Chuck vs. The Happy Ending di LaFolie108 (/viewuser.php?uid=142080)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
prologo
New York, Quartier
generale dell'ONU - 23.58, lunedì
Il corridoio
era deserto a quell'ora
di notte. Chuck Bartowski, in equilibrio all'interno di un condotto
dell'aria, confidava soprattutto in quello, e magari in un
provvidenziale colpo di fortuna. Aveva studiato la pianta dell'edificio
nei minimi dettagli, sapeva di essere poco ad est del grande ufficio al
terzo piano che doveva raggiungere. La scalata attraverso l'impianto
d'aerazione era stata un'impresa titanica, continuava a scivolare da un
piano all'altro. Aveva rimpianto di non aver utilizzato l'ingresso
principale, ma sapeva che sarebbe stato impossibile eludere i due
addetti alla sicurezza ben armati senza attirare necessariamente
l'attenzione, e non poteva permettersi di attendere il cambio delle
sentinelle per sgattaiolare all'interno indisturbato. Inoltre adorava
calarsi a testa in giù dal soffitto, come se fosse spider
man.
Fingersi un supereroe era uno dei lati positivi del suo lavoro. In
compenso ce n'erano fin troppi di negativi.
Appeso
per le gambe al buco aperto
nel soffitto, Chuck valutò che sicuramente qualcosa sarebbe
andato storto. Non poteva essere davvero così semplice
infiltrarsi nel palazzo di vetro, sicuramente qualche super guerriero
ninja sarebbe spuntato da un angolo per catturarlo e metterlo a marcire
in una cella buia per il resto dei suoi anni. Finchè si
trovava
in quell'edificio non era legalmente sul suolo degli Stati Uniti, se
l'avessero preso l'avrebbero sicuramente processato come terrorista.
Rabbrividì, una goccia di sudore gli imperlò la
fronte e
scivolò lentamente sui suoi capelli per poi infrangersi con
un
impercettibile "plic" sul pavimento di linoleum. Trattenne il respiro,
aspettando di sentire il suono di una sirena rompere il surreale
silenzio che regnava nel palazzo. In attesa, immobile, sentiva il suo
respiro rimbombare nelle orecchie. Cercò di concentrarsi per
calmare i battiti del cuore che gli impedivano di ascoltare
ciò
che gli accadeva intorno. Che quelli fossero passi? O forse era solo la
sua immaginazione. Doveva mantenere i sensi in allerta.
Sobbalzò spaventato quando sentì l'imbragatura,
che lo
sosteneva in quella posizione innaturale, gemere, troppo tesa sotto il
persistente peso del corpo umano. Chiuse gli occhi e pregò
che
la corda non cedesse, sperando che qualche entità benefica
non
meglio definita lo esaudisse. Gettò l'occhio all'orologio,
il
tempo sembrava non trascorrere mai, eppure due minuti non dovrebbero
essere così lunghi. Seguì il quadrante digitale,
scandendo gli ultimi secondi che lo separavano alla mezzanotte... 58,
59...
Il blackout lo colse di sorpesa, nonostante lo avesse organizzato
proprio lui. Era ciò di cui si era occupato nel pomeriggio,
era
entrato mimetizzandosi fra un nutrito gruppo di diplomatici europei,
per poi utilizzare un pass temporaneo rubato ad uno sventurato
elettricista allo scopo di infiltrarsi nei sistemi di sicurezza del
palazzo e inserire il timer. Era andato quasi tutto per il verso
giusto, era decisamente incredibile, mai un suo piano era andato come
previsto. Ormai la sua vita era un continuo colpo di scena. Certe volte
avrebbe desiderato solo un po' di tranquillità, una casetta
sulla spiaggia, il sole al tramonto, una brezza fresca fra le foglie
delle palme, il rumore delle onde, il sorriso della sua Sarah sotto un
cielo rosso come il fuoco, le curve del suo corpo infiammate dalle
ultime luci del giorno, esattamente come quando in luna di miele erano
rimasti soli su quel tappeto di sabbia fine e bianca e...
Un brivido gli attraversò la schiena e spalancò
gli occhi
sul buio, disorientato. Non poteva perdersi a fantasticare, non ora che
il tempo era poco. Aveva esattamente altri nove minuti prima che il
programma di Orion riattivasse la corrente cancellandosi
automaticamente dal sistema informatico, e quelli che sentiva
rimbombare nel corridoio erano decisamente passi. Con un unico tocco si
lasciò cadere sul pavimento, atterrando maldestramente in
ginocchio.
-Chi va la!- Urlò un uomo di mezza età,
dall'altro lato
del corridoio. Chuck non poteva vederlo, ma sentiva la sua voce
profonda tremare. Doveva essere lui, appurò la spia
indossando
gli occhiali ad infrarossi. La massiccia mole del diplomatico
sessantenne che si stagliava di fronte a lui sembrava rimpicciolire
mentre vagliava il buio alla ricerca del suo invisibile nemico.
-Arthur Rosenfeld?- Scandì Chuck, chiedendo una conferma di
cui
non aveva veramente bisogno. Quell'ometto insulso era un venduto, un
traditore, non osava nemmeno lasciare quel palazzo per paura di
sfiorare il suolo americano.
-S... si?- Pigolò Mr. Rosenfeld addossandosi alla parete in
cerca di un interruttore, una maniglia dell'allarme antincendio,
qualunque cosa potesse attirare l'attenzione. Chuck era disgustato da
tanta viltà.
-Lei era in affari con un trafficante legato alla mafia russa- la sua
voce era di ghiaccio mentre gli elencava le sue colpe -Lei lo usava
come tramite. Gli dava informazioni governative segrete, e lui avrebbe
portato i suoi nuovi acquisti al suo capo, un brav'uomo Ivan
Vassiljevich, ho visto il suo cadavere. Era un uomo di parola.- Si
fermò sentendo di nuovo squittire di terrore l'uomo. Sapeva
di
non avere scampo, ma stava arretrando lentamente verso quello che
doveva essere l'ufficio. Chuck estrasse una pistola dalla cintura e
gliela punto contro con uno scatto metallico. Il diplomatico dovette
riconoscere il rumore perchè si immobilizzò
all'istante.
-Eh si, il caro vecchio Ivan. Prima di morire ha dato informazioni
importanti alla mia collega, informazioni che ci portavano dritti a
lei, Mr. Rosenfeld. In questo momento la CIA. sta elaborando un mandato
governativo di estradizione. Domani mattina lei sarà
costretto
ad uscire da questo edificio e verrà arrestato.
Sarà
incarcerato in una prigione di massima sicurezza, insieme ai peggiori
assassini, che probabilmente si divertiranno molto a fare di lei
ciò che vogliono-
-Lei è... è della CIA?- Il terrore si sentiva
chiaramente nel tono piagnucoloso della voce di quel verme.
-Io posso offrirle un accordo- Chuck sfuggì volutamente alla
domanda. Che credesse pure che era della CIA. Era più veloce
e
lui non aveva tempo. Mentì con sicurezza, in
realtà come
spia freelance non aveva alcun potere, men che meno in un momento del
genere, ma negli anni aveva imparato a sfruttare l'ignoranza altrui a
suo vantaggio. -Ivan e il suo capo non erano in proprio, giusto? C'era
qualcuno che li spaventava ben più di un mandato federale.
