The Afterlife

di Viki_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Comportamenti anomali ***
Capitolo 2: *** 2. Non così tanto male ***
Capitolo 3: *** 3. Differenze visibili ***
Capitolo 4: *** 4. Sfide ***
Capitolo 5: *** 5. Autocontrollo inspiegabile ***
Capitolo 6: *** 6. Realtà brucianti ***
Capitolo 7: *** 7. Solo un profumo ***
Capitolo 8: *** 8. Tagliare ***
Capitolo 9: *** 9. Sentimenti ***
Capitolo 10: *** 10. Cambiare strada ***
Capitolo 11: *** 11. Perdere il controllo ***
Capitolo 12: *** 12. Essere i raggi ***
Capitolo 13: *** 13. Carte, bauli e libri ***
Capitolo 14: *** 14. Un luogo sicuro ***
Capitolo 15: *** 15. Cambiare idea ***
Capitolo 16: *** 16. Il fuoco ***
Capitolo 17: *** 17. Brandelli ***
Capitolo 18: *** 18. Magie superiori ***
Capitolo 19: *** 19. Ritornare ***
Capitolo 20: *** 20. Due persone ***
Capitolo 21: *** 21. Il buono e il cattivo ***
Capitolo 22: *** 22. Voci di corridoio ***
Capitolo 23: *** 23. L'Aldilà ***
Capitolo 24: *** 24. Isabel ***
Capitolo 25: *** 25. Leonesse ***
Capitolo 26: *** 26. Buoni esempi ***
Capitolo 27: *** 27. Il nome sbagliato ***
Capitolo 28: *** 28. Il mio amore ***
Capitolo 29: *** 29. Preoccupazioni ***
Capitolo 30: *** 30. Belladonna ***
Capitolo 31: *** 31. Expecto Patronum ***
Capitolo 32: *** 32. Faccia da poker ***
Capitolo 33: *** 33. La luna ***
Capitolo 34: *** 34. Barriere invisibili ***
Capitolo 35: *** 35. Mano per la mano ***
Capitolo 36: *** 36. Strappi e cuciture ***
Capitolo 37: *** 37. Scambio di ruoli ***
Capitolo 38: *** 38. Trasformarsi ***
Capitolo 39: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** 1. Comportamenti anomali ***


Nota dell’autrice: Ciao a tutti! Sono Vik e questa è la mia seconda FF a capitoli. Questa storia si propone come il punto di vista di Draco di The Life after , anche se può essere letta autonomamente.
Che altro posso dire?
Fatemi sapere che ne pensate!
Stay tuned!




Qui
trovate The life after, POV di Hermione di questa storia.
Qui Summer's Chronicles, secondo Capitolo del POV di Hermione
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1. Comportamenti anomali

 
Hogwarts.
Hogwarts faceva schifo. Hogwarts era una maledetta prigione.
No, una prigione mascherata da bordello, visto tutte le ragazze che mi si erano avvicinate nei pochi giorni che erano trascorsi dall’inizio delle lezioni.
Camminavo per i corridoi senza una meta precisa, la borsa su una spalla. Il sole ancora alto si faceva beffe del mio umore.
Dovevo rimanere a casa.
Dovevo stare con mia madre.
Mi sedetti su una panchina e mi guardai intorno. Ovunque ragazzini allegri che scherzavano tra di loro. Qualcuno si voltava verso di me, indicava il mio braccio fasciato o borbottava qualcosa a denti stretti. Anche se non riuscivo a capire le loro parole, non era difficile intuirne il senso.
“Quello è Draco Malfoy, un mangiamorte.”
“Guardagli il braccio, copre il Marchio.”
“Che ci fa qui uno del genere? Sarà pericoloso?”
Dovevano andare tutti al diavolo. Come se fosse una mia scelta, come se io non avessi cercato di bruciare quella maledetta lettera della McGrannit prima che mia madre potesse leggerla.
“Devi finire la scuola Draco. E’ importante.” Aveva detto mia madre strappandomi la pergamena dalle mani. “Se prima il tuo futuro era già scritto, ora tutto è cambiato. Tutto..” si era interrotta voltandomi le spalle, la voce rotta dalle lacrime.
Avevo riletto quella lettera così tante volte da saperla a memoria. Ero invitato a terminare gli studi. Come se qualcuno in quella scuola mi volesse. Come se a qualcuno fregasse del futuro di Draco Malfoy.
A tutti però fregava del mio passato. Di mio padre in carcere e di mia zia morta.
Ad alcune ragazze interessava il mio presente. Era strano come a certe oche senza cervello non passava per la testa che uno come me avrebbe potuto far loro del male. L’importante era avermi per una notte, tanto per provare un po’ di adrenalina.
Persi lo sguardo nella scena che mi si parava davanti, cercando una nuova preda tra un gruppo di Serpeverde. Tutti intorno a me sembravano incredibilmente sereni. La guerra era finita, San Potter e la sua banda avevano salvato il mondo dal Signore Oscuro.
Potter.
Potter era strano. Se possibile più del solito.
Veniva osannato come un dio, tutti volevano un pezzo di lui, una parola, un saluto. Entrò in cortile circondato dal solito sciame di ammiratori.
Ma lui non era felice. Non che io lo conoscessi così bene per esserne certo, ma aveva sempre una faccia così falsamente sorridente, una di quelle espressioni che noi Malfoy impariamo alla nascita, fondamentale per tenersi buone le alte sfere. Mi passò accanto senza guardarmi, io non ebbi la forza per intavolare la solita gara d’insulti.
 “Vuoi anche tu una stretta di mano da San Potter?” mi chiese Blaise interrompendo il flusso dei miei pensieri.
“Si, peccato che anche oggi ci sia la fila.” Risposi alzando le spalle fintamente dispiaciuto.
“Ti aspettavo in biblioteca, quel Weasley maledetto mi ha occupato mezza giornata.” Disse sedendosi accanto a me.
Imprecai. Mi ero totalmente dimenticato del compito che quel mezzo lupo ci aveva assegnato. Non bastavano Lenticchia e la moglie di Potter, la McGrannit aveva scelto Bill Weasley per insegnare Difesa contro le arti oscure. Un altro rosso. Evviva.
“Mi fai copiare la tua ricerca?”
“Scordatelo. Adesso te ne vai in biblioteca. Cerca “Incantesimi di protezione oggi”. E’ molto interessante.” Disse ammiccando senza motivo.
“Fottiti Blaise.”
“Anche io ti amo Dra. Ci vediamo dopo.”
 
Mi alzai senza aggiungere altro e mi diressi verso la biblioteca, incontrando a metà strada Denise Derrell, una Serpeverde del sesto anno.
“Hey.” Mi disse con una voce che voleva essere suadente.
“Derrell.”
“Hai da fare stasera?”
“Forse.” Risposi interrogativo. Non era bella, ma era abbastanza disinibita da incuriosirmi. “Richiedimelo fra un paio d’ore.”
“Cosa vuol dire?”
“Vuol dire che se trovo di meglio hai la serata libera, altrimenti ci vediamo in camera tua dopo cena.”
Lei rise. A quanto pare trovava divertente il mio calpestare la sua dignità. Oppure, pensai notando la sua espressione da ebete, non aveva capito.
“A dopo Draco.”
Non le risposi nemmeno e proseguii per la mia strada.
La biblioteca era al solito abitata da piccoli gruppi di studenti. Mi diressi sicuro verso lo scaffale dei libri di Difesa e iniziai a cercare il titolo indicatomi da Blaise.
Il bastardo aveva scelto l’unico titolo non presente. Mi guardai intorno e lo vidi nelle mani della persona più sbagliata.
Hermione Granger.
Era seduta ad un tavolo sola e stava leggendo con attenzione il libro che cercavo. La osservai per qualche secondo, cercando le parole giuste per chiedergli il libro.
Qualcuno aprì la porta, lei si voltò verso la fonte del rumore e lo appoggiò sul tavolo.
Mi avvicinai di qualche passo, ma lei non se ne accorse. Aveva lo sguardo fisso nel vuoto e un sorrisino lieve in volto. Stava sognando ad occhi aperti.
Hermione Granger era il genere di persona che tutti guardavano con rispetto. Era un’eroina. Non era particolarmente bella, ma emanava una strana luce. Una luce che la faceva apparire graziosa nonostante fosse sempre struccata e con i capelli spettinati.
Già solo il fatto che mi faceva pensare un termine stupido come “grazioso” mi faceva impazzire.
Lei si che sarebbe stato un buon modo per passare una domenica sera diversa.
Scacciai quei pensieri scuotendo la testa.
“Granger?” sussurai.
Lei continuava imperterrita il suo sogno innervosendomi.
“Ehi, hai ancora molto con quel libro? Non sei l’unica ad avere 30 centimetri da scrivere.” Dissi prendendola per braccio e muovendola.
Si voltò verso di me confusa e chiuse il libro.
“No, ho finito.” Disse porgendomelo. Notai che sulla sua pergamena erano scritte solo poche righe e mi stupii. Aveva deciso di cedermi il libro nonostante non avesse finito.
“Grazie.” Borbottai andandomi a sedere poco più in là. Non aveva senso cercare un altro posto, tanto se ne sarebbe andata.
Tirai fuori dalla borsa la penna e la pergamena e dettai le prime righe della ricerca, sentendomi gli occhi di lei puntati su di me. Imprecai sottovoce,  sperando di farla desistere.
“Che hai da guardare?” le chiesi con troppa violenza. Idiota.
“Per te la guerra è finita?”
Non stava parlando con me, non poteva essere. Eppure i suoi occhi mi guardavano. Dovevo dire qualcosa.
“Il Signore Oscuro è stato sconfitto. San Potter ha riportato la pace. I mangiamorte sono stati catturati” risposi schifato dalle mie stesse parole.
Lei soppesò quello che avevo appena detto e iniziò a raccogliere le sue cose. Non mi aspettavo che aggiungesse qualcosa, così ripresi a dettare alla mia penna, la mente concentrata sulla sua domanda.
La guerra era finita?
Quella ragazza era stata Confusa. Magari credeva di parlare con qualcun altro. O forse no, forse voleva davvero una risposta sincera.
Dopo aver litigato con le chiusure della borsa mi passò accanto.
“Mi chiedi se la guerra è finita Granger? Lo chiedi a me? La vedi questa?” sibilai mostrandole la benda che mi copriva l’avambraccio. “Sai cosa c’è qui sotto? Sono un reietto Granger.” Mi sfiorai la fasciatura, il Marchio pulsò per un secondo. “Ti sei mai voltata a guardare il tavolo di Serpeverde, tra un bacio e l’altro con Lenticchia? E’ vuoto. Se ne sono andati tutti. Sono scappati, sono stati catturati, alcuni sono morti. Della vecchia guardia rimaniamo solo Io e Blaise, gli altri sono per lo più ragazzi più piccoli e i nuovi smistati. Non è più casa mia Hogwarts, non sono il benvenuto. La guerra per me non finirà mai.”

Non seppi perché dissi quelle parole proprio a lei, ma mi sentii decisamente meglio, come se avessi scaricato un peso che mi gravava sulle spalle. La Granger aprì la bocca senza dire altro, dovevo averla spaventata. Idiota.

La guardai finchè lentamente non riprese il controllo e lasciò la stanza.

“Stupida Granger. Stupido Draco Lucius Malfoy.” Borbottai prima di rimettermi a scrivere.

 

Trenta centimetri di pergamena dopo uscii dalla biblioteca soddisfatto.

“Ehi Dracuccio, ci siamo decisi?” Denise Derrel mi aspettava fuori dalla sala comune, la camicetta troppo slacciata e le labbra sistemate in uno stupido brocio.

“Chiamami ancora una volta così e deciderò per una tua condanna.”

“Lo sai che scherzo. Allora? Stasera ci facciamo un giro?”

“Sai che c’è Derrel?” le chiesi senza aspettare una sua risposta. “Due ore fa potevi anche passare. Ma adesso sei solo una gran vacca.”.
“Non pensare di essere meglio di me, schifoso mangiamorte.” Mi sputò addosso superandomi.
“Dovresti scegliertele meglio le tue prede Dra.”. Blaise appariva sempre nei momenti migliori. “Ti è servito il libro?” chiese con un mezzo sorriso.
“Hai trenta secondi di vantaggio. Poi se ti prendo ti ammazzo.”  

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Capitolo 2
*** 2. Non così tanto male ***


Nota dell’autrice: Nuovo capitolo! Grazie mille di tutte le recensioni… Sono felice che molti lettori di The life after stiano seguendo anche questa storia!
Buona lettura!
Stay tuned!

Qui trovate The life after, il POV di Hermione.
Qui trovate The life after - Summer's Chronicles, la continuazione del POV di Hermione.
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2. Non così tanto male



“Cara madre,
qui va tutto bene…”


No.

“Carissima madre,
avevi ragione tu, Hogwarts è..”


No.

“Madre,
ho preso la decisione giusta…”



Ma a chi la davo a bere? Presi l’ennesimo pezzo di pergamena e lo buttai nel cestino con rabbia. Niente andava bene e mia madre aveva torto. Non bastava tornare un passo indietro, fingere che tutto quello che era accaduto negli ultimi due anni fosse stato solo un incidente di percorso. Non mi sentivo uno studente di Hogwarts, ma nemmeno un Mangiamorte.
A dirla tutta non mi sentivo più niente.
Erano passate due settimane dall’incontro con Hermione Granger in biblioteca e il senso di soddisfazione che avevo provato era scomparso da un pezzo.
Nessuno da quel giorno aveva più chiesto il mio parere per qualcosa.
Solo Blaise, ma Blaise era Blaise.
Mi cacciava dalla camera una sera si e una no, accompagnandosi di ragazze sempre più belle e stupide. Tornava a chiamarmi a notte fonda, invitandomi a prendere un pezzo del suo bottino.
Non mi andava più di andare a letto con tutte quelle ragazze.
Non avevo più voglia di fingermi interessato alle loro teste oltre che ai loro colpi.
Non mi mancavano le loro moine.
Passavo la maggior parte del mio tempo con Astoria Greengrass, una delle mie adulatrici più fedeli e anche una delle meno fastidiose.
Astoria era una ragazza intelligente e acuta, ma nonostante questo la mia presenza la istupidiva. Che fosse innamorata di me era così ovvio. Tutta colpa di quei patti tra famiglie Purosangue. Era convinta che l’avrei sposata un giorno. Un tempo l’idea non mi dispiaceva affatto. Un matrimonio di convenienza stile Malfoy. Se fossi stato fortunato un giorno avrei scoperto di amare Astoria, come era successo ai miei genitori.
Ma la fortuna non era mai stata dalla mia parte e la prospettiva di una vita tranquilla non mi illudeva.
Guardai l’orologio e mi accorsi di essere in ritardo. Non avevo fretta di sentire qualche bella lezione su come affrontare “i cattivi” dal mezzo lupo Weasley, ma mi irritava dover sostenere tutte le occhiatacce dei miei compagni, soprattutto se non potevo affatturarli all’istante.
Mia madre era strata chiara anche sotto quel punto di vista. “Tieni un basso profilo Draco, copri il Marchio. Non cacciarti nei guai.”
Il Marchio.
Frugai tutta la stanza e finalmente trovai la benda. Presi la borsa mi diressi verso la lezione di Difesa contro le Arti Oscure, litigando con la fascia per farla stare chiusa.
Camminai tranquillamente per un po’, per cercare di destare meno sospetti possibili e quando il corridoio divenne deserto mi misi a correre.
Qualche passo dopo raggiunsi una ragazza, che come me era in ritardo.
Alzai lo sguardo e mi accorsi che non era una ragazza, era LA ragazza: Hermione Granger.
Imprecai e lei rispose con un cenno, come se l’avessi salutata.
Arrivammo davanti alla porta e mi piegai, la milza sembrava volermi esplodere dal ventre e la benda penzolante da un braccio.

“Busso?” chiese.

Presi la fascia e la ricacciai in borsa. Dovevo coprire il Marchio con la camicia.

“Fai come vuoi.” Le risposi noncurante abbassandomi la manica e cercando di legare i bottoni.
Ero talmente concentrato che la vista di due mani sul mio braccio mi spaventò.

“Che fai?” dissi alzando troppo la voce e spostando il braccio istintivamente. Incontrai i suoi occhi e mi fulminò all’istante.

Non disse altro e bussò.

Weasley ci invitò ad entrare, ma io cambiai idea. Non avevo voglia di vedere quella gente. Non avevo voglia di leggere la sorpresa di vedere me insieme a lei.

Mentre lei aprì la porta, io feci dietrofront.

“Non dovrebbe essere a lezione signor Malfoy?” la voce della McGrannit mi colpì alle spalle qualche minuto dopo.

“Non mi sento molto bene.” Mentii sfiorandomi la fronte con il braccio marchiato.

“Allora venga, la accompagno da madama Chips, magari ha solo bisogno un po’ di riposo.”

Maledizione.

La preside mi fece strada verso l’infermeria deserta. Mi sedetti su un letto, meditando di andarmene non appena la McGrannit se ne fosse andata. Non lo fece, rimase con me ad attendere Madama Chips, che stava somministrando una pozione fumante ad un bambino sdraiato qualche letto più in là.

“Il signor Malfoy non si sente molto bene.” Spiegò la Preside avviandosi alla porta “Lo affido a te Poppy.”.

“In effetti è un po’ pallido.” Mi disse la Guaritrice appoggiando una mano sulla mia fronte.

Stupida.

Il colorito della mia pelle era sempre lo stesso.

Bianco e candido.

Anche per molti risultava malaticcio, io amavo la mia carnagione.

“Ho semplicemente un po’ di mal di testa.”

“Allora si sdrai, le porterò un energizzante.” Commentò.

Mi accomodai a letto senza dire altro. Per ingannare il tempo presi una pergamena e scrissi poche e false righe a mia madre.

Tutto va bene.

Tutto è perfetto.

Tutto è bello.

“Beva la pozione e si rilassi.” Disse Madama Chips porgendomi un calice fumante. Non me lo feci dire due volte.

Il sole rimbalzava sui lenzuoli candidi accecandomi.

Appoggiai il bicchiere vuoto sul comodino e chiusi gli occhi per qualche secondo.



“Dra!”

“Ma che diav..” un cuscino mi colpì in pieno volto prima di riuscire a finire la frase.

“Cosa ti è successo? Mi hai fatto prendere un colpo.”

“Blaise, non sei mia madre. Che ore sono?” dissi mettendomi seduto.

“E’ appena finito il pranzo.”

“Ho fame.”. Mi alzai e feci per mettermi le scarpe.

“Abbiamo qualcosa in sala comune. Ma dove vai?”

“Devo mandare un gufo a mia madre. Ci vediamo in sala comune tra poco.”

Uscii dall’infermeria senza voltarmi, diretto alla guferia.

Avevo dormito molto ed ero molto riposato. Era una bella sensazione, forse la una delle più belle che avevo provato fino ad allora.

Mancavano pochi scalini all’ingresso della guferia quando un uccello si diresse minaccioso verso di me.

“Che cosa vuoi stupido uccello?” urlai. Qualcuno dall’altro lato della porta rise.

Il gufo mi porse la zampa, al quale era legato un messaggio.

“Appunti della lezione di Difesa contro le Arti Oscure.” Iniziai a leggere ad alta voce. “Gli inferi.”

Scorsi il foglio con lo sguardo. Dopo il riassunto della lezione un breve messaggio.

“Non ha senso saltare una lezione per un incontro spiacevole. Hermione.” Mi guardai intorno. La stanza sembrava deserta.

“Granger! So che sei qui stupida...” e mi venne da ridere. Non so per quale ragione non riuscii a fermarmi, sentivo il bisogno di ridere, di svuotare i polmoni. Ad un certo punto sentii le lacrime punzecchiarmi gli occhi. Dovevo essere pazzo. Mi calmai e cercai di captare la sua presenza sopra il tubare degli uccelli.

“Devon!” dissi richiamando il mio barbagianni. “Manda questa a Villa Malfoy.”

Dopo aver legato la busta ritornai a guardare la stanza. La ragazza aveva una grande pazienza.

“Granger!” urlai un’ultima volta, senza ricevere risposta.

Presi un pezzo di pergamena e scrissi “Fregata.” poi chiamai un gufo.

“Portala ad Hermione Granger.”

Il gufo uscì dalla finestra e rientrò planando a qualche passo da me, proprio dietro ad una colonna.

Sentii la Granger prendere la lettera, poi finalmente uscì dal suo nascondiglio con una faccia colpevole.

“Saltare le lezioni per un incontro spiacevole.” Dissi imitando la sua vocina.

“Tu un incontro spiacevole? Si vede che non hai mai dovuto incontrare spiacevolmente il Signore Oscuro nel bagno di casa tua. Sei proprio una ragazza strana Granger, non ti facevo così premurosa.” Sentii le mie gambe muoversi verso di lei senza ricevere un mio comandi. “Certo, bisogna avere proprio una bella pazienza per stare con Lenticchia, è proprio un …”

“Ron!” urlò interrompendomi. Beh, io avrei usato idota, ma anche Ron era un insulto abbastanza forte. La guardai confuso, improvvisamente iniziò a muoversi con velocità raddoppiata, mi era difficile seguirla.

“Devo andare.” Sussurrò passandomi accanto. “Grazie.” Aggiunse sparendo.

“Io..” iniziai a dire, ma lei doveva già essere lontana. Tanto non avrei saputo trovare delle parole per risponderle. Avrei dovuto ringraziarla? Non era mia abitudine. Forse sarebbe bastato un sorriso. Forse era meglio così.

Dopo aver congetturato un altro po’ sulle parole della Granger, presi un altro foglio e mi sedetti in un angolo pulito della guferia.

“Cara madre,

sono un bugiardo, lo sai. Ma qui non è così tanto male.
Non preoccuparti.

Draco”




Chiamai l’ennesimo gufo e lo guardai volare via.


Hermione Granger.


Era così fastidiosa e saccente, incredibilmente testarda.

Ma quella risata… non era così tanto male.

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Capitolo 3
*** 3. Differenze visibili ***


Nota dell’autrice: Ciao a tutti! Aggiornamento iper rapido. Mi è piaciuto molto scrivere questo capitolo, anche se (non smetterò mai di ripeterlo) scrivere da un POV così complesso come quello di Draco non è mai facile. Lascio a voi lettori l’ardua sentenza.
Recensite numerosi!
Stay tuned!


Qui trovate The life after, il POV di Hermione
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3. Differenze visibili

 

La campanella ci informò che la lezione era finita. Vidi molta gente alzarsi velocemente. Subito il mio sguardo andò verso il tavolo dei Grifondoro. La Granger stava imbottigliando la pozione di Potter, mentre lui ripuliva i calderoni.

Lo guardava sorridendo e anche lui sembrava diverso dal solito. Un po’ meno cupo. I Grifondoro erano sfacciatamente sentimentali, sempre li a farsi sorrisini e favori.

La Granger mi passò accanto senza guardarmi e lasciò la sua fiala sulla cattedra. La seguii con lo sguardo finchè abbandonò l’aula prendendo per mano Lenticchia.

“Hey Dra, penso che il vecchio Luma voglia parlare con te.” Mi risvegliò sussurrando Blaise prima di andare anche lui verso la porta.

“Signor Malfoy.”

Mi voltai verso Lumacorno sorpreso. Quel vecchio tricheco aveva paura di me, vedevo nei suoi occhietti il terrore quando passava davanti al mio calderone e il timore di rimanere solo con me in una stanza.

“Mi dica.” Risposi abbassando la testa con rispetto.

“D-draco, i suoi voti sono molto peggiorati, temo che con questa media il M.A.G.O. in pozioni sia poco realizzabile.”

“Quindi?” chiesi per farla breve. Mi sistemai i capelli con il braccio fasciato e Lumacorno fece un versetto e un sospiro.

“Deve prendere delle ripetizioni.” Rispose con tono autoritario. “Pensavo alla signorina Granger, lei è molto portata e disponibile.”

“No.”

“Scusi?”

“Ho detto di no. Non ho bisogno di  ripetizioni da nessuno, men che meno dalla Granger.”

“Non era una domanda signor Malfoy, era un ordine. Facciamo così: le do un paio di giorni. Trovi un compagno più idoneo della signorina Granger.” Concluse lasciando la stanza.

Ci mancavano solo le ripetizioni di Pozioni. Con la Granger per di più.

Mi diressi in sala comune imprecando, spaventando un paio di ragazze che incrociai nel corridoio.

 

Blaise mi aspettava comodamente sdraiato su un divano.

“Cosa voleva il vecchio Luma?”

“Dice che ho bisogno di ripetizioni.” Lo fulminai con uno sguardo. “Non ridere o ti ammazzo.”

Mi guardò un secondo, poi si voltò verso il fuoco meditabondo. Lasciai che il silenzio si posasse su di noi, poi calciai con violenza un tavolino da thè.

“Con la Granger. Sai che cosa vuol dire?” chiesi con rabbia.

“Ripetizioni con la Granger, hai vinto alla lotteria Dra.”

“Non capisci cosa significa Blaise. Quella ragazza è la mia dannazione.” Scossi la testa con così tanta forza che i capelli mi ricaddero davanti agli occhi. Li risistemai violentemente con entrambe le mani, facendomi quasi male. “Mi fa impazzire. E’ la mela del mio Eden.”

“Amico mio, ti sei innamorato della Mezzosangue. La fidanzata di Lenticchia, Dra. Siamo caduti proprio in basso.” Commentò Blaise, facendomi arrabbiare ancora di più.

Innamorarmi? Che ne sapeva lui dell’amore.

“Attento a quello che dici Blaise, sto per meritarmi il posto che gli Auror mi hanno prenotato ad Azkaban.” Dissi a denti stretti. “Non ho intenzione di contendermela con il Re dei Bidoni. Mi passerà in fretta. Dov’è Pansy quando serve?”

In sala comune, notai solo in quel momento, erano comparse tante ragazze. Tante Pansy, tante Derrell. Sarebbe bastato un passo, un gesto. Ma non ne avevo voglia. Blaise seguì il mio sguardo perso per la stanza. Sembrava fosse in grado di leggere i miei pensieri.

“Pensi che basti una notte con un’oca per fartela passare? La guardi come se fosse il boccino della finale della coppa del mondo. E comunque Pansy al contrario di noi due si è diplomata. Però quella Michelle del terzo anno..” concluse la frase con un gesto verso una bella Serpeverde di qualche anno più giovane. Lei lo notò e al contrario delle altre non sorrise, ma si voltò con stizza verso un’amica.

“Quella è un osso duro.” Dicemmo in coro.

“Ha parlato il Signor Granger.”

“Idiota. Comunque il tricheco mi ha dato due giorni per trovare qualcuno di meglio.”

“Meglio della Granger? Dai Dra, non prendermi in giro. Quella è la principessa delle pozioni.” Si mise seduto e diede un ultima occhiata a Michelle. “Tutto questo pensare alla carne fresca mi ha fatto venire fame.”

 

 

Erano passati più di due giorni.

Stanamente Lumacorno non mi aveva ancora chiesto niente.

Non avevo trovato qualcuno meglio di lei.

Scolasticamente parlando, non esisteva nessuno meglio di lei.

Umanamente, invece, lei era il peggio.

Hermione Granger mi faceva uno strano effetto. Era diverso dalla semplice irritazione, era qualcosa di più profondo e intrigante. La sua presenza mi disturbava, ma quando lei se ne andava ne sentivo quasi la mancanza.

Come quando si ascolta una canzone noiosa e ripetitiva e qualcuno spegne la radio senza chiedere il permesso. Il silenzio diventa fastidioso, ci si trova a canticchiarla quella maledetta canzone, anche se la si odia.

Hermione Granger era la mia maledetta canzone fastidiosa personale.

Eccola li, con Lenticchia, a godersi la colazione domenicale come una coppia di vecchi sposi.

Che schifo, come faceva a stare con uno del genere?

“Che facciamo oggi?” mi chiese Astoria versandosi del succo di zucca. Prima di rispondere mi voltai verso Blaise, che a sua volta si voltò verso Michelle.

Come avesse fatto a convincerla ad uscire con lui la sera prima era un mistero.

Sapevo solo che non se l’era portata a letto, il che era decisamente strano.

“Penso che tornerò a dormire.” Dissi rinunciando a coinvolgere nei miei piani quella sottospecie di cane da passeggio che pendeva dalle labbra della sua padrona che era Blaise.

“Mmmh..” rispose Astoria, senza sbilanciarsi.

Diedi un’ultima occhiata al tavolo dei Grifondoro, della Granger non c’era più traccia. Al tavolo erano rimasti solo Potter e la Weasley.

“Ci vediamo più tardi.” Li salutai alzandomi.

 

I corridoi erano pieni di persone assonnate che nonostante tutto avevano una gran voglia di raccontare ad altre persone assonnate le loro stupide esistenze. Quella mattina ero più insofferente del solito nei confronti del prossimo.

Soprattutto se il prossimo assomigliava anche vagamente ad un ragazzo con i capelli rossi.

“Signor Malfoy.”

Accidenti.

“Professor Lumacorno.” Lo salutai. Sembrava malato, incredibilmente pallido e barcollante.

“Ha scelto il compagno per le ripetizioni?”

“Veramente no. Non può..”

Lumacorno alzò una mano per zittirmi.

“Informerò la signorina Granger. Oh no..” disse coprendosi gli occhi con una mano. “Il mio gufo si è preso il vaiolo di drago, povero vecchio Dimitri. Dica lei alla signorina Granger di farsi trovare nella mia aula prima di cena, domani.”

Non aspettò una mia risposta, borbottò altre frasi sul suo stupido gufo e mi superò.

Prima di imbucare la strada verso la sala comune mi imbattei ancora una volta nei signori Weasley, che stavano per uscire dal portone.

Lenticchia era intento a parlare con un altro Grifondoro, lei invece si guardava intorno in attesa.

Si voltò verso la mia direzione e mi guardò.

Ebbi quasi l’istinto di rovinarle la giornata informandola della decisione di Lumacorno, poi il suo volto si aprì in un mezzo sorriso.

Mi stava guardando e sorrideva.

Sostenni il suo sguardo qualche secondo, poi mi votai verso l’ultima scalinata che mi divideva dai sotterranei.

Mi aveva guardato e mi aveva sorriso. Che aveva per la testa quella stupida?

 

Passai l’intera giornata a letto, tanto che ad un certo punto la schiena iniziò a farmi male. I miei compagni di stanza entravano ed uscivano. Blaise comparve solo nel tardo pomeriggio. Il sole sanguinante lottava invano contro le lunghe ombre della sera.

“Sei ancora qui?” mi chiese. Non mi voltai verso di lui, continuai a guardare imperterrito la finestra. “Il tuo umore è pessimo. Se non fossi il tuo migliore amico di avrei già mandato al diavolo. Si può sapere che hai?”

“Non ho niente.”

“Fottiti. E’ tutto il giorno che sei su quel maledetto letto. Da solo. Che ne hai fatto del vecchio Draco?”

“Senti, invece che parlare di me, raccontami di Michelle.” Dissi finalmente voltandomi verso di lui, ora seduto sul suo letto.

“E’ lei. E’ come se avessi trovato finalmente quella giusta.” Mi vergognai io per la faccia con cui diceva quelle parole. “Sono bastate poche ore per capirlo, è una cosa strana.”
“Parli come il vecchio Silly. Ti prego non iniziare una tirata sull’importanza dell’amore. Non penso di poterla reggere.”

“Vedi come sei? Scommetto quello che vuoi che ti senti anche tu così. Se non fosse così in questo momento ne avresti due nel letto con te. E invece non ti vedo con una ragazza da quasi due mesi. Qui c’è qualcosa che non va.”

Incendiai Blaise con lo sguardo e mi alzai.

“Dove vai adesso?”

“A dimostrarti che ti sbagli.”

L’ultima cosa che vidi uscendo dalla stanza fu un suo sguardo particolarmente scettico.

La sala comune era piena di ragazzi.

Non trovai chi stavo cercando.

Mi diressi verso i dormitori femminili e spalancai la porta della sua stanza.

“Draco?” Astoria alzò per un secondo gli occhi dal libro che stava leggendo. “Hai bisogno di qualcosa?”

“Ho bisogno che tu venga nella mia stanza. Subito.” Dissi prendendola per un polso. Una ragazza qualsiasi avrebbe potuto avere almeno due reazioni: poteva spaventarsi o accettare l’invito. Astoria non fece niente di tutto cìò. Rimase a guardarmi negli occhi, in silenzio.

“Io non sono stupida Draco. Non mi farò usare, anche se sono innamorata di te.” Disse a denti stretti, mantenendo il contatto visivo.

“Questa ondata di orgoglio non ha senso, io non ti sto usando. Non sai nemmeno perché voglio che tu venga.”

“Blaise ti avrà messo davanti la verità e tu ora stai cercando di dimostrargli che non ti sei preso una sbandata per qualche cretina e che ti faresti una caso in qualsiasi momento.” Disse con una faccia convinta. “Beh, si da il caso che già il fatto che tu abbia scelto me è un motivo in più per dare ragione a lui. Io non sono una a caso. Io sono semplicemente la meno impegnativa da convincere.”

“Ma allora siete tutti d’accordo, dannazione. Io non ho preso una sbandata per nessuna.”

“Io non ho parlato con Blaise, ma semplicemente al contrario di te noi sappiamo cos’è provare dei sentimenti.” Sussurrò alzandosi. Chiuse un secondo gli occhi e poi si avvicinò al mio volto. “Non sapresti riconoscere l’amore nemmeno se ti desse una ginocchiata nello stomaco. Ma io, noi, vediamo che se diverso da un po’.” Si leccò le labbra e se le morse, come se si stesse trattenendo dal mangiare il suo piatto preferito. “Vedi Draco, nonostante tutto voglio darti una mano. Farò del mio meglio per farti arrivare dove vuoi, perché se capirai cosa intendo, magari poi capirai anche i miei sentimenti. Quindi,” mi prese il braccio e mi portò verso l’uscita. “andiamo. Tanto so che non arriverai fino in fondo. Sei un codardo.”

Ritornammo nella mia stanza, Blaise se n’era andato.

Per la prima volta nella mia vita non sapevo cosa fare con una ragazza. Guardavo Astoria, il suo corpo snello e il suo sorriso vincente senza sapere da dove iniziare. Lei si sedette sul letto, in attesa. Aveva ancora quell’espressione. Sapeva di aver ragione, ero un codardo.
“Dirò a Blaise che siamo stati a letto insieme se vuoi.” Annunciò lei ad un certo punto. “Ad una condizione.”

“Non sei tu a condurre i giochi Greengrass.”

“Beh, allora vieni. Prendimi, sono qui.” Disse allargando le braccia.

Feci un mezzo passo in avanti. Un altro.

La baciai.

Fu semplice.

Per qualche secondo mi sembrò di ricordare. Nessun sentimento, pura e semplice chimica. Provavo un profondo rispetto per Astoria, da sempre. Ora lei si stava offrendo a me per darmi una lezione, per farmi capire di aver torto. Sentivo il suo corpo scosso dai brividi.

Io non sentivo assolutamente niente.

Nemmeno la solita voglia, il solito senso di appagamento.

Niente.

“Qual è la condizione?” chiesi rassegnato staccandomi da lei.

Mi guardò riprendendo fiato.

“Che tu mi dica di chi si tratta.” Rispose guardandomi avvilita.

“Non si tratta di nessuna.”

Mentre la mia bocca diceva quelle parole mi immaginai Hermione Granger al posto di Astoria, seduta sul mio letto. Passai in rassegna ogni parte del suo corpo sostituendola con quella della Grifondoro.

Eccola, la voglia.

Eccola.

La sentivo scorrere nelle vene. Era calda, esplosiva, diversa. Sapevo che non mi sarebbe bastata una volta. Per sedarla avrei dovuto legarla a quel letto per sempre, marchiarla. Farla diventare una mia proprietà personale. Non mi sarei alzato dal letto nemmeno per mangiare. Sarei morto di piacere.

Qualcosa interruppe le mie fantasie. Un gemito.

Ritornai alla realtà. Astoria piangeva.

“Sei un bastardo. Mi guardi così e poi dici che non c’è nessuna. Bugiardo. Stai pensando a lei proprio in questo momento.” Mi colpì con uno schiaffo e se ne andò.

“Hermione Granger.” Mi dissi un’altra volta prima di ributtarmi a letto.

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Capitolo 4
*** 4. Sfide ***


Nota dell’autrice: Chiedo scusa! In questi giorni sono stata molto impegnata e scrivere è diventato sempre più difficile. Prometto di non farvi aspettare così tanto per il prossimo capitolo! Fatemi sapere che pensate di questo capitolo!

Stay tuned!



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4. Sfide


Dopo aver dormito praticamente tutto il giorno precedente, il lunedì mattina mi svegliai che il sole era ancora basso. Mi alzai e accesi la bacchetta, cercando la divisa a tentoni. In sala comune era rimasto solo un ragazzo, probabilmente troppo stanco per raggiungere il suo letto. Presi un foglio e una piuma e pensai il messaggio da scrivere alla Granger. Dopo alcuni tentativi, rilessi il risultato finale:
 

“Granger,

il professor Lumacorno vuole vederci prima di cena nel suo ufficio. Il suo gufo ha il vaiolo di drago (sarà mai possibile?) e quindi mi ha chiesto di mandarti Devon. Non ho bisogno di una risposta, ci sarai. Altrimenti sarà peggio per te.

D. L. Malfoy.”


 

Nel frattempo la sala si era animata di studenti, che si massaggiavano lo stomaco affamati. Prima di andare a colazione andai verso la guferia, incontrando i più mattinieri.

“Devon.” Chiamai il mio barbagianni nero, che rispose con un verso cupo.

Planò con eleganza verso di me e attese in silenzio che gli legassi il messaggio alla zampa.

“Devi dare questo foglio ad Hermione Granger. Mordi chiunque provi a leggerlo. Se ha i capelli rossi mordi ancora più forte. Intesi?”. L’animale mi rispose tubando e si risistemò sul trespolo, dove notai che altri gufi attendevano la fine della colazione per consegnare la posta.

Quando entrai in sala Grande lei e i suoi amici erano già seduti al tavolo dei Grifondoro. Mi scelsi un posto da cui potessi vedere la sua reazione, che non tardò ad arrivare.

“DEVON, no!” la sentii urlare. Weasley si toccò un orecchio imprecando.

“Dove vai adesso?” chiese al mio barbagianni, che nel frattempo aveva ripreso il volo. Vidi molte teste voltate verso di loro, così non mi feci problemi a tenere gli occhi puntati sulla scena. La Granger riguardò il foglio di pergamena, poi si concentrò su Lenticchia, che sanguinava. Lo curò con un colpo di bacchetta e gli disse qualcosa, ma venne interrotta da Potter.

“Gliel’hai detto?” mi chiese Blaise.

“Si, le ho mandato un gufo.”
“Ho visto. Ha quasi staccato un’orecchia a Lenticchia.” Disse sorridendo. “Quanto ti diverte questa situazione Dra?”

“Da morire.” Risposi ritornando con lo sguardo al tavolo di Grifondoro.

“Hai letto il giornale? Tuo padre è stato scagionato dalle accuse di omicidio.”

“Si.”

“Non hai niente da dire?”

“Non mi importa.” Commentai alzando le spalle. Era sbagliato, era da codardi. Ma mio padre sarebbe stato ad Azkaban almeno per altri quattro o cinque anni. Ci avrei pensato a tempo debito. Non potevo dimenticare però quello che aveva fatto patire a me e mia madre, tutte le sofferenze dovute alla sua stupida idea di usare la nostra casa come base del Signore Oscuro.

Per l’onore.

Per la gloria eterna.

I miei pensieri vennero interrotti dalla Granger, che incrociò per qualche secondo il mio sguardo. Notai che anche lei aveva in mano il Profeta. Forse stava facendo un confronto tra me e mio padre. Forse anche lei notava le nostre somiglianze, lo sguardo fiero dei Malfoy, i capelli chiari.

Magari aveva notato la bocca, così diversa, che invece era un’eredità dei Black.

Mi ritrovai a sperare che non pensasse nulla, che non facesse paragoni con quel disastro che era la mia famiglia.

Dopo aver raccolto la sua roba si alzò e usci in fretta dalla sala.

Le ore seguenti furono al solito lente e noiose. Nel pomeriggio avevo due ore libere e arrivai davanti alla classe di Lumacorno mezz’ora prima del dovuto.

Mi misi spalle al muro e attesi in silenzio, contrando le pietre che formavano il muro di fronte a me.

Dovevo essere arrivato più o meno alla duecentesima quando la Granger apparve nel corridoio sorridendo.

“Temo che non sarà l’unica volta che ci incontreremo. L’ultima pozione che ho fatto ha sciolto il calderone.” Dissi dopo averla salutata con un cenno. Il suo sorriso si incrinò.

“Hai bisogno di una mano in pozioni? Non c’era bisogno di chiedere a Lumacorno, bastava mi mandassi un gufo”

“Io” iniziai con enfasi “Non ho bisogno di niente da te. E’ Lumacorno che crede che io senta il bisogno di migliorare i miei voti. Accettabile non è male.”.

I suoi occhi si ridussero a due fessure. Prima di rispondere sospirò.

“Beh, detto questo la mia presenza è inutile, se non sgradevole. Ho altro da fare, sono venuta solo per farti un favore. Visto che non hai bisogno di aiuto, me ne vado.”

Non risposi, ma desiderai che restasse. Stavo per parlare, quando mi accorsi che nonostante avesse spostato una gamba, non si era voltata. Era in una strana posizione, come se stesse giocando alle belle statuine. Incollata per terra.

Il vecchio Luma arrivò prima che lei riuscisse a bruciarmi con lo sguardo e ci invitò ad entrare nell’aula.

“Sapete perché siete qui immagino?” disse quando ci fummo accomodati in prima fila. “Signorina Granger, ho davvero bisogno di lei. Il signor Malfoy ha qualche problema in pozioni e io in questi giorni sto dedicando il mio tempo per curare il mio povero Dimitri, che alla veneranda età di 20 anni si è preso il vaiolo di drago.”

Ripensai alla scena della mattina precedente, a come Devon aveva beccato Weasley e mi venne da ridere. Camuffai alla meglio la risata con un colpo di tosse.

“Penso che possiate vedervi nella stanza delle Necessità, una volta a settimana. Decidete voi il giorno e l’ora. Pensate alla stanza del professor Lumacorno, ci sarà un registro e controllerò che facciate tutto quello che è li segnato. Ora se non vi dispiace devo andare da Hagrid a trovare Dimitri.” Disse il tricheco con lo sguardo fisso sulla porta.

La Granger aspettò che la porta si chiudesse, poi si voltò verso di me e rimase un secondo a guardarmi.

“Ti va di vederci domani sera?” mi chiese mordendosi il labbro inferiore con aria meditabonda.

“C’è l’allenamento di Quiddich. Dopodomani?” risposi distogliendo lo sguardo, mille pensieri sbagliati che mi vorticavano in testa.

“Io e Ron il mercoledì sera stiamo..”

“Si, non ho bisogno dei particolari della tua vita sessuale.” Nelle mie fantasie venni sostituito all’istante da un idiota con i capelli rossi.

“Facciamo giovedì alle 8?”

“Va bene. Davanti alla stanza delle necessità.” Deglutii e la seguii con lo sguardo mentre se ne andava.

Non so per quanto rimasi nell’aula vuota, in silenzio, senza pensare. Mi resi conto solo dopo un po’ di quello che stavo facendo, quando gli occhi iniziarono a bruciarmi. Non avevo sbattuto le palpebre per un bel po’. Alla fine mi alzai e andai a cena.

 

Il giorno seguente si abbatté su Hogwarts un acquazzone e la squadra di Quiddich di Serpeverde entrò negli spogliatoi di malavoglia.

Mentre ci stavamo cambiando la porta si aprì e Potter fece capolino con uno sguardo confuso.

“Che ci fate qui?” chiese.

“Ci alleniamo.” Rispose Blaise, che era il più vicino alla porta.

“Che c’è Harry?” la voce inconfondibile di Lenticchia si sentì a malapena sopra al rumore della pioggia.

“Entrate, vi bagnerete tutti.” Propose Blaise in uno scatto di gentilezza.

“La McGrannit mi ha detto che il campo era libero, però se ci siete voi, non importa.” Commentò Potter salutando il resto della mia squadra con un cenno.

“Non penso che con questa pioggia valga la pena di allenarsi.” Dissi. Nonostante Potter non mi piacesse, avevo capito che per ricostruirmi una reputazione dovevo rispettarlo. O almeno fingere di farlo.

“Cos’è? Hai paura di due gocce di pioggia Malfoy?”

Maledetto Lenticchia.

“Che ne dite di una partita?” chiese Blaise lanciandomi un sguardo che sapeva molto di raccomandazione. Battere sul campo Lenticchia, poteva essere molto più soddisfacente che affatturarlo all’istante.

“Ragazzi? Voi che ne dite?” Potter si voltò verso i suoi, che fecero cenni di assenso con il capo.

Facemmo pochi passi per raggiungere il campo e fummo subito fradici. La partita iniziò e mi alzai da terra, gli occhi che scrutavano il campo alla ricerca del Boccino d’Oro. La pioggia e la poca illuminazione mi impediva di capire il punteggio, anche se un paio di volte vidi Blaise festeggiare. Ad un certo punto vidi qualcosa brillare vicino alla porta di Weasley e planai verso di lui. Potter era qualche metro sopra di me e non aveva notato il mio movimento brusco. Arrivato a pochi metri da Lenticchia mi accorsi che quello che avevo visto muoversi era il suo orologio e imprecai.

“Cosa vuoi Malfoy? Hai paura dei tuoni?”

“Solo questo sai dire? Mi chiedi se ho paura?” chiesi con disprezzo.

“Si, perché sei un codardo schifoso.” Disse lasciando la porta vuota ed avvicinandosi a me. Non lo avevo mai visto così arrabbiato.

“Non devi toccare la mia ragazza capito? Se vengo a sapere che l’hai anche solo sfiorata ti ammazzo.” Disse portandosi proprio accanto al mio orecchio.

“RON NO!” urlò Potter. In quel momento lo vidi, il Boccino d’oro era qualche metro sotto di lui. Mi liberai di Lenticchia e volai in picchiata, chiudendolo nelle mie mani. Il resto della squadra notò quasi un minuto dopo che la partita era finita e mi festeggiarono tutti con un po’ di sollievo.

