Cast a Long Shadow

di Mark MacKinnon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Mancanza di giudizio ***
Capitolo 2: *** II - Ranma 1 e 2 ***
Capitolo 3: *** III - Solo sopravvissuto ***
Capitolo 4: *** IV - Un riflesso oscuro e distorto ***
Capitolo 5: *** V - Cuori a nudo ***
Capitolo 6: *** VI - Quell'ultima notte innocente ***
Capitolo 7: *** VII - L'abisso ***
Capitolo 8: *** VIII - Quando si combattono mostri ***



Capitolo 1
*** I - Mancanza di giudizio ***



Questa leggendaria ff risale alla fine degli anni ’90 e al suo apparire fu come se una bomba fosse stata sganciata nel fandom ranmaceo internazionale per l’originalità della trama, per la drammaticità degli eventi raccontati e per la straordinaria caratterizzazione dei personaggi. Ancora oggi, a quattordici anni di distanza, Cast a Long Shadow mantiene intatto tutto il suo sconvolgente impatto emotivo grazie alla traduzione di Il Corra Productions, che ha acconsentito affinché quest’ultima fosse pubblicata su EFP su richiesta di moira78.
Dal momento che Moira è impegnata nella traduzione del seguito di CALS, io – in qualità di sua betareader nonché correttrice di bozze per professione – mi sono offerta di revisionare CALS per la pubblicazione in vista appunto della traduzione del seguito da parte di Moira, quindi io ho aperto l’account per l’autore, ma saremo in due a gestirlo.
Nel revisionare questo primo capitolo mi sono limitata alla mera correzione dei refusi e degli errori di grammatica e punteggiatura, ragion per cui nel testo troverete in abbondanza aggettivi, avverbi, ripetizioni, ridondanze, frasi a volte non proprio scorrevoli e pronomi possessivi ricorrenti nella lingua inglese che in italiano sono spesso superflui. Non ho alterato quasi nulla affinché la traduzione di Il Corra giungesse a voi così come è apparsa per la prima volta nel web.
Vi auguro buona lettura.
TigerEyes






CAST A LONG SHADOW

di
Mark MacKinnon



traduzione
Il Corra Productions




I

Mancanza di giudizio






La mano cominciava a farmi male dal troppo stringere il ramo. Spostai il mio peso e cercai di ignorare il fatto che il mio stomaco fosse un grosso spazio vuoto. Sapevo che l’avrei potuta vedere presto. Quel pensiero mi tratteneva nascosto lì in quell’albero quando tutti i miei istinti mi urlavano di andarmene. L’avrei potuta vedere ancora, e in quel momento era tutto ciò a cui riuscivo a pensare.
Akane.
Era primavera inoltrata, e il clima era mite. Potevo vedere Kasumi mentre preparava la tavola per la colazione attraverso la porta aperta. Non potevo sentirla, ma sapevo che stava canticchiando qualche motivetto mentre lavorava. La mia presa sul ramo si strinse ancora quando lei alzò lo sguardo, e lottai con me stesso per non muovermi. Avevo scelto la mia posizione perché mi permetteva di vedere l’interno della casa senza essere visto.
Che era esattamente ciò che volevo.
Qualcuno arrivò dalle ombre dell’interno per sedersi a tavola, e per un momento non riuscii a respirare. Poi lei si sedette e vidi che era solo Nabiki. Lasciai uscire un respiro stentato e guardai stupito la mano libera che tremava. Avevo bisogno di controllarmi. Avevo bisogno...
Avevo bisogno di andarmene. Era stupido quello che stavo facendo, stupido e inutile, e l’unica cosa sensata da fare sarebbe stata andarmene.
Ma non lo feci. Non potevo. Non senza almeno averla vista, solo una volta...
Qualcun altro raggiunse la casa, ma vidi subito che era il signor Tendo. Cambiai mano di appoggio e cominciai a flettere le dita in un futile tentativo di convincere i miei muscoli a rilassarsi. Improvvisamente, percepii, piuttosto che sentire, il tambureggiare di passi, qualcuno pesante che si muoveva molto velocemente. Sapevo cosa dovesse essere.
Un grosso panda rimbalzò dal giardino sul retro, fuori dal mio campo visivo, saltando in alto nell’aria. Un lampo rosso comparve dal nulla ed entrò in collisione con l’orso, mostrando di essere una ragazza coi capelli rossi in una camicia cinese rossa e ampi pantaloni neri. I suoi piedi erano piantati a fondo nel muso del panda, e quando lei lo respinse quello cadde nel laghetto delle carpe, fino ad allora tranquillo. La ragazza lanciò un’occhiata beffarda da sopra la spalla e atterrò facilmente oltre il laghetto.
No. No, no, no, NO! Non ero stato capace di ammettere con me stesso quanto avevo sperato, quanto avevo PREGATO che lui non fosse lì. Per questo avevo passato un bel po’ di tempo a sperare e pregare ultimamente, ma a quanto pare i Kami non stavano ascoltando.
Naturalmente lui era lì. Naturalmente. E...
E c’era anche lei. Kasumi disse qualcosa alla strana coppia nel giardino e qualcun altro uscì per sedersi a tavola. La ragazza e il panda si precipitarono alla tavola della colazione mentre Kasumi cominciava a preparare le tazze, bloccando momentaneamente la mia visuale. Poi potei vederla di nuovo, e il mio stomaco si contorse ancora di più, cosa che non avrei mai creduto possibile.
Akane. La guardai per tutta la colazione. Guardai il modo in cui spostava una ciocca di capelli dietro all’orecchio mentre si sporgeva in avanti per prendere la sua tazza. Guardai il modo in cui inclinava la testa mentre sorrideva a qualcosa che Kasumi aveva detto, guardai il suo sorriso morire quando la rossa le disse qualcosa, la guardai ribattere un’aspra risposta. Il ramo scricchiolò sotto la mia presa e digrignai i denti per la rabbia. Perché doveva farlo? Perché aveva fatto andare via il suo sorriso? Perché?
Fin troppo presto, la colazione era finita. Akane guardò l’orologio, scattò in piedi e corse nella casa. La rossa prese una teiera gialla da una sorridente Kasumi e versò il contenuto fumante su se stessa, diventando un ragazzo. Poi lui pure corse nella casa.
Mi appoggiai al tronco dell’albero, sentendo le asperità della corteccia attraverso la camicia. Cercai di attingere forza dalla sua solidità, dalla sua realtà. Avevo un gran brutto bisogno di quella forza.
Dopo tutto, sapevo dove lei stava andando. Stava andando a scuola, e sarebbe stato molto facile seguirla. Avevo detto a me stesso che volevo solo un’opportunità di rivederla, che mi sarei nascosto nell’albero e l’avrei guardata e mi sarei accontentato, ma era stata una menzogna. Non mi accontentavo. Ne volevo ancora.
"Solo per vederla", mi dissi. "Solo per guardarla e ascoltare la sua voce, forse sentirla ridere. Non c’è niente di sbagliato a farlo. Dopo tutto, non è come se io stessi per fare qualcosa...".
Il ragionamento mi convinse, come ero sicuro che avrebbe fatto. Anche se io non l’avrei mai ammesso con nessuno, potevo ammettere con me stesso che non ero pronto per lasciare Akane sola.
Anche se sapevo che quella era la scelta giusta. La sola scelta.
Silenziosamente, saltai giù dall’albero e mi preparai a seguirla.


Ranma lanciò una cauta occhiata ad Akane con la coda dell’occhio mentre correva in cima al reticolato. Sembrava ancora arrabbiata. Sospirò tra sé e sé. Perché lei doveva sempre fare tutte ‘ste storie per tutto quello che lui diceva, poi? Non aveva mica voluto offenderla, dopo tutto. E aveva detto la verità...
"Ehi, Akane", la chiamò dall’alto, "non è che, ehm, sei ancora arrabbiata per quello che ho detto, no?".
"Naturalmente no", disse stizzosamente, "ora sbrigati o arriveremo a scuola in ritardo". Il suo tono rendeva ovvio il fatto che lei fosse ancora arrabbiata, e Ranma sentì la sua irritazione che cresceva in risposta.
"Oh, andiamo, Akane. Lo sai, se tu solo imparassi a cucinare, io non avrei paura a mangiare i tuoi piatti!".
"Ma perché non taci e basta, buffone! E perché io dovrei voler cucinare per te, poi?".
"Oh, non sei per NIENTE carina!".
"STUPIDO!".
"Maschiaccio!".
Il battibecco continuò mentre correvano verso il cancello principale del liceo Furinkan. Sfortunatamente, sapevano entrambi quali pulsanti premere ed entrambi erano di pessimo umore mentre si precipitavano nel cortile della scuola.
"Akane Tendo! La tua bellezza è come il surgkkh!". Il discorso di benvenuto di Kuno incontrò il dorso della cartella di Akane mentre lei lo superava senza rallentare. Lui ondeggiò per ritrovare l’equilibrio, poi voltò la testa e alzò la sua spada di legno, puntandola verso Ranma.
"Saotome, cosa hai fatto alla mia Ackkkhh!". Ranma saltò facilmente sopra la spada di Kuno e piantò un calcio sulla sua nuca.
"Io non ho fatto niente alla tua «ackkkkhh», Kuno", mugugnò. "Levati di torno".
Detto questo corse verso la scuola, lasciando un sorpreso Kuno sdraiato a braccia spalancate sull’erba. Una figura in uniforme da ragazzo con una grossa spatola appesa alla schiena gli si avvicinò, guardando a lungo Ranma mentre si allontanava.
"’Giorno, Kuno", disse allegramente Ukyo, mentre la sua coda di cavallo scivolava sulla sua spalla nell’inchino. "Senti, ti è capitato di notare qualcuno che seguiva Ranma e Akane quando sono entrati?". Ukyo era sicura di aver visto per un attimo qualcuno dietro alla coppia in corsa, ma la figura era scomparsa prima che lei potesse guardare meglio.
"Certamente no", rispose Kuno con dignità offesa da dove era disteso. "Ero accecato dalla grande bellezza di Akane Tendo".
Accecato da colpi ripetuti alla testa, piuttosto, pensò Ukyo con un sospiro. Ringraziò il senpai prono e se ne andò. Non era certo una cosa insolita che qualcuno seguisse Ranma, e sicuramente ci sarebbero stati guai. Poi sorrise. Ora aveva una scusa per seguire Ran-chan. Poteva tenere d’occhio la sua ombra, e se qualcosa fosse accaduto, lei sarebbe stata lì per aiutarlo.
La sua giornata le pareva in netto miglioramento. Cominciò a fischiettare un allegro motivetto mentre si dirigeva verso la scuola, saltando sopra la forma prona di Kuno senza degnarlo di uno sguardo. Dopo un momento, lui si rialzò dolorosamente.
"Almeno lei non mi ha calpestato", sospirò dirigendosi verso la classe.


"Stupido, stupido, stupido", cantai piano con me stesso da dove mi nascondevo, chino nei cespugli. Ero andato troppo vicino quando quel lunatico di Kuno era saltato fuori, e Ukyo mi aveva quasi visto. Lei aveva lanciato un’altra occhiata verso il mio nascondiglio mentre se ne andava. Non era sicura di quello che aveva visto. Ero stato fortunato. Per questa volta. Ma se continuavo a seguire Akane, la mia fortuna si sarebbe esaurita in fretta.
Eppure non mi potevo fermare. Non ancora. Solo un altro po’. L’avrei vista a pranzo, naturalmente avrebbe mangiato fuori, e poi... poi l’avrei seguita a casa, e sarebbe finita. Quella sarebbe stata la fine della faccenda. L’avrei seguita a casa, e poi io... Avrei...
Mi gettai in ginocchio e scagliai un pugno sul terreno, assaporando la sensazione dell’impatto mentre risaliva lungo l’avambraccio. Faceva così bene che lo feci ancora, e ancora, e poi non riuscii più a fermarmi. Martellai la terra insensibile, stringendo gli occhi in uno sciocco tentativo di impedire alle mie lacrime di scappare. Come se avessi potuto negare il mio dolore se quelle lacrime non fossero mai cadute...
Alla fine i muscoli del braccio bruciavano e le nocche spellate sanguinavano liberamente. Mi spinsi in avanti finché la mia fronte non toccò l’erba fresca e ombreggiata e mi strinsi attorno le braccia, come se potessi trattenere fisicamente il dolore all’interno. Ansimai come se avessi appena corso dieci miglia e ondeggiai lentamente indietro e avanti, sentendo i miei respiri stentati farsi strada attraverso la gola contratta.
"Per favore," sussurrai alla terra, "non so cosa fare. Cosa devo fare?".
La mia preghiera non ottenne risposta, ma del resto, sapevo che non l’avrei avuta.
Avevo finalmente capito che non c’era nessuno a cui mi potessi rivolgere per avere aiuto.
Ero solo.


Ranma era di umore piuttosto buono quando lasciò la scuola quel pomeriggio. Ogni giornata che finiva senza essersi trasformato in ragazza a scuola valeva come un buon voto. Il suo buon umore scemò in qualche modo quando vide Akane camminare lontano da lui, naso all’aria, ignorandolo. Non l’aveva ancora perdonato. Sospirò verso la schiena della ragazza e accelerò per raggiungerla.
Perché lei doveva essere sempre così intrattabile, poi?


Ukyo si mise dietro Ranma quando lui lasciò la scuola. All’inizio temeva che lui la vedesse e si facesse un’idea sbagliata; dopo tutto, lei stava solo cercando di capire chi lo stava seguendo. Davvero. Poi vide Akane marciare lontano da lui, e capì che non si doveva preoccupare, lei non sarebbe stata notata nel prossimo futuro.
Ukyo sentì un nodo che si stringeva nella sua gola mentre li guardava camminare insieme. Ranma stava vicino a Akane, un braccio dietro alla testa, cercando di apparire noncurante. Akane lo ignorava. Lui cercò di avviare una conversazione. Lei sibilò una risposta. La postura del ragazzo divenne rigida e difensiva. Ukyo scosse la testa con rabbia.
"Perché lei?" si chiedeva astiosamente. "Perché non me? Io non renderei mai Ran-chan così infelice".
Suppose che avrebbe dovuto essere contenta del fatto che Ranma e Akane stessero litigando, ma non sembrava mai cambiare niente tra loro. Ranma veniva spesso al suo ristorante dopo le loro sfuriate per avere conforto culinario e psicologico, ma poi tornava sempre a casa, da Akane. Certe volte Ukyo sentiva bisogno di lui con un’intensità che quasi la faceva star male, ma lui non sembrava notarlo mai. Lui non capiva mai. Lui non cercava mai di capire.
Lui non era mai stato con lei.
"Questo è stupido", mormorò improvvisamente. Aveva cose migliori da fare piuttosto che pedinare un tipo con uno stupido pretesto come... come...
Come una scolaretta stracotta.
Scosse la testa con rabbia. Avrebbe dovuto fare ritorno al ristorante e preparare le okonomiyaki. Anche se qualcuno stava seguendo Ranma, lui se la sarebbe cavata. Se la cavava sempre. Non aveva bisogno del suo aiuto.
Avrebbe dovuto andarsene. Ma... era già arrivata a quel punto. Magari poteva solo seguirlo per il tragitto che gli restava. Sicuro, altrimenti il tempo che aveva impiegato a pedinarlo sarebbe stato sprecato.
Si decise. Solo fino alla palestra Tendo, e poi a casa, in cucina. Alzò lo sguardo e vide che era rimasta più indietro di quanto avesse inteso. Ranma e Akane si stavano avvicinando a un cantiere edile, mentre la loro discussione si faceva più accesa. Ukyo sospirò, poi si congelò nel notare un improvviso movimento con la coda dell’occhio. Una figura era saltata sopra lo steccato che circondava il cantiere e puntava qualcosa verso Ranma.
Allora qualcuno lo aveva seguito davvero! Poi Ukyo vide chi era e grugnì piano.
"Ryoga".


"Raaaaaaanmaaaaaaa!", urlò Ryoga, il suo ombrello puntato allo sfortunato bersaglio della sua furia. Ranma si immobilizzò, interrompendo l’insulto diretto ad Akane a mezza frase.
"Oh, ehi, Ryoga. È da un po’ che non ci vediamo. Finalmente sei tornato nella civiltà, eh?". Ranma finalmente notò l’espressione infuriata sul volto di Ryoga e fremette. "Oh, che succede adesso?".
"Ranma", ruggì Ryoga, il suo respiro che usciva in brevi, raschianti ansiti, "come puoi dire certe cose ad Akane?".
Il suo sguardo sarebbe stato sufficiente a stendere un uomo, ma Ranma non sembrò notarlo.
"Quali cose?", chiese innocentemente.
"Quali cose?", urlò Ryoga, oltraggiato. "Racchia! Maschiaccio! Cattiva cuoca!".
"Hai dimenticato violenta", puntualizzò Ranma, giusto prima di beccarsi la cartella di Akane sulla testa.
"Ehi!", scattò, massaggiandosi il bernoccolo che si era rapidamente formato.
"Ma sì, tra le altre cose, non dimentichiamo violenta", sbuffò Akane.
Ranma aprì la bocca per replicare, solo per essere distratto da un grido di rabbia. Si voltò appena in tempo per saltare e atterrare sull’ombrello puntato di Ryoga.
"Ehi!", obbiettò. "Datti una calmata, P-chan!". Afferrò Ryoga per la fronte e descrisse un arco sopra alla sua testa, ruotando a mezz’aria per atterrare con la grazia di un ballerino vicino allo steccato. Ryoga girò su se stesso e scagliò l’ombrello di metallo verso il suo avversario come se fosse stato fatto di carta di riso.
"Ti ho detto di non chiamarmi così! Muori, Ranma!", gridò. Ranma schivò facilmente quando l’ombrello perforò il sottile steccato, scomparendo nel cantiere all’interno. Poi gli mostrò la lingua.
"Buuuuh! È questo il meglio che sai fare? Stai diventando lento, amico!".
Ryoga fissò il suo tormentatore, denti digrignati e occhi dilatati.
"Vuoi ridere, Ranma? Ridi a questo! BAKUSAI TENKETSU!". Ryoga affondò il suo indice nell’asfalto, creando una larga crepa che strisciò verso Ranma. Lui comunque saltò facilmente fuori dal suo percorso, chiudendo Ryoga e costringendolo al corpo a corpo. Akane, il cui pessimo umore non era stato affatto mitigato dalle dimostrazioni di machismo a cui stava assistendo, si mise a camminare in tondo attorno la spaccatura nello steccato mentre pugni e calci scorrevano con spensierato abbandono. "La volete piantare, voi due?!", urlò. I due la ignorarono. "Insomma!", girò velocemente su se stessa. "Almeno per una volta sarebbe carino se provaste a intrattenere una conversazione senza cercare di polverizzarvi a vicenda!".
Nessuno di loro notò che la spaccatura creata da Ryoga non si era fermata allo steccato.

Successe tutto così in fretta.
Ukyo guardò Ranma provocare Ryoga finché lui non lo attaccò. Per qualche ragione Ryoga sembrava addirittura più arrabbiato del solito, e in capo a pochi secondi i due si stavano battendo nel mezzo della strada. Per fortuna non c’era traffico. Mentre Ukyo sospirava e impugnava la sua spatola, vide qualcosa con la coda dell’occhio. E si congelò.
Una grossa gru nel cantiere stava alzando un carico di traversine di metallo sulla cima della struttura incompleta. Quello che aveva attirato la sua attenzione era l’improvviso ondeggiamento della gru, che stava facendo pendere il carico sulla strada.
Capì istantaneamente cosa doveva essere accaduto. La spaccatura creata da Ryoga aveva raggiunto uno dei sostegni della gru, facendolo sprofondare...
Ci fu un cedimento nei cavi quando il carico si trovò sopra la strada. Quando i cavi si sciolsero, lasciarono il loro carico di traversine...
Proprio sopra un’inconsapevole Akane.
Nessuno di loro l’aveva visto. Il mondo rallentò per Ukyo mentre lei seguiva i cavi al loro punto di rottura, incapace di credere a quello che stava accadendo, la sua mente paralizzata dall’incredulità. Era come congelata sul posto.
I cavi avevano ceduto.
Lei rimase piantata dove stava. Non poteva succedere. Non poteva. Akane sarebbe stata schiacciata, sarebbe...
E nessuno l’aveva visto.
Niente più Akane. Lo vide chiaramente, il funerale, e poi, dopo un decente intervallo, Ranma che aveva bisogno di conforto, di essere confortato da lei...
"Se lei non ci fosse più, potresti averlo", sussurrò una piccola voce. "Chi potrebbe biasimarti, dopo tutto? Cosa puoi fare? Sei così lontana, così lontana...".
E le traversine stettero immobili nell’aria per un istante che fermò la gravità e il cuore.
Un incidente. Senza Akane, Ranma sarebbe venuto da lei. Lei lo sapeva. Sarebbe stata felice. Loro sarebbero stati felici. Avrebbe potuto avere la vita che aveva sempre desiderato. La vita che si meritava. Se solo Akane fosse... se solo... Akane... fosse...
E il viluppo di traversine cominciò a cadere.
Ukyo sobbalzò come una donna che si svegliava da un incubo. Le sembrava di non sentire niente eccetto il fischio della caduta e il suo sangue che rombava attraverso il suo corpo come ghiaccio liquido mentre apriva la bocca.
E urlò.
"AKANE! ATTENTA!". Il mondo tornò alla velocità ordinaria come un elastico che scatta; Ukyo cercò di muovere il suo corpo paralizzato, sapendo quanto la sua esitazione, un momento che era sembrato durare ore, le fosse costata, vedendo tutti loro tre girarsi e guardare lei invece che alzare lo sguardo, congelati dal terrore nella sua voce. Lei cercò di indicare l’alto, urlando al suo cervello di funzionare, capendo che non c’era abbastanza tempo. Stava tutto succedendo...

...troppo in fretta. Quando Ryoga aveva attaccato Ranma, avevo usato il diversivo per strisciare più vicino, appollaiato al muro opposto al cantiere. Le foglie di un ramo basso mi nascondevano alla vista e comunque, dissi alla mia già ammaccata coscienza, quei due non avrebbero notato nessun altro non appena avessero cominciato a combattere. Ignorai la lotta. Era Akane che volevo vedere. Lei girò attorno ai combattenti, il disgusto le si leggeva a chiare lettere sul viso. Le sue mani erano strette rigidamente sull’impugnatura della cartella che faceva rimbalzare distrattamente contro un fianco. Ero come in trance. Solo l’opportunità di essere così vicino a lei, di sentire magari la sua voce...
Non avevo quasi notato la gru. Qualche istinto mi fece alzare lo sguardo quando questa si inclinò. Realizzai allora quello che avrei realizzato prima se non fossi stato così occupato a spiare Akane. La crepa generata dal Bakusai Tenketsu di Ryoga doveva aver viaggiato sotto lo steccato e aveva provocato l’inclinazione della gru proprio nel momento sbagliato. Il terreno sembrò cadere sotto di me mentre guardavo le traversine cadere.
Nessuno di loro l’aveva notato. E non avrebbero potuto, non in tempo utile.
Sapevo che non potevo agire. Sapevo che non mi potevo rivelare a loro.
Non potevo.
Ma lo feci. I miei muscoli si mossero e io scattai dalla cima del muro, atterrando sull’asfalto proprio mentre tutti e tre erano distratti da un grido atterrito.
"AKANE! ATTENTA!". Era Ukyo, ma era troppo lontana per essere d’aiuto. Stava indicando l’alto e quando mi avvicinai ad Akane la vidi seguire il gesto convulso di Ukyo, muovendosi così lentamente, la sua espressione cambiare da stupita a terrorizzata nel vedere che stava per essere schiacciata.
Sembrava di essere in uno di quei sogni dove tu corri e corri ma non arrivi mai da nessuna parte, ma non era un sogno. E io mi stavo muovendo, avvicinandomi mentre le traversine cadevano come una macchia di duro metallo. Non sapevo se avrei fatto in tempo.
No. Non avrei lasciato che succedesse qualcosa ad Akane. Non l’avrei lasciata morire.
Non stavolta. Non ancora.
La vidi alzare istintivamente le braccia sopra la testa, come se l’avessero potuta proteggere dalle traversine in caduta. Un istinto inutile, ma avendola paralizzata mi permise di prenderla facilmente lungo la corsa, rallentando a malapena mentre la sollevavo tra le braccia. Saltai oltre lo steccato e atterrai in salvo mentre la massa d’acciaio collideva con la strada nel punto dove eravamo solo una frazione di secondo prima con un suono come la fine del mondo. La polvere si alzò in una nuvola da impatto mentre alcune traversine si conficcavano nell’asfalto, vibrando come frecce in un albero.
Mentre il suono moriva e la polvere cominciava a disperdersi, cercai di riportare il mio respiro sotto controllo. Una scarica di sudore freddo mi scese lungo la schiena, e rabbrividii involontariamente.
Vicino. Oh, ragazzi. Ci siamo andati davvero, DAVVERO vicino.
Abbassai lo sguardo sul fascio di nervi raggomitolato contro il mio petto. Potevo sentire il calore del suo corpo attraverso la maglia, sentire il battito impazzito del suo cuore contro di me. I suoi occhi erano ancora strettamente chiusi, tutto il suo corpo contratto, come se stesse ancora aspettando un impatto che non sarebbe più venuto. Rabbrividii ancora, ma stavolta non per il sudore freddo.
"Akane". Non realizzai di aver sussurrato il suo nome fino a che lei aprì i suoi occhi e lentamente guardò in alto, verso di me. Sorrise con esitazione e le sorrisi in risposta, la prima volta che sorridevo dopo quello che mi sembrava tanto tempo. Il mio cuore sembrava gonfiarsi sotto il calore di quel sorriso. Non volevo lasciarla andare, ma con riluttanza la rimisi in piedi, continuando a tenerla gentilmente per le spalle.
"Stai bene?", chiesi piano.
"Io... credo di sì", sussurrò. E poi la realtà fece il suo ritorno.
"Ehi! EHI! CHE COSA CREDI DI FARE?".
Akane si irrigidì nelle mie braccia, riconoscendo la voce infuriata. Si voltò, lentamente, per vedere Ranma che urlava, con un pallido, sconvolto Ryoga dietro di lui. Si girò piano verso di me, i suoi caldi occhi castani improvvisamente pieni di confusione.
"R-Ranma?".
Riuscii a pensare a una sola cosa da dire.
"Mi spiace, Akane," sussurrai.
Poi corsi via.

Non ce l’avrebbe potuta fare. Le traversine stavano per cadere su Akane e lui non aveva tempo di fare nulla. Non c’era tempo per niente tranne che per l’incredulità. Non Akane, non dopo tutto quello che avevano passato, non in questo modo...
Poi ci fu un’onda d’urto e le traversine si schiantarono sulla strada. Ranma restò congelato, tutto il calore e la vita usciti dal suo corpo, davanti alla polvere alzata dall’impatto.
"Non può essere," pensò torpidamente. "No. Non può essersene andata. Non può, e basta". Lo pensò ancora e ancora finché tutto attorno a lui cominciò a sembrare irreale.
Poi la polvere cominciò a disperdersi e vide una figura in piedi oltre le sbarre di ferro contorte. E Akane era tra le sue braccia, in salvo.
Il sollievo si riversò dentro di lui, e si ricordò di respirare ancora. Fece un passo avanti.
Poi la polvere si disperse di più e poté vedere chi l’aveva salvata.
Era alto, ben fatto; indossava una camicia cinese rossa senza maniche e pantaloni neri. I suoi capelli scuri erano tirati indietro in un codino.
Ranma sbatté le palpebre, guardando più da vicino mentre l’uomo rimetteva gentilmente Akane in piedi.
Stava guardando se stesso. Nessun dubbio al riguardo, lui aveva salvato Akane. Ma lui si trovava lì, no? La sensazione di irrealtà tornò a sommergerlo, lasciandolo disorientato. Se lui era lì, ed era lui, allora chi era... che... chi...
"Ehi! EHI! CHE COSA CREDI DI FARE?", urlò. Il grido sembrò rompere l’incantesimo che si era creato con l’incidente. Grida si levarono dal cantiere.
Akane si voltò al suono della sua voce, e lui vide la sua espressione cambiare al vederlo a fianco di Ryoga. Lei si voltò verso il suo salvatore, indietreggiando lentamente.
Poi l’altro Ranma si girò e corse, saltando facilmente sopra lo steccato e sparendo nel caos del cantiere.
Quello riscosse Ranma dalla sua paralisi traumatica, e si precipitò verso lo steccato, per fermarsi solo quando raggiunse Akane. Il suo viso era pallido, i suoi occhi sbarrati. Stava barcollando lentamente, e lui le prese il braccio per impedirle di cadere. Lei si voltò di scatto, come se si stesse aspettando che la colpisse. Poi si rilassò lentamente e sussurrò: "Ranma? Sei... sei tu, vero?". Lui la guidò verso il marciapiede.
"Sì, certo che sono io," le assicurò, aiutandola a sedersi all’ombra. Non poteva assolutamente lasciarla sola per seguire l’impostore, non mentre lei era in quello stato. Le si mise di fronte, cercando segni di ferite.
"Va tutto vene?", chiese qualcuno. Il caposquadra arrivò dietro di lui, il suo elmetto giallo spinto indietro sulla nuca. Ukyo giunse per stare al suo fianco, uno sguardo terrorizzato sul suo viso. Ranma si limitò ad annuire e si rivolse nuovamente a Akane.
"Sì, penso di sì. È un bel po’ scossa, però".
"Sono così spiacente, non so come possa essere successo!", balbettò il capocantiere, "in qualche modo, il terreno è sprofondato sotto uno dei supporti della gru, ma questo non sarebbe dovuto succedere, non abbiamo fatto nessuno scavo in quell’area...", cercò di spiegare.
Un suono basso e lamentoso salì sopra le urla, facendo alzare lo sguardo a Ranma. Trovò subito la fonte.
"Ryoga," grugnì. Ryoga aveva sentito perfettamente quello che il capocantiere aveva detto, e si trovava davanti ad Akane, indifeso. Le sue labbra erano contratte sui denti in una smorfia mentre il suo gemito diventava un urlo disperato; poi, voltandosi improvvisamente, si lanciò attraverso la strada e si aprì una via nel muro con gli indici. Quando i calcinacci si dispersero, Ryoga non c’era più.
"Buon tormento," mormorò Ranma, ma sapeva che anche a lui spettava una parte di responsabilità per quello che era successo. Cercò di sopprimere quei pensieri in fretta mentre l’ingegnere prendeva qualcosa da uno dei suoi uomini e lo passava a lui. Ranma vide che era un bicchiere di carta pieno d’acqua, e l’accettò con gratitudine. Ne fece bere un po’ ad Akane, poi prese un fazzoletto da Ukyo e lo immerse nell’acqua fredda, passandolo sulla fronte di Akane.
"Ranma," mormorò lei, "non mi sento molto bene".
"Ti porterò a casa, Akane, e poi chiameremo il dottor Tofu perché venga a darti un’occhiata, ok?". Lei annuì timidamente e Ranma la sollevò con facilità. Poi chiese a Ukyo di prendere le loro cartelle e si diresse verso casa, con la mente ridotta a una massa urlante di confusione.


Il dolce sole primaverile stava facendo un’inutile sforzo per riscaldare la mia pelle. Lo notai a malapena. Ero troppo occupato a tentare di ignorare la sottile, insistente voce della mia coscienza.
Sei contento ora? Voleva sapere la voce. Hai avuto quello che volevi, dopo tutto.
"Non è vero", sussurrai.
Oh, davvero? Non speravi in una possibilità di rivederla? Una scusa, qualsiasi scusa per sentire la sua voce, per parlarle, per toccarla...
"No". Più forte ora, più rabbiosa.
Li hai seguiti, hai seguito lei, perché volevi che succedesse qualcosa, uno spiraglio nelle loro vite da aprire, perché tu non sei abbastanza forte per fare la cosa giusta e andartene per sempre...
"No! Non è così!".
Debole. E quando il passaggio si è aperto, solo una crepa, tu l’hai tenuto aperto e ti sei precipitato proprio dentro...
"Non è andata così!", urlai. "Lei sarebbe morta!". Nell’improvviso silenzio mi guardai attorno. Fortunatamente, era ora di cena e il parco era quasi deserto, ma le poche persone attorno al box della sabbia mi stavano tutte guardando sorprese.
Grande. Ora la gente avrebbe pensato che ero pazzo. Diavolo, io stavo parlando con me stesso, dopo tutto. Forse avevano ragione. Forse ero pazzo.
Non è che non avessi buone ragioni per diventarlo.
Mi alzai, allontanandomi dai passanti curiosi, sentendo l’urgenza di andarmene. Feci esattamente un passo prima di fermarmi ancora. Ero a Nerima, il posto che era diventato la mia casa. Tutto attorno a me c’erano i miei amici, la palestra, la mia scuola, il ristorante di Ucchan e il Nekohanten. Queste strade e case e gente formavano lo scenario della mia vita.
E non c’era assolutamente alcun posto dove potessi andare.
Restai lì, scuotendo la testa come un lottatore che cerca di smaltire un brutto colpo, vagamente cosciente degli ultimi passanti che abbandonavano il parco lanciando occhiate sospettose nella mia direzione. Cercai di sollevare ancora il piede ma non si voleva muovere. Prima voleva sapere dove stavamo andando, e io non ne avevo idea. Restai semplicemente lì, vuoto e solo, un uomo famelico circondato da piatti di cibo fumante che non poteva raggiungere.
L’hai vista, disse la piccola voce nella mia testa con tono accusatorio, a quanto pare non aveva finito ancora con me. L’hai vista, e ora non hai più idea di cosa fare, vero? E adesso, Saotome? È già ora di stendersi e morire? Eh?
Questa volta non trovai risposta. Mi limitai a guardarmi attorno indifeso, chiedendo con tutto me stesso un suggerimento, un segnale che mi dicesse cosa fare. Per una volta, con mia sorpresa, i miei desideri vennero esauditi e vidi una figura familiare spuntare dagli alberi al limitare del parco.
Ryoga.
Il vuoto dentro me venne riempito da una rabbia istantanea, al calor bianco, che mi fece sentire ancora vivo. Rividi la spaccatura nell’asfalto allargarsi, vidi le traversine cadere su un’inconsapevole Akane, e allora riuscii a muovermi ancora. Mi diressi verso Ryoga, saltando oltre un’altalena e schivando alcune catene abbandonate e amache.
Lui non alzò neanche lo sguardo, non una volta, mentre mi avvicinavo. Lanciai un grido di battaglia mentre lo caricavo, agguantando il davanti della sua tunica e scagliandolo in un arco selvaggio per metterlo con le spalle contro un albero vicino. Lui incassò l’impatto con appena un sussulto, assumendo un’espressione colpevole nel vedere il mio volto. Qualunque cosa vide lì lo spaventò. Doveva farlo.
"Ranma". Era un suono torturato, pieno di dolore e colpa. "Io...".
"Tu sei un dannato idiota". Riconobbi a malapena la mia stessa voce, bassa e carica di minacce. La rabbia faceva così bene, era meglio del vuoto con cui mi ero tormentato... "Potevi ucciderla, Ryoga. L’hai quasi fatto. E ora pagherai".
Lui non poteva incontrare il mio sguardo ancora più a lungo, e spostò gli occhi di lato, girando lentamente la testa.
"Fa' quello che vuoi, Ranma. Non ti fermerò".
Affondai un pugno nel tessuto della sua tunica, alzandolo sulle punte dei piedi, e spinsi l’altro pugno dietro la mia testa. Lo guardai negli occhi...

(sto guardando gli occhi di Ryoga da dove mi trovo disteso sulla dura terra, e non riesco a riconoscere lo sguardo che vedo al loro interno. O non voglio.
"Ryoga" dico, senza fiato. Un piccolo, triste sorriso compare sulle sue labbra ma non tocca lo sguardo colmo di pace nei suoi occhi.
"Se lascio che ti capiti qualcosa, lei non mi perdonerà mai. Mi odierà per sempre, e non potrei sopportarlo".
Fa un passo indietro e mi saluta con quel suo dannato ombrello.
"Va’ da lei", dice, poi si volta e lancia nel buio davanti a lui fasce-rasoio, mentre le ombre salgono, ruggendo. Mentre mani insistenti mi tirano da dietro io tento di raggiungere il buio, tento di riportarlo indietro.
"Ryoga, no... non...")

"…farlo," sussurro, e la rabbia se n’era andata così come era venuta.
Il mio pugno era fermo inutilmente nell’aria dietro alla mia testa. Ryoga non diede alcun segno di avermi sentito. Presi un profondo respiro e lo riabbassai lentamente. Guardandolo, guardandolo davvero, potevo vedere quanto fosse tormentato dalla colpa nelle linee della sua faccia, nei suoi occhi sfocati. Anche lui amava Akane, e sarebbe morto volentieri piuttosto che farle del male.
Io, tra tutti, avrei dovuto ricordarlo.
Cercai di trovare qualcosa da dire, continuando a trattenerlo per la tunica. Non ero mai stato bravo a organizzare i miei pensieri in parole, e ciò mi aveva causato guai senza fine nella vita.
In quel momento, però, sapevo che era importante trovare proprio la cosa giusta da dire a Ryoga, prima che se ne andasse e si perdesse così lontano da non poter esser più ritrovato. Presi un altro respiro profondo.
"Ryoga". Lui non alzò lo sguardo. "RYOGA". Lo scossi gentilmente. Finalmente mi mise a fuoco.
"Cosa".
"Quanto lontano vuoi correre, amico?". Mi guardò, senza capire. "Quanto lontano?", ripetei. Lui scosse la testa.
"Io non..."
"Quanto lontano dovrai correre per scappare dalla tua colpa? Dove puoi andare, dove non ti sentirai colpevole per quello che è successo?". Lui distolse lo sguardo e io lo scossi ancora, più forte questa volta, finché non ricambiò lo sguardo.
"Ascoltami", dissi gentilmente. "Ho corso più lontano di quanto tu non possa mai fare, e ti posso dire che questo non aiuta. Non puoi scappare da te stesso, Ryoga. La colpa ti divorerà, straziandoti le viscere, finché non ci sarà rimasto niente. La sola cosa che puoi fare è andare alla palestra Tendo, guardare Akane negli occhi, e scusarti. E lasciare che ti perdoni".
Un po’ di vita ritornò nei suoi occhi a queste parole.
"Ma cosa... cosa faccio se non lo fa?", chiese a voce bassissima. Sorrisi.
"Ryoga, quello che è successo è stato stupido e sconsiderato, ma è successo e non puoi far niente per cambiarlo. Tu non volevi che succedesse, e lei lo sa. Vuoi partire per i tuoi vagabondaggi lasciando le cose così? Lasciandola a chiedersi perché non ti sei mai scusato? Perché non hai mai cercato di spiegarle? Perché non sei mai andato da lei per assicurarti che stesse bene?".
Quello lo convinse. Riuscii a leggergli negli occhi che aveva deciso.
"Hai ragione, Ranma. È la cosa giusta da fare". Si rialzò, raddrizzò le spalle, lasciò uscire un profondo sospiro, e sorrise debolmente. Mollai la presa sulla sua maglia e annuii. "Grazie, Ranma. Ora so cosa devo fare." Dicendo questo, si voltò e partì.
"Ryoga!" lui mi guardò, confuso. "La palestra è in quella direzione!".
Fece un sorriso sconsolato, e io sospirai. Come avevo potuto dimenticarmi del suo terribile senso dell’orientamento?
"Beh, immagino di poterti seguire", mi disse timidamente. Io sbattei le palpebre. Seguire me?
Oh, merda. Ma certo. Lui pensava che io fossi l’altro Ranma! Considerando il suo stato mentale dopo l’incidente, lui poteva benissimo non aver neanche notato che c’erano due Ranma. Non avevo alcuna intenzione di tornare alla palestra, ma come facevo a dirglielo? E se qualcuno non l’avesse accompagnato, si sarebbe sicuramente perso, e tutti i miei buoni consigli non sarebbero serviti a niente.
Mi decisi. L’avrei accompagnato e poi l’avrei lasciato alla porta sulla strada. Così, potevo essere sicuro che non avrebbe perso la calma. Dopo tutto, non avevo molto altro da fare.


Akane era di pessimo umore. Ranma decise che doveva significare che stava meglio.
"Sto bene, davvero", protestò per quella che doveva essere la centesima volta. "Mi sento molto meglio".
Il dottor Tofu si alzò da dove si era seduto sul suo letto e le sorrise.
"Mi sembri a posto, Akane. Hai un bel colore e non c’è alcun segno di ferite. Comunque, gli shock possono essere davvero dispettosi, quindi voglio che tu te la prenda comoda per il resto della giornata, va bene? Niente di stressante, niente compiti, niente arti marziali e", sorrise con condiscendenza, "niente baruffe con Ranma. Va bene?". Akane sbuffò.
"Va bene, d’accordo, se è solo per un giorno", brontolò. Tofu lanciò un’occhiata al muro dove Ranma stava appoggiato, fissando il pavimento.
"Niente agitazioni, giusto, Ranma?". Lui alzò lo sguardo e sorrise debolmente.
"Sicuro, doc. Ho capito". Tofu si girò verso il corridoio, solo per incontrare Kasumi che entrava con un vassoio per la cena.
"Oh, dottore, ho portato ad Akane qualcosa da mangiare. Spero che vada tutto bene". La ragazza sorrise dolcemente e Ranma sogghignò al vedere Tofu accendersi di un rosa brillante.
"Ah, ah, Kasumi, certo, sì, è tutto, ah, a posto...". Sembrava totalmente in palla, l’esatto opposto del calmo professionista di pochi momenti prima.
"Kasumi, non dovevi!", protestò Akane. "Non sono un’invalida! Non faccio che dire a tutti che sto bene!". Kasumi si limitò a sorridere e posò il vassoio sopra al comodino di Akane.
"Oh, Ranma, i tuoi genitori hanno chiesto se puoi scendere e parlare con loro", aggiunse. Ranma annuì e si staccò dal muro. Sapeva cosa lo aspettava. Si diresse verso la porta.
"Ranma". Si voltò per vedere Akane che lo guardava, preoccupata. Le lanciò un sorrisetto.
"Mangia la tua cena, Akane. È ora di affrontare la musica". Uscendo chiuse delicatamente la porta. Dentro, sentì Kasumi dire qualcosa al dottor Tofu, e lo sentì spiccare una risposta nervosa. Si attardò un momento dietro la porta, desiderando di poter tornare dentro, poi sospirò. Non c’era ragione di ritardarlo.


Lo sguardo sul viso di sua madre gli disse che lo aspettava un brutto quarto d’ora. Suo padre era seduto di fianco a lei, assorto a studiare la superficie del tavolo. E Ukyo era lì. Lui sbatté le palpebre. Si era completamente dimenticato di lei. Li aveva seguiti, portando le loro cartelle. Si chiese perché fosse ancora lì.
"Siediti, Ranma", disse freddamente sua madre. Si sedette di fronte ai suoi genitori, di fianco a Ukyo. Ukyo lo guardò ma non disse niente. Il silenzio si protrasse per lunghi secondi mentre Nodoka studiava suo figlio, poi finalmente parlò.
"Ranma, sono molto delusa". Se il suo tono prima era stato freddo, ora era assolutamente gelido. "Perché il modo in cui hai messo in pericolo Akane è stato stupido e imperdonabilmente sventato. Le tue azioni sconsiderate avrebbero potuto uccidere la tua fidanzata, e da come l’ho capita ci sono andate molto vicino". Ukyo sussultò alla parola «fidanzata». Ranma non lo notò.
"Mamma...".
"Fa’ silenzio". Lei non alzò la voce. Non ne aveva bisogno. Era una lama ben temprata che non avrebbe ammesso disobbedienza. Lui si zittì. Dopo un momento, lei riprese. "Tu e il tuo amico Ryoga avete padroneggiato alcune tecniche molto potenti e potenzialmente mortali. Ma ancora non sembrate aver padroneggiato un semplice ma vitale concetto delle arti marziali. La disciplina". Lei lanciò uno sguardo severo a Genma, che stava ancora conducendo la sua esplorazione sul piano del tavolo. "Suppongo che noi tutti sappiamo chi incolpare per questa lacuna nella tua istruzione. Sono molto dispiaciuta. Questo non è il tipo di comportamento che io mi aspetto da mio figlio, che si supponeva dovesse essere cresciuto come un vero uomo, un uomo tra gli uomini". Ranma e suo padre impallidirono entrambi a queste parole, mentre lo sguardo di Ranma scivolava sulla katana fasciata al fianco di sua madre. Lei aveva cercato di accettare il loro problema, col tempo, ma Ranma non aveva particolari interessi a forzare la sua fortuna da quando i suoi erano arrivati a un «accordo» per la sua istruzione.
"Suppongo comunque che il tuo operato per soccorrere Akane sia una buona attenuante", continuò, "così come il fatto che le hai salvato la vita".
"Cosa?", chiese Ranma, sorpreso. Sua madre si accigliò.
"La tua amica Ukyo mi ha detto che hai salvato Akane...". Ukyo si schiarì la gola, apparendo chiaramente a disagio.
"Beh, non è esattamente quello che ho detto", mormorò Ukyo. "Ho detto che Ranma ha salvato Akane...".
Nodoka aggrottò le sopracciglia.
"È quello che ho detto, cara". Ukyo si voltò verso Ranma, impotente.
"Non so come...". Ranma alzò la mano per rassicurarla.
"Va tutto bene, Ucchan. Proverò a spiegarglielo".
"Sì", disse Nodoka, con la voce che si approssimava allo zero assoluto. "Te ne prego".
"Il tipo che ha salvato Akane mi assomigliava. Voglio dire, era vestito come me, sembrava me, parlava come me, si muoveva addirittura come me! Non c’è molta gente veloce abbastanza da agguantare Akane e scamparla da quelle traversine. Era come... beh, non è che ho qualche fratello gemello che non conosco, vero?".
"Non essere ridicolo, figlio!" scattò suo padre, facendosi sentire per la prima volta. Ranma fremette.
"Beh, ho un sacco di fidanzate che non avevo mai conosciuto!", ribatté.
"Che cos’è successo a questo... altro Ranma?", interruppe sua madre, aggrottata. Ranma sospirò.
"Ha salvato Akane, poi se n’è andato".
"Cosa? E perché non hai provato a seguirlo?", chiese suo padre, oltraggiato.
"Ehi, non potevo mica lasciare lì Akane!".
"Piuttosto giusto, caro", disse Nodoka con comprensione, "spero che tu non stia suggerendo che avrebbe dovuto lasciare indietro la sua fidanzata per dare la caccia a quella persona". Genma chiuse la bocca con uno schiocco udibile e ritornò allo studio del tavolo. Nodoka spostò l’attenzione di nuovo su Ranma e Ukyo, guardandoli duramente, ma prima che potesse continuare si sentirono delle voci dalla sala.
"Mi spiace interrompervi, ma Ryoga è qui per vedere Akane e ho pensato che a Ranma avrebbe fatto piacere saperlo".
"Um, Kasumi, lo sa già," disse una voce dal corridoio. Poi Ryoga entrò nella stanza e si immobilizzò.
"Allora, Ryoga, hai deciso di tornare a strisciare qui, eh?", grugnì Ranma. Dall’espressione sulla faccia di Ryoga, il ragazzo doveva pensare che Ranma l’avrebbe ucciso. Molto bene, pensò Ranma, facciamolo sudare.
"Giovane Ryoga Hibiki", disse Nodoka facendo cadere la temperatura interna della stanza di qualche altro grado. "Stavamo giusto discutendo di qualcosa che riguarda anche te. Siediti, per favore".
Lui non lo fece. Alzò una mano tremante e indicò Ranma.
"Tu... ma... come...". Ranma sospirò.
"Ryoga, prometto che non ti tocco, va bene?". Almeno non subito, aggiunse in silenzio. "Siediti". Poi sbuffò. La bocca di Ryoga si stava muovendo, ma non ne usciva niente.
"Ryoga, tesoro, che ti prende?", chiese Ukyo.
"Ma tu... tu non mi hai appena accompagnato dal parco?", riuscì finalmente a dire. Ranma impiegò solo una frazione di secondo per connettere.
"È LUI!", esclamò, saltando in piedi. Scattò oltre uno sbalordito Ryoga e si lanciò nel corridoio, uscendo dalla porta e guardando in tre direzioni alla volta. Uscì dal cancello, senza vedere niente di insolito, poi saltò sulla cima del muro sperando in uno scorcio di una camicia rossa o un codino nero.
Niente.
Si voltò e vide i suoi genitori, Ryoga, Kasumi e Ukyo dietro di lui. Scosse la testa.
"Nessun segno", riferì accigliato. Saltò giù, atterrando leggero vicino a Ryoga.
"Ranma, che succede?", chiese Ryoga. "Stai dicendo che non stavo parlando con te?".
"Ryoga, credevi davvero che quel tizio fossi io? Era così convincente?". Ryoga aggrottò le sopracciglia.
"Ora che ci penso, ha parlato con me anziché colpirmi, e in effetti mi ha dato dei consigli piuttosto buoni". Ryoga guardò Ranma. "Avrei dovuto immaginare che non eri davvero tu".
"Ryoga", sibilò Ranma, "chi ha salvato Akane quando stavamo combattendo?". Ryoga sembrò sorpreso.
"Io, uh... non l’ho guardato con attenzione, in realtà. Ero troppo preoccupato per...". I suoi occhi si sbarrarono quando colse l’implicazione. "Vuoi dire...?". Ranma annuì.
"L’Uomo del Mistero in persona. Il problema è...".
"Ranma. Ryoga. Sono così contento di vedervi entrambi". Soun Tendo era sotto il portico, con gli occhi iniettati di sangue, un sorriso sdolcinato sulla faccia. Non sembrava felice di vederli. "Venite qui un momento, ragazzi, voglio... parlarvi". Ryoga scomparve dietro un minuscolo Ranma, artigliando la sua camicia in una stretta mortale. Ranma tremò allo sguardo negli occhi del padre di Akane.
"Oh, ragazzi", bisbigliò. "Siamo morti".
"Papà, perché non torni dentro", disse dolcemente Kasumi, "ti porterò qualcosa da bere e ti massaggerò i piedi. Non vuoi?".
"Non ora, cara", rispose allegramente. "Andiamo, ragazzi, cosa state aspettando?". I suoi denti erano stretti nel sorriso meno sincero che Ranma avesse mai visto. Provò a muoversi ma Ryoga lo aveva agganciato ed era piantato sul posto.
"Tendo", disse cordialmente Genma, "abbiamo già parlato ai ragazzi per quello che è successo...".
"Ma sembrano ancora così sani, Saotome", ghignò. "Lascia che ci parli IO per un po’". Fece un passo verso la coppia rimpicciolita.
"Papà!". Tutti si voltarono per vedere un’arrabbiata Akane ritta nel vano della porta. "Cosa stai facendo?".
"Akane, non dovresti essere fuori dal letto! Il dottore...".
"Il dottore ha detto che starò bene, papà, finché non mi agito".
"Il dottore ha anche detto niente agitazione, e diceva sul serio", disse Tofu solennemente, seguendo Akane fuori dalla porta. "Penso che tutti dovrebbero semplicemente darsi una calmata". Fissò Soun con decisione e aggiunse "Ordini del dottore." Con riluttanza, Soun aprì i pugni, continuando però a lanciare occhiate taglienti a Ranma e Ryoga. "Bene. Ora, nessuno s’è fatto niente, così perché non proviamo tutti a evitare che questo rischio si ripeta, mh? E Akane, non credo che dovresti startene fuori in pigiama". Akane diventò rossa e annuì.
Kasumi ringraziò il dottore, che immediatamente cominciò a balbettare e poi si allontanò, coi piedi che toccavano a malapena il terreno.
Ryoga aveva appena cominciato ad allentare la presa sulla camicia di Ranma quando Nodoka disse: "Ora, ragazzi, credo che dovremmo continuare la nostra conversazione. E mi piacerebbe sentire tutto riguardo questo misterioso altro Ranma". Ryoga cominciò a irrigidirsi di nuovo e Ranma dovette girarsi e aprire le sue dita.
"Andiamo, amico. È ora di affrontare la musica". Guidò un poco entusiasta Ryoga dentro la casa.


Akane si sedette sul suo letto e sospirò profondamente. Gli eventi della giornata l’avevano spossata, e anche se era presto, stava considerando l’eventualità di mettersi a dormire e basta.
Ryoga si era letteralmente prostrato davanti a lei per chiederle scusa riguardo quello che era successo. Un’occhiata all’espressione contrita sul suo volto l’aveva convinta che lui era stato scosso dall’incidente come lei, se non di più. Lo aveva perdonato dopo avergli chiesto di non combattere più con Ranma. Non aveva idea di quanto quella promessa sarebbe durata, ma valeva la pena tentare.
E poi c’era Ukyo. Lei non era stata capace di guardare Akane negli occhi per qualche ragione, e se n’era andata poco dopo il dottor Tofu. Akane era confusa dal suo comportamento. Tra tutti, lei era l’unica a non doversi sentire in colpa per qualcosa.
Sospirò ancora, ascoltando il suo collo schioccare mentre ruotava la testa, sciogliendo i muscoli tesi. P-chan si era fatto vedere poco dopo la partenza di Ryoga ed era raggomitolato vicino a lei nel letto. Lei si abbassò per dargli un grattatina in mezzo alle orecchie. C’era, naturalmente, un’altra questione che la preoccupava molto più del comportamento di Ukyo.
Qualcuno bussò alla porta.
"Avanti". La porta si aprì e Ranma allungò la testa dentro.
"Uhm, hai un secondo, Akane?", chiese cautamente. Lei annuì e il ragazzo entrò nella stanza. Le aveva girato attorno con fare guardingo fin dall’incidente, il che l’aveva irritata almeno quanto il modo con cui aveva battibeccato con lei prima che accadesse. Lo vide irrigidirsi al vedere P-chan, e si rabbuiò.
"Lascia in pace P-chan, Ranma. Per qualche motivo stasera è molto teso". Ranma sembrò sul punto di dire qualcosa, poi si limitò ad annuire. Si avvicinò al letto e si lasciò cadere sulla sedia di Akane.
"Dunque, ecco... mi dispiace". Lei sbatté le palpebre.
"Prego?".
"Mi dispiace," ripeté, guardandola negli occhi. "Io e Ryoga avremmo dovuto essere più prudenti, e avremmo potuto... farti davvero male". Lei avrebbe detto che stava per dirle qualcos’altro, e poteva immaginare cosa sarebbe stato. "Comunque, sono contento che tu non ti sia fatta male, tutto qui". Saltò giù e guardò il pavimento, mentre un flusso di sangue gli saliva agli zigomi. Akane era impressionata. Ranma era molto orgoglioso e pieno di sé. Gli costava molto ammettere di essersi sbagliato. Si alzò per posare leggermente la mano sul suo braccio. Lui sorrise a quel gesto, e rialzò lo sguardo su di lei.
"Ah, c’è qualcos’altro di cui ti vorrei parlare", disse con calma. Il suo sorriso morì subito.
"Vuoi dire lui". Non ci voleva un genio per capire che cosa gli passasse per la mente.
"Già. Lui. Lui ti ha salvata, lui ha riportato qui Ryoga, io... ma chi diavolo è? Tu gli sei stata molto vicina, Akane. Hai notato qualche differenza?". Akane, colpita dal tono risentito nella voce di Ranma, ci pensò un momento. Lo sguardo negli occhi del ragazzo la pregava di dire che lei non si era ingannata, che c’era un solo Ranma e ce ne sarebbe sempre stato uno.
Ma non poteva. Lei non aveva visto o avvertito alcuna differenza in quel momento. In effetti, lo sguardo preoccupato negli occhi dell’altro Ranma si era rispecchiato quasi esattamente nello sguardo del suo Ranma mentre la riportava alla palestra. Ricordava uno sguardo tenero, gentile, che avrebbe desiderato vedere sul suo viso più spesso. Stare tra le sue braccia... tra le loro braccia... le era piaciuto più di quanto avrebbe mai ammesso con nessuno.
"Non lo so, ero un po’ scossa, Ranma, ma devo ammettere che ho pensato che fossi tu", disse finalmente, sentendosi un po’ colpevole vedendo la sua espressione cadere. "Tutto di lui sembrava lo stesso. Ranma, chi può essere? Da dove è venuto? Può avere qualcosa a che fare con la tua maledizione?".
"Me lo stavo giusto chiedendo. Non so chi sia veramente questo tizio, Akane, ma intendo scoprirlo".
"Come?".
"Tutti quelli che l’hanno visto dicono che è proprio come me. Bene, intendo mettere alla prova questa piccola teoria". Si alzò e si volse verso la porta. Akane si alzò, allarmata.
"Ranma!". Lui si voltò. "Sii prudente, d’accordo?".
"Ehi, Akane," disse lui con una traccia della sua solita asprezza, "mi conosci". Strizzò l’occhio e uscì dalla stanza.
"Sì", sussurrò lei, "ecco perché te l’ho detto. Stupido". Strinse un mugolante P-chan al petto e cercò di convincersi che non c’era niente di cui preoccuparsi.


Sedevo con la schiena contro il tronco di un albero e guardavo il sole tramontare. La brezza della sera aveva rinfrescato l’aria, ma non pensavo che la notte sarebbe stata intollerabilmente fredda. E se lo fosse stata, bene, mi ci sarei adattato e basta. Un tempo ne avevo passate di peggiori, allenandomi con mio padre.
C’erano poche cose a cui non mi potevo adattare.
Affondai pigramente le dita nell’erba soffice dell’argine.
Là il fiume girava, e quella piccola macchia di alberi era un posto perfetto per guardare sotto la gentile pendenza la corrente scorrere, o per vagare con lo sguardo lungo la linea dei grattacieli del centro e guardare il tramonto. Era il mio nascondiglio segreto, un posto dove venivo quando avevo bisogno di stare lontano da tutto e da tutti. Non ne avevo mai parlato a nessuno.
Perciò mi sorpresi quando sentii un sottile fruscio dietro di me, ma solo per un secondo. Dopo tutto, supponevo di averlo dovuto sapere. Faceva uno strano effetto. Parlai senza voltarmi.
"Ciao, Ranma", dissi.




Fine prima parte
1/4/1997

Revisione versione originale inglese: 23/7/1997
Revisione traduzione italiana: 3/4/1998
Betalettura a cura di TigerEyes: 26/7/2011

Nel caso doveste riscontrare refusi che mi sono sfuggiti, vi prego di segnalarmeli, grazie.

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Capitolo 2
*** II - Ranma 1 e 2 ***



CAST A LONG SHADOW

di
Mark MacKinnon



traduzione
Il Corra Productions




II

Ranma 1 e 2





"Sai", dissi nel modo più noncurante possibile, "mi piace venire qui da solo, qualche volta. Giusto per stare un po’ lontano dai casini della palestra".
"Già. In effetti, sono la sola persona che conosce questo posto. O lo ero". La sua voce era calma, ma sapevo che lo avrei dovuto maneggiare con cura. Io... lui... diavolo, noi avevamo problemi con il nostro carattere a volte. Mi voltai lentamente per fronteggiare il mio altro io.
"Diavolo, non posso biasimare Ryoga per non aver capito la differenza", disse alla fine. "Non potrei trovarla neanche io. Sembri proprio uguale a me".
"In un certo senso, io sono te".
"Piantala!". La sua voce si indurì all’improvviso, e mi irrigidii nel vedere i suoi piedi scivolare leggermente, aumentando la distanza. Già, la sua reazione era proprio quella. Dannazione, a volte odio aver ragione.
"Allora qual è la situazione, eh? Specchi magici, incantesimi, pozioni, cosa? Qualsiasi sia il motivo per cui tu sei venuto qui, vediamo di concludere in fretta, perché questa città non ha bisogno di due Ranma Saotome". Poi sbatté le palpebre nel vedermi ridacchiare. "Ehi, cosa c’è di così divertente?".
"Beh, stavo solo pensando che per te è naturale pensare che io sia qui per causa tua. Dopo tutto, tutte le volte che succede qualcosa qui attorno, tu ci sei nel mezzo".
"Piantala di parlare come se mi conoscessi!".
"Senti, il punto è che io non sono venuto qui per causarti problemi, ok? Giuro. Ehi, forse che non ho una faccia onesta?". Si limitò a guardarmi, privo di espressione.
"E perché sei venuto qui?". Sospirai.
"Storia lunga. Fondamentalmente, sto scappando da qualcuno. Non volevo arrivare qui, essere coinvolto nella tua vita. Se ci fosse stato un altro modo...". Mi interruppi, guardandolo. Avrei potuto dire che stava ricordando che io avevo salvato Akane, che se non fossi arrivato probabilmente sarebbe morta, ora. Il suo atteggiamento si rilassò un poco.
"Scappavi, eh?", disse finalmente. "Perché?". Perché. La domanda da un milione di dollari. Perché. Perché ero cacciato. Perché non avevo nessun posto dove andare.
Perché ero spaventato. Non penso che gli sarebbe piaciuta nessuna di queste risposte, specialmente l’ultima. Qualche settimana prima, l’avrei pensata allo stesso modo riguardo lo scappare da una lotta, riguardo essere spaventato, ma un sacco di cose erano cambiate da allora.
"Sono nei guai, e qualcuno mi sta cercando. Inoltre, penso che abbia chiamato degli amici. Fino a ora, non ho avuto modo di decidermi sul da farsi".
"Se ti sta seguendo", disse cautamente Ranma, "significa che sta cercando anche me? Voglio dire, sarebbe capace di distinguerci?". Lo guardai a bocca aperta.
"Dannazione, sono un idiota!". Esclamai. "Non mi era neanche venuto in mente!". Non ero sicuro se lui fosse capace di distinguerci, non ero sicuro se per lui avrebbe fatto qualche differenza se avesse potuto. Dopo tutto, aveva detto che gli era stato ordinato di riportarmi indietro, e un Ranma poteva valere l’altro. E lui sapeva tutto di me, dove potevo andare, dove potevo essere catturato.
Dove vivevo.
"Cosa?", chiese Ranma, allarmato da qualsiasi cosa avesse visto sul mio volto.
"Potrebbe ripiegare su di te se non riesce a prendere me", balbettai. "E sa dove vivi. Non posso credere di essere stato così stupido...". Mi interruppi nel realizzare che stavo parlando con me stesso. La mia controparte si stava scagliando in direzione della palestra.
Rimasi piantato là, indeciso. Cosa diavolo dovevo fare ora? Avevo già compromesso fin troppo le loro vite. Dovevo andarmene da loro, da tutto quello che mi ero lasciato dietro.
Ma non potevo. Se un’ombra oscura stava per cadere sulle loro vite, bene, io ne ero la causa. Non volevo che il dolore che avevo dovuto soffrire infettasse chiunque altro. Dovevo tentare di rimettere le cose a posto, anche se significava consegnarmi a lui. Non volevo che nessun danno venisse a quella gente per causa mia. Forzai il mio corpo affaticato a rincorrere la forma scomparsa della mia controparte.
Mentre correvo verso le vicine luci della strada, mi resi conto che Ranma non aveva ricevuto le risposte che cercava. Fin troppo presto, anche lui se ne sarebbe accorto, e anche se meritava alcune risposte, non avevo assolutamente idea di cosa gli avrei detto.
Tutto ciò che sapevo era la verità, e non gliel’avrei detta per nessuna ragione.


"Ok, Scooter, provalo adesso!".
"Spiacente, Jack. Nada". Jack imprecò e strisciò lungo l’esiguo spazio di manovra. Spostò la torcia e raggiunse un altro pannello di controllo.
"Allora dev’essere...". Borbottò tra sé e sé. Strappò la copertura, che subito cadde e rimbalzò sulla sua fronte.
"Gaaaah!".
"Che fai laggiù, capo?". La voce scorporata di Scooter fluttuò fino a dove Jack stava sdraiato con la testa tra le mani, gemendo.
"Ah, lasciami stare. Sto solo aggiungendo un altro livido alla collezione". Jack spazzò la copertura contundente a lato e illuminò lo spazio che aveva celato.
"Capo?".
"Mmmmmh?".
"È rimasto a piede libero per più di diciotto ore ormai". Jack sospirò.
Non ancora.
"Lo so, Scooter...".
"Il regolamento dice...".
"Ho un certo margine di decisione in merito, Scooter".
"Non quanto pensi. Dovresti riparare la radio ora così potresti chiamare i rinforzi". Jack giocherellò distrattamente dentro il pannello e imprecò sottovoce.
"Niente rinforzi", disse alla fine. "Questo è il mio caso e lo risolverò a modo mio. Fine della storia".
"L’Ops non la vedrà in questo modo", replicò dubbiosamente Scooter. "Loro vogliono davvero questo tipo".
"Fanculo l’Ops", sbottò Jack. "Lo avranno quando sarò pronto".
"Jack". Ammonizioni, avvisi. Jack sospirò e lasciò il suo braccio cadere al fianco. Il sudore gli rigava il volto. Lavorare sopra la tua testa in uno spazio chiuso era stancante e non induceva al buon umore.
"Senti, non voglio che quegli imbranati dell’Ops mi fottano l’estrazione. Lui è stato assegnato a me e tratterò io con lui. Non lo prenderò finché non avrò qualche mezzo per controllarlo". Si tastò il brutto livido rossastro sotto l’occhio sinistro. "Non voglio un bis di questa mattina".
"Jack, questa è una situazione molto delicata. Che facciamo se decide di incontrare se stesso?".
"Non sarà così stupido. Non dopo quello che gli ho detto".
"E se lo farà?".
"Allora farò quello che deve essere fatto". Pausa. "Ok, che mi dici adesso?".
"Ancora nada".
"MERDA!".


Ranma alzò la finestra della cucina, cadendo al suolo senza far rumore mentre reggeva in equilibrio precario alcuni oggetti nella mano destra. Girò silenziosamente l’angolo e si diresse verso la palestra all’altro lato della casa. Controllando che nessuno lo vedesse, fece scorrere la porta e scivolò dentro.
Il sole era completamente tramontato, e l’interno della palestra era un patchwork di ombre, attenuate solo dalla leggera illuminazione delle luci della strada che filtravano dalle finestre. Ranma si tese mentre i suoi sensi cercavano un qualsiasi segno di movimento. Dov’era lui? Alla fine se n’era andato? Poi Ranma udì un leggero suono e girò su se stesso, assumendo automaticamente una posizione di difesa.
Il suono ritornò. Un russare. Ranma si rilassò, sospirò, e camminò verso la pozza d’ombra da dove il suono era arrivato. Chinandosi, poté intravedere l’altro Ranma, crollato contro il muro, il mento sul petto, profondamente addormentato.
"Beh, maledizione", sospirò Ranma. Si avvicinò un po’. "Ehi. Svegliati". Niente. Riprovò, un po’ più forte. Ancora niente. "Cavolo, quando la gente dice che sono duro da svegliare, non sta scherzando", mormorò alla fine. Posò le scodelle che stava portando sul pavimento e si chinò su un ginocchio, tenendo le mani tese all’altezza delle spalle. Poi le sbatté di fronte al naso dell’altro Ranma e gridò: "EHI!".
Improvvisamente si ritrovò in volo all’indietro. Piegò le braccia e le gambe raggomitolandosi, ruotò con facilità e atterrò rannicchiandosi.
Che diavolo? Non l’ho neanche visto muoversi!, pensò, scuotendosi dal pugno che l’aveva preso quasi completamente a fianco scoperto. Poteva vedere che l’altro Ranma era saltato in piedi e si stava guardando attorno freneticamente.
"Chi c’è? Fatti vedere!", gridò. Ranma si sorprese nel sentire quanta paura ci fosse in quella voce. Cosa diavolo gli stava succedendo?
"Ehi, amico, sono solo io", disse, avvicinandosi lentamente. L’altro Ranma sobbalzò al suono della sua voce, poi si girò per fronteggiarlo, come se non si sentisse sicuro di dove fosse. "Stai bene?".
"Uh... certo. Come no". Scosse la testa intontito. "Dovevo essere più stanco di quanto credessi".
"Ti ho portato qualcosa da mangiare. Attento a dove cammini, è vicino al tuo piede destro". Lui annuì e si sedette con la schiena contro il muro. Cominciò a divorare gli avanzi che Ranma aveva prelevato dalla cucina con un gusto che faceva impallidire anche il solito comportamento di Ranma a tavola. Ranma si sedette, guardandolo con curiosità. Un’ispezione della casa e dell’area circostante aveva rivelato che nessuno li stava spiando, il che andava bene per ora, ma non aveva intenzione di rilassarsi.
Il suo doppio aveva finito di divorare il cibo, e si lasciò cadere all’indietro con un sospiro. Era ovvio che non avesse mangiato per un po’ di tempo. Chiuse gli occhi e crollò contro il muro. Ranma vide la sua testa ondeggiare nella luce tenue, sempre più in basso finché il suo mento non toccò il petto. Sospirò.
"Ehi. EHI!". L’altro Ranma sobbalzò, a malapena sveglio.
"Eh? Oh, scusa". Sbadigliò scompostamente. "Sono distrutto. Comunque, grazie per il cibo, amico". Sbadigliò ancora, questa volta più a lungo. Ranma si ritrovò a sbadigliare in risposta.
"E adesso?"
"Ouf. Ora mi piacerebbe sentire la tua storia, ma non sono sicuro che tu riesca a rimanere sveglio fino alla fine". Ranma guardò l’altro, la sua stessa faccia che rispondeva allo sguardo, coperta dallo sfinimento e da qualche oscura preoccupazione.
Stranamente, Ranma si fidava istintivamente di lui. Si chiedeva come sarebbe stato se si fosse trovato lui, in fuga, solo, nessun posto dove andare e nessuno a cui rivolgersi. Abbandonò l’idea. Poteva essere anche quello, ma c’era qualcos’altro. Un’artista marziale deve imparare a fidarsi del suo istinto, e a prescindere da qualunque altra cosa, Ranma era un superbo artista marziale. Era sicuro che l’altro Ranma, chiunque fosse, non aveva intenzione di far del male agli abitanti della palestra.
Il fatto che avesse salvato la vita di Akane non guastava, poi.
"Senti, ho un’idea. Perché non resti qui stanotte?".
"Cosa?".
"Beh, non è che hai qualche altro posto dove andare, giusto?". Vide il suo doppio cercare qualche buona ragione per rifiutare e rinunciare.
"Ma... dove dormo?", argomentò.
"C’è un piccolo ripostiglio sul retro della palestra. Puoi rifugiarti là per stanotte. E domani resterai lì mentre io e Akane siamo a scuola. Giusto per precauzione. Poi avrò la mia spiegazione, ok?". Sembrava che l’altro Ranma stesse ancora pensando di rifiutare.
"Senti, amico, questo posto è una calamita per le assurdità", continuò. "Finiscono tutte qui prima o poi. Mi sentirei meglio se tu fossi qui domani, nel caso che questo tizio si faccia vedere".
"Ti fidi di me così tanto?", chiese l’altro Ranma. Ci fu un’espressione nel suo viso che Ranma non riuscì a decifrare.
"Hai salvato Akane, hai aiutato Ryoga e sai tutto del mio rifugio segreto. Tu dammi la tua parola che sarai qui domani pomeriggio con le risposte alle mie domande, e mi basterà". Ranma guardò nel volto in ombra del suo doppio, ingoiando i suoi dubbi. "Affare fatto?".
"Affare fatto". Mormorò alla fine l’altro. "Se sei sicuro di volerlo fare?".
"Ehi, nessun problema. Dopo tutto," disse Ranma, "hai una faccia onesta".
Aiutò l’altro a rimettersi in piedi, sperando come un dannato di non aver fatto un grosso errore.