Siamo
stati a San Pietroburgo, Mr. Rosenfeld. Sappiamo che non si tratta solo
di documenti riservati sfuggiti alla dogana, un complotto
internazionale sta per mettere alla prova i governi di tutto il mondo-
Una pausa ad effetto lasciò spazio solamente al silenzio
rotto
dal ronzio lontano del generatore d'emergenza che scalpitava
incapace di entrare in funzione.
-Mi aiuti a fermarli. Mi basta un nome e le farò avere tutto
ciò che desidera. Anche la libertà.-
Gli occhietti porcini di Rosenfeld brillarono bramosi attraverso
l'oscurità. Chuck non riuscì a reprimere un
sorriso
soddisfatto, capendo che aveva vinto. Gli avrebbe detto ogni cosa, e
ciò che lui sapeva lo avrebbe avvicinato di un passo alla
verità, e a Sarah. La sua Sarah, i suoi capelli dorati e il
suo
sorriso innamorato, che lo aspettavano, da qualche parte.
-Io- balbettò l'uomo, incerto -mi dispiace, io non so nulla
di
una cospirazione russa, ma se vuole sapere la verità il capo
di
Ivan si chiamava...-
Rosenfeld cominciò a sputare nomi di mafiosi russi, di altri
colleghi corrotti, persino di un trafficante d'armi curdo che gestiva
una cellula terroristica nel centro di New York. Per la CIA sarebbe
stata una manna dal cielo. Ma a Chuck non importava, ormai non
ascoltava più.
Non aveva dubbi, quell'uomo non sapeva nulla. Dalla velocità
con
cui stava cercando di dare tutte le informazioni di cui era in possesso
era chiaro che avrebbe detto qualunque cosa pur di non finire in
carcere. Era un debole, in prigione non sarebbe durato nemmeno un
giorno, e lo sapeva. La spia guardò l'orologio: 00.09.
Ancora un
minuto.
Era stato tutto inutile. Risalire a quell'uomo con fatica, trovare un
modo per entrare in uno dei palazzi più sorvegliati della
costa
est, completamente senza supporto, perdere giorni e giorni dietro a
quella pista. Non era servito a niente, solo un buco nell'acqua. E ora
che la CIA era venuta a conoscenza dello scandalo, lui non aveva
più uno straccio di indizio da seguire. Sentì la
rabbia
montare dentro, l'impotenza era disarmante. Quell'uomo era inutile,
Sarah era perduta e lui era completamente solo in un mondo totalmente
nemico..
Arthur Rosenfeld stava andora parlando quando la pallottola gli
perforò il cranio. L'esplosione rimbombò nel
corridoio,
subito seguita dal tonfo sordo del corpo morto, ancora con la bocca
aperta, a svelare quegli ultimi segreti. Traditore fino alla fine.
Le luci si riaccesero di colpo. Chuck aveva forse ancora trenta secondi
prima che anche le telecamere di sorveglianza entrassero
nuovamente in funzione.
Tolse il dito guantato dal grilletto e velocemente infilò
l'arma
in mano al diplomatico, in modo che la posizione potesse far credere ad
un suicidio. Forse avrebbe trovato un medico legale abbastanza
distratto da non accorgersi che il colpo era stato sparato a distanza,
e in ogni caso a nessuno sarebbe dispiaciuto, a nessuno sarebbe mancato
quell'essere ignobile. La CIA l'avrebbe prelevato cadavere l'indomani.
Velocemente Chuck si riagganciò alla corda che prontamente
si
riavvolse riportandolo nella sicurezza del caldo e angusto condotto di
lamiera. Solo lì, mentre lentamente si trascinava verso
l'uscita, potè lasciarsi andare al senso di nausea che lo
assaliva. In parte perchè gli sembrava che gli occhi
spalancati
di Rosenfeld lo stessero ancora fissando, mentre i resti di sangue e
cervello gli colavano piano sulla fronte. E in parte perchè
non
riusciva a provare nulla, nemmeno il più piccolo rimorso,
per
aver tolto la vita ad un altro essere umano, a sangue freddo, in una
splendida notte di primavera.
Burbank, California, Casa
Bartowski - 3.42, martedì
Chuck rientrò in casa fradicio e trafelato.
Fuori la
pioggia cadeva fitta infrangendosi sui tetti, sugli alberi e su tutti i
tiratardi come lui, che ancora non si erano rifugiati fra le mura
domestiche. Appoggiò le chiavi sul mobile in entrata,
gettò la valigetta contenente il suo portatile sul divano,
desiderando solamente togliersi i vestiti bagnati e andare a dormire.
Dopo quasi sei ore di volo trascorse ad autocommiserarsi era giunto
alla conclusione che non poteva arrendersi.
Non aveva ancora nessuna idea di come fare a trovare Sarah, ma era
certo che l'avrebbe raggiunta ad ogni costo. C'era sicuramente un modo,
anche se ancora non sapeva quale. Dopotutto glielo
aveva giurato, era pronto a dare la vita per salvarla, lo sarebbe stato
sempre. E decisamente non avrebbe mollato solo perchè si era
ritrovato in un vicolo cieco. La mattina successiva avrebbe
ricominciato tutto da zero, avrebbe ricontrollato tutti i fascicoli
inerenti San Pietroburgo, avrebbe provato con altri metodi di ricerca.
Tutto sarebbe andato bene.
Questo si ripeteva mentre lasciava cadere a terra la giacca e la
camicia zuppe d'acqua, rimanendo in maglietta e pantaloni. La casa era
talmente buia e silenziosa che non si era nemmeno dato la briga di
guardarsi intorno. Non aveva acceso la luce, l'oscurità lo
tranquillizzava, e poi non ne aveva bisogno, conosceva ogni angolo di
quella stanza, poteva tranquillamente attraversarla ad occhi chiusi.
Per questo motivo quando sentì la voce squillante di Ellie
provenire da quello che doveva essere il tavolo da pranzo, si
spaventò abbastanza da lasciarsi sfuggire un gemito di
sorpresa,
prima di rendersi conto che non c'era alcun pericolo.
-Sei impazzito? Lo sai che ore sono?- Lo aggredì la giovane
donna, accendendo la luce che, com'era prevedibile, lo
accecò
per alcuni istanti. -Non puoi andartene senza nemmeno avvisare! Hai
idea di quanto io mi sia preoccupata?-
-Ellie, calmati. Sono un uomo adulto e responsabile, ricordi?- Certe
volte sua sorella lo trattava ancora come un bambino. Sapeva che si
comportava in questo modo solo perchè gli voleva bene e non
voleva perderlo, ma a volte avrebbe preferito non dover rendere sempre
conto a qualcuno di tutti i suoi spostamenti.
-Un uomo adulto e responsabile non scompare per un giorno intero senza
lasciare nemmeno un biglietto!-
-Se eri così preoccupata potevi telefonarmi. I cellulari
sono
stati inventati proprio per questo- Chuck sospirò
esasperato,
non era la prima volta quella settimana che era costretto ad affrontare
una simile conversazione, e quella sera non era decisamente in vena di
discussioni.
-Quale cellulare? Quello che hai dimenticato a casa di Morgan? Tu...-
Ellie
cercava di mantenere la voce bassa, era pur sempre notte fonda e non
aveva intenzione di svegliare tutto il vicinato, ma la voglia di urlare
contro il fratello era forte. Era frustrante rimanere a casa ad
attendere una telefonata, con il timore che qualcuno potesse ucciderlo
e portarglielo via per sempre. Ma lui sembrava non capire, continuava a
rischiare la sua vita, anche senza protezione, e lasciava crollare
tutto ciò che negli anni Sarah lo aveva aiutato a costruire.
