Ritorno a New York

di Sonnyx94
(/viewuser.php?uid=141726)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap.1: Coincidenze ***
Capitolo 2: *** Cap.2: Ritorno a casa ***
Capitolo 3: *** Cap.3: Finzione ***
Capitolo 4: *** Cap.4: Amici ***
Capitolo 5: *** Cap.5: Incontro Inaspettato ***
Capitolo 6: *** Cap.6: Primo Giorno ***
Capitolo 7: *** Cap.7: L'Inizio Dei Giochi ***
Capitolo 8: *** Cap.8: Rivelazioni ***
Capitolo 9: *** Cap.9: La Principessa e Il Pirata ***
Capitolo 10: *** Cap.10: Ti Puoi Fidare ***
Capitolo 11: *** Cap.11: Il Prezzo della Popolarità ***
Capitolo 12: *** Cap.12: Monetina Portafortuna ***
Capitolo 13: *** Cap.13: Ora Lo Sai ***
Capitolo 14: *** Cap,14: L'Amore Ti Rende Migliore ***
Capitolo 15: *** Cap.15: Sono felice che tu esista ***
Capitolo 16: *** Cap.16: Sorprese Inaspettate ***
Capitolo 17: *** Cap.17: La Calma Prima della Tempesta ***



Capitolo 1
*** Cap.1: Coincidenze ***


Per la gente di New York non importa chi sei veramente, conta solo che nome porti, quanto è il tuo conto in banca, la gente che frequenti e i posti che frequenti.
I ragazzi crescono tra alcool, droga e sesso. Ai genitori non importa o semplicemente pensano che non vietando queste cose ai loro figli, questi non ne abusino, ma si sbagliano.
Ma la cosa importante è questa: mantenere la classe. Si, perché potrai essere strafatto di qualunque tipo di droga, ubriaco fradicio, ma l’unica cosa che conta è di non sfigurare, mantenere sempre un comportamento adeguato ed essere sempre presentabili, non  facendo vergognare la propria famiglia, rovinando il nome che porti.
La grande Manhattan è la savana di New York, le regole sono le stesse, solo che le temperature sono più basse, ma se vuoi vivere devi essere un cacciatore e sperare di non diventare la preda.
Vince il più forte, madre natura ci ha creati così e non c’è esempio migliore che questo posto.
La vita è strana, per la maggior parte del tempo gioca con te, ti prende in giro e quando hai più bisogno ti volta le spalle, come se lei fino a quel momento non ci fosse mai stata.
Incredibile come tutta la nostra vita dipenda dalla sfortuna e dalla fortuna, ogni cosa che ci succede è frutto di una serie di coincidenze e di scelte.
Un esempio?
Molto bene, eccolo.
Fine Agosto. Cosa ci fanno due persone, un ragazzo e una ragazza, della stessa età, all’una di notte, davanti ai loro computer a guardare una pagina di uno stupido sito web?
Stanno decidendo quali tasti schiacciare, per formare delle frasi con un senso. La domanda a cui devono rispondere?
Qualcosa su di me: ...
 
La ragazza inizia a scrivere.
Sono Demi Lovato, ho 17 anni, vivo nell’Upper East Side, New York, l’anno scorso mi hanno diagnosticato la meningite. Mi hanno detto che avevo poche possibilità di farcela, invece, perdendo un anno di scuola sono guarita. Ma questo è niente in confronto ai problemi che ora devo tornare a occuparmi, a volte penso che se fossi morta, forse avrei trovato la pace, ma si vede che il mio lavoro qui non è ancora finito. Mi piace pensarla così, invece di rendermi conto che forse è semplicemente la vita che vuole farmi pagare una colpa che nemmeno io ricordo.
 
Demi finì di scrivere, sospirò e appoggiò la testa al muro vicino al letto dove era seduta, chiuse gli occhi e sentì, fuori dalla sua camera d’ospedale, la solita infermiera che faceva il turno di notte, russava profondamente, dopo la solita crisi di mezza età che nell’anno in cui la ragazza era stata ricoverata, accadeva puntualmente tutte le sere.
Demi pensò se anche lei un giorno si sarebbe ritrovata così. Ma visto che non sapeva nemmeno quello che sarebbe successo domani, non era il caso di farsi questi problemi. Sopirò.
Cancellò quello che aveva scritto, lasciando solo la frase più banale del mondo. Quella che scrivono tutti: Sono Demi Lovato, ho 17 anni, vivo nell’Upper East Side, New York.
 
Nello stesso momento, il ragazzo inizia a scrivere.
 
Sono Joe Jonas, ho 17 anni, vivo nell’Upper East Side, New York. La mia vita è un inferno, fingo di essere la persona che non sono da sempre, vivo con alcool, fumo, faccio sesso con ragazze che nemmeno conosco. Ma questo non sono io, è solo una corazza che mi protegge dal mondo e dal giudizio della gente che mi sta intorno. La mia famiglia non merita di essere chiamata tale, non ho un rapporto con i miei fratelli, l’ultima volta che ci ho parlato seriamente non me la ricordo nemmeno, una madre che è innamorata di un uomo che la maltratta. E io...io non so nemmeno chi sono.
 
Joe rilesse, sbuffò e si lasciò cadere sulla sedia della camera, i suoi fratelli dormivano già da un po’, in sottofondo le litigate dei suoi genitori. Sospirò e cancellò quello che aveva scritto lasciando solo la frase che scrivevano tutti: Sono Joe Jonas, ho 17 anni, vivo nell’Upper East Side, New York.
 
Ecco, questo è l’esempio di cui parlavo prima. Se questi due ragazzi non fossero stati su internet in quel preciso momento e non avessero scritto della loro vita per poi cancellare tutto; probabilmente ora non potrei raccontarvi questa storia. Perché la vita è semplicemente la combinazione di una serie di svariati eventi.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Cap.2: Ritorno a casa ***


Cap.2: Ritorno a casa


San Francisco dista esattamente 6 ore di volo da New York. Due città stupende, conosciute in tutto il mondo, ma con due fascini esattamente diversi. San Francisco è soleggiata e calda per 12 mesi l’anno, New York è gelida l’inverno e calda l’estate.
Scesi dall’aereo di linea e presi il treno che mi portò fino a Manhattan, nell’Upper East Side.
La stazione centrale era decorata in modo moderno, le vetrate erano nuove e i muri in marmo color oro sbiadito, sembravano dire “Benvenuti!”.
-Demi stai calma -pensai, trascinandomi dietro la valigia. Uscii dalla stazione per trovarmi davanti  la mia città. Manhattan in autunno era una visione fantastica.
Il grigio dei grattacieli stonava con gli alberi dai mille colori e le strade, che erano sempre grigie, erano colorate dalle foglie cadute dagli alberi e le macchine che passavano le facevano volare, avvolgendo i poveri passanti che correvano qui e là per gli isolati.
Ispirai l’aria, per chi era abituato all’odore dell’inquinamento della città, riusciva ad accostarlo e sentire solo il buon odore che usciva dai bar di caffè caldo e il profumo delle foglie secche.
Erano le sei di sera, la città era colorata dal tramonto rosso, che donava un qualcosa di innocente alla città, anche se di innocente non aveva proprio niente.
Mi passò davanti una donna giovanissima, fresca di laurea, vestito di Prada, tacchi vertiginosi, cappotto lungo e capelli perfetti. Sorrisi, - non era proprio cambiato niente - pensai.
Manhattan era sempre la stessa, tutti pensavano sempre e solo alle apparenze.
D'altronde non era un caso, mio padre piuttosto di dire a tutti che sua figlia se ne era andata a San Francisco perché aveva la meningite, aveva preferito dire che mi aveva mandato in collegio per un anno.
Per un anno non ero andata a scuola, ma non lo avevo perso davvero, durante la mia permanenza in ospedale un professore mi insegnava privatamente, in modo che, se fossi mai tornata, nessuno avrebbe mai sospettato niente.
-Chissà cosa avrebbe pensato mia madre di tutto questo- mi chiesi, pensando a come si erano ridotte le cose dopo la sua scomparsa, non che sapessi come erano prima le cose, visto che mi basavo solo sulle storie che da sempre mi raccontava la mia tata.
Il rumore di un clacson mi fece riemergere dai miei pensieri, mi voltai e vidi l’autista di mio padre che mi faceva cenno con una mano.
Sorrisi e lo raggiunsi.
-Bentornata signorina Lovato- mi accolse, togliendosi il ridicolo cappello da autista, prese i miei bagagli e mi aprii la portiera.
-Edward sai che odio essere chiamata così- dissi io con un sorriso.
-Felice di vedere che non è cambiata- disse chiudendo la portiera della limousine nera.
Ah già, forse non ve l’ho ancora detto, mio padre è ricco, molto ricco.
Mi sistemai sul sedile in pelle chiara, afferrai la bottiglia di Bacardi al lime per gli ospiti.
-Non è il massimo però sempre meglio che niente- pensai, volevo non essere del tutto sobria per il mio incontro con mio padre, ma quella bevanda non mi avrebbe reso abbastanza brilla.
Non pensate male, non sono un’alcoolista, semplicemente a Manhattan bere era una cosa normalissima. Non ne abusavo, ma ovviamente davanti a un bicchiere di vino, non rifiutavo di certo.
Sorseggiai il mio Bacardi in santa pace, appoggiando la testa al finestrino, mentre sfrecciavo per le strade di Manhattan.
Mi ero appisolata, quando all’improvviso Edward abbassò lo sportello che mi divideva dal posto di guida.
-Signorina, siamo arrivati- disse, guardandomi dallo specchietto.
Strofinai gli occhi, presi la borsa e scesi dalla limousine.
-Grazie Edward- dissi, salutandolo.
Mi ritrovai davanti a un grattacielo, scalini di marmo bianco sporco all’entrata. Sopirai, feci gli scalini ed entrai.
-Signorina Lovato! Bentornata!- mi salutò Albert, il portiere, con il solito sorriso di sempre.
-Ciao Al- dissi salutandolo, dirigendomi verso il bancone, volevo perdere un po’ di tempo.
-Allora com’era la California?- mi chiese, adoravo Al, era interessato a tutto quello che succedeva a tutti, ma non era un pettegolo. -Chissà quante cose sapeva appostato dietro al suo bancone- mi chiesi.
-Mmm...troppo sole!- dissi sorridendo.
-Newyorkesi!- esclamò Albert alzando gli occhi al cielo, me lo diceva sempre, lui così fiero delle sue origini italiane.
-Fino alla morte!- dissi allontanandomi e raggiungendo l’ascensore.
-Ah le sue amiche sono passate e hanno detto che la passeranno a prendere domani- aggiunse Albert.
-Grazie Al sei il migliore!- dissi mentre l’ascensore si chiudeva.
-L’unico della mia specie!- disse salutandomi con la mano.
Albert, uno dei pochi uomini che lavoravano per mio padre che era in grado di trattarmi come una persona normale e non come la figlia di un uomo d’affari, milionario e freddo come il ghiaccio.
Mi appoggiai al muro dell’ascensore, mentre salivo all’ultimo piano del grattacielo, vedevo la mia adorata Manhattan illuminata dalle luci mentre calava la notte.
L’ascensore si fermò e io entrai in casa.
Il solito profumo di rose fresche mi accolse. Il mio fiore preferito. Tutto era rimasto come prima, l’ingresso arredato, come il resto della casa, con mobili moderni. Le soffici tende bianche erano accostate ai bordi delle finestre, per lasciare vedere il bellissimo panorama della città. Sorrisi, finalmente un posto che mi emanava calore, non più chiusa dentro quelle pareti bianche e prive di emozioni o di ricordi dell’ospedale.
Tolsi la giacca di pelle e l’appoggiai insieme alla borsa sul divanetto dell’entrata.
-Signorina Lovato!- esclamò una voce familiare.
Mi girai verso la porta della cucina, sulla soglia c’era una donna bassa e paffutella, vestita da donna delle pulizie.
-Dorota!- esclamai e le corsi incontro abbracciandola.
Dorota era stata la mia tata, la madre che non avevo mai avuto. La persona che sono ora è tutta opera sua.
-Signorina ma è cresciuta ancora, non è possibile!- disse Dorota, facendomi girare su me stessa mentre mi ispezionava. Mi misi a ridere, sembravamo proprio madre e figlia.
-Però è dimagrita! Non vi hanno fatto mangiare a San Francisco vero?- disse accigliata.
-Dorota smettila!- dissi, era vero, ero dimagrita, non che fossi mai stata grassa, anzi, ma tra terapie e antibiotici, il cibo era l’ultima cosa a cui pensavo.
-Mio padre c’è?- chiesi, non lo avevo ancora visto.
-No, ha avuto un impegno di lavoro, tornerà domani- mi disse dispiaciuta.
-Certo- . - C’è sempre un impegno di lavoro - aggiunsi io pensando.
Forse era un bene che avessi bevuto solo un bacardi, ubriacarsi non sarebbe servito a niente.
-Su forza, vediamo di mettere un po’ di carne su queste ossa!- disse Dorota per sdrammatizzare.
Sorrisi e mi lasciai trascinare in cucina.
Che me ne importava se non c’era mio padre, la mia famiglia l’avevo già incontrata: Dorota, Albert e Edward. Era sempre stato così, ma a me andava bene, non avevo mai conosciuto niente di meglio.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Cap.3: Finzione ***


Ciao a tutte! Ho ricevuto poche recensioni negli ultimi capitoli, spero che con il tempo aumenteranno :D Questo capitolo parla di Joe e introduce un po' il suo personaggio. Nel prossimo scoprirete qualcosa in più sul passato di Demi e poi...bè dovrete aspettare ma non vi preoccupate l'incontro tra i nostri due piccioncini arriverà moolto presto!
Un bacio, Mara.


Cap.3: Finzione



Seduto sul pullman che mi portava dall’aereo porto di New York nell’Upper East Side, guardavo fuori dal finestrino e ripensavo alla mia estate. 
Prima di prendere l’aereo per tornare a casa avevo spezzato il cuore a una delle tante ragazze con qui ero uscito, durante la mia vacanza a Las Vegas.
Senza dire niente ai miei genitori, una mattina di Luglio avevo preso le mie cose e mi ero imbarcato sul primo aereo, per raggiungere i miei amici. I miei genitori non avevano chiamato nemmeno una volta. Mio padre mi detestava da sempre, non era una novità, mia madre era troppo presa dai suoi problemi per pensarmi. Solo Nick e Kevin, da buoni fratelli, mi avevano cercato insistentemente tutti i giorni. Ma io ormai nella bontà non credevo più da un pezzo.
Come descrivere la mia estate?
Fumo, sesso e alcool. Gli unici nomi che mi venivano in mente.
Risi nel pensare che, prendendo un pullman di linea, stavo rovinando il nome della mia famiglia.
“Il figlio dei Jonas ha preso un pullman?!” sentivo già nella testa la voce di quella pettegola di un amica di mia madre.
Abituato a limousine e macchine di lusso, quel pullman mi faceva sentire a disagio, ma andava bene, tutto per poter andare contro le regole.
“Le regole sono fatte per essere trasgredite”.
Questo era il mio motto.
Guardandomi intorno mi accorsi che su quel pullman ero l’unico a essere vestito da riccone e che, probabilmente, tutti mi avevano riconosciuto come tale.
Jeans di Armani, felpa D&G e All Star versione limitata, in mano l’ultimo modello di cellulare e i-pod.
Mi guardavano tutti come se fossi un alieno atterrato sulla terra, in effetti non avevano tutti i torti, figlio del proprietario di una delle più gradi e famose aziende di New York, era strano per loro vedermi su un mezzo pubblico.
Una ragazzina del primo anno che avevo già notato l’anno precedente, mi fissava adorante, sorrisi. Sapevo di essere bello e che tutte le ragazze della scuola mi desideravano, ma io iniziavo a stancarmi.
Perché sapevo che in fondo, non era quello che volevo, questo non era ciò che ero.
Questo è il prezzo da pagare se vuoi sopravvivere a Manhattan, o vieni mangiato. Non puoi essere te stesso fino in fondo, ti devi comportare come dice la legge degli adolescenti newyorkesi, nessuno l’ha scritta, ma la si conosce da sempre.
Ma il mio carattere non mi permetteva di sottomettermi al volere degli altri, anche se fino a quel momento ero riuscito a tenerlo a bada, dubitavo che ci sarei riuscito ancora per molto.
Presi il mio zaino e scesi alla mia fermata.
Attraversai la strada, pronto per farmi tre isolati a piedi, non avevo voglia di prendere il taxi, sarei arrivato a casa troppo presto.
Al secondo isolato, dopo la fermata del pullman, vidi il bellissimo grattacielo con gli scalini di marmo, stranamente non conoscevo nessuno di quelli che ci abitavano.
“Tutti vecchi ricconi” pensai, mentre mi avvicinavo sul marciapiede.
Mi si affiancò una limousine nera, che si fermò davanti agli scalini dell’entrata. Scese una ragazza, credo della mia età, capelli neri corvini che le ricadevano mossi sulle spalle, una giacca di pelle nera, jeans scuri, stivali vecchi e dal colore un po’ sbiadito.
-Grazie Edward- disse, probabilmente all’autista. Schizzò verso gli scalini ed entrò dalla porta girevole.
Non mi aveva degnato di uno sguardo, penso che nemmeno mi avesse visto.
“È la prima volta che una ragazza non mi nota” pensai, una sensazione strana, il non essere calcolato.
Continuai per la mia strada, finché non arrivai a casa.
Un altro grattacielo, simile a quello dove poco fa era entrata la ragazza, ci eravamo trasferiti lì esattamente un anno fa. Chissà in che scuola andava quella ragazza, non l’avevo mai vista.
“Joe sei sempre il solito!” mi dissi da solo.
Entrai, presi l’ascensore e entrai in casa.
Kevin e Nick erano seduti sul divano.
Kevin guardava la tv e Nick aveva in mano la chitarra. Quanto tempo che non la suonavo più, questa era una delle molte cose che avevo smesso di fare, dopo essere venuto qui.
Entrambi i miei fratelli, quando mi videro, saltarono sul divano di pelle bianca del salotto.
-Joe!- esclamò Nick, mettendo via la chitarra.
-Dove cavolo sei stato per tutti questi mesi?!- mi chiese arrabbiato Kevin, tipico da fratello maggiore.
-Non sono affari tuoi- risposi secco io, mentre mi dirigevo verso la mia stanza, al piano di sopra.
-Invece credo che lo siano!- disse Kevin sbarrandomi la strada.
-Kevin levati-
-Ma sei impazzito?- incominciò lui -hai idea di cosa ci hai fatto passare? Joe noi siamo una fami..-
-Non dire quella parola!- esclamai -non la dire...è solo una bugia...è ciò che facciamo finta di essere, ma da tempo non lo siamo più, quindi almeno tra di noi è inutile fingere- dissi, iniziando a salire le scale.
-Joe...- mi chiamò Nick.
-Nick questa è la verità! Guarda mamma e papà, non si comportano da marito e moglie, figuriamoci se sono in grado di fare i genitori!- dissi.
-Ma noi siamo comunque fratelli, dobbiamo rimanere uniti- disse Nick.
“Sempre questa filosofia da cantante!” pensai.
Scossi la testa e me ne andai in camera.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Cap.4: Amici ***


Capitolo 4: Amici

 
 

Quella notte dormii sonni tranquilli, nessuna infermiera che russava, niente medici che mi giravano in torno per vedere se ero viva o morta, nessun letto scomodo e nessuna paura che mio padre salisse in camera mia...
Dormivo ancora profondamente, quando la luce illuminò all’improvviso la mia stanza. Feci un salto e alzai leggermente la testa dal cuscino.
-Buongiorno signorina Lovato!- esclamò Dorota, che aveva spalancato le persiane della camera.
-Ummm- mi lamentai, nascondendomi sotto le coperte.
-Forza in piedi, sono già le 11!- disse toccandomi la spalla.
-Ho fatto sei ore di volo!- protestai, da sotto le coperte.
-Questo non è un buon motivo per perdersi una delle ultime giornate di sole- disse lei, togliendomi le coperte. Io me le rimisi  -Voglio dormire- dissi con la voce da bambina.
Dorota allora prese il piccolo vaso dei fiori pieno d’acqua, che avevo appoggiato sul comodino -Non me lo faccia fare- mi minacciò lei.
Riaprii gli occhi  -Non oseresti- la sfidai.
-Vuole mettermi alla prova?- mi rispose lei, avvicinando il vaso.
-Va bene! Va bene! Mi alzo!- dissi e mi misi a sedere sul letto.
-È un piacere fare affari con lei- disse Dorota ridendo.
-Per me un po’ meno- risposi strofinandomi gli occhi ancora assonnati.
-La colazione è pronta e tra poco arriveranno le sue amiche, quindi si vesta che è tardi- mi disse per poi sparire al piano di sotto.
Rimasi a guardare il piumone azzurro del mio letto a baldacchino con le tende bianche raccolte ai lati del letto. La mia camera era enorme con la vista rivolta verso dei grattacieli, il grigio della città stonava con l’azzurro che dominava in camera mia. La mia vita, come la città in cui vivevo, aveva bisogno di un po’ di luce, così avevo fatto dipingere la mia stanza di azzurro, che per me simboleggiava la speranza. La speranza che il domani sarebbe sempre stato migliore, o se volete vederla in questo modo, anche l’illusione.
-Signorina Lovato le sue amiche sono arrivate!- mi chiamò Dorota dal piano di sotto, risvegliandomi dai miei pensieri e dalle mie riflessioni filosofiche.
-Arrivo!- risposi.
Misi una felpa sopra alla maglietta a maniche corte e ai pantaloncini del pigiama e scesi le scale.
-Demi!- esclamarono Miley e Selena, le mie due migliori amiche, nel vedermi.
-Ragazze!-
Mi corsero in contro e mi abbracciarono, solo che persi l’equilibrio e cademmo tutte e tre per terra, ma in quel momento non ci importava, eravamo felici di essere di nuovo tutte insieme.
Miley e Selena erano le uniche, oltre alla mia famiglia, a sapere che per un anno non ero andata in collegio, ma ero andata a curarmi in ospedale.
-Tesoro come stai?- mi chiese Selena.
-Molto meglio grazie- risposi.
-Sicura?- mi domandò Miley.
-Sicurissima è tutto passato- risposi.
-Non dovrai più tornare lì vero?- mi chiese Sele.
-Ragazze state calme, è tutto finito, davvero, rimarrò qui...anzi vi prometto che non vi lascerò più, vi rimarrò talmente attaccate che non riuscirete più a sopportarmi!- risposi ridendo.
-Ci sei mancate Dems- disse Miley.
-Anche voi ragazze- dissi e le abbracciai.
-Con tuo padre?- domandò Sele.
Il mio sorriso si spense -Non l’ho ancora visto...- dissi.
-Pensi che ricomincerà a...- Miley non finii la frase.
Loro sapevano dei rapporti che avevo con mio padre, se si potevano chiamare così.
Mia madre era morta dandomi alla luce, mio padre per questo non mi aveva mai perdonato, credo che dovermi guardare in faccia ogni giorno, fosse come guardare l’assassino che gli aveva tolto la donna che amava.
Una condanna destinata a durare in eterno, visto che tutti mi dicevano che ero la copia esatta di mia madre, nell’aspetto, nel carattere, persino nei modi di fare. Ma io non l’avevo mai vista, lei non aveva nemmeno fatto in tempo a sentire il mio primo pianto, quando nacqui, non mi aveva visto camminare, non aveva sentito la mia prima parola e io non l’avevo mai avuta lì con me, per le prime delusioni d’amore, per averla come amica o confidente, per levarmi i dubbi di tutte le ragazze, per insegnarmi cos’era la vita.
Mio padre mi considerava la causa della sua morte, ma non pensate che questa sia solo un’esagerazione, perché è la semplice verità, la pensano tutti  così e io non sono un’ingenua.
Dalla sua morte mio padre era cambiato, o almeno, secondo il parere degli altri, perché io non lo avevo conosciuto prima della morte di mia madre. Non ci parlavamo, lui aveva iniziato a bere e a tornare a casa ubriaco sempre più spesso. Nessuno che da piccola mi spiegava quello che gli succedeva, e nessuno era con me, la notte per proteggermi da lui, perché dopo un po’ di tempo mio padre iniziò a picchiarmi e le sberle, calci una sera si erano quasi trasformate in abuso. Dico quasi perché quella notte era talmente ubriaco e fatto che svenne sul pavimento prima di potermi fare del male sul serio.
Quella sera credo che non la cancellerò mai dalla mia mente, anche se per lungo tempo ci ho provato, mi aveva traumatizzato troppo.
Da quel momento, non mi ero fatta più toccare da nessun uomo o ragazzo, poi la mia malattia, pensavo che mio padre mi avrebbe lasciato morire di meningite, invece per salvare il suo nome mi aveva fatto ricoverare.
-Non ne ho idea- risposi a Miley.
-Demi, sai che puoi contare su di noi- disse Sele -e che se vuoi venire a casa mia o da Miley sarai sempre la benvenuta- Miley annui, per dire che anche lei era d’accordo.
-Grazie mille ragazze- dissi -ma questa è la mia casa, devo rimanere qui-
-Basta che ricordi che noi siamo qui- disse Miley.
-Si, lo so- dissi. Non avevano idea di quanto avrei voluto scappare da lì, lasciarmi tutto alle spalle, mio padre, il suo odio, il mio dolore. Ma qualcosa mi costringeva a rimanere lì, non so cosa, ma era come se delle grosse catene mi tenessero inchiodata in quell’appartamento degli orrori.
-Signorine è pronta la colazione!- ci chiamò Dorota.
-Andiamo!- dissi e sotto braccetto andammo a fare colazione.
Bè, dopotutto, era bello essere tornati a casa.


ehi, ciao! Sono un po' triste perchè non ricevo molte recensioni spero che in futuro ce ne saranno di più. Forse non vi piace la mia storia? Devo smettere? Bè spero di no. Rigrazio lo stesso chi ha commentato!
Comunque questi primi capitoli servivano a darvi il quadro generale della storia, nel prossimo capitolo avremo più risvolti e finalmente Joe e Demi si incontreranno :D COMMENTATE!
 Un bacio, Mara

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Cap.5: Incontro Inaspettato ***


Cap.5: "Incontro Inaspettato"

 

La settimana dopo il mio rientro a casa, iniziò la scuola.
La sera del mio ritorno, i miei genitori ebbero due reazioni completamente diverse. Mia madre mi corse incontro e mi abbracciò, chiedendomi che fine avevo fatto e perché me ne ero andato così, senza avvisare. Mio padre non si accorse nemmeno del mio ritorno, scese le scale, mentre mia madre mi abbracciava e si diresse verso la cucina. Mia madre gli chiese perché non  veniva a salutarmi, ma lui mi guardò con una faccia disgustata come per dire: non potevi rimanere dov’eri?
Ma ormai ci ero abituato, mio padre da anni non mi considerava e ormai ci avevo fatto l’abitudine. Un'unica domanda mi ponevo, perché non mi poteva vedere, mentre i miei fratelli sì? Non che gliene importasse molto di loro, ma di certo li considerava molto più di me.
Stava per iniziare un nuovo anno, pieno di feste e divertimento, mentre per quelli che erano sullo scalino più basso della scala gerarchica adolescenziale, era soltanto l’inizio di un nuovo anno d’inferno, dove si doveva combattere per non farsi scappare le occasioni, rubate da altri, che venivano scelti solo per il nome che portavano.
Andai a scuola in limousine, insieme ai miei fratelli.
La nostra scuola era un liceo privato.
Allentai leggermente il nodo della cravatta della divisa scolastica, quanto le odiavo. Era tutto così dannatamente perfetto e ordinario in quella scuola, a partire dalle uniformi: cravatta, obbligatoria, a righe rosse e blu,  abbinate al colore dello stemma della scuola che era stampato sulle giacche, il resto era libero, ma quei due particolari, ti influenzavano l’abbigliamento, visto che le uniche cose che stavano bene, erano jeans e camicia bianca.
Entrai a scuola e raggiunsi i miei amici, se vogliamo chiamarli così.
-Hey Joe!- mi salutò Taylor, un ragazzo alto, con i capelli neri.
-Ciao ragazzi- dissi, salutandoli.
-Che racconti, bello?- mi chiese Robert, un altro ragazzo del gruppo, porgendomi una sigaretta.
-Solite cose...- feci spallucce, presi la sigaretta, l’accesi e feci un tiro.
-Joe!- una voce stridula mi perforò i timpani, poi una ragazza bionda mi si avvicinò.
-Amore come stai?- mi chiese, stampandomi un bacio sulle labbra.
-Ciao Chelsea- dissi senza troppo sentimento, facendo un altro tiro di sigaretta.
Io e Chelsea stavamo insieme, più per dovere che per amore. Sapevo che lei non mi amava, o almeno, amava solamente la mia popolarità. Lei era la ragazza più popolare della scuola e io il ragazzo più popolare della scuola, il fatto che stessimo insieme era solo una conseguenza, perché le cose andavano così.
Per fortuna la campanella suonò, giusto in tempo per non dover sentire quell’oca della mia ragazza che iniziava a raccontarmi della sua estate, come se a me importasse qualcosa.
Feci un ultimo tiro, buttai la sigaretta per terra ed entrai a scuola.
La sala riunioni, o più comunemente chiamata auditorium, dove insegnanti e alunni si ritrovavano la mattina prima delle lezioni, era un’aula gigantesca, c’erano due file separate di panchine per fare sedere tutti gli studenti della scuola e in fondo, un piano rialzato, dove una decina di studenti che si erano offerti per il coro, cantavano delle canzoni che nessuno stava mai a sentire.
Mi sedetti insieme a quelli del mio anno, nei posti stabiliti.
La preside cominciò il suo solito discorso di inizio anno, sempre le stesse raccomandazioni, le stesse regole, stessi orari.
I ragazzi del primo anno stavano tutti attenti e composti nei loro posti, mentre pendevano dalle labbra della preside.
I ragazzi più grandi, invece, se ne stavano nei loro posti, a fare baccano, parlando con il vicino, per organizzare gli scherzi per le matricole. Io me ne stavo seduto a osservare un punto indefinito della colonna laterale dell’aula, notai che un pezzo di colore si era scrostato.
Poi un rumore attirò la mia attenzione e anche quella di tutte le persone presenti, il portone dell’auditorium si era aperto e una ragazza era in piedi sulla soglia.
Mi sporsi per vedere meglio.
Era la ragazza che il giorno prima era scesa dalla limousine.
Aveva le guance colorate di un rosso leggero, per la corsa e per il freddo, i capelli lunghi che ieri le ricadevano sulle spalle ora erano raccolti in una coda alta. Portava la divisa delle ragazze: una gonna, corta, a scacchi viola e nera come lo erano la cravatta e il gilet con lo stemma della scuola, una camicia bianca, con le maniche rigirate fino ai gomiti, lo stesso paio di stivali dell’altro giorno, e delle calze nere che le arrivavano fin sotto le ginocchia.
Rimasi abbagliato da quella vista, non avevo mai visto niente di così bello.
La sua bellezza era diversa da quella di tutte le ragazze che avevo conosciuto, troppo prese dall’aspetto estetico, era bellissima per la sua semplicità e naturalezza. Quasi mi si mozzò il fiato.
-Signorina Lovato...Bentornata- disse la preside.
“Bentornata?” mi chiesi.
Lei fece un piccolo sorriso e attraversò a lunghi passi la stanza, andandosi a sedere.
Mentre lei si sedeva, tutte le persone dell’auditorium iniziarono a bisbigliare, sentii Nicole, dietro di me, dire a Chelsea.
-Chels è lei!-
-Lo so, ci vedo anche io sai!- rispose lei, infastidita.
Rimasi sorpreso, tutti nella mia scuola sembravano conoscere la ragazza misteriosa.
-Guarda come si è vestita- commentò Ashley, un'altra ragazza -sembra che voglia dire “ guardatemi io posso mettermi tutto quello che voglio e sarò sempre bellissima!”- disse, con tono disgustato.
“Infatti lei può” commentai, nella mia mente.
Il coro cominciò a cantare e come al solito nessuno che badava a quei poveri sfigati, che facevano finta di essere entusiasti delle canzoni che cantavano.
Non le tolsi gli occhi di dosso per tutta la durata dell’assemblea. Poi la campanella suonò, per l’inizio delle lezioni.