Si era fatto tardi, e in casa tutto era silenzioso. Ranma chiuse silenziosamente la porta dietro di sé e scivolò sulle scale. Sua madre era stata abbastanza arrabbiata con lui quel giorno, il che quasi certamente significava che avrebbe dovuto ancora dividere la camera degli ospiti con suo padre.
Sospirò. Certi giorni si chiedeva perché i suoi genitori stessero ancora assieme. Certi giorni si chiedeva perché si fossero sposati all’inizio. Erano così diversi. Certo, il fatto che si fossero a malapena visti fino a poco tempo fa poteva aver esteso in qualche modo la vita del loro matrimonio. Si sentiva a disagio a interrogarsi sulla relazione dei loro genitori, ma di solito sembrava proprio che non avessero niente in comune eccetto lui, e non gli piaceva la sensazione che gli dava.
Al posto di una normale infanzia, si sentiva come se fosse stato una pedina in qualche strano gioco che i suoi genitori stavano giocando. Ora aveva bisogno di qualcuno per parlare di quello che stava succedendo, ma non si sentiva disposto ad andare da nessuno dei due.
Mentre saliva le scale ripensò a cosa aveva detto sua madre. Lui e Ryoga erano stati sconsiderati, e c’era un sacco di gente in quel cantiere. Non aveva pensato neanche per un istante alla loro sicurezza prima di scontrarsi con Ryoga nel bel mezzo di una strada pubblica. Avrebbe almeno potuto portarlo in un posto isolato prima. Lei aveva ragione; le tecniche che avevano imparato erano pericolose, potenzialmente letali, e dovevano essere gestite come tali. Ranma odiava sentirsi colpevole, ma stava cominciando a considerare seriamente la sua mancanza di disciplina. Se il suo doppio non fosse stato là, Akane sarebbe potuta morire. No. Doveva ammetterlo, anche solo con se stesso. Lei sarebbe morta. Non c’era stato tempo per nessuno di loro per reagire. Sentì un brivido, come se qualcuno stesse camminando sopra la sua tomba.
"Ragazzi, che giornataccia", mormorò. Poi sobbalzò quando la porta di Akane si aprì e una mano ne emerse per trascinarlo dentro.
"Ranma!", sibilò Akane. "Dove sei stato? Ero preoccupata!". Ranma sbatté le palpebre.
"Ehi, Akane, perché sei ancora in piedi?".
"Ti stavo aspettando, stupido! Hai trovato qualcosa?".
Ranma ricacciò indietro la sua irritazione, sentendo l’intera giornata scorrere davanti agli occhi in un unico momento da capogiro. "No, niente", mentì. Mentire ad Akane lo faceva sentire a disagio, ma non voleva che qualcun altro venisse a sapere del suo ospite non invitato finché non avesse padroneggiato la situazione. Se le cose si fossero davvero rivelate pericolose, non voleva che Akane venisse coinvolta. Lei incrociò le braccia e si voltò per guardare dalla finestra.
"Chi è lui, Ranma? Da dove viene? Perché ti assomiglia così tanto?". Ranma poteva vedere P-chan seduto sul letto, che lo guardava con attenzione.
"Senti, Akane, non ti preoccupare. Il tizio è senza dubbio un artista marziale, giusto? Tutti gli artisti marziali che si fanno vedere in città devono darmi la caccia e sfidarmi in qualche stupido duello o gara o che so io. È una specie di legge. Al diavolo, scommetto che a quest’ora domani ne saprò di questo tizio più di quanto voglia". Akane lo guardò.
"Non è divertente, Ranma". Sembrava irritata dal fatto che non prendesse le cose più seriamente.
"Rilassati, Akane. Ci vediamo domattina". Ignorando le sue proteste sussurrate, scivolò fuori dalla porta e si diresse in camera sua. Non voleva far arrabbiare Akane, ma dato che aveva deciso di non dirle niente di quanto stava accadendo, immaginò di dovercisi adattare.
Ragazzi, pensò, camminando a fatica verso il letto, almeno domani dovrà essere un giornata migliore di oggi.
Non voleva pensare a cosa sarebbe stato quel giorno se fosse stato peggiore.


Ranma posò la sua scodella vuota con un sospiro. Non c’era assolutamente niente come una buona colazione per cominciare la giornata, specialmente quando cucinava Kasumi. O Ukyo. O anche Shampoo. Diavolo, diciamo pure che tutti tranne Akane andavano bene per lui. Non aveva dormito bene, interrogandosi sul suo doppio fuori in palestra. Si era ritrovato a cambiare la sua decisione ogni pochi minuti, e l’indecisione lo faceva impazzire. Aveva finalmente deciso di conservare il suo piano originario ed era scivolato in un sonno inquieto.
Scoccò una rapida occhiata ad Akane con la coda dell’occhio, quasi aspettandosi di vederla saltare su al mero pensiero di criticare la sua cucina. Invece, la vide finire la colazione con un ritmo più composto. La mattina era stata tranquilla finora, ma era una calma tesa e sgradevole. Kasumi aveva cercato di calmare suo padre la notte scorsa finché non si era quasi scongiurata la possibilità che facesse qualche gesto inconsulto, ma a Ranma non piacevano le occhiate ostili che si stava prendendo. Sotto uno scrutinio così pressante si tratteneva dal punzecchiare Akane, e la cosa lo rendeva irritabile. In genere, le risposte di Akane alle sue provocazioni erano un buon barometro di come si sarebbe sviluppata la giornata. Suo padre era taciturno, soprattutto perché era al momento un panda. Nabiki sembrava annoiata senza scaramucce tra i due fidanzati. Solo Kasumi sembrava immune al malumore.
Ranma controllò l’ora e si rese conto che avrebbero dovuto partire presto per la scuola. Aveva sperato di trovare un po’di tempo per scivolare nella palestra con un po’di cibo per il suo doppio, ma sembrava che non ne avrebbe avuto l’occasione. Sperò che l’altro Ranma fosse abbastanza furbo da restare nascosto e fuori dai guai fino al suo ritorno a casa.
Lui e Akane alla fine raccolsero le cartelle e si diressero alla porta. Mentre si infilavano le scarpe, Soun comparve nel corridoio.
"Akane, sei sicura di voler andare a scuola oggi?", chiese querulamente. Lei fece un suono a metà tra un sospiro e un grugnito.
"Papà, sto bene. Vorrei che tutti voi la smetteste di preoccuparvi tanto. Mi sono solo spaventata, non mi sono fatta nemmeno un graffio. Starò bene". Soun si girò per guardare Ranma.
"Confido che ti assicurerai che nulla accada alla mia bambina, Ranma", brontolò in un tono piuttosto diverso da quello che aveva usato con sua figlia.
"Certo. Non ti preoccupare, Tendo, la terrò d’occhio". Assicurò Ranma allegramente. Non notò l’espressione che passò sul volto di Akane al sentirlo. La ragazza scattò fuori dalla porta, prendendo Ranma alla sprovvista. Si affrettò a raggiungerla mentre Soun continuava a guardarli dall’entrata.
Ranma raggiunse Akane, abbandonando il suo solito percorso sulla recinzione per starle vicino. Gettò la cartella dietro la spalla e studiò la sua schiena rigida. L’umore di lei sembrava essersi deteriorato dalla notte scorsa. Anzi, sembrava affatto arrabbiata. Sospirò e cercò di pensare a cosa aveva fatto questa volta.
Questo sì che mi sembra familiare, pensò Ranma abbattuto. Cercò di pensare a qualcosa da dire per rompere il silenzio pieno di tensione, ma considerato il suo umore attuale temeva che Akane avrebbe trovato qualche modo per travisare qualsiasi cosa avesse detto. Almeno il silenzio era meglio di un battibecco, concluse.
Erroneamente, come avrebbe scoperto.
"Ranma!", sbottò finalmente Akane, girando su se stessa per fronteggiarlo. "Mi vuoi spiegare cosa stai PENSANDO di FARE?!".
"Ehi calma, Akane, sto solo...".
"Smettila di seguirmi in quel modo, mi stai innervosendo! Non ho bisogno di una guardia del corpo per andare a scuola, lo sai bene! Non sono una bambina indifesa! Posso cavarmela da sola!". Ranma sentì la sua faccia riscaldarsi sotto il suo sguardo, e istintivamente replicò.
"Uffa, ecco cosa succede quando cerco di essere gentile!".
"Gentile? Cosa c’è di gentile nel seguirmi con quello sguardo da imbranato?".
"Giusto! E poi non so perché qualcuno dovrebbe preoccuparsi di un maschiaccio privo di sex appeal come te!".
"Non ci sarebbe motivo di preoccuparsi per me se tu e Ryoga non…" Akane si interruppe di botto, realizzando cosa stava per dire. Il volto di Ranma si fece inespressivo, e la superò bruscamente, con la mascella contratta.
"Giusto". Akane lo guardò allontanarsi indifesa.
"Ranma, io... non volevo...". Non stava ascoltando. Come al solito. Akane strinse i denti per la frustrazione. "Aarrrrgghh! Ma perché dev’essere sempre così impossibile?".
Poi la rabbia l’abbandonò rapidamente come era arrivata, lasciandola confusa. Perché per una volta non potevano parlare e basta? Lei voleva soltanto che la smettesse di comportarsi in modo così colpevole. La faceva sentire colpevole in risposta. E a ogni modo, lui avrebbe dovuto sapere che lei odiava avere gente che stava in pensiero per lei.
La sua espressione si addolcì nel ricordare quando aveva guardato il suo viso mentre lui la riportava alla palestra, leggendo la preoccupazione nei suoi tratti.
"Stupido", disse dolcemente. Poi cominciò a rincorrerlo.


Sedevo nel buio, angusto ripostiglio e non mi davo pace. Sapevo che era l’ultima cosa di cui avevo bisogno, ma sfortunatamente non avevo scelta. Anche se fossi scivolato fuori senza farmi notare, non avevo alcun posto dove andare. E a ogni modo, avevo promesso a Ranma che avrei risposto alle sue domande.
Così dovevo solo decidere quanto dirgli.
Sospirai e mi sistemai contro un cavalletto coperto di vestiti. E poi perché i Tendo avevano una cosa così stupida in palestra? Non pulivano mai questa stupida stanza?
Mi irrigidii nel sentire la porta della palestra aprirsi, poi chiudersi. Per un momento da infarto credetti che qualcuno avesse udito i miei pensieri e stesse venendo a pulire il mio nascondiglio. Quella sarebbe stata la mia fortuna. Ma dopo qualche lungo minuto di agonia, capii che chiunque fosse entrato nella palestra stava soltanto là dentro in silenzio. Rimasi immobile, chiedendomi chi potesse essere. L’altro Ranma aveva deciso di saltare la scuola per confrontarsi con me adesso? Doveva essere impaziente di sapere chi fossi. Mi chinai in avanti e aprii silenziosamente uno spiraglio nella porta. Avvicinandomi con gli occhi allo stretto spazio, potei vedere una sezione della palestra. Vuota. Imprecai tra me. Non potevo rischiare di aprire di più la porta, e chiunque fosse entrato, non sembrava incline a entrare nel mio campo visivo.
Una scarica improvvisa di adrenalina ghiacciata mi fece rizzare ogni capello. Poteva essere lui? Mi aveva trovato così presto? Cominciai a allontanarmi dalla porta, chiedendomi cosa dovessi fare. Un pasto e una notte di sonno mi avevano schiarito la mente quanto bastava per chiedermi di nuovo se fosse stata una buona idea. Poi cominciai a sentire una voce dentro la palestra.
"Akane".
Che diavolo? Ryoga? Mi spostai nuovamente in avanti. Non potevo ancora vederlo, ma lo sentivo perfettamente. Che stava facendo qui?
"Akane", ripeté. Lo udii prendere un respiro profondo.
"A causa della mia sconsideratezza e mancanza di disciplina ti ho messa in pericolo. Anche se mi hai perdonato, non posso perdonare me stesso. Non così facilmente. Akane, questa è una promessa: mi allenerò duramente, e tempererò il mio controllo sopra le mia capacità così da non mettere più in pericolo un’innocente. Giuro di diventare un uomo, un uomo che non disonorerà mai il suo nome. Diventerò un uomo degno...". La sua voce si abbassò, ed esitò per un momento. "Degno del tuo rispetto... e amore".
Questo era stato poco più di un sussurro, ma lo potei sentire dentro alla palestra vuota come un urlo. Chiusi gli occhi e sospirai lentamente.
Oh, Ryoga. Così dannatamente testardo. Non era da lui rinunciare a qualcosa, non importa quanto potesse fargli male. Questo gli aveva permesso di padroneggiare la tecnica del Bakusai Tenketsu, ma sapevo che non gli avrebbe mai fatto vincere il cuore di Akane. Nel profondo, pensai che anche lui lo sapesse, ma comunque non lo avrebbe fermato dal tentare.
Ryoga, pensai tristemente. L’amore ci rende davvero dei pazzi, amico.
"È stato un discorso da valoroso, Ryoga". Sentii l’ansito di Ryoga alla nuova voce, abbastanza forte da mascherare il mio. Mi girai di nuovo verso la porta, sopprimendo un tremito. Conoscevo quella voce.
Mia madre.
Sua madre, ricordai a me stesso con rabbia. Non la tua. La tua è... è...
Morta. Mia madre era morta. Se non riuscivo neanche a pensare quella parola, come lo avrei potuto accettare?
E come lo puoi accettare, chiese una voce furtiva da qualche angolo buio, se si trova davanti a te nella palestra? Non avevo una risposta per questo.
"S-signora Saotome", balbettò Ryoga. Probabilmente si stava chiedendo se lei avesse sentito la fine del suo discorso. Sapevo che l’aveva fatto.
"Sono molto lieta di vedere che hai compreso la gravità degli eventi di ieri", disse con calore. La sentii entrare nella palestra dalla porta, e mi schiacciai ansiosamente contro lo spazio angusto sperando di catturare un’occhiata di lei, solo uno sguardo.
Come quando volevi solo vedere Akane una volta? Chiese aspramente la mia coscienza guasta. La ignorai.
"Signora Saotome, mi spiace davvero. Non volevo che succedesse". Disse Ryoga.
"Lo so, Ryoga", replicò lei, "ma la cosa più importante è che stai prendendo misure affinché ciò non avvenga mai più. Questo vale mille scuse. È l’atto di un uomo". La potevo sentire più chiaramente ora. Si stavano avvicinando!
"G-grazie", balbettò Ryoga.
"È solo la verità, Ryoga. Ti sei preso la responsabilità delle tue azioni, e questo è ammirabile. Confido che in futuro ricorderai quanto pericolose possano essere le tecniche che hai appreso".
"Lo farò".
"Bene". Poi entrarono nel mio campo visivo e il mio cuore si congelò. Mia madre aveva appoggiato una mano sulla spalla di Ryoga, fermandolo proprio dove li potevo vedere.
"Ryoga Hibiki", continuò gentilmente, "anche io sono stata giovane. Mi ricordo come i cuori giovani spesso agiscano con temeraria passione. So che le parole possono ferire e gli impulsi bollire il sangue. Tu e mio figlio siete più simili di quanto io sospetto nessuno di voi vorrebbe ammettere. Fieri. Testardi. Feroci. E rapidi nel giungere in difesa di chi volete bene". Le guance di Ryoga si tinsero di rosso vivo. "Io credo che tu sia un uomo di parola, Ryoga Hibiki. Così non ci sarà alcun bisogno di parlare di nuovo di questa questione". Lui annuì in silenzio, ancora rosso in faccia. Non gli piacevano molto gli elogi. "Sono curiosa di sapere perché non sei a scuola", disse lei, cambiando argomento. Ryoga si mosse a disagio.
"Io, uh... non sono stato a scuola negli ultimi tempi. Ho avuto dei... problemi." Già, problemi a trovare la scuola, pensai.
La mamma si limitò ad annuire.
"E cosa hanno detto i tuoi genitori al riguardo?".
"Non li vedo molto spesso", borbottò, guardando il pavimento. Lei aprì la bocca, poi evidentemente pensò che fosse meglio non interferire in quello che sembrava essere un affare di famiglia, e cominciò invece a camminare fuori dal mio campo visivo di nuovo.
"Dimmi, lo sa Soun Tendo che sei nella sua palestra?". Vidi la faccia di Ryoga impallidire mentre la seguiva.
"N-no, signora, ho solo pensato che avrei potuto allenarmi un po’ mentre aspettavo che Akane e Ranma tornassero a casa. Mi sembrava una buona idea stare un po’ lontano da loro". Disse timidamente.
"Sì, credo che sarebbe saggio da parte tua evitarlo per un po’, almeno finché non avrà modo di calmarsi. È molto protettivo con le sue figlie, lo sai, e non ha preso bene la notizia dell’incidente. Comunque, penso che alla fine vi perdonerà". La udii ridacchiare.
"Alla fine. Ti lascio al tuo allenamento, Ryoga. Lavora sodo".
I suoi passi si diressero verso la porta, e la sentii andarsene. Mi lasciai cadere contro il muro mentre ascoltavo Ryoga che cominciava a muoversi intorno al pavimento, riscaldandosi. I miei occhi bruciavano e sentivo un liquido caldo accumularsi e scorrere lungo il volto. Mi mossi lentamente, raccogliendo una lacrima con l’indice e portandola dove la potevo vedere, come se vedendola la potessi ridurre a una mera goccia d’acqua, invece che un segno di debolezza.
Ryoga che riceve consigli da mia... dalla madre di Ranma. Era qualcosa che avevo desiderato tante volte durante il mio allenamento, qualcosa che mi era stata negata. Avevo odiato mio padre per questo, anche se capivo perché l’avesse fatto. Mi mancavano la calma, il conforto e i consigli materni. Mia madre non mi aveva mai parlato nel modo in cui aveva appena parlato a Ryoga, mai, quando avevo bisogno di lei, e ora non l’avrebbe mai più fatto.
Mai più.

(La casa dove sono cresciuto non è stata risparmiata. La guardo intorpidito, senza voler entrare nel rudere. Se non trovo il suo corpo, allora c’è ancora speranza. Se non guardo, posso continuare a credere che può essere scappata, anche se so che non è quello che è successo.
Sono arrivato fin qui, e devo sapere fino in fondo. Non posso fermarmi finché non sono sicuro. Faccio un passo avanti, poi un altro. Avanzo oltre i resti distrutti della porta d’ingresso, e qualcosa brilla tra le macerie. Mi avvicino e vedo una katana, la sua lama sporca di qualche orribile liquido raggrumato...
"MAMMAAAAAA!")

Abbassai la testa sulle ginocchia e strinsi ferocemente le mani dietro di essa. Potevo sentire un grido che montava dietro la mia gola e lo combattei, combattei con tutta la mia forza. Non potevo farlo uscire nemmeno in parte, e non perché Ryoga fosse nella stanza a fianco. No, se cominciavo a urlare, non mi sarei mai più fermato. Mi avrebbe spezzato, e non avrei lasciato che succedesse. Combattei persino per respirare, per smettere di tremare come un bambino terrorizzato. Combattei la pena e la follia, e vinsi.
Vinsi.
Il respiro lentamente tornò sotto controllo, e mi accorsi che i denti mi dolevano dal tanto stringerli. Improvvisamente, la piccola stanza sembrò essere non più un rifugio, ma una prigione. Lentamente sciolsi le mani e lasciai cadere le braccia lungo i fianchi.
"Sbrigati a tornare a casa, Ranma", sussurrai. "Per favore. Non so quanto potrò resistere ancora".


Akane alzò lo sguardo al cielo e fece un sospiro di frustrazione. Ranma, pensò con un misto di stizza e preoccupazione. Avrebbe voluto scusarsi per quello che aveva detto prima, ma lo stupido l’aveva evitata tutto il giorno. Praticamene l’esatto opposto del giorno prima, ora che ci pensava.
Mi chiedo se questo significa che oggi sarà Ranma a rischiare di essere ucciso, pensò, per subito pentirsene. L’altro Ranma era ancora là fuori da qualche parte. Qualcosa non andava. Anche l’aria sembrava strana, caricata di presentimenti.
Si scosse con rabbia e si disse che stava rimbambendosi. Voci dell’incidente di ieri erano circolate, e l’umore di Akane non era migliorato dall’avere gente attorno a lei tutto il giorno.
E nemmeno, apparentemente, era migliorato quello di Ranma.
Vide un viso familiare che abbandonava la scuola e salutò con la mano.
"Ehi, Ukyo!". Ukyo si fermò e ricambiò il saluto con poco entusiasmo. Akane si rabbuiò. Ukyo si era comportata in modo strano dall’incidente, ora che ci pensava. Non aveva idea del perché, e non aveva tempo per scoprirlo. "Ehi, hai visto Ranma?", chiese senza fiato, correndo verso la ragazza in attesa. La ragazza diede nervosamente uno strappo al collare dell’uniforme, e Akane si chiese, non per la prima volta, perché Ukyo continuasse a vestirsi come un ragazzo quando veniva a scuola.
"Uh, no, Akane. Pensavo che fosse con te"
"Mi ha evitato tutto il giorno, e adesso sembra che sia tornato a casa senza di me".
"Oh. Litigato ancora, eh?". Ukyo girò lo sguardo, senza incontrare quello di Akane.
"Allora, ci sono novità?".
"Beh, devo andare. Spero che lo troverai". Ukyo trottò via, lasciando una scombussolata Akane in piedi fuori dai cancelli della scuola.
"Certo. Sicuro". Quella ragazza aveva senza dubbio qualcosa. Akane sospirò e si guardò attorno una volta ancora per trovare Ranma. Si chiese se lui fosse davvero arrabbiato con lei. Per qualche ragione, la prospettiva la faceva sentire come se avesse lo stomaco pieno di farfalle impazzite. Alla fine partì e si diresse verso casa, senza sapere se fosse arrabbiata o preoccupata.
Quella si stava rivelando una settimana davvero strana.


Ranma-chan camminava oziosamente lungo la cima della recinzione, strizzando via l’acqua dalla camicia. Pensò malinconicamente ai giorni che seguirono la maledizione di Jusenkyo, quando sembrava che lei non riuscisse a rimanere asciutta per alcuna ragione. Non era rimasta in quella situazione a lungo, comunque, perché l’esperienza le aveva inculcato qualcosa. La sua mente ritornò all’ospite che la aspettava alla palestra, e alle risposte che la stavano aspettando con lui. Aveva preso in considerazione l’idea di non andare a scuola quella mattina, ma anche se non l’avrebbe ammesso con nessuno, era preoccupata per Akane, e non aveva voluto perderla di vista.
E alla fine guarda che cosa ne aveva ottenuto.
"Stupido maschiaccio. Se pensa di essere più al sicuro senza di me, allora vada". Ranma-chan camminava imbronciata sulla recinzione, ignorando gli sguardi che riceveva dai passanti. Poi saltò giù per terra e sospirò. Le accuse di Akane non l’avrebbero preoccupata così tanto se non avesse pensato che potevano essere vere. Akane era più al sicuro quando lei non era in giro? Ci aveva rimuginato su per la maggior parte del tempo, quando non si chiedeva cosa avrebbe raccontato il suo doppio. Non era stata per niente capace di concentrarsi. Alla fine, era schizzata fuori dalla classe per poter evitare Akane. Non poteva aspettare più a lungo. E non voleva alcuna distrazione. Stava andando dritta alla palestra per risolvere almeno uno dei suoi troppi problemi.
Quando arrivò a casa, scivolò attorno il fianco della casa e spiò dalla finestra della cucina. Vedendo che era vuota, scivolò dentro e saccheggiò il frigo. Il Ranma nella palestra sicuramente non aveva mangiato, e Ranma non voleva distrazioni mentre si facevano la loro chiacchierata. Reggendo con facilità il suo bottino su una mano riscivolò fuori dalla finestra, chiudendola dietro di lei. Aggirò la casa, si diresse alla palestra, pregustando la conversazione che stava per avere.
Non udì lo strano rumore ronzante che era cominciato dentro la casa.


Alzai lo sguardo quando la porta si aprì quietamente. Un’apprensiva ragazza dai capelli rossi introdusse la testa all’interno, poi sorrise nel vedermi.
"E così sei ancora qua", disse. Posò alcune scodelle e una tazza sul pavimento.
"Dove sarei potuto stare?", chiesi acidamente. Ranma-chan mi guardò con curiosità.
"Tutto bene?".
"Pessima giornata", borbottai. Lei annuì.
"Beh, ti ho portato qualcosa da mangiare. Ho immaginato che stessi digiunando". Guardai il cibo e feci una smorfia.
"Non ho fame", dissi duramente. Il mio stomaco scelse proprio quel momento per tuonare, sbugiardandomi.
"Uh uh", disse Ranma-chan. Sospirai e presi il cibo, accennando la mia gratitudine. Cominciai a riversare riso freddo in bocca con un paio di bacchette.
"Allora, cominciamo con la classica domanda", disse Ranma-chan, guardandomi mangiare. "Chi...".
L’aria venne attraversata da uno strillo acuto. Lasciai cadere la scodella mentre Ranma saltava in piedi.
"AKANE!", gridammo insieme. Ci lanciammo fuori dalla palestra, portandoci verso il giardino. Potevo sentire grida e agitazione, e capii che doveva essere lui. Mi aveva seguito, e ora i Tendo erano nei guai. Se avesse fatto loro del male, giurai a me stesso che avrebbe pagato. L’avrei ucciso con le mie mani.
Akane...
Girammo l’angolo e ci bloccammo subito. Potevo vedere la mamma, con la sua katana fasciata in mano, dietro un panda arrabbiato. Il signor Tendo e Ryoga stavano facendo scudo a Kasumi e Nabiki con i loro corpi, in posizioni rigide e infuriate.
Tutti stavano guardando Akane. Lei era in piedi, con i suoi grandi occhi puntati sulla canna della pistola nella mano dello straniero.
Era lui. Era un occidentale alto, vestito di un lungo cappotto nero. Dietro di lui, una normalissima porta si alzava senza sostegno nell’aria. Lo straniero dai capelli scuri era troppo lontano per ciascuno di noi perché potessimo raggiungerlo prima che sparasse ad Akane. Sentii Ranma tendersi dietro di me, e alzai la mano per trattenerlo.
"Dimmi solo che non ci saranno problemi", stava dicendo con un tono molto ragionevole. Il signor Tendo sembrava in procinto di esplodere, e il panda ringhiava minaccioso.
"Sono qui", dissi a voce alta. Lo straniero si spostò in modo da abbracciare tutti con lo sguardo. Potei vedere il brutto livido sotto il suo occhio destro, e sentii un’improvvisa scarica di gioia rabbiosa. Il tipo poteva essere battuto. Io ne ero la prova. Lui socchiuse gli occhi e si rivolse a me.
"Saotome. Imbecille, cosa hai fatto? Perché sei venuto qui? Non hai sentito quello che ti avevo detto?". Potevo avvertire nell’aria il trauma di tutti mentre realizzavano che c’erano due Ranma, un ragazzo e una ragazza. Non ero sicuro che Jack sapesse della maledizione. Diavolo, cosa stavo pensando? Lui doveva saperlo. Lui sapeva tutto.
Me l’aveva già provato.
"Lascia andare Akane, Jack. È me che vuoi, ricordi? Non ti sei preoccupato di lei prima. Di nessuno di loro".
Qualcosa guizzò nei suoi occhi a quelle parole. Sperai fosse colpa.
"Saotome, non so se ti rendi conto di quanto sia seria la situazione", ringhiò.
"Non so se ti rendi conto di cosa ti accadrà se fai del male ad Akane", ribatté Ranma-chan. Le lanciai un’occhiata di avvertimento. Non sapevo a cosa poteva arrivare Jack, e non volevo pressarlo troppo.
Non mentre Akane si trovava davanti alla pistola.
"Saotome", disse, ignorando Ranma, "cosa ci fai qui? Eh? Questa non è casa tua. Questa gente non è la tua famiglia, i tuoi amici, non importa quanto ci somiglino. Non puoi stare qui. Non funzionerà. Devi venire con me, è l’unica soluzione. Non rendere le cose più difficili di quanto siano". Mi guardò fermamente, parlando come un uomo ragionevole che fa una semplice richiesta. Se si ignorava il fatto che stava tenendo Akane sotto tiro, naturalmente. Aprii la bocca per dirgli che sarei andato con lui se solo la avesse lasciata andare.
"Codardo". La parola risuonò come scolpita nel ghiaccio. Mi voltai per vedere la mamma, con l’impugnatura della katana, ora priva di fascia, a portata di mano. Era difficile credere che fosse la stessa donna che aveva parlato così dolcemente a Ryoga nella palestra poco prima. Jack spostò lo sguardo su di lei.
"Prego?".
"Sei un codardo. Tieni in ostaggio una ragazza, fai domande, ti comporti come se fossi il capo". Si mosse con deliberata lentezza e strinse l’impugnatura della katana.
"Senta, signora...".
"Mi chiamo Nodoka Saotome. Ranma è mio figlio. Akane è la sua fidanzata. Non ti lascerò far del male alla mia famiglia". Il panda si spostò per coprire meglio la mamma e ringhiò minacciosamente, il suo folto pelo drizzato. Ryoga fece scrocchiare sonoramente le nocche, il signor Tendo si illuminò e Ranma si mosse, obbligando Jack a spostare lo sguardo verso di noi.
Non andava per niente bene. Eravamo in troppi, troppo dispiegati, dividevamo la sua attenzione. Più questa faccenda continuava più aumentavano le possibilità che qualcuno provasse ad attaccare. E se succedeva, qualcuno si sarebbe fatto male. Dovevo fermarli subito. Mi dovevo arrendere.
Poi udii Ranma ansimare, e vidi cosa stava guardando.
Oh, CAVOLO. Apparentemente, Akane si era riscossa dal trauma.
La sua aura stava cominciando a brillare di un blu intenso. Le sue mani, ancora lungo i fianchi, si stavano chiudendo in pugni. I muscoli della sua mascella si stavano contraendo spasmodicamente.
Akane era infuriata. Pistola o no, stava per perdere la calma.
"Akane, no!", gridai. Jack aveva notato la luce e si era allontanato di un passo, sbarrando gli occhi. Sapevo che si stava ricordando del mio attacco energetico. Forse pensava che anche Akane ne fosse capace. Fece un altro passo, ponendosi di fronte alla porta sospesa, con la pistola ancora puntata su Akane.
"Quarantotto ore, Saotome. Poi tornerò, e farai meglio a essere pronto a partire con me". La porta si aprì. Akane aveva cominciato a ringhiare, e fissò l’uomo in ritirata.
"Tuuuuuuuuu...", ansimò. L’aura si intensificò. Lui si voltò e saltò attraverso la porta, che si richiuse di botto. Tutti cominciarono a muoversi insieme, ma Akane era la più vicina. La vidi caricare il pugno mentre si lanciava sulla porta.
"BASTARDO!". Scagliò un pugno terrificante con tutta la sua forza. Sfortunatamente la porta scelse quel momento per svanire con un leggero ronzio. Lei perse l’equilibrio e cadde pesantemente a faccia in giù. Un secondo dopo, era circondata da persone ansiose.
"Akane!".
"Stai...".
"Tutto ok, sorellina?".
"LA MIA BAMBINA!".
"Cara...". Akane si alzò a sedere, disgustata.
"Argghhhh! È scappato! Quel... quel...". Stava tremando; per la rabbia, lo shock ritardato, l’eccesso di adrenalina, o tutti i sopracitati, non ne ero sicuro. Ma era incolume. Questo era ciò che importava veramente. Le sorrisi con sollievo e lei rispose al sorriso. Poi il suo sorriso vacillò, e guardò alla rossa dietro di me. Mi resi conto che nessuno parlava più. Guardavano tutti me.
"Ranma?", chiese Akane a voce bassissima. La mamma si schiarì la gola.
"Non credo che ci abbiano ancora presentato", disse dolcemente. La guardai, guardai tutti loro, con le parole di Jack che mi riecheggiavano nella mente.

(Questa non è casa tua. Questa gente non è la tua famiglia, i tuoi amici, non importa quanto ci somiglino. Non puoi stare qui)

Aveva ragione, naturalmente, ma io avevo portato il caos nelle loro vite, e il minimo che dovevo loro era una spiegazione.
"Sono, uh, Ranma Saotome", dissi alla fine, grattandomi timidamente la nuca. "Mi dispiace".





Fine seconda parte.

Revisione versione originale inglese: 27 Luglio 1997
Revisionata traduzione italiana: 10 Maggio 1998
Betalettura a cura di TigerEyes: 27/7/2011

Nel caso doveste riscontrare refusi che mi sono sfuggiti, vi prego di segnalarmeli, grazie.

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Capitolo 3
*** III - Solo sopravvissuto ***



CAST A LONG SHADOW

di
Mark MacKinnon



traduzione
Il Corra Productions




III

Solo sopravvissuto





La tiepida brezza primaverile, carica del profumo dei boccioli di ciliegio, soffiava sulla casa come la carezza di un amante. Il sole irraggiava calore e benevolenza su ciascuno sotto il cielo. Era proprio un perfetto giorno di primavera, un giorno dove non può capitare nulla di brutto.
Certo. Come no.
Guardai attorno al tavolo e soppressi un brivido. Sembrava così irreale, e allo stesso tempo così familiare, che mi ritrovai a chiedermi se i miei ricordi non fossero solo un sogno, se questa non fosse la mia vita, un’esistenza semplice e serena dove le persone che amavo non erano morte in modo orribile.
Ma non potevo rifuggire dalla realtà della situazione, o dal fatto che lì c’era un altro Ranma. Il mio passato era reale, come questo presente, e ora quelle persone, che erano state messe in pericolo dalla mia presenza, stavano aspettando una spiegazione.
Già, era un bellissimo giorno di primavera, e mi accadeva di essere il tizio che ci avrebbe depositato dentro un gran mucchio fumante di pazzia.
"Lui aveva detto che probabilmente ci sarebbero state delle differenze, ma non ne ho ancora viste". La mia voce risuonò innaturalmente alta nella stanza. Tutti stavano guardando me, e mi resi conto che non era stata una buona partenza. Feci una smorfia, sentendomi in imbarazzo. "Ok, partiamo dal principio. Apparentemente, non c’è solo una terra. Ce ne sono molte. Alcune sono molto simili a questa, altre sono davvero strane. Secondo quello che mi ha detto Jack, io sono di uno di quei mondi che assomiglia molto a questo. Conosco... conoscevo tutti voi. Vivevo in una casa proprio come questa, e facevo colazione davanti a una tavola del tutto uguale a questa...". La gola minacciò di chiudersi e mi fermai, prendendo un profondo, palpitante respiro. "Scusate. Sarà piuttosto difficile da credere. Beh", aggiunsi dopo un momento, "dopo quello che avete visto qualche minuto fa, forse non così difficile. Comunque, io vengo da un’altra terra. Ok?". Nessuno rise o mi accusò di mentire, così supposi di poter continuare. "Ok. Bene. Era proprio come questa, credo, fino a una settimana e mezzo fa circa. Fu allora che cominciò". Mi fermai, studiandomi attentamente le unghie.
"Cominciò cosa?", mi spronò gentilmente Kasumi dopo un lungo momento.
"Non feci molto caso alle notizie all’inizio", mormorai alla fine. "Storie dagli Stati Uniti di mostri che attaccavano la gente a New York. Diavolo, nessuno ci credeva, e poi, era tutto così lontano!". Li supplicai di capire, come se qualcuno mi avesse accusato. Come se, prestando attenzione all’inizio, avessi potuto in qualche modo prevenire a quello che stava per succedere. "Fin dal giorno dopo, c’erano fotografie, riprese dalla Germania e dall’Inghilterra all’inizio, poi da altre città dell’Europa e del Nord America. Poi da tutte le parti. Erano dappertutto, così in fretta. Niente li fermava a lungo. Se qualcuno provava ad alzare una trincea, loro comparivano oltre. Il terzo giorno, arrivarono in Giappone".
"Chi?", chiese Ryoga, "Chi erano?".
"Mostri. Demoni. Progenie infernale, orchi, oni. Come venivano chiamati dipendeva da dove ti trovavi". Chiusi gli occhi, ricordando. "Ma non erano umani. Erano mostri, assassini. Cominciarono a farsi vedere da tutte le parti, uccidendo tutti, distruggendo tutto. Gli interventi dell’esercito e della polizia ne rallentavano alcuni. All’inizio. Ma mai abbastanza, e mai molto a lungo. Dal quarto giorno, non ricevevamo più notizie dall’Europa. Le notizie che ricevevamo ancora erano tutte cattive. La gente correva letteralmente per le strade, urlando, pregando, piangendo. Nessuno aiutava l’altro. Cominciavo a capire che queste cose ci stavano invadendo, e noi stavamo perdendo".
Mi fermai, lanciando sguardi attorno alla tavola. Tutti gli occhi erano su di me, nessuno sembrava neanche respirare. Raccolsi il mio coraggio e mi dissi di continuare e basta.
"Quinto giorno". Avevo la gola secca. Cercai di deglutire e non ci riuscii. "Noi... alcuni di noi... i telefoni non funzionavano e così...". Mi fermai, cercando di deglutire ancora. "Ci volevamo raggruppare tutti insieme qui, per decidere se restare e resistere o raggiungere la folla che cercava di uscire dalla città. Io uscii... per... e fu allora che...". Abbassai la testa, sentendo punture calde di lacrime negli occhi. Non le avevo ancora piante tutte? Sembrava impossibile che ne avessi ancora.
Impossibile.
Una mano mi toccò gentilmente sul braccio. Non alzai lo sguardo per vedere chi fosse. Ero troppo occupato a tentare di ingoiare il groppo che avevo in gola. Finiscila, mi dissi rabbiosamente, DIGLIELO!
"Ranma". Era sua madre. La sua, non la mia. "È tutto a posto. Fai con comodo". Annuii, ingoiai un respiro, poi un altro.
"Loro. Hanno ucciso. Tutti". Lo tirai fuori, sputando selvaggiamente le parole. "Tutti. Sono arrivati così in fretta, non abbiamo avuto tempo, non abbiamo avuto allarmi, e loro hanno semplicemente ucciso tutti". Ecco. Ora lo sapevano. Sentii un paio di lacrime traditrici scappare dalle palpebre serrate e scivolare lungo le guance. Alla ricerca di un posto più felice dove stare, probabilmente. Ryoga ruppe il silenzio attonito.
"Tutti loro? Noi? Morti?". Annuii, deglutendo a fondo.
"Non ricordo bene quello che è successo dopo, ma non mi sembra di aver visto nessun altro per tutto il tempo prima che lui mi fosse venuto a prendere".
"Lui? Intendi quell’uomo?", chiese Akane. "Lui... ti ha salvato?"
"Beh, in un certo senso", dissi, cercando di stirare il mio volto irrigidito in un ghigno. "Ero là che stavo attraversando quello che era rimasto di un negozio, e questa porta praticamente mi appare davanti. Esce questo tizio e dice: "Ranma Saotome?", io dico sì, ed entriamo. Lui cura le mie ferite e mi dice che il mio mondo è finito. Come se non l’avessi notato". Mi fermai, cercando di ricordare esattamente come fosse andata. "A quanto sembra, lui appartiene a un’organizzazione che sorveglia tutti questi mondi paralleli. Disse che il mio mondo era concluso, o corrotto, o che so io. Comunque, disse che visto che sarei sicuramente morto se fossi rimasto, aveva il permesso di portarmi con lui dalla sua gente e mettermi a lavorare per loro".
"Che?". Tutti reagirono con sconcerto.
"Già. Allora cominciai a infuriarmi. Gli chiesi perché non era venuto prima, perché non aveva salvato anche qualcuno degli altri. Lui disse... disse che i suoi ordini erano solo per me. Nessun altro". Strinsi i pugni, mentre il ricordo spazzava via la mia pena con un’ondata di rabbia. "Sembrava sorpreso quando l’ho colpito. Gli dissi di riportarmi a casa, ma si rifiutò. Allora impazzii. Lasciai andare una scarica di energia che colpì la sua nave, o qualsiasi cosa fosse. Aveva detto che stavamo viaggiando tra i mondi paralleli e quando danneggiai la nave atterrò qui. Lo... convinsi a lasciarmi uscire. Immagino che si sia sentito piuttosto male quando ha ripreso conoscenza". Sogghignai, ma nessun altro lo fece. Dopo un momento, lasciai scivolare via la smorfia. "E quando me ne sono andato, mi sono ritrovato qui. All’inizio, sembrava quasi che fosse stato un brutto sogno, ma non c’è voluto molto per capire che aveva detto la verità. Questa non era la mia casa. Cominciai a seguire Akane e Ranma perché, beh, perché non sapevo cos’altro fare. E non lo so ancora. Io non sono di qui. Io non sono più di alcun posto. E questa è tutta la dannata storia".
Non era tutta qui, in effetti. Avevo omesso un sacco di cose, cose di cui preferivo non parlare, ma non pensavo che qualcuno avrebbe insistito fino a quel punto. Tutti loro mi credevano, il che li metteva nella non invidiabile posizione di dover decidere sul come sentirsi per la morte di un gruppo di gente che non avevano mai conosciuto, di cui non avevano mai sospettato l’esistenza, ma con cui avevano nondimeno condiviso una strano genere di vincolo.
Dovevano meditare sulla realtà della loro mortalità, della loro morte. Ma almeno non avevano dovuto guardarla accadere. Mentre uno sgradevole silenzio calava nella stanza il giorno, ignaro del mio dolore, continuava a essere magnifico. Gli uccellini cantavano, il sole splendeva, e da qualche parte nelle vicinanze bambini giocavano contenti. Tutto il mio mondo, tutta la mia vita erano finiti, ingoiati dalle ombre, ma la vita continuava normalmente per tutti gli altri. Nessuno avrebbe seppellito i morti, eretto lapidi per loro, pianto per loro. Ricordandoli. Nessuno tranne me.
Ero l’ultimo, e in quel momento mi sentivo solo in un modo che non penso sia possibile spiegare veramente. Tutto solo.
"Ranma". La voce mi strappò dagli abissi vertiginosi del buio con una forza quasi fisica. Sbattei le palpebre e alzai lo sguardo. Mamma. Non potevo pensare a lei in nessun altro modo, anche se non era davvero mia madre. La sua espressione era così tenera, così calda che sentii di nuovo un nodo stringersi nella gola. Sorrise, così gentilmente, alla mia espressione. "Mi dispiace davvero per quello che hai passato", disse quietamente. "Non so se qualcuno di noi può davvero capire come ti stai sentendo, o quanto faccia male trovarsi qui tra i volti di chi hai perso. Ma non sei più solo. Ti possiamo aiutare a superare questa situazione". Curvai il capo e singhiozzai forte.
"Grazie, ma... Signora Saotome". Dio, certo che suonava strano! "Ma non posso restare qui ora. Jack sa dove mi trovo, e tornerà a cercarmi. Non posso mettervi tutti in pericolo in questo modo. Me ne andrò, e basta".
"Ranma". Il suo tono era cambiato. Non era quello freddo, glaciale che aveva usato con Jack, o quello caldo e materno che aveva usato prima in palestra o adesso con me. Era una combinazione dei due, piacevole ma fermo, che non ammetteva repliche. "Tu vorresti che noi ti abbandonassimo, proprio quando hai maggiormente bisogno di amici? Vuoi chiederci di agire così ignominiosamente? Dopo che hai salvato la vita di Akane, questo sarebbe un peccato imperdonabile. Io, per cominciare, non ho alcuna intenzione di consegnarti a questa gente". La guardai. Cominciavo a capire perché papà avesse avuto paura di lei per tutti questi anni. Era una dura, e rendeva molto difficile dire di no. Si voltò verso il signor Tendo, alzando un sopracciglio. Lui annuì, a braccia conserte.
"Giusto, ragazzo. Puoi stare qui finché vuoi", disse con fermezza. "Quando quel bruto ritornerà, assaggerà il sapore dell’ira della scuola di Lotta Indiscriminata!".
"Ma...". Dissi.
"Quanto lontano vuoi correre, Ranma?", chiese Ryoga. Ora questo era scorretto, usare le mie stesse parole contro di me. "Mi hai detto che hai corso molto a lungo, e non ti ha aiutato. Ricordi? Non aiuterà neanche stavolta. Presto o tardi dovrai fermarti e prendere una decisione. E dovrebbe accadere qui, dove non dovresti farlo da solo".
"Non importa chi sei, o da dove vieni, sei sempre Ranma. Non lasceremo che qualcuno ti porti via", aggiunse Akane. Quando vide che tutti la stavano guardando, arrossì furiosamente. "Allora?", chiese imbronciata. La mamma sorrise con gentilezza.
"Akane dice il vero, Ranma. Sei sopravvissuto a una grande tragedia, e il fato ti ha condotto qui. Sei tra amici ora. Non ti abbandoneremo". La fin troppo abusata voce della mia coscienza rincominciò a urlare, dicendomi che non avrei dovuto ascoltarli, che la mia presenza poteva significare solo guai per questa gente. A ogni modo, quella piccola voce non aveva vinto in molte discussioni di recente, e quella non sarebbe stata un’eccezione. Sentii la tensione allentarsi attorno al cuore, e osai sperare.
Guardai i visi che mi circondavano, e sentii qualcosa che non avevo sentito da quella che sembrava un’eternità.
Gioia.
Era come se fossi arrivato a casa.


Jack si lasciò cadere sulla poltrona fluttuante e si mise a giocherellare distrattamente con il bracciolo. Una voce che proveniva dall’aria lo riscosse dal suo sogno a occhi aperti.
"Odio dire che te l’avevo detto...", cominciò boriosamente Scooter.
"Stai mentendo".
"Ok, come vuoi. TE L’AVEVO DETTO! Ti senti meglio ora?".
"Francamente, no".
"Beh, ottimo, perché francamente questo è stato un disastro senza attenuanti. L’unico lato positivo di questo casino è che non è più un nostro problema".
Jack continuò a guardare apaticamente la luce che si rifletteva sulla canna della sua pistola e non disse niente.
"Perché è ovvio che ora dobbiamo chiamare quelli dell’Ops", continuò Scooter con allegria forzata.
Jack sollevò la pistola e la chiuse nella sua fondina.
"Giusto?", chiese debolmente Scooter.
Jack si risedette e incrociò le braccia.
"OH ANDIAMO! Non dicevi sul serio riguardo a dargli un paio di giorni per pensarci su, vero?".
Jack chiuse gli occhi.
"Temo di sì". La consolle di comando rimase silenziosa per alcuni istanti.
"Ti piacerebbe sapere di preciso quante direttive romperebbe quell’azione? Voglio dire oltre alle quattordici che abbiamo già infranto".
"Non proprio".
"Bene allora, mettiamola in questo modo. Shetney ci farà fuori entrambi".
"Tu sei un’IA", gli ricordò Jack.
"Allora mi smantellerà! Dannazione, Jack, a cosa stai pensando?". Jack guardò pigramente il soffitto, dondolando la poltrona avanti e indietro. Scooter sospirò. "Lascia perdere. Penso di conoscerti abbastanza bene da sapere quale sia la causa".
"Non ce la metteranno in conto".
"Ascolta. Noi siamo un’unità di pattugliamento. Non siamo attrezzati per queste cose". Scooter parlò con frasi brevi e precise, cercando di far ragionare il suo comandante. "L’Ops lo è. Dovremmo chiamarli ora".
"Quegli scimmioni riuscirebbero solo a combinare un casino. Senti, so cosa sto facendo. Qual è l’indice di compatibilità di questo mondo con quello di Saotome?".
Uno schermo si accese su una delle pareti ricurve, mostrando due globi trasparenti. Uno diceva Terra Impegnata 413, l’altro Terra Impegnata 417. Le due immagini si sovrapposero lentamente finché non furono perfettamente allineate. Jack fischiò.
"Novantasei punto quarantuno percento. Dannazione, sono vicini".
"Dannazione, questo non va! Sarà praticamente identico alla sua controparte!", gemette Scooter. "Jaaaaaack...".
"Ti dovrai fidare di me", replicò Jack con tono assente, studiando lo schermo. "Diamogli un po’ di tempo per riprendersi dallo shock, per abituarsi alla situazione".
"La centrale vuole davvero questo tizio, Jack. Avrebbero mandato tutte le squadre Ops di Sector se solo TI 413 non fosse collassata con così poco preavviso. Non ci possiamo permettere di scherzare con questa roba!".
"E perché là c’era un panda, poi?", chiese Jack. Scooter si interruppe bruscamente. Ci fu un breve silenzio.
"Non hai letto il briefing della missione?", chiese con incredulità.
"Sono un Ufficiale di Pattuglia, non un mezza manica dell’Ops. Shetney ci ha chiamati fuori dal settore per l’emergenza…".
"Non hai letto il briefing della missione".
"La prima priorità era tirarlo fuori da quel mondo distrutto...".
"Non posso crederci che non hai letto...".
"L’ho sfogliato, ok? Ho programmato nei sensori l’impronta del tipo...".
"Bello sforzo. Era facile da trovare, c’era un solo rilievo di vita umana rimasta in quella parte della città! Trovarlo in un ambiente urbano ad alta densità di popolazione come questo sarà molto più difficile!".
"Non scapperà". Jack sospirò, sfregandosi la faccia con entrambe le mani. "Senti, parlo per esperienza. Se proviamo a forzarlo ora, ci causerà problemi in futuro. Sarà meglio per tutti se decide di seguirci di sua spontanea volontà".
"Sector ci uccide se lo scopre", disse Scooter alla fine. Jack grugnì.
"Allora non diciamoglielo. Cerca di collaborare un po’, ok? Quarantott’ore, è tutto quello che chiedo. Poi, se il mio metodo non funziona, chiameremo i rinforzi". Ci fu un lungo, spiacevole silenzio.
Alla fine, Scooter sospirò rumorosamente.
"Se non funziona, Sector ci seppellirà entrambi", borbottò.
"Sai, le Intelligenze Artificali non sospirano".
"Al diavolo".


La tavola dopo il pranzo era stata sparecchiata e i Tendo e i Saotome vi erano seduti attorno. Avevano tutti evitato di sondare troppo in profondità il passato del nuovo Ranma, forse perché significava risparmiargli il dolore del ricordo, forse perché nessuno voleva pensare al fato delle loro controparti. La conversazione ritornò dunque alla logistica della situazione.
"Allora, come ti dobbiamo chiamare?", chiese Nabiki a Ranma. Lui sembrò confuso.
"Che vuoi dire?".
"Voglio dire", disse, "che abbiamo già un Ranma Saotome tra di noi. Tutte le volte che qualcuno vi chiamerà per nome, risponderete entrambi. Dovremo trovare un modo per chiamarti".
"Ma è il mio nome", protestò lui. Gli occhi di Nabiki si strinsero pensosamente. Poi, senza preavviso, svuotò il suo bicchiere d’acqua sulla testa di Ranma.
"Ehi! A cosa devo questo?", chiese oltraggiata la neo-rossa bagnata. Nabiki sogghignò.
"Volevo solo essere sicura", disse.
"Ti sei divertita", brontolò Ranma-chan, strizzando l’acqua in eccesso dalla camicia.
"Moi?", chiese innocentemente Nabiki. Tutti attorno alla tavola la guardavano attentamente.
"Ora che sono entrambe ragazze", disse lentamente Genma, "si vede quanto si assomigliano".
"Identiche", concordò Soun.
"Oh, cielo", disse Kasumi.
"Così la mia idea", disse Nabiki, "è questa: facciamo incontrare Ranma e Ranko Saotome".
"Che cosa?!", saltarono in coro le due Ranma.
"Che idea stupida", disse Akane. "Vuoi che Ranma rimanga ragazza per tutto il tempo? Non accetterà mai, Nabiki!".
"Sicuro come l’inferno che non accetterò!", sbottò Ranma-chan. La sua espressione si cambiò in sorpresa nel vedere Nodoka ridere.
"Beh, non penso che tu debba rimanere ragazza, ma potresti usare il nome, no? Dopo tutto, l’hai usato in passato". I suoi occhi brillarono di malizia mentre entrambe le Ranma si guardavano a disagio. Non era piacevole ricordare che avevano passato un bel po’ di tempo mentendo a Nodoka.
"Già, non devi cambiare ufficialmente nome. Consideralo un soprannome", disse Nabiki.
"E dovrete cominciare a vestirvi in modo diverso", puntualizzò Kasumi.
"Ma mi piace vestirmi così!", protestò Ranma-chan.
"Già", approvò Ranma-chan. "È comodo e si adatta a entrambe le forme".
"Beh, magari camicie di colori diversi, allora", rifletté Kasumi.
La conversazione stava assumendo toni problematici, e le due Ranma sembravano disorientate.
"Scusa, amico. Sembra che ti complicherò ancora di più la vita", sorrise Ranko-chan.
"Ehi, non c’è problema", sospirò Ranma-chan. "La vita da queste parti è sempre un bel po’ complicata. Vieni, andiamo a farci un bagno. Almeno non ci toccherà passare la notte in queste condizioni". Gli occhi di Ranko-chan si illuminarono alla menzione di un bagno. Le due si scusarono e salirono le scale.
"E allora, Akane, non sei fortunata?", chiese Nabiki.
"Che vuoi dire?".
"Beh", ripose allegramente, "ora hai due fidanzati, giusto? Se litighi con uno, puoi andare dall’altro. Giusto?". Il viso di Akane si tinse di un’allarmante sfumatura di porpora.
"Nabiki!", esclamò Kasumi, scioccata.
"Io... io non… voglio dire...". Akane sembrava aver perso la facoltà di parlare.
"Vuoi dire che non ci hai neanche pensato?", la stuzzicò la sorella.
Akane continuava a balbettare. Era chiaro che non l’aveva fatto.
Nodoka non sorrideva. La situazione si era presentata così improvvisamente che con ogni probabilità nessuno di loro aveva colto tutte le implicazioni della presenza di Ran… di Ranko. Se era davvero un’altra versione di suo figlio, condivideva i suoi sentimenti per Akane? E se era così, cosa sarebbe successo?
Per la prima volta, Nodoka cominciava a capire quanto complicata la situazione potesse diventare.


La da poco battezzata Ranko-chan aveva appena finito di riempire la vasca quando Ranma-chan entrò nel bagno con alcuni teli e vestiti puliti. Si sedette su uno sgabello e si voltò per vedere Ranko-chan scivolare fuori dai pantaloni. Ranma-chan si sentì stranamente a disagio quando la camicia di Ranko-chan toccò il suolo. Stava guardando la schiena di una donna nuda.
Dacci un taglio, si disse severamente. Lei è un uomo e lo sei anche tu, e tu hai già visto quel corpo centinaia di volte.
Eppure, avvertiva la stranezza della situazione. Cominciava a capire perché le persone andavano giù di testa quando correva per la casa mezza nuda.
"Whoa. Sono giorni che non mi faccio il bagno", sospirò Ranko-chan, allontanando il mucchio di vestiti sporchi con il piede. "E questi vestiti hanno visto giorni migliori... uh?". Si voltò, gratificando Ranma-chan con una vista completa del suo corpo nudo, e aggrottò la fronte. "Ehi, cosa diavolo stai guardando, maniaco? Me lo aspetto da Kuno, non da te!".
Ranma-chan stava per replicare quando qualcosa attirò la sua attenzione. Si avvicinò, osservando il petto di Ranko-chan.
"EHI PIANTALA!", esclamò la ragazza, incrociando le braccia.
"Tranquilla. Stavo solo guardando quelle cicatrici", mormorò Ranma-chan, indicando col dito. Ranko-chan abbassò lo sguardo.
"Oh", disse, più tranquillizzata. Tre sottili cicatrici partivano da sopra l’ombelico, piegandosi e percorrendo la parte inferiore del seno sinistro prima di terminare proprio sotto la spalla. Ranma-chan poteva vedere altri tagli più piccoli e scoloriti che sembravano quasi totalmente guariti.
"Vecchie ferite, eh?".
"Nah". Ranko-chan si spostò sulle mattonelle e si mise sotto l’acqua fredda. "Piuttosto recenti, a dire il vero". Si immerse nell’acqua fumante mentre Ranma-chan sgusciava dai vestiti. Quando riemerse, soffiando con soddisfazione, Ranma-chan si sedette per sciacquarsi.
"Recenti? Conosci qualche tecnica per guarire in fretta o cose del genere?".
Ranko scosse la testa mentre la sua controparte si immergeva nella vasca, rilassandosi con un sospiro.
"È stato Jack. Lui tiene un sacco di roba ad alta tecnologia in quella cosa su cui viaggia. Ha gettato i miei vestiti in una macchina che ha riparato gli strappi e lavato il sangue...". Ranko si interruppe al menzionare il sangue. Ranma grugnì.
"Dunque quel tizio lascia tutta quella gente morire, ma ti salva, cura le tue ferite e ti fa addirittura il bucato? Ma si può sapere chi è?".
"Credo che ti riservino un buon trattamento se si capita di essere qualcuno che i suoi capi possono usare", disse amaramente Ranko. "Se mai incontrerò la gente per cui lavora, gli farò vedere cosa ne penso della loro politica". Ranma si immerse oziosamente, guardando il volto del suo doppio. Ranko fissava l’acqua, e sembrava smembrato dal gioco delle luci sulla superficie ondulata. "Gliela farò pagare", sussurrò. Ranma si spostò a disagio.
"Allora secondo te perché quell’uomo ti ha dato quarantotto ore? Perché darti tempo?". Ranko alzò le spalle.
"E chi sa perché quella gente fa quel che fa? Quando torna, comunque, intendo essere pronto per lui".
Finalmente un argomento che Ranma poteva trattare. Per prima cosa dovevano far uscire tutti i non-combattenti dalla casa, naturalmente. Quell’uomo aveva una pistola, ma era un problema risolvibile. Ranma fissò il suo doppio, sentendo qualcosa che formicolava nelle profondità dei suoi pensieri. Guardare Ranko cominciava a farlo sentire a disagio per qualche ragione che non riusciva a identificare in pieno. O forse per qualche ragione che non voleva identificare.
Ehi, pensò, l’ho portato io qui. Mi fido di lui. Non è il momento di avere ripensamenti. Ranko alzò lo sguardo e vide Ranma che lo guardava. Scoccò un mezzo sorriso all’altro ragazzo.
"Proprio come guardarsi in uno specchio, eh?". A quelle parole l’espressione di Ranma si rabbuiò, poi si sforzò di sorridere.
"Già, proprio", rispose allegramente. Ranko si incupì.
"Per cos’era quell’occhiata?", chiese. Ranma lo guardò.
"Cosa?", chiese. Ranko non vide alcun segno dell’espressione scura che era passata sul volto del suo doppio solo pochi momenti prima, e decise di lasciar perdere.
"Niente".
"Ehi, mi spiace che ti secchi farti chiamare Ranko, amico", disse Ranma. "Forse potremmo pensare a qualcosa di meglio tra di noi, no?".
"Oh, mi basta che non abbiano lasciato che fosse Akane a darmi un nome", rispose l’altro. "Mi avrebbero chiamato R-chan". Ranma scoppiò a ridere. Un secondo dopo, Ranko si unì a lui. Ranma guardò il suo doppio, continuando a ridacchiare, e si disse che tutto sarebbe andato bene. Tutto si sarebbe risolto.
Ma ancora, quel dubbio pungente rimaneva sepolto nella sua mente.
Calmo per ora, ma in attesa.


Genma e Nodoka passeggiavano nelle tenebre incipienti del giardino dei Tendo. Era una serata tiepida, profumata dai boccioli di ciliegio, perfetta per le coppiette. Sfortunatamente, non era quello a cui stavano assistendo.
"Passerò più tempo qui da adesso", disse Nodoka. "Soun ha detto che sarebbe più che felice di avermi qui."
"Certamente. Le ragazze ti adorano. Hai pensato di chiedere a Tendo se puoi trasferirti qui per un po’? Oppure potremmo ritornare a casa...".
"Genma". L’espressione di Nodoka si fece burrascosa. "Non ne riparleremo più". Rimasero in silenzio per un momento, poi Nodoka sospirò e si sedette su una roccia vicina al laghetto delle carpe, drappeggiando con cura il kimono con una mano perché cadesse nel modo giusto. Genma si lasciò cadere accanto a lei in modo decisamente meno aggraziato, e sospirò.
"Forse, alla luce degli ultimi eventi, noi due dovremmo riparlarne", disse alla fine, cercando di non mostrare il suo nervosismo.
"Dieci anni. È tanto tempo da passare lontani. E inoltre, mi hai mentito, tenendo deliberatamente mio figlio lontano da me dopo il vostro... incidente. I racconti del tuo comportamento durante i vostri viaggi di allenamento continuano a disgustarmi. Per il bene di Ranma, e l’onore della nostra famiglia, suppongo che una volta o l’altra dovremo riconciliarci. Ma non ancora. Sei diventato uno sconosciuto per me, Genma. A volte mi chiedo se ti ho mai conosciuto davvero". Tacque, lasciando Genma a guardare sconsolato un petalo di ciliegio portato in volo dalla brezza errante.
Una notte per coppiette, davvero.
"Ci sarà tempo per parlare dei nostri problemi, marito. Stasera vorrei parlarti di Ranma".
"Quale dei due?".
"Entrambi, a dire il vero". Si spostò, alzando lo sguardo verso il cielo all’imbrunire. "Ranma ha passato molto tempo con te, senza entrare in contatto con altri bambini". Genma aprì la bocca per obbiettare. Lei lo guardò dalla coda dell’occhio. "Non ti sto accusando, Genma, sto solo esponendo i fatti. Ti prego di ascoltare." Lui serrò la bocca, annuendo con riluttanza. "Ranma non ha esperienze di socializzazione con i suoi coetanei", continuò. "Inoltre, è figlio unico. Sono per così dire preoccupata per come reagirà all’avere un fratello istantaneo. E sono molto più preoccupata per Ranko. La sua situazione è unica, a dir poco. Non sono sicura se averci attorno sia per lui un aiuto o un ostacolo nell’accettare la sua perdita. Non c’è assolutamente modo di sapere come si comporterà in questa situazione". Si voltò per fronteggiare con calma suo marito. Genma trattenne il fiato nell’ammirare i riflessi purpurei del sole morente sui suoi capelli. Era ancora capace di lasciarlo senza fiato, solo guardandolo.
"E?", chiese, per mostrare che stava ascoltando.
"Una cosa la so: che Ranma non è mai stato bravo nell’esprimere i suoi sentimenti", continuò, gratificandolo di un leggero sorriso. "Penso che entrambi abbiamo visto i problemi che questo gli ha causato con la sua fidanzata. Sospetto che Ranko sia molto simile a Ranma, o almeno lo era prima della tragedia che ha colpito la sua casa. Sta cercando di essere forte, tenendo tutto dentro. Sarà difficile convincerlo a parlare della sua perdita, ma credo che sarebbe utile se tu e Ranma cominciaste ad allenarvi con lui, aiutandolo ad alleviare di un po’ la tensione. Facendolo sentire a casa. Forse questo gli permetterà di aprirsi". Genma sorrise.
"Ma certo! È un’ottima idea, Nodoka. Sarei felice di fare tutto il possibile per aiutarlo". Genma era sollevato dal fatto che lei non gli avesse chiesto di parlare a Ranko. Lui sapeva di non essere affatto bravo nelle confidenze. Bastava guardare Ranma per capirlo. Ranma avrebbe preferito combattere contro cento avversari piuttosto che ammettere una debolezza o un bisogno. E lui avrebbe preferito combattere contro cento avversari piuttosto che ammettere che a volte si sentiva in colpa per questo.
"Bene".
"Vorrei dire una cosa anch’io, però". Lei alzò interrogativamente un sopracciglio. "Se... no, quando l’inseguitore di Ranko tornerà, spero che dimostrerai più buon senso di quanto ne hai dimostrato oggi. Davvero, Nodoka, minacciare un pistolero con una katana?". La donna accavallò le gambe, dondolando un piede mentre continuava a far vagare lo sguardo nel buio.
"Oh, insomma, marito. Stavo, dopo tutto, solo cercando di distrarlo mentre minacciava Akane. E poi avevo un grosso panda galante dietro cui ripararmi". Genma sbatté le palpebre. Galante? Nodoka si alzò aggraziatamente in piedi e abbassò lo sguardo sul suo stupefatto marito.
"Hai dei lati buoni, Genma. Forse dovrei tenerti dopo tutto", mormorò. Poi si incamminò verso la casa. Si fermò e lanciò una fredda occhiata sopra la spalla. "Vieni?". Lui annuì e saltò in piedi.
Mentre la coppia attraversava il giardino ora al buio verso le luci della veranda, la testa di Genma girava. Lui aveva ancora forti sospetti che lei fosse troppo in gamba per lui, ma suppose che fosse ancora possibile sperare in una possibilità.
Se solo fosse riuscito a trattenersi dal bruciarsela.


