Dreamland

di Querthe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I fiori di Mako ***
Capitolo 2: *** Le ali di Chibiusa ***
Capitolo 3: *** Le lacrime di Rei ***



Capitolo 1
*** I fiori di Mako ***


Rei si voltò nel letto due o tre volte prima di decidersi ad aprire gli occhi. Sentiva la calda carezza del sole del mattino sfiorarle il volto, ma esitava ad abbandonare il mondo dei sogni che l'aveva ospitata fino a quel momento, non avendo assolutamente voglia di alzarsi per seguire anche quel giorno delle lezioni noiose e per lei prive quasi sempre di senso. Ma era un suo dovere andare a scuola, e si fece coraggio. Ad occhi chiusi si sollevò dal letto, sospirò sconsolata e allungò la mano cercando la sveglia sul comodino per guardare l'ora. Non trovandola dove l'aveva lasciata la sera prima, sollevò le palpebre e si guardò attorno.
- Ma questa non è la mia stanza! - esclamò sorpresa, la voce impastata dal sonno, mentre si stropicciava gli occhi con le mani.
Effettivamente si trovava sì in una stanza grande come la sua, ma l'arredamento non corrispondeva. Strani simboli tappezzavano le pareti, e nessun comodino era accanto al letto, che si rivelò costruito sommariamente con delle assi non sgrossate e con un materasso da cui spuntavano paglia e foglie secche. Su una sedia era appoggiato un ampio vestito in stoffa rossa, dal taglio inusuale ma sicuramente femminile.
- Ma si può sapere cosa diavolo è successo? - Si chiese ad alta voce. Un velo di paura faceva tremare la sua voce. - Nonno! - urlò isterica voltandosi verso l'entrata.
Dei passi si udirono all'esterno della porta, che quasi immediatamente si aprì. Il volto rubicondo e rassicurante di suo nonno fece la sua comparsa dall'apertura.
- Cos'è successo? Ti senti male? - chiese premuroso entrando nella stanza.
- Secondo te? - chiese ironica la ragazza, le braccia incrociate, il piede destro che batteva spazientito il pavimento di assi lignee.
Il vecchio la guardò con fare interrogativo. Era sinceramente stupito del comportamento della nipote, ma fece finta di niente. I giovani erano sempre un po' strani.
- Non capisco. Qualcosa ti turba?
- Ma non vedi che questa non è la mia stanza! E poi la porta...
- Cos’ha la porta che non va?
- Ha i cardini! Si è mai vista una porta interna con i cardini, in Giappone? - indicò la porta, che era lignea e si era aperta verso l'interno, ruotando su due robusti cardini metallici.
- Ma tutte le porte sono fatte così! Rei, ti senti bene? - Le chiese preoccupato il vecchio, toccandole la fronte con la mano. - Non scotti. Eppure dici cose senza senso, e non ti ricordi nemmeno dove abiti.
- Nonno... - Sospirò Rei. - Noi abitiamo a Tokyo, che è la capitale del Giappone.
- Lo vedi che stai delirando! - Esclamò più che mai convinto il nonno aprendo le braccia. - Noi abitiamo nel Tempio del fuoco a Sarel, un paese a pochi chilometri dalla capitale del Regno delle due lune.
Rei stava per urlare. Era un enorme scherzo o stava impazzendo? Come una matta si diresse alla finestra, ancora velata dalle tende, e la aprì. Quello che vide la lasciò senza fiato. Tutto attorno la città era sparita, per far posto ad una distesa uniforme o quasi di alberi, e sul fondo casupole lignee dai comignoli fumanti. Una decina di persone si stavano avvicinando correndo all'abitazione dov'era lei, e sembravano spaventate. Le vide anche il nonno, e s'incupì.
- Io vado a vedere cosa è successo. Tu cambiati nel frattempo. - le disse autoritario.
- Ma...
- Cambiati! - ripeté mentre riapriva la porta da dove era venuto.
L'ordine fu così perentorio e deciso che Rei si convinse a seguirlo. Uscito il nonno, si tolse la lunga veste di lino che aveva addosso, si rinfrescò con l'acqua del catino che si trovava in un angolo della stanza e indossò l'abito rosso che aveva visto appena sveglia. Era un'ampia tonaca di seta pesante, legata in vita da una cintura in corda. Sia internamente sia esternamente era ricamata finemente con dei simboli che erano anche alle pareti, e che emanavano un'aura di potere e di protezione. Le maniche, ampie e lunghe quasi fino a terra, la facevano sentire ridicola, ma dovette ammettere che il tutto era nel complesso comodo e confortevole. Per un attimo le sembrò normale indossare quel vestito. Mentre si rigirava tentando di osservare meglio l'abito, il nonno bussò violentemente, e senza aspettare risposta entrò. Lo sguardo era spaventato, ed in mano aveva una pesante collana di grani di pietra colorata e incisi di simboli, simili a quelli della sua veste.
- Sei pronta? - le chiese senza alcuna spiegazione.
- Penso di sì. - rispose lei titubante.
- Ottimo. Allora vieni con me. Un mostro di legno sta imperversando a Sarel. Non so se riuscirò a sconfiggerlo da solo, quindi preparati. Potrei aver bisogno dei tuoi poteri... - le disse trascinandola fuori della stanza.
Come un manichino, Rei si fece tirare per un'altra stanza, che ospitava il fuoco sacro, e poi lungo un corto corridoio, che portava all'ingresso. Fuori, con gli sguardi impauriti e pieni di reverenza verso di lei e di suo nonno, aspettavano una decina di uomini e donne vestiti da contadini, i cappelli in mano e gli occhi bassi, in procinto di piangere.
- Andiamo. - disse il nonno.
Immediatamente il gruppetto s'incamminò verso il paese, da cui stavano arrivando donne e bambini piangenti, oltre ad altri uomini armati di bastoni e vanghe.
- Ci aiuti, saggio. Ci aiuti contro quel demone malvagio. Appena lo abbiamo visto siamo scappati, e solo il suo aiuto ci può salvare. - Piagnucolò ai piedi del vecchio prete una donna, portando in braccio un piccolo di uno, due anni.
Il nonno la scostò gentilmente con un sorriso, e continuò il cammino. In cinque minuti, dopo aver abbandonato i villici al tempio dicendo loro che era un luogo sicuro, Rei e il nonno raggiunsero l'abitato di Sarel. Era composto da una trentina di case, basse, fatte in legno e pietra, simili a quelle che Rei aveva visto nelle illustrazioni dei libri di storia medievale. Dei rumori assordanti provenivano dalla loro sinistra, e subito si diressero in quella direzione. Rei continuava a chiedersi cosa ci faceva lì, e soprattutto dov'era "lì", ma lo sguardo di paura dei contadini e le lacrime di una bambina che era insieme alla madre l'avevano convinta ad occuparsi prima del demone. Il frastuono era determinato da un essere alto, che voltava loro la schiena lignea, coperto di frasche e pezzi di corteccia rugosa. Sembrava arrabbiato, dato che urlava senza senso e spaccava tutto ciò che trovava sulla sua strada.
- Ma questo non è un demone! - Esclamò stupito il nonno. - E' uno spirito dei boschi, e mi sembra anche infuriato! Tieniti pronta, Rei. Con lui basterà un po' di fuoco magico.
Alle parole del nonno, l'essere si voltò di scatto, mostrando un volto femminile che alla ragazza parve familiare.
- Rei? - Domandò ruggendo lo spirito. Un lampo di felicità brillò nei profondi occhi neri. - Rei, sei davvero tu?
- Come fai a conoscere mia nipote, mostro? - chiese furente il nonno, puntando il dito verso l'essere.
Il mostro, che solo allora Rei notò avere una folta capigliatura marrone raccolta a coda di cavallo, tornò ad incupirsi, e si avvicinò lentamente, digrignando i denti. Urlò, avventandosi contro il vecchio, che lo scansò faticosamente buttandosi a terra.
- Rei! Usa i tuoi poteri, o ci ucciderà! - esclamò dolorante il nonno.
Di nuovo, sentendo quel nome, il mostro sembrò quietarsi, e si voltò nuovamente verso la ragazza, ma non per attaccarla. La guardò con dolcezza e smarrimento, come cercando in lei delle risposte che non poteva darsi. Rei riconobbe quel volto.
- Mako! Mako, sei proprio tu? - gli urlò Rei, avvicinandosi.
L'essere annuì e mosse un passo, pesante e lento, verso la ragazza, che si avvicinò a sua volta, sotto lo sguardo allibito e spaventato del vecchio sacerdote, che si era rialzato e si stava frettolosamente pulendo la tonaca dalla polvere.
- Rei, cosa stai facendo? - balbettò.
- Nonno, non preoccuparti. E' una mia amica.
La ragazza e l'essere si abbracciarono, mentre una lacrima scendeva sul volto di entrambe.
- Makoto... Credevo di essere impazzita. - singhiozzò Rei dalla gioia.
- Non me lo dire. Quando stamattina mi sono svegliata, mi sono ritrovata in questo stato e l'unica cosa che mi è venuta in mente è stato di dirigermi verso questo paese, ma ero così arrabbiata del fatto di non capirci niente che ho tirato un pugno ad un muro, ed ecco il risultato. - Disse l'amica con una voce profonda e roca.
Mostrò, con la lignea mano, un buco di circa mezzo metro di diametro aperto in una parete in mattoni poco lontana. Sorrise triste mentre Rei guardava a bocca aperta il risultato della sfuriata dell'amica.
- Subito i cittadini mi hanno insultato e colpito con quanto capitava loro a tiro, ma stranamente non mi facevano male. Allora sono fuggiti spaventati, ed io ho avuto come l'istinto di spaccare tutto.
- Ovviamente. Tutti gli spiriti dei boschi come te odiano la civiltà, e ti sei sentita in dovere di seguire il tuo istinto. - Spiegò il nonno sarcastico.
- Makoto non è uno spirito dei boschi. - Rei si voltò, guardando in malo modo il nonno. - E' una mia amica.
- Ma ciò non toglie che lei non sia un essere elementale.
Le due amiche lo guardarono storto, facendolo zittire all'istante e voltarsi, dando loro le spalle.
- Ho capito, ho capito. Me ne vado... - Bofonchiò il nonno alzando le braccia al cielo. - Questa mattina si è proprio svegliata strana, mia nipote. - concluse allontanandosi.

 

- Fammi capire: entrambe ci siamo svegliate questa mattina e ci siamo accorte che tutto ciò che conoscevamo era sparito. Almeno io sono ancora normale, ma tu...
- Lasciamo perdere. - Sospirò Makoto osservandosi. - Sono fatta di legno duro e resistente, forse di quercia, non sento dolore colpita o tagliata, e questo lo so perché ho tentato di sfregiarmi. Tutto ciò che ci ho guadagnato è un'incisione qui sul braccio. - Allungò il braccio sinistro, ma sorpresa non vide nulla, se non del legno tenero e verde là dove era sicura di aver inciso la sua "pelle". - Oddio, a quanto pare posso guarire. - Sorrise sorpresa e ironica.
- Certo che è ben strano.
- Mai quanto gli abiti che indosso. Ma è possibile che non esista uno stilista decente tra gli spiriti dei boschi? - Rise amaramente la ragazza toccandosi i robusti pezzi di corteccia nodosa che le coprivano il corpo come una corta gonna a pieghe e un bustino dotato di spalline spesse e avvolgenti come dei paracolpi di un'armatura. - Il verde e il marrone mi piacciono, ma non fino a questo punto. E poi, non potevano darmi un paio di scarpe? Proprio ieri mi ero fatta la pedicure...
Risero, mentre si incamminavano senza meta.
- Di certo non ti chiedo di fare cambio. - Sorrise Rei facendo un giro su se stessa quasi a mostrarle meglio l'inusuale abito che indossava. - Anche se devo ammettere che con questi abiti mi sento decisamente ridicola.
Le due ragazze continuarono a scherzare amaramente e a chiedersi dove erano finite mentre camminavano lentamente verso il vicino bosco, poco distante dal villaggio, dove nel frattempo la vita era ripresa normalmente, avendo il nonno rassicurato gli animi degli abitanti. Erano ormai nel boschetto da un'ora, e dopo essersi dissetate ad una sorgente che sgorgava poco lontano da dove erano entrate e di cui Makoto si ricordò, anche se non sapeva come, l'ubicazione, le amiche si incuriosirono vedendo una grande strada tagliare l'insieme di alberi.
- Deve essere la strada che si intravede dal paese. - Disse Makoto una volta che furono giunte sulla via, ricoperta di sabbia e ghiaia.
- Probabilmente. Chissà dove porta? - Chiese pensando ad alta voce Rei, mentre si voltava da una parte all'altra per individuare possibili indicazioni. - Il nonno mi ha detto che siamo vicini alla capitale di un regno detto delle due... - si bloccò, non ricordandosi le parole del sacerdote.
- Delle due lune?
- Esatto. Chi te lo ha detto? - domandò curiosa Rei guardando l'amica.
Makoto, per risposta, allungò verso l'alto il braccio destro puntando con il dito il cielo. Benché giorno, erano visibili due satelliti distinti oltre al Sole. Uno era esattamente come quello che si vede a Tokyo, mentre l'altro, delle stesse dimensioni e forma, era completamente nero.
- Ho tirato ad indovinare. - Rispose Makoto ironica.
Risero entrambe, anche se non sapevano bene il perché. Avevano fatto una decina di passi lungo la strada, nella probabile direzione per tornare al paese che poco prima Makoto aveva quasi distrutto, quando udirono alle loro spalle il rumore di zoccoli al galoppo ed il nitrito di un possente cavallo. Si voltarono. Dalla strada, appena dopo una curva, s'intravide un bianco destriero montato da un uomo in arma- tura nera. Il mantello svolazzava velocemente, dandogli un aspetto importante e fiero. Si stava velocemente avvicinando, ma rallentò l'andatura appena le vide. L'elmo del cavaliere era calato sul volto, ma la voce che vi giunse fece quasi svenire dalla sorpresa le due ragazze, mentre lo sconosciuto si affiancava a loro e si alzava la celata.
- Rei? - Domandò stupito il cavaliere. - Makoto, sei tu?
- E chi altri vuoi che sia, Mamoru? - Rispose sarcastica la lignea figura mentre il ragazzo smontava da cavallo e si toglieva l'elmo, mostrando dei lunghi capelli legati dietro la testa.
Makoto scoppiò a ridere. Anche Rei si dovette trattenere.
- Ma ti sei visto? Hai i capelli più lunghi dei miei!
- Almeno non mi vesto di corteccia... - esclamò ironicamente il giovane, che indossava un'armatura completa in metallo scuro, decorato sul petto da due lune, una bianca e una nera, parzialmente sovrapposte e in campo dorato. Una spada, racchiusa in un prezioso fodero, faceva bella mostra di sé alla sinistra della vita.
Makoto gli mostrò scherzosamente la lingua, e accarezzò il cavallo, che parve gradire.
- Sembra che tu sia il suo tipo! - Rise Mamoru, osservandola. - Si può sapere cosa ti è successo?
- Se lo sapessi, saresti il primo a cui lo direi. - Rispose Mako alzando le spalle sconsolata. - E tu, cosa ci fai in giro a cavallo e con quei... - indicò con un gesto della testa la capigliatura del ragazzo.
- Non so cosa dirti. So solo che questa mattina...
- Fammi indovinare. - Lo interruppe Rei. - Ti sei svegliato in una stanza che non era la tua e non ci capivi niente.
- Esatto a metà. Non ci capivamo niente, e francamente non abbiamo avuto molto tempo per pensarci.
- Abbiamo? - chiesero in coro le ragazze.
- Sì. Usagi ed io. Questa notte mi sono svegliato in un favoloso letto a baldacchino, insieme a lei. Eravamo vestiti come dei nobili. - Si fermò accorgendosi di come lo stavano guardando. - Non abbiamo fatto niente di male, è inutile che mi guardiate così. Dopo un breve smarrimento, ho svegliato Usagi ed insieme abbiamo tentato di raccapezzarci, ma dopo una decina di minuti dalla porta sono irrotti dei mostri orribili, e dopo avermi tramortito hanno rapito lei e la sua dama di compagnia, che si trovava nella stanza accanto. Delle persone che continuavano a chiamarmi principe mi hanno fatto riprendere e mi hanno spiegato che Usagi, che loro insistevano a chiamare principessa della luna chiara, era stata rapita dal re della luna nera e dai suoi scagnozzi, e che molto probabilmente la stavano portando alla Foresta delle allucinazioni. Velocemente mi sono fatto spiegare come arrivarci, ma mi hanno detto che la foresta non ha un luogo fisso, e solo con l'aiuto di tutte le forze della natura potrò arrivarci. Già... - Sospirò sconsolato, alzando gli occhi al cielo. - Come se sapessi dove trovare tutte le forze della natura.
- Sì, ma se non sai dove trovare quello che cerchi, dove stavi andando con tanta fretta? - domandò Makoto.
- Una delle persone che mi ha spiegato tutto quello che vi ho detto mi ha anche dato un consiglio. Se c'è qualcuno che sa come trovare le forze della natura, è la maga della Torre di nebbia.
- La maga della Torre di nebbia?! - esclamarono all'unisono le due ragazze, quasi ridendo.
- Lo so, il suo nome non è il massimo, ma tutti la chiamano così. Vive in una torre ad un giorno di viaggio da qui, per cui entro domani dovrei arrivarci.
- Dovremmo arrivarci. Veniamo con te! - replicò convinta Makoto, guardandolo negli occhi.
- Già, ma senza cavallo ci impiegheremo una vita... - Le fece notare Rei.
- Beh, io posso portare una di voi con me, ma tutti e tre ammazzeremmo questo povero animale. - Disse Mamoru, accarezzando il collo del destriero, che nitrì come in risposta.
Makoto sembrò concentrarsi.
- Facciamo così. Porta Rei sul cavallo, e io vi seguo a piedi tentando di starvi dietro.
- Ma sei impazzita... Come pensi di correre alla stessa velocità di un cavallo? - Le chiese Rei.
- Sono brava a correre, e non per niente sono nella squadra atletica scolastica. - Si vantò con un sorriso Makoto. - E poi, con voi due sulla schiena, quella povera bestia non potrà certo volare.
Rei alzò le spalle come per acconsentire controvoglia, e salì a cavallo aiutata dal ragazzo. Questi si sistemò l'elmo sul volto e si voltò verso la giovane a terra.
- Pronta? - Chiese, la voce rimbombante nell'elmo.
Makoto assentì con la testa. Il cavallo partì nitrendo, e riuscì a raggiungere, nonostante il carico dato dai due passeggeri, una discreta velocità.
- Rallenta, nessun uomo ci può stare dietro a questa velocità! - Urlò Rei stringendosi a Mamoru, a causa del vento che fischiava.
- No, eh? - Le rispose sibillino il giovane. - Apri gli occhi e dai un'occhiata alla tua destra...
Incuriosita, Rei si decise ad aprire gli occhi, che fino a quel momento erano serrati.
- Mako? - si stupì, sgranando gli occhi.
Accanto a loro, apparentemente senza fatica, la ragazza stava correndo alla pari del cavallo.
- Ma come cavolo ci riesci? - Le chiese Mamoru, voltandosi verso di lei.
- Non lo so. Semplicemente corro e posso tenere il vostro passo. Sembra incredibile, ma credo di poter andare anche più veloce... - rise Makoto superandoli velocemente.
- Ma non è umano! - Urlò spaventata Rei.
- Perché, ti sembra che abbia un aspetto umano? - Le chiese ironico il giovane.
- Beh, no. Effettivamente...
Makoto rallentò, tornando ad affiancarsi agli altri due amici, e così i tre continuarono lungo la strada, allontanandosi dalla capitale e dal paese del nonno di Rei.

 

Usagi non riusciva a raccapezzarsi. Era stata svegliata in piena notte da Mamoru, e già lì non aveva capito come il suo amore fosse arrivato nella sua stanza, e si era accorta di non essere nella sua cameretta, ma in una specie di stanzone molto ben arredato, simile alle stanze delle principesse delle fiabe. Non aveva fatto in tempo a riprendersi, che dei mostri orribili sfondarono la porta e la rapirono, colpendo violentemente Mamoru. Uno degli assalitori continuava a chiamarla principessa, ma lei al massimo poteva essere una studentessa mediocre, figurarsi una principessa...
Quando tentò per l'ennesima volta di divincolarsi dalla stretta del mostro che l'aveva bloccata, questi la colpì facendola svenire. Ora si era ripresa, e le sembrava di trovarsi in una piccola stanza buia, molto probabilmente una cella, legata alla parete con delle fredde e dure catene di metallo ai polsi e alle caviglie, sporca e infreddolita. Voleva piangere, ma sapeva che Mamoru l'avrebbe salvata, e non voleva farsi veder piangere da lui. Tentò di trovare un po' di coraggio in fondo al cuore.
- C'è qualcuno? - urlò tentando di dare alla voce l'intonazione più minacciosa che potesse.
- Non urlare, Usagi. Ci siamo solo tu e io, in questa schifosa cella. - Le rispose una voce familiare.
- Luna? - si stupì la ragazza.
- E chi altri? Sono la tua dama di compagnia, era ovvio che mi rapissero con te. - Esclamò sarcastica l'altra. - Il re della luna nera è crudele, ma ci tiene alla felicità della sua futura sposa...
- E chi sarebbe?
- Ma è mai possibile che ti debba spiegare tutto? Sei tu!
- Io? - Chiese incredula Usagi.
- E chi se no? Sei o non sei la principessa della luna chiara? - Le rispose Luna come se quella fosse stata la cosa più normale al mondo.
- No! Non sono una principessa, o almeno non ancora. Io sono Usagi Tsukino, e vivo a Tokyo, non in un castello o in chissà quale altro posto. - Urlò esasperata la giovane, tentando di divincolarsi dalle catene che la bloccavano alla fredda e umida parete in pietra.
Luna non sembrò convinta, dato che continuò a mugugnare per qualche secondo.
- Usagi, sei sicura di sentirti bene?
- Certo che mi sento bene! Solo non ci capisco niente. - Sospirò. - Dimmi una cosa, Luna. Come hanno fatto a trovarti? Come gatta, dovresti essere agile e non farti prendere da nessuno.
- Ti hanno colpito troppo forte! Perché mai dovrei essere una gatta? Sono la tua dama di compagnia, non un animale! - Rispose stizzita l'amica, rendendo ancora più traballanti le già scarse certezze di Usagi.
- Se non sei una gatta, cosa saresti?
- Un essere umano, come te e tutti gli esseri umani di questo regno. - Le rispose seccata. - Ma che domande fai?
Ci fu un momento di silenzio.
- Tu non mi crederai, ma io non sono chi dici che io sia. - Iniziò Usagi. - E per favore non interrompermi se è solo per dirmi che sono pazza. Io, fino a ieri, ero a Tokyo, una città vasta e moderna che si trova in Giappone, e facevo la studente assieme ad altre mie amiche. Questa notte mi sono svegliata assieme al mio fidanzato e da allora non ci capisco più niente. Ah, se almeno potessi trasformarmi in Sailor Moon...
- Cosa stai dicendo? - chiese incuriosita Luna.
- Oh, niente. Niente che possa aiutarci... - concluse sconsolata Usagi.
Una lacrima le bagnò la guancia, cadendo a terra.