Ehi ciao! Vorrei ringraziare le ragazze che continuano a leggere e commentare questa storia, anche se sono poche :) Spero che questo capitolo vi sia piaciuto!
Un bacio, Mara.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Cap.6: Primo Giorno ***


Cap.6: "Primo Giorno"

 

“Grande Demi, primo giorno di scuola e ti sei già fatta riconoscere!” pensai, mentre nell’aprire il pesante portone dell’auditorium un centinaio di persone si giravano a guardarmi.
“Dannata sveglia!” avevo pensato, appena sveglia.
Non ero più abituata a svegliarmi presto e avevo completamente dimenticato quanto fosse fastidioso.
La sveglia quella mattina non era suonata e Dorota aveva la mattinata libera, quindi non mi aveva svegliato. Edward era andato a prendere mio padre all’aereoporto, quindi mi ritrovai a piedi, dovetti farmi dodici isolati di corsa, perché alle 8 del mattino prendere un taxi, a Manhattan, era uguale a suicidarsi. Tutti i taxi erano occupati e se avevi fortuna di trovarne uno, questo ci metteva una vita per arrivare a destinazione, per il troppo traffico.
Quando arrivai a scuola, la mia coda perfetta si era tutta scompigliata per il vento, sentivo gli occhi lucidi per la corsa e le guance mi si erano arrossate per il freddo.
Rimasi impalata sulla soglia del portone, con centinaia di occhi che mi fissavano.
Non ero mai stata una “perdente”, probabilmente per il mio modo di fare e di non farmi mai mettere i piedi in testa da nessuno, ma le mie amiche dicevano che una percentuale era anche dovuta alla mia classe e alla mia bellezza. Non mi consideravo bella, ma se lo dicevano loro.
Ma non ero mai stata nemmeno una “popolare”, per mia scelta, non mi piaceva stare con quelle persone, troppo prese da loro stesse per pensare agli altri, anche se spesso ci parlavo, visto la posizione sociale di mio padre.
La preside, la signora McLean, o soprannominata da tutti la signorina M, non era cambiata nemmeno un po’, sempre lo stesso buffo taglio di capelli e i soliti vestiti di marca, che però erano fuori moda.
La scuola non aveva subito nessuno cambiamento.
I ragazzi erano sempre gli stessi, notai Chelsea Staub, sembrava più bionda e più prosperosa dell’ultima volta che l’avevo vista, era sempre seguita dalle sue damigelle, come le chiamavo io, ovvero: Nicole, Ashley e Vanessa.
Era fidanzata con il capitano della squadra di calcio della scuola due anni prima, il suo nome era Peter. Credo. Però, Miley e Sele, mi avevano detto che si era trasferito l’anno in cui me ne ero andata.
“Chissà ora chi è la sua nuova vittima?” mi chiesi. Pensando a tutti i ragazzi con cui era stata.
Non odiavo Chelsea, anzi avevo imparato a conoscerla bene, mi aveva sempre ammirato e stimato, a volte anche un po’ copiato, ma era una brava persona, almeno io me la ricordavo così, ma Miley e Sele mi avevano detto che era molto cambiata, dalla mia partenza.
< Signorina Lovato...Bentornata> mi disse la signorina M, dal fondo dell’auditorium.
Sorrisi imbarazzata e iniziai a camminare a passo svelto tra le panchine, finché non vidi Sele e Miley che mi facevano segno di raggiungerle. Mi avvicinai e mi sedetti vicino a loro.
Nel frattempo, potevo solo immaginare quante favole si stavano inventando i miei compagni di scuola, per giustificare il mio ritorno. Ma non me ne importava un granché.
Alla fine dell’assemblea, uscimmo tutti dall’auditorium e tutti gli studenti si sparsero per i corridori della scuola, per raggiungere i propri armadietti e prendere i libri.
< Cos’hai adesso?> mi chiese Miley.
< Mmm...> lessi l’orario che mi aveva dato la segretaria della scuola il giorno prima e che alla fine della giornata avrei dovuto riportare, firmato da tutti i professori, in presidenza.
< Matematica> dissi.
< Cavoli!> disse Sele < noi abbiamo biologia>
Non feci caso a quello che dicevano, un ragazzo dall’altra parte del corridoio, mi stava fissando. Capelli neri, un po’ lunghi, alto, con la divisa della scuola e molto bello. Mi guardava con uno sguardo spento e privo di emozioni.
< Demi??> sentii la voce di Sele.
< Cosa?> domandai.
< Ma che guardavi?> mi chiese Miley, e lei e Sele si girarono per vedere che guardavo.
Il ragazzo mi stava ancora fissando, ma nel vedere che le miei due amiche se ne erano accorte, abbassò lo sguardo.
Arrossi, che figuraccia!
< Oh dio Demi! Joe ti fissava!> dissero loro due saltellando.
< Ma la volete smettere!> dissi, mentre mi giravo dall’altra parte. Lui era tornato a fissarmi.
Aprii l’armadietto < Comunque...> dissi a bassa voce < chi era?>
< Allora ti interessa!> disse Miley, prendendomi in giro. Io la fulminai con gli occhi.
< Lui è Joe Jonas, si è trasferito qui, insieme ai suoi fratelli, non appena te ne sei andata. In pochissimo tempo è diventato il capitano della squadra di calcio...> disse Sele.
< Di conseguenza, è diventato un “popolare”> disse Miley, muovendo le dita a mo di virgolette.
< Di conseguenza...> disse Sele.
< Il fidanzato di Chelsea> conclusi io, era sempre stato così.
Diventavi capo della squadra di calcio? Bene, quello era il tuo biglietto di sola andata per diventare popolare e il fidanzato di Chelsea.
Tirai fuori il libro di matematica e la campanella suonò.
< Ci vediamo a pranzo ragazze> le salutai.
< Ciao Demi!>
Mi diressi verso la mia classe, passai davanti a Joe, che ancora mi guardava.
Se solo non fossi stata così curiosa, se solo non fossi stata così ingenua, non avrei ricambiato lo sguardo, ma avrei proseguito per la mia strada, guardando avanti.
Ma visto che non ero nessuna di queste cose, lo guardai, dritto negli occhi, quei due occhi castani, che prima non erano riusciti a trasmettermi nessuna emozione, ora mi trasmettevano un mondo: pieno di sofferenze e di menzogne.


ehi ciaooo! Che bello sono così felice, nello scorso capitolo ho ricevuto ben 5 recensioni!! Sono felicissima, grazie a tutte davvero. Questo capitolo è un po' corto scusate, il prossimo chiarirà meglio la situazione a scuola dei nostri protagonisti :D Se vi va passate anche a dare un'occhiata alla mia nuova fan fiction (sempre Jemi) "like I did Before The Storm". Ve ne sarei davvero grata!
Grazie mille ancora a tutte!!! Un bacio, Mara!

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Cap.7: L'Inizio Dei Giochi ***


Capitolo 7: L’inizio dei giochi

 

“Cavolo!” pensai. “cavolo, cavolo e ancora cavolo!”
Mi stavo maledicendo con tutte le parole che conoscevo, perché non avevo chiesto a Miley e Sele dove si trovava l’aula 105? Ah già, stupida com’ero, avevo pensato che, visto che conoscevo già la scuola, non avrei avuto problemi. Invece, in un anno le disposizioni delle classi erano cambiate.
Mi ero girata tutte le classi del piano terra, ero scesa nei sotterranei, ma niente e per sbaglio ero pure finita in palestra.
“Accidenti a me!”
Tornai al piano terra e quando vidi la solita bidella, un  po’ robusta e con i capelli corti e scompigliati, mi avvicinai.
< Mi scusi > dissi, con timidezza.
 Lei saltò sulla sedia, svegliandosi dal suo pisolino.
“La mia scuola sarà anche privata, ma i bidelli sono uguali ovunque vai!” pensai.
< Ragazzina che ci fai qui? Fila in classe, le lezioni sono già cominciate da 10 minuti! > disse lei infastidita.
< Mi piacerebbe, ma non so dove sia la mia classe > dissi, mi sentii così stupida nel dirlo.
< Oh... > brontolò la bidella < Dove devi andare? >
Guardai il foglio < Aula 105 > dissi.
< Al piano di sopra, la prima porta sulla sinistra, dopo il bagno dei ragazzi > disse e si risistemò sulla sedia.
< Grazie > dissi, lei mi fece segno con la mano di andarmene e io mi misi a correre verso le scale.
Arrivai davanti alla porta, feci un respiro profondo, mi aggiustai la gonna sulle gambe, misi bene lo zaino sulla spalla e bussai.
< Avanti > disse, una voce di donna.
Aprii la porta < Salve > dissi timidamente, chiudendomi la porta alle spalle.
< Signorina Lovato, ma che piacere rivederla > disse la professoressa Logan, sarcasticamente.
< Scusi il ritardo, ma ho avuto qualche problema a trovare la classe >
I miei compagni di classe risero, ma la professoressa fece loro segno di smetterla, mi guardai in giro e vidi il ragazzo di poco fa, che mi fissava.
“Oh no” pensai.
< Bene, riprendiamo la lezione... > disse la prof < Mmm...Lovato c’è un banco libero vicino a quello di Jonas...per il momento si sieda lì > .
“La mia solita fortuna!” pensai.
Andai a sedermi, il mio banco era nel centro della classe, vicino a quello di Joe.
Spostai la sedia e mi sedetti, mi guardai intorno, per poi incontrare il suo sguardo, sorrisi imbarazzata e guardai verso la professoressa.
< Bene... > iniziò < Prima che Lovato arrivasse, stavamo parlando delle equazioni, aprite a pagina 45 >
Aprii il libro, quell’argomento lo avevo già fatto, con il mio istruttore privato, mentre ero in ospedale.
Verso metà lezione, sentii qualcuno dietro di me, ridere. Mi girai e vidi Chelsea con le sue damigelle, che ridevano, mentre parlavano con Joe.
< Signorina Lovato > mi chiamò la professoressa Logan.
Mi girai verso di lei.
< Problemi con l’argomento? > mi chiese, sistemandosi gli occhiali.
< No,no > dissi < questo argomento l’ho già fatto >
< Secchiona > disse Joe, coprendo la parola con un finto colpo di tosse. Le tre oche dietro di lui risero e Taylor, un ragazzo che fino all’anno scorso era sempre stato molto carino con me, gli diede il cinque.
Mi voltai verso Joe e lo guardai male, perché mi prendeva in giro se fino a quel momento non aveva fatto altro che fissarmi?
< La smetterei di ridere, se fossi in lei, signor Jonas > intervenne la professoressa < chissà, magari l’influenza della signorina Lovato potrebbe far lievitare i suoi voti in matematica >
< NO !> esclamammo io e lui, allo stesso tempo.
< Oh sì > disse lei e si girò di nuovo verso la lavagna.
Mi lasciai cadere sulla sedia, sbuffai e incrociai le braccia sul petto.
“Oggi non è la mia giornata” pensai.
Mi sentii osservata e mi girai, Joe mi guardava.
“E che cavolo basta!” pensai.
Lo guardai in cagnesco e poi tornai a guardare la lavagna.
Il resto della lezione passò lentamente, poi finalmente la prima ora finì e tutti uscirono.
Andai alla cattedra e feci firmare il foglio alla professoressa perché poi avrei dovuto portarlo in presidenza.
Anche Joe era rimasto nella classe.
< Grazie > dissi e tornai al mio banco per riprendere lo zaino.
< Lovato? > chiese la professoressa.
< Sì? >
< Ti darebbe fastidio aiutare Jonas in matematica? > chiese, rimasi scioccata.
< Emm... > non sapevo che dire, mi girai verso Joe, che era rimasto lì.
< Va bene > disse lui alla professoressa.
< Molto bene > disse soddisfatta la professoressa < domani allora starete in coppia per lavorare > disse lei e se ne andò.
Sbuffai, mi misi lo zaino sulla spalla e mi diressi verso la posta, ma una mano mi afferrò il braccio.
Mi girai e mi accorsi che era stato Joe.
< Scusa > disse.
< Cosa? > chiesi.
< Per come mi sono comportato... > disse, poco sicuro.
< Ah...ok > dissi, confusa e mi girai, ma lui mi fermò un'altra volta.
< Senti se non mi vuoi aiutare... > iniziò.
< Ascolta, io non ti conosco, ma conosco le persone come te > dissi.
< Che? > mi chiese lui.
< Con me non attacca, conosco come vanno le cose qui e conosco quelli come me, quindi non cercare di abbindolarmi, facendo finta di essere un bravo ragazzo >
< Ma... >
< Quindi, ti aiuterò in matematica perché devo recuperare qualche credito > dissi < ma fammi un favore, stai al tuo posto e io starò al mio > così dicendo, lo superai e uscii dalla classe.
“Ma perché gli ho detto quelle cose?” mi chiesi.
Era stato gentile, mi aveva anche chiesto scusa.
Ma conoscevo quelli come lui, solo feste e divertimento, perché dovevo perdere del tempo con uno così? Perché mai avrei dovuto fidarmi? Avevo già troppi casini nella mia vita e una persona come lui, era l’ultima cosa che mi serviva.
Andai alla mia lezione, per poi andare a pranzo.


eheheh vi piace?? Pensavo di non farli andare subito d'accordo, le cose sono più divertenti se prima c'è un po' di odio nell'aria :) Sono felice che le recensioni siano lievitate, ma continuate a COMMENTARE :)
un bacio, Mara.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Cap.8: Rivelazioni ***


Capitolo 9: Rivelazioni



(Joe POV )

< Stupido!> dissi e sbattei la fronte contro lo stipite della porta.
< Deficiente!> altra botta.
< Cretino!> ancora.
< Idiota!> sbattei ancora la testa, ma questa volta la sbattei troppo forte e mi feci male.
“Accidenti!” pensai.
Misi una mano sulla fronte, mi sarebbe venuto fuori un bel bernoccolo.
Andai al mio posto, in quella classe vuota, ormai la seconda ora stava per iniziare, ma io mi lasciai cadere sulla sedia.
Ripensai a quello che avevo appena fatto, normalmente, non me ne sarebbe importato niente ma perché questa volta mi sentivo...strano?
Non mi ero mai sentito così.
Le avevo dato della secchiona, ma non lo avevo fatto di mia spontanea volontà. Erano state Chelsea e le altre a chiedermi perché non avevo ancora iniziato a prendere in giro Demi, era la tradizione della scuola. I nuovi arrivati dovevano essere presi in giro il primo giorno di scuola, potevano essere belli, brutti, sfigati o no, ma questa fase la dovevano passare tutti. L’avevo passata pure io.
Fino ad allora non mi aveva mai dato peso questa cosa, ma ora sì e anche tanto.
Mi sentivo così stupido e impotente, ero imprigionato dalla posizione sociale in cui mi trovavo, che mi obbligava a essere la persona che non ero e mi obbligava a fare cose che non volevo.
Il mio istinto mi aveva portato a chiederle scusa, alla fine della lezione, ma lei aveva reagito in un modo che non mi sarei mai aspettato.
Demi non aveva creduto a una sola parola che le avevo detto, ma la cosa che più mi aveva impressionato, era il fatto che mi aveva parlato con talmente tanta sicurezza, senza troppi giri di parole. Di solito, i nuovi arrivati, si sottomettevano al regime di chi “comandava” la scuola e si lasciava prendere in giro, sperando che presto o tardi, tutto questo sarebbe finito.
Demi no, lei mi aveva detto chiaramente come stavano le cose e mi aveva subito inquadrato.
< Conosco le persone come te > la sua voce mi risuonava ancora nella mente.
Visto che tutti le davano il bentornato, doveva già sapere come andavano le cose nella scuola e conosceva chi la comandava.
Ma da come parlava e da come non si era fatta mettere i piedi in testa, Demi non sembrava una sfigata, era un comportamento più da “regina della scuola” ma con molta più classe.
< Resta al tuo posto e io resterò al mio > anche questa frase, non lasciava la mia testa.
Non voleva alcun rapporto con me, a parte il fatto che doveva aiutarmi in matematica, perché mentre noi avevamo già alcuni crediti, probabilmente lei ne doveva recuperare qualcuno per l’esame finale.
< Signor Jonas? > una voce di donna mi fece saltare dalla sedia.
La signora Logan era in piedi, davanti a me, si era leggermente chinata per osservarmi meglio. Era vicina al mio viso, gli occhiali a mezza luna di colore ambra, erano appoggiati sulla metà del naso, i capelli, ambrati anche loro erano raccolti in una pettinatura a cipolla, dietro la testa. Una visione orribile, soprattutto se sei soprapensiero!
< Cosa ci fa ancora qui? > mi chiese, mettendosi dritta e incrociando le braccia.
< Niente > risposi, presi lo zaino e uscii dalla classe.
Mentre camminavo senza meta per il corridoio sentii una voce che mi chiamava.
< Joe! > mi girai e vidi David che mi correva in contro.
< Hey bello, che c’è? > chiesi. David, probabilmente, era una delle persone del mio gruppo di cui mi fidavo di più, poi ora che sapevo che sua sorella era amica di Demi, mi sarebbe stato molto utile.
< Come mai ancora in giro? > mi chiese e si mise a camminare con me, la seconda ora era cominciata da un pezzo, ma che importava!
< Così... > dissi, facendo spallucce.
Camminammo un po’ in silenzio, poi mi feci coraggio e gli chiesi < David posso chiederti una cosa? >
< Certo! > rispose.
< La ragazza che è appena arrivata... >
< Demi > precisò lui.
Lo guardai sbigottito, allora la conosceva bene.
< Si > dissi.
< Che vuoi sapere? > mi chiese.
< Bè...come fate a conoscerla tutti? >
< Lei ha sempre frequentato la nostra scuola, ma l’anno scorso se ne è andata, non so perché, ma suo padre l’ha spedita a San Francisco, in collegio >
< Ah... > dissi < e perché Chelsea e le altre la odiano? > chiesi, i loro commenti in auditorium mi erano rimasti in testa.
< Oh bè... > iniziò lui < diciamo che Demi è sempre stata un passo avanti a Chelsea >
< Spiegati meglio >
< Demi è una che non si fa mettere i piedi in testa, per questo lei comandava a scuola >
< Ma non è sempre stata Chelsea a comandare qui? > chiesi, non ci capivo più niente.
< Tecnicamente sì, Chelsea comandava e comanda la scuola, ma l’unica persona che non è mai riuscita a comandare è Demi > disse, cercando di farmi capire < vedi, Chelsea, finché c’è sempre stata Demi, si è sentita minacciata, ma quando ha capito che lei non aveva intenzione di diventare popolare ha deciso di tenersela buona per evitare uno scontro, che tutti sappiamo, avrebbe vinto Demi>
< Sembra una telenovela > commentai.
< Lo è! > rispose ridendo < Chelsea non lo ammetterà mai, ma lei stima Demi, è la sua guida, comandava lei la scuola, ma non si opponeva mai a Demi, perché la teme >
< Ah... > dissi, iniziavo a capire.
< A scuola definiamo tutti Demi come: la regina mancata > disse ridendo.
< E perché? >
< Amico ma è ovvio, Demi poteva e può ancora impossessarsi del ruolo di Chelsea qui, ma non vuole, perché questo le impedirebbe di essere ciò che veramente è >
“Lei è quello che io non ho il coraggio di essere” pensai, lei aveva avuto il coraggio di voltare le spalle a tutto questo e tenersi la sua vera identità, mentre io ero stato un codardo e mi ero fatto ammaliare dalla possibilità di essere popolare, e ora ne pagavo le conseguenze.
< Quindi è per questo che Chelsea odia Demi? > chiesi < Perché ha paura che lei le rubi il suo posto? >
< Esattamente > rispose David.
< Grazie amico! > dissi e gli diedi il cinque, per salutarlo.
Mentre mi diressi verso la mia classe, David mi urlò < Ma non ti preoccupare, Demi non ruberà il lavoro alla tua ragazza > disse.
“Invece è proprio quello che vorrei!” pensai, mentre entravo in classe.
 

(Demi POV)
 
La campanella dell’ora pranzo suonò dopo un tempo che era durato quasi una vita, per me.
Uscii dalla mia classe e mi diressi verso la mensa, dove le mie amiche mi aspettavano.
Davanti al portone della mensa, trovai Chelsea e le sue damigelle, mi avvicinai per salutarle.
< Ciao ragazze > dissi.
Chelsea mi squadrò da capo a piede e le altre fecero altrettanto.
< Emm... > disse, scambiando uno sguardo con le sue damigelle < Ciao > disse in tono distaccato.
< Come vanno le cose? > chiesi, cercando di tenere una discussione decente, visto che non capivo il motivo di tanto distacco, dopotutto, io e Chelsea eravamo amiche.
< Al solito... > disse Chelsea, girandosi.
Capii che non ero gradita, così mentre le superavo dissi < Allora...ci vediamo in giro > era un saluto il mio.
< Ahahah > si misero a ridere loro < Si come no! >
Aprii la porta della mensa ed entrai, un po’ scioccata dal comportamento di Chelsea.
Feci la coda per il pranzo, ma la fame mi era passata del tutto, così presi solo una bibita e andai verso i tavoli.
Un braccio mi avvolse le spalle < Hey ragazza nuova! >
Sorrisi e mi girai, quella persona mi faceva sempre venire il buon umore.
< Tecnicamente non sono nuova > dissi.
< Si, però è divertente chiamarti così > disse Miley, portandomi al tavolo, dove Sele era già seduta.
< Ciao ragazze! > ci salutò lei.
< Ciao Sele > la salutammo noi sedendoci.
< Allora Dems, come va il primo giorno? > mi chiese Miley.
< Mmm...speravo meglio > dissi.
< Che è successo? > mi chiesero loro.
< Bè...sapete il ragazzo di prima, quello del corridoio, Joe? >
< Si... >
< È nella mia classe di matematica, ed è un cafone! > dissi sbuffando, mentre sprofondavo sulla sedia.
< Sai che novità > disse Miley, sarcastica, poi ricevette una gomitata da Sele e le chiese < Che ho detto? >
Sele alzò gli occhi al cielo e poi mi disse < Non dargli corda, sarà pure carino quanto vuole, ma ha un cervello meno evoluto di quello di una gallina > disse, cercando di tirarmi su il morale.
< Stavate parlando di me? > chiese un ragazzo, saltato fuori dal nulla, capelli neri, riccissimi, probabilmente aveva uno o due anni più di noi.
< Cervello meno evoluto di quello di una gallina? Oh si parlavano proprio di te! > disse, un altro ragazzo, che assomigliava incredibilmente all’altro, capelli neri e riccissimi anche lui, doveva avere la nostra età.
Sele e Miley risero alla battuta e li salutarono < Ciao ragazzi! >
I due si misero a sedere vicino a noi.
< Kevin, Nick > disse Miley < lei è Demi, Demi loro sono Kevin e Nick > disse presentandomi.
< Ciao! > mi salutarono loro, porgendomi la mano.
< Ciao, piacere di conoscervi > dissi io, stringendo la mano ad entrambi, avevano una faccia simpatica.
< Demi!! > sentii delle voci urlare il mio nome.
Mi girai e delle braccia mi avvolsero in un abbraccio.
< Ci sei mancata un sacco! > dissero.
< Anche voi ragazzi, ma così mi strangolate > dissi ridendo.
< Oh giusto scusa >
Alzai gli occhi per vedere in faccia i miei assalitori, sapevo già chi erano: Taylor Swift, una ragazza alta, magra e bionda; Michael Musso, un ragazzo con i capelli neri e Justin Bieber, un ragazzo con i capelli biondi e la faccia un po’ da bimbo.
Ecco la banda dei miei amici pazzi, alla quale se ne erano aggiunti due: Nick e Kevin.
Si sedettero tutti al tavolo e iniziammo a parlare del più e del meno.
< Oh no > disse Taylor seduta davanti a me < Guardate, arrivano > disse con una punta di disprezzo nella voce.
Mi girai, visto che davo le spalle alla porta della mensa e vidi David Cyrus, il fratello di Miley, Robert Pattinson, Taylor Lautner, Chelsea Staub, Nicole Anderson, Ashley Tisdale e Vanessa Hudgens entrare nella mensa.
< Quanto non li sopporto > disse Taylor, stringendo il bicchiere che aveva davanti.
< Ancora non ti è passata Tay? > chiesi, lei non aveva mai sopportato quella gente.
< No! > disse lei.
Mi misi a ridere e iniziai a giocare con il tappo della mia bibita.
< Demi > mi sussurrò all’orecchio Miley, senza farsi sentire dagli altri.
< Joe ti fissa ancora > disse, senza quasi muovere le labbra.
Mi girai istintivamente e incrociai il suo sguardo, dall’altra parte della mensa, Joe mi osservava come quando eravamo nel corridoio.
Sbuffai irritata e mi lasciai cadere sulla sedia, mentre incrociavo le braccia.
“ Quello lì ha qualcosa che non va!” pensai.
< Demi che c’è? > mi chiese Justin.
< Niente...problemi da primo giorno di scuola > dissi, per tagliarla corta.
< Tipo? > chiese.
< Ma niente...è solo quel Joe Jonas che mi rende la vita impossibile > dissi e ricevetti un calcio da sotto il tavolo, da parte di Selena.
Mi piegai in due dal dolore < Ma sei fuori? > dissi < Perché l’hai fatto? > chiesi e lei mi lanciò un occhiataccia.
< Sele non ti preoccupare > disse Kevin.
< Si infatti > aggiunse Nick < sappiamo com’è nostro fratello >
Rimasi di sasso, Joe era loro fratello?
“ Dio che figuraccia!” pensai.
< Kevin, Nick scusate io non lo sapevo...se no non avrei mai detto una cosa del genere > mi affrettai a dire.
< Demi stai tranquilla> mi rassicurarono loro < sappiamo com’è nostro fratello >
< Ok, scusate ancora > dissi.
< Non ti devi scusare di niente >
Sorrisi, bè erano molto gentili.
< Allora sentiamo, cosa ha fatto nostro fratello? > chiese Nick.
< Ma no, niente di che, diciamo che mi ha preso un po’ in giro durante matematica, ma io l’ho messo al suo posto > dissi.
< Bè brava! Era ora che qualcuno lo facesse > disse Taylor.
< Senza togliere il fatto che è da stamattina che la guarda > disse Miley e io la fulminai con gli occhi, come per dire: questa potevi anche tenertela per te!
< Come fa con tutte > disse Taylor, la guardai confusa.
< L’anno scorso lei è uscita con Joe, ma la mattina dopo l’ha beccato mentre si baciava con un’altra > disse Selena per farmi capire, anche se con un tono quasi annoiato.
< Sele sai che ci sto male ancora adesso > disse Taylor.
< Si ma Tay è passato un anno! > esclamò Miley.
< Demi un consiglio? > mi chiese Kevin e io annui.
< Joe ci proverà con te, ma tu non dargli corda o finirai come Taylor > disse avvicinandosi a me e parlando a bassa voce, per non farsi sentire da lei.
< Quindi un consiglio d’amico: non sprecare il tuo tempo con lui > disse.
< Non pensavo di farlo > dissi, mentre tornavo a giocherellare con la bottiglia della mia bibita.
Poi, senza farmi notare, girai leggermente la testa e incrociai ancora quei due occhi castani, con cui non avrei dovuto perdere il mio tempo, ma c’era qualcosa in lui che mi diceva che non era tempo sprecato.


ehi ciao! Scusate l'attesa ma la scuola mi tiene molto occupata...sapete il 4° anno..bah comunque in origine questi erano due capitoli separati, ma per accorciare i tempi e per evitare di farvi soffrire troppo perchè temo non potrò più postare tanto spesso matterò due capitoli in uno così sarete più contente :D Grazie mille come sempre a tutte coloro che seguono le mie storie! Siete fantastiche!!!
Un bacio, Mara

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Cap.9: La Principessa e Il Pirata ***


Capitolo 9: "La Principessa e Il Pirata"


