Britin's Stuff di SidRevo (/viewuser.php?uid=115424)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A little Sunshine called Chanel. ***
Capitolo 2: *** Smile. ***
Capitolo 3: *** Message. ***
Capitolo 4: *** Fucking happy 40th birthday. ***
Capitolo 5: *** We always belong. ***
Capitolo 6: *** Family. ***
Capitolo 7: *** Welcome back to St.James. ***
Capitolo 8: *** Never say never. ***
Capitolo 1 *** A little Sunshine called Chanel. ***
A little sunshine called Chanel.
Raiting: Giallo.
Timeline:
Post 5x13.
*'*'*
“A
little sunshine called Chanel”
[betato da Trappy]
“Your song” - Elton John
È
notte fonda quando le tue palpebre pesanti come macigni e appiccicate
dal sonno si socchiudono appena, scorgendo nel buio i numeri digitali
di un verde luminoso che segnano le tre in punto. «Puntuale
come un orologio svizzero.» biascichi e ti sollevi stancamente dal
letto, passando una mano tra i tuoi capelli scuri, per sgusciare
lontano dall’abbraccio delle lenzuola e raggiungere chi reclama a
pieno diritto le tue attenzioni.
Ti
avvicini e avvolgi con un’occhiata innamorata quel miracolo
luminoso che si mostra ai tuoi occhi. Ti protendi, ammirando quei
ciuffi biondi spettinati e setosi, leggeri come un alito dorato e
sfiori in un bacio una guancia lattea dalla pelle vellutata.
Ami
il suo odore: quel sentore d’innocenza e di purezza racchiusa in una
nuvola che sa di crema alla rosa, borotalco e latte; e ami la sua
voce, o meglio i suoi gorgoglii indefiniti, quando con decisione
reclama l’attenzione del resto del mondo, come una piccola star
vanitosa che sa di essere amata e sa di poter far correre tutti al
suo cospetto.
Avvolgi
la minuscola e soffice vita con le tue mani che sembrano gigantesche
a confronto, e sollevi quel corpicino profumato per innalzarlo e
poggiarlo al tuo petto. «Qualcuno ha ancora fame, o una più
semplice crisi isterica per reclamare attenzione.» brontoli con dolcezza, per
quanto la tua voce roca e impastata dal sonno, possa sembrare dolce.
«Di questo passo diventerai una cicciona lardosa, piena di
cellulite.» sbadigli, ma tua figlia sembra sbattersene altamente del
fatto che non ti lascia dormire neanche un’ora in pace, da un paio
di mesi a questa parte; e soprattutto non sembra affatto preoccupata
della sua linea. Certo è che, se ha preso da qualcuno di tua
conoscenza, i problemi di peso non la sfioreranno mai neanche
lontanamente.
Scendi
le scale della zona notte e raggiungi la cucina. «Allora piccola
ingorda...» inizi, guardando negli occhi blu e liquidi per il pianto
appena terminato, la tua piccola interlocutrice. «...quale tetta
vuoi?» le chiedi, indicando i vari biberon diligentemente sistemati
sulla cucina, mentre con un movimento degno del migliore giocoliere
del mondo – alla faccia di Justin che diceva che non ne eri capace
– prendi il latte tenuto in caldo. «Optiamo per l'orrendo rosa
confetto con degli stupidi orsetti?» indichi il biberon col la
fascetta in plastica di quel colore e poi passi l’attenzione su
quello accanto. «Oppure un più chic, e meno zio Emmett, blu
cobalto?» la guardi come se ti aspettassi seriamente una risposta e
la baci con amore sulla testa, astenendoti dal notare che ti sta
sbavucchiando sulla piccola porzione di spalla che è impegnata a
succhiare amorevolmente.
Afferri
il biberon ornato di blu e versi accuratamente il latte, per poi
ritapparlo – sempre attingendo alle tue incomprese abilità di
giocoliere – e l’avvicini
alle piccole labbra morbide di tua
figlia. «Eh sì, farai dei pompini da paura...»
commenti, mentre la
guardi avventarsi famelica tentando di sorreggere con le proprie
manine paffute il biberon. Sorridi, gironzolando per il loft, e la
osservi come se non esistesse nient’altro che lei al mondo.
«...ma non diciamolo a papà, altrimenti poi diventa
geloso, rompipalle e
smette di farsi scopare da questo tuo splendido e bellissimo
papà.» le sussurri all’orecchio, come se fosse il vostro piccolo
segreto, mentre la porta scorrevole si apre lentamente e una voce
familiare conquista la tua attenzione.
«Con
quali immorali insegnamenti stai traviando nostra figlia?» lo senti
accusarti, e il tuo cuore pare riempirsi fino a scoppiare di gioia,
ora che anche l’altro luminoso sole della tua vita è tornato a
casa. Ti volti e gli sorridi, mentre si trascina dietro il trolley,
ciondolando per la stanchezza.
«Mi
stavo solo complimentando per come succhia questo finto capezzolo.»
ridi e ammicchi, sollevando una delle sopracciglia. «Tutta suo
padre.»
Justin
sorride e scuote la testa, togliendosi il cappotto. Si avvicina a te
e ti bacia. «Ciao.» sussurra suadente, per poi riservare un bacio
per la fronte della piccola di casa. «Ciao anche a te. Mi siete
mancati.»
«Com’è
andata a Parigi?» gli chiedi, con uno sguardo che in realtà
significa “ho odiato ogni singolo minuto che hai trascorso là,
perché mi sei mancato da morire”, che lui comprende
perfettamente.
«Al
solito. Sorrisi e miliardi di complimenti all’arrivo. Crisi
isteriche prima dell’apertura. Saluti, chiacchierate e altri
sorrisi durante tutta la mostra, e notti passate a ignorare il
telefono e desistere dalla voglia di chiamare per prenotare il primo
volo e scappare a Pittsburgh.» scrolla le spalle e aggiunge: «Ho
venduto tutto, ma non è bello senza di voi.» conclude, un po’
malinconico, e riprende a guardare la sua bambina con amore. Da
quando quel “mini raggio di sole” è entrato nelle vostre vite,
non l’hai più affiancato in una delle sue mostre, a meno che non
sia molto vicina a casa. Di lasciare la piccina per più di
qualche ora a qualcuno che se ne occupi non se ne parla – siete
entrambi troppo gelosi per permettere a chiunque di “rubare” per
sé troppi momenti con il più splendente dei gioielli – e di farla
stancare tra un volo e l’altro, è ancora più irrealizzabile nelle
vostre prospettive.
«Insomma,
un completo successo come al solito.» commenti senza neanche
impegnarti minimamente a nascondere l’immenso orgoglio che traspare
dal tono assunto dalla tua voce. «Hai sentito tesoro? Il tuo papà è
diventato ancora più schifosamente ricco. Sarai la bambina più
viziata di questo gaio, gaio mondo.»
«Con
te come padre di sicuro.» replica Justin, pizzicandoti un fianco.
«Non ha neanche tre mesi e, guarda qua...» indica la sua splendida
tutina da notte bianca candida e aggrotta la fronte nel vedere la
modaiola griffe. «Gucci? È nuova questa?»
Arricci
le labbra e menti spudoratamente: «No. Ti sarà sfuggita.»
«Brian,
quanto shopping avete fatto in mia assenza?»
«Lo
stretto necessario, giusto principessa?» confessi, ignorando le
occhiatacce del tuo compagno, rivolto alla bimba che ha
diligentemente ingurgitato tutto il suo latte. La sistemi con il
petto contro la tua clavicola e, dopo aver poggiato il biberon sul
tavolo, la inciti, dondolando, a sbuffare.
«Comunque,
mentre voi eravate a sperperare a destra e a manca per negozi, io ho
fatto questo nel tempo libero a Parigi...» torna sui suoi passi per
raggiungere il trolley e ne tira fuori con cura quella che ha tutta
l’aria di essere una tela.
Curioso
come il peggiore dei mocciosi ti avvicini, e tieni gli occhi puntati
su quel rigido rettangolo, finché le mani di Justin non lo liberano
dalla carta marrone e mostrano ai tuoi occhi stupefatti il più bel
quadro che tu abbia mai visto.
Il
tuo Justin è sempre stato un mago, ufficialmente il tuo artista
preferito, e non solo perché è lui, ma anche per le emozioni che
riesce a trasmetterti e quello che riesce a farti vedere nelle sue
pennellate astratte e in quegli schizzi confusi.
Stavolta,
però, non ha impresso il suo stile sulla superficie bianca; stavolta
ha semplicemente disegnato quella che sai essere l’immagine con cui
si raffigura nella sua testa la felicità. E sei certo di questo,
perché è la stessa che lampeggia nella tua.
È
un po’ come guardare una foto, per la minuziosa ricerca e cura dei
particolari; una bellissima foto in cui ci siete tu e lui, e le
vostre gioie più grandi: Gus, sorridente e in piedi davanti a te che
lo abbracci e la raggiante nuova arrivata che spicca tra le braccia
di Justin; con Britin come sfondo perfetto a quella che è la reale
favola più bella del mondo. «È bellissimo.» commenti con un filo
di voce, incantato da ciò che vedi. «Non è bellissimo?» chiedi
poi alla piccola, che stavolta riesce a risponderti, anche se a modo
suo, con uno sbuffetto che odora di latte, in faccia.
«Be’...»
ride Justin. «C’è chi dice che quando uno rutta è un complimento
per chi ha cucinato. Possiamo adottarlo anche in questo caso?»
«Direi
di sì.» borbotti, con un’espressione contrariata disegnata sulla
faccia. «Bene signorina, ora che hai elegantemente ruttato in
faccia a tuo padre, pensi di poter tornare a dormire e lasciare che i
tuoi due papà festeggino come si deve?» le chiedi e sfiori il tuo
naso con la punta del suo minuscolo e lucido, ammirando il modo in
scuote le piccole braccia e ride contenta. Una cosa in tutto questo è
certa: da te ha sicuramente già preso la propensione a viversi ogni
notte, anche se i geni che hanno creato quel piccolo esserino
appartengono all’uomo che ami.
La
baci ancora una volta e ti separi di malavoglia da lei per lasciarla
alle cure di Justin, e alla sua voce sorprendentemente intonata,
perché la culli e la faccia addormentare al più presto. Perché per
quanto tu sia letteralmente impazzito per quella bambina, è una
settimana che non tocchi Justin e hai un feroce e consumante bisogno
di farti la prima di una lunga serie della vostre sacrosante
scopate.
Ti
avvii verso il bagno per sciacquarti la faccia, tenendo le orecchie
ben tese per sentirlo cantare, e torni a distenderti sul letto per
ammirare quella che da qualche mese a questa parte – sempre
ovviamente dopo quella di Justin nudo ed eccitato nel tuo letto – è
diventata la tua immagine preferita: vedere l’uomo che ami che
culla la piccola e perfetta eredità che ha lasciato al mondo è
qualcosa che ti scalda dentro e ti lascia la sensazione di poter
brillare della stessa luce che appartiene a quei due.
Osservi
gli occhietti blu e vispi della piccola appesantirsi lentamente tra
le cure amorevoli di suo padre, finché quegli abissi profondi non
scompaiono sotto la pelle morbida delle piccole palpebre.
Già,
perché lei è davvero piccola, minuscola rispetto a quello che
ricordi essere stato il tuo Gus, ma è piena di vita e forte come un
uragano, esattamente come il suo biondo padre; e proprio come con
lui, nonostante quell’incontenibile senso di protezione che ti
assale ogni volta che pensi a tutto lo schifo che avete dovuto
prendere a calci, sai che anche lei saprà farsi valere. Sai che le
insegnerete a lottare e salire in alto, proprio come avete fatto voi,
per avere tutta la libertà di questo mondo, per essere felice e
diventare esattamente ciò che desidera essere, senza che nessuno
possa permettersi di scoraggiarla o impedirle di compiere il suo
cammino.
Sai
che sarà una “donna con le palle”, proprio come quella a cui si
rifà il nome che hai personalmente scelto per lei...
«Si
è addormentata?» domandi, quando lo vedi riporla nella sua culla
super chic.
«Sembra
di sì.» sussurra appena, allontanandosi lentamente, dopo aver
soffiato l’ennesimo bacio nell’aria per lei. Ti raggiunge sul
letto e si distende con te. «Ti ha fatto impazzire in questi
giorni?»
«Non
più di quanto l’hai fatto tu quando sei piombato qui.»
«Ehi,
non dovevi mica cambiarmi i pannolini.» protesta e un sorriso
sarcastico spunta sulle tue labbra.
«Be’...praticamente è solo quella la differenza.»
«Vaffanculo.»
borbotta e ti sale cavalcioni, per prendere possesso delle tue labbra
e mordicchiarle dispettosamente. «Sei proprio uno stronzo. Senza di
me saresti stato perduto. Una vecchia checca single, apatica e
pessimista.»
«Ehi,
moccioso...piano con i complimenti.» gli dai una pacca sul sedere,
ma dal modo sensuale in cui ti sorride capisci che non l’ha preso
certo come un rimprovero. «E comunque rettifica. Sarei
rimasto uno splendido single, incredibilmente brillante e
spaventosamente sexy.»
«E
paurosamente umile, aggiungerei anche.»
«L’umiltà
è per i perdenti, Taylor. Chi conosce il proprio valore non si
preoccupa certo di evitare di dirlo o mostrarlo.» ammicchi sicuro di
te e lo vedi ridere, prima di poter godere dei suoi baci.
«Mi
mancavano le sue perle, signor Kinney.» parla sulla tua bocca e
prosegue a scendere sul mento e lungo il collo, con una lentezza così
esasperante quanto eccitante.
«A
me mancava il tuo culo.» pronunci con la voce cambiata
dall’eccitazione e non resisti alla voglia di palpeggiarlo come
Dio comanda. Senti la sua risata compiaciuta solleticarti la pelle
e gli prendi il viso tra le mani per costringerlo a tornare su e
farsi baciare come si deve. Vuoi sentire il suo sapore sulla tua
lingua; vuoi entrare dentro di lui e godere della sensazione che ti
da l’idea di essere una cosa sola con lui; vuoi decisamente
recuperare il tempo perduto e niente e nessuno riuscirà a
distoglierti dai tuoi intenti...niente e nessuno a parte i teneri
gorgoglii di qualcuno che dovrebbe dormire, ma che è
ancora fin troppo energica per lasciarvi concludere la notte in
bellezza. «Chanel Taylor Kinney.» la chiami, pronunciando
per intero il suo nome con un tono autoritario, mentre Justin
nasconde la testa sul tuo petto esasperato. «Ti assicuro che me le
pagherai tutte.» la minacci ancora, ma sembra non avere la minima
intenzione di riaddormentarsi di colpo da sola. «Aspetta di essere
un’adolescente con l’ormone impazzito, e una cintura di castità
per dispetto non te la toglie nessuno!»
«Perché...hai intenzione di lasciarle fare sesso prima dei trent’anni?» ti
chiede il tuo biondo artista, con un’espressione allarmata, mentre
si alza e prende in braccio la bambina per scortarla fino al letto e
distenderla al centro, in mezzo a voi due.
«Ti
ricordo che la prima volta che mi hai schizzato sul copriletto, ti ho
leccato il culo e ti ho scopato per bene...»
«E
abbiamo fatto l'amore.»
Rotei
gli occhi al cielo, fingendo di essere scocciato e concludi:
«Comunque tu voglia chiamarlo, avevi diciassette anni.»
«E
allora?»
«Non
fare il padre palloso. Tanto se vuole scopare troverà comunque il
modo. Non mi pare che il caro Craig Taylor l’abbia avuta
vinta quando ha cercato di salvare il suo piccolo bambino innocente
dal mostro porco e cattivo che l’ha condotto nell’antro della
perdizione.» guardi la piccola che sgambetta allegramente e le fai
il solletico sotto il mento con l’indice. Adori vederla ridere. «E
poi perché dovremmo togliere a questo splendore le gioie e i
privilegi del giocare con un bel cazzo duro?»
«Sei
impossibile.»
«‘Impossibile’
cosa?» domandi con aria sorniona. «Impossibilmente bello, o
sexy? Audace o impossibilmente unico, irripetibile e
irresistibile?»
«Impossibile,
punto.»
replica acido lui e lo vedi aggrottare la fronte quando i suoi occhi
si abbassano su vostra figlia. «E lei è più impossibile di te.
Com’è che sul tuo letto di perdizione eterna e immoralismo si
addormenta subito come un sasso, e nella sua cazzo di culla
schifosamente costosa e firmata non ci vuol stare neanche a pagarla?»
Pieghi
le labbra all’interno della bocca e scosti uno dei piccoli ciuffi
di luce che le ricadono sulla fronte, per poi assumere un’espressione
incerta. «Credi che sia un segno?»
«Un
segno da interpretare come?» chiede Justin allarmato. «Che le
piacciono i posti decisamente poco etici o che posso vivere la mia
vita di padre tranquillo, senza che lei vada a scopare in giro,
perché certe cose non saranno mai la sua priorità e la faranno
addormentare?»
Inarchi
le sopracciglia con scetticismo e rispondi: «Mi auguro per lei che
non farà mai sesso soporifero!»
Lui
sembra pensarci su un attimo e solleva le sopracciglia. «Sinceramente
non so davvero cosa dovrei augurarmi...non ce la vedo proprio a
fare...»
«Perché?
Pensi che i tuoi ti ci vedessero a succhiare cazzi, a metterlo e
prenderlo nel culo?» domandi e lui resta in silenzio per un attimo,
per poi arricciare le labbra e negare, come se si sentisse un po’ a
disagio nell’immaginare i suoi che a sua volta lo pensavano in
certe situazioni. Probabilmente la cara Jennifer e quel mentecatto di
suo padre neanche riuscirebbero lontanamente a realizzare quello che
il loro bambino ha fatto e continuerà a fare. «Bene, allora
caro papà Taylor, mettiti l’anima in pace e quando sarà il
momento insegna a tua figlia a usare sempre il preservativo, e
a fare i tuoi pompini da urlo.»
«E
se diventa lesbica?»
«Scordatelo.»
rispondi schifato al solo pensiero. «Non permetterò mai che mia
figlia diventi una camionista leccaciuffe! La signorina qui presente
conoscerà Armani, Gucci, Prada, Fendi...e ovviamente la donna da
cui ha ereditato il nome. Avrà un occhio di riguardo per l’arte,
un’ovvia infarinatura sul business e, quant’è vero che noi siamo
froci, le piacerà il cazzo.» le lanci un’occhiata amorevole e
la senti biascicare qualcosa di inarticolato nel sonno, come se
l’avesse realmente compreso.
«Secondo
te capisce già quello che diciamo? O almeno ne avrà memoria?»
«Non
so.» rispondi e sorridi. «Ma se è così, è certo che la prima
cosa che imparerà a dire non sarà ‘papà’, ma qualcosa come
‘girati’, o ‘ancora’...seguiti da un delizioso ansimare.»
Justin
ridacchia e si protende con attenzione per baciarti. «Signor
Kinney, lei mi sconvolge!»
«Aspetta
solo che qualcuno impari a dormire nella sua culla, perché
giuro che riuscirò a farla dormire lì, e poi vedrai...»
«Qualcosa
mi dice che sarà come quando volevi farmi dormire sul divano.» ti
sorride, e non puoi fare a meno di ricambiare. Se la piccola Taylor
ha preso anche la tenacia dal padre, sai di aver già perso in
pazienza. Justin ha sempre saputo come ottenere ciò che voleva e, se
Chanel è come lui, dovrete dire addio per un po’ al tuo comodo
letto e spostarvi in qualsiasi altra superficie piana –
orizzontale, verticale o diagonale che sia – su cui poter dar sfogo
liberamente ai vostri istinti sessuali.
Sospiri
e le accarezzi una guancia morbida e incredibilmente paffuta, così
tonda da istigare la voglia di morderla, e sollevi lo sguardo
sottecchi per ammirare anche l’espressione assorta di Justin,
mentre veglia sul sonno di sua figlia.
Da
quando ha invaso la vostra vita avete dovuto adattare e plasmare le
vostre abitudini sui suoi desideri, eppure non c’è niente che
rimpiangi, se lo paragoni alla sensazione che riesce a darti un suo
minuscolo gesto, un sorriso, o la felicità che puoi scorgere sul
volto della persona che ami. Non c’è assolutamente niente che
rivorresti della tua vecchia vita, se questo significa rinunciare a
lei e a quello che sa darvi.
Pieghi
le labbra in un lieve sorriso e ti lasci ricadere con la testa sul
cuscino, fingendo rassegnazione. «Per stasera, niente sesso.»
borbotti contrariato. «Ma alla prima occasione ti assicuro che mi
pregherai di smettere.»
Justin
ti sorride e si distende a sua volta. «Lo so, lo so.» risponde
sincero, chiudendo gli occhi. «E non vedo l’ora.» la sua voce si
riduce a un sussurro e capisci che deve essere davvero distrutto.
Sposti
il gomito piegato sotto la testa, in modo da poterli guardare meglio
e vegliare su di loro mentre riposano; perché ami farlo...ami
osservare ogni più piccolo particolare di loro e t’incanti nel
movimento dei loro respiri.
Il
vecchio te direbbe sicuramente che non c’è cosa più patetica di
questa, ma la persona che sei diventato accanto a Justin non ha alcun
rimorso o rimpianto, e sa bene che niente e nessuno è fortunato
quanto te da avere due piccole stelle luminose che dormono nel suo
letto.
