A midsummer night's dream... in Camelot

di Il_Genio_del_Male
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Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Blame it on the dragon ***
Capitolo 2: *** The reason ***
Capitolo 3: *** Accidentally (?) in love - part 1 ***
Capitolo 4: *** Accidentally (?) in love - part 2 ***
Capitolo 5: *** Hey Juliet ***
Capitolo 6: *** Two princes ***
Capitolo 7: *** True colors ***
Capitolo 8: *** The power of love ***
Capitolo 9: *** Love is in the air ***
Capitolo 10: *** Kiss the rain ***



Capitolo 1
*** Blame it on the dragon ***


PAIRING: Merthur, of course.

RATING: La storia è ancora in fase di stesura, ma credo che oltre il giallo non mi spingerò. Il verde la farà da padrone, insomma.

GENERE: Comico, Romantico, Parodia.

AVVERTIMENTI: “Fiat slash, et slash fuit” (cit.) e OOC grande come una casa per tutti i personaggi (tranne, forse, Merlin): Uther, Morgana, Arthur, Gaius… Non si salverà nessuno. *risata malefica*

DISCLAIMER: I personaggi non mi appartengono, né i diritti della serie (ahimè) che vanno tutti alla BBC; non guadagno niente dal mio fangirleggiare.

DEDICA: A Cloud, che crede fermamente nei Merthur, nello slash compulsivo e anche in questa storia (il perché mi sfugge, ma grazie mille per la fiducia!).

NOTE: Premetto che questo delirio merliniano in salsa shakespeariana non è del tutto farina del mio sacco. L’evolversi della trama s’ispira moltissimo a Were the world mine, geniale ed onirico film-musical che vi consiglio caldamente di vedere quanto prima, a sua volta scritto sulla falsa riga di Sogno di una notte di mezz’estate di messer Scuotilancia. Una precisazione sullo stile: l’alternarsi di espressioni moderne e termini desueti/aulici è voluta. Se vi dovesse turbare o infastidire, non esitate a farmelo presente!
Ah sì, questa fanfiction è autobetata. *sudori freddi*

Detto questo, non mi resta che augurarvi buona lettura (e buon delirio!).

 

 

 

 

 

Due poderose bussate fecero tremare il legno della porta.

“Merlin! Merlin!” chiamò una voce profonda e maschia.

L’interpellato non diede segni di vita.

“Merlin, luce dei miei occhi, fammi entrare! Perché rifuggi il mio amore per te?” proseguì la voce, adesso vagamente lamentosa ed accorata.

Il suddetto Merlin, valletto personale del principe Arthur Pendragon di Camelot, nonché futuro cofondatore di Albion, nonché mago in incognito, nonché protagonista delle nostra storia, si guardò bene dal rispondere allo spasimante che languiva fuori dalla sua stanzetta.  
Tirato il chiavistello e bloccata la porta con tutti i -pochi- mobili a disposizione, si rannicchiò sul suo umile giaciglio, le mani tra i capelli e l’irresistibile desiderio di sbattere la testa contro il muro, nella speranza di risvegliarsi da quell’incubo allucinante o di procurarsi una commozione cerebrale che lo mettesse k.o. per i decenni successivi. La sua disperazione crebbe d’intensità al solo pensiero che il fedele libro di magia non poteva essergli d’aiuto in alcun modo, non questa volta. Solo Kilgharrah, che gli aveva gentilmente fornito la formula, di sicuro ne conosceva l’antidoto…

Gli occhi blu mare di Merlin fiammeggiarono indignati: era tutta colpa di quel dannato drago e del suo perverso senso dell’umorismo! Certo, se ora si trovava lì, barricato nella sua camera da letto per sfuggire alle ridicole ed imbarazzanti avances di un regal babbeo, era anche a causa della sua congenita e conclamata goffaggine. Ciò non toglieva, però, che l’origine di tutte le sue disgrazie, almeno in questa circostanza, fosse da ricercarsi proprio nel centenario lucertolone. L’unica soluzione possibile, in conclusione, era quella di convocare al più presto Kilgharrah e imporre la propria autorità di ultimo Signore dei Draghi -ovvero, se necessario supplicarlo in ginocchio- perché lo tirasse fuori dal guaio in cui l’aveva cacciato.

Un poco sollevato dalla decisione presa, tuttavia Merlin ripiombò nello sconforto non appena l’instancabile pretendente (che da almeno due ore esasperava il giovane mago con le sue profferte amorose) prese a dare mostra delle sue alquanto discutibili doti canore e compositive, intonando “un’ode scritta in tuo onore, colombello mio”.

<<Merlin, oh Merlin, creatura soave

del tuo cuore, ti prego, donami la chiave;

anche quella della tua stanza mi farò bastare,

così finalmente ti potrò sco->>

Merin, creatura non soave ma decisamente pudica, pose fine a quello scempio prima che la situazione degenerasse e lui venisse giustiziato con l’accusa di omicidio volontario premeditato e di lesa maestà urlando stizzito:

“SMETTETELA DI VIOLENTARE I MIEI TIMPANI UN ALTRO SECONDO DI PIU’, RAZZA DI SOMARO REALE CHE NON SIETE ALTRO!”

Codesto angelico gorgheggio ebbe l’effetto di zittire, almeno temporaneamente, il molesto corteggiatore. Con le orecchie paonazze e fumanti di rabbia, Merlin stabilì di schiacciare un pisolino in attesa dell’incontro col drago. L’idiota là fuori, rifletté, avrebbe retto per un altro paio d’ore, ma poi sarebbe arrivato il vespro e con esso il momento di desinare; e per quanto gagliardo, prestante e forgiato da anni di durissimo addestramento militare, persino l’erede al trono non sapeva resistere alle leccornie del real desco.

A quel punto, con il corridoio libero, Merlin se la sarebbe svignata.

 

 

 

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La mia prima long fiction, e per di più su “Merlin”! Che emozione! *si  fa aria con una mano* (In realtà sono nel panico più totale).

A coloro che -si spera- mi faranno l’onore di lasciare un commento e/o di seguire questa storia: grazie di cuore. Per quanto riguarda i prossimi aggiornamenti, mi impegnerò per postarli ogni due settimane, ma non garantisco nulla.

 

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Capitolo 2
*** The reason ***


DEDICA: Sempre a Cloud, che mi ha tartassata perché terminassi al più presto il primo capitolo, e a feyilin, la mia sis del cuore. E’ tutto per voi, mie omonime <3.

NOTE: Capitolo un po’ meno scoppiettante del precedente (niente Arthur che canta, sorry!), ma molto più consistente. Se vi dovesse risultare prolisso o troppo tedioso, fatemelo sapere. Le critiche, purché costruttive, sono sempre ben accette.  

Un bacio con schiocco a chi ha recensito il prologo e a chi ha messo questa storia tra le Seguite, le Ricordate e le Preferite.  

Buona lettura, ci risentiamo a fine pagina!

 

 

 

 

 

Merlin non poteva saperlo, in quanto non aveva mai avuto modo di studiare il greco, ma qualche secolo prima della sua venuta al mondo un uomo di nome Polibio, storico di una certa levatura dedicatosi allo studio delle cause che si celano dietro agli avvenimenti passati e presenti, ne aveva distinte di tre tipi: aitìai (ovvero le cause profonde), profàseis (i pretesti) e archài (le prime iniziative e azioni di cose già decise).

Forse, se Merlin avesse cercato di analizzare la situazione in cui si trovava applicando il metodo polibiano, sarebbe giunto alla conclusione che, poiché alla seconda tipologia di causa corrispondeva la propria goffaggine e alla terza la geniale pensata di Kilgharrah, rimaneva sconosciuta la prima, e più temibile, aitìa.

Il buon Emrys, infatti, era totalmente ignaro delle perfide macchinazioni di Morgause, nemica giurata di Uther. L’ossigenata strega, stanca di girarsi i pollici ventiquattr’ore su ventiquattro, in combutta con la sorellastra Morgana cercava ormai da tempo di impadronirsi di Camelot, tuttavia i precedenti tentativi erano falliti a causa di “quell’insolente, sparuto maghetto dalle orecchie enormi”. Questa volta, però, Morgause aveva ordito un piano a suo dire geniale e senza falle. Cenred (sì, proprio lui: il coglio- ehm, furbacchione che le obbediva come un cagnolino) si sarebbe recato alla corte di Pendragon senior con il pretesto di stringere, dopo anni di rivalità e ripicche più o meno gravi, un’alleanza tra i loro regni ma con il reale intento di scatenare, spalleggiato dalle sorelle Materassi, una sanguinosa guerra per mettere le mani sull’ambita terra camelottiana. Eliminati Uther e quell’impiastro di suo figlio Arthur, Morgause avrebbe fatto incoronare Cenred e Morgana re e regina, riservando per se stessa il ruolo di governo ombra, consigliandoli e manovrandoli a suo piacimento quando necessario.

Grande sorpresa e perplessità generò l’arrivo a Camelot di un messaggero per conto di Cenred; sorpresa e perplessità che aumentarono (sfociando rispettivamente in speranza e scetticismo) quando la voce secondo cui l’altro re chiedeva di stipulare una pace raggiunse le orecchie di tutti gli abitanti di Camelot, nobili o popolani che fossero.

Uther si mostrò da subito favorevole all’idea di un abboccamento pacifico -tanto più che una tregua al giorno toglie il medico di torno- e così invitò il collega a raggiungerlo nel suo bel castello (marcondirondirondello) per discutere più dettagliatamente della cosa. Morgause, che aveva fatto affidamento sul desiderio di pace e tranquillità del vecchiaccio, quando il messaggero le riferì la risposta si esibì in una delle sue risate tanto malefiche che più malefiche non si poteva.

Tutto stava andando secondo i suoi piani.

 

 

C’è da dire che, sebbene non tutti fossero propriamente convinti della trasparenza delle intenzioni di Cenred, a Cameolt non si badò a spese per accogliere l’illustre ospite che in fondo, per quanto scarmigliato e un poco rozzo, era pur sempre di sangue reale.
Le strade vennero ripulite da residui di sterco, fieno, bucce d’ortaggi e carcasse di animali, i tetti delle abitazioni più malmesse ricoperti con nuove assi di legno e foderati di paglia fresca, le insegne delle osterie e delle botteghe ridipinte. I mercanti di stoffe, il barbiere ed il sarto fecero affari d’oro, poiché -grazie alla distribuzione di una moneta d’argento ad ogni singolo abitante, per gentile concessione di un decreto reale- i camelottiani, tenendoci a fare bella figura con l’alleato straniero, approfittarono della gioiosa occasione per rinnovare il look e farsi dare una puntatina a barbe, baffi e chiome selvagge.

Purtroppo per Merlin, quest’euforia si tradusse in un sacco di lavoro in più. Tutta la servitù di corte fu colta dal bisogno impellente di lucidare e addobbare il castello (marcondirondirondello) affinché fosse splendido splendente. Motivo per cui anch’egli  -valletto del principe, d’accordo, ma pur sempre un servitore- venne coinvolto nelle pulizie generali. Quelli che seguirono furono giorni pienissimi e sfibranti per il nostro eroe, diviso tra un arazzo da passare col battipanni, un’armatura da lustrare e la solita, entusiasmante routine che lo vedeva al servizio di Arthur Pendragon, alias il più grande Asino Reale di Britannia.

Tuttavia, a voler essere obiettivo, Merlin doveva ammettere che sarebbe potuto capitargli un signore molto, ma molto peggiore. L’erede al trono, per quanto si divertisse un po’ troppo a tiranneggiarlo e a sfogare su di lui la propria irritazione quando aveva le sue cose (il mago ne era certo, Arthur soffriva di misteriosi cicli mestruali psicologici con relative sindrome premestruale e ritenzione idrica), era un cavaliere di tutto rispetto, onesto e coraggioso, magnanimo con i propri avversari e, tutto sommato, di buon cuore. Sarebbe stato un grande re, giusto e vicino al suo popolo… E poi era un gran bel pezzo di figliolo, il che certamente non guastava. Se solo non fosse stato così irrimediabilmente somaro e viziato!

Durante la settimana che precedette l’arrivo di Cenred, una volta constatato che il servitore non poteva più accorrere ad ogni suo schioccare la dita perché troppo impegnato con stracci e ramazza, l’erede al trono lo prese come un affronto personale e mise il broncio. Se così facendo pensava che Merlin non avrebbe dormito la notte, assalito dai rimorsi, si sbagliava di grosso. L’altro se ne accorse, e si limitò a ridere sotto i baffi: Arthur era un principino sul pisello, proprio come aveva sospettato. Eppure non lo avrebbe scambiato con nessun altro nobile, semplicemente perché era lui.

Venne infine il giorno dell’arrivo di Cenred a Camelot. Lo accompagnavano il suo luogotenente, che altri non era che Morgause sotto mentite spoglie, alcuni decrepiti consiglieri e un cospicuo numero di soldati. Uther però non si mostrò turbato dalla loro presenza, visto che la prudenza di quei tempi non era mai troppa. Le strade erano ricettacolo di predoni, sicari e oscuri ceffi spesso dotati di poteri magici, sicché poteva comprendere benissimo il presunto timore dell’altro di venire assalito durante il viaggio.

I due re si scambiarono violente pacche sulle spalle e strette di mano simili a tenaglie, poiché se veri uomini si vuole apparire un pochetto si deve soffrire, mentre il seguito dell’ospite venne fatto accomodare negli alloggi appositi. Dopo di che la corte si riunì nella sala dei banchetti, dove la servitù attendeva i commensali per servire il pasto di mezzodì. 

Una volta che ebbero tutti saziato il loro appetito vorace, neanche fossero stati orsi marsicani a digiuno da mesi, Uther comunicò a Cenred che gli era stato assegnato come servitore per tutta la durata della sua permanenza nientepopodimeno che il “prezioso valletto di mio figlio”. A quell’annuncio Merlin impallidì per la sorpresa, rischiando di far cadere la brocca di vino che teneva in mano; Cenred si mostrò compiaciuto, il suo luogotenente digrignò i denti... e Arthur, beh, lui si imbronciò ancora di più.

Non appena i convitati si furono alzati da tavola, Emrys ignorò il principe, che lo fissava a metà tra il cucciolo orfano di madre e il bambino cui è stato appena sottratto il suo balocco preferito, e trotterellò dietro a Cenred. Benché non fosse particolarmente entusiasta dell’idea di fargli da sguattero, la sua improvvisa richiesta di pace l’aveva insospettito non poco. Avrebbe approfittato dell’occasione per tenerlo d’occhio.

 

 

 

 

Allora, soddisfatte di questo capitolo? Ho anche aggiornato in anticipo, non mi sembra vero.

Non vedo l’ora di sentire il vostro parere!

 

 

 

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Capitolo 3
*** Accidentally (?) in love - part 1 ***


DEDICA: A Cloud, sadicamente sublime, a feyilin -perché le ho promesso la dedica fissa e se la merita- e a draco potter, che si è offerta di sposarmi non sapendo a quel che andava in contro.

NOTE: Questo capitolo non mi convince per niente. Non c’è abbastanza verve, non è spumeggiante come me l’ero immaginato, in alcune parti mi sembra di averla tirata troppo per le lunghe. Sono la prima a trovarlo un po’ scialbo  e comprenderò benissimo se qualcuna di voi avrà la mia stessa impressione. Però m’è venuto così, e amen. Lascio a voi il verdetto finale.

Piccola curiosità: alla fine ho inserito un crossover abbastanza scemo ma in compenso piuttosto slash. Chi indovinerà per prima di che personaggi si tratta riceverà un premio (ehm, onore e gloria?). Ma bando alle ciance, non mi resta che augurarvi…

Buona lettura!

 

 

 

 

 

“Perché il volere bene non si compra, non si vende, non si impone con il coltello alla gola, né si può evitare: il voler bene succede”. (Jorge Amado)

 

 

Trascorsi che furono quattro lunghi, eterni giorni, Merlin si ritrovò suo malgrado a rimpiangere il tempo passato al servizio del principe Arthur. Non che Cenred lo frustasse per ogni minimo errore, anzi; non mancava di una certa ruvida gentilezza, e non si rivolgeva a lui come se parlasse ad un mezzo deficiente, cosa che invece l’altro faceva spesso.

Ad esasperare Merlin erano in realtà ben altre cose. In primis, quell’ossigenato (dove l’aveva già visto, un biondo così platinato?) luogotenente, che non si staccava un momento di dosso dal suo signore e gli mormorava in continuazione nell’orecchio, sembrava odiarlo con passione. Più di una volta si era visto rivolgere da costui inquietanti sguardi carichi di rancore misto a disprezzo, neanche fosse geloso di condividere il suo tesssssoro -ehm, il suo re- con un umile servitore.

Un altro motivo dello scontento di Merlin era il fatto che Cenred amasse andare a caccia. Ogni giorno. Partenza alle prime luci dell’alba, ritorno a tramonto ormai inoltrato, giusto in tempo per sorbire la cena in compagnia del padrone di casa. Ergo, Merlin aveva dovuto maneggiare ed infilare nel sacco per la selvaggina tanti di quei volatili e animaletti cecchinati dal re ospite dall’essere arrivato a considerare seriamente l’ipotesi di convertirsi alla dieta vegetariana dei Druidi. Ringraziando il Cielo, l’indomani i due sovrani avrebbero stipulato e firmato il benedetto trattato di pace, cui sarebbe seguita una celebrazione del lieto evento; e tanti saluti Cenred e combriccola!

Quanto meno, mugugnò il mago steso sul letto in uno dei rari momenti di relax concessigli, Cenred non aveva la pessima abitudine di dormire mezzo nudo, giusto per fare sfoggio del suo fisico scolpito, al contrario di Arthur.

Stranamente, l’immagine del principe che si coricava per la notte vestito solo di un paio di braghe lo fece arrossire; e sì che l’aveva visto in déshabillé, coperto da un asciugamano più o meno inguinale durante il bagnetto quotidiano tante di quelle volte, ormai, che aveva smesso di contarle. E allora, in nome dell’Antica Religione, che motivo aveva di sentirsi in imbarazzo al solo pensiero di belle spalle tornite e braccia muscolose ma al tempo stesso gommose, tanto da invogliare a testare con mano la loro morbida solidità?

Sprofondando con la testa nel cuscino, le orecchie che si arrossavano a vista d’occhio, Merlin emise un gemito che sapeva di frustrazione e sconfitta. La verità, talmente lampante e lapalissiana da essere passata inosservata sotto gli occhi di tutti, era che lui di quel principino da strapazzo era innamorato cotto. Accipigna.  

Un amore senza speranza, ovviamente, non tanto per il fatto che l’altro era  il futuro sovrano e che un giorno si sarebbe dovuto sposare e mettere al mondo degli eredi, quanto perché:

a) andava dietro a Gwen da un anno abbondante;

b) trattava il suo servitore a malapena alla stregua di amico, figurarsi qualcosa di più.

Tra le due constatazioni non sapeva quale lo rattristasse maggiormente. Troppo raramente Arthur si era scusato con lui per averlo accusato ingiustamente o non aver creduto nella sua buona fede. Ancor più di rado si era mostrato fiero di averlo accanto a sé, di tenere veramente a lui. Gli era capitato di dovergli salvare la pelle e trarlo d’impiccio, certo, ma in quelle occasioni era stato il suo orgoglio di prode cavaliere, di eroe senza macchia e senza paura a guidarlo.

Gli tornò alla mente il breve scambio di battute avuto con Hunith, sua madre, la volta che si era recato a Ealdor con Arthur per liberare il villaggio dalle razzie di alcuni predoni balordi.

“Arthur deve tenerci molto, a te”.

“Lo farebbe per ogni villaggio, è fatto così”.

“E’ più di questo! E’ per te che è qui a Ealdor”.

“Sono soltanto il suo servo”.

“Gli piaci, questo devi riconoscerlo”.

“Perché non sa della mia vera natura. Se la conoscesse, sarei già morto”.

“Tu non credi a quello che dici”.

Già, per non parlare del fatto che Merlin era un mago, e anche bravino. Se Arthur l’avesse scoperto prima del necessario, come diamine avrebbe reagito? L’istinto gli diceva che non l’avrebbe denunciato ad Uther: il ragazzo era sì asino, ma non un meschino delatore. Però di sicuro non avrebbe voluto avere a che fare con lui per molto tempo, poiché se c’era una cosa che il rampollo dei Pendragon proprio non tollerava era la menzogna, e a questo espediente Merlin era ricorso anche troppo di frequente per giustificare strane amnesie, incredibili botte di culo e misteriose uccisioni di bestiacce magiche. Senza contare che Arthur avrebbe potuto sentirsi minacciato dall’enorme potere del suo servo, nonché terribilmente umiliato una volta saputo in quante e quali occasioni a salvargli la vita e il regal deretano era stato proprio lui. Benché non ritenesse di avere un’indole vigliacca, Merlin sperava ardentemente che il confronto con l’asino avvenisse il più tardi possibile.

