A midsummer night's dream... in Camelot di Il_Genio_del_Male (/viewuser.php?uid=81001)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Blame it on the dragon ***
Capitolo 2: *** The reason ***
Capitolo 3: *** Accidentally (?) in love - part 1 ***
Capitolo 4: *** Accidentally (?) in love - part 2 ***
Capitolo 5: *** Hey Juliet ***
Capitolo 6: *** Two princes ***
Capitolo 7: *** True colors ***
Capitolo 8: *** The power of love ***
Capitolo 9: *** Love is in the air ***
Capitolo 10: *** Kiss the rain ***
Capitolo 1 *** Blame it on the dragon ***
PAIRING:
Merthur,
of course.
RATING: La storia
è ancora in fase di
stesura, ma credo che oltre il giallo non mi spingerò. Il
verde la farà da
padrone, insomma.
GENERE: Comico,
Romantico, Parodia.
AVVERTIMENTI: “Fiat
slash, et slash fuit” (cit.) e
OOC grande come una casa per tutti i personaggi (tranne, forse,
Merlin): Uther,
Morgana, Arthur, Gaius… Non si salverà nessuno.
*risata malefica*
DISCLAIMER: I personaggi non
mi appartengono, né
i diritti della serie (ahimè) che vanno tutti alla BBC; non
guadagno niente dal
mio fangirleggiare.
DEDICA: A Cloud, che
crede fermamente nei
Merthur, nello slash compulsivo e anche in questa storia (il
perché mi sfugge,
ma grazie mille per la fiducia!).
NOTE: Premetto che
questo delirio merliniano
in salsa shakespeariana non è del tutto farina del mio
sacco. L’evolversi della
trama s’ispira moltissimo a Were
the
world mine, geniale ed onirico film-musical che vi consiglio
caldamente di vedere quanto prima,
a sua volta
scritto sulla falsa riga di Sogno di una
notte di mezz’estate di messer Scuotilancia. Una
precisazione sullo stile:
l’alternarsi di espressioni moderne e termini desueti/aulici
è voluta. Se vi
dovesse turbare o infastidire, non esitate a farmelo presente!
Ah sì, questa fanfiction è autobetata. *sudori
freddi*
Detto
questo, non mi resta che augurarvi buona lettura (e buon delirio!).
Due poderose
bussate fecero tremare il legno della porta.
“Merlin!
Merlin!” chiamò una voce profonda e maschia.
L’interpellato
non diede segni di vita.
“Merlin,
luce dei miei occhi, fammi entrare! Perché rifuggi il mio
amore per te?”
proseguì la voce, adesso vagamente lamentosa ed accorata.
Il suddetto
Merlin, valletto personale del principe Arthur Pendragon di Camelot,
nonché
futuro cofondatore di Albion, nonché mago in incognito,
nonché protagonista
delle nostra storia, si guardò bene dal rispondere allo
spasimante che languiva
fuori dalla sua stanzetta.
Tirato il chiavistello e bloccata la porta con tutti i -pochi- mobili a
disposizione, si rannicchiò sul suo umile giaciglio, le mani
tra i capelli e
l’irresistibile desiderio di sbattere la testa contro il
muro, nella speranza
di risvegliarsi da quell’incubo allucinante o di procurarsi
una commozione
cerebrale che lo mettesse k.o. per i decenni successivi. La sua
disperazione
crebbe d’intensità al solo pensiero che il fedele
libro di magia non poteva
essergli d’aiuto in alcun modo, non questa volta. Solo
Kilgharrah, che gli
aveva gentilmente fornito la
formula,
di sicuro ne conosceva l’antidoto…
Gli occhi
blu mare di Merlin fiammeggiarono indignati: era tutta colpa di quel
dannato
drago e del suo perverso senso dell’umorismo! Certo, se ora
si trovava lì,
barricato nella sua camera da letto per sfuggire alle ridicole ed
imbarazzanti
avances di un regal babbeo, era anche a causa della sua congenita e
conclamata
goffaggine. Ciò non toglieva, però, che
l’origine di tutte le sue disgrazie,
almeno in questa circostanza, fosse da ricercarsi proprio nel
centenario lucertolone. L’unica
soluzione possibile, in
conclusione, era quella di convocare al più presto
Kilgharrah e imporre la
propria autorità di ultimo Signore dei Draghi -ovvero, se
necessario
supplicarlo in ginocchio- perché lo tirasse fuori dal guaio
in cui l’aveva
cacciato.
Un poco
sollevato dalla decisione presa, tuttavia Merlin ripiombò
nello sconforto non
appena l’instancabile pretendente (che da almeno due ore
esasperava il giovane
mago con le sue profferte amorose) prese a dare mostra delle sue
alquanto
discutibili doti canore e compositive, intonando
“un’ode scritta in tuo onore,
colombello mio”.
<<Merlin, oh Merlin, creatura
soave
del tuo cuore,
ti prego, donami la
chiave;
anche quella
della tua stanza mi farò
bastare,
così
finalmente ti potrò sco->>
Merin,
creatura non soave ma decisamente pudica, pose fine a quello scempio
prima che
la situazione degenerasse e lui venisse giustiziato con
l’accusa di omicidio
volontario premeditato e di lesa maestà urlando stizzito:
“SMETTETELA
DI VIOLENTARE I MIEI TIMPANI UN ALTRO SECONDO DI PIU’, RAZZA
DI SOMARO REALE
CHE NON SIETE ALTRO!”
Codesto
angelico gorgheggio ebbe l’effetto di zittire, almeno
temporaneamente, il
molesto corteggiatore. Con le orecchie paonazze e fumanti di rabbia,
Merlin
stabilì di schiacciare un pisolino in attesa
dell’incontro col drago. L’idiota
là fuori, rifletté, avrebbe retto per un altro
paio d’ore, ma poi sarebbe
arrivato il vespro e con esso il momento di desinare; e per quanto
gagliardo,
prestante e forgiato da anni di durissimo addestramento militare,
persino
l’erede al trono non sapeva resistere alle leccornie del real
desco.
A quel
punto, con il corridoio libero, Merlin se la sarebbe svignata.
_______________________________________________________________________________
La mia prima
long fiction, e per di più su “Merlin”!
Che emozione! *si fa
aria con una mano* (In realtà sono nel
panico più totale).
A coloro che
-si spera- mi faranno l’onore di lasciare un commento e/o di
seguire questa
storia: grazie di cuore. Per quanto riguarda i prossimi aggiornamenti,
mi impegnerò
per postarli ogni due settimane, ma non garantisco nulla.
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Capitolo 2 *** The reason ***
DEDICA: Sempre a Cloud,
che mi ha tartassata
perché terminassi al più presto il primo
capitolo, e a feyilin, la mia sis del
cuore. E’ tutto per voi, mie omonime <3.
NOTE: Capitolo un
po’ meno scoppiettante
del precedente (niente Arthur che canta, sorry!), ma molto
più consistente. Se
vi dovesse risultare prolisso o troppo tedioso, fatemelo sapere. Le
critiche,
purché costruttive, sono sempre ben accette.
Un bacio con
schiocco a chi ha recensito il prologo e a chi ha messo questa storia
tra le
Seguite, le Ricordate e le Preferite.
Buona lettura, ci risentiamo a fine pagina!
Merlin non
poteva saperlo, in quanto non aveva mai avuto modo di studiare il
greco, ma
qualche secolo prima della sua venuta al mondo un uomo di nome Polibio,
storico
di una certa levatura dedicatosi allo studio delle cause che si celano
dietro
agli avvenimenti passati e presenti, ne aveva distinte di tre tipi: aitìai (ovvero le cause
profonde), profàseis (i
pretesti) e archài (le
prime iniziative e azioni di
cose già decise).
Forse, se
Merlin avesse cercato di analizzare la situazione in cui si trovava
applicando
il metodo polibiano, sarebbe giunto alla conclusione che,
poiché alla seconda
tipologia di causa corrispondeva la propria goffaggine e alla terza la
geniale
pensata di Kilgharrah, rimaneva
sconosciuta la prima, e più temibile, aitìa.
Il buon
Emrys, infatti, era totalmente ignaro delle perfide macchinazioni di
Morgause,
nemica giurata di Uther. L’ossigenata strega, stanca di
girarsi i pollici ventiquattr’ore
su ventiquattro, in combutta con la sorellastra Morgana cercava ormai
da tempo
di impadronirsi di Camelot, tuttavia i precedenti tentativi erano
falliti a
causa di “quell’insolente, sparuto maghetto dalle
orecchie enormi”. Questa
volta, però, Morgause aveva ordito un piano a suo dire
geniale e senza falle.
Cenred (sì, proprio lui: il coglio- ehm, furbacchione che le
obbediva come un
cagnolino) si sarebbe recato alla corte di Pendragon senior con il
pretesto di
stringere, dopo anni di rivalità e ripicche più o
meno gravi, un’alleanza tra i
loro regni ma con il reale intento di scatenare, spalleggiato dalle
sorelle
Materassi, una sanguinosa guerra per mettere le mani
sull’ambita terra
camelottiana. Eliminati Uther e quell’impiastro di suo figlio
Arthur, Morgause
avrebbe fatto incoronare Cenred e Morgana re e regina, riservando per
se stessa
il ruolo di governo ombra, consigliandoli e manovrandoli a suo
piacimento
quando necessario.
Grande
sorpresa e perplessità generò l’arrivo
a Camelot di un messaggero per conto di
Cenred; sorpresa e perplessità che aumentarono (sfociando
rispettivamente in
speranza e scetticismo) quando la voce secondo cui l’altro re
chiedeva di
stipulare una pace raggiunse le orecchie di tutti gli abitanti di
Camelot,
nobili o popolani che fossero.
Uther si
mostrò da subito favorevole all’idea di un
abboccamento pacifico -tanto più che
una tregua al giorno toglie il medico di torno- e così
invitò il collega a
raggiungerlo nel suo bel castello
(marcondirondirondello) per discutere più dettagliatamente
della cosa.
Morgause, che aveva fatto affidamento sul desiderio di pace e
tranquillità del vecchiaccio,
quando il messaggero le riferì la risposta si
esibì in una delle sue risate tanto
malefiche che più malefiche non si poteva.
Tutto stava
andando secondo i suoi piani.
C’è
da dire
che, sebbene non tutti fossero propriamente convinti della trasparenza
delle
intenzioni di Cenred, a Cameolt non si badò a spese per
accogliere l’illustre
ospite che in fondo, per quanto scarmigliato e un poco rozzo, era pur
sempre di
sangue reale.
Le strade vennero ripulite da residui di sterco, fieno, bucce
d’ortaggi e
carcasse di animali, i tetti delle abitazioni più malmesse
ricoperti con nuove
assi di legno e foderati di paglia fresca, le insegne delle osterie e
delle
botteghe ridipinte. I mercanti di stoffe, il barbiere ed il sarto
fecero affari
d’oro, poiché -grazie alla distribuzione di una
moneta d’argento ad ogni
singolo abitante, per gentile concessione di un decreto reale- i
camelottiani,
tenendoci a fare bella figura con l’alleato straniero,
approfittarono della
gioiosa occasione per rinnovare il look e farsi dare una puntatina a
barbe,
baffi e chiome selvagge.
Purtroppo
per Merlin, quest’euforia si tradusse in un sacco di lavoro
in più. Tutta la
servitù di corte fu colta dal bisogno impellente di lucidare
e addobbare il
castello (marcondirondirondello) affinché fosse splendido
splendente. Motivo
per cui anch’egli -valletto
del principe,
d’accordo, ma pur sempre un servitore- venne coinvolto nelle
pulizie generali.
Quelli che seguirono furono giorni pienissimi e sfibranti per il nostro
eroe,
diviso tra un arazzo da passare col battipanni, un’armatura
da lustrare e la
solita, entusiasmante routine che
lo
vedeva al servizio di Arthur Pendragon, alias il più grande
Asino Reale di
Britannia.
Tuttavia, a
voler essere obiettivo, Merlin doveva ammettere che sarebbe potuto
capitargli
un signore molto, ma molto peggiore.
L’erede al trono, per quanto si divertisse un po’
troppo a tiranneggiarlo e a
sfogare su di lui la propria irritazione quando aveva le
sue cose (il mago ne era certo, Arthur soffriva di misteriosi
cicli mestruali psicologici con relative sindrome premestruale e
ritenzione
idrica), era un cavaliere di tutto rispetto, onesto e coraggioso,
magnanimo con
i propri avversari e, tutto sommato, di buon cuore. Sarebbe stato un
grande re,
giusto e vicino al suo popolo… E poi era un gran bel pezzo
di figliolo, il che certamente non
guastava. Se solo non fosse stato
così irrimediabilmente somaro e viziato!
Durante la
settimana che precedette l’arrivo di Cenred, una volta
constatato che il
servitore non poteva più accorrere ad ogni suo schioccare la
dita perché troppo
impegnato con stracci e ramazza, l’erede al trono lo prese
come un affronto
personale e mise il broncio.
Se così facendo pensava che Merlin
non avrebbe dormito la notte, assalito dai rimorsi, si sbagliava di
grosso.
L’altro se ne accorse, e si limitò a ridere sotto
i baffi: Arthur era un principino
sul pisello, proprio come aveva sospettato. Eppure non lo avrebbe
scambiato con
nessun altro nobile, semplicemente perché era lui.
Venne infine
il giorno dell’arrivo di Cenred a Camelot. Lo accompagnavano
il suo
luogotenente, che altri non era che Morgause sotto mentite spoglie,
alcuni
decrepiti consiglieri e un cospicuo numero di soldati. Uther
però non si mostrò
turbato dalla loro presenza, visto che la prudenza di quei tempi non
era mai
troppa. Le strade erano ricettacolo di predoni, sicari e oscuri ceffi
spesso
dotati di poteri magici, sicché poteva comprendere benissimo
il presunto timore
dell’altro di venire assalito durante il viaggio.
I due re si
scambiarono violente pacche sulle spalle e strette di mano simili a
tenaglie,
poiché se veri uomini si vuole apparire un pochetto si deve
soffrire, mentre il
seguito dell’ospite venne fatto accomodare negli alloggi
appositi. Dopo di che
la corte si riunì nella sala dei banchetti, dove la
servitù attendeva i
commensali per servire il pasto di mezzodì.
Una volta
che ebbero tutti saziato il loro appetito vorace, neanche fossero stati
orsi marsicani
a digiuno da mesi, Uther comunicò a Cenred che gli era stato
assegnato come
servitore per tutta la durata della sua permanenza nientepopodimeno che
il “prezioso valletto di mio figlio”. A
quell’annuncio Merlin impallidì per
la sorpresa, rischiando di far cadere la brocca di vino che teneva in
mano;
Cenred si mostrò compiaciuto, il suo luogotenente
digrignò i denti... e Arthur,
beh, lui si imbronciò ancora di più.
Non appena i
convitati si furono alzati da tavola, Emrys ignorò il
principe, che lo fissava
a metà tra il cucciolo orfano di madre e il bambino cui
è stato appena
sottratto il suo balocco preferito, e trotterellò dietro a
Cenred. Benché non fosse
particolarmente entusiasta dell’idea di fargli da sguattero,
la sua improvvisa
richiesta di pace l’aveva insospettito non poco. Avrebbe
approfittato
dell’occasione per tenerlo d’occhio.
Allora,
soddisfatte di questo capitolo? Ho anche aggiornato in anticipo, non mi
sembra
vero.
Non vedo
l’ora di sentire il vostro parere!
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Capitolo 3 *** Accidentally (?) in love - part 1 ***
DEDICA: A Cloud,
sadicamente sublime, a
feyilin -perché le ho promesso la dedica fissa e se la
merita- e a draco
potter, che si è offerta di sposarmi non sapendo a quel che
andava in contro.
NOTE: Questo capitolo
non mi convince per
niente. Non c’è abbastanza verve, non è
spumeggiante come me l’ero immaginato,
in alcune parti mi sembra di averla tirata troppo per le lunghe. Sono
la prima a
trovarlo un po’ scialbo e
comprenderò
benissimo se qualcuna di voi avrà la mia stessa impressione.
Però m’è venuto
così, e amen. Lascio a voi il verdetto finale.
Piccola
curiosità: alla fine ho inserito un crossover abbastanza
scemo ma in compenso
piuttosto slash. Chi indovinerà per prima di che personaggi
si tratta riceverà
un premio (ehm, onore e gloria?). Ma bando alle ciance, non mi resta
che
augurarvi…
Buona
lettura!
“Perché
il volere bene non si compra,
non si vende, non si impone con il coltello alla gola, né si
può evitare: il
voler bene succede”. (Jorge Amado)
Trascorsi
che furono quattro lunghi, eterni giorni, Merlin si ritrovò
suo malgrado a
rimpiangere il tempo passato al servizio del principe Arthur. Non che
Cenred lo
frustasse per ogni minimo errore, anzi; non mancava di una certa ruvida
gentilezza, e non si rivolgeva a lui come se parlasse ad un mezzo
deficiente,
cosa che invece l’altro faceva
spesso.
Ad
esasperare Merlin erano in realtà ben altre cose. In primis,
quell’ossigenato (dove
l’aveva già visto, un biondo così
platinato?) luogotenente, che non si staccava
un momento di dosso dal suo signore e gli mormorava in continuazione
nell’orecchio,
sembrava odiarlo con passione. Più di una volta si era visto
rivolgere da
costui inquietanti sguardi carichi di rancore misto a disprezzo,
neanche fosse
geloso di condividere il suo tesssssoro -ehm,
il suo re- con un umile servitore.
Un altro
motivo dello scontento di Merlin era il fatto che Cenred amasse andare
a
caccia. Ogni giorno. Partenza alle prime luci dell’alba,
ritorno a tramonto
ormai inoltrato, giusto in tempo per sorbire la cena in compagnia del
padrone
di casa. Ergo, Merlin aveva dovuto maneggiare ed infilare nel sacco per
la
selvaggina tanti di quei volatili e animaletti cecchinati dal re ospite
dall’essere
arrivato a considerare seriamente l’ipotesi di convertirsi
alla dieta
vegetariana dei Druidi. Ringraziando il Cielo, l’indomani i
due sovrani
avrebbero stipulato e firmato il benedetto trattato di pace, cui
sarebbe
seguita una celebrazione del lieto evento; e tanti saluti Cenred e
combriccola!
Quanto meno,
mugugnò il mago steso sul letto in uno dei rari momenti di
relax concessigli,
Cenred non aveva la pessima abitudine di dormire mezzo nudo, giusto per
fare
sfoggio del suo fisico scolpito, al contrario di Arthur.
Stranamente,
l’immagine del principe che si coricava per la notte vestito
solo di un paio di
braghe lo fece arrossire; e sì che l’aveva visto
in déshabillé, coperto
da un asciugamano più o meno
inguinale durante il bagnetto quotidiano
tante di quelle volte, ormai, che aveva smesso di contarle. E allora,
in nome
dell’Antica Religione, che motivo aveva di sentirsi in
imbarazzo al solo
pensiero di belle spalle tornite e braccia muscolose ma al tempo stesso
gommose,
tanto da invogliare a testare con mano la loro morbida
solidità?
Sprofondando
con la testa nel cuscino, le orecchie che si arrossavano a vista
d’occhio,
Merlin emise un gemito che sapeva di frustrazione e sconfitta. La
verità,
talmente lampante e lapalissiana da essere passata inosservata sotto
gli occhi
di tutti, era che lui di quel principino da strapazzo era innamorato
cotto. Accipigna.
Un amore
senza speranza, ovviamente, non tanto per il fatto che
l’altro era il
futuro sovrano e che un giorno si sarebbe
dovuto sposare e mettere al mondo degli eredi, quanto perché:
a) andava
dietro a Gwen da un anno abbondante;
b) trattava
il suo servitore a malapena alla stregua di amico, figurarsi qualcosa
di più.
Tra le due
constatazioni non sapeva quale lo rattristasse maggiormente. Troppo
raramente
Arthur si era scusato con lui per averlo accusato ingiustamente o non
aver
creduto nella sua buona fede. Ancor più di rado si era
mostrato fiero di averlo
accanto a sé, di tenere veramente a lui. Gli era capitato di
dovergli salvare
la pelle e trarlo d’impiccio, certo, ma in quelle occasioni
era stato il suo
orgoglio di prode cavaliere, di eroe senza macchia e senza paura a
guidarlo.
Gli
tornò
alla mente il breve scambio di battute avuto con Hunith, sua madre, la
volta
che si era recato a Ealdor con Arthur per liberare il villaggio dalle
razzie di
alcuni predoni balordi.
“Arthur
deve
tenerci molto, a te”.
“Lo
farebbe
per ogni villaggio, è fatto così”.
“E’
più di
questo! E’ per te che è qui a Ealdor”.
“Sono
soltanto il suo servo”.
“Gli
piaci,
questo devi riconoscerlo”.
“Perché
non
sa della mia vera natura. Se la conoscesse, sarei già
morto”.
“Tu
non
credi a quello che dici”.
Già,
per non
parlare del fatto che Merlin era un mago, e anche bravino. Se Arthur
l’avesse
scoperto prima del necessario, come diamine avrebbe reagito?
L’istinto gli
diceva che non l’avrebbe denunciato ad Uther: il ragazzo era
sì asino, ma non
un meschino delatore. Però di sicuro non avrebbe voluto
avere a che fare con
lui per molto tempo, poiché se c’era una cosa che
il rampollo dei Pendragon
proprio non tollerava era la menzogna, e a questo espediente Merlin era
ricorso
anche troppo di frequente per giustificare strane amnesie, incredibili
botte di
culo e misteriose uccisioni di bestiacce magiche. Senza contare che
Arthur
avrebbe potuto sentirsi minacciato dall’enorme potere del suo
servo, nonché
terribilmente umiliato una volta saputo in quante e quali occasioni a
salvargli
la vita e il regal deretano era stato proprio lui.
Benché non ritenesse di avere un’indole
vigliacca, Merlin sperava
ardentemente che il confronto con l’asino avvenisse il
più tardi possibile.