Ellie vedeva il suo fratellino andare verso l'autodistruzione e non
poterlo salvare la rendeva irritabile e incredibilmente triste.
Voleva parlargli ancora, aiutarlo a sfogarsi, ma fu lui a fermarla. Gli
occhi di Chuck sembravano quelli di un vecchio mentre la fissavano.
Quegli occhi avevano già visto tutto il dolore possibile,
non
c'era più paura, non c'erano più lacrime,
nè la
minima scintilla di gioia in quello sguardo. Le si avvicinò
e la
cinse in un maldestro abbraccio, il suo corpo umido e freddo la fece
rabbrividire.
-Scusa. Lo so, sto sbagliando tutto. Ma non ce la faccio El-
Mormorò, come se avesse paura di confessare questa debolezza
che
lo rendeva ancora più vulnerabile.
-Va tutto bene- Sussurrò lei appoggiando la testa sulla sua
spalla. -Non importa-
-Ne parleremo domani, ok?- Chuck abbozzò un sorriso di scuse
allontanandosì dalle braccia calde e sicure della sorella.
Era
sicuro che se fosse rimasto in quella posizione anche solo per un altro
minuto sarebbe scoppiato in lacrime come un bambino. -Loro...?-
-Stanno dormendo- Ellie sorrise accennando al corridoio che portava
alle camere. -Vado, Devon mi avrà data per dispersa.
Buonanotte
Chuck-
-Buonanotte sorellina- A Chuck non sfuggì lo sguardo triste
di
Ellie, mentre usciva dal portone per raggiungere la sua abitazione, a
pochi metri di distanza. Quella situazione stava divorando la sua
famiglia.
L'uomo sospirò e spegnendo la luce dietro di sè
imboccò lo stretto corridoio. Si sentiva così
stanco che
era certo che se la sua testa avesse sfiorato un cuscino avrebbe potuto
dormire per anni ininterrottamente, eppure era altrettanto certo che la
mattina successiva sarebbe stato sveglio all'alba, tormentato dagli
incubi che affollavano le poche ore in cui riusciva a chiudere occhio.
Ormai non riposava decentemente da settimane, precisamente due
settimane e mezza, anche se a lui sembravano secoli.
Mezzo mese non sembra così lungo in apparenza: diciotto
giorni,
quattrocentotrentadue ore, venticinquemilanovecentoventi minuti, un
milione e cinquecentocinquantacinquemiladuecento secondi senza Sarah. E
ogni scatto della lancetta di quel maledetto orologio lo allontanava
sempre più da lei.
L'avevano presa. Era in Russia, doveva essere una missione semplice,
per questo aveva accettato. Doveva essere a casa per l'ora di cena,
invece non era più tornata. Era scomparsa nel nulla.
Più il tempo passava, più girava voce che in
realtà l'avessero uccisa, ma Chuck non poteva rassegnarsi.
Sapeva bene che i criminali professionisti erano soliti far scomparire
i corpi delle loro vittime: un veloce bagno dell'acido e i pochi resti
gettati nelle fogne o sepolti nel deserto. Migliaia di "scomparsi"
sulla carta erano in realtà solamente morti, perduti per
sempre.
Rifiutava di credere che sua moglie fosse fra quelli, che della sua
pelle candida e sottile non fosse rimasto in realtà
più
nulla.
Odiava la pietà che lo circondava da giorni. Amici e parenti
stavano solo attendendo che impazzisse dal dolore, per questo lo
seguivano, cercavano ogni occasione per non lasciarlo solo, quando lui
voleva soltanto poter cercare l'amore della sua vita in santa pace.
Nessuno gli avrebbe mai fatto accettare una realtà in cui
Sarah
non esisteva. E se non avesse trovato lei, almeno avrebbe trovato la
vendetta.
Chuck si accasciò contro lo stipite della porta di quella
che un
tempo era stata la sua camera. Sulla destra troneggiava un letto a
castello, con due cuscini gemelli e due coperte identiche, azzurre a
pallini blu, in perfetto ordine, sulla sinistra invece, incassato
nell'armadiatura c'era un letto rialzato, candido e soffice, con le
lenzuola a cuoricini di diverse sfumature di rosa. Ovviamente nel buio
della stanza lui non poteva distinguere quei colori, ma riusciva ad
immaginarli perfettamente, esattamente come immaginava il mucchio
indistinto di bambole, pupazzi e robot sicuramente abbandonato sul
tappeto nel centro della camera, e il sorriso felice di Sarah nella
fotografia adagiata sulla scrivania addossata al muro, accanto alla
finestra su cui ancora batteva insistente la pioggia. Prevedibilmente
la stanzetta era deserta, ormai stava diventando un'abitudine trovare
quei cuscini freddi e vuoti la sera.
Facendosi forza Chuck finì di spogliarsi, si
strofinò i
capelli bagnati con un asciugamano e indossò una maglietta
asciutta e dei pantaloni di una tuta ancora abbandonati sul pavimento
dalla sera precedente. Poi con passo strascicato zoppicò
lentamente fino all'altra camera, quella sua e di Sarah, nella quale
entrò cercando di essere il più silenzioso
possibile.
La poca luce bluastra che filtrava attraverso le persiane lasciate
socchiuse illuminava tre fagotti indistinti abbandonati sul grande e
comodo letto matrimoniale. Chuck si scoprì a sorridere
osservandoli, sorridere per il sollievo di vedere quel miracolo con i
suoi occhi, sorridere sinceramente per la prima volta negli ultimi
giorni.
A destra, con i capelli lunghi e biondi ad incorniciarle il viso, era
stesa supina Samantha, dieci anni, una piccola copia di Sarah. Con le
sopracciglia aggrottate sussurrava qualcosa nel sonno, come se stesse
sognando qualcosa di particolarmente complicato, il volto spigoloso
contratto nello sforzo di concentrarsi. Raggomitolato in posizione
fetale, giusto accanto a lei e con la testa sprofondata fra i cuscini,
stava il piccolo Peter, tre anni appena, gli occhi azzurri e grandi
nascosti sotto le palpebre e i capelli corvini incollati alla fronte.
Infine, ad occupare tutto lo spazio rimasto, a pancia in giù
e
con le gambe e le braccia spalancate, c'era Christopher, sette anni,
con i suoi capelli castani arruffati e la bocca aperta, a Chuck
ricordava molto sè stesso da piccolo, almeno nell'aspetto.
Quei bambini erano tutta la sua vita, ciò che di
più
prezioso gli restava, ognuno perfetto nella sua minuscola
personalità in formazione.
Sentendo le gambe cedergli per la stanchezza si scavò un
buchetto fra i corpicini caldi dei suoi figli, fiduciosi e vivi, e
finalmente al sicuro
con la sua famiglia, si addormentò.
NOTE
Solo due piccole
precisazioni, non per tediarvi, ma perchè sono d'obbligo.
Prima che me lo dimentichi, gli orari sono riferiti al luogo indicato,
tenendo conto del fuso orario. Non ho inserito riferimenti
all'intersect, semplicemente perchè ora come ora non so se
Chuck lo recupererà, decidete voi se le sue
abilità come cecchino derivano da quindici anni di pratica
nello spionaggio o ancora da un aiutino mentale. So che fargli uccidere
una persona a sangue freddo è stato un po' azzardato, ma la
disperazione spinge a fare cose impensabili, quindi prendetela come una
dimostrazione di quanto l'assenza di Sarah possa cambiarlo.