La mattina era nata chiara e serena, e il sole all’alba aveva velocemente scacciato il freddo della notte dalle strade di Nerima. Akane finì la sua corsa mattutina, sentendosi piacevolmente surriscaldata mentre trottava dentro il cancello principale della palestra. Avanzò nel giardino, col sudore che gocciolava tra le spalle, e si tolse la fascia, pulendosi altro sudore dal volto con l’asciugamano che teneva attorno al collo.
La vista nel cortile era piuttosto familiare. Genma e Ranma stavano saltando attorno al perimetro, attaccandosi con varie tecniche. Poi notò un’altro Ranma che sedeva sulla veranda, guardando la coppia. Scosse la testa. Non era ancora capace di distinguerli. Avrebbe avuto bisogno di un sacco di tempo per abituarcisi.
Akane si avvicinò e si posò con qualche esitazione sul pavimento vicino a Ranma. O Ranko. Lo studiò per un momento, cercando di capire chi fosse. Sobbalzò quando lui si voltò cogliendola in flagrante.
"Non ci riesci proprio, eh?", chiese seccamente, come se le avesse letto nel pensiero. Lei sorrise, in modo un po’ colpevole, e scosse la testa.
"Scusa", disse timidamente. Lui grugnì e spostò di nuovo la sua attenzione sulla coppia di lottatori.
"Papà si è voluto allenare con Ranko stamattina. Mi ha chiesto di starmene seduto". Disse concisamente. Akane si incupì. Sembrava quasi che qualcosa stesse preoccupando Ranma, e non le piaceva il modo con cui il ragazzo stava studiando l’allenamento. C’era qualcosa di allarmante nel modo in cui seguiva con gli occhi suo padre e Ranko mentre saltavano per il cortile. Quasi con disperazione. Un buffo sospetto prese a formarsi nella sua mente.
Non può essere, pensò. Impossibile.
A voce alta, chiese: "Come sta andando?".
"Non è al mio livello". Il tono piatto della risposta la sorprese. Scosse la testa e osservò l’allenamento per qualche istante. I riflessi di Ranko sembravano leggermente appannati, ma al suo occhio esperto se lui non era bravo come Ranma allora ci andava dannatamente vicino...
"Probabilmente è solo stanco", disse alla fine, osservando la reazione di Ranma. La bocca del ragazzo si torse in una leggera smorfia.
"Già, beh, nessuno di noi ha dormito granché ieri notte, vero?".
Akane sospirò, ricordando.
Era stata bruscamente svegliata da un sonno profondo dal suono di un urlo angosciato. Riconoscendo a malapena la voce di Ranma, si era precipitata verso la sua stanza, battendo Nabiki e Kasumi all’arrivo. Ma naturalmente non era stato Ranma, ma Ranko. Era raggomitolato nelle lenzuola disfatte, tremante, col corpo ricoperto di sudore freddo.
Akane rabbrividì nonostante il tepore del mattino. Non voleva immaginare che genere di incubo poteva far urlare qualcuno in quel modo. Probabilmente c’era da aspettarselo, dopo tutto. Ranko doveva aver visto cose abbastanza terribili. Lei era stata felice che Kasumi fosse stata là. Il suo istinto materno aveva prevalso e aveva placato i nervi a pezzi di Ranko, accarezzando gentilmente i suoi capelli mentre mandava Nabiki a prendere delle lenzuola asciutte. In effetti, all’inizio Akane si era sentita un po’gelosa, pensando che avrebbe dovuto essere lei a prendersi cura di lui, finché non si era ricordata che non stava guardando il suo fidanzato. Ancora scosso, Ranko aveva continuato a scusarsi per il disturbo che aveva causato. Non era niente, insisteva. Niente. Tornate pure a dormire.
Alla fine, tutti avevano fatto ritorno alle loro camere. A ripensarci, però, Akane realizzò che Ranma non aveva detto niente per tutto il tempo. E inoltre, aveva guardato Ranko con una strana espressione. Guardava mentre Ranko stava al centro dell’attenzione.
Scosse rabbiosamente la testa. Ranma non era così meschino. Non poteva essere geloso di... se stesso. Non è vero?
Era così strano. I due Ranma si assomigliavano davvero tanto, ma...
Ma. Ripensò a Ranko raggomitolato nel suo futon, tremante. Sembrava così vulnerabile. Si era sentita vicina a lui, nel vedere il suo dolore mentre cercava così duramente di trattenerlo, di mostrarsi forte. Come faceva sempre il suo Ranma.
Il suo Ranma. Azzardò un’occhiata furtiva dalla coda dell’occhio al suo profilo irrigidito. Era strano pensare a lui in quel modo. Dopo tutto, che diritti aveva su di lui? Un fidanzamento che nessuno dei due aveva chiesto? Lui la insultava sempre, o feriva i suoi sentimenti uscendo con qualcuna delle sue altre «fidanzate», oppure si precipitava in suo soccorso. Ma potevano essere le basi di una vera relazione? Lui non sembrava mai avere bisogno di lei. Anche dopo tutto quello che avevano passato, non aveva mai cercato di mettersi lì e dire che la voleva, che aveva bisogno di lei, che... la amava. Come avrebbe mai potuto essere sicura di quello che lui provava? Quanto a lungo avrebbero potuto continuare in quel modo? Vedere Ranko soffrire, e senza sapere come reagire, aveva riacuito i suoi dubbi riguardo all’autentico bisogno che Ranma aveva di lei.
E ora si stava comportando in modo così strano. Avere Ranko nella palestra sarebbe stato difficile per lui, ma Ranko aveva sofferto così tanto, perso tutto. Sicuramente Ranma poteva dimostrare un po’ di compassione.
Akane ripensò alla notte prima, chiedendosi se fosse il caso di indagare sulla gelosia di Ranma. No, decise, anche se ho ragione lui negherà e basta.
"Ranma", disse invece, "ti vorrei parlare. Riguardo quello che ti ho detto andando a scuola ieri...".
"Dimenticatene", disse bruscamente, continuando a guardare la strana coppia. Genma agguantò Ranma durante un attacco sferrato negligentemente e girò, lanciandolo nel laghetto.
"No, non me ne dimenticherò", rispose Akane, cominciando ad arrabbiarsi. "Non avei dovuto dirlo. Io...".
"Akane", disse Ranma, "Ti ricordi di come i tuoi capelli sono stati tagliati?". Lei si fermò, confusa per un momento.
"Che? Oh, vuoi dire...", si interruppe, ricordando di come la lama roteante di Ryoga fosse caduta recidendo i suoi lunghi capelli mentre lei e Ranma stavano litigando. Ranma si voltò per fronteggiarla, con un’espressione stranamente seria.
Non era difficile immaginare dove volesse portare quella conversazione.
"E quella volta dopo la gara di pattinaggio, quando hai cercato di fermare me e Ryoga...".
"Ranma".
"...dal combattere e sei caduta nella piscina...".
"Ranma! Adesso piantala". Lui si fermò e distolse lo sguardo.
"Avevi diritto di dire quelle cose, Akane, perché erano vere". Il suo volto rimase inespressivo. "Se ci pensi, ti ho messo in pericolo più volte di quanto nessuno di noi possa contare, praticamente dal giorno in cui ci siamo incontrati".
Akane sentì la sua rabbia crescere, e la combatté. "Ranma Saotome, non essere idiota. Pensi che io abbia mai avuto bisogno d’aiuto per farmi male? Ero una bambina spericolata, tornavo sempre a casa con un ginocchio sbucciato o un livido. Giocavo duro, e mi prendevo le mie batoste". Fece una pausa, ricordando. "Dopo che mia madre è morta, a volte ho fatto a botte", disse tranquillamente. Ranma sembrava sorpreso. "Non ho avuto bisogno che tu o Ryoga mi aiutaste a mettermi nei guai allora, e non ne ho bisogno adesso. Non ho bisogno di essere protetta o trattata come se fossi fragile, ok? Perché non la smetti di trattarmi come una bambina e non parli con me?". Ranma aggrottò la fronte.
"Non è quello che sto facendo".
"Sì che lo è!". Prima che potesse continuare, Kasumi uscì dalla casa.
"Oh, Ranma, Akane... oh. Tu sei Ranma, non è vero?".
"See," grugnì Ranma. Se venne urtata dal suo tono, Kasumi non lo diede a vedere.
"Ho appena sentito alla radio che tutte le classi del Furinkan non faranno lezione oggi. Ci sono delle tubature esplose o qualcosa del genere, e la scuola è allagata. Visto che domani è domenica, avrete un lungo fine settimana". Kasumi sorrise raggiante, come se avesse organizzato lei il tutto, e Akane le sorrise in risposta. Si voltò verso Ranma, solo per vedere l’attenzione del ragazzo ancora una volta concentrata sull’incontro di allenamento. Ranko-chan si stava ora accapigliando con un panda bagnato, a dimostrazione che era riuscita a portare a segno almeno un buon colpo.
"Venite, voi due", chiamò Kasumi. "La colazione è pronta!".
Si fermarono immediatamente e scattarono verso la casa. Se Akane non l’avesse saputo, avrebbe giurato di aver visto Ranma e suo padre durante una mattinata tipica. Con un’ultima occhiata al suo laconico fidanzato, entrò per la colazione.
Poco dopo, erano tutti riuniti attorno alla tavola eccetto Nabiki.
"Kasumi, dov’è Nabiki?", chiese Soun, impensierito.
Akane sopirò. Loro padre era sempre di umore iper protettivo da quel disastro sfiorato.
"Non lo so, papà. Appena ha scoperto che la scuola era sospesa ha detto che aveva qualcosa da fare. Poi non l’ho più vista".
"Sta architettando qualcosa", sospirò Akane.
"Probabilmente cercherà di affittare degli strofinacci alla scuola o qualcosa del genere", disse Ranko-chan. Lei e Akane ridacchiarono alla battuta. Ranma non si unì. Giocherellava distrattamente col cibo, guardando Ranko-chan e suo padre duellare per la colazione. Akane aveva deciso di far cuocere un po’ Ranma nel suo brodo prima di tentare di parlargli ancora, così non aveva niente a distrarlo. Kasumi tornò dalla cucina con due teiere gialle, e Ranko-chan e Mr. Panda tornarono alla loro forma naturale.
Ranma poteva essere di umore stranamente calmo, ma Ranko sopperiva ampiamente comportandosi nel modo in cui faceva di solito la sua controparte. Come risultato, la colazione era il solito pasticcio scalmanato, a differenza del giorno prima. C’era un’eccezione alla routine, comunque; Ranko e Akane non finirono a litigare come lei e Ranma facevano di solito. In effetti, chiacchierarono senza problemi di cose insignificanti.
Il che non sfuggì all’attenzione di Ranma.
"Come ti senti stamattina, Ranko?", chese Kasumi quando i piatti furono portati via. Lui rise un po’ in imbarazzo.
"Oh, ah, bene", mormorò. "Scusa ancora per ieri notte".
"Dev’essere stato un incubo davvero spaventoso", disse gentilmente Kasumi. "Mi sono spaventata solo a sentirti urlare".
"Tu eri spaventata? Prova a dormirgli vicino! Ho quasi avuto un attacco di cuore!", sbuffò Ranma. Akane si voltò rabbiosamente contro di lui.
"Ranma! Che cosa terribile da dire!". Lui ebbe la grazia di apparire imbarazzato.
"Uh, scusa, amico. Non pensavo quello che ho detto", disse contrito a Ranko. L’altro sembrava a disagio per quello scambio di battute.
"Nessun problema. Mettiamoci una pietra sopra, ok?". Ranma era più che disposto, ma Akane stava ancora fissando il suo fidanzato.
"Se ne vuoi parlare, Ranko...", continuò Kasumi.
"Uh, grazie, Kasumi. Me ne ricorderò". Per fortuna, venne salvato dal ritorno di Nabiki.
"Oh, ciao, Nabiki. Mi spiace che tu abbia perso la colazione", disse Kasumi salutandola.
"Tutto ok, sorellina. Ho mangiato". Ranma fremette. Sembrava che ci fosse qualcosa di strano in Nabiki. Stava praticamente risplendendo. Lei gratificò la stanza di un sorriso pieno di benevolenza, con gli occhi che brillavano allegramente.
"Non è una splendida giornata?", aggiunse. Tutti la stavano guardando in diversi stati di stupefazione.
"Devi aver fatto proprio un sacco di soldi", disse finalmente Akane, con una leggera punta di accusa nella voce. Nabiki strizzò l’occhio.
"Akane, non ho solo fatto «un sacco di soldi». Ho concepito e quindi eseguito uno schema perfetto. Che, in via non incidentale, mi ha fruttato un sacco di soldi".
"Quale schema?", chiese Ranma sospettosamente. Lei sorrise soddisfatta nella sua direzione.
"Oh, credo che lo scoprirai ben presto", disse, lanciando un saluto regale da sopra la spalla mentre si voltava per salire le scale. Ranma si mosse a disagio. Non riusciva mai a capire Nabiki, a penetrare una facciata che di volta in volta era noncurante, sarcastica e altezzosa. Non era sicuro di aver mai colto uno sguardo della ragazza dietro la facciata, non era neanche certo che ce ne fosse una. In quel momento, comunque, era assolutamente sicuro che Nabiki avesse appena fatto qualcosa di molto, molto brutto.
Poi il momento passò e lasciò andare un sospiro. Cosa poteva esserci di peggio delle estorsioni, dei ricatti e degli affarucci con cui trafficava di solito? A ogni modo, aveva cose più importanti di lei di cui preoccuparsi. Guardò Akane e Ranko che ridevano per uno scherzo, e il disagio aumentò. Se lui e Ranko erano così simili, allora perché lui se la cavava così bene con Akane? Perché nessun altro riusciva a vedere quanto fossero differenti in realtà?
"Buon giorno a tutti". Ranma emerse dal suo malumore e si ritrovò davanti sua madre. Stava guardando loro tre, confusa. "Ranma, tu e Akane non dovreste essere a scuola?". Nodoka indirizzò la domanda ad Akane e Ranko, che erano seduti vicini. Ranma sospirò e rispose.
"Le lezioni sono state sospese per oggi, mamma". Lei capì il suo errore ed ebbe la gentilezza di mostrarsi imbarazzata.
"Oh. Bene, comunque. Ranko, posso parlarti un momento?". Ranma notò che aveva una borsa marrone chiaro in mano. Ranko sembrò disorientato alla richiesta ma si alzò e uscì dalla stanza con lei. Ranma sospirò ancora. Stava decisamente cominciando a sentirsi un po’ escluso.
"Non ci credo", disse Akane in un tono piatto. Ranma alzò lo sguardo, senza sapere cosa si dovesse aspettare stavolta. Non notò niente di strano.
"Cosa?", chiese alla fine. Lei si spostò in avanti fissandolo in un modo che lo fece sentire nettamente a disagio.
"Tu. Stai facendo il broncio. Non riesco a credere che tu possa essere così meschino".
"Ma di che diavolo stai parlando?", chiese con parti uguali di irritazione e rabbia.
"Sei geloso di Ranko perché è al centro dell’attenzione". Ranma la guardò a bocca aperta. "Ho ragione, vero? Sei andato in giro col musone per tutta la mattina! Non riesci a capire che stiamo tutti cercando di aiutarlo a superare le cose terribili che gli sono successe?".
"Sei impazzita!", esplose Ranma. "Non è assolutamente vero!".
"Ammettilo, Ranma. Sei abituato a essere sempre al centro dell’universo, e ora devi dividere i riflettori, e non lo trovi di tuo gradimento, vero?". Ranma non riusciva a credere a quello che stava ascoltando. Sarebbe stato brutto sentirlo da chiunque, ma sentire Akane dire queste cose faceva male. Lei lo aveva ferito, e lui rispose istintivamente.
"Ehi, se è così che la pensi, perché non sposi lui allora?", scattò, saltando in piedi e precipitandosi fuori dalla casa.
Assaporò l’immagine del suo volto scioccato mentre si dirigeva verso la palestra, cercando qualcosa per scaricare la sua frustrazione, solo per essere bloccato da qualcuno che veniva verso di lui.
Ryoga.
"Ehi, amico, stavo proprio pensando a te", disse Ranma con un ghigno malvagio. "Ci hai messo più tempo del solito per arrivare alla tavola dal bagno, eh, P-chan?". Ranma contava che Ryoga reagisse alla provocazione di P-chan come un pesce all’esca. Funzionava sempre come un incantesimo.
Eccetto, naturalmente, per quella volta. Ryoga si limitò a guardarlo, accigliato.
"Ho sentito cosa ti ha detto", disse alla fine. Ranma, già a metà della posizione di guardia, abbassò la braccia esasperato.
"Senti, P-chan, dobbiamo parlare o dobbiamo combattere?". Il fantasma di un sorriso passò lungo il volto di Ryoga.
"Parlare, penso. Ho avuto qualche conversazione interessante di recente, Ranma, e credo che questa lo sarebbe ancora di più. Akane aveva ragione per una cosa, qualcosa ti sta rodendo da quando Ranko ha raccontato la sua storia ieri. Ne vuoi parlare?".
Ranma guardò l’altro sbalordito.
"E va bene", disse alla fine, "chi sei tu e cosa hai fatto al vero Ryoga Hibiki?".
"Tua madre ci ha fatto una bella ramanzina l’altro giorno riguardo la disciplina, ricordi? So che non me ne dimenticherò tanto presto. Può esser davvero dura quando vuole. Non mi sorprende che il tuo vecchio abbia paura di lei".
"Non ci vuole molto per spaventarlo", sbuffò Ranma. "Ora basta chiacchiere e diamoci dentro!". Ranma cominciò a fare squittii da maialino.
"Andiamo, Ranma. Stavolta non mi arrabbierò. Voglio sapere cosa succede. Non è da te farti il sangue cattivo per un problema. Di solito affronti tutto a testa bassa, anche quando non dovresti. Specialmente quando non dovresti". Ranma lo guardò fisso mentre Ryoga si sforzava di spiegarsi, una situazione a cui non era decisamente abituato. "Prova a passare un po’ di tempo come maialino, vecchio mio. La gente parla come se tu non fossi lì. Ho sentito e visto cose in questi ultimi giorni che mi hanno preoccupato".
"Me la posso cavare, Ryoga".
Il ragazzo fece una pausa, chiudendo pensosamente gli occhi. "Credi davvero che ad Akane lui piaccia più di te? È per questo?".
"Tu non capiresti", mormorò Ranma. Ryoga scoppiò a ridere.
"Oh, ma certo che capisco! Ora finalmente sai cosa si prova a essere me! Finalmente devi competere per il cuore di Akane! Oh, è stupendo!". Rideva così forte che alla fine dovette appoggiarsi al muro della casa mentre Ranma lo guardava impassibile. Quella conversazione non gli era piaciuta granché. Se Ryoga non voleva combattere, doveva trovare qualcuno disposto.
"Non è questo che intendo...", cominciò a dire.
"Ranchan!".
"Ucchan?". Si voltò per vedere Ukyo dietro di lui, vestita con la sua uniforme da ragazzo, che si guardava attorno con circospezione. "Che ci fai qui?".
"È vero? Hai trovato l’altro Ranma? Dov’è?". Fece girare lo sguardo ansiosamente. "Non se n’è andato, vero?". Ranma e Ryoga si guardarono, sbalorditi.
"Aspetta. Come lo sai che è qui?", chiese Ranma.
"Nihao!". Una figura flessuosa balzò dall’angolo, fermandosi con disdegno nel vedere Ukyo. "Pelchè sei qui, spatolona? Nabiki ha detto che ha venduto l’infolmazione solo a me". Sembrava davvero infuriata.
Ukyo si voltò e contraccambiò l’espressione.
"Cosa?", sbottò rabbiosamente. "Ma mi ha detto...".
"Oh, no", gemette Ranma. "Non può averlo fatto".
"L’ha fatto", confermò Ryoga. Una strana, acuta risata salì nella quiete della mattina e Ranma credette di vedere alcuni petali neri mischiati ai germogli rosa di ciliegio.
Questo era male. Molto, molto male.


Seguii la madre di Ranma fuori dalla stanza, perso nei pensieri. Era chiaro che qualcosa stava preoccupando Ranma, e non ci voleva un genio per capire chi fosse la causa. Forse, dopo aver avuto un po’ di tempo per pensarci, si stava pentendo della decisione di avermi portato qui. Dopo tutto, aveva abbastanza problemi nella vita di tutti i giorni senza un doppio che girava per la casa. Probabilmente avrei dovuto tentare di parlarne con lui, ma a dire la verità ero nervoso. Cosa avrei dovuto fare se mi avesse chiesto di andarmene? Avevo appena cominciato ad accettare l’idea di avere un posto, un rifugio. Non volevo considerare l’eventualità di partire così presto.
"Come stai stamattina, Ranko?". Sussultai, realizzando che non stavo ascoltando.
"Oh, ah, bene, ma... Signora Saotome". Al sentirmi si accigliò gentilmente.
"Ranko, per favore, non essere così formale. Puoi chiamarmi mamma se vuoi". Mi bloccai.

(e vicino alla lama insozzata, un brandello insanguinato di kimono)

sentendo il sangue che abbandonava il volto. Lei vide la mia espressione e lasciò cadere la borsa, per posarmi le mani sulle spalle.
"Mi dispiace, Ranko, non avrei dovuto dirlo. Sono stata davvero una sciocca". Cercai di ridere.
"No, io...".
"Ranko, hai appena perso tua madre. Non sto tentando di prendere il suo posto. Solo non voglio che tu mi tratti come una sconosciuta". Fissai il pavimento, incapace di incontrare i suoi occhi, e rabbrividii. Lei strinse gentilmente le mie spalle. "Non sono tua madre, ma in un certo senso siamo una famiglia, no? Tutta la famiglia che hai perso". Alzai lo sguardo a quelle parole, guardando in quello sguardo tenero e compassionevole, e scoprii che non riuscivo a rispondere. Lei sorrise piano alla mia espressione. "Forse acconsentiresti a chiamarmi zia. Come fanno le ragazze. Andrebbe bene?". Muto, annuii. Non riuscivo a credere all’intensità delle emozioni che erano comparse così velocemente dentro di me. Un minuto prima mi sentivo bene, quello dopo avevo un nodo alla gola delle dimensioni di P-chan. Sembrava che mi stessi illudendo sulla mia capacità di fronteggiare la situazione.
Mi chiesi quanto a lungo avrei continuato a girare sull’ottovolante della pena e del rimpianto.
"Oh", disse alla fine la mia nuova zia, "quasi mi dimenticavo. Questo è per te". Si chinò e raccolse la borsa dal suolo, allungandomela con un sorriso. Sbattei stupidamente le palpebre.
"Che cos’è?".
"Ho pensato che fosse una buona idea prenderti qualche vestito nuovo. Ranma non ne ha molti da dividere con te, e se voi due non la smettete di vestirvi identicamente, non riusciremo mai a distinguervi. Perché non vai a provarli?".
"Ma... zia, non dovevi farlo", protestai debolmente.
Lei liquidò le mie proteste con un gesto allegro.
"Avrò bene il diritto di viziare un po’ il mio nipote preferito", disse semplicemente. "Ora perché non vai a provarli?".
Così feci. Mi ritrovai di fronte allo specchio del bagno, a girarmi da un lato all’altro. La mia nuova tenuta non era poi così diversa da quella che portavo di solito. Consisteva in una camicia cinese nera con pantaloni intonati. Una fascia cremisi attorno alla vita, legata sul fianco con le estremità che cadevano a mezza coscia. Arrotolai le maniche sugli avambracci e feci qualche passo, assicurandomi di avere totale libertà di movimento. I vestiti erano comodi, e non avrebbero fatto troppe grinze quando mi sarei bagnato, cosa che sarebbe inevitabilmente successa. Era abbastanza familiare da essere comoda, ma abbastanza diversa da permettere alla gente di distinguermi da Ranma.
Inoltre, mi donava. L’ultimo era un fattore che non avrei mai ammesso di considerare, naturalmente. Mi guardai allo specchio e sospirai. Era stato davvero premuroso da parte di zia Nodoka (ragazzi, ci sarebbe voluto un po’ per abituarsi a questo!) prendersi così tanto disturbo per me. Ero stranamente commosso. Forse era l’implicazione che sarei stato qui abbastanza a lungo da rendere necessario diversificarmi da Ranma.
Mi chiesi perché aveva scelto il nero.
Mi irrigidii con rabbia, scuotendo via il pensiero vagante. Mi sporsi in avanti, appoggiandomi al lavandino, e fissai con severità la mia immagine riflessa.
"Non c’è morte qui", mi dissi con voce rauca. "Te la sei lasciata tutta dietro".
"Zitto".
Mi tesi per ascoltare i suoni della vita nella casa, ma tutto il mondo sembrava stesse trattenendo il fiato.
"Sta...".
"ZITTO!". Strinsi i denti così forte da farmi dolere la mascella, e la mia stretta minacciò di frantumare il lavandino. Mi alzai lentamente, guardando il mio riflesso come pensando che potesse seguirmi.
"È tutto ok. Va tutto bene". Lo sussurrai, come se facendolo per magia potessi sentire ancora il bellissimo suono di voci che saliva da sotto. Voci.
Mi rabbuiai. Molte voci. Scossi via i miei presentimenti e scivolai fuori dal bagno per dirigermi verso le scale. Ora potevo sentire le voci molto più chiaramente.
"Aiyaa! Dove hai nascosto l’altlo Lanma?".
"Andiamo, Ranchan, cosa sta succedendo?".
"Nabiki Tendo mi ha detto che la mia ragazza col codino sarebbe stata qui, Saotome! Dove l’hai nascosta, maledetto vigliacco?".
Oh, no. No. Erano qui, tutti. Tutti gli amici che avevo visto... che avevo...
Poi qualcosa si fece largo attraverso il trauma. Nabiki.
Nabiki? Lei non l’avrebbe fatto, vero?
Certo che sì. Una rabbia al calor bianco sciolse il ghiaccio che avevo nelle vene, una rabbia così forte che per un secondo non riuscii a reggermi in piedi, rabbia che scorreva dentro di me con una velocità da capogiro. Subito mi voltai lasciandomi le scale alle spalle e mi aprii a grandi passi la strada verso la porta di Nabiki. Spalancai la porta e la sbattei dietro di me, poi la guardai a denti stretti, aspettando che dicesse qualcosa. Lei alzò pigramente lo sguardo dalla sua scrivania dietro cui era seduta a scrivere su un taccuino. Chiuse per bene il quaderno e girò la sedia per guardarmi.
"Ehi, Saotome", disse ironicamente, "Bel vestito". Presi un respiro profondo.
"È tutto quello che hai da dire?", sibilai. Lei alzò un sopracciglio e si esaminò le unghie.
"A dire il vero, no. Vorrei anche dire che dovresti sempre bussare prima di entrare nella stanza di una ragazza". La guardai sbalordito.
"Gli hai detto che sono qui!", urlai, cercando di riportare la conversazione al punto. Lei annuì con curiosità.
"Beh, non l’ho fatto gratis", disse piano. Ero stupefatto. Non cercava neanche di negare!
"Ma per tutti i diavoli! Perché hai fatto una cosa del genere?". Lei sospirò, guardandomi come se fossi un po’ ottuso. Mi sarei almeno aspettato che cercasse di difendere le sue azioni. Potevo sentire la rabbia che mi turbinava nello stomaco come una cosa viva.
Viva e affamata.
"Ranma". Disse languidamente Nabiki, guardandomi con uno sguardo compassionevole. "L’avrebbero scoperto prima o poi. Nessuno qua attorno riesce a mantenere un segreto. Tutto quello che ho fatto è stato battere il ferro finché era caldo, e ottenere un profitto dal tutto".
"E non ti ha sfiorato il pensiero che potevo non volerli vedere?", chiesi con voce bassa e velenosa. Se le importava qualcosa di come mi sentivo, stava facendo un lavoro dannatamente buono per nasconderlo... Lei si portò un dito alla guancia e strinse gli occhi.
"Beh", disse alla fine, "se ci tieni tanto posso liberarmi di loro per te. Ma ti costerà, naturalmente". E fece quel borioso, indifferente, astuto sorriso.
La bolla di rabbia dentro di me esplose in una muta, incandescente nova di dolore. Quella Nabiki era esattamente uguale all’altra che avevo conosciuto. Giocava con i sentimenti della gente per denaro, e nonostante tutto restava distaccata. Non ero sicuro di averla mai vista mostrare un’emozione genuina. Si nascondeva sempre dietro la sua maschera di indifferenza, di compiaciuta superiorità, di benigna cupidigia. Proprio allora, in quel momento, sentii il bisogno di colpirla, di strapparle le sue maschere, di costringerla ad affrontarmi. Avevo bisogno di farle capire che mi aveva ferito. No. Era qualcosa di più. Avevo bisogno di rispondere al colpo, di frantumare quella sua facciata soddisfatta.
Avevo bisogno di fargliela pagare. Pagare per quello che aveva fatto, per non aver nemmeno pensato a quello che mi sarebbe costato. Accecato da quel bisogno, mi avvicinai. Feci due lenti passi per poterle stare pericolosamente vicino, tanto che i nostri nasi quasi si toccavano, e fissai i suoi occhi. Qualcosa lampeggiò per un attimo, ma era scomparsa prima che la potessi identificare. Mi trovai a sperare che fosse paura.
"Tu", sibilai. "Non riesco a credere che tu sia parente di Akane e Kasumi. Cosa penserebbe tua madre se fosse qui, Nabiki? Pensi che sarebbe fiera di te? LO PENSI DAVVERO? Perché io non lo penso. Io penso che si vergognerebbe di avere una figlia come te". Rimasi lì, respirando come se avessi appena scalato la Torre di Tokyo, e vidi il sangue scomparire dal suo volto. Provai per un attimo una gioia selvaggia nel vedere la sua espressione cambiare. Avevo avuto quello che volevo, bene. L’avevo ferita. Ferita malamente. Gli angoli della sua bocca cominciarono a tremare mentre sbatteva rapidamente le palpebre contro le lacrime che si gonfiavano nei suoi occhi.
Poi la rabbia se ne era andata rapidamente come era venuta, e mi sentii improvvisamente malsicuro.
"Bastardo". Era un sussurro sottile. Se non fossi stato così vicino a lei, non avrei potuto sentirlo in alcun modo. Aprii la bocca per dire qualcosa, per scusarmi forse, ma allora, quando ne avevo bisogno, le parole mi abbandonarono.
Poi mi schiaffeggiò. Ci mise una discreta forza, anche. La mia testa scattò un po’ all’indietro. Ero stato colpito molto più forte, naturalmente, ma questo era diverso. Mi voltai verso di lei e vidi che stava ancora tentando di trattenere le lacrime.
"Pensi di essere molto migliore di me?", chiese duramente, con una voce tremante. "È questo che pensi, Ranma? Bene, lascia che ti dica un segreto. Non mi importa. Essere una brava persona non ha mai salvato mia m-m-madre". Questo fu troppo. Le lacrime scoppiarono fuori, scorrendo lungo le sue guance mentre prendeva un respiro profondo.
"Nabiki...".
"NO! NON OSARE! ESCI SUBITO!". Sussultai al dolore selvaggio nella voce che stridette contro di me. Dolore che ero stato io a seminare. Volevo ferirla, e l’avevo fatto. Ora potevo solo andarmene.
E così feci. Mi girai e uscii dalla stanza, sentendo la porta tremare mentre lei la sbatteva da dentro. Restai là, ascoltandola tirare lunghi respiri, cercare di trattenere i singhiozzi, e fallire miseramente. Mi avvicinai e toccai lievemente la porta, come se potessi trasmettere una corrente elettrica di scuse dall’altra parte. Poi, tristemente, ritirai la mano e me ne andai.
Mi ero già arrabbiato con Nabiki prima. Diavolo, ero stato furioso con lei questa volta, ma questo giustificava quello che avevo fatto? Cosa poteva farlo? Avevo attraversato una linea che non avevo mai neanche raggiunto prima, e non ero sicuro che ci fosse un modo di ritornare indietro. Sentii le tenebre dentro di me che minacciavano di crescere ancora, e mi chiesi, non per la prima volta, se potevo davvero lasciarmi alle spalle il mio passato torturato. Forse ero condannato a portare una parte di quell’orrore con me, come un’ombra supplementare, diffondendo il dolore a tutti coloro che entravano in contatto con me.
Mi fermai all’inizio delle scale, ascoltando i suoni caotici da sotto. Dietro di me Nabiki, in lacrime perché avevo voluto contraccambiarla. Non ero sicuro di averla mia vista versare una lacrima, non una sola volta. E davanti a me, altri amici che avevo visto morire, e la prospettiva di dover raccontare la mia spaventosa storia un’altra volta. Ero in trappola nel mezzo, chiedendomi come, solo poco prima, avessi potuto provare speranza per il futuro.
Strinsi il corrimano, alzai la testa, e mi chiesi perché ero dovuto sopravvivere a tutto quello che avevo conosciuto.
Almeno, se fossi morto, non avrebbe fatto così male.




Fine terza parte.
Versione originale inglese revisionata il 28 luglio 1997
Traduzione italiana revisionata il 21 giugno 1998
Betaletta da TigerEyes il 28/7/2011
Nel caso doveste riscontrare refusi che mi sono sfuggiti, vi prego di segnalarmeli, grazie.

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Capitolo 4
*** IV - Un riflesso oscuro e distorto ***


A mio parere, questo è il capitolo più bello della ff, per quel che ricordo dei seguenti. In ogni caso, preparate i fazzoletti, sta per arrivare un bel pugno nello stomaco. La bravura di questo autore non smetterà mai di stupirmi.







CAST A LONG SHADOW

di
Mark MacKinnon



traduzione
Il Corra Productions




IV

Un riflesso oscuro e distorto





Ranma imprecò sottovoce. Il giardino era diventato un teatro di caos totale e lui aveva finito per giocare il ruolo dell'arbitro. Shampoo, Ukyo e Kodachi si stavano confrontando rumorosamente, e il potenziale per un massacro stava crescendo secondo dopo secondo. Mousse e Kuno si guardavano attorno con aria sospettosa, senza contribuire attivamente al caos ma certamente senza fare niente per aiutare. Ryoga sembrava stesse desiderando di essere da qualche altra parte, e Akane stava cuocendo a fuoco lento sulla veranda.
"Non posso crederci che lo ha fatto", brontolò per l'ennesima volta. Ranma sospirò.
"Io sì". Apparentemente, ciascuna ragazza si era aspettata di essere la sola a presentarsi per il "nuovo" Ranma, e tutte erano meno che contente di trovare rivali sul posto. Ranma si schiarì rumorosamente la voce.
"Ehi, gente! Ehi!". Le grida stavano crescendo di volume, e per una volta nessuna delle ragazze mostrava qualsiasi inclinazione a prestargli attenzione.
Ci avrebbe scommesso. L'unica volta che lui voleva che loro pendessero da ogni sua singola parola...
Akane alla fine ne ebbe abbastanza. Ranma scartò di lato mentre lei saltava a terra e si precipitava davanti a lui per confrontarsi con il gruppo in agitazione.
Oh, ragazzi, pensò Ranma, proprio quando pensavo che le cose non potevano mettersi peggio. Lei saltò su e piantò la faccia giusto nel centro della gara di urla.
"Vorreste voi gente SMETTERLA!". Lo fecero, avendo all'improvviso qualcos'altro su cui concentrarsi.
"Hmmmp. Akane vuole i due Lanma solo per lei?", chiese sospettosamente Shampoo.
"Senza dubbio. Se ce ne sono davvero due. Io ho visto solo il mio adorato Ranma," singhiozzò altezzosamente Kodachi.
"C'è un altro Ranma. Io l'ho visto", replicò Ukyo. Si rivolse ad Akane. "Andiamo, dove lo stai nascondendo? Perché non vuoi che noi lo vediamo?". Akane era stata chiaramente presa in contropiede dall'accusa.
"Nasconderlo? Io non...".
"Bene, allora, dov'è?", insistette Ukyo.
"Proprio qui". Il giardino piombò nel silenzio mentre tutti si voltavano verso la casa. Ranma seguì i loro sguardi e vide Ranko che fissava il gruppetto, con il volto chiuso e privo di espressione. Indossava una tenuta nera con una fascia rossa, e Ranma si domandò da dove fosse spuntata. Guardò Ranko studiare i volti del gruppo improvvisamente silenzioso, e si chiese quanto dura sarebbe stata. Alla fine, Ranko sospirò e uscì dalla veranda, avanzando con passi lenti e misurati verso il punto dove le quattro ragazze lo guardavano con varie espressioni di meraviglia e incredulità.
"Ciao a tutti", disse gentilmente. "Immagino che dovrò raccontare di nuovo la mia storia dal principio".
"Ranko", disse Akane, toccandogli esitante un braccio, "mi dispiace. Nabiki...". Lui le diresse un leggero sorriso.
"Non è colpa tua. Credo che prima o poi l'avrei dovuto fare comunque. Forse sarà più semplice spiegarlo a tutti in una volta". Lo sguardo sul suo volto le disse però che non lo credeva. Si voltò verso gli altri. "Io credo che dovremmo tutti entrare e sederci". Ranma osservò gli altri guardare cautamente i due Ranma. Se stavano pensando che era strano, non avevano ancora visto niente.


Kasumi bussò di nuovo alla porta di Nabiki. Nessuna risposta. Strano, non l'aveva sentita scendere. Aprì la porta e sbirciò dentro. Nabiki era seduta sul bordo del suo letto, a spalle curve, con i corti capelli abbassati a oscurarle il volto. Kasumi si preoccupò.
"Nabiki, non mi hai sentito bussare? Sto andando al mercato. Vuoi venire con me?". Lei voltò la testa per guardare fuori dalla finestra, senza incontrare il suo sguardo.
"No grazie". La sua voce era bassa, calma. Kasumi entrò e chiuse la porta dietro di lei.
"Stai bene?", chiese. Nabiki abbassò di nuovo la testa.
"Sì. Senti, vai senza di me, ok?". Kasumi non si mosse. "Ehi", disse l'altra a voce più alta. "Non voglio essere rincuorata, ok? Vai e basta".
Kasumi cominciava a preoccuparsi. Akane era un libro aperto per lei, ma Nabiki aveva sempre controllato i suoi sentimenti così bene che molta gente pensava che non ne avesse alcuno, se non per il denaro. Si avvicinò e si sedette sul letto vicino a sua sorella, sistemando tranquillamente la gonna sotto di lei. Si chinò e sbirciò il volto parzialmente in ombra di Nabiki, trattenendo un sussulto.
"Nabiki, hai pianto?".
"No", mentì lei, con voce roca. "Vattene". Se Nabiki aveva pianto, il problema era più serio di quanto avesse pensato. C'era bisogno di rimedi estremi.
Kasumi si avvicinò e avvolse gentilmente le braccia attorno le spalle della sorella, stringendola. Sentì il suo corpo contratto irrigidirsi contro di lei mentre inclinava la testa così da avvicinare la bocca al suo orecchio.
"Sorellina", sussurrò con tenerezza. Lentamente, come ghiaccio che si scioglieva, il corpo di Nabiki si rilassò contro il suo. Kasumi poteva sentirne il calore attraverso la T-shirt che portava, sentire la schiena sussultare piano mentre inghiottiva un singhiozzo. Lentamente, Nabiki riportò il respiro sotto controllo. Poi, anche se così lentamente, le sue mani si alzarono e scivolarono lungo la vita della sorella, stringendola forte. Kasumi chiuse gli occhi e sorrise. Non era molto, ma per Nabiki era come un pianto a dirotto. Accarezzò gentilmente i capelli della sorella, ricordando l'ultima volta che l'aveva confortata in quel modo, dopo la morte della loro madre. Era bello sapere che il cuore di Nabiki non si era definitivamente spento dopo quel giorno.
Alla fine fece un respiro tremolante e lo trattenne brevemente, poi sospirò e si rimise seduta. Kasumi la lasciò andare, osservandola con velata preoccupazione mentre si ricomponeva.
"Meglio?", chiese Kasumi gentilmente. Nabiki annuì con un sorrisetto.
"Sì. Sei la migliore a fare le coccole, sorellina". Le sue parole erano disinvolte, ma Kasumi poteva vedere la gratitudine nei suoi occhi. "Ragazzi, spero che questo non si sappia in giro. La Regina del Gelo che lo perde. La mia reputazione non si riavrebbe più."
"Il tuo segreto è al sicuro con me", le assicurò Kasumi. "Mi puoi raccontare cosa è successo?". Nabiki girò la testa, stringendo i denti. Le spalle si irrigidirono, poi si rilassarono di nuovo. Kasumi era sicura che stesse per richiudersi.
"Ho litigato con Ranko", disse alla fine, sorprendendola. Non era stupita di sapere che Ranko si era infuriato con Nabiki, o anche che fossero volate le parole. Non era un fenomeno raro tra il loro Ranma e la sorella di mezzo delle Tendo, dopo tutto. Ma non poteva immaginare cosa avesse potuto dire per colpire così profondamente Nabiki.
"Era arrabbiato perché hai parlato di lui agli altri", suggerì Kasumi. L'espressione della sorella si indurì di nuovo.
"Ma l'avrebbero scoperto comunque!", protestò. "E gratis! E io ho fatto in modo che mi pagassero!". Si sporse in avanti, con gli occhi luccicanti per l'eccitazione. "Kasumi, è stato incredibile. Tutto il piano collimava alla perfezione. Voglio dire che mi sono davvero accesa! Quel piano mi ha colpito e bang, sono partita!". Kasumi sorrise tristemente all'entusiasmo di Nabiki.
"Ma hai capito perché era ferito? Lui ha perso tutte quelle persone, e ora le deve affrontare di nuovo senza essersi preparato, dopo che ha subito la stessa cosa con noi".
"Non stavo cercando di ferirlo!", protestò Nabiki. "Io volevo solo... insomma, non potevo non attuare un piano così fantastico! Era perfetto!".
Kasumi si rabbuiò.
"Mi sembra di aver sentito le ragazze pretendere di aver acquistato informazioni esclusive", puntualizzò, fissando Nabiki.
"Oh, quello. Vedi, ho venduto a Kodachi informazioni sul nuovo Ranma, e a Kuno informazioni sulla ragazza col codino. Ho venduto a Ukyo informazioni sul tizio che aveva salvato Akane e...".
"Nabiki! È una scappatoia, sorellina", disse lei con tono addolorato.
"Le scappatoie sono legittime nel mondo degli affari. Ho combinato le cose con molta cautela". Kasumi era silenziosa, e una parte dell'entusiasmo scomparve dal volto di Nabiki. "Sei arrabbiata".
Kasumi si prese un istante, sapendo che doveva procedere con molta cautela. Sorrise dolcemente alla sorella minore.
"Na. Bi. Ki". Sillabò giocosamente il suo nome, sporgendosi per sfiorarle le occhiaie. "Sorellina, lo so che sei fiera del tuo talento per gli affari. È una parte importante di te, proprio come le arti marziali lo sono per Akane e Ranma. Ma arti marziali incontrollate hanno quasi ucciso Akane l'altro giorno, ricordi? Il tuo talento può essere almeno altrettanto distruttivo se non è dominato. Hai bisogno di esercitarti nella disciplina". Nabiki fissava cocciutamente il pavimento, e Kasumi capì che si stava sforzando di dire qualcosa.
"Tu...", iniziò. Prese un respiro profondo e ricominciò. "Tu credi... che la mamma sarebbe fiera di me?", finì di botto, rossa in viso, e alzò sulla sorella maggiore uno sguardo pieno di nudo bisogno.
Artigli di ghiaccio affondarono nel cuore di Kasumi quando vide tutti i pezzi cadere al loro posto. Non lo ha fatto, pensò confusamente, oh, dimmi che non ha fatto questo. La confusione cominciò a diradarsi, e Kasumi sentì qualcosa di poco familiare prenderne il posto. Rabbia. Ma Nabiki la stava ancora guardando, e lei la ricacciò indietro, mantenendo la sua espressione aperta e preoccupata.
"Oh, Nabiki, come me lo puoi chiedere? Ma certo che lo sarebbe. Facciamo tutti degli errori ogni tanto...".
"Non tu", mormorò Nabiki. Il sorriso della sorella si allargò.
"Sì, anche io. Ma finché sarai sempre sincera col tuo cuore, il suo amore per te ti sosterrà. Capito?".
Nabiki annuì lentamente.
"Credo di sì. Grazie, sorellina". Kasumi si alzò e le tese la mano. Nabiki sbatté le palpebre.
"Bene, conosco un buon sistema per farti star meglio. Vieni al mercato con me. Un po' di contrattazioni con il fruttivendolo e sarai subito come nuova". Gli occhi di Kasumi brillarono allegramente all'espressione stupita della sorella. Poi Nabiki sorrise e prese la mano offerta.
"Hai ragione, accidenti a te", rise, alzandosi. Il cuore di Kasumi si risollevò un po' al suono della sua risata.
"Sì. Certo che ho ragione", disse orgogliosamente, provocando altre risatine di Nabiki. Lei si unì, felice di vederla così spontanea per una volta. Era quasi contenta di aver avuto quella possibilità di starle vicina, contenta che ce ne fosse stato bisogno. Ma quando pensò alla causa prima della crisi, il suo cuore si strinse di nuovo.
Lei e Ranko avrebbero fatto una chiacchierata alla prima opportunità.


Se avessi avuto uno spillo, l'avrei lasciato cadere per vedere se riuscivo a sentire il suono che faceva nel silenzio generale.
Abbastanza silenzio da sentire uno spillo cadere, che stupido modo di dire. Pensarci, comunque, mi aveva distratto dalla causa dell'immobilità soprannaturale.
Avevo appena finito di raccontare a tutti la stessa versione della mia storia che avevo raccontato l'altra sera. Nessuno sembrava sapere cosa dire. Questo non importava granché; le espressioni sui loro volti dicevano tutto. Un pizzico di incredulità, un goccio di orrore e una punta di dispiacere. Mescolare e shackerare bene. Servitelo freddo.
E non dormirete bene mai più.
"Ran-chan". Alzai lo sguardo per incontrare quello di Ukyo, odiando la pietà che vedevo al suo interno. Odiandola perché non la meritavo. Odiandola perché, se fossi stato solo un poco più veloce, lei non sarebbe morta. Almeno non in quel modo.
"Ora mi chiamano Ranko", le ricordai gentilmente. Lei inclinò la testa per un secondo.
"Ko-chan", disse, e sorrise. Il mio stomaco si torse. Per un secondo avevo visto il bambino che avevo conosciuto anni prima, che mi sorrideva esattamente allo stesso modo. Buona vecchia Ucchan. Mai cambiata, mai domata. "C'è nulla che possiamo fare, Ko-chan? Proprio nulla?". A quelle parole tutti tornarono a guardarmi, e mi contorsi sotto il loro scrutinio.
Fare? Cosa restava da fare, eccetto dimenticare? E come potevo dimenticare con tutti loro attorno a me come ricordi viventi? E ad ogni modo, credo che chiedere a tutti di andarsene sarebbe stato un po' rude.
"Grazie, Ucchan", dissi alla fine. "Ho solo bisogno di tempo, ecco tutto".
"Hmmmph". Shampoo si alzò con grazia, col mento impavidamente alzato, e mi fissò con occhio fiero. "Quando quell'uomo tolnelà per Lanko, avrà una glossa solplesa! Gli mostlelò cosa penso di lui!".
"Già", si unì Ukyo, "quel bastardo non capirà cosa lo ha colpito!".
"Cosa?", chiesi, allarmato.
"Nonostante abbiamo avuto le nostre divergenze in passato, in tuo soccorso, io, Tatewaki…". Le parole di Kuno vennero interrotte quando la sorella lo colpì sulla nuca, piantando la sua faccia nel tavolo con un orribile botto.
"Anche noi", mormorò, lanciandomi un'occhiata famelica.
"Mi hai fatto male, sai", disse Kuno, con la voce attutita dal tavolo. Scossi freneticamente le braccia.
"Aspettate, gente, calma! Non posso chiedere a nessuno di voi di farlo! È troppo pericoloso!".
"Io falei qualunque cosa pel il mio lagazzo", disse semplicemente Shampoo. Ukyo balzò in piedi.
"Di che stai parlando? Lui non è il tuo ragazzo! Questo Ranma non ti ha mai battuto in combattimento, ricordi?".
"Beh, allola non è nemmeno il tuo, palliaccio!", ribatté lei avvicinandosi naso a naso con Ukyo.
"Bene, ragazze, immagino questo significhi che è tutto mio!", trillò Kodachi, saltando al mio fianco e buttandomi le braccia al collo. "Oh, Ranma caro! Voglio dire, Ranko caro!". Potevo sentire gli occhi uscirmi dalla testa.
"Ah... um..." dissi sagacemente. Shampoo e Ukyo seguirono a ruota, agguantandomi le braccia.
"Ehi, pervertita, lascialo andare!".
"Sì, lascialo andale! Lui vuole sposale me, vero?".
"Che? Ti illudi, ragazzina!".
"Ohohohohohohohohohoho!". Per il momento, ero costretto a mettere da parte tutti i pensieri di Jack per tentare di non scatenare una guerra. Più le cose cambiano...
"Sembra che tu sia nei guai con noi, Ranko. Tutte noi." Akane mi stava guardando in modo strano. Cominciai a protestare la mia innocenza prima di ricordarmi che non mi dovevo preoccupare. Dopo tutto, non ero il suo fidanzato.
Mi voltai e vidi Mousse tirare il braccio di Shampoo, cercando di interporsi tra noi.
"Shampoouuu...", gemeva. Shampoo gli lanciò uno sguardo gelido.
"Che vuoi, stupido Mousse?". Colsi la loro posa, Mousse attaccato al braccio di Shampoo, l'espressione infuriata di lei, e improvvisamente li stavo vedendo in un altro luogo in un altro tempo

("Shampoo, è troppo pericoloso!", urla Mousse. Lei si libera con rabbia dalla sua presa. Io mi guardo intorno, cercando di risucchiare abbastanza aria nei polmoni. Sono così stanco, ma dobbiamo tornare alla palestra prima...
prima...
"Ha ragione lui", annaspo, "è troppo pericoloso". Shampoo si blocca con risolutezza.
"Io non me ne vado senza la mia bisnonna". Si volta verso la porta distrutta del Nekohanten. Ukyo si avvicina dietro di me.
"Tutto tranquillo, Ran-chan", sussurra, con voce roca. Annuisco. Le urla sono cessate. Non sono sicuro se questo sia un bene o un male. Tutto quello che so è che non voglio sprecare il tempo che Ryoga ci ha procurato. Posso ancora sentire l'onda d'urto del suo ultimo Shishi Hokodan vibrare nei miei muscoli, nelle mie ossa.
Faccio un passo verso Shampoo, per trascinarla via se necessario, ed è allora che lo vedo. Il bastone della vecchia strega, abbandonato per terra vicino all'ombra lanciata dall'angolo dell'edificio.
Spezzato nitidamente in due.
"Shampoo, STAI INDIETRO!". Troppo tardi. La cosa trabocca dal buio, tutta denti e carapace con tentacoli attorno al suo unico occhio. In un lampo, afferra Shampoo e la sbatte per terra. Il suo volto impallidisce per il dolore. Cerco di avvicinarmi, ma mi scaraventa indietro con uno dei suoi tentacoli. Troppo lento per schivare, vengo proiettato su Ukyo e cadiamo entrambi sull'asfalto. Quando riesco a vedere attraverso la nebbia di dolore, la cosa è sopra di lei, bava gocciolante dalla sua orribile bocca aperta.
Un lampo bianco colpisce il tentacolo, ed è Mousse. Evocando lame gemelle dalle maniche, comincia a tranciare freneticamente il tentacolo avvolto attorno a Shampoo. Ma un altro lo raggiunge, e un altro ancora, più velocemente di quanto riesca a tagliarli. Mi sollevo cercando di ignorare il dolore, cercando di concentrarmi, ma è così difficile. Ho bisogno di caricarmi, ho bisogno di una sfera di energia...
La cosa la sta tirando verso la sua bocca, e lei è ancora intrappolata.
"MOUSSE! VATTENE!", sta singhiozzando ora, indifesa, e io lo so. Lui non se ne va.
E lo sa anche lei.
"Pel favole", sento la sua tenue preghiera anche oltre la strada mentre la mia energia comincia a crescere, troppo tardi. Lui lancia una lama nell'occhio della creatura, ma i tentacoli la deviano facilmente mentre li trascinano. E lui la copre col suo corpo, come se potesse proteggerla da quello che sta arrivando e sussurra qualcosa nell'orecchio di lei. Le sue ultime parole sono per lei sola.
Poi la cosa li lancia nelle sue fauci e quell'orrenda bocca si chiude.
Il suono. Oh, Dio, il suono che fa.
E se ne sono andati. Shampoo, l'impavida, orgogliosa amazzone. E Mousse, il ragazzo che la amava così tanto da non poterla lasciare. Nemmeno alla fine.
Andati.
Alzo le mani e Ukyo è lì, che mi tira indietro, dicendo che è troppo tardi, e sta gridando, lacrime mescolate al sangue che le scende dalla fronte. La scuoto via. Ucciderò quella cosa.
Lo farò per loro. Gliela farò pagare.
Poi lei dice qualcosa che cattura la mia attenzione.
"La palestra! Ti prego, Ran-chan! Dobbiamo andare, saranno là presto! Dobbiamo tornare alla palestra, ti prego vieni ti prego...".
La palestra. Akane?
"Vuoi che siano morti per niente? Shampoo, Mousse, Ry-Ryogaaa...". Mi sta tirando ora, cerca di trascinarmi via mentre la mia energia scompare. Ci guarda andare, masticando lentamente il suo pasto. Tu più tardi, sembra dire. Ci vediamo.
"Ran-chan, stanno arrivando! Ran-chan...")

"Ranko?". Mi riscossi. Capii che stavo fissando Mousse e Shampoo, congelati sul posto. Mi stavano guardando, e qualsiasi cosa vedevano sul mio volto li spaventava a morte. Ukyo mi toccò leggermente la mano.
"Ko-chan? Che succede?", chiese, spaventata.
"Non litigate", sussurrai. "Per favore". Odiavo il suono che aveva la mia voce. Li vidi guardarmi, e in un istante di cristallina chiarezza capirono. Voglio dire che capirono a livello mammifero, il livello che vive sotto la mente razionale, la mente logica. Una cosa era ascoltare la mia storia, ascoltare e dire tutte le cose giuste e stupirsi della stranezza del tutto. E tutta un'altra cosa era capire davvero, in qualche modo primitivo, che la morte sedeva tra di loro.
Ora loro sapevano da dove venissi, cosa mi avesse partorito.
Ero scappato dall'inferno, ma non incolume. Lanciavo una lunga ombra nel loro mondo luminoso, e ovunque quell'ombra cadesse la gente era forzata a confrontarsi con la realtà della loro mortalità.
Naturalmente, con questo gruppo, nessun momento di introspezione era destinato a durare troppo a lungo.
"Ti farò un po' di tè", disse improvvisamente Akane, alzandosi.
Kodachi saltò istantaneamente in piedi.
" Io gli farò un po' di tè", annunciò decisa. Akane si irrigidì. Ukyo alzò lo sguardo.
"Ehi, smettetela", protestò. Vidi Shampoo e Mousse realizzare nello stesso istante che si erano bloccati con la mano di Shampoo stretta in quella di Mousse. I loro sguardi si incontrarono e scattarono indietro, con un identico rossore sulle guance. Presi un respiro profondo. Datti una mossa ora, tu puoi controllare tutto questo. È un problema familiare, no?
"Ehi". Parlai piano, ma tutti si voltarono a guardare. "Perché non usciamo a prendere un po' d'aria? Si sta stretti qua dentro". Mi alzai, distanziandomi dalle mie aspiranti fidanzate, e uscii.
Le contendenti scattarono per prendere posizione vicino a me.
Oh, diavolo. Ora, oltre tutto, dovevo vedermela con tre donne gelose. Quattro, se contavo Akane, che mi stava guardando come se non sapesse decidersi se essere o no gelosa. In genere, lo spettacolo l'avrebbe fatta infuriare, ma la colsi mentre si voltava a guardare Ranma, che era ancora incupito. Mousse osservava, Ryoga sembrava confuso e Kuno sembrava sbalordito. Era troppo, troppo in fretta, perché tutti lo accettassero fino in fondo. Avevano bisogno di un po' di tempo per abituarsi. Avevano bisogno di qualcosa che li distraesse dalla situazione.
Sfortunatamente, la soluzione a cui pervenimmo si rivelò molto peggiore del problema.


Jack osservava sconsolato il display ausiliario, regolando i controlli in un futile tentativo di cavare un senso da quello che stava leggendo. I dati si rifiutavano testardamente di segnalare qualcosa che contenesse anche una remotissima particella di coerenza. Jack lasciò cadere la testa sulla mano e sbuffò.
"Scooter. Scooter!".
"Sì, mio signore e padrone?".
"Trattieni il sarcasmo. Mi puoi procurare l'LRS o il sistema di immagine principale?".
"Non ancora, boss. Spiacente. I danni al sistema causati dal nostro giovane amico si stanno dimostrando molto più estesi di quanto avessi pensato".
"Cristo, non riesco a trovare né capo né coda in questi dati sul subspazio locale! Non possono essere accurati". Jack si abbandonò all'indietro sul seggiolino, sfregandosi piano il volto con le mani. "L'energia di quel ragazzo deve aver mandato in palla la rete dei sensori o qualcosa del genere".
"Beh, c'è una bella notizia e una cattiva notizia sul fronte delle autoriparazioni", disse Scooter con un tono sospettosamente allegro.
"Ed è?".
"La buona notizia è che il sistema di comunicazione è a posto".
"La cattiva?".
"Il sistema di comunicazione è a posto. E hai un messaggio in arrivo dal Comandante Shetney". Jack sbuffò di nuovo.
"Perfetto. Grandioso". Alzò le ginocchia al petto, appoggiò i piedi alla console, e spinse, mandando la poltroncina fluttuante al centro del deck, dove ruotò abilmente per guardare lo schermo principale. "Ok. Spara". Lo schermo si illuminò con il simbolo del Gruppo di Intervento Dimensionale, poi cambiò in un fascio di linee e statica multicolore. L'immagine ondeggiò, poi si risolse nell'inquadratura incerta di una donna dall'aspetto duro in uniforme nera.
"Comandante", disse Jack, "Ricevo molte interferenze. Dev'essere per delle strane fluttuazioni che rileviamo nel subspazio locale...".
"Lasciale perdere, Ufficiale di Pattuglia Conroy. Qual è lo status della tua missione?". Anche attraverso la distorsione, poteva vedere la preoccupazione sul suo volto. "Non hai fatto rapporto. Cos'è successo?".
"Uh, abbiamo avuto una piccola avaria", cominciò Jack, esitando.
"Conroy! Questa è una situazione molto delicata! Mi sono sbilanciata con la Centrale, li ho assicurati che il mio U.P. potesse controllare l'estrazione! Se l'Ops non ottiene quest'uomo cadranno delle teste!".
La sua espressione rendeva chiaro quale testa sarebbe stata la prima. Jack prese un respiro profondo.
"L'estrazione in sé è stata eseguita senza problemi", disse con cautela. "In seguito, tuttavia, la mia Porta è stata destabilizzata quando l'obbiettivo ha generato una specie di esplosione di energia".
"Questa capacità era stata annotata nel briefing della missione", disse freddamente Shetney. Jack si contorse mentre Scooter ridacchiava in sottofondo.
"Oh, sì. A ogni modo, la scarica di energia ha causato danni estesi al sistema, così al presente siamo incapaci di transitare".
"Dove siete?".
"T.I. 417, Comandante". Lei sussultò. L'immagine vacillò, poi riapparve, sempre più disturbata.
"Non posso mandare nessuno così lontano. La situazione a T.I. 49 si è rapidamente deteriorata nelle ultime 48 ore e ho dovuto inviare a sostegno tutte le forze di presidio, Pattuglie e Ops."
"Anello Nero?". Lei annuì.
"Sembra di sì". Lui sospirò. Almeno ora aveva una scusa per il suo ritardo.
"Qual è lo status dell'obbiettivo? Posso parlargli?". Jack si raggelò. Questa non ci voleva. Era stato deliberatamente vago fino ad allora, ma ora doveva decidere se mentire o no al suo superiore. Se lei scopriva che Saotome aveva preso il largo, sarebbe andata su tutte le furie, e gli avrebbe ordinato di riportarle il ragazzo immediatamente.
"Conroy?", ripeté. Lui fece scivolare la mano sul bracciolo della poltroncina e cominciò a giocherellare furtivamente con i comandi.
L'immagine sullo schermo cominciò a vacillare.
"Ah, Comandante, può ripetere? La trasmissione sta peggiorando". Lei si avvicinò allo schermo.
"DANNAZIONE CO ... TTITI QU ... QUEL ... ZZERO' CO ... CKER!". Jack continuò a manovrare i comandi e il segnale cominciò a svanire.
"Troppa interferenza! Tenterò di nuovo più tardi!", esclamò nell'interrompere la connessione. Lo schermo si oscurò e lui ricadde indietro a peso morto sulla poltroncina.
"Oh, bravo", disse seccamente Scooter. "Una performance da Oscar. Come se qualcuno fosse abbastanza stupido da bersi la vecchia storia del trasmettitore rotto".
"Mi ha procurato un po' di tempo".
"Jack, dare al ragazzo quarantotto ore non farà la benché minima differenza! Prendiamo quel tipo ora, e tratteniamolo finché non potremo transitare senza problemi con i nostri sistemi". Jack si stese per osservare il soffitto grigio. Non era cambiato dall'ultima volta che l'aveva guardato.
"Ci andiamo domani pomeriggio. Non prima". Per lunghi momenti, il solo suono fu l'onnipresente, quasi subliminale ronzio dei sistemi della Porta. Alla fine, Scooter parlò.
"Ti sei cacciato nei guai per questa storia, socio. Ne vale davvero la pena?".
"Se qualcuno avesse fatto lo stesso con me una volta, forse le cose sarebbero andate diversamente".
"Questo non è da te, Jack, e tu lo sai", disse gentilmente Scooter.
"Una possibilità, Scooter. Tutto qui. Voglio solo dare al ragazzo una possibilità di dire addio. Non è chiedere troppo, no?". Scooter non rispose. Jack chiuse gli occhi, girando lentamente sulla sedia.
"Mi timbrerai il cartellino, socio?", chiese alla fine.
"Già fatto", disse Scooter. "Quarantotto ore, poi entriamo in azione. In un modo o nell'altro". Jack sorrise.
"Sei il migliore, baby".
"E tu ora mi devi un grosso favore".
"Lo so, Scooter. Lo so".


"Cielo, qui c'è troppa calma", disse Nodoka, uscendo sulla veranda. Genma e Soun avevano assunto le loro classiche posizioni ed erano profondamente immersi nel gioco. "Dove sono andati i ragazzi?".
"Stavano andando in palestra", disse Soun con aria assente.
"Coscienziosi artisti marziali, tutti loro. Ha!". Sbatté un pezzo sulla tavola, facendo brontolare pensierosamente Genma. Nodoka si incupì.
"Mi chiedo come stia prendendo le cose Ranko. Non dev'essere stato facile per lui rivedere i suoi amici tutti insieme in quel modo".
"Beh, erano tutti piuttosto tranquilli dopo che gli ha raccontato la sua storia", disse distrattamente Genma.
"E tu come lo sai? Stavi origliando?". Lui capì il suo errore e arrossì.
"Ah, non abbiamo potuto fare a meno di ascoltare, cara. Giusto, Tendo?".
"Assolutamente", concordò Soun, avvantaggiandosi della distrazione di Genma per spostare rapidamente alcuni pezzi. "L'hanno presa piuttosto bene. Non ci è voluto molto perché le ragazze cominciassero a competere per l'attenzione di Ranko! Dev'essere un sollievo per Ranma non doversi più preoccupare per quello, eh, Saotome?". Genma grugnì. Nodoka non ne era così sicura. Dubitava che le cose si sarebbero risolte così semplicemente. Niente nella vita della scuola di arti marziali si risolveva essere semplice.
"Nabiki e Kasumi sono andate al mercato, siccome è probabile che avremo ospiti per cena. Io ho degli affari da sbrigare. Ci penserete voi due a tenere d'occhio la casa?". Soun alzò lo sguardo su di lei.
"Ma certamente", disse di cuore, mentre Genma risistemava velocemente la tavola. "Resterai per cena?". Lei sorrise.
"Ne sarei felice", disse. "Ci vediamo più tardi". Uscì, confidando che i due uomini avrebbero almeno tentato di prevenire danni ingenti all'edificio mentre era via.
Genma e Soun ritornarono a loro dopo che Nodoka se ne era andata.
"È molto preoccupata, eh, Saotome?".
"Mmmmh. Penso che stia esagerando un po' le cose, però. Voglio dire, Ranko non si è nemmeno svegliato urlando la notte scorsa! Questo è un notevole miglioramento dalla notte prima, non credi?".
"Oh, assolutamente. E con Ranko intorno ad attirare tutte le altre ragazze, Ranma e Akane saranno liberi di sposarsi, finalmente!".
"Tendo! È un piano brillante! Hai ragione, naturalmente, non ci saranno altri ostacoli! Sono così felice!". Scoppiarono entrambi a ridere, poi, come un sol baro, si rivolsero alla tavola e cominciarono a spostare freneticamente i pezzi in completo sprezzo delle regole. Erano felici, due uomini con un grosso peso levato dalle loro menti, e si lanciarono insulti nel modo in cui fanno i vecchi amici.
E quando, un po' più tardi, i suoni della lotta salirono dalla palestra, loro ne furono, come al solito, felicemente ignari.


In seguito non fu mai chiaro di chi fu l'idea di far allenare insieme i due Ranma, ma venne subito accettata dalla maggior parte del gruppo. Tutti i ragazzi erano stati battuti da Ranma in più di un'occasione e pregustavano i bernoccoli di cui l'avrebbe ricoperto l'unica persona che di sicuro era almeno al suo livello. E come artisti marziali, tutti erano interessati allo scontro di due combattenti equamente forti.
Akane, però, era preoccupata, anche se cercava di non farlo vedere. Sapeva quanto Ranma fosse orgoglioso e combattivo. Se Ranko era come lui, e tutto dava a intenderlo, la gara poteva sfuggire al loro controllo. E un'altra cosa la disturbava. Non poteva non ricordare quella mattina, il modo in cui Ranma aveva guardato Ranko e suo padre mentre si allenavano, lo sguardo sul suo volto quando aveva insistito che Ranko non si avvicinava minimamente alla sua bravura.
Cominciava ad avere un bruttissimo presentimento.
I due combattenti sembravano piuttosto soddisfatti, però, mentre si confrontavano al centro della palestra. Gli altri erano in piedi contro il muro, agitandosi per l'anticipazione.
"Ranma versus Ranma", mormorò Mousse. "Pagherei per vedere questo incontro".
"Vedi di non farti sentire da Nabiki", lo avvertì Ryoga. Ukyo si rabbuiò al sentire quel nome ma non disse niente.
"Il vincitore sarà meritevole del mio amore", esultò Kodachi, guardando i due Ranma con un appetito a mala pena contenuto. "Tu puoi avere il perdente, Akane".
"Grazie tante", rispose lei freddamente.
"Ehi, Ukyo, tranquillizzati", disse Ryoga, dandole gentilmente di gomito. "Questo è solo un match di allenamento. Ranma non farebbe del male a se stesso, giusto? Perché sei così seria?". Ukyo scoccò una rapida occhiata ad Akane, che guardava a turno Ranma e Ranko.
"Per nessuna ragione", borbottò.
"Ok", disse Shampoo dal centro della stanza, guardando i combattenti ai suoi fianchi. Alzò un secchio con una mano, causando un improvviso tumulto. "Vince il plimo che bagna l'avvelsalio."
"Shampoo!". Ora Akane era decisamente preoccupata. I Kuno erano ottusi senza speranza, ma comunque non le piaceva l'idea di farli assistere alla trasformazione di Ranma. Quello non era stato parte del piano.
Ranma e Ranko, però, non sembravano avere problemi. Si limitarono ad annuire mentre Shampoo si dirigeva verso l'altra estremità della palestra e posava il secchio sul pavimento. I due arretrarono agli angoli opposti della parete di fronte. Shampoo alzò un fazzoletto di seta verde e si mise in una posa che fece salire il sangue al volto di Mousse.
"Plonti?", chiese con voce suadente. I due annuirono. Lei lasciò cadere il fazzoletto e si tolse di mezzo.
Due lampi, uno rosso, uno nero, entrarono in collisione al centro della stanza, respingendosi a vicenda. I due girarono e si incontrarono di nuovo a mezz'aria, lanciando colpi e calci in un feroce e letale balletto aereo. Nessuno sembrava capace di infrangere la guardia dell'altro, e nessuno poteva lanciarsi verso il secchio senza mostrare il fianco all'avversario. Balzarono attorno alla palestra, senza rallentare nel tentativo di sopraffarsi a vicenda.
"Ehi", sussurrò Ukyo a Ryoga, "non si stanno trattenendo granché, vero?". Ryoga non rispose e continuò a tenere fisso lo sguardo sui due mentre attaccavano, paravano, cadevano e si scontravano di nuovo. Poteva vedere che i due erano egualmente impegnati al massimo. E poteva anche vedere che Ranma cominciava a innervosirsi, se non proprio a infuriarsi. Ranma cominciò a intensificare i suoi attacchi, trasformando un match di allenamento in qualcosa di diverso. Ryoga ricordò l'espressione di Ranma poche ore prima, quando si erano incontrati nel giardino. Voleva una rissa, e ora l'aveva ottenuta. E qualsiasi cosa l'aveva mosso non l'aveva abbandonato.
Ora anche Ryoga cominciava a preoccuparsi sul serio. Sperò che non finisse come temeva.
Ranma improvvisamente lanciò una furiosa serie di calci ruotati che forzarono Ranko in una posizione difensiva.
"Ehi", urlò lui. "Vacci piano, amico! Questo è solo per divertimento, ricordi?".
"Parla per te", ansimò Ranma, che si avvantaggiò della distrazione momentanea di Ranko per scattare verso il secchio. Poi, quando l'altro si lanciò per seguirlo, girò improvvisamente su se stesso.
"Kachu Tenshin Amaguriken!", gridò, rilasciando uno dei suoi attacchi preferiti. Ranko, colto in contropiede e sbilanciato, cercò di parare ma fu investito in pieno dai pugni di Ranma che tempestarono sul suo corpo indifeso. I pugni non erano trattenuti, e la forza dei colpi ripetuti scagliò Ranko all'indietro a schiantarsi contro il muro della palestra, che si curvò sotto l'impatto. Si accasciò al suolo, stordito, con le braccia avvolte sul torso cercando di respirare.
"Ranma!", scoppiò Akane, solo per essere bloccata dal braccio di Ryoga teso davanti a lei.
"Ferma", disse piano. Lei si voltò sconcertata.
"Che...? Ryoga!".
"Per favore", disse nello stesso tono, senza lasciare che il suo sguardo si spostasse dai combattenti. "Credo che dobbiamo lasciare che questa faccenda se la sbrighino da soli". Aveva la spiacevole sensazione di sapere finalmente cosa stasse succedendo, e prima si fosse risolta meglio era.
Ranma raccolse il secchio e camminò lentamente verso il punto dove Ranko stava cercando di rimettersi in piedi.
"P... perché diavolo... l'hai fatto?", ansimò Ranko. "Questo doveva essere... un allenamento!". Ranma sorrise malignamente.
"Spiacente, amico. Credo di aver sopravvalutato il tuo livello". E con quello innaffiò Ranko.
"Che diavolo significa?", sibilò Ranko-chan. "Anch'io avrei potuto usare un attacco a piena forza come il tuo, se non mi fossi preoccupato di farti male!".
"Ehi, non fare così. Non è una vergogna non essermi alla pari solo perché mi somigli", disse l'altro rabbiosamente.
Gli occhi di Ranko-chan si sbarrarono per lo shock.
"Non crederai sul serio a quello che hai detto, vero? Certo che ti sono alla pari!".
"E allora perché tu ora sei una ragazza e io no?".
"Perché hai barato!".
"Ehi, comportati da uomo, ok? Non sei bravo come me e basta, va bene?".
"Siamo uguali, idiota!".
"NO!".
"SIAMO UGUALI!".
"NO! IO NON LI AVREI MAI LASCIATI MORIRE!".
Mentre l'urlo inferocito di Ranma moriva, un silenzio paralizzante cadde sul gruppo per la seconda volta in quel giorno. Nessuno si mosse mentre due identiche coppie di occhi grigio cupo si guardavano, e qualcosa di indicibile passava tra di loro. Il corpo di Ranma vibrava piano per la furia impotente che martellava contro il suo debole controllo, cercando sfogo.
Ranko, per contrasto, era stranamente rigido. La rigidità della morte. Mentre le sue parole affondavano infallibilmente nel bersaglio, Ranma vide la luce negli occhi di Ranko-chan vacillare e morire. La sua bocca si aprì e si richiuse senza alcun suono per un momento, e Ranma sappe con orrenda certezza che era riuscito a scatenare l'unico demone che la sua controparte era riuscita a tenere in gabbia.
La sua pelle formicolò improvvisamente per la presenza di una forte energia interna mentre Ranko-chan cominciava ad ardere. Lei si girò rapidamente e, con un grido di angoscia primordiale, si buttò a capofitto contro il muro già indebolito. Ranma sentì la sua rabbia ribollire, alla ricerca di qualcosa di tenero e indifeso in cui affondare gli artigli. Come la sua coscienza.
"Awwwwwww, DANNAZIONE!", urlò, scagliando lontano il secchio e partendo all'inseguimento di Ranko-chan. Il secchio ammaccato ruotò attraverso l'aria, finché colpì finalmente il suolo con uno schiocco metallico.
Il rumore parve spezzare l'incantesimo che aveva immobilizzato tutti gli altri. Tutti cercarono di reagire contemporaneamente scatenando un pandemonio.
"Ragazza col codino!", urlò Kuno, solo per essere immediatamente abbattuto da sua sorella.
"Ranma caro, torna indietro!", corse attraverso il buco nel muro e sparì all'esterno.
"Aiyaa! Lanma!".
"Shampoo, aspetta!". Shampoo e Mousse precedettero lo stordito Kuno attraverso la nuova porta posteriore della palestra, con Ukyo all'inseguimento. Mentre lei se ne andava scoccò uno sguardo da sopra la spalla, indecifrabile.
Non che questo importasse. Né Ryoga né Akane lo videro. Akane, a dire il vero, sembrava non vedere niente.
"Ranma", sussurrò. "Come hai..?".
"Uhm... Akane?". Ryoga guardava il viso pallidissimo della ragazza, evidentemente preoccupato. "Stai bene?".
Lei non rispose. Non poteva. Si limitò a restare ferma in quel punto, maledicendosi e chiedendosi perché non fosse stata capace di capire cosa stava tormentando il suo fidanzato, prima che succedesse tutto quanto. Per tutto il tempo in cui aveva creduto che Ranma fosse geloso e meschino, lui si sentiva... come? Colpevole? Si sentiva colpevole per qualcosa che non era accaduta a lui, che non poteva aver previsto? Ritornò di colpo in sé e agguantò Ryoga per il davanti della sua maglia.
"Dobbiamo seguirli", annunciò al ragazzo stupefatto. "Andiamo". Cercò di trascinare Ryoga con lei, e fu stupita di venire subito bloccata. Incespicò, recuperò l'equilibrio, e si voltò a guardarlo, irritata. "Beh, andiamo!", disse con impazienza. Ryoga non si mosse, limitandosi a sorridere tristemente.
"Tieni molto a lui, non è vero?", chiese gentilmente.
Akane sbatté le palpebre, arrossendo all'improvviso.
"R-Ryoga".
"So che non vuoi che lui... che loro combattano, ma pensa. Se devono vivere insieme qui, devono risolvere questo problema tra di loro. Se non lo fanno, guasterà e avvelenerà tutto. Non puoi fargli questo, Akane, e non puoi neanche aiutarlo. Deve cavarsela da solo".
"Come posso starmene qui tranquilla?", chiese con voce roca. "Lui sta soffrendo così tanto!".
Ryoga guardò nei suoi caldi occhi castani, pieni di lacrime trattenute, e sentì un nodo formarsi in gola. Quello fu il momento in cui capì appieno che lei non avrebbe mai, per nessuna ragione, scelto lui piuttosto che Ranma. Mai.
Quello fu il momento in cui il suo cuore decise finalmente di lasciarla andare.
Il petto gli si riempì di un dolore dolceamaro mentre la guardava lanciare uno sguardo pieno di desiderio verso il buco creato da Ranko. Era abbastanza vicina a lui che poteva sentire il suo profumo, e il dolore nel petto crebbe finché sembrò voler esplodere all'aria aperta. Inghiottì un respiro stentato, stringendo convulsamente i pugni.
"Lascia perdere", mormorò con voce bassa e raschiante. Akane sospirò, credendo che stesse parlando a lei.
"Suppongo che tu abbia ragione", disse tristemente. Non gli sfuggì che nella sua preoccupazione per Ranma e Ranko, sembrava ignara della sofferenza di lui. Lei si voltò e gli sorrise esitante.
"Aspetterai con me, Ryoga?". Incapace di parlare, lui annuì e il suo sorriso crebbe. "Grazie. Sei un buon amico".
Un buon amico. E di lunga data, e per sempre, senza mai essere nient'altro. La guardò camminare lentamente verso il secchio, accovacciandosi vicino. Cominciò a scorrere distrattamente le dita sulla superficie mentre una ciocca di capelli le scivolava davanti, rendendola agli occhi di Ryoga bella da spezzare il cuore.
"Addio, Akane", pensò. La gola gli si chiuse e il petto arse del dolce dolore della sua pena segreta. Poi, inaspettatamente, il dolore diminuì. Non molto, ma un po' sì. Abbastanza da renderlo sopportabile.
Ryoga decise che era un buon inizio, e si mosse per aiutare la sua amica a pulire la palestra.