“...How wonderful life is, while you're in the world.”
Note dell’autrice:
Lo
so, penserete che sono matta e stressante a pubblicare una raccolta di
OS quando ho già una long avviata, ma non ho potuto farne a meno
perché, come ho spiegato nell’anteprima
- o quel che è - il mio cervellino continua a produrre
incessantemente momenti Britin e alcuni di questi non posso inserirli
nella long per motivi di trama...perciò, questa era l’unica soluzione. XD
Riguardo a questa OS particolarmente fluffleggiante...forse anche
troppo, è nata perché girovagando sul web mi sono
imbattuta in un’immagine -
forse era un disegno - in cui era raffigurato Brian che teneva in
braccio un neonato, affiancato da Justin.
Fermarmi a quel punto è stato impossibile e mi sarebbe piaciuto
mostrarvi la foto a cui mi riferisco - e che forse qualcuno avrà
già visto - ma non sono riuscita ancora a trovarla. Se mai la
dovessi ritrovare la posterò in seguito!
È un po’ campata in aria come OS, ma spero vi sia piaciuta comunque.
Un grazie a chiunque l’abbia letta e a chi avrà voglia di recensirla!
Veronica.
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Capitolo 2 *** Smile. ***
Smile.
Raiting:
Verde.
Timeline:
Molto Post 5x13.
*'*'*
“Smile”
[betato da Trappy]
Osservi
attentamente gli occhi scuri identici ai tuoi, nella forma e nel
colore, e quei lineamenti che sembrano fatti esattamente con lo
stesso tuo stampo, neanche stessi guardando una tua vecchia
fotografia, o uno specchio capace di ringiovanirti; ma quello davanti
a te non è né una foto né uno specchio...è “solo” tuo
figlio.
Il
tuo grande orgoglio, il tuo più bel successo.
Lo
vedi gonfiare le guance, con la tua stessa espressione scazzata:
quella di chi sembra essersi appena strappato il fegato e la milza
con le mani, per ammettere prima con se stesso, poi a voce
alta, qualcosa che mai avrebbe voluto dire neanche sotto le peggiori
torture medievali.
E,
probabilmente, la tua espressione stupita per quello che le tue
orecchie hanno appena sentito non deve certo aiutarlo. «Credo
di non aver sentito bene.» borbotti, e lui ti lancia un’occhiata
degna di una delle tue migliori espressioni incazzose.
Piega
le labbra all’interno della bocca; e quasi ti salgono i brividi lungo
la schiena nel sentire il suo tono sprezzante e sfrontato, eco del
tuo. Sono ormai vent’anni che ti sbatte letteralmente in faccia
quanto sia identico
a te, ma ancora non ci hai fatto l’abitudine, e probabilmente mai ce
la farai. «Devo davvero ripeterlo?» sputa acido, assottigliando lo
sguardo.
«Stai
seriamente
parlando di te stesso?» chiedi scettico. «Cioè...sei sempre Gus
Kinney o una qualche cazzo di navicella spaziale ha pensato bene di
sfarfallare da queste parti per rapire mio
figlio
e appiopparmi un suo surrogato?»
«Cazzo,
pà! Ha ragione Ted!» sbotta nervoso. «Fai proprio schifo a tirare
su il morale! Meno male che sei troppo stronzo per fare del
volontariato, o le stime dei suicidi raggiungerebbero picchi mai
visti!»
«Ragazzino,
una cosa alla volta. Devo ancora digerire il fatto che mio
figlio sia etero!»
Gus solleva le sopracciglia con un’espressione scocciata e non riesci
a trattenere una smorfia. «Che cazzo ci troverai nel leccare
quella...cosa, non
lo capirò mai!»
«Tutti
non fanno che ripetermi quanto somiglio a te...qualcosa da mamma
dovevo pur ereditarla, no?»
«L’ho
sempre pensato che le leccaciuffe
avrebbero avuto una cattiva influenza su di te.»
«E
io lo sapevo di aver sbagliato padre
a cui chiedere.» borbotta, calcando bene la parola “padre”,
perché tu la percepisca chiaramente.
Lo
guardi fintamente offeso, tenendo a mezz’aria la tazzina di caffè,
per poi sorridere sornione. «E perché mai dovresti chiedere a lui?
Somigli a me, anzi somigliavi...»
rettifichi girando con sadismo il dito nella piaga, e lo vedi roteare
gli occhi.
«Non
è esatto. Somigliavo al vecchio
te.» controbatte, con quell’espressione spavalda che vorresti
prendere immediatamente a schiaffi, se solo non fosse un fottuto
controsenso, dato che...sì, anche
quella
è perfettamente uguale alla tua. «Mi pare che tu ti sia accasato da
un bel po’ nel tuo bel castello principesco, con il tuo maritino.
Ti ci vedo bene in pantofole e vestaglia, con gli occhialini calati
sul naso, mentre passi le serate a leggere il giornale vicino al
fuoco del camino...vecchio.»
Posi
la tazzina sul piattino per desistere dal lanciargliela contro.
Incroci le dita e fai buon viso a cattivo gioco. In fondo è ancora
solo un moccioso e ne ha di strada da fare prima di raggiungerti. «Si
da il caso che io non porti gli occhiali perché la mia vista è
ottima. Infatti
vedo benissimo quanto sei coglione.»
e uno a zero per Kinney Senior. «Seconda cosa, nel caso tu non te ne
sia accorto...e il motivo torna alla frase di prima, è quasi
estate, piccolo stronzetto...quindi non accendo proprio nessun cazzo
di fuoco in nessun cazzo di camino. E terzo, tuo padre e l’altro
tuo
padre, hanno decisamente di meglio da fare che leggere il giornale in
pantofole e vestaglia.»
«Cosa?
Giocare a bridge?»
«Scopare,
piccolo
mocciosetto impudente.» gli sorridi sprezzante. «Quello che presto
non farai più tu, perché ti sei...Dio, potrei vomitare solo a
tentare di pronunciarlo.»
«Non
la conosci neanche!» scatta sulla difensiva; e ora sì, che ti
vengono i brividi. Questa non è una tua eredità...questo è tipico
dell’altro padre
di Gus. Appartiene a lui un vizio simile, ed è a lui che devi il
fatto che tuo figlio sia meno ottuso e cieco di te per quanto
riguarda i sentimenti e l’amore.
D’altronde,
però, è anche vero che a lui è stato insegnato ad amare fin dalla
nascita, perché circondato da una vera
famiglia.
Tu l’hai imparato dopo i
ventinove anni.
«E
spero anche di non farlo!» ribatti comunque stranito, al limite
dello scioccato, dopo esser ufficialmente tornato ad avere qualche
dubbio sulle proprietà nocive e letali dell’amore sulla gente.
Un
giorno tuo figlio ti fa gongolare come un pazzo perché sai che scopa
ovunque, senza legami e stronzate al seguito, perfetto lascito della
tua vecchia e cara filosofia “Io non credo nell'amore, credo nelle
scopate”, seppur lo faccia nel mondo etero...e il giorno dopo
finisce col presentarsi da te con una faccia da funerale e ti chiede
come tirarsi fuori dal pantano in cui si è andato ad infilare.
Proprio un bell’affare!
«Ti
sei innamorato anche tu, mi pare!» replica, e pronuncia proprio
quella dannata parolina che non avresti voluto mai sentirgli dire...non a vent’anni almeno!
“Innamorato”. Tuo figlio, Gus Kinney, si è fatto fregare come un
fesso. Ne sei sempre più convinto...l’amore porta guai.
«E hai smesso da un bel po’ di scopare qualsiasi cosa ti capiti a
tiro!»
Inarchi
le sopracciglia e scandisci: «Si da il caso che io abbia
quarantanove anni.»
«Cinquanta.»
rettifica lui; e potresti giurare di averci sentito una lieve nota di
soddisfazione nella sua voce.
«Quarantanove.
Ancora per qualche mese.» puntualizzi contrariato. «E, comunque,
avevo molti
più anni di te quando mi sono dato alla monogamia.»
«Solo
perché avevi ‘molti
più anni di me’
quando hai incontrato Justin.»
ti accusa prontamente, e mai come adesso hai detestato questo suo
esserti così simile anche nei modi di fare. Gus, come te, vuole
sempre avere l’ultima parola.
«Non
credo proprio.» rispondi deciso, anche se dentro il dubbio resta.
Chissà
se sarebbe davvero andata diversamente; se saresti davvero riuscito a
resistere a quei capelli troppo biondi, ai suoi occhi profondamente
blu e ai suoi modi di fare che fin dalla prima volta ti hanno
attratto come una calamita.
Ti
concedi un lieve sorriso e ogni congettura ti abbandona, mentre nella
tua testa si fa strada la consapevolezza che, a dispetto di tutti i
“se” o i “ma”, ne sei certo, il tuo presente non potrebbe
essere più felice.
E
come se esistesse ancora quella strana fatalità che ha aleggiato
intorno a te fino a farti uscire dal Babylon al momento giusto in
quella notte di tanti anni fa – né un secondo di più, né un
misero secondo di meno – e che ti ha fatto incrociare gli occhi
dell’uomo che ami, anche adesso senti qualcosa che si stringe
piacevolmente nel petto, e sai esattamente da quale parte voltarti
per vederlo arrivare.
Non
sai ancora come ci riesce – dopo tutti questi anni insieme resta
sempre uno dei suoi misteri – ma ha l’assurda capacità di far
sentire al tuo cuore la sua presenza.
E
infatti è là, dall’altra parte della strada, che si guarda
oziosamente intorno prima di attraversare; e ti sorride non appena si
accorge del tuo sguardo, illuminando qualsiasi cosa intorno a sé.
Ti
perdi ad ammirarlo, con una lieve punta d’invidia nel constatare che
nonostante il tempo sia passato anche per lui – e che il “tre-zero”
l’ha già superato da parecchi anni, ormai – mantiene sempre quella
sua tipica aria di ragazzino sognante, e continua a indossare
perfettamente i suoi vecchi e adorati jeans sformati, in piena linea
con quella che trovi essere la sua terribilmente eccitante essenza
d’artista.
Non
riesci a non sorridere più apertamente quando i tuoi occhi notano le
scarpe da ginnastica malmesse, e ridacchi nel vedere che continua a
portarsi appresso quella vecchia tracolla – cimelio della sua
trapassata frequentazione dell’accademia delle belle arti – quando con tutti i soldi
che ha guadagnato in questi anni, potrebbe comprarsene a migliaia in
pelle umana...o pagarsi direttamente uno schiavetto che la porti per lui.
Ma
è anche per questo che lo ami.
Lo
ami per come si ostina a rimanere con i piedi per terra – pur
dipingendo sempre e solo quello che gli va, come e quando gli va –
quando tutti al suo posto sarebbero volati altezzosi chissà dove; lo
ami per come non
ti da ascolto, quando cerchi di convincerlo a indossare un vestito
formale a una delle sue importanti personali e lui ti guarda
scettico, mentre s’infila un’anonima camicia bianca e un paio di
pantaloni a caso...ma soprattutto lo ami per quegli sguardi carichi
di tensione sessuale che ancora intercorrono tra di voi e che
sembrano non volersi placare mai.
Lo
ami perché semplicemente sai che non ne avrai mai
abbastanza
di lui.
«Buongiorno
famiglia Kinney.» vi canzona, e come sempre dà un buffetto a Gus e
un bacio a fior di labbra a te. La regola è: “niente porcherie
davanti al bimbo”, anche se il bimbo
in questione ha già passato da un bel pezzo la fase di api, fiori,
cavoli e cicogne e scopa qualsiasi sciocca ragazzina carina che cade
ai suoi piedi...o meglio, lo faceva prima del fattaccio;
e anche se tu non ti faresti certo problemi a scoparti il tuo biondo marito sul tavolino
del bar.
«Pà...»
lo chiama Gus facendoti sorridere. Hai sempre adorato, fin dalla
prima volta in cui l’ha fatto, che si riferisse così a Justin...anche se, ovviamente,
non gliel’hai mai detto e mai
uscirà dalle tue labbra. Sei innamorato, sposato, monogamo e con una
vera famiglia, ma hai ancora un po’ di dignità da mantenere e il tuo
famoso orgoglio! «Grazie a Dio che sei arrivato, perché il padre
biologico è
pressoché inutile.»
«Cosa
ti detto questo essere gelido senza cuore?» gli risponde la tua
dolce metà, con un sorrisetto insolente.
«Semmai
cosa lui ha
detto a me.»
borbotti. «Sta cercando di farti restare vedovo prima del previsto.»
Justin passa gli occhi da te a tuo figlio, visibilmente confuso, e ti
decidi a pronunciare quelle tre parole che, messe secondo un filo
logico e riferite al sangue del tuo sangue, ti fanno accapponare la
pelle. «Si è innamorato.»
Gli
occhi blu di tuo marito guizzano sorpresi verso tuo figlio e ti
accomodi meglio nella sedia, con una gamba accavallata, pronto a
goderti la crociata in cui sicuramente
Justin
si lancerà per farlo rinsavire, spiegandogli quanto è importante
che alla sua età si diverta e che continui a scopare in giro come ha
fatto fino all’arrivo della guastafeste
in
questione. Accenni un sorriso compiaciuto nell’attesa, ma quello che
le tue orecchie odono, non è esattamente
quello che ti aspettavi: «Davvero?» domanda sorpreso. «Ma è
fantastico! Allora, chi è?»
«No,
no, no.» intervieni allarmato. «È...cosa?»
«Tuo
figlio è innamorato. Non sei contento?»
«Ma
ha solo vent’anni, Cristo Santo!»
Gus
e Justin sbattono più volte le palpebre in silenzio, per poi
scambiarsi una strana e poco rassicurante occhiata d’intesa.
«Brian...» ti chiama il tuo “caro” artista fedifrago, con un
sospiro calmo e quell’aria che assume ogni volta che sembra dover
spiegare a un bambino perché non può mangiare il dolce prima di
cena. «Non ti ha detto che vuole arruolarsi e partire per la guerra,
o farsi un viaggetto sulla luna. È
solo innamorato,
come tanti ragazzi della sua età.»
«Ma...»
tenti di protestare, quando l’odioso trillo del telefono di Gus
t’interrompe, e ti basta un attimo per capire che è Lei,
dal modo in cui un sorrisetto va a increspargli le labbra e da come
farfuglia scuse per andarsene.
«Io
dovrei...»
«Va’ pure.» gli strizza l’occhio Justin. «Bado io al vecchietto. Ti
chiamerò in caso di ictus o infarti!»
«Ottimo,
incoraggialo pure.» mormori stizzito, ripromettendoti dentro di te
che questa non gliela passerai poi tanto liscia. Peccato che ogni
punizione che balena nel tuo cervello prenda velocemente le sembianze
di qualche giochetto erotico.
«Pà,
ma almeno lo Stato te lo da un sussidio come badante?» ti sfotte
apertamente il tuo caro pargolo, e le tue labbra si piegano in un
sorriso tirato, molto poco amichevole.
«Poppante,
vedi di fare poco il simpatico, o sarà la tua...» sgrani gli occhi
in una smorfia disgustata e continui: «...che Dio ce ne scampi,
fidanzatina,
a farti da badante...perché sarai costretto a succhiare pappine con
la cannuccia per il resto dei tuoi giorni!»
«Vorrà
dire che ti farò compagnia.» risponde ironico, e tu inarchi le
sopracciglia.
«Hai
cinque secondi per sparire da qui, prima che ti prenda a calci nel
culo!»
«Buona
giornata, papino.»
«Anche
a te, stronzetto.»
mormori e segui la sua figura con un sorriso sulle labbra e, senza
neanche rendertene conto, uno sguardo carico d’amore condito da un
pizzico d’apprensione.
«Tranquillo
gelosone,
il suo eroe resti sempre tu e nessuna ragazzina ti ruberà il posto.»
commenta immediatamente Justin. Sai che a lui non puoi nascondere
proprio niente, ma a volte proprio non vorresti che riuscisse a
leggere così bene dentro di te. Hai ancora una reputazione da
mantenere, dannazione!
«E
chi ti dice che sono geloso? Di mio
figlio, poi!» ti fingi
stranito, ma dal sorriso splendente che si apre sul suo viso capisci
che la tua recita non ha funzionato affatto. Decide comunque di
risparmiarti l’imbarazzo di fartelo notare e si limita a protendersi
verso di te e regalarti quello che – finalmente! – è un vero
bacio.
A
malincuore separi le labbra dalle sue, quando entrambi capite che,
con quell’impeto, non avreste neanche raggiunto casa prima di darvi
alla pazza gioia, e uscite dal bar per incamminarvi verso la tua
auto.
Tiri
fuori il telecomando dalla tasca e fai per aprire la portiera, quando
– guidati da chissà cosa – i tuoi occhi si posano in un punto a
caso e riconoscono una figura molto
familiare.
Gus
è all’angolo della strada e sorride in un modo che mai gli avevi
visto fare, con lo sguardo puntato ad incrociare quello di un’altra
persona.
Ed
è lì che senti una stretta al cuore, ma non è tristezza, né
gelosia. Solo un po’ di ironica e dolce malinconia, nel vedere che
l’espressione innamorata di tuo figlio è rivolta verso una chioma
bionda e lucente, che incornicia un viso giovane dalla pelle lattea,
ornato da grandi iridi blu e da un sorriso splendido.
«Sembra
che abbia ereditato anche una certa passione
da te.» ridacchia Justin, scoccandoti un’occhiata sorniona, prima di
salire in macchina.
Lo
segui sistemandoti al posto del guidatore e, attraverso il
finestrino, guardi ancora una volta il tuo bambino
che ride felice. «Tipo cosa?» domandi con fare vago e tuo marito
scuote la testa rassegnato. «Moda, droga, alcool o sesso?» lui
rotea gli occhi e corre a imprigionare le tue labbra con le sue.
È
un attimo quello successivo, in cui i vostri occhi si fissano e
sembrano volersi fondere, come avete sempre cercato di fare voi due
del resto, nel divampante bisogno di stare vicini, insieme.
Lo
vedi sorridere raggiante e, come se fosse tutto parte di uno stesso
meccanismo, anche la tua bocca si distende armoniosa; e in quel
preciso istante capisci che il sorriso che hai visto su tuo figlio
non ti era poi così sconosciuto.
Anche
quello l’ha ereditato da te. Anche quello, come te, ha saputo
mostrarlo al mondo quando ha davvero imparato ad amare.
Note dell’autrice:
L’altra volta era stata un’immaginaria
figlia di Justin e Brian, stavolta non poteva che essere una OS su uno dei
personaggi che più adoro: Gus...anche se non è più
il piccolo bambino innocente! XD
Altra OS molto fluffleggiante...ma
che ci devo fare, amo così tanto i cari "Britin" che in qualche
modo mi devo sfogare...e, visto che domani me ne volo in Grecia, ho pensato di
salutarvi con un altro piccolo parto della mia mente malata!
Spero vi sia piaciuto!
Ringrazio tutti coloro che hanno letto la scorsa OS e coloro che hanno commentato! GRAZIE!
Vi auguro nuovamente BUONE VACANZE e a presto!
Un bacio,
Veronica.
|
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Capitolo 3 *** Message. ***
Message.
Raiting:
Verde.
Timeline:
Post 5x13.
*'*'*
“Message”
[betato da Trappy]
“A message” - Coldplay
Sali
sulla tua Corvette perfettamente pulita e impeccabile com’è sempre
stata – tralasciando il triste episodio in cui l’hai prestata a
Michael per il suo drammatico tentativo di fuga con il suo
figlioccio, che ti ricorda di non concedergliela mai più – e giri
rabbiosamente la chiave per metterla in moto.
Ti
abbandoni contro il sedile in pelle, godendoti il suo potente rombo,
come se potesse invaderti la testa e far piazza pulita di tutti i
pensieri che ti si arrovellano dentro.
Ti
chiedi cosa ti sia passato per la mente il giorno in cui ti sei convinto
ad aprire una tua agenzia, quando potevi firmare quel cazzo di
contratto con Gardner e startene buono al tuo posto, senza troppe
rotture a fracassarti il cervello e le palle, finché un sorriso spunta
sulle tue labbra.
Lo
sai fin troppo bene che non ne saresti mai stato capace, ma lo stress
lavorativo è davvero difficile da sopportare, soprattutto adesso
che, quando rientri a casa, non c’è Justin ad aspettarti con il
suo sorriso che disperde in un attimo ogni tua congettura,
lasciandoti pervadere solo dalla voglia di sentirlo ridere,
sussurrare e ansimare, sempre e solo stretto tra le tue braccia, in
un groviglio complicato delle lenzuola o dei cuscini sparpagliati sul
parquet.
Inutile
mentire: ti manca più dell’aria; ti è necessario anche più
dell’aria, ma non puoi far altro che aspettare e guardarlo
splendere in mezzo ai suoi continui successi.
Sei
orgoglioso, fottutamente orgoglioso...e sai di averlo “cresciuto” nel migliore dei modi, ma neanche tu
sai cosa pagheresti perché ti venisse lasciato più tempo da
trascorrere con lui, senza doverglielo chiedere; senza dover
combattere con i sensi di colpa che si aggrovigliano e ti si
stringono allo stomaco ogni volta che ti senti di rubargli tempo,
ogni volta che ti senti di troppo.
Lanci
un’occhiata al cellulare silenzioso gettato sul sedile accanto e
desisti dal comporre il suo numero, inserendo la marcia e
immettendoti nel traffico.