Cercherò di essere fedele al telefilm, il prossimo capitolo
sarà meno malinconico, conosceremo meglio i piccoli
Bartowski, incontreremo lo zio Morgan e farà una capatina
anche il caro vecchio Casey.
Spero che interessi a qualcuno, in ogni caso dovevo scriverla,
perchè mi frullava in testa da troppo tempo.
Il telefilm Chuck e i suoi personaggi non mi appartengono, sono di chi
ne detiene i diritti, e questa storia non è assolutamente a
scopo di lucro.
Sono ben accette (e molto desiderate) le recensioni.
A presto,
M.
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
capitolo 1
Burbank, California, Casa
Bartowski - 8.21, martedì
-Sam! Apri la porta!-
Samantha sbuffò al richiamo del padre e si alzò
controvoglia da tavola. Stava rigirando i cereali in un'abbondante
tazza di latte e ora, a causa di questo contrattempo, si sarebbero
sicuramente sciolti facendo diventare la sua colazione una pappetta
immangiabile.
Se il buongiorno si vede dal mattino quella sarebbe stata una giornata
pessima.
Scocciata si trascinò al portone. Sentiva suo padre
richiamare
Chris dalla stanza vicina, come al solito erano in ritardo e lui era
ancora a letto. Quando mamma era a casa non arrivavano mai in ritardo
da nessuna parte.
-Ciao zio Morgan- Borbottò contro voglia vedendo l'ometto
barbuto sulla soglia.
Morgan era il migliore amico di suo padre da quando erano bambini, ma
lei non riusciva a capire come avessero fatto ad andare d'accordo.
Sembravano così diversi! Intanto Morgan era sempre vestito
elegante, in giacca e cravatta come se dovesse andare ad un
ricevimento, anche quando doveva solamente rimanere tutto il giorno nel
suo ufficio al Buy More, poi portava sempre gli occhiali da sole, anche
al chiuso e con la pioggia, e le parlava sempre con un tono saccente
pur avendo un quoziente intellettivo pari a quello del piccolo Peter.
Era decisamente un tipo strano.
-Questo è tutto l'entusiasmo che riesci a metterci
signorina?
Non è così che si saluta il tuo zio preferito!-
Tutta
quell'allegria la innervosiva. Stava per rispondergli in malo modo
quando arrivò Chuck a soccorrere il malcapitato ospite.
-Hei Morgan! Vieni dentro-
Congedò la figlia con una pacca sulle spalle e
frettolosamente
si accinse a raccogliere la giacca, ancora per terra dalla notte
precedente.
-Fammi indovinare, ieri sera sei tornato tardi- Morgan si chiuse la
porta alle spalle osservando le occhiaie ben visibili sul volto
dell'amico e collega. Lo preoccupava lo stato di trascuratezza in cui
stava crollando Chuck, sapeva bene a quali picchi di autocommiserazione
poteva portarlo lo sconforto, ma un conto era osservarlo amoreggiare
con le palline al formaggio sul divano, tutt'altra cosa era vederlo
trafugare armi di nascosto dall'arsenale della base. E queste sue
sparizioni erano pericolose, ormai stavano esaurendo le scuse da usare
con i bambini. I loro genitori non li avevano mai lasciati soli per
più di due giorni in un mese, e ora all'improvviso mamma era
partita per una lunghissima missione e papà si imboscava in
incognito più volte alla settimana? Erano piccoli, non
stupidi,
lo avrebbe capito persino lui che qualcosa non andava.
-Ellie ti ha chiamato vero?-
-Ti ho riportato il cellulare- Chuck strappò il suo
Blackbarry
dalle mani dell'amico, controllando automaticamente se ci fossero nuovi
messaggi.
-Da quanto tempo è che quella camicia non incontra il caro
vecchio sapone?- Cambiò argomento Morgan, per distrarre
l'altro
uomo, che sembrava essersi imbambolato a fissare il piccolo schermo del
telefono.
-Perchè? Che ha che non va?-
-Non so... Quella è una macchia d'inchiostro?-
Chuck abbassò gli occhi sul tessuto spiegazzato e
sbuffò
notando uno scarabocchio in pennarello rosa che decisamente non avrebbe
dovuto essere lì.
-Peter disegna praticamente su ogni cosa- Spiegò. Era fin
troppo
stanco di ripetere al figlio che i colori andavano usati solo sui fogli
di carta e non su muri, magliette, giocattoli o tappeti. -Hai portato
le ciambelle?-
-Certo che sì, amico! Le tue preferite, quelle di Pink Boy,
con gli zuccherini colorati-
Chuck squadrò il sorriso smagliante dell'amico con
diffidenza.
Pink Boy, oltre che a fare ciambelle strepitose e ad avere un nome
ridicolo, era assurdamente lontano dalle loro abitazioni, quindi che
Morgan avesse percorso chilometri per un sacchettino di dolci era un
indicazione abbastanza certa di guai. Senza contare che ormai quelle
ciambelle (cioccolata, granella di nocciola e overdose di zuccheri
incluse) erano tradizionalmente un campanello d'allarme. Ricordava
ancora quando, a dodici anni, prima di informarlo di aver
accidentalmente affogato la sua console di videogiochi con l'aranciata,
Morgan gli aveva regalato un vassoio intero di quelle delizie
ipercaloriche. Oppure quella volta quando, a diciassette anni,
svegliandosi, Chuck aveva trovato una torre di ciambelline sul tavolo,
giusto pochi secondi prima di scoprire che tutta la scuola
inspiegabilmente lo credeva gay a causa dell'ennesima figuraccia del
suo migliore amico.
-Morgan, è successo qualcosa?-
-No! No no no... perchè? Hai qualche motivo per credere che
sia successo qualcosa?-
Stavolta era il turno dell'ometto barbuto di essere diffidente,
squadrando l'amico in cerca di qualche informazione. La
verità
era che non avevva la minima idea di come stesse procedendo la ricerca
di Sarah, ed era certo che Chuck avrebbe continuato a cercare Sarah
fino alla fine, era ovvio che non si sarebbe arreso. Ma ormai anche
lui, Morgan Grimes, che si era sempre vantato di conoscerlo meglio di
chiunque altro, non lo riconosceva più. Non conosceva i suoi
segreti e temeva che l'amico senza il controllo delle persone che lo
amavano si sarebbe spinto troppo oltre.
-No. Nulla- Scosse la testa Chuck scrollando le spalle, sempre
più confuso.
Prima che potessero approfondire l'argomento un urlo straziante li fece
sobbalzare entrambi.
In anni e anni da spie avevano imparato a non sottovalutare mai un
grido di terrore. Uno scatto fulmineo li portò entrambi in
assetto di battaglia, tuttavia si resero conto che l'unico pericolo
imminente da temere era un bambino che scuoteva un pennarello blu
decisamente troppo vicino al tessuto che rivestiva il divano.
-Pete! Ti odio! Papà, fai qualcosa! Mi ha rovinato la
ricerca, guarda!-
Samantha continuava ad urlare istericamente, le guance arrossate e le
pupille dilatate, pronta a scoppiare in lacrime. In mano stringeva un
foglio stropicciato colorato di blu al margine superiore. In
realtà non era una gran macchia, e Chuck era parzialmente
fiero
che stavolta il suo bambino avesse almeno centrato un foglio prima di
darsi all'arte. Purtroppo però sua figlia era leggermente
più melodrammatica del dovuto.