“Il tuo posto è a fianco di Arthur. Ho visto quanto ha bisogno di te e quanto tu hai bisogno di lui. Siete come facce della stessa moneta”.

“Qualcuno me l’ha già detta, questa cosa”.

Prima Kilgharrah, poi sua madre. Davvero non riusciva a condividere il loro ottimismo, a capire perché entrambi insistessero così tanto sulla presunta forza del suo legame con Arthur. Altro che facce della stessa moneta, loro due erano e sarebbero rimasti l’uno per l’altro l’Asino Reale e l’Idiota.

Merlin bloccò il flusso dei suoi pensieri, imponendosi di concentrarsi su qualcos’altro, tipo il disordine che regnava sovrano nella sua stanzetta. Scervellarsi troppo a lungo riguardo al biondo babbeo nuoceva gravemente al suo equilibrio psicofisico.

Fu con immensa gratitudine, dunque, che ricevette l’ordine da parte di Cenred -riferitogli da uno dei suoi soldati, entrato senza neanche bussare- di sbrigare una commissione urgente per lui. Lieto di potersi distrarre, Merlin lo seguì.

 

 

La ‘commissione urgente’ si rivelò consistere nello strigliare, abbeverare e perché no, anche ferrare i cavalli di Cenred e compagnia danzante –per un totale di centoventidue destrieri, altrettante razioni di fieno e acqua fresca e quattrocentoottantotto zoccoli.

“Nel caso ti avanzi un po’ di tempo, da’ anche una pulita alla stalla, ci siamo intesi ragazzo?”

Detto questo, il soldato lo lasciò premurosamente alle prese con gli equini.

Tuttavia Merlin, che trovava il compito di stalliere ancora più noioso e degradante del tirare a lucido l’intero castello (marcondirondirondello) e ben consapevole che la mole di lavoro fosse impossibile da smaltire entro sera completamente da solo, assicuratosi che la porta fosse ben sigillata e che nessuno fosse nei paraggi se la sbrigò a modo suo. Mormorò un paio d’incantesimi -i suoi occhi si illuminarono di un lampo dorato- e in un baleno i cavalli furono spazzolati con la massima perizia, le loro scorte alimentari rimpolpate e l’intero padiglione brillò.

Benedicendo ancora una volta la magia il nostro eroe sogghignò e, per non far sorgere sospetti sulla sua prodigiosa efficienza, decise di trascorrere le ore che gli rimanevano concedendosi un meritato pisolino (troppe notti aveva passato quasi insonne interrogandosi sul perché amasse un somaro borioso come Arthur). Si rifugiò nell’ultimo box in fondo a sinistra, dove era stato sistemato un ronzino, probabilmente appartenente ad uno dei decrepiti consiglieri di Cenred. Il tempo di collocare a fianco del cavallo -e non dietro, come aveva imparato a proprie spese- un poco di paglia e di accomodarvisi sopra e Merlin si addormentò di botto, russando quietamente.

 

 

A strapparlo bruscamente dal mondo dei sogni (il cui protagonista era un Arthur inedito e decisamente audace, ma è meglio non soffermarsi oltre perché il rating della storia è verde/giallo e non possiamo permetterci di sgarrare) ci pensarono due sconosciute voci maschili che borbottavano concitate.

“Ne sei proprio certo, Gellert?”

“Ti dico di sì, Albus. Qui non ci disturberà nessuno, ho già controllato”.

“Non per fare il guastafeste, ma l’ultima volta che mi hai dato questa risposta siamo stati beccati da Cenred in una posizione piuttosto compromettente”.

Merlin, che fino a quel momento aveva origliato la conversazione più per abitudine che per reale interesse, al sentir nominare Cenred drizzò le antenne, ovvero gli enormi padiglioni auricolari che si ritrovava come orecchie. Evitando di far scricchiolare il fieno sotto di sé si mise in posizione eretta e, con grande cautela, si arrischiò a lanciare un’occhiata ai due uomini. Da quel che riuscì a scorgere notò che erano entrambi dei soldati, giovani e di bell’aspetto. Quello più alto aveva liscissimi capelli color rame lunghi fin quasi alla vita, l’altro invece era un biondino riccioluto dall’aria impertinente.

“In nome dei fratelli Peverell, Albus! Come se Cenred non fosse al corrente della nostra relazione da tempo immemore” ridacchiò maliziosamente, accennando una carezza al viso del compagno.

Ma l’altro si scostò, ostentando una certa freddezza.

“Non ci provare, Gertie. Sbaglio o mi hai trascinato fin qui con la scusa di dovermi informare di una questione della massima segretezza?”

Il soldato di nome Gellert arricciò le labbra visibilmente contrariato -somigliava tanto ad Arthur con il broncio- ma ritirò la mano ed assunse un’aria cospiratoria.

“Non era una scusa, Al, dicevo sul serio. Devi promettermi che non ti farai sfuggire alcunché, perché è veramente roba che scotta”.

“Giurin giurello, lo prometto” recitò Albus con la mano destra sul cuore da bravo boyscout.

“Bene. Lo scoop è: ho finalmente scoperto il perché della nostra scampagnata a Camelot. Il buon Cenred ci ha tirati tutti scemi, alla faccia del trattato di pace! Domani, durante la cerimonia della firma, al segnale convenuto noi dovremo irrompere nella Sala del Trono e far fuori Pendragon e il figlio”.

L’assoluto tono di indifferenza nella sua voce fece rabbrividire Merlin, teso come una corda di liuto nel tentativo di captare ogni singola parola di quel colloquio.

“Capisco. E Cenred pensa davvero che i soldati di Uther si limiteranno ad assistere alla scena senza intervenire?” osservò l’altro, ironico.

Gellert sbuffò.

“Certo che no, Al, cosa credi? A quanto pare le guardie verranno messe a nanna da un incantesimo, così potremo agire indisturbati”.

“Notevole. E tu come fa a sapere tutto ciò, di grazia?”

“Ho beccato il nostro re che confabulava con il nuovo luogotenente: sai, quello con le sopracciglia depilate e chiaramente biondo tinto. Credo proprio che il tipo sia un mago o qualcosa di simile, perché l’ho sentito dire che conosceva un rimedio adatto. Comunque suppongo che ne verremo informati anche noi altri questa sera stessa, dopo il banchetto”.

“E allora perché tutta questa urgenza di anticiparmelo?”

“Tu odi essere all’oscuro di qualcosa, Albus. Pensavo di farti un piacere. E poi mi serviva una scusa per poter pomiciare in santa pace” rispose con fare suadente, posando un bacio sull’incavo tra il collo e la clavicola dell’altro.

Prima di essere costretto ad assistere ad un incontro ravvicinato del terzo tipo tra i due, Merlin biascicò un incantesimo che fece piombare gli amanti diabolici in un sonno profondo e, sgattaiolato con circospezione fuori dalla stalla, li lasciò distesi su pavimento a ronfare.

Per tutto il Fantabosco, Camelot correva un serio pericolo! Doveva trovare una soluzione ed agire il prima possibile.

Correndo il più veloce che poteva, si diresse al laboratorio di Gaius.

 

 

 

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Eccoci giunti all’ angulus dell’autrice…

Non so, ditemi voi cosa ne pensate: mi fare(s)te tanto felice –sì, persino in caso di critica.

Ah, ringrazio sempre le anime pie che commentano, seguono, ricordano e preferiscono questa fanfiction. Un abbraccio stritolante a tutte voi!

 

 

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Capitolo 4
*** Accidentally (?) in love - part 2 ***


DEDICA: A Cloud, che non ringrazierò mai abbastanza per il suo sostegno, a feyilin perché sì e a G, che per fortuna non saprà mai di questa dedica.

NOTE: Beh, come potrete constatare tra poco questo è il capitolo della svolta: d’ora in poi le cose si complicheranno a non finire! *risata maligna* Con ciò si chiude il luuuuuungo excursus cominciato nel capitolo 1, che narra gli avvenimenti verificatisi prima del prologo. L’ho scritto di getto in meno di dieci ore, e il risultato sta a voi giudicarlo. Come al solito ci sono citazioni e riferimenti random-e-alla-cazzo (si può dire?) che ci stanno sempre bene. Le fan di Gaius -se ce ne sono- mi linceranno viva, a proposito. Ah sì, colpo di scena: l’ultima parte del capitolo è una sorta di POV Arthur.

Ci risentiamo nell’angulus dell’autrice, as always.
Buona lettura!

 

 

 

 

 

“Perché il volere bene non si compra, non si vende, non si impone con il coltello alla gola, né si può evitare: il voler bene succede”. (Jorge Amado)

 

 

Il medico di corte se ne stava bello tranquillo per i cavoli suoi, circondato da provette ed alambicchi e maneggiando con cura distillati di erbe medicinali più o meno legali, quando uno sconvolto Merlin fece irruzione nel suo laboratorio. Tale fu l’impeto con cui il giovane spalancò la porta, sbattendola violentemente contro il muro, da far sobbalzare il pover’uomo, che teneva in mano una fiala colma di liquido scuro.

“Merlin, che Lady Gaga ti benedica! Quale urgenza ti conduce da me con il tuo bel faccino spaurito?”

Il ‘bel faccino’, ansimante per la corsa, si limitò a rantolare alcuni versi incomprensibili. Non appena ebbe recuperato almeno in parte la capacità di eloquio, esalò un “Gaius!” appena appena sfiatato. Il suo sguardo cadde sul contenuto della boccetta che l’uomo stringeva possessivamente: che fosse il suo tessssoro?

“Non sarà mica Pozione Polisucco, quella?” domandò aggrottando le sopracciglia e al tempo stesso spalancando gli occhi, dando mostra della sua incredibile mimica facciale.

L’altro arrossì vistosamente, colto in flagranza di reato, e istintivamente nascose la pozione incriminata dietro la schiena, quasi a cercare di negare l’evidenza del suo misfatto.

“Oh, Gaius. Non ditemi che ci siete cascato di nuovo!” si disperò Merlin, schiaffandosi una mano in faccia. 

Alcune lune prima il giovane mago era venuto a conoscenza di un segreto che il cerusico era riuscito a celare per più di vent’anni. Nei weekend, invece di accamparsi nel Fantabosco ad ubriacarsi di Blumele in compagnia di Tonio Cartonio e a fare scorta di erbe e fiori rari come aveva sempre sostenuto, egli aveva l’ignominioso hobby di assumere, grazie alla Polisucco, le fattezze di una procace trentenne mora e popputa quanto basta e di recarsi alla taverna dei Due Soli ad adescare uomini. Tralasciando come e in quali circostanze Merlin avesse scoperto quella scandalosa verità, egli era convinto che Gaius avesse ormai smesso con quella... cosa. Gliel’aveva giurato sulla tomba di Bilbo Baggins, maledizione!

Passarono alcuni minuti carichi di tensione, durante i quali il ragazzo inveì contro il destino che gli aveva affiancato un mentore aspirante donna, come se non fosse bastato già quell’asino del suo principe a causargli problemi. Gaius ne approfittò per mettere al sicuro la preziosa fialetta e per infilarsi in tasca una giarrettiera finita chissà come tra le sue riserve di calendula e semi di papavero in polvere. Il primo a rompere quel silenzio fu Merlin, con una luce grave negli occhi.

“…Come non detto. In fondo la vostra vita sessuale”, represse una smorfia di raccapriccio, ”non mi tange, e poi non sono nessuno per giudicarvi. Vi chiedo soltanto la massima discrezione e di non disseminare in giro per il laboratorio la vostra biancheria intima speciale, intesi? Adesso passiamo al vero motivo per cui mi sono scapicollato fin qui”.

L’uomo sospirò sollevato, ringraziando mentalmente il suo protetto. Gli fece cenno con una mano di accomodarsi e preparò al volo due Apple Martini per rinfrancare lo spirito di entrambi.

 

 

Mezza clessidra dopo, Merlin aveva reso edotto Gaius del grave pericolo che correvano i Pendragon, e con essi l’intera Camelot. L’anziano medico non perse tempo e prese a consultare, con l’aiuto dell’altro, il tomo di magia cui erano ricorsi in situazioni simili, alla ricerca di un incantesimo, filtro od arcano rituale che potesse cascare a fagiolo. Inutile dire che non trovarono alcunché (non ci piace vincere facile).

Proprio quando i due stavano per perdere la speranza, al nostro eroe si accese la provvidenziale lampadina in testa. Dopo essersene uscito con un “Accipigna!”, ordinò a Gaius di smetterla di ubriacarsi col Martini e di prestargli attenzione.

“Rammentate Kilgharrah, il drago tenuto segregato nelle segrete del castello (marcondirondirondello) fino a qualche mese fa?”

“Come potrei dimenticarlo! Poverino, era l’unico esemplare sopravvissuto della sua specie ed è stato così barbaramente ucciso dal principe... Capisco che aveva in pratica messo sotto assedio Camelot, ma non si poteva cercare di renderlo inoffensivo e metterlo al sicuro, impedendogli così di nuocere ad anima viva? Ah, ma non finisce mica qui: lo farò presente a quelli della WWF, altroché”.

Doveva mettere fine a quello sproloquio ambientalista, subito.

“Non ci sarà bisogno di informare chicchessia, Gaius: il drago è vivo e vegeto, sono stato io a salvargli quella pellaccia dura che si ritrova. Ho addormentato Arthur modificandogli la memoria e l’ho lasciato fuggire. Ci teniamo in contatto telepaticamente, anche a distanza”.

“Connessione bluetooth, eh? Di certo molto più comodo così che mandarsi messaggi tramite piccioni viaggiatori” rifletté l’altro.

Batté la palpebre, metabolizzando la notizia ed illuminandosi tutto: “Allora si è salvato! Qual gaudio e tripudio, dovrò comunicare la lieta novella all’Associazione Amici dei Draghi: ti nomineranno membro honoris causa” esultò lievemente commosso. Poi si voltò verso Merlin, finalmente focalizzato sulla questione.

“Intendi dunque chiedere aiuto a Kilgharrah?”

“L’idea è questa, sì. Mi ha letteralmente salvato il culo in diverse circostanze, chissà che non lo faccia anche stavolta. Mi deve la vita e la libertà, un consiglio potrà pure darmelo”.

Presa questa decisione, lo stregone si sentì un poco meglio e bevve un sorso del suo drink. Avrebbe aspettato che calasse la notte, e solo allora si sarebbe diretto verso la radura nei pressi del castello (marcondirondirondello) per chiamare a rapporto il suo amico lucertolone.

 

 

Senza sapere neanche lui cosa esattamente stesse dicendo, Merlin articolò alcuni gorgoglii sconnessi e gutturali e, dopo un’attesa relativamente breve, sentì uno spostamento d’aria familiare, dovuto all’altrettanto familiare frullare d’ali di Kilgharrah.

L’imponente drago chinò il testone in un gesto di saluto e sottomissione nei confronti dell’ultimo Signore dei Draghi ed il suo vocione rauco investì la mente dell’umano.

“Salve, giovane mago. Era da parecchio che non mi tartassavi con le tue richieste di aiuto, cominciavo a preoccuparmi” esordì amabile come al solito.

Tuttavia Merlin non aveva né tempo né particolare voglia di scambiarsi schermaglie con lui.

“Kilgharrah, piantala di flirtare e veniamo al sodo. Camelot è nei casini, per usare un garbato eufemismo, ed io ho seriamente bisogno che tu mi aiuti. Pliz”.

“Che sorpresa! Non l’avrei mai immaginato, pensa te” rispose con un grugnito che somigliava tanto ad una risata. Fu però in rispettoso silenzio che ascoltò il resoconto di Emrys e fu senza l’ombra di sarcasmo nella voce che gli fornì la soluzione al problema.

“Quello che ti sto per rivelare è un rimedio della cui esistenza sono a conoscenza ben poche creature magiche, quindi ti esorto ad imprimertelo per benino nella memoria perché non lo ripeterò”.

Merlin annuì compunto, pronto a scrivere con il block notes e la BIC in mano.

“Trova quel fiore che dalle fanciulle vien chiamato viola del pensiero e del suo succo ricava il prezioso nettare. Mescici assieme una ciocca dei tuoi capelli e cinque gocce d’essenza di digitale e nel mentre recita codesto incantesimo:

«Fiore di viola,
la vita è una sola:
donami ciò che tutti i dispiaceri consola».

Lascia poi mantecare la mistura per almeno cinque giri di clessidra. Una volta ultimata, versala in una boccetta con pratico diffusore spray e domani, quando ti sarai intrufolato nella Sala del Consiglio senza farti sgamare, spruzzala sugli occhi di entrambi i re. Hai preso nota di tutto?”

“Sillaba per sillaba. Ti ringrazio dal più profondo del cuore, Kilgharrah” sorrise Merlin pieno di gratitudine. Poi tossicchiò esitante.

“Un’ultima cosa, se posso”.

“Chiedi pure, giovane mago”.

“E’ solo una curiosità mia, niente di che: come è chiamato l’idioma di voi draghi, di cui mi servo anche io per comunicare con quelli della tua specie?”

“Serpentese”.

“Sul serio?” ribatté Merlin accigliandosi.

“Fidati di me, Emrys. Adesso va’, che la notte non è poi così giovane e tu hai un compito da portare a termine. Tienimi aggiornato sugli sviluppi futuri, d’accordo?”

“Ma certo, amico mio. Grazie ancora”.

L’ingenuo giovanotto si incamminò in direzione del castello (marcondirondirondello), lasciandosi alle spalle il drago senza voltarsi indietro. Fu un errore, giacché se l’avesse fatto avrebbe notato l’espressione ghignante e vagamente malefica della creatura.

 

 

Il giorno seguente Merlin si presentò al cospetto di Cenred con due occhiaie da fare invidia ad un procione. La notte passata aveva fatto le ore piccole, ma non tanto perché impegnato nella preparazione del filtro magico (con l’aiuto di Gaius e le sue inesauribili scorte d’ingredienti di ogni tipo era stato come bere una coppa d’acqua fresca), quanto piuttosto per l’agitazione che non gli aveva concesso tregua fino alle prime luci del mattino. Da lui soltanto dipendeva la buona riuscita della missione e di conseguenza la salvezza di Camelot e dei suoi regnanti: mica bruscolini, Santo Gandalf!

La mattina stessa venne ufficialmente sollevato dall’incarico di valletto personale temporaneo di Cenred. Egli in persona, al momento di congedarlo, gli rivolse gentili parole di commiato e gli fece addirittura dono di un bracciale di cuoio abilmente intrecciato che, secondo le parole dell’uomo, era un manufatto artigianale piuttosto in voga nel suo regno.

Il mago arrossì un poco, piacevolmente toccato dall’inaspettata delicatezza del re, e gli sembrò del tutto irreale che avesse intenzioni così turpi e malvagie; sentiva che nella congiura c’era lo zampino di quel maledetto luogotenente dallo sguardo spiritato. E si dispiacque, perché gli era ormai chiaro che il povero Cenred non era che un semplice burattino manovrato dall’altro.

Riuscì comunque a non tradire nessuna emozione e dopo un breve inchino ottenne il permesso di tornare al suo vecchio incarico. Merlin tuttavia, durante la nottata insonne, aveva elaborato un piano di sicura efficacia: tendere un agguato ad uno dei consiglieri di Cenred, addormentarlo e nasconderlo in un armadio random del palazzo ed infine sottrargli un capello da aggiungere alla bottiglietta di Pozione Polisucco che aveva sgraffignato a Gaius mentre questi dormiva. Tutto andò come sperato e fu così che poté unirsi indisturbato alla piccola folla diretta verso la Sala del Consiglio con l’aspetto di un decrepito ma simpatico nonnino.

 

 

Riunitasi che fu la corte con tutto l’ambaradan, fecero il loro maestoso ingresso nella Sala Uther ed il figlio, seguiti da Cenred e i suoi uomini –tra cui Morgause e il nostro impavido eroe. Arthur si guardò intorno, cercando quell’idiota del suo amico, ma pose fine a quest’attività non appena ebbe realizzato che a Merlin, in quanto semplice servitore, non era concesso presenziare a cerimonie così importanti e delicate.

Il principe sbuffò contrariato. Erano ben cinque giorni che non lo vedeva, figurarsi riuscire a scambiarci quattro chiacchiere. Non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura, ma quell’impiastro gli mancava più di quanto pensasse. Gli sembrava fosse trascorsa un’eternità dall’ultima volta che l’aveva sbeffeggiato per la sua imbranataggine o gli aveva ingiunto di preparare la tinozza di acqua calda per il bagno. E comunque, pensò l’erede al trono soffocando uno sbadiglio sul nascere, ben presto se lo sarebbe ritrovato tra i piedi, con le sue buffe orecchie e la risposta pronta. Quell’immagine, non sapeva spiegarsi il perché, gli parve in un certo senso confortante. Familiare.