Joe POV
 
Entrai nella mensa e raggiunsi il mio gruppo al tavolo.
Salutai tutti con poco entusiasmo e sprofondai nella sedia, ero già riuscito a procurarmi la prima punizione dell’anno, il primo giorno di scuola.
Il professore di chimica era proprio fuori, solo per aver parlato o meglio dato leggermente fastidio, alla mia compagna di classe mi aveva spedito dalla preside.
< Jonas > aveva esclamato la preside nel vedermi < sei già qui il primo giorno! >
< Sa com’è > le avevo risposto, mentre mi accomodavo sulla sedia nello studio della presidenza < Mi mancava > dissi sarcasticamente.
< Cos’hai combinato? > mi chiese, non era la prima volta che finivo nel suo studio, l’anno scorso avevo perso il conto di quante volte ci ero finito, non mi avevano ancora espulso, solo per il nome che portavo. Mio padre era temuto da tutti.
< Questa volta non è colpa mia! > avevo detto, cercando di difendermi, anche se era una bugia bella e buona.
< Si certo, come sempre > aveva ribattuto lei.
Io avevo sbuffato, arrendendomi.
< Va bene, senti > mi aveva detto poi < io chiudo un occhio, visto che è il primo giorno di scuola, ma oggi ti fai un’ora di detenzione e se succede ancora prenderò provvedimenti >
< Un ora?? > avevo protestato < per aver parlato durante la lezione?! >
< Normalmente lascerei correre, ma ti conosco Jonas, quindi vedi di controllarti > mi aveva detto.
< Ma... >
< Vuole che facciamo due ore? >
< No, signora > avevo detto.
< Bene, allora è tutto, può tornare in classe >
“ Rompiscatole!” pensai, mentre i miei amici parlavano, durante l’ora di pranzo.
Mi guardai intorno, una centinaia di ragazzi in divisa faceva la coda per il pranzo, camminavano per la mensa con i vassoi pieni di cibo in cerca di un posto per sedersi o erano seduti a chiacchierare tranquillamente con i loro amici. Mentre mi perdevo con la mente e con lo sguardo in mezzo ai colori delle divise della scuola, qualcosa attirò la mia attenzione. Una chioma di capelli neri corvini, raccolti in una coda. L’avrei riconosciuta ovunque, Demi era seduta al tavolo con Miley, la sorella di David e tutta la sua compagnia e incredibile, insieme ai miei fratelli.
Stava parlando con Kevin, probabilmente sottovoce, visto che erano vicini e non muovevano quasi le labbra mentre parlavano, sentii qualcosa che non avevo mai provato prima d’ora. Un brivido mi percorse la schiena, fino ad arrivarmi sotto il collo, scossi la testa. Ma che mi stava succedendo? Stavo provando...fastidio? Mi dava fastidio che una ragazza conosciuta da poche ore e che mi odiava già, stesse parlando con mio fratello?
“Joe smettila!” mi dissi, come per sgridarmi.
Perché mi dava fastidio che Kevin parlasse con quella ragazza, quando probabilmente la mia fidanzata mi aveva tradito e mi tradiva tutt’ora?
Poi Demi si girò, mi guardò e come mi era già successo prima, mi persi nei suoi occhi. Aveva qualcosa di innocente, ma allo stesso tempo forte. Nei suoi occhi vedevo un mondo che non conoscevo e che avrei voluto capire o solamente osservare.
Poi lei si girò e io tornai con i piedi per terra. Tornai alla realtà, nella realtà dove non potevo essere me stesso, in quella realtà dove non avrei mai potuto avere l’occasione di comprendere e conoscere quel mondo.
Tornai a guardare i miei amici. Stavano parlando di qualcuno, ma mi ero perso l’inizio della discussione, quindi non avevo capito chi fosse.
< Non poteva restare dov’era?! > disse Chelsea, con tono arrabbiatissimo.
< Si davvero > le fecero eco le sue amiche che, come al solito, non la contraddicevano mai.
< Scusate di che parlate? > chiesi io e i ragazzi mi fulminarono con gli occhi. Avevo innescato la bomba.
Chelsea era diventata tutta rossa in faccia e stringeva così forte la forchetta, che tra qualche secondo le sarebbe schizzata via di mano.
< Stavamo parlando, Joe > iniziò, facendo in modo di scandire ogni parola che diceva < di quella sgualdrina che è appena tornata nella MIA scuola! > disse, alzando la voce.
< Bè tecnicamente non è tua la scuola Chels > disse Vanessa e Chelsea la fulminò con lo sguardo.
Vanessa era una bellissima ragazza, fisico da favola, capelli neri e mossi e un viso sensuale ma anche un po’ da brava ragazza. Probabilmente era anche una brava persona, ma era entrata da poco a far parte delle damigelle di Chelsea, quindi veniva considerata di meno ed era ancora nel “periodo di prova”.
Un’altra cosa che non sopportavo dell’essere popolare era il fatto che dovevi passare delle prove per ogni cosa, anche la più sciocca, e venivi umiliato in una maniera assurda.
< Chels non ci pensare > disse Ashley per difendere Vanessa < sei tu che comandi qui, lei non può fare niente. Conciata così poi > commentò.
Ah già, nella mia scuola se non eri vestito da capo a piede con vestiti e accessori di marca, eri un barbone.
< A me invece sembra proprio figa! > disse Robert mentre voltava lo sguardo verso la schiena di Demi, per poi scendere più in basso.
L’istinto fu quello di lanciargli un’occhiata gelida, di gettarmi sul tavolo e prenderlo a pugni ma avrebbe destato troppi sospetti, così mi fermai in tempo, ma al mio posto venne fulminato dalle ragazze.
< Concordo amico! > disse Taylor, dandogli il cinque.
Mi girai verso David che era seduto al mio fianco < E tu? Che ne pensi? > chiesi, indicando con un cenno della testa i nostri compagni.
< Demi è la migliore amica di mia sorella!  > disse lui sulla difensiva.
< E allora? Sai quante migliori amiche dei miei fratelli mi sono fatto? > dissi io.
< Joe, senti a te lo posso dire > disse lui abbassando il tono di voce < io sono cresciuto insieme a lei e a Selena, sono le migliori amiche di mia sorella Miley, insomma non riesco a immaginarmele come...bè hai capito >
< Ma le frequenti ancora? > chiesi, più per interesse personale che per sapere se stava con gli sfigati.
< No non più, comunque come ho detto, non riesco a dire se è figa o no e non ci riuscirei nemmeno con Selena > disse lui.
Scoppiai in una risata, ma mi coprii la bocca per non attirare l’attenzione dei nostri compagni.
< Ma che ti ridi? > mi chiese, curioso.
< Tu che non riesci a dire che Sele è figa? > risi ancora < Ma se le sbavi dietro ogni volta che la vedi! >
David divenne improvvisamente rosso < Smettila! >
< Oh andiamo David, sono il tuo migliore amico...a me lo puoi dire > dissi.
< Joe, e se anche lo ammettessi? Cosa cambierebbe? Niente. Perché non ci posso parlare o perderei tutto, quindi figuriamoci stare insieme > disse.
< Si lo so > risposi sottovoce, sapevo come si sentiva David.
Semplicemente impotente.
Impotente di fronte a quello che voleva avere, perché sapeva di poterlo raggiungere ma aveva paura di fare il salto e di perdere tutto.
Quella era anche la mia paura, solo che ancora non riuscivo ad ammetterlo a me stesso.
 
Demi POV
 
Le parole di Kevin continuarono a risuonarmi nella testa per tutta la mattinata.
“Non perderci tempo”
Facevo quasi fatica a capire quello che i professori dicevano, se all’inizio  era solo un sussurro nella mia testa, ora era diventato quasi un urlo disperato. Non riuscivo a capire il perché quella frase mi avesse tanto disturbato, infondo cosa mi importava di Joe? Niente. Non lo conoscevo nemmeno, non dovevo farmi incasinare da una persona come lui, era proprio l’ultima cosa che volevo e di cui avevo bisogno.
L’ultima ora della mattinata la passai guardando fuori dalla finestra, le foglie erano diventate arancioni con qualche sfumatura rossa che dava un’atmosfera calda alla città, ma era l’esatto opposto, perché d’autunno a Manhattan non fa assolutamente caldo.
Ripensai al sole caldo della California, avrei voluto tornare in quel posto, lì mi sentivo davvero a casa, avevo vissuto lì con mia zia per qualche anno, perché mio padre non ne voleva sapere di me. Poi quando avevo 6 anni mia zia era morta di tumore e mi avevano rimandata da mio padre, allora non capivo, perché ero semplicemente una bambina, ma ora era tutto molto chiaro. Mio padre era riuscito a liberarsi di me, spedendomi dall’altra parte del paese, ma immagino che la morte di mia zia gli avesse scombussolato tutti i piani e aveva dovuto accettare il fatto di tenermi, ma non mi aveva mai trattato come figlia e mai mi aveva fatto sentire tale.
Mi mancava la California, mi mancava tantissimo, il sole caldo, le spiagge, l’oceano. Erano parte di me, mi sentivo persa senza di loro, come se mi privassero del respiro. Sentivo di non appartenere a quel mondo, alla vita scalmanata di New York, volevo tornare a casa, la mia vera casa. Ma purtroppo ero segregata in quel posto, come se mi avessero messo in prigione.
In realtà non odiavo così tanto New York, perché quando tornavo in California spesso sentivo la mancanza dei grattacieli, dello shopping sulla quinta strada con Sele e Miley e delle lunghe passeggiate a Central Park.
Probabilmente dicevo di odiare New York solo per via di mio padre.
La campanella suonò, facendomi sobbalzare sulla sedia. Tutti i ragazzi corsero verso l’uscita, mentre io arrancai verso il professore per far firmare quel maledetto foglio, finalmente era finita così potevo andare dalla preside e tornare a casa.
Entrai nella segreteria, per poi andare in presidenza.
Mi diressi verso la segreteria e mi avvicinai al bancone, ma una persona mi passò davanti: era lui, di nuovo.
< Hei ci rivediamo > mi salutò Joe, con un sorriso malizioso.
Io annui, poco interessata e aspettai che una persona della segreteria mi venisse a salvare.
< Ok non mi salutare > disse lui, appoggiandosi al bancone. < Allora come mai qui? > mi chiese e io gli feci svolazzare il foglio che avevo in mano davanti alla faccia.
< Ah, capito > disse lui, cercando di fare conversazione < Io sono in punizione > disse e io non potei trattenere una piccola risata.
< Perché ridi? > mi chiese.
< E’ il primo giorno di scuola > dissi, cercando di non ridere, ma mi uscii solamente una sorrisetto da ebete.
< Tutta questione di classe > mi disse, passandosi una mano tra i capelli scompigliati ma perfetti.
< Se lo dici tu > dissi, poi arrivò la segretaria e le diedi il mio foglio.
Feci per andarmene, ma Joe mi fermò.
< Senti siamo partiti con il piede sbagliato > iniziò e io lo guardai, alzando un sopracciglio.
< Capisco se non vuoi essere mia amica, ma possiamo almeno comportarci da persone civili visto che siamo nella stessa classe? > mi chiese.
Il suo ragionamento non faceva una piega, ma conoscevo i tipi come lui, iniziavano sempre così e poi ti trascinavano nella loro trappola. Ma qualcosa mi disse di fidarmi e la voce di Kevin che diceva di non perdere tempo con lui, si era improvvisamente dissolta.
Così dissi < Okay >
< Bene > rispose lui sorridendo < Non mi sono ancora presentato ufficialmente, sono Joe > disse porgendomi una mano.
La fissai, chiedendomi se fosse una cosa prudente stringerla, però poi mi dissi che stavo diventando paranoica e la strinsi.
< Demi >
< Allora ci vediamo domani a matematica? > mi chiese lui e notai un filo di speranza nella sua voce, ma preferii ignorarla.
Sorrisi debolmente e annui, poi uscii dalla scuola.
All’uscita Edward mi aspettava con la limousine, salii e mi sistemai nel sedile posteriore.
< Allora com’è andato il primo giorno di scuola? > mi chiese, guardandomi dallo specchietto.
Feci spallucce, non sapevo come descriverlo e molto probabilmente non c’era nessun aggettivo adatto per definirlo.
Mi abbandonai nel sedile e mi misi gli auricolari per cercare di distrarmi un po’, ma il tentativo fu vano.
Non riuscivo a togliermi dalla testa quel sorriso così splendido e allo stesso tempo minaccioso di Joe, perché quelli come lui facevano sempre quell’effetto?
Era la prima volta che provavo una cosa del genere, i tipi come lui non mi avevano mai dato problemi, ero sempre riuscita a sopportare la loro presenza e ad evitare di cadere nelle loro trappole.
Ma questa volta c’era qualcosa di diverso, provavo qualcosa di diverso. No! Ma che accidenti stavo pensando?! Io non dovevo provare niente, perché semplicemente non c’era niente di diverso dalle altre volte. Joe era il solito don Giovanni, che cercava di stare con più ragazze possibili e poi lasciarle quando aveva attenuto quello che voleva. Punto e basta.
Arrivata, scesi di malavoglia dalla limousine e salii in casa.
< Signorina Lovato guardi chi è arrivato! > mi accolse Dorota, pensando che per me fosse una bella notizia.
< Ciao Demi > disse mio padre, sbucando dalla sala.
Era un bellissimo uomo, non c’era scusa che tenesse, ma quella bellezza lo rendeva ancora più inquietante, almeno per me che conoscevo la sua parte peggiore. Nessuno avrebbe mai sospettato che lui potesse anche solo torcermi un capello, dopotutto con quella faccia da angelo, gli occhi blu, profondi come il mare e un sorriso candido come la neve.
Ma le apparenze ingannano sempre, perché gli occhi blu profondi come il mare, nascondevano un abisso vuoto e il suo sorriso candido come la neve, era un sorriso spento e privo di significato.
Non seppi che fare, quando me lo ritrovai davanti, non sapevo se salutarlo, se dargli del tu o del lei, vista la distanza tra noi. Quindi optai per un sorriso forzato, lui si avvicinò a me e mi abbracciò, con una stretta insicura e fredda. Nel sentire il suo tocco sobbalzai, ma non potevo fare sospettare Dorota, quindi mi lasciai stringere.
< Dorota, vai giù a prendere le pratiche che ti ho chiesto prima > disse lui a Dorota mentre si staccava.
Lei annui e sparì al piano di sotto, io cercai di allontanarmi, se avessi raggiunto la mia camera sarei stata salva, almeno fino a sera. Ma la sfortuna quel giorno era dalla mia parte e quando arrivai alle scale mio padre chiese < Come stai ora? >
Strinsi la mano alla ringhiera della scala, quella domanda mi fece innervosire tantissimo. Come poteva chiedermi come stavo dopo tutto quello che aveva fatto? Come poteva chiedermi una cosa simile dopo avermi continuamente ripetuto che io per lui ero solo un peso?
< Come se ti importasse > dissi e come mio solito, parlai troppo.
Lui si avvicinò di slancio e mi prese per il polso, stringendolo talmente forte che mi chinai per terra dal dolore.
< Non osare più parlarmi in questo modo > disse in un sussurro minaccioso, mentre mi stringeva sempre di più il polso, non lo sentivo quasi più.
< Mi hai capito? > chiese facendomi alzare il mento per poi darmi uno schiaffo. Gemetti per il dolore.
 Mi lasciò andare e io corsi in camera, chiudendomi a chiave.
Grosse lacrime mi rigavano il viso e il polso mi pulsava dal male, tirai su la manica della felpa e vidi un enorme livido violaceo, con alcune sfumature blu, dove mio padre mi aveva stretto il polso.
Mi si era fermata la circolazione per qualche minuto.
Mi asciugai le lacrime con una mano e mi accarezzai la guancia che nel frattempo si era arrossata.
Questo era il mondo in cui ero cresciuta, niente favole, niente magia.
Non avevo mai creduto al principe azzurro, c’erano sempre stati solo pirati nella storia della mia vita.
Ma non potevo immaginare che un pirata mi avrebbe salvato da questa storia.


Ehi, ciao :D scusate il ritardo ma la scuola mi sta tenedo molto occupata. Sono molto felice di sapere che questa storia sta avendo molto successo e che fremiate ogni volta per leggere i prossimi capitoli :D Grazie, grazie davvero!
AVVISO:
l'altra mia storia Like I did before the storm non sta avendo molto successo, nell'ultimo capitolo non ho avuto nessun commento, quindi vi chiedo di rispondere a questa domanda: volete che la interrompa? RISPONDETE è OBBLIGATORIO, impiego tempo nelle storie che scrivo e a volte tolgo questo tempo allo studio, lo faccio volentieri se è una cosa che poi ha successo e che viene letta, ma se poi non viene letta da nessuno e non viene nemmeno recensita...bè allora preferisco impiegare il mio tempo in ben altre cose.


Ciao a tutti, Mara

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Cap.10: Ti Puoi Fidare ***


Capitolo 10: "Ti Puoi Fidare"




- POV Demi -


La sveglia suonò.
Sbuffai da sotto le coperte, un’altra giornata infernale stava avendo inizio.
Tirai un braccio fuori dalle coperte e spensi la sveglia, poi mi misi a sedere, la testa iniziò a girarmi per il poco sonno che avevo fatto.
< Signorina Lovato la colazione è pronta > mi chiamò Dorota dal piano di sotto.
< Arrivo! > dissi sbadigliando. Nel mettermi la mano davanti alla bocca notai qualcosa sul mio polso, il livido di ieri c’era ancora. Era diventato di un colore nero scuro, non sarebbe passato molto inosservato. Due righe nere e ben distinte, proprio sulla vena del braccio. Potevano anche passare come dei tagli se uno non le osservava bene.
“Cavolo!” pensai.
Andai in bagno, provai a metterlo sotto l’acqua, poi pensai a quanto stupido era stato quel gesto. Sapevo benissimo che con l’acqua non sarebbe andato via, allora provai con del trucco, ma niente si vedeva lo stesso. Così optai per una maglia con le maniche che mi arrivassero fino al pollice.
Ora devo solo ricordarmi di non mostrare le braccia, dissi tra me e me.
Feci per uscire dalla mia camera ma il cellulare squillò, andai a prenderlo e sulla schermata c’era scritto: chiamata da privato.
Chissà chi era, mi chiesi e così risposi. < Pronto? >
< Demi? >
Quella voce così famigliare, dolce, che per me era sempre stata una luce che mi salvava nei momenti più bui della mia esistenza < Zac? > chiesi con il sorriso sulle labbra.
< Si tesoro, che bello sentirti! > esclamò lui, felice almeno quanto me < Piccola, come stai? > chiese riferendosi alla meningite.
< Molto meglio, grazie > risposi, sedendomi sul letto.
< Quando hai il prossimo controllo? >
< Il mese prossimo >
< Allora puoi venire a trovarmi? >
< Mi piacerebbe tanto... > dissi < vorrei tanto andarmene da questo posto >
< Ti ha fatto qualcosa? > mi chiese, diventando serio di colpo, parlava di papà.
< Niente di irreparabile >
< Dio, lo uccido! > iniziò subito a scaldarsi < Quell’uomo è un mostro, tu sei sua figlia! >
< Da tempo non mi considera tale, anzi inizio a chiedermi se l’abbia mai fatto > risposi io, con aria di rassegnazione.
< Hai sempre me >
< Già, ma tu sei in California >
< Ma lo sai che per qualunque cosa ci sarò sempre, vero? >
< Si, certo > risposi sospirando, non mi bastava quello avevo bisogno di lui, qui, con me < Ti voglio bene, fratellone >
< Anche io, sorellina >
Agganciò e io rimasi lì, ferma, seduta sul letto, a contemplare un punto indefinito fuori dalla finestra. La voce di Dorota mi chiamò, scesi per fare colazione ed andai a scuola.
Mi trovai con i miei amici e cercai di fare finta di niente.
< Demi com’è andata con tuo padre? > mi chiese Selena, prendendomi da parte.
< Pensavo peggio > fu la mia risposta, non mi aveva stuprato almeno.
Selena rispose con un sorriso non molto sicuro, anzi non nascondeva nemmeno un po’ la sua preoccupazione, ma dopotutto che poteva fare? Io che potevo fare? Nessuno poteva fare niente.
Mi diressi a matematica, entrai in classe e mi sedetti al posto assegnato.
< Bene, ragazzi > iniziò la professoressa < guardate il vostro vicino di banco, lui o lei che sia, sarà il vostro partner di quest’anno, forza iniziate a lavorare >
“Oh Dio” esclamai nella mia mente. Mi ero completamente dimenticata, dovevo lavorare con Joe!
< Hei, chi si rivede! > disse lui attaccando il suo banco al mio.
< Eh già > dissi fingendo entusiasmo.
< Lo sai, sei una pessima attrice > mi fece notare.
< E tu un pessimo comico > ribattei.
Joe fece una risata.
< Ragazzi prendete gli esercizi che stavamo facendo ieri e andate avanti > disse la professoressa.
Presi il libro e iniziai a spiegare a Joe le equazioni, ma lui non mi dava retta.
< Senti la vuoi smettere! > esclamai io, non mi importava di aver alzato la voce e che la professoressa ora mi stava fulminando con lo sguardo.
< Che ho fatto? > mi chiese lui.
< Un conto è non capire un altro è non ascoltarmi > dissi < quindi se vuoi imparare qualcosa, sarò felice di aiutarti, ma se non vuoi cercati un altro compagno da prendere in giro, perché io non voglio perdere tempo >
< Non mi minacciare perché potrei farlo > rispose lui a tono.
< Bè allora vai! Non chiedo altro! >
< No, perché è troppo bello torturati >
< Tu sei... > non feci in tempo a finire la frase.
< Lovato, Jonas la volete smettere! > ci urlò la professoressa.
< Ma... > dicemmo io e Joe in coro.
< Ho detto silenzio! >
< Professoressa ma lui non mi da retta > dissi cercando di salvarmi.
< Non è vero, è lei che non è in grado > disse Joe.
Mi girai verso di lui e lo fulminai con gli occhi.
< Ora basta! > urlò la professoressa < Potrete discutere di chi ha colpa oggi in punizione >
< Cosa? > chiesi sconcertata io.
< Esatto signorina Lovato, punizione >
La campanella suonò.
Presi lo zaino arrabbiatissima e usci dalla classe.
< Allora, ci si vede oggi > disse Joe mettendosi davanti a me, con quel suo sorriso da ebete.
< Perché hai detto che era colpa mia? >
< Perché stare in punizione da solo è noioso > fu la sua risposta.
< Tu sei pazzo > dissi e feci per andarmene.
< Ma ti piaccio > mi disse.
Questa cosa non me la dovevi dire, pensai.
Mi girai lentamente e sogghignai < Tu > e sottolineai bene il tu < sei la persona più fastidiosa, bugiarda ed egocentrica che abbia mai conosciuto > dal mio tono calmo lasciai capire che ero davvero furiosa, ma lui si avvicinò pericolosamente a me, continuando a sorridere.
< E non mi potresti mai piacere > conclusi, mentre Joe mi sovrastava, gli arrivavo alle spalle, quindi chinava leggermente la testa per avere il suo naso all’altezza del mio. Sentivo il suo respiro sulla mia pelle e dovetti trattenere il respiro per non lasciare cedere le gambe.
< Lo sai che sei molto carina quando ti arrabbi > mi disse.
Al che mi infuriai ancora di più, feci per aprire la bocca e insultarlo, ma non mi venne in mente niente. Così mi avvicinai ancora di più, facendo in modo che le punte dei nostri nasi si sfiorassero. Lui chiuse gli occhi, si aspettava che lo baciassi, avvicinai le mie labbra alle sue e gli sussurrai < Stronzo! >
Mi allontanai e mi avviai verso l’altro corridoio.
< A dopo > mi urlò dietro lui, mentre rideva.
 

- POV Joe -
 
Ero arrabbiato, anzi arrabbiatissimo. La sera precedente mio padre mi aveva fatto perdere la testa per la rabbia.
Non che fosse una novità, ovvio.
Ma a cena, la sera prima, aveva oltrepassato il limite.
 

“C’era un’aria tesa e un silenzio snervante a tavola, poi mia madre per cercare di rendere la situazione meno imbarazzante chiese < Com’è andato il primo giorno di scuola? >
La guardammo tutti un po’ scettici, lei era sempre stata quella che voleva a tutti costi cercare di essere una famiglia normale, ma non lo eravamo affatto.
< Bene. È arrivata una ragazza nuova, in realtà è tornata perché l’anno scorso se ne era andata > disse Nick cercando di collaborare con mia madre.
< Oh > disse mia madre fingendo curiosità < E com’è? > chiese.
< Simpatica > disse Kevin tagliando corto.
< Mmm... > rispose lei, pensando a cos’altro poteva chiedere per tenere viva la conversazione < E come si chiama? >
< Demi Lovato > disse Nick serenamente, ma venne sorpreso, come tutti noi, dalla reazione di nostro padre.
< Che cosa? >  chiese mio padre quasi urlando.
Rimanemmo tutti impietriti, non capivamo cosa Nick avesse detto di così male.
< Tesoro, calmati > disse mia madre cercando di prendergli la mano, ma lui gliela allontanò in malo modo.
< Hai detto Lovato? > chiese furibondo e Nick, spaventato, annui.
< Quella è la figlia del proprietario della compagnia rivale alla mia! > esclamò mio padre.
< E allora? > mi uscì quella domanda così stupida, azzardata e dannatamente sbagliata, senza nemmeno pensarci.
< E allora, vi proibisco di frequentarla! > mi urlò contro.
< Scusa quindi io, Nick e Kevin non possiamo frequentare le persone che sono figlie o parenti dei tuoi rivali di lavoro? > chiesi, ormai ero partito e nessuno mi poteva fermare, nemmeno i calci che ricevevo sotto il tavolo da mia madre e dai miei fratelli che mi dicevano di smetterla e che tanto non serviva a niente.
Non mi dava fastidio il fatto di non poter frequentare Demi, avrei infranto senza troppi problemi le regole, se solo lei avesse voluto altrettanto. La cosa che mi infastidiva era come mio padre dovesse sempre condizionare la vita di tutti noi, aspettandosi la nostra obbedienza.
< Non osare rivolgerti a me in questo modo! >
< Papà io sono calmissimo > dissi in tono calmo ma anche di sfida < vorrei solo sapere se ho capito bene >
< Joseph smettila subito! > disse sbattendo i pugni sul tavolo.
< Non ho nemmeno iniziato > risposi io.
< Ora basta! Vai in camera tua! E ringrazia il cielo che ti tengo ancora sotto il mio tetto! >
Mi alzai da tavola e feci per dirgli che probabilmente se mi avesse buttato fuori di casa saremmo stati tutti più felici, ma gli sguardi supplichevoli che mi arrivarono da mamma e dai miei fratelli, mi convinsero a finirla lì.”

 
Eppure sorridevo e non sapevo perché non riuscissi a smettere, era una cosa del tutto innaturale e inspiegabile.
Mentre guardavo Demi andarsene, camminare con passo deciso, la testa alta e fiera con i lunghi capelli che le ricadevano sulla schiena, all’improvviso la litigata con mio padre passò in secondo piano.
Era una ragazza come tante, ma qualcosa in lei non mi convinceva, c’era qualcosa dietro la sua bellezza e la sua semplicità, ma non capivo cosa, un segreto riservato a pochi e dal quale io ero escluso.
Demi aveva capito benissimo che persona ero. Ne doveva avere conosciuti molti altri come me e sapeva che non cadendo nelle trappole di persone come me, non faceva altro che aumentare la mia voglia di poterla possedere, ma era una cosa a cui, molto probabilmente, era abituata da tempo e aveva architettato un sistema molto efficace per non lasciarsi ingannare. Ma speravo in qualche modo di poter sviare quel suo sistema.
< Joe, ma sei impazzito! > David era appena sbucato dall’angolo del corridoio dietro di me, e mi si era piazzato davanti con sguardo accusatore.
< No, perché? > chiesi, si stava riferendo a Demi lo avevo capito, ma dopotutto ci era abituato, visto che anche lui era come me.
< Ci stavi provando con Demi! > disse lui spazientito, aprendo le braccia incredulo.
< E allora? Non è la prima volta che ci provo con qualche ragazza che non sia Chelsea > risposi.
< Si, lo so > rispose < Ma è la prima volta che lo fai con così tanta noncuranza >
Alzai gli occhi al cielo, non me ne importava.
< E se le sue amiche fossero state qui e ti avessero visto mentre ci provavi con Dems? > mi chiese
< Dems? > chiesi a mia volta, mentre ridevo, doveva essere il diminutivo che lui usava quando era ancora amico di lei e di quando lui e sua sorella Miley avevano ancora buoni rapporti.
< Non cambiare discorso... > disse David ignorando la mia domanda.
< Senti, non me ne frega niente! > esclamai < Chissà quante volte Chelsea mi ha tradito. Perché non lo posso fare anche io? > chiesi.
< Questo mi pare ovvio, però lei non si è mai fatta beccare da te, quindi evita di farti sgamare o ne pagherai le conseguenze > mi avvisò.
< Si, certo... > dissi con poca convinzione.
< Hey ragazzi! > ci salutò Robert, che era appena arrivato alle spalle di David.
< Ciao Rob > lo salutammo noi.
< Di che parlavate? >
< Niente > rispose David
< Bè sentite i miei questo fine settimana sono via, quindi ho la casa libera e sabato sera festa, mi raccomando venite >
< Chi viene? > chiese David
< Pensavo di invitare tutti quelli del nostro anno > rispose lui < e giusto per fare un piccolo scherzetto alla nostra Chelsea... > aspettò come per fare salire la tensione < Volevo invitare quella sventola della Lovato! >
Bene, ottima occasione, pensai.
< Ok, allora ci vediamo sabato sera > disse David.
< Bene, tu Joe > chiese Robert.
< Non so, ma penso di sì > risposi, facendo spallucce.
< Ok, ci vediamo a pranzo > mi salutò lui.
< Si, ci vediamo...e controllati > mi disse David, lanciandomi un’occhiataccia e facendomi segno che mi teneva d’occhio.
Andai alla lezione successiva e il resto della mia giornata seguii lento e noioso, fingere di essere la persona che non ero, costretto a stare con una ragazza che non mi piaceva, iniziava a darmi fastidio e a pesarmi come mai prima. Non capivo cosa mi stesse succedendo, stavo cambiando ma non capivo per cosa e dove questo cambiamento mi avrebbe portato. Non potevo immaginare che lo avrei capito molto presto.
La giornata finì e tirai un sospiro di sollievo.
Andai in aula di detenzione, Demi era già seduta nell’ultimo banco, vicino alla finestra e guardava fuori, assorta nei suoi pensieri, pensieri che non potevo nemmeno indovinare. Ma una cosa era chiara, non erano felici.
< Ciao, ancora > dissi sedendomi vicino a lei.
Lei alzò gli occhi al cielo.
< Come va? > chiesi.
Lei girò la testa lentamente per guardarmi dritto in faccia e con un finto sorriso disse < Bene, prima che arrivassi tu > e spostò lo sguardo ancora fuori dalla finestra.
Mi misi a ridere, mi piaceva quel suo sarcasmo < È un piacere anche per me rivederti > dissi.
Lei sospirò rassegnata.
< Scusa perché ce l’hai così tanto con me? > chiesi.
< Chi ti dice che ce l’ho con te? >  chiese a sua volta.
< Ho fatto per prima io la domanda >
Sbuffò < Non è che ce l’ho con te...è che le persone come te mi fanno...pena > disse < Senza offesa, eh. Non è niente di personale >
< Ti faccio pena? > chiesi ridendo.
< Sinceramente? Un po’ sì > rispose.
Smisi di ridere, quella ragazza capiva un po’ troppe cose su di me.
< Insomma, lo so che non siete tutti così... > continuò lei.
< Stronzi? > completai io.
< Già... > confermò lei e mi sorrise.
Dopo qualche minuto di silenzio < Allora, che fai sabato sera? > chiesi, forse stava abbassando le difese.
< Okay, ritiro tutto> disse lei.
< Cosa? > chiesi io.
< Ci conosciamo da meno di due giorni e già mi chiedi cosa faccio sabato sera? > chiese lei tra l’allibito e l’offeso.
< E allora? >
< E allora sei davvero come tutti gli altri! > esclamò lei, ma il professore della detenzione la zittii.
Nella classe calò il silenzio.
< Ad ogni modo > iniziai io sotto voce, per non farmi sentire dal professore < Robert da una festa sabato, ci vai? > chiesi.
< Joe smettila! >
< Eh dai dimmi se si o no>
< NO! > rispose esasperata.
< Perché? >
< Perché non mi ha invitata >
< Lo farà presto >
Lei si girò e mi fulminò con gli occhi < Non ci verrei comunque >
< Nemmeno se ti chiedessi di andarci insieme? > chiesi.
< Soprattutto per questo non verrei! > rispose acida lei.
< Oh andiamo, non sono così male > risposi mettendo un braccio sulla sua sedia.
< Già. Quando stai in silenzio sei davvero simpatico > ripose lei, togliendo il mio braccio dalla sua sedia.
Risi, sì quella ragazza aveva il senso dell’umorismo. Pungente, ma era simpatica.
< Quindi niente appuntamento? > chiesi.
< No > rispose secca lei e si tirò su le maniche della maglia, probabilmente la stavo stressando.
Risi < Non pensare che mi arrenderò... > volevo dire qualcos’altro, ma mi dimenticai subito di ogni cosa quando il mio sguardo cadde sul suo braccio destro. Due righe nere, ben distinte, proprio sulla vena.  Mi mancò quasi il respiro. Lei guardò nella direzione in cui guardavo io e si accorse di avere i polsi scoperti, probabilmente non aveva pensato a quello che aveva fatto, perché dalla faccia che fece sembrava che si stesse dando della stupida.
< Demi, quelli cosa sono? > chiesi serio, come mai ero stato nella mia vita.
< Niente > rispose lei tagliando corto e coprendosi i polsi con le maniche della maglia.
< Demi... > la guardai scettico e preoccupato, non volevo darlo a vedere, ma come potevo evitarlo?
< Sul serio è solo colpa di alcuni braccialetti che mi hanno fatto allergia > rispose lei, ma mentiva, la scusa non stava in piedi e la sua voce, come i suoi occhi, non erano più sicuri come prima.
< Cosa ti sei fatta? >
< Non mi sono fatta niente >
< Allora chi te lo ha fatto? >
< Nessuno. Joe smettila non è colpa di nessuno è solo allergia! > ora iniziava a parlare in modo veloce e affannato.
< Dimmi la verità >
< Ma è la verità! >
< Demi ti puoi fidare... > dissi e senza un secondo fine, senza nemmeno pensarci le presi la mano, per farle capire che ero sincero e che non volevo niente da lei.
< No, non credo > rispose lei malinconica, il sorriso che le avevo visto sul viso, quando stava con i suoi amici o quando anche semplicemente mi rispondeva con una delle sue battute, non c’era più. Un viso solcato dal dolore, probabilmente provocato da ricordi troppo brutti e dolorosi, anche solo da essere riportati alla memoria e che per essere detti richiedono uno sforzo enorme.
Per sua fortuna la campanella che segnava la fine della detenzione suonò in quel preciso istante, così mi lasciò la mano in modo gentile e corse fuori dalla classe. Non mi diede nemmeno il tempo di correrle dietro che era già sparita.