 

Era ormai sera quando Makoto e il cavallo si fermarono nei pressi di un piccolo paesello cresciuto attorno ad una locanda che dava rifugio ai viandanti. Il cavallo, dopo quasi una giornata di corsa, era madido di sudore, ed era chiaro che se non si fosse riposato a dovere, sarebbe stramazzato al suolo dalla stanchezza. Al contrario, Mako era solo leggermente affaticata, nonostante avesse corso per tutto il tempo. Rei non credeva ai suoi occhi, e francamente anche Mamoru era stupito, sebbene avesse accettato le stranezze di quel mondo molto meglio di lei.
- D'accordo. - Esordì il giovane. - Dato che è già sera e sicuramente non raggiungeremo la famigerata torre prima di domani mattina, propongo di fermarci alla locanda e di goderci una notte di riposo...
Il cavallo approvò con un sonoro nitrito.
- Uno a favore della proposta, a cui mi associo! - Alzò la mano Rei ridendo, come durante una votazione.
Anche Makoto e Mamoru alzarono la mano.
- Approvato all'unanimità. - Dichiarò il giovane. Poi come ricordandosi di qualcosa d'importante, si voltò verso Makoto. - C'è solo un problema. Se anche le persone della locanda reagiscono come gli abitanti del paese di Rei, non so quanto ti convenga entrare...
- E' vero, ma non ho voglia di rimanere fuori tutta notte, dato che sembra avvicinarsi un temporale. Non è che per caso hai dei vestiti larghi o qualcosa con cui coprirmi? - chiese al ragazzo.
- Aspetta. - Disse lui dopo averci riflettuto per qualche secondo. - Se non sbaglio, dovrebbero avermi dato anche un mantello con cappuccio per nascondere l'armatura e il mio aspetto. Dovrebbe essere qui, nelle sacche.
Iniziò a frugare nelle due grosse sacche di cuoio che si trovavano sui fianchi del cavallo, e dopo avervi estratto un pezzo di corda, una coperta e delle torce, finalmente si voltò, in mano l'oggetto della ricerca. Era un lungo ed ampio mantello grigio verdastro, dotato di un laccio al collo per chiuderlo e di un cappuccio grande abbastanza da celare la quasi totalità del volto.
- Non è alta moda, ma... - Esclamò sarcastica Makoto indossandolo.
Si coprì il ligneo volto con il cappuccio, e fece un giro su se stessa per mostrare agli altri due amici il risultato.
- Perfetto! - Esultò Rei battendo le mani. - Sfido chiunque a capire che sei un pezzo di legno ambulante...
- Non raccolgo la battuta... - Replicò falsamente acida l'amica.
- Ora che siamo a posto, direi che possiamo dirigerci a una buona e calda zuppa. Ne ho proprio bisogno.
- A chi lo dici! - Sospirò di gioia Rei mentre si avvicinavano all'abitato, che raggiunsero in pochi minuti.
La locanda, una grande casa a due piani illuminata da alcune torce all'esterno, sembrava animata e ricca di vita, a giudicare dai rumori che provenivano dall'interno. I tre amici si attardarono un secondo a guardare l'insegna, quasi un capolavoro di legno scolpito, rappresentante una scena di caccia ad uno strano animale metà uomo e metà cavallo. Sopra la porta d'ingresso svettava, dipinto in lettere rosse ormai stin-te dall'acqua e dal tempo, il nome del posto.
- "Al centauro catturato". - Lesse lentamente Rei, trovando strano riuscire a decifrare quegli strani simboli che tutto potevano essere tranne che ideogrammi giapponesi.
Un lampo squarciò il cielo, subito seguito da un forte tuono.
- Entriamo. Tra qualche minuto qui fuori sarà un macello. - Si affrettò Makoto, stringendosi il mantello come per farsi più caldo e coraggio ed aprendo la porta.
- Arrivo subito. - Le disse Mamoru. - Devo trovare un posto caldo e un po' di fieno anche al cavallo, e la stalla mi sembra proprio qui dietro. - Concluse indicando una stradina a lato della locanda.
Rei e Makoto annuirono, entrando nel locale. Un forte odore di tabacco e di arrosto riempì le loro narici, scaldando gli animi. La stanza, un grande quadrato con una scala lignea che saliva al piano superiore, era illuminata da due lampadari dotati di candele e riempita dalle voci e dal fumo degli avventori, impegnati a bere, giocare e mangiare. Makoto chiuse la porta, che sbatté involontariamente, suscitando l'attenzione di alcuni dei presenti, oste compreso. Questi fece il giro del bancone e si avvicinò alle due nuove venute, pulendosi le mani in un canovaccio non eccessivamente lindo. Allungò una mano come per salutare, ma subito la ritrasse e si allontanò di alcuni passi, genuflettendosi. Quasi immediatamente anche gli altri presenti fecero lo stesso, chinando il capo in segno di rispetto.
- Ma cosa gli è preso? - Si domandarono stupite le due amiche, guardandosi.
Con la coda dell'occhio Rei vide una figura dietro di loro, e si voltò di scatto. Mamoru, senza fare rumore, era entrato, elmo in mano e mantello svolazzante a causa del forte vento che si era sollevato all'esterno.
- Mamoru! - Esclamò Makoto voltandosi e chiudendo la porta. - Perché fanno tutti così?
- Forse perché sono il principe della zona... - Rispose tranquillamente lui, alzando le spalle.
L'oste si rialzò, e si avvicinò ai tre.
- Signore, sono onorato di ospitare lei e i suoi accompagnatori nella mia umile locanda. Mi permetta di offrirle la migliore stanza che ho a disposizione.
- Basterà una stanza qualsiasi. - Esclamò Mamoru, prendendo la mano dell'uomo e aiutandolo a rialzarsi.
Rei e Makoto si guardarono vicendevolmente, felici di avere con loro un principe così ben accetto. Rei si avvicinò al giovane.
- Chiedigli se ha del cibo buono. - Gli sussurrò all'orecchio. - Inizio ad avere abbastanza fame...
Mamoru sorrise, e fece la domanda all'oste, che fu ben lieto di servire loro un lauto pasto a base di carne arrosto e verdura freschissima, che i tre divorarono velocemente. Quando anche l'ultimo pezzetto di carne fu sparito dalla tavola, Makoto si appoggiò pesantemente alla sedia e si mise platealmente le mani sulla pancia.
- Accidenti! - Rise. - Non avevo mai assaggiato un arrosto tanto buono in tutta la mia vita. Se riesco a sollevarmi dalla sedia, vado dall'oste e gli chiedo la ricetta...
Gli altri due risero di gusto, satolli come la loro amica, e si alzarono, sempre seguiti dagli sguardi attenti dei presenti, che sebbene diradatisi a causa del forte acquazzone che era scoppiato poco prima, erano ancora abbondanti. Si avvicinarono alla finestra, attirati dai forti lampi che squarciavano la notte e dal vento che piegava irato le cime degli alberi che si stagliavano neri sullo sfondo scuro del cielo.
- Certo che è affascinante, anche se terribile. - Esclamò Rei.
Mamoru annuì assorto. Ci fu un minuto di pesante silenzio tra i due.
- Stai pensando a lei? - chiese a bassa voce la ragazza.
Il giovane la guardò e annuì lentamente con il capo.
- Non riesco a fare a meno di pensare a cosa ci stia capitando, e soprattutto dove hanno portato Usagi. È tutto così strano, eppure così normale. Alcuni momenti penso che tutto questo sia un sogno, un incubo, e a volte mi sembra invece che tutta la mia vita passata a Tokyo, voi, i pericoli e i nemici che abbiamo dovuto affrontare siano solo degli sbiaditi pendagli di uno strano sogno del principe del Regno delle due lune...
- Ti capisco. - Sussurrò dietro di lui Makoto, poggiandogli dolcemente una mano sulla spalla. - Anche a me capita di non riuscire, per alcuni istanti, a decidere se io sono davvero io o se sono un essere inumano, che odia la civiltà e tutto ciò che la riguarda.
- L'unica maniera per scoprirlo è trovare gli altri due esseri che rappresentano l'Acqua e l'Aria! - Disse perentoria una voce femminile proveniente dalla porta d'ingresso.
Tutti i presenti si voltarono a guardare. Davanti alla porta, che sbatteva ancora con violenza a causa del vento, c'era la figura di una femmina, avviluppata in un ampio vestito azzurro che ricordava vagamente quello che Rei indossava. Il cappuccio che copriva il volto e la cintura, in oro e finemente decorata, differenziavano le vesti della sconosciuta da quelle della ragazza. L'oste si diresse senza indugi davanti alla nuova arrivata, e si inginocchiò quasi supplichevole.
- Un altro nobile? - chiese sottovoce Makoto a Mamoru.
- Non mi sembra. Pare piuttosto qualcuno di potente e di cui hanno paura. - Rispose il ragazzo, notando che la maggior parte dei presenti si stava velocemente preparando ad andarsene.
Apparentemente non notando l'oste, la figura alzò il braccio destro con il chiaro intento di fermare gli avventori.
- Rimanete dove siete! Se uscirete da qui, firmerete la vostra condanna a morte! - Esclamò perentoria la figura.
Rei si fece avanti spavalda, pugni stretti e bocca serrata.
- Chi sei tu per minacciarli? - ringhiò avvicinandosi.
- Non stavo minacciandoli, Rei. Il mio era solo un avvertimento. Fuori di qui si stanno avvicinando degli scagnozzi del re della luna nera, e da soli sarebbero facile preda di quei mostri. Restando qui, potremo difenderli più adeguatamente. - Rispose tranquilla la sconosciuta.
- Come fai a conoscere il mio nome? - Si spaventò Rei, fermandosi a circa due metri da lei.
- Semplice: da quando non si sa il nome delle proprie amiche?
La giovane la guardò con aria interrogativa, mentre l'oste e i presenti stavano guardando lei. Sulle bocche spaventate di tutti serpeggiarono le parole "Torre di nebbia".
- Tu quindi saresti la maga della Torre di nebbia? - Chiese Mamoru facendosi avanti.
- E tu dovresti essere il principe del regno delle due lune, Mamoru? - Replicò ironica la sconosciuta. - E tu, Mako, cosa saresti? Uno spirito dei boschi? Francamente ti dona molto di più il costume da Sailor...
- Come fai a sapere delle Sailors? - Le chiese urlando Makoto, involontariamente calandosi il cappuccio dal volto.
- Sono Ami, testa di legno! - Le rispose ridendo la sconosciuta e lanciandosi a braccia aperte su di lei, abbracciandola stretta. - Ma è possibile che debba spiegarvi proprio tutto come a scuola?!
- Ami? - Si stupì la giovane, lasciandosi abbracciare.
I presenti erano sorpresi, chi per il comportamento di quella che sapevano essere una delle maghe più potenti del regno, chi per l'aspetto di Makoto, chi per entrambi. I quattro amici si sedettero al loro tavolo, che era stato nel frattempo sparecchiato, e Mamoru raccontò velocemente ad Ami quello che sapevano e cosa era successo.
- E tu? Sembri a tuo agio in questo mondo. - La incalzò il giovane quando ebbe finito di parlare.
- Diciamo che ho avuto qualche informazione in più di voi, ma adesso non è il momento di parlare. Il tempo stringe, e se non riesco a fare ciò che mi ero prefissata, di noi non rimarranno che alcune ossa sgranocchiate.
- Che visione terribile. - Rabbrividì Makoto.
- Ma verosimile, se ci attaccano gli scagnozzi che ho visto arrivare. Secondo i miei calcoli, abbiamo ancora dieci minuti prima che ci raggiungano...
- E cosa faremo? Siamo solo dei contadini! - Piagnucolò l'oste, che si era avvicinato riverente e non aveva fatto a meno di ascoltare le ultime frasi.
- Voi dovrete solo nascondervi nella cantina ed aspettare che tutto sia finito. - Ordinò Ami. - E vi conviene nascondervi subito.
L'oste non se lo fece ripetere due volte, ed insieme ai presenti si diresse alla botola posta dietro il bancone che portava direttamente in cantina. In un paio di minuti i ragazzi erano gli unici rimasti nella sala.
- Ottimo. Almeno adesso sono sicura che non correranno pericoli inutili. - Sospirò rinfrancata la giovane vestita da maga. - Ed ora passiamo a cose più importanti.
Ami estrasse da una delle sue ampie maniche due involti di stoffa decorata con strani simboli. Svolse il primo, mostrando all'interno una gemma rossa incastonata in un’intricata e bellissima elsa d'argento. Si voltò verso il giovane, che osservava l'oggetto con interesse.
- Mamoru, ti spiace darmi la tua spada? - Chiese allungando la mano.
Il ragazzo la guardò incuriosito ed estrasse l'arma, dandogliela. Ami la pose sul tavolo e mosse le mani sull'elsa della spada. Improvvisamente la lama si staccò dall'impugnatura e si attaccò a quella che lei aveva estratto dalla manica, il tutto davanti alle bocche aperte degli altri tre.
- Cosa hai fatto? - Balbettò Makoto.
- Semplice: in termini moderni si potrebbe dire che ho trasformato una calcolatrice scolastica in un super computer. In termini di questo mondo ho creato una spada magica.
- Non ho capito niente, ma basta che funzioni contro i nemici. - Disse Mamoru, che in altri momenti avrebbe tentato di comprendere, ma ora gli interessava esclusivamente arrivare ad Usagi il più presto possibile.
- Ed ora veniamo a te, Mako. - Sorrise Ami svolgendo l'altro pezzo di stoffa.
All'interno vi era una piccola tiara d'oro, internamente incisa di simboli tra cui si riconobbe quello del pianeta Giove.
- La mia tiara! - Sorrise contenta la lignea figura, battendo le mani.
- Non proprio, ma l'effetto è lo stesso. Con questa potrai evocare gli stessi fulmini che puoi ottenere come Sailor Jupiter, ma attenta. Potrai decidere tu l'intensità del colpo, e se esso sarà troppo potente...
La guardarono, pendendo dalle sue labbra.
- Ti brucerai nel vero senso della parola. - Concluse a bassa voce Ami, mentre Makoto sentì un brivido gelido dietro la schiena.
Un lungo e triste ululato si fece largo nella notte appena fuori della locanda.
- Il vento? - Chiese non convinta Makoto, posizionandosi la tiara sul capo.
- No. Sono loro, e sono qui vicino. - Rispose spaventata Ami. - Dobbiamo sbrigarci. - Si voltò verso Rei, che si aspettava qualche strano oggetto come gli altri due suoi amici. - La tua tunica è ricamata di simboli sacri. Dobbiamo solo risvegliare in te la capacità di utilizzarli a dovere.
- Risvegliare?
- Sì. Stai rifiutando questo mondo, e con esso le leggi che lo governano. Tali leggi comprendono anche la magia, e tu, che lo voglia o no, sei una sacerdotessa in grado di usare la magia. Rifiutando la realtà, hai chiuso quella parte di te che usa i poteri che hai a disposizione.
- Certo che sono una sacerdotessa. Lo sono anche nel nostro mondo. Ma non ho poteri magici, come far volare scope o creare spade. E poi conciata così, al massimo potrei far morire dal ridere i mostri.
- Ne dubito. - Disse senza interesse Ami, che sembrava più decisa ad osservare i simboli ricamati sulla veste di Rei.
- Ora ascoltami. Chiudi gli occhi, rilassati e svuota la mente...
Rei fece come le era stato detto.
- Ottimo. - La elogiò l'amica, sfiorando dolcemente, come una suonatrice d'arpa, i disegni che si stendevano sul tessuto rosso fuoco di Rei. - Ora pensa al fuoco sacro che arde nel tuo tempio.
- Fatto. - La voce era calma e tranquilla.
- Cosa vedi?
- Una figura... E' una donna... No, una ragazza. Mi sta guardando, sorride. Sono io. No, sembro io, ma so che non sono io.
- E' la Rei che sa usare i poteri di questo mondo.
- Mi tende la mano... - Rei sembrava parlare come sotto ipnosi, mentre l'amica continuava a sfiorare il vestito, che prese a brillare debolmente.
Un pesante colpo fece tremare la porta.
- Sono qui! - Esclamò spaventata Makoto.
- L'ho sentito! - Replicò secca Ami. - Ho bisogno di tempo! La mente di Rei è molto forte, ed ho difficoltà a far cadere le sue barriere mentali. Dovete guadagnare tempo.
- E come?
- Combattete, raccontategli barzellette, insomma, teneteli occupati. Ho bisogno di almeno altri cinque minuti! - Sbraitò Ami.
- E' caldo! - Si lamentò Rei, come spaventata, mentre Makoto e Mamoru si dirigevano alla porta. Ami tornò ad occuparsi di lei. - E' lei che porta tutto quel calore.
- Ti sta tendendo la mano, giusto? - Le chiese gentile Ami.
- Sì, ma non voglio toccarla. Il caldo è troppo forte. Devo andarmene...
- No. Puoi farcela. Non temere il calore, dominalo!
- E' troppo forte! - Urlò la ragazza, madida di sudore. - Vattene, vai via!
- Devi toccarla, Rei. Devi accoglierla a braccia aperte come se fosse la tua migliore amica...
Nel frattempo gli altri due si erano accorti che fuori c'erano circa una trentina di esseri spaventosi, simili ai mostri che tante volte avevano combattuto sulla Terra, eppure più determinati, animati da un'unica volontà distruttrice. I loro occhi, rossi e accesi d'odio, stavano scrutando la costruzione che stavano assediando, cercando un'entrata diversa dalla porta o dalla finestra.
- Hai visto? - Chiese Makoto. - Non si avvicinano alle zone illuminate dalla luce della locanda.
- E' vero. Sembra che ne abbiano paura... Forse potremmo sfruttare tale fatto.
- Conviene tentare.
Annuirono simultaneamente. La ragazza prese una lampada a petrolio appesa ad una parete e la accese. Si avvicinò alla porta. Mamoru aveva estratto la spada.
- Pronto?
- Vai!
Makoto aprì la porta e si gettò in avanti, seguita dal giovane, che richiuse violentemente l'uscio. Aveva smesso di piovere, ma il cielo era ancora plumbeo. I mostri li stavano guardando, digrignando i denti e sibilando di rabbia. Come avevano previsto, non si avvicinavano abbastanza da farsi illuminare dalla luce di Makoto.
- Oh, poverini... Avete paura del chiaro? - Li beffeggiò lei avanzando di un paio di passi. I mostri indietreggiarono di conseguenza, gli occhi fissi alla lampada.
- Mako, non possiamo restare qui a far niente. La lampada non avrà petrolio in eterno.
- Lo so, ma cosa possiamo fare? - gli rispose lei voltando la testa.
Un sibilo tagliò l'aria, seguito dal rumore di vetri infranti. Mako si voltò, inorridita: qualcosa aveva rotto la lampada, e l'olio contenuto le era colato sul braccio, incendiandolo. Mamoru corse da lei e in qualche secondo le spense le fiamme, che avevano causato solo leggeri bruciature. L'olio caduto a terra si consumò velocemente, lasciando i due nel buio pressoché totale.
- Oddio! - Urlò atterrita Makoto lanciandosi, assieme all'amico, accanto alla finestra, in modo da non essere allo scuro. - Siamo spacciati...
- Calma. Abbiamo ancora degli assi nella manica. Si potranno ben sconfiggere, queste creature.
- Hai ragione. Se non gli piace la luce, chissà se gradiscono dei fulmini. - Si rincuorò la giovane, sfiorando la tiara con la mano destra.
Il gioiello si illuminò debolmente, per divenire via via più luminoso mentre la lignea figura si poneva le mani incrociate sul petto.
- Fulmini, a me! - Gridò, quando la luce fu così intensa che anche Mamoru dovette coprirsi gli occhi.
Dal cielo caddero un paio di lampi, che colpirono in pieno la tiara di Makoto, permettendole di creare tra le sue mani un globo risplendente di elettricità che fu subito diretto contro i più vicini mostri, che sparirono con un orrendo grido, lasciando al loro posto solo della polvere nera e fumante. Gli altri avversari indietreggiarono di qualche passo, come spaventati. A quel punto il giovane sfruttò il momento di smarrimento per coglierli di sorpresa, e si avventò su di loro a spada tratta. Il primo che cadde sotto il suo colpo non si rese nemmeno conto di cosa gli stava succedendo, ma sia gli altri mostri, che i due amici si stupirono di come l'essere morì. Infatti, appena la spada lo toccò, dal terreno spuntarono e crebbero a velocità incredibile dei rovi spinosi, che avvilupparono il mostro e lo stritolarono in un batter d'occhio, mentre una miriade di piccole rose rosso sangue fiorivano lungo i mortali tralci.
- Che orrenda fine! - Esclamò disgustata Makoto, portandosi una mano alla bocca.
- Effettivamente, non deve essere stata una morte indolore. - Controbatté il ragazzo. - Molto probabilmente, è questo il potere che Ami ha infuso alla spada cambiandole l'elsa.
- I vostri poteri sono potenti, ma il nostro padrone è invincibile, e finché ci sarà lui, ci saremo noi. - Disse spavaldo uno dei mostri, i quali, nonostante la morte di molti di loro, sembravano più numerosi di prima.
La sua voce era stridente, fredda, orribile. Ai due giovani si gelò il sangue nelle vene al solo sentirla. Makoto rabbrividì.
- Fate bene ad avere paura di noi. Non riuscirete mai a sconfiggerci.
- Questo è ancora da vedere. - Digrignò i denti il ragazzo, lanciandosi all'assalto con la spada in pugno.
Il combattimento fu cruento, ma tanti ne cadevano sotto i colpi di Makoto e di Mamoru, tanti sembravano spuntare dal buio della notte. Dopo un tempo che parve infinito, i due giovani si trovarono spalla contro spalla, accerchiati.
- Non vorrei fare il pessimista... - Iniziò il ragazzo, spada in difesa e fiato corto.
- Ma non ce la faremo mai, giusto? - Concluse la frase l'amica con un debole sorriso. Ansimava vistosamente.
L'altro annuì lentamente.
- Va bene. - Sospirò lei. - Almeno andiamocene con stile.
- Vi offendete se rimandiamo la vostra morte da eroi ad un'altra volta? - Esclamò una voce femminile che attirò l'attenzione di tutti i mostri, che si voltarono a guardare.
- Rei! Ami! - Gridarono felici in coro Makoto e Mamoru.
- Tranquilli. Adesso ci pensiamo noi. - Sorrise Rei.
- E cosa credete di fare? - Le schernì uno dei mostri, mostrando dei lunghi e affilati canini giallastri.
- Semplicemente questo. - Rispose Ami. Alzò le braccia al cielo e cantilenò per alcuni istanti in una lingua musicale e sconosciuta. Smise, e dalle mani partirono grandi e numerose bolle di densa nebbia fredda, che avvolse tutta la zona davanti alla locanda. - Ora, Rei, intanto che il loro padrone non può più nulla su questa zona!
Rei si concentrò, come quando doveva ottenere delle risposte dal fuoco sacro, e immediatamente i simboli che ornavano il suo vestito iniziarono a risplendere a intermittenza, creando uno spettacolo affascinante ed ipnotico, visibile anche attraverso la nebbia.
- Anelli del sacro fuoco, a me!
Makoto e Mamoru chiusero gli occhi, abbagliati dalla luce infuocata che si irraggiò dalla loro amica.
Un'infinità di anelli fiammeggianti, del diametro di circa mezzo metro, si crearono davanti a lei e si diressero velocissimi sui vari mostri, imprigionandoli e stringendo sempre di più fino a dividerli in due parti all'altezza dell'addome. La nebbia si diradò, e Rei riaprì gli occhi. Stava per vomitare. L'aria era impregnata dell'odore di carne bruciata, e la terra era intrisa di un liquido scurastro e oleoso, che proveniva dai cadaveri dei loro nemici. Di tutti i mostri che c'erano qualche secondo prima, solo uno era scampato alla carneficina. Questi si stava allontanando velocemente dal gruppetto, mentre Makoto stava osservandolo esausta, senza la forza di inseguirlo, ma un raggio di luce azzurrognola lo colpì in piena schiena, gelandolo. L'intero corpo si frantumò come una statua di cristallo colpita violentemente.
- Cosa diavolo? - Esclamò la giovane.
- Un semplice trucchetto che la maga delle nebbie conosce da anni. - Spiegò Ami, mentre un tenue alone azzurro scompariva dalla sua mano destra. - Vedi, al contrario di voi, io non ho rimpiazzato lo spirito che stava in questo corpo, ma lo condivido con esso. Quando fa comodo, una delle due prende il sopravvento, e agisce per il meglio. Io non sarei mai riuscita a bloccare quel mostro, e se non lo avessi fatto, avrebbe informato il suo padrone del fatto che il principe del regno delle due lune aveva già trovato due dei quattro elementali necessari per entrare nella Foresta delle allucinazioni.
- Calma, calma. - La bloccò Makoto, mentre rientravano nella locanda e si sedevano ad un tavolo. - Vuoi dire che nel tuo corpo ci sono due persone? - Chiese incredula.
- Esatto, anche se in realtà il corpo è della maga delle nebbie, non mio. Noi, e intendo voi e io, abbiamo semplicemente preso possesso del corpo di persone che sono la nostra esatta copia, e che per qualche motivo sconosciuto sono i cardini dello svolgersi di qualcosa che potrebbe cambiare il volto di questo mondo.
- Tradotto? - Incalzò Rei.
- Tutti noi dovremo salvare Usagi, ovvero la principessa della luna chiara, e far sì che si sposi con Mamoru, alias il principe delle due lune, e non con il re della luna nera, che l'ha rapita e la costringerà a sposarlo con tutti i mezzi.
- Ma cosa succede se Usagi si sposa con questo re? Nella nostra realtà non cambierebbe nulla. - Fece presente Mamoru.
- Questo non è detto. Vi rendete conto che ognuno di noi si è incarnato in qualcuno che, oltre ad assomigliargli in maniera impressionante, è in qualche modo il suo alter ego in questo mondo? Rei ha preso possesso di una sacerdotessa del fuoco, io di una maga, che si potrebbe definire una studiosa accanita, Mamoru di un principe, e noi sappiamo che lo era e che lo diventerà in futuro, sposando Usagi, anch'essa futura principessa. Se il nostro mondo influenza in qualche modo questo, è lecito pensare che anche ciò che accadrà in questo mondo influenzerà il nostro.
- Vorresti dire che... - domandò spaventata Rei.
- Esatto. Se Usagi si sposerà con il re della luna nera, la vera Usagi non sposerà mai più il vero Mamoru.
- E' orribile! - Scattò in piedi Mamoru. - Dobbiamo salvarla al più presto.
- Calma. - Lo guardò Ami, invitandolo a risedersi. Cosa che il giovane fece. - Per salvarla dobbiamo trovare gli elementali dell'Acqua e dell'Aria, così che assieme a Rei, che rappresenta il Fuoco, e a Makoto, che simboleggia la Terra, si possa aprire la via che porta alla Foresta delle allucinazioni.
- D'accordo. Ma dove li troviamo gli altri due elementali? - Chiese Rei.
- Oh, è facile. Alla mia torre ho chi sa esattamente dove trovarli... - Sorrise la maga. - C'è un solo problema.
- E qual è? - domandarono in coro gli altri.
- Chi conosce la strada doveva essere l'ospite di Minako, ma a quanto pare lo spirito di questo mondo non ha voglia di cederle il posto, per cui se non riusciamo a far affiorare Minako, non sapremo mai cosa fare.
- Ma che caos! - Sospirò Rei sconsolata. - E cosa ci fa Minako nella tua torre?
Ami non rispose.
- Allora?
- Beh, ecco... Vedete, la maga delle nebbie, intendo quella originale, prima di "incontrarmi", voleva raggiungere la Foresta per conto suo, e aveva... come dire, chiesto aiuto all'incantatrice, ovvero Minako, ma lei aveva rifiutato, e così l'ha... - La voce le morì in gola.
- Non dirmi che ha pensato bene di rapirla?! - chiese esterrefatto il giovane.
Ami annuì con il capo, lentamente.
- Chiunque si rifiuterebbe di collaborare, visto il modo in cui è stata trattata. Sarà anche potente, la vera maga delle nebbie, ma ha fatto qualcosa di davvero insensato. - Sbuffò Mamoru, alzandosi e camminando nervosamente attorno al tavolo. Si fermò e sospirò come per calmarsi. Si voltò verso Ami. - Va bene, ormai il danno è fatto. Andiamo al più presto alla Torre di nebbia, e vediamo di incontrare Minako. E' lontana?
- Abbastanza, ma ho un mezzo veloce.
- Hai dei cavalli? - chiese Makoto.
- Molto meglio. - Sorrise la maga. - Avete presente il teletrasporto Sailor?
Ci fu un lampo, poi un attimo lunghissimo di buio, quindi un'altra luce violentissima. Il gruppetto era ai piedi di un'alta torre di pietra scura. Attorno a loro nebbia densa e umida impediva di scorgere qualsiasi cosa più lontana di una decina di metri, tanto che la cima della torre era invisibile.
- Ben arrivati alla Torre di nebbia. - esclamò Ami, toccando il portone, che si spalancò silenzioso e lento.
Seguendo la maga, gli altri attraversarono il portone, che subito si richiuse alle loro spalle senza essere stato toccato da nessuno. Erano in un’enorme sala circolare, alta almeno sei metri ed illuminata da un lampadario che pendeva dal centro del soffitto. Alle pareti, una decina di colonne in marmo nero sembravano sostenere la volta a crociera, e, come quasi subito notò Mamoru, su alcune di esse delle statue in granito scurastro rappresentati degli orrendi esseri parevano osservare i presenti.
- Che cattivo gusto! - osservò Rei indicando i mostri.
- Vero, ma tornano utili in caso di ospiti sgraditi. - replicò Ami, mentre gli altri la osservavano incuriositi dalla strana risposta.
Schioccò le dita e tre dei quattro mostri si staccarono pesantemente dai basamenti dove erano posti e, volteggiando, si posarono vicino al gruppo. Makoto sfiorò la tiara, e insieme a Rei e Mamoru si preparò all’attacco.
- Calma, calma! - Gridò divertita la maga. I mostri si genuflessero, chinando il capo. - Sono amici. Essi proteggono la torre in caso di pericolo e aiutano la loro padrona quando lo richiede. Balef, Calef, Dalef, tornate pure a riposare.
Gli esseri tornarono ai loro basamenti sulle colonne, mentre il gruppetto lasciava la stanza e si incamminava lungo corridoi, stanze e scale. Dopo qualche minuto solo Ami sembrava capire dove si trovavano, e con mano ferma aprì una pesante porta in legno.
- Ecco. In fondo a questo corridoio troverete una stanza e una gabbia. Dentro c’è Minako, o meglio, il corpo che ospita Minako. Andate da soli, è meglio. Se mi vede, di sicuro andrebbe su tutte le furie... tentate voi di farla ragionare. Nel caso, proverò io con un piccolo asso nella manica, ma è la mia ultima speranza... - concluse sconsolata la giovane, allontanandosi.