Arthur scosse la testa, spostando la sua attenzione sullo svolgersi della stesura del trattato. Entrambi i sovrani avevano apposto la loro firma sul documento e si apprestavano a scambiarsi una stretta di mano, come era costume, quando dall’esiguo gruppetto dei consiglieri di Cenred si fece avanti quello che sembrava essere il più anziano, i cui occhi blu tuttavia brillavano fin troppo acuti e giovanili.

Il fragile vecchietto, rivelando un’agilità sorprendente, estrasse da una manica della sua ampia veste una fiala di vetro con tanto di tappo spray e, prima che chiunque nella sala potesse presagire le sue intenzioni e fermarlo, spruzzò abbondantemente il liquido sui volti dei due re. Poi, con la stessa velocità con cui aveva agito, rientrò nei ranghi, in attesa. Arthur provò un moto di indignazione. Perché mai le guardie reali non intervenivano a punire quell’irriverente che si era macchiato del delitto di lesa maestà?

La risposta l’ebbe non appena rivolse lo sguardo sui regnanti oltraggiati: erano avvinghiati l’uno all’altro, indecentemente vicini e… si stavano… baciando?! (In realtà, i due uomini stavano limonando allegramente, con tanto di audaci scambi di lingue, saliva e morsi. Riteniamo tuttavia che sia meglio non farlo notare al giovane Pendragon.) Nessuno dei presenti ebbe l’ardire di far qualcosa che andasse oltre lo spalancare la bocca, strabuzzare gli occhi, ammutolire e venir colti da un curioso senso di disagio e imbarazzo.

A mettere fine a quella situazione di stasi impacciata ci pensò Arthur che, ripresosi dallo shock quanto bastava per dare ordini, urlò in preda all’isteria più isterica di arrestare immediatamente l’autore di quel diabolico maleficio –giacché solo un maleficio poteva aver spinto suo padre a ficcare la lingua in gola a Cenred. I soldati si riscossero dal torpore in cui erano caduti e con grida belluine si precipitarono in direzione del consigliere; ma l’uomo, sfuggente come un’anguilla, riuscì a non farsi acchiappare. A quel punto il principe si vide costretto ad intervenire e sprezzante del pericolo si gettò nella mischia. Concentrato come era nell’individuare il malfattore in quel marasma, si accorse di esserci andato a sbattere contro solo quando se lo ritrovò addossato al suo petto.

La dinamica dell’incidente non fu mai del tutto chiarita, poiché le versioni dei testimoni oculari erano alquanto dissimili tra di loro. Ciò su cui concordarono all’unanimità fu che, in una sequenza confusa, l’omino aveva -forse d’istinto- premuto sull’erogatore della boccetta che ancora teneva in mano inondando il volto del giovane Pendragon, il quale aveva strizzato gli occhi irritati mollando così la presa sull’altro, che era caduto col culo a terra. Eppure nessuno avrebbe mai potuto prevedere cosa successe immediatamente dopo.

Arthur batté le palpebre, liberandole con le mani dal liquido che aveva osato aggredirle, e mise a fuoco. Subito sentì nascere dentro di sé un sentimento d’amore profondo, imperituro, intenso, spropositato (eccetera eccetera) per la creatura -o meglio, la visione- che si offriva ai suoi occhi arrossati in tutta la sua sfolgorante, conturbante, indicibile, stupefacente (eccetera eccetera) bellezza. Solo in un secondo momento si rese conto che il proprietario di siffatta avvenenza non era altri che un vecchio.

Tuttavia egli non fece neanche in tempo a stupirsi troppo della cosa, poiché davanti al suo sguardo incredulo quel corpo rugoso ed artritico lasciò il posto ad uno altrettanto esile ma decisamente più giovane e sodo. I capelli riacquistarono la loro sfumatura di ala di corvo, le guance tornarono lisce e leggermente arrossate, le orecchie dannatamente enormi. Solo gli occhi restarono gli stessi, blu e splendenti come zaffiri e -in quel momento- totalmente smarriti.

Merlin.

 

 

 

 

Ri-salve. Trascrivere questo capitolo al computer è stata un’impresa non da poco, perché finora è il più lungo che abbia mai scritto e davvero sembrava non dovesse finire più. 

Un buffetto sulla guancia a tutte le lettrici in generale, hasta luego!

 

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Capitolo 5
*** Hey Juliet ***


DEDICA: A Cloud che è la mia fangirl preferita, a feyilin (ti sono vicina, sis) e a draco potter che mi ha suggerito l’inserimento della pubblicità occulta dei Pavesini.

NOTE: Rieccomi ad infestare il fandom! Se stavate iniziando a darmi per dispersa me ne scuso, ma ho trascorso qualche giorno a Vienna e non mi sono portata dietro il pc per aggiornare. Veniamo al capitolo in questione... Ricordate che vi avevo promesso che il precedente avrebbe segnato la fine dell’antefatto? Ecco, resettate. *si scansa per evitare i pomodori marci* Purtroppo la mia Musa ha deciso altrimenti, quindi temo che vi dovrete sorbire i retroscena ancora per un po’, ma non temete: ne succederanno comunque di cotte e di crude.  

Spero di cuore che vi piaccia, perché mi sono fatta prendere un tantino la mano dal delirio fangirleggiante e slasher.

Buona lettura!

 

 

 

 

 

Quello che seguì fu l’inizio della fine.

O meglio, per Merlin segnò la fine della relativa e discreta pace di cui aveva goduto durante la sua permanenza a Camelot prima di quel maledetto giorno.

L’unica nota positiva di tutta l’incresciosa vicenda era che il malefico piano di Morgause, che prevedeva la prematura dipartita dei Pendragon, era andato a farsi benedire. Anche se, col senno di poi, a Merlin avrebbe fatto comodo che almeno l’Asino venisse eliminato, fatto fuori, kaputt.

Davvero beffardo, il destino: due anni trascorsi a farsi in quattro per vegliare sull’incolumità di Arthur, e adesso invece non avrebbe esitato a porre fine personalmente alla sua inutile esistenza. Qualsiasi sentimento d’amore avesse provato in passato per il principe era (temporaneamente) morto, soffocato da un crescente senso d’irritazione misto ad esasperazione che aumentava di giorno in giorno, di ora in ora.

Il gesto di spruzzare il dannato filtro che aveva unito in un pornografico slinguazzamento Uther e Cenred sugli occhi del principe era stato sì inconsulto ed avventato, ma puramente istintivo, con l’unico scopo di liberarsi dalla presa ferrea dell’altro per mettersi in salvo. Ad essergli fatale, in verità, era stato lo straordinario tempismo della Polisucco, che aveva pensato bene di esaurire il suo effetto proprio quando Arthur era ormai sotto l’influsso di quello che era, senza più ombra di dubbio, un filtro d’amore potentissimo.

“Merlin” aveva esalato il principe con sguardo rapito, tendendo una mano verso il servitore per aiutarlo a rialzarsi.

“S-sire, voglio dire, mio signore” aveva balbettato in risposta Merlin con impacciato distacco.

La corte intera, a quel punto, non sapeva più su quale delle due coppiette presenti in Sala concentrare la propria attenzione, sicché faceva la spola dall’una -i sovrani un tempo nemici e ora pomicioni da far schifo- all’altra, ovvero l’erede al trono che fissava con gli occhi a cuoricino il proprio esile e goffo valletto ancora col culo a terra.

“Il tono formale con cui ti rivolgi a me mi ferisce, Merlin caro. Torna a pronunciare il mio nome come eri solito fare: sulle tue labbra ha un suono così dolce e armonioso!” aveva esclamato l’Asino Reale con voce vibrante d’emozione e la mano sempre tesa verso l’altro.

“Ma anche no… C-cioè, non mi sembra il caso” aveva replicato il mago con scemata veemenza (in nome del Grande Puffo, perché non sapeva resistere agli occhi luccicanti di Arthur?).

“Non dire castronerie, cuor mio. Ma orsù dunque, alzati ché ci stanno fissando tutti con gli occhi fuori dalle orbite. Chissà perché, poi” aveva blaterato l’aitante maschione tra sé e sé mentre Merlin si appigliava alla sua mano e si tirava su, vagamente intimidito.

“Sire -volevo dire, Arthur- potreste per cortesia lasciar andare il mio polso? E’ imbarazzante” aveva borbottato, riferendosi alla delicata tenaglia con cui il principe sembrava volerlo tenere appiccicato a sé.

“Per quale motivo dovrei?” l’aveva sfidato l’altro.

I due si erano scambiati un’occhiata significativa.

“Non ho intenzione alcuna di svanire nel nulla o di darmi alla macchia, Sire” aveva mentito spudoratamente Merlin.

“E ti aspetti che io creda ad un pessimo bugiardo come te? Suvvia Merlin: sono innamorato, mica scemo!”

“Io non ci giurerei, mio signore” aveva cercato di cambiare discorso.

“E non provare a cambiare discorso, tanto non ci casco”.

Come non detto.

Il piccolo Dumbo (ops) aveva alzato gli occhi al cielo, esasperato.

“Per tutte le carote di Britannia, siate ragionevole! Fino ad una clessidra fa non mi filavate di striscio”.

“Merlin. Merlin. Merlin. Merlin” Arthur aveva scosso la testa con commiserazione di fronte a tanta deliziosa ottusità. “E’ ovvio che mi piacevi già da prima, semplicemente mi sono innamorato di te adesso. Cosa c’è di strano?”

“Dite così solo perché al momento non siete in voi. Ma non preoccupatevi, troverò un modo per aggiustare ogni cosa. Così voi potrete tornare ad ignorarmi e ad andare a caccia di gonnelle”.

La stretta sul suo polso si era intensificata, la voce di Arthur si era fatta più grave.

“Merlin, mio adorabile idiota, ascoltami una buona volta. Non so bene quali pensieri frullino nella tua bella testolina, ma di una cosa sono certo: mi sono innamorato di te, non importa quando e per quale motivo. Ti amo e tanto mi basta; se fossi onesto con te stesso non aspetteresti un attimo di più per gettarti tra la mie braccia. Perché anche tu mi ami, benché alquanto restio ad ammetterlo” aveva concluso il monologo piuttosto tronfio.

“Santa barbabietola, non vi ho mai sentito pronunciare tante idiozie tutte in una volta”.

“Smettila di tirare in ballo degli ortaggi innocenti e dimmi quel che voglio sentirmi dire, da bravo” gli aveva ordinato dolcemente Arthur.

“MAI!” era esploso Merlin con un’espressione sul volto a metà tra il vergognoso e il se-gli-sguardi-potessero-uccidere-tu-ti-troveresti-tre-metri-sotto-terra.

“Ma perché, colombello mio? Sappiamo entrambi che è la verità” aveva tubato con fare suadente il regal babbeo.

“Devo pur difendermi dai miei sentimenti per voi” era capitolato il nostro eroe con le gote purpuree e gli occhi bassi e una certa fierezza nel modo di chinare il capo e di serrare i pugni per il troppo imbarazzo che aveva strappato all’altro un sorriso intenerito ma pur sempre tronfio. Gli aveva circondato il magro torace con il braccio non impegnato a cingergli il polso, con un trasporto ed una disinvoltura a lui sconosciute.

La corte -esclusi i sovrani, sempre intenti a limonare e a non staccarsi le mani di dosso- a quel punto aveva trattenuto il fiato, conscia che quello fosse un momento topico. Arthur aveva portato la fronte a contatto con quella del suo innamorato, lasciando solo pochi centimetri a dividere le loro labbra.

“E adesso, tortellino mio, direi che un bello slinguazzamento per la gioia delle fangirl che ci guardano ci sta tutto, no?” aveva proposto sornione ed un poco arrapato.

“ARTHUR!” aveva urlato in risposta Merlin mollandogli un ceffone niente male.

E’ proprio il caso di dirlo: Pendragon junior vide le stelle, ma la cosa non scalfì il suo orgoglio asinino neanche un po’.

 

 

Nel giro di pochi giorni la notizia dell’inaspettata e scabrosa love story tra Uther Pendragon e Cenred (cognome non pervenuto, sorry), per non parlare della cotta fulminante del Principe, aveva fatto il giro dell’intera Britanna, rischiando anche di giungere alle orecchie dei regnanti d’oltremare. Tutto merito di Qui, la rivista di gossip più venduta dell’isola, e del suo malizioso nonché gayssimo direttore Alphonsus Dominini, al cui radar capta-pettegolezzi nulla sfuggiva. Non venne mai scoperto il nome del delatore.

Fu così che il popolo britannico diede prova di essere già molto avanti in quanto ad apertura mentale e tolleranza, poiché la scottante novella non scandalizzò o infastidì anima viva. Non mancarono i soliti saputelli che sentenziarono solennemente che loro l’avevano sempre sospettato, che quei due non l’avevano mai raccontata giusta. Fioccarono battutine irriverenti e motti di spirito osé riguardanti la gaiezza ereditaria dei Pendragon, della loro abilità a cavalcare i destrieri più imbizzarriti e nel maneggiare lance acuminate (e qui ci fermiamo, perché come già ribadito in precedenza la storia è a rating verde/giallo), ma senza alcun intento malevolo.

Ciò non toglie, tuttavia, che a Camelot il coming out dei reali ebbe un impatto non da poco. Il volgo si mostrò dapprima perplesso; ben presto tornò a concentrarsi sulla vita di tutti i giorni, ché di tempo per star dietro ai capricci e alle stramberie dei nobili non ne aveva. I membri della corte ed i cavalieri manifestarono un persistente e durevole imbarazzo, che non accennava a diminuire a causa dei frequenti e rumorosi -che Lord Voldemort mi perdoni- rendez-vous notturni, ma soprattutto diurni, della coppia formata da Uther e Cenred. Il sovrano di Camelot era talmente impegnato a dichiarare amore eterno al suo uomo, da aver lasciato il gravoso compito di mandare avanti la baracca al giovane Arthur con l’ausilio di vari ministri e consiglieri.

Che poi, mormoravano le malelingue, anche sul principe ci sarebbe stato molto da ridire. Egli infatti prestava distrattamente attenzione alle incombenze che gli spettavano in quanto vice re, si presentava in ritardo ai concili e agli allenamenti e vagava per il castello (marcondirondirondello) con un sorriso beota e beato sul volto, impiegando la maggior parte delle sue energie e del suo tempo libero a tartassare la sua anima gemella con profferte amorose più o meno sfacciate.

Il povero Merlin, di conseguenza, si era ingegnato lungamente su come dribblare gli amorosi assalti tesigli dall’Asino Reale. Pur avendo pubblicamente ammesso i suoi sentimenti -benedetta Mordor, che vergogna!- era ben lungi dal lasciarsi irretire dalle sue avances e a concederglisi a cuor leggero. Non che non lo avrebbe desiderato, figuriamoci, ma era perfettamente conscio del fatto che l’infatuazione di Arthur, per quanto lusinghiera potesse essere per il suo ego, era dovuta unicamente a quel filtro del ciufolo e che presto o tardi l’effetto si sarebbe esaurito. O almeno così riteneva, perché il drago aveva accuratamente omesso parecchie cosette al riguardo.

Per queste motivazioni, dunque, il mago aveva cercato quanto più possibile di evitare il suo signore e, onde sedarne i bollenti spiriti, si era lanciato in lodi sperticate alle più avvenenti dame del castello (marcondirondirondello) e in particolare a Gwen, nella speranza che l’altro cogliesse l’antifona. Si era dovuto tuttavia arrendere, poiché l’unico risultato ottenuto era stato di far ingelosire quel cretino, che per ripicca si era fatto ancora più appiccicoso e impudente.

A ciò pensava Merlin vagando per il palazzo, quando…

“Merlin, virgulto di primavera bagnato di rugiada e presto anche del mio seme! Ti stavo cercando” lo gelò la voce insinuante di Arthur, che con un sorrisetto compiaciuto lo intrappolò in un angolo buio di un corridoio altrettanto buio e poco frequentato del terzo piano.

Il servitore, che pensava di averlo seminato, si divise equamente tra il panico dovuto al fatto di trovarsi alla mercé del principe e il disagio derivato dalla neanche troppo sottile allusione sessuale. Sicché, col cuore in gola ed il viso in fiamme, simulò malamente una grande pace interiore mentre gli rispondeva a tono.

“Davvero, Arthur? Desiderate chiedermi qualcosa?”

“Sì: secondo te cosa fa Federica Pellegrini quando non nuota?”

“Eh?” ribatté preso in contropiede.

“Chupa!” scoppiò a ridere l’altro senza ritegno, neanche fosse un marmocchio di cinque anni –il che non era da escludere a priori, in effetti.

“Arthur, per carità, ricomponetevi e comportatevi da persona seria quale dovreste essere” sbuffò  infastidito, incrociando le braccia al petto.

“E’ anche per questo che mi piaci, lo sai Merlin?” Arthur tornò serio. “Non esiti a rispondermi per le rime e a rimbrottarmi quando necessario, non cerchi di conquistare la mia benevolenza con mille salamelecchi e sei così diretto, pure troppo. Prima di innamorarmi di te la tua brutalità mi dava sui nervi proprio perché sapevo di meritarmela, per questo ti ho mandato alla gogna innumerevoli volte” continuò come a scusarsi.

“Bei tempi, quelli” esclamò Merlin roteando teatralmente gli occhi, scherzando solo in parte.

Si irrigidì un poco quando l’altro lo tirò affettuosamente per il fazzoletto che portava annodato al collo, avvicinando così i loro visi in modo preoccupante.

“Qui a corte e in città mi invidieranno in molti, visto che sono riuscito ad accalappiare il migliore partito di tutta Camelot” mormorò con tono intimo.

“E’ la checca che è in te a parlare, adesso” Merlin inarcò dubbioso un sopracciglio, passando al ‘tu’ senza accorgersene.

Arthur a quel punto lo omaggiò di una delle sue risate a gola spiegata che mettevano in bella mostra la sua chiostra di denti bianchissimi e lievemente irregolari, e che facevano tremare le ginocchia di più di una fanciulla (e di un fanciullo a noi caro). Fu esclusivamente grazie a quella visione di fossette e labbra carnose curvate all’insù che l’Asino riuscì a rubargli un bacio senza che lui protestasse; così Merlin giustificò la sua arrendevolezza, mentendo fino ad un certo punto.

 

 

Se da una parte Pendragon padre non aveva dato mostra di essersi accorto della tresca di suo figlio, dall’altra essa suscitò il sincero interesse dei familiari e degli amici intimi di entrambi i ragazzi.

Hunith, pazza di gioia, appese sulla porta di casa una bandiera arcobaleno e intontì le malcapitate comari di Ealdor con farneticanti discorsi riguardanti unicorni, fanfiction e slash. Gaius, mantenendo un certo riserbo, espresse il suo sostegno a Merlin strizzandogli l’occhio con aria complice ed offrendosi di spiegargli come funzionavano i fatti della vita.

Morgana, neanche a farlo apposta, si rivelò essere una fervente fangirl che shippava i due “tontoloni innamorati” praticamente da sempre. Tirando anche lei in ballo le fanfiction (Arthur non era sicuro di voler scoprire di cosa si trattassero), tempestò sia il fratellastro sia il suo amichetto di domande assurde: “Chi di voi è il top e chi il bottom?”, “Quanto spesso lo fate?”, “Avete mai praticato il BDSM?”, “Posso scrivere una lemon su di voi?” e così via. Se non fosse stato che in questo modo la ragazza non aveva più il tempo di tramare alle spalle di Uther con la complicità della sorella, Merlin l’avrebbe già messa a dormire con i pesci, come insegnava il buon Don Vito Corleone. Al gruppo di supporto della giovane coppia si aggiunsero anche i cavalieri di Camelot e due nostre vecchie conoscenze, Albus e Gellert. Totalmente ignari del fatto che il giovane mago li avesse visti all’opera, i diabolici amanti non perdevano occasione per scambiare occhiate d’intesa con i piccioncini e salutarli con tanto di manina ogni qualvolta li incrociavano nei corridoi. Arrivarono persino a regalare loro due spille multicolori (arcobaleno, ovviamente) che recitavano: Per il Bene Superiore. Forse avevano semplicemente esagerato col Blumele.

Le uniche persone che non fecero esattamente i salti di gioia e anzi si incazzarono come banshee furono Morgause e Gwen, entrambe per ovvi motivi.

Per l’ennesima volta la strega aveva visto andare in fumo di fronte ai suoi costernati occhi la possibilità di fare scacco matto ai Pendragon e nuovamente a causa di quel Merlin. Era quindi comprensibile che le girassero alquanto, tanto più che, pur rassegnatasi all’idea che Cenred non sarebbe uscito dalla camera da letto di Uther per i prossimi anni, non poteva nemmeno contare sull’aiuto di Morgana. Aveva provato a parlarle, ma la sorella aveva liquidato il luogotenente platinato (non dimentichiamoci del suo travestimento) frettolosamente, mormorando qualcosa come “fandom”, “NC-17” e “rating rosso”. Sicché la povera donna non sapeva più con quale santo, divinità, daimon, entità o forza oscura prendersela.