“Il
tuo
posto è a fianco di Arthur. Ho visto quanto ha bisogno di te
e quanto tu hai
bisogno di lui. Siete come facce della stessa moneta”.
“Qualcuno
me
l’ha già detta, questa cosa”.
Prima
Kilgharrah,
poi sua madre. Davvero non riusciva a condividere il loro ottimismo, a
capire
perché entrambi insistessero così tanto sulla
presunta forza del suo legame con
Arthur. Altro che facce della stessa moneta, loro due erano e sarebbero
rimasti
l’uno per l’altro l’Asino Reale e
l’Idiota.
Merlin
bloccò il flusso dei suoi pensieri, imponendosi di
concentrarsi su
qualcos’altro, tipo il disordine che regnava sovrano nella
sua stanzetta. Scervellarsi
troppo a lungo riguardo al biondo babbeo nuoceva gravemente al suo
equilibrio
psicofisico.
Fu con
immensa gratitudine, dunque, che ricevette l’ordine da parte
di Cenred
-riferitogli da uno dei suoi soldati, entrato senza neanche bussare- di
sbrigare una commissione urgente per lui. Lieto di potersi distrarre,
Merlin lo
seguì.
La
‘commissione
urgente’ si
rivelò consistere nello
strigliare, abbeverare e perché no, anche ferrare i cavalli
di Cenred e
compagnia danzante –per un totale di centoventidue destrieri,
altrettante
razioni di fieno e acqua fresca e quattrocentoottantotto zoccoli.
“Nel
caso ti
avanzi un po’ di tempo, da’ anche una pulita alla
stalla, ci siamo intesi
ragazzo?”
Detto
questo, il soldato lo lasciò premurosamente alle prese con
gli equini.
Tuttavia
Merlin, che trovava il compito di stalliere ancora più
noioso e degradante del
tirare a lucido l’intero castello (marcondirondirondello) e
ben consapevole che
la mole di lavoro fosse impossibile da smaltire entro sera
completamente da
solo, assicuratosi che la porta fosse ben sigillata e che nessuno fosse
nei
paraggi se la sbrigò a modo suo. Mormorò un paio
d’incantesimi -i suoi occhi si
illuminarono di un lampo dorato- e in un baleno i cavalli furono
spazzolati con
la massima perizia, le loro scorte alimentari rimpolpate e
l’intero padiglione
brillò.
Benedicendo
ancora una volta la magia il nostro eroe sogghignò e, per
non far sorgere sospetti
sulla sua prodigiosa efficienza, decise di trascorrere le ore che gli
rimanevano concedendosi un meritato pisolino (troppe notti aveva
passato quasi
insonne interrogandosi sul perché amasse un somaro borioso
come Arthur). Si
rifugiò nell’ultimo box in fondo a
sinistra, dove era stato sistemato un ronzino, probabilmente
appartenente ad
uno dei decrepiti consiglieri di Cenred. Il tempo di collocare a fianco
del
cavallo -e non dietro, come aveva
imparato a proprie spese- un poco di paglia e di accomodarvisi sopra e
Merlin
si addormentò di botto, russando quietamente.
A strapparlo
bruscamente dal mondo dei sogni (il cui protagonista era un Arthur
inedito e
decisamente audace, ma è meglio non soffermarsi oltre
perché il rating della
storia è verde/giallo e non possiamo permetterci di
sgarrare) ci pensarono due
sconosciute voci maschili che borbottavano concitate.
“Ne
sei
proprio certo, Gellert?”
“Ti
dico di
sì, Albus. Qui non ci disturberà nessuno, ho
già controllato”.
“Non
per
fare il guastafeste, ma l’ultima volta che mi hai dato questa risposta siamo stati beccati da Cenred
in una posizione
piuttosto compromettente”.
Merlin, che
fino a quel momento aveva origliato la conversazione più per
abitudine che per
reale interesse, al sentir nominare Cenred drizzò le
antenne, ovvero gli enormi
padiglioni auricolari che si ritrovava come orecchie. Evitando di far
scricchiolare
il fieno sotto di sé si mise in posizione eretta e, con
grande cautela, si
arrischiò a lanciare un’occhiata ai due uomini. Da
quel che riuscì a scorgere notò
che erano entrambi dei soldati, giovani e di bell’aspetto.
Quello più alto
aveva liscissimi capelli color rame lunghi fin quasi alla vita,
l’altro invece
era un biondino riccioluto dall’aria impertinente.
“In
nome dei
fratelli Peverell, Albus! Come se Cenred non fosse al corrente della
nostra
relazione da tempo immemore” ridacchiò
maliziosamente, accennando una carezza
al viso del compagno.
Ma
l’altro
si scostò, ostentando una certa freddezza.
“Non
ci
provare, Gertie. Sbaglio o mi hai
trascinato fin qui con la scusa di dovermi informare di una questione
della
massima segretezza?”
Il soldato
di nome Gellert arricciò le labbra visibilmente contrariato
-somigliava tanto
ad Arthur con il broncio- ma ritirò la mano ed assunse
un’aria cospiratoria.
“Non
era una
scusa, Al, dicevo sul serio. Devi promettermi che non ti farai sfuggire
alcunché, perché è veramente roba che
scotta”.
“Giurin
giurello, lo prometto” recitò Albus con la mano
destra sul cuore da bravo
boyscout.
“Bene.
Lo
scoop è: ho finalmente scoperto il perché della
nostra scampagnata a Camelot.
Il buon Cenred ci ha tirati tutti scemi, alla faccia del trattato di
pace!
Domani, durante la cerimonia della firma, al segnale convenuto noi
dovremo
irrompere nella Sala del Trono e far fuori Pendragon e il
figlio”.
L’assoluto
tono di indifferenza nella sua voce fece rabbrividire Merlin, teso come
una
corda di liuto nel tentativo di captare ogni singola parola di quel
colloquio.
“Capisco.
E
Cenred pensa davvero che i soldati di Uther si limiteranno ad assistere
alla
scena senza intervenire?” osservò
l’altro, ironico.
Gellert
sbuffò.
“Certo
che
no, Al, cosa credi? A quanto pare le guardie verranno messe a nanna da
un
incantesimo, così potremo agire indisturbati”.
“Notevole.
E
tu come fa a sapere tutto ciò, di grazia?”
“Ho
beccato
il nostro re che confabulava con il nuovo luogotenente: sai, quello con
le
sopracciglia depilate e chiaramente biondo tinto. Credo proprio che il
tipo sia
un mago o qualcosa di simile, perché l’ho sentito
dire che conosceva un rimedio
adatto. Comunque suppongo che ne verremo informati anche noi altri
questa sera
stessa, dopo il banchetto”.
“E
allora
perché tutta questa urgenza di anticiparmelo?”
“Tu
odi
essere all’oscuro di qualcosa, Albus. Pensavo di farti un
piacere. E poi mi
serviva una scusa per poter pomiciare in santa pace” rispose
con fare suadente,
posando un bacio sull’incavo tra il collo e la clavicola
dell’altro.
Prima di
essere costretto ad assistere ad un incontro ravvicinato del terzo tipo
tra i
due, Merlin biascicò un incantesimo che fece piombare gli
amanti diabolici in
un sonno profondo e, sgattaiolato con circospezione fuori dalla stalla,
li
lasciò distesi su pavimento a ronfare.
Per tutto il
Fantabosco, Camelot correva un serio pericolo! Doveva trovare una
soluzione ed
agire il prima possibile.
Correndo il
più veloce che poteva, si diresse al laboratorio di Gaius.
________________________________________________________________________________
Eccoci giunti
all’ angulus dell’autrice…
Non so,
ditemi voi cosa ne pensate: mi fare(s)te tanto felice
–sì, persino in caso di
critica.
Ah,
ringrazio sempre le anime pie che commentano, seguono, ricordano e
preferiscono
questa fanfiction. Un abbraccio stritolante a tutte voi!
|
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Capitolo 4 *** Accidentally (?) in love - part 2 ***
DEDICA: A Cloud, che non
ringrazierò mai
abbastanza per il suo sostegno, a feyilin perché
sì e a G, che per fortuna non
saprà mai di questa dedica.
NOTE: Beh, come
potrete constatare tra poco
questo è il capitolo della svolta: d’ora in poi le
cose si complicheranno a non
finire! *risata maligna* Con ciò si chiude il luuuuuungo
excursus cominciato
nel capitolo 1, che narra gli avvenimenti verificatisi prima del
prologo. L’ho
scritto di getto in meno di dieci ore, e il risultato sta a voi
giudicarlo.
Come al solito ci sono citazioni e riferimenti random-e-alla-cazzo (si
può dire?)
che ci stanno sempre bene. Le fan di Gaius -se ce ne sono- mi
linceranno viva,
a proposito. Ah sì, colpo di scena: l’ultima parte
del capitolo è una sorta di
POV Arthur.
Ci
risentiamo nell’angulus dell’autrice,
as always.
Buona lettura!
“Perché
il volere bene non si compra,
non si vende, non si impone con il coltello alla gola, né si
può evitare: il
voler bene succede”. (Jorge Amado)
Il medico di
corte se ne stava bello tranquillo per i
cavoli suoi, circondato da provette ed alambicchi e maneggiando con
cura
distillati di erbe medicinali più o meno legali, quando uno
sconvolto Merlin
fece irruzione nel suo laboratorio. Tale fu l’impeto con cui
il giovane
spalancò la porta, sbattendola violentemente contro il muro,
da far sobbalzare
il pover’uomo, che teneva in mano una fiala colma di liquido
scuro.
“Merlin,
che
Lady Gaga ti benedica! Quale urgenza ti conduce da me con il tuo bel
faccino
spaurito?”
Il
‘bel
faccino’, ansimante per la corsa, si limitò a
rantolare alcuni versi
incomprensibili. Non appena ebbe recuperato almeno in parte la
capacità di eloquio,
esalò un “Gaius!” appena appena
sfiatato. Il suo sguardo cadde sul contenuto
della boccetta che l’uomo stringeva possessivamente: che
fosse il suo tessssoro?
“Non
sarà mica
Pozione Polisucco, quella?” domandò aggrottando le
sopracciglia e al tempo
stesso spalancando gli occhi, dando mostra della sua incredibile mimica
facciale.
L’altro
arrossì vistosamente, colto in flagranza di reato, e
istintivamente nascose la
pozione incriminata dietro la schiena, quasi a cercare di negare
l’evidenza del
suo misfatto.
“Oh,
Gaius.
Non ditemi che ci siete cascato di nuovo!” si
disperò Merlin, schiaffandosi una
mano in faccia.
Alcune lune
prima il giovane mago era venuto a conoscenza di un segreto che il
cerusico era
riuscito a celare per più di vent’anni. Nei
weekend, invece di accamparsi nel
Fantabosco ad ubriacarsi di Blumele in compagnia di Tonio Cartonio e a
fare
scorta di erbe e fiori rari come aveva sempre sostenuto, egli aveva
l’ignominioso hobby di assumere, grazie alla Polisucco, le
fattezze di una
procace trentenne mora e popputa quanto basta e di recarsi alla taverna
dei Due
Soli ad adescare uomini.
Tralasciando
come e in quali circostanze Merlin avesse scoperto quella scandalosa
verità,
egli era convinto che Gaius avesse ormai smesso con quella... cosa. Gliel’aveva
giurato sulla tomba di Bilbo Baggins, maledizione!
Passarono
alcuni minuti carichi di tensione, durante i quali il ragazzo
inveì contro il
destino che gli aveva affiancato un mentore aspirante donna,
come se non
fosse bastato già quell’asino del suo principe a
causargli problemi. Gaius ne
approfittò per mettere al sicuro la preziosa fialetta e per
infilarsi in tasca
una giarrettiera finita chissà come
tra
le sue riserve di calendula e semi di papavero in polvere. Il primo a
rompere
quel silenzio fu Merlin, con una luce grave negli occhi.
“…Come
non
detto. In fondo la vostra vita sessuale”, represse una
smorfia di raccapriccio,
”non mi tange, e poi non sono nessuno per giudicarvi. Vi
chiedo soltanto la
massima discrezione e di non disseminare in giro per il laboratorio la
vostra biancheria
intima speciale, intesi? Adesso passiamo al vero motivo per cui mi sono
scapicollato fin qui”.
L’uomo
sospirò sollevato, ringraziando mentalmente il suo protetto.
Gli fece cenno con
una mano di accomodarsi e preparò al volo due Apple Martini
per rinfrancare lo
spirito di entrambi.
Mezza
clessidra dopo, Merlin aveva reso edotto Gaius del grave pericolo che
correvano
i Pendragon, e con essi l’intera Camelot. L’anziano
medico non perse tempo e prese
a consultare, con l’aiuto dell’altro, il tomo di
magia cui erano ricorsi in
situazioni simili, alla ricerca di un incantesimo, filtro od arcano
rituale che
potesse cascare a fagiolo. Inutile dire che non trovarono
alcunché (non ci
piace vincere facile).
Proprio
quando i due stavano per perdere la speranza, al nostro eroe si accese
la
provvidenziale lampadina in testa. Dopo essersene uscito con un
“Accipigna!”,
ordinò a Gaius di smetterla di ubriacarsi col Martini e di
prestargli
attenzione.
“Rammentate
Kilgharrah, il drago tenuto segregato nelle segrete del castello
(marcondirondirondello) fino a qualche mese fa?”
“Come
potrei
dimenticarlo! Poverino, era l’unico esemplare sopravvissuto
della sua specie ed
è stato così barbaramente ucciso dal principe...
Capisco che aveva in pratica
messo sotto assedio Camelot, ma non si poteva cercare di renderlo
inoffensivo e
metterlo al sicuro, impedendogli così di nuocere ad anima
viva? Ah, ma non finisce
mica qui: lo farò presente a quelli della WWF,
altroché”.
Doveva
mettere fine a quello sproloquio ambientalista, subito.
“Non
ci sarà
bisogno di informare chicchessia, Gaius: il drago è vivo e
vegeto, sono stato
io a salvargli quella pellaccia dura che si ritrova. Ho addormentato
Arthur
modificandogli la memoria e l’ho lasciato fuggire. Ci teniamo
in contatto
telepaticamente, anche a distanza”.
“Connessione
bluetooth, eh? Di certo molto più comodo così che
mandarsi messaggi tramite
piccioni viaggiatori” rifletté l’altro.
Batté
la
palpebre, metabolizzando la notizia ed illuminandosi tutto:
“Allora si è
salvato! Qual gaudio e tripudio, dovrò comunicare la lieta
novella
all’Associazione Amici dei Draghi: ti nomineranno membro
honoris causa” esultò
lievemente commosso. Poi si voltò verso Merlin, finalmente
focalizzato sulla
questione.
“Intendi
dunque chiedere aiuto a Kilgharrah?”
“L’idea
è
questa, sì. Mi ha letteralmente salvato il culo in diverse
circostanze, chissà
che non lo faccia anche stavolta. Mi deve la vita e la
libertà, un consiglio
potrà pure darmelo”.
Presa questa
decisione, lo stregone si sentì un poco meglio e bevve un
sorso del suo drink.
Avrebbe aspettato che calasse la notte, e solo allora si sarebbe
diretto verso
la radura nei pressi del castello (marcondirondirondello) per chiamare
a
rapporto il suo amico lucertolone.
Senza sapere
neanche lui cosa esattamente stesse
dicendo, Merlin articolò alcuni gorgoglii sconnessi e
gutturali e, dopo
un’attesa relativamente breve, sentì uno
spostamento d’aria familiare, dovuto
all’altrettanto familiare frullare d’ali di
Kilgharrah.
L’imponente
drago chinò
il testone in un gesto di
saluto e sottomissione nei confronti dell’ultimo Signore dei
Draghi ed il suo
vocione rauco investì la mente dell’umano.
“Salve,
giovane mago. Era da parecchio che non mi tartassavi con le tue
richieste di aiuto,
cominciavo a preoccuparmi” esordì amabile come al
solito.
Tuttavia
Merlin non aveva né tempo né particolare voglia
di scambiarsi schermaglie con
lui.
“Kilgharrah,
piantala di flirtare e veniamo al sodo. Camelot è nei
casini, per usare un
garbato eufemismo, ed io ho seriamente bisogno che tu mi aiuti.
Pliz”.
“Che
sorpresa! Non l’avrei mai immaginato, pensa te”
rispose con un grugnito che
somigliava tanto ad una risata. Fu però in rispettoso
silenzio che ascoltò il
resoconto di Emrys e fu senza l’ombra di sarcasmo nella voce
che gli fornì la
soluzione al problema.
“Quello
che
ti sto per rivelare è un rimedio della cui esistenza sono a
conoscenza ben
poche creature magiche, quindi ti esorto ad imprimertelo per benino
nella
memoria perché non lo ripeterò”.
Merlin
annuì
compunto, pronto a scrivere con il block notes e la BIC in mano.
“Trova
quel
fiore che dalle fanciulle vien chiamato viola del pensiero e del suo
succo
ricava il prezioso nettare. Mescici assieme una ciocca dei tuoi capelli
e cinque
gocce d’essenza di digitale e nel mentre recita codesto
incantesimo:
«Fiore
di
viola,
la vita è una sola:
donami ciò che tutti i dispiaceri consola».
Lascia poi
mantecare la mistura per almeno cinque giri di clessidra. Una volta
ultimata,
versala in una boccetta con pratico diffusore spray e domani, quando ti
sarai
intrufolato nella Sala del Consiglio senza farti sgamare, spruzzala
sugli occhi
di entrambi i re. Hai preso nota di tutto?”
“Sillaba
per
sillaba. Ti ringrazio dal più profondo del cuore,
Kilgharrah” sorrise Merlin
pieno di gratitudine. Poi tossicchiò esitante.
“Un’ultima
cosa, se posso”.
“Chiedi
pure, giovane mago”.
“E’
solo una
curiosità mia, niente di che: come è chiamato
l’idioma di voi draghi, di cui mi
servo anche io per comunicare con quelli della tua specie?”
“Serpentese”.
“Sul
serio?”
ribatté Merlin accigliandosi.
“Fidati
di
me, Emrys. Adesso va’, che la notte non è poi
così giovane e tu hai un compito
da portare a termine. Tienimi aggiornato sugli sviluppi futuri,
d’accordo?”
“Ma
certo,
amico mio. Grazie ancora”.
L’ingenuo
giovanotto si incamminò in direzione del castello
(marcondirondirondello),
lasciandosi alle spalle il drago senza voltarsi indietro. Fu un errore,
giacché
se l’avesse fatto avrebbe notato l’espressione
ghignante e vagamente malefica
della creatura.
Il giorno
seguente Merlin si presentò al cospetto di Cenred con due
occhiaie da fare
invidia ad un procione. La notte passata aveva fatto le ore piccole, ma
non
tanto perché impegnato nella preparazione del filtro magico
(con l’aiuto di
Gaius e le sue inesauribili scorte d’ingredienti di ogni tipo
era stato come
bere una coppa d’acqua fresca), quanto piuttosto per
l’agitazione che non gli
aveva concesso tregua fino alle prime luci del mattino. Da lui soltanto
dipendeva la buona riuscita della missione e di conseguenza la salvezza
di
Camelot e dei suoi regnanti: mica bruscolini, Santo Gandalf!
La mattina
stessa venne ufficialmente sollevato dall’incarico di
valletto personale temporaneo
di Cenred. Egli in persona, al momento di congedarlo, gli rivolse
gentili
parole di commiato e gli fece addirittura dono di un bracciale di cuoio
abilmente intrecciato che, secondo le parole dell’uomo, era
un manufatto
artigianale piuttosto in voga nel suo regno.
Il mago
arrossì un poco, piacevolmente toccato
dall’inaspettata delicatezza del re, e
gli sembrò del tutto irreale che avesse intenzioni
così turpi e malvagie; sentiva che
nella congiura c’era lo zampino di
quel maledetto luogotenente dallo sguardo spiritato. E si dispiacque,
perché
gli era ormai chiaro che il povero Cenred non era che un semplice
burattino
manovrato dall’altro.
Riuscì
comunque a non tradire nessuna emozione e dopo un breve inchino ottenne
il
permesso di tornare al suo vecchio incarico. Merlin tuttavia, durante
la
nottata insonne, aveva elaborato un piano di sicura efficacia: tendere
un
agguato ad uno dei consiglieri di Cenred, addormentarlo e nasconderlo
in un
armadio random del palazzo ed infine sottrargli un capello da
aggiungere alla
bottiglietta di Pozione Polisucco che aveva sgraffignato a Gaius mentre
questi
dormiva. Tutto andò come sperato e fu così che
poté unirsi indisturbato alla
piccola folla diretta verso la Sala del Consiglio con
l’aspetto di un decrepito
ma simpatico nonnino.
Riunitasi
che fu la corte con tutto l’ambaradan, fecero il loro
maestoso ingresso nella
Sala Uther ed il figlio, seguiti da Cenred e i suoi uomini
–tra cui Morgause e
il nostro impavido eroe. Arthur si guardò intorno, cercando
quell’idiota del
suo amico, ma pose fine a quest’attività non
appena ebbe realizzato che a
Merlin, in quanto semplice servitore, non era concesso presenziare a
cerimonie
così importanti e delicate.
Il principe
sbuffò contrariato. Erano ben cinque giorni che non lo
vedeva, figurarsi
riuscire a scambiarci quattro chiacchiere. Non l’avrebbe
ammesso neanche sotto
tortura, ma quell’impiastro gli mancava più di
quanto pensasse. Gli sembrava
fosse trascorsa un’eternità dall’ultima
volta che l’aveva sbeffeggiato per la
sua imbranataggine o gli aveva ingiunto di preparare la tinozza di
acqua calda
per il bagno. E comunque, pensò l’erede al trono
soffocando uno sbadiglio sul
nascere, ben presto se lo sarebbe ritrovato tra i piedi, con le sue
buffe
orecchie e la risposta pronta. Quell’immagine, non sapeva
spiegarsi il perché,
gli parve in un certo senso confortante. Familiare.