Vorrei ringraziarvi tutte, davvero. Vorrei ringraziarvi dal profondo del mio cuore ma non riuscirei ad esprimere la mia gratitudine in parole. Non sono abbastanza brava per farvi una dedica degna di tutte le lodi che vi meritate. Così mi limiterò a dire la cosa più banale del mondo: GRAZIE. Grazie a chi recensisce sempre, a chi segue le mie storie, a chi le aggiunge in 'da ricordare' e a chi ha aggiunto questa mia storia tra i preferiti. GRAZIE, GRAZIE DI CUORE.
un bacione, Mara.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Cap.11: Il Prezzo della Popolarità ***


Capitolo 11: "Il Prezzo della Popolarità"




POV Demi 
Quel mattino non suonò la sveglia, dolce sapore di sabato mattina.
Nel dormiveglia riuscivo a sentire l’odore di brioche che veniva dal piano di sotto, Dorota stava preparando la colazione.
Nel sonno mi venne da sorridere e mi girai nel letto, con la pancia sotto.
Ma il silenzio venne spezzato dal suono di una vibrazione, il mio telefono stava squillando.
Lo afferrai e risposi < Miley cosa vuoi? È sabato! > protestai, ancora assonnata.
< Principessa sono le 10 del mattino è ora che ti svegli! > mi disse lei ridendo.
< Si va bè... > risposi io < che c’è? >
< Mi offri asilo politico? >
< Che? >
< Ti prego non voglio andare alla festa di Robert! >
Giusto. Questa sera ci sarebbe stata le festa tanto attesa da mezza scuola, esclusa ovviamente Miley che avrebbe scambiato la sua anima con il diavolo piuttosto che andarci.
La povera Miley era stata obbligata ad accompagnare Selena a quella stupida festa, perché la nostra migliore amica sperava tanto di poter rimanere sola con David.
Ma Selena avrebbe preso solo una grandissima delusione, avevamo perso David ormai, come Nick e Kevin avevano perso Joe. La popolarità fa fare cose stupide e malvagie.
David era innamorato di Selena, questo lo sapevano tutti, ma non avrebbe mai trovato il coraggio di stare con Selena, visto che questo significava rinunciare alla propria posizione sociale.
Ma a cosa serve? Mi chiedevo sempre io.
A che serve essere popolari a scuola? Nessuno se l’era mai chiesto?
A chi importerà, finita la scuola, chi eravamo al liceo? A nessuno, ecco la pura e semplice verità.
Selena, Miley e David erano parte della mia infanzia, l’unica cosa bella che ricordassi dei primi periodi dopo la morte di mia Zia. Come poteva essere tutto finito? Come poteva essere tutto cambiato solo in un anno?
< Miley conosci Sele, ti trascinerà comunque lì > risposi, sedendomi sul letto.
< Uff...e se mi do malata? >
< Miley? >
< Ok, non ci crederebbe mai... >
Sorrisi, quanto era scema quella ragazza, ma dopotutto era per quello che era la mia migliore amica.
< Va bè Demi, vado a cercare qualcosa da mettermi per stasera > mi disse con poco entusiasmo.
Risi < Divertiti! >
< Certo, come no! > mi rispose e attaccò.
Scesi a fare colazione, poi andai sotto la doccia.
Mentre mi asciugavo i capelli mi osservavo allo specchio.
Ero una ragazza carina lo dovevo ammettere.
I capelli nerissimi mi cadevano sulle spalle mossi, creando delle onde imperfette intorno al mio viso pallido, bianco come la neve, in contrasto con gli occhi, anch’essi scurissimi e le labbra piccole e rosa pallido.
Avevo delle piccolissime lentiggini intorno al naso e sotto gli occhi.
Abbassai lo sguardo sul polso destro, i lividi che mi aveva lasciato la stretta di mio padre stavano sparendo. Tra qualche giorno avrei potuto fare finta che quelle due maledette righe non fossero mai esistite, lo speravo davvero, perché se Joe non si sarebbe dato per vinto avrei dovuto convivere con quella realtà.
La pioggia continuava a cadere insistente ormai dal giorno prima, segno che l’estate a New York era definitivamente finita. Ma dovevo solo resistere per poche settimane e poi sarei tornata per un giorno al caldo della California e con un po’ di fortuna avrei fatto anche visita a mio fratello.
Altro squillo del mio cellulare.
Un messaggio da parte di Justin: “ Ciao Demi. Ti va di venire al cinema con me e Michaelprima di andare a vedere Nick e Kevin?”
Non ero proprio dell’umore ma più stavo fuori di casa e meglio era.
“Ok. A che ora?”
“ Alle 6 e mezza. Ciao bacio”
Misi il cellulare in tasca.
Io e gli altri eravamo riusciti per un pelo a scampare alla festa di Robert, ma solo perché Nick e Kevin ci avevano invitati a sentirli suonare in un piccolo pub a Times Square.
La giornata passò velocemente e devo dire che mi annoiai molto. Il tempo era scandito dal rumore della pioggia contro il vetro, dal rumore dell’aspirapolvere che Dorota stava usando per pulire la casa e dalla musica che stavo ascoltando.
Arrivarono le 6 e mezza e puntualissima arrivai al cinema. Ma i miei due amici erano già lì fuori ad aspettarmi.
Non avevo messo niente di speciale, jeans, una maglia lunga nera, stivali abbinati e cappotto.
Pioveva ancora, dalla forza con qui la pioggia scendeva sembrava che dovesse venire la fine del mondo. L’ombrello quasi non riusciva a ripararmi e ringraziai il cielo di non aver stirato i capelli altrimenti sarei già diventata una specie di barboncino gigante.
< Hey ragazzi! > li salutai, entrando dall’ingresso e chiudendo l’ombrello. Avevo i capelli un po’ bagnati.
< Ciao, Demi > mi risposero loro.
< Allora che vi va di vedere? > chiese Justin.
< Demi vuoi vedere un film romantico? > propose Michael.
< Oh no grazie, sai che li odio! > risposi.
< Meglio per noi, allora! >
< Un bel horror? > chiesi.
< Si! > riposero loro due.
Andammo a fare i biglietti ed entrammo nella sala. Non era pienissima, io ero seduta tra Justin e Michael.
Stavamo parlando del più e del meno, erano divertenti come ragazzi anche se pensare che entrambi avevano un piccolo debole per me mi metteva a disagio. Ma preferii scacciare questo pensiero, erano miei amici e sarebbero rimasti tali per sempre, loro lo sapevano ma come si dice: la speranza è l’ultima a morire.
La cosa che più stimavo di loro era che nonostante gli piacesse la stessa ragazza erano amici, questa cosa non aveva avuto nessun effetto negativo sulla loro amicizia, anzi si può dire che si fosse solo rinforzata.
Il film doveva ancora iniziare, sullo schermo davano una pubblicità davvero noiosa su credo un detersivo, così mi guardai intorno per vedere se conoscevo qualcuno nella sala.
Nessuna faccia nota che mi dicesse qualcosa, ma avevo pensato troppo presto.
La porta della sala si era appena aperta, due ragazzi alti e castani stavano entrando e ridevano con in mano due confezioni di popcorn.
“Non ci credo!” pensai.
Mi rannicchiai sul sedile e pregai in tutte le lingue che conoscevo tutte le divinità di ogni religione, sperando che lui non mi avesse vista.
< Demi tutto ok? > mi chiese Justin preoccupato.
< Eh? Ah no niente, non ti preoccupare > risposi io tutt’altro che calma.
< Ma perché ti nascondi? > mi chiese a sua volta Michael.
Bella domanda, pensai. < Ma io non mi nascondo > risposi con una risata nervosa < Perché mai dovrei nascondermi? > chiesi.
< Forse perché sono appena entrati David e Joe? > mi chiese.
Beccata!
< Ah davvero? > chiesi con una pessima recitazione < Non me ne ero accorta >
Le luci si abbassarono e iniziarono a scorrere sullo schermo svariati nomi di attori.
Mi rilassai e tornai a sedermi normalmente, al buio non mi avrebbe vista.
Joe zero. Demi uno.
Ancora una volta pensai troppo tardi.
Era una fila davanti a me, verso destra, si girò nella mia direzione e mi fece l’occhiolino.
Joe uno. Demi zero.
 
Neanche alla metà del primo tempo decisi che non sarei più andata al cinema con due ragazzi. Ero in una posizione scomodissima e innaturale. Avevo le braccia incrociate sul petto, perché i due ragazzi che avevo ai lati mi avevano occupato entrambi i braccioli della poltrona, le loro mani in una posizione alquanto insolita, aperte con i palmi rivolti verso l’alto.
Così cercando di non pensare ai due mostri assetati di sangue che avevo al mio fianco, mi concentrai su quelli sullo schermo del cinema.
Il film era davvero uno schifo. Non faceva per niente paura, gli effetti speciali erano scadenti e la recitazione degli attori era paragonabile agli effetti speciali, ma dovevo ammettere che c’erano delle scene alquanto macabre.
Sullo schermo comparve la scritta “intervallo”, le luci si accesero e molte persone si alzarono ed uscirono dalla sala.
Michael e Justin furono tra i primi ad uscire, non avevano una bella cera, mi dissero che dovevano andare al bagno.
Mi riappropriai dei braccioli della poltrona e iniziai a sentire il sangue che tornava a scorrere nelle braccia, dandomi la sensazione di avere tante piccole formiche sulla pelle.
< Ma guarda chi si vede! >
Avrei preferito che una colonia di formiche mi mangiasse piuttosto che sentire quello voce.
< Che cosa ci fai qui? > chiesi irritata.
< Quello che fai tu: guardo il film > rispose la voce.
< Intendo cosa ci fai qui, vicino a me? > dissi, indicando la poltrona al mio finaco sulla quale era seduto.
Si mise a ridere < Mi mancavi! > disse ironico.
Scoppiai a ridere < Questa me la segno, manco a Joe Jonas! >
Quando finalmente la smisi di ridere, lui mi chiese < Che fine hanno fatto i tuoi due cavalieri? > riferendosi a Justin e Michael
< In bagno > risposi.
Trattenne una risata < Dovresti uscire con gente con lo stomaco più forte >
< Come te? > chiesi in tono di sfida.
< Cos’è? Vorresti un appuntamento? > chiese ma serio.
< Te l’ho già detto: non uscirei con te nemmeno se mi pagassero >
< Certo, certo dite tutte così all’inizio >
Lo ignorai < Ma non dovresti essere alla festa di Robert? >
< Inizia alle 8 > mi rispose < Sicura di non voler venire? > mi chiese.
< Assolutamente! >
< Peccato ci saremmo divertiti >
< Ma non hai un briciolo di umanità? E la tua ragazza? Sai Chelsea, alta, capelli biondi, quella che ti fai tutte le mattine a scuola...ti dice niente? > chiesi.
< Non ha importanza... > disse lui e dalla sua faccia capii che era sincero.
Scossi la testa e tornai a fissare lo schermo spento del cinema
< Sei senza cuore > dissi a bassa voce.
Lui annui, triste, non lo avevo mai visto così. Ero a disagio, mi sentivo quasi in colpa per avergli detto quelle parole, ma cosa avrei potuto fare in ogni caso?
Dopo pochi secondi di silenzio mi chiese < Come va il polso? >
Ripensai a quella settimana, a come Joe aveva scoperto dei segni sul mio polso e di come ogni giorno mi venisse a cercare per avere delle spiegazioni.
 
“Raggiunsi il mio armadietto e presi i miei libri, quando lo richiusi trovai un ragazzo al mio fianco che esclamò < Hey ciao! >
Il mio cuore quasi si fermò per lo spavento < Dio Joe! Mi hai spaventato! >
< Oh bè...scusa! > disse sorridendo e alzando le mani in segno di resa.
Alzai gli occhi al cielo < Cosa vuoi? >
< Niente > rispose.
< Bene allora se non ti dispiace, io me ne andrei > dissi e feci per andarmene, ma lui mi fermò, sbattendomi contro l’armadietto, le mani appoggiate all’armadietto all’altezza della mia testa, per impedirmi di andarmene.
< Demi > disse a bassa voce < Ho bisogno di sapere...è davvero quello che penso? >
Rimasi immobile, un po’ mi faceva paura, ma dall’altra mi faceva innervosire il fatto che continuasse a tormentarmi.
< Non sono affari tuoi > dissi.
< Se sono affari miei o meno lascia che lo decida io. Demi io ti voglio aiutare >
< Non voglio il tuo aiuto Joe, perché non ne ho affatto bisogno >
< Demi non mi mentire >
< Ma a te cosa importa? > chiesi alzando la voce.
Lui abbassò la testa, poi tornò a guardarmi < Non lo so, non so perché mi importa >
< Grazie tante, ora è tutto molto chiaro >
< Senti non lo so ok? Non so perché mi fai questo effetto! >
< Oh smettila Joe! Lo so come sei fatto, non giocare a questo gioco con me. Perderesti >
< Davvero? > chiese famelico, avvicinandosi.
< Assolutamente si > risposi.
< Questo lo vedremo > disse. Poi silenzio, aspettava che dicessi qualcosa, probabilmente che gli rivelassi tutto, ma rimasi in silenzio.
< Senti facciamo così > iniziò lui < Dimmi solo se te lo sei fatta tu. Rispondi si o no, poi non ti darò più fastidio >
Ci pensai un momento. Potevo azzardarmi a rispondere?
< No. Non me lo sono fatta io > risposi. Sperando che avrebbe mantenuto fede alla sua promessa.
< Ok > rispose lasciandomi andare.”
 
 
Per quanto fosse possibile rimasi più immobile di prima, lo sapevo non avrebbe mai tenuto fede alla sua promessa.
Vedendo che non rispondevo mi prese il polso con una stretta dolce e leggera, quasi come se non mi volesse sfiorare. Cercai di opporre resistenza, ma lui aveva già alzato la manica della maglietta scoprendomi il polso destro, le righe ormai non si vedevano quasi più, sembravano più che altro ombre minuscole sul mio polso.
Ma ombre immense nei miei ricordi.
Ci passò sopra un dito, il suo tocco caldo mi fece rabbrividire. Ci stavo cascando come una povera idiota, non mi era mai successo di abbassare così tanto la guardia.
< Va meglio, direi > disse lui, lasciando per mezzo secondo il mio polso.
Mezzo secondo di troppo. Tolsi velocemente il braccio e lo incrociai con l’altro.
< Si > dissi con un filo di voce.
Lui aprii la bocca per dire qualcosa ma venne interrotto.
< Jonas > lo salutarono Justin e Michael, con un tono alquanto infastidito.
< Bieber, Musso > li salutò lui con altrettanto fastidio.
Squadrai i tre ragazzi che mi circondavano, sembrava che fossero pronti a fare a botte per poi ricevere il loro premio.
Io.
E quel gioco non mi piaceva affatto!
Ma quanto accidenti dura questo intervallo? Mi chiesi disperata.
< Emm...Joe credo sia meglio che tu torni da David > gli dissi.
Lui rimase a fissare con sguardo di fuoco i miei due amici, poi quando credo elaborò la mia frase, mi guardò, poi guardò Justin e Michael e tornò a guardare me.
< Si, credo di si > disse, si alzò.
< Buona serata Demi > mi salutò mentre tornava al suo posto.
Justin e Michael occuparono i loro posti.
< Cosa voleva? > mi chiese Michael.
< Niente di importante > risposi io e prima che loro potessero ribattere finalmente ricominciò il film.
Grazie tante vita, ora decidi di venirmi in contro?
Joe due. Demi zero.



POV Joe
 Non avrei dovuto, lo sapevo, ma come sempre avevo deciso di andare contro ad ogni principio, di non fare la cosa sensata e più giusta e come sempre avevo dato ascolto alla mia parte irrazionale.
Gliel’avevo promesso, le avevo promesso che se mi avesse detto se era stata lei a farsi quei tagli sul braccio non mi sarei più intromesso, o almeno non avrei più toccato quell’argomento.
Per non parlare di quando le avevo preso il polso, non so perché lo feci, ma mi venne naturale. Probabilmente era la mia curiosità, o semplicemente non volevo ammettere che era preoccupazione la mia.
L’avevo sentita esitare nella stretta della mia mano, quasi come se avesse avuto paura che la toccassi.
Un’altra cosa avevo notato, non erano tagli quelli sul suo polso, se fossero stati tagli ci sarebbe stata una riga più sottile e ancora ben visibile. Ma non era stato così, non c’era nessuna riga, nessun taglio, niente che potesse portare a pensare ad un’autolesione.
Come al solito avevo dato per scontato di aver capito tutto.
E come al solito avevo sbagliato tutto.
Tornai a sedermi vicino a David, sospirai e mi appoggiai allo schienale della poltrona, immerso ancora nei miei pensieri.
Dopo pochi secondi mi accorsi che David mi stava guardando male.
Così gli raccontai tutto, di quello che avevo scoperto, di come la pensavo anche se evitai caldamente di accennargli la confusione sentimentale che avevo.
Sentimenti.
Era passato tanto tempo dall’ultima volta che avevo usato quella parola.
Quando finì di parlare David sospirò e si mise una mano sulla fronte, in segno di disperazione.
Alzai gli occhi al cielo < Ti prego niente predica > lo scongiurai.
Le luci della sala si spensero e il film ricominciò.
Per tutta risposta guardò lo schermo, incrociò le braccia < Non serve > disse sottovoce e mise il broncio.
Dopo mezzo secondo di silenzio mi arresi e dissi < Dai spara >
Sorrise soddisfatto < Bè per cominciare: sei un idiota > disse.
< Ma dai? Non ci ero ancora arrivato! > dissi.
< Lasciami finire> mi zitti lui < Tu sei la persona più impulsiva, impicciona e irresponsabile che conosca! >
Abbassai lo sguardo.
< Ma non posso fartene una colpa > continuò < Anche se un motivo per cui ti comporti così ci deve essere... > lasciò la frase in sospeso, come se volesse che la completassi io.
Ma non dissi niente, anche se in qualche angolo del mio cervello la risposta me l’ero data il primo giorno che avevo conosciuto Demi.
< Dio Joe! Tu ti stai prendendo una cotta per Demi! > esclamò e gli misi una mano sulla bocca.
< Ma che sei scemo? > gli urlai dietro ma a bassa voce, sperando che nessuno nella sala lo avesse sentito, ma soprattutto che Demi non lo avesse sentito.
< Joe è la verità! >
< Ma cosa c’era nei tuoi popcorn? > chiesi guardandolo come se fosse pazzo.
< Oh andiamo Joe non ti sei mai preoccupato così per nessuno, nemmeno per Chelsea quando avevi davvero una cotta per lei! >
Non dissi niente, probabilmente perché semplicemente forse aveva ragione lui.
< No non può essere > dissi.
< E allora perché ti preoccupi per Demi? > chiese lui.
< Che cosa avresti fatto al mio posto? > chiesi provocatorio < Se avessi visto che Demi aveva due righe sul polso che sembravano tagli, avresti davvero lasciato correre? >
< Ma non sono tagli > rispose David.
< Appunto! > quel ragazzo era davvero un ingenuo, non capiva la gravità della situazione < Non se li è fatti da sola e non sono tagli. Quindi qualcuno l’ha picchiata! E ti giuro che se lo trovo... > non finì la frase.
David sorrise < Già, se lo trovi che fai Joe? >
Mi salii una rabbia indescrivibile, era stato il suo obiettivo sin dall’inizio. Mi aveva fatto quelle stupide domande per farmi innervosire ed arrivare a dire quello che pensavo.
< Ti odio! > esclamai.
< Si, anche tu sei il mio migliore amico > rispose lui.
Rimanemmo in silenzio per un po’.
< Devo chiederti solo un favore > mi sussurrò David < Non la fare soffrire >
Non risposi.
 
Alla fine del film, passai con David a prendere Chelsea.
Andammo alla festa. La casa di Robert era davvero gigantesca, ma con tutta quella gente, i festoni e la quantità di roba da bere, tutti alcolici ovviamente, spostarsi da una stanza all’altra era impossibile.
Persi subito di vista Chelsea, ma la cosa non mi rattristii nemmeno un po’, anzi.
Io e David dopo aver salutato tutti, raggiungemmo il tavolo delle bevande.
Presi un bicchiere e non mi curai nemmeno di chiedere che cosa ci fosse dentro, con un sorso lo bevvi tutto.
La musica era assordante e c’era davvero tantissima gente, la maggior parte dovevano essere imbucati perché non li avevo mai visti a scuola.
Dopo un po’ vidi due ragazze che si avvicinavano a noi, erano entrambe molto carine, una con i capelli nero corvini, sciolti sulle spalle, formavano delle onde perfette. L’altra aveva i capelli lunghi castani con delle sfumature rosse, ci avrei provato come con tutte le ragazze che conoscevo, ma non lo feci perché quella era la sorella del mio migliore amico e l’altra la sua migliore amica.
< Ciao ragazzi > ci salutò la ragazza dai capelli neri.
< Ciao Selena, ciao Miley > risposi distaccato, mentre David era diventato pallidissimo in faccia.
Mollai una gomitata a David, visto che rimaneva con la bocca aperta e con la faccia da scemo.
< Emm...C-ciao > balbettò lui.
Era incredibile come alla sola presenza di Selena, David si bloccasse in  quel modo.
Silenzio imbarazzante.
< David ti posso parlare? > chiese Selena.
Ancora nessuna risposta, altra gomitata da parte mia.
< Emm...O-ok > balbettò lui e la seguì.
Bè almeno non si è sentito male, pensai.
Presi un altro bicchiere di un'altra bevanda sconosciuta e lo bevvi.
Miley era rimasta ferma, probabilmente era venuta solo per fare da sostegno morale a Selena. Il problema era che quella sera avrebbe dovuto consolare la sua migliore amica, perché conoscendo bene David non avrebbe dato a Selena la risposta che lei desiderava.
< Allora... > iniziai.
< Allora > ripete Miley.
< Ti diverti? > chiesi.
Lei alzò gli occhi al cielo < Joe, ci stai provando con me? >
< Se fosse così che diresti? > chiesi.
< Che sono la sorella del tuo migliore amico e che mi disgusti! >
Risi < Non sei la prima che me lo dice > dissi, riferendomi a Demi.
Miley capii, anche se avevo sperato il contrario < Senti devo chiederti un favore...Demi ha già i suoi problemi, non le complicare ancora di più la vita >
Quasi mi strozzai con la bevanda < Tu cosa sai? > chiesi, lei di sicuro sapeva tutto.
< Niente che ti riguardi...ricorda solo questo: Demi ha già la vita abbastanza incasinata e uno come te è l’ultima cosa di cui ha bisogno >
Feci per ribattere, ma una ragazza attirò l’attenzione mia e di Miley.
Selena ci era appena sfrecciata davanti, grosse lacrime le rigavano il viso, tentava di nasconderle con le mani, ma il trucco le era colato sulle guance colorandole di nero.
David ci raggiunse.
< Complimenti fratellino! > disse sarcastica Miley.
David non disse nulla, abbassò lo sguardo.
< Vedi di stare alla larga da Selena per un po’ > disse Miley, appoggiando il bicchiere che aveva in mano < E tu da Demi > disse guardando me e fece per andarsene ma tornò a guardare il fratello < Ah, e non dire una parola di quello che sai > disse, spostando gli occhi su di me e di nuovo su di lui.
Se ne andò in cerca di Selena.
< David cos’è che non mi devi dire? > chiesi.
< Niente > disse.
Rimasi in silenzio per elaborare un idea plausibile, poi arrivò. Miley sapeva tutto riguardo a Demi, mi aveva detto di strale lontano e poi aveva guardato David.
< David, cosa sai su Demi? > chiesi.
< Non hai sentito mia sorella? Non te lo posso dire > rispose.
< David per favore! > protestai.
< No, Joe! > urlò lui < Senti non puoi capire! >
Era la prima volta che mi parlava in quel modo, era preoccupato e sembrava quasi che gli facesse male ricordare. Pensai che per lui doveva essere terribile: Miley, Selena e Demi erano le persone con cui era cresciuto e ora le doveva ignorare così, solo per la reputazione. Iniziai a capire quanto stupida e insensata era la vita che facevamo.
Uscimmo dalla casa per non farci sentire, fuori pioveva ancora, la luna era alta nel cielo e i lampioni erano accesi e davano un’atmosfera quasi spettrale.
< Prova a spiegarmelo! > protestai ancora.
Scosse la testa < No, tu non te lo immagini nemmeno. È una cosa troppo grossa, Joe. E non te la posso dire, mi dispiace >
< David tu hai sempre saputo tutto e non me l’hai mai detto! Sai quanto mi preoccupa questa storia?! > dissi quasi urlando, non riuscivo a credere a quello che avevo appena detto.
< Lo so, Joe > mi rispose < Ma sapere le cose non cambierebbe niente, potrebbe peggiorare solo la situazione >
< Ma non capisci? Non voglio fare del male a Demi! Io la voglio aiutarla! >
< È proprio per questo che non posso dirti la verità, perché comunque non la potresti aiutarla, nessuno può > mi disse con la voce spezzata.
< C’è sempre un modo per aiutare qualcuno > protestai.
< No, Joe > sospirò David < Non in questo caso, non se Demi non vuole aiuto >
< David, ti prego > chiesi per l’ultima volta.
< No, Joe. Mi dispiace >
Annuì, la pioggia che continuava a bagnarmi. Non sarei riuscito a sapere niente da lui.
< Com’è andata con Selena? > chiesi.
David sospirò < Le ho detto che non provo niente per lei >
Era distrutto lo si vedeva benissimo da quella bugia così grande che lo devastava, era innamorato di lei dalla prima volta che si erano conosciuti e i sentimenti non erano mai cambiati nel corso degli anni, ma ora per la sua reputazione aveva detto addio alla persona più importante della sua vita.
< Mi dispiace David > dissi.
< Anche a me > rispose < Senti non mi va di restare. Ci vediamo lunedì, ok? >
< Si, va bene > risposi.
E si allontanò nel buio della notte, la luna che evidenziava i contorni del suo corpo.
Feci un ultimo sospiro, entrai e pensai che probabilmente se mi fossi ubriacato e se avessi trovato un posto per me e Chelsea non mi sarei depresso del tutto.
Ma non potevo immaginare che presto la mia vita sarebbe cambiata completamente, nel bene e nel male.