Altro discorso per Gwen. La donzella già si immaginava con la corona sul capo e dozzine di cavalieri ansiosi di servirla, in tutti i sensi, e con cui cornificare Arthur. Non le importava granché sposare un uomo che avrebbe amato sempre e soltanto il suo fedele servitore -non ci voleva un genio per capirlo, filtro o non filtro- perché a sua volta ella nel cuore e nella mente serbava il ricordo di Lancelot. Ma ormai ogni speranza di imparentarsi con la famiglia reale era perduta. La cocente delusione fece emergere il lato più meschino della ragazza, che senza soluzione di continuità insultò pesantemente il principe, accusandolo di essersi servito di lei come specchietto per le allodole, e tagliò i ponti con quell’intrigante di Merlin, reo di averle soffiato il posto di futura regale consorte.

I nostri eroi però non ebbero occasione per soffrirne troppo o farsi dilaniare dai sensi di colpa, giacché esattamente una settimana dopo l’uscita dell’ultimo numero di Qui fecero il loro arrivo a Camelot due ospiti inattesi e quanto mai graditi: Lancelot e Gwaine.

 

 

 

 

Uff, che fatica! Odio scrivere al computer, mi si incrociano gli occhi e ho sempre il terrore di lasciarmi scappare qualche errore di battitura. Ma questa storia mi da troppe soddisfazioni e voi lettrici siete fantastiche, quindi non mi lamento affatto.

Allora, che ve ne pare? Aspetto con trepidazione -e un po’ di ansia- i vostri pareri…

Un grazie sentito e di cuore a chi segue, preferisce e ricorda e soprattutto alle fedelissime che recensiscono ogni capitolo.

Love you girls!

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Two princes ***


DEDICA: A Cloud, per la citazione che non ha indovinato ma che ben presto riconoscerà, e a feyilin.

NOTE: Il capitolo a seguire è il più lungo e il meno convincente che abbia scritto finora. E non lo dico perché mi faccio pare mentali su ogni singola parola che scrivo, ma proprio perché questo è il meno riuscito di tutti, almeno secondo me. Lascio a voi l’ardua sentenza, ma vi avviso per correttezza (e per pararmi un po’ le terga nel caso in cui sentiate il bisogno di tirarmi verdura marcia random o vi addormentiate nel bel mezzo della lettura per il troppo tedio, ahah). Spero che riusciate a trovarci lo stesso qualcosa di valido. Comunque una buona notizia ce l’ho: dal prossimo capitolo riprenderò le fila della storia e mi ricollegherò al prologo. E’ una promessa.

Buona lettura!

 

 

 

 

 

“When I lay my head down to go to sleep at night

My dreams consist of things that’d make you wanna hide

Don’t let me in your tower, show me your magic powers

I’m not afraid to face a little bit of danger, danger

I want the love, the money and the perfect ending

You want the same as I, so stop pretending

I wanna show you how good could be together

I wanna love you through the night, I’ll be your sweet disaster”.

(Natalia Kills, Wonderland)

 

 

Fino a poco tempo prima, Gwaine e Lancelot non si sarebbero potuti definire propriamente amici. Avevano avuto modo di combattere fianco a fianco diverse volte -solitamente per dare man forte ad Arthur o per difendere Camelot dallo stregone svitato, dal bellicoso aspirante invasore o dalla bestiaccia magica di turno- ed erano molto affezionati al principe e a Merlin. Condividevano anche un’infatuazione per la bella (vabbè) Gwen; infatuazione che però, nel caso di Gwaine, era durata da Natale a Santo Stefano. Al di là di queste poche cose, i due sentivano di non avere niente in comune: troppe differenze caratteriali, per non parlare delle loro totalmente discordanti filosofie di vita.

Era stato quindi con un certo distacco che si erano rivolti un breve cenno di saluto quando si erano incontrati nella stessa malfamata locanda di Arcores, un villaggio senza Dio e senza legge, coinvolti in una rissa con gli altri avventori ubriachi spolpi di Scivolizia. Chi avesse dato il via alla scazzottata e per quale motivo i baldi giovani ci si fossero ritrovati nel bel mezzo non è dato saperlo. Sta di fatto che, essendo uomini d’arme e d’azione, Lancelot e Gwaine non si erano fatti pregare per menare le mani. Terminato il parapiglia, erano rimasti solo loro in piedi, ansanti e l’uno di fronte all’altro, e il resto dei contendenti con le gambe all’aria: chi perché piombato in coma etilico, chi perché steso da un gancio sinistro ben piazzato e chi perché determinato a fingersi k.o. piuttosto che prenderne ancora. I due si erano scambiati una vigorosa stretta di mano ed uno sguardo complice alla “yo bro, siamo usciti vittoriosi da una rissa quindi potremmo anche andare d’accordo”, appianando così le loro divergenze (benedetta psicologia maschile). Quando, davanti ad un boccale di birra offerto dall’oste, avevano scoperto di stare entrambi dirigendosi a Camelot, era venuto loro spontaneo decidere di proseguire il viaggio insieme.

Mai idea si rivelò più azzeccata, giacché nei quattro giorni che avevano impiegato per giungere a destinazione essi avevano avuto occasione di scambiarsi confidenze, partecipare ad altre due risse, fumarsi qualche spinello e diventare, in una parola, amici. Durante un bivacco notturno, Lancelot aveva confessato candidamente all’altro che non era riuscito a levarsi Gwen dalla testa (de gustibus) e, dopo aver letto su Qui del coming out di Pendragon junior, aveva pensato che forse quella sarebbe stata l’occasione giusta per dichiarare amore imperituro alla ragazza e chiederne la mano (ripeto: de gustibus). Gwaine aveva borbottato in risposta che tornava a Camelot perché sentiva la mancanza di Merlin e del principe, che ne aveva abbastanza della vita raminga e che avrebbe provato per un po’ a mettere radici. Qualcosa nei suoi occhi sfuggenti e nel sospetto rossore delle guance avevano convinto Lancelot che l’amico gli stava omettendo qualcosa. Ma poiché era un giovine molto discreto e rispettoso non aveva indagato oltre e aveva finto di essersi bevuto quella mezza verità.

Il loro arrivo al castello (marcondirondirondello) fu annunciato ad alta voce dal soldato a guardia dell’ingresso principale, che dava direttamente sul cortile interno. Arthur, in quel momento proprio lì impegnato a supervisionare l’allenamento dei cavalieri più giovani, sorrise particolarmente gaio e fece cenno al piantone di lasciarli passare. Merlin, che invece passava di lì diretto al mercato, per la sorpresa si incartò su se stesso. A salvarlo dall’inevitabile capitombolo ci pensò il principe, che sorrise intenerito nel vederlo arrossire leggermente, per poi recuperare l’equilibrio e correre come un cucciolo scodinzolante ad accogliere i suoi amici – gli unici, se si escludeva il compianto Will. Gli si accostò, azzardandosi a cingergli le spalle con un braccio. Il mago, troppo di buon umore per imbarazzarsi e respingerlo, gli rivolse anzi uno dei suoi sorrisi a cinquantamila watt che secondo l’inconfutabile giudizio del futuro re era un’istigazione a delinquere e un’autorizzazione a mettere in pratica le proprie sconcissime fantasie. Deglutì a vuoto.

“Lance! Gwaine!” trillò Merlin saltellando in direzione dei due ragazzi, ormai smontati da cavallo.

“Che Pollicino ti benedica, vecchio mio! Non sei cambiato affatto” lo abbracciò con trasporto Gwaine assestandogli delle pacche affettuose sulla schiena.

“Nemmeno tu, sei il cazzone di sempre” rise.

“E tu il solito insetto stecco. Ti danno da mangiare a sufficienza?”

“Sta’ pur tranquillo, Gwaine. Mi assicuro personalmente che a Merlin vengano servite le pietanze più nutrienti e sostanziose servite durante il regal desco” rispose invece Arthur, con un sorriso gioviale ma interiormente molto seccato dall’intimità tra i due amici.

“Oh. Altezza, è sempre un piacere vedervi” mormorò Gwaine un po’ in difficoltà, scostandosi da Merlin per permettergli di salutare anche Lancelot e inchinandosi rispettosamente di fronte all’erede al trono.

Decisamente compiaciuto, il principe si schermì e offrì la mano all’altro.

“Non c’è bisogno di tutta questa formalità, amico mio. Posso considerarti come tale, non è vero?” disse con una sfumatura di sfida nella voce.

“Senza ombra di dubbio, Arthur” rispose ricambiando la stretta ma evitando un contatto visivo diretto.

Non del tutto convinto, l’Asino Reale concentrò la sua attenzione su Lancelot, cui Merlin stava facendo un sacco di feste. La cosa, però, non lo infastidì affatto: non percepiva il cavaliere come una minaccia, al contrario di Gwaine. Bah, non voleva pensarci.

“Mio prode Lance, quanto tempo” tese la mano anche a lui.

“Arthur, mio signore” rispose quegli accettandola, un filino nervoso.

“Ditemi, amici miei, cosa vi porta a Camelot?” chiese a quel punto l’erede al trono, squadrandoli con sincero interesse.

Gwaine ripeté la sua già collaudata bugia, che peraltro entusiasmò indicibilmente Merlin, il quale prese a tempestarlo di domande: quanto pensava di restare, se sapeva già dove alloggiare... Arthur comprendeva il bisogno quasi disperato del suo amato di tenersi stretti i propri amici (non si era veramente ripreso dalla morte di Will), ma erano proprio necessarie tutte quelle moine?

Si volse con aria interrogativa verso Lancelot. Era forse disagio, quello che leggeva nei suoi liquidi occhi d’onice? L’altro, prima di rispondere, respirò profondamente. Sì, era disagio.

“Arthur, voi sapete che vi stimo e che darei la vita per salvare la vostra. Se mai un giorno voleste richiedere i miei servigi di cavaliere, io diventerei con somma gioia il vostro più fedele servitore ed amico; senza nulla togliere a Merlin, la cui lealtà è una gemma  preziosa quanto inscalfibile”.

Arthur annuì, sebbene un po’ spiazzato, e lo incoraggiò a continuare.

“Sette giorni or sono ho avuto modo di apprendere su Qui una certa notizia. Credetemi, ho parecchi amici gay e l’idea che voi e Merlin stiate assieme mi riempie il cuore di letizia” continuò alquanto impacciato. Fece una pausa, e quando riprese a parlare sembrava più sicuro. “Vi sarete accorto della mia, beh, scuffia esagerata per Gwen... E dato che fino a poco tempo fa ne eravate innamorato pure voi, devo chiedervi se i vostri sentimenti per Merlin sono sinceri. In primo luogo perché, se lo farete soffrire illudendolo, non esiterò a privarvi della vostra virilità; poi perché avrei intenzione di sposare Gwen e di vivere con lei per sempre felice e contento”.

Un silenzio di tomba, pesante e denso come una colata di piombo fuso, seguì l’ultima affermazione di Lancelot. Il dolce cicalare di Merlin si azzittì di colpo ed egli fece una smorfia ansiosa indirizzata a Lance, mentre Gwaine inclinò il capo, curioso di assistere alla reazione del principe. I cavalieri interruppero l’allenamento, interdetti da tanta pacata risolutezza. I vari sguatteri e paggi che avevano assistito alla scena gelarono, già tremando al pensiero dell’esemplare punizione che il nobile avrebbe inflitto a quel ragazzo così temerario. Persino i piccioni si bloccarono in volo e i cavalli trattennero il fiato.

Arthur, da parte sua, posò una mano sulla spalla di Lancelot con espressione grave.

“Amo Merlin più di Camelot e di mio padre messi assieme, e non appena quest’ultimo si degnerà di allontanarsi da Cenred quel tanto che basta per apporre una firmetta veloce gli farò promulgare un editto che legalizzi i matrimoni gay, così potrò sposare il mio trottolino amoroso dudù du dadadàdisse terribilmente serio.

Il suddetto trottolino Merlin si schiaffò una mano in faccia, improvvisamente rosso come una rapa matura, e Gwaine ridacchiò.

“Per quanto riguarda Gwen, hai la mia benedizione: di lei non me ne frega più niente, detto tra noi. A mio parere avresti potuto scegliere una fanciulla più aggraziata e meritevole... Ma come si suol dire, de gustibus non disputandum est. E beccati la citazione colta, toh”. A quel punto si voltò verso Gwaine. “Dimenticavo: siete entrambi miei ospiti”.

 

 

 

Merlin non riusciva più a controllare quella mina vagante e impazzita che era diventato Arthur. Non che non fosse in un certo senso adorabile, quando lo incantava con i suoi occhi obliqui da gatto, lo ricopriva di attenzioni e gli dedicava appassionate parole d’amore; ma chiamarlo trottolino amoroso dudù du dadadà di fronte ai suoi amici era semplicemente troppo. Doveva mettere in chiaro giusto un paio di cosette e far capire all’altro che se solo avesse osato di nuovo fargli fare una tale figuraccia con un qualsiasi essere vivente dotato di intelletto e parola avrebbe provveduto di persona a evirarlo, sissignore. E pazienza per le notti di fuoco mancate. Gli aveva dato quindi appuntamento la sera stessa, dopo il desco, in quell’angolo buio di quel corridoio buio del terzo piano del castello (marcondirondirondello) dove Arthur gli aveva rubato il suo primo bacio. Non per romanticismo -giammai!- ma perché era l’unico posto tranquillo dove nessuno li avrebbe disturbati (o colti in situazioni compromettenti, coff coff).

Dopo una lunga attesa il nostro eroe arrivò alla conclusione, con una certa stizza, che tra i pregi del principe non figurava certo la puntualità. Va bene che era un Asino -e gli equidi, si sa, non hanno un gran senso del tempo- ma quanto gli ci voleva per salire tre o quattro rampe di scale, santa zucchina?

Finalmente sentì alle sue spalle un rumore felpato di passi. Si voltò, preparandosi a chiedergli conto di quel clamoroso ritardo. Aveva forse dovuto dare la caccia ad un troll o aveva per caso aiutato un lepricano a recuperare la sua pentola piena d’oro nascosta ai piedi dell’arcobaleno?

Ma non era Arthur l’uomo che gli si presentò alla vista, bensì Gwaine. Gwaine, con il suo fascino da guascone, la massa di capelli scomposti e l’atteggiamento alla “io so’ Romeo, er mejo der Colosseo”. Lo spericolato, ridanciano Gwaine, i cui occhi però apparivano in quel momento appannati, velati di mestizia.

“Gwaine”. Persino Capitan Ovvio se ne sarebbe uscito con qualcosa di più intelligente.

“Merlin, devo parlarti. E’ piuttosto urgente” l’altro non si perse in preamboli.

“Oh, uhm, cioè… ok. Però non adesso, eh? Rimandiamo a domani mattina. Devo conferire un attimo con Arthur”.

“Non posso aspettare fino a domattina, Merlin. Ti ho seguito fin qui apposta per parlarti. E poi non so te, ma io non vedo Arthur nei paraggi” ribatté alquanto seccato.

“Hai ragione, scusami” sospirò l’altro. “Non era mia intenzione essere scortese, ma i ritardatari mi danno sui nervi . Di cosa volevi parlarmi?”

“Cercherò di essere breve, lo prometto. Ma prima consentimi di farti una domanda: tu sei innamorato di Arthur?”

Déjà vu. “Sì” mormorò, impacciato ma al contempo stranamente sicuro di sé.

“Ne sei convinto?” insistette Gwaine.

“Sì, ne sono convinto. Lo amo, sebbene dorma ancora con l’orsacchiotto. Perché me lo chiedi?” rispose, un po’ ridacchiando e un po’ arrossendo.

Il viso dell’amico, al contrario, assunse un colorito terreo.

“Gwaine, ti senti male?” cominciò a preoccuparsi.

“No” l’altro scosse la testa e abbozzò un sorriso tirato, spento. “No, dovevo aspettarmelo. Sono stato stupido io a credere di avere ancora qualche speranza” disse poi abbassando lo sguardo sul pavimento.

Il mago gli si avvicinò, afferrandolo per la spalle con piglio deciso.

“A cosa ti riferisci, amico mio? Quali speranze?”

Egli si liberò dalla presa, arretrando di un passo. Poi rivolse a Merlin un’occhiata carica di amarezza, prima di rispondere-

 

 

 

Ammettetelo: state morendo dalla voglia di scoprire cosa stesse per dire Gwaine, eh?

Spiacente, gentile pubblico, siamo costretti a rimandare il momento della Grande Confessione. Perché vedete, proprio mentre l’affascinante moraccione raccoglieva il coraggio ed il fiato, nel corridoio buio del terzo piano fecero la loro furtiva comparsa alcuni servitori che Merlin conosceva solo di vista e si misero a trafficare con quelle che sembravano essere luci stroboscopiche e una palla da discoteca?? In nome di Donna Summer, da dove saltavano fuori quei marchingegni?

Lo stupore -per usare un eufemismo- dei due ragazzi crebbe in maniera esponenziale non appena i servitori si dileguarono, lasciando il posto ai musici di corte. Il bassista (il bassista?) urlò ai suoi colleghi: “E one, e two, e one two three four!” e tutti insieme attaccarono con la melodia. Melodia che, al mago, suonò familiare in modo inquietante in quanto gli ricordava tantissimo la canzone preferita di Gaius: stesso ritmo accattivante, stessa musichetta leggera e sbarazzina. Cominciò a sudare freddo.

Fu in quel momento -epico, tragicomico, topico: come più vi aggrada- che entrò in scena il cantante. Per poco Merlin non stramazzò al suolo e Gwaine rischiò un colpo apoplettico.

Alto, una chioma di capelli fin troppo lunghi, neri e lustri per essere naturali, un boa di struzzo rosa acceso e glitterato e una tuta di pelle nera attillatissima con tanto di scollo a V che gli scopriva sensualmente il collo e buona parte dei pettorali. L’insieme era al tempo stesso grottesco, gay all’ennesima potenza e morbosamente arrapante. Merlin cercò con lo sguardo gli occhi dell’individuo, ma una folta frangia li copriva. Eppure il suo istinto gli diceva che lo conosceva, e pure bene. Eseguì una radiografia completa del corpo perfetto (atletico ma non gonfiato, armonioso, con due spalle così e un culo che pareva scolpito nel marmo) del misterioso capellone; il tessuto aderente lo fasciava come una seconda pelle, evidenziandone in modo quasi pornografico i capezzoli turgidi. Gli ormoni impazziti del nostro eroe esplosero in un boato di apprezzamento di fronte a cotanta figaggine.

Esplorando il corpo umano, quante cose che impariamo, petto e muscoli gommosi: che spet-ta-co-lo!, Merlin li sentì cantare.

Momento momento momento.

I muscoli gommosi erano una prerogativa assoluta di un Asino Reale di sua conoscenza. Oh Zeus egioco, che fosse lui?

Finalmente l’arcano venne svelato. L’uomo del mistero si scostò la frangia dagli occhi azzurrissimi, da gatto, si esibì in un sorriso ammiccante che rivelava denti bianchi ma un po’ irregolari e con la mano sinistra -sul cui indice portava l’anello della sua casata- impugnò il microfono e cantò.

«L’indirizzo ce l’ho
Rintracciarti non è un problema
Ti telefonerò
Ti offrirò una serata strana
Il pretesto lo sai: quattro dischi ed un po’ di whisky!
Sarò grande, vedrai
Fammi spazio e dopo mi dirai
Mmmh… Che maschio sei!
»

Jesus Christ Superstar.

Arthur stava cantando -si fa per dire- la canzone più equivoca di tutti i tempi (non per niente la favorita di Gaius). Ragliando come l’asino che era. Con una assurda parrucca ed un boa di piume assolutamente da checca. E una tuta che, beh, inneggiava allo stupro.

Jesus Christ Superstar.

Il giovane Pendragon, da parte sua, si apprestava ad intonare i ritornello quando vide che alla sua esibizione stava assistendo un ospite non gradito: Gwaine. Prima le luci stroboscopiche lo avevano mezzo accecato, consentendogli di scorgere a malapena il destinatario della sua serenata, ma adesso distingueva perfettamente anche la zazzera dell’amico, la sua stazza. Digrignò i denti. Che cavolo ci faceva lui lì?

«Lui chi è?
Come mai l’hai portato con te?
» cantò rabbiosamente, indicando l’intruso.

Per fortuna il volume della musica non era alto, quindi Merlin provò a ribattere senza sgolarsi troppo.

“No Arthur, non è come pensi!” era chiaro che quello stupido aveva frainteso la situazione.

«Il suo ruolo mi spieghi qual è? »

“Ma che ruolo e ruolo, se solo la smettessi di cantare-” non si diede per vinto l’altro.

«Io volevo incontrarti da solo, semmai! » Arthur non aveva intenzione di cedere.