Arthur
scosse la testa, spostando la sua attenzione sullo svolgersi della
stesura del
trattato. Entrambi i sovrani avevano apposto la loro firma sul
documento e si apprestavano
a scambiarsi una stretta di mano, come era costume, quando
dall’esiguo
gruppetto dei consiglieri di Cenred si fece avanti quello che sembrava
essere
il più anziano, i cui occhi blu tuttavia brillavano fin
troppo acuti e
giovanili.
Il fragile
vecchietto, rivelando un’agilità sorprendente,
estrasse da una manica della sua
ampia veste una fiala di vetro con tanto di tappo spray e, prima che
chiunque
nella sala potesse presagire le sue intenzioni e fermarlo,
spruzzò abbondantemente
il liquido sui volti dei due re. Poi, con la stessa velocità
con cui aveva
agito, rientrò nei ranghi, in attesa. Arthur
provò un moto di indignazione.
Perché mai le guardie reali non intervenivano a punire
quell’irriverente che si
era macchiato del delitto di lesa maestà?
La risposta
l’ebbe non appena rivolse lo sguardo sui regnanti
oltraggiati: erano
avvinghiati l’uno all’altro, indecentemente vicini
e… si stavano… baciando?!
(In realtà, i due uomini stavano limonando
allegramente, con tanto di audaci scambi di lingue, saliva e morsi.
Riteniamo tuttavia
che sia meglio non farlo notare al giovane Pendragon.) Nessuno dei
presenti
ebbe l’ardire di far qualcosa che andasse oltre lo spalancare
la bocca,
strabuzzare gli occhi, ammutolire e venir colti da un curioso senso di disagio e imbarazzo.
A mettere
fine a quella situazione di stasi impacciata ci pensò Arthur
che, ripresosi
dallo shock quanto bastava per dare ordini, urlò in preda
all’isteria più
isterica di arrestare immediatamente l’autore di quel
diabolico maleficio
–giacché solo un maleficio poteva aver spinto suo
padre a ficcare la lingua in gola a
Cenred. I soldati si riscossero dal
torpore in cui erano caduti e con
grida belluine si precipitarono in direzione del consigliere; ma
l’uomo,
sfuggente come un’anguilla, riuscì a non farsi
acchiappare. A quel punto il
principe si vide costretto ad intervenire e sprezzante del pericolo si
gettò
nella mischia. Concentrato come era nell’individuare il
malfattore in quel
marasma, si accorse di esserci andato a sbattere contro solo quando se
lo
ritrovò addossato al suo petto.
La dinamica
dell’incidente non fu mai del tutto chiarita,
poiché le versioni dei testimoni
oculari erano alquanto dissimili tra di loro. Ciò su cui
concordarono
all’unanimità fu che, in una sequenza confusa,
l’omino aveva -forse d’istinto-
premuto sull’erogatore della boccetta che ancora teneva in
mano inondando il
volto del giovane Pendragon, il quale aveva strizzato gli occhi
irritati
mollando così la presa sull’altro, che era caduto
col culo a terra. Eppure
nessuno avrebbe mai potuto prevedere cosa successe immediatamente dopo.
Arthur
batté
le palpebre, liberandole con le mani dal liquido che aveva osato
aggredirle, e
mise a fuoco. Subito sentì nascere dentro di sé
un sentimento d’amore profondo,
imperituro, intenso, spropositato (eccetera eccetera) per la creatura
-o
meglio, la visione- che si offriva ai suoi occhi arrossati in tutta la
sua
sfolgorante, conturbante, indicibile, stupefacente (eccetera eccetera)
bellezza. Solo in un secondo momento si rese conto che il proprietario
di
siffatta avvenenza non era altri che un vecchio.
Tuttavia
egli non fece neanche in tempo a stupirsi troppo della cosa,
poiché davanti al
suo sguardo incredulo quel corpo rugoso ed artritico lasciò
il posto ad uno
altrettanto esile ma decisamente più giovane e sodo. I
capelli riacquistarono
la loro sfumatura di ala di corvo, le guance tornarono lisce e
leggermente
arrossate, le orecchie dannatamente enormi. Solo gli occhi restarono
gli
stessi, blu e splendenti come zaffiri e -in quel momento- totalmente
smarriti.
Merlin.
Ri-salve.
Trascrivere
questo capitolo al computer è stata un’impresa non
da poco, perché finora è il
più lungo che abbia mai scritto e davvero sembrava non
dovesse finire più.
Un buffetto
sulla guancia a tutte le lettrici in generale, hasta luego!
|
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Capitolo 5 *** Hey Juliet ***
DEDICA: A Cloud che
è la mia fangirl
preferita, a feyilin (ti sono vicina, sis) e a draco potter che mi ha
suggerito
l’inserimento della pubblicità occulta dei
Pavesini.
NOTE: Rieccomi ad
infestare il fandom! Se
stavate iniziando a darmi per dispersa me ne scuso, ma ho trascorso
qualche
giorno a Vienna e non mi sono portata dietro il pc per aggiornare.
Veniamo al
capitolo in questione... Ricordate che vi avevo promesso che il
precedente
avrebbe segnato la fine dell’antefatto? Ecco, resettate. *si
scansa per evitare
i pomodori marci* Purtroppo la mia Musa ha deciso altrimenti, quindi
temo che
vi dovrete sorbire i retroscena ancora per un po’, ma non
temete: ne
succederanno comunque di cotte e di crude.
Spero di
cuore che vi piaccia, perché mi sono fatta prendere un
tantino la mano dal
delirio fangirleggiante e slasher.
Buona
lettura!
Quello che
seguì fu l’inizio della fine.
O meglio,
per Merlin segnò la fine della relativa e discreta pace di
cui aveva goduto
durante la sua permanenza a Camelot prima di quel maledetto giorno.
L’unica
nota
positiva di tutta l’incresciosa vicenda era che il malefico
piano di Morgause,
che prevedeva la prematura dipartita dei Pendragon, era andato a farsi
benedire. Anche se, col senno di poi, a Merlin avrebbe fatto comodo che
almeno
l’Asino venisse eliminato, fatto fuori, kaputt.
Davvero
beffardo, il destino: due anni trascorsi a farsi in quattro per
vegliare
sull’incolumità di Arthur, e adesso invece non
avrebbe esitato a porre fine
personalmente alla sua inutile esistenza. Qualsiasi sentimento
d’amore avesse
provato in passato per il principe era (temporaneamente) morto,
soffocato da un
crescente senso d’irritazione misto ad esasperazione che
aumentava di giorno in
giorno, di ora in ora.
Il gesto di
spruzzare il dannato filtro che aveva unito in un pornografico
slinguazzamento Uther
e Cenred sugli occhi del principe era stato sì inconsulto ed
avventato, ma
puramente istintivo, con l’unico scopo di liberarsi dalla
presa ferrea
dell’altro per mettersi in salvo. Ad essergli fatale, in
verità, era stato lo
straordinario tempismo della Polisucco, che aveva pensato bene di
esaurire il
suo effetto proprio quando Arthur era ormai sotto l’influsso
di quello che era,
senza più ombra di dubbio, un filtro d’amore
potentissimo.
“Merlin”
aveva esalato il principe con sguardo rapito, tendendo una mano verso
il servitore
per aiutarlo a rialzarsi.
“S-sire,
voglio dire, mio signore” aveva balbettato in risposta Merlin
con impacciato
distacco.
La corte
intera, a quel punto, non sapeva più su quale delle due
coppiette presenti in
Sala concentrare la propria attenzione, sicché faceva la
spola dall’una -i
sovrani un tempo nemici e ora pomicioni da far schifo-
all’altra, ovvero
l’erede al trono che fissava con gli occhi a cuoricino il
proprio esile e goffo
valletto ancora col culo a terra.
“Il
tono
formale con cui ti rivolgi a me mi ferisce, Merlin caro.
Torna a pronunciare il mio nome come eri solito fare: sulle
tue
labbra ha un suono così dolce e armonioso!” aveva
esclamato l’Asino Reale con
voce vibrante d’emozione e la mano sempre tesa verso
l’altro.
“Ma
anche
no… C-cioè, non mi sembra il caso”
aveva replicato il mago con scemata veemenza
(in nome del Grande Puffo, perché non sapeva resistere agli
occhi luccicanti di
Arthur?).
“Non
dire
castronerie, cuor mio. Ma orsù dunque, alzati ché
ci stanno fissando tutti con
gli occhi fuori dalle orbite. Chissà perché,
poi” aveva blaterato l’aitante
maschione tra sé e sé mentre Merlin si appigliava
alla sua mano e si tirava su,
vagamente intimidito.
“Sire
-volevo
dire, Arthur- potreste per cortesia lasciar andare il mio polso?
E’
imbarazzante” aveva borbottato, riferendosi alla delicata
tenaglia con cui il principe
sembrava volerlo
tenere appiccicato a sé.
“Per
quale
motivo dovrei?” l’aveva sfidato l’altro.
I due si erano
scambiati un’occhiata significativa.
“Non
ho
intenzione alcuna di svanire nel nulla o di darmi alla macchia,
Sire” aveva
mentito spudoratamente Merlin.
“E ti
aspetti che io creda ad un pessimo bugiardo come te? Suvvia Merlin:
sono
innamorato, mica scemo!”
“Io
non ci
giurerei, mio signore” aveva cercato di cambiare discorso.
“E non
provare a cambiare discorso, tanto non ci casco”.
Come non detto.
Il piccolo
Dumbo (ops) aveva alzato gli occhi al cielo, esasperato.
“Per
tutte
le carote di Britannia, siate ragionevole! Fino ad una clessidra fa non
mi
filavate di striscio”.
“Merlin.
Merlin. Merlin. Merlin” Arthur aveva scosso la testa con
commiserazione di
fronte a tanta deliziosa ottusità. “E’
ovvio che mi piacevi già da prima,
semplicemente mi sono innamorato di te adesso. Cosa
c’è di strano?”
“Dite
così
solo perché al momento non siete in voi. Ma non
preoccupatevi, troverò un modo
per aggiustare ogni cosa. Così voi potrete tornare ad
ignorarmi e ad andare a
caccia di gonnelle”.
La stretta
sul suo polso si era intensificata, la voce di Arthur si era fatta
più grave.
“Merlin,
mio
adorabile idiota, ascoltami una buona volta. Non so bene quali pensieri
frullino nella tua bella testolina, ma di una cosa sono certo: mi sono
innamorato
di te, non importa quando e per quale motivo. Ti amo e tanto mi basta;
se fossi
onesto con te stesso non aspetteresti un attimo di più per
gettarti tra la mie
braccia. Perché anche tu mi ami, benché alquanto
restio ad ammetterlo” aveva
concluso il monologo piuttosto tronfio.
“Santa
barbabietola, non vi ho mai sentito pronunciare tante idiozie tutte in
una
volta”.
“Smettila
di
tirare in ballo degli ortaggi innocenti e dimmi quel che voglio
sentirmi dire,
da bravo” gli aveva ordinato dolcemente Arthur.
“MAI!”
era
esploso Merlin con un’espressione sul volto a metà
tra il vergognoso e il
se-gli-sguardi-potessero-uccidere-tu-ti-troveresti-tre-metri-sotto-terra.
“Ma
perché,
colombello mio? Sappiamo entrambi che è la
verità” aveva tubato con fare
suadente il regal babbeo.
“Devo
pur
difendermi dai miei sentimenti per voi” era capitolato il
nostro eroe con le gote
purpuree e gli occhi bassi e una certa fierezza nel modo di chinare il
capo e
di serrare i pugni per il troppo imbarazzo che aveva strappato
all’altro un
sorriso intenerito ma pur sempre tronfio. Gli aveva circondato il magro
torace
con il braccio non impegnato a cingergli il polso, con un trasporto ed
una
disinvoltura a lui sconosciute.
La corte
-esclusi i sovrani, sempre intenti a limonare e a non staccarsi le mani
di
dosso- a quel punto aveva trattenuto il fiato, conscia che quello fosse
un
momento topico. Arthur aveva portato la fronte a contatto con quella
del suo
innamorato, lasciando solo pochi centimetri a dividere le loro labbra.
“E
adesso,
tortellino mio, direi che un bello slinguazzamento per la gioia delle
fangirl
che ci guardano ci sta tutto, no?” aveva proposto sornione ed
un poco arrapato.
“ARTHUR!”
aveva urlato in risposta Merlin mollandogli un ceffone niente male.
E’
proprio
il caso di dirlo: Pendragon junior vide le stelle, ma la cosa non
scalfì il suo
orgoglio asinino neanche un po’.
Nel giro di
pochi giorni la notizia dell’inaspettata e scabrosa love
story tra Uther
Pendragon e Cenred (cognome non pervenuto, sorry), per non parlare
della cotta
fulminante del Principe, aveva fatto il giro dell’intera
Britanna, rischiando
anche di giungere alle orecchie dei regnanti d’oltremare.
Tutto merito di Qui, la rivista di
gossip più venduta
dell’isola, e del suo malizioso nonché gayssimo
direttore Alphonsus Dominini,
al cui radar capta-pettegolezzi nulla sfuggiva. Non venne mai scoperto
il nome
del delatore.
Fu
così che
il popolo britannico diede prova di essere già molto avanti
in quanto ad
apertura mentale e tolleranza, poiché la scottante novella
non scandalizzò o
infastidì anima viva. Non mancarono i soliti saputelli che
sentenziarono
solennemente che loro l’avevano sempre sospettato, che quei
due non l’avevano
mai raccontata giusta. Fioccarono battutine irriverenti e motti di
spirito osé
riguardanti la gaiezza ereditaria dei Pendragon, della loro
abilità a cavalcare
i destrieri più imbizzarriti e nel maneggiare lance
acuminate (e qui ci
fermiamo, perché come già ribadito in precedenza
la storia è a rating verde/giallo),
ma senza alcun intento malevolo.
Ciò
non
toglie, tuttavia, che a Camelot il coming out dei reali ebbe un impatto
non da
poco. Il volgo si mostrò dapprima perplesso; ben presto
tornò a concentrarsi
sulla vita di tutti i giorni, ché di tempo per star dietro
ai capricci e alle stramberie
dei nobili non ne aveva. I membri della corte ed i cavalieri
manifestarono un
persistente e durevole imbarazzo, che non accennava a diminuire a causa
dei
frequenti e rumorosi -che Lord Voldemort mi perdoni- rendez-vous
notturni, ma
soprattutto diurni, della coppia formata da Uther e Cenred. Il sovrano
di
Camelot era talmente impegnato a dichiarare amore eterno al suo uomo,
da aver
lasciato il gravoso compito di mandare avanti la baracca al giovane
Arthur con
l’ausilio di vari ministri e consiglieri.
Che poi,
mormoravano le malelingue, anche sul principe ci sarebbe stato molto da
ridire.
Egli infatti prestava distrattamente attenzione alle incombenze che gli
spettavano in quanto vice re, si presentava in ritardo ai concili e
agli
allenamenti e vagava per il castello (marcondirondirondello) con un
sorriso
beota e beato sul volto, impiegando la maggior parte delle sue energie
e del
suo tempo libero a tartassare la sua anima gemella
con profferte amorose più o meno sfacciate.
Il povero
Merlin, di conseguenza, si era ingegnato lungamente su come dribblare
gli amorosi
assalti tesigli dall’Asino Reale. Pur avendo pubblicamente
ammesso i suoi
sentimenti -benedetta Mordor, che vergogna!- era ben lungi dal
lasciarsi
irretire dalle sue avances e a concederglisi a cuor leggero. Non che
non lo
avrebbe desiderato, figuriamoci, ma era perfettamente conscio del fatto
che
l’infatuazione di Arthur, per quanto lusinghiera potesse
essere per il suo ego,
era dovuta unicamente a quel filtro del ciufolo e che presto o tardi
l’effetto
si sarebbe esaurito. O almeno così riteneva,
perché il drago aveva
accuratamente omesso parecchie cosette
al riguardo.
Per queste
motivazioni, dunque, il mago aveva cercato quanto più
possibile di evitare il
suo signore e, onde sedarne i bollenti spiriti, si era lanciato in lodi
sperticate alle più avvenenti dame del castello
(marcondirondirondello) e in
particolare a Gwen, nella speranza che l’altro cogliesse
l’antifona. Si era
dovuto tuttavia arrendere, poiché l’unico
risultato ottenuto era stato di far
ingelosire quel cretino, che per ripicca si era fatto ancora
più appiccicoso e
impudente.
A ciò
pensava Merlin vagando per il palazzo, quando…
“Merlin,
virgulto di primavera bagnato di rugiada e presto anche del mio seme!
Ti stavo
cercando” lo gelò la voce insinuante di Arthur,
che con un sorrisetto
compiaciuto lo intrappolò in un angolo buio di un corridoio
altrettanto buio e
poco frequentato del terzo piano.
Il
servitore, che pensava di averlo seminato, si divise equamente tra il
panico
dovuto al fatto di trovarsi alla mercé del principe e il
disagio derivato dalla
neanche troppo sottile allusione sessuale. Sicché, col cuore
in gola ed il viso
in fiamme, simulò malamente una grande pace interiore mentre
gli rispondeva a
tono.
“Davvero,
Arthur? Desiderate chiedermi qualcosa?”
“Sì:
secondo
te cosa fa Federica Pellegrini quando non nuota?”
“Eh?”
ribatté preso in contropiede.
“Chupa!”
scoppiò a ridere l’altro senza ritegno, neanche
fosse un marmocchio di cinque anni
–il che non era da escludere a priori, in effetti.
“Arthur,
per
carità, ricomponetevi e comportatevi da persona seria quale
dovreste essere”
sbuffò infastidito,
incrociando le
braccia al petto.
“E’
anche
per questo che mi piaci, lo sai Merlin?” Arthur
tornò serio. “Non esiti a
rispondermi per le rime e a rimbrottarmi quando necessario, non cerchi
di
conquistare la mia benevolenza con mille salamelecchi e sei
così diretto, pure troppo.
Prima di innamorarmi di te la tua brutalità mi dava sui
nervi proprio perché
sapevo di meritarmela, per questo ti ho mandato alla gogna innumerevoli
volte”
continuò come a scusarsi.
“Bei
tempi,
quelli” esclamò Merlin roteando teatralmente gli
occhi, scherzando solo in
parte.
Si
irrigidì
un poco quando l’altro lo tirò affettuosamente per
il fazzoletto che portava
annodato al collo, avvicinando così i loro visi in modo
preoccupante.
“Qui a
corte
e in città mi invidieranno in molti, visto che sono riuscito
ad accalappiare il
migliore partito di tutta Camelot” mormorò con
tono intimo.
“E’
la
checca che è in te a parlare, adesso” Merlin
inarcò dubbioso un sopracciglio,
passando al ‘tu’ senza accorgersene.
Arthur a
quel punto lo omaggiò di una delle sue risate a gola
spiegata che mettevano in
bella mostra la sua chiostra di denti bianchissimi e lievemente
irregolari, e
che facevano tremare le ginocchia di più di una fanciulla (e
di un fanciullo a
noi caro). Fu esclusivamente grazie a quella visione di fossette e
labbra
carnose curvate all’insù che l’Asino
riuscì a rubargli un bacio senza che lui
protestasse; così Merlin giustificò la sua
arrendevolezza, mentendo fino ad un
certo punto.
Se da una
parte Pendragon padre non aveva dato mostra di essersi accorto della
tresca di
suo figlio, dall’altra essa suscitò il sincero
interesse dei familiari e degli
amici intimi di entrambi i ragazzi.
Hunith,
pazza di gioia, appese sulla porta di casa una bandiera arcobaleno e
intontì le
malcapitate comari di Ealdor con farneticanti discorsi riguardanti
unicorni,
fanfiction e slash. Gaius, mantenendo un certo riserbo, espresse il suo
sostegno a Merlin strizzandogli l’occhio con aria complice ed
offrendosi di
spiegargli come funzionavano i fatti della vita.
Morgana,
neanche a farlo apposta, si rivelò essere una fervente
fangirl che shippava i
due “tontoloni innamorati” praticamente da sempre.
Tirando anche lei in ballo
le fanfiction (Arthur non era sicuro di voler scoprire di cosa si
trattassero),
tempestò sia il fratellastro sia il suo amichetto di domande
assurde: “Chi di
voi è il top e chi il bottom?”, “Quanto
spesso lo fate?”, “Avete mai praticato
il BDSM?”, “Posso scrivere una lemon su di
voi?” e così via. Se non fosse stato
che in questo modo la ragazza non aveva più il tempo di
tramare alle spalle di
Uther con la complicità della sorella, Merlin
l’avrebbe già messa a dormire con
i pesci, come insegnava il buon Don Vito Corleone. Al gruppo di
supporto della
giovane coppia si aggiunsero anche i cavalieri di Camelot e due nostre
vecchie
conoscenze, Albus e Gellert. Totalmente ignari del fatto che il giovane
mago li
avesse visti all’opera, i diabolici
amanti non perdevano occasione per scambiare occhiate
d’intesa con i
piccioncini e salutarli con tanto di manina ogni qualvolta li
incrociavano nei
corridoi. Arrivarono persino a regalare loro due spille multicolori
(arcobaleno, ovviamente) che recitavano: Per
il Bene Superiore. Forse
avevano semplicemente esagerato col Blumele.
Le uniche
persone che non fecero esattamente i salti di gioia e anzi si
incazzarono come banshee
furono Morgause e Gwen, entrambe per ovvi motivi.
Per
l’ennesima
volta la strega aveva visto andare in fumo di fronte ai suoi costernati
occhi
la possibilità di fare scacco matto ai Pendragon e nuovamente a causa di quel Merlin. Era quindi
comprensibile che le girassero alquanto, tanto più che, pur
rassegnatasi all’idea
che Cenred non sarebbe uscito dalla camera da letto di Uther per i
prossimi
anni, non poteva nemmeno contare sull’aiuto di Morgana. Aveva
provato a
parlarle, ma la sorella aveva liquidato il luogotenente platinato (non
dimentichiamoci del suo travestimento) frettolosamente, mormorando
qualcosa
come “fandom”, “NC-17” e
“rating rosso”. Sicché la povera donna
non sapeva più
con quale santo, divinità, daimon,
entità o forza oscura prendersela.