Tornai nello spogliatoio e mentre Weasley veniva portato lontano dalla sorella, Potter mi si avvicinò.

“Cosa gli hai detto?” mi chiese. Non era arrabbiato, sembrava più che altro esausto.

“Che tu ci creda o no, non gli ho detto niente. Ha fatto tutto lui.” Risposi alzando le spalle.

Potter mi scrutò qualche secondo con i suoi occhi verdi, poi senza dire altro andò verso il castello. 

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Capitolo 5
*** 5. Autocontrollo inspiegabile ***


Nota dell'autrice: Eccoci con un capitolo molto l u n g o e a mio avviso interessante. Spero che vi piaccia, io c'ho messo come al solito tutto il mio impegno.. Fatemi sapere le vostre impressioni!

Stay tuned!



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5. Autocontrollo inspiegabile

 

Giovedì.

Nonostante sapessi che si trattava solo di una stupida lezione di pozioni, non riuscivo a controllare un insano senso di inquietudine che mi scuoteva.

Mangiai in fretta, ascoltando solo a tratti la discussione nata tra Astoria e Blaise. Parlavano dello stato di sangue, sai che novità.

Cercai al tavolo di Grifondoro la Granger, che parlava ad un orecchio a Weasley tenendogli la mano.

Chissà che gli stava dicendo. Lenticchia sorrise e la baciò.

Mi alzai di scatto, spaventando Michelle.

“Ci vediamo più tardi.” Le dissi facendo un cenno verso gli altri due, troppo impegnati ad ignorarsi per darmi attenzioni.

Prima di andare nella stanza delle necessità decisi di passare dal bagno dei Prefetti del quinto piano. Era un posto tranquillo, mi piaceva. Entrai e sciacquai il viso.

Poco dopo Potter entrò dalla stessa porta. Mi guardò e senza dire niente si iniziò a lavare le mani qualche lavandino più in là.

Mi diedi un’ultima occhiata allo specchio e uscii.

“Hey Harry pensavo che po…” come al solito Weasley parlava a vanvera. “Ah, sei tu.”.

Non gli risposi nemmeno, lo superai e mi diressi verso le scale.

“Malfoy!” mi urlò dopo qualche secondo. “Aguamenti!”

Non feci in tempo a sfoderare la bacchetta che il getto mi colpì in pieno volto.

“Questo è per spegnere i tuoi bollenti spiriti.” Commentò ridendo.

Una goccia gelata si infilò nel colletto della camicia provocandomi un brivido lungo la schiena.

“Levicor..”

“Protego.” Disse automaticamente Potter, apparso all’istante dalla porta del bagno. Il suo scudo mi fece indietreggiare di un passo. Guardai l’orologio, era già tardi, non avevo tempo da perdere dietro a quei due sfigati.

“Non sarai sempre così fortunato da avere il Prescelto a proteggerti Weasley.” Dissi asciugandomi il volto con la manica della camicia.

Girai i tacchi e salii gli ultimi piani di scale. La Granger era già appoggiata al muro, in attesa.

“Il tuo ragazzo è un idiota.” Risposi alla sua faccia confusa.

Lei non commentò, ma iniziò a camminare davanti al muro, dove dopo qualche secondo apparve una porta.

La stanza delle necessità era diventata uno studio molto grande, arredato secondo lo “stile Lumacorno”: una grande libreria piena di libri che probabilmente nemmeno lui aveva mai letto, un grande tavolo con tanti calderoni fumanti e un divano troppo imbottito.

“Riconoscimento di vari distillati.” Lesse dal registro mentre io mi avvicinavo al tavolo.

“E’ una roba da sesto anno, ti ricordi Granger? Quando san Potter ti ha battuto? Il principe delle pozioni l’aveva chiamato Lumacorno.” Dissi concentrandomi sul riflesso del mio volto nel Veritaserum.

“Si, ricordo. Ma sbaglio o eri tu quello che aveva più bisogno della Felix?”

Notai che stava indicando qualcosa. In un piccolo calderone sobbolliva una pozione dorata. Quel distillato mi avrebbe fatto comodo sotto molti punti di vista e per questo mi avvicinai.

“Pensi che si possa prendere? Non se ne accorgerà nemmeno se ne prendiamo una fiaschetta per uno.” Chiesi osservando la superficie cangiante della pozione.

La Granger si chiuse nel solito silenzio, ma si allontanò. Non era la prima volta che preferiva rispondermi con i fatti, evitando di parlare. Prese da uno scaffale un piccolo vasetto e lo affondò nei vari calderoni, non riscendo però a raccogliere nessuna pozione.

La seguii con lo sguardo fino al calderone più lontano dalla Felix e con sorpresa di entrambi il recipiente si riempì.

“Ehi, quella funziona. Che cos’è?”

“Dovresti dirmelo tu. Dai, vieni a vederla.” Mi rispose facendomi un cenno. Bastarono pochi passi verso di lei per capire di cosa si trattava. L’aria si era fatta più densa, una leggera nebbiolina mi circondò, dandomi la stessa sensazione di una doccia calda dopo una partita di Quiddich sotto la neve.

“Amortentia” dissi. “Lumacorno crede che ci serva un filtro d’amore? Vecchio tricheco.”.

Un filtro d’amore. Io, la Granger e un filtro d’amore. Sembrava una barzelletta. Rimasi a osservarla. Il suo respiro si era fatto calmo e regolare, come se dormisse.

“Di cosa profuma per te?” mi chiese dopo qualche secondo di totale silenzio.

Pancakes, pioggia e..

Annusai di nuovo la pozione.

“Non credo che siano affari tuoi.” Risposi di scatto. Il terzo profumo era strano, conosciuto eppure sfuggente, sapevo di averlo già sentito, però non riuscivo a ricordare dove e quando.

Mentre cercavo inutilmente la soluzione in giro per la stanza notai una fiala con un cartiglio.

“Scommetto che non la berresti nemmeno sotto tortura.” La sfidai.

“Non ho intenzione di diventare la tua schiava.”

“C’è l’antidoto. Ti sfido. Beviamola entrambi, in tempi diversi ovviamente, non vorrei trovarmi incastrato al tuo corpo al risveglio.”

Non ascoltai le voci che nella mia testa si dissociavano dalla frase che avevo appena detto e la lasciai studiare la fiala che conteneva l’antidoto per due persone.

“Cosa mi assicura che tu mi faccia bere l’antidoto?” mi chiese senza togliere gli occhi dalla pozione.

“Cosa te lo assicura? Pensi che mi farebbe piacere averti attorno come un’ossessa?”. Nella mia testa era nato un coro di voci fastidiose, che parlavano tutte insieme confondendomi. Mi confortò il fatto che nemmeno la Granger apparisse molto risoluta.

Accadde poi l’inaspettato: fece comparire due calici e ne riempì uno di pozione, aggiungendosi poi un suo capello.

“Prima tu. Abbiamo mezz’ora. Quindici minuti a testa.” Disse porgendomi l’Amortentia, che aveva preso una poco confortante tonalità di rosso.

Sorrisi e bevvi la pozione in un sorso.

 

 

Doveva essere stato tutto un sogno.

Dovevo essere ancora nel mio letto. Eppure ero stato a lezione e Potter e Weasley…

Aprii di qualche millimetro gli occhi e vidi molta luce. Ero seduto scomodamente sul divano.

Iniziai a capire.

Sapevo dov’ero.

Mi chiedevo dove fosse lei. Mi accomodai con una fatica immane e aprii gli occhi. Era li, stava cercando qualcosa.

Quando ritornò accanto a me mi porse della cioccolata.

“Non era Amortentia?” chiesi con la bocca impastata. Dovevo aver dormito almeno un paio di settimane, quella era l’impressione. Misi in bocca il cioccolato e mi sentii un po’ sollevato.

“Si certo. N-non ti ricordi niente?”

“No.” Guardai l’orologio. Mi sorpresi del poco tempo che era trascorso. “Non è passato un quarto d’ora. Perché?”

“Capirai quando berrò. Promettimi che non mi toccherai, anche se te lo chiederò.”. Nei suoi occhi lessi un po’ di terrore, ma comunque mi strappò un capello e bevve l’Amortentia.

“Come se lo volessi.” Commentai, meritandomi l’ennesima occhiataccia, che si trasformò in un secondo in buffo tentativo di occhiatina sexy.

“Cosa c’è?” mi chiese.

“Niente.”

“Perché mi guardi così allora?”. Era molto addolorata, sembrava una di quelle ragazze che mi portavo a letto. La mattina dopo trovarmele accanto struccate era un trauma.

Risi a quel pensiero e lei si avvicinò, guardandomi intensamente.

“Cos’è quello?” chiese. Non c’era bisogno di seguire il suo sguardo per capire che cosa stava indicando.

“Il Marchio Nero.” Le risposi, sorpreso dalla sua espressione curiosa e allegra. Era la prima volta che qualcuno lo osservava con così tanta tranquillità.

“Posso toccarlo?”

“Certo.”

Si avvicinò a me e mi accarezzò l’avambraccio. Chissà che stava pensando.

“E’ morbido, è caldo.” Commentò guardandomi negli occhi. L’Amortentia le aveva rilassato i tratti. Sembrava molto più bella, ma anche più stupida.

“E’ la mia pelle ad essere calda sciocca. Senti.” Le porsi l’altro avambraccio e lei lo iniziò a baciare lentamente, facendomi venire i brividi.

Non seppi con che forza riuscii ad allontanarla.

 

“Per favore Hermione.”

Si allontanò di qualche centimetro e io mi rilassai, cercando in giro per la stanza qualcosa che mi facesse dimenticare chi avevo a fianco.

“Draco.” mi chiamò con una voce roca e vagamente sensuale.

“Si?” risposi. Era ritornata all’attacco, troppo vicina per resisterle.

“Baciami.”

Maledetta Granger. Avrei dovuto saperlo che sarebbe andata a finire così. Mi avvicinai e appoggiai le mie labbra sulle sue. La scossa che sentii del mio corpo funse da campanello d’allarme e la allontanai con forza.

“Questa è una finzione, non è vero. Tu stai con Weasley. E io sono un idiota.” Le dissi. Avevo esagerato, l’avevo buttata giù dal divano.

Era colpa sua.

Era colpa mia.

Quella che avevo davanti non era Hermione Granger. Era una brutta copia. Se non fossi stato testimone di tutta la scena, avrei detto che Denise Derrel si fosse bevuta la pozione Polisucco della Granger.

Stupida e appiccicosa.

Una gatta morta noiosa.

“Perché dici così Draco? Perché mi ferisci?” mi urlò piangendo.

Una gatta morta isterica.

“Perché è la verità! Ti stai ferendo da sola.” Urlai di rimando balzando in piedi.

“Se è la verità allora portami via da lui. Rapiscimi.”

Idea fantastica Granger.

“Smettila.” Urlai di nuovo.

“Draco.” Disse prima di saltarmi addosso.

La volevo.

La volevo così tanto da odiarmi.

Ma non potevo prendermela in quelle condizioni.

“Cosa farò quando ti sveglierai eh? Se continui a stringermi così? Cosa farò? Sono un idiota, ecco cosa sono!”.

Ecco cosa farò: ti spoglierò e ti farò mia. Poi ti sveglierai e mi chiuderanno ad Azkaban per questo.

La guardai. Piangeva.

“Svegliarmi? Io ti amo Draco, sono sveglia!” mi stava pregando. Io pregai la mia volontà di salvarmi dalla prigione di resistere.

Dovevo svegliarla, dovevo farlo immediatamente.

“Va bene. Ora bevi qualcosa, devi calmarti.” Dissi prendendo l’antidoto.

“No! Io so quella cos’è! Vuoi farmi innamorare di lui vero? Vuoi liberarti di me?”

“No, no. Sediamoci.” La presi per un polso e la buttai sul divano.

“Non mi lascerai devo?” mi chiese uno sguardo dolce, troppo simile a quello con cui guardava Weasley. Faceva male.

“No, calmati.”

Iniziai a respirare profondamente e ad accarezzarle i capelli, sperando che si calmasse.

“Bevi ora.”

“Non voglio. Non ti credo.”

Dovevo trovare una soluzione. Sembrava così fragile, come una bambina. Presi il suo viso tra le mani e la baciai.

I ruoli si erano invertiti. Io ero diventato il sentimentale, lei invece voleva altro. Si mise a cavalcioni sopra di me con in mano l’antidoto e mi baciò con passione.

Approfittai della situazione per un po’, poi mi accorsi che quel bacio non mi piaceva, non provavo assolutamente nulla.

Quella Hermione era troppo simile a quella dei miei sogni, così simile da non poter essere quella reale.

Mi staccai da lei e controllai il calice che aveva in mano.

“Non mi vuoi Draco?” mi sussurrò sempre seduta sulle mie gambe.

Si.

Si.

Si, la volevo.

Ma non così accidenti.

Quella non era lei.

Quella era una vacca molto ben travestita da lei.

“Per la barba di Merlino. Prima bevi.” Dissi invece rimettendola a sedere sul divano e abbracciandola in modo che non scappasse.

“Draco?” disse allontanandosi il bicchiere.

“Si?”

“Sei così bello.” Disse sorridendo e bevendo la pozione.

L’antidoto fece subito effetto e Hermione si appoggiò sul mio petto, sfinita.

La strinsi più forte per svegliarla.

“S-sei viva?”

“Più o meno.” Rispose asciugandosi le ultime lacrime e allontanandosi. Era tornato tutto alla normalità. Hermione Granger mi disprezzava.

Mi alzai e le passai la barretta di cioccolato. Attesi che lei ne staccasse un morso e poi iniziai a misurare la stanza a grandi passi.

Il desiderio non era diminuito, anzi, se possibile la vista della sua solita faccia imbronciata mi risvegliò nuove sensazioni.

“Hai usato tutto il tuo quarto d’ora” disse dopo un po'.

“Non per mia scelta. Ho impiegato un sacco di tempo per farti bere quella roba.” ribattei con un po' di stizza nella voce.

“Non mi ricordo nulla, è inutile che ti scaldi.”

“Non ho intenzione di rinfrescarti la memoria.”. Sarebbe stato bello vedere con che faccia mi avrebbe guardato dopo aver saputo di quel bacio.

“Non te l’ho chiesto.” commentò imbronciata.

Rimanemmo in silenzio. Lei ancora seduta sul divano, io in piedi. Mi chiedevo come fosse stato possibile andare avanti così. Era troppo irritante starle accanto sentendo il sangue ribollire nelle mie vene. La guardai con disprezzo. Era colpa sua. Non provai nemmeno a capire il perchè, ma sapevo che era tutta colpa sua.

“Stai arrossendo.” notai.

“Mi stavo solo chiedendo dov’è quel Draco. Se esiste, da qualche parte.”

Quel pensiero l'aveva fatta arrossire. Prima di risponderle cercai nella mia memoria una scheggia di ricordo. Sarebbe bastato un istante, dovevo sapere che le avevo detto sotto l'effetto dell'Amortentia. Era già tardi, ma decisi comunque di temporeggiare.

“Scordati che io mi batta con Weasley per te.”

“Allora ricordi! Maledetto infame!”

Urlò così forte che d'istinto misi una mano sulla bacchetta. Compresi di aver appena scoperto qualcosa riguardo a quei dieci minuti dimenticati. Avevamo parlato di Lenticchia.

“No, veramente me l’hai detto tu “Portami via da lui”.”

Mi fulminò con lo sguardo e si diresse verso il tavolo.
“Fantastico. A giovedì, stessa ora.” sibilò prima di scappare fuori dall'aula.
 
Aspettai che lei fosse già lontana e mi diressi anche io all'uscita. L'Amortentia era ancora li, ribolliva tranquilla. Mi avvicinai e la annusai ancora una volta. Il terzo profumo misterioso mi solleticò le narici, celando ancora la sua natura.
 
 
“Buonasera Dra!” mi salutò Blaise, seduto sul divano con in mano una tazza di the. “Abbiamo imparato qualcosa?”
“Si.” dissi deciso. “Questa è l'ultima volta che parlerò con Hermione Granger.”

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Capitolo 6
*** 6. Realtà brucianti ***


Nota dell'autrice: Aggiornamento lampo... Nuovo capitolo e nuove emozioni. Mi dispiace molto vedere così poche recensioni (nonostante io adori Ale, Domi e Ayumi). Ditemi che ne pensate, anche se la storia vi annoia o non vi piace, o se vorreste qualcosa in particolare.
E' un modo come un altro per farmi venire ancora più voglia di scrivere!
Stay tuned!



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6. Realtà brucianti
 

“Questa è l'ultima volta che parlerò con Hermione Granger.” ripetei quasi urlando.
“Calmati Dra, si può sapere che è successo?”
“Amortentia. Ecco che è successo.” gli raccontai l'accaduto nella stanza delle necessità tutto d'un fiato, come se stessi recitando un giuramento. Lui mi guardò annuendo di tanto in tanto.
“Beh, spero che ti sia chiara la situazione adesso.” commentò quando ebbi finito.
“Si. Più le sto lontano, meglio è. Quella mi metterà nei guai, ne sono certo.”
“Non resisterai un giorno. Dai Dra, è così ovvio.”
“Cosa?”
“Non ho intenzione di spiegartelo io.” disse alzando le spalle. “Però se vuoi ti faccio un disegno.”
“Sei un idiota Blaise. Non è divertente.”
“Lo so che non lo è, però qui l'idiota sei tu. Partiamo da alcune considerazioni: tu vedi un calderone pieno di Amortentia e sfidi la Granger a berla, pur sapendo con chi hai a che fare. Giustificami questa scelta.”
“Era un gioco Blaise. Una sfida, lo sai come sono competitivo.”
“Spiegazione passabile. Seconda considerazione: la Granger ti chiede se esiste il Draco innamorato e tu non le dai della cretina. Lo sappiamo entrambi che tu odi i sentimenti.”
“Si, però...”
“No, aspetta. Ultima considerazione.” disse indicandosi il medio. “Ti è saltata addosso e non ne hai approfittato. Quante volte è successo in passato?”
Lo guardai con disprezzo, poi mi voltai verso al fuoco scoppiettante. Cercai di ricordare ogni ragazza con cui ero stato. Molte si erano comportate come la Granger, alcune anche peggio. Ma non avevo mai detto di no. Infondo era solo sesso.
“Mai.” risposi di malavoglia.
“Giustificami la tua scelta.”. Rise. Eravamo arrivati al punto.
“Io.... Non lo so. E' stato come se approfittarmi di lei fosse la cosa peggiore da fare.”
“Vuoi che ti dica la mia? Tu la rispetti. E il rispetto, per uno come te, è già troppo da sopportare. Tu non ne hai approfittato perchè la vuoi, ma vuoi che anche lei ti voglia. Senza Amortentia. Non so se mi spiego.”
Mi alzai, volevo andarmene. Non volevo ascoltare quelle parole. Per l'ennesima volta Blaise aveva centrato il punto.
Volevo che mi volesse.
No. Non volevo.
Era sbagliato.
“Io non la voglio. Sai cosa succederebbe se mi volesse? Se si innamorasse di me? Sono il cattivo Blaise. Io non la voglio più vedere.”
“La stai proteggendo. Il problema è che non basterà scappare Draco. Da queste cose non si scappa.”
“Da queste cose?”
“Dall'amore.”
Blaise andò a letto senza aggiungere altro, continuando a guardarmi con gli occhi pieni di pietà.
L'amore.
L'amore non era niente in confronto a quello che provavo io.
Era qualcosa di pesante e bollente. Era una febbre dolorosa e violenta.
Non avevo approfittato del suo corpo. La rispettavo. Si, era vero.
Non mi era venuto nemmeno in mente. Si, forse per un secondo ci avevo pensato. Ma l'urgenza era quella di far finire quella tortura.
Paradossalmente mi aveva appagato di più tenerla tra le braccia inerme, quei pochi secondi nei quali l'antidoto l'aveva stordita.
Erano sensazioni mai provate. La prima volta che vedevo qualcosa oltre al sesso, oltre ai baci. Era l'eccitazione del semplice contatto con la sua pelle.
Avevo già dimenticato il sapore di quei baci violenti e innaturali.
Volevo baciarla davvero.
No, no.
Non potevo farle un torto così grande. Non potevo farla innamorare di me, condannarla a diventare una reietta.
Guardai il fuoco e mi resi conto della pesantezza delle parole di Blaise: non potevo scappare.
Ogni volta che chiudevo gli occhi, lei era li. Seduta in biblioteca a leggere, sorridente nei corridoi con Potter, al tavolo dei Grifondoro con il suo ragazzo.
Il suo ragazzo giusto.
Il ragazzo che andava bene per lei.
No, era un povero idiota. Come poteva essere possibile? La loro coppia doveva essere bandita per legge. Doveva trovarsi qualcuno di meglio.
L'idea di doverla vedere tra le braccia di un altro mi innervosì ancora di più. Forse era ancora meglio Lenticchia, rispetto ad un rivale senza volto.
Con lui almeno il paragone reggeva.
Su tutti i fronti.
E invece no.
Lei amava lui. Non amava me.
E quella era una sconfitta.
Andai a letto con quei pensieri e mi risvegliai di umore ancora peggiore.
 
 
Il giovedì successivo mi inventai una scusa per non vederla, e il giovedì seguente lo fece lei.
Mi misi a studiare Pozioni, nella speranza che Lumacorno notasse i miei miglioramenti e cancellasse le ripetizioni.
Eppure, nonostante ci fossimo salvati dalla tortura di stare insieme in quella stanza, mi sembrò di vederla più spesso. Troppe volte notavo la sua presenza in giro per il castello, troppe volte mi sembrava che anche lei mi stesse cercando.
Il terzo mercoledì dopo il nostro incontro, mi diressi verso la biblioteca. Non frequentavo molto quel posto, ma Blaise mi aveva cacciato dalla stanza per stare con Michelle.
In effetti non ci entravo da quel giovedì sera. Non volevo dare al destino una scusa così facile per farci incontrare.
Aprii la porta e fui inondato da quell'odore di vecchi libri e polvere.
Eccolo.
Il terzo profumo dell'Amortentia.
La biblioteca.
Era come se qualcuno mi avesse tolto all'improvviso un potente incantesimo Confundus.
La mia Amortentia profumava di un posto che non frequentavo spesso e che non amavo particolarmente.
Però, quel posto era la sua seconda casa.
Lei.
Mi guardai intorno, cercandola.
“Signor Malfoy.”
Lumacorno mi mise una mano sulla spalla.
“Salve professore.”
“Draco, è due settimane che tu e la signorina Granger non vi esercitate. C'è qualche problema?”
“No. Sa, il quiddich e...”
“Signor Malfoy.” disse con uno sguardo per metà contrito e per metà spaventato. “Forse non ha capito la sua situazione. Se i suoi voti non miglioreranno, temo che dovrò bocciarla. E per migliorare lei ha bisogno della signorina Granger.”
Strinsi i pugni e mi sforzai di sorridere.
“Si professore. Domani farò ripetizioni.”
“Bravo ragazzo.” strinse appena la mano sulla mia spalla e uscì.
Un incontro che non ci voleva.
Di lei, invece, non c'era traccia.
Rinunciai al buon proposito di studiare e lasciai la biblioteca, riempiendomi ancora una volta i polmoni di quel profumo.
Non so perchè, ma le mie gambe mi portarono in una zona del castello che avevo visitato poche volte.
“Parola d'ordine?” mi chiese la donna ritratta nel quadro.
“Non voglio entrare.”
“Non sei un Grifondoro, si vede. Maleducato.”
La torre di Grifondoro.
Il corridoio era deserto, ma in lontananza si sentivano due voci.
Si stavano avvicinando, parlavano in modo concitato, ridevano.
“Dai Herm, è ancora presto.” urlò lui.
Andai a nascondermi nella nicchia di un'armatura come un ladro.
“Sono stanca Ron, te l'ho detto.” disse lei, comparendo dall'angolo opposto del corridoio.
“Ufff. Ma il mercoledì è la nostra serata.”
“Possiamo stare insieme in sala comune. Va bene?”
Mi sporsi quel tanto per vederla prenderlo per mano e tirarlo verso il ritratto che nascondeva l'ingresso alla torre.
“Vieni qui.”
Lenticchia la prese e la baciò spingendola contro il muro. Mi voltai dall'altra parte, il rumore delle loro labbra mi rimbombava il testa.
Fermatevi.
Lo fecero.
“Andiamo.” sussurrò lei.
E scomparvero.
Ti odio Hermione Granger.
Vorrei che non esistessi.
Vorrei svegliarmi domani mattina e non ricordare.
Vorrei.
Vorrei te.
 

 
Ritornai in sala comune in fretta, con il bisogno di andare a letto immediatamente.
Bussai nella camera in cui avrei sicuramente trovato un letto in cui dormire senza problemi.
“Draco? Che ci fai qui?”
“Ho bisogno di dormire e Blaise è con Michelle in camera mia.”
Gli occhi di quattro ragazze mi guardarono in contemporanea.
Desiderio, desiderio, paura e un po' di desiderio, rassegnazione.
Astoria nascondeva bene le sue emozioni. Era la figlia di un Mangiamorte, aveva imparato a dimenticarsi dei sentimenti da uno dei migliori.
“Va bene.” disse lasciandomi sdraiare sul suo letto.
Si accomodò accanto a me e spense la luce.
“Che ti è successo?” mi sussurrò.
“Te l'ho detto, sono stanco.” risposi voltandomi in modo da darle le spalle.
“Si, certo. A me non..”
“Non mi hai detto che potevo dormire? Taci.”
“Fottiti.” sibilò dandomi una ginocchiata nei reni.
Imprecai.
Forse Astoria poteva essere la mia ragazza giusta.
La ragazza giusta per me.
La mia Weasley.
Ma io non ero mai stato un amante delle cose giuste e oneste.

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Capitolo 7
*** 7. Solo un profumo ***


Nota dell'autrice: sono a pezzi. È stata una giornata lunghissima... ma ce l'ho fatta! Sono riuscita a pubblicare. Non ho riletto il capitolo, scusatemi gli eventuali errori di battitura.
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7. Solo un profumo
 
 
Giovedì sera mi presentai davanti alla stanza delle necessità in anticipo. Avevo mandato un gufo alla Granger, sarebbe venuta. Il settimo piano era come al solito deserto, avrei sentito i suoi passi già da una discreta distanza.
Era quasi Natale, faceva freddo nelle mura del castello di Hogwarts. Avevo così tanta urgenza di vederla che mi ero dimenticato la giacca. Mi sfregavo le mani sulle braccia con forza, per scaldarmi.
Lei arrivò puntuale e fece apparire la stanza senza degnarmi di uno sguardo.
Tentai di indovinare il suo umore dalle poche espressioni che riuscì a intravedere sul suo volto.
Era forse arrabbiata, stanca.
Entrammo nella stanza e venimmo abbracciati dalla nebbiolina opalescente dell'Amortentia, l'unica pozione che Lumacorno aveva deciso di lasciare sul tavolo.
Una punizione.
Vecchio tricheco maledetto.
Notai che anche lei era della mia stessa idea, lanciò un'occhiataccia alla pozione e lesse il registo.
“Dobbiamo creare l'antidoto di quel veleno.” commentò indicando il piccolo calderone accanto all'Amortentia.
La sua voce mi arrivò distorta, mi accorsi di essermi avvicinato al filtro d'amore. Mi sentivo molto meglio, sollevato. Il profumo della pioggia, dei pancakes per il giorno del mio compleanno, il profumo che mi legava a lei.
No.
Feci un passo indietro e iniziai a respirare con la bocca.

“Bene. La Terza Legge di Golpalott dice che l'antidoto di un veleno miscelato sarà uguale alla somma degli antidoti dei diversi componenti, quindi basterà dividerli no?”

Dissi sfogliando mentalmente uno dei libri che avevo studiato pochi giorni prima.

“Mi ricordi perché siamo qui? Mi sembra tu sia abbastanza preparato.”

“Ho studiato in questi giorni, visto che non ci siamo più visti. Non ho molto da fare. Non ho idea di come si faccia però.”.

Questo perchè ero troppo intento a cercarla mentre Luma spiegava.
Si avvicinò, notai lo sforzo nei suoi occhi.
Si, le facevo ribrezzo.
Però era una pessima attrice, non lo nascondeva per niente.
“Va bene. Iniziamo a dividere il primo componente.” disse facendo un gesto con la bacchetta. La pozione cambio colore, sulla superficie si formò uno strato simile all'acqua.
“Passami una fiala.” mi disse continuando a mantenere il contatto visivo con la pozione separata.
Presi un recipiente e glielo diedi, stando attento a non toccare la sua mano.
Hermione appoggiò la fiala sull'elemento separato e la riempì.
Ripeté il procedimento altre tre volte, aggiungendo ogni volta qualche elemento in più alla sua spiegazione.
“Bene, hai visto come si fa. L'incantesimo da fare è scritto sul libro. Ora prova tu, questo è l'ultimo elemento da separare.” disse asciugandosi la fronte con il maglione.
“Si.”
Nonostante lei ci avesse messo forse un paio di minuti, solo per riuscire a compiere l'incantesimo in modo corretto impiegai il doppio del tempo.
Lei non si scompose, rimase in silenzio a guardarmi faticare.
Quando mi sentii pronto ripetei l'incantesimo sulla pozione.
Aveva funzionato. Un nuovo elemento, questa volta color caramello, salì in superficie.
“Ehi Granger. Ce l'ho fatta.” dissi con entusiasmo, mantenendo il contatto. “Passami la fiala.”
Non potevo sapere che stava facendo, ma sicuramente non mi stava ascoltando.
“Granger.” ripetei.
Niente.

“Granger!” urlai “E’ la ventesima volta che ti chiamo accidenti. Passami quella maledetta fialetta.” dissi usando la mano libera per scuoterla.

Finalmente mi passò la fiala e riuscii a scomporre il veleno.

“L’amortentia ha cambiato profumo.” sussurrò mentre tappavo la fiala. Appoggiai l'ingrediente sul tavolo, la mente che viaggiava veloce. Non riuscivo a capire perchè lo stesse dicendo proprio a me. Per prendere tempo la guardai di sbieco, poi mi girai con il corpo verso di lei.

“E’ questo il motivo della tua disattenzione? L’amortentia ha cambiato profumo, interessante.” chiesi con il mio miglior tono alla Malfoy.
“Sa di te.”

“Smettila.” sputai automaticamente.

“Sono seria, mi dispiace.” abbassò lo sguardo e si morse il labbro.

Era seria. Alzò le spalle, continuando a guardarsi le scarpe. Cercò di nascondermi le sue lacrime scappando sul divano.
Se solo avesse saputo cosa era successo su quel divano.
La sua Amortentia sapeva di me, non importava.
Era secondario.
Dovevo convincerla che si sbagliava, subito.
Ero bravo in queste cose.
Mi sedetti accanto a lei, a distanza di sicurezza.
Se l'avessi toccata la febbre sarebbe salita. Avrei ceduto.
Era li, stretta nel suo angolo, a bloccare i singhiozzi con forza.
Forte eppure così fragile.
Sembrava l'ultima foglia di un albero in autunno.
Era li, credeva di resistere.
Ma sarebbe caduta.
Avrei fatto cadere anche lei.

“Sei sicura che sia il mio profumo?” sussurai.

“Si, sono sicura. E’ il tuo.”

“Dannazione.” borbottai. Mi avvicinai a lei e la annusai. Sapeva di vaniglia e rose.

“Hai un buon profumo.” commentai.

“Proprio come l’avevo immaginato. L’hai detto anche quel giorno.” fece un sorriso amaro.

“Lo penso.” confermai. Dovevo riprendere il controllo della situazione. In fretta. “Non sono la persona giusta per te Granger. Sono un reietto.”
“Non voglio che tu lo sia. Non è colpa mia.”

“Lo so. Nemmeno mia.”.

Ripensai a tutte le volte in cui l'avevo incolpata di questa situazione. Non era colpa di nessuno, nemmeno dell'Amortentia. Era una cosa nata così, per sbaglio. “Sono un mangiamorte, un Serpeverde, la persona che ti ha insultato di più.” dissi alzandomi di nuovo in piedi.

“Non c’è bisogno che mi lasci. Non stiamo insieme, non so perché te l’ho detto. Abbiamo un antidoto da preparare.” commentò lei tornando al tavolo.

Il problema è che io non volevo lasciarla.
Tutt'altro.
Volevo che lei mi lasciasse.
Era la prima volta che mi offrivo di soffrire per qualcun altro, al di fuori di mia madre.
Lavorammo in silenzio. Più che altro la lasciai sfogare sulla pozione. Tremava.
Il lavoro ultimato sembrava buono, la vidi sorridere. Era una cosa buona.
Non mi salutò nemmeno, sapevo che era tardi, ma il suo sguardo non mi bastò.
Volevo chiederle di restare.
Non lo feci.
Prima di lasciare la stanza tornai ad annusare l'Amortentia.
Il suo profumo era li.
Rose e miele.
Sbattei la porta alle mie spalle e mi diressi a grandi passi verso i dormitori.


Che lei sentisse il mio profumo poteva essere causato da diversi fattori. Forse gli piaceva, forse il contatto prolungato con la pozione l'aveva confusa.
Non voleva dire niente.
O forse voleva dire tutto.
Per me sentire il suo profumo era lecito. L'avevo sognata, desiderata, spiata.
Da quel giorno sull'espresso per Hogwarts.
Quando tutti mi guardavano impauriti. Solo lei aveva avuto il coraggio di disprezzarmi. Avrei potuto ucciderla, la situazione me l'avrebbe permesso. La maggior parte delle persone pensava fossi un assassino, avrei potuto chiarire loro le idee.
Non l'avevo fatto.
Meglio così.
Hermione.
Hermione?

“Buon natale.” mi sussurrò ansimando, sbucando da non so dove.

E mi baciò.
Eccola, la febbre. Fu un bacio diverso. Così diverso da sembrare irreale.
Era maledettamente sbagliato.
Era maledettamente bello.
“Hermione.” doveva essere una domanda, mi uscì un sussurro roco. Mi chiedevo se fosse veramente lei. Lei mi guardò, gli occhi lucidi e le guance arrossate. Era lei. Non feci in tempo a dire altro che lei stava già correndo verso le scale.
Dovevo girarmi, dovevo andarla a prendere e spiegarle che sarebbe stato il primo e l'ultimo bacio.
Un bacio.
Era solo uno stupido bacio, uno dei tantissimi che avevo dato nella mia vita.
Eppure era IL bacio.
Entrai in sala comune e diedi un calcio al solito tavolino da thè, che come al solito non si lamentò.
Dovevo sapere la verità.
Subito.
Entrai in camera sbattendo la porta, svegliando i miei compagni.
“Che diavol...” disse qualcuno.
“Fottiti.” gli risposi risbattendo la porta dietro di me dopo aver preso il libro di pozioni.
L'Amortentia era circa a metà. Era composta da mille ingredienti diversi, il procedimento di creazione era lungo e complicato.
Poco importava, volevo sapere gli effetti.
L'infatuazione si.
Ossessione, va bene.
Perdita di memoria, non era una novità.
Non diceva quello che volevo sapere.
Se fosse possibile.
Se fosse possibile che lei mi amasse davvero.
Lo scaraventai contro il muro.
E compresi in quel momento che non sarebbe stato un libro a darmi quello che cercavo.

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Capitolo 8
*** 8. Tagliare ***


Nota dell'autrice: capitolo breve e un po' così.. uno dei soliti capitoli di spiegazione che vanno messi per forza. Però ci sono due o tre cose interessanti... Ma di cosa saprebbe la vostra Amortentia?
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8. Tagliare

 
Il mattino dopo, lei era li.
Tranquilla, come se niente fosse successo. Notai solamente che era seduta accanto a Potter. Non era comunque strano, lei stava spesso con Potter. Era forse la persona che dovevo temere di più. Con lui la Granger era sempre allegra, disponibile, lei. Non era materna come con Lenticchia.
Ecco anche lui, li raggiunse poco dopo e la baciò sulla fronte. Lei si voltò verso di lui con un mezzo sorriso, poi ritornò a chiacchierare con Potter.
Era li, come se niente fosse successo.
Forse non era successo davvero.
Forse era tanto il desiderio di baciarla che mi ero fatto trascinare dalle fantasie.
Misi involontariamente una mano sulla bocca, proprio in quel momento lei mi guardò. Fu un secondo, l'ombra di un sorriso sulle sue labbra, un cenno con il capo.
Dovevo parlare con Lumacorno.
Il prima possibile.


Dopo le lezioni del pomeriggio andai nel suo ufficio.Trovai la porta aperta, ma decisi comunque di bussare.
“Professor Lumacorno?”

“Signor Malfoy, se è qui per sapere dell’antidoto creato ieri sera, mi dispiace, penso che avrà la valutazione dopo Natale, sono molto impegnato al momento” mi rispose con la solita faccia impaurita. Lo vidi appoggiare un pezzo di ananas candito in una scatola e soffiarsi sulle dita per pulirle. Impegnato, già.

“No, non è per quello.” continuai noncurante della sua poca voglia di parlarmi “Volevo chiederle una cosa.”
“E' qualcosa di lecito vero?”
“Si, riguarda l'Amortentia.”
“Oh, beh. Ho visto che tu e la signorina Granger l'avete sperimentata.”. Il passaggio dal darmi del “lei” al “tu” mi convinse a procedere.
“Infatti. Mi chiedevo se è possibile che l’Amortentia cambi profumo. Intendo, se io dovessi bere l’Amortentia con all’interno un suo capello, è possibile che anche ad effetto finito senta il suo profumo nella pozione anche se non la amo veramente?”
Dimmi di si, inutile tricheco.

“E’ successo. Talvolta capita che rimanere troppo esposti alla pozione crei questo tipo di inconvenienti, che si risolvono comunque in un paio d’ore.”

“E quindi è possibile che anche dopo aver preso l’antidoto per un po’ rimanga l’effetto della pozione?”

“Oh, questo temo che sia impossibile. L’Amortentia non crea veramente l’amore, ma un’ossessione quasi patologica, lo sa, è come un veleno. Se si prende l’antidoto, tutto passa. Quel che resta è solo ciò che c’era prima.”

Ciò che c'era prima.
Chiusi gli occhi, mi passandomi una mano sulle tempie.
Non c'era niente prima.
Lei non provava nulla per me, prima dell'Amortentia. Ne ero certo.
Lasciai la stanza senza dire altro.
Niente a che fare con le pozioni.
 

Qualche giorno dopo, era la vigilia di Natale.
Anche a casa Malfoy.
Era strano, senza mio padre in giro.
Senza il continuo entrare ed uscire di Mangiamorte.
Villa Malfoy era deserta.
Solo io, mia madre e due babbani che erano diventati i suoi camerieri.
Era strano come mia madre li trattasse bene, li rispettasse.
Erano babbani. Ignari di essere in una delle case più magiche del paese.
Potevano essere i genitori della Granger.
No. Erano troppo giovani. La ragazza doveva avere forse trent'anni, i lunghi capelli raccolti in uno chignon che la invecchiava. Il suo collega, o forse marito, poco importava, era un ragazzotto corpulento con i capelli color paglia. Il tipico giovane di campagna. Sembravano ben ambientati, sorridevano sempre. Forse era il contratto stipulato con mia madre che li obbligava ad essere allegri, o forse sorridevano pensando al profumato stipendio di fine mese.
La mia mezzosangue non usciva mai dai miei pensieri.
Dopo aver passato la prima notte a Villa Malfoy avevo preso la decisione più saggia: chiudere la nostra storia sul nascere.
Il modo migliore che trovai, fu raccogliere i miei ricordi su di lei in una fiala e farglieli vedere.
Se fossi stato abbastanza bravo sarei riuscito a farle passare quella cotta passeggera. Dovevo solo tornare me stesso, fingere di avere davanti una qualsiasi. Avrebbe funzionato.
Dovevo solo imparare l'incantesimo per estrapolare i ricordi.
E mia madre non era la persona giusta.
Non usava più la magia. La sua bacchetta era scomparsa, sospettavo fosse sotto chiave in una delle tante cassaforti della casa. Dietro al quadro di mio nonno Abraxas, ne ero quasi certo. Ci passava davanti di tanto in tanto, lo sfiorava e se ne andava. E lei, mio nonno Abraxas, l'aveva sempre odiato.
“Draco, domani festeggeremo a casa di mia sorella Andromeda.” mi comunicò a cena. “Ho dato a Jeremy e Carol un giorno di riposo.”
Vidi la giovane cameriera abbozzare un sorriso.
“Andromeda Tonks? Quella Andromeda?” chiesi shoccato. A pranzo di Natale da una delle persone più rinnegate da mia madre, la sorella che si era sposata con il babbano Ted.
“Si, Draco. Sono sola da quando tuo padre è...” guardò di sbieco Carol, che stava finendo di sparecchiare. “...partito per quel viaggio d'affari. Ho intenzione di ricucire i rapporti con lei. Non ha più senso questa battaglia.”
“E' un'assurdità.” dissi asciutto. La vidi attendere la cameriera uscire, poi si voltò verso di me.
“Devi smetterla Draco. Non conta più il colore del nostro sangue. Babbani, mezzosangue, purosangue. Dobbiamo adeguarci.”
“Lo so madre. Lo so molto meglio di te.” l'immagine di Hermione Granger mi balenò in mente.
“Allora qual'è il problema?”
“Io..”
“Vedi. Non c'è nessun problema. Ci sarà anche Harry Potter, è il padrino del nipote di Andromeda.”
Potter. Quella si che era una notizia utile. Avrei potuto consegnare a lui i miei ricordi. Non avevo intenzione di darli alla Granger di persona, non volevo cambiare idea all'ultimo momento. Sapevo che l'avrei fatto, ero un codardo.
“Va bene.” le risposi. “Devo andare ad Hogwarts stasera. Tornerò tardi.”
“Perchè proprio stasera?”
“Devo parlare con una persona. E' urgente.”
Non so come mi venne in mente, ma sapevo che ad Hogwarts qualcuno sicuramente sapeva produrre dei ricordi.
“Stai attento.”
Abbassò lo sguardo, si alzò e mi passò la mano sulla testa, dopo di che uscì dalla sala da pranzo.
Anche io lasciai la stanza e uscii in giardino per materializzarmi.
 


Hogsmeade era semideserta, solo dai Tre Manici di Scopa venivano alcune voci. Camminai velocemente verso i cancelli di Hogwarts e mi annunciai. La professoressa McGrannit mi accolse con aria preoccupata.
“Draco, cosa ci fai qui a quest'ora? Dov'è tua madre?”

“A casa. Non c'è nessun problema. Io ho bisogno di vedere una persona”

La Preside mi guardò di sbieco un secondo, poi mi aprì il cancello sussurrando qualcosa per spezzare gli incantesimi di protezione.
“Che voto hai preso nell'ultimo compito di Trasfigurazione Draco?” mi chiese prima di varcare il portone.
“Oltre ogni previsione.” risposi. Stava controllando che fossi veramente io.
Mi venne da sorridere. Nonostante tutto, avere davanti il vero Draco Malfoy era per lei il male minore.
“Esatto. Se fai tardi, puoi usare il camino del mio vecchio studio per tornare a casa. Aprirò un collegamento di Metropolvere per la notte. Se hai bisogno, sarò in biblioteca.”
“La ringrazio.”
Ci salutammo all'imbocco delle scale.
Proseguii sulla mia strada deciso.
Qualche minuto dopo, mi trovai la strada sbarrata da due grandi statue.
“Che vuoi ragazzo? La preside non è qui.”
“E' urgente. Devo vedere Silente. La McGrannit lo sa.”
“Parola d'ordine.”
“Pallini acidi, ape frizzola, cioccorana, ananas candito, zenzerotti?” tentai.
Le due statue si mossero.
Percorsi l'ultimi passi di corsa.
“Signor Malfoy. Che ci fa qui la notte di Natale?” il vecchio nel ritratto mi fece un sorriso e mi squadrò con i suoi profondi occhi azzurri.
“Professor Silente. Ho bisogno di lei.” 

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Capitolo 9
*** 9. Sentimenti ***


Nota dell'autrice: ciao a tutti! How I hate mondays! No, il lunedì è un giorno un po' così, l'inizio di una nuova settimana di lavoro o studio. Ho avuto poco tempo questo weekend per scrivere, però mi è bastato. Ero molto ispirata.
Commentate numerosi! (grazie per tutte le rispose alla mia domanda nella scorsa NdA)
Dedico questo capitolo a Patrick, che mi manca tantissimo.
Stay tuned!
p.s la mia amortentia saprebbe di prato, di biscotti da thè e di libro nuovo!  

Stay tuned!



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 9. Sentimenti
 

Erano passate più di due ore, il cielo al di fuori dell'ufficio della preside era coperto da nubi cariche di neve. Dopo alcuni tentativi, ero riuscito a mettere insieme alcuni ricordi, quelli che ritenevo più significativi.