-Devo consegnarla oggi! Prenderò un brutto voto per colpa di
quello stupido!- La vocina si stava facendo sempre più
acuta, si
sarebbe messa a piangere, Chuck lo vedeva, o peggio avrebbe trucidato
il fratellino che la fissava con gli occhi sbarrati, con
un'estremità del pennarello in bocca e le manine sudice
spalmate
sui jeans.
-Ok, calma. Ristampiamo la ricerca, ti basta questa pagina, no? E'
salvata sul computer, vai ad accenderlo e chiama Chris che siamo in
ritardo. E tu Petey...-
Si voltò verso il figlio minore con aria esasperata.
-Non puoi colorare tutto quello che vedi, questo lo prendo io- Gli
sfilò il colore dalle dita e cercò con gli occhi
il tappo
che si era perso nel caos. Non fece in tempo a voltarsi che esplose il
dramma: Peter cominciò a piagnucolare, derubato del suo
preziosissimo tesoro, mentre Sam, tutto tranne che soddisfatta, si
lamentava a gran voce del trattamento di favore riservato al fratellino.
Morgan cercava di bloccare il pianto del piccolo offrendogli oggetti a
raffica, confondendolo solo di più, mentre Chris, con ancora
addosso i pantaloni del pigiama e la maglietta infilata al contrario,
barcollava nel soggiorno attratto dal rumore.
L'orologio segnava le 8.32, e le lancette continuavano a procedere
inesorabili. Era decisamente tardi, ed ogni minuto sprecato a discutere
lo allontanava sempre più da Sarah.
Chuck avrebbe voluto mettere in pausa il tempo, avrebbe voluto gridare,
rannicchiarsi sul divano e arrendersi. Rimanere fermo a compiangersi
per l'eternità. Sbattere la porta in faccia a tutti i
problemi e
lasciarsi cadere nel baratro.
Invece prese un respiro profondo e strinse i pugni. Poi si
voltò e andò in camera, lasciandosi tutto alle
spalle.
Non l'avrebbe data vinta a quelli che credevano sarebbe crollato. Lui
era una spia, un marito, un padre, una persona coraggiosa e
responsabile. Non una femminuccia che piange come in preda ad una crisi
di nervi.
Controllati, Bartowski.
Gli tremavano le mani, se ne accorse solo quando si lasciò
cadere sul letto, sfinito.
Gli mancava Sarah, gli mancava così tanto in questi momenti.
Si
chiese cosa avrebbe fatto lei, ma era ovvio. Lei era quella forte,
quella controllata, addestrata a fronteggiare le crisi peggiori. Lei
con il suo sorriso avrebbe sistemato tutto: avrebbe messo in riga
quello svampito di Chris, appagato l'egocentrica Sam e coccolato il
dolce Petey. Non ci sarebbero stati litigi nè disastri di
alcun
genere. Tutti sarebbero arrivati a scuola e al lavoro in perfetto
orario senza pianti o porte sbattute.
Ma lui non era Sarah. Non riusciva ad essere un bravo padre,
nè
un bravo amico. Non più. Probabilmente non era
più
nemmeno una brava persona.
Non sapeva da quanto tempo fosse chiuso in quella stanza quando Morgan
apparve cautamente nel vano della porta. Una parte della sua mente
registrò che nell'altra stanza i bambini avevano smesso di
strillare. Doveva essere arrivata Ellie a calmare le acque. Santa
Ellie. Non sapeva cosa avrebbe fatto senza di lei.
Chuck alzò gli occhi, ma si accorse che il suo amico evitava
il suo sguardo.
-Perchè hai portato le ciambelle?-
La sua voce era spenta, stanca, come quella usata con la sorella la
sera prima.
Non era Charles Irving Bartowski a parlare, era la sua ombra, la sua
disperazione. Morgan sapeva di non avere abbastanza faccia tosta da
mentire ad un uomo distrutto. Stavolta non fece finta di non capire,
semplicemente sospirò e si infilò le mani in
tasca.
-E' morto Arthur Rosenfeld. All'ONU. L'hanno trovato questa notte,
dicono che si è suicidato. Tu ne sai qualcosa?-
-Perchè mai dovrei saperne qualcosa?- La voce di Chuck era
totalmente indifferente. Si sentiva un automa, mentire non era
più difficile che dire la verità, a questo punto.
Morgan rabbrividì nello scorgere gli occhi dell'amico. Erano
gelidi, vuoti. Non c'era nulla di umano in quello sguardo.
-Non so. Era l'unico collegamento con Sarah che avevamo. Pensavo lo
sapessi. Mi dispiace-
Chuck rimase immobile. Morgan avrebbe voluto picchiarlo, tirargli uno
schiaffo, fare qualcosa per farlo reagire. Lo stava perdendo, stava
perdendo il suo migliore amico, l'uomo straordinario che l'aveva
salvato almeno un milione di volte. Non poteva lasciarlo andare
così.
Non poteva lasciarlo solo.
Fu ancora Sam a colmare quel baratro che divideva i due amici. Aveva
ancora il viso rosso dopo la sfuriata di poco prima, però
ora
aveva le lunghe trecce bionde perfettamente in ordine e teneva uno
zaino candido sulle spalle.
-Zia Ellie ci accompagna al bus. Hai stampato la mia ricerca?- Chiese
timidamente.
Chuck sospirò rianimandosi, una qualche scintilla si
riaccese di
colpo nel fondo della sua anima. Solo i suoi bambini ormai lo tenevano
ancorato alla vita.
-No, tesoro. Avevo detto a te di accendere il computer- Diede uno
sguardo all'orologio da polso. -Ora è troppo tardi,
cancellerai
la macchia col bianchetto, vedrai che non se ne accorgerà
nessuno-
-Ma...- La bambina sembrava veramente sconvolta davanti alla
prospettiva di non essere perfetta in qualcosa. Ma la realtà
non
è perfetta, anzi è ingiusta e spietata. Questo
avrebbe
voluto dirle Chuck, invece alzà una mano in segno di
ammonimento
bloccando la piccola nel bel mezzo della frase.
-Nessun ma. Non lamentarti e io non ti chiederò come abbia
fatto
il tuo fratellino di appena tre anni a raggiungere il tuo preziosissimo
compito. Oppure vuoi farmi credere che fra tutti i fogli sparsi per la
casa si è messo a frugare proprio nella tua cartella
scegliendo
casualmente proprio la ricerca che dovevi consegnare?-
-Non è giusto!-
-Sai che non devi lasciare le tue cose in giro- Le ricordò
pazientemente il padre.
-Sei cattivo! Non vedo l'ora che mamma torni! Io non ci voglio vivere
con te! Io ti odio!-
Sam lasciò la stanza di corsa con le lacrime che le rigavano
il volto. Sì, era decisamente una pessima giornata.
Morgan abbassò il volto, imbarazzato. Per quanto potesse
essere
a tutti gli effetti un membro di quella famiglia non avrebbe mai voluto
assistere ad una scena del genere. Sapeva che Chuck si sarebbe sentito
ferito per le parole della bambina, e non meritava altri dolori.
Sentì il cellulare vibrargli nella tasca. Il messaggio
diceva
solo "arrivati", ma Morgan sapeva di doversene andare.
-Vai pure- Quando il barbuto alzò lo sguardo dal telefono il
suo amico, incredibilmente, sorrideva.