Vorresti
sentire la sua voce, ma temi d’interromperlo durante uno dei suoi
momenti d’ispirazione e sai che non potresti perdonartelo, anche se
lui farebbe e direbbe di tutto pur di rassicurarti e non farti
sentire in colpa.
Raggiungi
il tuo palazzo e senza troppo entusiasmo sali fino all’ultimo piano,
facendo scorrere la grossa porta e muovendo i primi passi in
quell’enorme spazio chic, quanto vuoto e apatico.
Sembra
che, da quando lui non vive più lì, ci sia fin troppo ordine, che
tutto sia perfettamente statico, immobile e impegnato a prendere
polvere – proprio come te – nell’attesa del suo ritorno.
La
cucina non l’hai praticamente più usata, se non per prepararti
qualche caffè la mattina, mangiando un boccone sempre e solo fuori,
perché qualsiasi cosa sembra essere insapore senza il suo sorriso
compiaciuto, mentre gusta la sua ennesima prova culinaria
perfettamente riuscita; e il frigo è sempre praticamente vuoto - tanto che sei convinto abbia perfino l’eco - ora
che fare la spesa ti sembra inutile e noioso.
Nel
bagno non hai mai spostato niente di suo. Lo spazzolino è al suo
posto, così come l’asciugamano gemello del tuo o la schiuma da
barba.
Solo
il bagnoschiuma nella doccia o lo shampoo ti sei concesso di usarli
qualche volta, per sentirti addosso qualche traccia del suo odore,
anche se non sarà mai lo stesso se non è sulla sua pelle; e anche
se odorarlo senza poterti stringere a lui fa ancora più male.
Nel
terzo cassetto – quello che non apri mai, quasi fosse off-limits
per te – c’è ancora qualcosa di suo, così come nella parte
sinistra dell’armadio: cose che ha lasciato; tracce della sua
presenza nel loft, per ricordarti che presto tornerà e che potrete
godervi quegli sporadici momenti al massimo, senza
alcuna stupida scusa, giustificazione o rimpianto,
pensando solo e soltanto a voi stessi e tagliando letteralmente fuori
il resto del mondo da quel posto perfetto e magico in cui potete
vivere solo voi due.
Sbuffi
scocciato, lanciando la ventiquattrore sul divano per poi toglierti
la costosa giacca dal taglio perfetto, che sembra modellarsi come una
seconda pelle sul tuo corpo, e allenti la cravatta.
Lanci
un’occhiata al telefono e, dopo aver notato la luce lampeggiante
della segreteria, premi il pulsante e ti versi un bicchiere di Jim
Beam, ascoltando il susseguirsi di messaggi, senza troppa attenzione.
Il
primo è di Michael che, isterico come al solito, ti impone
di richiamarlo al più presto,
mentre ti accusa di essere letteralmente sparito e di aver dato
l’ennesimo forfait alla cena che aveva organizzato per ieri sera.
Non
è per essere stronzo – o forse sì – ma proprio non ti passa
neanche nell’anticamera del cervello di trascorrere ore in
compagnia di suo marito, futuro Dalai Lama, e di quel ragazzino
complessato, sessualmente confuso e isterico del suo figlioccio.
Ti
riprometti di richiamarlo, ma le tue buone intenzioni svaniscono
rapidamente, come fumo nel vento, nel dimenticatoio, col cambiare
della voce riprodotta dalla segreteria; stavolta è Linz.
Sorridi,
appoggiandoti a una delle travi, mentre la sua voce squillante riempe
il loft e senti il cuore alleggerirsi quando ti comunica che tra
cinque giorni, lei e il tuo piccolo Gus, voleranno fino a Pittsburgh
perché tuo figlio non resiste più dallo starti lontano; e neanche
immagina quanto per te sia lo stesso.
Posi
il bicchiere per afferrare il cordless e richiamarla immediatamente,
anche solo per sentire per qualche minuto la voce del tuo bambino,
quando un altro “bip” si diffonde nell’aria, per informarti del
terzo e ultimo messaggio.
«Ciao.»
senti pronunciare con voce incerta, e il tuo cuore sembra sprofondare
dentro di te, prima di risalire all’improvviso e partire per una
maratona di pulsazioni a rotta di collo. «Avrei voluto
chiamarti al cellulare ma avevo paura di disturbarti al lavoro, così
ti ho chiamato a casa.» lo
senti soffermarsi per un attimo e ne approfitti per chiudere gli
occhi e respirare profondamente, immaginando di vedere i suoi capelli
dorati e lisci, e quei lapislazzuli splendenti dei suoi occhi che ti
guardano con lo stesso immutato e grande amore. «Non c’è
un vero motivo...avevo solo bisogno di dirti ‘ben tornato a casa’
anche se non sono lì, perché è tra le cose che mi mancano di più
quando rientro. Mi manca dirtelo e sentirti chiedere come mi è
andata la giornata, prima che tu mi racconti la tua e ti lamenti per
ore dei tuoi facoltosi clienti che ti arricchiscono ogni giorno di più.»
lo senti ridacchiare, anche se con una lieve punta di amarezza, e non
puoi far altro che ricambiare con un sorriso. «Ci sono
giorni in cui qualsiasi cosa io faccia o veda, ho l’istinto di
voltarmi e parlarti. Mi sento un idiota, ma mi viene naturale. È
naturale per me cercarti con lo sguardo anche in una città in cui
non abiti, per ridere con te di qualcosa di buffo che vedo, proprio
come quando passeggiavamo per Liberty Avenue, o chiederti un
consiglio quando c’è qualcosa che mi turba...»
lo senti sospirare e diventa difficile anche per te continuare a
respirare. «...ed è naturale perfino voltarmi nella
doccia, convinto di trovarti lì per me o cercarti tra le lenzuola
per abbracciarti.» la sua voce
s’incrina e tu vorresti solo averlo vicino per abbracciarlo forte e
sussurrargli che va tutto bene; tutto perfettamente bene
e di non preoccuparsi; e come ti aspetteresti dall’uomo che hai
cresciuto, trova ancora il coraggio di parlare senza piangere: «Mi
manchi, Brian.» confessa
candidamente e ti trattieni a stento dal pronunciare un “mi manchi
anche tu”, solo perché sai che non potrebbe sentirti e che quindi
sarebbe inutile. «Semplicemente mi manchi da morire, e
voglio che tu lo sappia...che te lo ricordi sempre, e che tu sappia
anche che non vedo l’ora di tornare a Pittsburgh.»
un’altra breve pausa e la sua voce torna ancora a cullarti. «Ok,
credo di aver sparso sdolcinatezze a sufficienza e, prima che tu
decida di prendermi a calci la prossima volta che ci vediamo, è
meglio se mi decido a riattaccare e a riprendere a dipingere...anche
se non sai cosa darei perché tu fossi qui...ok, basta, la smetto!»
ride e tu ridi con lui. «Allora...ci sentiamo presto.
Ciao...» pronuncia, ma il
messaggio non è ancora finito. «Ah, Brian...ti amo.»
L’ultimo
“bip” ti riscuote fastidiosamente dal limbo piacevole in cui ti
eri rifugiato ascoltando la voce di Justin, ma le sue parole sono
bene impresse nella tua mente.
Incapace
di pensare ad altro accendi il computer e prendi a cambiarti
frenetico: un paio di jeans scuri, una semplice t-shirt e un maglione
verde scuro.
Tiri
fuori il primo borsone che trovi nell’armadio e, dopo aver
effettuato un paio di click con il mouse ottenendo ciò che cercavi e
aver chiamato un taxi, lo riempi delle prime cose che trovi,
gettandole alla rinfusa.
Spegni
il computer e tutte le luci, afferri il borsone e componi un numero
che conosci a memoria mentre esci in strada. Pochi squilli e la
stessa voce che poco prima ti ha rischiarato la giornata, risponde:
«Brian...» lo senti mormorare un po’ sorpreso. Forse non si
aspettava una tua chiamata così tempestiva.
«Ehi...» lo saluti, con il cuore che batte vivace nel petto.
«Hai
sentito...»
«Sì,
l’ho sentito.» lo interrompi e, nel sentire la sua voce
felice, ti
sembra di vederlo sorridere, e capisci che per una volta tanto nella
tua vita stai facendo la cosa più giusta. Hai
un
disperato bisogno di lui, proprio come sai che lui ne ha di te, e
stavolta il resto mondo con i vostri impegni dovrà andarsene
a ‘fanculo e lasciarvi fuggire nel vostro piccolo spazio di felicità.
«Ripetimi un po’ com’è il tuo indirizzo? Tra due ore sono a New
York.»
“...And i'm not gonna stand and wait,
not gonna leave until it's too much too late.
On a platform i'm gonna stand and say,
that i'm nothing on my own,
And i love you, please come home!
My song is love, is love unknown,
and i've got to get that massage home.”
Note dell’autrice:
Ebbene
sì, sono tornata ad intasare questo fandom con le mie
stupidaggini, anche se stavolta è davvero piccina
picciò!
Non so da dove mi sono uscite queste tre righe, e forse sono andata anche un po’
troppo OOC per il troppo fluffleggiare tra i nostri Britin ma,
contrariamente a quello che ho scritto nella long, io sono fermamente
convinta che dopo la lacrimosa 5x13, Brian e Justin hanno sicuramente
trovato il modo per continuare a vedersi almeno durante il
weekend...anche perché un’ora d’aereo non è praticamente nulla per i "tempi americani", considerando che, per spostarsi da una parte all’altra nella maggior parte delle loro città, si può impiegare anche più tempo!
Perciò confesso...in realtà io ho sempre pensato che la situazione potesse essere un po’
amara a volte, ma che sarebbero comunque riusciti a gestirla
egregiamente... XD e da qui, e da un graditissimo messaggio che mi
hanno lasciato in segreteria un po’ di tempo fa, è nata questa OS che, per quanto piccola e forse un po’ insipida, spero vi sia piaciuta comunque.
Ringrazio tutti coloro che hanno letto e commentato le precedenti OS e
vi auguro di trascorrere al meglio questi giorni che precedono la fine
dell’estate!
Un bacio e a presto.
Veronica.
|
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Capitolo 4 *** Fucking happy 40th birthday. ***
Fucking happy 40th birthday.
Raiting: Arancione.
Timeline: Post 5x13.
*'*'*
a
Benedetta e al tempo che passa,
anche
per chi è un’inguaribile vanitoso,
come
te e me, e il signor Kinney...
...semplicemente
per augurarti uno splendido compleanno.
“Fucking Happy 40th
Birthday”
«Brian...» senti pronunciare
dalla sua voce esasperata. È almeno il terzo messaggio che ti lascia
in segreteria. «Dove cazzo sei?» ti accomodi meglio sul
sedile in pelle nera della lussuosa limousine che hai affittato, e
prendi a guardare distrattamente fuori, come se Justin fosse davvero
lì con te e tu stessi cercando un modo per evitare di rispondere
alle sue domande ed eludere le sue insidiose occhiate che sanno
leggerti dentro.
Ormai è una vera e propria deformazione
la tua. Sei così abituato a farlo, che perfino quando non può
vederti e senti solo la sua voce, i tuoi meccanismi di autodifesa
scattano immediatamente. «Si può sapere perché è tutto il
giorno che non rispondi?» ti chiede, con un tono frustrato e tu
rotei gli occhi sbuffando. Possibile che non l’abbia ancora capito?
Ascolti ancora i suoi borbottii,
tamburellando con le dita sullo sportello, aspettando che il suo
cervellino da “mille-e-cinquecento-al-test-d’esame” si attivi e
giunga per proprio conto alla risposta da un milione di dollari.
«Cosa diavolo stai cercando di...» lo senti bloccarsi
all’improvviso, ed è come se vedessi una lampadina accendersi in
quella sua testolina bionda e arruffata. «...Brian.» ti
chiama, e dal tono della sua voce sai che ha capito. «Ti prego,
non dirmi che è come penso!» esclama, e come se potesse
vederti, tu porti le labbra a piegarsi all’interno della bocca e
sollevi le sopracciglia. «Non puoi! Non puoi scappare così! Ma
che diavolo pensi di fare? Di partire per chissà quale isola esotica
e sfuggire alla realtà?!» aggrotti per un attimo la fronte,
come se stessi valutando davvero le sue parole e con una scrollata di
spalle annuisci.
A dire il vero avevi pensato a una
settimana sulle meravigliose Alpi italiane, visto che il freddo fa
bene alla pelle, ma anche l’idea dell’isola esotica non è poi
così male. In aeroporto deciderai. «Brian...» ti chiama
ancora e rotei gli occhi infastidito. Ti sei quasi convinto a passare
dall’anagrafe per cambiare nome, prima di partire. Ormai non le
sopporti più quelle cinque lettere in fila. «...partire per
isolarti dalla fetta di mondo che ti conosce, non cambierà le cose.»
mormora con il suo tono da saputello, e già sai che non ti piacerà
il modo con cui terminerà la frase. «Che tu vada in un atollo
disperso in mezzo all’oceano, tra i pinguini dell’Alaska o in
cima ad una cazzo di piramide, non ha importanza. Domani avrai
comunque quarant’anni.» conclude e puoi affermare con certezza
di detestare sia lui, che il modo in cui ha pronunciato quella
dannata parola. «Quindi piantala di fare il melodrammatico e di
trasformare tutto in una tragedia greca. Quarant’anni non sono la
fine del mondo!» esclama e tu lanci un’occhiataccia al
cellulare posizionato sulla piattaforma dell’altoparlante. Parla
bene lui...ha ancora ventotto anni, lo stronzetto. «Ti
aspetto a casa.» ti comunica infine e lo senti riagganciare.
«Certo, contaci.» borbotti, più
burbero del solito e ti rilassi un poco per il resto del tragitto,
fino a che non vedi avvicinarsi il gigantesco edificio aeroportuale
che ti attende per portarti via dalla gloriosa Pittsburgh.
È vero, scappare dalla tua città e
dalle persone che conosci non cambierà i fatti, ma almeno ti eviterà
brutte sorprese come per il tuo tanto temuto “tre-zero”,
che adesso quasi rimpiangi. Stavolta non ti lasci fregare.
Intanto fuggi via da qualche parte, poi
al resto ci penserai!
Di certo non darai la soddisfazione a
quei sadici bastardi dei tuoi amici di festeggiare e gongolare per
quel dannato “quattro” che si premurerebbero di far svettare
sicuramente sulla loro fottutissima torta di compleanno.
«Che se le ficchino pure in culo le loro
dannate candeline.» mormori, scendendo dalla limousine ed afferrando
poco garbatamente il tuo trolley, prima di dirigerti con passo
agguerrito verso le porte di vetro scorrevoli. «Una per una...e per
orizzontale!» sorpassi la soglia e ti dirigi verso la lista dei voli
in partenza. La prima destinazione che t’ispira, sarà quella che
prenderai...e ‘fanculo Pittsburgh, i tuoi amici, Justin e i tuoi
cazzo di anni.
Passi gli occhi sul gigantesco rettangolo
nero e li fai correre al primo nome: New York. Immediatamente
scartata. Quel nome ti da’ l’orticaria.
Secondo nome: Boston. Che cazzo ci fai
una settimana a Boston?
Terzo nome: Los Angeles. Altro nome che
ti fa venire l’orticaria.
Quarto nome: Las Vegas. Ci pensi su un
attimo, ma anche questa finisce nella lista nera. Conosci quella
sottospecie di città a memoria, considerando le volte in cui tu e
Justin vi siete dati alla pazza gioia in qualche weekend organizzato
su due piedi; e poi non sapresti che fartene di una settimana lì,
visto che non potresti usare la tua carta di credito per lanciarti in
un po’ di shopping sfrenato, o farti inghiottire dal gioco. Quel
dannato ragazzino – che poi, adesso, tanto ragazzino non è –
conosce la password per controllarti il conto in banca, e potrebbe
rintracciarti in un batter d’occhio. Maledici il giorno in cui gli
hai rivelato un segreto simile e scendi sul quinto nome: Parigi.
Parigi. Parigi. Parigi. Tre secondi e
scarti anche la capitale francese. Il ricordo del viaggio di David e
Mickey ti è rimasto ancora sullo stomaco e preferisci non vomitare
sul pavimento.
Sbuffi scocciato e passi al sesto nome:
Barcellona...e “Barcellona”, è sinonimo di “Ibiza”.
Sole, mare e splendidi ragazzi...
Hai un ricordo fantastico di quell’isola
da quando ci sei stato con Justin...ok, hai un ricordo fantastico
della suite d’albergo a cinque stelle extralusso, di quando ci sei
stato con Justin, considerando che avete trascorso una settimana
chiusi lì dentro a scopare, e vi siete dovuti studiare decine e
decine di brochure arraffati a casaccio nell’aeroporto prima del
viaggio di ritorno, in vista della cena a casa di mamma Taylor
che vi attendeva entusiasta per sapere della vostra vacanza. Di certo
non potevate istruirla sulle gioie del sesso anale e sulle varie e
possibili posizioni adottabili, anche contro le leggi gravitazionali!
Sorridi al ricordo di quella movimentata
vacanza, e quasi ti convinci a replicare, seppur da solo. In
onore delle vostre vecchie abitudini, Justin non considererà
tradimento il fatto che ti farai qualche sana scopata extra, viste
soprattutto le tue attenuanti emotive...ok, forse, adesso che siete
davvero sposati, non sarà poi così clemente!
Assottigli lo sguardo, rimuginando sulla
tua decisione, ma già sai che il tuo cuore ti urla la risposta:
Ibiza sarebbe uno schifo senza di lui. «Maledetto raggio di
sole.» mugugni a denti stretti e fai per proseguire verso il
settimo nome, quando qualcuno ti picchietta sulla spalla.
Non hai neanche bisogno di voltarti. Un
respiro più profondo degli altri, e percepisci il suo profumo
invaderti le narici, riempirti i polmoni e sballarti il cuore.
«Allora...» lo senti pronunciare, ironico. «...dove pensi di
andare?» ti domanda retorico e non rispondi, per vedere dove vuole
andare a parare. Ti affianca e inizia il suo show: «New York...no,
la detesti.» ti lancia un’occhiata complice, a cui rispondi
sollevando appena uno degli angoli della bocca in un sorrisetto, e
continua: «Boston, non sapresti che cazzo farci. Los Angeles...odi
anche quella.» storce le labbra per un attimo e prosegue: «Uhm...Las
Vegas.» sembra rifletterci per un secondo e ti sorprende ancora,
beccando la risposta giusta: «Sarebbe stata una meta probabile, se
non sapessi la password per controllare il tuo conto. Non è
divertente senza poter sperperare, vero?» ti chiede arricciando il
naso in una buffa espressione e riprende a leggere. «Parigi!»
emette un fischio d’approvazione e scoppia a ridere. «Non
compreresti un biglietto per Parigi neanche se fosse l’ultima città
rimasta al mondo.»
«Cosa te lo fa pensare?» gli domandi
allora, inarcando le sopracciglia e lui ti guarda di sbieco, come se
gli avessi appena chiesto “di che colore è il cavallo bianco di
Napoleone”.
«Il viaggio di David e Michael. Per poco
non ti veniva il diabete.» scrolli le spalle, dandogli ragione, e
lui legge l’ultimo nome a cui era giunta la tua ardua decisione:
«Barcellona. Be’, praticamente è Ibiza per te. Scommetto che ci
stavi facendo un pensierino, giusto?»
«Senza di te?» ti fingi sconvolto e
scuoti la testa. «Come puoi anche solo pensare che io sceglierei
quel posto?!»
«Signor Kinney...lei è un paraculo di
dimensioni epiche, lo sa?»
«Coi culi preferisco farci altro,
piuttosto che pararli.»
Justin sospira rassegnato e prosegue con
la lista: «Milano non è male come idea. Potresti sfogarti sulle
prossime collezioni di Armani, Prada, Gucci o Fendi...e se ne hai
voglia, puoi cambiare albergo e prenderne uno in montagna. Non è poi
così lontana e il freddo fa bene alla pelle.»
Ti soffermi per un momento a fissarlo,
stupito dalle sue parole, non tanto perché ha interpretato
perfettamente i tuoi pensieri – questo ormai è all’ordine del
giorno, e non t’incazzi più neanche poi tanto – ma più per il
fatto che ti stia esortando a farlo. Più di dieci anni che vi
conoscete, e ancora non smette di stupirti...forse è anche per
questo che lo ami così tanto. «Sbaglio o mi stai incoraggiando a
partire? Non eri tu quello del ‘che tu vada in un atollo disperso
in mezzo all’oceano, tra i pinguini dell’Alaska o in cima ad una
cazzo di piramide, non ha importanza. Domani avrai comunque...’»
storci le labbra frustrato e sbuffi. «...non c’è bisogno che lo
ripeta.»
Justin scoppia a ridere e vorresti
rifilargli uno scappellotto come si deve per fargli passare la sua
cazzo d’ilarità, ma quel sorriso luminoso ti scalda il cuore e non
puoi far a meno di restare in silenzio ad ammirarlo. «Ormai so come
sei fatto.» ti risponde poi, guardandoti dritto negli occhi. «So
che ogni tanto hai questi tuoi colpi di testa e che sei così
vanitoso che non accetterai mai e poi mai l’idea di
invecchiare...ma ti ho sempre amato, e ti amo, anche per questo,
quindi...» si allunga verso di te e ti stampa un bacio sulle labbra.
«...se proprio ne hai bisogno, fallo. Sperpera un po’ dei tuoi
milioni e poi torna a casa da me.» ti sorride ancora e ammicca.