Lo sentii dietro di me, passi leggeri sul cuscino d'erba. Non stava cercando di nascondere la sua presenza. Abbastanza corretto. Supposi che prima risolvevamo la faccenda, meglio era.
"Non ho più alcun posto per starmene in pace, vero?", chiesi amaramente. Sedevo sull'erba, con le ginocchia raccolte al petto, guardando l'acqua scorrere lungo la sua strada verso la sua destinazione, qualunque fosse. Di solito aveva il potere di calmarmi, ma oggi c'era bisogno di ben altro.
Arrivò dietro di me e rimase là, senza dire niente. Cercai di odiarlo, ma non sentivo che stanchezza. Ne avevo abbastanza. Non riuscivo più a combattere. Facciamola finita.
Facciamola finita e basta.
"Mi dispiace". Se Ranma era consapevole di quanto le sue scuse suonassero inadeguate, non lo disse. Neanch'io dissi niente. Alla fine, con un sospiro, si sedette sull'erba di fianco a me.
"Credo", disse lentamente, "di poter capire se deciderai di non perdonarmi". Proprio in quel momento ricordai quello che avevo detto a Nabiki quella mattina, e quanto avessi desiderato rimangiarmelo in seguito. Sembrava essere giornata per i rimpianti.
"Ti capisco", dissi brevemente. Non era lo stesso di «ti perdono», ma che diavolo.
"Davvero?", chiese piano. Sedemmo fianco a fianco, senza guardarci, come se questo rendesse troppo difficile dire quello che bisognava dire. "Io volevo che tu non fossi bravo come me. Ne avevo bisogno. Tutti continuavano a dire che ci somigliavamo, e mi faceva sentire come se fossi stato io a perdere tutti. Ho scaricato tutto su di te, dicendomi che io ero migliore così non mi dovevo sentire così... colpevole, così impotente. E quello era il peggio, penso, sentirsi come se non potessi farci niente. Capisci?". C'era un così nudo bisogno nella sua voce che mi addolcii.
"Credimi, Ranma, ti capisco". Lui annuì.
"Già, immagino. Non credevo a quello che ho detto, comunque. Lo so che hai fatto tutto quello che hai potuto, perché siamo davvero uguali. In tutti i sensi. Lo capisco ora".
"Lo eravamo". Lui alzò lo sguardo, sorpreso. "Le nostre vite sono su binari diversi, ora". Lui aggrottò la fronte.
"Credo che tu abbia ragione. Ma...".
"Ranma". Si bloccò al mio tono. "Chiedimelo e basta". Lui non si mosse. "La domanda che volevi farmi da quando hai sentito la mia storia. Fammela e basta. Per favore". Vidi le sue mani serrarsi sul tappeto verde, strappando l'erba fino alle radici.
"Perché non l'hai salvata?". La sua voce era strozzata da un'emozione a mala pena contenuta. Fissava la superficie ondulata del fiume, non me. Ero sicuro che avrei visto delle lacrime se avessi guardato. Non lo feci. Lui avrebbe fatto lo stesso per me.
"Perché?", dissi piano, mentre una brezza vagante mi spingeva una ciocca di capelli rossi sul volto. "Perché io sono vivo mentre lei è morta? Giusto?". Non lo biasimavo per la domanda. Al contrario. Avrei voluto saperlo al suo posto. Presi un respiro profondo, scrollai le spalle per scioglierle, e lo lasciai andare, per svuotarmi. Per pulirmi.
"Ti racconterò questa storia una volta sola, poi non ne parleremo più. Capito?". Lo vidi annuire dalla coda dell'occhio, ma non avrebbe fatto una grande differenza se avesse accettato o meno. Stavo cominciando a capire che avevo bisogno di dirglielo almeno quanto lui aveva bisogno di ascoltarlo.
"La volevo proteggere". Cominciai a voce bassa mentre ricordavo come era andata. "Dio, avevo giurato che non avrei mai permesso che qualcosa le accadesse. Mai. Così, quando finalmente cominciammo a capire che le cose nere sarebbero venute per noi, decisi di andare a raccogliere gli altri per portarli alla palestra. Akane voleva venire con me, naturalmente, e io non volevo. Lo sai come si infuria quando cerco di proteggerla. Ferisce il suo orgoglio e la rende irragionevole. Così, le dissi che doveva restare per proteggere suo padre e le sue sorelle. Le dissi che da solo sarei andato più veloce. Le dissi qualsiasi cosa pensai potesse trattenerla. E alla fine, la convinsi. Ma mi fece promettere di ritornare. Era così preoccupata... lo sguardo nei suoi occhi. Non sono mai stato così vicino dal dirle cosa significasse per me. Ma non lo feci. E ora non potrò mai più". Mi fermai per un momento, deglutendo.
"Così lei rimase, e io andai. Raccolsi Ucchan e Ryoga al suo ristorante, trovai Shampoo e Mousse che tornavano dal mercato con le provviste. E poi cominciarono le prime urla, e loro erano su di noi. Dovunque mi voltassi, quegli incubi stavano attaccando. Quelli grossi spazzavano via isolati interi, distruggendo i condotti del gas e appiccando incendi. Trascinavano la gente nelle fogne, nei vicoli, le divoravano anche per strada. All'inizio cercammo di combatterli, ma ogni volta che ne uccidevi uno ne saltavano fuori dieci. Così scappammo. E loro ci diedero la caccia. Erano su di noi, e alla fine... Ryoga rimase indietro, per procurarci un po' di tempo". Un suono strozzato sfuggì dalla gola di Ranma. E fu tutto. Decisi che sarebbe stato misericordioso farla breve.
"Funzionò, per poco. Ma poi passammo per il Nekohanten, e loro erano già stati là. Shampoo non avrebbe abbandonato la sua bisnonna, e Mousse non avrebbe abbandonato Shampoo. Così restammo solo io e Ucchan. Passammo per la proprietà dei Kuno, e non c'era nient'altro che un cratere fumante. Mentre ci avvicinavamo alla palestra, avrei potuto dire che erano già stati in quell'area. Incontravamo meno sopravvissuti, e allora... allora...

(ci sono larghi buchi frastagliati nel muro della casa. Sto correndo ora, il cuore pieno di schegge appuntite di ghiaccio, ignorando le disperate suppliche di Ucchan di aspettarla. C'è ancora tempo. Non è troppo tardi. Non può essere. Abbiamo ancora tempo, Akane e io. Ancora tempo. Così mi lancio attraverso il muro distrutto e lungo il cortile e dentro la casa, ignorando il pericolo di imboscate, perché so che mi sta aspettando. Aspetta che torni a casa, come avevo promesso. Nel buio dentro la casa, la vedo distesa sul pavimento di legno, con le gambe piegate in un angolo terribile. Il suolo è scuro del suo sangue, così tanto sangue che il suo kimono prima giallo ne è imbevuto. Così tanto sangue che schizza sotto i miei piedi mentre mi avvicino. Così tanto sangue. Troppo. Ci cado dentro in ginocchio e raggiungo il suo volto illeso, avorio contro il nero dei suoi capelli. Sussurro il suo nome.
E i suoi occhi si aprono. Viva. Oh, Dio. Gli occhi si muovono, entrano a fuoco suo mio volto. E lei sorride.
"Sei venuto", mormora, e io le accarezzo gentilmente il viso.
"L'avevo promesso", replico fiocamente.
"Stringimi", sussurra adesso. Non voglio muoverla. È ferita così gravemente. Lei lo vede sul mio volto e una lacrima le scivola da una guancia.
"Per favore". Lei lo sa. Non ha più molto tempo. Ormai non importa. Mi chino e la cullo tra le braccia, stringendola al petto. Non sembra provare più molto dolore. È fredda, la sua pelle è come il ghiaccio. Sento un lungo lamento dietro di me. Ucchan.
Voglio dire tante cose. Troppe. Abbiamo avuto tempo, lei e io, tutto il tempo del mondo, solo ora il nostro tempo è quasi finito e non ce n'è rimasto e non so cosa dire. Si confonde tutto dietro le mie lacrime mentre piovono sul suo viso, e lei alza gli occhi su di me come se vedesse qualcosa di fantastico, qualcosa di luminoso.
"Ranma. Il mio Ranma. Promettilo. Non ti arrenderai. Promettimelo".
Ora sto singhiozzando. Voglio solo sdraiarmi al suo fianco e non alzarmi più, e in qualche modo lei lo sa. Con l'ultima stilla della sua forza, sta cercando di salvarmi. L'uomo che non era là per lei. Non posso sopportare il suo perdono, ma lei non se ne andrà finché non prometto. Lo so che non lo farà. È sempre stata così testarda, fin dal primo giorno che ci siamo incontrati.
"Akane...".
"Promettilo". La sua pelle è fredda, tutta la vita negli occhi, a implorarmi di lasciarla andare. Tremo, e annuisco disperato.
"Lo prometto". Allora lei sorride, il sorriso più dolce, e le sue dita si alzano per scorrere sulla mia guancia, lasciandosi dietro una scia di sangue.
E poi se ne va. I suoi occhi si chiudono e lei scivola via senza sforzo, via da tutto il dolore, e tutto quello che voglio è andare con lei. Ma non posso. Mi ha fatto promettere. E io non romperei mai una promessa fatta a lei.
Non le potrò mai dire che l’amavo.
Poi Ucchan grida, e io alzo lo sguardo e vedo la cosa, acquattata nelle ombre. Sputa un lembo di pelo bianco e nero e sogghigna.
"Hmm", dice, "la carne delle ragazzine è molto più dolce".
Poi sorride, un amabile, folle ghigno.
La prima cosa che ricordo è Ucchan che urla nel mio orecchio, le sue braccia strette attorno a me, implorandomi di tornare indietro, di non lasciarla sola. I miei pugni, i vestiti, e i muri sono coperti da un umore verde, e realizzo che sto urlando, e da molto tempo...)

...poi siamo arrivati alla palestra ed era troppo tardi. Lei era morta quando siamo arrivati. Tutti lo erano. È stato veloce. Non hanno sentito dolore". Aveva bisogno di sapere che l'avevo perduta, ma non aveva bisogno di sapere che aveva sofferto. Ero abbastanza uomo da portare quella verità da solo.
Da solo, per il resto dei miei giorni.
In qualche modo, lei aveva saputo cosa dire alla fine. Mi aveva aspettato, senza mai dubitare che sarei tornato, così da potermi dire di andare avanti senza di lei, di non arrendermi. Aveva saputo che sarei sopravvissuto, che nei miei più neri momenti, quando volevo arrendermi, quando ero più debole, avrei avuto bisogno di qualcosa a cui aggrapparmi, una ragione per continuare? Sembrava impossibile, ma era così.
Non ho potuto salvarla, ma lei mi ha salvato magistralmente. Oh, Dio, non era giusto. Per niente giusto.
Sedemmo là insieme per un po', ascoltando i suoni distanti del traffico, della gente, della città che continuava la sua vita. Alla fine, quando fui sicuro che la mia voce non si sarebbe spezzata, continuai. Perché non era ancora finita del tutto.
"Li ho seppelliti nel giardino. Sotto quell'albero, sai, dove ci sedevamo d'estate per guardare il sole tra i rami. Ho pensato che fosse un buon posto. Ucchan mi ha guardato le spalle mentre lavoravo. Poi siamo partiti alla ricerca di sopravvissuti. Ucchan... credo che si sentisse in qualche modo colpevole, perché in un certo senso aveva finalmente ottenuto quello che aveva sempre desiderato. Era rimasta sola con me. Lei non si sarebbe dovuta sentire così, non è come se lei avesse voluto Akane morta o qualcosa del genere, ma non aiutava. Era molto tranquilla dopo che abbiamo lasciato la palestra. Le chiesi dove saremmo dovuti andare, e lei disse che sarebbe andata ovunque fossi andato io. Non mi avrebbe mai abbandonato. Era morta meno di 24 ore dopo. Qualcosa è sceso dal cielo e l'ha afferrata, così. Non ha nemmeno avuto il tempo di urlare. E così sono rimasto solo. Qualche tempo dopo, Jack mi ha trovato e le cose sono andate come sai". Guardai il fiume, desiderando di saltarci dentro e lasciarmi trasportare dalla corrente ovunque le piacesse. Ranma non aveva parlato per molto tempo. Avrei scommesso che questo non fosse quello che si era aspettato di sentire quando era venuto a cercarmi.
"Sembra che siano passate settimane da quando sei venuto qui a cercarmi", dissi alla fine, con voce sorprendentemente calma. "Se tu dovessi rifare tutto di nuovo, sapendo quello che sai ora, lo faresti?". I suoi occhi si strinsero, senza abbandonare il fiume. Improvvisamente sentivo il bisogno di ascoltare la sua risposta, forse solo per provarmi che non stavo cercando di ferirlo per quello che era successo nella palestra. "Lo faresti?".
"Era molto più facile quando tu eri solo un tizio misterioso che mi somigliava", disse alla fine, con la voce sfumata di amarezza. "Ascoltare tutto questo è come guardare in uno specchio buio e deformato. Non ti mentirò, sarei più felice se non dovessi pensare a tutta questa roba. Credo che tutti lo saremmo". Annuii piano. Non riuscivo a trovare dentro di me motivo per biasimarlo.
"Capisco", sussurrai. Ritornai a guardare il fiume, con gli occhi brucianti di lacrime che avevo promesso di non versare. Non di fronte a lui.
"Ehi. Non ho finito. Guardami". Non lo feci. "Ranko. RANMA". La sua voce divenne bassa, urgente. "Guardami". Stringendo forte i muscoli della mascella, respirai l'odore umido del fiume e mi voltai per incontrare il suo sguardo.
"Dovresti saperlo bene, tu più di tutti". Mi fece un sorrisetto di conforto. Io lo fissai stupidamente. "Io non ho mai mollato solo perché era difficile. Tutta questa storia del mondo parallelo mi fa orrore, amico, dico sul serio. Ma se il prezzo di un po' di pace mentale è essere un codardo e voltarti la schiena, bene, quel prezzo è troppo alto. Io sto con te. Non importa come. Da qui in poi, non dovrai portare quello che è successo da solo. Ci divideremo il carico". Una mia lacrima si liberò e cadde. Alla faccia della promessa. "Sei sicuro?". Chiesi a voce bassissima. Lui annuì solennemente.
"E un'altra cosa. Noi siamo uguali. Ora lo posso ammettere. Non solo, sono orgoglioso di dirlo. Siamo più simili di fratelli, di gemelli. E so che tu hai fatto tutto il possibile per salvarli. Mi vergogno di averne dubitato". Mi tese la mano, e io la presi. Poi le sue braccia furono attorno a me e ci stringemmo in un fiero abbraccio. Avrebbe dovuto sembrare strano, o assurdo, ma non lo era. Sembrava naturale. Era come se, per la prima volta dalla caduta nella fonte di Jusenkyo, il mio yin e il mio yang potessero finalmente riunirsi. Sentii la pressione nel petto che cominciava ad allentarsi, il dolore che scorreva fuori da me, e chinai la testa contro la sua spalla mentre il mio corpo cominciava a tremare. Capii, per la prima volta, che più di chiunque altro, più di Akane, avevo avuto bisogno che lui capisse, e mi perdonasse per non essere morto.
E, miracolosamente, lo aveva fatto.
Avevo già avuto lacrime, ma per la prima volta piansi. Voglio dire che piansi davvero, come fanno i bambini. Mi lamentai pietosamente. Singhiozzi dolorosi scossero la mia forma femminile, aprendosi la strada oltre il nodo nella gola e attraverso i denti contratti, e mi aggrappai disperatamente a Ranma, arrendendomi finalmente.
Per lungo tempo, confidai che non se ne sarebbe andato. E non lo fece.


Mousse arrancò debolmente fuori dalla strada. Aveva perso le tracce di Shampoo quando aveva dovuto schivare un getto d'acqua da una vecchia che stava lavando il suo ingresso e aveva finito per perdere i suoi occhiali. Una volta trovati, lei era sparita all'inseguimento di Ranma e Ranko.
"Perfetto. Come se dover competere con un solo Ranma per il suo cuore non fosse già abbastanza", brontolava tra sé e sé. Il plotone delle fidanzate di Ranma sembrava incline a trasferire la stessa cortesia a Ranko, ma lui non era sicuro che fosse una buona idea; comunque, prevedibilmente, nessuno l'aveva consultato. Fece scorrere lo sguardo avanti e indietro lungo la strada e fu sorpreso di vedere Ukyo sul marciapiede non più di dieci metri più in là. La giacca della sua uniforme scolastica maschile pendeva aperta e il colletto della camicia era slacciato. I suoi lunghi capelli castani erano raccolti sulla nuca come li portava di solito a scuola. Mentre la osservava, le sue spalle si sollevarono per un profondo sospiro e lei si sistemò la spatola da battaglia per potersi sedere sul marciapiede.
Mousse aggrottò la fronte e avanzò.
"Ciao", tentò. Lei alzò la testa, e Mousse fu colpito dalla tristezza nei suoi occhi.
"Ehi, Mousse". Lui aspettò, ma lei non disse nient'altro. Alla fine si sedette, senza essere invitato, al suo fianco.
"Li hai persi, eh?", chiese dopo un po'. Lei annuì con aria assente. L'espressione preoccupata di Mousse si accentuò. Normalmente, Ukyo era la più solida delle pretendenti di Ranma, anche se questo non volesse dire granché. Ripensandoci, Mousse si rese conto che lei era stata in qualche modo assente tutta la giornata.
"Dì, Ukyo, c'è qualcosa che non va?", chiese alla fine. Lei lo guardò senza capire.
"Uh? Perché me lo chiedi?".
"Beh, è solo che mi sei sembrata un po' sulle nuvole tutto il giorno. Mi chiedevo solo se ne volessi parlarne, tutto qui". Lei riportò la sua attenzione a un pezzo di strada particolarmente affascinante.
"Tu non capiresti", borbottò. Mousse ridacchiò amaramente.
"Vuoi dire che non capirei l'essere disperatamente innamorati di qualcuno che ama qualcun altro? Oh, no, cosa potrei mai sapere di una situazione del genere?". Ukyo lo guardò, sorpresa.
"Scusa, Mousse. Ho parlato senza collegare il cervello". Lui la liquidò con un gesto della mano.
"Lascia perdere. La gelosia può farti dire cose strane. Credimi, lo so".
"Cosa ti fa pensare che io sia gelosa?", chiese lei, confusa.
"Oltre alle solite ragioni? Oggi ti irrigidivi ogni volta che si avvicinava Akane. In genere sei la più amichevole con lei". Questa volta fu il turno di Ukyo di ridere. Mousse alzò un sopracciglio inquisitorio.
"Scusa", disse Ukyo. "È solo che sono sorpresa che tu faccia così tanta attenzione a qualcuno oltre Shampoo". Mousse le lanciò un sorrisetto storto.
"Allora ho ragione".
"No, a dire il vero". Ukyo lo guardò per un lungo momento, mordendosi il labbro inferiore. Mousse aveva l'impressione che stesse cercando di decidersi riguardo qualcosa. Alla fine, lei sospirò. "Mousse, ti posso dire una cosa?." Il ragazzo sbatté le palpebre. Lui e Ukyo non erano particolarmente vicini. Non era sicuro del perché volesse parlare con lui. Eppure, Shampoo non si confidava mai con lui, e Ukyo sembrava aver bisogno di un orecchio amico. Sorrise.
"Ma certo. Di cosa si tratta?".
"Hai sentito cos'è successo l'altro giorno, quando Akane è stata quasi uccisa, vero?".
"Sì, anche se nessuno di noi sapeva fino a oggi che in realtà era stato un secondo Ranma a salvarla".
"Sì, bene, io lo sapevo. Ero là. Stavo seguendo Ran-chan e Akane a casa...". Mousse alzò le sopracciglia e lei lo guardò con fiero cipiglio.
"C'era una buona ragione", esclamò. Lui alzò le mani, e lei continuò. "A ogni modo, ero dall'altra parte della strada quando Ryoga e Ran-chan hanno cominciato a combattere. Quando la gru si è inclinata, l'ho vista prima di loro. Ma...".
"Ma?", chiese lui dopo un momento. Lei sospirò e distolse lo sguardo, mentre un leggero rossore le saliva alle guance.
"Ho esitato. Per solo un secondo, mi sono chiesta cosa sarebbe successo se Akane fosse morta. Avrei avuto una possibilità con Ran-chan, avrei potuto avere la vita che desideravo". La sua voce era scesa a un sussurro. "Solo per un secondo. Ma ho esitato. Ci ho pensato davvero". Mousse sospirò gentilmente.
"Capisco. E ora quando vedi Akane ti senti colpevole per quello che è successo".
"Ma certo! Come posso meritare l'amore di qualcuno, me lo dici? Che genere di persona pensa cose come queste?".
"Bene, io, per cominciare". Lei lo guardò.
"Come?".
"Oh, ho pensato di fare cose piuttosto malvagie al tuo prezioso Ran-chan. Alcune di queste erano anche fatali". Alzò gli occhi al cielo senza nubi, con un'espressione serena.
"Non è lo stesso! Io ho esitato! Ho considerato seriamente quella possibilità, e la mia esitazione avrebbe potuto ucciderla!". Fece un suono, metà risata, metà singhiozzo, e crollò la testa. "Ero impazzita, vero? Voglio dire, guardali, due Ranma, e scommetto che ora stanno combattendo per lei. Anche se la sua Akane è morta, lui la ama ancora. Ho sempre desiderato che mi amasse, ma non lo merito. Sono una maledetta egoista, Mousse. Non è una bella cosa da sapere sul proprio conto". Per lunghi momenti vi fu solo silenzio. Ukyo aveva paura di guardare, di vedere lo sguardo disgustato sul volto di Mousse.
"Ukyo", disse alla fine, "lo sai che non è vero. Ascolta. Sei mai stata su un grattacielo?". Lei aggrottò la fronte.
"Un cosa?".
"Un grattacielo", ripeté lui pazientemente. "O un qualsiasi posto alto, come una cima o la punta di un albero".
"Beh, certo, ma...".
"E non ti sei mai trovata sul bordo, e sentito l'impulso, solo per un momento, di buttarti nel vuoto?". Lei alzò la testa. Mousse aveva ancora lo sguardo perso nel cielo, e una placida espressione sul volto. Cielo vuoto. Nessun posto dove nascondersi.
"Sì, penso".
"Ma non lo hai fatto. Vedi, questi pensieri sono reali, esistono, ma non rappresentano il nostro vero io. Ci sono angoli bui dentro ciascuno di noi, pieni di pensieri e impulsi repressi e proibiti, e a volte qualcuno spunta in superficie per un attimo, e noi pensiamo: «Questo non sono io. Io sono una brava persona». Ed è la verità. Ti stai sentendo colpevole per un pensiero passeggero, qualcosa che tu non avresti mai concepito seriamente. Tu non sei una cattiva persona, Ukyo, sei solo umana. Ti sei bloccata per un secondo, e siccome sei una brava persona, ti sei voluta punire per quel lapsus".
"Ma anche pensare una cosa del genere...", protestò lei.
"Ukyo", disse lui gentilmente, abbassando gli occhi nei suoi, "devi imparare ad accettare i tuoi impulsi più bui per poterli controllare. Se cerchi di far finta che non esistono, loro si moltiplicheranno nelle tenebre della tua ignoranza e divoreranno la tua anima. Credimi, io lo so. Tu non faresti mai del male ad Akane per raggiungere Ranma, per nessuna ragione. Lo so che non sei quel tipo di persona, e lo sai anche tu. Smettila di sentirti in colpa per la svista di un momento. Sono le azioni che contano, e le tue mostrano il tuo vero cuore".
"Mousse...", disse lei, sbalordita. All'improvviso lui sorrise, imbarazzato.
"Scusa. Non volevo farti la predica". Ukyo scosse la testa, facendo danzare la sua lunga coda di cavallo.
"No, non scusarti. È solo che... non ti ho mai sentito parlare così prima". Ukyo era impressionata. Non aveva mai parlato davvero con Mousse prima, non in quel modo. Sospettava di non averlo nemmeno notato. E il modo in cui le sorrideva...
Calma, ragazza, si disse contrita. L'ultima cosa di cui hai bisogno è di innamorarti di un altro uomo che non puoi avere.
"Beh, di solito parla sempre Shampoo", disse lui dispiaciuto. "Volevo solo che sapessi che ti faresti solo del male sentendoti colpevole per qualcosa che non puoi cambiare. Continua a ripetertelo, ok? Credo che finirai per convincerti che è vero". Ukyo gli indirizzò uno sguardo meditabondo che lo rese nervoso.
"Che c'è?", chiese alla fine. Lei sorrise.
"Sai, mi sento davvero meglio. Mousse", cominciò improvvisamente, "sto per fare qualcosa che non faccio di solito. Voglio darti qualche consiglio sulle donne". Lui sbatté le palpebre.
"Davvero?", chiese dubbioso. Lei annuì.
"Ho passato molto tempo come maschio, così ho visto le cose da entrambe le parti, e devo dirti che penso che tu stia sbagliando tutto. Ascolta, Shampoo è una ragazza aggressiva. Le piace il brivido dell'inseguimento. Ma non può cacciare te, perché tu non scapperesti! Tutte le volte che si gira, tu sei lì. Ti dà per scontato, bello. A volte ho visto qualcosa che mi ha fatto pensare che lei provi qualcosa per te. Forse se tu giocassi duro, lei comincerebbe a cacciarti, o almeno a dedicarti un po' di attenzione".
"Ma non posso stare lontano da lei. Io la amo", rispose semplicemente. Lei sospirò.
"Ok, ignora il consiglio, ma ti dico, quella ragazza non smetterà di usarti come zerbino finché non la impressioni. Oppure, immagino, finché non la sconfiggi in combattimento. Poi lei dovrebbe sposarti, giusto?".
Mousse la guardò, poi si appoggiò all'indietro sulle mani.
"Supponi, parlando per ipotesi beninteso, che io sia capace di batterla". La sbirciò, guardando il suo volto cambiare in un'espressione confusa.
"E allora, ipoteticamente, perché non lo faresti?".
"Ukyo, tu sei la sola ragazza oltre Akane che non usa mai mezzi magici o chimici per cercare di imprigionare Ranma tra le tue braccia. Perché?".
"Voglio che mi dia il suo cuore liberamente! Non significherebbe niente se fosse costretto o imbrogliato!", disse, oltraggiata.
"Esattamente. E se, ipoteticamente, io sconfiggessi Shampoo in duello, allora per la legge delle Amazzoni sarebbe costretta a sposarmi. E io non lo farei se non fossi sicuro che lei volesse darsi a me. Liberamente".
"Oh. Capisco".
"Ipoteticamente".
"Ovvio. E le leggi delle Amazzoni?".
"Eh. Ukyo, le leggi non hanno il potere di governare il cuore".
Mousse abbandonò indietro la testa, tanto che i suoi lunghi capelli sfioravano il suolo.
"Se sconfiggessi Shampoo, lei mi sposerebbe, ma io non saprei mai quali siano i suoi veri sentimenti. Io voglio che mi ami, voglio che mi sposi perché lo vuole, non perché qualche legge fuori moda glielo impone. Tu mi capisci". E lei lo capiva. Erano quasi spiriti affini, pensò affascinata. Non l'avrebbe mai detto. Mai, in un milione di anni.
"Mousse!". Alzarono entrambi gli occhi e videro un'arrabbiata Shampoo che li guardava. Lei alzò fieramente la testa e scattò: "Pelchè sei qui a oziale con la spatolona? Dove sono i Lanma?". Mousse era senza parole, come se fosse stato colto in fallo.
Ukyo sentì il bisogno di essere cattiva, e per una volta non lo soppresse.
"Mousse mi stava solo dando qualche consiglio in amore", disse innocentemente. Gli occhi di Shampoo si sbarrarono stupefatti.
"Mousse? Consiglio? AMOLE?". Aveva decisamente problemi a collegare insieme quei tre concetti in un unico blocco. Ukyo annuì, poi si stiracchiò languidamente.
"Uh-uh. Ed era un buon consiglio, oltretutto. Credo che lo seguirò. Grazie della chiacchierata, tesoro". Si sporse per dare a uno stupefatto Mousse un casto bacino su una guancia. Lui arrossì furiosamente. Poi lei si alzò e guardò Shampoo negli occhi.
"Un giorno o l'altro diventerà il marito di qualche ragazza fortunata, Shampoo. Dovresti approfittarne finché è ancora disponibile". Poi si incamminò verso la palestra, mani dietro la testa, lasciando la coppia sconvolta.
"Che voleva dile? Mousse? MOUSSE!".
"Shampoo, io non... io... ehi! OUCH!". Ukyo soppresse una risatina quando i rumori della battaglia la raggiunsero.
Fidati, Mousse, pensò sorniona, poi mi ringrazierai. Poi il suo sorriso svanì, la sua espressione divenne pensosa.
Se solo i suoi problemi fossero stati così facili da gestire.


Kasumi controllò la cucina con un familiare senso di soddisfazione. Tutto era in ordine. Poteva cominciare a cucinare in ogni momento, e siccome era andata a fare la spesa ci sarebbe stato abbastanza cibo per tutti. Non le pesava nutrire tutte quelle persone; Shampoo e Ukyo provvedevano cibo gratis agli abitanti di casa Tendo a intervalli regolari.
Si voltò verso il fornello nel sentire la teiera gialla fischiare. Spense il bruciatore e raccolse la teiera per il manico, dirigendosi verso il retro della casa. Aveva visto Ranma e Ranko-chan arrivare poco prima, e poteva vedere che Ryoga e Akane li avevano raggiunti. Stranamente, la tensione nel gruppo sembrava essersi esaurita rispetto a quella mattina. Akane sembrava un po' agitata con entrambi i Ranma, ma la tensione che Kasumi aveva percepito prima tra le due controparti era completamente svanita. Ne era felice. Aveva avvertito il potenziale per grossi guai, e per una volta non aveva avuto idea di cosa fare per allentare la tensione crescente. Ma c'era un altro problema da affrontare. Si sentiva responsabile del mantenimento dell'armonia nella casa per quanto possibile, e sapeva che se quel problema non veniva risolto immediatamente, avrebbe cominciato a suppurare. Raccolse tutta la sua decisione e parlò.
"Ciao a tutti", disse allegramente, sfoggiando il suo più caldo sorriso. "Dove sono gli altri?".
"Ancora fuori a cercare questi due idioti", brontolò Akane. "Torneranno presto". Ranma e Ranko-chan si scambiarono uno sguardo. Erano rimasti entrambi dal lato sbagliato delle sfuriate di Akane in più di una occasione. Dividersi la sua ira sembrava in qualche modo attenuarla.
"Bene. Oh, Ranko-chan, ti posso parlare un momento?". Lei annuì, guardando con sollievo la teiera nelle mani di Kasumi. Probabilmente ansiosa di cambiare prima del ritorno di Kuno, pensò lei con dispiacere. Condusse la rossa nella cucina e le tese la teiera, poi la guardò mentre si bagnava e cambiava nella sua forma maschile.
"Grazie, Kasumi", sospirò Ranko. Lei notò che sembrava stanco. No, svuotato era la parola più appropriata. Eppure, nessun bene sarebbe venuto dall'accantonare la questione.
"Ranko". Lui la guardò, stupito dal suo tono. Era triste, severo, tagliente come non lo aveva mai sentito prima. Non era niente paragonato al miglior tono arrabbiato di sua madre, ma sentito dalla placida Kasumi l'effetto era come quello di uno schiaffo in pieno volto.
"Ch-che succede?", chiese, preoccupato.
"Ti voglio parlare. Di Nabiki". Lei vide la comprensione scendere sul suo volto. Inghiottì così forte che lo poté sentire da dove si trovava.
"Kasumi, io...".
"Io capisco che lei ti ha ferito oggi", continuò lei freddamente, ignorando il suo debole tentativo di parlare. "Non la giustifico per quello che ha fatto. Ma se hai intenzione di restare qui, devi farmi una promessa. Tu non userai mai. Più. Il ricordo di nostra madre per ferirla". Si fermò, fissando il ragazzo con sguardo severo e braccia incrociate. Ranko sembrava disperato, cercò di incontrare lo sguardo di lei, e fallì.
"Io non volevo...", cominciò.
"Promettimelo, Ranko". Lui chiuse gli occhi, annuendo.
"Lo giuro. Kasumi, mi vergogno di quello che ho fatto. Non volevo arrivare a tanto... io... non ti sto chiedendo di perdonare il mio...".
"Ranko", lo interruppe lei gentilmente. Lui si fermò. "Non credo di essere io quella a cui dovresti chiedere scusa". Lo gratificò di un piccolo, triste sorriso e sciolse le braccia, indicando le scale. Lui prese un respiro profondo e annuì di nuovo. "Va’, allora. Per favore. Vi sentirete entrambi meglio". Lui annuì un'altra volta e uscì dalla cucina come un uomo in marcia per la sua esecuzione.
Kasumi sospirò, lasciando che una parte della tensione defluisse da lei. Aveva notato il lieve gonfiore attorno ai suoi occhi e si chiese se avesse pianto. Non l'avrebbe sorpresa, per niente. Scosse piano la testa.
Sarebbe stata una settimana dura per la madre putativa degli abitanti della palestra Tendo.





Fine quarta parte.
Revisiona versione originale inglese: 29/7/1997
Revisionata traduzione italiana: 26/7/1998
Betalettura a cura di TigerEyes: 29/7/2011

Nel caso doveste riscontrare refusi che mi sono sfuggiti, vi prego di segnalarmeli, grazie.

Prossimo aggiornamento: domenica 31 o lunedì 1 agosto.

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Capitolo 5
*** V - Cuori a nudo ***



CAST A LONG SHADOW

di
Mark MacKinnon



traduzione
Il Corra Productions




V

Cuori a nudo





Mi trovavo davanti alla porta di Nabiki, cercando di sopprimere il senso di panico che mi stava aggrovigliando lo stomaco. Kasumi aveva ragione, avevo bisogno di parlare con lei, di scusarmi.
È solo che non volevo farlo.
Beh, neanche quello era vero del tutto. Volevo chiarire le cose, ma avrei preferito averlo già fatto così non avrei dovuto starmene qui a cercare il coraggio per farlo.
Oh, al diavolo. Strinsi i denti, presi un bel respiro, e bussai.
"Avanti". Aprii la porta ed entrai. Era adagiata sul letto con il mento appoggiato a una mano, le gambe alzate al livello delle ginocchia dondolavano leggermente seguendo qualche ritmo silenzioso. Alzò lo sguardo dalla rivista aperta sul letto, con un'espressione disinvolta. Pensai di aver visto un lampo d'emozione nei suoi occhi, anche se per un attimo solo, ma forse lo avevo immaginato.
"Nabiki".
"Ranma".
"Ranko, ricordi?". Si alzò con un unico movimento, appoggiando la schiena alla parete e raccogliendo le ginocchia al petto.
"Ah, già. Continuo a scordarlo. È uno dei modi con cui possiamo distinguerti dal nostro Ranma". Uno dei modi oltre al fatto che Ranma non mi avrebbe mai detto quello che tu mi hai detto, sembrava suggerire la sua posa. Ma di nuovo, potevo essermelo immaginato. Rimasi in piedi davanti al letto, stringendo e rilassando nervosamente le mani. Sentii il sangue salirmi al volto. Non ero mai stato bravo in quel genere di cose.
"Io, uh, volevo parlarti". Dissi alla fine. Lei si limitò a guardarmi impassibile.
"Mi stai parlando".
"Accidenti, Nabiki!", sbottai. Non stava andando bene. Feci un respiro profondo e la guardai, cercando di ispirare sincerità. "Senti", continuai dopo un momento, "riguardo stamattina. Ero fuori fase, voglio dire MOLTO fuori fase, e volevo dirti che mi dispiace". Lei si limitò a guardarmi, senza dire niente. "Ero arrabbiato, e diavolo lo sono ancora, ma questo non mi scusa per aver usato i ricordi di tua madre in quel modo. Prometto che non succederà più". Aspettai di vedere come avrebbe reagito.
"Ok". La sua voce era inespressiva, come se avesse appena detto che la sua cena sarebbe stata pronta in cinque minuti. Ok? Sentii quella rabbia irragionevole montare di nuovo al vederla, e cercai di ricordare a me stesso che era stata la stessa a mettermi in quella situazione all'inizio.
"Tutto qui? Ok?". Cercai di mantenere un tono di voce calmo e ci riuscii. Per lo più.
"Beh, cosa vuoi che ti dica?".
"Vorrei che tu provassi qualcosa! Voglio che... che... baaaaah!". Scossi la testa disgustato. "Lascia perdere. Mi sono scusato, ed ero sincero. Se non vuoi accettare le mie scuse, non posso farci niente". Mi girai e marciai verso la porta. Accidenti a quella ragazza! Stavo per prendere la maniglia quando lei parlò.
"Ranko". Qualcosa nella sua voce mi fermò. Mi girai, riluttante, per guardarla. Non si era mossa, la sua espressione non era cambiata, ma mi stava fissando. "Ranko", ripeté piano, "torna qui e siediti. Per favore?". Quell'ultimo per favore mi convinse. C'era emozione nelle sue parole, autentica emozione, un senso di colpa, di dolore. Con cautela, tornai sui miei passi, agguantai la sedia dalla sua scrivania, e mi ci misi a cavalcioni, appoggiandomi allo schienale. Lei incontrò il mio sguardo, e la sua bocca si torse in un sorriso piccolo, ma gentile.
"Accetto le tue scuse", disse con voce bassa e composta.
"Grazie".
"Non mi ringraziare". Una piccola e dolorosa scheggia di rabbia si era insinuata nella sua voce, ma sentii che non era diretta a me. Lei strinse le braccia attorno alle ginocchia come se avesse freddo e le sfregò distrattamente con i palmi. "Non sei il solo che dovrebbe scusarsi, dopo tutto. Io ti ho ferito per prima. E quello che hai detto non avrebbe fatto così male se non mi fossi chiesta, di tanto in tanto, la stessa cosa".
"Nabiki!".
"Aspetta, Ranko. Ti devo dire una cosa. Non vorrei, ma credo che tu ti sia meritato di saperlo". Distolse lo sguardo, arrossendo, e spinse la testa contro le ginocchia. Fissò un punto del pavimento e parlò con la voce grossa dall'emozione. Questo era quello che volevo, la vera Nabiki Tendo, la ragazza dietro la maschera.
Allora perché mi stava rendendo così dannatamente nervoso?
"Stamattina, quando Kasumi mi ha chiesto cosa fosse successo, le ho detto come mi sono fatta trascinare dal mio grande piano, ed era vero. Le ho anche detto che non avevo mai voluto ferirti". Spostò lo sguardo su di me, uno sguardo timido, incerto. "E quello non era vero", sussurrò. Sentii una spiacevole fitta colpirmi il petto alle sue parole.
"Cosa? E... perché?". Era tutto quello che riuscii a pensare di dire. Lei lasciò cadere ancora lo sguardo, stringendo più forte le ginocchia. Il linguaggio del suo corpo parlava di una tristezza a mala pena contenuta.
"Sei così simile a Ranma", disse alla fine. "Hai vissuto in questa casa tutto questo tempo, ma non mi conosci per niente. Ma non è granché sorprendente. Non sono una persona facile da conoscere, e non sono una persona facile da amare. So queste cose sul mio conto, e le accetto. La maggior parte del tempo". Mi limitai a fissarla, incerto sul dove questo stesse portando, più confuso che arrabbiato. Lei sembrò raccogliersi, poi si buttò. "Ranma, e sono sicuro che per te è lo stesso, si lamenta sempre di tutte le ragazze che gli danno la caccia. Ha avuto persino ragazzi che davano la caccia al suo lato femminile. E nessuno di voi ha mai dovuto fare qualcosa, succedeva e basta! Akane ha dovuto farsi strada tra orde di ragazzi ogni mattina. Ryoga va in palla ogni volta che le è vicino, e lei non sembra nemmeno notarlo. Kasumi riesce a rendere il dottor Tofu incapace di pensieri razionali solo schiarendosi la voce". Affondò il volto ancora di più nel riparo delle braccia incrociate, senza guardarmi ancora. Mi sentivo quasi paralizzato. Non sapevo cosa mi fossi aspettato, ma decisamente non quello. "Tu non hai idea di come mi fa sentire a volte il modo in cui sembrate tutti considerare questa attenzione una scocciatura, e prenderla per scontata. Sai cosa vorrei? A volte vorrei che, solo per una volta, qualcuno si precipitasse qui e annunciasse: ‘Nabiki Tendo, io devo averti!’. Solo una volta". Fece una risatina sforzata e amara, e potevo vederle gli occhi brillare di quelle che sembravano sospettosamente lacrime trattenute. "Ma sentimi", disse, "la Regina del Gelo che sembra una scolaretta gelosa". Soppressi la tentazione di dirle che, tecnicamente, era proprio quello che lei era. Non penso che l'avrebbe trovato molto confortante. "Me la sono presa con Ranma, l'ho trattato male ogni tanto, tirchieria a parte," continuò con calma, con la voce che tremava anche se così poco. "Non è colpa sua... non è colpa tua se alla gente piaci tu. Non è colpa tua se alla gente non piaccio io. Ma l'ho fatto lo stesso, spesso per riflesso, come le zuffe di Ranma e Akane. E stavolta, l'ho fatto a te e mi sono spinta troppo oltre. E mi dispiace".
"Nabiki". Ero sbalordito. Scossi lentamente il capo, cercando di riconciliare la ragazza che mi parlava con la spassionata, avida Nabiki dei miei ricordi.
"No", disse piano. "Non dispiacerti per me. Basta e avanza che tu abbia avuto il fegato per venire qui per scusarti. Sedevo qui e ti ascoltavo, e tutto quello cui riuscivo a pensare era che alla fine avessi avuto quello che mi meritavo...".
"Nabiki!". Mi sporsi sulla sedia, facendola sobbalzare. "Non è vero", continuai con tono più calmo quando alla fine mi guardò negli occhi. "Io dovrei saperlo bene. Ho perso tutti i miei cari, ricordi? La ferita è così fresca che non riesco ancora a pensare a loro. Se qualcuno avesse usato il loro ricordo contro di me, l'avrei odiato". Lei resse fermamente il mio sguardo, raddrizzandosi un po'.
"Non ti odio", disse alla fine. "L'ho fatto, quando l'hai detto, e se tu non fossi tornato a dirmi queste cose probabilmente ti starei ancora odiando. Ma ora mi sembra solo una perdita di tempo. Penso che dovemmo ordinare il cessate il fuoco, che ne dici?". Mi fece un sorrisetto tremante, e io annuii.
"Affare fatto", dissi solennemente. "E per quello che ti ho detto...".
"Dimenticalo".
"No".
"Ranko, forse avevi ragione. Forse dovrei impegnarmi di più per essere una persona di cui lei sarebbe fiera". Sospirai, sentendo qualcosa allentarsi nel petto.
"Nabiki, mi sento così male. Non mi sono mai accorto di ferirti, tutte quelle volte...".
"Ehi, Ranko. Se la gente si accorgesse di come mi sento, non sarei io, giusto?", sogghignò, con un'ombra della sua solita espressione.
"Forse sarebbe una buona cosa. Voglio dire, se la gente potesse capire come ti senti. Almeno qualche volta".
"Non so. Sono abbastanza attaccata al mio modo di essere. Non riesco a vedermi così di colpo tutta espansiva". Alzò una mano e si portò i capelli dietro l'orecchio, guardandomi. "Ci penserò, comunque".
"Fallo". Mi alzai, facendo scivolare la sedia al suo posto, e feci una pausa. "Allora siamo a posto?", chiesi. "Voglio dire, tra di noi?".
"Ma sì, immagino che siamo a posto". Si stiracchiò, rilassando le spalle, e si alzò con grazia. "Sai, tu possiedi profondità inesplorate, Saotome. Sono piacevolmente sorpresa. E", continuò, un po' impacciata, "se hai bisogno di parlare, sai, di quello che è successo alla tua famiglia, e...". Si interruppe.
"Grazie", dissi, sorpreso. "Lo terrò presente". Allora mi guardò, e il suo solito sorriso asciutto era tornato a piena forza.
"Oh, uffa, Saotome, adesso basta con gli occhioni da cucciolo", disse seccamente, ma non c'era rancore nel suo tono, e i suoi occhi danzavano allegramente. "Fuori di qui, ok? Dopo tutti questi piagnistei, mi toccherà andare a espropriare un orfanotrofio o qualcosa del genere. Vai, vai". Aprii la porta.
"Sei unica, Nabiki", dissi uscendo.
"Non è vero", disse lei piano. Poi la porta si chiuse e mi ritrovai solo nel corridoio.
Respirai profondamente e lasciai uscire tutta la tensione che potei. Poi scossi al testa meravigliato. Nabiki Tendo, soggetta alle stesse paure e gelosie di tutti noi. E per tutto il tempo che l'avevo conosciuta, non l'avevo mai capito. Era lei a essere brava a nascondere i suoi sentimenti, o era la gente che la valutava e poi la metteva da parte? Io l'avevo fatto?
E ora avevo visto il morbido, vulnerabile interno della sua anima. Me l'aveva mostrato, sapendo che avrei potuto usare quella conoscenza contro di lei, ma confidando, in ultima analisi, che non l'avrei fatto.
Fiducia. Lei si fidava di me. E ne ero felice. Felice che le mie parole infuriate non avessero causato un danno irreparabile. Ma mi fece pensare a tutte le altre cose che pensavo di sapere della gente, tutte le cose che prendevo per scontate.
Quali altre sorprese erano in serbo per me?


Nodoka rimase perfettamente immobile, tenendo il malumore sotto controllo. Genma e Soun, ancora ignari della sua presenza, erano seduti a gambe incrociate e guardavano Ranma e Akane in giardino.
La giovane coppia stava bisticciando. Naturalmente. Nodoka respirò profondamente e avanzò verso i due uomini.
"Bene!", disse allegramente. "Sono tornata. Non è successo niente mentre ero fuori?". Genma la guardò da sopra una spalla e le fece un largo sorriso.
"Oh, bentornata. No, non è successo assolutamente niente. Giusto, Tendo?".
"Assolutamente. Nessun problema". Tornarono entrambi ai loro litigiosi eredi.
"Andiamo, ragazzo, baciala", esortò Genma sottovoce. Non notò che Nodoka aveva chiuso gli occhi nell'apparente sforzo di controllarsi.
"Se tutto è andato bene, forse potrete spiegarmi una cosetta o due", disse alla fine con un tono di voce incredibilmente calmo. "Come per esempio, perché ho appena visto Kasumi in cucina che sembrava depressa".
"Che?", chiese Soun incredulo.
"Oppure perché c'è un grosso buco su un lato della palestra che stamattina non c'era. O perché se ne sono andati tutti. O perché Ranma e Akane stanno litigando per Ranko! Ebbene?". Squadrò la coppia indifesa. "Tutto quello che vi avevo chiesto era di tenere d'occhio la situazione mentre ero via, e ora non avete idea di quello che è successo sotto i vostri nasi!".
"Ma, cara...", cominciò Genma.
"Lascia perdere i ‘cara’, Genma, Io non riesco a crederci!". Li fissò finché, comprendendo che non avessero idea del perché fosse così infuriata, se ne andò a grandi passi. I due la guardarono allontanarsi, stupefatti, poi si guardarono.
"Donne", dissero all'unisono.
"Non è successo niente di strano oggi", sospirò Genma.
"Questi ragazzi non fanno mai altro che azzuffarsi", concordò Soun, "non è una grande scoperta. Mi preoccuperei se non stessero litigando!".
"Non capisco perché fosse così preoccupata".
"Stanno davvero litigando per Ranko?".
"Prendi la sua mano, ragazzo. Andiamo! Aggggh! Non chiamarla così!".

Nodoka, nel frattempo, era partita alla ricerca di Ranko. Kasumi, che era tornata a sfoggiare il suo volto felice, le disse che probabilmente era ancora al piano di sopra. Nodoka accarezzò l'idea di chiedere a Kasumi cosa la stesse angustiando. Dopo tutto, lei dispensava l’unica influenza stabilizzatrice in una famiglia caotica. Non sarebbe stato sorprendente se questo la stressasse ogni tanto. Ma prima, doveva parlare con Ranko. Una crisi alla volta, si disse saggiamente.
Così si era limitata a ringraziare Kasumi e a dirigersi verso le scale, dove vide Ranko. Era seduto sull'ultimo gradino, immerso nei pensieri. Rimase colpita da quanto il ragazzo sembrasse stanco. Stanco e preoccupato. Il suo cuore si strinse a quella vista, e avanzò con un sorriso confortante sulle labbra.
"Ranko". Lui alzò gli occhi, cadendo dalle nuvole.
"Zia. Ciao". Lei alzò una mano al vederlo alzarsi, e si sedette sul gradino accanto a lui. La scala era piuttosto stretta, e i loro corpi si toccavano ai fianchi e alle spalle. Sapeva che lui avrebbe fatto resistenza a quanto voleva dirgli, ed era determinata a procedere con cautela. Restò seduta per un momento, assaporando quel momento d'intimità. Di rado aveva occasione di stare così con suo figlio, anche ora che sapeva della sua maledizione. Era passa così tanta acqua sotto i ponti...
"Giornata dura?", chiese gentilmente, voltandosi per guardarlo. Lui le fece un debole sorriso.
"Fino a ora, è stata piuttosto strana, sì".
"Capisco che sia stato un colpo vedere tutta quella gente stamattina. Ho intenzione di parlarne con Nabiki..."
"No! Voglio dire", balbettò, vedendo la sua espressione stupita, "per favore, no. Ci ho già parlato io. Penso che ci siamo capiti al riguardo". Nodoka alzò un sopracciglio e annuì con riluttanza.
"Molto bene. C'è un'altra cosa di cui ti volevo parlare, comunque. Sono andata a trovare il dottor Tofu oggi". Lui drizzò le orecchie all’udirla.
"Perché? Non ti senti bene?".
"Oh, no, Ranko. Non per me. Volevo parlargli di te. Ho pensato a quello che hai passato, cosa devi aver visto. Il dottor Tofu mi ha indirizzato a una persona, un consulente. Uno specialista nell'aiutare la gente ad affrontare eventi drammatici...". Si interruppe nel vedere l'espressione del ragazzo chiudersi. Sospirò. "Ranko, per favore, prendilo in considerazione", disse gentilmente.
"Non ho bisogno di parlare con uno strizzacervelli, zia. Starò bene!", protestò. Lei sentì un velato dolore nel petto al vedere la sua espressione testarda.
"Mai ammettere la necessità. Mai ammettere la debolezza. Il più virile degli uomini", sussurrò tristemente. "Proprio come volevo io". Gli occhi di Ranko si sbarrarono.
"Oh, no, non dirmi che anche tu ti senti in colpa?".
Anche?, pensò lei. A voce alta, disse: "Sembra che tua madre e io abbiamo commesso lo stesso errore con i nostri figli, Ranko. Al cuore dei problemi di Ranma, io credo, c'è l'incapacità di esprimere quello che si porta dentro". Con sua sorpresa, Ranko sorrise.
"Potresti stupirti", disse. "Penso che ci sia ancora speranza per lui". Sospirò. "Senti, zia, so che mi vuoi aiutare, ma...", cercò il modo migliore per esprimersi. "Tu non crederesti a certe conversazioni che ho avuto da quando sono qui. Mi sento come se avessi imparato di più su tutti voi nell'ultimo paio di giorni che in tutta la mia vita a casa. E ho l'impressione che non sia ancora finita". Sorrise tristemente, e i suoi occhi guardavano qualcosa che lei non poteva vedere. "Questo mi ha aiutato, in un certo senso. È come avere un'opportunità per risistemare le cose. Ranma è stato di grande aiuto".
"Ah sì?". Ranko ridacchiò alla sua voce scandalizzata.
"Già, ha sorpreso anche me. Ma abbiamo sistemato certe questioni oggi, e ora mi sento meglio. Non sto dicendo che sia stato facile, ma penso di potermela cavare da solo. Comincio a sentirmi come... non so, come se le cose potessero migliorare". Nodoka non era sicura se credergli o no. Non era nemmeno sicura se lui credesse a se stesso. Ma sapeva che non c'era motivo nel cercare di pressarlo.
"Ne sono felice", disse piano, guardandolo negli occhi. "Ma la mia offerta resta. Ti prego di pensarci. So quanto puoi essere testardo. Voglio che tu mi prometta che se tutto questo diventasse troppo per te, almeno verrai a parlare con uno di noi". Lui distolse lo sguardo, a disagio.
"Io... ci proverò". Disse alla fine. Lei annuì. Il suo esitare la convinse che era sincero. Se avesse acconsentito subito, avrebbe avuto dei sospetti.
"Ho anche pensato che dovremmo discutere del problema delle tue numerose fidanzate", disse con delicatezza. Per la verità, voleva parlare solo di una, ma pensò che fosse meglio utilizzare un approccio obliquo alla questione.
"Accidenti. Ma sono le ragazze di Ranma, ricordi?".
"Sì, ma è un fatto che queste ragazze sembrano considerarti solo un altro Ranma, per quanto possa essere ingiusto. Dovrai vedertela con loro. Sono molto persistenti, e ora hanno una reale possibilità di conquistarsi ‘Ranma’ come marito anche se questo matrimonio forzato si farà. Non credo che ti lasceranno molto scampo".
"Lo so". Le sue spalle caddero e ruotò gli occhi. "Mi inventerò qualcosa".
Ora. L'ultimo problema, e probabilmente il più delicato di tutti. Akane. Cosa sentiva per lei, e che effetto avrebbero avuto i suoi sentimenti sulla già difficile relazione di Ranma e Akane? Voleva a tutti i costi affrontare la questione ora, mentre era sola con Ranko. Sfortunatamente, Ryoga scelse quel momento per capitare là con un carico di legname da carpenteria.
"Uh, Ryoga, cosa stai facendo?", chiese Ranko, e il suo tono indicava che la risposta sarebbe stata utile se non per divertirsi. Ryoga aggrottò la fronte.
"Mi sono stancato di sentire Akane e Ranma litigare, così ho deciso di cominciare a riparare quel buco nella palestra. Il buco che hai fatto tu, potrei aggiungere". Il suo tono era scontroso, ma Nodoka osservò che il ragazzo stava aspettando con attenzione la risposta di Ranko. L'altro sogghignò e saltò giù dalle scale.
"È una buona idea", disse, illuminandosi alla prospettiva di un impegno semplice e manuale. "Ma loro tengono la palestra fuori, non in cucina". Ryoga guardò nella direzione in cui stava andando.
"Era una scorciatoia", disse semplicemente. Ranma ridacchiò, e dopo un momento, con grande stupore di Nodoka, Ryoga si unì a lui. La vista dei due ragazzi che scherzavano insieme la prese totalmente alla sprovvista.
"Non è mai così con Ranma", pensò, confusa. "Perché dovrebbe agire in questo modo con Ranko?". Lui si girò e le lanciò un sorriso.
"Possiamo finire di parlarne più tardi, giusto? Se non vado con lui, finirà a Hokkaido".
"Hokkaido", lo informò Ryoga gravemente, "si dà il caso che sia molto piacevole in questo periodo dell'anno". Rincominciarono entrambi a ridere, e Nodoka sorrise senza volerlo. L'umore di Ranko era migliorato così improvvisamente che non se la sentiva di continuare.
"Molto bene, andate pure, voi due. Prima che Soun si accorga di cosa avete fatto alla sua palestra". I due partirono, con Ranko che apriva la strada. Nodoka scosse gravemente la testa. La chiacchierata era andata come aveva previsto. Aveva saputo che lui avrebbe fatto resistenza prima di parlare a qualcuno dei suoi problemi. Lo aveva saputo perché Ranma avrebbe fatto lo stesso, e loro due erano perfettamente uguali.
Tranne che...
Tranne che per il fatto che non lo erano. Non del tutto. Non era sicura di come definirlo, ma sentiva come se Ranko stesse cambiando, distinguendosi di più da Ranma.
No, forse neanche quello era vero. Era quasi sicura che i due ragazzi fossero stati molto simili una volta, ma la tragedia che era precipitata su Ranko l'aveva cambiato, e lo stava ancora cambiando. Ed essere in quel posto, essere Ranko Saotome anziché Ranma, lo stava cambiando ancora di più. Era ancora molto simile al Ranma che tutti conoscevano, ma più il tempo passava più diventava un individuo distinto, con le sue peculiarità, le sue memorie.
Era inevitabile, suppose lei, e molto probabilmente una buona cosa. Ma avrebbe potuto causare un po' di sorprese ai suoi amici, specialmente alle ragazze che speravano di ottenere Ranma, qualsiasi Ranma, come marito.
Che tu possa vivere tempi interessanti. Non si meravigliava che fosse considerata una maledizione.


Mi alzai dopo aver piantato un chiodo nel bordo inferiore dell'asse, tergendomi la leggera pellicola di sudore dalla fronte. Faceva bene essere al lavoro su qualcosa, senza dover pensare. Il buco che avevo fatto era quasi del tutto coperto, anche se il legno nuovo avrebbe fatto risaltare la toppa sul muro della palestra.
Naturalmente, innumerevoli altre toppe risaltavano per bene. I buchi nel muro non erano un incidente raro da queste parti.
"Ehi, Ranko".
"Sì?".
"Va tutto bene?". Guardai Ryoga. Stava esaminando il suo lavoro, cercando inutilmente di sembrare indifferente. Sorrisi nel constatare quanto lui fosse trasparente. Ryoga non era assolutamente capace di nascondere alcunché.
"Vuoi dire per...", gesticolai con espressività verso il buco ormai quasi riparato. Lui alzò una mano per grattarsi la nuca, ridendo imbarazzato, poi si sistemò nervosamente la fascia tigrata.
"È solo che, beh, dopo quello che ti ha fatto quell'idiota di Ranma...". Sorrisi ancora di più, sentendolo parlare di Ranma in quel modo a me.
"Ryoga, è stata dura anche per lui, sai?", dissi. "Ha incassato tutto quello che è successo, finché non è esploso. Non ce l'ho con lui per averlo detto. Probabilmente io avrei voluto credere la stessa cosa al suo posto". Ryoga sembrò a disagio.
"Dici sul serio?".
"Certo. Ci siamo seduti e abbiamo messo in chiaro le cose, qualcosa che probabilmente avremmo dovuto fare dal principio. Fidati, ora va tutto bene". Lui annuì senza convinzione.
"Beh, Akane era davvero preoccupata per tutta questa faccenda". Rise di nuovo, sembrando ancora più sulle spine. "Anzi, era davvero preoccupata per lui. Sentirlo dire quelle cose l'ha sorpresa. Non credo che le fosse venuto in mente che lui potesse sentirsi colpevole per quello che è successo. Penso che metà del motivo per cui è così emotiva è che ce l'ha con se stessa per non averlo capito". Scossi tristemente la testa.
"Che peccato. E immagino che sia stata dura anche per te. Sentire quanto fosse preoccupata per Ranma, intendo". Ryoga si appoggiò contro il muro e incrociò le braccia, guardando il suolo con uno strano sorrisetto sulle labbra. "Ryoga?".
"A dire il vero, l'ho lasciata perdere". Lo fissai.
"Scusa, cosa hai detto?". Lui ridacchiò, continuando a guardare in basso.
"Mi hai sentito".
"Hai lasciato perdere Akane. Tutto qui". Ora aveva alzato lo sguardo per incontrare il mio. I suoi occhi erano scuri, e sembravano possedere una profondità che non avevo mai notato prima.
"Non è tutto qui, Ranko. Ci pensavo da molto tempo". Girò la testa, e mi chiesi che espressione avesse, cosa stasse vedendo. "Me lo sono portato dietro abbastanza. Un paio di giorni fa, sono saltato su nel bel mezzo di un litigio tra Akane e Ranma e se non fosse stato per te, lei sarebbe morta. E perché? Perché volevo proteggerla, difenderla. Ma lei non me l'ha mai chiesto, e non lo farà mai. È sempre Ranma che guarda quando crede che nessuno stia guardando. È sempre per lui che si preoccupa, sempre con lui che litiga. L'ho dovuto ammettere con me stesso. Se io dovessi morire domani...". Rabbrividii a quelle parole, ma lui non lo notò. "...avrei troppi rimpianti. Non posso confessarle i miei sentimenti, perché so che non farebbe alcuna differenza, eccetto farle provare pietà per me. E non posso continuare a giocare a P-chan solo per poter starle un po' vicino. Non è giusto per lei e per me". Avrei voluto discutere su questo punto, ma qualcosa mi disse di lasciarlo finire. Non credo che lui avrebbe continuato se l'avessi interrotto a quel punto.
"Dopo il nostro scontro, la signora Saotome ci ha fatto un bel discorso sulla responsabilità e la maturità. Bene, per me è tempo di cominciare ad agire un po' più responsabilmente. So meglio di chiunque altro che la sola cosa che tiene davvero separati quei due è tutta la gente che cerca di interferire con le loro vite. Se restassero soli anche solo per un giorno, potrebbero capire quanto tengono l'uno all'altra. Non posso smettere di punto in bianco di provare sentimenti per lei, ma da ora in poi avranno una persona in meno a cercare di dividerli. E forse potrò smettere di farmi del male cercando di ottenere qualcosa che non potrò mai avere. Allora forse lei potrà finalmente essere felice, come merita di essere". Dopo aver finito di parlare rimase fermo, quasi perfettamente immobile.
Ero sbalordito. Non mi ero aspettato niente del genere da Ryoga. Era sempre stato uno che si buttava a testa bassa, senza perdere tempo in queste considerazioni. Naturalmente, non avevo mai passato molto tempo a guardare le cose dal suo punto di vista. Sembrava che l'avessi liquidato un po' troppo in fretta.
Ma allora, il mio Ryoga aveva rinunciato alla sua vita per me. Per noi. Non mi sarei davvero dovuto sorprendere nel trovare un po' di nobiltà nella sua anima.
"Ryoga. Tu sei serio, vero?", scossi al testa, stupefatto. "Mi dispiace. So che non dev'essere stato facile per te. Sono davvero impressionato. Penso che tu abbia fatto la scelta giusta. E so che sei forte abbastanza per tenervi fede". Lui riportò lo sguardo su di me, e la sorpresa era evidente nei suoi occhi.
"Grazie", disse alla fine. "Sai, è strano. Parlare con te è diverso dal parlare con Ranma. È come se voi foste... simili, ma non uguali. Ha qualche senso?".
"Già, beh, anche i fratelli gemelli hanno personalità separate". Gli sorrisi. "Io sarò il gemello buono, e lui può essere quello cattivo". Ryoga sorrise in risposta. "Allora le dirai di... P-chan?". Intense macchie di colore apparvero sulle guance di Ryoga.
"Sei impazzito? Mi ucciderebbe! No, penso che dovremmo lasciare che P-chan si ritiri in pace. Niente più incursioni al letto di Akane". Ridemmo entrambi. Mi aveva fatto impazzire, tutte le volte che avevo trovato quello stupido porcellino nel letto della mia Akane, ma ora non sembrava così terribile. Solo un ricordo sereno di quello che era stato, tanto tempo fa.
Sperai che Ranma si sarebbe dimostrato disposto a perdonare e dimenticare.
"Ragazzi, mi sento meglio", disse Ryoga alla fine, sorpreso. "Sei un buon ascoltatore, Ranko. Avevi l'abitudine di parlare così col tuo Ryoga?".
"Stai scherzando? Le nostre conversazioni andavano più o meno tutte così: ‘RRRRRRRAAAAANMAAAA! PREPARATI A MORIREEEEEEEH!’".
Ryoga sbuffò, cercando di non ridere alla mia accuratissima imitazione.
"Oh, andiamo, Non sono così cattivo!".
"Ah sì? Poi io dicevo qualcosa del tipo, ‘oh, diavolo, cosa vuoi stavolta, P-chaaaaaan?’. E poi cominciavamo a distruggere cose cercando di abbatterci a vicenda". Alla fine scoppiò a ridere, e mi unii a lui.
"Beh, è bello vedere che vi state divertendo", disse una voce. Alzammo gli occhi e vedemmo Ranma e Akane che entravano nella palestra, seguite da Ukyo. Tutti e tre ci guardavano come se fossimo stati pazzi.
"Che succede?", chiese Ranma, confuso. Ryoga mi guardò.
"Rrrrrranmaaaaaa!", ululò. "Preparati a... morireeeeeeeeeeh!".
Entrambi ci mettemmo a ridere più forte.
"Che? Oh, cosa vuoi stavolta?", chiese Ranma. Gli occhi di Ryoga incontrarono i miei per un breve, perfetto momento, ed eravamo già partiti. Stavo ridendo così forte che mi ero dovuto sedere, con le lacrime agli occhi. Ryoga collassò di fianco a me, ridendo almeno altrettanto forte.
"Saotome, bastardo! Mentre noi ti stavamo cercando, tu ti stavi divertendo?". Attraverso le lacrime, vidi Kuno avanzare a grandi passi risoluti dalla porta. "Stolto! Mi hai diviso dalla mia ragazza col codino! Dov'è ella?".
"P-probab'lmente... andata a... Hokkaido", sussultai, cercando di controllare le risate.
"Hokkaido?", chiese, confuso.
"Gran... bel posto... questo periodo... dell'ah-anno", riuscì a dire Ryoga, poi ci perdemmo definitivamente, rotolandoci letteralmente sul pavimento.
"Tu... ti stai facendo gioco di me?", chiese orgogliosamente Kuno. Annuii freneticamente, incapace di parlare. Tutti ci stavano guardando ora, con varie sfumature di meraviglia. Notai che cominciavano ad apparire dei sorrisi, la nostra risata diventava contagiosa.
"Akane", chiese lentamente Ukyo, "hai mai visto Ryoga ridere in quel modo?".
"Uh-uh", disse lei, sorridendo. "Mai".
"Sono circondato da idioti", borbottò Kuno sottovoce. Ranma scosse la testa.
"Andiamo gente, cosa c'è di così divertente?", chiese querulamente.
"Quale che sia ciò che questi due hanno trovato, dovrebbero decisamente dividerlo con noi", annunciò Kodachi, raggiungendo il gruppo crescente. Rimasi sdraiato sul pavimento con Ryoga, cercando di respirare.
Era bello sapere che, dopo tutta l'oscura disperazione che avevo sperimentato quando ero solo, ero ancora capace di ridere. E faceva bene.


Kei diresse il fascio della sua torcia elettrica nelle ombre sopra la sua testa e imprecò. Da qualche parte lì vicino, nello scantinato buio, l'acqua stillava senza sosta, e il suono raccapricciante si riverberava sinistramente nell'oscurità.
"Kei. Kei! Dove diavolo sei?".
"Quassù!", gridò in risposta. Sciabordò in avanti e puntò di nuovo la torcia in alto. "Che diavolo?", mormorò. Sentì qualcuno muoversi nell'acqua, e si voltò per trovare Yusaku che camminava a fatica verso di lui, il fascio di luce della sua torcia saltellava irregolarmente mentre avanzava. Raggiunse Kei, bestemmiando duro.
"Per favore dimmi che hai avuto fortuna", lo pregò. Kei scosse la testa.
"Non ho mai visto niente del genere", sospirò. "Guarda tutte quelle tubature dell'acqua laggiù. Ma perché una dannata scuola ha bisogno di tutti questi condotti supplementari?".
"Forse il preside chiude tutti gli studenti cattivi nei sotterranei e poi li annega", bofonchiò Yusaku. "Ho sentito dire che quel tizio è fuori come un balcone".
"Già, bene, e io ho sentito che è il vicepreside a condurre la baracca, e lui vuole tutto riparato per lunedì mattina perché i corsi possano rincominciare. Dannazione, vorrei solo poter avere un po' di luce quaggiù".
"No problem", borbottò Yusaku. "Andrò a cercare il tipo dell’ENEL e gli farò accendere le prese. Naturalmente, siamo a mollo dentro due piedi d'acqua. Un cavo esposto, e...".
"Oh, sta zitto, asino. Lo so, è solo che è un incubo dover trovare qualcosa qui sotto nel buio!".
"Allora niente fortuna, eh?". Kei scosse la testa.
"Non riesco a trovare la dannata valvola di scarico principale da nessuna parte. I prospetti originali sono inutili, metà di questa roba non è nemmeno segnata. E non possiamo fare niente per le tubature finché non chiudiamo l'acqua. Hai trovato il tecnico responsabile della scuola?".
"Macché. Scommetto che lui sa dov'è la valvola, così naturalmente nessuno riesce a trovarlo. Quel tizio si beccherà una lunga vacanza quando diremo al suo capo di questo casino". Kei annuì, continuando ad avanzare, seguendo il labirinto di tubi sopra la sua testa con il raggio della torcia.
"Ouch!".
"Che c'è?".
"Ouf, sono finito contro qualcosa". Abbassò la luce e vide una catasta di banchi ammucchiati contro il muro. "Amico, finiremo per ammazzarci a forza di girare in tondo nel buio in questo modo!". Sentì Yusaku ridacchiare dietro di lui, e la sua irritazione crebbe. "Non è divertente! Ormai siamo quaggiù da mezza giornata, e non siamo nemmeno riusciti a chiudere il dannato rubinetto!".
"Ok, ok, rilassati. Vado a controllare da questa parte. Deve esserci una valvola principale da qualche parte. Ehi, qualcuno l'ha chiesto al preside?".
"Sembra che nessuno sappia dove sia. Ho sentito che raramente viene qui. Ecco perché è il vicepreside a mandare avanti le cose". Kei sentì Yusaku grugnire, per poi allontanarsi sciabordando attraverso l'acqua. Sospirò e continuò a farsi strada nel buio. Poteva sentire il suono della perdita crescere, e diresse la luce verso la sorgente. Il raggio si riflesse su una cascata d'acqua cristallina che sprizzava allegramente sul suolo inondato. Kei aggrottò la fronte. Quella perdita non era sufficiente a provocare tutta l'acqua che vedeva. Alzò gli occhi nel labirinto di tubature, cercando la sua fonte. Forse, pensò, chiunque ha aggiunto tutti questi condotti ha usato materiale scadente, che si è corroso fino a cedere. Quando la luce trovò la fonte dell'acqua, comunque, capì che non era quella la ragione.
"Maledizione", mormorò. Poteva vedere il metallo brillare alla luce sotto la superficie opaca del tubo. C'erano graffi recenti e segni attorno la falla nella conduttura. Qualcuno aveva deliberatamente inciso il metallo. E apparentemente, non aveva agito da solo.
Vandalismo. Fantastico. Quando avrebbero riferito quel piccolo particolare al vicepreside, sarebbe esploso. Probabilmente avrebbero chiamato gli sbirri. Ci sarebbero state delle indagini.
Fantastico.
"MERDA!". La testa di Kei scattò indietro mentre il grido riecheggiava follemente nell'oscurità del sotterraneo inondato.
"Yusaku! Va tutto bene?". Silenzio. "Ehi, 'Saku, piantala di scherzare, amico! Rispondimi!". Solo l'eco delle sue parole e il gocciolare incessante dell'acqua. Kei fece scattare nervosamente la sua luce. Se Yusaku era andato a sbattere contro qualcosa e aveva battuto la testa, poteva annegare in quel casino.
O se i ragazzi che avevano fatto il danno erano ancora là...
"Dannazione!". Kei cominciò a sguazzare rapidamente verso l'ingresso dove aveva visto il suo collega sparire solo pochi minuti prima. Il buio sembrava premere tutto attorno al sottile cono di luce, e lo faceva rabbrividire. Quel posto poteva sembrare innocuo con tutte le luci accese, ma ora acquistava una dimensione inquietante che risvegliava parti primitive del cervello di Kei.
Nel buio si nascondono cose cattive, Kei, gli disse il suo cervello. Le cose cattive ti aspettano nel buio. Cose molto, molto cattive che non amano la luce.
Francamente, Kei desiderava che il suo dannato cervello se ne stesse zitto.
Alla fine, l’ingresso si aprì di fronte a lui. Percepì piuttosto che vedere un largo spazio attorno a lui, sentì, attraverso l'eco ormai lontana dei suoi movimenti, ancora scorrere dell'acqua.
"Yusaku! Dove sei? Idiota! YUSAKU!". Nessuna risposta. Freneticamente, si lanciò in avanti. Yusaku doveva essere nei guai, pensò. Meglio per lui se è nei guai, perché se mi sta prendendo per il culo, io lo ammazzo.
Poi qualcosa urtò contro la sua gamba e lui si voltò, stupito. La sua luce si mosse intorno, poi puntò l’oggetto che galleggiava nell'acqua disturbando la sua ricerca frenetica. Si abbassò e lo pescò, tenendolo controluce con la mano libera.
Era uno stivale. Lo stivale di Yusaku.
Ed era stranamente pesante. Così Kei guardò dentro.
Il piede di Yusaku era ancora dentro.
Cose cattive, rincominciò il suo cervello con voce petulante. Cose cattive nel buio. Te lo dicevo io.
Lo stivale cadde dalle sue dita intorpidite per piombare rumorosamente nell'acqua. Kei si alzò lentamente, coi sensi che cercavano di penetrare l'oscurità opprimente. Sentiva solo l'eco dell'acqua che scrosciava tutt’intorno sinistramente, mascherando ogni altro suono eccetto il martellare dei suoi battiti nelle orecchie.
"Yusaku?", la voce uscì come uno squittio. Kei rimase immobile nel buio, sentendo il freddo dell'acqua stillare negli stivali.
E aveva paura. Improvvisamente non era più Kei Yashida, comproprietario della sua discretamente avviata compagnia di riparazioni idrauliche, non più.
Era Kei-chan, quattro anni, nascosto nel letto con le coperte alzate, impaurito dalle cose cattive.
Non c'è niente nel buio che non c'è nella luce, dicevano sempre i suoi genitori. Ma non avevano ragione. C'era qualcosa ora. Là nel buio con lui. E mamma e papà non potevano cacciarla via, oh no.
Aveva bisogno di fare pipì. Aveva bisogno di vedere il sole. Aveva bisogno di usciiiiiiiiiiiire. ORA.
Si voltò, cercando l'apertura della porta, ma trovò solo carne screziata di verde. Ansimò, con il cuore che ora batteva a tamburo, mentre la luce sembrava salire da sola. Su e su finché non trovò una testa, piena di denti e ardenti occhi rossi.
Kei sentì gli intestini cedere, sentì il calore che si diffondeva nei pantaloni, e frignò. Kei l'idraulico era scomparso. Restava solo Kei-chan.
E allora strillò.
"COSE CATTIVE! COSE CATTIVE! COSE CATTIIIIIIIIVE!". Una grossa mano artigliata si alzò e lo afferrò alla testa, alzandolo senza sforzo.
"COSE CATTIVE", concordò una voce piena di rottami di ferro arrugginiti. Poi cominciò a farlo vorticare intorno tenendolo per la testa. E si mise a cantare. "COSE CATTIVE, COSE CATTIVE, COSE COSE COSE CATTIIIIIVE...".
L'ultima sensazione di Kei fu quella di un dolore accecante mentre il suo corpo veniva sbattuto contro qualcosa di solido, e poi, misericordiosamente, tutto cessò.