Altro
discorso per Gwen. La donzella già si immaginava con la
corona sul capo e
dozzine di cavalieri ansiosi di servirla, in tutti i sensi,
e con cui cornificare Arthur. Non le importava granché
sposare un
uomo che avrebbe amato sempre e soltanto il suo fedele servitore -non
ci voleva
un genio per capirlo, filtro o non filtro- perché a sua
volta ella nel cuore e
nella mente serbava il ricordo di Lancelot. Ma ormai ogni speranza di
imparentarsi con la famiglia reale era perduta. La cocente delusione
fece
emergere il lato più meschino della ragazza, che senza
soluzione di continuità
insultò pesantemente il principe, accusandolo di essersi
servito di lei come
specchietto per le allodole, e tagliò i ponti con
quell’intrigante di Merlin,
reo di averle soffiato il posto di futura regale consorte.
I nostri
eroi però non ebbero occasione per soffrirne troppo o farsi
dilaniare dai sensi
di colpa, giacché esattamente una settimana dopo
l’uscita dell’ultimo numero di
Qui fecero il loro arrivo a Camelot
due ospiti inattesi e quanto mai graditi: Lancelot e Gwaine.
Uff, che
fatica! Odio scrivere al computer, mi si incrociano gli occhi e ho
sempre il
terrore di lasciarmi scappare qualche errore di battitura. Ma questa
storia mi
da troppe soddisfazioni e voi lettrici siete fantastiche, quindi non mi
lamento
affatto.
Allora, che
ve ne pare? Aspetto con trepidazione -e un po’ di ansia- i
vostri pareri…
Un grazie
sentito e di cuore a chi segue, preferisce e ricorda e soprattutto alle
fedelissime che recensiscono ogni capitolo.
Love you
girls!
|
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Capitolo 6 *** Two princes ***
DEDICA: A Cloud, per la
citazione che non ha
indovinato ma che ben presto riconoscerà, e a feyilin.
NOTE: Il capitolo a
seguire è il più lungo
e il meno convincente che abbia scritto finora. E non lo dico
perché mi
faccio pare mentali su ogni singola parola che scrivo, ma proprio
perché
questo è il meno riuscito di tutti, almeno secondo me.
Lascio a voi l’ardua
sentenza, ma vi avviso per correttezza (e per pararmi un po’
le terga nel caso in
cui sentiate il bisogno di tirarmi verdura marcia random o vi
addormentiate nel
bel mezzo della lettura per il troppo tedio, ahah). Spero che riusciate
a
trovarci lo stesso qualcosa di valido. Comunque una buona notizia ce
l’ho: dal
prossimo capitolo riprenderò le fila della storia e mi
ricollegherò al prologo.
E’ una promessa.
Buona
lettura!
“When
I lay my head down to go to sleep at night
My
dreams consist of things that’d make you wanna hide
Don’t
let me in your tower, show me your magic powers
I’m
not afraid to face a little bit of danger, danger
I
want the love, the money and the perfect ending
You
want the same as I, so stop pretending
I
wanna show you how good could be together
I
wanna love you through the night, I’ll be your sweet
disaster”.
(Natalia
Kills, Wonderland)
Fino a poco
tempo prima, Gwaine e Lancelot non si sarebbero potuti definire
propriamente
amici. Avevano avuto modo di combattere fianco a fianco diverse volte
-solitamente per dare man forte ad Arthur o per difendere Camelot dallo
stregone svitato, dal bellicoso aspirante invasore o dalla bestiaccia
magica di
turno- ed erano molto affezionati al principe e a Merlin. Condividevano
anche
un’infatuazione per la bella (vabbè) Gwen;
infatuazione che però, nel caso di
Gwaine, era durata da Natale a Santo Stefano. Al di là di
queste poche cose, i
due sentivano di non avere niente in comune: troppe differenze
caratteriali,
per non parlare delle loro totalmente discordanti filosofie di vita.
Era stato
quindi con un certo distacco che si erano rivolti un breve cenno di
saluto quando
si erano incontrati nella stessa malfamata locanda di Arcores, un
villaggio
senza Dio e senza legge, coinvolti in una rissa con gli altri avventori
ubriachi spolpi di Scivolizia. Chi avesse dato il via alla scazzottata
e per
quale motivo i baldi giovani ci si fossero ritrovati nel bel mezzo non
è dato
saperlo. Sta di fatto che, essendo uomini d’arme e
d’azione, Lancelot e Gwaine
non si erano fatti pregare per menare le mani. Terminato il parapiglia,
erano
rimasti solo loro in piedi, ansanti e l’uno di fronte
all’altro, e il resto dei
contendenti con le gambe
all’aria:
chi perché piombato in coma etilico, chi perché
steso da un gancio sinistro ben
piazzato e chi perché determinato a fingersi k.o. piuttosto
che prenderne
ancora. I due si erano scambiati una vigorosa stretta di mano ed uno
sguardo
complice alla “yo bro, siamo usciti vittoriosi da una rissa
quindi potremmo
anche andare d’accordo”, appianando così
le loro divergenze (benedetta
psicologia maschile). Quando, davanti ad un boccale di birra offerto
dall’oste,
avevano scoperto di stare entrambi dirigendosi a Camelot, era venuto
loro
spontaneo decidere di proseguire il viaggio insieme.
Mai idea si
rivelò più azzeccata, giacché nei
quattro giorni che avevano impiegato per
giungere a destinazione essi avevano avuto occasione di scambiarsi
confidenze,
partecipare ad altre due risse, fumarsi qualche spinello
e diventare, in
una parola, amici. Durante un bivacco notturno, Lancelot aveva
confessato
candidamente all’altro che non era riuscito a levarsi Gwen
dalla testa (de
gustibus) e, dopo aver letto su Qui
del coming out di Pendragon junior, aveva pensato che forse quella
sarebbe
stata l’occasione giusta per dichiarare amore imperituro alla
ragazza e
chiederne la mano (ripeto: de gustibus). Gwaine aveva borbottato in
risposta
che tornava a Camelot perché sentiva la mancanza di Merlin e
del principe, che
ne aveva abbastanza della vita raminga e che avrebbe provato per un
po’ a mettere
radici. Qualcosa nei suoi occhi sfuggenti e nel sospetto rossore delle
guance
avevano convinto Lancelot che l’amico gli stava omettendo
qualcosa. Ma poiché
era un giovine molto discreto e rispettoso non aveva indagato oltre e
aveva
finto di essersi bevuto quella mezza verità.
Il loro
arrivo al castello (marcondirondirondello) fu annunciato ad alta voce
dal
soldato a guardia dell’ingresso principale, che dava
direttamente sul cortile
interno. Arthur, in quel momento proprio lì impegnato a
supervisionare
l’allenamento dei cavalieri più giovani, sorrise
particolarmente gaio e fece
cenno al piantone di lasciarli passare. Merlin, che invece passava di
lì
diretto al mercato, per la sorpresa si incartò su se stesso.
A salvarlo
dall’inevitabile capitombolo ci pensò il principe,
che sorrise intenerito nel
vederlo arrossire leggermente, per poi recuperare
l’equilibrio e correre come
un cucciolo scodinzolante ad accogliere i suoi amici – gli
unici, se si
escludeva il compianto Will. Gli si accostò, azzardandosi a
cingergli le spalle
con un braccio. Il mago, troppo di buon umore per imbarazzarsi e
respingerlo,
gli rivolse anzi uno dei suoi sorrisi a cinquantamila watt che secondo
l’inconfutabile
giudizio del futuro re era un’istigazione a delinquere e
un’autorizzazione a
mettere in pratica le proprie sconcissime fantasie. Deglutì
a vuoto.
“Lance!
Gwaine!” trillò Merlin saltellando in direzione
dei due ragazzi, ormai smontati
da cavallo.
“Che
Pollicino ti benedica, vecchio mio! Non sei cambiato affatto”
lo abbracciò con
trasporto Gwaine assestandogli delle pacche affettuose sulla schiena.
“Nemmeno
tu,
sei il cazzone di sempre” rise.
“E tu
il
solito insetto stecco. Ti danno da mangiare a sufficienza?”
“Sta’
pur
tranquillo, Gwaine. Mi assicuro personalmente che a Merlin vengano
servite le
pietanze più nutrienti e sostanziose servite durante il
regal desco” rispose
invece Arthur, con un sorriso gioviale ma interiormente
molto seccato dall’intimità tra i due
amici.
“Oh.
Altezza,
è sempre un piacere vedervi” mormorò
Gwaine un po’ in difficoltà, scostandosi
da Merlin per permettergli di salutare anche Lancelot e inchinandosi
rispettosamente di fronte all’erede al trono.
Decisamente
compiaciuto, il principe si schermì e offrì la
mano all’altro.
“Non
c’è
bisogno di tutta questa formalità, amico mio.
Posso considerarti come tale, non è
vero?” disse con una sfumatura di sfida
nella voce.
“Senza
ombra
di dubbio, Arthur” rispose ricambiando la stretta ma evitando
un contatto
visivo diretto.
Non del
tutto convinto, l’Asino Reale concentrò la sua
attenzione su Lancelot, cui
Merlin stava facendo un sacco di feste. La cosa, però, non
lo infastidì
affatto: non percepiva il cavaliere come una minaccia, al contrario di
Gwaine.
Bah, non voleva pensarci.
“Mio
prode
Lance, quanto tempo” tese la mano anche a lui.
“Arthur,
mio
signore” rispose quegli accettandola, un filino nervoso.
“Ditemi,
amici miei, cosa vi porta a Camelot?” chiese a quel punto
l’erede al trono,
squadrandoli con sincero interesse.
Gwaine
ripeté la sua già collaudata bugia, che peraltro
entusiasmò indicibilmente
Merlin, il quale prese a tempestarlo di domande: quanto pensava di
restare, se
sapeva già dove alloggiare... Arthur comprendeva il bisogno
quasi disperato del
suo amato di tenersi stretti i propri amici (non si era veramente
ripreso dalla
morte di Will), ma erano proprio necessarie tutte quelle moine?
Si volse con
aria interrogativa verso Lancelot. Era forse disagio, quello che
leggeva nei
suoi liquidi occhi d’onice? L’altro, prima di
rispondere, respirò
profondamente. Sì, era disagio.
“Arthur,
voi
sapete che vi stimo e che darei la vita per salvare la vostra. Se mai
un giorno
voleste richiedere i miei servigi di cavaliere, io diventerei con somma
gioia
il vostro più fedele servitore ed amico; senza nulla
togliere a Merlin, la cui
lealtà è una gemma
preziosa quanto
inscalfibile”.
Arthur
annuì, sebbene un po’ spiazzato, e lo
incoraggiò a continuare.
“Sette
giorni or sono ho avuto modo di apprendere su Qui
una certa notizia. Credetemi, ho parecchi amici gay e l’idea
che voi e Merlin stiate assieme mi riempie il cuore di
letizia” continuò
alquanto impacciato. Fece una pausa, e quando riprese a parlare
sembrava più
sicuro. “Vi sarete accorto della mia, beh, scuffia esagerata per Gwen... E dato che fino a
poco tempo fa ne eravate
innamorato pure voi, devo chiedervi se i vostri sentimenti per Merlin
sono
sinceri. In primo luogo perché, se lo farete soffrire
illudendolo, non esiterò
a privarvi della vostra virilità; poi perché
avrei intenzione di sposare Gwen e
di vivere con lei per sempre felice e contento”.
Un silenzio
di tomba, pesante e denso come una colata di piombo fuso,
seguì l’ultima
affermazione di Lancelot. Il dolce cicalare di Merlin si
azzittì di colpo ed
egli fece una smorfia ansiosa indirizzata a Lance, mentre Gwaine
inclinò il
capo, curioso di assistere alla reazione del principe. I cavalieri
interruppero
l’allenamento, interdetti da tanta pacata risolutezza. I vari
sguatteri e paggi
che avevano assistito alla scena gelarono, già tremando al
pensiero
dell’esemplare punizione che il nobile avrebbe inflitto a
quel ragazzo così
temerario. Persino i piccioni si bloccarono in volo e i cavalli
trattennero il
fiato.
Arthur, da
parte sua, posò una mano sulla spalla di Lancelot con
espressione grave.
“Amo
Merlin
più di Camelot e di mio padre messi assieme, e non appena
quest’ultimo si
degnerà di allontanarsi da Cenred quel tanto che basta per
apporre una firmetta
veloce gli farò promulgare un editto che legalizzi i
matrimoni gay, così potrò
sposare il mio trottolino amoroso dudù du dadadà” disse terribilmente serio.
Il
suddetto trottolino Merlin si
schiaffò una mano in faccia, improvvisamente
rosso come una rapa matura, e Gwaine ridacchiò.
“Per
quanto
riguarda Gwen, hai la mia benedizione: di lei non me ne frega
più niente, detto
tra noi. A mio parere avresti potuto scegliere una fanciulla
più aggraziata e
meritevole... Ma come si suol dire, de
gustibus non disputandum est. E beccati la citazione colta,
toh”. A quel
punto si voltò verso Gwaine. “Dimenticavo: siete
entrambi miei ospiti”.
Merlin non
riusciva più a controllare quella mina vagante e impazzita
che era diventato
Arthur. Non che non fosse in un certo senso adorabile, quando lo
incantava con
i suoi occhi obliqui da gatto, lo ricopriva di attenzioni e gli
dedicava
appassionate parole d’amore; ma chiamarlo trottolino
amoroso dudù du dadadà di fronte ai
suoi amici era semplicemente troppo. Doveva
mettere in chiaro giusto un
paio di cosette e far capire all’altro che se solo avesse
osato di nuovo fargli
fare una tale figuraccia con un qualsiasi essere vivente dotato di
intelletto e
parola avrebbe provveduto di persona a evirarlo, sissignore. E pazienza
per le
notti di fuoco mancate. Gli aveva dato quindi appuntamento la sera
stessa, dopo
il desco, in quell’angolo buio di quel corridoio buio del
terzo piano del
castello (marcondirondirondello) dove Arthur gli aveva rubato il suo
primo
bacio. Non per romanticismo -giammai!- ma perché era
l’unico posto tranquillo
dove nessuno li avrebbe disturbati (o colti in situazioni
compromettenti, coff
coff).
Dopo una
lunga attesa il nostro eroe arrivò alla conclusione, con una
certa stizza, che tra
i pregi del principe non figurava certo la puntualità. Va
bene che era un Asino
-e gli equidi, si sa, non hanno un gran senso del tempo- ma quanto gli
ci
voleva per salire tre o quattro rampe di scale, santa zucchina?
Finalmente
sentì alle sue spalle un rumore felpato di passi. Si
voltò, preparandosi a
chiedergli conto di quel clamoroso ritardo. Aveva forse dovuto dare la caccia ad un troll o
aveva per caso
aiutato un lepricano a recuperare la sua pentola piena d’oro
nascosta ai piedi
dell’arcobaleno?
Ma non era
Arthur l’uomo che gli si presentò alla vista,
bensì Gwaine. Gwaine,
con il suo fascino da guascone, la massa di capelli
scomposti e l’atteggiamento alla “io so’
Romeo, er mejo der Colosseo”. Lo
spericolato, ridanciano Gwaine, i cui occhi però apparivano
in quel momento
appannati, velati di mestizia.
“Gwaine”.
Persino
Capitan Ovvio se ne sarebbe uscito con qualcosa di più
intelligente.
“Merlin,
devo parlarti. E’ piuttosto urgente”
l’altro non si perse in preamboli.
“Oh,
uhm,
cioè… ok. Però non adesso, eh?
Rimandiamo a domani mattina. Devo conferire un
attimo con Arthur”.
“Non
posso
aspettare fino a domattina, Merlin. Ti ho seguito fin qui apposta per
parlarti.
E poi non so te, ma io non vedo Arthur nei paraggi”
ribatté alquanto seccato.
“Hai
ragione, scusami” sospirò l’altro.
“Non era mia intenzione essere scortese, ma
i ritardatari mi danno sui nervi .
Di
cosa volevi parlarmi?”
“Cercherò
di
essere breve, lo prometto. Ma prima consentimi di farti una domanda: tu
sei innamorato
di Arthur?”
Déjà
vu. “Sì”
mormorò, impacciato ma al contempo stranamente sicuro di
sé.
“Ne
sei
convinto?” insistette Gwaine.
“Sì,
ne sono
convinto. Lo amo, sebbene dorma ancora con l’orsacchiotto.
Perché me lo chiedi?”
rispose, un po’ ridacchiando e un po’ arrossendo.
Il viso
dell’amico, al contrario, assunse un colorito terreo.
“Gwaine,
ti
senti male?” cominciò a preoccuparsi.
“No”
l’altro
scosse la testa e abbozzò un sorriso tirato, spento.
“No, dovevo aspettarmelo.
Sono stato stupido io a credere di avere ancora qualche
speranza” disse poi
abbassando lo sguardo sul pavimento.
Il mago gli
si avvicinò, afferrandolo per la spalle con piglio deciso.
“A
cosa ti
riferisci, amico mio? Quali speranze?”
Egli si
liberò dalla presa, arretrando di un passo. Poi rivolse a
Merlin un’occhiata
carica di amarezza, prima di rispondere-
Ammettetelo:
state morendo dalla voglia di scoprire cosa stesse per dire Gwaine, eh?
Spiacente,
gentile pubblico, siamo costretti a rimandare il momento della Grande
Confessione. Perché vedete, proprio mentre
l’affascinante moraccione
raccoglieva il coraggio ed il fiato, nel corridoio buio del terzo piano
fecero
la loro furtiva comparsa alcuni servitori che Merlin conosceva solo di
vista e
si misero a trafficare con quelle che sembravano essere luci
stroboscopiche e una palla da discoteca?? In nome di Donna Summer, da dove saltavano fuori
quei marchingegni?
Lo stupore
-per usare un eufemismo- dei due ragazzi crebbe in maniera esponenziale
non
appena i servitori si dileguarono, lasciando il posto ai musici di
corte. Il
bassista (il bassista?) urlò ai suoi colleghi: “E
one, e two, e one two three
four!” e tutti insieme attaccarono con
la melodia. Melodia che, al mago, suonò familiare in modo
inquietante in quanto
gli ricordava tantissimo la canzone preferita di Gaius: stesso ritmo
accattivante, stessa musichetta leggera e sbarazzina.
Cominciò a sudare freddo.
Fu in quel
momento -epico, tragicomico, topico: come più vi aggrada-
che entrò in scena il
cantante. Per poco Merlin non stramazzò al suolo e Gwaine
rischiò un colpo
apoplettico.
Alto, una
chioma di capelli fin troppo lunghi, neri e lustri per essere naturali,
un boa
di struzzo rosa acceso e glitterato e una tuta di pelle nera
attillatissima con
tanto di scollo a V che gli scopriva sensualmente il collo e buona
parte dei
pettorali. L’insieme era al tempo stesso grottesco, gay
all’ennesima potenza e
morbosamente arrapante. Merlin
cercò con
lo sguardo gli occhi dell’individuo, ma una folta frangia li
copriva. Eppure il
suo istinto gli diceva che lo conosceva, e pure bene. Eseguì
una radiografia
completa del corpo perfetto (atletico ma non gonfiato, armonioso, con
due
spalle così e un culo che pareva scolpito nel marmo) del
misterioso capellone;
il tessuto aderente lo fasciava come una seconda pelle, evidenziandone
in modo
quasi pornografico i capezzoli turgidi. Gli ormoni impazziti del nostro
eroe
esplosero in un boato di apprezzamento di fronte a cotanta figaggine.
Esplorando il
corpo umano, quante
cose che impariamo, petto e muscoli gommosi: che spet-ta-co-lo!, Merlin li
sentì cantare.
Momento
momento momento.
I muscoli
gommosi erano una prerogativa
assoluta di un Asino Reale di sua conoscenza. Oh Zeus egioco, che fosse
lui?
Finalmente
l’arcano venne svelato. L’uomo del mistero si
scostò la frangia dagli occhi azzurrissimi,
da gatto, si esibì in un sorriso ammiccante che rivelava
denti bianchi ma un
po’ irregolari e con la mano sinistra -sul cui indice portava
l’anello della
sua casata- impugnò il microfono e cantò.
«L’indirizzo ce l’ho
Rintracciarti
non è un problema
Ti telefonerò
Ti offrirò una serata strana
Il pretesto lo sai: quattro dischi ed un po’ di whisky!
Sarò grande, vedrai
Fammi spazio e dopo mi dirai
Mmmh… Che maschio sei! »
Jesus Christ
Superstar.
Arthur stava
cantando -si fa per dire- la canzone più equivoca di tutti i
tempi (non per
niente la favorita di Gaius). Ragliando come l’asino che era.
Con una assurda
parrucca ed un boa di piume assolutamente da checca. E una tuta che,
beh,
inneggiava allo stupro.
Jesus Christ
Superstar.
Il giovane
Pendragon, da parte sua, si apprestava ad intonare i ritornello quando
vide che
alla sua esibizione stava assistendo un ospite non gradito: Gwaine.
Prima le
luci stroboscopiche lo avevano mezzo accecato, consentendogli di
scorgere a malapena
il destinatario della sua serenata, ma
adesso distingueva perfettamente anche la zazzera dell’amico,
la sua stazza.
Digrignò i denti. Che cavolo ci faceva lui lì?
«Lui chi è?
Come mai l’hai portato con te? »
cantò rabbiosamente, indicando l’intruso.
Per fortuna
il volume della musica non era alto, quindi Merlin provò a
ribattere senza
sgolarsi troppo.
“No
Arthur,
non è come pensi!” era chiaro che quello stupido
aveva frainteso la situazione.
«Il
suo ruolo mi spieghi qual è?
»
“Ma
che
ruolo e ruolo, se solo la smettessi di cantare-” non si diede
per vinto
l’altro.
«Io volevo incontrarti da solo, semmai!
»
Arthur non aveva intenzione
di cedere.