«Eviterò la torta con le candeline, ma pretendo che mi scopi almeno
quaranta volte appena rientri. Senza sconti.»
Accenni ad un sorriso, incapace di
staccare gli occhi dai suoi e ti avvicini un altro poco,
circondandogli la vita con un braccio per farlo aderire a te e
baciarlo ancora. «Sicuro?» gli chiedi poi, scrutando attentamente
l’espressione sul suo viso.
«Del fatto che voglio che mi scopi?» ti
sorride lui, con quel suo sguardo furbo. «Mi sembrava di essere
stato piuttosto chiaro in questi anni su come la penso a riguardo.»
Sospiri alzando gli occhi al cielo e
scuoti la testa. «Sto parlando del viaggio, idiota.»
Justin scrolla appena le spalle e
schiocca un altro bacio sulle tue labbra. «Si goda la vacanza e si
rilassi, signor Kinney...perché al ritorno avrà di che faticare.»
«Sarà un piacere sudare con lei,
signora Kinney.» replichi e la sua risata arriva alle tue
orecchie come il più dolce dei suoni.
Si scioglie dall’abbraccio e strizza
l’occhio, mantenendo sulle labbra quel suo tipico sorriso
abbagliante, prima di farti un cenno con la mano e voltarsi verso
l’uscita.
Segui la sua testolina bionda durante
tutto il tragitto, fino alle porte scorrevoli che si aprono davanti a
lui, lasciandolo uscire nella fresca serata di Giugno e portandolo
via dal tuo sguardo.
È appena un attimo – un misero secondo
– quello trascorso dal momento in cui i tuoi occhi non riescono più
a vederlo, che le tue gambe scattano in quella direzione, mentre il
tuo stomaco si annoda su se stesso, facendoti provare ancora
quell’orrenda sensazione di vuoto che ti è stata familiare per
mesi, quando gli avevi permesso di trasferirsi a New York anni prima.
Se c’è una lezione che ti si è
impressa chiaramente nella mente in quel periodo, è che proprio non
sai stare senza di lui.
Hai sopportato in silenzio la sua
mancanza e ti sei sempre morso la lingua a sangue ogni volta che
avresti voluto dirgli “resta”, negli sporadici momenti in cui
riusciva a tornare a Pittsburgh, o un altrettanto semplice “torna”,
durante le vostre saltuarie telefonate.
Gli hai lasciato percorrere la sua
strada, senza mai interferire, anche se c’erano momenti in cui ti
restava difficile perfino aprire gli occhi ed alzarti dal letto per
cominciare una nuova giornata, dopo che lui non era più in quel
dannato loft insieme a te; e dal momento in cui ti sei sentito dire
quel “torno a casa”, non sei più stato in grado di stargli
lontano per più di un giorno o due.
Ed è esattamente questo il motivo che ti
spinge a percorrere, quasi correndo, la hall dell’aeroporto, e a
guardarti intorno come un forsennato una volta fuori.
Passi gli occhi in ogni angolo
freneticamente, e sei già pronto a comporre il suo numero per
chiamarlo, convinto che se ne sia già andato, quando finalmente le
tue iridi scure si posano su quell’inconfondibile testolina bionda
e arruffata.
Tiri un sospiro di sollievo nel vederlo
appoggiato ad un muro mentre fuma distrattamente una sigaretta
guardando il cielo – quasi si aspettasse di riconoscere l’aereo
su cui tu dovresti salire e poterti salutare ancora in qualche modo –
e ti avvicini a lui con un sorriso.
I suoi occhi blu si spostano su di te,
attratti dal rumore delle ruote del trolley, e vedi la sua fronte
prima aggrottarsi, poi ridistendersi in un’espressione ilare:
«Accidenti, già di ritorno?» ride. «Lo so che non sai starmi
lontano, ma non pensavo fino a questo punto.»
Pieghi le labbra all’interno della
bocca, trattenendoti dallo scoppiare a ridere. Lui ha pronunciato le
parole in modo ironico, ma neanche immagina quanto siano vicine alla
realtà dei fatti. Ti schiarisci la voce e un po’ incerto –
perché non vuoi apparire come un patetico innamorato – borbotti:
«Pensavo...be’, è un po’ che non facciamo una vacanza. Io e
te...da soli.» gli occhi di Justin ti fissano sorpresi e le sue
sopracciglia raggiungono quasi l’attaccatura dei capelli. Un
sorriso incredulo si disegna sulle sue labbra, e quasi ti sembra di
rivivere il momento in cui gli hai chiesto di sposarti a Britin.
Aveva questa stessa identica espressione. «Sì, insomma...»
mormori, schiarendoti nuovamente la voce, prima di scrollare le
spalle per assumere un falso tocco di noncuranza. «...ti va’ di
venire con me?»
Justin continua a fissarti con gli occhi
che brillano e le labbra schiuse, in un silenzio perfetto che dura
qualche secondo, prima di passarsi una mano tra i capelli e
ridacchiare. «Dio, sei davvero incredibile.»
«Lo so.»
Ti osserva sottecchi, come per assicurarsi
che tu non lo stia prendendo in giro, e assottigliando lo sguardo
chiede: «Sicuro di voler passare con me il fatidico momento?» tu
annuisci con decisione, ma c’è ancora qualcosa che non lo
convince. Ormai conosci alla perfezione ognuna delle sue espressioni.
«Non ho niente con me e l’aereo parte tra meno di mezz’ora.»
«Appunto per questo.» ribatti,
inarcando le sopracciglia. «Dobbiamo ancora fare i biglietti, e dei
vestiti che t’importa? Stiamo andando in Italia. Non credo
troveresti negozi migliori di quelli per fare un po’ di sano
shopping.» smuovi le tue labbra nel tuo solito sorriso spavaldo e
concludi, quasi con un tono di sfida: «Allora...vieni o te ne
vai?»
I suoi occhi blu hanno in guizzo luminoso
e le sue labbra si ridistendono in quel suo sorriso perfetto. Si alza
sulle punte e lega le braccia dietro la tua nuca, stringendosi forte
a te, quasi stesse per esplodere da un momento all’altro di
felicità.
In fondo non è mai cambiato.
Dopo più di dieci lunghi anni è ancora
quel ragazzino splendente che riesce a riempirti il cuore con un
semplice sorriso; che riesce a contagiarti con la sua spensieratezza,
e a cui basta un tuo semplice gesto o una parola, per essere davvero
felice.
È ancora lo stesso ragazzino che altro
non chiede che stare con te, prendendo tutto il resto che gli concedi
come il più bel regalo del mondo...che si tratti di un semplice
bacio, di una notte d’amore in più, di una richiesta di convivenza
o addirittura di matrimonio, se fatta da te, lui non può far altro
che risplendere come il sole.
Ed è questo tuo essere così importante
per lui, che ti ha fatto capire quanto la cosa sia reciproca...e
quanto anche per te, solo il fatto di averlo vicino, ti basti per
essere felice.
Lo baci, quasi sospirando sulle sue
labbra per il piacere che provi ogni volta nel sentirle al contatto
con le tue, per poi poggiare la fronte sulla sua. «Andiamo?» gli
chiedi in seguito e lo vedi annuire entusiasta.
Passi un braccio sopra le sue spalle, e
vi riavviate verso l’entrata dell’aeroporto.
Acquisti due biglietti – ovviamente in
prima classe – e procedete all’imbarco, senza riuscire a smettere
di sorridere. Ti senti un po’ idiota e anche patetico, ma non
riesci a fermare le tue labbra, e in fondo poi neanche te ne frega
così tanto.
Lasci accomodare Justin dalla parte del
finestrino; perché ormai sai quanto gli piace guardare fuori, ma
soprattutto quanto ti diverte vederlo agitarsi come un bambino, ogni
volta che riesce a scorgere qualcosa; e ti lasci ricadere sul morbido
sedile in pelle chiara, perfettamente rilassato e senza traccia
alcuna del malumore che ti aveva colto fino a poco tempo prima.
Allacciate entrambi le cinture e ti
soffermi per un attimo a fissarlo, trattenendoti a stento dal passare
le dita in quella chioma bionda e tirarlo a te, per lasciarti
travolgere dalla passione e da quel caldo languore che senti
divampare nel basso ventre ogni volta che sei con lui. «Che c’è?»
ti chiede allora, accortosi delle tue attenzioni e prendi a
ridacchiare.
«Sarà un lungo viaggio...»
lasci la frase in sospeso, ma a Justin non servono certo altri
dettagli per capire a cosa ti riferisci. Tutte quelle ore così
vicini senza potervi baciare come vorreste. Senza potevi toccare o
fare l’amore...no, non sono neanche vagamente possibili!
Appoggia la testa contro la tua spalla e
ti lancia un’occhiata quasi supplichevole. «Non arriverò vivo in
Italia.» inspira ed espira lentamente, e tu ti ritrovi a digrignare
i denti e a stringere le mani sui braccioli del sedile per
trattenerti dal saltargli addosso. Sei quasi certo che quel diabolico
stronzetto che ti sei sposato l’abbia fatto apposta, perché ormai
sa perfettamente quanto tu sia incapace di resistergli quando sospira
in quel modo.
Chiudi gli occhi per calmarti, per quanto
il tuo corpo non sia del tuo stesso avviso, e ti concentri
sulla voce della hostess che vi comunica il decollo ormai imminente.
Ti fai portare una bottiglietta d’acqua e cerchi di svuotare la
mente, mentre i motori vengono accesi e il bestione volante su cui vi
trovate percorre la pista e si alza in volo.
Pochi minuti e le spie che obbligano le
cinture ad essere allacciate si spengono con un suono acuto, e
Justin, da inguaribile bastardo qual è, ne approfitta per
spalmartisi addosso, con la scusa di protendersi per baciarti.
Di questo passo, non supererete neanche
il confine di territorio aereo...
Trattieni il fiato per non impazzire,
quando la sua mano sfiora accidentalmente la patta dei tuoi
pantaloni, ormai già fin troppo in tiro, e le sue labbra si
avvicinano al tuo orecchio sfiorandolo mentre parla: «Credo che farò
un salto alla toilette.» ti mordicchia il lobo e con un sorrisetto
impertinente si alza e si avvia verso il bagno.
Ti passi una mano sul viso,
stropicciandoti bene gli occhi e prendi un ultimo sorso d’acqua,
prima di scattare in piedi e raggiungere Justin, fregandotene delle
occhiate incuriosite che ogni persona presente ti lancia.
Dai un leggero colpetto alla porta e
sorridi spavaldo, quando finalmente incontri per l’ennesima volta
lo sguardo furbo di Justin e quella che sai essere la sua splendida
espressione carica di eccitazione.
Ti prende per il colletto della camicia,
e senza tante cerimonie o grazia, ti trascina dentro con lui,
avventandosi immediatamente su di te. È sempre stato un tipo deciso
quando si trattava di averti, e questa cosa ti ha sempre fatto
letteralmente impazzire.
Sospiri sulle sue labbra, emettendo un
mugugno soddisfatto quando lo senti sganciarti abilmente i pantaloni
e ti affretti a fare lo stesso con i suoi, senza mai staccare la tua
bocca dalla sua.
Lo baci su una guancia, risalendo verso
le palpebre, fino a raggiungere il lobo dell’orecchio per farlo
sballare un po’ con un sapiente gioco di denti e lingua. Fai
scorrere le dita tra i suoi capelli sempre biondissimi e setosi, e
non riesci a trattenerti dal gemere quando le sue splendide mani di
artista corrono ad abbassarti i boxer.
Recuperi fulmineo l’onnipresente condom
dalla tasca dei tuoi pantaloni, aggrovigliati malamente intorno alle
tue caviglie, e strappi la carta con i denti. Elimini anche l’ultimo
indumento di stoffa che ti ostacola e ti prendi qualche secondo per
guardare il tuo Justin, ed ammirare le sue guance arrossate, i
capelli scompigliati e le labbra umide e leggermente gonfie per
l’irruenza dei vostri baci, riscoprendo quella scarica elettrica
che ti colpisce e ti trapassa la schiena ogni volta che vi guardate
così intensamente.
Lo sollevi senza troppa difficoltà,
facendolo appoggiare sul ripiano del lavabo e stringi le tue mani
sulle sue cosce. Sfiori il naso con il suo e lasci che lui si
aggrappi alle tue spalle, come se non volesse lasciarti andare mai
più.
Un altro bacio, più dolce degli altri,
che sembra voler confessare tutto l’amore che provate l’uno per
l’altro, ed entri dentro di lui, ascoltando i suoi gemiti come se
fossero la melodia più bella di questo mondo.
Un tuo sospiro che va ad unirsi ai suoi,
le sue labbra che si saldano con le tue e le vostre lingue che si
intrecciano; Respiri più profondi, milioni di baci e piccoli morsi,
tra le tue spinte decise ma che sanno d’amore vero, ed i tuoi occhi
scuri che non riescono a staccarsi dai suoi.
Tu e lui: una cosa sola. Semplicemente
perfetta, in tutti i vostri difetti.
Sorridi, consapevole di questo, e lui lo
fa con te, prima di riappropriarsi della tua bocca e baciarti con
tutta la passione che può darti.
Un’ultima spinta e ti stringi di più a
lui, mentre le sue mani ti accarezzano la schiena con dolcezza. «Ti
amo.» sussurra poi, e tu gli regali un bacio languido, che entrambi
sapete essere il tuo modo di dirgli “Ti amo anch’io”.
Ti accarezza il viso, scostandoti i
ciuffi appiccicati alla fronte per il sudore, e si sporge verso di te
per unire ancora la sua bocca alla tua. «Buon compleanno, Brian.»
sussurra poi sulle tue labbra, e nel sentire queste parole guardi il
tuo prezioso Rolex, ansimando addossato sul corpo sudato e perfetto
di Justin, accorgendoti che è ormai passata mezzanotte e che i
“trentanove” sono davvero volati via per lasciare il posto a quel
dannato “quattro-zero”.
Ebbene sì, Brian Kinney, hai davvero
quarant’anni...ma in questo momento, a diecimila metri di
quota, dopo una delle più eccitanti scopate della tua vita con la
persona che ami, e una splendida vacanza che ti aspetta...ti senti
comunque ancora un Dio.
Note dell’autrice:
Rieccomi qui con l’ennesima OS!
Un po’ più lunga delle
altre e un pochino meno innocente, ma non mi è venuto in mente
un modo diverso da questo in cui Brian potesse "festeggiare" i suoi 40
anni!
Ebbene sì, fa strano sentirlo, ma se Queer as Folk fosse
continuato fino ad oggi, a Giugno del 2011 - o giù di lì
almeno, facendo un paio di calcoli - Brian Kinney avrebbe raggiunto l’ancora
più temuto "quattro-zero"...e mi ha fatto così ridere
questo pensiero e provare a immaginare una sua eventuale reazione, che
non sono riuscita a fare a meno di scriverci un’OS...che ovviamente spero vi sia piaciuta! XD
Un grazie a chiunque abbia avuto voglia di leggerla e a chi avrà voglia di recensirla!
Un bacione e a presto, sia per un’altra OS, che per il nuovo capitolo della long. :)
Veronica.
|
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Capitolo 5 *** We always belong. ***
We always belong.
Raiting: Arancione.
Timeline: post 3x08.
*'*'*
“We always belong”
a Monica,
e a quella cosa splendida che è il suo 26esimo capitolo;
e anche al suono del violino,
che prima di conoscere Ethan Gold, amavo.
Osservi la nuvola bianca che si forma
nell’aria con il tuo respiro e rabbrividisci per un attimo,
sistemandoti la tracolla sulla spalla, mentre aspetti che Brian
arrivi a prenderti.
Come sempre è elegantemente in
ritardo, ma non puoi certo biasimarlo. Sta lavorando come un
dannato per colpa di quello Stockwell che non ti piace neanche un
po’, e per quanto – ne sei certo – non piaccia troppo neanche a
lui, non può lasciarsi sfuggire un’occasione così ghiotta. Può
essere un vero e gigantesco trampolino di lancio, perciò, almeno per
questa volta, dovrai mettere da parte le tue opinioni e resistere
dall’arricciare il naso infastidito e disgustato alla sua presenza.
Tiri fuori il pacchetto di sigarette
dalla tasca del giubbotto e ne accendi una, appoggiandoti ai cancelli
dell’istituto delle belle arti con fare svogliato, finché qualcuno
non giunge a liberarti dal limbo dei tuoi pensieri, picchiettandoti
sulla spalla.
Ti volti con un sorriso, convinto di
trovare un tuo compagno di corso, ma il tuo entusiasmo si spegne,
quando i tuoi occhi azzurri ne incrociano un paio neri e profondi, su
un viso fin troppo familiare, sotto degli spettinati riccioli neri.
«Ethan?»
pronunci incredulo. Da quando l’hai lasciato, non
vi siete più visti né parlati. O meglio, non hai risposto
neanche a
una delle sue telefonate e ti sei sempre fatto negare in qualunque
posto tu fossi. Hai pure sentito che la sua carriera come
violinista sta procedendo
egregiamente – come d’altronde ti aspettavi – e hai
saputo
anche che qualche volta torna all’istituto delle belle arti, ma
ti
sei sempre impegnato ad evitarlo. Ethan è storia vecchia e
trapassata per te; anzi, a dirla tutta ti senti quasi in colpa nei
suoi confronti, dopo aver realizzato quanto poco tempo hai impiegato
per “riprenderti” dalla vostra rottura, e a quanto
evidentemente
poco ti importasse di lui, visto che il tuo pensiero fisso è
tornato
ad essere esattamente quello che è sempre stato: Brian.
«Ciao Justin.» ti sorride, tra il
mellifluo e l’imbarazzato, e non sai quale delle due sia quella
reale. «Ti trovo bene.»
«Sì.» replichi telegrafico. «Tu,
tutto ok?»
Annuisce e solleva le sopracciglia.
«Sembra che le cose stiano prendendo la piega giusta.»
«Bene.» rispondi, privo di vero
interesse e lanci un’occhiata alla strada, sperando che se ne vada
al più presto. Non vuoi farti vedere da Brian con lui. Non sai come
reagirebbe, o peggio, cosa potrebbe pensare.
Le tue speranze però, vengono rese vane
dall’inconfondibile rombo che si innalza nell’aria e annuncia
l’arrivo dell’uomo che ami, e che, sulla sua splendida e lucente
Corvette d’epoca di un’elegante
verde bottiglia, accosta a neanche un metro da voi e vi fissa con uno
sguardo che potrebbe perforare qualsiasi cosa.
Il mostro dagli occhi verdi bussa alla
porta della ragione di Brian, per soffocarla; e di questo ne sei
anche fin troppo consapevole, tanto che decidi di non dare ulteriore
motivo di alimentazione alla rabbia cieca che ne susseguirebbe se non
ti allontani immediatamente da Ethan. «Devo andare.» gli comunichi
quindi, senza neanche guardarlo negli occhi. «Ciao.»
«Aspetta.» ti richiama interdetto,
mentre apri lo sportello e innalzi gli occhi al cielo, pregando che
si zittisca all’istante. Questa però, non deve essere la tua
giornata fortunata. «Sei tornato con lui?!»
«Sì.» rispondi semplicemente, ma con
decisione, e sali in macchina rivolgendo tutta la tua attenzione
verso Brian, che ha osservato attentamente tutta la scena. Ti
protendi verso di lui per salutarlo con un casto bacio sulle labbra,
quando la sua mano corre ad artigliarsi sulla tua nuca e si appropria
della tua bocca con voluttuosa passione, così prorompente nei
movimenti da toglierti il respiro.
Stringe i tuoi capelli tra le dita
avvolte dai guanti di pelle nera, mentre la sua lingua si lega alla
tua e si muove in una danza perfetta ed eccitante. Si separa per
qualche secondo da te e ti osserva con uno sguardo profondo, quasi
volesse leggerti dentro e allo stesso tempo farti sprofondare in lui,
come per rimarcare il suo totale ed indiscusso possesso su di te.
Posa nuovamente le labbra sulle tue e vi
sosta, emettendo il suo classico mugugno soddisfatto, come un
ammaliante felino che fa le fusa felice, prima di lanciare
un’occhiata spavalda e carica d’ironia a Ethan, e rivolgergli un
falso sorriso. «Ciao Ian. Vorrei poter dire che è un piacere averti
da queste parti.»
«Vorrei poter dire la stessa cosa
anch’io.» sibila in risposta, senza neanche provare a celare il
suo fastidio. Evidentemente non era questa la situazione che sperava
di trovare.
«Be’, vedo che almeno su qualcosa
siamo d’accordo.» pronuncia ironico in risposta, l’uomo che ami
davvero, con le sopracciglia inarcate. «Allora, buon proseguimento
con i tuoi strimpellamenti, Paganini. Ci piacerebbe moltissimo
trascorrere un po’ di tempo con te ma, vedi, abbiamo cose più
importanti da fare.» ti lancia un’occhiata eloquente, carica di
desiderio, e riporta l’attenzione su Ethan, ingranando la marcia.
«Spero che la tua prossima tournée ti porti molto, ma molto,
lontano da qui.» ghigna apertamente e non puoi fare a meno di
lasciarti sfuggire un sorrisetto divertito nel vedere l’espressione
livida del violinista, prima che Brian, senza dargli possibilità di
replica, prema con decisione sul pedale dell’acceleratore e faccia
schizzare la sua preziosissima auto per le strade di Pittsburgh.