“OH INSOMMA, ASCOLTAMI UNA BUONA VOLTA! SE NON AVESSI IMPIEGATO CINQUANTA GIRI DI CLESSIDRA PER PREPARARE QUESTA MESSINSCENA MI AVRESTI TROVATO DA SOLO, RAZZA DI ASINO!” urlò esasperato.

Non diede mostra di grande savoir-faire, forse, ma almeno ebbe l’effetto di porre fine a quello strazio. I musicisti si interruppero all’istante e Arthur rimase a bocca aperta a mo’ di pesce lesso.

“Sia ringraziato Odino e l’intero pantheon celtico! Sei stonato come una campana, sappilo”.

Il principe si tolse la parrucca, evidentemente deluso.

“Uff, la prossima volta col cavolo che do retta a quella drag queen di Gaius. Mi ha giurato che Il triangolo funziona sempre come serenata, sebbene qualcosa mi dicesse che non avresti apprezzato”.

“Scommetto che ti ha convinto lui a conciarti in questo modo, vero?” indagò l’altro.

“Sì. Sai, in omaggio a Renato Zero. Sto così male?” era proprio abbattuto.

“Se ti levassi anche quel ridicolo boa saresti il sogno erotico di chiunque” rispose Merlin schiettamente, per poi avvampare immediatamente dopo.

Tuttavia ad Arthur sfuggì quell’apprezzamento involontario, intento a fissare Gwaine con sguardo inquisitore.

“Che ci fai tu qui, amico mio?” chiese con malcelato sarcasmo.

“Arthur, stavo per l’appunto cercando di spiegarti-” si intromise Merlin .

“No, lascia che parli io” lo zittì gentilmente l’amico. Indi si rivolse al sosia biondo di Renato Zero. “Avevo urgenza di parlare con Merlin, mio principe”.

“Davvero? E cosa avevi di così importante da dirgli, posso saperlo?” incalzò malevolo.

“In verità non ho potuto rivelargli alcunché, perché siete sopraggiunto voi” spiegò l’altro in tono sorprendentemente mite.

“Beh, cosa aspetti a parlargli: che a Lord Voldemort ricrescano i capelli?” insinuò velenoso.

“Arthur” lo ammonì Merlin.

“No, amico mio, Arthur ha ragione. Merito di essere trattato alla stregua di terzo incomodo, perché è proprio questo che sono. La verità è che, nei mesi trascorsi lontani da Camelot, ho capito di essermi innamorato di te” mormorò guardando lo stregone fisso negli occhi.

L’erede al trono ringhiò neanche troppo discretamente.

“Mi ero ripromesso di non rivelarti i miei sentimenti, ma quando mi è giunta voce che Arthur aveva perso la testa per te, non ci ho visto più: ho subito pensato che fosse uno scherzo di cattivo gusto, che lui ti stesse illudendo e niente altro. Per questo sono tornato, Merlin. Volevo la conferma alle  mie supposizioni, metterti in guardia, evitarti un dolore. Ma ero in malafede e mi è bastato vedervi insieme per capire quanto mi fossi sbagliato. Voi due siete anime gemelle, le due facce della stessa moneta (aridaje!, NdA), e poco fa me ne avete dato la prova: battibeccate come una coppia sposata da trent’anni” tentò di sdrammatizzare Gwaine.

Arthur nel frattempo aveva assottigliato gli occhi, come un gatto diffidente. Dunque non si era sbagliato, a percepirlo come una minaccia.

Merlin, mosso a compassione dall’evidente sconforto dell’amico, tentò di consolarlo.

“Ma no, Gwaine, non devi incolparti. Al tuo posto avrei agito anche io così, davvero. Ti capisco”.

“No, amico mio carissimo. Non giustificarmi. Io sono in torto, e merito di fare ammenda. Mi dispiace” sussurrò ad entrambi, respingendo il conforto del mago. “Adesso scusatemi, devo proprio congedarmi”.

Se ne andò con la coda fra le gambe, scomparendo nell’ombra del corridoio buio del terzo piano. Merlin era ancora troppo sconvolto ed imbarazzato per riuscire a ragionare lucidamente. Arthur, con la cattiveria derivata dal rancore e dalla gelosia, incrociò le braccia al petto e, con i suoi migliori faccia da schiaffi e tono strafottente, gli diede il colpo di grazia.

“Allora, Merlin, di che volevi parlarmi?”

 

 

 

 

Bien, eccoci qui. Siete ancora vive? Volete linciarmi?

Seriamente, ora più che mai mi farebbe piacere -e mi sarebbe anche utile- un vostro parere. Sono confusa, demotivata, ho il ciclo e domani ricomincia l’uni. Come sempre, un ringraziamento speciale e melodrammatico (lol) a chi recensisce, segue, preferisce e ricorda la mia bislacca storiella.

Ah sì, giusto una noticina: la citazione all’inizio del capitolo è di una canzone che ho scovato su Youtube qualche giorno fa, e me ne sono innamorata praticamente da subito... Leggete il testo completo e ditemi se non vi sembra perfettamente calzante per Arthur e Merlin!

http://www.youtube.com/watch?v=DEFKN5nfcYU (questo è il video con le lyrics)

http://www.youtube.com/watch?v=ayVuQLT00v0&ob=av2e (e questo è il video originale)

Un bacio a tutte!

 

 

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Capitolo 7
*** True colors ***


DEDICA: A Cloud per la sua incrollabile fiducia nelle mie capacità nonostante tutto, a feyilin perché non ci vediamo da un po’, a xMoonyx per le sue recensioni bellissime e perché è una merthuriana doc e a BeaLovesOscarinobello che shippa Merthur perché le ho fatto una testa così.

NOTE: Innanzitutto mi scuso per il mostruoso ritardo. E’ imperdonabile, vista la brevità vergognosa di questo capitolo, ma giustificabile: mi è preso il blocco dello scrittore. Quel poco che sto per sottoporvi l’ho scritto facendo violenza su me stessa. Non so se sia colpa dello sfasamento dato dall’inizio dell’università, dal poco tempo o dalla stanchezza: più di così non sono riuscita a fare. Avrei potuto, forse, farvi attendere ancora e cercare di mettere insieme un capitolo degno di questo nome, ma non potevo dilungarmi oltre. Dovevo superare in qualche modo la crisi da pagina bianca, fosse anche per scrivere due righe. Spero mi sia stato d’aiuto, e di veder tornare al più presto l’ispirazione per potervi ammorbare con i miei deliri. Comunque non disperate (?), questa fiction s’ha da fare e si farà.

Detto questo, buona -si fa per dire- lettura!

 

 

 

 

 

Dopo quella fatidica, fatale, fantomatica e fantasmagorica (ops, troppe allitterazioni!) sera, per Merlin parecchie cose non furono come prima.

Più dell’esibizione canora e canina di Arthur, più della sua mise scandalosamente improbabile, più dell’inaspettata quanto dolorosa dichiarazione di Gwaine, a shockare il giovane mago era stata la malignità gratuita dimostrata in quel frangente dall’Asino Reale.

Non c’era mostro dagli occhi verdi che potesse giustificare la sua sgarbataggine. In fin dei conti, Gwaine non aveva attentato alla virtù di Merlin, tant’è che si era fatto da parte una volta verificata la genuinità dei sentimenti di quest’ultimo. D’altra parte non lo si poteva nemmeno accusare di aver tramato alle spalle della coppietta felice, anzi. Aveva mostrato non poco fegato ad ammettere il proprio errore di giudizio e a chiedere umilmente perdono.

E poi, maledetta sia Polly Pocket, non riusciva a capire quello stupido biondino che così comportandosi poneva Merlin in una situazione alquanto spinosa e compromettente?
Gwaine era suo amico: il migliore, dopo Will. Teneva enormemente a lui, che peraltro era l’unico, oltre a Lancelot, Gaius e la madre, ad essere a conoscenza dei suoi poteri. Scoprirlo innamorato di sé era senza dubbio stato un brutto colpo, ma confidava nel fatto che la loro amicizia ne sarebbe potuta uscire sostanzialmente illesa, con un po’ d’impegno da parte di entrambi. Ne avevano passate talmente tante, insieme. Avrebbero superato pure questo ostacolo.

Peccato però che un certo regal babbeo non sembrasse disposto a facilitare la loro riconciliazione. Aveva anzi messo il broncio -certe abitudini sono dure a morire, purtroppo- e con tono petulante aveva accusato Merlin di essersi preso gioco della trasparenza dei suoi sentimenti, di non amarlo veramente, di averlo sedotto e abbandonato (blablabla) e di tenere maggiormente alla sorte di quell’insidiosa serpe nota con il nome di Gwaine, osando addirittura insinuare che i due avessero una tresca. Onde evitare di mandarlo a farsi un giro in un certo pertugio stretto e buio dove il sole non è solito battere, il mago non aveva dato peso alle lagne dell’altro e l’aveva liquidato. Proprio così, liquidato come l’ultimo degli scocciatori o dei Testimoni di Geova, con uno sguardo capace di far tremare la più spaventosa e sanguinaria creatura magica e un secco: “Non dite idiozie, per l’amor di Priapo” che aveva impedito al bizzoso erede al trono di replicare alcunché, facendolo sentire un bimbo capriccioso ed inopportuno e gelandolo per l’improvviso ritorno al ‘voi’.

Non che Merlin si divertisse a prendere a male parole il principe, ma scoprire un aspetto così meschino ed immotivatamente geloso della sua personalità (il modo in cui aveva trattato il povero Gwaine era imperdonabile) l’aveva mandato non poco in crisi. Incredibile a dirsi, cominciava a rimpiangere l’Arthur di un tempo, sbruffone, dispettoso ed irrimediabilmente asino, ma mai volutamente crudele.

Che poi, a ben pensarci, non lo si poteva nemmeno incolpare più di tanto per i suoi modi riprovevoli o per l’insana possessività che gli dava diritto di credere che Merlin fosse roba sua, proprietà privata, off limits; era pur sempre sotto l’effetto di un incantesimo con i contro-attributi. Il suo stato mentale, così come la percezione della realtà, era alterato, e la passione amorosa nei confronti del mago un semplice fuoco fatuo, un’allucinazione indotta dalla pozione –un po’ come uno svarione da LSD, per intenderci.

Al nostro eroe sanguinava il cuore al solo pensarci, ma in mezzo a quel delirio collettivo e ad alto tasso di slash qualcuno doveva pur mantenersi lucido e fare i conti con la triste realtà, ovvero che lui ed Arthur erano tutt’al più destinati a fondare Albion (sempre che quel bidonaro di Kilgharrah  dicesse la verità) e a rimanere grandi amici, non ad anticipare di qualche secolo la legalizzazione delle unioni omosessuali e adottare qualche pargolo per vivere per sempre gai e… gay. Non era questo, il loro destino: le due facce di una stessa moneta non possono fondersi assieme.

Il problema era farlo capire al principe, una volta per tutte.

 

 

Nei giorni che seguirono la fatidica, fatale, fantomatica -ok, ok, la smetto- sera, Merlin tentò a più riprese di parlare con Gwaine. Intendeva spiegargli che, nonostante lo addolorasse moltissimo vederlo soffrire a causa sua, teneva troppo alla loro amicizia per permettere che un incidente di percorso li allontanasse. Erano fratelli, compagni di ventura, e questo contava più di un innamoramento passeggero. Tuttavia, come era prevedibile, l’amico preferì evitarlo. Gli fece sapere, tramite Gaius (cui pareva di vivere in una puntata di Beautiful), che intendeva lo stesso fermarsi a Camelot per un po’ e cercarsi un’occupazione, ma che per il momento non se la sentiva di rivederlo. Un confronto vis-à-vis lo avrebbe debilitato ulteriormente.

Seppure a malincuore, il mago accettò l’imposizione dell’amico. E Arthur approfittò dell’occasione propizia per tornare alla carica con il suo corteggiamento.

 

 

E fu così, gentile pubblico, signore e signori, slashers e merthuriani/e, che ci riallacciamo con il prologo (alla buon’ora!).
Ecco quindi il nostro eroe chiuso a chiave nella sua stanzetta, sull’orlo di una crisi di nervi. La situazione sembra sfuggirgli di mano, i suoi timpani, violentati dall’angelica voce dell’Asino Reale, hanno raggiunto il massimo grado di sopportazione. Provvidenziale gli si accende la lampadina in testa: deve conferire urgentemente con il drago. Quella sera stessa. Costi quel che costi.

 

 

 

 

Ooook, qualche annotazione veloce prima di mettermi in salvo dalla gogna (tanto per restare in tema con il telefilm).

Gwaine a conoscenza del segreto di Merlin è una licenza poetica, mi serviva a rendere il loro legame ancora più saldo. Il finale fa proprio schifo, me ne rendo conto da sola, ma spero possiate perdonarmi comunque.

Visto che ormai ci ho preso gusto, a postare link, vi consiglio caldamente la visione di questo video totalmente Arlin: guardatelo e capirete perché ho intenzione di erigere un monumento in onore della sua geniale autrice. Lo amerete anche voi, spero. http://www.youtube.com/watch?v=VR65XpfBWBw

Doverosi i ringraziamenti alle splendide donne che seguono, ricordano, preferiscono e recensiscono: siete la mia forza, davvero.

Alla prossima!

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Capitolo 8
*** The power of love ***


DEDICA: A Cloud perché “le tue idee balorde conquisteranno il mondo!” (cit.), a feyilin che deve riguardarsi, a BeaLovesOscarinobello (che si è scelta un nick lunghissimo) e a Virginia, che di Merlin non conosce praticamente nulla ma si è messa lo stesso a seguire la mia storia.

NOTE: La mia Musa è tornata, alleluia! *stappa una bottiglia di champagne* 
Siamo arrivati al punto nevralgico (?) della storia: questo è IL capitolo e leggendolo capirete il perché. Come sempre, è caccia aperta alla citazione. Ce n’è una in particolare, piuttosto palese: la prima persona ad individuarla vincerà… (rullo di tamburi)... una dedica nel prossimo capitolo! Lo so che si tratta della vostra più grande ambizione, quindi vi esorto a dare il meglio di voi. Scherzi a parte, grazie alle lettrici che mi hanno aiutata, con i loro commenti ed il loro supporto, a superare ‘sto maledetto blocco. Vi lovvo <3.

Buona lettura!

 

 

 

 

 

Calato che fu il buio e rimboccate le coperte al principe -non senza qualche difficoltà e avendo cura di sciogliere un potente sonnifero nella tazza di latte caldo e miele che sorbiva ogni sera- Merlin si recò, per la seconda volta nel giro di due settimane, presso la radura nelle vicinanze del castello (marcondirondirondello).

Emise i soliti astrusi e incomprensibili bofonchiamenti -non si era bevuto la balla del serpentese- e la risposta di Kilgharrah non si fece attendere. Pochi minuti ed un fragoroso frullare d’ali dopo, il drago parcheggiò la sua immensa mole squamosa ad un soffio dall’esile figura del ragazzo.

“Ci rivediamo, giovane mago” lo salutò senza mostrare nemmeno un briciolo di sorpresa.

“Giovane mago una fava, Kilgharrah!” sbottò Merlin.

“Oh oh oh, dalla tua evidente irritazione deduco che il mio piano ha funzionato” ribatté ilare la creatura magica.

“Sicché ci avevo visto giusto: tutto questo bordello è colpa tua!”

“Oh, che brutta parola. Io lo definirei delirio al massimo grado” ironizzò neanche troppo sottilmente Kilgharrah.

“Io invece trovo molto più appropriato bordello” insistette il moro, fuori dalla grazia di Gandalf. “Uther e Cenred scopano come conigli da mattina a sera, Arthur allunga le mani a ogni pie’ sospinto, mia madre e Morgana danno i numeri e sproloquiano a proposito di fluff e fandom e qualcos’altro che non ho capito e come se non bastasse Gwaine ha bellamente confessato di venirmi dietro!”

“E’ lo slash, baby” sghignazzò impunemente l’altro. “E Lady Morgana ed Hunith non sono che semplici fangirl. Per quanto riguarda il tuo amico avventuriero, mi spiace deluderti ma io non c’entro affatto. Devi prendertela con i tuoi begli occhioni blu e la tua aria da cucciolotto sparuto”.

Merlin preferì non soffermarsi sul complimento appena rivoltogli dalla bestiaccia malefica.

“Va bene, accantoniamo momentaneamente il problema Gwaine. Possibile che non ti sia venuto in mente niente di meglio, per scongiurare l’eliminazione dei Pendragon, che spingere Uther e Cenred l’uno tra le braccia dell’altro?” incalzò aggressivo.

“Giovane mago, era inevitabile che quei due finissero per fare coppia. Rifletti: non è forse vero che il confine tra odio e amore è estremamente labile?” rispose, più saccente del Sapientino Clementoni.

A quel punto Merlin perse del tutto la trebisonda.

“Ma non dire eresie, nel nome delle Winx! Non è una linea sottile, quella tra amore e odio; al contrario, è una grande muraglia cinese con sentinelle armate ogni sette metri! E piantala una buona volta di chiamarmi ‘giovane mago’, sono l’ultimo Signore dei Draghi e merito un po’ di rispetto!” sbraitò come una pescivendola.

“Una cosa non esclude l’altra, giovane mago” replicò Kilgharrah con lo stesso tono di compatimento e lieve esasperazione di un genitore alle prese con le crisi adolescenziali del figlio. Il nostro eroe ne sostenne cocciutamente lo sguardo finché la rabbia non fu sbollita. Poi inspirò profondamente, arrendendosi alla gelida pacatezza dell’altro.

“Avresti almeno potuto rendermi edotto in anticipo degli effetti di quel benedetto filtro” smozzicò con un certo risentimento.

“E rovinarmi così la sorpresa? Lungi da me, Emrys” disse quasi indignato.

“Momento momento momento. Vuoi darmi ad intendere che nemmeno tu sapevi quali conseguenze ne sarebbero derivate?” strabuzzò gli occhi.

“Non travisare le mie parole. Avevo previsto ogni cosa, eccetto l’innamoramento dell’erede al trono”.

“Sicché i sentimenti che Arthur nutre nei miei confronti sono un incidente di percorso, giusto? Un imprevisto” sottolineò Merlin rianimandosi un poco e avvertendo al tempo stesso una stilettata al cuore.

“Devo contraddirti ancora, giovane mago. Che io non l’avessi immaginato non significa affatto che non fosse destino che tu ed Arthur coronaste il vostro sogno d’amore, presto o tardi. Siete le due facce della stessa moneta e pertanto non potete vivere l’uno senza l’altro”.

“Ma quale sogno d’amore dei miei stivali! Arthur ama Gwen, hai presente? E’ vero che lei è una sgualdrinella acida e invidiosa che gli spezzerà il cuore tradendolo con Lancelot, ma si sa che l’amore è cieco e pure sordo, altrimenti non si spiega come mi sia potuto innamorare di un siffatto Asino Reale” finì per mugugnare tra sé e sé. “E comunque, stavo dicendo: lui è etero quanto Gaius è un sorcino (fan di Renato Zero, ndA)”.

“Anche l’eterosessualità di Ricky Martin era data per certa, prima che facesse coming out”.

“Non so a chi ti stia riferendo, ma Arthur in versione gay è insopportabile; spara battutine a sfondo sessuale ogni due per tre, mi dedica delle serenate tremendamente equivoche e stonate, è geloso in maniera patologica e mette il broncio se oso ignorarlo” cercò di impietosire il drago.

“E’ assolutamente normale che sia appiccicoso, patetico e rincitrullito: è innamorato di te”.

“Ancora per poco. Questa assurda storia deve finire, Kilgharrah. Ne va della mia virtù!”

“Oh, bella questa. Ti aspetti davvero che ti riveli la formula dell’antidoto dell’Amortentia per consentirti di sbarazzarti di un corteggiatore molesto e di tornare al punto di partenza, con Cenred manovrato da Morgause che si appresta ad ordinare il massacro dei Pendragon? Cosa sarà mai la verginità del tuo fondoschiena, in confronto alla salvezza di Camelot?”

“…Lo sapevo che non poteva essere tutta farina del sacco di Cenred! In fondo è un brav’uomo. Ma davvero c’è lo zampino di quella pazza ossigenata?” chiese Merlin con un misto di curiosità ed apprensione.

“Yep. Non l’hai riconosciuta sotto le mentite spoglie del luogotenente del regale ospite?”

“No! Ma ecco spiegato perché quella tinta biondo platino mi era tanto familiare” considerò tra sé e sé.

La creatura magica ne approfittò per rincarare la dose.

“Capisci perché ora come ora sarebbe un errore far tornare tutto come prima? Con Cenred in altre faccende affaccendato e Morgana in modalità fangirl assatanata, Morgause ha le mani legate, è  innocua come un pulcino bagnato. Mi dispiace, non posso proprio accontentarti: è per il bene di Camelot”.