“OH
INSOMMA,
ASCOLTAMI UNA BUONA VOLTA! SE NON AVESSI IMPIEGATO CINQUANTA GIRI DI
CLESSIDRA
PER PREPARARE QUESTA MESSINSCENA MI AVRESTI TROVATO DA SOLO, RAZZA DI
ASINO!”
urlò esasperato.
Non diede
mostra di grande savoir-faire, forse, ma almeno ebbe
l’effetto di porre fine a
quello strazio. I musicisti si interruppero all’istante e
Arthur rimase a bocca
aperta a mo’ di pesce lesso.
“Sia
ringraziato Odino e l’intero pantheon celtico! Sei stonato
come una campana,
sappilo”.
Il principe
si tolse la parrucca, evidentemente deluso.
“Uff,
la
prossima volta col cavolo che do retta a quella drag queen di Gaius. Mi
ha giurato
che Il triangolo funziona sempre
come
serenata, sebbene qualcosa mi dicesse che non avresti
apprezzato”.
“Scommetto
che ti ha convinto lui a conciarti in questo modo, vero?”
indagò l’altro.
“Sì.
Sai, in
omaggio a Renato Zero. Sto così male?” era proprio
abbattuto.
“Se ti
levassi anche quel ridicolo boa saresti il sogno erotico di
chiunque” rispose
Merlin schiettamente, per poi avvampare immediatamente dopo.
Tuttavia ad
Arthur sfuggì quell’apprezzamento involontario,
intento a fissare Gwaine con
sguardo inquisitore.
“Che
ci fai
tu qui, amico mio?” chiese con malcelato sarcasmo.
“Arthur,
stavo per l’appunto cercando di spiegarti-” si
intromise Merlin .
“No,
lascia
che parli io” lo zittì gentilmente
l’amico. Indi si rivolse al sosia biondo di
Renato Zero. “Avevo urgenza di parlare con Merlin, mio
principe”.
“Davvero?
E
cosa avevi di così importante da dirgli, posso
saperlo?” incalzò malevolo.
“In
verità non
ho potuto rivelargli alcunché, perché siete
sopraggiunto voi” spiegò l’altro in
tono sorprendentemente mite.
“Beh,
cosa aspetti
a parlargli: che a Lord Voldemort ricrescano i capelli?”
insinuò velenoso.
“Arthur”
lo
ammonì Merlin.
“No,
amico
mio, Arthur ha ragione. Merito di essere trattato alla stregua di terzo
incomodo, perché è proprio questo che sono. La
verità è che, nei mesi trascorsi
lontani da Camelot, ho capito di essermi innamorato di te”
mormorò guardando lo
stregone fisso negli occhi.
L’erede
al
trono ringhiò neanche troppo discretamente.
“Mi
ero
ripromesso di non rivelarti i miei sentimenti, ma quando mi
è giunta voce che
Arthur aveva perso la testa per te, non ci ho visto più: ho
subito pensato che
fosse uno scherzo di cattivo gusto, che lui ti stesse illudendo e
niente altro.
Per questo sono tornato, Merlin. Volevo la conferma alle mie supposizioni, metterti
in guardia,
evitarti un dolore. Ma ero in malafede e mi è bastato
vedervi insieme per
capire quanto mi fossi sbagliato. Voi due siete anime gemelle, le due
facce
della stessa moneta (aridaje!, NdA), e poco fa me ne avete dato la
prova: battibeccate
come una coppia sposata da trent’anni”
tentò di sdrammatizzare Gwaine.
Arthur nel
frattempo aveva assottigliato gli occhi, come un gatto diffidente.
Dunque non
si era sbagliato, a percepirlo come una minaccia.
Merlin,
mosso a compassione dall’evidente sconforto
dell’amico, tentò di consolarlo.
“Ma
no,
Gwaine, non devi incolparti. Al tuo posto avrei agito anche io
così, davvero.
Ti capisco”.
“No,
amico
mio carissimo. Non giustificarmi. Io sono in torto, e merito di fare
ammenda.
Mi dispiace” sussurrò ad entrambi, respingendo il
conforto del mago. “Adesso
scusatemi, devo proprio congedarmi”.
Se ne
andò
con la coda fra le gambe, scomparendo nell’ombra del
corridoio buio del terzo
piano. Merlin era ancora troppo sconvolto ed imbarazzato per riuscire a
ragionare lucidamente. Arthur, con la cattiveria derivata dal rancore e
dalla
gelosia, incrociò le braccia al petto e, con i suoi migliori
faccia da schiaffi
e tono strafottente, gli diede il colpo di grazia.
“Allora,
Merlin, di che volevi parlarmi?”
Bien, eccoci
qui. Siete ancora vive? Volete linciarmi?
Seriamente,
ora più che mai mi farebbe piacere -e mi sarebbe anche
utile- un vostro parere.
Sono confusa, demotivata, ho il ciclo e domani ricomincia
l’uni. Come sempre,
un ringraziamento speciale e melodrammatico (lol) a chi recensisce,
segue,
preferisce e ricorda la mia bislacca storiella.
Ah
sì,
giusto una noticina: la citazione all’inizio del capitolo
è di una canzone che
ho scovato su Youtube qualche giorno fa, e me ne sono innamorata
praticamente
da subito... Leggete il testo completo e ditemi se non vi sembra
perfettamente
calzante per Arthur e Merlin!
http://www.youtube.com/watch?v=DEFKN5nfcYU
(questo è il video con le lyrics)
http://www.youtube.com/watch?v=ayVuQLT00v0&ob=av2e
(e questo è il video originale)
Un bacio a
tutte!
|
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Capitolo 7 *** True colors ***
DEDICA: A Cloud per la
sua incrollabile
fiducia nelle mie capacità nonostante tutto, a feyilin
perché non ci vediamo da
un po’, a xMoonyx per le sue recensioni bellissime e
perché è una merthuriana
doc e a BeaLovesOscarinobello che shippa Merthur perché le
ho fatto una testa
così.
NOTE: Innanzitutto mi
scuso per il
mostruoso ritardo. E’ imperdonabile, vista la
brevità vergognosa di questo
capitolo, ma giustificabile: mi è preso il blocco dello
scrittore. Quel poco
che sto per sottoporvi l’ho scritto facendo violenza su me
stessa. Non so se
sia colpa dello sfasamento dato dall’inizio
dell’università, dal poco tempo o
dalla stanchezza: più di così non sono riuscita a
fare. Avrei potuto, forse,
farvi attendere ancora e cercare di mettere insieme un capitolo degno
di questo
nome, ma non potevo dilungarmi oltre. Dovevo
superare in qualche modo la crisi da pagina bianca, fosse
anche per
scrivere due righe. Spero mi sia stato d’aiuto, e di veder
tornare al più
presto l’ispirazione per potervi ammorbare con i miei deliri.
Comunque non
disperate (?), questa fiction s’ha da fare e si
farà.
Detto
questo, buona -si fa per dire- lettura!
Dopo quella
fatidica, fatale, fantomatica e fantasmagorica (ops, troppe
allitterazioni!)
sera, per Merlin parecchie cose non furono come prima.
Più
dell’esibizione canora e canina di Arthur, più
della sua mise scandalosamente
improbabile, più dell’inaspettata quanto dolorosa
dichiarazione di Gwaine, a
shockare il giovane mago era stata la malignità gratuita
dimostrata in quel
frangente dall’Asino Reale.
Non
c’era mostro
dagli occhi verdi che potesse
giustificare
la sua sgarbataggine. In fin dei conti, Gwaine non aveva attentato alla
virtù
di Merlin, tant’è che si era fatto da parte una
volta verificata la genuinità
dei sentimenti di quest’ultimo. D’altra parte non
lo si poteva nemmeno accusare
di aver tramato alle spalle della coppietta felice, anzi. Aveva
mostrato non
poco fegato ad ammettere il proprio errore di giudizio e a chiedere
umilmente
perdono.
E poi,
maledetta sia Polly Pocket, non riusciva a capire quello stupido
biondino che
così comportandosi poneva Merlin in una situazione alquanto
spinosa e
compromettente?
Gwaine era suo amico: il migliore,
dopo Will. Teneva enormemente a lui, che peraltro era
l’unico, oltre a Lancelot,
Gaius e la madre, ad essere a conoscenza dei suoi poteri. Scoprirlo
innamorato
di sé era senza dubbio stato un brutto colpo, ma confidava
nel fatto che la
loro amicizia ne sarebbe potuta uscire sostanzialmente illesa, con un
po’ d’impegno
da parte di entrambi. Ne avevano passate talmente tante, insieme.
Avrebbero
superato pure questo ostacolo.
Peccato
però
che un certo regal babbeo non sembrasse disposto a facilitare la loro
riconciliazione. Aveva anzi messo il broncio -certe abitudini sono dure
a
morire, purtroppo- e con tono petulante aveva accusato Merlin di
essersi preso
gioco della trasparenza dei suoi sentimenti, di non amarlo veramente,
di averlo
sedotto e abbandonato (blablabla) e di tenere maggiormente alla sorte
di quell’insidiosa
serpe nota con il nome di Gwaine,
osando addirittura insinuare che i due avessero una tresca. Onde
evitare di
mandarlo a farsi un giro in un certo pertugio
stretto e buio dove il sole non è solito battere, il mago
non aveva dato peso
alle lagne dell’altro e l’aveva liquidato. Proprio
così, liquidato come
l’ultimo degli scocciatori o dei
Testimoni di Geova, con uno sguardo capace di far tremare la
più spaventosa e
sanguinaria creatura magica e un secco: “Non dite idiozie,
per l’amor di Priapo”
che aveva impedito al bizzoso erede al trono di replicare
alcunché, facendolo
sentire un bimbo capriccioso ed inopportuno e gelandolo per
l’improvviso
ritorno al ‘voi’.
Non che
Merlin si divertisse a prendere a male parole il principe, ma scoprire
un
aspetto così meschino ed immotivatamente geloso della sua
personalità (il modo
in cui aveva trattato il povero Gwaine era imperdonabile)
l’aveva mandato non
poco in crisi. Incredibile a dirsi, cominciava a rimpiangere
l’Arthur di un
tempo, sbruffone, dispettoso ed irrimediabilmente asino, ma mai
volutamente
crudele.
Che poi, a
ben pensarci, non lo si poteva nemmeno incolpare più di
tanto per i suoi modi
riprovevoli o per l’insana possessività che gli
dava diritto di credere che
Merlin fosse roba sua, proprietà privata, off limits; era
pur sempre sotto
l’effetto di un incantesimo con i contro-attributi. Il suo
stato mentale, così
come la percezione della realtà, era alterato, e la passione
amorosa nei
confronti del mago un semplice fuoco fatuo, un’allucinazione
indotta dalla
pozione –un po’ come uno svarione da LSD, per
intenderci.
Al nostro
eroe sanguinava il cuore al solo pensarci, ma in mezzo a quel delirio
collettivo e ad alto tasso di slash qualcuno doveva pur mantenersi
lucido e
fare i conti con la triste realtà, ovvero che lui ed Arthur
erano tutt’al più
destinati a fondare Albion (sempre che quel bidonaro di Kilgharrah dicesse la
verità) e a rimanere grandi amici,
non ad anticipare di qualche secolo
la legalizzazione delle unioni omosessuali e adottare qualche pargolo
per
vivere per sempre gai e… gay. Non era questo, il loro destino: le due facce di una stessa moneta non
possono fondersi assieme.
Il problema
era farlo capire al principe, una volta per tutte.
Nei giorni
che seguirono la fatidica, fatale, fantomatica -ok, ok, la smetto-
sera, Merlin
tentò a più riprese di parlare con Gwaine.
Intendeva spiegargli che, nonostante
lo addolorasse moltissimo vederlo soffrire a causa sua, teneva troppo
alla loro
amicizia per permettere che un incidente di percorso li allontanasse.
Erano
fratelli, compagni di ventura, e questo contava più di un
innamoramento
passeggero. Tuttavia, come era prevedibile, l’amico
preferì evitarlo. Gli fece
sapere, tramite Gaius (cui pareva di vivere in una puntata di
Beautiful), che
intendeva lo stesso fermarsi a Camelot per un po’ e cercarsi
un’occupazione, ma
che per il momento non se la sentiva di rivederlo. Un confronto
vis-à-vis lo
avrebbe debilitato ulteriormente.
Seppure a
malincuore, il mago accettò l’imposizione
dell’amico. E Arthur approfittò
dell’occasione propizia per tornare alla carica con il suo
corteggiamento.
E fu
così,
gentile pubblico, signore e signori, slashers e merthuriani/e, che ci
riallacciamo con il prologo (alla buon’ora!).
Ecco quindi il nostro eroe chiuso a chiave nella sua stanzetta,
sull’orlo di
una crisi di nervi. La situazione sembra sfuggirgli di mano, i suoi
timpani, violentati
dall’angelica voce dell’Asino Reale, hanno
raggiunto il massimo grado di
sopportazione. Provvidenziale gli si accende la lampadina in testa:
deve
conferire urgentemente con il drago. Quella sera stessa. Costi quel che
costi.
Ooook,
qualche annotazione veloce prima di mettermi in salvo dalla gogna
(tanto per
restare in tema con il telefilm).
Gwaine a
conoscenza del segreto di Merlin è una licenza poetica, mi
serviva a rendere il
loro legame ancora più saldo. Il finale fa proprio schifo,
me ne rendo conto da
sola, ma spero possiate perdonarmi comunque.
Visto che
ormai ci ho preso gusto, a postare link, vi consiglio caldamente la
visione di
questo video totalmente Arlin: guardatelo e capirete perché
ho intenzione di
erigere un monumento in onore della sua geniale autrice. Lo amerete
anche voi,
spero. http://www.youtube.com/watch?v=VR65XpfBWBw
Doverosi i
ringraziamenti alle splendide donne che seguono, ricordano,
preferiscono e
recensiscono: siete la mia forza, davvero.
Alla
prossima!
|
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Capitolo 8 *** The power of love ***
DEDICA: A Cloud
perché “le tue idee balorde
conquisteranno il mondo!” (cit.), a feyilin che deve
riguardarsi, a
BeaLovesOscarinobello (che si è scelta un nick lunghissimo)
e a Virginia, che
di Merlin non conosce praticamente
nulla ma si è messa lo stesso a seguire la mia storia.
NOTE: La mia Musa
è tornata, alleluia!
*stappa una bottiglia di champagne*
Siamo arrivati al punto nevralgico (?) della storia: questo
è IL capitolo e
leggendolo capirete il perché. Come sempre, è
caccia aperta alla citazione. Ce
n’è una in particolare, piuttosto palese: la prima
persona ad individuarla
vincerà… (rullo di tamburi)... una dedica nel
prossimo capitolo! Lo so che si
tratta della vostra più grande ambizione, quindi vi esorto a
dare il meglio di
voi. Scherzi a parte, grazie alle lettrici che mi hanno aiutata, con i
loro
commenti ed il loro supporto, a superare ‘sto maledetto
blocco. Vi lovvo <3.
Buona
lettura!
Calato che
fu il buio e rimboccate le coperte al principe -non senza qualche
difficoltà e
avendo cura di sciogliere un potente sonnifero nella tazza di latte
caldo e
miele che sorbiva ogni sera- Merlin si recò, per la seconda
volta nel giro di
due settimane, presso la radura nelle vicinanze del castello
(marcondirondirondello).
Emise i
soliti astrusi e incomprensibili bofonchiamenti -non si era bevuto la
balla del
serpentese- e la risposta di Kilgharrah non si fece attendere. Pochi
minuti ed
un fragoroso frullare d’ali dopo, il drago
parcheggiò la sua immensa mole
squamosa ad un soffio dall’esile figura del ragazzo.
“Ci
rivediamo, giovane mago” lo salutò senza mostrare
nemmeno un briciolo di
sorpresa.
“Giovane
mago una fava, Kilgharrah!” sbottò Merlin.
“Oh oh
oh,
dalla tua evidente irritazione deduco che il mio piano ha
funzionato” ribatté
ilare la creatura magica.
“Sicché
ci
avevo visto giusto: tutto questo bordello è colpa
tua!”
“Oh,
che
brutta parola. Io lo definirei delirio al massimo grado”
ironizzò neanche
troppo sottilmente Kilgharrah.
“Io
invece
trovo molto più appropriato bordello” insistette
il moro, fuori dalla grazia di
Gandalf. “Uther e Cenred scopano come conigli da mattina a
sera, Arthur allunga
le mani a ogni pie’ sospinto, mia madre e Morgana danno i
numeri e sproloquiano
a proposito di fluff e fandom e qualcos’altro che non ho
capito e come se non
bastasse Gwaine ha bellamente confessato di venirmi dietro!”
“E’
lo
slash, baby” sghignazzò impunemente
l’altro. “E Lady Morgana ed Hunith non sono
che semplici fangirl. Per quanto riguarda il tuo amico avventuriero, mi
spiace
deluderti ma io non c’entro affatto. Devi prendertela con i
tuoi begli occhioni
blu e la tua aria da cucciolotto sparuto”.
Merlin
preferì non soffermarsi sul complimento appena rivoltogli
dalla bestiaccia malefica.
“Va
bene,
accantoniamo momentaneamente il problema Gwaine. Possibile che non ti
sia
venuto in mente niente di meglio, per scongiurare
l’eliminazione dei Pendragon,
che spingere Uther e Cenred l’uno tra le braccia
dell’altro?” incalzò
aggressivo.
“Giovane
mago, era inevitabile che quei due finissero per fare coppia. Rifletti:
non è
forse vero che il confine tra odio e amore è estremamente
labile?” rispose, più
saccente del Sapientino Clementoni.
A quel punto
Merlin perse del tutto la trebisonda.
“Ma
non dire
eresie, nel nome delle Winx! Non è una linea sottile, quella
tra amore e odio;
al contrario, è una grande muraglia cinese con sentinelle
armate ogni sette
metri! E piantala una buona volta di chiamarmi ‘giovane
mago’, sono l’ultimo
Signore dei Draghi e merito un po’ di rispetto!”
sbraitò come una pescivendola.
“Una
cosa
non esclude l’altra, giovane mago”
replicò Kilgharrah con lo stesso tono di
compatimento e lieve esasperazione di un genitore alle prese con le
crisi
adolescenziali del figlio. Il
nostro
eroe ne sostenne cocciutamente lo sguardo finché la rabbia
non fu sbollita. Poi
inspirò profondamente, arrendendosi alla gelida pacatezza
dell’altro.
“Avresti
almeno potuto rendermi edotto
in
anticipo degli effetti di quel benedetto filtro”
smozzicò con un certo
risentimento.
“E
rovinarmi
così la sorpresa? Lungi da me, Emrys” disse quasi
indignato.
“Momento
momento momento. Vuoi darmi ad intendere che nemmeno tu sapevi quali
conseguenze ne sarebbero derivate?” strabuzzò gli
occhi.
“Non
travisare le mie parole. Avevo previsto ogni cosa, eccetto
l’innamoramento
dell’erede al trono”.
“Sicché
i
sentimenti che Arthur nutre nei miei confronti sono un incidente di
percorso,
giusto? Un imprevisto” sottolineò Merlin
rianimandosi un poco e avvertendo al
tempo stesso una stilettata al cuore.
“Devo
contraddirti
ancora, giovane mago. Che io non l’avessi immaginato non
significa affatto che
non fosse destino che tu ed Arthur
coronaste il vostro sogno d’amore, presto o tardi. Siete le
due facce della
stessa moneta e pertanto non potete vivere l’uno senza
l’altro”.
“Ma
quale
sogno d’amore dei miei stivali! Arthur ama Gwen, hai
presente? E’ vero che lei
è una sgualdrinella acida e invidiosa che gli
spezzerà il cuore tradendolo con
Lancelot, ma si sa che l’amore è cieco e pure
sordo, altrimenti non si spiega
come mi sia potuto innamorare di un siffatto Asino Reale”
finì per mugugnare
tra sé e sé. “E comunque, stavo
dicendo: lui è etero quanto Gaius è un sorcino (fan di Renato Zero, ndA)”.
“Anche
l’eterosessualità di Ricky Martin era data per
certa, prima che facesse coming
out”.
“Non
so a
chi ti stia riferendo, ma Arthur in versione gay è
insopportabile; spara
battutine a sfondo sessuale ogni due per tre, mi dedica delle serenate
tremendamente equivoche e stonate, è geloso in maniera
patologica e mette il
broncio se oso ignorarlo” cercò di impietosire il
drago.
“E’
assolutamente normale che sia appiccicoso, patetico e rincitrullito:
è innamorato di
te”.
“Ancora
per
poco. Questa assurda storia deve finire, Kilgharrah. Ne va della mia
virtù!”
“Oh,
bella
questa. Ti aspetti davvero che ti riveli la formula
dell’antidoto dell’Amortentia
per consentirti di sbarazzarti di un corteggiatore molesto e di tornare
al
punto di partenza, con Cenred manovrato da Morgause che si appresta ad
ordinare
il massacro dei Pendragon? Cosa sarà mai la
verginità del tuo fondoschiena, in
confronto alla salvezza di Camelot?”
“…Lo
sapevo che non poteva essere tutta
farina del
sacco di Cenred! In fondo è un brav’uomo. Ma
davvero c’è lo zampino di quella
pazza ossigenata?” chiese Merlin con un misto di
curiosità ed apprensione.
“Yep.
Non
l’hai riconosciuta sotto le mentite spoglie del luogotenente
del regale
ospite?”
“No!
Ma ecco
spiegato perché quella tinta biondo platino mi era tanto
familiare” considerò
tra sé e sé.
La creatura
magica ne approfittò per rincarare la dose.
“Capisci
perché ora come ora sarebbe un errore far tornare tutto come
prima? Con Cenred in
altre faccende affaccendato e Morgana in modalità fangirl
assatanata, Morgause
ha le mani legate, è innocua
come un pulcino
bagnato. Mi dispiace, non posso proprio accontentarti: è per
il bene di
Camelot”.
“Non
hai
tutti i torti, amico mio, ma d’altra parte questa situazione
non potrà durare
in eterno”.