«Allora raggio di sole...» riprende poi a parlare.
«Tralasciando l’infelice incontro, com’è andata oggi?»
Scrolli le spalle e cerchi di frenare
quei sorrisi ebeti che si ostinano a spuntare sulle tue labbra. Non
puoi farci proprio niente, ti piace troppo vedere Brian geloso. Ti fa
sentire davvero suo. «Al solito.» rispondi, fingendo un tono
indifferente. «Lezioni, lezioni e ancora lezioni. Tu piuttosto...da
quanto ti interessi della mia giornata?» chiedi sarcastico e
dispettoso, girando il dito nella piaga; e l’occhiata ammonitrice
di Brian non tarda ad arrivare. Vorrebbe zittirti con una delle sue
classiche ed infallibili freddure, ma siete ormai davanti al suo
palazzo, ed è fin troppo evidente che ha in mente tutt’altri
programmi molto più allettanti con cui impiegare il vostro tempo.
Ti umetti le labbra e ricambi la sua
occhiata, mentre varcate il portone e, come da programma, non fai
neanche in tempo a mettere piede sul montacarichi, che ti trovi già
con la schiena premuta contro una delle pareti, le sue labbra sulle
tue e le mani ovunque.
A fatica riesci a premere il pulsante per
raggiungere l’ultimo piano; e ti lasci sfuggire un gemito
soddisfatto, nel momento in cui la sua lingua percorre il padiglione
dell’orecchio e va a soffermarsi dietro il lobo.
Infili le mani tra i suoi capelli con
foga e ti lasci sollevare quando il montacarichi raggiunge il piano.
Ti senti sbattere contro la porta scorrevole e sorridi quando vedi
Brian gettare il suo costoso cappotto a terra, dopo aver preso le
chiavi. Quando si tratta di sesso, neanche un cappotto di Armani
nuovo di zecca, può averla vinta.
Spalancate la porta e con foga vi gettate
nel lussuoso loft, lasciando sul vostro passaggio una scia di
vestiti. Vorreste raggiungere il letto, ma a confronto con il vostro
desiderio e bisogno di avervi, non vi è mai sembrato così lontano;
perciò vi lasciate ricadere sui cuscini a terra e le vostre labbra
continuano a congiungersi, mangiarsi e torturarsi senza tregua.
Lasci che le dita di Brian si artiglino
nuovamente ai tuoi capelli lunghi – che sai piacergli fin troppo –
e sospiri nel sentirle correre fino a raggiungere il tuo collo per
spingerti con più forza verso di lui.
Ed è una sensazione strana quella che ti
colpisce. È come se entrambi
altro non vorreste che unirvi; inglobarvi a vicenda e far parte per
sempre di un’unica e perfetta
realtà.
Sentire la sua pelle calda sulla tua;
vedere il suo corpo perfetto fremere al tuo contatto e percepire distintamente
il suo desiderio pulsare per averti, e premere sulla tua coscia,
mentre quello che prima era semplice calore al tuo basso ventre,
sembra essersi trasformato in un istante in un’esplosione
tremenda; percepire il soffio del suo alito addosso, o il suo sapore
che si mischia perfettamente al tuo; le sue mani che si posano su di
te, come se volessero segnarti la pelle per sempre o il semplice modo
in cui quegli occhi verde petrolio ti guardano, così intensamente,
prima che un sorriso si disegni sulle sue labbra...sono tutti piccoli
pezzi di un puzzle assurdamente perfetto, che va a comporre quella
che sai essere la felicità più pura. Perché non c’è
niente al mondo che riesce a renderti più felice della
consapevolezza di essere suo; di appartenere a Brian.
Nella tua mente è naturale maledirti
ancora per la tua adolescente stupidità, e per ciò che hai
rischiato di perdere a causa di uno sciocco capriccio – di una
falsa promessa di romanticismo che in fondo neanche ti era necessario
– che ti rendeva incapace di vedere l’amore
che ogni santo giorno ti veniva dedicato; e ti stringi all’uomo
che ami con più forza, come a volergli ricordare che sei tornato da
lui, che hai davvero compreso cosa cercava di trasmetterti e che non
commetterai ancora quello stupido errore; che sarai suo, fin quando
lo vorrà...e probabilmente – anzi, sicuramente – anche di più.
Non
sai poi, se l’uomo
che ti bacia con tanta passione e amore sia capace di leggerti
dentro, ma dallo
sguardo che ti rivolge, sembra quasi che ti abbia capito; e un
sorriso nasce sulle vostre labbra, in una perfetta sincronizzazione,
dopo che quel classico quadratino di plastica nera è comparso tra le dita di Brian.
«Mettimelo.» ti ordina, con la voce arrochita dall’eccitazione, e
tu ti appresti ad aprirlo, quando il tuo cellulare sepolto tra i
vostri vestiti prende a squillare. Vedi chiaramente gli occhi del tuo
amante sollevarsi verso l’alto con fare scocciato, e dal modo in
cui si schiarisce la voce, sai che si è già innervosito.
Non c’è niente che detesta di più dell’esser disturbato mentre
fa sesso...soprattutto se è con te. «Hai
cinque secondi per rispondere e mandare a farsi fottere il coglione
che ti sta chiamando, prima che frantumi il tuo cazzo di cellulare
contro il muro.» ti avverte infatti, e tu ti sbrighi a frugare nelle
tasche dei tuoi pantaloni per trovarlo e spegnerlo.
Lanci
un’occhiata
fugace al display, tanto per sapere a chi rivolgere qualche
imprecazione, e ti pietrifichi in un attimo. «Ehm...» mugugni e
Brian inarca le sopracciglia.
«Allora?» incalza, sempre più stizzito
e nel momento in cui tu volti il cellulare nella sua direzione, lo
vedi prima aggrottare la fronte, poi assumere una strana espressione
che non lascia presagire niente di buono. Non sai se ride perché
trova molto divertente il fatto che sia Ethan a chiamarti, o se quel
sorrisetto è messo lì solo a nascondere un molto probabile attacco
di nervi. «Dio, non posso crederci. È anche una lagna peggiore di
quel suo fottuto violino!»
«Spengo il telefono...»
«No, no.» ti ferma, sorprendendoti.
«Rispondi.»
«Cosa?» chiedi sconvolto.
«Avanti, rispondi.»
«Ma...» provi a protestare, ma
dall’occhiata che ti lancia, capisci
che non ammette repliche. Premi il tasto verde e inserisci l’alto
parlante. «Pronto...?»
«Non credevo mi avresti risposto.» la
voce di Ethan arriva chiara alle vostre orecchie e uno strano senso
di fastidio si insinua dentro di te. Non hai proprio alcuna voglia di
parlare con lui. Non quando sei nudo tra le braccia di Brian e
potreste farvi una delle vostre eccitanti scopate.
«Effettivamente, non credevi male.»
replichi piccato, per sbarazzarti il più velocemente possibile di
questa scocciatura.
«È stato lui a dirti di farlo?» lo
senti chiederti, e nel momento in cui sposti il tuo sguardo su Brian,
lo vedi sollevare le sopracciglia e sorridere con ironia, mentre
scuote la testa con fare rassegnato.
Sbuffi rumorosamente e ti costringi a
parlare ancora una volta: «Lasciamo stare. Dimmi che vuoi
piuttosto?»
«Parlarti.»
«Ti sto ascoltando.»
«No, non così» ribatte, e sai già di
doverti aspettare una spiegazione che non piacerà né a te, né a
Brian. «Parlarti, io e te, da soli. Hai da fare domani?»
«Cosa?» domandi con una punta di
sarcasmo nella voce, mentre un sospiro esasperato arriva dalle labbra
del tuo uomo.
«Hai capito.»
«Ethan ascoltami...» lo chiami,
cercando di mantenerti tranquillo. Non vuoi certo rovinarti ciò che
ti aspetta a causa di una stupida telefonata. «...se hai qualcosa da
dirmi, fallo ora e fallo velocemente. Altrimenti riattacca pure.»
«È lui che ti sta dicendo di non
farlo?»
«No. Sono io.» puntualizzi duramente,
mentre la tua pazienza inizia a venir meno. «Non capisco che idea tu
ti sia fatto di me e Brian, ma non è il mio padrone. Le parole che
senti, sono solo e soltanto mie.»
«Ma davvero?» domanda con fare
retorico, e ad entrambi non sfugge il tono ironico e decisamente
fastidioso che ha usato. Ne sei sicuro perché perfino Brian ha perso
il suo classico sorrisetto spavaldo. «E che mi dici di quando ti
lasciava a casa ad aspettarlo mentre lui si scopava mezza città?
Quello cos’era?»
«Cose che non ti riguardano. E comunque
non mi ha mai costretto a restare.» rispondi, stavolta con un tono
di voce più alto. Proprio non sopporti che lui si azzardi a parlare
del tuo uomo. Nessuno può permettersi di farlo, men che meno lui.
«Sono sempre stato libero di scegliere e andarmene. Se ero lì, è
perché lo volevo...» respiri a fondo per ritrovare la calma, e
quando senti una carezza scostarti i capelli dalla faccia,
immediatamente ti rilassi, e con un sorriso concludi: «...ed è
quello che voglio ancora. È tutto quello che voglio.»
«Non posso crederci.» sbotta Ethan
all’altro capo del telefono. «E
l’amore? Dov’è finito il tuo bisogno di essere amato? Dove sono
finite tutte le tue belle intenzioni e le tue belle parole?»
«Sempre qui. Sempre con me.» affermi,
deciso. «E sono amato Ethan...» aggiungi, mentre quel tuo sorriso
si fa sempre più sincero. «...molto più di quello che immagini.»
«Da uno che si scopa chiunque gli capiti
a tiro?»
«Sì.» confessi e i tuoi occhi blu
incontrano quelli scuri di Brian. Ti soffermi a fissarlo in silenzio,
e mentre ti chiedi come hai potuto lasciarlo – come hai davvero
potuto fare a meno di lui – riprendi a parlare, come se un fiume di
parole fuoriuscisse improvvisamente dalle tue labbra: «Da uno che si
scopa chi cazzo gli pare, ma mai più di una volta. Che non prende
nomi o numeri e non bacia nessuno sulla bocca tranne me.» un
sorriso complice spunta sul viso di Brian e tu prosegui con
sicurezza, mantenendo lo sguardo fisso nel suo. «Qualcuno che non mi
ha mai tradito o mentito, anche se tu non riesci o non vuoi capirlo.»
ti soffermi ancora per un momento, beandoti dello sguardo dolce che
l’uomo che ami ti sta rivolgendo
e che solo adesso riesci ad apprezzare davvero; e con quello sai che
ha capito...che le tue parole non sono certo per Ethan, che in realtà
non stai parlando con il violinista, ma semplicemente confessi ancora
a te stesso e a lui quello che senti, e che hai davvero compreso
quello che tante volte ha provato a dimostrarti, anche se non è mai
riuscito a dirlo; e t’impegnerai
al massimo per non sbagliare ancora. «Qualcuno che mi da qualcosa
che vale almeno mille, un milione di volte più di quanto tu potevi
offrirmi.»
«Justin? Che cazzo stai blaterando?»
esclama Ethan, ma tu lo senti a malapena, perché le labbra di Brian
sono corse a congiungersi con le tue, dopo averti regalato uno dei
sorrisi più belli che tu gli abbia mai visto fare.
«Ehi, Ian...» lo chiama Brian, con quel
suo solito tono sfrontato. «...mi spiace interrompere questa tua
magistrale performance per renderti ridicolo, ma io e il caro raggio
di sole qui presente, avremmo altro a cui pensare se non ti
dispiace.» si lecca le labbra con la punta della lingua e ghigna,
come se potesse godersi ancora la sua espressione stizzita. «Perciò
trovati qualcos’altro da fare. Tortura le povere orecchie di
qualche disperato che è costretto a sentirti strimpellare con quel
coso, componi melodie per il tuo patetico amore finito male,
disperati, tagliati le vene...» elenca, sempre più ilare, prima di
baciarti ancora e rivolgersi per un ultima volta a chi ha osato
interrompere il vostro momento perfetto. «...fa quel che cazzo ti
pare, insomma. Basta che lo fai senza fracassarci i coglioni con le
tue stronzate, ok?» ti prende il telefono di mano e tu scoppi a
ridere, mentre lo vedi portarlo alle labbra e salutare: «Ciao, ciao
Paganini.»
«Sei
diabolico.» ridacchi
compiaciuto.
«Sono
dolce.» replica lui, con la
fronte aggrottata, prima di avvicinarsi ancora e – dopo aver
lanciato il tuo cellulare chissà dove – riprendere ancora a
baciarti con quella sua solita e struggente passione.
Ti perdi ancora a fissare quel verde
scuro dei suoi occhi e quasi vorresti prenderti a pugni per tutto il
male che gli hai fatto, senza neanche accorgertene, perché troppo
impegnato a badare alle tue sciocche pretese per renderti conto che
tutto ciò di cui tu avevi bisogno, lui te l’aveva
già dato e continuava a farlo ogni giorno, con gli interessi.
Chiudi
lentamente le palpebre per frenare le lacrime, ringraziando non sai
neanche quale dio per il fatto che ti abbia ripreso con sé, e con un
filo di voce confessi: «Brian...ti amo.»
«Lo so.» sussurra appena lui in
risposta, sulle tue labbra, e tu sfiori la punta del tuo naso con il
suo.
Sorridi, e in fondo non t’importa
se non sentirai mai quelle due paroline uscire dalla sua bocca; non
t’importa se non ti regalerà
mai fiori o qualsiasi altra cazzata di questo mondo, perché la cosa
più importante te l’ha già
donata: ti ha regalato se stesso, e niente potrà mai contare più di
questo.
Sai che lui ti ama. Sai che vi
appartenete.
E questo ti basta.
Note dell’autrice:
Piccolo
salto indietro nel tempo rispetto alle ultime OS, ma spero la gradirete
comunque, visto che ho cambiato anche il "pov". Stavolta ho voluto
provare con il caro Justin.
Queste pagine sono nate - come ho scritto nella dedica - grazie al capitolo 26 di "Home sweet home", per cui, chi l’ha
già letto capirà sicuramente a cosa mi riferisco - e
parlando tra noi, è stata una vera e propria liberazione!
Eccheccazzo! - mentre se non l’avete ancora fatto, vi consiglio caldamente di correrci subito e godervelo appieno, sia il capitolo che l’intera storia...anche se a volte avrete voglia di lanciare il computer contro il muro per quello che c’è scritto. XD
Ma tornando brevemente all’OS,
confesso candidamente che io un tempo AMAVO il violino...ne avevo una
passione sviscerata, specie quando lo sentivo nelle ballate
nordiche...poi è arrivato quel cespuglio ambulante, e da allora
mi sanguinano le orecchie! Maledetto sorcio!
Eh vabbè...stupidaggini a parte, spero vi sia piaciuta davvero e
ringrazio tutti coloro che sono arrivati fino in fondo, così
come chi ha recensito le scorse e chi recensirà anche questa!
Per la prossima OS sono indecisa se restare in ambito delle cinque
stagioni, o proseguire oltre la 5x13...magari con un ritorno della
"mini raggio di sole" Chanel Taylor Kinney. XD
Insomma, vedermo poi!
Un bacione e a presto.
Veronica.
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Capitolo 6 *** Family. ***
Family.
Raiting: Giallo
Timeline: Post 5x13
*'*'*
“Family”
«Pa...tata.»
«No, tesoro.» pronunci deciso e
protendi la mano verso di lei per farti restituire il tubero in
questione, che ha sottratto con un gesto fulmineo dal banco del
supermercato. «Niente patate.»
«Pa...tata.» borbotta appena e un po’
indecisa, scrutando attentamente quella che stringe tra le due manine
paffute, per poi ripetere con maggiore sicurezza mentre si agita
felice nel seggiolino dentro il carrello: «Patata.»
«Chanel, ho detto ‘niente patate’.»
sospiri quasi disperato. «Le patate fanno ingrassare. Non vorrai
perdere la tua linea perfetta già a due anni?»
«Patata!» esclama invece lei, decisa a
ignorare deliberatamente qualunque cosa tu le dica. Se mai tu dovessi
aver avuto qualche minimo o vago dubbio sull’origine di
quell’esserino biondo e bellissimo, da questo momento sono tutti
dissipati.
Chanel è sicuramente figlia di
Justin. La sua testa dura ne è la prova.
«Su signorina, fa la brava e metti a
posto questa cosa.» pronunci con un tono deciso e la fronte
corrucciata, per poi gettare un’occhiata sul bancone e prendere
qualcos’altro di decisamente più invitante secondo i tuoi
gusti: «Guarda qua: ‘pisello’. È molto meglio di
‘patata’. Credi al tuo papà!»
Chanel alza i suoi occhi blu su di te.
Osserva attentamente il legume verde che tieni tra le dita sbattendo
più volte le piccole palpebre, per poi riportare la sua attenzione
su ciò che stringe tra le mani, e ribadire convinta: «Patata.»
«No. Non ‘patata’.» ti accoccoli
davanti al carrello, quasi con esasperazione, e scandisci meglio le
parole: «È meglio ‘pisello’.»
Alle tue spalle una risatina viene
soffocata a stento, e dal modo in cui la piccola protende le braccia
in alto felice, capisci che si tratta di Lui. La sua bionda
chioma spettinata compare improvvisamente nel tuo campo visivo e non
puoi impedire alle tue labbra di muoversi in un sorriso quando lo
vedi baciare sulla fronte vostra figlia, prima di voltarsi verso di
te con aria scettica. «Brian, la vuoi smettere?»
«Silenzio, raggio di sole. Sto
insegnando.» gli rispondi perentorio, prima di sventolare il legume
davanti alla bambina.
«È solo uno stramaledetto tubero.»
ride e scuote la testa rassegnato. «Nostra figlia non diventerà
lesbica solo perché preferisce mangiare le patate invece che i
piselli!»
«Lo dici tu.» replichi senza staccare
gli occhi da Chanel, aspettando il momento giusto per sottrarle
quella stramaledetta patata giallognola e bitorzoluta. Ormai è
diventata una questione di principio e un genitore deve avere anche
un po’ di polso nel crescere i propri figli, no? Se hai detto
“piselli”, è “piselli” che mangerà, e senza possibilità di
repliche. «Ho letto proprio questa mattina che degli scienziati
stanno provando quanto le preferenze nell’infanzia la giochino
sull’orientamento sessuale di ogni persona.»
«Certo. E com’è che io mangiavo sia i
piselli che le patate, allora?» risponde con l’aria da saputello e
una delle sopracciglia sollevate. «Non mi pare che la cosa si sia
riflettuta nel futuro.»
«Sarai stato sessualmente confuso, o
indeciso.» gli sorridi spavaldo e ti umetti le bocca in modo così
sexy, che sei certo di aver visto le sue pupille ridursi ad un puntino
invisibile per la scarica d’eccitazione che l’ha attraversato.
Pieghi maggiormente le labbra e mormori, con tono suadente: «Mi pare
però che tu sia rinsavito presto...» lo vedi respirare a fondo e
risollevandoti, ti protendi verso di lui senza vergogna per poi
sussurrare al suo orecchio, mordicchiandone appena il lobo: «Tutto
bene, raggio di sole? Ti vedo un tantino agitato.» ti
scosti appena e fai congiungere la tua bocca con la sua,
trattenendoti a stento dal rovesciare interamente quello
stramaledetto bancone di orrende patate e scaraventarcelo sopra per scoparlo
come si deve.
Fortuna che c’è una signorina
con voi...
«Pa...pà.» chiama infatti lei,
sbrodolando le parole e aggiungendo un gorgoglio strano che dovrebbe
essere il tuo nome, ma che somiglia più al rumore delle bolle che
Gus si diverte a produrre con la cannuccia, e che fa tanto incazzare
la cara Melanie. «...pà!» esclama ancora, contrariata e in
procinto di uno dei suoi finti pianti, quando si accorge che non hai
proprio l’intenzione di separarti da Justin; e prende ad agitarsi
sul seggiolino scuotendo le braccia verso di te.
«Brian...» mugugna il tuo compagno
sulle tue labbra, per richiamarti ai tuoi doveri di padre, seppur gli
costi un’enorme sacrificio; e a malincuore ti allontani da lui per
prendere in braccio quello splendore impertinente con le codine
bionde.
La senti aggrapparsi possessiva al tuo
collo – tanto che inizi a sospettare che nel gene dei Taylor ci sia
qualche problema di fondo, visto la facilità con cui sembrano
appiccicarsi a te – e le sistemi il vestitino rosa pallido a
salopette di Prada, perfettamente in tinta con le scarpine del
medesimo colore e marca; e le minuscole calze bianche che riprendono
il candore della prima camicina di Armani che le hai orgogliosamente
comprato e che, come tutti si aspetterebbero da tua figlia, sembra
adorare particolarmente.
«Allora, Miss Petulanza...» la
chiami guardandola negli occhi, cercando di mantenere un’espressione
seria e ripromettendoti di non lasciarla mai più in compagnia di
Michael, viste le proprietà melodrammatiche che sta acquisendo. «In
cosa possiamo sperperare i soldi di tuo padre?» lei ti guarda un po’
stranita e poi riporta l’attenzione al bancone, per indicarlo e
protendersi decisa con un mugugno insistente. «Basta con queste
patate!» sbotti allora, e te ne penti immediatamente quando gli
splendidi occhioni blu chiaro della tua bambina si riempono di
lacrime. «No, no, no.» preghi disperato e tenti di farla smettere
dondolando, mentre Justin se la ride apertamente alle tue spalle.