Una vecchia conversazione con Blaise, perchè volevo che sapesse che era da un po' che la desideravo.
La sua reazione all'Amorentia, perchè ero convinto che se avesse visto cosa quella pozione era in grado di fare avrebbe anche lei capito che i suoi sentimenti non erano sinceri.
La mia ultima chiacchierata con il vecchio Luma, perchè capisse che avevo provato a trovare una soluzione a quell'”inconveniente”.
“Hai fatto un ottimo lavoro signor Malfoy” commentò Silente allegro mentre mi buttavo su una sedia distrutto.
Non era stato facile, la testa mi pulsava.
“Posso sapere perchè stai facendo tutto questo?”
“Non penso che siano affari suoi.” gli risposi di getto. “Mi scusi. Sono molto stanco.” mi giustificai.
“Temo Draco, che se tu non avessi voluto che qualcuno ti ponesse questa domanda, non saresti venuto da me. Lo sai, più o meno inconsciamente, che ho il brutto vizio di interessarmi alle persone. Dovevi mettere in conto anche questa mia domanda.”
Sorrideva beato, Silente. Lui che ne poteva sapere. Era un quadro. Ma mi aveva aiutato e mi sentivo in debito.
“Devo dare questi ricordi a Hermione Granger. Prima che faccia una sciocchezza.”
“Hermione Granger la mezzosangue?” uno dei ritratti si risvegliò e mi guardò di sbieco.
“Phineas.” lo richiamò Silente con uno sguardo severo. L'altro preside scosse le spalle e tornò a dormire borbottando qualcosa riguardo ad una borsa di perline.
Silente mi guardò ancora un istante, in meditazione. Poteva un dipinto leggermi la mente?
“Hermione Granger è una delle giovani donne più intelligenti che Hogwarts ha mai avuto l'onore di ospitare. Nonostante ammiri la tua premura, penso che lei non sia molto portata per le sciocchezze.” disse poi ritornando sorridente.
“Non penso che lei capisca di cosa sto parlando, e sono troppo stanco per raccontarglielo.”
“Oh, certo. Nessun problema. Un'ultima cosa, Draco, se non ti dispiace. Vorrei che tu mi dessi la tua parola che quei ricordi non siano pericolosi né per la tua incolumità né per quella della signorina Granger.”
“Ha la mia parola, per quanto può valere.” dissi avvicinandomi alla porta. “La ringrazio professor Silente.”
“Di nulla. Se avessi bisogno, io sono qui. Non ho in programma di muovermi per i prossimi tre o quattro secoli.”
Feci un cenno ed uscii. All'interno dello studio era iniziata subito una discussione.
“Era lui Albus? Era mio nipote Draco?”
“Si, Phineas. E mi scuserai se dico che sono molto felice che non ti somigli per niente”
 
 
 
La sveglia suonò troppo presto. Ero ancora stanco, prima di tornare a casa avevo deciso di fermarmi a bere qualcosa alla Testa di Porco, per schiarirmi le idee. Avevo bevuto un bicchiere ed ero tornato a casa. Mia madre era già a letto da un pezzo.
Mi voltai dall'altra parte, dando le spalle alla sveglia e mi ritrovai a fissare un piccolo oggetto che luccicava sulla mia scrivania.
Presi la fiala e la alzai fino a farla colpire dal sottile filo di luce che entrava dalle tende tirate.
I miei ricordi vorticavano leggeri, come spinti da un venticello perpetuo.
Era la decisione giusta.
Mi alzai e aprii le tende. Aveva nevicato tanto, il parco di Villa Malfoy era tutto bianco. Cercai degli abiti puliti e mi diressi in bagno. Mia madre era in cucina, sentivo il fischio fastidioso di un bollitore.
Una doccia calda.
Quello che ci voleva.
Quando scesi a fare colazione, mia madre era già nelle sue stanze.
“Draco?” mi spaventò apparendo da dietro le mie spalle. “Buon natale.”
“Grazie. Anche a te.”
“Andromeda ci aspetta fra un paio d'ore. Io sono in liberia, se mi cerchi.”
“Si.”
Finii il thè e risalii le scale. Pur essendo diretto in camera mia, decisi di seguire mia madre.
La libreria era una delle stanze più grandi della casa, per questo dovetti superare un paio di corridoi di libri per trovarla, seduta su una delle tre poltrone posizionate davanti al camino.
“Madre, dobbiamo parlare.” dissi appoggiandomi ad una libreria proprio dietro alla sua poltrona. Non volevo guardarla negli occhi. “Perchè non usi più la magia?”
Lei si voltò verso di me, appoggiando “Canti e poesie di Fedra la Musica” sul bracciolo della poltrona.
“Io non uso più la magia? Ti sbagli Draco.”
“Dov'è la tua bacchetta?”
“E' in camera.”
“Perchè non la porti con te?”
“Non ne sento il bisogno.” chiuse gli occhi un istante, vidi due lacrime nascere ai lati delle palpebre. “Ha creato solo problemi, la magia.”
“Non dire sciocchezze. Sono state le nostre stupide convinzioni, la voglia di quell'idiota di mio padre di migliorare la sua condizione a farci arrivare a questo punto. Eravate ricchi, rispettati, circondati da servitori. Cosa vi ha spinti a legarvi al Signore Oscuro? Cosa? E quando lui è tornato? Eravamo in prima fila. A servirlo. A farlo vivere nella nostra casa. Siamo un branco di idioti. E il sangue? E' il sangue che c'ha resi idioti. Tutto questo bisogno di purezza. La realtà è che per mantenere il sangue puro i maghi hanno creato dei mostri.”
Avevo il fiatone, cercai di calmarmi, nonostante il sangue nelle vene scorreva veloce, il battito cardiaco aumentava.
“Calmati.” rispose lei fermamente, la solita calma dei Malfoy negli occhi. Anche le lacrime erano scomparse. “Non devi osare Draco. Non ti abbiamo fatto mancare niente. Dovresti essere fiero della tua famiglia. Tuo p.. padre ha fatto tanti sacrifici per farci stare bene.”
“Non mi avete fatto mancare niente? Ne sei convinta? Sei convinta che questo sia tutto? Avere una casa vuota? Essere guardati da tutti come degli assassini? Bella vita. Davvero.”
“Non ho intenzione di dire altro. E' natale. Andrò a prendere la bacchetta.” si alzò senza dire altro e pochi secondi dopo sentii il rumore della porta sbattere.

Ero un bastardo.

Ecco cosa mi aveva insegnato mio padre, cosa non mi aveva mai fatto mancare. La capacità di deludere le persone che mi stavano accanto.
Mio padre aveva sacrificato la nostra famiglia per le sue stupide ambizioni.
Io avevo riversato la mia rabbia su mia madre.
Un bastardo.


Restai fino all'ora della partenza chiuso tra i libri a ragionare.
Quando tornai in salotto, mia madre portava già il mantello, da cui spuntava la sua bacchetta.
Le feci un cenno e lei mi seguì fuori in giardino.
“Madre, io..”
“Lascia stare Draco. Capisco come ti senti. Ma non posso essere dalla tua parte. Io amo tuo padre, nonostante tutto non ho intenzione di provare rancore nei suoi confronti.”
Mi porse un braccio.
“Ti guido io.” sussurrò.
Ci trovammo davanti a casa di Andromeda Tonks qualche secondo dopo. Era una giornata di sole, la luce rimbalzava ovunque accecandoci.
La donna che ci aprì la porta assomigliava a zia Bella. Il suo volto però era molto più saggio, più pulito e i suoi capelli molto più chiari.
Abbracciò mia madre con calore e poi si avvicinò a me.
“E' un piacere averti qui Draco. Buon natale.” disse stringendomi la mano.
La casa era piccola ma accogliente, subito sentii il bisogno di togliermi la giacca. Da una stanza vicina proveniva la risata di un bambino e la voce conosciuta di Potter.
“Buongiorno a tutti.” disse portando in braccio il suo figlioccio. Sorridevano entrambi. Stupido Potter.
Ci mettemmo a tavola tutti insieme e iniziammo una delle solite conversazioni sulla scuola e sul tempo. Nessuno chiedeva la mia opinione, per questo non fu così tanto male. Mangiai di tutto, Andromeda era una brava cuoca.
Il bambino, Ted Lupin, si sbrodolò sporcando tutti. Potter era molto felice di essere pieno di passato di verdura. Continuava a guardarlo con uno sguardo innaturalmente dolce.
Era proprio come lei.
Così sentimentale.
Nonostante tutto quello che aveva visto, tutto l'odio che aveva ricevuto, Potter era ancora in grado di fare quel genere di espressione.
Nonostante tutti gli insulti, i gesti malvagi, i duelli, la Granger aveva ancora il coraggio di baciarmi.
“Cos'hai da guardare?” mi chiese ad un certo punto. Eravamo rimasti soli, lui stava facendo delle scintille per tranquillizzare il bambino.
“Niente.”
“Niente?”
Adesso o mai più.

“Ho bisogno di un favore.” se me lo avessero detto qualche mese prima, non ci avrei creduto. Io che chiedevo un favore a San Potter.

“Davvero?”

“Ho bisogno che tu dia una cosa a Hermione.”

“Non puoi inviarglielo con un gufo?” mi chiese con un'espressione interrogativa. Doveva aver notato che l'avevo chiamata per nome.

“La posta che parte da Villa Malfoy è controllata.”. Avrei voluto ricordargli con chi stava parlando mostrandogli il Marchio Nero, ma dovevo stare calmo.

“Invialo da qui.”

“Non è il luogo il problema.” Feci un gesto per indicare la stanza. Stupido Potter. “E’ la persona.” dissi mettendomi un dito sul petto. Forse Ted Lupin avrebbe capito prima di lui.

”Trattarmi come un troll non ti sarà d’aiuto. Perché non vuoi che sia controllato? E’ un’altra collana maledetta Malfoy?”

“No, è un veleno. E’ per un compito di Lumacorno. Una cosa facile da fraintendere.”

“Lo sai vero che se le dovesse succedere qualcosa rimpiangerai di essere nato?”

Mi chiese con una rabbia inaudita nella voce. La bacchetta spruzzò molte più scintille. Era estremamente serio.

“Non ho cattive intenzioni Potter. La guerra è finita, vengo in pace.” dissi serio.

Potter era veramente la persona che dovevo temere di più.
Le sue parole erano così chiare e vere che riuscii a vedere nei suoi occhi cosa mi sarebbe successo, se avessi ferito Hermione.

“Non dimenticherò il marchio che hai sul braccio solo perché me lo dici tu. Ci vuole tempo per ricostruire la fiducia tradita. Ancora di più se la fiducia non è mai esistita. Dammi quella cosa e facciamola finita.”

Mi fulminò ancora una volta con i suoi occhi verdi, così sfacciatamente luminosi.

“Te la darò a tempo debito. E’ pronto il caffè.” 

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Capitolo 10
*** 10. Cambiare strada ***


Nota dell'autrice: togliamo 100 punti a Grifondoro! Lo so, è molto che non posto un nuovo capitolo, mi dispiace. Devo ammettere che ci siamo concessi un po' di tempo lontano dagli impegni quotidiani, io e il buon vecchio Patrick. Mi dispiace tantissimo! Però ho una sorpresa in serbo per voi.

Ho intenzione di pubblicare il primo capitolo di The life after - Summer’s Chronicles. Un assaggio di quello che sarà la storia. Rimarrà il solo fino alla fine di The Afterlife, è dura riuscire a scrivere due storie diverse.

Tornando a questo capitolo... Commentate numerosi!
Stay tuned!

 
 

 

10. Cambiare strada

 

Fu una giornata tranquilla, una convivenza civile. Potter continuava a guardarmi sospettoso.

Non commentò la mia strana richiesta.

Nel frattempo decisi di inserire un ultimo ricordo nella fiala, la conversazione che avevo appena avuto con lui. Dovevo dimostrare a Hermione Granger chi poteva essere la persona giusta per lei. Sperai che nel ricordo si vedesse bene il fuoco bruciare nello sguardo di Potter, che lei potesse capire che avrebbe dovuto amare uno come lui, sentire il suo profumo. Doveva trovare qualcuno animato da buoni sentimenti, qualcuno che non ero io.

Quando la fiala fu piena, chiamai Potter in un angolo del salotto.
“Ecco.” dissi porgendogliela già incartata, in modo che non potesse vederne il contenuto. Lui la prese dalle mie mani e ci spiò dentro.
“Sei sicuro che questo..” fece una pausa “...veleno non le faccia del male?”
“Si, se lo saprà usare a suo favore.”
Ebbi la strana sensazione che lui fosse già un passo avanti, ma scacciai l'idea ritornando al tavolo da the, dove mia madre e Andromeda parlavano della loro infanzia.
Teddy Lupin dormiva tra le braccia della nonna, i suoi capelli avevano cambiato colore. Sembrava il figlio di Potter con quei ciuffi neri così lucenti.
“Penso che sia ora di andare.” annunciò mia madre voltandosi verso di me.
“Non vi fermate per cena?” anche Andromeda mi guardò.
“Penso che andrò anche io. Domani mattina partirò molto presto.” le interruppi Potter stiracchiandosi. Sentendo la voce del suo padrino il bambino si svegliò piagnucolando.
“Oh, giusto caro. Vai in campeggio vero?”
“Si” disse lui prendendo il bambino dalle braccia della nonna. “Nella foresta di Dean con Hermione.”
“Ci siamo stati anche noi, quando eri piccolo. Ti ricordi Draco, quella bella casa che..”
Potter e la Granger soli.
Nella isolata foresta di Dean.
“Draco?” mia madre richiamò la mia attenzione.
“Non mi ricordo.”
Mi lanciò un ultimo sguardo e si diresse all'appendiabiti per prendere il suo mantello.
Poco dopo ci materializzammo a Villa Malfoy.
C'era qualcosa di strano.
Qualcuno era stato li. La neve che copriva il parco, era del tutto assente sulla parte del vialetto proprio davanti al portone, lì dove mio padre aveva imposto le protezioni più potenti. Qualcuno doveva aver scoperto che le protezioni extra del signore Oscuro, cioè quelle che proteggevano anche il giardino, erano scomparse e né io né mia madre eravamo riusciti a ricrearle. Il giardino era praticamente scoperto.
Il signore Oscuro doveva aver usato una maledizione potente.
Nessuno al di fuori di lui avrebbe mai potuto utilizzare quel luogo come base.
Nessuno al di fuori di lui poteva imporvi le sue speciali protezioni.
L'unica magia che resisteva era quella di mio padre, creata prima del ritorno di Voldemort.
Qualcuno aveva provato a forzare anche quella protezione, sulle pietre scoperte tra la neve, i segni inconfondibili di incantesimi rimbalzati in malo modo. Le lastre erano crepate in più punti.
Ci avevano provato con forza.
Fortunatamente non ci erano riusciti.
Guardai mia madre, notai che stava bisbigliando qualcosa. Non sembravano incantesimi, forse stava semplicemente invocando l'aiuto di qualcuno che non poteva sentirla.
“Entriamo?” le chiesi qualche secondo dopo.
Annuì senza togliere lo sguardo dalla porta d'ingresso.
All'interno, come preventivato, tutto era in ordine.
In casa regnava il silenzio.
“Homenum Revelio.” borbottò con la bacchetta in mano, giusto per precauzione.
Eravamo soli.
 
 
Nonostante la brutta sorpresa al ritorno dal pranzo di Natale, il resto delle vacanze trascorse tranquillamente. Ogni tanto mia madre usciva, sapevo che andava da Andromeda o da mio padre.
In uno di quei momenti di solitudine decisi di ritornare in libreria.
Mio padre.
Non avevo voglia di vederlo. Non sentivo il bisogno di parlargli. Paradossalmente saperlo chiuso in una cella mi dava un grande senso di tranquillità. Era là, non poteva andare a cercare l'ennesimo mago oscuro da seguire, l'ennesimo uomo potente da tenersi buono.
Ad Azkaban non c'erano più i dissennatori.
Solo tanti Auror.
Avevo rischiato la prigione, pensai ricalcando con un dito il Marchio Nero.
“E' morbido, è caldo.” disse una vocina non richiesta nella mia testa.
Sbuffai.
Cercavo di pensarla il meno possibile. La Granger in campeggio con Potter. Forse ci sarebbe stato posto anche per Lenticchia e la Rossa.
Una famiglia felice.
Chissà se aveva già visto quei ricordi, chissà se le erano serviti per capire. Chissà se aveva già iniziato a dimenticarmi.
Forse li aveva visti con Potter.
Me li immaginai insieme, con la testa china su un pensatoio.
A ridere di me.
No, un pensatoio. Non ci avevo pensato. Non era un oggetto comune, non tutti lo possedevano. Pensai al vecchio pensatoio di nonno Abraxas, che era stato portato via dagli Auror del Ministero un paio di anni prima durante una perquisizione.
I ricordi non potevano essere visti senza un pensatoio.
Era un dettaglio che avevo tralasciato.
L'unico pensatoio che avevo visto, tranne quello di Abraxas Malfoy, era nell'ufficio di Silente, lo avevo notato durante il mio periodo da Prefetto.
Lei doveva saperlo.
Forse era già stata ad Hogwarts.
Forse era ancora li.
Mi alzai di scatto e corsi in camera.
Scrissi “Sei ad Hogwarts? E' già arrivato qualcuno? Draco.” e estrassi Devon dalla gabbia, indicandogli il destinatario.
 
La risposta non arrivò per cena, e nemmeno durante la notte.
Dormii poco e male, continuando a controllare la finestra.
La mattina seguente, scesi a fare colazione di buon'ora.
“Buongiorno.” mi salutò la cameriera, già pronta a versarmi una tazza di caffè.
“Buongiorno.”
“Il suo piccione viaggiatore ha portato questa.” mi porse una busta. Notai che l'altra mano era fasciata.
“E' stato Devon?” chiesi indicandola.
“Si, ma non è niente. E' un po' scontroso, ma so che lo fa per proteggere la sua privacy, signor Draco.” disse sorridendo.
Sorrisi anche io e presi la lettera dalla sua mano.
 
“Si, sono ad Hogwarts. Non c'è praticamente nessuno qui, una noia mortale. Blaise mi ha scritto che tornerà solo domenica, di Michelle non so niente. E' davvero deprimente sedermi allo stesso tavolo con brutta gente, c'è pure la Granger. Non puoi capire lo schifo. Vieni a farmi compagnia? Tori.”
 
“Carol, dov'è mia madre?” dissi dopo aver riletto la lettera.
“Si è fatta accompagnare da Jeremy in centro a Londra. Torneranno per pranzo.”
“Devo partire, devo tornare a scuola.”
“Non parte domenica? Mancano un paio di giorni.” disse guardando il calendario babbano appeso in cucina, sul quale aveva segnato i vari impegni di mia madre.
“Ho qualcosa da fare.” dissi alzandomi. “Vado a preparare le valige, quando tornano avverti mia madre. Se sarò pronto prima, partirò senza aspettare il suo arrivo.”
Non aspettai la sua risposta, lasciai la sala da pranzo e tornai nella mia stanza.
Mentre preparavo il baule cercai di mettere insieme un discorso. Avrei parlato con lei appena arrivato. Dovevo essere pronto ad ogni reazione.
Temetti che la sua cocciutaggine l'avesse accecata.
Era stato solo un bacio, mi ripetei per l'ennesima volta.
Sempre con meno convinzione.
Bussarono alla porta meno di un'ora dopo.
“Carol mi ha avvisato della tua improvvisa partenza.” disse mia madre senza salutare. “Dove stai andando?”
Stupida serva spiona.
“Ad Hogwarts”
“Non ti credo. Sono andata al Ministero per aiutare tuo padre, non cerco nuove rogne. Non c'è bisogno che tu te ne vada per dimostrare il tuo dissenso.” si sedette sulla sedia accanto allo scrittoio, sembrava esausta.
“Non sto mentendo. Ho una situazione da sistemare, potrai controllare chiedendo ad Astoria, sto andando da lei. Non sapevo tu fossi al Ministero, Carol è stata sul vago.”
“E' il bello di avere una cameriera babbana. Crede davvero che io debba fare acquisti in centro.” fece un mezzo sorriso. “Quando intendi partire?”
“Ora.”
“Ci sarà un'altra perquisizione, oggi. Ho intenzione di convincere tuo padre a parlare. Devo dimostrare che siamo puliti perchè lo prendano sul serio. Devi rimanere.”
“Ho fretta.”
“Non era una domanda, rimarrai. Non devi far nulla, puoi dormire, leggere, lamentarti. So che lo farai. Fallo per tuo padre.”
“Cosa ha fatto mio padre per me?” chiesi continuando a raccogliere i libri, ormai avevo finito. “Cosa ti ha convinta a passare nella squadra dei buoni?”
“Sono stufa di tutto questo. Arriveranno dopo pranzo. Potrai partire dopo cena.” rispose avvicinandosi alla porta.
“Non uscirò da questa stanza per tutto il tempo, non collaborerò. Ho ancora una dignità.” chiusi gli occhi e le diedi le spalle. “Non lo faccio per lui, voglio che sia chiaro.”
 
Come promesso, vidi Jeremy e Carol uscire e poco dopo alcuni Auror materializzarsi in giardino.
Mi sdraiai sul letto, cercando di recuperare le ore di sonno.
Fui svegliato troppo presto, forse non ebbi nemmeno il tempo di addormentarmi.
Un auror spalancò la porta, e fu spaventato dalla mia presenza.
“Devo..” iniziò. Era una nuova leva, molto giovane. Non veniva da Hogwarts però.
“Faccia pure.” dissi girandomi dall'altro lato, mentre il ragazzo sussurrava incantesimi alla ricerca di oggetti oscuri.
 
Quando mi risvegliai era già buio.
Il mio stomaco brontolò, decisi di scendere per prendere qualcosa da mangiare e poi partire.
Trovai mia madre in cucina, stava parlando con Carol.
Presi una mela, entrambe si voltarono a guardarmi.
“Me ne sto andando. Ti scriverò.” dissi senza convinzione.

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Capitolo 11
*** 11. Perdere il controllo ***


Nota dell'autrice: Ciao a tutti! Eh si, aggiornamento flash, nella speranza che io riesca a farmi perdonare i giorni di assenza. Questo capitolo è molto interessante. Ve lo dico già da ora.
Che altro?
Non ho avuto tempo di rispondere alle recensioni, ho preferito pubblicare il nuovo capitolo... sperando che non sia un problema risponderò appena mi sarà possibile!
Commentate numerosi!
Stay tuned!

Qui  trovate il primo capitolo di The Life After - Summer's Chronicles


 

11. Perdere il controllo

 
Quando arrivai in sala comune, con il professor Lumacorno alle calcagna, era deserta.
Il professore non sembrava sorpreso, mi diede un'ultima occhiata e mi lasciò solo. Librai il mio baule fino alla mia stanza, dove trovai Astoria, sdraiata sul letto di Blaise con un libro in mano.
“Che ci fai qui?” chiesi.
“Ci siamo solo io e Amanda qui, e lei è sparita dopo cena. Mi annoiavo.”
“Non potevi annoiarti in camera tua?”
“Vedo che siamo di buon umore.” rispose lanciandomi un'occhiataccia. “Che cosa ti è successo Draco? Perchè sei già qui?”
“Niente. Ho da fare.”
Rimase un secondo in silenzio, continuando a osservarmi. Per non perdere tempo iniziai a togliere dal baule i libri.
“Non sei venuto per farmi compagnia?” chiese quando comprese che non avevo intenzione di spiegarle niente.
“Si, certo. Però ora ho da fare.” mentii così male che Astoria mi lanciò il libro che aveva in mano, colpendomi sulla schiena all'altezza dei reni.
“Lo scoprirò.” commentò alzandosi con un mezzo sorriso. “Sono felice che tu non abbia lasciato la vecchia strada. L'ultima volta che mi hai tenuto nascosto qualcosa, sei riuscito ad uccidere Silente. Mi fido di te.”
“Vattene Astoria. Io non ho ucciso Silente. Dovresti saperlo.”
“Oh, beh. So che lo avresti fatto.” ormai era ad un passo dalla porta “Io mi fido di te.”
Non aspettò una mia risposta, se ne andò sbattendo la porta.
Diedi un calcio al baule lanciando un grido di stizza.
Si fidava di me. Si fidava del mio istinto omicida.
Forse ero veramente destinato a quella vita, ad uccidere la gente.
Il mio grido aveva spaventato Devon, che iniziò a tubare e ad agitarsi.
Lo presi sul mio braccio e uscii dalla sala comune.
“Fammi un ultimo favore, poi potrai andare in guferia.” gli dissi mentre percorrevamo il corridoio fino alla finestra più vicina.
Scrissi un breve messaggio.
“E' per Hermione Granger. E' molto tardi, lei molto probabilmente starà già dormendo. Fai più rumore che puoi, e se non la trovi torna indietro.” gli spiegai. Il barbagianni prese il volo da una finestra accanto al portone poco dopo, non mi rimaneva che aspettare.
Sospirai rientrando in sala comune.
Dopo averci pensato tanto, decisi che la tattica migliore era quella di usare il vecchio metodo Malfoy.
Dovevo farmi odiare, non era così difficile.
Lei lo aveva fatto senza problemi per anni. Tornare sulla vecchia strada doveva essere facile.
Quanto ci avrebbe messo Devon per tornare?
I minuti sembravano ore.
Poi capii.
Le finestre dei dormitori dei Serpeverde erano sotto al Lago Nero, Devon non avrebbe potuto farmi sapere se lei era ancora sveglia.
Decisi di tornare alla finestra da cui l'avevo lanciato.
Non ce ne fu il bisogno.
La Granger era fuori dalla sala comune, con la fronte appoggiata al muro.

“Hermione?” le chiesi stupito.

“Da dove sei arrivato?”

“Ero in sala comune.” risposi indicando la parete qualche passo più indietro.

Notai che teneva la testa bassa. Sembrava anche dimagrita.
Scosse la testa senza guardarmi.
“Entriamo? Devo parlarti.”
La guardai cercando le parole più giuste. Ebbi l'istinto di sfiorarle il collo, sotto la pelle chiara si intravedevano le vene, dove scorreva un sangue sbagliato.
“Non credo tu possa entrare.”

“Harry è stato nella sala comune dei Corvonero l’anno scorso.” la vidi alzare lo sguardo per la prima volta. Non volevo vedere la sua reazione, così lo abbassai io.

“Non è per via della casa, ma per il tuo sangue.”

“Tanto vale provare no?” disse per niente scandalizzata.

Non risposi, mi avvicinai semplicemente al muro e sussurrai la parola d'ordine. La pietra si aprì, svelando la sala comune.
Mi sentivo come un attore, dovevo dare il meglio di me.
“Allora che c'è?” chiesi maleducatamente.
“Hai passato delle belle vacanze?”
“Non sono un amante dei convenevoli, la parte più importante l’hai vista. Che vuoi?”
Lei, che si era sistemata vicino al fuoco, fece un'espressione scocciata.
“Volevo chiederti perchè mi hai dato quel ricordo.”
“E' il mio regalo di Natale.” risposi con un ghigno. “Volevo che tu vedessi che mi sono informato.”
“Hai chiesto al Professor Lumacorno dell’Amortentia perché anche la tua a cambiato profumo?”
“No.” risposi di scatto. “Perchè sono un po' scettico. Non credo che tu sia innamorata di me.”
Di solito a questo punto la ragazza che avevo davanti scoppiava in lacrime saltandomi al collo.
Lei continuò a guardare il fuoco, senza cambiare espressione.
“Scusa?” mi chiese.
“Quello che dico è che può darsi che tu ti sia fatta condizionare da quel profumo e ti sia creata un sentimento fittizio. Magari pensi di amarmi solo perché ti sei stufata della solita routine. O vuoi provare l’ebbrezza di avere un amante.”
Touché. Finalmente mi guardò negli occhi. Il fuoco che aveva a lungo guardato le era entrato nello sguardo.
“Un amante? Io e Ronald ci siamo lasciati. Anzi, se proprio vuoi saperlo l’ho lasciato io. Perché non lo amavo più. Però, se vuoi trovarci un sentimento fittizio pure qui, signor Scetticismo... Non ho intenzione di spiegarti cosa significhi rinunciare alla solita routine per buttarsi a pesce in un qualcosa che non si sa nemmeno se sia reale o frutto di qualche trauma post bellico. Per non parlare del fatto che la persona che credevo volesse stare con me in realtà mi ha fatto come regalo di Natale una fiala di..” si fermò in mezzo alla stanza, che aveva iniziato a percorrere a grandi passi. Si voltò verso di me e soffiò “...scetticismo.”
Tutta quella rabbia la rendeva estremamente invitante. La parte più oscura di me amava essere odiata con tanta passione.
Placai i miei desideri concentrandomi sulle mie dita.
“Parli sempre così tanto?”
Troppo era la parola giusta, sapere che lei e Weasley si erano lasciati non faceva che rendere la mia parte ancora più difficile.
“Solo quando sono nervosa.” rispose buttandosi su una poltrona incrociando le braccia, guardandomi come se si aspettasse qualcosa da me.
“Mi sembra di averti detto tutto quello che pensavo.”
“Versare due ricordi in una tazza non è dire quello che si pensa. Guardarmi negli occhi e parlare è dire quello che si pensa”.
Se avesse saputo che cosa avevo in testa in quel momento, probabilmente sarebbe scappata. Nonostante stessi facendo del mio meglio per controllare la rabbia, il tavolino da thè era troppo invitante. Volevo prenderlo a calci, scaraventarlo altrove, annullare la distanza tra me e lei e farla tacere.

“Io non sono un Grifondoro Granger. Io non sono un cavaliere coraggioso. Sono una serpe codarda. E per di più…”

“Vuoi ricominciare dal Marchio nero o dal fatto che tuo padre sia ad Azkaban o partiamo direttamente dalla tirata sul fatto che sei un reietto e tutti ti odiano? Così mi preparo.” mi interruppe.

Non mi stava ascoltando. Aveva detto quelle parole come se fossero uno scherzo. Non capiva che in quelle frasi c'era tutto quello che doveva spaventarla. Tutti gli elementi su cui si era costruita la mia tattica per allontanarla. Li aveva sbriciolati.
Senza rendermene conto mi ero fiondato verso di lei.

“E’ una cosa seria.” commentai cercando di non respirare il suo profumo.

“Lo so. Ma se è questo che volevi dirmi con sono tornato, ho già sentito troppo.” mi guardò un'altra volta. Intensamente, con rabbia. Ma, purtroppo, senza rassegnazione.

“Allora è conveniente per te girarti e tornare nel tuo dormitorio ai piani alti e dimenticare quello che è successo.” dissi indicandole la porta con un cenno.

“Penso che lo farò. Sei davvero un codardo. Come puoi rinunciare a qualcosa che non sai nemmeno che cos’è? Come fai a rinunciare all’amore? Con me questi trucchetti da quattro soldi non funzionano. Fai pure lo stronzo quanto vuoi, non mi vedrai piangere una lacrima per te. La tua è paura di vivere Malfoy.”

Era convinta.
Niente “Draco ma io ti amo” “Draco non lasciarmi”. Era così convinta di quello che diceva che quasi convinse anche me.
Stavo rinunciando all'amore?
E soprattutto, ero riuscita a far rinunciare lei?
Nel frattempo se n'era andata.
“Con chi parli Malfoy?” disse una voce alle mie spalle.
“Fatti gli affari tuoi Greengrass.”

“Era la Granger vero? Ho riconosciuto la sua voce soave.” continuò con un mezzo sorriso.

Ero arrivato al limite.
“Vattene Astoria. Non è la prima volta che te lo dico stasera. Stai giocando con il fuoco.” la avvertì. Lei si appoggiò al muro, con le braccia incrociate al petto.
“Prima mi spieghi che è successo.”
“Non ti riguarda.” dissi a denti stretti, cercando di superarla. Lei mi bloccò con un braccio.
“Voglio saperlo.”
“TE NE DEVI ANDARE!” urlai perdendo definitivamente la pazienza.
Lei scoppiò a ridere.
Estrassi la bacchetta, accecato dall'ira.
“Cru...”
“Lo vuoi fare davvero Draco? Vuoi torturarmi? Ho capito perchè hai fatto scappare la Granger. Sei il solito bastardo, non cambi mai.” disse aprendo anche l'altro braccio. “Dai, colpiscimi.”
Ecco perchè avevo fatto scappare la Granger.
Avevo raggiunto il mio scopo.
Mi odiava, di nuovo.
Eppure, pensai abbassando la bacchetta, non mi sentivo meglio.

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Capitolo 12
*** 12. Essere i raggi ***


Nota dell'autrice: ciao a tutti! Ci godiamo il weekend? La mia risposta è Ni. Spero che il vostro sia un bel Sì pieno pieno!
Passiamo al capitolo? Mi piace, si. Non sono una persona da autocelebrazioni inutili... Però anche se come direbbe Domi “non succede molto”, questo capitolo è stato molto difficile da scrivere, e spero vi piaccia!
Commentate numerosi!
Stay tuned!



Qui
  trovate il primo capitolo di The Life After - Summer's Chronicles

 
 
 

12. Essere i raggi

 
Mi svegliai il mattino dopo ancora di malumore. L'idea di dover rivedere Astoria e la Granger, sedute allo stesso tavolo, mi fece passare la voglia di mangiare. Rimasi a letto tutta mattina, dormicchiando, leggendo, finendo i compiti delle vacanze. Quando mi alzai per farmi una doccia, trovai fuori dalla porta un vassoio con la colazione.
Maledetta Astoria, voleva farmi sentire in colpa. Era ormai tutto freddo, decisi di riportarlo in sala Grande.
Era quasi ora di pranzo, lo notai dai piatti vuoti, tutti dello stesso colore, disposti su un unico tavolo. Tra professori e studenti, il castello era abitato da una ventina di persone. Appoggiai il vassoio sul tavolo vuoto di Serpeverde e ritornai velocemente nei sotterranei.
Poco dopo essermi rivestito dopo una doccia rilassante, qualcuno bussò alla porta della camera.
“Entra.”
Astoria si aprì la porta con un fianco, le mani occupate da un altro vassoio pieno di pietanze.
“La McGrannit pensa che tu non stia bene, vedi di non farti vedere a saltellare in giro.” commentò appoggiando con eccessiva foga il vassoio sul mio comodino.
“Non ho intenzione di uscire da questa stanza per oggi.”
Mi guardò, si girò verso la porta e poi di nuovo verso di me.
“Da cosa stai scappando Draco?”
In poche ore era già la seconda persona a chiedermelo.
“Da niente. Grazie per il pranzo.” dissi congedandola. Lei rimase ferma ancora qualche secondo, indecisa se rincarare la dose o fermarsi. Prese la saggia decisione di lasciar perdere, lasciandomi di nuovo da solo.
 
Non riuscivo a spiegarmi come mi sentissi. Ero stanco, annoiato e rabbioso. Inutilmente rabbioso.
Ma anche incredibilmente stimolato. Volevo fare qualcosa, le quattro mura della mia stanza si stringevano sempre di più su di me.
Dopo averci pensato per un po', mi decisi ad uscire. Il castello era silenzioso, mi diressi in giardino. Era quel momento appena dopo il tramonto, il sole era già scomparso, ma i suoi raggi no. Li vedevo lottare con le tenebre sul lago Nero.
Non aveva senso, avrebbero vinto loro.
Succedeva ogni giorno.
Era una lotta inutile. Sapevano come sarebbe andata a finire, stupidi raggi.
E invece eccoli li, a provarci, ancora una volta.
Bastarono pochi minuti, e anche le ultime lame di luce caddero sotto la forza dell'oscurità.
Aveva perso la luce.
Anche il sole, la Luce con la L maiuscola, aveva perso.
Io non ero nemmeno un decimo del sole.
E volevo lottare contro l'oscurità in cui per anni mi ero crogiolato.
Avevo già perso.
Li, seduto sul prato, circondato dalla notte sempre più buia, io avevo già perso.
Non avrei nemmeno dovuto iniziare a combattere.
Redimermi era impossibile.
Ero nato nel buio, ero destinato al buio.
Eppure, pensai rivolgendo lo sguardo al castello, in cui pian piano venivano accese le luci, nessuno era nato Luce.
Eppure dentro a quelle mura, loro stavano vincendo il buio.
Ma io non ero luce, non ero buio, non ero loro.
Non ero niente, o forse ero tutto e il contrario di tutto.
Però, ogni volta che La guardavo, che guardavo proprio Lei, mi sembrava di essere vicino alla soluzione.
Ogni volta era una soluzione diversa, vero.
Però c'ero vicino.
Ogni volta che la guardavo.
Mi veniva voglia di andarmene, oppure di non muovermi più da Hogwarts.
Mi veniva voglia di arrabbiarmi, oppure di ridere.
Mi veniva voglia di scusarmi, oppure di pretendere delle sue scuse.
Mi veniva voglia di baciarla, oppure...
Oppure di baciarla ancora.
E nonostante stessi cercando di farmi odiare, qualcosa in me gridava che stavo sbagliando.
Che forse un giorno, un raggio avrebbe potuto vincere.
Forse un giorno sarei diventato qualcosa anche io, mi sarei trovato un ruolo che mi calzasse a pennello.
Niente ex Mangiamorte.
Ex Cattivo.
Ex Purosangue.
Ex dalla parte sbagliata.
Ex cagnolino del Signore Oscuro.
Draco Malfoy sarebbe diventato..
Un idiota, un pazzo.
Mentre mi autoinsultavo per i troppi pensieri che avevo indirizzato verso di lei, decisi di tornare in camera.
Il mio stomaco diceva che era ora di cena, non ci feci caso.
Mi sdraiai di nuovo sul letto disfatto e pieno di libri, calciandoli in malo modo a terra.
Qualche minuto dopo Astoria bussò.
“Lascialo li fuori” dissi automaticamente, tornando a concentrarmi sull'interessantissimo buco nella tenda accanto al letto.
Sentii un rumore, la porta si era aperta.
“Ma che diavolo...” dissi preso alla sprovvista, alzandomi di scatto. “Tu.”
Lei.

“Anche per me è un piacere Draco.” disse con naturalezza appoggiando il vassoio sul comodino più prossimo alla porta.

“Che ci fai qui?”

“Ti ho portato la cena.” rispose mantenendo un tono molto tranquillo, come se stesse parlando con un animale in cattività. “Ma tu ti vesti sempre così?”

Stava osservando un punto poco al di sotto del mio mento. Solo in quel momento mi accorsi di avere la camicia slacciata.

“Mi piacciono le camicie bianche e i pantaloni eleganti.” commentai sistemandomi.

“Capisco. Beh buon appetito.”

Se ne stava andando.
“Dove vai?” chiesi. Avrei dovuto dirle di restare. No, se ne doveva andare.
“Ai piani alti.”
Eccola, la piccola Granger. Aveva aspettato solo il momento giusto per ricordarmi, e ricordarsi, quello che era successo. Mi voltai verso la finestra e mi venne da ridere. Di nuovo, c'ero dentro fino al collo.

“Vuoi che ti faccia compagnia? Svegliati a mangiare, lo stufato è buono caldo.” disse sorridendo.

Non risposi, non sapevo cosa dire.
Lei aveva già preso da tempo la sua decisione. Aveva calcolato tutto.
Era possibile che mi conoscesse già così bene?
Si sedette accanto a me, in attesa.
Mangiai. Più per prendere tempo che per altro. Anche se lo stufato era buono, lo mangiai lentamente.
Il problema è che non avevo voglia di parlare.
Non avevo voglia di parlare con lei di quello che dovevamo o non dovevamo fare.
Volevo stare li, a ingozzarmi di stufato, con lei accanto.
Arrivato alla torta, una grossa fetta di crostata di pesche, decisi di velocizzare i tempi.
“Sei così testarda.” dissi scuotendo la testa.
“Lo so.” alzò lo sguardo dal vassoio vuoto e sorrise.
“Non ne vale la pena.”

“Ti ho insegnato a creare l’antidoto di un veleno composto, posso riuscire ad insegnarti a comportarti come un essere umano.”

La guardai sorridere, di nuovo.

“Non sono un amante dei sentimenti.” commentai.

“Non sei un amante praticamente di niente. Tranne della crostata di pesche forse, quella l’hai mangiata in un secondo.”

Eccola li, la soluzione.
Era nei suoi occhi.
Bastava fare un passo.
Lo feci.
Mi appoggiai alle sue labbra.
E fu un bacio difficile.
Mi resi conto già da subito che non stavo baciando Astoria, Denise, o mille altre. Non era un bacio facile.
Baciare lei, di nuovo, era come dire al buio che non avrei capitolato senza lottare.
Ci avrei messo tutto l'impegno dei raggi al tramonto.
Mi allontanai, per guardarla di nuovo. I suoi occhi incatenavano i miei.
Forse era davvero li, la soluzione. A un passo da me.
Si avvicinò di nuovo, questa volta più diretta, decisa, appassionata.
E la febbre, che per tanto tempo aveva taciuto sotto strati di dubbi e indecisioni tornò.
Sempre più forte.
Sentivo il suo cuore battere all'impazzata, così vicino al mio da essere il mio.
Poi qualcosa ci interruppe.
Bussavano alla porta.
“Sono Astoria, il coprifuoco sta per iniziare”
Si alzò, lisciandosi la divisa stropicciata con le mani. In volto un'espressione che poteva voler dire tutto.
“Ne vale la pena.” sussurrò più a se stessa che a me quando stava per raggiungere la porta.
Mi avvicinai per l'ultima volta, la accarezzai, la annusai.
Vaniglia e rose, come dimenticarselo.
Mi presi un ultimo bacio e la lasciai andare.
Anche quella sera, il buio aveva vinto.
Ma avevamo lottato, ci eravamo aggrappati l'una all'altro con le unghie.
Ma andava sempre così.
Era il destino.
Quella sera, però, andai a letto con la voglia di combattere.

 

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Capitolo 13
*** 13. Carte, bauli e libri ***


Nota dell'autrice: non vi dico niente, non vorrei che pensiate che sia logorroica. Quindi..
Parlate voi...
Ditemi cosa ne pensate di questo capitolo!
Stay tuned!

 
 

 
13. Carte, bauli e libri
 
 
Potter era tornato.
Aveva il potere di essere sempre e maledettamente puntuale.
Eccolo li, a farla sorridere.
Entrai in sala Grande e li trovai già seduti.
Entrambi sorridevano. Lei mi guardò, le sorrisi. Lei sorrise di rimando, poi disse qualcosa a Potter.
Li vidi alzarsi ed andarsene poco dopo, a braccetto.
Me ne andai anche io poco dopo, incrociando Blaise all'ingresso.
“Mi sei mancato amico.” mi urlò, facendo ridere delle Tassorosso, anche loro cariche di bagagli.
“La prossima volta evitiamo questa scena.” gli dissi a denti stretti, strappandogli dalle mani la sua borsa. “Tu alza il baule, razza di inutile idiota.” commentai con mezzo sorriso.
Passammo il resto della mattinata in camera nostra a giocare ad un nuovo gioco babbano, importato ad Hogwarts da Michelle: il poker. Si trattava di un gioco di carte, in cui solitamente, si vincevano molti galeoni. Noi però, ci giocammo con i vestiti.
Non riuscivo a ricordarmi la gerarchia delle carte, ma la fortuna era dalla mia parte.
Dovetti cedere ad Astoria solo la mia cravatta e la camicia.
A Michelle andò molto peggio.
Era praticamente nuda ormai, quando guardando l'orologio mi accorsi che era ora di pranzo.
“Quindi che si fa?” chiese Astoria. Doveva avere delle belle carte, sorrideva.
“Facciamo così: chi perde questa si toglie tutto e va in sala comune.” le rispose Michelle.
Senza pudore.
I giochi erano fatti. Non ero messo male, tutto sommato la mia coppia di sette poteva salvarmi.
Blaise non era così convinto, guardava le carte e poi si rivolgeva alla sua ragazza, che cercava di nascondere il corpo con un cuscino.
Alla fine, fu lui a perdere.
Si alzò, una faccia contrita in volto e iniziò a togliersi quello che aveva ancora in dosso. Rimase nudo, completamente.
Le ragazza non fecero una piega. Io mi coprii con la tenda, cercando di non ridere.
“E' il tuo momento.” dissi, meritandomi una cuscinata in testa.
Blaise prese un respiro profondo e uscì.
“L'ha fatto davvero.” disse incredula Michelle. “Io scherzavo.”
“Non dovresti scherzare con gente come Blaise o Draco.” commentò Astoria.
Dalla sala comune provennero fischi e urla. Il passo pesante di Blaise si fece più veloce, rientrò in camera trafelato.
“Ok, questa cosa è da rifare.” e sorrise.

Nonostante il suo desiderio di ripetere l'esperienza nel pomeriggio, ognuno si dedicò ad attività diverse.
Io non feci assolutamente nulla, tranne scrivere un breve lettera a mia madre.
Lei, non la vidi fino all'ora di cena.
La incontrai fuori dalla sala Grande con Luna Lovegood.
Quella bionda era strana.
Mi salutò come se fossi un suo amico, la salutai di rimando.
Poi mi concentrai con tutte le forze per apparire naturale.
“Hermione” dissi in modo distaccato, troppo. Alzò leggermente un sopracciglio per ammonirmi.
“Sempre un piacere” rispose senza guardarmi, fiondandosi in Sala Grande con la Lovegood.
Le seguii a distanza, cercando di non guardarla. Lei, al contrario, continuava a fissarmi. Sbattè contro Paciock, la vidi scusarsi goffamente.
Nel frattempo mi sedetti.
Anche al nostro tavolo, finalmente pieno di gente, l'atmosfera era vivace.
A quanto pare tutti avevano passato delle vacanze eccezionali, non vedevano l'ora di raccontarle ai loro amici. Evviva.
Blaise mi disse poco, sapeva quanto odiassi i convenevoli. Mi disse solo di non aver guardato altre ragazze, che aveva solo Michelle in testa.
Non chiese di me, fu interrotto da Astoria, che gli borbottò qualcosa in un orecchio.
“Che ha?” gli chiesi quando ci lasciò di nuovo soli.
“Si lamenta, al solito. Di te. Dice che ieri ti sei chiuso in camera con la Granger.”
“E' vero.”
“E quindi?” mi chiese bisbigliando.
“E quindi niente.”
“Si, certo, e io sono Paciock.”
“E' così. Lei mi sta addosso.” mentii, cercandola involontariamente nel suo tavolo. Era seduta vicino a Dean Thomas. Lontana da Potter e dai rossi.
“Lei ti sta addosso. Tu no. Immagino che tu ieri sera le abbia spezzato il cuore.”
disse scoppiando a ridere. “Smettila Dra. Con me 'sta storia non funziona.”
Lo fulminai con lo sguardo, poi abbassai il capo, in modo da essere certo che potesse sentirmi solo lui.
“Non è colpa mia se non riesco a resisterle.” soffiai a denti stretti.
“E allora? Non resisterle. Sai, ogni tanto mi chiedo perchè...”
Non seppi cosa Blaise si chiedesse. L'avevo vista alzarsi, insieme a un gruppo abbastanza numeroso da far sembrare il nostro incontro casuale.
Mi alzai e la raggiunsi al portone.
“In biblioteca, fra 10 minuti.” le sussurrai.
“Stai un po’ più attento Malfoy, stai camminando sui miei piedi” mi rispose con un'espressione tesa.
Aveva capito.