Grazie mille a quelle povere tapine che continuano a sopportarmi e che continuano a leggere e commentare le mie storie! Grazie mille, davvero :D Allora le cose si stanno intesificando e stiamo entrando nel bello della storia, il prossimo capitolo vi farà impazzire lo so...e quello dopo....bè quello dopo sarà il delirio! Continuate a recensire, vi voglio bene e grazie ancora per tutto!
Un bacione, Sonnyx94.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Cap.12: Monetina Portafortuna ***


Capitolo 12: "Monetina Portafortuna"

 

Demi POV
 
Le settimane passarono uguali, ripetitive e noiose, mi sentivo così in prigione nella mia vita.
Come se mi avessero condannato a vita. Una condanna a morte. Che ogni giorno si ripeteva.
Il mese di settembre passò così. Il ritorno a scuola non era stato poi così tanto drastico, escludendo: Joe, mio padre, i lividi sul braccio e Selena distrutta per David.
Ok, forse non era stato un mese particolarmente facile, ma ne avevo viste di peggiori dopotutto.
I rapporti con i miei compagni erano paragonabili a quelli dell’anno scorso, anche qui escludendo Chelsea.
Ormai ci avevo rinunciato, lei era accecata dalla popolarità come tutti i suoi amici e non capiva che il suo posto nelle scuola non mi interessava.
Ma ovviamente il destino non giocava mai dalla mia parte.
 Per avere dei crediti in più oltre che a fare ripetizione a Joe, che per la precisione: era un caso perso in matematica; la professoressa di educazione fisica mi aveva chiesto se potevo fare i provini per entrare nella squadra di pallavolo femminile.
Ero stata la più brava di tutte ed ero diventata anche il capitano, cosa che fece tanto piacere a Joe, per rendermi la vita un inferno visto che gli allenamenti di calcio erano insieme a quelli di pallavolo, tanto quanto fece imbestialire Chelsea dato che in poco tempo io e la mia squadra avevamo portato la scuola tra le prime in classifica e tutti i  nostri compagni si curavano più dell’andamento della partita e non più di allungare gli occhi nel caso una delle gonne delle cheerleader si fosse alzata un po’ troppo.
Ottobre arrivò in un soffio di vento e le giornate a Manhattan abbandonarono il loro calore, lasciando posto al freddo dell’autunno e alle nuvolette di vapore che uscivano dalle labbra dei passanti.
E con ottobre arrivò il giorno della visita. Presi l’aereo per la California.
Ora, penserete tutti che non sono molto normale, insomma a New York ci sono un miliardo di ospedali e dottori per fare una visita, perché andare dall’altra parte del paese?
Le risposte sono due.
La prima: è un modo per allontanarmi da Manhattan e tornare finalmente a casa, anche se quando arrivo lì sento sempre la mancanza di New York.
La seconda: posso rivedere la persona che amo di più a questo mondo!
Uscita dall’aereo porto, mi investii subito un’ondata di vento caldo e il sole mi riscaldò la pelle.
In California l’inverno non esisteva.
Nel parcheggio, vidi una macchina molto famigliare, era un po’ malandata e vecchiotta, il grigio che una volta era brillante adesso era opaco e sulla fiancata si vedeva qualche segno di tamponamento.
Appoggiato alla portiera, un bellissimo ragazzo mi sorrideva. Portava gli occhiali da sole, che nascondevano due occhi blu come il mare in cui riuscivo sempre a trovare conforto. Alto, capelli castani e lisci che si ribellavano al soffio del vento.
Sorrisi e gli corsi in contro, lui mi abbracciò e mi sollevò da terra.
< Tesoro! > mi salutò mentre ancora mi teneva stretta.
< Zac! > lo salutai a mia volta, ricambiando l’abbraccio.
< Come stai sorellina? >
< Adesso benissimo! > risposi.
Lui si mise a ridere, una risata dolce e calda, che da tempo non sentivo più.
Salimmo sulla sua macchina e mi portò al nostro solito posto. Un piccolo bar nel centro.
Ci sedemmo e pranzammo insieme. Ridemmo, scherzammo e mi sfogai, gli raccontai di tutto quello che mi era successo in quel periodo, delle mie paure e lui rimase ad ascoltarmi, come faceva sempre.
< Senti come va con l’orfanotrofio? > chiesi.
Avevo vissuto da mia zia fino all’età di sei anni, insieme a Zac. Aveva una piccola villa sull’oceano ed era la direttrice di un piccolo orfanotrofio sulla costa di Los Angeles. Quindi ero cresciuta in mezzo a bambini senza famiglia come me, la mia famiglia erano loro, mia zia e Zac.
Ero felice, non mi serviva altro. Poi mia zia era morta, io e mio fratello eravamo tornati a New York da mio padre. Lui non era così dispiaciuto di rivedere Zac, mentre con me non fu la stessa cosa. Penso che se non fosse stato per il fatto che mio padre mi trattasse male, lui e mio fratello avrebbero anche potuto andare d’accordo.
Ma la vita era impossibile, Zac voleva rinunciare a tornare in California, per andare all’università, per me. Glielo impedii, sapevo che mi sarebbe mancato e che probabilmente lui non si sarebbe mai perdonato di avermi lasciata da sola con mio padre, senza la sua protezione avrei rischiato, ma non volevo distruggere tutti i suoi sogni. Preferivo essere picchiata da mio padre.
La zia aveva lasciato tutto in eredità a me e a mio fratello, ma visto che nessuno di noi due era ancora maggiorenne alla sua morte, era tutto finito nelle mani di mio padre, che lo aveva venduto a un uomo d’affari del posto.
< Demi... > abbassò la testa e sospirò < Lo vogliono demolire >
Quelle parole mi arrivarono come un colpo nello stomaco, come se qualcuno mi stesse accoltellando.
< Cosa? > chiesi incredula, tutti i miei ricordi, tutto il mio passato. Ciò che ero, quello che mi aveva portato qui.
 Il mio sogno. Il sogno che un giorno sarei tornata qui e avrei riaperto l’orfanotrofio di mia zia.
Stava per essere demolito.
< Purtroppo è così > rispose malinconico mio fratello.
Sospirai al pensiero che quello non era stato il mio sogno, ma il nostro.
< E non possiamo fare niente? > chiesi.
< Non lo so > rispose < Forse si potrebbe cercare un avvocato o qualcosa del genere...Ma non servirebbe comunque, sai anche tu che l’unico modo per salvare l’orfanotrofio è comprarlo >
Annui, sperando che forse una soluzione l’avremmo trovata.
< Allora come va l’università? > chiesi per cambiare argomento.
< Oh si bene > rispose e sorrise.
< A che pensi? > chiesi.
< Eh? >
< Hai sorriso, quindi hai pensato a qualcosa di bello >
< O qualcuno > mi corresse lui, anche se penso che non volesse farsi sentire.
< Oh dio! > urlai < Zac! Una ragazza? >
Scoppiò a ridere < Ma perché non riesco a tenerti nascosto niente? >
< Perché sono tua sorella, ovviamente >
< Ah, bella cosa! >
Gli diedi una botta sulla spalla.
< Mi sei mancata > mi disse avvolgendomi le spalle con un braccio.
< Anche tu > risposi appoggiando la testa alla sua spalla.
Rimanemmo così, senza muoverci o parlare, ascoltando solo il respiro dell’altro.
Poi quel momento venne interrotto dal cellulare di Zac che si mise a suonare.
< Demi, scusa ma ho un corso all’università adesso > mi disse, mentre pagava il conto.
< Non ti preoccupare, tanto adesso devo andare alla visita > dissi.
< Vuoi un passaggio? >
< Grazie >
Mi portò all’ospedale e passò tutto il tempo a chiedermi scusa, perché non sarebbe potuto rimanere con me, alla fine lo cacciai via promettendogli che l’avrei chiamato appena finita la visita.
L’ospedale non era cambiato, sempre i soliti medici con i loro camici bianchi da fantasma e la solita infermiera che durante i turni di notte della mia permanenza aveva russato rumorosamente, non facendomi chiudere occhio.
La visita andò bene, la meningite era stata sconfitta del tutto.
Avevo ancora tutto il pomeriggio davanti, così presi la metropolitana e andai nel posto dove da tempo non tornavo più.
Andai nella chiesa dove si era svolto il funerale di mia madre.
Entrai, era davvero piccola, due file di panche e l’altare pieno di fiori.
Bellissima.
Mi sedetti in una delle panche in fondo.
Chiusi gli occhi.
Non credevo. Non avevo mai avuto fede, perché come potevo credere in un dio che lasciava succedere tutte le cose brutte nel mondo?
Odio, guerra, morte.
Come poteva permettere ad una figlia di essere la responsabile della morte di sua madre?
Ma mia madre credeva e quel posto era l’unico in cui la sentissi davvero vicina. Da bambina amavo sedermi tra le panche, quando non c’era la messa e immaginare mia madre che nelle domeniche si recava con la sua famiglia in quel posto. Il posto che l’aveva vista sorridere, nell’incontrate gente della città. Piangere, nei giorni in cui aveva perso un famigliare.
Perché tutti avevano trascorso così tanto tempo con lei mentre io non ero riuscita a godermi nemmeno un secondo?
Perché non avevo potuto respirare l’odore dei suoi capelli, perché non avevo potuto sentire il suono della sua voce?
 E perché ero così dannatamente simile a lei se non l’avevo mai vista?
Decisi di uscire, non ce la facevo a rimanere in quel posto.
Feci pochi passi dall’uscita della chiesa.
Abbassai lo sguardo a terra e trovai una monetina.
Mi chinai per raccoglierla, era rivolta con la croce verso l’altro.
Non avevo fede e non credevo nel destino. Ma credevo nella fortuna.
La girai e misi il lato della testa verso l’alto.
Sorrisi.
< Lo sai che sei davvero strana? > disse una voce, mentre rideva.
Una figura mi fece ombra, alzai lo sguardo.
< Se non è testa non porta fortuna > dissi alzandomi.
< Si ma così non inganni la tua fortuna? > mi chiese.
Aveva un senso < Però può portare fortuna a qualcun altro > suggerì.
Joe mi sorrise, si chinò, raccolse la monetina e la fece saltare sulla mano < Oh guarda una monetina portafortuna! >
 
Joe POV

Si era appena levato un venticello leggero sulla California.
Caldo e sereno, non freddo e duro come quello di New York.
Era il vento che proveniva dalla costa vicino alla zona periferica di una cittadina al confine con Los Angeles.
La cittadina in cui avevo incontrato la persona più improbabile del mondo.
< Guarda che così non vale! > esclamò Demi indicando la monetina che avevo in mano.
< Perché tu puoi giocare con la fortuna e io no? > chiesi.
< Io non gioco con la fortuna > mi rispose secca.
Sorrisi < Allora che ci fai a Los Angeles? Ti sei persa? > chiesi per prenderla in giro.
Mi lanciò un occhiataccia e disse < Potrei farti la stessa domanda >
< Giusto > commentai < Allora che ne dici se ci raccontiamo tutto mentre ti offro qualcosa da bere? >
Mi guardò incerta.
< Oh andiamo che problema c’è? > chiesi < Conosco un  posto vicino sulla spiaggia a pochi minuti da qui >
Ci pensò un po’ su, poi si arrese < Va bene >
Sorrisi < Perfetto! >
Le indicai la mia macchina che avevo lasciato nel parcheggio vicino alla chiesa.
Lei rimase stupita < Ma hai affittato una macchina? > mi chiese.
< No, è la mia > risposi.
< Hai viaggiato da New York fino a qui in macchina? > chiese lei senza parole.
< Ma non ti sei accorta che venerdì a scuola non c’ero? > le chiesi a mia volta.
Venerdì non ero andato a scuola, ero partito all’alba del venerdì per arrivare solo quella mattina in California.
Sembrava da pazzi lo so, ma a me piaceva viaggiare.
< Non ci ho fatto caso > rispose lei.
Mi misi una mano sul cuore < Così ferisci i miei sentimenti! > dissi scherzando.
< Oh piantala > mi schernii lei.
Sorrisi e raggiungemmo la mia macchina, lei aprii la portiera e come se si fosse dimenticata di un dettaglio essenziale mi disse < Questo non vale come appuntamento! >
Scoppiai a ridere < Come desidera my lady >
Salimmo in macchina e la portai nel posto che più preferivo al mondo.
Era un piccolo bar sulla spiaggia più piccola e meno affollata di Los Angeles.
Il bar, come la spiaggia, era deserto.
La brezza dell’inverno si faceva sentire più forte, anche se era piacevole.
Ci accomodammo a un tavolino messo sulla terrazza del locale, ordinammo due milkshake al cioccolato.
< Allora come mai sei qui? > mi chiese Demi.
< Non vale te l’ho chiesto prima io > dissi.
Lei sospirò, probabilmente stava pensando a quanto infantile fosse il mio comportamento.
< Sono venuta qui perché dovevo fare... > si bloccò di colpo, come se avesse parlato troppo presto, dicendo una cosa che non voleva dire < Dovevo fare visita a mio fratello >
Capii che non era tutta la verità, ma decisi di lasciare correre.
Probabilmente David aveva ragione.
< Tuo fratello vive qui? > chiesi, sperando in qualche informazione su di lei.
< Sì, cioè frequenta qui l’università > mi disse un po’ impacciata < Sai abbiamo casa qui, una volta ci vivevo >
< Oh > dissi, qualcosa stava venendo fuori finalmente < E cosa ti ha portato a New York? >
Probabilmente fu la domanda sbagliata, perché mi chiese < Ma adesso non è il mio turno di farti domande? >
< Giusto > conclusi < Chiedi pure >
< Che ci fai qui? >
< Bè ecco...sono venuto per dare un’occhiata alla Berkeley >
A Demi andò di traverso il milkshake.
< Mi prendi in giro? > chiese incredula.
< No, perché? >
< È la più prestigiosa scuola di musica della California! >
< Lo so > risposi.
< E allora che ci facevi lì? >
< Si da il caso che io suoni > dissi. Avevo deciso di provare a prendere in considerazione un’università di musica, probabilmente mio padre non avrebbe mai accettato. Ma insomma il futuro era il mio e anche se non avessi potuto andare all’accademia di musica, volevo provare la sensazione di vederne almeno una.
Demi fece una risatina < Scusa > disse.
< Perché ridi? > chiesi.
< Non pensavo che un calciatore potesse interessarsi di musica >
< In realtà sarebbe più corretto dire che non pensavi che un musicista si interessasse di calcio > la corressi.
< Che vuoi dire con questo? > mi chiese.
Sospirai guardando le onde che si infrangevano contro la spiaggia, formando della schiuma bianca.
< Che gioco a calcio e non posso fare musica > dissi.
< Non mi dire che è per la tua immagine? > mi chiese e io non risposi.
Demi scosse la testa e guardò anche lei in direzione del mare < Sai Joe tutti a scuola vi invidiano, ma non sanno chi o cosa siete veramente. Il problema è che non lo sapete nemmeno voi >
La guardai confuso e lei continuò < Joe pensaci su. Secondo te quando la scuola  sarà finita a chi credi importerà di chi eravamo o con chi uscivamo al liceo? >
< Ma importa adesso > risposi.
< Ne sei così sicuro? > chiese < Davvero pensi che sia la cosa più importante? >
Feci per aprire bocca, ma non mi uscii nessuna parola.
Aveva ragione, stavo cercando un motivo valido per dire che fosse la cosa più importante, ma non ne trovai nemmeno uno.
< Visto? > disse.
< Demi non puoi capire > dissi.
< Si Joe capisco > mi disse < Lo sai quante volte ho avuto l’opportunità di essere una di voi? Gli anni scorsi ero una delle ragazze più stimate della scuola, ma io non sono come Chelsea e le sue damigelle. Le persone mi rispettano perché le tratto tutte nello stesso modo, senza fare differenza >
I nostri sguardi si incrociarono, mi immersi nel suo mondo senza però capirlo del tutto.
Sentivo che mancava un pezzo significativo per capirla a fondo, ma probabilmente quel pezzo di lei non lo avrei mai conosciuto.
< Sei la prima persona che incontro che dice di non voler essere popolare > le dissi.
Sorrise < Probabilmente perché non voglio avere favoritismi per la posizione sociale che ha mio padre >
< Cosa fa tuo padre? > chiesi, era una domanda sciocca, sapevo benissimo cosa faceva suo padre.
Demi rimase immobile alla mia domanda, come se le fosse venuto in mente qualcosa di orribile.
< È proprietario di alcune aziende di New York > disse < Ho saputo che tuo padre... >
< È il suo rivale in affari, lo so > dissi, facendomi sgamare in pieno.
< Allora sapevi che lavoro faceva > mi disse.
Le sorrisi e lei ricambiò.
Era la prima volta che riuscivamo ad avere una conversazione senza insultarci.
< Lo sai che io e te non dovremmo essere amici?> mi disse.
< Ma noi non siamo amici. Giusto? > le chiesi.
< Già > rispose, mettendosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, mentre la sua chioma danzava per il vento.
< E poi io adoro infrangere le regole > dissi.
E presto mi sarei reso conto che stavo entrando in qualcosa più grande di me, che sarei caduto insieme a Demi.  E che io e lei non avremmo mai potuto essere amici. 
 
 
Demi POV

Joe per farsi perdonare di avermi fatto perdere l’aereo offrii un passaggio a casa.
Controvoglia accettai, non ero esattamente entusiasta di attraversare tutto il paese in macchina, ma non avevo scelta visto che a quell’ora di biglietti non se ne trovavano.
Andammo a cena sempre nel bar sulla spiaggia.
Prima di partire Joe aveva parcheggiato la macchina direttamente sulla spiaggia, aveva steso una coperta sul cofano della sua macchina e si era sdraiato per guardare le stelle.
Il buio era ormai assoluto, solo qualche luce di lampioni in lontananza, l’oceano era diventato un tutt’uno con il cielo nero. L’unica luce sulla spiaggia derivava dalle stelle e dalla luna piena alta nel cielo.
Mi sdraiai al fianco di Joe sul cofano.
< Wao > dissi, era davvero bellissimo, a New York cieli così non si vedevano mai, per la troppa luce della città e i troppi aerei.
< Già > disse Joe.
< Sai quando vedo cose come queste mi viene da pensare... > dissi.
< Pensare a cosa? > mi chiese.
< Non so, a tutto, a niente > risposi < Ma ogni volta che vedo così tante stelle mi si creano e mi si abbattono le certezze >
< Tu credi? > mi chiese.
Mi girai a guardarlo < Credo in cosa? > chiesi.
Mi guardò anche lui < Credi in Dio e in tutto il resto? >
Sospirai e tornai a guardare il cielo < Penso che a questa domanda non ci sia risposta > dissi < Che probabilmente l’uomo ha bisogno di una spiegazione per tutto, che gli viene più facile dare la colpa di tutto quello che succede a un qualcosa di superiore a lui>
< Quindi non credi? >
< Non credo che tutto quello che ci succede sia la volontà di qualcun’altro > risposi.
< E allora che ci facevi in quella chiesa? Se posso chiedertelo >
Lo guardai un  attimo, pensai se fosse il caso di dirgli la verità, ma poi mi ricordai che tutti sapevano di mia madre.
< Mia madre è morta dandomi alla luce > dissi < Quella chiesa è il luogo dove si è svolto il suo funerale. Ecco perché ero lì >
< Mi dispiace > disse Joe.
< Non esserlo > dissi < Non serve >
< Demi, ti puoi fidare di me > mi mise la sua mano sulla mia, accettai quel contatto per qualche secondo poi levai la mano.
Non ne ero del tutto sicura.
< Allora in che cosa credi? > mi chiese.
< Non lo so > dissi < Credo...Nelle persone e, a volte, che alcune siano buone>
Mi sorrise.
< E tu mister popolarità barra cantante, in cosa credi? >
< Sinceramente non lo so, a volte la penso come te, mentre altre penso che a volte è bello non sentirsi soli >
< Ma non si è mai soli > gli dissi.
I nostri sguardi rimasero incrociati per un lungo momento.
< Forse è meglio andare > disse Joe, saltando giù dal cofano della macchina, offrendomi una mano.
L’afferrai e saltai a mia volta giù dal cofano.
Ma come al solito mi dimostrai per l’imbranata che ero. Persi l’equilibrio per un secondo. Uno di troppo.
Joe mi afferrò per la vita, evitandomi una rovinosa caduta a terra.
< Tutto ok? > mi chiese.
< Si grazie > riposi e alzai lo sguardo verso di lui.
Mi ritrovai troppo vicina al suo viso, i nostri respiri erano diventati uno solo.
I battiti dei nostri cuori erano sincronizzati ed entrambi correvano all’impazzata. Era una posizione alquanto strana per due come noi.
Lui mi teneva entrambe le braccia avvolte alla vita e io entrambe le braccia attorno al suo collo.
Normalmente mi sarei subito allontanata. Sarebbe stata la cosa più sensata da fare. Ma quella giornata non era stata sensata e questo momento non lo poteva essere.
Poi una luce interruppe quello che stava per essere l’errore più grosso della mia vita e che avrei commesso in futuro.
La luce proveniva dai fari di una macchina. I vigili urbani.
Io e Joe ci separammo velocissimi.
Un vigile scese dalla macchina e venne verso di noi.
< Buona sera, signore > disse Joe tranquillo.
< Ragazzo non puoi parcheggiare sulla spiaggia > lo sgridò l’atro.
< Mi scusi, ce ne andiamo subito > rispose Joe.
< Va bene, per questa volta la passate liscia ma la prossima volta vi faccio la multa >
< Grazie signore > rispose Joe.
Salimmo velocemente sulla macchina.
Chiusi la portiera e non potei fare a meno di scoppiare a ridere.
< Piantala! > mi disse Joe mettendo in moto.
Ma non riuscivo a smetterla < Scusa ma sei stato troppo ridicolo! >
Lui rise sarcasticamente < Bè guarda il lato positivo abbiamo conosciuto un vigile di Los Angeles! >
< Oh si questo è sicuro >
Così Joe prese l’autostrada che ci portava al confine del paese.
E salutai la mia casa per tornare all’altra.
 
 
Joe POV

Non ci riuscivo, per quanto cercassi di tenere gli occhi incollati sulla strada, ogni secondo dovevo spostare lo sguardo per guardare Demi. Era così bella mentre ancora rideva per la figuaraccia che avevamo fatto con i vigili.
< Che c’è? > mi chiese, quando si accorse del mio sguardo.
< Niente. È che forse...Non sei così male come pensavo > le dissi.
Sorrise e si girò verso di me < Lo devo prendere come un complimento? >
Feci finta di pensarci su < Se ti ha fatto piacere, sì > e sorrisi anche io.
< Bè allora grazie > mi disse.
Ci mettemmo praticamente tutta la notte ad arrivare a casa, ma visto il fuso orario, partimmo di notte ed arrivammo la notte a New York.
Accompagnai Demi con la macchina fin sotto casa.
< Grazie per il passaggio, Joe > mi ringraziò lei.
< Non c’è di che, ma avrà un  prezzo questo passaggio, non pensare di passarla liscia > le dissi.
Fuori faceva freddo e lei non aveva nemmeno la giacca.
< Scusa ma non ti sei portata niente di pesante? > le chiesi.
< Sai com’è, pensavo di tornare in giornata e che non ce ne sarebbe stato bisogno > mi rispose Demi.
Mi girai verso il sedile posteriore e presi il mio giubbotto.
< Tieni > le dissi e glielo porsi.
< Non è il caso Joe >
< Non voglio che ti ammali, altrimenti chi assillo durante matematica domani? > e le misi il giubbotto in mano.
< Bè allora grazie ancora > mi disse, infilandosi il mio giubbotto e uscendo dalla macchina.
Abbassai il finestrino < Ah e comunque questo valeva come appuntamento! > le dissi.
< Ahah > rise Demi < Povero illuso >
< Buona notte signorina > la salutai.
< Notte Joe > mi salutò a sua volta, sparendo dietro il portone del grattacielo.
Rimasi fermo per un momento a ripensare a quello che era successo quel giorno, non mi sentivo così da tanto.
E non era una cosa positiva, perché nonostante ce la mettessi tutta mi veniva così impossibile starle lontano?
Ma qualcosa mi diceva che io e lei eravamo uniti da qualcosa.
Qualcosa più grande di noi.
E che avremmo dovuto affrontare insieme.
Per il momento preferii non farci caso, ripartii e  mi diressi verso casa.
Ma la cosa che volevo ignorare mi stava perseguitando e mi avrebbe colto di sorpresa, prima di quanto mi aspettassi.
Si dice che ci siano legami, così forti da sopravvivere alla malattia del tempo.
Legami che riecheggiano nelle ere.
Tenuti uniti da una cosa talmente semplice che non ha definizione e talmente complessa che non esiste.
Il destino.

ehi! Scusate l'enorme ritardo ma la causa è sempre la scuola che mi porta davvero via tantissimo tempo. Mi dispiace, mi piacerebbe poter postare con più frequenza ma ho davvero poco tempo per scrivere e a volte non trovo nemmeno il tempo per venire sul sito pubblicare i capitoli, ma sapete com'è il dovere chiama! Comuqnue...per farmi perdonare ho pubblicato due capitoli insieme, spero vi faccia piacere! Se questo vi è piaciuto allora il prossimo vi farà impazzire letteralmente :D Che altro dire spero commentiate in mote!
Un bacione e come sempre grazie di cuore a tutte quelle che recensiscono sempre!
Sonny

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Cap.13: Ora Lo Sai ***


Capitolo 13: "Ora Lo Sai"


POV Demi

Mi svegliai e fortunatamente era ancora tutto buio.
La sera ero andata a dormire senza nemmeno cambiarmi, mi ero semplicemente buttata sul letto.  Stravolta.
Sentii nell’aria un profumo gradevole e dolce, poi mi resi conto di avere ancora indosso la giacca di Joe, da lei proveniva quel profumo. Avvicinai una manica al viso, per potere sentire meglio l'odore. Si, non c’erano dubbi proveniva proprio da lì quella fragranza.
Il che mi fece ricordare che quello che era successo il giorno prima era reale, avevo trascorso una giornata intera con Joe. Senza litigi, anzi ero riuscita a cambiare leggermente l’opinione che avevo di lui.
Forse e dico forse, non era poi un caso così perso.
Mi voltai verso la sveglia, sarebbe suonata a minuti.  Un’altra settimana stava incominciando.
Spensi la sveglia prima che potesse suonare, levai il giubbotto di Joe, perché avevo fin troppo caldo e il fatto che il suo profumo avesse attirato così tanto la mia attenzione non mi andava bene. Anche se in realtà cercavo di nascondere a me stessa il fatto che ero contenta di aver passato una giornata con lui.
Ma la mia attenzione si spostò presto su un’altra cosa, molto più grave. Andai in bagno e vidi, mio malgrado, il mio riflesso: avevo i capelli scompigliati, le occhiaie ma questo era niente a che vedere con ciò che avevo sul collo, un altro livido.
Ricordai con orrore come me l’ero procurato.
La sera prima, dopo aver salutato Joe, entrando in casa avevo trovato mio padre. Era ubriaco e Dorota non c’era perché veniva da noi solo durante il giorno.
Mio padre mi aveva urlato contro, chiedendomi dove fossi stata per tutto il giorno. Come se gliene fosse importato qualche cosa, non sapeva nemmeno della mia visita. E come al solito avevo dato la risposta sbagliata, gli avevo detto di farsi gli affari suoi e lui come risposta, mi aveva rifilato una sberla secca sul viso, facendomi cadere e sbattere il collo contro la rampa delle scale che portava al piano di sopra.
Il segno della sberla non si vedeva ma di certo non avevo speranze di nascondere il livido nero che ora occupava un quarto del mio collo.
Così tornai a letto, mi coprii con le coperte fin sotto il mento e con un po’ di suppliche riuscii a convincere Dorota a lasciarmi a casa.
Mio padre ovviamente era già uscito per andare a lavoro.
Così avvisai le mie amiche che non sarei venuta a scuola, dicendo di non preoccuparsi che non era niente di grave. Ma sapevo benissimo che loro avrebbero capito visto che andavo a scuola anche con la febbre, doveva essere per forza qualcosa di grave. Anche se probabilmente preferirono lasciare correre.
Mandai un e-mail a Zac, dicendogli che la visita era andata bene e che speravo di tornare presto in California.
Verso le 3 del pomeriggio ricevetti una chiamata da un numero sconosciuto, all’inizio tentennai ma poi decisi di rispondere.
< Pronto? > chiesi.
< Buongiorno, si è ripresa da ieri sera? > mi chiese la persona dall’altra parte del telefono.
< Joe?! > chiesi sbigottita.
< Il solo e unico > mi rispose ridendo.
< Come hai fatto ad avere il mio numero? > chiesi.
< Ho le mie fonti > mi rispose ma poi aggiunse < Ok. Lo ammetto, l’ho rubato a David >
< Bell’amico > lo rimproverai.
< Grazie. Ma tornando a noi, come mai non sei venuta oggi? >
< Emmm > esitai, mentre cercavo una scusa credibile < Non stavo molto bene >
< Ah, ok > disse lui. Non lo avevo convinto, ne ero certa.
< Senti va bene se passo da te tra poco? > mi chiese.
< E perché dovresti? > gli chiesi presa alla sprovvista.
< Perché quella di matematica mi ha detto che devo portarti i compiti > mi disse, intuii dal suo tono che non ne aveva una gran voglia.
< Joe se è un problema per te posso farmi dare i compiti da qualcun altro, non c’è problema davvero > gli dissi.
< Non ti preoccupare, non è un problema > mi rispose < Tanto devo passare da quelle parti e poi devo riprendermi il mio giubbotto! >
Feci una risata < Allora ci vediamo dopo > gli dissi.
< Ciao Demi > mi salutò e chiuse la chiamata.
Mettendo via il cellulare mi resi conto di avere fatto la cosa più stupida della mia vita. Come avrei nascosto il livido?
Non ci potevo credere, se Joe lo avesse visto sarei andata a finire in un casino assurdo!
Era la seconda volta che rischiavo con lui e se lo avesse visto, avrebbe di sicuro voluto una spiegazione.
Così tentai con il trucco, ma niente da fare. Mi maledissi per non avere una maglia a dolcevita, odiavo quelle maglie che ti salivano fin sotto il mento, mi sentivo soffocare e per di più mi facevano il mio doppio mento. Ma in quel momento avrei dato oro per averne una!
Così mi tirai i capelli sulle spalle e pregai perché non scoprissero mai il mio collo.
Mezz’ora dopo, Dorota mi chiamò < Signorina Lovato c’è qualcuno per lei! >
< Fallo salire! > le urlai in risposta e pochi secondi dopo Joe bussò alla porta di camera mia.
< Woaw la tua casa è una reggia! > esordì lui entrando.
< Grazie > risposi ma senza troppo entusiasmo.
< Ti tratteranno come una principessa... > concluse.
< Rinchiusa in un castello > sussurrai ma lui mi sentii.
< Come? > mi chiese.
< Niente > tagliai corto < Allora, portato i compiti? >
< Certo! Eccoli qui > così gli indicai la scrivania e ci accomodammo.
Finimmo di fare i compiti verso le sei e mezza, così gli offrii da bere e scendemmo in cucina. Mi sedetti sul bancone e, distrattamente, per il caldo spostai i capelli sulla schiena.
Joe diventò subito pallido e trattenne il respiro per mezzo secondo.
Capendo quello che avevo appena fatto e intuendo i suoi pensieri, riportai subito i capelli sulle spalle, ma ormai il danno era fatto.
< Demi? > mi chiese.
< Lascia stare > tagliai corto.
< Che ti sei fatta? >
< Forse è meglio se vai a casa Joe >

< Mi dispiace... >
Ma non gli bastò. < Quando mi dirai la verità? >
Capii che ormai non potevo più mentirgli, ma non mi sentivo pronta per rivelargli tutto < Quando mi fiderò di te > gli dissi.
< Ti puoi fidare, te l’ho detto un milione di volte, sono qui per aiutarti >
< Ascolta Joe, non è così semplice... >
< E’ semplice Demi, sei tu che lo rendi difficile! >
< No, non lo è Joe! Non siamo in quei stupidi film dove c’è la ragazza in pericolo che ha bisogno di aiuto e tu sei l’eroe che la salverà. > dissi < Tu non puoi salvarmi > e scandii bene quest’ultima frase.
< Lasciami provare > mi rispose, avvicinandosi.
< Perché vuoi assolutamente sapere la verità su di me? > gli chiesi, fissandolo dritto negli occhi.
< Perché ti voglio salvare! > disse lui esasperato.
< Non voglio essere salvata! > ribadii.
< Perché? Dimmi perché? Demi rischi di farti male sul serio! > e indicò il mio collo.
< Non mi importa >
< A me importa! > disse quasi urlando e poi zittendosi all’improvviso, probabilmente si era stupito di quello che aveva appena detto.
E non era il solo.
Sospirai < Grazie Joe > gli dissi < Ma non vedo come tu possa aiutarmi >
E probabilmente si arrese, capendo che non gli avrei rivelato tutto finché non ne sarei stata sicura.
Guardò l’orologio. < Adesso dovrei andare > disse, dirigendosi verso la porta della cucina ma si voltò prima di sparire < Comunque, se mai avessi bisogno di aiuto, quando vuoi, hai il mio numero. Mandami un messaggio con tre asterischi se ti senti in pericolo, sarà il nostro messaggio segreto. Va bene? >
Non riuscivo a capire come questo potesse essermi utile, ma forse avevo davvero bisogno di aiuto.
< Grazie Joe >
< Figurati > e se ne andò.
Non so se Joe lo avesse predetto o se fosse stata solo una coincidenza e nemmeno se fosse stato per colpa di quel destino già scritto a cui non credevo. Fatto sta che quella sera, quando mio padre tornò a casa dal lavoro, successe una cosa che avrebbe cambiato il punto di vista mio e di Joe.
Mio padre chiuse con forza la porta di casa, Dorota era scesa a portare la spazzatura, eravamo solo io e lui.
< Papà? > gli chiesi iniziando a preoccuparmi.
Mi guardò con gli occhi blu iniettati di sangue, le pupille dilatate.
Mio padre si mise ad urlare cose senza senso e ruppe un vaso vicino all’entrata.
< Papà ti sei drogato?! > urlai spaventata, capendo tutto.
Ma prima che le cose peggiorassero riuscii a fare un’ultima cosa, non so perché la feci o perché tra tante persone che mi avevano offerto il loro auto scelsi quella.
Prima che mio padre potesse raggiungermi, afferrai il cellulare e composi un messaggio.
E lo inviai.
 