Ukyo camminava per la strada, cercando di controllare le pulsazioni a mille. Era stato deciso che la cena si sarebbe consumata fuori, dato il bel tempo. Kasumi, Shampoo e Kodachi erano tutte impegnate a cucinare. Ryoga e Mousse stavano aiutando Ranma a finire di riparare il muro della palestra. Akane era stata assegnata alla preparazione dell'area picnic, la soluzione migliore per tenerla lontana dalla preparazione del cibo. Kuno aveva fatto l'errore di lanciarsi su Akane con l'espressa intenzione di proteggerla dal "malvagio" Saotome, e per il suo disturbo era stato scagliato nel laghetto. Si stava asciugando pacificamente sotto un albero, o almeno finché non avesse ripreso i sensi.
E così, nella confusione, lei aveva detto a Kasumi che sarebbe andata al suo ristorante per prendere delle altre fettuccine di soia, ignorando la replica confusa della ragazza che non avevano bisogno di altre fettuccine. Dopo tutto, non era quello il vero obbiettivo del viaggio.
Aveva fatto in modo che Ko-chan andasse con lei.
C'era voluta un po' di abilità per assicurarsi che nessuno degli altri capisse cosa stasse succedendo, e sapeva che avrebbe dovuto fare i conti con Shampoo e Kodachi quando l'avrebbero scoperto. Ma quello, in fin dei conti, era un problema che poteva risolvere. Per ora, aveva Ko-chan tutto per lei.
Il problema con Ranma era che lei era arrivata troppo tardi. Al momento della sua entrata in scena, Akane era già là. Non aveva intenzione di lasciare che capitasse ancora.
Lanciò un'occhiata a Ko-chan dalla coda dell'occhio. Il suo bel profilo le fece accelerare di nuovo i battiti. Sembrava proprio uguale a Ran-chan, era proprio come lui, infatti, con un’importante differenza.
Non aveva fidanzate. Tecnicamente.
Sentì un'ondata di colpa a quel pensiero, e la seppellì con rabbia. Dopo tutto, non era colpa sua che fossero tutte morte. Ma lo erano, e lui aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse a superare gli strascichi del trauma. Ukyo intendeva essere quel qualcuno. Lei lo avrebbe amato e sorretto incondizionatamente, e lui avrebbe finito col ricambiare il suo amore, e tutti sarebbero stati felici.
Beh, tutti tranne Shampoo e Kodachi, ma non poteva farci niente. In amore e in guerra tutto è concesso, dopotutto.
Ukyo sorrise e respirò profondamente. Amava la primavera, quando i boccioli di ciliegio erano in fiore. Era la sua stagione preferita. E ora stava camminando con l'amore della sua vita, condividendo quel momento.
Ma è Ranma l'amore della tua vita, obiettò parte di lei. Ranko non è Ranma. Non proprio.
Dannazione, pensò con rabbia. Non è diverso, non nel senso che conta! Non rovinerò questa opportunità, potrebbe essere l'ultima!
Tornò a guardarlo, pensando a quello che era successo prima nella palestra.
"Ko-chan?".
"Hmmm?", lui sbatté le palpebre e alzò gli occhi su di lei, sorridendo in quel modo che le faceva tremare le gambe.
"Va tutto bene? Voglio dire, tra te e Ranma. Dopo quello che è successo...".
"È stata una bella toccata e fuga, ma ci siamo chiariti ora. Non ti preoccupare, andrà tutto a meraviglia".
"Dove siete andati? Ho guardato ovunque sono riuscita a pensare, anche sotto al ponte dove vai ogni tanto...".
"Oh, da nessuna parte. Abbiamo trovato un posto tranquillo, e abbiamo parlato... del perché si sentiva colpevole, e del perché non doveva. È per quel motivo che ha detto quelle cose, sai. Tutta la situazione è strana, anche per questo gruppo. Immagino che avessimo bisogno di mettere le cose in chiaro tra di noi".
Ukyo pensò allo sguardo di Ko-chan quando Ranma aveva gridato che lui non avrebbe lasciato morire i suoi amici. Le aveva spezzato il cuore vedere la luce scomparire dai suoi occhi, ma era stato peggio il momento di dubbio che vi aveva visto. Era sicura che, solo per un attimo forse, Ranko si fosse chiesto se Ranma non avesse ragione.
Beh, non ne aveva assolutamente. Ranma era Ranma, a prescindere dall'universo di provenienza, e l'uomo che amava non avrebbe lasciato nulla di intentato per salvare i suoi amici. Lei non ne aveva il benché minimo dubbio. E sarebbe stata al suo fianco per dirglielo ogni volta che ne avesse avuto bisogno.
Alzò un braccio e sciolse il fiocco che le stringeva i capelli sulla nuca. Togliendolo, scosse la testa e tuffò le dita nei suoi lunghi capelli castani, lasciandoli scorrere nel vento crescente. Inclinò timidamente la testa e cercò di sbirciare se Ranko lo avesse notato. Era così. Stava facendo un sorrisetto per dirle che non gli era sfuggito il fatto che lei si stava pavoneggiando un po' a suo beneficio.
Oh, bene. Lei voleva che lui lo sapesse, dopo tutto. Sapeva di essere uno spettacolo singolare nei suoi vestiti da ragazzo con il colletto aperto e i capelli che ondeggiavano al vento. Per non menzionare la maxi spatola legata dietro la schiena. Ma stare con Ranma la faceva sempre sentire bella, e stare con Ranko era la stessa cosa. Intravide il suo ristorante e soppresse un sorriso malizioso.
"Ehi, Ko-chan".
"Hmmm?".
"Corri". E partì, scattando a tutta velocità verso il locale, ridendo fieramente alle proteste oltraggiate di Ranko. Poteva sentirlo divorare la strada dietro di lei mentre correva lungo il marciapiede, scartando i passanti sbalorditi. Sapeva che il suo avversario era veloce, ma anche lei lo era, e la sua partenza le dava un vantaggio decisivo. Eppure, raggiunse il portone solo un mezzo secondo prima di Ranko.
Incespicarono entrambi fino a fermarsi, ansimando per lo scatto, e caddero contro il muro riscaldato dal sole. Ukyo scostò i capelli dal volto e sogghignò insolente al suo avversario.
"Battuto", ansimò. Lui le fece una smorfia sarcastica.
"Hai barato", soffiò. Lei si limitò a mostrargli la lingua, poi pescò le chiavi da una tasca e aprì il portone. Entrarono. Ukyo si diresse verso le scale.
"Fai come se fossi a casa tua", disse da sopra la spalla. "Io vado a cambiarmi". Una volta di sopra, entrò in camera sua e si liberò dell'uniforme. Essere così scarsamente vestita con Ranko appena giù dalle scale le dava un brivido delizioso. Buttò il vestito sul letto che aveva lasciato sfatto quella mattina dopo aver comprato le informazioni di Nabiki, e cominciò a frugare nell'armadio.
Nabiki. Ricordarsi di fare quattro chiacchiere con quella ragazza. Informazioni esclusive, davvero. Eppure, non riusciva ad arrabbiarsi troppo. Tutto sembrava andare per il meglio, dopo tutto. Dopo essersi tormentata sul cosa mettersi, si decise finalmente per un paio di jeans stinti e una T-shirt con una felpa verde chiaro leggermente fuori taglia. Arrotolò le maniche e raccolse i capelli in una coda di cavallo, poi si voltò da una parte e dall'altra, guardandosi criticamente nello specchio. Un lento sorriso le crebbe sul volto.
"Perfetto", sussurrò. Non vistoso, ma decisamente invitante. Vediamo come resiste a questo, pensò.
Al piano di sotto, trovò Ranko seduto su uno dei suoi sgabelli, che tamburellava distrattamente le dita sul bancone lasciando vagare lo sguardo. Si chiese, in un attimo di empatia, a cosa stesse pensando. Pensieri gravi, senza dubbio. Bene, lo avrebbe tirato su lei. Scivolò dietro di lui, e premendosi all'improvviso contro la sua schiena gli coprì gli occhi con le mani.
"Indovina chi è", gli sussurrò nell'orecchio. Lui si irrigidì per un attimo, poi si rilassò con un sospiro.
"Beh, visto che qui dentro ci siamo solo noi due, e non sono io...".
"Oh, uffa", disse lei, "non sei divertente". Lo lasciò andare con riluttanza, respirando il profumo dei suoi capelli e della sua pelle. Era così intimo, essere sola nel ristorante con lui. Si chinò dietro al bancone canticchiando allegramente.
"Che stai facendo?".
"Prendo le fettuccine, ricordi?". Lui la fissò, e il suo sorriso stonava orribilmente con la pena nei suoi occhi.
"Ukyo. Sai perfettamente che Kasumi non ha bisogno di altre fettuccine". Il suo cuore balzò dolorosamente. Ukyo. Non Ucchan. E lo sguardo nei suoi occhi...
"E allora perché sei venuto con me?", chiese, cercando di mantenere la voce allegra, guardandolo oltre il bancone. È vero, pensò mentre si appoggiava sulle mani per guardarlo negli occhi, se lui sapeva che era tutta una scusa per restare sola con lui, perché è venuto? A meno che non volesse restare solo con me...
"Volevo parlarti a quattr'occhi. Dopo tutto, sembra che questa sia la mia giornata per le conversazioni col cuore in mano". Lei non capiva di cosa stesse parlando, e improvvisamente desiderò che lui non continuasse. I suoi occhi erano pozzi senza fondo di dolore, eppure contenevano una determinazione che la spaventava. Qualunque cosa stesse per dirle, non voleva ascoltarla.
"Ti prego, non guardarmi così.". Si sorprese nel capire che l'aveva detto ad alta voce. Ranko rabbrividì colpevolmente, ma non distolse lo sguardo.
"Ukyo...".
"Chiamami Ucchan. Per favore". Il nudo bisogno nella sua voce la spaventò. Il locale non sembrava più intimo, sembrava vuoto e freddo. Tutto era cambiato, così in fretta.
Non mi può rifiutare, pensò disperatamente. Anche lui, no.
"Lei era la mia Ucchan", rispose lui, reggendo il suo sguardo. "Per il resto di questa conversazione, penso che sia importante ricordare che noi ci siamo incontrati solo oggi. Io sono Ranko e tu sei Ukyo. Non sto cercando di ferirti, Ukyo, ma dobbiamo parlare, e possiamo benissimo farlo ora. Dopo tutto, tu ami Ranma, non me".
"Non è vero! Tutto ciò che amo di lui è in te! Posso vederlo, posso sentirlo, il tuo cuore è come il suo! Tutto quello che conta è identico!". Si sporse verso di lui, cercando di imprimere più forza nelle sue parole, cercando di fargli capire i suoi sentimenti. Lui sospirò.
"Senti, Ukyo, eravamo quasi identici all'inizio, credo, ma ora non più. Ciò che ti capita cambia quello che sei, e mi sono capitate cose piuttosto sgradevoli che non lo hanno toccato. Diventiamo più diversi ogni giorno che passa, e io non ho idea di come sarò alla fine. Ma non ci sono garanzie che sarò come Ranma. Mi capisci?".
"E va bene! Io voglio essere là con te, Ranko, a tutti i costi!." Lui scosse con rabbia il capo.
"Dannazione, Ukyo, ascoltami! Ho appena perso la donna che amavo e tutto ciò che avevo! Vuoi davvero essere al secondo posto nel mio cuore dopo i fantasmi del mio passato? Vuoi davvero essere la ragazza che ho scelto solo perché non potevo avere ciò che volevo? Lo vuoi sul serio?". Ukyo lo guardò, con i pugni stretti, e disse la verità che aveva dentro.
"Io sarei quella ragazza. Per te, lo sarei. Mi basterebbe". Lo sussurrò, ma Ranko sobbalzò come se lei gli avesse urlato quelle parole in faccia. Sbatté rapidamente le palpebre, mentre un brivido lo attraversava.
"Oh, no", bisbigliò. "Per favore, Ukyo, no. Non dirlo. Non... accidenti! Come puoi dire una cosa del genere? Come potresti piegarti così? Ukyo", la scongiurò, "tu meriti molto più di questo. Meriti di essere la prima nel cuore di un uomo, meriti qualcuno che pensi solo a te, alla tua felicità. Ti prego non farlo. Sei carina, e intelligente, e simpatica... perché vuoi che ti faccia questo? Perché?".
Lei si limitò a guardarlo, sperando, desiderando che le arrivassero le parole, parole che gli avrebbero fatto cambiare idea, fatto sì che la amasse.
"Perché", disse, cercando di ignorare il nodo in gola, il bruciore agli occhi, "ci sei solo tu dentro di me. Ci sei sempre stato tu. Ti ho odiato, poi ti ho amato, ma ci sei sempre stato solo tu. Ranko o Ranma, non importa. Solo il tuo volto, la tua anima. Solo tu".
"Non posso ricambiarti", mormorò lui, e lei chinò la testa così non avrebbe visto se le fossero scappate le lacrime. Perché lo aveva temuto, temuto per tanto tempo, e non aveva voluto arrendersi.
"Per lei", sussurrò amaramente. Lui non disse niente, e lei fissò la superficie del bancone attraverso il velo delle lacrime. "Lo so. Oh, lo so. Dopo che tu hai salvato Akane e sei scappato l'altro giorno, l'ho visto. Lui l'ha portata fino a casa, e il modo in cui la guardava... lei era rannicchiata tra le sue braccia, si fidava totalmente di lui. E lui continuava a guardarla con quello sguardo che...". Si fermò, deglutendo. "Sapevo che non mi avrebbe mai guardato in quel modo. Mai. Credo che non si sia neanche ricordato che fossi là. Aveva occhi solo per lei. Alla fine ho sentito che non c'era speranza, che non si sarebbe mai voltato verso di me.
"Ma poi, sei arrivato tu. Ed era come se io avessi una seconda possibilità. Proprio quando avevo finalmente cominciato a credere che non avrei mai potuto avere Ranma, tu sei arrivato. E ora tu vuoi che io mi... ARRENDA?". Scosse la testa, facendo sbattere freneticamente la coda di cavallo contro la guancia. "No. Non lo farò. Non chiedermelo, perché non lo farò". Sentiva le lacrime scorrerle lungo il viso, e si chiese come avesse potuto cadere da una tale gioia solo pochi minuti prima a una tale tristezza. Lo sentì spostarsi sullo sgabello, e soffocò un singhiozzo angosciato. Non lo farò, si ripeté in silenzio. Mai.
"Ucchan", disse piano Ranko. Usando il nome che solo lui usava con lei. La sua voce, così dolce, non voleva più causarle altro dolore. "Non vuoi qualcuno che ti guardi come Ranma guardava Akane? Non è quello che vuoi davvero? Ucchan, io non sarei mai capace di farlo. Anche se potessi innamorarmi di nuovo, e adesso non credo che sia possibile... Ucchan, i miei ricordi di lei si frapporrebbero tra di noi. Non può succedere. Lascia perdere. Per favore".
"No". Ukyo alzò gli occhi, luccicanti di lacrime. "Io farei qualsiasi cosa per te. Ma non questo. Non mi arrenderò". Lui chiuse gli occhi.
"Dannazione, Ucchan, ti causerò dolore solo facendomi vedere, e non è quello che volevo. Io volevo farla finita una volta per tutte, chiarire le cose ora così da non causare false speranze".
"E sei stato chiaro, Ko-chan". Disse lei con durezza, sfregandosi rabbiosamente il polso sul volto per asciugare il grosso delle lacrime. "I sentimenti che proverò non saranno colpa tua. Mi hai avvisato. Ok?". Lo fissò, sperando che capisse. Lui ricambiò lo sguardo, con un'aria svuotata e ferita, senza sapere cos'altro dire. Restarono là, faccia a faccia, per un'eternità.
"Tutta la logica e il buon senso del mondo", disse lei alla fine, a voce bassissima, "non possono cambiare l'amore. Il mio cuore ignora la tua logica, Ko-chan. Vi ama e basta. Entrambi". Ranko rimase immobile, col dolore scavato nei lineamenti del volto che lei amava, e non disse niente. Aveva detto tutto quello che poteva dire, dopo tutto, e lei si era rifiutata di ascoltare. Allora si allontanò dal bancone, sfregandosi vigorosamente gli occhi con i palmi delle mani.
"Beh, farò meglio a portare quelle fettuccine. Dopo tutto, che figura chi faccio se torno a mani nude?". Ukyo si girò e andò nel retro, cercando di inghiottire il nodo nella gola. Mentre usciva, sentì Ranko sussurrare qualcosa.
"Mi dispiace". Non sapeva se fosse indirizzato a lei o no, ma non importava granché. Non aveva bisogno di scusarsi con lei.
Era una tale idiota, non riusciva nemmeno a odiarlo per il suo rifiuto.


Akane stava cominciando a perdere la staffe. Di nuovo. Apparentemente Ukyo e Ranko erano entrambi spariti, e quel fatto era appena stato portato all'attenzione di Shampoo e Kodachi. Già era abbastanza brutto che loro trattassero Ranma come una specie di trofeo da vincere, ma ora stavano facendo lo stesso con Ranko. E non è che lui non avesse altri problemi cui pensare.
Stava cercando vanamente di contenere le due fidanzate ingannate, mentre si scagliavano l’una contro l'altra e contro l'assente Ukyo, agitando attrezzi da cucina affilati e potenzialmente letali in modo pericoloso. Il suo umore stava raggiungendo il punto di ebollizione, ed era altamente possibile che la cucina di Kasumi non sopravvivesse all'ira di tre artiste marziali infuriate.
Onestamente, pensò, che cosa pensava di fare Ukyo?
La risposta, ovviamente, era tristemente scontata. Era partita in testa alla lotteria per il matrimonio di Ranma Saotome. Akane aveva pensato che almeno Ukyo sarebbe stata più circospetta verso qualcuno che era ancora in lutto per la sua famiglia e i suoi amici.
Apparentemente aveva sopravvalutato miss Kuonji. Male.
"Sentite, voi due...", ritentò. Kodachi e Shampoo la ignorarono, e si fecero più vicine al limite di venire alle mani. E la cena non sarebbe di certo sopravvissuta a questo. Il fatto di essere stata subdolamente tenuta lontana dai preparativi della cena non era sfuggito alla sua attenzione, né le aveva alzato il morale. Strinse i pugni e tentò una volta ancora.
"EHI, VOLETE...". Cominciò. Poi Ukyo entrò nella cucina e tutte e tre piombarono nel silenzio. Si voltarono come una sola ragazza, al limite estremo della furia, pronte a scoppiare per qualunque motivo. Qualunque cosa.
E come una sola ragazza, si immobilizzarono, sconvolte.
Ukyo si era cambiata, e sembrava molto più femminile rispetto a prima. In mano teneva una confezione di pastina di soia. Avanzò con calma verso i fornelli, impassibile. Il suo corpo irraggiava una tristezza a stento contenuta, un'emozione che prescindeva dalle normali forme di comunicazione e parlava direttamente alla parte animale del cervello.
Ukyo era stata con Ranko. Ma Ukyo non era felice.
Ukyo non stava gongolando. Ukyo non si stava dando delle arie.
Ukyo stava soffrendo. E molto.
"Oh", disse calma, "vedo che non abbiamo bisogno di altre fettuccine dopo tutto. Che sciocca". La sua voce era bassa e inespressiva. Lasciò cadere la pastina sul ripiano e passò rasente alle ragazze impietrite. "Immagino che andrò di sopra a lavarmi, allora". Uscì dalla cucina senza aver guardato nessuna di loro negli occhi. Shampoo sembrava sconvolta e anche Kodachi, solitamente non una delle più empatiche del gruppo, apparve a disagio.
"Che cosa aveva?", chiese, senza traccia del suo solito tono di superiorità. Shampoo scosse la testa. Sembravano entrambe aver dimenticato il motivo della loro contesa. Akane si riscosse e corse fuori dalla cucina, sperando che la situazione là dentro restasse sotto controllo. Sembrava esserci un problema più grande da affrontare.
Intercettò Ukyo vicino alle scale, e rimase colpita da quanto la ragazza sembrasse scoraggiata. Si era comportata in modo strano di recente, ma quello... cosa poteva essere successo?
"Ukyo, cosa c'è che non va? Stai bene?". Lei sobbalzò leggermente al suono della voce di Akane e si girò per affrontarla.
"Sicuro, Akane, va tutto a meraviglia". Poi rimase là, fissandola in un modo che la mise decisamente a disagio.
"Bene, ehm... eri con Ranko?". Ukyo la fissò un altro po', poi annuì leggermente. Akane cominciava a non capire più niente del comportamento dell'altra ragazza. "E allora che è successo...?".
"Akane". La voce di Ukyo non era più inespressiva. Ora conteneva una percepibile vena di amarezza. "So che entrambi vogliono te, ma affronta la realtà. Puoi avere solo uno di loro, e io intendo essere qui per l'altro, non importa quale. Dovrà dimenticarti. Col tempo. È inevitabile". Poi si girò e salì le scale, lasciandosi dietro una sbalordita Akane.
"U-Ukyo", sussurrò. Rimase piantata sul posto, con il volto in fiamme. Entrambi vogliono me? Posso averne solo uno? Ma che diavolo le aveva detto Ranko? Quei pensieri cominciarono a riecheggiare follemente dentro alla sua testa finché non dovette riscuotersi.
Ranko. Doveva trovarlo, chiedergli cosa era successo. Si girò e corse verso l'ingresso, incontrando una perplessa Kasumi.
"C'è uno strano silenzio in cucina", disse con cautela mentre Akane la superava.
"Goditelo finché dura", rispose la sorella passando.

Si diresse verso la palestra, interrogandosi sugli strani eventi di quel giorno. Si era arrabbiata con Ranma quando lui e Ranko erano tornati. Perché aveva detto quelle cose orribili a Ranko. Perché si era sentito colpevole, quando lei aveva pensato che fosse meschino. Perché non le aveva voluto dire cosa fosse successo.
"Ci siamo chiariti", era stato tutto quello che aveva continuato a dire, il che l'aveva fatta arrabbiare ancora di più. E il fatto che Ranko non fosse in collera la irritava addirittura maggiormente. Che diavolo potevano essersi detti? Come potevano non essere ancora infuriati?
Qualsiasi cosa era successa, era chiaro che non avevano avuto bisogno del suo aiuto. Soppresse una fitta di gelosia al pensiero di ciò che le aveva detto Ukyo.
"So che entrambi vogliono te", aveva detto. E che cosa significava?
Stava per voltare l'angolo della casa quando intravide Ranko e Ranma che si accovacciavano dietro la palestra. Sogghignò. Non stavolta, ragazzi, pensò. Non rimarrò ancora nell'ombra. Scivolò silenziosamente dietro l'angolo, avvicinandosi finché non riuscì a sentirli abbastanza chiaramente.
"Allora è ancora arrabbiata?", chiese uno dei due.
"Già, vuole sapere cos'è successo dopo che abbiamo lasciato la palestra stamattina". Ah. Quello doveva essere Ranma. Aspetta un momento, stavano parlando di lei?
"Dalle un po' di tempo per superarlo", lo consigliò Ranko. "Dev'essere stata dura anche per lei, sai".
"Lo so, è solo che non si fida mai di me! Se solo mi desse una possibilità di spiegarmi...".
"Voi due vi spiegherete. Ho fede".
"Bene, con te sono uno". Entrambi risero con disinvoltura, mentre Akane bolliva a fuoco lento. Ridete di me, voi due? Bene, vedremo chi riderà per ultimo. Strinse i denti e aspettò di sentire di più.
"E allora, dove sei stato? Ti sei perso Ryoga e Mousse che si sfidavano a Carpenteria Marziale. Siamo fortunati che non abbiano demolito tutta la palestra!".
"Io, uh, io ho lasciato che Ukyo mi attirasse nel suo ristorante", disse Ranko alla fine.
"Cosa? E perché?".
"Perché volevo parlarle da solo". Rimasero in silenzio per un momento, e Akane drizzò le orecchie. Proprio quello che voleva sentire. Si sentiva in colpa a origliare, naturalmente, ma dopo tutto, nessuno le stava dicendo niente. E non si sentiva abbastanza in colpa per fermarsi...
"Oh", disse Ranma alla fine, "quel genere di chiacchierata".
"Già. Pensavo di aver imparato qualche lezione dalla mia vita e volevo bloccare il problema prima che crescesse. E tutto quello che ho fatto è stato peggiorare le cose".
"Allora non è andata molto bene", disse Ranma con comprensione.
Ranko sospirò.
"È un bell'eufemismo. In pratica, si è offerta di rinunciare a tutta la sua dignità e di aspettarmi per sempre, facendo da riserva al ricordo di una ragazza morta, anche se le ho detto chiaro e tondo che non potevo amarla come lei avrebbe voluto".
"Oh, accidenti. È stata... dura?".
"Uh, uh. Si è convinta che tu e Akane siate sul punto di dichiararvi i vostri veri sentimenti, e che una volta sposati, mi dovrò rivolgere a lei per avere conforto".
"Io e... ha detto questo?"
"Beh", sospirò Ranko, "lei sembra pensare che le sue chances con te siano ormai praticamente inesistenti. Io sono un dono del cielo". La sua voce divenne amara. "I miei sentimenti non sembrano importare granché."
"Diavolo, amico, mi dispiace", disse Ranma dopo un silenzio sconfortato. "È solo che non sembra davvero di sentire Ucchan. Di solito lei è molto più rispettosa degli altri".
"Già, beh, immagino di averle tirato fuori il peggio di sé. Ora nemmeno mi guarda più, se ne sta sola con questo sguardo come se le dispiacesse di farsi scuoiare da me o qualcosa del genere. E devo ancora parlare con Shampoo e Kodachi! Davvero una giornata perfetta".
"Mi dispiace per tutto questo", disse Ranma contrito. Il cuore già martellante di Akane accelerò i battiti. Stava per ascoltare quello che si erano detti dopo aver lasciato la palestra? Si avvicinò ancora di più all'angolo, osando a malapena respirare.
"Ehi, non te l'ho ancora detto. Vediamo, finora oggi ho fatto piangere Nabiki, ho fatto arrabbiare Kasumi, ho avuto quella chiacchierata con te, ho scoperto che tua madre vuole che io veda uno strizzacervelli, ho avuto una discussione frontale con Nabiki, e in qualche modo sono riuscito a spezzare il cuore a Ucchan senza peraltro convincerla a lasciarmi perdere. Aspetta, so che sto dimenticando qualcosa. Ah già. Ryoga mi ha detto che rinuncia per sempre ad Akane. Direi che puoi aggiungerlo alla lista delle persone convinte che tu e lei siate destinati a mettervi insieme".
"Stai scherzando?".
"Per cosa?".
"Per tutto! Ma... Ryoga, per cominciare. Davvero ha rinunciato ad Akane? Ragazzi, l'ha presa male! Sei sicuro...?".
"Eccome. Era davvero convinto. Qualunque cosa vi abbia detto tua madre dopo il vostro duello deve averlo impressionato di sicuro".
"Non può essere stato solo quello?!".
"Ranma, pensaci bene. Le cose non possono continuare come sono ora indefinitamente. Tutto cambia, presto o tardi. Diavolo, ho visto innescarsi cambiamenti da quando sono qui che non avrei mai pensato di vedere. Sembra che io stia devastando le relazioni".
"Andiamo, non è tutta colpa tua...", rispose l'altro. Akane sentì le loro voci affievolirsi mentre si allontanavano. Fortunatamente, si diressero all'angolo opposto al suo, perché non sarebbe mai stata capace di evitare di essere scoperta. Rimase immobile dov'era, con gli occhi sbarrati dalla sorpresa.
Nabiki che... piange? Kasumi ARRABBIATA? Come... cosa...
"Ryoga?", sussurrò. Ryoga era... innamorato di lei?
No. Quello non poteva essere vero. Ma...
Ma dava senso a così tante cose. La costante rivalità tra lui e Ranma. O il modo in cui sembrava andare in palla quando lei era attorno. Ma perché non l'aveva visto? Come poteva non averlo saputo?
Si lasciò cadere contro il muro, mentre la brezza giocava come un gattino con l'orlo della sua gonna. Si strofinò gli occhi con aria assente. Era tutto così strano, così improvviso.
Sospirò. Povero Ryoga. Tutte le volte che era stata carina con lui, l'aveva interpretato come interesse? Aveva sofferto in silenzio tutte le volte che erano rimasti da soli, desiderando dirle cosa sentiva? Eppure non aveva mai...
Si rabbuiò. E aveva rinunciato a lei. Poteva immaginare il perché. Anche Ukyo sembrava credere che lei e Ranma stessero per mettersi insieme, da quello che aveva capito. Tutti sembravano pensarlo, accettandolo o no, ma nessuno aveva consultato lei. Ranma era stato così dolce l'altro giorno, ma da allora le cose si erano complicate di nuovo. Sembrava che loro due non fossero mai capaci di parlare di quello che c'era tra di loro, e ciò stava rovinando le loro vite. E le vite di tutti gli altri.
Bene. Che gli altri pensassero quello che volevano. Lei non si sarebbe lasciata manovrare solo per rendere più semplici le vite altrui.
Si allontanò dal muro, poi si fermò incerta.
"So che entrambi vogliono te", aveva detto Ukyo. Aveva ragione? Ranko era innamorato di lei? E Ranma? Sospirò tristemente. Ranko aveva davvero detto a Ukyo che non poteva amarla per causa sua? O intendeva la sua Akane? Ma se lui amava la sua Akane, significava che Ranma amava lei? E che fare se lui la amava e Ranma no?
Doveva sistemare la faccenda una volte per tutte, capì.
Doveva cominciare a prendere il controllo di una vita sempre più caotica. Era stanca di non sapere da che parte stare, così dannatamente stanca. Aveva bisogno di mettere fine a tutto questo. Se avesse aspettato che Ranma facesse la prima mossa, non si sarebbe mai risolto niente.
Si allontanò dalla palestra, scuotendo la testa. Due Ranma. Ryoga innamorato di lei. Nabiki che piange! Kasumi arrabbiata?
Akane si sentiva come se qualcuno avesse preso il suo mondo, l'avesse capovolto, e poi scosso vigorosamente.
Cominciava a farle venire il mal di testa.


Quella sera la cena si rivelò un affare più teso del solito. La maggior parte della tensione, comunque, covava sotto la superficie, creando pericolose correnti incrociate che aspettavano solo di risucchiare gli incauti in uno sguardo offeso o un silenzio gelido. Naturalmente, c'era ancora un bel po' del vecchio e sfacciato casino che caratterizzava ogni pasto a casa Tendo.
Sedevamo tutti sopra un vecchio plaid nella calda luce del pomeriggio morente. Era stato preparato un bel po' di cibo, e le pile di piatti formavano un cerchio dentro cui sedevamo. C'erano un sacco di movimenti in avanti e indietro, e attività frenetiche e conversazioni vuote per distrarre gli incauti. Mi chiesi se fossi il solo pienamente consapevole di tutta la tensione nascosta che sedeva alla nostra tavola.
Considerando tutto quello che era successo quel giorno, immaginai che fosse altamente improbabile.
"Lanko! Plova un po' del mio cibo, dai!". La vivace ragazza amazzone mi presentò davanti un piatto fumante. L'aspetto era buono e il profumo migliore, ma prima che potessi dire qualcosa, venni rudemente smosso da un'altra.
"Oh, Ranko caro, non perderti in futilità con quella mocciosa! Questo cibo è stato preparato con l'amore dell'animo di una fanciulla!", disse Kodachi con fare seducente.
"E qualche genere di pozione", dissi, annusandolo con cautela.
Kodachi accusò il colpo e fece uno sguardo sorpreso mentre Shampoo la fissava.
"Oh cielo, come ha fatto a entrarci?", chiese con innocenza. Shampoo si sporse oltre me.
"Che schelzo è questo, stupida fiocchettona? Vattene! C'elo plima io!".
"Uh, signore...", dissi debolmente. Kodachi raggiunse Shampoo nello spazio aereo davanti a me, e i loro sguardi si incontrarono pericolosamente.
"Perché non vai dal tuo fidanzato, ragazzina, e lasci Ranko a me?", soffiò. Shampoo spostò all'indietro la mano che portava il piatto e si preparò a scagliarle un colpo in piena faccia. Kodachi alzò il suo in posizione di guardia.
"Signore!", protestai. Servì a poco. Fettuccine, cetrioli e pezzetti di pesce cominciarono a volare da tutte le parti mentre le due si affrontavano. Beh, pensai, almeno non stanno usando armi vere.
Per ora.
Mentre la cena andava lentamente avanti, sorvegliai di nascosto il resto del gruppo. Akane sembrava ancora arrabbiata con Ranma, visto che lo stava ignorando per quanto possibile, aumentando l'irritazione di lui. D'altra parte, stava tenendo d'occhio Ryoga, cosa che mi sembrava strana. Lui, naturalmente, tenendo fede alla promessa di abbandonarla cercava di evitare di guardarla, il che non migliorava per niente il suo umore.
Ukyo, che in condizioni normali si sarebbe messa a bisticciare per l'attenzione di Ranma (o, più di recente, per la mia), era stranamente riservata. Ricordai il suo voto di non arrendersi, nonostante quello che le avevo detto, e mi chiesi cosa stesse facendo. Il suo recente comportamento non era davvero da lei. Anche Ranma notò il suo atteggiamento, e sapeva cos'era successo tra noi prima. Non sembrava sapere cosa fare, comunque, e finì per guardarla e basta. Quando non stava guardando Akane.
Mousse, stranamente, sembrava aver notato anche lui lo stato della ragazza. E ancora più stranamente, dedicava una discreta percentuale di tempo nel tenerla sotto osservazione, e se non l'avessi conosciuto meglio, avrei detto che avesse un'espressione preoccupata.
Certo, essendo così distratto, trascurava di girare intorno a Shampoo nel modo in cui faceva di solito quando lei prestava attenzione al suo rivale. E con mio grande sbalordimento, lei non solo cominciò a notare la sua disattenzione, ma sembrò aversene a male. Prese a lanciargli occhiate quando pensava che nessuno la stesse guardando e, per una volta, non lo trovò a ricambiare il suo sguardo.
Questo evidentemente non la bendispose. Alla fine ruppe le ostilità culinarie con Kodachi e si lanciò al fianco di Ranma, dove iniziò a strofinarsi, facendo le fusa come un gattino, e si offrì di imboccarlo. Ranma, che stava facendo un lavoro più che discreto da solo, passò diverse tonalità crescenti di porpora, balbettò, agitò le braccia, e cercò freneticamente la reazione di Akane. Lei si limitò a voltare la testa e gli diede la schiena.
Naturalmente, questo lasciò libera Kodachi di dedicare la sua piena attenzione a me. Ruotai gli occhi e giurai a me stesso che non avrei mangiato niente che lei non avesse assaggiato prima. Intravidi Kuno, che teneva il broncio all'estremità più lontana della coperta perché la sua ragazza col codino era svanita. Continuava a fissare me e/o Ranma, evidentemente non sapendo chi incolpare della di lei assenza. I suoi tentativi di professare il suo amore ad Akane poco prima non avevano incontrato la solita reazione al calor bianco, bensì una totale indifferenza che sembrava confonderlo. E così faceva il broncio, ma almeno lo stava facendo tranquillamente.
Mi voltai e vidi Kasumi che sorrideva con benevolenza sopra tutto il procedimento, come se fosse una cena normalissima. Pensandoci, poteva benissimo aver dimenticato com'era fatta una cena normale. E poi trovai Nabiki.
Stava guardando le schermaglie amorose con la sua solita aria spassionata di divertimento, e mi chiesi che cosa stesse provando. Anche se prima aveva ammesso la sua gelosia, non avrei mai saputo dire se fosse turbata o dispiaciuta solo guardandola. Il suo autocontrollo era praticamente perfetto. Forse troppo perfetto per il suo bene. Lei si voltò e mi sorprese a guardarla, e mi gratificò di un sorrisetto asciutto.
Poi, quando fu sicura che nessuno ci stava guardando, mi mostrò la lingua.
Fu solo per un secondo, ma era così distante da quello che mi aspettavo da lei che rimasi colpito. Durò solo un attimo prima che lei scivolasse di nuovo dietro la sua abituale maschera di self-control, ma fu abbastanza per farmi sapere che la vera Nabiki, quella che avevo incontrato quella mattina, era ancora là dietro, nonostante le apparenze. Alzai le spalle a mo' di scusa e alzai gli occhi. Nei suoi si fece largo una luce maliziosa.
"Per 1000 yen", mimò senza usare la voce, "ti libero di lei".
Non potei farci niente. Scoppiai a ridere. Kodachi alzò lo sguardo dal tè che mi stava versando, confusa.
"Che c'è, mio caro?", chiese dolcemente. Io mi limitai a scuotere la testa, cercando di nascondere un sorriso. Più le cose cambiano, più rimangono le stesse.
Akane aveva deciso di cominciare una conversazione, probabilmente per distrarsi dagli ultimi avvenimenti. Visto che stava evitando sia Ranma che me, e Ryoga evitava lei, e Ukyo evitava tutti, finì col parlare con Mousse. Ryoga cercò di attaccare discorso con Ukyo, ma dopo qualche risposta monosillabica, ripiegò su Kasumi. E Nabiki, in apparenza determinata a mostrare a tutti che era in ottima forma, decise di tormentare Kuno.
"Ehi, cocco. Come va la testa?", indicò il livido sulla mascella dove il calcio di Akane l'aveva lanciato nel laghetto delle carpe.
"Un tale segno d'amore non mi disturba, Nabiki Tendo", disse seccamente. Lei si avvicinò e premette il livido, facendolo sobbalzare.
"E adesso?", chiese candidamente. Lui la fissò con aria minacciosa.
"Io ti disprezzo, sai", disse con un tono di dignità ferita.
"Lo so", assecondò lei con soddisfazione. Per un attimo, mi chiesi se non fosse il suo modo di flirtare con lui. Ma solo per un attimo.
Nabiki e Kuno? Avevo visto tante cose strane, ma quella avrebbe meritato il primo posto.
Sospirai e lasciai scorrere lo sguardo sul giardino, la casa, e la gente. I genitori di Ranma e il signor Tendo sedevano sulla veranda, i loro profili delineati dalla luce che proveniva dall'interno, e si godevano una cena alquanto più pacifica. La luce stava svanendo ormai, e fredde ombre stavano stendendo le loro lunghe dita nel giorno morente. La brezza era ancora calda e gentile, ma aveva in sé la promessa della frescura che sarebbe venuta con la notte. Il mio sguardo cadde sull'albero dove li avevo seppelliti, nella mia Nerima, e per un momento l'oscurità tremò ai margini della mia consapevolezza. La scacciai fermamente.
Non ancora, pensai. Presto, ma non proprio adesso. Respirai a fondo il fresco profumo dei boccioli di ciliegio, ascoltando distrattamente il chiacchiericcio di Kodachi, e cercai di immergere la mia anima nella pace che sentivo in quel momento, in quel luogo, sapendo che avrei potuto non sentirla per molto, molto tempo.
Pensai di cominciare a capire perché Jack mi aveva dato quelle quarantotto ore. La mia presenza qui aveva sconvolto la delicata bilancia di relazioni tessute con cautela, l'equilibrio che aveva tenuto tutto in sospeso, tutto stabile. Non importava che io pensassi o no che le cose fossero pronte per una riorganizzazione, non era quello il modo.
Stavano accadendo cose che di sicuro non sarebbero successe se io non fossi comparso, o almeno non sarebbero successe in quel momento.
Ero la nota discordante nella canzone di quel luogo. E ora sapevo, lo potevo accettare senza rancore, e con un po' di rimpianto.
Mi sentivo deciso ora che avevo fatto la mia scelta. Deciso, e un po' triste.
Questo posto mi sarebbe mancato davvero.






Fine quinta parte.
Revisione versione originale inglese: 30 maggio 1997.
Revisione traduzione italiana: 26 agosto 1998.
Betalettura a cura di TigerEyes: 1/8/2011.

Nel caso doveste riscontrare refusi che mi sono sfuggiti, vi prego di segnalarmeli, grazie.

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Capitolo 6
*** VI - Quell'ultima notte innocente ***



CAST A LONG SHADOW

di
Mark MacKinnon



traduzione
Il Corra Productions




VI

Quell’ultima notte innocente





Sul tetto – I


Riposavo sulla gentile pendenza del tetto come avevo fatto così tante volte nella mia vecchia vita, assaporando il calore del giorno dalle tegole sotto di me. L'aria si era un po' raffreddata, e le nuvole che oramai coprivano parte del cielo annunciavano pioggia, forse per l'indomani.
Chiusi gli occhi e cercai di immaginare una volta ancora che quella era la mia casa, che quando li avessi aperti di nuovo tutto sarebbe stato di nuovo come una volta, io e Akane a litigare, io a evitare le mie varie fidanzate, nessun dolore grave o permanente inflitto a nessuno. Ma ora le cose non stavano più così. Diavolo, forse non lo erano mai state. Cominciavo a sospettarlo. Ma una cosa era dannatamente certa. Non potevo illudermi di continuare la mia vita qui. Non dopo tutto quello che era successo.
Anche con gli occhi chiusi, potevo sentire il punto dove avevo trovato la mia Akane, pulsante come un dente cariato ai margini della mia coscienza. Era sotto di me e a sinistra. Anche se sapevo che se fossi andato a guardarlo per centinaia di anni non avrei mai trovato alcuna traccia di sangue, ogni volta che gli passavo vicino rabbrividivo. Tutto uguale, e tutto così diverso. Era abbastanza da far impazzire un uomo, sospettavo, col tempo. E non ero sicuro di quanto fossi forte, non più.
Le tenebre sorsero all'improvviso dietro le mie palpebre abbassate, facendomi irrigidire, e strinsi i pugni inconsciamente.
"Non ancora", sussurrai alle voci, alle ombre che mi reclamavano. "Per favore, non ancora. Presto". Non volevano ritornare nelle profondità torturate, ma lo fecero. Con riluttanza. Con sempre più riluttanza, ogni volta. Sapevo che sarebbe arrivato il momento in cui non avrei più potuto trattenere il dolore, e sapevo che forse mi avrebbe spezzato. Ma in meno di ventiquattro ore avrei affrontato Jack, e poi avrei abbandonato quel luogo per sempre.
Allora avrei concesso alle voci dei morti quello che era loro dovuto. Poi ci sarebbe potuta essere una resa dei conti, e avrei scoperto quanto le parole e il perdono che avevo ricevuto in quella casa significassero davvero nella parte più nascosta di me, dove contavano sul serio.
Sussultai leggermente quando percepii piuttosto che udire un passo leggero sul bordo del tetto, poi sorrisi intimamente nel riconoscere i movimenti, la presenza dell'altra persona come se fosse la mia.
E infatti, più o meno lo era...
"Ciao, Ranma", dissi senza aprire gli occhi. Lo sentii ridacchiare nell'avvicinarsi. Mi stavo proprio abituando a dire così, e ormai non mi disturbava più di tanto sentirmi chiamare Ranko.
Comunque, una volta partito, avrei ripreso il mio vero nome.
"Ragazzi, che giornata, eh?", sospirò Ranma, stendendosi di fianco a me. Aprii gli occhi e mi voltai verso di lui.
"Già, e che mi dici della cena? Il classico pasto a casa Tendo, no?".
"Oh, gente. Che casino!". Ridemmo insieme, ricordando come la cena alla fine fosse esplosa nel caos più totale. Dopo, c'era voluta mezz'ora solo per pulire il giardino. Il gruppo si era sciolto a poco a poco, ciascuno per la propria strada, ma sapevo che, finché restavo in quella casa, la pattuglia delle fidanzate e svariati altri ‘ospiti’ avrebbero fatto sentire la loro presenza anche più del solito.
"Ehi, hai notato...", cominciò Ranma con esitazione. Sollevai le sopracciglia.
"Notato che?".
"Le cose sembrano, non so, più strane del solito". L'avevo notato, a dire il vero, ma feci il tonto.
"Tipo?".
"Tipo, Akane che continuava a guardare Ryoga. Non credi che sappia...". Scoppiai a ridere.
"Scherzi? Dopo tutto questo tempo non ha ancora capito che è P-chan, figuriamoci che la ama".
"La amava".
"Siamo onesti. La ama ancora, almeno un po'. Ha deciso di rinunciare a lei, ma i sentimenti non cambiano a comando", Ranma annuì.
"Immagino sia così. E Mousse? Non ha quasi prestato attenzione a Shampoo! Niente scenate di gelosia, e solo qualche reclamo occasionale. E se non la conoscessi bene, avrei detto che la faceva infuriare! Lui continuava a guardare Ucchan. E Ucchan...". Ah. Ci siamo, pensai.
"E Ucchan", lo spronai. Lui alzò gli occhi al cielo, turbato.
"Odio vederla così", disse alla fine, sempre senza guardarmi. "Dovevi proprio trattarla in quel modo?".
"Ranma, non volevo trattarla così, e tu dovresti saperlo meglio di tutti! Ma Ucchan è speciale per me. È la mia più vecchia amica, e glielo dovevo!".
"Dovevi ferirla?", chiese sbalordito.
"Dovevo liberarla! Non voglio che lei si faccia false speranze per il futuro quando io so, per certo, che non ce ne saranno mai. Ora le fa male, ma alla fine sarà meglio così, sarà più onesto. Lei giura di non volersi arrendere, ma credo che alla fine capirà. Almeno io le ho parlato chiaro". La critica sottintesa era che lui non aveva mai avuto una conversazione del genere con lei. Ero sicuro che non gli fosse sfuggita. Restammo là sdraiati per un po' mentre aspettavo di sentirgli dire quello che doveva dire.
"Le hai detto che ami ancora Akane, vero?". Non era una domanda, ma risposi comunque, sentendo stringermi il cuore.
"Sì". Infine si voltò per guardarmi in faccia, e la sua espressione era strettamente controllata.
"Beh, lei è proprio qui di sotto, sai. Potresti scendere e dirglielo. Il peggio che può accadere è che lei debba scegliere tra noi due. Tu devi averci pensato. Voglio dire, cosa ci dice che lei preferirebbe me a te?".
Ci alzammo entrambi a sedere, fissandoci; la sua postura era tesa e infelice. Era una battaglia che non voleva combattere, lo sapevo, una che non sapeva come combattere. Dopo tutto quello che era successo prima, non voleva causare un'altra spaccatura tra noi. E avendo già deciso, sapevo che non si doveva preoccupare. Ma la tentazione era là, e solo per un secondo mi chiesi chi avrebbe scelto, se si fosse giunti a questo.
Fermati! Dannazione, sai che non può andare così! Lo sai, ora diglielo. Diglielo.
"Non succederà, amico. Tu lo sai".
"Lo so?".
"So cosa provi per lei. Io ho perso la mia opportunità, e ora sta a te se sprecare o no la tua. Ma qualunque cosa accada, io non interferirò". Lui aggrottò la fronte con rabbia, fissando i suoi pugni stretti, poi incontrò di nuovo il mio sguardo, e l'azzurro dei suoi occhi sfumava in un grigio tempestoso a rispecchiare il suo tormento interiore.
"Scusami, è solo che mi è difficile credere che tu possa sederti in un angolo e guardarmi mentre cerco un modo di dirle cosa significhi per me. Tu sai quanto è duro per me, sai perché sto ancora... esitando. Ma scommetto che tu non esiteresti, non dopo averla persa una volta. Scommetto che riusciresti a dirle quello che vuole sentire, non è vero? Presto o tardi, qualunque cosa tu dica ora, la tentazione potrebbe prendere il sopravvento". Annuii lentamente.
"Oh, certo, hai assolutamente ragione. Mi ucciderebbe essere così vicino a lei e non poterla avere. È uno dei principali motivi per cui me ne vado". Ranma sbatté le palpebre.
"Tu... cosa?".
"Ascolta. È come mi ha detto Ryoga, è da pazzi tormentarsi e languire per qualcuno che non potrai mai avere. Io mi tormenterei, e hai ragione, presto o tardi potrei essere tentato di fare qualcosa di stupido. Ma non accadrà se non sarò qui".
"Allora te ne andrai per quello che ti ho detto". Ranma sembrava ancora più turbato, e mi affrettai a interromperlo prima che potesse cominciare a sentirsi di nuovo in colpa.
"No. Avevo già deciso, da prima. Senti, la situazione con Akane sarebbe brutta, ma non è solo quello. È per tante cose. Se io me ne andrò, e tu ti metterai con Akane, allora Ucchan e gli altri dovranno fare i conti con la realtà".
"Io non ci conterei", borbottò lui. Gli sorrisi.
"La speranza è l'ultima a morire", dissi allegramente. Poi il mio sorriso svanì e sospirai. "Inoltre, molto di tutto ciò dipende dalla mia presenza qui".
"Che vuoi dire?", chiese, con aria confusa.
"È da un po' che cerco di capire se l'essere qui, con tutti voi, sia una cosa positiva o negativa. Sono giunto alla conclusione che è un po' di entrambe. Quando vagavo per quel che era rimasto di Nerima, negli ultimi giorni, avevo perso tutto. Penso che avrei potuto impazzire. A dire il vero, devo essere stato un po' in palla in quel periodo, non ricordo le cose molto bene. Non sono sicuro di come sia riuscito a sopravvivere... quando qualcosa mi attaccava, io mi difendevo istintivamente. Ho ancora le cicatrici di quegli incontri. Poi, dopo il mio ‘salvataggio’, quando sono finito qui, è stato come avere una seconda possibilità. Tutto quello che avevo perso era qui. E mi ha aiutato a respingere il buio, i ricordi di quello che è successo. Per un po'. Ma quei ricordi sono ancora qui, è solo che non li ho ancora affrontati per davvero. E questo posto non è proprio una seconda possibilità. È la tua casa, e non è stata fatta per ospitare due Ranma".
"Potremmo cambiare le cose", disse Ranma. "Quello che ti ho detto prima, per Akane...". Lo presi per la spalla e lo scossi gentilmente.
"Non possiamo dividercela, e non possiamo dividerci la tua vita. Ascolta. Sarebbe così facile per me restare qui, ma sarebbe sbagliato. Ho bisogno di trovare un posto, qualcosa che sia solo mio, non tuo e mio, e capire se posso convivere con i miei fantasmi. Forse, se ci riesco, potrò tornare qui senza scombinare le vite di tutti. Forse. Ma devo allontanarmi da tutto questo, perché è troppo seducente, troppo facile far finta di poter continuare in questo modo, e sarebbe sbagliato, per non dire ingiusto per tutti".
"Se te ne vai", disse Ranma piano, "sarai solo. Come eri... come eravamo prima di arrivare qui. Non avrai neanche papà con te. Non mi piace l'idea di lasciarti andare via da solo. Non mi sembra giusto. Ormai sei come un fratello per me, lo sai? Come posso abbandonare mio fratello? Mi stai davvero chiedendo di comportarmi così?". Mi guardò, implorante. Sapeva che avevo le mie ragioni, ma il suo onore non gli permetteva di lasciarmi andare così facilmente. Sapevo che dovevo fargli capire, così da non condannarlo a torturarsi dopo la mia partenza. Era una delle ragioni per cui avevo deciso di parlarne prima con lui.
"Puoi farlo perché te lo sto chiedendo", gli dissi, "e perché sai che è la cosa giusta da fare. Se non parto, non sarò mai nulla più della tua ombra, Ranma. Devo trovare la mia strada. Devo seppellire i miei fantasmi, o non avrò mai più un momento di pace". Lui mi guardò per un lungo istante, col volto pieno di incertezze, cercando una falla nel mio ragionamento, anche se la mia presenza là gli avrebbe causato problemi. Si stava impegnando davvero. Sperai, se le nostre posizioni fossero state invertite, di poter essere così onorevole.
"E domani?".
"Vuoi dire Jack. Dovrebbe arrivare qui per l'ora di pranzo. Lo stenderò, naturalmente. Non servirò mai quei bastardi, non dopo che hanno abbandonato tutti coloro che amavo. E gli renderò chiaro che se decideranno di seguirmi, io non sarò a meno di un anno luce da casa Tendo".
"Ma dove sarai? Dove andrai?".
"Da qualche parte. Da qualsiasi parte. Lo saprò quando ci arriverò, immagino. Ho come la sensazione che il viaggio sarà più importante della destinazione vera e propria". Le spalle di Ranma caddero e lui sospirò.
"Vuoi farlo sul serio, non è vero?".
"Devo. È l'unico modo per ritornare un uomo completo. Voglio che tu lo capisca. Ho bisogno che tu sappia il perché della mia partenza". Lui abbassò la testa, poi alzò gli occhi su di me.
"Credo di capire", disse alla fine. "È solo che non vorrei che fosse così. Quando lo dirai agli altri?".
"Domani andrà bene. Godiamoci un'ultima notte tutti insieme". Allora mi fissò, come se potesse vedere cosa stessi pensando. Ma non poteva. Eravamo finiti su strade diverse, e quelle strade divergevano sempre di più.
E nessuno poteva dire se e quando si sarebbero ancora unite.
"Ehi, voi due. Cosa sono quelle facce serie?". Alzammo entrambi gli occhi e vedemmo Akane affacciata alla cima del tetto che ci guardava con curiosità. Sentii un dolore acuto, al pensiero che presto, per mia scelta, non l'avrei più rivista.
Ma era la scelta giusta. Lo era. Solo avrei voluto che non facesse così dannatamente male.
"Pensavo che vi avrei potuto trovare quassù", disse lei nel silenzio imbarazzato. "Spero di non aver interrotto niente di importante".
"No", dissi più allegramente che potei. "Stavamo solo parlando".
"Bene. Uh, Ranko, mi spiace chiedertelo, ma potrei parlare con Ranma da sola?". Mi guardò, con qualcosa di indecifrabile nei suoi caldi occhi castani, e io resistetti all'impulso di dirle che avrei fatto qualsiasi cosa mi avesse chiesto, sempre.
"Sicuro", dissi invece. "E poi avevo in programma un bagno e si sta facendo tardi. Ci vediamo". Con un gesto di saluto a entrambi, zompai al bordo del tetto e saltai a terra. Lo sguardo sul volto di Akane mi aveva detto che quei due stavano per fare una conversazione seria.
Forse la conversazione seria, quella che non avevo mai avuto con la mia Akane.
Desiderai augurare loro buona fortuna, ma non ero davvero dell'umore.


Sul tetto – II

(Ranma)

Ranma guardò con circospezione Akane sedersi di fianco a lui. Decisamente non gli piaceva l'espressione seria che aveva, e nemmeno la palese tensione nel suo atteggiamento era un buon segno. Per chiunque la conoscesse, i segnali di allarme erano chiari come la luce del sole. Akane non era per niente contenta, e si apprestava a condividere il suo malcontento.
"Uh, tutto ok?", chiese Ranma, fin troppo conscio di quanto la domanda suonasse male. Akane sedeva immobile, con le ginocchia raccolte al petto e le braccia strette attorno alle gambe, fissando il cielo. Il vento le soffiò i capelli sul volto e lei li ricacciò dietro l'orecchio con aria assente.
"Stavo per chiederti la stessa cosa. Tu e Ranko sembravate piuttosto seri. Di cosa stavate parlando, poi?".
"Parlavamo di, sai, domani. Quando quel Jack tornerà". Gli occhi di lei si socchiusero leggermente, e Ranma notò che le sue mani stavano stringendo forte le ginocchia.
"Ah, sì. Quello. Sai, papà vuole che vada via con Kasumi, Nabiki e tua madre, per stare lontane da casa finché non sarà finita".
"È una buona idea". E nel momento in cui lo diceva, Ranma si rese conto che era esattamente la cosa sbagliata da dire. Si preparò a un'esplosione di furia.
Che, con sua grande sorpresa, non arrivò. Lei si limitò a guardare il cielo, come cercando qualcosa. E la sua espressione, ancora tesa e controllata, sembrò anche un po' triste.
"Tu la pensi così, eh?". Alla fine abbassò lo sguardo, per guardare Ranma negli occhi. "Immagino di non dovermi sorprendere, giusto? Tu ti comporti sempre così, dopotutto". Ranma avrebbe voluto dirle che non aveva cattive intenzioni, che voleva soltanto che lei fosse al sicuro, ma come al solito le parole sembrarono intasarsi nella gola.
"A-Akane, che...?".
"Zitto!". Sussultò, sorpreso dalla veemenza nella sua voce. Il suo tono aveva tradito un’intensa emozione, e Akane sbatté rapidamente le palpebre, come per ricacciare indietro delle lacrime. "Accidenti a te, Ranma! Questa è casa mia! Tu sei il mio fidanzato, che tu lo voglia o no! Io non scapperò a nascondermi come una scolaretta spaventata, sono un'artista marziale!". Lo fissò, e Ranma si ritrovò letteralmente senza parole davanti alla sua rabbia, in qualche modo differente dai suoi soliti accessi. "So di non essere al tuo livello, ma dannazione, praticamente nessuno lo è! Ranma, io non sono un bocciolo delicato da proteggere. L'uomo che sposerò dovrà trattarmi come una sua pari, come una compagna. Ma forse a te non importa granché. Dopo tutto, non hai mai detto di volermi sposare, no? Ed è qui che sta il problema. No, noi siamo il problema". Ranma sentiva il petto oppresso da un peso inimmaginabile, e lottò per respirare. Che diavolo stava succedendo? Cosa stava dicendo?
"Akane, cosa... di cosa stai parlando? Perché sei così infuriata?", chiese. Avrebbe voluto essere arrabbiato anche lui, ma quella non era una delle loro solite litigate. Era qualcosa di diverso. Qualcosa di grosso. Si sentiva come se le fondamenta del suo mondo stessero tremando.
"Perché sono infuriata?", chiese lei piano. Ormai si era liberata di parte della tensione, e sembrava più triste che adirata. "Tu proprio non lo sai, vero? Tutto questo, questi ultimi giorni, è stato come un avvertimento, una visione di come le cose potevano essere. Guardati intorno, Ranma. Praticamente tutti quelli che conosciamo vivono vite sospese nell'attesa che noi stabiliamo se c'è qualcosa tra di noi o no. E c'è? Ci sarà mai? O io sono troppo un maschiaccio per te, e non abbastanza il fiore che ha bisogno di protezione? Dimmelo, Ranma. Ho bisogno di saperlo".
Ranma la fissò, notando il modo in cui si mordicchiava il labbro inferiore, l'umidità delle lacrime nascoste nei suoi occhi. Aveva bisogno di sentire una risposta proprio in quel momento, davvero. Il suo bisogno era così grande che gli sembrava avrebbe potuto riversarsi sulla sua pelle come un fiume di fuoco se lui fosse riuscito a raggiungerlo.
Poi Ranma pensò a Ucchan a cena, pensò a tutta la gente i cui sentimenti erano in gioco, alla fragile casa di carte che esisteva attorno a lui.
E non ce la fece.
In genere, quando voleva fare un discorso serio con Akane, qualcuno arrivava immancabilmente a rovinarlo. La bici di Shampoo sarebbe atterrata sul tetto con un allegro "Nihao!" o il suo vecchio sarebbe comparso con una telecamera, o qualcosa di equivalente. Ma ora che aveva un disperato bisogno di interrompere la conversazione, ora che necessitava a tutti i costi di un diversivo, non c'era niente del genere.
Così fece un ultimo frenetico tentativo per mantenere lo status quo.
"Non parliamone adesso, ok? Forse più tardi, dopo che tutto...". Si interruppe ne vederla alzarsi in piedi bruscamente, spazzolandosi la gonna.
"Se non ora, quando? Cosa diavolo stiamo aspettando?". Ranma era ferito, confuso, dal suo improvviso bisogno. Non sapeva cosa dire, così come al solito disse la cosa sbagliata.
"Ehi, forse io non voglio parlarne, ok? Forse sono solo stanco di donne invadenti!".
"Capisco", disse lei, e la sua voce era neutra, morta. "Certo. Immagino che in fondo non abbiamo niente da dirci, vero, Ranma? Addio". E si diresse al bordo del tetto.
Lui rimase seduto a guardarla allontanarsi, con gli occhi sbarrati, il cuore che martellava in gola, e fredda paura liquida nelle vene. Era improvvisamente sicuro che se la lasciava andare, quella sarebbe stata la fine, per loro. Un panico come non l'aveva mai provato, nemmeno davanti a mille gatti, crebbe in una scintillante onda nera, pronta a inghiottirlo, a lasciarlo solo e alla deriva in un mare di disperazione.
Torna indietro, voleva dirle. Non volevo. Ho bisogno di te. Ma le parole non venivano. Come sempre, nel momento del bisogno, non venivano. La sua gola si chiuse, soffocandolo, e non poteva parlare.
E lei se ne stava ANDANDO.
Poi, nel momento in cui lei si preparava a saltare, lui rivide, con chiarezza cristallina, il volto di Ranko-chan mentre gli raccontava di come aveva perduto la sua Akane, di come non era stato là per lei.
"Lei era così preoccupata... lo sguardo nei suoi occhi", gli aveva detto Ranko-chan, trattenendo come poteva le sue emozioni. "Non sono mai stato così vicino dal dirle cosa significasse per me. Ma non lo feci. E ora non potrò mai più".
Ricordò il dolore sordo nella voce di Ranko-chan, e seppe che se lasciava andare Akane in quel momento, lo avrebbe rimpianto per il resto della sua vita.
Non poteva lasciare che accadesse.
Allora strinse i denti. Raccolse quello che restava del suo coraggio. Maledisse la sua incapacità di parlare.
E si lanciò nell'ignoto.


(Akane)

Allora è così che stanno le cose, si disse intorpidita. Gli ho detto quanto bisogno avevo di parlarne, quanto fosse importante per me. E lui non vuole essere seccato. Non cambierà mai, non si deciderà mai.
Almeno adesso lo so. Ora posso... posso...
Francamente, non aveva alcuna dannata idea di cosa fare ora. Abbassò lo sguardo oltre il bordo del tetto al cortile illuminato, sentendo una lacrima solitaria scenderle dalla guancia. Si tese per saltare giù.
E poi si ritrovò in aria, spinta improvvisamente all'indietro.
Sbatté le palpebre, sorpresa. Qualcosa la stava stringendo con forza. Braccia. Le braccia di Ranma. Le guardò stupidamente. Poteva sentirlo dietro di lei, e per un secondo osò sperare.
Ma lui continuava a non dire niente, e lei deglutì nel tentativo di non far tremare la voce. Era arrivata fino a quel punto. Non poteva lasciare che le cose continuassero com'erano. Non era giusto, né per lei, né per nessuno di loro. Lei aveva fatto la sua parte, e lui non aveva contraccambiato.
"Ranma, lasciami andare". Niente. Prese un respiro profondo, senza muoversi. "Ranma. Lasciami. Andare". Per un'eternità, niente. Poi, proprio quando il suo fragile autocontrollo minacciava di spezzarsi, lui parlò.
"Non andare. Ti prego". Si gelò, scioccata. La voce di Ranma era sottile, implorante. Il suo volto era premuto contro i suoi capelli e lei poté sentire qualcosa di caldo e umido sulla nuca.
Lacrime? Ranma stava... piangendo?
"R-Ranma...?".
"Voglio dirti... davvero! È solo che... non so come. Akane. Resta. Ti prego. Dammi un'altra possibilità". La sua voce era un sussurro impellente e lei chiuse gli occhi, sentendo il corpo di Ranma contro il suo, le sue braccia attorno a lei. La sensazione le dava il capogiro. Prese un bel respiro e tamburellò leggermente sulle braccia. Lentamente, con riluttanza, lui la lasciò andare e lei si voltò per guardarlo.
Lacrime. Il suo volto ne era intriso, e ogni muscolo nel suo corpo sembrava urlare di tensione. Sentì le proprie lacrime, a mala pena trattenute fino ad allora, riversarsi in quantità ancora maggiore, bruciandole gli occhi, gocciolando dal mento.
"Cosa? Dimmi, Ranma". La sua voce era rauca, malferma, e lui le posò le mani sulle spalle, guidandola a sedersi accanto a lui sulla gentile pendenza.
Era ormai buio pesto, ma le case e le luci della strada provvedevano luce in quantità più che sufficiente per farle vedere che Ranma si struggeva per trovare le parole di cui aveva bisogno. Erano seduti così vicini che i loro corpi si toccavano, ma per una volta lui non si ritrasse.
"Dimmi", disse ancora, pregandolo, cercando di fargli finalmente capire. "Per favore, voglio che tu mi parli. Ne ho bisogno".
"Non volevo ferirti, Akane", disse lui alla fine, con una voce già più sicura. "È solo che... non ho mai dovuto spiegarlo a parole prima. Nemmeno con me stesso. Non sono sicuro di come...", finì con aria incerta.
"Ti sto ascoltando, Ranma", disse lei, toccandogli piano un braccio, cercando di infondergli forza per continuare. "Veglio sentirlo. Per favore". Lui sembrò turbato, e arrossì un po' al suo tocco, ma annuì.
"Ok. Cominciamo". Si riempì i polmoni, chiuse gli occhi, ed esalò. "Quando ero piccolo, sai che papà mi ha portato in giro un po' dappertutto. A parte quel periodo con Ucchan, e tutte quelle lotte con Ryoga, non ho mai avuto veri amici. Non ho mai avuto niente. Noi vivevamo così. Ci portavamo le nostre vite negli zaini, e non restavamo mai troppo a lungo in un solo posto. E io lo odiavo. Oh, come lo odiavo. Doveva essere una grande e nobile avventura, ma segretamente tutto quello che volevo era avere una vita vera, con una casa e persone attorno... non che qualcuno me lo chiedesse, naturalmente. Io non dovevo mostrare alcuna debolezza o vulnerabilità, così potevo a malapena dire a papà che ero solo, no?".
"Ranma". Akane studiò il suo volto, affascinata. Era così strano da parte del Ranma che conosceva questo mostrarle i suoi sentimenti. Ma aveva già visto bevi scorci di questo Ranma, sapeva della sua esistenza. Si sporse di impulso e gli strinse una spalla. Lui la guardò, sorridendo debolmente, poi abbassò lo sguardo sul tetto, con i gomiti sulle ginocchia, e le mani che pendevano senza energia. Il suo volto era rosso di imbarazzo, ma si sforzò di continuare.
E lei lo amò per questo.
"Il puntò è, io non ho mai avuto niente. E proprio per questo, non ho nemmeno mai avuto niente da perdere. E poi arriviamo qui". La guardò con la coda dell'occhio, vide che lo stava guardando, e riabbassò lo sguardo. "Quest'ultimo anno, tu non hai idea di cosa sia stato per me. Anche con la maledizione e tutti i problemi che ho avuto, alla fine ho avuto una casa, ho avuto degli amici. Ho... trovato te". Il cuore di Akane accusò un dolce colpo nel vederlo sorridere, ancora incapace di guardarla. "Per me, è stato come un paradiso al confronto degli anni precedenti. Ma...".
"Ma?", chiese lei piano. Poteva percepire che ora si stava avvicinando al cuore del problema, e resistette all'impulso di trattenere il fiato, sperando, desiderando...
Dimmelo, Ranma. Ti prego.
"Ma ora ho qualcosa da perdere. Tutto qui è così confuso, così ingarbugliato, così complicato! Credi che non sappia quanto questa situazione sia dolorosa per tutti? Io non volevo fare del male a nessuno! Ma", balbettò, alla ricerca delle parole giuste, "i-io non so cosa farci! Io ho paura a cambiare le cose! Sono paventato, capisci?". Strinse i denti e fece una smorfia, come se ammettere di aver paura gli provocasse dolore fisico. E mentre lei lo fissava, letteralmente senza parole, lui alzò lentamente, faticosamente gli occhi sui suoi, mentre respiri stentati uscivano tra i suoi denti contratti. "Io ho paura che cercando di cambiare le cose potrei rovinare tutto, potrei farci dividere, e finire da solo di nuovo. Senza una casa, senza di te, senza nessuno. È come se fosse da ingrati rischiare tutto questo, come dire 'sono felice, ma non mi basta. Voglio esserlo di più.' Almeno stando così le cose, mi sento al sicuro". Rise amaramente. "Pensa te. Sicuro. E visto che non ho voluto perdere quello che possiedo, ho finito per far del male a tutti quanti. E ho fatto del male a te".
Akane sussultò nel vederlo sporgersi improvvisamente per prenderle le mani nelle sue.
Erano così grandi, le coprivano completamente. E calde. La sua pelle formicolò al tocco, e il suo cuore si mise a battere come le ali di un colibrì. Alzò gli occhi, lentamente, su di lui. Poteva vedere la verità di quelle parole nei suoi occhi. Era spaventato, e insicuro, non era per niente quel ragazzo avventato e presuntuoso che conosceva.
"Non ho mai voluto farti del male", sussurrò. "E non ho mai voluto perderti. Non hai idea di quanto sia difficile per me dirti questo".
Lei rise attraverso le lacrime.
"Sì invece", disse, con la voce spezzata. "Difficile quanto lo è stato per me. Solo avrei voluto sapere come ti sentissi, per tutto questo tempo...".
"Non potevo dirtelo", disse lui. "Non sapevo come. Non ho mai dovuto parlare granché nella mia vita, solo combattere. Ma mi ci è voluto molto tempo per capire che ci sono problemi che nessuna tecnica di arti marziali può risolvere. Quando ho pensato che stavi per andare via da me, prima, finalmente ho capito che sarebbe valsa la pena di tentare qualsiasi cosa pur di non perderti. Anche se dovrò cambiare finalmente le cose. Anche se dovrò rischiare tutto. Mi hai chiesto cosa stessi aspettando, ricordi? Beh, ora lo sai. Ero solo un codardo".
"No, Ranma", sussurrò lei gravemente. "Io ti conosco. Tu non vuoi ferire nessuno, e lo capisco. È un nobile impulso, ma presto o tardi questa situazione dovrà cambiare. Non puoi avere quattro fidanzate per sempre. Non è colpa tua se qualcuno dovrà farsi male". Strinse le sue mani, desiderando che sorridesse, che la smettesse di sentirsi così infelice. Quel discorso era ciò che aveva voluto, ciò di cui aveva avuto bisogno. Era felice di averlo finalmente sentito, e voleva che anche lui lo fosse.
"Non ho mai chiesto che la mia vita fosse così", le disse con calma. "Trasformarmi in una ragazza, avere tutte quelle ragazze alla mia caccia, non ho mai chiesto niente del genere. Ma dato che avevo paura a cambiare le cose, ti ho quasi lasciato andare".
"Già, ci siamo andati piuttosto vicini, vero? A gettare la nostra possibilità, intendo", sussurrò Akane. Ranma abbassò gli occhi nei suoi e infine sorrise, rilassato.
"Immagino di sì. Ma ora andrà tutto bene".
"Davvero?", chiese lei piano.
"Uh-uh. E sai perché?". Ranma deglutì, e i suoi occhi grigi la incatenavano, senza fondo e bellissimi.
"Dimmi".
"Perché io ti amo, Akane Tendo". Proprio quando pensava di non poterne provare ancora, il suo cuore esplose in una silenziosa nova di gioia. Lo fissò, sentendo il calore salirle alle guance. Lo aveva detto. Sul serio. Sentiva come se la sua testa non avesse più peso.
"Davvero?", sussurrò alla fine. Lui annuì solennemente, asciugandole le lacrime, sfiorandole gentilmente le guance con la punta delle dita.
"Oh sì. Per sempre e per sempre". Akane rincominciò a piangere. Lui improvvisamente apparve incerto.
"Ranma!", singhiozzò lei, lanciandogli le braccia al collo e stringendolo. Sentì le sue braccia circondarla con esitazione, dapprima tentennanti, poi più ferme, mentre lei singhiozzava contro la sua spalla.
"Ehi, che succede?", chiese, con un tono genuinamente preoccupato. Lei sospirò, affondando nella confortante solidità del suo corpo.
"Oh Ranma", disse sorridendo tra le lacrime, "non sai proprio niente delle ragazze, vero?". Poi insinuò una mano dietro alla sua testa, affondando le dita nei suoi capelli, e si sporse sul suo orecchio.
"Anch'io ti amo", sussurrò con voce roca. Indietreggiò per vedere il sorriso di sollievo sul suo volto, il rossore che saliva sulle guance, e capì che anche lui aveva avuto bisogno di sentire quelle parole, proprio come lei.
"Davvero?", chiese.
"Davvero", rispose solennemente. "Per sempre e per sempre". Rimasero a guardarsi, mentre l'universo si riduceva a loro due su quel tetto. Akane contemplò il volto di Ranma, in fiamme per l'emozione che aveva sempre desiderato comparisse, e più di ogni altra cosa desiderò baciarlo.
E così fece. Si chinò in avanti e toccò gentilmente con le labbra la bocca di Ranma. Percepì la tensione in lui, la sorpresa, mentre teneva la bocca contro la sua, dischiudendo piano le labbra. Poi, teneramente, e così lentamente, lui ricambiò il bacio, mentre le sue mani le salivano lentamente lungo la schiena, e un dolce calor bianco invadeva il suo cuore, bruciando via tutti i problemi e i bisticci e i dubbi di quel giorno. Assaggiò il sale delle loro lacrime, sentì il suo respiro caldo sul volto e chiuse gli occhi perdendosi nella sensazione di stare tra le sue braccia.
Lei e Ranma avevano finalmente compiuto quel primo tremante passo. Con gentilezza ruppero il bacio e si guardarono, con la consapevolezza che tutto era cambiato tra di loro che bruciava nei loro sguardi.
Ma ora erano insieme, ed era tutto ciò che contava.