 

Rei guardò il lungo e buio corridoio come cercando qualcosa.
- Ami, non è che hai una torcia o qualcosa del genere? E’ un attimino buio, qua... - chiese ironica, indicando il tunnel.
- E’ vero, che sbadata. - esclamò l’amica.
Schioccò le dita, ed immediatamente delle eteree torce apparvero lungo tutta la parete, illuminando il cammino.
- Così va meglio?
- Grazie. Ma ti diverti così tanto ad usare la magia? - chiese Mamoru, osservando scettico le fonti di luce.
- No. Solo mi viene spontaneo adoperarla. - rispose lei ridacchiando.
Rei, Makoto e il giovane si incamminarono per il corridoio, lentamente, come sospettando chissà quali insidie. Il tunnel curvò sulla destra, ed una decina di metri dopo si fermò davanti ad una porta, molto più robusta dell’altra. Mamoru la aprì, facendole emettere un sinistro cigolio.
- Un po’ di olio non guasterebbe. - osservò sarcastica Makoto, un freddo sorriso sulle lignee labbra, subito rimpiazzato da una smorfia di tristezza nel vedere l’interno della stanza.
Era un locale quadrato di cinque, sei metri di lato, alto poco più di due metri, completamente spoglio ed estremamente umido. L’unica cosa che vi si trovava era una gabbia cubica, leggermente più bassa di loro.
All’interno, apparentemente addormentata, era rannicchiata, coperta da laceri e sporchi vestiti, una figura dai lunghi capelli biondi.
- Minako! - esclamò inorridita Rei, affrettandosi alla gabbia, subito imitata dagli altri due.
Un grosso lucchetto chiudeva la struttura in ferro, impedendone l’apertura.
- Eccole! - disse Mamoru che, guardatosi intorno, aveva trovato, appese vicino alla porta d’entrata, delle chiavi.
Subito le prese, e solo al terzo tentativo riuscì, con qualche difficoltà, a far scattare la chiusura, che cadde a terra con un sordo tintinnio. Makoto fu la prima ad entrare nella bassa gabbia, e con tutta la delicatezza che le fu possibile sollevò l’amica e la portò fuori dalla struttura in ferro corroso dagli anni. S'inginocchiò, ed adagiò dolcemente la ragazza sulle sue dure ginocchia. Minako non sembrava essersi svegliata, ma l’espressione corrucciata del volto indicava che non stava riposando tranquilla. A tratti si potevano capire delle parole, o spezzoni di frasi, provenire dalla ragazza.
- E’ inutile... - Sussurrava Minako, lamentandosi. Il volto era imperlato di sudore. - Non posso... Non voglio...
Ci fu un momento di silenzio. Minako iniziò ad ansimare, sempre più velocemente, le mani strette a pugno mordevano con violenza i lembi della sporca veste che indossava.
- E’ mio! - urlò, svegliandosi di soprassalto e mettendosi seduta.
Gli occhi erano spalancati in un misto di dolore e di paura. Stava tremando, e solo lentamente la morsa delle mani si allentò.
- Non preoccuparti, Minako. Era solo un brutto sogno. - la rincuorò Makoto, passandole dolcemente la mano fra i lunghi capelli.
- Chi... Chi siete? - chiese la ragazza, alzandosi lentamente.
Traballava, come se non si fosse svegliata completamente. Si mosse incespicando, fino a toccare con la schiena uno dei freddi e umidi muri. Si prese la testa fra le mani e sospirò profondamente, quasi che anche parlare le fosse estremamente difficile.
- Siete anche voi prigionieri della strega? - chiese quasi in un sospiro, alludendo ad Ami.
- Non proprio. - Rispose Mamoru. - Diciamo che siamo suoi... ospiti.
- Oh... - Sospirò lei. - Lo ero anch’io, fino a qualche giorno fa. Ma ora... - indicò con la mano la cella.
- Sappiamo perché ti ha imprigionato, ma ora si è pentita. - esclamò Rei.
Minako la guardò divertita. Iniziò a sorridere, quindi a ridere di gusto.
- Certo... Certo... - Boccheggiò mentre continuava a ridere. - E voi siete così sprovveduti, o così innocenti, da credere alle parole di una strega...
- Ma è una nostra amica. Perché non crederle? - chiese Mako, come se la risposta fosse la cosa più ovvia del mondo.
Alla parola “amica”, Minako smise immediatamente di ridere. Guardò i presenti con fare sospettoso, e lentamente si mosse, rasentando i muri, fino a frapporre tra lei e gli altri il maggior spazio possibile.
- Cosa ti succede? - chiese Rei, avanzando di un passo verso l’amica.
Minako si guardò attorno con occhi disperati, cercando una possibile arma.
- Stammi lontana! Tutti voi, statemi lontani! - Gridò isterica. - Non saprete mai dove sono gli esseri del- l’Acqua e dell’Aria. Non li avrete...
- Ma devo saperlo! - Esclamò Mamoru, fermando Rei, che voleva raggiungere Minako. - Devo arrivare alla Foresta delle allucinazioni, o perderò Usagi per sempre... Ti prego, Minako...
- Non mi chiamo Minako! Smettetela di chiamarmi Minako. Anche la strega mi ha chiamato così da quando sono iniziati gli incubi. La strega di questa torre mi ha lusingato, mi ha rinchiuso, ha persino osato disturbare i miei sogni con una creatura identica a me, ma non otterrà, non otterrete nulla di ciò che chiedete!
- Un attimo! - Esclamò sorpresa Mako. - Hai detto una ragazza identica a te? Nei tuoi sogni?
La giovane guardò Makoto con fare interrogativo.
- Ebbene? - Domandò scocciata Minako, ponendosi le mani sui fianchi. - La tua padrona ti ha forse creato senza orecchie, golem di legno?
- Intanto sono uno spirito dei boschi... - Replicò secca Makoto. - Cioè, non sono uno spirito dei boschi, ne uso solo il corpo, ma in realtà sono una ragazza, o meglio, io so di avere sulla Terra un corpo di carne ed ossa e non di legno. Oh, insomma... E’ troppo difficile da spiegare.
Dal corridoio si udirono leggeri e veloci passi, e dopo qualche secondo, dalla porta, rimasta sempre aperta, fece la sua comparsa Ami.
- Strega! - Esclamò falsamente sorpresa Minako. - I tuoi scagnozzi mi hanno tenuto compagnia in tua assenza...
- Non l’avete convinta? - chiese preoccupata Ami, avvicinandosi a Mamoru.
Il giovane scosse la testa affranto, sospirando.
- E va bene. Rimane solo una cosa da fare.- Disse quasi tra sé e sé la maga. Alzò gli occhi e li pose decisi sulla figura di Minako. - Incantatrice, ricordi cosa ti tolse la maga della Torre di nebbia quando ti rinchiuse in questa cella?
- Certo che mi ricordo cosa mi hai rubato, megera...
- Ebbene, riprenditela! - esclamò Ami, lanciando verso la bionda ragazza una lunga e dorata cintura.
Minako la prese al volo, incredula, e velocemente la sistemò al suo posto. Era un oggetto finemente cesellato, realizzato come incastro di decine di cuori stilizzati. La giovane, senza apparente sforzo, staccò un pezzo della cintura e lo sistemò sul braccio destro, a guisa di bracciale. Sotto gli occhi meravigliati dei presenti, tale bracciale si allungò e si avvitò lungo tutto il braccio di Minako, quasi un serpente su un ramo, e lo stesso vestito, la stessa Minako, cambiarono. Tutta la figura fu avvolta per qualche secondo in un alone dorato, che scomparve lentamente permettendo di ammirare il cambiamento avvenuto. La giovane dai lunghi capelli biondi, ora elegantemente pettinati e fermati dietro la nuca da un grosso e gonfio fiocco rosso, indossava una tunica senza maniche, plissettata, di un leggero giallo pastello, ornata da ricami in oro lungo la scollatura a punta e all’orlo della gonna, che le lambiva a malapena le ginocchia. Ai piedi aveva delle scarpe in pelle leggera, quasi delle ballerine, fissate alle gambe da una serie di nastri gialli, dorati e arancioni che si incrociavano fino a metà polpaccio.
- Caspita, che cambiamento! - sussurrò Rei, a bocca aperta come il resto dei presenti.
- Adesso va meglio! - Esclamò contenta Minako, passandosi una mano tra i capelli. Quindi guardò gli altri con fare spavaldo, e avanzò di un paio di passi. - Non so perché tu mi abbia restituito i miei gioielli, ma sarà l’ultima cosa che farai. - disse arrabbiata.
La ragazza allungò il braccio destro in modo minaccioso, e la catena dorata si snodò, puntando veloce e letale al viso di Ami, che chiuse gli occhi, ben sapendo che non le avrebbe fatto del male.
Il rumore di metallo contro metallo glieli fece riaprire. Mamoru si era frapposto tra lei e Minako, bloccando con la spada la catena, ora avvinghiata alla lama.
- Vuoi combattere, principe del regno delle due lune? - Sorrise malvagiamente l’incantatrice. - Sarà un piacere accontentarti.
La catena si svolse, quasi dotata di vita propria, dalla spada del giovane, e tornò ad avvolgersi sull’arto della ragazza, pronta per un nuovo attacco. Makoto si fece avanti, le braccia spalancate in segno di resa.
- Non posso credere che una mia amica voglia combattermi! - Gridò, mentre una lacrima le bagnava il volto. - Non lo accetto! Non posso crederlo!
- Creatura, io sono amica solo di chi ha un cuore puro, ma tu, golem, non sai nemmeno cosa sia un cuore. La tua padrona non può creare ciò che non conosce... - esclamò Minako, lanciando nuovamente la sua arma, stavolta contro Makoto, che non si mosse.
La catena la raggiunse con violenza, ma appena la toccò, perse tutta la sua forza, accasciandosi ai piedi della lignea figura, incolume e sorpresa. Minako era invece sgomenta.
- Come è possibile? - balbettò incredula.
- Semplice. - Iniziò Ami facendosi avanti e raccogliendo l’inerte catena. - Questa è un’arma micidiale, ma se chi viene attaccato non ha motivo di far del male al suo proprietario, la catena non può nulla. Con Mamoru ha reagito non a causa sua, ma a causa della spada, frutto della magia non propriamente benigna che è stata utilizzata per crearla; su Mako, e se vuoi provare, su di me e su Rei, la tua arma non avrà alcun effetto.
- Quindi... - Sussurrò Minako, mentre la catena si riavvolgeva lentamente sul suo braccio. - Quindi tu non sei la maga che mi ha imprigionata...
- Questo è il suo corpo. - Si toccò Ami. - Ne condivido anche parte della mente, ma io sono un’altra persona. E così è per gli altri, e per te.
- Per me? - chiese incredula la giovane.
- Prima ci dicesti che avevi degli incubi. Una persona uguale a te voleva prendere il tuo posto… - iniziò Mamoru, rinfoderando la spada.
L’incantatrice annuì lentamente, pensierosa come non completamente convinta.
- Quella persona è una nostra amica, e come noi, deve prendere il posto di qualcuno in questo mondo, ovvero tu. Solo temporaneamente, s’intende. - continuò al posto del giovane Ami, assumendo un atteggiamento da saccente, che provocò un debole sorriso sul volto di tutti i presenti.
Ci fu un minuto di assoluto silenzio, mentre tutti gli sguardi erano posati sulla figura di Minako, che camminava lentamente lungo la stanza.
- Quindi - Disse tra sé e sé la giovane. - dovrei cedere il mio corpo a qualcun altro… Almeno è per una buona causa?
- L’amore di due giovani è sufficiente? - Chiese Mako ironica. - O devo aggiungere l’amicizia che mi lega, che ci lega a Usagi, alias la principessa della luna chiara?
- Direi che è abbastanza. - Sorrise forzatamente l’incantatrice. - Lasciatemi sola per qualche minuto. Devo riflettere.
Gli altri la guardarono non convinti.
- Allora? - Scherzò lei. - Ve ne andate o volete che cambi idea?
Velocemente tutti uscirono, chiudendo la porta alle loro spalle. Passarono cinque, dieci minuti, i dieci minuti più lunghi della loro vita. Finalmente si aprì la porta a cui l’orecchio di Makoto era stato appoggiato per tutto il tempo alla vana ricerca di suoni o altri indizi su cosa stesse succedendo all’interno.
- Mako! - Rise l’incantatrice, saltando al collo della lignea ragazza. - Rei, Ami, Mamoru! Come sono felice di vedervi! Si può sapere cosa è successo? La giovane che ho visto in sogno, e che tra parentesi mi assomigliava abbastanza, anche se non aveva tutto il mio charme, mi ha detto di non preoccuparmi, che tutto sarebbe andato per il verso giusto, ma ho avuto l’impressione che non ne sapesse molto di più di me.
- Minako? - chiese esitante il giovane.
- E chi altri?! - Fu la risposta gioiosa. - Avete visto che vestito? Non è proprio alla moda, ma… - Troncò la frase, dandosi un’occhiata in giro. - Qualcuno sa spiegarmi cosa sta succedendo?

 

Ami guidò il gruppo in una specie di salotto, servì loro del tè, o qualcosa di molto simile, con dei deliziosi biscotti, e tutti assieme, ognuno per quanto ne sapeva, spiegarono a Minako la situazione, e ciò che doveva fare.
- L’incantatrice mi ha detto che dobbiamo andare a Sud, e che per quanto riguarda i poteri, la mia amicizia per voi sarà più che sufficiente per guidarmi…
Mako la guardò perplessa, traducendo in un’espressione ciò che tutti si stavano chiedendo.
- Lo so, non è chiaro neppure a me, ma dovrebbe funzionare così: se servono i poteri dell’incantatrice, saprò usarli. - Sorrise. - Francamente avrei preferito un libretto di istruzioni…
- Facciamo una prova. - Propose Ami. - La maga mi ha detto che le incantatrici hanno potere su tutto ciò che riguarda la natura, gli animali e le piante. Mako… - Si voltò guardando lo spirito dei boschi, che rimase sorpreso, la tazza di tè fumante in una mano e un biscotto addentato nell’altra. - Puoi sfregiarti leggermente un braccio?
La ragazza la guardò curiosa, ma acconsentì con la testa e, dopo aver posato la tazza e ingoiato il resto del biscotto, con un colpo secco della mano destra si intagliò l’avambraccio opposto.
- Ottimo. - Sentenziò Ami. - Forza Minako, prova a guarirla.
- Cosa?! - esclamò sorpresa e spaventata la ragazza. - Non sono mica un dottore… No, forse è meglio un giardiniere, per Makoto.
- Almeno tentaci! - la incalzò la maga.
- E va bene! - sbuffò l’incantatrice.
Chiuse gli occhi e si concentrò. Un vago e dorato bagliore si sprigionò dal suo corpo, i capelli sollevati come da un forte vento. Dopo qualche secondo l’alone luminoso svanì.
- Non ha funzionato molto! - esclamò sarcastica Mako, osservando che lo sfregio non era cambiato minimamente.
Gli altri la stavano guardando, e scoppiarono a ridere.
- Si può sapere cosa vi prende a tutti? - domandò la ragazza curiosa e stizzita.
Incapace di rispondere, Mamoru si alzò dalla sedia e, sempre ridendo, portò l’amica ad uno specchio, posto in un angolo della sala.
- Minako! - Urlò furibonda Makoto. - Cosa mi hai fatto?!
Tutta la testa della ragazza era ora ricoperta di splendide viole, i cui gambi partivano direttamente dal legno di cui era fatta la giovane.
- Scusa… - Ansimò lei ridendo. - Non volevo. Adesso ci ritento con più impegno. Prometto.
- Sarà meglio! - sbuffò Mako, mani sui fianchi.
Passò quasi un minuto, quindi nelle vuote sale della torre risuonò un atroce urlo.
- Adesso anche le margherite! Ma mi hai preso per un’aiuola?

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Capitolo 2
*** Le ali di Chibiusa ***


- E con questo anche per questa volta abbiamo finito! - sospirò Minako facendo riavvolgere la magica catena attorno al suo braccio.
L’oggetto tornò docile sull’arto della ragazza, lasciando cadere a terra il mostro che fino ad un attimo prima stava divincolandosi per liberarsi dalla stretta mortale. L’essere vaporizzò in una sottile nebbiolina nera, dispersa dal vento.
- Iniziano ad essere ripetitivi. Questo è il decimo gruppo di mostri che sconfiggiamo da quando siamo partiti dal castello di Ami. - esclamò Mamoru rinfoderando la spada e richiamando con un fischio il cavallo che era come al solito si era rifugiato poco lontano mentre il suo padrone affrontava i nemici in battaglia.
- Non è mio, è della maga della Torre di nebbia. - lo corresse Ami, ansimando leggermente per la lotta appena finita.
- Tanto è circa la stessa cosa. - Brontolò Mako dando un calcio ad un vicino sasso. - Sono due giorni che stiamo andando verso Sud come hai detto tu, Minako. - Guardò la maga. - Come ti ha detto l’incantatrice, ma della Foresta della allucinazioni nessuna traccia, a meno che non sia uno di questi sparuti boschetti disseminati tutt’intorno.
- Beh, potrebbe sempre essere quella lontana foresta che si vede laggiù. - Disse speranzosa Rei, stanca come gli altri del viaggio e della ricerca. Si voltò verso Ami. - Ami, ripetimi ancora una volta quanto tempo abbiamo prima che Usagi sposi quel bruttone del re nero.
La giovane inspirò profondamente prima di dare una risposta.
- Abbiamo ancora tre giorni, quindi avverrà un’eclissi che nasconderà la luna chiara tramite la luna scura. Allora il re della luna nera potrà presentarsi fisicamente nella nostra dimensione e sposare Usagi, diventando di diritto il nuovo re delle lune e potendo quindi rimanere in forma tangibile.
- Ma lui cosa ci guadagna nel ritornare ad avere un corpo? - chiese Makoto, mentre il gruppetto si incamminava lungo la via.
- Semplice. Lui ha il potere di creare con il pensiero cose ed esseri, ma per adesso esse sono reali esclusivamente nell’oscurità. Avendo un corpo, tale limitazione svanirebbe.
- In pratica potrebbe creare un esercito con il solo pensiero e questo non avrebbe paura delle torce come la hanno i mostri che stiamo combattendo? - chiese sperando di sbagliarsi Minako.
Ami annuì lentamente, mentre un brivido gelido correva lungo la schiena di tutti i presenti.

 

La porta della cella si aprì con un lugubre cigolio, portando all’interno della fetida e sporca stanza un fioco e irreale chiarore proveniente dall’esterno. Due figure erano legate da corte catene alle pareti, impossibilitate a sedersi o solo ad inginocchiarsi per riposare. Una delle due, quella che sembrava avere i capelli lunghi e sciolti, volto lentamente la testa, e due profondi e brillanti occhi blu sembrarono risplendere nel buio come quelli dei gatti.
- Sua maestà oscura si è degnata di vedere i suoi ospiti. - Ironizzò sofferente, mentre a fatica si rialzava tentando di darsi l’aria più composta che poteva. - Devo farle notare che i suoi servitori non ci hanno dato la migliore stanza della reggia. Mi vedo costretta a lamentarmi.
Un artiglio di nebbia nera coagulò davanti a lei e la prese per il volto, stringendole le guance fino a farle del male.
- Ringrazia di essere viva per servire la principessa, anche se per ancora soli tre giorni. - Ruggì una voce profonda e malvagia. - Ti conviene non lamentarti più, o la principessa qui accanto dovrà accontentarsi di una serva senza lingua. Sono stato abbastanza chiaro?
Luna annuì lentamente, tentando comunque di divincolarsi dalla presa che le stringeva il viso.
- Bene.
Così come era comparso, l’artiglio si dissolse, permettendole nuovamente di muovere la bocca. Entrarono alcuni mostri, vestiti con quello che sarebbero dovute essere delle divise da paggio, e rudemente aprirono i lucchetti che imprigionavano le due ragazze. Al contrario di Luna, che tentò, invano, di divincolarsi appena libera, Usagi non reagì minimamente, segno che era svenuta, forse per la paura, forse per i due giorni di patimenti subiti. Fu caricata sulle spalle di uno dei mostri, e assieme alla sua dama di compagnia, fu trasportata lungo corridoi neri e umidi, scale nere e viscide, stanze adornate di drappi neri e illuminate solo saltuariamente da candele che galleggiavano a mezz’aria emanando una luce fredda e verdognola. Giunsero davanti a una porta a due ante, che si aprì lentamente senza alcun rumore, permettendo al gruppo di entrare in un’alta e spaziosa sala, arredata sontuosamente, anche se con uno stile lugubre e pesante.
- Bella. Chi è il vostro arredatore? - disse sarcastica Luna. Non conosceva altro modo per dissimulare la paura che provava.
Non giunse risposta. I mostri appoggiarono Usagi su un grande letto a baldacchino e obbligarono Luna a sedersi su una poltrona poco distante, facendole segno con un artiglio di non muoversi da quella posizione. Arretrarono, e appena usciti la porta si richiuse.
- Ottimo. Da una prigione ad un’altra. - pensò la giovane ragazza dai lunghi capelli neri e mossi, alzandosi dalla sedia e precipitandosi a controllare l’amica. Respirava profondamente. Svenuta, infreddolita, ma viva.
- Se non altro questa è un po’ più confortevole dell’altra. - mormorò, guardandosi attorno.
L’unica porta era quella da cui erano entrate. Nessun’altra possibilità di fuga. Oltre al letto dove era adagiata Usagi, c’era un altro letto, meno sontuoso, ovviamente dedicato a lei, due poltrone, un tavolo, due armadi e due mobili bassi con specchio. Nessuna finestra, ma molte di quelle odiose e sinistre candele. Ad un tratto si sentì sporca e volle cambiarsi d’abito. Decise di non svegliare l’amica, e si avvicinò a uno dei due mobili. Su di esso c’era tutto l’occorrente per rinfrescarsi e truccarsi, anche se la scelta nei colori non era molto varia. Vide ombretti neri, viola e blu cupo, colori ripresi per gli altri cosmetici.
- Certo che qui manca decisamente il tocco femminile.
- Ha perfettamente ragione. - confermò una voce vellutata di ragazza alle sue spalle.
Luna si voltò di scatto, in mano una pesante spazzola di legno. Si trovò davanti due giovani dalla pelle pallida come la luna, occhi neri senza pupille e capelli scuri così lunghi e folti da fornire loro un vestito.
- E voi chi sareste? - chiese dubbiosa non posando la spazzola.
- Il tocco femminile che lei diceva mancare. - rispose serafica una delle due figure, mentre un leggero ed elegante vestito nero le si formava addosso come per magia.
- Lei ha detto che mancava la mano di una femmina, e il nostro signore ha pensato bene di assecondare il suo desiderio creandoci. Noi saremo ai vostri ordini, e vi aiuteremo in tutto ciò che ci è consentito.
Luna le stava guardando scettica, ma lentamente posò la spazzola e si sedette sullo sgabello imbottito che si trovava a lei vicino, dando le spalle alle sconosciute, sebbene le stesse osservando nello specchio che le era davanti.
- D’accordo. Pettinatemi e truccatemi come meglio sapete fare. - ordinò perentoria alle creature. Se doveva tentare di scappare, tanto valeva farlo in uno stato meno pietoso di quello in cui si trovava in quel momento.
Immediatamente gli esseri si mossero come fluttuando sul pavimento di nero marmo lucido, avvicinandosi alla giovane, e si misero al lavoro, mentre per la prima volta in due giorni Luna cedette alla stanchezza e si rilassò, chiudendo gli occhi e sospirando, mentre mani gentili si prendevano cura di lei. Passò quasi mezz’ora, quindi le creature finirono, spostandosi di qualche passo lontano dalla giovane seduta. Luna aprì gli occhi. Lo specchio le rimandava l’immagine di una pallida ragazza dai lunghissimi capelli neri legati in due codini ai lati della testa e abbelliti da due nastri viola e blu scuro che serpeggiavano nella treccia che formava ognuno dei codini. La fronte era stata impreziosita da una sottilissima tiara in filigrana d’argento che sosteneva una falce di luna, rivolta verso l’alto, in oro. Il volto era truccato splendidamente, anche se con colori funerei, dando così l’impressione di un trucco adatto ad una cerimonia funebre, per quanto elegante.
- Non è propriamente lo stile che prediligo, ma non avendo altro a disposizione, direi che avete fatto un ottimo lavoro. - disse mentre si osservava rigirandosi.
- La signora è troppo buona. Se mi è concesso, la signora dovrebbe cambiarsi d’abito. Quello che indossa non è adatto a lei.
Luna si osservò le vesti. Erano stracciate, macchiate e sporche, e solo lontanamente ricordavano l’abito che fino a due giorni prima indossava.
- Devo ammettere che hai ragione. Per fortuna due giorni fa non ero ancora andata a letto, altrimenti mi avrebbero portato via in vestaglia e camicia da notte come Usagi. - rise amaramente la giovane.
- Cos’è Usagi? - chiese una delle due ragazze, con lo stesso tono con cui un bambino curioso domanda spiegazioni su qualcosa che non conosce.
- Chi è, vorrai dire. - Si rendeva conto di dare troppa confidenza a quegli esseri, ma era troppo stanca per rimanere all’erta con chiunque. E poi non sembravano malvagie. - E’ la principessa della luna chiara. Ma ora non pensiamoci, lasciamola dormire ancora un po’. Forza, fatemi vedere se siete brave a vestirmi così come lo siete state per truccarmi.
Velocemente le due creature la spogliarono, la rinfrescarono e la ricoprirono con calde e morbide vesti, anche se lugubri e al primo momento quasi viscide, come incorporee. Finito con lei, senza nemmeno svegliarla tanto furono delicate, lavarono, truccarono e vestirono anche Usagi, che solo alla fine si svegliò lentamente, stiracchiandosi vistosamente.
- Oh, Luna, che strano sogno ho fatto. Pensa che tu eri umana, e mi chiamavi principessa. - sbadigliò senza aprire gli occhi la giovane, che aveva ora due codini così come era abituata a tenerli sulla Terra, ornati alle estremità di due fiocchetti neri di seta.
La fronte era adorna di una tiara con due falci di luna, una chiara rivolta verso l’alto, l’altra scura, con la gobba rivolta verso il basso e parzialmente sovrapposta a quella chiara. L’abito, simile a quello indossato da Luna, aveva uno stretto corpetto e un’ampia gonna a pieghe sostenuta da un’immensità di sottogonne vaporose e leggere. Ai piedi le ragazze portavano delle fini scarpe a punta, dall’aspetto di cristallo affumicato, dotate di un tacco non altissimo ma sottile. La giovane bionda aprì gli occhi, e impallidì.
- Sto ancora sognando? - chiese a se stessa, la voce tremula.
- Direi piuttosto un incubo. - Le rispose l’amica avvicinandosi e sedendosi sul letto accanto a lei. - I pochi momenti in cui eri sveglia nella cella farneticavi cose senza senso a proposito di città mai sentite e di gatte che avrebbero il mio nome.
Usagi scoppiò istericamente a piangere, il viso nascosto dalle mani.
- Mamoru, dove sei? Dove sei?! - iniziò a gridare, mentre le due creature d’ombra la guardavano curiose e senza capire.

