quella bambina mi fa sempre fare tardi, è una peste.»
«Tranquilla, ora ci penso io: Lily se non ti sbrighi papà si mangia i tuoi pancakes al cioccolato!»
«Arrivo arrivo arrivo!»
«Tu sai sempre come invogliarla a sbrigarsi, Kei.»
«Dovresti usare questo metodo anche tu, cara la mia signora Hiwatari!», i due risero, ripensando a quanto le cose erano cambiate dal loro incontro: due mesi dopo la nascita di Lily, Kei aveva chiesto a Sara di sposarlo, ma la ragazza aveva gentilmente declinato l’offerta per poter permettere al ragazzo di finire i suoi studi prima di fare il grande passo.
Accogliendo l’idea, il giovane si era impegnato fino a conquistare la tanto sudata laurea in Giurisprudenza dopo tre anni e mezzo di studio.
Sara nel frattempo aveva continuato ad occuparsi del locale, facendo contemporaneamente la mamma.
I due vivevano ancora nella stessa casa, lasciata però completamente libera da Lena: in quei sei anni anche la giovane barista aveva finalmente trovato quello che era ormai il suo fidanzato da quattro anni.
Ma la cara bionda arrivava di consueto a casa dei novelli sposi per stare più tempo possibile con la sua nipotina, di cui era irrimediabilmente innamorata.
Kei e Sara si sposarono in maniera semplice, in una piccola cappella con solo i famigliari: gli zii e le cugine.
Il giovane aveva aperto un piccolo studio ormai ben avviato e si occupava di casi importanti e di routine, la gente meno benestante lo pagava come poteva: una volta un povero imbianchino, che si era rotto la gamba sul lavoro ma la cui società non voleva pagare le spese mediche, appena si fu ripreso imbiancò due stanze della casa e la cucina per ripagare il debito con il giovane avvocato, che gli fece ottenere il totale rimborso più gli extra. Sara era fiera di avere un marito tanto generoso…
Lei nel frattempo aveva trovato lavoro come commessa part time in un negozio di vestiti, in modo da poter star dietro alla piccola Lily senza ricorrere a delle bambinaie o cose del genere. Finiva di lavorare giusto un paio d’ore prima che la piccola finisse la scuola, così aveva tutto il tempo di andarla a prendere, fare commissioni se vi era bisogno e tornare a casa.
«Questo non è un metodo, tecnicamente si chiama minaccia, mio caro marito.»
«La solita pignola, fortuna che Lily non l’ha presa da te.»
«Eccomi, eccomi! Giù le mani dai miei pancakes, papà!», Kei sorrise: ormai erano passati anni, ma ogni volta che quella piccolina lo chiamava ‘papà’ il suo cuore batteva più forte: quando compì cinque anni alla piccola fu spiegato che Kei non era il suo vero papà e quest’ultimo era andato via perché non era stato pronto per esserlo quando arrivò il momento.
La piccola, intelligente e coscienziosa, anche troppo per la sua età, rispose in questo modo:
“Papà, tu invece sei sempre stato pronto ad esserlo, vero?”
“Certo, piccola, perché dici questo?”
“Se è così allora dell’altro non mi interessa. Il mio papà sei tu e questo non cambierà mai.”
Al sentir pronunciare tali parole il giovane argenteo aveva stretto forte la sua piccola, giurando che non l’avrebbe mai lasciata sola.
Kei sorrise nel vedere la figlia mangiare con gusto la colazione preparatagli dalla madre. Era il suo ritratto: capelli biondo cenere e occhi blu profondi. Anche i lineamenti del viso erano quasi identici a quelli di Sara, così come il sorriso.
Kei si perse a contemplare la sua bambina, quando si sentì il campanello suonare: di sicuro era Lena, che avrebbe accompagnato Lily all’asilo per quella mattina.