“Non hai tutti i torti, amico mio, ma d’altra parte questa situazione non potrà durare in eterno”.

“Tutto a suo tempo, Emrys. Concedimi una luna per trovare una soluzione alternativa e ti prometto che l’equilibrio primigenio verrà ristabilito. Nel frattempo, fossi in te, penserei a godermela e basta”.

“Pardon?” Melin inarcò un sopracciglio.

“Accetta i sentimenti di Arthur. Fatti travolgere, levita, canta con rapimento e danza come un derviscio. Vivi una felicità delirante, o almeno non respingerla. Potrà sembrarti smielato, ma l’amore è passione, ossessione, qualcuno senza cui non vivi. Io ti dico: buttati a capofitto, dimentica il raziocinio e ascolta il cuore. Io non sento il tuo cuore, e la verità, Merlin, è che non ha senso vivere se manca questo. Fare il viaggio e non amare profondamente equivale a non vivere. Ma devi tentare, perché se non hai tentato, non hai mai vissuto”.

“Wow” fu tutto quello che riuscì a replicare il mago, frastornato.

“Un ultimo consiglio e poi ti lascio andare a nanna” sorrise il drago.

Merlin ascoltò attentamente ogni sua singola parola e, dopo averlo guardato volare via, fece ritorno al castello (marcondirondirondello) alquanto soddisfatto. Kilgharrah gli aveva suggerito un’idea per curare il mal d’amore di Gwaine, ed era un’idea pazzesca.

 

 

La mattina seguente il nostro eroe si svegliò pimpante e allegro e Gaius non mancò di notare l’aspetto riposato e fresco del suo protetto: gli occhi erano luminosi, nessuna ruga d’espressione gli solcava la fronte e sorrideva radioso. Doveva aver fatto il grande passo con Arthur, ipotizzò l’anziano medico, giacché solo l’ammmòòòre e una sana nottata di sesso avevano quell’effetto portentoso sull’umore di qualsiasi essere umano. Prima che potesse chiedergli delucidazioni, comunque, Merlin aveva terminato in fretta e furia la sua frugale colazione e, congedatosi con rapido “A dopo!”, se l’era svignata. Beata gioventù, pensò bonariamente Gaius.

La palese felicità del mago non sfuggì a nessuna delle persone che gli capitò di incrociare lungo i corridoi e la scalinate che conducevano agli appartamenti del principe. Normalmente avrebbe mantenuto un certo contegno onde stroncare sul nascere eventuali pettegolezzi, ma decise che non gli importava più di tanto. Le belle parole del drago sull’amore lo avevano reso sfrontato. 
Fu quindi con sincero entusiasmo che, entrato nella camera da letto di Arthur, tirò le pesanti tende di broccato affinché la luce del sole inondasse la stanza e gli diede il buongiorno.

“E’ una splendida giornata, Sire” trillò.

Dal sontuoso letto a baldacchino provennero borbottii assonnati.

“Mmm-Merlin?” il biondo sbadigliò ostentando per benino le tonsille.

“In carne ed ossa. Come vi sentite stamattina?” domandò premuroso.

L’altro lo fissò a lungo, ormai completamente sveglio, in silenzio. Accertatosi dell’evidente buon umore del suo amato, nel rispondere si lasciò scappare un sospiro melodrammatico.

“Mi manco”.

“In che senso?”

“Senza di te mi cerco, ma non mi trovo”.

Lo sguardo penetrante, diretto e terribilmente supplice che gli rivolse a seguito di cotanta affermazione fece ribollire il sangue a Merlin e diede nuova forza al suo proposito. Vergognandosi solo un po’, avanzò fino alla sponda del letto, sedendovici sopra, e si buttò.

“La tua ricerca è finita, Arthur” mormorò guardandolo dritto negli occhi. “Io sono qui, insieme a te”.

L’espressione dell’erede al trono si tinse di genuino e subitaneo stupore.

“Merlin, sto forse sognando? Non mi stai prendendo in giro, vero?” la sua voce tremò un poco.

“Affatto. Per troppo tempo mi sono negato la possibilità di essere felice e di lasciarmi andare. Per troppo tempo mi sono ripetuto che non avrei mai avuto la fortuna di venire amato da te, e quando il destino me ne ha dato la possibilità io l’ho rifiutata, perché non ne ero degno, perché era come se ti avessi imposto di innamorarti di me –e in effetti è vero”.

Arthur fece per protestare, tuttavia Merlin non gli permise di interromperlo.

“Poi però un vecchio amico mi ha aperto gli occhi, dimostrandomi quanto sia vuota e sprecata la vita senza amore. E ha ragione, accipigna. In fondo non nuoccio o arreco offesa a nessuno amandoti, né commetto alcun crimine: e allora perché dovrei soffocare i sentimenti che nutro per te? Perché non dovrei godere dell’immensa ed inesplicabile gioia che deriva dal donare il proprio cuore ed il proprio corpo alla persona amata? Probabilmente non appena l’effetto del filtro si sarà esaurito tu non ricorderai nemmeno di esserti innamorato di me ed io tornerò ad essere il tuo servo maldestro e idiota. Pazienza: l’amore non offre garanzie di eternità. Soffrirò moltissimo, ma sarà stato meglio lasciarci che non esserci incontrati mai…” concluse poi con un gran sorriso.

Il rampollo dei Pendragon, ammutolito e col cuore traboccante di letizia e gaiezza, da bravo uomo d’armi e focoso di natura non trovò replica migliore che passare all’azione. Circondando gentilmente il volto di Merlin con entrambe le mani, lo attirò verso di sé per porre sulle sue labbra un lungo bacio. Si aspettava di incontrare un minimo di resistenza, ma ancora una volta il mago lo stupì, assecondandolo e anzi ficcandogli audacemente la lingua in gola. Fu come sventolare un drappo rosso davanti ad un toro scalpitante: Arthur, semplicemente, non ci vide più.

Riversò in quel bacio tutta la passione repressa, i bollenti spiriti sedati, la brama di possesso, il desiderio di marchiare e amare ripetutamente quel corpo spigoloso e l’euforia nel vedere i suoi sentimenti finalmente accettati e ricambiati. Quando mancò ad entrambi il fiato e dovettero staccarsi, il principe osservò incantato le labbra tumide ed invitanti, il respiro affannato, gli occhi lucidi di Merlin e sentì qualcosa nel basso ventre risvegliarsi.

“Cinquanta punti a Grifondoro” esalò visibilmente soddisfatto.

“Lieto di avervi colto di sorpresa, Sire” tubò l’altro con fare seducente.

La lascivia nel suo tono di voce ebbe l’effetto di destare del tutto Arthur junior. Guidato dagli ormoni, egli afferrò i polsi sottili di Merlin -suo, solo suo- e lo spinse all’indietro fino a farlo cadere di schiena sulle soffici coltri. Con un sorrisetto malizioso e predatore gli si mise a cavalcioni sui fianchi, in modo da sfregare casualmente il bacino contro quello dell’amato, che in risposta emise un gemito di apprezzamento, inarcando la schiena.

“A-Arthur, devi presentarti agli allenamenti. I tuoi cavalieri si preoccuperanno non vedendoti arrivare” provò a farlo ragionare.

“Francamente, mio caro, me ne infischio”.

Merlin scoppiò a ridere e liberò i polsi dalla stretta dell’altro per accoglierlo tra le sue braccia. Arthur ci si rifugiò con l’impeto del pellegrino che ha finalmente trovato la terra promessa.

 

 

Quel che nelle successive tre ore si consumò tra pregiate lenzuola di seta è facilmente intuibile. Siccome però il rating della storia oltre il giallo non si spinge, ci limiteremo a dire che il futuro re di Camelot Arthur Pendragon penetrò si avventurò in terre ricche e vergini mai esplorate fino ad allora ed espugnò con successo la fortezza delle ritrosie e dei pudori di Merlin Emrys, suo fedele servitore, amico e adesso anche amante.

Estremamente soddisfatto per l’eccellente esito dell’impresa, il nobile si spalmò addosso al moro, poggiando il capo sulle sue scapole ossute e prese a fare le fusa. Merlin decise che quello era il momento adatto per mettere al corrente l’Asino di una certa questione (si sa, dopo il coito gli uomini sono molto più rilassati e aperti al dialogo).

“Arthur” si schiarì la voce, esitante. “Devo rivelarti un segreto che ho serbato nel mio cuore troppo a lungo”.

L’altro mugugnò, ma sollevò comunque il viso e lo guardò, in attesa.

“Sono un mago, Arthur. Pratico la magia da quando ero un frugoletto di pochi mesi e ho continuato a farlo nei tre anni che ho trascorso qui a Camelot. Non me ne sono mai servito per scopi malvagi, te lo giuro. Ho agito sempre nell’interesse del regno, salvandoti la vita quando necessario, compiendo imprese eroiche e lasciando che qualcun altro se ne prendesse il merito. Mi dispiace di avertelo tenuto nascosto, ma ne andava della mia vita e ne va tutt’ora”.

Un lungo, interminabile attimo di silenzio.

“Idiota. Pensavi davvero che non l’avessi capito?”

A Merlin per poco non venne un infarto.

“IN NOME DEGLI ARISTOGATTI, COME SAREBBE A DIRE?” urlò a pieni polmoni, nel panico più totale e bianco come un cencio candeggiato.

Arthur si tastò le orecchie, verificando che entrambi i timpani fossero ancora integri.

“Non strillare, per carità, o penseranno che sto attentando alla tua virtù” ridacchiò allusivo.

“PERCHE’ NON DOVREI STRILLARE, SCUSA? HAI APPENA DETTO CHE SAI-” ma venne messo a tacere da una mano posatagli sulla bocca.

“Sst, accidenti! Sta’ calmo e piantala di comportarti come una checca isterica. A rigor di logica dovrei essere io, quello sconvolto”.

“Appunto! Perché non stai dando in escandescenze?” ribatté con un tono di voce accettabile.

“Come ti ho già detto in precedenza, sono innamorato, mica scemo. Mi ricordo benissimo di un certo anziano consigliere che ha spruzzato sul volto di mio padre e di Cenred un certo liquido sconosciuto che li ha resi inseparabili. Sul momento non mi sono soffermato sulla stranezza della cosa, ma poi a mente fredda ci ho riflettuto: i tuoi misteri, la mia memoria lacunosa e altre incongruenze unite al tuo coinvolgimento in questa faccenda... E ho fatto due più due. Elementare, Watson” spiegò.

“Oh” pigolò il moro. “Ed io che ti ritenevo un zuccone microcefalo”.

“Ti sbagliavi, caro il mio Mago di Oz. Sono pur sempre Arthur Pendragon, l’invincibile principe guerriero forgiato dal fuoco di mille battaglie-”

“Ehm, credo che ti stia confondendo con Xena” lo interruppe con un risolino.

“Ciò non toglie che io sia molto intelligente” precisò piccato. Poi sorrise dolcemente. “In fondo, sono riuscito ad accalappiare il miglior partito di Camelot: bellissimo, potente, coraggioso e molto sexy” ammiccò.

“Ma piantala” si schermì l’altro, zittendolo con un bacio.

Furono baci e furono sorrisi, poi furono soltanto fiordalisi.

 

 

Visto che ormai era in vena di confidenze, dopo un’altra appagante sessione di ginnastica orizzontale Merlin ragguagliò l’amato sugli eventi che li avevano portati a dividere il letto a ritrovarsi coinvolti nel bel mezzo di quel delirio collettivo e ad alto tasso di slash. Gli narrò del malefico piano di Morgause, di Kilgharrah, dell’intervento di Gaius e del piano per curare il cuore spezzato di Gwaine. Arthur -che dopo aver finalmente deflorato il suo mago si era molto ammorbidito nei confronti del loro amico- si offrì di aiutarlo a metterlo in pratica.

Merlin accettò, grato, e quando infine riuscirono a staccarsi le mani di dosso il tempo sufficiente per attuare quanto concordato si separarono: uno andò a recuperare Gwaine, l’altro Lancelot.

 

“Merlin, sei davvero gentile a preoccuparti per me, ma davvero, non devi sentirti obbligato” protestò Gwaine mentre veniva trascinato dal loro chissà dove.

“Oh, smettila di lagnarti. A furia di rimanere barricato nella tua stanza diventerai un eremita!”

Il luogo di ritrovo era davanti alle stalle, che a quell’ora (era ormai primo pomeriggio) erano opportunamente deserte. Ad attenderli stavano il principe e Lance, immersi in una dissertazione riguardante i pregi del Tiramisuper rispetto al Blumele; quando li videro avvicinarsi, la discussione scemò.

“Scusate il ritardo, ma qualcuno, Merlin lanciò un’occhiata di rimprovero all’accompagnatore, “si è fatto pregare. Allora, siamo pronti?”

“Per cosa?” domandò Lancelot, avanzando di un passo e piazzandosi, neanche a farlo apposta, davanti all’altrettanto ignaro Gwaine.

“Questo!” esclamarono all’unisono Arthur ed il mago.

Dall’interno delle rispettive casacche estrassero una boccetta con il tappo ad erogatore spray piena fino all’orlo. Si scambiarono uno sguardo d’intesa e, senza lasciare ai loro amici il tempo di realizzare quanto stava per accadere, brandirono i contenitori colmi del prezioso filtro (di cui Merlin, seguendo chissà quale istinto, non si era sbarazzato), li puntarono contro gli occhi dei due malcapitati e premettero il grilletto. Subito dopo si allontanarono dal loro campo visivo, onde evitare spiacevoli incidenti.

Davanti ai loro sguardi speranzosi, Gwaine e Lancelot protestarono per l’aggressione, si strofinarono le palpebre e si videro. Ah, l’eternità contenuta in una frazione di secondo…

“Lance, bocciolo di rosa fresca e aulentissima!”

“Gwainuccio mio, ben più raggiante e mite di un giorno d’estate!”

Erano partiti per la Tangente dell’Ammmòòòre. Arthur e Merlin si diedero il cinque.

“Siamo un duo imbattibile” osservò il primo.

“Lo siamo sempre stato” puntualizzò amabilmente il secondo.

 

Tutto è bene quel che finisce bene? Ahinoi, non è proprio così. Mentre i nostri eroi si compiacevano per la buona riuscita del loro piano e i neo piccioncini amoreggiavano discretamente (niente a che vedere con i pomiciamenti pornografici di Cenred e Uther), passò di lì Lady Morgana accompagnata dall’arpia da Gwen; erano dirette al mercato.
Di fronte a quell’inusuale spettacolo si bloccarono, interdette. La sorellastra del principe però si riprese ben presto dalla sorpresa e con un sorriso malandrino -nuova lemon a rating rosso in arrivo!- si diresse verso i baldi giovani, rivolgendo uno sguardo interrogativo al biondo.

“Un colpo di fulmine” ghignò egli, indicando con un cenno del capo la coppietta.

“Come quello tra te e Merlin, eh? Molto interessante” ghignò in risposta lei.

Tuttavia l’atmosfera di serena complicità venne presto guastata da Guinevere che, passato lo shock iniziale, si avventò come una belva assetata di sangue su Lancelot, i suoi lineamenti da bertuccia deformati dall’ira.

“TU, FIGLIO DI CAGNA, VILE FELLONE INDEGNO DI VIVERE! COME OSI TRADIRMI IN QUESTO MODO?” berciò perdendo le staffe.

“Ti tradirei se ti avessi mai amato, ma non è così. Quest’uomo”, disse sdegnoso Lance posandosi la mano destra di Gwaine sul cuore, “è il mio cucciolotto, la mia luce del mattino, la mia dolce metà e la mia Tachiprina Flashtab. Vola via, gallina starnazzante, non turbare un istante di più il mio idillio”.

“Ma- ma-” balbettò lei.

Si irrigidì, digrignando i denti e stingendo i pugni. Tremante di rabbia, si rivolse a Merlin e gli puntò l’indice contro.

“E’ TUTTA COLPA TUA! PRIMA ARTHUR, ADESSO LANCE. AMMETTILO, VUOI ROVINARMI, VUOI CHE RIMANGA ZITELLA A VITA! MA TE LO IMPEDIRO’, LURIDO SCARAFAGGIO, TE LA FARO’ PAGARE!” e vomitate queste accuse si diresse con furia verso di lui.

“Ehm, non preferiresti dei deliziosi cereali Cheerios?” propose conciliante il ragazzo.

Ma Arthur, che sapeva per esperienza che non c’è peggior furia al mondo di una donna respinta per ben due volte, si parò in difesa del suo amato.

“Smithers, libera i cani” ordinò imperiosamente.

La comparsa di una solitaria balla di fieno secco trasportata dal vento fu la sola reazione che ottenne: di Smithers neanche l’ombra. Poiché la pulzella non accennava a rallentare o a cambiare rotta, decise di giocarsi il tutto per tutto.

“State giù!” avvisò gli altri e appena Gwen si trovò ad un tiro di schioppo da lui le spruzzò l’Amortentia dritta in faccia.

Ella strepitò di irritazione -non per niente era una gallina starnazzante- e d’istinto diede le spalle ad Arthur. Merlin, Lancelot e Gwaine avevano prontamente eseguito le istruzioni dell’erede al trono e si erano buttati a terra. Morgana, concentrata su quel putiferio, era rimasta immobile al suo posto, come congelata. E fu su di lei che si posò lo sguardo della sua ancella, una volta che gli occhi ebbero smesso di bruciarle.

“Morgana, stella del mattino” bisbigliò rapita.

“Oh no. No no no no no no no!” si allarmò giustamente la nobildonna.

“Mia ninfa, mia dea, visione celestiale” blaterò imperterrita l’altra.

“Gwen, accidentaccio, ripigliati! Non guardarmi con quell’espressione da pesce lesso!”

Ma la serva le si avvicinava, sempre più celermente, con crescente risolutezza; a Morgana non restò che darsela a gambe, gettando alle ortiche la sua consueta alterigia.

“Mio fulgido amore, dove scappi?” la implorò Gwen inseguendola.

“Non mi avrai, razza di mentecatta. Non mi avrai maiiiiiiiiiiiiii!” urlò la fanciulla già lontana, la sua figura ormai ridottasi ad un puntino scuro e in controluce.

 

 

 

Uoff (verso incomprensibile che denota stanchezza e sollievo al tempo stesso).

Ora che ci penso, è tutto un dialogo questo capitolo. Che ve ne pare, ho esagerato?

Questo http://www.youtube.com/watch?v=Pmw0g9SBpMU è un video Brolin -cioè sulla coppia degli attori che interpretano Merlin e Arthur, rispettivamente Colin Morgan e Bradley James (piccola precisazione per chi non segue la serie tv). Io li shippo da morire, e voi?

Aspetto con trepidazione i vostri commenti.

Auf Wiedersehen!

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Love is in the air ***


DEDICA: A feyilin perché lei vale, a BeaLovesOscarinobello che ha debuttato come autrice su EFP, a valentinamiky perché mi ha suggerito di far comparire Mordred e a tutte voi, mie fedeli lettrici, che non vi siete ancora stufate di seguire, commentare e preferire questo delirio.

NOTE: Innanzitutto scusate il ritardo ma il blocco dello scrittore ha colpito ancora. Ehm. Spero di essere riuscita a debellarlo definitivamente.
Veniamo alla citazione misteriosa che nessuna di voi ha indovinato: avete presente l’appassionato discorso di Kilgharrah sull’amore? Bene, è tratto (quasi) parola per parola dal film Vi presento Joe Black, con l’immenso Anthony Hopkins e Brad Pitt. *si dà arie da cinefila*
Comunicazione di servizio di una certa importanza: A midsummer night’s dream… in Camelot sta volgendo al termine ed il prossimo capitolo sarà l’ultimo. Ma non preoccupatevi (schiva i pomodori), ho intenzione di scrivere un seguito! Ho già in mente un titolo provvisorio, sempre di ispirazione shakespeariana. Datemi il tempo di abbozzare anche la trama e tornerò presto su questi schermi ad ammorbarvi con i miei deliri.

Per il momento, vi auguro buona lettura. Ci si becca, come sempre, all’angulus a fine capitolo!

 

 

 

 

 

Negli anni a venire, tutti i camelottiani avrebbero ricordato quei due mesi -perché tanto durò l’epidemia amorosa- come il periodo più sconclusionato, delirante e felice dacché Uther Pendragon era stato incoronato re. Mai si erano respirate tanta libertà, gioia di vivere e promiscuità nella cittadella fortificata come nei giorni che seguirono quello il cui svolgimento vi abbiamo narrato nel precedente capitolo.

Ma è bene fare un piccolo salto indietro, onde ragguagliare voi esimi lettori su quanto avvenne dopo la poco dignitosa fuga di Lady Morgana in direzione del Fantabosco.