 

- Si può sapere dove stiamo andando? - chiese per l’ennesima volta il giovane accarezzando nervosamente il cavallo che teneva per le briglie.
- Non lo so. - Rispose Ami. - Se l’incantatrice non ci avesse dato delle indicazioni così vaghe, forse lo sapremmo. Sicura di averci detto tutto, Minako?
La giovane dalla tunica gialla annuì convinta e sconsolata. Si fermò improvvisamente, come in ascolto, quindi si rivolse agli altri.
- Non avete sentito nulla?
- No. - fu la risposta all’unisono.
- Eppure… Come se fosse il nitrito di un cavallo, ma molto lontano.
Tutti si misero all’ascolto, ma nessuno, ad eccezione dell’incantatrice, sembrava sentire qualcosa.
- Eccolo di nuovo! Viene da quella parte! - Indicò un punto imprecisato a Sud-Est, dove si trovava uno dei tanti boschetti, anche se un po’ più grande degli altri. - Non so perché, ma mi sento di andare a controllare cosa succede.
Senza aspettare la risposta dei suoi amici, Minako iniziò a correre verso il gruppo di alberi, subito seguita dagli altri.
- Se qualcuno ci capisce qualcosa, me lo potrebbe spiegare? - disse Mako, ma come unica risposta ebbe una serie di teste scosse e sconsolate.
- Forse come incantatrice, ovvero essere in sintonia più di altri con la natura, Minako può avvertire cose che noi non possiamo - azzardò Ami.
- Ma non ero io lo spirito dei boschi in sintonia con la natura?
- Tu sei in sintonia solo con alberi e piante, oltre che con gli esseri della Terra, mica con tutto.
- Va bene, non ci sto capendo niente ma va bene lo stesso. Basta che si riesca a trovare Usagi in tempo…
Raggiunsero la loro amica, e insieme si avvicinarono al boschetto. A un centinaio di metri da esso anche gli altri iniziarono a udire qualcosa di indistinto, ma non dei nitriti, quanto dei grugniti e delle urla che fin troppo bene conoscevano.
- Ancora mostri. Ma in questo mondo non esiste altro? - sbuffò Rei, mentre i simboli sul suo vestito iniziavano ad illuminarsi, pronti all’ennesimo scontro.
Si avventurarono nel boschetto. Era poco illuminato, cosa che li rendeva ancora più inquieti di quanto già lo fossero. Lì i loro nemici erano molto più forti del solito. Non quanto di notte, ma quasi. Raggiunsero la fonte del trambusto in pochi minuti. In una piccola radura coperta comunque dalle fronde degli alberi si stavano fronteggiando cinque mostri, che potevano somigliare, anche se solo vagamente, ai lupi mannari delle leggende terrestri, e un unicorno bianco e alato.
- Cinque contro uno. Mi sembra uno scontro un po’ impari. - Gridò spavalda Makoto, preparandosi a lanciare sugli esseri una scarica di fulmini della sua tiara. - Perché non ve la prendete con qualcuno che sappia difendersi?
- Vuoi morire giovane, elementale? - Ringhiò uno dei mostri. - Vattene assieme ai tuoi amici, e noi faremo finta di non avervi visto… Abbiamo del lavoro molto più urgente da portare a termine.
- Mi spiace. - Sorrise Rei, facendosi avanti. - Questa radura ci sembra ospitale, per cui sarete costretti ad affrontarci, sempre che non decidiate di arrendervi spontaneamente. Cosa ne dite?
Per risposta, i mostri si avventarono su di loro con un lugubre ululato. Ami riuscì a congelarne uno mentre era ancora intento al salto, così che il corpo si ruppe in decine di pezzi toccando il terreno, con un suono simile al cristallo che cade. Rei e Minako scansarono agilmente l’attacco, preparandosi a fronteggiare i loro avversari, mentre Mamoru, estratta la spada, la usò di piatto per colpire il nemico, deviandolo da lui e mandandolo a masticare furente la corteccia del vicino albero. L’ultimo licantropo, esaurito il balzo poco lontano da Makoto, si avvicinò lentamente, osservando le mosse della giovane.
- Se utilizzo la tiara rischio di appiccare un incendio a tutto il boschetto solo per colpire questo coso… Potrei attaccarlo a mani nude, ma sembra molto più forte ed esperto di me. - Pensò la giovane, non perdendo di vista il suo assalitore, che si era avvicinato abbastanza da poter sentire il puzzo di morte che emanava. - E se tentassi di …
Non credendo affatto a quello che stava facendo, , ma seguendo quello che reputava essere il suo istinto di spirito elementale, Mako indietreggiò fino al più vicino albero fino a toccarlo, quindi, apparentemente senza sforzo, mise una mano nella corteccia come se stesse immergendo un arto nell’acqua. L’albero, la foresta stessa ebbe come un fremito, impercettibile per i giovani ma colto con facilità dai mostri, che si fermarono un secondo, annusando l’aria.
- Cosa stai facendo? - urlò Mamoru parando l’ennesima unghiata con la spada.
- Non lo so. E’ come se qualcosa mi dicesse di fare così…
- E’ l’istinto di sopravvivenza della vera elementale. Seguilo, vedrai che ti sarà sicuramente utile. - le disse Ami, iniziando a creare la nebbia necessaria affinché i mostri rimanessero isolati dalla volontà creatrice del loro signore.
- Se come dici devo seguire il mio istinto, vi conviene allontanarvi dai mostri, se non volete finire nei guai… - gridò Mako.
- Perché? - chiese Minako.
- Tu fallo e basta! - le intimò decisa Ami, mentre la bruma biancastra aveva ormai avvolto tutta la radura e parte del boschetto.
- Non c’è bisogno di arrabbiarsi. - brontolò l’incantatrice mentre con un colpo deciso della sua catena sbatteva il mostro che la attaccava addosso a quello che insidiava Rei, permettendo a entrambe di frapporre tra loro e i loro nemici almeno un paio di metri. Anche Mamoru si era allontanato abbastanza dal suo avversario.
- Let’s twist again… - scherzò ad alta voce la lignea giovane, sprofondando ancora più a fondo nel tronco dell’albero, così che solo il viso era visibile, macchia scura nella chiara corteccia.
Un sordo rumore proveniente dal terreno richiamò l’attenzione di tutti. All’improvviso, al di sotto di ogni mostro comparvero delle radici, che in un batter d’occhio avvinghiarono le caviglie di quelli impedendo loro di muoversi. Tutte le foglie del bosco iniziarono all’unisono a vibrare, come infinite ance di infiniti flauti. La vibrazione, all’inizio lieve e ipnotica, crebbe di volume fino a diventare un fragore incontenibile, che costrinse i giovani a tapparsi le orecchie con le mani e li fece cadere in ginocchio dal dolore. Anche gli altri esseri, ad eccezione di Makoto e dell’unicorno, sembravano colpiti dal rumore. La situazione si protrasse per quasi un minuto, quindi dalle fronde si staccarono centinaia di foglie che si avvicinarono ai mostri come dei piccoli uragani. Quelli tentarono di scappare, ma bloccati dalle radici che magicamente erano comparse dal terreno, dovettero subire i vortici delle piccole ma taglienti lame verdi, che li fecero in breve tempo cadere inermi al suolo. La vibrazione decrebbe, per sparire così come era comparsa, e con essa il dolore.
- Non farlo mai più! Hai capito? - Gridò furente Ami, tentando di non pensare al tremendo mal di testa che le era venuto. - Potevi ucciderci!
- Ma se lo hai detto tu di fidarmi del mio istinto di elementale… - replicò Mako, dispiaciuta di vedere i suoi amici doloranti, uscendo dal tronco con la stessa facilità con cui vi era entrata.
- Tu non farlo più lo stesso…
Mamoru si era rialzato, e anche se incespicando, si era avvicinato ai resti dei loro aggressori, che lentamente si stavano dissolvendo in nera polvere che veniva allontanata dalla brezza che spirava tra le piante. Stava inspirando lentamente per cancellare la vertigine che lo aveva assalito, imitato dalle altre ragazze, anch’esse in piedi, le mani alla testa per far cessare i tamburi battenti nelle loro menti. Solo allora Rei si ricordò del perché avevano ingaggiato la battaglia, e si voltò verso l’unicorno, il quale, quieto, li stava osservando con occhi fin troppo intelligenti per un animale. La ragazza si avvicinò a lui, notando che questi non era per nulla impaurito, anzi, stava seguendo i suoi movimenti con lo sguardo. Lo toccò, accarezzandogli il soffice e serico mantello bianco. Sembrò gradire non poco.
- Si può sapere perché, con delle così belle ali, non sei volato via quando ha visto quei mostri? - gli chiese Ami, avvicinandosi anch’essa e sfiorando le ali, fatte di grandi ed eburnee piume.
Per risposta l’essere si allontanò di alcuni passi e distese le ali, che superavano i tre metri di apertura.
- Sì, lo vedo che sono grandi… - ridacchiò Ami.
- Non credo che ti voglia far vedere che ha le ali grandi, quanto che non può volare… - la corresse Mamoru.
- E da cosa lo hai capito? - chiese stizzita la maga, che odiava essere contraddetta.
- Guarda l’ala destra. Vicino a dove si collega con il resto del corpo ha una zona senza piume, e se non sbaglio ha anche delle ferite.
In effetti, dove aveva indicato il giovane si poteva notare che le penne erano assenti o spezzate, e in più punti erano visibili dei taglietti o delle escoriazioni provocate molto recenti. Minako si avvicinò lentamente, e sfiorò gentile il punto scoperto. L’animale fremette di dolore e richiuse immediatamente le ali, spaventando l’incantatrice.
- Scusa, non era mia intenzione farti del male. - sussurrò la giovane passandogli la mano lungo la criniera. L’unicorno sembrò non volergliene.
- D’accordo, sei ferito. Possiamo far niente per aiutarti? - chiese Mako, stupita dell’intelligenza che mostrava l’animale.
L’essere nitrì con forza scuotendo la testa assentendo, e con i denti prese gentilmente il braccio di Makoto e iniziò a tirarla verso Sud.
- Secondo voi cosa sta facendo? - domandò, tra l’incredulo e il divertito, lo spirito dei boschi.
- Forse ha solo fame e tu sei la verdura più tenera che ha trovato! - Scherzò Minako ridacchiando. - E’ ovvio che vuole che noi lo si segua.
L’unicorno guidò il gruppetto fuori dal bosco e iniziò a incamminarsi verso Sud, così che si avvicinarono alla foresta che avevano visto circa mezza giornata prima. Alle sue spalle si estendeva una catena di alte cime, coperte dalle nuvole che stanche transitavano attorno alle vette. Piccole forme nere volteggiavano sotto e tra le nubi, compiendo larghi circoli.
- Aquile? - chiese Mamoru.
- Molto più probabile che siano avvoltoi… - Gli rispose Ami, consultando una stinta pergamena saltata fuori chissà da dove. - Qui c'è scritto che sono le Cime della morte.
- Avevi una mappa e non ce lo hai detto?! - esclamò stupita e un po’ offesa Rei.
- Non me lo avete mai chiesto. In ogni caso questa mappa è solo molto approssimativa, e riporta la zona in cui ci troviamo con una scala così grande da risultare inutile. - rispose serafica l’altra, rinfilandosi la mappa, arrotolata, in una delle due larghe maniche della sua veste.
- Beh, è sempre meglio che niente. Potevi comunque dircelo che… - Insistette Minako, subito zittita da uno sguardo raggelante della maga. - Va bene, non parlo più. - bofonchiò la giovane.
La sera li colse in un bosco che poteva considerarsi la propaggine settentrionale di una grossa foresta.
- Non sarebbe meglio accamparci e accendere un bel fuoco come ieri sera? - propose speranzosa e affamata Rei, pregustando il dolce tepore della fiamma e i manicaretti che Mako riusciva a preparare con quello che cresceva nei boschetti e con le provviste che avevano.
La proposta fu accolta con entusiasmo dal giovane e da Minako, ma non dagli altri due membri del gruppo, che nemmeno si degnarono di rispondere, anche se per motivi ben diversi. Infatti, Ami aveva liquidato la questione con un cenno deciso della mano, ma senza aprire bocca, mentre lo spirito dei boschi sembrava concentrato intensamente, come se tentasse di cogliere un sussurro tra le voci di una folla.
- La proposta sembra bocciata. - Concluse mogia l’incantatrice.
- Mi fermerei volentieri, ma a una mezz’ora da qui, se teniamo questo passo, c’è un laghetto dove potremo anche rinfrescarci. - si voltò Mako, rompendo un lungo silenzio.
- E come lo sai? - La incalzò Ami. - Sei già stata in questo luogo prima d’ora?
- Quante ci sei stata tu, cioè nessuna. Ma come a Sarel, a volte mi ricordo di cose che non dovrei sapere…
- A Sarel?
- Sì. E’ dove io e Mako ci siamo incontrate. Nel vicino boschetto si è ricordata di una fonte che però giurava di non aver mai visto prima. - le rammentò Rei, mentre accarezzava l’unicorno, che si era fermato come gli altri, e stava annusando l’aria come alla ricerca di qualcosa di particolare.
Ad un tratto sembrò averlo trovato, e senza preavviso, iniziò a galoppare tra le piante, abbandonando il gruppetto, stupito del suo comportamento.
- Presto, non dobbiamo perderlo! - Li esortò la maga. - Potrebbe sapere dove si trova la Foresta delle allucinazioni.
Iniziarono a correre, ma il terreno accidentato non permetteva loro un’andatura veloce. I rami impedivano a Mamoru di cavalcare, e il suolo sconnesso non sembrava l’ideale per le scarpe leggere delle ragazze, eccezion fatta per Mako, che sembrava trovarsi a suo agio.
- Io lo raggiungo, lo calmo e poi torno indietro per dirvi dove si trova. - propose l’elementale agli altri, che annuirono e rallentarono ansimando.
In meno di un minuto persero la loro amica di vista, ma nel giro di una mezz’ora fu di ritorno, appena ansimante.
- E’ al laghetto che vi dicevo. Molto probabilmente aveva sete e avrà sentito l’odore dell’acqua…
- Ci vuole molto per raggiungere il posto? E’ già abbastanza buio. - disse con un fondo di preoccupazione Minako.
- Questione di un quarto d’ora. - Sorrise Makoto. - Ah, no. Aspetta. Per voi umani ci vorrà almeno il triplo: siete così deboli. - c’era una punta di ironia nella sua voce.
- Voi umani? Siete deboli? - Le fece il verso sorpresa Rei. - Si può sapere cosa ti è preso?
- Oddio scusa, non volevo offendere. Non volevo dirlo, ma mi è sfuggito… deve essere lo spirito che ho sostituito.
- Vediamo di sbrigarci a trovare Usagi e a tornare a casa. Non vorrei che questo posto ci trasformasse in qualcosa che non siamo, a forza di starci. - concluse l’incantatrice.
Tutti annuirono e si incamminarono verso il laghetto, che, come aveva detto Mako, si trovava a poco meno di mezz’ora di cammino. Vi arrivarono quando ormai il sole era sparito totalmente a Ovest. Le due lune si specchiavano tranquille nella larga distesa di acqua, che era alimentata da un torrentello che allegro scorreva tra gli alberi e dopo essersi gettato nello specchio liquido, ne fuoriusciva all’altra estremità e di nuovo spariva nel bosco, alla probabile ricerca del fiume che il gruppo aveva attraversato il pomeriggio del giorno precedente.
- L’unicorno era da queste parti. - Disse Makoto, additando la riva sinistra del laghetto. Ma si vedeva solo buio. - Ora però non riesco a scorgerlo.
- Tranquilla. E’ da queste parti, lo sento… - la rassicurò Minako.
- Bene. Ora che sappiamo che non siamo soli, non si potrebbe accendere un fuocherello e mangiare qualcosa? - chiese speranzosa Rei.
- Perfettamente d’accordo. - Rispose Mamoru, dando una lieve pacca al fianco del cavallo, che si mosse tranquillo verso l’erba che cresceva attorno allo specchio d’acqua. - Chi cucina?
- Fammi indovinare! - Esclamò sardonico l’elementale di legno. - Se qualcuno riesce a pescare qualcosa, stasera evitiamo di mangiare bacche, pane secco e carne salata…
- Proviamoci… - Sospirò non convinto il giovane, cercando un legno adatto da fare da canna. - Anche se poi il problema sarà trovare un filo abbastanza fine.

 

Dopo circa un’ora di inutili tentativi di calmare la sua amica, Luna decise di ricorrere alle maniere forti.
- Usagi, ricordati che sei l’erede del re della luna chiara! - Le urlò adirata la giovane dai capelli neri. - Devi mantenere un certo contegno, sempre e comunque.
- Me ne frego di chi sono figlia… - Rispose piangendo l’altra, il trucco sfatto dalle lacrime che scendevano copiose. - Io voglio solo tornare a casa, dalle mie amiche e dal mio amore…
Una forma nera e nebbiosa iniziò a formarsi sulla sedia dove Luna era stata prima truccata, provocando lo sgomento delle due giovani e la genuflessione delle due eteree ancelle. La forma assunse velocemente consistenza fisica e i contorni ben definiti di un alto e robusto uomo, il volto celato dall’ampio cappuccio di un mantello, in testa una corona di metallo lucente e nero. Il locale sembrò di colpo più freddo di una decina di gradi, facendo accapponare la pelle a Usagi e all’amica.
- Tre giorni, solo tre insignificanti ma lunghissimi giorni, e l’unica casa sarà questa, l’unico amore che conoscerai sarò io… - ringhiò una voce cavernosa e crudele.
- Chi non muore si rivede, o sbaglio? - scherzò cattiva Luna, frapponendosi tra il nuovo arrivato e Usagi.
- Chi sei? Perché hai detto quelle cose? Questa non è la mia casa, e tu di sicuro non sei Mamoru…
L’essere rise, di una risata che sapeva di tomba e di lupi in caccia, e si alzò, mostrandosi in tutta la sua statura. Superava le giovani di almeno due spanne.
- Certo, questa non è la tua casa, ma sono gentile, e come hai visto, ti concedo di avere due ancelle personali e la tua dama di compagnia. Tu ordina, e se posso, tramite le mie creature esaudirò i tuoi desideri.
- Perché allora non ci fai liberare e non te ne ritorni in quella lugubre terra che è il tuo regno? - lo insultò Luna, guardandolo fisso in mezzo alla tenebra che era la sua faccia.
Un ringhio sordo sembrò la risposta. Dal mantello emerse un artiglio di nebbia scura, e con mossa lenta, le dita si chiusero a pugno. Il vestito che la giovane indossava si animò, come un animale improvvisamente liberato da una lunga prigionia, e iniziò a estroflettere bande di tessuto nero e viola che avvolsero e costrinsero l’intero corpo della giovane, che cadde a terra. Usagi tentò di aiutarla, ma fu bloccata dalla presa, gentile ma decisa, delle due ancelle che avevano assistito a tutta la scena.
- Ritira quello che ai detto e implora il mio perdono… Forse potrai vivere.
- Scordatelo. - Ansimò Luna. - Preferisco morire libera che vivere come tua schiava…
L’essere strinse ancora di più il pugno, e così fecero le fasce del vestito.
- Basta, smettila. - Esclamò la bionda ragazza strattonando le due creature che la tenevano, liberandosi così dalla loro presa. - Ti ho detto basta!
- E perché dovrei farlo?
- Io…io ti imp…
- Usagi non farlo! - Rantolò la sua amica, sempre tentando di divincolarsi dal mortale abbraccio del suo vestito. - Non ne valgo la pena!
- Io ti imploro di lasciarla libera…
L’artiglio si aprì, mentre il vestito tornava ciò che era prima, salvando Luna da una sicura morte.
- Vedi come è semplice implorare, serva? - Ironizzò il re della luna nera. - Se vi è riuscita anche la tua padrona, perché non dovresti riuscirci tu? Comunque vedo che non sembrate gradire le cortesie che io, come qualsiasi gentile ospite, vi ho riservato. Che siate trattate allora come le prigioniere che siete, e che sarete per altri tre giorni…
- E dopo? - sussurrò sprezzante la giovane dai lunghi capelli neri.
- La principessa della luna chiara diventerà la mia sposa, mentre tu… beh, spero che i mie cani ti trovino saporita.
Svanì velocemente così come era comparso, lasciando un odore di morte in tutta la stanza.
- Adesso cosa ci succederà? - chiese apprensiva Usagi alle due creature oscure.
- Ci spiace… - risposero, come due gemelle siamesi, gli esseri, svanendo come fumo disperso dal vento.
Le due ragazze si ritrovarono nuovamente sole, non sapendo dove fossero o cosa poter fare per poter uscire da quella situazione. Luna tentò di forzare la porta di ingresso, ma scoprì con orrore che non aveva né serrature né maniglie. Sembrava finta. Effettivamente, tutto ciò che vedevano non era vero: la mobilia, i muri, anche i loro vestiti erano solo il frutto della mente creatrice del re della luna nera, materializzazioni della sua cattiveria, reali finché non erano esposte alla luce. Ma doveva esserci qualcosa di reale oltre a quella finta porta. Neppure il re della luna nera poteva costruire dal nulla una stanza o altro di così complicato senza una base fisica. Sentirono dei rumori provenire dall’esterno, rumori di unghie che grattano sulla pietra e di armi che cozzano contro armature. Nemmeno mezzo minuto dopo la porta si aprì, mostrando l’origine dei suoni. Davanti a loro si stagliavano quattro colossi rivestiti di una nera armatura che li ricopriva dalla testa ai piedi, impedendo di scorgere chi e se vi fosse qualcuno all’interno. Portavano alla cintura delle lunghe sciabole, e al braccio uno scudo rettangolare con i simboli del Caos. Si posero ai lati della porta, permettendo alle due ragazze di scorgere che vi era una quinta figura, indossante la stessa armatura. Questa era però differente dalle altre, poiché era più bassa delle due giovani, più esile, e al contrario degli altri esseri, non aveva scudo, ma in mano aveva una lunga arma a forma di falce. Avanzò, facendo ondeggiare il mantello viola che le copriva le spalle, fino ad entrare nella stanza e a trovarsi di fronte alle due giovani.
- Siete pregate di seguirci. - ordinò chi era all’interno dell’armatura. La voce era di una bambina, sebbene il tono era di chi aveva una lunga esperienza della vita e della morte, soprattutto altrui.
- Altrimenti? - chiese Luna, ponendo i pugni chiusi ai fianchi.
Ci fu un attimo di silenzio. Niente e nessuno si mosse.
- Tu muori, lei viene con noi comunque. - Rispose senza espressione quello che sembrava il capo dei guerrieri. - Sta a te decidere se morire ora o fra tre giorni…
- Vengo con voi solo perché sono ansiosa di scoprire dove ci volete portare. - concluse la giovane incamminandosi davanti alla sconosciuta.
La lama della sua arma si pose davanti a lei, bloccandone il cammino.
- Prima la principessa.
Lo strano corteo si incamminò lungo bui e umidi corridoi e scale. In testa la strana figura del capo delle guardie, quindi la principessa, due guardie, Luna, le altre due guardie. Camminarono per parecchio tempo, facendo perdere il senso dell’orientamento sia a Usagi che alla sua amica, ma permettendole di capire che si trovavano nelle rovine del castello della luna nera. Luna lo conosceva bene, avendone visto dei disegni negli annali di storia antica e avendolo studiato per quanto le era possibile. L’idea di un essere che poteva creare con il pensiero l’aveva sempre intrigata e sconvolta, ma non avrebbe mai immaginato che trovarglisi davanti facesse solo… ribrezzo.
- Siamo nel suo castello. - Pensò. - A questo punto l’unica maniera che hanno i nostri soccorritori di raggiungerci è passare per la Foresta delle allucinazioni… Speriamo che il principe delle due lune sia abbastanza scaltro da trovare chi può farlo giungere fino a qui.
Sospirò, incerta sul suo futuro e su quello della sua amica. Quasi cinque minuti più tardi, cinque minuti di salita ininterrotta su viscidi scalini, il corteo si arrestò davanti a una pesante porta lignea.
- La visita guidata al castello è finita? - chiese ironica Luna.
- Tutt’altro. La vostra residenza nella dimora del mio signore è appena iniziata… - replicò il capo delle guardie aprendo la pesante porta e invitando, molto poco finemente, le due ragazze ad entrare.
Appena esse furono oltre la porta, questa si richiuse e fu sonoramente sprangata con un catenaccio. Dalla piccola apertura all’altezza degli occhi, chiusa da sbarre di arrugginito metallo, fece capolino l’elmo di uno dei guerrieri.
- Godetevi il soggiorno. Se avete bisogno di qualcosa, chiedete pure alla nostra padrona. State certi che farà di tutto per non accontentarvi. - le schernì, ridendo grassamente, quindi se ne andò.
- Era meglio l’altra stanza. - tentò di scherzare Usagi, dando un’occhiata al locale in cui si trovavano.
Un quadrato di nuda roccia, di circa quattro metri di lato, alto a malapena due metri, arredato con due sedie, un tavolo che si reggeva in piedi grazie a chissà quale miracolo, e due letti di paglia con ognuno una coperta di lana grezza.
- Si, decisamente qui l’arredatore non si è sprecato molto.
Riuscirono a ridere, per pochi secondi e amaramente, ma risero.
- La volete smettere, li dentro. - Gridò il capo delle guardie, facendo capire che si trovava a lato della porta della cella dove erano state rinchiuse. - Siete delle prigioniere, se non ve ne siete accorte…
- Anche tu, se non te ne sei accorta, dovresti essere una bambina, e giocare felice nei prati al sole, e non indossare una pesante armatura e imbracciare armi pericolose. - rispose Usagi, a cui stava venendo un orribile dubbio sull’identità della loro carceriera. - O vuoi negare di essere giovane per combattere?
- Tu pretendi forse di conoscere quanti anni ha la Morte, principessa? - Ribatté con un tono da far gelare il sangue nelle vene la guerriera. - Credi di essere così superiore da poterle dire che è troppo giovane per combattere?
La bionda ragazza non osò rispondere, ma i suoi dubbi erano confermati. Così come in quello strano mondo erano finiti lei e Mamoru, vi era finita anche Hotaru, anche se non si ricordava di essere chi avrebbe dovuto essere.
- Come posso farle tornare la memoria? - pensò ad alta voce Usagi.
- Far tornare la memoria a chi? - le chiese incalzante l’altra.
- Oh, Luna, ma perché non vuoi ricordare che tu sei una gatta, e che tutto questo è solo un grande incubo?!
- Perché mai dovrei ricordare di essere una gatta con una luna sulla fronte? - gridò isterica.
Si bloccò.
- Perché ho detto di avere una luna sulla fronte?
- Perché tu, nel mio mondo, sei una gatta con una voglia di luna sulla fronte. È quella luna che ti permette di parlare. E io non ti ho mai detto che l’avevi.
- No, no. Non iniziare a confondermi le idee. Le ho già abbastanza confuse per conto mio. - Sbuffò. - Perché quando Artemis mi serve non c’è mai? E chi è Artemis?
- Vedi che inizi a ricordare? Forza insisti. - esclamò felice Usagi. Forse riusciva a ritrovare un’amica i cui saggi consigli potevano esserle d’aiuto per sbloccare anche la mente di Hotaru.
- Mi sta venendo un mal di testa incredibile… E’ come se qualcuno stesse tentando di entrare nella mia testa e io facessi di tutto per impedirglielo. - Luna si era presa la testa fra le mani, la voce tremante per il dolore. - Eppure, perché mi sembra così sbagliato impedirle di entrare?
Urlò. Così forte da spaventare l’amica, così forte da far affacciare il capo delle guardie allo spioncino, anche solo per un istante. Luna cadde a terra svenuta. Usagi la soccorse immediatamente, poggiandole la testa sulle ginocchia e accarezzandole la fronte gentilmente. Dopo qualche minuto l’altra riprese conoscenza.
- Usagi, dove siamo? - Chiese come al risveglio da un brutto sogno. - E perché non mi sento la coda?
La giovane la strinse a sé più forte che poteva, mentre una lacrima scendeva a bagnare la spalla di Luna, che non capiva assolutamente cosa stesse succedendo.