Sara si pulì le mani e andò ad aprire, trovandosi davanti la cugina sorridente come sempre.
«Salve cugini, sono venuta a prendere la mia nipotina!»
«Zia Lena!», la piccola scese dalla sedia, andando incontro alla zia che la abbracciò stretta prendendola in braccio.
Kei scosse la testa sorridendo: Lily aveva un vero debole per Lena, probabilmente dovuto al fatto che era, oltre ad una zia, anche la sua baby sitter quando lui e Sara volevano passare qualche serata da soli.
«Allora, sei pronta per passare una bella giornata con la tua zia preferita? Ho in mente dei bei programmino.», disse Lena alla nipote che accolse l’idea con gioia: il giorno dopo Lena si era offerta di badare a Lily in modo da lasciare Kei e Sara da soli per quella sera… Forse sarebbe stata la volta buona.
Lena fece scendere Lily, in modo che andasse a prendere il suo zainetto e tutto ciò che la madre le aveva preparato per passare la notte da lei.
«Grazie mille, Lena, davvero.»
«Oh di nulla, ma voi due vedete di impegnarvi stasera!»
«Lena, puoi evitare certe incitazioni.»
«Cuginetto timido, in fondo non c’è nulla di male. Scommetto che non sei mai stato così contento come in questo periodo! Dopo tutto la parte del provarci è la più piacevole!», Kei arrossì, fissando truce la cugina, vedendola poi ridere insieme alla moglie: si divertiva sempre a provocarlo.
«Dai Lena, ti posso assicurare che si sta impegnando davvero.»
«Grazie cara, sfotti anche tu.», Sara, notando che il marito si era un po’ incupidito, fece per avvicinarsi a lui, quando videro Lily scendere le scale con il suo zainetto per la scuola e la borsa da portare da Lena.
«Sono pronta, mamma!»
«Mi raccomando, non fare arrabbiare la zia.»
«E vedi di essere ubbidiente, non mangiare troppe schifezze, chiaro?», Lily sbuffò alle raccomandazioni dei suoi genitori, baciandoli poi entrambi sulla guancia e sorridendo loro prima di uscire con la zia, che salutò i cugini con un occhiolino.
«A volte Lena non la sopporto. Si diverte sempre a provocare, come se non ci pensassi abbastanza.», Kei si sedette sul divano della sala: lui e Sara avevano ancora una mezzora prima di andare ognuno ai rispettivi posti di lavoro.
La moglie gli si avvicinò, sedendosi sulle sue ginocchia e cingendogli il collo con le braccia. Il giovane la abbracciò, stringendole i fianchi e vedendola fissarlo amorevolmente: la amava quando lo guardava in quel modo così dolce e rassicurante.
«Kei, guarda che non ci corre dietro nessuno: avere un figlio adesso o averlo ancora tra qualche anno è la stessa cosa, l’importante è farlo per amore.»
«Lo so, ma dobbiamo cogliere l’occasione quando si presenta e tra il lavoro e Lily non ne abbiamo sempre tanto.»
«Allora non perdiamone più del dovuto…», la giovane fece sdraiare il marito sul divano, mettendosi sopra di lui e cominciando a baciargli il collo sotto le risatine di Kei.
La prese in braccio e la condusse nella loro camera, dove consumarono in maniera passionale e unica il sentimento che li univa ormai da anni e che si faceva sempre più forte ogni giorno che passava.
Quando ebbero finito si ritrovarono abbracciati teneramente, come quasi tutte le volte che facevano l’amore.
«Stavolta sento di essere andato a segno!»
«Chi può dirlo!»
«Adesso però dovremmo… Oh cazzo, io sono in ritardo! Ho un appuntamento con un cliente tra dieci minuti!» Kei si alzò di corsa dal letto, sotto lo sguardo divertito della moglie: lei aveva ancora un po’ di tempo per sistemarsi e andare al lavoro, tuttalpiù avrebbe detto alla capo commessa che aveva trovato traffico portando la piccola a scuola.