«Sei sempre il solito.» commenta con un
sorrisetto, e recupera il provvidenziale ciuccio dalla tracolla che
si porta sempre appresso – piena delle necessità per il vostro
mini-raggio di sole – per poi avvicinarlo alle labbra di
Chanel che, resasi finalmente conto di quell’adorata presenza, ci si avventa
immediatamente e termina il suo pianto per succhiare appassionata e
soddisfatta.
Un sorrisetto va ad incresparti le
labbra, mente osservi le guance piene e le labbra di tua figlia che
si muovono a ritmo sostenuto, e le baci la fronte. «Brava la mia
bambina. Lo vedi quanto è più bello succhiare?»
«Brian, credo proprio tu sia l’unico
padre al mondo che istruisce e incoraggia sua figlia nell’arte
della fellatio.»
Ti volti verso il tuo compagno ed inarchi
le sopracciglia, sollevando le spalle. «Le insegno le cose importanti della vita...come ho
fatto con te, d’altronde.» ammicchi sornione, riferendoti alla
vostra prima volta assottigliando lo sguardo, e ti riappropri delle
sue labbra con un mugugno soddisfatto.
«Posso lasciarti solo con lei, per
andare a prendere la pasta, senza che tu le insegni a masturbare le
zucchine?» ti chiede sfiorando il suo naso sul tuo mento, e non
puoi far a meno di ghignare.
«Va bene, papà Taylor. Mi
risparmierò sulla pratica...» pieghi le labbra all’interno della
bocca e ammicchi. «...ma non assicuro sulla teoria.»
Justin scuote la testa fingendo
rassegnazione, ma il sorriso sul suo viso tradisce il suo reale stato
d’animo. Sarà una tua impressione, ma credi di non averlo mai
visto così splendente e felice come da quando avete creato la vostra
bellissima famiglia.
Già,
una famiglia.
Ti stringi tua figlia al petto e osservi
attentamente il tuo bellissimo compagno mentre si allontana e prende
a girovagare tra gli scaffali, pensando a quanto detestassi quella
parola prima di incontrarlo, e a quanto ti portasse alla mente solo
brutti ricordi.
Per
quanto i tuoi genitori facessero schifo, sai bene che Debbie si è
improvvisata mamma per te, adempiendo a ciò che Santa Joan
non ha mai fatto, troppo occupata a scolarsi l’ennesima bottiglia,
per accorgersi di te; e che Michael, Linz e tutta l’allegra e
frocia combriccola di
cui ti sei circondato negli anni, hanno ricoperto il ruolo dei tuoi
“fratelli”.
Era
strampalata, certo, ma era pur sempre ciò che c’era di più simile
a una famiglia nella tua vita...fino a quella fantomatica sera, in
cui il tuo raggio di sole
è apparso dal nulla e si insidiato dentro di te fino a raggiungere
il tuo cuore, e a mostrarti cosa significa amare ed essere amati; e
qual’è il vero significato di quella parola che fino ad allora
avevi ritenuto riprovevole e patetica, pur di non ammettere a te
stesso quanto in realtà ne avresti voluta una durante la tua
infanzia.
E Justin è riuscito a realizzare questo
tuo nascosto e mai confessato unico desiderio e rimpianto, e
contrariamente al passato, sai che non ci rinunceresti per nulla al
mondo.
Sorridi, e storcendo le labbra,
accontenti finalmente tua figlia – tanto, sai che più viziata di
quanto già non sia, non potrà mai diventare – riempiendo uno dei
sacchetti trasparenti di patate, senza però rinunciare ad un secondo
di piselli.
Le lanci un’occhiata
attenta e, quando ti accorgi che è felice della tua decisione,
mormori, con una delle sopracciglia inarcate: «Non
è che poi mi diventi bisessuale?» Chanel si volta verso di te e ti
guarda con suoi occhioni blu. Non sei tanto sicuro che non ti abbia
capito – visto che la signorina in questione ha dimostrato di saper
intendere e farsi intendere anche fin troppo bene, quando vuole
qualcosa – ma scrolli comunque le spalle rassegnato e, dopo averle
regalato un altro bacio, riprendi a spingere il carrello,
borbottando: «L’importante
è che mi diventi, come minimo, presidentessa degli Stati Uniti. Poi
puoi leccare quello che ti pare. Non è affar mio.»
Raggiungi il
secondo bancone e prendi ad ispezionare i cetrioli, quando una voce
all’altro
lato attira la tua attenzione. «Vedi quel tizio?» bisbiglia un
uomo a te sconosciuto – o più probabilmente che ti sei anche
scopato, ma che ovviamente non ricordi – ad un altro gay più
attempato. «È Brian Kinney.» l’altro
annuisce consapevole, come se già ti conoscesse, e l’uomo
riprende a parlare: «Ne rimorchiava uno diverso ogni sera...»
solleva una le sopracciglia e conclude, con un tono di disprezzo.
«...da un po’
di tempo ha una relazione fissa, e si è fatto perfino una famiglia.»
Deeja-vù.
E non è solo
la scena che ritorna alla tua mente, ma anche il fastidio provato nel
sentire quelle parole...solo che stavolta non è per lo stesso
motivo.
Non te ne
frega un cazzo della tua passata reputazione; non t’importa
proprio un fico secco di scopartene uno a sera, né ne senti la
mancanza...perché tutto quello di cui hai bisogno è stretto tra le
tue braccia, insieme all’altro
tuo raggio di sole.
Quello che
invece ti fa incazzare, è il tono con cui quello sconosciuto
si è permesso di pronunciare quell’ultima
parola: famiglia.
Lui che non
sa neanche cosa significhi per te averne davvero una adesso; lui che
neanche ti conosce, ma si sente in dovere di avanzare opinioni; lui
che in questo preciso istante vorresti prendere a pugni...e per poco
non lo fai, ma ci pensa la tua bambina a fermarti – che
probabilmente, come hai sempre creduto, riesce a capire quello che
provi – stringendo di più la presa intorno al tuo collo, per poi
protendersi verso di te, ponendo la sua guanciotta morbida ad aderire
alla tua, in un abbraccio profumato d’innocenza,
che fa sciogliere immediatamente i tuoi nervi, facendoti ritrovare il
tuo proverbiale ed irresistibile sorriso spavaldo.
La baci sulla
fronte, per ringraziarla, ed inizi il tuo show:
«Chanel, è arrivata l’ora della prima vera lezione di vita
del tuo vecchio.» la guardi dritta negli occhi e pronunci in tono
solenne: «Lezione numero uno: fai sempre e solo quello che ti rende
felice. Se vuoi una cosa, prendila e sbattitene le palle di quello
che dice la gente.» lanci una delle tue
occhiate verso i due pettegoli e riprendi, continuando a fissarli,
mentre loro ti osservano stupiti e forse anche imbarazzati.
«L’invidia è una brutta bestia, perciò tu ‘non ti curar di
loro, ma guarda e passa’.» riporti l’attenzione
su Chanel, e le sorridi benevolo. «Sai, il tuo papà ha fatto tanto
bel sesso promiscuo negli anni, perché era quello che
voleva...finché non ha incontrato papà Justin e il suo bel
culetto.» pieghi le labbra in un ghigno storto e, dopo aver
raggelato quei due con l’ennesimo
sguardo, concludi fiero: «Da allora ha imparato a selezionare il
buon sesso da quello scontato e scadente e a dedicarsi
solo a chi merita e alle cose che contano davvero, scartando la gente
insulsa e inutile che si crede in dovere di criticare, ma che in
realtà è solo e soltanto un agglomerato di tristi ‘prendi in
culo’ isterici, invidiosi e insoddisfatti.» la baci sulla punta
del naso, facendola ridere e, finalmente soddisfatto e con il cuore
più leggero, riprendi a spingere il carrello. «Perciò tesoro mio,
impara a riconoscere coloro che meritano la tua attenzione e dedica
un bel ‘vaffanculo’ a tutto il resto, stando però attenta a non
rovinarti le tue scarpe firmate quando li spedirai lontano a calci.»
«Si può
sapere cosa stai blaterando?»
Ti volti al
suono di quella voce, e sorridi verso Justin, per poi inarcare le
sopracciglia nel momento in cui ti accorgi delle scatole di pasta che
ha preso, e di quei dannati fogliettini che stringe tra le dita.
«Ancora con questi buoni?»
«Il fatto
che siamo ricchi sfondati, non mi fa certo perdere le vecchie
abitudini.»
«Per
fortuna, aggiungerei.» ribatti, con un sorrisetto che lascia
intendere neanche tanto velatamente quanto tu ti riferisca ad altre
sue abitudini,
e non certo al suo essere tirchio.
Lui scuote la
testa, facendo dondolare delicatamente la sua frangia bionda sulla
fronte; e tu non riesci a pensare ad altro che non sia la voglia di
tornare a casa ed affondare le dita in quei ciuffi dorati e morbidi,
mentre lo baci e lo scopi come si deve. «Andiamo?» ti dice poi,
indicandoti la cassa e tu annuisci, per poi seguirlo.
Ti sistemi in
fila e, dopo aver riposto Chanel nel suo seggiolino dentro il
carrello, circondi le spalle di Justin con un braccio ed avvicini le
labbra al suo orecchio, per poi mormorare, stando ben attendo a
sfiorarlo in modo suadente: «A
forza di parlare di verdura
con nostra figlia, mi è cresciuto qualcosa nei pantaloni...»
Justin ride e
si volta verso di te per congiungere la sua bocca morbida alla tua.
«Be’...direi
che dovremmo controllare allora, no?» ti sorride malizioso e, mentre
si protende per baciarti ancora, aggrotta la fronte e
fissa gli occhi in un angolo alle tue spalle. «Ci
sono due tizi che ci stanno guardando da un po’...li conosci?»
Ti volti per
capire a chi si riferisce, ed incontri ancora gli sguardi di quei
due, che stavolta però si sono concentrati anche su Justin. Non
è
una novità il fatto che attiri l’attenzione, e ci sono
stati
momenti in cui – adesso puoi anche ammetterlo, ovviamente solo a
te stesso però. A voce alta non lo diresti neanche se
minacciassero di staccarti la lingua – ti rendesse
perfino geloso vedere come gli occhi pieni di brama si posassero su
di lui; eppure stavolta, non puoi che ritenerti pienamente
soddisfatto di ciò che vedi. Invidia,
pura e patetica invidia.
Ghigni nella
loro direzione, sollevando una delle sopracciglia, prima di piegare
le labbra all’interno della bocca, e rispondere con noncuranza:
«No, affatto.» ti protendi per baciare ancora il tuo raggio
di sole, ma lo sguardo ti cade
sul mini-raggio di sole, e sulle sue manine che strinngono qualcosa di inaspettato.
La vedi alzare i suoi occhioni su di te,
per poi sventolare una sua manina stretta a pugno, e la senti
borbottare: «Ppp...» aggrotta la fronte, come se stesse riflettendo
sul nome di quello di cui si è appropriata, e finalmente annuncia:
«...pisello.»
Lei ti sorride soddisfatta, e tu sollevi
gli occhi al cielo, per poi esclamare, tra la risata di Justin: «Dio,
grazie!»
Note dell’autrice:
Sì,
lo so...questa OS è una gigantesca cazzata fluffleggiante, ma
ormai era lì pronta, ed ho deciso di rovinarmi da sola
pubblicandola!
Mi sa che le verdure arriveranno tutte direttamente in faccia a me,
invece che a casa dei nostri Britin e....ora che ci penso, ho la
sensazione che le patate facciano anche piuttosto male!
È tornata quella marmocchia di Chanel - e voi mi direte "ma va? Non ce n’eravamo accorte!" - e con lei, ovviamente, in post 5x13 ed il "pov" di Brian.
Non ci posso fare niente, è troppo più "facile" - per
così dire - scrivere attraverso la sua testaccia marcia, ma vi
annunciò già che ho in cantiere un altro "pov" di Justin,
sempre post 5x13...così, tanto per rassicurarvi che
infesterò ancora per un bel po’ questo fandom!
E vabbè...meglio se la concludo qui, ringraziando tutti coloro
che hanno letto sia questa, che le scorse OS, così come chi ha
recensito! ^^ Sappiate che vi amo profondamente.
Un bacione e a presto.
Veronica.
|
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Capitolo 7 *** Welcome back to St.James. ***
Welcome back to St.James.
Raiting: Verde.
Timeline:
Post 5x13.
*'*'*
a
tutte le persone vittime di bullismo
e
di quella cosa orrenda e inumana chiamata “omofobia”.
non
so quando andrà meglio, ma lo farà...perché deve farlo,
perciò
non smettete di sperare, non smettete di crederci,
non
arrendetevi, non lasciateli vincere.
MAI.
I
support #SpiritDay.
“Welcome
back to St.James”
«Signor
Taylor, c’è posta per lei.» esordisce Brian, avvicinandosi a te
con una piccola busta bianca tra le mani, ed un pacco di altre
scartoffie di ogni tipo. La lascia cadere sulla scrivania, davanti ai
tuoi occhi, e si protende per baciarti. «E non immagineresti mai chi
è il mittente.»
Abbassi
lo sguardo incuriosito e i tuoi occhi si posano sul logo
inconfondibile impresso in alto a sinistra. «La Saint James?»
esclami interdetto. «E che diavolo vogliono ancora da me quel branco
di capitalisti omofobi?» rigiri più volte il rettangolo bianco tra
le mani, avanzando mille improbabili ipotesi nella tua testa, finché
ti decidi ad aprirla e leggerne il breve contenuto. «Non ci credo.»
ridacchi, attirando nuovamente l’attenzione di Brian, che nel
frattempo si è dilettato nel gettare nel cestino, senza alcuna
remora, le brochure delle associazioni gay che, come ogni anno,
chiedono un suo decisamente lauto contributo. «È per una
rimpatriata. Per ‘festeggiare i cinque anni trascorsi dal
diploma dei nostri studenti dell’anno accademico duemila,
duemilauno’.» scuoti la testa e lasci ricadere la lettera sulla
scrivania. «Ma che stronzata è?»
«Lo
fanno tutte le scuole.» replica lui indifferente. «Per i cinque
anni, per i dieci, i quindici o i cinquant’anni per chi ci arriva.»
«Sono
arrivate anche a te?»
«Sì,
certo.»
Volti
la sedia per guardarlo meglio e aggrotti la fronte incuriosito. «Ma
se non me l’hai mai detto...»
«Non
te l’ho mai detto perché non ci sono mai andato.» ribatte
candidamente e prende a giocherellare con uno stecchino. «È solo un
altro modo ipocrita per permettere a chi ha avuto successo di
vantarsi, e chi non ne ha avuto di sentirsi umiliato dagli altri.
Insomma, il classico meccanismo su cui ruotano i ‘bei tempi del
liceo’.»
«Be’...non
puoi certo dire che non spiccheresti tra quelli di successo. Perché
non sei mai andato?»
Brian
getta anche l’ultima delle brochure e si avvicina a te per passarti
le mani nei capelli lunghi proprio come piacciono a lui, e baciarti ancora
con un sorrisetto spavaldo. «Perché non ho alcun interesse a
mischiarmi con certa plebaglia ignorante.»
«Hai
ragione.» annuisci e fai per gettare l’invito. «Non andrò e...»
«Dovresti
invece.» t’interrompe e tu lo guardi stranito.
«Perché
mai? L’hai appena detto. Non c’è bisogno di...»
«Non
io.» replica lui. «Io non ho finito la mia carriera scolastica
con...» si blocca un attimo e lo vedi passarsi una mano sulla nuca
con uno strano sguardo incerto. Dopo tutti questi anni ancora non
riesce a parlare liberamente della tua aggressione. Sembra quasi che
ogni volta le immagini debbano correre a susseguirsi nella sua mente
per ferirlo; sembra quasi che sia stato aggredito anche lui con te,
solo che la sua ferita sanguina ancora dentro. «...insomma, hai
capito.» borbotta un po’ stordito. «Dovresti andare e mostrare a
quegli stronzi che, a dispetto del loro odio, sei stato più forte e
vali molto più di chiunque altro.»
Ti
alzi e lo abbracci, per poi sfiorargli il collo con una scia dolce di
baci. «Non ho bisogno di andare. Se sanno leggere un giornale, sanno
già dove sono e chi sono.»
«Ma
vuoi mettere la soddisfazione di ridere in faccia a ognuno di loro?»
continua lui, dopo essersi scostato appena per farsi guardare negli
occhi. «Va’ a quella festa e urla ancora il tuo ‘vaffanculo alla
Saint James’.»
Annuisci
un po’ incerto e con una smorfia poco convinta chiedi: «Verrai con
me?»
«Eh?»
ribatte lui sorpreso.
Scrolli
le spalle e gli sorridi raggiante. «Tutti porteranno la loro
fidanzata, o moglie, il loro fidanzato o il marito, o ciò che
faranno passare per tale perché non vorranno presentarsi da soli
come sfigati, no?» ridi e lo fissi con più decisione, come la prima
volta che gli hai chiesto di accompagnarti al ballo. «Fino a prova
contraria il mio compagno sei tu.»
«No,
grazie.» risponde deciso. «L’ultima volta che sono andato ad un
ballo scolastico non è finita esattamente come in quei stupidi
telefilm che piacciono tanto a Emmett. Non ci tengo proprio a
ritentare.»
«Non
è un ballo scolastico.» tenti di contraddirlo, ma lui alza le
braccia.
«C’è
la musica, ci sono ex-scolaretti idioti e strafatti che si fingono
emancipati e ballano, ed è allestito in un liceo.» piega la testa
di lato ed accenna uno dei suoi sorrisetti. «È un ballo
scolastico.»
«E
dai!» provi a pregarlo, sfoderando uno dei tuoi migliori sorrisi
smaglianti e convincenti. «Non sarebbe mai il perfetto ‘vaffanculo’
senza di te.»
«Mi
spiace, ma stavolta passo. Invita Daphne.»
Aggrotti
la fronte e ti passi la lingua sui denti. «Perché ho la sensazione
di aver già fatto una conversazione simile a questa?»
«Perché
è avvenuta...» conviene, ricordando quella del Babylon.
«...ma stavolta non la spunterai. Non verrò a una festa di
ex-scolaretti...»
«‘rincoglioniti’...»
lo scimmiotti, roteando gli occhi blu ed ignorando la sua espressione
scocciata. Ancora non gli va giù che tu lo conosca così
bene da poter completare ogni sua frase e interpretare ogni suo
pensiero senza neanche un minimo sforzo o margine d’errore. «...lo
so, lo so.»
«Se
lo sai allora, perché diavolo me lo chiedi?»
«Perché
la speranza è sempre l’ultima a morire.» ribatti pronto con un
sorrisetto furbo. «E mi pare che quella volta abbia avuto ragione.»
«Non
contarci anche stavolta.» risponde, circondandoti il viso con le
mani e schioccandoti un bacio sulle labbra. «Chiama Daphne, e sta’
lontano dalle mazze da baseball.» ti bacia ancora, stavolta con più
passione e dolcezza, quasi volesse darti una sorta di protezione da
qualsiasi cosa con il suo amore, e si allontana, dirigendosi verso la
doccia e lasciandoti con un cipiglio interdetto.
Vorresti
davvero riaverlo al tuo fianco e rivivere ancora quel momento, senza
che nessuno te lo rovini o te lo porti via, ma non te la senti
d’insistere, perché sai quanto ancora il solo pensiero di quella
notte gli faccia male, e che la profonda cicatrice che l’ha
squarciato quando quello stronzo omofobo di Chris Hobbs ti ha
colpito, brucia ancora in modo atroce.
Ha
rischiato davvero di perderti e ha visto la morte sulla tua pelle; e
Debbie non fa che ripeterti come, secondo lei, sia stato quello il
momento in cui si è finalmente reso conto che dentro di lui qualcosa era
cambiato...che si stava innamorando di te.
Sospiri
combattuto e lanci un’occhiata alla busta indeciso sul da farsi,
finché con uno sbuffo, afferri il cordless e digiti il numero di
Daphne.
Non hai scelta. Stavolta
dovrai dare un “vaffanculo” molto più anonimo.
*'*'*
Sono
quasi le nove di venerdì sera quando, con un’espressione scocciata
e dispiaciuta, lasci che sia Brian ad annodare la tua cravatta. In
tutto questo tempo non hai mai imparato a farlo, e non si tratta di
pigrizia, ma del semplice fatto che lo senti come un vostro piccolo
rito, e perché comunque ti piace vederlo concentrato a così poca
distanza da te, mentre le sue dita abili girano la stoffa.
Lo
senti sistemare il nodo e il colletto della camicia, e non resisti
dal lanciargli l’ennesima occhiata supplichevole. «È inutile che
mi guardi così, Bambi.» ti apostrofa, con un mezzo sorriso.
«Non verrò.»
Gonfi
le guance, fingendoti disperato, ma neanche questo funziona. Saresti
quasi sul punto di tentare la minaccia di uno sciopero dal sesso, se
non sapessi perfettamente che tu ne sei dipendente proprio come lui.
Saresti il primo a non resistere neanche per mezzo secondo. «Che
palle.» sbuffi allora e t’infili la giacca, piccato. «Che farai
stasera?»
Brian
scrolla le spalle. «Non so. Passerò da Woody’s e poi andrò a
dare un’occhiata al Babylon più tardi. Ci vediamo lì?»