 

Gli sforzi di Mamoru per pescare si rivelarono tanto futili quanto divertenti, quasi da far dimenticare al gruppetto la situazione in cui si trovavano, anche se solo per un breve tempo. Dopo una veloce quanto frugale cena a base di carne salata, pane ormai raffermo e bacche varie che Mako riusciva a trovare quasi magicamente in tutti i boschetti, si ritrovarono stanchi attorno a un tremolante fuoco, pallidamente riflesso dalla superficie del laghetto, increspato da leggerissime onde provocate dalla fresca brezza che spirava da Sud.
- Se non fosse per la situazione incredibile in cui ci troviamo - Spezzò timidamente il silenzio Minako. - si potrebbe pensare che stiamo facendo un picnic sotto Carnevale…
Mamoru fece un debole sorriso.
- E’ vero. Questo laghetto mi ricorda tanto il laghetto in montagna dove io e Usagi abbiamo… - le parole gli morirono di tristezza in gola.
- Abbiamo cosa? - lo imbeccò Ami, a cui prontamente Makoto rifilò una gomitata ad un fianco.
- Secondo te, essendo fidanzati, cosa possono aver fatto loro due? - le sibilò sottovoce.
- E cosa ne so? Mai avuto un fidanzato. - rispose tranquilla la maga, sempre a bassa voce.
- Abbiamo passato una delle più belle giornate della mia vita. C’eravamo solo noi, il sole era caldo e le montagne verso sera avevano assunto un colore dall’azzurro al viola che lasciava senza fiato.
Rei gli accarezzò una spalla.
- Lo dici come se tu non possa passare più altre giornate così con la “testolina buffa”… Dobbiamo solo salvarla. E abbiamo ancora tre giorni di tempo per riuscirci.
- Facciamo due. Ormai fino a domani mattina non possiamo fare più niente. - esclamò laconica Ami, immediatamente guardata male da tutte le altre ragazze.
Il giovane sospirò.
- Ha ragione. Abbiamo due giorni di tempo, ma ce la faremo.
Tutti assentirono con il capo, e nel giro di un’ora si erano addormentati profondamente, stanche della giornata e incuranti di dove fosse finito l’unicorno alto o dei pericoli che potevano capitare se il fuoco si fosse spento durante la notte, cosa che avevano evitato le altre sere facendo la guardia a turno.
La mattina giunse inaspettata, svegliando Mamoru con una sgradevole sensazione di freddo alla gola. Aprì lentamente gli occhi, e si vide davanti il muso di un’aquila, o qualcosa del genere, che lo stava guardando con due grandi e spenti occhi neri. La sensazione era data da una lama di acciaio ricurva, una specie di scimitarra che lo strano essere stava impugnando.
- Non ti muovere, o finisci male. - lo minacciò la creatura, con una voce cavernosa, senza che il becco si fosse aperto.
Gli era ormai ovvio, essendosi completamente svegliato, che chi lo guardava era solo un uomo mascherato.
- Posso almeno alzarmi?
- Con calma. E non sperare di chiedere aiuto ai tuoi compari, li ho già sistemati.
Il giovane si voltò a guardare dove avrebbero dovuto essere le sue amiche, ma vide solo una serie di coperte vuote. Iniziò a preoccuparsi.
- Cosa ne hai fatto? - urlò, più arrabbiato che spaventato.
- Diciamo che sono in compagnia di una mia amica. Forse staranno all’umido, ma sono vive. Per adesso… - concluse cattivo. La sua voce gli era stranamente famigliare. Eppure non riusciva a visualizzare la faccia del possessore.
- Forza, alzati. Vediamo se sei capace di prendertela con qualcuno in grado di difendersi, oltre che con degli indifesi esseri. - lo schernì lo sconosciuto.
- Come degli indifesi esseri? - Si stupì lui. - I mostri che per giorni ho combattuto tu li chiami indifesi?
Un nitrito giunse in lontananza, quasi un richiamo.
- Questo lo definisci il verso di un mostro, eh, servo del re della luna nera? - continuò a schernirlo l’uomo, di cui Mamoru iniziava a sospettare la vera identità.
- Calmiamoci un attimo. - Sospirò alzando le braccia mostrando di non voler estrarre la spada che aveva al fianco. - Io parlo dei mostri del re della luna nera, e in particolare quelli che ieri pomeriggio hanno attaccato un bellissimo unicorno alato. Noi, ovvero le mie amiche e io lo abbiamo aiutato, e lui ci ha, come dire, guidato a questo laghetto. Lo abbiamo perso di vista ieri sera, ma non era poi ferito così gravemente se si è allontanato dal laghetto così alla svelta e con quell’ala quasi rovinata. Tu di che mostri parli?
- Non siete voi quelli che hanno ferito il nostro amico? - iniziò a vacillare l’aggressore, abbassando la scimitarra.
- Certo che no. Se è come penso lo abbiamo salvato, non attaccato, il vostro amico…
- Eppure. La tua armatura, la presenza della maga della Torre di nebbia… - il mascherato interlocutore sembrava pensare ad alta voce, completamente incurante di Mamoru.
- La mia armatura è quella del principe delle due lune, e non quella del re della luna nera, e la maga della Torre di nebbia non è esattamente quella che credi tu, così come le altre mie amiche. Credimi, nessuno di noi è esattamente chi dovrebbe essere, o chi crede di essere. Non è vero, Haruka?
- E chi sarebbe questa Haruka? - chiese seccato l’altro.
- Tu. Se non erro, sotto quella maschera da uccello rapace c’è il volto di una ragazza, anche se si comporta sempre da maschiaccio.
Lo sconosciuto si levò la maschera strappandosela letteralmente via dal viso. Come aveva supposto Mamoru, aveva di fronte una giovane perfettamente identica a quella che sulla Terra era Sailor Uranus. Si ravvivò i capelli con la mano guantata di pelle leggerissima e rinfoderò l’arma in una preziosa guaina intessuta in argento o un altro metallo della stessa lucentezza.
- Anche se non mi ricordo di te, a quanto pare tu ti ricordi bene di me, anche se non nel mio nome. Principe delle due lune, cosa ti spinge vicino alla Foresta dei folletti?
- Sto cercando due poteri. Mi servono per salvare Usagi… la principessa della luna chiara.
- Che tipo di poteri? - domandò sospettosa . - E cosa centra la principessa della luna chiara?
- E’ stata rapita dal re della luna nera, e mi hanno assicurato che si trova in un luogo raggiungibile solo dalla Foresta delle allucinazioni. Ma mi hanno anche detto che solo con l’aiuto di quattro poteri posso arrivare alla foresta. Con me ci sono il Fuoco e la Terra, ma devo trovare ancora l’Aria e l’Acqua, e ho solo due giorni per riuscirci.
Haruka sembrò pensarci su per quasi un minuto, un minuto rotto solo dall’acqua che si rompeva sul bordo del laghetto e dal rumore di fondo della foresta che stava loro attorno.
- Io so dove puoi trovare questi due poteri, ma te lo dirò a una sola condizione…
- Dilla, e io farò tutto ciò che devo! - esclamò quasi fuori di sé dalla gioia il giovane, facendosi avanti.
- Devi sconfiggermi in combattimento. Se vinco io, avrò la tua vita. Se vinci tu avrai la mia vita dopo che ti avrò detto dove si trovano l’Aria e l’Acqua.
Mamoru non avrebbe mai pensato una cosa del genere. Possibile che Haruka volesse davvero ucciderlo solo per vedere se era più forte di lui? eppure doveva ricordarsi che lei non era Haruka, ma solo un essere che le assomigliava come una goccia d’acqua. Se avesse potuto trovare il modo di risvegliare la sua amica che certamente dormiva all’interno di quella giovane, le cose sarebbero state molto più facili, ma aveva il presentimento che non sarebbe stato relativamente facile come quando dovettero svegliare Minako nel corpo dell’incantatrice. Se l’Haruka di quel mondo aveva solo la metà della forza d’animo di quella della Terra, non avrebbe potuto far niente se non…
- Accetto la sfida. Dove combatteremo?
Haruka si guardò attorno, quindi fece spallucce.
- Qui ti va bene? - domandò tranquilla.
- Prima iniziamo, prima finirà il combattimento. Ma voglio una cosa, prima di iniziare. Libera i miei amici. E’ una faccenda personale fra me e te, loro non c’entrano.
- Come vuoi. - disse indifferente l’altra.
Si voltò verso il laghetto.
- Entrenal, muoviti, porta su quelle che hai li con te! - urlò a gran voce verso il laghetto.
Lo specchio d’acqua sembrò ribollire, quindi dal centro di esso emersero le figure, ben sveglie e asciutte, delle amiche di Mamoru. Erano sospese nell’aria grazie a delle piattaforme di acqua solida, che velocemente le trasportò sulla riva, per poi sparire in uno spruzzo. Accanto alle ragazze, appena dentro il laghetto, si formò, sorgendo da esso, una forma evanescente, che prese velocemente le sembianze di una ragazza. Benché fosse difficile distinguere i lineamenti in quanto formata di liquido, il giovane riconobbe un’altra sua amica.
- Michiru! - gridò sorpreso, rimanendo quindi a bocca aperta. Ormai non mancava nessuno all’appello.
- Ciao Mamoru. - Salutò lei. - Sai che non stai affatto male con i capelli lunghi… però ti preferisco con lo smoking e il cilindro. L’armatura ti ingoffisce.
- Mi riconosci? - chiese stupito il ragazzo, che non capiva come mai lei si ricordasse di lui mentre l’altra ragazza no.
- Certo che ti riconosco, anche se devo ammettere che se loro - Indicò le giovani davanti a lei. - non mi avessero aiutato a tornare in me, o meglio, a mettermi d’accordo con lo spirito che governa questo corpo, se tale lo vogliamo chiamare, avrei problemi ben maggiori per sapere chi sei.
- Entrenal, si può sapere cosa stai dicendo? Lo conosci?
- Non lo conosce la tua amica, di cui hai appena detto il nome, ma io si.
Haruka guardò furente le ragazze, e soprattutto Ami. Sfoderò l’arma e si avvicinò di un passo alla maga.
- Tu. - Mormorò. - Tu le hai fatto qualche strano scherzo, ma una volta morta, non risentirà più dei tuoi malefici influssi.
- Guarda che io non ho fatto proprio nulla. - Si difese stizzita Ami. - Se la tua amica si ricorda chi è e tu no, non c’entro niente io. Basterebbe che tu ti sforzassi di capire che dentro di te c’è un’altra persona, qualcuno che vuole uscire ma che non può perché tu glielo impedisci, e tutto sarebbe più facile, per noi e per te.
- Sei tu quindi la causa degli incubi che mi perseguitano da giorni, e che perseguitano Entrenal. Ma adesso che ti avrò ucciso…
Si avventò sul gruppetto di ragazze, ma fu bloccata da Mamoru.
- Il nostro duello. Usagi non aspetta. - disse asciutto il giovane.
Lo sguardo era duro, convinto del passo che stava per fare. O uccideva un’amica, o sarebbe stato ucciso da lei.
- Come vuoi. Alla maga penserò dopo aver ammazzato te.
I due si fronteggiarono, le armi in pugno. Il ragazzo osservò la sua avversaria. Tranne la testa, tutto il resto del corpo era coperto da un ampio mantello da cui fuoriuscivano esclusivamente le braccia e si intravedeva il fodero della spada. Dietro le spalle c’era come un rigonfiamento, una specie di gobba che Mamoru attribuì ad uno zaino o ad un sacco. Ai piedi un paio di leggeri stivali in pelle, decisamente inadatti alla camminata in un bosco o anche solo su una strada che non fosse perfettamente curata. Gli parve che c’era qualcosa che non quadrava.
Haruka si lanciò verso di lui, costringendolo a parare un colpo dato con forza tremenda. La lama della sua spada stridette contro il metallo della scimitarra, emettendo un rumore come di un animale ferito. L’arma della ragazza sembrò risplendere per alcuni istanti di una luce azzurrastra, cosa che stupì entrambi.
- Arma incantata malvagiamente. Complimenti, principe delle due lune, potere tremendo, quello che maneggi. Ma sei in grado di gestirlo senza rimanerne soggiogato? - Chiese ironica. - Rischi di divenire peggio di ciò che combatti.
Tornò all’attacco, e così continuò per molte volte, obbligando l’altro a parare e non dando il tempo di contrattaccare. Le altre non osavano intervenire, ben consce che una loro intromissione non avrebbe risolto nulla, ma continuarono comunque a pensare una possibile soluzione che non portasse alla morte di uno dei due. Dopo quasi dieci minuti di continui scontri, la situazione sembrava di stallo. Infatti, se Mamoru non riusciva, e in fondo al cuore neppure voleva, ferirla o ucciderla, Haruka non era in grado di superare le difese date dall’armatura e dalla lama del giovane. L’ennesimo assalto, particolarmente forte, costrinse il ragazzo a cadere in ginocchio dalla stanchezza, poggiandosi sulla spada, che si conficcò leggermente nel terreno. Avvenne qualcosa che nessuno, apparentemente, si aspettava. L’elsa iniziò a pulsare, come un cuore che pompa vigorosamente, e dal punto dove la lama toccava il suolo iniziarono a crescere tralci spinosi di rose, che si diressero verso Haruka ad una velocità impressionante.
- Non ha più speranza… - Dichiarò lapidaria Ami. - Le rose vampiro non perdonano. Se ti toccano, sei finito. Ciò che Mamoru ha inavvertitamente fatto gli permetterà di vincere senza quasi sforzo.
- Ma di che cosa stai parlando? - chiese Mako, che percepiva un potere distruttivo in quelle strane piante che superava di decine di volte quello dei tralci che la spada formava attorno alle vittime che normalmente trafiggeva. Vi era come una punta di vita, seppure deforme e malvagia, in quei rami…
- L’elsa che ho sostituito ha in sé il potere dei vampiri di anime, e tale potere si manifesta in varie forme, a seconda di come viene adoperata l’arma. Il principe delle due lune, senza saperlo, ha attivato una forma molto più forte di quella che gli permette di combattere contro i mostri del re della luna nera.
I tralci erano ormai a un passo dai piedi della ragazza, che senza spaventarsi lasciò cadere il mantello e rivelò ciò che Mamoru credeva uno zaino. Sotto il mantello la giovane nascondeva, ripiegate, un paio di splendide ali piumate, di colore bronzeo, che le permisero di frapporre in un istante, tra lei e le spine che volevano ghermirla, almeno un paio di metri di aria.
- Interessante. Credo che abbiamo trovato il terzo elemento, ovvero l’Aria. - Disse, per niente stupita, come lo erano invece le altre sue compagne, la maga. - Amiche, ho il piacere di mostrarvi una guerriera dei venti. Essere leggendario, ma a quanto pare tutte le leggende hanno un fondo di verità.
Haruka guardò con occhi pieni d’odio il giovane, mentre le sue ali, che si protendevano nel vuoto partendo da dietro la schiena, poco sotto le breccia, colpivano lentamente l’aria per mantenerla in volo.
- A quanto pare ti sei ridotto a usare i trucchi più sporchi che conosci. Per essere uno che vuole combattere il re della luna nera, utilizzi dei metodi che lo fanno sembrare quasi un benefattore dell’umanità.
Mamoru era stupito più di tutti gli altri della reazione che la sua arma aveva avuto. Si voltò verso Ami.
- Si può sapere cosa è successo alla mia spada? - le chiese spaventato e leggermente alterato. Se doveva battere qualcuno, almeno doveva farlo lealmente.
- Perché, cosa ti aspettavi da una spada con in sé il potere dei vampiri?
- Io niente, mi sarei anche accontentato di una normalissima arma, ma sono stato felice di utilizzare quegli strani poteri contro i mostri di chi tiene prigioniera Usagi, ma mai li vorrò osare contro qualcuno che considero un amico…
- Le discussioni le farete all’inferno, dopo che vi ci avrò spedito! - urlò Haruka, gettandosi verso il giovane, sempre in volo.
Questi la scansò all’ultimo momento, rotolando poco lontano e tentando di rialzarsi, mentre la sua avversaria tornava all’attacco. Improvvisamente si udì un nitrito, e ricomparve l’unicorno che era scomparso la sera precedente. Volava veloce sopra le loro teste, le ali spiegate a sostenerlo, una grazia innaturale che catturava l’attenzione.
- Ferma! Non è stato lui a ferirlo! - gridò una vocina apparentemente dal nulla.
- Questo lo so anche io! - Rispose Haruka. - Ma vuole sapere dove si trova la Foresta delle allucinazioni, e gli ho promesso di dirglielo se mi sconfigge in combattimento.
L’animale era atterrato poco lontano dal laghetto, e dalla sua criniera si era levata una figura piccola, grande poco più di una farfalla, che velocemente raggiunse la spalla di Mamoru, che nel frattempo, approfittando dell’esitazione che la ragazza aveva avuto vedendo l’essere arrivare, si era rialzato. La strana figurina si posò delicatamente sullo spallaccio dell’armatura del giovane, accavallando le gambe. A Mamoru balzò il cuore in gola: quel piccolo essere era Chibiusa!
- Sei identica a Chibiusa! - esclamò esterrefatto.
- Si lo so! - Ribatté tranquilla lei. - In questi giorni ho avuto modo di parlare molto con quella graziosa ragazza che continuava a far capolino nei miei sogni. All’inizio la temevo, ma abbiamo scoperto molte cose in comune, io e lei, per cui siamo diventate amiche. Se non sbaglio, tu dovresti essere Mamoru.
- S…sì, piacere. - Balbettò il giovane. - Scusa se te lo chiedo, ma tu che cosa saresti?
Chibiusa, o l’essere che così tanto le assomigliava, sbatté velocemente le due piccole ali da farfalla iridescenti che aveva sulla schiena e rise, con una risata che pareva dei campanelli d’argento.
- Secondo te, in un luogo chiamato la Foresta delle fate, cosa potrei essere?
- Una fata?! - osò rispondere stupita Makoto.
- Esatto, elementale del legno, o dovrei chiamarti Makoto? E tu sei Ami, e tu Rei, e tu Minako… oh, senza dimenticare Michiru e tu, anche se non lo vuoi ammettere, hai dentro di te una ragazza che si chiama Haruka, che ti assomiglia più di quanto tu non possa immaginare, da quello che mi ha detto quella dolce bambina.
- Ma si può sapere di che cosa state parlando? - Chiese esasperata la guerriera dei venti, iniziando a scendere a terra, ma senza rinfoderare l’arma. - Tu da che parte stai? Dalla mia o contro di me?
- Esattamente come Haruka! - Rise Michiru, facendo brillare il suo acqueo corpo al sole che stava alzandosi sempre di più sulla radura attorno al laghetto. - Per lei esistono solo il bianco e il nero, mai il grigio. Testona, lo capisci che per un motivo a noi tutti sconosciuto, ognuno dei corpi che vedi è stato messo a disposizione dell’anima di una altro essere vivente, per fare qualcosa che solo quegli esseri sono in grado di portare a termine…
- Insomma sono rimasta sola? - mormorò atterrando e mettendo via la scimitarra.
Mamoru si avvicinò a lei, abbandonando la spada a terra. Le prese gentilmente la mano, mentre Chibiusa le volava attorno, per quindi posarsi sulla sua spalla destra.
- Non ti diciamo di abbandonare il tuo corpo a qualcuno che non conosci. Parla con la nostra amica così come ha fatto la fata che ti siede sulla spalla. Cercala dentro di te, sono sicuro che ti sta aspettando. Parlale, e prendi una decisione. Io, noi tutti la rispetteremo, qualunque essa sia. - le disse il giovane, stringendole la mano.
Lei lo guardò negli occhi. Al ragazzo parve di essere scrutato da qualcosa che poteva leggergli il cuore più in profondità di chiunque. La guerriera dei venti annuì.
- Dici il vero, principe delle due lune, e ti credo quando hai detto che non volevi usare quell’orribile potere su di me. D’accordo, farò un tentativo, ma da sola, a casa mia.
Senza aspettare una risposta, si alzò in volo, e con la grazia di un aquila, sparì in alto nel cielo, perdendosi nel disco abbagliante del sole.
- Quando si alza così in alto, solo un falco o un altro guerriero dei venti la potrebbe raggiungere. Quella è la sua vera casa. - dichiarò Michiru, evidentemente sfruttando le conoscenze del vero elementale dell’acqua di cui aveva ora il corpo e i poteri.
Passarono i minuti, che divennero ore, riempite dalle spiegazioni che le ragazze diedero a Michiru, che rappresentava il potere dell’Acqua, su come si fossero incontrate e di ciò che era successo nei giorni precedenti. Ami le diede un piccolo amuleto a forma di specchio finemente lavorato, sicuramente prezioso, dicendole che con esso lei avrebbe potuto, finché lo portava al collo, usufruire di tutti i poteri che la sua attuale condizione le forniva senza la limitazione di essere a stretto contatto dell’acqua. Infatti, con quell’amuleto, Michiru compì i primi passi sulla terra ferma, cosa che le riuscì solo dopo parecchi tentativi e cadute, dato che come elementale non aveva mai avuto la necessità di gambe, e quindi doveva imparare a camminare come i bambini piccoli. In circa una mezzora imparò, e anche se incerta, iniziò a girovagare attorno al laghetto e nei dintorni della radura, fino a quel momento tutto il mondo che l’essere liquido conosceva.
Un fischio sottile ma penetrante annunciò il ritorno della guerriera dei venti, che ricomparve prima come una piccola macchia nera nel cielo, ma che velocemente si ingrandì fino a diventare la ben conosciuta figura di Haruka. Dolcemente atterrò sull’erba della radura, ripiegò le bronzee ali dietro la schiena e si risistemò il mantello che solitamente le copriva. Lentamente si guardò attorno, soffermando lo sguardo su ognuno dei presenti. Chibiusa stava volando, come un’ape in un campo di fiori, da una ragazza all’altra, osservandole curiose, tirando loro i capelli o colpendo l’armatura di Mako, apparentemente indifferente a ciò che stava succedendo.
- Ho parlato con la vostra amica. - Si fermò, quasi a raccogliere i pensieri. - E’ una persona testarda, decisa, coraggiosa. Mi ha detto quanto tu tieni alla tua Usagi, e di quanto le vogliate bene voi altre. Mi ha raccontato di ciò che siete nel vostro mondo, e di ciò che tu e Usagi farete nel futuro… Vi aiuterò.
Tutti scoppiarono in un urlo di gioia.
- Ma sia chiaro. Lo faccio solo perché voi mi state meno antipatici di quanto non mi stia il re della luna nera…
- D’accordo, d’accordo… - ridacchiò Mamoru, sollevato dall’idea di non dover più ferire una sua amica e di aver ormai tutti gli elementi necessari a poter ritrovare Usagi.
- Va bene, ora che abbiamo trovato tutti e quattro i poteri, potremmo partire per la Foresta delle allucinazioni? - disse impaziente Ami, con una punta di noia nella voce.
- Certamente, sempre che qualcuno sappia come si fa… - le rispose Michiru.
- Pensavo che voi sapeste come raggiungerla.
- Ma se sei tu la maga! - Sbottò Haruka. - Sei tu l’esperta in trucchi e cose strane.
- Beh, pensavo che bastasse riunire i quattro poteri e…
- E che cosa? - domandò alterato Mamoru. - Ami, la maga non sa come raggiungere Usagi?
Ci fu un lungo silenzio che rispose alla domanda più di mille spiegazioni. Il giovane sbuffò e alzò arrabbiato le braccia al cielo. La maga, al contrario, abbassò lo sguardo e iniziò a mormorare scuse timide. Mamoru si fermò davanti al laghetto e gettò un sasso nell’acqua.
- Ma si può sapere perché nulla è mai facile a questo mondo, qualunque esso sia?
- Se fosse tutto facile, che gusto ci sarebbe? - gli rispose una vocina gentile in prossimità dell’orecchio.
- Chibiusa, o come ti chiami in questo mondo, io sto per perdere ciò che rende la mia vita degna di essere chiamata tale, e per una volta mi piacerebbe riuscire a fare qualcosa senza troppe difficoltà…
Sospirò, mentre la giovane fatina riprese il volo e si posizionò davanti al suo volto, sbattendo le ali come una farfalla vicino ad un fiore.
- Mi sei simpatico, e mi è simpatica la bambina che mi ha parlato, per cui voglio aiutarti.
- E come? - chiese triste il ragazzo.
- Avvertendoti che tutto ciò che credi certo non lo è per niente, e che nulla è ciò che dovrebbe essere anche se lo è. - Sorrise, accarezzandogli la guancia. - Per la foresta delle Allucinazioni dovete semplicemente dimostrare di essere amici, tutti assieme.
Senza aspettare una reazione, Chibiusa volò sulla criniera dell’unicorno e d entrambi presero il volo, sparendo nel cielo.
- Chissà cosa avrà voluto dire? - si chiese Rei, guardando le altre.
Makoto fece spallucce, subito imitata da Minako e Michiru. Ami stava riflettendo, e non sembrò badare minimamente alla domanda. Haruka stava lanciando sassi nello stagno al pari di Mamoru.
Il tempo passava, e nessuno pareva trovare una risposta alla questione. Si stava ormai facendo sera, e Mamoru, ormai seduto sul bordo dello specchio d’acqua, era demoralizzato, e sospirava senza fare niente altro. Mako gli si avvicinò, toccandogli una spalla per confortarlo. Lui la guardò con occhi tristi, e rispose al gesto stringendole forte la lignea mano. Un debole bagliore circondò entrambi per il tempo in cui i due si toccarono.
- Ma cosa… - esclamarono stupiti il giovane e lo spirito dei boschi.
Improvvisamente tutto fu per un istante chiaro nella mente di Minako, che li aveva osservati. Si picchiò enfaticamente la mano sulla fronte e sorrise.
- Ma certo! Dobbiamo dimostrare di essere amici. E gli amici cosa fanno?
- Escono al bar assieme? - avanzò timidamente Ami.
- Nelle avversità stanno uniti, e si tengono per mano! - gridò Rei.
- E’ vero, hai ragione! - la sostennero Mako e Michiru.
- Quindi secondo te, noi dovremmo semplicemente… - chiese timido il giovane, in cui si era riaccesa una fiamma di speranza, seppur debole.
L’incantatrice annuì con la testa. Tutti si avvicinarono al fuocherello che era stato acceso per rischiarare e scaldare, e timorosi quanto speranzosi, si presero per mano. Quando ebbero formato un cerchio, i loro corpi emisero un bagliore che illuminò tutta la radura per un tempo brevissimo, giusto quello necessario affinché i corpi dei sette amici si dissolvessero nel nulla.