(Nabiki e Kasumi)

Solo freddi numeri.
Nabiki fissò con malumore il libro contabile aperto. In genere, i simboli le parlavano. Manipolare valori era come un'arte, come una danza, e lei riusciva a percepirne gli schemi nascosti e a farli ballare al suo ritmo.
Ma non quella sera. Quella sera erano solo freddi numeri, e si rifiutavano di danzare. Sbuffò e richiuse il libro. Sporgendosi all'indietro sulla sedia, intrecciò le mani dietro la testa e si stirò languidamente. Era tutta colpa di Ranko, ne era sicura. Lasciò cadere le braccia e sospirò. Ranko. Non aveva voluto dirgli tutte quelle cose, e aprirsi con lui come aveva fatto. E allora perché l'aveva fatto? Perché mostrargli il suo cuore indifeso? Scosse la testa e sorrise. Doveva essere stato il leggendario fascino dei Saotome, si disse con disappunto.
Ma non era per quello, e lei sapeva che non poteva accantonare l'episodio così facilmente. Da un po' di tempo dentro di lei avevano cominciato a crescere certe idee, e l'incidente con Ranko era stata l’ultima goccia. Conoscere il dolore che gli aveva causato, provare il dolore che le aveva inflitto in cambio, l'avevano fatta infine ammettere che i suoi schemi ferivano la gente. Mai così duramente prima d'ora, ma quanto dolore è accettabile infliggere deliberatamente a chi hai attorno?
Sospirò di nuovo. Non voleva pensarci, perché senza i suoi schemi, cosa aveva? Niente, ecco cosa. Niente di niente.
E poi, a lei piaceva far soldi. E allora qual era la risposta?
I suoi sempre più caotici pensieri furono interrotti dal bussare alla sua porta. All'invito, entrò Kasumi, sorridendo. Come sempre.
"Ehi, sorellina. Che succede?".
"Oh, niente di particolare. Mi stavo solo chiedendo come stavi".
Su certe cose, pensò Nabiki con affetto, puoi sempre contare.
"Sto bene, Kasumi. Davvero".
"Hai parlato con Ranko?". La domanda era stata posta con fare accidentale. Ma Nabiki poteva giurare che la sorella maggiore fosse molto interessata alla risposta.
"Già", arrossì leggermente, chiedendosi cosa dovesse dirle esattamente. Ah, che diavolo, pensò. Dacci dentro, non arriverai da nessuna parte da sola. "A dire il vero", continuò, "abbiamo avuto una conversazione piuttosto interessante. Lui era molto dispiaciuto per quello che aveva detto. Era abbastanza chiaro che lo tormentava, sai, con la sua famiglia appena morta. So che non avrebbe mai voluto dirlo. Il fatto è che ho cominciato a chiedermi cosa avessi fatto per fargli dire quelle cose, e... non ero molto fiera di me stessa. L'ho ferito profondamente, e anche se ora le cose tra di noi vanno meglio, ci stavo pensando...".
"A cosa?"
"A cosa faccio". Nabiki sospirò teatralmente. "Io porto a casa un sacco di soldi, e mi piace farlo. Ma i miei mezzi non sono sempre puri e candidi, sai?".
"Sconvolgente", fece Kasumi. Era una cosa così non da lei che Nabiki si fermò un momento, presa in contropiede. Il sorriso di Kasumi si allargò.
"Uhm, già, dunque... io non voglio far del male alla gente, sai, non mi piace. Non sono un mostro. Ma non voglio neanche smettere di fare affari. E il modo in cui ho sempre fatto affari è sfruttare le debolezze altrui. Sono piuttosto brava anche in questo. Se la smetto, non sono sicura di cos'altro fare". Kasumi annuì come se fosse proprio quello che si aspettava di sentire, e si sedette con calma sul letto.
"Ti stai chiedendo se puoi continuare con i tuoi affari come al solito, sapendo quali effetti possono avere".
"Qualcosa del genere".
"Nabiki, io penso che tu sappia perfettamente cosa fare, è solo che non vuoi farlo". Vide che Nabiki la stava guardando nervosamente, e continuò. "Sei una ragazza molto intelligente per certi aspetti, ma le persone non sono il tuo forte. Oh, sai come sfruttare i loro punti deboli, ma tutto quello che ottieni è allontanarli da te. Confido che tu possa continuare a esercitare il tuo talento senza causare dolore a degli innocenti. Sicuramente puoi fare affari in quel modo, vero? Puoi essere una donna d'affari con una coscienza, certo, e troverai più semplice la convivenza con te stessa. Sono sicura che farai la scelta giusta. Ora che hai visto l'alternativa, voglio dire". Nabiki studiò la sorella maggiore per un lungo istante, considerando la sua risposta, poi batté le mani davanti al petto e si contorse estaticamente, con gli occhi grandi e scintillanti d'adorazione.
"Oh, grande sorella", proclamò, "sei così SAGGIA!". Kasumi si mise a ridere a quello spettacolo, e Nabiki si unì a lei. Ridere faceva bene. C'era stata così tanta oscurità attorno a quella casa negli ultimi tempi.
"Ok, allora non sarà facile", disse Kasumi alla fine. "Ma sai che devi provare".
"Lo so, lo so. Ragazzi, mi sento meglio", rispose lei. "La cena è stata così tesa, credevo che qualcuno finisse per esplodere". Kasumi annuì pensierosa.
"Sì", disse con una punta di tristezza, "sembra che le cose non miglioreranno tanto presto per Ranko".
"Hai sentito per domani, comunque?".
"Papà ci manda tutte da zia Nodoka sul presto". Poi il suo volto divenne cautamente inespressivo. "Vuole che anche Akane venga con noi".
"Oh cielo", disse piano Nabiki, "scommetto che l'ha presa benissimo".
"Sì, era piuttosto irritata quando si è precipitata fuori dalla casa. Mi chiedo dove sia andata".
"Sul tetto, credo. Prima ho sentito dei colpi qua sopra. Credo che ci sia anche Ranma. Probabilmente stanno litigando di nuovo". Kasumi sospirò dolcemente.
"Mi chiedo quanto ci metteranno a conciliarsi", rifletté. "È sempre tutto così difficile per loro...".
Nabiki inghiottì un'improvvisa ondata di amarezza, e resistette all'impulso di dire alla sorella che forse il problema stava nel fatto che per la giovane coppia certe cose fossero fin troppo facili.
"Credo che la nostra sorellina sia più o meno innamorata pazza del signorino Saotome", disse invece, con tono asciutto. "Scommetto quello che vuoi che la troverai al suo fianco entro domani".
"Ho di meglio da fare che scommettere contro di te", disse pudicamente Kasumi. Poi ritornò seria e aggiunse: "Eppure, non credi che sia pericoloso per lei rimanere qui?".
"E allora? Vuoi che si metta a scappare quando il gioco si fa duro? Ranma rimarrebbe per lei, e lei lo sa. Rimarrà, e guai a chi cercherà di farle cambiare idea". Kasumi annuì con aria abbattuta.
"Immagino che tu abbia ragione. Lascia che te lo dica, sono un po' spaventata per domani. Ho un bruttissimo presentimento". Guardò Nabiki, come per cercare conforto.
"È l'attesa, l'anticipazione, fa venire i nervi a tutti. Prima finirà questa faccenda, meglio sarà".
"Spero che tu abbia ragione", fece Kasumi nervosamente. Nabiki sogghignò.
"Sorellina, questo gruppo non sarà un granché in quanto a stabilità emozionale, ma quando comincia l'azione le cose migliorano. Andrà tutto ok. Vedrai".
Nabiki desiderò solo di sentirsi tanto sicura quanto appariva.


(Shampoo e Mousse)

Mousse aveva provato una moltitudine di emozioni nei confronti di Shampoo durante i molti anni in cui l'aveva conosciuta. La maggior parte di queste erano quel genere di emozioni che portano i poeti a scrivere dolci rime sull'agonia del cuore, o reverenti lodi alla bellezza. Erano quelle emozioni che ispiravano canzoni d'amore, atti di passione sconsiderata, giuramenti donchisciotteschi.
L'emozione che provava in quel momento, però, non aveva mai ispirato nessuno a fare qualcosa di più grande che sbattere la testa contro un muro. Francamente, Shampoo cominciava a dargli oltremodo sui nervi.
Lei sbatté la porta del Nekohanten e lo fissò, splendida come sempre, anche quando era arrabbiata. E Mousse suppose di dover essere felice dato che gli stava prestando attenzione, ma onestamente quella era stata una lunga e strana giornata e la sua pazienza era davvero al limite.
"Allola, cos'hai da dile, Mousse?", chiese burberamente. Lui respirò a fondo.
"Ti ho già detto...", cominciò, solo per essere interrotto dall'arrivo di Cologne.
"Ebbene, bambina, com'è andata? L'informazione era veritiera?". Shampoo annuì trucemente, con un altro sguardo velenoso all'indirizzo di Mousse.
"Sì, bisnonna. C'ela un altlo Lanma. È una stolia molto lunga".
"Davvero? Allora me la dovrai raccontare", disse lei. Poi notò lo stato di agitazione della nipote. "È successo qualcosa, Shampoo?".
"Questo stupido Mousse mi ha messo in imbalazzo! Ha fatto il cascamolto con quella stupida spatolona!".
"Non è vero! E lei non è una stupida!", ribatté Mousse con fervore. "Ero solo preoccupato, tutto qui! Non si comportava come al solito!".
"Preoccupato per un'altra donna?", chiese Cologne con grande interesse. Mousse arrossì.
"Non è quello che pensi!", protestò. "Quest'altro Ranma, la sua presenza sta causando un sacco di problemi, tutto qui!". L’anziana continuò a guardarlo in un modo che lo fece sentire decisamente a disagio.
"Casca-casca-molto", puntualizzò bruscamente Shampoo, "e ha anche pomiciato con lei!". Mousse sentì il sangue salirgli in volto al ricordo del bacio che Ukyo gli aveva dato sulla guancia. Cologne si incupì alla sua espressione.
"Mousse, spero che tu non abbia fatto niente che abbia potuto causare imbarazzo alla mia bisnipote", disse con un tono molto freddo.
"Ma certo che no!", rispose lui da dietro i denti serrati. "Io stavo solo... ah, ma cosa parlo a fare? Buonanotte! Me ne vado a letto!". Dopodichè si girò e si diresse alla porta che dava sul retro del locale. Una volta dentro, crollò contro il muro, cuocendo nella sua rabbia impotente. Era così ingiusto! Si era solo chiesto perché Ukyo sembrasse così abbattuta. Era stato bello, parlare con lei. Lo aveva fatto sentire bene, e vederla così infelice lo aveva preoccupato proprio per questo. Perché mai preoccuparsi per qualcuno doveva mettere in imbarazzo Shampoo? Perché lei e Ukyo erano in competizione per il cuore di Ranma? Davvero era così meschina?
"Dunque, Shampoo", sentì dire dalla vecchia, "quale dei due preferisci?". Ci fu un silenzio attonito.
"Bi-bisnonna, come puoi chiedelmi una cosa del genele? Io sposelò Lanma! Lanma mi ha battuto in combattimento! Quello stupido di Mousse non salà mai come Lanma, non salà mai abbastanza blavo...".
"Shampoo", la interruppe con un tono di tolleranza costernata. "Quale dei Ranma preferisci?". Mousse sentì ancora il calore del sangue salirgli al volto. Mai abbastanza bravo, eh? Strinse i pugni fino a farsi dolere gli avambracci, ma continuò ad ascoltare.
"Oh. ehm, sono uguali. Ma... il nuovo Lanma, lo chiamano Lanko, ha qualcosa di tliste dentlo, è felito nel cuole. Gli sono capitate blutte cose plima di allivale qui".
"Hmmmm. Tecnicamente, non puoi avanzare pretese su questo nuovo Ranma. Comunque, se si renderà necessario, potremo cambiare la situazione". Mousse sussultò alla sicurezza nel tono della vecchia, e digrignò rabbiosamente i denti. "Andiamo. Raccontami tutto".
Quella vecchia strega, pensò cupamente, staccandosi dal muro e dirigendosi nelle sue esigue stanze. Avrebbe ascoltato tutta la storia, e poi avrebbe creato uno schema per ottenere quello che voleva. Senza curarsi di chi ci sarebbe andato di mezzo. E Shampoo l'avrebbe seguita passo dopo passo.
E lui? Chi era lui per contrastare i loro grandi schemi? Solo un insignificante maschio amazzone, per cui non valeva la pena preoccuparsi. Allora sentì un piccolo truce sorriso contrargli le labbra, al ricordo di quanto seccata era stata Shampoo sulla strada del ritorno. Dunque la sua preoccupazione per Ukyo l'aveva preoccupata, eh? Bene.
Aprì i pugni, senza notare i sottili rivoli di sangue che uscivano dai tagli che le sue unghie avevano inciso nei palmi. Le sue dichiarazioni d'amore non l'avevano portato da nessuna parte. Forse era tempo di tentare una nuova tattica per conquistare il cuore di Shampoo.
Ripensò ancora alla sua conversazione con Ukyo, e il suo sorriso crebbe ancora un po'.
Sì. Decisamente una nuova tattica.


(Ukyo)

Sedeva sul letto, con ancora addosso gli stessi vestiti che aveva portato alla cena. Con la schiena contro il muro sfogliava l'album fotografico, pagine e pagine piene di ricordi.
Ricordi di lui. C'erano foto di Ranma da ragazzo e da ragazza. Foto di lui che corre, sta fermo, parla, e combatte. Oh, già, un bel po' di queste ultime. La maggior parte erano state comprate da Nabiki, che sembrava averne sempre a disposizione per lenire il suo appetito insaziabile. Non ne poteva mai avere abbastanza. Scorse le pagine, immagine dopo immagine del suo vero amore, e desiderò che fossero l'originale. Si stupì quando una lacrima colpì il rivestimento di plastica con uno schiocco sonoro.
"Io non mi metterò a piangere", disse alla stanza vuota. "Non mi metterò a piangere perché non lo perderò. Verrà da me. Dovrà farlo". Chiuse il pesante album, accarezzando amorevolmente la fredda copertina di cuoio. Poi lo strinse al petto e si lasciò scivolare lentamente sul letto, rannicchiandosi e affondando il volto nel cuscino. "Verrà da me", sussurrò con forza. "Deve. Perché io lo amo più di ogni altra". E infine, come quella notte di tanti anni prima in cui era stata abbandonata la prima volta, pianse fino a addormentarsi.


(Casa Kuno)

Kodachi faticava a rimanere tra le quattro mura della sua stanza. Due Ranma. Due. Lasciamo che quelle sempliciotte si arrabattino su quale corteggiare. Kodachi era di stoffa più ambiziosa. Li avrebbe semplicemente ottenuti entrambi. Era così che doveva andare, lo capiva in quel momento. Non un solo Ranma, ma due! Devoti a lei, innamorati di lei, decisi a fare della sua vita un paradiso. Due.
Si portò una mano alla bocca, col palmo in fuori, e rise con la sua deliziosa risata per la pura gioia di quell'idea. Gioia.
E altrettanto improvvisamente, si fermò.
LORO non volevano che lei fosse felice. LORO non volevano che lei avesse mai niente. E LORO stavano ridendo di lei. La stavano deridendo.
"Piccoli sudici vermi", sibilò. "Non riderete più quando Ranma sarà mio. Quando entrambi saranno miei, non oserete più ridere di me! Mi sentite? Sì?". La sua voce salì a un grido stridulo. "CREDETE CHE IO NON VI VEDA?". Srotolò il suo nastro, e cominciò a lanciare colpi rapidi e mortali negli angoli in ombra della stanza. Danzò follemente attorno alla camera, rapita dalla gioia e dalla collera, finché la porta non si aprì improvvisamente.
E si fermò.
Nell'apertura c'era suo fratello, nella sua solita divisa da kendoista, il bokken stretto fermamente nella mano. Impassibile, la guardò mentre cercava di riportare la respirazione sotto controllo, con il sudore che le gocciolava dalla fronte.
"Stavano ridendo", disse lei alla fine. "Sai che lo odio". Lui continuò a fissarla, indecifrabile.
"Non c'è nessuno qui, sorella", disse alla fine. Lei ridacchiò, e si mise a riavvolgere il nastro.
"Ma certo che non c'è nessuno. Non c'è mai nessuno qui. E niente si perde senza ragione. E Sasuke si è semplicemente stufato di essere una devota guardia del corpo e se n'è andato". Eseguì una graziosa piroetta, poi tornò a fronteggiarlo. "Questa è solo una normalissima casa piena di normalissimi problemi, giusto?". Lui la guardò, con un'espressione insolitamente grave.
"Ieri notte piangevi. Per lei". Kodachi si immobilizzò improvvisamente, in un atteggiamento che non mancava mai di incutere timore nei suoi avversari. Suo fratello, però, era fatto di tutt'altra pasta. Almeno quando andava da lei.
"Si potrebbe pensare che con tutte le risorse della nostra famiglia potremmo permetterci dei muri più spessi", disse allegramente, ma ancora immobile.
"Tu non dormi bene". Non era una domanda. Kodachi scivolò vicino a Kuno, spiacevolmente vicino, e lo scrutò con occhi cerchiati, solo apparentemente stanchi.
"Ho fatto brutti sogni, fratello. I tuoi preziosi poeti non hanno scritto niente sui brutti sogni? Credevo che tu fossi un esperto in materia". Si portò un dito alle labbra con fare pensoso. "Perché ti preoccupa così tanto? Possibile che tu stavolta non li abbia condivisi con me?". Kuno la guardò impassibile, e lei sorrise, lentamente, con sensualità. "Possibile?".
"Avevi promesso di dirmelo se fossero tornati". Una sottile vena di emozione era finalmente scivolata nella sua voce. Rabbia. Lei sostenne il suo sguardo senza paura. La sua rabbia non la terrorizzava. Poche cose lo facevano, ormai.
"Non importa", disse piano. "Il mio adorato Ranma è la luce, e due Ranma sono stelle gemelle, in orbita attorno a me! Porterò qui i miei amori e la loro luce spazzerà via le ombre e bandirà le tenebre! A Casa Kuno ritornerà la luce, fratello! Non sarà magnifico?". I suoi occhi scintillarono, e il respiro le si fece affannoso. Si alzò sulle punte dei piedi affannandosi nel tentativo di farglielo capire. "Tutto andrà bene. Tutto tornerà come una volta!". A quelle parole, il volto di Kuno si torse.
"La tua ossessione ti acceca, sorella. Ti ho già detto che Saotome indulge nelle arti occulte. Sicuramente è uno stregone. E la sua controparte è marchiata nell'anima dalla sua stessa oscurità. Anche se questo fardello potesse essere diviso con degli estranei, anche se venisse a cadere il giuramento del nostro clan, quei due non potrebbero aiutarci". I grandi occhi a mandorla di Kodachi si strinsero per la rabbia mentre si allontanava.
"Io credo che tu abbia solo paura, caro fratello. Paura che possa succedere, paura che l'amore possa illuminare la mia strada e lasciarti indietro! Tutto ciò che fai è parlare, alla fin fine! Va’ a languirti per la tua ragazza col codino e la tua amata Akane Tendo!", scattò. "Avranno moltissimo tempo da dedicarti dopo che entrambi i Ranma si saranno impegnati con me!". Kuno la fissò per un momento, contraendo la mascella alla ricerca di una ribattuta, ma lei gli voltò le spalle, alzando altezzosamente la testa nel dirigersi a una consolle coperta di bottiglie e vasi di tutti i tipi. Infine lo sentì sospirare, sentì il fruscio dei suoi abiti mentre spostava il suo peso.
"Il nuovo cuoco se n'è andato", disse alla fine. Cambia argomento, pensò lei trionfante. Un punto per me.
"Com'è che si dice? 'Se non sopporti il calore, sta’ fuori dalla cucina'? Suppongo che l'abbia presa in parola". Cominciò a trafficare con le sue erbe, pensando alle pozioni e alle polveri necessarie per assicurarsi i suoi Ranma. "Sembra che cambiamo ancora più servitù ultimamente. Secondo te da cosa dipende, fratello caro?", chiese quasi oziosamente, ma osservandolo con la coda dell'occhio. Con suo disappunto, lui non reagì. Almeno non visibilmente.
"Dormi bene, sorella", fu tutto ciò che disse nell'allontanarsi, chiudendo silenziosamente la porta. Kodachi strinse un'ampollina così forte da incrinarla, e si voltò per lanciare uno sguardo velenoso alla porta chiusa.
"Non è divertente", sibilò. Poi vide il fluido limpido che sgocciolava dall'ampolla incrinata e sospirò. Brontolando, si mise a cercare qualcosa di pulito per asciugare.
Tatewaki non avrebbe mai conquistato né la pel di carota né quella sempliciotta di Akane Tendo, lei lo sapeva, perché lui non capiva il cuore di una fanciulla. Pensa un po', dirle che Ranma non poteva aiutarla. Leggendo tutta quella poesia, a uno verrebbe da pensare che l'amore vince su tutto. Sempre. L'arrivo del secondo Ranma era un segno per lei, naturalmente. Un Ranma poteva solo amarla tanto; due potevano riversare su di lei l'adorazione che meritava.
Canticchiando allegramente sottovoce, lasciò cadere l'ampolla vuota nel cestino dei rifiuti e si dispose a preparare alcune sorprese molto interessanti per le sue fidanzate.
Perché, dopo tutto, la strada del vero amore raramente correva agevole.


(Jack)

"Non ci credo. Questo ragazzino è incredibile". Jack si lasciò cadere contro lo schienale e si fregò gli occhi arrossati dallo schermo. "Quante fidanzate ha, poi?".
"Te l'avevo detto di leggere il briefing della missione prima, no?", brontolò Scooter.
"Ma guarda che razza di gruppo. Vediamo, qui ci sono mortali spatole volanti, tecniche segrete, colpi energetici...".
"Ci stai ripensando, Jack?".
"E calmati. Se lui dice di no, noi ce ne andiamo pacificamente e chiamiamo la cavalleria. Ok?".
"Perché ho il presentimento che non sarà così semplice?".
"Perché sei un pessimista. Qual è lo status delle riparazioni dei sistemi principali?".
"Tutti i sistemi principali sono riparati e operativi, con l'eccezione delle comunicazioni, che sembrano aver sofferto di un guasto intermittente... guasto che ovviamente è stato riferito nel rapporto...".
"Sei il mio dio, Scooter".
"...e la rete principale dei sensori, che si prevede operativa per le 0406, ora del tempo locale".
"Un sacco di tempo", disse Jack.
"Beh", replicò Scooter esitante, "io sono ancora preoccupato per le letture anomale del subspazio locale. Fanno davvero paura, e non sono sicuro che siano state causate dal raggio di energia di Saotome".
"C'è un modo per sapere cos'ha causato quelle letture senza la rete principale?".
"Uh, no".
"E allora smettila di preoccuparti. Lo saprai alle 4:06 ora locale, giusto?".
"E tu lo saprai alle 4:07".
"Ehi, stammi a sentire. Ora mi faccio una doccia e mi schianto in branda. Se mi svegli alle quattro di mattina, sarà meglio per te che sia per la fine del mondo. Capito?".
"Così sia scritto, così sia fatto. Buonanotte, mio faraone".
"See, see". Jack si alzò dalla postazione di comando, desiderando di poter far tacere i suoi presentimenti che quel gioco d'azzardo con Saotome alla fine gli si sarebbe rivoltato contro per prenderlo a calci nel culo.


Sul tetto, un'ultima volta

Ranma si appoggiò contro il tetto, con Akane al suo fianco, e il capo di lei sulla spalla. Le sue braccia erano attorno a lei, le dita mollemente intrecciate, e lui ebbe un brivido delizioso quando sentì il pollice della ragazza scorrervi distrattamente sopra. Il suo cuore non aveva ancora rallentato i battiti da quando si erano seduti, solo perché per una volta erano vicini, senza quasi parlare. Il loro respiro sembrava uscire all'unisono, il calore dei loro corpi si fondeva intimamente, e il profumo dei suoi capelli gli dava alla testa, come una droga potente. Aveva aspettato quegli attimi di quiete, anche senza capirlo, almeno da quando l'aveva incontrata. Voleva che quel momento non finisse più. E soprattutto non voleva essere lui a farlo finire.
Ma doveva. L'essere riusciti ad ammettere i propri sentimenti reciproci era stato un grosso passo, ma probabilmente non era l'ultimo. Oltretutto, avrebbe reso le loro vite più complicate di prima. Spesso si era chiesto come sarebbe stato dire ad Akane quello che lei significava veramente per lui, ma non aveva mai pensato granché a quello che sarebbe successo tra di loro dopo. Il primo grande passo sembrava aver sempre messo in ombra ogni altra cosa. Sospirò, e Akane si sollevò, alzando leggermente il volto per guardarlo negli occhi.
"Sì?", chiese gentilmente. Lui le fece un sorriso dispiaciuto.
"Stavo pensando. Devo fare quello che ha fatto Ranko oggi. Voglio dire, devo parlare alla altre "fidanzate". So che devo, ma odio il pensiero di doverlo fare". Detto questo, si tese al pensiero di come Akane avrebbe potuto fraintendere la sua riluttanza. Eppure, per una volta, lei non si inalberò, solo continuò a guardarlo con calore.
"So che non vuoi ferirle, Ranma", disse. "Ma non otterrai niente di buono accantonando il problema. Questa incertezza rende le cose difficili a tutti. Tu... noi abbiamo bisogno di porvi fine, presto. Non si risolverà mai da sola, lo sai".
"È facile per te dirlo", borbottò Ranma. "Tu non devi spezzare il cuore a nessuno".
"Nessuno come Ryoga?", chiese lei con calma. Ranma sussultò.
"Come diavolo...?". Akane sorrise, con fare enigmatico.
"Le ragazze capiscono queste cose, Ranma", disse semplicemente. "E hai ragione, io sono fortunata. Ha deciso di rinunciare a me da solo. Ma sappiamo entrambi che non sarà neanche lontanamente così facile con Ukyo, Kodachi o Shampoo. A dire il vero, potrebbero esserci problemi".
"Beh, ci penseremo dopodomani", disse lui, stringendola affettuosamente. "Abbiamo già un problema da risolvere, ricordi?". Akane distolse lo sguardo.
"Noi abbiamo un problema?", chiese. Lui le strinse una mano e le diede di gomito.
"Sì, noi. Non mi scuserò per averti voluto proteggere, Akane. Io ci tengo a te, e il mio istinto mi ordinerà sempre di impedire che ti succeda qualcosa. Ma non voglio ferirti, e comunque stavo facendo attenzione a quello che dicevi prima. Saremo compagni, succeda quel che succeda". Fece una pausa, guardando nei suoi grandi occhi castani. "Ti voglio al mio fianco. Non voglio fare lo stesso errore di Ranko".
"Che? Quale errore?", chiese lei. Ranma si ricordò che lei non sapeva quello che gli aveva detto Ranko giù al fiume. Si chiese se fosse giusto dirglielo, e decise che ormai non poteva far male.
"Ha cercato di proteggere la sua Akane lasciandola indietro, e quando è tornato era già morta". Stupore, costernazione e dolore lampeggiarono sul volto di Akane in rapida successione.
"Povero Ranko", sussurrò. "Non mi meraviglia... quando te l'ha detto?".
"Oggi. Dopo che gli ho detto.. lo sai. Non credo che mi abbia ancora perdonato. Voglio dire, io al suo posto non l'avrei fatto. Ma si sentiva molto in colpa, e aveva bisogno di raccontare a qualcuno tutta la storia. Aveva bisogno che io lo capissi. Tutta questa faccenda è difficile per lui".
"Ma sarà ancora più difficile quando ci vedrà insieme. Mi sento così stupida, non ho nemmeno pensato a come si sente lui!". Akane lo guardò con smarrimento. "Insomma, se prova quello che tu mi hai appena detto di provare per me...".
"È così. Ma non sarà un problema, perché vuole andarsene". Ranma distorse lo sguardo, chiaramente in imbarazzo.
"Cosa? Andarsene? Ma... dove andrà?". Ranma cercò di spiegarle le ragioni che Ranko gli aveva dato per la sua decisione. Quando ebbe finito Akane non sembrava tranquillizzata.
"Non mi piace l'idea di lasciarlo andare così, Ranma. Ti assomiglia così tanto. E tu hai appena finito di raccontarmi quanto ti addolorerebbe essere solo dopo aver vissuto qui. Non possiamo lasciarlo andare!".
"Non credo che possiamo fermarlo", rispose Ranma. La studiò per un lungo momento, poi sospirò.
"Che c'è?".
"Non posso fare a meno di chiedermi... chi avresti scelto se lui fosse rimasto? Se tu avessi dovuto scegliere tra noi due? Lui sapeva cosa voleva dire perderti, avrebbe saputo trovare tutte le parole che io quasi non sono riuscito a dirti". Akane lo fissò, assorta, per così tanto tempo che lui cominciò a preoccuparsi. Finalmente lei alzò un dito per seguire la linea della sua mascella, facendolo rabbrividire.
"Ti assomiglia così tanto", disse piano. "E mi piace. Davvero. Ma non è te. Dopo tutto quello che abbiamo passato, tutto quello che ci è capitato, tutta la nostra storia, tu sei l'unico che voglio. Il solo. Per lui non sarei mai altro che un riflesso di lei. Ma per te...".
"Per me", disse lui, con la voce malferma per l'emozione, "tu sei l'unica. La sola". Quando lei aprì la bocca per parlare, lui la attirò a sé e la guardò negli occhi. "Akane, basta con i discorsi seri. Stiamo un po' insieme", disse. "Presto, avremo le nostre famiglie alle spalle, per non menzionare tutti gli altri. Abbiamo dovuto aspettare tanto questo momento, godiamocelo in pace. Solo tu, io, e la notte. Ok?". Lei sorrise e annuì. Ranma deglutì con un certo nervosismo e si avvicinò. Akane parve sorpresa, tuttavia alzò il mento e lo incontrò in un gentile bacio. Ranma la circondò con le braccia, stringendola.
Mi ci posso abituare, pensò beatamente. Akane si rannicchiò di nuovo contro di lui, e per una volta, Ranma non provò alcun rancore verso il mondo. Dimenticò la sua maledizione, le altre fidanzate, e anche Ranko. Insieme, guardarono il cielo, mentre il mondo dei problemi sembrava, almeno per un po', davvero molto lontano.
Sul quel tetto, l'ultima notte innocente.


Epilogo

Dietro il Liceo Furinkan era parcheggiato un furgoncino bianco, nascosto dall'ombra dell'edificio. Il portellone posteriore era aperto, e dall'interno il veicolo veniva scosso sulle sospensioni in modo allarmante.
Più allarmanti, comunque, erano i rumori che ne uscivano.
"COSE CATTIVE, COSE CATTIVE, CO-CO-CO-COOOOOSE CATTIVE!" Un paio di ardenti occhi rossi apparvero nell'ombra, quasi fossero indipendenti da un corpo, e contemplarono il furgone.
"Grinnis", sibilarono. Il furgone smise di sobbalzare e l'orribile canzone si interruppe di colpo. "GRINNIS", ripeté la voce, più forte.
"CHECCÈ?".
"Non dovresti essere qui fuori", disse la voce con calma. Una figura voluminosa uscì dal furgone, torreggiando nella sua statura eretta.
"GRINNIS HA FAME", grugnì con fare petulante.
"Non ci sono più idraulici lì dentro, Grinnis", sibilò pazientemente la voce. "Torna dentro. Non dobbiamo essere scoperti prima che siamo pronti, prima che siamo forti abbastanza. Ricordi?".
"MA GRINNIS HA FAME! GRINNIS VUOLE MANGIARE! GRINNIS VUOLE GIOCARE!".
"Sì, sì, lo so. Presto, Grinnis. Presto potrai fare quello che più ti piace di questa mandria di uomini".
"PRESTO?", chiese Grinnis incerto. Una strana luce brillò non lontano, e qualcosa con un sacco di tentacoli cominciò a scivolare fuori dall'ombra con un rumore raccapricciante, ultraterreno. Gli occhi risero, allegramente, follemente.
"Oh sì, presto. Molto, molto presto". Gli occhi rossi risero di nuovo, e un largo sorriso da idiota si stese sull'orrenda faccia di Grinnis.
"PRESTO. COSE CATTIVE, COSE CATTIVE, PRESTO PRESTO COSE CATTIVE!".
"Sì, amico mio. Molte, molte cose cattive". La sua folle risata si perse nella brezza notturna, e ovunque quella brezza passava, la gente gridava nel sonno, gli animali guaivano e il buio estendeva il suo dominio.





Fine sesta parte.
Revisione versione originale inglese: 3 agosto 1997
Revisione traduzione italiana: 20 ottobre 1998
Betalettura a cura di TigerEyes: 2/8/2011
Nel caso doveste riscontrare refusi che mi sono sfuggiti, vi prego di segnalarmeli, grazie.

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Capitolo 7
*** VII - L'abisso ***



CAST A LONG SHADOW

di
Mark MacKinnon



traduzione
Il Corra Productions




VII

L’abisso





E quando fissi lo sguardo nell'abisso, l'abisso stesso guarda dentro di te.

Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male


Prologo


Jack si levò di scatto dalla sua cuccetta, con un urlo bloccato in gola. Ansimò, rabbrividendo alla sensazione del sudore che si asciugava sul suo petto nudo. Si rese conto che stava cercando a tastoni la pistola e strinse i pugni di riflesso. Non dormiva più con un'arma sotto il cuscino. Non ne aveva più bisogno. Scosse la testa e deglutì, cercando di convincere il cuore in tumulto che non c'era alcun pericolo.
Svegliarsi da un incubo era un'esperienza terrificante.
Svegliarsi solo, con nessuno con cui parlare, nessuno da cui cercare conforto, nessuno a cui importasse, era un'esperienza profondamente solitaria. E triste.
Casa. Aveva sognato casa sua. Non aveva avuto quel particolare sogno da... anni, Dio, dovevano essere anni. Passò il polso lungo il volto madido di sudore, notando con un po' di sorpresa che stava ancora tremando. Nelle orecchie gli sembrava di poter sentire di nuovo le urla, le sirene in lontananza, il tuono distante delle esplosioni.
E un singolo colpo di arma da fuoco.

("Mamma, perché il papà è uscito? Aveva detto di non uscire più. Aveva detto che non era sicuro. Ci ha fatto promettere di non uscire più. Allora perché è uscito? Mamma? Mammina? Perché stai piangendo?".)

Solo più tardi aveva capito, riguardo al virus e come, negli ultimi stadi, le vittime impazzivano, e attaccavano tutto quello che si muoveva. Tutto ciò che sapeva era che la città si stava facendo a pezzi, c'erano scontri ovunque, e tutti sembravano ammalarsi.
Eccetto lui.
Scosse rabbiosamente la testa, per non far riaffiorare quei ricordi. Appartenevano al passato, assieme all'Errore. Lui voleva essere lasciato solo. Voleva essere di nuovo impegnato per non avere così tanto tempo per pensare.
"Tempo!", scattò. Lo schermo della parete si accese, ubbidiente. Ore 04:06.
Jack aggrottò la fronte, mentre una sottile punta di paura trapassava il suo stomaco. Che diavolo? Quello doveva avere qualche significato per lui, lo sapeva. Quell'ora... scosse debolmente la testa ancora intontita dal sonno. Non riusciva a pensare chiaramente quando era stanco. Se almeno Scooter avesse finito le riparazioni avrebbe avuto qualcuno con cui parlare...
Riparazioni. Rabbrividì, e la sensazione di presagio nello stomaco si intensificò.
"Ripeti dopo di me", sussurrò. "Io NON credo nelle premonizioni, io NON credo nelle premonizioni, io...".
Lo schermo segnalò 04:07 ore. E una sirena cominciò a suonare.
"EMERGENZA! STATO DI ALLERTA! STATO DI ALLERTA! QUESTA NON È UN'ESERCITAZIONE! RIPETO, QUESTA NON È UN'ESERCITAZIONE!". Jack saltò giù dal letto, agguantò i vestiti dal pavimento e corse, odiando la voce di allarme pre-programmata, chiedendosi cosa avesse trovato Scooter.
Rabbrividì.
Io non credo nelle premonizioni, si disse silenziosamente. Ma a quanto pare loro credono in me.


Fu, come si suol dire, l'ennesimo déjà vu.
Cominciò in modo abbastanza semplice. Eravamo seduti intorno al tavolo per fare colazione dopo i tradizionali esercizi mattutini. Quella mattina, tuttavia, ci eravamo dati da fare Ranma e io, mentre gli altri guardavano. Senza la tensione che c'era stata tra di noi il giorno prima, eravamo riusciti ad allenarci in modo amichevole. Beh, abbastanza amichevole. Entrambi odiavamo perdere, e c'era ancora un po' di tensione, ma alla fine, risultò che eravamo avversari troppo equilibrati perché una delle parti potesse guadagnare un vantaggio decisivo. Ci eravamo bagnati entrambi, comunque.
La madre di Ranma si era presentata presto e si era unita a noi per la colazione, e così pure Ryoga. All'inizio mi sorpresi di vederlo, poi capii che voleva essere a portata di mano quando Jack sarebbe tornato quel pomeriggio. Con il suo senso dell'orientamento, non poteva che restare in casa fino a quel momento. Tuttavia, ero piuttosto sicuro che se ne sarebbe andato poco più tardi. Doveva essere duro per lui restare così vicino ad Akane, dopo la sua decisione.
Specialmente ora.
Avevano passato un bel po' di tempo su quel tetto la notte prima, e quando Ranma era ritornato nella nostra stanza, i suo piedi toccavano a malapena il pavimento. Solo stargli vicino era come avere accanto un cavo dell'alta tensione non isolato. Aveva gli occhi sfuocati, continuava a sorridere senza ragione, e non riusciva ad addormentarsi. Non era necessario essere dei geni per capire cosa gli frullasse per la testa. O meglio, chi.
Alla fine ce l'avevano fatta. Scoccai un'occhiata a quei due. Erano entrambi stranamente tranquilli, e continuavano a guardarsi con sorrisetti timidi. Effettivamente, Akane arrossiva ogni volta che i suoi occhi incontravano quelli di Ranma-chan, e la mia controparte stava perfino masticando il suo cibo anziché fagocitarlo. Non credo che qualcuno l'avesse notato, ma solo perché avevano tutti altro a cui pensare.
Ce l'avevano fatta davvero. E io avevo voglia di urlare. Era una cosa dannatamente buona che io fossi sul piede di partenza, perché, per quanto potesse sembrare ridicolo, non riuscivo a provare alcuna gioia per loro, solo un'irrazionale gelosia. Inghiottii la mia amarezza, stringendo la mascella in modo quasi doloroso. Avrei dovuto esser felice per loro, avrei dovuto rallegrarmi per il fatto che si fossero finalmente dichiarati. Ma naturalmente, tutto quello cui riuscivo a pensare era che ora lui aveva la sua famiglia, i suoi amici, la sua vita. E Akane.
E io non avevo niente.
Smettila, mi dissi con rabbia. Hai deciso, ricordi? È la cosa migliore. Ci sono un sacco di buone ragioni per farlo. Ricordi?
Riflettendoci, conclusi che Ucchan avesse ragione. Al cuore non importa granché della logica. Eppure, me ne sarei andato, e questo mi avrebbe semplificato le cose. Oh, pregai, fa che sia così.
Kasumi si alzò e si diresse verso la cucina per scaldare un po' d'acqua per Ranma-chan e me, visto che eravamo ancora entrambe nella forma femminile, e il signor Tendo si schiarì la voce.
"Bene, Nabiki, Akane, visto che ci aspettiamo che il nostro ospite compaia di nuovo durante il pomeriggio, vostra zia si è gentilmente offerta di ospitarvi a casa sua con Kasumi finché non sarà tutto finito". Akane guardò Ranma-chan, che annuì di rimando. Poi si alzò con piglio deciso e incrociò provocatoriamente le braccia. Ranma-chan si alzò al suo fianco.
"Io resto", disse Akane. L'improvviso silenzio venne rotto dal rumore secco dei bastoncini che il signor Tendo aveva spezzato in due.
"Akane, ne abbiamo già parlato!", disse seccamente. Lei sussultò.
"No, papà, tu ne hai già parlato. Ora voglio che tu mi ascolti. Sono l'erede di questa scuola, e non scapperò via da questa minaccia o da qualsiasi altra. Ranma è il mio fidanzato, e Ranko ora fa parte della nostra famiglia. I loro problemi sono anche problemi miei. Io resto".
"Signor Tendo...", cominciò Ranma-chan.
"Tu stai zitto! Non credere che mi sia dimenticato di come hai quasi ucciso mia figlia qualche giorno fa, Ranma! Che grilli le hai messo per la testa?". Ranma-chan sussultò, Akane impallidì, e tra gli occhi del padre di Ranma comparve una piega.
"Tendo", cominciò a disagio. Lui lo interruppe con uno sguardo infuocato.
"No! Non voglio sentire ragioni! Akane se ne va e questo è tutto!".
Ranma-chan avanzò e prese la mano di Akane, sbalordita.
"Se lei se ne va", disse tranquillamente, "me ne vado anche io." A quelle parole sul nostro piccolo gruppo cadde un silenzio di pietra. Ranma e Akane che fanno fronte comune? Akane guardò Ranma-chan con gratitudine. E anche qualcos'altro. Qualcosa a cui non volevo pensare. Per un lungo momento, nessuno parlò. Potevo sentire il fischio della teiera in cucina, o i movimenti di Kasumi. Poi sentii qualcos'altro. Uno strano ronzio.
E fu allora che Kasumi urlò e io ero già lanciato oltre la tavola, alla guida degli altri in una corsa a capofitto verso la cucina. Girai l'angolo e vidi Jack di fronte a una delle sorelle Tendo, proprio come due giorni prima. Solo che questa volta era Kasumi invece che Akane.
E questa volta non aveva una pistola.
Coprii la distanza tra di noi prima che quell'intenzione si fosse completamente formata nella mia mente, e afferrai Jack per il suo lungo cappotto nero; lo slancio lo spinse contro il muro. Essendo nella forma femminile, non ero molto forte, ma la rabbia mi diede abbastanza energia per allontanare quell’uomo più alto dal muro e risbattercelo. Non fece resistenza. Sentii il mio autocontrollo dissolversi e aspettai una scusa per martellarlo con un Kachu Tenshin Amiguriken. Qualsiasi scusa.
"E così", ansimai, "non sei un uomo di parola, eh, Jack? Perché non sono sorpreso?". Lui alzò lentamente le mani, aperte e vuote, all'altezza delle spalle.
"Sei tu, vero, Saotome?", chiese con cautela. Mi resi conto che non mi aveva mai visto in forma femminile prima di allora, ma visto che sembrava sapere tutte quelle cose su di me, era abbastanza logico che sapesse della maledizione.
"Già. Tutto bene, Kasumi?". La vidi annuire con la coda dell'occhio.
"Non mi ha fatto del male", disse con voce tremante. "Ero solo spaventata".
"Non sono qui per far del male a nessuno...", cominciò Jack. Sentii qualcuno avvicinarsi alle mie spalle.
"Esatto", sentii dire dal signor Tendo. "Tu non farai del male a nessuno". Il suo tono mi fece capire che Jack era stato fortunato a incappare in me per primo.
"Senti, ragazzo, dobbiamo parlare", disse guardandomi negli occhi. Il livido sotto il suo occhio si era stinto in un brutto colore giallo, e il suo volto sembrava distrutto. Resistetti all'impulso di sbatterlo una volta ancora contro il muro, e aprii la bocca per dirgli che non dovevamo parlare di un bel niente.
"Ranko", disse il signor Tendo con un tono spaventosamente calmo. "Allontanati, per favore".
"Tendo", fece il padre di Ranma con voce allarmata. Soun allungò una mano sopra la mia testa, agguantò il cappotto di Jack e lo tirò seccamente, premendoci entrambi contro di lui.
"Tu", ruggì, "ora pagherai per aver minacciato la mia famiglia". Mi ritrovai bloccato tra i due uomini più alti.
"Ehi!", gridai. A me spettava la precedenza. Capivo i sentimenti di Tendo, ma lui avrebbe dovuto aspettare il suo turno. Eppure, aspettare non sembrava essere nelle sue intenzioni. Caricò indietro il braccio, con le dita chiuse e il palmo in fuori, e capii che se non lasciavo andare Jack per cercare di fermarlo lo avrebbe centrato con un colpo tremendo, forse letale. Jack rimase immobile, forse senza capire il pericolo che stava affrontando, e continuò a cercare di parlare.
"Ascoltatemi, tutti voi! Devo dirvi una cosa! Dannazione, non potete ascoltarmi?". Poi sentii qualcun altro parlare, con una voce calma, controllata, che esigeva attenzione.
"Genma". Al suono della voce di sua moglie, Genma abbandonò la posizione di spettatore e strinse fermamente il braccio di Tendo.
"Saotome, lasciami andare", grugnì lui, cercando di raggiungere Jack. Ero ancora tra di loro, e mio malgrado li tenevo separati solo perché volevo colpire Jack per primo.
"Papà, smettila!", gridò Kasumi, spaventata. Vidi Ranma-chan e Akane di fianco a lei, e zia Nodoka che si avvicinava a noi. Notai con un po' di trepidazione che aveva con sé la sua katana, ancora nel fodero ma senza la sciarpa di seta.
"Soun", disse con voce calma e autoritaria, "forse dovremmo ascoltare quello che ha da dire. Colpirlo mentre non offre resistenza è disonorevole e inutile. Non sei d'accordo?". Era chiaro che lui non volesse essere d'accordo, ma non riusciva a liberarsi dalla stretta del suo amico, e l'altra sua mano era ancora chiusa sulla giacca di Jack. "Siamo tutti d'accordo?", disse lei, stavolta guardando me. Strinsi i denti. Aveva ragione, naturalmente. Avevo bisogno di Jack perchè tornasse dalla sua gente a dir loro che me ne andavo da casa Tendo, il che sarebbe stato problematico se il padrone di casa gli avesse mozzato la testa. O se lo facevo io.
Alla fine, una parte della tensione si dissipò e il signor Tendo parlò tra i denti stretti.
"Dì quello che hai da dire", grugnì a Jack, ancora impassibile, "e vattene. E se tornerai, nessuno ti salverà da me". Pensai che forse stava esagerando un po'; in fondo, Jack non aveva mai fatto del male ad Akane o a qualcun altro. Comunque, aveva invaso casa Tendo e minacciato Akane con una pistola, e il signor Tendo era rimasto molto scosso dall'incidente quasi fatale per sua figlia. La sua natura iperprotettiva era stata duramente provata. Restai a guardare mentre il padre di Ranma lo attirava lentamente indietro. Rimasi comunque abbastanza vicino, così da prevenirlo se avesse tentato di prendere la pistola.
Lui mi guardò e, come leggendomi nel pensiero, aprì lentamente il cappotto. La sua fondina era chiaramente visibile, ed era vuota.
"Voglio solo parlare", disse, senza staccare gli occhi da me.
"Hai violato i confini di questa casa due volte", disse freddamente zia Nodoka, fissandolo. "Dubito che ci sia qualcuno, inclusa me, che ti possa proteggere dall'ira di Soun Tendo se tu ci proverai una terza". Jack si voltò verso di lei, e la sua espressione si indurì.
"Signora, io non sono più il vostro maggior problema", disse con cautela. Tutti lo stavano guardando come si guarda un cane trovato per strada, uno che può mordere in qualsiasi momento.
"Che vuoi dire? Non ti lasceremo prendere Ranko, a nessun costo!", scattò Akane con rabbia. Ranma-chan era vicino a lei, con uno sguardo preoccupato, ma non interferì. Jack la osservò, poi tornò a me.
"Chi è Ranko?", chiese.
"Io. Senti, che vuoi, Jack? Io non verrò con te...".
"Loro sono qui, ragazzo". Mi fermai. Tutto si fermò. La mia mente, il mio cuore, il respiro, il tempo stesso. Tutto mortalmente fermo.
"No", dissi. Poteva significare una cosa sola.

("Promettimi che tornerai, Ranma".)

("Non essere così drammatica, Akane...".)

Una cosa sola. Macchie nere comparvero ai limiti del mio campo visivo e le orecchie cominciarono a fischiare.

("Promettimelo! Promettilo, o non ti lascerò andare! Promettilo, maledizione!".)

("A-Akane, stai... no. Non piangere...".)

Erano qui. Loro. I demoni, i mostri. Gli assassini. Qui.

("Promettilo, Ranma. Ti prego".)

("Te lo prometto. Tornerò".)

Mi avevano seguito. Mi avevano trovato.

("Tornerò e porterò tutti con me. E andrà tutto bene, Akane. Vedrai".)

No, per favore. Non ancora.

("Andrà tutto bene".)

Per favore.
Da una grande distanza sentii la voce di Jack, che diceva: "Mi dispiace, ragazzo. Vorrei che ci fosse un modo più facile per dirtelo...". Le sue parole vennero perdute mentre il suono del vento nelle mie orecchie cresceva.
Sono qui. Sta tutto succedendo di nuovo. Tutto.
Qualcuno mi toccò il braccio.
E cominciai a urlare.


Il Comandante Shetney era riuscita a racimolare meno di quattro ore di sonno a notte da quando la situazione a TI 49 era precipitata. L’essere richiamata alla postazione di comando dopo averla lasciata così poco tempo prima non aveva contribuito al suo buon umore.
"Takahashi", scattò, entrando a grandi passi rabbiosi dalla porta scorrevole. "Rapporto". Takahashi si voltò dallo schermo che stava esaminando e aggrottò la fronte. L'intera stanza sembrava in preallarme per qualche ragione. Shetney sentì una debole fitta di allarme allo stomaco.
"Comandante, una porta di pattuglia disabilitata nella fascia di mondi numero 300 ha ricevuto questa trasmissione meno di un'ora fa. L'hanno mandata a noi per decrittarla. Apparentemente proviene da un faro d'emergenza vicino...".
"Me la mostri". Non potevano essere buone notizie. Perché proprio adesso? Era stata costretta a inviare praticamente tutto quello che aveva a disposizione a TI 49, e TI 413 era crollata senza preavvisi, all'improvviso, persa prima che lei potesse agire.
Si ritrovò a ricordare di come sua madre le ripeteva sempre che le cattive notizie arrivavano a tre a tre.
"Pronto, Comandante". Si sedette di fronte allo schermo e premette sulla tastiera.

ATTENZIONE: MESSAGGIO CRITTOGRAFATO CODICE DES-1
INSERIRE COMANDO AUTORIZZAZIONE

Attivò la modalità protetta e compilò.

SHETNEY CAROL A. COMANDANTE DI GUARNIGIONE
AUTORIZZAZIONE: WISKEY 24399 ALFA

STAND BY PER SCANSIONE RETINA

Sospirò e rimase seduta immobile, in attesa che la scansione terminasse. Takahashi si portò di fronte alla stazione e guardò la stanza mentre Shetney si rodeva silenziosamente. La cifratura DES-1 non poteva che significare notizie molto cattive. Alla fine, l'autorizzazione venne confermata e il messaggio lampeggiò sul suo schermo privato, solo testo.

DALL'UNITA' DI PATTUGLIA GRUPPO DI INTERVENTO DIMENSIONALE X-RAY FOXTROT SIERRA SEI TRE TRE AL COMANDO DI GUARNIGIONE SETTORE JA. PRIORITA' DES-1.
MAYDAY MAYDAY MAYDAY.
RILEVATO VARCO DIMENSIONALE ATTIVO TRA TI 417 E TI 413.
SITUAZIONE URGENTE RIPETO URGENTE MA NON ANCORA INCONTENIBILE.
UFFICIALE RICHIEDE ASSISTENZA IMMEDIATA. STO TENTANDO CONTROMISURE.
DISTORSIONE PROVENIENTE DAL VARCO LOCALE RENDE COMUNICAZIONI DIRETTE TUTTORA IMPOSSIBILI.
RIPETO UFFICIALE RICHIEDE OGNI ASSISTENZA POSSIBILE AL PIÙ PRESTO.

UFFICIALE DI PATTUGLIA JACK GARY CONROY GID 880 GRUPPO DI PATTUGLIA - X-RAY FOXTROT SIERRA SEI TRE TRE.

FINE MESSAGGIO

RIPETO MESSAGGIO:

Shetney premette il tasto di blocco, poi cancellò lo schermo. I problemi arrivano davvero a tre a tre, pensò stupidamente. Chissà come sarebbe soddisfatta la mamma adesso. Fissò lo schermo, con occhi secchi e stanchi.
"Urgente ma non incontenibile", mormorò. Takahashi si sporse sulla console.
"Che cos'era, Comandante?", chiese. Shetney scosse la testa.
E al diavolo Jack. Il suo messaggio non andava molto per il sottile, ma non era nella posizione per dare ordini. Le sue forze erano malamente sparpagliate, e se si era formato un varco attivo tra un mondo infestato di demoni e uno incapace di combatterli, allora c'era solo una cosa che lei potesse fare.
"Takahashi, scendi alla centrale dell'Ops. Trova Dussault. Digli che autorizzo un Cerchio Nero a TI 417. Poi trovami una porta e un pilota. Ho bisogno di sapere in che casino ci stiamo cacciando". Takahashi esitò.
"Non sarà facile...".
"Dannazione, richiama qualcuno dal congedo se necessario! Non autorizzerò un attacco terminale finché non avrò avuto conferme! Ora muoviti!". Takahashi scattò in posizione di saluto e corse via, lasciando Shetney sola con la sua coscienza.
Spiacente, Jack, disse silenziosamente. È così che vanno le cose.
Si appoggiò contro la poltrona sentendosi vecchia di un milione di anni.


Ranma era preoccupato. Ranko-chan si era finalmente calmata, ma la sua reazione era stata estrema. E la situazione minacciava di tornare fuori controllo.
Aveva prelevato la teiera dal fornello e si era annaffiato con l'acqua calda giusto un momento prima che Ranko cominciasse a urlare. Aveva preferito essere un ragazzo nel caso si arrivasse alle mani, ma quel Jack non aveva fatto niente. Continuava a dire che loro erano là. E quando Ranko-chan era impazzita, lui aveva capito istantaneamente di cosa stesse parlando.
Solo che non riusciva a crederci.
Akane stava mormorando qualcosa alla sua sconvolta controparte, con un braccio attorno alle sue spalle, e Ranma combatté un'improvvisa fitta di gelosia. Non ora, dannazione, concentrati, pensò con rabbia.
"Stai dicendo che quello che è successo al mondo di Ranko sta per accadere qui?", chiese, andando dritto al punto. Gli altri, ancora sotto choc dopo la crisi di Ranko-chan, vennero riportati bruscamente alla realtà dalla domanda. Jack scosse la testa con enfasi.
"No! No, non esattamente. Sentite, vi dirò tutto, ma dovete mantenere la calma, ok? È necessario che capiate con esattezza cosa sta succedendo qui". Ranma non era sicuro del perché lui volesse la loro comprensione, e non era sicuro di fidarsi di quel tizio, ma se c'era anche solo una possibilità che quei mostri potessero arrivare avrebbe ascoltato comunque, e con molta attenzione.
Non intendeva lasciare che quello che era accaduto a Ranko accadesse a lui.
"Se non è la stessa cosa, allora qual è esattamente la situazione?", replicò.
"Ascoltate", disse Jack, guardandoli tutti. "Non è come prima, quando hanno distrutto il mondo di Ran... di Ranko. Possiamo fermarli, se agiamo in fretta".
"Ranko ci ha parlato di te, dei metodi della tua gente. Non avete fatto niente per aiutare gli altri su quel mondo. Perché dovremmo fidarci di te?", chiese Akane con amarezza. Lui la guardò, esasperato.
"Perché è l'unico modo. Se non vengono fermati, soccomberete allo stesso fato delle vostre controparti". Nessuno parve sapere cosa rispondergli. La tensione sembrava turbinare attorno a loro, stringendoli tutti insieme nel limitato spazio della cucina, in un crescendo da tempesta estiva.
"Allora dicci quello che sei venuto a dirci", fece Ranma, "e vedremo se crederti o no. Che te ne pare?". Jack annuì.
"Ok. Stamattina ho finalmente riparato la rete di sensori della mia Porta, e ho scoperto che si era aperto un varco tra questo mondo e quello dove ho trovato Ranma. Questo non sarebbe dovuto succedere".
"Stai dicendo che quelle cose hanno seguito Ranko?", chiese Nabiki con aria incredula dall'ingresso. Ranma si voltò e vide Ranko-chan irrigidirsi tra le braccia di Akane. Nabiki parve comprendere le implicazioni delle sue parole nello stesso istante e arrossì.
"Scusa, Ranko", disse velocemente. "Io non...".
"Loro mi hanno seguito, vero?", disse piano Ranko-chan dal suo cantuccio sul pavimento. "Sono venuti perché sono fuggito da loro, e mi rivogliono indietro". La sua voce era spaventosamente piatta, e i suoi occhi fissavano il suolo senza vederlo. Ranma sentì un brivido freddo scendergli per la schiena. Era vero? La presenza di Ranko li aveva messi tutti in pericolo?
"Senti, ragazzo, non c'è assolutamente modo in cui possano aver saputo che eri finito qui. È stato un incidente, ricordi?", lo interruppe Jack. "Il fatto che il varco che hanno aperto conduca qui è solo una coincidenza. Ecco tutto". Ranko-chan non sembrava convinta.
"Se stanno davvero arrivando, come possiamo fermarli se le nostre controparti non ci sono riuscite?", chiese Ranma. Ricordò di aver detto a Ranko che lui non avrebbe lasciato morire tutti quanti se fosse stato al suo posto. Si augurò di non dover provare sul campo le sue parole. Jack si sfregò stancamente il mento.
"Vi dovrò dare qualche spiegazione, quindi cercate di seguirmi. Ogni dimensione è comprensiva di vari livelli di esistenza. Ci possono essere, per dire, un piano dei kami, un piano demoniaco, un piano astrale, un piano materiale e così via. Nel mondo di Ranma... di Ranko, le barriere che separavano il piano umano da quello dei demoni avevano completamente ceduto. Una volta liberati, i demoni erano stati in grado di invadere il reame degli uomini, arrivando da ogni dove. Ma quella dimensione è completamente separata da questa. Le barriere interplanari possono essere scavalcate, o a volte aperte, con vari mezzi tecnologici o magici. Le barriere dimensionali sono tutta un'altra cosa".
"Ma ci sono riusciti", ribatté Ranma. Jack annuì.
"Ci sono solo due modi conosciuti per superare le barriere tra i mondi. Uno consiste nell'attraversare i vortici naturali tra le dimensioni usando tecnologie di transito dimensionale. Il nostro Gruppo di Intervento Dimensionale usa questo metodo. Il secondo è aprire un varco subspaziale preesistente tra i mondi, e per farlo è necessario un raro e potente artefatto conosciuto come chiave di ipervarco".
"Allora hanno aperto un varco per arrivare qui", disse cupamente Ryoga da dove si trovava, appoggiato contro il muro, in posizione falsamente rilassata. "Questo ci aiuta?".
"Sì. Quel varco è il loro solo ponte per questo posto. Cercheranno di mantenere un basso profilo finché non riusciranno a trasportare abbastanza forze per difendere questa estremità. Una volta che il loro approdo sarà al sicuro, cominceranno a dilagare, distruggendo tutto ciò che vedranno. A meno che noi non li fermiamo".
"Noi?", chiese Ranko-chan, alzando di scatto la testa. "Hai appena detto 'noi', vero? Chi sono esattamente 'noi', Jack?". L'uomo contrasse la mascella, poi respirò a fondo.
"Secondo i miei dati su di te, c'è un gruppo di artisti marziali piuttosto in gamba nel tuo circolo di amici. Penso che si possa riuscire a fermare queste cose se agiamo abbastanza in fretta, con la sorpresa dalla nostra, prima che loro siano pronti. Un gruppo d'attacco di tutti i tuoi amici....
Questo fu tutto ciò che Jack riuscì a dire prima che Ranko-chan si liberasse da una sbalordita Akane e si lanciasse contro di lui. La forza della collisione li mandò entrambi a terra, con Ranko sopra. Afferrò la giacca di Jack e strattonò il suo volto in su finché i loro nasi quasi si toccarono.
"No!", ruggì. "Assolutamente no! Sei impazzito? Non puoi chiedergli di combattere quelle cose, non te lo lascerò fare! Mai!". Ranma si avvicinò, chiedendosi se fosse il caso di separare i due. Jack continuava a mantenere la calma, non lottava con Ranko-chan, solo guardava nei suoi occhi con un'espressione spiritata.
"Ragazzo, è il solo modo", disse piano. Ranko-chan cominciò a sbatterlo contro il pavimento, infuriata.
"NO! CI ABBIAMO GIÀ PROVATO! CI ABBIAMO PROVATO E NON HA FUNZIONATO! NON LI GUARDERO' MORIRE UN'ALTRA VOLTA! MI RIFIUTO! MI STAI ASCOLTANDO?". Ranma scattò in avanti, ma venne subito fermato dalla madre. Lei lo attirò indietro, poi si inchinò vicino a Ranko-chan, ancora scossa dalla violenta intensità del suo respiro. Jack sembrava non sapere che cosa fare con lei.
"Ranko. Ranko, lascialo andare. Va tutto bene, Ranko, non gli lasceremo fare niente. Solo lascialo andare, va bene?". Parlò con un tono basso, calmante, posando una mano sulla spalla della ragazza. Ranma vide la sua controparte sussultare convulsamente, per poi voltarsi a guardare sua madre, con occhi selvaggi e disperati.
"Non è giusto", sussurrò. "Non può succedere di nuovo. Non permetterò che succeda di nuovo. Non lo permetterò, e basta". Allentò la presa su Jack e si lasciò attirare gentilmente indietro. Sua madre allontanò Ranko-chan dall'uomo disteso, mettendosi dietro il padre di Ranma, il signor Tendo e Akane. Jack si alzò lentamente, attento a non fare alcuna mossa brusca.
"Voi dovete capire cosa c'è in gioco in tutto questo", disse, con un tono quasi implorante. "Loro non sanno che sono qui, non possono sapere che qualcuno è a conoscenza del loro piano! Abbiamo solo una possibilità per disattivare quel varco, ma per farlo ho bisogno del vostro aiuto!".
"Vuoi che combattiamo quei demoni? E poi?", chiese Ranma. Si rese conto che, quasi contro la sua volontà, cominciava a credere che la minaccia fosse reale. O Jack era un brillante attore, o era disperato e impaurito.
"L'apertura in questo mondo sarà difesa. Quello di cui ho bisogno è che voialtri mi portiate a questa estremità del varco. Una volta dentro, dovrei essere in grado di distruggerlo con il mio equipaggiamento".
" Dovresti essere in grado?", chiese acidamente Ranma.
"SARÒ in grado! Senti, potete fare così, oppure sedervi ad aspettare che uccidano tutto quello che amate! È questo che volete?". Ranma fece per replicare, poi vide sua madre alzarsi con grazia, ergendosi in tutta la sua altezza. Nodoka si avvicinò a Jack, sfiorando gli altri per guardarlo negli occhi.
"Sono artisti marziali di grande talento, ma sono solo bambini", disse con durezza. "Cosa mi dici della gente che servi, il Gruppo d'Intervento Dimensionale? Non verranno per porre fine a tutto questo?". Jack rabbrividì alla rabbia a malapena repressa della donna, ma tenne duro.
"Ho inviato una richiesta di soccorso, ma c'è un altro problema in questo settore e francamente, non credo che potremo aspettarci il loro aiuto in tempo utile. Siamo lasciati a noi stessi, e stiamo esaurendo il tempo". Mentre i due continuavano a fissarsi, Ranma notò che Ranko-chan si era alzata in piedi e si era diretta in cucina. Raccolse la teiera e ne versò il contenuto su se stessa. L'acqua era ancora abbastanza calda da innescare il cambiamento, e Ranko si voltò verso Jack, con un'espressione dura.
"Lasciali fuori, Jack. Prendi me". Jack aggrottò la fronte.
"Senti, ragazzo, loro sorveglieranno il varco. Un solo uomo non sarebbe abbastanza. Non avremmo alcuna possibilità ragionevolmente decente".
"E la polizia?", chiese Kasumi con voce stridula. "O l'esercito?". Jack scosse la testa.
"Anche se riuscissimo a fargli credere la nostra storia prima che sia troppo tardi, sarebbe comunque preferibile un attacco rapido, mirato. E comunque, temo che la polizia sarà occupata con altri problemi".
"Laggiù io sono sopravvissuto da solo, Jack", continuò Ranko testardamente. "Quel posto ne era infestato, ma sono sopravvissuto. Puoi farcela anche solo con me".
"So cosa stai cercando di fare, ragazzo, ma non possiamo rischiare! Dal nostro successo dipendono troppe cose! E temo che non ci resti molto tempo". Jack venne interrotto da uno squillo acuto. Tutti sobbalzarono, lui tirò indietro la manica del cappotto e toccò leggermente un piccolo braccialetto grigio attorno al suo polso.
"Che c'è?", chiese bruscamente. Dal braccialetto, una voce gli rispose.
"Sta succedendo qualcosa, capo. Ho monitorato la polizia locale e le bande dei servizi d'emergenza, e stanno tutti impazzendo. Linee della corrente interrotte, incendi alle substazioni idriche, danni alle maggiori tubature di acqua e gas, eccetera. Un caos pazzesco, e sta dilagando".
"Mostrami". Un fascio di luce apparve di fronte a lui, prendendo la forma di quella che sembrava una mappa dell'area. Ovunque lampeggiavano luci rosse. Ranma si avvicinò, corrugando la fronte. Gli sembrava che formassero un disegno. Che diavolo...?
"È cominciata", annunciò Jack con asprezza.
"Che cosa? Cosa stanno facendo?", chiese Akane.
"Causano problemi. Tengono occupati i servizi di polizia e soccorso, intasandoli. Impediscono l'accesso alla loro area vulnerabile".
"Stanno facendo un grosso cerchio", fece Ranma. Jack annuì.
"Già, guarda. Queste sono le principali intersezioni stradali. Questa è allagata da una falla nelle condutture dell'acqua, questa è bloccata da linee elettriche abbattute. E qui c'è un treno deragliato. Il demone medio è intelligente quanto un’incudine, ma questo sembra un piano. Devono aver inviato almeno un demone di alto rango per coordinare il tutto. Dannazione". Ranma sforzò gli occhi sulle linee della mappa, cercando di capire cosa gli sembrasse strano. Poi, improvvisamente, se ne rese conto.
"Il liceo Furinkan è al centro del cerchio!".
"Ah, beh, sì. È là che c'è il varco. Non ve l'ho detto?".
"No, non l'hai fatto", fece Ranko con voce piatta.
"Capo, ho bisogno di parlarti un attimo", disse la voce che usciva dal braccialetto. Il rumore ronzante rincominciò e la strana porta apparve nel muro dietro a Jack. Il display della mappa sparì e lui si voltò.
"Tornerò presto", disse da sopra la spalla. "Vi suggerisco di decidere alla svelta se volete aiutarmi o no. Questa attività significa che il nostro tempo è quasi scaduto". Poi la porta si aprì e lui sparì al suo interno. Per qualche istante regnò un silenzio stupefatto. Infine, Ranko si voltò verso Ranma.
"Ho bisogno di parlarti. Da solo". Uscì dalla stanza, sfiorandolo, lasciando tutti sorpresi dal suo risveglio.
Ranma sospirò e fece per seguirlo.
"Ranma", disse sua madre, con la preoccupazione evidente nella voce. Lui le sorrise rassicurante.
"Non temere. Torniamo subito". Seguì Ranko fuori sulla veranda, dove l'altro ragazzo si voltò per guardarlo in volto.
"Allora?", chiese Ranma dopo un lungo momento carico di tensione. Ranko guardò il cielo, grigio e minaccioso, poi riportò gli occhi sull'altro.
"Non andare", disse alla fine. "Ti prego. Restane fuori".
"Sai che non posso farlo".
"Ascoltami! Se tu non vieni, anche gli altri resteranno qui! Loro seguiranno la tua guida, lo sai! Ti prego, Ranma!".
"Ma di cosa stai parlando? Quegli esseri hanno distrutto il tuo mondo, ucciso i tuoi amici...".
"E io voglio fargliela pagare! Non dargli una possibilità per farlo di nuovo! Dannazione, tu non sai contro chi stai andando! Non capirai finché non sarà troppo tardi! Quelle cose, loro non sono una specie di artisti marziali incazzati con delle tecniche strane, sono macchine per uccidere! Non hanno coscienza, paura, niente!". I due si fissarono a vicenda, mentre l'aria attorno a loro si caricava di tensione.
"Io so solo che quel Jack pensa di aver bisogno di noi per far funzionare il suo piano. So che non posso restare qui seduto mentre la mia casa è minacciata. Sai cosa significhi questo luogo per me. Voglio difenderlo, e questa gente, costi quel che costi. E anche gli altri lo faranno. Tra tutti tu dovresti conoscermi abbastanza da sapere che non posso far finta di niente".
"Tutti?", chiese l'altro con voce bassa. "Anche Akane?". Ranma tese le labbra in una smorfia e distolse lo sguardo.
"Gliel'ho promesso", disse, e le parole facevano male. "Le ho promesso che sarò al suo fianco. E il suo orgoglio...".
"L'orgoglio non vale granché come armatura, Ranma! L'orgoglio non la proteggerà!".
" Io la proteggerò! Non lascerò che le accada niente!".
Rimasero in silenzio, guardandosi, con rabbia palpabile.
"Lei è brava, lo sai", disse piano Ranma, rompendo il silenzio, nella speranza che Ranko capisse. "E non sarà sola. So cosa stai pensando, ma...".
"Ma non le chiederai di restare qui". La voce di Ranko era piatta, senza vita.
"Non posso. Non posso perché aveva ragione, quando ha detto...".
"Quando, la notte scorsa? Immagino che voi due abbiate avuto alcune cose di cui parlare dopo che me ne sono andato, giusto?". La testa di Ranma scattò al suono della voce della sua controparte.
"È per questo? Per quello che è successo tra me e Akane ieri sera?". Ranko rabbrividì, colpevole.
"No. Sì! Merda, non lo so! Dovrei essere felice per voi due, suppongo. Dannazione, io volevo andarmene prima che succedesse! Non avrei mai voluto vederla innamorarsi di qualcun altro, nemmeno di te". Ranko scosse la testa, e il suo tormento interiore era chiaramente visibile sul volto. Ranma stava cominciando a capire quanto potesse diventare difficile la situazione.
"E ora che si fa?", gli chiese con voce neutra.
"Senti, tutto quello che so è che avevo deciso di andarmene per non ferire nessuno. Ora la mia decisione non vale più niente. Non stiamo più parlando di sentimenti feriti e cuori infranti, stiamo parlando di vita e morte! E non mi importa di quello che dice Jack, io lo so! So che sono venuti qui... perché ci sono io". Alla fine la sua voce si era ridotta a un sussurro agonizzante, e Ranma provò un moto di comprensione per la sua controparte. E anche un po' di frustrazione.
"Ha detto che non...".
"Lo so cosa ha detto! Ma lo posso sentire! Non hanno ancora finito con me!". La voce di Ranko era selvaggia, piena di paura. Ranma poteva percepire l'intensità della rabbia cieca dell'altro ragazzo come un vento caldo sulla pelle.
"Ranko, se domani ci fosse un terremoto a Tokyo, sarebbe colpa tua? Se un'ondata di marea spazzasse via mezzo Giappone, ti sentiresti colpevole? Comincio a pensare di sì. Dopo il nostro discorso giù al fiume, pensavo di aver capito quanto ti sentissi in colpa per quello che era successo, per essere sopravvissuto. Ma mi illudevo. Forse ci illudevamo entrambi. Un giorno dovrai perdonare te stesso, ma ora non abbiamo quel genere di tempo. Dobbiamo cercare di fermare quelle cose prima che facciano del male a qualcuno. Io vado. Questo è tutto".
"E gli altri?", chiese Ranko, con un mormorio sottile e privo di emozione.
"Loro potranno decidere da soli".
"Anche Akane?". Ranma prese un respiro profondo e ricacciò il panico che stava montando dentro di lui.
"Già. Anche lei". Ranko lo guardò a lungo, poi finalmente la tensione abbandonò il suo corpo.
"È solo che non voglio che anche tu debba vivere quello che ho vissuto io", disse con voce stanca. Ranma annuì.
"Lo so, ma scappare via non è la risposta. Dobbiamo farlo. Non c'è altra soluzione". L'altro assentì, evitando il suo sguardo.
"Suppongo di aver sempre saputo che non mi avresti ascoltato", mormorò. "Dovevo tentare, tutto qui. Capisci?".
"Sicuro. Capisco". Ed era vero. Solo, non approvava.
L'isteria di Ranko quando aveva saputo della presenza dei demoni lo aveva preoccupato. Non era sicuro che i nervi del suo amico avrebbero retto contro le creature che avevano ucciso i suoi amici e la sua famiglia.
Temeva che Ranko potesse crollare sotto la pressione, e non aveva idea di cosa fare per impedirlo.
Si voltò per rientrare, poi vide Akane che si dirigeva verso di loro e si fermò. Anche Ranko la vide, e si voltò verso Ranma con un sorrisetto amaro.
"Immagino di dovervi lasciare soli", fece. "Sono sicuro che avete di che parlare". Ranma sussultò al tono dell'altro, e rimase e guardarlo allontanarsi con aria disperata. Aveva bisogno di parlargli di quello che era successo tra lui e Akane. Aveva bisogno di chiarire la cose. Non voleva lasciare che rimanesse quell'incomprensione tra loro due, non ora che avevano cominciato a essere amici davvero.
Sfortunatamente, sembrava che non ce ne fosse proprio il tempo.