POV Joe

Stavo camminando in mezzo al traffico delle sei di sera di New York.
Era già quasi buio, un po’ rimpiangevo l’estate perché potevi stare fuori fino alle nove di sera e il cielo era ancora chiaro. L’inverno è triste e freddo, riesci a vedere solo il lato negativo delle cose e di certo i grattacieli grigi di New York non aiutano.
Distrattamente, mentre aspettavo che il semaforo diventasse verde, un bambino al mio fianco, mi prese per la giacca. Mi mostrò una ciglia appoggiata sul suo dito e mi chiese < Esprimi un desiderio? >
< Tesoro, non disturbare questo ragazzino > gli disse la madre.
< No, non fa niente > dissi e mi chinai per guardare il bambino negli occhi.
Con una cosa semplice come quella potevi rendere felice un bambino, perché non poteva funzionare anche per gli adulti?
Premetti l’indice su quello del bambino, ed espressi il mio desiderio.
Vorrei poter aiutare Demi.
Il semaforo scattò e la madre portò via il bambino senza darmi la possibilità di sapere quale desiderio si sarebbe avverato.
Pazienza, pensai.
Poi il mio cellulare squillò, era un messaggio. Da parte di Demi. Il mio cuore smise di battere per mezzo secondo, con le mani tremanti premetti “ok” e lessi il messaggio: erano tre asterischi messi in fila.
Il mondo sembrò fermarsi.
Poi senza nemmeno essermene reso conto, stavo già correndo.
Correvo, correvo, correvo.
Correvo, per le vie della città.
Correvo e non vedevo niente, solo la strada davanti a me, che si incrociava, si accavallava.
Correvo e non sentivo niente, a malapena l’asfalto sotto le mie scarpe e l’aria fredda e pungente sul mio viso.
Correvo e non pensavo a niente, solo al modo per far correre le mie gambe più in fretta.
E di certo non pensavo al desiderio che avevo appena espresso.
Peccato, perché forse mi sarei ricordato di una frase che avevo letto su un libro.
Fai attenzione a ciò che desideri, potresti ottenerlo. E dovrai accettarne le conseguenze.
Mai una frase sarebbe stata più vera di così, ma in quel momento non contava.
Per miracolo raggiunsi l’alto grattacielo in pochi minuti. Entrai di corsa nell’entrata, aspettandomi di vedere il portiere simpatico che mi aveva accolto poche ore prima, ma non c’era. Presi l’ascensore e quei pochi minuti sembrarono incessabili.
Quando uscii mi trovai davanti una signora vestita da domestica, un po’ robusta. La riconobbi, era quella che mi aveva portato fino in camera di Demi e ora, batteva con furia le mani contro la porta dell’ingresso.
Mi avvicinai < Che è successo? > chiesi.
Lei si girò, stava piangendo. Un pianto isterico e spaventato.
< È qui! È qui con lei e la porta è chiusa! > mi disse tra i singhiozzi.
La presi per le spalle < Aspetti. Non capisco! Chi è qui? Perché la porta è chiusa? >
< Demi! > urlò lei piangendo < Sono scesa un minuto e il signor Lovato è entrato in casa. Ha chiuso la porta e la mia bambina ha urlato! Ora non la sento più! >
Il sangue mi si ghiacciò nelle vene.
Un’idea mi era venuta in mente, ma speravo solo di sbagliarmi.
< La polizia! > esclamai < Dovete chiamare la polizia! >
< È andato Albert! > disse lei.
Poi, un urlo strozzato sovrastò i singhiozzi della donna. Era Demi, avrei riconosciuto la sua voce tra mille.
Iniziai a sbattere i pugni contro la porta < Demi!> chiamai, come se potesse succedere qualcosa. Ma non accadde niente.
Dopo un po’ di tempo, non so precisamente se secondi, minuti o addirittura ore, ma a me sembrarono interminabili comunque, arrivò la polizia.
Riuscirono a buttare giù la porta ed entrarono. Li seguii, per ritrovarmi davanti una scena alla quale mai avrei pensato di assistere.
Un signore sulla mezza età, stava in piedi a qualche metro da me. Gli occhi rossi e le pupille dilatate in una maniera a dir poco oscena. I poliziotti lo avevano appena afferrato per le spalle, allontanandolo da qualcosa che si trovava sul pavimento vicino alla finestra, e gli stavano mettendo le manette.
E poi, distesa sul pavimento: Demi.
Attraversai l’entrata di corsa e mi inginocchiai al suo fianco.
< Demi? > la chiamai, aiutandola a mettersi seduta, tenendole una mano sulla schiena.
Lei si strinse al mio petto, nascondendo il viso nell'incavo del mio collo e tenendomi il colletto della camicia con le mani.
Stava piangendo, sentivo le sue lacrime bagnarmi la pelle e tremava come una foglia.
L’abbracciai e le accarezzai i capelli con una mano. < Va tutto bene > le sussurrai all’orecchio per calmarla < E’ tutto finito adesso >
I poliziotti portarono via il padre di Demi, poi tornarono su e le dissero che doveva seguirli in centrale per una serie di interrogatori.
Ma io mi opposi, dicendo che era troppo sconvolta per sopportare una cosa simile e dopo un po’ riuscii a convincerli, ma Demi avrebbe dovuto presentarsi da loro il giorno dopo.
< Porto Demi con me, se non le dispiace. Qui ci sono già troppi disordini e non penso che sia una buona idea farla dormire qui > dissi alla domestica. Forzatamente lei annui e presi Demi in braccio,la portai fuori di casa e fermai un taxi.
La portai a casa mia e quando raggiungemmo la porta di casa, mi prese per un braccio e disse < Joe, ti sei già disturbato abbastanza, non voglio creare a te e alla tua famiglia altri problemi >
< Scherzi? > le chiesi < Tu non sei un disturbo >
La feci entrare e ci vennero subito in contro mia madre e i miei fratelli.
Ci fecero un sacco di domande, ma io zittii tutti. Dissi a Nick di accompagnare Demi in camera mia e quando tornò spiegai tutto a tutti.
Mia madre acconsentì per farla rimanere e così andai in camera, Demi era appoggiata alla mia scrivania e fissava il vuoto, immobile.
Mi avvicinai lentamente, le presi il mento con una mano e lo sollevai in modo che i nostri sguardi si incrociassero.
< Stai bene? >
< Vorrei potere rispondere di sì >
Sorrisi debolmente, le accarezzai il viso salendo fino alla tempia, e mi accorsi di sentire la mano bagnata. Sangue.
< Ma? Ti se tagliata! > dissi e lei si toccò la tempia.
< Deve essere stato uno dei vetri che ha rotto mio padre > disse lei.
Andai a prendere del disinfettante, feci sedere Demi sulla scrivania e iniziai a tamponare.
< Sei contento ora? > mi chiese.
< Cosa? >
< Hai finalmente scoperto il mio segreto >
< Ah >
< Ed ora andrai a dirlo a tutti i tuoi amici e io diventerò lo zimbello della scuola >
Mi fermai < Perché dici questo? >
< Perché conosco quelli come te > fu la sua risposta.
< Pensi davvero che lo farei? >
< Lo farai? >
< No >
< Perché? >
< Perché... > mi fermai, spaventato da quello che avrei potuto dire < Perché io non sono come gli altri >
< Provamelo >
< E come? >
< Non lo so. Stupiscimi! >
Risi < Fai sempre così? >
Riuscii a strapparle un sorriso. Rimasi incantato dalla sua risata e dai suoi occhi.
< Che c’è? > mi chiese.
< Non lo so. Sei tu che...mi fai sentire...Strano >
Mi guardò corrugando le sopracciglia come se avessi detto la cosa più assurda del mondo.
Poi non so perché e nemmeno come mi venne in mente di fare una cosa simile, forse perché solo in quel momento mi ero accorto di quanto lei fosse bella. Era spaventata, le sanguinava una tempia e aveva appena vissuto un’esperienza orribile, che nessuno mai dovrebbe vivere.
Irrazionalmente e senza averlo previsto, mi chinai e la baciai.



ehehe :D Sono stata brava a farli baciare eh? So che aspettavate questo momento da mooolto tempo e alla fine ho deciso di fare la brava bambina e di accontentarvi :D Spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto perchè, personalmente, mi sento molto soddisfatta!
Commentate! Un bacione.
Sonny

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Cap,14: L'Amore Ti Rende Migliore ***


Capitolo 14: " L'Amore Ti Rende Migliore "




POV DEMI

Avete mai provato quella sensazione di vuoto che vi assale quando state facendo qualcosa di sbagliato?
Quella sensazione che vi prende lo stomaco, sentite le viscere che si attorcigliano, mentre nel fare una cosa sbagliata e insensata vi accorgete che state bene?
Perché tutte le cose ignote e proibite ci attraggono?
E perché noi cadiamo sempre nella loro trappola?
Probabilmente sognavo, o almeno mi illudevo di poter credere che tutto quello che mi stava succedendo era solo frutto della mia immaginazione.
Ma penso che nemmeno nei miei sogni più strani, sarei riuscita a farmi baciare da Joe.
Eppure eccomi lì, seduta sulla sua scrivania.
Joe mi teneva stretta a sé, mi avvolgeva con le braccia la vita, rendendo la stretta sempre più forte.
Probabilmente aveva paura che io mi staccassi da quel bacio dolce e allo stesso tempo profondo, ma io rimasi ferma. Anzi, risposi con un po’ troppa fretta a quel bacio, circondando il suo collo con le braccia per stargli più vicina.
Poi, un’illuminazione di lucidità.
Cosa sto facendo? Mi chiesi.
Appoggiai le mani sul suo petto e lo allontanai con delicatezza.
Scossi la testa con forza, sotto il suo sguardo stupito.
< No > dissi < No, è tutto sbagliato >
< Cosa c’è? > mi chiese lui.
< Non posso farlo >
< Perché? > mi domandò lui, come se non ci fosse niente di male in quello che avevamo appena fatto.
< Non posso fare questo a Chelsea, una volta eravamo amiche, non posso baciare il suo ragazzo >
< E il parere del suo ragazzo non conta? > mi chiese e mi costrinsi a guardarlo negli occhi.
Una parte di me stava combattendo, diceva che era sincero e che avrei dovuto fidarmi di lui, mi aveva salvato la vita, glielo dovevo. Ma l’altra si opponeva e mi ricordava che lui non era diverso da tutti gli altri.
< Demi > mi appoggiò le mani sulle guance < Tu non te ne sei resa ancora conto, ma a me di Chelsea non importa più niente già da un pezzo >
< E allora perché ti ostini a stare ancora insieme a lei? > domandai a bruciapelo, ottenendo la reazione desiderata.
Il silenzio.
< Per la tua reputazione, vero? > continuai a chiedere.
Ancora silenzio.
< Se mi vuoi chiedere di tenere il nostro rapporto, di qualunque genere sia, anche solo amicizia, nascosto > appoggiai le mie mani sopra le sue e le spostai dalla mia faccia, le tenni strette alla mie, appoggiandole sopra le gambe < Bè sappi che non sono disposta a farlo >
< Non ti sto chiedendo questo > mi rispose.
< A me invece sembra il contrario > dissi secca.
< Io non so cosa mi stia succedendo, non so cosa sento per te, forse una sensazione che non ho mai provato prima. E per quanto provi a negarlo, mi piace questa sensazione ed è solo con te che la provo>
Ero rimasta senza parole da quella sua rivelazione, le due parti di me continuavano a lottare, ma quella che diceva di fidarmi di lui stava prendendo il sopravvento.
Non riuscii subito a capire se quella fu una cosa bella o brutta, e credo che mai lo capirò.
Sta di fatto che mi ritrovai immersa in un altro bacio, non so chi avesse baciato chi, ma ci stavamo baciando ancora.
Poi la parte che non si fidava di lui, prese il sopravvento.
Non potevo andare avanti così.
Mi staccai ancora < No, dopo tutto quello che è successo stasera non riesco a pensare con lucidità, non mi sembra il caso di... >
Joe mi interruppe riprendendo a baciarmi, la cosa non aiutava di certo la mia concentrazione.
Ci provai ancora < Ci conosciamo da qualche mese, non so neanche... >
Mi interruppe ancora, baciandomi.
Facendo appello a tutta la forza che mi era rimasta, mi staccai e quando incontrai i suoi occhi, sperai di inventarmi una scusa abbastanza credibile, ma invece dissi < Ho terminato le scuse >
Joe si mise a ridere e, sorridendo, mi disse < Bè, era ora! >
E mi baciò.
Stavolta non lo interruppi, restituì semplicemente il bacio.
Era un sogno dopo tutto, giusto?
Dopo un tempo che non so definire, Joe interruppe il bacio e mi strinse in un abbraccio.
Rimasi appoggiata al suo petto, respirando a fondo. Persino il suo odore sembrava reale.
< Ti va di raccontarmi la tua storia? > mi chiese.
Ci pensai per qualche secondo e alla fine decisi che ormai non aveva più senso nascondergli tutto.
< Ti avviso: è una storia lunga e complicata >
< Adoro le storie complicate > disse sciogliendo l’abbraccio e sorridendomi < E poi ho tutto il tempo del mondo >
Non potei fare a meno di sorridere, Joe mi fece accomodare sul suo letto, sedendosi al mio fianco con lo sguardo attento.
E così iniziai a raccontare la mia storia. Lo feci con freddezza, come avevo imparato a fare col tempo, quasi come se quello non fosse il mio passato.
Gli parlai di mia madre, che era morta dandomi alla luce, di mio fratello che era l’unica ragione per cui andavo avanti, di Dorota la mia tata e donna delle pulizie, di Edward il mio autista, di Albert il portinaio, del mio sogno di tornare in California per riaprire l’orfanotrofio di mia zia, dove ero cresciuta.
Ed infine, di mio padre.
Joe rimase attento per tutto il tempo in cui parlai, non fece una domanda, non batte quasi ciglio. Respirava e basta, muovendo ogni tanto gli occhi spostando il suo sguardo su ogni parte del mio viso.
Quando finii di raccontare, presi fiato.
Joe rimase muto, guardando il pavimento.
< Non dici niente? > chiesi.
< Dovrei dire qualcosa? >
< Non so, Miley e Selena quando lo hanno saputo si sono messe a piangere >
< Vuoi che mi metta a piangere? > chiese scherzando.
< No! Per l’amor del cielo, non farlo! >
Rimanemmo fermi a guardarci negli occhi.
Come puoteva uno sguardo catturati così tanto e farti sentire così bene?
Sorridemmo entrambi allo stesso tempo, dopo qualche minuto, io abbassai gli occhi per prima, non riuscendo a reggere il suo sguardo.
Quando li rialzai, Joe mi accarezzò la guancia con il palmo della mano, quel suo tocco così caldo e rassicurante. Capii che niente sarebbe riuscito a rendermi più a mio agio.
Poi Joe guardò l’orologio appoggiato sul suo comodino, erano già le 9 di sera.
< Oh dio! > esclamò < Che maleducato, non ti ho nemmeno chiesto se hai fame! >
Risi < Non ti preoccupare, tu e la tua famiglia vi state già disturbando troppo. E non ho fame grazie >
Joe si alzò dal letto e mi porse una mano < Oh e invece devi assolutamente mangiare! >
Lo guardai storto.
< Mi preoccupo per te, io > disse prendendomi la mano, visto che io non avevo nessuna intenzione di farlo e mi trascinò giù in cucina. Ci trovammo Kevin e Nick che stavano discutendo davanti a una scodella di gelato.
Appenda mi videro mi chiesero come stavo e io risposi che non si dovevano preoccupare e che stavo bene.
Joe andò a prendere due scodelle per il gelato e ne porse una a me facendomi l’occhiolino.
La cosa non sfuggì a Kevin e Nick, che subito dovettero trattenere una risata.
Mangiai con loro, scherzando e ridendo. Mi stavo divertendo come non mi succedeva più da un pezzo. Kevin iniziò a prendere in giro Nick per il fatto che si era preso una bella cotta per Miley e per tutta risposta Nick disse < Bè almeno io non sono solo come te! >
Io non facevo altro che ridere.
< Oh ma io non sono solo! > disse Kevin < Sai io in realtà ho una relazione segreta > continuò a  scherzare.
< Ah davvero? E sentiamo con chi? > chiese Nick.
< Con... > Kevin cercò di farsi venire un idea < Con Demi! > e scoppiò a ridere.
Io, Nick e soprattutto Joe quasi ci strozzammo con il gelato.
< Demi! > esclamò Nick stando al gioco < Non me lo sarei mai aspettato da te! >
Così stetti anche io al gioco < Eh, sai com’è > improvvisai < è successo tutto così all’improvviso che anche io l’ho scoperto qualche minuto fa >
Altre risate.
Joe se ne stava sempre un po’ in disparte, io e gli altri facevamo sempre così a scuola, mentre lui ovviamente stava con la sua compagnia.
Nick però volle inserirlo nel nostro gioco e probabilmente anche prenderlo in giro.
< Attento Kevin, non vorrai mica che Joe ti picchi! >
Stavolta gli unici a ridere furono Nick e Kevin.
Io ero decisamente imbarazzata, mentre Joe non se la prese, si limitò semplicemente ad alzare gli occhi al cielo e a sussurrare un < Ma che ho fatto di male? >
E da lì altri scherzi che non sto a raccontare, ma Joe e i suoi fratelli mi fecero davvero morire dal ridere. Sembrava di vederli davvero uniti, cosa che, a sentire loro, non succedeva ormai da tempo. Ma era bello vederli così, era bello vedere la vecchia parte di Joe, che tutti ostinavano a rimpiangere, ritornare a galla pian piano.
Verso le 11 Joe mi portò in camera sua.
< Mi dispiace farti dormire sul divano> dissi.
< Non è un problema> fece Joe. < Spero ti sia distratta un po’ stasera > disse, sedendosi vicino a me sul letto.
< Si > ammisi < è bello vedervi scherzare insieme >
< Non succedeva da un po’ >
< Eh no! Io ti ho raccontato tutta la mia storia, ora tocca a te! >
< Non c’è granché da dire > disse < Le cose tra i miei non vanno più bene come una volta, da quando ci siamo trasferiti qui ho cambiato vita, amicizie e con questo anche il rapporto con i miei fratelli >
< Ti piacerebbe tornare come prima? >
< Si >
< Bè allora fallo, fai ciò che ti senti senza avere paura del giudizio degli altri! >
< Non è così facile però... >
< Se vuoi ti posso aiutare, chiedi pure > dissi.
< Bè ora che mi ci fai pensare > disse ridendo < Una cosa che potresti fare per aiutarmi ci sarebbe > E mi baciò, risposi al bacio sorridendo, mentre Joe si sdraiava sopra di me.
< E questo ti aiuterebbe? > chiesi.
< L‘hai detto tu: Fai quello che ti senti senza avere paura del giudizio degli altri. L’ho fatto >
< Ah bene! >
Mi svegliai la mattina dopo, aprii gli occhi che ancora pesavano per il sonno.
Davvero un sogno strano.
Poi sentii un profumo buono, dolce, lo stesso che avevo sentito la mattina prima, sulla giacca di Joe.
Girai la testa e vidi che mi ero addormentata sul petto di Joe, mentre lui aveva appoggiato il mento sulla mia testa e dormiva ancora. Eravamo ancora vestiti come il giorno prima, ci eravamo addormentati lì la sera prima.
Non era stato affatto un sogno.
 
 
POV JOE
 
Un filo di luce mi accarezzò il volto.
Ecco, mi ero dimenticato di chiudere le tapparelle la sera prima.
Con malavoglia, strofinai un occhio con la mano chiusa a pugno, alzai leggermente la testa per vedere l’altro motivo per il quale mi ero svegliato.
Avevo sentito un movimento, vicino a me.
Demi stava seduta diritta, al mio fianco, dandomi le spalle. I lunghi capelli neri ebano le ricadevano sulle spalle, coprendo un pezzo della maglietta bianca, un po’ stropicciata per il casino che suo padre aveva creato ieri.
Il sangue mi si gelò al ricordo, la rividi per terra, in mezzo a pezzi di vetro, i resti del vaso che probabilmente suo padre aveva rotto. Quando l’avevo presa tra le braccia era mezza svenuta.
< Ciao > dissi mettendomi a sedere come lei.
< Ci siamo addormentati qui > rispose continuando a guardare per terra.
La guardai alzando un sopracciglio < L’hai capito dal fatto che ci sono anche io nel letto? >
Demi si girò verso di me, lanciandomi un’occhiata da: “ smetti di fare lo stupido”.
< Ok, scusa > risposi alzando le mani in segno di resa < Ma lo hai detto come se fosse una brutta cosa >
< Io... > cercò di ribattere Demi, ma venne interrotta.
La porta della mia stanza si aprì, ed entrò mia madre.
< Ciao ragazzi > disse
< Ciao mamma > la salutai.
< Salve signora Jonas > disse Demi con improvviso imbarazzo.
< Demi ti senti meglio? > le chiese, con il solito tono da madre preoccupata.
< Si, grazie mille ancora per avermi ospitata >
< Figurati > le rispose < Senti, hanno chiamato dalla centrale di polizia, dovresti raggiungerli tra un paio d’ore. Tuo fratello Zac è stato già avvisato di tutto, arriverà nel pomeriggio >
< Va benissimo >
< Nel frattempo hai un posto dove strare? Visto che non penso tu voglia tornare a casa >
< No, infatti > rispose Demi < Non so, penso che andrò a stare da una mia amica >
< Se vuoi restare qui non c’è nessun problema. Con tre figli maschi, sarebbe bello avere una ragazza per casa > propose mia madre scherzando.
< La ringrazio, ma vi ho già disturbato troppo. Chiamo subito la mia amica >
< Fai pure tutto con calma, tesoro > le rispose mia madre sorridendo dolcemente < Joe offrile qualcosa da mangiare e sbrigati che tra mezz’ora devi essere a scuola! >
Alzai gli occhi al cielo, dopo tutto quello che era successo la scuola era davvero l’ultimo dei miei pensieri. E poi, mi sarebbe piaciuto accompagnare Demi dalla polizia.
< Certo, mamma > risposi, facendole segno di uscire dalla mia camera.
< Bene > disse lei avviandosi verso la porta < buon proseguimento >
L’ultima frase non la capii molto.
Mia madre si chiuse la porta alle spalle e Demi si lasciò cadere all’indietro, portandosi le mani in faccia.
< Oh dio, che figura! > esclamò.
Mi girai a guardarla, appoggiando la mano vicino al suo viso.
< Scusa sono un po’ lento la mattina. Che figura hai fatto? > chiesi.
Mi guardò come se fossi ritardato < Joe, tua madre è entrata in camera tua e io sono qui, insieme a te, nel tuo letto! > si tirò su a sedere, spostandosi i capelli dal viso < Posso solo immaginare cosa avrà pensato >
Io scoppiai a ridere < Non avrà pensato niente, visto che siamo entrambi vestiti e abbiamo ancora in dosso le scarpe > le feci notare < Rilassati! >
Demi sbuffò, appoggiando il mento sulla mano.
< Hai intenzione di andare da Miley o Selena? > le chiesi.
Da quando aveva rifiutato l’invito di mia madre, mi ero tormentato.
Non volevo che se ne andasse.
Lei annuì < Chiamerò Selena e le chiederò di passare la notte a casa sua fino a che io e mio fratello non mettiamo a posto le cose >
Sospirai, abbassai lo sguardo per un secondo, ma lo rialzai subito.
< Puoi restare qui > dissi tristemente, sapendo che non avrebbe mai accettato.
Demi mi sorrise dolcemente, accarezzandomi la guancia con il palmo della mano.
< Tu e la tua famiglia vi siete già disturbati troppo e non penso che tuo padre voglia che io rimanga qui > mi disse.
< Mio padre tornerà questa sera, se non vuole non mi importa, mia madre gli farà cambiare idea > protestai.
Ma lei scosse la testa.
< Ti prego, resta > le chiesi, senza accorgermi che eravamo vicinissimi.
Demi sorrise ancora una volta, il suo sorriso era dolce ma anche triste, anche lei voleva rimanere.
Colmò la distanza tra noi due e appoggiò le sue labbra sulle mie per mezzo secondo, poi si staccò e disse < Lo sai che non posso >
Sospirai e annui, ormai rassegnato.
Almeno ci avevo provato.
< Va bene...emm... Ti va di fare colazione? > chiesi.
< Si, grazie! >
< Torno subito! >
Scesi di corsa le scale e mi precipitai in cucina, dove trovai Kevin che aveva la faccia affondata dentro a una tazza di cereali.
< Fame fratellone? > chiesi scherzando, aprendo il frigorifero.
< Oh ciao Joe > rispose lui riemergendo dalla tazza.
Presi un vassoio e, mentre facevo scaldare il caffè, ci misi sopra marmellata e biscotti.
< Wao > commentò Kevin.
< Che hai? > chiesi.
< Niente, è che... con Demi... Non so, sembri diverso >
< Già > risposi pensieroso < Forse lo sono davvero >
< Bè è una buona cosa > mi rispose Kevin,alzandosi dalla sedia e avvolgendomi un braccio attorno alle spalle < Sta tornando il mio vecchio fratellino! > e mi scompigliò i capelli con la mano libera.
< Kevin! > protestai, ma felice di quel contatto, era da tempo che non scherzavamo così.
< Però ti avverto > iniziò Kevin < Quella ragazza è d’oro, ne sta passando tante e tante altre ne dovrà passare. Avrà bisogno di tutto il nostro aiuto e, da come ho potuto osservare, soprattutto del tuo. Non lasciarla sola e non ferirla >
< Si, lo so > annuì.
Demi aveva bisogno di me.
Ma io per lei cos’ero?
Certo, ci eravamo baciati, ma cosa significava? A cosa avrebbe portato?
Salii le scale con il vassoio in mano e tornai in camera mia.
< La colazione, my lady > dissi sedendomi sul letto e appoggiandoci il vassoio.
Demi rise < Una tazza di caffè poteva bastare >
< Si, vallo a dire a mia madre > risposi scherzando, ma ero serio.
Le porsi un biscotto, Demi lo prese e se lo rigirò nella mano.
< Joe, volevo parlarti di una cosa... > mi disse.
< Dimmi pure > la incoraggia, mentre bevevo un sorso di caffè bollente.
< Ecco... > prese un respiro profondo < Riguardo a quello che è successo ieri sera...i baci e tutto il resto... non so cosa vuoi tu, ma non mi sento pronta per una relazione o che so io. Hai visto con i tuoi occhi in che mondo vivo e finché non avrò risolto non penso di poter... >
< Demi, non ti preoccupare > la rassicurai, attirandola al mio petto, mentre l’avvolgevo con le braccia < Non so nemmeno io cosa voglio, non so cosa provo per te. È strano, è nuovo questo sentimento, ma so che voglio viverlo a fondo. Ma per il momento è meglio lasciare che le cose vadano come vadano. Io per te ci sarò se avrai bisogno di me e se mi vorrai >
Sentii Demi sorridere, aveva il viso appoggiato al mio petto. Poi si staccò e alzò la testa in modo da averla in pari alla mia.
< Certo che ti voglio! >
Sorrisi, non avrei mai pensato che poche parole potessero rendermi così felice.
Le presi il viso tra le mani e la baciai, prima delicatamente e poi con sempre più trasporto.
Demi rispose al bacio, ma dopo poco si staccò < Ma non dobbiamo lasciare che le cose vadano come vadano? > chiese divertita con ancora le sue labbra attaccate alle mie.
< Appunto, mi è venuta voglia di baciarti e ti bacio > risposi, dandole un piccolo bacio a fior di labbra.
< E con Chelsea come la metti? >
Sospirai < Con Chelsea le cose non vanno da tempo, lei non se ne vuole rendere conto o, molto probabilmente, non vuole rompere perché tiene più alla sua immagine che alla sua felicità >
< Già... > concordò Demi < Quindi? Che hai intenzione di fare? >
Feci spallucce < Cercherò un modo veloce e indolore per rompere con lei > conclusi.
Demi sorrise debolmente e guardò l’ora < Manca un quarto d’ora alle otto. Devo andare a casa di Selena e tu a scuola! >
Si alzò in piedi e mi offrì la mano.
< Ma dobbiamo proprio? > chiesi.
< Ovvio! Tua madre mi ha ospitato qui, non posso certo lasciare che suo figlio salti la scuola >
Mi alzi di malavoglia e accompagnai in macchina Demi fino a casa di Selena.
< Sicura che non vuoi che venga con te alla centrale di polizia? > le chiesi una volta che fummo davanti alla casa dei Gomez.
Era un condominio tra l’ottava e la nona strada, grigio o meglio grigio scuro per l’inquinamento della città.
< Si, tu vai. Mi accompagna la madre di Selena, alla stazione di polizia ci sarà Dorota, deve testimoniare con me e poi le devo spiegare perché stasera non tornerò a casa. Ti chiamo appena esco >
< Promesso? > le chiesi, alzando il mignolo.
Demi alzò gli occhi al cielo, ma strinse il mio mignolo al suo.
< Promesso> disse.
Mi diede un bacio sulla guancia e scese dalla macchina.
La guardai suonare il campanello, girarsi per un ultima volta verso di me, salutarmi con la mano, poi finire tra le braccia di una signora dai capelli lunghi e neri. Era una mamma, si vedeva distante miglia, doveva avere saputo da poco cosa era successo a Demi e la scortò in casa con fare preoccupato.
Qualcuno tempo fa mi aveva detto: l’amore è strano.
Per quante volte lo provi non lo capirai mai veramente, per quante volte ti scotterai non guarirai mai, per quante volte tu cercherai di evitarlo lui ti troverà sempre.
L’amore è in grado di farti fare qualunque cosa, di essere qualunque cosa.
Scopri il vero te stesso quando ti innamori ed è per questo che quando un amore finisce stai così male, perché perdi un pezzo di te, che se ne va con la persona amata.
Perché l’amore ti rende migliore, la persona amata ti rende migliore e all’improvviso non è più la gravità che ti tiene ancorato alla terra.
Ma è lei.
Il mio poteva essere amore?