-Mi dispiace, sai com'è il lavoro... Ma sai che se hai
bisogno di una mano...-
-Tranquillo, va bene. Non hai motivo di preoccuparti di me-
Morgan annuì, sapeva che l'amico gli stava mentendo e questa
consapevolezza lo straziava.
Quando aveva smesso di fidarsi di lui?
Si era già voltato verso l'uscita quando si rivolse di nuovo
al
l'amico, come se si fosse ricordato di qualcosa all'improvviso.
-Chuck... Rosemberg non si è suicidato. Gli hanno sparato a
distanza. La CIA non ammetterà mai una così
palese
breccia nella sicurezza, ma è stato ucciso. Io lo so-
Non aveva la minima idea del perchè glielo stesse dicendo.
Forse
voleva metterlo alla prova, oppure dargli un'altra
possibilità.
Morgan sperò con tutto il cuore che Chuck almeno stavolta
avesse
il coraggio di dirgli la verità, ma tutto quello che fece fu
scrollare le spalle. I suoi occhi erano di nuovo persi nel nulla.
-Okay. A presto amico-
Morgan lasciò la casa di fretta, quasi a voler scappare.
Superò i bambini, Ellie, Fenomeno, come se qualcuno lo
stesse
rincorrendo con la pistola puntata.
La verità era che lui aveva riconosciuto quella pistola,
quella
usata a New York. Era la stessa che Chuck aveva preso dall'arsenale
della base il giorno precedente, priva di immatricolazione e
irrintracciabile.
Aveva controllato i suoi spostamenti sulla costa est, non era proprio
un pivello privo di esperienza. Era così che l'aveva
scoperto:
il suo amico era un assassino.
Ovviamente poi aveva nascosto tutte le prove che potessero condurre
degli investigatori scrupolosi alla famiglia Bartowski.
Gli dispiaceva veramente che Chuck fosse arrivato ad un gesto
così estremo, e gli faceva ancora più male
pensare che
non si era confidato con lui. Ma in fondo erano migliori amici, e
Morgan avrebbe custodito il suo segreto fino alla morte.
Se proprio Chuck voleva affondare, allora sarebbero andati incontro al
peggio insieme. L'avevano giurato col sangue.
Amici per sempre.
Burbank, California,
Carmichael Industries - 9.02, martedì
Morgan fece la sua entrata plateale fasciato nel suo nuovo
completo gessato grigio di sartoria. Si sfilò gli occhiali
da
sole ostentando indifferenza mentre scendeva le scale per raggiungere
il centro operativo e con una mossa studiata li infilò nel
taschino della giacca.
Poi, tronfio e orgoglioso, si fermò a braccia incrociate ad
osservare le due reclute che lo stavano aspettando.
Non
c'era niente di meglio che un nuovo giorno di lavoro per dimenticare
tutti i problemi con il suo migliore amico, e poi qualcuno doveva pur
mandare avanti la baracca, giusto?
Avanzò lentamente, con passo cadenzato, con la testa alta e
il
petto in fuori, pienamente consapevole del suo ruolo dominante di
fronte ai due pivelli che stavano tremanti di fronte a lui, in attesa
di direttive.
Adorava poter fare il capo, lo faceva sentire così
importante,
Chuck diceva che compensava in questo modo la sua scarsa altezza, ma
Morgan era certo che fosse solo invidioso del suo inimitabile stile. In
effetti chi avrebbe potuto resistere al fascino dell'agente speciale
Grimes, coraggioso eroe in perenne lotta contro il crimine?
Con un sorrisetto compiaciuto si fermò davanti al
più alto degli agenti.
Era un gigante, un mastino alto un metro e novantotto e dotato di
centoventi chili di muscoli e rabbia repressa. Due occhietti piccoli e
spietati svettavano sul suo enorme testone pelato e aveva un grugno
odioso stampato in volto che non lasciava trapelare emozioni.
Nonostante Morgan fosse convinto di incutere abbastanza terrore nei due
novellini, l'unico sentimento che il gigantesco soldato riusciva a
provare nei confronti di quel nanetto in giacca e cravatta era un
profondo fastidio.
-Immagino che lei sia Nickolas Pilkie-
-Sergente. Sergente Nickolas Antony Pilkie-
Puntualizzò l'altro con un tono omicida che non ammetteva
repliche. Morgan tuttavia, incapace di cogliere la sfumatura minacciosa
nelle parole della nuova recluta, gli sorrise cordialmente e gli diede
una pacca scherzosa sul braccio. Al movimento inaspettato il sergente
Pilkie dovette impegnarsi con tutto sè stesso per non
staccare
la mano all'omino barbuto.
-Avanti Nick! Qui siamo tutti una grande famiglia felice, niente
formalità!-
Fortunatamente il gioioso supervisore passò subito al
secondo agente.
Era una ragazzina dai capelli color fuoco, paffuta, di sicuro non
dimostrava i suoi quasi vent'anni, sembrava una scolaretta sperduta.
Fissava Morgan con gli occhi sbarrati in preda al panico.
-E tu devi essere Alice McKenzie-
Bastarono quelle poche parole per far tingere di rosso acceso il
reticolo di lentiggini che le ricoprivano il volto, il che, grazie
anche al maglioncino vermiglio che indossava quel giorno, la faceva
sembrare un grande pomodoro maturo.
-S-s-sì- Balbettò sempre più
imbarazzata.
Morgan però sembrò non curarsi nemmeno dello
strano
comportamento della ragazza, troppo preso dal suo ruolo di capo
responsabile. Inutile dire che di solito era Chuck ad occuparsi delle
formalità come accogliere i nuovi arrivati, dopotutto
l'agenzia
portava il suo nome. Tuttavia, da quando Sarah era stata presa Morgan
si era sentito in dovere di occuparsi personalmente di tutte le
fastidiosissime incombenze che avrebbero potuto angustiare il suo amico.
-Allora- Cominciò Morgan con un tono serio che gli dava una
strana importanza formale. -Benvenuti alle Carmichael Industries. Voi
siete stati selezionati fra una nutrita schiera di aspiranti agenti per
diventare parte di uno dei più importanti gruppi di spie
freelance al mondo. In questo momento i nostri migliori agenti stanno
portando a termine delicatissime missioni in ogni continente. Voi siete
stati scelti per le vostre straordinarie capacità e avrete
da
subito un ruolo di rilievo nell'agenzia. Noi crediamo nei giovani, voi,
proprio voi, siete il futuro dello spionaggio internazionale. Non mi
resta che augurarvi un'ottima permanenza-
Morgan concluse il suo discorsetto con un sorriso. Aveva passato la
notte ad idearlo ed impararlo a memoria, e ora che si era tolto questo
peso era
sufficientemente soddisfatto di sè stesso da potersi
crogiolare
per qualche secondo nell'autostima. In effetti lo infastidiva un po'
che il suo piccolo pubblico non avesse avuto nessuna reazione, ma in
effetti cosa poteva aspettarsi da un soldato imbronciato e da una
ragazzina timida? Poi non aveva nemmeno la minima idea di chi avesse
selezionato due sfigati del genere. Chi li avrebbe mai voluti come
spie? Morgan aveva letto i loro fascicoli in un momento di profonda
noia: un ex membro delle delta-force congedato per problemi di
controllo della rabbia e un genio precoce con una serie infinita di
fobie e nevrosi. Avrebbero combinato solo guai.