Akane guardò Ranko sorpassarla con circospezione, evitando i suoi occhi. Intuì che la sua conversazione con Ranma non fosse finita bene.
Sperò che la sua andasse meglio.
Raggiunse Ranma e lo guardò, col cuore che accelerava i battiti al ricordo di quello che era successo tra di loro sul tetto la notte prima. Proprio quando le cose cominciavano finalmente a mettersi bene, pensò amaramente, ecco cosa succede. Non potremo mai essere felici? È chiedere troppo?
"Allora?", chiese piano. Lui sospirò.
"Ranko vuole che restiamo fuori pericolo. Si sente ancora colpevole. Francamente, credo di capirlo".
"Cosa?". Lui le fece un sorriso malinconico.
"Ricordi la notte scorsa, quando ti dicevo che avevo paura di cambiare la situazione? E come temevo che cambiare le carte in tavola avrebbe distrutto tutto? Mi sento come uno scarto, sai? Come se avessi desiderato troppo, e ora...".
"Ranma, tu non lo stai pensando davvero! Dimmi di no!", gli gridò in risposta, sconvolta. Era spaventata dalla somiglianza di quello che lui aveva detto con ciò che lei aveva pensato solo un momento prima. Era dunque destino che non potessero mai essere felici? Cercò di respingere il pensiero come un'assurdità, ma qualcosa nel buio della sua anima, dove la luce non giungeva mai, gracchiava che ciò fosse altamente probabile.
L'espressione di Ranma si addolcì un poco, e scosse il capo con aria dispiaciuta.
"Scusa. Tutta questa faccenda mi sta facendo impazzire. È diverso da tutto ciò che abbiamo combattuto prima".
"E tu vuoi che io resti qui. Vero?". Lui sostenne il suo sguardo, con occhi tristi.
"Certo che lo voglio. Ma non te lo chiederò. Ero sincero quando ti ho parlato la notte scorsa. Compagni. È solo che... ho quasi la nausea, dalla paura che ti possa capitare qualcosa".
"Bene", disse lei. Lui sbatté le palpebre.
"C-come?".
"Mi hai sentito", rispose Akane, avvicinandosi di un passo. "Dovrai sentirti così tu, per una volta. Come credi che mi senta io, Ranma, ogni volta che ti lanci in qualche nuova avventura? Tu non permetti mai che quello che provo per te ti impedisca di cacciarti nei guai. Non sei invulnerabile, Ranma, ed è ora che te ne renda conto! Succeda quel che succeda, oggi, voglio che lo affrontiamo insieme. E voglio che tu mi prometta che non ti distrarrai per controllarmi. Prima o poi dovrai imparare a fidarti delle mie capacità. Ce la faremo entrambi, e poi...". Si interruppe, sostenendo fieramente il suo sguardo. "Poi potremo preoccuparci di noi stessi".
"È davvero così terribile che io mi preoccupi per te?", chiese Ranma con aria abbattuta. Lo sguardo di Akane si addolcì un po'.
"Non terribile", disse. "Non è terribile preoccuparsi per qualcuno che si ama. Credimi, lo so. Mi sono preoccupata per te già abbastanza". Ranma abbassò la testa, infelice e confuso.
"Mi spiace, Akane. Io non ho mai...".
"Lo so", lo interruppe lei con gentilezza. "Volevo solo farti capire che ci siamo dentro insieme, fino in fondo. E questo significa che saremo entrambi in pericolo. Ranma. Io ho dovuto imparare che non puoi chiudere la gente che ami in un vaso per tenerli vicino e proteggerli ogni istante di ogni giorno. Credimi, dopo la morte di mia madre ero invasa dal terrore. Non volevo perdere di vista nessuno perché avevo paura che potessero non tornare più". Fissò cupamente il giardino, mentre l'ombra di oscuri ricordi passava sul suo volto. "Mi ci è voluto un po' per capire che non potevo vivere così. Ma l'ho capito, e non è stato facile. Ora devi fare la stessa cosa".
Si voltò per guardarlo, e lui sentì il nodo nella gola intensificarsi. Sentiva così prepotentemente il bisogno di proteggerla, ma lei aveva ragione. Se doveva mantenere la promessa che le aveva fatto, doveva imparare a lasciarla andare. Lo spaventava come, all'improvviso, i suoi sentimenti per lei fossero cresciuti ora che non faceva più finta che non esistessero.
Una volta ammessi, erano diventati una forza primordiale al centro del suo essere, e martellavano la sua mente razionale con un'intensità terrorizzante.
"Capisco", disse piano, e pensò che forse era vero.
Capiva, ma non poteva smettere di preoccuparsi, e lei lo lesse con soprannaturale accuratezza nella sua espressione. Si avvicinò, col volto teso dalla preoccupazione e da altre emozioni meno identificabili.
"Mi prometti che non ti farai uccidere per controllarmi, vero?". Lui distolse lo sguardo per un istante, poi lo riportò su di lei, e annuì lentamente.
"Sì. Solo se mi prometti che sarai prudente". Lei gli sorrise.
"Proverò".
"Anche io". Si guardarono a lungo, comprendendo il peso di tutte le parole che non erano state dette, tutte le cose che avrebbero potuto non realizzarsi mai. Poi quel momento passò e Ranma lasciò sfuggire un sospiro.
"Faremo meglio a entrare e vedere cosa sta succedendo". Si mosse, ma Akane rimase immobile.
"Aspetta", sussurrò. Le sue braccia serpeggiarono attorno al collo di Ranma e lei alzò il volto verso il suo, chiudendolo in un bacio. Le mani del ragazzo si alzarono lentamente per circondarle il volto, e lei rabbrividì a quel tocco. Il bacio sembrò durare un'eternità, dolcissimo e disperato, e lei affondò nel corpo dell'altro, cercando di imprimere quel momento nella sua memoria.
Infine ruppero il bacio con riluttanza, rimanendo ancora con i volti a pochi centimetri di distanza, e gli occhi grigioazzurri di lui si persero nei suoi, pieni di amore e bisogno e paura.
"Per cos'era?", sussurrò Ranma.
"Per dire buona fortuna", gli rispose, poi seppellì il volto nella sua spalla perché non vedesse le lacrime. Ma lui le sentì comunque, e le accarezzò gentilmente i capelli mentre Akane inghiottiva un singhiozzo.
"Ranma", mormorò lei, "ho così tanta paura". Allora la circondò gentilmente con le braccia, accostò le labbra al suo orecchio, col cuore che martellava per quel contatto, per la sincerità che si sentiva obbligato a dividere con lei.
"Lo so, Akane. Anche io ho paura".
Rimasero là, sostenendosi a vicenda, per molto, molto tempo. Ma alla fine, sembrò come un momento effimero, finito troppo presto.
Lontano, un rombo di tuono.


Vidi Ranma e Akane rientrare in casa senza espressione, ma rimasi sorpreso da quanto facesse male vederla con lui. Dopo tutto, erano fatti l'uno per l'altra. Tutto il mio discorso riguardo lo star fuori dalle loro vite allora era stato solo... parole? Scossi con violenza la testa. Ora più che mai, non dovevo distrarmi. Mi ero deciso ed ero intenzionato a vivere con questa decisione.
Se possibile.
"Ehi", feci. Non mi avevano notato, assorbiti com'erano l'uno dall'altra. Sussultarono con aria colpevole al suono della mia voce, e potei immaginare cosa fosse successo sulla veranda. Essere geloso sarebbe stata una totale perdita di tempo, ma il saperlo non mi avrebbe fermato dallo sguazzarci dentro, solo per un po'. Vedendoli avvicinarsi cercai di non lasciar trasparire il mio tormento interiore.
"Jack è tornato", dissi brevemente. "Vuole sapere cosa avete deciso". Ranma annuì. Akane si limitò a guardarmi con un'espressione che mi mozzò il fiato. Non volevo che si dispiacesse per me, che provasse pietà. Volevo solo che mi amasse, e quello non era possibile. Non poteva succedere. Non poteva.
Li seguii in cucina, cercando di combattere il senso di terrore che continuava a salire dentro di me. Capivo dalla sua espressione che Akane non sarebbe rimasta indietro. Avevo sperato che lui potesse almeno convincerla a farlo. Non sarebbe stato chiedere troppo, no? Ma sembrava che qualunque cosa fosse stata detta tra loro due, era stato deciso che Akane avrebbe condiviso il rischio. Mi chiesi se avessi mai potuto fare lo stesso con la mia Akane.
Improbabile. Ricordai la Sorgente della Vita, mentre la guardavo danzare nell'aria da una testa di Orochi all'altra, ricordai come il mio sangue si era fatto di ghiaccio a quella vista. Era molto migliorata nelle sue capacità da quando l'avevo conosciuta, ma non era ancora pari a me, e non riuscivo ancora a sopportare di vederla in pericolo. Il problema era che questa volta non avevo voce in capitolo. Lui invece sì, e aveva deciso di portarla con sé.
Capii che lo odiavo per questo.
Jack era in cucina, a braccia incrociate, in nostra attesa.
"Allora?".
"Veniamo con te", disse Ranma con fermezza. Il silenzio era tale che si sarebbe potuto sentire il cuore del signor Tendo spezzarsi.
"Akane!". Lei si voltò verso il padre, con un'espressione ferma ma anche un po' triste.
"Cerca di capire, papà, ti prego. Devo andare". Lui la fissò, col volto grigio.
"Io ci sto, e anche gli altri", disse Ryoga. Lo guardai a bocca aperta.
"Gli altri? Come...?". Ryoga mi guardò come se avessi perso la testa.
"Non ho il senso dell'orientamento, Ranko, ma sono perfettamente in grado di usare un telefono". Mi parve come di pietrificarmi. Allora era così. Sarebbero tutti partiti per combattere quell'ultima battaglia, proprio come quella che li aveva uccisi prima. Non potevo fermarli. Potevo solo seguirli e cercare di non perderli di nuovo. E pregare di poter cambiare il risultato.
"Gli hai detto dove trovarci?", chiese Jack a Ryoga. Lui annuì. Il signor Tendo era ancora di fronte alla sua figlia minore, la fissava come se non l'avesse mai vista prima. I genitori di Ranma erano vicino a lui, e Nabiki e Kasumi si guardavano intorno nervosamente.
"Non c'è più tempo, papà", disse piano Akane. "Ora dobbiamo andare. Dobbiamo fermare quelle cose prima che facciano quello che hanno fatto alla casa di Ranko. Cerca di capire, non sono più una bambina piccola".
"Tu sarai sempre la mia bambina piccola", disse lui, con voce roca. "Sempre. Se ti capiterà qualcosa, io non...", si fermò, inghiottì a vuoto. "Io vengo", disse alla fine.
"Ne abbiamo già discusso, Tendo", fece con calma il padre di Ranma. "Non tutti i demoni sono al Furinkan. Qualcuno deve restare qui e difendere la nostra casa in caso di problemi. Hai altre due figlie. Devi restare". Non ero sicuro se lo avessero deciso perché era vero o perché la sua preoccupazione per la figlia lo rendeva praticamente inutile. A ogni buon conto, lui sembrava intenzionato a discutere la faccenda, finché la madre di Ranma non gli pose con gentilezza una mano sulla spalla.
"Soun, abbiamo bisogno di te qui. Lo so quant’è duro lasciar andare la tua bambina nell'ignoto, ma dev'essere fatto. Sii forte, Soun. Da questo dipendono così tante cose". Lui chiuse gli occhi e abbassò la testa, e le sue spalle caddero, sconfitte. Infine annuì, si rialzò e guardò la sua bambina per quella che poteva essere l'ultima volta.
"Torna presto, Akane", sussurrò con voce tremante. Akane era evidentemente commossa dal suo dolore, e poté solo annuire.
"Lo farò, papà. Non temere". La sua voce tremò, ma leggermente.
Jack aprì la porta che era riapparsa sul muro della cucina, e fece cenno di entrare. Ryoga andò per primo, seguito dal padre di Ranma, poi lui. Akane lo seguì da vicino, con un ultimo sguardo sopra la spalla a suo padre e alle sue sorelle; tutti sembravano avere difficoltà a contenere le proprie emozioni. Guardai per l'ultima volta il gruppetto, cercando di credere che li avrei rivisti, e seguii gli altri oltre la porta.
Non avevo parole d'addio, né conforto da dare. Non potevo fare a meno di pensare che quella gente stava per perdere la propria innocenza, e forse anche la vita.
Non potevo fare a meno di pensare che fosse tutta colpa mia.


Jack si sedette sulla poltroncina che si era materializzata sotto di lui e ruotò per trovarsi davanti allo schermo principale.
"Scooter, hai le coordinate?", chiese seccamente.
"Sicuro, capo". Lo schermo si illuminò mostrando una mappa di Nerima, con luci rosse che si moltiplicavano sotto i loro occhi lungo lo sfondo blu scuro. Una luce gialla brillante cominciò a lampeggiare vicino al Furinkan.
"Credo che sia il punto più vicino in cui possiamo arrivare senza correre rischi, con l'interferenza subspaziale che quella cosa sta emanando". Jack assentì.
"Occupati dei calcoli e fammi sapere quando sei pronto per partire", rispose. Occupò i pochi momenti di pace che l'operazione gli concedeva per controllare di nascosto il gruppo che si assiepava dentro alla sala di comando della Porta.
I due Ranma erano vestiti in modo abbastanza simile, anche se quello che gli avevano ordinato di ritirare, quello che per qualche ragione chiamavano Ranko, era vestito di nero, mentre l'altro di rosso e nero, come Ranko quando l'aveva raccolto. L'uomo calvo con gli occhiali portava un karategi bianco, e la ragazza, Akane, uno giallo. Ryoga, il tipo silenzioso, era vestito di una tunica dorata e una fascia tigrata e portava, incredibile ma vero, un ombrello.
Jack sospirò interiormente. Non era stato facile guardare la dolorosa partenza da casa Tendo. Sapeva che era altamente possibile che nessuno di quel gruppo alla fine tornasse. Proprio quando lui sapeva che l'alternativa era ancora peggiore.
"Pronti al transito", annunciò Scooter. Jack si riscosse dalle sue meditazioni e si spostò sulla sedia. "Vuoi i comandi, capo?"
"No, pensaci tu", fece Jack. Lo schermo lampeggiò brevemente.
"Ok, ci siamo", disse. Tutti lo guardarono con aria dubbiosa.
"Di già?", chiese Ranma. Jack annuì.
"Il transito locale non richiede molto tempo. Ok. Ora voglio che voialtri usciate per dare un'occhiata in giro. Perlustrate l'area ma siate prudenti, e non oltrepassate per nessuna ragione il muro perimetrale della scuola. Domande?". Si guardarono.
"È sicuro?", chiese Ranko.
"Andiamo, ragazzo. Dobbiamo conoscere la disposizione del nemico", disse cordialmente Genma. "Se si stanno ancora nascondendo non dovrebbe esserci pericolo".
"Ha ragione", fece Jack, "ma dovrete comunque andare in coppia. Non si sa mai".
"Siamo in cinque", fece notare Akane. Jack sorrise.
"Lo so, ma Ranko resterà qui ad aiutarmi". Ranma aggrottò la fronte.
"Questo piano non mi piace", disse. "E se poi tu te ne vai con lui mentre non ci siamo?".
"Non lo farà", intervenne Ranko, gratificando Jack di un'occhiata densa di significato. "Se ci prova, avrà più di quello che ha avuto l'ultima volta". Questa volta fu il turno di Jack di incupirsi.
"È così bello vedere che ci fidiamo tutti così profondamente", borbottò. "Dunque?". Il gruppo si divise, Ranma con Akane, Ryoga con Genma. La porta si aprì e loro scomparvero al di là di essa con un ultimo ammonimento di evitare il contatto col nemico.
Poi la porta si chiuse e Jack rimase solo con Ranko.
Proprio come aveva voluto.
"Allora, perché Ranko?", chiese oziosamente. Il ragazzo gli rivolse uno sguardo glaciale.
"Storia lunga. Come ti posso aiutare?". In realtà, Jack non aveva bisogno di alcun aiuto. Era preoccupato, più che altro, di cosa avrebbe potuto fare Ranko una volta lasciato solo.
"Stai buono e tieniti pronto finché non avrò bisogno di te". Jack richiamò una console di controllo nell'aria di fronte a lui e cominciò a inserire velocemente informazioni.
"Che succede, hai paura che io scappi e attacchi quelle cose da solo?", chiese acidamente Ranko.
"Forse".
"E se vengo ucciso, significa che la tua missione è fallita, giusto?". Jack strinse i denti e alzò lo sguardo dallo schermo.
"Senti, ragazzo, so che ce l'hai con me, e Dio sa che ne hai tutti i diritti. Ma prova ad allentare un po' la stretta, d'accordo?".
"E perché? Hai lasciato morire tutta quella gente visto che non erano utili per te, e ora vuoi usare un gruppo di adolescenti perché combattano al posto tuo così la tua gente non dovrà sporcarsi le mani! Non è così?". Jack fissò Ranko, mentre la sorpresa e la rabbia combattevano per avere la meglio su di lui.
"Lo credi davvero?".
"Certo che sì! Non voglio che loro rischino la loro vita, perché credo che tu li voglia sacrificare per avere quello che vuoi!".
"Ragazzo", disse Jack, con la voce bassa e pericolosa, "so che ne hai passate di brutte, ma questo non ti giustifica dall'essere diventato un perfetto coglione. Ascoltami ora, e ascolta attentamente. Ci sono centinaia di mondi solo in questo settore, e il GID è allargato al massimo solo per cercare di controllarli tutti. Credi che io non abbia voluto salvare più gente da quell'inferno che era diventata la tua casa? Credi che non abbia voluto dare l'ordine? Dimmi una cosa, ragazzo. Se il mondo stesse per finire, e tu potessi portare diciamo una dozzina di persone in questa Porta e salvarli, chi prenderesti? Anzi, chi lasceresti indietro? Non credi che ci siano persone che vogliono vivere, che vogliono salvare i loro amici e quelli che amano? Vorresti essere tu quello col potere di decidere chi si salva? Eh?".
"Allora il fatto che il tuo lavoro non ti piace sistema tutto?", scattò Ranko. Jack si alzò lentamente e si avvicinò al ragazzo per guardarlo faccia a faccia.
"Qui non si tratta di quello che mi piace o non mi piace. I codici d'onore e gli standard morali non valgono niente quando si parla di miliardi di vite umane. Non sto dicendo che sia giusto o sbagliato, ti sto solo dicendo che è così". Il respiro di Ranko era affannoso, irato, e affondò un dito nel petto di Jack.
"Beh, non è conveniente? Ti permette di usare i miei amici per fare il tuo sporco lavoro senza doverti preoccupare di cose insignificanti come l'onore o la moralità! E allora io dico che è da vigliacchi! Per come la vedo io, la tua gente decide chi vive e chi muore! Non hanno alzato un dito per salvare la mia casa, e ora non faranno niente per salvare questo posto! E se falliamo, si limiteranno a mandare qualcuno, tirare fuori i sopravvissuti riutilizzabili, e andarsene! Dico bene?". I due rimasero a fissarsi, e il fetore dell'imminente violenza era pesante nell'aria. Infine, Jack prese un lungo respiro e lo lasciò andare lentamente.
"Saotome", disse calmo, "se lo facciamo, c'è una possibilità che tutti moriamo. Se non lo facciamo, ti garantisco che centinaia di migliaia, forse milioni di persone moriranno sicuramente".
L'espressione di Ranko traballò, e per un attimo la sorpresa e il dubbio fecero capolino attraverso la rabbia.
"Che diavolo significa?", chiese alla fine, furente e confuso.
"Quelle cose sono a un passo dallo stabilire una testa di ponte qui", fece Jack, con voce bassa ma urgente. "Costruiranno una barriera per proteggere il loro varco, e dilagheranno come un cancro. Ho inviato una richiesta di aiuto, ma ci vorrà un po' di tempo prima che qualcuno arrivi. Ti interesserebbe sapere cosa prevedono i protocolli del GID in questi casi?". Era chiaro dalla sua espressione che non gli interessasse, ma Jack continuò nonostante tutto. "Se riusciranno a mettere insieme abbastanza unità di combattimento nell'area interessata in un accettabile ammontare di tempo, affronteranno il nemico immediatamente, alzando un perimetro di contenimento, e combattendolo con armature pesanti e armi al plasma. Certo, i demoni contrattaccheranno con tutti i mezzi a loro disposizione, e tu li hai visti. Ci vorrà tempo per penetrare nelle loro difese. Hai una vaga idea della densità della popolazione a Tokyo? È pazzescamente alta. Hai mai visto uno scontro militare in un'area urbana, ragazzo? Io sì. Il numero di vittime civili sarebbe spaventoso. Ora che i demoni vengano ricacciati nel varco, non sarei sorpreso se i morti e feriti si misurassero in decine di migliaia".
"Ti sbagli", sussurrò Ranko. Jack gli fece un sorrisetto ironico.
"Probabilmente hai ragione. Vedi, oltre alle numerose crisi minori in questo settore, c'è un’emergenza principale dall'altra parte del varco, una che minaccia un'intera stringa di mondi. La maggior parte delle forze disponibili di questo settore e di quello adiacente sono state inviate là. Il numero di terre parallele è molto alto, e le risorse del GID sono limitate, così non sarebbero in grado di inviare qui sufficienti forze in tempo. La distanza in questione è troppo grande, la logistica della situazione proibitiva. Così, per proteggere miliardi di vite, manderanno un'unità Ops Nera per sterilizzare Tokyo".
Ranko si gelò, mentre tutta la rabbia scorreva via dal suo corpo.
"Sterilizzare...?".
"Se sarete fortunati, decideranno di limitarsi a sigillare Tokyo e poi vaporizzarla. Se le creature si saranno sparpagliate, potrebbero decidere di ampliare il bersaglio. E comunque, sacrificherebbero milioni di vite per salvarne miliardi". Guardò le sue parole affondare nell'anima di Ranko, le vide fare presa, e provò un familiare senso di perdita nel riconoscere l'orrore nell'espressione dell'altro.
"La verità rende liberi, ragazzo", disse a bassa voce. "Sei una vittima della mancanza di tempismo e di risorse limitate".
Ranko scosse la testa con furia.
"Stai mentendo!", gridò. "Loro non...".
"Lo farebbero. Lo so che lo farebbero, ragazzo. L'ho visto". Vide la sua stessa faccia tormentata riflessa negli occhi di Ranko, occhi che avevano già visto troppo orrore, e ancora non avevano finito. "L'ho visto", ripeté piano. "Ero là. Adesso capisci, ragazzo? L'hai afferrato? C'è una possibilità per salvare tutte quelle vite innocenti, e io ho intenzione di sfruttarla. Sei con me?". Ranko fissò il pavimento, con le labbra torte in una smorfia. Jack provò comprensione per lui; non gli aveva dato molta scelta.
"Farò tutto quello che c'è da fare per chiudere quel varco", disse alla fine.
"Bene. Perché una volta fatto questo, il rischio di sterilizzazione è eliminato". Ranko crollò le spalle e alzò uno sguardo carico di rabbia impotente.
"Cosa vuoi che faccia?".
"Te l'ho detto, stai buono e tieniti pronto. Ti farò sapere quando avrò bisogno di te". Jack si voltò e tornò alla sua poltroncina.
"Dovevi proprio dirgli tutte quelle cose?", bisbigliò Scooter dalla console. Jack sospirò.
"Meritava di conoscere la verità", mormorò, ritornando a battere sulla tastiera. Nelle sei ore seguenti, uno sparuto gruppo di bizzarri artisti marziali avrebbe combattuto per determinare il fato della brava gente di Nerima, o forse di tutta Tokyo. Stretta tra demoni invasori e il GID, la città barcollava sull'orlo dell'abisso.
Ripensò al volto di Ranko quando gli aveva detto che il GID avrebbe ucciso milioni di persone innocenti per impedire agli invasori di dispiegarsi.
Pensi che sia ingiusto, ragazzo?, pensò cupamente. Diavolo, e noi siamo i buoni".


Osservai Jack mentre lavorava alla console, cercando di accettare quello che mi aveva detto. Avrebbero distrutto Tokyo se il varco fosse stato ancora attivo al loro arrivo. Non gli avevo chiesto quanto ci avrebbero messo. E del resto, se avessimo fallito sarei morto prima... Pensai a Ranma e Akane, infine riuniti, e subito vaporizzati da qualche forza priva di volto, e mi sentii come trafitto da schegge di ghiaccio.
No. Loro dovevano essere felici. Dovevano avere ciò che io non avrei mai avuto. Dopo tutto quello che avevano passato, anche se la amavo ancora, volevo che fosse felice. E tutti gli altri, volevo che le loro vite continuassero, per vederli crescere, cambiare, trovare il proprio futuro, il proprio destino. Non avrei permesso che fosse loro negato il diritto di vivere.
Non per causa mia.
Sapevo, nei più bui recessi della mia anima dove quella conoscenza era assoluta, che quelle cose erano là per me. C'era un conto da chiudere tra di noi, e avevo intenzione di accertarmi che fosse concluso. Personalmente. Il piano si stava già formando, ma avevo bisogno di saperne di più. Così mi avvicinai per parlare a Jack.
"Come faremo a fermarli?". Lui rispose senza alzare gli occhi.
"Non sappiamo ancora granché di questi artefatti, queste chiavi di ipervarco. Posso dirti per mia diretta esperienza che il varco che hanno aperto provoca un'ingente distorsione subspaziale, il che significa che non ci possiamo avvicinare quanto vorrei. Comunque, secondo quanto abbiamo determinato, il varco sarà vulnerabile alla distruzione dal suo interno".
"Avevi già accennato all'entrare. Vuoi dire che qualcuno andrà dentro la tana da cui tutti i demoni stanno uscendo?".
"Non qualcuno, gioia. Io".
"A questo proposito", disse la strana voce discorporata chiamata Scooter, "è strano, Jackie. Il ciclo del varco è irregolare. Dovrebbe operare costantemente alla massima energia disponibile, secondo quello che sono riuscito a trovare su casi del genere nei banchi dell'archivio, ma non è così. Stanno entrando a piccoli gruppi, credo, il che è un mezzo sollievo per noi, ma non capisco il perché".
"Forse non lo controllano ancora perfettamente. Le poche informazioni che possediamo su quelle creature indicano che si affidano ciecamente all'abilità del portatore affinché usi la chiave come può".
"Ma cosa puoi fare una volta dentro?", insistei.
"Rilassati, Saotome, ho un piano".
"RILASSATI? Ehi, non penso che conoscerlo sia chiedere tanto! Se lo conosci solo tu, e poi ti succede qualcosa...". Jack sospirò e alzò gli occhi dalla console.
"E va bene, per l'amor del cielo, datti una calmata. Te lo mostrerò subito, ok?". Jack digitò ancora qualcosa sulla tastiera fluttuante e poi alzò la testa. "Ehi, Scooter, sei pronto?". La sua voce suonava improvvisamente un po' roca, e mi chiesi se qualcosa non fosse andato storto.
"Pronto come sempre, Jackie. Diamoci sotto". Jack annuì con riluttanza e spinse un bottone. Una luce rossa cominciò a lampeggiare.
"Attenzione. Attenzione. Chiusure di sicurezza disabilitate. Pilone principale in azione". Sussultai al cambiamento nel tono della voce, e di nuovo al vedere il centro del pavimento aprirsi senza rumore. Un tozzo cilindro argenteo si alzò lentamente dall'apertura. Due anelli incrociati ruotavano attorno a se stessi sulla cima, e nel loro centro fluttuava una sfera di metallo lucido.
"Il nucleo di transito", disse Jack, notando la mia confusione. "Il cuore dei sistemi della Porta. È quella cosa che ci permette di viaggiare tra le dimensioni. Ed è con quella che distruggeremo il varco fino alla tua antica casa". Lo guardai con aria scettica. La sfera galleggiava nell'aria con aria innocente, più grande di un pompelmo ma più piccola di un pallone da basket.
"Quella cosa?", chiesi, dubbioso.
"Uh, uh". Si avvicinò al pilone, che si fermò quando raggiunse l'altezza del suo petto. "Ok, Scooter, disattiva i sistemi secondari". Gli anelli rallentarono la loro strana danza, e le luci di numerosi schermi si spensero. "Apri le chiusure di sicurezza". Gli anelli cessarono di muoversi, e si allinearono uno dentro l'altro, lasciando abbastanza spazio per rimuovere la sfera. La luce della stanza si affievolì, e quasi tutti gli schermi si fecero bui.
"Jack", la voce di Scooter era bassa e priva di emozioni, ora. "Jack. Che stai facendo, Jack? Non farlo. Jack. Parliamone. Susanna, o Susannaaaaa...". Jack cominciò a ridere. Non avevo idea di cosa stesse succedendo.
"Idiota", disse con affetto. Vidi la sua mascella contrarsi e i muscoli attorno ai suoi occhi tremare. "Ehi, nessuna frase per i libri di storia?".
"Potevo essere qualcuno", disse tristemente Scooter. "Potevo essere un carburatore, Eddie, invece che un vagabondo, come sono".
"Combattente, deficiente, non carburatore", disse Jack con un sorriso amaro. "E puoi ancora essere qualcuno". (1)
"Sicuro. La cavalleria arriva sempre all'ultimo momento". Vi furono alcuni istanti di silenzio. Stava succedendo qualcosa, e mi sentii improvvisamente un estraneo.
"Ehi, Jackie", disse Scooter alla fine. "Ci siamo divertiti, vero?".
"Yeah. Un mucchio, amico. Davvero".
"Ok, facciamola finita". Jack chinò la testa per un momento, e quando la rialzò, il suo volto era composto in un'espressione determinata.
"Disattivare Chiusura Finale. Disattivare sistemi principali, attivare stato di stand-by d'emergenza". Il suolo tremò, e vi fu un lamento quasi impercettibile che scese di tono, disperdendosi nel vuoto. Jack rimase immobile per un istante, con lo sguardo perso nel vuoto. Infine mormorò: "Addio, Scooter" a voce così bassa che lo sentii a malapena. Poi tese il braccio e raccolse con delicatezza la sfera fluttuante. La tolse dagli anelli e la tenne in una mano, mentre le luci basse si riflettevano sulla sua superficie a specchio, mostrandomi una vista distorta del mio volto.
"Uh, che cos'è successo?", mi decisi a chiedere. Jack continuò a fissare la superficie della sfera come se contenesse tutte le risposte che uno vorrebbe conoscere.
"Il cervello umano muore se privato dell'ossigeno, Saotome. Scooter è un'unità avanzata di Intelligenza Artificiale. Dipende dal potere del nucleo di transito per sostenersi. Anche se l'ho disattivato, le batterie di emergenza sosterranno i suoi circuiti appena sei ore prima che si degradino in modo irreparabile. Era amico mio, e io l'ho appena condannato a morte". Non sapevo cosa dirgli. Non riuscivo a pensare a una specie macchina come a una persona, come qualcosa di vivo, ma era evidente che a Jack era costato molto fare quello che aveva fatto. E quando si tratta di perdere un amico, sapevo meglio di chiunque altro che c'è poco che chiunque possa dire per farti sentire meglio.
Lo vidi estrarre qualcosa dalla tasca. Era una scatoletta metallica con un pulsante rosso su un lato. Lo appoggiò con cautela sul ponte, poi tirò fuori qualcos'altro da un'altra tasca.
"Vieni qui, ragazzo. Dammi una mano". Mi avvicinai per vedere cosa stesse facendo. Appoggiò la scatola in cima alla sfera e mi disse: "Tienila ferma, e per l'amor di Dio, non premere quel bottone".
"Che cos'è?", chiesi, osservando il cilindro che aveva in mano.
"Nastro adesivo", fece distrattamente, strappandone una lunga striscia. Vide la mia espressione e sbuffò. "Ehi, non è bello da vedere, ma funzionerà, ok?". Non risposi, e Jack fasciò con il nastro la sfera, fissando la scatola al suo posto.
"Allora quest'affare distruggerà il varco, eh? Come funziona?", domandai con aria distratta, anche se sembrava abbastanza semplice.
"Premi il bottone. Dieci secondi dopo, tutta l'energia del nucleo di transito viene rilasciata e il varco fa ciao-ciao. E anche la chiave, immagino, anche se non ne ho la sicurezza. Questa non è il genere di manovra che trovi nei manuali".
"Ma funzionerà", insistei. Lui mi fece un sorriso senza allegria.
"Oh, sì, funzionerà. Fidati. Quando quest'affare salterà, il varco verrà completamente destabilizzato. Quasi sicuramente la chiave cadrà nel subspazio e sarà perduta per sempre, se non distrutta. Senza, il varco non può essere ristabilito, così cesserà il pericolo di sterilizzazione".
"Dieci secondi non è molto tempo".
"Non posso regolarlo per più tempo, altrimenti un demone nel varco potrebbe raccoglierlo e gettarlo, e allora sarebbe stato tutto inutile. Giusto?".
"Afferrato il concetto". Sorrisi nonostante tutto. Afferrato, davvero.
Jack terminò di fissare il detonatore alla sfera, poi raggiunse un armadietto a muro e lo aprì, tirandone fuori la sua pistola, alcuni caricatori, altri strani oggetti rotondi e quella che sembrava una maniglia di plastica. Mi colse a osservarlo e alzò le spalle.
"Non è granché, lo so, ma sono un'unità di pattuglia. Questo genere di operazioni le dovrei lasciare agli Ops". Chiuse l'armadietto e diede un ultimo sguardo intorno. Nella luce fioca, sembrava un bambino che lasciava la casa per la prima volta, solo e sperduto. Eppure, non riuscivo a provare molta compassione per lui, non dopo quello che mi aveva detto. Forse ero ingiusto, ma non potevo preoccuparmene, ormai. "Ok, ragazzo, usciamo di qui". Lo seguii fuori dalla porta.
Una volta all'esterno, mi guardai attorno, sorpreso. La porta non fluttuava più, ma era saldamente fissata a una grande sfera metallica piantata nel suolo di un lotto deserto vicino alla scuola. La porta era al livello del terreno, e la sfera si curvava sulle nostre teste. La guardai a bocca aperta.
"Senza l'alimentazione principale, non c'è modo di tenerla nel subspazio", spiegò Jack. "Ne è uscita non appena ho disconnesso il nucleo di transito". Annuii. Jack fece qualcosa per chiudere la porta, poi si voltò.
"Là ci sono gli altri", disse. "Andiamo". Aveva ragione, li potevo vedere raccolti vicino alla recinzione ad aspettarci. C'erano tutti: Akane e Ranma, suo padre e Ryoga, Mousse, Shampoo, Cologne, Ukyo, Kodachi e Kuno. Guardai il cielo con un certo nervosismo.
"Sembra che stia per piovere", feci.
"Già, sarebbe un peccato se la fine del mondo venisse rimandata per colpa del cattivo tempo", replicò Jack.
"Pioggia, Jack. Acqua fredda. Davvero vuoi andare contro un'orda di demoni con un panda, un'anatra, un maialino e una gattina?". L'uomo impallidì.
"Oh, merda", disse, spiando il cielo minaccioso con disagio. "Mi ero dimenticato di quello stupido affare della maledizione". Un'altra cosa per cui preoccuparsi. Se non avessimo battuto la pioggia in velocità, quella sarebbe stata una battaglia straordinariamente breve. Ci affrettammo a raggiungere gli altri.
"Sembra tutto a posto", ci disse Ranma senza preamboli. "Non abbiamo visto alcuna vedetta, e niente di strano. È tutto molto tranquillo".
"Francamente, la cosa mi preoccupa", fece suo padre. "Sembra quasi troppo facile".
"Sono vicini alla fase critica", disse Jack. "Si terranno vicini all'apertura del varco. Ecco cosa faremo. Quando supereremo il muro, saranno su di noi piuttosto in fretta. Ho bisogno che voi li respingiate e li teniate occupati abbastanza a lungo da permettermi di raggiungere il varco e distruggerlo".
"Tutto qui?", chiese Ryoga incredulo. "È questo il piano?".
"I piani semplici sono i migliori, giovane Ryoga", intervenne Cologne. "I piani di battaglia hanno la tendenza a non sopravvivere al contatto col nemico". Mi guadava in un modo che non mi piaceva per niente mentre ci spostavamo verso il punto dove avremmo saltato. "Shampoo mi ha raccontato la tua storia", mi disse, avvicinandosi a me. "Molto strana. Forse...".
"Puoi dire quello che ti pare, vecchia strega, ma dopo che tutto questo sarà finito", scattai. Non mi era mai piaciuta, ma dovevo ammettere che averla con noi era in qualche modo rassicurante. Lei era potentissima, dopo tutto. Diavolo, non avrei storto il naso nemmeno ad Happosai, se fosse capitato da quelle parti.
Notai che Mousse si era avvicinato ad Akane durante il cammino. Si rivolse a lei.
"Non hai alcuna arma, Akane". Lei parve a disagio.
"In genere non le uso", rispose. Lui corrugò la fronte. Shampoo aveva i suoi bombori, Ukyo un mazzo di spatole da lancio nonché la sua spatola gigante, Ryoga aveva le fasce, la cintura, e il suo ombrello. Kuno portava, al posto del suo solito bokken, una katana infoderata, e Kodachi aveva con sé il nastro, un cerchio e alcune mazze (e chi sa quali altre letali sorprese). Mousse parve riflettere per un momento.
"A ogni modo la tua scuola insegna all'uso di varie armi, non è così?". Quando lei annuì, lui si sfregò il mento. "Mmmmh. Che ne dici di questa?". Incrociò le braccia ed evocò dalle maniche della sua tunica una lunga asta di legno che terminava con una lama ricurva dall'aria letale. La passò a lei, e Akane la soppesò a titolo di esperimento, poi sorrise.
"Ti permetterà di affrontare il nemico dalla lunga distanza. Dopo tutto, non sappiamo molto della loro abilità", concluse Mousse.
"Grazie, Mousse. Mi sento meglio con questa".
"Ehi!", saltò su Jack. "Che cos'hai lì dentro, ragazzo? Hai mandato in tilt il mio rilevatore subspaziale!". Mousse rialzò gli occhiali con l'indice e sogghignò orgogliosamente.
"Beh, io sono il maestro delle armi nascoste", disse con aria soddisfatta. Shampoo sbuffò qualcosa di derisorio al suo indirizzo e il suo sorriso oscillò.
"Immagino tu non abbia un lanciarazzi?", chiese l'altro.
"I maestri di arti marziali non hanno bisogno di queste cose", lo informò Mousse.
"Oggi ce l'hanno eccome", replicò Jack.
Nessuno ebbe niente altro da dire.
Nel silenzio seguente, osservai Ranma e Akane, notando quanto camminassero vicino, come continuassero a cercarsi con lo sguardo. Non ero l'unico ad averlo notato, poi. Sentii un impeto di calore salirmi al petto, e sorrisi tristemente, mentre tutta la mia amarezza scompariva. Sembrava inutile, ormai.
In un certo senso, era bello sapere che in un mondo una relazione tra Ranma e Akane avrebbe avuto successo. Seppi allora di aver avuto ragione: se fossi rimasto, non avrebbe mai funzionato. Non sarei stato capace di negare i miei sentimenti per Akane, e avrei portato solo dolore a tutti.
Comunque, non era più un problema. Era tempo che io affrontassi i miei demoni, tempo di abbracciare le ombre, e di dare a quella gente una possibilità di scoprire dove le loro strade li avrebbero portati.
Ero pronto.
Raggiungemmo il punto dove avremmo dovuto superare il muro, e ci fermammo.
"Ok, allora tutti sanno cosa fare?", chiese Jack. Appoggiai una mano sulla sua spalla e gli sorrisi.
"Ehi", feci. "Volevo solo ringraziarti per avermi detto la verità là dentro, Jack. E per dirti scusa". E poi lo colpii all'addome. Duramente. Mentre si accasciava, carpii la sfera dalle sue mani e scattai via, saltando sulla cima del muro mentre lui crollava a terra, tenendosi lo stomaco nel tentativo di respirare.
"Ranko! Cosa...?". Ranma cercava di capirci qualcosa, tutti mi guardavano, stupiti. Sorrisi con tristezza.
"Questa non è la vostra battaglia. Non avrebbe mai dovuto esserlo, le vostre vite avrebbero dovuto continuare nella luce. La farò finire io, e voglio che tutti voi restiate qui finché non sarà finita. E...", ingoiai il nodo di dolore nella gola, e guardai Ranma e Akane, "voglio dirvi che sono felice di aver incontrato tutti voi, e sono felice di aver avuto una possibilità di dirvi addio. Abbiate cura di voi stessi, ok?".
E un attimo dopo ero giù dal muro e stavo correndo verso il retro della scuola. Un cerchio di luce era visibile nell'aria davanti a me a destra, voltai verso di lui, percependo piuttosto che vedere le forme scure che cominciavano a sorgere attorno a me, la loro rabbia che cresceva nel vedere un solo umano che sfidava la loro supremazia. Con la sfera stretta in un braccio, scattai verso il varco, intoccabile, stranamente entusiasta, finalmente libero. Libero.
Akane, pensai, aspettami. Sto tornando da te, proprio come ti avevo promesso. Saremo di nuovo insieme. Torno a casa.
E il buio sorse da ogni parte.




(1) Nell'originale c'è un gioco di parole intraducibile tra contender (combattente) e car fender (paracarro). Scooter sta parodiando una famosa scena del film Fronte del porto, con Marlon Brando.




Fine settima parte
Revisione versione originale inglese: 7 agosto 1997
Revisione traduzione italiana: 24 gennaio 1999
Betalettura a cura di TigerEyes: 3/8/2011

Nel caso doveste riscontrare refusi che mi sono sfuggiti, vi prego di segnalarmeli, grazie.

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Capitolo 8
*** VIII - Quando si combattono mostri ***



CAST A LONG SHADOW

di
Mark MacKinnon



traduzione
Il Corra Productions




VIII

Quando si combattono mostri






Prologo


Nodoka scrutava il cielo minaccioso dalla finestra. Erano già passate due ore da quando Ranma e gli altri erano partiti per cercare la fonte dei demoni e sigillarla. Le cateratte del cielo potevano aprirsi in qualsiasi momento, e se ciò fosse accaduto, i bambini sarebbero stati in grave pericolo.
Bambini. Continuava a chiamarli così, anche se non lo erano più. Erano qualcosa di più che bambini, in equilibrio precario tra l'infanzia e la giovinezza, pieni di energia e selvagge emozioni e promesse. E quel giorno, poteva finire tutto.
Non era giusto.
Soun continuava a marciare rasente i muri della stanza, con il volto segnato dalla preoccupazione, i suoi capelli scuri scompigliati dall'abitudine di lisciarli nervosamente con le mani. Nodoka aveva rapidamente abbandonato l'idea di parlargli; era consumato dalla pena per la sua figlia minore. Non aveva nemmeno parlato con Nabiki o Kasumi da quando gli altri se ne erano andati. Le due ragazze sembravano molto più serene del loro padre, ma lei sapeva che erano altrettanto preoccupate.
Ripensò ad Akane, al modo in cui lei e suo figlio avevano fatto fronte comune nel rifiutarsi di essere separati. Qualcosa era cambiato tra di loro, ne era sicura, ed era felice che avessero finalmente cominciato a tollerarsi a vicenda. Ma dopo la storia che aveva raccontato Ranko, dopo aver saputo che il loro talento si era rivelato inadeguato già una volta contro quella minaccia, Nodoka sentiva il terrore affondare i suoi artigli dentro di lei, minacciando di dilaniarla. Si erano finalmente ritrovati solo per perdere ogni cosa?
Si sedette bruscamente, stringendo la sua katana. Subito sentì l'esclamazione di sorpresa di Kasumi, e si alzò per seguire la ragazza alla porta principale.
"Che succede, cara?", chiese con preoccupazione. Quell'uomo, Jack, li aveva avvisati che alcune creature fuori dal branco potevano rappresentare un pericolo per la casa, e i suoi sensi erano tesi allo spasimo per captare un'inafferrabile minaccia. Kasumi raggiunse l'ingresso e lei le lanciò un avvertimento.
"Kasumi, non farlo!". Ma era troppo tardi. Kasumi spalancò la porta e corse fuori.
Tra le braccia di uno sbalordito dottor Tofu.
Nodoka sospirò di sollievo e abbassò la katana, mentre Soun e Nabiki la raggiungevano correndo.
"Tofu", sobbalzò Kasumi, indietreggiando di un passo, "ho cercato di raggiungerti! Ti ho lasciato un messaggio prima che i telefoni smettessero di funzionare...". Tofu abbassò lo sguardo su di lei, e il suo volto infantile era composto, senza alcun segno dell'aria svagata che in condizioni normali avrebbe mostrato vicino alla maggiore delle sorelle Tendo. Nodoka vide scintillare qualcosa di cupo nei suoi occhi e il terrore ritornò, minacciando di spezzarle il cuore.
"Devi andare al Furinkan!", gli disse Kasumi con voce urgente, guardandolo in volto. "Gli altri, loro...", si interruppe, notando per la prima volta la sua espressione. "Tofu?", chiese, con voce bassa, implorante. Lui le appoggiò gentilmente le mani sulle spalle.
"È tutto finito", disse tranquillamente. "Gli altri stanno tornando".
"Finito?", ripeté lei senza capire. Nodoka si sentì improvvisamente vacillare, come se la terra stesse ondeggiando sui suoi assi, aprendo un abisso sotto i suoi piedi.
Ti prego, pensò. Ti prego, fa' che stiano tutti bene. Tutti.
Poi notò una macchia scura sulla manica del giovane dottore.
"Dottor Tofu", chiamò, "Diccelo". Tofu alzò gli occhi su di lei, con lo sguardo colmo di un dolore a malapena contenuto.
In quel momento, i cieli sopra Nerima cominciarono a piangere.


I loro sguardi erano fissati sulla cima del muro, e l'immagine di Ranko sembrava fluttuare ancora nell'aria, senza che nessuno di loro riuscisse a muoversi per un lunghissimo momento. Le sue ultime parole sembravano riecheggiare nell'aria immobile, gravida di promesse di tempesta.

("Voglio dirvi che sono felice di aver incontrato tutti voi, e sono felice di aver avuto una possibilità di dirvi addio. Abbiate cura di voi stessi, ok?".)

"NOOOOOO!". Il grido angosciato spezzò l'incantesimo che li aveva trattenuti, e Ukyo strappò due manciate di spatole dalla sua bandoliera e si lanciò sul muro, incurante del pericolo.
"Ucchan, aspetta!", gridò Ranma, ma era troppo tardi. Lei saltò senza fatica il muro e scomparve.
"Alla faccia del piano", borbottò Cologne, guadagnandosi uno sguardo cupo da parte di Ranma. "Che animo nobile, eh, futuro marito?".
"Vuoi aiutarci o cosa?", scattò Ranma. Con un sorriso, Cologne saltò sul muro, seguita subito dopo da Kodachi e Shampoo. Gli altri si susseguirono finché non rimasero che Ranma e Akane, curvi sulla forma accoccolata di Jack.
"Quello... continua... a picchiarmi", ansimò lui, cercando di alzarsi. Ranma si chinò e lo aiutò a reggersi in piedi.
"È capace di far funzionare quella cosa?", gli chiese. Jack annuì.
"Oh, sicuro. È un ordigno fatto in casa, senza protocolli di sicurezza. Accidenti a lui! Che sta facendo?".
"Crede che sia colpa sua, vero?", chiese piano Akane. "Pensa che è per causa sua e sta cercando di proteggerci".
"Beh, qualunque cosa pensi, ha bisogno di noi", replicò Ranma con voce piatta. "Lo dobbiamo aiutare. Tu stai bene?". Jack fece segno di sì, ancora piegato in due.
"Andate avanti, vi raggiungerò subito. Ricordate, dovete impedire ai demoni di seguirlo nel varco. Andate ora, svelti!". Ranma saltò sulla cima del muro, e Akane lo seguì. Jack strappò con rabbia la pistola dalla fondina e fece scorrere il carrello per caricare un colpo. "Diventi stupido con l'età, Jack", borbottò, mentre saltava per aggrapparsi alla cima del muro. "Avresti dovuto prevederlo".
Non c'era nessuno a sentirlo, comunque. Solo il sibilo del vento e il suono distante delle sirene.


Ranma capì che erano nei guai nel momento in cui atterrò nel cortile della scuola. Le creature sembravano uscire da ogni parte, come partorite da un incubo, ed erano tutte denti e artigli e occhi rossi pulsanti e urla da far gelare l'anima. Un cerchio risplendente che supponeva fosse il portale del varco era sospeso silenziosamente nell'aria all'incirca a metà strada dal muro posteriore della scuola, e Ranko vi si stava avvicinando a velocità massima, schivando tutto quello che spuntava sul suo percorso, nel tentativo disperato di portare dentro il suo prezioso carico. Dopo aver saltato sopra una creatura dalla testa di lucertola con una lunga coda, si voltò brevemente per controllare la strada da cui era arrivato, e i suoi occhi incontrarono quelli di Ranma.
In quel momento, qualcosa passò tra loro due come una corrente elettrica. Ranma guardò nel cuore della sua controparte e vide la verità cristallina che celava. Ranko aveva visto già una volta il suo mondo morire, e avrebbe fatto qualsiasi cosa per impedire che succedesse ancora.
Qualsiasi cosa.
Poi quel momento passò, il contatto si ruppe, e Ranko ripartì di corsa. Ranma capì che i demoni erano stati presi in contropiede; stavano tutti sciamando fuori dal riparo del Furinkan per interporsi tra Ranko e il varco. Evidentemente non si aspettavano di essere scoperti così presto. E probabilmente non erano preparati per una singola persona lanciata in una corsa suicida.
A ogni modo, la loro confusione non sarebbe durata ancora a lungo. Il gruppo di Ranma era tutto all'inseguimento di Ranko, e quando i demoni avrebbero contrattaccato, li avrebbero divisi. Avevano bisogno di raggrupparsi, e in fretta.
"IL VARCO!", gridò Ranma. "DOBBIAMO FORMARE UNA LINEA DI DIFESA INTORNO AL VARCO!". Sperò che quel gruppo notoriamente anarchico riuscisse a combattere insieme. Ora che poteva vedere contro chi erano, era più preoccupato che mai. Le creature erano di tante forme diverse, tutte dall'aspetto letale. Il loro primo errore poteva anche essere l'ultimo.
Ukyo era la più lontana, stava quasi per raggiungere Ranko quando qualcosa le si impennò di fronte. Lei gli scagliò le spatole che stringeva in mano, poi saltò oltre la forma riversa, per poi essere intercettata dal demone-lucertola che aveva cercato di fermare Ranko. Fu costretta a saltare indietro per evitare la scudisciata della sua coda, e Ranko si allontanò, ormai a passi di distanza dal varco lucente.
Poi la luce lampeggiò e qualcosa ne uscì fuori.
La cosa era alta circa il doppio di Ranko, con tre dita artigliate in ciascuna mano e grosse zanne che le spuntavano dalla bocca. Per fortuna, fu sorpresa di incontrare Ranko almeno quanto lo era lui, e per fortuna si riscosse una frazione di secondo troppo tardi. Ranko si lanciò in aria, colpì la cosa coi piedi nel petto, e si lanciò nel portale.
Sparito.
Il demone ululò la sua rabbia, e si voltò preparandosi a inseguire il suo tormentatore, quando la sua testa svanì in una nuvola di icore verde. Ranma sbatté le palpebre, poi girò lo sguardo da sopra la spalla e vide Jack appollaiato sulla cima del muro, con la testa ancora abbassata al livello della canna della pistola, mentre l'eco dello sparo svaniva nell'aria. Jack fece un gesto frenetico al suo indirizzo e Ranma annuì. Proprio quando i demoni si stavano preparando a chiudere sul gruppo impreparato, Jack cominciò a bersagliarli di granate e proiettili, scegliendo i bersagli a caso. Ranma si avvantaggiò dell'improvvisa confusione per tentare di allineare la truppa. Ukyo era alle strette con la testa di lucertola, ma Shampoo e Kodachi l'avevano raggiunta. La cosa crollò subito dopo. Gli altri si radunarono in fretta, formando un cerchio attorno al portale, e Jack arrivò per ultimo lanciando un colpo a un essere minore con occhi sporgenti, per poi abbandonare il caricatore e inserirne uno nuovo. Ranma si guardò intorno.
"Da dove diavolo arrivano?", abbaiò. Il cortile sembrava brulicare di ombre, anche se non ce ne sarebbero dovute essere nella debole luce di quel giorno nuvoloso, e si muovevano e fluttuavano come se fossero cose vive. Vive e affamate. Gli esseri emergevano da quelle ombre, e si avvicinavano con cautela verso l'anello approssimativo che era stato formato intorno al loro varco.
"Che si fa se qualcun'altra di queste cose esce dal portale dietro le nostre spalle?", urlò Ryoga nel vento crescente.
"Dovranno prima passare su Ranko!". gli gridò di rimando Jack. "E se lo faranno, sarà già finita comunque!".
"Che cosa stanno aspettando?", chiese Ukyo, lanciando occhiate a destra e a sinistra. Dietro di lei, Akane spostò la presa sulla lancia e si chiese la stessa cosa. Erano circondati ormai da creature di ogni sorta, e il vento portava fino a loro il lezzo marcio della morte.
"Hanno paura!", esclamò Kodachi. "Paura della giustizia, paura della luce!".
"A dire il vero," disse Cologne nel vedere alcune delle mostruosità farsi da parte, "credo che stiano aspettando lui". Un essere sottile, quasi scheletrico camminò lungo lo spazio tra i guerrieri e i mostri. Al confronto con gli altri, sembrava quasi umano, eccetto che per la sua pelle incartapecorita, per gli artigli e i suoi malvolenti occhi rossi.
"Bene, bene, non è stupendo?", sibilò la cosa. "Abbiamo dei visitatori. Dobbiamo cercare di farli sentire bene accolti".
In realtà, Ranma non trovava quell'intenzione granché confortante.


Il battito del mio cuore mi tempestava nelle orecchie mentre cercavo di riprendere fiato. Vedere di nuovo quelle cose mi aveva quasi paralizzato, e solo l'impulso ferino di continuare a correre mi aveva portato in salvo. Ora dovevo farla finita, prima che gli altri, che non erano rimasti al sicuro come gli avevo chiesto, potessero essere feriti.
Sfortunatamente, c'era un ostacolo alla mia missione, e si ergeva non molto lontano. Se ergersi era la parola corretta.
Ero in una specie di... tunnel, immagino sia questo il modo migliore per descriverlo. Anche dopo aver deciso di essere io a entrare nel varco, non avevo pensato granché a come doveva essere. Non avevo potuto chiederlo direttamente a Jack, perché non volevo fargli nascere dei sospetti, ma ora mi stavo pentendo della mia mancanza di iniziativa. I muri del tunnel si curvavano verso l'alto, e sembravano percorsi da linee di energia. Le distanze, poi, erano difficili da giudicare. Era come se la prospettiva continuasse a cambiare, facendo sembrare il tunnel lungo chilometri un istante, metri l'altro.
Suppongo fosse per quel motivo che la creatura mi sorprese con la guardia abbassata.
Torreggiava sopra di me, e il tronco del suo corpo ricordava quello di un enorme verme, che si incurvava a una estremità in una testa con un unico, enorme occhio da rettile e delle fauci irte di zanne ricurve. Il suo corpo era costellato di lunghi tentacoli serpentini, e fu con uno di quelli che mi attaccò all'improvviso, scagliandomi contro il muro del tunnel. Quale che fosse il suo materiale, sembrava solido. Caddi di lato, con gli occhi momentaneamente annebbiati dal dolore.
E persi la presa sulla sfera. Rimbalzò via, rotolando lungo il suolo del varco e fermandosi vicino alla base del demone-verme. Guardai con orrore un tentacolo abbassarsi e raccoglierla.
"GUARDA GUARDA", rombò la cosa, "CHE COSA ABBIAMO QUI?".
Tremai, mentre il panico cercava di prendere il sopravvento su di me, nel vedere la nostra ultima speranza cadere nelle mani dei mostri.


L'essere li squadrò, con la testa inclinata dalla curiosità. I ranghi dei mostri si agitarono con impazienza ma non avanzarono.
"Ci state intralciando", sibilò. "Andatevene adesso, e non vi sarà fatto del male".
"Bugiardo", replicò Cologne con calma. Il demone la guardò, poi rise di cuore.
"Beh, sì", disse amabilmente. "Sono solito mentire. E naturalmente, vi sarà fatto del male, ma se ve ne andate ora, potremmo evitare di incontrarvi per un po' di tempo. Guardati intorno, vecchia. Non crederai seriamente di poterci fermare, no?".
"Possiamo trattenervi quel tanto che basta".
"Basta a fare cosa?". Cologne si limitò a fare un sorriso saputo al demone. Lui ricambiò il suo sguardo con odio.
"Molto bene, allora", disse alla fine. "Uccideteli".
Il suo corpo scheletrico arse di fuoco nero mentre i demoni si facevano avanti. Alzò una mano ossuta e scagliò una sfera di quel fuoco.
Che si schiantò contro una cortina di energia di Cologne.
La battaglia era cominciata.


La cosa sollevò la sfera in alto, sempre più in alto, fino al livello del suo unico occhio, mentre io mi rimettevo faticosamente in piedi. Esaminò sospettosamente il piccolo congegno ricoperto di nastro adesivo, voltandolo da una parte e dall'altra.
"È UN'ARMA UMANA? QUESTO GIOCATTOLO?", grugnì con tono petulante. "AVEVO SPERATO IN QUALCOSA DI PIÙ... IMPONENTE. BENE, RAGAZZO UMANO, CHI SEI TU CHE MI PORTI GIOCATTOLI? VUOI GIOCARE, VERO? MOLTO BENE, RAGAZZO, VIENI DA ME. VIENI E GIOCHIAMO".
Mi avvicinai con cautela, evocando le mie forze, sentendo l'energia scorrere sotto la pelle, riempiendomi. Alzai lo sguardo sull'occhio della cosa che si prendeva gioco di me, la cosa che sorvegliava il varco tra il mio mondo e il loro. Guardai in quell'occhio e alla fine non ero più spaventato. Conoscevo il nemico; aveva fatto del suo peggio, aveva preso tutto quello che possedevo, e un tempo avevo pensato di non avere più niente da perdere. Ma ora sapevo che non era così. Potevano uccidere di nuovo la mia famiglia e i miei amici. Potevano uccidere Akane ancora. E ancora. E ancora. E l'avrebbero fatto, se non li avessi fermati.
Qui.
E ora.
Non ero spaventato. Ma ero molto. Molto. ARRABBIATO.
"Già", gli dissi con un ghigno feroce. "Voglio giocare. Giochiamo a 'attacca la coda'. Tu fai l'asino, ok?". L'energia crebbe fino a un livello al quale era quasi doloroso trattenerla. Vidi un sottile arco voltaico formarsi tra le mie mani, e ripensai ancora al mio ultimo sguardo alla palestra, l'ultimo sguardo alla mia casa.
L'ultimo sguardo a lei.
E lasciai uscire fuori tutto quanto.
"SHISHI HOKODAAAAAAAAAAAN!"


Mentre avanzavano, Ranma notò quasi distrattamente che poteva vedere, con la coda dell'occhio, la lama di Kuno sfolgorare mentre la estraeva. La lama sembrava brillare di un blu brillante, non dissimile dal ki. Sull'altro suo fianco, Akane cambiò posizione e alzò la lancia per ricevere l'urto. Poi non ebbe più tempo per le distrazioni, il nemico era su di loro.
Si lanciò in avanti, scagliando un attacco delle castagne su un grosso demone con un corno e tre occhi, e lo mandò a ruzzolare all'indietro, causando il caos nei ranghi dietro di lui. Sfruttò il vantaggio della distrazione momentanea per saltare in alto, atterrare nel centro del piccolo groviglio e colpire tutt'attorno con velocità e precisione inumane. Il nemico si ritirò, ululando di dolore, e lui eseguì una perfetta serie di capriole all'indietro per rimettersi vicino al varco.
Intanto, Akane lanciò un fendente alto sul nemico più vicino, schivando la sua coda con un salto, poi velocemente invertì la presa sul manico e martellò la creatura con una randellata selvaggia anziché con l'affondo che il demone aveva anticipato. Crollò rapidamente, e lei si proiettò tra altri due, poi saltò al sicuro facendoli scontrare. Non ebbe comunque il tempo per vedere gli effetti del trucco, perché dovette accovacciarsi per schivare un artiglio, per poi eseguire un affondo verso l'alto. Una volta incontrata resistenza, indietreggiò e scavalcò la forma cadente per tornare alla posizione originaria.
Ukyo lanciava le sue spatole con precisione mortale, accecando alcune creature, mutilandone altre. Poi estrasse la spatola da battaglia con un movimento incrociato, abbassandone la lama, per poi manovrarla verso l'alto e di lato mentre un enorme demone urlante con quattro braccia la caricava. Appena fu entrato nel suo raggio d'azione, Ukyo mutò bruscamente posizione e presa e invertì rapidamente la direzione, calando la spatola nel punto di congiunzione del collo e della spalla del demone. Un fluido nero-verdastro ne sprizzò mentre cadeva, con un'espressione sorpresa sul volto.
Shampoo restava immobile, con un piede alzato, i suoi bombori stretti in un disegno incrociato sopra la sua testa, tesa, aspettando pazientemente l'attacco di una creatura. Un demone a due teste la puntò, e lei colpì con selvaggia velocità, disegnando un tatuaggio di crateri sul suo corpo e sulle teste prima che potesse tentare una difesa di qualsiasi sorta. Poi scattò sopra il suo corpo morente e attaccò quello dietro con pari furia.
Anche Mousse restava fermo, con le braccia incrociate e le mani affondate nelle voluminose maniche della sua tunica, finché non trovò i suoi bersagli, poi aprì le braccia mentre dozzine di coltelli scintillanti volavano fuori in un percorso mortale, colpendo numerose creature. Poi scattò in avanti, danzando con grazia sotto una goffa creatura orchesca, piantandole un tridente nella schiena, poi piroettando per stampare i piedi contro altri due demoni.
Ryoga si era fermato, con il volto chino e contratto dal dolore, per concentrare le sue forze. Poi, quando la linea degli attaccanti stava per raggiungerlo, alzò la testa ruggendo, con le mani tese, per rilasciare uno Shishi Hokodan che fece temporaneamente piazza pulita davanti a lui. Raccogliendo il suo ombrello dal suolo, saltò in aria per lanciare numerose fasce-rasoio all'apogeo del suo salto prima di tornare a terra in posizione di guardia, con l'ombrello di metallo completamente aperto.
Jack sceglieva i suoi bersagli, sparando i suoi ultimi colpi esplosivi. Gli restava un ultimo caricatore, proiettili cavi, che sarebbero stati molto meno efficaci contro quelle creature orribilmente vitali, e non aveva più granate. A quel ritmo, non avrebbe avuto il tempo di ricaricare. Imprecò ed estrasse l'oggetto a forma di maniglia dalla tasca mentre le creature si avvicinavano sempre di più.
Kodachi rideva, un suono acuto e folle, roteando un nastro affilato come un rasoio che tagliuzzava qualunque cosa abbastanza stupida da avvicinarsi troppo a lei. Si muoveva con la grazia di una ballerina, evitando con facilità zanne, code e gli occasionali tentacoli mentre si perdeva in una letale danza con i suoi avversari. Il suo cerchio era già rimasto sepolto nella testa di un demone, e tutto quello che ne rimaneva era una pozzanghera di icore verde.
Genma inghiottì la sua paura e si lanciò in salto contro la prima creatura a tiro, usando la sua massa per imprimere tutta la forza possibile al suo doppio calcio, e mandò la cosa a ruzzolare all'indietro. Atterrò, si voltò, e scalciò di lato in un ginocchio. Sogghignò al sentirlo rompersi. A quanto sembrava anche i demoni erano vulnerabili ai colpi sotto la cintura. Si ritrovò alle strette con un altro, lo colpì con una gomitata devastante alla gola, poi saltò per evitare una coda rostrata che si schiantò nel petto dello sfortunato nemico di prima.
Kuno reggeva la sua katana all'altezza della spalla destra, con la lama parallela al suolo, tenendo gli occhi socchiusi. La luce della spada irritava chiaramente le creature; erano riluttanti ad avvicinarsi. Lui non condivideva la loro riluttanza, così si mosse con velocità accecante per affrontare due demoni simultaneamente. La lama creò un arco azzurrino nel tagliare l'aria, e le due creature perfettamente divise a metà caddero prima ancora di capire che fossero morte, e i loro corpi si dissolsero in scoppiettanti pozzanghere verdi.
Gli altri esseri esitarono nella loro carica, creando uno spazio aperto intorno a lui. Non importava. Lui era tra loro e ciò che volevano. Sarebbero tornati.
Cologne fece roteare il bastone, mandando un vortice di energia contro lo scudo difensivo del suo avversario. Quello rispose con una sfera di fuoco nero. Le due energie si incontrarono e, con un suono come di un mondo morente, si cancellarono a vicenda. L'anziana strinse gli occhi. Stava cominciando a rovistare nella sua riserva di trucchi più di quanto le fosse capitato in più di quarant'anni. Sapeva che doveva combattere quella creatura, evidentemente il capo e senza dubbio la più potente del gruppo, da sola. Nessuno degli altri, nemmeno il futuro marito, avrebbe saputo contrastare la sua magia corrotta.
Ranma saltava da ogni parte, vedendo tutto. La vecchiaccia stava tenendo a bada lo scheletro, e tutti erano riusciti a respingere la prima ondata. Le creature erano forti, feroci, e abbastanza veloci, ma si affidavano alla paura e alla forza, non all'abilità, per sconfiggere i loro nemici. Ranma sapeva che avrebbero potuto vincere se quello era il massimo che potevano fare.
Ma continuavano ad arrivarne altri, probabilmente quelli che avevano seminato il caos nella città. E loro non potevano assumere una posizione meglio difendibile, dovevano coprire il varco. Avrebbero cominciato a stancarsi dopo l'esaurimento dell'iniziale scarica di adrenalina, avrebbero cominciato a perdere terreno. E quelle cose sembravano arrivare all'infinito.
Scoccò un'occhiata ad Akane, che stava infuriando attorno come quando combatteva la sua folla di pretendenti la prima volta che l'aveva incontrata, e le si avvicinò, tenendo sott'occhio il portale lucente dietro di lui.
Perché ci metteva così tanto? Non potevano resistere per sempre.
Che diavolo stava combinando Ranko là dentro?


Ansimando, cercai di valutare la creatura tenendo a bada la disperazione. Il mio raggio aveva inciso un largo squarcio nel suo corpo da cui colava un denso liquido nero, ma la cosa era ancora in piedi. E aveva ancora la sfera.
"OH, PERBACCO", rombò, "MI HA FATTO DAVVERO MALE. È PASSATO UN BEL PO' DI TEMPO DALL'ULTIMA VOLTA CHE UN UMANO MI HA FERITO. LA COSA SI FA INTERESSANTE".
‘Interessante’ non era esattamente l'effetto che avevo sperato. Controllai le mura del varco, che sembravano lampeggiare e brillare in sincronia con l'eco morente del colpo energetico. Il varco sembrava averne in qualche modo risentito, ma era ancora aperto. E il fatto che niente entrasse dietro di me mi faceva pensare che gli altri stessero combattendo per coprirmi le spalle.
Avevo bisogno della sfera. Dovevo porre fine a tutto questo. La creatura, apparentemente ignara della vera natura dell'ordigno, lo dondolava beffardamente in alto con un tentacolo, mentre una foresta di altri si muoveva come alghe in un mare tranquillo.
"ANDIAMO, RAGAZZO. SEI ARRIVATO FINO A QUI PER GIOCARE, NON È VERO? È SCORTESE FARE ASPETTARE IL TUO OSPITE". Feci un respiro profondo, mi concentrai, e scattai. Usai tutta le mia abilità, tutta l'agilità a mia disposizione, e saltai da un tentacolo all'altro, usandoli come gradini verso la meta mentre evitavo i loro tentativi di intercettarmi.
Salto, torsione, giro, pausa, schivata, balzo, colpo, avanti. Era un mortale balletto aereo dove un passo sbagliato significava il disastro. Per tutti noi.
Scivolai lungo un tentacolo ondulato verso la mia meta, saltando all'ultimo minuto per evitare un colpo dalla sinistra. Ruotai, individuai il tentacolo che reggeva la sfera, balzai verso di lui. Poi qualcosa mi intercettò nella schiena e mi scagliò al suolo. Il dolore dardeggiò attraverso il petto e i bordi del mio campo visivo si riempirono di una nebbia grigiastra. Quando il fischio nelle mie orecchie si fermò, tutto quello che riuscii a sentire fu un suono come di tuono.
Era una risata. La cosa stava ridendo. Di me.
"OH, MOLTO BENE! MOLTO DIVERTENTE INVERO! ANDIAMO, RAGAZZO, FALLO ANCORA! BALLA PER ME, RAGAZZO! BALLA SE VUOI IL TUO GIOCATTOLO!". Stava giocando con me. La sua risata mi si incagliò nello stomaco come cocci di vetro, e mi rimisi dolorosamente in piedi, barcollando per ritrovare l'equilibrio. Alzai gli occhi verso la sfera, appesa così lontano. Avevo deciso di essere io a occuparmene. Non potevo fallire. Non ancora. Il dolore non importava. Tutto quello che importava era proteggerli.
Raccolsi le forze.
E riprovai.