Ragazeee! Finalmente sono tornataaa!! Che bello! Chiedo scusa ma il mio pc era definitivamente morto e per fortuna sono riusciti a recuperare tutti i dati e adesso ho il pc nuovo :D Da ora tornerò a postare regolarmente, anzi se volete posterò più spesso dato che siamo in vacanza e ho degli arretrati.
Allora finalmente ve li ho fatti mettere quasi insieme :D Spero sarete felici! Ma la storia non è ancora finita, siamo solo a metà!
COMMENTATE NUMEROSE!!!
un bacione, vi voglio bene!
Sonny

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Cap.15: Sono felice che tu esista ***


Capitolo 15: "Sono felice che tu esista"



POV DEMI

Ho sempre saputo di essere forte.
Non fisicamente, certo. Non sono una lottatrice e nemmeno una persona violenta, ma so benissimo di avere un carattere forte.
Altrimenti come avrei potuto sopportare una vita di minacce, abusi e accuse di essere la colpevole della morte di mia madre?
Già, perché se nessuno lo aveva ancora capito la mia vita era sempre stata un ripetersi di queste tre cose, tre cose che mio padre non perdeva mai occasione di ricordarmi, tutte le volte che ci trovavamo da soli.
Ad un certo punto ero anche arrivata a credere di essere davvero la causa della morte di mia madre e del mostro che era diventato mio padre.
Sì, non c’era altra spiegazione. Le cose fino alla mia nascita erano andate lisce come l’olio, mio padre era una persona normalissima, a sentire mio fratello, un padre amorevole con il figlio e che amava alla follia la moglie. La mia nascita aveva cambiato tutto, mia madre era morta e mio padre, a sentire l’agente che mi stava davanti, era affetto da una “crisi depressiva”.
Seduta in una stanza con le pareti grigie, osservavo il poliziotto che parlava, parlava e parlava. Non lo stavo ascoltavo. Mi strinsi nella sedia su cui ero seduta,  faceva davvero freddo in quella stanza. Dorota era seduta al mio fianco e mi teneva la mano come per tranquillizzarmi, ma io ero tranquilla, anzi diciamo la verità, Dorota mi stringeva la mano perché quella terrorizzata era lei.
Il poliziotto, nella sua divisa blu notte, passeggiava su e giù per la stanza. Stava parlando di mio padre, i medici lo avevano visitato la sera prima ed era venuto fuori che la morte della moglie lo aveva profondamente traumatizzato, provocandogli una “crisi depressiva aggressiva”.
Provai a ripetere quelle tre parole velocemente nella mente, creando un nuovo scioglilingua.
L’agente continuò dicendo che l’assunzione di alcool e di droghe non avevano fatto altro che peggiorare la situazione.
Ma perché mi diceva quelle cose? Le sapevo già, avevo vissuto diciassette anni con quell’uomo.
< Signorina Lovato, sapeva che suo padre era un alcolizzato e un drogato? > mi chiese il poliziotto, appoggiando le mani sul tavolo davanti a me e sporgendosi per guardarmi dritto negli occhi.
< Sapevo che beveva > dissi calma.
< E della droga? > continuò l’agente.
< No, ieri sera è stata la prima volta che è tornato a casa così >
< Però sapeva che si drogasse > concluse.
< Lo sospettavo > risposi < Ma visto che in casa mia non c’è mai stato nulla che lo potesse provare non ho detto niente >
L’agente annuì soddisfatto.
Dorota mi strinse ancora di più la mano.
< Suo padre è accusato di spaccio di droga e tentato omicidio. Ma le sue condizioni mentali devono essere prese in considerazione... >
Fece una faccia schifata quando menzionò le condizioni mentali di mio padre, come se lui volesse semplicemente sbatterlo dentro per quello che aveva fatto.
< Quindi domani mattina lei sarà chiamata in tribunale  e il giudice deciderà il destino di suo padre >
Io annuì semplicemente.
< Visto che suo padre non potrà, c’è un tutore che può accompagnarla? >
< Sì, mio fratello arriverà questo pomeriggio dalla California > risposi pronta.
< Bene > disse il poliziotto < Ma l’avverto, per quanto suo padre sia una persona in stato di infermità mentale... >
Infermità mentale, l’argomento lo stavamo trattando in diritto, una persona che non può prendere decisioni che valgano giuridicamente.
< Non tornerà a casa molto presto > concluse l’agente.
Ci ero arrivata molto tempo prima di lui.
< E con questo abbiamo finito > disse il poliziotto porgendomi la mano.
La strinsi e Dorota fece altrettanto.
< Un mio collega vi fermerà e vi dirà l’ora in cui dovrete recarvi in tribunale. Buona giornata >
E così ci aprì la porta di quel buco di uno stanzino per gli interrogatori per farci uscire.
La sentenza era prevista per le 7 del mattino successivo, decisi che sarei andata comunque a scuola il giorno dopo.
Zac arrivò alle 6 del pomeriggio di quel giorno.
Appena mi vide mi strinse a sé ed io per la prima volta da quando mio padre mi aveva picchiato, scoppiai a piangere.
 
 
Salii velocemente sulla limousine e dissi ad Edward di raggiungere la scuola il prima possibile.
Sfrecciavo a tutta velocità per i quartieri di Manhattan, su quell’automobile di lusso color nero notte.
I finestrini scuri impedivano ai passanti di vedermi.
Bene, pensai, almeno non avrebbero visto lo stato pietoso in cui ero. Quella mattina mi ero svegliata male, io e Zac ci eravamo addormentati sul divano della nostra enorme sala.
Era la prima volta da giorni che tornavo a casa e non me la sentivo di stare da sola, nonostante la presenza di mio fratello non avevo preso sonno fino all’alba e mi ero addormentata un ora prima che la sveglia suonasse.
Dovevo andare in tribunale.
Non avevo avuto nemmeno il tempo per pettinarmi i capelli, mi ero infilata la gonna della divisa scolastica, una felpa e le mie Convers nere, dalle quali spuntavano le mie immancabili calze lunghe fin sotto il ginocchio a righe viola e nere, in perfetta sintonia con la gonna.
Il giudice era una donna sulla cinquantina, aveva guardato il fascicolo che l’avvocato di mio fratello gli aveva posto, aveva lanciato un’occhiata di disprezzo in direzione di mio padre e una dolce verso di me.
L’inchiesta era durata meno di un’ora e mezza, il mio avvocato aveva parlato in modo molto professionale, camminando per la stanza con le mani nelle tasche dei pantaloni grigio sbiadito. Aveva l’aria di chi sa cosa stava facendo, mentre rivolgeva domande a trabocchetto all’uomo che avrei dovuto considerare mio padre.
Ma non lo avevo mai fatto dopotutto.
Alla fine del processo si decise che mio padre sarebbe stato mandato in una struttura specializzata, dove sarebbe stato disintossicato, la sua forma di depressione curata e alla fine della permanenza nella struttura sanitaria avrebbe dovuto scontare la sua pena in prigione per tentato omicidio.
La durata della permanenza in  prigione sarebbe stata ritrattata in un altro momento, alla sua guarigione.
In ogni caso, non avrebbe mai più avuto contatti con me e Zac e tutti i suoi beni sarebbero passati a mio fratello perché maggiorenne e poi anche a me al compimento dei diciotto anni. Alcuni soldi sarebbero stati prelevati dalla banca di mio padre per il pagamento delle cure.
Era finita. Ero libera.
Ma allora perché sentivo un vuoto dentro di me?
< Signorina siamo arrivati > la voce di Edward mi fece sobbalzare sul sedile bianco di pelle.
Stordita risposi < Oh, grazie > aprii la portiera e scesi.
Presentai la giustificazione alla segreteria e mi diressi verso il mio armadietto. Le lezioni erano già cominciate, doveva essere appena iniziata la seconda ora.
Mi avvicinai all’armadietto, ma notai un’altra persona nel corridoio. Era una ragazzina, doveva essere del primo o del secondo anno. Aveva dei grossi occhiali neri e spessi, l’apparecchio e dei capelli vaporosi che doveva avere cercato di domare legandoli con un frema capelli.
< Ciao, hai bisogno di aiuto? > chiesi cercando di fare un sorriso, nonostante il mio pessimo umore.
Lei mi guardò sgranando gli occhi e stringendosi la cartina della scuola al petto.
< Guarda che non ti mangio mica > le dissi avvicinandomi e sorridendole, stavolta con convinzione. < In che aula devi andare? >
< Qua-quarantasei > mi rispose balbettando.
< Sono così orribile stamattina? > le chiesi ridendo, mentre mi guardavo da capo a piedi.
< No è che... > azzardò lei < Tu sei Demi Lovato, non dovresti parlare con me >
< E perché non dovrei? > chiesi.
< Perché io non sono una “ popolare” >
Scoppiai in una risata amara < Bè non lo sono nemmeno io se è per questo. Mi hai mai visto mangiare al tavolo degli snob? > sorrisi all’idea che se Joe fosse stato lì in quel momento mi avrebbe preso a parole.
La ragazzina trattenne una risata.
< Come ti chiami? > chiesi.
< Cleo >
< Bè Cleo la tua aula è dopo il secondo corridoio a sinistra, la prima porta. È stato un  piacere conoscerti > dissi porgendole una mano, lei la strinse, mi ringraziò e se ne andò a passo svelto.
Tornai al mio armadietto e lo aprii, ma non feci nemmeno in tempo a prendere il libro di biologia che mi ritrovai con la schiena contro l’armadietto del mio vicino, mentre il mio “aggressore” mi teneva ferma per le braccia.
< E così sarei uno snob, eh? > chiese Joe a mezzo millimetro dal mio viso.
Come avevo previsto.
< Non penso tu voglia saperlo davvero > risposi.
< Brutta antipatica! > esclamò Joe e mi fece il solletico alle braccia.
Quando riuscii a farlo smettere, ci ritrovammo ancora più vicino di prima.
Chiusi gli occhi e mi lasciai baciare dolcemente, il respiro di Joe che mi sfiorava le labbra, sentii per un momento che il vuoto di prima iniziava a colmarsi.
Ma non del tutto, mancava ancora qualcosa anche se di preciso non sapevo cosa.
Joe interruppe il bacio staccandosi leggermente da me, mi teneva il viso tra le mani e con il pollice scostò un ciuffo ribelle dalla guancia per guardarmi meglio.
< Come stai? Non ti sei più fatta sentire, mi hai fatto preoccupare > disse in un sussurro.
< Scusa è che sono ancora frastornata, con tutto quello che è successo penso che le cose mi siano scivolate di mano >
< Com’è andata con tuo padre? > chiese non riuscendo a nascondere un filo di odio nel nominarlo.
< Verrà trasferito in una clinica e quando sarà guarito sconterà la sua pena in prigione, non gli permetteranno più di avvicinarsi a me e a Zac. Il suo patrimonio ora è passato a noi > dissi e quando smisi di parlare feci un gran respiro, ero distrutta.
Joe fece una smorfia e facendomi appoggiare la testa sulla sua spalla, mi avvolse in un abbraccio caldo.
Gli strinsi con le mani il colletto della camicia, lasciandomi cullare.
< Hai un aspetto orribile, dovresti andare a casa a riposare > mi disse all’orecchio, affondando il viso tra i miei capelli.
< No > risposi < Casa mia è l’ultimo posto in cui voglio andare, ho bisogno di non pensare e tutto quello che sta accadendo e questo è l’unico posto che me lo permetta >
Lui non ribatté, rimanemmo in silenzio per un po’.
Chiusi gli occhi respirando il suo profumo, cullata dalle sue braccia. Non mi importava di essere in mezzo al corridoio, che i bidelli avrebbero potuto beccarci e spedirci dal preside o del fatto che avrei dovuto essere in classe da ormai un quarto d’ora. Sarei potuta rimanere così per sempre.
Poi la parte razionale di me prese il sopravvento.
< Dovremmo tornare in classe > dissi.
< Si, probabilmente il mio prof di letteratura inglese penserà che sono caduto nella tazza del bagno! >
Alzai gli occhi al cielo.
Ma come accidenti faceva un ragazzo ad essere tanto dolce e cinque secondi dopo tanto deficiente?
Non trovai mai risposta a quella domanda.
< Senti, che ne dici se dopo scuola ti porto fuori? Andiamo in un posto dove ti potrai rilassare e non pensare a niente > mi propose.
< E dove? > chiesi.
< Sorpresa! > rispose Joe, mi diede un velocissimo bacio a stampo e scappò via.
Lo guardai sparire con un sorriso, ripensando alla frase che una volta mi aveva detto Miley:
Devi sapere che il principe azzurro non arriva su un cavallo bianco, sguainando la spada. Ma arriva a piedi, è pieno di polvere, puzza di sudore e si è anche perso un paio di volte prima di arrivare. Ma prima o poi arriva.
Anche se Joe lo vedevo meglio nei panni di Jack Sparrow.
 

POV JOE

Il vento gelido di fine ottobre alzava le foglie multicolore nel cielo, per poi farle ricadere sulle strade di Manhattan.
Una visione alquanto deprimente e allo stesso tempo fantasiosa, ma ormai i newyorkesi non ci facevano più caso, probabilmente si lasciavano impressionare dall’altezza dei grattacieli e a quanto questi ti facessero sentire piccolo.
Alla fine delle lezioni mi precipitai in macchina ed uscii dal parcheggio, posteggiai davanti all’entrata della scuola nell’esatto istante in cui Demi usciva insieme a Selena, Miley, i miei fratelli e David.
David e Selena parlavano assorti come se non ci fosse nessuno intorno a loro, da quando il mio migliore amico se ne era andato (il giorno prima) dalla compagnia di ragazzi snob che avevamo frequentato fino all’anno prima, sentivo che le cose erano cambiate, quella mattina a pranzo me ne ero andato con una scusa, non riuscendo a sopportare l’assurdità dei discorsi dei miei così detti amici.
Senza di lui, i “popolari” non erano poi così divertenti, anzi a dire la verità erano alquanto noiosi, parlavano di cose banali, dicevano cose banali, pensavano cose banali.
Insomma una compagnia di una banalità assurda!
Nick parlava timidamente insieme a Miley, le guancie di mio fratello erano sfumate leggermente di rosso e aveva il suo solito sorriso da ebete stampato sulla faccia.
Tipico di quando parlava con una ragazza che gli piace, ridacchiai.
Anche se lo invidiavo come non mai.
Demi stava parlando con Kevin, poi distolse lo sguardo ed incrociò il mio, aprendosi in un sorriso.
Un sorriso stanco, distrutto, ma pur sempre illuminante e bellissimo.
Ricambiai e le feci segno di salire in macchina, lei mi lanciò un occhiata sbigottita come se volesse dire: sei sicuro di volerlo fare davanti a tutti?
Era una cosa a cui non avevo pensato, probabilmente qualcuno sarebbe morto di infarto quel giorno.
Speriamo che sia Chelsea, pensai, almeno non dovrò trovare il modo di rompere con lei.
Codardo! Mi ripetei.
Ma dopotutto se volevo levarmi quella “compagnia banale” dalle scatole questo poteva essere un inizio, no?
Così mi sporsi per aprire la portiera del passeggero.
Demi salutò gli altri, raggiunse la mia macchina e salì.
< Ciao! > mi salutò con un sorriso ancora più smagliante di prima, mentre si allacciava la cintura.
< Ciao > risposi, lanciando un’occhiata ai suoi amici.
Miley e Selena avevano la mascella che sfiorava la scalinata d’uscita della scuola ed erano diventate pallide in volto, i miei fratelli avevano gli occhi sgranati, David si limitò a farmi l’occhiolino e ad alzare un pollice di nascosto.
Partii a tutto gas, lasciando il parcheggio con soltanto il rombo del motore della mia macchina che riecheggiava nell’aria, mentre l’intero corpo studentesco aveva già cominciato a mettere in giro i soliti pettegolezzi.
< Vai di fretta? > chiese Demi, tenendosi con forza al sedile.
Feci una risata, lanciano un’occhiata alla mia Mercedes Biturbo, nera come la notte senza luna, i sedili in pelle e i vetri oscurati.
< Mi piace andare veloce > le risposi alzando le spalle.
Demi sorrise < Allora, signor autista, dove si va? >
< Oh lo vedrai >
A tutto gas raggiunsi l’Uptown dove, al centro dei due quartieri, l'Upper West Side e l'Upper East Side, sorgeva il più grande parco di Manhattan. Central Park.
Entrammo nel parco, mentre guidavo Demi per le vie ormai mezze sommerse dalle foglie cadute. I colori rosso e giallo predominavano, quasi il cielo non si vedeva e il tutto dava un’atmosfera quasi fiabesca. Come se all’improvviso potesse saltare fuori uno gnomo vestito di verde da dietro un albero e salutarci con la mano.
< Come mai mi hai portato qui? > mi chiese Demi, mentre passavamo davanti al Carosello sommerso dai bambini, che facevano la fila impazienti con i loro genitori per salire.
< Mi piace venire qui, è tutto così tranquillo. Un posto dove stare solo > risposi < A volte ne ho bisogno >
< Si, capisco >
Proseguimmo fino al giardino di Shakespeare, dove ci sedemmo su una panchina.
Stranamente non c’era nessuno.
< Cosa farete ora, tu e tuo fratello? > chiesi, non potendone fare a meno, la domanda mi frullava in testa dalla mattina.
Demi si appoggiò allo schienale, mise i piedi sulla panchina, le ginocchia che le arrivavano quasi al mento e buttò la testa all’indietro mettendosi a fissare la cima degli alberi e le mille varietà di fiori che popolavano il giardino.
< Non lo so, sinceramente > mi rispose.
< Hai ereditato anche l’orfanotrofio di tua zia? >
Sta zitto deficiente! Mi insultai da solo.
< Sì, perché? >
< Niente, solo che l’altra sera mi hai detto che era il tuo sogno riaprirlo e così... > la frase mi morì in gola, il solo pensiero che lei potesse andarsene mi distruggeva.
E ancora una volta mi maledissi per non essermi morso la lingua.
Demi spostò lo sguardo su di me, con un sorriso accusatorio < Joe Jonas hai per caso paura che me ne vada? >
< Cosa? Chi? Io? Nooo > colto in pieno!
< Oh siii > disse lei scoppiando a ridere e puntandomi un dito contro < Ammettilo! >
< Ammettere cosa? >
< Che hai paura che io me ne vada! >
< Ma neanche morto! >
Lei si tirò su a sedere e mi guardò torva.
< Ok, potrebbe darsi che nel caso te ne andassi, mi mancheresti > e dopo un secondo aggiunsi < Un pochino >
< Un pochino? > chiese scettica e alzando un sopracciglio.
< Un po’ >
< Un po’? >
< Oh dio! Demi sei esasperante! > esclamai.
< Non lo sarei se tu non mentissi a te stesso e a me > ed iniziò a farmi il solletico.
Da lì fu una lotta all’ultimo sangue, finché non mi ritrovai letteralmente sdraiato su di lei sulla panchina.
< Mi sembra di averla già vista questa scena > commentò Demi, probabilmente riferendosi alla sera passata a casa mia.
Feci un sorriso ammaliante, uno dei miei migliori < Si, anche a me >
E la baciai.
Rimanemmo così finché non ci dovemmo staccare, con riluttanza, per potere respirare.
< Hai parlato con Chelsea? > mi chiese Demi.
Le spostai una ciocca di capelli dal viso, mettendogliela dietro l’orecchio. < Te l’ho già detto, la nostra storia in realtà è finita da un pezzo. Devo solo trovare il modo di farla finita senza che ci siano conseguenze >
< Conseguenze? >  
< La conosci Chelsea, se commetto un passo falso me la farà pagare cara, ma non è questo che temo >
< E allora cosa temi? >
< Temo che ci potrebbero essere conseguenze anche per te, dopo che tutti ci hanno visti oggi >
Demi mi fece capire di tornare a sedere, così mi staccai e feci come voleva. Lei si sedette prendendosi a massaggiare le tempie e guardando avanti a lei.
< Joe, sono in grado di badare a me stessa >
< Lo so, ma questa è una cosa che riguarda me e non te. Ti voglio fuori da tutto questo >
Demi fece un sospiro, probabilmente per ricacciare dentro una frase per ribattere.
Così mi alzai, le andai davanti e mi chinai in modo da avere il suo viso alla mia altezza e le alzai il volto, in modo da incrociare il suo sguardo.
< Lo so benissimo che ti sapresti difendere e che non ti importerebbe niente di quello che la gente penserebbe, ma è una cosa che devo sbrigare da  solo. Io tempo fa ho deciso di diventare come loro ed ora io mi tirerò fuori da tutti questo >
Demi rimase in silenzio.
< Mi hai fatto aprire gli occhi, mi stai restituendo la mia vita di un tempo e ti ringrazio. Ma questa battaglia la vincerò da solo >
Lei mi guardò per un altro istante, poi annui, mi sorrise e mi baciò.
Senza di lei non ce l’avrei mai fatta, lo sapevo.
Avrei dovuto resistere, affrontando tutto ciò che più mi spaventava, restare fedele alle cose che davvero contavano nella vita e prendere le decisioni con intelligenza.
Ma dovevo anche imparare a fare i conti con i miei errori e alle conseguenze che avrebbero comportato.
Alla fine rimanemmo fermi a guardarci, come se il mondo intorno a noi fosse all’improvviso sparito, come se ci fossimo solo noi.
< Perché mi guardi così? > chiese Demi, divertita dal mio modo di guardarla.
< Niente. E’ solo che...sono felice che tu esista > risposi.
Allora il suo sorriso si fece ancora più luminoso < Bè devo dire che anche tu non sei poi così male >

Angolo Autrice: Ciao a tutte!!! Chiedo umilmente perdono ragazze, potrete mai scusarmi?? Sono stati dei mesi impegnativi, difficili e orribili...e prorprio non avevo più tempo e voglia di riprendere questa storia. Però adesso sono tornata, ho bisogno di evadere dalla mia vita e scrivere di quella di qualcun altro, giusto per non dover pensare a tutti i miei problemi. Comunque vi sto annoiando, così vi chiederò solo di dirmi che ne pensate di questo capitolo pubblicato mesi dopo l'ultimo...Finalmente Demi è libera da suo padre, ma ora ha ereditato tutto e avrà la possibilità di riaprire l'orfanotrofio di sua zia, il suo sogno. Che cosa farà? E Joe? La storia non è finita qui, ci saranno nuovi colpi di scena, nuovi personaggi  e nuove scelte che metteranno a dura prova l'amore dei nostri due protagonisti. Alla fine sarà vero amore o solo una cotta importante tra adolescenti, però destinata a non durare per tutta la vita?...ummm il finale resta ancora aperto perchè non ho ancora preso una decisione.
Commentate numerose!

un bacione, Sonny.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Cap.16: Sorprese Inaspettate ***


La canzone presente in questo capitolo è:
"This is your life"- Switchfoot.




Capitolo 16: Sorprese Inaspettate


Demi
 
I mesi passarono ed in un soffio arrivò la primavera.
Mi sembrava incredibile: ero riuscita a sopravvivere per tutto il primo semestre e ormai si andava concludendo anche il secondo!
Mio fratello era tornato a vivere a New York, si recava di tanto in tanto in California per dare gli esami all’università di legge, ma per il resto rimaneva con me e studiava a casa.
Da quella notte di ottobre, il nome di mio padre non venne più nominato e con l’influenza di cui godeva il nostro avvocato e quello di mio padre, la vicenda non venne resa pubblica.
Semplicemente mio padre era sparito dalla faccia della terra, nessuno chiedeva di lui o del fatto che tutta la sua azienda fosse finita nelle mani del figlio ventenne.
Ma a noi andava bene così.
Zac era riuscito a riappropriarsi dell’orfanotrofio di nostra zia ed ora stava pagando, con i soldi di mio padre ovviamente, i lavori per ristrutturarlo e rimetterlo in moto.
Le cose con i miei amici erano rimaste le stesse, anzi diciamo che andavano proprio bene. David e Selena, anche se non lo avevano dichiarato ufficialmente, erano una coppia, mentre Nick e Miley preferivano prendere le cose con calma, o meglio come diceva la mia migliore amica: ho diciassette anni, ho ancora un sacco di tempo per impegnarmi e non lo farò di certo subito!
La solita Miley, lo spirito libero indomabile.
Ed ora arriviamo alla parte più difficile: Joe.
Le cose andavano...bene e male, credo sia la definizione più corretta.
A mano a mano che il tempo passava si allontanava sempre di più da quel gruppo di spostati, però non si era ancora lascito con Chelsea, o meglio non ne avevano ancora parlato. A dire la verità non si parlavano più, ma conoscevo Chelsea e fin quando non le sbattevi le cose in faccia non si sarebbe mai accorta di niente, anche se ormai la scuola non faceva altro che parlare di noi. Cosa alquanto irritante.
Avevo lasciato intendere un po’ di volte nell’ultimo periodo, a Joe, che mi stavo stufando di aspettare. Ma decisi di lasciargli ancora un po’ di tempo, quando mi sarei stufata gli avrei dato un buon motivo per rompere i rapporti con quella gente all’istante, per riappropriarsi della sua vita.
Una sera di metà marzo ero andata con tutti i miei amici ad un pub dove i “fratelli Jonas” si sarebbero esibiti e, quando parlo di “fratelli Jonas”, intendo tutti e tre.
Già, Joe aveva accettato di ricominciare a cantare, senza curarsi troppo del parere del padre ed era tornato a suonare con i suoi fratelli.
Quella sera era la prima volta che suonavano insieme in pubblico. Ero un po’ emozionata, visto che nemmeno io li avevo mai visti suonare insieme. Feci un sospiro, portandomi alle labbra il bicchiere della mia bibita, ripensando a quanto fosse ormai lontano il giorno in cui io e Joe ci eravamo incontrati a Los Angeles e lui mi aveva rivelato il suo desiderio di studiare musica, proprio lì, nella città in cui ero cresciuta. Stavo chiacchierando con Miley, eravamo sedute ad un tavolino poco distante dal palco, dove stava cantando un tizio con la chitarra a cui nessuno, a parte quelli che ballavano sulle note della canzone lenta, dava troppo retta.
In mezzo alle coppiette felici c’erano anche David e Selena, stretti l’uno all’altro mentre parlavano sussurrandosi alle orecchie.
La “squadra Jonas” era dietro le quinte che aspettava il loro turno per esibirsi. Mi accorsi che Joe ancora non c’era.
Quella sera aveva gli allenamenti, ma aveva detto che avrebbe fatto in tempo.
< Ciao bellissime! Scusate ma mi sono perso un paio di volte per trovare questo posto > nel sentire la sua voce tirai un sospiro di sollievo.
Joe passò le braccia intorno alle mie spalle e a quelle di Miley.
< Ciao ritardatario > lo salutai dandogli un bacio sulla guancia.
< Jonas > rispose Miley, scostandosi un po’ da lui e facendo una faccia disgustata.
< Vado in camerino a ripulirmi un po’ > disse lui, visto che Nick e Kevin gli facevano segno di raggiungerlo.
Accostò il suo viso al mio orecchio e mi sussurrò < Ho una sorpresa per te >
< Cosa? > chiesi stupidamente, visto che sapevo benissimo che non mi avrebbe rivelato niente.
< Lo vedrai > rispose lui, con sorriso beffardo sulla faccia, per poi stamparmi un bacio sulle labbra e scappare via.
< Davvero non so cosa ci trovi in lui > disse Miley osservandolo mentre si faceva largo tra la gente.
< Perché? > le chiesi ridendo nel vedere la sua faccia.
< Bè per cominciare è meglio che si faccia una doccia: è tutto sporco di terra e puzza di sudore! Per non dire che solo un deficiente potrebbe perdersi per trovare questo pub! >
Scoppiai in una risata ancora più forte < Punto primo: è appena tornato dagli allenamenti di calcio. Punto secondo: ma non eri tu quella che diceva che il principe azzurro arriva dopo essersi perso ed è tutto sporco e sudato? >
< E tu mi ascolti pure! Quella frase devo averla letta su qualche rivista > esclamò lei. < No, però sul serio cosa ci trovi in lui di così speciale? A parte un bel visino? A me sembra assolutamente normale >
< Oh mi scusi se non sono andata a prendermi un super eroe! E comunque stai parlando del fratello maggiore del ragazzo che ti piace >
< Appunto! Hanno concentrato tutte le loro energie sul più piccolo >
< Miley! > l’apostrofai.
< Va bè dai. A parte gli scherzi, ti piace davvero così tanto? >
Feci spallucce < Bè...è così simpatico... > e dolce, ostinato, bello da morire, esasperante e bacia da dio, e...Bè queste cose le tenni per me.
Miley non fece in tempo a ribattere che il proprietario del pub annunciò l’esibizione dei ragazzi.
Le luci si abbassarono, Nick prese posto al piano forte, Kevin salì con la sua chitarra e Joe si mise davanti al microfono.
Cercò il mio sguardo tra la gente e quando lo trovò mi rivolse un sorriso smagliante.
< Questa canzone la vorrei dedicare a una persona molto speciale, la persona che ho aiutato e che mi ha aiutato in questi tempi un po’ pazzi >
La canzone cominciò.
 