 

Mamoru e le altre si ritrovarono di colpo al buio, in una foresta diversa da quella dove erano, e anche il buio era diverso. Non era quello della notte, era piuttosto quello di un incubo, o di un’allucinazione orribile. Tutto attorno a loro era nero, ma qualcosa era ancora più nero: una torre diroccata, incombente come un animale che aspetta al varco la preda. Non vi era alcun rumore, ma un forte vento si era alzato quasi immediatamente, spirando dalla torre. L’aria portò un flebile grido, qualcosa che sembrava estremamente lontano.
- Mamoru! - sospirò il vento, trasformando quella parola in un triste lamento che sapeva di dolore e paura.
- E’ Usagi. E’ la voce di Usagi! - Gridò il giovane, ancora intontito da ciò che gli era successo. - vuol dire che finalmente siamo nella Foresta delle allucinazioni!
- Sì, ma ora abbiamo un altro problema. Riuscire ad uscirne vivi. - frenò il suo entusiasmo Ami.
- Sicura tu di essere una maga? - chiese ironica Haruka.
- Perché?
- No, così, dicevo così per dire… Dalla fortuna che portano le tue parole, pensavo tu fossi una negromante…
Per la prima volta nella storia della Foresta delle allucinazioni, si udì una sonora risata risuonare tra i morti alberi che la formavano.

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Capitolo 3
*** Le lacrime di Rei ***


Il gruppetto si fermò a riposare un attimo, dopo aver camminato per alcune ore nella foresta, andando nella direzione della torre. La stanchezza che li aveva assaliti non era normale, e tutti se ne erano accorti.
- Io non ci credo. - Sbuffò Mako, appoggiandosi ad un albero nero come la pece. - Ho corso quasi tutto il giorno accanto ad un cavallo e non ero nemmeno sudata, mentre qui… e poi, la torre sembrava vicina, e non certo ad ore di cammino.
- Già. - Annuì Haruka. - Io provo ad alzarmi in volo per vedere quanto ancora è distante. Sempre che si riesca a superare questa coltre di alberi bui come la notte.
Si tolse il mantello che le copriva le bronzee ali e tentò di sollevare il muscoloso corpo dal suolo. Sbattendole, sollevò foglie secche e polvere, ma non andò oltre.
- Allora? - chiese Ami.
- Non riesco a capire. E’ come se qualcosa mi bloccasse a terra… Aspetta che ora ci provo nuovamente.
Ritentò, senza risultato. Furente, si risistemò il mantello e si incamminò verso dove avevano visto l’ultima volta la torre. Gli altri, vedendo che la ragazza non aveva alcuna intenzione di fermarsi, la seguirono ansimando di fatica.
- Certo che è strano. Più crediamo di essere stanchi, più lo siamo… Che ci sia qualche potere nella foresta che non conosciamo? - si chiese Rei.
- E credi che se ci fosse non ne sarei a conoscenza? - La zittì Ami, guardandola in malo modo. - Siamo semplicemente stanchi per tutto il cammino fatto e per la tensione, qui non c’entrano i poteri del re della luna nera o di altri.
- Scusa. La mia era solo una domanda da neofita di questo mondo. Tu sembri essere nata qui, o quella che mi ha risposto ora è la maga e non la mia amica?
- No, certo che sono Ami. Credo che la maga si sia convinta della mia bravura e mi abbia dato pieno controllo del corpo. E’ tanto che non la sento nella mia testa.
Tutto il gruppetto aveva raggiunto Haruka, e insieme continuarono nella notte senza luna della Foresta delle allucinazioni. Procedevano lenti, attenti a non inciampare nelle radici che fuoriuscivano dal terreno bruciato come serpenti di pietra grigia o a non essere colpiti al volto dai rami bassi dalle nere e accartocciate foglie.
- Sembra che da queste parti abbiano fatto un raduno le grandi lucertole di fuoco. - costatò amaramente ironica Haruka.
- Scusa l’ignoranza, ma cosa sarebbero? - chiese interessata Minako, avvicinandosi a lei a svelti passi.
- Sono grandi rettili dotati di ali come quelle dei pipistrelli e in grado di percorrere in volo molti giorni di viaggio prima di atterrare. A volte alcuni dei nostri anziani le utilizzano per compiere delle perlustrazioni su vasti territori, ma ammetto che vederne uno è già impressionante, figurarsi cavalcarlo…
- Ma quanto sono grossi, se dici che si possono cavalcare? - intervenne Mamoru.
- Diciamo che non ho mai visto essere più grande. - Si fermò un attimo come per riflettere. - Direi che sono lunghi un centinaio di ooli.
- In unità di misura che conosciamo? Non siamo pratici delle tue unità di lunghezza.
La giovane allargò le braccia, tendendole il più possibile.
- Ecco, questi sono poco meno di quattro ooli.
- Quindi circa due metri. Il che, calcolato per dodici e cinque, fa… venticinque metri! - esclamò Rei.
- Sono enormi!
- E possono sputare un inferno di fiamme quando pare a loro, rendendo tutto ciò che è loro attorno cenere e polvere nerastra. Sono impressionanti da vedere, ma ancora di più mi ha stupito la loro intelligenza. Credo che si facciano vedere poco perché preferiscono la ricerca di qualcosa di superiore rispetto al contatto con altri esseri.
- Sembrano i draghi di certi giochi di ruolo. - commentò Michiru. - Grandi, possenti e solitari.
Gli altri annuirono, contenti che per un po’ la discussione li avesse distratti dalla situazione in cui si trovavano. Un rumore li attirò. Qualcosa sopra di loro, molto in alto, sembrò sfrecciare verso il luogo della loro comparsa.
- Cos’era? - chiese Minako.
- Non lo so, e non lo voglio sapere! - le rispose Rei, reprimendo un brivido.
- Veniva dalla torre, ed era un guardiano alato. - Brontolò la maga. - Niente di buono, questo è certo, ma siamo fortunati, in un certo senso.
Makoto la guardò con fare interrogativo.
- In questa foresta la notte regna eterna, ma è una tenebra più forte di quella del re della luna nera, per cui qui non possono esistere i suoi esseri.
- E quello che è passato come lo chiami?!
- Animale autoctono.
- Cioè… - Iniziò spaventata Haruka. - Vuoi dire che questa foresta ha degli abitanti?
- Come ogni foresta… Semplicemente questa ha degli esseri molto cattivi, neri e grossi.
- Grossi quanto? - chiese Rei.
- Non lo vuoi sapere, te lo assicuro. Ma non preoccupiamoci, in genere non vedono mai creature come noi, per cui potrebbero anche non attaccarci.
- Ad ogni modo non mi sento tranquilla. - mormorò Michiru.
Quasi a conferma di quanto aveva appena detto, dietro di loro, a una ventina di passi circa, si udì come uno schianto di rami. Tutti si bloccarono, indecisi se fuggire o aspettare e combattere.
- Cosa è stato? - sibilò Mamoru rivolto ad Ami.
Questa rispose scuotendo la testa e alzando le spalle.
- Di sicuro qualcosa di brutto. - Gli rispose Minako, guardandosi attorno come cercando la fonte del rumore. - Guarda la mia catena…
L’arma della giovane, solitamente attorcigliata attorno al suo braccio, si era in parte dispiegata e stava oscillando al pari di un serpente che stia per attaccare una preda.
- Cosa sta facendo? - chiese Rei.
- Non lo so, è la prima volta che fa così, e il fatto che la vera incantatrice non mi stia suggerendo niente come le altre volte che ho avuto bisogno di spiegazioni non mi tranquillizza di certo.
Il rumore si ripeté, più vicino e più forte, tanto da far trasalire Michiru, che si spaventò a tal punto da cercare rifugio accanto ad Haruka. Tutti sfoderarono le armi o si tennero pronti con i loro poteri, attendendo il peggio, che si presentò in una forma che nessuno aveva neppure immaginato. Davanti a loro un albero cadde, schiantandosi a pochi metri da Mamoru, per poi letteralmente dissolversi in un tratto, lasciando al suo posto l’impronta di una grossa zampa artigliata a tre dita, fumante come l’acido sul ferro. Gli alberi accanto vennero incisi profondamente da striature di fumo biancastro, come toccate da sbarre roventi.
- Ma che diavolo è? - biascicò terrorizzata Minako, mentre la catena si muoveva impazzita, alla stregua di un piccolo animale che tenti in tutti i modi di spaventare un suo predatore molto più potente.
Ami sbiancò.
- E’ un essere del Nulla. Se vogliamo salvarci, ci conviene essere molto più veloci di lui. Non riusciremo mai a sconfiggerlo. - gridò mentre si girava e iniziava a correre dalla parte opposta da quella dell’orma.
Davanti a Mamoru si formò un’altra orma fumante, stridendo e consumando il terreno per circa una ventina di centimetri di profondità. Dalla distanza fra le due orme, quell’essere doveva avere un’altezza di una decina di metri. Anche gli altri scapparono, ognuno in una direzione differente, lasciando Mamoru solo davanti alla creatura che sembrava completamente trasparente.
- Eppure è qui. Sento il suo odore di morte, sento la sua voglia di uccidere, ma data la mia situazione, se gli voltassi le spalle sarei morto. Tanto vale combattere. - Sorrise, pensando, il giovane. - Fatti avanti, ma almeno fatti vedere, o hai paura di un uomo piccolo quanto me?! - gridò Mamoru, calando la celata dell’elmo.
Per tutta risposta il mostro lanciò un ruggito, che fece svolazzare il mantello dell’altro come se fosse stato investito da un forte vento, e si rese visibile, se assumere un aspetto di nebbia grigiastra è divenire visibile. Il muso aveva un aspetto animale, come di un cane dobermann, ma il corpo era sicuramente umanoide, dotato di quattro robuste braccia dotate di artigli e di un paio di ali all’apparenza membranose.
- Forse era meglio se rimanevi invisibile… - scherzò il ragazzo, cercando di darsi coraggio.
L’essere non sembrò udirlo, e con velocità non indifferente allungò gli arti destri, col chiaro intento di colpire l’avversario, che a sua volta si gettò a lato e rotolò poco lontano, finendo la sua fuga contro il tronco di una pianta.
- Primo colpo andato. Ora tocca a me.
Si rialzò e si gettò contro la gamba sinistra del nemico, che non fece nemmeno finta di spostarsi. La lama penetrò a fondo nella sostanza molliccia che formava l’essere, e come al solito dal terreno iniziarono a formarsi i tralci che in genere portavano alla morte di chi era avvolto. Mamoru si ritrasse, aspettando che la magia facesse il suo effetto. La pianta crebbe, ma arrivata a quello che doveva essere il ginocchio del mostro, avvizzì, cadendo a terra secca. Della ferita nella gamba nessuna traccia. Se non fosse stato certo del contrario, il giovane avrebbe potuto credere che il gigante stava ridendo. Gli artigli tornarono all’attacco, e questa volta riuscirono a stridere sulla corazza, che resse comunque all’urto lasciando illeso l’occupante. Un terzo artiglio riuscì a ghermirlo e lo sollevò a terra stringendolo come in una morsa di fuoco. L’armatura iniziò a fumare.
- Se non riesco a liberarmi alla svelta, l’acido finirà per toccare me, e non credo di essere troppo resistente. - pensò allarmato il giovane, colpendo senza successo l’artiglio, che risuonava come fatto di cristallo.
Il mostro sembrò infastidito, e scrollò Mamoru, il quale, per il colpo, perse la spada, che cadde a terra conficcandosi nel terreno poco distante dalla zampa sinistra. Come la volta precedente, dalla spada iniziarono a svilupparsi rovi che si diressero velocemente verso l’essere, che parve non accorgersi di loro. Lo raggiunsero e iniziarono ad aggrovigliare le gambe, salendo a velocità impressionante fino al busto e poi alle braccia. Solo allora la cosa sembrò infastidire il gigante, che scagliò contro il tronco di un albero il ragazzo e quindi iniziò a strappare le piante che a velocità sempre maggiore lo stavano avvinghiando. Una di esse lo passò da parte a parte penetrando dalla schiena e uscendo là dove in un uomo c’erano le viscere. Il mostro gridò di dolore e cadde terra, ormai preda delle rose vampiro. Un fluido giallastro sembrò fluire da lui verso la spada attraverso i fusti delle piante, finché di tutto l’essere non rimase che una carcassa disseccata di materia grigiastra. L’elsa della spada, che per tutto il tempo aveva pompato come il cuore di un cavallo al galoppo, rallentò, per poi smettere. Mamoru si era nel frattempo rialzato, e per quanto barcollante, aveva raggiunto la sua arma, ancora piantata nel terreno. Timoroso la stava osservando, incapace di staccare gli occhi dai tralci che si stavano ritirando nel terreno nello stesso modo in cui si erano sviluppati. Quando anche l’ultimo fusto sparì laddove la spada era infissa, il giovane toccò l’arma per riprendersela. Appena la ebbe estratta, l’elsa riprese vita, ma Mamoru non riuscì a lasciarla. Era come se non volesse essere lasciata.
- Ma cosa… - esclamò spaventato, mentre il metallo dell’elsa si sciolse e si mosse lungo la sua mano, salendo velocemente verso il braccio.
Nel giro di qualche secondo tutto il corpo del ragazzo fu ricoperto da una crosta metallica e lucida, finemente lavorata.
- Noi… Tu… siamo i vampiri di anime. - esclamarono mille voci in una nella testa di Mamoru, che vide davanti a sé una quantità incredibile di visi, alcuni umani, altri meno.
- Dove sono?
- Tu… Noi siamo nella tua testa, siamo accanto alla tua anima. - risposero senza espressione le voci.
- E cosa volete da me? - chiese guardandosi attorno alla ricerca di una possibile via di fuga o di un’arma da usare in caso di pericolo.
Vedeva solo facce senza sentimenti, come maschere di statue. Nessuna di loro aveva pupille, sebbene gli occhi fossero spalancati.
- Tu… Noi vogliamo vendetta.
- Vendetta? E verso di chi? E cosa c’entro io?
- Noi… Tu… sei l’anima più pura che abbiamo mai incontrato. Mai nessuna che abbiamo saggiato era come te. Noi… Tu… vogliamo la tua anima per i nostri scopi, ma sarai compensato.
- Volete la mai anima? Dovrei finire come gli esseri che ho ucciso con la spada? Trafitto da rose assassine?! Ve lo potete scordare! - urlò Mamoru, stringendo i pugni per la rabbia.
- No… Tu… Noi… usiamo te come tramite, noi… Tu… usi noi come mezzo per i tuoi scopi.
- Tramite per la vendetta? E verso chi?
- Verso chi ti… Ci ha creato.
- Ma non mi avete ancora detto chi è!
Le facce iniziarono a scomparire, mentre il giovane iniziava ad intravedere la foresta e il cadavere del mostro ucciso.
- E se rifiutassi? - chiese verso i volti ormai semitrasparenti.
- Non puoi. Noi siamo te, e tu sei noi fino al compimento di uno dei tanti destini… - sussurrò la voce.
Le ultime parole furono quasi impercettibili. Il ragazzo ora vedeva esclusivamente la foresta attorno a lui. Delle sue compagne nessuna traccia, e non sapeva nemmeno se mancava molto o poco alla torre, né quanto mancasse allo scadere dei giorni. Si incamminò, ma dopo una decina di passi si rese conto che qualcosa era cambiato. Dove aveva messo la spada, e come mai la sua armatura era divenuta così leggera? Abbassò lo sguardo là dove doveva esserci il fodero, ma non vide né quello, né il cinturone o l’armatura che aveva fino a quel momento indossato. Al loro posto c’era una specie di armatura grigio cupo, altamente lavorata e perfettamente modellata. Assomigliava a qualcosa di vivo, come al guscio di qualche strano e alieno animale, sensazione aumentata, non senza una punta di ribrezzo, da delle decorazioni rosso sangue che correvano lungo il bordo dei vari pezzi che componevano la protezione. Non erano dipinte, quanto in rilievo, e parevano pulsare come vene. Osservandosi per quanto gli era possibile scoprì che l’armatura era completa. Non indossava elmo, e non sapeva minimamente dove fosse finito il suo.
- Ho guadagnato un’armatura, ma ho perso la spada. - pensò incamminandosi nuovamente.
Istantaneamente, estroflessa dal fianco stesso della protezione, si formò la spada che cercava, sebbene più grande e composta interamente di quello strano metallo color del piombo.
- Noi siamo il mezzo, tu il tramite. - Gli disse una voce nella testa. - Noi siamo i vampiri di anime.
- Ma dove siete?
- Sopra di te, nella tua mano, dentro di te. Noi siamo te, e tu sei noi fino al compimento di uno dei tanti destini.
La spada, attaccata al fianco da una specie di protuberanza pulsante come una vena, scomparve nel giro di un secondo, mentre Mamoru, rassegnato anche se non ancora convinto della bontà di ciò che gli era successo, riprese il cammino.

 

- Grida di nuovo, e il re della luna nera dovrà accontentarsi di una sposa muta! - ringhiò Hotaru all’interno dell’elmo rivolta verso una sconvolta Usagi, in lacrime e a terra dopo che quella l’aveva gettata sul pavimento allontanandola dalla finestra.
- Lasciala immediatamente, brutta peste! - gridò Luna lanciandosi verso la bambina, che senza apparente sforzo la colpì con il piatto dell’arma ributtandola sulla branda da cui si era alzata per aiutare l’amica.
- Non tentarci più! - Le intimò la giovane. - Tu non servi al re, e saresti solo una delle tante che ho ucciso.
Luna decise che era meglio stare calme e aspettare che qualcuno venisse a salvarle. Il lampo visto qualche secondo prima poteva essere solo qualcosa di buono, in quanto aveva gettato nella confusione tutto il castello. Si potevano udire grida dovunque e si erano già allontanati dalla torre mostri di ogni tipo. Forse era Mamoru, come diceva Usagi, forse no, ma nella situazione in cui si trovavano potevano solo aspettare.
Uno degli scagnozzi che le avevano portate nella cella irruppe e si genuflesse goffamente davanti a Hotaru.
- Signora, il padrone la desidera, e urgentemente.
- Quando ne avrò voglia andrò da lui. - rispose indifferente lei.
- Ha detto che la cosa è urgente, e ha ordinato di…
- Lui non può ordinare a me! - Si infuriò la giovane, voltandosi e puntando fulminea la falce alla gola del guerriero, che si ritrasse impercettibilmente. - Io non sono una creatura nata dalla sua mente malata. Lui può chiedere, non imporre. Riferiscigli che sarò da lui quando mi aggraderà. O ha forse paura di un piccolo lampo?
- Ma…
- Chi preferisci che ti uccida? Lui perché non mi hai portato da lui o io per la tua impudenza? - chiese ironica.
L’essere deglutì rumorosamente mentre la lama gli passava gentile sotto il mento.
- Riferirò quanto lei ha detto. - biascicò rialzandosi e lasciando la stanza.
Hotaru rise, con una risata che fece accapponare la pelle alle due presenti, quindi uscì, chiudendo la pesante porta alle sue spalle e bloccandola con un catenaccio.
- Credi davvero che fosse Mamoru? - chiese sussurrando Luna a Usagi.
Lei annuì, mentre reprimeva per l’ennesima volta le lacrime.
- Ne sono certa. Lui è venuto per salvarmi, e tra poco lo vedrò comparire alla porta e dirmi che è ora di tornare a casa.
- Speriamo. - sospirò l’altra.

 