In una vita, dieci minuti non sono niente. Sono briciole.
Per me, quei dieci minuti furono una vita.
Girai per il castello, cercando di evitare tutti.
Alla fine, incontrai Potter.
Stranamente solo, appoggiato ad un muro. Aspettava qualcuno, forse.
Per un secondo temetti stesse aspettando me.
“Buonasera.” disse quando gli passai davanti. Gli feci un cenno. Lui aprì la bocca, mi fermai.
Ci scambiammo un altro sguardo. Mi guardò come se non servissero parole. Era così simile a Lei da quel punto di vista.
Erano pieni.
Così pieni di cose da dire, da raccontare, che quelle in più gli uscivano dagli occhi con facilità.
Mi stava dicendo: “attento a quello che fai” e “so dove stai andando” e “aspetto Weasley” e “perchè diavolo ti sei fermato”.
Nei miei occhi, lo notai dalla sua faccia confusa, lui non lesse niente.
Io non ero pieno, io ero praticamente vuoto.
Decisi finalmente di andarmene, lui non disse altro, ne con la bocca, ne con gli occhi.

Raggiunsi Lei in biblioteca.
Aveva scelto un tavolo appartato, e nonostante fossero passati solo dieci minuti, aveva già in mano un libro.
“Dobbiamo parlare.” dissi sedendomi. Non sapevo cosa volevo dirgli, ma dovevo parlarle.
“Dimmi pure.” mi disse con lo sguardo basso.
Non avevo niente da dirle. Però starle accanto... dovevo trovare un modo per starle vicino più spesso.
“Non abbiamo un piano d'azione.” sbottai. Idiota.
“Un piano d’azione. Non credevo che stare insieme a te implicasse fare piani. Dobbiamo rapinare una banca?”
Stare insieme a me implicava la dannazione eterna, la corressi mentalmente.
“Stupida Granger. Oggi non ci siamo visti tutto il giorno. Domani rincominciano le lezioni, sarà sempre peggio.”. Il mio sforzo venne ripagato. Si avvicinò a me, continuando a sorridere.
“Allora ti manco. Comunque giovedì sera ci vediamo per pozioni. Potremmo usare sempre la stanza delle necessità no?”.
“Come se fosse libera. Un sacco di coppie...” e io e lei non dovevamo essere una coppia, pensai “ha scoperto la stanza delle necessità. E’ sempre più difficile essere così fortunati da arrivare per primi.”
Si allontanò, appoggiandosi allo schienale della sedia con un'espressione meditabonda.
La guardavo, e più la guardavo e più mi accorgevo che anche stare li seduti non era male. Ed era stupido. Perchè io non ero mai stato in biblioteca con una ragazza, se non per copiare dei compiti o per portarmela a letto.
“Dove andavi con i tuoi ragazzi?” le chiesi, cercando di non pensarla insieme ad un altro.
“Io non ho mai avuto un ragazzo qui ad Hogwarts, solo Viktor ed è stato per un ballo o poco più. Tu?”
“Io stavo con delle Serpeverde, quindi buttavo fuori i miei compagni dalla stanza.”. Oppure ogni posto era buono, ma questo lei non lo doveva sapere, perchè con le altre io non avevo bisogno di parlare o di stare seduto.
“Draco, io non voglio essere la tua ennesima compagna di letto. Vorrei che fosse chiaro.” commentò i miei pensieri così velocemente che credetti potesse leggermi nel pensiero. Mi guardò negli occhi, un po' intimorita.
Per chi mi aveva preso? Certo. Per Draco Malfoy. Ma io non volevo il suo corpo, non solo.
Io volevo lei.
Quanto sarebbe stato più facile se avessi voluto solo il suo corpo? Non sarei dovuto stare in biblioteca con lei, a cercare di dire parole che non avevo mai detto.
Mi avvicinai e la presi per un braccio.
“Io sto facendo del mio meglio, ma tu non mi aiuti. Se avessi voluto qualcuna del genere mi sarei scelto una preda meno complicata. Voglio vederti e basta.”
Dissi a denti stretti. Lei si sporse e si prese un bacio, come a mettere un punto alle mie frasi. Come a dirmi che non era una fatica sprecata.
Si allontanò troppo in fretta. Non mi diede il tempo nemmeno di rendermi conto del suo profumo, della morbidezza delle sue labbra.
L'orologio battè le nove. Lei si alzò di scatto, come l'uccellino di un orologio a cucù.
“Pensa ad un posto e domani ne parliamo.” mi disse, lo sguardo già verso il corridoio.
No, non se ne doveva andare così. La spinsi contro lo scaffale e la baciai. E mentre lo facevo, temetti di averla spezzata con la mia foga. Cercai di allontanarla, ma fui trattenuto. Le sue mani mi tenevano incollato a lei.
E questo mi faceva impazzire.
Un rumore mi mise in allarme, ci separammo giusto in tempo per non essere scoperti dalla Prince.
“Che sia l’ultima volta che ti aiuto a sistemare i libri Granger.” le dissi continuando a guardarla.
“La biblioteca è da scartare.” mi sussurrò, lasciandomi davanti agli scaffali come un idiota.
 

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Capitolo 14
*** 14. Un luogo sicuro ***


Nota dell'autrice: scusate il ritardo. Sono in uno di quei pessimi momenti da crisi creativa... Per scrivere questo capitolo ho impiegato il doppio (forse il triplo) del tempo che ci metto di solito. Non so perchè, so che è stato ancora più difficile del solito. Spero che la mia gita fuori porta di questo weekend mi dia dei nuovi spunti per il prossimo capitolo. Intanto, vi invito a commentare (anche negativamente, può darsi che questo capitolo non sia bello o interessante come vi aspettavate).
E speriamo che l'ispirazione ritorni!
Stay tuned!

 
 

14. Un luogo sicuro
 
“Hey Granger”
“La lezione sta per iniziare Draco.”
“Veramente..”
“Perchè non ne possiamo parlare più tardi? Davvero.”
“Granger, ti sei presa anche il mio compito.” Le dissi alzando la voce, gli occhi di metà classe puntati sul nostro bisbigliare.
La McGrannit mi guardò speranzosa, mentre le strappavo la mia pergamena dalle mani e tornavo al mio posto.
Era distratta, stanca, sempre indaffarata. Ci vedevamo troppo poco, sempre con la paura di essere scoperti, sempre più stanchi.
I M.A.G.O. erano vicini, ma lontani. Eppure lei, aveva sempre un maledetto libro in mano. Quei pochi momenti passati insieme, erano un disastro. Pur di non parlarmi mi baciava.
Stavo iniziando a credere che si stesse pentendo di aver scelto proprio me.
Fortunatamente, avrei dovuto dire.
Ma ormai era inutile mentire a me stesso.
Starle accanto mi piaceva.
Mercoledì sera, dopo l'ennesima aula aperta senza successo, mi trovai davanti ad una scena che avrei preferito non vedere.
Due Grifondoro avvinghiati, Thomas e la Robbins per la precisione, nell'aula di Storia della Magia. Per poco non avevano scoperto Hermione.
Quella fu probabilmente la goccia che fece traboccare il vaso.
Non ne potevo più di quella situazione. Andare a zonzo per tutta la scuola cercando un posto tranquillo in cui stare. Hogwarts non possedeva un posto del genere, per due amanti clandestini come noi.
L'ennesima porta.
Quella giusta, finalmente.
“Grazie al cielo domani è giovedì” mi dissi entrando nell'aula di trasfigurazione, con lei appena un passo indietro.
Non volevo ammetterlo, ma era a pezzi e avrei dovuto invitarla ad andare a letto, a riposarsi. Ma io volevo stare con lei.
Si trascinò verso i banchi, si sedette.
Allungò le braccia verso di me, aprendo e chiudendo i pugni. Sembrava una bambina. Mi avvicinai e la strinsi.
“Sono a pezzi.” sussurrò con il viso nascosto con la massa disordinata di capelli castani.
Non potevo lasciarla andare. Ma non volevo che restasse in quelle condizioni. Le alzai il mento e la baciai.
Ma fu un bacio stanco.
“Che c'è?” mi chiese con gli occhi socchiusi, circondati da profonde occhiaie.

“Sono stufo di questa storia delle aule da cercare, dovremmo trovare una soluzione. Stasera quella maledetta Grifondoro stava per scoprirci.” le risposi, nonostante quello fosse il problema minore.

“Troveremo una soluzione.” mi disse, avvicinandosi di nuovo, baciandomi ancora. Con forza maggiore, come se ci stesse davvero mettendo tutto quello che le restava.
Era sempre così.
“Troveremo, faremo..”
Avevamo fatto un passo avanti, o almeno, io l'avevo fatto. Avevo accettato di amarla. Stavo imparando a non pensare a dove ci avrebbe portato tutto questo.
Però.. In realtà non ci stavamo muovendo. Si davamo appuntamento nei posti più tristi e desolanti, cercavamo un anfratto del castello, ci davamo due baci, grandiosi, certo. Però.. Io da lei, pensai passandole una mano sul collo, mi aspettavo di più.
I miei pensieri furono interrotti da un suo sguardo. Mi stava supplicando.
“Sono stanco, ti va se andiamo a letto?” le chiesi. Fece un mezzo sorriso.
“Sei sicuro, Dra..” sbadigliò “Mi dispiace.”
La zittì con un altro bacio e me ne andai, lasciandola sola davanti a quella porta.
Non ero veramente stanco, passeggiai ancora un po' per la scuola. A quanto pare riprodursi era diventato uno sport più soddisfacente del Quiddich. Ovunque, delle coppiette cercavano di nascondersi, scappavano velocemente sentendo i miei passi.
Sembravano tutti svegli e pieni di energia.
Lei no.
Lei studiava. Lei faceva del suo meglio in tutto. Tranne che con me.
Quando stavamo insieme, nonostante mi bastasse sentire il suo profumo o la sua voce, lei non dava del suo meglio.
Lei era stanca. Era nervosa, era distratta ed imbronciata.
Andai in sala comune, desideroso di dormire per non pensare e trovai la porta della mia camera sigillata con la magia.
Imprecai.
Mi voltai verso il dormitorio femminile e mi diressi verso la porta di Astoria.
No.
Non potevo. Se lei l'avesse scoperto..
Imprecai di nuovo e mi sdraiai sul divano.


 
L'indomani, giovedì, cercai di vivere la giornata pensando continuamente alla prospettiva di una serata con Lei.
Quando entrammo nella stanza delle Necessità, i suoi gesti erano inequivocabili.
Mi stava dicendo che non era stanca, e che, per qualche motivo, aveva fretta di finire di creare la Bevanda della Pace.
Ci sedemmo sul divano, li dove era iniziato tutto, per aspettare che gli ingredienti si mischiassero. Si avvicinò a me un paio di volte, cercando di baciarmi. Ogni volta mi allontanavo.
Quella stanza era come la gabbia di uno zoo. Sentivo che qualche piano più in basso, Lumacorno sapesse e forse vedesse cosa stavamo facendo. Me lo immaginavo cercare in una scatola di latta il pezzo più grosso di ananas candito con le sue dita tozze, mentre ci studiava come delle bestie rare.
“Si può sapere che hai?” mi chiese mordendosi un labbro con stizza.

“Questa stanza è la stanza di Lumacorno. Io penso che lui sappia che facciamo qui dentro. Dovremmo finire la pozione ed aspettare il coprifuoco poi uscire e pensare a un altro tipo di stanza.” le risposi.

“Beh, direi che questo è un piano.” commentò sorridendo.
La pozione, non c'era bisogno di controllare, era identica in tutto e per tutto a quella descritta sul libro.
“E' troppo perfetta. La mescolo ancora.” dissi facendole cambiare di poco il colore.
Imbottigliammo il risultato e uscimmo.
“Penso io al posto. Entra dopo di me.” le ordinai iniziando a passeggiare davanti al muro nudo.
Finalmente potevo mettere in pratica il pensiero che era girato in testa tutta notte.
Pensai alle Alpi, a quella bella villa di legno, alla mia stanza che sapeva di fuoco e di legno e di erba.
Quando la porta comparve, non potevo immaginare quello che avrei trovato all'interno.
La stanza era veramente come me l'ero immaginata.
Era la mia stanza.
Eravamo sulle Alpi.
Un posto sicuro.
Anche per due amanti come noi.
“E' bellissima.” disse Lei sfiorandomi la mano.
“E' come la mia camera nella villa che avevamo sulle Alpi qualche anno fa.”
Diedi un ultimo sguardo all'ambiente, poi incontrai i suoi occhi.
Di nuovo, non c'era bisogno di parlare.
Ci sistemammo sul letto.
Era strano, non sapevo che fare.
Non volevo trattarla come le altre, così mi lasciai guidare.
Iniziò ad accarezzarmi, ad occhi chiusi, sorridendo.
Feci lo stesso, sentendo sulle sue braccia i brividi provocati dai nostri corpi così vicini.
Quando la vidi socchiudere gli occhi, iniziai lentamente a toglierle il maglione, la camicia. Stavo migliorando.
Continuava a sorridere.
Iniziò, con le mani che tremavano, a sbottonarmi la camicia.
Quando fu completamente nuda, la guardai.
Era bella. Ma non era solo bella. Era mia.
Era tutto ciò che volevo.
E mi sorpresi di quanto ci avevo messo per capirlo.
“Quanto tempo perso.” sussurrai.
Come pensavo, fu straordinario. E non fisicamente, in effetti, mi trattenni. Era fragile, avevo paura di spezzarla. Nonostante questo, i nostri corpi erano perfettamente uniti, compatibili.
E fu diverso.
Non cercavo il piacere, cercavo lei. Come se unire i nostri corpi ci avrebbe aiutato, un giorno, ad unire le nostre anime.
Era così sensuale. Mi faceva impazzire.
Ripeteva il mio nome.
Non sembrava così male, detto da lei. Sussurrato.
“Drah” “coh” “oh” “oh”
 

Ci sdraiammo. Uno accanto all'altra.
Chiusi gli occhi, i battiti accelerati, il respiro irregolare.
Un minuto dopo, o forse un'ora, comunque troppo presto, si alzò.
Feci lo stesso, iniziai a rivestirmi, gli abiti sparsi ovunque, nell'aria i nostri profumi mischiati lottavano con la legna e la cenere per non essere sopraffatti.
Se questo era l'amore, pensai toccandomi il petto nudo e ascoltando il battito doloroso e martellante del mio cuore, avrei sacrificato la mia vita, pur di sentirlo nelle vene ancora un po'.

 

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Capitolo 15
*** 15. Cambiare idea ***


Nota dell'autrice: Ciao a tutti! Ecco il nuovo capitolo. Proviamo a vedere se funziona: l'ho scritto di getto, riletto una sola volta. Vediamo se vi piace!
Io spero di si, non mi sembra uscito così male!
Fatemi sapere!
Continuate a commentare!!!
Stay tuned!

 

15. Cambiare idea
 
“Ti amo Draco Lucius Malfoy”
Questa frase, in passato, era la fine del divertimento. Quando una ragazza annunciava ad alta voce di amarmi, era ora di scappare. Ecco che iniziavano le scuse per non vederla, il trovarmela fuori dalla stanza con il mascara colato e la faccia arrossata, l'evidenza volgare delle lacrime versate per me.
Io semplicemente me ne fregavo. Avevo avuto quello che volevo, una o due notti, se andava bene anche un mese. Dell'amore, non me ne facevo niente. Avanti un'altra.
“Anche io ti amo stupida Granger.” le avevo risposto. E, anche se il pensiero di dover usare uno dei miei piani non mi era nemmeno passato in mente, quella era la conferma che ormai ero un passo avanti. Non era la notte che volevo. Era il giorno.
Era il giorno dopo. Erano passate poche ore. Non era successo molto in effetti. Quello che mi ricordavo con più chiarezza dei momenti subito dopo l'aver fatto l'amore con Lei era il rumore dei suoi piedi nella vasca da bagno. Parlava, parlava, parlava. Non ricordavo di preciso di cosa, forse di un posto dove andare, del mezzo lupo, non ricordavo. Ma i suoi piedi, che producevano piccole onde appena visibili sotto lo strato fitto di schiuma alla cannella, quelli li ricordavo. Così come il suo corpo, il suo profumo.
A colazione, Lei non c'era. Mi sembrò di vederla uscire tra la folla mentre varcavo l'ingresso della sala Grande. Non era al tavolo con gli altri Grifondoro.
Durante la giornata, mi accorsi con sicurezza sempre maggiore, cercò di evitarmi. E non era il solito voler nascondere quello che c'era tra noi, era un testardo tentativo di non guardarmi. Lo fece alla lezione di Storia della Magia, a pranzo, ad Erbologia.
Ma la conferma la ebbi a cena. Era scappata dalla lezione e probabilmente aveva mangiato velocemente pur di non vedermi. Il realtà dovette incontrare il mio sguardo, ma si girò quasi subito, lasciando la Sala prima di tutti.
Non riuscivo a capire a che gioco stesse giocando. In una parte di me, quella più legata al passato, si insinuò il dubbio che il suo fosse il rifacimento femminile di un perfetto piano alla Malfoy. Aveva avuto ciò che voleva e se la stava dando a gambe. Dovetti ammettere che, nonostante provassi a pensarla in modo diverso, quella era la teoria migliore. Forse perchè aveva così tante cose di cui potersi vendicare, forse perchè le avevo visto un fuoco negli occhi che solo la rabbia poteva infondere e ravvivare con così tanta potenza.
Era stata brava. Aveva imbastito un bel copione.
Ma io, se quella fosse stata la verità, l'avrei avuta vinta lo stesso.
Un'altra voce in me, troppo simile a quella di zia Bella quando torturava qualcuno, diceva che potevo vederla in quel modo anche io.
Che lei era solo una stupida mezzosangue, l'amica di San Potter, la ragazza di Lenticchia. Che ero un Malfoy, e anche se quello era un momento brutto per il mio nome, mettermi con lei non avrebbe migliorato la situazione.
Mi accorsi qualche minuto dopo che stavo camminando. Zia Bella urlava ormai, dal profondo del mio stomaco.
Dove stavo andando?
Cosa stavo facendo?
“Dove stai andando?” una voce, più umana, profonda e maschile mi risvegliò.
“Non è un problema tuo, Potter.”
“E invece si. Stai andando da Hermione? Cosa le hai fatto?”
Eccolo, il paladino della giustizia.
“E se questa volta fosse stata lei a fare qualcosa a me?” gli chiesi sfidandolo.
Rimase in silenzio, giusto il tempo per permettermi di capire che ero a pochi passi dall'ingresso della torre di Grifondoro.
“Impossibile. Lei è Hermione. Tu invece, sei una serpe.” rispose infine.
“Non sono qui per sentirti sputare sentenze. Sono qui per Lei. Fammi entrare.”
Mi guardò dritto negli occhi e iniziò ad avvicinarsi. Istintivamente strinsi le dita alla bacchetta, ma quando fu ad un passo da me, vidi che stava guardando oltre.
Mi avrebbe fatto entrare.
“Fermo.” mi intimò intuendo le mie intenzioni e puntandomi la bacchetta al petto. “Le chiederò se vuole vederti.”
Sparì dietro al ritratto, lasciandomi da solo con le voci che rimbombavano nella mia testa. Lei era Hermione. Forse per quello le era stato così facile imbrogliarmi.
O forse, e il dubbio iniziò a consumarmi lentamente da dentro, come un tarlo in un mobile antico, io avevo fatto qualcosa che non andava.
Hermione era fragile. Forse non riversare su di lei tutta la mia passione l'aveva salvata dal dolore fisico, ma con le parole, non ero così bravo. Forse aveva scoperto qualcosa, una delle tante ragioni per cui io ero sbagliato.
“Malfoy, sei un bastardo.” disse Potter uscendo dal buco dietro al quadro. “Nonostante questo, vuole vederti. E io spero ti faccia male.” aggiunse con un mezzo sorriso amaro.
Non commentai, ero troppo concentrato su quello che mi aveva appena detto.
Mi fece strada e dopo un secondo di oscurità, fui accecato dal rosso e oro della sala comune Grifondoro. Tutto brillava, mi sembrava di stare all'interno di un vulcano. Decisamente troppo calore per i miei gusti.
Hermione era a qualche passo dalla porta. Non mi guardò, i suoi occhi erano concentrati su Potter. Si scambiarono uno sguardo e lei le disse di lasciarci soli, accompagnando le sue parole con un sorriso dolce.
“Cosa vuoi?” quando si rivolse a me, l'espressione tornò gelida.
“Cosa voglio? E’ tutto il giorno che mi eviti. Guarda che ho dovuto fare per vederti.” le risposi cercando di non rimanere fulminato da arazzi brillanti e grifoni dorati.

“Dovresti sapere perché ti evito. Credevi che io non sarei mai venuta a saperlo?”

“Stai delirando. Non so di cosa tu stia parlando.”. Feci un veloce inventario delle cose che poteva scoprire su di me e che l'avrebbero turbata. Troppe fu la risposta più rapida che mi arrivò alla mentre.

“Astoria Greengrass, ti dice qualcosa? La tua fidanzata.” Indietreggiò continuando a guardarmi come se fossi un animale feroce, pronto ad attaccarla. “Quando credevi di dirmelo? Prima o dopo avermi preso ancora più in giro?”

Astoria le aveva detto del matrimonio. Anche se fosse fuggita dall'altra parte del mondo, l'avrei trovata. E l'avrei uccisa.

“Qualsiasi cosa ti abbia detto la Greengrass è falsa.” dissi con freddezza, meditando il modo migliore per far passare alla mia “fidanzatina” la voglia di raccontare fandonie in giro.

Lei mi guardò di nuovo, gli occhi lucidi e le mani tremanti. Niente a che fare con le lacrime urlate delle mie amanti. Mi ricordò per un secondo mia madre, una vera donna. Lei era Hermione. Hermione era una Donna. Solo in quel momento capii le parole di Potter.
La vidi aprire la bocca, ma non riuscì a dire niente, Potter si fiondò nella stanza.
“Ron e Ginny. Il mantello, subito” disse a Hermione.
“Vieni con me.” mi disse, diretta a una delle due rampe di scale che dovevano portare ai dormitori. Arrivati in una delle stanze, prese un vecchio mantello impolverato, me lo mise in testa e vi entrò anche lei.
“Cosa stiamo facendo?” le chiesi, cercando di rimanere serio, nonostante la sua idea di nascondiglio era veramente comica.
“Ci nascondiamo da loro. Non ho intenzione di farmi vedere da loro con te.” rispose indicando un punto nella sala comune che non potevo vedere perchè coperto da lei.
Sotto a quello strano mantello, che compresi rendere invisibile chiunque lo indossasse, si stava decisamente stretti.
“Non abbiamo finito il discorso.” dissi sedendomi su uno dei letti.

“Copriti.” disse lanciandomi il mantello. “Ieri notte sono venuta da te con quello. Volevo stare con te e poi lei ti urla dietro che è la tua ragazza.”.

Avevo avuto una discussione con Astoria al mio rientro. Una delle tante. Per ogni mia scappatella o azione non molto corretta, lei si imponeva come la mia guida. La mia fidanzata. Non l'avrei sposata, mai. Non avevo bisogno di una del genere. Tutto stava nello spiegarlo a Lei, pensai passandomi il mantello tra le dita.

“Credevo che tu fossi più intelligente, credevo ci arrivassi.” esordii.

“A quanto pare entrambi abbiamo sbagliato qualche valutazione.”

Avrei dovuto farle quello sgradevole discorso, tirare fuori per l'ennesima volta il nostro sangue diverso.

“Sei una Nata Babbana, certe cose non le puoi capire. La conservazione del sangue puro è uno degli obbiettivi fondamentali per le famiglie magiche più nobili. Ed è anche il più difficile da perseguire in tempi come questi. I Malfoy e i Greengrass sono amici da sempre, il matrimonio tra me e Astoria è un’idea che le nostre famiglie tengono in considerazione da quando siamo nati. Lei crede molto in questa cosa, è innamorata di me da sempre.”

“E non ti è mai venuto in mente che io avrei dovuto essere informata?” mi chiese mantenendo un'espressione indecifrabile in volto. “Il mio sangue è sempre stato un problema. Sempre. Ma una cosa del genere, i matrimoni combinati… Non siamo più nel medioevo accidenti. Come faccio a sapere che non è una scusa?”.

“Ognuno è permeato dei valori in cui vive, non pretendo che tu capisca.”

“E tu questi li chiami valori? La purezza del sangue? Non mi sembra che ti interessasse stanotte. Non mi sembra che fosse un problema quando eri dentro di me, cuore contro cuore, sangue contro sangue.”. Sottolineò le parole con così tanta forza, che riuscì anche a far tacere gli ultimi echi della voce di zia Bella. Sei io ero arrivato a quel punto, era stupido continuare a parlare da osservatore. Ci ero dentro fino al collo.

“Non ho fatto l’amore con una mezzosangue stanotte, ma con Hermione Granger. E Astoria è fatta così, è una debole.”. Volevo prenderla e farle ricordare cosa era successo, ma il mio avvicinarmi fu accolto da uno sguardo sempre più gelido.

“Avresti dovuto dirmelo. Io non ho intenzione di stare con una persona che si dimentica di avere una promessa di matrimonio che gli pende sulla testa. Oggi è quello, domani cosa sarà? Un omicidio che non mi hai confessato? Una riunione di Mangiamorte che ti è sfuggita di mente?” sputò quelle parole una dietro l'altra, e nonostante avesse parlato di più di Potter, mi suonarono più i meno come “Lei è Hermione. Tu invece, sei una serpe”. “Io non ti credo.” concluse.

Era così.
Avevo usato molte energie per convincerla, in realtà lei aveva già in testa quello che ero, quali erano le mie opinioni. E mentre in me si insinuava la voglia di dare un taglio al passato, anche lei aveva già formulato la sua sentenza senza appello.
Il pesante silenzio creatosi fra noi venne interrotto da un rumore che la spaventò. Si avvicinò e ci coprì di nuovo con il mantello.

“Hermione. La sala comune si sta svuotando, portiamolo fuori di qui.” disse Potter. Scattammo entrambi in piedi, e attento a non toccarla, la seguii fuori dalla porta. Quando fui sicuro di essere rimasto solo con lei, mi scoprii.

“Parli tanto dei problemi con il tuo sangue, non vedi che stai facendo la stessa cosa con me? Fingi che non ti importi niente del mio marchio, ma alla prima occasione lo tiri fuori.”. Lei era ancora coperta, mi sembrava di parlare da solo. Forse stavo davvero parlando da solo, forse lei non voleva sentire quello che avevo da dirle. Forse nemmeno io avevo più voglia di chiarire quella situazione.

“Non è la stessa cosa. E’ difficile costruire la fiducia di una persona che per anni ha dimostrato di essere qualcun altro.” disse scoprendosi. E di nuovo, mi sembrò di avere davanti qualcun altro.

“Parli come San Potter dannazione. Non ti ho chiesto io di metterti con me, ti ho detto più di una volta che non ero quello giusto. Io non sono Potter o Weasley. Nessuno a fiducia in me, nessuno si aspetta che io sia fedele o che mi sacrifichi per lui. Quando faccio quel genere di cose mi sforzo dieci volte di più di quei due perché non è la mia natura. Sono venuto nella sala comune di Grifondoro, ho chiesto per favore a Potter, ho fatto quello che mi diceva di fare, ti sto dicendo queste cose. Ti sembro lo stesso Draco Malfoy? Cosa devo fare di più?Se proprio vuoi saperlo, penso che in questa storia io sia quello che sta facendo lo sforzo maggiore.”.

Buttare fuori quello che avevo dentro non fu la scelta migliore. Nonostante quelle parole pesassero su di me come macigni, vederle riflesse nei suoi occhi accese in me un fuoco doloroso. L'unica consolazione fu quella di vederla vacillare. Avevo ragione.
Io, avevo dato a Lei troppa importanza.
Lei, nonostante avesse usato molte belle parole, non aveva fatto nulla.
Io avevo ragione.
Avevo vinto.

“Non doveva nemmeno iniziare questa storia.” ribadii la mia tesi, questa volta convinto di non riuscire a destare in lei la solita reazione combattiva.

“Sono d'accordo” mi rispose infatti.
“Non ne valeva la pena” rincarai la dose, un po' inebriato dalla sensazione di stare vivendo ciò che avevo auspicato qualche settimana prima, che lei rinunciasse a quegli stupidi sentimenti.
“Lo so. Ti amo Draco, ma se comportarti così è uno sforzo, io non penso che sia giusto continuare a vederci.” disse alzando gli occhi verso di me.
Era il momento della mia uscita trionfale, pensai. Eppure, quegli occhi mi impedirono di andarmene. Non prima di essermi preso un ultimo bacio.
A cosa stavo rinunciando?
Ne valeva la pena?
La amavo?
Perchè ero ancora li?
“Non lo so.” risposi a me e a Lei.
Quello doveva essere il nostro ultimo bacio. La fine di una storia nata sbagliata, vissuta sbagliando, finita per errore.

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Capitolo 16
*** 16. Il fuoco ***


Nota dell’autrice: in ritardo. Lo so. Tanti sentimenti messi in campo in questo nuovo capitolo… riuscirà il nostro Draco a reggerli tutti senza scoppiare?
Commentate numerosi!
Stay tuned!

 


16. Il fuoco

 

“Dra, Dra?”
“Che vuoi razza di idiota?” Blaise mi aveva preso per un gomito facendomi rovesciare il succo di zucca sulla camicia. Notato ciò che aveva fatto, smise di sbatacchiarmi.
“Scusa, fratello.. Ma lei.. Ti sta guardando... Di nuovo.” disse mentre con incantesimi non verbali rimetteva tutto in ordine.
“Non mi importa, sono passate due settimane. E' finita.”
Erano passate solo due settimane. Avevo ripreso velocemente la mia solita vita, tanto velocemente che in alcuni momenti dovevo concentrarmi per ricordare che quello che era successo tra di noi era vero. C'era stato qualcosa, una baita in montagna, dei baci.
Un “ti amo”.
Alzai lo sguardo e notai che lei stava ridendo. Con lei Potter e Weasley.
Era giovedì.
Il secondo giovedì dopo. Ad avvalorare la mia teoria che quello che c'era tra di noi era solo un sogno, o un incubo, c'erano lei e i suoi gesti. Era sempre gentile. Gentilezza alla Granger.
Distaccata, disinteressata, ma gentile.
Diedi un pugno al tavolo, spaventando mezzo tavolo dei Serpeverde e mi alzai.
Con la punta dell'occhio, forse accecato dalla rabbia, la vidi guardarmi di nuovo, sempre sorridendo.
 
Alle otto in punto la trovai davanti alla stanza delle Necessità. Mi salutò con un cenno e fece apparire l'aula.
“Questa sera dovrai preparare un antidoto che annulli gli effetti dei due veleni.” mi disse indicando i due piccoli calderoni che sobbollivano accanto ad un calderone ancora vuoto.
Non dovevamo preparare. Dovevo. Era diventato un mio problema. Le sue parole ogni tanto la tradivano. Tradivano i sorrisi che mi faceva o i complimenti per un ingrediente separato correttamente.
“Mi siedo sul divano, se hai bisogno io sono lì.” disse voltandomi le spalle.
“Vai.” le risposi con un tono troppo duro.
Non ero così bravo. In realtà ero furioso. Quella stanza era sempre stata una gabbia. Una gabbia per due sconosciuti, una gabbia per due amanti, una gabbia per quello che eravamo in quel momento, burattini di uno spettacolo che non avrebbe mai fatto successo.
Circa un'ora dopo, l'antidoto era pronto.
Mancavano ancora dieci minuti al coprifuoco. Non avevo voglia di parlarle, così temporeggiai.
“Ma da quanto tempo hai finito?” mi chiese sorprendendomi alle spalle.
“Proprio ora, ti stavo chiamando.”
“Sembra un buon lavoro. Ne avremo la certezza quando sarà testato.”
“Vuoi che beva quei veleni?”
Spalancò gli occhi per un secondo, poi scoppiò a ridere.
“No, non tu. Lumacorno li proverà... ma non lui.. c-cioè.. su una pianta, una cosa del genere.” rispose, incrociando per la prima volta i miei occhi. “D-draco.”
Mi guardò come se non mi vedesse da molto tempo, la bocca ancora semi aperta. Come se si aspettasse qualcosa, come se..
“Devi andare.” commentai asciutto, scacciando il desiderio.
Annuì e sorrise, lasciandomi solo.
 
 
La situazione rimase invariata per qualche settimana, e il mio umore si stabilizzò. Non provavo più rabbia, o desiderio nei suoi confronti. Tutto sommato mi convinsi che era stato un momento di debolezza. Un errore.
A migliorare l'umore di tutti era arrivata la primavera, che lentamente si sta va rimpossessando del giardino, litigando con la brina fino a farla soccombere. L'aria era densa, umida, pesante. Cercavo di scacciare la fastidiosa sensazione di essere perennemente zuppo volando. Volavo spesso, sia in allenamento che per puro piacere.
Proprio durante uno dei miei voli pomeridiani, ad accogliermi a terra vidi il professor Lumacorno.
“Draco, non vai un po' troppo veloce?” commentò non appena fui a portata d'orecchi. Non gli risposi nemmeno, prendendo automaticamente la strada verso gli spogliatoi.
“Signor Malfoy, sono qui per parlarle.” mi richiamò di nuovo. “Domani sera sarà la sua ultima lezione di recupero di pozioni. La signorina Granger è informata. Sarà messo alla prova e dovrà dimostrarmi che merita il M.A.G.O. in pozioni.”
“Si.” gli risposi senza entusiasmo.
 
Quando mi presentai davanti a quella porta, ecco, solo in quel momento mi accorsi che sarebbe stata l'ultima.
Entrando mi guardai intorno, come a cercare qualcosa di nuovo, la stanza era diversa. Mi avvicinai al divano e ci appoggiai la borsa.
“Lumacorno ti ha detto cosa devi fare?”
“No, deve essere scritto li da qualche parte.” risposi avvicinandomi, mantenendo comunque una certa distanza di sicurezza.
L'abitudine.
Lessi il nome della pozione, non l'avevamo mai preparata a lezione.
Maledii Lumacorno.
“Mi metto sul divano, se hai bisogno chiedi pure.”
Non disse altro per la successiva mezz'ora. La preparazione procedeva bene, sembrava tutto giusto. Più volte mi voltai verso di lei, si era addormentata con un libro in mano.
A lavorazione conclusa, misi la pozione in una fiala e mi avvicinai a lei.
Dormiva beata.
Scomposta e scomoda, ma beata.
Stupidamente, decisi di ritornare al tavolo e svegliarla da lontano.
“Ho finito.” dissi ad alta voce, dandole le spalle. “Stavi dormendo?” chiesi cercando di essere credibile.
“Si, sono molto stanca.” disse risistemandosi e strofinandosi gli occhi.
Le lasciai tutto il tempo per farlo.
Era così buffa. Sembrava un gatto.
“Dovrebbe essere grigia, è abbastanza grigia?” gli chiesi mettendo la pozione in controluce, in modo che la potesse vedere meglio.
Guardò la fiala e poi mi guardò negli occhi.
Sorrise sfiorandosi la pancia, come se le fosse venuta fame.
“Si, è grigissima.”

“Lo spero per te, altrimenti avrai sulla coscienza il futuro di un povero ragazzo.” commentai ridendo e ritornando al tavolo a sistemare le mie cose. Povero ragazzo.

“Draco?”
“Si?”
“E' l'ultima volta che veniamo qui.”
“Si, lo so.”. Avrei voluto aggiungere un insulto, ma mi trattenni. Come se non lo avessi saputo. Come se non ci stessi pensando da un'ora.
Anche se cercai di concentrarmi sulle pergamene sparse per il tavolo, la vidi avvicinarsi ancora di più.
“Da domani sarà tutto come prima. Voglio dirti una cosa prima che questo accada: so di aver ragione.”
“Scusa?” le chiesi inutilmente. Avevo capito dove stava andando a parare. Il problema era che non sarei più stato in grado di resistere all'ennesimo attacco.
“Ho sempre avuto ragione io.”
“Stupida Granger. A questo punto non penso che conti più.” dissi continuando a studiarla. In faccia le si leggeva da quanto tempo stava maturando quella decisione. E non la smetteva di guardarmi, gli occhi sempre più lucidi ed affaticati dalla luce calda delle lampade.
“Cos'hai da guardarmi?” le chiesi spazientito.

“Stavo solo pensando.” disse puntando il suo sguardo nei miei occhi, trafiggendomi.

“Che hai ragione?”

“Si.”

Testarda. Iniziai a sentire caldo, mi passai nervosamente la mano tra i capelli. Tre mesi.
Tre mesi di niente. Di sorrisi di facciata, di saluti.
Non poteva provare ancora qualcosa.
Non poteva.
Non potevo.
“Sono passati tre mesi.” mi dissi.
Tre mesi di niente.
Tre mesi di sguardi rubati.
Tre mesi di incredulità.
Io e lei, tre mesi prima ci amavamo.
Non ci credevo.
Mi allontanai da lei, mi voltai.
Doveva andarsene.
Prima però...
“Io non so cos'è l'amore. Ho sempre vissuto al di sopra dei sentimenti. Ho sempre preferito una notte di passione rispetto a una vita di stupidaggini amorose. Non so spiegarti cos’è o dov’è. Ma c’è qualcosa da qualche parte in me che tutte le volte che ti vede vorrebbe urlarti che esisto. Forse era meglio prima, quando i sentimenti non mi toccavano, quando l’unica cosa che mi importava era sopravvivere.” dissi tutto d'un fiato.
Non guardai la sua reazione.
Preferii non vedere.
“Ti amo.” sussurrò ad un certo punto. “Ti amo quando sei una serpe e mi dici che sei quello sbagliato, ti amo quando entri nella mia sala comune e storci il naso, ti amo quando Blaise ti dice che ti sto guardando e tu ostinatamente fingi che non ti importa. Ti amo quando mi dici che per te è uno sforzo amarmi e ti amo adesso quando vorresti tornare quello di prima, prima di incontrare me.”.
Le sue parole mi trafissero come spade.
Di nuovo, avevo detto troppo.
Avevo riacceso il fuoco.
Mi voltai, la guardai di nuovo. Dovevo dirle addio.

“Non devi. E’ finita. E’ finita come tre mesi fa. Evitati altre sofferenze inutili.”.

Quasi non mi lasciò finire la frase. Annullò la distanza fra di noi e appoggiò le labbra sulle mie, per farmi tacere.
Era così vicina. Il suo profumo mi assaliva, frustandomi.
Rimasi legato alle sue labbra per qualche secondo, a respirare la sua stessa aria.
Poi mi slegai e la abbracciai.
“E' sbagliato.” sussurrai nascosto tra i suoi capelli.
Ero un debole, pensai sentendo la sua mano accarezzarmi i capelli.
Mi stavo arrendendo a Lei.

“Come facevi a preferire il vecchio Draco?”

“Io sono il vecchio Draco. E’ la tua presenza che mi altera.” le risposi ridendo, ormai totalmente soggiogato al suo profumo. “Non penso di avere il coraggio di lasciarti questa volta.”.

E la baciai, dopo tanto tempo.
Fu un bacio egoista.
Un bacio mio e solo mio.
Un bacio per me.
E non cercai di seguire il suo ritmo.
Mi feci rincorrere.
Perchè ero convinto che, anche quella volta, Lei mi avrebbe raggiunto.

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Capitolo 17
*** 17. Brandelli ***


Nota dell’autrice: con mia somma tristezza vedo le recensioni scendere di numero. Così, per riavvicinarvi alla lettura della mia storia, non solo ho pubblicato questo nuovo capitolo in fretta, ma ho anche continuato le Summer’s Chronicles (Qui)
Commentate numerosi!
Stay tuned!
 

17. Brandelli
 
Qualche ora dopo, era ancora notte, sentii delle zampe camminare sui miei piedi.
Era un grosso gufo, entrato da chissà dove.
Era Lei, pensai mettendomi seduto.
Srotolai la pergamena cercando di fare meno rumore possibile.
“Ladri. Tua madre è al San Mungo. Vieni subito.”
No.
Era uno scherzo.
Il foglio, lacero e coperto di quello che sembrava sangue rappreso, non diceva altro.
Mi alzai di scatto e mi diressi in sala comune, brancolando nel buio alla ricerca di abiti puliti.
Stavo finendo di allacciarmi la camicia quando il muro si aprì, rivelando un Lumacorno preoccupato.
“Figliolo” esordì un po' spaventato dalla mia presenza. “Io... tua madre..”
“Lo so, maledizione!” sibilai.
“Io.. certo. Andiamo allora.” mi disse indicando la porta.
“Io. Devo fare una cosa.”
Mi voltai e rientrai nella mia stanza, avvicinandomi al letto di Blaise.
“Blaise.” lo scossi con forza, svegliandolo di soprassalto.
“Che ore sono?”
“E' notte. Io me ne devo andare, Blaise. Devi dirle di non preoccuparsi, ok? E non deve scrivermi. Io tornerò.”
“A chi?”
“A Hermione. E' importante Blaise.” gli ripetei di nuovo.
“Si, stai attento, Dra.” grugnì voltandosi dall'altra parte.
 
Quando tornai in sala comune, Lumacorno era più tranquillo, ma comunque molto spaventato.
“Che è successo?”
“Non so molto.” disse quando fummo nel corridoio. “Degli Auror sono stati allertati dai vostri servitori babbani, hanno trovato tua madre nelle prigioni. Era molto debole. Non volevano che tu lo sapessi Draco, però...” tacque un secondo, giusto il tempo di superare due studenti “..è tua madre insomma. Hanno rubato i vostri tesori, ma visto la condizione della tua famiglia, a nessuno importava di cercare i malfattori.”
Eravamo già al portone, ma Lumacorno non sembrava intenzionato a lasciarmi andare.
“Come facevi a saperlo?” mi chiese prima di borbottare degli incantesimi sottovoce.
“Mi è arrivato un biglietto anonimo.”
“Deve essere stata Andromeda. E' già al San Mungo.”
“Ma lei viene con me?” gli chiesi quando ormai era inutile.
“Certo. Attaccati al mio braccio.”
 
Ci materializzammo fuori da un negozio abbandonato della Londra babbana ancora addormentata sotto il peso della notte.
Faceva freddo.
Entrammo dopo qualche parola scambiata con un manichino.
Nonostante l'accettazione fosse piena di gente, non badai a coloro che come al solito mi guardavano di traverso.
Salimmo alcuni piani, contai 100 scalini.
Ci fermammo davanti ad una stanza con la porta semi aperta. Al di fuori, in un'atmosfera a parte, in un mondo a parte, in un tempo tutto suo, un bambino dormiva in passeggino.
Dormiva, ignaro.
Dall'interno, solo sussurri.
Lumacorno si fermò un passo prima di me, sbirciando all'interno della stanza.
Lo guardai.
L'espressione sul suo volto non cambiò, intuii che dalla sua posizione non potesse vedere nulla.
Misi una mano sulla maniglia e lui si fece da parte.
Contemporaneamente, un'altra mano la prese dall'interno.
Andromeda Tonks, spaventosamente sporca di sangue, mi accolse con un mezzo sorriso bagnato di lacrime.
Non riuscii a chiederle nulla, l'aria intorno a me fu invasa da una folta chioma.
Con la visuale coperta, furono gli altri sensi a dirmi cosa stava succedendo.
Mi stringeva, con forza.
Sighiozzava sommessamente nel mio orecchio sinistro.
Il suo profumo di donna era mischiato con l'odore di sangue e di vento.
“Mi dispiace così tanto.” sussurrò tra le lacrime. “Andrà tutto bene.”.
Quando lasciò le mie braccia, mi sentii incredibilmente inadatto nel ruolo che lei, involontariamente, mi aveva appena affidato.
Ero l'unico uomo rimasto.
Mio padre, ad Azkaban, probabilmente non sapeva nulla.
Anche lui, come il piccolo Lupin, non apparteneva a questo mondo.
La consapevolezza di dover fare altri cinque passi al più presto, crebbe ogni secondo di più.
Alla fine mi decisi.
La stanza, affollata di guaritori e infermiere, sembrava minuscola.
Ogni superficie riluceva di un chiarore sinistro. Appoggiata ad una sedia, la camicia da notte di mia madre.
Lacera, bagnata, insanguinata.
Pezzi di pizzo scuciti pendevano qui e là, muovendosi secondo le correnti d'aria create dal continuo andirivieni dei guaritori.
Tra un camicie verde e l'altro, tra code di cavallo legate con vezzosi elastici e bacchette sguainate, intravidi mia madre.
Respirava lentamente.
Un respiro così debole da alzare a malapena il camice chiaro che le avevano messo indosso.
Era pallida e nonostante tutte le ferite fossero chiuse, piena di tagli rosa brillanti sulla pelle chiara.
Una guaritrice, bassa e grassoccia, notò la mia presenza.
“Sono la guaritrice Janis.” mi disse porgendomi una mano tozza.
“Draco Malfoy.”
“Tua madre le ha prese di brutto, stanotte. Ha perso molto sangue, però ci sono buone probabilità che si riprenda.”.
Il suo modo di parlare così spiccio e grezzo mi rincuorò. Sembrava una guaritrice capace e molto pratica.
“Non appena il guaritore Macdevis avrà finito di somministrarle la Rimpolpante, farò mettere delle poltrone. Potete rimanere quanto volete. Suo padre ha fatto molto per il San Mungo.” disse storcendo il naso, e io con lei.
“Guaritrice Janis.” la fermai prima che uscisse dalla porta. “Lei pensa che mio padre sia stato informato?”
“Temo di no, se vuole abbiamo dei guf..”
“No. Grazie per quello che ha fatto.”
La donna mi guardò sorpresa e lasciò la stanza, così come due infermiere molto giovani.
L'unico rimasto al capezzale di mia madre era un guaritore stempiato, con degli occhiali molto spessi. Le rimase accanto tenendole una mano, mentre con la bacchetta compiva complicati gesti sulle sue gambe.
Mi avvicinai di qualche passo, osservando la scena da dietro sue spalle.
Notai che mia madre, nonostante sembrasse svenuta, rispondeva alla stretta. Sulle sue mani magre e pallide si intravedevano le vene, che disegnavano degli arabeschi intorno alle dita.
L'anulare aveva una strana forma. Era molto arrossato, e nella parte più vicina al palmo era più stretto e liscio.
Mancava un anello, un anello che le avevano strappato con così tanta violenza da graffiargli il dito.
Non seppi perchè, ma quel dettaglio mi fece crollare.
Mi voltai verso la porta e chiusi gli occhi.
Mi accorsi di aver vissuto tutto ciò che era successo in uno stato di semi incredulità.
Quella era veramente mia madre.
L'avevano torturata, rinchiusa, derubata.
Ridotta a un sottile alito di vento.
“Lucius.”
Mi voltai asciugandomi una guancia.
“Madre, sono Draco.” le dissi avvicinandomi al letto.
“Amore.” sussurrò ancora alzando con fatica una mano, mentre una lacrima correva lungo la sua tempia per nascondersi tra i capelli arruffati.
Amore. Mia madre non mi aveva mai chiamato così.
Il guaritore ci lasciò soli e io presi la mano che mi porgeva.
“Ci sono qui io.” le dissi con un filo di voce. “Riposati adesso.”.
Annuì e tirò le labbra in un sorriso.
Rimasi in quella posizione, immobile, fino al suo risveglio.