-Qualche domanda?-
-Lei è l'agente Carmichael?- Ringhiò il sergente
Pilkie,
ancora con quell'inquietante scintillio omicida negli occhi.
-No, spiacente. No. Oggi lui... è stato trattenuto. Io sono
l'agente Grimes, suo braccio destro-
-Una specie di assistente, quindi?- Il commento della recluta sembrava
quasi derisorio.
-No! Io sono l'agente in carica qui. E sarò il vostro
supervisore, quindi vi invito a non mancarmi di rispetto visto che
sarò io a dovervi valutare-
-Sì, signore- Borbottò ancora il gigantesco
agente con
aria di superiorità. Morgan decise in quel momento che quel
Pilkie sarebbe stata una spina nel fianco. Con un sorrisetto forzato
girò intorno ai due novellini per raccogliere qualcosa dal
tavolo alle loro spalle. Prese un foglio, in effetti il primo che gli
era capitato fra le mani, scelto a caso fra tutti i fax e le e-mail di
casi non ancora assegnati. Gli bastò uno sguardò
alla
foto sulla pagina perchè l'Intersect gli dicesse tutto
ciò
che doveva sapere sull'energumeno slavo rappresentato.
-Igor Polanski, trafficante d'armi, originario della Repubblica Ceca.
Ha ucciso il direttore di una potente multinazionale, senza lasciare
indizi alle sue spalle. E' latitante da anni. Pensate di riuscire a
trovarlo?- Espose il caso Morgan con aria saccente, cedendo il
fascicolo a Pilkie.
Alice sbirciò oltre il possente bicipite del compagno
arrossendo un po'.
-P-p-posso us-usare un comp-puter?- Balbettò la rossa
abbassando
gli occhi. Morgan annuì e la condusse ad una postazione
informatica.
Pilkie li seguì poco convinto, studiando il dossier che
teneva
fra le mani. -O è morto, o ha cambiato identità.
In
entrambi i casi non lo troveremo- Commentò lapidario con il
suo
vocione profondo. Il sorriso di Morgan divenne una smorfia infastidita
nel sentire la porta di servizio aprirsi.
-In tal caso vi consiglio di darvi da fare. Da questo caso dipende la
vostra prima valutazione- Concluse il barbuto mentre si voltava verso
l'ospite inatteso che stava scendendo le scale con passo pesante.
Nell'istante in cui Pilkie vide l'uomo che aveva appena fatto il suo
ingresso scattò sull'attenti, spaventando così
Alice che
si alzò di colpo rischiando di far perdere
l'equilibrio a Morgan, in piedi dietro di lei.
-Generale- Salutò il sergente con tono riverente. Trapelava
rispetto da
tutti i pori, quell'uomo era il suo mito. Si sentiva eccitato come una
teenager al concerto del suo cantante preferito.
-John, che piacere vederti! Qual buon vento ti porta da queste parti?-
Morgan dedicò a Casey uno dei suoi sorrisi smaglianti mentre
faceva qualche passo verso di lui a braccia aperte. L'altro in risposta
lo guardò accigliato ringhiando leggermente.
-Grimes. Dobbiamo parlare. Ora- Poi si voltò e
lasciò la stanza svanendo in un corridoio.
Morgan rimase impietrito, pensando a cosa diavolo fosse successo
stavolta per renderlo così di cattivo umore. Ripercorse
mentalmente le ultime giornate ma non gli veniva in mente nessun
avvenimento degno di un richiamo ufficiale da parte del generale
John Casey in persona. A meno che non fosse lì per
Chuck.
Rabbrividì pensando al segreto dell'giovane uomo, e si
appellò a
tutto il suo autocontrollo per non scappare. Si parlava del suo
migliore amico,
non avrebbe ceduto alle torture di Casey. O almeno così
sperava.
Si voltò verso le sue reclute, che lo fissavano inebetite.
Sperò di poterle vedere ancora dopo aver parlato col
generale.
-Che fate? Andate a lavorare!-
I due si voltarono di colpo verso il computer, parlottando a bassa
voce. Morgan invece, pallido e con le mani sudaticce, andò
verso
il buio corridoio della base, dove il suo destino lo stava aspettando.
Burbank, California,
Carmichael Industries - 9.26, martedì
Casey
camminava avanti e
indietro nervosamente quando Morgan lo raggiunse nel corridoio buio e
senza finestre, affiancato da una serie di celle di massima sicurezza,
tutte vuote.
-Periodo di magra, Grimes?- John commentò con un sorriso
sarcastico la totale assenza di prigionieri.
-Sai, con Chuck e tutto il resto... Abbiamo pensato di fare una pausa e
occuparci di altro-
-Occuparvi di Sarah, vorrai dire-
-Già- Morgan rimase congelato mentre un brivido gli
attraversava
la colonna vertebrale. Abbassò gli occhi, era
terrorizzato all'idea di lasciarsi sfuggire qualcosa.
-Ho sentito della morte di Rosemberg-
Morgan si morse la lingua, terrorizzato. Casey continuò come
se nulla fosse.
-Quel lurido verme schifoso... Comunque non ci avrebbe detto niente di
utile-
-Come lo sai?-
Il generale guardò il vecchio amico con aria sospettosa.
-Sei nervoso, Grimes?-
-Io? No, no- Morgan cercò di controllare il tono stridulo
che stava assumendo la sua voce. Si sentiva un idiota.
-Lo vedo- Casey scacciò i sospetti sull'ometto barbuto
scuotendo
la testa. Grimes era troppo stupido per essersi messo in guai veramente
seri. -In ogni caso non sono qui per parlare di questo. Purtroppo non
ho nessuna novità su Walker-
Al ricordo della partner gli occhi gli si velarono di tristezza. Si
erano sempre coperti le
spalle, loro due, e ora, l'idea che lei potesse essere morta
chissà dove lo faceva sentire assurdamente impotente. Lui
era
sempre stato l'uomo d'onore, fedele ai propri principi, e dove l'aveva
portato tutto questo? Aveva ottenuto uno stupido titolo ma non riusciva
nemmeno ad impedire che una brava agente come Sarah, una sua amica,
venisse rapita e cancellata dalla faccia della terra. Dov'era lui quel
giorno? Perchè non le stava coprendo le spalle? Non aveva
potuto
prendere quei bastardi, e ora tre bambini probabilmente non avrebbero
mai più visto loro madre. Era per evitare ingiustizie del
genere che
aveva accettato di rimanere nelle forze armate. Casey scosse la testa,
come poteva servire il suo paese da una scrivania? Il lavoro
d'ufficio proprio non faceva per lui. Sapeva di non poter tornare sul
campo, non dopo quella ferita in Libia che l'aveva quasi ridotto ad un
vegetale, ma non ne poteva più di tutta quella burocrazia.
Avrebbe
dovuto sentirsi grato e appagato dopo che l'NSA l'aveva riaccolto a
braccia aperte, riconoscendo il suo valore e le sue capacità
operative
anche dopo tutto quello che era successo, ma in realtà si
sentiva solo
inutile. Per quanto la sua esperienza potesse ancora salvare delle
vite, gli mancava terribilmente la scarica di adrenalina che lo
attraversava quando puntando un fucile dava inizio ad un inferno di
pallottole. E in ogni caso tutti i consigli tattici che avrebbe potuto
dispensare non potevano bastare a riportare indietro Sarah Walker.