- Credete che gli altri siano riusciti a mettersi in salvo? - chiese preoccupata Minako alle altre due compagne.
Rei e Mako la guardarono annuendo, ma i loro occhi tradivano la paura del contrario. Rei ebbe il coraggio di dire ciò che pensava.
- Se non sono riusciti a scappare più velocemente di quel mostro, non credo che…
- Ma certamente corrono tutti più veloci del mostro! - quasi gridò Makoto, singhiozzando.
- Eppure qualcuno avrà inseguito, e nonostante tutto, quel mostro… quel mostro… - Non riusciva a continuare, la voce spezzata dal dolore. - Quel mostro corre sicuramente più forte di tutti noi.
Si accasciò sul terreno, piangendo senza più remore. Le altre tentarono di consolarla inginocchiandosi accanto a lei, ma presto si unirono al suo pianto liberatorio della tensione e della fatica accumulata. Dopo alcuni minuti si guardarono in faccia, e vedendosi gli occhi rossi e il viso stravolto, si calmarono lentamente.
- Non dobbiamo piangere, ragazze. - Balbettò Mako. - Se Usagi ci vedesse non sarebbe affatto contenta.
Rei singhiozzò.
- Già. E’ lei ad avere l’esclusiva di piangere nella situazioni di pericolo. - Accennò un sorriso e si rialzò, aiutando poi le altre a fare lo stesso. - Forza, facciamoci coraggio, la torre è ancora lontana, e non voglio troppo tardi. Odio arrivare in ritardo agli appuntamenti.
- Giusto. - confermarono le altre, riprendendosi.
- Che peccato, penso proprio che a quell’appuntamento non arriverete mai! - rise malvagiamente una voce alle loro spalle.
Si voltarono, e videro un uomo seduto su una bassa roccia. Le stava osservando come se guardasse uno spettacolo interessante, scrutandole lentamente e con malcelata superiorità.
- E tu chi saresti? - si fece avanti Makoto, stringendo i pugni e tentando di mostrare una spavalderia che in quel momento non si sentiva di avere.
La catena dell’incantatrice non si muoveva. Lo sconosciuto, agilmente, saltò giù dal masso e si avvicinò a loro di un paio di passi.
- Diciamo che sono uno che ama dare consigli spassionati. E ora ve ne sto dando uno. Lasciate stare, non andateci alla torre. Se volete fuggire da questa situazione, vi basterebbe fare due passi avanti e tornerete da dove siete venute.
- E perché dovremmo abbandonare una nostra amica in pericolo? - chiese arrogante Rei, iniziando a far baluginare i simboli sul suo costume.
Lo sconosciuto, il volto nascosto da un cappuccio che copriva il suo volto così come il mantello grigio chiaro ne copriva le fattezze, arretrò di un passo.
- Ti prego, non è necessario ricorrere alla violenza. Se volete, posso mostrarvi che la vostra amica è perfettamente a suo agio, e credo che non voglia nemmeno essere salvata… - concluse con un’intonazione che non piacque alle ragazze.
- Voglio proprio vedere, ma attento, niente scherzi! - lo intimò l’elementale di legno, che avanzò ancora di un passo nella direzione del nuovo arrivato.
- Io sono vostro amico, perché dovrei imbrogliarvi?
Una mano comparve da sotto il mantello, e lenta descrisse un cerchio in aria. Quando ebbe completato il giro, l’aria davanti a lui tremolò e comparve un’immagine leggermente sfocata, che piano piano assumeva contorni più definiti. Le ragazze non credevano ai loro occhi. Davanti a loro c’era come un ologramma di Usagi, riccamente vestita come si vestirebbe una regina, e la loro amica stava ridendo allegramente accanto ad una figura ammantata di nero, mentre servi identici ai mostri che per giorni avevano combattuto servivano ai vari tavoli della stanza in cui sembrava si svolgesse la scena.
- Ma… Ma quello è Mamoru, e quella Haruka, e ci sono tutte le altre! - esclamò sconvolta Minako.
- Esatto. Stanno festeggiando lo sposalizio della principessa della luna chiara con il re della luna nera. Gli altri, rendendosi conto che non potevano fare nulla, hanno deciso di sfruttare l’ospitalità del nostro padrone, che non porta rammarico contro nessuno.
- Non ci posso credere! Non è possibile che Mamoru si sia arreso così presto. Usagi era il suo unico amore… - si stupì Mako, quasi affranta per ciò che vedeva.
- Hai detto bene, elementale. Era il suo unico amore. Come puoi ben vedere, si è ripreso velocemente dalla perdita. - sogghignò lo sconosciuto mentre le tre vedevano una giovane e procace fanciulla seduta teneramente sulle ginocchia del ragazzo.
Minako scoppiò a piangere, coprendosi gli occhi con le mani, la catena penzolante inerte dal suo braccio.
- Non posso crederci. Tu stai mentendo, non può essere vero… - gridò, mentre calde lacrime le bagnavano le guance.
Makoto le toccò gentile la spalla per consolarla. Lei alzò la testa, gli occhi rossi, e fissò l’amica, che stava a stento reprimendo lo stesso impulso a cui aveva ceduto Minako. Rei non si era mossa di un passo, e non stava lasciando trapelare nessuna emozione dal suo viso. Il corpo era però in tensione, pronto a scoppiare di rabbia da un momento all’altro: i pugni chiusi tremavano, le spalle si erano inarcate e fremevano.
- Tu vuoi farci credere che tutto ciò che abbiamo fatto e che stiamo facendo è stato inutile, ma non ci conosci! - Urlò la giovane, avvicinandosi allo sconosciuto, che indietreggiava lentamente, diminuendo comunque lo spazio tra loro. - Noi non ci arrenderemo così facilmente. Ci vuole ben altro che due immagini per convincerci!
- Ma lo hai visto con i tuoi occhi! - Obbiettò Minako, asciugandosi le lacrime con le mani, tentando di non singhiozzare. - E’ troppo tardi per fare qualcosa.
- Non capisci che è tutta un’illusione! Ricordi come si chiama questa foresta? Foresta delle allucinazioni. E cos’è questa se non un’orribile allucinazione? Non capisci che quello che abbiamo davanti non è altro che un essere mandato dal nostro nemico per convincerci a desistere?!
- E la mia catena? Non lo reputa un essere pericoloso.
- Potrebbe esserci una spiegazione per questo. - Disse come parlando tra sé e sé Makoto, grattandosi quasi comicamente la testa mentre pensava. - Lui ci sta solo mostrando qualcosa che in sé non è ne malvagio né buono. Sta a noi decidere se ciò che stiamo osservando ci piace oppure no…
- Non riesco a capire… - replicò l’incantatrice.
- Io invece forse inizio a comprendere cosa vuoi dire, Mako. - Sorrise Rei. Il suo sorriso sembrò terrorizzare lo sconosciuto, che con malcelata paura arretrò ancora rispetto a dove si trovava. - La tua catena non registra nessun nemico perché effettivamente qui non ce ne sono. Il credere o meno a ciò che vediamo è solo una nostra decisione, e siamo noi a scegliere se continuare a sperare che la missione abbia successo o no. Se anche tu credessi in ciò che stiamo vedendo, l’unico tuo vero nemico saresti te stessa, e non puoi combatterti, né puoi attaccarti da sola.
- Mi sono persa a metà del discorso… - confessò timidamente Minako, anche se aveva un sospetto di ciò che le aveva detto l’amica.
- No… No, sono solo chiacchiere. - Si affrettò a replicare l’uomo, ormai quasi a una decina di metri lontano dalle ragazze. - Ciò che state vedendo è solo la pura e semplice verità!
- Se è così, perché hai paura? - chiese ironica Rei, facendo risplendere ardenti i simboli che ornavano la sua tunica.
Lo sconosciuto si voltò e si diede alla fuga urlando, mentre la visione svaniva velocemente. Makoto sospirò profondamente, quasi a riprendere coraggio. Rei si avvicinò all’amica e la guardò fissa negli occhi lignei.
- Grazie. Senza di te anche io sarei caduta nello sconforto, e il re della luna nera avrebbe vinto. - le sorrise la ragazza, subito ricambiata.
Anche la terza giovane si avvicinò, e con un rimasuglio di lacrime abbracciò più forte che poté le sue compagne. Uno strattone al braccio la fece sussultare. La catena si era mossa di scatto, e puntava davanti a loro, nel buio innaturale della foresta.
- Nemici? - sibilò Mako.
- Non credo. In genere si comporta in maniera diversa. Sembrerebbe più che ci stia indicando una direzione.
- Si ma quale? - si chiese Rei. - Siamo state separate dalle nostre compagne e da Mamoru, e stiamo cercando una torre. Quale direzione ci sta indicando? Quella per raggiungere la nostra meta, i nostri compagni o cosa altro?
- Non credete che l’unica sia scoprirlo? - Sorrise triste lo spirito dei boschi, dando loro una leggera pacca sulla schiena e partendo nella direzione indicata dall’arma di Minako.
Le tre amiche avanzarono nel fitto bosco perdendo ben presto l’orientamento, guidate dalla catena dorata dell’incantatrice, che precedeva le altre due e tentava di capire in che direzione, se verso il pericolo o verso degli amici, le stava portando la sua arma. Per un tempo che a Rei parvero secoli si fecero strada tra alberi dai rami bassi e secchi come artigli pronti a ghermirle e terreni umidi e infidi, dove le leggere scarpe di Minako e della sacerdotessa affondavano facilmente e risalivano con un lugubre risucchio, al contrario della pesante Mako, che pareva galleggiare su quello stano terreno.
- Pare quasi che non ti voglia toccare più del necessario… - esclamò Minako, guardando la facilità con cui l’amica procedeva, nonostante il peso decisamente maggiore della stessa.
- Beh, sono uno spirito dei boschi, e credo che ciò voglia dire che rappresento tutto quello che di bello vi è nella foresta. Questa non è viva, e men che meno bella, per cui io per lei sono un’estranea, quasi un pericolo.
L’incantatrice annuì non del tutto convinta. Dopo quasi un minuto brontolò sommessamente.
- C’è qualcosa che non va? - chiese Rei.
Minako sembrò titubante se rispondere o meno. Alla fine si decise.
- Anche io c’entro qualcosa con la natura e la sua bellezza, per cui questo schifo di bosco dovrebbe temere anche me… E invece niente, come se non esistessi.
- Forse non sei pericolosa quanto me! - ridacchiò Mako, scoppiando decisamente a ridere vedendo l’amica che per risposta le mostrava la lingua.
- Di sicuro, con tutto il chiasso che fate, sarete pericolose per noi quando ci avvicineremo alla torre, se vogliamo cogliere il nostro nemico di sorpresa. - la apostrofò una ben conosciuta voce a pochi metri davanti alle tre.
Un’ombra si fece velocemente avanti, facendosi riconoscere.
- Haruka! - gridò di felicità Minako, lanciandosi a braccia aperte verso l’amica.
Accanto a lei arrivò anche Michiru, stupenda figura umana di trasparente acqua.
- Siamo contente di rivedervi. - Sorrise l’elementale liquido rivolgendosi a Rei e Mako, poiché l’incantatrice era ancora avvinghiata alla guerriera dei venti, che gentilmente tentava di staccarla da sé. - Avete notizie di Ami?
Le due scossero la testa.
- Credevamo fosse con voi, dopo che quel mostro ci ha divise. - rispose Mako.
- No, è scappata accanto a noi per qualche secondo, quindi ha improvvisamente cambiato direzione e l’abbiamo persa di vista. - spiegò Haruka, mentre Minako si riuniva alle sue compagne e tutte assieme riprendevano il cammino.
- Beh, se non altro ora siamo in cinque a cercare dove si trova quella malefica torre… - sospirò con un sorriso amaro Rei rivolta alle due amiche ritrovate.
Michiru sorrise furba, e indicò dritto davanti a sé.
- La torre, se non l’hanno spostata in questi dieci minuti, si trova a quattro passi da qui. Ci siamo praticamente sbattute contro mentre cercavamo voi e gli altri.
- La solita fortuna… - Commentò allegra Mako. L’idea di aver trovato il luogo dove avrebbero potuto rivedere Usagi la mise di buon umore, anche se mancavano all’appello due suoi amici. - Se l’avessimo cercata noi, potevamo girare per anni prima di trovarla.
- L’importante è averla trovata. - Disse seria Rei. - Anche se avrei preferito trovare prima Mamoru e Ami. Da soli in questa foresta non hanno molte probabilità di farcela.
- Vedrai che sapranno cavarsela. - Tentò, con scarso successo, di rincuorarla Mako. - Lui è un guerriero capace, e lei ha comunque i poteri di maga dalla sua.
- Sì, hai ragione. Sono sicuramente vivi e come noi si staranno dirigendo alla torre.
Quasi l’avessero evocata, un’ombra nera comparve davanti a loro, un’ombra ancora più nera della notte eterna che regnava in quel posto.

 

La torre, di altezza considerevole, emanava un’aura di cattiveria e di morte non indifferente, come un cadavere in grado di causare danni per la sua stessa presenza nel mondo. Le tante finestre che ne punteggiavano le pareti circolari erano feritoie di un grigio appena più chiaro della sagoma della costruzione, e parevano gli occhi di molti animali feroci che stessero aspettando le prede, che si avvicinavano ignare al luogo dell’agguato.
- Certo che l’architetto qui si è sforzato al massimo per renderla gradevole all’aspetto. - brontolò ironica Mako, squadrando la torre.
Il commento strappò dei deboli sorrisi al resto dei presenti.
- E adesso che si fa? - Chiese Minako. La sua catena era inerte, penzoloni dal braccio. - Come entriamo?
- Che ne dici se proviamo a bussare alla porta? - le rispose accigliata Haruka, mentre pensava ad una strategia. - Sempre che si riesca a trovare una porta. Proviamo a fare il periplo della torre. Dovrà pur esserci un’entrata…
Le giovani iniziarono a camminare circospette attorno al fossato che divideva, con i suoi dieci metri di larghezza di acqua limacciosa, la foresta dalle pareti di nera e antica pietra.
La torre era più grande del previsto, misurando di diametro oltre cinquanta metri, e a tratti sembrava di passare nuovamente in punti già visti. La sensazione divenne certezza quando videro che il periplo durava più di una mezz’ora. Si fermarono e si guardarono attorno. Apparentemente non avevano mosso un passo dal punto in cui erano partite, ma l’uniformità e della costruzione e della foresta poteva fare brutti scherzi.
- Facciamo una cosa. - Propose sbuffando Haruka. - Io rimango qui ferma, e voi fate il giro. Vediamo un po’ se questa volta riuscite a trovare un’entrata prima di incontrarmi nuovamente.
Le altre furono d’accordo, e si mossero come per compiere il giro in senso antiorario. Dopo circa venti minuti il gruppetto ricomparve dalla stessa direzione in cui era partito.
- Perché siete tornate indietro? - chiese corrugando la fronte la guerriera dei venti.
Le amiche la guardarono non capendo.
- Guarda che nessuna di noi è tornata indietro. Abbiamo sempre camminato nella stessa direzione…
Haruka agitò furiosamente le ali bronzee e fremette di rabbia.
- Torre del cavolo! - Sbottò alla fine, rossa in volto. - Deve ancora esistere una costruzione in cui non riesco ad entrare.
- Mi rendo conto che è frustrante, ma se non riusciamo a trovare un’entrata… - Tentò di consolarla Rei, anch’essa nervosa. - Ci vorrebbe qui Ami. Lei sicuramente saprebbe come scoprire l’accesso.
Una lugubre risata risuonò dalla cima della torre, facendo rabbrividire le giovani, che subito guardarono verso l’alto, non riuscendo però a scorgere la sommità della costruzione. Davanti a loro la torre tremolò come un’immagine sfocata, e improvvisamente laddove c’era nera pietra ora si stagliava un’apertura ad arco, da cui stava fuoriuscendo una quantità di mostri che gelò il sangue nelle vene al gruppetto. Nel giro di qualche secondo il ponte ligneo che si stava formando permise alle bestie di superare il fossato e di schierarsi ghignati davanti all’unica possibile entrata.
- Adesso l’ingresso c’è, ma dovremo guadagnarci il diritto di passare. - scherzò Haruka, sguainando l’arma.
Anche le altre si prepararono al combattimento, ognuna a suo modo, e all’unisono attaccarono il folto gruppo di mostri, che colto di sorpresa, dovette subire il colpo. La battaglia divenne ben presto furiosa, e nonostante le giovani abbattessero un numero incredibile di nemici, questi sembravano praticamente senza fine, vomitati a ritmo continuo dalla nera apertura.
- Io inizio a non farcela più! - Ansimò Rei, mentre evocava una freccia infuocata che infilzò, prima di spegnersi, tre esseri cornuti e artigliati. - Se non riusciamo a trovare il modo di fermare l’aumento dei mostri, siamo finite…
- Sì, ma come possiamo riuscirci. Siamo ad almeno una ventina di metri dall’entrata, e solo se raggiungiamo quella avremmo delle speranze. Sembra che sia il buio dell’entrata a crearli. - le rispose Michiru, colpendo con un liquido pugno un nemico, buttandolo a terra rantolante.
- Dobbiamo a tutti i costi arrivare all’entrata. - Gridò una voce cavernosa dietro le loro spalle. - E’ l’unica maniera per non morire.
Minako, ringraziando la protezione fornitale dalla sua catena, che si agitava come un serpente ebbro di rabbia per tenere a bada i mostri, riuscì a voltarsi per vedere a chi apparteneva quella voce stranamente famigliare. Poco lontano dal luogo in cui si trovava c’era un uomo in armatura grigio scura, il volto coperto da un elmo che riproduceva le sembianze umane, ma quegli occhi spenti e l’espressione di tristezza infinita le misero i brividi.
- Mamoru! - gridò.
- Sono arrivato solo adesso, ma vedrò di recuperare il tempo perduto. - ribatté il giovane, staccando la spada dal fianco e gettandosi con un balzo inumano nella mischia.
Atterrò sulla schiena di un nemico con uno sgradevole rumore di ossa rotte, e fulmineo passò a fil di spada un numero di mostri incredibili. Sembrava inarrestabile, e con il suo aiuto per qualche minuto l’entrata sembrava avvicinarsi sempre più. Erano ormai a metà del ponte, quando ebbero la sgradevole sorpresa che i mostri non solo venivano creati con velocità sempre maggiore, ma avevano anche dimensioni almeno doppie del normale.
- Cavalleria pesante. - bofonchiò Minako, buttando nel fossato un piccolo umanoide peloso che le si era parato davanti.
Rei e Mako, accanto a lei, annuirono, mentre gocce di sudore imperlavano la fronte di tutte e tre. Michiru si era avvicinata ad Haruka, ferita da un mostro, più per fortuna che per bravura, all’ala destra, ora una brutta visione di piume sporche di sangue secco, per sostenerla e proteggerla.
Uno dei giganti neri aggredì Mamoru, che colto alla sprovvista si vide colpito in pieno petto dagli artigli affilati del nemico. Il giovane si preparò al rumore del ferro raschiato, ma con grande sorpresa di tutte le sue amiche e dell’essere davanti a lui, gli artigli lasciarono dei solchi ben visibili nella protezione, mettendo allo scoperto qualcosa che poteva assomigliare a carne scurastra e pulsante. Emise un grido, tra lo spaventato e il doloroso, dato che sentiva la ferita come sua. Le decorazioni rosso sangue pulsarono velocemente, mentre lo squarcio si risanava a vista d’occhio, facendo tornare la superficie della protezione perfettamente intatta. Il dolore che fino a quel momento aveva sentito era ora scomparso, e senza aspettare un secondo trafisse il mostro ancora sbigottito. Un icore color petrolio uscì dalla ferita, subito assorbito dalla spada e pompato nelle decorazioni, che divennero impercettibilmente più scure.
- Tu… Noi possiamo guarire togliendo la vita ad altri. - gli dissero le voci nella sua testa.
- Ma è orribile, non voglio. Ridatemi la mia armatura, la vostra è una cosa malvagia. - esclamò inorridito Mamoru.
- Noi… Tu non sei malvagio, e come tale tu… Noi non lo siamo. Siamo la stessa cosa. Ciò che succede, che provi, che dici tu, a noi succede, noi lo proviamo, noi lo diciamo. Così è la nostra natura, perché così ci ha voluto. Nostra è solo la colpa di non esserci ribellati prima…
- Ma contro chi?
- Mamoru, ti dispiace dirmi con chi stai parlando? - disse Makoto, bloccando con il braccio un colpo che avrebbe preso in pieno volto il giovane, fino a quel momento imbambolato.
- Te lo spiego dopo. Ora dobbiamo entrare a tutti i costi. Ma se questi mostri sembrano non finire mai…
Makoto sorrise triste.
- Ho un’idea. Ma mi raccomando, nessun rimpianto…
- Perché nessun rimpianto?
- Tu promettimi solo che non avrete rimpianti, e che saluterai Usagi da parte mia.
- Va bene, ma perché non dovresti rive… - La frase gli morì in gola, capendo cosa aveva in mente. - Non puoi farlo, Mako, è una follia!
Come non curandosi di lui, l’elementale ligneo sfiorò la tiara che ancora portava, e iniziò ad accumulare energia elettrica per lanciare i suoi fulmini. Nel giro di alcuni secondi il gioiello era abbastanza carico da lanciare una decina di fulmini, ma la ragazza continuò a caricarlo, mentre si avviava, incurante dei colpi, verso la bocca buia dell’entrata. Anche le altre ragazze capirono cosa voleva fare, e corsero, le lacrime agli occhi, verso il giovane, che a stento avanzava, rallentato dall’orda di mostri. La tiara di Makoto emise uno strano brillio, come di diamanti colpiti dal sole, e si sovraccaricò sfrigolando. Lo spirito dei boschi fu avvolto da un globo di fiamme, e prese fuoco, divenendo una torcia umana. La luce emessa, prima visibile in secoli di buio continuo, ebbe l’effetto sperato. I mostri si contorcevano doloranti, svanendo come neve al sole, mentre la ragazza si consumava velocemente, correndo verso l’entrata.
- Non dimenticherò quello che stai facendo. - pianse Mamoru, gettandosi dietro di lei, seguito dalle altre.
I pochi mostri sopravvissuti vennero facilmente annientati dai colpi rabbiosi del gruppetto, ormai giunto nella torre. Di Makoto non rimanevano che pochi, sparsi tizzoni ardenti che un innaturale vento stava spargendo nell’ampia sala in cui erano finiti. Michiru, senza che gli altri se ne accorgessero, ne raccolse un pezzo, che sfrigolò e si spense a contatto della mano d’acqua della ragazza. Lo mise nella piccola borsa a tracolla, unico oggetto, oltre al piccolo ciondolo datole da Ami, che indossava, e si riunì agli latri. Nessuno aveva la forza di piangere, mentre una rabbia e una frustrazione mai provate prima li assalì all’unisono.
- Re della luna nera! - Urlò Rei, la voce stravolta dalla furia. - Giuro su tutto ciò che mi è caro che la pagherai per quello che hai fatto!

 

Il gruppetto girò per ore nelle sale della torre, senza trovare la minima resistenza, ma anche senza trovare alcun essere vivente. Dopo un’iniziale paura di trappole, si erano rilassati e avevano abbassato la guardia. La spada di Mamoru era sparita dal suo fianco, così come l’elmo, assorbito dall’armatura che ora faceva parte del suo stesso corpo.
- Questa torre sembra più larga di quello che pareva dall’esterno. - brontolò Haruka, che a ogni tanto lanciava soffocati rantoli di dolore a causa della ferita alla spalla.
- C’è una magia antica e strana in questo luogo, la sento anche senza l’aiuto dei poteri della tonaca che indosso. - disse cupa Rei.
Come le altre, anche Mamoru era stufo di girare per corridoi illuminati da spettrali torce verdastre e spalancare pesanti quanto silenziose porte in legno.
- So che sei qui, re della luna nera! - Gridò alzando i pugni al vuoto del soffitto. - Fatti vedere, e finiamola una volta per tutte!
Come a risposta alla richiesta, una porta alla loro destra si aprì senza alcun rumore, rivelando una scala in salita. Guardandosi negli occhi e annuendo, il gruppo si inoltrò nella porta, che si richiuse alle loro spalle con un tonfo sordo, che spaventò non poco i giovani.
- In trappola… - mormorò triste Minako.
- Con il nervoso che ho in questo momento, e la voglia di vendicare Mako, quella porta non mi spaventa per niente. - controbatté con un sibilo Rei, mentre salivano.
La scala era a chiocciola, intagliata nella viva roccia della torre, e si arrampicava vertiginosamente, illuminata da un vago bagliore che pareva derivare dalle pareti stesse, che al tocco risultarono viscide e fredde come le scaglie di un serpente in attesa di stritolare la preda. Avevano ormai percorso un centinaio di scalini, quando davanti a loro si parò una porta a due battenti, finemente intagliata, raffigurante una torre su cui svettava una luna piena e, anche se era solo un’impressione, ghignante di cattiveria.
- Cosa si fa? Bussiamo o entriamo direttamente? - scherzò amara Rei, preparandosi allo scontro che sapeva essere imminente.
- Non dimentichiamo le buone maniere, anche se il padrone di casa non ne ha certo usate nei nostri confronti. - tentò di scherzare Minako. La sua catena vibrava ansiosa.
Mamoru colpì il legno con il pugno un paio di volte. La porta si aprì, cigolando lugubre. La stanza all’interno era molto grande, quadrata, forse una decina di metri di lato. Sul lato opposto a dove era entrato il gruppetto c’erano due porte, entrambe sprangate. Il tutto era illuminato da quella gelida e viscida luce verdastra. Sul fondo del locale si notavano tre figure, una delle quali svettava sulle altre per la sua altezza e la sua imponenza.
- Benvenuto, principe delle due lune. - Disse fredda come una tomba la voce della figura più alta. - Ti stavamo aspettando, io e la mia futura sposa.
Diede uno strattone alla sagoma che stringeva nella sinistra, facendole emettere uno strillo femminile. La luce illuminò due codini lunghi e biondi.
- Usagi! - gridò il giovane, mentre al suo fianco compariva la spada e il suo volto veniva celato dall’elmo.
Il ragazzo iniziò a correre verso la figura scura, che senza apparente difficoltà gettò Usagi e l’altra sagoma ai due lati opposti della stanza, aspettando a braccia conserte. Quando Mamoru fu a poco meno di un metro da lui, il re della luna nera si dissolse in nebbia fredda e appiccicosa, facendo sbattere l’altro violentemente contro il muro di scura pietra, che si scheggiò in vari punti per l’impatto. Immediatamente il principe delle due lune si rialzò e si diresse verso la figura di Usagi, riversa sul pavimento, svenuta o morta. Nello stesso momento Haruka si avvicinò all’altra sagoma, che riconobbe come quella di Ami.
- Speriamo che non sia successo niente a nessuna delle due, o sarò io stessa a uccidere quel re da strapazzo… - pensò la guerriera dei venti, anche se sapeva che con quella ferita all’ala non sarebbe stata in grado di fare un bel niente.
I due sollevarono i corpi quasi nello stesso momento, rendendosi piacevolmente conto che nessuna delle due aveva subito ferite.
- Eppure c’è qualcosa che non mi convince… - Pensò Rei. - E’ stato tutto troppo facile…
- Rei, non credi che ci sia qualcosa di strano? - le chiese Michiru, che stava osservando la scena come cercando qualcosa che le sfuggiva.
Rei annuì, quindi trasalì vedendo la catena di Minako avvicinarsi velocemente a Ami, pronta a colpirla.
- Minako! - gridò puntando il dito verso l’arma dell’amica.
L’incantatrice tentò di richiamare la catena, ma essa non voleva ubbidirle, dotata di volontà propria. Ami aprì gli occhi, due occhi neri e senza alcun alito di vita, che fissarono maligni il volto di Haruka.
- Furba quella catena, ha capito il trucco alla svelta… - sogghignò.
Fulminea, approfittando del fatto che la guerriera dei venti la stava sollevando, e quindi era impossibilitata a difendersi, estrasse un coltello dalla lama nera e lo conficcò nella schiena della giovane, facendo svolacchiare sul pavimento varie piume rotte, sporche di sangue.
- Haruka! No! - strillò tra le lacrime Michiru, correndo verso la compagna. Fu bloccata da Ami, che le si parò davanti, reggendo nella mano destra il coltello ancora insanguinato.
- Perché? Perché ci hai tradito così?
- Se vuoi la risposta, chiedila alla principessa. - rispose sorridendo la maga, indicando con la mano sinistra Mamoru e l’altra figura, ora sulle sue spalle, che si stavano lentamente avvicinando a Minako e Rei, senza essersi resi conto di ciò che era successo.
Usagi aprì gli occhi, due occhi neri che sapevano di morte, e a una velocità inumana fece balenare un pugnale, che finì la sua corsa nella gola del giovane. Questi rantolò, cadendo a terra. Un fiotto di sangue uscì dalla bocca proprio mentre la figura che lo aveva colpito si sistemava le vesti e guardava in direzione dell’incantatrice e della sua amica.
- Usagi? - domandò incredula Minako, non capendo tale comportamento.
- Povera sciocca, non hai capito che noi non siamo le tue amiche, ma serve dell’oscuro signore. - la derise la falsa Ami, muovendo l’arma per tenere sulle spine Michiru.
- Già. Le vostre amiche si trovano da tutt’altra parte, e non le troverete mai - disse la falsa Usagi, scavalcando il corpo ormai inerte di Mamoru e avvicinandosi, lunghi artigli al posto delle mani e denti lunghi e aguzzi come rasoi che le stavano spuntando dalla bocca, alle altre due ragazze.
- Questo è ancora da vedere. - sibilò il giovane alle sue spalle, tentando di sollevarsi da terra con le mani.
Il mostro dalle sembianze di principessa si voltò, stupefatto della resistenza del suo nemico. Mamoru si sollevò ansimando, il coltello gli attraversava la gola come in un incubo, e mosse un passo avanti. Anche l’altro mostrò stava osservando la scena con interesse e sgomento.
- Io… Noi abbiamo il potere dei vampiri di anime, e tu non puoi scalfirci nemmeno in mille volte mille anni, creatura senza anima. - esclamò una voce che assomigliava sia a quella di Mamoru che alle mille altre che le ragazze avevano sentito durante la loro vita.
Il ragazzo afferrò con la sinistra l’elsa del pugnale, e senza il più piccolo gemito lo sfilò dalla sua trachea, gettandolo a terra. Lo squarcio provocato dall’arma si rimarginò nel giro di qualche istante, lasciando l’armatura intatta nella sua innaturale bellezza di ceselli.
- Non… Non è possibile! - sussurrò spaventata la falsa Usagi, indietreggiando a passi incerti.
Si fermò, la schiena contro la parete vicino a Rei e Minako, che stavano guardando, spaventate quanto il mostro, ciò che Mamoru aveva fatto.
- Devo fare tutto io o potete ucciderla da sole? - scherzò duro il giovane rivolto alle due amiche, che immediatamente si voltarono verso l’essere e con un colpo combinato lo uccisero, facendolo sparire in una nuvola di maleodorante vapore scurastro.
L’altro essere, visto ciò che era successo alla sua compagna, decise di chiedere rinforzi, e velocemente abbandonò l’arma dirigendosi verso la porta alle sue spalle. Prima che Michiru o chiunque altro potesse fare qualcosa, la falsa Ami aprì l’uscio ligneo e lo richiuse violentemente all sue spalle. Dopo alcuni secondi si udì un grido di terrore, quindi il silenzio, sebbene rotto da pesanti passi di uomini armati. Michiru riuscì a raggiungere Haruka e a portarla, anche se faticosamente, vicino alla porta da cui erano entrati, dove anche gli altri stavano aspettando, temendo il peggio.
- Haruka, come va? - chiese premurosa Minako, avvicinandosi e chinandosi accanto a lei
- Bene, anche se mi sembra di aver ricevuto una coltellata nella schiena. - Ironizzò la giovane. Tossì violentemente. - Non sono stata di grande aiuto…
- Va bene così, non ti preoccupare. - La tranquillizzò Michiru, tentando di non piangere. Si rivolse agli altri presenti. - Io mi fermo qui con lei. Non può avanzare, ma se rimane da sola è spacciata. Questo corpo possiede alcune capacità curative che possono essere la sua unica speranza di salvezza… Mi spiace Mamoru.
Il ragazzo annuì, proprio mentre quattro cavalieri in armatura, gli stessi che avevano scortato Usagi e Luna nella torre, sbucavano dalla porta da cui era sparita la falsa Ami. Si disposero uno accanto all’altro e si apprestarono ad attaccare.
- Mamoru! - gridò la voce di Usagi, anche se fioca.
- Dall’altra porta! - Indicò Minako con il dito. - Ma potrebbe essere una trappola…
- Non importa! Potete badare voi a queste creature? - Domandò il principe. Alla risposta affermativa delle altre quattro con un cenno del capo, il giovane iniziò a correre verso l’uscita. - Devo tentare. Ne va della vita di Usagi.
Mamoru si richiuse alle sue spalle la porta lignea, così che i rumori della battaglia appena iniziata si affievolirono, per quindi cessare dopo aver percorso una cinquantina di scalini disposti a chiocciola. Il giovane non riusciva a rendersi conto di quanto tempo stava passando, ma si sentiva sempre più stremato. Ad un certo punto si accasciò al suolo ansimante.
- Non ce la faccio più! - Pensò, mentre una goccia di sudore cadeva dall’elmo sullo scalino. - Se non mi fermo un secondo scoppio.
- Noi… Tu sei più forte di ogni cosa. Non fermarti proprio ora che il destino sta per compiersi. - Gli risuonarono nelle mente le mille voci, gentili come un nonno con il nipote piccolo e stanco. - Pensa a Usagi, pensa a Mako, pensa alle tue amiche che stanno morendo per permetterti di liberare lei…
Mamoru si rialzò, incespicò, cadde. Si rialzò, mosse alcuni passi, cadde di novo. Alla fine riuscì a trovare la forza di giungere ad un pianerottolo buio, di cui non vedeva la fine. Lì cadde carponi e ansimò per alcuni minuti. Niente venne a disturbarlo. Nessun rumore, nessuna persona. Si rialzò, meno stanco di prima, e mise mano all’elsa della spada.
- Avanti, avanti… - Sussurravano le voci nella sua testa. - Avanti troveremo il fato che ci meritiamo.