 

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Capitolo 18
*** 18. Magie superiori ***


Nota dell’autrice: ciao a tutti! Nuovo capitolo.. Fortunatamente questa parte così triste è finita… dal prossimo capitolo vedremo un po’ di gioia e serenità! Non ne potevo più di scrivere tristezza.
Che dire? Commentate ragazzi e godetevi il weekend!
Stay tuned!
 

18. Magie superiori
 
Domenica mattina mi svegliai sulla poltrona che mi faceva da letto con la schiena dolorante. Mia madre dormiva praticamente sempre, e nei pochi momenti di veglia chiedeva sempre più insistentemente di mio padre.
Io vivevo in quella stanza, nonostante Andromeda più volte mi aveva invitato ad andare a dormire a casa sua.
Non me la sentivo di lasciarla da sola, ma non mi sentivo nemmeno in grado di avvisare mio padre. Mentre facevo questi pensieri, mi alzai e mi avvicinai al suo letto.
Era sveglia e con gli occhi velati fissava un punto non precisato del soffitto.
“Da quanto tempo sono in questo letto?” mi chiese con il solito filo di voce.
“Da giovedì notte, oggi è domenica.” gli risposi stiracchiandomi.
“Mmmh”
Si girò verso la finestra e una smorfia di dolore le attraversò il viso.
“Devi riposarti Draco, sei così pallido. Torna ad Hogwarts.” disse mettendoci tutta la voce che aveva, facendosi venire il fiatone.
“Il mio posto è qui.” gli ripetei per l'ennesima volta.
Era una scena che si ripeteva ogni volta che riusciva a riconoscermi. Era stata curata con molte pozioni diverse, che le annullavano il dolore ma le annebbiavano la mente, facendo perderle spesso la memoria.
Ero già pronto anche alla domanda successiva.
“Dov'è tuo padre?” chiese con un sussurro.
Non ebbi il tempo di rispondere, la porta si aprì di scatto.
Come un Patronus, mio padre apparì, circondato da nerboruti uomini con la bacchetta puntata sul suo petto.
Teneva i capelli legati ed era vestito con abiti verosimilmente babbani, puliti ma stropicciati.
Mia madre, che dava le spalle alla porta, non si era accorta della sua presenza e mi guardava cercando di capire cosa stesse succedendo.
“Narcissa.”
Mio padre fece il giro del letto e si inginocchiò accanto a lei.
“Che ti hanno fatto?” le chiese.
Non aspettai una risposta. Mi feci strada tra gli Auror che scortavano mio padre e uscii dalla stanza. Nel corridoio incontrai Andromeda con Teddy Lupin.
“E' arrivato tuo padre?” mi chiese la donna.
“Si. Sei stata tu ad informarlo?”
“No. Ho solo visto degli Auror qui sotto, temono che possa scappare. Come se in questo momento lui abbia un posto dove andare, se non qui con la sua famiglia.”
Non le risposi, la superai e mi diressi all'uscita, avevo bisogno di una boccata d'aria.
Quando alle mie spalle l'Atrium dell'ospedale si ritrasformò nel edificio babbano Purge & Dowse Ltd., mi sentii un po' meglio.
Non avevo voglia di parlare con mio padre, ne di assistere al suo incontro con mia madre. Sapevo che non si sarebbe potuto fermare e, di conseguenza, che l'avrebbe abbandonata di nuovo.
Quanto tempo sarebbe dovuto rimanere ad Azkaban? Chi si sarebbe preso cura di mia madre durante la convalescenza?
Forse avrei dovuto lasciare Hogwarts.
Forse non sarei tornato così in fretta come avevo promesso a Lei.
Chiusi gli occhi e me la immaginai nel giardino di Hogwarts, sola, con un libro in mano.
Forse Blaise non le aveva nemmeno riferito il messaggio.
Forse stava ancora cercando di capire dove fossi finito.
Mentre riflettevo, un'ombra scura oscurò il tiepido sole primaverile. Solo qualche secondo dopo mi accorsi che si trattava di un gufo.
Non un semplice gufo.
Un barbagianni, nero.
Devon.
“Devon.” lo chiamai, ricordandomi dopo di essere in una strada babbana, fortunatamente deserta.
Compresi che l'uccello mi aveva riconosciuto quando iniziò a planare dolcemente verso di me.
Gli offrii la mia spalla e lui vi si appoggiò velocemente. Sembrava molto stanco, doveva avermi cercato per ore.
Staccai dalla sua zampa un piccolo ritaglio di pergamena scritto dalla sua calligrafia, ma non feci in tempo a leggere il messaggio che dal negozio uscirono quattro Auror, seguiti a ruota da mio padre.
“Draco.” mi chiamò con la voce rotta. “Prenditi cura di tua madre.”
“Lo farò”
“Lo so che vi ho causato alcuni problemi, ma io l'ho fatto per voi.”
“Taci.” sibilai con violenza. “Hai già detto abbastanza.”
Lo vidi fare un passo verso di me, prima di essere bloccato dal braccio muscoloso di una guardia.
“Malfoy, non fare il furbo.” gli sussurrò.
“Non preoccupatevi, non sarò mai più un suo complice.” commentai facendo loro il gesto di andarsene.
Mio padre mi guardò un'ultima volta e si lasciò trascinare qualche metro più avanti, dove sparì insieme agli Auror.
Rimasi a guardare il punto in cui era scomparso qualche secondo, poi liberai Devon e rientrai nell'ospedale.
 
 

So cos’è successo. Mi dispiace tanto e sono con te. Torna presto. Ti amo.

Leggevo e rileggevo quelle poche parole, ogni volta con desiderio maggiore.
Avevo bisogno di rivederla.
Era passata una settimana da quella maledetta notte e mia madre stava per essere dimessa.
Le rilessi ancora una volta, fuori dalla stanza per qualche giorno mi aveva fatto da casa, mentre aspettavo che i guaritori finissero di spiegare a mia madre dosi e orari delle pozioni che doveva continuare a prendere.
“Te ne vai allora.” disse la curatrice Janis riportandomi alla realtà.
Annuii, rimettendo velocemente in tasca il biglietto di Hermione.
“Tua madre ha fatto dei grandi passi avanti.”
“E' merito vostro.”
“Penso che sia anche merito tuo e di tuo padre.” quando lo citò, mi voltai di scatto verso di lei, facendola sorridere. “Si, tuo padre. Forse sei troppo giovane per capirlo, però, da quando tuo padre è stato qui, lei ha ritrovato la forza. Quella luce nei suoi occhi. E' l'amore.”
“Mio padre l'ha abbandonata di nuovo. Questo non è amore.” le risposi a denti stretti.
“Ti sbagli. A volte, basta un solo minuto con la persona che si ama per cambiare le cose, per salvare una vita. Lo vedo tutti i giorni qui. Quando si è così fortunati da provare quel tipo di amore, si è protetti cento volte di più. Arriverà il momento anche per te, troverai la persona giusta in grado di farti raggiungere questa consapevolezza.”
Mi sorrise ancora e mi porse una mano.
“Mi ha fatto piacere conoscerti Draco, non sei così male come ti dipingono.”
“Grazie.” risposi con un sorriso amaro.
Mia madre mi raggiunse poco dopo, zoppicando ancora vistosamente.
“Solo ora mi rendo conto di quanto può essere utile avere un marito che colleziona bastoni da passeggio.” disse sorridendo al guaritore che la stava sorreggendo.
“Attaccati al mio braccio, mamma.”
Scendemmo le scale lentamente. Ad ogni passo, lento ma deciso, un sorriso più grande le si apriva in volto. Nonostante non glielo avessi chiesto, sapevo perchè era così felice. Aveva vinto il dolore, ce l'aveva fatta.
Allo stesso modo, conclusi ripensando alle parole di Janis, anche io ero felice. Nonostante la distanza, avevo un luogo dove tornare, una persona da riabbracciare, una consapevolezza da raggiungere.

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Capitolo 19
*** 19. Ritornare ***


Nota dell’autrice: Ciao a tutti! Finalmente un capitolo allegretto. Allegretto è una bella parola…
Commentate numerosi!
Stay tuned!

 

19. Ritornare
 
Dopo alcune ore passate tra Villa Malfoy e la casa di Andromeda Tonks, dove mia madre aveva deciso di trasferirsi per qualche tempo, decisi di tornare ad Hogwarts.
Era domenica e, se fossi stato fortunato, il mio ritorno avrebbe dato meno nell'occhio.
“Devi ripartire oggi stesso. Domani mattina sarai pronto per ricominciare la settimana.” mi disse mia madre mentre riempiva l'armadio della vecchia stanza della figlia di Andromeda.
La figlia di Andromeda, morta.
Mi ritornò alla mente quella ragazza. Sembrava così fragile, ma era diventata una Auror.
Fragile come Hermione.
Fu il desiderio di rivederla che mi convinse definitivamente a tornare.

Mi materializzai fuori dai cancelli della scuola e venni accolto dalla professoressa Sprite, che per tutto il tragitto mi raccontò l'importanza di raccogliere un certo tipo di pianta, di cui dimenticai subito il nome, nella giusta fase lunare.
“... se dovessi berla con la luna piena, ti crescerebbero delle zanne enormi, sai?”
mi chiese dopo qualche minuto.
“Si.” gli risposi totalmente ignaro di cosa stesse dicendo.
“Gli altri ragazzi sono a Hogsmeade, puoi lasciare le tue valige qui e raggiungerli.”
“Non importa. Preferisco portarle nella mia stanza.”
E così feci. La sala comune dei Serpeverde era semideserta, la maggior parte dei ragazzini troppo piccoli per la gita a Hogsmeade erano in giardino.
Appoggiai la borsa che conteneva i pochi abiti che mi erano stati inviati da Lumacorno e mi sdraiai sul letto.
Dovevano essere le quattro.
Rimasi per un po' in quella posizione.
Si stava decisamente comodi.
Stavo per addormentarmi quando mi ritornò alla mente perchè ero li, perchè desideravo così tanto tornare il quel luogo.
Lei.
Doveva essere in paese, mi dissi alzandomi e ripercorrendo la strada fino ai cancelli del castello.
Gazza mi guardò di sbieco, ma non disse nulla.
Aveva paura di me.
Non era cambiato niente ad Hogwarts.
Era passata una settimana, c'era da aspettarselo.
Tutto era rimasto immobile.
Come se mi stesse aspettando.
Anche il paesaggio, illuminato dal sole, era lo stesso.
Spazi immensi in confronto alla stanza in cui avevo vissuto in quei giorni.
Spazi immensi in confronto ad una prigione.
Hogwarts non era una prigione, tutto sommato.
Era più un ambiente protetto, qualcosa come una sfera di cristallo piena di anime e nebbie vorticanti.
Sbuffi di fumo e corpi impalpabili.
Le gambe andavano senza il mio controllo. Ero praticamente a metà strada quando la vidi, a braccetto con Potter.
Non ebbi il tempo per rendermi veramente conto che fosse veramente Lei.
Mi strinse, fu il suo profumo a salutarmi per primo.
Rimasi immobilizzato dalla forza di quell'aroma, poi lentamente risposi a quell'abbraccio.
Quando mi separai da lei, anche lui mi si avvicinò, gli occhi verdi puntati nei miei.
“Mi dispiace molto per quello che è successo a tua madre.” disse porgendomi una mano.

“Adesso sta molto meglio.” commentai io offrendogli la mia mano con sorpresa. Potter mi guardò facendomi un mezzo sorriso e di scatto si avvicinò al mio orecchio. “Ti aspetto in sala Grande.” mi sussurrò prima di salutare Hermione e lasciarci soli.

Quel suo gesto lasciò interdetta anche Hermione che, dopo averlo salutato, rimase immobile con lo sguardo perso nel vuoto.
Mi godetti per qualche istante la sua buffa espressione, poi la riportai sulla terra prendendola per un braccio.
“Hermione.”
La chiamai a me e la baciai.
Tante sensazioni diverse. Ogni volta mi sembrava di scoprirne una nuova.
Quel giorno era l'oblio.
Mi dimenticai in un secondo di essere in mezzo ad una strada.
Chiunque avrebbe potuto vederci.
Non me ne curai.
Lei fece lo stesso.
Mi godetti quel bacio a lungo, e quando mi separai dalle sue labbra, lei rimase a qualche centimetro da me, con gli occhi chiusi,
“Mi sei mancato.” mi sussurrò prima di aprirli.
Percorremmo la strada fino al castello parlando di mia madre, mantenendo una certa distanza.
Nonostante avessi una gran voglia di stare con lei, l'invito di Potter aveva destato in me una certa curiosità.
“Ho lasciato i bagagli in sala grande, sono appena tornato. Vediamoci tra mezz’ora davanti a Barnaba il Babbeo.”
Mentirle non mi piaceva, ma se le avessi detto la verità, sicuramente avrebbe avuto da ridire.
Annuì, ma non si mosse. Forse aveva capito tutto.
Le sorrisi e mi diressi verso la sala Grande.
Entrai chiudendo la porta alle mie spalle.
Potter mi aspettava seduto sul tavolo di Grifondoro, i piedi appoggiati alla panca.
“Che c'è?” gli chiesi tenendo il mio tono misurato. Non sembrava pronto ad aprire le ostilità. Mi guardò di nuovo e si alzò in piedi.
“Tu non mi piaci particolarmente. Credo che questo sia ovvio.” disse con un mezzo sorriso. “Però tua madre mi ha salvato la vita e io gliene sono grato. Per questo ho deciso di farti un regalo.”
“Di che si tratta?”
“Ti porterò nel dormitorio di Hermione. Conosco la parola d'ordine. Lo faccio anche per lei, soprattutto per lei. Lei ti ama, e io..” disse cercando di nuovo i miei occhi. “.. amo lei. Per questo, se tu dovessi farla soffrire in qualche modo, io ti troverò.”
“Dici sul serio? Tu mi stai dicendo che mi porterai da lei, in camera sua?” gli chiesi incredulo.
“Si.”
“Sai con chi stai parlando?” rincarai la dose.
“E tu, hai sentito cosa ti ho detto? Lei è una parte di me. Stai attento a quello che fai.”
Non aspettò una mia risposta, mi lanciò addosso il solito mantello polveroso.
“Mettitelo e non fiatare.” mi ordinò con un mezzo sorriso avvicinandosi alla porta.
“Potter.” lo richiamai con già una parte del corpo invisibile. “Ti devo un favore.”
“Puoi dirlo forte, amico.”
Salendo le scale dietro di lui, riascoltai nella mia testa quel discorso. Hermione era una parte di lui. Una parte che mi stavo prendendo senza permesso.
Chissà se un giorno se la sarebbe ripresa quella parte.
Quei Grifondoro erano davvero troppo complicati per i miei gusti.
Intanto, mi dissi mentre Potter parlava con il solito quadro, mi sarei goduto quella situazione il più possibile.

 

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Capitolo 20
*** 20. Due persone ***


Nota dell’autrice: BUONA PASQUA ragazzi! Ho veramente 5 minuti.. però ci tenevo a pubblicare questo capitolo che tengo nel “cassetto” da un paio di giorni!
Fatemi sapere che ne pensate!
Lo dedico a Domi, che ha fatto di tutto per rimettersi alla pari!
Stay tuned.



20. Due persone
 
Erano passati più di tre mesi, tre mesi in cui non avevo toccato nessun'altra, nonostante la voglia, nonostante le richieste sempre più esplicite ed intriganti che ogni sera mi venivano fatte. Ero così stanco di dire no a tutte quelle ragazze che passavo le ore più “calde”, quelle del dopocena, in giro per la scuola. Evitavo ogni sorta di tentazione. Come se avessi già preventivato che ci sarei cascato di nuovo, che non era finita.
Quando Hermione mi vide entrare in camera sua fece un'espressione tanto buffa quanto accecante.

“Cosa ci fai qui? Come hai f-fatto?” mi chiese. Era sul letto, in mano come al solito un libro.

Parlammo.
Mi gli raccontai che era successo, come ero arrivato li e come Potter mi aveva concesso quella fortuna. La ascoltavo a tratti, lasciavo che la mia bocca parlasse senza attenzione. Ero troppo concentrato sul suo corpo, che si muoveva aggraziato. Non importava. Sentivo il sangue ribollire nelle vene.
Hermione, taci.

“Scommetto tutti i miei vestiti che non l’hai nemmeno ringraziato.” mi disse quando fui abbastanza vicino. Era in ginocchio, sul letto, i capelli come al solito arruffati, la schiena inarcata. Le guardai il volto, gli occhi luminosi e una spruzzata di lentiggini quasi invisibili sotto la pelle arrossata dall'emozione. La baciai.

“Allora inizia a spogliarti.” Le dissi sfiorandole le spalle, le braccia, i fianchi. “Per chi mi hai preso? Per Draco Malfoy? L’ho ringraziato, in effetti era molto sorpreso.”.

Non se lo fece dire due volte e iniziò a togliersi i vestiti senza battere ciglio, cercando di sembrare sicura e disinvolta, tradendo l'imbarazzo mordendosi il labbro inferiore.
Rimasi come gelato. La sfiorai di nuovo, avvertendo sotto le mie dita i brividi che le attraversavano la schiena, le spalle.
La presi per mano, la cullai respirando il suo profumo. Avevo davanti la portata principale. Stavo aspettando che anche gli altri commensali la ricevessero, intanto però potevo godermi il vapore profumato che liberava e, soprattutto, la vista.
Quando mi resi conto che anche lei era pronta mi slacciai la camicia e salì sul piccolo letto a baldacchino.
Sapeva di vaniglia.
Ero entrato in una casa di bambola. Lei era ovunque.
Era soprattutto li, a guardarmi.
Chissà che pensava, pensai guardandola ancora un secondo negli occhi prima di farla mia.
Dopo una settimana come quella che avevo trascorso, in cui mantenere la calma era stata una regola da rispettare sempre e comunque, non fui in grado di fare altrettanto con Lei.
Riversai su di lei tutta la rabbia.
Lei non si spezzò.
Non era una bambola.
Dalla sua bocca uscì un versetto e mi guardò con occhi infuocati e imbarazzati.
Sorrisi e lei di rimando, ancorandosi ai miei capelli.
 
Una cosa strana.
Era strano.
Tutto era strano.
Mi rimisi i pantaloni e mi sdraiai di nuovo su quel letto.
Prima era sbagliato, ora solo strano.
Era un passo avanti.
La guardai rivestirsi lentamente, anche Lei con un'espressione meditabonda.

“Sei diverso.” mi disse risistemandosi sopra il mio petto. Era come se leggesse nel pensiero.

“Sono felice. E’ la prima volta della mia vita che lo dico sinceramente.” le risposi senza pensarci troppo.

“Oggi hai sorriso un sacco di volte, di solito per lo più ghigni.” disse facendo quella che doveva essere la mia imitazione.

Era una sorta di mezzo sorriso freddo.
Un ghigno alla Malfoy, pensai ridendo.
E non riuscii a smettere subito. Sentivo la sua testa rimbalzare sulle mie costole e le lacrime uscirmi dagli occhi.
Un'altra sensazione strana. L'ennesima.

“Sei strano.” commentò imbronciata quando finalmente riuscii a tornare serio.

“E’ una cosa negativa?”

“No, solo… E’ strano.”

“E’ come se vedessi la luce dopo tanto tempo. Mia madre sta bene e vivrà con sua sorella, non sarà più sola. Mio padre è ad Azkaban, ma non mi importa ora che so di quante cose mi ha privato. Ci sei tu, Hermione. E quando sto con te è come se indossassi un paio di occhiali magici: le persone mi sembrano molto più valorose e interessanti di quanto le consideravo prima. Mi fai star quasi simpatico Potter accidenti.”

“Ti amo Draco.”

Tutta l'euforia si spense.
Sapevo di amarla, eppure, non glielo dissi. Lasciai che il suo sussurro si spandesse nell'aria come incenso.
Le parole mi si bloccarono in gola, come una vergognosa confessione.
Rimasi fermo immobile, come se nella stanza si fosse appena materializzato un animale feroce, anche respirare mi sembrava troppo.
Passò un'eternità prima il contatto del mio torace con il freddo metallo del ciondolo che portava al collo mi riportasse alla realtà.
“Draco.”
“Si.” le risposi con un filo di voce.
“Perché ti comporti così solo con me?”
Dovevo proteggere almeno lei dai dubbi che mi attanagliavano.
“Ho un’immagine da mantenere.” risposi nel modo più convincente che potessi.
“Giovane ex seguace di Voldemort, purosangue convito strappato dalla fortuna da Azkaban è meglio di giovane studente con un brutto passato innamorato di me?”
“Può darsi. Non ti basta che io sia così con te?” le chiesi continuando a sorridere.
Si voltò verso di me, con gli occhi attraversati da un'ombra.
“A volte no.”
“E perché mai?”
“Draco, sono stufa di nascondermi.”
Stavamo parlando di due cose diverse, ma entrambi eravamo arrivati alla stessa conclusione.
Rendere pubblica la nostra storia sarebbe stato come esporla al giudizio di troppe persone. Avrebbero giudicato Lei, che era una buona, era una giusta. Sotto certi punti di vista era un'eroina.
Anche dovevo smetterla. Dovevo smetterla di nascondere il fatto che non sapevo più chi ero.
Mi alzai, presi le mie cose e le diedi un ultimo bacio.
Quando stavo per chiudere la porta, intercettai ancora una volta il suo sguardo.
Si stava intestardendo, come aveva fatto per quella stupida storia del “ne valeva la pena.”.
Stupida storia.
Ecco, di nuovo.
Potevo pensare a tutto ciò che stava succedendo definendolo “stupida storia”?
Ero lo stesso, eppure ero diverso.
Il vecchio Draco voleva godersi quella situazione finchè poteva.
Il nuovo Draco, voleva proteggerla da ogni sofferenza.
Questi pensieri mi accompagnarono fino alla sala comune.
Su un divano Astoria stava rileggendo una lunga pergamena tendendo una piuma tra le labbra.
“Buongiorno.” la salutai.
“Draco.” disse facendosi cadere la piuma sulla camicia, sporcandola. Rimasi imbambolato di fronte a lei, quasi mi aspettassi un abbraccio.
Idiota.
Lei non era una Grifondoro.
“Dov'è Blaise?”
“In infermeria. Miki si è scontrata con la Weasley durante la partita. La Chips l'ha rimessa in sesto, però ha bisogno di riposo.”
“E la Weasley?” gli chiesi istintivamente.
“E chi sei, Potter? Non lo so e non mi importa.” rispose stizzita. “Comunque io sto bene, grazie per avermelo chiesto. Bastardo.”
Mi lasciò solo, gli occhi degli altri Serpeverde puntati su di lei, che si alzò e teatralmente lasciò la stanza.
Mi guardai intorno, tutti erano tornati in un secondo a quello che stavano facendo. Non c'era bisogno di guardare anche la mia di faccia per capire chi aveva torto.
Io ero sempre il colpevole.
E non avevano tutti i torti.

 

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Capitolo 21
*** 21. Il buono e il cattivo ***


Nota dell’autrice: ciao a tutti! Questo nuovo capitolo ci offre un po’ di azione.. E anche dei punti di vista inaspettati, perché no?
Sinceramente non sono molto convinta di alcune parti, quindi leggerò ancora più volentieri del solito le vostre recensioni.


Ah, un’ultima cosa: non so come funzioni in realtà, però ho scoperto il tasto “indica per le scelte”. Da quello che ho capito è un modo per richiamare l’attenzione dell’amministrazione e per farle inserire nelle “Scelte”, cioè le migliori.

Per farla breve: se amate the Afterlife o avete amato The Life After, indicatele! Mi farebbe davvero molto piacere!

Stay tuned!


21. Il buono e il cattivo


Quando entrai in infermeria, qualche minuto dopo, mi sembrò di aver interrotto una festa. Le risate che avevo sentito dal corridoio si erano spente in un secondo.
Salutai tutti, senza distinzioni. C'era anche Hermione.
Non mi guardò, era troppo concentrata in un dialogo di sguardi con Potter.
Mi sedetti accanto al letto di Michelle, con Blaise.
Sul suo comodino erano stipate scatole e sacchetti di caramelle, cioccorane, biscotti.
“Prendi pure, se vuoi. Se mangio ancora qualcosa scoppio.” mi disse Michelle commentando il mio sguardo vorace.
Le feci un cenno di ringraziamento e presi uno Zenzerotto.
“Metti giù quel biscotto.” mi ringhiò qualcuno dietro la schiena. Un ringhio così fastidioso che poteva venire solo da una persona: Lenticchia.
Mi voltai verso di lui, il biscotto ancora tra le dita, indeciso.
“Non è un problema, Ron, faglielo mangiare.” commentò la rossa.
“Non credevo fossero tuoi Weasley, a quanto pare tuo fratello si scalda facilmente.” dissi sprezzante, rimettendo però il biscotto nella scatola, guardando con la coda dell'occhio Hermione.
Weasley richiamò la mia attenzione alzandosi in piedi, la mano sulla bacchetta.
“Vuoi vedere cosa succede quando mi scaldo Malfoy?”
Fantastico, era in vena di duellare.
Mi guardai intorno, cercando un modo per evitare a quell'idiota di farsi male. Se solo Lei se ne fosse andata, accidenti. L'avrei appeso fuori dalla torre di Astronomia in un secondo. Ma Lei era li, a mordersi nervosamente le labbra.
La vidi muoversi di qualche millimentro, ma Potter la nascose alla mia vista frapponendosi tra me e Lenticchia.
“Ron, calmati.”.
Weasley fece l'esatto opposto. Vidi le sue orecchie colorarsi lentamente, mimetizzarsi con i suoi capelli, poi diventare ancora più scure.
“Dovrebbe calmarsi lui invece. Chi ti credi di essere Malfoy? Sei un...”
“Ron, è un biscotto.” lo interruppe Lei, usando un tono dolce, un tono che Weasley non meritava.
“Lascialo finire Granger, sono curioso.”. Non la guardai, non riuscivo a guardarla e parlarle in quel modo, non più.
“Non usare quel tono con lei.”
“Ron, smettila ti prego.” lo pregò Lei, di nuovo.
La guardai e lei mi lanciò un'occhiataccia. Era incredula.
Un secondo dopo, Weasley sfoderò la bacchetta, e io con lui.
Nei pochi centimetri che ci separavano, si sistemarono uno dietro l'altro Potter, Hermione e Blaise.
“Non fare stronzate.” mi sussurrò quest'ultimo.
“Non è colpa mia.”
“Lo so. Ma non esagerare.”
Durante la nostra conversazione, Madama Chips sbucò da non so dove, sbraitando come una vecchia ciabatta.
Forse era il momento buono per finirla.
Uscii per ultimo dall'infermeria, lo sguardo già puntato ai pochi metri di corridoio che mi dividevano dalle scale.
Solo qualche istante dopo, mi accorsi che Weasley non era della mia stessa idea.
“Che altro vuoi Weasley?”

“Che altro voglio? Sei un ragazzino fortunato Malfoy. Nonostante tutto quello che hai fatto, nonostante tutto il dolore che hai causato le persone ti regalano i biscotti. Ho intenzione di farti sapere cosa ne penso io.” disse ringhiando ancora, più animale che umano.

Era così furioso da non sembrare nemmeno lui, Lenticchia l'idiota.
Non c'era scelta. Mi misi difronte a lui mantenendo la posizione di difesa.
Potter mi seguì con lo sguardo.
“Ron, non ne vale la pena.” disse in tono così rassegnato da sembrare falso.
Il duello iniziò.
Weasley non era un grande combattente. Mentre paravo senza difficoltà i suoi colpi, sgraziati e prevedibili, mi ritornarono alla mente le parole che il Signore Oscuro mi aveva detto in uno dei rari colloqui che avevo avuto faccia a faccia con lui.
“Sai Draco, perchè i buoni hanno paura dei cattivi? La rabbia. Vedi, loro credono di essere migliori di noi, portano appuntati al mantello tutti i loro buoni sentimenti, l'amore. Ma quando arrabbiano, non ci vedono più. E' tutta una facciata. Credi che il vecchio Silente sia sempre così? Chiedilo a quello svitato di suo fratello, salvo che Albus non l'abbia rinchiuso da qualche parte, per amore, ovviamente. Chiedigli se anche lui, il buono dei buoni, non si fa accecare dalla rabbia. Quando ti troverai davanti un buono, lo capirai subito. La rabbia si impossesserà di lui, rendendolo vulnerabile. La rabbia è una nostra alleata.”
Weasley era un buono.
Mi lanciava incantesimi così corrotti dalla rabbia da mancarmi di qualche metro.
Stavo veramente combattendo contro un cieco.
Cercai di non rispondere per un po', mantenendo la calma.
Poi vidi Hermione muoversi di mezzo passo.
Lui non si fermò.
Avrebbe colpito anche Lei, pur di farmi del male.
Era giunto il momento di rispondere ai suoi attacchi.
Dovevo stare calmo, nonostante la voglia sempre crescente di farlo a pezzi.
Ma fare a pezzi un buono, mi avrebbe fatto apparire per l'ennesima volta il cattivo.
Per una volta che..
“Draco, ti prego.”
La sua voce mi arrivò come distorta, qualcuno doveva aver creato uno Scudo. Mi voltai verso di Lei, percependo un dolore acuto alla guancia, sentendo il sangue scorrere sul volto.
Weasley fece una risatina soddisfatta.
“Cos'è, adesso la ascolti? Ascolti la.. com'era? Sudicia Mezzosangue?”
“RON!” urlò Lei, precipitandosi verso di lui. “Smettila ti prego.” lo implorò per l'ennesima volta, sbattendo i pugni sul suo petto, in lacrime.
L'espressione di Weasley si rilassò. Sembrava fosse stato fino a quel momento sotto la maledizione Imperius.
In un mondo parallelo, diverso, forse più favorevole alla mia storia con Hermione, uno sconosciuto, incappato in quella scena per sbaglio mi avrebbe indicato come il buono.
Draco il buono.
Ronald Weasley il cattivo, che non degnava di uno sguardo la sua amata, che piangeva sul suo petto.
..un secondo.
Lei era mia, pensai avvicinandomi a Hermione e mettendole una mano sulla spalla, allontandola da lui.

“I tempi sono cambiati Weasley, rimarresti sorpreso di sapere quanto lo sono. Non avevo intenzione di duellare per un biscotto, ma se desideri uccidermi o farmi del male, conviene che tu mi venga a cercare da solo. Qui ci sono troppe persone con ancora un po’ di buon senso che potrebbero fermarci.” gli dissi senza tanti giri di parole. Ad ogni movimento del volto il taglio bruciava e il sangue che perdeva aumentava.

Weasley non rispose. Rimasi a fissarlo per qualche secondo, fin quando la Lovegood non si avvicinò puntandomi la bacchetta sulla guancia.
Il dolore scomparve immediatamente, lasciandomi una sensazione di tepore benefico.
“Grazie.” le sussurrai guardandola un secondo negli occhi chiari.
Mi voltai senza aggiungere altro.
Senza guardare lui, Lei, Potter.
Rendere pubblica la nostra storia era una follia.
Doveva capirlo.

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Capitolo 22
*** 22. Voci di corridoio ***


Nota dell’autrice: E’ tardi e sono stanca morta. Ma per voi questo ed altro.  Grazie a Ayumi e Bella_Cissy_Blacksisters per avermi segnalata per le scelte. Continuate a recensire!

A questo punto vado a dormire!
Stay tuned!

 

22. Voci di corridoio

 

Gli esami. Non ci pensavo spesso, non abbastanza. Però gli esami si stavano avvicinando. Me ne accorgevo ogni giorno di più, trovando al posto delle solite coppiette appartate qui e la per il giardino, piccoli gruppi di studio, intenti a trasfigurare tazzine da the o a ripetere le proprietà di qualche strano ingrediente.

Anche la sera dopo il mio duello con Weasley, lasciando la sala comune, mi sentii quasi in colpa di non aver iniziato ancora a studiare.

Incontrai casualmente Hermione in biblioteca con Potter, che appena mi vide borbottò a mezza voce una scusa per lasciarci soli.

“Che ci fai qui?” mi sussurrò guardandosi intorno.

“Senti, Granger, non è colpa mia se Lumacorno ci ha affidato un lavoro in coppia. Quindi non iniziare a fare la secchiona con me.” dissi cercando di farmi sentire da tutti i presenti, che dopo averci scrutato per un secondo, tornarono chini sui libri.

“Non sapevo fossi qui.” ripresi a voce bassa.

“Capisco. Senti, riguardo a ieri..”

“So già cosa stai per dirmi.” la interruppi “Non è stata colpa mia.”

“Lo so, lo so. Però.. Magari se ti dimostrassi disposto ad accettare le sue scuse.. o a scusarti...” lasciò la frase incompleta, guardandomi con uno sguardo dolce ma altrettanto furbo.

“Hermione, seriamente. Non ho niente di cui scusarmi e credo che se sei arrivata a questo punto, Weasley sia della mia stessa idea. Io non l'ho attaccato di mia spontanea volontà eppure ” dissi passandomi un dito sul taglio rimarginato sulla mia guancia “passo dalla parte del torto.”

“No, ti sbagli. H-hai ragione, però.. se vogliamo rendere pubblica la nostra storia..”

“Ancora? Vuoi che mi faccia uccidere per farti capire che è una follia?” le chiesi alzandomi in piedi, spazientito.

Alcuni studenti si voltarono verso di noi vedendo il mio gesto. Hermione si guardò intorno e mi guardò come avrebbe guardato il suo peggior nemico.

“Risolviamola fuori di qui questa situazione.” disse a denti stretti, alzandosi a sua volta e dirigendosi verso la porta.

 

“Hai ragione.” sbottò imbronciata appena il portone della biblioteca si chiuse dietro di noi.

“Lo so.”

“Ron è un testone.” disse con un mezzo sorriso, avvicinandosi a me.

“Mi ha attaccato gratuitamente, non merita il mio rispetto.”

“Beh, se la metti su questo piano, nemmeno tu meriti il suo. Per quello che sei davanti a lui, ovviamente.” si affrettò ad aggiungere. “Io so che non sei più lo stesso, vorrei che lo sapessero anche gli altri.”

Detto questo si guardò intorno e mi baciò.

“Ti va di fare un giro?” mi chiese qualche secondo dopo.

“Sono stanco, me ne vado a letto.”

La lasciai li, immobile. Non che io non avessi voglia di stare con lei. Ma quel discorso, lo lessi nei suoi occhi, non era finito. E la mia posizione non sarebbe cambiata.

La mia risposta la sorprese. Spalancò gli occhi, ma sorrise.

“Allora buona notte.” mi sussurrò scoccandomi un bacio sulla guancia.

 

I giorni successivi ci fu quasi impossibile vederci. La mia pazienza resse fino a domenica, quando iniziai a cercarla passando il castello palmo a palmo.

Sapevo che era stata convocata dalla McGrannit per qualche motivo.

La intravidi entrare nell'ufficio della preside con Potter e Lenticchia.

Chiacchieravano animatamente. Lenticchia si lagnava di qualcosa.

Aspettai davanti ai gargoyle un po'.

“Signor Malfoy, ha bisogno?” mi chiese proprio la preside, arrivando trafelata da uno dei corridoi che conducevano al suo studio.

“No.” risposi asciutto. Mi voltai e ripresi la strada da dove ero venuto, lasciandola sola con uno sguardo confuso.

Passò un'ora, forse di meno, che la trovai sotto alla grande quercia davanti al Lago Nero.

“Hermione?” le sussurrai guardandomi intorno. Tutti erano troppo concentrati sulla bella giornata di sole per badare a noi.

Lei trasalì e si voltò di scatto, trasformando la sua espressione stizzita in un mezzo sorriso.

“Hey”

“Che ti ha detto la McGrannit?”

“Dovrò fare il discorso finale alla consegna dei diplomi.”. Sembrava vagamente entusiasta, ma anche intimorita.

“E' fantastico. Ne parliamo stasera? Aula di Storia della Magia, dopo cena.”

Sorrisi, cercando di essere entusiasta quanto Lei.

Ma, guardandola negli occhi mentre annuiva, compresi che era pronta per sferrarmi un altro attacco.

 

“Dove sei stato fino ad ora?”

Incontrai Blaise a metà del corridoio, solo con un libro in mano.

“Da Hermione.”

“Che è quella faccia?”

“Niente.” gli dissi voltandomi verso la pietra nuda.

Camminando fianco a fianco per un po', in silenzio.

“La tua donna fa i capricci?” chiese svoltato l'ennesimo angolo.

“Blaise.”

“No, seriamente. Hai una faccia tremenda. Cos'è, la Granger ti lascia a stecchetto?” rincarò la dose fermandosi di fronte a me, bloccandomi la strada, un sorriso spavaldo stampato sulla solita faccia da schiaffi.

“No, la mia donna” sottolineai le parole facendo delle virgolette per aria “non mi lascia a stecchetto. Anzi io e Hermione...”

“Hermione Granger?”

Mi voltai lentamente verso la voce incredula che avevo sentito alle mie spalle.

Astoria.

“Stai con la Granger?” mi chiese prendendomi per il colletto della camicia, nonostante fosse una spanna più bassa di me. “La Granger? Tu, idiota, traditore del tuo sangue. TU!”

“Tori calmati.” disse cauto Blaise.

“Zitto tu.”

Mi liberai con un gesto brusco dalle mani tremanti di Astoria.

“Non sono fatti tuoi Astoria.”

“M-ma io...”

“No, tu no. Tu non sei niente. Tu non c'entri niente. Non è affar tuo con chi sto. Lasciami in pace.”

Mi guardò ancora una volta, poi mi tirò uno schiaffo.

“Spero che tu sia felice con la feccia. La Granger, Draco. Quando lo saprà..”

“Chi, chi lo saprà? Il Signore Oscuro? Mio padre? Si, sto con lei, da mesi.”

“Calmatevi.” urlò Blaise dividendoci.

Astoria ansimava, il petto le si alzava con ritmo sempre maggiore. L'avrei trovato sensuale tempo prima. Mi voltai stizzito, come per allontanarmi da quella situazione.

“Sapete che c'è? Dovete fottervi, entrambi. Tanto come ti è venuta questa passione per le mezzosangue ti passerà e le spezzerai il cuore.”

Non aggiunse altro, girò i tacchi e se ne andò.

“Donne, Dra. Lasciala stare.”

Anche lui se ne andò.

Essere lasciato in un corridoio da solo era ormai un'abitudine.

Sbuffai, diedi un calcio ad un'armatura, imprecai.

“Allora è vero, anche le Serpi ogni tanto dimostrano un po' di coraggio.”

Potter passò dietro alle mie spalle, sussurrando così piano da farmi dubitare di aver sentito davvero quelle parole.

Mi voltai giusto in tempo di vedere un sorriso sghembo sulle sue labbra.

 

 

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Capitolo 23
*** 23. L'Aldilà ***


Note dell’autrice: Lettori miei, mi mancavate. Eh si, ho scritto il nuovo capitolo, lungo come piace a tanti di voi. E’ pieno di avvenimenti e di ragionamenti. Mi piace, sono soddisfatta.

Io spero vi piaccia.

Fatemi sapere che ne pensate!

Stay tuned!

 

23. L’Aldilà

 

Quando qualche ora dopo entrai nell'aula di Storia della Magia Lei era già là, seduta sulla cattedra a gambe incrociate.

Si voltò verso di me e sorrise.
“Buonasera” le dissi prima di baciarla. Non appena le sfiorai le labbra fui colto da un'ondata di desiderio difficilmente controllabile.
“Tutto bene?” mi chiese.
Cercai di nascondere l'impazienza con un neutro “Si. Tu?”
Rispose. Non ascoltai le sue parole, ero troppo concentrato su di Lei, sul suo collo. Solo la parola “parlare” mi risvegliò dal mio sogno ad occhi aperti.
“Proprio ora? Non possiamo prima..”
Mi fiondai sul suo collo, avido del suo profumo. Lei si irrigidì all'istante, un po' statua e un po' fiore.
“No, proprio ora.” mi rispose con la voce ferma, nonostante stessi facendo del mio meglio per persuaderla.
Mi chiamò, forse più volte. Alla fine capitolai sbuffando.
“Ok, che c'è?” la già poca voglia di fingere interesse nel suo discorso scomparve in un secondo.
“Ho intenzione di dire a Ron che stiamo insieme. Lo farò il prima possibile.”

“Stai scherzando vero?” le risposi di getto appoggiandomi alle sue gambe.

“No. Sono seria.”.

Lo era, eccome. Per l'occasione aveva sfoderato il miglior cipiglio da sottutto dei tempi d'oro.

“Tu sei pazza, Hermione.” dissi tirando fuori uno dei miei sguardi più duri. Forse sarebbe bastato quello per farla tornare sui suoi passi.

Rimanemmo qualche secondo in silenzio, a studiarci.
“Non era una domanda la mia comunque. Volevo solo avvisarti.”
Il fuoco ardente di desiderio si trasformò in rabbia, poi in frustrazione, poi ancora in rabbia. Lei colse qualcosa: vidi il sorrisino vincente che si era stampata in faccia appiattirsi.
“E se non ci fosse più niente da dire a Weasley?” le ringhiai in faccia.
“Vuoi lasciarmi?” era incredula. “Mi stai lasciando Draco Malfoy?” ripetè scuotendo la testa.
“No.”
Non quello. Non volevo lasciarla.
Solo, era incontrollabile.
Faceva sempre di testa sua.
“Non quello maledizione. Solo che se lui viene a sapere di noi due, poi lo sapranno tutti.” mi voltai, come per andarmene.
“Io voglio proprio quello.”

“Ma sarebbe un casino.”

“Per la tua reputazione? Ti vergogni di me?” quasi urlò, la sua voce mi scosse da dentro. Dovevo mettere in chiaro delle cose, dovevo farlo il prima possibile.

“La mia reputazione non conta. Ma la tua Hermione… Hai salvato il mondo per la barba di merlino e ti metti con un Mangiamorte. Lo so che cosa stai per dire, che sono ripetitivo. Ma sembra che queste cose non ti entrino in testa. Vuoi essere guardata con disprezzo? Vuoi che la gente sia felice quando vieni ferita, quando i ladri ti svaligiano casa e ti cruciano?”

Cercò di interrompermi, la feci tacere.
Bisognava che qualcuno le ricordasse chi ero.
E maledizione, ero sempre io quel qualcuno.
“Io voglio stare con te. Ho superato un sacco di prove Draco. Sai cosa è successo. Eri li quando Bellatrix Lestrange mi ha torturata. Non ho paura di quello che succederà. Harry ha capito, Ron non sarà da meno. I miei genitori non sanno nemmeno chi sei, con loro sarà facile da partire da zero. Del resto non mi importa, quello che pensano gli altri è secondario”.
Aveva gli occhi lucidi e il labbro gonfio, tanto se l'era morso. Cercai di ricordare il suo volto quel giorno, quando zia Bella aveva giocato con il suo corpo. Era tutto così nebuloso davanti alla sua presenza ora, davanti a me. Come se tutto quello che c'era prima si era stretto in un angolo, per lasciare il posto a questa nuova strana situazione.
Vidi le sue spalle rilassarsi, come se avesse lasciato cadere un grosso peso.
Ci teneva, era chiaro.
Una guerra di logoramento, fatta di tante piccole battaglie.
Soppesai le sue parole di nuovo.
Accettare significava esporla.
E non erano i giudizi a contare, erano le reazioni.
L'immagine di zia Bella che infieriva sul suo corpo mi ritornò davanti. La scacciai con un braccio.
“Va bene. Ad una condizione.”
“Sarebbe?”

“Se ha una reazione violenta ho il permesso di farlo a pezzi.”

La seconda condizione la dettò Lei: basta parole.
Mi avvicinò a Lei con uno di quei gesti forti che solo Lei poteva farmi apprezzare.
“Penseranno che ti sto soggiogando con la Maledizione Imperius.” le dissi tra un bacio e l'altro.

“Dimostrerò che sono nel pieno delle mie f-facoltà.”

Era percorsa tra i brividi, sentivo sotto le dita la pelle d'oca sulle sue gambe.

“La metà degli studenti non ti saluterà più nei corridoi.” riprovai, cercando di mantenere una certa attenzione.

“Poco male, prima o poi avranno di nuovo bisogno dei miei appunti.” disse, le dita affusolate già sulla fibbia della mia cintura.

“E i professori? La McGrannit..” la chiamai per nome, quasi a volerla fermare. “cosa penserà?”

“Silente è dalla nostra parte, capiranno. Dobbiamo parlarne proprio ora? Non possiamo…” disse queste ultime parole guardandomi negli occhi, imitando la mia voce.

“Come vuoi.”

Sorrisi, rimasi qualche secondo a sentire il calore emanato dalla sua pelle e poi mi lasciai andare.
La scrivania scricchiolava in modo ritmato, una musica sinistra che si mischiava con i nostri respiri affannati.
Tenne gli occhi chiusi e per questo quando gli aprì fui quasi accecato dalla loro luce.
Erano dettagli minimi, improvvisamente diventati fondamentali.
Come il lento scorrere delle sue dita sui bottoni della camicia o la strana posizione che prendevano i suoi capelli mentre in qualche modo cercava di ordinarli.

“Finalmente avrò anche io un posto strano dove ho fatto l’amore.” commentò continuando a sistemarsi, lo sguardo rivolto verso l'alto.

“Perchè, qualcuno te l'ha mai chiesto?”

“Ma si, nei discorsi tra amiche ogni tanto se ne parla.”

“E tu cosa rispondevi?”

Non rispose subito alla mia domanda. Mi osservò per un secondo, le mani sul nodo della cravatta, la bocca semiaperta.
Mi chiesi a cosa stesse pensando.