Arthur, preoccupato sì per la sua incolumità ma non volendo lasciarsi scappare l’occasione di vedere la sorellastra alla prese con l’arpia  Gwen in modo da poterla prendere in giro nei decenni a venire, si premurò di immobilizzare la bella serva e ordinò al fido Sir Lancelot di lanciarsi all’inseguimento di Morgana e di riportarla sana e salva al castello (marcondirondirondello). C’è da dire che la nobildonna diede del filo da torcere al cavaliere, rivelando inaspettate doti da velocista. Tuttavia l’uomo, sebbene più massiccio ed impacciato nei movimenti dalla pesante cotta di maglia, era secondo solo all’erede al trono per resistenza fisica e destrezza, sicché nel giro di tre clessidre riuscì ad acchiapparla e fece ritorno, caricandosela sulle spalle a mo’ di sacco di patate, a palazzo.

Nel frattempo, per evitare che Guinevere scassasse la balle ai presenti con i suoi sospirosi e dolenti richiami d’amore, Arthur la affidò al fratello, Sir Elyan, affinché la riportasse a casa loro, raccomandandogli inoltre di farle indossare una camicia di forza e di raffreddarne i bollori con ripetute secchiate d’acqua gelida. Il ragazzo aggrottò la fronte, un poco scettico di fronte alla drasticità dei rimedi suggeritigli. Tuttavia egli nutriva una fiducia sconfinata nel suo signore e promise di seguirne le istruzioni.
Rimasti fino a quel momento estraniati dal mondo circostante, Lancelot e Gwaine si ridestarono dall’avvolgente e roseo torpore che li aveva risucchiati e avviluppati e si voltarono in direzione di Merlin e Arthur, sghignazzanti come non mai.

“Camicia di forza e acqua gelida, eh? Non ti credevo così sadico, Arthur”.

“Se non altro la terrà lontana dalla mia amata sorella per un po’ di tempo” tentò di giustificarsi.

“Non hai tutti i torti. Fossero venuti in mente anche a me, forse avrei usato gli stessi metodi per tenerti a bada” replicò il mago semiserio.

“Non ne avresti avuto il coraggio, idiota!”

“Asino”.

“Merlin” l’altro s’incupì improvvisamente.

“Che c’è, metti il broncio? Guarda che hai cominciato tu” fece per protestare, ma Arthur lo interruppe posandogli due dita sulle labbra

“Merlin, promettimi una cosa. A prescindere da come andrà a finire questa faccenda -mio padre e Cenred, Morgause che trama nell’ombra- promettimi che nulla cambierà tra di noi. Promettimi che non userai su di me alcun antidoto, che continuerò ad essere irrimediabilmente, follemente e pateticamente innamorato di te”.

“Arthur, io-” sussurrò Merlin, arrossendo di fronte a tanta solenne determinazione.

“Giuramelo, tortellino” insistette il principe, incorniciando con le mani il volto dell’amante e accostandolo al suo fino a far combaciare le loro fronti.

“Va bene” esalò il mago dopo una breve esitazione. “Hai la mia parola, Asino”.

Arthur inarcò un sopracciglio, divertito dalla sua sfacciataggine, e suggellò l’accordo con un bacio. Concentrato sulla lingua impertinente e la bocca dannatamente morbida dell’altro, non si accorse che Merlin aveva incrociato le dita dietro la schiena.

 

 

Sir Aragorn, orafo tanto esperto quanto sposato col suo lavoro, la mattina seguente si svegliò inspiegabilmente in ritardo rispetto alla sua tabella di marcia, quando ormai la luce del sole era entrata prepotentemente nella sua umile e spartana camera da letto, illuminandola tutta.
Un poco intontito, sbadigliò con gusto, si passò una mano nella chioma lunga fino alle spalle e si sistemò il pacco (che macho!). Poi, apprestatosi ad usare la brocca dell’acqua per darsi una rinfrescatina -perché va bene che era un vero uomo, ma era pur sempre un orafo di tutto rispetto e con una clientela selezionata che non poteva permettersi di ammorbare con l’olezzo di ascelle non lavate- lo assalì il ricordo dello strano, stranissimo sogno che gli aveva disturbato non poco il sonno.

Nottetempo due giovani uomini, vestiti con sontuosi mantelli nobiliari, si erano intrufolati nella sua stanza con fare cauto e circospetto. Si erano poi avvicinati al letto dove lui ronfava beato e il più alto dei due aveva impugnato una graziosa boccetta dotata di erogatore spray e gli aveva versato sugli occhi alcune gocce del liquido in essa contenuto.

“Sei sicuro che non si sveglierà?” aveva mormorato il secondo misterioso incappucciato.

“Fidati, questa formula è decisamente meno urticante di quella originale: è pensata appositamente per gli occhi sensibili” l’aveva rassicurato il compagno, gli occhi illuminati (possibile?) da un bagliore dorato.

“Sei un mago pieno di risorse” era stata la risposta colma di ammirazione dell’altro. “Ma se si dovesse comunque svegliare?” aveva però insistito.

“Non cambierebbe nulla” aveva alzato le spalle. “Penserebbe di star sognando. Domani mattina, appena alzato, una sensazione di benessere lo pervaderà completamente e allora sì che il filtro avrà effetto”.

Doveva dare ragione al ragazzo, constatò Aragorn sentendosi alquanto in pace con se stesso, come non gli succedeva da tempo. La sua vita solitaria e monotona gli appariva di colpo meno solitaria e monotona, il sole splendeva alto nel cielo e gli uccellini cinguettavano: senza dubbio quella giornata era cominciata con il piede giusto.
Si era appena sciacquato il viso, intonando qualche strofa di Walking on Sunshine, quando fece irruzione nella camera il suo apprendista e assistente nonché coinquilino, Legolas. Nei quasi cinque anni trascorsi a stretto contatto i due uomini erano diventati amici. Dal giorno in cui l’orafo aveva offerto al biondo -data la sua indigenza- vitto e alloggio gratis, il loro rapporto da cameratesco si era fatto più intimo e profondo… però da qui a considerare il suo assistente molto carino, anzi adorabile, ce ne correva. Eppure, non appena i loro sguardi si incrociarono, Aragorn non poté esimersi dal notare come i lunghi capelli del giovanotto brillassero simili a tanti fili d’oro sotto la luce del sole e come i suoi occhi blu fossero contornati da un delicato pizzo di ciglia scurissime. Infine ne ammirò la carnagione, di un pallore traslucido, e la figura sottile come un giunco.

“Aragorn?” balbettò quegli con sincero rapimento.

“Legolas” la sua voce tremò impercettibilmente.

“Aragorn, io- mi sento strano, non so come spiegarlo. Ti vedo e mi viene l’impulso di sbatterti contro la prima superficie orizzontale disponibile! In nome dei Pokémon, non so nemmeno perché ti sto dicendo tutto questo, perdonami” smozzicò Legolas arrossendo vergognoso, ma senza abbassare lo sguardo.

L’uomo sentì il sangue defluirgli verso una certa zona.

“C’è il mio letto, se ti accontenti” propose audace. “So benissimo cosa provi, Legolas. Non ti ho filato di pezza in cinque lunghi anni, ma improvvisamente sento crescere nel mio cuore un sentimento d’ammmòòòre sconfinato per te”.

“Io invece ho sempre pensato che fossi un gran figo”.

“E allora cosa aspetti? Prendimi, mio aitante stallone!” Aragorn si offrì a lui.

Il ragazzo non si fece pregare e si gettò sull’amico con la foga di un bisonte in calore. Dopo alcuni slinguamenti capaci di imbarazzare persino l’autore del Kamasutra, i due finirono sull’angusto letto dell’orafo, avvinghiati, ansimanti e desiderosi di venire al sodo.

“Poi però sto io sopra” borbottò Aragorn tra sé e sé.

“Te l’hanno mai detto che assomigli un sacco a Viggo Mortensen?” interloquì l’altro con lo sguardo appannato dalla lussuria.

Non ricevette risposta.

 

 

Glissando elegantemente sulle maialate che i neo innamorati combinarono in seguito, dobbiamo precisare che essi non furono i soli, quel dì, a subire gli effetti dell’Amortentia. I due Cupidi, gli esimi lettori lo avranno intuito, non erano altri che Merlin ed Arthur. Sotto incantamento o rincitrullimento amoroso che dir si voglia, si erano messi in testa che non era giusto che il resto del mondo -cioè Camelot- non condividesse con loro le gioie che solo l’ammmòòòre sa donare. Così, avendoci ormai preso mano e gusto con i precedenti esperimenti, Merlin si era incaricato di distillare un altro paio di ettolitri di pozione e la notte stessa avevano messo a segno il loro primo colpo, introducendosi nella dimora dell’orafo. Protetti dal buio benevolo, avevano agito indisturbati, riuscendo in tal modo a gayzzare tutta la parte bassa della città.
I risultati, sin dal primo giorno di contagio, furono piuttosto soddisfacenti: gente che si imboscava a frotte e ad ammucchiate, fughe d’amore omo e ménage à trois (con un pizzico di bisex tanto per gradire), baci e palpeggiamenti lesbo. Solo i bambini furono risparmiati, giacché i nostri due eroi erano convinti che si dovessero mantenere innocenti il più a lungo possibile. Comunque sia, nel giro di tre notti l’intera popolazione adulta camelottiana era innegabilmente ed inequivocabilmente gaia.

E a palazzo?, vi starete chiedendo voi. Domanda legittima, esimi lettori.

In verità, all’interno del castello (marcondirondirondello) la premiata ditta Merlin & Arthur dovette faticare ben poco. Metà dei cortigiani e dei nobili era più gay dei Village People, a Gaius bastava la Pozione Polisucco per essere felice, Gwen e Morgana erano sistemate, Gwaine e Lancelot tubavano come colombe. Non ebbero che da far scoccare la scintilla tra Sir Percival e Sir Leon (entrambi biondi, alti e teutonici: una coppia perfetta). Quanto a Morgause, sempre sotto mentite spoglie, non trovando una punizione adeguata da infliggerle, preferirono lasciarla macerare nella stizza e nell’impotenza.

 

 

Si era ormai alle Idi di aprile, a primavera inoltrata, quando una forza esterna ebbe l’ardire di turbare la quiete ormai instauratasi a Camelot.

Merlin si trovava nel cuore del Fantabosco, intento nella raccolta di fiori rari e profumati per ricavarne un bouquet da regalare al suo principe (festeggiavano quel giorno il loro primo mesiversario) e ripensava alla nottata appena trascorsa. Sospirò soddisfatto: Arthur continuava a comportarsi da somaro possessivo e appiccicoso, ma sapeva ampiamente farsi perdonare, dentro e fuori dal letto –più dentro, in effetti. Lo ricopriva di attenzioni e premure, aveva fatto allestire accanto ai suoi appartamenti una principesca camera da letto e gliel’aveva offerta come pegno d’amore. L’aveva sollevato vita natural durante dall’incarico di suo servitore, assicurandosi che ricevesse un salario come assistente del medico di corte. Infine aveva convocato a palazzo i due più illustri sarti del regno, Dolce e Gabbana, affinché il mago potesse vantare un guardaroba degno di un futuro membro della famiglia reale. Il Regal Asino, infatti, sembrava non desistere all’idea di convolare a giuste nozze con il suo uomo.

Merlin stava per l’appunto crogiolandosi in simili fantasie quando venne aggredito da un lancinante mal di testa. Mugugnando per l’improvvisa fitta si portò una mano alla tempia sinistra, massaggiandola delicatamente.

“Emrys” lo chiamò una voce rarefatta, lontana ma in qualche modo familiare.

“Chi sei?” chiese allarmato lui.

“Così mi deludi, Emrys. Non dirmi che ti sei già dimenticato di me” la voce assunse una sfumatura infantile, gelidamente beffarda.

“Mordred?” tirò a indovinare.

“Voltati” rispose l’altro.

Merlin obbedì; ed eccolo lì, in carne ed ossa. Stessi penetranti occhi blu, stesse occhiaie da tossico, stesso pallore spettrale. E lo stesso mantello color azzurro polvere.

“Mordred, sei proprio tu? Che diamine ci fai tu qui?” era semplicemente costernato.

“Mi sono Smaterializzato da Hogwarts” ridacchiò lugubremente il bambino.

“Hog- cosa? Non dovresti vivere presso i Druidi, scusa?”

“Questo non ha importanza” si limitò a scrollare le spalle l’altro. “Sono stato spedito qui per darti un avvertimento” disse poi.

“Che genere di avvertimento?” investigò il mago con inquietudine sempre maggiore.

“Tutto questo delirio deve finire, Emrys. Hai tempo fino a Beltane per porvi rimedio, poi non avrai più scuse”.

 

 

 

Oook gente, il mio dovere l’ho fatto. Non esitate a segnalarmi errori di battitura e punti deboli (ho scritto ‘sta roba nel giro di qualche ora, non pretendo di aver sfornato un capolavoro).

Angolino auto-spam. Nel caso vi interessasse, mi sono cimentata con una one-shot angst -beh, la mia concezione di angst- sempre su Merlin. Questo è l’indirizzo, se vi va fateci un salto e datemi il vostro parere: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=843231&i=1.

Che altro dire? A risentirci al prossimo, decisivo capitolo!

 

 



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Capitolo 10
*** Kiss the rain ***


DEDICA: A Cloud, gemellaH & omonimaH, a BeaLovesOscarinobello che mi ha dato l’idea dello spiedo, a xMoonyx e valentinamiky perché ho trovato in loro due adorabili compagne di delirio, a feyilin e a Virginia (la mia mamma putativa). Che mondo sarebbe senza di voi?

NOTE: Non ci posso credere. Solo cinque capitoli fa la fine sembrava così lontana, e invece eccoci qui. La mia prima longfiction è terminata, ma non temete, non vi lascerò in pace tanto presto: come promesso, è in preparazione il seguito! Si intitolerà As you like it e comincerò a scrivere  il primo capitolo in questi giorni.

Ci vediamo all’angulus per i saluti finali. Vi lascio all’epilogo, sperando che sia all’altezza delle vostre aspettative. *panico-panico-panico*

Buona lettura!

 

 

 

 

 

“Beltane?” domandò stranito Merlin.

“Hai capito bene, Emrys: Beltane, ovvero sia il primo giorno di maggio” sillabò in risposta Mordred, neanche si stesse rivolgendo ad una persona lenta di comprendonio.

“Ma perché proprio Beltane? Perché non le Calende, per esempio?”

“Perché è un giorno astronomicamente propizio e ci sarà la luna piena: lo scenario ideale per permetterti di rimediare al pasticcio da te combinato, non trovi? E poi fa più figo delle Calende” pronunciò solennemente l’altro.

“Non hai tutti i torti, in effetti” concordò Merlin, che per l’inquietante bambino aveva una predilezione. “Però non mi è chiara una cosa: perché devo porre fine all’epidemia amorosa? Che fastidio dà? Nessuno è stato mai tanto felice, qui a Camelot. Lo definirei un miracolo, se non sapessi che si tratta di magia e se fossi cristiano”.

“Gli incantesimi -o i miracoli, come più ti aggrada- non sono destinati a durare in eterno, in quanto vanno a stravolgere una situazione di primigenia stabilità e quiete. Quella fornita da Kilgharrah doveva essere una soluzione temporanea, un escamotage per affrontare l’emergenza, e come tale l’avresti dovuta considerare. Invece, decidendo di utilizzare l’Amortentia per trasformare Camelot in un gigantesco Gay Pride, ti sei macchiato di hýbris e pertanto devi fare ammenda. Così parlò Zarathustra” concluse il monologo con un’espressione vacua da profeta ispirato.

“Chi ti manda?” indagò l’altro un poco dubbioso.

“Lui” fu la replica lapidaria del ragazzino.

“Lui? Lui chi, di grazia?”

“Lui, Emrys. Lui. Il solo ed unico” e dicendo questo indicò il cielo soprastante.

“Ma lui chi, accipigna? San Gennaro, il Mago Silvan, Zeus egioco? Esplicati!” sbottò Merlin.

“Sette lettere, inizia con la G e finisce con la f”.

Alcuni attimi di silenzio.

“Gandalf?” azzardò il mago, esitando.

“Cinquanta punti a Serpeverde” ghignò compiaciuto il baby Psycho.

“Momento momento momento, che c’entra questo Serpecosa?” interloquì Merlin basito.

“Non ho tempo da perdere in simili quisquilie, Emrys. Leggi Harry Potter e fatti una cultura, che diamine! Adesso scusami, devo pronunciare la formula di Smaterializzazione” e chiuse gli occhi.

“Ma-” provò a fermarlo il nostro eroe.

Rosă rosae, rosae rosārum, rosae rosīs, rosăm rosās, rosă rosae, rosā rosīs” recitò Mordred concentratissimo, per poi svanire in una nuvola di fumo con tanto di ‘puff!’ scenografico.

“Da quando in qua si utilizza la prima declinazione latina per Smaterializzarsi? Seriamente, ma che si è fumata l’autrice?” si indignò giustamente Merlin.

Non c’era più religione, accipigna!

 

Già che si trovava lì, pensò bene di indire una riunione straordinaria con Kilgharrah e nel giro di cinque clessidre il drago rispose al suo SOS, atterrando su uno spiazzo erboso situato nel cuore del Fantabosco.

“Ci rivediamo, giovane mago. Sbaglio o ti sono cresciute le orecchie?” lo salutò con il solito brio.

“Kilgharrah, la nostra sarebbe una storia impossibile, quindi non lusingarmi oltre con i tuoi complimenti, ti prego” gli rispose a tono.

“Deve esserci un motivo serio se ti sei azzardato a convocarmi in pieno giorno” il drago si fece serio di colpo. “Mettimi al corrente, giovane mago”.

Merlin lo accontentò. L’espressione della creatura era piuttosto impensierita, quando infine si decise a parlare.

“Purtroppo, e il mio animo slasher ne soffre immensamente, Mordred ti ha detto la verità. Hai abusato del tuo potere, giovane mago, e come recita l’adagio popolare chi rompe paga ed i cocci sono suoi”.

“Vabbuò, questo l’ho capito. Solo che non mi è chiaro in che modo”.

“Indirettamente è colpa mia se ti sei messo nei guai, quindi conta pure sul mio aiuto. Ti darò la formula dell’antidoto dell’Amortentia, così potrai riparare ai tuoi errori”.

“Ciò significa che dovrò passare altre notti in bianco ad introdurmi nelle case altrui? Ci impiegherò dei secoli, visto che per ovvi motivi non potrò fare affidamento sulla collaborazione di Arthur” si scoraggiò un poco il mago.

“Senza contare che la preparazione stessa dell’antidoto richiede diversi giorni” gli diede manforte l’altro.

“Dici sul serio?” si allarmò Merlin.

“Tieni conto che devi rintracciare tutti e sette gli Horcrux in cui Lord Voldemort ha diviso la sua anima, frullarli insieme ad uno dei due capelli rimasti in testa ad Homer Simpson e diluire il tutto con essenza di assafetida e mandragola; mettere il composto ottenuto in frigo per almeno due ore e infine servirlo shakerato, non mescolato” spiegò.

“Corbezzoli! E’ praticamente impossibile” si disperò definitivamente il ragazzo infilandosi le mani nei capelli.

Si sentiva impotente come una balena arenata. Non era da lui darsi per vinto in partenza, ma lo scarso preavviso, la pressione dai Piani Alti e la complicata distillazione lo mandavano non poco in crisi. Diviso tra i propri sentimenti per Arthur e il suo orgoglio di mago e uomo d’onore, che gli imponevano di porre rimedio al gran casino che aveva combinato -lasciandosi guidare dall’egoismo e dalle belle parole del principe- gli ci volle un poco per trovare la risposta a tutti i suoi dubbi.
Il futuro di Camelot e della non ancora nata Albion era nelle sue mani. Il suo destino era di proteggere l’una e di co-fondare l’altra. Per questo scopo egli era venuto al mondo, per questa sola ragione la sua vita era legata col doppio filo a quella di Arthur. Tutto il resto, le loro folli notti d’amore, i battibecchi da coppia sposata, le piccole premure, la soddisfazione di vedere quella megera di Gwen umiliata e respinta come meritava... Tutto il resto non contava.
Ignorando il proprio cuore straziato e rattoppato e sacrificando la propria felicità sull’altare della correttezza e dell’inesorabilità del Fato, Merlin cancellò con un doloroso colpo di spugna i due mesi appena trascorsi dalla sua mente.

“E sia, Kilgharrah. Se questo è l’unico modo, farò quanto è in mio potere affinché l’ordine naturale delle cose venga ristabilito. Per il bene di Camelot” parlò con voce grave e gli occhi scintillanti d’oro.

“Avrei anche un’idea su come somministrare l’antidoto all’intera popolazione senza troppe complicazioni, Emrys” propose il drago inchinandosi di fronte a tanto altruismo e senso di responsabilità.

“Sono tutt’orecchi, amico mio” riuscì a sdrammatizzare il mago, indicando i grandi padiglioni auricolari che si ritrovava attaccati al cranio. Aveva preso la decisione giusta. Distese le labbra in un sorriso sereno.