Lo vide mettersi goffamente camicia e pantaloni, per poi alzarsi, mettersi la vestaglia e aiutarlo e mettere la cravatta.
“Pagherò pegno, te lo prometto.”
“Ci puoi scommettere! A stasera, piccola.”
“A stasera.”- si diedero un bacio a stampo e il giovane, afferrando la sua ventiquattrore, si fiondò fuori di casa andando al suo appuntamento.
Sara andò in bagno a rinfrescarsi, vestendosi e uscendo anche lei di casa, avviandosi verso il negozio in cui lavorava. Aveva fatto amicizia con tutte, molto commosse anche dalla sua situazione: non aveva problemi a nascondere la verità, dopo tutto non c’era nulla di cui vergognarsi.
Garland alla fine aveva esaudito il suo desiderio e non si era più fatto vivo: per Lily nemmeno esisteva ed era meglio che le cose restassero così per sempre. Suo padre era Kei e nessun’altro… Ripensò al loro discorso della scorsa mattina: non aveva detto niente per scaramanzia ma da qualche settimana si sentiva strana. Aveva attacchi di nausea e sul lavoro era svenuta diverse volte, ma lo aveva attribuito ad un male stagionale.
Finchè quel giorno la sua collega, Mary, la convinse durante la pausa di andare a comprare un test di gravidanza: togliersi il dubbio non faceva male e se fosse stato negativo nulla sarebbe cambiato, ci avrebbero riprovato.
Durante la pausa pranzo andò in farmacia, comprò il test e tornò al bar dove lei e le sue colleghe mangiavano quasi tutti i giorni. Si diresse in bagno, chiudendo a chiave e seguendo tutte le indicazioni del test.
Ci vollero novanta secondi per avere l’esito e quando comparve sul volto della giovane si formò un grande sorriso pieno di gioia…
“Sono incinta!!”- urlò alle sue colleghe una volta tornata alla sala, che si alzarono per abbracciarla e festeggiando l’evento con del dolce.
La capo commessa le diede mezza giornata libera per poter riposare e andare da Kei per dargli la bella notizia.
“Avanti, vai a far prendere un bel colpo al tuo maritino!”
“Grazie ragazze, vi adoro!”- le abbracciò ed uscì dal bar, dirigendosi verso lo studio di Kei con un taxi. Una volta arrivata salutò la segretaria e si fece dire se suo marito era in ufficio; per sua fortuna era appena tornato da un pranzo e stava lavorando su dei documenti, ma era certa di non disturbarlo.
Vide la donna, che superava la quarantina, alzarsi e andarla ad annunciare.
“Signor Hiwatari, c’è sua moglie qui.”
“Falla entrare, grazie Gretchen.”- Sara si avviò verso la porta, salutando Gretchen e avvicinandosi al marito, che scriveva su quelli che dovevano essere documenti legali.
“Ciao, Kei.”
“Ehi, come mai qui a quest’ora? È insolito.”
“Ho avuto mezza giornata libera dalla capo commessa.”
“Come mai?”
“Bhe, perché devo farti venire un colpo!”- Kei alzò gli occhi dalle scartoffie, osservando basito la moglie: che cosa voleva dire? Cominciava ad agitarsi, nonostante sua moglie non avesse abbandonato quel sorriso radioso.
“In che senso?”
“Kei… Sono incinta! Aspetto un bambino!!”- Sara si alzò, andando da lui e abbracciandolo stretto. Kei non sapeva cosa dire o cosa pensare, sapeva solo che quello era il momento più bello della sua vita!
Abbracciò e baciò sua moglie, facendosi poi raccontare dei malori e della strana sensazione delle ultime settimane e che finalmente aveva trovato il coraggio di fare il test per togliersi ogni dubbio.
“Domani mattina andrò dal medico così vedremo se va tutto bene.”
”Ti accompagnerò, promesso. Dobbiamo dirlo a Lily!”