«Ti
chiamo.» rispondi mesto. Di certo, il suo programma è molto più
allettante del tuo. Anzi, a dirla tutta, qualsiasi cosa sarebbe più
allettante. «Tanto non resterò molto. Giusto un’oretta.»
«Non
divertirti troppo, eh.» ti canzona e ti bacia. «Saluta Daphne.»
Annuisci,
rivolgendogli un sorrisetto tirato e decisamente poco amichevole, ed
esci dal loft, roteando con l’indice le chiavi della tua frocissima
jeep nera che ti ricorda tanto quella che aveva Brian.
Sei
sempre stato un po’ romantico in fondo, e da questi dettagli non
riesci proprio a staccarti. Lo dimostra anche il fatto che,
nonostante possediate un castello meraviglioso in West Virginia come
Britin, vi ostiniate a trascorrerci solo i giorni festivi ed i
weekend, restando per il resto del tempo al loft.
La
scusa ufficiale che vi propinate entrambi è che è più comodo per
il lavoro, ma la realtà è che non riuscite a separarvi da quelle
quattro mura che hanno visto la nascita del vostro amore e tanti tra
i momenti più importanti vissuti insieme.
Lanci
un’occhiata fugace al palazzo in mattoni, seguendone le linee fino
alla finestra più alta illuminata – che sai appartenere al loft di
Brian – e ripensi per un attimo a tutte le volte che hai sostato lì
sotto; prima di salire in macchina fischiettando, e guidare fino a
casa di Daphne per poi raggiungere la Saint James, parlottando e
spettegolando del più e del meno.
Trovarsi
nuovamente davanti a quella scalinata in cemento, non è certo il
massimo della gioia, e dalla smorfia che si è disegnata sul tuo
viso, si capisce che neanche t’importa di nasconderlo.
Sospiri
un po’ sconsolato, al pensiero che potresti essere a ridere e
scherzare da Woody’s con tutti gli altri, e con uno sbuffo chiudi
la tua jeep e porgi il braccio a Daphne, perché lo afferri e si faccia
accompagnare fino all’edificio, proprio come si addice ad ogni
ballo.
«Ehi,
Justin...» ti chiama lei, ridacchiando. «Trattieni il tuo
entusiasmo!»
«Lo
sai che non sopporto queste cose...» borbotti, e già ti senti
soffocare nel momento in cui varcate la soglia, immergendovi tra le
persone e la musica.
«Già.»
conviene lei. «Avevo dimenticato quanto tu fossi snob! Adesso poi
che sei un’artista famoso...»
Le lanci una strana occhiata di sbieco e scoppi a ridere con lei. «Piantala, scema.»
ribatti, inarcando una delle sopracciglia, per poi chiederle: «Vuoi
che ti prenda da bere?»
«Sì,
ma vengo con te!» esclama in risposta, e si stringe con più forza al tuo
braccio. «Non è per fare l’uccellaccio del malaugurio, ma non
voglio neanche sfidare la sorte lasciandoti da solo. Se ti succede
qualcosa, Brian mi ammazza.»
Scuoti
la testa con fare rassegnato e fate per avvicinarvi ad uno dei
tavoli, quando qualcuno attira la tua attenzione, chiamando il tuo
nome: «Taylor!»
Ti
volti di scatto, e trovi davanti ai tuoi occhi il tuo “caro”, e
decisamente vecchio, preside – con cui madre natura ha continuato a
non essere molto gentile – affiancato dall’altrettanto “caro”
professore omofobo che si è prodigato per rendere il più spiacevoli
possibile i tuoi anni del liceo. Proprio una bella accoppiata.
Decidi però di fare buon viso a cattivo gioco, rifacendoti ad una delle
tante lezioni di vita impartite dal tuo uomo, e sorridi apertamente,
mostrandoti superiore a qualsiasi cosa. «Buona sera.» li saluti, e
ti sforzi di stringere le loro mani senza avere un conato di vomito.
«Chi
l’avrebbe mai detto!» inizia il preside, sprizzando entusiasmo da
tutti i pori; e già immagini dove vuole andare a parare. «Un nostro
studente che diventa un’artista di fama nazionale. Ci aspettiamo la
conquista del mondo a breve, lo sa vero?»
«Ce
lo aspettiamo e auguriamo tutti.» interviene Daphne, con un tono
decisamente acido, rafforzato da un sorrisetto caustico. Quei due non
sono mai andati a genio neanche a lei. «Sapete poi che...chi ha
davvero conosciuto Justin, era già assolutamente certo del fatto che
sarebbe arrivato molto in alto! Solo che...» si sofferma per un
attimo e solleva le sopracciglia, passando con attenzione gli occhi
su entrambi. «...non tutti si sono impegnati per aiutarlo in questo.
Anzi, ricordo diversi episodi in cui gli sono stati messi i bastoni
tra le ruote.»
«Daphne...»
sussurri per richiamarla, sporgendoti verso di lei e ti trattieni a
stento dallo scoppiare a ridere, quando ti accorgi di quanto abbia
messo entrambi a disagio.
«Comunque
sia...» borbotta il tuo ex preside, schiarendosi la voce. «...l’importante
è che lei stia raggiungendo i suoi obbiettivi, e vorrei che sapesse
che per la nostra scuola è davvero un vanto e un prestigio poter
annoverare tra i suoi studenti un’artista come lei.»
«Certo. Non
lo metto in dubbio.» replichi caustico, lanciando di proposito
un’occhiata raggelante al tuo vecchio professore, che abbassa lo
sguardo e si passa una mano sulla bocca, prima di tornare a fissarti
e parlarti.
«E
siamo tutti ovviamente molto dispiaciuti per il brutto episodio che
le è capitato...»
«Certo.»
annuisci, arricciando le labbra in modo sarcastico. «Proprio un ‘brutto
episodio’. Sempre che un’aggressione razzista di stampo omofobo,
possa definirsi semplicemente tale...» sollevi le sopracciglia, con
un’espressione d’accusa, per poi tornare a sorridere come nulla
fosse. «...ma come avete detto voi, ovviamente, l’importante
è che io stia raggiungendo i miei obbiettivi, no?»
Sia
il preside che il professore annuiscono imbarazzati e, dopo essersi
scambiati un paio di occhiate allarmate, è il primo dei due a
riprendere la parola: «A proposito di questo, noi avevamo pensato
che lei potesse...» ti fissa incerto e sorride mellifluo. «...si
insomma, potesse venire in questa scuola per un paio d’incontri con
i nostri studenti. Ovviamente quando avrà tempo!»
«E
a fare che?» domandi scettico, quasi divertito.
«A parlare con loro e a raccontare del suo successo...della sua
esperienza per motivarli!» esclama, incoraggiato dal tuo apparente
interesse.
Arricci
le labbra e annuisci lentamente, per poi aggrottare la fronte. «Come
mai proprio io?»
«Ma
è ovvio!» ti risponde il tuo vecchio professore. «Lei è la
persona che ha ottenuto più successo. È un’artista affermato e
ricercato e non potrebbe esserci miglior esempio e incentivo di lei
per i nostri studenti. Potrebbero prendere spunto dalle sue
conquiste.»
«Oh
certo.» mormori e stavolta non riesci a trattenerti dal ridergli in
faccia. «Ma...c’è una cosa che mi chiedo...» ti umetti le labbra
e guardi entrambi con finta aria incuriosita. «Non avete paura che
un finocchio possa traviare le povere menti di questi giovani
ragazzi?»
«Signor
Taylor...» interviene subito il preside. «...non è che...»
balbetta, ma è ovvio che non sa come rispondere alla tua
provocazione.
«Sa, io
non credo che il fatto che lei sia omosessuale cambi qualcosa.»
prova a risponderti il tuo ex-professore, e tu scoppi ancora a ridere
insieme a Daphne.
«È
davvero incredibile.» scuoti la testa e sospiri. «Ha proprio
ragione Brian, se sei famoso puoi anche sputargli in faccia e ti
ringrazieranno come se fosse l’onore più grande...e a quel punto
neanche gli importa se sei gay.» passi lo sguardo su entrambi e
sorridi. «Se sei famoso, ti ascoltano anche se sei un frocio.»
«Signor
Taylor.» ritenta il preside, sempre più in difficoltà, ma non gli
lasci neanche il tempo di riaprir bocca.
«Signor
preside, con tutto il rispetto possibile...» ti soffermi un attimo
per essere certo che ti stiano ascoltando attentamente, e continui:
«...la sua proposta mi lusinga ma, sa dove può ficcarsela?»
«Ecco,
veramente...»
«Ascoltatemi
bene. Mi state ascoltando?» sibili, e mai come adesso nella tua vita
ti sei sentito “contaminato” da Brian. «L’unico motivo per cui
sono tornato in questo schifo di posto, pieno di gente bigotta e con
l’apertura mentale di un microcefalo, è per ridervi in faccia. Per
mostrarvi dove è arrivato questo frocio che avete tanto
disprezzato e a cui avete provato a togliere ogni diritto.» scrolli
le spalle e ti mordicchi le labbra. «Perciò, non ha importanza
quanto vi prodigherete a leccarmi il culo adesso che posso esservi
utile. Non importa quante belle parole userete, o quanto vi
sforzerete di sorridermi, perché per quel che mi riguarda resterete
solo due vermi insignificanti e omofobi, che altro non meritano che
essere elegantemente mandati a ‘fanculo.» gli sorridi
ancora e afferri un calice di champagne, per poi fingere un brindisi
con loro. «Quindi, per rispondere alla vostra domanda...‘No, non
verrò’, e per quel che mi riguarda, questa cazzo di scuola può
crollare e sotterrare per sempre ognuno di quei bastardi razzisti che
ci trascorrono il proprio tempo, esattamente come voi due...» prendi
un calice per Daphne con nonchalance, e pieghi le
labbra in un altro sorrisetto ironico, per salutarli, lasciandoli di
stucco. «...adesso, se volte scusarmi, andrei a fare un giro.»
Avanzi
di qualche passo in un silenzio perfetto, finché – come
del resto ti aspettavi – Daphne ti si getta letteralmente al
collo per la
felicità. «Oddio,
Justin! Sei stato...sei stato davvero incredibile!» si stringe con
più forza a te e sussurra: «Se Brian fosse qui, sarebbe
orgogliosissimo di te.»
«Lo
so.» mormori con un sorriso un po’
triste, proprio per il fatto che lui non è al tuo fianco e non ha
potuto vedere come i suoi insegnamenti ti siano entrati dentro.
«Ehi,
non fare quella faccia.» ti rimprovera la tua migliore amica. «Non
puoi biasimarlo dopo quello che è successo.»
«No,
certo che no.» sospiri e scrolli le spalle. «È solo che sarebbe
stato perfetto con lui, ma va bene comunque.»
Daphne
ti rivolge un sorriso comprensivo e ti bacia sulla guancia. «Senti
un po’
grande artista...credi di poter stare da solo per cinque minuti senza
attirare catastrofi?» ti scruta attentamente e poi scoppia a ridere.
«Voglio salutare un paio di amici, e da antisociale quale sei, so
quanto non li sopporti...quindi ti risparmio la fatica di sfoderare
finti sorrisi.»
«Vai
pure.» le rispondi, sollevando le sopracciglia. «Anzi, a dirla
tutta...ero quasi stanco di averti sempre intorno.»
«Vaffanculo.»
esclama, colpendoti con un pugno sulla spalla e, con un ultimo
sguardo, si allontana da te per raggiungere alcune ex compagne di
scuola.
Prendi
un sorso del tuo champagne e, con l’altra
mano infilata nelle tasche del tuo costoso completo di Armani – che
Brian ti ha costretto a comprare – sposti lo sguardo in giro per la
sala, giocando a cercare di riconoscere i vecchi studenti della Saint
James.
«Justin?»
ti senti chiamare da un ragazzo con gli occhi azzurri, circondati da
occhiali dalla montatura nera e fine, i capelli scuri e la pelle
lattea. «Justin Taylor, giusto?»
«Sì.»
rispondi e lo guardi con molta
attenzione, prima di riconoscere in lui un tuo vecchio compagno di
classe. È diventato un po’ più
alto e i lineamenti paffuti e da bambino sono scomparsi, lasciando il
posto a una leggera barba e a uno sguardo un po’ più sicuro, ma in
lui riesci comunque a ricordare quel ragazzino impacciato che hai
difeso in classe da quello stronzo di Chris Hobbs. «Stuart?» lo
chiami allora, per chiederne conferma, e lo vedi annuire con un
sorriso.
«Ne
è passato di tempo.»
«Eh
già.» sorridi a tua volta e gli stringi la mano. «Come stai?»
«Piuttosto
bene, direi. Sono il direttore di una banca adesso.» ribatté
rinfilandosi le mani nelle tasche di un completo scuro. «A te non
c’è neanche bisogno di chiederlo. Sei sulla bocca di tutti e su
ogni rivista d’arte o architettura e su ogni inserto di cultura.»
Scrolli
le spalle un po’ imbarazzato – ancora non sei riuscito ad
abituarti a tutto il tuo successo – e mormori: «Cerco di fare del
mio meglio. E di te che mi dici, oltre il lavoro?»
«Adesso
vivo a Harrisburg, con il mio compagno.»
«Compagno?»
borbotti sorpreso e accigliato.
Stuart
sorride e scrolla le spalle. «All’epoca non avevo il coraggio di
ammetterlo, ma Hobbs non aveva poi tutti i torti a chiamarmi
‘frocio’.» solleva le sopracciglia e poi indica un ragazzo
castano chiaro e piuttosto alto vicino alla finestra che parla con
alcune persone. «È lui.»
«Ma
quello non è Manderson?» domandi sorpreso, ricordando come anche
lui facesse parte della squadra di football, e si dilettasse in
scherzi idioti insieme a Hobbs e a tutta la sua combriccola di
cerebrolesi.
«Già.
Sorpreso, vero?» ridacchia, e tu muovi le labbra in una smorfia a
conferma per le sue parole. «Clarence ha trascorso gli anni del
liceo a tormentare quelli come noi. Lo faceva soprattutto anche per
non ammettere con se stesso quello che in realtà è. Ho perso
perfino il conto di quante cheerleader si è scopato a quei tempi!»
«E
come hai fatto? Cioè...come è successo?»
Stuart
accenna a un sorriso, continuando a fissare il suo compagno che,
resosi conto delle sue attenzioni, gli fa un cenno con la testa e
addolcisce il suo sguardo: prova di quanto lo ami. «È stato un
incontro strano. Non volevo neanche crederci quando me lo sono
ritrovato davanti a Liberty Avenue. Era lì da solo, per provare a se
stesso che in realtà non era gay, che gli uomini non lo attraevano.»
scoppia a ridere, probabilmente ricordando qualcosa e scuote la
testa. «Quando mi ha riconosciuto, mi ha pregato e fatto giurare di non dire niente
a nessuno. Io non avevo più problemi ad ammettere la mia
omosessualità. Avevo già fatto i conti sia con me stesso che con i
miei genitori da tempo, ma lui era davvero terrorizzato. Era
spaventato da se stesso e dalle pulsioni che sentiva e ripudiava, ma
da cui non riusciva a liberarsi.»
Ascolti
attentamente rapito, e lo esorti a continuare. Ti è sempre piaciuto
sentire la storia di certe relazioni normali, soprattutto visto che
la tua, di normale, non ha avuto proprio un bel niente. «E poi, che
è successo?»
«Abbiamo
iniziato a parlare davanti a una birra. Lui continuava ad insistere
di essere etero e che la sua potesse essere solo sciocca curiosità o
stress dovuto agli esami universitari, finché non gli ho detto:
‘allora baciami, se ti fa schifo, avrai ragione’.»
«E
ha accettato?»
Lui
scuote lentamente la testa. «Non quella sera. Se n’è andato e non
l’ho rivisto per qualche settimana, finché non è ricomparso
all’improvviso e mi ha baciato.»
Muovi
ancora il tuo sguardo tra lui e Clarence, e sorridi entusiasta.
«Quindi è così che è nata.»
«Eh
sì, e dura da tre anni circa, anche se non è tutto rose e fiori. I
suoi genitori non l’hanno presa affatto bene.»
Ammicchi
e arricci le labbra, per poi sospirare. «Ah be’...lo capisco. Mia
madre non ha alcun problema, ma non posso dire certo lo stesso di mio
padre.»
«Allora
è vera la storia che ti ha fatto arrestare?»
«Ebbene
sì.» confermi, aggrottando la fronte con rassegnazione. «Mio padre
è uno stronzo omofobo, ma ormai non ci faccio più neanche caso.
Sono così tanti i bastardi a questo mondo che non ci accettano che,
uno più, uno meno, non fa poi così tanta differenza.»
Stuart
ti sorride comprensivo e abbassa lo sguardo un po’ imbarazzato.
«Senti Justin...so che a distanza di tutti questi anni è pressoché
inutile ma...» mormora incerto. «...ecco, ci tenevo a ringraziarti
per avermi difeso quella volta, ma soprattutto a scusarmi per non
averti aiutato quando ne avevi bisogno. Per non averti sostenuto in
quella causa che poi era anche la mia.» si morde le labbra e poi
trova il coraggio di risollevare gli occhi su di te. «Ero
spaventato. Vedevo quello che accadeva a te per aver avuto il
coraggio di ammettere la tua omosessualità e non riuscivo a fare
altrettanto. Io non ero forte come te.»
Lo
fissi in silenzio per un attimo, sorpreso da queste scuse che di
certo non ti aspettavi e neanche ritenevi necessarie e, con un
sorriso sincero per tranquillizzarlo, rispondi: «Avevo paura anch’io
a volte, ma ho avuto la fortuna di avere persone al mio fianco che mi
hanno sempre sostenuto.» sospiri e ti lasci andare ad una piccola
risata. «E poi Brian mi avrebbe ripudiato e preso a calci in culo se
fossi rimasto in un angolo a tremare o a fingere di essere quello che
non sono.» fai schioccare la lingua e concludi: «Lo dovevo essere
anche per lui. Dovevo dimostrargli che ero un omosessuale di cui
esser fiero.»
«Brian
è il tuo compagno?»
«Sì.»
rispondi un po’ incerto, sorridendo. Nonostante tu sappia bene che
tu e Brian siete davvero una coppia, senti un legame così profondo
con lui, che non riesci a definirlo. Chiamarlo solo “compagno” ti
sembra riduttivo, paragonato a ciò che quell’uomo significa per
te. «Da più di sei anni ormai.»
«Sei
anni?» ti chiede stupito. «Ma, allora è quello del ballo?»
Annuisci,
delineando maggiormente il tuo sorriso. «È sempre stato lui.»
confessi, più a te stesso, rendendoti nuovamente conto di quanto, a
prescindere da tutto quello che avete affrontato e dai torti fatti e
subiti, è sempre stato solo e soltanto lui l’amore della tua vita.
«Quel
ballo è stato davvero spettacolare!» esclama, quasi volesse
complimentarsi con te. «Quando vi ho visti ballare e quando vi siete
baciati...Dio, ti ho davvero invidiato e ammirato allo stesso tempo.
Avrei voluto essere come te e al tuo posto.» ammette, con un leggero
imbarazzo e si sistema gli occhiali spingendo l’asta centrale con
l’indice. «Quindi, è qui con te anche lui?» ti chiede,
guardandosi intorno incuriosito.
«No.»
rispondi un po’ dispiaciuto. «Lui è...»
«Elegantemente
in ritardo.» completa per te una voce calda e familiare alle tue
spalle. Un suono che è balsamo per le tue orecchie e che ti lascia
pervadere di brividi lungo tutta la schiena, mentre un sorriso
luminoso e spontaneo va ad incresparti le labbra. Ti volti raggiante
e incroci i suoi bellissimi occhi verde scuro, che ti guardano con lo
stesso tuo grande amore.
«Non
avevi detto che non saresti venuto ad una festa di ragazzini?»
«Ho
deciso di rivivere la perduta gioventù.»
Scuoti
la testa, incapace di impedire alle tue labbra di distendersi in
un’enorme sorriso, e lasci che
le sue dita scorrano tra i tuoi capelli, all’altezza
della nuca, in una dolce carezza, prima di lasciarti spingere verso
la bocca del tuo uomo.
Lo
baci fregandotene di tutto; senza la sciocca paura di mostrare ancora
a tutti i presenti di chi sei follemente innamorato. Non t’importa
di cosa pensa la gente, e te ne freghi ancora di più di tutto quello
che ti – e vi – hanno fatto passare in questi anni, perché
la tua felicità conta più di tutto questo...
Perché
non hai mai smesso di sperare e credere che le cose potessero andar
meglio; non ti sei lasciato spaventare dal loro odio ed hai raggiunto
ed afferrato tutto quello che sognavi.
Perché
non ti sei mai arreso e alla fine sai di aver vinto.
Ti
allontani di poco da Brian, e lo fissi con occhi sicuri. Lui solleva
una delle sopracciglia e ti sorride, conscio di quello che ti sta
passando nella testa, ed assolutamente fiero di quello che sei
diventato.
Questa
consapevolezza ti scalda il cuore ed intrecci le tue dita con le sue,
con una stretta decisa, per poi voltarti verso Stuart con un sorriso.
«Penso che tu l’abbia
già capito, ma lui è Brian.»
«S-sì.»
balbetta in risposta, totalmente incantato dall’indiscutibile
ed impeccabile bellezza del tuo compagno. «Piacere, Stuart.»
mormora poi, porgendogli la mano che Brian stringe con decisione.