 
"Il giorno passato è una ruga sulla tua fronte
Il giorno passato è una promessa che hai infranto
Non chiudere gli occhi, non chiudere gli occhi
Questa è la tua vita e l’oggi è tutto quello che hai ora
Si, e il domani è tutto quello che non avrai mai
Non chiudere gli occhi
Non chiudere gli occhi"

"Questa è la tua vita, sei chi vuoi essere
Questa è la tua vita, sei chi vuoi essere
Questa è la tua vita, è tutto ciò che sognavi,
Quando il mondo era più giovane e tu avevi tutto da perdere"

"Il giorno passato è un bambino all’angolo
Il giorno passato è morto e sepolto"

"Questa è la tua vita, sei chi vuoi essere
Questa è la tua vita, sei chi vuoi essere
Questa è la tua vita, è tutto ciò che sognavi,
Quando il mondo era più giovane e tu avevi tutto da perdere"

"Non chiudere gli occhi
Non chiudere gli occhi
Non chiudere gli occhi
Non chiudere gli occhi"

"Questa è la tua vita, sei chi vuoi essere
Questa è la tua vita, sei chi vuoi essere"

"Questa è la tua vita, sei chi vuoi essere
Questa è la tua vita, sei chi vuoi essere
Questa è la tua vita, è tutto ciò che sognavi,
Quando il mondo era più giovane e tu avevi tutto da perdere"

"E tu avevi tutto da perdere"

 
Tonai a casa abbastanza tardi, ma felicissima.
Quando aprii la porta, vidi che la luce della sala era ancora accesa.
< Zac, che fai ancora sveglio? >
Mio fratello alzò lo sguardo verso di me, i suoi occhi di un blu più profondo delle acque dell’oceano mi fissarono preoccupato.
< È arrivata questa lettera, oggi > disse indicando una busta bianca sul tavolino, davanti al divano bianco di pelle.
Lo raggiunsi, presi in mano la busta e mentre mi sedevo al suo fianco, l’aprii.
Quando vidi il contenuto della busta, sbattei per un paio di volte le palpebre.
Non ci potevo credere.
< Chi è quest’uomo? > chiesi indicando il piccolo foglio che tenevo in mano.
< Non ne ho la minima idea > rispose, poi accennando al foglio disse: < è intestato a te e vuole che sia destinato ai fondi per l’orfanotrofio >
Guardai di nuovo quel piccolo pezzo di carta.
Era un assegno.
Un assegno da ottocento mila dollari.
Per me.
Lessi la firma.
Andrew Wislow.
Chi era quest’uomo? E perché mi stava donando ottocento mila dollari?



Joe
 
Non smettere mai di correre verso un traguardo, non smettere mai di essere te stesso. Lotta sempre per ciò che vuoi e per ciò che ami. Perché solo così la tua vita avrà un senso, solo così potrai addormentarti con la consapevolezza di non avere sprecato la tua giornata.
Avevo letto questa frase da qualche parte, probabilmente era una dedica di quelle che leggi su internet sotto “frasi fatte”. Però mi rendevo conto di quanto fosse vera solo in quel momento.
< Ehi Joe, ma che fine hai fatto? > mi chiese Robert, mentre era seduto con gli altri sugli scalini dell’entrata della scuola.
< Nessuna fine > risposi con un’alzata di spalle.
< Come nessuna fine? E’ da mesi che sembri assente, non ci calcoli quasi più > continuò Taylor.
Non risposi, perché era vero, li stavo evitando, probabilmente speravo che semplicemente allontanarmi da loro bastasse e chiudere la storia con quel branco di imbecilli.
< Ma che cosa ti succede? > continuò Robert vedendo che non rispondevo. < Agli allenamenti sei distratto, a mensa non parli mai, ci eviti tutti e sparisci sempre chissà dove. Cosa ti sta succedendo?> chiese ancora, con un tono da finto amico preoccupato. Cosa che ovviamente non era, probabilmente il motivo della sua domanda era che o era preoccupato di non passare il turno del torneo di calcio ( cosa che, ammetto, eravamo i primi in classifica e sarebbe stato disonorevole perdere l’ultima partita perché non avevo visto la palla che mi aveva messo fuori gioco, prendendomi in piena faccia), o era preoccupato che li volessi mollare per andarmene con dei “perdenti”, come era solito chiamarli lui.
La seconda opzione era quella che avrebbe dovuto preoccuparlo di più, pensai tra me e me.
< Tu sei fuori! > risposi, sistemai lo zaino sulla spalla e feci per andarmene, ma Robert mi prese per un braccio.
< Non è che ti è venuta voglia di seguire quello sfigato del tuo amico David, eh? >
Allontanai la sua mano dal mio braccio, sciogliendo la sua stretta che mi aveva fermato la circolazione.
< E anche se fosse? >
< Sei impazzito per caso? > chiese Chelsea che aveva seguito tutta la scena e mi guardava con sguardo preoccupato.
Preoccupata per la sua reputazione, sia chiaro.
< Fatti gli affari tuoi >
Li sorpassai in fretta per evitare che potessero ribattere, entrai a scuola e mi precipitai in classe.
Per tutta la mattinata evitai tutti, compresa Demi e i miei fratelli. Prima di andare a pranzo, andai a fare una passeggiata nel cortile della scuola, dovevo rilassare i nervi.
Le foglie erano tornate verdi, si sentiva il profumo della primavera inoltrata che anticipava l’estate. In lontananza il rumore delle macchine del centro di Manhattan, ma isolato quel fracasso un uccellino cantava sul pino davanti a me.
Alzai lo sguardo e sorrisi quando, incrociando lo sguardo del passero, questo prese a cantare ancora più forte, per poi volare via.
Qualcuno mi aveva raggiunto, mi voltai e vidi la persona di cui avevo più bisogno in quel momento.
< Ehilà! > mi salutò.
< Ciao, David >
< Brutta giornata? >
< Diciamo che ne ho avute migliori > risposi, guardando il ramo su cui pochi secondi fa c’era appollaiato l’uccellino.
< Problemi con Robert e la sua banda? >
< Già >
< Sai, penso che se da una parte sia preoccupato per la figura che farà, quando li mollerai, da una parte ne gioisca... > osservò lui.
< E perché? > chiesi.
< Perché poi sarebbe lui il fidanzato di Chelsea > rispose < Gerarchia animale >
Feci una risata < Può anche prenderselo il mio posto, non sono sicuro di volerlo più >
< Demi? > chiese David.
< Penso proprio di sì... >
David sorrise, alzando gli occhi al cielo.
< Perché sorridi? > chiesi.
Lui mi guardò, cercando qualcosa nei miei occhi e poi disse < Quella ragazza ti ha cambiato e tu non te ne sei nemmeno accorto >
< Può darsi > sospirai < Ma ho paura > ammisi.
< Fa bene vere paura, significa che hai ancora qualcosa da perdere > disse lui.
< Non è questo > dissi sospirando < È che le cose potrebbero non andare bene, un giorno ci potremmo lasciare, potrei commettere un errore e ferirla, lo sai quanto stupido sono, lascio sempre che mi guidi il mio istinto ed entrambi sappiamo che non è mai una buona cosa. Lei potrebbe finire per odiarmi e io non voglio questo... >
< Stammi bene a sentire Joe > disse David mettendosi davanti a me, afferrandomi per le spalle e guardandomi dritto negli occhi < Potrai non essere il suo primo, il suo ultimo, il suo unico amore, lei ha amato prima di te e molto probabilmente amerà ancora. Ma ti vuole bene ora, che cos’altro conta? Si, lo so, non è perfetto, ma nemmeno voi lo siete e può darsi che non lo sarete mai insieme. Ma se lei sa farti ridere, sa farti pensare due volte prima di agire, sa farti ammettere di essere umano e di poter commettere degli errori, se ti ha fatto riscoprire chi sei veramente...Non lasciarla andare, tienitela stretta e dalle tutto l’amore che puoi >
Parlava per esperienza, l’avevo capito dal suono della sua voce e dal fatto che i suoi occhi luccicassero.
Mi stava dicendo le stesse cose che lo avevano portato a lasciare tutto per Selena, per se stesso e per i suoi vecchi amici.
Annuii, rimasto senza parole da ciò che aveva  detto.
Aveva ragione e non avrei aspettato un momento in più a fare quello che dovevo da tempo.
Così entrammo in mensa e lo seguii al suo tavolo, o meglio quello che stava per diventare il mio.
David si sedette vicino a Selena, circondandole le spalle con un braccio e mi fece un cenno di incoraggiamento.
Demi mi dava le spalle, poi seguendo lo sguardo di David si girò e vedendomi fece un sorriso sorpreso.
Mi schiarì la voce < Emm.... Ciao, posso sedermi con vuoi? > chiesi, guardando Demi, sperando in un suo aiuto.
Lei guardò gli altri sorridendo < Non so, ragazzi vuoi che ne dite? > chiese, scambiando uno sguardo complice con Kevin e Nick.
Guardai gli altri: Taylor Swift, la ragazza che avevo ferito l’anno scorso mi guardò con diffidenza, così distolsi subito lo sguardo, promettendomi che mi sarei scusato con lei; Michael e Justin si scambiarono un’occhiata per poi annuire.
Demi mi fece posto vicino a lei, così mi sedetti al suo fianco.
< Allora, Jonas, cosa ti porta nei bassi fondi? > chiese Taylor con voce sprezzante.
< Oh, pensavo di fare una visitina e ampliare i miei orizzonti > risposi, sorridendole.
< Farmi vedere in giro con uno come te mi rovina la reputazione Jonas > intervenne Miley. Per un secondo mi spaventai, le cose non stavano andando molto bene. Poi però lei mi fece l’occhiolino e disse < Però potrei fare un’eccezione >
Grazie al cielo!
< Joe! > sentii la voce di Robert dietro di me, era arrabbiato. E anche tanto.
Mi girai lentamente, fulminandolo con lo sguardo < Che vuoi? >
< Che cosa diavolo stai facendo?! >
< Pranzo con i miei amici > risposi tranquillo, ma con tono di sfida.
< Ti si è per caso fuso il cervello? > mi chiese, aveva la faccia rossa dalla rabbia.
< No > risposi < Piuttosto tu stai attento, con tutto quel fumo che ti esce dalle orecchie rischi che il tuo si fonda >
< Joe! Questi sono degli sfigati! Non meritano di essere calcolati! >
Come si dice? La goccia che fa traboccare il vaso?
Perché mi era parso di sentire il rumore di quella goccia che era appena caduta.
Ma non ci badai, perché mi ero già alzato in piedi pronto a colpirlo in piena faccia.
< Joe, fermati! > urlò Demi, tenendomi per un braccio.
< Cos’è ti sei preso una cotta per la sfigatella e ora mi vuoi picchiare? > chiese Robert.
Respiravo affannosamente, il mio istinto ormai aveva preso il sopravvento e quasi non riuscivo a sentire cosa Demi mi stesse dicendo, poi con uno sforzo riuscii a capire solo un < Tu non sei come lui, non abbassarti al suo livello >
Guardai Robert, fulminandolo con lo sguardo per poi dargli le spalle.
< Come pensavo, sei il solito caga sotto > disse lui sprezzante per poi girare i tacchi e dirigersi verso il suo tavolo.
No, questa non gliela facevo passare liscia.
Demi capii il mio pensiero e fece per fermarmi, spostai la sua mano delicatamente e le dissi < Tu non c’entri, questa è una cosa che riguarda me e basta >
Così raggiunsi a grandi passi il tavolo di quegli sbruffoni dei miei stivali, toccai la spalla di Robert per farlo girare e gli diedi un pugno dritto sul labbro. Questo cadde a terra, gemendo per il dolore e portandosi la mano al labbro inferiore per levare la goccia di  sangue che gli stava colando dalla bocca.
< Mi fai schifo>  dissi in tono calmo ma con un’ampia nota di disprezzo.
Guardai le persone sedute al tavolo, le persone che per un anno avevo chiamato “amici” < Mi fate schifo tutti voi > dissi e poi guardando Chelsea < E se non lo avevi ancora capito: è finita >

Angolo Autrice: Ho visto i vari messaggi e commenti che mi avete mandato e mi hanno convinta a riprendere questa storia, quindi vi ringrazio per l'affetto che provate verso il mio lavoro, davvero un enorme grazie dal profondo del mio cuore, non avete nemmeno idea di quanto questo significhi per me. Ma devo comunque avvisarvi di una cosa: io non scrivo per niente. Nel senso, per quanto ami scrivere, ho davvero tantissime idee su tantissime storie e poco tempo a disposizione. Ho in mente due libri da scrivere, un sogno che probabilmente non si realizzerà mai, storie che nessuno leggerà ma alle quali io tengo molto, molto più che a queste fan fiction. Quindi, se non riceverò commenti questa storia terminerà qui, lo so è brutto da dirsi ma io impiego tempo ed energie su queste cose.
Da questo capitolo in poi vorrei ricevere almeno tre recensioni a capitolo, altrimenti non andrò avanti a postare. Vorrei che non suonasse come un ricatto, ma purtroppo le cose stanno così, anche perchè il prossimo anno avrò la maturità e il tempo per scrivere sarà davvero pochissimo, quind vorrei che fosse speso bene.
Grazie,
un bacione.
Sonny

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Cap.17: La Calma Prima della Tempesta ***


Capitolo 17: "La Calma Prima della Tempesta"




Demi
 

< Ora spiegami cosa diavolo ti è saltato in quella cosa che ti ostini ancora a chiamare cervello! >
Ero infuriata nera, camminavo avanti e indietro nel corridoio davanti alla porta della presidenza. Robert era nell’ufficio con la preside, io e Joe stavamo fuori ad aspettare il nostro turno.
< Ho fatto quello che avrei dovuto fare un sacco di tempo fa > mi rispose lui stringendosi nelle spalle. Era appoggiato al davanzale della finestra.
< Ah e prendere a pugni Robert in mensa sistemerebbe tutto? > chiesi adirata.
Joe aveva fatto bene, questo non lo negavo, ma quelle erano totalmente le circostanze sbagliate ed anche i motivi. Insomma se avesse voluto prenderlo a pugni, poteva benissimo aspettare di uscire da scuola, no?
< Se lo meritava > si difese Joe.
Sospirai amareggiata. Certo che se lo meritava!
Mi appoggiai al muro, al fianco di Joe e chiusi gli occhi cercando di isolare il rumore attorno a me.
< Lo so > risposi < Ma questo ti costerà caro, Joe. Potrebbe esserti di ostacolo in futuro, che dirà l’università di musica della California quando verrà a sapere che hai picchiato un ragazzo al liceo? >
Joe non mi rispose, probabilmente non ci aveva pensato.
Ma perché devo sempre farlo ragionare io?
< Gli dirai che l’hai preso a pugni perché volevi difendermi? > chiesi con una nota amara, gli avevo detto tante volte che potevo benissimo cavarmela da sola. Lo avevo sempre fatto.
< Primo: gli ho dato solo un pugno > puntualizzò Joe, poi si mise davanti a me, circondandomi con le braccia i fianchi e attirandomi a sé < Secondo: dirò che eri una ragazza davvero carina. Mi ammetteranno subito >
Alzai gli occhi al cielo, in altre circostanze avrei accettato il complimento ma ora non ero proprio dell’umore giusto. Sembrava quasi che della sua vita importasse più a me che a lui.
Joe rise vedendo la mia reazione e mi diede un bacio sulla gola.
< Però > dissi lasciandomi un po’ andare < Devo dire che mi è piaciuta la parte in cui hai lasciato Chelsea > ammisi.
Lui sorrise e sfiorò leggermente le mie labbra con le sue < Pensi sia stato abbastanza chiaro? > chiese con il suo solito sorriso malizioso.
< Bè diciamo che per tutto il tempo che ci hai messo per dirglielo mi aspettavo qualcosa di più ecclatante, ma così devo dire che è stato ancora meglio. Veloce e indolore > dissi sorridendo mentre lo attirai a me per baciarlo.
< Mi dispiace solo che tu sia finita in mezzo a tutto questo casino, ti avevo detto di non intrometterti > mi disse con tono di rimprovero.
< E io ti avevo detto di non rispondere alle provocazioni di Robert > risposi con lo stesso tono.
< Touchè  > concordò Joe.
Ero finita anche io in quel casino perché mi ero intromessa tra Joe e Robert, per evitare che, dopo il pugno di Joe, la situazione peggiorasse ulteriormente. Così la bidella ci aveva spediti tutti e tre in presidenza.
Joe non sembrava molto preoccupato, doveva ormai avere instaurato un bel rapporto con la donna. A sentire Miley, l’anno scorso era stato più ore in presidenza che in classe.
Dopo un quarto d’ora Robert uscii dalla presidenza, la preside fece in modo che lui e Joe non si scambiassero nemmeno uno sguardo, invitando subito il secondo ad entrare.
Così aspettai il mio turno.
Intanto mi ero seduta per terra, le gambe incrociate e la schiena appoggiata al muro. I raggi dell’ultimo sole del pomeriggio entravano dalla finestra davanti a me, guardandoli potevo vedere le piccole particelle di polvere svolazzare in aria, come se facessero parte della sceneggiatura. In realtà erano solo il risultato di una bidella scansafatiche che non puliva molto spesso.
Dopo un altro quarto d’ora Joe uscii.
< Ti aspetto qui > mi disse.
Io risposi che non era necessario, che avrei chiamato un taxi per andare a casa, ma lui non mi ascoltò.
< Ciao Demi > disse la signorina M, quando entrai < Siediti >
Obbedii e mi sedetti sulla sedia davanti alla sua scrivania.
La signorina McLean stava scrivendo qualcosa al computer, così non dissi niente ed aspettai che fosse lei a parlare per prima.
La fissai per un lungo momento, non aveva nessun segno di ricrescita sui capelli e nessuna traccia di rughe, nemmeno un accenno, e di sicuro non si era mai fatta un lifting. Chissà perché l’avevo sempre pensata molto più vecchia di come ora mi appariva? Forse per gli occhiali a mezza luna che portava sempre sulla metà del naso, forse per quel sopracciglio pronto a scattare in alto ad ogni bugia raccontata da uno studente che era stato beccato a bigiare, forse era il taglio di capelli poco adatto al suo viso o, chissà...
Di certo non poteva avere più di quarant’anni.
< Signorina Demi potrebbe cortesemente spiegarmi cosa è successo nella mensa della mia scuola questo pomeriggio? > chiese.
Presi un respiro profondo < Senza offesa, signora preside, ma penso che a quest’ora dovrebbe esserne venuta a conoscenza > osservai.
< Certo, ma vorrei la versione di una persona sana > mi rispose, come se la cosa fosse ovvia.
< Come scusi? >
< Vedi, anche se potrà sembrare strano > disse, abbassandosi un po’ sulla scrivania e abbassando gli occhiali fino alla punta del naso < Conosco meglio voi ragazzi dei vostri stessi genitori e quelli come il signor Jonas e Pattinson li conosco anche meglio di altri >
< Non capisco cosa centri io > ammisi.
< Esattamente! > esclamò lei, felice che ci fossi arrivata < Non capisco proprio come una ragazza come te, che ha una media e una condotta quasi perfetta, sia finita in questa storia >
< Oh > sospirai.
< Cara, non metto in dubbio la sincerità dei tuoi due compagni, ma entrambi hanno motivo di incolparsi a vicenda per chi ha più ragione dell’altro. Tu, che non centri con le loro discussioni, dovresti dirmi cosa è successo oggi >
< Oh, centro eccome! > dissi, accorgendomi solo dopo che avevo parlato ad alta voce.
La signorina M arricciò un po’ le labbra, sovrappensiero < Questioni di cuore? > tirò ad indovinare.
Centro!
< In un certo senso > metii. Cercai di evitare lo sguardo indagatore della mia preside, che probabilmente aveva capito già tutto.
In fondo aveva due opzioni.
Poi si lasciò andare indietro, appoggiandosi allo schienale della sedia di pelle marrone e mettendo le mani giunte sulle gambe.
Non so perché ma mi sentii come dallo psicologo.
< Sai Demi, la gente è strana. È incredibile come tutto possa cambiare con un solo sentimento, come questo possa sconvolgerti la vita, fino a farti capire chi davvero sei e capire che saresti disposto a tutto per quella sensazione >
Mi lanciò un sorriso, tanto malizioso quanto quello di Joe. Un brivido mi percosse la schiena.
< Ed è proprio quello che è successo al nostro caro Joe Jonas >
Ecco, sgamata in pieno! Per ben due volte!
Sentii le guance che in mezzo secondo diventarono rosse, avevo improvvisamente caldo.
Queste non sono cose di cui normalmente parli con la tua preside, giusto?
< Sono felice che si sia salvato. > ammise la signorina M < È un ragazzo pieno di talento e con quelli come Pattinson si sarebbe solo rovinato >
Annuii cercando di capire cosa questo centrasse con i sentimenti e soprattutto, cosa centrasse con me.
< Sai avevo già notato questo cambiamento in lui, è diverso rispetto all’anno scorso > aggiunse quasi per rispondere alla domanda che non le avevo posto ma che sapeva mi ero fatta. < Poi la madre di Joe è venuta qui, qualche mese dopo l’inizio della scuola. Ha una famiglia non molto unita, questo è ciò che mi è perso di capire, il padre pensa di poter progettare la vita dei suoi figli e vede in Joe un grande potenziale nel mondo del calcio, ma il cuore di Joe non è fatto per essere legato. Deve potere volare con le proprie ali. Da solo > poi si fermò, come per scegliere le parole con cura.
< Sua madre è venuta per sapere come andavano le cose e non si è affatto sorpresa di sapere che Joe non era più stato richiamato. Mi disse che doveva centrare una ragazza, una nuova, che gli aveva sconvolto le idee, che aveva fatto tornare suo figlio la persona che aveva sempre conosciuto >
Gemetti in silenzio nel notare che mi ero stretta talmente tanto le mani da infilarmi un unghia nella carne.
< Ho fatto due più due: Joe è cambiato proprio nei mesi in cui tu sei tornata a scuola >
Ci fissammo negli occhi per un lungo istante.
Poteva essere vero?
Un cuore così bisognoso di libertà, a cui non piaceva essere legato a qualcosa, poteva battere di amore per me? Io, una ragazza dal mondo completamente sconvolto, un ragazza che aveva vissuto per anni con un padre che l’aveva sempre maltrattata, una ragazza che era stata la causa della morte di sua madre, una ragazza che la prima volta che lo aveva visto non si era fatta ingannare dai suoi giochetti.
Quella stessa ragazza che aveva trovato sdraiata per terra, con la fronte sanguinante, in mezzo a mille pezzi di vetro rotti.
< Mi sta dicendo che non farà niente? > chiesi.
< Ad ognuno di noi viene data una possibilità. Questa è quella di Joe ed è anche la tua. Non la sprecate >
< Grazie > dissi, con il tono di una che non è sicura della risposta che ha appena dato.
< Puoi andare, e dì pure a Jonas e Pattinson che questo episodio lo cancellerò, ma che sarà l’ultima volta >
< Grazie > dissi mentre mi alzavo.
< Oh > mi richiamò < e di anche ai due giovanotti che li aspetto domani in detenzione, per due settimane >
< Va bene > aggiunsi.
Bè gli era andata anche bene, pensai.
< Buona fortuna Demi, te lo auguro di buon cuore >
Quel congedo mi spaventò, ma in quel momento non ci badai.
Anche se presto avrei capito che la signorina M sapeva molto più di tutto quello che mi potevo immaginare.
E ciò che sapeva mi avrebbe messo davanti ad una scelta che avrebbe cambiato ogni cosa.

 

Joe
 

< Che cosa? > chiesi alzando il tono della voce per lo stupore.
Demi mi fece segno di abbassare la voce, voltandosi per vedere se qualcuno avesse ascoltato la nostra conversazione.
Eravamo a Central Park, seduti su una panchina davanti al Carosello. Il parco non era molto affollato, solo qualche bambino che saliva e scendeva dalla giostra.
Io e Demi avevamo preso l’abitudine di andare al parco dopo la scuola, almeno una volta la settimana. Erano passati mesi dalla prima volta che l’avevo portata, era ancora autunno. Invece ora, agli inizi di aprile, l’atmosfera era del tutto cambiata. Gli alberi erano tornati nei loro colori verdi spumeggianti e i fiori iniziavano a sbocciare. Ma in quel momento il bellissimo panorama del parco non attirava la mia attenzione, la notizia di Demi l’aveva catturata del tutto.
< Hai sentito bene > mi rispose Demi, quando si fu accertata che nessuno ci avesse sentito.
< No, sul serio? Un tale che non conosci ti ha spedito un assegno di ottocento mila dollari? >
< Esattamente > rispose Demi, come se nemmeno lei riuscisse a crederci.
< Ma perché lo avrebbe fatto? > chiesi.
< Non ne ho idea. Ti ho appena detto che nemmeno lo conosco! > esclamò lei.
< E come ha fatto ad avere il tuo indirizzo? >
< Non lo so >
< Magari ha sbagliato persona? >
< No c’è scritto il mio nome, il mio cognome e dice espressamente che il denaro dovrà essere destinato ai fondi per l’orfanotrofio di mia zia, c’è anche l’indirizzo >
< Sei proprio sicura di non conoscere questo..?. >
< Wislow >
< Ecco, ne sei sicura? >
< Si >

< JOE! > protestò lei, soffocata dalle mie domande.
< Ok, scusa >
Demi si mise i gomiti sulle gambe e cominciò a massaggiarsi le tempie con i pollici, respirando a fondo.
< Perché la mia vita deve essere sempre così incasinata? > chiese, mettendosi il viso tra le mani.
La guardai rimanendo immobile, vederla così mi distruggeva, ma io cosa potevo fare?
Niente. Ero perfettamente inutile, nessuno avrebbe potuto aiutarla.
Così visto che rimanere con le mani in mano non era da me, mi guardai intorno per farmi venire qualche idea.
Grazie al cielo l’ispirazione arrivò subito.
Vicino alla panchina dove sedevamo, c’era un cespuglio di rose color pesca. Ne presi una, cercando di non pungermi con le spine e la misi sotto il mento di Demi.
Lei sentendo il profumo del fiore, scostò le mani dal viso, guardò la rosa e poi me.
< Aiuterebbe una rosa e se ti dicessi che sei bellissima? > chiesi.
Demi alzò gli occhi al cielo < E se rispondessi che sei un venduto di proporzioni cosmiche? >
Soppesai la domanda < Se ti fa sentire meglio... >
Demi sorrise, prese la rosa e se la portò sotto il naso per assaporarne a fondo il profumo, poi si chinò per darmi un bacio sulla guancia e appoggiare la testa sulla mia spalla.
< Grazie > mi sussurrò all’orecchio.
Sorrisi tra me, poi mi alzai dalla panchina. < Che vuoi fare? Startene lì, su quella panchina a poltrire tutto il pomeriggio? > chiesi fingendo una nota di incredulità nella voce.
< L’idea mi allettava > ammise Demi.
Alzai gli occhi al cielo esasperato, l’afferrai per una mano e la trascinai via.
Demi iniziò a chiedermi dove la stessi portando e io le risposi di fidarsi, così non molto convinta, si lasciò guidare da me.
La condussi dal bigliettaio vicino al carosello, pagai per i due gettoni e le feci strada verso la giostra.
< Joe ma che fai? > mi chiese Demi, indugiando sul cavallo di legno che aveva davanti.
< Un po’ di cultura > risposi, ignorando il suo sguardo scettico.
Entrambi salimmo su due cavalli vicini e il suono del campanello annunciò la partenza della giostra.
< Lo sapevi che questa è la giostra più antica di tutto il parco? > chiesi a Demi.
< No > ammise lei.
< È stata costruita nel 1870, ma prima di questa giostra si usavano cavalli veri >
< Poveretti > commentò Demi.
< La tecnologia, tempo dopo, ha semplificato le cose e mandato quei poveri animali in pensione. Così nacque la prima giostra di Central Park >  raccontai.
< Vedo che sai molte cose di questo posto > puntualizzò lei.
< Mi ha sempre affascinato, da bambino mio padre mi ci portava sempre > confessai, ma zittendomi subito pensando a quanto lontani erano quei giorni.
Demi se ne accorse e chiese: < Tutto a posto? >
< Si > mentii.
< Sono sicura che anche a tuo padre mancano quei momenti >
< Lo dici solo perché non lo conosci > ribattei.
Demi si sporse sulla sella del cavallo di legno e mi prese una mano < Joe, tuo padre non è una persona cattiva, ne sono sicura. Probabilmente ha solo paura che tu non voglia più riavere un rapporto con lui, che sia troppo tardi. Ma è tardi solo se lo pensi tu > 
Ci pensai un po’ su poi la guardai negli occhi.
Demi avrebbe tanto voluto dare quell’opportunità a suo padre, ma lui non gliel’aveva voluta dare. Invece io ne avevo l’opportunità ed indugiavo se afferrarla o meno.
Mentre lei, un tempo, avrebbe fatto i salti mortali per averla.
Ancora una volta mi chiesi come la sorte potesse essere stata tanto cattiva con lei. Come la vita si divertisse a non volerle mai concedere un momento di pace. Come i pezzi di quel suo passato così sconosciuto, affiorassero dal nulla senza mai trovare il loro posto.
< Cosa ho fatto di buono per meritarti? > le chiesi.
< O cosa hai fatto di male? > suggerii lei scherzando.
Risi alla sua battuta e l’attirai a me, dandole un dolce bacio sulle labbra.
Forse quell’opportunità l’avrei afferrata.


Angolo Autrice: Scusate l'attesa ma sto recuperando tutti i compiti arretrati! :( Spero vi sia piaciuto questo capitolo...anche perchè non manca molto alla fine! Sono così emozionata, questa storia è davvero molto importante per me e sono felice che finalmente qualcuno potrà leggerne il finale, anche se mi mancherà davvero tanto!
un bacione e alla prossima!
Sonny

RICORDATE

continuerò ad aggiornare
questa fan fiction
solo se riceverò almeno
3 recensioni a capitolo.
GRAZIE

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=774794