“Lo faremo stasera, vedrai che sarà contenta.”
“Speriamo…”
“Non essere pessimista anche adesso, stiamo finalmente per avere un bambino.”
“Lo so, scusami.”
“Vieni qui…”- Sara baciò dolcemente suo marito, pienamente ricambiata. Kei finì quel poco che restava del suo lavoro ed insieme uscirono dall’ufficio, dirigendosi a casa di Lena: una bella villetta tutta bianco immacolata dove la loro cugina viveva col suo compagno.
I due suonarono il citofono, sentendo la voce di Lena invitarli ad entrare. Aprendo la porta di ingresso videro la loro bambina andargli incontro e salutarli affettuosamente, raggiunti poi da Lena.
“Salve ragazzi, come mai qui a quest’ora?”
“Dobbiamo dare una bella notizia a Lily.”- Kei fece l’occhiolino alla cugina, indicando la pancia di Sara e la biondina capì al volo, sorridendo felice: finalmente ce l’avevano fatta.
I tre andarono in salotto, mentre Lily tra le braccia di suo padre si chiedeva che cosa dovessero dirle i suoi genitori.
“Piccola, fino adesso siamo stati solo noi tre e le cose potrebbero anche andare bene così.”
“E’ vero!”
“Ma se invece di essere i tre moschettieri, diventassimo i Fantastici Quattro ti piacerebbe?”
“Cosa volete dire?”- Kei e Sara sorrisero, vedendo la loro bambina così candida e innocente. Il giovane la prese in braccio, mettendola sulle sue ginocchia.
“Stai per avere un fratellino o una sorellina, bimba. Sei contenta?”- Lily sembrò rifletterci su per qualche minuto, per poi spostarsi su sua madre, sorridendole e mettendosi a parlare alla sua pancia.
“Ehi, devi essere femmina, perché non voglio un fratello più piccolo! Sono fastidiosi!”
Una grande risate pervase quell’ambiente famigliare e felice.
Kei e Sara baciarono la piccola, passando il resto della serata a casa di Lena, felice come non mai per i cugini.
Arrivata tarda sera decisero di tornare a casa, mettendo Lily a letto e prendendosi qualche momento per loro due, abbracciati sul divano e ascoltando musica a basso volume.
“Sono così felice…”
“Anch’io Sara, avremo un figlio nostro, non posso ancora crederci.”
“E sa qual è la cosa più bella?”
“Quale?”
“Che questa volta non devo scappare… Né cercarmi un padre dentro un bagno pubblico di un bar!”
I due risero, per poi abbandonarsi all’amore e alla passione che li univa.
Erano un famiglia e presto sarebbero stati di nuovo genitori.
Per Sara il lieto fine vi era stato, in molti sensi.
E sarebbe durato per sempre.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ed eccoci arrivati alla conclusione di questa storia ^-^ Ci ho messo un po’ a scriverlo perché non volevo farlo troppo lungo e monotono e spero di essere riuscita nel mio intento v.v
Come avete potuto vedere l’happy ending non poteva mancare: Kei e Sara felicemente sposati e Lily è una bambina vivace e sveglia.
E la consapevolezza di un figlio futuro rende ancora meglio l’idea, direi xD
Bhe, spero che questo epilogo sia stato di vostro gradimento e mi farete sapere le vostre opinioni^^
 
 
Ringrazio caldamente tutte le persone che mi hanno seguito fino a qui e recensito^^ Grazie di tutto il sostegno dimostratami e a chi ha recensito il secondo capitolo risponderò domani, massimo dopo, perché adesso non ce la faccio proprio =.= Sappiate che vi adoro e vi ringrazio di tutto <3
 
 
Un grazie anche a chi ha solo letto e alle persone che l’hanno messa tra preferiti e seguite^^ Grazie di tutto ^_^
 
 
 
Un bacio forte a tutti^^
 
 
La cara Pad
 
 
 
 
 

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