“Il bagno della Tana, la casa di Ron. Tu?”

Pensava a Weasley. Strinsi entrambi i pugni e scossi le spalle.
Lei lo notò e mi sfiorò con una mano.

“L’ufficio della Umbridge.”

Una piccola vendetta.
Hermione spalancò gli occhi.
Bastava quello.
“Ma si, io e Pansy eravamo in perlustrazione per la Squadra d’Inquisizione e l’ufficio era aperto. Che schifo quei gattini guardoni, mi hanno ucciso il desiderio.”.
Una buffa espressione le attraversò il viso mentre con un dito si tamburellava il mento.
“Con quante ragazze sei andato a letto?”
Tante, Hermione.

“Ma che domande fai? L’importante è la qualità.” commentai strattonandola verso la porta.

Era successo tutto nella mia vita precedente.
Ora io ero nel mio aldilà.
E quella ragazza imbronciata che mi stava davanti aspettandosi una risposta migliore, era una parte fondamentale di quel nuovo mondo.
“E' tardi Hermione.”
La baciai, aprii la porta e vidi degli occhi castani guardarmi e spalancarsi.
“Ma quello non era Malfoy?”
Ginny Wealsey chiese al suo accompagnatore.
“Quello chi?” rispose lui, mentendo in modo goffo. Guardai Hermione, gelata mezzo passo dietro di me.

“Dai Harry, quello che è sbucato dalla porta.” riprese lei.

Trattenni il respiro, sperando che Potter non facesse un casino.

“Non ho visto proprio niente. Sbrighiamoci, o Gazza ci troverà.” la liquidò lui.

“Sarà”
Passarono proprio accanto alla porta e finchè il rumore dei loro passi non fu scomparso, trattenemmo entrambi il respiro.

“Forse è l’ultima sera che dobbiamo nasconderci così” sussurrò continuando ad ascoltare il silenzio proveniente dall'esterno.

Uscendo dalla stanza, quel silenzio mi diede un pugno nello stomaco.
Solo in quel momento mi resi conto di quello che stava per succedere.
Le stavo rovinando la vita.
E se Lei avesse avuto bisogno di un aldilà, io avrei dovuto lasciarla andare.

  

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Capitolo 24
*** 24. Isabel ***


Nota dell’autrice: questo capitolo è lunghissimo, lo so. Però ho voluto inserire un pezzo di storia che Hermione non può sapere. Un episodio della vita di Draco, dolce e che fa riflettere. Continuate a commentare e a dirmi che ne pensate! Ma voi che avreste fatto al posto di Draco?
Stay tuned!
 

 


24. Isabel

 
“Paciock, elleboro, non centinodia.”
Eravamo davanti all'armadio delle scorte, io e Paciock.
Mi guardò spaventato, come se avessi parlato in una lingua sconosciuta e spaventosa.
“Hai in mano l'ingrediente sbagliato.” dissi più lentamente, indicando il contenitore che teneva stretto nelle dita paffute.
Aprì e chiuse la bocca, si sporse dall'anta dell'armadio per riguardare gli ingredienti della pozione scritta alla lavagna.
“Hai ragione.” esclamò incredulo.
“Si, Paciock. Lo so di aver ragione. E' un'ora che tento di spiegartelo.”
Una situazione surreale.
Se ne rese conto, ovviamente in ritardo, anche lui.
Rimise la centinodia sul ripiano da dove l'aveva presa e cercò l'elleboro.
“G-grazie.” farfugliò mostrandomi compiaciuto l'ingrediente giusto.
Guardai per un secondo quei lineamenti tozzi e mi resi conto di quanto tempo era passato.
Quante cose erano cambiate. Tornai al mio posto senza voltarmi verso Hermione.
 
Non la vidi nei due giorni seguenti. Passai entrambe le serate come i vecchi tempi, tra i Serpeverde.
“Sei ubriaco Dra?”
“Non abbastanza da non vedere che sei in mutande.”
Blaise procedeva lentamente, solo una coperta sulle spalle.
Mi ero seduto in giardino, in compagnia di una bottiglia di idromele.
Era notte fonda, di tanto in tanto qualche raggio di luna riusciva a penetrare la spessa coltre di nuvole scure che minacciavano pioggia.
Ogni tanto, un lampo lontano, mi ricordava che c'era qualcosa ad di fuori di Hogwarts, al di fuori di quel giardino, al di fuori di quella bottiglia di idromele.
Su quel qualcos'altro stanotte pioveva.
Mentre la mia mente offuscata dall'alcool vagava nel cielo, Blaise si sedette, cercando invano di far stare tutto il suo corpo al caldo.
“Che ci fai qui solo?” mi chiese litigando con un lembo della coperta.
“Non ho sonno.”
“L'avevo capito. E l'idromele?”
“Nemmeno l'idromele ha sonno, Blaise.”
“Non è quello che intendevo.”
“Lo so.”
Ci guardammo per qualche secondo, poi tornammo alle nostre meditazioni personali. Poco lontano un gufo bubbolò.
“La vedi quella finestra?” dissi dopo un sorso di idromele indicando un rettangolo di luce su una delle torri. “Stanotte, neanche lei sta dormendo.”
“E' la luce della sala comune quella. I dormitori sono tutti spenti. Come fai a saperlo?”
“Lo so. Lei gli sta dicendo che siamo insieme. Lo sta dicendo a lui.”
“Esplicitare un soggetto ogni tanto non è peccato.” commentò strappandomi la bottiglia dalle mani.
“Da quando usi il verbo “esplicitare”?”
“Da quando sei diventato un adepto della Cooman?”
“Mmh.”
Per qualche minuto fu il resto a parlare. Il rumore del vento tra le foglie, il passo di qualche animale selvatico, lo scorrere lento e regolare dell'idromele nella gola di Blaise, il gorgogliare del mio stomaco.
“Weasley. E' lui, intendo. Il soggetto.” disse asciugandosi la bocca con il dorso della mano.
“Si.”
“Beh, io non penso sia un male. Alla fine prima o poi lo verranno a sapere tutti. Dai, Dra. Eri una serpe, adesso sei un gattino. Guarda come parli, sei un poeta.”
Rise, a lungo.
Mi diede il tempo di bere un altro po'.
Mi chiesi se il bruciare che sentivo all'altezza dello stomaco fosse causato dall'alcool o da quella situazione, da quelle parole.
“Un poeta, dici. E' un casino.”
“Lo so Dra. Però che palle. Non sei ancora stufo di questa lagna da tragedia?Ogni volta che potresti fare qualcosa di positivo sia per te che per qualcun altro, decidi di ferire entrambi. E usi sempre la solita giustificazione che sei nato così: tu non sei nato niente, non credi in queste idee. Eppure segui queste regole idiote come se fossero state scritte per te. Te la ricordi la piccola babbana?”
“Blaise.” lo interruppi di scatto. “Isabel, quella babbana, sta meglio così. Non è la stessa cosa. Non c'entra niente, quella era un'altra storia. Lei era troppo piccola per capire che la mia era la scelta migliore.”
“Pfff. Stronzate. La ragazzina ti aveva chiesto solo una cosa. Io ho visto che tu l'avresti fatto. L'ho visto nei tuoi occhi, Dra. Volevi anche tu quello che ti aveva chiesto. Ti avrebbe reso felice. Tu non sei un cattivo, sei solo un debole.”

Mentre parlava la mente mi tornò a quello strano incontro.
Un giorno, durante la mia prigionia forzata a Villa Malfoy, dei ghermidori portarono una donna con sua figlia. Dicevano che erano delle Maghenò. Era così ovvio che non sapessero nulla della magia. Erano impaurite, ma soprattutto incredule.
Zia Bella non era in casa, così mia madre diede ai loro carcerieri qualche galeone guardandoli con disprezzo.
“Signora, lei sa perchè ci hanno rapito?” chiese la donna babbana a mia madre, che al sentirsi chiamare “signora” si aprì in un raro sorriso.
“Vi hanno confuse per qualcun altro. Mi dispiace. Porti sua figlia in salotto, sembra molto scossa.”
“Non è mia figlia. Era già con loro quando hanno preso me.” commentò guardando la bambina e alzando le spalle.
“Dove sono i tuoi genitori?” le chiese allora mia madre.
Lei scosse la testa, lasciando che due boccoli biondi le passassero davanti agli occhi.
Avrà avuto sette o otto anni. Assomigliava tanto ad una di quelle inquietanti bambole di porcellana. Aveva indosso degli abiti babbani da cerimonia e le mancava una scarpa.
Rimasero nelle nostre celle circa un mese. Se non ci fosse stata mia madre probabilmente sarebbero morte di fame. Nessuno badava a loro, nessuno aveva intenzione di interrogarle.
Durante la loro permanenza, mi accorsi che la bambina non parlava mai, e questo mi incuriosì.
Passavo davanti alla loro cella un paio di volte al giorno, notando che avevano sempre la stessa reazione. La donna si alzava dall'angolo in cui era seduta e si avvicinava alla porta, la bambina invece alzava per un istante lo sguardo, poi tornava a guardare il pavimento.
Assistettero a tutto. Alle torture, agli interrogatori, alle punizioni: nei sotterranei le urla dei prigionieri arrivavano cupe e rimbombanti, come se provenissero già dall'oltretomba.
“Abbiamo ancora quelle due babbane nei sotterranei.” disse mio padre durante una delle poche sere in cui eravamo soli a cena.
“Dobbiamo liberarle Lucius, non hanno fatto nulla.”
Mia madre si voltò verso il lato del tavolo in cui solitamente era seduta zia Bella, fuori per una missione con altri Mangiamorte. Non c'era bisogno di chiedere il suo parere: ucciderle.
“Narcissa, non abbiamo il permesso.”
“Il Signore oscuro non ha bisogno di una donna e una bambina. Non se le ricorda nemmeno. Non penso le abbia mai viste.”
“Draco, portale qui. Interrogheremo la donna.” disse mio padre dopo qualche minuto di silenzio.
Scesi nei sotterranei e come al solito sentii dei passi avvicinarsi alla porta.
“Sto per aprire. Non fate sciocchezze e non vi succederà nulla.” mi annunciai.
Nonostante fossero sporche e pallide, non sembravano molto patite. Mia madre aveva avuto particolari cure per loro.
Accompagnai la donna in sala da pranzo e mi sistemai sul divano difronte alla bambina.
“Cos'è?”
Era un borbottio sommesso, il ricordo di una voce inutilizzata da tempo.
“Cosa?”
“Quel bastoncino. Anche tu ce l'hai?”
“Si.”
I suoi occhi chiari si illuminarono alla vista della mia bacchetta.
“A cosa serve? Perchè deve farmi paura?”
“Scusa?”
“Tutte quelle persone mi indicavano con quello. Cosa ho fatto?”
“Non hai fatto niente. Sei sicura di non aver mai visto uno di questi?”
Mi guardò un secondo spostandosi i capelli crespi e ingrigiti di polvere dal volto.
“No.”
“Allora perchè ti hanno preso? Che gli hai detto? Dove sono i tuoi genitori?”
Si voltò verso la finestra.
“Draco. Draco è un nome buffo. Fa ridere.”
“Come fai a sapere come mi chiamo?”
“L'ho sentito. Io mi chiamo Isabel. Isabel Bloomsbury. Draco, perchè sono qui?”
“Non lo so, Isabel.”
Sorrise. Era molto piccola e saggia. Forse un mese di prigionia l'aveva fatta crescere in fretta. Rimase in silenzio qualche minuto, continuando a guardarsi intorno.
“Che altro hai sentito, Isabel?”
“Il ragazzo non si trova. Questa bacchetta non funziona. Quel Lovegood deve pagarla.” sputò le frasi imitando una voce maschile e poi sorrise. “Sei un mago vero? Alla festa di Alex un signore mi ha tirato fuori una moneta dall'orecchio. Io però sapevo che era un trucco.” annuì a se stessa. “Ma tu no. Tu sei un mago vero. Fammi una magia.”
“Ti sbagli, io non sono un mago.”
“Mamma dice che le bugie fanno male. E' per quello che sei così stanco? E' perchè dici tante bugie?”
Di scatto, per farla tacere, trasfigurai un posacenere in un coniglio bianco.
Isabel spalancò gli occhi e corse a prenderlo. Contemporaneamente la porta si aprì.
“Draco, oblivia la bambina e portala di là. Le liberiamo.” disse mia madre uscendo subito dopo.
“Isabel, vieni qui.”
“No. Il coniglio è mio.”
“Si, puoi tenerlo. Devo solo cancellarti la memoria. Vieni qui.”
“No. Non voglio.” ripetè imbronciata. Iniziò a percorrere la stanza con il coniglio in braccio.
Mi alzai e cercai di fermarla, lei mi morse la mano.
“Isabel!” urlai con rabbia.
Lei si impietrì.
“Non mi cancellare la memoria. Ti prego. Ti lascerò Draco.” disse porgendomi il coniglio, che con le zampe posteriori libere cercava di scappare.
“Devo farlo.”
“Non tirò niente a nessuno, lo giuro. E se poi ci vediamo e io non ti saluto? Tu ti offenderai.”
“Non mi offenderò, davvero.”
“Ma io non voglio.” ribadì ormai in lacrime. Mi allontanai dai lei e andai a raccogliere il coniglio Draco, che nel frattempo stava litigando con un buco del tappeto.
“Tieni.” le dissi ridandoglielo.
Mi fece un sorriso umido e si mise ad accarezzarlo.
La obliviai in quell'istante.
 
“Hermione non è Isabel. Ho dovuto cancellare la memoria a quella bambina. Sapeva troppo, se avesse parlato..”
“Però il coniglio gliel'hai lasciato. Non volevi che ti dimenticasse.” rispose Blaise rimettendosi in piedi.
“Le ho cancellato la memoria.”
“Hai voluto lasciare una prova. Una prova che dimostrasse che sei un buono. E anche se dovessi lasciarla, io penso che lascerai un coniglio anche ad Hermione. Un coniglio grande come una casa, Dra.”
“E dove lo trovo un coniglio grande così?” gli chiesi barcollando verso di lui.
“Vedi, ci stai già pensando, idiota.”

 

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Capitolo 25
*** 25. Leonesse ***


Nota dell’autrice: Tra concorsi, contest, esami universitari, la mia FF ha subito una battuta d’arresto. Nessun problema, ci sono ancora. Ecco qui un nuovo capitolo pieno di sentimenti e di retroscena. Al solito ditemi che ne pensate.
Tra l’altro vi invito ad aggiungermi su facebook, ho creato un profilo proprio per EFP: Vikichan EFP.
Stay tuned!


25.Leonesse


“Ginny, calmati.”
“No Harry, non mi calmo. E' una stronza. E tu hai passato tutta notte con lei.”
“E' la mia migliore amica.”
“E io la tua ragazza.”
“Questo non c'entra. Ginny...”
“Ginny di qui, Ginny di là. A lei non dici niente? Malfoy, Harry! Malfoy porca miseria. E Ron? Ron, Harry?”
 
Nonostante fossero in biblioteca, nonostante fossero due degli studenti più in vista della scuola, Harry Potter e la Weasley si lanciarono ogni tipo di insulto, alzando troppo la voce.
Dovevano aver fatto un incantesimo su Madama Prince, ancora intenta a catalogare libri qualche fila dopo quella in cui mi ero sistemato ad ascoltarli.
Spiando nel corridoio da cui provenivano le voci, mi accorsi che non ero il solo ad assistere al litigio.
 
“Sei un idiota Harry, ma come fai a credere che sia amore?”
“Lo credo. Io credo a Hermione.”
“Fai quello che vuoi, ma non credere che io ti venga dietro. Discorso chiuso.”
La rossa prese la sua borsa e si diresse verso l'uscita senza dire altro.
Solo in quel momento riuscii a vedere il volto di Potter. Era stanco, nemmeno i soliti vecchi occhiali riuscivano a coprire le pesanti occhiaie che gli circondavano gli occhi.
Prima di prendere la sua borsa imprecò un'ultima volta.
Quando incontrai Blaise mezz'ora dopo, la notizia del litigio tra i due era sulla bocca di parecchie persone. Pochi però sapevano perchè stessero litigando. Sembrava che le persone che erano presenti in biblioteca credessero di aver capito male, data l'assurdità della notizia.
“Sentito, Blaise?”
“Mmh, quella Weasley è proprio un tipetto. Fossi stato Potter l'avrei sistemata per bene.”
Non ebbi tempo di dirgli altro, Hermione ci apparve alle spalle.
Notai, mentre lei salutava Blaise, che sfoggiava due ombre scure e aveva gli occhi arrossati di chi ha pianto per ore.
“Gliel’hai detto?”
“Si.”

“Si vede, hai una faccia. Non hai dormito vero?”

“Non molto. E’ andata bene.”

Fece un sorriso freddo, che non bastò per farmi credere a una bugia così mal preparata.
“Si, immagino.”
Le troppe persone che ci guardavano in modo malizioso iniziarono ad innervosirmi, cosicché decisi di allungare il passo.
“Si può sapere che ti prende?”
“Niente.” questa volta a mentire fui io.
“Allora guardami.” disse sbattendo il piede sinistro a terra, per farmi capire che si era fermata. Ero già a metà della scala, e quando mi voltai, mi sembrò ancora più piccola.
Scesi le scale velocemente, cercando di non notare quanti occhi fossero puntati su di noi.
Quando le sue labbra sfiorarono le mie, capii che dovevo dirle ancora una volta quello che pensavo.

“Ho sentito la Weasley litigare con Potter prima in biblioteca. Dice che sei una stronza.”

“Ieri sera ha detto di peggio. Le passerà.”

“Non c’è molto da essere felici. Non devi isolarti per me.”

“Passerà.” disse prendendomi la mano. “Possiamo semplicemente goderci il nostro primo giorno di libertà? Andiamo o faremo tardi.”

 
Camminare mano per la mano con una ragazza non era il mio stile. L'avrei lasciata volentieri quella mano, ma sapevo che per lei era importante. Lo notai da come si voltava spesso a guardare il mio volto.
Sorridevo, per lei. Sicuramente non sorridevo per tutto il resto. Per le voci, i sussurri delle persone.
Quando arrivammo davanti alla porta chiusa dell'aula, la sentii irrigidirsi.

“Ci pensi che noi ci abbiamo fato l’amore su quella cattedra?” le sussurrai per tranquillizzarla.

“Scemo.”

 
Non bastò dormire durante la noiosa lezione di Ruf per farmi riprendere dal tremendo mal di testa causato dall'idromele della sera prima. Quando la campanella suonò, penetrandomi il cervello da tempia a tempia, impiegai più o meno cinque minuti per svegliarmi. Quando finalmente uscii, trovai Hermione con Potter.
Lei gli stava accarezzando un braccio, lui, nonostante fosse ancora stanco morto e, immaginai, incazzato, la consolava.
“Non voglio crearti dei problemi Harry. Non voglio farti litigare con Ron e Ginny.” gli disse Hermione abbassando lo sguardo.
Lui la guardò di nuovo e sorridendo gli passò una mano tra i capelli.

“Non lo faccio solo per te. Voglio far capire ad entrambi che è ora di voltare pagina.”

“Hermione, vieni a pranzo?”
Li interruppi giusto il tempo per evitarmi l'ennesimo sguardo d'intesa.

“Si.”

“Io vado da Ginny, altrimenti mi ammazza. Ci vediamo a Pozioni. Ciao Draco.” Potter sorrise anche a me.

Alla causa di tutti suoi mali.

Questo spiegava perchè aveva rischiato di morire così tante volte.

“Andiamo?” mi chiese strattonandomi.

Scendemmo le scale lentamente, a un passo di distanza.

“Fate sempre così?” le chiesi quando ormai eravamo sul pianerottolo.

“Come così?”

“Non preoccuparti Hermione. Oh scusami Harry. No scusami tu.”

“Siamo amici, è normale aiutarsi a vicenda.”

“Stupidi Grifoni. Siete così sdolcinati. Ti guarda come se volesse mangiarti.”

“Sei geloso?” chiese abbassando lo sguardo, rialzandolo qualche secondo dopo con una strana luce .

“No, perché al contrario di lui, io posso mangiarti davvero.”

La nuova situazione ci dava la possibilità di baciarci nel corridoio, ma non ci esulava dalle reazioni.
Gemma Nelson, una Tassorosso con cui ero stato due anni prima, fece cadere tutti i suoi libri a terra.
“E' shoccante, vero?” le chiesi mentre lentamente mi chinavo per raccogliere i volumi.
Lei mi guardò, un po' rossa in viso.
“Non sai quanto.” sussurrò in modo tale che né Hermione né la sua amica la sentissero.
“Non sei Malfoy vero?” mi chiese proprio quest'ultima mentre mi rialzavo.
Risposi con una scrollata di spalle e porsi i libri a Gemma, facendo attenzione a toccarle le mani.
La sua reazione fu immediata, spalancò gli occhi un secondo.
Feci un mezzo sorriso.

“Le hai rovinato la giornata.” commentò Hermione una volta che il corridoio fu di nuovo vuoto.

“Lei mi ha interrotto.”

Per tutto il resto della strada che ci separava dalla sala grande, pensai a quello che avevo fatto.
Avevo sfiorato la mano di Gemma.
Avevo visto la sua reazione.
Sarebbe stata mia, di nuovo, se lo avessi voluto.
Il problema, o la soluzione, era che non lo volevo.
Anche se mi ero divertito con lei, rischiando di essere scoperto nel suo letto.
Nella sala comune dei Tassi.
Mentre lasciavo Hermione davanti al tavolo dei Grifondoro mi resi conto di quanto poco mi importasse di tutte quelle facce voltate verso di noi, di Gemma, dei Weasley.
Valeva la pena sopportare tutto quel casino solo per guardarla cercare un posto lontano dai suoi amici, e voltarsi un'ultima volta verso di me trasformando il broncio in un sorriso.

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Capitolo 26
*** 26. Buoni esempi ***


Nota dell’autrice: nuovo capitolo! Un capitolo di narrazione spiccia, senza grandi scossoni emotivi. Mai dire mai, comunque.
Ah, ho pubblicato un nuovo capitolo anche in Summer’s Chronicle… Passate anche di li!
Un grazie a tutte le persone che hanno recensito, domani risponderò a tutti!
Stay tuned!
 

26. Buoni esempi
 
“Ok, siamo arrivati alla finale. Non possiamo vincere la coppa, ma possiamo rovinare comunque la festa ai Grifondoro.” dissi alla squadra negli spogliatoi. Da fuori, il rumore dei tifosi si fece sempre più forte. “Quindi, facciamo del nostro meglio. E tu, Carvelle..”
“Carvish.” mi corresse quella sottospecie di elefantessa che avevo come portiere di riserva.
“E' lo stesso. Vedi di pararne più che puoi. Fuori ora.”

Era una giornata calda, più estiva che primaverile. Come al solito la maggior parte delle tribune era rossa e oro. Le osservai con attenzione, ma non riuscii a vedere Hermione.
“Praticamente è come se avessero già vinto.” sentii borbottare dietro la mia schiena Pitbild, il battitore che aveva sostituito Tiger.
“E' in questi momenti che sento di più la mancanza del vecchio Vincent.” mi sussurrò nelle orecchie Blaise, coprendosi con una mano gli occhi per scrutare il cielo.
Serpeverde aveva perso molte partite, anche a causa dei nuovi entrati nella squadra. Vincere con i Grifondoro ci avrebbe portati al secondo posto, dopo i Corvonero.
Qualche secondo dopo l'uscita dagli spogliatoi, fui affiancato da Potter e la sua squadra.
“Bella giornata per una partita.” mi disse sorridendo.
“Puoi dirlo forte.”
Quando Madama Bump ci chiese di stringerci le mani, rimase sorpresa della cordialità tra me e Potter, tanto che per la prima volta non ci intimò di non romperci le dita a vicenda.
La partita durò poco, Potter mi strappò il boccino per un pelo. Un boato partì dal campo per poi invadere le tribune. Grifondoro aveva vinto, la squadra venne circondata immediatamente da un mare di persone.

Feci uno slalom tra i tifosi e mi chiusi nella tranquillità dello spogliatoio, dove pian piano mi raggiunse l'intera squadra imbronciata.
“C'è mancato un pelo Dra, Potter è davvero un cercatore straordinario” commento Blaise battendomi una mano sulla spalla.
“Malfoy, la McGrannit ti cerca.” borbottò la cicciona che aveva finto per dieci minuti di saper parare.
Le feci un cenno e mi cambiai in fretta.
La professoressa McGrannit mi aspettava fuori dagli spogliatoi, gli occhi lucidi e i capelli un po' spettinati.
“Mi segua.” disse solamente facendomi strada. La folla si era diradata, immaginai che la festa si fosse spostata all'interno del castello.
Quando arrivammo nel suo ufficio, davanti alla scrivania erano già seduti Paciock, una ragazza di Corvonero che era stata con Blaise e Sean McDuff dei Tassorosso.
“Accomodati, Draco. Bene, come sapete, si sta avvicinando la consegna del diploma. Dopo aver discusso con gli altri insegnanti, ho deciso di scegliere voi quattro per l'accensione delle candele. Rappresenterete la vostra casa e per questo” fece un ampio gesto con la bacchetta e davanti a ognuno di noi apparve una pergamena “vi ho indicato in breve quello che dovrete fare durante la cerimonia.”
Mentre mi infilavo in tasca il foglio, sentii accanto a me Neville Paciock deglutire rumorosamente.
Uno alla volta, gli altri studenti lasciarono lo studio.
La professoressa McGrannit non sembrava sorpresa del mio attardarmi.
“So cosa stai per chiedermi Draco” disse appena McDuff chiuse la porta. “Perchè proprio tu. Non ho intenzione di giustificare la mia scelta, la nostra scelta. Però, se proprio vuoi saperlo, io penso che tu possa rappresentare degnamente la tua casa, con tutti i tuoi pregi e difetti.”
“Ne è sicura? Io non sono stato propriamente uno studente modello.”
“Questo è indubbio. Ma chi non ha fatto qualche bravata da ragazzo? L'importante è redimersi, Draco. Ora se non ti dispiace, vado a congraturarmi con la squadra di Quiddich.”
Annuii e lasciai lo studio, diretto in sala comune.

I corridoi erano pieni di studenti, tutti con coccarde rosse e oro. Nessuno mi disse nulla, anche se un paio di coraggiosi Tassorosso iniziarono a cantare Weasley è il nostro re.
Dopo aver raggiunto i sotterranei, entrai in camera mia.
Sul mio letto, profondamente addormentata, c'era Astoria, ancora con la coccarda appuntata al petto.
“Svegliati.” dissi freddamente.
Lei si rigirò, aprendo gli occhi e stiracchiandosi.
“Fuori di qui.” proseguii.
“Draco..”
“No, hai rotto. Non puoi venire sul mio letto, poi darmi dello stronzo, poi cambiare idea. Vattene.”
Non sapevo da dove venisse quella rabbia, o se Astoria veramente se la meritasse veramente, ma continuai a guardarla in cagnesco.
“Non mi muovo di qui finchè non facciamo pace.” disse con il broncio.
“Allora me ne vado io.”
“Dai, Draco. Ma che hai? Dov'è la tua amichetta? Hai bisogno di un po' di coccole?”
“Non dire così. NON CHIAMARLA AMICHETTA! Fuori di qui!” urlai.
Lei non si mosse. Rimase li, in silenzio, a fissarmi.
“Ho detto che non me ne vado.”
“Sai che c'è? Me ne vado io.” Mi avvicinai alla porta, solo all'ultimo mi voltai di nuovo e scoprii che stava piangendo.
“Fottiti, Astoria.” dissi a denti stretti.

Percorsi a grandi passi decine di corridoi, senza guardare dove stessi andando. Poi decisi di passare dalla sala comune dei Grifondoro.
Poco prima dell'ingresso vidi Hermione tra le braccia di Weasley. Sembrava estremamente debole, totalmente abbandonata su di lui.
“Tu.” disse Weasley sprezzante, serrando le braccia intorno alla sua vita.
Hermione borbottò qualcosa che non riuscii a capire.
“Che ha?” chiesi cercando di velare la mia preoccupazione.
“E' ubriaca, non vedi?”
“Non sono ubriaca Ron. Ho solo un..” non concluse la frase. Avvicinandomi a loro mi accorsi del suo sguardo vacuo.
“Lasciala a me.” dissi a Weasley sfiorandola.
Eravamo a pochi centimetri di distanza, lo vidi soppesare le mie parole, mantenendo lo sguardo fisso sugli occhi di lei.
“Fa caldo, state così.” gracchiò Hermione. Weasley si allontanò velocemente, come se si fosse accorto solo in quel momento di quanto fossimo vicini.
Hermione protestò silenziosamente, lanciando ancora un paio di occhiate al suo accompagnatore, che la accarezzò. Qualcosa dentro di me iniziò a ribollire, come se avessi mangiato qualcosa di molto piccante.
“Stai attento a quello che fai.” mi intimò il rosso prima di rientrare in sala grande.
Un istante dopo Hermione perse i sensi, lasciandosi totalmente andare sul mio petto.

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Capitolo 27
*** 27. Il nome sbagliato ***


Nota dell'autrice: visto che domani è festa per tutti, ho pensato vi avrebbe fatto piacere leggere un nuovo capitolo velocemente. Quindi eccolo qui... non vi anticipo niente.
Godetevi la giornata di vacanza e commentate numerosi!
Stay tuned!!

 
 

27. Il nome sbagliato
 
 
Hermione riprese i sensi solo qualche tempo dopo, scoppiando in una fragorosa risata.
“Ho festeggiato.” disse toccando con le mani il pavimento, rendendosi conto solo in quell'istante che l'avevo fatta sedere.
“Lo so.”

“Demelza dice che sei un gran figo.” borbottò continuando a ridere.

“Hermione, è imbarazzante.”

“Tu sei un figo Draco. Sei così sexy.” mi disse guardandomi negli occhi.

Qualcuno qualche metro più in là rise.

“Ho ragione?” chiese Hermione alzandosi in piedi.

“Puoi dirlo forte!” rispose Demelza Robins, accasciata in un angolo con un sorriso ebete in faccia.

Lasciai cadere l'imbarazzante discorso strattonando Hermione davanti alla Signora Grassa.

“Dille la parola d’ordine.” la incitai.

“Hey Signora Grassa, non pensa anche lei che Draco sia un figo spaziale?”

“Robins, salvami ti prego.” urlai cercando di coprirmi il volto, provando un grandissimo imbarazzo.

“Charminius.” urlò di rimando la Robins, sempre più divertita.

Mentre ripetevo la parola d'ordine al ritratto, Hermione perse ancora i sensi.
La presi in braccio, e quando varcai il ritratto, qualcuno urlò.
“Non sei il benvenuto, Malfoy.” mi disse Weasley quasi in un orecchio, in modo tale che Hermione non lo sentisse. Nonostante la durezza delle sue parole, non mi sembrava molto ostile.
Quando appoggiai Hermione ad una poltrona, facendola cigolare, altri si accorsero della mia presenza, alcuni sfoderarono immediatamente la bacchetta.
“Sono disarmato, non vedo come potrei farvi del male.” dissi alzando entrambe le braccia.
Intorno a me e ai miei assalitori, il brusio aumentò di intensità. Captando alcune frasi, mi accorsi che alcuni Grifondoro pensavano che fossi stato io a ridurre in quello stato Hermione.
“Hermione è ubriaca, io non le ho fatto niente accidenti.” urlai stizzito.
Sentendo il mio nome, Lei si risvegliò.
“Hei, hei, hei. Che succede? Dov'è Harry?” chiese strofinandosi gli occhi.
Il silenzio che cadde sulla sala comune venne rotto dal rumore del ritratto, che si aprì di nuovo.
Ginny Weasley entrò spalancando gli occhi nella mia direzione.
Per sicurezza estrassi la bacchetta.
“Che ci fai lui qui?” mi chiese.

“Ho portato Hermione, non si regge in piedi.”

“Chi ti ha dato la parola d’ordine?”

“Demelza Robins, è qui fuori.”

La rossa strinse gli occhi e mi regalò uno degli sguardi più feroci che le avessi mai visto fare.

“Cosa stai aspettando, vattene. Non sei il benvenuto.”

Sentendo quelle parole, Hermione fece per alzarsi.
“Dov'è Harry?” chiese di nuovo, come se Potter potesse risolvere la situazione.
Guardai la Weasley con aria di sfida e ripresi in braccio Hermione, ripercorrendo con lei la scala che portava al dormitorio maschile.
Li, semisvenuto su un letto, c'era Potter.

“Maledizione Potter. Quando servi non ci sei mai.” commentai appoggiando Hermione su un letto.

“Ho la testa che mi scoppia.” rispose lui con la voce roca.

“E io ho cinque Grifondoro che mi vogliono fare il culo. Si è aggiunta anche la tua fidanzatina.”

“Draco…” intervenne Hermione.

“Zitta tu!” urlai, scoppiando a ridere vedendo il suo broncio. “Siete due stracci.”

Anche loro si misero a ridere. I rumori nella sala comune aumentavano di secondo in secondo, dovevo andarmene.

“Vado.”

“Rimani qui con me.” sussurrò Lei alzando la testa di qualche centimetro.

Le sorrisi e me ne andai.


La sala comune era rimasta come l'avevo lasciata, come se qualcuno avesse posto su tutti i Grifondoro un Petrificus.
Scesi le scale velocemente, guardandomi intorno, vedendo tutte le bacchette abbassarsi lentamente.
Quando lasciai la sala comune, trovai molto confortante il colore della pietra, così rassicurante rispetto al giallo e oro che mi ero lasciato alle spalle.
Rifacendo il tragitto verso i sotterranei, mi sentii male.
Come una strana sensazione, come se qualcosa di sbagliato stesse succedendo sotto ai miei occhi. Come se non mangiassi da giorni.

La sensazione mi accompagnò anche a cena, e aumentò quando al tavolo dei Grifondoro vidi due posti vuoti.
Hermione e Potter.
“Non c'è nemmeno Potter, Dra. Fossi in te sarei geloso.” commentò Blaise versandosi del succo di zucca.
“Era ubriaco anche lui. Staranno dormendo.”
Mentre rispondevo, rivissi i momenti passati nella sala comune dei Grifondoro. Prima Hermione si era abbandonata tra le braccia di Weasley, poi aveva continuato a chiamare Potter, nonostante io fossi li, pronto a proteggerla.
“A cosa stai pensando?” mi chiese tornato serio.
“A niente.”
“E' normale essere gelosi. Lui è il Prescelto, il Bambino Sopravvissuto. Se fossi una ragazza, gli salterei addosso senza problemi.”
“Se tu fossi una ragazza saresti peggio di Denise Derrell.”
Entrambi ci voltammo verso una delle Serpeverde, che ci guardò di rimando leccandosi volgarmente le labbra.
“Da brividi.”commentò Michelle, comparendoci alle spalle. “Cosa vi ha spinti a mangiarvi con gli occhi Denise?”
“Dra è geloso perchè la sua donna è a letto con Potter.” rispose Blaise alzando il mento per baciare la sua ragazza.
“Hermione non è a letto con Potter. E non sono geloso.”
“Mmmh. Sicuramente stai meglio della Weasley, la si sentiva urlare dai sotterranei.” disse lei indicando con lo sguardo la rossa, che proprio in quel momento si stava alzando per uscire.
Qualche posto più in là, Astoria sbuffò rumorosamente.
“Mi ha raccontato che l'hai sgridata.” mi sussurrò Michelle, avvicinandosi così tanto da farmi sentire il suo profumo esotico.
“Non l'ho sgridata, non ha cinque anni. Ha rotto, ho già abbastanza problemi senza i suoi capricci. Deve accettare la mia storia con Hermione. Non ho bisogno che lei mi ricordi ogni giorno che la mia ragazza è una mezzosangue o che il Signore Oscuro non sarebbe felice. Me ne frego di quello che rende felice gli altri.”
“Ehi ehi ehi. Abbiamo capito. Sai, il verde non ti sta più così bene. Stai diventando uno di loro Dra. Un piagnone!” disse Blaise iniziando a picchiarmi, facendoci guadagnare uno sguardo preoccupato da parte del professor Lumacorno.
Lasciai la sala grande qualche minuto dopo, passando in guferia per mandare qualcosa da mangiare a Hermione.
Dopo aver lanciato Devon nel cielo, tornai in sala comune, molto stanco.

Mi sdraiai sul letto, e li mi addormentai quasi subito.
“Dra, Devon ha portato questo.” mi svegliò Blaise qualche ora dopo.
La piccola pergamena che mi diede era scritta con una scrittura frettolosa e disordinata.

“Ho un mal di testa incredibile e dei buchi di memoria, però sono tutta intera. Grazie del pensiero. Penso che ritornerò immediatamente a dormire. Buona notte. Ti amo. Hermione”

 

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Capitolo 28
*** 28. Il mio amore ***


Nota dell'autrice: Eccoci qui, nuovo capitolo pubblicato. Parliamo d'amore, si. E anche di malinconia e di Draco, che se non ha una paranoia al giorno si sente vivo a metà.
Commentate numerosi!
Stay tuned!!!
 

28. Il mio amore


La mattina seguente aspettai Hermione nella stanza delle necessità. Avevo pensato ad una sorta di piccola casa, con tutto il necessario per non dover uscire fino a cena. Per ingannare il tempo presi il libro di Storia della Magia e mi misi a sfogliarlo.

Ero maledettamente indietro.
Per riuscire a passare i M.A.G.O. decentemente avrei dovuto studiare giorno e notte.

Quando Hermione entrò nella stanza, fui sorpreso dal suo vigore. Sembrava incredibilmente riposata, nonostante l'avessi lasciata nella peggiore delle condizioni.

Per di più, era di ottimo umore.

Mi si sedette sulle gambe, guardando incuriosita la stanza, spalancando gli occhi quando notò le pesanti cortine verdi che separavamo il salotto da un grande letto.

“Prima il dovere poi il piacere, quindi.” commentò allegramente.

“Cosa ci facevi fuori con Weasley ieri?” mi trovai a chiederle.

“Mi girava la testa e mi sono fatta accompagnare fuori. Che fosse Ron l’ho capito dopo.”

“Ti ha detto qualcosa?”

“Forse lo sta capendo, sta provando ad accettarlo.” rispose sfoggiando uno dei suoi sguardi migliori. Lo sguardo pieno che dedicava solitamente a Potter.

“Quando parli di loro ti si illuminano gli occhi.” Commentai troppo cupamente perchè lei non se ne accorgesse.

“Sono la mia famiglia. Anche quando parlo di te succede.”

“E io cosa sono?”

“Sei il mio amore.” borbottò cercando di nascondere l'imbarazzo abbassando lo sguardo.

Il suo amore.

Non dissi altro, non c'era nient'altro da dire.

Mi risistemai e iniziai a studiare un capitolo particolarmente noioso sulle guerre interne dei maghi inglesi alla fine del diciottesimo secolo.

Accanto a me, Hermione fingeva di leggere.

Il suo sguardo era fisso su un punto a circa metà della pagina.

Stava pensando a qualcosa di complicato, visto l'impegno con cui si torturava il labbro.

La sbirciai un paio di volte, cercando di concentrarmi sui libri.

“Draco?” mi chiamò qualche tempo dopo.

“Si?”

“Io cosa sono?”

Mi voltai verso di lei.

Sei tu, le avrei voluto dire.

“Sei mia.”

Di nuovo, abbassò lo sguardo. Troppo in fretta perchè riuscissi a vedere la sua reazione. Avvicinò la sedia al tavolo e si mise a studiare veramente.

Io invece persi la concentrazione. Lo sapevo, l'avevo sempre saputo, ma in quel momento mi sentii più egoista del solito. Come se la stessi obbligando a vivere con me tutto questo. Sapevo che se le avessi chiesto qualcosa, lei avrebbe negato. Era sincera, si. Voleva stare con me, lo sapevo.

Solo..

“Ho fame.” disse massaggiandosi lo stomaco, distogliendo i miei pensieri dal solito angolo buio in cui troppo spesso andavano a parare.

“In camera c’è da mangiare, ho chiesto a Blaise di passare dalle cucine. Gli elfi lo hanno preso in simpatia.” dissi indicando le tende.

Per qualche minuto rimanemmo separati e un buon profumo di patate al forno si sparse nella stanza.

“Che cosa vuoi tu?” chiese sbucando dalle tende con una pentola in mano.

“Non ho fame ora.”

Annuì e si mise a mangiare.

Dalla pentola.

Con le mani.

“Mangi dalla pentola?”

“E’ un problema?” disse leccandosi le dita piene di sale.

“Hermione, non scherzare con il fuoco.”

Ripetè il gesto, questa volta in modo sfacciatamente volontario.

Poi si alzò e si diresse verso le tende.

Accolsi il suo muto invito a seguirla.

Faceva molto caldo, notai baciandola.

I nostri corpi scottavano.

Una voce lontana, smorzata dall'annebbiamento dei sensi, disse “Sono tua”.

Ero diverso, anche se non lo sapevo. In quei momenti era difficile ragionare. In quei momenti era l'istinto a farla da padrone.

Non era il momento di fare lunghe meditazioni sul senso della mia vita, o sul fatto che tutto era diventato relativo.

L'unico pensiero lecito era Hermione.

Il suo essere li, presente.

Estasiata dalla nostra battaglia di corpi.

Solo quando tornai ad essere solo Draco, solo quando mi separai da Lei, tutti i pensieri tornarono.

Mi alzai di scatto e presi i pantaloni.

“Che fai?” mi chiese imbronciata, litigando con il lenzuolo per coprirsi.

“Mi vesto.”

“Lo fai sempre. Sembra che tu voglia scappare.”

“Dai Hermione. Cosa vuoi che ti dica? Sono abituato così.”

Toccata e fuga, avrebbe detto un musicista.

“Te le fai e poi scappi.” commentò Lei, dando voce per l'ennesima volta ai miei

pensieri.

“Si. Ma non è questo il caso. Dai, non rendere sempre le cose difficili.” dissi

sbuffando.

“Sei tu che rendi le cose difficili.”

“Vieni qui dai.” Dissi strattonandola verso il limitare del letto, stringendole il lenzuolo intorno al seno. “Vuoi un po’ di coccole Granger? Chiedi le coccole a Draco Malfoy?”

Si appoggiò su di me e il contrasto tra la mia pelle fresca e la sua, ancora bollente, le fece venire un brivido.

“Stringimi. Non mi spezzo giuro.” mi esortò.

“Non ne sono tanto sicuro.”.

Mi invitò di nuovo sul letto, facendomi inginocchiare con lei.

Così, uno di fronte all'altra, sembravamo perfetti.

Distanti eppure vicini.

Prostrati davanti alla forza che quel letto simboleggiava.

“Chiudi gli occhi.” mi sussurrò prendendomi le mani. Iniziò dalle sue tempie e mi fece sfiorare tutto il suo corpo. Nella mia mente, ogni movimento diventava un tratto, una sfumatura. Come se la stessi dipingendo.

Ogni brivido, ogni respiro, ogni movimento volontario. Diedi loro una forma, tanto bella quanto reale sotto le mie dita.

Fece la stessa cosa con il mio corpo, sospirando. Era un tocco leggero, come un alito di vento estivo.

Eppure aveva su di me lo stesso effetto di notti e notti d'amore.

“Vuoi scappare?” mi chiese dopo avermi risvegliato da quel sogno con un bacio.

“No.”

“Vorrei che fosse così per sempre. Ti amo Draco.” disse con passione.

Se le avessi risposto, tutto sarebbe cambiato. Era come se quelle due parole non dovessero mai uscire dalla mia bocca. Un tabù che se non rispettato avrebbe portato alla distruzione di quel sogno. Se avessi detto ad Hermione di amarla, le parole dalla mia bocca sarebbero uscite distorte e corrotte da un animo che era stato troppo imbevuto di odio e disprezzo per essere degno di tali sentimenti.

D'altra parte, notai dal suo sguardo velato da una sorta di malinconia, non potevo permettermi di ferirla, facendole venire anche il minimo dubbio che i suoi sentimenti non fossero ricambiati con ogni sforzo.

Le presi una mano e la appoggiai sul mio petto, all'altezza del cuore.

Fu strano rendersi conto come un muscolo ritenuto involontario si abbassò facilmente alla mia volontà.

Dille che la amo, pensai.

I battiti aumentarono in fretta, come azionati da una forza superiore.

E anche se era stremante dover sottostare a una forza così grande, rimasi in quello stato tutto il tempo che le servì per capire quello che volevo dirle.

Lasciò il letto lentamente, e lentamente anche il cuore ritornò a battere normalmente.

Cucinai, pranzammo.

Parlammo di qualcosa, la mia bocca parlò per me.

Era una condanna che sapevo avrei dovuto scontare per tutta la vita. Anche nei momenti migliori, qualcosa non andava. In quel momento, rinvigorito dal getto freddo della doccia, il mio problema era quello che sarebbe venuto dopo. Non saremmo più stati chiusi in una stanza chiusa in un castello che ci proteggeva dal mondo. La realtà, prima o poi, ci avrebbe stanati.

“Sei pronta per rimetterti a studiare?” le chiesi ritrovandola ancora in accappatoio sdraiata sul divano.

“Si.”

Si morse il labbro e mi diede le spalle. Il silenzio diventò come una sostanza vischiosa. Mi intrappolò e rese ogni movimento difficile, scoordinato. Quando tornò a sedersi accanto a me, notai che tremava. Le sfiorai una mano, e le lacrime iniziarono a scrosciare dai suoi occhi, come se avessi premuto un pulsante per azionarle. Le alzai il mento con un dito e cercai di leggerle in volto cosa la turbasse.

“H-ho rotto una promessa. H-ho paura.” sussurrò sforzandosi in un sorriso bagnato.

“Smettila. Io sono qui. Ci vorrà più di uno stupido diploma a dividerci.”

Cercai di convincere due persone in una volta sola. Lei annuii e si asciugò le lacrime con una manica della camicia, come una bambina.

“Sei così sentimentale.” la canzonai.

“E tu sei così malinconico oggi. Si può sapere che hai?”

“Pensavo che Hogwarts mi mancherà sai. I prati, le mura, i quadri che ti urlano dietro, Pix…”

“Il sesso sulle cattedre”

“Soprattutto il sesso sulle cattedre.” dissi sorridendo di nuovo, cercando di non apparire malinconico, cercando di non far pesare su di Lei quello che mi vorticava in testa.