 

 

Le due settimane che seguirono furono appena sufficienti al nostro eroe e al suo prezioso alleato per reperire gli ingredienti necessari alla preparazione dell’antidoto. Merlin non mise al corrente nessuno delle sue intenzioni e giustificò le sue continue sparizioni, protrattesi spesso fino a notte inoltrata, imputandole alternativamente all’Asino (se a chiedergliene conto erano Gaius o uno dei suoi amici) o al medico di corte (se era Arthur a lamentarsi). Il principe, dal canto suo, notò sì un affievolimento nell’entusiasmo di Merlin ma non con la dovuta preoccupazione, poiché anch’egli aveva qualcosa che bolliva in pentola. Non si era dimenticato della promessa di impalmare l’amato sicché, quando non era con lui piacevolmente indaffarato e riusciva a ritagliarsi un po’ di tempo dagli oneri e obblighi di vice sovrano, era impegnato nell’organizzazione delle nozze. Voleva che fosse una sorpresa, e avrebbe atteso l’avvento di Beltane per chiedere la mano di Merlin. Simile ad una laboriosa formichina, l’erede al trono sceglieva gli addobbi e si consultava con gli addetti del catering riguardo ai cinque tipi di antipasti da servire, ignaro di ciò che il mago tramava alle sue spalle e che presto il loro piccolo idillio rosato sarebbe finito.

 

 

Il giorno di Beltane arrivò, come era inevitabile.

Originariamente fatta coincidere con l’inizio del mese di maggio dai Druidi, collocandola così a metà tra l’equinozio di primavera e il solstizio d’estate, da diversi decenni era stata spogliata della sua sacralità e meramente considerata un’occasione per cedere ai piaceri della carne e alle lusinghe dell’alcol.
Le donne, fossero esse rispettabilmente maritate, ancora pulzelle o vecchie e decrepite, nel fiore degli anni o madri di una nidiata di pargoli, meretrici o inconsolabili vedove, prestavano particolare cura al proprio aspetto. Indossavano ghirlande di fiori a mo’ di collane e di coroncine con cui cingere il capo, i capelli venivano lasciati sciolti sulle spalle e arricciati in morbidi boccoli. Osavano un velo di belletto su labbra e guance e polvere di antimonio sulle palpebre, e le scollature degli abiti da profonde divenivano vertiginose, da audaci a (quasi) oltre il limite della decenza.
Ai bambini veniva fatto dono di un dolciume o di un balocco tanto a lungo agognato ed ottenevano il permesso di stare alzati fino a tardi per assistere all’accensione dell’enorme falò che segnava il culmine della festa e anche il suo termine. Gli uomini approfittavano dell’atmosfera rilassata ed euforica per darsi alla pazza gioia, correre dietro alle gonnelle, passare una bella serata all’aperto in compagnia della famiglia o partecipare ad una delle tante risse, inevitabili visti i fiumi di birra e di sambuca che scorrevano.

Quell’anno non presentò eccezioni, a parte il fatto che non si trovava una coppia eterosessuale nemmeno a imprecare in sanscrito con inflessioni greco-ioniche. Uther e Cenred, con le mani teneramente intrecciate (e anche le lingue, ad essere sinceri) osservavano benevolmente il popolo in festa. Albus e Gellert si erano infrattati dietro un cespuglio a limonare, non prima di aver regalato a destra e a manca qualcuna delle loro spillette arcobaleno. Leon e Percival avevano dichiarato di voler cogliere funghi ed erano spariti tra i frondosi alberi del Fantabosco. Gaius, grazie alla fedele Polisucco, aveva assunto le sembianze di un’attraente bellezza bruna e puntato con un certo piglio aggressivo niente di meno che il platinato luogotenente di re Cenred (ovvero Morgause sotto altrettanto mentite spoglie), ricevendo in cambio sguardi a metà tra l’allucinato e il vagamente schifato.

Questo fu il panorama che si presentò davanti agli occhi di Arthur e Merlin quando giunsero alla già nota radura nei pressi del castello (marcondirondirondello), dove da tempi immemori si svolgeva la festa e dove, come concordato con il drago, tutto sarebbe finito. A quel pensiero il mago sentì una fitta al costato, ma la ignorò coraggiosamente, afferrando la mano che il compagno gli tendeva. Abbozzò un sorriso che voleva essere complice e che invece l’altro percepì come forzato e sofferente.

“Merlin, cosa ti turba?” chiese Arthur con l’impulsività e la schiettezza che gli erano proprie.

“E’ solo un po’ di tristezza momentanea, stai tranquillo. Entro domattina mi sarà passata” Merlin optò per una mezza verità.

“Quante volte dovrò ripetere il concetto affinché ti entri definitivamente in quella tua adorabile zucca vuota, eh?” ironizzò alzando gli occhi al cielo. “Sono innamorato, non deficiente. Credi che non mi sia accorto che nelle ultime settimane ti sei progressivamente avvilito, avvizzito, infiacchito? Non mi ami più, forse?” proseguì poi con ardore, stringendo più forte la sua mano e posandosela sul petto.

“No, Arthur. Siamo le due facce della stessa moneta e pertanto non posso fare a meno di amarti, adesso come tra settant’anni. Non dubitarne mai” mormorò dolorosamente sincero.

La reazione dell’Asino fu tanto adorabile quanto inaspettata: avvampò.

“Ah, bene. Cioè, ecco, non- non me l’avevi mai detto” balbettò, deliziosamente impacciato. “Merlin, devo parlarti. In realtà avevo intenzione di attendere l’accensione del falò, ma mi hai appena giurato amore eterno, e insomma-” il suo appassionato farfugliamento venne interrotto da un bacio a fior di labbra, delicato e sfuggente come ali di farfalla.

“Sst, mio principe, taci. Mi dirai ciò che devi dirmi alla fine della serata” lo blandì l’altro. “Diamoci una mossa, tuo padre ci starà aspettando”.

Non si sbagliava. Non appena i due amanti fecero la loro comparsa nel bel mezzo della folla festante Uther scambiò un cenno d’intesa con il direttore dell’orchestra di Sanremo -ingaggiata per l’occasione- e dopo qualche colpo di bacchetta il complesso attaccò con la melodia dell’intramontabile hit Finché la barca va.

Gran parte delle persone si lanciò nelle danze. Merlin riuscì a scorgere Lancelot e Gwaine che improvvisavano un tango, ma i nostri eroi non impazzivano per le canzonette italiane degli anni ’70 (e come biasimarli?), per cui si astennero.

“Arthur, Merlin! Venite a vedere!” li chiamò la voce, vibrante di malcelata e sadica soddisfazione, di Lady Morgana.

I due baldi giovani si voltarono nella direzione da cui proveniva il soave gorgheggio della fanciulla e ciò che videro li sconvolse e li divertì oltre ogni previsione. In un angolo un poco appartato, non lontano dal chiosco delle bibite, la nobildonna ed Elyan avevano acceso un fuoco di modeste dimensioni, sopra cui il ragazzo girava ininterrottamente uno spiedo. Peccato però che legata alla sbarra di metallo non ci fosse della succulenta cacciagione, bensì Gwen che, contro ogni legge della fisica, invece di urlare terrorizzata rideva e pure di gusto.

“Morgana, ti prego, dimmi che non hai intenzione di arrostirla viva” scoppiò a ridere Merlin. “Capisco che è una trota di dimensioni bibliche, intelligente quanto una cimice e meno avvenente di una bertuccia, ma è pur sempre la tua fedele ancella” disse senza neanche un grammo di convinzione nella voce.

La fanciulla, nel rassicurarlo, strizzò l’occhio ad Arthur con aria complice.

“Non preoccuparti, futuro cognato, ho incantato il fuoco. Non intendo ammazzarla benché, detto inter nos, da quando l’avete fatta accidentalmente innamorare di me la tentazione mi è venuta più di una volta. Voglio solo divertirmi un po’ alle spalle sue e di quell’ingenuotto di Elyan. A proposito, fratellone, hai avuto davvero un’ottima idea a suggerire di legarla allo spiedo come terapia d’urto contro il mal d’amore” cinguettò.

“Di niente, sorellina. E’ divertente inventare nuovi modi per torturare l’arpia” sogghignò in risposta lui. Sentendosi osservato con insistenza, si voltò alla sua sinistra e incontrò l’espressione a dir poco incredula dell’amato. “Beh, perché quella faccia?”

“Non hai fatto una piega quando Morgana ha detto di aver incantato il fuoco”.

“Perché avrei dovuto? Te l’ho detto, trottolino mio: sono innamorato, non scemo” e inarcò un sopracciglio con enfasi.

 

 

I festeggiamenti si inoltrarono fino a notte fonda. Al segnale convenuto una ventina di fuochisti, con altrettante fiaccole in mano, si avvicinarono alla mastodontica catasta di legno posta al centro della radura e le diedero fuoco. Le fiamme serpeggiarono verso l’alto, lambendo ceppo dopo  ceppo, e quando anche l’ultimo ramoscello ebbe cominciato ad ardere la folla esplose in un gioioso boato. Beltane era giunta al termine e la luna svettava alta nel cielo, perfettamente tonda e splendente di un pallore argenteo.

Fu in quel momento, circondato da gente urlante, applausi e fischi di ammirazione, che Merlin attivò la connessione bluetooth e si mise in contatto con Kilgharrah.

“Adesso” gli comunicò telepaticamente.

“Prepara l’ombrello, giovane mago” ridacchiò il lucertolone.

Ebbe appena il tempo di pensare “Addio, Arthur” che immediatamente dopo la cacofonia di grida venne sovrastata da un fragoroso flap-flap. Sbigottiti, i camelottiani alzarono gli occhi al cielo cercando di identificare la fonte di quel rumore e vennero investiti da una scrosciante ed improvvisa pioggia. La nuvola anomala altri non era che il millenario, imponente, maestoso e slasher fin nel midollo Kilgharrah. Dalle sue fauci, invece di sgorgare fuoco, pioveva acqua (che acqua non era) a secchiate; innumerevoli goccioline andarono a posarsi leggiadre su vesti, capelli, bocche spalancate per lo stupore e soprattutto occhi. Una volta accertatosi che ogni singolo partecipante alla festa avesse ricevuto la sua dose di antidoto, il drago disattivò la funzione ‘maxi innaffiatoio’ e atterrò placidamente ai margini della radura -facendo bene attenzione a non schiacciare nessuno- e ripiegò le ali.

I risultati non si fecero attendere. Uomini che fino a pochi attimi prima si abbracciavano affettuosamente si affrettarono a staccarsi le mani di dosso e si rivolsero sguardi che andavano dal vacuo, passando per il perplesso con brio, al disgustato andante. Le donne si limitarono a mettere quanta più distanza possibile l’una dall’altra e a fissarsi le punte delle scarpe, rosse in viso come ciliegie mature. Gwen, riuscita finalmente a liberarsi, fissò Lady Morgana con odio misto a ribrezzo e si lanciò alla ricerca del suo Lance.

Eppure qualcosa doveva essere andato storto, realizzò Merlin, perché persino in quel marasma fu in grado di notare che alcune coppie non si erano sciolte: l’orafo Aragorn e l’apprendista Legolas, Leon e Percival, Gwaine e Lancelot (con Gwen che tirava quest’ultimo per un braccio, piagnucolando), Uther e Cenred. Ognuno di loro, benché alquanto spaesato, era rimasto appiccicato al proprio compagno e non sembrava intenzionato a mollare la presa.

In nome di tutti gli Stregatti, come era possibile?

“Merlin” una voce a lui ben nota lo riscosse dallo stato di confusione in cui era caduto.

Era Arthur, rimasto al suo fianco durante la procedura di disintossicazione.

“Sì?” la sua voce tremava lievemente nel voltarsi ad incontrare lo sguardo dell’altro.

Fulmineo come un falco predatore che sferra l’attacco finale, il principe si avventò su di lui. Merlin chiuse gli occhi, aspettandosi di ricevere un manrovescio o di ritrovarsi la punta della spada puntata contro la gola, ma tutto ciò che ricevette fu un bacio. Possessivo, violento e rabbioso; ma indubbiamente un bacio.

“Sono molto adirato con te, Merlin” biascicò Pendragon junior, riprendendo fiato dopo l’amoroso assalto.

“Chiedo scusa?” esalò il mago altrettanto ansimante.

“Avevi promesso che non avresti usato l’antidoto su di me, accidenti alle tue orecchie a sventola” gli rinfacciò lui.

“Ma guarda un po’ che razza d’ingrato! L’ho fatto per te” si adirò Merlin. “Perché era giusto così. Avrei potuto tenerti legato a me per sempre, ma vi ho rinunciato. Ho rinunciato alla mia felicità e al nostro futuro insieme per lasciarti libero, Asino patentato, libero di tornare alla tua vita precedente; perché ti amo, cazzo! Ti amo” proruppe in singhiozzi disperati.

Sulla folla intorno a loro, nel frattempo, era calato un religioso silenzio. Popolani, nobili, sfaccendati, membri della corte e guardie reali. Tutti, senza distinzioni di sesso, età e ceto sociale, seguivano con attenzione il diverbio tra i due piccioncini. Era molto più appassionante di una puntata di Beautiful!

“Povero Merlin, tanta fatica per niente” mormorò la voce pacata del principe.

“Come sarebbe a dire, per niente? Non senti l’effetto dell’antidoto, non-?” sbottò il mago tirando su col naso.

“Mi sento me stesso, idiota che non sei altro. Mi sento me stesso e in pace con il mondo perché ti amo, Merlin, ti amo dal primo momento in cui hai aperto la bocca per darmi dell’Asino Reale. L’Amortentia mi ha solo aperto gli occhi sui miei veri sentimenti. Se ho rifiutato l’arpia Gwen, se ti ho corteggiato fino allo sfinimento, se ho fatto l’amore con te in tutti i letti, in tutti i corridoi e contro tutte le pareti del castello (marcondirondirondello) e persino nelle stalle è perché era esattamente quel che desideravo -e desidero- con ogni fibra del mio corpo” lo interruppe dolcemente Arthur, asciugando con i polpastrelli gli zigomi umidi di lacrime dell’altro.

Merlin sbatté le palpebre, esterrefatto. Arthur, il regal babbeo, innamorato di lui da anni? Ma allora, le altre coppie immuni all’antidoto…? Scoccò un’occhiata interrogativa a Kilgharrah (la cui presenza era del tutto passata inosservata: potere del melodramma) che però scosse il capoccione in segno di diniego.

“Ne so quanto te, giovane mago”.

“Se permetti, io potrei darti le risposte che cerchi, Emrys”.

A parlare -gli esimi lettori lo avranno certamente intuito- era stato il piccolo Mordred, comparso in scena annunciato da un’esplosione di fumo e altri graziosi effetti speciali (non abbiamo badato a spese). I presenti, a quel punto, trattennero il fiato.

“Toh, chi si rivede” lo salutò Arthur, non senza provare un certo disagio.

“Principe” il bambino chinò il capo.

“Mordred, che ci fai tu qui a quest’ora della notte? Non dovresti trovarti nel dormitorio della tua Casa?” lo interrogò Merlin con un tono preoccupato da mamma chioccia e dando così prova di essersi fatto una cultura in materia harrypotteriana.

“Tranquillo, nessuno mi scoprirà. Ma bando alla ciance, è arrivato il momento del gran finale” lo liquidò l’emo in fasce. Detto questo avanzò di un passo, piazzandosi così proprio sotto la luce dei riflettori  della luna; attorno a lui non volava una mosca.

“Spettabile gens camelottiana, dame e cavalieri, reali e plebei, esseri umani e non” esordì con una certa disinvoltura. Il pubblico taceva, pendendo dalle sue labbra. “Benvenuti all’ultima, avvincente puntata della serie Ce la faranno i nostri eroi a vivere per sempre felici e contenti o falliranno per le troppe seghe pare mentali? Sono stati Gandalf in persona e la perversa autrice di codesta fanfiction a spedirmi qui a fare da messaggero” spiegò poi rivolgendosi a Merlin. “Si congratulano con te e con il drago per la buona riuscita del vostro piano. L’Acqua del Disamore, come messer Ariosto la nominerà tra qualche secolo, ha funzionato egregiamente”.

“Come puoi affermare una cosa del genere, Mordred? Lo vedi anche tu che alcune coppie non si sono separate” obiettò perplesso il mago.

“Questo perché era destino che non si separassero, Emrys: il loro è un amore sincero, palesato e non provocato dagli effetti dell’Amortentia. Prima che me lo chieda, sì, lo stesso vale per te ed il tuo principe” precisò scrollando le spalle. “Mi sembra di aver detto tutto. Vogliate perdonarmi se vi lascio così bruscamente, ma il mio compagno di stanza chiede di me e fidatevi, è meglio non far aspettare Tom Riddle. Ah sì, un’ultima cosa: auguri e figli in abbondanza!” esclamò il bambino prima di scomparire in una voluta di gas fumogeno.

Dopo un attimo di esitazione il pubblico diede il via ad uno scrosciante applauso, lodando a gran voce l’egregia uscita di scena di Mordred e inneggiando al vero amore. Leon divenne rosso di imbarazzo e nascose il volto tra le pieghe della casacca del compagno, Gellert carezzò languidamente i lunghi capelli di Albus, Lancelot si scrollò di dosso Guinevere, trascinando l’amante in un bacio mozzafiato, e Uther strinse saldamente la mano destra di Cenred tra le sue.

E Merlin ed Arthur?

“Basta, io ci rinuncio! Ne ho abbastanza di tutto quest’ammmòòòre nauseante, ne-ho-abbastanza! E’ l’ennesima volta che i miei piani di conquista di Camelot vanno in fumo per colpa tua, Merlin Emrys, e ne ho le scatole piene. Mi arrendo, sei contento?! Mi ritiro nel mio antro, dove trascorrerò il resto della vita in un beato stato di zitellaggio, santa polenta! Addio per sempre, sfigati!”

Ad urlare peggio di una banshee incazzata nera era stata Morgause, palesando il suo vero aspetto (chioma platinata, sguardo spiritato e sopracciglia fantasma comprese nel prezzo), per poi Smaterializzarsi con uno schiocco di dita.

Arthur e Merlin, dicevamo.

“Sicché tu mi ami davvero” mormorò il mago.

“Dovresti fidarti un po’ più delle mie parole, idiota”.

“Testa di legno”.

“Sposami” lo colse totalmente alla sprovvista il principe, inginocchiandosi ai suoi piedi.

“Starai scherzando, mi auguro” Merlin impallidì improvvisamente.

“Niente affatto” e così dicendo tirò fuori da una tasca delle braghe un anello di mirabile fattura, d’oro massiccio, in cui era incastonato un rubino grosso quanto una noce e glielo porse. “Questo è l’anello che gli uomini della mia casata donano alle loro future spose; ho pregato Sir Aragorn di apportarvi alcune modifiche in modo da renderlo più virile. Sposami, Merlin. Abbiamo la benedizione di mio padre e il popolo fa il tifo per noi. Rendimi un uomo onesto e il più orgoglioso dei consorti, te ne prego”.

“…E va bene, Asino Reale. Voglio proprio mettere alla prova la mia pazienza, sopportandoti per il resto della mia vita” accettò Merlin, regalandogli il più sfavillante e contagioso dei sorrisi.

“Non avrai di che pentirtene, te lo prometto. Anche tra settant’anni”.

 

 

 

…to be continued…

 

Siete fantastiche, ragazze mie, e meritate d’essere ringraziate con tutti i crismi.

Un abbraccio stritolante alla 27 anime pie che hanno inserito A midsummer night’s dream… in Camelot tra le seguite (ovvero: 92Morgana, Alpa Leonis, alucard51, BeaLovesOscarinobello, Betta90, capricorno24, Caskett96, cassy_star, chimaira, crownless, Doripri, draco potter, Edian, elyxyz, Emrys__, fliflai, gaarashun, joey_ms_86, LoversOcean, melania, meristrella, MusabiTheSeer, Noemipotter, Roxanne Potter, Snivellus87, Urania Cephei,_Ice_Queen_) e alle 2 che l’hanno ricordata (Cloud Ribbon, xMoonyx); un bacio con schiocco alle 7 (BeaLovesOscarinobello, Edian, Emrys__, Ice Warrior, SilviAngel, supermimi213, xMoonyx) che hanno preferito e alle -finora- 16 che hanno recensito (antote, BeaLovesOscarinobello, Betta90, blackberry, chimaira, Cloud Ribbon, draco potter, Edian, elfin emrys, Emrys__, feyilin, melania, meristrella, Suicidal_Love, valentinamiky, xMoonyx). Un grazie anche a te, lettrice silenziosa, che sei rimasta con me fino alla fine.

Alla prossima: mi rivedrete presto su questi schermi! Vi lovvo tutte tuttissime.

 

Edit del 3/11/11: a voi il seguito (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=857882).

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