“Tutto
a suo
tempo, Emrys. Concedimi una luna per trovare una soluzione alternativa
e ti
prometto che l’equilibrio primigenio verrà
ristabilito. Nel frattempo, fossi in
te, penserei a godermela e basta”.
“Pardon?”
Melin inarcò un sopracciglio.
“Accetta
i
sentimenti di Arthur. Fatti travolgere, levita, canta con rapimento e
danza
come un derviscio. Vivi una felicità delirante, o almeno non
respingerla. Potrà
sembrarti smielato, ma l’amore è passione,
ossessione, qualcuno senza cui non
vivi. Io ti dico: buttati a capofitto, dimentica il raziocinio e
ascolta il
cuore. Io non sento il tuo cuore, e la verità, Merlin,
è che non ha senso
vivere se manca questo. Fare il viaggio e non amare profondamente
equivale a
non vivere. Ma devi tentare, perché se non hai tentato, non
hai mai vissuto”.
“Wow”
fu
tutto quello che riuscì a replicare il mago, frastornato.
“Un
ultimo
consiglio e poi ti lascio andare a nanna” sorrise il drago.
Merlin
ascoltò attentamente ogni sua singola parola e, dopo averlo
guardato volare
via, fece ritorno al castello (marcondirondirondello) alquanto
soddisfatto.
Kilgharrah gli aveva suggerito un’idea per curare il mal
d’amore di Gwaine, ed
era un’idea pazzesca.
La mattina
seguente il nostro eroe si svegliò pimpante e allegro e
Gaius non mancò di
notare l’aspetto riposato e fresco del suo protetto: gli
occhi erano luminosi,
nessuna ruga d’espressione gli solcava la fronte e sorrideva
radioso. Doveva
aver fatto il grande passo con Arthur, ipotizzò
l’anziano medico,
giacché solo
l’ammmòòòre e una sana
nottata di sesso avevano quell’effetto
portentoso sull’umore di qualsiasi essere umano. Prima che
potesse chiedergli
delucidazioni, comunque, Merlin aveva terminato in fretta e furia la
sua
frugale colazione e, congedatosi con rapido “A
dopo!”, se l’era svignata. Beata
gioventù, pensò bonariamente Gaius.
La palese
felicità del mago non sfuggì a nessuna delle
persone che gli capitò di incrociare
lungo i corridoi e la scalinate che conducevano agli appartamenti del
principe.
Normalmente avrebbe mantenuto un certo contegno onde stroncare sul
nascere
eventuali pettegolezzi, ma decise che non gli importava più
di tanto. Le belle
parole del drago sull’amore lo avevano reso sfrontato.
Fu quindi con sincero entusiasmo che, entrato nella camera da letto di
Arthur,
tirò le pesanti tende di broccato affinché la
luce del sole inondasse la stanza
e gli diede il buongiorno.
“E’
una
splendida giornata, Sire” trillò.
Dal sontuoso
letto a baldacchino provennero borbottii assonnati.
“Mmm-Merlin?”
il biondo sbadigliò ostentando per benino le tonsille.
“In
carne ed
ossa. Come vi sentite stamattina?” domandò
premuroso.
L’altro
lo
fissò a lungo, ormai completamente sveglio, in silenzio.
Accertatosi
dell’evidente buon umore del suo amato, nel rispondere si
lasciò scappare un
sospiro melodrammatico.
“Mi
manco”.
“In
che
senso?”
“Senza
di te
mi cerco, ma non mi trovo”.
Lo sguardo
penetrante, diretto e terribilmente supplice
che gli rivolse a seguito di cotanta affermazione fece
ribollire il sangue
a Merlin e diede nuova forza al suo proposito. Vergognandosi solo un
po’,
avanzò fino alla sponda del letto, sedendovici sopra, e si
buttò.
“La
tua
ricerca è finita, Arthur” mormorò
guardandolo dritto negli occhi. “Io sono qui,
insieme a te”.
L’espressione
dell’erede al trono si tinse di genuino e subitaneo stupore.
“Merlin,
sto
forse sognando? Non mi stai prendendo in giro, vero?” la sua
voce tremò un
poco.
“Affatto.
Per troppo tempo mi sono negato la possibilità di essere
felice e di lasciarmi
andare. Per troppo tempo mi sono ripetuto che non avrei mai avuto la
fortuna di
venire amato da te, e quando il
destino me ne ha dato la possibilità io l’ho
rifiutata, perché non ne ero
degno, perché era come se ti avessi imposto di innamorarti
di me –e in effetti
è vero”.
Arthur fece
per protestare, tuttavia Merlin non gli permise di interromperlo.
“Poi
però un
vecchio amico mi ha aperto gli occhi, dimostrandomi quanto sia vuota e
sprecata
la vita senza amore. E ha ragione, accipigna. In fondo non nuoccio o
arreco
offesa a nessuno amandoti, né commetto alcun crimine: e
allora perché dovrei
soffocare i sentimenti che nutro per te? Perché non dovrei
godere dell’immensa
ed inesplicabile gioia che deriva dal donare il proprio cuore ed il
proprio
corpo alla persona amata? Probabilmente non appena l’effetto
del filtro si sarà
esaurito tu non ricorderai nemmeno di esserti innamorato di me ed io
tornerò ad
essere il tuo servo maldestro e idiota. Pazienza: l’amore non
offre garanzie di
eternità. Soffrirò moltissimo, ma sarà
stato meglio lasciarci che non esserci
incontrati mai…” concluse poi con un gran sorriso.
Il rampollo
dei Pendragon, ammutolito e col cuore traboccante di letizia e gaiezza,
da
bravo uomo d’armi e focoso di natura non trovò
replica migliore che passare
all’azione. Circondando
gentilmente
il volto di Merlin con entrambe le mani, lo attirò verso di
sé per porre sulle
sue labbra un lungo bacio. Si aspettava di incontrare un minimo di
resistenza,
ma ancora una volta il mago lo stupì, assecondandolo e anzi
ficcandogli audacemente
la lingua in gola. Fu come sventolare un drappo rosso davanti ad un
toro
scalpitante: Arthur, semplicemente, non ci vide più.
Riversò
in
quel bacio tutta la passione repressa, i bollenti spiriti sedati, la
brama di
possesso, il desiderio di marchiare e amare
ripetutamente quel corpo spigoloso e l’euforia nel
vedere i suoi sentimenti
finalmente accettati e ricambiati. Quando mancò ad entrambi
il fiato e
dovettero staccarsi, il principe osservò incantato le labbra
tumide ed
invitanti, il respiro affannato, gli occhi lucidi di Merlin e
sentì qualcosa
nel basso ventre risvegliarsi.
“Cinquanta
punti a Grifondoro” esalò visibilmente soddisfatto.
“Lieto
di avervi
colto di sorpresa, Sire” tubò l’altro
con fare seducente.
La lascivia
nel suo tono di voce ebbe l’effetto di destare del tutto
Arthur junior. Guidato
dagli ormoni, egli afferrò i polsi sottili di Merlin -suo,
solo suo- e lo
spinse all’indietro fino a farlo cadere di schiena sulle
soffici coltri. Con un
sorrisetto malizioso e predatore gli si mise a cavalcioni sui fianchi,
in modo
da sfregare casualmente il bacino
contro quello dell’amato, che in risposta emise un gemito di
apprezzamento,
inarcando la schiena.
“A-Arthur,
devi presentarti agli allenamenti. I tuoi cavalieri si preoccuperanno
non
vedendoti arrivare” provò a farlo ragionare.
“Francamente,
mio caro, me ne infischio”.
Merlin
scoppiò a ridere e liberò i polsi dalla stretta
dell’altro per accoglierlo tra
le sue braccia. Arthur ci si rifugiò con l’impeto
del pellegrino che ha
finalmente trovato la terra promessa.
Quel che nelle
successive tre ore si consumò tra pregiate lenzuola di seta
è facilmente intuibile.
Siccome però il rating della storia oltre il giallo non si
spinge, ci
limiteremo a dire che il futuro re di Camelot Arthur Pendragon penetrò
si
avventurò in terre ricche e vergini mai esplorate fino ad
allora ed espugnò con
successo la fortezza delle ritrosie e dei pudori di Merlin Emrys, suo
fedele
servitore, amico e adesso anche amante.
Estremamente soddisfatto per l’eccellente
esito dell’impresa, il nobile si spalmò
addosso al moro, poggiando il capo
sulle sue scapole ossute e prese a fare le fusa. Merlin decise che
quello era
il momento adatto per mettere al corrente l’Asino di una
certa questione (si
sa, dopo il coito gli uomini sono molto più rilassati e
aperti al dialogo).
“Arthur”
si
schiarì la voce, esitante. “Devo rivelarti un
segreto che ho serbato nel mio
cuore troppo a lungo”.
L’altro
mugugnò,
ma sollevò comunque il viso e lo guardò, in
attesa.
“Sono
un
mago, Arthur. Pratico la magia da quando ero un frugoletto di pochi
mesi e ho
continuato a farlo nei tre anni che ho trascorso qui a Camelot. Non me
ne sono
mai servito per scopi malvagi, te lo giuro. Ho agito sempre
nell’interesse del
regno, salvandoti la vita quando necessario, compiendo imprese eroiche
e
lasciando che qualcun altro se ne prendesse il merito. Mi dispiace di
avertelo
tenuto nascosto, ma ne andava della mia vita e ne va
tutt’ora”.
Un lungo,
interminabile attimo di silenzio.
“Idiota.
Pensavi davvero che non l’avessi capito?”
A Merlin per
poco non venne un infarto.
“IN
NOME
DEGLI ARISTOGATTI, COME SAREBBE A DIRE?” urlò a
pieni polmoni, nel panico più
totale e bianco come un cencio candeggiato.
Arthur si
tastò le orecchie, verificando che entrambi i timpani
fossero ancora integri.
“Non
strillare, per carità, o penseranno che sto attentando alla
tua virtù”
ridacchiò allusivo.
“PERCHE’
NON
DOVREI STRILLARE, SCUSA? HAI APPENA DETTO CHE SAI-” ma venne
messo a tacere da
una mano posatagli sulla bocca.
“Sst,
accidenti! Sta’ calmo e piantala di comportarti come una
checca isterica. A
rigor di logica dovrei essere io, quello sconvolto”.
“Appunto!
Perché non stai dando in escandescenze?”
ribatté con un tono di voce
accettabile.
“Come
ti ho
già detto in precedenza, sono innamorato, mica scemo. Mi
ricordo benissimo di
un certo anziano consigliere che ha spruzzato sul volto di mio padre e
di
Cenred un certo liquido sconosciuto
che li ha resi inseparabili. Sul momento non mi sono soffermato sulla
stranezza
della cosa, ma poi a mente fredda ci ho riflettuto: i tuoi misteri, la
mia
memoria lacunosa e altre incongruenze unite al tuo coinvolgimento in
questa
faccenda... E ho fatto due più due. Elementare,
Watson” spiegò.
“Oh”
pigolò
il moro. “Ed io che ti ritenevo un zuccone
microcefalo”.
“Ti
sbagliavi, caro il mio Mago di Oz. Sono pur sempre Arthur Pendragon,
l’invincibile principe guerriero forgiato dal fuoco di mille
battaglie-”
“Ehm,
credo
che ti stia confondendo con Xena” lo interruppe con un
risolino.
“Ciò
non
toglie che io sia molto intelligente” precisò
piccato. Poi sorrise dolcemente.
“In fondo, sono riuscito ad accalappiare il miglior partito
di Camelot:
bellissimo, potente, coraggioso e
molto
sexy” ammiccò.
“Ma
piantala” si schermì l’altro, zittendolo
con un bacio.
Furono baci
e furono sorrisi, poi furono soltanto fiordalisi.
Visto che
ormai era in vena di confidenze, dopo un’altra appagante
sessione di ginnastica
orizzontale Merlin ragguagliò l’amato sugli eventi
che li avevano portati a
dividere il letto a ritrovarsi coinvolti
nel bel mezzo di quel
delirio collettivo e ad alto tasso di slash. Gli narrò del
malefico piano di
Morgause, di Kilgharrah, dell’intervento di Gaius e del piano
per curare il
cuore spezzato di Gwaine. Arthur -che dopo aver finalmente deflorato il
suo mago si era molto ammorbidito
nei
confronti del loro amico- si offrì di aiutarlo a metterlo in
pratica.
Merlin
accettò, grato, e quando infine riuscirono a staccarsi le
mani di dosso il
tempo sufficiente per attuare quanto concordato si separarono: uno
andò a
recuperare Gwaine, l’altro Lancelot.
“Merlin,
sei
davvero gentile a preoccuparti per me, ma davvero, non devi sentirti
obbligato”
protestò Gwaine mentre veniva trascinato dal loro
chissà dove.
“Oh,
smettila di lagnarti. A furia di rimanere barricato nella tua stanza
diventerai
un eremita!”
Il luogo di
ritrovo era davanti alle stalle, che a quell’ora (era ormai
primo pomeriggio)
erano opportunamente deserte. Ad attenderli stavano il principe e
Lance,
immersi in una dissertazione riguardante i pregi del Tiramisuper
rispetto al
Blumele; quando li videro avvicinarsi, la discussione scemò.
“Scusate
il
ritardo, ma qualcuno”,
Merlin lanciò
un’occhiata di rimprovero all’accompagnatore,
“si è fatto pregare. Allora,
siamo pronti?”
“Per
cosa?”
domandò Lancelot, avanzando di un passo e piazzandosi,
neanche a farlo apposta,
davanti all’altrettanto ignaro Gwaine.
“Questo!”
esclamarono
all’unisono Arthur ed il mago.
Dall’interno
delle rispettive casacche estrassero una boccetta con il tappo ad
erogatore
spray piena fino all’orlo. Si scambiarono uno sguardo
d’intesa e, senza
lasciare ai loro amici il tempo di realizzare quanto stava per
accadere,
brandirono i contenitori colmi del prezioso filtro (di cui Merlin,
seguendo
chissà quale istinto, non si era sbarazzato), li puntarono
contro gli occhi dei
due malcapitati e premettero il grilletto. Subito dopo si allontanarono
dal loro
campo visivo, onde evitare spiacevoli incidenti.
Davanti ai
loro sguardi speranzosi, Gwaine e Lancelot protestarono per
l’aggressione, si
strofinarono le palpebre e si videro. Ah,
l’eternità contenuta in una frazione di
secondo…
“Lance,
bocciolo di rosa fresca e aulentissima!”
“Gwainuccio
mio, ben più raggiante e mite di un giorno
d’estate!”
Erano
partiti per la Tangente
dell’Ammmòòòre. Arthur e
Merlin si diedero il cinque.
“Siamo
un
duo imbattibile” osservò il primo.
“Lo
siamo
sempre stato” puntualizzò amabilmente il secondo.
Tutto
è bene
quel che finisce bene? Ahinoi, non è proprio
così. Mentre i nostri eroi si
compiacevano per la buona riuscita del loro piano e i neo piccioncini
amoreggiavano discretamente (niente a che vedere con i pomiciamenti
pornografici
di Cenred e Uther), passò di lì Lady Morgana
accompagnata dall’arpia da
Gwen; erano dirette al mercato.
Di fronte a quell’inusuale spettacolo si bloccarono,
interdette. La sorellastra
del principe però si riprese ben presto dalla sorpresa e con
un sorriso
malandrino -nuova lemon a rating rosso in arrivo!- si diresse verso i
baldi
giovani, rivolgendo uno sguardo interrogativo al biondo.
“Un
colpo di
fulmine” ghignò egli, indicando con un cenno del
capo la coppietta.
“Come
quello
tra te e Merlin, eh? Molto interessante” ghignò in
risposta lei.
Tuttavia
l’atmosfera di serena complicità venne presto
guastata da Guinevere che,
passato lo shock iniziale, si avventò come una belva
assetata di sangue su
Lancelot, i suoi lineamenti da bertuccia deformati dall’ira.
“TU,
FIGLIO
DI CAGNA, VILE FELLONE INDEGNO DI VIVERE! COME OSI TRADIRMI IN QUESTO
MODO?”
berciò perdendo le staffe.
“Ti
tradirei
se ti avessi mai amato, ma non è così.
Quest’uomo”, disse sdegnoso Lance
posandosi la mano destra di Gwaine sul cuore, “è
il mio cucciolotto, la mia
luce del mattino, la mia dolce metà e la mia Tachiprina
Flashtab. Vola via,
gallina starnazzante, non turbare un istante di più il mio
idillio”.
“Ma-
ma-”
balbettò lei.
Si
irrigidì,
digrignando i denti e stingendo i pugni. Tremante di rabbia, si rivolse
a
Merlin e gli puntò l’indice contro.
“E’
TUTTA
COLPA TUA! PRIMA ARTHUR, ADESSO LANCE. AMMETTILO, VUOI ROVINARMI, VUOI
CHE
RIMANGA ZITELLA A VITA! MA TE LO IMPEDIRO’, LURIDO
SCARAFAGGIO, TE LA FARO’
PAGARE!” e vomitate queste accuse si diresse con furia verso
di lui.
“Ehm,
non
preferiresti dei deliziosi cereali Cheerios?” propose
conciliante il ragazzo.
Ma Arthur,
che sapeva per esperienza che non c’è peggior
furia al mondo di una donna
respinta per ben due volte, si parò in difesa del suo amato.
“Smithers,
libera i cani” ordinò imperiosamente.
La comparsa
di una solitaria balla di fieno secco trasportata dal vento fu la sola
reazione
che ottenne: di Smithers neanche l’ombra. Poiché
la pulzella non accennava a
rallentare o a cambiare rotta, decise di giocarsi il tutto per tutto.
“State
giù!”
avvisò gli altri e appena Gwen si trovò ad un
tiro di schioppo da lui le
spruzzò l’Amortentia dritta in faccia.
Ella
strepitò di irritazione -non per niente era una gallina
starnazzante- e d’istinto
diede le spalle ad Arthur. Merlin, Lancelot e Gwaine avevano
prontamente
eseguito le istruzioni dell’erede al trono e si erano buttati
a terra. Morgana,
concentrata su quel putiferio, era rimasta immobile al suo posto, come
congelata. E fu su di lei che si posò lo sguardo della sua
ancella, una volta
che gli occhi ebbero smesso di bruciarle.
“Morgana,
stella
del mattino” bisbigliò rapita.
“Oh
no. No
no no no no no no!” si allarmò giustamente la
nobildonna.
“Mia
ninfa,
mia dea, visione celestiale” blaterò imperterrita
l’altra.
“Gwen,
accidentaccio, ripigliati! Non guardarmi con
quell’espressione da pesce lesso!”
Ma la serva
le si avvicinava, sempre più celermente, con crescente
risolutezza; a Morgana
non restò che darsela a gambe, gettando alle ortiche la sua
consueta alterigia.
“Mio
fulgido
amore, dove scappi?” la implorò Gwen inseguendola.
“Non
mi
avrai, razza di mentecatta. Non mi avrai maiiiiiiiiiiiiii!”
urlò la fanciulla
già lontana, la sua figura ormai ridottasi ad un puntino
scuro e in controluce.
Uoff (verso
incomprensibile che denota stanchezza e sollievo al tempo stesso).
Ora che ci
penso, è tutto un dialogo questo capitolo. Che ve ne pare,
ho esagerato?
Questo http://www.youtube.com/watch?v=Pmw0g9SBpMU
è un video Brolin -cioè sulla coppia degli attori
che interpretano Merlin e
Arthur, rispettivamente Colin Morgan e Bradley James (piccola
precisazione per
chi non segue la serie tv). Io li shippo da morire, e voi?
Aspetto con
trepidazione i vostri commenti.
Auf
Wiedersehen!
|
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Capitolo 9 *** Love is in the air ***
DEDICA: A feyilin
perché lei vale, a
BeaLovesOscarinobello che ha debuttato come autrice su EFP, a
valentinamiky
perché mi ha suggerito di far comparire Mordred e a tutte
voi, mie fedeli
lettrici, che non vi siete ancora stufate di seguire, commentare e
preferire
questo delirio.
NOTE: Innanzitutto
scusate il ritardo ma il
blocco dello scrittore ha colpito ancora. Ehm. Spero di essere riuscita
a
debellarlo definitivamente.
Veniamo alla citazione misteriosa che nessuna di voi ha indovinato:
avete
presente l’appassionato discorso di Kilgharrah
sull’amore? Bene, è tratto
(quasi) parola per parola dal film Vi
presento Joe Black, con l’immenso Anthony Hopkins e
Brad Pitt. *si dà arie
da cinefila*
Comunicazione di servizio di una certa importanza: A
midsummer night’s dream… in Camelot sta
volgendo al termine ed il
prossimo capitolo sarà l’ultimo. Ma non
preoccupatevi (schiva i pomodori), ho
intenzione di scrivere un seguito! Ho già in mente un titolo
provvisorio,
sempre di ispirazione shakespeariana. Datemi il tempo di abbozzare
anche la
trama e tornerò presto su questi schermi ad ammorbarvi con i
miei deliri.
Per il
momento, vi auguro buona lettura. Ci si becca, come sempre,
all’angulus a fine
capitolo!
Negli anni a
venire, tutti i camelottiani avrebbero ricordato quei due mesi
-perché tanto
durò l’epidemia amorosa- come il periodo
più sconclusionato, delirante e felice
dacché Uther Pendragon era stato
incoronato re. Mai si erano respirate tanta libertà, gioia
di vivere e
promiscuità nella cittadella fortificata come nei giorni che
seguirono quello
il cui svolgimento vi abbiamo narrato nel precedente capitolo.
Ma è
bene
fare un piccolo salto indietro, onde ragguagliare voi esimi lettori su
quanto
avvenne dopo la poco dignitosa fuga di Lady Morgana in direzione del
Fantabosco.