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Capitolo 29
*** 29. Preoccupazioni ***


Nota dell'autrice: Ciao a tutti! Allora, partiamo subito dal fatto che finalmente ho deciso di usare un programma serio per pubblicare la mia storia (quello consigliato dal EFP). Così non devo trovarmi parole smangiucchiate di qua e di là (colgo l'occasione per ringraziare Domi, che è sempre attenta agli errori, evitandomi figuracce future). Quindi con calma vedrò di dare a tutti i capitoli una formattazione un po' meno spartana! Ditemi cosa ne pensate e soprattutto se preferivate quella vecchia.
Parliamo di questo capitolo? No, dai. Niente anticipazioni.
Commentate numerosi!!!
Stay tuned!


Qui trovate The life after, la prima parte della storia.
Qui trovate The life after - Summer's Chronicles, la continuazione del POV di Hermione
Qui trovate il mio profilo di Facebook



[edit]  Siccome la nuova formattazione per Firefox era un disastro, torniamo alla vecchia maniera. Sperando che così si veda tutto a tutti!


29. Preoccupazioni


“Ok, non ne posso veramente più.” dissi  chiudendo con un botto il libro di pozioni, spaventando Blaise che nel frattempo si era addormentato sul suo.
“Porca miseria, Dra. Mi vuoi uccidere?” chiese stiracchiandosi.
Sette giorni dopo la nostra visita alla stanza delle necessità, mi trovai nella situazione che per troppo tempo avevo cercato di dissimulare.
Dovevo studiare.
Sempre.
E mi sembrava di stare sempre peggio.
Nonostante le ripetizioni di Hermione, Pozioni rimaneva il mio cruccio. Per le altre materie, il problema principale era la mia disattenzione durante le lezioni. Ma per pozioni..
“E' inutile imparare a memoria quanti mmh...” Blaise si chinò sul mio libro corrugando la fronte “... Asfòdeli? Asfodèli? servano per preparare una pozione. Ho bisogno di pratica. Prestami la Granger, Dra.”
“Non stiamo più parlando di pozioni, vero?” chiesi alzando un sopracciglio.
Blaise mugugnò facendo un sorriso malizioso.
“Vado a fare una passeggiata. Ci vediamo dopo.” dissi gettando “Pozioni Avanzate” su un divano della sala comune.
Camminai un po' per i corridoi della scuola, abitati principalmente da studenti più piccoli, non impegnati dai M.A.G.O o dai G.U.F.O.
Ero poco distante dall'ingresso della biblioteca che qualcuno mi chiamò.
Potter.
“Come sei messo?” mi chiese spostandosi un paio di libri da un braccio all'altro.
“Non un disastro, non bene.”
“Si, pure io. E' pozioni che.. ” si interruppe, spostando il suo sguardo da me a qualcosa alle mie spalle. Mi voltai giusto in tempo per vedere Michelle passarci   accanto con un'amica. Potter si schiarì la voce scuotendo la testa, poi rifocalizzò la sua attenzione su di me.
“Dov'è Hermione?” chiesi ad alta voce per cercare di colmare il fastidioso silenzio creatosi. Forse anche Potter era umano, ogni tanto cedeva a qualche tentazione, a qualche peccato di gola.
“E' in giardino.” si intromise Weasley, sbucato da dietro le mie spalle. “Ci siamo appena salutati.”.
“Si.” confermò Potter, allentandosi con un dito il nodo della cravatta.
“Va bene, a più tardi.” dissi facendo retrofront, diretto alle scale.
Quando raggiunsi il parco, Hermione stava parlando con Michelle, la quale vedendomi la lasciò di nuovo sola. A causa degli esami, era praticamente impossibile stare insieme più di mezzora al giorno, e questo mi rendeva piuttosto nervoso.
“Ciao amore.” mi salutò sorridendo.
“Siamo di buonumore.”
“Ho fatto ufficialmente pace con Ron. Sono così felice.”
Weasley, di nuovo. Risposi al suo sorriso, poi mi voltai verso il lago.
“Si può sapere che hai? Seriamente.” sbottò.
“Non ho niente.”
“Non è vero.”
“Si che è vero.”
“Allora perché sei così triste?” chiese in modo appassionato, trattenendo con difficoltà un'imprecazione.
Non ero triste, no. Il sentimento che provavo era una sorta di consapevolezza. Qualcosa che andava oltre il mostro che si risvegliava in me ogni volte che lei parlava di - o con - Weasley o Potter. Qualcosa contro il quale combattere mi sembrava impossibile.
“Apparteniamo a due mondi diversi Hermione, io non so se potranno mai essere compatibili.”
“Per fortuna che non avevi niente.”
“E’ un dato di fatto.” dissi per calmarla.
“E’ un dato di fatto anche il mio essere una mezzosangue ma l’hai superato.”
A quanto pare avevo solo peggiorato la situazione.
“Si.”
“Supereremo le differenze.”
“Mhh..” dissi meditabondo. Lei si voltò verso di me con uno sguardo incendiario.
“Seriamente Draco. Vuoi stare con me? Allora smettila di crearci questi paletti. Lo so, fuori di qui sarà tutto diverso. Tu vivi nel mondo magico e io invece sono la figlia di due dentisti, ma è mia intenzione cercare di coniugare i miei due mondi, non voglio rinunciare né a te, né alla mia famiglia babbana, né alla mia famiglia magica. Qualche altro dubbio?”
I suoi genitori erano dentisti. Non avevo idea di cosa fossero, ma la sua voce, il suo volto, le sue braccia incrociate sul petto. Sapevo bene cos'erano.
Erano meraviglia.
Erano fuoco.
Non aggiunsi altro, semplicemente la baciai.
“Mi prometti di smetterla di pensare in negativo?” mi chiese.
“Sono fatto così.”
“Almeno provaci.”
“Ok.” confermai baciandola di nuovo. “Hai letto il messaggio della McGrannit?”
“Si, sabato prossimo c’è la prova per la consegna del diploma.”
“Sarà imbarazzante.” commentai pensando a quello che avrei dovuto fare. Su un palco, con un pubblico a guardarmi.
“Sarà una bella festa. Adesso però dobbiamo andare a cena.” disse alzandosi.
“Stasera non possiamo vederci, ho promesso a Blaise di ripassare Pozioni. Sono diventato il migliore di Serpeverde.”
“Hai avuto un’insegnante molto brava.”
“Brava si, però sapessi quanto parla.” Commentai canzonandola, mentre raggiungevamo lentamente il portone del castello, circondati dai soliti studenti curiosi.
Mi aveva preso la mano, ancora una volta. E la stringeva con forza, quasi con rabbia. Aveva paura che me ne andassi. Forse perchè, per l'ennesima volta, aveva inteso le mie parole come un desiderio di libertà.
“Hermione?” la chiamai.
“Siiiii.”
“Sono un bastardo vero?”
“Ogni tanto mi fai spaventare. Sembra che tu voglia lasciarmi da un momento all’altro.” rispose confermando i miei pensieri.
Alle soglie della Sala Grande, Hermione mi guardò, già pronta per lasciarmi.
Un gesto, un battito di ciglia.
La fermai, la baciai davanti a tutti.
Qualcuno fischiò.
La guardai giusto un secondo, prima di andare a sedermi al tavolo dei Serpreverde.
“Idiota.” commentò Blaise nascondendo malamente un sorriso. “Ora Michelle vorrà che lo faccia pure io.” aggiunse sbirciando la reazione della sua ragazza, seduta un paio di posti più in là.
“Io amo Demelza Robins!” urlò proprio in quell'istante Thomas, al tavolo dei Grifondoro.
“Ecco, appunto.” ringhiò Blaise attaccando con violenza la sua porzione di stufato.

Circa un'ora dopo, io e Blaise stavamo spulciando il libro di pozioni alla ricerca di un'illuminazione.
“Non ne posso più-ù-ù-ù.” disse sbattendosi ritmicamente il libro sulla fronte. “Io non ci arrivo, Dra. Mancano solo sette giorni, mi viene da piangere.”
“Non mi sembra il momento di fare la femminuccia proprio ora, Zabini.” si intromise Michelle, appoggiando una mano su quella di Blaise, ancora ancorata al compendio di Pozioni.
Dopo aver attirato la sua attenzione, gli lanciò uno sguardo eloquente.
“Direi che per stasera ho studiato abbastanza. Tu invece..” guardò l'orologio che teneva al polso. “Direi che hai ancora un paio d'ore.”.
Non ebbi tempo di lamentarmi della stanchezza o di fare una qualsiasi obbiezione, data la velocità con la quale i due si fiondarono in camera da letto.
Due ore. Imprecai così forte da spaventare due bambini del primo anno.
“Non si dicono le parolacce.” dissi con uno sguardo severo, quasi fossero veramente uscite dalle loro bocche.
Mi riempii la borsa di libri, presi da uno dei nascondigli della sala comune una bottiglia di idromele e mi diressi verso il giardino.

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Capitolo 30
*** 30. Belladonna ***


Nota dell'autrice: ciao a tutti! Ecco un bel capitolo goliardico. Spero che vi facciate quattro risate vedendo le avventure di un po' di studenti in crisi da esami. So che molti sono nella stessa situazione in questo momento, quindi...
Beh, commentate numerosi!
Stay tuned!!


Qui trovate The life after, la prima parte della storia (POV Hermione)
Qui trovate The life after - Summer's Chronicles, la continuazione del POV di Hermione (ho aggiunto ieri il capitolo 6)
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30. Belladonna


I M.A.G.O. erano arrivati. Avevo passato quasi due settimane d'inferno, tra studio e prove. Dopo l'ennesimo esame superato, decisi di andare a risolvere la questione più spinosa.
“Professor Lumacorno?” chiamai aprendo la porta della classe di pozioni.
Secondo l'orario che avevo trovato in sala professori, Lumacorno il giovedì pomeriggio teneva a lezione gli studenti del primo anno. Come preventivato  l'aula era piena di bambini, che non appena mi videro entrare smisero di chiacchierare.
“Non è ancora arrivato Lumacorno?” chiesi ad una minuscola tassorosso, il cui volto era diventato dello stesso colore dei lunghi capelli rossi che teneva legati in due treccine.
“N-no.” rispose con una vocina infantile. “Ma la lezione inizia fra 10 minuti.”
“Lo aspetterò di fuori, grazie.”
Mi appoggiai alla pietra nuda dei sotterranei e attesi. Qualche mese prima, in quella stessa posizione, mi ero scontrato con Hermione. Mi sembrò di vederla, a pochi passi da me, a fissarmi con una faccia petulante.
“Se hai bisogno di un aiuto in pozioni basta chiederlo.” mi ripetei in testa, con la sua voce. Hermione mi aveva dato tanto, tutto.
Tranne un miglioramento in pozioni, pensandoci bene.
Sorrisi.
“Signor Malfoy, sono felice che almeno lei nonostante gli esami abbia ancora di che essere felice! Altro che le brutte facce che ho visto in giro.” disse Lumacorno gioviale, passandosi una mano sui baffoni da tricheco.
“Gli esami.. appunto. Professore mi chiedevo se potesse aprirci la stanza delle necessità, per esercitarci.”
Lumacorno fece un'espressione sorpresa, e poi uno strano sorrisino.
“Mah.. Draco, io non so. Tu e la Granger, potete.. insomma aspettare..” disse continuando a sorridere maliziosamente.
“Non ha capito..” commentai gelido. “Io e Zabini cerchiamo un luogo tranquillo dove provare le pozioni.”
Lumacorno cambiò immediatamente espressione e si schiarì la gola, visibilmente dispiaciuto per non aver scoperto un succulento pettegolezzo.
“Oh, certo. Stesse regole dell'altra volta signor Malfoy, troverà tutto quello che serve a lei e al signor Zabini, stasera alle 8. Avete due ore.” concluse sbrigativo. “Ora se non le dispiace torno dai miei studenti.”.
Gli feci un sorriso di circostanza e tornai in sala comune.

Eravamo già a metà delle prove e nonostante l'esame di storia della Magia fosse stato molto difficile, speravo di essere riuscito a strappare un Accettabile al professor Ruf.
Ritornai in sala comune a cercare Blaise, ma le uniche persone presenti erano Astoria, che si limava le unghie e Michelle, che russava sul divano.
“Dov'è Blaise?” chiesi alla prima.
“Non lo so.” mi rispose senza distogliere lo sguardo dal suo pollice sinistro. “Ha detto qualcosa riguardo alla biblioteca... Non so.”
“Grazie.” dissi sarcasticamente, facendo retrofront.

Salii velocemente le scale e entrai in biblioteca, facendo voltare molti studenti verso di me, compresa Madama Prince, che mi guardò torva finchè la porta non fu completamente chiusa dietro alle mie spalle.
Sbirciai nei vari corridoi, e alla fine trovai Blaise, seduto allo stesso tavolo di Potter, Weasley ed Hermione, che si era appisolata con la bocca aperta.
Salutai tutti, e lei si ridestò scuotendo la testa.
“So dove esercitarci stasera. Ho chiesto a Lumacorno di farmi usare l’aula dove io e Hermione facevamo ripetizioni, nella stanza delle necessità. Dice che la terrà a mia disposizione per 2 ore.” dissi a Blaise, notando che anche Potter era in ascolto.
“Magnifico.”
“Potete venire anche tu e Weasley, Ha-arry.” aggiunsi. Chiamare Potter per nome mi faceva impressione, come se da un momento all'altro la McGrannit mi avesse chiesto di chiamarla Minny.
Lasciai ad Hermione tutto il tempo di riprendersi e poi le chiesi che ne pensasse.
“Ho Aritmazia domani mattina, preferisco concentrarmi su una cosa alla volta.” rispose sorridendo.
“Ok, se volete venire la stanza sarà li dalle otto. Pensate alla stanza di Lumacorno, sapete come funziona.” conclusi  riprendendo la borsa e ripartendo alla volta della sala comune, non prima di aver sfiorato Hermione.

A quanto pare Potter riuscì a convincere un imbronciato Weasley, perchè pochi minuti prima delle 8 li trovai appoggiati alla parete del settimo piano accanto all'arazzo di Barnaba il Babbeo.
“Entriamo, Blaise non è mai puntuale.” dissi iniziando a camminare davanti al muro, pensando alla stanza di Lumacorno.
Lo studio che ci si presentò davanti era molto diverso da come me lo ricordassi, forse anche perchè non c'era la densa nebbiolina profumata dell'Amortentia. Al posto del  solito tavolo era stata messa una mezza dozzina di banchi da lavoro, molto simili a quelli dei sotterranei, ciascuno con il proprio calderone. Il divano era stato tolto, ed erano aumentati in modo esponenziale gli armadi. Solo la libreria era intatta.
Potter si guardò intorno, poi si voltò verso di me, con un'espressione indecifrabile.
“Era così anche quando tu e..”
“No, è tutto cambiato. Li c'era un divano.” dissi indicando il punto dove si era messo Weasley, che si spostò velocemente, come se lo avessi puntato con il fuoco.
“Mhh.” commentò Potter, appoggiando la sua borsa su uno dei tavoli.
Blaise entrò poco dopo.
“Maledizione, ho dimenticato la borsa in sala comune.” disse lasciando cadere sul tavolo più vicino una grossa scatola.
Weasley si avvicinò, strizzando gli occhi per vedere meglio il contenuto.
“Che cos'è?” chiedemmo in coro io e Potter.
“Oh, solo una bottiglia di whisky incendiario.” rispose mostrandoci la bottiglia, che era adagiata su quello che sembrava un enorme letto di calzini appallottolati.
“Mrs Purr. Sapete, quella gatta sente un tintinnio da miglia di distanza.” commentò notando le nostre facce confuse. “Allora che si fa?”
“Potremmo provare a fare quattro pozioni diverse.” ipotizzò Weasley, che nel frattempo aveva rimesso una distanza di sicurezza tra noi e si era seduto su un banco.
“Poi però se qualcuno sbaglia, nessuno lo può aiutare. E io ho bisogno di aiuto.” disse Potter con una nota di panico nella voce.
“Beh, direi... Prendiamo una pozione, la facciamo passo per passo insieme. Quattro teste meglio di una, no?”
La proposta di Blaise piacque a tutti. Posizionammo i banchi a quadrato, in modo da poterci controllare a vicenda e iniziammo a sfogliare il compendio di Pozioni.
“Ce l'ho.” disse Potter sistemandosi i vecchi occhiali rotondi e iniziando a leggere. “Pozione Energetica Minima, livello M.A.G.O. La pozione Energetica minima è una preparazione di media complessità, la cui creazione non implica tempi di riposo. Utile durante la convalescenza da vaiolo di drago o altri malanni, è indicata anche come integratore durante periodi di grande stress.. bla bla.. Non sembra male.

Mezz'ora dopo, ci accorgemmo che la “media complessità” decantata dal libro, per noi era insormontabile.
Eravamo ad un punto morto.
I quattro calderoni che avevamo davanti erano pieni di un liquido verdino, totalmente diverso dal “rosso sangue” richiesto dal libro a quel punto della preparazione.
“Io direi che abbiamo bisogno di schiarirci le idee. Accio Whisky.” disse Blaise, prendendo al volo la bottiglia che aveva appellato.
“Qui dice.. aggiungere il dittamo... mescolare.. mmmh...” lesse Weasley aggrottando le sopracciglia. “Ehi, aspettate. Ma la belladonna l'abbiamo messa?”.
Ci guardammo tutti intorno, alla ricerca dell'ingrediente. Su nessuno dei tavoli da lavoro era presente. Strappai dalle mani di Blaise il Whisky e ne bevvi una lunga sorsata, passandolo poi a Potter che, dapprima indeciso, decise di imitarmi.
Quando anche Weasley ebbe bevuto, Potter appellò la belladonna.
La speranza di averla messa nella pozione scomparve vedendo un piccolo recipiente uscire dall'armadio e sfrecciare verso di lui.
“10 punti a Grifondoro!” eslamò Blaise.

Dopo aver fatto tentativi quasi un'ora, intervallando i giri orari e antiorari con bevute di whisky, spegnemmo i calderoni.
“Hey, quella di Weasley sembra “blu notte” come c'è scritto qui. Assaggiamola!” disse con entusiasmo Blaise, guadagnandosi un'occhiataccia da parte di tutti.
“Tu sei pazzo. E se ci uccidesse? Niente di personale Weasley.” mi affrettai ad aggiungere, notando il suo sguardo ancora più indispettito del solito.
“Non abbiamo rispettato l'ordine degli ingredienti, è pericoloso.” disse Potter, annuendo.
“Ma si, che sarà mai. Ci aggiungo un po' di quello..” continuò Blaise, indicando il Whisky che tenevo tra le mani.
“Veramente Blaise, è una pazzia. E in più qui dice “a causa del suo già blando effetto, la Pozione Energetica minima non va diluita con altri liquidi e va consumata di primo mattino, a stomaco vuoto.”” lesse Potter.
BUM!
Non seppi bene quello che successe, ma qualche secondo dopo fummo tutti coperti da una sostanza rosa, collosa. Sembravamo appena scampati ad un'onda anomala di chewing gum.
Imprecai.
Potter rise.
“Che sarà mai..Sembra Gomma Sempiterna Weasley.” disse Blaise mettendosene un po' in bocca, sputandola un secondo dopo nel mio calderone.
“Scusa Dra.” 

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Capitolo 31
*** 31. Expecto Patronum ***


Nota dell'autrice: nuovo capitolo! Esami, esami, esami. Blaise con le crisi di nervi, Draco un po' romantico, il buon Harry.
Commentate numerosi!
Ve l'ho già chiesto che forma avrebbe il vostro Patronus?
Stay tuned!


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31. Expecto Patronum

“Expecto Patronum.” urlò Blaise spaventando un gruppo di Corvonero.
Dalla sua bacchetta uscì un alone argenteo, senza forma.
“Maledizione!” disse prendendo a pugni l'aria. “Fra quanto è l'esame?”
“Siamo alla L.” risposi mentre il mezzolupo Weasley chiamava Dorothy Livain nella stanza degli esaminatori.
L'ultimo esame, l'ultimo stupido esame. Ero distrutto.
Mi guardavo intorno e vedevo facce tese,  persone concentrare sui libri. In un angolo una ragazza singhiozzava.
Hermione era entrata pochi minuti prima, uscendo dal gruppo di Grifondoro del suo anno.
L'ennesimo sbuffo argenteo mi risvegliò dai miei pensieri.
“Potter!”
L'urlo fece voltare tutti, compreso il diretto interessato.
“Devi aiutarmi con il Patronus.” disse Blaise con tono implorante.
Potter arrossì e si avvicinò a noi, continuando ad attirare l'attenzione degli altri.
“Prima di tutto calmati.” gli sussurrò imbarazzato. “Poi devi focalizzarti su un ricordo felice. Ma veramente felice.”
“L'ho fatto, vero Dra?”
“Non mettermi in mezzo.” gli risposi alzando le mani e scoccandogli un'occhiata di traverso.
“Beh, io.. non so, pensaci meglio ok?” Potter fece una faccia concentrata e piccole rughe si formarono sul suo volto, invecchiandolo.
“Expecto Patronum.”
Fatto da lui sembrava veramente facile. Il suo cervo fece un giro della stanza e ritornò verso di noi. Potter alzò una mano e fece per accarezzarlo, ma questo scomparve.
“Malfoy, Draco.” disse Bill Weasley.
E mentre Blaise alzava la bacchetta, io seguii il professore nell'altra stanza.

Mi toccò un esaminatore abbastanza giovane, rispetto al solito. Era un uomo sulla cinquantina la barba incolta e folti capelli sale e pepe.
Dopo un paio di domande di teoria, come sospettavo mi chiese di produrre un Patronus e di farlo parlare.
Il primo tentativo fu un fallimento.
“Credo che sarebbe più a suo agio se togliesse quella benda. Le blocca i movimenti.” disse scuotendo il capo e indicando il mio braccio fasciato.
“Oh, sappiamo tutti che c'è sotto. Davvero, se la tolga, andrà meglio.” insistette sorridendo.
Sciolsi il nodo che legava la benda all'avambraccio. Sentii un formicolio al polso, dove l'avevo stretta con maggior forza.
Per la prima volta dopo lungo tempo, mostrai il mio Marchio Nero.
Il professore mi sorrise.
“Ora mi faccia vedere un bel Patronus e la lascio andare.”
Annuii e chiusi gli occhi.
Pensa ad un momento felice.
Ti amo, Draco Lucius Malfoy.” fu la prima cosa che mi venne in mente.
Io ed Hermione, nella stanza delle necessità.
La prima volta che mi diceva ti amo, la prima e ultima volta che ero stato in grado di risponderle.
Cercai di concentrarmi ancora di più su quelle due parole, sulla sua bocca contro la mia.
“Expecto Patronum”
Seppi che aveva funzionato immediatamente. La bacchetta era diventata un tutt'uno con il mio braccio e dall'estremità la nuvola informe diventò un puma argenteo.
L'esaminatore annuì con forza e appuntò qualcosa.
“Bene, signor Malfoy. E' tutto.” disse porgendomi la mano.
Lasciai la stanza velocemente, finalmente libero dal peso degli esami.
Nell'altra sala, molti studenti stavano aspettando i loro compagni.
Mi fermai appena fuori dalla porta, e poi vidi Hermione venire verso di me.
La baciai con forza.
Avrei dovuto dirle che grande cosa aveva fatto, iniziando ad amarmi.
“E' finita.” le sussurrai a fior di labbra.
“Si amore.”

Non fu facile stare seduto ad aspettare l'arrivo degli altri. L'adrenalina arrivava ad ondate, e avere Hermione così vicina non mi aiutava.
La mano che tenevo sulla sua gamba fremeva.
Poco dopo l'uscita di Paciock, arrivò Potter.
Tutti lo salutarono con un applauso e lui arrossì di nuovo, affrettandosi a baciare Hermione.
Poi si rivolse a me, prendendomi la mano e sorridendo.
“Come è andata?” gli chiesi.
“Direi abbastanza bene. A te?”
“Non è bastato un patronus corporeo questa volta.”
Mi fece un occhiolino e si sedette accanto ad Hermione.
Alla fine del pomeriggio, finalmente arrivò Blaise.
Hermione scattò in piedi e corse ad abbracciarlo. Da sopra la sua testa cespugliosa, Blaise mi lanciò uno sguardo stupito e iniziò a batterle la mano sulla schiena.
Hermione si scusò imbarazzata e fece un passo indietro, sorridendomi.
Quando anche Blaise ebbe lasciato la stanza, la trascinai in corridoio.
“Domani ce ne andremo di qui.”
La sua voce si fece bassa, velata di tristezza.
“Fra una settimana saremo di nuovo qui, per quella stupida cerimonia.”
Per qualche minuto il rumore dei nostri baci e il loro eco nel corridoio regnò sopra di noi.
“Mi verrai a trovare?”
“Nella tua casa babbana?”
“Si.”
Borbottai un sì poco convinto, e lei mi ammonì con lo sguardo.
“Un brontolio non è una risposta.”
“Si, verrò nella tua casa babbana. Non sono mai stato in una casa babbana. Nemmeno quando…” mi interruppi mordendomi la lingua.
Nemmeno quando ero un Mangiamorte, pensai.
“…quando i babbani li torturavi. E’ il passato, non importa.” disse lei, come se niente fosse.
“Non l’ho mai fatto comunque. Torturare i babbani. Più che altro stavo in casa a fare il cameriere agli altri e facevo da balia a zia Bella.”
“Meglio così, ma ti ripeto, non importa. Ti amo Draco, non importa che è successo prima.”
“Verrò a trovarti, poi però tu dovrai venire a Villa Malfoy.”
“Quel posto è inquietante. Non è normale avere una prigione in cantina.” disse sorridendo.
“Come siamo sofisticati. Tu che hai in cantina? Case di bambola?”
“Vecchie coperte, biciclette, qualche vecchio gioco.”
“Robaccia babbana insomma.”.

La babbana e il Mangiamorte.
Beda il Bardo non avrebbe potuto inventare una storia migliore.
Una fiaba, qualcosa da cui qualcuno avrebbe tratto insegnamento.
Mi slegai dallo stretto abbraccio di Hermione e corsi verso la Sala Grande. Erano arrivati al dolce.
“Non vorrai perderti il discorso finale della McGrannit? So quanto ci tenete voi Grifondoro a queste cose.”
Le dissi portandola verso l'ingresso, dandole un ultimo bacio e andando a sedermi accanto a Blaise.

“Ce l'ho fatta, ho evocato un Patronus!” mi disse passandomi l'ultima fetta di torta rimasta. “Potter si è messo ad applaudire, ma poi l'esaminatore mi ha chiesto un semplice Sortilegio Scudo. Che sfiga.”
“Che si fa stasera?” gli chiesi mentre la McGrannit iniziava a parlare.
“Non sei con Hermione?”
“No, a quanto pare i Grifondoro fanno una festa, mi raggiungerà più tardi.” gli risposi ricordando quello che lei mi aveva detto durante la lunga attesa.
“Beh, abbiamo ancora un po' di vino elfico e di whisky. L'idromele è finito però.” disse battendosi un dito sul mento.
“...L’espresso per Londra partirà domani mattina dopo la colazione. Vi prego di non tardare.” concluse la McGrannit, seguita da molti applausi.

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Capitolo 32
*** 32. Faccia da poker ***


Nota dell'autrice: dove siete spariti tutti? Siete già partiti per le vacanze?
Io sono ancora in città e ci rimarrò per un altro mese, miseriaccia.
Vi lascio con questo capitolo molto verde e argento.
Stay tuned!



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32. Faccia da poker

La sala comune di Serpeverde non era mai un luogo tranquillo la sera. Rispetto agli studenti delle altre case, i Serpeverde – e soprattutto le Serpeverde – erano molto più disinibiti. Alcune aspettavano di essere prese e portate via sul divano, altre svogliavano distrattamente Il settimanale delle Streghe. Per festeggiare l'ultimo giorno di scuola, molti stapparono le ultime bottiglie rimaste, e qualcuno amplificò il suono di una vecchia radio. La sala si riempì di musica e del continuo sbattere delle porte delle camere.
“Senti, perchè non fai pace con Astoria-acidità-Greengrass?” mi chiese Blaise porgendomi una bottiglia di burrobirra. “Pitbild quasi se la porta a letto se non la salvi.”.
Dall'altro lato della sala, Astoria stava parlando con uno dei battitori della nostra squadra di Quiddich, già visibilmente alticcio. Quando vide che la stavo guardando, lo prese per il maglione e lo avvicinò a sé, dandogli un volgare bacio sulla bocca.
“Sembra che si stia divertendo con lo scimmione.” commentai alzando le spalle. “Dov'è Michelle?”
“In giro, non so. Oddio, ci stanno dando dentro quei due.” disse lanciando un cuscino del divano a una coppietta che avrà avuto tre o quattro anni meno di noi. I due ci guardarono stizziti, uscendo dalla sala comune.
“Che noia. Dra. Facciamo qualcosa.”
“Io ho una gran voglia di dormire.” dissi trangugiando l'ultimo sorso di burrobirra e alzandomi.
“Sei diventato un vecchio. Prova a cercare la McGrannit, magari vi fate una bella partita a sparaschiocco.” si alzò, andò verso Astoria e Pitbill e prese lei sotto un braccio.
“Scusa amico, ma Tori aveva promesso di farmi felice stanotte. Pero Pamela dice che stasera sei particolarmente carino.” urlò, in modo tale da farsi sentire sia da me che da Pamela, una ragazza del sesto anno con corti capelli rossi, che sorrise a Pitbill.
“Il mio ragazzo è un idiota colossale.” commentò Michelle, che offrendomi una bottiglia di whisky incendiario. “Ti va una partita a poker?”
“Ancora quel gioco di carte babbano in cui ci si spoglia?”.
“Hai qualcosa di meglio da fare?”.
“Non ora. Prendi gli altri due, vi aspetto in camera.” dissi alzandomi e andando verso i dormitori.

Era praticamente impossibile muoversi nel piccolo corridoio: a terra erano seduti tanti piccoli studenti, che erano stati relegati in un angolo dai più grandi.
Non sembravano dispiaciuti di non essere al centro della festa e si godevano il posticipo del coprifuoco chiacchierando e giocando a scacchi magici.
Quando chiusi la porta della stanza alle mie spalle, tutte le voci e i rumori si allontanarono.
Ero diventato un vecchio.
Qualche piano più in altro, Hermione se la stava godendo con i Grifondoro.
E io ero sul letto a pensare a lei.
Qualche minuto dopo, Michelle rientrò seguita da Blaise e Astroria.
“Allora bambini, da bravi fate la pace.” disse Blaise sedendosi ai piedi del mio letto.
Astoria mi squadrò, le labbra tese.
“Mi dispiace.” disse freddamente, più per evitare discussioni che per vero desiderio.
“Si, anche a me.”
“Bene.” esclamò Blaise sorridendo, totalmente incurante della nostra pessima recitazione. “Ok, faccio io le carte.” disse tirando fuori da sotto il suo letto un mazzo di carte e mezza dozzina di bottiglie.

La partita fu eterna.
Di tanto in tanto ci fermavamo, ci appisolavamo e ci risvegliavamo.
Sempre più ubriachi, sempre più svestiti.
Michelle alla fine rimase nuda.
Il suo corpo era una tentazione così forte che dovetti distogliere lo sguardo.
Astoria notò la mia reazione e rise.
Ci rivestimmo e la partita ricominciò da capo.
Non seppi quanto tempo era passato, ma doveva essere notte fonda. Lentamente il rumore della sala comune si attutì.
“Vado a vedere se c'è qualche bottiglia di là.” disse Blaise togliendosi la camicia dopo l'ennesima mano persa.
Avrei voluto alzarmi anche io, solo per constatare il livello della mia ebrezza.
“Se mi alzo ora potrei vomitare.” commentò Michelle, risistemandosi il reggiseno e facendosi scappare un sonoro rutto.
“Russi, rutti. Sei un uomo Michelle. Io l'ho sempre saputo che Blaise aveva dei gusti strani.”dissi sorridendole.
Come se fosse stata colpita da un Incantesimo, Michelle iniziò a ridere di gusto. Astoria fu subito contagiata.
“Hey, Hermione.” disse Blaise, accompagnato da il tintinnare di una bottiglia.
Mi voltai verso di lui e la vidi. Era pietrificata con la bocca semi aperta e gli occhi spalancati.
Mosse appena la bocca, come per dire qualcosa, poi guardò Blaise e di nuovo me.
“M-ma  v-voi..” borbottò indicando Astoria e Michelle, che le sorrisero beate.
“Ohi ohi, la signora Malfoy ci ha scoperti.” disse la seconda sporgendosi verso di lei.
“Blaise, falla tacere.” commentai gelido.
“Sei tu che l'hai portata sulla dell'idromele barricato. Adesso ti arrangi”
“Spiegale cosa stiamo facendo, penso le stia per venire un infarto.” ci interruppe Astoria, puntando il mento verso Hermione, sempre più rossa, sempre più scossa dai brividi.
“Hermione, stiamo giocando a carte.”
“Nudi?” chiese con un'espressione scettica in viso, continuando a passare in rassegna con lo sguardo i volti di tutti e quattro.
“Una nata babbana che non ha mai giocato a strip poker. Mah, i miei amici babbani dicono che tutti i ragazzi ci giocano almeno una volta nella vita.” commentò Michelle.
Astoria disse qualcosa, ma non la ascoltai. Continuai a guadare Hermione.
Fece un piccolo passo in avanti, cercando di vedere cosa ci fosse sul letto, poi iniziò a guardare intensamente il mio torso nudo.
“Hai visto con che faccia lo guarda, sta per vomitare.” sussurrò Blaise all'orecchio di Michelle, che iniziò a sputare il vino che aveva appena bevuto.
“Un po' di vino elfico?” disse poi rivolgendosi a Hermione.
Lei lo guardò avvicinandosi di un altro passo, poi si voltò verso di me sorridendomi.
“No, mi sono appena ripresa da una sbornia colossale. Io e Harry ci siamo dati alla pazza gioia.”
“Deve essere uno spettacolo vedere Potter ubriaco.”  
“Non sai quanto.” rispose lei lanciandomi un'altra occhiata eloquente e un altro sorriso malizioso.
Lei e Potter ubriachi, di nuovo.
Stava scherzando, sicuramente.
“Beh, la finiamo questa partita?” dissi portandola verso di me. “Che ne dite di fare direttamente “La sfilata del serpente”? Così poi abbiamo finito.”
“La che?” chiese ritirando fuori la faccia sbalordita di qualche minuto prima.
“Sfilata del serpente. Praticamente facciamo le carte, possiamo cambiarle ma non ritirarci. Chi perde si spoglia del tutto e va fino alla sala comune.”  le rispose Astoria, un po' impaziente e un po' felice di saper qualcosa che Hermione Granger non sapeva.
“Cioè ve ne andate in giro completamente nudi? Non è la prima volta che lo fate?”
“Oh no, questo mese io l’ho dovuto fare ben quattro volte. Tanto a quest’ora non c’è in giro nessuno.”
Michelle si voltò verso Blaise, che continuava imperterrito a versarsi bicchieri di vino come se fosse succo di zucca.
La partita iniziò e Hermione rimase seduta al mio fianco, con un sorrisino in faccia. Uno di quei sorrisi che poteva voler dire tutto o niente.
Cercai il suo sguardo.
Era come al solito troppo pieno di cose da dire.
Presi le mie carte e guardai con fiducia la mia doppia coppia.
I miei avversari non tradivano alcuna emozione.
Non Blaise, mi ripetevo, non Blaise.

Nessuno parlò mentre scoprimmo le carte.
Blaise perse e iniziò a levarsi i pantaloni senza dire una parola.
“Aspetta!” gli urlai stringendo a me Hermione. “Tu, voltati.”
“Perchè Dra, hai paura che faccia confronti?” disse alzando lo sguardo verso di lei, che non riusciva a staccare gli occhi dalla mano che Blaise si passava maliziosamente sull'addome scolpito. “Vedi?”
Hermione scosse la testa proprio come aveva fatto Potter davanti a Michelle.
Non dissi altro, le nascosi il volto sulla mia spalla e assistetti allo spogliarello di Blaise, che fu seguito dagli applausi di Astoria e Michelle.
“Io e te facciamo i conti dopo.” sussurrai nella sua massa di capelli arruffati mentre la schiena di Blaise spariva fuori dalla porta.

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Capitolo 33
*** 33. La luna ***


Nota dell’autrice: sto partendo e sono di fretta!! Niente, vi lascio a questo capitolo pieno d’amore!
Commentate numerosi!!
Stay tuned!

 

33. La luna

“Cos’hai pensato appena ci hai visti?”

Eravamo stati cacciati dalla camera da Blaise, che non aveva alcuna intenzione di sprecare la sua nudità con inutili convenevoli.
Le avevo proposto una passeggiata in giardino, e Lei aveva accettato di buon grado.
“A che maledizione lanciarti per prima. Non è stato piacevole, anche se stavate giocando. E se tu fossi stato ubriaco? E se Astoria ti fosse saltata addosso? Eravate già mezzi nudi, il passo da fare era breve.” rispose Hermione irrigidendosi.
“Anche tu e Harry eravate ubriachi e per di più io non ho potuto vedere in che condizioni eravate. Chi mi dice che lui non ti ha portata a letto?”
Era sopravvissuto al mago Oscuro più potente di tutti i tempi, ma non sarebbe uscito vivo da uno scontro contro di me.
Si sarebbe guadagnato un biglietto gratis per l'inferno, se solo l'avesse sfiorata.
“Harry è il mio migliore amico ed è fidanzato. Anche da ubriachi abbiamo parlato di te e Ginny e mentre mi assisteva mi ha anche promesso che mi avrebbe svegliata in tempo per venire da te.”.
“Avete avuto il tempo di fare tutto quello che volevate. E poi fidanzato o no non conta, magari gli è stato impossibile resisterti.”
Impossibile resistere ad un profumo così buono, ad una pelle così incredibilmente allettante.
Nemmeno per Potter, il Prescelto.
“Però per me resistergli sarebbe stato facilissimo. Io amo te, e nonostante in un certo senso ami anche lui, non mi sognerei mai di andarci a letto. Ubriaco per di più. Che cosa triste.”
Quella sera il cielo era così luminoso da trasformare il vecchio castello in una scultura d'argento. Hermione si sedette sotto la quercia di fronte al lago Nero. Anche il suo volto prese un po' di quella luce.

 

“Non ti fidi di me Hermione Granger?” le chiesi sedendomi accanto a lei.

“Si, però loro sono così disinibite. E so che sei sempre stato abituato ad avere tante ragazze. Magari non dai importanza al sesso come gliela posso dare io.”

“Può darsi che ci abbia dato un po’ più dentro di te. Diciamo molto di più. Però adesso non sento la mancanza della mia vecchia vita.”

Perchè lei era li.
Come può mancare ad un uomo il giorno, quando ha accanto a sé la luna.
Fare pensieri come quelli mi faceva vergognare.
Mi sentivo uno di quegli uomini così accecati dall'amore da perdere se stessi.

“Tu ti fidi di me?” disse interrompendo il flusso malato dei miei pensieri.

“Certo. Con quei bruttoni che ti girano intorno sarebbe una follia tradirmi.”

La sua testa era appoggiata alla mia spalla. Sentivo il suo respiro sul collo.
Mi alzai di scatto, continuando ad osservare gli arabeschi che la luna disegnava sulla superficie del lago. Qualcosa si mosse nell'acqua scura, rompendo le figure e creando dei cerchi sempre più ampi.
Non potevo continuare a pensare a lei così intensamente.
Qualcosa dentro di me sarebbe esploso.
Doveva esserci un limite, un momento in cui l'amore bruciava così intesamente da diventare odio.
Se era così, io lo vedevo quel fuoco all'orizzonte.
Tornare indietro mi era impossibile, ma non volevo andare avanti.
Io ero felice li, in quel punto, anche se non mi sembrava umano provare così tante sensazioni solo guardandola, sentendo la sua risata, sfiorandole i capelli.
Dovevo trovare una soluzione.
Mi voltai e vidi la sua solita espressione decisa.
“Devi dirmi qualcosa? Sputa il rospo.”

Dovevo dirle tutto.

Dovevo farlo subito.
Le presi le mani, mi sedetti di fronte a lei.
“Ti amo Hermione Granger. So che non te lo dico spesso come vorresti. Vedo la tua faccia quando tu me lo dici e io non rispondo. C’ho pensato tanto, volevo che questa volta fosse vero. Volevo sentire l’amore bruciarmi nelle vene. Volevo che tu vedessi nei miei occhi la stessa luce che io vedo nei tuoi quando tu lo dici a me. Diventi ancora più bella, più dolce e più sensuale quando dici quelle due parole. Il movimento che fai con la bocca è cento, anzi mille volte più sexy di tutte le parole che le ragazze con cui ho condiviso il mio letto mi hanno detto mentre facevamo l’amore. Volevo che questa volta il mio ti amo non fosse la risposta al tuo. Volevo uscisse spontaneo, senza richiesta. Ti amo così tanto che mi sembra tutto migliore, tutto più colorato e divertente. Per la prima volta nella mia vita mi sento felice di essere un debole schiavo dei sentimenti.”
Avevo quasi il fiatone.
Mi specchiai nei suoi occhi e per la prima volta riuscii a leggerli.
Hermione era rimasta senza parole.
Nei suoi occhi io vedevo me.
Avvicinò le sue labbra alle mie, poi si riallontanò e mi guardò di nuovo.

“Ti amo.” mi sussurrò quasi sofferente.

“Promettimi che non smetterai mai di dirmelo, anche quando sarò tornato sobrio del tutto e un po’ di questi buoni sentimenti torneranno nascosti da qualche parte nella mia testa.”

“Te lo prometto. Tu promettimi che me lo dirai sempre con quella passione nella voce.”

E non ci furono più parole da dire.
Ogni frase perdeva significato. Mi sembrava di aver perso la voce sotto quella quercia.
Quando ritornammo in camera, feci anche l'amore in silenzio.
L'alcool che avevo in corpo, oltre a rendermi decisamente propenso al romanticismo, rallentò la mia vista.
Il che fu un bene.
Riuscii a vedere tanti piccoli particolari di Hermione che non avevo mai notato.
I suoi capelli castani appoggiati sul mio petto, avevano dei riflessi più chiari.
Aveva tre nei su un braccio, che erano i vertici di un triangolo perfetto.
Non le piaceva urlare di piacere, per questo cercava di tapparsi la bocca in ogni modo, anche mordendomi.
Era timida, non le piaceva che io la fissassi troppo e cercava sempre di coprirsi con la sua massa spettinata di riccioli.
Il suo corpo sopra il mio era come la luna sull'acqua.
Le dava una vita nuova, la riempiva di magia.
 
“Accidenti!”
Mi svegliai di soprassalto, la tempia che pulsava dolorosamente.
Blaise mi guardava da vicino, incredulo.
“Si può sapere che diavolo vuoi?”
“Sei in mutande, Dra.”
Mi guardai.
La luce del sole entrava da una fessura tra le tende disegnava una linea che mi trafiggeva da parte a parte all'altezza dell'ombelico.
“Si, lo vedo.”
“Non ti ho mai visto in mutande la mattina. Sei sempre tutto vestito, tutto perfettino.” commentò lisciandosi teatralmente la camicia.
“Allora?”
“Allora? E' l'ennesimo segnale che la Granger ha fatto centro. Oppure che ti sta letteralmente lasciando in mutande, vedi tu.”

 

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Capitolo 34
*** 34. Barriere invisibili ***


Nota dell’autrice: faccio le ore piccole per pubblicare questo nuovo capitolo. Commentate, recensite, leggete.
Stay tuned!!

Qui trovate The life after, la prima parte della storia.
Qui trovate The life after - Summer's Chronicle, la continuazione del POV di Hermione
Qui trovate il mio profilo di Facebook

 

 
34. Barriere invisibili


“Cosa farai quest'estate?” chiese Astoria dopo quasi un'ora di silenzio.
Eravamo sul treno da un paio d'ore. Blaise e Michelle dormivano beatamente, rompendo di tanto in tanto il silenzio con profondi respiri.
“Non lo so. Non so nemmeno che farò domani.”
“E lei, lei cosa farà?”
“I suoi sono babbani, non so cosa fanno i babbani d'estate.”
Per la prima volta alzò lo sguardo dal Settimanale delle Streghe che aveva in mano.
“Credi davvero che la vostra storia durerà al di fuori di Hogwarts?” chiese sporgendosi verso di me.
Non sembrava sulla difensiva, forse era solo curiosa.
“Non so nemmeno questo. Io farò del mio meglio.”
“Mi sembra che tu non sappia un bel po' di cose. Cosa ti fa pensare che è lei quella giusta?”
“Lo è e basta.”
Ascoltò la risposta, poi si accoccolò accanto al finestrino e si coprì il volto.
Dall'altra parte del vetro il paesaggio cambiava in continuazione: ora un piccolo villaggio, ora una brulla montagna, ora dei pascoli immensi.
Dovevo essermi addormentato, perchè quando la porta dello scompartimento si aprì mi spaventai.
“Sono passata a salutarvi ragazzi.” disse Hermione.
Notai solo in quel momento che Michelle e Astoria erano sveglie.
Hermione diede un bacio sulla fronte anche a Blaise, che le fece un assonnato cenno con la mano.
L'ultimo viaggio da studente verso Londra.
In compagnia di Hermione Granger.
La prima volta che salii su quel treno ero estremamente piccolo.
Con me c'erano Tiger e Goyle.
Uno era morto.
L'altro l'avevo perso di vista.
Ero figlio di una famiglia di maghi nobili, rispettati.
Ora era l'ultimo discendente di una dinastia di reietti.
Prima Ero stupido e viziato, ma ero felice.
“Vieni a salutare gli altri, ti va?” mi chiese Hermione pochi passi prima di quello che doveva essere il suo scompartimento.
Tornai li, con lei, giusto il tempo per rendermi conto di quanto potevo essere felice di nuovo, nei nuovi panni del bravo ragazzo.
Salutai tutti gli amici di Hermione, senza distinzione.
Salutai anche Ginny Weasley, che si voltò subito verso il finestrino, concentrandosi sulle prime case di Londra.
“Cosa farai oggi?” mi chiese Hermione una volta tornati in corridoio.
“Starò con mia madre, dormirò un po'. Tu?”
“Aspetterò te. E magari penserò un po' al mio futuro.” disse sorridendo e gettandosi per l'ennesima volta tra le mie braccia. “Ti mando un gufo appena arrivo a casa.”
“Verrò a trovarti appena mi sarà possibile.”
 