«Adesso
scusaci...» gli dice poi, con uno dei suoi soliti sorrisi
mozzafiato. «...ma avremmo una cosa da fare.»
«Certo,
certo.» replica Stuart, salutandovi con la mano e tu ti volti con
aria confusa verso Brian.
«Cos’è
che dovremmo fare?»
Lui
però non ti risponde subito. Si limita a rivolgerti una strana
occhiata e a stringere di più la presa sulle tue dita, prima di
trascinarti al centro della sala dove alcune coppie stanno già
ballando.
Si
sofferma a guardarti per un attimo, mentre fa scivolare l’altra
mano dietro la tua schiena ed appoggia la fronte contro la tua,
socchiudendo gli occhi. «Ti prometto che questo sarà
ancora più indimenticabile...» sussurra poi, e nel momento in cui
una canzone a voi molto familiare si diffonde nell’aria,
Brian inizia a guidarti nei passi.
«Ah
sì?» gli chiedi allora, con un sorrisetto spavaldo. «E come
potresti?»
Di
nuovo resta in silenzio ad osservarti, con un’intensità
che ti lascia bruciare dentro. Respiri il suo profumo a pieni polmoni
e sorridi ancora quando lo vedi avvicinarsi a te per baciarti.
Le
vostre labbra si ricongiungono, così come il tuo sapore con il suo.
La sua lingua si lega alla tua in un caldo abbraccio, e come ogni
volta, ti senti esplodere di felicità.
Schiudi
le palpebre per inchiodare i tuoi occhi blu nei suoi, così da
potergli comunicare quanto gli sei grato per la sua presenza; per il
suo esserti sempre vicino, pronto a sostenerti in qualsiasi momento.
Vorresti
dirgli che solo con questo gesto lui ha reso questo ballo davvero
indimenticabile, ma quando tenti di farlo, ti blocca stampandoti un
dolce e morbido bacio sulla bocca, per poi guardarti con amore e
muovere le labbra in una breve sequenza che ti lascia di stucco,
proprio come la prima volta.
Senti
il tuo respiro bloccarsi, insieme al tuo cuore, mentre gli occhi
iniziano a pizzicarti e riempirsi di lacrime, rendendo liquida
l’immagine dell’uomo
che ami.
E
anche se le tue orecchie non hanno potuto sentirlo; anche se in
realtà l’ha solo mimato, plasmandolo sulla tua bocca, sai
perfettamente cosa significa il modo in cui si sono mosse le sue
labbra.
È
una sequenza inconfondibile e perfetta nella sua unicità: la punta
della lingua che sfiora i denti, il labbro superiore che si separa da
quello inferiore, schiudendo la bocca, per poi tornare a congiungersi delicatamente e concludere la sua rara confessione.
Non
puoi udirlo, ma puoi sentirlo nei brividi che scorrono lungo il tuo
corpo, nel calore che divampa dal petto, fino ad annebbiarti la
mente; puoi sentirlo nella lacrima di felicità che scende veloce
sulla tua guancia, nel sorriso spontaneo che nasce sulle tue labbra,
seguite dalle sue, o nel battito potente del tuo cuore
improvvisamente accelerato, che sembra poter esplodere di gioia da un
momento all’altro.
Non
ha avuto bisogno di voce, né di urlarlo...ed è perfetto così.
Due
semplici parole, appena sussurrate come l’alito di vento più lieve
e leggero di questo mondo, eppure più assordanti di qualsiasi altro
suono.
Le
senti rimbombare dentro di te, in un’eco infinito e
progressivamente più potente, capace di cancellare qualsiasi altra
cosa.
È
un “ti amo” soffiato su di te; dentro di te, per riempirti di lui
e completarti...
E
adesso sai che ha perfettamente ragione: questo ballo sarà ancora
più indimenticabile.
Note dell’autrice:
Eccomi di nuovo ad infestare il
fandom con una delle mie stupidaggini, ma mi sembrava giusto scrivere
qualcosa in questo giorno.
Oggi è lo SpiritDay -
per chi non lo sapesse, è il giorno in cui si ricordano tutte le
persone morte suicide a causa di quello schifo chiamato "omofobia"; e
viene utilizzato il viola proprio perché nella bandiera
arcobaleno rappresenta "lo spirito" - ed oltre ad andare in giro con
qualcosa di viola addosso, ho deciso di scrivere due righe, dopo aver
provato ad immaginare come sarebbe stato per Justin tornare in quella
scuola - che comunque non gli ha reso la vita facile - dopo esser
riuscito a diventare famoso.
A dire la verità avrei trovato molto più gratificante
vedere un Chris Hobbs pestato come si deve, ma visto che Justin si era
già comunque preso parte della sua rivincita nella quarta serie,
stavolta ho preferito fargliela ottenere utilizzando gli insegnamenti
di Brian...cioè diventando una persona di cui poter esser fiero,
migliore di chiunque altro, e di dimostrarlo a tutti coloro che in
precedenza lo avevano umiliato o discriminato...proprio come il suo
preside o quel professore che tanto avrei voluto prendere a schiaffi.
Per quanto riguarda Stuart, ovviamente il nome è inventato,
visto che non viene mai detto, comunque penso vi ricorderete di quel
ragazzino un po’ paffutello che viene preso di mira in classe da Chris, e difeso da Justin, nella prima stagione!
Precisazioni a parte, mi auguto che anche questa OS vi sia
piaciuta, anche se, pur trattando di una tematica molto
importante, ho deciso di renderla comunque leggera e molto
fluffleggiante. Perdonatemi, ma ci sono momenti in cui proprio non
riesco a prescindere dal lato "zuccheroso" dei Britin, e vengono fuori
queste cose. XD
Comunque sia, ringrazio ovviamente tutti coloro che l’hanno
letta, così come tutti quelli che hanno recensito quelle
pubblicate in precedenza, e vi mando un bacione gigantesco.
Alla prossima,
Veronica.
PS: Per chi segue la long "Time's Up", tranquille che non l’ho certo abbandonata! Conto di pubblicare il nuovo capitolo verso l’inizio della prossima settimana. :)
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Capitolo 8 *** Never say never. ***
Never say never.
Raiting:
Giallo
Timeline:
pre/during 1x01.
*'*'*
“Never
say never”
«Cinquanta dollari che non è gay!»
Volti lo sguardo verso Cynthia che ti
cammina di fianco – o meglio, quasi corre sui suoi tacchi per
reggere il tuo passo spedito – e le sorridi divertito. «Fidati di
me, Cynthia. Il mio ‘gay radar’ funziona che è una meraviglia.»
«Be’...» commenta lei roteando gli
occhi. «A giudicare dalla faccia che avevi stamattina, deve aver
funzionato bene anche ieri sera! Sei almeno andato a dormire?»
Le passi amichevolmente un braccio intorno alle spalle e
la guidi verso le macchinette automatiche. Tiri fuori il portafoglio
e inserisci un paio di spiccioli nella fessura. «Dormire,
è solo una
necessità comune e sopravvalutata.» premi il pulsante e
afferri la
bottiglietta d’acqua, per poi berne un sorso con il tuo solito
modo di fare sensuale. Ogni tua mossa è ben studiata per
rimarcare il tuo
esagerato sex-appeal. «Io preferisco scopare.»
«L’avevamo capito, Mister
Meraviglia.» commenta lei, sollevando una delle sopracciglia.
«Comunque sia, Tom del dipartimento artistico, non è gay.»
«E in quale parte del tuo cervellino
etero è maturata questa convinzione?»
Lei arriccia le labbra con l’aria di
chi la sa lunga, e ti sorride. «Mi ha chiesto di uscire!» strizza
l’occhio e si volta per ripercorrere il corridoio e tornare in
ufficio. «Mi ha invitata a cena questa sera.»
Premi la lingua contro la guancia e le
sorridi. Stavolta però, non è uno dei tuoi sorrisi ironici o
sprezzanti; stavolta è sincero, perché in fondo sei davvero
contento per lei.
Cynthia è una persona fantastica, una delle poche
rappresentanti dell’emisfero etero a cui puoi dire davvero di voler
bene – anche se è più che ovvio che non glielo confesserai mai –
e che rispetti e ammiri nello stesso identico modo in cui lo fa lei con te;
eppure, nonostante tutti questi pregi, non ha mai trovato qualcuno
capace di starle accanto. Lei lo vede come un brutto segno, tu
semplicemente sei convinto che nessuno fin’ora si sia rivelato alla
sua altezza. «Ma davvero? Hai un appuntamento.»
«Sai com’è. Tra noi etero è normale
conoscersi prima di finire a letto.» ti punzecchia e ti colpisce con
una leggera gomitata alle costole. «Non tutti ci scopiamo degli
sconosciuti di cui non ricordiamo neanche il nome!»
«Conoscerne il nome non servirà a farmi godere di più.» commenti in risposta, prima di
bere un altro sorso d’acqua e lanciare una delle tue occhiate
infuocate ad uno degli uomini che procede nella direzione opposta
alla vostra.
«Ecco.» bisbiglia Cynthia. «L’hai
fatto di nuovo.»
«Fatto cosa?» chiedi vago, senza
riuscire a trattenere un sorrisetto. Sai benissimo a cosa si
riferisce, ma ti diverte vedere come riesce a interpretare
perfettamente ogni tuo segnale.
«La tua ‘infallibile occhiata da
rimorchio’.» lancia uno sguardo alle sue spalle e ti chiede
stranita. «Vuoi scoparti John? Ma non è sposato?»
«Già scopato.»
rettifichi e la vedi strabuzzare gli occhi. «Comunque sì, è
sposato ma...te l’ho sempre detto no? Mai fidarsi di un uomo che
indossa calzini in tinta con la cravatta.» sollevi le sopracciglia e
lei assottiglia lo sguardo. «E mai fidarsi di chi ostenta la
perfezione della propria famiglia. Ha sempre qualcosa da nascondere.»
«Lo sai che a forza di stare con te sto
diventando paranoica in fatto di uomini?» sbuffa e comincia a
fissare attentamente chiunque le passi accanto. «E poi camminarti
vicino è peggio che uscire con Heidi Klum. Rimorchieresti anche più
uomini di lei!»
Scrolli le spalle e la fissi con una
finta aria innocente, perché sai che non lo sopporta. Dice sempre
che interpreti solo il classico lupo vestito da agnellino, e ha
ragione. «Lo dici come se fosse un male.»
«No, ma mi chiedo come farai a trovare
la tua anima gemella, visto che ti sei già scopato praticamente
tutti i gay di Pittsburgh e rifiuti di replicare!» storce le labbra
e ti guarda allarmata. «Ti darai alla conversione degli etero in
super checche, attingendo al tuo charme, o hai intenzione di cambiare
stato?»
Scoppi a ridere e ammicchi. «Io,
non avrò mai il problema dell’anima gemella, perché non
credo a queste stronzate che voi etero vi raccontate per andare a
letto. Io non ho nessun bisogno di questi espedienti per
scopare.»
«Mi dispiace per te, Brian.» ti
risponde con aria di sfida. «Ma prima o poi tutti ci cascano...e tu,
mio caro Mister-credo-solo-nelle-scopate-Kinney, non ne sarai
esente! Nessuno lo è!»
Scuoti la testa rassegnato, per poi
fermarti davanti alla porta del tuo ufficio e fare un cenno per
indicare ‘l’appuntamento di Cynthia’ che sta scherzando insieme
a dei colleghi in fondo al corridoio. «Attenta...» l’avverti con
un sorrisetto ironico. «Mi sembra ci sia un po’ troppo feeling...»
«‘Fanculo, Brian.» ti risponde
sibilando e si volta fingendosi offesa per tornare al suo posto,
prima di sorriderti ancora. «Vedremo stasera chi ha ragione. Prepara
i tuoi cinquanta dollari!»
*'*'*
Le luci psichedeliche del Babylon si
alternano cambiando colore al tuo corpo perfetto, mentre balli al
centro della pista e sai che tutti gli occhi sono puntati su di te,
così come l’eccitazione di ogni uomo che ti ronza intorno non fa
che aumentare in base a ogni tuo più misero gesto.
Chi ha bisogno di raccontarsi cazzate
come quella dell’anima gemella, quando puoi avere ogni singolo uomo
gay, indeciso o sessualmente confuso di questo mondo? Cosa te ne fai
di un fidanzato, quando puoi cambiare il tuo amante anche più
volte in una notte, senza neanche il minimo sforzo?
Non è la monogamia che t’interessa e
non ti passa neanche lontanamente nell’anticamera del cervello di
permettere a qualsiasi sconosciuto di invadere la tua vita. È solo
la piena libertà di scoparti chi, come e quando ti pare, l’unica
cosa che t’interessa, ed è quello che farai sempre.
Al diavolo le
stupide previsioni di Cynthia, fatte secondo gli altrettanto sciocchi
luoghi comuni degli etero.
Tu non sei come loro. Tu sei gay e non
hai bisogno di scuse o di dare giustificazioni per quello che sei e
che fai.
Tu sei Brian Kinney, e l’unica cosa di
cui t’importa è scopare...e così sarà, per sempre.
Sorridi e ti avvicini alla tua preda, le
lanci un’occhiata decisamente eloquente e vedi i suoi occhi
accendersi di eccitazione ed emozione allo stesso tempo, per aver
avuto la fortuna di essere stato scelto da te.
Ma non lo porterai a casa stasera; non
sei in vena di avere sconosciuti nel tuo letto per questa notte; non
vuoi concedere un privilegio del genere, perché vuoi ricordare a
tutto il mondo che per Brian Kinney è sempre e solo ‘una scopata’
e niente di più...vuoi ricordare a tutti che per te, nessuno di loro
ha importanza.
Sei un bastardo egoista, e sei fiero di
esserlo...perciò lo afferri per i pantaloni e lo trascini con te
come un qualunque pezzo di carne, in un posto più appartato, dove
poter godere tranquillamente dei suoi servigi.
Ti appoggi al muro e lasci che si
avvicini al tuo collo e all’orecchio, mentre ti sgancia i pantaloni
velocemente.
«Sbrigati, andiamo.» senti pronunciare
da una voce familiare alla tua destra, quando il moretto che ti sei
scelto scende ad inginocchiarsi davanti a te. «Abbiamo fame.»
continua imperterrita la voce, e ti costringi ad aprire gli occhi e
voltarti per guardare il tuo migliore amico.
«Sto dando il mio numero.» rispondi
ironico.
«Ce l’hai scritto sul pisello?»
chiede Michael con aria visibilmente scocciata, mentre tu ti umetti
le labbra con la lingua. «Quanto ci vuole?»
Prendi la testa del ragazzo tra le mani e
lo scosti un po’ per guardarlo in faccia. Lui ti sorride,
evidentemente esaltato dalla situazione e rispondi atono, prima di
lasciarlo tornare dov’era: «Dieci minuti. Al massimo.»
Michael ti rivolge l’ennesima
espressione infastidita e stufa, e si volta per andarsene,
lasciandoti finalmente in pace a godere di quello che lo sconosciuto
davanti a te saprà fare con le sue labbra.
Ti sistemi meglio contro il muro e lasci
ricadere la testa un po’ all’indietro, con le labbra dischiuse
per respirare meglio, abbandonato nel piacere.
Il ragazzo non è certo un novellino, ma
non riesci a godertelo appieno...è come guardare un film di cui
conosci ogni particolare.
È scontato e insapore. Per quanto la sua
lingua sia abile e le sue labbra sappiano posarsi su di te nel modo e
nel ritmo giusto – dettato anche dalle tue mani ancora appoggiate
sulla sua nuca – non c’è niente di particolarmente intrigante in
quello che fa.
È una sensazione vuota, e le parole di
Cynthia ti ronzano in testa con un rumore fastidioso e assillante.
Forse quell’ultimo bicchiere era davvero di troppo, o forse questo
sconosciuto non è poi così bravo come avevi creduto...anzi.
Prendi un primo respiro profondamente e
trattieni il secondo, prima di lasciarlo andare e venire nella bocca
del ragazzo di cui a malapena ricordi il volto, per poi scostarti da lui senza troppe accortezze. Ti
risistemi e lo ignori letteralmente quando prova a fermarti,
avviandoti verso il guardaroba.
Ritiri il tuo adorato giubbotto di pelle
e ti volti per raggiungere l’uscita, quando il tuo cellulare prende
a vibrare nella tasca dei pantaloni. Lo prendi e sorridi nel vedere
sul display un messaggio di Cynthia: “Caro, mi dispiace
deluderti, ma Tom è perfettamente etero e me l’ha dimostrato con
la più eccitante scopata di tutta la mia vita. Voglio quei cinquanta
dollari sulla mia scrivania domattina, quindi ti serve una prova, o
ti basta sapere che sto per sgattaiolare via dal suo letto? I
particolari ovviamente li lascio a domani. ‘Notte Brian e sta’
tranquillo, arriverà anche per te il principino azzurro che ti
fregherà come si deve...e non vedo l’ora di dirti ‘te
l’avevo detto, brutto stronzo’.”
Scuoti la testa e sorridi, digitando
velocemente una risposta: “Vado sulla fiducia, e non raccolgo le
provocazioni. Su quello potrei scommetterci tutto...non succederà
mai.”
Riponi il cellulare in tasca ed esci dal
Babylon, raggiungendo i tuoi amici, e circondando le spalle di
Michael con un braccio. «Hai fatto in fretta.» ti fa notare lui,
mentre vi avviate verso la jeep.
«Quel tipo doveva essere esperto.»
commenta Ted in risposta ed aggrotti la fronte.
«Mi sono annoiato.» ribatti voltandoti
verso di lui e liberando Michael dalla tua stretta.
«Eh sì.» esclama Emmett ironico,
mentre getti la giacca di pelle in macchina. «Farselo succhiare può
essere terribilmente noioso.»
«Ah, sembrava stuzzicante.» conviene
Michael, prima di apprestarsi a salutare.
«Ti accontenti di poco.» rispondi
scocciato e fai per salire in macchina quando, non sai spiegarti
bene per quale motivo, i tuoi occhi si sollevano casualmente e
qualcosa, o meglio qualcuno, reso etereo dalle luci di Liberty
Avenue e dal fumo, avanza solitario.
Ti fermi per un attimo, intento a
scorgere la sua figura, e resti incantato quando finalmente riesci a
vederne i lineamenti dolci – simili a quelli inverosimilmente
perfetti di un angelo – sotto un’esplosione di capelli
biondissimi e spettinati.
Ti senti come risucchiato da quella
visione ed è come se non riuscissi più a staccare gli occhi da lui.
È un attimo, quello che separa la tua
mente da questa consapevolezza, a quella di volerlo fare tuo per
questa notte. Nei tuoi occhi si accende una strana luce, mentre lui
si abbandona con la schiena contro un palo e, come per una strana
coincidenza, si accorge subito delle tue attenzioni e ricambia quegli
sguardi senza vergogna, incuriosito da te.
Sulle tue labbra si distende lentamente
un sorriso visibilmente soddisfatto, e come se tutto il resto non
esistesse, ignori chiunque e compi il primo passo nella sua
direzione.
Non hai la più pallida idea di chi sia
quel ragazzino e sei sicuro di non averlo mai visto da queste parti,
ma chiunque sia e da qualunque posto venga, sai solo che non ti sei
mai sentito così eccitato in vita tua all’idea di prenderti
qualcuno.
‘Fanculo alle stupide idee di Cynthia,
al ragazzo che non ti ha soddisfatto affatto e ai tuoi amici a cui
darai il ben servito anche stavolta. ‘Fanculo al riposo per il
lavoro importante di domani e ‘fanculo alla serata che sembrava
aver preso la piega sbagliata.
Quando non te l’aspetti, le cose
cambiano e prendono decisamente una strada più piacevole; quella che
sicuramente avrà questa notte.
Perciò, ‘mai dire mai’ Brian Kinney;
a parte che per gli stupidi stereotipi partoriti dalle menti etero.
Da quella roba sarai per sempre immune, e
neanche il più eccitante dei ragazzini biondi, con gli occhi più
azzurri e profondi che tu abbia mai visto, o le labbra perfette e
succose, riuscirà a farti cambiare idea.
Di questo ne sei assolutamente certo...o
forse, no?
Note dell'autrice:
Sono tornata con questa sciocchezzuola. Ormai mi dovete sopportare!
Questa OS è una stupidaggine, lo so...ma proprio oggi mi sono
accorta che è trascorso un anno dalla mia iscrizione a EFP e mi
andava di pubblicare qualcosa un po', come dire..."alle origini".
È corta, corta e anche abbastanza
ripercorsiva di ciò che succede nel telefilm, ma mi è
zampettata in testa e l’ho scritta così, su due piedi.
Fin dalla prima volta che ho visto Queer as Folk, mi sono sempre
chiesta come mai Brian fosse uscito fuori dal Babylon con quella faccia
scocciata, perciò stavolta ho provato ad immaginarlo e, questo
che avete appena letto, è quello che ne è venuto fuori!
XD
Perdonate la mia stupidità!
Tralasciando questo, ci tengo a ringraziare tutti coloro che hanno
inserito questa raccolta tra le seguite, le preferite o le ricordate;
chi ovviamente ha letto e chi ha recensito le scorse OS!
Un grandissimo GRAZIE ed ovviamente un bacione!
Alla prossima,
Veronica.
PS:
Per chi legge "Time's Up", non so se sarò in grado di aggiornare
entro questo fine settimana, ma mi auguro comunque di poterlo fare al
massimo per metà della prossima! Scusate per l'attesa!
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