Arthur,
preoccupato sì per la sua incolumità ma non
volendo lasciarsi scappare
l’occasione di vedere la sorellastra alla prese con l’arpia
Gwen in modo da
poterla prendere in giro nei
decenni a venire, si premurò di immobilizzare la bella
serva e ordinò al
fido Sir Lancelot di lanciarsi all’inseguimento di Morgana e
di riportarla sana
e salva al castello (marcondirondirondello). C’è
da dire che la nobildonna
diede del filo da torcere al cavaliere, rivelando inaspettate doti da
velocista. Tuttavia l’uomo, sebbene più massiccio
ed impacciato nei movimenti
dalla pesante cotta di maglia, era secondo solo all’erede al
trono per
resistenza fisica e destrezza, sicché nel giro di tre
clessidre riuscì ad
acchiapparla e fece ritorno, caricandosela sulle spalle a mo’
di sacco di
patate, a palazzo.
Nel
frattempo, per evitare che Guinevere scassasse la balle ai presenti con
i suoi
sospirosi e dolenti richiami d’amore, Arthur la
affidò al fratello, Sir Elyan,
affinché la riportasse a casa loro, raccomandandogli inoltre
di farle indossare
una camicia di forza e di raffreddarne i bollori con ripetute secchiate
d’acqua
gelida. Il ragazzo aggrottò la fronte, un poco scettico di
fronte alla drasticità
dei rimedi suggeritigli. Tuttavia egli nutriva una fiducia sconfinata
nel suo
signore e promise di seguirne le istruzioni.
Rimasti fino a quel momento estraniati dal mondo circostante, Lancelot
e Gwaine
si ridestarono dall’avvolgente e roseo torpore che li aveva
risucchiati e
avviluppati e si voltarono in direzione di Merlin e Arthur,
sghignazzanti come
non mai.
“Camicia
di
forza e acqua gelida, eh? Non ti credevo così sadico,
Arthur”.
“Se
non
altro la terrà lontana dalla mia amata
sorella
per un po’ di tempo” tentò di
giustificarsi.
“Non
hai
tutti i torti. Fossero venuti in mente anche a me, forse avrei usato
gli stessi
metodi per tenerti a bada” replicò il mago
semiserio.
“Non
ne
avresti avuto il coraggio, idiota!”
“Asino”.
“Merlin”
l’altro s’incupì improvvisamente.
“Che
c’è,
metti il broncio? Guarda che hai cominciato tu” fece per
protestare, ma Arthur
lo interruppe posandogli due dita sulle labbra
“Merlin,
promettimi una cosa. A prescindere da come andrà a finire
questa faccenda -mio
padre e Cenred, Morgause che trama nell’ombra- promettimi che
nulla cambierà
tra di noi. Promettimi che non userai su di me alcun antidoto, che
continuerò
ad essere irrimediabilmente, follemente e pateticamente innamorato di
te”.
“Arthur,
io-” sussurrò Merlin, arrossendo di fronte a tanta
solenne determinazione.
“Giuramelo,
tortellino” insistette il principe, incorniciando con le mani
il volto
dell’amante e accostandolo al suo fino a far combaciare le
loro fronti.
“Va
bene”
esalò il mago dopo una breve esitazione. “Hai la
mia parola, Asino”.
Arthur
inarcò un sopracciglio, divertito dalla sua sfacciataggine,
e suggellò
l’accordo con un bacio. Concentrato sulla lingua impertinente
e la bocca
dannatamente morbida dell’altro, non si accorse che Merlin
aveva incrociato le
dita dietro la schiena.
Sir Aragorn,
orafo tanto esperto quanto sposato col suo lavoro, la mattina seguente
si
svegliò inspiegabilmente in ritardo rispetto alla sua
tabella di marcia, quando
ormai la luce del sole era entrata prepotentemente nella sua umile e
spartana
camera da letto, illuminandola tutta.
Un poco intontito, sbadigliò con gusto, si passò
una mano nella chioma lunga
fino alle spalle e si sistemò il pacco
(che
macho!). Poi, apprestatosi ad usare la brocca dell’acqua per
darsi una rinfrescatina
-perché va bene che era un vero uomo, ma era pur sempre un
orafo di tutto
rispetto e con una clientela selezionata che non poteva permettersi di
ammorbare con l’olezzo di ascelle non lavate- lo
assalì il ricordo dello
strano, stranissimo sogno che gli aveva disturbato non poco il sonno.
Nottetempo
due giovani uomini, vestiti con sontuosi mantelli nobiliari, si erano
intrufolati nella sua stanza con fare cauto e circospetto. Si erano poi
avvicinati al letto dove lui ronfava beato e il più alto dei
due aveva impugnato
una graziosa boccetta dotata di erogatore spray e gli aveva versato
sugli occhi
alcune gocce del liquido in essa contenuto.
“Sei
sicuro
che non si sveglierà?” aveva mormorato il secondo
misterioso incappucciato.
“Fidati,
questa formula è decisamente meno urticante di quella
originale: è pensata
appositamente per gli occhi sensibili” l’aveva
rassicurato il compagno, gli
occhi illuminati (possibile?) da un bagliore dorato.
“Sei
un mago
pieno di risorse” era stata la risposta colma di ammirazione
dell’altro. “Ma se
si dovesse comunque svegliare?” aveva però
insistito.
“Non
cambierebbe nulla” aveva alzato le spalle.
“Penserebbe di star sognando. Domani
mattina, appena alzato, una sensazione di benessere lo
pervaderà completamente
e allora sì che il filtro avrà effetto”.
Doveva dare
ragione al ragazzo, constatò Aragorn sentendosi alquanto in
pace con se stesso,
come non gli succedeva da tempo. La sua vita solitaria e monotona gli
appariva
di colpo meno solitaria e monotona,
il sole splendeva alto nel cielo e gli uccellini cinguettavano: senza
dubbio
quella giornata era cominciata con il piede giusto.
Si era appena sciacquato il viso, intonando qualche strofa di Walking on Sunshine, quando fece
irruzione nella camera il suo apprendista e assistente
nonché coinquilino,
Legolas. Nei quasi cinque anni trascorsi a stretto contatto i due
uomini erano
diventati amici. Dal giorno in cui l’orafo aveva offerto al
biondo -data la sua
indigenza- vitto e alloggio gratis, il loro rapporto da cameratesco si
era
fatto più intimo e profondo… però da
qui a considerare il suo assistente molto
carino, anzi adorabile, ce ne correva. Eppure, non appena i loro
sguardi si
incrociarono, Aragorn non poté esimersi dal notare come i
lunghi capelli del
giovanotto brillassero simili a tanti fili d’oro sotto la
luce del sole e come
i suoi occhi blu fossero contornati da un delicato pizzo di ciglia
scurissime.
Infine ne ammirò la carnagione, di un pallore traslucido, e
la figura sottile
come un giunco.
“Aragorn?”
balbettò quegli con sincero rapimento.
“Legolas”
la
sua voce tremò impercettibilmente.
“Aragorn,
io-
mi sento strano, non so come spiegarlo. Ti vedo e mi viene
l’impulso di
sbatterti contro la prima superficie orizzontale disponibile! In nome
dei
Pokémon, non so nemmeno perché ti sto dicendo
tutto questo, perdonami” smozzicò
Legolas arrossendo vergognoso, ma senza abbassare lo sguardo.
L’uomo
sentì
il sangue defluirgli verso una certa zona.
“C’è
il mio
letto, se ti accontenti” propose audace. “So
benissimo cosa provi, Legolas. Non
ti ho filato di pezza in cinque lunghi anni, ma improvvisamente sento
crescere
nel mio cuore un sentimento
d’ammmòòòre sconfinato per
te”.
“Io
invece
ho sempre pensato che fossi un gran figo”.
“E
allora
cosa aspetti? Prendimi, mio aitante stallone!” Aragorn si
offrì a lui.
Il ragazzo
non si fece pregare e si gettò sull’amico con la
foga di un bisonte in calore.
Dopo alcuni slinguamenti capaci di imbarazzare persino
l’autore del Kamasutra,
i due finirono sull’angusto letto dell’orafo,
avvinghiati, ansimanti e desiderosi
di venire al sodo.
“Poi
però
sto io sopra” borbottò Aragorn tra sé e
sé.
“Te
l’hanno
mai detto che assomigli un sacco a Viggo Mortensen?”
interloquì l’altro con lo
sguardo appannato dalla lussuria.
Non
ricevette risposta.
Glissando
elegantemente sulle maialate che i neo innamorati combinarono in
seguito,
dobbiamo precisare che essi non furono i soli, quel dì, a
subire gli effetti
dell’Amortentia. I due Cupidi, gli esimi lettori lo avranno
intuito, non erano
altri che Merlin ed Arthur. Sotto incantamento o rincitrullimento
amoroso che
dir si voglia, si erano messi in testa che non era giusto che il resto
del
mondo -cioè Camelot- non condividesse con loro le gioie che
solo l’ammmòòòre sa
donare. Così, avendoci ormai preso mano e gusto con i
precedenti esperimenti,
Merlin si era incaricato di distillare un altro paio di ettolitri di
pozione e
la notte stessa avevano messo a segno il loro primo colpo,
introducendosi nella
dimora dell’orafo. Protetti dal buio benevolo, avevano agito
indisturbati,
riuscendo in tal modo a gayzzare tutta la parte bassa della
città.
I risultati, sin dal primo giorno di contagio, furono piuttosto
soddisfacenti:
gente che si imboscava a frotte e ad ammucchiate, fughe
d’amore omo e ménage à
trois (con un pizzico di bisex tanto per gradire), baci e
palpeggiamenti lesbo.
Solo i bambini furono risparmiati, giacché i nostri due eroi
erano convinti che
si dovessero mantenere innocenti il più a lungo possibile.
Comunque sia, nel
giro di tre notti l’intera popolazione adulta camelottiana
era innegabilmente
ed inequivocabilmente gaia.
E a
palazzo?, vi starete chiedendo voi. Domanda legittima, esimi lettori.
In
verità,
all’interno del castello (marcondirondirondello) la premiata
ditta Merlin &
Arthur dovette faticare ben poco. Metà dei cortigiani e dei
nobili era più gay
dei Village People, a Gaius bastava la Pozione Polisucco per essere
felice,
Gwen e Morgana erano sistemate, Gwaine e Lancelot tubavano come
colombe. Non
ebbero che da far scoccare la scintilla tra Sir Percival e Sir Leon
(entrambi
biondi, alti e teutonici: una coppia perfetta). Quanto a Morgause,
sempre sotto
mentite spoglie, non trovando una punizione adeguata da infliggerle,
preferirono lasciarla macerare nella stizza e nell’impotenza.
Si era ormai
alle Idi di aprile, a primavera inoltrata, quando una forza esterna
ebbe
l’ardire di turbare la quiete ormai instauratasi a Camelot.
Merlin si
trovava nel cuore del Fantabosco, intento nella raccolta di fiori rari
e
profumati per ricavarne un bouquet da regalare al suo principe
(festeggiavano
quel giorno il loro primo mesiversario) e ripensava alla nottata appena
trascorsa. Sospirò soddisfatto: Arthur continuava a
comportarsi da somaro
possessivo e appiccicoso, ma sapeva ampiamente farsi perdonare, dentro
e fuori
dal letto –più dentro, in effetti. Lo ricopriva di
attenzioni e premure, aveva
fatto allestire accanto ai suoi appartamenti una principesca camera da
letto e
gliel’aveva offerta come pegno d’amore.
L’aveva sollevato vita natural durante
dall’incarico di suo servitore, assicurandosi che ricevesse
un salario come
assistente del medico di corte. Infine aveva convocato a palazzo i due
più illustri
sarti del regno, Dolce e Gabbana, affinché il mago potesse
vantare un
guardaroba degno di un futuro membro della famiglia reale. Il Regal
Asino,
infatti, sembrava non desistere all’idea di convolare a
giuste nozze con il suo
uomo.
Merlin stava
per l’appunto crogiolandosi in simili fantasie quando venne
aggredito da un
lancinante mal di testa. Mugugnando per l’improvvisa fitta si
portò una mano
alla tempia sinistra, massaggiandola delicatamente.
“Emrys”
lo
chiamò una voce rarefatta, lontana ma in qualche modo
familiare.
“Chi
sei?”
chiese allarmato lui.
“Così
mi
deludi, Emrys. Non dirmi che ti sei già dimenticato di
me” la voce assunse una
sfumatura infantile, gelidamente beffarda.
“Mordred?”
tirò a indovinare.
“Voltati”
rispose l’altro.
Merlin
obbedì; ed eccolo lì, in carne ed ossa. Stessi
penetranti occhi blu, stesse
occhiaie da tossico, stesso pallore spettrale. E lo stesso mantello
color
azzurro polvere.
“Mordred,
sei proprio tu? Che diamine ci fai tu qui?” era semplicemente
costernato.
“Mi
sono
Smaterializzato da Hogwarts” ridacchiò
lugubremente il bambino.
“Hog-
cosa?
Non dovresti vivere presso i Druidi, scusa?”
“Questo
non
ha importanza” si limitò a scrollare le spalle
l’altro. “Sono stato spedito qui
per darti un avvertimento” disse poi.
“Che
genere
di avvertimento?” investigò il mago con
inquietudine sempre maggiore.
“Tutto
questo delirio deve finire, Emrys. Hai tempo fino a Beltane per porvi
rimedio,
poi non avrai più scuse”.
Oook gente,
il mio dovere l’ho fatto. Non esitate a segnalarmi errori di
battitura e punti
deboli (ho scritto ‘sta roba nel giro di qualche ora, non
pretendo di aver
sfornato un capolavoro).
Angolino
auto-spam.
Nel caso vi interessasse, mi sono cimentata con una one-shot angst
-beh, la mia concezione di angst-
sempre su Merlin.
Questo è l’indirizzo, se vi va fateci un salto e
datemi il vostro parere: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=843231&i=1.
Che altro
dire? A risentirci al prossimo, decisivo capitolo!
|
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Capitolo 10 *** Kiss the rain ***
DEDICA: A Cloud,
gemellaH & omonimaH, a BeaLovesOscarinobello che mi ha dato
l’idea dello
spiedo, a xMoonyx e valentinamiky perché ho trovato in loro
due adorabili compagne
di delirio, a feyilin e a Virginia (la mia mamma putativa). Che mondo
sarebbe
senza di voi?
NOTE: Non ci
posso credere. Solo cinque capitoli fa la fine sembrava così
lontana, e invece eccoci
qui. La mia prima longfiction è terminata, ma non temete,
non vi lascerò in
pace tanto presto: come promesso, è in preparazione il
seguito! Si intitolerà As you like
it e comincerò a
scrivere il primo
capitolo in questi
giorni.
Ci vediamo
all’angulus per i
saluti finali. Vi lascio all’epilogo, sperando che sia
all’altezza delle vostre
aspettative. *panico-panico-panico*
Buona lettura!
“Beltane?”
domandò stranito Merlin.
“Hai
capito bene, Emrys: Beltane, ovvero sia il primo giorno di
maggio” sillabò in risposta Mordred, neanche si
stesse rivolgendo ad una
persona lenta di comprendonio.
“Ma
perché proprio Beltane? Perché non le Calende,
per esempio?”
“Perché
è un giorno astronomicamente propizio e ci sarà
la luna piena:
lo scenario ideale per permetterti di rimediare al pasticcio da te
combinato,
non trovi? E poi fa più figo delle Calende”
pronunciò solennemente l’altro.
“Non
hai tutti i torti, in effetti” concordò Merlin,
che per
l’inquietante bambino aveva una predilezione.
“Però non mi è chiara una cosa:
perché devo porre fine all’epidemia amorosa? Che
fastidio dà? Nessuno è stato
mai tanto felice, qui a Camelot. Lo definirei un miracolo, se non
sapessi che
si tratta di magia e se fossi cristiano”.
“Gli
incantesimi -o i miracoli, come più ti aggrada- non sono
destinati a durare in eterno, in quanto vanno a stravolgere una
situazione di
primigenia stabilità e quiete. Quella fornita da Kilgharrah
doveva essere una
soluzione temporanea, un escamotage per affrontare
l’emergenza, e come tale l’avresti
dovuta considerare. Invece, decidendo di utilizzare
l’Amortentia per
trasformare Camelot in un gigantesco Gay Pride, ti sei macchiato di hýbris e pertanto
devi fare ammenda. Così parlò
Zarathustra” concluse il monologo con
un’espressione vacua da profeta ispirato.
“Chi
ti manda?”
indagò l’altro un poco dubbioso.
“Lui”
fu la
replica lapidaria del ragazzino.
“Lui?
Lui chi, di
grazia?”
“Lui,
Emrys. Lui.
Il solo ed unico” e dicendo questo indicò il cielo
soprastante.
“Ma
lui chi,
accipigna? San Gennaro, il Mago Silvan, Zeus egioco?
Esplicati!” sbottò Merlin.
“Sette
lettere,
inizia con la G e finisce con la f”.
Alcuni attimi di
silenzio.
“Gandalf?”
azzardò il mago, esitando.
“Cinquanta
punti
a Serpeverde” ghignò compiaciuto il baby Psycho.
“Momento
momento
momento, che c’entra questo Serpecosa?”
interloquì Merlin basito.
“Non
ho tempo da
perdere in simili quisquilie, Emrys. Leggi Harry Potter
e fatti una
cultura, che diamine! Adesso scusami, devo pronunciare la formula di
Smaterializzazione” e chiuse gli occhi.
“Ma-”
provò a
fermarlo il nostro eroe.
“Rosă
rosae, rosae rosārum,
rosae rosīs, rosăm
rosās, rosă
rosae, rosā
rosīs”
recitò Mordred concentratissimo, per poi svanire in una
nuvola di fumo con
tanto di ‘puff!’ scenografico.
“Da
quando in qua si utilizza la prima
declinazione latina per Smaterializzarsi? Seriamente, ma che si
è fumata l’autrice?”
si indignò giustamente Merlin.
Non
c’era più religione, accipigna!
Già
che si trovava lì, pensò bene di indire
una riunione straordinaria con Kilgharrah e nel giro di cinque
clessidre il
drago rispose al suo SOS, atterrando su uno spiazzo erboso situato nel
cuore
del Fantabosco.
“Ci
rivediamo, giovane mago. Sbaglio o ti
sono cresciute le orecchie?” lo salutò con il
solito brio.
“Kilgharrah,
la nostra sarebbe una storia
impossibile, quindi non lusingarmi oltre con i tuoi complimenti, ti
prego” gli
rispose a tono.
“Deve
esserci un motivo serio se ti
sei azzardato a convocarmi in pieno giorno”
il drago si fece serio di colpo. “Mettimi al corrente,
giovane mago”.
Merlin lo
accontentò. L’espressione della
creatura era piuttosto impensierita, quando infine si decise a parlare.
“Purtroppo,
e il mio animo slasher ne
soffre immensamente, Mordred ti ha detto la verità. Hai
abusato del tuo potere,
giovane mago, e come recita l’adagio popolare chi rompe paga
ed i cocci sono
suoi”.
“Vabbuò,
questo l’ho capito. Solo che non
mi è chiaro in che modo”.
“Indirettamente
è colpa mia se ti sei messo
nei guai, quindi conta pure sul mio aiuto. Ti darò la
formula dell’antidoto
dell’Amortentia, così potrai riparare ai tuoi
errori”.
“Ciò
significa che dovrò passare altre
notti in bianco ad introdurmi nelle case altrui? Ci
impiegherò dei secoli,
visto che per ovvi motivi non potrò fare affidamento sulla
collaborazione di
Arthur” si scoraggiò un poco il mago.
“Senza
contare che la preparazione stessa
dell’antidoto richiede diversi giorni” gli diede
manforte l’altro.
“Dici
sul serio?” si allarmò Merlin.
“Tieni
conto che devi rintracciare tutti e
sette gli Horcrux in cui Lord Voldemort ha diviso la sua anima,
frullarli
insieme ad uno dei due capelli rimasti in testa ad Homer Simpson e
diluire il
tutto con essenza di assafetida e mandragola; mettere il composto
ottenuto in
frigo per almeno due ore e infine servirlo shakerato, non
mescolato” spiegò.
“Corbezzoli!
E’ praticamente impossibile”
si disperò definitivamente il ragazzo infilandosi le mani
nei capelli.
Si sentiva
impotente come una balena
arenata. Non era da lui darsi per vinto in partenza, ma lo scarso
preavviso, la
pressione dai Piani Alti e la complicata distillazione lo mandavano non
poco in
crisi. Diviso tra i propri sentimenti per Arthur e il suo orgoglio di
mago e
uomo d’onore, che gli imponevano di porre rimedio al gran
casino che aveva
combinato -lasciandosi guidare dall’egoismo e dalle belle
parole del principe-
gli ci volle un poco per trovare la risposta a tutti i suoi dubbi.
Il futuro di Camelot e della non ancora nata Albion era nelle sue mani.
Il suo
destino era di proteggere l’una e di co-fondare
l’altra. Per questo scopo egli
era venuto al mondo, per questa sola ragione la sua vita era legata col
doppio
filo a quella di Arthur. Tutto il resto, le loro folli notti
d’amore, i
battibecchi da coppia sposata, le piccole premure, la soddisfazione di
vedere quella
megera di Gwen umiliata e respinta come meritava... Tutto il
resto non
contava.
Ignorando il proprio cuore straziato e rattoppato e sacrificando la
propria
felicità sull’altare della correttezza e
dell’inesorabilità del Fato, Merlin
cancellò con un doloroso colpo di spugna i due mesi appena
trascorsi dalla sua
mente.
“E
sia, Kilgharrah. Se questo è l’unico
modo, farò quanto è in mio potere
affinché l’ordine naturale delle cose venga
ristabilito. Per il bene di Camelot” parlò con
voce grave e gli occhi
scintillanti d’oro.
“Avrei
anche un’idea su come somministrare
l’antidoto all’intera popolazione senza troppe
complicazioni, Emrys” propose il
drago inchinandosi di fronte a tanto altruismo e senso di
responsabilità.
“Sono
tutt’orecchi, amico mio” riuscì a
sdrammatizzare il mago, indicando i grandi padiglioni auricolari che si
ritrovava
attaccati al cranio. Aveva preso la decisione giusta. Distese le labbra
in un
sorriso sereno.