 

Il giovane continuò, spada in pugno, lungo il buio corridoio che sembrava senza fine. Infine giunse ad una curva, una svolta d angolo retto da cui proveniva una tenue luce, che gettava sulla parete di fronte a lui l’ombra di un essere dotato di un’arma lunga e sottile.
- Benvenuto, principe delle due lune. - esclamò senza far trapelare sentimenti la voce di Hotaru.
- Hotaru? Sei tu? - chiese sbigottito il ragazzo, mentre la figura in armatura e falce voltava l’angolo e si parava proprio davanti a lui.
- Anche la tua amata principessa mi ha chiamato più volte così, ma entrambi vi sbagliate. Io solo la Morte, la signora di tutti.
- Ma sei al servizio dell’oscuro signore, il re della luna nera…
- No! - Vi era sdegno nella voce. - Lo sto aiutando per tornare alla pari di alcuni favori che mi ha fatto, ma nessuno può comandare la Morte. Nemmeno lui.
- Allora lasciami passare. Io non ho niente contro di te, Hotaru, o come vuoi essere chiamata. Io voglio liberare Usagi. Spostati.
- Tu dici di non avere niente contro di me, ma io voglio che tu paghi il tuo tributo a me. Per ben due volte ti ho invitato a raggiungermi, e per ben due volte ti sei rifiutato di venire, adoperando i poteri dei vampiri di anime. Voglio che sia fatta giustizia, voglio che qualcuno muoia.
- Colei che ci ha creati, colei che deve morire per la nostra liberazione è vicina! - urlarono nella sua testa le voci.
- Tu hai creato questa… cosa? - chiese, rivolto a Hotaru, il giovane.
- No! - Rispose sprezzante la voce di Ami, mentre quest’ultima faceva capolino da dietro la curva. - Io li ho creati, e francamente non credevo che potessero diventare così potenti.
L’armatura parve prendere vita, estrudendo spine e tentacoli da quasi ogni superficie. L’elmo mutò l’aspetto in una maschera terrificante, dotata di zanne e corna.
- Tu! - Gridarono le mille voci, prendendo il posto della voce di Mamoru. La bocca dell’elmo si mosse come se chi parlasse fosse la protezione stessa. - Tu ci hai creati! Tu devi pagare per ciò che abbiamo sofferto e per quello che abbiamo fatto soffrire.
La maga rise, facendosi avanti e ponendosi fra Hotaru, immobile e inespressiva come se osservasse dal di fuori una scena che non le interessava , e Mamoru, o ciò che era diventato.
- Cosa vorreste farmi, creature… Io vi ho dato vita, vi ho dato uno scopo nel ciclo dell’esistenza, e voi vorreste ripagarmi così? Ora tentate di ragionare, e abbandonate quel misero corpo che vi ospita, e venite a me!
- Ma… Ami! - Domandò il giovane, riprendendo il controllo del proprio corpo e dell’armatura. L’elmo tornò il volto impassibile e privo di emozioni di qualche secondo prima. - Cosa stai dicendo? Ti credevamo prigioniera.
La giovane rise malvagiamente, e si fece avanti fino a essere di fronte a lui. Gli accarezzò delicatamente la guancia con la mano destra, osservandolo con un lieve sorriso. Quindi gli affibbiò un sonoro schiaffo sulla stessa guancia che aveva accarezzato.
- Stupido! La vostra amica è prigioniera in un mio trucchetto psichico da prima ancora che incontrassimo quel cavallo alato. L’ho usata per ottenere quello che serviva a me e al mio alleato, il re della luna nera.
- Tu alleata con lui?
- Già! Chi lo avrebbe mai detto? - rispose ironica una voce di tomba e morte alle spalle del ragazzo.
Questi si voltò di scatto, vedendo la figura che già prima aveva osservato nella stanza della falsa Usagi. Il re della luna nera sembrava un fantasma di nebbia scura, più nera del buio del corridoio. Indossava un manto opaco e dai riflessi verdastri, come le luci delle torce che c’erano in tutta la sua torre, e si avvicinava lentamente, con passi misurati che stridevano sulla pietra del pavimento.
- Sembra che io sia giunto nel momento più intenso di questa commedia. - Ironizzò l’essere. - Ora siamo pronti per il momento finale, quello del lieto fine, dove io sposerò la bella principessa della luna chiara e diventerò padrone di questo mondo, mentre tu, insulso omuncolo, morirai per mano del mio più fedele servitore. Morte, uccidilo per me!
Hotaru non si mosse, gli occhi fissi a osservare ciò che si era appena compiuto.
- Morte, ti ho detto di ucciderlo! Obbedisci.
La giovane fece un passo avanti, trovandosi ormai a pochi passi dalla figura della maga, e abbassò l’arma, decisa a non attaccare.
- E va bene… - Sbuffò la ragazza vestita di azzurro. - Dovrò avere io il piacere di eliminarlo.
Mosse le mani in un ampio gesto, e una debole luce azzurra si formò sui palmi. Come risvegliata dal gesto, l’armatura di Mamoru riprese l’aspetto mostruoso di prima, e si lanciò all’attacco ruggendo. Tale fu la rapidità che la maga non poté finire il suo incantesimo, colpita in pieno petto da un pugno sferrato con violenza micidiale.
- No! - gridò Mamoru all’interno della sua stessa anima. - Non dovete ucciderla!
- E perché mai? Lei ci ha resi ciò che siamo, e ora deve pagare. - gli risposero le voci, che si materializzarono in facce di ogni genere, tutte attorno a lui.
- Se lei muore, anche la mia amica morirà con lei, e questo non lo permetto…
- Ci dispiace…
L’artiglio che ora era la mano di Mamoru colpì al volto la maga, che si accasciò di lato. Lo sguardo di Hotaru e della maschera di odio dell’elmo durò un secondo, un interminabile secondo di indifferenza totale. Alla Morte non interessava quello che stava avvenendo, così come non sembrava interessare nemmeno all’oscuro signore, che osservava a braccia conserte, un debole sorriso che gli increspava le labbra nere. La mano sinistra di Mamoru afferrò la gola di Ami, sollevandola di una spanna dal pavimento. L’altra era pronta a colpire.
- No!!! - gridò piangendo il giovane.
L’artiglio si mosse rapido e penetrò la cassa toracica della ragazza come se fosse fatta di carta. La maschera dell’armatura stava piangendo lacrime di sangue, mentre la mano destra si ritirava stringendo il cuore della maga, che non aveva emesso un gemito per tutto il tempo.
- Ora siamo stati vendicati, e non c’è più motivo per noi di esistere. Addio, anima pura, ti ringraziamo per ciò che ci hai concesso di fare. - dissero le mille maschere a Mamoru, la cui anima giaceva bocconi, piangente, incapace di credere di aver ucciso una sua amica.
- Ora giustizia è fatta. La Morte ha avuto il suo tributo. I conti sono regolati. - sogghignò Hotaru.
L’armatura che indossava Mamoru si sgretolò come sabbia al vento, lasciando il ragazzo con addosso la sua vecchia armatura. Si accasciò sul pavimento, distrutto come la sua anima. Nella mano stringeva ancora il cuore della maga.
- Ora che anche questo è sistemato. Possiamo procedere a cose più importanti. - Esclamò felice il re della luna nera, scavalcando il cavaliere e facendo scostare Hotaru. - Devo organizzare un matrimonio, e ho solo pochi minuti prima che l’eclissi finisca.
- E dopo? - chiese la giovane in armatura.
- E dopo sarà un mondo dove non esisterà nulla di bello, dove tutti saranno ai miei ordini come esseri che non potranno morire, poiché io avrò mangiato la loro anima come un umano mangia un biscotto saporito!
Hotaru inarcò un sopracciglio, e mosse la sua arma, ponendo la lama davanti alla gola del signore oscuro. Questi si voltò, l’odio negli occhi.
- Osi ribellarti?
- Tu non sei il mio padrone, anzi… Se tu non sei solo un ricordo spiacevole, è perché io ti ho concesso di non occuparmi di te per un po’ di tempo. E’ ora che tu capisca chi comanda qui.
- E saresti tu? - La guardò fissa negli occhi e rise. - Non mi arrabbierò per questa volta perché ho cose più importanti, ma attenta, la prossima volta potrei non essere dello stesso buon umore.
Scostò la lama con noncuranza e entrò nella cella che si trovava dietro l’angolo. Dentro, Luna e Usagi erano riverse sul pavimento, svenute dopo l’ultimo colpo ricevuto a causa delle loro grida. L’essere sorrise vedendo il viso tranquillo della giovane dai capelli biondi. Senza apparente sforzo sollevò le due ragazze, una per braccio, e se le pose in spalla, riuscendo a non svegliarle. Uscì dalla cella e depose i corpi sul pavimento, prestando attenzione a non far loro del male. Usagi sbadigliò e mosse le braccia.
- Che sogno orribile! C’era un essere nero… - La giovane aprì gli occhi che si posarono sul re della luna nera. - …come la pece! Luna, Mamoru, aiuto! - gridò, indietreggiando fino ad avere le spalle al muro.
Come risvegliato da uno stato di catalessi, il giovane si alzò in piedi.
- Usagi? - La vide. - Usagi! - gridò di gioia.
Il re della luna nera gli si pose davanti, ergendosi di almeno due spanne più alto di Mamoru.
- Uomo, cosa credi di fare? Ormai ho pochissimo tempo per compiere il mio sogno, e non sarai tu a distruggerlo.
- Non lui, io! - disse, senza emozioni nella voce, Hotaru, facendo sibilare la falce.
La testa del re della luna nera cadde, rotolando sul pavimento. Il corpo non si accasciò, ma rimase immobile, ritto su qualcosa che dovevano essere i suoi piedi. La testa rise acidamente.
- Morte, hai rovinato i miei piani, ma non credere che non mi vendicherò. Se non potrò avere io la principessa, non l’avrà nessuno! - sibilò sempre più debolmente, per concludere la frase con una risata disperata.
Il corpo dell’essere si mosse verso Usagi, e prima che chiunque potesse fare qualcosa, due artigli di tenebra si serrarono sul collo della giovane, provocando pochi istanti dopo un rumore secco e orribile. Usagi ebbe delle convulsioni per un secondo, quindi si accasciò sul pavimento, il collo in una posizione innaturale, gli occhi riversi all’indietro, piangenti.
- E’ morta. - Dichiarò Hotaru. - Sta giungendo da me, come l’anima dell’altra tua amica e di quella strega vestita di azzurro.
- Falla tornare indietro, Morte. Ti scongiuro, non farla morire… - singhiozzò Mamoru.
- Non posso. È la regola. Se qualcuno è morto, il numero non può variare. Anche se l’ho fatta io, la regola non può essere infranta.
Mamoru la guardò duro in volto, quindi estrasse la spada.
- Vorresti combattere? - chiese ironica la giovane.
- No! La mia vita per quella di Usagi. Dille che le volevo bene…
Voltò la spada impugnandola con entrambe le mani e se la infilò nello stomaco, facendola fuoriuscire dalla schiena. Un filo di sangue rosso cupo gli rigò il lato della bocca, mentre cadeva a terra.
- Anima nobile. Raro trovarla, anche per il tempo che ho vissuto… Mi sembra giusto accontentarlo.
Hotaru chiuse gli occhi, quindi li riaprì. Si trovava in un nulla bianco, dove giungevano continuamente figure di esseri di ogni tipo. La giovane focalizzò lo sguardo su due figure in particolare. Usagi e Mamoru furono accanto lei, sospesi in quel nulla senza tempo.
- Ma dove ci troviamo? - Chiese la ragazza guardandosi attorno. - Mi ricordo solo un dolore al collo, quindi il buio. Mamoru, tu ci capisci qualcosa?
Il giovane non rispose, ma la guardò con occhi tristi.
- Manterrai la promessa? - chiese a Hotaru.
Lei annuì.
- Addio, testolina buffa… - disse in un sussurro, strozzato dalle lacrime che voleva trattenere.
- Come addio? E che cosa ti aveva promesso?
- E’ tardi. Devi andare. - le disse la Morte.
Con un gesto della mano Usagi sparì dalla vista. Mamoru osservò la ragazza al suo fianco.
- E’ viva?
- In questo momento sta tornando al suo corpo… - Gli rispose. - Andiamo. Dobbiamo raggiungere la tua amica.
- Vorrai dire le mie amiche. Anche Mako è morta.
La Morte non rispose, attirata da qualcosa di strano.
- Due straniere hanno osato entrare nel mio dominio. - sibilò visibilmente alterata.
- Non due straniere qualsiasi, Morte… - la prese in giro una voce che, avvicinandosi a velocità impressionante, Mamoru riconobbe quasi immediatamente.
- Setsuna!
- E con me c’è anche la vera Hotaru.
Ormai le quattro figure erano una di fronte all’altra. Setsuna indossava il suo costume da Sailor, Hotaru era come se la ricordava Mamoru dopo l’ultimo scontro, neonata e in fasce.
- Guardiana del Tempo, sono secoli che non ci vediamo. - La salutò priva di emozione la Morte. - E quella che hai in braccio sarebbe la giovane a cui dovrei assomigliare?
Rise di gusto. Dopo qualche secondo tornò seria, e osservò con occhi penetranti Setsuna.
- Cosa vuoi da me, Guardiana del Tempo?
- Ti chiedo di salvare due anime.
La giovane aggrottò le sopracciglia.
- Hai capito, non farmelo dire. Mamoru e Ami non devono morire ora. Ancora molto li attende, in tutti i percorsi del Tempo che mi sono stati concessi, e non sono pochi.
- Lo so. Sei una Guardiana principale, e come tale dovresti sapere che non si infrangono le regole. Una vita per una vita. Lui ha accettato. Così come tu sapevi le regole quando li mandasti qui.
Setsuna annuì. Nelle sue mani comparve la Garnet Orb. La ruotò velocemente davanti a sé, creando un disco dove si formarono immagini a velocità così elevate che Mamoru dovette chiudere gli occhi per non perdere l’equilibrio. Dopo circa un minuto Setsuna fermò l’asta, e la fece scomparire. Aveva sempre retto con l’altra mano il fagotto sorridente che era Hotaru. Passò un tempo infinito, o così parve al giovane, prima che la Morte distogliesse lo sguardo da dove c’era prima il cerchio.
- Quello che mi hai fatto vedere è impressionante… - la voce tradiva una certa tristezza.
- Sono solo i percorsi principali, eppure…
- E in tutti loro due sono i protagonisti di grandi cambiamenti. Ma… - La voce si fece dura. - Non posso infrangere le regole! - concluse la frase puntando alla gola di Setsuna la falce.
La ragazza non mosse un muscolo. Hotaru, agitandosi e ridacchiando, si sporse abbastanza da toccare la lama dell’arma.
- Si… Silence… Grave. - bofonchiò con un sorriso che le increspava le labbra.
La Morte ritrasse l’arma e osservò la neonata come cercando di ricordare qualcosa.
- Eppure qualcuno infranse le regole per lei… - sorrise Setsuna guardando il fagotto che aveva in braccio.
La Morte ricambiò il sorriso e tese la mano. La bambina allungò le sue. Si toccarono. Una lacrima scivolò lungo la guancia della giovane in armatura.
- Già… - esclamò, sorridendo triste.
Si asciugò la lacrima passandosi la mano su viso.
- Guardiana del Tempo, mi devi un favore… - Sussurrò la Morte rivolta a Setsuna. - No, io ti devo un favore. Mi hai fatto vedere che due fragili vite possono qualcosa che nemmeno io posso distruggere, nemmeno in mille volte mille anni. Grazie.
Setsuna e Hotaru svanirono lentamente.
- Preparati. - Disse la giovane a Mamoru, quando le due furono completamente sparite. - Torni alla vita.
- E Ami? E Makoto?
- Non fare altre domande, o finirò per cambiare idea. Ora vattene.

 

Tutto attorno a Mamoru divenne confuso, mentre il bianco lasciava il posto al nero e al dolore sordo nelle ossa che gli fecero capire di essere di nuovo vivo. Aprì gli occhi, vedendo tutte attorno a lui le facce delle sue amiche.
Si rialzò, ma un dolore deciso alla testa lo fece desistere.
- Stai calmo. Ormai è tutto finito. Riposati un secondo. - gli disse Rei.
- Aiutatemi a mettermi seduto, per favore…
Le ragazze, a fatica lo spostarono un attimo e lo appoggiarono alla parete. Tranne Haruka, seduta poco distante da lui e intenta a controllarsi la fasciatura che le bendava la zona sinistra del busto, le altre erano ora davanti a lui.
- Usagi, sei salva! - esclamò felice il ragazzo, vedendo che tra le amiche c’era anche lei.
- Sì. Non ho ancora ben capito cosa sia successo, ma credo che questa volta abbiamo avuto più fortuna del solito. Siamo tutti sani e salvi.
- Tranne Mako. - Disse Ami, che presentava all’altezza del cuore uno squarcio nella veste, ma sotto la pelle era candida e senza segno di ferita. - Lei non ce l’ha fatta.
- Quindi… - iniziò Mamoru.
- Già. Anche quando e se torneremo nel nostro mondo, lei non ci sarà più.
Cadde il silenzio nella stanza, rotto solo dal sordo singhiozzo di Rei, subito consolata da Minako e Ami.
- Non è giusto! - Sbottò alla fine, scoppiando in un pianto dirotto. - Perché è morta?! Perché si è dovuta sacrificare così… Non è rimasto nulla di lei. Nulla!
Michiru si avvicinò a lei e le pose una mano sulla spalla.
- Qualcosa si è salvata. Lo so che questo non cambierà le cose, ma a questo punto mi sembra giusto che sia tu a tenerlo.
Estrasse il pezzetto di legno bruciacchiato e lo mise nella mano di Rei.
- Questo è ciò che rimane di lei. - balbettò la giovane vestita di rosso, tentando di non ricominciare a piangere.
Fallì. Le lacrime sgorgarono dai suoi occhi come da quelli degli altri, addolorati per la morte di un’amica. Alcune lacrime caddero sul pezzo di legno. Dopo qualche secondo, questi iniziò a rinverdire e a crescere, spaventando la giovane, che lo fece cadere a terra poco lontano da loro. In pochi minuti, sotto lo sguardo allibito di tutti, da quella piccola scheggia si riformò il corpo di Mako. Solo quando il corpo fu completamente ricresciuto e mosse dei piccoli, incerti passi verso il gruppetto di ragazze, Minako ebbe il coraggio di farsi avanti e abbracciare l’essere, che stava assumendo i colori che aveva in precedenza Makoto.
- Sei viva! - gridò piena di gioia l’incantatrice.
- Certo che sono viva. Anche se non so come sono arrivata qui e perché non sono nel castello a bruciacchiare mostri, direi che sono viva.
- Tu eri bruciata, e tutto quello che era rimasto di te era un pezzetto grande così… - le spiegò Michiru, facendo segno con la mano per la dimensione della scheggia.
- Un mondo ben strano, ma se questo mi ha permesso di sopravvivere…
- Ecco perché Hotaru… la Morte, continuava a dire che solo due anime erano arrivate a lei. Tu eri ancora viva, anche se confinata in quel pezzetto di legno… - Parlò come pensando ad alta voce Mamoru. Sembrò ricordarsi di una cosa importante. - A proposito, qualcuno ha visto Hotaru?
Tutte negarono scuotendo la testa.
- Dopo che sono svenuta per il colpo ricevuto dal re della luna nera... - Disse Usagi. - Non l’ho più vista. Probabilmente non aveva altri motivi per rimanere qui.
- Già… - annuì Mamoru, anche se poco convinto.
Passarono alcuni minuti di silenzio.
- Ragazzi, che ne dite se tornassimo a casa? - propose Minako.
- D’accordo, ma come? - le chiese Rei.
- A questo ci penso io.- Rispose Setsuna, comparsa all’improvviso dal nulla. Indossava la divisa da Sailor. - Io vi ho trascinato qui, io vi riporterò indietro.
- Ma perché lo hai fatto? - Chiese Ami. - E se è vero quello che mi disse la maga, io non ho più nessuna controparte, dato che la maga è morta.
- Calma. Il perché dovrebbe esservi chiaro: solo gli sforzi combinati di esseri tanto diversi potevano realizzare ciò che si è compiuto, e solo la vostra amicizia e l’amore di Mamoru per Usagi avrebbe permesso a persone che nemmeno si conoscevano di collaborare per sconfiggere il re della luna nera. Per quanto riguarda la maga, non preoccuparti. Quando tu tornerai nel tuo mondo, qualcuno che Mamoru conosce bene prenderà il corpo della maga, e lo utilizzerà per ripagare tutti i torti che lei aveva fatto negli anni della sua vita…
Ami guardò il giovane con fare interrogativo. Lui si limitò a scrollare le spalle, mostrando di saperne quanto lei. Setsuna sorrise.
- Il corpo della maga sarà controllato dall’entità definita vampiri di anime. - spiegò la ragazza dai capelli verdi.
- Ma non erano morti? - Chiese Mamoru. - Li ho visti sparire.
- Noi non possiamo morire, dato che non siamo mai nati. - Disse una voce che ne era centinaia, proveniente dalla bocca di Ami. - Ti ringraziamo ancora, anima buona, e chiediamo perdono all’entità con cui ancora per poco condividiamo questo corpo. Il nostro scopo l’ha portata alla morte, e ciò ci rammarica. Abbiamo un debito verso tutti e due, e non sappiamo se potremo ripagare.
- Fate del bene, e ciò sarà sufficiente. - Si affrettò a rispondere il giovane. - Avete enormi poteri, sta a voi decidere se essi debbano essere usati per fini malvagi o meno.
- Parole vere, Mamoru. - Sorrise Setsuna. - Ma ora dobbiamo andare, o avrò qualche problema in più del previsto per farvi rientrare nei vostri corpi…
Tutto davanti agli occhi dei giovani divenne nero.

 

Rei si voltò nel letto due o tre volte prima di decidersi ad aprire gli occhi. Sentiva la calda carezza del sole del mattino sfiorarle il volto, ma esitava ad abbandonare il mondo dei sogni che l'aveva ospitata fino a quel momento, non avendo assolutamente voglia di alzarsi per seguire anche quel giorno delle lezioni noiose e per lei prive quasi sempre di senso. Ma era un suo dovere andare a scuola, e si fece coraggio. Ad occhi chiusi si sollevò dal letto, sospirò sconsolata e allungò la mano cercando la sveglia sul comodino per guardare l'ora. Era in ritardo di qualche minuto, niente di grave.
- Eppure mi sembra che questa scena, o quasi, l’abbia già vissuta. Forse nel sogno che ho fatto stanotte. Era ben strano…
- Rei, svegliati. Non ci crederai mai, ma questa notte ho fatto un sogno incredibile! - Era la voce di Makoto. - pensa che ero fatta di legno e Mamoru aveva i capelli lunghi e…
Rei impallidì.
- Non era solo un sogno…

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