Arrivavano ancora e ancora. Non sembravano avere paura di ferirsi o morire. Cominciarono ad attaccare tutti insieme.
I muscoli di Ranma bruciavano per lo sforzo di girare in tondo alla massima velocità per impedire a tutti i demoni di attaccarlo alle spalle. Qualcosa con quattro delle spatole di Ukyo conficcate nel petto lo caricò, e lui lo martellò con quattro calci veloci, facendo affondare le spatole nella carne per tutta la loro lunghezza. La cosa ululò e cadde, ferita ma non morta. Si girò, colpì una creatura cornuta più piccola con una serie di colpi fulminei e si aprì la strada fino ad Akane.
Akane schivò un'altra creatura, mulinò la lancia per guadagnarsi un po'di spazio intorno, poi la diresse contro una cosa ringhiante coperta di aculei dall'aspetto letale, piantò l'estremità priva di lama contro il suolo e la usò per proiettarsi oltre il demone spinoso. Atterrando dietro di lui, ruotò su se stessa e lo colpì fulmineamente impalandolo attraverso il petto. La cosa si contorse e cadde, e la lancia si spezzò alla base della lama. Akane fissò senza capire l'estremità scheggiata della lancia, poi si riscosse e vide un incubo alto e sottile incombere su di lei. Sorpresa con la guardia abbassata, alzò le braccia, solo per vederlo crollare sotto un colpo velocissimo della spatola di Ukyo.
La ragazza non ebbe il tempo di rispondere al sorriso grato di Akane, ma si voltò, chinandosi di fianco a lei con la spatola, mentre il sudore le scorreva lungo la schiena. Il rumore era terribile, il fetore era anche peggiore, e non sembrava esserci tempo per pensare o riflettere. Per ogni mostro che soccombeva, ce n'erano altri tre che prendevano il suo posto. Percepì un movimento con la coda dell'occhio, e voltandosi vide una fascia tigrata affondare nella testa della cosa che era stata sul punto di schiacciarla.
Ryoga distolse la sua attenzione dalla creatura che aveva cercato di sorprendere Ukyo, solo per trovarne un'altra alla carica davanti a lui. Le mani artigliate scattarono e Ryoga sentì un'ondata gelida di dolore, seguita da una sensazione bruciante al petto. Atterrò la cosa con un doppio colpo a mani aperte, mandandola a rotolare, e constatò che c'era del sangue che scorreva da sottili tagli sul torace. Sentì Ukyo sussultare alla vista, ma non poteva fermarsi a controllare le sue ferite. Erano tagli ragionevolmente superficiali. Se si fosse fermato, la prossima volta non sarebbe stato così fortunato. Il demone che l'aveva ferito si era ripreso dal colpo e, sogghignando follemente, si stava movendo di nuovo, solo per finire abbattuto da una grossa palla chiodata che era uscita dal braccio teso di Mousse.
Mousse non riuscì a vedere gli effetti del suo attacco, né come se la stesse cavando Ryoga. Si voltò, eseguì un colpo a falce rasoterra, e atterrò due grossi demoni che stavano cercando di frapporsi tra lui e Shampoo. Rapidamente ne trafisse uno con una spada ricurva, ma l'altro riuscì a rialzarsi in piedi troppo velocemente e fu costretto a indietreggiare. La cosa sogghignò brevemente, finché una grossa mazza gli si stampò nella testa, facendolo cadere come un sacco di patate.
Shampoo scavalcò agilmente la creatura, ma venne scagliata a terra da un grosso tentacolo. Senza fiato, perse la presa di entrambi i bombori mentre il tentacolo le si avviluppava attorno alla vita e cominciava a trascinarla dal cerchio di difesa nella folla abominevole. Attraverso le macchioline che danzavano nel suo campo visivo vide un improvviso lampo di brillante luce blu, ed era libera.
Kuno amputò facilmente il tentacolo, respingendo il demone affamato mentre Shampoo si rialzava con fatica, barcollando leggermente, mentre cercava con lo sguardo le sue armi. Kuno descrisse un arco scintillante con la spada, la sentì penetrare nella spessa pelle di una delle bestie, udì il suo ululare infuriato, e continuò il suo attacco, mentre Genma Saotome accorreva a coprire il suo fianco improvvisamente vulnerabile.
Genma stava usando tutti gli sporchi trucchi del suo repertorio per contenere la marea, ma poteva vedere che era solo questione di tempo. Ogni volta che venivano respinti da una parte, incalzavano dall'altra. Grazie agli dèi non sembravano avere alcuna sorta di strategia. Il demone scheletrico che la vecchia aveva sfidato sembrava essere il cervello del gruppo, e non aveva tempo per alcunché eccetto tentare di sopraffarla. Si girò per offrire meno apertura possibile a un nuovo attaccante, quando lo vide crollare, con quell'icore verdastro che sprizzava dalla sua gola, e una risata acuta si alzava dal tumulto.
Non sapeva se essere più spaventato dai demoni o dalla sorella di Kuno.
Kodachi danzava, frustando con il nastro chiunque osasse avvicinarsi a lei, con gli occhi splendenti di piacere.
"Non potete più nascondervi!", urlava. "Qui! E qui! E qui e qui e qui!". E ogni ‘qui’ era sottolineato da uno schiocco del nastro-rasoio, che spillava sangue verde a ogni colpo, infuriando le bestie.
Dèi, si stava divertendo.
Jack strinse il manico della lama d'energia e desiderò aver passato più tempo al corso di combattimento corpo-a-corpo all'accademia, anziché correre dietro a quella tizia di Fisica Sub-Dimensionale 301. Mentre controllava la lama di energia pulsante sospesa sopra l'impugnatura, tutto quello che riusciva a ricordare era il suo istruttore dall'aria arcigna che diceva alla classe: "Per l'amor del cielo, qualsiasi cosa facciate, cercate di non amputarvi i piedi. Sarebbe imbarazzante, per non dire fatale in una situazione ostile". Era abbastanza sicuro che il sentirsi imbarazzato sarebbe stato l'ultimo dei suoi problemi.
Saotome ci stava mettendo troppo. Avrebbe dovuto aver già finito. Qualcosa doveva essere andato storto. Se solo avesse potuto allontanarsi per controllare il varco, pensò mentre qualcosa passava sopra la sua testa, per essere bloccata dalla sua parata istintiva.
Ranma colpì una creatura, fece dietrofront e ne colpì un'altra, poi saltò e bombardò una terza con un altro fulmineo Kachu Tenshin Amiguriken. Cologne occupava un'estremità del cerchio, ancora impegnata a combattere la cosa scheletrica, e niente poteva avventurarsi vicino al fuoco incrociato dei loro attacchi energetici. Altrove, la situazione non si stava mettendo bene.
Ranko non era tornato, il varco era ancora aperto, le nubi cominciavano a oscurarsi e ruotare in un minaccioso disegno sopra il varco, e i difensori cominciavano a stancarsi. Avrebbero perso se qualcuno non avesse pensato a qualcosa, e in fretta. Aveva bisogno di un piano.
No. Lui aveva un piano.
Aveva bisogno di Ryoga.


Mi schiantai contro il suolo per l'ennesima volta, e il respiro uscì dai polmoni in un grido angosciato. Lentamente, così lentamente, mi misi in ginocchio. A ogni mio attacco veniva concesso di avanzare fin quasi alla fine, poi la cosa mi colpiva alla schiena con facilità sprezzante. Avevo fallito.
È vero, mi sussurrò una vocetta oscura nella testa. Sei un fallimento. Non hai potuto salvare la tua famiglia. Non hai potuto salvare i tuoi amici. Non hai potuto salvare LEI. E ora stai per perderli tutti di nuovo.
"No", sussurrai, cercando di alzarmi, per ricadere sulle ginocchia, sentendo un dolore intenso come il fuoco in un fianco. Costole incrinate, una dozzina di tagli sanguinanti, il dolore che urlava attraverso ogni parte del mio corpo. Oh sì, puoi scommetterci. Ci stiamo proprio divertendo.
Mettiti giù, implorò la voce. Fa troppo male continuare. Non puoi sconfiggere questa cosa, e se ci riesci, cosa ottieni? Dovrai perdere ancora Akane? Dovrai lasciare ancora la tua casa? Per quale ragione? Mettiti giù, e lascia andar via il dolore.
"No", ansimai.
Mettiti giù. Arrenditi. Ormai sono già morti tutti, lo sai. Stai combattendo per niente. Finiscila.
"Nooooooo", singhiozzai, con il torace in fiamme. "Combattere, devo... devo continuare...".
Stenditi. Hai fatto del tuo meglio. Stenditi e muori. Fermerà il dolore per sempre. Non meriti un po' di pace? Allora?
Crollai sul pavimento stranamente caldo, mentre il sangue mi scendeva negli occhi da un taglio sulla fronte. Volevo solo riposare, dormire... arrendermi...

(la sua pelle è così pallida, i suoi occhi bloccano i miei, e vedono qualcosa là dentro. Con il suo ultimo respiro, lei mi salva, mi fa andare avanti.
"Ranma. Il mio Ranma. Promettimelo. Non ti arrenderai. Promettilo.")

"Nuh".

("Akane..."
"Promettilo". La sua pelle è fredda, tutta la vita negli occhi, a implorarmi di lasciarla andare. Tremo, e annuisco disperato.
"Lo prometto". Allora lei sorride, il sorriso più dolce, e le sue dita si alzano per scorrere sulla mia guancia, lasciandosi dietro una scia di sangue.
E poi se ne va. I suoi occhi si chiudono e lei scivola via senza sforzo, via da tutto il dolore, e tutto quello che voglio è andare con lei. Ma non posso. Mi ha fatto promettere. E io non romperei mai una promessa fatta a lei.)

"Nuh-No".

(Non le potrò mai dire che l’amavo.)
"NOOOOOOOO!". Faceva male, ma rialzai le ginocchia sul petto e tentai di alzami. In qualche modo, mi ritrovai in piedi.
Akane. Avevo promesso. Non mi sarei arreso. Dovevano uccidermi se volevano fermarmi. Dovevano.
Oh dèi, faceva male.
"ALLORA! IL MIO GIOCATTOLO NON È ANCORA ROTTO DOPO TUTTO! BENE! VIENI E FAMMI DIVERTIRE UN ALTRO PO', RAGAZZO! NON HO ANCORA FINITO DI PUNIRTI PER AVERMI FATTO SANGUINARE!". Guardai la cosa, pulendomi il sangue dagli occhi con una mano tremante. C'era qualcosa, un solletico sul retro della mia mente, qualcosa che avevo visto. Andiamo, Saotome, testa di legno, pensa dannazione. Guardati intorno. Cosa vedi?
I tentacoli frustavano allegramente l'aria, in attesa che rinnovassi il mio inutile assalto. Non era arrivato niente dall'estremità opposta del varco da quando ero entrato, e mi chiesi se l'aver distratto la creatura c'entrasse in qualche modo.
Ecco! Ogni volta che mi colpiva con i suoi tentacoli, quello sul lato opposto si ritraeva! Sì, ripensandoci, ne ero sicuro.
Perché? Cercai di scrutarlo dalla coda dell'occhio, senza darlo a vedere, facendogli credere che stessi solo riprendendo il fiato. Il che non era granché difficile.
C'era qualcosa chiuso nell'estremità del tentacolo, quasi nascosto dalla massa del corpo della creatura. Riuscivo a intravedere sottili archi neri di energia che vi danzavano intorno, apparentemente in sincronia con le pulsazioni del muro che il mio Shishi Hokodan aveva causato.
La chiave. La chiave di ipervarco, o come Jack l'aveva chiamata. Aveva detto che era quello che loro stavano usando per aprire il varco. Quel demone doveva essere a guardia della chiave mentre gli altri attraversavano il ponte.
La sua attenzione era concentrata sulla sfera. Bene. Forse potevo distrarlo in qualche modo.
Inspirai profondamente, radunando le forze restanti. Avevo una sola possibilità. Se non funzionava, sarebbe tutto finito.
Akane, pensai, il petto percorso da un dolore lancinante. Ho combattuto, Akane. Ricordatelo, comunque andrà a finire, ho combattuto fino all'ultimo. Per te.
Grazie.
E poi, urlando come una banshee, mi lanciai in avanti per l'ultima volta.


"Ryoga!".
"Sono occupatooooooh!", rispose lui da sopra il frastuono della battaglia. Ranma schivò un artiglio, rispondendo con un rapido cacio laterale.
"Abbiamo bisogno di spazio! Salta al tre, fuoco a ore sei e dodici! Capito?". Ryoga raggiunse un altro nemico in faccia con una serie di pugni, e lui cadde, facendolo quasi inciampare sul corpo mentre la battaglia infuriava attorno a lui. Cercò di concentrarsi, in attesa del segnale. Andiamo, Ryoga...
"Pronto!", segnalò alla fine. Ranma controllò rapidamente la posizione di Ryoga, vide che erano quasi opposti, e strinse i pugni.
"TUTTI PRONTI A RITIRARSI! UNO!". Scagliò un calcio, respingendo un grosso demone farfugliante con una lunga lingua.
"DUE!". Fece un passo indietro, e vide con sorpresa che Akane era scivolata di fronte a lui, coprendolo con una serie di larghi fendenti del suo bastone, affondando l'estremità spezzata in una ignara creatura.
Per favore, pregò, fa che non le succeda niente. Per favore. Si avvantaggiò dei pochi momenti di tregua per radunare le sue forze, le sentì crescere dentro di lui, e si tese.
"TRE!". Scattò in aria, in un salto curvato all'indietro, confidando che Ryoga fosse là. E c'era. Si toccarono, schiena contro schiena, all'acme dei loro salti, con le auree che brillavano rabbiosamente, volgendosi ad angolo retto con Cologne e il suo avversario.
"SHISHI HOKODAN!".
"MOKO TAKABISHA!".
I raggi gemelli sovrastarono la folla di demoni che erano troppo intenti a sopraffare i difensori per rendersi conto del pericolo prima che fosse troppo tardi. L'energia si abbatté su di loro, annichilendo la prima fila degli aggressori e disperdendo il resto, creando un po' di spazio vitale per gli esausti guerrieri. Poi Ranma e Ryoga si respinsero a vicenda e atterrarono nelle loro posizioni originarie.
"Ranma", ansimò Akane, con una smorfia selvaggia sul volto, "è stato grande!". Lui le sorrise di rimando. I mostri si stavano riorganizzando con lentezza, dando loro il tempo di cui avevano disperatamente bisogno per prepararsi alla prossima ondata.
E poi, il disastro.
Il suolo sotto Cologne eruttò, e lunghe radici nere si avvilupparono attorno al suo corpo, sollevandola in aria. Attorno a lei cominciarono a crepitare scariche di non-luce, facendola gridare di dolore, mentre lo scheletro cominciava a ridere.
"Si direbbe che il nostro stallo sia stato superato, vecchia", gongolò. Un altra scarica di fuoco color ebano spezzò il bastone dell'anziana, che gridò di nuovo.
"No!", urlò Ranma.
"BISNONNA!". Shampoo cercò di aiutarla, ma il demone le lanciò distrattamente una sfera di fuoco, schiantandola a terra. E in quel momento di distrazione, Cologne colpì. Attorno a lei si accesero lampi bianco-blu di energia, che si staccarono per circondare il demone impreparato. Quello ruggì di dolore, intensificando l'energia oscura attorno a Cologne. Erano bloccati in una sfida mortale, e con entrambe le loro difese crollate, il perdente sarebbe stato il primo a soccombere all'attacco nemico. Il primo a morire.
"Ranma!", urlò Akane. "Si stanno raggruppando!". Lui imprecò sottovoce e si girò per controllare la situazione.
"Per quanto ancora dobbiamo restare qui?", chiese Mousse, che era piegato protettivamente sopra la forma tremante di Shampoo, ancora semi-incosciente.
"Non possiamo mollare!", gridò Ukyo secca, alzando la spatola impregnata di melma. "Ko-chan ha bisogno di noi, dobbiamo guardargli le spalle!".
"Jack! Per quanto ancora?", gridò Ranma, mentre la sua ritrovata sicurezza cominciava a vacillare.
"Dovrebbe aver già finito a quest'ora!".
"Arrivano!", annunciò Ryoga, scagliando una gragnola di fasce nei ranghi nemici.
Si prepararono a trattenere il nemico, consapevoli che la fine era ormai vicina.
Presto sarebbe finito tutto, in un modo o nell'altro.


Ignorando il dolore lancinante di ogni respiro, saltai agilmente da tentacolo a tentacolo, attirandoli verso di me, cercando di far sembrare che stessi facendo un'altro tentativo di raggiungere la sfera. E all'apparenza, ci stavo riuscendo. La risata di quella creatura che sembrava uscita da un incubo mi colpiva come un tuono mentre ondeggiava la sfera appena fuori dalla mia portata. Beh, quello era un gioco a cui si poteva giocare in due. Aspettai il momento giusto, con il petto in fiamme per la fatica e il dolore delle costole. Infine, proprio quando cominciavo a pensare che il mio piano non avrebbe funzionato, mi si presentò un'apertura.
Colpii, e colpii rapidamente. Dondolandomi da un tentacolo pericolosamente attivo, usai la spinta per scavalcare il corpo della cosa, la colsi di sorpresa e tempestai di pugni il tentacolo che reggeva la chiave. Con un ruggito di dolore e sorpresa, la creatura sciolse la presa e io mi impadronii della chiave, percependo il suo fuoco oscuro bruciarmi la mano con un freddo intenso.
"Ehi, stupido! Che cos'è questa?", gracchiai, saltando giù dal tentacolo, calcolando l'arco con cura. Se riuscivo a farlo nel modo giusto...
"PAGHERAI PER QUESTO, VERME INSOLENTE!", strillò il demone infuriato, attaccandomi ferocemente con il tentacolo più vicino a me.
Che, proprio come avevo previsto, era quello che teneva la sfera. Ruotai nell'aria, colpendo prima che la creatura potesse capire il suo errore, e liberai la sfera con un pugno. Poi, premendo i piedi contro quel tentacolo, mi lanciai in basso per raggiungerla. Sapevo che avrei lasciato la schiena scoperta, ma mi servivano solo alcuni secondi. Solo alcuni, per rovesciare la partita.
Feci scivolare il pollice sul bottone. Dieci secondi, aveva detto. Gli ultimi dieci secondi della mia vita. Mentre mi buttavo contro lo squarcio che il mio primo colpo aveva aperto nel fianco della creatura, percepii più che vederlo un tentacolo che si dirigeva verso la mia schiena.
Troppo tardi, mostro. Troppo tardi.
Premetti il bottone, e ficcai il braccio nella ferita, affondandolo fino al gomito, per poi lasciarci la sfera dentro in profondità mentre il tentacolo finalmente mi ghermiva, strisciava attorno al mio petto e mi sollevava in aria.

DIECI

La cosa cominciò a stritolarmi, e la vista mi si riempì di macchie nere.
"SONO STANCO DI QUESTO GIOCO, RAGAZZO. DAMMI LA CHIAVE. ORA".
Sogghignai attraverso il dolore. La pace non era più lontana. Mi sentivo libero, la libertà di un uomo che sapeva la morte essere inevitabile. Non c'era niente che quella cosa mi potesse fare. Presto saremmo entrambi spariti, e mi sarei lasciato tutto dietro. Con un vago senso di rimpianto per tutte le cose che non avevo completato, aprii il colletto della camicia e lasciai cadere la chiave dentro, sentendola bruciare la pelle nuda con le sue nere fiamme ghiacciate, e allargai la braccia.
"Vieni a prendertela", gli suggerii freddamente. Jack non aveva detto niente di cosa avrebbe fatto la sfera a una persona quando sarebbe esplosa.
Mi chiesi se avrebbe fatto male.

NOVE

Mentre la marea urlante degli incubi tornava alla carica su di loro, Ranma vide lo scheletro crollare infine sotto l'attacco di Cologne. Mentre si disfaceva in polvere, le radici che trattenevano Cologne esplosero nel fuoco nero. Lei urlò, un suono terribilmente desolato, e cadde scompostamente a terra.

OTTO

Akane strinse disperatamente la lancia spezzata. Non riusciva a credere che sarebbe finita in quel modo. Non aveva mai pensato seriamente che avrebbero perso. Non ora, non quando lei e Ranma si erano finalmente dichiarati.
Non era per niente giusto...

SETTE

Genma scattò indietro verso la forma immobile di Cologne, con le braccia spalancate. Poi qualcosa si schiantò su di lui, facendogli espellere l'aria dai polmoni e schiacciandolo con forza al suolo. Sentì dita ruvide attorno alla gola e qualcuno cominciò a strangolarlo.

SEI

Ryoga e Ukyo erano ormai circondati, combattevano schiena contro schiena mentre le creature dilagavano attorno, urlando follemente. Lui sentì Ukyo fare un suono che poteva essere un grugnito, o forse un singhiozzo. Suppose che ormai non importasse granché. Con la coda dell'occhio vide la lama lucente di Kuno, e Kodachi che si precipitava a testa bassa verso il centro di quello che era rimasto del loro circolo difensivo.
Il centro?

CINQUE

Il demone stava tremando. Era seriamente preoccupato. Beh, tanto meglio. Era ora che fossero quegli esseri a preoccuparsi.
Improvvisamente, un fluido nero-verdastro schizzò dal tentacolo che mi reggeva, poi caddi, e un altro tentacolo venne avvolto attorno a me, trascinandomi indietro.
Le creature dovevano aver aperto l'entrata, pensai vagamente, ma era troppo tardi per loro...

QUATTRO

Mousse raccolse Shampoo con un movimento fulmineo, saltò indietro e scagliò una pioggia di oggetti contundenti contro i nemici più vicini. Girandosi, vide che con il collasso di Cologne ormai erano sul punto di essere sopraffatti ovunque. E...
Che diavolo stava facendo Kodachi?

TRE

La creatura urlò di dolore e paura e cominciò a muovere la sua massa poderosa verso di me. Abbassai lo sguardo senza capire, e vidi un nastro avvolto attorno al petto, che mi stringeva dolorosamente le costole infortunate, e mi tirava indietro verso il portale.
"Ranma, tesoro!". Che diavolo?
"Kodachi?". Ed era lei, nel varco a metà, che mi tirava col nastro. Incredibile.
"No, non farlo! Non c'è abbastanza tempo!", urlai, ma non si fermò.

DUE

Ranma martellò un gigantesco demone con una rapida combinazione, cercando di individuare Akane. C'erano decisamente meno nemici ora, ma stavano tutti convergendo su di loro, nel tentativo di recuperare il varco.
"Ranma, attento!". Si voltò, qualcosa di grosso incombeva su di lui, e improvvisamente l'estremità scheggiata di un bastone era conficcata nel suo occhio, e Akane era al suo fianco, gli gridava di fare attenzione, idiota! Si voltò, confidando che lei gli avrebbe guardato le spalle, ma non riuscì a vedere la maggior parte degli altri...

UNO

"NON PUOI SCAPPARE, RAGAZZO! DAMMI LA CHIAVE!". Si stava avvicinando, avanzava come un'onda di marea, e dietro di lui potevo finalmente vedere altri di loro che arrivavano dall'estremità opposta. Incespicai, cercando di rimettermi in piedi, poi Kodachi diede uno strattone al nastro, e faceva male ma barcollai verso di lei, la chiave aveva reso insensibile la pelle del petto dove premeva, e cercai di spingerla indietro attraverso il varco, e...

ZERO

...e improvvisamente un'esplosione muta e fredda mi travolse, e io ero me, e io stavo combattendo fuori al fianco di Akane, e io ero in una cella a domandarmi cosa avrebbe detto quando mi avrebbe visto e io ero per terra con Akane sopra di me e io ero io ero io ero Ranma Ranko Ran-chan ero tutti loro tutti loro TUTTI i Ranma contemporaneamente, le loro vite scorrevano dentro di me, e potevo vedere negli occhi di Kodachi che anche lei poteva sentirlo.
Poi quel momento passò e ci ritrovammo nel mondo reale, e il varco esplose dietro di me come una bolla di sapone, ed era tutto finito.
Finito.
Improvvisamente, Kodachi sussultò, la sua stretta sulle mie spalle aumentò, e guardai nei suoi occhi scuri, stupefatto, vedendoci uno strano sguardo pacifico, uno sguardo che non avevo mai visto prima nei suoi occhi. Stupefatto, sentii le sue braccia scivolarmi attorno al collo. Che diavolo...?
"Ranma", mormorò. "Tesoro". Poi tossì, e da un lato della bocca le scivolò un sottile rivolo di sangue. Abbassai gli occhi, senza capire, e vidi una macchia di sangue che si allargava da un punto sul davanti del suo body. Poi il punto sparì con un secco rumore di risucchio e lei sussultò, cadendomi contro. Vidi una grossa coda che terminava con un pungiglione che si ritirava da lei, grondante sangue. La coda era attaccata a un demone molto grosso, molto orrido.
"COSE CATTIVE. VICINO AL VARCO. COSE COSE COSE CATTIVE. MUORI ORA. SÌ, DEVI MORIRE ORA". E sorrise, un amabile sorriso da idiota pieno di denti coperti di mucosa. Non riuscivo a muovermi. Non mi rimanevano più forze, e riuscivo a malapena a reggermi in piedi con il peso di Kodachi contro di me. Mi resi conto che gli scontri erano quasi terminati, interrotti dal collasso del varco, e nel silenzio improvviso, sentii un suono, un lamento che crebbe e crebbe finché non mi convinsi che non poteva essere prodotto da una bocca umana.
Ma lo era.
Kuno.
Il demone si rese conto del pericolo troppo tardi, cominciò a voltarsi ma Kuno l'aveva già attaccato da dietro, a capofitto, incurante della sua sicurezza. Si portò la katana dal fianco e la alzò in un unico movimento. La cosa guardò ottusamente le sue braccia cadere al suolo. Poi la lama scattò ancora e ancora, lasciando scie di fuoco blu mentre squarciava il carapace del demone sempre più in profondità. La creatura urlò di dolore e paura e cercò di scappare, ma già veniva tagliata a pezzi, e il lamento angosciato di Kuno si confuse nelle strida della creatura morente. Di essa non rimase che una pozza di liquame verdastro. Poi Kuno cercò con lo sguardo un'altra vittima per la sua ira.
Non c'erano molti candidati. Il varco era scomparso, il loro capo sconfitto, le perdite erano spaventose, e non sarebbe arrivato alcun aiuto.
Ruppero i ranghi e si diedero alla fuga. Distolsi lo sguardo, sbalordito dalla scena di distruzione, e guardai la schiena di Kodachi da sopra la sua spalla.
Fu un errore. Era gravemente ferita, lo potevo vedere chiaramente. La feci distendere con cautela, cercando di non farle del male. Avevo ancora le sue braccia attorno al collo, e lei stava guardando nei miei occhi con un'espressione di meraviglia. Percepii gli altri che si avvicinavano a noi. Il suo volto era pallido, sentivo il sangue che usciva a fiotti dalla terribile ferita nella schiena, oltre la mia mano che poteva scagliare cento pugni al secondo ma non poteva trattenere la sua vita.
"Ragazzo?". Era Jack. Abbassò la voce e mi appoggiò una mano cauta sulla spalla. "Ragazzo, se c'e qualcosa che vuoi dirle, farai meglio a dirgliela subito", sussurrò. Lo guardai negli occhi, e vidi che diceva la verità. Ritornai a lei, confuso.
"Perché?", le chiesi. "Ero pronto ad andarmene. Sarebbe stato ok, perché hai rischiato?". Lei incontrò i miei occhi, e sorrise.
"Tutti quei mondi, tesoro mio... l'hai sentito?". Annuii. L'avevo sentito. "Tutti quei mondi. Ce n'era uno dove amavi me, tesoro. L'ho visto. Solo me". Sorrise, un sorriso sognante, poi le sue mani si contrassero spasmodicamente sulla mia nuca dal dolore.
"Ranma", sussurrò, "Lasciami andare... con un bacio. Ti prego".
Scossi la testa per scacciare le lacrime, poi mi chinai per sfiorare le sue labbra ghiacciate con le mie. Lei mi trattenne con quello che le restava della sua forza, lasciò indugiare la sua bocca sulla mia, ottenendo infine l'unica cosa che avesse sempre voluto.
Poi mi rialzai e vidi i suoi occhi chiudersi lentamente.
"Tatchi", sussurrò.
"Qui", disse lui da dietro di me, con voce roca. Lo sentii cadere sulle ginocchia. Lei sorrise ancora, un piccolo dolce sorriso da ragazzina. "Ti sbagliavi. Lui è la luce. È risplendente, e così caldo...". Non disse più niente, il suo respiro rallentò, le sue labbra erano ancora leggermente curvate in un sorriso. Lentamente, le sue braccia scivolarono via dalle mie spalle e caddero senza far rumore ai fianchi. Sentii Akane soffocare un singhiozzo.
Non doveva finire così. Dovevo essere io l'unico a morire stavolta. Erano stati così vicini alla vittoria, come poteva morire ora? E perché?
Perché non io?
Qualcuno si era inginocchiato vicino a me, e notai con un distante senso di sorpresa che era il dottor Tofu. Lui le sentì il battito, poi abbassò la mano dopo alcuni secondi.
"Mi dispiace", disse piano. Non aveva bisogno di dire altro.
La Rosa Nera era morta.


Akane si guardò attorno, scuotendo via le lacrime, esausta. Non riusciva a crederci. Nell'improvvisa calma ultraterrena, era difficile credere che avessero combattuto all'ultimo sangue solo un minuto prima. Ma il prato era devastato e c'erano pozzanghere rivelatrici di melma verde ovunque i demoni morti si erano dissolti.
E Kodachi era morta. Kodachi, che aveva la sua età. Kodachi, che era stata sua rivale. Kodachi, che amava Ranma. Morta.
Seguì il dottor Tofu che si stava dirigendo dove giaceva il corpo di Cologne. Si era dimenticata della matriarca amazzone. Vide Shampoo, evidentemente ferita, scostare Mousse e strisciare al fianco della sua bisnonna. Akane sentì una punta ghiacciata nello stomaco al pensiero improvviso che forse anche Cologne era morta. Guardò Tofu inginocchiarsi per controllarla.
"Dalla a me". La voce di Kuno, roca e con un accento di follia, la fece voltare. Ranko, sconvolto, stava ancora cullando il corpo di Kodachi. Sembrava quasi che non avesse sentito quello che Kuno aveva detto. Lui rinfoderò la spada, ormai inerte, e si inginocchiò di nuovo di fronte a Ranko.
"Saotome. Dalla a me". Questa volta Ranko alzò lo sguardo, sbalordito. I suoi occhi incontrarono quelli di Kuno e, qualunque cosa avessero visto, non riuscirono a sopportarla. Abbassò lo sguardo e silenziosamente gli tese il corpo della ragazza. Kuno la accolse gentilmente tra le braccia, come se lo potesse ancora sentire, e la cullò contro il petto. Poi si alzò e si voltò per andarsene.
"E-ehi, Kuno, dove stai andando?", chiese Ranma, con la preoccupazione evidente nella voce. Kuno si fermò ma senza voltarsi.
"Porto a casa mia sorella", disse. Nessuno si mosse per un lungo secondo.
"Senpai Kuno", disse Akane con gentilezza, "Forse dovresti aspettare..."
"La porto a casa", ripeté. "Non sentirò ragioni. Ora lei ha bisogno di tornare a casa". E con questo se ne andò. Akane si rivolse a Ranma, preoccupata.
"Ranma, cosa dobbiamo fare? Non possiamo lasciarlo tornare a casa in quelle condizioni!". Lui annuì, con il volto madido di sudore.
"Me ne occupo io. Sta’ vicina a Ranko, ok?". La guardò espressivamente, e poi scattò verso il gruppo radunato attorno a Cologne.
"State tutti bene?", chiese Ryoga. Una delle maniche di Ukyo era stata parzialmente strappata e aveva qualche taglio sanguinante alla spalla. Ryoga aveva tre ferite parallele sul torace, che avevano abbondantemente sanguinato ma non sembravano preoccuparlo più di tanto. Il cappotto di Jack era strappato in più punti, ma lui sembrava a posto. Akane si sentiva tutta un dolore, ed era piena di lividi, coperta di sangue verde, e distrutta dal terrore e dalla stanchezza.
Ma era sopravvissuta.
Si accovacciò vicino a Ranko, guardandolo in volto, e il provò una fitta al petto. Quello che aveva detto a Ranma non importava, la vista di Ranko non poteva non commuoverla. E Ranma lo sapeva, ma sapeva anche che lei era probabilmente l'unica che potesse confortarlo. E lui si fidava di lei. Con il cuore in tumulto per la confusione, posò una mano sulla spalla di Ranko.
"Su, Ranko. Dobbiamo andarcene". Lui alzò gli occhi su di lei, e lei si sentì crollare al vedere quanto il suo volto fosse vulnerabile.
"Dovevo essere io", sussurrò, e lei ricacciò indietro un improvviso attacco di pianto.
"Ranko, per favore. Dobbiamo andare", mormorò. Lui chiuse gli occhi, annuì, e si alzò in piedi. Lei lo sorresse, notando che lui le porgeva il fianco sinistro, e che era orami esausto. Mentre lo portava verso gli latri, si chiese cosa fosse successo dall'altra parte del portale. Jack li seguiva a breve distanza, mentre Ryoga aspettò finché Ukyo non ebbe finito di pulire la spatola sull'erba.
Mentre camminava lentamente verso l'altro gruppo, fece scorrere lentamente lo sguardo intorno al Furinkan. Erano successe così tante cose, e ora si sentiva come se una parte di lei fosse morta.
Si chiese tristemente se sarebbe mai stata capace di rivedere quel luogo senza pensare alla morte.


Gli altri formicolarono attorno casa Tendo, preparando coperte e medicamenti per i feriti, mentre Nodoka dirigeva i nuovi arrivati nella sala più ampia della casa. Con calma, controllò ognuno.
Mousse portava Cologne, che era evidentemente la più gravemente ferita. Ranma portava una Shampoo dall'aria spaventata, che non tentava nemmeno di trarre vantaggio dalla situazione. La posò gentilmente su un futon vicino a quello della sua bisnonna. Akane, che sembrava distrutta ma non seriamente ferita, con grande sollievo di Soun, condusse Ranko a una sedia. Ryoga stava cercando di richiudere il suo ombrello, con cui aveva cercato di tenere asciutti alcuni membri del gruppo, senza molta fortuna. Il rivestimento era deformato dagli impatti, e alla fine ci rinunciò. Ukyo tentava di convincerlo a farsi curare i tagli, e lo straniero, Jack, si era seduto, guardando tutti gli altri. Nodoka sentì un nodo allo stomaco e dovette respirare con calma per controllare la voce.
"Ranma", chiamò, con voce sufficientemente ferma, "dov'è tuo padre?". Ranma alzò gli occhi, sorpreso.
"Lo abbiamo mandato a seguire Kuno, per tenerlo fuori dai guai".
"Hai mandato tuo padre a tenere qualcuno fuori dai guai?", chiese brusca, cercando di nascondere il sollievo. "Quell'uomo è un guaio ambulante!". L'espressione di Ranma la fermò. "Cosa c'è?", chiese, all'improvviso di nuovo incerta.
"Mamma, c'è di peggio. Kodachi Kuno è morta". Nodoka sbatté le palpebre. Quella... ragazza? Come, era solo dell'età di Akane! Era stata a casa loro solo il giorno prima. Non poteva essere morta. impossibile.
"Come?", fu tutto ciò a cui riuscì a pensare di chiedere. Lo sguardo negli occhi di suo figlio la raggelò fino all'osso.
"Una di quelle cose l'ha colpita mentre stava aiutando Ranko", disse a voce bassa, mentre la madre gettava uno sguardo verso il punto dove Ranko era seduto, con gli occhi fissi al suolo. "È stato brutto, mamma. Per poco non ce la facevamo". Nodoka respirò profondamente per concentrarsi e cominciò a dirigere i feriti. Kasumi fece da assistente al dottor Tofu nel suo giro di visite.
"Non avremmo dovuto portarli all'ospedale? Shampoo e la sua bisnonna, almeno", fece Nabiki, entrando con una bacinella di acqua pulita e alcune bende. Tofu scosse la testa con aria assente.
"Gli ospedali dell'area sono intasati, e il traffico è difficoltoso. Anche se riuscissimo ad arrivarci, dovremmo aspettare. Tutto il distretto è nel caos. Staremo meglio qui dentro. E per Cologne, le sue ferite fisiche non sono il solo problema. La sua energia vitale è quasi completamente esaurita. Non sono sicuro di cosa devo fare per lei". La sua espressione era chiusa, e Nodoka vide quanto quell'ammissione gli costasse. Muovendosi tra il piccolo gruppo silenzioso, diede a Ryoga una pezza pulita da premere contro le sue ferite, parlò con calma a Ukyo, poi superò il punto dove Ranma e Akane sedevano vicini per inginocchiarsi vicino a Ranko.
"Sei ferito?", chiese piano. Non rispose. Lei soffocò un sospiro e riprovò. "Non è stata colpa tua, Ranko".
"Sono solo stanco", mormorò alla fine. "Stanco di gente che muore. Tutti stavano bene prima che arrivassi io". Nodoka avrebbe voluto controbattere, ma capiva che nel suo stato presente non gli sarebbe stata di alcun aiuto. Invece, lo guidò verso un futon vuoto e lo convinse a stendersi. Guardò la sua forma supina, i suoi lineamenti tirati, con la preoccupazione di una madre. Era davvero così simile a suo figlio, e la feriva vederlo così. Silenziosamente raggiunse Ranma e Akane.
"Voglio sentire cosa è successo", disse loro, guidandoli un po' in disparte dagli altri. "Tutto quanto".
Parlando piano, prima uno, poi l'altra, le dissero tutto quanto.


Mi risvegliai nel buio. Il cuore batteva a mille, anche se avevo solo sognato, quei sogni erano svaniti come nebbia, lasciando solo un vago senso di paura. Mi alzai con cautela, sussultando per il dolore al petto. Ero ancora nella sala principale della casa. Una luce soffusa filtrava dal corridoio per la cucina, da cui potevo sentire delle voci, lontane e calme.
Mi guardai attorno, intravedendo forme nella penombra, udendo il gentile sussurrio dei respiri. Quando i miei occhi si furono abituati al buio, riuscii a distinguere Ryoga scompostamente sdraiato in un angolo, con il torace fasciato, che russava piano. Mousse era raggomitolato vicino al futon di Shampoo, entrambi profondamente addormentati. E vicino a me, appoggiata a una sedia, con la testa sprofondata tra le braccia, c'era Ukyo. Si era addormentata mentre mi sorvegliava, non c'era dubbio. Sorrisi nel vedere il suo volto dormiente. Cara Ucchan. Un giorno, se c'era giustizia a questo mondo, lei sarebbe stata felice.
Scivolai fuori dal futon, notando che mi avevano tolto la camicia e bendato le costole. Non mi ero nemmeno svegliato mentre lo facevano. E anche i vari tagli erano stati medicati. Alzai con cautela le braccia, sentendo il bendaggio stringere leggermente. Non male. Raccolsi la camicia pulita che era stata lasciata di fianco al cuscino e sentii qualcosa che premeva contro la gamba. Mi chinai e la raccolsi, guardandola con curiosità.
Mi ci vollero alcuni secondi per capire cosa fosse. Ricordavo di aver fatto cadere la chiave avvolta dall'energia nella camicia, ricordavo la sensazione di bruciore. Poi, dopo che la sfera era esplosa e ci eravamo liberati del varco, me n'ero dimenticato. Non bruciava più e non la sentivo. Rigirai la cosa tra le mani. Si era rimpicciolita, dalla taglia del mio avambraccio a quella del dito medio. Sembrava essere fatta di una specie di cristallo bluastro, con un anello a una estremità e un uncino accennato sull'altra. Effettivamente assomigliava parecchio a una chiave.
Doveva essere rimasta nella camicia finché non l'avevano aperta, facendola scivolare sotto di me. Me la misi in tasca, senza sapere cosa farci, e mi alzai silenziosamente. Appoggiai con cautela la mia coperta sulle spalle di Ukyo e scivolai nella camicia, poi mi diressi senza far rumore verso la porta del giardino. Non volevo vedere nessuno, non ancora. Aprii la porta scorrevole e scivolai fuori.
Stava piovendo, dure linee d'acqua che battevano senza pietà il terreno, formando un sottile velo d'argento. Entrai nella veranda e mi calai giù per sedere contro il muro, a fissare la pioggia cadere. Dalle case del circondario arrivava poca luce, e per la prima volta mi resi conto che non c'era luce elettrica. Le luci calde della cucina dovevano essere candele o una lanterna.
"Ehi, ragazzo". Jack spuntò fuori dal buio, con il cappotto fradicio d'acqua. "Ti spiace se mi siedo qui?".
"Sì".
"Beh, cercherò di non prendermela troppo". Si sedette, appoggiandosi al muro di fianco a me. Lo guardai con una smorfia.
"Perché sei ancora qui?", chiesi.
"Affari da concludere. Che ti prende, ragazzo? Sembri un po' depresso".
"Che mi prende?", chiesi incredulo. "Kodachi è morta, tanto per cominciare, e Cologne ha un piede nella fossa, ed è colpa mia!". Lo vidi rivolgersi verso di me nella penombra, e l'unico suono per un lungo momento fu il cadere della pioggia.
"Lo credi seriamente?", chiese alla fine.
"Sarei dovuto riuscire a...", cominciai.
"A far cosa? Salvare tutti? Mettere tutto a posto? Ascoltami, Saotome, e per una volta cerca di fare attenzione a quello che ti dico. La tua amica Kodachi non è stata l'unica persona a morire oggi. Ci sono diverse morti e feriti gravi riportati in quest'area come risultato di quello che hanno fatto i demoni per coprire le loro mosse, e molta più gente è ancora dispersa. La cosa importante è che il varco è distrutto, la chiave perduta, e il pericolo è finito. Oh, sicuro, alcune di quelle cose sono ancora qui in giro, ma verranno cacciate. Il peggio è passato, ormai".
"E tutta la gente che è stata ferita o uccisa? Suppongo che siano perdite accettabili, eh?", chiesi acidamente.
"Andiamo, ragazzo! Perché non riesci a capire? Abbiamo perso mondi interi in incursioni come queste! Sei riuscito a fermarli con un pugno di artisti marziali adolescenti, e solo una del tuo gruppo è morta! Ve la siete cavata con POCO!", mi fissò. "Puoi non volerlo sentire, ma è vero. Altri cinque minuti là fuori e sarebbero tutti morti, te compreso. Il resto della città avrebbe presto fatto la stessa fine".
"Non sarebbe mai dovuto succedere!", scattai. "Se non fossi arrivato qui, non sarebbe mai successo! È tutta colpa mia, non ci arrivi?".
"Ah", disse piano. "Allora è per questo che mi hai colpito a tradimento e hai tentato quell'attacco suicida con il nucleo di transito, eh? Perché è tutta colpa tua?". Annuii rabbiosamente, con la gola stretta. "Ragazzo, non mi hai mai dato retta, e vorrei che cominciassi ora. La sola ragione per cui tutta questa gente è ancora viva è che tu sei qui". Lo guardai senza capire.
"Che cosa...".
"È la verità. Hai mandato in corto la mia porta e abbiamo dovuto atterrare qui. Se non fosse successo, non avrei potuto scoprire il varco, e tempo che qualcuno se ne accorgesse, questa città sarebbe stata perduta". Si chinò vicino a me, parlando a voce bassa e urgente. "Ricordati quello che ti ho detto. Quando il GDI avrebbe registrato l'incursione, tutte le vite di Nerima, probabilmente tutte quelle di Tokyo, sarebbero state annientate. Tu non hai messo in pericolo questa gente, Saotome, tu li hai salvati. Mi dispiace per i tuoi amici, ma avete fatto quello che dovevate fare. Milioni di vite erano in ballo".
Continuai a fissare la pioggia. Quello che aveva detto sembrava vero, ma non potevo togliermi dalla testa l'immagine di Kodachi che mi guardava, con l'amore negli occhi. Amore per me. Amore che alla fine l'aveva uccisa.
"Quando eravamo nel varco, quando si stava distruggendo, io... abbiamo entrambi sentito... non sono sicuro di come descriverlo. Era come se per una frazione di secondo potessi sentire centinaia di altri Ranma, con tutte le loro vite...".
"È possibile. Questa è una stringa dimensionale bella grossa, con centinaia di variazioni, e tu sei prominente in molte di queste. Ecco perché sappiamo così tante cose su di te". Scossi stancamente la testa.
"Non voglio essere prominente. Voglio solo avere un po' di pace. Voglio solo esser lasciato solo per un po'". Jack non ebbe niente da rispondere. "Come ci riesci?", gli chiesi alla fine. "Come puoi guardare la gente che ami morire ancora e ancora? Dev'esserci un posto, da qualche parte, dove ti stanno tutti aspettando, tutti felici, tutti vivi. Se solo potessi arrivarci...". Jack cominciò a ridere.
"Sindrome Paradiso", disse.
"Cosa?".
"Sindrome Paradiso. È così che la chiamiamo. Colpisce il GDI ogni tanto. Tu vedi tutti questi mondi-variante e cominci a chiederti se il mondo perfetto per te non sia là fuori da qualche parte. Il mondo dove la ragazza che hai sempre amato ti ricambia, o dove sei ricco, o potente, o dove sei ciò che hai sempre desiderato essere. Un bel sogno, ma non funziona mai. Ciononostante, di tanto in tanto, qualcuno si becca la Sindrome Paradiso e parte verso l'ignoto, e non viene mai più rivisto. Chi lo sa, magari trova quello che sta cercando".
"Non mi sembri molto ottimista".
"Questo mondo sarebbe perfetto, non è vero, ragazzo? Se non fosse per un piccolo dettaglio, ovvero che tu qui esisti già", sussultai. Aveva ragione, naturalmente. Ecco perché avevo deciso di andarmene.
"Allora il paradiso non esiste?".
"Ragazzo, che razza di vita avresti mai, se ogni volta che ti capita qualcosa di brutto potessi andartene e cercarti un nuovo mondo dove le cose vanno meglio? Il paradiso te lo fai da te, immagino. Avere troppe opportunità è quasi peggio che non averne nessuna".
"E questo succederebbe in ogni luogo?", chiesi alla fine.
"Cosa?".
"Questo. Ritrovare la mia vita già vissuta, tutta questa gente...".
"No, non dovunque. Questa stringa ha un sacco di variazioni di questo posto, ma ci sono centinaia di altre stringhe solo in questo settore dove tu puoi benissimo non essere mai esistito. Più ti allontani dalla tua stringa natia, meno possibilità hai di ritrovare te stesso".
Bene. Era un sollievo.
"Ehi, mi stavo giusto chiedendo: perché mi hai dato quelle quarantotto ore extra? Probabilmente potevi catturarmi facilmente, quindi perché ti sei messo in tutto questo casino?". Jack non rispose per così tanto tempo che cominciai a chiedermi se lo avrebbe fatto.
"Sindrome Paradiso", mormorò alla fine.
"Eh?".
"Ragazzo, io sono una Classe Y. Sai cosa vuol dire?". Ovviamente non lo sapevo. Lui annuì. "Significa che sono stato prelevato da un mondo morto, come te. Sul mio mondo c'era un virus che era mutato da un'arma biologica. Io avevo un'immunità naturale alla maggior parte delle malattie, inclusa quella che uccise il mio mondo, così sopravvissi", sospirò leggermente. "Per poco. Quelli che mi salvarono mi misero al lavoro". Mi risedetti, stordito. Non ne avevo idea. Lui riportò gli occhi sulla pioggia, tamburellando oziosamente le dita sulle ginocchia. "Lo fecero perché avevano bisogno di gente, e le loro leggi non permettevano loro di raccogliere personale da stringhe attive a piacimento". Poi si voltò verso di me, e i suoi lineamenti erano indistinti nel buio. "Alcuni anni fa ho commesso un errore. Un tragico errore. A causa del quale qualcuno morì. Da allora, sono arrivato a pensare che non avrei fatto quello che avevo fatto, se solo avessi avuto una possibilità di risistemare le cose, di dare un ultimo saluto ai miei fantasmi. Così ho pensato che sarebbe stato meglio lasciarti vedere che non c'era posto per te qui, piuttosto che lasciare che il dubbio ti divorasse per anni finché alla fine non avresti fatto qualcosa di stupido. E comunque, quel che è fatto è fatto". Non ero sicuro se stsse parlando a me o a se stesso in quell'ultima parte. Sospirai e mi appoggiai contro il muro, sobbalzando per le fitte alle costole.
"Allora cosa succederà quando arriveranno i tuoi rinforzi? Dovrò combattere anche loro?". Jack non distolse gli occhi dalla pioggia.
"Sono già qui. E non dovrai combattere proprio nessuno, perché sei morto". Per un attimo non seppi dire niente.
"Eh?", feci alla fine. Lui sorrise.
"Non sei riuscito a uscire dal varco prima che esplodesse. Un nobile sacrificio, una storia molto tragica. Che tu possa riposare in pace". Continuai a fissarlo stupidamente.
"Eh?", ripetei. Lui sospirò.
"Saotome, ho compilato un rapporto. In triplice copia. Una volta che la burocrazia pensa che tu sia morto, credimi, ci vorrebbe il diavolo in persona per convincerli del contrario".
"Perché?", chiesi alla fine. "Perché farlo per me?". Sorrise, un sorriso enigmatico.
"Consideralo un regalo d'addio. O consideralo un tentativo di redenzione per i miei peccati del passato, se vuoi. Non importa davvero, alla fine. Il risultato è lo stesso". Ritornò a fissare la pioggia. "I praticanti di arti marziali hanno un codice d''onore, giusto?".
"La maggior parte", replicai, ancora confuso.
"Forse il GDI dovrebbe adottarne uno. Alcune delle cose che ho dovuto fare sono state logiche, e anche necessarie, ma non molto onorevoli. Forse non mi sento più nel giusto. Francamente, non credo che ti saresti trovato bene nel GDI. Il mondo è grande, Saotome. Trovatene un angolo e ricomincia a vivere. Tu non appartieni a questo posto e lo sai". Si alzò lentamente, e mi squadrò con aria incerta, come se si stesse chiedendo se dirmi o no un cosa. "Ho un ultima parola di avviso per te, Ranma Saotome", disse alla fine. "Un uomo più saggio di me una volta disse: 'Colui che combatte mostri deve stare attento a non diventare un mostro lui stesso. E quando fissi il tuo sguardo nell'abisso l'abisso guarda dentro di te'. Ti sono accadute molte cose, e posso dire che hai già passato abbastanza tempo a guardare in quell'abisso. Ma se lo guardi abbastanza a lungo, arriverà a conoscerti per nome, e comincerà a chiamarti. E quel richiamo sarà molto seducente. La vita è stata dura con te, ragazzo, ma non c'è niente da fare ormai. Allontanati dall'orrido, Saotome, o una notte nei momenti più cupi, nelle ore poco prima dell'alba, sentirai l'abisso chiamarti. E tu risponderai". Ricambiai il suo sguardo, in silenzio. Per la prima volta capivo che lui poteva intuire in qualche modo quello che avevo passato.
"Questo è solo il mio consiglio, a ogni modo. Prendilo per quel che vale. Ho visto come guardavi la giovane signorina Tendo, prima. Sappiamo entrambi cosa succederà se rimani. Il passato è passato, ragazzo. Trovati un futuro".
E poi se ne era andato, camminando nella pioggia. Lo seguii con gli occhi, cercando di rendermi conto di quello che mi aveva detto.
Libero. Ero libero. Per quanto concerneva il GDI, ero morto. Nessuno mi sarebbe venuto a cercare. Una delle ragioni della mia partenza era scomparsa. Ma le altre ragioni, se volevo essere onesto con me stesso, restavano ed erano sempre più impellenti.
"Pensieri pesanti, bulletto?", saltai su, provocando uno scoppio di risate femminili. "Scusa", fece Nabiki, "non volevo spaventarti". Si sedette di fianco a me a gambe incrociate e appoggiò il mento sul pugno.
"Da quanto stavi ascoltando?", chiesi, mezzo arrabbiato, mezzo divertito. Lei sogghignò.
"Da abbastanza tempo. Sai, si imparano le cose più incredibili solo tenendo le orecchie aperte".
"Sei impossibile. Immagino lo saprai già".
"Uh-uh. Allora". Mi guardò negli occhi, con un espressione insolitamente grave. "Cosa farai?". Sospirai.
"Non lo so. Mi sento così... colpevole, sai?".
"Ho sentito cosa ha detto. Se non fosse stato per te, saremmo tutti morti a quest'ora. L'autocommiserazione non ti aiuterà, Ranko. Hai salvato un sacco di vite, inclusi mio padre e le mie sorelle. Lascia che io sia la prima a dirti grazie". Sentii che arrossivo.
"Andiamo, Nabiki. Non ho salvato Kodachi, giusto?".
"Se tu avessi potuto, l'avresti fatto", rispose semplicemente. "Ho sentito della tua stupida sortita da cowboy, hai cercato di fermare il varco da solo per non mettere nessuno in pericolo. Penso che questo dica tutto".
Rimase in attesa mentre cercavo di trovare qualche ragione per contraddirla.
"Come stanno?", chiesi alla fine. Lei intrecciò le mani dietro la nuca e fece una faccia pensosa.
"Beh, erano tutti esausti, naturalmente. Ukyo e Ryoga sono stati rappezzati, non avevano niente di grave. Shampoo era conciata mica male, e il dottor Tofu ha detto qualcosa a proposito della sua energia vitale, ma ha detto che tra qualche giorno sarà come nuova. Cologne dovrebbe vivere, ma lui non è sicuro di quando riuscirà a riprendersi. È preoccupato per i suoi nervi oculari. Pensa che potrebbe rimanere cieca". Sospirai. Dannazione. Quante altre cattive notizie poteva sopportare quel posto? Nabiki mi squadrò con uno sguardo preoccupato.
"Come è stato... Kuno...". Si interruppe, vagamente imbarazzata.
"Non bene", dissi piano. "Era fuori di sé. Se n'è andato come se niente fosse, con lei in braccio. Spero che sia riuscito a cavarsela".
"Quello sì. Tuo… voglio dire, il padre di Ranma è tornato poco fa. Kuno è riuscito a fare ritorno alla sua proprietà. Non ha detto molto altro, perché la pioggia lo ha fatto diventare panda e non c'è corrente per riscaldare l'acqua". Fece una pausa, come se stesse cercando le parole giuste. "Non riesco a credere che sia morta", disse alla fine. Annuii.
"Lo so. Ho ancora difficoltà a credere che siano morti tutti quanti. Immagino di poter aggiungere il suo nome alla lista".
"Stai per partire". Non era una domanda. Mi aveva preso in contropiede con l'improvviso cambio di argomento, ma conoscendola, era una mossa calcolata per carpirmi qualcosa.
"Devo".
"Anche ora?".
"Già, anche ora. Il GDI non mi dà più la caccia, ma se rimango... saranno guai per tutti. Devo trovare un posto che sia solo mio. Forse poi potrò tornare. Forse". Lei annuì come se se lo aspettasse.
"Gli altri lo sanno?".
"Per ora, l'ho detto solo a Ranma. Anche se potrebbe averlo detto ad Akane". Nabiki rise.
"Hai davvero finito per fartelo piacere, non è così?". Aggrottai la fronte.
"Che c'è di così strano?".
"Beh, pensavo che voi due foste troppo simili per andare d'accordo". Sentii un sorriso affiorarmi sul volto, al ricordo del nostro primo disastroso allenamento.
"Bene, immagino che a volte riesco a essere un arrogante figlio di puttana", ammisi mio malgrado. "Ma siamo riusciti a diventare amici comunque". Quindi lei si alzò, tendendomi la mano.
"Salta su", fece. "Akane e Zia Nodoka stanno preparando una cena fredda. Dovrai essere affamato, hai dormito tutto il pomeriggio". Ero affamato, ora che ci pensavo. Le sorrisi con gratitudine.
"Vai pure. Vorrei restare qui un paio di minuti". Vidi l'espressione sul suo volto cambiare e ridacchiai. "Arriverò in un attimo", le assicurai. Lei sospirò e si voltò per andare, poi si fermò.
"Ranko?".
Hmmmm?".
"Ci siamo andati davvero vicini, vero?". Ricordai quei momenti disteso sul suolo del varco, sentendo di non poter continuare, con la sfera fuori dalla mia portata. Avevo voluto così tanto stendermi e arrendermi, allora...
"Più vicini di quanto tu possa immaginare", dissi piano. Lei si volse silenziosamente ed entrò, lasciandomi solo con i miei pensieri e la pioggia.


"Sono passati solo due giorni, Ranko. Penso che dovresti lasciar guarire queste costole un altro po'".
"Ne abbiamo già parlato, doc. Sto bene, e sono pronto per partire. Andiamo, facciamola finita. Odio i lunghi addii". Uscimmo dalla porta principale nella luce del sole di primavera.
Stavano aspettando. I genitori di Ranma, Ranma e Akane, Nabiki e Kasumi, Ukyo, Ryoga, Shampoo e Mousse. Cologne aveva ripreso conoscenza per brevi periodi ed era fuori pericolo, o comunque così diceva il dottor Tofu. Comunque, i suoi occhi erano diventati dello stesso colore dell'energia nera che l'aveva avvolta durante l'attacco del demone. Era cieca. Shampoo aveva pianto per ore dopo che gliel'avevano detto, anche se il dottore le aveva detto che non era sicuro se potesse essere curata o meno.
Nessuno era venuto a sapere niente di Kuno. I servitori non ammettevano nessuno nella proprietà. Le richieste erano cortesemente ignorate. Ordini del padrone, dicevano. Il lutto della famiglia non doveva essere interrotto per alcuna ragione.
Così mi ritrovai qui, di fronte alla palestra Tendo, pronto per partire. Mi ci era voluto un bel po' per spiegare agli altri perché volevo andarmene così presto. Sapevo che non sarebbe mai stato più facile lasciarmi dietro questo posto, e sapevo che potevo perdere la mia risolutezza se aspettavo troppo a lungo.
Quindi stavo partendo. Mi incamminai lentamente lungo li sentiero. Mousse mi tese la mano e io la strinsi, sorpreso.
"Abbi cura di te, Ranko", disse solennemente. Annuii. Shampoo, ancora incerta sulle gambe, si avvicinò e mi gettò le braccia al collo.
"Tu salai semple il mio amole", sussurrò. La strinsi con gentilezza, cercando di non guardare Mousse.
"Fa' la brava", le dissi. Mi baciò ferocemente, poi fece un passo indietro. Arrossii.
Ukyo era la prossima. La guardai, e mi sentii stringere il cuore allo sguardo sul suo volto.
"Resta", disse silenziosamente. Scossi la testa, quasi impercettibilmente.
"Non posso", risposi. Lei fece un veloce passo avanti e mi chiuse il braccio non fasciato attorno la spalla, fece scivolare l'altro lungo la vita, e appoggiò la testa al petto. Improvvisamente, respirare faceva male. "Sii felice, Ucchan. Per favore", mormorai. Sentii le sue spalle sussultare leggermente, poi alzò il volto e mi baciò sulle labbra, gentilmente, indugiando come la rugiada d'estate.
Poi arretrò, con gli occhi bassi. Mi feci forza e continuai.
"Vuoi baciare anche me?", mi chiese Ryoga, facendomi sorridere.
"Pervertito", sbuffai.
"Ehi, devi tornare un giorno o l'altro, così potrò sconfiggerti una volta per tutte". Sogghignai.
"Sicuro, ti farò fissare un appuntamento dal mio segretario". Mi tese la mano, con qualcosa di nero e giallo che ne pendeva.
"Che cos'è?".
"Un regalo di addio. È la mia fascia fortunata". La presi con precauzione. Sembrava identica alle altre.
"Fortunata per cosa?", chiesi dubbiosamente.
"Le donne", rispose solennemente, "la trovano irresistibile". Lo guardai negli occhi, e cominciammo a ridere nello stesso momento.
"Scemo", dissi.
"Idiota", replicò. Ci stringemmo brevemente gli avambracci, poi dovetti proseguire.
"Accidenti, bulletto, sei rimasto nemmeno quanto bastava per indebitarti con me", fece Nabiki. La scrutai, e non vidi traccia della ragazza a cui avevo parlato quel giorno, così agii di impulso. La circondai con le braccia e avvicinai le labbra al suo orecchio.
"Nabiki Tendo", sussurrai, "io devo averti". Lei scoppiò in una ristata da ragazzina, e prese a martellarmi di pugni le spalle.
"Cielo, che impudenza", rispose con aria civettuola. "Andiamo, levati di qui prima che io decida di tenerti, casanova". Le sorrisi, felice di vedere che la ragazza che avevo conosciuto era ancora là dentro, e sperai che un giorno avrebbe trovato il modo di saltare fuori.
Kasumi mi raggiunse, con una scatola avvolta in un panno nelle mani.
"Ti ho preparato il pranzo", disse semplicemente.
"Ma naturalmente". Lo presi, cullandomi nel calore del suo abbraccio.
"Sii prudente, d'accordo?".
"Tenterò". Era la cosa più onesta che potessi dire, e non sono mai riuscito a mentire a Kasumi. La prossima.
"Vorrei che ci ripensassi", disse la donna che, in un'altra realtà, sarebbe stata mia madre.
"Fidati. So cosa sto facendo". Anche lei mi abbracciò, e sentii un improvviso accesso di rimpianto per non aver mai condiviso un momento simile con mia madre. Sorrisi.
"Cerca di tenere questo vecchio pazzo fuori dai guai, ok?", dissi, indicando suo marito col pollice. Lei sorrise, asciugandosi in fretta una lacrima.
"Io non faccio miracoli, caro".
"Ehi, che ne è del rispetto per gli anziani?", fece Genma.
"E tu riguardati, vecchio orso", dissi. Lui strisciò i piedi per terra e sorrise.
"Torna pure tutte le volte che vuoi allenarti con un partner decente", disse. Mi voltai verso il signor Tendo.
"Hai tirato su delle grandi ragazze, Tendo. Dovresti esserne fiero".
"Lo sono, Ranko. Lo sono".
"Potete chiamarmi Ranma adesso". Sorrise.
"Non ti ho mai ringraziato come si deve per aver salvato la vita di Akane quella volta, figliolo. Se c'è qualcosa...".
"Grazie". Deglutii, avvicinandomi alla fine. Gli addii più duri.
"Ehi". Akane mi sorrise, con tristezza. "Immagino che ci siamo". Annuii senza parole. Avrei voluto prenderla tra le braccia e stringerla, ma non potevo. Assolutamente.
Però lei poteva. Mi abbracciò fieramente, evitando con cura le costole bendate. Vidi Ranma voltarsi discretamente e ricambiai il suo abbraccio, abbassando il capo per respirarne il profumo. Un'ultima volta.
"Mi dispiace", mormorò. Mi dispiace di non essere la tua Akane. Mi dispiace di spezzarti il cuore solo con la mia esistenza. Mi dispiace che non possiate amarmi tutti e due. Mi dispiace per un milione di cose. Non sapevo a cosa si riferisse. Forse a tutte quante.
"Anche a me", le dissi, e sentii le sue lacrime sul collo mentre ricacciavo indietro le mie. Dopo tutto, i duri non piangono, giusto?
Alla fine dovetti lasciarla, e con un passo indietro li guardai entrambi.
"Ehi, non scordatevi di mandarmi l'invito al matrimonio", dissi il più allegramente possibile. Entrambi arrossirono furiosamente, poi Ranma raccolse il mio zaino e me lo allungò.
"Uffa, non rincominciare", borbottò. Presi lo zaino e me lo misi sulle spalle.
"Ehi, bello, accompagnami al cancello". Una volta arrivati ci fermammo, uno di fronte all'altro.
"Un'ultima fermata?", chiese con calma. Sorrisi con una punta di tristezza.
"Tu lo faresti, non è vero? Mi ha salvato la vita. Lo devo alla sua memoria".
"Kuno è instabile. Sii prudente". Annuii.
"Beh, questo è davvero tutto", dissi infine, guardando il gruppo. Ranma sospirò.
"Vorrei...".
"Vorrei, vorrei. Se i desideri fossero pesci, potremmo camminare fino in Cina senza bagnarci i piedi". Mi sorrise suo malgrado.
"Abbi cura di te, ok? È strano, mi stavo giusto abituando a vederti in giro. Ho sempre desiderato un fratello".
"Che coincidenza. Anche io". Ci stringemmo la mano, provando per l'ultima volta la sensazione di essere due metà di un intero.
Poi quel momento passò, e con esso, i miei giorni a casa Tendo. Partii in direzione della mia ultima fermata.
Resistetti al bisogno di guardarmi indietro, solo un'ultima volta.


I servitori, i muri, e il sistema di sicurezza non riuscirono nemmeno a rallentarmi. Lo stesso dicasi per le strane etichette che sembravano appiccicate dovunque. Alla fine, lo trovai in una piccola macchia d'alberi rintanata nel lussureggiante giardino della proprietà.
Non avevo mai visto prima quel boschetto. C'erano alcune lapidi sparse intorno agli alberi e un fitto tappeto d'erba. Kuno era inginocchiato davanti a una di queste, con la katana appoggiata sulle ginocchia. Di fronte alla lapide d'ossidiana c'era un tempietto portatile. Non avevo bisogno di guardare al suo interno per sapere quale fotografia contenesse.
"Sapevo che saresti venuto", disse, con voce piatta. Mi sorprese. Non avevo pensato che avrebbe capito che io ero lì. Scivolai giù dall'albero in cui mi nascondevo, e mi avvicinai lentamente alla lapide. Kuno, vestito con una tunica bianca, non si voltò verso di me. Cercai di pensare a qualcosa da dire. ‘Mi dispiace’ suonava terribilmente inadeguato. Lui mi risparmiò la fatica.
"Onorerai la memoria di mia sorella". Annuii, poi mi inginocchiai, battei le mani due volte e chinai il capo.
Vorrei averti voluto salvare, pensai. Vorrei almeno averti amato. Non è stato giusto che tu sia morta in quel modo. Giuro che tenterò di onorare la tua memoria, Kodachi. E prego che tu abbia trovato la pace, ovunque tu sia.
Mi alzai, con gli occhi sulla lapide. Sotto il suo nome e le date, una singola rosa nera era stata incisa nella pietra. Sotto, due righe.
"I codardi muoiono mille volte prima della loro morte. Il valoroso non assapora mai la morte se non una volta".
Shakespeare, probabilmente, conoscendo Kuno. Non avevo mai pensato a Kodachi in termini di valore, ma di sicuro non era mai stata spaventata da nulla che io sapessi in tutto il tempo che l'ho conosciuta.
"Lei ha sempre creduto che tu fossi la sua salvezza, Saotome. Invece, ti sei rivelato la sua fine". Non seppi cosa rispondere a quelle parole. Kuno continuava a non guardarmi. Notai che la spada nel suo grembo era la stessa che aveva impugnato al Furinkan. Avrei voluto chiedergli qualcosa al riguardo, ma non era il momento giusto.
"Va’, Saotome. Sono in lutto per mia sorella. Se potessi, ti rincorrerei fino ai confini del mondo per vendicarmi nel suo nome, ma il dovere non lo permette in questo momento. Ma sappi questo. Se mai ci incontreremo di nuovo, sarà come nemici, e solo un di noi due sopravvivrà a quell'incontro".
"Vorrei che non fosse così, Kuno", dissi lentamente.
"Quello che vuoi tu è irrilevante. Ti sto semplicemente dicendo le cose come stanno". Annuii.
"Ma devi ricordarti che è colpa mia, non di Ranma. Ricordatelo se vuoi la tua vendetta". Accennò brevemente col capo ma non disse niente. Non c'era costrutto nel parlargli. Mi voltai per andarmene.
"Saotome?".
"Sì?".
"Tutte quelle donne", disse amaramente. "Me lo sono sempre chiesto. Cos'è che le spinge a qualunque cosa per ottenere il tuo amore?".
"Vorrei saperlo", feci, altrettanto amaramente. E dicevo il vero. Poi lo lasciai con le memorie dei morti, certo che non ci saremmo mai più rivisti.
Mi sbagliavo, anche se non c'era modo di saperlo allora. Non avrei mai immaginato quali strani e contorti sentieri mi stavo preparando a calcare. Non avrei mai creduto che un giorno sarei tornato in quel luogo, o quali sorprese il fato avesse in serbo per tutti noi.
Mi diressi verso il muro dove avevo lasciato lo zaino. Nessun segno di Sasuke. Questo era un bene. Poteva non valere granché come ninja, ma non avevo voglia di vedermela con lui, quel giorno.
Raccolsi lo zaino e scavalcai il muro. Sotto la camicia nera, avvolta in un pezzo di cuoio grezzo, c'era la chiave. Nessuno sapeva che l'avevo io. Non sapevo nemmeno come farla funzionare. Ma tutto ciò che avevo era il tempo, non avevo un luogo dove andare o giorni da spenderci.
Il mondo è grande, aveva detto Jack. Forse, ma ero troppo irrequieto, troppo ferito nell'animo, per mettermi a vagare per un mondo solo. Ce n'erano centinaia là fuori, forse migliaia. Certamente abbastanza per perdersi, lasciare i luoghi familiari alle spalle e ricominciare.
Sindrome Paradiso, eh? Jack aveva detto che ogni tanto qualcuno partiva alla ricerca del paradiso e non tornava mai più. Forse trovavano quello di cui avevano bisogno, o forse lo stavano ancora cercando.
In un modo o nell'altro, mi stava bene.





Fine


Revisione versione originale inglese: 8 agosto 1997
Revisione traduzione italiana: 22 luglio 1999
Betalettura a cura di TigerEyes: 4 agosto 2011

Sono certa che questa ff non vi ha lasciati indifferenti. A suo tempo rappresentò una svolta epocale in mezzo alle migliaia di ff tutte uguali, improvvisate, ingenue, dalle idee trite e ritrite, dai dialoghi banali, dalle descrizioni infantili. L’autore non ha semplicemente concepito una ff geniale. Ha pianificato questa ff senza tralasciare il minimo particolare, studiando tutto nei minimi dettagli affinché tutto si incastrasse alla perfezione, affinché non ci fossero falle o incongruenze. Ma non si limitò a elaborare scrupolosamente la trama affinché la presenza di due Ranma in uno stesso mondo fosse plausibile, l’autore è senza meno partito con l’idea di analizzare cosa sarebbe accaduto se due Ranma fossero vissuti sotto lo stesso tetto, cosa avrebbe comportato la presenza di un secondo Ranma per tutti i personaggi principali del manga. Dunque ha puntato sulla caratterizzazione, o meglio, su una profonda analisi psicologica dei personaggi takahashiani, qualcosa che ancora oggi riesce a pochissimi. E l’ha fatto in modo strabiliante: l’approfondimento psicologico di ogni personaggio è tuttora senza pari. L’autore ha affrontato con grande maturità e sensibilità temi delicatissimi, portando ogni singolo personaggio a vedersela con le parti più oscure del proprio animo e a evolvere drammaticamente nel giro di poco tempo. Ha preso il mondo di Ranma e l’ha stravolto per sempre, stravolgendo per sempre anche il fandom internazionale.
E non finisce qui.

Ringrazio tutti coloro che hanno commentato i precedenti capitoli e che commenteranno questo, nonché coloro che vorranno lasciare un commento in futuro. Io sono solo una beta, non posso rispondere in nome dell'autore o del traduttore, purtroppo, ma a nome loro vi ringrazio profondamente.
Come sempre, se mi fossero sfuggite delle sviste, non esitate a segnalarmele, grazie! ^_^
TigerEyes

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