Mentre
Casey era impegnato ad autocolpevolizzarsi silenziosamente, Morgan
tentava di riprendersi dal terrore senza dare nell'occhio. Sapere che
il generale non era lì per svelare i suoi segreti e sbattere
Chuck a
marcire in una cella per il resto dei suoi giorni era sicuramente
rassicurante. Eppure c'era ancora qualcosa che non quadrava.
-Aspetta. Se non sei qui per Chuck e Sarah... perchè sei
qui?-
Casey
si risvegliò dalle sue profonde riflessioni e si
passò una mano fra i
capelli brizzolati, come sempre corti e ordinati, lasciandosi cadere
contro la parete alle sue spalle.
-Ho bisogno del tuo aiuto- Borbottò a disagio mentre l'altro
lo fissava incredulo e perplesso.
-E' tornata Alex-
Bastò
quell'informazione perchè Morgan si sentisse sprofondare,
colto di
sorpresa. Si schiarì la voce torturandosi nervosamente le
mani.
-Ah sì? E perchè lo vieni a dire a me?- Chiese
con voce flebile.
-Perchè
ha finito il suo corso a Washington e insieme ai souvenir e alle foto
ha riportato a me e sua madre anche uno strano regalo. Una sottospecie
di ragazzo. Non c'è un modo carino per dirlo. Si sta per
sposare,
Grimes. Pensavo lo volessi sapere-
Morgan sentì le gambe cedergli
e si accasciò senza forze contro la parete opposta a quella
contro cui
stava ancora appoggiato il marine che continuava a parlare contrariato.
-Dovresti
vederlo, sembra un pinguino ingessato. Fa qualsiasi cosa come se gli
avessero fatto ingoiare una scopa e poi l'avessero impanato nella
brillantina. Poi parla in un modo strano, idiota, mi fa uscire dai
gangheri. Giuro che vorrei piazzargli una pallottola in fronte. E quel
che è peggio è che Alex lo conosce solo da tre
mesi! E lo vuole
sposare, ora, senza nessun preavviso. Si sposa fra una settimana e ce
l'ha detto solo ieri. Le devono aver fatto il lavaggio del cervello.
Credevo che con te avesse toccato il fondo in materia di ragazzi ma a
quanto pare... Grimes? Ti senti bene?-
Morgan era finito accucciato
sul pavimento, pallido come un cencio, e pareva non aver sentito una
sola parola del discorso del soldato.
-Si... si sposa?-
Casey. rendendosi conto all'improvviso di essersi dimostrato troppo
loquace, emise in risposta un grugnito d'assenso.
-E... a cosa ti servo io? So che io e Alex... insomma... Ma ormai
è parte del passato. Cosa potrei fare ora?-
-Non so Grimes. Parlale, fa qualcosa! Persino tu sei meglio di quel
figlio di papà rammollito che ha scelto stavolta-
Morgan
alzò gli occhi verso il suo vecchio amico e mentore. Doveva
essere
proprio disperato per ridursi a chiedere aiuto a lui. Abbassarsi a
tanto doveva essere stata una bella pugnalata al suo orgoglio. Certo,
non era giusto che si immischiasse nella vita sentimentale di Alex, non
ora che, almeno in teoria, si stavano finalmente ricostruendo una vita.
Lei e Morgan avevano passato degli anni meravigliosi insieme, ma non
aveva più alcun diritto di far parte della sua esistenza.
O si sbagliava? Forse se avesse lottato di più, se
avesse avuto una seconda opportunità...
No. Si maledì mentalmente per averci anche solo pensato. Era
finita.
Lui
non era più succube della sofferenza, e se Alex davvero
voleva sposarsi
lui non si sarebbe opposto, sarebbe stato solo felice per lei.
Morgan alzò gli occhi sul padre della sua ex in attesa di
una risposta.
Voleva che le parlasse. Parlare non implicava necessariamente
l'umiliazione, no?
Non
doveva per forza scongiurarla in lacrime di tornare insieme a lui, non
era obbligato a strisciare in ginocchio urlandole che non aveva mai
smesso di amarla.
Poteva mentire, poteva porgerle le sue più liete
felicitazioni di fronte alla benedetta unione del matrimonio. Poteva
comportarsi da persona responsabile, volendo.
Forse finalmente
avrebbero concluso anche quel paio di questioni irrisolte che ancora li
tenevano legati. Forse sarebbe persino stato utile rivederla ora.
Sì, probabilmente era così.
Morgan si ripromise di parlarne al suo analista, poi si alzò
di nuovo in piedi. Si sentiva indolenzito e imbarazzato.
Perchè
diamine quando si parlava di Alex doveva essere sempre così
debole?
Sarebbe quasi stato meglio se Casey lo avesse torturato a morte.
-Okay,
John. Le parlerò- decise in un impeto di coraggio -ma non ti
assicuro
niente. Se lei davvero vuole sposare questo tipo, non sono io a doverle
far cambiare idea-
-Lo so. Ma sei la mia ultima possibilità. Mi rifiuto di
diventare suocero di quel damerino che sembra uscito da un film inglese-
-Ehi! Dagli una chance! A me l'hai data e non ero tanto male, no?-
Casey gli rispose con uno sguardo disgustato.
-Oh, avanti! Lo so che ti piacevo! Almeno un pochino...?-
Nell'osservare
il barbuto che sorrideva sperazoso, il generale alzò gli
occhi al cielo
rassegnato. Eh già, Morgan Grimes non cambiava davvero mai.
E anche se non l'avrebbe mai ammesso Casey lo sapeva. Non avrebbe mai
potuto desiderare un ex genero migliore.
NOTE
In questo
momento non dovrei assolutamente essere qui. Dovrei studiare per
l'interrogazione di storia, oppure giacere moribonda in un letto. In
ogni caso non dovrei essere a scrivere davanti ad un computer. Il fatto
è che qualche giorno fa mi sono accorta di quelle due
bellissime recensioni che aveva ricevuto il prologo. E subito dopo mi
sono resa conto anche che ben cinque persone hanno inserito la storia
fra le seguite, tre fra le preferite e una fra le ricordate.
E allora non ho potuto fare a meno di rianimarmi e rimettermi a
scrivere come una dannata. Ho raccolto le molteplici note sul mio
cellulare in cui avevo disseminato questo primo capitolo e le ho
trascritte in ordine nel computer.
Le scuse per il ritardo colossale sono d'obbligo, ma gli impegni e il
blocco dello scrittore hanno ordito una congiura contro di me in questo
periodo. Mi riprometto di aggiornare presto (datemi una, al massimo due
settimane) e vi avviso che se recensite ci metterò di meno a
scrivere, perciò avanti, non siate timidi!
In questo capitolo, come avevo avvisato precedentemente, abbiamo molto
Morgan, che sì, ha ancora l'intersect -ho deciso che non mi
importa di ciò che accadrà nella quinta stagione,
e mi dispiace per aver spoilerato tutti quelli che non avevano visto il
finale della quarta-, e sì, non sta più con Alex,
poi abbiamo un po' di Casey, addirittura generale, un po' meno burbero
del solito, e con i capelli brizzolati! E poi abbiamo i miei piccoli
Bartowski, Samantha è una rompiscatole, Peter è
l'amore della mia vita, Chuck dovrà fare i conti con un po'
di rimorsi per ciò che ha fatto nel prologo. Fatemi sapere
che ne pensate. se c'è qualcosa che non quadra fatemelo
notare che correggo e perdonatemi, sono febbricitante e confusa.
A presto (si spera più presto dell'ultima volta)
M.
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