Il binario 9 e ¾ era gremito di persone.
Genitori, amici, fidanzati.
Tutti si abbracciavano, ovunque schioccavano baci.
In un angolo, appoggiata al suo bastone da passeggio, mia madre non parlava con nessuno.
Guardava a terra, si sistemava distrattamente il lungo vestito scuro.
Rimasi a guardarla per qualche secondo, poi qualcuno mi spintonò e corse verso di lei.
“Narcissa, sempre meravigliosa.” Blaise fece un inchino e le baciò la mano.
“Blaise, quando ti avremo a cena? Draco.” sussurrò vedendomi.
Per la prima volta mi venne voglia di stringerla.
Blaise guardò la scena, poi si voltò verso i suoi genitori.
“Ci beviamo qualcosa insieme domani sera?”
“Puoi contarci.” gli dissi dando una carezza a mia madre.
“Non dovevi disturbarti a venire. Posso materializzarmi da solo, ora.”
“L'ho fatto volentieri, Draco. Davvero.”
Mi sorrise ancora, non riuscendo però a far arrivare quel sorriso agli occhi.
Non ero più abituato ai Malfoy.
Ora che stavo Lei, che aveva una gamma di sentimenti che sembrava non finire mai, mi accorsi che mia madre non era veramente felice.
“Hai qualcosa da fare oggi?”
“No, caro. Perchè?”
“Andiamo a trovare papà.”
E mentre la stazione si svuotava e anche la massa di maghi dai capelli rossi scompariva nella Londra babbana, mi materiazzai all'ingresso di Azkaban.
Nonostante fosse estate, faceva freddo.
Presi dal baule un mantello e lo porsi a mia madre, che lo accettò di buon grado.
L'isola che ospitava la prigione era frustata da un forte vento e grandi nuvole scure minacciavano pioggia.
Con quelle condizioni atmosferiche, Azkaban aveva un aspetto ancora più sinistro. Il perimetro era costeggiato da un'alta recinzione, e dall'ingresso si potevano vedere una dozzina di torri di vedetta.
“Dovete lasciare qui la bacchetta e passare dai detector magici.” ci ordinò la burbera guardia all'accettazione trascinando i miei bagagli in un angolo.
Nella stanza che precedeva la saletta degli incontri due donne parlavano sommessamente.
Due Auror ci controllarono e in quel momento mia madre mi strinse il braccio con più forza.
Il detector magico suonò e fui costretto a mostrare il mio Marchio Nero. Le due donne tacquero all'istante.
“E' così umiliante.”
“Non è colpa loro, madre. E' colpa nostra.”
Non aggiunsi altro, mi limitai ad attendere l'arrivo di mio padre in un angolo della stanza in cui eravamo stati portati, come ogni volta.
La sala degli incontri era un asettico locale bianco.
Era diviso in due parti da una barriera invisibile, percepibile solo dal cambio di temperatura man mano che ci si avvicinava.
Se provavi a toccare un prigioniero, ti scottavi.
Un gigantesco Auror accompagnò mio padre.
Era magro e in disordine.
Ma aveva sempre lo stesso fiero portamento.
Senza Dissennatori Azkaban non avrebbe piegato facilmente l'enorme ego di mio padre.
“Narcissa!” esclamò guardando mia madre.
La sua voce fu seguita da uno sfrigolio.
“Non è niente, solo un dito.” disse all'Auror che gli si avvicinò all'istante.
“Devi farti medicare Lucius.”
“Non è niente, mi dimentico sempre di questa stupida barriera. Draco, ci sei anche tu.” disse con voce piatta, avvicinandosi ancora troppo a noi.
“Stai attento!” squittì mia madre di nuovo.
Mio padre non mi staccò gli occhi di dosso.
“Cosa ci fai qui?”
“Ho intenzione di tirarti fuori di qui. Non so ancora come, ma lo farò.”
“Tu.. D-draco.. io..”
“Non lo faccio per me. Non lo faccio per te. Lo faccio per mamma.”
Ci voltammo entrambi verso di lei.
I suoi occhi, Lucius Malfoy.
Guarda i suoi occhi.
Poteva una donna così diversa da lui, una donna che aveva salvato la vita anche al suo peggior nemico, amare un bastardo codardo come mio padre?
Si.
Lo faceva.
“D-draco.” sussurrò con voce rotta lei.
“Non dire niente.” gli dissi facendo un paio di passi indietro. “Ti aspetto fuori.”
“Ma Draco..”
“Stai attento o ti brucerai di nuovo.”
Per qualche secondo il mio sguardò incontrò quello di mio padre.
Azkaban lo stava spegnendo.
Avrei fatto una buona azione.
L'ennesima per dimostrare che io non ero come lui.

 

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Capitolo 35
*** 35. Mano per la mano ***


Nota dell'autrice: altro capitolo, altro regalo! Questa storia sta lentamente volgendo al termine. Permettetemi di iniziare a ringraziare tutti quelli che leggono la storia e chi la recensisce.
Stay tuned!

 

35. Mano per la mano
 
Casa Granger.
Ero li davanti da qualche minuto. L'avevo guardata così a lungo da ricordarmene ogni particolare. Le finestre aperte, i listelli di legno bianco della facciata. Il tetto in tegole rosse.
Una di quelle finestre al piano superiore doveva nascondere Hermione.
Si stava vestendo, forse era già pronta e stava leggendo un libro.
Suonai il campanello.
Ad accogliermi una donna sulla quarantina.
Stessi occhi di Hermione.
Capelli più scuri, più lisci.
“Buongiorno signora Granger.”
“Ciao Draco, entra pure.”
Anche il sorriso era diverso.
“Come sono andati i M.A.G.O.? Hermione mi ha detto che hai avuto qualche problema in pozioni.”
“Spero di essere riuscito a superare tutti gli esami.”
La signora Granger mi guardò ancora un secondo, poi scosse la testa.
“Vuoi qualcosa da bere?”
“Un bicchiere d'acqua, grazie.”
“Te lo porto subito. Accomodati in salotto” disse indicandomi una porta alla mia destra.
La stanza era grande, molto luminosa.
Tutto era bianco.
La grande libreria, il divano in pelle, le pareti.
Mi guardai intorno stupito da quanti oggetti strani vi erano esposti.
Oltre ad un pianoforte a muro, c'erano molti libri.
Alcuni piccolissimi.
Lessi alcuni nomi.
Bruce Springsteen, The Queen.
Non avevo idea che la regina avesse scritto così tanti libri.
“E' la collezione di cd di mio marito.” commentò la madre di Hermione rientrando con un bicchiere in mano. “Ora te la chiamo, non avrà sentito il campanello.”
Rimasi a guardare i cd ancora un qualche secondo poi mi sedetti sul divano, davanti a una grande lastra scura, che rifletteva lievemente la mia immagine.
Il rumore delle scale mi riportò alla realtà. Cercai di apparire più disinvolto possibile, cercando di non farmi accecare da tutte quelle superfici riflettenti.
Hermione passò prima dalla cucina, poi venne in salotto.
Una strana sensazione, dopo tre giorni passati lontano da lei, mi avvolse dolorosamente.
Le sorrisi, lei si avvicinò e mi baciò.
“Come stai?” mi chiese prendendomi la mano.
“Bene. Bella casa. Molto luminosa. Cos’è quello?” chiesi indicando la lastra.

“Roba da babbani. Una specie di radio però anche con le immagini.”

Avevo già sentito parlare di una cosa del genere, in un'altra casa babbana.

“Interessante. Ne ho visto uno simile una volta, però era più largo.”

Fece qualcosa, la lastra si accese. Al suo interno delle persone cantavano mentre facevano colazione.

“Ti fermi qui a cena Draco?” chiese la signora Granger, che nel frattempo aveva raccolto i capelli.

“Veramente pensavo di portare Hermione fuori a cena, se non è un problema.”

“Oh, si certo. Ti fermerai la prossima volta, anche John non vede l’ora di conoscerti. Adesso vado al lavoro. Buonagiornata.”

Rimanemmo in silenzio, lasciando che il chiudersi della porta e lo scalpiccio dei tacchi della signora Granger sui ciottoli del vialetto riempissero l'aria.

“Se andiamo fuori a cena devo portarmi un cambio, non posso venire conciata così.” Disse Hermione sfiorandosi le gambie nude. “Torno subito.”

Quel marchingegno babbano aveva qualcosa di strano. Le immagini cambiavano velocemente e tutti sembravano belli e felici.
Una donna molto abbronzata si spalmava un unguento sulle gambe sorridendo.
Forse era una sorta di cambia umore. Improvvisamente mi venne voglia di andare al mare, nonostante lo odiassi.

“Sono pronta.” mi annunciò Hermione risvegliandomi da quel sogno ad occhi aperti.

“Andiamo allora.”

 
C'era qualcosa nel suo profumo, nell'abito leggero che portava, nel suo sorriso.
Qualcosa di intenso e di sbagliato.
Qualcosa come un oasi nel deserto.
Un miraggio di felicità.
Camminavamo mano per la mano per Diangon Alley, incuranti delle malelingue, delle persone meschine travestite da vecchiette.
Era come se tutto andasse a rallentantore.
La distanza di pochi giorni aveva trasformato il nostro stare insieme in qualcosa di altro.
“Mi sei mancato.” sussurrò mangiandosi con gli occhi una piuma davanti al Ghirigoro.
“Anche tu. Devo dire che non è stato così male l'incontro con tua madre, è una babbana molto informata.”

“In effetti ho cercato di tenerla al corrente della mia vita magica e di come andava la nostra storia.” disse continuando a fissare la vetrina.

“Gli hai detto anche..” mi sfiorai il braccio. Anche se eravamo soli, dire la parola Mangiamorte in mezzo a Diagon Alley non prudente.

“Si.”
Rimase in silenzio per più di un minuto. Ripensai alla signora Granger, al suo atteggiamento. Non sembrava ostile. Sembrava vera, sincera. Ma i babbani erano creature subdole, come quella donna che si spalmava la crema e sorrideva. Erano uomini in grado di farti credere che tutto andasse bene, anche se in verità tutto era il contrario di tutto.
Anche Hermione era nata babbana e il ricordarlo proprio in quel momento non aiutò.

“Allora la compri oppure no?”

“I-io… No. Ne ho già tante” rispose scuotendo la testa.

Non disse altro lungo la strada che portava al negozio di Madama McClan, e non parlò nemmeno mentre ci provavamo le toghe per la cerimonia del diploma.

“I tuoi genitori non vogliono che tu esca con uno come me?” sbottai davanti allo specchio, sentendomi immediatamente un idiota.

“Certo, hai visto come si è comportata mia madre.”

“Allora a cosa era dovuto quel silenzio?”

“A niente.” si voltò e mi guardò negli occhi. Ancora una volta li trovai sinceri. “Loro vogliono che io sia felice, e se per essere felice io devo stare con te, loro lo accettano. Sono semplicemente apprensivi, come tutti i genitori.”

“Se fai un discorso del genere allora vuol dire che ti hanno detto qualcosa.”

“Come siamo sospettosi.”

Mi baciò. Per un istante guardai il nostro bacio riflesso nello specchio.
Quel bacio nascondeva i nostri volti, nascondeva i miei pensieri.
Un secondo dopo fummo interrotti da una delle persone più fastidiose del mondo, Lavanda Brown, che fece il possibile per trasformare i pochi minuti passati in quel negozio una vera tortura. Mi continuava a guardare, a fissare intensamente. Quando non mi guardava in volto, i suoi occhi scendevano sul mio avambraccio. Un paio di volte controllai la benda, nonostante il desiderio malrepresso di farle vedere quel marchio e farla scappare di paura.
 
“Ti è passato il broncio?” mi chiese Hermione quando ci fummo sistemati in uno dei tavoli della gelateria Fortebraccio.

“Forse.”

“Sei sempre il solito musone.” sbuffò da dietro al menù.

“Sei tu che fai sempre di testa tua. Per me non avresti dovuto dire niente ai tuoi.”

“Odio le bugie. E poi avrebbero fatto due più due. Si parla della tua famiglia un giorno si e uno no sulla Gazzetta del Profeta.”

“I tuoi leggono il Profeta?” chiesi sorpreso.

“A volte, quando me lo dimentico in giro per casa. Certo mio padre preferisce il Times e mia madre Vanity Fair, però un po’ di attualità magica non fa mai male. No?”

“No, assolutamente.”

Tempo e la fiera delle vanità. Bei nomi per delle riviste.
Hermione mangiò il suo gelato voracemente, continuando a dispensarmi sorrisi.
Dopo un altro giro per la via, tornammo verso il Paiolo Magico.

“Passiamo da villa Malfoy prima di andare a mangiare ok? Tranquilla, mia madre è da sua sorella.” Precisai intercettando un suo sguardo poco convinto.

“Io ho conosciuto tua madre, toccherà anche te conoscere la mia.”

“Teoricamente conosco già tua madre.” puntualizzò lei distogliendo lo sguardo.

“Non mi freghi Granger.”

“Uff.”

“Prendimi la mano.”

E con quel contatto, mi accorsi che tremava.

 

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Capitolo 36
*** 36. Strappi e cuciture ***


Nota dell'autrice: è tardi, ho sonno e domani parto.
Ma non potevo finire questo lunghissimo capitolo.
Eh si, ci ho dato dentro e l'ho finito. Yeah!
Manca poco alla conclusione di questa storia, un po' mi mancherà.. e a voi?
Godiamoci un po' di sano Draco, un po' di Herm e perchè no.. romanticismo dell'ultima ora.
Stay tuned!


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36. Strappi e cuciture
 
Hermione tenne gli occhi chiusi per qualche secondo dopo aver toccato terra.
Quando li aprì erano attraversati da un'ombra scura.
Tremava ancora, forse più di prima.
“Ti prego, mi fa star male questa tua reazione.”le sussurrai.
“Non posso evitarla, scusa.”
Non disse altro per il resto del cammino che ci separava dall'ingresso.
Villa Malfoy era in ordine, niente faceva pensare ad un'altra intrusione.
Hermione si guardava introno spaesata, cercando di non farmi sentire i tremiti che la scuotevano.
Non era in lei.
Era impossessata dalla paura.
“Puoi andare nella mia stanza a cambiarti. Sali le scale, è la prima a destra. Ti aspetto in soggiorno.” le dissi sorridendo.
Lei annuì impercettibilmente e si arrampicò sulle scale.
Non era facile.
Cercavo di capirla, cercavo di vedere quella casa dal suo punto di vista.
Vidi zia Bella accanirsi sul suo corpo martoriato dalle maledizioni, sentii le sue urla di dolore. E il riverbero di quelle di Weasley, che dal basso delle prigioni sentiva la sua amata gridare sotto tortura.
Per un istante mi chiesi cosa sarebbe accaduto se io mi fossi innamorato prima di Hermione.
Forse il Signore Oscuro l'avrebbe uccisa per punirmi.
Forse non sarebbe cambiato nulla, lei avrebbe comunque scelto di proseguire il viaggio con Potter, per salvare il mondo magico.
Mentre questi pensieri mi attanagliavano la testa, sentii i vetri del piano di sopra tremare, una finestra sbattere.
Mi alzai di scatto e corsi in camera, spalancando la porta.
“Tutto bene?” le chiesi.
Hermione si voltò verso di me con gli occhi lucidi e il labbro inferiore che tremava.
“S-si. S-scusa ma... Non è facile.”

“Vieni qui.” la invitai aprendo le braccia. Mi si gettò contro violentemente, abbandonandosi sul mio petto.

“Mi dispiace. Ma tornare qui è davvero terribile. Ci sono delle notti in cui la sento ancora addosso a me, a cruciarmi. E le urla di Ron e Harry..Non posso dimenticare.”

Parlava e singhiozzava. Per qualche istante rimasi in silenzio, appoggiando le mie mani sull'abito verde che indossava, così ironicamente in tinta con la camera che in quel momento le faceva paura.

“Lo so, Her… amore. Andiamo dai, sei così sexy vestita così.”

“Va bene.” rispose asciugandosi le lacrime.

 
Non poteva dimenticare.
Non potevo dimenticare.
Erano passati più di sei mesi.
Sei mesi di consapevolezza, sei mesi di Lei, di me, di noi.
Sei mesi in cui io, Draco Malfoy, avevo cercato di ridimensionare i miei pensieri negativi, di dimenticare le difficoltà, credendo troppo spesso di avere davanti una persona che non aveva niente da temere, se non me.
In quel momento, mentre scendeva le scale cercando invano di nascondere le righe nere che trucco e lacrime le avevano lasciato sul dorso della mano, mi resi conto che niente era cambiato.
Io amavo Hermione, lei amava me.
Ma tutto il resto era immobile.
Il mio essere cambiato non aveva avuto l'effetto sperato.
Il mio passato era ancora lì, immobile.
Ogni angolo di Villa Malfoy era una piccola crepa nel mio scudo.
Un piccolo strappo tra me ed Hermione.
Nonostante tutto, ci materializzammo nella piazza di un piccolo villaggio babbano.
Un ristorante babbano gestito da un mago molto conosciuto.
Un ex Mangiamorte che aveva abbandonato la magia per darsi alla cucina italiana.

“Mangiamo italiano?” mi chiese Hermione stupita, il braccio ancora legato al mio.

“Si, è molto che non vengo qui.”

Alexander, il figlio del proprietario, ci accolse e ci accompagnò ad un tavolo.
Hermione lo guardò sorridendo, poi si buttò nel menù, continuando a sorridermi.

“Ho una gran fame.” disse dopo aver ordinato degli spaghetti alla bolognese.

“Anche io.”

Quando gli spaghetti e le lasagne arrivarono, così come una bottiglia di buon vino, mi rilassai.

Hermione era un'ottima conversatrice, parlò a lungo della sua famiglia babbana e accennò anche a quella magica.
Poi iniziò a chiedere di me, di mia madre e di Andromeda Black.
Mentre Alexander ci serviva un'ottima grigliata di pesce, Hermione iniziò a guardarmi meditabonda.
“Cosa facciamo quest'estate?” chiese finendo il suo vino in un sorso.

“Potremmo andare nel mio chalet qualche giorno. Non sono un amante del mare.”

Le parole mi erano sfuggite dalla bocca.
Troppo in fretta per correggermi e dire che avevamo abbandonato lo chalet dopo il ritorno del Signore Oscuro.
Hermione sembrava contenta della mia proposta e decisi di riprendere il discorso solo a tempo debito.
“Hai già deciso cosa farai dopo il diploma?” le chiesi per cambiare argomento.
“No. Mi piacerebbe iscrivermi al corso per Auror, oppure lavorare nei rapporti tra maghi e Babbani. Tu?”
“La mia priorità è tirare fuori mio padre da Azkaban. Per mia madre, non per me. Si sente così sola senza di lui e ora che io ho te, ne sente ancora di più la mancanza.” dissi e per la seconda volta in poco tempo, le parole uscirono prima di chiedere il permesso alla testa.

“Sei così premuroso.” commentò sporgendosi verso di me “Cosa facciamo adesso?”

“Torniamo a casa tua.”

L'orologio fuori all'ufficio postale babbano segnava le undici.

Pagai il conto e rimasi un passo dietro ad Hermione, che attirava su di sé alcuni sguardi curiosi.
Sapevo che la sua non era una bellezza sfacciata, il genere di bellezza che faceva voltare gli uomini al suo passaggio, ma quella sera aveva una luce particolare.
Una luce densa, quasi palpabile.
Era una luce che non riusciva a piacermi.
Il sorriso sul suo viso era sempre più spento, più malinconico.
Era pallida ed eterea.
Il solo contatto con il suo braccio risvegliò in me il desiderio di portarla via, e concentrarmi su casa Granger fu molto difficile.
Quando finalmente aprii gli occhi, sapevo di non aver sbagliato.
La casa babbana di Hermione era quasi tutta immersa nell'oscurità, salvo una luce pulsante proveniente dal salotto.
Trovammo i signori Granger accoccolati sul divano, intenti a guardare la lastra con le immagini.
La donna con la crema solare aveva lasciato il posto a due uomini nel pieno di un furibondo litigio.
Le radio con le immagini non facevano per me, così mi voltai verso di loro.
Era strano vedere un uomo e una donna sistemati su un divano in quel modo.
Da un lato sembravano degli adolescenti, dall'altro la scena emanava un'aura calda e piacevole.
Il padre di Hermione si alzò e mi porse la mano.
“John” disse secco con un sorriso.
Dopo alcuni convenevoli imbarazzati, Hermione mi trascinò in camera sua.
Non ero mai stato in quella stanza.
Stavo cercando di notarne ogni dettaglio, scoprire qualche strana mania di Hermione, quando lei mi spinse sul letto.
“Hey.” riuscii solo a dire.
“Ho veramente bisogno di te.”
“Ci sono i tuoi genitori.” dissi fermando le sue mani, che erano già riuscite a slacciarmi la camicia.
Tutta la mia forza di volontà era concentrata a non guardarla, a pensare a qualcosa di diverso dal suo corpo stretto nell'abito smeraldo, ai suoi ricci che mi solleticavano.
“Basta. Puoi rilassarti un secondo Draco? Sei così teso. Cos’è cambiato?”
Cos'era cambiato?

“Forse la nostra storia non è pronta alla vita vera. Non mi basta. Anche se adesso facciamo l’amore, so che me ne dovrò andare di nuovo. A Hogwarts era diverso. Mi sei mancata in questi giorni, ma ho paura di dimenticare tutto quello che provo se non ti vedo quanto vorrei. Non ho intenzione di andare avanti così.”

“Vattene allora.” ringhiò piena di rabbia. “Vai via.”

Prima di aggiungere altro, isolai la stanza con il Muffliato.

“Hermione…” iniziai, sperando di trovare le parole giuste per non peggiorare la situazione.

“No! Come puoi dirmi così? Tanto valeva che mi lasciassi sul treno. Se il tuo fosse amore, non basterebbero tre giorni per dimenticarmi. E’ tutta sera che eviti le mie attenzioni.”

“Non è vero. Io non voglio lasciarti, dico solo che dovremmo trovare una soluzione.”

Avrei dovuto dirle che non aveva capito niente. Avrei dovuto abbassare i venti centimetri di cerniera lampo che mi separavano dalla sua schiena nuda.
Ma al piano di sotto c'erano i suoi genitori.
E quello era il momento giusto di parlare.
La prossima volta che siamo soli, pensai, non avrò la stessa forza di volontà.
“Tipo?” chiese lei dopo qualche istante di silenzio.
“Potremmo eliminare le distanze, per esempio.”
“Scusa? Mi stai chiedendo di…” spalancò gli occhi. Non ebbi il coraggio di sentire la sua ipotesi.
“N-no, non ti sto chiedendo niente. Era solo un’idea. Solo perché tu capissi che io non voglio lasciarti.”
“Si.”
“Si cosa?”
“Lo voglio.”
“Cosa vuoi?”
“Eliminare le distanze” rispose con semplicità.
“Io non so che intendi” commentai, sempre più convinto che la conversazione fosse diventata una battaglia anime arrabbiate che parlavano una lingua incomprensibile alle nostre orecchie.
“Sei tu che l’hai detto.”
“Si. Potremmo vivere per un po’ di tempo insieme, per esempio.”
“Ah.” commentò. Di nuovo cercai di capire di che stavamo parlando. L'unica cosa di cui ero certo era che il discorso era imbarazzante e andava chiuso al più presto. Hermione nel frattempo aveva un'espressione che avrei trovato buffa in momenti migliori.

“Senza impegno per ora, ho davvero bisogno di divertirmi. Però proviamo a vivere un po’ insieme. Vediamo come va. Hai già cambiato idea?”

“N-no. Anzi, però fino a un minuto fa credevo mi volessi lasciare e ora mi chiedi di vivere insieme.”

“No, non correre. Dico, potremmo farci una lunga vacanza insieme, convivere gomito a gomito e vedere se ci sopportiamo. E’ una cosa folle. Però…”

Hemione era tornata bella.
Confusa.
Hermione era più bella quando non capiva.
Mi avvicinai lentamente, prendendola tra le braccia.

“Però?” mi soffiò quasi sulle labbra.

“L’idea di lasciarti tra pochi minuti è triste. Pensiamoci fino al giorno del diploma. Poi prenderemo le nostre decisioni. Adesso vado però, i tuoi inizieranno a pensare male.”

Ed fu davvero triste.

Baciarla, sentire appena il suo sapore.
Riaprire la porta, salutare, riandarsene di nuovo.
Erano passati tre giorni.
Pochissime ore dal nostro ultimo incontro.
Ed era una sofferenza partire.
Era una sofferenza vederla imbronciata, sentire il suo “ti amo” sussurrato in un orecchio.

Vivere con lei era un desiderio bruciante.

E per qualche istante mi immaginai accoccolato con lei.
Accoccolato su un divano.
A guardare quella lastra luminosa, a sfiorarci le mani.

 

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Capitolo 37
*** 37. Scambio di ruoli ***


Nota dell’autrice: ciao a tutti! Allora.. Premetto che una buona parte del capitolo è stata scritta in aereo.. eh si. Ho portato un pezzetto di fic a Londra… Che dire? In questo periodo sono veramente molto poco ispirata.. in realtà l’ispirazione c’è, ma verso altri tipi di storie. Mi dispiace quindi se vi ho fatto aspettare così tanto per il nuovo capitolo!
Commentate, recensite!

Stay Tuned!

 


37. Scambio di ruoli


 
“Hermione Granger?” chiese mia madre sbalordita, appoggiando con più forza del necessario la tazza che teneva in mano sul tavolo.
La cameriera ci guardò entrambi per qualche secondo, poi continuò a tagliare la torta che aveva insistito a preparare per il mio diploma.
“Si, Hermione Granger.” ripetei per la quindicesima volta. “Stiamo insieme, ora.”
Era estremamente imbarazzante. Carol mi guardò e mi porse una fetta di torta, poi mi fece un occhiolino.
“Sono confusa.” disse mia madre quando fummo di nuovo soli, smettendo di fingere che la torta le piacesse. “quella Hermione? La mezzos..”
“Si, madre.” la interruppi con forza. “Non sto chiedendo la tua benedizione, sto solo cercando di evitare altre scene imbarazzanti.” più imbarazzanti di quella che stavo vivendo, mi corressi mentalmente. “Voglio solo che tu sappia che sto con lei, da un po' di tempo.”
“I-io.. va bene, si. L'importante è che tu s-sia felice, suppongo.”
Mi guardò e accennò un mezzo sorriso. Stava cercando di mettermi a mio agio, ma il risultato era l'esatto opposto. Allentai il nodo della cravatta e mi alzai prendendo la mia fetta di torta dal tavolo.
“Vedi di farla sparire anche tu. Non voglio che la cameriera ci rimanga male.” consigliai indicandomi la tasca dove tenevo la bacchetta.
Né io né mia madre parlammo più di Hermione, lasciando che le cose si evolvessero senza ulteriori commenti.
Dopo aver scorto Potter a King's Cross, decisi di lasciare ancora qualche minuto tra me e lo spiacevole incontro tra mia madre ed Hermione.
Mi sedetti nella carrozza occupata dagli Zabini, che ci accolsero con entusiasmo.
Dopo circa una mezz'ora di viaggio i convenevoli erano terminati.
Mia madre mi guardò e fece un mezzo sorriso.
“Sapete che Draco si è fidanzato?” disse provocando una risata a Blaise, che cercò invano di nascondersi dietro alla tendina del finestrino.
“Anche Blaise, non è stupendo?” rispose la signora Zabini, evidentemente felice che qualcuno avesse tirato fuori un argomento succoso.
Blaise cambiò espressione in un secondo.
“Quando gli hai detto di Michelle?” gli sussurrai mentre le due donne continuavano a chiacchierare e a fare ipotesi sulle nostre vite sentimentali.
“Dopo.” disse lui, osservando mia madre alzarsi.
“Andrò a trovare il mio nipotino. Draco?”
“Rimango qui ancora un po'” risposi senza guardarla.
Poco dopo anche gli Zabini si alzarono.
Con mia somma sorpresa, Blaise non parlò a lungo, continuando a fissare malinconicamente il finestrino.
“Che c'è?”
“Michelle non è qui.” rispose con semplicità. “Mi sarebbe piaciuto averla accanto.”
“Blaise, ti prego. Non voglio parlare di sentimenti. Ne ho abbastanza.”
“Fottiti, Dra. Ma cosa ne vuoi sapere, la tua ragazza è qui e nemmeno la vai a trovare.” piagnucolò nascondendo a stento un sorrisino.
“Ok, Blaise la lagna. Stamattina ho dovuto dire a mia madre che sto con Hermione Granger. Hermione Granger, ok? Non è stato divertente.”
“Non per te.” commentò. “Draco ha la fidanzata. Ah.. Narcissa. Lei si che sa come rendere felice un povero ragazzo abbandonato.”
“Vado da Hermione.” dissi incenerendolo con lo sguardo, facendolo ridere ancora una volta.
 
Sbirciai all'interno di diverse carrozze, poi finalmente trovai quella dei genitori di Hermione.
Seduti con loro, oltre a mia madre, c'erano Andromeda Black e Teddy.
“Buongiorno a tutti.”
“Ciao Draco!” disse la madre di Hermione con un sorriso. “I ragazzi sono dai Weasley, qualche carrozza più in là.”
Mia madre mi guardò per qualche istante con sorpresa, poi la sua attenzione fu attirata dal piccolo Teddy.
Il bambino si stava arrampicando sul suo petto per avvicinarsi a me.
“Ti va di portarlo con te da Harry?” mi chiese Andromeda.
Non avevo mai tenuto in braccio un bambino.
Ted Lupin era più pesante di quello che mi aspettavo e continuava a scalciare.
Mi diressi con fatica verso la carrozza indicatami e cercai di aprire lo scompartimento.
Dopo qualche secondo qualcuno dall'interno lo fece per me.
La carrozza era satura di capelli rossi: Lenticchia, la signora Potter, il gemello sopravvissuto. Con loro Harry, Hermione e quella che doveva essere la nuova ragazza di Lenticchia.
Il mio ingresso destò diverse reazioni.
La maggior parte dei presenti era pietrificato.
Teddy iniziò a divincolarsi con più forza, iniziando a tirarmi i capelli.
“Teddy!” lo ammonii con forza, facendogli mettere il broncio. “No, ti prego, non piangere. Harry, che faccio?”
Potter scosse la testa e prese il bambino. Quel gesto risvegliò tutti, che risposero lentamente al mio saluto.
“Vado a salutare Dean, così ci state tutti.” disse il gemello Weasley, mentre Teddy iniziava a torturare i lunghi capelli di Ginny Weasley.
“Ha fatto così anche con me, e dire che io li ho più corti.” commentai.
Lei si voltò dall'altra parte senza dire una parola, trasformando il sorriso di Hermione in un'espressione tesa e carica di tristezza.
Non sopportavo Ginny Weasley.
Mi era sempre stata antipatica.
Tra tutti, era la peggiore.
Aveva trattato male Hermione.
Era il momento di fare qualcosa.
“Basta, smettiamola.” ringhiai con rabbia. “E’ davvero una brutta situazione. Non mi importa se vuoi avercela con me fino alla morte perché stavo dalla parte sbagliata, va bene. Ma non puoi fare questo alla tua migliore amica.”

“Che ne sai tu dell’amicizia Malfoy? Sei sempre stato circondato da leccapiedi.” rispose lei, voltandosi di nuovo verso di me con uno sguardo deciso.

“Posso non saperne niente, ma so qualcosa dell’amore. Io amo Hermione e vedo che da quando non le parli lei è triste. Per una ragione così stupida come un ragazzo.”

Tutti gli occhi erano puntati verso di noi. Potter si era messo tra me e la sua ragazza, passando Teddy ad Hermione. Per un istante credetti che avesse paura che io colpissi Ginny.

“Draco ha ragione Gin.” Disse invece, sorprendendoci entrambi.

“Cosa?” chiese lei sbalordita.

“Ha ragione, perché ce l’hai tanto con Hermione?”

“Sono l’unica a vedere con chi si è messa? Ron?”

“Non mi mettere in mezzo. Certo, non è il mio migliore amico, ma io voglio bene a Herm, è questo l’importante.” rispose Weasley.

La scena era surreale. Tutti in quello scompartimento si erano messi dalla mia parte. Anche la fidanzata di Lenticchia mi sorrise imbarazzata.

Mi voltai verso Hermione, la collera che lentamente svaniva.
Ginny Weasley si alzò e uscì sbattendo la porta, Harry la seguì a ruota.

“Grazie Ron.” dissi.

“Miseriaccia, sei davvero cambiato.”

“E’ colpa sua.”

Hermione sorrise sia a me che a Lenticchia.

“Andiamo a salutare Blaise?”

“Va bene.”

 

Uno scompartimento vuoto.
Io ed Hermione, solo noi.
Il suo peso sulle mie gambe, le sue braccia legate dietro al mio collo.
I suoi ringraziamenti per quello che avevo fatto mi sembravano superflui, ma li ascoltai volentieri.
Il silenzio, il rumore dell'espresso per Hogwarts che procedeva sui binari.
Erano un regalo prezioso.
“Hermione?”
“Si?”

“Ti prometto che da oggi non ti farò soffrire mai più. E’ una promessa.”

“Non promettere ciò che non puoi mantenere.”

“Allora ti prometto che cercherò di fare il mio meglio per non farti soffrire.” mi corressi sorridendo.

“Questo va meglio.”

 

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Capitolo 38
*** 38. Trasformarsi ***


Nota dell'autrice: causa vacanze, computer andato a pezzi e altro, pubblico solo ora il penutilmo capitolo di The Afterlife.
Spero che la curiosità durante questo tempo non si sia spenta e che abbiate sempre voglia di commentare e di leggere la (quasi) fine della mia storia.
Stay tuned!



Qui
trovate The life after, il POV di Hermione
Qui Summer Chronicles
Qui il mio profilo di Facebook

38.Trasformarsi

 
 
Potter parlava.
Sul palco a pochi passi da me, Harry Potter stava parlando ai presenti.
La cerimonia del diploma si stava svolgendo da qualche minuto, e io ascoltavo Potter.
“..E’ stato l’odio a dividerci. E’ arrivato il tempo per amare. E’ stato l’amore a salvarmi tanti anni fa. E’ stato l’amore a farmi arrivare vivo fino al diploma...” disse sorridendo alle tante persone che sedute su scomode seggioline bianche lo ascoltavano.
Pendevano tutti dalle sue labbra.
Anche io mi sentivo in qualche modo toccato dalle sue parole.
Era come se per pochi secondi si fosse tolto di dosso i panni dell'imbranato.
Sembrava a suo agio sul palco.
Dopo un lungo applauso, fu il turno di Weasley.
Anche lui sembrava cambiato.
Forse la McGrannit aveva fatto qualcosa alle scale.
Le aveva stregate per far sembrare chi le attraversasse una persona seria, consapevole.
La voce di Lenticchia si fece profonda e calma.
Giurò.
Giurò di mantenere la fiamma della conoscenza accesa, accese il Braciere.
Poi iniziò a chiamare i rappresentanti delle case.
“Draco Malfoy.”
Quando il mio nome uscì dalle sue labbra, Ronald Weasley mi cercò con lo sguardo.
Mi alzai, lentamente guadagnai il palco.
“Tu.” disse ad alta voce.
Quasi con rabbia, quasi con rassegnazione.
Ira rassegnata.
Semplice veemenza.
Per la prima volta, Ronald Weasley mi guardava come un suo pari.
“Rappresentante della casa di Salazar Serpeverde, ricevi questa candela simbolo della conoscenza. Abbine cura.”
“Per Salazar Serpeverde.” risposi accendendo la mia candela Serpeverde e porgendogli la mano.
Per qualche secondo il parco fu inghiottito dal silenzio.
Poi, qualcuno iniziò a battere le mani.
Weasley tornò a guardare la folla e io mi diressi verso le scale.
 
“Granger, Hermione.”
La professoressa McGrannit disse il suo nome con insolita forza.
Granger, Hermione.
La mia ragazza.
La mia debolezza.
Probabilmente la mia salvezza.
Hermione ricevette il diploma sorridendo un po' impacciata, poi tornando verso il suo posto la vidi cercare tra la folla i suoi genitori.
I nostri sguardi non si incrociarono.
Quando fu il mio turno, anche io cercai gli occhi di mia madre.
Non appena vide il mio sguardo su di lei, annuì impercettibilmente.
Ce l'ho fatta, avrei voluto urlarle. Ci sono arrivato, vivo.
Vivo come non mai.
Il resto della cerimonia trascorse il fretta, quasi che il tempo avesse deciso di correre a velocità doppia.
Mentre la lunga lista di nomi scorreva, guardai il castello.
Le fredde mura che per anni erano state la mia casa.
Indesiderata, talvolta ripudiata.
Troppo spesso sottovalutata.
I prati, la Foresta Proibita.
Erano lì, a osservarci in silenzio.
Ad osservare un gruppo di mezzi adulti spauriti.
Per la prima volta dopo tanto tempo, mi sentivo parte di Hogwarts.
Mi sentivo parte di quei compagni che avevo sempre guardato con disprezzo e superiorità.
Quasi come l'avessi chiamata con il pensiero, Hermione si rialzò in piedi.
Di nuovo, lentamente, salì sul palco.
Era il momento del suo discorso.

“Grazie mille Professoressa McGrannit.” disse con la voce che proprio non riusciva a rimanere ferma. “Questo è un giorno speciale per noi, un giorno che segna il nostro passaggio ufficiale alla vita adulta. Sono molto felice che dopo tanti anni i miei genitori possano vedere Hogwarts. Ci si può impegnare molto, cercare di descrivere ogni minimo dettaglio di questa scuola, ma è davvero impossibile renderle onore solo con le parole. Hogwarts è più di un castello, più di una scuola, più di una casa. Hogwarts è un pezzo della nostra vita, una parte di noi che nasce e cresce in fretta, che non ci abbandona mai, nonostante la distanza, nonostante a volte si abbia solo voglia di scappare da queste mura...”

Cercai di stare attento, ma quasi subito mi persi nell'osservare Hermione.
Parlava, il viso illuminato da un sorriso timido ma sempre meno impacciato.
Il pugno chiuso che stringeva il foglio si rilassò lentamente.
Anche su di Lei, nonostante fossi convinto non ce ne fosse bisogno, la magia del palco aveva fatto effetto.
“ Ad Hogwarts i legami si rafforzano e si radicano in noi, tanto che a volte ci sembra di respirare tutti all’unisono, come se fossimo un unico grande essere. Un’anima sola. Per questo motivo non importa come ti chiami, di che colore è la tua pelle o da che famiglia provieni, in questo luogo troverai sempre qualcuno che ti tenda la mano e ti aiuti a superare le tue paure e le tue ansie. Mi piace sottolineare che nonostante il mio nome sia apparso troppe volte su i giornali e la gente mi riconosca per strada, a Hogwarts vengo trattata come tutti gli altri. Perché non importa se sono quella del trio delle Meraviglie, se sbaglio, vengo punita lo stesso. ”
Anche se non potevo vederli, sapevo che Harry e Weasley stavano guardando Hermione e questo mi preoccupava.
Questa volta anche loro avrebbero visto ciò che ero convinto di essere l'unico in grado di vedere.
Il fatto che Hermione fosse più di una ragazza intelligente.
Hermione era una donna.
Era una donna in tutto e per tutto.
Mi persi nei suoi occhi per un po', poi cercai di stare attento.
Di ascoltare quello che aveva scritto anche per me, anche grazie a me.
“Il coraggio non è solo il combattere un nemico, il coraggio a volte è semplicemente uscire dal coro, esprimere il proprio pensiero a discapito della propria vita. Ci sono molti esempi tra le persone che vedo qui oggi presenti di questo tipo di coraggio, tutti possono voltarsi verso il vicino e ritrovare in lui quello che ho appena detto.

A questo mi ricollego per parlare dell’amore. L’amore è la prima cosa che si percepisce appena nati. E’ il calore dell’abbraccio di una mamma, è il suo canticchiare una ninna nanna per farci addormentare. Io penso che quando si parla d’amore, tutti diventiamo uguali, babbani e maghi. L’amore è una magia che tutti possiamo condividere. Ed è anche la magia più potente.

Ne ha parlato prima Harry. Chi meglio di lui può insegnarci che l’amore è un’arma potentissima e senza controindicazioni? L’amore protegge e cura le ferite, l’amore salva sempre la vita. Si, sempre, anche quando non ce ne rendiamo conto. Anche quando le persone che amiamo non ci sono più. Tante persone a me care hanno lasciato questa vita. Ma io oggi lo racconto con il sorriso, perché io so che in realtà loro sono qui e percepiscono tutto l’amore che i sopravvissuti provano per loro. Io li riesco a vedere. Vedo negli occhi di ragazzo con gli occhi verdi una madre e un padre fieri di lui. Vedo negli occhi di un altro ragazzo il sorriso di suo fratello, tanto simile che potrebbe essere il suo, che lo invita ad andare avanti, perché lui non lo abbandonerà mai. Vedo un uomo e una donna guardare il frutto del loro amore seduto in braccio alla nonna. Vedo tra i professori un vecchio dalla barba lunga che mi sorride e mi guarda con quei suoi occhi così azzurri e intensi.

Loro sono qui, perché l’amore ci rende immortali. Non dobbiamo mai negarci di amare. Dobbiamo amare sempre, anche se ci sembra di amare la persona sbagliata, anche se non veniamo ricambiati come vorremmo. Perché nonostante tutto quell’amore ci tornerà indietro prima o poi.

Detto questo vi confesso che Hogwarts mi mancherà moltissimo. Mi mancheranno i suoi profumi e i suoi colori. I dodici alberi di natale in Sala Grande addobbati, i pomeriggi passati sotto la vecchia quercia a guardare il Lago Nero, le lezioni, anche quelle più noiose. Mi mancheranno la biblioteca e il campo da quiddich, le canzoni stonate di Pix e le continue sfide a duello dei quadri. Come ha detto la professoressa McGrannit, Hogwarts non si dimenticherà mai di noi, perché tutti noi abbiamo lasciato una traccia nel nostro passaggio in questa scuola.”

Il mio messaggio che vorrei ricordaste è semplice. Non guardiamoci indietro con dolore e rimpianto. Non importa quanti errori abbiamo fatto e quanta sofferenza abbiamo patito. Se il nostro presente è come questa giornata di sole, chiara e senza nuvole, il nostro dolore si è trasformato in qualcosa di produttivo, in un qualcosa di bello. Grazie a tutti gli insegnanti, agli amici e ai compagni per questi anni. Hogwarts avrà sempre un posto speciale nel mio cuore, perché Hogwarts mi ama, e io amo lei.”

E io, Hermione Granger, amo te.
 
Ci fu un lungo applauso, che Hermione accolse con un altro sorriso.
Mentre scendeva dalle scale, la professoressa McGrannit concluse la cerimonia.
 
Volevo parlarle, dovevo parlarle.
Ma non sapevo cosa dirle.
Così passai in rassegna alcuni Serpeverde, salutai gli Zabini e ragginsi mia madre.
Con uno sguardo, Hermione mi invitò ad avvicinarmi.
Dopo alcune fotografie babbane, ci sedemmo sulle sedie ormai deserte.

“Complimenti. Hai detto delle cose molto belle.” dissi.

Poi mi avvicinai e la baciai.

Ancora una volta.

Quasi fosse diverso, restai sulle sue labbra qualche istante in più.

Giusto il tempo per riconoscerle di nuovo come mie.

Mie.

“Grazie.”

“Ci hai pensato allora?.”

“Partiamo Draco. Partiamo domani.” disse sporgendosi verso di me.

“Sei sicura?” chiesi.

“Si. Ne parlerò con i miei stasera stessa.”

“Ti amo.”

“Anche io Draco.”

La presi per mano e la accompagnai alla tavola imbandita.
In un angolo non troppo distante, Harry e Weasley si sedettero uno accanto all'altro.
Alla distanza perfetta per far stare tra di loro anche lei.

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Capitolo 39
*** Epilogo ***


Nota dell'autrice: GRAZIE. Grazie a tutte le persone che hanno seguito questa storia, che l'hanno commentata, che si sono appassionate agli intricati pensieri di Draco.
Grazie alle 51 persone che hanno questa storia nei Preferiti.
Grazie davvero.
La storia finisce qui, con questo epilogo, dedicato ad Ayumi.
Aspetto i vostri commenti finali e vi saluto.

Viki_chan
 
 

Epilogo
 
Ero cambiato.
Draco Malfoy, in meno di un anno era cambiato.
Camminando lentamente nel vialetto di casa Granger – casa Granger, per l'appunto – ripensai a quello che era successo.
Ripensai al mio ruolo durante la battaglia di Hogwarts, alla voglia di uccidere Harry Potter e di farla finita.
Mi sarei sacrificato per il Signore Oscuro.
Un essere che non provava nulla per me, o per la mia famiglia.
Né rispetto, né odio.
Niente.
Nemmeno io provavo qualcosa, ripensai.
Non credevo di poter provare altri sentimenti se non il sospetto, la rabbia.
Poi arrivò lei.
Hermione.
Hermione stizzita e un po' schifata.
L'amortentia.
Il più potente filtro d'amore.
Un gioco, una sfida.
Eppure, mi ero innamorato di lei.
Stavo cambiando con lei, stavo cambiando per lei.
Ma sopratutto per me stesso.
Draco Malfoy, quel Draco Malfoy che in quel momento stava per suonare il campanello di casa Granger, era un Draco diverso.
Era un Draco diverso per sua scelta, forse un po' per amore.

Era un Draco stanco, pensai guardandomi in uno degli specchi appesi nel corridoio di casa Granger.
Il cambiamento era sacrificio.

Quando Hermione scese le scale, non ebbi più tempo e voglia di pensare al passato.
Avevo davanti la persona che amavo.
Avevo davanti una lunga vacanza, forse una vita, sicuramente un secondo.
Fossi morto un istante dopo, avrei comunque avuto quel secondo.
Quel secondo perfetto in cui sfiorare la mano della ragazza che amavo.
Quel secondo perfetto per comprendere che tutti i miei sacrifici erano stati degnamente ripagati.

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