Le due settimane
che seguirono furono
appena sufficienti al nostro eroe e al suo prezioso alleato per
reperire gli
ingredienti necessari alla preparazione dell’antidoto. Merlin
non mise al
corrente nessuno delle sue intenzioni e giustificò le sue
continue sparizioni,
protrattesi spesso fino a notte inoltrata, imputandole alternativamente
all’Asino
(se a chiedergliene conto erano Gaius o uno dei suoi amici) o al medico
di
corte (se era Arthur a lamentarsi). Il principe, dal canto suo,
notò sì un affievolimento
nell’entusiasmo di Merlin ma non con la dovuta
preoccupazione, poiché
anch’egli aveva qualcosa che bolliva in pentola. Non si era
dimenticato della
promessa di impalmare l’amato sicché, quando non
era con lui piacevolmente indaffarato
e riusciva a ritagliarsi un po’ di tempo dagli
oneri e obblighi di vice
sovrano, era impegnato nell’organizzazione delle nozze.
Voleva che fosse una
sorpresa, e avrebbe atteso l’avvento di Beltane per chiedere
la mano di Merlin.
Simile ad una laboriosa formichina, l’erede al trono
sceglieva gli addobbi e si
consultava con gli addetti del catering riguardo ai cinque tipi di
antipasti da
servire, ignaro di ciò che il mago tramava alle sue spalle e
che presto il loro
piccolo idillio rosato sarebbe finito.
Il giorno di
Beltane arrivò, come era
inevitabile.
Originariamente
fatta coincidere con l’inizio
del mese di maggio dai Druidi, collocandola così a
metà tra l’equinozio di
primavera e il solstizio d’estate, da diversi decenni era
stata spogliata della
sua sacralità e meramente considerata un’occasione
per cedere ai piaceri della
carne e alle lusinghe dell’alcol.
Le donne, fossero esse rispettabilmente maritate, ancora pulzelle o
vecchie e
decrepite, nel fiore degli anni o madri di una nidiata di pargoli,
meretrici o
inconsolabili vedove, prestavano particolare cura al proprio aspetto.
Indossavano ghirlande di fiori a mo’ di collane e di
coroncine con cui cingere
il capo, i capelli venivano lasciati sciolti sulle spalle e arricciati
in
morbidi boccoli. Osavano un velo di belletto su labbra e guance e
polvere di antimonio
sulle palpebre, e le scollature degli abiti da profonde divenivano
vertiginose,
da audaci a (quasi) oltre il limite della decenza.
Ai bambini veniva fatto dono di un dolciume o di un balocco tanto a
lungo
agognato ed ottenevano il permesso di stare alzati fino a tardi per
assistere
all’accensione dell’enorme falò che
segnava il culmine della festa e anche il
suo termine. Gli uomini approfittavano dell’atmosfera
rilassata ed euforica per
darsi alla pazza gioia, correre dietro alle gonnelle, passare una bella
serata
all’aperto in compagnia della famiglia o partecipare ad una
delle tante risse,
inevitabili visti i fiumi di birra e di sambuca che scorrevano.
Quell’anno
non presentò eccezioni, a parte
il fatto che non si trovava una coppia eterosessuale nemmeno a
imprecare in
sanscrito con inflessioni greco-ioniche. Uther e Cenred, con le mani
teneramente intrecciate (e anche le lingue, ad essere sinceri)
osservavano benevolmente
il popolo in festa. Albus e Gellert si erano infrattati dietro un
cespuglio a
limonare, non prima di aver regalato a destra e a manca qualcuna delle
loro
spillette arcobaleno. Leon e Percival avevano dichiarato di voler
cogliere
funghi ed erano spariti tra i frondosi alberi del Fantabosco. Gaius,
grazie
alla fedele Polisucco, aveva assunto le sembianze di
un’attraente bellezza
bruna e puntato con un certo piglio aggressivo niente di meno che il
platinato
luogotenente di re Cenred (ovvero Morgause sotto altrettanto mentite
spoglie),
ricevendo in cambio sguardi a metà tra
l’allucinato e il vagamente schifato.
Questo fu il
panorama che si presentò davanti
agli occhi di Arthur e Merlin quando giunsero alla già nota
radura nei pressi
del castello (marcondirondirondello), dove da tempi immemori si
svolgeva la
festa e dove, come concordato con il drago, tutto sarebbe finito. A
quel
pensiero il mago sentì una fitta al costato, ma la
ignorò coraggiosamente,
afferrando la mano che il compagno gli tendeva. Abbozzò un
sorriso che voleva
essere complice e che invece l’altro percepì come
forzato e sofferente.
“Merlin,
cosa ti turba?” chiese Arthur con
l’impulsività e la schiettezza che gli erano
proprie.
“E’
solo un po’ di tristezza momentanea,
stai tranquillo. Entro domattina mi sarà passata”
Merlin optò per una mezza
verità.
“Quante
volte dovrò ripetere il concetto
affinché ti entri definitivamente in quella tua adorabile
zucca vuota, eh?”
ironizzò alzando gli occhi al cielo. “Sono
innamorato, non deficiente. Credi
che non mi sia accorto che nelle ultime settimane ti sei
progressivamente
avvilito, avvizzito, infiacchito? Non mi ami più,
forse?” proseguì poi con
ardore, stringendo più forte la sua mano e posandosela sul
petto.
“No,
Arthur. Siamo le due facce della
stessa moneta e pertanto non posso fare a meno di amarti, adesso come
tra settant’anni.
Non dubitarne mai” mormorò dolorosamente sincero.
La reazione
dell’Asino fu tanto adorabile
quanto inaspettata: avvampò.
“Ah,
bene. Cioè, ecco, non- non me l’avevi
mai detto” balbettò, deliziosamente impacciato.
“Merlin, devo parlarti.
In realtà avevo intenzione di
attendere l’accensione del falò, ma mi hai appena
giurato amore eterno, e
insomma-” il suo appassionato farfugliamento venne interrotto
da un bacio a
fior di labbra, delicato e sfuggente come ali di farfalla.
“Sst,
mio principe, taci. Mi dirai ciò che
devi dirmi alla fine della serata” lo blandì
l’altro. “Diamoci una mossa, tuo
padre ci starà aspettando”.
Non si
sbagliava. Non appena i due amanti
fecero la loro comparsa nel bel mezzo della folla festante Uther
scambiò un
cenno d’intesa con il direttore dell’orchestra di
Sanremo -ingaggiata per
l’occasione- e dopo qualche colpo di bacchetta il complesso
attaccò con la
melodia dell’intramontabile hit Finché
la barca va.
Gran parte delle
persone si lanciò nelle
danze. Merlin riuscì a scorgere Lancelot e Gwaine che
improvvisavano un tango,
ma i nostri eroi non impazzivano per le canzonette italiane degli anni
’70 (e
come biasimarli?), per cui si astennero.
“Arthur,
Merlin! Venite a vedere!” li
chiamò la voce, vibrante di malcelata e sadica
soddisfazione, di Lady Morgana.
I due baldi
giovani si voltarono nella
direzione da cui proveniva il soave gorgheggio della fanciulla e
ciò che videro
li sconvolse e li divertì oltre ogni previsione. In un
angolo un poco
appartato, non lontano dal chiosco delle bibite, la nobildonna ed Elyan
avevano
acceso un fuoco di modeste dimensioni, sopra cui il ragazzo girava
ininterrottamente
uno spiedo. Peccato però che legata alla sbarra di metallo
non ci fosse della
succulenta cacciagione, bensì Gwen che, contro ogni legge
della fisica, invece
di urlare terrorizzata rideva e pure di gusto.
“Morgana,
ti prego, dimmi che non hai intenzione
di arrostirla viva” scoppiò a ridere Merlin.
“Capisco che è una trota di
dimensioni bibliche, intelligente quanto una cimice e meno avvenente di
una
bertuccia, ma è pur sempre la tua fedele ancella”
disse senza neanche un grammo
di convinzione nella voce.
La fanciulla,
nel rassicurarlo, strizzò
l’occhio ad Arthur con aria complice.
“Non
preoccuparti, futuro cognato, ho
incantato il fuoco. Non intendo ammazzarla benché, detto
inter nos, da quando
l’avete fatta accidentalmente innamorare di me la tentazione
mi è venuta più di
una volta. Voglio solo divertirmi un po’ alle spalle sue e di
quell’ingenuotto
di Elyan. A proposito, fratellone, hai avuto davvero
un’ottima idea a suggerire
di legarla allo spiedo come terapia d’urto contro il mal
d’amore” cinguettò.
“Di
niente, sorellina. E’ divertente
inventare nuovi modi per torturare l’arpia”
sogghignò in risposta lui. Sentendosi
osservato con insistenza, si voltò alla sua sinistra e
incontrò l’espressione a
dir poco incredula dell’amato. “Beh,
perché quella faccia?”
“Non
hai fatto una piega quando Morgana ha
detto di aver incantato il fuoco”.
“Perché
avrei dovuto? Te l’ho detto,
trottolino mio: sono innamorato, non scemo” e
inarcò un sopracciglio con
enfasi.
I festeggiamenti
si inoltrarono fino a
notte fonda. Al segnale convenuto una ventina di fuochisti, con
altrettante
fiaccole in mano, si avvicinarono alla mastodontica catasta di legno
posta al
centro della radura e le diedero fuoco. Le fiamme serpeggiarono verso
l’alto,
lambendo ceppo dopo ceppo,
e quando
anche l’ultimo ramoscello ebbe cominciato ad ardere la folla
esplose in un
gioioso boato. Beltane era giunta al termine e la luna svettava alta
nel cielo,
perfettamente tonda e splendente di un pallore argenteo.
Fu in quel
momento, circondato da gente urlante,
applausi e fischi di ammirazione, che Merlin attivò la
connessione bluetooth e
si mise in contatto con Kilgharrah.
“Adesso”
gli comunicò telepaticamente.
“Prepara
l’ombrello, giovane mago”
ridacchiò il lucertolone.
Ebbe appena il
tempo di pensare “Addio,
Arthur” che immediatamente dopo la cacofonia di grida venne
sovrastata da un
fragoroso flap-flap. Sbigottiti, i camelottiani alzarono gli occhi al
cielo
cercando di identificare la fonte di quel rumore e vennero investiti da
una
scrosciante ed improvvisa pioggia. La nuvola anomala altri
non era che
il millenario, imponente, maestoso e slasher fin nel midollo
Kilgharrah. Dalle
sue fauci, invece di sgorgare fuoco, pioveva acqua (che acqua non era)
a
secchiate; innumerevoli goccioline andarono a posarsi leggiadre su
vesti,
capelli, bocche spalancate per lo stupore e soprattutto occhi. Una
volta
accertatosi che ogni singolo partecipante alla festa avesse ricevuto la
sua
dose di antidoto, il drago disattivò la funzione
‘maxi innaffiatoio’ e atterrò
placidamente ai margini della radura -facendo bene attenzione a non
schiacciare
nessuno- e ripiegò le ali.
I risultati non
si fecero attendere. Uomini
che fino a pochi attimi prima si abbracciavano affettuosamente si
affrettarono
a staccarsi le mani di dosso e si rivolsero sguardi che andavano dal
vacuo, passando
per il perplesso con brio, al disgustato andante. Le donne si
limitarono a
mettere quanta più distanza possibile l’una
dall’altra e a fissarsi le punte
delle scarpe, rosse in viso come ciliegie mature. Gwen, riuscita
finalmente a
liberarsi, fissò Lady Morgana con odio misto a ribrezzo e si
lanciò alla
ricerca del suo Lance.
Eppure qualcosa
doveva essere andato storto,
realizzò Merlin, perché persino in quel marasma
fu in grado di notare che
alcune coppie non si erano sciolte: l’orafo Aragorn e
l’apprendista Legolas,
Leon e Percival, Gwaine e Lancelot (con Gwen che tirava
quest’ultimo per un
braccio, piagnucolando), Uther e Cenred. Ognuno di loro,
benché alquanto
spaesato, era rimasto appiccicato al proprio compagno e non sembrava
intenzionato a mollare la presa.
In nome di tutti
gli Stregatti, come era
possibile?
“Merlin”
una voce a lui ben nota lo
riscosse dallo stato di confusione in cui era caduto.
Era Arthur,
rimasto al suo fianco durante
la procedura di disintossicazione.
“Sì?”
la sua voce tremava lievemente nel
voltarsi ad incontrare lo sguardo dell’altro.
Fulmineo come un
falco predatore che sferra
l’attacco finale, il principe si avventò su di
lui. Merlin chiuse gli occhi,
aspettandosi di ricevere un manrovescio o di ritrovarsi la punta della
spada
puntata contro la gola, ma tutto ciò che ricevette fu un
bacio. Possessivo,
violento e rabbioso; ma indubbiamente un bacio.
“Sono
molto adirato con te, Merlin”
biascicò Pendragon junior, riprendendo fiato dopo
l’amoroso assalto.
“Chiedo
scusa?” esalò il mago altrettanto
ansimante.
“Avevi
promesso che non avresti usato
l’antidoto su di me, accidenti alle tue orecchie a
sventola” gli rinfacciò lui.
“Ma
guarda un po’ che razza d’ingrato! L’ho
fatto per te” si adirò Merlin.
“Perché era giusto così. Avrei
potuto tenerti
legato a me per sempre, ma vi ho rinunciato. Ho rinunciato alla mia
felicità e
al nostro futuro insieme per lasciarti libero, Asino patentato, libero
di
tornare alla tua vita precedente; perché ti amo, cazzo! Ti amo”
proruppe in singhiozzi disperati.
Sulla folla
intorno a loro, nel frattempo,
era calato un religioso silenzio. Popolani, nobili, sfaccendati, membri
della
corte e guardie reali. Tutti, senza distinzioni di sesso,
età e ceto sociale,
seguivano con attenzione il diverbio tra i due piccioncini. Era molto
più
appassionante di una puntata di Beautiful!
“Povero
Merlin, tanta fatica per niente” mormorò
la voce pacata del principe.
“Come
sarebbe a dire, per niente? Non senti
l’effetto dell’antidoto, non-?”
sbottò il mago tirando su col naso.
“Mi
sento me stesso, idiota che non
sei altro. Mi sento me stesso e in pace con il mondo perché
ti amo, Merlin, ti
amo dal primo momento in cui hai aperto la bocca per darmi
dell’Asino Reale. L’Amortentia
mi ha solo aperto gli occhi sui miei veri sentimenti. Se ho rifiutato l’arpia
Gwen, se ti ho corteggiato fino allo sfinimento, se ho fatto
l’amore con te in
tutti i letti, in tutti i corridoi e contro tutte le pareti del
castello
(marcondirondirondello) e persino nelle stalle è
perché era esattamente quel
che desideravo -e desidero- con ogni fibra del mio corpo” lo
interruppe
dolcemente Arthur, asciugando con i polpastrelli gli zigomi umidi di
lacrime
dell’altro.
Merlin
sbatté le palpebre, esterrefatto. Arthur,
il regal babbeo, innamorato di lui da anni? Ma
allora, le altre coppie
immuni all’antidoto…? Scoccò
un’occhiata interrogativa a Kilgharrah (la cui
presenza era del tutto passata inosservata: potere del melodramma) che
però
scosse il capoccione in segno di diniego.
“Ne so
quanto te, giovane mago”.
“Se
permetti, io potrei darti le risposte
che cerchi, Emrys”.
A parlare -gli
esimi lettori lo avranno
certamente intuito- era stato il piccolo Mordred, comparso in scena
annunciato
da un’esplosione di fumo e altri graziosi effetti speciali
(non abbiamo badato a
spese). I presenti, a quel punto, trattennero il fiato.
“Toh,
chi si rivede” lo salutò Arthur, non
senza provare un certo disagio.
“Principe”
il bambino chinò il capo.
“Mordred,
che ci fai tu qui a quest’ora
della notte? Non dovresti trovarti nel dormitorio della tua
Casa?” lo interrogò
Merlin con un tono preoccupato da mamma chioccia e dando
così prova di essersi
fatto una cultura in materia harrypotteriana.
“Tranquillo,
nessuno mi scoprirà. Ma bando
alla ciance, è arrivato il momento del gran
finale” lo liquidò l’emo in fasce. Detto
questo avanzò di un passo, piazzandosi così
proprio sotto la luce dei
riflettori della
luna; attorno a lui
non volava una mosca.
“Spettabile
gens camelottiana, dame
e cavalieri, reali e plebei, esseri umani e non”
esordì con una certa
disinvoltura. Il pubblico taceva, pendendo dalle sue labbra.
“Benvenuti
all’ultima, avvincente puntata della serie Ce la
faranno i nostri eroi a
vivere per sempre felici e contenti o falliranno per le troppe seghe
pare
mentali? Sono stati Gandalf in persona e la perversa autrice
di codesta
fanfiction a spedirmi qui a fare da messaggero”
spiegò poi rivolgendosi a
Merlin. “Si congratulano con te e con il drago per la buona
riuscita del vostro
piano. L’Acqua del Disamore, come messer Ariosto la
nominerà tra qualche
secolo, ha funzionato egregiamente”.
“Come
puoi affermare una cosa del genere,
Mordred? Lo vedi anche tu che alcune coppie non si sono
separate” obiettò
perplesso il mago.
“Questo
perché era destino che non
si separassero, Emrys: il loro è un amore sincero, palesato
e non provocato dagli
effetti dell’Amortentia. Prima che me lo chieda,
sì, lo stesso vale per te ed
il tuo principe” precisò scrollando le spalle.
“Mi sembra di aver detto tutto. Vogliate
perdonarmi se vi lascio così bruscamente, ma il mio compagno
di stanza chiede
di me e fidatevi, è meglio non far aspettare Tom Riddle. Ah
sì, un’ultima cosa:
auguri e figli in abbondanza!” esclamò il bambino
prima di scomparire in una
voluta di gas fumogeno.
Dopo un attimo
di esitazione il pubblico
diede il via ad uno scrosciante applauso, lodando a gran voce
l’egregia uscita
di scena di Mordred e inneggiando al vero amore. Leon divenne rosso di
imbarazzo
e nascose il volto tra le pieghe della casacca del compagno, Gellert
carezzò
languidamente i
lunghi capelli di Albus,
Lancelot si scrollò di dosso Guinevere, trascinando
l’amante in un bacio
mozzafiato, e Uther strinse saldamente la mano destra di Cenred tra le
sue.
E Merlin ed
Arthur?
“Basta,
io ci rinuncio! Ne ho abbastanza di
tutto quest’ammmòòòre
nauseante, ne-ho-abbastanza! E’ l’ennesima volta
che i
miei piani di conquista di Camelot vanno in fumo per colpa tua, Merlin
Emrys, e
ne ho le scatole piene. Mi arrendo, sei contento?! Mi ritiro
nel mio antro,
dove trascorrerò il resto della vita in un beato stato di
zitellaggio, santa
polenta! Addio per sempre, sfigati!”
Ad urlare peggio
di una banshee incazzata
nera era stata Morgause, palesando il suo vero aspetto (chioma
platinata,
sguardo spiritato e sopracciglia fantasma comprese nel prezzo), per poi
Smaterializzarsi con uno schiocco di dita.
Arthur e Merlin,
dicevamo.
“Sicché
tu mi ami davvero” mormorò il mago.
“Dovresti
fidarti un po’ più delle mie
parole, idiota”.
“Testa
di legno”.
“Sposami”
lo colse totalmente alla
sprovvista il principe, inginocchiandosi ai suoi piedi.
“Starai
scherzando, mi auguro” Merlin
impallidì improvvisamente.
“Niente
affatto” e così dicendo tirò fuori
da una tasca delle braghe un anello di mirabile fattura,
d’oro massiccio, in
cui era incastonato un rubino grosso quanto una noce e glielo porse.
“Questo è
l’anello che gli uomini della mia casata donano alle loro
future spose; ho
pregato Sir Aragorn di apportarvi alcune modifiche in modo da renderlo
più virile.
Sposami, Merlin. Abbiamo la benedizione di mio padre e il popolo fa il
tifo per
noi. Rendimi un uomo onesto e il più orgoglioso dei
consorti, te ne prego”.
“…E
va bene, Asino Reale. Voglio proprio
mettere alla prova la mia pazienza, sopportandoti per il resto della
mia vita”
accettò Merlin, regalandogli il più sfavillante e
contagioso dei sorrisi.
“Non
avrai di che pentirtene, te lo
prometto. Anche tra settant’anni”.
…to
be continued…
Siete
fantastiche, ragazze mie, e meritate
d’essere ringraziate con tutti i crismi.
Un abbraccio
stritolante alla 27 anime pie
che hanno inserito A midsummer night’s
dream… in Camelot tra le seguite
(ovvero: 92Morgana, Alpa Leonis,
alucard51, BeaLovesOscarinobello, Betta90, capricorno24, Caskett96,
cassy_star,
chimaira, crownless, Doripri, draco potter, Edian, elyxyz, Emrys__,
fliflai,
gaarashun, joey_ms_86, LoversOcean, melania, meristrella,
MusabiTheSeer,
Noemipotter, Roxanne Potter, Snivellus87, Urania Cephei,_Ice_Queen_)
e alle
2 che l’hanno ricordata (Cloud
Ribbon,
xMoonyx); un bacio con schiocco alle 7 (BeaLovesOscarinobello,
Edian, Emrys__, Ice Warrior, SilviAngel,
supermimi213, xMoonyx) che hanno preferito e alle -finora-
16 che hanno
recensito (antote,
BeaLovesOscarinobello, Betta90, blackberry, chimaira, Cloud Ribbon,
draco
potter, Edian, elfin emrys, Emrys__, feyilin, melania, meristrella,
Suicidal_Love, valentinamiky, xMoonyx). Un grazie anche a te,
lettrice
silenziosa, che sei rimasta con me fino alla fine.
Alla prossima:
mi rivedrete presto su questi
schermi! Vi lovvo tutte tuttissime.
Edit del 3/11/11:
a voi il seguito (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=857882).
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